Teoria e struttura sociale. Studi sulla struttura sociale e culturale [Vol. 2]
 9788815076557

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Robert K. Merton

Teoria e struttura sociale II. Studi sulla struttura sociale e culturale

Società editrice il Mulino

ISBN 88-15-07655-7 Copyright © 2000 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la ri­ produzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Traduzione di Carlo Marletti e Anna Oppo.

Indice

Premessa

p. IX

Introduzione

281

VI.

297

Struttura sociale ed anomia Modelli di mete culturali e norme istituzionali

299

Tipi di adattamento individuale

311 313 314 328 333 337

I. Conformità II. Innovazione III. Ritualismo IV. Rinuncia v. Ribellione

VII.

La tendenza all'anomia

340

Il ruolo della famiglia

341

Note conclusive

344

Ulteriori sviluppi della teoria della struttura sociale e dell'anomia

347

Ampliamento del concetto di anomia

347

Indici di anomia

352

Il tema del successo nella cultura americana

356

Diversi gradi di assimilazione dei valori del suecesso

363

Anomia e tipi di comportamento deviante Innovazione

373 373

Indice

VI Sviluppi ulteriori della teoria Ritualismo Rinuncia Ribellione

Struttura sociale in via di trasformazione e com­ portamento deviante

VIII. Struttura burocratica e personalità

IX.

x.

p. 380 386 391 395 398 403

La struttura della burocrazia

404

Le disfunzioni della burocrazia

407

Fonti strutturali dell'ultraconformismo

412

Rapporti primari e secondari

415

Problemi per la ricerca

420

Il ruolo dell'intellettuale nella burocrazia pubblica

423

L'attività intellettuale come tipo di occupazione

424

Lo status dell'intellettuale e la politica sociale

426

Intellettuali burocrati e intellettuali indipendenti

430

L'assunzione degli intellettuali nelle burocrazie pubbliche

431

La posizione burocratica e le sue prospettive

434

«Policy-makers» ed intellettuali

442

Frustrazioni dell'intellettuale nella burocrazia

446

Contributi alla teoria del comportamento secondo gruppi di riferimento

451

Il concetto di privazione relativa

454

Privazione relativa o relatività della privazione

466

Gruppo d'appartenenza come gruppo di riferi­ mento

468

Gruppi di riferimento molteplici

476

Uniformità di comportamento che derivano dalla teoria dei gruppi di riferimento

491

Indici statistici della struttura sociale

XI.

XII.

p. 507

Teoria dei gruppi di riferimento e mobilità sociale

510

Funzioni psicologiche e sociali

525

Concetti affini alla teoria dei gruppi di riferimento

532

Nuovi sviluppi della teoria dei gruppi di riferimento e della struttura sociale

541

Problematica della teoria dei gruppi di riferimento

542

Concetti fondamentali Determinanti della selezione dei gruppi di riferimmw Comportamento secondo gruppi di riferimento: elementi strutturali

630

Conseguenze del comportamento secondo gruppi di riferimento

707

Modelli di influenza sociale: elementi influenti locali e cosmopoliti

713

Trasformazione di una ricerca applicata in una ricerca teorica

714

Due fasi dell'analisi qualitativa degli individui influenti

717

Tipi di individui influenti: il locale e il cosmopolita

722

Strutture delle relazioni sociali

726

Radici comunitarie Socievolezza: reti di relazioni personali Partecipazione nelle organizzazioni volontarie

542 �4

726 728 730

Vie che conducono all'influenza interpersonale

733

Lo status sociale in azione: l'influenza interpersonale

736

Il comportamento degli delle comunicazioni

743

influenti nell'ambito

Indice

VIII Modelli e funzioni della lettura di periodici Modelli e funzioni della lettura di quotidiani Modelli e funzioni dell'ascolto degli annunciatori delle notizie radiofoniche

p. 744 746 747

Tipi di valutazioni reciproche

748

L'influente e l'influenzato

749

Sfere di influenza: influenza di tipo monomorfo e di tipo polimorfo

755

Appendice: Il concetto provvisorio dell'influenza interpersonale

757

XIII. La profezia che si autoadempie

765

Il teorema di Thomas

765

Una parabola sociologica

766

Opinioni sociali e realtà sociale

769

Virtù del proprio gruppo e vizi del gruppo esterno

773

Funzioni e disfunzioni sociali

780

L'attuazione di mutamenti istituzionali

786

Indice dell'opera

XIII

Premessa

Teoria e struttura sociale è l'opera fondamentale di Ro­ bert K. Merton e una delle più significative della sociologia contemporanea. Essa testimonia pienamente della vastità, della profondità e della varietà di interessi del grande socio­ lago americano. Vi è racchiuso il nucleo - analisi funzionale e teorie di medio raggio - di una prospettiva che ha segnato l'abbandono della «grande teoria» come sistema concettuale onnicomprensivo e universale. Essa rappresenta dunque una decisiva svolta verso una sociologia più critica e pluralista, maggiormente attenta alle contraddizioni e alle incongruenze della realtà empirica, meno univoca, meno rigida e dogmati­ camente ambiziosa. Negli oltre cinquant'anni trascorsi dalla prima edizione del testo l'analisi sociologica ha conosciuto molti sviluppi, ma queste pagine di Merton restano un pun­ to di riferimento da cui è impossibile prescindere. La prima edizione di Social Theory and Social Structure è del 1949. Mentre era in preparazione l'edizione italiana, per i tipi del Mulino, nel 1957 uscì negli Stati Uniti una seconda edizione, notevolmente aumentata, di cui si poté tener conto nella messa a punto della prima edizione italia­ na, pubblicata nell'ottobre del 1959. Esauritasi questa prima edizione, ne usciva una seconda nel 1966, in una nuova traduzione che usufruiva di un più consolidato linguaggio sociologico italiano, ma ancora uguale nella struttura alla seconda edizione americana.

x

Premessa

La terza edizione, uscita negli Stati Uniti nel 1968, ul­ teriormente ampliata, veniva esattamente ripresa nella terza edizione italiana del 1971, in tre volumi, rimasta sostanzial­ mente invariata anche nelle successive riedizioni italiane (sino alla settima del 1983). Nel 1992 veniva proposta, con l'accordo dell'autore, una nuova edizione italiana che riuniva in volume unico le parti prima (Teoria sociologica) e seconda (Studi sulla strut­ tura sociale e culturale) dell'opera. Doppiato il capo del mezzo secolo dalla pubblicazione della prima edizione americana, Teoria e struttura sociale è ora ripresentato dal Mulino nella collana «Biblioteca» nella suddivisione in tre volumi adottata nell'edizione del 1971. Il terzo volume, ora intitolato Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza, accoglie due saggi aggiuntivi (La trasmissione orale della conoscenza e L:«effetto S. Matteo» nella scienza. II) e una nuova introduzione dello stesso Merton. L'opera viene così riproposta al lettore nella sua forma più ampia, articolata e completa, secondo i desideri dall'au­ tore.

Robert K. Merton

Studi sulla struttura sociale e culturale

Introduzione

Questo volume comprende saggi relativi ad una scelta di problemi concernenti la struttura sociale, trattati dal punto di vista dell'analisi funzionale. Il capitolo VI, « Struttura sociale e anomia », venne pubblicato per la prima volta nel 1938, ma è stato amplia­ to e riveduto in seguito. Esso illustra l'orientamento teorico dell'analista funzionale, il quale considera il comportamento socialmente deviante come un prodotto della struttura so­ ciale, tale e quale il comportamento conformista. Codesto orientamento si contrappone nettamente all'erronea pre­ messa, ben radicata nella teoria freudiana e rinvenibile an­ che negli scritti di revisionisti freudiani quali Fromm, che essenzialmente la struttura della società reprime la libera espressione degli impulsi innati nell'uomo, e che, per con­ seguenza, l'uomo periodicamente prorompe in un'aperta ri­ bellione contro questa repressione, per conquistare la liber­ tà. In certi casi, questa libertà presenta aspetti che non go­ dono di buona considerazione da parte dei membri di una società che sono attaccati alle convenzioni, e viene subito tacciata come criminale, patologica o pericolosa socialmen­ te. La filosofia politica che una tale dottrina comporta è, ovviamente, un rozzo anarchismo; un anarchismo benevolo, come nel caso di Fromm, o talora, come nei casi di Freud e di Hobbes, una concezione dell'anarchismo malevolo, per cui si ritiene che l'uomo stringa un patto sociale allo scopo di proteggersi contro questa malevolenza. Sia nell'uno che

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Introduzione

nell'altro caso, la struttura sociale è ritenuta un male neces­ sario, che sorge dapprima per la libera espressione degli impulsi, e da ultimo li reprime. In contrapposizione a codeste dottrine anarchiche, l'analisi funzionale concepisce la struttura sociale come atti­ va e producente motivazioni nuove che non è possibile prevedere in base a quanto si sa circa gli impulsi innati dell'uomo. Se la struttura sociale reprime talune disposizio­ ni ad agire, essa ne crea altre. Perciò, l'approccio funziona­ le abbandona la posizione, sostenuta da varie teorie indivi­ dualistiche, secondo cui il differente grado di comporta­ mento deviante in gruppi e strati sociali diversi è dovuto a variazioni accidentali della proporzione di personalità pato­ logiche rinvenibili in questi gruppi e strati. Esso, viceversa, si ·sforza di determinare in quale modo la struttura sociale e culturale generi una pressione verso il comportamento socialmente deviante, su persone variamente collocate nella struttura stessa. Nel capitolo VI, sulla base di questo orientamento ge­ nerale, si avanzano talune ipotesi specifiche circa l'origine strutturale del comportamento deviante. Un alto grado di allontanamento dai requisiti istituzionali viene considera­ to come un risultato di motivazioni profonde, indotte cul­ turalmente, che non possono essere soddisfatte da parte di quegli strati sociali che hanno scarse opportunità. La cultu­ ra e la struttura sociale operano per fini contrastanti. Facendo riferimento all'allontanamento dai requisiti istituzionali ho cercato di chiarire che talune deviazioni po­ trebbero anche considerarsi come un nuovo modello di comportamento, il quale è possibile che emerga in sotto­ gruppi che si trovano in contrasto rispetto a quei modelli istituzionali che vengono appoggiati da altri gruppi e dalla legge. Non ci si deve limitare a parlare delle «istituzioni» come se fossero tutte quante sostenute, allo stesso modo, da tutti i gruppi e gli strati della società. Se non conside­ riamo in modo sistematico il grado di sostegno che ricevo­ no particolari istituzioni da gruppi specifici, rischieremo di

Introduzione

283

trascurare il posto importante che ha il potere nella socie­ tà. Parlare di «potere legittimo » o di autorità, spesso si­ gnifica usare una frase ellittica ed ingannevole. In una so­ cietà, il potere può essere legittimo per alcuni gruppi senza esserlo per tutti. Perciò, può essere ingannevole descrivere il non-conformismo rispetto a istituzioni sociali particolari semplicemente come un comportamento deviante; esso può rappresentare l'inizio di un modello alternativo nuovo, avente un suo proprio diritto al riconoscimento morale. In questo capitolo, pertanto, mi sono in primo luogo preoccupato di estendere la teoria dell'analisi funzionale alla trattazione dei problemi del cambiamento sociale e cul­ turale. Come ho notato altrove, il grande interesse che so­ ciologi ed antropologi funzionali hanno avuto per il pro­ blema dell'«ordine sociale », e per il « mantenimento » dei sistemi sociali, ha generalmente indirizzato la loro attenzio­ ne scientifica allo studio dei processi in base ai quali un si­ stema sociale viene conservato quasi intatto. In generale, i funzionalisti non hanno fatto molta attenzione ai processi utilizzabili per produrre cambiamenti fondamentali nella struttura sociale. Se l'analisi svolta nel capitolo VI non fa progredire, materialmente, verso una soluzione del proble­ ma, quanto meno essa ne riconosce l'importanza. Essa è orientata verso i problemi della dinamica e del cambiamen­ to sociale. Nella teoria funzionale, il concetto che fa da ponte tra statica e dinamica, è quello di sforzo, tensione, contraddi­ zione o discrepanza tra gli elementi componenti una strut­ tura sociale e culturale. Codesta tensione può essere di­ sfunzionale rispetto alla forma in cui il sistema esiste; essa però può anche essere un mezzo per produrre cambiamen­ ti nel sistema. In ogni caso, essa esercita una pressione ver­ so un cambiamento. Quando i meccanismi sociali che han­ no il compito di controllarla operano efficacemente, code­ sta tensione è contenuta in modo da limitare il cambiamen­ to della struttura sociale. (In alcuni sistemi di teoria e ideo­ logia politica, il funzionamento di questi meccanismi di

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Introduzione

controllo è chiamato «concessione » o « compromesso », raffrenante il processo verso un cambiamento strutturale di fondo). Tutto ciò non significa, naturalmente, che codeste ten­ sioni siano esse sole a produrre cambiamenti nella struttura sociale, ma esse teoricamente rappresentano una fonte di cambiamenti che ha la massima importanza, e che deve tuttora essere fatta oggetto di ricerche sociologiche suffi­ cientemente ponderose e cumulative. Tra i problemi che ri­ chiedono ulteriori ricerche vi sono i seguenti: la misura in cui americani appartenenti a strati sociali diversi hanno di fatto assimilato le stesse mete e valori 1 culturalmente in­ dotti; il modo di operare di meccanismi sociali come la dif­ ferenziazione sociale, che minimizzano la tensione risultante da apparenti contraddizioni quali quella fra mete culturali e ristretta accessibilità sociale a queste mete; il modo di operare di meccanismi psicologici grazie ai quali viene resa tollerabile la discrepanza tra le aspirazioni culturalmente indotte e la effettiva possibilità di soddisfarle socialmente; il significato funzionale che riveste per la stabilità di un si­ stema sociale il fatto che diverse occupazioni forniscono ri­ compense particolari di tipo non pecuniario, per cui forse contemperano tensioni che sarebbero altrimenti intollerabi­ li; la misura in cui codeste tensioni esercitano una pressio­ ne per un cambiamento della cultura (sostituendo al­ l'« ambizione » come un valore primario, la «sicurezza ») e della struttura sociale (modificando le regole del gioco per allargare l'area di opportunità economiche e politiche a co­ loro che in precedenza ne erano defraudati). Dopo la prima edizione di questo libro, taluni di questi problemi sono stati fatti oggetto di studi sistematici. Per mettere in evidenza l'importanza essenziale della continuità, l Un passo in questa direzione è stato compiuto da Herbert H. Hy· man, The Value System o/ Dif/erent Classes, in « Class, Status and Power: A Reader in Social Stratification », a cura di Rheinard Bendix e Seymour Martin Lipset, Glencoe, The Free Press, 1953, pp. 426-442.

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nella ricerca e nelle concezioni, per lo sviluppo di una di­ sciplina come la sociologia, ho esaminato abbastanza este­ samente questi studi in un capitolo di nuova stesura (il VII), anziché incorporare i risultati in una revisione del saggio originale. A questo modo, credo si possa dare il giu­ sto rilievo all'importanza della continuità teorica ed empiri­ ca nelle indagini, la quale estende, modifica e corregge le formulazioni originarie, e costituisce perciò il contrassegno dell'indagine sistematica. Come per l'analisi del comportamento deviante svolta nei capitoli VI e VII, la teoria funzionale viene utilizzata nell'analisi dei rapporti fra struttura burocratica e persona­ lità nel capitolo VIII. Una volta di più, assumo che la struttura sociale spinge gli individui, che in essa si trovano collocati in vario modo, a sviluppare preferenze culturali, modelli di comportamento sociale e tendenze psicologiche. E un'altra volta ancora, assumo che ciò vale sia per le de­ viazioni e le disfunzioni sociali, sia per il conformismo e le funzioni sociali. Le deviazioni non sono necessariamente disfunzionali per un sistema sociale, come s'è visto; non più che il conformismo sia necessariamente funzionale. Dall'analisi funzionale della struttura burocratica appare chiaro che, in determinate condizioni, la conformità ai rego­ lamenti può essere disfunzionale, sia riguardo alla realizza­ zione degli scopi della struttura, sia per i vari gruppi cui, in una società, la burocrazia dovrebbe servire. In tale caso, i regolamenti vengono applicati anche quando le circostanze che inizialmente li rendevano funzionali ed efficaci sono ma­ terialmente cambiate, al punto che la conformità alla norma manda a vuoto le ragioni per cui essa era stata proposta. Anche solo alla luce della distinzione biblica tra lettera e spirito quest'osservazione appare essere tutt'altro che nuova. Da secoli, molti hanno osservato che le norme, una volta santificate dai valori culturali, continuano spesso ad essere vincolanti, anche quando il mutare delle condizioni le ha rese obsolete. In effetti, è questa un'altra di quelle osserva­ zioni vecchie e ripetute, che sono divenute così familiari e

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così trite che codesta loro familiarità è stata a torto scambia­ ta per piena comprensibilità. Con il risultato che le numero­ se implicazioni sociologiche di quest'importante luogo comu­ ne non sono ancora state studiate in modo serio, vale a dire, con sistematicità e competenza tecnica. In che modo viene a prodursi codesta mancanza di flessibilità dell'organizzazione burocratica? È a causa del fatto che i regolamenti si sono troppo radicati fra il personale burocratico e che i regola­ menti si sono imbevuti di significato affettivo e sentimentale, che essi restano graniticamente in piedi e si mostrano ineso­ rabili anche quando non sono più appropriati alla loro fun­ zione? Dovere, onore, lealtà, correttezza - sono questi alcu­ ni pochi tra gli eulogismi che descrivono in modo ostentato la conformità a certe norme sociali. Sono codeste norme di­ venute assolutizzate e quindi divenute più resistenti al cam­ biamento che non le norme che si ritengono avere un carat­ tere del tutto strumentale? È di questioni come queste che tratterà il capitolo VIII. In tale capitolo, le disfunzioni burocratiche vengono considerate come derivanti non solo da un adattamento ri­ stretto e statico a un insieme di condizioni che non si veri­ ficano più, ma anche dalla rottura di meccanismi sociali che ordinariamente si auto-regolano (ad esempio, l'orienta­ mento ad una carriera regolare, da parte dei funzionari bu­ rocratici, può dopo un certo tempo portare ad una eccessi­ va cautela, e non solo ad una stima della conformità ai re­ golamenti che sia la più efficace dal punto di vista tecni­ co). In considerazione dell'interesse per i meccanismi di auto-regolazione nei sistemi sociali - omeostasi sociale, equilibrio sociale, meccanismi di feed-back, ecco alcuni tra i vari termini che manifestano quest'interesse -, c'è un gran bisogno di studiare empiricamente in quali condizioni tali meccanismi, una volta identificati, cessano di essere auto­ regolativi e diventano disfunzionali per il sistema sociale. Come ha illustrato, da ultimo, lo studio di Philip Selznick, TVA and the Grass Roots, codesto problema teorico può venire studiato nel modo migliore nella burocrazia, in

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quanto in essa le interconnessioni tra struttura e meccani­ smi sono più facilmente osservabili che non in sistemi so­ ciali meno organizzati. Allo stesso modo che l'ottavo capitolo è dedicato all'in­ cidenza della struttura burocratica sullo sviluppo della per­ sonalità professionale, così il capitolo IX è dedicato ai ri­ schi, alle limitazioni, alle possibilità che l'esperto in scienze sociali ha in una burocrazia pubblica. Entrambi i capitoli studiano, da un lato, problemi strutturali della burocrazia in generale, e dall'altro, problemi di sociologia delle profes­ sioni. Appare chiaro che entrambi questi argomenti richie­ dono molte più ricerche empiriche cumulative di quante non vi siano state dedicate. Gli studi sociologici sulla burocrazia sono chiaramente necessari per fornire un più ampio e solido fondamento alla comprensione sia delle amministrazioni pubbliche che delle amministrazioni private. Sino ad ora le discussioni so­ ciologiche hanno avuto la tendenza ad essere speculative, vuote ed astratte, oppure, se documentate concretamente, in genere sono state del tutto impressionistiche. Codesta grossa lacuna è stata rilevata tardivamente, e, di conseguen­ za, il Dipartimento di sociologia della Columbia University ha dato inizio ad una serie di monografie empiriche sui problemi sociologici della burocrazia, alcune delle quali col contributo di borse di studio messe a disposizione del So­ eia! Science Research Council. Lo studio di Selznick (1949), citato precedentemente, è centrato su un'analisi delle conseguenze inaspettate che l'azione organizzata ha rispetto alle finalità della burocrazia; l'opera di Seymour Martin Lipset, Agrarian Socialism (1950) esamina l'intera­ zione tra personale burocratico e policy makers; due mano­ grafie di Alwin W. Gouldner - Patterns o/ Industria! Bure­ aucracy (1954) e Wildcat Strike ( 1954) - individuano le funzioni e le disfunzioni, latenti e manifeste, delle norme burocratiche in una fabbrica; e The Dynamics o/ Bureau­ cracy (1955) di Peter M. Blau, analizza le condizioni in cui si sono prodotti cambiamenti nella struttura di due buro-

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crazie governative. Ancora inedito è lo studio di Donald D. Stewart sugli uffici di reclutamento locali (1950), il quale esamina il ruolo della partecipazione volontaria in una or­ ganizzazione burocratica. Nell'insieme, questi studi forni­ scono dati d'osservazione sul funzionamento della burocra­ zia, quali non è possibile ottenere soltanto da fonti docu­ mentarie, e cominciano a chiarire alcuni dei punti principa­ li" nello studio della burocrazia 2• L'altro grande tema di analisi che viene affrontato nel capitolo nono, è l'analisi sociologica delle professioni, in questo caso la professione di esperto in scienze sociali. Qui la necessità di ricerche cumulative è anche più evidente. Negli ultimi trent'anni, si è avuta una frammentazione di studi diversi sulle professioni - riferimenti a una selezione di essi si troveranno nelle note in calce a diversi capitoli di quest'opera. (Tra di essi, la serie di volumi sulle professioni 2 Altri materiali circa la struttura ed il funzionamento della burocra­ zia sono riuniti in due raccolte di saggi: Reader in Bureaucracy, a cura di R. K. Merton, A. P. Gray, B. Hockey e H. C. Selvin, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1952; e Robert Dubin, Human Relations in Administra­ tion, New York, Prentice-Hall, Inc., 1951. Un'eccellente guida alla lettura ed alla ricerca sulla struttura burocratica è fornita da Harold L. Wilen­ sky, Syllabus o/ Industria! Relations, Chicago, The University of Chicago Press, 1954; ed una rassegna di recenti sviluppi teorici da Peter M. Blau, Bureaucracy in Modern Society, New York, Random House, 1956, trad. it., !{orna, Armando, 1965. E apparso di recente uno studio sulla burocrazia, condotto indipen­ dentemente ma che gli autori stessi presentano come quasi del tutto pa­ rallelo agli studi di Gouldner e Blau, e che giunge spesso alle stesse con­ clusioni. Roy G. Francis e Robert C. Stone, Service and Procedure in Bu­ reaucracy, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1956. Come osser­ vano gli autori (p. V): «Queste convergenze di ricerca sono particolar­ mente interessanti, perché le due iniziative di studio sono state condotte del tutto indipendentemente. Sembra quindi che la teoria della burocra­ zia abbia fatto emergere problemi comuni ed abbia spinto ad indagini empiriche identiche>>. In effetti, le ricerche condotte alla Columbia e co­ desta ricerca su Tulane pervengono a conclusioni simili, e forse non è lontano il giorno in cui la forza teorica di queste conclusioni potrà essere concentrata in modo univoco. Pur senza poter ancora dimostrarlo, si può qui asserire che codesti studi contribuiscono ad un ampliamento e ad una precisazione della teoria sociologica sulla burocrazia, e non sono sol­ tanto raschiature di teorie precedenti.

