I dieci lavori che compaiono in questo volume (in parte già pubblicati in prestigiose riviste) rappresentano il frutto d
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Italian Pages 433 [452] Year 2004
Table of contents :
PREMESSA
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE: LA DISCUSSIONE SUL CARME SIMONIDEO NEL PROTAGORA
L’ODISSEO DI PLATONE: UNO ZHTHMA OMERICO NELL'IPPIA MINORE
L'ENTHOUSIASMOS DEL POETA FILOSOFO TRA PARMENIDE E PLATONE
PER UNA INTERPRETAZIONE LETTERARIA DI PLATONE
FILOSOFIA VERSUS POESIA: PLATONE DAVANTI A UN’ANTICA DISPUTA
FILOSOFIA IN LETTERATURA: IL DIALOGO PLATONICO E LA SUA INTERPRETAZIONE
POÉTIQUE DU MYTHE CHEZ PLATON
UN DIMENTICATO FRAMMENTO DI POETICA: POXY III 414 E L'"ENCICLOPEDIA DEL SAPERE"
PHERC. 495 - PHERC. 558 (FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?). EDIZIONE, COMMENTO, QUESTIONI COMPOSITIVE E ATTRIBUTIVE
ΟΥΔ ΑΠΟ ΚΡΗΝΗΣ ΠΙΝΩ: ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
INDICE
BIBLIOTECA DI STUDI ANTICHI Collana diretta da Graziano Arrighetti e Mauro Tulli Redazione: Maria Isabella Bertagna *
87.
FABIO MASSIMO GIULIANO
STUDI DI
LETTERATURA GRECA
E MMIV
GIARDINI EDITORI E STAMPATORI IN PISA
Volume pubblicato con il contributo del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca *
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della Giardini Editori e Stampatori in Pisa?,
un marchio della Accademia Editoriale®, Pisa - Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. *
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€ Copyright 2004 by
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ISBN 88-427-1385-6 (BROSSURA)
ISBN 88-427-0952-2 (RILEGATO)
PREMESSA
Insieme ad un volume su Platone in corso di pubblicazione presso le edizioni Academia Verlag di Sankt Augustin, nella serie “International Plato
Studies”', i dieci lavori che compaiono raccolti in questo volume rappresentano i frutti di dieci anni esatti (1991-2000) di studi di un giovane di eccezionali capacità troppo presto scomparso. Uno, in lingua francese, il suo ultimo ancora inedito, fu scritto a Losanna, dove Giuliano fu ospite di
quella Università con una borsa di studio del governo elvetico?. Già da tempo, da parte di chi ha la responsabilità di questa "Biblioteca di Studi Antichi" e nella vita era legato a Giuliano da comunanza di studi oltre che da paterno e fraterno affetto, era stato progettato, come cosa comunque opportuna, di raccogliere questi scritti. Quando si seppe che alla malattia contro la quale combatteva da anni Giuliano avrebbe dovuto arrendersi, il progetto gli fu comunicato e lui accolse l'idea con entusiasmo,
dettó la dedica e scelse il titolo, Studi di letteratura greca, che, forse, potrà apparire strano premesso ad un libro che offre contributi quasi tutti vertenti su filosofi, per lo più Platone, ma anche Crizia e Filodemo. Ma è un titolo al quale, chi lo scelse, voleva dare un significato programmatico: Giu-
liano era, e avrebbe voluto continuare ad essere, studioso di letteratura greca, e i pensatori greci reputava con piena legittimità che potessero e dovessero essere studiati anche come autori che avevano pur sempre prodotto
in forme letterarie e che, pertanto, con la tradizione letteraria nella quale si inserivano dovevano continuamente misurarsi e talvolta contendere. Giu-
liano aveva ben presente la riflessione che in Giorgio Pasquali aveva suscitato il Platon del Wilamowitz, «intender tutto Platone senz'esser filosofo è impresa disperata», e con altrettanta convinzione pensava che è ugualmente manchevole non avere costantemente presente che Platone fu anche un grandissimo uomo di lettere. Quale che possa essere la misura del consenso che susciterá l'approccio
di Giuliano ai testi studiati, sará difficile non riconoscere in questi lavori esemplari doti di acutezza, capacità di formulare proposte di soluzione dei problemi fondata su un eccellente dominio della documentazione sempre saputa interpretare e giudiziosamente messa a frutto.
1. Platone e la poesia. Teoria della composizione e prassi della ricezione. 2. La revisione finale di questo testo e la preparazione per la stampa ἐ stata cura attenta e amorevole di Michele Corradi, Dino De Sanctis, Mario Regali, più giovani compagni di studi di Giuliano.
A Francesca
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE: LA DISCUSSIONE SUL CARME SIMONIDEO NEL PROTAGORA
l. Tl passo del Protagora che va da 338e6 a 347b2! contiene una discussione esegetica intorno al significato del cosiddetto Enco-
mio a Scopas di Simonide?. Sebbene si tratti del primo esempio completo a noi pervenuto di esegesi testuale nella letteratura
greca, il passo è oggetto di assai scarsa attenzione nelle trattazioni concernenti, sia nella sua fase primordiale sia complessivamente, la storia della filologia e della critica letteraria
nell'antichità?. Fra le ragioni del disinteresse puó essere l'influenza del giudizio riduttivo che tradizionalmente gli studi di
* Desidero ringraziare il prof. Graziano Arrighetti e il dott. Mauro Tulli per la benevolenza, unita a preziosi suggerimenti, con cui hanno accompagnato questo lavoro. l. Secondo l'edizione oxoniense di J. Burnet, cui per il testo di Platone si farà riferimento. 2. Simon. fr. 37 (542) PMG. I versi del carme saranno citati secondo la numerazione di questa edizione. Quanto al suo genere lirico, non dovrebbero
esserci più dubbi, dopo GenTiL1!' 295-6, che vada ascritto agli ἐγκωμι.α εἴ. anche Dickie 33. Conferma del carattere encomiastico del carme è fors'anche nel fatto che può essere stata la sua esplicita presenza nella parte lacunosa a fornire a Platone gli spunti per i ragionamenti sulla «lode involontaria» di Simonide (346a ss., cf. in particolare b7). 3. All'assoluto silenzio di E. EGGER, Essai sur l'histoire de la critique chez les Grecs, Paris 1887, e di H. Dizrs, Die Anfange der Philologie bei den Griechen, «NJA» 25 (1910), pp. 1-25 (poi in Kleine Schriften, Hildesheim 1969, pp. 68-
92), fanno seguito diminutive annotazioni come quelle di E. Howarp, Die Anjîmge der literarischen Kritik bei den Griechen, Diss. Zürich 1910, secondo cui nel passo si assiste solo a una «persiflierte praktische Anwendung» del programma letterario di Protagora (p. 37), e di J.W. H. Arkiws, Literary Criticism in
Antiquity, 1, London 1952?, che trova Platone «ridiculing their [sc. di Protagora, Prodico e Ippia] practices in delightful fashion» (p. 42). PFEIFFER pur rimproverando (p. 85 e n. 90) ad Atkins questa affermazione, limita la sua attenzione al procedimento eseguito da Protagora sul carme di Simonide, continuando a considerare il resto «una sorta di brillante parodia del "metodo" sofistico». Non rileva dal passo elementi costruttivi neanche G. R. F. FERRARI, Plato and Poetry, in The Cambridge History of Literary Criticism, 1: Classical Criticism, ed. by G. A. KENNEDY, Oxford 1989, pp. 99-103. Nessun cenno al passo nei lavori di G. M. GRusnz, The Greek and Roman Critics, London 1965, e How Did the Greeks Look at Literature?, «Lectures in Memory of L. T. Semple», Cin-
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
filosofia platonica hanno espresso sul problema affrontato nel passo. Della oggettiva presenza di errori nel corso dei vari tentativi ermeneutici avanzati, compreso quello conclusivo di Socrate, era normale dare ragione riconducendo il passo sotto l'e-
tichetta di «bloBes Spiel»*. Si otteneva con ció anche lo scopo di affrancare Platone da ogni sospetto di essere incorso in qualche inconsapevole svista esegetica. À sostegno di questa tesi erano generalmente addotti, oltre alle parole di disistima con cui Socrate suggella il proprio discorso, elementi come il sostanziale rifiuto della poesia da parte di Platone, la sua sfiducia nelle possibilità di qualsiasi testo scritto, il suo frequente atteggiamento caricaturale nei.riguardi dei sofisti, la sua specifica avversione nei confronti di Simonide. Una prima lettura del passo, unita a questi elementi esterni genericamente ricavabili dall'opera di Platone, non puó condurre, in effetti, che all'idea di una funzione esclusivamente negativa della discussione contenutavi. Una parte piü recente della critica platonica è andata si via via recuperando al passo motivazioni sempre maggiori in funzione dell'economia generale del dialogo, senza peró ancora prenderne adeguatamente in ' considerazione gli elementi afferenti al campo della pura esegesi letteraria. Si è sempre trascurato di mettere in rapporto il pionieristico saggio ermeneutico realizzato nel Protagora con quanto resta conosciuto di procedimenti esegetici, tendenze critiche o comunque riflessioni letterarie nell'età di Platone e/o dei sofisti e di considerare le eventuali analogie con le forme che tali riflessioni avrebbero assunto in epoche immediatamente successive; non si è tentato di cogliere a pieno la prospettiva di lettura in cui doveva porsi Platone di fronte all' Encomio a Scopas; non sı è valutata la misura di veridicità storica che i contenuti degli interventi dei personaggi alla discussione sul carme potevano ri-
cinnati 1973, pp. 85-129, né in quelli dı D. A. RusseLL, Criticism in Antiquity, London 1981, e Classical Literary Criticism, Oxford 1989". 4. Con questa espressione GUNDERT 71 riassume, in certo senso, il giudizio sul passo che la critica avrebbe come mutuato da Platone: cf. U. von WitAMOWITZ-MOELLENDORFF, Platon, I, Berlin 1919, p. 147: «Er [sc. Socrate] will ja auch nur zeigen, daf dies ein nutzloses Spiel ist». «Spiel» perd, considera in
partenza GuNDERT ibid., «hat bei Platon stets Besonderes zu sagen»: cf. dello stesso Zum Spiel bei Platon, «Festschrift E. Fink», Den Haag 1965, pp. 188-221, ora in Platonstudien (— «Studien zur antiken Philosophie», Bd. 7), Amsterdam 1977, pp. 65-98. GUNDERT si distacca, come vedremo ($ 5), dal generale orientamento della critica sul passo.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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flettere. Un riesame del passo che procedesse per queste vie aiuterebbe a capire meglio il vero significato dell'interpretazione poetica proposta da Platone, consentirebbe di precisare le mire e i limiti dell'ironia che aleggia sulla discussione. Non si potrà omettere di considerare la posizione del passo in rapporto alla struttura complessiva del Protagora e ai numerosi problemi che il dialogo presenta: anche il riscontro con il resto dell'opera platonica dovrà essere condotto nel modo piü comprensivo possibile. Secondo queste direttive intenderebbe muoversi la presente ricerca. Preliminarmente é opportuno svolgere alcune considerazioni relative all'essenza del carme simonideo ed ai motivi che possono avere spinto Platone a fare proprio di questo componimento
l'oggetto di una cosi speciale trattazione.
Una pur rapida o parziale scorsa alla nutritissima bibliografia concernente l' Encomio a Scopas puó agevolmente rendere conto della mole dl difficoltà che il carme oppone alla sua piena
comprcnsnonc Soltanto un più recente modo di approccio al componimento sembra condurre a un progresso nella sua intelligenza complessiva. Si tratta, da un lato, di esonerare l’Encomio
dalla pretesa di instaurare un nuovo codice etico°; dall’altro, di recuperare — alla luce delle sempre maggiori constatazioni rela-
tive alle consapevoli riflessioni poetiche degli antichi — le possi-
bili nervature di un discorso di Simonide a Scopas all’interno di un certo (convcnznonale o meno) codice di rapporto tra poeta e
tiranno committente’. Una decodificazione procedente in tal senso avrebbe fra l’altro il privilegio di eliminare interrogativi
5.
Significativa la considerazione di GERBER 319-20: «of all the fragments of
Greek lyric none has caused more controversy than this». Cf. anche GentILI! 278-9; BABUT 24-5.
6.
Ela via già percorsa, in senso opposto a WILAMOWITZ, da JURENKA, poi
sviluppata, in varie direzioni, da ApkiNs, PArry e BABUT. Ultimamente DicKIE attraverso una serie di paralleli evidenzia la forma tutto sommato convenzionale del carme.
7. Ë la via inaugurata da SVENBRO la cui tesi ha peró, negli sviluppi particolari (Simonidc ricorderebbe a Scopas il pr Pno diritto di essere pagato), il difetto di poggiare su deboli basi: cf. GENTILI^ 89 ss. Ma che un 'espressione di
poetica realmente il carme contenga ha mostrato ARRIGHETTI! 69-70: Simonide, sotto la forma della recusatio a Scopas, riflette sulle possibilità del genere encomiastico e mantiene la propria superiorità intellettuale nei confronti del tiranno.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
che davanti ad altri tipi di lettura inevitabilmente si pongono®, Naturalmente, il rinvio a una componente sostanzialmente tradizionale e convenzionale del carme non esclude, come negli altri poeti lirici cosi neanchein Slmomdc la occasionale presen-
za di originali riflessioni dell'autore?. E estremamente slgmficatlvo chei punti cruciali dell' Encomio a Scoþas quelli sui quali piü si è incentrata l'attenzione della
critica moderna, risultano già tutti focalizzati dall'iinterpreta-
zione di Platone'°. Questa circostanza già di per sé non puó che far pensare ad una lunga e attenta medltaznone da parte del
filosofo. E certo il carme περὶ ἀρετῆς' doveva presentarsi, per Platone come per noi, estremamente affascinante nel suo contenuto, data la presenza di cosi fondamentali riflessioni sulla condizione e sulla condotta dell'uomo. La loro forte tendenza ad essere assunte in moderna chiave etica e filosofica esponeva il
Β. Alla situazione figurata da WILAMOWITZ, secondo cui Scopas attendeva un complimento dalla richiesta a Simonide di esprimere un parere sul detto di Pittaco, ma il poeta d'lonia, che non era «weder ein alberner Schmeichler noch ein Pedant» (p. 169), «sagte ihm hôflich die Wahrheit» (p. 175), fa difficoltà (cf. PARRY 300, SVENBRO 126, Dickig 33) l'inverosimiglianza che l'opportunista Simonide abbia voluto correre il rischio, tanto piü nella sua condizione di esule, di inimicarsi il potente tiranno: difficilmente il «tessalo» Scopas
avrebbe accolto bene l'arguto diniego. Alla possibilità di intendere i termini ἀγαθός e xaxóc nell' Encomio in senso pienamente etico fanno ostacolo i vv. 14-8 (cf. JURENKA 865-6, Apkins 250, Des PLaces 238, BasuTt 26). Sarebbe una
soluzione di comodo presumere, con DoNLAN (cf. anche GENTILI? 95 e n. 32), che Simonide impieghi gli stessi termini con valore ora convenzionale ora morale. Sulla «impasse» che si viene a creare se nell'analisi del carme εἰ si muove su un piano puramente terminologico, cf. BAaur 28. 9. Cf. BABurT 54-5: «Simonide a dü mettre un vin nouveau dans de vieilles outres. [...] Les changements les plus importants, dans l'histoire des doctrines morales, peuvent s'effectuer par une évolution parfois difficile à déceler, plutót que par une révolution ou une mutation brusque».
10. Come vedremo ($ 2), in Platone come negli studiosi moderni la spiegazione globale del carme dipende strettamente dal tipo di soluzione escogitata per la «contraddizione» presente nella parte iniziale. E Platone si sofferma sul uév senza conseguenza del v. ] (343c7-d6), sull'insolita attribuzione di ἀλαθέως ad ἀγαθόν nello stesso verso (343d6-344a7), sul delicato contenuto dei vv. 14-6 (344c6-e6) e 17-8 (345a1-c3), sull'ironia del v. 26 (345d1-2), sul momento cardine costituito dall'introduzione del criterio della volontarietà nell'agire nei vv. 27-30 (345d6-346b8), sull'intento della excusatio dei vv. 33-7
(345b8-c7 e 346d6-347a3), sul non perspicuo senso delle due γνῶμαι finali (346c9-10 e d1-3).
11.
Quale che sia la forma del componimento, nel Protagora ne è chiaramente
definito il contenuto: 339a5.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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testo alle esigenze di un tipo di lettura cui non era votato a far fronte, sprovvisto com’era, oltre che del proposito di elaborare un sistematico discorso morale, anche di una appropriata terminologia e di adeguati nessi logici tra pensieri susseguentisi,
invece, secondo l’arcaico andamento paratattico!?. Tutto ció doveva provocare nella comprensione dell’Encomio, al tempo di
Platone come in età moderna, molte difficoltà di fondo"".
Da
queste la curiosità di Platone poteva essere ancor piü stimolata. La realizzazione di un saggio interpretativo che le avesse appianate sarebbe stata assai pregevole e avrebbe suscitato tanto piü diffusa ammirazione in misura della sicuramente grande noto-
rietà del carme!*. Stanti anche solo questi generici, forti motivi di interessamento offerti dall' Encomio, nient'affatto casuale si configura la scelta di Platone. Del resto, difficilmente Platone avrebbe dedicato all'Encomio a Scopas la piü estesa delle citazioni poetiche ricorrenti nell'intera sua opera e una discussione cosi imponente — circa dieci pagine Stephanus — nell'economia del denso dialogo se non ne avesse provato un concreto interesse: assai significativo sotto questa luce diviene il cenno di Socrate in 339b5-6
12. Descritto da B. A. vaN GRONINGEN, La composition littéraire archaïque grecque, Amsterdam 1958, pp. 179-80. Cf. anche Apxiws 291. 13. La prima e la maggiore è la contraddizione segnalata da Protagora (339c9-d9). All'effettiva difficoltà di comprensione in cui anchei lettori del tempo di Platone dovevano imbattersi di fronte all'Encomio fanno cenno ADAM-ADAM 163, FESTA 238, JURENKA 870, Βαβυτ 30, FREDE 738-9; cf. anche G. W. Mosr, The Measures of Praise, Gottingen 1985 (= «Hypomnemata» 83), p. 20. 14. Chel'Encomio fosse assai noto é dimostrato non soltanto dall'importanza del suo autore come del suo contenuto e dal pronto riconoscimento di Socrate alla citazione incipitaria di Protagora (339a6-b5), ma anche dal modo in cui Platone, evitandone una esposizione continua e una citazione letterale scevra di interferenze esegetiche, sembra presupporne la conoscenza nei lettori (cf. WILAMOWITZ 158): i personaggi del dialogo, in ogni caso, dimostrano la conoscenza del carme poiché, tutti ansiosi di udirne il significato (342a4-5), non manifestano poi difficoltà nel seguire la spiegazione che mescola citazioni a parafrasi e commenti — ed Ippia ha anch'egli un discorso al riguardo (347a8bl). Inoltre, Protagora non avrebbe potuto raccogliere tanta ovazione (339d10-e1l) segnalando un errore in un componimento che fosse risultato oscuro alla maggior parte del pubblico: cf. WoopBunv 138. Alcune espressioni del carme erano in effetti divenute proverbiali: i vv. 14-6 sono richiamati in
Eur. Hec. 595-8 e i vv. 29-30, riecheggiati in Soph. fr. 235 N° = 256 Radt (cf. Plat. $ymp. 196c), compaiono come παροιμία in Plat. Leg. 818b.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
πάνυ μοι τυγχάνει μεμεληκὸς τοῦ ᾷσματος. E che realmente sul carme si sia esercitata l'appassionata riflessione di Platone appare infatti testimoniato non soltanto dal suo senz'altro non fortuito essersi soffermato, che dianzi ricordavamo, sui principali nodi del componimento, ma anche dalla presenza in esso di parecchi elementi che possono aver a prima vista attratto la sua attenzione, in dettaglio: l. il fatto che vi 51 trattasse di virtù, e di una «virtù complessiva», tendente al «politico», proprio come la concepisce
Platone'®; 2. la presenza del termine τετράγωνος, di netta ascendenza
pitagorica e connotazione etico-filosofica!", citato anche da Aristotele (E.N. I, 2, 1100b20; Rhet. III, 2, 1411b26) e probabil-
mente assunto già a simbolo delle quattro virtù cardinali!?; 3. lo stile sobrio!?, connesso all'assenza di contenuti mimetici e mitologici, da Platone considerati spesso dannosi; 4. la presenza, viceversa, come in altri componimenti di Simonide (p. es. 21 e 76 PMG), di una certa pietas (vv. 14 e 19-
20);
15. Daqueste parole e da quelle elogiative in 344b1-2 GUNDERT 89 conclude «dafi Platon das Gedicht des Simonides geschátzt und geliebt hat»; FREDE
737, adducendo 339b5-6, bB, cl, c7, nota che «Socrates indicates in an unusually firm way that his interpretation is the result of a careful consideration of Simonides' poem prior to the present discussion». Cf. pure GEoRGOULIS 214 e THAYER 19. 16.
Sull'idea complessiva della ἀρετή sottesa all' Encomio cf. GUNDERT 73 e B.
SNELL, Dichtung und Gesellschaft, Hamburg 1965?, p. 114-5; per la sua sfumatura politica BowRA 329. Questa prospettiva adottata da Simonide nel considerare la virtù doveva compiacere Platone: nelle Leggi , 630a ss., si rimprovera Tirteo, in confronto a Teognide, di celebrare una virtü particolare, il coraggio. 17.
Procl. In Eucl. elem. 48 G. (p.
173, 2-4 Friedlein): boxei δὲ xai τοῖς
Πυθαγορείοις τοῦτο [sc. tó τετράγωνον)]... εἰκόνα φέρειν S θείας οὐσίας. E il giuramento dei Pitagorici contenuto nel Carmen Aureum (1, 54, 47-8 Diehl: cf. 58 B 15, 7-11 DK) suonava vai μὰ tóv ἁμετέρᾳ ψυχᾷ παραδόντα tetpaxtUv,/ παγὰν ἀενάου φύσεως ditwunat' Exovoav: cf. gli apparati di Diehl e di DielsKranz ad loc. Sul noto interesse di Platone per il pitagorismo cf. E. FRANK, Plato und die sogenannten Pythagoreer, Halle 1923 (Nachdr. Tübingen 1962), pp. 92-143 (92-118 sui numeri ideali).
18.
Cf. Des PLaces 240 e C. M. Bowna, Greek Lyric Poetry, Oxford 19617, p.
328. Simonide poteva averne consapevolezza: le quattro virtu appaiono delineate già ın Pindaro, cf. H. NonTH, Pindar, Isthmian, 8, 24-8, «AJPh» 69 (1948). pp. 304-8.
19.
Perquesto stile tipico del carme e di Simonide in genere cf. WiLAMOWITZ
181, FRANKEL 73 n. 3, KEGEL 25-6, GenTiL1! 294.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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5. la possibilità— ma per Platone probabilmente, vedremoin seguito, la certezza — che vi si evidenziasse l'opposizone
γενέσθαι!εἴναι di grande momento nella metafisica platonica;
6. il concetto dell’eù πρἀττειν1 ̓0 7. la metafora d1 «sanità» in senso politico, tanto più fondata
sulla conoscenza? 8. una componente di aristocrazia intellettuale (vv. 37-8 )22. Del resto, un poeta come Simonide, che in 316d7 è giudicato degno di essere posto al fianco di Omero e di Esiodo, esigeva comunque considerazione. Platone, in effetti, non mancò di tributargli un esteso studio: H. Thayer ha recentemente fatto osservare come sia la poetica simonidea che il filosofo ha soprattutto in mente nella Repubblica quando sviluppa il concetto della poesia come arte imitativa. Sarebbe opportuno tentare a questo punto il ridimensionamento di una possibile pregiudiziale che ha spesso condlzlonato
in negativo la lettura del passo esegetico nel Protagora?*: il discutibile trattamento riservato da Platone all' Encomio a Scoþas troverebbe le sue ragioni nelle grosse prevenzioni che il filosofo
avrebbe nutrito nei confronti dell'autore, poeta sofista. Che Simonide possa essere considerato, sotto alcuni aspetti, un anticipatore della sofisuca € perö essenzialmente acquisizione della
critica moderna?* chc guadagnata la dovuta distanza storica,
20. Per l'importanza in Platone di questo concetto, su cui ritorneremo in seguito ($ 5), cf. p. es. Dopps 335-6 e CLassen 108-10. 21. εἰδώς y' ὀνησίπολιν δίκαν ὑγιὴς ἀνήρ (vv. 34-6). Cf. Resp. 372e ὑγιὴς πόλις. Spesso Platone vede, come Simonide, un nesso di ὑγίεια con ἀρετή e δικαιοσύνη, p. es. in Resp. 444c-e e 591b, Cnit. 47d-e, Gorg. 479b: cf. THAYER 25 e n. 111. Nel passo del Critone, poi, ritorna anche l’idea di ὀνίνασθαι (e7). In generale sull'importante valore traslato di ὑγιής in Platone cf. M. Turui, Dialettica e scrittura nella VII Lettera di Platone, Pisa 1989, p. 41 e n. 50. 22. Sul motivo in Platone cf. H. D. VoIGTLANDER, Der Philosoph und die Vielen, Wiesbaden 1980, pp. 135-416.
23. Dalla critica di REBER 418 sino a quella di GeNTIL!' 280-4 e GenTILI* 91-3. Per GENTILI' 283 ancora nelle Legei (818b) Platone deformerebbe il pensiero di Simonide solo perché, rifacendosi di nuovo ai vv. 29-30 dell' Encomio (Avàyxn... μάχονται), sostiene che la Necessità intesa dall'autore — fra l'altro non nominato, dato il carattere di proverbialità riconosciuto al pensiero dev'essere quella divina, non quella umana. Non si riscontra comunque alcun maltrattamento del poeta. Allo stesso luogo dell’Encomio, del resto, si era già alluso in 741a2-5, senza alcun commento.
24.
Frequenternente gli studiosi accennano alla parentela ideale che lega
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
lo inquadra nella prospettiva di un certo sviluppo di pensiero delineato per il mondo culturale greco. Per Platone Simonide è un poeta, non differente dagli altri e non meno degno di
rispetto?, Non deve ingannare il fatto che in 316d7 Protagora menzioni Simonide nell'elenco di antichi sofisti camuffati: al medesimo ambito sono ricondotti Omero ed Esiodo, Orfeo e
Museo?*. Anzi, dal momento che questi quattro poeti costituivano come il canone dei piü rinomati «classici»?", ]a novità della presenza estranea di Simonide doveva essere percettibile. Probabilmente la sua inclusione nel gruppo di celebri poetisofisti è dovuta allo scopo di calare la critica che Protagora muoverà all' Encomio (339a-d) nel contesto dello spirito competi-
tivo che caratterizza l'attività sofistica??. Contro l’idea che Simonide fosse già nel V-IV secolo consapevolmente ritenuto un sofista, del resto, é decisiva la testimonianza di Aristofane. Nelle Nuvole, vv. 1355-95, Simonide, che l'austero Strepsiade invoca mentre Fidippide, imbevuto di idee sofistiche, definisce xaxóc
Simonide al movimento sofistico: cf. M. DETIENNE, Simonide de Céos ou la sécula-
risation de la poésie, «REG» 77 (1964), p. 419 n. 1 con rinvii bibliografici. Quanto sia pericoloso peró procedere da qui a una categorizzazione di Simonide come presofista è provato dal fatto che si possono scorgere nella sua poesia anche aspetti che lo farebbero un precursore della socratica, cf. WiLAMOwITZ 178, CHRIST 26, GUNDERT 87 n. 27, BABUT 22 n. 10.
25.
Platone certo aveva buone ragioni per equiparare genericamente sofisti a
poeti (cf. DALFEN 158 e 261; ARRIGHETTI* 135), ma non per fare un sofista di Simonide in particolare. Affinità tra le due categorie compaiono in Crat. 391 cd, Symp. 177a-b, Resp. 600c-e, Tim. 19d-e, con particolare riferimento a Omero ed Esiodo, senza mai alcuna allusione a Simonide. Il carattere venale e itinerante che accosterebbe l'attività di Simonide a quella dei sofisti non era certo di lui esclusivo: Arione, Anacreonte, Ibico, Pindaro non perseguivano di fatto una prassi diversa, cf. SVENBRO 143 e THAYER 4; cf. pure B. K. GoLo, Literary Patronage in Greece and Rome, Chapel Hill-London 1987, p. 18. 26. Neanche in quel luogo della Repubblica (331e) in cui Simonide, definito σοφὸς xai θεῖος ἀνήρ (affermazione non del tutto ironica, cf. C. M. Bowna, of. cit., p. 369; BABUT 42 n. 76), viene fatto apparire invero poco ooqóc, gli strali di Platone si appuntano sul solo poeta di Ceo: nella medesima critica si trova coinvolto Omero (334a-b).
27. Sono infatti menzionati insieme anche in Apol. 4la e (con contesto ancora negativo) in Resp. 364c-e; inoltre, da Aristofane, Ran. 1032-5, e da Ippia, fr. 86 B 6 DK ε, ancora, da Chrysipp. frr. 1077 e 1078 (p. 316, Il. 12-3 e 17-8 Arnim); Paus. Χ, 7, 2-3; Clem. Strom. V, 4, 24; Plin. N. H. XXV, 12-3; Herm. In Phaedr. 146, 30-1 Couvreur; Anon. Prol. in Plat. philosophiam 7,7 Westerink. 28. Cf.317c-d e in particolare le frecciate scagliate dallo stesso Protagora in 318d7-e5.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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ποιητής, figura, insieme ad Eschilo, come rappresentante dell’elemento ἀρχαῖον, di contro a quello vedtegov/sofisteggiante co-
stituito da Eunpide Platone, poi, non si abbandona a simpatie o avversioni. Poeti verso i quali una sua malevolenza avrebbe potuto avere concreto fondamento, come Aristofane, fra i responsabili del formarsi delle calunnie contro Socrate, ed Euri-
pide, tangibilmente agganmato al movimento sofistico, figurano
digmtosamente nei dialoghl Di Pindaro e Solone viceversa,
poeti per molte ragioni a lui cari, sono respinte rinomate sentenze?!, Il frequenteimpiego positivo della poesia nei dialoghi, a fianco della sua condanna, conferma che nei confronti di qualsiasi testo poetico Platone, senza preconcetti favori o ostilità, fa principalmente questione se vi si possa ricavare un conte-
nuto di utilità sul piano del sapere.
2. Prima di accingersi all'esame del passo del Protagorasarà ne-
cessario metterne a fuoco alcuni punti caratterizzanti??
29. E negli Floti di Eupoli (fr. 139 Kock = 148 K.-A.) si dice che intonare i canti di Stesicoro, Alcmane e Simonide è ἀρχαῖον: chi bisogna ascoltare è il «moderno» Gnesippo.
30. Cf., per Aristofane, VicAIRE 188-92 e R. Brock, Plato and Comedy, in E. M. Cnaik (ed.), Owls to Athens. Essays... to Sir K. Dover, Oxford 1990, p. 42; per Euripide, VICAIRE 175-6.
31.
Rispettivamente νόμος 6 xávtov βασιλεὺς..., la cui critica persiste «tout
au long de la carriére de Platon» (VICAIRE 143; cf. pure le critiche a Pyt^. ITI, 55 e a fr. 213, 1-2 Machler rispettivamente in Resp. 408b e 365b), e γηράσκω δ ̓ alei... (Resp. 536d e Lach. 189a; cf. pure la critica al fr. 17 G.-P. in Lys. 212b ss.).
32. Bisogna partire da una premessa di fondamentale importanza: che il testo dell'Encomio sottoposto ad esame nel dialogo sia quello ormai comunemente accettato, quale si trova riprodotto nelle edizioni di Diehl e di Page. La
ricostruzione di GENTIL!! riprende l'antica ipotesi della struttura epodica del carme, postulando la caduta dell’intera prima triade ad eccezione dei 3 vv. iniziali. Libera così l'ultima strofe, col farne un epodo, dai vincoli metrici cui si adegua non perfettamente. Ma, fra la prima (1962) e la seconda apparizione del lavoro di Gentili, Page aveva climinato questa difficoltà con l'ovvia rinuncia a costringere metricamente parole che non possono essere che parafrasi di Socrate (WILAMOWTTZ 162 n. 2; PARRY 317 e n.) e che vengono perció accolte nel testo solo come tali. Non è detto che le parole où yág εἰμι φιλόμωμος (346c7) debbano stare là dove Socrate le cita per la seconda volta e dove romperebbero la rcsponsionc strofica: ripetizioni di Socrate a membri invertiti sono anchein 344e3-5 e in 346d3-e4 e,-inoltre, come appare da numerosi studi (WILAMOWITZ 175; GEoRGOULIS 212; C. M. BowRa, op. cit., p. 333; H. FRAN-
KEL, Dichtung und Phtlosap/m des frühen Griechentums, München 1962°, p. 354), il
rigetto dell'accusa di propendere al biasimoé per Simonide urgente e impre-
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STUDI DI LETTBRATURA GRECA
La contraddizione individuata da Protagora (339a6-d9) nella parte iniziale dell' Encomio ha un'effettiva parvenza di realtà. Ció é dimostrato non soltanto dal plauso che la segnalazione del sofista riscuote (339d10-el), ma anche dalle parole di
Socrate in 339c8-9?? e dal suo iniztale imbarazzo (339e1-3). Ma cosa spinge Protagora a scorgere una contraddizione in termini tra la posizione di ἀγαθὸν γενέσθαι xaAenóv e la negazione di xakexdv ἐσθλὸν ἔμμεναι Probabilmente le ragioni del sofista non sono dovute a una identificazione tra yevé-
σθαι ed εἶναι sul piano ontologico** o anche solo terminolo-
scindibile premessa alla formulazione delle sue piü moderate richieste. Ma la difficoltà maggiore nella ricostruzione di Gentili è l'ammissione della distanza di un'intera triade tra i versi della stridente «contraddizione» (1-3/11-3
PMG). E vero che le espressioni (339d3-4; 344b5) indicanti come molto breve la distanza che intercorre tra questi due gruppi di versi non hanno valore tassativo, per quanto i paralleli con passi in cui Socrate richiama, con tà λεχθέντα ὀλίγον ἔμπροσθεν (Phaedr. 277d3-4) vel sim., argomenti trattati invero
diverse pagine addietro, non siano calzanti, poiché hanno valore cronologico, conformemente al carattere mimetico dei dialoghi, e non si riferiscono all'estensione materiale dell'opera (cf. Gorg. 475d2 ὑπὸ ao ὡμολογεῖτο ἡμῖν év τῷ ἔμπροσθεν χρόνῳ ,cioë in 474c); ma bisogna considerare le parole di Socrate in 344b3-5: come potrebbe tener fede alla promessa di percorrere i lineamenti complessivi del carme e convincere che è davvero tutto attraversato dalla riprova contro Pittaco, se poi ne tralasciasse la metà? Che il carme fosse dato quasi nella sua interezza era già opinione, prima della conferma di WitAMowiTz, della critica ottocentesca (Bergk, Hartung, Blass, Aars, Schwenk, Adam-Adam, Smyth). Altre obiezioni a Gentili in BABuT 30 n. 36. Quanto alle due lacune (vv. 4-10 e 31-2), esse non contenevano nulla di determinante per il contenuto (WiLAMOWITZ 160 n. 2 e 165; CHRiST 15): nella prima doveva
trovare posto l'allocuzione a Scopas, nella seconda forse un'altra apostrofe, ritardata come nel τόπος della consolatio (PARRY 317; cf. già SCHWENK 13). 33. καὶ ἅμα μέντοι ἐφοβούμην μὴ ti λέγοι. A questa franca confessione (rivolta all’Etaigos cui è narrato l'episodio), l'unica, insieme a quella di 339e3-5, che εἰ consenta di elevarci per un momento dal terreno agonistico della discussione, va attribuita la funzione di indicare il pensiero di Platone. 34. Si pensa in genere (DEUsCHLE-CRON 89; SCHWENK 6; GEORGOULIS 221; THAvER 22; Diertz 27) che Protagora avrebbe identificato le due affermazioni in quanto per lui, come si ricava dal Teeteto (152d ss.), non c'era differenza tra
γίγνεσθαι ed εἶναι. In realtà, Protagora non nega questa differenza: nega l'esistenza stessa dell'elvas poiché tutto, per lui, γίγνεται (Theaet. 158d8-e1). Perché mai, dunque, avrebbe dovuto esporsi a una rovina volontaria citando un
testo in cui l'elvat era invece nominato e indirizzando a un'ovvia soluzione del problema nel senso di un rinvio alla differenza tra divenire ed essere e di una conseguente affermazione di quest'ultimo? Inoltre, quando è successivamente chiamato in causa, non fa mai appello alla sua teoria, la quale, del resto, non è minimamente sfiorata nel Protagora, né si oppone alla differenza in sé γενέσθαι"
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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gico?, ma nascono da una prospettiva puramente e astrattamente razionalistica. Protagora infatti si limita a constatare come le due proposizioni, prese in sé, al di fuori di ogni contesto, sono di fatto identiche o, per usare una stessa sua successiva, evasiva espressione (349d3-4), ἐπιεικῶς παραπλήσια ἀλλήλοις: non c'é insomma differenza in sé nel dire «è difficile divenire buono» o «é difficile essere buono» (le due affermazioni potendo essere insieme vere o false a un tempo), sicché c'é contraddizione nell'ammettere una delle due proposizioni e negare l'altra, a meno che non siano fatte antitetiche. Che questo sia il processo alla base della percezione della contraddizione da parte di Protagora è confermato dai due tentativi di soluzione effettuati da Socrate, i quali vanno entrambi alla ricerca del senso che Simonide puó aver voluto dare a una
antitesi tra i concetti di γενέσθαι e di εἶναι ἀγαθόν. Socrate infatti, concentratosi sull’unica differenza che distingue l'afferma-
zione di Simonide da quella di Pittaco?? e assicuratosi da Prodico che una distinzione terminologica tra γενέσθαι ed εἶναι è effettivamente possibile, ne ricerca significato e concretezza sul
piano ontologico, procedendo a indagare se Simonide abbia inteso operare una antitesi concettuale nel senso — dapprima quello piü ovvio — di una difficoltà del γενέσθαι di contro a una
facilità dell’elvar ἀγαθόν, proprio come sembra fare Esiodo, citato a supporto (340b3-d5). Protagora giustamente scarta l'accostamento, ma è estremamente significativo che Platone non gli faccia addurre le vere ragioni del rigetto, vale a dire l'assolu-
εἶναι quando questa è proposta da Socrate e sancita da Prodico, ma solo al suo sviluppo nel senso di una facilità dell’elvar ἀγαθόν (340e5-7). Anche Socrate non insiste tanto sulla differenza metafisica tra divenire ed essere, quanto sulla differenza dei concetti di γενέσθαι ed εἶναι &ya8óv. Chiarisce il valore preciso di γενέσθαι («coming-to-be») nell'uso di Socrate (340b ss.) A. CODE, Reply to Michael Frede's “Being and Becoming in Plato", «OSAPh» Suppl. Vol., 1988, pp. 59-60.
35. Secondo WiLAMOwrrz 165-6 Protagora avrebbe operato una giustificata equiparazione tra le espressioni γενέσθαι ed εἶναι ἀγαθόν: distinguerle sgrcbb_c una «Haarspalterei». La contraddizione sussiste in quanto voluta da Simonide che nei versi iniziali non parla in propria persona, ma cita il detto di Pittaco, che successivamente ridimensionerà. La tesi — come la legittimità di un'identificazione tra γενέσθαι ed εἶναι ἀγαθόν — non è concordemente accettata: v. ὃ 4.
36. Pur in presenza di Prodico, non sı fa alcun accenno a una differenza tra ἀγαθός ed ἐσθλός: in quest'ultimo termine Platone vedeva probabilmente soltanto una forma antiquata e poetica del primo, cf. WoopBunv 158 n. 53.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
ta incompatibilità del pensiero di Esiodo con quanto Simonide viene dicendo nel seguito del carme, dove sosterrà proprio il punto di vista opposto a quello esiodeo. Platone sembra perciò voler caratterizzare Protagora come superficialmente legato ai limiti del testo in contraddizione. La risposta del sofista infatti appare tutta circoscritta alla pecca simonidea e all’intervento risanatore di Socrate: l’èrav6p@wpLa comporta un ἁμάρτημα maggiore di quello che corregge, poiché, se anche assolve il poeta dalla colpa di sciatteria compositiva, lo fa incorrere in quella, ancora più grave, di ignoranza (340d7-e7). Al poeta, dunque, puó semmai concedersi di dormitare (cf. ἐπελάθετο, 339d4) ma, per lui tradizionalmente ooqóc, è inammissibile la pecca di ἀμαθία. Metro della σοφία del poeta risulta l’opinione
comune?, Socrate non fa obiezione a questo criterio?". Rifiutata la spiegazione offerta da Esiodo, Socrate insiste a
cercare soluzione della contraddizione servendosi dell'arte di Prodico, per il quale forse la parola χαλεπόν, al pari di δεινόν, indica qualcosa di male. Cosi forse ha inteso anche Simonide, e dunque biasima Pittaco per aver detto xaxóv ἐσθλὸν ἔμμεναι
(341b5-c5). Si puó pensare?? che Socrate abbia giocato d'azzardo nel formulare l'ipotesi esegetica che Simonide per χαλεπόν abbia inteso xaxóv poiché in tal caso il poeta stesso avrebbe detto xaxóv ἀγαθὸν γενέσθαι. Ma, a parte il fatto che questa puó essere soltanto una mossa ad hominem operata da Socrate per evidenziare come Protagora, sempre piü concentrato sulle singole frasi sotto esame, vada progressivamente perdendo il senso del contesto, la cosa si spiega comunque se si considera che la
37.
Cf. GUNDERT 76; Οοβυ 102.
38.
E stato osservato (cf. GoLDBERG 162; Conv 196 n. 7) che il problema di
Esiodo, il quale al senso comune sembra invece qui contravvenire, non viene affrontato. La cosa non deve sorprendere. Anzitutto, nel passo non si sta fa-
cendo questione di Esiodo e, come nota GUNDERT 76, «das eristische Tempo läßt kein Verweilen bei solchen Einfällen zu». Argomenti lasciati cadere sono del resto anche in 332a3, 334a2, 350c5. Qui poi Platone, oltre a lasciare una voluta ambiguità sulla σοφία del passo di Esiodo che certamente disapprovava (cf. il contesto negativo con cui lo cita in Resp. 364c), come su quella di Prodico che nella realtà lo approvava (v. $ 3, b), puó voler accennare all'impossibilità di spiegare i poeti con altri poeti, dal momento che questi possono contraddirsi l'un l'altro: questa situazione, prospettata per Omero ed Esiodo in Jon 531b, è di fatto illustrata in Lys. 213e-215d (e in Leg. 630a-b Tirteo e Teognide appaiono in disaccordo su quale sia la virtù più importante).
39.
In questa direzione p. es. VERDAM 300 e BaBur 38 n. 60.
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differenza γενέσθαμεἶΐναι, sebbene messa momentaneamente da parte, non è stata mai abbandonata (abbandonata è stata solo
la facilità dell’elvar ἀγαθόν). Nulla impedisce che Simonide affermi xaxóv ἀγαθὸν γενέσθαι e biasimi Pittaco per aver detto
xaxóv ἐσθλὸν ἔμμεναι. Se si pensa poi alle circostanze*9, probabilmente note a Platone*!, in cui si raccontava che Pittaco avesse pronunziato il suo detto, non appare infondata l'ipotesi che il savio abbia potuto affermare «é un male essere buono» e che Simonide lo abbia biasimato per aver proferito una simile affermazione. Analoghi, pericolosi concetti Platone combatte nel
Gorgia e nei primi due libri della Repubblica. Ancora una volta Platone non presta a Protagora le vere ragioni del rifiuto dell'intera costruzione, il fatto cioé che questa contrasti con quanto è detto nel verso immediatamente successivo. Sottolinea cosi nuovamente come il sofista non esca dal ristretto perimetro delle due frasi contraddittorie. L'obiezione di Protagora va anche stavolta nel senso che il poeta non puó essersi scostato dalla communis opinio, non puó aver inteso
χαλεπόν che nel modo più usuale (341d2-5). La dogmaticità (εὖ olda) con cui l'obiezione è presentata conferma l'efficacia con cui operava il criterio. Neanche ora Socrate gli si oppone. Ma,
se Protagora é stato capace di addurre soltanto opinioni generiche ed esterne al carme, Socrate, estendendo finalmente lo sguardo al di là della impasse costituita dalla parte di testo in contraddizione, porta il péya τεχμήριον, finalmente interno: la frase immediatamente successiva (341e1). Secondo un procedimento che adotterà più volte nel corso della sua interpretazione, Socrate affianca una argomentazione esterna al testo: se Simonide avesse inteso un male l'esser buono e poi avesse fatto di questo male un privilegio esclusivo del dio, sarebbe stato un
ἀκόλαστος, non certo un uomo di Ceo (341e6-7)??. Protagora sembra aver esaurito i suoi argomenti (342a2-4).
40. L'atto di abdicazione (Sch. Plat. Crat. 384b [p. 16 Greene]; Zenob. VI, 38), ovvero il richiamo alle armi (Suid. s.v. Πιττακός).
41.
Cf GrNriLI? 92 n. 24.
42.
Gliabitanti dell'isola, osservano i commentatori, erano famosi per l'inte-
grità dei costumi (non é da cogliere un'allusione sarcastica all'effeminatezza
di Prodico, che è storia inventata dai comici, cf. PFEIFFER 97), come riconosce lo stesso Platone (Leg. 638b). Si puó notare una prima connessione dell'opera con la condotta di vita del suo autore, tanto piü qui significativamente calato nel milieu del suo yévos. V. anche nota successiva.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
Socrate, come illuminato dall’aver ampliato la visuale oltre il confine di v.13, 51 offre di fornire la sua πεῖρα esegetica dichiarando di voler esprimere quale gli sembra esser stata la διάνοια di Simonide nel comporre il suo carme (341e7-8): motivo questo che era finora rimasto sconosciuto. Dell'interpretazione di Socrate evidenzieremo per ora l'ingegnosità, tentando di mostrare come il filosofo riesca a indirizzare tutto il carme nel senso dell'individuato filo conduttore senza ricorrere, pur nelle forzature cui sottopone il testo, a nessuna scappatoia argomentativa. Socrate connette al tipo di soluzione della contraddizione la spiegazione dell'intero carme. Se per Protagora Simonide formulava una affermazione e, poco dopo, ne rifiutava una identica fatta da Pittaco, secondo Socrate, invece, le rispettive affermazioni di Simonide e Pittaco non solo non sono identiche, ma sono addirittura opposte: tutto il carme, infatti, è una serrata polemica del poeta contro il savio. Socrate inizia ad illustrarc
questa tesi di fondo con una lunga introduzione storica (342a7343c5) le cui diverse finalità considereremo in seguito; rispetto all'esegesi dell' Encomio, suo fine ultimo è calare il componimento nel contesto dei modi di speculazione filosofica arcaica, ai
quali Simonide si sarebbe riallacciato nell’ambizioso** intento di ribaltare la sentenza di Pittaco e ottenere fama al suo posto. Con questo intento avrebbe composto l'intero 800 carme (343c3-5). L'attacco contro Pittaco é di fatto condotto sin dal primo ver80 poiché, se Simonide avesse voluto ivi semplicemente formulare una affermazione per suo conto, si sarebbe dimostrato
pazzo^* ad inserire il uév: la particella, cioé, appare inserita οὐδὲ πρὸς Eva Aóyov (dl), a meno che non si intenda che l'affermazione sia formulata non già di per sé, ma in risposta a Pittaco (d2-3). Anche l'avverbio ἀλαθέως è finalizzato alla polemica. Sarebbe sciocco riferirlo ad &ya0óv (d6-c3), va riferito invece
all'intera frase*?. Simonide cioé caratterizza la sua affermazio-
43. Ancora Socrate presuppone rispecchiato nell’opera un attributo caratteriale dell'autore: per la φιλοτιμία di Simonide v. & 4.
44. μανικός. Da questa affermazione si puó avere conferma di come l'interpretazione persegua l'itinerario intellettuale, la διάνοια sottesa alla composizione del carme. 45.
Per questo costrutto v. infra, & 4.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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ne, di contro ancora ovviamente a quella di Pittaco che ne è
sprovvista (cf. 344al & Πιττακέ, οὐκ ἀληθῆ λέγεις e 347a1-3), con la qualifica della ἀλήθεια.
In tutto questo passaggio anche Socrate presuppone che il poeta non possa essere sprovvisto di un sapere comunemente riconosciuto. Ma, a differenza di Protagora, giustifica e conferma l’ apphcaznonc di questo principio con un inverso ordine di ragioni, positivo, inerente al testo. Che nei punti controversi Simonide non si € scostato dalle accettate norme di sapienza appare chiaro se si interpretano tali punti nel senso dell’individuato filo conduttore del carme, la polemica contro Pittaco. Allora, risulta effettivamente che il μέν è inserito non a caso, ma πρὸς Aóyov, e che il poeta non ha fatto ingenuamente parola di uomini veramente buoni, ma il «veramente», inteso nel suo giusto valore, è ὀρθῶς xeiuevoy (344a4-6). ‘Futto il seguito, rimarca Socrate, testimonia in favore di questa interpretazione, e sarebbe possibile dimostrare abbondante-
mente per tutte le rimanenti espressioni singole che il carme εὖ πεποίηται, ma la tirannia del tempo costringe ad esaminare solo attraverso i suoi lineamenti complessivi come sia sicuramente tutto percorso dalla confutazione della sentenza di Pittaco (344a6-b5). Con disinvolta abilità Socrate in 344b6-c3 rapporta fra loro le espressioni paratattiche dei versi iniziali completandole logicamente dei pensieri inespressi. In modo particolarmente felice inserisce tra i pensieri giustapposti dei vv. 13e 14 il concetto da sottintendersi, decisivo per cogliere finalmente in cosa consista la critica di Simonide al motto di Pittaco, esser cioé l'éo0lóv ἔμμεναι non χαλεπόν, ma ἀδύνατον xai oUx ἁνθρώπειον (344ς2). Quindi, sulla base di una serie di deduzioni logico-linguistiche, trova modo dl associare alla lettura del
carme la dottrina della virtü-scienza'5, senza tuttavia tralascia-
46. Socrate sfrutta la duplice valenza transitivo-attiva e intransitivo-passiva dell'aggettivo ἀμήχανος («che priva di risorse/ privo di risorse», cf. GOLDBERG 189) e il significato tecnico del verbo καθαιρεῖν (nel linguaggio della lotta indicava l'atterramento, cf. NEsTLE 14 n. 1) per ricavare l'immagine dell'uomo che, per essere messo al tappeto da disgrazia «che priva di risorse», deve precedentemente essere stato in piedi, cioé «provvisto di risorse» ovvero di scienza (εὐμήχανον xai ooqóv, 344e2), come Socrate dimostra per mezzo dei consueti esempi tratti dal campo delle professioni tecniche (344c6-d5). Socra-
te poi, intendendo transitivamente il πράξας εὖ di v. 17, spiega l'affermazione «quando riesce bene, ogni uomo è buono» concretizzando il generico ἀγαθός in due cast particolari, il buon letterato e il buon medico, e mostrando come
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
re un attimo la linea interpretativa della polemica antipittacea
(344e1-6;
345b8-c2).
E
infatti
sulla
base
del
principio
virtù=scienza che Simonide puó spiegare a Pittaco l'errore contenuto nella sua affermazione: per l uomo essere perennemente
&ya8óc non é d1ff1c1lc, ma 1mpossnb|lc difficile — sempreché possibile — &, semmai, divenire ἀγαθός ὅ. quanto alla durata di questo
stato,
essa
dlpendc
dalla
benevolenza
degli
dèi
(345c3)99. Le argomentazioni di Socrate sembrerebbero qui viziate da alcune disattenzioni nei confronti del testo. Nel ragionare del-
l'uomo buono costretto a divenire cattivo (344d-e), Socrate trascurerebbe che al v. 15 si parla, per l'uomo colpito da ἀμήχανος
συμφορά, di Éuuevat, non di γενέσθαι xaxóv?. In realtà, l’Eupevar di v. 15 non fa difficoltà all'introduzione del concetto di divenire. Socrate intende il verso come immediata correzione
del motto di Pittaco nel senso diquella che sarebbe dovuta esse-
re la sua corretta formulazione?! — lo prova il forte contrasto che
per costoro la buona riuscita non possa consistere che nell'apprendimento delle lettere o della medicina (345a1-4). Risalendo, secondo il consueto procedimento induttivo socratico, al caso generale, risulta che l'uomo diviene ἀγαθός grazie all'apprendimento. 47. Allo stabile possesso della scienza sı oppongono fattori come xoóvoc. πόνος e vóooc (345b3-4). Con l'inserimento del tempo tra περιπτώματασυμφοραί veri e propri Socrate configura come veramente impossibile l'essere permanentemente drya0óc/ooqóc.
48.
Per acquisizione di scienza.
49. Socrate connette anche questa considerazione di Simonide (citata parafrasticamente) al filo della polemica, intendendola come precisazione della durata dell'£o8Aóv ἔμμεναι che Pittaco sembrava credere illimitata per l'uomo.
50. Per WoopBunv 146 Socrate avrebbe fatto meglio a non citare questi versi in supporto della sua interpretazione. Si puó obiettare a Woodbury che una simile omissione sarebbe stata un mediocre sotterfugio, tanto piü difficile da far passare inosservato in quanto il saggio è condotto sotto la sorveglianza dei presenti (cf. 343c6-7 che richiama 338e2) e tutto il carme, che i presenti conoscono interamente a memoria (ció è esplicito per Protagora, 339b4, e Ippia, 347a7-bl, implicito per gli altri, v. supra, n. 14), deve mostrarsi scritto contro Pittaco.
51. A tale interpretazione poteva contribuire la ripetizione da parte di Simonide della caratteristica forma eolico-epica ἔμμεναι impiegata da Pittaco. Vede in effetti una conscia giustapposizione del xaxóv ἔμμεναι di v. 15 all'éo0Aóv ἔμμεναι di v. 13 DonLAN 83. Socrate poi, che intende ἔμμεναι come «essere permanentemente», ammette senza difficoltà la possibilità di xaxóv ἔμμεναι, cf. VERDAM 304: «alter ordo hominum est eorum, qui ex bonis mali fiunt et qui modo boni modo mali sunt; alter ordo eorum est, qui in perpetuum mali sunt;
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crea in 344e3-4 —, e soltanto nei versi successivi vede avanzato e documentato da Simonide il concetto di γενέσθαι ἀγαθόν con i modi della sua realizzazione (345a-b). In quest'ultimo ragionamento, ancora, Socrate, approfittando dell’ambiguità della fra86 ellittica, trascurerebbe che il verbo da sottintendersi a v. 17 è
ἐστι, non γίνεται"2, E possibile peró dubitare che nell'età di Platone ci fosse chiara consapevolezza di una regola grammaticale secondo cui una ellissi del genere presupponga necessariamente
il verbo εἶναι. Del resto, γίνεται sottintendeva chiaramente Socrate nel verso dell'ignoto poeta poco prima citato (344d8) e lo
stesso sembra fare Senofonte quando oppone il verso alla pretesa impossibilità che ó δίκαιος ἄδικος γένοιτο e che 6 μαθὼν ἀνεπιστήμων &v ποτε yévorro (Mem. I, 2, 19). In ogni caso, il valore puntuale del participio fa si che nella copula eventualmente sottintesa Socrate non debba vedere quel significato pregnante di «essere permanentemente» che sta ravvisando nel
verbo εἶναι, ma puó intendere «nel momento in cui riesce bene ogni uomo è buono, ma se riesce male è cattivo», l'idea del
divenire essendo necessariamente implicita nel passaggio tra le due condizioni. «Tutto ció, dunque, é detto contro Pittaco, e il seguito del
carmé lo dimostra ancor più», prosegue Socrate sempre seguen-
do il suo filo (345c4-5). Citando, infatti, la terza strofe? e soffermandosi a rimarcare, a proposito dell'ironia ben percepita nel
v. 26°*, con quale veemenza il poeta si scaglia contro Pittaco attraverso l'intero carme, afferma che anche i vv. 27-30 sono rivolti al medesimo fine polemico (345d6). Per giustificare questa interpretazione fa nuovamente uso del criterio di rivendicare al poeta una sapienza comune, confortandolo peró, anche sta-
ordo bonorum (i.e. eorum, qui in perpetuum boni sunt) non exstat»; CoBy 117: «man can never aspire to being good, which is to say being always good, but man can be bad».
52.
Cf. p. es. VERDAM 306; GUNDERT 82.
53. Non puó fare difficoltà a Socrate, come pensa invece WoopBunv 146-7, il γενέσθαι di v. 21, da intendersi non piü come «divenire» ma come «darsi, verificarsi».
54.
Cf. WiLAMOwrTZ 161. Ip. 164 n. 2 dimostra ingiustificate le varie corre-
zioni proposte per l'ottimo ἔπειθ ̓ tradito due volte (345c11; 346d5) dai codici. Alla testimonianza di B e T possiamo aggiungere quella di W, non registrata ad loc. da Burnet e Page. Che ἔπειτα 518 necessario all'esatto senso dell'ironia del verso ha recentemente dimostrato RoHpicH 125-30.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
volta, con il ritrovamento di un’intima coerenza compositiva tra il testo e le sue finalità. Simonide sarebbe ἀπαίδευτος se ammettesse l’esistenza di persone che fanno il male volontariamente, cosa che tutti i σοφοί negano (345d6-e4). Viceversa, riferisce a sé stesso ἑκών per far capire a Pittaco quali sono le persone che loda di buon grado dal momento che ve ne sono altre che loda
ἀναγκαζόμενος, cioè ἄκων (345e6-346b8)°°. In questa arbitraria costruzione di ἑκών Socrate non trascura l'áváyx che il poeta
oppone alla volontà?6. Coglie invece questa fondamentale opposizione, solo trasferendola dal piano «male commesso volontariamente/ per necessità» al piano «lode espressa volontariamente/ per necessità» (cf. 346b2 ἐπαινεῖν ἀναγκάζεσθαι, b4 προσαναγκάζοντας, b7-8 ἐπαινέσαι καὶ ἐγκωμιάσαι οὐχ ἑκών. ἀλλ ̓ ἀναγκαζόμενος). Nell’uitima strofe Socrate trova conferma (346b8-c1) che Simonide parla di lode volontaria e in riferimento a Pittaco. Se il poeta biasima il savio non é per gusto di biasimo poiché di sua piena volontà ben loda anche l'uomo medio, ma Pittaco per l'appunto, purtroppo, non rientra in questa categoria. Particolarmente interessante é seguire come Socrate giunga dal testo stesso a queste conclusioni. Il suo commento (346c9-10) alla prima delle due γνῶμαι finali del carme è frutto di una stretta connessione di questa al verso precedente e della più immediata
conseguenza logica da ció derivabile: «Io non biasimeró l'uomo
medio?". Ci sono infatti una massa di inetti. = Dunque, quelli semmai che dovró biasimare». Il pensiero xávta τοι καλά, τοῖσί
T’aloxpù uñ μέμειχται IN sé e per sé equivarrebbe a dire che è bianco tutto ció a cui non si mescola il nero, affermazione ridicola per molti versi, osserva Socrate (d1-3): dunque, deve voler
55. Una inferenza e contrario. Cf. Cosy 122. Sì nota poi ancora un ricorso a un particolare biografico dell'autore, il suo commercio con i tiranni, applicato all'esegesi dell'opera.
56.
Accusano Socrate di questa mancanza ADAM-ADAM 181 e BABur 35.
57. μιν (346c6) è l’üyeñs ἀνήρ, Il uñ xaxóc di v. 34, che Socrate identifica con il μέσος (346d7). Non valida appare la proposta di Woupaury 148 n. 25 doversi mantenere nel Protagora l'ametrico μήν dei codici in quanto Socrate altererebbe il testo allo scopo di rendere l’affermazione di Simonide più generale: a parte il fatto che l'unico altro esempio, addotto da Woodbury, di alterazione di un testo poetico (Gorg. 484b) è probabilmente insussistente (cf. Dopps 2702), cosa poteva spingere Socrate a generalizzare l'affermazione quando era nel suo interesse riferirla in particolare a Pittaco (346cl, e4, 347a3)?
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dire altro, e precisamente che il poeta xai tà μέσα ἀποδέχεται ὥστε μὴ ψέγειν. Vale a dire: tra i poli costituiti da καλά e aloxoá il poeta ammette l'esistenza di elementi neutri intermedi, μὴ
καλά e uñ αἰσχρά, che valuta alla stregua di xaA&??. Ciò era esplicito, del resto, dal v. 33 ἔμοιγ ̓ ἐξαρκεῖ ôç &v un xaxóc Ÿ*. Nona caso Socrate vi sostituisce, successivamente parafrasando
(d7), μοι ἐξαρκεῖ &v fj uécoc9?. Quindi, ben cogliendo l'intreccio nel carme del motivo lode/biasimo®', mette in rapporto l'impossibilità precedentemente sostenuta da Simonide di lodare un inesistente πανάμωμος con questa disponibilità a lodare il μέσος: e che queste parole siano indirizzate a Pittaco risulta confermato dall'impiego di una forma del dialetto di Mitilene (d8-e2). Simonide, dunque, ha voluto precisare a Pittaco quali sono gli uomini che loda di buon grado, essendoci anche di tali che loda suo malgrado (e3-4): ebbene, il savio non merita la sua spontanea lode poiché, non essendo arrivato a dire cose neanche mediamente giuste e vere, non rientra in quella encomiabile categoria di uomini medi, ma al contrario, essendosi ingannato, con la presunzione di dire il vero, sulle cose della massima importanza, merita tutto il suo biasimo (346e4-347a3). Dopo aver cosi concatenato la parte finale al resto del carme nella linea interpretativa seguita, Socrate, richiamando le parole di apertura del suo saggio (& μοι δοκεῖ διανοεῖσθαι, 341e7-8 — ταῦτά μοι δοκεῖ διανοούμενος, 347a3-4), pone fine alla fatica ermeneutica. La πεῖρα περὶ ἐπῶν è superata, con la tacita appro-
58.
Confortano questa nostra ricostruzione del ragionamento di Socrate Lys.
216d5-7 δοκεῖ uox ὡσπερεὶ τρία ἄττα elvai γένη, τὸ μὲν ἀγαθόν, xó èè xaxóv, 1ó δ ̓ οὐτ ̓ ἀγαθὸν οὔτε xaxóv ε, soprattutto, Symp. 201e-202b in cui si dice che il un
xaÀóv e μὴ ἀγαθόν non è necessariamente αἰσχρόν e xaxóv, essendoci w μεταξύ. In generale per il riconoscimento nel Protagora di una categoria intermedia tra due contrari, G.E.R. LLovp, Polarity and Analogy. Two Types of Argumentation in Early Greek Thought, Cambridge 1966, p. 130 e n. 2. 59. Va naturalmente tenuta presente, per tutto questo passo, l'identificazione platonica tra xakôv e ἀγαθόν, xaxóv e aioxoóv. Cf. Gorg. 474c ss.; Men. 77b6-7; Tim. 87c; Lys. 216d2; Symp. 201c4-5, 204e1-2; Alc. I, 216a ss.; cf. pure Xen. Mem. I11, 8, 5.
60. Da questa operazione di Socrate si puó ricavare come 346c3 debba in qualche modo considerarsi testo simonideo. Ciò è confermato dalla forma modificata in cui ricorre la nuova citazione in 346d7: cf. 341e3/344c2-3; 344e8/ 345a4; 346c1/346c7; 339bl più volte citato nel seguito in forme modificate. 61.
Al motivo dedica particolare attenzione SVENBRO 127-39.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
vazione di Protagora e degli altri presenti e quella, dichiarata, di Ippia (347a6-7).
3. Sulla base dei tratti fin qui delineati è possibile procedere a una prima valutazione delle caratteristiche del passo. Constatiamo che vi si trova riprodotto lo svolgimento di una discussione di poesia nell'età di Platone anzitutto sul piano della forma. L' Encomio è introdotto da Protagora secondo un modulo confor-
me all'uso??, che consente a Socrate di riconoscerlo immediatamente; abbiamo già considerato l'effettiva notorietà di cui doveva godere il carme. Il disinvolto decorso dell’interpretazione di Socrate rivela la padronanza ormai di una certa tecnica di
esegesi??. Nell'intera discussione puó in effetti vedersi prefigurato un esempio di quel caratteristico modo di indagare sui testi
poetici che portava alla scoperta di ἀπορίαμπροβλήματα c alla ricerca delle relative λύσεις, specie di riflessionc lettcraria che
sarebbe divenuta col tempo cnormemente diffusa"'. Anche la maniera dogmatica con cui Protagora ponc sotto gli occhi dci presenti la contraddizione in Simonide puó rispecchiarc un mo-
dulo realmente in uso per la proposta di simili insospettati προβλήματα esegetici. Ciò sarebbe confermato dalla forte affinità con il passo del Menone in cui, a ruoli invertiti, è Socrate che, in contesto sicuramente serio, fa attento il suo interlocutore a
una contraddizione esistente tra due ravvicinate affermazioni di
Teognide: Prot. 339c1-2 — Men. 95e2 olo8a óu; Prot. 339c6 = Men. 9643 ἐννοεῖς ὅτι; Prot. 339d3-4 ὀλίγον... προελθών = Men.
95e4 óACyov μεταβάς"". Prot. 339b9-10 ἐναντία λέγει αὐτός αὑτῷ
62.
Cf. WiLAMOwrTz 160.
63. Espressioni e termini tecnici, che si ritrovano frequentemente nel lessico scoliastico, sono in effetti ἐμβάλλειν 343dl, d2, 344a5; λέγειν (εἰρῆσθαι) πρός u (ἐπί xivi) 343d1-2, d7, 345c4; ὑπερβατόν 343e3; dp0ws (ἐπί τινι) κεῖσθαι 344a56; τείνειν πρός w 345b8; διαλαβεῖν (negli scolii διαστίζειν o διαιρεῖν ) 346e2. Riconosce l’aspetto tecnico della discussione GUNDERT 79 e n. 11; cf. già H. STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Rômern, l, Berlin
1890* (Nachdr. Bonn 1961), p. 131. 64.
Fin quasi da assumere il carattere di sport: cf. A. GUDEMAN, “ύσεις,
«RE» XIIL.2 (1927), col. 2517; ARRIGHETTI! 220 e passim per la «προβλήματαLiteratur» e la «λύσεις- Literatur». L'esistenza di questa moda letteraria è in effetti al tempo di Platone già attestata: mostra di coltivarla Antistene (frr. 51, 53 e 54 Decleva Caizzi), con particolare interesse proprio alla soluzione di contraddizioni (fr. 58). Cf. E. HowaLD, of. cit., pp. 67 e 76; PFEIFFER 90.
65.
Ilfatto che nella silloge teognidea le aflermazioni in questione si susse-
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— Men. 96a3-4 αὐτὸς αὑτῷ... τἀναντία λέγει. Anche il tentativo di λύσις operato da Socrate segue uno schema che poi sarebbe stato in qualche modo codificato. La difesa di Simonide va infatti nel medesimo senso di quella che Aristotele nella sezione περὶ προβλημάτων xai λύσεων della Poetica (cap. XXV) propone di fronte alle contraddizioni (tà ὑπεναντίως εἰρημένα, 1461b156) imputate ai poeti, esaminare cioè se realmente il poeta abbia detto τὸ αὐτὸ xai πρὸς τὸ αὐτὸ xai ὡσαύτως (1461b17): poiché
appunto γενέσθαι ed εἶναι non sono τὸ αὐτὸ (Prot. 340b4, c6, c7), Socrate risponde a Protagora che Simonide non si contraddice (οὐκ ἐναντία λέγει αὐτὸς αὑτῷ, 340b3, c8) nel biasimare Pittaco 00 ταὐτὸν ἑαυτῷ λέγοντα, ἀλλ ̓ ἄλλο (c2-3). Si puó confrontare inoltre il passo delle Rane aristofanee, νν. 1156-76, in cui Eschilo si difende dalle accuse di Euripide mostrandogli che ἥκειν e κατέρχεσθαι, κλύειν e ἀκοῦσαι non sono ταὐτόν. Altro dato di fatto ricavabile dal passo è che gli interventi di Protagora, Prodico, Socrate e fors’anche Ippia alla discussione sul carme appaiono delineati in sintonia con la figura storica di questi personaggi e con i modi della loro attività speculativa. a) Protagora. Con l’affermazione che l’intendersi di poesia è παιδείας μέγιστον μέρος (338e7-8), Protagora non fa altro che
presentare una constatazione di fatto, in merito all’importanza che i Greci assegnavano alla poesia nel processo educativo
dell'uomo95, quale è stato tracciato dallo stesso sofista in 325c5326e5. Del tradizionale modo di approccio ai testi poetici Prota-
gora aveva evidenziato la componente ricettiva e mnemonicaS”: ol διδάσκαλοι παρατιθέασιν αὐτοῖς [sc. toig xavoív] ἐπὶ τῶν
guano a parecchia distanza (vv. 33-6 e 434-8) ha fatto pensare che ὀλίγον μεταβάς non abbia valore spaziale, ma significhi qualcosa come «mutando un po' di parere», cf. la discussione in R. S. BLucx, Plato's Meno, Cambridge 1961, pp. 394-5. Proprio il confronto con il Protagora, però, contribuisce a smentire questa ipotesi, tanto piü che un'ironia di Socrate sull'invero totale mutamento di parere di Teognide sarebbe gratuita, dal momento che è stato Socrate stesso ad acuire la diversità delle due affermazioni per dimostrare come davvero difficile e contraddittoria é la posizione relativa all'insegnabilità
della virtù. Ë poi possibile che al tempo di Platone la silloge si presentasse secondo un ordinamento diverso e i due gruppi di versi figurassero più vicini tra loro nel testo, cf. VicAiRE 123.
66. Motivo ben noto, cf. p. es. TsiRiMBAS 1-18, DALFEN 28-41, ARRIGHETTI! 86, ARRIGHETTI* 3, 10 e 102. 67. L'effettiva esistenza di questa componente si puó riconoscere dalle parole del Discorso Giusto in Aristoph. Nub. 961-8.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
βάθρων ἀναγιγνώσκειν ποιητῶν ἀγαθῶν ποιήματα Xal ἐκμανθάνειν ἀναγκάζουσιν. Per quest’opera invero non ci sarebbe al-
cun bisogno dei sofisti, ma Protagora, affermandone implicitamente l’insufficienza, giustifica l’esercizio della sua professione anche in questo campo. Si ha pur sempre a che fare con la
preminente funzione paideutica della poesia*?: soltanto, περὶ ἐπῶν δεινὸν εἶναι significa ora esser capaci di esercitarc critica attiva e razionale nei confronti dei poeti, cioé comprendere cosa hanno composto correttamente (ὀρθῶς) e cosa no, analizzare e,
se interrogati al riguardo, saper dare ragione. Si tratta dunque di sottoporre anche i testi poetici al vaglio della ὀρθότης, ideaguida nelle ricerche filologiche e critiche dei sofisti. La dichiarazione in questione, talmente consona con la professione di Protagora, poteva con molte probabilità trovarsi addirittura in
qualche modo espressa nei suoi scritti??. Anche il tipo di analisi che successivamente Protagora esercita sul testo simonideo appare del tutto conforme a quello che, per quanto si sappia, fu il suo reale approccio ai testi letterari. Alla base della sua percezione della «contraddizione» stanno ragioni di pura razionalità (v. $ 2): ció si accorda, in generale, a quello che dovette essere l'effettivo contenuto degli studi ortoc-
pici di Protagora’°. Da un identico angolo visuale il sofista rim-
68. In ció Protagora è rappresentato coerente con il suo atteggiamento di dimostrare antica e tradizionale tutta la σοφιστική, come in 316d ss. 69. H. DitLs, Hippokratische Forschungen I, «Hermes» 45 (1910), p. 137, ne traeva indizio dal confronto con gli ippocratei De victu IV, 86 ς Epidem. LH (cf. pure NesrLE 20); la dichiarazione è accolta in 80 A 25 DK e ripresa nelle raccolte di Capizzi, Lanata e Untersteiner. Cf. anche FEHLING 212 e Mosr
238. Che l'espressione περὶ ἐπῶν δεινὸν εἶναι fosse effettivamente una sorta di «manifesto» protagoreo sembra confermato dalle parole di Socrate in 342a1-2, cf, SauPPE 97 e CH. P. GUNNING, De Sophistis Graeciae praeceptoribus, Diss. Amstelodami 1915, p. 125. Anche la «formula iterativa» ἡγοῦμαι con cui è introdotta la dichiarazione, secondo À. CaPizzi, Socrate e i personaggi filosofi di Platone, Roma 1970, p. 91, «ci fa capire che il principio generico era opinione nota di Protagora».
70.
«La tesi più accettata è quella che vede nella ὀρθότης un fondamento
logico. [...] Secondo questa interpretazione l'óp80£neia si sforzerebbe di restituire una logica organicità al discorso» (CaPizzi 331). Non credo che sulla base di καλῶς τε xai ὀρθῶς (339b7-8) sia lecito come distinguere tra «ästhetische und verstandesmäBige Kritik» (NesTLE 8 e 131): ı due termini formano
come una endiadi sotto l'insegna della ὀρθότης, come dimostra il loro uso scambievole in questa sezione (καλῶς 339b9; ὀρθῶὼς d9) e la sostituzione dell'uno all'altro in Resp. 331e1-4 (τί φῇς tóv Σιμωνίδην Xéyovta ὀρθὼς λέγειν; |...]
