Teoria e struttura sociale. Teoria sociologica [Vol. 1]
 978-88150765400

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Robert K. Merton

Teoria e struttura sociale I.

Teoria sociologica

Società editrice il Mulino

ISBN 88-15-07654-9 Copyright © 2000 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la ri­ produzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Traduzione di Carlo Marletti e Anna Oppo.

Indice

Premessa Introduzione I.

II.

Sulla storia e la sistematica della teoria so­ ciologica

p. IX

5

9

Confusione fra storia e sistematica

10

La documentazione pubblica della teoria sociologica

12

Continuità e discontinuità nella teoria sociologica

19

Spengler e Danilevsky: da prescoperta ad anticipazione Marx-Engels e i loro predecessori: da adombramen-

47

tismo ad anticipazione

48

Aspetti umanistici e scientifici della sociologia

49

Erudizione contro originalità

54

La funzione della teoria classica

62

Sulle teorie sociologiche di medio raggio

67

I sistemi totali della teoria sociologica

77

Pressioni utilitaristiche per sistemi sociologici to-





Sistemi totali di teoria e teorie di medio raggio

86

Reazioni polarizzate alle teorie di medio raggio

89

Indice

VI

Il processo di polarizzazione

p.

Rifiuto della teoria di medio raggio

104

Sommario e sguardo retrospettivo

112

Paradigmi: la codificazione della teoria sociologica

114

III. Funzioni manifeste e funzioni latenti Verso la codificazione dell'analisi funzionale sociologia

121 m

121

La terminologia dell'analisi funzionale

122

Un termine unico per diversi concetti

123

Un concetto unico per diversi termini

128

Postulati principali dell'analisi funzionale

131 131 139 143

Il postulato dell'unità funzionale della società Il postulato del funzionalismo universale Il postulato dell'indispensabilità

L'analisi funzionale come ideologia

149

L'analisi funzionale è conservatrice L'analisi funzionale è progressista

149 152 159

L'ideologia e l'analisi funzionale della religione

La logica del procedimento

165 165

Il prevalere dell'indirizzo funzionale

Un paradigma per l'analisi funzionale in sociologia

171 178

Scopi del paradigma

Elementi soggetti all'analisi funzionale

179

Funzioni manifeste e funzioni latenti

188 192

Gli scopi euristici della distinzione

IV

90 94

Accettazione della teoria di medio raggio

Note conclusive

222

Poscritto bibliografico

222

L'influenza della teoria sociologica sulla cerca empirica



225

Indice

VII

Metodologia Orientamenti sociologici generali

229

Analisi dei concetti sociologici

232

Interpretazioni sociologiche

V.

p. 227

post factum

238

Le generalizzazioni empiriche nella sociologia

241

Teoria sociologica

242

Derivazioni formali e codificazione

248

L'influenza della ricerca empirica sulla teoria sociologica Le funzioni teoriche della ricerca Il modello della «Serendipity>> La riformulazione della teoria Il riorientamento dell'interesse teorico La chiarificazione dei concetti

Indice dell'opera

253 254 255 262 268 272 XIII

Premessa

Teoria e struttura sociale è l'opera fondamentale di Ro­ bert K. Merton e una delle più significative della sociologia contemporanea. Essa testimonia pienamente della vastità, della profondità e della varietà di interessi del grande socio­ lago americano. Vi è racchiuso il nucleo - analisi funzionale e teorie di medio raggio - di una prospettiva che ha segnato l'abbandono della «grande teoria» come sistema concettuale

onnicomprensivo e universale. Essa rappresenta dunque una decisiva svolta verso una sociologia più critica e pluralista, maggiormente attenta alle contraddizioni e alle incongruenze della realtà empirica, meno univoca, meno rigida e dogmati­ camente ambiziosa. Negli oltre cinquant'anni trascorsi dalla prima edizione del testo l'analisi sociologica ha conosciuto molti sviluppi, ma queste pagine di Merton restano un pun­ to di riferimento da cui è impossibile prescindere. La prima edizione di Social Theory and Social Structure è del 1949. Mentre era in preparazione l'edizione italiana, per i tipi del Mulino, nel 1957 uscì negli Stati Uniti una seconda edizione, notevolmente aumentata, di cui si poté tener conto nella messa a punto della prima edizione italia­ na, pubblicata nell'ottobre del 1959. Esauritasi questa prima edizione, ne usciva una seconda nel 1966, in una nuova traduzione che usufruiva di un più consolidato linguaggio sociologico italiano, ma ancora uguale nella struttura alla seconda edizione americana.

x

Premessa

La terza edizione, uscita negli Stati Uniti nel 1968, ul­ teriormente ampliata, veniva esattamente ripresa nella terza edizione italiana del 197 1, in tre volumi, rimasta sostanzial­ mente invariata anche nelle successive riedizioni italiane (sino alla settima del 1983). Nel 1992 veniva proposta, con l'accordo dell'autore, una nuova edizione italiana che riuniva in volume unico le parti prima (Teoria sociologica) e seconda (Studi sulla strut­ tura sociale e culturale) dell'opera. Doppiato il capo del mezzo secolo dalla pubblicazione della prima edizione americana, Teoria e struttura sociale è ora ripresentato dal Mulino nella collana «Biblioteca» nella suddivisione in tre volumi adottata nell'edizione del 1971. Il terzo volume, ora intitolato Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza, accoglie due saggi aggiuntivi (La trasmissione orale della conoscenza e L' «effetto S. Matteo» nella scienza. II) e una nuova introduzione dello stesso Merton. L'opera viene così riproposta al lettore nella sua forma più ampia, articolata e completa, secondo i desideri dall' au­ tore.

Robert K. Merton

Teoria sociologica

Alla memoria di Charles H. Hopkins, parente, amico, maestro

Introduzione

Nella loro prima stesura, i saggi che compongono que­ sto volume non furono pensati come capitoli consecutivi. Sarebbe perciò capzioso affermare che nell'ordine attuale essi mostrino una naturale progressione dall'uno all'altro. Tuttavia non credo che il risultato, così com'è ora, manchi di coerenza logica e di rigore, ma soltanto, forse, di unità letteraria. Per dare al volume un carattere unitario, i saggi sono stati ordinati tenendo conto dello svolgimento e dello svi­ luppo graduale di due problemi sociologici che pervadono tutta l'opera, problemi che trovano risalto più nella pro­ spettiva generale in cui il volume è concepito che nella di­ scussione dei singoli argomenti. Questi sono: il problema dell'integrazione fra teoria e ricerca; il problema della pro­ gressiva codificazione tanto della teoria quanto dei procedi­ menti di analisi, e più particolarmente dei procedimenti di analisi qualitativa. Questi due problemi sono di enorme portata e se affer­ massi che i presenti saggi fanno più che sfiorare i confini di questi ampi e non ancora esplorati territori, questa mia affermazione accentuerebbe soltanto l'esiguità dei risultati. Il capitolo I tratta delle funzioni distinte, anche se inte­ ragenti, svolte da un lato dalla storia della teoria sociologi­ ca e, dall'altro, dalle formulazioni della teoria correntemen­ te utilizzata. È quasi superfluo ricordare che la teoria so­ ciologica attuale si fonda sull'eredità del passato. Ma vi è

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Introduzione

una certa convenienza, io credo, a esaminare i reqmsrtl m­ tellettuali che sono necessari per scrivere una storia auten­ tica del pensiero sociologico che sia qualche cosa di più di una serie di sommari di dottrine sociologiche, ordinate cro­ nologicamente, così come credo che valga la pena vedere in che modo la teoria sociologica utilizzata al giorno d'oggi derivi dalle teorie precedenti. E poiché nei decenni trascorsi la teoria sociologica di medio raggio è stata oggetto di molta attenzione, ho rite­ nuto utile riesaminarne le caratteristiche e il funzionamento alla luce dell'utilizzazione e delle critiche che in questo pe­ riodo la teoria ha ricevuto. È questo l'argomento del capi­ tolo II. Il capitolo III vuole illustrare i fondamenti e il quadro di quel tipo di teoria sociologica che viene chiamata analisi funzionale. Tale quadro si basa su un paradigma che codi­ fica le premesse, i concetti e i procedimenti impliciti (e, in qualche punto, espliciti) nelle interpretazioni funzionali proprie della sociologia, della psicologia e dell'antropologia sociale. Togliendo ogni senso pretenzioso alla parola sco­ perta, si può dire che, in gran parte, gli elementi del para­ digma sono stati scoperti e non inventati. In parte questi elementi sono stati trovati mediante l'esame critico delle ri­ cerche e delle discussioni teoriche di quanti si interessano alla prospettiva funzionale del comportamento degli uomini nella società. Per il resto, essi sono il risultato dei miei stu­ di sulla struttura sociale. I due capitoli successivi, l'uno relativo alle funzioni del­ la teoria in rapporto alla ricerca e l'altro relativo alle fun­ zioni della ricerca in rapporto alla teoria, intendono riassu­ mere i tipi delle relazioni reciproche fra teoria e ricerca, come attualmente risultano dalle indagini sociologiche. In particolare, il capitolo IV distingue i tipi d'indagine affini ma distinti che sono compresi nel termine generico di teoria sociologica: metodologia o logica del procedimen­ to, orientamento generale, analisi dei concetti, interpreta­ zioni ex post facto, generalizzazioni empiriche, e teoria pro-

Introduzione

7

priamente detta. Nel descrivere le relazioni fra queste parti - e il fatto che siano interrelate implica che siano anche distinte - ho tentato di sottolineare tanto i limiti quanto le funzioni dell'orientamento teorico generale, di cui la so­ ciologia ha maggiore abbondanza che non di proposizioni specifiche teoricamente derivate ed empiricamente confer­ mate. Così pure, l'importanza e il carattere intermedio del­ la generalizzazione empirica in sociologia sono messi in luce dovunque. Si propone che mediante la codificazione teorica, le varie generalizzazioni empiriche vengano ad esse­ re convalidate, confrontate e confermate. Esse allora diven­ tano casi particolari di una regola generale. Il capitolo V esamina l'altro aspetto di questa reciproca relazione fra teoria e ricerca: le conseguenze di vario gene­ re che i dati risultanti dalla ricerca hanno sullo sviluppo della teoria sociale. Soltanto che si limita a leggere sulle, ma non è impegnato nelle attività di ricerca empirica, può continuare a credere che l'esclusiva, o almeno primaria, funzione della ricerca stia nel confermare ipotesi preceden­ ti. Questo rappresenta una funzione ovvia ed essenziale, ma limitata, della ricerca empirica. La ricerca ha un compi­ to molto più attivo di quello implicito in questa funzione essenzialmente passiva. Come mostra questo capitolo, la ri­ cerca empirica suscita, rifonda, riorienta e chiarifica le teo­ rie e le concezioni sociologiche. E nella misura in cui l'os­ servazione dirige e rende fecondo lo sviluppo della teoria, è evidente che qualsiasi teorico che si distacchi dalla ricer­ ca - di cui abbia notizia solo per sentito dire - corre il rischio di essere isolato dalle esperienze vive che possono servire a rivolgere la sua attenzione in direzioni fruttuose. Il suo pensiero non è stato fecondato dall'esperienza diret­ ta. Soprattutto, egli manca di quella disciplina dell'osserva­ zione empirica che porta talvolta alla serendipity, cioè alla scoperta, compiuta per caso da una mente teoricamente preparata, di elementi validi che non .si stavano cercando. Weber può avere avuto ragione nel sostenere che non si ha bisogno di essere Cesare per capire Cesare. Ma talvolta, il

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Introduzione

sociologo teorico è tentato di agire come se, per capire Ce­ sare, non fosse nemmeno necessario studiare Cesare. Eppu­ re noi sappiamo che l'interazione fra teoria e ricerca prece­ de sia la comprensione dei casi specifici, sia l'ampliamento della regola generale.

Capitolo primo

Sulla storia e la sistematica della teoria sociologica

« Una scienza che esiti a dimenticare i suoi fondatori è perduta ». « È caratteristico di una scienza ai suoi inizi ... essere tanto ambiziosamente profon·· da nei suoi fini, quanto superficiale nel trat­ tare i particolari ». « Ma raggiungere una vera teoria e affer" rarne la precisa applicazione, sono, come ci insegna la storia della scienza, due cose mol-· to diverse. Ogni cosa importante è stata det­ ta prima da qualcuno che non l'ha scoperta » . Alfred North Whitehead, Tbe Organisa·

tion of Tbought.