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Introduzione

e semi-professioni, di Ester Brown, è stata, da un punto di vista pratico, la più utile). Però sino a poco tempo addie­ tro codesti studi, in genere, non si fondavano su un corpo consistente di teorie. Per quanto siano interessanti o utili, essi di conseguenza hanno fatto ben poco per l'avanzamen­ to della teoria sociologica e la sua applicazione a questo importante settore dell'attività umana. Ed è certo che, secondo i criteri più diversi e tra i gruppi più diversi, le professioni sono grandemente ricono­ sciute come un nucleo importante dell'organizzazione della società. La maggior parte delle ore di veglia di quasi tutti gli uomini è dedicata alle attività professionali; il sostegno economico per la sopravvivenza dei gruppi è costituito dal frutto comune che deriva dalla connessione sociale delle occupazioni; le aspirazioni personali, gli interessi ed i senti­ menti degli uomini, sono in gran parte organizzati in base alla prospettiva professionale che hanno e ne portano il marchio. Così noi sappiamo, in maniera generica, e solo talvolta in base a studi attendibili, che persone aventi occu­ pazioni diverse tendono ad avere parti diverse nella società, ad avere differenti porzioni di potere, sia esso riconosciuto o non riconosciuto, ed a vedere il mondo in modo diverso. Tutto ciò è ben capito, ma poco approfondito. Così, Wil­ liam Auden nel tentativo di trasformare poeticamente idee che sono comuni ha compreso che la possibilità di pro­ spettive professionalmente condizionate rimanda a questio­ ni di sociologia della conoscenza: Malinowski, Rivers, Benedict ed altri Mostrano come la cultura comune Modelli le vite separate; Progenie di ascendenza materna Uccidono delle madri i fratelli Nel sogno; e poi volgono le loro Sorelle in mogli Chi quando leva lo sguardo Sui volti nella sotterranea,

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Introduzione Ognuno con la sua unicità, Non chiederebbe, se osasse, Quali forme esattamente Accordate alla loro debolezza Amore e disperazione Prendon quivi a governare; Non amerebbe conoscere quale Influenza la professione Abbia sull'umana visione Dell'umano destino: Fanno gli impiegati per esempio Del casellario una creazione, Vedono i mediatori la Ding-an­ -sich come Beni Immobili? Quando un politico Sogna della sua amata Moltiplica egli il suo Viso in una folla, Sono le sue risposte Tutte-o-no reazioni, Cerca egli di comprarla Ed è il bacio sonoro?

Forse è vero ciò che il poeta canta, forse no. In ogni modo, è certo degno di una indagine. In parte a causa dei risultati del tutto preliminari di discussioni come quelle dei capitoli settimo e ottavo, mi sono convinto del valore po­ tenziale di una serie di studi empirici che sia sistematica e, soprattutto, cumulativa, sulle occupazioni e sulle professio­ ni; studi basati su un corpo di teorie sociologiche, e tali da potere a loro volta ampliarlo. Già i primi passi verso que­ sto programma di solide ricerche si sociologia delle profes­ sioni sono stati fatti. Certamente, in questo settore ampio e significativo di indagine sociologica 3, si può supporre che ciò che si è fatto sia soltanto un prologo. 3 William G. Goode, Robert K. Merton e Mary Jean Huntington, The Pro/essions in American Society: A Sociological Ana!ysis and Casebook è un ampio esame della materia, e presenta uno schema teorico per ricer­ che ulteriori.

Introduzione

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I capitoli X e XI, scritti entrambi dopo la prima edizio­ ne di questo libro, sono tentativi di utilizzare l'analisi funzio­ nale per lo studio di una importante componente della strut­ tura sociale: il gruppo di riferimento. Scritto in collaborazio­ ne con Alice S. Rossi, il capitolo X esamina ed organizza i contributi di The American Soldier alla teoria del comporta­ mento secondo gruppi di riferimento, e li ricollega a conce­ zioni affini, formulate in precedenza. In questo capitolo, i gruppi di riferimento non sono considerati soltanto dal pun­ to di vista della psicologia sociale, ma anche dal punto di vi­ sta del loro modellarsi ad opera della struttura sociale in cui emergono. Continuazioni, più o meno recenti, della teoria dei gruppi di riferimento sono delineate nel capitolo XI, pubblicato ora per la prima volta. Esso è volto alla chiarifi­ cazione di alcuni concetti fondamentali della teoria alla luce della recente ricerca, ad all'elaborazione della sua problemati­ ca, cioè dei principali problemi (concettuali, sostantivi e pro­ cedurali) che debbono essere risolti allo scopo di far progre­ dire codesta teoria di medio raggio. Il capitolo XII introduce il concetto di «persona in­ fluente »; identifica e caratterizza due tipi di persone in­ fluenti - locale e cosmopolita - ed esamina il loro mo­ dello di comportamento rispetto alla struttura dell'influenza di una comunità. Si osserva che il grado di influenza che gli individui esercitano su altri non è interamente determi­ nato dalla loro posizione sociale di classe, e che perciò un gran numero di persone influenti può essere rinvenuto in ogni strato della struttura di classi. Quanto a questo, lo studio riportato nel dodicesimo capitolo fa parte di una tradizione di ricerca sociologica in sviluppo, circa l'eserci­ zio dell'influenza nella comunità locale 4•

4 Per un esame circostanziato delle origini e dello sviluppo continua­ tivo di questo filone d'indagine sociologica, vedasi Elihu Katz e P. F. La­ zarsfeld, Personal In/luence, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1955, trad. it., !;influenza personale nelle comunicazioni di massa, Torino, ERI, 1968, Introduzione e Parte l •.

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Introduzione

Sebbene il capitolo XIII ongmariamente sia stato scrit­ to per un pubblico non specializzato, l'ho incluso in questo volume perché tratta di una materia assai trascurata dal­ l'analisi funzionale in sociologia, lo studio di meccanismi sociali dinamici. Il lettore noterà che il meccanismo della credenza so­ ciale autoadempientesi, per la quale un errore che ispira fi­ ducia genera da sé la propria conferma, è teoricamente in stretta connessione col concetto di funzione latente. En­ trambi rappresentano un tipo di conseguenza imprevista dell'azione, della decisione o della credenza, l'uno produ­ cendo proprio quella circostanza che si riteneva erronea­ mente esistesse; l'altro producendo risultati cui non si mi­ rava affatto. Entrambi questi meccanismi, che, implicita­ mente, avevo già preso in considerazione in un mio saggio precedente sulle «conseguenze impreviste dell'azione socia­ le secondo lo scopo » rappresentano un altro caso ancora di modelli sociologici che vengono spesso rilevati ma poco studiati. (Affatto il contrario, per quel che concerne il caso suddetto, avviene in psicologia, ove si è fatta molta atten­ zione e si è studiato in modo cumulativo il modello della credenza autoadempientesi come tipo di circolo vizioso psi­ cologico). Un terzo modello di conseguenza imprevista, quello della credenza che si autodistrugge, viene brevemente toc­ cato e non viene sviluppato con sufficiente ampiezza, sem­ pre in questo capitolo. Codesto meccanismo, che John Venn, logico del XIX secolo, ha pittorescamente definito la « profezia suicida », riguarda le credenze che impediscono proprio l'attuarsi di quella circostanza che si sarebbe altri­ menti verificata. Gli esempi sono numerosi e ben noti. Confidando di vincere una gara, una guerra o un premio ambito, certi gruppi sono portati al compiacimento, il com­ piacimento porta all'inerzia, e l'inerzia ad un'eventuale sconfitta. Il modello della credenza suicida è stato già da tempo notato e tenuto in considerazione da molti, special­ mente da persone esperte nella trattazione degli affari pub-

Introduzione

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blici. Lincoln, per esempio, conosceva assai bene questo modello. Nei giorni oscuri del 1862, quando McClellan era bloccato e le truppe nordiste immobilizzate, Lincoln non emanò un pubblico proclama per ottenere le migliaia di nuovi sodati di cui v'era un bisogno disperato, spiegando: « Farei un pubblico appello al paese per queste nuove for­ ze, se non temessi che ne seguirebbe un panico generale ed una fuga disordinata; tanto difficile è il capire le cose così come realmente stanno ». Dal punto di vista della ricerca, però, l'indagine circa questi specifici e importanti meccanismi è appena iniziata. Per ognuno di essi si sono identificati numerosi esempi, i quali sono stati usati incidentalmente a scopo illustrativo (come abbiamo fatto qui), ma poche sono le ricerche fatte allo scopo di scavare oltre la superficie. Ancora una volta, come in queste pagine ho ripetutamente osservato, la tipica inclinazione umana a diffidare della banalità ci porta ad ignorare le verità talvolta importanti che tale banalità na­ sconde. Il modello della credenza che si autodistrugge è per noi così familiare quasi quanto lo erano le oscillazioni del pendolo per i contemporanei di Galileo. E siccome è familiare, viene coscienziosamente trascurato, e non è siste­ maticamente studiato nelle sue implicazioni. Per conse­ guenza, esso rimane un'osservazione empirica staccata, una cosa aliena, tagliata fuori da un corpo di teorie sociologi­ che convalidate empiricamente. Abbiamo dunque qui un altro filone di ricerca relativa­ mente ai processi fondamentali della dinamica e del cam­ biamento sociale, consistente nella determinazione delle condizioni in base alle quali vengono a manifestarsi i tre tipi di conseguenze perlopiù impreviste: la credenza (previ­ sione, profezia) autoadempientesi, la credenza che si auto­ distrugge, o credenza suicida, e la funzione latente, o im­ previsto sociale. Per lo scienziato sociale, la previsione autoadempientesi e la previsione suicida hanno un duplice interesse. Esse non solo rappresentano modelli del comportamento altrui

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Introduzione

che egli vorrebbe studiare, ma sono anche modelli che fan­ no nascere problemi metodologici acuti e del tutto partico­ lari, per la ricerca stessa. Ciò rende assai difficile sottopor­ re a prova empirica le previsioni della .scienza sociale. In­ fatti, dal momento che le previsioni suddette possono veni­ re a conoscenza delle persone a cui propriamente si riferi­ scano, lo scienziato sociale si trova in continuazione di fronte alla possibilità che la previsione da lui fatta si inseri­ sca nella situazione come un fattore nuovo e dinamico, il quale modifichi per l'appunto quelle condizioni in base alle quali la previsione era inizialmente valida. È questa delle previsioni una caratteristica peculiare alle cose umane. Tale caratteristica non è rinvenibile nelle previsioni concernenti il mondo naturale (se non nella misura in cui i fenomeni naturali vengono modellati dagli uomini con la tecnolo­ gia) 5. Per quanto se ne sa, non è mai accaduto sinora che quando il meteorologo abbia previsto piogge persistenti, si sia avuta, al contrario, siccità. Però una previsione a lunga data, fatta da un esperto in economia al servizio del gover­ no, circa la sovrapproduzione di frumento, può spingere i

5 Che la precisione contenuta nella parentesi sia necessaria è mostrato da Adolf Griinbaum, il quale osserva: .

Prima di cedere alla sua sedu­ zione, interrogate questi uomini:

Enunciazione chiara della fun­ zione che viene assegnata alla seguente lista di « successi ». Questi uomini sono testimonian­ ze viventi del fatto che la strut­ tura sociale è tale da permettere che queste aspirazioni siano rag­ giunte, ove se ne sia meritevoli. Per conseguenza, l'insuccesso nel raggiungere queste mete prova soltanto la propria inferiorità personale. L'aggressività che l'in­ successo produce, dovrebbe per­ tanto essere indirizzata verso l'interno e non verso l'esterno, verso se stessi e non verso la struttura sociale, la quale forni­ sce libero ed eguale accesso alle opportunità.

Elmer R . Jones, presidente del­ la Wells-Fargo and Co., che co­ minciò la sua vita come ragazzo povero e lasciò la scuola alla quinta classe, per il suo primo lavoro.

l" prototipo del successo: tuttt possono g i u s t a m e n t e avere le stesse ambizioni elevate, perché per quanto basso sia il punto di partenza, il vero talento può ar­ rivare fin sulla vetta. Le aspira­ zioni debbono essere mantenute intatte.

Frank C. Bali, il re americano della frutta in scatola Mason, che si recò da Buffalo a Muncie, nell'Indiana, in un carrettino, solo col cavallo di suo fratello

2" prototipo del successo : qua· lunque sia il risultato attuale dei propri sforzi, il futuro è largo di promesse; infatti, l'uomo co­ mune può anche diventare un

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DocUMENTO

IMPLICAZIONI SOCIOLOGICHE

George, per cominciare una pic­ cola attività che diventò la più importante del ramo.

re. Può sembrare che le gratifi­ cazioni siano rimandate a tempo indefinito, ma alla fine verranno r e a l i z z a te quando la propria azienda sarà diventata « la più importante del ramo » .

J. L. Bevan, presidente della Il­ linois Centrai Railroad, che a dodici anni faceva il fattorino all'ufficio di trasporti di New Orleans.

3• prototipo del successo: se le tendenze della nostra economia sembrano lasciare poco spazio alle piccole imprese, allora un individuo può salire all'interno delle gigantesche burocrazie del­ l'iniziativa privata. Se un indi­ viduo non potrà essere re in un reame di sua creazione, può al­ meno diventare presidente in una delle democrazie economi­ che. Non ha importanza la si­ tuazione in cui ci si trova pre­ sentemente, fattorino o impie­ gato, ma il proprio sguardo de­ v'essere fisso alla cima.

Da varie fonti sgorga un continuo incitamento ad avere un'alta ambizione. La letteratura esortativa è immensa, e si può scegliere solo a rischio di sembrare ingiusti. Si conside­ rino solo questi esempi: il reverendo Russel H. Conwell, con il suo discorso Acres of Diamonds, ascoltato e letto da centinaia di migliaia di persone, ed il suo libro successivo, The New Day, o Fresh Opportunities: A Book for Young Men; Elbert Hubbard, che pronunciò il famoso Message to Garcia nelle piazze di Chautauqua per tutto il paese; Ori­ san Swett Marden, che in una serie di libri rese pubblico dapprima « Il segreto del successo », lodato dai presidi dei colleges, poi spiegò il metodo per « andare in prima linea », elogiato dal presidente McKinley, e finalmente, nonostante questi attestati democratici, delineò la strada per fare di « Ogni uomo un re » . Il simbolismo dell'uomo comune che si eleva allo stato della sovranità economica, è profon­ damente radicato nel tessuto culturale americano, e trova

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Studi sulla struttura sociale e culturale

quella che è forse la sua espressione definitiva nelle parole di un uomo che sapeva di che cosa stesse parlando, Andrew Carnegie : « Sii un re nei tuoi sogni. Di' a te stesso : il mio posto è in cima » 11• A quest'accentuazione positiva dell'obbligo di tener fede a mete ambiziose, si accoppia una accentuazione della condanna di coloro che rinunciano alle loro ambizioni. Gli americani sono ammoniti : « non essere un disertore », per­ ché nel dizionario della cultura americana come nel lessico della gioventu «non esiste una parola come " insuccesso " ». Il manifesto culturale è chiaro ; non si deve rinunciare, non si deve smettere di lottare, non si debbono volere mete mi­ nime; « non l'insuccesso, ma le aspirazioni meschine sono un delitto ». A questo modo, la cultura impone l'accettazione di tre assiomi culturali : primo, tutti dovrebbero tendere alle stes­ se mete ambiziose, dal momento che esse sono aperte a tutti; secondo, l'apparente insuccesso del momento è solo una tappa intermedia verso il successo finale; e, terzo, il vero insuccesso consiste nell'abbassare le proprie ambizioni e nel rinunciarvi. Parafrasandoli, all'ingrosso, in termini psicologici, que­ sti assiomi rappresentano: primo, un rafforzamento simbo­ lico complementare all'incentivo; secondo, l'associazione di uno stimolo, grazie al quale viene resa minore la possibilità che vengano a mancare reazioni; terzo, un incremento del­ l'intensità del motivo nell'evocare reazioni continue nono­ stante la continua assenza di ricompense. Stando alla parafrasi sociologica, questi assiomi signifi­ cano: primo, che coloro i quali nella società si trovano in una posizione tale da non avere pieno ed eguale accesso alle opportunità, sono distolti dal criticare la struttura so­ ciale ed invitati a rivolgere la critica a se stessi; secondo, che una data struttura di potere sociale viene preservata 11 Cfr. A. W Griswold, The American Cult of Success, Tesi di dot­ torato, Yale University, 1933; R. O. Carlson, Personality Schools: A Sociological Analysis, Tesi di laurea, Columbia University, 1948.

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per il fatto che coloro i quali si trovano negli strati infe­ riori si identificano non con i loro pari, ma con coloro che stanno in cima ( ai quali essi finiranno per unirsi); e, terzo, che si esercitano pressioni per una conformità all'ingiun­ zione culturale di non allentare le ambizioni, grazie alla minaccia che coloro i quali non si conformeranno, non avranno piu un pieno diritto ad essere considerati membri della società. È in questi termini, ed attraverso questi processi che la cultura americana contemporanea continua ad essere ca­ ratterizzata dalla forte importanza attribuita alla ricchezza come simbolo fondamentale di successo, senza che si attri­ buisca una importanza corrispondente alle vie legittime da percorrere verso questa meta. Come reagiscono gli indivi­ dui che vivono in questo contesto culturale ? E quale rap­ porto hanno le nostre osservazioni rispetto alla dottrina se­ condo la quale il comportamento deviante deriva di norma da impulsi biologici i quali rompono la repressione che viene imposta dalla cultura ? In breve, quali sono le conse­ guenze che una cultura, in cui l'importanza attribuita alle mete dominanti di successo è venuta sempre piu separan­ dosi dall'importanza attribuita ai procedimenti istituziona­ lizzati per il perseguimento di queste mete, ha rispetto al comportamento di persone aventi diversa collocazione nella struttura sociale? TIPI DI ADATTAMENTO INDIVIDUALE

Lasciando questi modelli culturali, passiamo ora ad esa­ minare i tipi di adattamento degli individui rispetto al­ l'orientamento culturale della società. Per quanto al centro del nostro interesse rimanga la genesi culturale e sociale di gradi e tipi diversi di comportamento deviante, la nostra prospettiva si sposta dal piano dei modelli di valori cultu­ rali, al piano dei tipi di adattamento a questi valori da parte di persone aventi differenti posizioni nella struttura sociale. Considereremo qui cinque tipi di adattamento, i quali

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vengono schematicamente esposti nella tavola seguente, in cui ( + ) significa « accettazione », ( ) significa « rifiuto », e ( ± ) significa « rifiuto dei valori dominanti e sostituzione di nuovi valori » . -

UNA TIPOLOGIA DEI MODI D I ADATTAMENTO INDIVIDUALE

Modi di adattamento I. II. III. IV. V.

Conformità Innovazione Ritualismo Rinuncia Ribellione 13

Mete culturali

Mezzi istituzionalizzati

+ +

+

12

+

±

±

12 Le tipologie dei modi alternativi di reagire a condizioni frustranti non mancano. Una è fornita da Freud, nel suo Civilization and Its Discon· tents, cit., pp. 30 ss.; da essa discendono altre tipologie, che sovente ne differiscono in dettagli fondamentali: Karen Horney, Neurotic Persona· lity of Our Time, New York, 1937; S. Rosenzweig, The Experimental Measurement of Types of Reaction to Frustration, in « Explorations in Personality », a cura di H. A. Murray e al., New York, 1938, pp. 585599; e l'opera di John Dollard, Harold Lasswell, Abram Kardiner, Erich Fromm. Ma queste tipologie, specie quelle di rigorosa osservanza freudiana, sono costruite entro la prospettiva dei tipi di reazioni indivi­ duali, prescindendo del tutto dalla collocazione degli individui nella strut­ tura sociale. Nonostante la sua preoccupazione per la « cultura », ad esempio, la Horney non indaga circa le differenze di influenza che la cultura ha per il contadino, per l'operaio e l'uomo d'affari, per individui delle classi inferiori, medie o superiori, per appartenenti a gruppi etnici e razziali differenti, ecc. Il risultato è che non viene individuata la diver­ sità dell'influenza che le hanno rispetto a gruppi aventi una collocazione diversa. La cultura diventa una specie di coperta che copre ugualmente tutti i membri della società, prescindendo dalle differenze peculiari alla storia della loro esistenza. Uno dei presup­ posti fondamentali della nostra tipologia è che codeste reazioni si veri­ ficano in modo diverso all'interno dei vari sottogruppi della società, pre­ cisamente perché i membri di questi gruppi o di questi strati sono diver­ samente soggetti agli stimoli culturali ed alle repressioni sociali. Questo indirizzo sociologico si troverà negli scritti di Dollard, e in forma meno sistematica, anche nelle opere di Fromm, Kardiner, Lasswell. Sulla que­ stione in generale, si veda la nota 3 del presente capitolo. 13 Questa quinta alternativa si pone chiaramente su un piano diverso dalle altre. Essa rappresenta una reazione transitoria avente lo scopo di

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Un esame del modo in cui la struttura sociale opera ad esercitare pressioni sugli individui verso l'uno o l'altro di questi modi alternativi di comportamento , dev'essere pre­ ceduto dall'osservazione che le persone possono spostarsi da un'alternativa all'altra nella misura in cui esse si impe­ gnano in sfere diverse delle attività sociali. Queste cate­ gorie si riferiscono non alla personalità, ma al comporta­ mento di ruolo in situazioni specifiche. Si tratta di tipi di reazione piu o meno persistenti, non di tipi di organizza­ zione della personalità. Il considerare questi tipi di adatta­ mento relativamente a piu sfere della condotta, porterebbe ad una complessità che è incompatibile rispetto ai limiti di questo capitolo. Per tale ragione, ci occuperemo in primo luogo dell'attività economica, nel senso lato di « produzio­ ne, scambio, distribuzione e consumo di merci e di servi­ zi », nella nostra società competitiva, in cui la ricchezza ha assunto un carattere altamente simbolico. I.