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proverava ad Omero, suscitando la difesa aristotelica, di aver adoperato nei primi versi dell’Iliade la forma imperativa anziché
quella ottativa (Poet. 1456b15 = 80 A 29 DK)”! e il sostantivo μῆνις al femminile anziché al maschile (Soph. El. 173b17 = 80 A 28 DK). In entrambe le circostanze Protagora appare concentato sulle singole espressioni, valutate in base ad astratti criteri di correttezza e senza attenzione al contesto o alle intenzioni del poeta: il medesimo atteggiamento con cui Platone insiste a caratterizzarlo nella sua riflessione sul testo simonideo. Pare difficile ipotizzare che Platone abbia immaginato Protagora con in pectore anche una interpretazione globale del carme'^. Gli altri elementi contenuti nel dialogo sono ancora concordi con il resto della tradizione. Al sofista bastava aver mostrato a tutti la sua superiorità nei confronti del suo predecessore nella sapienza al pari che del suo avversario del momento. Che d'altro non gli importasse è confermato, oltre che dal suo agnosticismo di fron-
te alle due possibilità di errore del poeta’*, anche dall'assoluta genericità ed esteriorità delle argomentazioni nei due suoi successivi interventi alla discussione (340e5-7; 341d2-5) e dal silenzio che oppone alla disponibilità di Socrate ad ascoltarlo (342a2). Al motivo della verosimiglianza storica della critica protagorea al carme di Simonide possono dare maggiore concretezza recenti ricostruzioni degli studi filologici di Protagora. Per D. Fehling, Protagora non si serviva dei passi poetici per illustrare regole grammaticali indipendentemente formulate ma, viceversa, faceva suo punto di partenza proprio la «Dichterkritik» e le disquisizioni linguistico-grammaticali erano solo occasional-
«τοῦτο λέγων δοκεῖ ἔμοιγε καλῶς Aéyew) e in Euthyphr. 15c8-9; cf. anche Symp. 181a3-4. Cf. poi lo Stephanus s. v. καλῶς i.q. ὀρθῶς (e 1 due avverbi sono scambiati dai codici in Apol. 39d5). Sulla inverosimiglianza di una concezione estetica della ὀρθότης da parte di Protagora cf. LANATA 186. 71.
Per PFEIFFER 86 questo frammento «conferma l'assunto che Platone nel
passo sulla poesia di Simonide non ridicolizza Protagora finché parla il grande sofista stesso».
72. Un'ipotesi accennata in FEsrA 238 e GUNDERT 73 (il quale argomenta solo sulla base di 339b4: ma, se l1 Pruotagora s1 otire di recitare tutto il carme, è soltanto, oltre che per dimostrare la sua cultura, per beneficio di Socrate, qualora — incoltamente — non lo conoscesse). 73.
Simonide sbaglia o nel criticare l'affermazione di Pittaco, o nel ripetere
l'identica, riprovevole di lui affermazione: tra le due ipotesi, di ben diverso contenuto, Protagora non si dà pena di scegliere (339d7-9).
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mente originate in margine a tale critica. La trattazione protagorea concerneva non già la correttezza della lingua, bensì il
suo corretto uso da parte dei singoli e ad essere colpiti erano i più famosi poeti in alcuni dei loro passi più noti: il sofista mostrava la sua superiorità segnalandone gli errori sfuggiti al «glàubigen Publikum». Ebbene, è facile constatare che questo
tipo di critica corrisponde esattamente a quello che Protagora
attua nel dialogo ai danni di Simonide. Il sofista mette innanzi un famoso componimento solo per coglierne punti deboli da-
vanti agli occhi di uno sbalordito pubblico’*: al proposito, la sua allusione alla smemoratezza di Simonide (339d4) può essere una puntata tanto più maligna contro l'inventore della mne-
motecnica, cara, fra l'altro, al rivale di Protagora, lppia75. Ch. Segal dalla famosa scena delle Rane, vv. 1119-97, ricava conferma dell’esistenza di due caratteristiche dell’attività critico-letteraria protagorea già individuate da Fehling, la concentrazione sulla parte iniziale di un’opera famosa e la rivelazione di errori fino ad allora sfuggiti all’attenzione del pubblico: entrambe queste caratteristiche si trovano rappresentate nel Protagora. Ulteriori echi di «Protagorean criticism» che la scena delle Rane condivide con 1l Protagora sono l'allusione all’àèpBoéx£ra, la segnalazione di contraddizioni e il ricorso a criteri generali trat-
ti dall'esperienza comune"*, Segal giunge alla conclusione che verosimilmente «Protagoras' interpretation of Simonides in Plato's dialogue may correspond rather closely to actual fact».
74. Sulla notorietà dell' Encomio v. supra, n. 14. Con la scena di 339e1-3 Platone puó perció mimare il reale effetto che, su un pubblico impreparato e passivamente acquiescente a una accettazione in (oto degli antichi e rinomati poeti, dovevano esercitare simili pratiche di Protagora. La paradossalità degli studi linguistici del sofista è testimoniata dalla caricatura che, trasposta addosso a Socrate, ne fa Aristofane nelle Nuvole, 658 ss. — Prot. fr. 80 C 3 DK. 75. Simonide e Ippia sono ricordati insieme da Ammian. Marcell. XVI, 5,8 = 86 A 16 DK per le loro capacità mnemoniche. Per la rivalità tra Protagora e Ippia cf. 318e3-4 = 80 A 5 DK e Hipp. mai. 282d-e = 86 A 7 DK. 76. Si puó rintracciare un altro preciso clemento di rapporto tra i due passi. Segal nota marginalmente (p. 159) la ricorrenza nella scena delle Rane di ἁμαρτία o ἁμαρτάνειν, accennando a un confronto con Poet. 1465b15 = 80 A 29 DK in cui Aristotele riferisce che Protagora ἐπιτιμᾷ Omero di ἡμαρτῆσθαι, ma non acclude l’âuégmpa menzionato dal sofista in 340d8: ıl termine colpisce l'énavógéoya di Socrate e di riflesso il testo simonideo, poiché l'intervento risanatore purga il testo di un errore per infettarlo di un altro peggiore (cf. el-2 ἰώμενος μεῖζον τὸ νόσημα ποιῶ). E la sarcastica obiezione di Protagora a Socrate τὸ ἐπανόρθωμά σοι μεῖζον ἁμάρτημα ἔχει À Ó ἐπανορθοῖς richiama quella
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L'ipotesi che l'esercizio critico sviluppato da Protagora sul testo simonideo abbia concretamente trovato posto in un tratta-
to del sofista"" potrà essere avvalorata soltanto da studi sull'entità della testimonianza storica fornita dall'opera platonica e
dal Protagora in particolare’®. A noi basta il risultato che tale esercizio ascritto da Platone a Protagora appare in sintonia con l’attività critica del sofista. E possiamo altresi constatare che anche i due successivi interventi di Protagora alla discussione sull' Encomio rispecchiano il suo reale pensiero. Egli, che di virtù si professava maestro, condivise certamente l'idea, fattagli esprimere in 340e5-7, secondo cui difficilissimo ne è il
possesso’°. La sua netta presa di posizione in favore di un significato convenzionale di χαλεπόν (341d2-5), a smentire l'accezione data da Prodico, corrisponde alla sua opinione in materia linguistica in base alla quale, nella controversia se la lingua
fosse φύσει ο νόμῳ, si schieró per il vóuoc??: Platone sembra
di Euripide ad Eschilo (v. 1147) Eu μᾶλλον ἐξήμαρτες ἢ ̓γὼ "BovAóunv. ̓Αμαρτίωάμάρτημα poteva perció essere il preciso termine con cui Protagora, con fare cattedratico, bollava i difetti compositivi rinvenuti nei poeti. 77.
Una simile ipotesi sarebbe in accordo con la conclusione dello studio di
DIETz sul valore del dialogo come fonte per Protagora, secondo la quale «einige von Sokrates weitgehend unbecinflufite Aussagen als protagoreisch gedeutet werden dürfen» (p. 39): e in effetti nella proposta dell'interpretazione simonidea «Fragestellung, Redeform und Begriffe sind protagoreisch» (p. 34). Diversamente, per A. CaPizzi, of. cit., p. 91, la formula xai δὴ xaí (339a3-4) indica solo l'applicazione particolare — ad opera di Platone - del principio generale di Protagora. Decisiva potrebbe essere la testimonianza di Temistio, Or. 23, p. 350, 20 Dindorf = 2894 Downey-Norman [lowtayógac... tà Σιμωνίδου te xal ἄλλων ποιήματα ἐξηγούμενος, se non fosse con molte probabilità derivata dal Protagora: cf. PFEIFFER 84 n. 87. 78. Al riguardo, significativi per il Protagora sono lo studio di GiGon e il commento di NEsTLE (v. infra, n. 189). Pud essere utile osservare che quest'ultimo rintraccia nel dialogo esposizioni di argomenti contenuti nelle maggiori opere di Protagora (i successivi commentatori concordano sostanzialmente sul valore documentario del dialogo, cf. p. es. C. C. W. TAvLon 78-9 e 89), ma non indica alcuna ripresa dal trattato in cui dovevano essere contenuti gli studi linguistico-letterari del sofista. Ipotizzandovi un riferimento nel nostro
passo, si verrebbe a colmare questa lacuna. 79.
Cf. 80 B 3 DK φύσεως καὶ ἀσχήσεως διδασκαλία δεῖται e quanto dice in
324a2-3 δῆλον 6u ἐξ ἐπιμελείας xai μαθήσεως χτητῆς οὔσης [sc. τῆς ἀρετῆς]. Cf. G. GROSSMANN, Platon und Protagoras, «ZPhF» 32 (1978), p. 520. 80. Cf. NrsTLE 31 e TsiRIMBAS 27; cf. pure F. HEINIMANN, Nomos und Physis, Basel 1945, p. 161 e G. Murray, The Beginnings of Grammar, or First Attempts at a Science of Language in Greece, in Greek Studies, Oxford 1946, p. 177.
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esserne a conoscenza (322a6: cf. Crat. 391c). Non è inverosimile che Protagora si sia trovato a perorare la sua concezione del
linguaggio proprio in polemica con Prodico?! b) Prodico. Per due volte nell'interpretazione dell' Encomio Socrate invoca l'aiuto della dottrina prodicea. Il sofista di Ceo
dovette realmente applicare la sinonimica all'esegesi poetica?? Tutte le διαιρέσεις nel Protagora attribuite a Prodico hanno un
certo grado di fondatezza intrinseca?? e hanno l'apparenza di essere state davvero da lui elaborate?*; fra queste poteva esserci anche quella tra γενέσθαι ed εἶναι sancita in 340b59*, Nello specificare poi il senso della distinzione simonidea tra γενέσθαι ed
εἶναι &ya8óv, Socrate si richiama inizialmente a un passo di Esiodo, prendendo peró le distanze dall'erroneo parallelo, che sembra voler accollare a Prodico e a molti altri (340c8-d1). Prodico elogia l'accostamento (34-0d6) risulta, infatti, che abbia fatto realmente proficuoimpiego dei versi in questione in mar-
gine alla sua favola di Eracle al bivio®, tanto nota che l'allusio-
ne nel Protagora doveva essere immediatamente intuibile.
81. Forse assertore della φύσις alla base del linguaggio, come si ricaverebbe dal suo etimologizzare (84 B 4 DK) e dal suo andar contro espressioni d’uso corrente (Prot. 341a7-b5). Vede una opposizione di Prodico al convenzionalismo e relativismo linguistico di Protagora e Democrito A. MouicLiANo, Prodico da Ceo e le dottrine sul linguaggio da Democrito ai Cinici, «AAT» 65 (1930), pp. 95-107, poi (con aggiornamenti) in Quarto contributo..., Roma 1969, pp. 155-65.
82. Cf. GUNDERT 76-7. Ciò appare confermato da Charm 163b-c = 84 A 18 DK, in cui è applicata la sinonimica per spiegare un verso di Esiodo ς poco dopoè menzionato Prodico (cf. TsirimBAs 53), e da Aristoph. Ran. 1153-88, in cui si tracciano distinzioni sinonimiche a proposito di termini impiegati da Eschilo ed Euripide: ἠκεινίκατέρχεσθαι, κλύεινιἀκοῦσαι, yev£o9autlva: (cf. SEGAL 160-1).
83. Cf. ADAM-ADAM 156, NESTLE 125-6, C. C. W. TayLor 136-8 e 201; cf. pure J. C. RiJLAARSDAM, Platon über die Sprache. Ein Kommentar zum Kratylos, Utrecht 1978, pp. 197-206.
84. Ciò si ricava in parte anche da testimonianze esterne: SAUPPE 93 citava Aristot. Top. 112b22 = 84 A 19 DK, cui NesTLE 125 ha aggiunto Sch. Plat. Phaedr. 267b e Xen. Mem. II, 1, 24. Cf. la conclusione di J. C. RiJLAARSDAM, op. cit., p. 206.
85. PrkiFFER 95 ne trae conferma da Aristoph. Ran. 1160 ss. Cf. anche SEGAL 160-1. J. P. DuwoNr, Prodicos: de la méthode au sisthème, in B. CassiN (ed.), Positions de la Sophistique, Paris 1986, afferma (p. 231) che Prodico, in base a questa distinzione, faceva del divenire «la méthode d'accés au bien et à la vertu». In ogni caso è chiaro che Platone non presenta questa né le altre διαιρέσεις prodicee come poggianti su basi filosofiche. 86.
Come ha provato W. NEsTLE, Bemerkungen zu Platon (Protag. 3404 und
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
27
Il suggerimento di Socrate che Prodico e Simonide per
χαλεπόν abbianointeso xaxóv non è in sé aspra presa in giro?? La documentazione di cui Platone correda l'affiancamento di Prodico fra óewóv e κακόν (341a7-b5) lascia pensare che real-
mente il sofista, adducendo forse ragioni etlmologlche di cui faceva di fatto uso39 contestava l'impiego di δεινόνin espressioni di segno positivo come appunto σοφὸς καὶ δεινὸς ἀνήρ, segna-
lando, come con le altre sue διαιρέσεις, le improprietà del lin-
guaggio corrente. Il parallelo accostamento di χαλεπόν a xaxóv gli è attribuito soltanto per via inferenziale (cf. ἴσως 341a6 e b5), ma neanch'esso ha in sé alcunché di impossibile, come ha riconosciuto anche la critica più attenta a evidenziare l’elemen-
to giocoso del passo??. Ad autorizzare il tentativo di sottoporre a esame linguistico il χαλεπὸν ἐσθλὸν ἔμμεναι di Pittaco c’era del
resto la stessa espressione di Simonide che definiva il motto οὐκ ἐμμελέως εἰρημένον: il richiamo all'óp8Gg εἰρῆσθαι o λέγειν era
immediato?! e suggeriva l'ipotesi che Simonide avesse effettiva-
Phaidr. 230a), «BPhW» 36 (1916), coll. 415-6. L'ipotesi era del resto già espressa, p. es. in REBER 419 e SAuPPE i01. 87. Come sin da REBER 420 e Sauppe 103 si usa affermare: anche PFEIFFER 86 considera la proposta di Socrate un'assurdità. Sulla non illiceità di prendere in considerazione una simile proposta per la spiegazione del carme v. $ 2.
Non sembra poi esatta l'opinione (grcscntc anche in GUNDERT 76) di P FRIEDLANDER, Platon, 1I, Berlin 1964^, secondo la quale (p. 19) con questa proposta Socrate, senza ‘che Prodico se ne accorga, ne ridicolizza il metodo «indem er die Worte, statt sie zu unterscheiden, vielmehr vermengt»: ci si muove invece sempre sul piano della διαίρεσις — come prova l'accusa a Pittaco di non averla saputa effettuare (341c8) — in virtà della quale ogni parola ha uno e un solo significato, quello di xaAexóv essendo, appunto, nient'altro che κακόν.
88. Derivazione della radice di δείδω: una connotazione non del tutto positiva è in effetti sempre presente in δεινός, cf. ADAM-ADAM 167.
89.
84 B 4 DK: cf. PFEIFFER 95 e J. C. RiJLAARSDAM, op. cit., pp. 37 e 119.
90.
A. E. TAvLoR 254 n. 1; WoopBunv 142 n. 15; GEnTILI? 92 n. 24; cf. pure
H. Gauss, Philosophischer Handkommentar zu den Dialogen Platos, 1.2, Bern 1954, p. 169. 91. Cisono dubbi se in Simonide ἐμμελέως sia da riferirsi a νέμεται (WiLAMOWITZ 166; WoopBunv 139 n. 9; CHrisT 14; KecEL 11-2; RoHpIcH 120-2) o ad εἰρημένον (tutta la critica anteriore a Wllamownz; JURENKA 867 n. 1; FRANKEL
72 n. 7; VERDAM 307; BowRA 233; GUNDERT 74 n. 3; GrNrILI! 300) Certo Platone ha costruito ncl secondo modo (Fränkel, Vcrdam), ed€ naturale che abbia fatto cosi: ha senz'altro equiparato l'espressione ἐμμελῶς εἰρῆσθαι al nesso ὀρθῶς εἰρῆσθαι vel sim. (comunissimo in Platone e nei suoi contemporanei, cf. LSJ), cf. Leg. 757a6 μάλα ὀρθῶς εἴρηται xai ἐμμελῶς, Leg. 895e1-2 οὐδεὶς
28
STUDI DI LETTERATURA GRECA
mente inteso rimproverare Pittaco di non saper ὀρθῶς διαιρεῖν (341c7-8). Prodico dà corpo a questa critica in un'accusa di barbarie al dialetto lesbico (341c8-9): l'affermazione non è
esagerata??, ma anzi molto intonata sulla sua bocca?*, tenuto anche conto della rivalità storica che opponeva gli abitanti di
Ceo a quelli di Lesbo?*. c) Socrate. La componente storica della figura di Socrate, che nel Protaëora emerge con particolare nettezza fra ì dialoghi
platonici”°, è segnalabile anche nel nostro passo. Come indignata dalla mostruosità grammaticale perpetrata da Socrate con l'iperbato di ἀλαθέως, la critica per lo più non si è soffermata sulla curiosa ragione esterna da lui addotta a motivazione del costrutto, esser sciocco cioè ammettere l'esistenza di uomini
buoni non veramente*“. O. Gigon, facendo notare per primo (p. 146) che Platone invero ammette si questa esistenza, vedeva nell'affermazione di Socrate la presenza di una dottrina relativistica «die auf dem ethischen Gebiete keinen Unterschied zwi-
&v λέγων οὕτω πλημμελῶς δόξειε λέγειν. - Οὐκοῦν ὀρθώς; e Resp. 569c6 (ἐμμελῶς torna associato all'idea del denominare ancora in Resp. 581b2-3, Phaedr. 278d4-6 e Pol. 260b3-5). Per l'identità tra ἐμμελὼς e ὀρθῶς anche JURENKA 867 n. | ε, a proposito di Apol. 20cl, CH. Cron, Verteidigungsrede des Sokrates und Kriton, Leipzig 1888, p. 58. Ed è molto probabile che Simonide stesso abbia connesso ἐμμελέως con εἰρημένον. Come prova si pud addurre, oltre alla constatazione delle difficoltà ancora aperte nel cogliere a pieno il senso di un οὐκ ἐμμελέως νέμεται (per Wilamowitz il verbo signilica «é riconosciuto», per Woodbury «é in corso», per Kegel «risiede», per Rohdich «e assegnato»), la forte affinità modulare con il giudizio di Erodoto (11I, 38, 4) sulla validità di un altro motto, νόμος πάντων βασιλεύς: la giuntura xai ὀρθῶς μοι δοκέει Πίνδαρος ποιῆσαι, ... φήσας... ricalca ın ogni membro quella οὐδέ μοι ἐμμελέως νέμεται τὸ Πιττάκειον εἰρημένον, ... φάτο..., confermando anche l'identità tra
ἐμμελῶς e ὀρθώς.
92. Verosimiglianza le riconosce anche SAuPPE 104. Bisogna tener conto dell'orgoglio con cui gli ionico-attici consideravano la loro lingua. Ξενικὰ ὀνόματα chiama lo stesso Platone parole doriche ed eoliche in Crat. 401cl. 93. NEsTLE 135 ipotizza che Prodico abbia condotto ricerche sulle varietà dialettali. CF. anche GUNDERT 77.
94.
Cf. Des PLaces 237.
95. Cf. p. es. U. vou WiLAMOWITZ-MOoELLENDORFF, op. cit., pp. 149-50; CROISET 3 («caractére tout socratique de la discussion, sans aucun mélange de platonisme pur»); Dopps 21; C. C. W. TayLor 210; cf. anche G. RupsERc, Protagoras- Gorgias- Menon. Eine platonische Ubergangszeit, «SO» 30 (1953), p.30 («der Protagoras gibt uns ein lebendigen Eindruck des wirklichen Sokrates»). 96.
Ci si limitava a vedere (cf. tuttora Coav 115) un'allusione alla
di Protagora, senza peró specificarne bene il senso.
̓Αλήθεια
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
29
schen ἀληθές und φαινόμενον macht», dottrina che egli riconduceva senz’altro ad Aristippo: ma, obietta H. Gundert (p. 79 n. 10), nel nostro passo «bestritten wird nicht der Unterschied zwischen "wahrhaft" und "scheinbar" gut, sondern die Móglichkeit eines nicht wahrhaft Guten». 51 tratterebbe cioé — tutt'altro che di relativismo — del radicalismo socratico dei primi dialoghi. Sviluppando l'osservazione di Gundert, é possibile pensare che ci si trovi di fronte a un socratismo puro, l'assolutizzazione del concetto di ἀγαθός in un valore immanente alla
sola responsabilità dell'individuo?". Metro assolto di questo valore non puó essere che l'identificazione socratica di virtü e scienza: e, se si intende come residuo del Socrate storico il radi-
cale concetto sostenuto in Alcib. II,
146c7-8, oùx olóv τε
ἐπίστασθαι κακῶς" , si spiega l'affermazione del Protagora. Poiché una cosa o la si conosce o no, non la si puó conoscere male, di conseguenza o si é buoni o no, non si puó essere buoni non veramente.
L'uso di verbalismi, come quelli impiegati nell'interpretazio-
ne di ἀμήχανος, καθέλῃ e πράξας εὖ, sembra essere stato proprio del Socrate storico””. In particolare, per il modo in cui dal
πράξας εὖ di Simonide Socrate deriva la ἀγαθὴ πρᾶξις (345a1) εὐπραγία (a3) poi qualificata come μάθησις (a4)!99, pud essere proficuo un confronto con il passo dei Memorabili di Senofonte,
III, 9, 14-5'?!, Elementi prettamente socratici nell'esegesi dell’Encomio sono anche l'oscillare del concetto di ἀγαθός dal piano
97. Cf. per questo aspetto dell'etica socratica J. GERLACH, Diss. München 1932, p. 74.
̓Ανὴρ ἀγαθός,
98. Platone invece biasima, ma ammette la possibilità di conoscere male: Leg. 81921-3. Sul valore dei dialoghi pseudo-platonici come testimonianza del
socratismo cf. D. TARRANT, The pseudo-Platonic Socrates, «CQ» 32 (1938), pp. 167-73, ora in Der historische Sokrates, hrsg. von A. PATzER, Darmstadt 1987, pp. 259-69.
99, Cf. J. STENZEL, Sokrates, «RE» HLA 1 (1927), col. 822 («der Ausgangspunkt der Lehre des Sokrates ist die Sprache. [...] Sokrates’ Denken muß in einem ganz besonders engen Verhältnis zum griechischen Sprache stehen, noch enger als das platonische»), e soprattutto le conclusioni di CLassEN 178-
81. Verbalismi di Socrate sono frequenti proprio nel Protagora: 332a ss. su coqia e σωφροσύνη; 355b ss. su ἀγαθόν e ἡδύ; 35Be su κακός (cf. NESTLE 165).
100.
Sul risultato «echt sokratisches» di una simile operazione cf. REBER 423
e CLassEN 108 (in particolare n. 4 sul nostro passo).
101. Cf. CLASSEN 109 n. 4. Per l'attendibilità della testimonianza senofontea sui verbalismi di Socrate, Ip. 179-80.
30
STUDI DI LETTERATURA GRECA 102
etico a quello tecnico-professionale “ e il noto paradosso οὐδεὶς
ἑκὼν xaxóc ?. Ricordiamo infine che Socrate pare abbia effettivamente intrattenuto un rapporto intenso, pratico e diretto con i testi dei
poeti'°*. Il «miglioramento»!?? che, grazie alle sue dottrine, raggiunge per il testo di Simonide, fa pensare molto al modo in cui nei Memorabili, I, 2, 56-9, adopera con un fine vantaggioso versi di Esiodo e Omero dai possibili risvolti negativi. Ció si addice bene a quell’«utilitarismo estetico» del Socrate
storico'96, principio che poi Platone non avrebbe ritenuto incondizionatamente applicabile alla poesia. d) Ippia. Si puó concludere questa esposizione ricordando che c’è chi ritiene il passo 347ab-b2 testimonianza che Ippia avesse realizzato una sua interpretazione dell' Encomio o che comunque
altre interpretazioni fossero circolate'®’. Per Platone era comunque opportuno attribuire a Ippia, il πολυμαθής, una conoscenza del carme. Il modo in cui Ippia estrae il suo «bel discorso» da esporre epiditticamente richiama quella che poteva essc-
re una sua consueta prassi!°®. 102.
Ricorrente in tutto il dialogo, cf. H. LisEGANG, Platon, «RE» XX.2
(1950), coll. 2393-4.
103. Interessante al proposito la tesi di N. GuLLEY, The Interpretation of “No one does wrong willingly" in Plato's Dialogues, «Phronesis» 10 (1965), pp. 82-96, secondo cui (pp. 82 e 96) il modo come questo paradosso € presentato nel Protagora riflette piü che altrove l'originaria forma socratica. 104. Cf. Xen. Mem. I, 2, 56-9; 6, 14; IV, 2, 8 ss.; Liban. Apol. Socr. 62-126. Cf. pure WiLAMOwrTZ 168; JAEGER II 77, 99 e 372 n. 41; O. GicoN, Kommentar zum ersten Buch von Xenophons Memorabilien, Basel 1953, pp. 80-91 e 163; SZLEZÁK 240 n. 20. Nel passo platonico in cui a LANATA 284 il rapporto di Socrate con la poesia sembra piü fedelmente riprodotto, Apol. 22a, Socrate interroga i poeti sul significato dei loro versi e ne trova le spiegazioni insoddisfacenti: a questo passo pud essere affiancato Xen. Symp. 3, 7 in cui Socrate denota l'incapacità dei rapsodi nell'intendere i poeti. E probabilmente sulla scorta di simili dirette esperienze che il Socrate storico si sentiva autorizzato a inoltrarsi nelle sue peculiari interpretazioni poetiche. 105. ἐπανόρθωμα, 340a8. GOLDBERG insiste piü volte (pp. 162, 185, 191, 193, 208) sull'«improvement» dell'interpretazione socratica nei riguardi del carme di Simonide. Cf. anche GUNDERT 91: Socrate «hat den Dichter in dem fruchtbaren Sinn verstanden».
106.
Cf. LANATA 285.
107. Cf. FEsTA 239, Frepe 739. WoopBunv 149 n. 28 tenta addirittura di ricostruire il senso che Ippia avrebbe potuto dare alla sua interpretazione: essere è φύσει, divenire νόμῳ.
108.
L'Eotiv μέντοι xai époi λόγος περὶ αὐτοῦ &U ἔχων, 6v ὑμῖν ἐπιδείξω (347a7-
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
31
Il nostro passo, dunque, offre numerosi elementi per ritenere che Platone abbia inteso rappresentare una seria discussione di
poesia, riproducendo il modo in cui i personaggi del dialogo avrebbero potuto parteciparvi. L'ironia scaturisce eventualmente dalla situazione — altezzosa cattedraticità di Protagora, ingenuo zelo di Prodico, consuete blandizie di Socrate -, non travisa la resa delle dottrine dei sofisti. A Protagora Platone fa evidenziare una aporia nel carme in base a uno schema forse usuale al sofista. Per mantenere in piedi l'aporia di fronte ai due erronei tentativi di soluzione operati da Socrate, Protagora esprime due sensate obiezioni generiche, probabilmente corrispondenti al suo reale pensiero e per Platone condivisibili, ma non determinanti. Platone riproduce cosi effettive caratteristiche di Protagora: applicare criteri di astratta razionalità o di csPericnza generale nei giudizi sui poe-
ti, senza riguardo ad altro ?. Anche la figura di Prodico è fatta oggetto di una trattazione abbastanza obiettiva e imparziale. L'ipotesi di Socrate, secondo la quale la dottrina prodicea puó essere divina da antica data e risalire a Simonide o ancor prima (341a1-2), è un riferimento ironico alla pretesa di Protagora in
316d ss.''?, ma è chiaro che Platone non tralascia di prenderla in considerazione. Non a caso si colgono ripetuti accenni nei riguardi di Protagora alla sua ignoranza della dottrina di
Prodico!!', laddove del sofista di Ceo Socrate si dichiara
bl) richiama molto Hipp. mai. 286a-b = 86 A 9 DK ἔστι γάρ μοι περὶ αὐτῶν παγκάλως λόγος συγκείμενος, anche questo da esporre epiditticamente (b4-5). Platone associa Ippia } ἐπίδειξις ancora in Hipp. min. 363c2 e d2 = 86 A 8 DK.
109. In una circostanza (80 A 30 DK) Protagora sembra riconoscere «la finalité immanente du texte littéraire» (Mosr 240, cf. SEcAL 161 n. 11). La testimonianza è troppo isolata (e fors'anche alterata nella trasmissione, cf. E. HowaALD, op. cit., p. 38 n. 3) perché 51 possa pensare in generale a un piü aperto atteggiamento critico del sofista e alla faziosità della rappresentazione platonica. Del resto, il frammento tradisce ancora la passione di Protagora per la διαίρεσις (cf. LANATA 189). 110.
Cosi frequentemente i commentatori, p. es. MiLLER 140 e GOLDBERG
164.
111. ἄπειρος 341a3; où μανθάνειν a5 e b7. Per il loro spirito agonistico e concorrenziale, evidente nel Protagora (v. supra, n. 28), i sofisti non sono inclini all'ampiezza di vedute € allo spirito collaborativo, presupposti per Platone indispensabili alla ricerca, come emerge piü volte dallo stesso dialogo, cf. 313a, 314b4-5, 338e2, 343c6, 348d1-3, 358a3.
STUDI DI LETTERATURA GRECA
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discepolo!!?, Platone non rifiuta a priori di mettere a frutto le possibilità della μουσική prodicea per l'esegesi del carme, e mostra di fatto di riconoscere a quest'arte elementi validi, come a proposito della distinzione yevéoOauelva: e dell'accezione peggiorativa di δεινόν: la prima è ammessa da Platone perché sostanziale anche sul piano ontologico, della seconda condivide
probabilmente le ragioni etimologiche!?. Ma nel prosieguo
Platone fa vedere la limitatezza della dottrina di Prodico ferma al vano studio di nomi e ignara delle realtà da cui sono presupposti!'*. Il sofista manca di saper dare ragione ontologica della distinzione yevéo8auelva: e la défaillance della sua equazione fra χαλεπόν e xaxóv, data anche per Simonide, dimostra codella sinonimica applicazione immotivata di una la fallacia . l l5 . . . . . . Ω . me di una sua indiscriminata estensione all'esegesi dei poeti ”. Ai falliti tentativi ermeneutici di Protagora e Prodico fa da riscontro il riuscito saggio di Socrate. Prima di ricercare il senso 112. 341a4. La notizia del discepolato di Socrate presso Prodico, confermata da Men. 96d, Crat. 384b, Charm. 163d sempre in riferimento alla sinonimica, sebbene da non prendersi alla lettera, puó essere testimonianza del reale ascendente che doveva esercitare su Platone la dottrina dei nomi, senza contare che essa «übte vielleicht auf Sokrates einen gewissen EinfluB aus und trug zur Entstehung seiner Begriffphilosophie bei» (TsiRImBAs 27, con rimandi a H. Gomperz e M. Pohlenz): cf. anche M. UNTERSTEINER, / sofisti, IT, Milano
1967?, pp. 21-3. 113. In Lach. 198b6 è stabilita l'affinità di δεινός con δέος e questo è spiegato come προσδοχία μέλλοντος xaxoù (b9). Cf. CLAssEN 129. Che Platone condividesse l'accezione peggiorativa di δεινός è del resto confermato dalla connotazione negativa che assegna 518 alla locuzione σοφὸς xai δεινὸς ἀνήρ, come in 34149 nel riferirla ironicamente a Protagora cosi in Theaet. 154d8 e 173b2-3, sia al comune nesso δεινὸς λέγειν; cf. pure Phaedr. 245c2. Cade conseguente-
mente in cattiva luce anche il programmatico περὶ éxov δεινὸν εἶναι di Protagora.
114. Su questo motivo si trovano sparsi accenni nei dialoghi, p. es. Prot. 358a6-b2, Euthyd. 278b, Crat. 440c, Theat. 177e, Pol. 261e. Una simile critica rivolge a Prodico Aristotele, Top. B 6, 112b22 = 84 A 19 DK. 115.
ApAM-ApAM 168 ritengono che Socrate sia sincero quando afferma che
Prodico xaite: (341d7) nel proporre l'equazione xaAezóv-xaxóv, poiché «it would not be wit, but sheer buffoonery to represent Prodicus as seriously
believing that Simonides had censured Pittacus for having said “It is bad to be good"». Ma che la cosa in sé non sia mera buffonata abbiamo osservato. Come appare del resto dai recenti studi di SzLEzÁK (cf. p. es. p. 113 e /ndice dei principali concetti), per Socrate l'indicazione che qualcuno scherza o tiene celata la sua sapienza è, piü che ironia senza costrutto, il modo cortese ed eufemistico per segnalarne la reale cortezza di argomenti. Nessuno Socrate chiama ἀμαθής, tanto meno il suo antico maestro.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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che Platone può aver dato a questo confronto, un ultimo compito dovrà impegnarci: considerare la possibile plausibilità dell’interpretazione di Socrate per il pubblico letterario del tempo. 4. L'interpretazione di Socrate prende avvio con una lunga introduzione storica «die bei aller Ironie doch auf ein ganz neues methodisches Niveau führt: sie klárt erst einmal die "geistesund literaturgeschichtlichen" Voraussetzungen des Gedichts». Con queste parole ottimamente H. Gundert (p. 78) inquadra la funzione del passo. Potrebbe fare ostacolo, in realtà, a questa importante funzione metodologica dell'introduzione, la presenza di un'ironia che Gundert ancora ammette e che, nell'opinione della critica, vizierebbe fin da principio anche la credibilità
della annessa interpretazione poctica!'9. Ma, di fatto, l'esistenza stessa di ironia nel passo puó essere seriamente messa in
dubbio! "?. Le ragioni che portano, per esempio, A. E. Taylor a considerare il passo «furious fun» (p. 255), consistono nel fatto che Platone vi avrebbe caratterizzato come culla della filosofia «the least “intellectual” communities of Hellas, and the two which Socrates himself takes as his models in Republic VIII in describing the state which has made the mistake of neglecting education». A ció è possibile obiettare anzitutto che tale critica nella Repubblica è condotta esclusivamente in paragone allo Stato ideale. Rispetto a questo Sparta e Creta sono imperfette, ma restano superiori agli Stati esistenti: ad altre forme statali si accusa non solo di avere trascurato la παιδεία, ma di averne
introdotta una falsa e perversa''®. Sarebbe anche superfluo, del resto, citare in quanti luoçhi Platone manifesta aperta ammira-
zione per Sparta e Creta! ?. Appare, poi, ingiusto definire i due centri come quelli spiritualmente meno evoluti della Grecia. Si
116.
Cf. p. es. A. E. TAvLOoR 255.
117.
L'ironia del passo appare assai ridimensionata nelle trattazioni di F.
OLLIER, Le mirage spartiate. l'.!l)ude sur l'idéalisation de Sparte dans l'antiquité grecque de l'origine jusqu'aux Cyniques, Paris 1933 (repr. New York 1973), pp. 228-30, e di E. N. TiGERSTEDT, The Legend of Sparta in Classical Antiquity, 1, Stockholm 1965, p. 254. Era per l'estrema serietà del passo già REBER 420-1. 118. Cf. F. OLLIER, op. cit., pp. 244-7; CLaPP 495 proprio in replica alle asserzioni di Taylor.
119. Un parziale elenco in C. C. W. TAyLoR 144. Sul motivo in generale cf. F. OLLIER, of. cit., pp. 218-90; E. Des PLaces, Pindare εἰ Platon, Paris 1949, pp. 107-32; E. N. TicERsTEDT, op. cit., pp. 244-76.
34
STUDI DI LETTERATURA GRECA
trascura così non solo l’esistenza di regioni effettivamente arretrate come la Tessaglia, l’Elide e la Beozia, ma soprattutto la
florida stagione culturale da Sparta e Creta trascorsa'??. Decisive smentite si possono apportare anche alla presunta ironia di singoli punti del passo, come il movente culturale delle
EevmAaciau!*! e del veto di espatrio ai giovani'“* o la παίδευσις delle Spartane!??. Bisogna poi considerare, d'altro canto, la serietà di motivi come l'accusa alla cecità dei laconizzanti!**, l’elogio della Ρραχυλογία laconica!?? e soprattutto, come vedono in parecchi'”S, un primo passo verso l'identificazione, di fatto operante negli Spartani, tra coraggio e scienza, momento fondamentale nella seconda parte del dialogo. Similmente, l'aneddo-
to fittizio, comunque non inventato da Platone'“’, del convegno dei Savi a Delfi, tutt'altro che alludere ironicamente alla riunio-
120. Il cattivo clima culturale della Tessaglia traspare da Crit. 53d ss. e dall'ironia di Men. 70b-c; in $ymp. 182a-b l’Elide e la Beozia, ı cui abitanti non sono σοφοὶ λέγειν, sono contrapposte ad Atene e, se &v Λακεδαίμονι non è un'interpolazione, proprio a Sparta. Sulla cultura di Sparta arcaica cf. F. ΟἱLIER, op. cit., p. 15; JAEGER 1 138-9; E. N. TicERsTEDT, op. cit., p. 39-44. Ne approfondiscono alcuni aspetti le ricerche di P. JANNI, La cultura di Sparta arcaica, I-II, Roma 1965-70. Per giustificare la localizzazione cretese-spartana della φιλοσοφία παλαιοτάτη Platone avrebbe potuto in ultima analisi appellarsi a questo aureo passato, di cui non doveva essersi persa notizia: Plutarco sembra esserne ancora a conoscenza (Lyc. 20,16-21,7).
121. Cf. nel XII delle Leggi la considerazione per il νυκτερινὸς σύλλογος, l'organo superiore dello Stato ideale cretese, che ricorda l'esercitazione segreta della filosofia a Sparta (cosi SZLEZAK 235 n. 12), resa possibile appunto attraverso le ξενηλασίαι. 122.
Simili restrizioni sono consigliate dall'Ateniese in Leg. 950c ss.
123. Erano noti i Λακαινῶν ἀποφθέγματα e il potere delle donne spartanc è testimoniato da Aristot. Pol. 1269b31-2; cf. del resto l'importanza conferita all'istruzione femminile nel V della Repubblica e nelle Leggi, 804d ss. (cf. anche Tim. 18c). 124. Per distinguere forse il senso «intellettuale», diverso dalla moda di φιλογυμναστεῖν, che Socrate dava al suo effettivo (cf. Aristoph. Av. 1281-3; Xen. Mem. III, 5, 14 ss.) laconizzare. Cf. F. OLLIER, op. cit., p. 230. Accenno
polemico ai laconizzanti anche in Gorg. 515e8. 125.
Brachilogia aveva già auspicato Socrate per Protagora in 335b e 336a.
126. Cf. DEUSCHLE-CRON 93, GroRGovLIs 227, MILLER 147; cf. anche A. WESTERMAYER, Zwei Kapitel aus einer Schulerklárung des Platonischen Protagoras. Progr. Nürnberg 1880, p. 19.
127. «Erfindung» di Platone ne fanno DEuscHLE-CRoN 96: ma a un convegno di Savi alludono già, indipendentemente, Eforo di Cuma e Archetimo di Siracusa, cf. O. BAnkowskv, Sieben Weise, «RE» ILA 2 (1923), col. 2253.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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ne dei sofisti presso Callia, può semmai per contro evidenziare
in tutta serietà lo spirito collaborativo della loro filosofia!?9, opposto a quello, individualistico, dei sofisti. 'Tutto ció impedisce di vedere nell’introduzione storica la presenza di quelle asserzioni paradossali e ironiche che indichereb-
bero la maniera di intendere l’esegesi di Socrate. Ë altrettanto chiaro, fra l'altro, che i tanti, importanti concetti platonici ribaditi nel passo non hanno una effettiva e diretta conseguenza sull'esegesi stessa. Il concetto di base qui sviluppato, l'esistenza cioé di una φιλοσοφία lacedemone, è infatti un dato presentato a Protagora. Platone gli dimostra, in risposta alle sue asserzioni di 316d ss., che, se esiste una antica sofistica mascherata dietro altri atteggiamenti, esiste anche un ben diverso tipo di sapienza antica e segreta, di tanto migliore in quanto ha fruttato ai suoi
possessori potere e ammirazione'?., L'ipotesi posta da Socrate alla base della sua esegesi (343b7c5) doveva presentarsi subito con tratti di estrema attendibilità. Simonide era realmente noto ἅτε φιλότιμος èv ἐπὶ σοφίᾳ (cl), come dimostra il suo attacco (fr. 76 PMG) contro l'epigramma, che Platone conosceva (Phaedr. 264d3-6), di un altro savio,
Cleobulo'*°, e aveva in effetti guadagnato l'attributo di oopéc'3', che lo stesso Platone gli riconosce! ?. L'elenco dei Savi, poi, era aperto ad oscillazioni, e Cirillo di Alessandria collo-
ca Simonide esplicitamente tra i Sette!?: un eventuale tentato inserimento di Simonide nel novero già in atto nell'età di Plato-
128.
Riconoscono questo spirito GOLDBERG 174 e 204; Coey 110. L'idea del-
l'allusione ai sofisti risle a F. Ast. 129.
] sofisti in maschera, invece, non erano stati capaci di eludere τοὺς
ὀνναμένους Év taic πόλεσιν πράττειν (1/a5). Cl. SZLEZAK Z33. V ede μεὶ passo
anche un controcanto alla concezione politica di Protagora in 320c ss. R. I. WiNTON, Plato, Protagoras 342a-e, «PP» 35 (1980), pp. 432-3. L'opposizione di Sparta alla sofistica è evidente anche in Hipp. mai. 283b ss.: Sparta è l'unica città dove Ippia non è riuscito a far guadagno. Cf. F. OLLIER, op. cit., p. 230; E. N. TiGERSTEDT, of. cit., p. 546 n. 215. 130. E in Xen. Hier. 7, 3 Simonide loda la φιλοτιμία, pregio non da tutti. In un epigramma che va sotto il suo nome (99 D) Simonide è in polemica con Timocreonte.
131.
Xen. Hier. 1, 1 e 2, 5; Ps.-Plut. Cons. Apoll. 105a; Cic. Nat. 1, 22, 60.
132.
Resp. 331e, 335e e 365c; cf. pure Ep. Il, 310e-311a
133. Contra lul. }, 13 Migne. Che attinga a un elenco dei Sette indipendente dal Protagora è provato dal fatto che vi include anche Alcmeone (I, 12). «Wir finden 80 viele verschiedenartige Männer unter die Sieben Weise aufgenom-
36
STUDI DI LETTERATURA GRECA
ne avrebbe reso quanto mai verosimile l’ipotesi di partenza di Socrate, tanto più in considerazione del fatto che entrare in concorrenza con le massime dei Savi poteva essere una smania
diffusa'**. Analogamente, la ripetuta insistenza di Socrate sul motivo della
polemica di Simonide contro Pittaco non doveva
sorprendere'”*. Tenzoni e attacchi letterari non erano di fatto inauditi in età arcaica $, e la critica antica si compiaceva da parte sua di trovarne di nuovi ". La nettezza della critica a Pittaco era confermata dal deciso rifiuto del suo detto, οὐκ
ἐμμελέως εἰρημένον (v. 11)'?8.
men, daf) auch Simonides und Alkaios [2 Alkmeon} unter sie gerechnet sein konnten» (O. BAnkowsky, art. cit., col. 2246). Platone, dunque, avrebbe potuto esserne già a conoscenza. 134. Daquesta brama è mosso Pisistrato nell'/pparco, 228c-e. Cf. DALFEN 33. Cf. anche Charm. 165a in cui è detto che i successivi dedicatori di massime a Delfi desideravano apporre consigli non da meno del γνώθι cavtóv.
135. _È «presque incredible» per Βαβυτ 29. Anche per Mosr 243 Socrate «éxagere le moment intertextuel». 136. Cf., oltre a Simon. 76 PMG (e 99 D), la replica di Solone 26 G.-P. a Mimnermo 11 G.-P., le accuse di Senofane (21 B 11-2 DK) e di Eraclito (22 A 22, B 42, 56, 57 e 106 DK) a Omero, Esiodo, Archiloco, la frecciata di Pindaro a quest'ultimo (Pyth. IL, 54-6), il rimprovero di Stesicoro a Omero ed Esiodo (193 PMG) e quello di Corinna a Mirtide per aver voluto a sua volta rivaleggiare con Pindaro (664 PMG). E già Esiodo (Op. 26) diceva che l'aedo invidia l'aedo: per possibili critiche di rapsodi a loro predecessori cf. H. Dieus, Die Anfánge... cit., p. 12 — 79. 137. La tendenza a mettere strettamente in rapporto personalità affini e grosso modo contemporanee è già evidente qui nella notizia del convegno dei Savi: fra essi verrà sucessivamente ideato un ἀγών. Cf. pure l'agone, di antica ideazione, tra Omero ed Esiodo, le frequenti allusioni a Simonide ritrovate nelle odi di Pindaro (sch. ad Οἱ. II, 29 e 157-8, IX, 74; Nem. IV, 60; Isthm. IT, 9 e 15), la tradizione della risposta di Saffo ad Alceo (cf. Sapph. fr. 137 Voigt) e del rimprovero di Corinna a Pindaro ε, sul piano della finzione comica, l'áyov σοφίας tra Eschilo ed Euripide nelle Rane. Aristotele nel Περὶ ποιητῶν, fr. 75 Rose = 8 Laurenti, raccoglie molti simili casi di φιλονεικεῖν.
ARRIGHETTI? 152 rammenta, citando Hes. Op. 26, l'antichità e la persistenza del canone interpretativo «di considerare un po' troppo personalisticamente lo svolgersi delle vicende letterarie». Nell'età di Platone questa tendenza poteva essere stimolata da una possibile esistenza di una fitta rete di allusioni letterarie fra contemporanei: materiale in G. TEICHMÜLLER, Literarische Fehden im IV Jahrhundert v. Chr., Breslau 1881 (Neudr. Hildesheim 1978), e in CH. EucKEN, /'sokrates. Seine Positionen in der Auseinandersetzung mit den zeitgenossischen Philosophen, Berlin-New York 1983. 138. Connettendo ἐμμελέως ad εἰρημένον, come appare corretto e come era comunque naturale nell'età di Platone (v. supra, n. 91), anziché a νέμεται,
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
37
Abbiamo osservato ($ 2) che nel corso della sua esegesi Socrate presuppone per il poeta l’adesione a norme generali di sapienza (343e2; 345d6-7) e, inoltre, vede rispecchiato nell’opera un elemento caratteriale o biografico del suo autore (34166-7; 343c1; 346b5-8). Si tratta di due diffusi criteri esegetici della
critica letteraria antica. Sul loro rapporto con l'esegesi di Socrate, e sulla conseguente credibilità che le conferivano, ritorneremo nell'ultima parte del lavoro (8 6); ci soffermeremo ora invece su alcuni punti particolari. L'errore di fondo nell'interpretazione di Socrate consisterebbe, per coloro che negano qualsiasi differenza di significato tra
γενέσθαι ed εἶναι nel testo simonideo, nell'individuazione ap-
punto di tale differenza. E peró ben possibile che Simonide, sebbene non nel senso filosofico che leggerà Socrate, abbia real-
mente inteso proporre con valore diverso i due termini!??. Quand'anche non lo abbia fatto, é molto dubbio che l'unico altro mezzo rimanente per eliminare la «contraddizione» — intuire che l'affermazione iniziale da Simonide 4Boi rifiutata era
non sua propria, ma già citazione da Pittaco!*
— fosse stato a
svanisce l'idea della cortese polemica configurata da WiLAMOwrTZ 167. Il fatto che nella critica Simonide conservasse a Pittaco l'attributo di σοφός poteva ricordare a Platone una propria attitudine ironica (sull'ironia di Simonide,
ARRIGHETTI! 68-9; nei vv. 11-3 in particolare, BABUT 33). Tutt'altro che cortese anche l'attacco a Cleobulo, fr. 76 (581) PMG. 139. Alle argomentazioni fornite dai sostenitori di tale ipotesi - rimandiamo in particolare a FEsrA 239-40, JURENKA 867-9, WoopBuRv 150-7, VERDAM 309, GEoRcouris 221, KeceL 10, Parry 306-7, Des PLaces 239, SVENBRO
132, Coey 195 n. 5; cf. anche M. TnEu, Neues zu Simonides (P.Ox. 2432), «RhM» 103 (1960), p. 329 n. 23 - aggiungiamo le considerazioni svolte nella nota seguente.
140.
Secondo la tesi claborata da WıLAMOWITZ 165 e rafforzata da
FRANKEL
72 n. 7, accolta da NESTLE 131, Cunisr 14, GUNDERT 74 n. 3, GenTiL1! 285, DickiE 22. Questa tesi non tiene conto di una decisiva possibilità. Nel Protagora il fatto che i tre versi iniziali siano pensiero proprio di Simonide non è mai messo in dubbio, anzi è fortemente evidenziato, sia da Protagora (339d1-2) sia da Socrate (340b6-7). Cosa impedisce di pensare che nella parte seguente a questi versi, per noi perduta, si leggesse qualcosa che li contrassegnava inequivocabilmente come γνώμη personale del poeta? (Fanno i vv. 1-3 affermazione di Simonide, oltre agli studiosi citati nella nota precedente, anche DonLAN 78-81 e ScHÜTRUMPF 13-6). Il carme è pieno di pronomi e verbi in prima persona e appunto i primi versi, rivolti a Scopas, potevano rappresentare l'ini-
zio del discorso al tiranno (v. supra, p. 107 e n. 7) relativo alle condizioni della lode: si noti anche come Protagora li introduce (λέγει Σιμωνίδης πρὸς Σκόπαν óu, 339a6-7). Del resto, se Simonide nei primi versi avesse voluto citare il
38
STUDI DI LETTERATURA GRECA
disposizione del pubblico letterario del IV secolo!*'. In un'età ormai lontana dalla grande stagione della poesia lirica la cui produzione circolava ormai per lo piü in forma scritta e, per
giunta, antologica'*”, potevano essere i fruitori del testo a conoscenza dell'esoterico sistema di convenzioni che regolava di volta ın volta lo svolgimento della performance poetica davanti a una
ristretta cerchia di uditori?'*? E, data la forma assai elaborata in cui sarebbe stato inizialmente introdotto nel carme il detto di
Pittaco, l'unico modo per riconoscerne la paternità era, di fatto, essere informati della precisa occasione del componimento, sapere cioé che il poeta, in accordo alla questione propostagli dal committente, aveva immediatamente posto la sentenza del sa-
vio come tema della discussione!**. Ma nessuno nel Protagora risulta a conoscenza di una simile possibilità esegetica: non solo Protagora e Socrate, ma nemmeno i presenti, che plaudono alle esposizioni dei due, opposte ma ignare entrambe di questo tipo
motto di Pittaco, avrebbe forse dovuto citarlo in forma più esatta - dal momentô che lo elaborava tanto e ne ometteva l'autore —, usando cioé, a scanso di equivoci e per facilitare il riconoscimento, l'originario caratteristico ἔμμεναι: tanto piü all'inizio del carme dove i vincoli metrici che avrebbero potuto forzare a un uso di γενέσθαι sono meno operanti. Un senso specifico inteso da Simonide per il suo &tya8óv γενέσθαι («dimostrarsi» buono nelle concrete occasioni: cf. E. SCHWARTZ, Ethik der Griechen, Stuttgart 1951, pp. 24-5) in confronto al generico ἔμμεναι di Pittaco si attaglierebbe bene alla validità pratica riconosciuta 4}} ὑγιὴς ἀνήρ (vv. 35-6). Naturalmente, la critica al motto di Pittaco era fatta tout en passant, Simonide non vi insisteva per tutto il carme. 141. Indicativo dell’anacronismo che si commette se si ritiene che al tempo di Platone si sarebbe dovuta percepire la doppia citazione della massima pittacea appare il commento di NEsTLE 132: «Protagoras übersieht hier die "archaische Art, ein eben noch ausgesprochenes Wort wie etwas Neues erscheinen zu lassen"». Le parole fra apici sono di Fränkel, la cui mancata lettura si direbbe quasi Nestle rimproveri a Protagora. Contro la possibilità, poi, di identificare l'eventuale approvazione-rigetto dela massima di Pittaco con il movimento ciclico della composizione arcaica descritto da Fränkel, WoopBuRY 140 n. 1].
142.
E noto che l'età di Platone coincide con un periodo di grande diffusione
del libro (cf. p. es. PFEIFFER 62 ss.), e che l’Encomio fosse a disposizione in forma scritta è provato dal minuzioso vaglio cui è sottoposto nel Protagora, con
il disinvolto passaggio da un punto all'altro, in avanti e a ritroso, e l'abile messa in rapporto. L'esistenza di antologie da poeti già nel IV sec. è attestabile da passi come Leg. 811a; Xen. Mem. 1, 6, 14 e IV, 2, 1; Isocr. ad Nic. 44, Hipp. 86 B 6 DK. Cf. anche Tsirimsas 16 e O. GiGoN , op. cit., p. 163. 143.
La natura monodica dell'Encomio presuppone una audience ancora più
ristretta. 144.
Secondo la situazione ricostruita da WILAMOWITZ 169.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
39
di spiegazione. L’impiego di γενέσθαι o εἶναι era poi al tempo di
Platone ben differenziato!*? e, inoltre, ἀγαθὸν γενέσθαι era divenuta espressione carica di valori particolari, di significato assai
specifico e pregnante!*$, che non trova alcun riscontro in ἀγαθὸν εἶναι. Era perció del tutto verosimile ammettere in principio una opposizione nell' Encomio tra il γενέσθαι ἀγαθόν di Si-
monide e l’elvar di Pittaco'*", a prescindere dallo sviluppo filosofico che le avrebbe dato poi Socrate. À convalidare il pregnante senso durativo che Socrate legge nell'Éuuevat pittaceo poteva contribuire la circostanza, proba-
bilmente nota a Platone, in cui il savio pronunzió la sua massima. Il senso dell'esclamazione di Pittaco alla notizia che Periandro era divenuto xaxóc sarebbe stato appunto nella conside-
razione della difficoltà di mantenersi £a0Aóc!*9. E che effettivamente Simonide facesse questione nel carme della durata dello
stato di ἀγαθός era confermato, nonché dal v. 14!*?, dall'espressione ἐπὶ πλεῖστον (v. 19) che, se impiegata con ogni probabilità
già dal poeta in senso temporale'??, si era comunque ormai cristallizzata con q questo valore nell'età di Platone'?'. 145.
L'improprio impiego di ἐγένετο (per ἦν) rimprovera Eschilo ad Euripi-
de nelle Rane aristofanee, vv. 1187 ss. Alla differenza tra i due verbi si richia-
ma anche lo scolio esegetico ad //. VI, 98 καλῶς oùx εἶπεν elvat, ἀλλὰ γενέσθαι. 146.
Cf. p. es. E. SCHwARTZ, of. cit., pp. 22-5; WoopBunv 155 n. 44. PARRY
307 parla per l'espressione di «quasi-technical meaning». Un significato ancora piü peculiare assumeva poi l'espressione in riferimento al valore dimostrato in battaglia (cf. E. SCHWARTZ, op. cit., p. 24; ADKINs 255 n. 17 e 258 n. 69): Platone lo adopera p. es. in Menex. 242b6-cl. 147. Del resto, prima della possibilità di spiegazione elaborata da Wilamowitz, tutti i filologi risolvevano la contraddizione richiamandosi a questa opposizione. Valga come esempio F. BLass, Das Simonideische Gedicht im Protagoras des Platon, «RhM» 27 (1872), p. 331. 148.
Cf. Zenob. Cent. VI, 38 Leutsch-Schneidewin: Περίανδρον tóv Kogiv-
θιον κατ ̓ ἀρχὰς μὲν εἶναι δημοτικόν, ὕστερον δὲ τὴν προαίρεσιν μεταβαλεῖν xai τυραννικὸν ἀπὸ δημοτικοῦ γενέσθαι [...]. εἰπεῖν τὸν Πιττακόν. ὡς ἄρα χαλεπὸν
ἐσθλὸν ἔμμεναι ̓ νομίσαντα &i tà συμβάντα τῷ Περιάνδρῳ δυσχερέστατον εἶναι τηρῆσαι τὴν ἑαυτοῦ γνώμην.
149. In cui «Simonides means by ἔχοι “have as a permanent possession"» (GERBER 320).
150.
Per GUNDERT 81 n. 13 avrebbe valore graduale, ma v. l'obiezione di M.
TREU, art. cit., p. 326 n. 15, a sostegno della quale ricordiamo un ἐπὶ πλέον con
valore temporale in Mimnermo (fr. 5, 3 West = Theogn. 1019) e fr. 16, 1-2 PMG in cui Simonide si sofferma effettivamente sulla durata della condizione prospera per l'uomo. 151. Cosi p. es. già in Tudicide, I. 2, 5; 138. 3 e VI, 54, 5. Analogo valore temporale avevano comunemente le locuzioni ézi e μετὰ πολύ, cf. SAUPPE 113.
40
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Il μέν del verso iniziale dell’Encomio poteva avere valore
enfatico!??. Anche in questa accezione però la particella portava comunemente con sé il segno di un'antitesi!??, Socrate la indivi-
dua, appunto, tra il pensiero di Simonide e quello di Pittaco'?^. Configurare poi l'esordio col uév come diretta risposta a Pittaco (343d3-6) poteva essere tanto più verosimile, in quanto sovente nel dramma attico una particella nella battuta di un personaggio al suo ingresso in scena segnalava la prosecuzione di un
dialogo in corso'5, La «violentissima»'?9 trasposizione di ἀλαθέως (343d6 ss.), per impossibile che sia, riesce forse meno inverosimile ad una più accurata analisi. 51 dice abitualmente che Socrate traspone ἀλαθέως da ἀγαθόν per riferirlo a χαλεπόν: lo fa, invece, per
riferirlo all'intera frase!?". E la propria affermazione che, secon-
152.
Esempi in J. D. DeENNisTON, The Greek Particles, Oxford 1954?, pp. 360-1
(a questo valore pud sovrapporsi in certi casi quello del cosiddetto μέν solitarium,-cf. DENN. p. 364). Meno valide le ipotesi che fanno il μέν di v. 1 corre-
sponsivo del δέ di v. 27 (WiLAMOWITz 167; GzwriLi! 293 n. 39) o di un δέ immediatamente in lacuna (DoNLAN 81; BABUT 34 n. 48): troppo lontano il primo 5é (e, del resto, ottimamente interpretabile come connettivoavversativo della frase precedente), impossibile che Platone non abbia notato il secondo (impensabile che ne abbia taciuto la presenza facendo leva sull'ignoranza da parte dei lettori di un testo che doveva essere ancora assai diffuso ai suoi tempi). 153. Espressa o inespressa: cf. DENN. 259 e 364 (380 per il μέν solitarium); E.. ScuwvzER-AÀ. DEBRUNNER, Griechische Grammatik, 1I, München 1950, p. 570. L'antitesi implicita nel μέν era tanto piü sensibile in attico, dove l'impiego della particella con funzione puramente enfatica era estremamente circoscrit-
to e stereotipato: cf. DENN. 364; J. HUMBERT, Sintaxe grecque, Paris 1960*, p. 419.
154. Felicemente, secondo Woopaury 145. Socrate esplicita l'antitesi insita nel uév inserendolo nel costrutto in cui è preceduto da οὐ... ἀλλά (344a1-2: cf. DENN. 378) e formulando il pensiero positivo ed essenziale nella proposizione con il δέ (344b8; e5), come di norma. 155. Cf. D. DEL Corno, Aristofane, Le Rane, Milano 1985, p. 155. In generale per questo tipo di ingresso in scena E. FRAENKEL, Beobachtungen zu Aristophanes,
Roma 1962, pp. 104-5. L'oùv all'inizio del Cratilo indica che il dialogo tra Cratilo ed Ermogene era già in corso di svolgimento. 156.
Il superlativo è, tra gli altri, di PFEIFFER 86.
157. Cosi sembrerebbe intendere il solo NESTLE 140, senza peró addurre ragioni. A dubitare che Socrate abbia riferito ἀλαθέως a χαλεπόν puó indurre una considerazione di partenza: un rincaro dell'aggettivo nel senso di «veramente difficile» non.conviene, poiché Socrate insiste proprio sulla debolezza del xaAezóv, cui contrappone l'áóóvatov (344c2).
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
41
do quanto Socrate sta dimostrando (v. supra, pp. 118-9), Simonide connota, in faccia a Pittaco, della verità. Ciò sarebbe provato non soltanto dalla prima parafrasi di Socrate (343d3-6), in cui l’avverbio porta visibilmente su tutta la frase, ma anche dalla sua conclusione (344a4-6) οὕτω φαίνεται... τὸ ἀλαθέως ὀρθῶς ἐπ ̓ ἐσχάτῳ (si badi: non dice ἐπὶ τῷ χαλεπῷ) κείμενον. L'avverbio cioè, per provvedere la frase della sua qualifica, andava posto correttamente alla fine. In questa enfatica posizione appunto Socrate lo colloca ancora in 344a2-4 e b7. La vicinanza, in queste due parafrasi, di ἀλαθέως a χαλεπόν ha forse indotto a ritenere che Socrate abbia voluto riferire l’avverbio all’aggettl— vo: ma, in tal caso, avrebbe probabilmente usato una posizione attnbutwa come (ὧς) ἀληθῶς χαλεπόν (non a caso poco prima
figurano ἀληθείᾳ ἀγαθόν e ὡς ἀληθῶς ἀγαθῶν). Una simile posizione manca nell’àvôp'&ya0dv μὲν ἀλαθέως del testo simonideo, e perciò dal punto di vista sintattico una trasposizione di ἀλαθέως non è impedita. E la disgiunzione di ἀλαθέως da ἀγαθόν sembra, in effetti, anticipata anche da Protagora in
339d3'*?: ad incoraggiarla poteva contribuire la refrattarietà di ἀγαθός a sopportare una qualifica!??. Abbandonata l'idea che Socrate si sia limitato a strappare ἀλαθέως dal legame con una parola vicina per riferirlo a una qualsiasi altra lontana, l'iperbato assume un aspetto molto meno violento. Dalla naturalezza con cui é proposto si desume fosse uno σχῆμα già riconosciuto e applicato all’esegesi della
poesia antnca il commentario di Derveni puó darne conferma!®°. [l ricorso a 1potes1 di iperbato nella tradizione esegetica preservata dagli scolii è frequente, e raggiunge talvolta
158. Non si vede come GUNDERT 79 possa affermare con certezza che con ἀγαθὸν γενέσθαι ἀλαθείᾳ Protagora riferisce l'avverbio ad ἀγαθόν (cf. infatti i dubbi riguardo al costrutto di Protagora in DEuscHLE-CRON 97), e che cosi fa ancora Socrate in 340cl. V. anche WoopBury 145 n. 22. 159. In nessun luogo della letteratura greca anteriore a Simonide, osserva DONLAN 78, il termine ἀγαθός risulta qualificato dall'avverbio ἀλαθέως: cf. gıa B. SNELL, op. cit., pp. 116-7. Da questa inedita attribuzione SVENBRO 127 dà le mosse alla sua analisi del carme. 160.
Fr. A, 1. 11 e col. IV, l. 6 nell'edizione in appendice a «ZPE» 47
(1982). Cf. J. RUSTEN, /nterim Notes on the Papyrus from Derveni, «HSCPh» 89 (1985), p. 125 e n. 10; A. V. LEBEDEVv, Heraclitus in P. Derveni, «ZPE» 79 (1989), pp. 41 e 47. Un iperbato sembra ammettere anche l'autore del commento ad Alcmane, fr. 5, col. II, 21 ss. PMG (cf. l'apparato ad loc.).
42
STUDI DI LETTERATURA GRECA
livelli di inverosimiglianza estrema'®'. Tutto ció induce alla conclusione che Socrate con la sua proposta si muovesse su un
terreno abituale al pubblico letterario del tempo!*?. Non si puó parlare di «ludus verborum» 9? riguardo all'interpretazione transitivo-attiva di πράξας εὖ, ben consentita dalla
lingua greca'°*. Alla duplice valenza di questa espressione, su cui si fonda un'importante parte della dottrina socraticoplatonica, Platone ricorre ancora in contesti della massima
serietà!65, La costruzione proposta da Socrate per éxov ha provocato denunce come quella di R. Schaerer, secondo cui il filosofo commetterebbe «une faute de grec qui ferait rougir le moins dégour-
di de nos collégiens»'9*. Ma esperti di lingua come Protagora, Prodico e Ippia sarebbero stati ben distratti professori sc avessero lasciato trascorrere un simile errore nella πεῖρα che Socrate sta sostenendo dinanzi a loro. In verità, il riferimento di éxov a quanto precede anziché a quanto segue non é grammaticalmen-
te illecito!9??. La stessa, ambigua collocazione dell'avverbio, in posizione cosi avanzata e di fatto piü strettamente collegata ad ἐπαίνημι xai φιλέω anziché a ἕρδῃ, cospirava nel senso di un suo
riferimento ai primi anziché al secondo!'" e, se un indizio del
161. Cf. p. es. gli scolii a Hom. 1!. V, 64a (test. [bis]), VIII, 188-90a!.a?, XIV, la Erbse; Od. X11, 3 (p. 529, 10-2 Dindorf); Pd. Ol. 1, 68-9; Eur. /lipp. 1127-9. Ancora piü inverosimili gli iperbati in Derveni lV, 6 e nel succitato commento ad Alcmane.
162. In generale sulla coscienza nell'età di Platone dello scarto formale insito nella poesia, DALFEN 167-71. 163.
Definizione di VERDAM 304. Frequenti simili definizioni.
164. P. es. Aeschl. Choeph. 1044 εὖ ἔπραξας in senso attivo. J. GERLACH, of. at., p. 23 n. 2 € MILLER 154 vedono (improbabilmente, poiché il contesto di συμφορά non lascia adito ad equivoci) un voluto doppio senso attivo/passivo pure in Simonide. 165. Un elenco in ADAM-ADAM 148 e Dopps 335-6. Anche Aristotele trasícrisce sul piano etico il doppio significato dell'espressione (Pol. 1323b31).
166.
SCHAERER 30. Cf. H. Gauss, op. cit., p. 171 («souveräne Verachtung
aller grammatikalischen Regeln»); GENTILI” 91 («affronto alla grammatica € alla sintassi»).
167. Cf. L. MOULINIER, Socrate devant Protagoras, «AFI.A» 39 (1965), p. 123. Il riferimento di ἑκών a ἐπαίνημι non ha in effetti creato difficoltà neanche all'unico filologo moderno che - con argomenti naturalmente diversi da quelli di Socrate - lo ha propugnato, H. JURENKA (pp. 871-3). 168.
1 moderni editori di Simonide in effetti, come timorosi dell'equivoco,
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
43
suo nesso con quanto segue poteva esser dato agli uditori dal
fatto che dopo φιλέω è da presupporsi fine di periodo'9?, tale indizio attenua sensibilmente il suo valore nella forma recitata
in cui Socrate sta esponendo il carme'”°, fino a scomparire del tutto in quella scritta, che é quella poi sotto cui Platone lo esamina. Abbiamo inoltre già osservato l'importanza fraseologica che Socrate riconnette alla posizione finale dell'avverbio, quale assumerebbe ἑκών se riferito a quanto precede. Socrate supporta poi il riferimento di ἑκών a ἐπαίνημι ricavando, dai dati biografici di Simonide, l'immagine di una lode volontaria che il poeta si sarebbe riservato di esprimere per distinguerla da casi di lode forzosa. Dava spessore a questa spiegazione il fatto che l’affermazione da parte del poeta della spontancnta del proprio
canto era un motivo effettivamente esistente!’!, per esempio in Pindaro, Οἱ. XIII, 96-7, Nem. VI, 57 ε, proprio sulla volontarietà della lode, fr. 43, 4 Maehler. E testimonianza archetipa proprio del contrasto tra spontaneità e costrizione nell'operato del poeta sono le parole di Femio a Odisseo (Od. XXII, 351-3) ὡς ἐγὼ 00 T1 ἑκὼν ἐς oóv δόμον οὐδὲ yaxitov/ πωλεύμην μνηστῆρσιν
ἀεισόμενος μετὰ δαῖτας,) ἀλλὰ πολὺ πλέονες καὶ κρείσσονες ἦγον ἀνάγκῃ.
L'ultimo «errore» esegeuco di Socrate che attira su di sé gli
strali della critica!"?ë il suggerimento che Simonide mediante l'impiego della forma ἐπαίνημι, a lui estranea, abbiainteso indi-
interpungono dopo φιλέω. Non si vede perció come BABuUT 35 possa affermare che Socrate «fait fi de l'ordre naturel des mots». 169. Per quanto non sia detto che il poeta non possa proseguire la sua frase una o due parole al di là della fine di periodo (cf. M. L. WEsT, Greek Metre, Oxford 1982, p. 25): non si puó dunque parlare per Socrate neanche di violazione metrica. 170.
Cf. 346e2-3 ἐνταῦθα dei Ev τῷ Exov διαλαβεῖν λέγοντα: come contrappo-
sto ad &6ovta? Lo sforzo di rendere prosastico il testo è evidente in 344b6 ss. ὡς àv εἰ Aéyox λόγον. Di fatto l’Encomio è «nur durch das Versmaf) Poesie» (WiLAMOwirTz 180). Che Platone, in tutta coscienza delle necessità metriche, si ritenesse autorizzato a prescinderne? Cf. le divagazioni dal metro in Phaedr. 252b e in Alcib. II, 147d e la consapevolezza (già di Gorgia: 82 B 11 DK) della poesia come λόγος, una volta spogliata del metro, in Gorg. 502c5-7 e Resp. 398d: e a Socrate ın Lys. 205a-b non interessano i μέτρα di Ippotale. Anche Aristotele sottovaluterà il metro come componente essenziale della poesia ( Poet. 1447b7 ss.). Sull'argomento in generale, cf. DALFEN 172-6. 171.
Cf. JURENKA 873; GUNDERT 85 n. 23.
172.
Particolarmente categorico BABuT 29 n. 33.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
rizzarsi a Pittaco. Ma l’ipotesi, a parte il fatto che è raccolta
anche oggi!’*, in considerazione forse della effettiva rarità di un eolismo in simile contesto!"*, non doveva suonare affatto assurda all'orecchio del tempo: l'incapacità di spiegare come il dorico Tirteo avesse potuto esprimersi nell'estraneo linguaggio ionico-epico lo aveva trasformato in un ionico o addirittura in un attico. Rilievo fortemente connotativo assumevano in effetti i
dialettalismi in contesto letterario attico!"?, e un riferimento a un personaggio mediante l'uso di un termine del suo dialetto, assolutamente analogo a quello supposto da Socrate, si puó trovare effettuato dallo stesso Platone: in Leg. 889e3-5 θεοὺς εἶναι
πρῶτόν φασιν οὗτοι τέχνῃ, oU φύσει, ἀλλά τισιν vóporc..., ὅπῃ ἕκαστοι ἑαυτοῖσι συνωμολόγησαν νομοθετούμενοι, lo ionico ἑαυτοῖσι allude senz'altro al sostenitore della convenzionalità
del culto, Protagora, che scriveva in ionico! "9. Tanto più percet-, tibilmente indirizzato a Pittaco doveva avvertirsi l'eolismo usa-
to da Simonide, in quanto il savio era év φωνῇ βαρβάρῳ
τεθραμμένος! "?. 5. La πεῖρα esegetica di Socrate puó dirsi insomma effettivamente riuscita. Per quale motivo, dunque, e a quali fini Platone ritiene di dover presentare questa interpretazione e l'intera discussione poetica nel Protagora? L'interrogativo puó essere meglio impostato sulla base di una considerazione generale del contenuto del dialogo. Nel Protagora sono esposti ed esaminati i principali momenti della speculazione sofistica: il mito, il di-
173.
Cf. B. LAVAGNINI, Nuova antologia dei frammenti della lirica greca, Torino-
Palermo 1932, p. 269; GENTIL1! 293 n. 39; A. PERROTTA - B. GENTILI, Polimnia, Messina-Firenze 1965?, p. 310. 174.
Sicita come parallelo soltanto un αἴτημι in Pindaro, fr. 155, 3 Maehler.
175. Lo stesso Platone si compiace di mettere sulle labbra di Cebete una espressione del suo dialetto ( Phaed. 62a8). Spicca nella Lisistrata (vv. 78 ss.) il dorico di Lampito; nelle Rane, con il dorismo tvvvovtoi (v. 139) Dioniso allude probabilmente ad Eracle, di origine dorica: cf. D. DeL Conwo, op. cit., p. 163. Nella Commedia Nuova, il dorico distingue il parlare dei medici, cf. Men. Asp. 444-64.
176.
Cf. W. NESTLE, Neues zur Sophistik. 2: Zu Protagoras, «BPhW» 52 (1932),
coll. 1360-1.
177. E nella forma per lo piü atticizzata in cui si leggeva ad Atene la poesia antica (cf. J. LABARBE, L'Homère de Platon, Lièges-Paris 1949, passim), ancor. maggiore risalto dovevano assumere simili dialettalismi protetti dal metro.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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scorso continuo, il commento dei poeti! "?. Ebbene, in che termini si pone Platone di fronte a quest'ultimo? Il nostro tentativo di risposta è che Platone, evidenziando, da un lato, l'insufficienza dell'approccio dei sofisti alla poesia, propone costruttivamente, d'altro lato, il suo proprio modo di intendere i testi poetici. Sull'intera attività ermeneutica, quindi, Platone si riserva di esprimere un giudizio. Non é possibile non cogliere una contrapposizione tra l'accostamento di Socrate all' Encomio e quello dei sofisti. Nell'interpretazione di Socrate si trovano abbozzate le linee di un metodo esegetico che costituisce chiaro superamento di quella che sem-
bra essere solo una superficiale pratica con i testi'?. C'é anzitutto una netta differenza di toni tra la faticosa, infruttuosa parte della discussione sul carme condotta in collaborazione coi sofisti (339a6-341e7) e quella condotta a gonfie vele da Socrate (342a6-347a5). Socrate, abbandonata ogni astratta questione di ὀρθότης e di διαίρεσις, introduce l'elemento nuovo della ótávota del poeta ε, una volta ricostruita l'idea generatrice dell' Encomio, si ingegna di ricondurre ad essa ogni elemento del carme. Recupero della διάνοια dell'autore, considerazione del «tutto»: due procedimenti esegetici ignorati da Protagora e Prodico. Come a sottolinearne l'importanza, è notevole l'insistenza di Socrate al loro riguardo: à μοι 6oxet διανοεῖσθαι Σιμωνίδης ἐν τούτῳ t
ἄσματι, ἐθέλω 00ı eixeiv (341e7-8); εἰς τοῦτο oùv τὸ ῥδῆμα xai τοὔτου ἕνεκα τούτῳ ἐπιβουλεύων κολοῦσαι αὐτὸ ἅπαν τὸ ἄσμα πεποίηκεν (343c3-5); tà ἐπιόντα πάντα τούτῳ μαρτυρεῖ, ὅτι οὕτως εἴρηται (344a6); περὶ ἑκάστου τῶν &v tà ᾷσματι εἰρημένων (a7); τὸν τύπον αὐτοῦ τὸν ὅλον διεξέλθωμεν καὶ τὴν βούλησιν, ὅτι παντὸς μᾶλλον ἔλεγχός ἐστιν τοῦ Πιττακείου δήματος διὰ παντὸς
τοῦ ἄσματος (b3-5); ταῦτά τε οὖν πάντα πρὸς τὸν Πιττακὸν εἴρηται, Xal tà ἐπιόντα γε τοῦ ἄσματος Etı μᾶλλον δηλοῖ (345c45); οὕτω σφόδρα καὶ δι' ὅλου τοῦ ᾷσματος ἐπεξέρχεται τῷ τοῦ Πιττακοῦ ῥήματι (dl-2); xai τοῦτ ̓ ἐστὶ πρὸς τὸ αὐτὸ τοῦτο εἰρημένον (d6); ταῦτα Ön καὶ τῷ Πιττακῷ λέγει (346b8); & πρὸς Πιττακὸν λέγων (e1-2); ταῦτά μοι δοκεῖ Σιμωνίδης διανοούμενος 178.
