Sull’amore (Introd. D. Del Corno)
 9788845906497

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Plutarco SULL'AMORE INTRODUZIONE DI DARIO DEL CORNO

ADELPHI EDIZIONI

Plutarchi Moralia selecta

a cura di Dario Del Corno

Amatorius

Traduzione e note di Vittoria Longoni

Prima edizione: marzo 1986 Sesta edizione: gennaio 2007

© 1986

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO

WWW.ADELPHI.IT ISBN 88-459.0649-3

INDICE

Introduzione di Dario Del Corno

9

Nota informativa

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SULL'AMORE

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Note

1 09

I N TRODUZ I O N E DI DARIO DEL CORNO

La femme qui ne s'est gravée dana l'àme ni par l'excès du plaisir, ni parla force du sen­ timent, celle-là peut-elle ja­ mais étre aimée? BALZAC,

La Fille awc yeux d'or

I prithee, tell me what thou think'st of me? VIOLA. That you do think you are not what you are OLIVIA. If I think so, I think the same of you VIOLA. Then think you right: I am not what I am.1 Queste battute perplesse e sgomente sono l' em­ blema di un equivoco d'amore, che nasce non dagli animi ma dalle circostanze: allorché un travestimento costringe una persona a scam­ biare il proprio sesso - senza peraltro soppri­ mere quell'ombra del suo profumo originario, che a sua volta scatena inquieti turbamenti in chi della propria identità sessuale si sentiva si­ curo. Viola tramutata di necessità in Cesario ha conquistato, senza volerlo, il cuore di Oli­ via, sebbene questa avesse giurato di respingere la compagnia degli uomini - e fino a che pun­ to un inconsapevole istinto avverte la donna innamorata che questa passione non infrange il suo giuramento? A sua volta, Viola è presa d'amore per il duca Orsino, al cui servizio si OLIVIA.

l . Shakespeare, L a dodicesima notte (III, 1 , 141-144). oLIVIA. Ti prego, dimmi d1e cosa pensi di me VIOLA. Che voi non siete quel che pensate OLIVIA. Se è cosi, penso di te la stessa cosa anch'io VIOLA. :t. giusto, io non sono quel che sono.

Il

trova in vesti maschili: ma proprio il suo stato fittizio la obbliga a scolorire i suoi ardori en­ tro i limiti di una fervida devozione; né il du­ ca, sebbene sia convinto di amare Olivia, è im­ mune dal fascino della strana creatura ( « the lamb that I do love » ), da cui mille volte si è sentito dire che mai amerebbe una donna al pari di lui. Ma non si tratta dell'unica comparsa di que­ st'intrigante incertezza dei sensi e dei senti­ menti nella letteratura d'Europa. Poco più di un secolo dopo, Marivaux ne ripeterà gli am­ bigui spasimi nel Triomphe de l'amour. Tra­ vestita nel gentiluomo Phocion, Léonide s'in­ sinua nel ritiro del filosofo Hermocrate per avvicinare il giovane Agis, cresciuto nell'odio per le donne, di cui s'è innamorata vedendolo da lontano. Di Phocion è subito invaghita la matura Léontine, sorella di Hermocrate (e questi, che ha subito scoperto l'inganno, di Léonide); dal canto suo la giovane deve co­ stringere il suo amore nelle forme di una ca­ meratesca amicizia. Ma quali allibite emozio­ ni minacciano in Agis la virile simpatia che vorrebbe provare per il suo nuovo compagno, prima che la rivelazione della verità dia libero corso al reciproco amore! E verrà poi, sempre in terra di Francia, Mademoiselle de Maupin a sconvolgere, come Théodore·Rosalinde, a vi­ cenda la tenera Rosette e il cavaliere D'Al­ bert - e Gautier con grazia maliziosa aprirà alla fine il sospetto che, nella notte della sua rivelazione, essa abbia scelto di sperimentare fino alle estreme conseguenze la duplicità di cui aveva rivestito il suo sesso ... 12

Ma non sono solo le fanciulle a tramutarsi in cavalieri: ci sono anche giovani che si diletta­ no a proiettare il dubbio dell'ambiguità sui loro simili, abbigliandosi da vezzose donzelle. Una femminilità soltanto presagita e proget­ tata è tra i fascini di Cherubino, cui non rie­ sce di sostituirsi alla Contessa nell'inganno predisposto per Almaviva, e in vesti donnesche farà soltanto una fugace apparizione tra le con­ tadinelle alla festa. Toccherà poi al binomio Hofmannsthal-Strauss di completare l'abbozzo mozartiano, esponendo Ochs auf Lerchenau, tronfio dei suoi volgari successi, alla sedu­ zione di Octavian trasformato in Mariandel. C'era tuttavia un remoto precedente: nella Casina di Plauto, derivata da un originale del greco Difilo, il vecchio libidinoso Lisidamus, che pregusta di godersi una sorta di jus primae noctis con l'appetitosa servotta che dà titolo alla commedia, trova in sua veèe mascherato da sposa un robusto garzone che lo carica di botte e di scherni. Ma qui il travestimento è solo farsa; allo sgo­ mento sottile dell'ambiguità, che pure nella beffa del Rosenkavalier mantiene i suoi sapo­ ri, manca il terreno su cui svilupparsi. Il gio­ co dei moderni si svolge per un lato fra l' ete­ rosessualità consapevole ancorché travestita, e quella presentita dall'istinto ma frenata dal ti­ more dell'omosessualità, cui inducono le ap­ parenze; e per un altro verso, parallelo e contrapposto, tra un'eterosessualità apparente che si disvela in un 'aborrita omosessualità, e un'omosessualità latente che alletta ad accet­ tare l'inganno. Ma questo pungente ingranag13

gio d'illusioni ha senso solo in una cultura dove l'omosessualità sia repressa, dalle leggi o dalle convenzioni della morale e dell'opinione comuni. A un livello manifesto, questa svolta coincide con l'avvento del Cristianesimo: ma è del tut­ to così? Oppure ne esistono prodromi in am­ bienti che ritenevano pur sempre di vivere le norme di una cultura, in cui l'omosessualità era uno stile di vita? L'A matorius di Plutarco offre lo specchio esemplare di questa cruciale transizione, che era un turbamento ancora in parte inconscio degli spiriti. È un'opera pro­ blematica, che prende l'avvio da uno stato di cose in apparenza senza problemi - o almeno, senza ambiguità che non siano lecite e note a tutti, personaggi e lettori. Come non d i rado nei 1\foralia, a una discussione di carattere teo­ rico fa da quadro una situazione narrativa, che dà ragione non soltanto alle circostanze del dibattito, ma soprattutto alla sua stessa tema­ tica. È questa situazione che, sebbene in un àmbito di costumi affatto diversi, conferisce come in negativo un senso agli esempi che si sono elencati in precedenza; e che da essi a sua volta attende, forse, un chiarimento che si estenda al significato complessivo dell'opusco­ lo plutarcheo. L'adolescente Baccone, astro del ginnasio, è ambito da uno stuolo di corteggiatori, alla ma­ niera che si suoi dire socratica. Ma i fasti del­ l'esclusivismo maschile sono finiti, nell'idillio di atleti e cacciatori fa irruzione la donna. 14

Una piacente e doviziosa vedova, Ismenodora, s'invaghisce del bel ragazzo e progetta niente­ meno che di sposarlo - con grande indigna­ zione e ira dei suoi pretendenti : ' suoi ' di Bac­ cone, naturalmente. La contesa si svolge nella piena luce dell'autentica identità sessuale dei protagonisti: senza velame alcuno di travesti­ menti o dissimulazioni, il giovane è oggetto d'amore per l'uno e per l'altro sesso. Non esi­ stono problemi di liceità giuridica o morale: dalla sua scelta, o piuttosto dalla sua sorte, vengono messe in gioco soltanto certe alterna­ tive di convenienza pratica e un'estetica del comportamento sociale; ed è di questo che di­ scutono, più o meno serenamente a seconda del loro coinvolgimento sentimentale nei con­ fronti dell'adolescente disputato, gli amici di Plutarco. L'efebo sulla via di tramutarsi in uomo, diviso fra gli amatori del suo fiore di giovinezza e le seduzioni femminili cui lo convoca il suo istin­ to, non è una novità per la letteratura antica; e il carme 56 di Catullo ne dà l'ironico para­ digma. Ma in questo è il maschio, ridestato a una naturalità che sconfigge gli schemi cultu­ rali che lo vogliono soltanto oggetto dell'amo­ re di altri uomini, a intraprendere la propria iniziazione eterosessuale - che d'altronde ver­ rà frustrata dalla violenza con cui viene ri­ chiamato al ruolo che compete alla sua pre­ matura età. Di una cura diversa necessita il bel giovane di cui narra Plutarco, come di­ versa è la sua reazione alla maturità incipien­ te. In effetti Baccone rimane passivo, .lascia l'onere della scelta e dell'azione decisiva a chi 15

lo corteggia. È solo un sospetto lasciato intra­ vedere in un paio di passi che forse preferireb­ be la donna; ma egli non è in grado di tirarsi fuori dal ruolo che gli assegnano le convenzio­ ni, teme le critiche dei benpensanti e i lazzi dei compagni. A tanta incertezza pone fine la vedova, cui il progresso dei tempi ha conferito uno spirito d'iniziativa che era solo un'utopia per i con­ temporanei di Lisistrata. Con il concorso di amici e di servi, essa rapisce Baccone e inscena una sorta di matrimonio preliminare, quasi un festoso paravento che prima mette in subbu­ glio l'intera città, e poi finisce per costituire il fatto compiuto che placherà gli animi e con­ sentirà di celebrare le nozze definitive. Vien da chiedersi quale fosse, tuttavia, il livel­ lo di verosimiglianza d i tutto ciò, oltre che il suo significato. In altre parole, con tutto che le forme del vivere sociale fossero profonda­ mente mutate- rispetto all'Atene di Pericle, tanto per darsi un punto di riferimento , è possibile che a una donna d'alto rango fosse concesso di sfidare in tal grado le norme e i cri­ teri dell'opinione pubblica? E se la storia è un'invenzione di Plutarco, quali erano le sue funzioni? Egli dà qui, in effetti, l'impressione di avere privilegiato la cornice rispetto al qua­ dro, l'episodio di fronte al dibattito - nella portata intrinseca, quanto meno, se non nelle dimensioni. Ma come al solito, Plutarco è ri­ corso a un procedimento di sofisticazione tan­ to elaborato, da richiedere una chiave per de­ cifrarlo. Al centro della storia, dunque, sta Plutarco -