CONFORMITA

Nella misura in cui una società è stabile, l'adattamento del I tipo - conformità sia alle mete culturali che ai mezzi istituzionalizzati è il piu comune e il piu larga­ mente diffuso. Se cosi non fosse, la stabilità e la continuità di una società non potrebbero essere mantenute. La rete di aspettative in cui consiste qualsiasi ordine sociale, è so­ stenuta dal comportamento modale dei suoi membri, com­ portamento che rappresenta la conformità a modelli cultu­ rali prestabiliti pur se soggetti, forse, a modifìcazioni nel corso dei secoli. Di fatto, è solo quando il comportamento è in genere orientato verso i valori fondamentali della so­ cietà che noi possiamo parlare di un aggregato umano come di una società. Se non vi fosse un fondo di valori condivisi -

istituzionalizzare nuove mete e nuovi procedimenti che possano essere condivisi da altri membri della società. Essa perciò va riferita ai tenta­ tivi di cambiare la struttura sociale e culturale presente, anziché ai ten­ tativi di adattamento che sono interni a questa struttura.

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dagli individui che entrano in interazione, vi sarebbero relazioni sociali - posto che l'interazione disordinata pos­ sa chiamarsi a questo modo - ma non vi sarebbe una so­ cietà. È perciò che, alla metà del secolo, pensiamo a una Società delle Nazioni principalmente come ad un'immagine retorica o ad un obiettivo immaginato, ma non come ad una realtà sociologica. Dal momento che il nostro interesse primario verte sul­ le fonti del comportamento deviante, e dal momento che abbiamo brevemente esaminato i meccanismi che produco­ no conformità o reazioni modali nella società americana, non v'è piu molto da dire, a questo punto, circa il tipo di adattamento della conformità. II.

INNOVAZIONE

Data la grande importanza culturale attribuita alla meta del successo, questo modo di adattamento si verifica attra­ verso l'uso di mezzi istituzionalmente proibiti ma che sono spesso efficaci per il raggiungimento almeno di un simula­ cro di successo - ricchezza e potere. Codesta reazione si verifica quando l'individuo ha assimilato l'importanza cul­ turale della meta, senza aver assimilato in pari tempo le norme istituzionali che regolano le vie ed i mezzi del suo raggiungimento. Da un punto di vista psicologico, ci si può aspettare che una forte adesione emotiva ad un obiettivo produca pro­ pensione ad assumere rischi, un atteggiamento, questo, che può essere adottato da persone appartenenti a tutti gli stra­ ti sociali. Da un punto di vista sociologico, il problema con­ siste nel sapere quali elementi della nostra struttura sociale predispongano a questo tipo di adattamento, producendo cosi una maggior frequenza di comportamenti devianti in uno strato sociale piuttosto che in un altro. Ai piu alti livelli economici, la pressione verso l'innova­ zione cancella non di rado ogni distinzione tra una competi­ zione commerciale che si svolga entro limiti permessi dal

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costume, e le pratiche truffaldine che vanno oltre ai limiti del costume. Come ha osservato Veblen : « Non è facile, in tutte le circostanze - ed è invero impossibile, a volte, sin­ ché il tribunale non si è pronunciato - stabilire se si tratti di un caso di attività commerciale degna di lode o di un reato perseguibile penalmente ». La storia delle grandi for­ tune americane è intessuta di sforzi per realizzare innova­ zioni che, dal punto di vista istituzionale, sono almeno dub­ bie, come provano i non pochi tributi ai « Baroni Ladri ». La riluttante ammirazione espressa perlopiu privatamente ma spesso anche pubblicamente, per questi uomini « astuti, abili ed arrivati », è il prodotto di una struttura culturale in base alla quale la santità della meta rende santi anche i mezzi . Codesto non è certo un fenomeno nuovo. Senza pre­ sumere che Charles Dickens fosse un osservatore partico­ larmente rigoroso della vita americana, e pur sapendo che egli era tutt'altro che imparziale, citiamo le sue acute os­ servazioni a proposito del fatto che gli americani : amano l'agire >.

35 Codesta ipotesi attende ancora una verifica empirica. Alcuni passi verso questa direzione sono stati fatti, per mezzo di esperimenti relativi al « livello di aspirazioni )), i quali hanno studiato il formarsi di mete e le modificazioni che esse subiscono nel corso di una attività specifica, ricostruita sperimentalmente. Il trarre deduzioni da una situazione di laboratorio, però, va ancor sempre incontro ad una difficoltà sinora non superata, dato lo scarso impegno dell'ego in operazioni occasionali quali i labirinti carta e matita, il lancio di anelli, problemi aritmetici , ecc., mentre nella routine della vita quotidiana le mete di successo sono inve­ stite da una forte carica emotiva. Inoltre codesti esperimenti, che sono basati su gruppi formati appositamente, non riescono a riprodurre le intense pressioni sociali che si verificano nella vita quotidiana. (Ad esempio, quale esperimento di laboratorio riuscirebbe a riprodurre le querule lamentazioni di una moderna Santippe: (< Il guaio, con te, è che non hai nessuna ambizione ; un vero uomo andrebbe fuori e farebbe qualcosa ))?) Tra gli studi che hanno un preciso rilievo rispetto al pro­ blema, anche se in modo limitato, si vedano specialmente: R. Gould, Some Sociological Determinants of Goal Strivings, (< Journal of Social Psychology )), 13, 1941, pp. 461473; L. Festinger, Wish, Expectation and Group Standards as Factors Influencing Level of Aspiration, (< Jour­ nal of Abnormal and Social Psychology )) , 37, 1942, pp. 184-200. Per una rassegna delle ricerche svolte sino ad ora, si veda Kurt Lewin ed altri, Level of Aspiration, in (< Personality and the Behavior Disorders )), a cura di J. McV. Hunt, New York, 1944, I, cap. X. La concezione del > come rapporto fra aspirazioni ed acquisizioni, che negli esperimenti circa il livello di aspirazioni è stata tenuta presente in modo sistematico, ha ovviamente una storia assai lunga. Gilbert Murray, op. cit., pp. 138-139, ha rilevato la diffusione di questa concezione tra i pensatori del quarto secolo in Grecia. Car­ lyle, in Sartor Resartus, osserva che la (< felicità >> (gratificazione) può essere rappresentata con una frazione in cui il numeratore rappresenta

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Studi sulla struttura sociale e culturale

diventare dei virtuosi della burocrazia, degli ultra confor­ misti, proprio perché vanno soggetti ad un senso di colpa generato da una precedente mancanza di conformità alle regole (cioè, adattamento II). Il passaggio incidentale dal­ l'adattamento ritualistico a forme drammatiche di adatta­ mento illegale è ben documentato in storie di casi clinici, ed è stato sovente descritto in acute opere letterarie. La ribellione aperta segue non di rado ad un periodo di sotto­ missione eccessiva 36• Ma sebbene i meccanismi psicodina­ m.ici di questo tipo di adattamento siano stati abbastanza ben identificati e posti in connessione alla disciplina ed ai le acquisizioni , ed il denominatore le aspirazioni. Una nozione assai simile viene presa in considerazione da William James, The Principles of Psychology, New York, 1902, I, p. 310. Si veda anche: F. L. Wells, op. cit., p. 879, e P. A. Sorokin, Social and Cultural Dynamics, New York, 1937, III, pp. 161-164. Il punto in discussione è se questa comune intuizione possa essere tradotta in un esperimento rigoroso, in cui la situazione ricostruita in laboratorio riproduca adeguatamente gli aspetti salienti della situazione nella vita reale, oppure se il metodo piu pro­ duttivo risulterà essere l'osservazione accurata della routine nel compor­ tamento di ogni giorno. 36 Nel suo romanzo, The Bitter Box, New York, 1946, Eleanor Clark, ha descritto questo processo con grande sensibilità. Si può anche citare la discussione fatta da Fromrn, Escape /rom Freedom, New York, 1941, trad. it., Milano, Comunità, 1963, p. 235, senza per altro accettare il suo concetto di « spontaneid » e di « tendenza intrinseca dell'uo­ mo all'autosviluppo ». Il passo seguente costituisce un esempio di buo­ na formulazione sociologica : « Finché sosteniamo .. . che il caraHere anale, di cui offre un esempio la classe media inferiore europea, è causato da certe precoci esperienze provate durante la defecazione, non abbiamo sufficienti dati per comprendere perché una particolare classe debba avere un carattere sociale anale. Però se lo consideria­ mo una forma di rapporto verso gli altri, ra­ dotto l' ass-:milazione da parte del candidato di una serie di atteggiamenti e controlli professionali, una coscienza ed una solidarietiJ professionale. La professione mira a diventare un'unità morale » (Hughes, op. cit., p. 762). A questo proposito, il concetto di pathos di Sumner, come l'ale>­ ne del sentimento che protegge un valore sociale dalla critica, è partice>­ larmente importante, in quanto offre una spiegazione per il meccanismo implicito nel processo di « saotificazione •· Vedi il suo Folkways, trad. it. cit., pp. 200-201.

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Studi sulla struttura sociale e culturale

piu adatto alle esigenze dei problemi individuali. La tratta­ zione impersonale di affari che sono talvolta di grande im­ portanza personale per il cliente, è all'origine dell'accusa di « arroganza » e « superbia » rivolta al burocrate. Cosi, al Greenwich Employment Exchange, il lavoratore disoccu­ pato che sta pagando la sua polizza assicurativa risente di ciò che egli chiama « la impersonalità, e, a volte, la eviden­ te trascuratezza e persino scortesia del modo in cui viene trattato dall'impiegato ... Sono molte le persone che si la­ mentano dell'atteggiamento di superiorità che assumono gli impiegati » 20• Vi è un'altra fonte di conflitto con il pubblico che de­ riva dalla struttura burocratica. Il burocrate, in parte senza considerare la sua posizione all'interno della gerarchia, si comporta con il pubblico come fosse il rappresentante del potere e del prestigio della intera struttura. Nel suo ruolo ufficiale egli è investito di una ben definita autorità. Questo porta spesso ad un atteggiamento arrogante, reale o appa­ rente che sia, che può essere esagerato proprio nei casi in cui vi siano delle incongruità fra la posizione entro la ge;IJ) « Essi v-: trattano come un mucchio di spazzatura. L'altro giorno vidi un manovale passare attraverso il banco e scuotere uno di loro per il colletto. Tutti noi ci sentimmo rallegrare. Naturalmente egli perdette qualsiasi diritto ... Ma l'impiegato se lo meritò per il suo modo villano ». E. W. Bakke, The Unemployed Man, New York, Dutton, 1934, pp. 7980. Si noti che l'atteggiamento autoritario era stato attribuito dal cliente disoccupato, che è in uno stato di tensione dovuto alla perdita del suo posto e della sua dignità in una società in cui è ancora diffusa l'idea che un « uomo capace » possa sempre trovare un lavoro. Che l'accusa di arroganza derivi in gran parte dalla condizione mentale del cliente, risulta dalla stessa osservazione del Bakke che « gli impiegati erano indaffarati, e non avevano tempo di essere cortesi, ma non vi era segno di villania o di superiorità nel loro modo di trattare gli operai ». Ammesso che vi sia una base obiettiva nell'accusa di arroganza mossa ai burocrati, essa può probabilmente spiegarsi per mezzo delle seguenti affermazioni. « Auch der moderne, sei es offentliche, sei es private, Beamte erstrebt immer und geniesst meist den Beherrschten gegeniiber eine spezi.fìsch gehobene, "stiindische" soziale Schiitzung )> .(Weber, op. cit., p. 652). « Nelle persone in cui è massima l'aspirazione al prestigio, l'ostilità prende generalmente la forma di un desiderio di umiliare gli altri ». (K. Horney, The Neurotic Personality of Our Time, New York, Norton, 1937, pp. 178-80).

Struttura burocratica e personalità

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rarchia e la posizione in rapporto con il pubblico 21• Pro­ teste e ricorsi rivolti ad altri funzionari da parte del cliente sono spesso resi inefficaci o impediti da quello spirito di corpo, di cui abbiamo prima parlato, che unisce i funzio­ nari in una solidarietà di gruppo piu o meno grande. Que­ sta fonte di conflitto può venire quasi eliminata nelle im­ prese private, dato che il cliente può attuare una protesta efficace con il semplice trasferimento dei suoi aHari ad un'altra organizzazione del sistema competitivo . Ma questa alternativa non è possibile nell'organizzazione pubblica, data la sua natura monopolistica. In piu, in questo caso, la tensione viene aumentata dal conflitto che esiste fra ideo­ logia e realtà: il personale governativo dovrebbe essere « al servizio del cittadino »; in realtà, esso si trova spesso in una posizione di supremazia. Un allentamento della ten­ sione può raramente raggiungersi rivolgendosi ad altri uf­ fici per il disbrigo dei servizi necessari 22• Questa tensione si può in parte attribuire alla confusione che esiste fra gli status del burocrate e del cliente: il cliente può conside­ rarsi socialmente superiore all'impiegato, che invece in quel momento è in posizione dominante 23• 21 A tale proposito si noti l'�mportanza dei commenti del Koffka su certi aspetti dell'ordine gerarchico degli uccelli. « Se si paragona il com­ portamento dell'uccello che si trova in cima all'ordine gerarchico, il despota, con quello di uno molto in basso, �l secondo o il terzo dal fondo, si trova che l'ultimo è molto piu crudele verso quei pochi su cui egli domina che non il primo in rapporto a tutti gli altri. Appena si tolgono dal gruppo tutti � membri che stanno sopra al penultimo, il suo comportamento diventa piu mite e può persino diventare amichevole... Non è difficile trovare analogie a questo fatto nelle società umane, e perciò un lato di tale comportamento deve essere in primo luogo l'effetto del raggruppamento sociale e non delle caratteristiche individuali » (K. Koffka, Principles of Gestalt Psychology, New York, Harcourt, Brace, 1935, pp. 688-689). 22 A questo punto la (( macchina » politica assume spesso un signifi­ cato funzionale. Come Steffens ed altri hanno dimostrato, i rapporti intimamente personali e l'eJ.:minazione delle regole formali entro la « mac­ china » spesso soddisfano le necessità dei singoli « clienti » piu com­ pletamente del meccanismo formalizzato della burocrazia governativa. Vedi la breve discussione sull'argomento esposta nel cap. I. 23 Come ha notato uno dei disoccupati circa gli impiegati del Green­ wich Employment Exchange: « Quegli individui non avrebbero il loro

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Studi sulla struttura sociale e culturale

Cosf, per quel che riguarda i rapporti fra i funzionari e la clientela, una fonte strutturale di conflitto è l'esigenza organizzativa di un trattamento formale e impersonale con­ tro il desiderio del cliente di una considerazione indivi­ duale e personale . Il conflitto può quindi essere visto come derivante dalla introduzione di atteggiamenti e rapporti non appropriati. Viceversa, per quel che riguarda i con­ Bitti all'interno della struttura burocratica, essi sorgono quando ai rapporti impersonali richiesti dalla struttura si sostituiscano rapporti personali. Questo tipo di conflitto può essere caratterizzato nel modo seguente. La burocrazia, come abbiamo visto, è organizzata come un gruppo formale secondario . Le risposte tipiche che que­ sto sistema organizzato di aspettative sociali prevede, sono rafforzate dai sentimenti e dagli atteggiamenti dei membri del gruppo. Poiché il gruppo è orientato verso norme for­ mali secondarie di impersonalità, qualsiasi atto che a que­ ste norme non si conformi farà sorgere l'antagonismo di coloro che si sono identificati con la legittimità di queste regole. Quindi, la sostituzione di un trattamento personale a quello impersonale richiesto entro la struttura, suscita una grande e diffusa disapprovazione ed è qualificata come « favoritismo », « nepotismo », «servilismo », ecc. Questi epiteti sono chiare manifestazioni di sentimenti offesi 24• La funzione di tale « risentimento automatico » può essere vilavoro se non fosse per noi d:soccupati. E loro se ne stanno con il naso per aria » (Bakke, op. cit., p. 80). Vedi anche H. D. Lasswell e G. Al­ mond, Aggressive Behavior by Clients Towards Public Relief Admini­ strators, « American Politica! Science Review », 1934, 28, pp. 635-655. 24 Il significato diagnostico di indici linguistici come gli epiteti è stato poco indagato dal &ociologo. Sumner giustamente osserva che gli epiteti producono una « critica sommaria » e una definizione delle situazioni sociali. Anche Dollard nota che gli « epiteti spesso defini­ scono i problemi fondamentali di una società », e Sapir ha giusta­ mente sottolineato l'importanza del contesto delle situazioni nel valutare il s:gnificato degli epiteti. Di uguale importanza è l'osservazione del Lin­ ton che « nelle storie di casi il modo in cui la comunità sentiva circa un particolare episodio è, se non altro, piu importante per il nostro studio che non l'attuale comportamento ... ». Uno studio sociologico sui « vocaboli di encomio ed obbrobrio » dovrebbe condurre a scoperte interessanti.

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sta chiaramente nei termini dei requisiti della struttura burocratica . L a burocrazia è una struttura di gruppo secondaria desi­ gnata per esplicare determinate attività che non potrebbero essere adempiute in modo soddisfacente se si seguissero i criteri propri dei gruppi primari 25• Di conseguenza, un com­ portamento che vada contro queste norme formali diventa oggetto di viva disapprovazione. Ciò costituisce una signi­ ficativa difesa funzionale contro quelle tendenze che dan­ neggiano l'adempimento di attività socialmente necessarie. Naturalmente, queste reazioni non sono delle procedure razionalmente determinate e esplicitamente destinate ad adempiere questa funzione. Considerato piuttosto in ter­ mini di una interpretazione della situazione fatta dall'indi­ viduo, tale risentimento è semplicemente una risposta im­ mediata che si oppone alla « disonestà » di quanti violano le regole del gioco. In ogni caso, nonostante il quadro di riferimento sog­ gettivo, queste reazioni hanno la funzione latente di man­ tenere gli elementi strutturali essenziali della burocrazia riaffermando la necessità di rapporti formali secondari e contribuendo ad impedire la disintegrazione della strut­ tura burocratica, che si verificherebbe qualora essi fossero sostituiti da rapporti personali. Questo tipo di conflitto può essere genericamente descritto come l'intrusione di atteggiamenti tipici del gruppo primario in casi in cui sono istituzionalmente previsti atteggiamenti tipici del gruppo secondario, proprio come il conflitto fra cliente e burocrate spesso deriva da una interazione di tipo impersonale quan­ do è richiesto individualmente un trattamento personale 26 • "" Cfr. Ellsworth Faris, Tbe Nature of Human Nature, New York, MacGraw-Hill, 1937, PP- 41 ss_ 26 La disapprovazione da parte della comunità di molte forme di com­ portamento può essere analizzata nei termini dell'uno o dell'altro d: questi modelli · di sostituzione di tipi di relazioni culturalmente inappro­ priate. Cosi, la prostituzione è un caso-tipo in cui il coito, una forma di intimità che è istituzionalmente definita come simbolica della relazione del piu « sacro » gruppo. è posto in un contesto contrattuale, simbolizzato

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PROBLEMI PER LA RICERCA

La crescente burocratizzazione del mondo occidentale, che Weber aveva da lungo tempo previsto, non è la sola ra­ gione che induce i sociologi ad occuparsi di questo campo. Le ricerche empiriche sul rapporto fra burocrazia e per­ sonalità dovrebbero in special modo approfondire la no­ stra conoscenza della struttura sociale. Un gran numero di questioni specifiche desta la nostra attenzione. In che mi­ sura, particolari tipi di personalità vengono selezionati e modificati dalle varie organizzazioni burocratiche (impresa privata, servizio pubblico, apparati politici semi-legali, or­ dini religiosi) ? In quanto la capacità di comandare e la sottomissione sono ritenuti tratti della personalità, nono­ stante la loro diversità in differenti situazioni-stimolo, le organizzazioni burocratiche scelgono personalità particolar­ mente disposte alla sottomissione oppure al comando ? E dato che vari studi hanno dimostrato che questi tratti pos­ sono subire delle modificazioni, la partecipazione ad un uffi­ cio burocratico tende ad accrescere la tendenza al coman­ do ? I vari sistemi di assunzione (cioè, competizione aperta che richiede una conoscenza specializzata o quella che ri­ chiede una generale capacità mentale e esperienza pratica) selezionano tipi di personalità differenti ? 27• La promozione per anzianità diminuisce l'ansia della competizione ed au­ menta l'efficienza amministrativa? Un esame dettagliato dei meccanismi destinati a conferire un contenuto affettivo alle dallo scambio del piu impersonale di tutti i simboli, il denaro. Vedt Kingsley Davis, The Sociology of Prostitution, « American Sodological Review », 1937, 2, pp. 744-755. 27 Tra gli studi recenti del reclutamento nella burocrazia sono: Rein­ hard Bendix, Higher Civil Servants in American Society, Boulder, Univer­ sity of Colorado Press, 1949; Dwaine Marwick, Career Perspectives in a Bureaucratic Setting, Ann. Arbor, University of Michigan Press, 1954; R. K. Kelsall, Higher Civil Servants in Britain. London, Routledge and Kegan Pau!, 1955; W. L. Warner e J. C. Abegglen, Occupational Mobilit> in American Business and Industry, Minneapolis, University of Minne­ sota Press, 1955.

Struttura burocratica e personalità

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regole burocratiche sarebbe istruttivo sia sociologicamente, sia psicologicamente. L'anonimità generale delle decisioni della pubblica am­ ministrazione tende a restringere l'area dei simboli di pre­ stigio ad un circolo interno rigorosamente definito ? Vi è una tendenza verso differenti forme di associazione che si noti particolarmente fra i burocrati ? La serie degli interrogativi teoricamente significativi e di importanza pratica rilevante sembrerebbe limitata solo dalla possibilità di accedere ai dati concreti. Studi sulle burocrazie religiose, educative, militari, economiche e po­ litiche che trattano dell'interdipendenza fra formazione della personalità e organizzazione sociale dovrebbero costi­ tuire un fruttuoso filone di ricerca. Procedendo in questa direzione, l 'analisi funzionale di strutture concrete può di­ venire il « tempio di Salomone » della sociologia.

Capitolo nono

Il ruol o dell'intellettuale nella burocrazia pubblica

I sociologi americani si sono dedicat:i da tempo allo studio dei gruppi funzionali e occupazionali nella società. Essi hanno pure approfondito la conoscenza di certi pro­ blemi e deviazioni sociali, come ad esempio la criminalità e la delinquenza minorile intorno alle cui origini si ha at­ tualmente una buona conoscenza. Tuttavia siamo forse troppo legati al passato della sociologia e non ci siamo al­ lontanati abbastanza dai nostri primitivi ormeggi nello stu­ dio di tali problemi sociali per esaminare anche altre serie di problemi che sono egualmente radicati nella struttura so­ ciale e che hanno un'influenza piu diretta sullo sviluppo di quella struttura 1• Per esempio, gli intellettuali che si sono dedicati alle scienze sociali sono stati cosf occupati nell'esa­ minare il comportamento degli altri che hanno ampiamen­ te trascurato lo studio dei loro stessi problemi, situazioni e comportamenti. Il vagabondo e la commessa di nego­ zio sono stati oggetto di studi particolari, ma sembra si sia riluttanti ad analizzare la professione dello scienziato sociale come tipo di occupazione. Abbiamo monografie basate su dati empirici che riguardano il ladro e il men­ dicante di professione, ma fino a poco tempo fa, non ce n 'era una che trattasse del ruolo dell'intellettuale di pro1 Per una suggestiva interpretazione dei d:fferenti orientamenti della sociologia in Europa ed in America, vedi Karl Mannheim, German So­ ciology (1918-1933), « Politica »; 1934, pp. 29-33.