Cf. CROISET 9.
179. Questi limiti dell'esegetica dei sofisti, che, come vedremo, sembrano essere delincati nel passo, possono trovare generale riscontro nelle conclusioni di PrEiFFER, secondo cui i sofisti non perseguivano una vera e propria ἑρμηνεία tv ποιητῶν né una xgíoig ποιημάτων (pp. 84-91; 102; 116-7), e di
ARRIGHETTI!, secondo cui i sofisti non avevano interesse o gusto per la formulazione di nuove teorie di critica letteraria (p. 151 e n. 27).
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πεποιηκέναι τοῦτο tó ᾷσμα (347a3-5). E Platone sembra voler contrapporre Socrate a Protagora e Prodico non soltanto con l’enfasi che gli fa portare su questi due motivi, ma anche insistendo nel caratterizzare 1 sofisti di un modo di accostarsi al carme diametralmente opposto a quello di Socrate. Protagora infatti, da un lato, privo di interesse per le intenzioni del poeta (339c9d-9: v. $ 3,a), solo applica al testo il suo criterio della ὀρθότης; d'altro lato, senza riguardo al «tutto», 51 limita ad estrapolare dal carme e raffrontare tra loro due singole frasi che, strappate dal loro contesto, sono di fatto in contraddizione. Socrate, finché resta eristicamente legato a questo ambito, non riesce a risolvere la contraddizione, ma i suoi due tentativi sono agevolmente respinti da Protagora. In occasione però di entrambe le sue obiezioni il sofista non ricorre, come avrebbe dovuto, al seguito del carme: con ciò Platone non può che sottoli-
nearne l’assoluta indifferenza al complesso della poesia. E significativo che la situazione muti non appena Socrate ha sporto lo sguardo al verso immediatamente successivo a quelli fin allora sotto esame: è a quel punto che si dichiara pronto a fornire la sua esegesi (341e1-342a2). Questi motivi trovano conferma in numerosi passi platonici. L'importanza che Platone riconosce agli elementi della διάνοια e del «tutto» in una composizione letteraria risulta notevole. In un passo del Parmenide, 127d6-128e4, 1 due elementi ritornano insieme e significativamente applicati all'interpretazione di un'opera. Socrate, dopo aver assistito alla lettura del libro di Zenone, ne espone a Zenone le intenzioni complessive, in termini molto simili a quelli che abbiamo appena evidenziato dalla
discussione nel Protagora! "?"*: ἄρα τοῦτό &ouv 6 βούλονταί oov OL λόγοι, οὐκ ἄλλο T1 Y διαμάχεσθαι παρὰ πάντα tà Acyóutva WS
OU πολλά ἐστι; Xal τούτου αὐτοῦ οἴει GOL τεχμήριον εἶναι ἕκαστον τῶν
λόγων,
ὥστε
καὶ
ἡγῃῇ
τοσαῦτα
τεκχμήρια
παρέχεσθθαι,
ὅσουσπερ λόγους γέγραφας, ὡς οὐκ ἔστι πολλά; οὕτω λέγεις, À ἐγὼ οὐκ ὀρθῶς καταμανθάνω; (127e8-128a1). L'interpretazione del testo zenoniano, rispetto a quella dell’Encomio a Scopas, si giova dell'incomparabile vantaggio costituito dalla presenza dell'autore, che puó confermarne l'esattezza: καλῶς ovvrjxag 179"*,
Va tenuta presente, qui come nel seguito, l'equivalenza, nell'accezio-
ne che stiamo considerando, dei termini διάνοια / διανοεῖσθαι e βούλησις / βούλεσθαι: cf., per questi ultimi due, le voci in LSJ, alle sezioni rispettivamente II e III. Nell'interpretazione dell’Encomio s'incontra βούλησις (344b4) a fianco di διανοεῖσθθαι (341e8 e 347a4).
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ὅλον τὸ γράμμα è βούλεται (a2-3). Rispondendo poi a una critica
di Socrate, Zenone gli chiarisce meglio le intenzioni del proprio scritto: οὐ παντάπασιν οὕτω σεμνύνεται τὸ γράμμα, ὥστε ἅπερ σὺ λέγεις διανοηθὲν γραφῆναι (c2-4). Dietro la precisazione di coloro contro cui esso è indirizzato (ἔστι δὲ 1ó ye ἀληθὲς βοήθειά T1G ταῦτα τῷ Παρμενίδου Aóyo πρὸς τοὺς ἐπιχειροῦντας αὐτὸν
κωμῳδεῖν, c6-d1; ἀντιλέγει δὴ οὖν τοῦτο τὸ γράμμα πρὸς τοὺς TÀ πολλὰ λέγοντας, d2-3) e dell’impulso sotto cui fu scritto (ταύτῃ
OUv σε λανθάνει, d Σώκρατες, ὅτι οὐχ ὑπὸ νέου φιλονικίας οἴει αὐτὸ γεγράφθαι, ἀλλ ̓ ὑπὸ πρεσβυτέρου φιλοτιμίας ̓ ἐπεί, ὅπερ y
εἶπον, οὐ κακῶς ἀπήκασας, el-4) si riconoscono gli stessi elementi cercati da Socrate nel ricostruire la διάνοια dell’Encomio,
e individuati rispettivamente in Pittaco e nella φιλοτιμία di Simonide. Altrove, gli elementi della διάνοια e del senso complessivo di un testo appaiono separatamente, ancora nel pieno del loro significato, e talvolta in contesti che sembrano accennare all'insufficienza di un modo di lettura — e di composizione - che ne prescinda, proprio come avviene attraverso l'interpretazione dell' Encomio. Consideriamo il primo elemento. Nello /one, 530b10-c1, Socrate pone ın rilievo l'importanza di conoscere a fondo la διάνοια del poeta, e non 1 soli ἔπη, livello al quale appare invece ancorato Protagora con la sua ὀρθοέπεια e il suo περὶ
ἐπῶν δεινὸν εἶναι:
vv τούτου
[sc. τοῦ Ὁμήρου] διάνοιαν
ἐκμανθάνειν, uñ μόνον tà ἔπη, ζηλωτόν touv!9?, Un interesse alla διάνοια del poeta, piuttosto che non alla veste formale del suo
canto, manifesta Socrate anche nel Liside, 205a9-b2: oU τι τῶν μέτρων δέομαι ἀκοῦσαι οὐδὲ μέλος εἴ u πεποίηκας εἰς tóv νεανίσχον, ἀλλὰ τῆς διανοίας. Nel Fedone , 94d-e, ancora, Socrate interpreta la διάνοια di Omero in alcuni versi dell'Odissea e nella Repubblica, 332c, quella di una sentenza di Simonide. Nel Teeteto, 184a1-3, Socrate teme che, molto più che la comprensione delle parole (τὰ Aeyóueva) di Parmenide, gli sfugga quella
180. L'affermazione € rivolta ironicamente al rapsodo Ione: in Xen. Symp. 3, 7 Socrate asserisce che i rapsodi τὰς ὑπονοίας οὐκ ἐπίστανται. [ termini διάvoia e ὑπόνοια hanno in campo esegetico un valore abbastanza simile. Cf. per questo e, in generale, sull'importante passo dello /one, H. FLASHAR, Der Dialog lon als Zeugnis platonischer Philosophie, Berlin 1958, pp. 30-4; M. Tutui, Îl giudizio di Platone sull'esegesi allegorica, «Ricerche di filologia classica I11. Interpretazioni antiche e moderne di testi greci», Pisa 1987, pp. 49-50. Cf. pure DALFEN 164.
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della sua διάνοια. L'importanza della διάνοια di un autore, in confronto alla mera espressione verbale, emerge poi ripetuta-
mente dal Fedro'9'. L'inverso attegglamento di Protagora nei confronti di queste componenti, quale Platone rappresenta nella discussione sull’Encomio, doveva essere riconosciuto nel sofista che τὴν διάνοιαν ἀφεὶς πρὸς τοὔνομα διελέχθη (Diog. Laert. IX, 52 = 80 A 1 DK). Ma é soprattutto con la cura dedicata alla lettura complessiva dell' Encomio che Platone realizza il superamento dell'esegesi sofistica. Un confronto con il Fedro puó aiutarci a decifrare ancor meglio il senso di questo messaggio. Platone li elabora l'importante principio della organicità necessaria a un Aóyog: ...deiv πάντα Àóyov ὥσπερ ζῷον συνεστάναι σῶμά IL ἔχοντα aùtôv
αὑτοῦ, ὥστε μήτε ἀκέφαλον εἶναι μήτε ἄπουν, ἀλλὰ μέσα τε ἔχειν καὶ ἄχρα, πρέποντα ἀλλήλοις Xal v ὅλῳ γεγραμμένα (264cl-
5)'82 Il principio trova appllcazmne non soltanto nella estensione dell’esame all’intera composizione simonidea, ma anche nella riconduzione di ogni suo elemento al senso generale. So-
crate in effetti aveva ammesso in partenza che l’Encomio era composto πάνυ καλῶς TE καὶ ὀρθῶς (339b8): era cioè, per tornare al passo del Fedro, un buon λόγος, e doveva perció risultare come qualcosa di completamente opposto al discorso di Lisia e allo sconnesso epigramma di Cleobulo. Socrate inizia a provare la validità del carme attraverso la spiegazione del μέν e di ἀλαθέως e sostiene che potrebbe continuare a farlo καὶ περὶ ἑκάστου τῶν ἐν tà ᾷσματι εἰρημένων (344a7-b1); ribadisce cosi
che il carme εὖ πεποίηται, che πάνυ χαριέντως xai μεμελημένως ἔχει (b1-2) e prosegue a dimostrarlo attraverso i suoi lineamenti complessivi (1óv τύπον αὐτοῦ tóv ὅλον, b3). La prospettiva del
181.
228d: Fedro non ricorda i ῤήματα di Lisia, ma ne esporrà la διάνοια;
259e: per Socrate a tà εὖ γε xai καλῶς ῥδηθησόμενα dev'essere sottesa la διάνοια εἰδυῖα tó ἀληθές; 279a: i λόγοι di Isocrate sono validi in quanto c'é φιλοσοφία nella sua διάνοια. In Charm. 161d, inoltre, Socrate presuppone che l'autore
della massima σωφροσύνην εἶναι 1ó tà αὑτοῦ πράττειν
pensasse diversamente
da come suonano in effetto le sue parole (où δήπου ξτὰ ῥήματα ἐφθέγξατο ταύτῃ xai ἐνόει): cf. ancora 162b10 e d5 e, in Hipp. min. 365d1, il riferimento al votiv di Omero nella composizione di certi ἔπη.
182. Nel rispetto di questo principio trovano unità le varie parti del Fedro: cf. D. BABUT, Ativ... πάντα λόγον ὥσπερ ξῷον συνεστάναι. Sur quelques énigmes du Phèdre, «BAGB», 1987, pp. 256-84. GUNDERT, su suggerimento di O. Regenbogen, riportava queste parole del Fedro in epigrafe al suo lavoro, senza però più utilizzarle in seguito.
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Fedro in base alla quale i vari elementi di un’opera devono essere πρέποντα ἀλλήλοις καὶ τῷ ὅλῳ γεγραμμένα è così configurata per l’Encomio. In questo procedere l’interpretazione manifesta il suo carattere dialettico. Il συνορᾶν e διατέμνειν del Fedro (265d3; el) caratterizza la riflessione sull’Encomio. Qui vive trasposto all'ermeneutica il procedere dell'épaotijg 1wv διαιρέσεων xai συναγωγῶν, del διαλεκτικός (Phaedr. 266b). Al principio di Protagora, invece, basta solo saper διελεῖν (339a3). La ὀρθότης si limita a dissezionare e oltre il momento della διαίρεσις non
vanno, in genere, i sofisti'9?. In parallelo, anche la loro disattenzione al complesso di un'opera sembra affiorare altrove nei
dialoghi!*, Il segno di Platone sull'interpretazione dell' Encomio è ravvisabile su un piano piü profondo. Il carattere dialettico dell'interpretazione opera a livello generale. Già il fatto che Socrate riconduca la poesia nel contesto storico e nell'ambito sociale del yévog in cui ha preso sviluppo è la spia di un metodo
dialettico!9?: Socrate tenta in tal modo di ridare vita al Aóyog di Simonide. Un approccio dialettico è nel tentativo di far parlare il muto componimento poetico, un tentativo presente nel corso di tutta l'interpretazione di Socrate: nella fitta serie di battute inscenate tra Simonide e Pittaco (343d3-6; 343e5-344a4; 344e28; 346b8-c2; 346e4-347a3), nelle stringenti sequenze di domande a cui il testo è fatto rispondere (344c6-7; 345a1-4; 345a4-6). Si riconosce qui una prassi tipica di Platone nelle circostanze in
cui la ricerca muove da un λόγος in assenza del suo autore'®.
183. I motivi della ὀρθότης e della διαίρεσις caratterizzano insistentemente in Platone l'attività dei sofisti. Oltre che nel nostro passo, in cui sono associati a Protagora (339a2-3, b8, d9) e a Prodico (340b1, 341c8), ritornano in Crat. 391c3, Phaedr. 267c6 (Protagora); Crat. 384b6, Euthyd. 277e4, Lach. 197d5, Ciharm. 163d4, Prot. 358a6 (Prodico); Hipp. mai. 285dl, Hipp. min. 368d4-5
(Ippia). 184. Nell'/ppia minore, 365a-b, Ippia fonda su alcuni versi dell'//iade (IX, ss.) la sua caratterizzazione di Achille come ἁπλούστατος xai ἀληθέστατος: crate (370b-d), sulla base di altri contesti della stessa opera (IX, 357-63 169-71), gli fa vedere che Achille appare di fatto πάνυ γενναίως ὀλιγορῶν
308 Soe I, τοῦ τἀληθῆ λέγειν. Cf. DALFEN 47 n. 36. Nel Gorgia, 484e ss., Callicle recita a Socrate, dall'Antiope di Euripide, la ῥῆσις di Zeto (frr. 183, 185-6 e 188 N?), ignorando quella, di opposto senso, di Anfione, che Socrate sarebbe pronto a recitargli in cambio (506b).
185.
Cf. GUNDERT 78.
186.
Nel Teeteto Protagora è come resuscitato per rispondere sul conto del
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Una prassi che Platone spesso segue, per forza di cose, di fronte
a un testo poetico!??, Anche nel modo in cui nel corso di tutta l’interpretazione di Socrate è presunto per il poeta il possesso di una sapienza esterna si puó riconoscere uno specifico atteggiamento di Platone. Il
procedimento in sé doveva essere già generalmente applicato e accettato (v. $ 6), ma Socrate sembra anche qui contrapporsi al modo in cui lo utilizza Protagora, poiché fa partecipe il poeta di una sapienza ben più elevata di quella comune che si limita ad attribuirgli il sofista. Con ció Socrate non intende chiamare il poeta a testimone delle proprie dottrine, ma si serve di queste
come criterio di giudizio con cui misurare il testo poetico. E il poeta tradizionalmente ooqóc? Partecipi, allora, della «vera»
sapienza. Anche in questo caso Platone non fa della poesia una
fonte primaria di conoscenza!9?. La conoscenza diretta della realtà precede l'esame del testo. L'esame si sviluppa solo in margine a questa conoscenza.
L'idea che Platone abbia inteso, in tutta serietà, contrapporre il suo modo di intendere i testi poetici a quello dei sofisti acquista maggiore consistenza in relazione al significato complessivo del Protagora. Il dialogo é un confronto di Socrate con le principali dottrine dei sofisti, attendibilmente riprodotte!9?. [ conte-
500 trattato; nello stesso Protagora, 333c ss., ıl sofista è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla sua opinione, per conto del λόγος dei πολλοί; nel Filebo, 12a ss., il λόγος di Filebo è esaminato senza che il suo autore, che lo ha ceduto a Protarco, possa intervenire (cf. anche 59b10-1). Sul motivo dell'interrogazione al λόγος cf. anche ScHAERER 40. In generale, sul concetto platonico del λόγος come ente autonomo, cf. W. J. VERDENIUS, Der Ursprung der Philologie, «StudGen» 19 (1966), pp. 111-2, e M. ERLER, Der Sinn der Aporien in den Dialogen Platons, Berlin-New York 1987, pp. 268 ss. 187. Nella Repubblica, 331d ss., Socrate esamina con un interrogatorio, per il tramite di Polemarco, la definizione simonidea della giustizia; nel Menone, 77b ss., Socrate sottopone a una serie di domande, rivolte alla persona di Menone, la definizione della virtü formulata da un poeta; nelle Leggi, 629b-e, viene interrogato e fatto rispondere Tirteo; nell'/ppia minore, 366d, Ippia, dal momento che condivide il parere di Omero, è chiamato a rispondere per conto del poeta.
188. In generale per questo cauto atteggiamento di Platone nei confronti dei testi poetici cf. DALFEN 45-53. 189. Il valore documentario del Protagora è riconosciuto. Cf. M. PonrENz, Aus Platos Werdezeit, Berlin 1913, p. 92 («die einzelnen Darlegungen [...] sind alle echt protagoreisches Gut») e n. 2 («Kritik an dem historischen Protagoras»); A. E. TAvLoR 237 («historicity of the statements»); NESTLE 45 («weist zu vieles auf den geschichtlichen Protagoras und den wirklichen Inhalt seiner
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nuti della partecipazione dei personaggi alla discussione sull’Encomio hanno fatto registrare anch'essi un certo grado di veridicità (v. $ 3). Sembra dunque che Platone abbia istituito anche in questo caso un confronto, su basi fondate, tra la sua interpretazione del carme e le possibili interpretazioni di Protagora e Prodico, ricostruite in considerazione delle dottrine dei due e del loro consueto atteggiamento nei confronti della poesia!??. Risultato sarebbe stato ancora la superiorità dell'interpretazione condotta con metodo dialettico, come di superamento dialettico di Socrate sui sofisti si puó parlare per tutto il dialogo!?!.
L'impressione che Platone avesse dedicato un attento studio all' Encomio (v. $ 1) riceve ora conferma. Non poteva esser stato un caso, del resto, che Platone avesse trovato un componimento
poetico, di estensione relativamente breve, alla cui lettura gli sarebbe capitato di associare tante delle sue più importanti dottrine. Una circostanza del genere lascia invece pensare a una lunga ricerca, a una profonda riflessione. E la delicata funzione del passo esegetico è comprovata non soltanto dalla centralità della sua posizione, ma anche dalla sua perfetta integrazione al
corpo del dialogo!??, Platone vi guarda a ritroso, inserendo la
Schriften hin»: v. supra, n. 78); GicoN passim; M. GAGARIN, The Purpose of Plato's Protagoras, «TAPhA» 100 (1969), p. 163; W. K. C. GuTHRiE, A History of Greek Philosophy, I1I, Oxford 1969, pp. 265-6. CAPIzz1 61-3 elenca vari passi del Protagora cui la critica ha dato valore di testimonianza in aggiunta a quelli comunemente assunti nelle raccolte dei frammenti protagorei. Al carattere storico del dialogo contribuiva la sua struttura diegematica (cf. NEsTLE 52), né facevano ostacolo gli anacronismi contenuti: se ne veda ora la spiegazione di J. WALsH, The Dramatic Dates of Plato's Protagoras and the Lesson of Arete, «CQ» 34 (1984), pp. 101-6 (Platone condensa in unità scenica fatti avvenuti
durante le due visite di Protagora ad Atene).
190. Questa ricostruzione poté essere tanto più fedele se fu basata su un effettivo esame dei testi dei sofisti. La diffusione libraria delle dottrine dei sofisti fu notevole (cf. PFEIFFER 62 ss., in partic. 81-2), e Platone si accostó probabilmente al pensiero di Protagora solo attraverso la lettura dei suoi libri (cf. WiLAMOWITZ 179 n. 2 e Platon... cit., p. 138; A. E. TAYLOR 237; SzLEZÁK 238 n. 18). Dimestichezza di Platone con scritti di pensatori della generazione precedente traspare da passi come Apol. 26d, Phaed. 97b-c (libri di Anassagora), Parm. 27c-d (libri di Zenone): nel Teeteto, in effetti, passi come 152a, 161c,
162a lasciano presupporre un'attenta lettura della ̓Αλήθεια di Protagora (cf. pure Crat. 391c) e una sua fedele esposizione. Cf. al riguardo i citati articoli di L. MOULINIER e di G. GROSSMANN.
191.
Per questo motivo del dialogo cf. p. es. ADAM-ADAM XVII e CnoisET
9-12.
192.
Cf. GUNDERT 9I. Cf. pure M. PonLENnz, op. cit., p. 108.
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critica alle precedenti asserzioni di Protagora, Prodico e Ippia, relative rispettivamente all’antichità della sofistica, all’efficacia
della sinonimica e alla preminenza della qóoic!?^, e vi guarda in avanti, anticipando paradossali dottrine che troveranno spiegazione in seguito. Cosi, l'insistenza dell'interpretazione sulla lettura del «tutto» puó essere un consiglio anche al modo di leggere il dialogo.
E a questo punto possibile esaminare il passo 347b8-348a9, che sembra contenere il giudizio personale di Platone sull'interpretazione appena proposta e una indicazione di come questa debba essere intesa. Qui Platone sembra inizialmente definire il περὶ ποιήσεως διαλέγεσθαι in termini di ἀπαιδευσία. À ben guardare, in realtà, la taccia di ἀπαιδευσία inerisce qui solo ai
partecipanti ai cattivi simposi'°*. Il punto che più compiutamente sembra esprimere il pensiero dı Platone sull’escgesi è in-
vece 347e3-7: ...xomtüv, oùç οὔτε ἀνερέσθαι olóv τ ̓ ἐστὶν περὶ wv λέγουσιν, ἐπαγόμενοί τε αὐτοὺς οἱ πολλοὶ ἐν τοῖς λόγοις οἱ μὲν ταῦτά φασιν τὸν ποιητὴν νοεῖν, Ol δ ̓ ἕτερα, περὶ πράγματος διαλεγόμενοι Ó ἀδυνατοῦσι ἐξελέγξαι. Questa prospettiva corrisponde perfettamene alla generale concezione di sfiducia nei confronti del testo scritto e della possibilità di discutere le affer-
mazioni di una persona in assenza di questa'””, Ci si trova dunque in presenza di una precisazione con cui Platone indica genericamente i limiti entro cui anche ogni interpretazione poeti-
193. Per le repliche a Protagora e a Prodico v. supra, rispettivamente pp. 139 e 136. Per la probabile replica ad Ippia v. infra, Appendice, p. 180. Altri echi del passo attraverso il dialogo possono darsi in 318b (βελτίων γενέσθαι legato all'apprendere: v. infra, p. 163 e n. 218 e cf. PARRY 319-20) e in 335e1 (ἐπαινὼ xai φιλῶ: cf. 345d ss. e 346e); v. anche supra, p. 138 e n. 126.
194. Non risulta dal passo che nei συμπόσιοι τῶν φαύλων xai ἀγοραίων ἀνθρώπων si discuta di poesia. Denotando invece la ἀπαιδευσία dei cattivi simposi Platone si fa portavoce di un sentimento che era divenuto comune presso i filosofi. Cf. M. ERLER, op. cit., p. 23. Vedeva in effetti nel passo un preciso riferimento polemico al Simposio di Senofonte F. DÜMMLER, AKADEMIKA. Beiträge zur Literaturgeschichte der Sokratischen Schulen, Gießen 1889 (Neudr. Osnabrück 1987), p. 90. La critica ai cattivi simposi ritorna in Theaet. 173c-d e in Leg. 638d ss. (cf. pure Min. 320a). 195. Assai noti sono i passi al riguardo: Phaedr. 275d ss.; Hipp. min. 365d; Men. 91d. Non sempre peró la presenza dell'autore è sufficiente per la comprensione del suo discorso: dallo stesso Protagora (329a) emerge che gli oratori popolari e i retori, se interrogati circa i loro discorsi, non hanno niente da dire. e la stessa situazione si dà proprio per i poeti in Apol. 22b.
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ca ricade. Una conclusione in questo senso si rendeva necessa-
ria. È anche mezzo per consentire la ripresa del dibattito sulla virtù, che la poesia non può avere appianato. Tuttavia, questa conclusione non può intaccare la validità dell’interpretazione appena eseguita. Non è essa perfettamente riuscita? Non ha Socrate richiesto (343c6) e ottenuto il consenso di tutti quanti i presenti? Una conclusione aporetica per l’interpretazione del carme appare perciò di fatto ingiustificata. Identica situazione si dà per l’intero dialogo. Socrate, limitandosi appena a constatare che i due interlocutori hanno invertito le loro posizioni, pretende di contrassegnare tutta la precedente discussione in certo senso come un nulla di fatto (361a-d). Eppure, a un risultato ben concreto si era giunti: l'unicità della virtù sotto il segno della scienza e dunque la sua insegnabilità erano state perfetta-
mente dimostrate, anche qui con il consenso generale!?9, La conclusione aporetica &, anche in questo caso, un'aggiunta necessaria. Non vanifica certo la discussione del Protagora: solo, indica che essa non puó avere esaurito la complessità del problema. La natura della virtü, infatti, sarà riesaminata nel Menone. Allo stesso modo, nel Politico, il ricorso al mito dopo la impasse in cui è caduta la ricerca (268d ss.) non cancella il valore della precedente discussione dialettica, e, nel I della Repubblica, la conclusione di Socrate (354b-c), tutt'altro che invalidare la raggiunta definizione della giustizia (354a), è probabilmente espediente di Platone per permettere il proseguimento della discus-
sione su nuove basi'*’. Il mutamento di prospettiva indica, in Platone, il superamento di una precedente fase, non il suo ri-
fiuto.
Un'altra, importante serie di considerazioni induce a ritenere che Platone non abbia voluto svalutare la sua interpretazione. Con quale diritto Socrate potrebbe sostenere l'inefficacia delle interpretazioni poetiche, se ne avesse fornita egli stesso una di-
chiaratamente erronea? Ciò costituisce un controsenso!??, Si
196. Cf. 358a-e, in partic. a4-5 ὑπερφυῶς ἐδόκει ἅπασιν ἀληθὴῆ elvac tà εἰρημένα, salda conferma analoga a quella di Simmia in Phaed. 66a9. Per la sorpresa che rappresenta una conclusione aporetica del Protagora, GicoN 152. 197.
Ciósarebbe ancor piü confermato se, come pare (cf. F. ApoRNo, introd.
a Platone, La Repubblica, Milano 1988*, p. LIV; cf. pure FREDE 731), i successivi libri della Repubblica fossero stati aggiunti all'originario «Trasimaco». 198.
Mostra infatti di stupirsene CRoiseT 11: «le lecteur moderne aimerait
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può infatti obiettare a Socrate che è vano interpretare la parola dei poeti soltanto se lo si fa in modo volontariamente perverso come ha fatto lui mentre, se si procede con metodica correttezza, si puó ricavare una ed una sola interpretazione vera. Al di là della situazione dialogica, poi, non puó non operare un oggettivo criterio di verità. Se Platone avesse inteso invalidare in alcun modo l’interpretazione di Socrate, ritornerebbero effettivi di
fronte al lettore la «contraddizione» segnalata da Protagora e lo smacco subito da Socrate al riguardo (339b-e)'?. Avendo invece fornito qualcosa come la migliore interpretazione possibile, Socrate, denunciandone il valore relativo, otterrebbe pieno diritto di affermare la relatività di ogni altra interpretazione poetica.
Il problema della virtü va dunque esaminato indipendentemente dall'opinione dei poeti: lo spirito delle citazioni omeriche che subito seguono (348d1-4) sembra richiamare al ruolo non impegnativo che Platone vuole 51 assegni alla poesia nella di-
scussione filosofica?". Per introdurre la ripresa del dibattito, perció, Platone chiarisce che l'interpretazione di Socrate non pretende, dati i limiti insiti nel suo stesso oggetto, un testo scritto, a carattere di verità assoluta. Una interpretazione riuscita resta nel campo del verosimile, soggetta, come tale, ad cssere affiancata da altre valide interpretazioni. Il bel discorso sul carme di cui anche Ippia dispone (347a6-b2), la constatazione delle inevitabili divergenze d'opinione nell'intendere il pensiero dei poeti (347e5-7), collocano l’interpretazionc dell' Encomio in questa dimensione di relatività. Ma non ne accennano minimamente l'inesattezza, non ne deprezzano i contenuti. Come dunque il commento conclusivo non costituisce una completa condanna dell’interpretazione eseguita, cosi nessuna
mieux qu'un autre que Socrate cüt entrepris cette démonstration:; [...] la thèse de Socrate en est moins fortifiée que compromise». Grazie a questo presunto controsenso L. STEFANINI, Platone, I, Padova 1932, p. 177 n. 2, poteva confermare la sua singolare tesi secondo cui nel Protagora Platone intendeva contrapporsi tanto ai sofisti quanto a Socrate.
199. Verrebbe nei fatti smentita una caratteristica dei dialoghi (descritta in DALFEN 50-3), in base alla quale Socrate dimostra sempre una esatta conoscenza della poesia, superiore a quella del suo partner. 200. Per la «endless confusion» a cui invece condurrebbero 1 tentativi di operare identificazioni con i personaggi del dialogo sulla base di questa come delle altre citazioni omeriche, M. GAGARIN, art. cit., p. 152 n. 39.
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traccia vi è, né contenutistica né formale, con cui Platone abbia potuto in qualche modo screditarla. L’interpretazione non si presenta con i tratti negativi del μακρὸς λόγος con cui Socrate,
come è stato detto??!, dimostrerebbe la sua superiorità anche in questo campo: a Socrate non interessa un tale primato (335cl;
336b8-9) e infatti nel corso dell'interpretazione «serba il suo
dire vivo, netto e spigliato»???, fatto di frasi brevi e spezzate (342a6 ss.)?9? e di concise domande e risposte (344c6 ss.). Del resto, che Socrate non fosse incapace di intrattenere lunghi discorsi era già apparso al lettore da passi come 313a1-314c2 (di-
scorso a Ippocrate) e 31928-320cl (discorso a Protagora). Né Platone presenta l'interpretazione con la definizione negativa di ἐπίδειξις, come fa per 1 discorsi di Protagora (320c3; 328d3) e di Ippia (347b1), ma la introduce come una πεῖρα (342al; a7): una «prova» che Protagora non é stato capace di superare. Protagora infatti, per il quale l'uomo colto deve saper Aóyov δοῦναι in materia di poesia (339a3), messo di fatto alla prova (ἀποπειρᾶσθαι, 341d8), 51 dimostra incapace di βοηθεῖν al proprio Aóyoc. L'importanza dei motivi della xeiga e della βοήθεια
in Platone è notevole??*, E mancano anche a contorno del riuscito sagäio di Socrate le connotazioni decisamente negative del
BéguBoc®°*, che caratterizza invece le esibizioni di Protagora (334c7; 339d10), e della dogmaticità, altra caratteristica protagorea nel dialogo (326e7; 341d3 nella stessa discussione poetica; cf. pure 323a7 e 324d7), al cui posto figura invece la consueta
201.
Cf. p. es. H. Gauss, op. cit., p. 172.
202. Icastica descrizione di E. FERRAI, Platone, Il Protagora, Torino 1891, p. LII. H. von KLEisT, Die methodologische bedeutung des platonischen dialogs Protagoras, «Philologus» 39 (1880), p. 10, parla in effetti per il passo di «beispiel einer
philosophischen μακρολογία». 203. Caratteristica la sua puntualizzazione in 343b3-4, alla quale i commentatori (p. es. SAuPPE 108) affiancano numerosi paralleli dai dialoghi. 204. Sul motivo della πεῖρα cf. SzLEzÁK, /ndice dei termini greci s.v. Ne espone l'importante funzione nella VII Lettera M. TuULLI, of. cit., pp. 11-6, 25, 43. Sul motivo della βοήθεια cf. TH. A. SzLEzÁk, Dialogform und Esoterik, «MH» 35 (1978), pp. 18-32, con le precisazioni dı G. J. pE Vries, Helping the Writings, «MH» 36 (1979), pp. 60-2; K. GaisER, Platone come scrittore filosofico, Napoli 1984, p. 99. Sui due motivi nel nostro passo e nel Protagora in generale, SZLEzÁK 230 ss. 205. 42.
Sulla «nuance péjorative» di questo termine in Platone cf. BABuT 32 n.
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cautela socratica (δοκεῖ 341e7, 342a6 e 347a3; φαίνεται 339c8,
340b3 e 343c5). Al contrario, determinanti elementi testimoniano in favore
della serietà con cui Platone voleva fosse intesa l'interpretazione. C'é anzitutto il fatto che Socrate non la estrae come un discorso già bell'e pronto, come farà il σοφός Ippia, né la presenta come un autoschediasma, come fa per il suo primo, vano discorso del Fedro (236d5), ma la indica, in armonia con il suo nonsapere, come frutto di una σχέψις: è, quello della σκέψις, un
importante Leitmotiv del dialogo“®, E la tattica ritardatrice con la quale Socrate prende tempo alla riflessione, se da un lato consente a Platone di far inconclusivamente intervenire Protagora e Prodico alla discussione sul carme, dall'altro è paragonabile al consueto modo di fare di Socrate prima di accingersi alle
sue piü impegnative dimostrazioni?", Non va poi trascurato il fatto che la rivelazione di voler riflettere sul significato del car-
me è rivolta da Socrate all'amico/lettore???, Se fosse stato altro in realtà ció che interessava a Socrate, Platone, in questa rara occasione metatestuale che si riserva, avrebbe potuto e, forse, dovuto accennarlo. Ma il piü decisivo indizio della considerazione in cui Platone teneva l'interpretazione dell' Encomio guö rintracciarsi in un pre-
ciso desiderio di metterla in mostra“°”. La discussione sul carme avrebbe infatti potuto concludersi perfettamente in 341e7. So-
206. Cf. 311Ib1; 313a4; a6; 314b4; 316b6; 320d7; 321c2; 343c5; 348c7; d7; el; 349a5; a8; e1; 361c6; d6. CF. anche MILLER 14-6. 207. Cf. p. es. Gorg. 486d ss. prima di confutare il discorso di Callicle; Resp. 336d ss. prima di reagire all'assalto di Trasimaco (cf. 337c9 σκεψαμένῳ); Phaed. 89b ss. prima di rispondere alle obiezioni di Simmia e Cebete: in 95e7-8 Socrate si trattiene avxvóv xoóvov per la sua σκέψις. Nel Carmide, 165c1-2, Socrate trattiene Crizia impaziente di risposta riservandosi il tempo necessario alla σκέψις. L'affermazione che l'interlocutore παίζει (Prodico in 341d7) è un altro indizio che la dimostrazione di Socrate è impegnativa (cf. BABUT 39 n. 64).
208. Nell'éraigoc, dal momento che è anonimo e, come osservano MiLLER 24 e ConBv 19, non è amico intimo di Socrate, puó identificarsi il lettore. Cf. J. DarrEN, Literarische Techniken Platons. Beispiele aus dem Protagoras, «BIFG» 5 (1979/80), pp. 43-4: «der Leser kann sich in diesen Kreis der Freunde eingliedern, die nun [sc. nell'«Einleitungsgesprach»] interessiert dem Bericht des Sokrates entgegensehen. [...] Der Autor impliziert den Leser in seinen Text». E di fatto la confessione di Socrate all'amico/lettore «appears perfectly serious without irony or humour» (CLapp 403). 209.
Bisogna considerare, al proposito, che puo essere mira non soltanto di
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crate a quel punto ha già ottenuto tutti i suoi scopi: ha prodotto
una grossa confusione sul significato dell’Encomio, il che gli avrebbe permesso di asserire la futilità delle interpretazioni poetiche, e ha mostrato di conoscere il componimento meglio di Protagora (341d6-e6), uscendo così dalla condizione di inferiorità in cui era terminato nei confronti del sofista. Non si spiega la sua deliberata volontà di proseguire nell’esegesi (341e7-8) se non con l’intenzione di affermare qualcosa di nuovo. In effetti, con il premettere il confuso dibattito iniziale, Platone non ha fatto altro che accentuare le difficoltà che la lettura dell’Encomio doveva presentare anche al suo tempo (v. â l) e
aprire cosi la via alla geniale interpretazione di Socrate?!?. Non a caso quando Socrate si offre di esporla, riceve un caloroso incoraggiamento generale (342a4-5). E significativa di una volontà di mettere in evidenza l'esegesi è l'esplicitezza con cui Socrate, al momento decisivo, la richiama all'attenzione: ἐπισκεψώμεθα δὴ αὐτὸ κοινῇ ἅπαντες, εἰ ἄρα ἐγὼ ἀληθῆ λέγω
(343c6-7)*"". Con queste parole a un tempo ricorda ai presenti il loro compito che, su sua stessa proposta, é di sovrintendere in comune alla discussione: πάντες κοινῇ ἐπιστατήσετε (338e2). E viene altresi ribadita l'importanza della σκέψις, quella appunto che Socrate ha esercitato sul testo poetico. La genialità con cui è data ragione del carme in ogni sua parte faceva essa stessa dell'interpretazione dell' Encomio una creazione ben degna di Platone. Quando Socrate afferma che, non fosse stato per ragioni di tempo, avrebbe potuto rendere esaurientemente conto anche di ogni altro singolo elemento del
carme, bisogna credergli sulla parola?'?. Nota A. Croiset a pro-
Protagora (317c-d), ma anche di Platone il fatto che tutti gli ospiti della casa di Callia assistano alla discussione tra il sofista e Socrate: cf. MILLER 51.
210.
Cf. GUNDERT 77: «mit diesem Tiefstand, in den er [sc. Socrate] die
Diskussion hineinmanôvriert hat, ist auch der Augenblick fur ihn gekommen, durch seine eigene Interpretation zu zeigen, was der Dichter wirklich meint»; Conv 104: «Socrates is entirely responsible for continued preoccupation with Simonides’ ode».
211. L'esortazione ἐπισκεψώμεθα ricorre 19 volte nel corpus platonico (cf. L. BRANDwoOD, À Word Index to Plato, Leeds 1976, p. 381), sempre espressa da
Socrate (in Soph. 261a2 dallo Straniero d'Elea e in Leg. 627c3 e 696c12 dall’Ateniese).
212. Avrebbe potuto ad esempio, a sostegno dell'identificazione fra virtù e scienza, richiamare che per Simonide 1 ὑγιὴς ἀνήρ è colui che conosce (εἰδώς, v. 34) la giustizia. Con il uaxoóv &v εἴη αὐτὸ οὕτω διελθεῖν (344b2-3) Socrate
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posito di Socrate e della sua interpretazione (pp. 11-2): «On s’étonne que ses interlocuteurs semblent s’incliner devant de pareilles subtilités». Non c'é invece da stupirsi. Se nessuno si oppone all'interpretazione di Socrate, ció significa che nessuno ha i mezzi per farlo. Platone non presenta nel Protagora Socrate in atto di ingannare interlocutori inetti: nutre profondo rispetto
per l’autorevole figura di Protagora?!? ε, quando il sofista ha valide obiezioni da opporre a distorte argomentazioni di Socra-
te, Platone non esita a fargliele sollevare^'*. Ma evidentemente all'interpretazione di Socrate era impossibile obiettare. Essa, come abbiamo tentato di dimostrare, scorre con coerenza ineccepibile ($ 2) e fa uso di procedimenti che dovevano costituire l’ortodossia dell'ermeneutica del tempo ($ 4). Platone, per quanto potesse dubitare della veridicità dell'interpretazione, sapeva bene che essa non avrebbe potuto incontrare decisiva smentita in alcun'altra interpretazione migliore. Se l'interpretazione dell' Encomio è in ultima analisi qualcosa di serio, diventa utile tentare di ricostruire i processi attraverso i
quali Platone può essere giunto a darle forma. Ë assai probabile che l'elemento determinante per il costituirsi dell'interpretazione nella sua caratteristica forma sia il modo in cui viene intesa e specificata per il testo simonideo la opposizione tra il yevéo0at e l’elvau. Abbiamo espresso il parere ($ 4) che per il tempo di Platone debba darsi per esclusa ogni possibilità di risolvere la «contraddizione» diversamente che ammettendo una contrap-
posizione nel carme tra i concetti di γενέσθαι ed elvar ἀγαθόν. Una volta acquisita la necessità di questa contrapposizione, bisognava svilupparne il senso. Simonide, correggendo la massi-
ricorda forse di avere un impegno altrove (335c4-6): Platone (con l'eccezione, forse, della Repubblica) è sempre accorto a rispettare il fittizio tempo dialogico. A concentrare la discussione possono poi avere concorso nel Protagora materia-
li ragioni di spazio: i dialoghi di Platone entravano a stento in un rotolo di papiro (cf. L. D. ReynoLDs-N. G. WiLsoN, Scribes and Scholars, Oxford 1968, tr.
it. Padova 1987°, pp. 2 e 7), e il Protagora è tra i più lunghi. 213. Comeé ormai comunemente riconosciuto, cf. À. E. TAYLOR 238; W. K. C. GUTHRIE, of. cit., pp. 265-6; VICAIRE 316; PrEiFFER 85; M. GAGARIN, art. cit., p. 163; H. TELoH, Socratic Education in Plato's Early Dialogues, Notre Dame (Indiana) 1986, p. 166. 214. Protagora obietta con successo a Socrate la impossibilità di inferire la somiglianza di due enti dalla somiglianza di loro parti (331e) e la illiceità della conversione del giudizio quando il concetto del soggetto è più ristretto del concetto del predicato (350c-d).
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ma di Pittaco, sostiene che ciò che è difficile per l’uomo, ma
possibile, è γενέσθαι ἀγαθόν : εἶναι invece è impossibile, non solo difficile. Su quali basi rilascia all’uomo, come suo elemento specifico, una pur difficile possibilità di «divenire» buono, mentre gli nega quella di esserlo in assoluto, facendone privilegio esclusivo del dio? La risposta poteva sorgere per Platone automatica e immediata in misura della sua alta considerazione della virtù e della sua connessione tra la virtù e la conoscenza. In questi termini é verissimo che soltanto il dio puó essere assolu-
tamente buono, poiché il dio solo è σοφός2"": ed è altrettanto vero che all'uomo compete la possibilità di divenire buono, di essere cioé φιλόσοφος. Questi fondamentali concetti dominano il passo del Fedro (278d3-6) in cui Socrate dice dell'uomo che sa
dimostrarsi superiore ai suoi scritti: tó uév ooqóv, d Φαῖδρε, καλεῖν ἔμοιγε μέγα εἶναι δοκεῖ xai θεῷ μόνῳ xoénew- τὸ δὲ ñ φιλόσοφον ἢ τοιοῦτόν τι μᾶλλον τε ἂν αὐτῷ καὶ ἁρμόττοι καὶ ἐμμελεστέρως ἔχοι. Il confronto tra θεῷ μόνῳ πρέπειν e θεὸς àv μόνος τοῦτ ̓ ἔχοι γέρας del carme (v. 14) è immediato. E l'oppo-
sizione tra l'elvat ooqóv, privilegio del dio, e il γενέσθαι σοφόν, il φιλοσοφεῖν, è puntualizzata nel Simposio (θεῶν οὐδεὶς φιλοσοφεῖ
οὐδ ̓ ἐπιθυμεῖ σοφὸς γενέσθαι- ἔστι γάρ, 204a1-2)?!9: il continuo processo di μάθησις, di rinnovamento delle conoscenze, caratterizza la migliore aspirazione dell’uomo, di fronte al divino τὸ
αὐτὸ ἀεὶ εἶναι (208a8)2!7. Alla semplice idea di γενέσθαι ἀγαθόν, del resto, si associa spesso in Platone la conoscenza?!?. Il seguito del carme consentiva di leggervi documentata, sempre sulla
base del rapporto tra virtü e scienza, l'impossibilità di elva e la possibilità di γενέσθαι ἀγαθόν. La ἀμήχανος συμφορά (v. 16), i περιπτώματα del mondo sensibile quali xoóvoc, xóvoc e vóooc
215.
Apol. 23a5-7; Parm. 134c10-11. Cf. pure Soph. 233a3-4. Lo stesso Simonide definiva il dio πάμμητις (526, 3 PMG).
216. Cf. anche Lys. 218a2-4 τοὺς Hön σοφοὺς μηκέτι φιλοσοφεῖν, EITE θεοὶ EitE ἄνθρωποί εἰσιν οὗτοι. 217. Il momento del divenire (δίκαιος γίγνεσθαι) riappare a caratterizzare la possibilità dell'uomo di ὁμοιοῦσθαι θεῷ in Resp. 613a-b. Des PLACES 242 paragona in effetti il senso dinamico di γενέσθαι a quello di ὁμοίωσις nel linguaggio dei Padri della Chiesa.
218. Cf. Lach. 179d6-7; Theaet. 153b; Leg. 957c4-6; Alc. I, 124b ss. (per γενέσθαι ὅτι βέλτιστοι bisogna conoscere sé stessi); cf. pure Epin. 977d. Nello stesso Protagora, 318b3-4, Socrate intende che imparando ció che non si conosca si puó βελτίων γενέσθαι.
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(345b3-4), distolgono inevitabilmente l'uomo dallo stabile possesso della conoscenza. Ma con il suo εὖ πράττειν (v. 17), con la sua retta azione guidata dalla conoscenza (345a), l'uomo puó realizzare di volta in volta il conseguimento della virtù, puó
γενέσθαι ἀγαθόν25. Nell'uomo medio cui alfine Simonide concede la sua lode puó perció vedersi il φιλοσοφῶν del Simposio (204a8-b2), colui che è μεταξύ tra ooqoí e ἀμαθεῖς. Pittaco, nella sua ignoranza in materia di virtü, accompagnata dalla pre-
sunzione di conoscere il vero*”, si dimostra ἀμαθής esattamente nella prospettiva del Simposio (204a4-6). Nella sua critica al savio Simonide aveva colto, con modi in tutto propri di Platone,
l’«impossibilità della perfezione»??!. Il vero motivo per cui Simonide nega all'uomo la possibilità di essere in assoluto ἀγαθός è naturalmente la concezione caratteristica del pensiero arcaico secondo cui la persona umana é perennemente esposta al cambiamento, in seguito agli effetti esterni della συμφορά. H. Gundert (p. 82) richiama al proposito «der ganze Abstand, der Platons Philosophie von archaischer Dichtung trennt», considerando come l'arcaica opposizione tra «cambiamento» e «durata» si fosse ormai trasformata per il tramite della filosofia eleatica nell'opposizione tra «divenire» ed «essere». Ció contribuiva in maniera determinante alla «Umdeutung» platonica di Simonide. Gundert non accenna a un altro, decisivo elemento che distanziava la poesia di Simonide
219. Questa generale prospettiva ravvisabile nell'interpretazione dell' Encomio coincide ancora con quella del Fedro in base alla quale, come ha mostrato K. ALBERT, Sul concetto di filosofia nel Fedro platonico, «RFN» 81 (1989), pp. 219-23, la coqía non € per l'uomo un'aspirazione destinata a restare sempre insoddisfatta, ma l’uomo, pur potendo ottenerla, non può, a differenza del dio, permanere presso di essa, in quanto costretto dal mondo in cui vive a ricadere nelle forme del pensiero quotidiano. 220. περὶ tàv μεγίστων ψευδόμενος δοκεῖς ἀληθῆ λέγειν͵ 347a2-3. Il σοφός Pittaco si è macchiato di qualcosa come della μεγίστη ἀμαθία di 357e2: per l'importanza dell'argomento virtù (1à μέγιστα) e la αἰσχίστη ἀμαθία dei uñ εἰδότες, οἰόμενοι &' εἰδέναι al riguardo, Alc. 7, 118a; cf. pure Apol. 29b1-2. Platone, pur amante della brachilogia (ma nelle giuste proporzioni: Leg. 721e), non poteva apprezzare incondizionatamente massime che si sottraggono alla discussione dialettica (cf. DEUSCHLE-CRON 95): sottopone infatti a ripensamento un'altra massima di Pittaco in Charm. 161b ss., cf. A. E. RAUBITSCHEK, Ein neues Pittakeion, «WS» 71 (1958), pp. 171-3. Per il ripensamento a cui è sottoposta la massima delfica γνῶθι σεαυτόν, cf. CLAssEN 151 ss. 221. Dal titolo del lavoro di D. FREDE, cui rimandiamo per la descrizione di questo motivo attraverso le pagine del Simposio.
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dalla cultura dell’età di Platone e che, rendendo certe sue affermazioni praticamente inaccettabili, spingeva alla ricerca di una diversa interpretazione. I termini ἀγαθός, ἐσθλός e κακός non hanno ancora in Simonide valenza pienamente e modernamente etica, ma riflettono l’arcaica concezione della ἀρετή intesa
come successo, benessere, prosperità??, In questo senso, sono ben spiegabili le constatazioni di Simonide: finché gode della buona fortuna, dell'óÀBog concesso dagli déi, ogni uomo è ἀγαθός, è «valente»; ma, quandoè raggiunto da irreparabile calamità, é xaxóc, é un «miserabile». Ma nell'età di Platone i concetti di ἀρετή, di ἀγαθός e xaxóc avevano raggnunto la com-
piutezza di un significato etico??, e risultava perciò inammissibile l’idea che l’uomo potesse decadere dal suo status intimo di integrità morale per l'effetto di agenti esterni. Una simile idea è di fatto combattuta da Euripidein versi (Hec. 595-8)in cui si
suole vedere??* un esplicito riferimento all’affermazione simonidea di vv. 14-6: ἀνθρώποις δ ̓ ἀεὺ 6 u£v πονηρὸς οὐδὲν ἄλλο πλὴν xaxóc, / è è ἐσθλὸς ἐσθλός, οὐδὲ συμφορᾶς ὕπο! φύσιν διέφθειρ ̓, ἀλλὰ χρηστός ἐστ ̓ ἀεί. L'intellettualismo etico di Platone rende invece ragione dell'affermazione. Agenti esterni come xoóvoc, πόνος € vóaoc possono effettivamente indurre l'uomo a perdere la sua scienza e a decadere, cosi, dal suo rango di ἀγαθός. Anzi, poiché Simonide sembra asserire, ad una lettura puramente logica, l'assoluta necessità per l'uomo di essere xaxóg in seguito a συμφορά, ecco che l'identificazione di virtü e scienza rende spiegabile anche questa prospettiva. Tra i fattori esterni, il tempo costringe ineluttabilmente l'uomo, per oblio, a perdere scienza, a divenire xaxóc, senza potersi più risollevare da questo stato. À un tempo appariva inaccettabile l'affermazione che l'uomo sia ἀγαθός sulla base di una situazione di prosperità (vv. 17-8). Qui la soluzione era immediata. Bastava intendere in senso transiti-
vo-attivo l'espressione idiomatica εὖ πράττειν, operazione in
222. Cf. p. es. REBER 22; WiLAMOwirTZ 169-75; E. SCHWARTZ, of. cit., pp. 22-5; C. M. BowRa, op. cit., p. 327; Des PLaces 238. In generale sull'impossibilità di una lettura integralmente etica dell' Encomio v. supra, pp. 107-8. 223. Per l'evoluzione subita da questi concetti in età classica cf. E. SCHWARTZ, op. cit., pp. 67-102 (92-9 su Platone); ApxiNs 259-83 e 403-42 su Platone; J. GERLACH, of. cit., pp. 70 ss. su Socrate e Platone.
224.
Cf. DEUscHLE-CRON 100; ADAM-ADAM 178; JunENKA 866; W. CuH.
GREENE, MOIRA. Fate, Good and Evil in Greek Thought, Cambridge Mass. 1944, p. 188 n. 67.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
Platone assolutamente naturale. L'uomo dunque è buono in base al suo buon agire, e l'identificazione tra virtù e scienza chiarisce ancora il senso di questa affermazione. La retta azione, in qualsiasi attività, non puó essere che quella guidata dalla cono-
scenza pertinente??, Gundert ricorda (pp. 74-5) un'altra difficoltà che nel tempo di Platone doveva ostacolare la piena comprensione della poesia arcaica: la difficoltà nel seguirne l'andamento, l'eloquio che «das Ganze nicht sagt, sondern durch verschiedene Sichten zeigt, die, sich ständig verschiebend, einander als “Folien”
ergánzen»?^5, l'incapacità di lasciarsi avvolgere nelle spire del suo pensiero a causa del «reflektierend Abstand» che si prende nei suoi confronti. Gundert non spiega come questa situazione potesse essersi determinata, ma è probabile che sia principalmente frutto di un nuovo tipo di accostamento al testo poetico: la lettura, cioé, di un testo scritto. Un simile tipo di approccio facilitava ovviamente l'attento esame di espressioni singole, la loro messa in rapporto, la scoperta di inesattezze e incoerenze e il tentativo di spiegarle, la ricerca di nessi logici tra frasi paratattiche. Questa è l'ottica in cui è discusso il carme nel
Protagora?"! . E l'interpretazione platonica sembra racchiuderlo in una struttura impeccabilmente logica (v. $ 2). Sotto questa luce, un altro aspetto assumono alcuni «errori» dell'interpretazione. Per essi bisogna parlare piuttosto di anacronismi in funzione del diverso significato assunto da alcuni termini del testo e dei diversi requisiti che dal testo si esigevano. Anacronismi dell'interpretazione nascono anche dalla tendenza ad attribuire al poeta concezioni che sono frutto soltanto di una
ben più matura riflessione filosofica““°. Sono errori perdonabili in assenza di una adeguata prospettiva storica.
225.
Per la naturalezza dell'interpretazione transitivo-attiva di πράξας εὖ in
Platone v. supra, n. 165. Anche in Euthyd. 278e-280a si mette in stretta connessione [ ̓εὖ πράττειν con la oogía. 226. Ciò è tipico dell'Encomio, v. supra, n. 12. GUNDERT 80 n. 12 rimarca la differenza tra la «Diktion» arcaica e quella classica a proposito della parafrasi in 344b6-c5.
227. Per la probabilità che l' Encomio fosse fissato ın forma scritta e sotto tale forma esaminato v. supra, n. 142. La «studieuse minutie des Alexandrins», conseguente alla lettura di un testo scritto, caratterizza anche la riflessione di Platone su Omero secondo J. LABARBE, op. cit., p. 406. 228. Questa visione anacronistica caratterizza soprattutto l'esegesi allegorica. Platone la rifiuta come mezzo sistematico per razionalizzare e giustificare
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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Recuperati questi ulteriori motivi che possono avere spinto la costituzione dell’esegesi dell’Encomio nella sua caratteristica direzione, è possibile chiedersi fino a che punto Platone abbia creduto alla sua veridicità. Sebbene altri errori argomentativi siano presenti nel
Protagora??, sul significato dei quali la discussione è apertissima“”°, la critica ha avuto pochi dubbi riguardo alla piena
intenzionalità
degli
errori
nell'esegesi
del
carme
simonideo“*'. Eppure, prudentemente già H. Sauppe (p. 23) ammetteva che, data la novità della «Erklárung» grammaticale recentemente introdotta, errori esegetici in Platone erano spiegabili e perdonabili, e Wilamowitz (p. 166) lasciava di fatto
aperta la possibilità che Platone avesse almeno parzialmente creduto alla sua interpretazione. Ma il solo Gundert, dopo aver ricordato, come abbiamo riferito sopra, alcune cause che tenevano distante Platone dalla effettiva comprensione del carme, concludeva per la piena inconsapevolezza dei suoi
fraintendimenti???, La critica rimarrà ancora aliena dal condividere questa conclusione, senza
perd, per quel che io sappia,
averle opposto motivate obiezioni???, la poesia (cf. M. TULLI, art. cit., pp. 46-51), ma non nega l’esistenza di significati allegorici: cf. J. TATE, Plato and Allegorical Interpretation, «CQ» 23 (1929), pp. 147-50. La componente atemporale e anacronistica nell’accostamento di Platone e dei sofisti alla poesia è notata da JAEGER I 376 e II 387 n. 57; cf.
anche F. STAHLIN, Die Stellung der Poesie in der platonischen Philosophie, München 1901, p. 3. In generale sulla «Aktualisierung» dei personaggi della poesia DALFEN 52. 229. Oltre alle pecche argomentative smascherate da Protagora (v. supra, n. 214), Socrate commette confusione tra contrario e contraddittorio (331a) e aequivocdtio tra copia e συφροσύνη (332a ss.).
230. Vi è chi li considera intenzionali, chi inconsapevoli, chi li ascrive al Socrate storico con eventuale distacco da parte di Platone, chi non li considera errori affatto. Un breve punto della situazione è in P. FRIEDLANDER, of. cit., p. 281 n. 15, e in H. LEISEGANG, art. cit., col. 2389. 231. Indicative le parole di W. K. C. GuTHRIE, À History of Greek Philosophy, IV: Plato. The Man and his Dialogues. Earlier Period, Cambridge 1975, p. 227: «here at least there can be no doubt that Plato knew what he was doing». 232. P. 92 n. 34 (cf. già p. 71). Gundert, per giunta, considera errori anche alcuni che abbiamo osservato ($5 2 e 4) non potersi definire tali, come il mancato riconoscimento della «polemische Mimesis» di Pittaco nei vv. 1-3, l'interpretazione di ἔμμεναι come γενέσθαι a v. 15 e l'integrazione di ἐγένετο o γένοιτ ἄν ̓ anziché éau a v. 17. 233.
PFEIFFER 84 n. 88 definisce «stupefacente» la conclusione di Gundert,
senza peró addurre ragioni di tale giudizio.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
Sostenere fino in fondo che Platone abbia creduto alla assoluta esattezza della sua interpretazione è forse eccessivo. Gundert, del resto, manca di dare sufficienti ragioni della chiusa del passo, in cui Socrate prende le distanze dall’interpretazione eseguita: si limita a considerare (p. 89) che il contesto di παιδιά in cui Socrate sembra calare la sua interpretazione è qualcosa di molto più serio di quanto non si pensi, dal momento che «jeder Dialog Platons “Spiel” ist». Restano però le imbarazzanti parole di 347e3-7, che sono pur sempre, come a noi è sembrato, il mezzo con cui Platone relativizza in qualche modo la possibilità di raggiungere risultati definitivi con l'esegesi testuale. Cosi, Platone non avrà creduto all'esattezza della sua interpretazione se non in termini relativi. Platone ha proposto, in assoluto, quello che è per lui il modo migliore e piü proficuo di intendere un testo. Nell' Encomio ha risolto la «contraddizione» e i molti altri punti di difficile o inaccettabile lettura. Ha dato al testo un senso corretto, coerente e, soprattutto, valido sul piano del sapere, perché conforme a determinate verità. Si è comportato, per tornare ancora ad immagini del Fedro, come un padre accorso ın difesa del suo discorso oùx èv δίκῃ λοιδορηθείς (275e4),
come farebbe Simonide nel caso fosse εἰδὼς Y τὸ ἀληθὲς ἔχει (278c4-5). Data l'assenza dell'autore, a differenza di quanto avviene nel Parmenide, la rigidità del testo non consente di mettere alla prova l'esattezza dell'interpretazione. Rifiutarla, peró, significa lasciare al carme tutte le incongruenze che lo gravano. Un velo di incertezza che Platone stende spesso sulla lettura dei
poeti??*, 6. Ricostruite entro queste linee la posizione e la funzione che l'interpretazione dell' Encomio deve aver avuto per Platone, possiamo ora ritornare al suo oggettivo valore dı effettivo momento di critica letteraria antica: valore che, come osservammo ($ 1), è stato assai poco considerato nelle storie della filologia a causa forse dell'idea molto riduttiva che si aveva della funzione attribuita da Platone stesso alla sua interpretazione. Eppure, il semplice fatto che l'interpretazione fosse stata presentata come ap-
234. Per esempio, quando ammette che il poeta possa essersi espresso per via di enigmi. Speriamo in un futuro lavoro di mettere in luce questo come altri elementi di contatto tra i contenuti dell'interpretazione dell' Encomio e il generale modo di riflessione e di sfruttamento dei testi poetici in Platone.
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provata da tutti 1 personaggi del Protagora avrebbe dovuto di
per sé indurre a prcstarlc maggwr attenzione, non foss’altro che come a un sagglo ermeneutico che ad una parte diggubbllco,
riconoscibile in qualche misura dietroi personaggi?", poteva risultare plausibile.
Sarebbe in effetti di enorme interesse conoscere fino a che punto l’interpretazione platonica fosse realmente accettata nell'antichità. Purtroppo a risolvere questo quesito non è minimamente di aiuto la miserrima tradizione scoliastica che correda il Protagora e che sul nostro passo in particolare, se si esclude una serie di esametri contenente un elenco dei Savi (p. 128 Greene), è completamente muta. Puó essere invece di qualche indicazione la tradizione indiretta dell' Encomio, che risale tutta in ultima
analisi al passo del Protagora??5, Aristotelein un passo dell’Ætica Nicomachea (I, 10, 1100b20) allude chiaramente ai primi tre versi dell' Encomio: tàc τύχας οἴσει κάλλιστα xai xávty πάντως ἐμμελῶς Ó y* ὡς ἀληθῶς ἀγαθὸς καὶ τετράγωνος ἄνευ ψόγου. Sebbene 518 a rigor di logica possibile che Aristotele avesse davanti il genuino testo simonideo, è molto più probabile, data la sua certa conoscenza del Prolagora
desumibile dalla stessa Etica??", che lo leggesse attraverso il dia-
logo platonico. Ora, nel passo in questione é evidente che Ari-
stotele non segue il costrutto proposto da Socrate per ἀλαθέως, anzi sembra decisamente contrapporglisi con il conferire all'avverbio una posizione nettamente attributiva di ἀγαθόν: quella posizione la cui assenza in Simonide aveva reso possibile la trasposizione di Socrate. Questo peró non significa che Aristotele rifiutasse nel complesso l'interpretazione del carme. Se infatti non accetta la trasposizione è probabilmente perché non ne condivide la motivazione esterna addotta da Socrate, l'inesi-
stenza, cioé, di uomini buoni non veramente???, Viceversa, vi è
235. Eipersonaggi del Protagora possono rappresentare una grossa porzione di pubblico, non essendovi annoverati solo sofisti, ma soggetti di varia estrazione, come Callia, Crizia, Alcibiade, Pausania, i giovani Ippocrate, Fedro ed Agatone, etc.
236.
Cf. WiLAMOWTrTZ 159 n. 2.
237.
H. Bonrrz, Platonische Studien, Berlin 1886° (Nachdr. Hildesheim 1968),
p. 254, e H. CHERNiss, «AJPh» 71 (1950), p. 85 n. 7, lo ricordavanoa sosteni-
tori dell'inautenticità del Protagora. Cf. poi A. E. TAvLoR 255 e n.; NESTLE 151; C. C. W. TayLoxr 172.
238.
In III, 6, 1113a15-b2, infatti, distingue tra un ἀγαθὸν φαινόμενον e uno
66
STUDI DI LETTERATURA GRECA
un forte indizio che l'interpretazione fosse complessivamente accolta da Aristotele o che comunque abbia suggestionato il suo pensiero. In Metaph. 1, 2, 982b28-32 51 dice: διὸ xai δικαίως àv οὐκ ἀνθρωπίνη voutGorto αὐτῆς [sc. MS ἐλευθέρας ἐπιστήμης] À κτῆσις ̓ πολλαχῇ γὰρ À φύσις δούλη τῶν ἀνθρώπων ἐστίν, ὥστε κατὰ Σιμωνίδην “θεὸς &v μόνος τοῦτ ̓ ἔχοι yégac", ἄνδρα Ò οὐκ ἄξιον uù 00 ζητεῖν τὴν καθ ̓ αὑτὸν ἐπιστήμην. Chiaramente Aristotele è influenzato dall’interpretazione platonica che leggeva l’Encomio identificando virtù e scienza: data l’imperfetta natura umana, soltanto il dio ha il privilegio di essere assolutamente buono, di possedere, cioe, la scienza in sé (αὑτῆς ἕνεκεν, 28), ma l'uomo ha il dovere di ricercare quella che è alla sua portata, deve, nella ?rospcttiva di Platone, γενέσθαι àya8óv/coqóv, deve
quocogeiv"°. Polibio condivide l'interpretazione dell’Euppuevar di Pittaco nel valore pregnante di «essere permanentemente». Cosi infatti pa-
rafrasa
(XXIX,
26)
il
motto χαλεπὸν ἐσθλὸν ἔμμεναι" :
ὁμαλίσαι xai κατὰ πᾶσαν περίστασιν ἐπίμονον γίγνεσθαι tj γνώμῃ... δυσχερές. Lo stesso valore durativo vede nel motto Ze-
nobio, che lo parafrasa (VI, 38) δυσχερέστατον τηρῆσαι vv ἑαυτοῦ γνώμην. Il paroemiografo riporta contemporaneamente una interessante informazione relativa al significato che alcuni attribuivano al motto di Pittaco: ἄλλοι δὲ τὸ χαλεπὸν ἀκούουσιν
ἐπὶ τοῦ àduvdtov- ἀδύνατον οὖν εἶναι &q' ἅπαντα ἀγαθόν. L'informazione è fornita anche dallo scolio a Hipp. πιαὶ. 304e (ρ. 178 Greene): ol δ ̓ ἐπὶ τοῦ ἀδυνάτου τὸ χαλεπὸν ἀκούουσιν ̓ ἐπὶ πάντων γὰρ γενέσθαι ἀγαθὸν ἀδύνατον. Ad innescare questa interpretazione del χαλεπόν pittaceo può essere stato il saggio esegetico di Platone. Di fronte cioè alla ἀπορία sollevata da Simonide/Socrate sulla massima del savio per la sua insufficiente considerazione dell'umana imperfettibilità, si sarebbe escogitata la λύσις, per mantenere valida la massima, di intenderne il χαλεπόν già nel senso dell’abûvatov richiesto da Socrate
κατ ̓ ἀλήθειαν. Neanche il maturo Platone ammcetterà l'inesistenza di uomini
buoni non veramente. V. supra, p. 132. 239. La medesima interpretazione si trova riprodotta nel commento di Asclepio di Tralles (VI, II, 21, 6-8 Hayduck) al passo dell' Etica, € negli Anecdota parigini editi dal Cramer, I, p. 387, 33-4. [l passo di Aristotele richiama
anche il Parmenide, 134c (v. supra, n. 215). 240.
Che attribuisce erroneamente a Simonide: cf. WiLAMOWITZ 159 n. 2.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
67
(344c2). Un altro sia pur tenue indizio che l'interpretazione di Platone fosse seriamente considerata nell'antichità?*!.
In effetti, nel mettere in rilievo i caratteri che dovevano dare plausibilità all'interpretazione, abbiamo individuato una serie di elementi che potrebbero in qualche modo far pensare a metodi esegetici piü tardi largamente testimoniati presso la critica letteraria antica, specialmente in ambito aristotelico e peripatetico, vale a dire: l. Lastretta messa in rapporto di personalità affini dal punto di vista storico-letterario e la conseguente tendenza a leggere in chiave personalistica la loro produzione testuale (convegno dei Savi a Delfi e offerta delle loro massime al dio; gara tra Simoni-
de e Pittaco)***, 2. La connessione, a fini esegetici, di tratti caratteriali e biografici dell’autore con l’opera da lui composta (integrità morale di Simonide; sua φιλοτιμία; suo rapporto con i tiranni). Si tratta di un criterio assai ricorrente in ambito aristotelico-peripatetico e la cui esistenza è attestabile anche anteriormente a questa
scuola?*), E un criterio che fu applicato, fra l'altro, proprio all'esegesi di Simonide***.
3. Il presupposto che l’autore non possa essersi scostato da certe riconosciute norme di sapienza. Questo presupposto, ap-
plicato ben quattro o cinque volte a Simonide per respingere
241.
Fino a che punto in età umanistica si accettasse l'interpretazione di
Socrate puó apparire dal fraintendimento del Ficino (cf. ScHwENK 15 n. 2), che rende i vv. 17-8 simonidei «Qui hene curat bonus medicus. contra qui
male malus». Ch. G. Heyne, primo editore del carme (Opusc. Acad. Góttingen 1785, pp. 160 ss.), attribuiva in effetti ıl pensiero a Platone. Successivi editori accettavano nel testo del carme, giudicandole evidentemente sane, parti dell'interpretazione di Socrate: J. A. HARTUNG, Die griech. Lyriker, VI. Leipzig 1858, p. 151, convinto - come L. À. MICHELANGELI, Melica greca, V, Bologna 1896, pp. 8-39 — del presupposto che l'intero carme sia una critica a Pittaco, inseriva nel testo il commento di Socrate in 346e4 ss.; Michelangeli (sulla scia di R. Βονοηι, Platone, Protagora, Roma 1882, p. 237) accoglieva (p. 14) la decisiva nota con cui in 344b8 Socrate risolve la «contraddizione». 242.
Sull’antichità e la diffusione di questi motivi v. supra, p. 140.
243.
Cf su tutto l'argomento ARRICHETTI' 141-59. Un rapporto tra il proce-
dere biografico dell'interpretazione di Socrate e il βίος euripideo di Satiro è suggerito da GUNDERT 85.
244. Comportando traviamenti esegetici non solo in età antica: cf. ARRIGHETTI! 86-7.
68
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una possibile interpretazione?*®, richiama l’affermato criterio del πρέπονin nome del quale si rifiutavano alÈoeta espressioni
contrastanti con principi di validità generale? Sono altresi riscontrabili ulteriori elementi che accomunano l'interpretazione platonica dell' Encomio a modi di riflessione letteraria propri anche di età successive. Una generica tendenza a sovrainterpretare i testi poetici non era estranea alla critica letteraria antica. Si riscontra, per esempio, nel Certamen Homeri et Hesiodi e, ancora, in ambito aristotelico-peripatetico, come nella
̓Αθηναίων Πολιτεία ἃ proposito delle goesie di Solone e nelle speculazioni di Cameleonte e di Satiro 4 La prospettwa anacronistica con cui è condotta l’mterpretazmne del carme è assi-
milabile a quella comunemente adottata nell’esegesi allegorica. Anche l’aspetto formale dell’interpretazione, infine, riproduce, come abbiamo constatato ($ 3), schemi che dovevano essere già affermati. E di fatto anche l’importanza di due caratteristici elementi dell’interpretazione dell’Encomio, l’attenzione alla διάνοια dell’autore e al complesso della composizione, sembra riconosciuta
dagli antichi^**: da Isocrate e Aristotelein particolare. Nella parte finale del Panatenaico Isocrate esegue una specie di «au-
tointerpretazione» della stessa opera. Ch. Schaüblin?*? vi ha già
245. 340e5-7;, 341d2-5; 343e2; 345d6-7; GUNDERT 88 n. 29 sembra mettere sullo stesso piano anche il caso di 346dl-3.
246. Si pud confrontare p. es. la giuntura dı 343e2 con sch. /l. XIV, la Erbse ἀπρεπὲς δέ τινες οἰηθέντες xai οὐ κατὰ πρεσβύτην. Interventi esegetici, per lo più ispirati al criterio del πρέπον, operati da filologi antichi in modo assai simile a quello di Socrate, possono trovarsi descritti in M. PoHnLEnz, Tò πρέπον. Ein Beitrag zur Geschichte des griechischen Geistes, «NGG», 1933, pp. 6570 (ora in Kleine Schriften, 1, Hildesheim 1965, pp. 112-7), e in PFEIFFER 186, 193-4 e 358.
247.
Cf. ArrIGHETTI! 167 (sul Certamen), 171 e n. 31 (sulla
̓Αθηναίων
Πολιτεία), 143 (su Cameleonte), 178 e n. 51 (su Satiro).
248. Per l'importante valore del termine διάνοια nella tradizione esegetica greca e latina di età classica cf. K. EpEN, Hermeneutics and the Ancient Rhetorical Tradition, «Rhetorica» 5 (1987), pp. 59-86. In età post-classica il termine manterrà il valore di «senso» in opposto a óntóv o λέξις «lettera» (cf. p. es. Hermog. Stas. 2, 14 Rabe), specializzandosi talvolta con il valore di «senso spirituale» nella tradizione esegetica cristiana (cf., per Eusebio, E. Ds PLAcEs, Eusébe de Césarée commentateur, Paris 1982, pp. 92, 124, 134 e 138).
249. 174-6.
Selbstinterpretation im Panathenaikos des [sokrates, «MH» 39 (1982), pp.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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rilevato significative affinità con l’interpretazione dell’Encomio: entrambe le discussioni ermeneutiche si svolgono in due momenti, uno interessato alla ὀρθότης e un altro alla διάνοια, e in entrambi i casi i due interpreti, Socrate e il discepolo di Isocrate, alle prese con una ἀπορία inerente al testo, tentano di risolverla rifacendosi alla διάνοια complessiva dell'autore. Schaüblin avrebbe potuto provare meglio il parallelismo tra i due passi evidenziando le affinità, anche lessicali, sia degli esordi sia delle conclusioni: Prot. 340a8 ἐπανόρθωμα e Panath. 200 ἐπηνόρθουν; Prot. 347a3-5 ταῦτά μοι δοκεῖ Σιμωνίδης
διανοούμενος πεποιηκέναι τοῦτο τὸ ᾷσμα e Panath. 244 τὴν μὲν οὖν περιβολὴν τοῦ λόγου δοκεῖς μοι ποιήσασθαι μετὰ τοιαύτης διανοίας. Sono qui chiaramente isolati anche da Isocrate i mo-
menti della διάνοια e dello sguardo d'insieme al testo???, Nel rifiuto di Isocrate di esprimere un parere definitivo sulla validi-
tà dell'interpretazione eseguita (265) si coglie ancora un elemento comune con Platone, l'idea della sostanziale debolezza
anche del metodo interpretativo proposto??!.