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stesso, in un episodio della sua biografia che non si ha ragione di non ritenere veritiero: un sacrificio di ringraziamento al dio Eros, in­ sieme alla giovane sposa, dopo oscure vicende che ne avevano ritardato il matrimonio. Pe­ raltro a raccontare la storia è suo figlio, con una prima intenzione di distanziamento: ma il gioco tra verità e invenzione è svelato e in­ sieme dissimulato in u n fugace accenno della parte introduttiva, secondo una tecnica predi­ letta da Plutarco anche in altri casi. Nell'intro­ durre il racconto della vicenda e della discus­ sione, Autobulo esclama: « La situazione stes­ sa da cui prese spunto la discussione richiede per la sua drammaticità un coro e un palco­ scenico, e non ha nulla da invidiare a un'ope­ ra di teatro •· Sotto il velo dell'autobiografia, Plutarco fa dunque della commedia; tanto che del teatro comico riprende una delle peripe­ zie più abusate: il ratto della persona amata da parte dell'amante. Ma con un ribaltamento radicale: a realizzare il rapimento è la donna, non l'uomo - come era legge inderogabile del­ la commedia. È una trasformazione di ruoli ; e con questo ci muoviamo ancora nell'àmbito della metafora teatrale. Nell'Amatorius, sotto la specie di un'amabile trama amorosa, Plutarco ha inteso rappresen­ tare il mutamento dei ruoli che egli intuiva nella società del suo tempo. Negli schemi del­ la tradizione avita, l'uomo era il protagonista assoluto, lungo una precisa successione di ci­ cli: l'efebo-amasio diventava adulto, eventual­ mente si concedeva un periodo di spassi con donzelle di facili virtù, poi si sposava solita17

mente per convenienza oltre che per perpetua­ re la stirpe, infine assumeva a sua volta il ruo­ lo di amante di altri efebi. Ma qui Baccone è l'uomo immobile e passivo, per accentuare in contrasto l'avvento di un polo dialettico nella dinamica della vita sociale: la donna dotata di una propria personalità e iniziativa. Ritorniamo alla casistica letteraria da cui era­ vamo partiti: anche il travestimento è di per sé una metafora teatrale, indipendentemente dal fatto che venga rappresentato nel teatro stesso. Shakespeare e quanti lo seguirono esprimeva­ no ancora una trasformazione di ruoli, che era in corso nella vita contemporanea. Forse, que­ sta volta il mutamento non era tanto di imma­ gini sociali, quanto di un'attitudine interiore: la donna, Viola, Léonide, si conquista un'auto­ nomia di desideri e d'intraprese, che non nella prospettiva di una situazione pubblica doveva ricevere legittimazione, ma piuttosto come in­ tima esperienza di una verità e di una libertà. Per giungere a questo, in un periodo di tran­ sizione dei costumi, era necessario che la don­ na assumesse le vesti di un'ambivalenza sessua­ le; così come l'ambivalenza di Baccone, in un altro momento di crisi, aveva scatenato l'atto liberatorio, vero o immaginario che fosse, di Ismenodora. A questa novella, che nei suoi sviluppi in qual­ che misura caricaturali e nel lieto fine trave­ ste - secondo il tipico humour plutarcheo la constatazione di un profondo mutamento sociale e culturale, corrisponde un'estesa sezio18

ne che Plutarco, fedele ai sum consueti schemi compositivi, dedica all'elaborazione dialogica dell'idea che gli sta a cuore. Qui più che in altre opere risulta vincolante l'interrelazione fra il tema e la sua ambientazione narrativa. Nell'episodio di Baccone e di lsmenodora era già contenuto tutto quel che contava: la cesu­ ra con il passato, l'irrompere di una nuova di­ mensione dell'amore. E tuttavia Plutarco non era uomo di iati troppo radicali e repentini: così, la parte teorica deli'Amatorius rispecchia un appassionato anelito di comprendere come e perché si stesse producendo una metamor­ fosi di tale rilevanza, e di mediarla attraverso la ragionata scoperta di una possibile conti­ nuità. All'opuscolo plutarcheo ha dedicato una mira­ bile analisi Michel Foucault, mettendone defi­ nitivamente a fuoco il carattere di una nuova stilistica dell'amore. La struttura dialettica deli'Amatorius è quella, già abusata, del con­ trasto volto a stabilire l'eccellenza dell'una o dell'altra fonna d'amore, per le donne o per i ragazzi. Nella contesa antica fra i due amori distinti e contrapposti, l'uno rivolto al piacere del sesso, l'altro all'elevazione spirituale, que­ sto - identificato con la pederastia - aveva di norma ottenuto il sopravvento. Peraltro que­ st'esito si era pagato a caro prezzo: con l'eli­ minazione del piacere, quanto meno in linea di principio, una volta che veniva considerata degradante la partecipazione passiva dell'ama­ sia all'atto sessuale. Ma al di là della facciata strutturale, l'intento di Plutarco mira a isti­ tuire una concezione unitaria dell'eros, com19

prensiva di entrambe le forme dell'amore, in cui il piacere fosse integrato come momento assolutamente positivo, destituito di ogni va­ lenza di scandalo. D'altronde le conseguenze di quest'operazione risultano di portata defini­ tiva: senza tracciare una linea di rigida demar­ cazione fra l'amore eterosessuale e quello omo­ sessuale, questo risulta di fatto mutilo, perden­ te. Esso manca di charis, ossia della necessaria corresponsione del piacere; e per di più è sprovvisto di stabilità, in quanto le stessi leggi che regolano lo sviluppo biologico di uno dei membri della coppia lo destinano a rinunciare alla durata. La reciprocità e la sfida al potere obliterante del tempo sono la scoperta di una nuova tipo­ logia dell'eros, che si è gradatamente afferma­ ta durante l'Ellenismo, in parallelo con due altre dimensioni innovatrici: il carattere emi­ nentemente privato dell'esperienza amorosa, laddove nell'età classica il rapporto pederoti­ co era un fatto pubblico, sociale; e l'autonoma capacità d'amare della donna - talché non sarà neppure più il caso di parlare d'amore per le donne, ma dell'amore di una donna: in esso esiste una charis che esalta la gioia d'amare at­ traverso la naturale corresponsione. Ma proprio questo significa la storia dei due sposi di Tespie. Baccone è in un certo senso il simbolo di un mondo ancora incerto fra uno stile e una tradizione che avevano dalla loro parte precedenti illustri, e il fremito di una sensibilità che reagiva all'ansia di un mondo ormai privo di valori collettivi cercandone di nuovi nei segreti affetti dell'individuo ; e Isme20

nodora è la rivelazione energica e vitale di questi valori. Si trattava di un travaglio diffi­ coltoso e contraddittorio. Molto aveva già pre­ sentito la straordinaria intensità umana di Me­ nandro: ma troppo in anticipo - e anche l'in­ tuizione di più maturi e intimi universi amo­ rosi era stata una delle tante battaglie d'avan­ guardia perdute dal grande comico ateniese, Ma ancora dopo Plutarco, negli A mores inclu­ si nel corpus lucianeo si fronteggiano in un certame retorico l'Amatore dei Fanciulli e il Patito per le Donne; ed è il primo a riportare una sia pur ambigua vittoria. E persino nel romanzo, il genere che forse per la sua desti­ nazione meno selettiva segna il trionfo del­ l'amore eterosessuale e del rapporto simmetri­ co e reciproco fra uomo e donna, Achille Ta­ zio non esita a caricare la conclusione del II libro delle Storie di Leucippe e Clitofonte con un elogio rovente della pederastia, sebbe­ ne l'amore paidico sia escluso dalle concrete evenienze delle trame romanzesche. Ancora una volta, è la vigorosa personalità umana di Plutarco a salvaguardarlo dalla ste­ rilità dell'epigono. La tentazione di rivivere la grande Ellade è per lui sempre in agguato; ed egli ha la forza morale ed estetica di non rin­ negarla. Ma quando occorre una scelta, la sua guida è la realtà: il presente che vive e palpita intorno a lui. Egli accetta che i sostenitori del­ lo stile antico propugnino le loro ragioni - e nell'investigare le radici storiche del loro ar­ gomentare non sarà questione di fonti, secon­ do gli indugi oziosi di una certa filologia, ben­ sì di una cosa assai più alta: di modelli, che 21

avevano impregnato tutto il suo modo di esse­ re greco. Ma essere autenticamente greco si­ gnificava soprattutto rinvenire nella tradizio­ ne i percorsi per estendere il mondo e la vi­ sione che si ha di esso. La rinuncia alla pede­ rastia non sarà un trauma culturale, a condi­ zione che essa non appaia una frattura, ma sia l'esito di una continuità che induce a ripen­ sare l'amore in una maniera diversa. Eros è un dio che possiede le anime e le guida verso il be­ ne: ma questo bene è inteso come solidarietà di due persone negli accadimenti del vivere, e come gioia del corpo che diviene felicità del­ l'anima, in un'esperienza vissuta con franchez­ za e serenità. E, a conciliare l'ombra del pas­ sato, basterà un piccolo espediente: che come un tempo l'amatore nei confronti del fanciullo amato, Ismenodora abbia qualche anno di più del suo bel ragazzo, e lo possa condurre mano nella mano verso la maturità ... Plutarco scrisse moltissimo: era tra i fortunati che si esaltano ad affrontare l'abisso della pa­ gina bianca. Ma quanto ameremmo divinare gli spiriti con cui s'accingeva volta per volta ad una nuova opera! E con ciò non s'intende solo la scelta di un tema, né il programma ideologico e quello letterario che in esso atten­ devano espressione: ma l'indecifrabile mesco­ lanza di entusiasmi e di sgomenti, che s'affol­ lano in chiunque progetti di aggiungere un libro agli innumerevoli in cui l 'umanità ha profuso i suoi pensieri e sentimenti, dall'in­ venzione degli alfabeti in poi. 22