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fessione nella nostra società 2• Eppure, sembrerebbe che lll chiarezza dovrebbe ben incominciare a casa. L'ATTIVITA INTELLETTUALE COME TIPO DI OCCUPAZIONE

Indicativa di questa lacuna nella produzione scientifica attuale è l'assenza dei dati specifici necessari . Gli intellet­ tuali devono convincersi che anch'essi sono esseri umani e come tali, secondo la frase di Terenzio, non estranei allo studio di se stessi. E in verità, i decenni caratterizzati dalla crisi, hanno portato gli intellettuali ad esaminare il loro posto nella società 3• Molti, avendo sperimentato l'instabi­ lità della propria situazione sociale, hanno cominciato a riesaminare le fonti piu generali di queste instabilità, non soltanto con riferimento agli altri strati della popolazione ma anche in riferimento a se stessi. Essi hanno incomin­ ciato a valutare le connessioni fra il loro posto nella strut­ tura sociale e i loro concetti, teorie e prospettive. Alcuni sono arrivati alla conclusione che le loro necessità non pos­ sono venire soddisfatte nella struttura istituzionale pre• Ciò non significa ignorare i val': studi recenti che si muovono in questa direzione. Ma l'opera di Florian Znaniecki, The Social Role of the Man of Knowledge, New York, 1940, è un profilo teorico piuttosto che uno studio empirico. Logan Wilson, The Academic Man, New York, 1941, si limita, come indica il titolo, al contesto accademico. Lo studio di Claude Bowman, The College Professar, Philadelphia, 1938, riguarda le immagini del professore presentate in 19 riviste nello scorso mezzo secolo. E la Sociology of Teaching di Williard Waller è nella maggior parte dedicata agli insegnanti della scuola elementare e media. Karl Mannhei.m si riferisce ad una monografia inedita sull'intellettuale. Vi sono, naturalmente, anche numerosi brevi studi nell'a letteratura so­ prattutto europea. Questi, tuttavia, non si basano generalmente su dati empirici dettagliati relativi ai ruoli attuali degli intellettuali con riguardo alle decisioni e alle politiche sociali. Bibliografie generali sull'intellettuale si possono trovare nei lavori del Manneheim e nella voce di Robert Michels Intellectuals nella « Encyclopedia of the Social Sciences ». 3 Vedi, per esempio, H. D. Lasswell, The Relation of Ideologica! In­ telligence to Public Policy, > non è qui usato nel senso del Mannheim o di Alfred Weber. Si riferisce semplicemente a queg1: intellettuali che non adempiono una funzione impiegatizia contribuendo a formulare o ad attuare le politiche di una burocrazia. GI-: accademici sono inclusi fra gli intellettuali indipendenti, nonostante il loro rapporto con una « burocrazia accademica >>. Il loro ruolo differisce da quello degli intellettual:: burocrati dato che non ci si aspetta da loro che utilizzino la loro conoscenza specializzata per dar forma alle politiche della buro­ crazia. 7

Il ruolo dell'intellettuale

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Noi ci interesseremo soprattutto del rapporto che inter­ corre fra le scelte politiche e gli intellettuali nelle organiz­ zazioni burocratiche pubbliche, con solo qualche considera­ zione sull'intellettuale indipendente che, a sua volta, duran­ te periodi di crisi sociale, può temporaneamente far parte di una burocrazia pubblica: quando si verifica questa situa­ zione ci troviamo di fronte ad un modello intermedio di ruolo dell'intellettuale. L'ASSUNZIONE DEGLI INTELLETTUALI NELLE BUROCRAZIE PUBBLICHE

La burocratizzazione implica un'accentuazione della ra­ zionalità nelle procedure (entro contesti limitati) che richie­ de un personale intellettuale specializzato. Negli Stati Uniti, almeno per quel che riguarda l'ultima generazione, un nu­ mero crescente di giovani intellettuali è stato assunto dalle burocrazie pubbliche. Due aspetti di questo sviluppo meritano attenzione: l ) le sue implicazioni per un even­ tuale mutamento del sistema di valori degli intellettuali piu giovani e 2 ) il modo in cui la burocrazia trasforma gli intellettuali, aventi una preparazione politico-umanistica, in tecnici. Molti intellettuali si sono alienati dai principi, dagli obiettivi e dalle ricompense del mondo imprenditoriale privato. Tale estraneamento dai valori della classe impren­ ditoriale è un riflesso di quelle fratture istituzionali che alimentano incertezza e mancanza di sicurezza. L'esperienza delle depressioni economiche ricorrenti si traduce in un rifiuto di riconoscere ed esser fedeli alla struttura del po­ tere dominante. Gli intellettuali assimilano valori e stan­ dards che, essi credono, non sono compatibili con un posto nel mondo degli aifari. Alcuni si rivolgono all'insegnamen­ to, particolarmente a quello universitario, che presumibil­ mente permette di sviluppare i loro interessi intellettuali e di evitare la soggezione al « controllo diretto del mondo degli affari ». Per molti intellettuali alienati, tuttavia, l'in-

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segnamento significa rimanere da parte a guardare, piutto­ sto che partecipare ai movimenti storici in corso. Piuttosto che stare ai margini della storia, essi preferiscono avere la sensazione di aiutare a fare la storia, occupando un uffìçio burocratico che presumibilmente li pone piu vicini al luogo in cui si prendono le decisioni importanti. Vi è, forse, nell'attrazione esercitata da Washington sugli intellettuali americani un sintomo della convinzione che il luogo di effettivo controllo della nostra società stia spostandosi, diciamo, da Wall Street alla Constitution Ave­ nue. Che non sia cosi e che piuttosto, come ha suggerito Walton Hamilton, sia Wall Street ad aver trasferito il suo quartier generale nella capitale, non è da discutersi qui. Quel che è importante è che gli intellettuali « alienati » che lavorano nella burocrazia governativa non considerano generalmente la loro carriera come un indiretto contributo alla classe imprenditoriale. È piu probabile che essi conside­ rino il governo e il ruolo, grande o piccolo, che essi pos­ sano esplicarvi, come uno strumento per modificare il si­ stema di potere da cui si sentono alienati. Per costoro, l 'impiego nella burocrazia statale significa un attacco fron­ tale ai gruppi di interessi che hanno finora preso le piu importanti decisioni. Gli intellettuali che avevano precedentemente appog­ giato movimenti politici miranti a modificare la nostra strut­ tura politica ed economica, sembra che ora preferiscano l'al­ ternativa di cercare di attuare questi mutamenti attraverso l'autorità governativa costituita . Nella misura in cui l'in­ tellettuale concepisce in questi termini la posizione del go­ verno, egli probabilmente si ritiene l'esperto che fornisce le conoscenze necessarie su cui si basano le decisioni poli­ tiche che muovono verso nuove direzioni. Questo tipo di motivazione non è naturalmente ritenuto caratteristico degli intellettuali che operano nelle nostre burocrazie pubbliche . La sua frequenza è un problema che deve essere determinato empiricamente, ma che una moti­ vazione del genere esista, fino ad un certo punto, è chiaro

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a tutti coloro che hanno osservato l'affluire degli intellet­ tuali nella burocrazia di Stato, particolarmente prima della guerra. In contrasto con questi intellettuali « alienati » sta il gruppo, senza dubbio piu numeroso, delle reclute delle burocrazie pubbliche : i tecnici che sono dichiaratamente indifferenti a qualsiasi corso d'azione politico e sociale, ma i cui sentimenti e valori sono in larga misura quelli dei gruppi dominanti. I tecnici considerano loro compito sem­ plicemente quello di attuare qualsiasi politica che sia stata definita dai policy-makers. Le regole della sua professio­ ne costringono il tecnico ad accettare un rapporto di di­ pendenza dall'esecutivo. Questo senso di dipendenza è espresso dalla formula: il politico fornisce le mete (fìni, obiettivi ) e noi tecnici, sulla base di una conoscenza spe­ cializzata, indichiamo i diversi mezzi attraverso cui questi fini possono essere raggiunti. Cosi rigido e diffuso è que­ sto codice professionale che i tecnici aderiscono totalmente a questa netta distinzione fra mezzi e fìni, senza riconoscere che la stessa distinzione verbale può contribuire ad un loro sottrarsi a responsabilità sociali . Il tecnico considera il fine o la meta come punto terminale dell'azione, senza vederlo come occasione per ulteriori conseguenze, senza capire che l'azione implica delle conseguenze. Vi sono, infine, quegli intellettuali indipendenti che, in tempo di crisi sociale acuta, come una guerra o una de­ pressione economica, affluiscono temporaneamente nelle burocrazie pubbliche. Questi burocrati ah hoc possono es­ sere o non essere alienati rispetto ai gruppi dominanti. Ma non avendo identificato la loro carriera con la carriera bu­ rocratica, probabilmente essi sono meno soggetti a pres­ sioni burocratiche e per essi c'è sempre pronta l'alterna­ tiva del ritorno alla vita privata. Tutto questo può suggerire delle linee di ricerca, relative all'assunzione degli intellettuali nelle burocrazie pubbliche. Si potrebbero avere con facilità i dati riguardanti criteri obiettivi di selezione, ma essi sono di interesse seconda­ rio; a noi interesserebbe di piu conoscere, ad esempio, da

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quale classe sociale provengano gli intellettuali che lavo­ rano nelle burocrazie pubbliche. In concreto, quali sono i punti in cui emergono delle alternative nella carriera del­ l'intellettuale ? Quali pressioni lo conducono a preferire le burocrazie pubbliche a quelle private ? Fino a che punto l'alienazione e il ripudio dei valori della classe imprendito­ riale hanno parte in questa scelta? Quali sono le ragioni di tale alienazione ? Possiamo in tal modo far luce sulle carat­ teristiche del tipico intellettuale che si stacca dai valori nominalmente sovrani per identificarsi con il destino dei centri potenziali di potere ? L'afflusso degli intellettuali nella burocrazia pubblica serve come barometro dei muta­ menti in corso o imminenti nella distribuzione del potere? Quali prospettive sono comuni fra gli intellettuali che spe­ rano di trovare la loro dimora spirituale in una burocrazia di Stato ? I dati su problemi di questo tipo costituiscono il primo passo per determinare quali siano gli effetti ulteriori della vita burocratica sull'intellettuale. Solo quando queste informazioni saranno raccolte, potremo verificare l'ipotesi secondo cui le burocrazie provocano la trasformazione gra­ duale dell'intellettuale in tecnico apolitico, il cui ruolo è quello di servire qualsiasi gruppo che salga al potere. LA POSIZIONE BUROCRATICA E LE SUE PROSPETTIVE

Sebbene abbiamo messo in contrasto gli intellettuali alienati (politicamente orientati) e i tecnici, nel momento del loro ingresso nella vita burocratica, questa distinzione può gradualmente attenuarsi nel corso della loro permanen­ za nell'organizzazione burocratica . Risulta che la burocra­ zia statale esercita una pressione sugli intellettuali « alie­ nati » affinché si adattino alle attività di coloro che pren­ dono le decisioni strategiche, col risultato che, col tempo, il ruolo dell'intellettuale alienato, può divenire identico a quello del tecnico. Nel descrivere il processo attraverso cui l'intellettuale nella burocrazia si trasforma in un tecnico, partiamo dal-

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l'assunto che le prospettive e i punti di vista sono in larga parte un prodotto della posizione sociale dell'individuo. Gli intellettuali sono orientati verso circoli sociali piu o meno definiti e i loro interessi, i loro atteggiamenti e i loro obiet­ tivi si accordano con quelli di questi circoli. Le esigenze e le aspettative inerenti ad una posizione sociale tendono a determinare il comportamento di quanti si trovano ad occu­ pare quella posizione. Come ha ben indicato Mead, il sé sociale di un individuo sorge attraverso la recezione della serie organizzata di atteggiamenti di coloro che per l'individuo sono le persone « significative ». Inoltre, que­ sta recezione delle valutazioni e delle aspettative altrui è cumulativa e normalmente si verifica senza che il processo diventi cosciente, eccezion fatta per eventuali punti di con­ flitto 8• Questo modo di vedere la formazione di una perso­ nalità di ruolo ci porta subito ad esaminare le differenze fra le >.

Oppure l'uomo d'affari può cercare di svalutare la per­ sonalità sociale dell'intellettuale. Coloro che hanno avuto una scarsa educazione formale, possono esser indotti pro­ prio da questo fatto, a sostenere una posizione anti-intel­ lettuale, e considerare i diplomi universitari titoli di di­ scredito. D'altra parte, gli uomini d'affari in possesso di una educazione formale piu profonda sono stati una volta in posizione subordinata rispetto ai professori. In questa circostanza, essi hanno avuto modo di conoscere i valori e gli standards del mondo dei professori che, in uno schema astratto, sono per molti aspetti in contrasto con quelli vi­ genti nel mondo degli affari. Una volta emancipati dall'uni-

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versità, essi possono assumere un atteggiamento di difesa e cosi agire, se non altro per un senso di colpa derivante dal non conformarsi ai valori disinteressati conosciuti nel periodo studentesco . Essi possono profittare dell'opportu­ nità di emanciparsi completamente svalutando chi un tem­ po si trovava in una posizione che li sovrastava, attuando in questo modo una capovolgimento di ruoli. È un con­ flitto non diverso da quello che sorge nella famiglia quan­ do i figli passano dallo stadio di dipendenza e subordi­ nazione a quello della maturità e attività indipendenti. Cosi si dice che i professori sono tipicamente « uomini che hanno speso degli anni rivolgendosi ad intelletti immaturi e [ perciò ] non sopportano alcuna opposizione ». E il capo­ volgimento dei ruoli è approvato, in maniera brutale, quan­ do si ricorda ai professori il debito che hanno verso quan­ ti rendono loro possibile di sopravvivere, come in quel com­ mento su « i cosiddetti intellettuali . . . che per la maggior parte vengono dalle università dove hanno avuto il privi­ legio di fruire di facilitazioni e usare attrezzature dispen­ diose, e raramente hanno tenuto conto di chi pagava le tas­ se, o hanno reso onore al sistema che ha prodotto i bene­ voli donatori degli edifici e dell'attrezzatura didattica e spesso anche dello stipendio per il loro pane ». FRUSTRAZIONI DELL'INTELLEITUALE NELLA BUROCRAZIA

Con tali tipi di conflitto alla base, non è affatto sorpren­ dente che l'intellettuale risenta di solito di una serie di frustrazioni, una volta che diventi parte integrante di una burocrazia che è in qualche misura controllata da coloro « che non possono vivere né con lui, né senza di lui » u. 13 Sarebbe interessante diffondere la seguente osservazione di Giu­ seppe Stalin fra i politici americani. « ... nessuna classe dominante è riu­ scita a resistere senza i suoi intellettuali. Il problema è di non scorag­ giare questi compagni ». E .di nuovo: « La diffamazione dello specialista è stata sempre considerata e continua ad essere una manifestazione peri­ colosa e vergognosa ». [Giudicando dai casi Vavilov e Varga, fra i tanti, la politica di Stalin cambiò di nuovo].

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L'idillio degli intellettuali con i politici è spesso difficile, aspro e breve. Ciò ha una comprensibile base sociologica . L'intellettuale, prima di occupare la sua posizione burocra­ tica, era tenuto a considerare i suoi problemi intellettuali astraendo dalle domande specifiche di altre persone; egli era portato a sentire che un problema va risolto per le sue caratteristiche intrinseche. Una volta nella burocrazia, egli scopre che spesso il compito dell'intellettuale è strettamen­ te connesso con i rapporti sociali all'interno della burocra­ zia. La sua scelta dei problemi di studio deve essere guida­ ta da ciò che egli conosce o crede di conoscere dei suoi clienti reali o probabili; la sua formulazione del problema, le sue analisi e il suo rapporto finale debbono adattarsi al cliente. In breve, mentre egli prima provava un senso di autonomia intellettuale - e che fosse reale o spuria, per il momento non importa - ora si rende conto dell'esi­ stenza di controlli visibili sulla natura e sulla direzione del­ le sue indagini. Questo senso di costrizione, particolarmen­ te quando egli non ha ben chiare le richieste del cliente o, se esse sono chiare, quando egli non è d'accordo sulla na­ tura di esse, si risolve in frustrazione. I conffitti che deriva­ no dal fatto che vi siano diversità fra i criteri di scelta e di analisi dei problemi, a seconda che si sia intellettuale indi­ pendente o intellettuale burocrate, portano spesso alla fuga dalla burocrazia e al ritorno alla posizione ritenuta auto­ noma. Il rapido avvicendarsi del personale specializzato nelle pubbliche burocrazie non è semplicemente il frutto della insoddisfazione del cliente o della critica di gruppi esterni, quale può essere il Congresso. Spesso è il prodotto delle frustrazioni continuate subite dall'intellettuale, che dopo aver fatto l'abitudine al senso di autonomia personale, non può sopportare i limiti visibili imposti da un'organizzazio­ ne formale. Uno psichiatra, ad esempio, osservò, di recente, notevoli manifestazioni di euforia e ottimismo fra i suoi amici che occupavano posizioni nella burocrazia. Egli non riusciva a spiegarsi questo fatto, e dapprima pensò che fos-

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se una conseguenza delle vittorie conseguite dalle Nazioni Unite. Solo piu tardi capi di aver incontrato un gruppo di amici che avevano appena lasciato le occupazioni burocra­ tiche a Washington; essi mostravano quell'euforia che de­ riva dalla cessazione delle frustrazioni . Cosi, ancora, Stouffer riferisce le sue osservazioni che risalgono al tempo di guerra: Nella mischia di Washington non si può conservare quell'at­ teggiamento distaccato, che è la gloria della ricerca universitaria in tempo di pace. Vi sono molte frustrazioni... Tutti gli enti che si occupano di sociologia o di psicologia sociale, come l'« Office of War Information >>, l'« Office of Strategie Services », la « Military Intelligence » e altri, sono passati attraverso la medesima espe­ rienza 14•

È istruttivo esaminare alcuni tipi piu comuni di frustra­ zione che spesso culminano nella disillusione, perché in questo modo si possono vedere con chiarezza le possibilità e i limiti dell'intellettuale burocrate nel determinare le scel­ te politiche. Queste frustrazioni possono classificarsi in due gruppi principali : l ) quelle derivanti dal conflitto di valori fra l'intellettuale e il policy-maker; 2 ) e quelle che ·deri­ vano direttamente dal tipo di organizzazione burocratica. l.

-

Conflitti di valori fra l'intellettuale

e

il

«

policy-maker >>

a) In diverse occasioni l'intellettuale scopre di essere l'oggetto del conflitto che sorge dalle due diverse mentalità, sua e del poli­ tico. Una ricerca, che da un punto di vista immediatamente pratico, sembrerebbe banale, può invece essere altamente significativa per le sue implicazioni teoriche e può in seguito illuminare tutta una serie di problemi pratici. L'intellettuale è talvolta costretto ad ac­ cettare nuovi criteri di signifìcatività. b) I risultati della ricerca possono essere utilizzati per scopi contrari ai valori dell'intellettuale; le sue raccomandazioni per una politica che si basi su dati scientifici inoppugnabili possono essere spesso ignorate e si può dar corso a una politica contraria. c) L'intellettuale spesso non sarà del parere di fare affidamento 14 Samuel A. Stouffer, Social Science and the Soldier, in « American Society in Wartime », a cura di W. F. Ogburn, 1943, p. 116.

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su ciò che gli sembra scarsamente dimostrato, laddove il politico deve cosi agire a causa dell'urgenza dell'azione. d) Gli specialisti possono sentirsi frustrati quando si richiede loro di lavorare in campi che sono al di fuori della loro sfera di competenza, dal momento che i politici, talvolta, non si rendono conto pienamente delle notevoli differenze che esistono fra diversi campi specialistici. 2.

-

Frustrazioni che sorgono dall'organizzazione burocratica:

a) Poiché le burocrazie sono organizzate per l'azione è facile

che gli intellettuali si sentano spesso rivolgere delle domande per cui non hanno una risposta immediata. Oppure possono sorgere pro­ blemi che è impossibile risolvere nel tempo assegnato; ciò può dar luogo alla « neurosi della scadenza ». II problema della « scadenza » è stato forse descritto nel modo migliore da Robert Louis Stevenson, in un contesto del tutto dif­ ferente: « Questo non è un laboratorio scientifico, in cui le cose sono verificate fino allo scrupolo; noi facciamo della scienza con una pistola puntata alla testa; siamo posti di fronte ad un nuovo insieme di variabili su cui non solo dobbiamo dare un giudizio, ma agire, prima che il termine scada ». b) Le linee di comunicazione fra i politici e gli intellettuali possono venir interrotte e la conseguenza tipica è la frustrazione. l) Dal momento che spesso i politici non tengono gli intel­ lettuali informati dei correnti problemi politici, è difficile per que­ sti ultimi determinare quali siano i dati degni di essere presi in considerazione. 2) Può sorgere il problema di far si che i risultati dell'inda­ gine giungano all'uomo politico adatto, che si trova cosl di fronte ad una massa di materiale proveniente da fonti diverse. 3) Oppure, i risultati, prima di giungere al politico, possono essere alterati per l'intervento di terzi. 4) Oppure, per ultimo, vi è il problema di formulare i risultati della ricerca in modo tale che i dati più significativi risultino ben chiari e attirino l'interesse del politico. L'« elaborazione del mate­ riale » può richiedere una tale semplificazione che alcune delle più complesse scoperte sono scartate, benché importanti. c) Nonostante tutte le precauzioni, i risultati degli studi del­ l'intellettuale possono non essere usati da coloro ai quali sono rivolti. Ciò abolisce la ragione prima del suo lavoro, ne elimina l'interesse, portando l'intellettuale alle « nevrosi da inutilità ». (Correlativamente, anche l'uso occasionale dei risultati della ricerca, quali che siano i limiti dell'ambito in cui essi sono stati utilizzati, servirà a rinvigorire il morale dell'intellettuale).

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l ) L'uomo politico, talvolta, rigetterà fondate ricerche delle scienze sociali affermando che la sua esperienza diretta gli ha dato una piu certa comprensione della situazione di quella che l'intel­ lettuale può eventualmente avere. Questo è più probabile che av­ venga se i risultati delle ricerche suggeriscono mutamenti nelle comuni routines e pratiche, dal momento che solo molto raramente l'intellettuale potrà praticamente dimostrare la maggiore efficienza di ciò che ha proposto in confronto con i procedimenti correnti.