Questi capitoli, nonostante i numerosi riferimenti agli scritti di sociologia del passato, non trattano della storia della teoria, ma del nucleo sistematico di certe teorie che vengono attualmente utilizzate dai sociologi. La distinzio­ ne fra i due campi è piu che casuale anche se nei program­ mi e nelle pubblicazioni accademiche si fa spesso confu­ sione fra i due. Si può anzi dire che nelle scienze sociali, con l'eccezione sempre piu marcata dell'economia e della sociologia, si tende a confondere la teoria attuale con la sua storia molto piu di quanto non accada in scienze quali la biologia, la chimica o la fisica 1•

1 La discussione si basa su un saggio precedente che discute « la po­ sizione della teoria sociologica ». Gfr. « Arnerican Sociological Review », 1949, 13, pp. 164-168. Per osservazioni pertinenti sul ruolo della storia del pensiero sociale, in quanto distinto da quello della teoria sociologica

Teoria socio/ogica

lO

CONFUSIONE FRA STORIA E SISTEMATlCA

È simbolicamente appropriato che i sociologi tendano a confondere la storia con la sistematica di una teoria: forse che Comte, spesso chiamato il padre della sociologia, non è stato anche considerato padre della storia della scien­ za ? 2 Tuttavia la confusione affascinante ma pericolosa çorrente, si veda Howard Becker, Vitali::t.ing Sociological Theory, in « American Sociological Review », 1954, 19, pp. 377-388, e in partico­ lare le pagine 379-381; e la recente presa di posizione abbondantemente esemplificata in Joseph Berger, Morris Zelditch Jr. e Bo Anderson, Sociological Theory in Progress, Boston, Houghton Mifflin Cornpany, 1966, pp. IX-XII e William R. Cotton, From Animistic to Naturalistic Sociology, New York, McGraw Hill, 1966. Un'opinione parzialmente diversa, della natura e delle funzioni della teoria sociale, si può trovare in Theodore Abel, The Present Status of Social Theory, in « American Sociological Review », 1952, 17, pp. ·156-164, come anche nella discus­ sione di questo saggio di Kenneth E. Bock e Stephen W. Reed pp. 164-167, oltre che in Herbert Blumer, What is Wrong with Social Theory, in « American Sociological Review », 1954, 19, pp. 3-10. 2 Per esempio, da George Sarton, The Study of the History of Science, Cambridge, Harvard University Press, 1936, pp. 3-4. La nomina di Comte o Marx ·o Saint Simon o di molti altri, allo status di padre della sociologia è in parte una faccenda di opinioni e in parte il risul­ tato di un assunto non verificato su come emergono e si cristallizzano nuove discipline. Rimane un'opinione, in quanto non vi sono criteri generalmente accettati per decidere la paternità di una scienza; è un assunto non verificato il fatto che vi debba essere un padre per ogni scienza. In realtà, la storia della scienza suggerisce che la poligenesi è la regola. Tuttavia non vi è nessun dubbio che Comte nel 1839 coniò il termine « sociologia >>, il brutto ibrido che da allora è servito a desi­ gnare la scienza della società. Gli studiosi di allora e di oggi hanno pro­ testato per il barbarismo ormai addomesticato. Uno degli esempi innu­ merevoli di questa protesta è l'osservazione fatta nel 1852 da uno scien·· ziato sociale di talento, oggi troppo trascurato, George Cornewale Lewis: « ... la principale obiezione ad un vocabolo scientifico formato in parte da una parola inglese ed in parte da una parola greca è che è incom­ prensibile ad uno straniero che non sappia la nostra lingua. Il signor Comte ha proposto sociologia; ma che dovremmo dire di uno scrittore tedesco che usasse il vocabolo gesellogia o gesellschalftologia? ». La pro­ testa è registrata in A Treatise on the Methods of Observation and Reasoning in Politics, Londra, 1882, II vol., p. 337 in nota; per la storia della parola si veda Victor Branford, On the Origin and Use of the Word Sociology, Sociological Papers, Londra, 1905, l, pp. 3-24 e L. L. Bernard- e Jessie Bernard, Origins of American Sociology, New York, T. Y. Crowell, 1943, p. 249. ·

Sulla storia e la sistematica della teoria sociologica

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frà la' teoria sociologica attualmente utilizzata e la storia delle idee sociologiche ignora quali funzioni profondamen­ te diverse esse svolgano. Un adeguato riconoscimento della differenza fra storia e sistematica della storia potrebbe avere come risultato la produzione di autentiche storie del pensiero sociologico, con gli ingredienti e le caratteristiche formali delle migliori storie di altre scienze. Esse tratterebbero materie quali la complessa origine delle idee sociologiche, i modi del loro sviluppo, le connessioni esistenti fra teoria e origine so­ ciale e successivi status dei sociologi, in diversi periodi storici, l'interazione fra teoria e organizzazione sociale del­ la sociologia in epoche e luoghi differenti, la diffusione della teoria dai centri del pensiero sociologico con i cam­ biamenti da essa subiti nel corso della diffusione, le in­ fluenze a cui è stata sottoposta a causa di mutamenti nella cultura e nella struttura sociale circostante. In breve, una effettiva distinzione porterebbe ad una storia sociologica della teoria sociologica. Ciononostante i sociologi hanno della storia della teo­ ria sociologica una concezione quanto mai ristretta, quasi pickwickiana: una collezione di sommari critici delle teorie passate conditi da brevi cenni biografici sui principali pen­ satori del passato. Questo, tra l'altro, aiuta a spiegare per­ ché quasi tutti i sociologi si sentano autorizzati ad inse­ gnare e scrivere la « storia » della teoria sociologica : in fondo tutti hanno una certa conoscenza delle opere clas­ siche della disciplina. Ma questo modo di vedere la storia di una storia non è né storia né sistematica, bens1 un in­ sieme di superficialità. C'è da aggiungere inoltre che questa concezione è una anomalia nella scena intellettuale contemporanea e indica un progressivo rovesciamento di ruoli fra sociologi e sto­ rici. I sociologi conservano la loro ristretta e superficiale concezione della storia delle idee proprio quando una nuo­ va generazione di storici della scienza attinge con larghezza e in profondità dalla sociologia, dalla psicologia e dalla

Teoria sociologica

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politica della scienza, alla ricerca di guide teoriche per l'interpretazione dello sviluppo scientifico 3• La storia spe� cializzata della scienza considera proprio oggetto di studio le concezioni intelligenti, ma errate, che sembravano plau� sibili al tempo della loro formulazione, ma che crollarono quando vennero sottoposte a verifica empirica o vennero sostituite da concezioni piu adeguate ai dati successiva­ mente accumulati ; studia anche le false partenze, le dot·· trine antiquate, gli errori sterili e quelli fruttuosi del pas­ sato. Il compito specifico della storia della scienza è quello di capire come e perché una data scienza o un complesso di scienze abbiano avuto un determinato sviluppo, e non quello banale di ordinare cronologicamente varie sinossi di teorie scientifiche. Soprattutto, questo tipo di storia non intende informare lo scienziato di oggi del modo di fun­ zionare della teoria attuale, della metodologia o delle tecni­ che della sua scienza. La storia e la sistematica della teoria scientifica possono essere messe in relazione l'una con l'al­ tra proprio perché all'inizio è stata riconosciuta la loro diversità.

LA DOCUMENTAZIONE PUBBLICA DELLA TEORIA SOCIOLOGICA

Vi è fra i sociologi e gli storici della scienza un altro rovesciamento di ruoli, simile a quello di cui abbiamo già parlato. Gli storici vanno decisamente compilando la « sto­ ria orale » 4 del recente passato delle scienze con l'ausilio :i

Fra gli esponenti piu conseguenti della nuova storia della scienza

vi sono Charles Gillispie, Henry Guerlac, Rupert Hall, Marie Boas Hall,

Thomas Kuhn, Everett Mendelsohn, Derek Price, Robert Schofield, L. Pearce Williams e A. C. Crombie. • Inventata dallo storico Allan Nevins, come mezzo per catturare dati fuggitivi sul presente storico, la storia orale si serve di tecniche di inter­ vista che sono tipiche dei sociologi piuttosto che degli storici tradizio­ nalmente maestri nel raccogliere e ordinare materiale documentario. Per un rapporto sulla storia orale, un modo di indagine che si è diffuso ben oltre la sua sede originaria a Columbia University, si veda The Ora[

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delle tecniche dell'intervista focalizzata, con l'impiego di registratori magnetici per raccogliere le testimonianze dei principali protagonisti di questa storia; i sociologi invece limitano ancora la propria attenzione ai documenti pub­ blici. È questo un altro esempio di come gli storici colo­ nizzati si lascino indietro i sociologi colonizzatori, a cui notoriamente devono le tecniche dell'intervista. In breve, gli storici delle scienze fisiche e naturali si apprestano a scrivere storie analitiche che in parte si basano sulla so­ ciologia della scienza 5, mentre i sociologi continuano a concepire la storia della teoria sociologica come una serie di sommari critici di sistemi teorici successivi. Data questa concezione ristretta, è naturale che le fonti decisive per i sociologi che si occupano della storia delle teorie sociologiche siano le pubblicazioni che descrivono questi sistemi teorici, ad esempio gli scritti di Marx, Weber, Durkheim, Simmel, Pareto, Summer, Cooley e di altre figure meno centrali. Ma questa scelta apparente­ mente obbligata dalle fonti urta contro lo scoglio costi­ tuito dalla differenza che esiste fra la versione finita del lavoro scientifico cosi come si presenta nelle pubblicazioni e il corso dell'indagine seguito realmente dal ricercatore. La differenza non è insignificante e si può paragonare a quella esistente fra i libri di testo sul « metodo scientifi­ co » e i modi in cui gli scienziati concertamente pensano, sentono e agiscono nel loro lavoro. I libri di metodologia presentano schemi ideali: descrivono cioè come gli scien·

History Collection o/ Columbia University, New York, Ora! History Research Office, 1964, vol. I e supplementi annuali. Come esempio, si può citare il caso dell'American Institute of Physics che sta compilando, sotto la direzione di Charles Weiner, la storia orale e documentaria della fisica nucleare. Le tecniche adoperate da questa équipe di studiosi potrebbero ben essere adottate dai sociologi che si occupano della storia recente della loro disciplina. 5 Per esempi di storia della scienza con orientamento sociologico si \·eda la pubblicazione annuale History of Science, pubblicata per la prima volta nel 1962 sotto la direzione di A. C. Crombie e M. A. Hoskins; si veda anche Critica! Problems in tbe History of Science a cura di Marshall Claggett, Madison, University of Wisconsin Press, 1959.

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Teoria sociologica

ziati devono pensare, sentire e agire. Ma chiunque abbia fatto della ricerca sa che. questi lindi modelli normativi non riproducono l'andamento effettivo della ricerca, non comprendono quegli adattamenti opportunistici e poco si­ stematici che lo scienziato compie nel corso del suo lavoro. È tipico che il saggio o la monografica scientifica si pre­ sentino con un aspetto immacolato che lascia intravvedere poco o nulla delle intuizioni, delle false partenze, degli er­ rori, delle conclusioni approssimative e dei felici accidenti che ingombrano il lavoro di ricerca. La documentazione pubblica della scienza, quindi, non è in grado di fornire gran parte del materiale necessario alla ricostruzione del corso effettivo dello sviluppo scientifico. La concezione che vede la storia delle idee sociologiche come una serie di sommari critici delle idee pubblicate è straordinariamente indietro rispetto ad una realtà da lun­ go tempo riconosciuta. Persino prima che venisse svilup­ pato il modello del saggio scientifico, tre secoli fa, si sa­ peva che l'idioma tipicamente impersonale, piatto e con­ venzionale della scienza poteva comunicare solo l'essenza scarna delle nuove scoperte scientifiche, ma non poteva riprodurre il corso effettivo della ricerca. In altre parole, anche allora si riconosceva che la storia e la sistematica delle teorie scientifiche richiedevano tipi diversi di mate­ riale di base. All'inizio del diciottesimo secolo Bacone os' e lamento ': servo Che mai qualche conoscenza fosse comunicata nello stesso ordi­ ne nel quale era stata acquisita, neppure nella matematica per quan­ to sembrerebbe il contrario visto che le proposizioni finali utiliz­ zano le proposizioni e i postulati iniziali come prova e dimostra­ zione 6•

Da allora, intelletti attenti e sensibili hanno fatto ri­ petutamente, e a quanto sembra indipendentemente, lo 6 Francis Bacon, The Works of Francis Bacon raccolte e curate da James Spedding, Robert Leslie Ellis e Douglas Denon Heath, Cambridge, Riverside Press, 1863, VI, p, 70.

Sulla storia e la sistematica della teoria sociologica

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stesso genere di osservazioni. Cos1 un secolo piu tardi Leibniz scriveva piu o meno le stesse cose in una lettera privata che poi è diventata parte integrante della docu­ mentazione pubblica: Descartes vorrebbe farci credere di non aver letto pressoché nulla. Questo è un po' troppo. Eppure è bene che si studino le scoperte degli altri in modo tale che ne vengano rivelate le fonti e cosi farle un poco nostre. E sarebbe desiderabile che gli autori ci raccontassero la storia delle loro scoperte e i passi per mezzo dei quali ci sono arrivati. Quando essi trascurano di farlo dobbia­ mo tentare di indovinare questi passi per approfittare il piu pos­ sibile del loro lavoro. Se nel recensire i libri i critici facessero que­ sto lavoro per noi [qui si dovrebbe sicuramente chiedere al grande matematico e filosofo: come?] essi renderebbero Wl grande servi­ zio al pubblico 7•

In effetti ciò che Bacone e Leibniz stanno dicendo è che il materiale grezzo necessario alla storia e alla sistema­ tica della scienza è significativamente diverso. Ma poiché gli scienziati normalmente pubblicano le loro idee e le loro scoperte non per aiutare gli storici a ricostruire i metodi da loro usati ma per far conoscere ai contemporanei, e possibilmente ai posteri, il contenuto delle loro scoperte, continuano a pubblicare i loro lavori in forma logicamente persuasiva piuttosto che storicamente descrittiva. E que­ sta pratica continua a suscitare lo stesso tipo di osserva­ zioni fatte da Bacone e Leibniz. Quasi due secoli dopo Leibniz, Mach osservò che, a suo parere, le cose non erano migliorate nel millennio seguito alla comparsa della geometria euclidea; le esposizioni scientifiche e matema­ tiche continuavano ad essere caratterizzate dalla sofistica­ zione logica piuttosto che dalla minuziosa descrizione del corso effettivo dell'indagine : Il sistema di Euclide ha affascinato i pensatori per la sua perfezione logica e gli svantaggi che esso presentava si son persi 7

Gottfried Wilhelm Leibniz, Philosophischen Schriften a cura di

C. I. Gerhardt, Berlino 1887, III, p. 568, nella sua lettera a Louis

Bourquet da Vienna, 22 marzo 1714.

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Teoria sociologica

in questa ammirazione. Grandi ricercatori, anche nei tempi recenti, si son lasciati sviare dall'esempio euclideo nella presentazione dei risultati del loro lavoro e ciò facendo hanno in realtà nascosto i loro metodi di investigazione, con gran danno per la scienza s.

Eppure, in certo modo, l'osservazione di Mach è re­ gressiva. Egli è incapace di vedere ciò che invece vide chia­ ramente Bacone secoli addietro, e cioè che i documenti della scienza sono inevitabilmente diversi a seconda che abbiano lo scopo di contribuire alla conoscenza sistema· tica esistente o di migliorare la comprensione storica dello sviluppo del lavoro scientifico. Anche Mach, tuttavia, co­ me Bacone e Leibniz, dice implicitamente che non si può sperare di ricostruire la storia reale della ricerca scienti·· fica servendosi solamente dei rapporti convenzionali che normalmente si pubblicano. Lo stesso argomento è stato di recente avanzato dal fisico A. A. Moles, il quale ha affermato che gli scienziati sono « professionalmente addestrati a nascondere a se stes" si i loro pensieri piu profondi » e a « esagerare inconscia­ mente l'aspetto razionale » del lavoro svolto in passato�. Qui è necessario sottolineare che queste pratiche di razio­ nalizzare il corso effettivo della ricerca derivano in gran parte dai costumi che regolano la pubblicazione scientifica, i quali impongono un idioma passivo e una forma di rap· porto che piu o meno suggerisce che le idee si sviluppano senza il concorso del cervello umano e che le ricerche sono condotte senza che vi intervenga la mano dell'uomo. Quest'insieme di osservazioni sono state generalizzate dal botanico Agnes Arber il quale ha notato che « il modo di presentazione del lavoro scientifico ... è modellato se­ condo i pregiudizi mentali prevalenti in una data epoca ì>. 1 Ernest Mach, Space and Geometry, tradotto in inglese da T. J. McCormack, Chicago, Open Court Publishing Co., 1906, p. 113. Il corsivo è nostro. 9 A. A. Moles, La création scientifique, Ginevra, 1957, citato da Jacques Barzun, Science: The Glorious Entertainment, New York, Harper & Row, 1964, p. 93.