E scrivere sull 'amore era un'impresa terrifi­ cante, dopo Platone. In questo senso si è pre­ ferito sopra parlare di modelli anziché di fon­ ti: ombre ormai irraggiungibili se non in ciò che ne sarebbe l'apografo - mentre il Simpo­ sio e il Fedro rimangono, nella loro altezza sublime, ad attestare quanto Plutarco sentisse l'onere di quest'ascendenza. E quanto fosse ca­ pace di prenderne le distanze: poiché alla sua devota fede platonica non poté sfuggire che si trattava di una competizione impossibile. Ma certe deviazioni gli erano imposte o sug­ gerite anche da circostanze esterne: il mutare dei tempi e degli usi, la natura stessa dell'im­ pianto speculativo in cui le opere di Platone e la sua trovavano diversamente ragione. Si è già visto con quale forza d'originalità Plutarco in­ frangesse e al medesimo tempo tentasse di con­ ciliare il dualismo dell'eros platonico in una concezione unitaria, rispondente alla natura privata e individuale dell'amore postclassico. Il suo piano partiva dalla consueta osservazio­ ne intelligente e spregiudicata della realtà; ma era anche agevolato dal fatto che la sua teoria erotica non faceva parte integrante e necessa­ ria di un sistema filosofico, bensì pretendeva di essere non più che la discussione di un'espe­ rienza comune al vivere degli uomini. D'altro lato, a livello di struttura era proprio il precedente platonico a fungere da ostacolo perché l'A matorius non diventasse un saggio d'introspezione psicologica, una fenomenolo­ gia dell'amore - e non si dovrà pretendere da esso un parallelo antico al De l'amour di Stendhal. Soprattutto nelle parti relative al 23

matrimonio, sarà sì lecito leggervi in traspa­ renza un certo riflesso della biografia di Plu­ tarco, il suo lungo sodalizio d'affetti con la moglie Timossena, che figura quasi intestata­ ria implicita del trattatello nelle sue battute introduttive. Ma il peso dei modelli, senz'altro fruttuoso per quanto riguardava il senso di una continuità culturale, funzionò sempre da freno a che l'Ellenismo maturo si rivolgesse liberamente verso quell'analisi dell'io, a cui l'avevano maturato il disuso dell'attitudine in senso lato politica e il ripiegamento sull'espe­ rienza individuale. Questa situazione concorre a spiegare come alla vigorosa spinta innovativa dd progetto teorico non corrisponda un'altrettanto pro­ nunciata indipendenza nello svolgimento. Cer­ to, anche l'ambientazione nel santuario di Eros contribuiva a far sì che il sentimento d'amore rimanesse per lo più impastoiato nel­ l'ipostasi divina - ma il discorso si può anche rovesciare, l'estrinseco rapporto con il dato cultuale non era un elemento inderogabile della trattazione. Accade così che sia rivolto a moduli del passato il fitto ricorso all'esem­ plificazione mitica, storica e letteraria, da cui deriva l'aggettivazione retorica di un fenome­ no che si vorrebbe visto secondo una prospetti­ va eminentemente soggettiva. Indipendente­ mente dal suo proposito di istituire una conti­ nuità fra amore omosessuale ed eterosessuale, Plutarco rivela la sua riluttanza ad abiurare del tutto il modello nella prevalenza concessa a prove d'amore paidico, e nella densa rete di 24

riprese ora letterali ora parafrastiche dei dia­ loghi platonici. A una prima lettura, questi fatti rischiano di sbiadire l'originalità del suo discorso; ma, an­ cora una volta, soccorre la valenza significati­ va conferita all'episodio che fa da cornice. In effetti, era possibile trattare ancora d'amore, dopo Platone, soltanto a condizione d'inserire la speculazione teorica in un contesto che riu­ scisse di rilevanza almeno pari a quella, se non superiore, e che fosse in grado di esprimerne allusivamente la chiave. Ciò era consono al ca­ rattere intrinseco della saggistica plutarchea: fondere il processo speculativo con la tona­ lità letteraria, riuscendo. a un prodotto che dissimula nell'atmosfera artistica la portata del proprio contenuto ideologico. Da questo punto di vista, l'Amatorius non è lontano dal vertice del genere, indiscutibil­ mente rappresentato dal De genio Socratis. Non ne possiede certo l'emozionante dramma­ ticità e il ritmo incalzante degli avvenimenti, qui d'altronde declassati da un evento capi­ tale della storia tebana a una questione pri­ vata; ma quale vivace alternanza di sorpren­ denti peripezie anima anche questa novelletta municipale che sfiora il pettegolezzo, e con quanta grazia ilare i suoi casi sono intrecciati alla discussione! La padronanza di un'attitu­ dine narrativa, che avrebbe potuto fare di Plu­ tarco il primo romanziere in senso moderno se il suo aristocratico senso della vocazione let­ teraria non avesse disdegnato un genere a de­ stinazione semipopolare, illumina anche l'esat25

tezza psicologica con cui sono precisati i carat­ teri dei personaggi: i due antagonisti Pisia, focoso e prevaricante, e il ponderato e diplo­ matico Antemione; il fanatico radicalismo omosessuale di Protogene e l'appassionato pe­ rorare in pro dell'eros eterosessuale da parte di Dafneo, recente preda d'amore; e ancora l'ele­ gante scetticismo di Pemptide, l'arguzia ama­ bile di Soclaro, comprimari che tuttavia gioca­ no un loro ruolo preciso nell'accorto concer­ tato del dialogo. E poi Plutarco stesso . In altri opuscoli egli aveva preferito dissimulare le proprie idee at­ tribuendole a un prestanome; altre volte retro­ cede la propria immagine a un se stesso ' gio­ vanile ', immaginando di rievocare eventi ac­ caduti lungo tempo addietro. A quest'artificio ricorre anche nell'Amatorius, accentuandolo mediante l'attribuzione del racconto al figlio Autobulo. Perché questo costante scrupolo di distanziamento? Appartiene all'indole dell'uo­ mo e dello scrittore Plutarco l'intento di scher­ mirsi dal peso delle proprie asserzioni, di sot­ trarle alla perentorietà della prima persona: di nascondersi lui pure, come il suo Platone, dietro un proprio Socrate. Qui d'altronde l'im­ pegno personale risultava troppo pressante, vincolato com'era anche da un'esperienza di­ retta: e la soluzione di compromesso salvava l'identità e la responsabilità del suo pensiero, e al tempo stesso la eludeva, frapponendo tra la vicenda e il suo racconto un lungo periodo di tempo e una diversa persona narrante. E però l'effetto ultimo è ancora un tono pretta26

mente artistico: quello di una tenera nostalgia per i fervori della giovinezza, che la memoria conforta della consapevolezza di averne saputo conservare gli spiriti e la tensione.

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NOTA INFORMATIVA

(Per le sezioni Vita di Plutarco; Le opere. I Mo­ ralia; Tradizione manoscritta, edizioni e biblio­ grafia, cfr. il volume Plutarco, Il demone di So­ crate. I ritardi della punizione divina, in questa stessa serie, n. 1 33, pp. 39-51).

A matorius ('Epw·nx6ç). Lo schema strutturale del

dialogo è quello misto, già noto fra le opere edite in questa serie dal De genio Socratis e dal De Pythiae oraculis: un breve colloquio in forma di­ retta, che occupa il capitolo l, funge da. introdu­ zione al dialogo vero e proprio, riportato in for­ ma diegematica e inquadrato nel racconto di u n episodio che a d esso offre lo spunto e la materia. Gli interlocutori del proemio sono due; ma risul­ ta palese dalle forme di plurale in esso ricorrenti che si presuppone una più ampia cerchia di ascol­ tatori, come si addice a un tema tanto attrattivo e a una storia, la cui drammaticità c non ha nul­ la da invidiare a un'opera di teatro •: non sarà forse un caso che pure nell'altro dialogo 'misto ' cui assiste un pubblico intento e partecipe, il De genio Socratis, Plutarco ci tenga a precisare che la vicenda narrata presenta il carattere di una tragedia (c. 30, 596 D). In questa sorta di prologo la funzione di 'spalla ' spetta a un certo Flaviano, non altrimenti noto. Il narratore è invece uno dei due figli di Plutarco che raggiunsero certamente l'età adulta, il quale portava lo stesso nome del nonno: Autobulo. A lui e al fratello, che a sua volta si chiamava Plu­ tarco, è dedicato il trattato De animae procreatio­ ne in Timaeo; la sua festa di nozze offre lo spun29

to alla discussione riferita in Quaestiones Convi­ vales, IV, 3, dove peraltro egli non prende la pa­

rola, mentre in altri due passi della medesima opera Autobulo appare esperto sia di filosofia, sia di letteratura. Alla forma dei dialoghi misti non risulta consentanea l'espressione di una dedica esplicita, quale è consuetudine plutarchea negli opuscoli d'altro tipo; ma a essa corrisponde allu­ sivamente, in un certo senso, il ruolo conferito al figlio - e lo stesso si potrebbe dire, visto il tema dell'opera, a proposito della moglie Timossena, menzionata all'inizio del racconto di Autobulo. Questo tratta di una vicenda accaduta molti anni prima: allorché non era ancora nato il narratore stesso, che la conosce dai ricordi del padre. In quel tempo Plutarco e la moglie, freschi sposi, si erano recati a Tespie, una città della Beozia sulle pendici orientali dell'Elicona, nei cui dintorni sorgeva un importante santuario dedicato al dio Eros e alle Muse, dove ogni quattro anni si cele­ bravano feste e agoni artistici che attiravano visi­ tatori da ogni parte della Grecia. Il matrimonio di Plutarco e di Timossena aveva dovuto supe­ rare da parte delle rispettive famiglie certe con­ trarietà, su cui non siamo più esaurientemente informati; e dopo le nozze la coppia si era recata a Qffrire un sacrificio di ringraziamento al dio. A Tespie essi si erano incontrati con un gruppo di amici; ma la tensione delle gare aveva creato in città una situazione sgradevole, e la compagnia aveva preferito ritirarsi presso il santuario. In quest'amena ambientazione, che peraltro Plutar­ co si rifiuta di sfruttare (c. l , 749 A), trova conve­ niente sede il dialogo. L'A matorius si dispone dunque su tre diversi pia­ ni cronologici: l'epoca in cui si svolge la storia, quella in cui s'immagina che Autobulo tenga il suo racconto, e la data di composizione dell'ope­ ra. In quest'illusionistica prospettiva temporale 30