É noto che il principio del Fedro relativo all'organicità dell'opera letteraria è vicinissimo alla teorizzazione aristotelica dei
capitoli VII e VIII della Poetica???, 11 principio ispira la lettura del «tutto» nell'interpretazione dell' Encomio: ed anche in Aristotele non opera solo a un generale livello teorico, ma ha una concreta realizzazione nell'esegesi testuale in tutto simile a
quella in atto nell'interpretazione dell' Encomio. Protagora, nella
sua presunzione di tà ὑπὸ tàv ποιητῶν λεγόμενα olóv v' elvat συνιέναι & τε ὀρθῶς πεποίηται xai & μή, concentratosi su deter-
250.
Il senso comprensivo dell'espressione περιβολὴ τοῦ λόγου si ritrova piü
esplicito in Isocrate nel Filippo (Or. V, 16): 4 μὲν oùv περιβολὴ παντὸς τοῦ λόγον τοιαύτη τίς ἐστιν.
251. Un altro elemento di contatto tra le discussioni esegetiche del Panatenaico e del Protagora pud essere nel fatto che entrambe sono caratterizzate, e con una giuntura assai simile, come una πεῖρα: ἡμῶν πεῖραν AaBeiv BovAóuevoc (Panath. 236) e εἰ βούλει λαβεῖν uov xeigav (Prot. 342a1). Per la generale consonanza di contenuti del passo esegetico di Isocrate («sullo sfondo sono i pericoli della scrittura») con il pensiero di Platone, M. TuLL1, Sul rapporto di Platone con Isocrate: profezia e lode di un lungo impegno letterario, «Athenaeum» 78 (1990), pp. 421-2.
252. Cf. già F. STAHLIN, op. cit., p. 37 (con richiamo al Belger); M. PoHLENzZ, Die Anfánge der griechischen Poetik, «NGG», 1920, p. 145, ora in Kleine Schriften, II, Hildesheim 1965, p. 479; D. W. Lucas, Aristotle, Poetics, Oxford 1968, pp. 112-3; D. LANZA, Aristotele, Poetica, Milano 1987, p. 69 n. 27.
70
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minate espressioni, conclude che Simonide οὐκ ὀρθῶς λέγει. Socrate smentisce la conclusione rifacendosi al contesto. Ebbene Aristotele afferma (Poet. 1461a4-8) περὶ && toU καλῶς fj μὴ
καλῶς" εἰ εἴρηταί τινι À πέπρακται, où uóvov σκεπτέον ELG αὐτὸ τὸ πεπραγμένον ἢ εἰρημένον..., ἀλλὰ καὶ εἰς τὸν πράττοντα ἢ
λέγοντα πρὸς Óv fj ὅτε fj ὅτῳ ἢ 00 Evexev***. Ma anche altri particolari procedimenti dell'interpretazione dell' Encomio si trovano
riconosciuti nella stessa sezione della Poetica. Qui Aristotele codifica come soluzioni di προβλήματα letterari il riconoscimento dei πάθη τῆς λέξεως concessi ai poeti (1460b12-3: cf. l'individuazione dell'iperbato ad opera di Socrate), la necessità di recuperare il contesto storico (1461al-4: cf. l'introduzione storica di Socrate) e quella di stabilire una corretta interpunzione (1461a23-5: cf. il δεῖ &v τῷ ἑκών διαλαβεῖν di Socrate, Prot. 346e2-3). E abbiamo già considerato ($ 3) come, nel caso specifico di contraddizioni imputate a poeti, la proposta aristotelica di difesa rispecchia l'azione difensiva messa in atto da Socrate. Non soltanto, dunque, nel generale concetto dell'organicità necessaria all'opera letteraria, ma anche nella concreta prassi esegetica Aristotele sembra assai vicino a Platone.
7. Nel nostro lavoro abbiamo tentato di recuperare alla discussione sull' Encomio a Scopas nel Protagora un significato maggiore di quello che non le si attribuisse generalmente. Tale significato ci appare per cosi dire articolato su due piani. Considerata su un piano, la discussione poetica si configura come riproduzione di un effettivo momento di critica letteraria antica, per la presenza di procedimenti esegetici in parte già attestati al tempo di Platone e continuati successivamente, in parte assimilabili a cri-
253. Per l'identità di καλώς e ὀρθῶς λέγειν vel sim. v. supra, n. 70: nella parte precedente dello stesso capitolo della Poetica, del resto, € impiegato ripetutamente il termine ὀρθὼς (e ὀρθότης in 1460b14). Si nota anche la ricorrenza, nello stesso passo, di ἀμαρτίωάμαρτάνειν: cf. " ̓ἁμάρτημα che Protagora rinviene in Simonide (v. supra, n. 76). 254.
Sì puó tentare di immaginare una precisa rispondenza di Socrate agli
interrogativi proposti da Aristotele: πρὸς ὄν: πρὸς τὸν Πιτταχκόν (343d2-3, 345c4, etc.); ὅτε: al tempo della τῶν παλαιῶν φιλοσοφία (342a7-8; 343b4-5);
ὅτῳ: ἅτε φιλότιμος ὧν ἐπὶ σοφίᾳ (343c1); 00 évexev: per insediarsi al posto di Pittaco (cf. tovtov Evexa, 343c4). CF. la ἐξήγησις antica degli stessi dialoghi platonici, che, come riferisce Diogene Laerzio (11I, 65), si prefiggeva queste tre tappe, πρῶτον μὲν ἐκδιδάξαι 6 w ἐστὶν Exactov tüv λεγομένων ̓ ἔπειτα, τίνος εἵνεκα λέλεκται, e, soltanto come τρίτον, εἰ ὀρθῶς λέλεκται.
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teri codificati in età di poco posteriori. Su questo fondo di canonica validità, che rendeva la sua interpretazione dell’Encomio praticamente immune da obiezioni, Platone inserisce la sua impronta. Di contro a superficiali tendenze esegetiche — la cui effettiva esistenza è accertabile — ree di trascurare il contesto e le finalità dell’opera, di incentrarsi sull’aspetto formale e terminologico del testo, Platone oppone il suo metodo. Per giudicare un testo, si rintracci la διάνοια dell’autore, e lo si faccia attraverso l'intera sua composizione. Entrambe queste proposte, risalgano o no al genio creativo di Platone, avranno fortuna in Isocrate e in Aristotele. Il messaggio più genuinamente platonico è peró
forse da ritrovarsi in altro. Il rapporto dialettico che si instaura
con l’Encomio spiega come tentare di ridar voce a un muto testo; il continuo confronto del carme con le dottrine socratiche insegna a non ricavare alcun sapere da uno scritto, ma piuttosto a misurare questo sulla base della verità già acquisita per vie diverse: non bisogna condannare i poeti semplicemente per un'astratta questione di óp8ótnc ma semmai per altre, ben più profonde ragioni. In ció 81 realizza, potremmo dire, la
trasposizione?? di esegesi letteraria in esegesi «filosofica». Platone non rifiuta il rapporto con il testo scritto. Solo, lo affida all'interprete provvisto di sapere dialettico. Gli scritti di per sé, sembra rammentare Platone nel finale, in tutta solennità tacciono.
255.
Un termine impiegato da A. Diès, Autour de Platon. Essai de critique εἰ
d'histoire, Paris 1927* (réimpr. 1972), pp. 400 ss., per indicare la riassunzione da parte di Platone di elementi del sapere corrente opportunamente riadattati dal suo pensiero.
72
STUDI DI LETTERATURA GRECA
APPENDICE IL BRANO ESEGETICO DEL PROTAGORA NELLA CRITICA. ALCUNE OSSERVAZIONI
L'opinione più diffusa della critica vede nell'intero passo esegetico del Protagora una parodia del modo proprio dei sofisti di accostarsi alla
poesia?*6, Nel nostro lavoro è stata invece prospettata la possibilità che il passo presenti da una parte, dietro un'ironia di forma, una veridica resa dell'accostamento alla poesia tipico dei sofisti, dall'altra, tuttaltro che una parodia di questo accostamento, la contrapposizione, da parte di Platone, del suo proprio modo di intendere il testo poetico. Ad occasionale sostegno di questa opinione sono stati qua e là discussi vari elementi sui quali potrebbe basarsi l'idea di una funzione esclusi-
vamente negativa del passo???. In questa appendice sarà dapprima
256.
La definizione di parodia è quella più frequentemente associata al pas-
so. Cf. A. E. TayLor 145; K. HILDEBRANDT,*Platon, Berlin 1959^, p. 37; J. P. SuLLIVAN, The Hedonism in Plato's Protagoras, «Phronesis» 6 (1961), p. 16; M. GAGARIN, art. cit., pp. 151 e 152; PFEIFFER 86; BABUT 47; W. K. C. GUTHRIE, A History... cit., IV, p. 219; R. I. WINTON, art. cit., p. 432. 51 trovano poi definizioni simili, come quelle di caricatura o imitazione satirica (cf. C. Ritt+*, Platon, I, München 1910, p. 330; E. HowaALD, of. cit., p. 37; J. W. H. ATKINS, of. cit., p. 42; FREDE 737). Da questa generale tendenza si sono distaccati H. Gundert e K. D. Georgoulis, i quali hanno considerato la correttezza di fondo del principio, seguito da Socrate nella sua escgesi, di spiegare tutto il componimento secondo la generale tendenza dell'autore. L'innegabile validità di questo principio è passata per lo piü sotto silenzio dalla critica intenta a descrivere il carattere giocoso del passo (si limitano a ricordarla WiLAMOwiTZ 160 e 168 e A. E. TAYLOR 254). 257. Si è tentato di mostrare, in particolare, che omissioni ed «errori» dell'esegesi di Socrate non devono essere considerati tali e che, comunque, al tempo di Platone non potevano apparire sufficientemente singolari o vistosi perché la loro intenzionalità e il conseguente registro ironico con cui intendere l'esegesi stessa risultassero percettibilmente segnalati. Sui segnali necessari perché l'ironia sia percepita (esagerazione, etc.), W. BoDER, Die sokratische [ronie in den platonischen Frühdialogen, Amsterdam 1973. La connotazione di «augenscheinlich» (cf. simili aggettivazioni in NEsTLE 56; H. LEISEGANG, art. cit., col. 2392; C. C. W. TayLor 146; GoLDBERG 186) sembra percid da Boder (p. 120) appositamente imposta agli errori di Socrate per giustificare la presupposizione di una loro componente ironica. Contro l'idea di un aspetto erroneo con cui Platone avrebbe caratterizzato l'esegesi di Socrate parla del resto un fondamentale elemento: nel punto cruciale del carme, la ragione cioé, di non immediata evidenza, in cui consiste il superameno simonideo del motto di Pittaco, Socrate coglie completamente nel vero (344c2). E non é certo l'unico momento sano della sua esegesi.
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riesaminata, sotto un'ottica più generale, la posizione prevalente della critica, quindi saranno brevemente analizzate altre posizioni. Anzitutto una osservazione di partenza. L'ipotesi che l'interpretazione dell' Encomio abbia carattere di parodia rivolta ai sofisti è in ultima analisi indimostrabile. Non resta, infatti, traccia alcuna di un'interpretazione poetica eseguita da sofisti che autorizzi un raffronto con
l'interpretazione dell'Encomio???. L'ipotesi di una parodia si fonda perció solo su un'altra serie di ipotesi concatenate: che Platone abbia intenzionalmente travisato il significato dell’Encomio, che questo atto non sarebbe stato degno di lui, che dunque avrebbe solo voluto imitare quanto usavano fare i sofisti. L'improbabilità delle prime due ipotesi puó apparire dalla lettura di questo lavoro; ma anche per la terza mancano sufficienti prove. Nessun elemento lascia ritenere che i sofisti usassero travisare intenzionalmente il significato dei testi poetici o che di ció vi fosse consapevolezza e condanna da parte del pubblico. Il presunto distorcimento — ma del Wortlaut, non del significato — dei versi di Pindaro ad opera di Callicle nel Gorgia (484b) è con molte
probabilità insussistente??? e, quand'anche esistesse, non se ne potrebbe imputare Platone meno di Callicle. Quanto poi alleE‚B)robabili diver-
se interpretazioni che esistevano di quei famosi versi?*?, nessuna testimonianza vi è che fossero considerate distorcimenti??!, L'unico passo per cui 51 usa parlare di fatto di consapevolezza e condanna - fra l'altro rivolta non a sofisti, ma a Socrate - di distorte interpretazioni
poetiche é nei Memorabili di Senofonte, I, 2, 56-979?. Ma, in realtà, dal resoconto senofonteo risulta che Policrate accusava Socrate non già di distorcere il pensiero dei poeti, ma solo di usarei loro versi peggiori per i
suoi bassi fini*°*. Anche la difesa di Senofonte, infatti, non va nel senso di dimostrare l'esattezza delle interpretazioni di Socrate — evidente-
258. Non si pud addirittura parlare neanche dell'esistenza di un interesse alla ἑρμηνεία tàv ποιητῶν IN sé presso i sofisti: v. supra, n. 179.
259.
Cf. M. GIGANTE, Nóuoc βασιλεύς, Napoli 1956, pp. 150-2; Dopps 270-2.
260. Riassunte in CH. P. GUNNING, op. cit., p. 53, e in NESTLE B n. l. Esauriente discussione in M. GIGANTE, of. cit., pp. 109-22 e 146-71. 261.
Platone anzi in Gorg. 488b1-2 &E ἀρχῆς 6é μοι ἐπανάλαβε πῶς φὴς tó
δίκαιον ἔχειν xai où xai Πίνδαρος τὸ xatà φύσιν presuppone l'esattezza dell'in-
terpretazione di Callicle. Censura infatti i versi di Pindaro ancora in Leg. 690b, 714e, 890a. 262. Cf. p. es. WiLAMOwiTZ 168 («Sokrates [....], dem Polykrates das Verdrehen von Dichtersprüchen vorgeworfen haw); LANATA 287; G. GIANNANTO-
Ni, Socrate. Tutte le testimonianze, Roma-Bari 1986*, p. XII («accusa [...] di citare i versi dei poeti più venerati distorcendone completamente il senso»).
263. τῶν ἐνδοξοτάτων ποιητῶν ἐκλεγόμενος tà πονηρότατα (56): i versi sono cattivi di per sé e non pervertiti da Socrate.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
mente mai messa in questione --, ma la non malvagità dei versi stessi
come del loro utilizzo da parte di Socrate***. Gli intenti distruttivi che secondo la critica Platone avrebbe raggiunto nel passo esegetico del Protagora possono riassumersi nell'ordine di quattro, sulla sussistenza di ognuno dei quali è possibile avanzare seri dubbi.
1) Dimostrare nella pratica che la poesia è priva di conoscenza?9*. Un simile intento, peró, non corrisponde aila generale concezione di Platone, per il quale spesso la poesia é considerata depositaria di
sapcrcäs.
2) Combattere la moda, in voga soprattutto presso i sofisti, di
estrarre a tutti i costi principi morali e pedagogici dai testi poctici??". Certamente Platone condanna in assoluto una simile moda: tuttavia, è impossibile che si proponga l'obiettivo di perseguirla nel nostro passo. Protagora non è affatto rappresentato nell'atto di estrarre dall' Encomio significati etici, ma, al contrario, completamente disinteressato a questo genere di problemi, e la sua risoluzione nci confronti del carme non
è certo di elogio, ma di condanna?9?. Del resto, se è assai verosimile che i sofisti si rifacessero volentieri alla pocsia comc strumento educativo, € un dato di fatto certo che non la acccttavano supinamentc, ma le muovevano critiche sia dal punto di vista compositivo sia, analoga-
mente a Platone, sul piano etico?9?, E, in cffetti, nello stesso Protagora il
264. &x δὲ τούτων ὀρθῶς &v ἔχοι tó "Egyov δ' ̓ οὐδὲν 6vex6oc..." (57). Analogo il successivo chiarimento riguardo al vero senso dell'interpretazione socratica dei versi di Omero (58-9).
265.
E opinione di AnaM-ApAM XXIII, giustificata in base all'affermazione
che la poesia è priva di metodo dialettico: ma se questo è vero per la poesia, è non meno vero per la retorica, e Socrate si è limitato a constatarlo (329a)
senza bisogno di una dimostrazione pratica (cf. Coey 197 n. 24). E con il rapporto dialettico instaurato con l' Encomio (v. supra, pp. 152-4) Platone ha di fatto sopperito a questa mancanza della poesia.
266.
Platone ben riconosce saperc alla poesia nei casi in cui sia sorretta da
ispirazione divina o accompagnata da opinione vera (Apol. 22c; lon 533e ss.;
Men. 99c-d; Phaedr. 245a ss.). Non é raro, in effetti, nei dialoghi il richiamo di versi poetici dal contenuto valido. 267.
Cf.p.es. A. E. TAvLoR 254; J.W. H. ArkiNS, op. cit., p. 42; VICAIRE 25.
268. V. supra, $ 3, a. Sull'indifferenza di Protagora per un'esegesi moralistica cf. anche LANATA 185. 269. Per la critica compositiva e linguistico-grammaticale cf. Prot. frr. 80 A 25 (linee 23-5), 28, 29 e 30 DK; per quella etica TsirimBAs 65-70. Nella Repubblica, del resto, Platone traccia la differenza tra l'attività educatrice di Omero e quella dei sofisti (600c-e), e le pretese di eccellenza della poesia appaiono avanzate da Omero stesso o da certi τινες (598d ss.), mai esplicitamente dai
sofisti. Cf. E. A. HavELock, Preface to Plato, Cambridge Mass. 1963, tr. it. Roma-Bari 1973, pp. 14-5.
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sistematico impiego pedagogico della poesia è configurato come elemento specifico non dell’insegnamento sofistico, ma del sistema edu-
cativo tradizionale (325e4 ss.). Da tutto questo sistema però Protagora si differenzia in generale, e dall'impiego passivo che esso faceva
della poesia in particolarc27ö.
3) Dimostrare che é assurdo richiamarsi all'autorità dei poeti. Questa dimostrazione sarebbe raggiunta attraverso l'arbitrarietà con cui Socrate chiama Simonide a testimone delle proprie dottrine. L'idea che Platone abbia insistito su questo mctivo é frutto di un ragionamento dettagliatamente esplicitato in R. Schaerer, il quale cosi ricostruisce (p. 30) il ricorso di Socrate all'autorità simonidea in merito al
paradosso οὐδεὶς ἑκὼν xaxóc: «J'affirme?"! que tout mal est involontaire. Simonide défend l'opinion contraire. Mais Simonide n'est pas un ignorant. Il est donc impossible qu'il ait dit ce qu'il a dit. Il faut donc admettre qu'il a dit le contraire. Nous pouvons nous appuyer ainsi sur son témoignage pour affirmer que tout mal est involontaire». In realtà, se sono attribuibili all'argomentazione di Socrate le prime quattro proposizioni, assolutamente estranee le sono le ultime due. In nessun momento Socrate pretende di inferire che Simonide sia asser-
tore del principio οὐδεὶς ἑκὼν xaxóc?"?. Il principio è presentato come una conoscenza già acquisita, a cui Simonide risulta solo confor-
marsi*’*, E in questo si riconosce un atteggiamento tipico di Platone verso i poeti*”*.
270. Per la generale differenziazione dei sofisti dal sistema educativo tradizionale — necessaria anchea giustificare la loro professione di educatori — e per il loro desiderio di colmarne le lacune cf. p. es. NESTLE 6-7 e Cu. P. GUNNING, op. cit., p. 27. Nella descrizione di questo sistema, Protagora, come a volerne sottolineare la componente costrittiva, tra 326al e d7 ripete sei volte il verbo ἀναγκάζω, cf. Cosy 64. Per la differenziazione di Protagora dal comune modo
di approccio alla poesia v. supra, pp. 125-8 e cf. NEsTLE 8; TsIRIMBAs 44; GUNDERT 72.
271. Una debolezza in questo ragionamento è già nel fatto che Socrate non caratterizza come personale il suo paradosso, ma lo fa cosa notaa tutti i σοφοί (345d9-e3). 272. Schaerer aveva giustamente osservato che i vv. 27-B del carme nella costruzione di Socrate non confermano minimamente il principio ma solo, semmai, non lo contraddicono. Era perció costretto ad ascrivere alla pretesa di Socrate di appoggiarsi all'autorità simonidea una «effroyable faute de logique» (p. 31). Ma Socrate non ha, appunto, questa pretesa. 273.
Va poi ricordato (v. $ 2) che, in questo come negli altri casi, Socrate
prova il riconoscimento delle proprie dottrine da parte di Simonide sulla base di ragioni interne al testo. Questa accortezza con cui é condotta l'interpretazione puó anche servire a ridimensionare affermazioni (cf. p. es. SAUPPE 24; VICAIRE 25 e 389) secondo cui Platone avrebbe inteso mostrare che è sufficiente un po° di abilità per far dire a qualunque testo qualunque cosa. 274.
V. supra, p. 154.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
4) Degradare la figura di Simonide*’*. In 345e ss. Platone lancerebbe una frecciata a Simonide ricordando i suoi servili obblighi di poeta di corte. A ben guardare, peró, gli intenti complessivi del passo appaiono di ben diversa portata. Platone infatti non si limita a ricordare che spesso Simonide si trovó costretto a lodare qualche tiranno, ma
associa questa condotta a quella dell’uomo καλὸς κἀγαθός che, per non incorrere in guai peggiori, è costretto a farsi forza e ad elogiare la
patria o i genitori degeneri. Già M. Pohlenz??? riconosceva nella condotta qui descritta quella consigliata c mantenuta sia da Socrate in occasione della sua condanna, sia da Platone di fronte all'avversione della sua città. Ed é probabile che, sulla base di queste esperienze, Platone intenda rispondere al precedente discorso di Ippia (337c7 ss. = 86 C 1 DK). Li il sofista, campionc della φύσις, aveva censurato il vópoc, τύραννος ὧν τῶν ἀνθρώπων (d2). La tirannia del νόμος si estrinsecava per Ippia nei rapporti di parentela c cittadinanza (συγγενεῖς τε xai οἰκείους xai πολίτας, c8) imposti παρὰ τὴν φύσιν di contro alla
naturale parentela tra ciò che è simile. Platone, per il quale φύσις e
νόμος non sono in contrasto?"", gli ricorda che nei confronti dei parenti o della città il comportamento corretto è assoggettarsi al vóuoc. Che questosia l'intento del passo puó essere confermato dal fatto che altrimenti il caposaldo della dottrina di Ippia sarebbe l'unico tra quelli dei
tre sofisti a non trovare risposta nel corso del dialogo??. Assume cosi
275. Per l'infondatezza dell'idea che Platone abbia provato una particolare antipatia per Simonide v. supra, pp. 111-3. Va qui appena accennata l'infondatezza di un altro motivo che avrebbe dovuto far dispiacere a Platone (p. es. secondo REBER 418), il fatto cioé che Simonide si contentasse dell'uomo «medio». Pur senza pensare che in quest'uomo Platone puó aver identificato chi non ha la pretesa di σοφός (v. supra, p. 164), basta ricordare la considerazione in cui anche Platone — come Aristotele — teneva la medietas. Sull'importante funzione ricoperta da μέσουμέτριοι IN confronto a xaxoUnoAAoUnAciatot (che possono ricordare la ἀπείρων γενέθλα di stolti biasimata da Simonide) cf. H. HERTER, Die Menschen der Mitte in Platons [dealstaat (Politeia, Politikos, Nomoi), «Studi in onore di A. Barigazzi», I, Roma 1986, pp. 289-98; sul valore del μέσον anche nella concezione del Bene cf. K. GaisER, Platons ungeschriebene Lehre, Stuttgart 1962, pp. 67-88.
276. Op. cit., pp. 110-2. Pohlenz citava i passi del Critone, 51a, e della VII Lettera, 321b-d. La sua segnalazione non ha avuto ulteriori sviluppi forse perché nel periodo in cui fu formulata risultava inattendibile in quanto l'autorevole opinione di Th. Bergk (Griech. Literaturgesch., Berlin 1887, p. 441), di Ritter (op. cit., pp. 272 e 341) e di Wilamowitz (op. cit., pp. 129 ss.) poneva la composizione del Protagora anteriormente alla morte di Socrate.
277. Cf. D. MANNSPERGER, Physis bei Platon, Berlin 1969, pp. 218-9. In Xen. Mem. 1V, 4, 5 ss. Socrate difende il νόμος proprio contro Ippia: cf. in particolare 4, 20 sulla legge di yovéag τιμᾶν. 278.
I punti fondamentali del u£yac λόγος protagoreo trovano risposta nel
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
77
un diverso aspetto il riferimento alla lode forzosa di un tiranno in Simonide. Del resto, è difficile che anche con il semplice accenno a questa situazione Platone, che sperimentó personalmente quanto diffi-
cile sia il rapporto con i tiranni^??, abbia voluto essere malevolo verso Simonide. La tanto diffusa pratica dei poeti con i tiranni non doveva
poi essere condannabile presso l'opinione comune*®, e infatti in due luoghi del corpus platonico il rapporto di Simonide con un tiranno è presentato sotto una luce altamente positiva: come saggio e meritorio
risultato ad opera di Ipparco il suo rapporto con questo tiranno (Hipparch. 228b)?*! e come esempio del proficuo connubio tra sapienza e potere, analogo nientemeno che a quello tra Prometeo e Zeus, il suo
rapporto con lerone (Ep. II, 310e ss.)???, L'idea di un carattere esclusivamente satirico e distruttivo della discussione sull' Encomio è forse retaggio dell'antica concezione del Protagora. Il dialogo è stato a lungo ritenuto privo di un vero contenuto
positivo?9?, E stato considerato pura commedia?9*, in cui si sbrigliava l’ardore giovanile di Platone?9?, A questo giudizio si accompagnava una datazione prevalentemente molto alta del Protagora?®°, La critica piü recente ha gradualmente ma radicalmente rivisto queste posizioni.
complesso del dialogo; la sinonimica prodicea viene ridimensionata nel corso della stessa interpretazione poetica (v. supra, p. 136).
279. GUNDERT 85 parla infatti di «persônlich-politische Wahlverwandtschaft» di cui Platone degna Simonide.
280.
Era noto il verso σοφοὶ τύραννοι τῶν σοφῶν ξυνουσίᾳ (Soph. fr. 13 N° =
14 Radt). Per l'importante ruolo svolto dai tiranni come patroni di poeti in Grecia cf. B. K. Gorp, op. cit., pp. 18-32. 281. Per gli effetti assai positivi che ebbe sul giudizio anche di Aristotele questo episodio della vita di Ipparco e in genere per la positività con cui si
giudicava l'apertura dei tiranni alla circolazione della cultura, D. MicALELLA, Amore per le Muse e potere tirannico: Ipparco nell'Athenaion Politeia, «Athenaeum» 78 (1990), pp. 77-83.
282. Anche nel ferone di Senofonte il colloquio tra Simonide e il tiranno si svolge sotto una luce assai positiva. 283. Cf. G. GROSSMANN, art. cit., p. 510. Tentavano di dimostrare alla contraria opinione della critica del secolo scorso l'esistenza nel Protagora di un
contenuto positivo e filosofico H. BowiTz, Zur Erklärung des Dialogs Protagoras, in Platonische Studien, cit., pp. 254-69, e H. von KLEISsT, art. cit., pp. 1-32. 284. Lo ricorda G. GROSSMANN, art. cit., p. 510, riferendosi probabilmente a WiLAMOWITZ 179 n. 2 (cf. Platon, cit., p. 138) e a M. PoHLENZ, op. cit., p. 85, che appunto definiscono il Protagora «Komódie».
285. WiLAMOWTrTZ 179 n. 2 parla di Platone «übermütige Jungling, der diese Satire [= il Protagora] schrieb»: in Platon, cit., pp. 137 ss., inquadra il Protagora nel momento del «Jugendübermut» di Platone. Cf., contra, NESTLE 46. 286. V. supra, n. 276. Si faceva del Protagora addirittura il primo dialogo scritto da Platone, come in H. voN ARNIM, Platons Jugenddialoge und die Entste-
78
STUDI DI LETTERATURA GRECA
La maturità e l'importanza dei contenuti del Prota 0ra appaiono ora
definite. Anche la datazione è notevolmente scesa“®, Lo spirito del dialogo non € piü considerato fortemente agonistico; è stato viceversa riscontrato come il rapporto tra Socrate e Protagora sia impostato su
basi molto collaborative???, Si ha perciò l’impressione che il nostro passo sia stato lasciato indietro da questo progresso della critica. Sulla base della nuova visione del Protagora non è piülgossibile considerare la discussione sull' Encomio «humorous "relief"»*"" né ritencre che So-
crate abbia iinterpretato il carme per puro e semplice desiderio competitivo, per battere cioë Protagora con ἰς sue stesse armi, c si sia accon-
tentato di questa parziale, eristica vittoria?99, In effetti, anche riguardo al nostro passo parte della critica ha abbandonato l'idea di una funzione esclusivamente distruttiva, ma nc ha riscontrato contenuti positivi soltanto al di fuori del vcro e proprio momento esegetico, che ha relegato in secondo piano, continuando a
hungszeit des Phaidros, Leipzig-Berlin 1914 (Nachdr. Amsterdam 1967), pp. 345.
287. H. THEsLEFF, Studies in Platonic Chronology, Helsinki 1982, pp. 128-34, ritiene, come altri studiosi che cita, il Protagora posteriore al Gorgia, datandolo intorno al 384, e in Platonic Chronology, «Phronesis» 34 (1989), p. 16 e n. 57, mantiene l'idea di una «relatively late date» del dialogo. Nel contesto del suo processo di revisione dei dialoghi cosiddetti socratici, CH. KAHN, On the Relative Date of the Gorgias and the Protagoras, «OSAPh» 6 (1988), pp. 69-102, dimostra la maturità del Protagora, che fa posteriore al Gorgia. Fa 1l Protagora posteriore al Gorgia, datandolo intorno al 380, anche la nuova analisi stilometrica di
G. R. LEDGER, Re-counting Plato. 1989.
A Computer Analysis of Plato’s Style, Oxford
288.
CaPizzi 352 abbraccia la tesi secondo cui tra i due non c'era l'antagonismo violento di cui si parla, ma una continuità anche ideologica. Secondo M. GAGARIN, art. cit., p. 134, Platone evidenzia «the basic continuity between Protagorean and Socratic thought»: il dialogo presenta «a sympathetic portrait of Protagoras» (p. 163). Identico giudizio in J. E. RAvEN, Plato’s Thought in the Making. A Study of the Development of his Metaphysics, Cambridge 1965, ripetuto verbatim iın MILLER l. Anche per W. K. C. GUTHRIE, À History... cit., IV, p. 233, non si ravvisa affatto nel dialogo ostilità contro Protagora.
289. Drefinizione di A. E. TAYLOR 251: cf. anche W. K. C. GUTHRIE, A History... cit., IV, p. 227 («splendid entertainment»). Sulla pericolosità in sé di giudicare in tal modo qualsiasi parte di un'opera drammatica cf. CLAPP 486; sull'inverosimiglianza di un troppo lungo «entertainment», MILLER 164.
290. Ciósarebbe avvenuto se l'interpretazione di Socrate fosse stata condotta con mezzi sofistici, validi soltanto per Protagora. Una vittoria ad hominem che avrebbe lasciato insoluti i problemi del carme. V. supra, p. 158. L'idea che
Socrate si fosse comportato da sofista non mancava, in effetti, di creare imbarazzo, p. es. in G. GROTE, Plato, and the Other Companions of Sokrates, 1I, London 1865, p. 56, e a H. Gauss, op. cit., p. 173. Cf. CH. H. KaHn, Plato and Socrates in the Protagoras, «Methexis» 1 (1988), p. 43.
ESEGESI LETTERARIA IN PLATONE
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considerarlo come parodico. Un rapido esame di queste posizioni mirerà a far vedere come sia inadeguato assegnare al passo una principale funzione positiva che non sia quella puramente afferente al campo esegetico. J. G. Clapp vede nell’esegesi di Socrate una funzione in chiave
«politica»??!. Li Socrate attaccherebbe i concetti democratici ed egualitari di Protagora mostrandogli la supremazia dell'esperto e il rischio di rovesci a cui solo l'esperto, di contro alla riparata massa dei profani, si espone. Ma, a parte una certa difficoltà nel cogliere questa come le numerose altre implicazioni tratte da Clapp (pp. 496-7), é chiaro, in ogni caso, che una simile spiegazione potrebbe dar ragione di una parte soltanto dell'esegesi di Socrate. Contro la spiegazione di Clapp nel suo complesso esiste poi una difficoltà di fondo: Protagora non é
affatto presentato nel dialogo come democratico o egualitarista??? Per C. L. Miller il passo, dal momento che non conduce ad alcun progresso riguardo al problema della virtü (p. 165), sarebbe in tema con il carattere aporetico che domina il dialogo e che impegna Protagora e Socrate nella ricerca di un μέτρον comune (pp. 1-13 e 211-7). Se ció è valido in generale, poco probabili appaiono perd specifici riferimenti tra Socrate e Protagora rintracciati in alcuni passggi dell'inter-
pretazione a scapito della loro funzione principalmente esegetica. Miller sostiene, per esempio (pp. 158-9), che, nel parlare riguardo a Simonide di lode di un tiranno, cioé di un uomo malvagio, per ragioni
economiche???, Socrate ammetterebbe un male commesso volontariamente, contraddicendo la sua dottrina precedentemente affermata; farebbe ció per alludere alla pratica sofistica di insegnare per denaro, pratica che «stands as a superb counterexample to Socrates' notion that all baseness is done involuntarily». Ma Socrate configura la lode di un tiranno come azione involontaria (346b7; e3-4) e, del resto, non la presenta come un male, ma la cquipara all'agire dell'uomo buono (345e6; 346b1-2). Né la pratica di insegnare a pagamento contraddice la dottrina socratica poiché, almeno per coloro che la seguono, risulta
un bene??*, Per L. Goldberg il passo è organico al dialogo e necessario per una
291.
Questa tesi è interamente abbracciata da GEORGOULIS 223-8.
292.
Il disprezzo di Protagora per i πολλοί appare da passi come 317a4-6
(«dies spricht sehr gegen das Versuch, aus Protagoras ein Theoretiker der
Demokratie zu machen», NEsTLE 86), 333c1-3, 352e3-4. H. D. VoiGTLANDER, op. cit., p. 213, conclude che nel dialogo «scharf distanziert sich von den Vielen
ausdrücklich nur Protagoras». Cf. pure GoLDBERG 167; Coey 195 n. 1.
293. Sebbene Platone non faccia mai cenno a questo genere di ragioni alla base della lode dei tiranni in Simonide.
294.
Cf. p. es. 328a8-b5. In nessun punto del dialogo, poi, Platone critica
questa pratica: cf. M. GAGARIN, art. cit., p. 138.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
sua completa comprensione (p. 156). Socrate vi sviluppa il problema relativo alla maniera di discorrere, superando quella protagorea in nome della brachilogia e dell'accordo tra i partecipanti: ció sarebbe realizzato attraverso l'elogio dei Lacedemoni e della comunità dei Savi. Nell'esegesi del carme, poi, Socrate intenderebbe principalmente colpire Protagora dietro le spoglie di Simonide, sia pure «by occasional inference rather than simply by transforming Simonides into a
surrogate Protagoras» (p. 177). Nel dimostrare quest'ultimo punto, peró, anche Goldberg svaluta inaccettabilmente la componente esege-
tica del passo??? per rinvenire improbabili puntate a Protagora. Per esempio, non riuscendo a spiegarsi altrimenti la citazione dei versi esiodeiin 340d ss., sostiene che essa «points to Protagoras' confusion rcgardmg the hard and the easy» (p. 163). La citazione da Esiodo assolveinvece a una precisa funzione esegetica P. Coby, prendendo le mosse da Goldberg, dichiara (p. 197 n. 23) di voler andare ben oltre l’ipotesi che le allusioni a Protagora attraverso Simonide avvengano solo «by “occasional inference"». Sostiene infatti che scopo dell’interpretazione dell’Encomio è «to address Protagoras privately» (p. 111): l’interpretazione sarebbe «a private communication» (p. 114) in cui Simonide funziona di fatto come «a surrogate» (p. 126) per Protagora. Tra le righe di questa missiva Socrate indicherebbe a Protagora la pericolosità di aprire al pubblico il suo insegnamento, cosa che lo avrebbe poi trascinato a una triste fine. Questa spiegazione, peró, presuppone l'esistenza di un avvenimento - il bando di Protagora da Atene a seguito del suo scritto /Tepi θεῶν e la morte incontrataa per mare durante la fugain Sicilia - molto probabilmente
inventato??? e di cui Platone, in ogni caso, non era a conoscenza??,
295. «What is at stake here is apparently only the proper hermeneutic approach to poetry» (p. 156); «the principal subject here is not the poem of Simonides» (p. 168). 296. V. supra, pp. 115 e 130. Una eccessiva enfatizzazione dell'antagonismo tra Socrate e Protagora rimprovera in generale a Goldberg FREDE 753 n. 54. 297. Per ragioni anzitutto cronologiche: il Περὶ θεῶν è il primo scritto letto da Protagora ad Atene, anteriormente alla pubblicazione di altri scritti e alla seconda visita del sofista nella città: cf. GicoN 121. Per una smentita dell'aneddoto cf. pure J. BURNET, Greek Philosophy, l, London 1914, pp. 111-2; A. E. TAvLoR 236 n. 1; K. von FRITZ, Protagoras, «RE» XXIII (1957), coll. 910-1; R. S. Bruck, op. cit., pp. 358-9; W. K. C. GUTHRIE, A History... cit., IIT, p. 263 n. 2; C. C. W. TavLon 70.
298. Men. 9le: Protagora non subi accuse e godette di buona fama per tutta la sua vita ed anche dopo morto. Anche nell’Apologia, nota J. BURNET, op. cit., p. 112, Platone mostra di non essere a conoscenza di una condanna a Protagora. Lo stesso Coby deve notare (p. 133) che in 357e Socrate tenta di avvicinare il pià possibile Protagora ai πολλοί, contraddicendo quanto gli avrebbe consigliato attraverso l'esegesi dell' Encomio.
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Per motivare la sua spiegazione del passo, poi, anche Coby spoglia i procedimenti dell'interpretazione della loro funzione esegetica, ritenendo (p. 114) che tutto ció che appare arbitrario e insensato nell’analisi del carme è intellegibile se indirizzato a Protagora. Tra le più complicate e improbabili allusioni a Protagora è la seguente. Socrate, rivendicando a Simonide, con il consenso di Protagora, la conoscenza del principio, noto ai sapienti, che virtù è scienza, metterebbe insieme poeta e sofista in stridente contrasto con l'opinione comune ad essi fatta abbracciare in 340e secondo la quale il possesso della virtù è cosa difficile: se virtù è scienza, virtù dunque è cosa facile (p. lOl) Ma
quanto è vera e platonica la premessa di questa frase, tanto é immoti-
vata la conclusione?9?, Sono altrettanto improbabili le allusioni a Protagora nel ragionamenti su ἀλαθέως’οο e sul biasimo di Simonide a
Pittaco?? Quanto poi alla generica identificazione tra Simonide e Protagora se è vero che parecchi elementi possono accomunare i due, il poeta appare peró di fatto introdotto, con la sua critica filosofica 4118
sentenza di Pittaco, nei panni stessi di Socrate??, Vale forse la pena di discutere,in conclusione, alcune singolari opinioni.
O. Gigon si interroga solo sulle dottrine filosofiche contenute nell'esegesi di Socrate, per giungere alla conclusione che «die von Sokrates dem Simonides unterstellten Gedanken selbständig sind und mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit dem Aristipp zugeschrieben werden kónnen» (p. 147). Gigon ricondurrebbe ad Aristippo alcuni concetti a 500 giudizio «unplatonisch» e cioë: 1. L'idea che non vi sia differenza tra ἀληθές e φαινόμενον. Ma v. supra, pp. 132-3. 2. L'idea che è impossibile permanere nello stato di ἀγαθός. Per il carattere invece genuinamente platonico di questa idea v. supra, pp. 163-5. 3. La parallela idea che neanche il κακός possa rimanere perennemente tale. Ma, m realtà,
questa possibilitàé ben prospettata nell'esegesi di Socrate?? D. Babut sostiene (pp. 30-1) che Platone «avait tout fait pour sug-
299. Platone, per esempio, si rifà spesso al motto solonico χαλεπὰ tà xaAá: Hipp. mai. 304e; Resp. 435c e 497d; Crat. 384a-b. Che Platone condivida l'idea della difficoltà della virtù è affermato da H. Gauss, op. cit., p. 169, e da BABuT 38.
300.
Coby vi vede una allusione alla
̓Αλήθεια: ma v. supra, pp. 132-3.
301. Coby sostiene (p. 125) che chi ammette l'assoluta involontarietà del male non può permettersi di biasimare: la contraddizione alluderebbe alla sfrenata ambizione di Simonide/Protagora. Ma il biasimo pud essere rivolto non all'involontaria cattiva azione in sé, bensi al colpevole difetto di conoscenza che la ha determinata. 302.
V. supra, pp. 162-4. Cf. anche GUNDERT 86.
303.
V. supra, n. 51. Gigon considera non platonica anche la forma in cui
viene esposto il paradosso οὐδεὶς ἑκὼν κακός: ma v. supra, n. 103.
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gérer au lecteur que les exégéses avancées successivement par Protagoras εἰ Socrate étaient erronées l’une εἰ l'autre». Questa affermazione si basa peró sull'infondata presupposizione di alcune contraddizioni con cui Platone avrebbe contaminato la sua interpretazionc dell' Encomio: 1. La distinzione tra γενέσθαι ed εἶναι, abbandonata in 340e, sarebbe poi surrettiziamente ripresa, diventando la pietra angolare dell'interpretazione di Socrate. Ma in 340e è stata rifiutata non la differenza in sé tra γενέσθαι ed εἶναι, bensi solamente la facilità dell’elvar ἀγαθόν. 2. Il commento di Socrate a tàv ἡλιθίων ἀπείρων γενέθλα sarebbe «une parenthése parfaitement oiseuse, qui interrompt d'une maniére incompréhensible la continuité d'unc citation» c sarebbe contraddittorio con l’oùx εἰμὶ φιλόμωμος. Ma Socrate sta commentando, non recitando, ed è perció comprensibile che — come del resto
ha usato anche in precedenza (345d1- 2) - intercali parafrasi chiarificanti, tanto piü in occasione di una γνώμῃ di non immcediata connes-
sione con il contesto??*, L'affermazione di non amare il biasimoè poi secondo Socrate espressa da Simonide soltanto in riferimento all'uomo medio (346d3; e4-347a1): gli stolti possono essere biasimati senza che il poeta contraddica sé stesso. 3. L'erronea costruzione di ἑκών contraddirebbe il contesto non tenendo conto della successiva frasc del carme. Ma v. sufra, p. 122. Tesi di D. Frede è che nel Protagora «the retcrences to the Symposium as well as the passages containing the "serious cxegesis" (343c6-347c) are later additions and originate from the timc of the Symposium»(p. 748). Gli elementi di contatto del Protagora con il Simposio sono costituiti dalla presenza di molti personaggi comuni, dal passo 347d3-cl che è esattamente la descrizione del Simposio c, ncell'csegesi dcll' Encomio, dalle argomentazioni sull'impossibilità di raggiungere la perfetta sapienza e sull'accettabilità della condizione media. Tutti questi elementi sarebbero stati aggiunti al «Proto-Protagoras» allo scopo di accentuarne il carattere aporetico rinviando alla dottrina del Simposio secondo cui la virtü non è stabile possesso. Certamente questi clementi di contatto tra il Protagora e il Simposio evidenziati dalla Frede possono contnbulre ad avvicinare il periodo di composizione dei due
dlaloghl , ma non possono far supporre una serie di aggiunte posteriori al Prolagom Sei personaggl del Simposio fossero stati aggiunti a quclh del Protagora solo in un secondo momento, il pubblico di quest'ultimo sarebbe stato inizialmente assai povero, a meno chei nuovi personaggi non avessero sostituito altri di pari rango. I! pubblico del Protagora e del Simposio, la fine fleur del mondo ateniese al tramonto e al
304. Sull'esatto significato della γνώμη si discute. Vanno nel senso della spiegazione di Socrate quelle di A. PERROTTA - B. GENTILI, op. cit., p. 25, di Cosv 125 e di SCHÜTRUMPF 21 n. 58.
305.
Cf. CH. KAHN, On the Relative Date... cit., pp. 98-9.
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crepuscolo del secolo di Pericle, è poi abbastanza convenzionale*° da non far supporre un preciso riferimento tra i due dialoghi. E convenzionale — non necessariamente un riferimento al Simfosio — è anche la
descrizione di 347d3-e1*°’. Quanto poi agli elementi di contatto con il Simposio presenti nell'interpretazione dell'Encomio, appare difficile credere che questi, cosi funzionali all'esegesi come sono, abbiano trovato in essa un posticcio fortunato inserimento.
ADDENDUM
Da un cordiale c fruttuoso colloquio pisano del febbraio 1991 con il prof. Glenn W. Most dell'Università di Heidelberg, che si è interessato anch'egli del passo esegetico del Protagora, sono emerse confortevoli convergenze d'opinione. Dietro richiesta del prof. Michael Erler, copia delle bozze del presente lavoro é stata da me inviata al dr. Erich
Kunkel dell'Università di Würzburg, il quale con lettera del 13 gennaio 1992 mi informa di aver riscontrato notevoli affinità con la sua inedita Zulassungsarbeit zum Staatsexamen dal titolo «Die Simonides-Interpretation in Platons Protagoras». — Non mi è stato accessibile il lavoro di R. ScopgL, Literary Interpretation in Plato’s Protagoras, «AncPhil» 6 (1986), pp. 25-37.
306.
E il pubblico anche dei Κόλακες di Eupoli. Cf. J. DALFEN, art. cit., p. 46.
307.
"V. supra, n. 194.
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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE Il presente elenco contiene le opere di quegli autori ai quali nel corso del testo o delle note si è fatto riferimento con il solo nome eventualmente seguito dal numero della pagina. Nel caso che di un'opera sia indicata un'edizione italiana, i riferimenti sono fatti sulla base di questa.
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L’ODISSEO DI PLATONE UNO ZHTHMA OMERICO NELL'IPPIA MINORE
Σὰ βγεῖς otóv πηγαιμὸ γιὰ τὴν ̓Ιθάκχη,
và εὔχεσαι vávat μακρὺς 6 δρόμος, [γεμ]ἀτος περιπέτειες, γεμάτος γνώσεις.
"ἑ'τσι. σοφὸς ποὺ ἔγινες, μὲ τόση πεῖρα, Hön θὰ τὸ κατάλαβες À ̓Ιθάκες t( σημαίνουν. (K. IM. Καβαφη Ἰθάχη 1-3, 35-6)
I
L'Ippia minore è da questo secolo al centro di una profonda revisione critica. Il dialogo sostiene due tesi principali, tra loro interrelate: che l'é&An8fic e lo ψευδής sono una medesima persona; ε, introdotta la discriminante della volontà, che chi mente e, in genere, chi commette il male volontariamente é migliore di chi fa ció involontariamente. L'evidente paradossalità di queste tesi ha dato luogo a valutazioni molto riduttive circa il significato e i fini del dialogo. Se l'esplicita sua citazione in Aristotele ha frenato, seppur non com-
pletamente distolto, dall’ipotesi di considerarlo spurio!, la spiegazione comune era che Platone nel presentare quelle paradossali tesi si fosse limitato al piano dell'argomentazione sofistica e che di conseguenza il dialogo non avesse altro scopo che quello di colpire,
nella persona di Ippia, la capziosità dei sofisti?. E questa l'opinione, ancora nei primi decenni del secolo, del Wilamowitz, per il
l. La circostanza non indifferente che 6 &v t@ Ἱππίᾳ λόγος abbia meritato la dettagliata discussione di Metaph. IV 29.1025a6-13, non impedi di sollevare dubbi sull'autenticità del dialogo a studiosi come l'Ast (Platons Leben und Schrifien, Leipzig 1816, p. 464), lo Schleiermacher (Platons Werke, 1.2, Berlin 1817?, pp. 293-6) e lo Zeller (Platonische Studien, Tübingen 1839 [Neudr. Amsterdam 1969], pp. 155-6), nonché, ancora in questo secolo, a D. TARRANT, The Hippias Major Attributed to Plato, Cambridge 1928 (repr. New York 1976), pp. 31-2, e a A. K. Roozns, The Socratic Problem, New Haven (Yale)-London 1933, Appendix B.
2. Dànno il punto della diffusione di questo giudizio F. SusEuiHL, Die genetische Entwickelung der platonischen Philosophie, 1, Leipzig 1855 (Neudr. Osnabrück 1967), pp. 13-4, e G. GROTE, Plato, and the Other Companions of Sokrates, 1, London 1865, p. 394 e nt.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
quale nell'/ppia minore Platone lascia Socrate «Behauptungen vertreten, mit denen es ihm unmôglich Ernst sein konnte, deren schwache Stellen dem Platon unmóglich entgingen», e bisogna contentarsi di riguardare l'opera «als Satire, in den Hippias getrof-
fen werden soll»”. Una prima svolta si registra con P. Friedländer. Egli pure continua a ravvisare nell'argomentazione in sé dell'/ppia minore un intento esclusivamente negativo, quello di ingannare il sofista, ma denota nel dialogo un senso positivo, costituito dal «buon fine» cui é teso l'inganno socratico e, parallelamente, dagli accenni alle dottrine di altri dialoghi cui si rimanda per la soluzio-
ne dei paradossi sostenuti*. Ë su questa scia che si inserisce una progressiva rivalutazione dell’/ppia minore. In Italia, G. Calogero e A. Traglia, nelle introduzioni ai loro rispettivi commenti, elaborano un'interpretazione del dialogo che ne mette pienamente in luce
importanti e seri elementi di genuina dottrina platonica?. Per R. G. Hoerber, le confuse argomentazioni dell'/ppia minore non devono inquietare: Platone «was challenging his readers to work out a solution», fornendo indizi per mezzo della sua «dramatic
technique»“. Con gli studi di J. J. Mulhern, di G. Müller e di R. Weiss, la rivalutazione del dialogo compie passi decisivi, attraver-
3. Cfr. U. voN WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Platon, 1: Leben und Werke, Berlin 1919, pp. 133-7, 5. Aufl. bearb. und mit einem Nachw. versehen von B. SNELL, Berlin 1959, pp. 100-4 (le citazioni sono dalla p. 137=104). Wilamowitz, nell'impostazione biografistica della sua opera, colloca l'/ppia minore nel periodo dello «Jugendübermut» di Platone. Si puó confrontare come la sua valutazione del dialogo sia ancora in tutto analoga, compresa la definizione di «Satire», a quella dello Zeller, pp. 153-5 della succitata opera. Giudizio riduttivo sull'/ppia minore, susseguente all'evidenziazione delle pecche argomentative, era ancora quello di M. POHLENZ, Aus Platos Werdezeit, Berlin 1913, pp. 57-72 (cfr. p. 66: «darüber, dafi der Hippias ein παίγνιον ist, in dem Platon bewufit Fehlschlüsse anwendet, um zu cinem absurden Ergebnis zu gelangen, kann also kein Zweifel sein»). 4. Cfr. P. FRIEDLANDER, Platon, I1: Die platonischen Schriften, Berlin-Leipzig 1930, pp. 137-46, 3. verbess. Aufl. Berlin 1964, pp. 125-34. 5. Cfr. G. CALOGERO, Introduzione all’Ippia minore, Firenze 1938, ora in Scritti minori di filo:gfia antica, Napoli 1984, pp. 284-92; A. TRAGLiA, Platone, Ippia minore, Torino 1972°, (rist. 1985; 1* ed. Roma 1949), pp. V-XXIV. 6. Cfr. R. G. Hoznszn, Plato's Lesser Hippias, «Phronesis» 7 (1962), pp. 121-31 (la citazione € da p. 128). Il lavoro di Hoerber costituisce un'importante tappa nell'interpretazione delle "fallacie" dell'/ppia minore, sebbene per la loro soluzione si faccia troppo ricorso, secondo una tendenza tipica della scuola platonica americana di influsso straussiano, alla «dramatic technique» (p. 131: cfr. pp. 128 e 130) dei dialoghi. Le "fallacie" saranno meglio spiegate, fino ad essere riconosciute inesistenti, dalla critica successiva: v. infra, nt. 7.
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so la definizione dei suoi contenuti positivi e filosofici, a partire dalle stesse argomentazioni, in seno alle quali è stata fatta giustizia
della presunta esistenza di fallacie e sofismi’. Questo processo di rivalutazione raggiunge il suo apice nei recenti saggi di M. Erler e di J. Jantzen, dai quali l’Ippia minore emerge nelle sue qualità di opera compiuta e matura, degna di essere considerata alla pari
della “seria” produzione platonica?. Una componente dell'/ppia minore è peró rimasta tagliata fuori da questa rivalutazione generale del dialogo: si tratta della discussione letteraria sui personaggi omerici. Su questo motivo del dialogo pesa tuttora lo stesso giudizio riduttivo che ha caratterizzato in passato l'intera opera: si tratterebbe di una discussione senza valore reale agli occhi di Platone e il cui unico fine sarebbe quello distruttivo, di lanciare cioé, con i mezzi dell'ironia e della contraffazione parodica dei metodi sofistici, una tagliente critica contro i
poeti e i loro interpreti, sofisti o altri?. Scopo del presente lavoro é recuperare il valore di tale discussio-
7. J. J. MuLHERN, Τρόπος and πολυτροπία in Plato's Hippias Minor, «Phoenix» 22 (1968), pp. 283-8, rileva che la credibilità degli apparenti paradossi si fonda sulla necessaria distinzione tra «ÓUvvajuc-concepts» e «xoónoc-concepts»; G. MÜLLER, Platonische Freiwilligkeit im Dialoge Hippias Elatton, «WJA» n. F. 5 (1979), pp. 6179, dimostra, di contro alla vecchia critica impersonata soprattutto nel Wilamowitz, che «die SchluBthese des Hippias Elatton platonische Wahrheit ausspricht» (p. 61), per via dei continui accenni del dialogo al basilare concetto platonico dell'intellettualismo etico; R. Wzıss, 'O 'Ayadés As 'O Avvatés in the Hippias Minor, «CQ» n. s. 31 (1981), pp. 287-304, si propone «so to construe the arguments of the Hippias Minor as to remove the justification for regarding it as unworthy of Plato either because of its alleged fallaciousness and Sophistic mode of argument or because of its alleged immorality» (p. 287), e giunge allo scopo chiarendo che ὁ ἀγαθός nel dialogo non traduce il concetto ordinario di «the just man» ma quello di «the man skilled at justice» (p. 304).
8.
Cfr. M. ERLER, Der Sinn der Aporien in den Dialogen Platons. Übungsstücke zur
Anleitung im Philosophischen Denken, Berlin-New York 1987, pp. 121-44 (tr. it. Milano 1991, pp. 211-45), con la conclusione che l'argomentazione di Socrate «nicht nur dem Wortlaut nach korrekt ist, sondern auch inhaltlich platonischer Lehre
entspricht» (p. 144); J. JaANTzEN, Platon, Hippias minor oder Der Falsche Wahre. Über den Ursprung der moralischen Bedeutung von "gut", Weinheim 1989, passim (cfr. p. 112: le conclusioni di Socrate non rappresentano alcuna «beabsichtige Fehlargumentation» e il dialogo «ist kein blofies Spiel, und er verdankt sich auch nicht einer Unaufgeklärtheit über logisches Argumentieren». «BloBes Spiel» era definizione p. es. di M. PoHLENZ, op. cit., p. 65). 9. Cfr. il perdurare di questo giudizio nei citati studi di P. FRIEDLANDER, pp. 125-6 e 127; G. CALOGERO, pp. 285, 289 s. e 290; A. TRAGLiA, pp. XVIII-XIX, XXII-XXIV e 27-8; M. ERLER, p. 122 nt. 11 e p. 126.
90
STUDI DI LETTERATURA GRECA
ne letteraria e portare cosi un contributo, con l’aggiunta del tassello mancante, alla generale rivalutazione dell'/ppia minore. Ma, in
assoluto, il lavoro si prefigge di recuperare un momento di “letterarietà" nella filosofia platonica: in altre parole, di evidenziare come la discussione sui personaggi omerici nell’Zppia minore sia non soltanto parte integrante e funzionale del dialogo, ma si riveli anche inserita in un ricco contesto della riflessione letteraria greca, cui Platone stesso prende parte, in maniera certamente a lui peculiare, ma non arroccato su posizioni di intransigente quanto ironica polemica, come lo si suole vedere ogniqualvolta approfondisca questioni inerenti al significato di testi poetici. Sarà anzitutto necessario esaminare lo svolgimento della discussione omerica e la sua connessione con le problematiche affrontate nel dialogo.
II
Ippia ha appena terminato una ἐπίδειξις su Omero e su altri poeti (363a1-2, bl, c2-3). Eudico invita Socrate a manifestare un apprezzamento. Socrate, piuttosto, vorrebbe conoscere il parere di Ippia riguardo a un giudizio letterario che ha udito dal padre di Eudico, Apemanto, secondo il quale l'/liade sarebbe poema omerico piü bello dell'Odissea, e di tanto piü bello, di quanto Achille è migliore di Odisseo: dei due poemi infatti, diceva, l'uno é composto in funzione di Achille, l'altro di Odisseo. Socrate, dunque, chiede al competente Ippia chi gli sembra migliore tra questi due uomini (363a1-c3). Dopo alcune schermaglie, formula più dettagliatamente la domanda, chiedendo ad Ippia chi tra i due eroi, secondo lui, è migliore, e rispetto a che cosa (364b4-5); come li distingueva nella sua conferenza (c1-2). La risposta di Ippia è netta. Omero ha rappresentato come ἄριστος tra gli eroi giunti a Troia Achille, come σοφώτατος Nestore, come πολυτροπώτατος Odisseo (c4-7). A Socrate, peró, non è perfettamente chiaro il senso di quest'ultima valutazione. Tenta di chiarirlo domandando ad Ippia se Achille sia stato rappresentato come πολύτροπος (d7-e6), ed ottiene una secca smentita: Achille, al contrario, è stato fatto ἁπλούστατος xai ἀληθέστατος (e7-8). Ip-
pla cita un passo delle Λιταί (/l. IX 308-14, con omissione di
311)!? in cui Achille dichiara di voler esprimere in tutta franchezza
10.
]. LABAnnz, L’Homère de Platon, Lièges-Paris 1949, pp. 50-3, ritiene che Pla-
L'ODISSEO DI PLATONE
91
ció che intende fare, poiché detesta come le porte dell'Ade chi altro tenga nascosto nel petto e altro vada dicendo. Secondo Ippia, queste parole, essendo indirizzate proprio a Odisseo, provano inequi-
vocabilmente l'opposta natura dei due personaggi omerici: ἀληθής te καὶ ἁπλοῦς Achille, πολύτροπος te xai ψευδής Odisseo (e8-
365b6). Socrate puntualizza due risultati: per Ippia, l. πολύτροπος equivale a ψευδής (b8); 2.
̓ ̓ἀληθής e lo ψευδής non sono una
medesima persona (c3-7). Lasciato da parte l'assente Omero, di cui Ippia, dal momento che condivide il parere che gli ha assegnato, puó assumersi la causa, Socrate passa a investigare, insieme al suo interlocutore, la vera natura dell'uomo πολύτροπος alias ψευδής (cB-d4). Costui viene
progressivamente
designato
come
δυνατός,
φρόνιμος,
ἐπιστήμων e σοφός (d6-366a4). L'identificazione con l'érya8óg è un passaggio scontato. Cosi, in termini superlativi, Ippia, δυνατώτατος e σοφώτατος in calcolo, è anche ἄριστος in quest'arte (d2-
5) ed è il più capace di dire tanto il vero quanto il falso al riguardo (d6-367a5). Risulta insomma che, nel calcolo come nell'aritmetica, é una medesima persona la piü atta sia a mentire sia a dire il vero: [ ̓ἀγαθός in materia, il λογιστικός (a6-d2). La stessa situazione si dà per la geometria, in cui il più capace di mentire e di dire il vero € la stessa persona, 6 ἀγαθὸς xai ooqóc γεωμέτρης (d6-e7), per l'astronomia (e8-368a7) e per tutte le altre scienze e tecniche (a8369a3).
A questo punto, Socrate fa ritorno alla valutazione dei personaggi omerici, per applicarvi le conseguenze scaturite dal Aôyos (369a5). L'interpretazione di Ippia, che opponeva l'Achille omerico quale uomo ἄριστος e ἀληθέστατος all'Odisseo ψευδής, 51 dimostra inesatta. Dal momento che ψευδής e ἀληθής si sono rivelati per la medesima persona, Odisseo, se era ψευδής, risulta anche ἀληθής, e Achille, se era ἀληθής, risulta anche ψευδής (b3-7). Ippia, che, sia pur con qualche riserva, aveva accettato i risultati del λόγος (a3), rifugge tuttavia da questa conclusione: sulla scorta di molte prove, saprebbe fornire adeguata dimostrazione che Omero
tone non fosse a conoscenza del verso omesso, poiché fa il discorso rivolto ad Odisseo, mentre nel verso Aiace si rivolge agli ambasciatori al plurale. Ma la precisa apostrofe di v. 308 non lascia dubbi sul fatto che il discorso potesse intendersi complessivamente indirizzato ad Odisseo. Ferme restando le ragioni meccaniche (saut du même au même) segnalate da Labarbe per spiegare la caduta del verso, essa può essersi determinata nella tradizione platonica e non necessariamente in quella omerica disponibile a Platone.
92
STUDI DI LETTERATURA GRECA
ha fatto Achille migliore di Odisseo e sincero, Odisseo invece subdolo, in molte occasioni mentitore, peggiore di Achille insomma (b8-c8). Socrate non mette in dubbio la maggiore sapienza di Ippia (d12). Senonché, riflettendo sugli stessi versi da cui Ippia faceva notare come Achille parlasse ad Odisseo ritenendolo un ipocrita, si è accorto che le valutazioni del sofista non possono essere esatte, poiché nel passo in questione Odisseo, il πολύτροπος, non risulta
in nessun momento mentire!!, ma chi risulta πολύτροπος è Achille: per lo meno, mente (e2-370a2). Socrate ripete (a3-5), delle parole di Achille a Odisseo già citate da Ippia, quelle (//. IX 312-3) che a tinte più forti connotavano l’eroe come nemico della mendacia. Quindi, riporta (b1-c3) le parole con cui Achille poco dopo dà corpo alla sua roboante professione di sincerità (//. IX 357-63): l'eroe dichiara recisamente ad Odisseo che all'indomani, eseguiti i preparativi di rito, trarrà in mare le navi e di buon mattino farà rotta alla volta dell'Ellesponto da dove, se l'Ennosigeo vorrà concedere una navigazione propizia, di li a tre giorni raggiungerà la fertile Ftia. E, citando a confronto (c4-d1) un precedente passo (/l. I 169-71), Socrate non manca di richiamare al fatto che Achille aveva già espresso ad Agamennone, nelle stesse forme risolute, il proposito di far ritorno nella patria Ftia insieme alla sua flotta. Ebbene, in nessun momento, osserva Socrate, Achille dà segno di voler mettere in atto quanto affermato nelle dichiarazioni rese una
volta di fronte all'esercito intero, un'altra al cospetto dei propri compagni, ma mostra un altezzoso disprezzo della verità (d2-6). Socrate conferma perció i suoi dubbi iniziali su chi tra Achille e Odisseo fosse stato rappresentato come migliore: riteneva che fossero entrambi ἀρίστω, e che fosse difficile decidere chi tra i due 518 migliore relativamente alla mendacia e alla sincerità come alle restanti virtù, dal momento che entrambi, rispetto a ció, sono press'a poco su uno stesso piano (d6-e4). Ippia rifiuta tali considerazioni, introducendo una decisiva distinzione tra il mentire dei due personaggi, costituita dalla presenza o meno dell'intenzionalità. Achille mente non &E ἐπιβουλῆς ma ἄκων, costretto, ἀναγκασθείς, a trattenersi a Troia dalla rovina
11. Limitatamente alla scena delle Λιταί è da intendersi l’’Obvooevs οὐδαμοῦ φαίνεται ψευσάμενος, e non certo nel senso che Odisseo non mente «nulle part chez Homére», come traduce M. CROISET nella Coll. Budé (Platon, Œuvres completes, t. I, Paris 1920 [12° tirage 1985], p. 35).
L'ODISSEO DI PLATONE
93
dell'esercito; Odisseo, invece, mente ἑκών τε xai £E ἐπιβουλῆς (e59). Ancora una volta, peró, al vaglio di Socrate, il testo omerico sembra smentire la convenzionale interpretazione di Ippia. Non è possibile, osserva Socrate, che non menta ἐξ ἐπιβουλῆς Achille, lui che figura, al contrario, rappresentato cosi yóng xai ἐπίβουλος πρὸς τῇ ἀλαζονείᾳ, da voler ingannare lo stesso Odisseo, contraddicendosi in presenza di lui, e riuscendo nel suo intento, poiché l'itacese
non dà alcun segno di essersi accorto della menzogna (371a2-b1). Achille, di fatto, dopo aver dichiarato ad Odisseo che sarebbe salpato sul far dell'alba, poco dopo, rivolto ad Aiace, non dice piü di voler partire, ma tiene tutt'altro discorso (b3-5). Socrate riporta a prova i versi (/l. IX 650-5) in cui Achille afferma che riprenderà a combattere allorché Ettore, dopo aver fatto strage di Argivi, si sarà appressato all'accampamento dei Mirmidoni per appiccare fuoco alle navi: allora saprà fermarne l'impeto (b6-c5). Come si puó credere, domanda Socrate, che il figlio di Teti, educato dal sapientissimo Chirone, fosse cosi smemorato che, immediatamente dopo aver scagliato contro gli ipocriti l'estremo oltraggio, dichiara ad
Odisseo di voler salpare e ad Aiace di voler restare? Bisogna proprio pensare che facesse ció ἐπιβουλεύοντα e ritenendo Odisseo un rimbambito, inferiore a lui nell'arte del mentire (c6-d7). Ippia obietta prendendo nuovamente le difese di Achille. Se Achille dice ad Aiace cose diverse che ad Odisseo, lo fa ὑπὸ
εὐηθείας ἀναπεισθείς 2, ̓ persuaso, per la sua indole bonaria, a mutar di parere, mentre Odisseo mente sempre dietro calcolata deliberazione, ἐπιβουλεύσας (d8-e3). In tal caso, ribatte Socrate, rifacendosi a un punto già toccato dal Aóyoc (cfr. 367a ss.), Odisseo risulta migliore di Achille (371e4-8).
La parte finale del dialogo verte tutta su una piü circostanziata esposizione della tesi generale alla base di quest'ultima valutazione, la preferibilità di chi commette il male volontariamente rispetto a chi lo fa involontariamente. Omero e i suoi personaggi vengo-
no messi definitivamente da parte. É giunto cosi il momento di interrogarsi circa il senso del richiamo alla poesia omerica nell'7ppia minore. À prima vista, verrebbe fatto di pensare che Platone, sottolineando la contraddittorietà del comportamento di Achille, intenda irridere ad Omero, incapace di dare un assetto coerente ai
12.
Per la lezione εὐηθείας, in cui εἰ distacchiamo dal testo del Burnet, nel resto
seguito, v. infra, Nota al testo (p. 55).
94
STUDI DI LETTERATURA GRECA
suoi personaggi, e, di conseguenza, polemizzi contro la facilità di certe interpretazioni che ricavavano caratteri fissi ed esemplari dai personaggi della poesia. Ma, a ben guardare, questi motivi non sussistono. Non solo Omero è, con discreto fair-play, messo fuori causa, godendo dei diritti dell'assente per non poter chiarire i suoi intendimenti nella composizione dei versi (365c8-d1), ma anche Ippia dà prova di avere saldamente in mano la giustificazione del comportamento contraddittorio di Achille. Su questo elemento non si è mai posta la dovuta attenzione. Platone, cioè, non dubita né lascia dubitare che Achille sia rappresentato come personaggio effettivamente sincero. Non si limita infatti a evidenziarne la contraddittorietà sulla base di affermazioni avulse dal contesto, ma ha a disposizione le spiegazioni del mentire di Achille: ed é significativo, appunto, che le presti ad Ippia. La prima obiezione di Ippia alla presunta mendacia di Achille chiama in causa il seguito del poema. Se Achille, dopo aver dichiarato di abbandonare il campo, non mette in atto la sua minaccia, lo fa involontariamente, perché
costretto, ἀναγκασθείς, a rimanere dalla συμφορά dell'esercito. E un chiaro riferimento agli episodi successivi dell’/liade (libri XIXVI), culminati nei tragici eventi dell’attacco troiano alle navi e nella morte di Patroclo. Nell’ävéyxn, nella συμφορά Platone accet-
ta senza condizioni il limite della volontà umana'*. La giustificazione del comportamento di Achille che espone per bocca di Ippia riveste perció per lui tutti i tratti della plausibilità. Senonché, Platone rileva che essa, da sola, non è sufficiente a provare Achille ἄκων nel mentire. Achille, infatti, mente prima ancora di esservi
13. Sulla συμφορά e l’&av&yxn che fanno essere xaxóc anche l'uomo ἀγαθός cfr. Prot. 344c-346b. La classica opposizione tra volontà e necessità ritorna spesso in
Platone, cfr. Phaedr. 231a4-5, Resp. 11 360c6, Soph. 240c4-5, Leg. V 741a2-5. E frequente anche in Omero (cfr. 7/. IV 300, VI 458; Od. 11 110, XIX 156, XXIV 146), e ricorre due volte nello stesso episodio delle Λιταί (vv. 429 e 688). Per esempi di questa opposizione in età arcaica e fino al V sec. cfr. G. A. RICKERT, Ἑκών and "Axwv in Early Greek Thought, Atlanta 1989, pp. 35-91, in Aristotele pp. 93-126 (Platone non è incluso). In generale sul fondamentale ruolo dell’&véyxn nel pensiero greco cfr. H. SCHRECKENBERG, ANANKE. Untersuchungen zur Geschichte des Worigebrauchs, München 1964 (Ξ Zetemata 36); M. Osrwatp, ANATKH in Thucydides, Atlanta 1988. Sul concetto teologico-cosmologico di ἀνάγκη nella Repubblica € nel Timeo cfr. H. SCHRECKENBERG, of. cit., pp. 81-101; G. R. Morrow, Necessity and Persuasion in Plato's Timaeus, «PhR» 59 (1950), pp. 147-63, poi in Studies in Plato's Metaphysics, ed. by R. E. ALLEn, London-New York 1965, pp. 421-37; K. AuT, Die Uberredung der Ananke zur Erklärung der sichtbaren Welt in Platons Timaios, «Hermes» 106 (1978), pp. 426-66.
L' ODISSEO DI PLATONE
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costretto dal verificarsi dell'accennata situazione di necessità: già all'interno delle stesse Atxat, fornisce ad Aiace una versione delle proprie intenzioni diversa da quella resa ad Odisseo. Qui la spiegazione di Ippia si rifà a momenti precedenti della scena. Achille mente ὑπὸ εὐηθείας ἀναπεισθείς. Le dichiarazioni ad Odisseo e quelle ad Aiace, infatti, non si susseguono senza intermedio sviluppo di azione drammatica: nel frattempo, sono intervenuti il discor50 di Fenice (//. IX 434-605), al termine del quale Achille manifestava già i primi segni di cedimento (vv. 618-9), e quello dello stesso Aiace (vv. 624-42). In questo caso, Platone trova una spiegazione psicologico-etica del comportamento di Achille. , εὐήθεια occupa un ruolo positivo nella sua valutazione delle disposizioni
dell'animo umano!*. L'involontarietà dell'ambiguo agire di Achille, dunque, è adeguatamente provata dalla sua εὐήθεια. Questa spiegazione resta un punto fermo. Socrate, infatti, la raccoglie
(&oa, 371e4), per trarvi la necessaria conseguenza: se Achille mente involontariamente, non é migliore di Odisseo, mentitore volontario. La documentazione di questo giudizio di valore non riguarda piü il testo omerico che, infatti, viene completamente perso di vista. Achille esce assolto dal sospetto di mendacia. La raffigurazione dell’eroe come carattere fondamentalmente sincero risulta esente da contraddizioni. Omero, il poeta, non é dunque sotto accusa, e nemmeno lo é Ippia, l'interprete, che, nella discussione, sostiene le ragioni del buon senso per la soluzione dei problemi
individuati da Socrate'*.
IH
Nell’Ippia minore, dunque, Platone scopre un’änogia della compo-
sizione omerica e ne fornisce la λύσις. L'acume e la profondità della sua riflessione sul testo dell'/liade appaiono evidenti anche da altre notazioni che si possono cogliere nella discussione. Il conte14.
Per la riabilitazione della «simplicité naive» che Platone conduce attraverso
vari luoghi nei dialoghi, cfr. G. GaupiN, Εὐήθεια. La théorie platonicienne de l'innocence, «RPhilos» 171 (1981), pp. 145-68. Cfr. pure C. J. CLassEN, Sprachliche Deutung als Triebkraft platonischen und sokratischen Philosophierens, München 1959 (Ξ Zetemata 22), pp. 86-7.
15. Questa parte di tutto rispetto assegnata ad Ippia nell'interpretazione dei versi omerici dovrebbe essere sufficiente a cancellare il sospetto che Platone abbia voluto parodiarne l'attività esegetica.