Questo esame di una fase del ruolo dell'intellettuale nella nostra società ha avuto lo scopo, in primo luogo, di formulare alcune ipotesi. La raccolta di biografie, diari e riviste di intellettuali nelle pubbliche burocrazie, la diretta osservazione partecipante e i dati storici possono fornire una base salda e fruttuosa per la ricerca in questo campo 15•

15 Un primo passo in questa direzione è stato fatto da Julian L. Woodward, Making Government Opinion Research Bear Upon Opera­ tions, « American Sociological Review », 1944, 9, pp. 670-677. Vedi anche R. K. Merton, Tbe Role of Applied Social Science in the Formation of Policy, « Philosophy of Science », luglio 1949, 16, pp. 161-181.

Capitolo decimo

Contributi alla teoria del comportamento secondo gruppi di riferimento;,

Questo capitolo si fonda sul presupposto che esista UD!l interazione continua fra teoria sociale e ricerca empirica. I dati empirici sistematici favoriscono il progresso della teoria sociale, imponendo il dovere e fornendo la possibi­ lità di muoversi secondo linee interpretative spesso impre­ viste; da parte sua, la teoria sociale definisce il campo della ricerca e aumenta il valore applicativo e la capacità di pre­ vi�ione dei risultati empirici , indicando quali situazioni fa­ voriscono e determinano la loro insorgenza. I dati siste­ matici di The .flmerican Soldier ' , in tutta la loro numerosa varietà, offrono una buona occasione per esaminare questa azione reciproca della teoria sociale e della ricerca appli­ cata. Piu specificamente, cercheremo di identificare e ordi­ nare i numerosissimi dati empirici che nell'American Sol­ dier riguardano, implicitamente o esplicitamente, la teoria del comportamento secondo gruppi di riferimento. (Le real­ tà empiriche che questo termine denota saranno tra breve esaminate nei particolari. Qui dobbiamo dire, tuttavia, che sebbene il termine « gruppo di riferimento » non sia im* In collaborazione con Alice S. Rossi.

1 Gli autori del primo di questi volumi, Adiustment During Army Life, sono S. A. Stouffer, E. A. Suchman, L. C. DeVinney, S. A. Star e R. M. Williams Jr.; gli autori del secondo, intitolato Combat and its A/termath, sono S. A. Stouffer, A. A. Lumsdaine, M. H. Lumsdaine, R. M. Williams Jr., M. B. Smith, l. L. Janis, S. A. Star e L. S. Cottrell ]r. Entrambi i volumi sono stati pubblicati nel 1949 dalla Princeton tlniversity Press.

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piegato in questi studi oltre i limiti con cui è stato piena­ mente accettato nel vocabolario sociologico, distinto da quello della psicologia sociale, i concetti che vanno sotto il nome di gruppo di riferimento rappresentano una parte im­ portante dello schema interpretativo usato dalla Researcb Brancb of tbe Information and Education Division of tbe War Department). In due occasioni tratteremo brevemente di alcuni argo­ menti connessi, che tuttavia non fanno parte della teoria dei gruppi di riferimento. Esamineremo gli indici statistici degli attributi di gruppo e della struttura sociale che sono stati adottati in diverse occasioni in queste ricerche e ten­ teremo di indicare, sebbene assai brevemente e in via pro­ grammatica, il valore specifico di una annessione sistemati­ ca di tali indici in ulteriori ricerche . E, in modo altrettanto conciso, rileveremo come i dati analizzati dalla Research Branch da un punto di vista psicologico, possono essere am­ pliati e utilmente rielaborati da un punto di vista di socio­ logia funzionale . Nel corso di questa analisi è stato seguito un procedi­ mento uniforme per estrarre e tentare di sviluppare con­ sequenze teoriche di Tbe American Soldier: esso implica un riesame accurato di casi riportati in questi volumi, e il tentativo di classificare i risultati ad un livello di astrazione e generalizzazione superiore. Nei volumi di quello studio, gli autori limitano strettamente (e secondo noi, giustamen­ te) la loro analisi all'interpretazione del comportamento dei soldati e all'esame dei contesti organizzativi in cui questo comportamento ha luogo. È evidente, tuttavia, che i con­ cetti analitici non valgono solo per il comportamento dei soldati. Tentando una generalizzazione di questi concetti, noi possiamo essere in grado di esplorare le piu ampie im­ plicazioni che questo materiale può avere per la teoria so­ ciologica. La nostra trattazione muove quindi dall'analisi interna di ogni ricerca, contenuta in questi volumi, che abbia adot­ tato il concetto di gruppo di riferimento come variabile

Contributi alla teoria dei gruppi di riferimento

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interpretativa. L'analisi di questi casi ha lo scopo di deter­ minare i punti in cui essi suggeriscono estensioni della teo­ ria del comportamento secondo gruppi di riferimento che possano essere poi approfondite mediante ricerche oppor­ tunamente impostate. Talora ci siamo anche sforzati di suggerire in che modo queste estensioni teoriche possano essere adottate da progetti di ricerca empirica che in que­ sto modo muoveranno dai risultati ottenuti dagli studiosi della Research Branch. In questo modo . l'interrelazione fra la teoria in continuo progresso e le nuove ricerche non avrà soluzione di continuità. Il riesame induttivo dei casi permette anche di mettere in relazione i concetti di gruppo di riferimento con altri concetti sociologici e di psicologia sociale che sono molto usati, ma che non sono stati normalmente messi in rappor­ to con la teoria del comportamento secondo gruppi di rife­ rimento. Nella misura in cui saranno stabilite queste rela­ zioni, The American Soldier avrà contribuito ad una ulte­ riore funzione della ricerca empirica : il tentativo di unifi­ care e consolidare i frammenti di teoria attualmente sparsi. Seguendo queste direttive, tenteremo di indicare la coe­ renza esistente fra la teoria dei gruppi di riferimento e i concetti della sociologia funzionale. Appare infatti chiaro che essi trattano aspetti diversi del medesimo soggetto : l'una si occupa dei processi mediante i quali gli individui pongono se stessi in relazione con i gruppi e riferiscono il loro comportamento ai valori di questi gruppi; la secon­ da studia le conseguenze di questi processi anzitutto per le strutture sociali, poi per gli individui e per i gruppi compresi in queste strutture . Si troverà cosi che la teoria dei gruppi di riferimento e la sociologia funzionale studiano gli stessi fenomeni sotto due aspetti diversi, ma che le domande che l'una si pone sono rilevanti anche per l'altra e viceversa . Il presente saggio tende quindi, nel suo complesso, ad apprendere da Tbe American Soldier tutto ciò che può servire ad un approfondimento della teoria dei gruppi di riferimento e dei problemi teorici che ad essa si collegano.

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Studi sulla struttura sociale e culturale

Fedeli come siamo all'opinione che lo sviluppo della teoria sociale richieda continuità piuttosto che un insieme di risul­ tati isolati e presumibilmente definitivi, dobbiamo sottoli­ neare che la presente elaborazione di una parte del materia­ le di The American Soldier è essa stessa una fase del tut­ to provvisoria di un processo di sviluppo in atto, piu che un solido punto fermo. Neppure presumiamo, naturalmen· te, che tutte le estensioni qui proposte della teoria dei gruppi di riferimento si rivelino effettivamente esatte; co­ me ogni altra forma di attività umana, la teorizzazione con­ tiene la sua parte di rischio. In realtà, è proprio quando ogni ipotesi, provvisoriamente avanzata in una determinata fase dello sviluppo di una disciplina, sembra risultare appa­ rentemente confermata, che il teorico ha ragione di allar­ marsi, poiché un seguito di successi può indicare, anziché l'assoluta fondatezza di una teoria, un apparato di verifica difettoso ed eccezionalmente compiacente. IL CONCEITO DI PRIVAZIONE RELATIVA

Fra i concetti impiegati dagli autori di The American Soldier per interpretare il loro multiforme materiale, ve n'è uno che occupa il primo posto : si tratta del concetto di privazione relativa. La sua importanza è, in una certa misura, testimoniata dal fatto che esso è uno dei due con­ cetti su cui viene espressamente richiamata l'attenzione del lettore nel capitolo di introduzione ai due volumi . Come dichiarano gli autori stessi, dopo un breve richiamo al con­ cetto dei profili variabili, « sono stati introdotti anche altri strumenti concettuali, soprattutto una teoria della privazio­ ne relativa, allo scopo di favorire una classificazione gene­ rale e sistematica di risultati empirici altrimenti disparati » (l, p. 52). Sebbene il concetto di privazione relativa venga spesso utilizzato per interpretare differenze di atteggiamenti che si ritrovano in diverse categorie di uomini, varianti, ad esem­ pio, a se, H. Butter­ field, The Origins of Modern Science, Londra, Beli, 1949, trad. ital., Bo­ logna, il Mulino, 1962, p. 3.

Capitolo undicesimo

Nuovi sviluppi della teoria dei gruppi di riferimento e della struttura sociale

Il concetto di gruppo di riferimento ha avuto formal­ mente origine nel campo della psicologia sociale. Questo campo si occupa in prevalenza delle risposte degli indivi­ dui agli stimoli che provengono loro dall'ambiente delle relazioni personali e dall'ambiente sociale piu vasto. Come conseguenza, una volta che le ricerche empiriche e le inda­ gini teoriche concernenti i problemi dei gruppi di riferi­ mento furono avviate, esse si concentrarono in special mo­ do sulle determinanti della selezione dei gruppi di riferi­ mento da parte degli individui e sulle conseguenze che que­ sta selezione poteva avere sulla personalità. Ma, come ab­ biamo accennato diverse volte nel capitolo precedente, il concetto di gruppo di riferimento ha un suo posto partico­ lare anche nella teoria sociologia, a sua volta maggiormen­ te interessata alla struttura e alle funzioni dell'ambiente so­ ciale in cui l'individuo è situato. La teoria sociologica e quella psico-sociale dei gruppi di riferimento non possono, naturalmente, essere nettamente separabili : in parte esse si sovrappongono, in parte si com­ pletano a vicenda . Tuttavia esse rappresentano distinti li­ velli di analisi teorica che in certe occasioni è utile distin­ guere per mettere in rilievo problemi teorici diversi. Sen­ za dubbio, potrebbe risultare alla fine, che la psicologia so­ ciale e la sociologia sono indivisibili e indistinguibili, cosl come potrebbe risultare che la scienza è unica; per il mo­ mento, tuttavia, sembra utile notare le differenze fra i vari tipi e i vari livelli di teoria in modo che essi possano venire

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Studi sulla struttura sociale e culturale

collegati in maniera piu sistematica. In ogni caso, è da que­ sto punto di vista che esaminerò i nuovi sviluppi della teo­ ria dei gruppi di riferimento, successivi alla stesura del ca­ pitolo precedente. Durante questo periodo di sei anni circa, molti progressi sono stati fatti e molte lacune sono state colmate. È in questo senso che sono concepite le pagine se­ guenti, organizzate quindi secondo vari problemi teorici che si riferiscono tanto ai gruppi di riferimento quanto a problemi connessi alla struttura sociale in generale. PROBLEMATICA DELLA TEORIA DEI GRUPPI DI RIFERIMENTO

Concetti fondamentali. Quando un campo di indagine è intensivamente coltiva­ to, i suoi concetti fondamentali vengono progressivamente chiariti. I concetti che si dimostrano sufficienti in una pri­ ma approssimazione, devono essere meglio specificati man mano che i risultati delle indagini si cumulano; come ven­ gono elaborati concetti piu specifici, essi vengono spesso distinti terminologicamente per render piu chiara la distin­ zione stessa 1• Questa ricerca di una chiarificazione dei con­ cetti fondamentali è uno dei piu recenti progressi nello svi­ luppo della teoria dei gruppi di riferimento. PROBLEMA l

CHIARIFICAZIONE DEL CONCETTO DI GRUPPO DI RIFERIMENTO

Che gli uomini agiscono entro un quadro sociale di riferimento fornito loro dai gruppi di cui fanno parte è un concetto antico e indubbiamente giusto. Se esso costituisse l'unico interesse della teoria dei gruppi di riferimento, si tratterebbe solo di una nuova denominazione data ad un antico problema della sociologia che si è sempre interessata all'influenza che il gruppo ha sul comporta­ mento umano. Vi è, tuttavia, il fatto ulteriore che gli uomini, nel 1 La progressiova chiarificazione dei concetti come fase integrale della teorizzazione in sociologia è stata esaminata nel IV capitolo.

Gruppi di riferimento e struttura sociale

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formare il loro comportamento e le loro valutazioni, si orientano di frequente verso gruppi diversi dai propri, e sono appunto i pro­ blemi che riguardano questo orientamento verso gruppi di non ap­ partenenza a costituire il particolare oggetto di studio della teoria dei gruppi di riferimento. S'intende che, in definitiva, la teoria deve essere generalizzata in modo da poter spiegare entrambi gli orientamenti, ma il suo compito principale e piu immediato è di indicare i processi mediante i quali gli individui pongono se stessi in relazione con gruppi ai quali non appartengono (p. 377).

Quando innovazioni teoriche, grandi o piccole che sia­ no, sono introdotte in un determinato campo di indagine, esse possono venire assimilate nella teoria precedente di quel campo, e cosf il peculiare progresso ad esse conseguente resta in ombra. Che sia necessario sottolineare sotto quali aspetti la teoria dei gruppi di riferimento amplia ed esten­ de l'antico concetto del comportamento influenzato dal gruppo, appare evidente da un recente tentativo di assi­ milazione di questo genere. È stato affermato, ad esem­ pio, che « nonostante l'entusiasmo di alcuni di coloro che l'hanno proposta, non c'è in realtà niente di nuovo nella teoria dei gruppi di riferimento » 2; e ancora: « la propo­ sizione che afferma che gli uomini pensano, sentono e vedo­ no le cose da un punto di vista peculiare al gruppo di cui fanno parte è molto antica ed è stata ripetuta piu volte da studiosi di antropologia e di sociologia della conoscenza ... Il concetto di gruppo di riferimento non è che una sottogliez­ za di minor conto nella teoria nota da gran tempo » 3• Non è difficile capire come si possa arrivare alla conclu­ sione che la teoria dei gruppi di riferimento non è altro che una ripetizione della vecchia nozione che il pensiero, i sentimenti e le percezioni sono foggiati dal gruppo (o dai gruppi) di cui gli individui fanno parte, e che perciò questa teoria non offre in realtà « niente di nuovo »; per arrivare a questo, è sufficiente adottare il comune espediente di ...

2 Tamotsu Shibutani, Reference Groups as Perspectives, « A.merican Journal of Sociology », 1955, 60, p. 563 (il corsivo è aggiunto). 3 Ibid., p. 565.

Studi sulla struttura sociale e culturale

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ignorare ciò che vi è di caratteristico e nuovo nei concetti di questa teoria e identificarla cosl con le idee note da tem­ po. Il sistema di far sembrare vecchio il nuovo, ignorando le novità per concentrare l'attenzione su ciò che è vecchio non è affatto originale . Tuttavia, questo giudizio sembra mancare di convizione, poiché l'autore conclude il suo sag­ gio su questo soggetto, riconoscendo una caratteristica pe­ culiare del concetto di gruppo di riferimento che « unifica diversi tipi di appartenenza e diverse fedeltà a gruppi e facilità cosl lo studio della percezione selettiva [ sebbene, come vedremo, solo scarsamente della percezione seletti­ va ] . Esso diviene quindi uno strumento indispensabile per capire gli aspetti diversi ed il carattere dinamico del tipo di società in cui viviamo [ e, presumibilmente, non solo di « questo tipo di società » ] 4• Che questo concetto possa essere giustamente definito uno « strumento indispensabi­ le » ha ancora da essere dimostrato. PROBLEMA 1 .1 TIPI FUNZIONALI DI GRUPPI DI RiFERiMENTO

In tutto il capitolo precedente vi sono numerosi accen­ ni, anche se non sistematici, a diversi tipi funzionali di gruppi di riferimento. Si è affermato che essi forniscono « un quadro di riferimento per l'autovalutazione e per il processo di formazione degli atteggiamenti »; si è aggiunto che è necessario « uno studio sistematico del processo di assimilazione di valori, processo che è considerato parte del comportamento secondo gruppi di riferimento » e vi è anche un breve commento sui « gruppi di riferimento qua­ li contesti significativi di atteggiamenti, percezioni e giudi­ zi ». Ma, come l'indagine successiva ha dimostrato, accenni non coordinati di questo tipo, non possono sostituire una classificazione ragionata e metodica di questi modelli di •

lbid.,

p. 569.

Gruppi di riferimento e struttura sociale

545

comportamento secondo gruppi di riferimento, implicita­ mente diversi. Diversi saggi pubblicati di recente si sono occupati di identificare i tipi di gruppi di riferimento piu importanti in rapporto alle funzioni caratteristiche che essi svolgono ri­ spetto al comportamento degli individui che si orientano ad essi. Questi saggi 5 sono sostanzialmente d'accordo nel distinguere, secondo le linee vagamente indicate nel capito­ lo precedente, due 6 tipi principali di gruppi di riferimento : il primo è il « tipo normativo » che definisce e mantiene gli standards dell'individuo, e il secondo è il « tipo compara­ tivo » che fornisce un quadro di paragone in base al quale l'individuo valuta se stesso e gli altri. Il primo è una fonte di valori che particolari individui (che possono essere o non essere membri del gruppo ) hanno assimilato, come può essere il caso da noi esaminato dei nuovi soldati in una unità di combattimento che assimilano i valori dei vetera­ ni; il secondo, invece, è un contesto per valutare la posizio­ ne relativa di se stessi e degli altri, come nei casi citati da DuBois, Roper e Wilks che analizzano il significato sociale dello status economico in relazione alla struttura economi­ ca della comunità circostante. I due tipi sono distinti solo analiticamente, poiché il medesimo gruppo di riferimento può, naturalmente, svolgere entrambe le funzioni. Questi due tipi di gruppi di riferimento devono essere tenuti distinti da quelli identificati da Turner « i cui mem' Harold H. Kelley, Two Functions of Reference Groups, in Rea­ dings in Social Psychology, a cura di G. E. Swanson, T. M. Newcomb

e E. L. Hartley, New York, Henry Holt & Co., 1952, pp. 410414; Shibu­ tani, op. cit. ; Ralph H. Turner, Role-taking, Role standpoint, and Refe­ rence Group Behavior, « American Journal of Sociology », 1956, 61, pp. 316-328.

• Shibutani ha indicato un terzo tipo dimostrabile: i gruppi cui gli uomini aspirano. Ma, come Turner ha giustamente osservato, esso non rappresenta un nuovo tipo, poichè « Il desiderio di essere accettato è de­ scritto [dai sociologi] come quel meccanismo che conduce all'adozione dei valori e delle prospettive del gruppo di riferimento ». Turner, op. cit., p. 327.

Studi sulla struttura sociale e cultuf!ale

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bri costituiscono soltanto condizioni » per l'azione degli individui 7• Questi « gruppi di interazione », come Turner li definisce, sono semplicemente parte dell'ambiente sociale dell'individuo, cosl come gli oggetti fisici sono parte del suo ambiente geografico : egli deve tenerne conto nella atti­ vità indirizzata a raggiungere i suoi fini, ma essi non hanno per lui nessun significato normativa o di paragone. Queste distinzioni creano vari problemi : ciascuno dei due tipi di comportamento secondo gruppi di riferimento implica forse dei meccanismi sociali e psicologici distinti ? Quali condizioni strutturali di una società determinano in maggiore o minor misura il comportamento (per gruppi di riferimento) comparativo vale a dire quello che si può assimilare al concetto di Veblen dei paragoni invidiosi e non invidiosi ? I gruppi di appartenenza e i gruppi di non appartenenza differiscono forse nella misura in cui essi svolgono tipicamente le funzioni normativa e comparativa ? Problemi di questo genere sono la diretta conseguenza della distinzione operata fra questi tipi funzionali di gruppi di riferimento. -

PROBLEMA 1 .2 IL CONCETTO

DI

GRUPPO E

DI

APPARTENENZA AL GRUPPO

La distinzione tra gruppo d'appartenenza e gruppo di non appartenenza, implica evidentemente « il problema dei criteri " di appartenenza " a un gruppo » (p. 375). Ma, co­ me un critico ha osservato di recente ', non. si può permet­ tere che questi criteri rimangano sottintesi; eppure, que­ sto è generalmente avvenuto negli scritti sociologici sul ti­ po del saggio precedente. Uno dei compiti della teoria dei 7 Turner, op. cit., p. 328. Non faccio alcun tentativo di riprodurre nei particolari l'istruttiva divisione, operata da Turner, dei vari tipi di orientamento di gruppo che finora sono stati compresi nel concetto gene­ rale di gruppo di riferimento. 8 Norman Kaplan, Reference Group Theory ar.d Voting Behavior, Tesi di laurea presso l'Università di Columbia, 1955, pp. 3547 (inedita).

Gruppi di riferimento e struttura sociale

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gruppi di riferimento è di chiarire i criteri concettuali di appartenenza ad un gruppo. Come è stato ripetutamente detto nelle pagine prece­ denti e come sarà di tanto in tanto indicato nelle pagine che seguiranno, il termine ormai accettato « gruppo di rife­ rimento » può indurre in equivoco . Infatti, il termine non si applica solo a gruppi ma anche ad individui e a categorie sociali. La distinzione tra questi gruppi e individui di rife­ rimento sarà esaminata piu avanti; qui tenteremo soltanto di differenziare concettualmente i dati sociologici disparati che ora sono comunemente descritti come gruppi di rife­ rimento. Un punto di partenza adatto ci sembra l'osservazione breve e incompleta, contenuta nel capitolo precedente, che riguarda i concetti di gruppo e appartenenza al gruppo. Se la frequenza dell'interazione è uno di questi criteri [dell'ap­ partenenza a un gruppo ], dobbiamo riconoscere che i confini fra gruppi sono tutt'altro che netti. Anzi, i « membri » di determinati gruppi sono variamente legati ad altri gruppi di cui non sono con­ venzionalmente membri, e il sociologo potrebbe avere ampie ragioni per includerli in questi ultimi, in virtu della loro frequente inter· azione sociale con i membri convenzionali. Cosi pure, per il mo­ mento [un momento che evidentemente si è prolungato per sei lunghi anni] , noi trascuriamo il problema della distinzione fra gruppi e categorie sociali, le quali ultime si riferiscono a determinati status i cui occupanti possono avere una scarsissima o nessuna inte­ razione fra loro (p. 375, nota 4). Non vi è nulla di fisso riguardo ai confini che separano grup­ pi di appartenenza da gruppi di non appartenenza, in-groups da out-groups. Essi variano col variare della situazione. Rispetto ai civili o a un gruppo straniero, i soldati e gli ufficiali possono es­ sere considerati e considerarsi membri di un in-group; ma, in un altro contesto, i soldati possono considerarsi ed essere considerati un in-group in contrapposizione al gruppo esterno degli ufficiali. Poiché questi concetti non sono assoluti, ma relativi alla situazione, non vi è paradosso se, in un contesto, ci si riferisce agli ufficiali come gruppo esterno nei confronti dei soldati e, in un altro conte­ sto, come membri del piu inclusivo in-group (p. 426, nota 43 ) .