Plutarco sembra ancora una volta aver presente il modello platonico: in particolare il Simposio, dove il banchetto in casa di Agatone per cele­ brare la sua prima vittoria nei concorsi tragici ha luogo nel 4 1 6 a.C., la narrazione di Apollo­ doro è da situare intorno al 400, ossia una quin­ dicina d'anni dopo, e la composizione dell'opera è a sua volta ulteriormente posteriore di almeno un paio di decenni. Non è da escludere che pure un tale precedente abbia influito nel suggerire a Plutarco la trasposizione del racconto ad Autobu­ lo, anziché riferirlo direttamente lui stesso, come accade ad esempio nel De E apud Delphos. Nel dialogo s'incontrano alcuni riferimenti cro­ nologici, tuttavia di problematica interpretazio­ ne. I due figli di Empona menzionati nel c. 25, 77 1 B, risultano uno morto in battaglia, l'altro es­ sere in età adulta all'epoca del dialogo svoltosi a Tespie: ed essi erano nati fra il 70 e il 79 d.C., allorché avvennero rispettivamente la repressio­ ne della rivolta di Civile c l'esecuzione capitale di Empona; inol tre dal medesimo passo s'accerta che Plutarco era già insediato a Delfi, un evento che non sappiamo datare con precisione, ma che non dovrebbe essere anteriore all'85 d.C. Ancora più probante è la frase immediatamente successiva, dove s'afferma che l'imperatore responsabile del­ l'uccisione di Empona, ossia Vespasiano, scontò duramente questo misfatto, in quanto dopo breve tempo la sua famiglia si estinse completamente -e l'allusione corre alla morte di Domiziano, ulti­ mo della dinastia Flavia, avvenuta nel 96. Ciò costituisce un sicuro terminus post quem per la composizione del dialogo; ma queste allusioni cadono nel discorso con cui Plutarco conclude la discussione di Tespie. Occorre dunque, attribuen­ do valore assoluto a questi indizi, fissare in base a essi la data dell'episodio? A tale epoca Plutarco era già intorno ai cinquant'anni; e in base alle 31

consuetudini dell'epoca appare poco credibile che egli si fosse sposato in età cosi tarda - tanto più che dal matrimonio nacquero cinque figli. Si do­ vrà piuttosto individuare nell'insieme di questi dati un anacronismo, non tanto prodotto da di­ sattenzione, quanto dal calcolato proposito di confondere e sfumare i livelli temporali, in mo­ do da restaurare in termini allusivi l'identità del narratore con l'autore, secondo una tecnica già privilegiata altrove da Plutarco nei Moralia. Né appare da escludere che, nel complesso gioco di rifrazioni operato da Plutarco, questi riferimenti dovessero intendersi come espansioni inserite da Autobulo nel discorso del padre, in modo da far risultare un'altrimenti imprecisabile cronologia per l'occasione del racconto. Quanto alla data di composizione del dialogo, è verosimile che essa debba venire protratta a par­ tire dal 96 verso l'ultimo periodo d'attività di Plutarco, sia per l'alto livello di elaborazione strutturale e artistica che impone di accostare l 'A matorius ad altri opuscoli tardi dei Moralia, sia per la tensione piuttosto etica e - quando occorra - teologica che filosofica. Non più di un cenno merita, infine, il sospetto avanzato sul fini­ re del secolo scorso che l'Amatorius non sia opera autografa di Plutarco, soprattutto motivato dal colore antiplatonico di alcune affermazioni - ma sarebbe far torto a Plutarco considerarlo incapace di un'autonoma presa di posizione su problemi che coinvolgevano tanto da vicino i suoi più in­ timi affetti, e d'al tronde sarà piuttosto il suo pla­ tonismo a imporgli certi compromessi che sten­ tano ad accordarsi con il deciso indirizzo etero­ sessua'I e dell'opera. Gli interlocutori del dialogo riportato sono, in­ cluso Io stesso Plutarco, otto: un numero relativa­ mente alto, ma giustificato anche dall'improvviso e precipitoso abbandono della compagnia da par32

te di alcuni tra questi, richiamati in città dagli sviluppi della storia di contorno. Questa è rap­ presentata dalla novella dell'efebo Baccone e del­ la vedova Ismenodora, che aspira a sposarlo sot­ traendolo ai suoi pretendenti, e riuscendo infine nell'intento. Entrambi peraltro non figurano per­ sonalmente nel dialogo, né è dato di pronunciarsi con certezza sulla realtà storica loro e dell'episo­ dio di cui sono protagonisti. Anche tra i personaggi del dialogo alcuni sono noti soltanto dall'Amatorius stesso, senza che ciò debba tuttavia escludere la loro storicità. In que­ sto gruppo rientrano i due Tespiesi che danno inizio alla discussione, Pisia e Antemione: rispet­ tivamente l'aspirante più serio ai favori di Bac­ cone e accanito sostenitore dell'amore omosessua­ le, e il cugino anziano e autorevole consigliere del giovane, fautore del suo matrimonio e del­ l'amore eterosessuale. In questa posizione gli si affianca un altro cittadino di Tespie, il cui nome è Dafneo, verosimilmente coetaneo c amico da tempo di Plutarco, in quanto attende di sposarsi con la giovane Lisandra, e Plutarco lo invita a ricordarsi del suo antico entusiasmo per la poesia di Saffo. Egualmente ignoto altrove è il tebano Pemptide, che afferma di avere viaggiato in Egit­ to e manifesta opinioni di colore epicureo - senza che Plutarco, come fa di solito, Io gravi di una pronunciata antipatia. Compare invece in altre opere plutarchee Prato­ gene di Tarso, alleato di Pisia e strenuo difen­ sore dell'amore paidico, tanto da essere accorso dalla sua patria in Atene per la fama dci xa.À.o' dediti all'eros à la manière di Socrate. Egli è in­ fatti da identificare con l'omonimo grammatico che più volte prende la parola nelle Quaest iones Convivales, in genere per confutare Io stesso Plu­ tarco, sebbene fosse suo ospite come risulta dal De sera numinis vindicta (c. 22, 593 C), dove Plu33

tarco dice di avere appreso da lui la storia di Arideo-Tespesio, il libertino convertito dopo una soprannaturale visita all'Oltretomba. Anche lo spartano Zeusippo figura in un paio d'altri opu­ scoli: con una parte di rilievo nei De tuenda sani­ tale praecep ta, e con più sporadici interventi nel

Non posse suaviter vivi secundum Epicurum. Gran che loquace non appare neppure nell'Ama­ torius; ma forse soltanto per un colpo della sfor­

tuna, in quanto un'estesa lacuna gli ha sottratto il discorso che Plutarco dichiara di controbattere nella parte conclusiva dell'opera. Controversa in­ fine è l'identità di Soclaro figlio di Aristione, na· tivo di Titorea presso Delfi, che secondo alcuni critici non sarebbe da identificare con l 'omonimo personaggio che compare più volte nelle Quaest io­ nes Convivales ed è uno degli interlocutori del De sollertia animalium. Comunque un Soclaro fu epimelete e arconte di Delfi nel 98-99; e il fatto che cosi si chiamasse un figlio di Plutarco può essere indicativo di uno stretto vincolo d'ami­ cizia. Per quanto aperta alle consuete divagazioni plu­ tarchee, la struttura del dialogo è sostanzialmente bipartita. Nella prima fase esso è costituito dal vivace e realistico contrappunto dei pareri discor­ di intorno all'opportunità del matrimonio fra Baccone e Ismenodora: dove non solo si dibatte la superiorità dell'amore paidico e a vicenda di quello per le donne, ma anche sono affrontate le concrete difficoltà suscitate sia dalla ricchezza sia dall'età della sposa, che è ben maggiore del ragaz­ zo. Ma quando i contendenti più direttamente coinvolti vengono richiamati in città (c. 1 3), la conversazione può assumere un tono più pacato e rivolgersi a una visione generale dell'argomen­ to. Ora tocca a Plutarco di sostenere un ruolo de­ cisamente egemone, e il suo discorso reggerà le fila del dibattito fino al termine, solo sporadica34

mente interrotto dalle osservazioni e dalle obie­ zioni degli amici. In risposta al dubbio se una passione cosi violenta come l'amore possa essere considerata un dio, egli procede dapprima alla dimostrazione della divinità e dell'antichità di Eros, preposto alla vita amorosa degli uomini come ogni singola divinità ha il compito di pa­ trocinare qualsiasi altra fase e attività dell'esi­ stenza umana. Segue l'elogio dei benefici d'amo­ re, che ha la facoltà di produrre nell'individuo un'esaltazione capace di ogni atto di grandez­ za. Dopo la lacuna in cui è scomparsa l'obie­ zione di Zeusippo, verosimilmente fondata sulla tesi che l'amore fisico conduce alla sfrenatezza, Plutarco viene alla parte più ardua - e superata con estrema abilità- del suo argomentare (c. 2 1). È bensi vero che l'amore per le donne e quello per i ragazzi non sono una cosa sostanzialmente diversa, in quanto sia l a bellezza femminile sia quella maschile possono suscitare l'innata bellez­ za dell'anima, ed esaltarla tanto alla conoscenza del divino quanto all'identificazione con l'amato. Ma l'unione fisica è una vergogna per i fanciulli, mentre è il naturale fondamento della comunio­ ne spirituale di uomo e donna, in una situazione di completa e reciproca parità. Soltanto fra l'uomo e la donna è possibile, grazie alla xcip�ç che sta alla base del rapporto fisico, quella solidarietà di af­ fetti e di sensi che finisce solo con la morte. A questo punto giunge opportunamente da Tespie la notizia che ogni difficoltà è appianata e che si apprestano le nozze di Baccone e Ismenodora, e tutto finisce in gloria e in letizia - il favore del dio, su cui il dialogo si conclude, è garanzia che i novelli sposi vivranno a lungo felici e sereni, co­ me nelle favole. L'A matorius non avanza pretese di filosofia, se non nei limiti del frequente imprestito di moduli platonici, peraltro utilizzati a un fine prevalente35