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Ma per quanto ,lo stile del rapport9 scientifico si adegui al clima intellettuale che domina in un'epoca, il risultato è sempre una ricostruzione stilizzata dell'inchiesta piutto­ sto che una fedele descrizione del suo sviluppo reale. Cosi Arber osserva che quando il metodo deduttivo era il piu apprezzato, come nel periodo euclideo, il corso reale della ricerca veniva coperto « dal metodo artificiale di infilare le · proposizioni in un filo deduttivo arbitrariamente scel­ to » che oscurava gli aspetti empirici del lavoro. E poiché oggi lo scienziato è « sotto il dominio del metodo indut­ tivo » accade che « anche quando egli arriva alle sue ipo­ tesi per analogia è portato istintivamente a nasconderne le tracce e a presentare tutto il suo lavoro, e non sempli­ cemente la sua riprova, in forma induttiva come se effet­ tivamente fosse arrivato alle sue conclusioni seguendo que­ sto metodo » 10• Agnes Arber aggiunge che solo la letteratura non scien­ tifica ha tentato di registrare il carattere reticolare del pensiero : Lawrence Sterne e certi scrittori moderni da lui influenzati per quel che riguarda le tecniche narrative [un'allusione sufficiente­ mente chiara ad impressionisti quali James Joyce e Virginia Woolf] hanno visualizzato e cercato di tradurre linguisticamente il compor­ tamento complicato, non lineare, della mente umana, il suo slan­ ciarsi in avanti e indietro trascurando le catene della sequenza tempol'ale; ma pochi [ scienziati] oserebbero affrontare questi espe­ rimenti 11•

E tuttavia vi sono segni che indicano come l'incapa­ cità dei sociologi di distinguere fra storia e sistematica 10 Agnes Arber, Analogy in the History of Science, in Studies and Essays in tbe History of Science and Learning offered in Homage to George Sarton a cura di M. F. Ashley Montagu, New York, Henry Schuman, 1944, pp. 222-223 e precisamente a p. 229. 11 Agnes Arber, Tbe Mind and the Eye: A Study of the Biologist's Standpoint, London, Cambridge University Press, 1954, p. 46. Il capi­ tolo quinto, Tbe Biologist and the Written Word, e in realtà tutto que­ sto libro sottile, sensibile e profon dam en te informato, dovrebbe essere studiato dagli storici di qualunque disciplina scientifica, non esclusa la sociologia.

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Teoria sociologica

della teoria verrà finalmente superata. Innanzitutto diversi sociologi si san resi conto dell'insufficienza della normale documentazione pubblica per le ricerche sulla storia effet� tiva della teoria e dell'indagine sociologica, e hanno fatto fronte a questa insufficienza servendosi di altri tipi di materiale : taccuini e diari scientifici (es. Cooley ), corri� spondenze (ad esempio il carteggio Marx-Engels, Ross� Ward), autobiografie ( es. Marx, Spencer, Weber e molti altri). Sociologi recenti, inoltre, hanno qualche volta scritto cronache sincere dell'andamento delle loro ricerche, ricche di particolari riguardanti le influenze intellettuali e sociali da loro subite, gli incontri casuali con dati ed idee, gli er­ rori, le sviste, gli allontanamenti dal disegno originale del� la ricerca e tutti gli altri diversi episodi che costellano la ricerca e, che solo raramente, vengono riportati nel . rap­ porto destinato alla pubblicazione 12• Benché sia solo un inizio, cronache di questo tipo arricchiscono di molto la pratica che nei sei volumi di Glimpses of the Cosmos 13 Lester Ward iniziò : introdurre ciascun saggio con uno �( schizzo storico che dica quando, dove, come e perché esso :sia stato scritto » 14• 12 Come esempi si possono citare: la dettagliata appendice metodo­ togica dell'edizione allargata di Street Corner Society: The Socio! Struc­ ,:ure of an Italian Slum di William Foote Whyte, Chicago, University of Chicago Press, 1 955, tr. it., Bari, Laterza, 1968; il resoconto di E. H. Sutherland sullo sviluppo della sua teoria dell'associazione differenziale In Tbe Sutberland Papers curati da Albert Cohen, Alfred Lindsmith e Karl Schuessler, Bloomington, Indiana University Press, 1956; il saggio di Edward A. Shils, Primordial, Personal, Sacred and Civil Ties, in ,, British Journal of Sociology », 1957, pop. 130-145 e quello di Marie Jahoda, Paul F. Lazarsfeld e Hans Zeisel, Die Arbeitslosen t•on Marien­ .!hal, Il edizione riveduta, Bonn, Verlag fiir Demoskopie, 1%0, con una nuova introduzione di Lazarsfeld sulle origini intellettuali, il clima so­ dologiro e psicologico generale e lo sviluppo della ricerca. Nel 1%4 questo interesse storico per il lavoro concreto di ricerca si è espresso In due collezioni contenenti resoconti di questo tipo: Sociologists at Work: The Craft of Social Research a cura di Phillip E. Hammond, New York, Basic Books e Reflections on Community Studies a cura di Artur J. Vidich, Joseph Bensman e Maurice R. Stein, New York, John Wiley & Sons. 13 Pubblicato a New York e Londra da G. P. Putnam, 1913-1918. •• Per un altro esempio delle influenze reciproche fra il lavoro del

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Un altro segno promettente è stata la comparsa nel 1 9 65 del « Journal of the History of the Behavioral Sci­ ences », la prima rivista interamente dedicata alla storia. di queste scienze (in confronto alla ventina o piu di rivi­ ste importanti e al centinaio di riviste minori che si occu· pano delle scienze fisiche e naturali). Vi è poi il crescente interesse per lo studio della storia della ricerca sociale .. Nathan Glazer, per esempio, ha indicato in che modo que­ sto studio debba essere affrontato, nel suo saggio autenti· camente storico sulla nascita della ricerca sociale in Euro­ pa, mentre Paul L. Lazarsfeld ha inaugurato un programma di monografie speciali dedicate agli inizi della ricerca so­ ciale empirica in Germania, Francia, Inghilterra, Italia, Paesi Bassi e Scandinavia 15• Alvin Gouldner, col suo re­ cente lavoro sulla teoria sociale di Platone, ha stabilito un precedente promettente per monografie che colleghino la cultura e la struttura sociale allo sviluppo della teoria sociale 16• Questi sono alcuni dei molti indizi che mostrano come i sociologi si stiano rivolgendo ad analisi specifica· mente storiche e sociologiche dello sviluppo della teoria. CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ NELLA TEORIA SOCIOLOGICA

Come altri artigiani, gli storici delle idee sono esposti a vari rischi professionali. Uno dei rischi piu esasperanti e affascinanti sorge ogni volta che gli storici tentano di sociologo, la sua storia personale e l'organizzazione sociale della ricerca. si veda il saggio biografico di William J. Goode, Larry Mitchell e Frank Furstemberg in Selected Works of Willard W. Waller (in corso di stampa). " Nathan Glazer, The Rise of Social Research in Europe in the· Human Meaning of the Social Sciences a cura di Daniel Lerner, Ne\\ York, Meridian Books, 1959, pp. 43-72. Si veda del programma di Lazarsfeld la prima monografia pubblicata: Antony Oberschell, Empi­ rica! Social Research in Germany 1848-1914, Parigi e L'Aia, Mouton, 1965. " Alvin W. Gouldner, Enter Plato: Classica! Greece and the Origim of Social Theory, New York, Basic Books, 1965.

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individuare le continuità e le discontinuità storiche delle idee. L'esercizio somiglia a quello dell'equilibrista che cammina sul filo e che rischia di perdere l'equilibrio al minimo abbandono della posizione eretta. Lo storico delle idee rischia l'equilibrio, sia quando afferma di trovare una continuità di pensiero dove in effetti non ve n'è, sia quando è incapace di identificarla dove invece esiste 17• Osservando il comportamento degli storici delle idee si ha la netta impressione che, quando cadono in errore, ten­ dano a cadere nel primo tipo di errore. Essi son pronti a presentare una corrente costante di precursori, anticipa­ zioni, adombramenti, anche in casi in cui un'indagine piu approfondita rivela che si è trattato di niente altro che d'immaginazione. È comprensibile che i sociologi condividano questa tendenza con gli storici della scienza: entrambi adottano in genere un modello di sviluppo storico della scienza il quale consiste in progressivi incrementi di conoscenza; da questo punto di vista ogni soluzione di continuità accade solo perché gli scienziati san stati incapaci di trovare in­ formazioni complete negli scritti del passato. Gli scienziati, non conoscendo i lavori precedenti, hanno fatto delle sco17 Un esempio appropriato di questo punto è il fatto che io sono arrivato a questa stessa distinzione, alcuni anni dopo averci lavorato con cura in un corso di lezioni. Si veda la discussione sulla « precur­ sorite » di Joseph T. Clark, S. ]., Tbe Philosophy of Science and the History of Science, in Clagett, op. cit., pp. 103-140, e il commento a questa discussione di I. E. Drabkin, particolarmente a p. 1 52. Que­ sta coincidenza di idee è doppiamente significativa dato che ormai da un po' di tempo ho espresso l'opinione che le storie e le sociologie delle idee esemplificano alcuni dei processi storici e intellettuali che esse descrivono e analizzano. Ad esempio, si può osservare che la teoria delle scoperte scientifiche multiple, fra loro indipendenti, riceve una conferma dalla propria storia, dato che nel breve spazio di una gene­ razione è stata periodicamente riscoperta: R. K. Merton, Singletons and Multiples in Scientific Discovery: a Chapter in the Sociology of Science, in « Proceedings of American Philosophical Society », ottobre 1%1, 105, pp. 470-486 e 475-477. Si vedano altri casi, di ipotesi e teorie che fanno da esempio a se stesse, raccolti in R. K. Merton, On the Shoulders of Giants, New York, The Free Press, 1965, Har­ court, Brace & World, 1967.

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perte che si san poi rivelate riscoperte (vale a dire conce­ zioni o risultati che erano stati presentati in precedenza in ogni aspetto funzionalmente rilevante). Agli occhi dello storico, che ha accesso ad entrambe le versioni della sco­ perta, quest'evenienza non può che presentarsi come in­ dice di una continuità, se non storica, almeno intellettuale, di cui il ricercatore venuto dopo non era consapevole. A sostegno di questa presunzione di continuità vi è il fatto che nella scienza, come è dimostrato da molti dati, accade effettivamente che vi siano idee e scoperte multiple, fra di loro indipendenti 18• Che però alcune idee scientifiche siano state piena­ mente anticipate, non significa che ciò succeda sempre. La continuità storica della conoscenza comporta effettivamen­ te nuovi incrementi, non anticipati, della conoscenza pre­ cedente; e vi è anche un certo grado di autentica discon­ tinuità data da salti successivi nella formulazione di idee e nella scoperta di uniformità empiriche. In realtà, per un progresso della sociologia della scienza è necessario ri­ solvere proprio il problema di identificare le condizioni e i processi che fanno sf che nella scienza ci sia continuità o discontinuità. Il problema di vedere se vi sia continuità o discon­ tinuità è decisivo per tutta la storia della scienza, ma è particolarmente importante per quelle storie, come è il caso della storia sociologica, che si limitano in genere a presentare sommari di idee ordinati cronologicamente : in scritti che escludono uno studio serio del gioco di influen­ ze reciproche fra idee e struttura sociale, il presunto lega­ me fra idee formulate in tempi diversi è di importanza cruciale. Lo storico delle idee, che lo riconosca o meno, 18 Per resoconti recenti, che raccolgono dimostrazioni su questo fatto, almeno dall'epoca di Francis Bacon a quella di William Ogburn e Doroty Thomas si veda Merton, Singletons and Multiples in Scientific Discoveries, cit., e Resistence to the Systematic Study of Multiple Discoveries in Science, in > . Movements of Thought in the Nineteenth Century, Chicago, University of Chicago Press, 1936, p. 29.

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durre il mutamento. La possibilità tuttavia, che quest'ultima sup­ posizione sia vera può in generale essere verificata definitivamente da altri esperimenti. Aristotele avrebbe adombrato il concetto di Mead degli > svolta dalla confor­ mità a una qualunque prassi prestabilita, sia quella di met­ tere in grado chi si conforma di evitare le sanzioni in cui altrimenti incorrerebbe qualora deviasse da questa prassi. Non v'è dubbio che ciò sia vero, ma è un dato scarsamente chiarificatore . Esso, tuttavia, serve a ricordarci che dovremo andare ad esplorare quaii siano i tipi di funzioni che il sociologo attribuisce . Per il momento, quanto s 'è detto ci porta provvisoriamente ad assumere che, sebbene ogni ele­ mento di una cultura o di una struttura sociale possa avere delle funzioni, è prematuro sostenere in tutte lettere, che ogni siffatto elemento debba essere funzionale. Naturalmente, il postulato del funzionalismo universale rappresenta il prodotto storico dell'aspra, sterile e lunga controversia relativa alla « sopravvivenza » , che si svolse fra gli antropologi nei primi anni del secolo. La nozione di sopravvivenza sociale o, seguendo le parole di Rivers, di « un costume . . . [ il quale ] non può essere spiegato in base alla sua utilità attuale, ma diventa comprensibile soltanto in rapporto alla sua storia passata » 2\ risale almeno a Tu­ cidide . Ma quando le teorie evoluzionistiche della cultura vennero affermandosi, il concetto di sopravvivenza sembrò avere una importanza strategica allo scopo di ricostruire « le fasi di sviluppo » delle varie culture, particolarmente per le società non letterate, di cui non si possedevano docu" W. H. R. Rivers, Survival in Sociology, « The Sociological Re­ view », 1913, 6, pp. 293-305. Vedi anche E. B. Tylor, Primitive Culture, New York, 1874, vol. I, pp. 70-159 e per un più recente esame della materia, Lowie, The History of Ethnological Theory, cit., pp. 44 ss.; pp. 81 e ss. Per un attento e stringato quadro del problema, vedi Emile Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, Paris, Alcan, 1895, trad. ital., Milano, Comunità, 1965, cap. V.