96
STUDI DI LETTERATURA GRECA
nuto, esposto da Socrate, del primo discorso di Achille, ὡς οὔτ ̓ àv ἀναπεισθείη ὑπὸ τοῦ
̓Οδυσσέως te καὶ τοῦ
̓Αγαμέμνονος (370b1-2),
51 attiene alle effettive sue dichiarazioni: οὔτ ̓ ἔμεγ ̓
̓Ατρεΐδην
̓Αγαμέμνονα πείσεμεν οἴω / οὔτ ̓ ἄλλους Δαναούς (νν. 315-6); οὐδέ με πείσει (v. 345). E l'eroe finirà invece per essere ἀναπεισθείς
(371e1)! L'osservazione che nel passo ̓Οδυσσεὺς οὐδαμοῦ φαίνεται ψευσάμενος (369e5-370a1) è dovuta probabilmente al confronto dei vv. 263-99 con i vv. 121-57: Odisseo riferisce per filo e per segno le promesse di Agamennone, rispettando fedelmente le consegne dell'ambasceria. E la stessa, arguta considerazione che Achille ἐλάνθανεν xóv 'O6vooéa: οὐδὲν γοῦν φαίνεται εἰπὼν πρὸς αὐτὸν ὡς αἰσθανόμενος αὐτοῦ ψευδομένου è Ὀδυσσεύς (371a7-bl), si rivela frutto di un corretto esame testuale. Odisseo, infatti, non prende piü la parola durante l'ambasciata per chiedere ad Achille spiegazione delle contrastanti dichiarazioni successive: non solo, ma, nel fornire il suo resoconto agli Achei riuniti sotto la tenda di
Agamennone (vv. 677-92), riporta l'esclusivo contenuto delle di-
chiarazioni a lui rese, dando cosi effettivamente l'impressione di
non essersi accorto dell'"*inganno" di Achille'®. Certamente non manca ironia sullo sfondo della discussione, come in quest'ultima considerazione, con cui Socrate acuisce il problema della mendacia di Achille giocando su un paradossale rovesciamento di ruoli con Odisseo, cosi in altre circostanze: negli accenni ad Achille che mostra un disprezzo della verità tutto pieno di noblesse e ritiene Odisseo un vecchio rimbambito, o ad Ippia che possiede una incontestabile sapienza su Omero ma dimentica nell'interpretazione di mettere a frutto la sua tecnica mnemonica. Ma
del serio contenuto della discussione fanno fede non solo la sua
intrinseca validità "filologica", ma anche la presenza di elementi che sembrano indicativi di un modo genuinamente platonico di accostarsi a un testo. L'atmosfera del dialogo è quella adatta alla ricerca. Terminata la ἐπίδειξις, discioltosi il πολὺς 6yAoc, consueti elementi di disturbo, la conversazione si svolge nelle condizioni ideali, forsein strada, fra quei pochi che Sl vantano di partecipare
τῆς ἐν φιλοσοφίᾳ διατριβῆς (363;1364b) . E al testo omerico si applicano gli strumenti propri della ricerca platonica. Nell'impos-
16.
Cfr. infra, p. 52.
17.
Durante la conferenza di Ippia, tenuta ἔνδον (forse in un ginnasio, cfr. P.
FRIEDLANDER, op. cit., p. 125 e nt. 1) e al cospetto di molti uditori, Socrate aveva avuto ritegno a porre le sue domande: 364b6-8.
L'ODISSEO DI PLATONE
97
sibilità di interrogare l'autore, non si rinuncia al metodo dialettico:
Ippia risponderà per conto di Omero (365c8-d1). E il consueto procedimento di Platone di fronte a un muto testo'S. Il testo omerico viene messoa riscontro del Aóyoc (369a5 ss.). Con la riflessione
platonica sul testo di Omero sembra collimare perfettamente la descrizione che Socrate dà del proprio atteggiamento nei confronti di qualsiasi enunciato: àeì εἴωθα, ἐπειδάν τις λέγῃ τι, προσέχειν τὸν νοῦν [...], xai ἐπιθυμῶν μαθεῖν ὅτι λέγει διαπυνθάνομαι καὶ ἐπανασκοπῶ καὶ συμβιβάζω tà λεγόμενα (369d2-5). Il che, davanti a un testo, diventa un metodo di lettura basato sull’esame attento
e sul confronto ragionato fra i passi. Non ritorsione o contraffazione, ma superamento del metodo di Ippia, basato sulla scelta di un
unico passo esemplare o, tutt'al più, sull'assemblaggio di passi af-
fini (369c3)!?.
IV
Alla luce di queste considerazioni, appare chiaro che il senso del richiamo alla poesia nell’/ppia minore non sarà da rintracciare che nel contesto di quella perenne attualizzazione che ogni Greco del-
l’età classica opera nei confronti del materiale poetico”°. Le situazioni rappresentate in poesia vengono comunemente assunte a
casi esemplari di rappresentazione della realtà; la realtà si rispecchia nel modello fornito dalla poesia. Cosi, anche Platone trova nella poesia riscontro di un argomento che lo interessa in margine al problema trattato nell'/ppia minore: le nature dell'uomo ἀληθής e dell'uomo ψευδής e le relazioni in cui stanno tra loro. L'epopea omerica forniva l'esatta ipostasi di queste due nature nelle persone
18. Perl'interrogazione a un testo poetico, condotta con o senza un intermediario, cír. Prot. 344c-345a, Men. 77b ss., Resp. 1 331d ss., Leg. 1 629b-e. Con una movenza simile a quella di 365d2-3, nel Menone, 71c ss., Socrate, in assenza di Gorgia, interroga chi ne condivide il parere.
19. Non si giustifica perció l'affermazione di A. TRAGLIA, of. cit., p. XVIII, secondo cui Socrate utilizza lo stesso metodo del sofista. Per la tipica riflessione di Platone su un testo, basata sul continuo confronto dei suoi elementi nella considerazione del «tutto», mi permetto di rimandare a F. M. GIULIANO, Esegesi letteraria in Platone: la discussione sul carme simonideo nel Protagora, «SCO» 41 (1991), pp. 10590.
20. Su questo motivo in generale si veda J. DALFEN, Polis und Poiesis. Die Auseinanderselzung mit der Dichtung bei Platon und seinen Zeitgenossen, München 1974.
98
STUDI DI LETTERATURA GRECA
di Achille e di Odisseo, quanto mai familiari. Il confronto con i due eroi doveva avvenire spontaneo. Attraverso l’esempio vivente della poesia, Platone rende più evidente e consueta la fenomenolo-
gia della natura umana su cui riflette. Ma il richiamo alla poesia nell’Ippia minore assume un significato ancora più profondo. Come la φιλοσοφία di Platone vuole penetrare la realtà più a fondo di quanto non faccia la δόξα, così la sua interpretazione della poesia supera quella corrente, rappresentata da Apemanto e da Ippia. L'interpretazione corrente della realtà considera tipi antitetici l'éàn8fc e lo ψευδής e di conseguenza, volta alla poesia, contrap-
pone senz'altro Achille e Odisseo. E una interpretazione superficiale, in quanto non tiene conto del ruolo che la scienza, la consapevolezza, ricopre in ogni umana azionc. Misurati sul metro della scienza, i due tipi coincidono. L'uomo che ha scienza di qualcosa è il più capace di essere tanto ἀληθής quanto ψευδής al riguardo. Per questo caso l'esempio di Odisseo era lampante. L'uomo che
non hä scienza agisce a caso?!. Anche l'éànric, nel momento in cui la sua azione non è guidata dalla scienza, è esposto ad essere
ψευδής22. E questo che Platone intende sottolineare, quando, provocatoriamente, coglie Achille in flagrante menzogna. Il Pelide,
all'atto delle sue dichiarazioni, non era evidentemente a conoscenza di quel che diceva. Non aveva saputo calcolare che il suo comrtamento si sarebbe adeguato al mutar degli eventi. Sulla base di ció, Platone sottopone a ripensamento il giudizio corrente che fa Achille migliore di Odisseo. Dallo stesso testo omerico ricava la discriminante che distingue il mentire di Odisseo da quello di Achille: la presenza o meno della consapevolezza, della volontarietà. Questo elemento manca dall'agire di Achille. L'eroe mente per ἀνάγκη e per εὐήθθεια. Se tali cause di ordine naturale e psicologico valgono a salvare Achille sul piano universalmente etico, restituendolo al suo ruolo tradizionale di eroe schietto e sincero e risolvendo l'áxooía omerica, non bastano peró ancora a farlo migliore di Odisseo entro quei termini di astratto e assoluto intellettualismo in cui 51 muove il Aóyogc dell'/ppia minore. L'involontarietà nel commettere il male, quale che possa esserne la ragione, costituisce qui soltanto motivo di demerito, che si estrinseca sotto forma di ignoranza del bene.
21.
Ë la fondamentale lezione che si ricava p. es. dall'ammonimento di Socrate
a Critone (Crit. 44d6-10).
22.
Cfr. Prot. 345b2-5: accidenti come xoóvoc, πόνος e vóooc, provocando perdi-
ta di scienza, rendono xaxôç l'uomo ἀγαθός.
L’ODISSEO DI PLATONE
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Ma Platone fa realmente Odisseo migliore di Achille? L'ipotesi è espressa da Socrate come una necessaria conseguenza del λόγος
(ἄρα, 371e4). Non ottiene, tuttavia, l’assenso di Ippia (e6). È nota l’importanza che Platone assegna all’assenso dell'interlocutore
perché una tesi sia considerata valida??. Da questa prospettiva, il dialogo lascia irrisolta la questione. Socrate, si puó dire, resta nell'imbarazzo iniziale di quando interrogava Ippia ἀπορῶν ὁπότερος τούτοιν toiv ἀνδροῖν ἀμείνων πεποίηται τῷ ποιητῇ. Xal ἡγούμενος
ἀμφοτέρω ἀρίστω εἶναι καὶ δύσκριτον ὁπότερος ἀμείνων εἴη καὶ περὶ ψεύδους καὶ ἀληθείας καὶ τῆς ἄλλης ἀρετῆς (370d7-e3). E su un identico piano si colloca il risultato aporetico dell’intero dialogo.
Ὁ ἄρα ἑκὼν ἁμαρτάνων καὶ αἰσχρὰ καὶ ἄδικα ποιῶν, © Ἱππία, εἴπερ τίς ἐστιν οὗτος, οὐκ àv ἄλλος εἴη ἢ 6 ἀγαθός (376b4-6), una conclusione che anche in questo caso Ippia rifiuta (b7) e che neanche Socrate trova modo di concedere a se stesso, ma vi arriva costretto, anche stavolta, dal λόγος: &MM &vayxaiov οὕτω φαίνεσθαι
vüv γε ἡμῖν &x τοῦ Aóyov (b8-c1). Ma con quell'zUxeo τίς ἐστιν obtoc e con quel vüv Platone accenna a quei complementi che il Aóyoc
dell’Ippia minore, pur in sé perfettamente concluso, attende?*. E per quanto riguarda la superiorità tra Achille e Odisseo? La scena finale di πλάνη, situazione tipica di Odisseo, sembra richiamare
anche a questa irrisolta questione”°. E anche per essa Platone fornisce indizi che rinviano a una soluzione al di là della prospettiva del dialogo. Socrate, chiedendo chi fosse migliore tra Achille e Odisseo, aggiungeva κατὰ 1(, rispetto a che cosa (364b4). Questo elemento resta ignorato dalla risposta di Ippia, e non viene piü
23. Cfr. M. ERLER, of. cit., p. 131 nt. 36; per il ruolo determinante giocato nei dialoghi dalla convergenza tra gli interlocutori («omologia») cfr. TH. A. SZLEZÄK, Come leggere Platone, presentaz. di G. ReaLe, Milano 1991, pp. 153-4 e 167. 24. Da sempre la critica ha rintracciato nell’elxeg τίς ἐστιν οὗτος la soluzione dei paradossi del dialogo. Minor attenzione è stata prestata alla provvisorietà dei risultati cui il νῦν finale, come altri nel corso dell'argomentazione, richiama: cfr. ora invece M. EnLzn, op. cit., pp. 128 e 131; J. JANTZEN, op. cit., pp. 48 nt. 4 e 70 nt. 10. La corretta interpretazione del significato dell'eUxeo τίς ἐστιν οὗτος è offerta ora da M. Ercen, of. cit., p. 135 ss.: l'accenno rimanda ai complementi necessari al dialogo, ma senza rimetterne in discussione i risultati raggiunti. Cfr. anche J. JANTZEN, op. cit., pp. 111-2. 25. Ipotizza nei riferimenti al πλανᾶσθαι un'allusione agli "errori" di Odisseo J. JANTZEN, op. cit., pp. XI e 70. Aggiungerei che un perspicuo indizio in tal senso poteva offrire il πλάγχθη detto dell'eroe πολύτροπος nel medesimo incipit del suo poema (cfr. pure Od. I 75).
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toccato nel seguito”°. Analogamente, quando Socrate, nel passo poc'anzi citato, ribadisce che è δύσκριτον chi tra i due eroi fosse migliore, fa riferimento alla sfera della mendacia e della sincerità e alle altre componenti dell'ágetfj, argomento, quest'ultimo, che non è stato invero mai affrontato. Quel κατὰ τοῦτο lasciato nel
vago (370e3-4) sembra appositamente riecheggiare il precedente κατὰ τί.
Se dunque il problema assiologico relativo agli eroi omerici e il problema generale discusso nell'/ppia minore sono cosi compenetrati tra loro nella struttura del dialogo, è chiaro che la soluzione del primo problema rimanderà a quella del secondo. Per questa duplice soluzione, sarà opportuno estendere l'esame, seguendo le direttive indicate dall'/ppia minore, ai poemi di Omero ε, in parallelo, al complesso del pensiero platonico. Un tale esame potrà anche evidenziare in misura ancora maggiore quanta parte la riflessione sui personaggi omerici deve aver avuto nella pianificazione del dialogo.
V
In Omero, l'attributo assoluto di ἄριστος, senza limitazione a una cerchia di uomini determinata o a un campo di attività specifico,
compete ad Achille”’. Anche Omero talvolta istituisce confronti. Achille, cosi, risulta μέγα ἀμείνων di Agamennone (/l. II 239), πολλὸν ἀμείνων di Menelao (/l. VII 114) e di Patroclo (/. XVI 709). Al termine del catalogo delle navi, il poeta, dopo aver invocato la Musa perché gli dica τίς t' &0 tàv ὄχ ̓ ἄριστος Env (Il. TI 761), dichiara che ἀνδρῶν aù μέγ ̓ ἄριστος ἔην Τελαμώνιος Αἴας
26. Achille, in effetti, si rivela πολύτροπος soltanto secondo (xaxá) il ragionamento di Ippia (370a2), che considera le singole azioni in sé, senza riguardo alla presenza o meno di consapevolezza che sta alla loro base. Il motivo del κατά puó essere un ulteriore segnale della relatività con cui vanno intese le argomentazioni dell'/ppía minore. — Rileva che il xatà ti di Socrate resta senza risposta anche J. JANTZEN, op. cit., pp. ΧΙ, 49 e 83.
27.
Cfr. H. 1 244, 412, XVI 271, 274; ε, per l’equivalente (cfr. LfrE s. v.)
φέρτατος, /. 11 769, IX 110 (φέριστος), XVI 21, XIX 216; Od. XI 478. E qui appena il caso di ricordare che l'assiologia omerica é essenzialmente legata al pregio delle virtà «competitive» (cfr. A. W. H. ApkiNs, Merit and Responsibility. A
Study in Greek Values, Oxford 1960, tr. it. Roma-Bari 1987?, pp. 51-92, srt. pp. 53-9). L'equiparazione di ἄριστος e ἀληθέστατος che ha luogo nell'Zppia minore testimonia della riconversione di valori in atto nell'età di Platone.
L'ODISSEO DI PLATONE
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(768), ma solo finché Achille, indiscutibilmente il πολὺ φέρτατος
(769), restava, per l'ira, in disparte dall'esercito. Achille poteva insomma essere considerato ̓ ̓ἀγαθός per eccellenza. Ippia effettivamente non avrebbe avuto difficoltà a dimostrarlo &xi πολλῶν τεχμηρίων (369c3), passi omerici alla mano. Ma avrebbe potuto anche dimostrare che Omero ha fatto Achille ἀμείνων ̓Οδυσσέωςἢ
E lecito ritenere che nei confronti di una simile ipotesi Platone avrebbe nutrito forti dubbi, se si considera, oltre al fatto che Achille non figura mai esplicitamente definito migliore di Odisseo nei
poemi, cosa doveva significare per lui la sfera di valori in cui eccelle l'Odisseo omerico. Di già Odisseo presenta una serie di connotazioni che lo pongono sullo stesso piano di Achille nell'assiologia eroica: anch'egli di
discendenza divina e contraddistinto da affinità con gli dei?®, condivide con Achille una serie di epiteti tipicamente distintivi nella
società degli eroi?. Ma c’è un campo in cui Odisseo manifesta una preminenza assoluta: quello connesso all'attività intellettuale, alla sapienza. Qui la supremazia dell'uomo che arde dal desiderio di
oltrepassare le Sirene πλείονα εἰδώς (Od. XII 188) era per Platone immediatamente ricavabile, prima ancora che dalla considerazione dei riusciti ritrovati di cui l'eroe è artefice nei poemi, anche dalla aggettivazione che lo accompagna. Σοφός non è termine omerico, ma Platone aveva davanti a sé tutta una schiera di attribuzioni che segnalavano la qualità peculiare di Odisseo. L'eroe è πολύμητις, πολύφρων, ποικιλομήτης, πολυμήχανος, δαΐφρων, addirittura Au μῆτιν ἀτάλαντος; il suo cuore è πρόφρων, il suo consiglio ἐπίφρων. Alla stessa area connotativa dei primi quattro aggettivi era facilmente riconducibile il xoAótooxoc " . Di fatto, i suoi determinanti esplicativi nell'incipit dell’Odissea culminano delineando l'uomo che πολλῶν 8 ἀνθρώπων ἴδεν ἄστεα xai vóov ἔγνω, / πολλὰ
28. Odissco è detto δῖος, θεῖος, διογενής, Aut φίλος (epiteti questi anche di Achille), διοτρεφής, ἀντίθεος e θεοῖς ἐναλίγκιος. Per la sua discendenza da Zeus tramite Arcisio e Laerte cfr. E. Wüsr, Odysseus, «RE» XVII.2 (1937), col. 1918. 29.
P. es. ἀμύμων, ἐσθλός, ἀριστεύς, μεγάθυμος, κυδάλιμος, κλυτός, δουρικλυτός,
πτολίπορθος.
30.
Cfr. S. Wesr in Omero, Odissea, vol. I, Milano 1988*, p. 181. - Quando il
presente lavoro era ormai pronto per la stampa, è apparso il contributo di D. LaNza, Pius Ulixes, in Tradizione e innovazione nella cultura greca da Omero all'età ellenistica. Scritti in onore di B. Gentili, a c. di R. PRETAGOSTINI, vol. I, Roma 1993, ΡΡ. 9-18, cui rimandiamo per un proficuo confronto con la ricostruzione dell'aristia intellettuale dell’Odisseo omerico da noi effettuata nelle pagine seguenti.
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è 6 y Ev πόντῳ πάθεν ἄλγεα èv κατὰ θυμόν (Od. I 3-4). Questi versi, con le molteplici esperienze spirituali nella fondamentale lezione del. πάθει μάθος che rievocano, non poterono passare inosservati alla riflessione di Platone sul valore reale del problematico epiteto. Non è a caso, dunque, che Platone, nella Repubblica, definisce Odisseo come l'uomo σοφώτατος (III 390a8). Li Platone rimprovera Omero per aver posto sulla bocca di Odisseo parole che non si addicono a un simile uomo, la lode eccessiva delle letizie conviviali (Od. IX 8-10). Ma, subito dopo (d1-6), cita parole con cui Odisseo dà prova di grande forza di sopportazione e che devono suonare a modello (Od. XX 17-8). Qui certamente trova l'espressione di Odisseo in piena sintonia con il carattere del personaggio. Sono parole su cui Platone dovette soffermarsi lungamente a riflettere. Le riporta infatti ancora in IV 441b4-c2, richiamando la loro precedente citazione, a conferma della distinzione tra elemento razionale e irrazionale dell'anima e della supremazia che il primo
deve esercitare sul secondo. E su di esse ritorna in una delicata sezione del Fedone (94d6-e6) per illustrare come l'anima, diversamente dall'armonia, che si adegua allo stato delle sue componenti, guida (ἄγειν, e4) e padroneggia le passioni del corpo. In Odisseo che nel passo omerico domina la sua xgaóír ricordandole come con la sua μῆτις la trasse in salvo (ἐξάγαγε, v. 21) dall'antro del Ciclope, Platone doveva vedere messe all'opera le piü nobili facol-
tà dell'anima umana*'. E improntate a saggezza sono anche le ultime parole che Platone riprende dalle labbra di Odisseo. Nelle Leggi (IV 706d-707a), l'Ateniese cita a suffragio della sua tesi lo sdegnato rabbuffo dell'eroe ad Agamennone (//. XIV 96-102): capiva (Ey(yvooxe, a2) anch'egli che non è bene far combattere i soldati lasciando loro le navi a disposizione per la fuga. Un buon
consiglio che Platone avrebbe senza difficoltà fatto rientrare tra quelli che in Omero stesso trovava espressamente ascritti alle no-
bili gesta di Odisseo: À δὴ uvo(" ̓Οδυσσεὺς ἐσθλὰ ἔοργε / βουλάς ı' ἐξάρχων ἀγαθὰς πόλεμόν τε κορύσσων (Il. II 272-3).
31. Cicerone nelle Tusculanae (11 21.49-22.51) ricorre, in termini che ricordano molto Platone, all'esempio di Ulisse per illustrare il rilievo delle facoltà razionali dell'anima, elogiando la rappresentazione dell'eroe data da Pacuvio rispetto a
quella sofoclea. E poi frequente in Plutarco il richiamo ad atti di Odisseo per esemplificare come λόγος, λογισμός, ἐγκράτεια debbano prevalere su ἄλογον, πάθος, θυμός: cfr. De virt. mor. 4.442d, De trang. 16.475a, De garr. 8.506a-b, De aud. poët. 11.31c-d.
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Sapienza, dunque, come inconfondibile tratto distintivo di Odisseo: è un dato che Platone ben raccoglie, assegnandogli il dovuto valore nell'immagine che si crea dell'eroe omerico. E alla base dei δόλοι per cui Odisseo affermava orgoglioso di eccellere tra gli uomini (Od. IX 19-20, cfr. III 121-2) non poteva che esserci la sua sapienza. Questo presupposto, su cui poggia tutta l'interpretazione positiva dell'uomo menzognero nell'/ppia minore, si trova suggerito con sorprendente evidenza dallo stesso testo omerico. In quello che è il più famoso dei suoi episodi, Odisseo accosta una considerazione della sua sapienza all'inganno che sta per ordire contro Polifemo: & φάτο πειράζων, éu£ 6' 00 λάθεν εἰδότα πολλά, /
ἀλλά μιν ἄψορρον προσέφην δολίοισ ̓ ἐπέεσσι (Od. IX 281-2)??. Ancora un elemento doveva rafforzare in Platone l’immagine dell’Odisseo omerico come migliore incarnazione del sapiente. Odisseo è il protettodl Atena, come era possibile ricavare da molti luoghi dei due poeml 3. Nel mito del Timeo sulle origini di Atene, la dea patrona della città è definita φιλόσοφος (24d1), e nelle Leggi l'Ateniese, per la sua accortezza, se ne dimostra degno eponimo (I
626d). Non per nulla il nome ̓Αθηνᾶè spiegato nel Cratilo (4-07b)
come & θεονόα, cioé θεοῦ νόησις. Platone si rifà probabilmente”* alla tradizione della nascita di Atena dalla testa di Zeus per 1l
32. Indicative ancora in tal senso — con in più un richiamo alla “virtù”, significativo per il contesto dell'/ppia minore — sono le parole con cui Odisseo rammenta ai compagni come riuscirono a fuggire dalla grotta del Ciclope: ἀλλὰ καὶ ἔνθεν ἐμῇ ἀρετῇ βουλῇ ve νόῳ τε / ἐκφύγομεν (Od. XII 211-2). Per altri accostamenti tra
mendacia e capacità intellettuali in Odisseo cfr. Od. III 120-2 (con attestazione della superiorità dell'eroe in entrambi i campi) e XIII 254-5 (cfr. pure Od. XVIII 51 = XXI 274); per la sua xavto(n ἀρετή, per cui era ἔξοχος ̓Αχαιῶν, Od. XVIII
205. — Ε estremamente notevole che già Pindaro avesse riconosciuto nell’Odisseo di Omero - sia pur attribuendole una valenza opposta a quella platonica - la connessione tra Ψψεύδη € μαχανά, tra ooqía e κλέπτειν: cosi se si riferiscono le considerazioni della Nemea VII (vv. 20-3) non al poeta ma all'eroe stesso, secondo un'interpretazione convincentemente documentata per ultimo da G. ARRIGHETTI, Esiodo e le Muse: il dono della verità e la conquista della parola, «Athenaeum» 80 (1992), P. 51 e nt. 15, con rinvii bibliografici a precedenti sostenitori della tesi. A conforto della quale aggiungiamo ancora che l'associazione tra ψεύδη e μηχανή è presen-. te, e con assai probabile reminiscenza odissiaca, anche in Platone: v. infra, p. 29 e nt. 44.
33.
Cfr. H. X 245, 277-82, 552-3, XXIII 782-3; Od. III 221-2, 378-9, IV 826-8,
V1 323-8, VIII 18-23, X111I 300-1, 314, 387-94, X X 47-8. Da notare che nell'inno omerico (XXVIII 2) Atena riceve l'epiteto πολύμητις caratteristico di Odisseo.
34. Cfr. C. Liccianpi, Platone, Cratilo, Milano 1989, p. 151 ne. 84, che non fornisce peró alcun riscontro, né fa riferimento a Μῆτις. Cfr. inoltre [Hom.] Hymn. XXVIII 1-5.
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tramite di Μῆτις, la dea che nella Teogonia esiodea (v. 887; cfr. fr. 343.15 M.-W.) è definita πλεῖστα θεῶν εἰδυῖαν ἰδὲ θνητῶν ἀνθρώπων, e dalla quale era destino nascessero περίφρονα τέκνα (v. 894): Atena ebbe appunto in dote éxíqoova βουλήν (v. 896). Platone sembra cosi condividere l'interpretazione che attribuisce agli esegeti di Omero, secondo la quale il poeta ha fatto di Atena νοῦς e διάνοια. E un significativo momento dell'Odissea poteva testimoniare con estrema evidenza a Platone di come il rapporto tra Atena e Odisseo fosse stato imperniato da Omero proprio sulla base della loro affinità intellettuale: nelle sue parole all'eroe approdato ad Itaca la dea mette in rilievo come essi due siano εἰδότες ἄμφω / κέρδε ̓, ἐπεὶ où μέν ἐσσι Bootov ὄχ ̓ ἄριστος ἁπάντων / Bovf καὶ μύθοισιν, ἐγὼ 5' &v πᾶσι θεοῖσι / μήτι TE κλέομαι καὶ κέρδεσιν (Od. XIII 296-9); ribadisce quindi di non poter abbandonare il suo protetto per esser questi ἀγχίνοος xai ἐχέφρων (v. 332). Esiste dunque una sfera, quella spirituale, in cui Odisseo riceve esplicitamente da Omero la qualifica di ἄριστος. Questa qualifica si ricavava indirettamente per l'eroe da un altro rilevante episodio. Quando Diomede è invitato a scegliere l’&piotoç tra i volontari da lui richiesti per essere accompagnato nella pericolosa missione al campo troiano (/l. X 218 ss.), accorda la sua preferenza ad Odisseo, perché il cuore di lui è πρόφρων (v. 244) e perché περίοιδε
νοῆσαι (v. 247)*°. Nella sfera delle virtü intellettuali, dunque, neanche Achille avrebbe retto il confronto con Odisseo. E Omero non manca di istituirne uno. Nell'assemblea degli Achei convocata da Achille in seguito alla dismissione dell'ira (//. XIX 40 ss.), Odisseo deve raffrenare l'avventata impazienza del compagno. Con l'apostrofe iniziale del discorso che rivolge ad Achille, l'eroe
πολύμητις (v. 215) lo richiama al giusto equilibrio dei valori: ὦ ̓Αχιλεῦ, Πηλῆος vié, u£ya φέρτατ ̓
̓Αχαιῶν, / κρείσσων εἰς ἐμέθεν
35. Platone conosceva l'episodio, e dovette soffermarsi proprio sugli elementi inerenti al motivo intellettuale. Nel Protagora, 348d, Socrate, riavviandoi fili della discussione dialettica interrotta, richiama le parole con cui Diomede motivava la sua richiesta di un compagno, σύν te δύ' ἐρχομένω, xal te πρὸ Ó τοῦ ἐνόησεν e μοῦνος &’ εἴπερ τε νοήσῃ (vv. 224 e 225), per illustrare a Protagora i vantaggi della
collaborazione nell'attività speculativa: εὐπορώτεροι γάρ πως &xavtéc ἐσμεν ol ἄνθρωποι πρὸς ἅπαν ἔργον xal λόγον xai διανόημα. La stessa espressione di Diomede ritorna sulle labbra di Socrate nel Simposio, 174d, anche qui con un richiamo all'atto del riflettere: “σύν τε 50'", ἔφη, “ἐρχομένω πρὸ ὁδοῦ ̓ βουλευσόμεθα ὅτι ἐροῦμεν (cfr. pure Alc. II 140a1-2). — Su Odisseo ineguagliabile fra gli uomini per μῆτις, νοῦς e conoscenza cfr. ancora Od. I 66, III 120, XIX 285-6, X XIII 185-6.
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xai φέρτερος oUx ὀλίγον περ / ἔγχει, ἐγὼ ÖE XE σεῖο νοήματί ye
προβαλοίμην / πολλόν, ἐπεὶ πρότερος γενόμην καὶ πλείονα οἶδα (νν. 216-9). Se l’Achille omerico è dunque ἄριστος in una sfera, Odisseo lo è in un’altra. Non a caso, nell’Odissea (VIII 782, ai due è
assegnato in comune l'appellativo di ἄριστοι ’Axawav®, Sul filo di questa direttrice, Platone puó avere avuto i suoi fondati motivi per rimettere in discussione il giudizio comune che, individuando in Achille 1 ἄριστος assoluto degli eroi omerici, lo faceva senz'altro migliore anche di Odisseo, e puó aver avuto ra-
gione di ritenere che ἀμφοτέρω ἀρίστω elvau*’. Se l’Odisseo omeriοο è πολύτροπος, cioé πολυμήχανος ovvero σοφός, è anche &y , secondo un passaggio necessario consueto nei dialoghi socratici””, e, nella misura in cui possieda queste qualità al sommo grado, è lui l’&protoc. La connotazione negativa che Ippia assegnava al carattere πολυτροπώτατος di Odisseo è cosi rovesciata. Ma Platone non tende per questa via a svalutare la figura di Achille. L'eroe esce a testa alta dall'áxooía sollevata nell'/ppia minore, € positivo è il concetto che anche altrove Platone lascia intendere di avere della sua persona: basta pensare al parallelo che Socrate istituisce nell’Apologia (28b-d) tra sé e Achille per l'impavida risolutezza di entrambi nel preferire una morte onorevole e gloriosa a una vita priva di
36. Il passo è in significativo riferimento a una lite in cui i due eroi ἄριστοι raccomandarono ciascuno la sfera di virtù di propria competenza: v. infra, pp. 34-5. Una parallela differenziazione in sfere di eccellenza é istituita da Omero tra Polidamante ed Ettore: 6 μὲν âe μύθοισιν, 6 è ἔγχεϊ πολλὸν ἐνίκα (Il. XVIII 252).
E poi molto rimarchevole che in un celebre passo (//. XVIII 105-6), a Platone ben noto (cfr. Apol. 28c-d), Achille stesso riconoscesse davanti alla madre Teti di essere impareggiabile &v πολέμῳ ̓ ἀγορῇ 5é t' ἀμείνονές εἰσι xal ἄλλοι, tra i quali non si poteva fare a meno di pensare a Odisseo.
37. Ne segue che Platone non avrebbe dovuto condividere neanche il giudizio che faceva l’Iliade pocma omerico piü bello dell'Odissea (363b). In effetti, sebbene nei dialoghi le singole citazioni dall'/liade siano in ragione quasi doppia rispetto a quelle dall'Odissea (cfr. D. TARRANT, Plato's Use of Quotation and Other Illustrative Material, «CQ» 45 [1951], p. 60), tuttavia l'Odissea come poema é nominata piü spesso dell'/liade: otto attestazioni (nove se si considera Min. 319d1) contro sette (cfr. L. BRANDwoop, A Word Index to Plato, Leeds 1976, s. vv.).
38. Cfr. in Prot. 344d-e l'equiparazione tra εὐμήχανος, ooqóc e ἀγαθός (e2) e in Symp. 204b quella tra εὔπορος e ooqóc, ἄπορος e 00 σοφός. In generale, per la «Umdeutung» socratico-platonica dei concetti di ἀγαθός e ἀρετή nel senso di
σοφός, σοφία, ἐπιστήμη e τέχνη, cfr. C. J. CLAssEN, op. at., pp. 138-50; cfr. pure J. Küse, TEXNH und APETH. Sophistisches und platonisches Tugendwissen, Berlin 1969, pp. 132-6, e G. CauBiANO, Platone e le tecniche, Torino 1971, pp. 117-8, nuova ed. riveduta ε aggiornata Roma-Bari 1991, pp. 97-9.
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senso; come nel caso di Odisseo, poi, così anche a proposito di Achille Platone rimprovera Omero di averlo talora rappresentato
in atteggiamenti poco consoni alla sua grandezza??. Il fatto è che Achille eccelle in una dimensione diversa da quella di Odisseo, e Platone ha recepito sin dal testo omerico il senso di questa differenza. Essa non puó venir fuori nell’/ppia minore, dove ogni ragione squisitamente etica deve restare latente o subordinata. Platone vi rimanda con quel κατὰ t( lasciato inosservato e con quell'inatteso riferimento ad altre componenti della virtù. Alla domanda di Socrate πότερον ἀμείνω xai xatà 1( φὴς εἶναι; la risposta sarebbe perció dovuta correre: Achille è ἀμείνων nell’àvdpela, Odisseo nella
σοφία e nella qoóvnow*?. La soluzione della questione della superiorità tra i due eroi dà cosi una traccia per la soluzione del problema generale del dialogo: chi commette il male volontariamente, cioé scientemente, é migliore di chi lo fa involontariamente soltanto sotto l'aspetto della pura scienza.
Ma esiste chi commette il male volontariamente? Con quel problematizzante εἴπερ τίς ἐστιν οὗτος finale Platone sembra rimanda-
re ad altri dialoghi per la risposta: οὐδεὶς ἑκὼν ἁμαρτάνει"'. Come
stanno le cose, allora, con Odisseo, che nel dialogo è stato ricono-
39. Cfr. Resp. II1 386c, 388a-b, 389e, 390e-391c. La morte affrontata da Achille per vendicare Patroclo é ancora richiamata nel Simposio, 179e-180a, come lodevole atto d'amore che meritó all'eroe l'eccezionale onore di essere inviato dagli déi nelle Isole dei Beati. 40. Cfr. l'osservazione di Nicanore al succitato passo omerico τὴν γὰρ ἐναντίαν ἀρετὴν ἀπένειμεν ̓Οδυσσεὺς ̓Αχιλλεῖ (sch. bT ad //. XIX 218-9). La questione puó rimandare alla posizione delle varie virtà nel pensiero di Platone, che non è definita. Nel Protagora (349e ss.), Socrate accomuna l’&vôge(a, contro Protagora che ne faceva un caso separato (349d4-5), ad altre quattro virtù, δικαιοσύνη, ὁσιότης, σοφία e σωφροσύνη, sotto il segno della ἐπιστήμη (per l’identificazione di quest'ultima con la σοφία cfr. Theaet. 145e1-7). Nella Repubblica (IV 427e ss.) sono enumerate insieme le canoniche quattro virtù, δικαιοσύνη, σωφροσύνη, ἀνδρεία e σοφία (cfr. Symp. 196d), e nel Menone (74a) sono citate ἀνδρεία, σωφροσύνη, σοφία € μεγαλοπρέπεια fra le πάμπολλαι virtù. Nelle Leggi (1 630a8-d1) sı conviene che δικαιοσύνη, σωφροσύνη € φρόνησις prese insieme all’&vòpela sono migliori di quest'ultima da sola, cui spetta il quarto posto nella scala. Nelle stesse Leggi (III 688b), nonché nel Fedone (69a-b) la preminenza della φρόνησις su tutte le altre virtù (ἀνδρεία, σωφροσύνη, δικαιοσύνη etc.) emerge netta. Per ulteriori passi e una più diffusa trattazione del problema cfr. O. KUNSEMÜLLER, Die Herkunfl der platonischen Kardinaltugenden, Diss. Erlangen 1935 (repr. New York 1979), pp. 7-11. 41. Per le varie formulazioni di questo principio, cui è dedicato l'apocrifo De iusto (cfr. soprattutto 374a ss.), cfr. p. es. Apol. 25e, Hipp. mai. 296b-c, Prot. 345d e 358c-e, Gorg. 488a e 509e, Men. 78a-b, Clit. 407d, Resp. IX 589c, Leg. IX 860d-
B61a, Hipparch. 227c.
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sciuto mentire ἑχών te xai ëE ἐπιβουλῆς (370e8-9, cfr. 371e3)? Π πλανᾶσθαι del quadro finale tratteggiato da Socrate (376c2, c3, c4)
— πλάνη (c6) è la sua ultima parola —, si è detto*?, sembra alludere proprio all'"eroe" del dialogo. Fa dunque ostacolo il caso di Odis-
seo alla possibilità che la chiusa dell’Zppia minore rimandi alla dottrina secondo cui nessuno fa il male volontariamente? Tutt'altro: anzi, sembra confermarla. Si potrebbe ammettere, in linea di principio, che il mentire di Odisseo sia determinato anch'esso, come quello di Achille, dalla forza degli eventi, e dunque non propriamente volontario; in realtà, la questione é abbordabile dall'altro lato, in modo da conservare all'eroe la prerogativa della volontarietà. Il mentire di Odisseo, infatti, non è da considerarsi un male commesso. Anche per questo motivo attende un complemento ne-
gli altri dialoghi. La menzogna non è esclusivamente un male**. Tale è soltanto quella ‘vera’, che tuttavia nessuno, dio o uomo, concepirebbe volontariamente nel suo animo. Lo ψεῦδος &v toic λόγοις invece, imitazione di quello ‘vero’, in determinati casi si rivela xofjowov, per esempio nei confronti dei nemici o, a mo' di φάρμακον, degli amici non in retti sensi (Resp. II 382a-c). E, se lo ψεῦδος è χρήσιμον ὡς &v qaopuáxov εἴδει, come l'uso di un farmaco compete ai medici, cosi ai capi della città conviene mentire, per causa dei nemici o dei cittadini, &x' ὠφελίᾳ τῆς πόλεως (Resp. III 389b). Platone stesso, per il bene della sua città, ricorre alla
μηχανή — ricordo dell'eroe πολυμήχανος " — τῶν ψευδῶν τῶν &v δέοντι γιγνομένων, con il mito «fenicio» dei nati dalla terra (Resp.
III 414b8-9, cfr. 415c7)**. E immediato riconoscere come il menti-
42.
V. supra, p. 21 e nt. 25.
43. M. ERLER, op. cit., pp. 140-1, argomenta soprattutto sulla base di ció l'esistenza di chi mente volontariamente e, di conseguenza, la non inutilità della
discussione dell’/ppia minore. Erler non si richiama peró al personaggio di Odisseo.
44.
Era in effetti proverbiale la locuzione
̓Οδύσσειος μηχανή, cfr. Suid., p.
509.63 Adler. V. anche sufra, nt. 32.
45. Platone riconosce ancora l'utilità della menzogna in materia mitologica (Resp. 11 382d) ed educativa (Leg. 11 663d: quand'anche non fosse vero ció che il λόγος ha dimostrato, esser la vita più giusta anche la più piacevole, non potrebbe darsi ψεῦδος λυσιτελέστερον). L'insipienza cui è connesso lo ψεῦδος ἀκούσιον è evidente per converso in Resp. VII 535d9-e5 e in Leg. V 730c4-5. — Sul mito delle razze nella Repubblica (I1I 413c-415d) come «menzogna necessaria» cfr. M. BrozE, Mensonge εἰ Justice chez Platon, «RIPh» 40 (1986), pp. 38-48; sul valore della menzogna nelle sue implicazioni con le virtü politico-sociali cfr. J. B. ZEMBATY,
108
STUDI DI LETTERATURA GRECA
re di Odisseo possa essere facilmente ricondotto a questi ambiti. L'inganno infetta i discorsi dell'eroe, mai il suo animo. Nell'/liade esso è diretto contro i nemici, per il bene dei Greci; nell’Odissea è usato allo scopo finale di ristabilire l'ordine e la giustizia nella città, nella patria Itaca. I due poemi vertono per Platone περὶ διαφορᾶς δικαίων TE xai ἀδίκων (Alc. / 112b4-5): in entrambi l'agire di Odisseo era da considerarsi finalizzato al δίκαιον, il suo mentire doveva essere χρήσιμον. Nel termine con cui questo è spesso indicato, κέρδεα, come per esempio da Atena nel significativo pas80 (Od. X1II 297) sopra menzionato, Platone poteva cogliere un'eco del suo ψεῦδος χρήσιμον. Del resto, il nesso platonicamente inscindibile tra sapere e bene si intravedeva da due dei citati luoghi omerici attestanti la sagacia di Odisseo (/l. II 272-3 e Od. XII 211-2). Sotto questa prospettiva, dunque, Odisseo, operando sempre con piena volontarietà e a buon fine, manteneva agli occhi di Platone gli attributi del saggio nella loro integrità. Stante una cosi perfetta sintonia, nelle premesse come nelle conseguenze, tra la problematica connessa alla valutazione di Achille e di Odisseo e quella in discussione nell'/ppia minore, sembra che Platone abbia avuto la quaestio sui personaggi omerici ben presente sin dall'inizio all'atto della composizione del dialogo, al punto tale, non sarà infondato concludere, da aver deciso di impostare la trattazione del problema relativo alla volontarietà nel commettere il male sulla base del confronto tra due tipi di uomini. La familiarità di Platone con il canto delle Actai, che qui traspare dall'acribia delle sue osservazioni, é confermata dall'elevato numero di citazio-
ni nei dialoghi*“. Platone vi si poté accostare sin da fanciullo, poiché il passo era molto probabilmente adibito nelle scuole ad usi
retorici*’. A mettere a confronto personaggi omerici doveva essere stimolato come chiunque altro: nel Simposio (174b-c), ancora, considera che Omero ha fatto Agamennone migliore di Menelao. La
Plato's Republic and Greek Morality on Lying, «JHPh» 26 (1988), pp. 517-45, e C.
Pace, The Truth about Lies in Plato's Republic, «AncPhil» 11 (1991), pp. 1-33.
46. COtfr. J. ROTTGER, Das Zitat bei Platon, Diss. Tübingen 1960, p. 130. Per Rôttger, Platone avrebbe conosciuto il canto a memoria. Va del resto data per scontata — come nel presente lavoro si é fatto sinora e si continuerà a fare - la profonda conoscenza del poeta di gran lunga il più citato (cfr. D. TARRANT, art. cit., pp. 59-60) nei dialoghi da parte dell'éungix&tatos degli autori greci (cfr. [Long.] De subl. 13.3). 47.
Ol τέσσαρές elou ῥήτορες, dice dei quattro protagonisti della scena lo scolio
bT al v. 622.
L'ODISSEO DI PLATONE
109
discussione omerica nell'/ppia minore non tradisce intenti polemici né esiste alcun'altra ragione esterna per sospettare della sua seria positività: Platone si muove nell'ambito di quella che considera la vera poesia, non gnomica o didascalica ma intesa alla narrazione mitica, alla ricostruzione ragionata e approssimata di eventi e personaggi del passato, unica ricerca possibile nella nostra ignoranza
dei fatti antichi*?.
VI
La discussione omerica nell'7ppia minore possiede di per sé anche un notevole significato letterario. Usciremo ora dai confini platonici, alla ricerca di testimonianze e paralleli che contribuiscano a calarla nel contesto della vivace riflessione che doveva essersi prodotta al tempo di Platone. Punto di partenza della discussione dell’/ppia minore, in relazione sia al testo omerico sia al problema generale del dialogo, è un confronto tra uomini, motivo da sempre proprio della mentalità
greca*?. Secondo l'opinione comune, rappresentata da Apemanto (363b2-5) e indirettamente confermata da Ippia, dei poemi omerici l’Iliade è più bella dell'Odissea nella misura in cui Achille è migliore di Odisseo: i poemi sono composti ciascuno in funzione di un eroe. Si coglie in questo giudizio anzitutto il predominio del criterio etico, che determina quello estetico, secondo un canone
tipico della critica letteraria di Platone e dei suoi contemporanei”*. Il confronto assiologico tra i personaggi doveva essere una procedura comune. Aristotele in un passo dei Topici (117b12-27) ragiona sul concetto di «migliore» rifacendosi a confronti tra Achille e Aiace, Odisseo e Nestore: gli stessi personaggi — ad eccezione di
48.
Per questo motivo cfr. G. ARRIGHETTI, Platone fra mito, poesia e storia, «SCO»
41 (1991), pp. 13-34.
49. Cfr. Cn. R. Βενε, Ancient Greek Literature and Society, New York (Ithaca)London 1987, pp. 229 ss. Sull'antitesi come struttura fondamentale del pensiero greco cfr. G. E. R. LLovp, Polarity and Analogy. Two Types of Argumentation in Early
Greek Thought, Cambridge 1966, pp. 15-171 (127-48 su Platone), tr. it. Napoli 1992, pp. 27-175 (153-65 su Platone); per esempi nella letteratura arcaica di «Denken und Empfinden in Gegensátzen» cfr. H. FRANKEL, Dichtung und Philosophie des frühen Griechentums. Eine Geschichte der griech. Epik, Lyrik und Prosa bis zur
Mitte des fünfien Jahrhunderts, München 1969°, pp. 603-5. 50.
Su questo motivo cfr. p. es. J. DALFEN, op. cit., pp. 28-41.
110
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Aiace, che era considerato, perd, un alter Achille?! — presenti nella caratterizzazione dell'Ippia platonico (Hipp. min. 364c5-7). L'idea che i due poemi siano stati composti in funzione dei due eroi prota-
gonisti trova riscontro in uno ζήτημα conservatoci da Porfirio (sch.
bT ad /[. I 1 6)°, che indagava perché,
̓Αχιλλέως ὡς éni τὸ
πλεῖστον ἀριστεύοντος, il poema non fosse stato intitolato
̓Αχίλ-
λεια, come l'altro ̓Οδύσσεια, e spiegava che nell'/liade εἰ xai μᾶλÀov tàv ἄλλων ̓Αχιλλεὺς ἠρίστευεν, ἀλλά ye ol λοιποὶ ἀριστεύοντες φαίνονται. Un'ulteriore eco si ritrova nella Apologia Socratis di
Libanio (Decl. 1 123), il quale nota che tutta l’Odissea è composta come un encomio per Odisseo, laddove nell’Iliade molti sono gli onorati.
La quaestio porfiriana, con il suo mettere in chiaro ̓ ̓ἀριστεύειν di Achille nell’Iliade, e il citato passo aristotelico, in cui Achille funge da pietra di paragone, dànno prova di quanto fosse effettivamente accettato il giudizio di Ippia (364c5-6) che Platone sottopone a ripensamento. Testimonianza indiretta della sua diffusione si rica-
va anche dagli scolii all’/liade. E indicativo infatti che, in tutte le ricorrenze in cui la qualifica di ἄριστος o di ἄριστος ̓Αχαιῶν senza altre limitazioni riguarda un personaggio diverso da Achille, si registra la presenza di una nota erudita. Di già il poeta del Catalogo, interrogandosi, con l'aiuto della Musa, su chi fosse l’&guotoG dei Greci (/l. II 761), si cura di precisare che tale era Aiace ὄφρ ̓ ̓Αχιλεὺς μήνιεν (v. 769). Sulla base di questo passo, Zenodoto espungeva i versi 579-80, in cui ἄριστος era invece detto Agamennone, ma la difficoltà era da altri risolta distinguendo i campi in cui i due eroi erano ἄριστοι, Agamennone πλούτῳ xai εὐγενείᾳ, Aiace τῇ κατὰ πόλεμον ἀρετῇ (sch. À ad //. II 579-80 a, linee 75-
6)?. Agamennone si vantava in effetti di essere ἄριστος ̓Αχαιῶν,
51. Aiace è riaccostato ad Achille, come ἁπλοῦς e γεννάδας, nel frammento di Antistene che considereremo in seguito (v. infra, pp. 44 ss.), e le qualità di
ἁπλότης € γενναιότης, oltre all'&vbge(a e al xoàov ἦθδθος, caratteristiche di Achille, gli sono attribuite spesso dagli scolii (cfr. sch. bT ad /. 111 225, sch. bT ad /. XX1II 708-9, sch. bT ad //. VII 212, sch. b ad //. XXITI 818-9, sch. bT ad /.
VII 284, sch. bT ad #. XV 513, sch. bT ad //. IX 622).
52. Da qui in avanti gli scolii all’/liade saranno citati sulla base di Scholia Graeca in Homeri Iliadem (Scholia vetera), rec. H. ErBsE, voll. I-V, Berolini 1969-77, quelli all’Odissea sulla base di Scholia Graeca in Homeri Odysseam ex codicibus aucta εἰ emendata, ed. G. Dinpormuus, tt. I-II, Oxonii 1855 (repr. Amsterdam 1962).
53. E significativo come lo scolio evidenzi la diversità tra le sfere di eccellenza dei due eroi, similmente a quanto sembra accennare l'/ppia minore in relazione ad Achille e ad Odisseo. La distinzione delle prerogative nel confronto tra due eroi
L'ODISSEO DI PLATONE
111
secondo le parole di Achille prima della lite (//. I 91) e quelle di
Nestore (/l. II 82): l'espressione era naturalmente intesa come
iperbolica (sch. ad //. I 90)**. In due circostanze à Diomede ad essere definito ἄριστος ̓Αχαιῶν nel canto della sua ἀριστεία. Nel primo caso (/l. V 103), 81 legge nello scolio relativo una triplice spiegazione, con un richiamo alla ortodossa classifica di valori tra gli eroi greci: ἀντὶ τοῦ ἀριστεύς (Alac γὰρ uev' ’Agudéa) À 6và τὴν εὐδαιμονίαν, "6v δὴ ἐγὼ κάρτιστον 'Axauov"- ἢ ἑαυτὸν ὑψῶν 6
Πάνδαρος ἄριστον τὸν τρωθέντα qnotv**. Anche nel secondo caso
(v. 414, parole di Dione ad Afrodite ferita da Diomede) lo scoliaste offre dell'anomala definizione tre possibili spiegazioni: &v εἰρωνείᾳ,
tóv φρόνημα ἔχοντα ὅτι ἄριστός ἐστιν. À ὡς αὐτὴ λέξει θρηνοῦσα. À καὶ πρὸς παρξ.ἑιυθίαν τῆς ̓Αφροδίτης λέγεται ὅτι Ó τρώσας αὐτὴν ἄριστός ἐστιν
.
In Il.
XVII
689 Menelao definisce Patroclo
ὥριστος ̓Αχαιῶν. Qui è Eustazio (1123.10 ss.) che ci conserva testimonianza della riflessione originata in margine all'inedita definizione: Μενέλαος οὖν ἄρτι 1óv Πάτροκλον ἄριστον ̓Αχαιῶν λέγει èv τῷ “πέφαται ἄριστος
̓Αχαιῶν Πάτροκλος ̓".
̓Αχιλλεὺς d& Μυρμι-
δόνων ἄριστον ἐρεῖ αὐτόν"". καὶ ἀληθεύει μὲν αὐτῶν οὐδέτερος. οὔτε
emerge anche in sch. ad //. 111 225 a', linee 92-3: Ὀδυσσεὺς μὲν γὰρ φρονιμώτερος, Αἴας δὲ ἀνδρειότερος.
54. Agamennone è detto ἀνὴρ ὥριστος da Ettore in //. XI 288: lo scoliaste commenta À xa" ὅλου - “κρατερός te” γὰρ “αἰχμητής" - À vov ἄριστος. In Od. XVII 416 Odisseo blandisce Antinoo ὥριστος degli Achei: περισσὸν τὸ “ἀλλ' ὥριστος ̓ ̓" sentenzia lo scolio, dopo aver ristretto ̓Αχαιῶν a &v τῇ πόλει (schh. ad Od. XVII 415 e 416, p. 684 Dind.).
55. Nota l'anomalia della definizione di Diomede come ἄριστος anche Eustazio (524.41), che la risolve sulla base del terzo tipo di spiegazione fornita dallo scolio. Anche il verso che lo stesso scolio cita a testimonianza della εὐδαιμονία di Diomede, &v δὴ ἐγὼ κάρτιστον ̓Αχαιῶν φημι γενέσθαι (II. VI 98, parole di Eleno), suscitava il problema dell'attribuzione a Diomede della qualifica κάρτιστος ̓Αχαιῶν, risolto mediante l'ormai "classica" (cfr. Aristoph. Ran. 1180 ss.; Plat. Prot. 340b
ss.) distinzione terminologica tra γενέσθαι ed εἶναι: καλῶς οὐκ elxev elvar, ἀλλὰ γενέσθαι, vüv ὑπὸ
̓Αθηνᾶς δηλονότι.
56. Anche in questo caso Eustazio (566.17-21), considerando che οὐ πάντων ̓Αχαιῶν ἄριστος è Διομήδης ἦν, elabora, in parte rifacendosi alla terza spiegazione dello scolio in parte improvvisando, i suoi ragionamenti. Diomede é ancora detto genericamente ἀνὴρ ἄριστος a v. 839: l'imbarazzo che provocava questo passo emerge chiaramente dalla testimonianza di Aristonico, ἀδετοῦνται στίχοι δύο, 6u
oùx ἀναγκαῖοι καὶ γελοῖοι καί τι ἐναντίον ἔχοντες. τί γάρ, εἰ χείριστοι ἦσαν ταῖς ψυχαῖς, εὐειδεῖς δὲ καὶ εὔσαρκοι; (sch. ad //. V 838-9).
57. Cioé in XVIII 10 (cfr. M. vAn DER VALK, Eustathii Commentarii ad Iliadem, ed. M. v. d. V., vol. IV, Leiden 1987, p. 108), verso che, come si legge nel commento di Didimo (sch. A ad //. XVIII 10-1 a), mancava, insieme al successivo,
112
γὰρ
STUDI DI LETTERATURA GRECA
̓Αχαιῶν ἁπλῶς ἄριστος à Πάτροκλος, ἀλλ ̓ οὐδὲ Μυρμιδόνων
ἄριστος, elye Μυρμιδὼν καὶ 6
̓Αχιλλεύς. ἀναιδέστερον δὲ ὅμως τὸ
τοῦ Μενελάου ψεῦσμα. Eustazio, che, in termini che richiamano
curiosamente l’Ippia minore, coglie i due integerrimi eroi a mentire, fornisce anch'egli la soluzione: la «menzogna» di Achille si spiega
con il fatto che Μυρμιδόνων ἄριστος designa il migliore della schiera dei Mirmidoni, di cui Achille stesso non faceva al momento piü parte; quella di Menelao intendendo 'Axatoí nella più ristretta accezione di Μυρμιδόνες.
La questione del “migliore” tra gli eroi sembra insomma essersi riproposta all'attenzione erudita dei Greci ogniqualvolta la priorità di Achille era messa in dubbio. Platone dubita di questa priorità
assoluta, ponendo sullo stesso piano le qualità di Odisseo. Anche in questo caso il suo operato puó essere inquadrato nel più ampio contesto di una profonda rivalutazione che stava interessando la figura dell'eroe itacese. Si tratta di un processo che, originatosi probabilmente in seno alle discussioni filosofiche, avrebbe condotto il personaggio di Odisseo a liberarsi dei tratti negativi che era venuto assumendo soprattutto nella tragedia e ad ottenere una
fortuna sempre maggiore, anche a scapito di Achille??. Ci occuperemo qui dell'aspetto più significativo su cui si fonda questa progressiva ripresa del personaggio Odisseo, quello in connessione con le doti che Platone doveva maggiormente apprezzare nell’eroe, cioë le sue virtù di sapienza e intelligenza. Già il poeta dell'Odissea accennava a una famosa traccia costituita dal veixoc Ὀδυσσῆος xai Πηλεΐδεω ̓Αχιλῆος (Od. ΝΤΗ 74-8). Di questo tema aedico non resta che la testimonianza di uno scolio (sch. ad Od. VIII 75, p. 372.2-4 Dind.), che fa riferimento a una lite simposiale tra i due eroi, durante la quale Achille elogió l'ávóoe(a, Odisseo la σύνεσις. Questo episodio, che poteva trarre
dall'edizione di Riano, ἴσως ἐπεὶ οὐκ Av Μυρμιδὼν 6 Πάτροκλος, mentre Aristarco lo riteneva genuino precisando, fra le altre ragioni, di doversi intendere Patroclo ἄριστος dei Mirmidoni dopo Achille (cfr. lo scolio esegetico al medesimo luogo διὰ τὸ μετὰ τὸν ̓Αχιλλέα ἡγήσασθαι τῶν Μυρμιδόνων).
58. Cfr. U. HôrscHER, Der epische Odysseus, «Gymnasium» 98 (1991), pp. 38596. Sull'idealizzazione di Odisseo presso le scuole cinica, stoica e neoplatonica cfr. F. Burmère, Les mythes d’Homère εἰ la pensée grecque, Paris 1956, pp. 372-88; presso la scuola pitagorica M. DETIENNE, Homère, Hésiode εἰ Pythagore. Poésie εἰ philosophie dans le pythagorisme ancien, Bruxelles-Berchem 1962, pp. 52-60; in Socrate
e nei socratici v. in/ra, pp. rispettivam. 38 ss. e 43 ss. In particolare sulla riabilitazione platonica di Odisseo in quanto possessore, nelle forme auspicate da Platone, dell'arte retorica, cfr. A. Guzzo, La parole εἰ le divin Ulysse, «EPh» n. s. 13 (1958), pp. 161-71.
L’ODISSEO DI PLATONE
113
spunto in ultima analisi dal sopra ricordato confronto tra i due eroi
nel XIX libro dell'//iade?, può esser stato tenuto presente da Platone nel reimpostare il confronto tra i due sul nuovo metro della diversità delle virtù in cui eccellevano, dal momento pure che i due litiganti vi figuravano come gli ἄριστοι 'Axavov (Od. VIII 78). Il tema di questo canto epico dimostra comunque che già nel ciclo le diverse e per certi versi antitetiche qualità dei due eroi erano venu-
te delineandosi. Spesso nella tradizione scoliastica ad Odisseo so-
no associate le virtù intellettive??, talvolta in termini di contrasto con l’ävôgela“!. Eustazio (1381.62 ss.) osserva che Omero ha fatto Odisseo piü ooqóc di Nestore, sulla scorta delle esperienze fattegli maturare nell'Odissea: la stessa valutazione di Ippia, che faceva di Nestore il σοφώτατος degli eroi omerici e che nell'/ppia minore è implicitamente superata dalla nuova valutazione di Odisseo, pote-
va esser stata messa in discussione in età piü antica°*. Negli autori posteriori a Omero, Odisseo sarà accreditato delle note azioni poco onorevoli come la proditoria incriminazione di
Palamede, il defraudamento ai danni di Aiace delle armi di Achille, l'abbandono e il raggiro di Filottete, il sacrificio di Astianatte e di Polissena. Significativa di una reazione a simili innovazioni mitologiche potrebbe essere una deliberata intenzione, che sembra
59.
Cfr. J. B. HArNSWORTH in Omero, Odissea, vol. II, Milano 19915, p. 261.
Significativo che Aristonico ricollegasse al νεῖχος menzionato nell' Odissea una frase del discorso di Achille a Odisseo nelle Λιταί (sch. ad //. IX 347 a). Su questo veixoc in generale, sul suo rapporto con il canto delle Λιταί e sull’antitesi tra Bn e μῆτις che presuppone, cfr. G. NAov, The Best of the Achaeans. Concepts of the Hero in Archaic Greek Poetry, Baltimore- London 1979, pp. 21-5 e 42-58. Il tema della lite tra i due eroi ἄριστοι, cui fa riferimento anche Plutarco (Ages. 5.6, 598c; cfr. pure De inv. 5.537d-e e De aud. poët. 10.30a, dove Achille e Odisseo figurano insieme tra i κράτιστοι), doveva essere ben noto, poiché su esso giocavano anche i Σύνδειπνοι di Sofocle: per il loro rapporto con la tradizione epica cfr. P. voN DER MüHLL, Zur Frage, wie sich die Kyprien zur Odyssee verhalten, «Festschrift R. Tschudi», hrsgg. v. F.
MerEr, Wiesbaden 1954, pp. 1-5, poi in Ausgewáhite kleine Schriflen, hrsgg. v. B. Wyss, Basel 1976, pp. 148-54.
60. Cfr. schh. ad //. 1 7 6, II 169 a.b, 407, V 671, VII 168 a'.a?, IX 622 ὁ, X 291 a'.d?, XIX 216-9. 61. Cfr. sch. ad 1!. III 225 a^.d?, IX 673, X 244, 247 6. 62. Cfr. sch. ad Π . II 407, che fa di Odisseo e Nestore insieme i σοφώτατοι, e soprattutto sch. ad //. 11 169 a, dove è rilevato che Odisseo possiede, oltre alle capacità del Aóyoc, anche quelle pratiche, mentre Nestore soltanto le prime. Non sembra perció dare frutti l'ipotesi di P. FRIEDLANDER, of. cit., p. 126, secondo cui in Nestore, rimasto fuori dalla discussione, sarebbe da cogliere la vera «Weisheit».
114
STUDI DI LETTERATURA GRECA
affiorare nell’Ippia minore, di circoscrivere l’interesse alla rappre-
sentazione dei personaggi in Omero9?, nel senso di riattribuire ad essa gli unici dati validi per la loro corretta caratterizzazione tipologica. Il deterioramento subito dall'originaria figura di Odisseo non mancó, in effetti, di essere notato dagli antichi. Senofonte (Cyn. 1.11) giudica inconsistente la versione di certuni che farebbero la fine di Palamede avvenuta per opera di un uomo σχεδόν t ἄριστος: dovettero invece essere dei xaxoí a perpetrare il fatto. Aristotele nella Poetica (15.1454a28-31) definisce il lamento di Odisseo nella Scilla di Timoteo esempio di atto sconveniente e non
in armonia con il carattere tradizionale del personaggio**. Cicerone considera (De off. III 26.97) che presso Omero, optimus auctor, non si dà alcun sospetto della pazzia simulata da Ulisse per non
arruolarsi, che é storia inventata dai tragici. Dione Crisostomo nell'orazione περὶ AloyóXov xai Σοφοκλέους xai Εὐριπίδου ἢ περὶ τῶν Φιλοχτήτου τόξων sviluppa una σύγκρισις tra le tre tragedie
dedicate al tema dell’ambasceria a Filottete, e osserva, a proposito della solennitä eschilea πρέποντα τραγφῳδίᾳ καὶ τοῖς παλαιοῖς ἤθεσι τῶν ἡρώων, che Eschilo ha messo in scena un Odisseo δριμὺν καὶ δόλιον, ὡς ἐν τοῖς τότε, πολὺ δὲ ἀπέχοντα τῆς νῦν κακοηθείας, ὥστε
τῷ ὄντι ἀρχαῖον ἂν δόξαι παρὰ τοὺς νῦν ἁπλοῦς εἶναι βουλομένους καὶ μεγαλόφρονας (Or. LII 5): dietro i termini κακοήθεια, ἀρχαῖος, ἁπλοῦς potrebbe celarsi reminiscenza dcâli analoghi termini impiegati nella discussione dell'/ppia minore””.
63. Cfr. l’insistenza sul nome di Omero in 364c5, e2, e5, 365c2, c3, c7-d4, 369c3, 370e1, 371a4. Parla per Platone di «retour à l'Ulysse d’Homère, contre le portrait qu'en faisaient Pindare, la comédie et, sur leurs traces, la tragédie» A. Guzzo, art. cit., p. 168. E l'operazione di rigetto nei confronti di un distacco dalla tradizione omerica è evidente nella Repubblica, la dove (I11 407e-408c), a fronte dell'immagine di un Asclepio πολιτικός, in sostegno della quale sono citati gli atti dei suoi figli nell’/liade, viene censurata la cattiva versione fornita dai τραγῳδοποιοί e da Pindaro. Una reazione alla rappresentazione di Minosse fornita dalla tragedia attica rispetto a quella omerica ed esiodea è presente nel Minosse, 318d6-321b5. - Una esauriente per quanto attempata disamina dei tratti cui sj venne caricando la figura di Odissco nella poesia epica, lirica e tragica fino alle soglie dell'età ellenistica pud trovarsi in J. SCHMIDT, Ulixes Posthomericus, «Berl. Stud. f. class. Philol. u. Archacol.» 2 (1885), pp. 399-490.
64. Perl'interpretazione di questo esempio «come quello del non conforme alla tradizione (ἀνομοίου)», che altrimenti verrebbe a mancare, cfr. M. VALGIMIGLI,
Aristotele, Poetica, Bari 1926 (1976?), poi in Aristotele, Opere, Roma-Bari 19917, p. 226 nt. 75. L'esempio riportato da Aristotele è in ogni caso quello di un ἦθος delineato in modo inappropriato (ἀπρεποῦς xai uù ἁρμόττοντος, 30). 65.
Cfr. la ἁπλότης e la εὐήθεια di Achille, nonché l'âgxaios detto di Odisseo
L'ODISSEO DI PLATONE
115
Malgrado le pecche attribuitegli sul piano etico, Odisseo si ve-
drà sempre più riconosciute, a partire daäli stessi tragici*5, le qualità intellettuali rivendicategli da Platone?", e talvolta anche quella per Platone consequenziale qualifica di ἄριστος 8. Parallelamente a questa interpretazione di Odisseo procedeva quella della sua protettrice Atena, che divenne comunemente identificata con la φρόνησις; in due passi dell’Odissea gli scolii indicano nella dea la
οἰκεία φρόνησις dell’eroe“°. Di questo passo, la figura di Odisseo, nei tratti almeno attribuitile da Omero, fini per diventare modello
di virtù da seguire”°.
(371d5), sebbene con altro senso che in Dione. Più giù (LII 16) Dione nota che l’Odisseo sofocleo è ἀπλούστερος di quello euripideo.
66.
Cfr. Soph. Ai. 1374-5,
Phil. 119 e sch. ad loc., 431, 440, 1015, 1244 (nel
Filottete euripideo [fr. 787 Nè.], altresì, Odisseo considera che, se pure fosse rimasto inattivo nel numero dei soldati, avrebbe ugualmente ottenuto sorte pari al
σοφώτατος: cfr. la parafrasi di Dione Crisostomo, Or. LIX 1), fr. 827 N?. = 913 R.; Eur. Troad. 1224-5 (dove l'equazione con xaxés sarebbe stata inammissibile dalla prospettiva platonica), Cycl. 450, Rhes. 625.
67. Cfr. Heraclit. All. 78.3 φρόνιμος; Plut. De aud. poët. 11.30e 6 φρονιμώτατος (v. anche 4.20a e énfra, nt. 70); Athen. IV 158c à φρονιμώτατος xal συνετώτατος,; [Diog. Sin.] Ep. VII 2 6 τῶν Ἑλλήνων σοφώτατος; Luc. De paras. 10 6 σοφώτατος τῶν ὅλων; Iul. Or. I 12d, p. 14 Hertlein συνετὸς tx παντός, Ep. 59 Hertlein = 82 Bidez-Cumont, 445c è συνετώτατος; Cic. De orat. 1 44.196 e De leg. 11 1.3 sapientissimus uir, Tusc. 11 21.48 sapientissimus Graeciae, Defin. V 18.49 sapientiae cupidus; Sen. Dial. 11 [Const. sap.] 2.1 exemplar sapientis uiri; Petr. Sat. 105 homo prudentissimus. Era poi proverbiale l'espressione ̓δυσσέως συνετώτερος (cfr. Luc. Tim. 28, Dial. mort. 9.4; Anecd. Par. I, p. 398.19 Cramer) e ̓δύσσειον βούλευμα è sinonimo di divisamento saggio in Alciphr. III 40.2. Nel dialogo plutarcheo Bruta animalia ratione uti Odisseo è il rappresentante dei valori culturali umani. Sulla ooqía di Odisseo in Antistene v. infra, pp. 43-50.
68.
Cír. Xen. Cyn. 1.11 oxebóv tt ἄριστος (v. anche infra, nt. 80); Dio Chrys. Or.
LIX 1 ἄριστος xal σοφώτατος τῶν 'EJAivov; Luc. Calumn. 28 & συνετώτατος τῶν ̓Αχαιῶν κἀν τοῖς ἄλλοις ἄριστος.
69. Schh. ad Od. VII 14 e VIII 250. Cfr. anche Heraclit. All. 28.1 (su 1 . IT 166 ss.) ed Eust. 1924.53 (ad Od. XXII 224). Per le numerose attestazioni in cui Atena è identificata con le facoltà intellettuali cfr. LfrE s. v., sez. Ex b) e c), coll. 209-11, in partic. Heraclit. !. c. 4 θεία φρόνησις e Suid., p. 68. 29 Adler fj αὐτὴ yáo ἐστι τῷ νῷ: cfr. il succitato (p. 25) luogo del Cratilo (407b).
70. Nelcorso della discussione sulla poesia rimastaci dalla Repubblica di Cicerone (IV 9.9), il difensore dei poeti, argomentando che questi εἰ uirtutis habent usum εἰ
philosophandi materiam praebent, cita al riguardo le peripezie omeriche di Ulisse. Il De audiendis poetis di Plutarco (4.20a) riporta Odisseo come esempio dei φρώνιμοι
e νοῦν ἔχοντες donde i poeti devono trarre i soggetti; nella sezione dedicata a far riconoscere ai giovani i xavôves ἀρετῆς (cap. 8), dopo una rassegna critica di alcuni comportamenti di Achille dalle valenze tra loro opposte (26b-27a), viene
116
STUDI DI LETTERATURA GRECA
VII
È ancora da tenere presente un elemento di non poco conto nel generale contesto di recupero e di riabilitazione di Odisseo, un elemento che può aver esercitato una spinta decisiva sulla considerazione platonica di questo personaggio: il fatto cioè che alla figura di Odisseo si sia spesso ispirato Socrate. Le testimonianze più significative in tal senso ci provengono dai Memorabili di Senofonte. In I 3.7 Senofonte, nel descrivere la sobria δίαιτα di Socrate, asserisce che 1l filosofo era solito rammentare che Odisseo non era stato trasformato in porco da Circe in quanto ἐγχρατής e ἀποσχόμενος dal cibarsi oltre la sazietà. Era naturale che Platone nel succitato passo della Repubblica (111 390a-b) si
scandalizzasse all'elogio delle gioie del banchetto che Omero pone
sulle labbra del temperante eroe"!. In II 6.11 Socrate, dopo aver citato l'apostrofe delle Sirene a Odisseo (Od. XII 184), chiarisce che esse non esibivanoa tutti il proprio canto, ma soltanto τοῖς Ex'
ἀρετῇ φιλοτιμουμένοις"2. In IV 6.15 Senofonte, a proposito dell'efficacia dei λόγοι socratici, riferisce del richiamo di Socrate a un passo dell’Odissea (VIII 171) in questi termini: &m Òè xai Ὅμηρον
proposta all'esernpio una serie di atti dell’Odisseo omerico. Ë molto interessante che per tali atti, tutti dai possibili risvolti negativi a causa della poetica ἀσάφεια τῆς γνώμης, vengono fornite interpretazioni edificanti in chiave moralistica: in questa casistica sarebbero potuti facilmente rientrare quegli atti la cui sconve-
nienza sulla persona di Odisseo Platone aveva rinfacciato ad Omero (v. supra, p. 24).
71. Latemperanza nel mangiare e nel bere costituisce costante motivo di merito agli occhi di Platone, cfr. Resp. 111 389e ε, inoltre, l'ammirazione per le capacità di resistenza di Socrate in Symp. 214a e 219e-220a e il ribrezzo per gli eccessi della cucina italica e siracusana in Resp. III 404d e in Ep. VII 326b; frequente l'elogio dell’Eyxgétera, cfr. Resp. IV 430e-431b, Leg. 1 645e, IV 710a, VIII 840c. Che dietro il rimprovero di Socrate al corpo per gli innumerevoli impacci che ci procura διὰ τὴν ἀναγκαίαν τροφήν (Phaed. 66b7-c1) si celi reminiscenza dell'amara constatazione di Odisseo sul ventre f} t' ἐκέλευσεν Éo μνήσασθαι ἀνάγκῃ (Od. VII 217)? 72. Di un altro sfruttamento etico del motivo di Odisseo e le Sirene da parte di Socrate ? traccia nel detto attribuitogli da Stobeo (III 5.30 = I C 244 SSR) dei ὥσπερ Σειρῆνας τὰς ἡδονὰς παρελθεῖν tóv σπεύδοντα vv ἀρετὴν ἰδεῖν ὥσπερ πατρίδα: cfr. il passo del Fedro (259a6-bl) in cui Socrate si augura che le cicale
vedano lui e il suo interlocutore παραπλέοντάς σφας ὥσπερ Σειρῆνας ἀκηλήτους. L'episodio eserciterà molte consimili suggestioni in Seneca, cfr. A. L. Morro-L. G. CLARK, Seneca and Ulyxes, «CB» 67 (1991), pp. 27-32. La sete di sapere manifestata da Odisseo nell'episodio é rilevata anche da Cicerone, De fin. V 18.49.
L'ODISSEO DI PLATONE
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τῷ Ὀδυσσεῖ ἀναθεῖναι τὸ ἀσφαλῆ ῥήτορα εἶναι ὡς ἱκανὸν ὄντα 6u
τῶν δοκούντων τοῖς ἀνθρώποις ἄγειν τοὺς λόγους" ". Ma il momento più clamoroso del rifarsi socratico al personaggio di Odisseo ἐ senza dubbio quello testimoniato in I 2.58-9. Socrate citava spesso il passo omerico (/l. II 188 ss.) in cui è descritto l'opposto atteggiamento tenuto da Odisseo nei confronti dei re e degli uomini del popolo: secondo Policrate, per favorire tendenze antidemocratiche. Tale accusa avrebbe suscitato la difesa di Senofonte nonché
quella di Lisia?*. É certo che l'interpretazione socratica del comportamento di Odisseo muoveva controcorrente, come quella platonica nell’Zppia minore. Una difesa da questo capo dell'accusa contro Socrate si trova naturalmente anche nella Apologia Socratis di Libanio (Decl. I 93-5), da cui é dato cogliere anche ulteriori tracce di un più stretto rapporto di Socrate con Odisseo. Nei paragrafi 103-5, Libanio difende Socrate dalle accuse di istigare al furto, al sacrilegio e all'inganno. Socrate sosteneva che tali atti in determinati casi non sono cattivi: Libanio riporta come esempio le bugie raccontate dai medici ai malati, caso che ricorda quello contemplato da Platone come esempio di ψεῦδος χρήσιμον nei citati luoghi
della Repubblica”*. Socrate, si ricava dal medesimo passo di Libanio (105), avrebbe giustificato determinati tipi di furto citando quello del Palladio perpetrato da Odisseo, per il quale l'eroe riceve onori nell’/liade, evidentemente in quanto autore di un'azione giusta. Dai paragrafi 123-6 si desume che Socrate critico Omero per non aver dato una rappresentazione adeguata di Odisseo: la stessa col-
73. Lo ps. Dionigi di Alicarnasso (Ars rhet. XI 8, p. 384.3-17 UsenerRadermacher), dopo aver interpretato il verso dell'Odissea cui il Socrate senofonteo fa riferimento, aggiunge toUto xal Ξενοφῶν xal Πλάτων λέγουσι egl Σωκράτους, 6u διὰ tv ὁμολογουμένων ἐπορεύετο, Exel διδάσκειν ἐβούλετο: sull'effi-
cacia dei λόγοι di Socrate cfr. Symp. 215c ss. e K. GaisEn, Platone come scrittore filosofico. Saggi sull'ermeneutica dei dialoghi platonici, con una premessa di M. GIGANTE, Napoli 1984, pp. 55-76. 74.