A queste osservazioni un critico ribatte giustamente: « Può darsi che non vi sia paradosso, ma noi possiamo

Studi sulla struttura sociale e culturale

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egualmente insistere sulla necessità di criteri espliciti che designino un gruppo particolare come un gruppo di appar­ tenenza in un caso, e come gruppo di non appartenenza in un altro » 9• Poiché il critico, Norman Kaplan, prosegue senza fornirci questi criteri, può essere utile riesaminare e classificare i vari tipi di formazioni sociali che vengono chiamati negligentemente « gruppi », « categorie sociali », ecc. I criteri che sono necessari per far questo sono men­ zionati nei brani precedenti, ma non sono stati ancora esa­ minati sistematicamente e metodicamente. Per prima cosa, si ritiene generalmente che il concetto sociologico di gruppo si riferisca ad un certo numero di persone che interagiscono l'una con l'altra secondo modelli stabiliti 10• Qualche volta lo stesso concetto viene espresso in questi termini : il gruppo è costituito da un numero di persone che hanno determinati e caratteristici rapporti so­ ciali . Le due affermazioni sono equivalenti, poiché i « rap­ porti sociali » sono essi stessi modelli sistematici di intera­ zione sociale, durando abbastanza a lungo per diventare parti identificabili di una struttura sociale. Questo criterio obiettivo di gruppo era stato indicato nel precedente pas­ so alludendo alla « frequenza di interazione ». È ammis­ sibile , s'intende, considerare sufficiente questo singolo cri­ terio, ma se il nostro scopo è quello di elaborare un con­ cetto sociologicamente utile, sono necessari altri criteri 11 • Un secondo criterio, rimasto solo sottinteso nei passi citati, è costituito dal fatto che gli individui in rapporto di interazione si definiscono « membri », e ciò sta a significa­ re che essi hanno aspettative definite circa le forme dell'in­ terazione che sono moralmente vincolanti per i « membri », ma che non lo sono per gli individui considerati « estra• 10

Ibid., p. 32.

Si veda, come esempio, The Human Group di George C. Homans, Harcourt, Brace and Company, New York, 1950, l, pp. 82-86. 11 Per una vasta esposizione di questi criteri, si veda Society, Culture, and Personality di P. A. Sorokin. New York, Harper & Brothers, 1947, pp. 70 ss.

Gruppi di riferimento e struttura sociale

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nei » al gruppo. Questo criterio è stato casualmente indi­ cato nei brani sopra citati quando si è accennato agli indi­ vidui che « considerano se stessi » membri del gruppo. Il terzo correlativo criterio è che le persone in rapporto di interazione siano definite da altri come « appartenenti al gruppo », e questi altri possono essere o non essere membri del gruppo stesso. Nel caso di gruppi formali, que­ ste definizioni tendono ad essere esplicite, mentre nel caso di gruppi informali sono spesso tacite, simboleggiate dal comportamento anziché espresse in parole. Quando questi tre criteri - forme durevoli e moral­ mente stabilite di interazione sociale, definizione di se stes­ si come membri del gruppo o la stessa definizione prove­ niente da altri - si verificano completamente, coloro che partecipano a queste interazioni continuate sono chiara­ mente identificati come gruppi costituiti. Tanto il criterio oggettivo di interazione quanto i criteri soggettivi delle definizioni sociali possono, combinati, essere in grado di tracciare dei confini relativamente chiari fra appartenenza e non appartenenza ad un gruppo. Quando le definizioni soggettive sono confuse o fra loro contrastanti, la forma dell'interazione sociale osservata perde il suo carattere di­ stintivo e si verifica il caso ben noto in cui il sociologo scopre « formazioni di gruppo » non sperimentate necessa­ riamente come tali dagli individui in esse implicati. Come è stato già detto e come è necessario ripetere ora, i confini di gruppo non sono necessariamente fissi, ma va­ riano dinamicamente in risposta a specifici contesti situa­ ;t.ionali. Un cambiamento di situazione può portare signifi­ cativi cambiamenti nel grado di interazione sociale, cosic­ ché individui un tempo membri di un gruppo possono og­ gettivamente averlo abbandonato, anche se le loro « dimis­ sioni » o la loro « uscita » dal gruppo non sono state espressamente dichiarate. Soprattutto nei gruppi informali , dove non esistono esplicite definizioni di appartenenza, sia da parte degli individui membri sia da parte di altri, tali cambiamenti nel tasso di interazione sociale possono con-

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Studi sulla struttura sociale e culturale

fondere i confini del gruppo. Questa può essere conside­ rata una delle proprietà funzionali dei gruppi informati : la loro stabilità dipende, in parte, da questa relativa ambi­ guità di appartenenza. Questo fatto crea problemi pratici non teoretici per il sociologo che deve identificare l'apparte­ nenza ai gruppi informali; è necessario riesaminare e re­ spingere alcune delle connotazioni dei termini « membro » e « non membro » i quali non sono del tutto adeguati ai fatti, poiché sembrano esservi gradi diversi di appartenenza, indicati in parte dai tassi di interazione sociale con gli altri individui del gruppo. Questo fenomeno sembra sottinteso in termini quali membro « nominale » e membro « perife­ rico » di gruppo, adoperati di quando in quando dai socio­ logi. Membro nominale è colui che gli altri definiscono im­ pegnato nel sistema di interazione sociale del gruppo, ma che in realtà ha cessato ogni rapporto con gli altri appar­ tenenti al gruppo stesso; membro periferico è quello che ha talmente ridotto il tasso di interazione sociale con gli altri individui del gruppo da sottrarre quasi completamente al loro controllo il proprio comportamento. Cambiamenti della situazione oggettiva - ad esempio, un cambiamento nella distribuzione spaziale di membri del gruppo - pos­ sono esser causa di una percentuale relativamente alta di membri nominali in confronto a quelli effettivi. Allo stesso modo, i cambiamenti di situazione posso­ no influenzare le definizioni di appartenenza al gruppo, sia della propria appartenenza che di quella degli altri. In­ fatti, i tassi di interazione non essendo distribuiti in modo uguale tra i membri di un gruppo, qualsiasi avvenimento che aumenti l'interazione fra alcuni e la riduca fra altri tenderà a creare dei sottogruppi. Come il termine stesso indica, i sottogruppi sono strutturalmente costituiti da co­ loro che intrecciano fra loro distinti rapporti sociali non condivisi dagli altri membri del gruppo piu largo . Tutti i gruppi sono potenzialmente soggetti alla formazione di que­ sti sotto-gruppi; le cause che li provocano possono essere oggettive e nen culturali : ad esempio, i membri del gruppo

Gruppi di riferimento e struttura sociale

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che si trovano costantemente piu vicini sono tendenzial­ mente piu adatti a formare distinti sotto-gruppi; interessi speciali, particolari di certe categorie o strati del gruppo possono dare origine a sotto-gruppi come nel caso dei sol­ dati e degli ufficiali dell'esercito i cui interessi differiscono sistematicamente; anche i sentimenti e i valori caratteri­ stici di determinate categorie e strati del gruppo possono agire nella medesima direzione. Quando questi tre vari tipi di forze differenziatrici convergono, si può avere una di quelle ridefinizioni sociali a cui abbiamo alluso quando af­ fermavamo che, in certi casi, membri di un gruppo (in­ group) possono differenziarsi in nuovi in-groups e gruppi esterni . Un « avvenimento �> capace di far assumere una forma definita agli interessi e/ o ai sentimenti di sotto­ gruppi potenziali, può mobilitare sia il comportamento sia gli atteggiamenti che risulteranno nella formazione di nuo­ vi gruppi. Finché il linguaggio concettuale comunemente usato per descrivere la struttura di gruppo designerà staticamente l'appartenenza al gruppo stesso, sarà inevitabile che appaia paradossale il fatto che i medesimi individui debbano in qualche occasione essere descritti come membri dello stesso gruppo e, in altre circostanze, come appartenenti a gruppi diversi (e forse reciprocamente ostili) . Ma se si ammetterà che l'appartenenza ad un gruppo e la struttura di gruppo sono dinamiche, che esse sono semplicemente le risultanti concettualizzate di forze che operano all'interno di un grup­ po, allora sarà chiaro che i confini dei gruppi sono in un costante processo di trasformazione effettiva, registrata sia dai tassi di frequenza di interazione sociale e dalla ridefini­ zione sociale, sia dalle autodefinizioni e dalle definizioni al­ trui di appartenenza ad un gruppo 12• 12 Questo concetto generale dei limiti variabili di appartenenza al gruppo è nuovamente considerato nel capitolo XI, a p. 684. A proposito di queste ri-definizioni sociali determinate dalla situazione, Albert Ein­ stein ha osservato ironicamente in un discorso alla Sorbona: « Se la mia teoria della relatività si dimostrerà giusta; la Germania mi proclamerà te-

Studi sulla struttura sociale e culturale

552 PROBLEMA 1 .3 IL CONCETTO

DI

NON APPARTENENZA

Come l'appartenenza ad un gruppo non è un concetto in sé evidente ma esige espliciti criteri sociologici per essere concettualmente identificabile, anche la non appartenenza ha bisogno di criteri di identificazione. Certamente i « non membri » sono coloro che non soddisfano i criteri d'inte­ razione e di definizione d'appartenenza e potrebbe sem­ brare, quindi, che la definizione di membro possa essere sufficiente anche a definire un non membro; ma le defini­ zioni per esclusione tendono notoriamente ad oscurare ele­ menti significativi di ciò che viene definito solo negativa­ mente 13• Questo è appunto il caso del concetto di non ap­ partenenza ottenuto per esclusione. Se la categoria di « non appartenenza » viene definita solo in termini negativi, includendo in essa gli individui che non soddisfano i criteri di appartenenza, essa oscurerà di­ stinzioni fondamentali fra i vari tipi di non appartenenza; e tali distinzioni rivestono una particolare importanza per la teoria dei gruppi di riferimento . Che sia cosi, diviene evidente se deduciamo alcune implicazioni dell'importante concetto, a lungo trascurato, di « completezza » di un grup­ po, che era stato formulato da Simmel 14• Il concetto di completezza si riferisce ad una proprietà del gruppo che si misura dalla percentuale di membri potenziali cioè di individui che soddisfano i requisiti di appartenenza stabi­ liti dal gruppo - che sono membri effettivi del gruppo. I -

desco e la Francia dichiarerà che sono cittadino del mondo. In caso di insuccesso, la Francia dirà che sono tedesco e la Germania dichiarerà che sono ebreo ». " Per una convincente esposizione dell'idea delle categorie per esclu­ sione, si veda The Structure of Social Action, di Talcott Parsons, ed. ital. cit., pp. 32-38, 246.

" The Sociology of George Simmel, curata da Kurt H. Wolff, Glen­

coe, The Free Press, 1950, p. 95.

Gruppi di riferimento e struttura sociale

553

sindacati, le associazioni professionali, i gruppi di ex-stu­ denti sono soltanto esempi fra i piu evidenti di organizza­ zioni con gradi diversi di completezza. La completezza, come Simmel giustamente rileva, deve essere chiaramente distinta da un'altra proprietà del grup­ po, cioè dalla sua dimensione. Questo significa che gruppi della medesima dimensione (misurata dal numero dei mem­ bri ) possono avere dei gradi di completezza del tutto diversi (misurati dalla percentuale di membri potenziali che sono anche membri effettivi). E, correlativamente, questo significa che gruppi della medesima dimensione possono avere gradi notevolmente diversi di potere sociale, secondo che essi contengano tutti i membri potenziali o proporzio­ ni diverse di essi. Il riconoscimento del rapporto che esiste tra completezza e potere è, naturalmente, una delle ragioni piu importanti per cui certe associazioni di individui che occupano status particolari, cercano di accrescere il numero dei loro membri in modo da includervi la piu alta percen­ tuale possibile di membri potenziali; piu il gruppo è com­ pleto, maggiori saranno il suo potere e la sua influenza. Questa breve formulazione del concetto di completezza è una digressione solo apparente dal riesame dei concetti di « membro » e « non membro ». Infatti, come Simmel sem­ bra aver intuito, il concetto di completezza implica l'esi­ stenza di tipi di non membri distinti e strutturalmente di­ versi. I non membri non costituiscono una singola, omoge­ nea categoria sociale; essi differiscono nei loro tipici rap­ porti con il gruppo di cui non sono membri. Come Simmel dice : « La persona che appartiene idealmente al gruppo, ma rimane al di fuori di esso, danneggia oggettivamente il gruppo con la sua semplcie indifferenza, con la sua non appartenenza. Questa non appartenenza può assumere la forma della competizione, come nel caso delle unioni di lavoratori; può mostrare agli individui fuori del gruppo i limiti del potere che il gruppo stesso detiene; oppure può danneggiare il gruppo nel senso che esso non può neppur

554

Studi sulla struttura sociale e culturale

venir costituito se non vi partecipano tutti i membri poten­ ziali, come avviene, ad esempio, nel caso di certi cartelli industriali » 15• l . Possesso o mancanza dei requisiti necessari per l'ap­ partenenza ad un gruppo. Questo titolo suggerisce un pri­ mo attribuito che può meglio specificare la categoria ne­ gativa di non membri : la distinzione fra coloro che non hanno i requisiti richiesti per appartenere al gruppo e quelli che li hanno, ma non appartengono al gruppo. Questa di­ stinzione può servire a chiarire le condizioni che fanno si che individui non membri possano orientarsi in modo po­ sitivo verso le norme di un gruppo. A parità di altri attri­ buti di non appartenenza - e questi altri attributi verran­ no considerati direttamente piu avanti - i non membri che hanno i requisiti di appartenenza avranno presumibil­ mente piu probabilità di altri di adottare le norme del gruppo come quadro di riferimento positivo. Il possesso o la mancanza dei requisiti di appartenenza sono attributi che forniscono solo una base per l'ulteriore specificazione del concetto di non appartenenza ottenuto per esclusione. Almeno altre tre serie di attributi possono essere sistematicamente identificate e poste in relazione con modelli distinti di comportamento secondo gruppi di rife­ rimento.

2. Atteggiamenti nei riguardi della possibilità di diven­ tare membri; I non membri differiscono anche nei loro ti­ pici atteggiamenti verso la possibilità di diventare membri : a) alcuni possono aspirare a divenire membri del gruppo; b) altri possono essere indifferenti nei confronti di tale ap­ partenenza, e c) altri possono avere dei motivi che li spin­ gono a rimanere al di fuori del gruppo . La teoria dei gruppi di riferimento contiene, naturalmente, il primo di questi at" Ibid., p. 95.

Gruppi di riferimento e struttura sociale

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teggiamenti, considerato come un meccanismo che dà ori­ gine ad un orientamento positivo dei non membri verso le norme del gruppo. Il capitolo precedente è una delle molte analisi che trattano il caso specifico « dell'individuo il quale adotta i valori di un gruppo a cui aspira, ma a cui non appartiene » 16• Combinando i due attributi, cioè quello del possesso dei requisiti di appartenenza come sono definiti dal gruppo e quello degli atteggiamenti dei non membri nei confronti dell'appartenenza, è possibile stabilire una serie sistema­ tica di tipi identificabili di rapporti psico-sociali di non membri con determinati gruppi. Diviene cosi evidente che i non membri che aspirano ad appartenere ad un gruppo rappresentano solo uno dei molti tipi di non membri. Status di non membro definito dal gruppo ATTEGGIAMENTI DEI NON CoN I REQUISITI MEMBRI NEI CONFRONTI NECESSARI ALL'APDELL'APPARTENENZA PARTENENZA

SENZA I REQUISITI NECESSARI ALL'APPARTENENZA

Aspira a far parte del Candidato all' appartenenza gruppo

Uomo marginale

Indifferente nei confronti Membro dell'appartenenza potenziale

Non membro neutrale

Deciso a non far parte del Non membro autonomo gruppo

Non membro antagonista

(out-group)

Nel capitolo precedente, come nella teoria dei gruppi di riferimento in genere, sono stati identificati in modo spe16 Pagina 426 di questo volume, e l'altra breve discussione su que­ sto punto a p. 377. In verità, Muzafer Sherif e Carolyn W. Sherif, nel­ l'opera Groups in Harmony and Tension, Harper & Brothers, New York, 1953, n. 161, ne fanno una parte integrale della loro definizione dei gru;,>pi di riferimento « quelli cui l'individuo riferisce se stesso come parte o cui aspira di riferirsi psicologicamente ».

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cifico solo alcuni di questi tipi osservabili di non membri. Questa identificazione è stata parziale e molto selettiva per­ ché derivata dalla descrizione diretta di modelli di com­ portamento osservati anziché essere dedotta analiticamente dalla combinazione di attributi definiti di non membri in relazione a determinati gruppi . Come abbiamo già notato, il primo di questi tipi - cioè gli individui che aspirano a diventare membri di gruppi a · cui non appartengono - è stato considerato con particolare attenzione nella teoria dei gruppi di riferimento; ma, come era sottinteso anche in queste prime analisi e come il paradigma precedente dimo­ stra, gli aspiranti ad un gruppo si dividono in due generi significativamente diversi, divisione che deriva dai criteri, definiti dal gruppo, che determinano se si è o non si è in condizioni di aspirare allo status di membro . Gli aspiranti differiscono nella loro posizione strutturale e perciò anche nelle conseguenze funzionali e disfunzionali provocate dal fatto di impegnarsi in una socializzazione anticipata adot­ tando i valori di un gruppo a cui aspirano, ma a cui non appartengono 17• L'aspirante che possiede i requisiti di appartenenza che nel paradigma è stato identificato come « candidato » - scegliendo come gruppo di riferimento il gruppo ester­ no, ha anche molte probabilità di essere ricompensato per questa scelta dal gruppo stesso. L 'aspirante che invece non ha questi requisiti, impegnandosi in una socializzazione anticipata, diviene un uomo marginale, respinto dal suo gruppo per averne rinnegato i valori e senza possibilità di venire accettato dal gruppo di cui ha assimilato le norme e gli orientamenti. La seconda importante classe di non membri - coloro che sono del tutto indifferenti alla prospettiva di far parte 17 Tipi similari sono stati studiati sulla stessa base da Leonard Broom, Toward a Cumulative Social Science, « Research Studies of the State Col· lege of Washington », 1951, n. 29, pp. 67-75.

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del gruppo - consiste di individui che non si orientano affatto verso il gruppo in questione. Essi sono completa­ mente al di fuori della sua orbita ed esso non è parte dei loro gruppi di riferimento. Tuttavia, anche in questo caso può essere utile distinguere fra coloro che potrebbero di­ ventare membri del gruppo e che possono quindi divenire punti di riferimento del gruppo il quale può cercare di atti­ rarli a sé, e coloro che sono indifferenti e non hanno i requisiti per appartenervi. Questi ultimi sono stati descritti da Turner come semplici condizioni per l'azione del grup­ po 18• Come subito vedremo, questi due diversi generi di non membri si trovano in una situazione distinta a seconda che il gruppo cerchi o meno di raggiungere la completezza. I non membri della terza classe sono invece orientati verso il gruppo in questione, ma sono spinti da vari motivi a non ricercarne l'appartenenza. I non membri che evitano attivamente di appartenere al gruppo sono, nelle parole di Simmel, gli individui a cui « si applica l'assioma " Chi non è con me è contro di me " » 19 • Come anche Simmel ha sug­ gerito, gli individui che hanno i requisiti per appartenervi ma rifiutano espressamente il gruppo, sono piu pericolosi, sotto certi aspetti, degli antagonisti, che in ogni caso non potrebbero mai divenire membri del gruppo . Il rifiuto di coloro che potrebbero divenire membri simbolizza la rela­ tiva debolezza del gruppo, sottolineandone l'incompletezza, e nello stesso tempo simbolizza anche la relatività delle sue norme e dei suoi valori , che non sono accettati da coloro a cui dovrebbero, in teoria, applicarsi. Per entrambi i non membri volontari, vale a dire i non membri autonomi e gli antagonisti, il gruppo è (o potrà facilmente diventare ) " È questo un adattamento del concetto proposto da Turner e rife­ rito nella prima parte di questo capitolo. Turner richiama la nostra atten­ zione sui gruppi che costituiscono semplicemente delle condizioni per le persone che non ne fanno parte; noi consideriamo il tipo correlativo dei non membri che costituiscono delle condizioni per quei gruppi che non li definiscono come eventuali membri.

" Simmel, op. cit., p. 95.