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Teoria socio!o gicu

menti scritti. Per i funzionalisti, che desideravano staccarsi da ciò che essi consideravano come la « storia », perlopiu frammentaria e spesso congetturale delle società non lette­ rate , l'attacco al concetto di sopravvivenza assunse tutto il valore simbolico di un attacco all'intero pensiero evoluzio­ nista, che ripugnava loro da un punto di vista intellettuale . In conseguenza, forse, essi reagirono eccessivamente con­ tro questo concetto centrale della teoria evoluzionistica e avanzarono un « postulato » ugualmente eccessivo, secondo il quale « ogni costume [ dovunque ] . .. svolge una qualche funzione vitale » . Sarebbe un peccato lasciare che le polemiche dei primi cultori dell'antropologia dessero oggi origine a esagerazioni. Una volta scoperte, elencate e studiate, le sopravvivenze sociali non possono essere esorcizzate da un postulato. E se non si potrà esibire alcun esemplare di tali soprav­ vivenze, allora la discussione cadrà da sé. Si può affer­ mare, inoltre, che anche qualora si rintracciassero dette sopravvivenze nelle società letterate contemporanee, esse aggiungerebbero ben poco alla nostra comprensione del comportamento umano o della dinamica dei cambiamenti sociali. Non avendo bisogno di ricorrere al discutibile ausi­ lio di questo misero sostituto della storia scritta, il socio­ lago delle società letterate può trascurare ogni sopravvi­ venza senza alcuna perdita rilevante. Ma occorre che egli non si lasci indurre da una controversia arcaica ed irrile­ vante, ad adottare il postulato non ben qualificato secondo cui ogni elemento culturale svolge una funzione vitale. Per­ ché anche questo è un problema da porsi come indagine, non una conclusione da trarre prima dell'indagine. Sembre­ rebbe molto piu utile, come direttiva di ricerca, assumere provvisoriamente che le forme culturali sopravviventi han­ no una risultante di conseguenze funzionali sia per la società considerata come una unità, sia per quei sotto­ gruppi che hanno potere sufficiente a conservare intatte codeste forme, servendosi tanto della coercizione diretta quanto della persuasione indiretta. Tale formulazione serve

Funzioni manifeste e funzioni latenti

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nello stesso tempo a sfuggire alla tendenza dell'analisi fun­ zionale a concentrarsi su funzioni positive e a richiamare l'attenzione del ricercatore su altri tipi di conseguenze.

Il postulato dell'indispensabilità. L'ultimo, in questa terna di postulati accettati dai socio­ logi funzionali è, sotto certi aspetti, il piu ambiguo. L'am­ biguità appare evidente nel già citato « manifesto » mali­ nowskiano : In qualsiasi tipo di civiltà, ogni costume, oggerto materiale, idea o credenza, s-;olge una funzione vitale, ha qualche compito da realizzare, rappresenta una parte indispensabile in un tutto operante 25•

In questo passo non è del tutto chiaro se l 'autore parli dell'indispensabilità della funzione o dell'elemento ( costu­ me, oggetto, idea, opinione ) che svolge la funzione, oppure della necessità di entrambi. Questa ambiguità è abbastanza comune nella letteratura sull'argomento. Cosi lo studio già citato di Davis e Moore, sembra dapprima sostenere che ciò che è indispensabile è l'istituzione : « La ragione per cui la religione è necessa­ ria . . »; « . . . la religione . . . svolge un ruolo unico ed indi­ spensabile nella società »26• Ma bentosto appare che non è tanto la religione come istituzione che è considerata indi­ spensabile, quanto le funzioni che si ritengono tipiche della religione. Davis e Moore infatti considerano indispensabile la religione solo in quanto essa fa si. che i membri di una società adottino « in comune, certi valori ultimi e certi fini ». Questi valori e questi fini, si afferma, .

devono... in qualche modo apparire reali ai membri della so­ cietà ed il ruolo delle credenze e del rituale religioso è quello di rafforzare codesta apparenza di realtà. Per mezzo del rituale e delle 25 B. Malinowski, Anthropology, cit., p. 132 (il corsivo è nostro). Kingsley Davis e Wilbert E. Moore, op. cit. , pp. 244 e 246. Su

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quest'argomento, vedi un recente esame compiuto da Davis nella sua in­ troduzione a W. J. Goode, Religion Among the Primitive, Glencoe, Illi­ nois, The Free Press, 1951, e le istruttive interpretazioni funzionali della religione nella stessa opera.

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credenze, gli scopi e i valori comuni vengono collegati ad un mondo immaginario simbolizzato da oggetti concreti aventi carat­ tere sacro, il quale mondo, a sua volta, si riferisce in maniera signi­ ficativa ai fatti e alle sofferenze della vita dell'individuo. Mediante il culto degli oggetti sacri e degli esseri che essi simbolizzano e at­ traverso l'accettazione di prescrizioni soprannaturali, che sono nello stesso tempo codici di comportamento, viene esercitato un po­ tente controllo sulla condotta umana, guidandola secondo certe direttive che servono al sostegno della struttura istituzionale e conformano ai fini ed ai valori ultimi 27•

La pretesa indispensabilità della religione, quindi, si basa sul presupposto che soltanto mediante il « culto » e le « prescrizioni soprannaturali » si possa raggiungere quel minimo di « controllo sulla condotta umana » e « di inte­ grazione in base a sentimenti e a credenze » che è neces­ sano. In breve, il postulato dell'indispensabilità, come è espresso ordinariamente, contiene due affermazioni con­ nesse, ma distinte. In primo luogo, si assume che vi sono talune funzioni le quali sono indispensabili, nel senso che, se esse non sono svolte, la società (o il gruppo, o un indi­ viduo) non potrà sussistere . Ciò dà luogo, pertanto, al con­ cetto di pre-requisiti funzionali o pre-condizioni funzional­ mente necessarie per una società, concetto che noi avremo occasione di esaminare minutamente. Secondo, e questa è tutta un'altra questione, si assume che certe forme culturali e sociali sono indispensabili per lo svolgimento di ciascuna delle funzioni suddette. Ciò implica un concetto di strut­ ture che siano specializzate e insostituibili, e dà origine a difficoltà teoriche di ogni genere . Infatti non solo si può dimostrare che questo concetto è manifestamente contrario alla realtà, ma esso genera poi svariati presupposti sussi­ diari, i quali hanno danneggiato l'analisi funzionale fin dalla sua origine. Ciò distoglie l'attenzione dal fatto che strut­ ture sociali ( e forme culturali) alternative hanno, in con­ dizioni che andranno esaminate, ottemperato alle funzioni rr Ibid., pp. 244-245 (il corsivo è nostro).

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necessarie per la sopravvivenza dei gruppi. Procedendo ol­ tre, noi dobbiamo enunciare un teorema fondamentale del· l'analisi funzionale : proprio come lo stesso elemento può avere molteplici funzioni, cosi la stessa funzione può essere svolta, in vario modo, da elementi alternativi. I bisogni funzionali vengono qui considerati come permissivi, piut­ testo che come determinanti di talune strutture sociali spe­ cifiche. In altre parole, v'è un certo grado di variazione nel­ le strutture che svolgono la funzione in questione (il limite che questo grado di variazione può avere implica il concetto di tensione strutturale, di cui tratteremo fra poco). Al concetto suddetto di forme culturali ( istituzioni, atti­ vità standardizzate, sistemi di credenza, ecc . ), si contrap­ pone il concetto di alternative funzionali, o equivalenti funzionali, o sostituti funzionali. Tale concetto è ben noto ed è largamente impiegato, ma va osservato che esso non può stare convenientemente nel medesimo sistema teorico in cui è inserito anche il postulato della indispensabilità di forme culturali particolari. Cosi, dopo aver esaminato la teoria di Malinowski a proposito della « necessità funzio­ nale di meccanismi come la magia », Parsons ha cura di fare la seguente affermazione : ... dovunque siffatti elementi d'incertezza abbiano un peso rispetto al perseguimento di mete importanti dal punto di vista emotivo, ci si potrebbe aspettare che apparissero, se non fenomeni magici, almeno fenomeni che siano equivalenti funzionalmente 28•

È questa una affermazione assai lontana dalla tesi su cui ha insistito Malinowski: La magia svolge una "funzione indispensabile in una cultura. Essa soddisfa un bisogno definito, che non può essere soddisfatto

da un qualsiasi altro fattore di una civiltà primitiva

29•

Questo duplice concetto di una funzione indispensabile e di uno schema insostituibile di credenza-azione, esclude palesemente il concetto di alternative funzionali . " Talcott Parsons, Essay in Sociological Theory: · Pure and Applied, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1949, p. 58. " Malinowski, Linthropology, cit., p. 136 (il corsivo è nostro).

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Teoria socio!ogica

Di fatto, il concetto di alternative funzionali o di equi­ valenti funzionali, è emerso ripetutamente in ogni discipli­ na che ha adottato uno schema funzionale di analisi. Un tale concetto è, ad esempio, largamente impiegato nella scienza psicologica, come mostra assai bene un articolo di English 30• In neurologia, Lashley ha sottolineato, sulla base di prove sperimentali e cliniche, l'inadeguatezza del­ l'affermazione, secondo cui i singoli neuroni sarebbero spe­ cializzati rispetto a particolari funzioni, affermando invece che una funzione particolare può essere svolta da una gam­ ma di strutture alternative 31• La sociologia e l'antropologia sociale hanno opportunità maggiore di evitare il postulato dell'indispensabilità di date strutture, e di servirsi siste­ maticamente del concetto di alternative funzionali e di sostituti funzionali. Infatti, come per lungo tempo i non competenti hanno erroneamente ritenuto che i costumi e le credenze strane di altre società fossero null'altro che �i superstizioni », gli scienziati sociali funzionalisti corrono il rischio di cadere nell'errore contrario, in primo luogo, coll'individuare affrettatamente un valore funzionale e adat­ tivo in queste pratiche e credenze, e, in secondo luogo, col mancare di prendere in considerazione quali modi di azione alternativi vengono omessi per mantenersi attaccati a que­ ste pratiche manifestamente « funzionali » . Non di rado si riscontra in taluni funzionalisti una certa fretta nel con­ cludere che la magia o certi riti e credenze religiose sono funzionali a causa degli effetti che essi hanno sulla menta­ lità del credente e sulla fiducia che egli ripone in se stesso. In alcuni casi, tuttavia, può anche verificarsi che queste pratiche magiche sminuiscano e vengano a sostituirsi a pra­ tiche laiche, accessibili e maggiormente adattive. Come F. L. Wells ha osservato: " Horace B. English, Symbolic versus Functional Equivalents in th� Neuroses of Deprivation, > , 1937, 32, pp. 392-94_ 31 K. S. Lashley, Basic Neutra! Mechanisms in Behavior, « Psycologi­ çal Review », 1930, 37, PP- 1-24.

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Attaccare un ferro da cavallo sopra l a porta durante una epi­ demia di vaiuolo può sostenere il morale degli abitanti della casa, ma non terrà lontano il vaiuolo; tali credenze e pratiche non resi­ steranno alle prove di carattere profano alle quali sono suscettibili di essere sottoposte e il senso di sicurezza che tali pratiche confe­ riscono si manterrà solo fintanto che non si introducono prove sperimentali vere e proprie 32.

I funzionalisti che a causa della loro teoria sono spinti a prendere in considerazione solamente gli effetti che pra­ tiche simboliche come quelle suddette hanno sulla menta­ lità dell'individuo e che perciò concludono che la pratica della magia è funzionale, trascurano il fatto che proprio queste pratiche possono, in certi casi, essersi sostituite ad alternative piu efficaci 33 • I teorici che si richiamano alla indispensabilità che pratiche standardizzate e istituzioni predominanti dovrebbero avere a causa della loro consta­ tata funzione nel rafforzare sentimenti comuni, prima di trarre conclusioni che risultano piu spesso premature che confermate, dovrebbero considerare quali sostituti funzio­ nali possono esservi. 31 F. L. Wells, Social Maladjustements: Adaptive Regression, in Handbook of Social Psychology », a cura di Cari A. Murchison, Clark University Press, 1935, p. 880. Le osservazioni di Wells sono !ungi dal· l'essere superate. In un'epoca cosi recente come nel 1930, v'erano Stati quali l'Idaho, il Wyoming e il Montana da cui il vaiolo non era ancor� stato « allontanato » e, mancando leggi sulla vaccinazione obbligatoria, si contavano qualcosa come 4.300 casi di vaiolo in un periodo di cinque an­ ni, mentre nello stesso tempo in Stati più popolosi, come nel Massachu.. setts, Pennsylvania e Rhode Island, nei quali esistevano leggi per la vac­ cinazione obbligatoria, non si verificava alcun caso di vaiolo. Sui limiti del > .

5. Gli studiosi funzionalisti mentre sono obbligati a ricono­ scere che le stru tture sociali so­ no in cambiamento continuo, debbono anche esaminare a fon­ do quegli elementi della struttu­ ra sociale che sono interdipen­ denti, e che, spesso, si sostengo­ no reciprocamente. In generale, sembra che la maggior parte delle società siano integrate al punto che molti elementi della loro struttura, se non tutti, sono adeguati reciprocamente. Le strutture sociali non si presenta­ no come un aggregato di compo­ nenti a caso; piuttosto, tali com­ ponenti sono connesse tra loro in modo vario e perlopiu si so­ stengono reciprocamente. Rico­ noscendo ciò, non si assume a­ criticamente l'accettazione di un qualsiasi status quo; non ricono­ scendolo, si cederebbe alla ten­ tazione di fare del progressismo utopistico.

6. « ma diventa caduca e in­ giustificata rispetto alle nuove condizioni, piu elevate, che si sviluppano poco a poco nel pro­ prio seno; essa deve far posto a una tappa piu elevata, che a sua volta entra nel ciclo della deca­ denza e della morte ».