mente decorativo. La fecondissima memoria mi­ to logica, storica e letteraria di Plutarco preferi­ sce decorare l'argomentazione con una sfolgoran­ te - anche se al gusto moderno un tantino mono­ tona - serie di esempi, dove l'altissima poesia, la fantasia del mito e la possanza dell'eroismo, e ma­ gari anche la miseria degli egoismi, s'intarsiano a dare sostenutezza a una tematica che purtuttavia ripone le sue ragioni primarie nell'analisi del sen­ tire umano. A far da guida sarà l'esperienza vis­ suta in persona propria dagli interlocutori, in primo piano quella stessa di Plutarco. Non gli mancheranno le opposizioni ; ma egli ha in serbo, nella fedeltà al suo stile che suole attingere alla tradizione i modelli delle attitudini umane, la carta vincente: le bellissime, commoventi storie di due donne, non greche ma entrambe di razza celtica, Camma ed Empona, che nell'estremo sa­ crificio hanno saputo esaltare la profondità del loro amore e rivendicare per tutto il genere fem­ minile il diritto di essere considerate uguali agli uomini, definitivamente affossando i pregiudizi e le convenzioni di una logora società maschile. L'Amatorius è conservato soltanto dai due mede­ simi codici che contengono il De genio Socratis e il De Pythiae oraculis, per i quali si rimanda a Plutarco, Il demone di Socrate, cit., p. 55. Le sue condizioni testuali sono particolarmente precarie, in quanto nella tradizione manoscritta compaio­ no frequenti corruzioni e lacune. Esso venne pub­ blicato separatamente da A.G. Winckelmann, con un tuttora utile commento (Ziirich, 1 836). Tra le edizioni in uso, esso si trova nel IV volume della Teubner, a cura di K. Hubert (1 938, rist. 1 97 1), e nel IX volume della Loeb, a cura di W.C. Helm­ bold ( 1 961); nella Budé è comparso recentemente (1 980) nel X volume, a cura di R. Flacelière, che in precedenza ne aveva pubblicato un'edizione

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tradotta e annotata nelle c Annales de l'Univer­ sité de Lyon •, 3• série, Lettres, fase. 2 1 , Paris, 1952. Dopo la versione Adriani-Ciampi-Ambrosoli di tutti i Moralia (Milano, 1 825), l'A matorius ap­ pare trascurato dai traduttori italiani; e alquanto povera è anche la sua fortuna critica. Oltre alle opere generali indicate nel volume Plutarco, Il demone di Socrate, cit., pp. 50 sg., si possono elencare i seguenti contributi: E. Graf, Plutarchi­ sches, in Commentarium Philologicum fur O. Ribbeck, Leipzig, 1 888, pp. 57-70; K. Hubert, De Plutarchi A matorio, diss. Berlin, 1 903; U. von Wilamowitz-Moellendorff, Lesefruchte 116, in cHermes •, -40, 1 905, pp. 1 52-1 53 (ora in Kleine Schriften, IV, Berlin, 1 962, pp. 206-207); L. Goess­ ler, Plutarchs Gedanken uber die Ehe, diss. Basel, Ziirich, 1 962; H. Martin, A matorius 756 E-F. Plu­ tarch's citation of Parmenides and Hesiod, in c American J ournal of Philology •, 90, 1 969, pp. 1 83-200; Plularch's citation of Empedocles at A ma torius 756 D, in c Greek, Roman and Byzan­ tine Studies •, 1 0, 1 969, pp. 57-70; A matorius, in Plutarch's Ethical Writings and Early Christian Literature, ed. H.D. Betz, Leiden, 1 978, pp. 44253 1 ; A. Borghini, Per una semiologia del com­ portamento: struttura di scambio amoroso (Plut . Erot. 766 C-D), in Scritti i n ricordo di G. Burat­ ti, Pisa, 1 98 1 , pp. 1 1 -39; M. Foucault, Le souci de soi, Paris, 1 984 (trad. it. La cura di sé, Milano,

1 985, pp. 1 93-209). Inoltre, sul comportamento amoroso dei Greci, cfr. A. Lesky, Vom Eros der Hellenen, Gottingen, 1 976; AA.VV., L'amore in Grecia, a cura di C. Calarne, Bari, 1 983. Sulla con­ dizione della donna nel mondo antico, cfr. S.B. Pomeroy, Goddesses, Whores, Wives, and Slaves, New York, 1 975 (trad. it. Donne in A tene e a Ro­ ma, Torino, 1 978); E. Cantarella, L'ambiguo ma­ lanno. Condizione e immagine della donna nel­ l'antichità greca e romana, Roma, 1 9852 ; AA.VV.,

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Le donne in Grecia, a cura di G. Arrigoni, Bari,

1 985. Sull'omosessualità nella cultura greca, cfr. K.J. Dover, Greek Homosexuality, London, 1978 (trad. it. L'omosessualità nella Grecia antica, To­ rino, 1 985). Criteri del volume. La presente traduzione è con­ dotta sul testo dell'edizione Teubner, accogliendo peraltro un certo numero di proposte dell'edizio­ ne Budé. L'A matorius è particolarmente danneg­ giato da lacune, in genere di ridotta estensione. Tra queste, si sono tacitamente integrate quelle relative a poche lettere, che non inficiano la rico­ struzione della parola data. Quando il significa­ to del passo risulta evidente nonostante la lacuna, o al contrario l'estensione della lacuna è tale da non consentire una ricostruzione del testo perdu­ to, si è indicata la lacuna con il segno [ ... ]. Quan­ do infine il contesto sembra richiedere, e consen­ tire, una più esplicita transizione fra quanto pre­ cede e quanto segue la lacuna, si è tradotta l'inte­ grazione proposta nell'edizione teubneriana (nel testo o in apparato), inserendola fra parentesi quadre. I nomi propri sono tradotti nella corrispondente forma italiana. Il termine greco lpwç, che può in­ dicare tanto il nome del dio quanto il sostantivo comune • amore ,. , si è reso con Eros nel primo caso, con • amore ,. nel secondo; nei casi dubbi ci si è attenuti alla distinzione operata dalle edizio­ ni critiche, che usano la maiuscola per il nome proprio, la minuscola per il sostantivo comune. Nei titoli dei singoli opuscoli plutarchei l'uso se­ gue solitamente la forma latina, e secondo que­ sta si è scelto di citarli nel discorso critico e nelle note; il titolo dell'opuscolo contenuto nel presen­ te volume è volto in italiano nell'intestazione. DARIO DEL CORNO

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SULL'AMORE

l.

FLAVIANO

Si tennero sull'Elicona,1 dici, Autobulo, quel- 748E le conversazioni su Eros, che ora ti appresti a riferirei per compiacere al nostro desiderio? A quanto pare, tu ne hai tratto un resoconto scritto, oppure ti si sono impresse nella memoria per i frequenti racconti di tuo padre. F AUTOBULO

Sì, Flaviano, sull'Elicona, nel luogo sacro alle Muse e nel tempo in cui i Tespiesi2 celebrava­ no le feste di Eros :3 una splendida ricorrenza che essi festeggiano ogni quattro anni, con grande cura e splendore, in onore delle Muse e di Eros insieme. FLAVIANO

Sai già quello che vogliamo sapere da te, tutti noi che siamo venuti qui ad ascoltarti? AUTOBULO

No; ma ditemelo, e lo saprò. 41

749

FLAVIANO

Togli dal tuo discorso, per l'occasione, le di­ stese verdeggian ti e ombrose di cui parlano i poeti, e così pure le corone intrecciate di ede­ ra e di convolvoli, e tutti i luoghi comuni con i quali alcuni tentano, con più ambizione che buon gusto, di prendere a prestito da Platone l'Bisso e il famoso agnocasto e l'erba che rive­ ste il dolce pendio.4 AUTOBULO

B

Ma, ottimo Flaviano, che bisogno c'è di tali abbellimenti per il mio racconto? La situazio­ ne stessa da cui prese spunto la discussione ri­ chiede per la sua drammaticità un coro e un palcoscenico, e non ha nulla da invidiare a un'opera di teatro; preghiamo solo la madre delle Muse di assisterci propizia e di aiutarci a far rivivere il racconto.5 Molto tempo fa, prima che io nascessi, poi­ ché i miei genitori si erano appena sposati do­ po tensioni e .contrasti sorti tra le due fami­ glie di origine,6 mio padre si recò a fare un sa­ crificio ad Eros e portò con sé alla festa mia madre; e in effetti la preghiera e il sacrificio spettavano a lei. Lo accompagnavano i suoi amici più intimi, e a Tespie poi incontrò Dafneo, figlio di Archidamo, che era allora in­ namorato di Lisandra, figlia di Simone, ed era il prediletto fra tutti i pretendenti della ragaz­ za. Incontrò anche Soclaro, figlio di Aristione, 2.

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che era venuto da Titorea, e Protogene di Tarso e Zeusippo di Sparta, suoi ospiti; inol­ tre, secondo i racconti di mio padre, si trovava lì la maggior parte dei suoi conoscenti beoti. Due o tre giorni li trascorsero insieme in città serenamente, a quanto pare, impegnati in di­ scussioni filosofiche nelle palestre e tra uno spettacolo e l'altro; poi per sottrarsi ad una fa­ stidiosa competizione tra citaredi/ per cui si preparavano ogni sorta di imbrogli e di par­ zialità, i più si ritirarono come da un paese nemico sull'Elicona,8 e si accamparono presso il luogo sacro alle Muse. Di buon mattino li raggiunsero Antemione e Pisia, uomini assai stimati, ma legati entrambi al giovane Baccone soprannominato « il bello » , e quindi in un certo modo ostili l'uno all'altro a causa del loro attaccamento a una medesima persona. Peraltro, a Tespie viveva una donna, Ismenodora , stimata per ricchezza e nobiltà, oltre che per la sua condotta irreprensib ile; essa viveva la propria condizione di vedova già da parec­ chio tempo senza suscitare critiche, benché fosse giovane e graziosa. Baccone era figlio di una sua amica intima e Ismenodora, mentre cercava di combinare un matrimonio tra lui e una ragazza della propria famiglia, avendo sempre occasione d'incontrarlo e di parlargli fu attratta lei pure dal giovane. Sentiva dire un gran bene di lui e altrettanto bene ne parlava; ve­ deva che molti uomini stimati lo corteggiava­ no; e finì con l'innamorarsene. Le sue inten­ zioni erano del tutto oneste, pensava di spo­ sarlo pubblicamente e di vivere per il futuro insieme a lui. Ma la situazione di per sé sem43

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E brava molto insolita/ tanto più che la madre