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un gruppo di riferimento negativo, come vedremo quando tratteremo di questo tipo di gruppo. Abbiamo quindi visto che se si considerano congiunta­ mente gli attributi di possesso o mancanza dei requisiti e gli atteggiamenti nei confronti dell'appartenenza a un de­ terminato gruppo, è possibile distinguere diversi tipi di non appartenenza, cosa che non sarebbe stata possibile clas­ sificando i non membri in un'unica categoria. Ciascuno di questi tipi diversi di non membri è, a sua volta, capace di indicare diversi modelli di comportamento secondo gruppi di riferimento per quel che riguarda il gruppo specifico di non appartenenza. Si possono cosi anticipatamente localiz­ zare i non membri che sono orientati positivamente, i non membri che sono negativamente orientati e la vasta e im­ portante categoria di quelli che non sono orientati verso il gruppo in questione, coloro cioè per cui il gruppo non è un gruppo di riferimento. Infine, per fissare strutturalmente e psicologicamente orientamenti distinti verso gruppi esterni, devono essere considerati almeno due ulteriori gruppi di attributi dei non membri e dei gruppi esterni : a) l'interesse o la mancanza di interesse di ammettere nel gruppo non membri che han­ no i requisiti di appartenenza - interesse o mancanza di interesse definiti dal gruppo, e b) la distinzione fra i non membri che sono stati membri del gruppo e quelli che invece non ne hanno mai fatto parte. 3. Gruppi chiusi e aperti. Proprio come gli individui dif­ feriscono nell'aspirazione ad appartenere a determinati gruppi, cosl i gruppi differiscono fra loro nel desiderio di aumentare o ridurre il numero dei loro membri. Questo significa che i gruppi, e in generale tutte le strutture sociali, possono essere aperti o chiusi, come la teoria sociologica ha da gran tempo notato 20• 20

Per una formulazione abbastanza recente, si veda Sorokin, op. cit.,

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Anche in questo caso Simmel ci fornisce un punto di partenza. Non tutti i gruppi cercano di aumentare il nu­ mero dei propri membri; alcuni, al contrario, sono orga­ nizzati in modo da limitare l'accesso ad essi, al punto da escludere in certi casi coloro che potrebbero formalmente farne parte. Questo vale particolarmente nel caso delle élites, sia che si tratti di élites socialmente riconosciute o di élites autocostituitesi. Questa politica di esclusione non è dovuta interamente al desiderio di preservare il prestigio e il potere del gruppo, anche se queste consi­ derazioni possono avere un peso concreto ; in effetti, co­ me dice Simmel, un'élite può avere anche l'esigenza strut­ turale di rimanere relativamente piccola affinché siano man­ tenuti i suoiparticolari rapporti sociali 21 ; inoltre permet­ tere a un gran numero di individui di fame parte, potrebbe significare un deprezzamento del valore simbolico dell'ap­ partenenza al gruppo. Certi gruppi rimangono relativa­ mente chiusi appunto per queste ragioni strutturali e uti­ litarie. Per le stesse ragioni formali, altri tipi di gruppi sono p. 175. Nel capitolo precedente, il « carattere relativamente aperto o chiuso della struttura sociale » è messo in relazione con il comportamento secondo gruppi di riferimento, e con le sue conseguenze, ma non è rife­ rito sistematicamente ad altri attributi dei non membri e dei gruppi esterni. Si dovrebbe anche notare che non solo i sistemi delle classi sociali possono essere vantaggiosamente considerati aperti o chiusi, ma la stessa differenza si può applicare a rutti i gruppi e le categorie sociali. 2 1 Le osservazioni del Simmel sono queste: « Cosi la tendenza verso un'estrema limitazione numerica ... non è dovuta soltanto al desiderio egoi­ stico di non dividere una posizione di comando, ma anche all'istinto [sic., si legga: tacita comprensione] che avverte come le condizioni vitali di un'aristocrazia possono esser mantenute solo se il numero dei suoi mem­ bri è, relativamente e assolutamente, piccolo... [In determinate condizio­ ni], non rimane, a un certo punto, che opporsi severamente a ogni espan­ sione e porre una barriera fra il gruppo quantitativamente chiuso e qual­ siasi elemento esterno che possa desiderare di entrarvi, indipendentemente dal fatto che abbia o meno i requisiti necessari. Spesso la natura aristo­ cratica diviene cosciente di se stessa soltanto in questa situazione, in questa accresciuta solidarietà contro la tendenza a espandersi ». Simmel, op. cit., pp. 90-91 (il corsivo è aggiunto). È necessario aggiungere che ri­ conoscendo in un'« élite >> l'esigenza strutturale di una certa inaccessibi­ lità, il Simmel non predica una politica di esclusione?

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relativamente aperti e cercano di aumentare il numero dei propri membri. Ad esempio, i partiti politici di sistemi de­ mocratici 22, certi gruppi industriali e certe istituzioni reli­ giose sono strutturalmente e funzionalmente costituiti in modo tale da provvedere al massimo della loro estensione. Le organizzazioni di questo tipo non sono naturalmente limitate alla sfera politica o religiosa, ma si trovano in moltissimi altri campi istituzionali . Queste organizzazioni aperte mirano a diventare gruppo d'appartenenza e gruppo di riferimento per tutti coloro che sono formalmente in possesso dei requisiti di appartenenza. Talora, questi cri­ teri possono diventare meno rigorosi allo scopo di aumen­ tare il numero di coloro che possono aspirare a diventare membri e questo darà origine al noto modello strutturale di conflitto tra gli « alti standards di ammissione » e il « rile­ vante numero dei membri » 23 • In conclusione, sarà il carattere chiuso o aperto del gruppo quello che determinerà se i non membri si oriente­ ranno in misura maggiore o minore verso di esso come gruppo di riferimento . Era su questa base che nel capitolo precedente avevamo affermato che i gruppi di non apparte­ nenza hanno piu probabilità di venire adottati come gruppi di riferimento in sistemi sociali con alti tassi di mobilità 22 I partiti politici evidentemente non hanno questo carattere in tutti i sistemi politici. Da un punto di vista sociologico, la dottrina bolscevica di Lenin predicava il principo aristocratico di limitare l'accesso al par­ tito ai soli rivoluzionari professionisti disciplinati, in contrasto con la dot­ trina menscevica di Martov e di Trotzky che predicava il principio del­ l'appartenenza di massa. Le organizzazioni appartenenti a varie sfere isti­ tuzionali hanno tentato di combinare i principi di « apertura » e di « chiusura » con ogni tipo di artifizio strutturale per giungere alla strati­ ficazione dei membri.

" Questo corrisponde, nel campo dell'organizzazione sociale, al con­ flitto altrettanto comune nel campo della cultura popolare e delle comuni­ cazioni di massa. L'obiettivo di allargare al massimo il pubblico - « il principio di popolarità di massa » - si scontra con l'obiettivo di mante­ nere « alti livelli » di contenuto culturale - il « principio aristocratico del gusto >>. È abbastanza interessante notare come talora gli stessi indi­ vidui che rifiutano il principio aristocratico dell'élite nella organizzazione, predichino invece lo stesso principio nella cultura popolare.

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sociale che non in sistemi in cui tale mobilità sia scarsa. Il contesto strutturale dei tassi di mobilità determinerà se la socializzazione anticipata sarà funzionale o disfunzionale per i non membri che l'adottano : in un sistema aperto l'orientamento positivo verso gruppi di non appartenenza sarà piu spesso ricompensato dalla successiva inclusione nel gruppo; in un sistema chiuso condurrà piu di frequente a frustrazione e a status marginali. Mediante questo sistema piu o meno riconosciuto di regolari ricompense e puni­ zioni, un sistema aperto permetterà e favorirà che una ele­ vata percentuale di persone si orienti positivamente verso gruppi esterni mentre un sistema chiuso ostacolerà in ogni modo questo orientamento 24• 4. La non appartenenza vista in una prospettiva tempo­ rale: ex-membri e non membri che sono sempre stati tali. Come altri concetti sociologici di status, la non appar­ tenenza è stata abitualmente studiata in modo statico, vale a dire secondo lo status che un individuo ha in un pre­ ciso momento storico. In questo, come negli altri casi, è necessario un particolare sforzo mentale per sfuggire a questa prospettiva statica e includere nello schema concet­ tuale non solo lo status presente di un individuo, ma anche il susseguirsi dei suoi status precedenti che può influenzare, e di fatto influenza, il suo comportamento presente e fu­ turo. È solo di recente che gli studi sociologici sul compor­ tamento nelle varie classi sociali hanno incominciato a di­ stinguere sistematicamente, e non solo sporadicamente, fra gli individui, che pur appartenendo in un determinato mo­ mento alla stessa classe, avevano un diverso curriculum di status sociali; come era logico aspettarsi, furono trovate differenze significative nel comportamento secondo gruppi di riferimento a seconda che si trattasse di individui con una mobilità in senso ascendente, individui con mobilità in " A questo proposito si veda la parte del capitolo precedente che ttatta della « teoria dei gruppi di riferimento e la mobilità sociale ».

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senso opposto o individui stazionari 25• Allo stesso modo, uno studio dell'amicizia come processo sociale ha distinto fra coloro che, pur essendo della stessa categoria (ad esem­ pio amici con gli stessi valori) in un determinato momento dell'osservazione, differivano tuttavia nei loro rapporti re­ ciproci e nei loro valori in una osservazione fatta in tempo precedente. Diventa cosi possibile collegare queste diffe­ renze esistenti .nel passato con le probabili differenze che possono osservarsi piu tardi 20• La categoria dei non membri può venire concettualiz­ zata allo stesso modo: i non membri possono venir consi­ derati non solo nella loro situazione del momento, ma in relazione al loro curriculum di appartenenza, distinguendo fra coloro che in tempi precedenti avevano o non avevano fatto parte del gruppo. Abbiamo già considerato i non membri in modo dinamico in relazione ai loro orientamenti verso il futuro, il caso cioè degli individui che aspirano a diventare membri di un gruppo; essi, tuttavia, non sono stati considerati in termini di dinamica strutturale, concer­ nente le loro passate relazioni col gruppo. Eppure sembra plausibile che gli ex-membri differiscano nel loro comporta­ mento secondo gruppi di riferimento dagli altri non mem­ bri che non hanno mai fatto parte del gruppo . Si può supporre in via provvisoria che l'appartenenza ad un gruppo, con i profondi attaccamenti e sentimenti che essa implica, non possa essere facilmente interrotta senza che vi siano particolari residui psicologici. Questo significa "' Bruno Bettelheim e Morris Janowitz, The Dynamics of Pre;udice, New York, Harper & Brothers, 1950; Joseph Greenblum e Leonard l. Pearlin, Vertical Mobility and Prejudice: a Socio-psychological Analysis in « Class, Status and Power )), a cura di Reinhard Bendix e Seymour Mar­ tin Lipset, Glencoe, The Free Press, 1953, pp. 480-491. 26 Pau! F. Lazarsfeld e Robert K. Merton, Friendship as Social Pro­ cess: a Substantive and Methodological Analysis in « Freedom and Con­ tro! in Modern Society )), a cura di Morroe Berger, Theodore Abel e Charles H. Page, New York, D. Van Nostrand Company, 1954, pp. 1866. Per un'ulteriore estensione di questa analisi, si veda il saggio di John W. Riley jr. e Matilda White Riley, in via di pubblicazione, The Study of Psychological Mechanism in Sociological Researcb.

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che gli ex-membri di un gruppo, che in passato fu per loro significativo, tenderanno ad avere nei suoi confronti piu che un atteggiamento indifferente, un atteggiamento ambi­ valente. S'intende che numerosi fattori strutturali possono mitigare o eliminare questa ambivalenza; per esempio, una completa separazione sociale e spaziale dal gruppo può ri­ durre le occasioni in cui l'ex-membro potrebbe trovare che il gruppo è per lui ancora importante. Ma, in generale, secondo la nostra classificazione degli > alla Ohio State University, si veda Situational Factors in Leadership di John K. Hem­ phill, Columbus, The Ohio State University, 1949, soprattutto il terzo capitolo sulla (> (R. K. Merton, in Discrimination and the American Creed a cura di R. M. Mac­ Iver, New York, Harper & Brothers, 1949, pp. 99-126, spec. alle pa­ gine 101-120).

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1 8 . Il sistema dei controlli normativi. Questa proprietà si riferisce ai processi tipici di controllo normativa che re­ golano il comportamento dei membri del gruppo . I gruppi e le organizzazioni differiscono secondo che essi esercitino un controllo mediante regole formulate espressamente (leg­ gi), mediante aspettative di modelli di comportamento me­ no chiaramente formulate, ma chiaramente previste e raf­ forzate dal sentimento e sostenute dalla dottrina morale (costumi), oppure mediante aspettative consacrate dall'uso e quindi spesso abitudinarie ma di carattere meno forte­ mente affettivo (usi comuni). Ad un estremo, vi sono le regole chiaramente delimitate e ufficiali che vengono im­ poste da rappresentanti cui è stato assegnato questo ruolo; all'altro estremo, invece, le norme sono imposte dalle ri­ sposte « spontanee » ma socialmente modellate di altri membri del gruppo, anche se essi non hanno un ruolo spe­ cifico in questo senso. Rimane ancora da studiare in che modo il sistema di controllo normativa è regolarmente col­ legato con le altre numerose proprietà dei gruppi e delle organizzazioni. 1 9 . Grado di visibilità o osservabilità all'interno del grup­ po. Questa proprietà si riferisce al grado in cui le norme

o il comportamento di ruolo entro un gruppo, possono essere osservati da altri individui (di status inferiore, pari e superiore ). È questa una estensione del concetto che per lungo tempo è stato definito dai sociologi americani come « visibilità sociale ». Con questa espressione si in­ dicava il grado di immediata visibilità dell'identità di sta­ tus, soprattutto di classe, di casta, di razza e di etnicità . La proprietà della visibilità, o osservabilità, intesa in questo senso piu ampio a proposito dei gruppi, richiede un'attenzione e uno studio molto maggiori di quanto non abbia ricevuto finora, e questo per diverse ragioni. In pri­ mo luogo, questa proprietà sembra rientrare tacitamente in molte analisi della struttura di gruppo e del comporta­ mento di gruppo; in secondo luogo, perché le sue numerose

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implicazioni nei confronti dei processi e della struttura sociali stanno diventando evidenti solo adesso, molto tem­ po dopo cioè che essa era stata brillantemente e obli­ quamente introdotta da Simmel; e, infine, perché essa ha un'influenza diretta su uno dei principali problemi della teoria dei gruppi di riferimento (come vedremo meglio in altra parte di questo capitolo) . In forma tipicamente saggistica, Simmel allude a questa proprietà nella sua descrizione del carattere sociologico delle aristocrazie: « Vi è anche un limite assoluto (di nu­ mero) oltre il quale la forma aristocratica del gruppo non può essere conservata. Il punto di rottura è determinato da circostanze in parte esterne, in parte psicologiche . Se il gruppo aristocratico vuole esistere effettivamente come tut­ to, esso deve essere "visibile od osservabile " 61 da ogni singolo membro di esso. Ciascun elemento [ del gruppo ] •• Il termine originale è ubersehbar. Nel tradurre in inglese questo passo, Kurt Wolff usa la parola « surveyable » (controllabile, esamina­ bile, N.d.T. ), che rappresenta, s'intende, una buona approssimazione. Il senso dell'originale sembra, tuttavia, espresso in modo leggermente piu esatto dalle parole >, 19.54, 7, pp. 191-216, spec. alle pp. 204-206. Egli cita giustamente, come affine, lo studio di Morris Janowitz, The Community Press in an Urban Setting, Glencoe, The Free Press, 1952.

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sociale che si occupano soprattutto degli individui e dei gruppi che esercitano un'influenza, e gli studi sul compor­ tamento secondo gruppi di riferimento che si occupano di quelli soggetti all'influenza, finora svolti spesso in maniera indipendente, devono essere unificati in concezioni sociolo­ giche capaci di comprenderli entrambi. Visti in questa prospettiva piu vasta, molti studi con­ dotti di recente sulla selezione di certi gruppi di appar­ tenenza come gruppi di riferimento assumono una mag­ giore significatività sociologica. Questi studi, per la stessa ammissione dei loro autori, rappresentano dei semplici inizi, ma proprio per questa ragione preannunciano for­ se degli imminenti sviluppi. Lo studio di Ralph Turner, ad esempio, si apre con questa premessa (che ricorda la seconda delle proprietà di gruppo da noi considerate) : « La letteratura sui gruppi di riferimento non ha sempre sotto­ lineato a sufficienza in che misura i gruppi wno parzial­ mente anziché totalmente rilevanti per i valo-:i di un indi­ viduo » 74 • Turner cerca quindi di rimediare a questa insuffi­ cienza analizzando i diversi gruppi di ap•_)artenenza che vengono scelti come quadri di riferimento per diversi tipi di valori : valori che si riferiscono al su,:cesso professio­ nale, certi tipi di valori etici e morali e 'Jalori che si rife­ riscono a ciò che Turner chiama « ricche-lza di vita ». Non intendo riassumere qui i risultati di c_uesto studio; essi sono indicativi piu che definitivi, com,� afferma lo stesso autore. Il punto essenziale è che questo studio mostra come vi siano modelli distinti di selezione che legano determi­ minati tipi di valori a determinati gruppi di riferimento. Ad esempio, le appartenenze di gruppo che sono state rag­ giunte attraverso le attività personali contrapposte alle ap­ partenenze che la struttura sociale assegna alle persone sono piu rilevanti, in rapporto ad una accettazione dei valori di quel gruppo, per quel particolare tipo di « uo,. Ralph H. Turner, Referem:e Groups of Future-oriented Men, eia! Forces », 1955, 34, pp. 130-136, spec. alla p. 131.

il 36% dei loro (vedere la tavola XLV [è questo un consiglio che io do soprattutto a coloro che traggono un godimento intellettuale dalle creative analisi socio­ logiche di materiali empirici] ).

In generale quindi i repubblicani ottengono di piu della loro quota probabile in un ambiente in conflitto, a causa della diffusa atmosfera repubblicana di Elmira che tende a perpetuarsi. La mag­ gioranza è avvantaggiata dal meccanismo delle pressioni contrastanti. Nel sistema a totalizzatore tutti scommettono e si influenzano a vicenda. Ma quando la vincita è calcolata in cifra tonda, gli spic­ cioli rimasti - il breakage - sono devoluti a favore dell'ippodromo o dello Stato. Nel nostro caso il breakage va ai repubblicani. Può trattarsi di una quantità di voti trascurabile, se considerata in un qualsiasi determinato momento, ma col tempo diviene notevole. Ad esempio, il maggior numero di voti dati a repubblicani dagli elettori piu anziani può essere la conseguenza di questo meccani­ smo di dare e avere dei gruppi primari. Con l'avanzare dell'età, un regolare tributo di ex-democratici è versato alla comunità repub­ blicana.

Risultati di questo tipo confermano alcuna delle ipo­ tesi contenute nel concetto divenuto ormai di valore quasi assoluto del pluralismo, il quale afferma che le associa­ zioni possono (e nella dottrina politica del pluralismo, do­ vrebbero) servire da mediatrici tra gli individui e la società o l'unità politica piu ampia 82• Analiticamente, questa è una concezione valida della struttura sociale, ma solo come pri­ ma approssimazione. Tanto per cominciare, questo concetto a Per delle interessanti analisi sociologiche del pluralismo, non solo come teoria politica ma anche come concezione particolare della struttura sociale, si veda The Quest for Community di Robert A. Nisbet, New York, Oxford University Press, 1953, trad. ital., Milano, Comunità, 1957, e Industrial Relations an(! the Libera! Pluralist di Klark Kerr, in « Proceedings of the Seventh Annua! Meeting of the Industriai Rela­ tions Research Association ».

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non deve essere limitato, come avveniva tradizionalmente negli scritti dei pluralisti, alla lotta per il potere fra asso­ ciazioni organizzate privatamente e lo Stato. La struttura sociale non solo influisce sull'esercizio del potere formale e cosciente, ma sull'intera gamma dell'influenza sociale, compresa quella informale e involontaria. In secondo luogo, come ha esaurientemente chiarito Ni­ sbet nella sua profonda analisi, le associazioni che stanno fra lo Stato sovrano e gli individui, non servono a proteg­ gere solo le libertà di « quegli individui » implicitamente concepiti come « un mucchio di sabbia di separate parti­ celle di umanità », ma di « persone » diversamente impli­ cate in gruppi primari, come la famiglia, i gruppi di amici e i gruppi locali. L'immagine dell'individuo veramente iso­ lato, cosi vigorosamente concepita nel famoso capitolo XIII del Leviathan di Hobbes e poi ripresa nelle ipotesi dei plu­ ralisti liberali, è una finzione che la sociologia dei nostri giorni ha dimostrato, fuor di ogni dubbio, falsa e superflua. In terzo luogo, come è apparso ora, neppure i gruppi primari in cui le persone sono impegnate in una qualche misura influenzano in modo uniforme gli orientamenti dei loro membri . Talora i valori di quei gruppi che costitui­ scono l'ambiente sociale piu immediato di un individuo non sono tutti (o la maggior parte) unanimi e, in tal caso, gli effetti potenziali di questi gruppi vengono neutralizzati. Inoltre, quando nei gruppi primari vi sono orientamenti di valore contrastanti e gli orientamenti modali del piu largo ambiente sociale sono pronunciati, il ruolo di media­ zione del gruppo primario diviene meno importante o ad­ dirittura trascurabile e l'influenza della società nel suo com­ plesso diviene piu vincolante. Queste almeno sembrano es­ sere le deduzioni che si possono ricavare dallo studio di Elmira. Un altro tipo di conseguenze di questi risultati ha a che fare con il ruolo che teoricamente può svolgere la « ri­ cerca sui piccoli gruppi » nello sviluppo della teoria dei

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gruppi di riferimento e nella piu generale teoria sociolo­ gica dei gruppi. È evidente che i risultati dello studio di Elmira non si sarebbero potuti facilmente ottenere se il comportamento esaminato fosse stato quello di alcuni in­ dividui momentaneamente riuniti a costituire un « pic­ colo gruppo » in qualche laboratorio sociologico. Infatti, il requisito piu importante di questo problema è che il com­ portamento degli individui che costituiscono il piccolo grup­ po venga esaminato entro il duplice contesto dei loro du­ revoli rapporti personali ( « amici » o « compagni di lavo­ ro ») e della struttura normativa e di comportamento della comunità in cui il piccolo gruppo vive. Questo tipo di pro­ blema sociologico, che implica strutture sociali attivamente funzionanti che abbiano un durevole significato affettivo per gli individui che ne fanno parte, è proprio quello che normalmente non viene studiato per mezzo di piccoli grup­ pi creati sperimentalmente e costituiti perciò da individui riuniti ad hoc per fini limitati, e solo parzialmente e tempo­ raneamente impegnati nel gruppo. Non vogliamo con que­ sto mettere in dubbio il valore della ricerca sperimentale sui piccoli gruppi ; vogliamo solo affermare che questo tipo di ricerca si presta solo per studiare un numero molto limitato di problemi sociologici e che per molti altri è asso­ lutamente inadeguato. Per il tipo di problemi ora esami­ nati, il cui oggetto di studio sono proprio le interconnes­ sioni esistenti fra l'insieme dei rapporti personali durevoli e la piu ampia struttura sociale, lo schema sperimentale di ricerca sui piccoli gruppi, assai utile in altre occasioni, non è quindi idoneo . Non è troppo ardito sperare che fra non molto i sociologi e gli psicologi sociali riescano ad identi­ ficare quei problemi teorici che possono venire efficace­ mente investigati con la ricerca sperimentale sui piccoli gruppi e distinguere quelli che invece è piu utile analizzare entro il contesto sociale naturale 33• " Come esempio di particolareggiati dati sociologici sui gruppi di riferimento in opposizione, si veda il fascicolo di documentazioni compi·

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Comportamento secondo gruppi di riferimento: elementi strutturali. La sezione precedente di questa nostra indagine sugli ultimi sviluppi della teoria dei gruppi di riferimento e della struttura sociale si è occupata dello stato attuale delle no­ stre conoscenze, concernenti quelle che vengono normal­ mente chiamate le determinanti della selezione dei gruppi: i gruppi di appartenenza e non appartenenza, i tipi alterna­ tivi di gruppi di appartenenza, i gruppi che implicano pro­ lungate relazioni personali, distinti da quegli aggregati astratti costituiti da categorie di status sociale, e distinti anche dalla comunità piu vasta e dalla società in cui gli individui vengono pure a trovarsi. Vari problemi specifici, teorici ed empirici, sono stati esaminati nei loro rapporti con le determinanti della selezione. Poiché questa volta ci limiteremo soltanto ad accennare ad alcune delle conse­ guenze e delle funzioni del comportamento secondo gruppi di riferimento, dobbiamo esaminare almeno alcuni degli elementi strutturali essenziali che sono impliciti nel com­ portamento secondo gruppi di riferimento, concepito come un processo sociale. Nel trattare delle diverse proprietà del gruppo, considerate in relazione al futuro sviluppo di questa teoria, avevamo detto che l'elemento « osservabili­ tà » o « visibilità » ha un ruolo dominante in questo pro­ cesso sociale; esso deve esser quindi considerato in modo adeguato.

lato in The Worker-Priests: A Collective Documentation, Londra, Rou­ tledge e Kegan Pau!, 1956. Il sistematico conflitto di ruoli che si veri­ fica per i preti operai francesi può essere interpretato in base ai concetti appena esaminati; sarebbe difficile, per non dire impossibile, riprodurrè la stessa situazione in forma teoricamente paragonabile, entro i confini di un laboratorio.