6. Le tensioni ed i contrasti che vengono ad accumularsi in una struttura sociale quali con­ seguenze disfunzionali degli ele­ menti strutturali esistenti, ove non siano ricompresi, regolati e limitati da un piano sociale ap­ propriato, porteranno, dopo un

. . .

Funzioni manifeste e funzioni latenti L'ORIENTAMENTO

IDEOLOG I C O DEL MATERIALISMO DIALETTICO

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L'ORIENTAMENTO

I DE O L O G I C O DELL' ANALISI FUNZIONALE AD ESSO COMPARABILE

certo tempo, ad uno sfaldamen­ to istituzionale e ad un cambia­ mento sociale dalle fondamenta. Quando codesto cambiamento abbia oltrepassato un punto, che è dato ma non è facilmente in­ dividuabile, si suole dire che è emerso un sistema sociale nuo­ vo. del comporta­ mento umano)?

4. Concetti di unità cui la funzione è diretta.

'

Abbiamo osservato quali difficoltà si incontrino ove l'analisi sia limitata alle funzioni svolte per « la società », visto che gli elementi possono essere funzionali per certi individui e sottogruppi e disfun­ zionali per altri. :B perciò necessario prendere in considerazione tutta una gamma di unità, rispetto alle quali l'elemento ha conse* Le relazioni che vi possono essere tra « conseguenze inaspettate >) di una azione e « funzioni latenti », possono essere definite chiaramente, perché sono implicite nella sezione precedente del paradigma. Le conse­ guenze inaspettate dell'azione sono di tre tipi: l) quelle che sono funzionali per un dato sistema e comprendono le funzioni latenti; 2) quelle che sono disfunzionali per un dato sistema e compren­ dono le disfunzioni latenti; 3) quelle che sono irrilevanti per il sistema, su cui non influiscono né funzionalmente né disfunzionalmente, cioè la classe praticamente non importante delle conseguenze non-funzionali. Per una enunciazione preliminare, vedi R. K. Merton, The Unantici­ pated Consequences of Purposive Social Action, « American Sociological Review », 1936, l , pp. 894-904; per una tabulazione di codesti tipi di conseguenze vedasi Goode, Religion Among the Primitives, cit., pa­ gine 32-33.

Teoria socialogica

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guenze precise: individui che occupano status diversi, sottogruppi, sistemi sociali e sistemi culturali più ampi. (Terminologicamente, ciò implica i concetti di funzione psicologica, funzione di gruppo, funzione sociale, funzione culturale, ecc.) .

5. Concetti d i requisiti (esigenze, prerequisiti) funzionali. In ogni analisi funzionale vi è, espressa o non espressa, una qualche concezione dei requisiti funzionali relativi al sistema che si sottopone ad osservazione. Come abbiamo altrove rilevato 53, co­ desto concetto resta uno tra i piu nebulosi e discutibili empirica­ mente·, della teoria funzionale. Cosi come viene usato dai sociologi, il concetto di requisito funzionale tende ad essere tautologico, o ex post facto; tende ad applicarsi unicamente a condizioni di > 57•

Come vedremo piu avanti, sebbene convenga chiarirlo a questo punto, la semplice descrizione della cerimonia in termini di status e di appartenenza a gruppi, di coloro che sono implicati in essa in vario modo, ci fornisce una vera e propria chiave per l'individuazione delle funzioni di code­ sta cerimonia . In una parola , è pensabile che la descrizione in termini strutturali di coloro che partecipano ad una atti­ vità che viene sottoposta ad analisi, fornisca ipotesi per ulteriori interpretazioni funzionali. Illustriamo ancora, con un altro esempio, quale sia la natura di una descrizione in termini di ruolo, status, appar­ tenenza a gruppi ed interrelazioni tra di essi. Reazione-tipo al mirriri (sentir dire oscenità contro la propria sorella) tra i Murngin australiani: il modello tipico si può riassu­

mere assai brevemente: quando un marito ingiuria sua moglie alla presenza del di lei fratello, il fratello si comporta in modo apparen­ temente anormale gettando una lancia alla moglie (non al marito) e alle sorelle di lei. La descrizione di questo modello di comporta­ mento deve includere la descrizione dello status di coloro che vi prendono parte. Le sorelle sono membri del clan del fratello; il marito viene da un altro clan. Da notarsi che i partecipanti sono collocati entro strutture so­ ciali, e codesta collocazione è fondamentale per una successiva ana­ lisi funzionale di tale comportamento 58•

Ma, poiché questi casi sono stati tratti da società non letterate, si potrebbe affermare che codesti requisiti della 57 Morris E. Opler, An Outline of Chiricahua Apache Social Organi­ sation, in « Social Anthropology of North American Tribes », a cura di Fred Eggan, Chicago, University of Chicago Press, 1937, pp. 173-239, spec. pp. 226-230 (il corsivo è nostro). 58 W. L. Warner, A Black Civilisation: A Social Study of an Austra­ lian Tribe, New York, Harper & Brot., 1937, pp. 112-113.

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descrizione sono peculiari ad aspetti di società non lette­ rate. Volgendoci ad altri esempi di analisi funzionale di modelli di comportamento rinvenibili nella moderna società occidentale, noi individueremo questi stessi requisiti e indi­ cazioni aggiuntive circa i « dati descrittivi che si richie­ dono » . Il

«

complesso dell'amore romantico » nella società americana:

per quanto tutte le società conoscano « attaccamenti emotivi vio­ lenti, di carattere occasionale » , la società americana contemporanea è fra le poche che diano un'importanza capitale ai legami di natura romantica e che facciano di essi, almeno secondo la convinzione popolare, una base per effettuare la scelta del coniuge. Questo mo­ dello caratteristico di scelta rende minima la possibilità, o la eli­ mina, che il fidanzato venga scelto da parte dei genitori o da parte del gruppo parentale, in senso lato 59•

Si osservi che l'importanza attribuita a questo singolo modello di scelta esclude ogni modello alternativo di scelta del fidanzato, che si sappia essere accettato in altri luoghi. Questo esempio suggerisce un secondo requisito per i dati che debbono essere inclusi nella descrizione del feno­ meno soggetto all'analisi funzionale . Nel descrivere il mo­ dello caratteristico ( modale) di risoluzione di un problema­ standard ( scelta del partner nel matrimonio), l'osservatore, ogni volta che sia possibile, indichi le alternative principali che vengono cosi escluse. Ciò, come avremo modo di ve­ dere, ci dà un'indicazione chiave che ci accosta diretta59 Approcci diversi di analisi funzionale del « complesso dell'amore romantico » si troveranno in Ralph Linton, Study of Man, New York, D. Appleton-Century Co., 1936, pp. 174-175; T. Parsons, Age and Sex in the Social Structure of the United States, « American Sociologica! Re­ view », ott. 1942, 7, pp. 604-616, spec. pp. 614-615; T. Parsons, The Kinship System of the Contemporary United States, « American Anthro­ pologist », 1943, 45, pp. 22-38, spec. pp. 31-32, 36-37, entrambi ristam­ pati nei suoi Essays in Sociological Theory, cit.; T. Parsons, The Social Structure of the Family, in The Family: Its Function and Destiny, a cura di Ruth N. Anshen, New York, Harper, 1949, pp. 173-201; R. K. Merton, Intermarriage and the Social Structure, « Psychiatry », 1941, 4, pp. 361-374, spec. pp. 367-368; e Isidor Thorner, Sociological Aspects of Affectional Frustrations, « Psychiatry », 1943, 6, pp. 157-173, special­ mente pp. 169-172.

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mente al contesto strutturale del modello di comporta­ mento, e proponendoci elementi appropriati di compara­ zione, ci indirizza ai problemi di convalida dell'analisi fun­ zionale. Una terza componente integrante della descrizione di un elemento che è problematico, descrizione preparatoria alla analisi funzionale vera e propria - e per cosi dire, un requisito ulteriore per la preparazione dell'esemplare al­ l'analisi - è la inclusione dei « significati » (ovvero del senso affettivo e conoscitivo) che una attività o modello di comportamento ha per i membri di un gruppo. Come si vedrà ben presto, infatti, un resoconto particolareggiato dei significati attribuiti ad uri elemento ci fa avanzare di molto verso un'appropriata impostazione di analisi funzio­ nale . Per illustrare questa tesi generale ci serviremo di un esempio, ripreso da una delle molte analisi funzionali di Veblen: Il modello culturale del consumo vistoso: il consumo vistoso di beni relativamente costosi « significa » ( simbolizza) il possesso di ricchezza ·sufficiente a « permettersi » spese siffatte. A sua volta, la ricchezza è onorifica. Coloro che si danno al consumo vistoso, non solo ricavano gratificazione direttamente dal consumo, ma anche dallo status piu elevato, che viene a riflettersi nell'atteggiamento e nelle opinioni di coloro che assistono al consumo stesso. Questo modello di comportamento è maggiormente osservabile nella classe agiata, vale a dire, in coloro che possono astenersi ed effettivamen­ te si astengono dal lavoro produttivo [ciò rappresenta la compo­ nente status-ruolo nella descrizione ] . Tuttavia, si diffonde in altri strati, che cercano di emulare questo modello di comportamento, e che allo stesso modo vengono a sperimentare il vanto della « pro­ digalità >>. In ultimo, il consumo di tipo vistoso mette in ombra criteri di consumo diversi (ad esempio, impiego « efficace >> dei fondi). [Abbiamo qui un esplicito riferimento a modi di consumo alternativi posti in ombra dall'importanza che il modello in esame viene ad avere nella cultura] 60•

Com'è noto, Veblen perviene ad attribuire diverse fun­ zioni al modello del consumo vistoso - funzioni di miglio60 Thorstein Veblen, The Theory of the Leisurè Class, New York, Vanguard Press, 1928, trad. ital., Torino, Einaudi, 1951, spec. capp. 2 e 4.

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Teoria sociologica

ramento e di conferma dello status, di « buona repu­ tazione », di ostentazione di possibilità pecuniarie (p. 84 ) Codeste conseguenze, per coloro che agiscono in termini del modello , comportano gratificazioni, e contribuiscono di molto a spiegarci la persistenza del modello. I punti chiave .

per la scoperta delle funzioni ad esse attribuite ci vengono forniti pressoché interamente dalla descrizione del modello stesso, descrizione la quale include espliciti riferimenti a

l ) status di coloro che, in vario modo, mostrano di seguire il modello di comportamento; 2 ) alternative conosciute rispetto al modello di consumo in termini di ostentazione e di « spreco » anziché in termini di fruizione personale ed « intrinseca » dell'oggetto di consumo; e 3 ) il diverso significato in termini culturali che viene attribuito al com­ portamento di consumo vistoso da parte di coloro che adot­ tano tale modello di comportamento e da parte di coloro che lo osservano. Codeste tre componenti della descrizione di un esem­ plare da analizzarsi non sono completamente esaurienti. Un protocollo descrittivo completo si allargherà inevitabil­ mente a tutta una gamma di conseguenze immediate psico­ logiche e sociali del comportamento. Esse possono però venir esaminate piu fruttuosamente se poste in connessione al concetto di funzione. Basti qui ripetere che la descri­ zione del fenomeno non deve procedere secondo il capric­ cio o secondo l'intuizione, ma deve includere perlomeno queste tre caratteristiche, se si vuole che il protocollo descrittivo risulti ottimale per una analisi funzionale . Sebbene ci resti molto da imparare rispetto agli elementi che si dovrebbero raccogliere nella fase descrittiva del­ l'analisi totale, questa breve presentazione di un modello di descrizione potrà servire a mostrare che i procedimenti dell'analisi funzionale possono venir codificati - al limite, fino al punto in cui chi lavori nel campo della sociologia venga a disporre di una mappa che lo orienti nell'asser­ zione.

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Illustriamo con un altro esempio un requisito ulteriore per la descrizione dell'elemento da analizzarsi : Il tabu del matrimonio con forestieri : piu è forte il grado di solidarietà di gruppo, piu è accentuato il sentimento contrario al matrimonio con persone estranee al gruppo. « La causa per cui la solidarietà di gruppo è desiderata non ha importanza . . . ». Il matri­ monio con forestieri significa tanto perdere un membro del proprio gruppo a favore di un altro gruppo, quanto incorporare nel proprio gruppo individui non completamente socializzati rispetto ai valori, ai sentimenti ed alle attività di coloro che sono membri del gruppo stesso 61•

Ciò suggerisce un quarto tipo di dato da includersi nella descrizione , preliminare all'analisi funzionale, di un esem­ plare sociale o culturale. Coloro che prendono parte alla attività esaminata hanno inevitabilmente un qualche ordine di motivi che li inducono alla conformità od alla devia­ zione . Sin dove è possibile, il resoconto descrittivo dovreb­

be contenere un resoconto di queste motivazioni, ma que­ sti motivi non debbono essere confusi, come abbiamo vi­ sto, con (a) il modello di comportamento oggettivo o (b) con le funzioni sociali di quel modello. Con l'inclusione dei

motivi nel resoconto descrittivo, si facilita la spiegazione delle funzioni psicologiche cui il modello di comportamento adempie, e, assai spesso, si ottengono suggerimenti per quanto riguarda le funzioni sociali di esso. Sino ad ora, siamo venuti considerando elementi quali attività o credenze che sono sicuramente modelli di compor­ tamento riconosciuti come tali, in una società, da coloro che vi prendono parte . Perciò, i membri di una data società sono in grado, in misura variabile, di descrivere i linea­ menti della cerimonia Chiricahua della pubertà, del mo­ dello del mirriri presso i Murngin , della scelta del compa­ gno nel matrimonio sulla base di legami sentimentali, della preoccupazione di consumare in maniera vistosa e dei tabu •• Romanzo Adams, Interracial Marriage in Hawaii, spec. pp. 197· 204; Merton, Intermarriage.. , cit., spec. pp. 368-369; K. Davis, Intermar­ riage in Caste Societies, « American Anthropologist », 1941, 43, pp. 376395. .