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del ragazzo temeva l'importanza e la ricchezza della famiglia di lei, troppo superiore a quel­ la dell'amato. Inoltre alcuni suoi compagni di caccia cercavano di spaventare Baccone fa­ cendogli osservare la differenza d'età, e i lo­ ro scherzi su questo punto erano più efficaci dei ragionamenti seri che gli venivano fatti contro questo matrimonio; egli si vergognava, essendo ancora un giovanotto, di sposare una vedova. Tuttavia, lasciando perdere i discorsi degli al­ tri. si rimise al giudizio di Pisia e di Antemio­ ne. Dei due, Antemione era suo cugino e più anziano di lui, mentre Pisia era la persona più seria tra i suoi corteggiatori. Naturalmente, quest'ultimo non solo si oppose al matrimo­ nio, ma accusò Antemione di voler sacrificare il ragazzo alle mire di Ismenodora. Il cugino invece sosteneva che era lui a comportarsi ma­ le, imitando - per quanto irreprensibile nel resto - l'atteggiamento degli amanti egoisti, in quanto tentava di privare il proprio amato di una casa, di una famiglia, di un notevole pa­ trimonio per goderselo il più a lungo possi­ bile mentre si spogl iava nelle palestre, nella sua spensierata freschezza di ragazzo.10 3. Proprio per evitare che tra di loro la ten­ sione crescesse a poco a poco fino all'ira, essi avevano raggiunto mio padre e i suoi compa­ gni scegliendoli, per così dire, come giudici e arbitri del loro dissidio.n N ella cerchia degli amici ci fu chi prese le parti dell'uno e chi del­ l'altro, come in base a un copione prestabili-

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to: così Dafneo assunse il ruolo di sostenitore di Antemione, Protogene di Pisia. Protogene peraltro si abbandonò senza alcun ritegno a parlar male di Ismenodora, 12 tanto da fare esclamare a Dafneo: « Per Eracle, a che punto arriveremo, se persino Protogene è venuto qui a far guerra a Eros? Lui che in tutte le sue attività, di lavoro o di svago, ha Eros come scopo e strumento, 13 dimentico degli studi, dimentico della patriaJ14

E ciò ben più di Laio, che si allontanò dal suo paese per cinque giorni di marcia.15 Infatti il suo Eros era lento e andava a piedi, mentre il tuo dalla Cilicia fino ad Atene16 vola sul mare

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con rapido battito d'ali'7

per correre dietro ai bei giovani e andare in giro insieme a loro! » . E senza dubbio un mo­ vente del genere aveva indotto inizialmente Protogene a mettersi in viaggio. 4. Vi fu una risata, e Protogene ribattè: « Ti pare dunque che io combatta contro Eros? Al contrario, in nome di Eros io lotto contro l'impudenza e la violenza di chi, stravolgendo le cose, dà alle azioni e ai sentimenti più bassi i nomi più belli e più sacri » . E Dafneo: « Ma dicendo " le azioni più basse " tu intendi il matrimonio e il rapporto tra l'uomo e la donna, il legame più sacro che sia mai esistito? » . « Certo » disse Protogene « i legislatori hanno ragione a dare grande importanza a questi fat­ ti perché sono necessari alla riproduzione del45

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la stirpe, e li elogiano di fronte alla moltitu­ dine; ma dell'Eros autentico non c'è nemme­ no l'ombra nel gineceo. Non mi permetterei mai di chiamare Eros la passione che voi pro­ vate per le donne e le ragazze, così come non è vero che le mosche amino il latte, o le api il miele, o che gli allevatori e i cuochi siano affezionati ai vitelli e al pollame che ingrassa­ no al chiuso. c Nei confronti del cibo e delle bevande la na­ tura induce in noi un appetito moderato e commisurato al bisogno, mentre una passione eccessiva si chiama golosità o ghiottoneria;18 cosi è insito nella nostra natura il bisogno del piacere reciproco che si danno uomini e don­ ne, ma il violento desiderio che ci trascina con una forza incontrollabile e sfrenata a torto viene chiamato Eros. c Infatti Eros quando si attacca a un'anima giovane e nobile sfocia nella virtù attraverso l'amicizia; invece, queste bramosie rivolte alle donne, anche se arrivano agli esiti migliori, consentono solo di ottenere il piacere e il go­ dimento della bellezza fisica. Lo dimostra Ari­ stippo;19 egli rispose così a un tale che voleva convincerlo che Laide non l'amava:20 " Anche il vino e il pesce non mi amano, direi, eppure faccio uso con piacere di entrambi ". Sì, lo sco­ po del desiderio è il piacere e il suo soddisfa­ cimento; Eros invece, quando non c'è speran­ za di realizzare amicizia, desiste dal corteggia­ re l'effimera fioritura della giovinezza nel suo momento più bello,21 se questa non promette di produrre il frutto che le è proprio in dire­ zione dell'amicizia e della virtù. 46

« Conosci la risposta di un personaggio tragi­ co, un marito, alla moglie:

Mi odii? Volentieri mi farò odiare da te volgendo a mio vantaggio il disprezzo che hai per [me!22

Questo marito non è certo innamorato; e me­ no di lui lo è colui che sopporta una moglie sgradevole e priva di affetto non per proprio guadagno,23 ma per il solo scopo dei piaceri e dell'un ione fisica. Per esempio, all'oratore Stratocle24 il poeta comico Filippide attribuì per scherno queste parole:25

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Lei volta la faccia; e tu le baci a stento la punta [dei capelli.

E se proprio occorre ch iamare amore questa passione, si tratta di una sua variante femmi­ na e spuria, che vive nel gineceo come nel Cinosarge.26 O piuttosto: c'è un solo tipo di aquila che sia di razza pura, l'aquila di montagna, quella che Omero definisce " nera " e " cacciatrice ",TI mentre le altre sono di razza bastarda e catturano i pesci nelle paludi e gli uccelli dal volo lento; spesso poi restano senza cibo ed emettono un suono lamentoso e famelico. Così c'è un solo amore di razza pura, quello rivolto ai ragazzi. Tale amore non è " splendente di desiderio ", come Anacreonte chiamò l'amore per le fanciulle, né stillante d'aromi e coperto di gioielli,28

ma lo incontrerai, nella sua bellezza semplice e naturale,29 nelle riunioni filosofiche o anche, a volte, nei ginnasi e nelle palestre; in cerca 47

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di giovani, sì, ma per chiamare alla virtù, con voce chiara e nobile, le persone degne delle sue attenzioni. c L'altro amore invece, quello languido e ca­ salingo, che perde il suo tempo nel grembo e sui letti delle donne, cercando sempre mollez­ ze, corrompendosi in piaceri per nulla virili, privo di amicizia e di nobili slanci, va messo al bando; e anche Solone lo condannò. Egli proibì agli schiavi di amare i giovani maschi e di frequentare i ginnasi, ma non impedì loro i rapporti con donne:30 l'amicizia infatti è cosa elevata e degna del cittadino, il piacere è cosa volgare, che appartiene anche agli uomini non liberi. Per questa ragione l'amore di uno schia­ vo per un giovane è cosa indegna di un libero cittadino; questo amore è solo unione carnale, come il rapporto con una donna • . Protogene avrebbe voluto dire anche di più, ma Dafneo lo interruppe: c Hai fatto be­ ne, per Zeus, a parlare di Solonel Conviene proprio prenderlo come il modello dell'uomo dedito all'amore, lui che dice: 5.

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finché corteggi i ragazzi nell'amabile fiore degli [anni, desideroso di cosce e di dolci labbra.31

Aggiungi pure ai versi di Solone questi altri di Eschilo: tu non hai rispettato il sacro legame delle cosce, ingrato, dimentico dei nostri fitti baciJ32 c Lasciamo che altri li deridano, poiché invita­ no gli amanti a guardare le cosce e le anche, come fanno i sacrificatori e gli indovini sulle

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loro vittimef33 Io, invece, ne trarrò l'argomento più forte a favore delle donne. Se è vero, infatti, che l'unione contro natura di due ma­ schi non distrugge né diminuisce l'intesa amo­ rosa, a maggior ragione dobbiamo pensare che l'amore tra uomini e donne, conforme alla natura, conduca a vera amicizia attraverso la gra­ zia della reciprocità. Gli antichi, Protogene, chiamavano " grazia " la spontanea accondi­ scendenza della femmina al maschio. Per esem­ pio, Pindaro dice che Efesto fu concepito da Era " senza grazia " ; 34 e Saffo, rivolgendosi a una ragazza non ancora matura per le nozze, le dice:

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Mi sembravi una fanciulla acerba e senza grazia.Js

A Eracle viene rivolta questa domanda: Come hai ottenuto le grazie di questa fanciulla? [Con la persuasione o con la violenza?36 c Il rapporto tra maschi è diverso: se il giova­ ne non è consenziente, esso è frutto di violenza e di sopraffazione; se invece acconsente, per il suo carattere debole ed effeminato, a farsi " montare e inseminare come fanno i quadru- E pedi "37 secondo le parole di Platone, concede [le sue grazie] in forma contraria alla natura, in un modo sgraziato,38 indecente e privo di piacere per lui. c Sono propenso a credere che Solone abbia scritto quei versi quando era giovane e " tra­ boccante di molto sperma ",39 come dice Pla­ tone; quando divenne anziano, scrisse invece:

Ora amo le opere di Afrodite e di Dioniso, e delle Muse: sono queste le delizie degli uomini.40 49

Era, insomma, uscito dalle tempeste e dalla tormenta degli amori maschili ed aveva asse­ stato la propria vita nel porto tranquillo del matrimonio e della filosofia. « Se vogliamo guardare bene in faccia la veri­ tà, Protogene, vediamo che la passione per i F ragazzi e per le donne nasce da una sola ed unica attrattiva di Eros.41 Se invece vuoi di­ stinguere per spirito di contraddizione, dovre­ sti anche riconoscere che l'amore per i ragazzi non è diretto dalla ragione ; è come un figlio nato fuori tempo e troppo tardi, un bastardo, un clandestino che cerca di cacciare via l'Eros legittimo, il suo fratello maggiore. « Solo ieri o poco prima, amico mio, egli si è introdotto furtivamente nei ginnasi, grazie al fatto che i giovani si spogliano e fanno ginna­ stica nud i.42 In un primo tempo si è limitato ad accarezzare e ad abbracciare innocentemen­ te i ragazzi; poi poco per volta ha messo le ali nelle palestre, ed è diventato incontenibile. 75 2 Anzi, osa insultare e denigrare l'amore coniu­ gale, quello che garantisce al genere umano l'immortalità, pur essendo mortali gli indivi­ dui, perché continuamente riaccende attraver­ so nuove nascite la nostra razza che si spegne con gli anni. « L'amore maschile, invece, respinge il piace­ re perché ne ha vergogna e lo teme. Ha biso­ gno, però, di un movente elevato che giustifi­ chi il suo attaccamento per i bei giovani; ed ecco il pretesto dell'amicizia e della virtù. Si copre di polvere nelle palestre, si dà ai bagni freddi,43 aggrotta le sopracciglia,44 in pubblico 50

finge di occuparsi di filosofia e di saggezza per timore delle leggi;45 ma poi di notte, in piena tranquillità, com'è dolce la raccolta , quando non c'è il [guardiano!46