Cfr. sch. ad Ael. Arist. p. 480.27-481.2 Dindorf (ad Or. XLVI, p. 133.16 Din-
dorf = III 68 Behr ὥσπερ èv εἴ τις tóv 'Obvooéa tóte ἡτιᾶτο): οὐκέτι αὐτὸν λέγει 10v
Πλάτωνα, ἀλλ ̓ ἕτερον εἰσάγει τινά. τοῦτο 8' oóx ἀργῶς elxev, ἀλλ ̓ ἐπειδὴ olbe τὸν Σωκράτη πρὸς τοὺς νέους ἀεὶ τὸν "OBvocta θαυμάζοντα διὰ τὴν τοιαύτην πρᾶξιν, ὡς Πολυκράτης &v 1 xat' αὐτοῦ λόγῳ φησί καὶ Λυσίας Ev τῷ πρὸς Πολυκράτην ὑπὲρ αὐτοῦ ̓ ὁ μὲν συνιστῶν ὅτι τὴν δημοκρατίαν ἐκ τούτον καταλύειν ἐπεχέρει, ἐπαινῶν τὸν ̓Οδυσσέα, τοῖς μὲν βασιλεῦσιν ἐπαινοῦντα λόγῳ, τοὺς àè ἰδιώτας τύπτοντα κτλ. La notorietà e la risonanza dell'elogio di Socrate a Odisseo dovevano essere state ingenti.
75.
Resp. 11 382c, III 398b. Cfr. anche Xen. Mem. IV 2.11-7.
118
STUDI DI LETTERATURA GRECA
pa che Platone rinfaccia nel passo succitato (Resp. III 390a-b). Il poeta, sostiene il Socrate di Libanio, non avrebbe dovuto far soffrire tante traversie all’eroe per il quale tutta l’Odissea è composta come un ἐγκώμιον (123) e in aiuto del quale fa anche spesso intervenire Atena: non ha fornito neanche una giusta causa della collera di Poseidone, dal momento che Odisseo aveva accecato il Ciclope per difesa (124). Segue la giustificazione di Libanio nei riguardi del giudizio critico espresso da Socrate su Omero. Sostanza della difesa è la seguente. Socrate, riconoscendo che Omero ha fatto in Odisseo l’elogio di un uomo θαυμαστός, ha biasimato soltanto il fatto che l’eroe sia stato sottoposto a tante prove, mentre Anito, che fa di Odisseo il κάκιστος di coloro che combatterono a Troia, distrugge tutto il presupposto del canto del poeta, e dunque lo biasima molto più di quanto non facesse Socrate (125-6). Si riconosce, in questa valutazione di Odisseo attribuita all'accusatore, quella medesima implicita nella connotazione negativa del giudiZio con cui Ippia indicava in Odisseo il πολυτροπώτατος degli eroi
giunti a Troia. E poi interessante il riferimento, posto in bocca a Socrate, circa l'assistenza accordata da Atena ad Odisseo: il rapporto tra la dea rappresentante la φρόνησις e il saggio eroe doveva essere paragonato a quello tra Socrate e il suo demone, come testimonia un passo del De genio Socratis plutarcheo (10.580c = I C
411.12-22 SSR) in cui l’indovino Teocrito dice a proposito del δαιμόνιον socratico: ἐμοὶ γὰρ οὐδὲν οὕτω μέγα τῶν περὶ Mudayégou λεγομένων εἰς μαντικὴν ἔδοξε καὶ θεῖον' ἀτεχνῶς γὰρ otav Ὅμηρος
"Odvocei πεποίηκε vv
̓Αθηνᾶν “ἐν πάντεσσι πόνοισι παριστα-
pévnv”, τοιαύτην ἔοικε Σωκράτει τοῦ βίου προποδηγὸν £E ἀρχῆς τινα συνάψαι τὸ δαιμόνιον ὄψιν, “ἡ ̓" μόνη “οἱ πρόσθεν ἰοῦσα τίθει φάος ̓"
ἐν πράγμασιν ἀδήλοις καὶ πρὸς ἀνθρωπίνην ἀσυλλογίστοις φρόνη-
σιν, «ἐν οἷς αὐτῷ συνεφθέγγετο πολλάκις τὸ δαιμόνιον ἐπιθειάζον ταῖς αὐτοῦ προαιρέσεσι. Il parallelo era, come ben risulta da questo passo, spontaneo ed estremamente calzante. Socrate stesso potrebbe averlo effettuato. L'espressione di Atena che assiste Odisseo &v πάντεσσι πόνοισι, cui fa riferimento Plutarco, ricorre infatti in quei due episodi omerici che meglio risaltano l'eccellenza intellettuale di Odisseo. Nel primo caso l'eroe, prescelto da Diomede in virtù della sua sagacia, invoca la dea: èv πάντεσσι πόνοισι παρίστασαι, οὐδέ σε λήθω ! κινύμενος. Ebbene, per ricondurre a Socrate il richiamo a questi versi può essere decisiva la testimonianza di Epitteto (Diss. I 12.3) che, enumerando varie concezioni della divinità, riferisce: πέμπτοι 8', Àv fiv xai Ὀδυσσεὺς xai Σωκράτης, ol λέγοντες ὅτι “οὐδέ σε
L'ODISSBO DI PLATONE
119
λήθω xvvópuevoc" "9. La seconda ricorrenza si ha nel passo odissiaco della Wahlverwandtschaft intellettuale tra Atena e Odisseo: qui € la dea che afferma &v πάντεσσι πόνοισι παρίσταμαι (XIII 301). Che poi neanche Platone mancasse di proiettare sul maestro i risvolti intellettuali del rapporto di Odisseo con Atena sembra suggerito dal passo del Fedro in cui Socrate connota il proprio amore per il «dialettico» (τοῦτον διώκω “κατόπισθε μετ ̓ ἴχνιον ὥστε 9eoto",
266b6-7) riutilizzando l'espressione omerica che ritrae l’eroe mentre muove dietro le orme della sua protettrice (6 &’ ἔπειτα per’ ἴχνια βαῖνε θεοῖο, Od. VII 38). La stessa, emblematica immagine dei πόνοι di Odisseo, del resto, pud esser stata di per sé elemento non trascurabile di ricongiungimento del paziente eroe con Socrate: per gli altri socratici, e
per Platone in particolare’’. Che questa immagine fosse presente alla sua mente come peculiare dell'itacese risulta dal finale della Repubblica, allorché alla visione di Er compare un Odisseo memore
appunto dei passati πόνοι (X 620c5). E il famoso elogio finale di Socrate pronunciato da Alcibiade nel Simposio pone particolare rilievo sui πόνοι per la cui sopportazione il filosofo era superiore a chiunque (219e7-8). La suggestione odissiaca dovette essere operante: difficilmente sarà stato un caso che, proseguendo nel racconto “epico” delle καρτερήσεις (220a6, cfr. καρτερεῖν al) e delle prodezze del maestro, Platone abbia intercalato la formula con cui nel IV libro dell'Odissea Elena dapprima (v. 242) e Menelao dopo (v. 271) introducono a Telemaco la loro rievocazione delle gesta
paterne: olov 8' aù τόδ ̓ ἔρεξε καὶ ἔτλη καρτερὸς ἀνήρ (220c2) *. Ma
76. Tale concezione socratica della onniscienza e onnipresenza divina é descritta in Xen. Mem. I 1.19. — Anche nel De deo Socratis di Apuleio (X XIV 177) Atena appare, nei suoi rapporti con Odisseo, come la prudentia di quest'ultimo, ad illustrare il parallelo rapporto tra Socrate e il suo demone: nec aliud te in eodem Vlixe Homerus docet, qui semper εἰ comilem uoluit esse prudentiam, quam poético ritu Mineruam nuncupaxit.
77. Peril motivo del xóvoc in Antistene (con collegamenti alle figure di Eracle e di Odisseo) cfr. H. D. RANKIN, Anthisthenes (sic!] Sokratikos, Amsterdam 1986, pp. 12-3, 105, 108-10, 122-3, 124; in Senofonte (con riferimento ad Odisseo) cfr. An. V 1.2; in Aristippo (ad imitazione di Odisseo) cfr. fr. 55 SSR; in Platone (con tutte le sue implicazioni filosofiche) cfr. M. Turui, Dialettica e scrittura nella VII Lettera di Platone, Pisa 1989, pp. 11-4, 38 e 47.
78.
La formula nelle sue due — uniche — ricorrenze omeriche presenta due mem-
bri iniziali leggermente diversi tra loro e dal testo platonico: ἀλλ ̓ olov (242) e olov
J. LABARBE, of. καί (271). Più che una variante già omerica del primo verso (cosi iniziali, membri due i tra cit., p. 229), ipotizzerei nel Simposio una contaminazione
120
STUDI DI LETTERATURA GRECA
la traccia più nitida dell’affinità che Platone sentiva sotto questo rispetto fra Socrate e Odisseo è lasciata forse dall’Apologia. Lì ad apporre un’impronta inconfondibilmente odissiaca ai πόνοι della ricerca socratica interviene l'immagine della xAdvn, la cui forte carica allusiva abbiamo già evidenziato nell’Zppia minore: δεῖ & ὑμῖν τὴν ἐμὴν πλάνην ἐπιδεῖξαι ὥσπερ πόνους τινὰς πονοῦντος, suonano le parole del filosofo ai giudici (Apol. 22a6-7).
VIII
Non si sarà compiaciuto Platone stesso di vestire i panni dell’eroe errabondo? Nella straordinaria testimonianza di sé che lascia con la VII Lettera, il filosofo connota con parole del racconto di Odisseo ad Alcinoo (Od. XII 428) il ricordo di quando fu costretto a recarsi τὸ τρίτον εἰς τὸν πορθμὸν τὸν περὶ τὴν Σκύλλην, “ὄφρ ̓ ἔτι τὴν ὀλοὴν ἀναμετρήσαιμι Χάρυβδιν" (345d7-e2). A rafforzare l'impronta odissiaca sulle sue peregrinazioni sicule, Platone poco più giù rammenta di aver declinato l'ulteriore coinvolgimento μεμισηκὼς τὴν περὶ Σικελίαν πλάνην (350d4-5). Il richiamo agli errori di Odisseo era cercato e infatti non sfuggi al più antico testimone dell'epistola, Aristosseno, che, in riferimento al terzo viaggio di Platone in Sici-
lia, adopera l'ormai simbolico termine πλάνη (fr. 64 Wehrli?). Alla grande delusione delle esperienze in Italia fece seguito il ripiegarsi del filosofo nell'otium accademico. Non rende ció lecita l'ipotesi che Platone abbia maggiormente identificato sé stesso, tra le anime dei personaggi che rappresenta nel mito finale della Repubblica mentre procedono alla scelta della vita futura, proprio con l'anima di Odisseo? Nel racconto di Socrate - letterariamente introdotto, si noti, come un 'AAx(vov ἀπόλογος (X 614b2-3)! —, l'eroe sceglie tutto contento un fíov ἀνδρὸς ἰδιώτου xai ἀπράγμονος (620c6-7). Se si riflette sul significato filosofico che nei dialoghi stessi si trova spesso attribuito a questo genere di vita, si puó esse-
re indotti a non scartare a priori la nostra ipotesi^?.
la quale lascerebbe a sua volta presupporre una maggiore dimestichezza di Platone con il passo odissiaco: dimestichezza comprovata, del resto, dal fatto che il verso citato mantiene nel discorso di Alcibiade un enjambement assai simile, sul piano tanto logico quanto sintattico, a quelli esistenti in entrambi i modelli omerici.
79. Già la precedente discussione della Repubblica aveva sancito piü volte la condanna della πολνυπραγμοσύνη, del πολυπραγμονεῖν: IV 433a-434b, 443c-444b.
L'ODISSEO DI PLATONE
121
IX
L'interesse di Platone per il personaggio di Odisseo puó dunque essere diretta eredità di Socrate. Ne sarebbe conferma l'interesse che in termini analoghi è dato cogliere negli altri tre più autorevoli esponenti della cerchia socratica, Senofonte, Aristippo e Antistene.
E di quest'ultimo che dovremo occuparci®. Non puó essere casuale il fatto che dei pochi frammenti superstiti di Antistene relativi a interpretazioni omeriche, la quasi totalità riguardi Odisseo: dei sette frammenti antistenici estraibili dagli
scolii omerici (frr. 187-93 SSR)?!, quattro mettono in luce la oogía di Odisseo e un quinto quella della sua protettrice Atena, e un riferimento ad Odisseo è ipotizzabile anche in un sesto
frammento9?, Nel fr. 188 sono raccolte le spiegazioni date da Anti-
Spesso poi, nei dialoghi, Socrate si proclama ἰδιώτης rispetto a svariate attività
professionali: Euthyd. 295e2-3, Phaedr. 236d5, Prot. 345a7, lon. 532el, Hipp. min. 376c4. Ma a far apparire ottimale nella prospettiva platonica la scelta di vita operata da Odisseo interviene il forte riscontro, in termini e contenuti, con un altro mito conclusivo, quello del Gorgia, dove Radamanto invia compiaciuto nelle Isole dei beati l'anima di chi è vissuto santamente e nella verità, ἀνδρὸς ἰδιώτου À ἄλλου nvóc, μάλιστα μὲν [..] φιλοσόφουν tà ἑαυτοῦ πράξαντος xai 00 xoàÀv-
πραγμονήσαντος Ev τῷ βίῳ (526c1-5, con l'evidente risposta all'esortazione di Callicle in 486c4-5 πραγμάτων 6'ebuovot(av &oxe). 80.
L'interesse senofonteo per Odisseo è testimoniato dal vistoso apprezzamento tributatogli nel proemio del Cinegetico, dove l'eroe è incluso nell'elenco dei virtuosissimi discepoli di Chirone (1.2), definito σχεδόν w ἄριστος e scagionato dall'accusa di aver causato la morte di Palamede (1.11), ed elogiato per essere stato artefice della conquista di Troia (1.13). Per l'identificazione dell'&gvoxoc con Odisseo cfr. V. Dı BENEDETTO, /l proemio del Cinegetico di Senofonte, «Maia» 19 (1967), p. 231 nt. 69. Sull'impronta "odissiaca" dell'Anabasi, che va al di là dell'esplicito richiamo sulle labbra di Leonte di Turii (V 1.2), cfr. M. Lossav, Xenophons Odyssee, «A& A» 36 (1990), pp. 47-52. L'ammirazione di Aristippo per Odisseo giunse al punto che il cirenaico se ne ritrasse un’immagine di vita (fr. 55 SSR). 8l.
I frammenti di Antistene saranno citati sulla base di Socratis εἰ Socraticorum Reliquiae (= SSR), collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. GIANNANTONI, voll. I-IV, Napoli 1990.
82. Fanno dunque eccezione il fr. 191, concernente Nestore, ς il fr. 189, concernente i Ciclopi: ma non escludo che in quest'ultimo (la cui estensione, sulla base dei recenti contributi, figura notevolmente accresciuta in SSR rispetto alla raccolta di F. DECLEVA Caizzi, Antisthenis fragmenta, Milano-Varese 1966) potesse essersi trovato un aggancio con Odisseo: Antistene, provando che Polifemo, a differenza degli altri Ciclopi δίκαιοι, è ἄδικος, avrebbe potuto giustificare Odisseo dall'accecamento inflittogli negli stessi termini in cui lo farà il Socrate di Libanio (v. supra, p. 40).
STUDI DI LETTERATURA GRECA
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stene a una quaestio, tramandata da Porfirio, che indagava perché Odisseo avesse rifiutato l’immortalità offertagli da Calipso. La spiegazione di Antistene, riportata dallo scolio porfiriano ad Od. XXII 337 e V 211, andava nel seguente senso. Odisseo, essendo σοφός,
sa (εὶδέναι)" che gli amanti spesso mentono e promcttono cose impossibili: preferisce perció la sua sposa xtoíqoov9*. Altri complementi alla λύσις antistenica sono forniti da Porfirio nello scolio ad Od. VII 257: Odisseo sapeva, ἤδει, che gli amanti fanno false promesse, poiché Calipso non avrebbe potuto donargli l'immortalità senza l'intervento di Zeus. La spiegazione di Aristotele (fr. 178
R.), riportata sempre da Porfirio, chiamava in causa per Odisseo valori ben piü elevati, ma che avevano come fondamento anch'essi la sapienza dell’eroe. Nel fr. 190 (= Porph. sch. ad Od. IX 525) Antistene risolve il problema del disprezzo manifestato ἀνοήτως da Odisseo nei confronti di Poseidone sostenendo che l’eroe sapeva (εἰδέναι) che il dio non avrebbe potuto curare il Ciclope perché medico non era lui, ma Apollo. Uno scolio ad //. XV 123, che considera la φρόνησις di Atena, aggiunge un commento di Antistene (fr. 192), da cui ben si coglie quali fossero le doti che anche il socratico apprezzava nella protettrice di Odisseo: εἴ t πράττει 6 σοφός, xatà πᾶσαν ἀρετὴν ἐνεργεῖ. Abbiamo riservato in ultimo il più importante frammento di Antistene su Omero, che va qui attentamente considerato per la sua sorprendente affinità con il punto di partenza della discussione sul problema omerico nell’Ippia minore e per l'influenza che ha esercitato sulla valutazione critica del passo platonico. Tentiamo di ricostruire il contesto antistenico e seguiamone il contenuto mettendolo in rapporto con il dialogo di Platone. Il frammento (fr. 187) è costituito da una interpretazione del carattere di Odisseo connessa al significato del termine πολύτροπος, che contrassegna l’eroe nell'incipit del suo poema. Ci è tràdito da Porfirio, che ha adattato allo schema dei suoi ζητήματα, consistenti in una ἀπορία fatta seguire da una o piü λύσεις, il contesto antistenico, struttura-
to originariamente in forma dialogica?*, 51 ipotizza che i due inter-
83.
olba diceva Odisseo a Calipso nel passo odissiaco (V 215), più giù riportato
da Porfirio, cui la λύσις antistenica si riferisce. B4. περίφρων, detto di Penelope nel passo in questione (Od. V 216), &, insieme ad ἐχέφρων, epiteto tipico della moglie di Odisseo.
85. Suiresti dell'originaria forma dialogica nel testo sistemato da Porfirio cfr. A. BRANcAcci, OIKEIOS LOGOS. La filosofia del linguaggio di Antistene, Roma 1990, p. 46 nt. B.
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123
locutori che compaiono fossero proprio Socrate e Ippia?. Il testo di Porfirio risulta perció, come si presenta allo stato attuale, piuttosto oscuro, ma non é stato difficile decifrarlo ricostruendo il sotteso scambio di battute. In principio Porfirio riassume l'opinione di Antistene, o piuttosto il dubbio iniziale espresso dal personaggio
Socrate?", secondo il quale Omero definendo Odisseo πολύτροπος non intende elogiarlo più che biasimarlo. À questo l'interlocutore,
forse Ippia, obietta una interpretazione negativa del termine πολύτροπος, basata sul fatto che Omero non ha rappresentato πολυτρόπους Agamennone e Aiace, ma li ha fatti, al contrario, ἁπλοῦς xai yevváóac: anche il ooqóc Nestore non lo ha rappresentato δόλιον xai παλίμβολον τὸ ἦθος ἀλλ ̓ ἁπλῶς τῷ ̓Αγαμέμνονι συνόντα καὶ τοῖς ἄλλοις ἅπασι. Fin qui l'affinità con l’Ippia minore salta agli occhi. Anche nel dialogo platonico si assiste all’iniziale dubbio di Socrate circa la valenza assiologica del termine πολύτροπος con cui è designato Odisseo (364e1-4); anche lì Ippia ne mette in chiaro la valenza negativa mediante la contrapposizione con la ἁπλότης che caratterizza i migliori personaggi omerici. Il più significativo elemento di contatto tra il dialogo di Platone e quello di Antistene è rappresentato dall’esempio di Achille: sia l’Ippia platonico sia quello antistenico citano il medesimo passo delle Auta( come prova della più aspra opposizione immaginata da Omero tra il personaggio di Achille e quello di Odisseo. Sia in Platone sia in Antistene si procede quindi alla rivalutazione di quest'ultimo; prima di esaminarne i contenuti, è opportuno fare il punto di quanto si puó ricavare dal confronto tracciato. L'affinità iniziale delle due discussioni presuppone l'esistenza di un fondo comune, costituito da un giudizio letterario di notevole rilievo. Tale giudizio consisteva in una valutazione degli eroi omerici nella quale era messa in cattiva luce la figura di Odisseo sulla base di una interpretazione negativa del caratteristico epiteto πολύτροπος, il cui esatto significato aveva in effetti già sollevato
problemi9?. La valenza negativa della πολυτροπία era dedotta dal contrasto con la ἁπλότης che caratterizza gli eroi positivi. Come esempio più evidente della intenzionale contrapposizione effettua-
86.
Cfr. A. BRANCACCI, op. cit., pp. 50 e 52 nt. 16.
87.
Ritengo cosi sulla base dell'analogo dubbio iniziale che Socrate esprime
nell'/ppia minore: v. infra.
88.
Determinando la sua sostituzione con la variante πολύκροτος: cfr. U. voN
WILAMOWTTZ-MOELLENDORFF, op. cit., p. 102 nt. l.
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ta da Omero tra il tipo ἁπλοῦς e quello πολύτροπος era citata l’apostrofe di Achille a Odisseo nelle Λιταί. Tale giudizio è attribuito sia da Platone sia da Antistene ad Ippia, ed è altamente probabile appartenesse effettivamente al sofista. Poteva rientrare in una raccolta di exempla che Ippia aveva redatto ispirandosi ai personaggi omerici. À questa ipotesi darebbero sostegno: 1. il fine protrettico che Ippia perseguiva nei suoi richiami ai personaggi omerici, come testimonia il Τρωϊκὸς διάλογος (Philostr. V. soph. 1 11 = 86 A 2 D.-K.; Plat. Hipp. mai. 286a — 86 A 9 D.-K.), il cui protagonista è quel Nestore elogiato da Ippia sia in Platone sia in Antistene; 2. il suo gusto per la collezione di esempi (86 B 6 D.-K.); 3. i suoi studi omerici (86 B 6, B 9, B 18, B 20 D.-K.). Al giudizio ippiano Platone e Antistene, ciascuno in base ai propri orientamenti, si oppongo-
no, nel modo che ora andremo ad esaminare comparativamente. Entrambi partono mettendo in discussione la connotazione negativa assegnata da Ippia alla πολυτροπία di Odisseo, per arrivare a un suo rovesciamento in positivo. Antistene, per il quale l'én(oxeytc vv óvouátov è ἀρχὴ παιδεύσεως (fr. 160 SSR), vi perviene attraverso l'analisi semantica. Scinde l'aggettivo πολύτροπος nelle sue componenti, per avviare al recupero della sua originaria valenza potenzialmente neutra: chiarisce che τρόπος puó significa-
re sia τὸ ἦθος sia 1) τοῦ Aóyov χρῆσις e mostra che quest'ultima accezione del termine è anche in Omero. Dunque, i ooqoí, dal
momento che sono δεινοὶ διαλέγεσθαι, sanno anche esprimere lo stesso pensiero xatà πολλοὺς τρόπους ε, conoscendo πολλοὺς
τρόπους λόγων sullo stesso argomento, sono da considerarsi πολύτροποι. I σοφοί, poi, sono anche ἀγαθοί nei rapporti umani. La conclusione del Socrate antistenico è perció che Odisseo in quanto σοφός è stato detto da Omero πολύτροπος, poiché appunto toic ἀνθρώποις ἠπίστατο πολλοῖς τρόποις συνεῖναι. Platone, per il quale la pura indagine sui nomi non approda a risultati concreti, non si sofferma sul significato in sé proprio di πολύτροπος, ma accetta quello convenzionale di ψευδής attribuito-
gli da Ippia. E l'idea stessa della πολυτροπία, con la capacità di mentire che le é connessa, che il Socrate platonico sottopone ad esame, per enuclearne le potenzialità positive. La conclusione cui giunge è analoga a quella antistenica: il πολύτροπος o ψευδής, tutt'uno con ̓ ̓ἀληθής e l'éyató6c, altri non è che il σοφός. Sulla base di queste considerazioni, riteniamo che la trattazione platonica e quella antistenica si siano sviluppate indipendentemente in margine a un problema di interesse comune. Riteniamo perció ingiustificato accentuare il loro rapporto reciproco fino a
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fare di una la replica all'altra. L'opinione comune della critica
vede, in effetti, nella discussione omerica dell' /ppia minore una precisa risposta al dialogo di Antistene. Tale opinione si puó far risali-
re all'antica autorità di F. Dümmiler®° e non meriterebbe ormai di essere discussa se non facesse cosi spesso ricomparsa, quan-
d'anche in termini meno recisi, nella critica più recente”, che pure ha abbandonato, come vedremo, l’impostazione di fondo del sag-
gio del Dümmler, nonché molte delle sue congetture particolari. Dümmler, dunque, leggeva nella discussione dell’Zppia minore un
completo rovesciamento della discussione antistenica?!. Ma tale opinione fa perno su due punti di dubbia consistenza: 1. in Platone il termine πολύτροπος, cui in Antistene è attribuito un senso positivo, assume il significato negativo di «mendax» e «dolosus»: ma questo è solo il dato di partenza che Platone accetta da Ippia e da cui poi estrae, anch'egli come Antistene, le implicite potenzialità positive; 2. l'Achille antistenico, «simplex» e «ingenuus», diventa in Platone pari a Ulisse nell'arte di ingannare e, se fa ció involontariamente, ancora peggiore: ma, a parte il fatto che nel dialogo antistenico la semplicità è caratteristica attribuita ad Achille da Ippia non da Socrate e dunque non si puó identificare fout court
nell'opinione di Antistene??, Dümmler trascura la λύσις che Platone offre della mendacia di Achille per distinguerla da quella di Odisseo e, quanto alla conseguenza che Achille, se mentitore involontario, è peggiore di Odisseo, non fa il debito conto dei segnali attenuanti che Platone lancia per la soluzione di questa come dell'analoga conclusione paradossale di tutto il dialogo. La tesi secondo cui con la discussione omerica dell’Ippia minore Platone non ha inteso altro che polemizzare ironicamente contro
Antistene, é del resto principalmente frutto di un'epoca in cui gli studi filologici si compiacevano di rintracciare, spesso con eccessivo zelo, la presenza di polemiche letterarie, pià o meno velate, fra
89._ Çfr. F. DÜMMLER, Antisthenica, Diss. Bonn 1882, poi in Kleine Schrifien, 1, älpllg 1901, pp. 10-78. La trattazione dell'/ppia minore occupa le pp. 31-6=38-
90. Cfr. p. es. M. ERLER, op. cit., p. 122 nt. 11; A. BRANCACCI, of. cit., pp. 51-2; G. GIANNANTONI, of. cit., IV, p. 342.
91. Cfr. p. 32=38 («iam operae pretium est videre, quomodo Plato omnem . hanc disputationem a sensu auctoris detorqueat»); p. 33—39 («vides quam penitus Antisthenis disputatio sit deorsum sursum versa»). 92. Va dato atto a Dümmler di non aver avuto presente l'originario contesto dialogico in seguito ricostruito nell'opera di Antistene.
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autori contemporanei®®. L'ostilità tra Platone e Antistene, in particolare, prestava fertile terreno a questo tipo di speculazione per via
dei numerosi aneddoti antichi fioriti al riguardo?*. Oggi peró la critica sembra fare sempre meno riferimento a tale ostilità, la cui portata e i cui effetti appaiono assai ridimensionati. La polemica tra i due socratici sembra essersi originata in un secondo momento
della loro attività, ed essersi incentrata sulla teoria delle idee??. Di fatto, le varie puntate contro Antistene presunte in passato nei dialoghi platonici, quali quelle individuate in gran numero dal
Dümmler?5, si sono spesso trovate ad essere smentite?": analogamente, nessuno oggi mostra piü di condividere la tesi annessa da Dümmler a quella sul fine della discussione omerica nell'/ppia minore, secondo la quale anche la seconda parte del dialogo, quella che non tiene più sott'occhio il problema omerico, sarebbe indirizzata contro Antistene.
93. Esempio emblematico di questa tendenza sono le Literarische Fehden di G. Teichmüller (I-11, Breslau 1881-84 [Neudr. Hildesheim 1978]), nonché gli Akademika dello stesso Dümmler (GieBen 1889 [Neudr. Osnabrück 1987]).
94. Raccolti da A. S. Riornos, Platonica. The Anecdotes Concerning the Life and Writings of Plato, Leiden 1976, pp. 98-101. 95. Lo segnalava già H. RaEpEn, Platons philosophische Entwickelung, Leipzig 1905, p. 96. Sulla polemica cfr. A. BRANCACCI, of. cit., pp. 173-97. 96. Quclle principali sono assommate nella «conclusio» di Antisthenica, pp. 623=66: si tratta di passi dell'/ppia minore, dell' Eutidemo, del Cratilo, del Teeieto, dello lone, della Repubblica, del Gorgia. 97. G. M. A. GRUBE, Antisthenes Was No Logician, «TAPhA» 81 (1950), pp. 1627, fornisce (p. 19 nt. 10) una rassegna di studiosi scettici sui riferimenti ad Antistene nell’opera di Platone (P. Shorey, L. Campbell, A. Levi, A. E. Taylor, J. Burnet) e trova (p. 25) «no reason to see any reference to Antisthenes anywhere else in Plato, though a great deal of scholarly ingenuity has been expended in such attempts». M. F. BURNYEAT, The Material and Sources of Plato’s Dream, «Phronesis» 15 (1970), pp. 101-22, sostiene che il passo del Teeteto sul sogno (201c
ss.) contiene motivi che nulla hanno a che vedere con il pensiero di Antistene. H. D. RANKIN, of. cit., non crede (p. 37) che nel I libro della Repubblica Trasimaco sia
una maschera per Antistene, e considera (p. 78) che la frequenza degli aneddoti
sugli attacchi di Antistene contro Platone puó riflettere l'importanza di quest'ultimo agli occhi dei successivi autori piuttosto che l'effettiva percentuale degli attacchi che il «protocinico» sferrava ai suoi contemporanei, e che (p. 110), sebbene esista una sostanziosa lista di riferimenti ad Antistene presunti nei dialoghi, il cinico non vi figura menzionato che in Phaed. 59b ε, nella più considerevole di queste supposte allusioni (SopA. 251c), «we have no proof that he in particular or alone is being ridiculed by Plato». Si ricorreva alla scappatoia di Antistene finanche per spiegare la contraddizione tra le trattazioni della poesia nel III e nel X libro della Repubblica (p. es. in F. STAHLIN, Die Stellung der Poesie in der platonischen Philosophie, München 1901, pp. 26-7), ipotesi ben presto abbandonata.
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La discussione omerica nell'/ppia minore, pertanto, puó aggiungersi alla serie dei passi platonici per i quali é infondata la presunzione di una polemica contro Antistene, e pud essere cosi affrancata anche da quest'ultimo elemento del giudizio generale della critica che vi legge soltanto funzioni distruttive. La discussione omerica di Platone e quella di Antistene, lo ripetiamo, traggono origine, indipendentemente, da una valutazione negativa del personaggio di Odisseo, e convergono in una rivalutazione che ha come presupposto comune la ooqía dell'eroe. Si differenziano, senza necessariamente volersi contrapporre l'una all'altra, negli aspetti che di tale oogía ciascuna prende in considerazione e nel metodo seguito. Antistene, attraverso l'analisi linguistica del termine πολύτροπος, esplicita la ooqía di Odisseo nell'abilità dell'eroe nel διαλέγεσθαι, nell’6judeiv, nel συνεῖναι con la gente, adattandosi ogni volta al diverso tipo di interlocutore: sviluppa cosi in Odisseo l'elemento socratico che piü lo interessava, quell'elemento che il Socrate senofonteo ricollegava proprio a Odisseo, ἀσφαλὴς δήτωρ, e che Platone stesso doveva molto apprezzare nel maestro: ne sono testimonianza la VII Lettera e ı} Fedro, dove è assai significativa, fra l'altro,
la menzione dell'arte retorica di Odisseo (261b-c)®. Platone, dal canto suo, evidenzia le possibilità insite nel termine πολύτροπος attraverso un'analisi che potrebbe dirsi gnoseologica, ottenendo anch'egli come risultato la σοφία di Odisseo: una σοφία che egli vede estrinsecata nella capacità dell'eroe di mentire. Anche Platone, cosi, vede in Odisseo l'incarnazione di quell'elemento socratico che tanto profonda e lunga suggestione avrebbe esercitato sul suo pensiero, vale a dire quell'intellettualismo etico che portava, per assurdo, alla preferibilità di chi commette il male volontariamente e, come liberatoria conseguenza, all'inesistenza fattuale di un simile tipo. Anche in questo caso, puó ben darsi la possibilità che sia stato lo stesso Socrate a ricondurre questi concetti alla figura di Odisseo: nel passo senofonteo in cui si discute del problema (Mem. IV 2.11 ss.), cita, fra azioni potenzialmente giuste, due tipiche di
Odisseo, l’ttaxatäv e il κλέπτειν". Sia Platone sia Antistene, in
98. Sul significato della συνουσία per Platone cfr. M. TULLI, op. cit., pp. 22-3. Sul senso della presenza di Odisseo nel passo del Fedro cfr. A. Guzzo, art. cit., pp. 169-71. Sulle doti di parlatore effettivamente messe in mostra dall’Odisseo omerico cfr. U. Lesi, Odisseo eroe della retorica nel terzo libro dell’Iliade, «Lexis» 11 (1993), pp. 1-21.
99.
L'iEaxaxàv è azione ricordata nell'/ppia minore (365d8); nel passo senofonteo
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conclusione, possono aver ereditato da Socrate il loro interesse per la figura di Odisseo, e averlo sviluppato ciascuno nella direzione di
ciò che più li affascinava del maestro!??. X
La discussione omerica dell'/ppia minore è arricchita di un elemento che risulta inesistente in Antistene: ̓ ̓ἀπορία sollevata e risolta relativamente alla caratterizzazione di Achille come ἀληθής e ἁπλοῦς. La serietà con cui è affrontato questo problema è confermata in ultima analisi dal fatto che esso doveva essere realmente sentito nelle cerchie letterarie antiche: rivive infatti, in termini assai simili al dialogo platonico, negli scolii al passo dell’/liade. Lo scolio ai versi d'esordio della risposta di Achille a Odisseo nelle Λιταί, passo trascelto dall'Ippia platonico e da quello antistenico per dimostrare la genuinità e la sincerità di Achille, ἀληθής te καὶ ἁπλοῦς, commenta evidenziando anch'esso tali caratteristiche dell'eroe: tóv ̓Αχιλλέα παραδίδωσι φιλότιμον, ἁπλοῦν, φιλαλήθην xtÀ. (sch. ad . IX 307-9). Anche Socrate, in effetti, vedrà Achille in queste parole λοιδοροῦντα τοὺς ἀλαζόνας τῇ ἐσχάτῃ λοιδορίᾳ,
così da dimostrarsi poi ἡγούμενον ἀρχαῖον εἶναι τὸν ὈΟδυσσέα καὶ αὐτοῦ αὐτῷ τούτῳ τῷ τεχνάζειν TE καὶ ψεύδεσθαι περιέσεσθθαι: SI
puó confrontare con queste espressioni sch. ad //. IX 311 a αὐθαδῶς ἐπισκώπτει τὴν ἐπιτέχνησιν τῶν Aóyov ̓Οδυσσέως. Socrate
evidenzia da queste parole ad Odisseo la risolutezza con cui Achille si prepara a respingere ogni tentativo di persuasione: προειπὼν γὰρ ταῦτα tà Exn..., ὀλίγον ὕστερον λέγει ὡς οὔτ ̓ àv ἀναπεισθείη ὑπὸ τοῦ ̓Οδυσσέως τε καὶ ̓Αγαμέμνονος... (370a3-b2). La stessa risolutezza all’irremovibilità è evidenziata negli scolii ai versi 309, τοσοῦτον δὲ ἀπέχει πειθοῦς (sch. ad //. IX 309 a, linee 33-4), e 314-6, 1ó μὲν xeqáAatov τῆς ἀντιρρήσεώς ἐστι τὸ uñ πεισθήσεσθαι τοῖς λεγομένοις (sch. ad //. IX 314-6, linee 78-9).
Socrate prosegue mettendo subito a confronto con queste prime parole del discorso ad Odisseo il passo (vv. 357-63) in cui successivamente Achille manifesta al compagno quale sia il proposito da
si parla anche di ψεύδεσθαι (IV 2.14). Tutte queste azioni sono ricordate nel citato (p. 39) luogo di Libanio, con l'immancabile riferimento a Odisseo. 100. Altro motivo che puó aver accomunato Antistene e Platone nel trasporre in Odisseo la personalità di Socrate puó essere stato quello del xévos, per il quale v. supra, nt. 77.
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cui non si lascerà distogliere con la persuasione: ...00te μένοι τὸ παράπαν £v ımn Tooíq, ἀλλ ̓ “αὔριον ἱρὰ Διὶ ótEac", qnoc, “καὶ xàot θεοῖσιν..." (b2-c3). Con questa dichiarazione Socrate farà contra-
stare (371b3-c5) quella, di diverso tenore, resa ad Aiace (vv. 350-
5). É quanto mai significativo che lo stesso scolio al verso 309, nell'ambito cioé ancora della dichiarazione programmatica di Achille circa la propria irremovibilità e prima di arrivare alle affermazioni contrastanti dell'eroe, focalizzi il problema dell' Zppia minore facendo già riferimento a quei passi successivi in cui Achille si contraddirà, gli stessi messi a confronto da Socrate con la dichiara-
zione d'apertura!?!: ὅρα ö& ὡς πρὸς μὲν Ὀδυσσέα ἀπιέναι qmoív, πρὸς Φοίνικα δὲ μένειν, μὴ μέντοι πολεμήσειν, πρὸς Αἴαντα δὲ πολεμήσειν, ἀλλ ̓ ὅταν ἀνάγκη καλῇ (sch. ad //. IX 309 ε, linee 436). Che effettivamente ad Odisseo la risoluzione di partire era stata espressa da Achille senza mezzi termini, viene rilevato anche
dagli scolii al passo!??, Perciò, quando si giunge alla contrastante dichiarazione resa ad Aiace, la ricerca erudita avverte il bisogno di dare una giustificazione: πρὸς u£v ̓Οδυσσέα ἀποπλεύσεσθαί φησιν (& γὰρ αὐτὸν σφόδρα Ÿ ὀργὴ ἐξέμαινε), xoóc δὲ Φοίνικα ἤδη πραὔνόμενος σχέψασθαι περὶ τοῦ μένειν, τὸν ÖE Αἴαντα αἰδεσθεὶς
τότε ἐπαμνυνεῖν, ἡνίκα &v πλήσιον γένωνται ol πολέμιοι (sch. ad //. IX 651-2, linee 40-4). L'affinità con l’Ippia minore nella discussione del problema è notevole, non solo nei termini impiegati per la sua
posizione!99, ma anche nei presupposti della sua soluzione. Il πραὔνεσθαι e Ἰ ̓ αἰδεσθῆναι di Achille rientrano nell'ambito di quella εὐήθεια con cui Ippia giustificava
̓ ̓ἀναπεισθῆναι dell'eroe, il
ripensamento cui si era alfine lasciato persuadere: e già in precedenza, a proposito della dichiarazione di Achille a Fenice (v. 619), Aristonico preveniva ogni accusa di contraddittorietà spiegando ὅτι οὐδέν ἐστιν uaxóuevov, ἀλλ ̓ αἰδεσθεὶς παραπέπεισται (sch. ad
101. Lo scolio aggiunge un elemento intermedio, quello della dichiarazione a Fenice: v. infra, nt. 104.
102.
ἀποκόπτει αὐτῶν rjv ἐλπίδα (sch. ad /. IX 357-61 a', linee 15-6); τῶν
ἐλπίδων ἀποτειχίζει πασῶν (sch. ad 1!. IX 357-61 a?, linea 21); ἵνα ἀπελπίσωσι (sch. ad //. IX 360-1, linea 29).
103. Cfr. Hipp. min. 371b3-5 λέγων ὕστερον À ὡς πρὸς τὸν Οδυσσέα ἔφη ἅμα vjj ἠοῖ ἀποπλευσεῖσθθαι, πρὸς τὸν Αἴαντα οὐκ αὖ φησιν ἀποπλευσεῖσθαι; d3-4 πρὸς μὲν τὸν Οδυσσέα φάναι ἀποπλευσεῖσθθαι, πρὸς δὲ τὸν Alavta μενεῖν.
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Il. YX 619 a)'?*. Ed anche la causa ultima del trattenersi di Achille sul teatro bellico, indicata da Ippia nell’&véyxn che costringe l’eroe a καταμεῖναι xai βοηθῆσαι (370e7-8), si trova evidenziata negli scolii: oltre che nel già esaminato scolio al v. 309 (sch. ad //. IX 309 c, linea 46), anche nello scolio al v. 518, 6u xai δώρων ἄνεν Exoñv βοηθεῖν διὰ vv ἀνάγκην, e nel lungo scolio al v. 527, che
illustra il parallelo istituito da Fenice tra il caso di Achille e quello di Meleagro: xai 6 Πάτροκλος [...] àxo0avov ἠνάγκασε τῆς ἔχθρας παύσασθαι tóv ̓Αχιλλέα (sch. ad //. IX 527 a); 6 6 Μελέαγρος [sc. ἀναλογεῖ] x ̓Αχιλλεῖ τῷ νῦν μὲν δεήσεσι uñ πειθομένιγ, dv ἀνάγκην
δὲ ἴσως βοηθήσοντι διὰ τὰς ναῦς (sch. ad //. IX 527 5)'9*. Se, infine, nella osservazione di Socrate che Odisseo non dà prova di essersi accorto del mentire di Achille (371a7-bl) è da vedere un'allusione
anche al fatto che Odisseo riferisce agli Achei (vv. 678-92) soltanto il contenuto delle dichiarazioni rivolte da Achille a lui, puó essere interessante considerare che anche i filologi antichi si posero il
problema di questo impreciso resoconto, e alcuni giunsero addirittura all'atetesi di due versi (sch. ad //. IX 682-3). Dall'esame congiunto di Aristotele e di Eustazio si puó ricavare un altro elemento di sopravvivenza della discussione dell'/ppia minore nella riflessione erudita posteriore. Aristotele, in una nota dei suoi Problemi omerici, giustificava Achille dall'aspro trattamento
inizialmente riservato a Priamo facendo appello, similmente all'Ippia platonico, al caratteristico ἦθος dell'eroe: ̓Αριστοτέλης qmoiv ἀνώμαλον εἶναι τὸ ̓Αχιλλέως ἦθος (sch. ad 1!. XXIV 569 b =
Aristot. fr. 168 R.)'99, Eustazio (1366.1) nel commento a quei versi effettua un significativo richiamo al passo delle Λιταί: συνάγεται èè τὸ τοῦ ̓Αχιλλέως ἄστατον xai &v T a’ ῥαψῳδίᾳ xai £v vaic Λιταῖς. Se nel riferimento al I canto dell’/liade sono da vedere i versi 169-
104. Platone avrà notato che il mutamento di parere di Achille si registra già in queste parole a Fenice? Si sarebbe tentati di rispondere affermativamente, considerando il processo di gradualità insito πε}} ̓ ἀναπεισθείς. Citare questo passo nell'Ippia minore non sarebbe stato che un inutile appesantimento della discussione: diverso il caso per lo zelo filologico degli alessandrini.
105. Anche Eustazio nel commento al passo (760.63) chiama in causa l’évéym per un mutamento di parere: μετέβαλε γὰρ xai % μήτηρ [sc. di Meleagro]... ταπεινοποιῶν γὰρ À ἀνάγχκη.
106. Achille è cioè un esempio di personaggio ὁμαλῶς ἀνώμαλον secondo il modello tracciato nella Poetica (15.1454a26-8).
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71'?7. citati da Socrate accanto a quelli delle Avtaí per dimostrare come in più di un'occasione Achille avesse reso noto il suo fermo proposito iniziale, allora è possibile che il dotto arcivescovo o piuttosto — il che sarebbe per noi ben piü rilevante - la sua ignota fonte avesse preso come base proprio l’Ippia minore per trattare della instabile personalità di Achille. Il materiale erudito fin qui raccolto, nonché provare che l'7ppia minore tratta di un problema omerico effettivamente avvertito, permette di ricavare, ex silentio, una deduzione: il fatto che gli scolii,
nel trattare il problema, non facciano mai il nome di Platone, conferma che nell'/ppia minore non si scorgeva alcuna critica ad Omero, altrimenti il filosofo sarebbe stato probabilmente preso di mira in occasione della λύσις, come lo è in altri casi dei suoi attacchi al
poeta sovrano!99,
XI
Veniamo ad alcune considerazioni riassuntive e conclusive. La discussione sui personaggi omerici nell'/ppia minore può essere inserita a pieni titoli nel più nobile filone della riflessione letteraria antica. In essa si scopre un problema inerente al testo omerico e se ne fornisce la soluzione; il motivo avrà sopravvivenza nella filologia
alessandrina. Platonc, poi, prende parte con essa a quel processo di rivalutazione di Odisseo che avrebbe portato l'eroe, nelle vesti dell'uomo fatto «per seguir virtute e conoscenza», a godere di am-
pia fortuna nella cultura classica!9?. In Odisseo personifica l'ideale
107. Cosi «unzweifelhaft» secondo A. ROMER, Die Homercitate und die Homerische Fragen des Aristoteles, SSBAW», 1884, p. 298. Diversamente, van der Valk ipotizza, nell'apparato ad /oc., un riferimento ai vv. 187-221: ma il διάνδιχα μερμηρίζειν, frequente negli eroi omerici, che interessa in quel momento Achille, é qualcosa di
diverso dall'indole costituzionalmente ἄστατος di cui parla Eustazio. Quanto ai versi delle Λιταί cui Eustazio fa riferimento, van der Valk rimanda a quelli stessi discussi nell'/ppia minore (1X. 357-63 e 650-5). 108. Cfr. schh. ad //. XIV 176 ὁ, 342-51, XVI 407 ὁ, XVIII 22-35 a, XXIV 527-8 ὁ. 109. Un'ampia panoramica delle fortune di Odisseo nelle letterature occidentali è negli Studies in the Characterization of Ulysses di W. B. STANFORD, apparsi su
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socratico dell’uomo sapiente sempre consapevole delle proprie azioni; dell'uomo che, anche quando commette il male, è superiore a chi lo fa inconsapevolmente, poiché possiede la conoscenza del bene e puó realizzarlo ogniqualvolta lo voglia e dunque, ψευδής o, in generale, xaxóc, è virtualmente ἀληθής e ἀγαθός; dell'uomo che, in ultima analisi, non commette il male volontariamente ma, anche quando sembra commetterlo, in realtà agisce a fin di bene, poiché οὐδεὶς &xàv xaxóc. Il genuino, ma "inconsulto" atteggiamento di Achille rilevato nel passo delle Λιταί consente a Platone di argomentare alle sue tesi anche in ragione inversa. L'uomo ἀληθής, l'uomo ἀγαθός, quando non agisce consapevolmente, quando si esponea fattori esterni che lo privano dell'agire consapevole, è facilmente soggetto ad essere ψευδής, xaxóc: la sua azio-
ne è determinata dal caso. Ë probabilmente la sensazionale evidenza di questi esempi che induce Platone a dare al problema generale affrontato nell'/ppia minore la forma iniziale del confronto
tra due tipi, impersonati appunto da Odisseo e da Achille. Lo rende cosi attuale, vivo, immediato. Chi sia ἀμείνων tra i due eroi resta sostanzialmente in sospeso: la soluzione di questa questione, che é poi la soluzione stessa del problema del dialogo, va cercata altrove, come la chiusa aporetica e altri segnali accennano. Tale identità di presupposti e soluzioni conferma ancor piü lo stretto rapporto che dovette intercorrere tra la riflessione sul testo omerico e la composizione del dialogo. Il problema omerico diventa un problema nella realtà. Esegesi letteraria e riflessione filosofica si confondono; la riflessione filosofica si applica al testo. Platone, cosi, ci dà un saggio del suo modo di interpretare il testo poetico, basato sull’esame comparativo dei passi e sul λόγος che supplisce alle funzioni dell’autore assente. Non c’è ragione di sospettare che Platone non abbia potuto essere fondamentalmente serio in questa discussione. Tratta quella che per lui ë l’essenza della poesia, la trasmissione del mito. Di fatto, non è giustificato scorgere nella discussione alcuna critica, né ad Omero e ai poeti, né ad Ippia e ai sofisti, né ad Ántistene, Nel contesto della revisione critica che sta interessando 1’Zppia minore, non piü considerato dialogo di scarso valore la cui argomentazione é condotta alla stregua sofistica, anche la componente della discussione omerica puó trovare il suo posto. Anch'essa si
«Hermathena» tra il 1949 e il 1953; cfr. pure, dello stesso, The Ulysses- Theme. A
Study in the Adaptability of a Traditional Hero, New York 1964?.
L'ODISSEO DI PLATONE
133
dimostra infinitamente ricca di spunti e motivi, come ogni passo platonico, quello pure apparentemente più superficiale, e si sottrae alla catalogazione univoca di passo dalle semplici funzioni distruttive. Un giudizio che incombe spesso su Platone, o$niqualvolta il
filosofo scenda sul terreno giocoso della letteratura!'?.
110. Pochi sono gli studi che hanno considerato gli influssi della tradizione letteraria greca su Platone. Fra questi ricordiamo, oltre ai citati lavori di J. DALFEN, di G. ARRIGHETTI € di F. M. GiutiANoO, quelli di L. A. STELLA, fn/lussi di poesia e d'arte.ellenica nell'opera di Platone. Platone e il teatro greco, «Historia» 6 (1932), pp.
433-72; 7 (1933), pp. 75-123; 8 (1934), pp. 179-203; J.DucuxurN, Platon εἰ l'héritage de la poésie, «REG» 78 (1955), pp. 12-37; H. FLASHAR, Der Dialog Ion als Zeugnis platonischer Philosophie, Berlin 1958; P. ViCAIRE, Platon critique littéraire, Paris 1960; E. POHLMANN, Enthusiasmus und Mimesis: Zum platonischen lon, «Gymnasium» 83 (1976), pp. 191-208; H. Tuescerr, Plato and Literature, in Literatur und Philosophie in der Antike, hrsgg. von H. KOSKENNIEMI-S. JAkgL-V. Pyvxxô, Turku 1986 (Ξ Ann.
Univ. Turkuensis, ser. B, tom. 174), pp. 51-64.
134
STUDI DI LETTERATURA GRECA
NOTA AL TESTO
Nel presente lavoro è stata sempre presupposta, in 37lel, la lezione εὐηθείας fornita dai codici T e W nonché dalla seconda mano del codice
F (cfr. lo scolio ad loc., p. 180 Greene), laddove la prima mano di F presenta ]a variante εὐνοίας. Quest'ultima è la lezione accolta dal Burnet, e
presupposta nei lavori di Hoerber (pp. 126 e 130), Erler e Jantzen; la lezione εὐηθείας è invece accolta dal Croiset (nonché in edizioni precedenti a quella di Burnet, come quelle di Hirschig, Bekker e Hermann), e presupposta nei lavori di Wilamowitz (p. 138: «Gutmütigkeit»), Traglia e Brancacci. R. Gaudin (Εὐήθεια. La théorie platonicienne de l'innocence, «RPhilos» 171 [1981], pp. 145-78) fonda tutta la sua discussione relativa all'/ppia minore sulla lezione εὐηθείας, senza prendere in considerazione l'esistenza deli'imbarazzante variante. Riteniamo perció utile dare qualche ragione della nostra preferenza per εὐηθείας. 1. εὐνοίας rinvierebbe a una disposizione momentanea di Achille, mentre nel dialogo si discute, fondamentalmente, deil'indole consustanziale all'eroe, uomo ἀληθής e ἁπλοῦς: sebbene il termine ἦθος non vi compaia, tuttavia ricorre nella
discussione antistenica e all'80oc di Achille fa riferimento Aristotele nel fr. 168 R., molto attinente per contenuto, come abbiamo osservato, alla
discussione dell’Ippia minore (Platone aveva presente la derivazione di εὐήθεια da ἦθος, cfr. Resp. 111 400d11-e4). Anche lo scolio ad 1!. 1X 307-9 che, dopo aver elogiato Achille ἁπλοῦς e φιλαλήθης, ne giustifica le avventatezze sulla base della particolare φύσις dell'eroe, rinvia appunto al suo carattere fisso. Inoltre, Dione Crisostomo, in un passo che abbiamo considerato anch'esso per la sua attinenza con l’Ippia minore, fa menzione, a
proposito dell'89oc di Odisseo, opposto, tradizionalmente, a quello di Achille, di κακοήθεια: Platone oppone i due termini in Resp. III 401a78. 2. La variante εὐνοίας potrebbe essersi originata in seguito al fatto che
εὐήθεια e termini affini erano andati sempre più rivestendosi di un significato peggiorativo (cfr. B. SNELL, Dichtung und Gesellschaft, Hamburg 1965, tr. it. Bari 1971, p. 135 nt. 18): la sostituzione con εὐνοίας avrebbe reso meno avvilente la figura di Achille.
L'ODISSEO DI PLATONE
135
POST SCRIPTVM: PLATONE E L'ESEGESI POETICA
La recente comparsa, durante le fasi di pubblicazione del presente lavoro, di un nuovo studio, curato da Dirk C. Baltzly, sull'interpretazione dei
poeti in Platone', rende opportune in questa sede alcune considerazioni nei riguardi di un terreno platonico, finora poco coltivato dalla ricerca, che sta dimostrando di dare buoni frutti. Baltzly sembra essere pervenuto, sull'argomento, per vie del tutto diverse e, quel che piü conta, autono-
me, a conclusioni molto simili ad alcune dal mio precedente lavoro siste-
maticamente raggiunte? e da quello presente indirettamente ricavabili. Vale dunque la pena richiamarle e conírontarle.
Dopo aver evidenziato, prendendo come riferimento lo lone, che la pos-
sibilità di un'esegesi poetica non é li negata in linea di principio?, Baltzly procede a delineare i termini entro cui Platone la concepisce. Presuppo-
sto essenziale di una riuscita esegesi è la conoscenza dell'argomento di
cui il testo tratta*. Di conseguenza, la posizione di un interprete nei confronti di un testo dipende dallo stato delle sue conoscenze («epistemic
situation») relative al contenuto di questo?. L'interprete ideale puó identificarsi nel retore del Fedro provvisto dı abilità dialettica?. Egli sarà alla ricerca della verità relativamente alla materia di cui il testo tratta, e il
l.
Cfr. D. C. BaiTzuy, Plato and the New Rhapsody, «AncPhil» 12 (1992), pp.
29-52.
2. Cfr. F. M. GiULIANO, Esegesi letteraria in Platone..., cit. (supra, nt. 19). Che Baltzly non potesse esserne a conoscenza è provato dal fatto che il vol. XLI degli «Studi Classici ς Orientali», relativo all'anno 1991, in cui esso è ospitato, ha visto la luce, a causa della contemporanea pubblicazione del volume di Indici del pe-
riodico, soltanto nell'inoltrato '92. 3.
D. C. Barrz.v, art. cit., pp. 29-38: cfr., in riferimento al Protagora, F. M.
GIULIANO, art. cit., pp. 148-62.
4 D.C. Barrztv, art. cit., pp. 41-4: cfr. F. M. GiULIANO, art. cit., p. 154 ε, nel presente lavoro, supra, p. 20.
5. D.C. BALTzLY, art. cit., pp. 41 e 44: ció che avviene nel I libro della Repubblica, dove, come fa osservare Baltzly, se il significato dei versi di Simonide e di Omero sulla giustizia viene lasciato in sospeso è perché non si è ancora raggiunta una definizione di 'giustizia', è analogo a quanto nel presente lavoro si è evidenziato riguardo alla questione della superiorità tra l'Achille e l’Odisseo omerici sollevata nell'/ppia minore, che viene messa da parte in attesa di fare chiarezza sulla natura dell’&An0ng e dello ψευδής (v. supra, pp. 15 e 17). 6.
D.C. BALTzLYy, art. cit., pp. 42-3 e 46: per il messaggio del Fedro sulla corretta
esegesi testuale e per il carattere «dialettico» che Platone tende di fatto a impri-
merle cfr. F. M. GIUuLIANO, art. cit., pp. 152-4 ε, nel presente lavoro, supra, p. 19 e nt. 19.
136
STUDI DI LETTERATURA GRECA
testo approverà un'interpretazione in base alla quale ció che esso stesso
dice è vero?. L'unico momento in cui le nostre conclusioni si discostano leggermente da quelle di Baltzly é a proposito della effettiva considerazione in cui si presume Platone tenesse il testo poctico. Fermo restando che per Platone
la conoscenza della realtà in oggetto debba precedere l'esame del testo?, e che questo fornisca soltanto un'occasione alla riflessione?, parlare di «detached attitude toward the text»'? nei termini di un Platone che, sulla base di ipotesi «pretty loosely connected to the text»'', ricerca la conoscenza «without being overly concerned with what the author rcall)'
meant»'?, e che «treats poets and their works as mere instruments»'*, appare forse un po' eccessivo se si tiene conto dell'accuratezza con cui viceversa Platone, come nel presente lavoro e in quello precedente si €
tentato di dimostrare, sviscerando il testo poetico, ritrova e conferma in
esso la sua concezione delle cose'*.
7.
D. C. BALTzLY, art. cit., pp. 43-4: su come il testo non possa che giovarsi
dell'aiuto fornitogli dall'interprete dialettico cfr. F. M. GIULIANO, art. cit., p. 168.
8.
D. C. BacrzLy, art. cit., p. 41: cr F. M. GIULIANO, art. at., pp. 154 e 175.
9.
D.C.BarrzLv, art. ait., p. +7: per una ricostruzione di tale percorso cfr. F. M.
GIULIANO, art. cit., pp. 162-6 ε, nel presente lavoro, supra, in particolare pp. 19 ss.
10.
D. C. BALTzLY, art. cit., p. 47.
Il.
D. C. BauTzey, art. cit., p. 47 (cfr. p. 45).
12.
D. C. BALTzZLY, art. cit., p. 48.
13. D.C. BALTzty, art. cit., p. 49. Baltzly, comunquc, ribadisce giustamente (p. 50) che Platone non avrebbe considerato eticamente scorretto un simile tipo di interpretazione ‘intenzionalista’: v. supra, nt. 7.
14. In particolare, per la tutt'altro che superficiale attenzionc che Platone dà prova di avere dedicato ai testi poctici presi in esame cfr. F. M. GIULIANO, art. cit., pp. 107-13 e 155 ε, nel presente lavoro, pp. 17-9 ς 50-3. Anche il fatto che l'Ippia minore fornisca, per la soluzione della questione, rimasta apparentemente aperta, relativa alla superiorità morale tra 1 personaggi omerici, cenni analoghi a quelli forniti per la soluzione degli stessi paradossi suoi propri (v. supra, pp. 21-2 e 28-31), sta a dimostrare che se Platone mette momentaneamente da parte, nella prospettiva di Baltzly (v. supra, nt. 5), l'interpretazione di un testo poctico, ció non significa necessariamente che «we have no further reason to look at that text»
(D. C. BALTzLY, art. cit., p. 44). — Le considerazioni qui svolte vogliono in ultima analisi servire a rivedere quelle posizioni critiche che spiegano come esclusivamente dettate da ironia le asserzioni di Platone in merito alla sapienza dei poeti.
L'ENTHOUSIASMOS DEL POETA FILOSOFO TRA PARMENIDE E PLATONE
«È antico racconto, o nomoteta, da noialtri sempre ripetuto e a tutti universalmente accetto, che il poeta, quando siede sul tri-
pode della Musa, non é in senno, ma come fontana lascia prontamente scorrere ció che viene da su ...». Sono immagini che Platone lascia esprimere a un poeta nel IV libro delle Leggi (719c1-5)'. Racchiudono un'antica tradizione, παλαιὸς μῦθος, che è un comune placitum, πᾶσι συνδεδογμένος, della cultura antica, e alla quale Platone dà chiara mostra di aderire là dove le dedica, nello Jone, la più estesa trattazione pervenutaci da un autore classico*: la tradizione del privilegiato rapporto che il poeta intrattiene con la divinità e che, nella sua manifestazione
l.
Laresa del passo che si legge nella rinomata traduzione di B. Jowerr, The
Dialogues of Plato, IV, Oxford 1953* (1871'), 289, secondo cui l'Ateniese risponde a Clinia «that the poet, according to the tradition which has ever prevailed among us etc.», puó risultare fuorviante per l'interpretazione. Quello dell'Ateniese è un discorso pronunziato, ὑπὲρ tóv ποιητῶν (719b9), nella persona di un poeta: poeta é infatti, corne risulta inequivocabilmente dal contesto, il soggetto parlante ἐγώ (d7). Cfr. E.B. ENcLAND, The Laws of Plato, 1: Books I-VI, Manchester-London 1921 (rist. Leiden 1976), 459. Dunque, il nes50 pronominale izó αὐτῶν ἡμῶν (cl1-2) riconduce l'origine della storia non già all'Ateniese e ai suoi interlocutori, ma alla 'corporazione' dei poeti. Analogamente, nello /one (534a7-b3), erano i poeti stessi ad affermare, nel resoconto di Socrate, quella che è in sostanza la medesima tradizione che l'Ateniese riporterà nelle Leggi. Per un'analisi stilistica del passo dello /one, brillante saggio di eloquio poetico, cfr. D. GIORDANO, Plat. Ion, 533d-535a, in G.G. BIONDI, Mnemosynum. Studi in onore di Alfredo Ghiselli, Bologna 1989, 307-9. 2.
Nessuna connotazione 'favolistica' è insita nel termine μῦθος che Platone impiega nel citato Leg. IV 719c1. Li l'espressione παλαιὸς μῦθος è dovuta al contesto — essa, non va dimenticato, è sulle labbra di un poeta —: in altre occasioni Platone adopera, con valore del tutto equivalente, il più prosastico παλαιὸς
λόγος, come poco sopra nello stesso IV libro delle Lzggi (715e7), in un discorso dalle cadenze simili a quello tenuto dal poeta in 719c1 ss. ma pronunziato in quel caso dall'Ateniese in propria persona, e in III 677al, nonché, ancora, in Phaed. 70c5-6, Phaedr. 240c1, Gorg. 499c5, Tim. 21a7, Leg. V 738c2 (pl.), Ep. VII 335a3. Nello /one dunque con il xai ἀληθῆ λέγουσι a suggello del resoconto che Socrate dà di quanto i poeti affermano circa la loro condizione entusiastica (534b3), Platone comunicava formalmente la propria accettazione di quello che nelle Leggi avrebbe caratterizzato come l''antico racconto' dei poeti.
138
STUDI DI LETTERATURA GRECA
più intensa, si risolve sotto specie di ispirazione divina, il cosiddetto — con translitterazione di un termine che si sarebbe pre-
sto generalizzato nella riflessione dei Greci relativa al fenomeno — enthousiasmos'. In forza di questa tradizione, il poeta poteva rivendicare ogni volta l'eccellenza del suo canto, un'eccellenza che giustificava con la divina veridicità della sua parola*. Con questa tradizione
3.
Ciócherende in certo senso canonica questa translitterazione per rinvia-
re al fenomeno dell'ispirazione divina dei poeti è l'uso del termine
̓ἐνθονσιασμός ̓ che, nel contesto di discussioni di poetica, fecero Democrito (VS68 B 18.15) e Aristotele (Pol VIII 5.1340*11, 7.1342^7); un Περὶ ἐνθουσιασμοῦ ο ἐνθουσιασμῶν, in cui era aggancio alla poesia, scrisse poi Teofrasto (cfr. frr.
87-88 Wimmer - 7264-8 Fortenbaugh) e, da allora, il termine sarebbe divenuto comune nella critica poetico-letteraria (cfr. Longin. De sublim. 15.1, etc.). Platone nel rinviare al fenomeno non usa il termine ἐνθουσιασμός che in Tim.
71e5-6 (in riferimento alla divinazione, che comunque, sotto il comune denominatore dell'ispirazione divina, compare associata alla poesia in Apol. 22b8c3, lo. 534b3-7 e c'7-d1, Men. 99c11-d1, Phaedr. 244a8-245a8, Crat. 405a8): altrove impiega i derivati o affini ἐνθουσίασις ed ἐπίπνοια, ed inoltre i verbi ἐνθουσιάζειν, ἐνθουσιᾶν, ἐπιπνεῖν e gli aggettivi ἐνθουσιαστικός, ἐνθεαστικός, ἔνθεος. ἐπίπνονυς, nonché θεῖος, sulla cui accezione di 'ispirato' cfr. R. MUGNIER, Le sens
du mot θεῖος chez Platon, Paris 1930, 117, e J. VAN Camp- P. CANART, Le sens du mot θεῖος chez Platon, Louvain 1956, 173-4, 414-5. Sulla riflessione dei Greci intorno al fenomeno dell'enthousiasmos poetico si vedano A. DFIATTE, Les c tions de l'enthousiasme chez les philosophes présocratiques, «Ant. Class.» 3 (1934), 5-
79, A. SPERDUTI, The Divine Nature of Poetry in Antiquity, «Trans. Proc. Am. Philol. Ass.» 81 (1950), 209-40, e P. Vicaire, Les Grecs εἰ le mystère de l'inspiration poétique, «Bull. Ass. G. Budé» 1963, 68-85; su quella di Platone, dopo il vecchio
dattiloscritto di P. Trurr, Plato quae disserat de inspiratione divina, Diss., Gottingae 1919, E.N. TIGERSTFDT, Plato's Idea of Poetical Inspiration, Helsinki 1969, e R. VELARDI, Enthousiasmós. Possessione rituale e teoria della comunicazione poetica in
Platone, Roma 1989. Questi ultimi due studi, orientati in prospettive alquanto divergenti (analitico il primo, psico-antropologico il secondo), costituiscono a tutt'oggi le più complete raccolte della testimonianza platonica sull'enthoustasmos poetico, sebbene del primo non se ne possa accettare in alcun modo
la valutazione di «a monstrous paradox» (64), che muove in ultima analisi da
una forzatura (57-9, 66-7, 70-1) della connotazione di μῦθος in Leg. IV 719c1, su cui vd. supra, n. 2. Sul moüvo nello specifico spero di tornare in un futuro, più ampio lavoro; per intelligenti critiche, di contenuto e di metodo, mosse al saggio di Tigerstedt rimando intanto a E. POHLMANN, Enthustasmus und Mimesis: Zum platonischen lon, «Gymnasium» 83 (1976), 191-208: 202-3; W.J. VERDENIUS, The Principles of Greek Literary Criticism, «Mnemosyne» IV s., 36 (1983), 14 59: 44 n. 134; F. TRABATTONI, Sul significato dello Jone platonico, «Sandalion» 8-9
(1985-86), 27-57: passim. 4.
Sulla tradizione dell'ispirazione divina del poeta e sulla connessa istanza
della poesia ad esprimere la verità esistono eccellenti studi. Specifici sono:
L' ENTHOUSIASMOS DEL POETA FILOSOFO
139
non poté fare a meno di confrontarsi una nuova figura, quella del filosofo, che, dapprima indistinto dal poeta, e poi in concorrenza con questo, fece della ricerca del vero l'essenza stessa della propria professione e della sua comunicazione il programma della propria attività di autore. Ora, quando si parla in questi
termini di evoluzione del pensiero logico dalla 'poesia' alla ‘filosofia', ci si rifà a una moderna rappresentazione che pone que-
ste due categorie su piani distinti ε, sotto certi aspetti, opposti”. Ma coloro che nelle nostre schematizzazioni storico-culturali del mondo ellenico figurano tra i 'filosofi' principi delle età rispettivamente arcaica e classica non avevano certo coscienza del proprio ruolo come distinto e opposto a quello del ‘poeta’ nel sen-
so inteso dalla moderna categorizzazione: non certamente Parmenide, che compone nello stesso genere letterario di Ome-
ro e di Esiodo e la parola φιλόσοφος neppur conosce; ma neanche Platone, che, consumata la παλαιὰ διαφορά tra φιλοσοφία e
O. FAITER, Der Dichter und sein Gott bei den Griechen und Rômern, Würzburg 1934; W.F. Orro, Die Musen und der gôttliche Ursprung des Singens und Sagens, Darmstadt
1961*; E.N. TIGERSTEDT, Furor poeticus: Poetic Inspiration in Greek Literature before Democntus and Plato, «Journ. Hist. Ideas» 31 (1970), 163-78; P. Murray, Poetic Inspiration in Early Greece, «Journ. Hell. St. 101 (1981), 87-100; M. PUEIMa, Der Dichter und die Wahrheit in der griechischen Poetik von Homer bis Aristoteles, «Mus. Helv.- 46 (1989), 65-100. Nell'ambito di importanti trattazioni generali di poetica greca si vedano almeno: E. Μλεηι Ἐπ, Die Auffassung des Dichterberufs im frühen Grechentum bis zur Zeit Pindars, Gôtungen 1963, 35-45; G. LANATA, Poetica preplatonica. Testimonianze e frammenti, Firenze 1963, 6-7; A. Kamayuis, Die Dichterweihe und ihre Symbolik. Untersuchungen zu Hesiodos, Kallimachos, Properz und Ennius,
Heidelberg 1965, 11-2; E. BARMEVER, Die Musen. Ein Beitrag zur Inspirationstheone, München 1968, 69-140; G. Anuciirrri, Poeti, eruditi e biografi. Momenti della riflessione dei Greci sulla letteratura, Pisa 1987, 37-75.
5.
Alla progressiva differenziazione della figura del filosofo da quella del
poeta nella grecità ha dedicato significative pagine F.M. CongNronp, Principium sapientiæ. The Origins of Greek Philosophical Thought, Cambridge 1952 (rist. New
York 1965), 107-26. La differenziazione rispecchia quella che, a partire da W. Nrsitr, Vom Mythos zum Logos. Die Selbstentfaltung des griechischen Denkens von
Homer bis auf die Sophistik und Sokrates, Stuttgart 1942* (1940"), 1-20, 51 vuole rappresentare come il passaggio delle forme del pensicro greco dal mythos al
logos. In questi termini la riprendono, p. es., W.K.C. GuriiRiE, Myth and Reason, London 1953, B. S«rit, Die Entdeckung des Geistes. Studien zur Entstehung des
europáischen Denkens bei den Griechen, Hamburg 1948, trad. it. di V. Degli Alberti e A. Solmi Marietti. La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Torino 1963, 269-312, e J.-P.
Vr&v N 1. Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie
historique, Paris 1971° (1965', l‘)H")') trad. it. di M. Romano e B. Bravo, Mito e pensiero presso ı Greci. Studi di psicologia storica, Torino 1984* (1978'), 383-415.
140
STUDI DI LETTERATURA GRECA
ποιητική, concepisce la sua attività speculativa e compositiva nien-
t’altro che come una nuova poesia, una sublimazione dell’attività poetica tradizionale — la ueyiotn μουσικήϊ". Il presente studio si propone dunque di cogliere i tratti salienti con cui, di fronte alla tradizione che voleva il poeta latore di una verità di origine divina, si pongono un poeta filosofo, Parmenide, e un filosofo poeta, Platone, con lo scopo ultimo di contribuire a gettare più
luce sullo stretto rapporto tra forma 'poetica' e 'filosofica' del pensiero che, al di là della dicotomia ripensata in termini moderni, caratterizza l'evoluzione spirituale della grecità.
Platone e la ‘divina follia' del
Fedro
La nostra ricerca dovrà cominciare da Platone, poiché è Platone per primo a parlare in modo consapevole e distinto di una
6.
Phaed. 60d8-61b7. Per altri simili, più € meno noti passi, in cui Platone
equipara la filosofia alla suprema forma di pocsia o allude alla sua opcra come
a quella di un poeta, cfr. Crat. 406a3-5; Phil. 67h6; Symp. 223d3-6; Phaedr. 248d24, 259d3-5; Lach. 188c6-d6; Resp. 11 378e7-379a1, II 402b9-c2, 411c4-5, VI 499d34, VIII 548b8" Cfr. 1.13; 2.18. 2 92e3-9324: cfr. Theogn. I 31-38.