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al riguardo del matrimonio con forestieri. Codeste sono tutte parti della cultura palese, e, come tali, sono piu o meno pienamente conosciute da coloro che condividono questa cultura. Lo scienziato sociale, tuttavia, non si limita a questi modelli palesi. Di tanto in tanto, egli scopre un modello culturale che non appare alla superficie, un insie­ me di attività e di credenze che si configurano al pari dei modelli palesi, il quale però non è considerato come un modello normativamente regolato da coloro che vi pren­ dono parte. Gli esempi di questo genere sono assai abbon­ danti. Cosi, le statistiche mostrano che in una situazione di semi-casta come quella che regola le relazioni fra bianchi e negri negli Stati Uniti, il modello predominante di ma­ trimonio interrazziale (quand'esso si verifica) è fra donne bianche e uomini negri (piuttosto che tra donne negre e uomini bianchi ). Benché questo modello, che possiamo chiamare ipogamia di casta, non sia istituzionalizzato, esso è persistente e notevolmente stabile 62• Oppure prendiamo un altro esempio di un modello fisso ma che appa·re essere non riconosciuto. Malinowski riferisce che i Trobriandesi che si impegnano cooperativamente nel compito tecnologico di costruire una canoa, sono impegnati non solo in quel compito tecnico esplicito, ma anche nello stabilire e rafforzare relazioni interpersonali fra di loro nel corso del procedimento. Gran parte dei dati recenti su quei gruppi primari che vengono chiamati « organizzazioni infor­ mati » riguardano questi modelli di relazioni, che vengono osservati dallo scienziato sociale, ma non vengono ricono­ sciuti, almeno in tutte le loro implicazioni, da coloro che vi prendono parte 63• a Cfr. Merton, Interma"iage , cit.; Cbaracteristics of the American Negro, a cura di Otto Klineberg, New York, Harper, 1943 . ...

., La riscoperta del gruppo primario da parte di coloro che sono impegnati in studi sociologici sull'industria è stata uno degli stimoli più importanti all'approccio funzionale nella recente ricerca sociologica. Si ricorda qui l'opera, fra i molti, di Elton Mayo, Roethlisberger e Dickson, William Whyte e Burleigh Gardner. Rimangono, naturalmente, le inte­ ressanti differenze nell'interpretazione cui questi dati si prestano.

Funzioni manifeste e funzioni latenti

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Tutti questi punti conducono ad un quinto requisito del protocollo descrittivo: le regolarità di comportamento che sono associate all'attività nominalmente piu importante ( anche se non fanno parte del modello culturale esplicito ) dovrebbero essere incluse nei protocolli del ricercatore sul campo, dal momento che codeste regolarità inconsapevoli spesso ci offrono la chiave per la comprensione delle prin­ cipali funzioni del modello totale . Come vedremo, l'inclu­ sione nel protocollo descrittivo di queste regolarità « incon­ sapevoli », indirizza quasi subito l 'investigatore ad un'ana­ lisi del modello in termini di ciò che abbiamo chiamato funzioni latenti. In conclusione, quindi, nel protocollo descrittivo do­ vrebbero essere inclusi, per quanto è possibile :

l ) la collocazione nella struttura sociale di coloro che prendono parte al modello di comportamento (partecipazione differenziata); 2) la considerazione di modi di comportamento alternativi i quali risultino esclusi per via dell'accentuazione del modello osser­ vato (cioè, attenzione non soltanto a ciò che accade, ma anche a ciò che è trascurato in virtu del modello esistente); 3) i significati emotivi e conoscitivi attribuiti al modello da coloro che vi prendono parte; e

4 ) la distinzione tra motivazioni della partecipazione al modello comportamento oggettivo che il modello implica;

5) le regolarità di comportamento non riconosciute dai parte­ cipanti ma che non di meno si trovano associate al modello di comportamento centrale.

È piu che probabile che codesti requisiti che il proto­ collo dell'osservatore richiede , siano lontani dalla comple­ tezza. Essi però rappresentano un tentativo verso la speci­ ficazione di punti d'osservazione che facilitano l 'analisi fun­ zionale successiva . Essi intendono essere qualcosa di piu specifico dei suggerimenti che si trovano generalmente in definizioni generali del procedimento quali quelle che con­ sigliano all'osservatore di stare attento al « contesto della situazione ».

Teoria socio!ogica

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FUNZIONI MANIFESTE E FUNZIONI LATENTI

Come abbiamo già affermato, implicitamente, nelle parti precedenti, la distinzione fra funzioni manifeste e funzioni latenti è stata escogitata allo scopo di impedire quella confusione involontaria che è frequentemente rin­ venibile nella letteratura sociologica, tra motivazioni co­ scienti del comportamento sociale e conseguenze oggettive di esso. Il nostro esame della terminologia attuale dell'ana­ lisi funzionale ha mostrato quanto facilmente e quanto infe­ licemente il sociologo possa identificare i motivi con le fun­ zioni. Si è anche indicato che motivo e funzione variano indipendentemente, e che la mancata registrazione di que­ sto fatto in una terminologia prestabilita ha contribuito a far nascere nei sociologi l'inclinazione involontaria a con­ fondere le categorie soggettive della motivazione con le categorie oggettive della funzione. Questa è dunque la ra­ gione principale per cui cediamo alla non sempre racco­ mandabile pratica èi introdurre nuovi termini nel vocabo­ lario tecnico rapidamente crescente della sociologia, pra­ tica che viene considerata da molti profani come un af­ fronto alla loro intelligenza ed un'offesa contro la comune capacità di comprensione. Come si riconoscerà facilmente, ho adattato i termini « manifesto » e « latente » dall'uso fattone da Freud in un altro contesto (benché già Francesco Bacone, molto tempo fa , avesse parlato di « processo latente » e di « configura­ zione latente » a proposito di processi che sono sotto il livello dell'osservazione superficiale). La distinzione stessa è stata ripetutamente enunciata da osservatori del comportamento umano, ad intervalli irrego­ lari nello spazio · di molti secoli 64• Invero, sarebbe sconcertante trovare che una distinzio­ ne, che noi siamo giunti a considerare come centrale per '4 Riferimenti ad alcune fra le più significative di queste prime appa­ rizioni della distinzione si troveranno in Merton, Unanticipated Conse­ quences , cit. ...

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l'analisi funzionale, non sia stata fatta da nessuno dei molti che hanno in effetti adottato un indirizzo funzionale. È il caso di menzionare soltanto alcuni di coloro che, negli ul­ timi decenni, hanno ritenuto necessario distinguere, nelle loro interpretazioni specifiche del comportamento, tra il fine esplicito e le conseguenze funzionali dell'azione. George H. Mead 65: « codesto atteggiamento di ostilità nei confronti del violatore della legge ha il solo vantaggio [ leggi: fun­ zione latente] di unire tutti i membri della comunità nella soli­ darietà emotiva dell'aggressione. Mentre i piu ammirevoli sforzi umanitari sicuramente vengono a contrastare con gli interessi di moltissimi membri della comunità, o non riescono a toccare l'inte­ resse e l'immaginazione della moltitudine, e lasciano la comunità divisa o indifferente, il grido al ladro o all'assassino è in accordo con profondi complessi, che sono al di sotto della superficie degli sforzi di competizione individuale, e cittadini che sono [ stati] separati da interessi divergenti si uniscono contro il comune ne­ mico ». Anche l'analisi, simile, che Emile Durkheim66 fa delle funzioni sociali della punizione, è centrata sulle funzioni latenti di essa (con­ seguenze per la comunità) anziché limitarsi alle funzioni manifeste (conseguenze per il criminale). W. G. Sumner 67: « .. .dai primi atti con i quali gli uomini cer­ cano di soddisfare i propri bisogni, ogni atto sta a sé e non tende se non alla propria soddisfazione immediata. Dai bisogni ricorrenti derivano abitudini nell'individuo e costumi nel gruppo, ma questi risultati costituiscono delle conseguenze che non furono mai .con­ sapevoli, né previste o ricercate di proposito. Essi passano inosser­ vati per molto tempo dopo la loro comparsa, e vengono valutati ...

" George H. Mead, The Psychology of Punitive ]ustice, nell'industria.

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Questi e numerosi altri osservatori sociologici hanno dunque, di volta in volta, distinto fra le categorie della disposizione soggettiva { « bisogni, interessi, scopi ») e le categorie delle conseguenze generalmente non riconosciute ma oggettivamente funzionali ( « solo vantaggio », conse­ guenze « mai consapevoli », « inconsapevole ... servizio reso alla società », « funzione non limitata allo scopo esplicito e consapevole » ) Dal momento che vi sono frequenti occasioni di operare la distinzione e dato che lo scopo di uno schema concet­ tuale è quello di indirizzare l'osservazione agli elementi sa­ lienti di una situazione e di prevenire la possibilità che detti elementi vengano involontariamente trascurati, sem­ bra giustificato caratterizzare questa distinzione con una serie appropriata di termini. Il fondamento logico della distinzione tra funzioni manifeste e funzioni latenti sta in ciò, che le prime si riferiscono a quelle conseguenze ogget­ tive per una unità specifica (persona, sottogruppo, sistema sociale o culturale), che contribuiscono all'adattamento o all'aggiustamento di essa ed a tal fine sono state volute; le seconde a conseguenze dello stesso genere che non sono né volute né riconosciute. Alcune indicazioni mostreranno che una caratterizzazio­ ne terminologica della distinzione può servire a scopo euri­ stico, incorporando la ·distinzione in un apparato concet­ tuale esplicito ed aiutando cosi tanto l'osservazione siste­ matica quanto la successiva analisi. Ad esempio, negli ulti­ mi anni, la distinzione fra funzioni manifeste e funzioni latenti, è stata utilizzata in analisi : del matrimonio inter­ razziale 70, della stratificazione sociale 7 1 , della frustrazione affettiva 72, delle teorie sociologiche di Veblen 73, degli .

70

Merton, Intermarriage and the Social Structure, cit. Kingsley Davis, A Conceptual Analysis of Stratification, « Ameri­ can Sociological Review )), 1942, 7, pp. 309-321. " Thorner, op. cit., spec. p. 165. ., A. K. Davis, Thorstein Veblen's Social Theory, Harvard Ph. D. dissertation, 1941, e, Veblen on the Decline of the Protestant Ethic, « Social Forces )), 1944, 22, pp. 282-286; Louis Schneider, The Freudian 71

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orientamenti prevalenti americani verso la Russia 74, della propaganda come mezzo di controllo sociale 75, della teoria antropologica di Malinowski 76, della stregoneria Navajo 77, dei problemi della sociologia della conoscenza 78, della mo­ da 79, della dinamica della personalità 80, delle misure di sicurezza nazionale 6\ della dinamica sociale interna alla burocrazia 82, e di una grande varietà di altri problemi sociologici. La grande varietà di questi argomenti indica che la di­ stinzione teorica tra funzioni manifeste e funzioni latenti non è legata ad un tipo limitato e particolare di comporta­ mento umano. Resta però ancora il compito enorme di sco­ prire gli usi specifici ai quali questa distinzione può servire, ed è a codesto compito che dedichiamo le restanti pagine del capitolo .

Gli scopi euristici della distinzione. Essa chiarisce l'analisi di modelli sociali apparentemente irrazionali. In primo luogo, questa distinzione facilita l'inPsychology and Veblen's Social Theory, New York, King's Crown Press,

1948, spec. cap. 2 . ,. A . K . Davis, Some Sources o f American Hostility t o Russia, « Ame­ rican Journal of Sociology », 1947, 53, pp. 174-183. 75 Talcott Parsons, Propaganda and Social Contro!, nei suoi Essays in Sociological Theory, cit. 76 Clyde Kluckhohn, Bronislaw Malinowski, 1884-1942, « Journal of American Folklore », 1943, 56, pp. 208-219. 77 Clyde Kluckhohn, Navaho Witchcraft, cit., spec. pp. 46-47 ss. 78 Merton, cap. XIV di questo volume. 79 Bernard Barber e L. S. Lobel, « Fashion » in Women's Clothes and the American Social System, « Social Forces », 1952, 3 1 , pp. 124-131. 80 O. H. Mowrer e C. Kluckhohn, Dynamic Theory of Personality, in « Personality and the Behavior Disorders », a cura di J. M. Hunt, New York, Ronald Press, 1944, l, pp. 69-135, spec. p. 72. " Marie Jahoda e S. W. Cook, Security Measures and Freedom of Thought: An Exploratory Study of the Impact of Loyalty and Security Programs, « Yale Law Journal >> , 1952, 61, pp. 296-333. " Philip Selznick, Twa and the Grass Roots, University of California Press, 1949; A. W. Gouldner, Patterns of Industria! Bureaucracy, Glen­ coe, Illinois, The Free Press, 1954; P. M. Blau, The Dynamics of Bureau­ cracy, University of Chicago Press, 1955; A. K. Davis, Buteaucratzc Pat­ terns in Navy Officer Corps, « Social Forces >>, 1948, 27, pp. 142-153.