Ammettiamo pure, come dice Protogene, che l'amore per i ragazzi non abbia niente a che vedere coi piaceri dei sensi: ma come potrebbe esserci Eros senza Afrodite?47 Per volontà divina, è compito di Eros assistere e servire la dea, condividendo gli onori e i poteri di lei, per quanto essa lo pennette. Se dunque esiste una forma di Eros senza Afrodite, è come un'ebbrezza senza vino, provocata da bevande a base di fichi o di orzo fermentato; un turba­ mento senza scopo e senza frutto, che presto produce -sazietà e disgusto » . «

6. Pisia, sentendo questi argomenti, era evi­ dentemente sdegnato e irritato contro Dafneo; e approfittando di una piccola pausa nel suo discorso, esclamò : « Per Eracle, che sfacciatag­ gine, che impudenza! Uomini che ammettono di essere incollati col sesso alle loro femmine, come i cani,48 e che pretendono di sloggiare il dio dai ginnasi e dalle scuole filosofiche, da conversazioni pure, che si svolgono alla luce del sole e si dispiegano liberamente ; e vorreb­ bero rinchiuderlo nei postriboli, tra i rasoi, i belletti e le stregonerie delle donne di malaf­ fare!49 Sì, perché per le donne oneste non è certo decoroso né innamorarsi né farsi amare » .50 A questo punto però, secondo i suoi racconti,

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anche mio padre prese la parola contro Pro­ togene: c

Questo farà scendere in campo persino l'esercito [argivo! 51

Ma sì, per Zeus, Pisia con le sue esagerazioni mi spinge a schierarm i con DafneoY Egli vede nel matrimonio un'unione senza amore, priva del divino dono dell'amicizia; ma tutti consta­ tiamo che esso, se non si fondasse su di una reciproca persuasione amorosa, e poggiasse so­ lo sui vincoli e sui freni del pudore e della D paura, non potrebbe reggersi a lungo ,. .53 E Pisia: « Questo discorso mi tocca ben poco.54 Vedo però che a Dafneo è capitato lo stesso inconveniente che tocca al bronzo : questo me­ tallo fonde non tanto per effetto del fuoco, quanto per l'azione di altro bronzo fuso, allo stato liquido, che gli viene versato sopra e che lo fonde a sua volta, così che i due liquidi si uniscono. Non è tanto la bellezza di Lisandra che turba il nostro amico; ma, dato che fre­ quenta già . da molto tempo un altro uomo completamente arso e pieno di fuoco, si è ac­ ceso e ora brucia anche lui: ed è evidente che, se non si rifugerà presto dalla nostra parte, si scioglieranno insiemel55 Vedo però ,. aggiunse « che sta succedendo quello che Antemione si E augura di più: anch'io mi metto in urto coi miei giudici ! È meglio che me ne stia zitto » . E Antemione: « Ben detto! E sarebbe anche il caso di dar finalmente inizio al nostro argo­ mento ,. ,

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7. Allora Pisia prese a dire: « Per prima cosa affermo, dopo aver proclamato al mondo inte­ ro che nessuna donna può essere per me og­ getto d'amore, che il ragazzo deve ben guar­ darsi dalle ricchezze di quella signora. Se noi gli permettessimo di unirsi a un patrimonio così consistente e impegnativo, pur con le mi­ gliori intenzioni lo faremmo scomparire come un filo di stagno nel bronzo. « È una gran bella cosa, infatti, che un giovane sposi una donna povera e di bassa estrazione sociale; l'unione che ne risulta stabilizza la sua superiorità, come accade al vino quando si fonde con l'acqua.56 Vediamo invece che quella donna si ritiene in grado di comandare e dominare; altrimenti non avrebbe respinto pretendenti così nobili e ricchi, per mettersi a F corteggiare un ragazzo che porta la clamide ed ha ancora bisogno del pedagogo.57 Per questa ragione gli uomini sensati rinunciano sponta­ neamente a doti eccessive e riducono i beni delle proprie mogli, come se tarpassero loro le ali, perché il denaro produce lusso, orgoglio, incostanza e vanità; le donne si montano la testa e spesso prendono anche il volo! E anche nel caso che restino fedeli, è meglio essere im­ prigionati da catene d'oro, come in Etiopia,58 75 3 che dalle ricchezze della moglie » . 8 . « Bisogna anche aggiungere » disse Proto­ gene « che qui rischiamo di capovolgere in forma dissennata e ridicola il consiglio di Esio­ do, il quale afferma: t bene che l'uomo si sposi a circa trent'anni, né

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né molto dopo; è questa l'età più propiZia alle [nozze; e dopo quattro anni di pubertà, la donna si sposi [nel quinto.59

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Noi finiremmo per unire un uomo immatu­ ro e impreparato a una donna che è maggio­ re di lui quasi di altrettanti anni, quanti Esio­ do ne consiglia al marito rispetto alla sposa,60 come i coltivatori che [cercano di forzare la crescita dei fichi] o dei datteri.61 Ma, si dirà, lei è innamorata di lui e brucia di desiderio. E chi le impedisce di fare serenate davanti alla sua casa, di intonare anche il lamento della porta chiusa, di collocare corone di fiori sulle sue immagini, di fare a pugni con i rivali in amore?62 Così si comportano gli amanti. In­ somma, la smetta di inarcare le sopracciglia e di fare la superba, assuma l'atteggiamento adatto a questa passione! Se invece è sensibile al pudore e alla moderazione, se ne resti one­ stamente in casa, ad aspettare l'iniziativa di corteggiatori e pretendenti. Se una donna osa dichiararsi ·innamorata, bisognerebbe evitarla con orrore, anziché assumere tale impudenza come base per il matrimonio » .63 9. Protogene tacque. « Lo vedi, Antemio­ ne? , disse mio padre. « Di nuovo rimettono in discussione lo stesso argomento; è indispen­ sabile che replichiamo noi, che non facciamo mistero della nostra predilezione per l'amore coniugale, e non vogl iamo sottrarci al compito di cantarne le lodi » . « Certo, per Zeus, » esclamò Antemione « e ora prendi tu la difesa dell'amore contro di loro, 54

con maggiori argomenti ; e di' qualcosa anche a favore della ricchezza della donna, dato che Pisia ne fa l'argomento più forte contro il ma­ trimonio » . « Ma insomma, » disse mio padre « se dobbiamo rifiutare Ismenodora perché è innamorata e ricca, allora qualunque pregio potrebbe es­ sere ritorto in accusa, per una donna. Certo, vive negli agi e possiede un notevole patrimo­ nio; che diremo allora della sua bellezza, della sua età ancora giovane? E della sua famiglia nobile e stimata? E poi non è vero che le donne di costumi severi, col loro aspetto austero e corrucciato, hanno fama di essere insopporta­ bili e odiose?64 Portano il soprannome di Furie, perché sono sempre in collera coi loro ma­ riti; e allora la scelta migliore sarebbe quella di prendersi in casa dalla pubblica piazza una Abrotono tracia, una Bacchide di Mileto,65 sposandola senza regolare matrimonio, solo con la cerimonia delle noci e con un atto di compravendita.66 « Eppure sappiamo che anche da donne come queste non pochi uomini si sono fatti vergo­ gnosamente dominare. Flautiste di Samo, bal­ lerine, donne come Aristonica,67 come Enante col suo timpano in mano, come Agatoclea, si sono messe sotto i piedi diademi di re.68 La si­ riana Semiramide era una serva, concubina di uno schiavo nato nel palazzo del re;69 ma Nino, il grande sovrano, la incontrò e se ne innamorò. Essa lo ebbe in pugno e insuperbì tanto, che osò chiedere di occupare il trono e gover­ nare lo Stato, portando il diadema, per un' intera giornata. Lui acconsentì, e comandò a tut55

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ti di riverirla e di obbedirle come a se stesso. donna sulle prime fece un uso moderato del potere, per mettere alla prova le guardie ; ma quando constatò che non facevano obiezio­ ne né resistenza alcuna, comandò loro di cat­ turare N ino, poi di incatenarlo, infine di ucci­ derlo. Compiute tutte queste azioni, dominò l'Asia con grande onore, per molto tempo. E Belestiche,70 per Zeus, non era forse una don­ netta barbara, comprata sulla pubblica piazza? E ora ad Alessandria sorgono in suo onore templi e santuari, dedicati ad Afrodite Bele­ stiche dal re innamorato. E la donna che lag­ giù condivide il tempio e il culto di Eros,71 e F a Delfi troneggia scolpita in una statua d'oro, in mezzo a re e regine, non ha certo fatto ri­ corso a una dote per dominare i suoi amanti. c Gli uomini di cui parliamo divennero facile preda di donne [di bassa estrazione] senza ac­ corgersene, per la propria indole debole e cor­ rotta; ma ci sono molti altri esempi contrari, di uomini poveri e di modesta condizione che 7 54 sposarono donne nobili e ricche, e non ne fu­ rono affatto rovinati né persero dignità, anzi trassero onore e potere dalla convivenza basa­ ta sull'affetto. Invece, il marito che umilia la propria moglie e la costringe a un'esistenza li­ mitata, temendo che gli sfugga via come un anello da un dito troppo magro, si comporta come l'allevatore che tosa le cavalle, e poi le porta a un fiume o a uno stagno: si sa che cia­ scuna di loro, vedendo così deformata e im­ bruttita la propria immagine riflessa, perde i propri fieri nitriti e sopporta anche di farsi montare da un asino.72 Certo, scegliere in una La