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PROBLEMA 5 0SSERVABILITÀ O VISIBILITÀ: VIE TIPICHE D'INFORMAZIONE AT­ TRAVERSO CUI SONO CONOSCIUTI I VALORI, LE NORME E IL COM­ PORTAMENTO DI RUOLO

La teoria dei gruppi di riferimento naturalmente « pre­ sume che gli individui che paragonano la propria sorte con quella di altri abbiano una certa conoscenza della situazione in cui questi altri si trovano ... Se invece si suppone che l'individuo ... sia orientato verso le norme di un gruppo di non appartenenza, la teoria presume che egli abbia una cer­ ta conoscenza di queste norme. Per questo motivo, la teoria del comportamento secondo gruppi di riferimento deve in­ cludere, nella sua completa elaborazione psicologica, una analisi della dinamica delle percezioni (di individui, di gruppi e di norme) e, nella sua elaborazione sociologica, lo studio dei canali di comunicazione attraverso cui gli individui pervengono a questo - tipo di conoscenza. Quali processi danno origine ad immagini fedeli o deformate della situazione di altri individui e gruppi (presi come qua­ dri di riferimento)? Quali forme di organizzazione sociale rendono massima la probabilità di una percezione corretta di altri individui e di altri gruppi, e quali forme invece provocano una percezione deformata? Poiché alcuni ele­ menti percettivi e conoscitivi sono certamente impliciti an­ che in una teoria del comportamento secondo gruppi di riferimento, è necessario che essi vi vengano inclusi in maniera esplicita » (pp. 486-87). Questa affermazione concernente le variazioni sistema­ tiche del grado di conoscenza delle norme e dei valori di un gruppo di riferimento è sufficientemente adeguata anche in questa trattazione. Tuttavia, se si insistesse troppo sul concetto di percezione esatta o deformata, si potrebbe com­ mettere l'errore di concentrare il proprio interesse sui gran­ di e importanti problemi della psicologia della percezione e trascurare i problemi altrettanto grandi e importanti del

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modo in cui le variazioni della struttura di gruppo influen­ zano le possibilità di avere facilmente informazioni sulle norme e i valori che prevalgono nei gruppi. Che il concetto di comportamento secondo gruppi di ri­ ferimento presupponga una certa conoscenza o immagine delle norme e dei valori che prevalgono nel gruppo è un fatto ovvio e naturalmente anche noto da tempo . Per fare qualche esempio, Newcomb nel resoconto del suo studio su Bennington osserva che non tutte le studentesse si rendeva­ no conto della tendenza anti-conservatrice che si sviluppava man mano che esse frequentavano gli anni successivi del college; egli aggiunge anche che « evidentemente, gli indi­ vidui non consapevoli della tendenza prevalente nella co­ munità non potevano usare la comunità stessa come gruppo di riferimento per la formazione di un atteggiamento » 84• In seguito a questo, Newcomb incluse nel suo schema di ricerca anche una misura del grado di conoscenza di que­ sti fatti. Per quanto « ovvia » sia questa componente del­ la teoria, molti studi del comportamento secondo gruppi di riferimento non hanno provveduto alla raccolta sistema­ tica di dati che potessero indicare in modo adeguato i vari gradi di · consapevolezza e conoscenza delle norme che pre­ valgono nei gruppi che sono presi come quadri di rife­ rimento 85• Il fatto della conoscibilità o della consapevolezza del­ l'esistenza di determinate norme e valori di un gruppo è qualcosa di piu di un dato empirico che fa parte delle ana14

Newcomb, in An Outline of Social Psychology di Sherif, cit., p. 13.

" Per un esame particolareggiato e metodico di questo punto, si veda il III cap. di Norman Kaplan, op. cit. Kaplan osserva giustamente che due tipi distinti di « consapevolezza » sono variamente impliciti nel comportamento secondo gruppi di riferimento: la consapevolezza che un gruppo o un individuo viene usato come quadro referenziale di valore e la sola consapevolezza (conoscenza) delle norme seguite da determinati altri (che possono servire inconsciamente come quadri referenziali). La ragione per cui si dà rilievo a queste « ovvie » ipotesi della teoria è asso­ lutamente semplice: si sono dimostrate spesso cosf ovvie da essere com­ pletamente trascurate nei progetti di ricerca sui gruppi di riferimento.

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lisi degli elementi che determinano la selezione di u n gruppo d i riferimento ; non è solo u n dato ma è soprattutto un problema sociologico . Quel che vogliamo dire è che la conoscenza di queste norme non è un fenomeno che vari empiricamente a caso fra gli individui; presumibilmente il possesso e l 'ampiezza di tale conoscenza sono anch'esse soggette ad essere modellate dalla struttura del gruppo. Questo fatto crea alcuni problemi teoricamente significativi per successive analisi; in che modo la struttura del gruppo influisce sulla distribuzione della conoscenza delle norme e dei valori che effettivamente vigono in esso ? L'esistenza di tali differenze nella conoscenza delle nor­ me di un gruppo non è solo una ipotesi convenzionale ma è stata sistematicamente dimostrata da studi come quello di Chowdhry e Newcomb (che ho citato nel breve esame della « visibilità » o « osservabilità » ). In un successivo sommario dei risultati del suo studio, Newcomb osserva che in cia­ scuno dei gruppi della sua indagine (gruppi composti da membri fra i venti e quarant'anni e comprendenti un'asso­ ciazione religiosa studentesca, un gruppo politico della co­ munità locale, una comunità di studentesse in medicina e un gruppo di operai che si riunivano per fini di istruzione), « i leaders erano in grado di giudicare gli atteggiamenti di tutti gli altri membri piu esattamente dei non-leaders ma solo per quel che riguardava i problemi rilevanti e non per quelli irrilevanti ». Problema rilevante veniva definito tutto ciò che era direttamente connesso con i fini del gruppo, irrilevante tutto ciò che aveva una lontana relazione con essi. Perciò gli atteggiamenti religiosi erano considerati rile­ vanti nel gruppo religioso e non nel politico e viceversa. Aggiunge Newcomb : Se i giudizi dei leaders si fossero rivelati superiori anche per i problemi non rilevanti... [ questo ] avrebbe significato che i leaders sono sempre buoni giudici degli atteggiamenti degli altri, indipen­ dentemente dalle particolari norme del gruppo; questo vorrebbe dire che il leader di un gruppo potrebbe esser scambiato facilmente con quello di un altro. I risultati dello studio non confermano na­ turalmente un'ipotesi del genere. Essi mostrano piuttosto che la

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Studi sulla struttura sociale e culturale

posizione di leader è una posizione speciale rispetto alle norme spe­

cifiche di un gruppo. Si può dire anche a questo punto, che p oiché i leaders non facevano parte dei loro rispettivi gruppi da piu tempo della media degli altri membri non leaders non si può concludere che, sia la loro posizione di leadership sia la loro conoscenza delle norme del gruppo, derivassero da una maggiore « anzianità » nel gruppo s6.

Risultati di questo tipo sulle variazioni del grado di conoscenza delle norme vigenti in un gruppo sono stati molto frequenti nelle ultime ricerche di psicologia sociale 87; essi rappresentano un importante punto di partenza per lo sviluppo di studi sociologici equivalenti riguardanti i pro­ cessi mediante i quali la struttura dei gruppi conduce a 86 Questo compendio dello studio è fornito da Newcomb in Social Psychology, cit., pp. 658-659. Ho usato il corsivo per la frase in cui è implicito un concetto della struttura di gruppo che verrà ora esaminato

e ho colto l'occasione per correggere un evidente errore tipografico nella

frase finale, sostituendo la parola > (Cooley, Human Nature and The Social Order, pp. 128, 129-130. Si può aHermare che quando Comte coniò il termine « altruismo >> e lo definf in quel deter­ minato modo, contribui a creare l'errore che il Cooley cercò di com­ battere). ..

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Studi sulla struttura sociale e culturale

che si deve ad una condotta disinteressata; vi è un diffuso sentimento che riconosce il coraggio del non conformista, vale a dire la sua dimostrata capacità di correre grandi ri­ schi, soprattutto per scopi disinteressati 116• In una certa misura, il coraggio ( sebbene in grado forse inferiore) è riconosciuto anche dall'individuo che affronta gravi peri­ coli per scopi egoistici o per scopi diversi da quelli del gruppo, come nel caso dell'« audace criminale » o del « ne­ mico coraggioso » che sono in un certo grado ammirati per­ sino quando sono condannati. Il coraggio essendo poten­ zialmente una virtu sociale - cioè funzionale per la soprav­ vivenza e il progresso del gruppo quando è in accordo con i valori fondamentali dello stesso - esso suscita rispetto anche in quelle complesse circostanze in cui è evidente­ mente adoperato non in favore ma contro il gruppo . Pensiamo che anche questo breve esame del problema serva a chiarire le differenze funzionali fra i due tipi di comportamento deviante. In determinate condizioni, il non conformismo pubblico può avere le funzioni, manifeste o latenti, di cambiare i modelli di condotta e i valori che sono diventati disfunzionali per il gruppo . Le altre forme di comportamento deviante, non pubbliche ma private, "' Naturalmente, gli esempi di questo tipo possono essere moltipli­ cati all'infinito. Consideriamo solo il caso di John Brown, traditore, assas­ sino e coraggioso fanatico pronto a morire per la causa della libertà, come egli vedeva questa causa. Secondo Carl Sandburg, « Brown è stato cosi tranquillamente e religiosamente felice di essere pubblicamente impiccato al cospetto di tutti gli uomini e tutte le nazioni in modo da non essere dimenticato facilmente >>. E cosi disse il governatore dello Stato che dopo un giusto processo, lo fece impiccare: > è quello definito come tale dalle norme e dai modelli della società, è evidente che la definizione sociale dei crimini di Brown difieri­ sce da quella dei crimini di molti altri individui che furono solo ladri di cavalli. Nel descrivere questo grande atto di non conformismo, Cari Sandburg è nello stesso tempo lo storico e il portavoce della cultura ame­ ricana: Abraham Lincoln: The Prairie Years, New York, Harcourt, Brace and Company, 1926, II, pp. 188-195 (trad. ital., Bologna, Il Mulino,

1965).

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hanno la funzione manifesta di servire gli interessi del­ l'individuo deviante e in certe condizioni, che sono state parzialmente identificate da Durkheim, George Mead e Radcliffe-Brown , hanno quella latente di rinvigorire i senti­ menti di un gruppo che sono diventati cosi deboli da non essere piu in grado di regolare efficacemente il comporta­ mento. Unire queste forme di condotta, funzionalmente (e non solo moralmente) diverse nell'unico concetto di « com­ portamento deviante » significa oscurare la loro diversa portata sociologica; dopotutto, sembra giusto supporre che l 'anima di Al Capone, non « marcerà vittoriosa » come quella di John Brown . O, per fare un altro esempio, Eu­ gene V. Debs e Albert B. Fall, il segretario di Harding al campo petrolifero di Teapot Dome, che si dimostrarono incapaci di amministrare il denaro pubblico, furono arre­ stati secondo le leggi americane perché colpevoli di « com­ portamento deviante ». Eppure, Harding, l 'esponente della normalcy * riusd a liberare il non conformista Debs con un tardivo atto di clemenza esecutiva, mentre a Coolidge, impegnato ad estendere il campo di applicabilità della normalcy non fu possibile fare altrettanto per il deviante Fall. Se la distinzione tra tipi di comportamento deviante e non conformista non viene sistematicamente mantenuta, in senso concettuale e terminologico, la sociologia continuerà inavvertitamente a percorrere quella strada su cui qualche volta si è incamminata, di diventare cioè la scienza sociale che implicitamente vede la virtu solo nel conformismo so­ ciale. Proprio se queste distinzioni fra la struttura sociale e le funzioni di queste diverse forme di comportamento deviante non vengono sistematicamente elaborate, si finirà con l'esaltare - anche se non deliberatamente - il valore per il gruppo della conformità ai suoi modelli prevalenti e col presumere che il non conformismo sia necessaria*

nismo

Politica che sosteneva la necessità

(N. d. T.).

di una certa misura di isolazio­

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Studi sulla struttura sociale e culturale

mente disfunzionale 117• Eppure, come è stato spesso rile­ vato in quest'opera, non è raro che la minoranza non con­ formista di una società rappresenti i valori e gli interessi fondamentali in modo piu valido della maggioranza con­ formista 118 • Questo, ripetiamo, non è un giudizio morale ma funzionale e fa parte di una teoria sociologica e non di una concezione etica . Si può dire, infine, che una volta in­ trodotta, questa affermazione sarà probabilmente accettata proprio dagli studiosi della società i quali, usando un conm Il valore culturale americano del diritto a dissentire è radicato troppo profondamente per non influenzare il comportamento, persino in condizioni di tensione. In termini di sociologia della conoscenza, che considera il lavoro intellettuale come forme diverse di reazione alle con­ dizioni sociali di base, un particolare significato dev'essere attribuito a un importante studio empirico delle forze che determinano l'accettazione, il rifiuto e la difesa dei non conformisti, politici o meno; Samuel A. Stouf­ fer, Communism, Conformity, and Civil Liberties, New York, Doubleday and Company, 1955. Tale studio parte dal presupposto che questi tipi di non conformismo differiscono significativamente da altri tipi di com· portamento deviante. Inoltre, esso si occupa del problema di scoprire le basi dell'accettazione e del rifiuto dei non conformisti, un problema che nelle pagine precedenti è stato solo sfiorato. Molto a proposito è anche un recente esperimento sociologico, che si occupa del problema correlativo delle condizioni in cui il conformismo sociale è disfunzionale per determinati propositi del gruppo. Vedere Harold H. Kelley e Martin M. Shapiro, An Experiment on Conformity to Group Norms where Con/ormity is Detrimental to Groups Achieve· ment, « American Sociological Review », 1954, 19, pp. 667-677. 118 Si veda l'interessante descrizione di non conformismo pubblico nel­ la storia del Senato degli Stati Uniti, scritto dal Senatore John F. Ken­ nedy, Profiles in Courage: Decisive Moments in the Lives of Celebrated Americans, New York, Harper and Brothers, 1955. È la storia di otto senatori che si rifiutarono di conformarsi alle aspettative prevalenti, nono­ stante le estreme pressioni esercitate su di loro, pressioni che implicavano un rischio fatale per le loro carriere politiche, la diffamazione e il ripu­ dio da parte del loro elettorato. Orientati verso gruppi di riferimento diversi da quelli allora al potere, questi uomini intuivano che la loro reputazione e i loro principi sarebbero stati in seguito rivalutati e il loro non conformismo apprezzato. Questo chiaro e particolareggiato racconto delle « decisioni difficili e impopolari » è, fra l'altro, utile per lo sviluppo di una teoria del non conformismo come parte di una teoria piu generale del comportamento secondo gruppi di riferimento. Esso fornisce delle preziose informazioni cliniche sull'uso delle pressioni sociali prima del previsto atto di non conformismo, sui gruppi di riferimento molteplici impliciti in una importante decisione pubblica, sul fatto strutturale del-

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cetto insufficientemente differenziato d i « comportamento deviante » negano nelle loro analisi sociologiche ciò che affermano nei loro precetti etici. PROBLEMA 7 IL CONTESTO STRUTTURALE DEL COMPORTAMENTO SECONDO GRUPPI DI RIFERIMENTO: COMPLESSO DI RUOLI (« ROLE-SET »), COMPLESSO DI STATUS (« STATUS-SET ») E SEQUENZE DI STATUS ( con uno studio preliminare, con­ dotto su circa cento bambini degli Stati Uniti appartenenti ai bassi e medi strati degli Stati Uniti. Vedi Lawrence L. Le Shan, Time Orienta­ tion and Social Clas.r, « Journal of Abnormal and Social Psychology », 1952, 47, pp. 589-592. G. Barker e H. F. Wright, One Boy's Day, New York, Harper Brothers, 195 1 .

m R. and

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status passati, presenti e futuri nei vari stadi del ciclo della vita variano quasi certamente col variare della cultura e della posizione nella struttura sociale . Ma non esiste ancora una conoscenza sistematica di questi fatti. Si può tuttavia supporre che, come variano questi orientamenti nel tempo, varii anche la selezione dei gruppi di riferimento e perciò anche la loro funzione di provvedere ad una socializzazione anticipata. Ciò che vale per questa funzione dei gruppi di riferi­ mento sembra valere anche per le altre funzioni identifi­ cate nel corso degli studi sul comportamento secondo grup­ pi di riferimento, che sono stati citati in questo stesso sag­ gio. Ma l'esame di queste funzioni (e disfunzioni) dei grup­ pi di riferimento è solo agli inizi e, allo stato attuale delle cose, è meglio riprenderlo separatamente in una succes­ siva relazione 134•

114 Contributi fondamentali alla teoria dei gruppi di riferimento si trovano nell'edizione riveduta di Muzafer Sherif e Carolyn W. Sherif, An Outline of Social Psychology, New York, Harper and Brothers, 1956. Con mio dispiacere, ho avuto notizie di quest'opera solo quando questo libro era in corso di stampa.

Capitolo dodicesimo

Modelli di influenza sociale: elementi influenti locali e cosmopoliti

Questo capitolo è dedicato ad uno studio esplorativo sul ruolo svolto dalle comunicazioni di massa in determi­ nati modelli di influenza interpersonale. Si tratta di un'in­ dagine basata su interviste con ottantasei uomini e donne tratti da diversi strati economici e sociali che costituiscono un piccolo campione della popolazione di « Rovere », una cittadina di 1 1 .000 abitanti situata nella costa orientale degli Stati Uniti; ci troviamo perciò di fronte piu che ad un 'analisi statistica 1 di modelli di influenza, a quello che in metodologia viene chiamato lo « studio di un caso ». Gli scopi di quest'indagine pilota erano di: l ) identificare tipi di individui che nel loro ambiente venivano considerati influenti in qualche particolare sfera; 2) mettere in rela­ zione i loro modelli di comportamento nel campo delle comunicazioni con i loro ruoli di individui influenti; 3 ) sco­ prire i principali processi attraverso cui queste persone erano diventate influenti ; 4) formulare delle ipotesi per uno studio piu sistematico dell'azione dell'influenza inter­ personale nella comunità locale. In questa sede analizzeremo principalmente due tipi fondamentalmente diversi di persone influenti, quelli che chiameremo « locali » e « cosmopoliti ». Ma prima di far 1 Sebbene le cifre che riassumono il materiale di questo studio siano citate di tanto in tanto, esse hanno un carattere puramente euristico, non dimostrativo. Servono semplicemente a indicare le fonti delle ipotesi interpretative che attendono un'indagine particolareggiata e sistematica.

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Studi sulla struttura sociale e culturale

questo, è interessante accennare brevemente a due devia­ zioni procedurali e metodologiche che ebbero luogo nel corso dell'indagine. La prima è quella tipica che si verifica quando una ricerca applicata, che si propone di studiare un problema delimitato, formula invece dei concetti teorici di piu vasta portata come conseguenza di risultati e pro­ blemi emersi inaspettatamente nel corso dell'indagine. In questo caso, sebbene lo studio pilota fosse stato intrapreso per conoscere quali fossero, a seconda dei vari tipi di let­ tori, le funzioni svolte da un settimanale d'informazione nazionale - un problema che rientra nella sociologia delle comunicazioni di massa - esso rièevette una nuova defini­ zione in seguito alle prime impressioni e ai risultati iniziali. Risultò infatti che il periodico veniva utilizzato in modo distintamente diverso da individui che esercitavano diversi gradi di influenza interpersonale nella loro comunità. La se­ conda deviazione, detta in poche parole, risultò dall'osta­ colo che ci impose la creazione di schemi alternativi di ana­ lisi per i medesimi dati qualitativi . In realtà, la nostra ana­ lisi iniziale era del tutto infruttuosa, e solo piu tardi, con l'utilizzazione dei nuovi concetti emersi nel corso dell'inda­ gine, dei concetti cioè di individui influenti locali e cosmo­ politi, i « medesimi » dati qualitativi produssero dei risul­ tati utili che poterono essere successivamente elaborati ade­ guatamente. Dopo questo breve riesame metodologico delle due fasi della nostra analisi qualitativa, saremo meglio pre­ parati a valutare il resoconto vero e proprio della indagine sugli individui influenti locali e cosmopoliti. TRASFORMAZIONE DI UNA RICERCA APPLICATA IN UNA RICERCA TEORICA

Il problema pratico che diede origine a questa indagine era abbastanza semplice 2• L'ufficio ricerche di un periodico nazionale cercava di conoscere come fosse possibile identi2 È allettante seguire la disgressione che questo problema suggerisce. Coloro che avevano commissionato lo studio desideravano, presumibil·

Modelli di influenza sociale

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ficare le zone di influenza personale in una comunità . Vi erano, inoltre, diversi altri interrogativi: quali erano le ca­ ratteristiche, compresa la lettura dei periodici, di questi individui influenti ? Il settimanale in questione giungeva fino alle persone che, nella rete dei rapporti personali, occu­ pavano posizioni « chiave » ? E, a parte questo fatto, in che modo gli individui influenti usavano il periodico, in con­ fronto ai lettori comuni ? Vista la formulazione del pro­ blema pratico, la prima, immediata fase della ricerca fu quella di elaborare dei metodi che servissero a identificare le persone dotate di vari gradi di influenza interpersonale. È evidente, infatti, che senza gli strumenti adatti a localiz­ zare ed individuare coloro che venivano definiti « influen­ ti » era impossibile determinare se la quota dei lettori di questo settimanale includesse una percentuale maggiore o minore di queste persone. Inoltre, il fatto stesso che ve­ nisse richiesta una ricerca specifica su questo problema, in­ dicava che i possibili indici di influenza in possesso del cliente erano inadeguati e insufficienti. Negli archivi della redazione della rivista erano disponibili, o avrebbero potu­ to essere facilmente raccolti, dati sull'occupazione, il red­ dito, le appartenenze a varie organizzazioni, le proprietà immobiliari dei lettori - dati giudicati insufficienti quali indici d'influenza. Una ricerca che mirasse a stabilirne di piu efficaci partiva cosi dal presupposto che sebbene gli in­ dividui di « condizione sociale » elevata possono esercitare un'influenza personale piu o meno forte, lo « status socia­ le » non può essere un indice decisivo in quanto alcuni inmente, essere istruiti sui tipi di influenza individuale, in gran parte, se non completamente perché il