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terpretazione sociologica di molte attività sociali che sus­ sistono sebbene sia chiaro che il loro scopo manifesto non viene raggiunto . Il procedimento comune che viene seguito in tali casi da vari osservatori, e specialmente da profani, è quello di definire codeste attività come « superstizioni » , « irrazionalità », « pura e semplice inerzia dovuta alla tra­ dizione », ecc. In altre parole, quando un comportamento di gruppo non raggiunge - e spesso, invero, non lo può ­ i suoi scopi dichiarati, si è inclini ad attribuire questo fatto a mancanza d'intelligenza, ad assoluta ignoranza, a soprav­ vivenze o alla cosiddetta inerzia. Cosi, il cerimoniale Hopi che dovrebbe provocare piogge abbondanti, può essere eti­ chettato come pratica superstiziosa di un popolo primitivo, e cor;t, ciò si ritiene chiuso l'argomento . Ma si tratta sem­ plicemente di un'etichetta; l'epiteto « superstizione » viene a sostituire una analisi del ruolo effettivo che tale compor­ tamento ha nella vita del gruppo. Una volta dato il con­ cetto di funzione latente, ci viene rammentato che detto comportamento può esplicare una funzione per il gruppo anche se tale funzione può essere assai lontana dallo scopo dichiarato del comportamento . Con il concetto di funzione latente, l'attenzione del­ l 'osservatore viene ad estendersi oltre alla questione se il comportamento raggiunga o no il suo scopo dichiarato. Ignorando temporaneamente gli scopi espliciti, l'osserva­ tore rivolge la sua attenzione verso un'altra gamma di con­ seguenze : ad esempio, le conseguenze che hanno incidenza rispetto alla personalità individuale degli Hopi che parteci­ pano alla cerimonia, e, piu oltre, alla persistenza e conti­ nuità del gruppo. Ove ci si lim.i,tasse alla questione del­ l'adempimento di una funzione manifesta, si tratterebbe di un problema per il meteorologo, non per il sociologo. E certamente, i nostri meteorologi sono d'accordo sul fatto che le cerimonie della pioggia non producono la pioggia, ma non è questo il punto. Ciò vuoi dire semplicemente che la cerimonia non ha quest'uso tecnologico ; che lo scopo della cerimonia e le sue conseguenze effettive non coinci-

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dono. Ma col concetto di funzione latente noi proseguiamo nella nostra indagine, esaminando non le conseguenze della cerimonia sugli dei della pioggia o sui fenomeni meteorolo­ gici, ma sui gruppi che svolgono la cerimonia. Si può cosi trovare che, come sostengono molti osservatori, il cerimoniale ha bensi delle funzioni - ma funzioni che sono non-intenzionali o latenti. Il cerimoniale può adempiere la funzione latente di raf­ forzare l'identità del gruppo, fornendo un'occasione perio­ dica in cui i membri sparsi di un gruppo si radunano per intraprendere un'attività comune . Come indicò tra gli al­ tri Durkheim, parecchio tempo addietro, tali cerimoniali sono un mezzo attraverso il quale l'espressione collettiva è arricchita dei sentimenti che, in una analisi ulteriore, si trovano essere una fonte basilare dell'unità del gruppo. Mediante l'applicazione sistematica del concetto di fun­ zione latente, perciò, un comportamento apparentemente irrazionale può talvolta risultare positivamente funzionale per il gruppo. Operando con il concetto di funzione latente, noi non ci affretteremo troppo a concludere che quando una attività di gruppo non raggiunge il suo scopo dichia­ rato, la persistenza di essa può descriversi solamente come esempio di « inerzia », « sopravvivenza », o « manipola­ zione da parte di potenti sottogruppi nella società » . Di fatto, una qualche concezione simile a quella di fun­ zione latente è stata impiegata molto spesso e quasi inva­ riabilmente da scienziati sociali che stavano osservando una

attività standardizzata volta a raggiungere obiettivi che in base alla scienza fisica accreditata si sanno essere irrealiz­ zabili. Questo, ad esempio, è chiaramente il caso dei rituali Pueblo riguardanti la pioggia o la fertilità. Ma nei casi di comportamenti non diretti ad obiettivi chiaramente ir­ raggiungibili, gli osservatori sociologici sono meno portati ad esaminare le funzioni collaterali o latenti del comporta­ mento. Essa dirige l'attenzione a campi d'indagine fruttuosi teo­ ricumente. La distinzione fra funzioni manifeste e funzioni

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latenti serve inoltre a dirigere l'attenzione del sociologo proprio a quei settori del comportamento, degli atteggia­ menti e delle credenze, in cui egli può applicare le sue capa­ cità specifiche con maggior frutto. A che cosa serve il lavoro del sociologo, se egli si limita a studiare le fun­ zioni manifeste ? In tal caso, egli è ampiamente preoccu­ pato di stabilire se una attività istituita per uno scopo par­ ticolare, di fatto raggiunga tale scopo. E pertanto, egli indagherà ad esempio se un nuovo sistema di pagamento dei salari raggiunga lo scopo dichiarato di ridurre il tur­ nover della manodopera o di aumentare la produzione . Egli si chiederà se una campagna di propaganda abbia rag­ giunto davvero l'obiettivo di far aumentare « la volontà di combattere » o « la volontà di comprare buoni di guerra » , o « la tolleranza verso altri gruppi etnici ». Ora, questi sono tipi di indagine importanti e complessi. Ma sinché i sociologi si limitano allo studio delle funzioni manifeste, la loro indagine risulta preordinata per loro da uomini pra­ tici (non importa, per il momento, se si tratti di un capi­ tano d'industria, di un leader sindacale, o, eventualmente, di un capo Navajo) invece di esserlo in base ai problemi teorici che sono al centro della disciplina. Mantenendosi principalmente sul piano delle funzioni manifeste, in cui il problema fondamentale è di sapere se certe attività od or­ ganizzazioni istituite deliberatamente riescano o no a rag­ giungere i loro obiettivi, il sociologo si trasforma in un industrioso ed abile registratore di modellj di comporta­ mento del tutto notori . I termini di valutazione vengono

prefissati e limitati dalla questione che gli viene posta da uomini interessati a questioni estranee ad interessi teorici,

per esempio : il nuovo piano di pagamento dei salari ha rag­ giunto il tale-e-talaltro fine ? Viceversa, munito del concetto di funzione latente, il sociologo estende la sua indagine in quelle varie direzioni che promettono di piu per lo sviluppo teorico della disci­ plina . Egli esamina una attività sociale notoria (o proget­ tata) per accertarne le funzioni latenti e perciò generai-

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Te oria socio/ogica

mente non conosciute {e naturalmente, anche per accertar­ ne le funzioni manifeste). Egli, ad esempio, prende in consi­ derazione le · conseguenze che il nuovo piano salariale ha per, diciamo, il sindacato in cui i lavoratori sono organiz­ zati, o le conseguenze che un programma propagandistico ha non soltanto rispetto al raggiungimento dello scopo di­ chiarato di suscitare lo zelo patriottico, ma anche rispetto al rendere un gran numero di persone esitanti ad esprimere la loro opinione quando non sono d'accordo con la politica ufficiale, ecc. In breve, ciò che si suggerisce è che il con­ tributo intellettuale peculiare del sociologo è da vedersi innanzitutto nello studio delle conseguenze non-intenzio­ nali ( fra le quali vi sono le funzioni latenti) delle attività sociali, al pari che nello studio delle conseguenze previste ( fra le quali vi sono le funzioni manifeste) 83• È sufficientemente provato che le ricerche dei sociologi hanno dato il loro specifico e maggior contributo proprio quando san passate dall'analisi delle funzioni manifeste a quella delle funzioni latenti . Potremmo documentare am­ piamente questo fatto, ma in questa sede ci limiteremo ad alcuni esempi. LE RICERCHE « HAWTHORNE » ALLA WESTERN ELEC­ TRIC 84• Come è risaputo, le prime fasi di questa inchiesta riguardavano il problema della relazione tra « l'illuminazio­ ne e l'efficienza » dei lavoratori dell'industria. Per circa due anni e mezzo, l'attenzione venne centrata su problemi di 83 Per una breve illustrazione di questa proposizione generale, vedi R. K. Merton, Marjorie Fiske e Alberta Curtis, Mass Persuasion, New York, Harper, 1946, pp. 185-189; Jahoda e Cook, op. cit. " Citiamo questo esempio come case study di come una elaborata ri­ cerca fu completamente cambiata nell'indirizzo teorico e nel carattere del­ le sue scoperte dall'introduzione di un concetto prossimo a quello di fun­ zione latente. La scelta del caso per questo scopo, non implica, com'è na­ turale, una piena accettazione delle interpretazioni che gli autori danno delle loro scoperte. Fra i diversi volumi che riferiscono della ricerca alla Western Electric, vedasi in particolare: F. Roethlisberger e W. J Dickson, Management and the Worker, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1939.

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questo tipo: le variazioni nell'intensità dell'illuminazione influiscono sulla produzione? I risultati iniziali mostrarono che, entro larghi margini, non c'era un rapporto univoco tra illuminazione e produzione. La produzione cresceva sia nel gruppo sperimentale, in cui l'illuminazione veniva ac­ cresciuta (oppure diminuita) sia nel gruppo di controllo, in cui non veniva introdotto alcun cambiamento nell'illumina­ zione. In breve, i ricercatori avevano limitato la loro inda­ gine unicamente alle funzioni manifeste. Mancando un con­ cetto di funzione sociale latente, dapprima non si prestò alcuna attenzione alle conseguenze sociali che l'esperimento aveva sui rapporti tra i membri del gruppo di prova e del gruppo di controllo, o sui rapporti fra i lavoratori ed i dirigenti della camera di prova. In altre parole, i ricerca­ tori mancavano di uno schema sociologico di riferimento ed operavano semplicemente come « ingegneri » (allo stesso modo in cui un gruppo di meteorologi avrebbe potuto inda­ gare circa gli « effetti » sulla pioggia del cerimoniale Hopi). Solo dopo prolungate indagini capitò al gruppo di ri­ cerca di studiare le conseguenze che la nuova « situazione sperimentale » aveva per le immagini di sé e per le con­ cezioni di sé dei lavoratori che prendevano parte all'espe­ rimento, per le relazioni interpersonali tra i membri del gruppo, per la coesione ed unità del gruppo stesso. Come riferisce Elton Mayo, « il fiasco dell'illuminazione li aveva resi attenti alla necessità di tenere registrazioni molto accu­ rate di tutto ciò che accadeva nella stanza, in aggiunta agli ovvi accorgimenti tecnici ed industriali . Le loro osserva­ zioni, perciò , non inclusero soltanto la registrazione dei mu­ tamenti industriali e tecnici, ma anche di quelli fisiologici o medici, e, in un certo senso, di quelli sociali ed antropolo­ gici. Questa registrazione prese la forma di un " libro di bordo " che dava un resoconto, il piu completo possibile, dei fatti concreti di ogni giorno . » 85• In breve, fu soltanto dopo una lunga serie di esperimenti che avevano trascurato .

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" E. Mayo, The Social Problems of an Industrial Civilization, Cam­ . bndge, Mass., Harvard University Press , 1945, trad . it. I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale, Torino, UTET, 1_969, p. 229.

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completamente le funzioni sociali latenti dell'esperimento (in quanto situazione sociale artificiale), che venne intro­ dotto questo schema schiettamente sociologico. « Con la comprensione di questo fatto )> , scrivono gli autori, « il ca­ rattere dell'inchiesta cambiò. I ricercatori non si interessa­ vano piu alla verifica degli effetti di singole variabili. Ad un esperimento controllato, essi sostituirono la nozione di una situazione sociale che doveva essere descritta e capita come un sistema di elementi interdipendenti ». Dopo di che, come ora è ben noto, l'inchiesta fu ampiamente finaliz­ zata a scoprire le funzioni latenti delle pratiche correnti tra i lavoratori, dell'organizzazione infcirmale che si sviluppava fra i lavoratori , degli svaghi per i lavoratori istituiti da « saggi amministratori )> , degli ampi programmi counselling ed interviste per i lavoratori, ecc . Il nuovo schema concet­ tuale alterò completamente la portata ed il tipo dei dati raccolti nella ricerca che ne segui. Basta solo tornare al brano precedentemente citato di Thomas e Znaniecki nella loro classica opera di circa tren­ t'anni fa, per riconoscere la correttezza dell'osservazione di Shils : .. .invero la storia dello studio dei gruppi primari nella sociologia americana è un esempio perfetto delle discontinuità nello sviluppo di questa disciplina: un problema è messo in evidenza da qualcuno che è riconosciuto come fondatore della disciplina, il problema viene trascurato, poi, alcuni anni piu tardi, viene ripreso con entu­ siasmo quasi come se nessuno ci avesse mai pensato prima 86•

Thomas e Znaniecki, infatti, avevano ripetutamente sot­ tolineato il principio sociologico secondo cui, qualunque sia lo scopo primario di essa, « l'associazione in quanto gruppo concreto di personalità umane implica numerosi altri interessi non ufficiali; i contatti sociali tra i suoi mem­ bri non si limitano allo scopo comune di essi . . . )> . In effetti, poi, ci sono voluti anni di sperimentazione per rivolgere l'attenzione dell'équipe di ricerca della Western Elec tric alle funzioni sociali latenti dei gruppi primari che emer" Edward Shils, The Present State of American Sociology, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1948, p. 42 (il corsivo è nostro).

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gono nelle organizzazioni industriali. Dovrebbe esser chiaro che questo caso non è citato qui come esempio di un piano sperimentale inadeguato; non è ciò che ci interessa adesso. Tale esempio viene preso in considerazione unicamente per illustrare la pertinenza del concetto di funzione latente per l'indagine sociologica, e cosi dei concetti connessi dell'ana­ lisi funzionale. L'esempio illustra come l'inclusione di que­ sto concetto (poco conta se il termine venga usato o no ) possa rendere sensibili i sociologi che svolgono ricerche ad una serie di variabili sociali significative che vengono altri­ menti facilm.ente trascurate. Il fatto di denominare espli­ citamente questo concetto può forse rendere minore la fre­ quenza di tali occasioni di discontinuità, nelle ricerche so­ ciologiche future. La scoperta di funzioni latenti rappresenta un incre­ mento significativo della conoscenza sociologica. Vi è un altro aspetto per cui l'indagine circa le funzioni latenti rap­ presenta un contributo distintivo dello scienziato sociale. Sono per l 'appunto le funzioni latenti di una attività o di una credenza che non costituiscono conoscenza comune, perché esse sono conseguenze sociali e psicologiche non intenzionali e generalmente non ravvisate. Ne consegue che le scoperte concernenti funzioni latenti rappresentano per la conoscenza un incremento maggiore che non le scoperte concernenti funzioni manifeste. Esse rappresentano anche un maggior distacco dalla conoscenza del « buon senso » intorno alla vita sociale. In quanto le funzioni latenti si di·· staccano, piu o meno, dalle funzioni manifeste dichiarate, la ricerca che scopre funzioni latenti produce molto spesso risultati « paradossali » . Questi paradossi apparenti deri­ vano dalla modificazione radicale del procedimento volgare ed abituale di considerare una attività od una credenza standardizzata soltanto in termini delle sue funzioni mani­ feste, modificazione ottenuta attraverso l'indicazione di al­ cune delle sue funzioni sussidiarie o collaterali, che sono latenti. L'introduzione del concetto di funzione latente nella ricerca sociale conduce a conclusioni che mostrano

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come « la vita sociale non è cosf semplice come sembra a prima vista ». Infatti, finché ci si limita a certune conse­ guenze (cioè, alle conseguenze manifeste), è relativamente semplice fornire giudizi morali sulla attività o credenza in questione. Le valutazioni morali, basate generalmente su queste conseguenze manifeste, tendono a polarizzarsi in termini di bianco o nero . Ma la percezione di conseguenze ulteriori (latenti) rende sovente il quadro piu complesso; sia i problemi di valutazione morale (che non ci riguardano da vicino), che i problemi del social engineering (che ci riguardano 87 ) si caricano cosi di nuove complicazioni ag­ giuntive, quali le decisioni sociali responsabili generalmen­ te comportano. Un esempio di indagine nella quale la nozione di fun­ zione latente viene implicitamente usata, illustrerà in che senso il « paradosso » divergenza fra la funzione appa­ rente, puramente manifesta, e quella effettiva, che inc1ude anche le funzioni latenti - consegua all'adozione di que­ sto concetto. Per tornare alla ben nota analisi di Veblen del consumo vistoso, non è un caso che egli sia stato ricono­ sciuto come un analista sociale dotato di una sensibilità particolare per il paradossale, l'ironico, il satirico. Tali sono infatti i risultati che si ottengono, frequentemente, se non inevitabilmente, in seguito all'applicazione del concetto di funzione latente ( o di un suo equivalente). -

I L MODELLO D E L CONS UMO V I S TOSO. Lo scopo mani­ festo dell'acquisto di beni di consumo è, naturalmente, la soddisfazione dei bisogni cui questi beni sono destinati esplicitamente. A questo modo, le automobili sono ovvia­ mente destinate a provvedere ad un certo genere di tra­ sporto; le candele all'illuminazione, i generi alimentari al " Con ciò non si intende negare che la social engineering abbia di­ rettamente implicazioni morali, e neppure che tecnica e morale siano ine­ vitabilmente interconnesse. Non è però mia intenzione trattare questa serie di problemi nel presente capitolo. Per una discussione dei suddetti problemi, vedansi i capitoli VIII, XVII, XIX; si veda anche Merton, Fiske e Curtis, Mass Persuasion, dt., cap. 7.