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donna la ricchezza anziché la virtù o la nobiltà è un'azione spregevole e indegna di un uomo libero ; ma è assurdo rifiutarla, quando va di pari passo con le altre qualità.73 « Antigono, scrivendo al comandante della guarnigione che aveva fortificato la collina di M unichia/4 gli raccomandava non solo di rin­ forzare il collare, ma anche di far dimagrire il cane, cioè di assottigliare le risorse degli Ate­ niesi. Al contrario, al marito di una donna ricca e bella non conviene affatto imbruttirla o impoverirla, ma mostrarsi alla sua altezza senza servilismi, con padronanza di sé e dignità, senza farsi abbagliare dalle sue qualità;75 e far traboccare la bilancia dalla propria parte con la forza del carattere. Questo gli consen­ tirà di prevalere e di guidare la sposa in modo giusto e positivo.76 « Per quanto riguarda l'età giusta per sposarsi, il periodo adatto è quello in cui entrambi i coniugi sono in grado di generare; e mi risulta che quella donna sia nel fiore degli anni » . E aggiunse sorridendo a Pisia: « Non si può dire che qualcuno dei suoi rivali sia più gio­ vane di Ismenodora, né che lei abbia i capelli grigi come alcuni degli uomini che stanno sempre attaccati a Baccone!77 Se queste persone hanno l'età giusta per frequentarlo, che cosa imped isce che anche lei si prenda cura del giovane, meglio di qualsiasi fanciulla in fiore? Le persone giovani fanno fatica a stabi­ lire unioni e accordi duraturi; solo a stento, e dopo molto tempo, abbandonano la loro sprezzante insofferenza. All'inizio ci sono tem­ peste, si fa resistenza contro il legame, ancora 57

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di più se tra le due persone nasce l'amore e come il vento si precipita contro una nave sen­ za pilota rischiando di far naufragare il ma­ trimonio, perché nessuno dei due sa coman­ dare e tanto meno accetta di obbedire. « Il neonato è sottomesso alla nutrice, il ra­ gazzo al maestro, l'efebo al ginnasiarca/8 il gio­ vane al suo amante, l'uomo adulto alla legge e allo stratego; nessuno è libero da qualche forma di autorità così da essere del tutto auto­ sufficien te; allora, che c'è di tanto strano se una donna intelligente e più matura guiderà la vita del suo giovane marito,79 rendendosi utile per la sua maggiore esperienza, e ama­ bile e gradevole per il suo affetto? » . E con­ cluse dicendo: « Noi che siamo Beoti dovrem­ mo venerare Eracle, e non disapprovare un matrimonio che unisce persone di età insolita: sappiamo che egli cedette la propria moglie Megara a Iolao quando lei aveva trentatré an­ ni e il giovane solo sedici • .80 I O. La discussione era a questo punto, rac­ contava mio padre, quando arrivò dalla città, a gran galoppo, un compagno di Pisia: an­ nunciava che si era osato un fatto inaudito. A quanto pare, Ismenodora era convinta che a Baccone, personalmente, non dispiacesse af­ fatto sposarla e che lo trattenesse solo la vergo­ gna nei confronti di chi lo sconsigliava; quin­ di decise di non lasciarsi scappare il ragazzo. Fece venire presso di sé gli amici più energici e più disposti ad assecondare il suo amore, le amiche più intime e solidali; predispose il suo piano e attese il momento in cui Baccone, tor-

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nando dalla palestra, soleva passare davanti alla sua casa, in atteggiamento dignitoso. Mentre, dunque, egli avanzava fra due o tre com­ pagni, dopo aver fatto i suoi allenamenti, Ismenodora stessa gli si fece incontro sulla porta e gli toccò appena la clamide; ed ecco che gl i amici della donna, avvolgendo gentil­ mente il bel ragazzo nella sua clamide e nel mantello, lo portarono entro la casa, in un gruppo compatto, e sub ito chiusero la porta.81 Le donne, all'interno, gli tolsero la clamide e gli fecero indossare un abito nuziale; nello stesso tempo i servitori, correndo qua e là, appesero ghirlande di olivo e di alloro sia sulla porta di Ismenodora sia a casa di Baccone; e la flautista percorse la strada suonando il suo strumento.82 Tra gli abitanti di Tespie e i loro ospiti ci fu chi prese la cosa sul ridere, e chi invece, indi­ gnato, pretendeva l'intervento dei ginnasiar­ chi, che hanno piena autorità sugli efebi e sor­ vegliano attentamente la loro condotta. Non si faceva più parola del concorso ; gli abitanti avevano lasciato il teatro e passavano il tempo davanti alla casa di Ismenodora, tra chiacchiere e discussion i.83 1 1 . Fu dunque l'amico di Pisia, giunto a gran galoppo come se portasse un messaggio di guerra, a riferire tutto sconvolto l'avveni­ mento: Ismenodora aveva rapito Baccone! Zeusippo, dice mio padre, scoppiò a ridere e recitò, come si conveniva a un ammiratore di Euripide: " Donna, benché orgogliosa della tua ricchezza, [conserva pensieri da mortale! .. .84 59

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Pisia invece scattò in piedi e gridò: « Dei del cielo, a che punto arriverà la licenza che sov­ verte la nostra città?85 Ormai, col pretesto del­ la libertà, si procede verso l'anarchia più com­ pletai E forse è persino ridicolo indignarsi in nome del diritto e della giustizia, quando la legge stessa della natura viene trasgredita e sottoposta al dominio delle donne. Si è mai visto qualcosa di simile a Lemno?86 Andiamo­ cene � disse « ad affidare alle donne il Ginna­ sio e la sede del Consiglio, se la nostra città ha perduto ogni suo nerbo! �. Pisia se ne andò dunque via, e Protogene lo segui, sia perché condivideva la sua rabbia, sia perché cercava di calmarlo. Antemione disse: « Il fatto testimonia un'au­ dacia inaudita, degna veramente delle donne di Lemno - possiamo dirlo ora che siamo tra noi - ed è opera di una donna terribilmente innamorata � . Soclaro replicò con un sorriso ironico: « Ma tu pensi che veramente ci sia stato rapimento e violenza? Non sarà piutto­ sto lo stratagemma difensivo di un giovane intelligente, che ha voluto sottrarsi alla stretta dei suoi amanti e ha disertato tra le braccia di una donna bella e ricca? � . « Non dire così, Soclaro, � rispose Antemione « non sospettare di Baccone. Anche se il suo carattere non fosse per natura schietto e sincero, egli non avrebbe certo nascosto le proprie intenzioni a me, dato che mi confida tutti i suoi pensieri; e poi sa bene che in questa faccenda io sono il più ze­ lante sostenitore di Ismenodora. Ma all'amore " è difficile resistere ", non " alla volontà " se­ condo le parole di Eraclito. " Ciò che desidera, 60

l'acquista anche a prezzo della vita "87 e dei beni e dell'onore. In questa città, chi è più ir­ reprensibile di Ismenodora? Quando mai è corsa sul suo conto una diceria maligna, o il sospetto di un'azione disonesta ha sfiorato la E sua casa? Sembra che in effetti un'ispirazione divina, più forte di ogni considerazione uma­ na, si sia impadronita di quella persona » .88 1 2. Allora Pemptide intervenne sorriden­ do:89 « Esiste indubbiamente una malattia del corpo, che si chiama male sacro;90 dunque non c'è da meravigliarsi se alcuni chiamano sacra e divina anche la passione più forte e gran­ diosa dell'anima. In Egitto, una volta, ho as­ sistito alla discussione tra due vicini, dovuta al fatto che un serpente era avanzato striscian­ do sul sentiero: entrambi sostenevano che si trattava di un demone di buon augurio, ma ciascuno dei due lo rivendicava per sé.91 c La stessa impressione m i avete fatto voi poco fa: vi ho visto cercare di trascinare Eros gli uni verso i quartieri degli uomini, gli altri verso quelli delle donne. Ma tutti eravate con­ cordi nel considerarlo un bene supremo, divino; e io mi dicevo che non c'è da stupirsi se tale passione gode di tanto potere e di così alta considerazione, quando anche le persone che avrebbero tutto l'interesse a respingerlo e frenarlo, da qualunque parte provenga, invece lo alimentano e lo esaltano dentro di sé.92 Fi­ nora ho preferito non intervenire: mi pareva che la discussione avesse come tema scelte per­ sonali più che principi generali; ma ora che Pisia se ne è andato,93 mi piacerebbe sapere da

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voi su quali considerazioni si basavano coloro che per primi defin irono Eros un dio » .

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1 3. Pemptide tacque, e mio padre si accin­ geva a rispondergli a questo proposito, quan­ do arrivò dalla città un altro messaggero, che cercava Antemione per conto di Ismenodora.94 La polemica, infatti, si allargava, ed era sorto un contrasto anche tra i ginnasiarchi: uno dei due pensava che si dovesse reclamare la resti­ tuzione di Baccone, l'altro invece riteneva che non ci si dovesse immischiare nella faccenda ; perciò Antemione si alzò e partì a sua volta. Mio padre, allora, si rivolse a Pemptide chia­ mandolo per nome: « Mi pare che tu affronti un problema importante e carico di rischi, Pemptide: tu vuoi rimuovere gli inamovibili fondamenti della nostra fede negli dèi, quan­ do chiedi per ciascuno di loro una spiegazio­ ne e una dimostrazione razionale.95 La fede ancestrale dei nostri padri si fonda su se stes­ sa, non si può trovare ed escogitare prova più chiara di essa,

per quanto si arrovellino i sofismi delle menti più [acute.96

Questa convinzione è una base, un fondamen­ to comune posto all'origine della pietà religio­ sa ; se in un solo punto viene messa in discus­ sione la sua solidità e risulta scossa la convin­ zione generale, essa diviene tutta quanta insta­ bile e sospetta. Tu sai certamente che scandalo avesse suscitato Euripide con il primo verso della sua Melanippe: Zeus, chiunque sia Zeus: solo di fama lo conosco. 62

Quando poi ottenne un nuovo coro per repli­ care la tragedia (sulla quale, evidentemente, contava molto, perché l'aveva composta con tutte le risorse dello stile elevato), cambiò il verso in quello che ancor oggi leggiamo:

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Zeus! Questo nome ci è tramandato con verità.97 « Che differenza c'è tra dichiarare discutibile o infondata la fede nei confronti di Zeus, o di Atena, o di Eros? Non è cert