342
STUDI DI LETTERATURA GRECA
la cerchia socratica, in linea di principio non lontana dal più sano ambiente aristocratico né ostile alle sue idealità,!? dev'essere tenuta in seria considerazione. Il nome di Antistene, impegnato studioso di poesia nello spirito del maestro, viene subitoin mente, per quanto la sua sostanziale fiducia nella validità dei testi poetici sul piano della conoscenza mal si concilierebbe con lo scetticismo mostrato dal nostro autore.!* Un'altraipotesi, pertanto, vorremmo qui azzardare. L'oligarca Crizia, discepolo di Socrate, zio di Platone ed esponente di spicco dei Trenta, dispone di una serie di requisiti degni di rilievo. Egli, anututto, risulta da tre frammentiin prosa essersi occupato dı poesia e di poeti (VS 88 B 44, 50, 57)."* Il primo tra
questi merita particolare attenzione: in una celebre tirata, Crizia, con netto piglio da aristocratico, si scaglia contro il poeta Archilo-
co per il vile ritratto che lasció a bella posta di sé nelle sue poesie e il lassismo morale cheinsieme propagó. Una simile posizione, come si vede, non sarebbe stata aliena dall'autore di POxy III 414. Del frammento su Archiloco il testimone non ci fornisce l'opera di appartenenza; ma sono da tenere in considerazione le testimonianze relative a un ’opera di Crizia,in due libri, dal titolo Ομιλιαι (frr. 40- 4la) Se ne 1gnora il contenuto, ma il titolo - ‘compagnie’ ovvero ‘conversazioni’ - lascia pensare ad argomenti di varia attualità sviluppati in un tono non distante da quello della diatriba o del dialogo socratico: i restanti frammenti, da cui traspaiono temi peda-
gogico-psicologico-etici nel caratteristico Du- Snlpdidascalico,5 non
smentiscono questa impressione. Una simile opera avrebbe potuto ospitare non soltantoil frammento su Archiloco, ma anche 1l contenuto del nostro papiro, argomento appunto di estrema attualità e
13 Su] motivo, che vide i socratici contrapposti ai sofisti, cfr. A. CAPIZZI, Platone nel suo tempo. L'infanzia della filosofia e i suoi pedagoghi, Roma, Ateneo 1984, pp. 51-70. 14 Dell'opera di Antistene due interi tomi, comprendentiin tutto 17 titoli, erano dedicati allo studio della poesia giusta il catalogo fornito da Diogene Laerzio (VI 17-
18). Ciò basterebbe ad escîodcre che il socratico abbia potuto liquidare il problema del-
la poesia come strumento di paideia nella prospettiva dell'autore di POxy III 414, tanto più che il suo impegno di λυτικός lo pone in una sostanziale posizione di difesa nei riguardi dell'infallibilità del poeta: egli, prima ancora di Zenone, οὐδὲν τῶν [τοῦ] 'Oyfpou ψέγει nella testimonianza dı Dione (Or. LIF [De Hom.] 4-5, II, pp. 110-111 Arnim). Su quest'ultimo aspetto della riflessione poetologica di Antistene si veda LuzZATTO, art. cit.,
pp. 316-323.
"* Nonché cr B 1, frammento elegiacoin cui sono dipintiı tratti peculiari della
poesia di Anacreonte. "* In Β 40 si parla, in 2* persona, di ἀσκεῖν, nota componente del programma educativo; in Β 41 di ὁρσότης (Ξ ὁρμή); in Β 41a di σωφροσύνη.
POXY III 414 E L’“ECICLOPEDIA DEL SAPERE"
343
svoltoin una forma che,in presenza di qualche elemento decisivo,
si sarebbe potuto comodamente riconoscere come dlaloglca 17 Se poi penstamo al ruolo che il problema delle ὁμιλίαι poté giocare nell'ambito di discussione del nostro frammento, l'ipotesi di una sua riconduzione ad un'opera di quel titolo assume maggiore consistenza. [n favore di Crizia come possibile autore di POxy III 414 parla ancora, in generale, la notevole affinità rilevata tra le posizioni espresse in quel testo e quelle tipiche di Platonein materia: ben si é a conoscenza dell'influsso che lo zio esercitó sul nipote non soltanto nel periodo giovanile della sua attività intellettuale.!** Un'ultima serie di notazioni, infine, riguarda lo stile. L’esiguità e frammentarietà del testo restituitoci da POxy III 414 non lascia spazio a conclusioni più ampie di quelle che lo definiscano come un esempio di stile ‘piano’.'”” Tuttavia, qualche tratto magglormentc caratterizzante è possibile cogliere. Da quel tanto cheè datointravedere si ricava pur netta l’impressione di un’argomentare incalzante e deciso, che si snoda in un periodare denso, conciso, incline alla paratassi, e in un lessico attico per nulla affettato n& preoccupato dello iato. In particolare, è l'elenco di argomenti poetici delle Îl. 1724 a colpire per la asciuttezza si direbbe quasi nervosa con cui è strutturato: dissimmetrie, disarticolazioni, asindeti balzano tanto piü agli occhi se si confronta il passo con le bilanciate enumerazioni di Platone, Senofonte, Aristofane che gli abbiamo affiancato. Il nostro testo, con le ll. 17-24 in prima fila, sembra insomma un vero e proprio affronto a quel caratteristico stile prolisso, fluente, ricercato,
poetico, indulgente all'ipotassi, compiaciuto della isocolia e della parisosi, rispettoso dell'eufonia, quello stile che puó ricondursiin ultima analisi a Gorgia e che fu caro ai sofisti, non escluso lo stesso Antifonte: un motivo in piü per rimuovere da questo ambito il nostro autore.!** Ora, neanche del Crizia prosatore possediamo bra-
!* Avvertirono chiaramente che il testo si prestava a una simile interpretazione G.H., se si preoccuparono di premettere che «there is no indication that the treatise was cast in the form of a dialogue» (p. 57).
? Sulle idee aristocratiche della sua famiglia che Platone ereditó da Crizia e da cui restó influenzato per tutta la vita cfr. CAPIZZI, Platone ... cit, pp. 13-32. !* Cosi anche OHLY, op. cit., p. 62. 140 Sul magistero gorgiano agll albori della prosa d’arte ellenica resta insuperata la trattazione di E. NORDEN, Die antike Kunstprosa vom VI. Jahrhundert v. Chr. bis in die Zeit der Renaissance, Leipzig-Berlin, Teubner 1915? (1898'), ed. it. La prosa d'arte antica dal VI secolo a. C. all'età della rinascenza, a c. di B. Heinemann Campana, con una nota di aggiorn. di G. Calboli e una prem. di S. Mariotti, Roma, Salerno 1986, I,
344
STUDI DI LETTERATURA GRECA
ni sufficientemente estesi da darci un'idea dello stile; tuttavia, ciò che resta ci consente di sottoscrivere in pieno il giudizio di Ermogene, secondo il quale egli, tendente come Antifonte al turgore (ὄγκος), fu tuttavia più puro di lui nell’eloquio e, a differenza di quello, misurato nell'ornamento e lucido e chiaro (σαφής) anche negli eccessi; e di dar ogni credito alla testimonianza di Filostrato, secondo la quale egli fu concettoso (πολυγνώμων) e portato all'enfasi (σεμνολογία), non peró quella ditirambica (διθυραμβωὃης), che si rifugiain espressioni poetiche (τὰἐκ ποιητικῆς ὀνόματα), ma quella che nasce spontanea dalle espressioni più appropriate (τὰ κυριωτατα), fu brachilogico (βραχυλογῶν), aggressivo nelle perorazioni, atticista con moderazione; predilesse aggiungere membro a membro per asindeto (ἀσυνδέτως); e il soffio della sua parola, per quanto tendente a venir meno (ἐλλιπέστερον), fu gradevole e liscio (λεῖον) come aura di zefiro.!*! Se a questo quadro aggiungiamo l'al-
tresi riscontrabile gusto di Crizia per la semplicità d îcostmtto, per rp 25-89; per piü puntuali inquadramenti, sotto diverse angolature, del cosiddetto stie gorgiano o del numerus e della sua influenza si vedano: J.D. DENNISTON, Greek Pro-
se S!yî Oxford, Univ. Press 1952, ed. it. Lo stile della prosa greca, a c. di E. Renna, con una prem. di M. Gigante, Bari. Levante 1993, pp. 22-27; G. KENNEDY, The Art of Persuasion in Greece, London, Routledge & Kegan Paul 1963, pp. 61-68; J. MARTIN,
Antike Rhetorik. Technik und Methode, München, Beck 1974, pp. 323-330; TH. COLE, The Origins of Rhetoric in Ancient Greece, Baltimore-London, Johns Hopkins Univ. Press 1991, pp. 71-73. Sebbene sia superata la tesi fondamentale di H. GOMPERZ, Sophistik und Rhetorik. Das Bildungsideal des EY AETEIN in seinem Verhältnis zur Philosophie des V. Jabrbunderts, Leipzig-Berlin, Teubner 1912 (2. Neudr. Aalen, Scientia
1985), che riduceva la sofistica al puro culto della forma espressiva, la cura dei sofisti per questo elemento resta un fatto assodato: su cid informa W. ALY, Formprobleme der frühen griechischen Prosa, Leipzig, Dieterich 1929 (Ξ Philologus Supplbd. 21, H. 3: Repr. New York-London, Garland 1987), pp. 69-104. Ebbene, in questa direzione, An-
tifonte 'Sofista' era oltremodo turgido (ὑπέρογχος), portato all'eccesso senza controllo, profuso, oscuro (ἀσαφής), amante delle parisosi secondo Hermog. De id. 11 11.387-388, p. 401.12-23 Rabe, e il suo scritto ὑπὲρ τῆς ὁμονοίας era fiorito di ποιητικὰ ὀνόματα secondo Philostr. V. soph. I 15.500, II, p. 17.24-27 Kayser: il contrario di quanto leggiamo nel nostro papiro; e se mettiamo a confronto le nostre Îl. 17-24 con alcuni noti accumuli del Περὶ óuovoíag e del Περὶ ἀληθείας (rispettivamente iın VS 87 B 44 fr. A col. I Il. 23 sgg., col. III ll. 15-18, II, pp. 346-348 D.-K.; e in B 49, II, p. 359.5-13 D.K.), notiamo come questi ultimi si contrappongano decisamente al nostro passo per la períetta simmetria tra ı loro membri. Sul «pared-down, almost mathematically precise
style» della Verita cfr. COLE, op. cit., p. 100. ! Cfr. Hermog. De id. 11 11.388-389, pp. 401.24-402.12 Rabe; Philostr. V. soph. 1 16 = VS 88 A 1, II, pp. 371.34-372.2 D.-K. Una classica descrizione dello stile di Crizia prosatore, esemplata sulla concordanza dei frammenti superstiti con le testimonianze antiche, è quella di F. BLass, Die attiscbe Beredsamkeit, 1: Von Gorgias bis zu Lysias, Leipzig 1887? (1868'), Nachdr. Hildesheim, Olms 1962, pp. 271-275. Cfr. anche A. GARZYA, Osservazioni sulla lingua di Crizia, Emerita 20.2 (1952), pp. 402-412: 410-411.
POXY III 414 E L’“ECICLOPEDIA DEL SAPERE”
345
la inconcinnitas e per la variatio,!*! avremo 1 tratti di uno stile che calza a pennello con quel po' che leggiamo da POxy III 414.!? C'é, ovviamente, una difficoltà di fondo nell'attribuire a Crizia un testo sostanzialmente critico verso i poeti come POxy III 414, rappresentata dal fatto che Crizia fu anche poeta. L'ostacolo, in realtà, è tutt'altro che insormontabile. Non è detto che Crizia concepisse l'attività poetica secondo prospettive diverse da quelle dell'autore del nostro papiro: la tirata antiarchilochea sembra anzi dimostrare il contrario, e alla stessa sua propria attività di poeta Crizia sembra aver dato finalità analoghe a quelle previste per la poesia dall'autore di POxy III 414. Una significativa testimonianza di Platone, infatti, sembra fare della celebrazione del kleos un motivo caro al Crizia poeta,'* e dai frammenti superstiti delle sue elegie sı ricava evidente il proposito di far rivivere, in un genere ormai decaduto, il codice eterico dell'aristocrazia di un tempo e del cittadino responsabile, moralmente e fisicamente disciplinato.!** Del resto, in una personalità poliedrica come quella di Crizia l'attività poeti-
\“ Cfr. BLASS, op. cit., p. 274 («leichte und flüssige Zusammenfügung der Sátze, ohne dass [...] Periodenbildung und Rhythmus angestrebt würde»; «manchmal [...) Verbindung vóllig gelóst»; «Zwanglosigkeit im Wechsel von Construction, Numerus und dergleichen»); GARZYA, art. cit., p. 410. '5 La scorrevolezza sintattica del nostro testo, dove le uniche subordinate che si riscontrano sono relative, dichiarative o infinitive, e tutte di primo grado, è evidente. Ben tre sono i casi di variatio nella costruzione che si potrebbero annotare: a quello sicuro di ll. 10 sgg. (oggettiva prima con àx * indic., poi con acc. + inf.) si aggiungono quelli probabili di ll. 1 sgg. (idea di necessità prima con δεῖ [?] + inf., poi con àv +
ott.) e di fi 32 sgg. (idea dı possibilità prima con àv + ott. [?), poi con soggettiva retta da μοι Boxei). La enconcinnitas, in cui rientra anche la tolleranza dello iato, tocca il
culmine nell'elenco di ll. 17-24, al cui andamento fortemente asimmetrico e asindetico lo scriba si affanna ad ovviare per mezzo di una fitta punteggiatura. Quanto poi al generale stilé argomentativo, vorremmo suggerire un parallelo che ben mette in evidenza l’affinità tra il tono limpido, diremmo quasi sbrigativo dell'autore di POxy III 414 e quello consueto a Crizia: sı confronti ll. 6-10 xepi δὲ tàv κοιϊ ητ]ῶν fjv £yo γνώ![μη]ν λέξω.- Hön yàp | [xoX ]Av fixovca | [Gc] x.r.À. con VS 88 B 32, II p. 391.3-4 D.-K. äpzoμαι SE τοι ἀπὸ γενετῆς avBpwrov- πῶς âv βέλτιστος tó σῶμα yévoito x.r.À. o con B 34,
II, p. 392.2-3 D.-K. 00 d& ἕνεκα στρατιωτικόν, (δηλώσω- στρατιώτῃ) πολλάκις ἀνάγκη κιτιλ. (dove senza l'integrazione del Diels l'immediatezza dell'argomentazione risulterebbe ancora più accentuata). Per quanto poco significante, vorremmo segnalare ancora la coincidenza di ἥκιστα ἄν in principio di periodo e ottativo in fine tra le ll. 3-6 del nostro papiro e il fr. B 40, II, p. 395.3 D.-K. * Cfr. Plat. Resp. II 368a = VS 88 B 75. ^* Cfr. H. PATZER, Der Tyrann Kritias und die Sophistik, in Studia Platonica. Festschrift für Hermann Gundert zu seinem 65. Geburtstag am 30.4.1974, hrsg. von K. Dóring und W. Kullmann, Amsterdam, Grüner 1974, pp. 3-19: 6-10; L. BRISSON, Critias,
ın Dictionnaire des philosophes antiques cit., II: Babélyca d'Argos à Dyscolias, Paris, C.N.R.S. 1994, pp. 512-520: 518.
346
STUDI DI LETTERATURA GRECA
ca avrebbe potuto ben collocarsi su un versante marginale e comunque separato da quello del suo impegno politico e intellettuale. Non a caso, non mancò, nell’antichità, chi fece del Crizia ‘sofista' persona diversa dall'oligarca membro dei Trenta.!* Ritengo, in conclusione, che gli studi che lavoreranno per riaccostare l'autore di POxy III 414 alla cerchia socratica o ad altro ambito piuttosto che non a quello sofistico saranno orientati nella giusta direzione e che, per quanto difficilmente l'ipotesi della sua identificazione in Crizia, allo stato attuale delle nostre conoscenze, potrà mai essere suffragata da prove concrete, il tenerla presente possa essere utile a inquadrare meglio la provenienza sociale e le coordinate culturali del nostro autore. Fornisco qui di seguito un'edizione critica del papiro seguita da una traduzione delle porzioni di testo significative. Per comodità, riproduco la numerazione di frammenti, colonne e linee adottata dalla editio princeps e mantenuta nel presente lavoro.!*”
14 Cfr Phnlop De an. 89.8 = VS 88 A 22 φασὶ δὲ καὶ ἄλλον Κριτίαν γεγονεναι σο-
φιστήν, οὗ καὶ τὰ φερόμενα συγγράμματα εἶναι, ὡς
̓Αλέξανδρος λέγει- τὸν γὰρ τῶν
τριάκοντα μηδὲ γεγραφέναι ἄλλο τι κλὴν Πολιτείας ἐμμέτρους. Naturalmente, la classificazione di Crizia come 'sofista', che contrasterebbe con l'ambito intellettuale in cui abbiamo inquadrato l'autore di POxy III 414, è puramente convenzionale: gli elementi che scavano un solco fondamentale tra Crizia e la sofistica sono stati eccellentemente messi in luce da H. Patzer nell'articolo citato nella nota precedente. Su ció e in generale sugli aspetti complessi e contraddittori della personalità di Crizia cfr. ancora KERFERD, op. cit., trad. it. pp. 70-71; BRISSON, art. cit., pp. 518-520.
"7 Una simile numerazione rende male lo stato lacunoso del testo. Più raccomandabile e conforme alla odierna prassi editoriale sarebbe stato almeno ripartire, nella numerazione delle linee, da ogni singolo frammento o colonna monca.
POXY 111 414 E L'“ECICLOPEDIA DEL SAPERE" POxy ITI 414 Fr. a
Col. I
Col. Il
τοῦ] ἀνθρώπου oùσα] fj πονηρὰν ñγεῖσ]θαι: ἥκιστα 6* dv 1i]G νέος @v τοιοῦτόν] t[1] ἐπιτηδεύοι.] περὶ δὲ τῶν ποιπτ]ῶν fjv ἔχω γνώ-
20
μη]ν λέξω. ἤδη γὰρ πολ]λῶν ἤκουσα [ 10
ὥς] ἐστιν ὠφέλιμ[ον το]ῖς ποιήμασιν [ ὁμιλ]εῖν & οἱ πρότε- [ ροι κα]τέλιπον. xa]t γὰρ ar' αὐτῶν
15
ὠφ)]ελίαν εἶναι ...
J.nl
κ]αλῶν καὶ αἰσχρῶν, περὶ τῶν δικαίω[ν κα[ὶ ἀ]δίκων, περ[ὶ τῶν θείων xep[i τῶν &v "Ai60v, xe[p]i γο- [ νῆς ἀνθρώίπων xep[i] ἐπ[ι]τηδίευμάτων- εἰκ[ὸς γὰρ
25
ᾳὗγ [xa]ew [ὠφελεῖσθαι ἀ[νθρώποις εἴπερ τ[αῦτα πάντα οἱ ̓ποιη[ταὶ λέγουσιν.
30
8
Fr. b
Col. IV
Col. III
35
40
[π]ροεπι[σταμένωι τίι] περὶ 1[ @v ἀνδρῶν τῶν npi[v τοῦ ποιητοῦ äxovoa[1] καὶ ποιητής μοι δίοκ)]εϊ &rò ποι[ητοῦ ἀ]μείvov &v γενέσθαιἀνὴρ δ[ὲ ar’ ἀνδρὸς &v ae[i
[.]..I —
δεί τοπί τοις [ 45
μί cew[
Bnv[ γὰρ δί nt πί πολλί
λεγοί
ξ
ποιείι
. ven[ VR
καὶ εἰ τοιατί
ewo[
347
348
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Fr.c
60
Fr. d
Ἰειεπαί
Jce. [
] χαρίεν 1[
Ἰτα- εἶναι yà[p
μενί
]cerrepral
Acvel
ἐπίδ]ειξις ἀστίει- — 65 τ]οὺς &vv[
Ἰωναί
Jıyal
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-(ι[- E
Jverc[
— --
Fr. f
70
Fr.e
Fr. g
]ev
]. nl
l
— —
Fragmenta a, b Îl. 38-41 εἰ d ex exemplari phototypicoinspexi; cetera dcperdita ex editione principe rettuli. De fr. f vide ad ll. 14-16. De signo E qu ante l. 52 velut obscurum Grenfellius et Huntius adnotav. cf. Ohlyi Sticho Untersucb. pp. 62 εἰ 76 (Ξ 1400). Supplementa quae sine auctoris nomine lau-
dantur Grcn}ìlllo et Huntio debemus.
1 sqq. scil. avAntimv? 1-3 suppl. Luria 3 JjBar-nxiota- P 8 λεξω- P: signum : om. G.-H. 12 suppl. Luria: [év|tvx]eiv frustra Blassius 13 Ἰτελιπον- P 14-16 cum 70-72 ex fr. f post Luriam coniunxi 14 suppl. Vitellius: ε]ι γάρ frustra Luria 15 suppl. Luria 16 sq. fort. où μ]ὴ [πα]ιδί[οις | μόνοις 17 sqq. scil. λέγουσι γὰρ οἱ ποιηται vel sim. 20
θείων: P 21 Aibov- P 23 én[u]tnó[ev- temptavi e.g.: ex[.].n5[ re vera P: en[.]o[. . . . perperam G.-H.: επ[ικ]ηὃ[ευ falso Luria (et επ[ι]κηὃ[ευ- Untersteiner) 24 patov: P 24-29 supplcvn e.g.: εἰκ[ὸς γὰρ] | ouv [πᾶ]σιν [ὠφελεῖ!σθαι ἀνθρώπους oti]ixep t[avta πάντα (vel τ[ούτων xépi) τῶν (vel
&x)] ποιη[τῶν ἐκμάθωσιν (vel: ἀκούωσιν) fort. rectius: 24-27 εἰκ[ὸς γὰρ] | [o]\_w [κᾶ]σιν [ἐκμιμεῖ]ισθαι ἀ[νθρώποις ἅ]ϊπερ Luria 28-29 paragrapho dist. 29 supplevi: possis et εἰ] supplere 32 scil. ὠφέλιμον &v εἴη (véo?) 00 |
POXY III 414 E L''ECICLOPEDIA DEL SAPERE"
349
π]ροεπι[σταμένῳ 32-34 suppl. Luria 38 yeveoOaı P 39-40 suppl. Luria auctore H. Gomperzio 50 fort. xoAA[oí aut xoAA[à 51 fort.
λέγοίυσι
52 ante l. signum ξ adnot. G.-H.
οἱ πο[ιηταί
64 ] ̓1͵: ̓α- P
60 supplevi: fort. ἀστ[είων λόγων
68-69 fort. ὁμι)λῶν
fort. ποιε[ίῖν
57 fort.
61 fort. τοὺς ξυν[όντας
69 finem columnae adnot. G.-H.
70-
72 vide ad ll. 14-16
Fr. a col. I * fr. f [...] [in quanto volta al mero diletto (?)] dell'uomo, o ritenerla dannosa (l'auletica?): minimamente poi chiè giovane una simile disciplina abbia a praticare. E ora voglio esporre l'opinione che ho sul conto dei poe-
ti. Di già infatti ho sentito dire da molti cKc sarebbe utile avere consuetudine con i poemi che gli antichi hanno lasciato, poiché da questi si ricaverebbe beneficio (non soltanto per i fanciulli (?)] [...]
Fr. a col. II
[...] [infattii poeti parlano intorno] al bello e al brutto,intorno al giusto e all'ingiusto, intorno alle cose divine e a quelle dell'Ade,intorno alla stirpe degli uomini e alle loro attività: è naturale dunque che tutti [traggano vantaggio, se pure tutto ció i poeti dicono. Io (?)] invece [...]
Fr. b col. III
[...] [puó esser utile] per chi [non] ha alcuna conoscenza preliminare intorno agli eroi del passato (= il giovane?) ascoltare il poeta, e penso che un poeta possa divenire migliore grazie a un poeta; ma un valent'uomo [sempre grazie a un valent'uomo (?)] [...]
Fr. b col. IV
[...] infatti {...] molti (molte cose?) [...] dicono [...] poetare [...] 1 poeti (2) [...]
Fr. c
[...] (cosa?) gradevole [...] esibizione (di?) elegante (.) (...] 1 compa-
gni (?) [...]
350
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Fr. d [...] è infatti [...] intorno [...]
Fr. e
[...] frequentando (?) [...]
Fr. g
PHERC. 495 - PHERC. 558 (FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?) EDIZIONE, COMMENTO, QUESTIONI COMPOSITIVE E
ATTRIBUTIVE*
INTRODUZIONE
Nel 1902 Wilhelm Crônert rendeva per la prima volta pubblico il testo di due papiri ercolanesi recanti i rispettivi numeri d'inventario
* Il presente lavoro è stato promosso da una borsa di studio conferitami dal C.1.S.P.E. per il periodo gennaio-settembre 2000. Al Prof. Marcello Gigante e alla Prof.ssa Francesca Longo Auricchio vanno i miei più sentiti ringraziamenti per la squisita cortesia con cui mi hanno accolto nelle strutture napoletane. Le opere a cui nel corso del lavoro ἐ fatto riferimento più di una volta sono citate nelle forme abbreviate che si sciolgono come segue: AcosTA MÉNDEZ - ANGELI, Filodemo = E. AcosrA MÉNDEZ - À. ANGELI, Filodemo. Testimonianze su Socrate, La Scuola di Epicuro. Collezione di testi ercolanesi diretta da M. Gigante, vol. XIII (Napoli 1992); ANGELI, Svolgimento = A. ANGELI, Lo svolgimento dei papiri carbonizzati, in CaPAsso, Rotolo, pp. 37-104; ARRIGHETTI, Poeti
= G. ARRIGHETTI, Poeti, eruditi e biografi. Momenti della riflessione dei Greci sulla letteratura, «Biblioteca di Studi Antichi», vol. LII (Pisa 1987); ARRIGHETTI, Satiro = G. ARRIGHETTI, Satiro. Vita di Euripide, «SCO» 13 (Pisa 1964); BALDASSARRI, Papiri = L. BALDASSARRI, Sui papiri ercolanesi 495 € 558, «CErc» 6/1976, pp. 77-80; Bassi, Notizie - D. Bassi, Notizie di papiri ercolanesi inediti, «RFIC» 44 (1916), pp. 481-484; CaPASSO, Manuale — M. CaPasso, Manuale di papirologia ercolanese (Lecce 1991); Ca-
PASSO, Rotolo — M. CaPasso (ed.), Il rotolo librario: fabbricazione, restauro, organizzazione interna (Lecce 1994); CAPASSO-ANGELI, Papiri
— M. CAPASSO - À. ANGELI, Papiri
aperti col metodo osloense (1983-1989), «CErc» 19/1989, pp. 265-270; CatPHerc = Cata-
logo dei Papiri Ercolanesi sotto la dir. di M. GIGANTE (Napoli 1979); CatPHerc Suppl. 1
= M. CaPAsso, Primo Supplemento al Catalogo dei Papiri Ercolanesi, «CErc» 19/1989, Pp. 193-264; CavALLO, Libri = G. CAvALLO, Libri scritture scribi ad Ercolano. Introdu-
zione allo studio dei materiali greci, «CErc» 13, Suppl. 1 (Napoli 1983); CRÔNERT = W. CRÔNERT, Herkulanensische Bruchstücke einer Geschichte des Sokrates und seiner Schule, «RhM» 57 (1902), pp. 285-300 — CRÔNERT, Studi, pp. 135-154 (da cui 51 citerà); CRÓNERT, Studi — W. CRÔNERT, Studi ercolanesi, introd. e trad. a c. di E. LivRgA (Napoli
1975); CRÔNERT, Überlieferung = W. CRÖNERT, Die Überlieferung des Index Academicorum, «Hermes» 38 (1903), pp. 357-405 = CRÔNERT, Studi, pp. 155-202; D'AMELIO, Ric-
chezza = M. D'AMELIO, Di alcuni trattati epicurei sulla ricchezza (Napoli 1926); Di£1s - SCHUBART, Didymos = H. DiELs - W. SCHUBART, Didymos. Kommentar zu Demosthenes (Papyrus 9780), nebst Wôrterbuch zu Demosthenes' Aristocratea (Papyrus 5008), «Berliner Klassikertexte», vol. ! (Berlin 1904); DORANDI, Filodemo = T. DoRANDI, Filodemo storico del pensiero antico, in ANRW 11 36.4 (1990), PP. 2407-2423; DORANDI, Rassegna — T. Doranni, La ‘Rassegna dei Filosofi' di Filodemo, «RAAN» 55 (1980), pp.
31-49; ERLER, Schule = M. ERLER, Die Schule Epikurs, in H. FLASHAR (ed.), Grundriss
352
STUDI DI LETTERATURA GRECA
495 € 558.' 1 papiri erano stati svolti in tempi diversi e separata-
mente inventariati, ma l'editore ritenne d'acchito che appartenessero al medesimo rotolo.* In entrambi si parlava di Socrate e di personaggi in qualche modoa lui connessi; dai frammenti di PHerc. 558, in particolare, risultava trattarsi «in tutta sicurezza» di un βίος Σωxoàxovc.? Il Crónert attribuiva il nuovo testo alla ZóvraEu τῶν φιλοσόφων di Filodemo,* che proprio in quegli anni, e principalmente per merito suo, affiorava alla luce dai resti ercolanesi: PHerc. 495/558 avrebbe restituito, secondo lo studioso, il libro di quell'opera dedicato a Socrate e alla sua scuola, il cui titolo doveva suonare περὶ Συυκράτους ovvero περὶ τῆς Σωκράτους αἱρέσεως." Quale che sia stato il credito rilasciato all'identificazione di PHerc. 495 e PHerc. 558 in un unico rotolo, a partire dalla loro pubblicazione i due papiri hanno legato inscindibilmente le loro sorti nella storia degli studi ercolanesi. La princeps del Crónert, più che una vera e propria editio, era la pubblicazione, corredata di alcune integrazioni e di qualche nota provvisoria, delle trascrizioni che lo studioso aveva eseguito dai
due esemplari, non senza una certa fretta,^ durante la primavera del 1900. Da allora, PHerc. 495 e PHerc. 558 non sono stati oggetto che di un solo studio monografico, quello prodotto, ormai un quarto di der Geschichte der Philosophie. Die Philosophie der Antike, Bd. 4 Die hellenistische Philosophie (Basel 1994), pp. 203-380; GALLO, Frammenti — 1. GALLO, Frammenti biografici da papiri, II La biografia dei filosofi (Roma 1980); GIANNANTONI, Socratici = G. GIANNANTONI, ἰ Socratici minori nei Papiri Ercolanesi, in Atti del XVII Congresso Internazionale di Papirologia (Napoli, 19-26 maggio 1983), II (Napoli 1984), pp. 513-524; GIANNATTASIO ANDRIA, Diogene — R. GIANNATTASIO ANDRIA, Diogene Cinico nei Papiri Ercolanesi, « CErc» 10/1980, pp. 129-151; GIGANTE, Biografia = M. GIGANTE, Biografia e dossografia in Diogene Laerzio, «Elenchos» 7 (1986), pp. 7-102; GIGANTE, Cinismo = M. GrGANTE, Cinismo e Epicureismo (Napoli 1992); GIGANTE, Filodemo = M. GIGANTE, Filodemo in Italia (Firenze 1990); GIGANTE, Ricerche = M. GIGANTE, Ricerche Filodemee (Napoli 1983"); GiGANTE, Storia = M. GIGANTE, Filodemo nella storia della letteratura greca (Napoli 1998); SCHUBART, PapGrBerol — W. SCHUBART, Papyri Graecae Berolinenses (Bonn 1911); TURNER, GMAW = E.G. TURNER, Greek Manuscripts of the Ancient World (London 1987^); TURNER, PHibeh — E.G. TURNER, The Hibeh Papyri, Il (London 1955). 1. Cf. CRÔNERT, pp. 135 ss. 2. CRÓNERT, pp. 141 s.
3. CRÓNERT, P. 143. 4. CRÓNERT, P. 153. 5. CRÔNERT, p. 154.
6. Cf. CRÔNERT, p. 135, a proposito di PHerc. 495: «questi resti [...] sono stati da me esaminati [...] non lettera per lettera, a causa della mancanza di tempo. Soltanto per i passi più leggibili il lavoro puó dirsi compiuto»; p. 143, a proposito di PHerc. 558: «poiché [...] la massa era assai fragile ed io mi dovevo affrettare, ho lasciato ancora molto lavoro da fare».
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA ?
353
secolo fa, da Luciana Baldassarri.’ A distanza di un secolo dal lavoro del Crónert, procederemo qui a una prima edizione critica completa e commentata dei due papiri, e ad una riconsiderazione generale del problema rappresentato dal loro rapporto e da identità e paternità del testo che trasmettono. 1. [ PAPIRI E ! DISEGNI
1. 1. PHerc. 495
A tutt'oggi, PHerc. 495 non si è lasciato svolgere che in minima
parte. Il grosso del rotolo giace ancora in un armadio dell'Officina, insieme ad altri esemplari non svolti, nella bambagia del cassetto XXVIII. Un confronto con i pezzi vicini fa risaltare a prima vista il
suo particolare stato di conservazione. PHerc. 495 mantiene l'originaria forma cilindrica: soltanto nella parte centrale si presenta leggermente schiacciato, mentre alle testate sono ancora ben distinguibili le volute dei fogli. Una tale apparenza di malleabilità ha indotto nei secoli ben tre svolgitori ad attaccare con fiducia il rotolo. Lo svolgimento fu intrapreso nel 1820 dal chimico inglese Humphrey Davy, il quale usava inumidire i materiali con etere solforico per rendere più morbide le fibre e predisporle all'azione della mac-
china.” Dopo la partenza del Davy, l'opera fu ripresa nel 1830 da Carlo Malesci, che tornó al tradizionale metodo del Piaggio.? Nell'aprile del 1987, infine, Knut Kleve, con l'équipe da lui diretta, at-
taccó il rotolo con una soluzione di acido acetico e gelatina, riuscendo a distaccare 13 nuovi frammenti;" poi, per l'esiguità dei risultati conseguiti, preferi desistere. Dunque, PHerc. 495 ha resistito nei secoli a tentativi di svolgimento eseguiti con tecniche diverse, sia chimiche sia meccaniche. Il
sensibile contorcimento subito dalle sue fibre nella parte centrale, la ormai nulla elasticità di queste, la loro estrema fragilità, la generale compattezza hanno congiurato a rendere il rotolo, a dispetto delle
apparenze, refrattario ai ripetuti attacchi. PHerc. 495 consta oggi di 14 frammenti," disposti su 3 cornici. Ai 13
7. Cf. BALDASSARRI, Papiri, p. 77 ss. 8. Sul lavoro del Davy all'Officina cf. CaPAsso, Manuale, pp. 105 s., € ANGELI,
Svolgimento, p. 83. Cf. anche F. Lonco AuniccHio, L'esperienza napoletana del Davy, in Proc. XIX" Int. Congr. of Papyrology (Cairo 2-9 Sept. 1989), vol. 1 (Cairo 1992), pp. 189-202.
9. Per la cronistoria dell'Officina dopo il Davy e sull'operato del Malesci cf. CaPAsso, Manuale, pp. 247 s.
10. Cf. CAPASSO-ANGELI, Papiri, p. 267. 11. Per le dimensioni dei «pezzi» cf. CatPHerc, p. 159.
354
STUDI DI LETTERATURA GRECA
frammenti della numerazione che figura sulle tavole è da aggiungere quello in alto a sinistra della cornice I, che non fu numerato, e che ho contrassegnato come fr. 1 sin. I 13 frammenti numerati furono disegnati nel 1853 da Vincenzo Corazza in 4 fogli; nel 1915 Mario Arman, su commissione di Domenico Bassi, disegnó, in un quinto foglio, il frammento non numerato. Tali fogli sono custoditi presso l'Officina fra i disegni napoletani (N). Nella cartella che li contiene è anche un fascicoletto a parte che, come si ricava dall'annotazione apposta dal Bassi sulla cartella stessa, «fu acquistato dal libraio Pappacena nell'agosto 1914». Esso costituisce, come lo stesso Bassi rese meglio noto un paio d'anni più tardi," una copia a mano di disegni che il Davy aveva fatto eseguire a Napoli e poi portato con sé a Oxford, dove si trovano oggi custoditi fra i Clarendon Press Facsimiles della Bodleian Library." Si tratta dei cosiddetti disegni oxoniensi (O) ricavati da 3 frammenti di PHerc. 241 - svolto, anche quello, dal Davy * - e da 8 del nostro papiro, precisamente i frr. 2, 4, 5, 6, 8, 9, 12, 13, più un nono, da me contrassegnato come fr. 1 O, di cui non si ha più riscontro nei frammenti conservati né nei disegni napoletani." I disegni oxoniensi, eseguiti da W. Gell e riveduti da P. Elmsey, possiedono un notevole valore, poiché confezionati subito dopo lo svolgimento e prima che l'originale subisse un progressivo
deterioramento, già in atto all'epoca del Bassi,'^ e proseguito inesorabile fino ai nostri giorni. " Di PHerc. 495 è disponibile da tempo una riproduzione completa su lastre fotografiche, or ora sostituita, per le cure di Steven Booras, dalla riproduzione digitale. PHerc. 495 restituisce parti inferiori di colonne. L'agraphon è di norma conservato: la sua misura oscilla intorno ai 18 mm. Mancano invece elementi per stabilire con sufficiente approssimazione l'ampiezza delle colonne e dell'intercolumnio; il numero ricostruibile di
lettere per colonna oscilla tra 16 e 20. 12. Cf. Bassı, Notizie, p. 483. 13. Nel vol. IL che raccoglie i disegni commissionati dal Davy, sulle vicende dei quali cf. D. Bassi, Papiri Ercolanesi disegnati, «RFIC» 41 (1913), pp. 427-464: 448. GALLO, Frammenti, p. 17 n. 17, € CaPAsso, Manuale, p. 119.
14. Cf. CaPAsso, Manuale, p. 119 n. 2. 15. Questi nove frammenti dovrebbero essere stati svolti dal Davy: cf. Bassi, Notizie, p. 483; i rimanenti sei (frr. 1 sin., 1, 3, 7, 10, 11) saranno da assegnare alla
rnano del Malesci. 16. Cf. Bassi, Notizie, p. 483. La copia oxoniense allegata al fascicolo dei disegni napoletani é tuttora, come allora annotava lo studioso, l'unica in possesso dell'Officina. 17. «Poco leggibile» ἐ il giudizio sullo stato di conservazione del papiro in CatPHerc, p. 159.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
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1. 2. PHerc. 558
La storia di PHerc. 558 è più breve di quella del suo affine, ma presenta diverse incognite. Sappiamo che fu svolto solo nel 1888 da
Luigi Corazza. E il Crônert ad informarci delle vicende relative alla sua «riscoperta».'* Il 6 febbraio del 1900 lo stesso Corazza gli riferi che il Museo desiderava giovarsi della sua perizia: egli avrebbe dovuto trascrivere esemplari non ancora decifrati e consegnare un apografo all'Archivio dei Papiri. Il Corazza estrasse perció da un ar-
madio due cassettine nelle quali erano i resti di PHerc. 558. Lo svolgimento era riuscito assai male: nel pezzo più grande e nei 25 minori i singoli strati restavano ammassati gli uni sugli altri, in condizioni tali che a toccarli si rischiava di staccare ulteriori frammentini e di perderli per sempre.
PHerc. 558 consta attualmente di due frammenti non numerati disposti su una prima cornice, da me contrassegnati come fr. 14 e fr. 1b, e di 25 numerati disposti su altre tre cornici.? I frammenti restituiscono parti superiori di colonne la cui ampiezza, come quella dell'intercolumnio, non é determinabile; tenendo conto delle integrazioni, il numero medio di lettere per rigo puó calcolarsi intorno a 20.
L'agraphon, dove conservato, misura all'incirca mm. 25; in cima a
molte colonne,^^ proprio sotto il margine del papiro e circa due linee al di sopra del testo, si trova della particolare scrittura. Essa è anzitutto più chiara di quella del testo, dunque certamente vergata con un diverso inchiostro. Presenta, inoltre, un certo stacco da
quella, consistente in un modulo leggermente ridotto e un tratteggio più incline al corsivo, come di norma nel caso di posteriori interventi non diretti al testo: la presenza di due abbreviazioni," caso giammai riscontrato nel testo, conferma trattarsi di semplici annotazioni. Il confronto interno e quello esterno chiariscono nella grande maggioranza dei casi che loro funzione era quella di fornire una
sorta di titolo al testo della colonna sottostante: abbiamo a che fare senza ombra di dubbio con vere e proprie titulationes o capitulationes.” Furono apposte in un secondo momento, come prova la di-
18. CRÓNERT, pp. 142 $.
19. Per le dimensioni dei 27 «pezzi» cf. CatPHerc, p. 165. 20. Cf. fr. 1a col. I, fr. ı, fr. s sovr. 2, fr. 9 col. I, fr. 10 col. I, fr. 11, fr. 11 sovr. ı, fr. 12 sovr. 1 col. I, fr. 17, fr. 17 sottop. 1. 21. C f 1, L 1, efr. 11, 1. 1.
22. Per confronto interno mi riferisco all'esame del papiro stesso, dove le annotazioni leggibili, con l'eccezione forse di quella a fr. 9 col. 1 (un memorandum?), hanno tutta l'aria di titoli ai quali l'argomento delle colonne relative, quando suf-
356
STUDI DI LETTERATURA GRECA
versa qualità dell'inchiostro," ma non escludo che siano opera dello stesso scriba che vergd il testo:*^ certo è tramontata, sin dallo
stesso Crónert che l'aveva sollevata," l'ipotesi che risalgano alla
manus Philodemi.” Di PHerc. 558 non furono eseguiti disegni; delle due copie a mano eseguite dal Crônert, di cui lo stesso studioso dava notizia," è persa
ogni traccia.”* Di tutt'e quattro le cornici sono disponibili le vecchie lastre fotografiche e, a partire da data recentissima, le fotografie digitali predisposte dal Booras.
Al tempo in cui Crónert lo vide, PHerc. 558, svolto da appena una dozzina d'anni, «era assai facilmente leggibile, e la bella e regolare
scrittura risaltava chiaramente dal fondo».^ Oggi quest'affermazione, purtroppo, non è più sottoscrivibile: basti pensare che appena un decennio dopo la citata descrizione del Crónert, come ricaviamo da una testimonianza del Comparetti, parte della scrittura risultava già in via di estinzione.”° 1. 3. Rapporti tra i due papiri: aspetto fisico, scrittura e ortografia L'editore principe, nel visionare i resti di PHerc. 558, espresse in que-
sti termini l’impressione che appartenessero, con quelli di PHerc.
ficientemente ricostruibile, viene di fatto a rispondere. Per il confronto esterno mi sono fruttuosamente indirizzato, in particolare, alle titulationes che sovrastano
quasi tutte le colonne superstiti del commentario di Didimo a Demostene (PBerol. 9780), dove pure sono presenti numerose abbreviazioni e la scrittura risulta, come annotano DIELS - ScHUBART, Didymos, p. XI, «nachlässiger und viel entschiedener kursiv als die des Textes»: una loro riproduzione si puó osservare in ScHUBART, PapGrBerol, tav. XX, dove l'editore rileva che il ductus è eseguito «calamo accelerato» (p. XVIII). 23. Lo scriba ha adoperato un inchiostro pià chiaro o meno resistente, che in effetti é quasi ovunque svanito. 24. Allo stesso scriba del testo appartengono verosimilmente le titulationes di PBerol. 9780: cf. DIELS - SCHUBART, Didymos, p. XI. e SCHUBART, PapGrBerol, p. XVIII.
25. Cf. CRONERT, Ùberlieferung, p. 369 = Studi, p. 167. 26. Contro il romantico, vano tentativo di individuare la manus Philodemi cf. CAVALLO, Libri, p. 26, e GIGANTE, Filodemo, p. 22.
27. Cf. CRÓNERT, p. 143.
28. Ricerche effettuate presso l'archivio dell'Officina e presso la biblioteca privata del Crónert a Góttingen non hanno dato risultati: cf. GALLO, Frammenti, p. 17 n. 18.
29. CRÔNERT, P. 143.
30. Cf. D. COMPARETTI, La bibliothèque de Philodème, in Mélanges offerts à M. Émile Chatelain (Paris 1910) pp. 118-129: 124, a proposito di lemmi «aujourd'hui réduits à si peu de chose dans l'original». PHerc. 558 è stimato «poco leggibile» in CatPHerc, Ρ. 165.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
357
495, al medesimo manufatto: «un'occhiata a quei frammenti [scil. di PHerc. 558] mi apprese subito che avevo davanti a me la parte supe-
riore del rotolo la cui altra metà si era conservata come Papiro
495».” Una cosi convinta affermazione, tuttavia, non era corredata di prove. Se nell'immediato l'identificazione di PHerc. 495 e PHerc. 558 era giudicata felice dal Jouguet, ” già nel 1916 il Bassi mostrava di non recepirla. Infatti, nel pubblicare alcune lezioni di PHerc. 495, che aggiungeva ad altri papiri contenenti opere retoriche di Filodemo,
non faceva alcun cenno a PHerc. 558.? Dieci anni più tardi, la D'Amelio respingeva esplicitamente l'identificazione, richiamando la «diversa qualità della carta» e la «mano differente dei due copisti».* Sono in sostanza le identiche prove su cui avrebbe fondato la sua argomentazione la Baldassarri, che venne inoltre aggiungendo consi-
derazioni di carattere ortografico;? le sue conclusioni furono ap-
provate dal Dorandi a più riprese,^ dal Cavallo,” che non assegna PHerc. 495 e PHerc. 558 neanche al medesimo scriba, e dal Giannantoni.? Nel Catalogo dei Papiri Ercolanesi e nel suo aggiornamento, infine, PHerc. 495 e PHerc. 558 non sono annoverati tra quelli facenti parte di un unico rotolo. ^ Al meticoloso riesame da me effettuato, l'ipotesi che PHerc. 495 e PHerc. 558 costituissero un unico manufatto appare difficilmente so-
stenibile. Le ragioni che qui adduco ineriscono a) l'aspetto fisico, b) quello paleografico, c) quello testuale. a) Aspetto fisico. Le differenze d'aspetto con cui si presentano esteriormente i due papiri risaltano subito anche all'occhio nudo. Sorvoliamo sulle differenze tra le superfici dei frammenti, relativamente liscia quella di PHerc. 495, estremamente corrugata e tormen-
tata quella di PHerc. 558, poiché quest'ultima potrebbe essere effetto
dello svolgimento mal riuscito; soffermiamoci piuttosto sulle differenze cromatiche. PHerc. 495 appare di colore notevolmente scuro, un antracite quasi prossimo al nero, tipico di una serie di papiri com-
31. CRÔNERT, P. 142.
32. Cf. P. JouGUET, Chronique des papyrus, « REA » 5 (1903), pp. 150 s. 33. Cf. Bassi, Notizie, pp. 481 ss.
34. Cf. D'AMELIO, Ricchezza, p. 28. 35. Cf. BALDASSARRI, Papiri, pp. 77 s. 36. Cf. DORANDI, Rassegna, p. 44, e Ip., Filodemo, p. 2418. 37. Cf. CAvALLO, Libri, p. 31 e n. 128. 38. Cf. l'elenco di papiri riconducibili
a un medesimo scriba, fornito da Ca-
VALLO, Libri, pp. 44-46, dove PHerc. 495 e PHerc. 558 non figurano.
39. Cf. GIANNANTONI, Socratici, p. 513.
40. Cf. CatPHerc, p. 61, e CatPHerc Suppl. I, p. 211.
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busti da Ercolano: uniforme e lucido, il colore di PHerc. 495 assorbe tuttavia la luce senza provocare riflessi; è lo stesso colore visibile
sull’involucro non ancora svolto. PHerc. 558 si mostra invece di colore più chiaro, un marroncino tipico di un'altra serie di papiri ercolanesi: pastoso, ma poco omogeneo, il colore di PHerc. 558 presenta screziature rossastre e riflettenti, che giungono, in alcuni punti, a brillare sotto la luce della lampada. Tali differenze d'aspetto non possono essere imputate al fatto che i due papiri furono svolti con procedimenti diversi o in tempi diversi. In PHerc. 495 i frammenti svolti con mezzi chimici non presentano alcuno scarto cromatico rispetto a quelli svolti con mezzi meccanici, gli stessi impiegati per PHerc. 558; e, pur ammettendo che agli inizi del '900 PHerc. 558, fresco di svolgimento, fosse apparso agli occhi del Crónert di colore simile a PHerc. 495, non si vede come possa apparire diverso oggi: il tempo da allora intercorso, in cui i due esemplari sono stati conservati sotto le medesime condizioni, avrebbe dovuto attutire le differenze, se essi fossero stati un unico manufatto, non acuirle. Né in ultima istanza le differenze possono essere ricondotte all'eventualità che il rotolo si sia smembrato durante la colata lavica, e una sua parte abbia subito un processo di carbonizzazione ed essiccazione in condizioni e ambienti diversi dall’altra: da recenti studi apprendiamo che a determinare il diverso aspetto e stato dei papiri ercolanesi fu, più che non l'essersi essi trovati in stanze differenti o l'aver subito aggressioni di diversa natura, la diversa manifattura, € in particolare il diverso uso di quelle sostanze adoperate dalle officine cartarie per migliorare bianchezza, uniformità, levigatezza, flessibilità del foglio.* Si aggiunge un'altra considerazione. Sappiamo che i casi accertati di parti superiori e inferiori di un rotolo, svolte in momenti diversi o da mani diverse, provengono per lo più da esemplari che, destinati alla scorzatura, subirono un taglio trasversale prima di quello longitudinale.* Ebbene, se di PHerc. 558 non si ha traccia della parte non svolta, di PHerc. 495 questa esiste, ed é intera: nessun segno lascia pensare che il papiro fosse stato predisposto per essere scorzato. Viene dunque a mancare la ragione più comune per cui PHerc. 495 e PHerc. 558 avrebbero potuto trovarsi oggi spezzati in due. Tutto ció porta alla conclusione che le differenze d'aspetto con cui si presentano PHerc. 495 e PHerc. 558 siano dovute al fatto che essi erano effettivamente all'origine due rotoli diversi, confezionati con tecniche e materiali differenti. 41. Cf. C. BasiLE, Le cause che hanno determinato i diversi stati di conservazione dei papiri ercolanesi, in CAPASSO, Rotolo, pp. 7:26.
42. Cf. ANGELI, Svolgimento, pp. 46 s., 53, 68-70.
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b) Aspetto paleografico. Fu quello che poté trarre decisivamente in in-
ganno il Crónert. Le scritture di PHerc. 495 e PHerc. 558 si presentano, in effetti, molto simili: non a caso il Cavallo, che pur non le riconduce, come abbiamo riferito, alla stessa mano, le colloca tuttavia
nell'ambito della medesima tipologia grafica.* Al di là dell'affinità di stile, le due scritture presentano al nostro occhio discrepanze tali da farci escludere che possano appartenere alla medesima mano, nonché al medesimo rotolo. In generale, la scrittura di PHerc. 495 é di modulo visibilmente maggiore. Il tratteggio è più posato, diritto, epigrafico. Il contrasto modulare è nella norma, il bilinearismo ideale rispettato. Lo stilo è sottile: le lettere, anche quelle tonde (o, ε, w, 8), sono snelle, allungate; gli apici sono spigolosi. La scrittura di PHerc. 558, al contrario, è anzitutto più piccola: non a caso, il numero medio di lettere per rigo sembra essere alquanto maggiore. Il ductus, inoltre, è più tendente al corsivo; il contrasto modulare notevole; lo stilo più spesso; le lettere angolari (a, , ) più aperte; gli apici rotondeggianti. Passiamo all'analisi di singole lettere. Quanto alle differenze riguardanti lo a e lo v nei rispettivi papiri, già segnalate dalla D'Amelio,“ rimandiamo alla dettagliata descrizione della Baldassarri,5 per soffermarci su altri particolari. In PHerc. 558 il 6 è più schiacciato e sinuoso. Il x e il x sono più bassi e larghi. Nel u il tratto di congiunzione scende senza acuirsi ad angolo; talora descrive un arco assai ampio, tanto che la lettera rischia di confondersi con lo n: quest'ultima infatti presenta, in questo papiro, un tratto di congiunzione molto elevato. Nel v il tratto di congiunzione non giunge a toccare la base dell'asta di destra. Nel x l'asta verticale é in posizione cen-
trale (in PHerc. 495 è leggermente spostata sulla destra). Il o è più diritto, con un piccolo uncino all'estremità superiore, tanto da potersi
confondere con lo 1.* Il @ ha corpo più piccolo e asta più lunga. c) Aspetto testuale. Le differenze concernenti questo aspetto giocano un ruolo decisivo. PHerc. 495 si presenta come un testo assai corretto e accurato. Non si ritrovano errori né correzioni; é fatto uso, invece, di segni diacritici. Elenchiamo gli indizi di accuratezza: 1. Fr. 2, col. I ]. 8: spazio tra parole. 2. Fr. 2, sott. 1 1. 5 τῆι ἀφωνίαι: lo τ mutum è ascritto. 3. Fr. 3, 1. 3: spazio tra parole (fine di periodo).
43. Cf. CAvALLO, Libri, p. 31 e n. 128. Ip., ibid., p. 62, parla di «scritture analoghe» che avrebbero indotto Crónert a certe errate identificazioni. 44. Cf. D'AMELIO, Ricchezza, p. 28. 45. Cf. BALDASSARRI, Papiri, pp. 77 s. 46. Cf. CRÔNERT, p. 145 n. 19.
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4. 5. 6. 7.
Fr. s, col. Fr. 5, col. Fr. 5, col. Fr. 9, 1. 5:
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I[ ]. 6 wı: lov mutum è ascritto. II l. 13: coronide. III l. 12: interpunzione (punto in alto). interpunzione (punto medio).
PHerc. 558 offre invece un testo più sciatto. Non si riscontrano segni diacritici; lo scriba si è macchiato di errori, omissioni, aggiunte e, in taluni casi — se egli stesso o un apposito diorthotes è impossibile dire -, é intervenuto con cancellature o correzioni: 1. Fr. 1, ]. 2 tjeAevtrjco: lo ı mutum è omesso. 2. Fr. 1, l. 3: lo scriba ha aggiunto invano la sillaba ov (geminazione dal precedente ev?). 3. Fr. 1, l. 4: sono cancellate circa 5 lettere. 4. Fr. 1, l. 4 πολειτῶν: errore ortografico (itacismo). 5. Fr. 3, sovr. 1l. 1 á]vye)Aov[x: errore ortografico (dissimilazione). 6. Fr. 6, sovr. 2]. 4 ἀκρειβέστείρον: errore ortografico (itacismo). 7. Fr. 11, sovr. 1 . 3: è cancellata una lettera. 8. Fr. 12, sovr. 1 col. I l. 3: sono cancellate 8 lettere. 9. Pz. 14 Crônert, l. 1: è corretto λαβοίθντος in AaAo[ovtoc.
A ció sono da aggiungere un paio di ripetizioni che potrebbero sottendere altrettante distrazioni da parte dello scriba: 1. Fr. 14, col. E. 10: cf. fr. 20 ]. 1. 2. Fr. 2, col. I l. 10: cf. ibid., l. 11.
A questo punto, se le differenze tra PHerc. 495 e PHerc. 558 sono tante e tanto evidenti, resterebbe da spiegare soltanto come uno studioso dall’esperienza del Crônert abbia potuto ingannarsi nell’identificarli. Una prima spiegazione potrebbe essere che egli abbia operato l'identificazione solo al momento di editare le sue trascrizioni, basandosi sul solo contenuto testuale dei due papiri e senza avere più sott'occhio gli originali, sebbene dal suo resoconto sembri di capire che li visionó all'incirca contemporaneamente e li identificó nell'immediato." 51 potrebbe ancora ammettere, come abbiamo già fatto, che PHerc. 558 si presentasse, appena svolto, di colore più simile a PHerc. 495. Ma dovette essere soprattutto la somiglianza grafica a trarre lo studioso ad erronee conclusioni. La fretta con cui, come ricordavamo, dovette lavorare, gli fu infine cattiva consigliera. 2. IL TEsTO
2. 1. Autore ed opera
Malgrado la cautela a tutt'oggi manifestata da Acosta Méndez e An47. Ma in CRONERT, p. 141 («una ricollazione dimostrerà se le integrazioni sono nel giusto»), lo studioso sembra non aver più i papiri sotto gli occhi.
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geli, che preferiscono non includere PHerc. 495 e PHerc. 558 fra le te-
stimonianze socratiche di Filodemo, * per il testo contenuto nell'uno e nell'altro dei due papiri la paternità filodemea, subito riven-
dicata dal Crónert, non è stata mai messa seriamente in questione.? Qualche esitazione esprimeva lo stesso Crónert in margine ad alcune infrazioni di troppo alla successione eufonica delle parole che riscontrava nel testo," ma poco tempo dopo si toglieva ogni dubbio al riguardo;? il progresso degli studi, poi, ha reso noto che Filodemo evitó lo iato molto meno di quanto non si credesse un tempo. ” Ad esser messa in questione fu invece talvolta l'attribuzione dell'uno e dell'altro testo, o di entrambi, alla Rassegna dei filosofi del Gadareno, che il Crônert giudicava la più ragionevole.? 11 Bassi,?* senza far parola del Crónert e della sua ipotesi attributiva, e tacendo affatto di PHerc. 558, incluse PHerc. 495 tra i papiri «sicuri» che contenevano frammenti di opere retoriche di Filodemo. Una tale attribuzione non era suffragata da alcuna prova. Cosa puó aver spinto il Bassi ad effettuarla con tanta sicurezza? L'integrazione di un riferimento al Panegirico di Isocrate e l'ipotesi che il riferimento a un Diogene, anch'esso integrato, fosse al cosiddetto Βαβυλώνιος, sono gli unici elementi con cui avrebbe potuto motivarla; ma sembrano derivare, per una sorta di petitio principii, dal presupposto che l'opera in cui sono contenuti tratti di retorica: perché l'integrazione del nome di Isocrate e del suo scritto è molto dubbia — con ogni probabilità, si parlava li ancora una volta di Socrate —, e il Diogene in questione è più verosimilmente il Cinico.” Come rientrerebbero poi, in un trattato di retorica, tutti i riferimenti a Socrate e Santippe, a Platone, Senofonte ed Eschine Sfettio, a Dionisio e a Dione, che pure costituiscono la sostanza di quanto leggiamo in PHerc. 495? Giustamente, credo, l'ipotesi attributiva del Bassi non si trovó ad essere piü ripresa negli studi ercolanesi. 48. Cf. AcosrA MÉNDEZ - ANGELI, Filodemo, p. 143. 49. ll fatto, su ricordato (supra, p. 40), che sia risultata vana l'ipotesi di ricono-
scere in PHerc. 558 la manus Philodemi, non impone certo, come sembra inferire GIANNANTONI, Socratici, pp. 513 s., «di respingere l'accattivante ipotesi di Crónert che Filodemo avesse scritto una storia di Socrate e della sua scuola». 50. Cf. CRÓNERT, pp. 152 s.
51. Cf. CRÔNERT, Überlieferung, p. 394 n. 1 = Studi, p. 191 n. 78, dove lo studioso ritiene «certo che anche pap. 558-495 appartenga alla miscellanea filodemea di sto-
ria della filosofia». 52. Cf. D'AuaLIO, Ricchezza, p. 28 n. 3. 53. CRÓNERT, p. 153: «non si conosce alcuna opera cui si potrebbero attribuire pap. 495 e 558 meglio della σύνταξις φιλοσόφων del Gadareno». 54. Cf. Bassr, Notizie, pp. 481 e 483 s.
55. Cf. PHerc. 495, rispettivamente a fr. 3.8 e a fr. 7.5.
362
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Ha probabilmente alla base un equivoco l'attribuzione, avanzâta con cautela dalla D'Amelio,$ di PHerc. 495 allo scritto di Filodemo Sulla ricchezza. La studiosa, partendo dal ripetuto avvertimento del Crónert, secondo il quale, per ragioni di scrittura e di contenuto, una delle tavole di PHerc. 495 doveva contenere frammenti del Περὶ
πλούτου,” ed osservando che «tutte e tre le tavole del nostro papiro appartengono sicuramente allo stesso rollo», finiva per assegnare
l'intero esemplare a quell'opera. Ma il Crónert, al momento della sua segnalazione, parlava non già di tre, bensi di quattro tavole di PHerc. 495. Quella contenente frammenti del Περὶ πλούτου e finita per errore tra le tavole di PHerc. 495 sarebbe stata rimossa e rinumerata dal Bassi entro il 1913, come lo studioso comunica in un articolo
di quella data.** Di conseguenza, la D'Amelio, quando qualche anno più tardi studió il papiro, non ebbe a che fare con la tavola del Περὶ πλούτου, Ma si trovó davanti le sole tre tavole effettivamente ad
esso appartenenti, le sole che il Crónert aveva edito assegnandole appunto alla Rassegna. Sgomberato il campo da questo possibile equivoco di partenza,?? restano le ragioni testuali per cui la D'Amelio poteva ipotizzare che PHerc. 495, nelle tavole ad esso sicuramente attribuibili che ella con-
sideró, «facesse parte del Περὶ πλούτου di Filodemo e si occupasse dell'atteggiamento pratico di alcuni fra i pià rinomati filosofi verso la ricchezza». Ma, se per ció che riguarda Eschine un'accusa di avi-
dità poté pure inserirsi nella tradizione della sua povertà, la stessa cosa non puó dirsi per Platone, alla cui decisione di recarsi presso la
corte di Dionisio fu semmai rinfacciata, e da una tradizione molto
56. Cf. D'AMELIO, Ricchezza, pp. 27-30: la studiosa ritiene solo «possibile» che PHerc. 495 appartenesse al Περὶ πλούτου (p. 30).
57. Cf. W. CRÔNERT, Über die Erhaltung und die Behandlung der herkulanensischen Rollen, «Ν]» 3 (1900), pp. 586-591: 588 — Studi, pp. 27-37: 31: ID., Neues über Epikur und
einige herkulanensische Rollen, « RhM » 56 (1901), pp. 6 07-626: 624 — Studi, pp. 103-125:
122.; Ip., Überlieferung, p. 369 — Studi, p. 157 n. 8; Ip., Memoria Graeca Herculanensis (Leipzig 1903), p. 4. Il Crónert attribuiva a PHerc. 163 o a PHerc. 97 la tavola erroneamente contrassegnata come appartenente a PHerc. 495.
58. Cf. D. Bassi, L'Officina dei Papiri Ercolanesi nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Lettera aperta al direttore della «Rivista di Filologia e Istruzione Classica», «RFIC» 41
(1913), ΡΡ. 193-201: 196. Il Bassi assegnó alla tavola estranea il nuovo n.? 1814. Cf. M. CaPAssO - T. DoRANDI, PHerc. 1696 e 1822, « CErc» 9/1979, pp. 37-45: 38 n. 11.
59. Che perdura in diversi fra gli studi citati nel presente lavoro, e inoltre in F. CASTALDI, Il concetto della ricchezza in Epicuro, «RAL - Sc. mor. st. filol.» VI s. 4 (1928), pp. 287-308: 302, in A. TEPEDINO GUERRA, Filodemo sulla gratitudine, «CErc» 7/1977. pp. 96-99: 98 n. 30, € in T. DORANDI, Filodemo. Gli orientamenti della ricerca
attuale, in ANRW II 36.4 (1990), pp. 2328-2368: 2359.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
363
tarda, solo piaggeria;° la menzione di Dione,“ poi, fa pensare che l'autore di PHerc. 495 fosse interessato al genuino significato filoso-
fico e politico del soggiorno di Platone in Sicilia, più che non ai cal-
coli economici dell'Ateniese.*' Ancora più forzosa suona l'idea che, per l'autore del papiro, dietro il viaggio di Senofonte in Asia potesse
essere sete di ricchezza, per la quale manca qualunque testimonianza. Né si puó affermare che in PHerc. 495 «il campo sia limitato a quei discepoli socratici, che il desiderio di una vita più agiata spinse verso corti straniere». Come spiegare, allora, i molteplici riferi-
menti a Socrate? É inesatto che venga menzionato solo in rapporto ad Eschine;? e il riferimento a Santippe, che la D'Amelio voleva «impossibile», è invece reale.** Fatta eccezione per i casi appena esaminati, l'opinione che PHerc.
495 e PHerc. 558 contengano un'opera storico-biografica, apparte-
nente o meno alla filodemea Rassegna dei filosofi, è stata di gran lunga prevalente fra gli studiosi. Senza doversi pronunziare sull'identità precisa dell'opera, il suo carattere storico-biografico hanno ricono-
sciuto e confrontato con produzione di genere analogo studiosi
come il Turner, “ l’Arrighetti,“ il Gallo.” La Baldassarri ha ritenuto probabile che PHerc. 495 contenesse un βίος Σωχράτους; quanto a PHerc. 558, si sarebbe trattato, per la studiosa, «di una produzione
collaterale alle opere filosofiche di Filodemo, sul tipo della σύνταξις
quU.ooóqov». Alla Rassegna, dopo un iniziale scetticismo, è propenso ora ad assegnare entrambi i papiri il Dorandi.9 In studi fondamentali su Filodemo, sull'epicureismo e sulla biblioteca della Villa, come quelli del Philippson,”° del Gigante," del Cavallo,”
60. Si rileggano i testi citati dalla stessa D'AMELIO, Ricchezza, p. 30 n. 1. 61. Cf. PHerc. 495, fr. 8 col. II 10. 62. Sui suoi rapporti con Dione, Platone ci informa in Ep. VII 323d ss., 326e ss.
63. Cf. PHerc. 495, fr. 1 col. I 4 e fr. 3 sottop. 1 col. 1 1-2, dove il nome di Socrate non compare associato a quello di Eschine.
64. Cf. il nostro commento a PHerc. 495, fr. 1 col. 15.
65. Cf. TURNER, PHibeh, p. 28. 66. Cf. ARRIGHETTI, Satiro, p. 3. 67. Cf. l. GaLLo, Una nuova storia della biografia antica, «QUCC » 18 (1974), pp. 173186, poi in Studi sulla biografia greca (Napoli 1997), pp. 121-135: 131, € Ip., Frammenti, ΡΡ. 16 S., 174 n. 24, 181 s., 184, 257 n. 8.
68. Cf. BALDASSARRI, Papiri, p. 79. 69. Dopo DORANDI, Rassegna, p. 45 («sarei più propenso a parlare di bioi che di parti della Rassegna»), cf. ora DORANDI, Filodemo, p. 2419 n. 101 («oggi sarei più propenso a accostare i due papiri alla Rassegna »). 70. Cf. R. PHILIPPSON, Philodemos, in RE XIX.2 (1938), coll. 2444-2482: 2464. 71. Cf. GIGANTE, Filodemo, pp. 26 s., e Ip., Cinismo, pp. 99 s.. 72. Cf. CAvALLO, Libri, pp. 31 e 61 s.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
dello Erler,” l'attribuzione di entrambi i papiri alla Rassegna dei filosofi di Filodemo è presentata sotto luce molto favorevole. Si fa interprete di questa opinione il Catalogo dei Papiri Ercolanesi, dove PHerc. 495 e PHerc. 558 sono registrati con il titolo congetturale di Φιλο&npov Περὶ τῆς Σωκράτους αἱρέσεως. 7* Allopinione più accreditata dalla critica il presente studio non puó apportare che conferme.
In favore della paternità filodemea per i testi contenuti in entrambi i papiri vorrei richiamare particolare attenzione sui seguenti elementi:
1. In entrambi i papiri sono menzionati autori noti a Filodemo perché da lui addotti anche altrove, e cioé Diocle di Magnesia,” Er-
mippo di Smirne, ”° Satiro di Callatis,7 e, forse, Demetrio Falereo.* 2. In entrambi i papiri sembra presupposta una conoscenza delle opere di Platone e di Senofonte, autori che anche altrove Filodemo
dà prova di conoscere.”* 3. Potrebbe essere proprio lo scritto contenuto nei nostri due papiri quello annunciato da Filodemo nel Περὶ εὐσεβείας (?), dove il Gadareno afferma, a proposito dell'esecuzione di Socrate: ταῦτα δὲ
èv ἄλλοις égovuev.”° L'interesse di Filodemo per la persona di Socrate, del resto, non ha bisogno di essere ricordato."'
73. Cf. ERLER, Schule, pp. 293 e 297. 74. Cf. CatPHerc, p. 5o. Cf. anche sotto PHerc. 495 e PHerc. 558, rispettivamente Ρ. 159 e p. 165.
75. Cf. PHerc. 495, fr. 1 col. 1 8 e PHerc. 558, fr. 7 col. H 2: Diocle è citato da Filodemo nell'Index Stoicorum (PHerc. 1018, XLVII 8). 76. Cf. PHerc. 495, fr. 2 col. 15 s. e fr. 8 col. II 1 s.: Ermippo è citato da Filodemo nell'Index Academicorum (PHerc. 164-1021, XI 4-7 — fr. 39 FGrHist) e nell'Index Stoicorum (PHerc. 1018, XVI 2 = fr. 4ob); per la possibilità di una ulteriore citazione nell'Index Academicorum (PHerc. 164-1021, V 35), cf. F. LASSERRE, Hermodore de Syracuse dans PHerc. 1021 εἴ 164?, «CErc» 13/1983, pp. 63-74: 67 € n. 14.
77. Cf. PHerc. 558, fr. 1]. 6 s.: Satiro è citato da Filodemo nel De pietate (PHerc. 1088, VIII 12 ss. = Satyros FGrHist. 2).
78. ll Demetrio citato in PHerc. 558, fr. 12 ]. 5, è con ogni probabilità il Falereo, a
cui Filodemo fa riferimento più volte nella Retorica (PHerc. 453, fr. 4 Î1. 116 = fr. 159 WeEHRLI*; PHerc. 1004, XLVIII 16 = fr. 156, LV 1316 = fr. 158; PHerc. 1007, XVa 24XVIa ς = fr. 162, XVIa 9-13 = fr. 169, XLVla 6-XLIla 21 — fr. 157; PHerc. 1015, fr. 6 ll. 17 = fr. 172, fr. 22 l]. 10-23 = fr. 205). 79. Cf. GiGANTE, Ricerche, pp. 107 s., e Ip., Storia, p. 61. 8o. Cf. PHerc. 229, col. IX, presso TH. GOMPERZ, Philodem über Frómmigkeit, in Herkulanische Studien, II (Leipzig 1866), pp. 143-151: 151. Nei nostri papiri, riferimenti specificamente inerenti il processo e la morte di Socrate abbiamo colto in PHerc. 495, frr. 5 e 6, e in PHerc. 558, fr. 1. 81. Si vedano le numerose (39) testimonianze raccolte da AcosTA MÉNDEZ - ANnGELI, Filodemo, pp. 149-178.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
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Una volta ammessi, per i due papiri, paternità filodemea e genere storico-biografico, ritengo che la loro attribuzione alla Σύνταξις tàv φιλοσόφων di Filodemo sia l'ipotesi più verosimile, nonché la più economica. Credo di poterla confermare adducendo le seguenti considerazioni. Anzitutto, la forte omogeneità dei rispettivi contenuti porta alla conclusione che PHerc. 495 e PHerc. 558 rappresentino copie di uno stesso libro. Una tale conclusione è confermata dal fatto, a cui inspiegabilmente né il Crónert né la Baldassarri assegnarono il giusto
peso," che in due punti il pur esiguo testo fornito dai due papiri si trova a coincidere." In secondo luogo, la somiglianza grafica di PHerc. 495 e PHerc. 558 tra loro e con altri papiri attribuibili alla Rassegna lascia pensare che facessero parte, insieme a questi, di quello
stesso, imponente progetto editoriale.° É dunque molto verosimile che PHerc. 495 e PHerc. 558 restituiscano entrambi uno stesso libro della Σύνταξις τῶν φιλοσόφων.
Del resto, perché postulare non altrimenti attestate e finora non reperite opere di Filodemo, quando ne conosciamo una, la Rassegna dei filosofi appunto, che era presente nella biblioteca della Villa e a cui il contenuto storico-biografico del libro resituitoci da PHerc. 495 e PHerc. 558 si adatta ottimamente? Nulla sembra distoglierlo da
quell'opera: stile narrativo-aneddotico," riporto di discorsi in forma diretta, puntuale richiamo di fonti biografiche," alcune
82. Cf. CRÔNERT, p. 154 n. 32, € BALDASSARRI, Papiri, p. 78 n. 22, la quale, fra l'altro, in PHerc. 558 ha confuso la sequenza aquava, effettiva in fr. 5 1. 1 (oquava è la nostra lettura), con ἀφωνί[αι di fr. 6 1. 13. 83. Cf. PHerc. 495, fr. 2 sottop. 11. 5, con PHerc. 558, fr. 6 1. 13; e PHerc. 495, fr. 9 ll. 2-5, con PHerc. 558, fr. 15 col. I 1-3. 84. Per le analogie editoriali dei papiri appartenenti alla Rassegna cf. CAVALLO, Libri, p. 62.
85. Mi riferisco, in particolare, agli ipotizzabili racconti-aneddoti inerenti Santippe (PHerc. 495, fr. 1 col. 1 4 s. e PHerc. 558, pz. 14 CRÔNERT l. 2), Euclide (PHerc. 558, fr. 4 sovr. 1 ll. 2-4), Eschine (PHerc. 495, fr. 3 ll. 3-6 e fr. 6 ll. 2-4) e Diogene (PHerc. 495, fr. 7 1. 5 s. e PHerc. 558, fr. 2 col. II 8), nonché a PHerc. 558 fr. 11, dove alla titulatio ἀποφθέγματα Σωκράτίους) fanno riscontro possibili aneddoti sullo
stesso Diogene (ll. 2-4) e su Antistene (sovr. 1 l. 2), e fr. 17 l. 1, con la titulatio διηγήματα: della storia di Platone e dell'Academia basti ricordare lo splendido racconto-aneddoto relativo alla morte del filosofo (PHerc. 1021, coll. III e V DoRANDI).
86. Cf. p. es. PHerc. 495, fr. 1 sin. coll. I 6, 1 15, II 6, III 3, PHerc. 558, fr. 6 l. 16. Dello stile diretto nella storia di Platone e dell'Academia ricordiamo p. es. PHerc. 1021, col. V DORANDI. 87. Ai su ricordati Diocle, Ermippo, Satiro e Dernetrio Falereo si aggiunge probabilmente Sopatro di Pafo, per cui v. a PHerc. 558, fr. 7 col. 1 1.
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STUDI DI LETTERATURA GRECA
delle quali per di più comuni,°° rapide notizie sui discepoli,° sono caratteristiche anche del libro dedicato a Platone e all'Academia. In particolare, i fugaci riferimenti al viaggio di Platone in Sicilia e ai suoi rapporti con Dione e Dionisio, che incontriamo nei nostri pa-
piri,?? si leggono, più diffusamente sviluppati, nella storia di Platone e dell'Academia.?' Inoltre, da quel poco almeno che è dato leggere del nostro libro, non vi si rileva traccia di ostilità o polemica da parte dell'autore nei confronti dei soggetti, come non se ne rileva nel libro su Platone e l'Academia, dove Filodemo appare storico imparziale e obiettivo.?* Infine, la contiguità di molti riferimenti con le laerziane Vite dei filosofi fa pensare che il nostro testo sia stato utilizzato da Diogene come fu certamente il resto della Rassegna dei filosofi, alla quale, addirittura, il Laerzio potrebbe aver ispirato la strut-
tura in dieci libri della sua opera.? 2. 2. Trasmissione
Se dunque tanto PHerc. 495 quanto PHerc. 558 restituiscono parti del
libro della Σύνταξις τῶν φιλοσόφων filodemea dedicato a Socrate e alla sua scuola, resta da chiarire in che rapporto stiano tra loro. Il fatto che i due papiri provengano dalla medesima biblioteca spinge abbastanza naturalmente alla conclusione che l'uno sia copia dell'altro. Per l'esiguità dei contesti, sembra impossibile stabilire quale potrebbe essere il modello e quale l'apografo; ma ritengo ipotesi assai verosimile che PHerc. 495 e PHerc. 558 stiano tra loro secondo un rapporto analogo a quello che lega i due papiri che tramandano il libro su Platone e la sua scuola, PHerc. 164 e PHerc. 1021.