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sostentamento ; i raffinati prodotti artistici alla fruizione estetica. Dal momento che di questi prodotti si fanno tali usi, sembrava piu che dimostrato che in questi usi si esau­ risse ogni funzione socialmente importante svolta dall'ac­ quisto di questi beni. Veblen, invero, sostiene che, di regola, questa era la concezione predominante (nell'era pre-vebleniana, naturalmente ) : « Si ritiene convenzional­ mente che il fine dell'appropriazione e dell'accumulazione sia il consumo delle merci accumulate . . . Almeno si sente che questo è il fine economicamente legittimo dell'appro­ priazione e che di questo soltanto la teoria deve tener conto » 88• Tuttavia, dice Veblen, noi come sociologi dobbiamo procedere a considerare le funzioni latenti dell'acquisto, dell'accumulazione e del consumo, e queste funzioni latenti sono invero molto diverse dalle funzioni manifeste. « Ma soltanto quando sia preso in un senso molto lontano dal suo significato originario [ cioè funzione manifesta ] il con­ sumo di merci può dirsi che offra l'incentivo da cui pro­ cede invariabilmente l 'accumulazione ». E fra queste fun­ zioni latenti, che contribuiscono a spiegare la persistenza ed il posto nella struttura sociale del modello del consu­ mo vistoso, vi è quella di simbolizzare « la forza pecunia­ ria, per mezzo della quale si può raggiungere o mantenere una buona reputazione ». L'esercizio di una « meticolosa discriminazione » nella qualità « del cibo, delle bevande, dell'abitazione, dei servizi, degli ornamenti, del vestiario, dei divertimenti » non porta semplicemente a gratificazioni dirette derivanti dal consumo di articoli « scelti » anziché di articoli « comuni » , ma, e secondo Veblen questo è il fatto piu importante, porta anche ad un innalzamento o

riaffermazione dello status sociale.

Il paradosso di Veblen è che la gente compra merci costose non tanto perché sono migliori quanto perché sono costose. Egli, infatti, nella sua analisi funzionale segnala 88

Veblen, Theory of Leisure Class, trad. ital. cit., p. 36.

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l'equazione latente ( « prezzo alto :..__ segno di status sociale piu elevato » ) piuttosto che l'equazione manifesta ( « prezzo alto = qualità superiore della merce » ). Non che egli neghi alle funzioni manifeste un qualche peso nel sostenere il modello del consumo vistoso : anche esse hanno la loro im­ portanza. « Ciò che si è detto or ora non va inteso nel senso che non ci siano altri incentivi ad acquistare e ad accumulare tranne questo desiderio di eccellere nella posi­ zione finanziaria e procurarsi cosi la stima e l'invidia dei propri simili . Il desiderio d 'accrescere la comodità e la sicurezza dal bisogno, è presente come motivo in ogni sta­ dio . . . ». O ancora: « Sarebbe azzardato affermare che uno scopo utile manchi all'utilità di un oggetto o di un servizio, benché il suo primo scopo e il suo elemento principale sia chiaramente lo sciupio vistoso » e la stima sociale che ne deriva 89• Il fatto è che queste funzioni manifeste, dirette, non spiegano pienamente i modelli di consumo prevalenti. In altri termini se le funzioni latenti del miglioramento dello status o della conferma di esso, venissero eliminate dal modello di consumo vistoso, detto modello subirebbe notevoli cambiamenti, di un genere che l'economista « con­ venzionale » non potrebbe prevedere. Per questi aspetti, l 'analisi fatta da Veblen delle fun­ zioni latenti si distacca dalla nozione, propria del buon senso, secondo cui il risultato finale del consumo è « natu" Ibid., p. 41 e p. 89. Si noterà che Veblen usa una terminologia molto libera. Nei passi segnati (ed ·anche altrove ripetutamente) egli usa in maniera intercambiabile « incentivo », « desiderio », « scopo 1> e (N.d.T. ). " Di nuovo, come nei casi precedenti, non considereremo le possibili disfunzioni della 95• Mettendo la cosa in termini piu generali, le deficienze

funzionali della struttura ufficiale generano una struttura alternativa (non ufficiale) per soddisfare un po' piu effica­ cemente i bisogni esistenti. Quali che siano le specifiche

origini storiche di essa, la « macchina » politica sopravvive come apparato per la soddisfazione dei bisogni di gruppi diversi della popolazione che, altrimenti, resterebbero in­ soddisfatti. Volgendoci a considerare alcuni pochi tra que­ sti gruppi ed i bisogni che li caratterizzano , ci troveremo di fronte ad una gamma di funzioni latenti della « macchina » politica .

Le funzioni che la « macchina » politica ha per vari sot­ togruppi. È ben noto il fatto che una delle ragioni della

forza della « macchina >> politica sta nelle sue radici nella comunità locale e nei ·quartieri . La « macchina » politica non considera l'elettorato come una massa amorfa ed indif­ ferenziata di votanti. Con acuta intuizione sociologica, la « macchina >> si rende conto che l 'elettore è una persona che vive in un determinato quartiere, con determinati pro­ blemi personali, e con desideri personali. Le questioni di interesse pubblico sono astratte e remote ; i problemi pri­ vati sono estremamente immediati e concreti. La « macchi­ na » non opera facendo appello in generale alle grandi que­ stioni di pubblico interesse, ma attraverso relazioni di­ rette, di carattere quasi feudale, tra i rappresentanti locali della « macchina » e g!i elettori nel loro quartiere. Le ele­ zioni vengono vinte nelle circoscrizioni elettorali. La « macchina » rinsalda i suoi legami con l'uomo o la donna comuni costruendo una rete di relazioni personali . La politica è trasformata in vincolo personale. Il capo di una circoscrizione elettorale « dev'essere un amico per •;

Sait, op. cit., p. 659 a (il corsivo è nostro).

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ognuno, fingendo, se non la sente, simpatia per gli sfortu­ nati, facendo un buon lavoro coll'utilizzazione delle risorse che il boss gli mette a disposizione » %. Il capo di una cir­ coscrizione elettorale è pur sempre un amico, nel bisogno. Nella nostra società, preponderantemente impersonale, la « macchina », grazie ai suoi agenti locali, svolge l'impor­ tante funzione sociale di umanizzare e personalizzare ogni forma di assistenza a persone bisognose. Refezioni ed im­ pieghi, consigli legali ed extra-legali, risoluzione di piccole difficoltà con la legge, aiuto al ragazzo povero per una borsa di studio nel college locale, soccorso al derelitto ­ tutta l'intera gamma delle crisi in cui un individuo ha bi­ sogno di un amico, e soprattutto, di un amico che capisca la situazione e possa fare qualcosa - tutti costoro trovano il sempre sollecito capo della circoscrizione elettorale dispo­ nibile nei momenti di difficoltà. Per valutare adeguatamente codesta funzione della « macchina » politica, è importante considerare non sol.. tanto l'aiuto che è fornito, ma il modo in cui viene fornito . Dopo tutto, vi sarebbero bene altre agenzie che potreb­ bero dispensare assistenza. Enti assistenziali, di beneficen­ za, assistenza clinica legale, ospedali gratuiti, enti di carità, enti per gli immigrati - queste e una moltitudine di altre organizzazioni sono disponibili per fornire assistenza nelle forme piu svariate. Ma alle tecniche professionali dell'ope­ ratore assistenziale, che agli occhi dell'assistito costituisco· no un tipico esemplare di elargizione fredda e burocratica,, di aiuti concessi solo in seguito a minute indagini circa il diritto legale all'aiuto da parte del « cliente », si contrap­ pongono le tecniche non professionali del capo della circo· scrizione elettorale, il quale non fa domande, non esige alcuna ossequienza alle formalità legali relative alla richie­ dibilità dell'aiuto, e non « ficca il naso » negli affari pri­ vati 97• .

p. 659 a. Lo stesso contrasto con l'attività ufficiale di assistenza è in buona parte rinvenibile nella distribuzione di aiuti ai disoccupati, generosa e

" Ibid.,

97

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Per molti, perdere ogni « rispetto di se stessi » rappre­ senta un prezzo troppo alto per una legale assistenza. Gli operatori assistenziali assai spesso provengono da una classe sociale differente, hanno una formazione educativa diversa, appartengono ad un altro gruppo etnico ; v'è dun­ que un abisso, mentre l'uomo della circoscrizione elettorale è « uno dei nostri » , che capisce bene di che cosa si tratta. La gentile e benefica signora può difficilmente competere con l 'amico comprensivo, nel bisogno . In questo conflitto tra strutture alternative, circa lo svolgimento della funzio­ ne nomina/mente identica di provvedere aiuto è sostegno ai

bisognosi, è chiaro che è il politicante che appartiene alla « macchina » ad essere meglio integrato con i gruppi di cui si occupa, anziché l'operatore assistenziale , impersonale, professionalizzato, socialmente distante e vincolato legal­ mente. E poiché il politicante riesce, di volta in volta, ad influenzare ed a manovrare le organizzazioni che elargi­ scono assistenza, mentre l'operatore assistenziale in pratica non ha alcuna influenza sulla « macchina » politica, il primo ha senza dubbio . una maggiore efficienza. Con parole piu piane, ma fors'anche con maggiore incisività, Martin Lomasny, capo di quartiere a Boston, ha descritto codesta funzione sociale essenziale al curioso Lincoln Steffens. « Io penso, diceva Lomasny, che ci dovrebbe essere in ogni quartiere qualcuno da cui un tizio qualunque possa andare - qualunque cosa abbia fatto, non fa niente - ed essere aiutato. Aiuto, è chiaro? niente che abbia a vedere colla vostra legge o colla vostra giustizia, aiuto » 98•

non politica, fatta da Harry Hopkins, nello Stato di Ncw York, nel periodo in cui era governatore Franklin Delano Roosevelt. Come rife­ risce Sherwood: « Hopkins fu aspramente criticato per quest'attività irregolare, dagli enti ufficiali di assistenza, i quali protestavano che " era una condotta non professionale" quella di distribuire biglietti di lavoro senza una meticolosa indagine su ogni postulante, sulle risorse finan­ ziarie sue e della famiglia, e probabilmente sulla sua affiliazione reli­ giosa. "Harry disse all'Ente di andare al diavolo�, riferiva [il collega di Hopkins, Dr. Jacob A.] Goldberg ». Robert E. Sherwood, Roosevelt and Hopkins, An Intimate History, New York, Harper, 1948, p. 30. " The Autobiography of Lincoln Steffens, Chautaqua, New York,

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Perciò, le « classi diseredate » costituiscono un sotto­ gruppo per il quale la « macchina » politica soddisfa desi· deri che non vengono soddisfatti allo stesso modo dalla struttura sociale legalizzata. Per un secondo sottogruppo, quello degli imprenditori (soprattutto dei grossi ma anche dei piccoli imprenditori ), il boss politico adempie la funzione di fornire quei privi­ legi politici che comportano vantaggi economici immediati . Le imprese finanziarie, tra cui quelle dei servizi pubblici (ferrovie, società di trasporti comunali, compagnie elettri­ che, aziende nel campo delle comunicazioni) sono a questo proposito soltanto le piu importanti, ricercano favori poli·· tici particolari, che permettano loro di consolidare la loro posizione e di avvicinarsi al loro obiettivo di massimizza­ zione dei profitti. È piuttosto interessante il fatto che le imprese desiderino di frequente evitare il caos della con­ correnza incontrollata. Esse vogliono una sicurezza mag· giare ed uno czar economico che controlli, regoli ed orga­ nizzi la concorrenza, purché codesto czar non sia un funzio­ nario pubblico, le cui decisioni siano soggette alla disamina pubblica ed al pubblico controllo ( quest'ultimo sarebbe un (< controllo governativo », ed è quindi tabu) . Il boss poli­ tico risponde mirabilmente a questi requisiti. Esaminandolo per un momento a parte da ogni conside· razione morale, l'apparato politico che il boss manovra, è in effetti fatto apposta per adempiere a queste funzioni con il minimo di inefficienza. Tenendo nelle sue mani compe­ tenti le redini di svariate divisioni governative, uffici ed agenzie, il boss razionalizza · la relazione tra impresa puh·· blica e impresa privata. Egli funge da ambasciatore della comunità degli affari nel mondo governativo, altrimenti alieno (e qualche volta persino nemico). Del resto, in stretti termini finanziari, egli è ben pagato per i servizi economici Chautaqua Press, 1931, p. 618. Riprendendo in gran parte Steffens, come egli stesso dice, F. Stuart Chapin descrive queste funzioni della > politica con grande chiarezza. Si veda il suo Contemporary Ame· rican Institutions, New York, Harper, 1934, pp. 40-54.

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resi ai suoi rispettabili clienti d'affari. In un articolo inti­ tolato Apologia delle mance, Lincoln Steffens osserva che