Grazie ad importanti studi condotti in questi ultimi decenni dal
88. I su ricordati Diocle ed Ermippo sono citati altrove nella Rassegna: v. supra, n. 75 $.
89. É vero che, come fa osservare DORANDI, Rassegna, p. 45, nei nostri papiri non c'é traccia di una διαδοχή, Ma questa circostanza - che si dà, del resto, anche per i papiri della Rassegna riguardanti le scuole presocratiche - è naturale per la cerchia socratica, che non si organizzó mai come una vera e propria scuola. Inol-
tre, in PHerc. 558, fr. 12 sovr. 1 col. I ı, la verosimile titulatio Σωκράτου)ς μαθηίτ]αί lascia pensare a una trattazione schematica come quella del libro sull'Academia (cf. PHerc. 1021 col. Vl, p. 135 DORANDI).
go. Cf. PHerc. 495, fr. 8 col. II 7-10 e fr. 9 1. 5, e PHerc. 558, fr. 8 col. II 7. 91. Cf. PHerc. 1021 (Index Academ.), coll. X-Z DoRANDI. 92. Cf. GIGANTE, Filodemo, pp. 5, 29, € in generale, sulla equanimità di Filodemo verso rappresentanti di altre scuole, Ip., Storia, pp. 37-40.
93. Cf. GIGANTE, Filodemo, pp. 9 e 26. Su Filodemo tra le fonti del Laerzio si veda anche Ip., Biografia, pp. 7 ss.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
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Cavallo, dal Gigante e dal Gaiser,** sappiamo ormai per certo che PHerc. 1021 costituiva una sorta di «brogliaccio d'autore»: era la copia di lavoro di Filodemo, poco piü che una raccolta di materiale; la prima, provvisoria stesura del libro su Platone e l'Academia. Da questa copia, attraverso un esemplare intermedio che costitui la stesura definitiva o «prima edizione», sarebbe derivato, forse ormai dopo la morte di Filodemo, PHerc. 164. Ebbene, con PHerc. 1021 è il nostro PHerc. 558 a presentare una serie di affinità, che possiamo riassumere come segue: 1. Scrittura dal ductus veloce. 2. Stesura disordinata e inaccurata, quale si argomenta da a. cancellature (eseguite, in entrambi i papiri, con un frego d'inchiostro);
b. correzioni;
c. errori non corretti (per lo più ortografici: mancata ascrizione dello i mutum, itacismo ı
εἰ, dissimilazione -yy- > -vy-);
d. mancanza di segni d'interpunzione. 3. Presenza di sussidi redazionali, quali a. paragraphoi;
b. aggiunte nei margini superiori, in caratteri più piccoli e leggermente corsiveggianti.”
Che, come PHerc. 1021, anche PHerc. 558 sia una copia provvisoria, é indicato dalle sue stesse titulationes, che potrebbero significare una suddivisione del materiale, ed avere avuto per l'autore la funzione di agevolare, come una sorta di indice, il reperimento del materiale
stesso in vista dell'edizione definitiva.” In particolare, la titulatio di fr. 9 col. I ı s. &v tài] πρώτωι | [Tisavov?] τὸν Λοκρόν sembrerebbe nascondere la provvisoria annotazione di una fonte compulsata o da compulsare o di un soggetto trattato o da trattare, mentre tutto lo «strano» testo di fr. 6 sovr. 2, con il rinvio a qualcosa da dire πάϊλιν | év τρίὐτωι ἀκρειβέστείρον (l. 3 s.), potrebbe essere semplicemente un 94. Cf. CavALLO, Libri, pp. 27, 61 s.; ID. ! rotoli di Ercolano come prodotti scritti. Quattro riflessioni, «S&C» 8 (1984), pp. 5-30: 12-17; GIGANTE, Biografia, pp. 25-34; ID. Filodemo, p. 22 s.; K. GaiseR, Philodems Academica. Die Berichte über Platon und die
Alte Akademie in zwei herkulanensischen Papyri, «Supplementum Platonicum», vol. I (Stuttgart - Bad Cannstatt 1988), pp. 25 ss.
95. In PHerc. 558 tali note hanno, come abbiamo rilevato, per lo pià funzione di titulationes, mentre in PHerc. 1021 hanno natura più varia: non è peró questa una
possibile discriminante, come sembra credere DonaNpi, Filodemo, p. 2419 n. 97,
poiché anche in PHerc. 558, fr. 9 col. I 1 s., l'aggiunta, come già osservato, sembra avere la funzione di una semplice glossa o promemoria. 96. Analoga, e cioé di preparazione a un successivo lavoro, sembra essere stata la funzione delle ritulationes nel De Demosthene di Didimo (PBerol. 9780), sulla quale cf. ARRIGHETTI, Poeti, p. 203.
368
STUDI DI LETTERATURA GRECA
appunto cursorio o un memorandum ad uso dell'autore, da eliminare in un secondo momento. Con PHerc. 164, alla sua volta, é il nostro PHerc. 495 ad avere in comune la scrittura più posata e l'assenza di segni redazionali, cancellature, errori: un'accuratezza che lascia pensare anche per esso a un'edizione definitiva o a una copia di questa. Ritengo, in conclusione, che con PHerc. 558 e PHerc. 495 dovremmo trovarci in presenza di un'ulteriore testimonianza relativa
alla laboriosa attività compositiva di Filodemo e all'attività editoriale che, in margine ad essa, si sviluppó nella biblioteca della Villa e prosegui anche dopo la morte del suo fondatore.?? 3. LA PRESENTE EDIZIONE
Come
premesso
nell'Introduzione,
quella
presente
si
propone
come la prima edizione critica vera e propria di PHerc. 495 e PHerc.
558.?* All'edizione del Crónert, poco più che una semplice trascrizione, piccoli contributi testuali si sono aggiunti solo ad opera dello stesso Crónert, che rivide qualche anno più tardi una sua integrazione; del Bassi, che annotó alcune sue letture in margine a N e poi
le riportó in un successivo articolo; della D'Amelio e della Baldas-
sarri, che proposero alcune congetture. L'intervento critico del Diels e dello Usener é testimoniato nell'edizione del Crónert. La nostra edizione si basa su una ispezione autoptica dei due manufatti, coadiuvata dall'ausilio dei nuovi microscopi elettronici binoculari e dal controllo effettuato sulle recenti riproduzioni fotografiche digitali. Nei casi in cui la scrittura era obliterata, ho riportato, dov'era disponibile, la lezione di O e di N, segnalando il fatto in apparato e attenendomi, in sede critica, al principio formulato dal Gigante circa l'affidamento da fare sugli apografi.? Per ogni frammento di PHerc. 495 ho dedicato una sezione dell'apparato alla puntuale indicazione dei testimoni, mentre ne ho fatto a meno per PHerc. 558, essendo il papiro testis unicus. Non ho ritenuto opportuno pubblicare le poche lettere greche che appena è stato pos-
97. Sulla biblioteca della Villa dei Papiri e la sua attività sono fondamentali CaVALLO, Libri, pp. 58-65, e GIGANTE, Filodemo, pp. 19-62.
98. Una tale mancanza era sottolineata da ERLER, Schule, p. 300: cf. M. GIGANTE, Atakta XV, «CErc» 26/1996, pp. 131-142: 137.
99. Cf. GIGANTE, Ricerche, p. 115, ora in [p., Atakta XVIII, «CErc» 29/1999, pp. 37 5.: 37 (atakton CIIL: «Anche quando non si legge oggi in P, una lezione di ON o di O o di N, ritenuta attendibile e non contraddetta da qualsiasi altra considerazione, è da riconoscersi come lezione del papiro»).
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
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sibile identificare nei frammenti di PHerc. 495 recentemente distaccati dal Kleve."°° In alcuni casi, nei quali il papiro non era piü leggibile e mancava il riscontro degli apografi, l'editor princeps risultava testimone unico. In questi casi, sempre segnalando la cosa, ho fatto affidamento alla sua autorità, che, là dove il controllo era stato possibile, mi si era dimostrata molto attendibile. La circostanza si é verificata soprattutto nel caso di alcuni sovrapposti andati perduti: in tali casi, ho riportato la trascrizione del Crónert elevandola senz'altro al rango di testimonianza. Nel far ció, ho tentato, per quanto possibile, di adattare le trascrizioni dello studioso ai criteri ecdotici della nostra e di una moderna edizione. Lo stesso principio è valso nel riportare, sempre dal Crónert, gli interventi del Diels e dello Usener. Lo stato di sfacelo in cui si presentano entrambi i papiri, oltre alla esiguità del testo, rendeva vano ogni tentativo di ricostruire un ordine dei frammenti o «pezzi» diverso da quello che figura sulle tavole.^' Per questa ragione, e per comodità dei successivi studiosi, ho rispettato, nella numerazione dei frammenti, quella attualmente esistente sulle tavole, intervenendo solo nei casi di frammenti che non vi figurano numerati. Nell'edizione del Crónert, la numerazione dei frammenti si discosta da quella delle tavole. Per ció che riguarda PHerc. 495, lo scarto é molto lieve, e lo stesso Crónert interviene, di norma, a colmarlo, segnalando il numero originale del frammento; diversa é la situazione per i frammenti di PHerc. 558. Quando il Crónert li trascrisse, questi non erano ancora collocati sulle tavole né numerati: lo dimostra il fatto che lo studioso, diversamente da quanto fa per il precedente papiro, tace l'indicazione della cornice, e la numerazione dei suoi «pezzi» é piuttosto sfasata rispetto a quella attuale. Inoltre, di un frammento pubblicato dal Crónert, da me designato come «pz. 14 Crónert», non é traccia oggi sulle tavole; viceversa, uno degli attuali frammenti, e precisamente il fr. 10, non si ritrova tra quelli editi dal nostro predecessore, né i nostri tentativi di identificare i due testi hanno avuto esito positivo. Una possibile spiegazione é che pz. 14 Crónert fosse un sovrapposto dell'attuale fr. 10: lo studioso lo avrebbe sollevato, omettendo di leggere il testo sottostante; ^* il sovrapposto sarebbe andato poi perduto. Ho riportato pz. 14 Crónert in fondo al testo di PHerc. 558, 100. Per il bassissimo «quoziente di leggibilità» dei nuovi frammenti cf. anche CAPASSO - ANGELI, Papiri, p. 267.
101. Vano sarebbe anche distinguere terminologicamente per i nostri due papiri, come già considerava Bassi, Notizie, p. 483, i «pezzi» dai «frammenti». 102. Caso non impossibile in un procedere di fretta quale quello descritto da CRÓNERT, p. 143: «Qua e là ho sollevato alcuni sovrapposti per leggere la scrittura
370
STUDI DI LETTERATURA GRECA
adottando gli stessi criteri ecdotici usati per le letture di cui l’editore
principe è testimone unico. Infine, di cinque frammenti che il Crónert non pubblicó, giudicandoli «quasi del tutto improduttivi», ? manca la possibilità del riscontro con l'attuale numerazione; ma é verosimile che essa, qui, coincida. ^* Per PHerc. 558 ho ritenuto dunque opportuno stilare una tavola di concordanze fra la nostra nume-
razione e quella dell'editor princeps. EDIZIONE E COMMENTO
A) PHerc. 495 CONSPECTVS SIGLORVM P
PHerc. 495
Ο
Apographon Oxoniense Ρ
N
Apographon Neapolitanum P
Bassi
Notae a Dominico Bassi in N appositae
Bassi*
D. Bass1, Notizie di papiri ercolanesi inediti, «RFIC» 44 (1916), pp. 481-484
Crônert
W. CRÔNERT, Herkulanensische Bruchstücke einer Geschichte des Sokrates und seiner Schule, «RhM» 57 (1902), pp. 285-300 = Studi ercolanesi, introd. e trad. a c. di E. Livrea (Napoli 1975), pp. 135-154
Crónert
— W. CRÔNERT, Die Überlieferung des Index Academicorum, «Hermes» 38 (1903), pp. 357-405 — Studi ercolanesi, cit., pp. 155-202
D'Amelio
M. D’AMELIO, Di alcuni trattati epicurei sulla ricchezza (Napoli 1926)
Diels
Hermanni Diels supplementa apud Crónert (q. v.) servata
Usener
Hermanni Usener supplementa apud Crónert (q. v.) servata
Fr. 1 sin. Col.i
Col. II
lo. -
] ex2... 5
]. vetv
Ιηδιί
Ιφραί
]voteoox .[
Jeay .. φί ].
τη... εκηδί
-
Ἰεπί
5
Col. III
άλλ ̓ deil
1ἔφῃ.[( Ἰεωί
5 e.[
nascosta. Poiché peró la massa era assai fragile ed io mi dovevo affrettare, ho lasciato ancora molto lavoro da fare, per non rendere ancora piü grave la perdita con interventi frettolosi ed imprudenti». Analoga disattenzione del Crónert nell'editare PHerc. 495, fr. 2, abbiamo annotato ad loc. 103. CRÓNERT, P. 152.
104. Infatti, nelle stesse condizioni, e cioé assolutamente improduttivi, si presentano anche gli attuali frr. 21-5 (di cui riporteremo, per puro scrupolo, qualche lettera).
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
Ἰἔφη..
xai] ποτε « [0v γ ̓]»,ἠρώτησίεν,
αφί- - -]Jxau
J.ox..
nyl.]voorm . . μουπί
πί
]vov[
. ατρι. .JonA[
]ul 10
371
Col. IV?
.al
15
-
le @I J8l
Jo£ ..
Jews[
ὦᾧ ἄνθρωπε
5
IA
Ἰμαλην Testimonia: P, N (l 15-6, 1l 1-8).
l15 supplevi
— 16 μαλην vel xaàqv P,
ιουεσοκι legit Crônert
nert
N
ID 2 voteoox. P: voveoox. N:
3 εκηδ N: nunc tantum xnô P: exxa legit Cró-
6 supplevi ex. gr.
8 ατρι vel λτρι N: nunc tantum 1Qı P
οπλ
P: econ N
Quale la vicenda di questo frammento? Esso è collocato, senza numerazione, nella cr. I in alto a sinistra, a fianco del fr. 1. Disposizione e aspetto non tradiscono differenze rispetto agli altri frammenti di PHerc. 495. Ma fr. 1 sin. è ignorato anche da O e dal Corazza nei dise-
gni del 1853. Soltanto nel 1915 ι disegnata dall'Arman la sua porzione più leggibile. Quelli che si distinguono si direbbero i resti di almeno tre co-
lonne. 5 Ma è possibile che le lettere leggibili in basso a destra del frammento appartengano a una quarta colonna. Della col. I sembra in linea di massima preservato il margine destro; delle rimanenti non è possibile dire nulla in proposito, poiché la confusione regna sovrana. La presenza di sovrapposti e sottoposti é in molti punti probabile, ma mai discernibile con chiarezza. In tutte le colonne appare conservato, sia pur discontinuamente, il margine inferiore. Dell'intero frammento il Crónert si limitava ad offrire la lettura di II 2-3. Non molto é quanto si puó ricavare dall'ulteriore testo che qui presentiamo. Lo ἔφη che si osserva ripetuto in I 6 e in III 5 presuppone il riporto di qualche detto o discorso in forma diretta, dato cui i congetturabili © ἄϊγθρωηπςε di I 15 ed ἠρώτησίεν di II 6 darebbero conferma. A sostegno della prima integrazione, è da rilevare che l'apostrofe ὦ ἄνθρωπε ricorre ben otto volte sulle labbra del Socrate pla-
tonico;'* mentre la seconda potrebbe inscriversi in un analogo con105. Cosi anche CRÔNERT, p. 136. 106. Cf. Plat., Apol. 28b6, Prot. 330d8, Gorg. 452bs, Men. 75a3, Hipp. mai. 289a2, Symp. 200c8, Resp. 1 329c2 s. (qui, propriamente, Socrate riporta parole di terzi),
337b1.
372
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testo di apostrofe colloquiale, quale quello che abbiamo provato a ricostruire exempli gratia."" L'ipotesi più probabile, allora, è che in questa sezione l'autore stesse riportando parole di Socrate o scambi di battute tra Socrate e qualcuno dei suoi interlocutori. La sequenza 1) in 118 e IV (?) 5 non esclude la presenza di Platone. Fr. 1
Col.I
Col. II
Jôa[. . .]not. .avl
]ta .(
Ἰτανί
]. iter .
Jovotv [
Jaoxa . εἰ
Jogov..... w..a
-
Σωκ]ράτης!
Joixiœu
]l
5 Ξα]νθίππην Xa[. . .]ue ]vex πεί- - -]. teo
10
Col. III
5
]. paf
Jeul ]uv .
5 Juxeol JE . ve[
Jox . νυνί- - -Γμπί
...
]. af
]π..μι.. διοχί
εἰ
]. vl
Jeyevel
9[- - -Ja... σθαικαν
]Jv..oxawv
10
] νισωνί
Testimonia: P, N (I 1-10).
I 3 fin. τναι N
nert
4 Ἰράτης P, Jatns N: supplevi
6 litterae tex suppositae
8 .διοχί: &ó x[ai vel Διοκίλῆς (cfr.
PHerc. 558, fr. 7, H 2) supplendum: uv&vox N
tum
5 Ξα͵νθίπίπη Cró-
III 2 fin. e fort. supraposi-
356. ouxua: litt. aı fort. suprapositae: oixi[a Crônert
Il frammento sembra conservare tre colonne, mutile nei margini superiore e inferiore. Soltanto quella mediana potrebbe preservare, almeno in parte, i margini laterali; la lunghezza del rigo di scrittura non è, tuttavia, determinabile. Del frammento Crónert offriva solo III 2-5 e l'integrazione Ξαϊγθίπ[πη in 15. Da questa integrazione e da quella in III 3 oixi[a deduceva che in questo foglio si parlasse della vita dome-
stica di Socrate."* Al riesame microscopico dell'originale entrambe le integrazioni ricevono ora conferma: in I 5 si riesce a leggere ]v8ix-
107. Il desiderato vocativo dovrebbe essere costituito da un nome assai breve, al massimo di due o tre lettere, non maggiore essendo lo spazio sul papiro. Abbiamo
perció pensato di integrare il pronome di 2* persona, ricostruendo anche qui un'apostrofe non estranea al Socrate dei dialoghi «socratici» di Platone: cf. p. es. Plat., Hipp. mai. 288c10, 290a5, 290d1 s. Quanto al verbo ἠρωτᾶν, anch'esso descrive, spesso all'aoristo, l'attività investigativa di Socrate nel corpus platonico: cf. Euthyphr. Ba11, 12c10, Apol. 24€1, Prot. 347c1, Phil. 29d3, Amat. 133e2, ε, inoltre, Pol. 264d1 (Straniero d'Elea) e Leg. VI 776ds (Ateniese, in riferimento a Megillo). Si vedano ancora Xen., Mem. [Il 8.5, Oecon. 10.9, Symp. 4.50, e Aristot, Soph. cl. 34.183b6-8. 108. CRÓNERT, p. 136.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
373
myv, ?? e in III 3 οἰκίαι (dativo, pià probabilmente che nominativo plurale), anche se va detto che la parte finale leggibile del rigo presenta, come la corrispondente parte del rigo superiore, una discontinuità, talché la desinenza aı potrebbe appartenere a un sovrapposto. Dato
un contesto come quello fin qui ricostruito, la nostra integrazione Xox]o&átns in I 4 appare molto probabile. Un ulteriore riferimento a Santippe è ipotizzabile in PHerc. 558, pz. 14 Crónert, l. 2.
Poco si puó ricavare dalle ulteriori lezioni che qui offriamo. Degno di nota è I 8 διοχί. L'integrazione più piana dovrebbe essere διὸ x[ai, nesso, peraltro, alquanto frequente in Filodemo.'^ Tuttavia, in un contesto narrativo-aneddotico sulle vicende familiari di Socrate, come quello ipotizzato, stonerebbe una giuntura cosi caratteristicamente argomentativa. Si potrebbe perció pensare a un Διοκίλῆς, nome che ritorna nell'assai verosimile integrazione di Crónert a PHerc. 558, fr. 7 II 2 Διϊοκλῆς. Costui non potrebbe essere che quel
Diocle di Magnesia, filosofo simpatizzante per il cinismo, nato tra il 70 e l’80 a.C. e amico più giovane del poeta epigrammatico Meleagro
di Gadara (120-50 a.C. ca.) detto anch'egli κυνικός, che gli dedicó la sua Corona."" Diocle fu autore, stando a Diogene Laerzio (II 54, 82; VII 48; X 11), di una ἐπιδρομὴ τῶν φιλοσόφων e di βίοι (τῶν) φιλοσόφων
in almeno tre libri, ai quali lo stesso Diogene volentieri attinse:'" la prima opera doveva avere carattere dossografico, la seconda biografico, anche se già per il Nietzsche il secondo dei titoli tramandati era solo una variante imprecisa del primo.'? Otterremmo cosi la fonte (o una delle fonti) per le notizie sulla vita di Socrate che l'autore del nostro scritto sta riportando: sarebbe il primo tra i rinvii a fonti bio-sto-
riografiche che troveremo nei nostri due papiri. Filodemo cita Diocle nel libro della Rassegna dedicato agli Stoici (PHerc. 1018, XLVII 8).
109. L'attenta autopsia del papiro fa dunque tutt'altro che rendere, come faceva agli occhi di D'AMELiO, Ricchezza, p. 29 n. 3, e di BALDASSARRI, Papiri, p. 79 n. 23,
«impossibile» la lettura del CRÓNERT.
110. Cf. Acad. hist. XVIII 41 DoRANDI; Stoic. hist. XIX 8 s., XXXI 2 DORANDI; De poem. 111 6 MANGONI; De mus. VHI 44 NEUBECKER; De oecon. VIII 16 s. JENSEN; De ira XLII 39 INDELLI; De bono rege sec. Hom. XXXVII 31 s. DORANDI; De piet. XXV 1292 OBBINK.
111. La circostanza potrebbe non essere priva di significato, ferma restando l'ipotesi che l'autore del nostro scritto sia il concittadino Filodemo: sulla sua cono-
scenza di Meleagro cf. GIGANTE, Storia, p. 9 s. 112. Diogene menziona Diocle ben 19 volte, sebbene Nietzsche forse esagerasse nel considerarlo la sua Hauptquelle. Cf. V. CELLUPRICA, Diocle di Magnesia fonte della dossografia stoica in Diogene Laerzio, «Orpheus» 10 (1989), pp. 58-79. 113. Su Diocle di Magnesia cf. E. MARTINI in RE, V.1 (1903), coll. 798-Bo1, e D. T. Runıa in Der neue Pauly, II (1997), coll. 613 s.
STUDI DI LETTERATURA GRECA
374 Fr. 2
Col. I
Col. II
.. ποί ἀνθρω[π
Ἰμετιί ]v è° ἑαυτί
ταστερί - - - Ἔρμιππός φηίσιν
Ἰην καὶ μηί φα!- - -] δρᾶμα M 5
ταισπα φθιν.[
]. [Ἰαθμαί πεμί- - - φιλ)οσοφεῖν .[
Jotv οδί
Jetvau 5[é Testimonia: P (IL), O (1l 2-7), N (I, II 1-4, 6-8).
I 1 πο N: ηθ Crónert Aoteo N
2-4 suppl. Crônert
O: nunc tantum vxauim P (et N)
N)
3 ταστερ legit Crônert:
II 2 scripsi: vbeau O: βλτι N: nunc tantum eav P
3 ηνκαιμη
4 δραμαλ O: nunc tantum aù P (et
5 ταισπα φθιν. O: fort. tantum o (e?) P: vacat N
6 afua P: vop O:
λομ Ν 7 πεμί N: μεμί O: vacat P: litterae fort. suppositae Ἰοσοφί O: letv.[ P (et N): coniunxi εἴ lacunam implevi 8 spatium inter aw εἴ oó P
9 supplevi
Piuttosto complicata la situazione di questo frammento. O ne riporta la sola colonna di destra, con esclusione del rigo iniziale; il suo testo
tuttavia, fatta forse eccezione parziale per le linee 3 e 6, non è più dato seguire puntualmente in P. Anche N trascrive questa col. II, più una colonna di sinistra, la col. I, che oggi è scomparsa e già lo era nel 1915, come si desume dalle annotazioni del Bassi in N. Essa dovette essere sollevata dal Crónert, poiché lo studioso offre la lettura del relativo sottoposto che attualmente figura nel frammento come colonna di sinistra e noi riportiamo qui sotto come «Sottoposto 1»: la pristina col. I andó con ogni certezza perduta nell'operazione. Senza dar troppe spiegazioni, Crónert tralasció poi di leggere la col. II. "^ Di un certo rilievo sarebbe la perduta col. I se fosse confermata l'integrazione di Crónert a l. 3 s. "Eguux]|nóc qn[oi, in sé molto plausibile. Lo stesso nome di Ermippo, e in condizioni di testo analoghe, Crônert integra più avanti nel papiro (fr. 8 col. II 1 s.). Il personaggio in questione non puó essere che Ermippo di Smirne, detto Peripatetico o, più spesso, Callimacheo, vissuto nel III sec. a.C. A lui sono attribuiti βίοι di Pitagora, Aristotele e Teofrasto, dai quali possediamo citazioni esplicite; ma al suo nome si trovano ricondotte notizie relative a molti tra i maggiori filosofi (Empedocle, Eraclito, Democrito, Zenone, Anassagora, Socrate, Platone, Arcesilao, Alessino, 114. CRÓNERT, p. 136, si limita alla considerazione che «la metà destra della colonna disegnata in N appare di diversa pertinenza».
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
375
Menedemo, Stilpone, Antistene, Menippo, Epicuro), risalenti verosimilmente a βίοι anche queste."* Filodemo lo utilizzó come fonte nella Rassegna, per la storia degli Academici e per quella degli
Stoici."* La presente testimonianza è accolta dal Wehrli tra i frammenti di Ermippo (fr. 33).'" Della col. II si segnala l. 4 δρᾶμα, che credo di poter ricavare con una certa sicurezza dalla lezione δραμαλ di O, preservata oggi in P
solo nelle ultime due lettere (trascritte già da N). Il termine potrebbe contenere un riferimento a qualcuna delle tante piéces in cui erano
presi di mira Socrate e la sua cerchia:"* sappiamo che l'impiego dei poeti comici come testimoni per la ricostruzione biografica era nella migliore tradizione peripatetica;"? per un possibile riferimento alle Nuvole si veda fr. 4, ll. 1 e 3, ε, per uno al comico Sopatro, PHerc. 558,
fr. 7 l. 1. Ipotesi meno probabile é che si stesse parlando qui del dramma che Platone si accingeva a portare in scena quando la voce
di Socrate lo fece desistere,"^ episodio che inerirebbe a un βίος di Platone più che di Socrate.
In Il 6 αθμ è la lezione che ci è sembrata più probabile; possibile è anche Aou di N, mentre νωμ di O, sempreché riferita alla sequenza in questione, pare attualmente da escludere. Alla fine della sequenza, in P é visibile ancora una lettera (a?), che i disegni ignorano.
In II 7 la lezione Ἰοσοφεῖν la ho ricostruita combinando lo Ἰοσοφί di O, oggi scomparso, con lo Jetv.{ che ancor oggi è possibile leggere in P a fine rigo, e che O ignoró (prendendolo per un sottoposto? Prima della sequenza &, in effetti, una piega) ma N no. Se la giustapposi-
zione è corretta, l'integrazione proposta è del tutto naturale. Il xeu riportato da N (O sembra dare μεμ) ad inizio del rigo potrebbe con molta probabilità non appartenere ad esso.
Una caratteristica grafica del manufatto rileviamo infine dallo stacco tra due parole ancora ben distinguibile in II 8.
115. Su Ermippo cf. J.S. HeiBGES in RE, VIII.1 (1912), coll. 845-852, e F. MONTANARI in Der neue Pauly, v (1998), coll. 439 s.
116. Cf. Ind. Academ. (PHerc. 164-1021) XI 4-7 = fr. 89 WeEHRLI!; Ind. Stoic. (PHerc. 1018) XVI 1-6 Ξ fr. 90 WEHRLI*. 117. Cf. F. WEHRLI, Die Schule des Aristoteles, Supplbd. I Hermippos der Kallimacheer (Basel-Stuttgart 1974), p. 19.
118. Riferimenti a sirnili piéces in βίοι di Socrate e di Platone sono quelli di D. L. Il 18, 28; 1 26-28.
119. À partire certo da Cameleonte e dalla sua dichiarazione programmatica παρὰ toic κωμικοῖς À περὶ tv τραγικῶν ἀπόκειται πίστις (fr. 41 WEHRLI): si veda, al riguardo, ARRIGHETTI, Poeti, pp. 141 ss. 120. Cf. D. L. III 5, dove è menzione di toaywdia.
STUDI DI LETTERATURA GRECA
376
Sottoposto 1 .za .[ ap .[
λόγον xe[pi
λαβὼν aùt[ 5
τῆι ἀφωνίαι!
Testimonia: P
3 λογονπε P (quod supplevi), Crónert: λογονυπ legit Bassi, Bassi*
Sulla collocazione attuale di questo sottoposto si veda la nota al pezzo di pertinenza (fr. 2). Ben poco é quanto si ricava dalle giunture che pur è possibile individuare. Un'altra caratteristica grafica, e precisamente una certa acribia ortografica, rileviamo dalla doppia presenza dello ι ascritto in l. 5.
Per il ripetersi di tî} ἀφωνίᾳ cf. PHerc. 558, fr. 6 l. 13. Fr. 3
Yea]wav[t ]ı διὰ τὴν eù‚.. ‚av ἀ]ποστῆσαι. ̓Επεὶ δ ̓ Αἰ]σχίνης ἑωρᾶτο πιε5
ζούμ]ενος ὑπὸ τῆς πενίac....] ἀπὸ τοῦ λόγου
]xai ἐδίζεσθθαι» Σ)]ωκράτους ra-
Testimonia: P (2-5), N
1 suppl. Crónert
3 suppl. Crónert: òà τὴν eùll&vpiav Bassi*
tium inter ornoa: εἴ eneı P
adnot. Crónert
4-6 suppl. Crónert
7 fin. signum > adnot. Crónert
spa-
6 signum - prae axo
8 suppl. Crónert:
"lajoxoátovc Παἰ![νηγυρικός Bassi*
Il frammento preserva i resti di una colonna, mutila nei margini si-
nistro, superiore e inferiore. Ai lati si distinguono due strati sotto-
posti. Nella lettura della colonna di superficie P soccorre oggi solo in parte, ma le lezioni offerte da Crónert trovano conferma in N, che si rivela qui abbastanza accurato (solo a l. 3 scrive EXINITZ per l'ancor oggi evidente EXINHE). Si rilevano alcune particolarità grafiche: un altro stacco tra parole (l. 3: cf. fr. 2, col. II 8), che qui signi-
fica certamente fine di periodo; e il segno riportato da Crónert a l. 7, per il quale é da pensare a un comune riempitivo di fine rigo. Oscuro resta se il «tratto trasversale in alto», che Crónert riporta a
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
377
sin. di l. 6 &xô, ”" sia da intendere come il resto di una lettera (1?) o un qualche segno imprecisato.
Quanto al contenuto, il rinvio di Crónert a D. L. II 62 qaoi & αὐτῷ [scil. Αἰσχίνῃ] λέγειν Σωκράτην. ἐπειδήπερ ἐπιέζετο ὑπὸ πενίας, παρ ̓ &αὐτοῦ δανείζεσθαι τῶν σιτίων ὑφαιροῦντα offre un contesto più che calzante per le ll. 3-5, in considerazione del quale le relative integra-
zioni, già di per sé attendibili, possono darsi per certe: avremmo qui dunque una nuova testimonianza sulla povertà di Eschine, divenuta proverbiale, "* alla quale si alluderebbe ancora in fr. 6, 1 2-4. Lo stesso Crónert, tuttavia, preveniva dalla lettura δανείζεσθθαι cui si sarebbe tentati per l. 7 ἐθίζεσθαι; del resto, ἐδίζεσθαι potrebbe avere alla base il secondo dei consigli rivolti da Socrate ad Eschine nel testo laerziano, quello di 'ridurre il vitto':'? nel nostro testo, l'indigente discepolo si sarebbe dovuto 'abituare' a un regime più ristretto. "^ In un simile contesto, il riferimento a Socrate, facilmente integrabile a l. 8, è del tutto naturale, mentre quello al Panegirico di Isocrate, ipotizzato dal Bassi,"^ è senza dubbio condizionato dal suo presupposto che PHerc. 495 contenga un'opera retorica di Filodemo.
Se il contesto delle ll. 3 ss. si riferisce ad Eschine, si puó esaminare in questa stessa direzione quanto precede. Circa l'integrazione di
Crónert a l. 1 γράψανίτ segnaliamo che anche nel succitato parallelo laerziano si faceva riferimento, subito prima, all'attività compositiva di
Eschine,
e
precisamente
ai discorsi giudiziari che egli
avrebbe scritto in difesa di chi era stato ingiustamente accusato. "^ Se si considera poi che nel fr. 1, col. I 4 s., era parola di Socrate e Santippe, si potrebbe ipotizzare nel presente frammento un riferimento ad un'altra tradizione, riportata anche questa dal Laerzio (II 60; cf.
anche II 62), relativa agli scritti di Eschine, la diceria secondo cui i dialoghi socratici circolanti sotto il suo nome erano opera di Socrate, ed Eschine li aveva ricevuti da Santippe: é da tener presente, al proposito, che la medesima tradizione laerziana era presente anche nel trattato Περὶ tv Σωκρατικῶν dell'epicureo Idomeneo di Lampsaco (frr. 26 e 28 Angeli). A l. 3 s. l'integrazione εὐϊθυμίαν del Bassi colmerebbe ottima-
121. CRÓNERT, p. 137 n. 2.
122. Cf. D'AMELIO, Ricchezza, p. 29 e n. 1. 123. Diogene Laerzio accenna alla parchezza della dieta di Socrate in II 27 e 34 e
alla povertà di Eschine ancora in II 34. Per la prima tradizione cf. ancora Xen., Mem. ! 2.1-4, 3.5-7, 6.5, III 14; per la seconda, Sen., De benef. 18.
124. D'AMELIO, Ricchezza, p. 29, ricostruisce un riferimento al fatto che Eschine non avrebbe saputo «abituarsi alla povertà ».
125. Cf. Bassı, Notizie, p. 484. 126. 11 62 συγγράφειν λόγους διχανικούς.
378
STUDI DI LETTERATURA GRECA
mente lo spazio; difficile, tuttavia, ricostruire un contesto con ἀ]πο-
στῆσαι. Quanto a questo verbo, esso ritorna, nella forma intransitiva, in fr. 12, 1. 2 s. Sottoposto 1 Col. I
Col. II
Z]oxoa-
διὰ xa[vtós ..... i-
tnc ---]uta
xava[
ἐπαγί
-- Oul Testimonia: P
I 1sq. suppl. Crónert
II 1 suppl. Crônert
4 ..oul legit Crónert: vacat
Sotto col. I e col. II abbiamo separato le lettere leggibili a sinistra e a destra di questo primo sottoposto di fr. 3, ma non v'é certezza che appartengano effettivamente a due colonne giacenti accanto sul medesimo foglio. Quanto al testo, null'altro vi si puó ricavare se non che vi si parlasse ancora di Socrate. Sottoposto 2 Col. I
Col. II Jetv φη-
τινος(
OW (. .] . αἰσσχε
τὴν xetoa[
Ἰνόμενος av
σειεν ὡς[
τραπηί 5
ovv οὐδι
Testimonia: P
I 3 παραγε]νόμενος Al|[oxivng ci. Crónert
signum / post a. P
Anche per le due colonne in cui abbiamo distinto il testo di questo ulteriore sottoposto valgono le medesime considerazioni fatte per il sottoposto 1. Poco si ricava dal testo: se é azzeccata l'integrazione di Crónert a I 5, si parlava ancora di Eschine. Da notare, alla fine di questo rigo, un segno di riempimento costituito da una sbarra e diverso, dunque, da quello in fr. 3. 7. Fr.4
Col.I
Col. II
Col. III
Ἰτων!
- - - Jovv[
εγί
JAax[
.. Ν ἔφη xàoóoxo[z
uov[
ες nWU ... 6b. . ηεαί
us
TONOUV εἴπω. οὐκαί
ισαί
]υψα[
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA? 5 tov xai προσενέγκα!ϊίς
5
379
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ὄντα [év φιλοσο]φία{ι
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av
15
...(atl[ o...[..... το-
ig ἰδίοις σπ[έρμασι
Testimonia: P, O (IT 1-9), N (II 2-7)
I col. fort. supposita suppl. Crónert
2 fort. Π]λάτίων
II 1 ovv O: vacat P
4SQ. τί οὖν εἴπω: 00 κάίρδο]πον; Usener
2
4 τοτου-
veuto O: tantum zovveuto P, N
5 προσενέγκαίς suppl. Crónert
fort. Φαί[δων
III 7 post Bassi* (φιλοσο]φία) supplevi:
16sq. supplevi
16
εἴ ôvra(s supplere possis
Del presente frammento è in qualche misura leggibile solo quella che dovrebbe essere la colonna centrale. Essa conserva il margine
inferiore e, almeno in parte, quello sinistro; non é possibile ricostruire l'ampiezza del rigo data l'evanescenza della scrittura sul margine destro. Solo le righe superiori di questa colonna si trovano
riprodotte in O e in N. Del tutto evanescenti le tracce che affiorano ai lati della colonna, e che abbiamo riportato sotto col. I e III; quanto alla prima, sembrerebbe trattarsi di un sottoposto. Tutto ció che si puó ricavare da queste due colonne laterali é che in I 2 potrebbe essere contenuto ancora il nome di Platone e in III 7 potrebbe esservi
un riferimento alla vita o alla diatriba filosofica propria della sua
scuola o di quella socratica."" L'interpretazione della parte più leggibile del frammento ruota tutta intorno al ruolo del curioso termine κάρδοπος, con certezza
restituibile in II 2."* Viene subito in mente la scena delle Nuvole di Aristofane (669-680), in cui Socrate ammaestra Strepsiade circa il
127. In II 7 il participio accusativo di εἰμί, da ammettere con ogni probabilità nella sequenza ovra, potrebbe presupporre in lacuna anche il plurale. Per l'espressione socratico-platonica εἶναι (espresso o sottinteso) &v φιλοσοφίᾳ, che abbiamo provato cosi a ricostruire, e per espressioni affini (con διατρίβειν. διάγειν, etc.), cf. Plat., Theae. 172C4 5., 172C9, 17307 $., 174b1, Phaedr. 259d4, Gorg. 500c7 s., Hipp. min. 363a5, Resp. VI 489b4, VIII 543a5 s., 561d2, Ep. II 311e6, ε, fra tutti, Phaed. 59a3 ὡς &v φιλοσοφίᾳ ἡμῶν ὄντων ὥσπερ εἰώθεμεν, e 68c10 s. toic £v φιλοσοφίᾳ ζῶσιν.
128. Il nominativo integrato da CRÔNERT, p. 138, pud esser stato proposto dallo
STUDI DI LETTERATURA GRECA
380
«corretto» genere di quel sostantivo. La considerazione di questa scena suggerì allo Usener la brillante (e non escludibile dal punto di
vista paleografico) integrazione a II 4 s.”? L'ipotesi che l'autore del nostro papiro si stia rifacendo (a qual titolo, non é possibile dire) alla deliziosa scena aristofanesca é molto suggestiva (un possibile riferimento al Socrate del dramma abbiarno già incontrato in fr. 2, II 4; cf. inoltre PHerc. 558, fr. 7 l. 1) e, in mancanza di altre, resta la piü verosimile, data anche la certa presenza di un contesto strettamente dialogato (II 2 ἔφῃ, II 4 εἴπω); anche il περιτατῶν di II 6 potrebbe ottimamente rinviare alla rappresentazione di Socrate nelle Nuvole.° Vorrei tuttavia richiamare attenzione anche al fatto che il termine xàgδοπος compare sulla bocca di Socrate in un emblematico passo del
Fedone platonico (99b8), in cui il filosofo, ripercorrendo la sua vita intellettuale, ricorda la sua insoddisfazione per gl'insegnamenti di
Anassagora e degli altri naturalisti, fra cui chi poneva l'aere come sostegno alla terra ὥσπερ καρδόπῳ πλατείᾳ. Questa circostanza, unita alla pur esile possibilità che II 15 celi il nome di Fedone e che l'integrazione a II 17, questa verosimile a prescindere dalle presenti considerazioni, rinvii a un contesto anassagoreo o comunque di naturalismo non specificamente epicureo, raccomanda di tener presente, a fianco del nostro testo, anche il contesto del Fedone. ?' Fr. 5 Col. I
Col. II
]. οσχαι.
Col. III
c[
]xae[
]jb . nv
δεῖ
k.f
]. - ἀκροατ[αὶ
al
o]i θεοίί
φύ]λακος >
5
̓Αθηϊναῖοι
al}tias[
nal
5
τοραί
«t τεθραί
Jvou . ενοί
5
Ἰοποιί
Ἰτινων
studioso solo exempli gratia; altrettanto bene si potrebbe forse integrare un accusativo.
129. Almeno lo o di où, che UseNzn, basandosi sulla trascrizione del CRÔNERT,
dava sottopuntato, puó ora dirsi certo. 130. Cf. il quadro che Socrate ne disegna in Plat., Apol. 19C3 Σωκράτη τινὰ ἐκεῖ περιφερόμενον. Inutile dire che l'atto del περιτατεῖν si addirebbe benissimo alla situazione «didattica» del Socrate-sofista di Aristofane: per il gustosissimo quadro del celebre sofista Protagora che impartisce la sua dottrina περιπατῶν cf. Plat., Prot. 314€4.
131. Per la dottrina degli σπέρματα πάντων χρημάτων in Anassagora cf. soprattutto VS 59 B 4 D.-K. Tutte le ipotesi fin qui avanzate, naturalmente, cadrebbero se il termine κάρδοπος rinviasse a un effettivo contesto domestico: cosa non impossi-
bile, se, come si è visto, nel fr. 1 si faceva menzione di Socrate e Santippe (I 4 s.), nonché di ‘casa’ (III 3).
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA ? Àet |
---
vo[- - -] ao(
---
--10
381
Ἰωτησί
σιί- - -ἰ ατί
10 κα͵ταστροφη.
]EX .. ov etvatv f
o[
Jeurn . μεθ ̓ éavtoù-
no..ov..nav.[
Jocov [ἀ]παλλαγῆς àv τοσ
Joùxouv, ἔφη, poov/[{ritere Testimonia: P, O (III 9-14), N (III 10-4)
I 3 supplevi: εἴ ἀροατίης supplere possis gnum > P
τεθρα[ϊμμένος vel.
plevi dum
4sq. suppl. Crônert
6 supplevi: et aljuao[a[|uevor supplere possis sim.
13 signum f ie. coronidis P
4 evo litt. fort. suppos. 9 wrno O: vacat P
N: à]vactgogn Crónert
fort. vou[itewv vel. sim. supplen-
11 & . . ονειναιν N: tantum ονειναιν P: aveivauv
μεθεαντου re vera P: μεθεαυτευ O, N
1oo (sic) Crônert
Ill 3 sup-
10 supplevi: ].aotgoqn re vera P, O: J.o[- - -]n
O: Àv eivaı v Crônert: fort. β]έλτιον εἶναι legendum ooov litt. fort. suppos.
4 siII 6 scil.
12 &t P, O: wvi N
post eavtov interpunxit P
13
]ynoavtoo N: Jxo.Mu.ynoavroo O: ἀ)παλλ([α]γῆς &v14 post Crônert supplevi: εἴ qoovtü;eu; supplere pos-
sis
Anche questo frammento sembra contenere i resti di tre colonne. ?* Sebbene la situazione sia anche qui molto confusa, è possibile affermare che il testo appartiene tutto al medesimo foglio, eccezion fatta
per le due sequenze di lettere (III 4, III 13), probabilmente affioranti dallo strato sottostante, che abbiamo segnalato in apparato. Le prime due colonne conservano il margine inferiore. La loro am-
piezza non é determinabile.'? In corrispondenza di II 13 si segnala, sul margine sinistro, una co-
ronide. Tale segno ricopre la funzione di una paragraphos rinforzata,
ed indica dunque, quando non é posta alla fine dell'opera, il passaggio a un nuovo capitolo o sezione della stessa;'* analogo figura il
132. Per CRÓNERT, p. 137, ci troviamo invece «in presenza di quattro colonne
almeno». 133. Cosi anche per CRÔNERT, p. 138. 134. Sulla coronide in generale si vedano V. GARDTHAUSEN, Griechische Palaeographie, 11 Die Schrift, Unterschriften und Chronologie im Altertum und im byzantinischen
Mittelalter (Leipzig 1913"), pp. 403 s., W. SCHUBART, Einführung in die Papyruskunde (Berlin 1918), p. 51, Ip., Das Buch bei den Griechen und Rómern (Berlin-Leipzig 1921”), P- 86, G.M. STEPHEN, The Coronis, «Scriptorium» 13 (1959), pp. 3-14, ε, più di re-
cente, M. GIGANTE, Coronide in una tavola di Locri, in Studi in onore di Edda Bresciani (Pisa 1984), pp. 245-247, € TURNER, GMAW, p. 12.
382
STUDI DI LETTERATURA GRECA
5110 uso nei papiri ercolanesi. *” Quando, come nel caso del presente
frammento, la coronide non contrassegna la fine dell'opera, il suo tracciato è più semplice: la nostra coronide corrisponde, infatti, ad
una ‘f corsiva, molto simile a quella che costituisce il corpo centrale
delle coronidi in PBerol. 9780 e in POxy. 2076."5 Un caso di coronide assai simile alla nostra, rappresentata cioé da una sorta di ‘f corsiva senza i consueti orpelli inferiore e superiore, é quello che si rinviene in PHibeh 184 (III* in.), col. II.'? Altri segni sono il riempitivo in I 4 e
l'interpunzione (&vo στιγμή) in III 12; in II 6 si rileva la presenza di Uno ı mutum.
Una possibile ipotesi riguardo al contenuto del frammento è che
vi si faccia riferimento ai fatti concernenti gli ultimi giorni di Socrate: processo, condanna, detenzione, morte. Già a proposito di fr.
4 col. II segnalavamo la pur tenue possibilità di un contesto vicino al Fedone di Platone. Qui in fr. 5 una situazione simile a quella del Fedone, nonché dell'Apologia e del Critone platonici, si lascerebbe più concretamente supporre in base alla combinazione di diversi indizi.
In I 5 si potrebbe far riferimento ai discepoli (ἀκροατίαί, meglio che
ἀκροατίής) "* vicini a Socrate durante il processo o nei giorni della prigionia; in I 4 al custode del carcere (q0A0E);'? in 1 5 agli Ateniesi
artefici dell'accusa o della condanna;'^ in I 6 all'accusa stessa (ai]tiac: possibile anche ai]uao[á||luevo))."" Se spingessimo piü a
fondo l'ipotesi di una contiguità con il Critone, un punto di contatto con i ragionamenti che li Socrate svolge sulle leggi e la città «nutrici» potremmo leggere nel τεθρα[μμένος (o voce simile: cf. fr. 10, ! 5) qui restituibile quasi con certezza in II 6.* Questa linea interpretativa puó essere perseguita con qualche grado in più di probabilità
in col. III. Li, segnalato dalla coronide di II 13, si avrebbe il passaggio agli atti finali nella vita di Socrate: il verosimile richiamo agli déi in HI 3 potrebbe significare la preghiera del Socrate morituro o un ulte-
135. Sulla coronide nei papiri ercolanesi cf. CavaLLo, Libri, p. 24, e Capasso, Manuale, p. 216 e tavv. LXVII-LXXII. 136. Riprodotte, rispettivamente, in SCHUBART, PapGrBerol., tav. XX, € in TunNER,
GMA W, tav. XVIII.
137. In TURNER, PHibeh, p. 46, su cui cf. R. SEIDER, Paldographie der griechischen Papyri (Stuttgart 1990), p. 141. Il segno è costituito da una Ῥ invertita.
138. Il t che sembra chiudere la sequenza di lettere in P smentisce l’äxgéafors di Bassi*. 139. Cosi designato anche in Plat., Crit. 43a6.
140. Cf. Plat., Phaed. 98e2-3 ̓Αθηναίοις ἔδοξε βέλτιον εἶναι ἐμοῦ καταψηφίσασθαι. 141. Di altia(1) nei suoi confronti Socrate parla in Plat., Apol. 3104 e Crit. 52a4. Il termine αἰτία (o un termine affine) lo ritroveremo in PHerc. 558, fr. 1 ]. 16.
142. Per il motivo della τροφὴ e del τρέφειν nel menzionato contesto del Critone cf. 5od6, 50e2, 51co, 51e6, 54b2.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
383
riore rinvio alla sua accusa;'? ci sarebbe poi un cenno alla imminente «tragedia» (III 10 xa]raorgomn), “ che Socrate considererebbe preferibile (III 11 BJé\tyov?) a una vita di affanni, essendo essa una liberazione (III 13 ἀϊπαᾳλλαγή) dalle schiavità materiali;'? la colonna si concluderebbe quindi con l'invito di Socrate a chi gli era intorno
perché si soffermi su simili considerazioni (III 14). ** Fr.6 Col. 1
Col. II ] Taüta
ovov[
] * . . 6 ἀφελ-
--
χομένου δ ̓ Ai]oxivov διὰ»
...
τὴν azogliav [- - -] tov»
daz .{
5
Ἰιοτο . LWuvia
ς
νεχθρ!
Y.0 [ £.vl
λημαί πειί
10
utx[
Testimonia: P, O(B, N (1I)
I 2 bage) P, N: αφελ O
melio
fin. signum » P
vel tovia P, O, N
3 suppl. Crónert signum > P
4 suppl. D'A-
5 signum - prae toto adnot. Crónert
Il 4 fort. θάπτίειν vel sim.
wvua
4sq. fort. tàj]|v éx8o[àv
7 1ovo legit Crónert
;
143. Nel secondo caso, si potrebbe integrare il verbo νομίζειν nella linea successiva (IIl 4): per l'accusa a Socrate di non riconoscere gli dèi ufficiali cf. Plat., Euthyphr. 2b2 s., Apol. 18c3, 23d6, 24b9-c1, 2602 ss., 29a3. Quanto invece alla pietas di Socrate verso gli dèi nel momento supremo, cf. Plat., Phaed. 117c1-3.
144. P εὰ O dànno qui ).aorgogn, dove le tracce della prima lettera non giustificano un v più che un t: da qui la mia preferenza per xa]taotoogr su á]vaotQoqn del Crónert, che non riproduce esattamente l'attuale stato del papiro. Socrate rivive gli ultimi atti della sua vita come quelli di un personaggio di tragedia anche in Plat., Phaed. 115a5 s. 145. In questa direzione si potrebbero interpretare il fljéAtov elvau di III 11 e la ἀϊπαλλαγή di III 13: cf., per il pensiero, Plat., Apol. 41d4 s. τεθνάναι xai ἀπηλλάχθαι πραγμάτων βέλτιον fjv μοι. 1l motivo della morte come desiderabile ἀπαλλαγή, come
ἀπαλλάττεσθαι dell'anima dal corpo e dalle panie terrene ricorre insistente negli
ultimi ragionamenti di Socrate: cf. Plat., Phaed. 64cs, 66a3, 66e1, 68a3, 70a2, 70a4, 77b8 (Simmia), 8odg, 80e2, 81a8, 81b2, 81c1, 84b3, 84b6, 85b7, 107c6, 107c7, 114b8, e ancora nell'Apologia, 41a1. Colpisce poi, in IIl 13 fin., dopo )πᾳλλαγησ, la sequenza avıoo, per la quale non sembra trattarsi di un sottoposto: difficile immaginare un suo collegamento con la sequenza precedente a costituire una forma abnorme di ἀπαλλάσσω che lo scriba del nostro papiro, dimostratosi fin qui accortissimo,
avrebbe frainteso o confuso. 146. Si vedano, nelle battute finali dell'Apologia platonica (40c4, 41c9), le esortazioni di Socrate ai giudici ad ἐννοεῖν, a διανοεῖν.
384
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Non molto si ricava dai due margini di colonne leggibili in questo
frammento. O e N dànno solo col. 1; di una probabile terza colonna si intravede appena qualche traccia di scrittura.’ Come particolarità grafica si nota ancora l'impiego di segni riempitivi a fine rigo (I 3, I
4). Se sono corrette le integrazioni del Crónert a ! 3 e della D'Amelio a I 4, in questo pezzo si parlerebbe ancora di Eschine in relazione
alla sua condizione di indigenza, già venuta fuori in fr. 3, ll. 3-6. Quanto alla col. II, il confronto ancora con il Critone e il Fedone plato-
nici favorisce l'ipotesi che vi si accenni alla sepoltura di Socrate (II 4 θάπτίειν)) e alle azioni degli avversari dopo la di lui morte (II 4 s.
xàllv èxûç[âw?).“" Proseguirebbe cosi la linea narrativa che abbiamo provato a ricostruire nel precedente frammento. Fr. 7 ..]. . μὲν τοί J. nv.. ckai ..).€..co.au(
.. Jôfeu}vôv γὰρ τὸ .[ 5
...]xai Avoy[é)ving
ἔσκ]ωπτον EY . . εἰ .. Jévey[xei]v τοι .
Testimonia: P, N
3 fin. fort. εσσαι
Crónert
4 post Crónert supplevi
xovyaot N
5 Διογ[ένης
6sq. suppl. Crónert
Il frammento restituisce una base di colonna mutila dei margini laterali. Crónert ne riporta solo le Îl. 4-7. A l. 4 l'integrazione óetvóv, proposta dubitativamente dal Crónert, dovrebbe trovare ora conferma nel to di fine rigo, che lo studioso non lesse, e che potrebbe contenere appunto il soggetto (verbo o neutro sostantivato) di cui si predica la deinotes, secondo una movenza comune col yàág.'^ Inoltre, il d che Crónert dava per incerto
147. La più lunga sequenza individuabile è un vea.
148.1 due problemi sono affrontati rispettivamente in Plat., Phaed. 115C3 ss. (θάπτωμεν δέ σε xiva toóxov;) e Crit. 45c5 ss. (ἅπερ &v xai 0l ἐχθροί σον σπεύσαιεν).
Quest'ultimo motivo potrebbe avere attinenza con quanto si legge in fr. 9. Non sembra invece il primo avere rapporto con i riferimenti a 'sepolture' in fr. 12, ]. 3 s., € in PHerc. 558, fr. 6 sovr. 21. 2 s. 149. Per la giuntura δεινὸν γάρ cf. Plat., Theae. 184d1, Phaedr. 275d4, Euthyd. 298c7.
Hipp. mai. 292c1, Leg. XII 948d8; Xen., Mem. IV 2.15; Aristot., E.N. 1145b23. Per la giuntura in predicato nominale cf. Aristot., Probl. 951b6 δεινὸν yàg xai tó ... xataγνῶναι.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
385
puó ora considerarsi certo al nostro riesame microscopico. Ma
molto più importante è il progresso che il nuovo strumento elettronico ci ha consentito in l. 5: l'integrazione Διογίένης dubitativamente proposta da Crónert puó infatti essere perfezionata nella quasi certa Διογ[έ]νίης. ll personaggio nominato non potrebbe essere che Diogene di Sinope, '° allievo del socratico Antistene e considerato fondatore, se non del cinismo, certamente della Lebensweise
di quella scuola. É ben noto il rapporto che già la tradizione antica istituiva tra la sua figura e quella di Socrate:?' una menzione di Diogene sarebbe dunque tutt'altro che inappropriata nel nostro libro. Anche il verosimile riferimento allo σκώπτειν di l. 6 ben si adatterebbe a un aneddoto sul cinico.* Filodemo 51 interessó al cinismo e in particolare alla dottrina di Diogene. ? Inoltre, é da tener presente che ulteriori menzioni di Diogene potrebbero darsi in PHerc. 558, fr. 2118, efr. 11 1. 2. Fr. 8
Col. 1
Col. II
--2
Juv[. . "Eoput)xocé[v...] καὶ .[ γράϊ]φειν ....ερ..
---
5
μασ.εν...
m
5
ἀπὸ πρώτίης - - -J
δε. ἀρχ. (
ἀλ-
Àà tàvi.. νὸ.. [οὐκ ἄνεἸκινδυ- > 10
ν
Ἱστίαν av-
τ
Jrov >
κτὸν γενέσθαιί τὸν Διονύσιονί
10
τεσθαι Aiovi
Testimonia: P, O (I1), N (II 2-10)
Ι 8 signum > P suppl. Crónert nert
9 suppl. Crônert στιαν vel atiav Crônert 10 signum » P Π 1 Jev{ O: vacat P 1-3 suppl. Cró-
2 τοσεῖ- - -Jxau O: τοσεῖί- - -]xao.« N: tantum Ἰποσε P
O: axono( N: αποπρωτί Ρ, quod supplevi
5 ἀπογεωί
Ju[ O: Juo[ N: vacat P: fort.
150. Dello stesso parere, sia pure con maggior cautela, anche D'AmeLIO, Ricchezza, p. 29 n. 3, € GIANNATTASIO ANDRIA, Diogene, p. 151. L'ipotesi di Bassı, Notizie, p. 484, secondo cui il Diogene in questione sarebbe ó Βαβυλώνιος, è supportata dalla semplice osservazione che di costui «si parla in più luoghi delle opere retoriche di Filodemo», e viene dunque a perdere ogni sostegno nel momento in cui non si parta più dal presupposto che PHerc. 495 contenga un'opera retorica. 151. Sul carattere socratico di colui che Platone avrebbe definito il 'Socrate impazzito' (D. L. VI 54, Ael., Var. hist. XIV 33) cf. H. NigHuES-PROBSTING, Der Kynismus des Diogenes und der Begriff des Zynismus (München 1979), pp. 43-183. 152. Cf. GIANNATTASIO ANDRIA, Diogene, p. 151.
153. Cf. GIGANTE, Cinismo, pp. 98-113 (101-6 su Diogene in Filodemo).
386
STUDI DI LETTERATURA GRECA
̓Ιτα)λί[α vel Σικε]λί[α supplendum H)Aétov supplendum?
754.
6sq. ἀλ)λὰ τῶν ı suppl. Crónert: an oùx ἀνε)ϊκτὸν suppl.
Crónert
9sq.
fort. ἐπιτάτητεσθαι supplendum
Ancora i lati affrontati di due colonne, * integre alla base. La col. di sinistra, ignorata da O e N, è leggibile solo nella parte inferiore.
Nulla vi si ricava, se non l'ulteriore presenza di due riempitivi a fine rigo (I8, I 10).
Abbastanza interessante, invece, la col. II. Il Crónert vi rico-
struiva un nuovo rimando a Ermippo, su cui si veda fr. 2, 1 3 s. Qui, tuttavia, l'integrazione del nome del Peripatetico è pià dubbia, e a ragione non figura tra i frammenti raccolti dal Wehrli. Il x che il Crónert legge in II 2, infatti, avrebbe dovuto essere almeno sottopuntato, poiché potrebbe essere anche un τ (e cosi lo interpretano O e N). In Il 1 fin., poi, O riporta un w
ignorato dal Crónert: la se-
quenza, tuttavia, non impedisce che la prima sillaba del nome di Ermippo trovasse posto nella lacuna successiva. Nella parte finale della colonna, come osservava già il Crónert,
«si parla sicuramente della discordia fra Platone e Dionisio». Un ulteriore riferimento alle vicende sicule di Platone potrebbe essere nel frammento successivo (fr. 9, l. 5). Per un riferimento a Siracusa in PHerc. 558, cf. fr. 8, 11 7. Il viaggio di Platone in Sicilia e i suoi turbinosi rapporti con Dione e Dionisio furono argomento che Filodemo trattó più diffusamente nel libro della Rassegna dei filosofi dedicato a
Platone e all'Academia:" sono i fatti a noi ben noti dall'epistolario del filosofo. "* In II 5 la sequenza ]\u[, trädita solo da O, potrebbe celare un rinvio all’Italia o alla Sicilia; difficilmente, peró, nella lacuna vi sarebbe spazio anche per un desiderabile nesso preposizionale. Quanto alla nostra integrazione àx πρώτίης, per 6558 si puó pensare anche a un
nesso avverbiale. ” E per restare in tema platonico che in II 6 s. preferisco l'integrazione Π]]λάτωνι allo ἀλ))λὰ τῶν ι di Crônert, sia pur ammettendo una dura divisione di rigo: anche in II 7 s., del resto, la divisione àve]|xtôv non è del tutto ortodossa. Qui, in favore dell'integrazione (oùx ἀνε]κτόν parla il fatto che, ad esempio in Platone, le
154. Di una possibile terza, quasi completamente illegibile, riportiamo solo le sequenze eoa € ov (Πλάτ]ωνι).
155. CRÓNERT, p. 139.
156. Cf. PHerc. 1021 (Index Academ.), coll. x-z Dorandi. 157. Cf. soprattutto Plat., Epist. [III] 315b ss., (IV] 320a ss., VII 324a ss., (VIII] 352b 55.
158. Per cui cf. p. es. Thuc. ! 77.3, Antipho 5.56, etc.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
387
7 attestazioni di ἀνεκτός sono tutte in frase negativa. ?? In II 10 infine, tra le lezioni διωνι, διωνᾳ o διωνο poste da Crónert tutt'e tre sullo
stesso piano, la prima si rivela quella più probabile. Fr.9 --.a .
πιεσε.μαᾳ... τινες [zevo-
φῶντι μετ[ὰ t]n|v
̓Αθηνῶν ἅλω-
σιν στρατευσί[α]μένίωι εἰς
5
τὴν ̓Ασίαν. Πλάτωνι d[E
Testimonia: P, O, N 154.
ner
ἐπιτιμᾶν γὰρ δοκοῦσιν Éjjmweix(ç] μά(λα] τινὲς (Zevollg@vua ci.
10 PN
O
2-5 suppl. Crónert
Use-
2 πιεσε O, N: vacat
P 4 atgatxevo[a]uév[ox eig Crónert: στρατευσία)μέν[ωι κατά Crônert*, sed cfr. PHerc. 558, fr. 15, col. [ 1 5 post amav puncto dist. P fin. Διονύσιον κολακεύσαντι suppl. ε. g. Crónert, sed cfr. PHerc. 558, fr. 15, col. 1 2 sq.
Una interessante base di colonna, mutila sul lato sinistro, fornisce
questo frammento. A l. 1 s. la lunga ricostruzione di Usener ha solo qualche possibilità di cogliere nel segno. Bisognerebbe ammettere, un po' forzosamente, la lettura πιεικω per πιεσε di O e N: purtroppo, P qui non è più leggibile; lo è invece ancora, contrariamente a
quanto affermava il Crónert, ? nel nveo successivo. Più verosimile, comunque, é che l'Usener indovinasse il contesto di rimprovero rivolto ai socratici per il loro eclissarsi successivo alla morte del mae-
stro: sappiamo che, nella sua Rassegna dei Filosofi, Filodemo, in tutta imparzialità, non rifuggi dal riportare tradizioni negative riguardo
ai suoi personaggi, e inoltre un possibile accenno a «nemici» di Socrate o della sua setta abbiamo individuato in fr. 6, II 5. Non è detto, comunque, che motivo del rimprovero fosse l'avidità di denaro,
come vorrebbe la D'Amelio.'^' Per la sovrapposizione del passo in questione con PHerc. 558, si veda quel papiroa fr. 15, col. I 1-3. Maggior grado di probabilità hanno le integrazioni del Crónert
alle ll. 2-5.'£? A 1. 4 εἰς è da preferire a xató, che successivamente il
159. In particolare, per l'unione con γίγνεσθθαι, cf. Leg. IX 861d2-3. 160. CRÓNERT, P. 140: «τινεσ si conserva 5010 in O». Ma la sequenza, oltre ad essere leggibile in P, era riportata anche da N. Vero é invece che, come prosegue lo studioso (ἰ. c.), «forse fra o e & (scil. la prima delle lettere in lacuna] c'erano ancora
delle lettere ». 161. Cf. D'AMELIO, Ricchezza, pp. 29 s. 162. In CRÔNERT, p. 140 (Ξ p. 288 dell'ediz. originale), l'abnorme lezione στραtevojajuévæv[u è dovuta certamente a una svista.
388
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Crônert pensó di sostituire per vane ragioni eufoniche;'^ nello speculare PHerc. 558, fr. 15 col. I ı, εἰς si impone per ragioni di spazio. Se è corretta l'ipotesi del Crónert circa la prosecuzione della frase di l. 5 (ma cf. di nuovo PHerc. 558, fr. 15 l. 2 s.), avremmo ancora un contatto con l'esperienza di Platone in Sicilia, quale ci é descritta nel suo epistolario. Da notare, infine, il segno d'interpunzione, rappresentato da una
μέση στιγμή, in ]. 5. ** Fr. 10 Col. 1
Col. II
...
6 .. [τῆς πολιτί- - - ἀ-
---
ρί(σ]τη xó[A]us [- - - ἀλ-
ιψα
À' ἀκολουθίεῖν
_
5
unv αὕ[τ]αι u
.Qauue
ς
— oùbev..[
at vın
aùto .
. τνεσί
...
νῦν δὲ [- - -]Gao[
Testimonia: P, N (II)
I 4sq. fort. τε!!θραμμέϊνος vel sim. 6 litterae ax fort. suprapos. II 1 Ἰησπολιτί P, quod supplevi (scil. πολιτ[είας vel πολιτ[ικῆς): nexoXux. N, Crónert: πεπολιτίευ- Bassi' 154. [&]loi[o]r xó[A)s suppl. Crónert 25G.
[(àX]À' ἀκολουθίεῖν suppl. Bassi* N, Crônert
4 suppl. Crónert
5 ovôev P: Anvev
7 litterae vuvôe fort. suprapos. Fin. Ἰζασ vel JEao P
Ancora due basi di colonne mutile sui lati esterni, di cui la prima fornisce nulla o quasi (1 5 ve]üoaupé[voc? Cf. fr. 5, II 6). In col. II si parla subito di politica (o di Costituzione) e di ‘ottima città'. Ben
sappiamo essere questi i temi cruciali della riflessione platonica.'^ Poiché sappiamo che Platone tentó di dare concretezza al suo Stato
ideale nel corso della sua esperienza sicula, di cui ci riferisce abbondantemente il suo epistolario, e poiché contatti con questo epistolario sono sembrati molto probabili nei due frammenti precedenti, l'ipotesi di un ulteriore rapporto con il corpus delle lettere di Platone si prospetta seriamente anche per il contesto del presente frammento. 163. Cf. CRÔNERT, Überlieferung, p. 394 n. 1 = Studi, p. 191 n. 78. Sullo iato ammesso in Filodemo v. supra, p. 43.
164. Sulla μέση στιγμή ο ὑποστιγμή nei papiri ercolanesi cf. Carasso, Manuale, p. 215.
165. Per il richiamo specifico alla ἀρίστη xóX« in Platone cf. Resp. IV 43481 s., V 462d7 (ἄριστα πολιτευομένη πόλις), VI 497b7 (à. πολιτεία), Tim. 17c2 s. (id.), 23c5. Leg.
lll 702a8 (πῶς xot' av πόλις ἄριστα olxoin), IV 710bs s. (εἰ μέλλει πόλις ... ἄριστα σχήσειν πολιτείαν), 710d6, 712a2 (ἀ. πολιτεία), V 73947 (id.), 742d7 s.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA ?
389
Fr. 11 av[- - -Ἰοισί- - -Jou [- - -]votx .. aa
. pal---In {- - -ἰοικί- - -]. 0t...6
5
. Xt. Διοσκούρους . .. . ριὸ. r. y.. auIIDAatovog [μ]αθητῶϊίν OHO.. OUOTA .. V.. EMOUTAHEV EVOLO . ELV . CHAEVT| . . . TNQE
Testimonia: P, N 5
διοσχουρουσ
P:
σοεχοην
N:
Aujooxotgous
Crônert
6
voc(.Jatmro[ P: κατωνο. αθήτω N: Πλ)]άτωνοίς μ]Ιαθητῶίν Crônert
πλατω7 ελιου-
ταμεν velevovtanev P, N
Più che mai confusa la situazione di questo frammento, come già ap-
pariva agli occhi del Crónert e del disegnatore napoletano. Per la parte sinistra della colonna, se non si tratta di una colonna a sé stante, é da presumere un sovrapposto.
Le uniche righe su cui conviene soffermarsi sono le ll. 5-6. Li le
non difficili congetture del Crónert trovano ora conferma al riesame microscopico del papiro. 1 'Dioscuri' di cui a l. 5 sono con ogni probabilità i due figli di Senofonte, cosi soprannominati, come già il Crónert faceva osservare in nota alla sua ancora imperfetta lettura
]ooxovoovo. "* Che in l. 6 si parlasse di ‘discepoli di Platone', come il Crónert congetturava, risulta ora certo. Fr. 12 .. τ]ὰ πολι[τι[κὰϊ
..]
̓Αθη[ν]αίων ἐξ A[. .
. ἀπο-
στ]άντων, net’ ἐκφορᾶϊίς δ)])ὲ λαμπρᾶς ἔθαψε. κ[αθ)]ά[περ
ς
ἐΪμαρτύρησε zevol. .]tei
Testimonia: P, O, Ν
1 Ἰαπολι[.1κα P, quod supplevi:
Bassi? fort.
254. è
'A[oiac
|.xo/[ O, N:
γπολιίτ Crônert: πόλι[ς
̓Αθηϊν)αίων ἐξ A[. . . . ἀποϊστ]άντων. μετ ̓ ἐχφίορᾶς Crónert: praeterea
supplendum
454.
suppl
Crónert
5
Ξενο[κράϊτει Usener
Il frammento, per quanto esiguo, permette di ricostruire un testo abbastanza attendibile nonché continuo. L'augurio che il Crónert esprimeva, a distanza ormai dall'originale, nel pubblicarne il testo
166. CRÔNERT, p. 140 N. 2, con rinvio a D. L. II 52.
390
STUDI DI LETTERATURA GRECA
arricchito delle sue congetture («una ricollazione dimostrerà se le
integrazioni sono nel giusto»)," può considerarsi positivamente esaudito: la sua integrazione a l. 3, in particolare, è confermata da una piü attenta ispezione del papiro.
Resta difficile, tuttavia, inquadrare il contesto del passo offertoci da questo frammento. Qual è la ‘apostasi’ degli Ateniesi di cui si
parla, e da dove? Dall'Asia, forse?'*' E di quale 'splendida sepoltura' si parla? Difficile sia stata tale quella di Socrate, un possibile accenno alla quale era in fr. 6, col. II 4; si veda piuttosto, per una possibile attinenza, PHerc. 558, fr. 6 sovr. 2, l. 2 s. Chi è, infine, il personaggio che compare nell'ultimo rigo? Il nome di Senofonte, dato il possi-
bile riferimento precedente all'Asia, sarebbe attraente, ma sembra difficile farlo rientrare, con una qualunque sua uscita, nella lacuna prima del teı; né del resto convince più di tanto l'integrazione Ξενο[κράϊ]τει dell'Usener, appoggiata solo da un richiamo al titolo
della orazione lisiana πρὸς Zevoxoátnv. ® Fr. 13 Ιως πο-
λ
] δὲ [σω]φρόνως
Ἰατενλ.. ανε
μετ ̓ εὐτ]αξίας εἰπεῖν Testimonia: P, O, Ν
1Sq. suppl. Crônert
4 suppl. Crónert
Le poche parole che si ricavano da questo esiguo frammento non dànno adito a speculazioni di particolare rilievo. Fr.10 ..... ]v δὲ αὐϊτ .. .]nv καὶ unl . ἄν)δρα μάλ[α ταῖς πλ. φθινί
5
-.«Ὑἱνώμαιις
167. CRONERT, Ρ. 141.
168. Lo spazio sembrerebbe idoneo per integrarvi ?E
̓Αἰσίας ázoJorjávrov: vice-
versa, è troppo esiguo, come avvertiva già CRÓNERT, p. 140 N. 11, per essere col-
mato con un éEa[vajov]avtov. Con
̓Ασία si desidererebbe, comunque, l'articolo. Ricordiamo che il verbo ἀφίστημι ricorreva, ma nella forma transitiva, in fr. 3 l.
3
169. In CRÔNERT, p. 141 n. 12. La stessa. perduta orazione lisiana è tràdita dalla tradizione più forte (Phot., Lex. p. 546, 767: Suid., s. v. συγκομιδὴ) come πρὸς Ξενοφῶντα.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
391
.. qU.Jooocl ..... ]u£val
Testimonia: O
1 suppl. Crónert
3 ἄν)δρα suppl. Crônert
μάλ]α supplevi
5sq.
suppl. Crônert
Il presente frammento, trädito da O, non si ritrova più in P né in N. Si tratta con ogni probabilità, allora, di un sovrapposto staccato
dopo le operazioni di svolgimento, ritratto per conto del Davy e
perduto prima che fossero eseguiti i disegni napoletani. Ben poco è quanto si puó ricavare dal testo: le quasi certe integrazioni alla l. 5 s. sembrano suggerire la ripresa di un argomento dottrinale. B) PHerc. 558
CONSPECTVS SIGLORVM P
PHerc. 558
Crónert
W. CRÔNERT, Herkulanensische Bruchstücke einer Geschichte des Sokrates und seiner Schule, «RhM » 57 (1902), pp. 285-300 = Studi ercolanesi, introd. e trad. a c. di E. Livrea (Napoli 1975), pp. 135-154
Diels
Hermanni Diels supplementa apud Crônert (q. v.) servata
Usener
Hermanni Usener supplementa apud Crónert (q. v.) servata TAVOLA DI CONCORDANZE
Numerazione
Numerazione
Numerazione
Numerazione
attuale
dei «pezzi»
dei «pezzi»
attuale
dei frammenti 14-1b
— editi da Crónert — editi da Crónert 26
1
= dei frammenti 8
1
8
2
7
2
7
3
6
3
6
4
5
4
5
5
4
5
4
6
3
6
3
7
2
7
2
8
1
8
1
9
9
9
9
10
14
11
12
10 11
12
12
11
12
11
13
13
13
13
14
14
10
15
15
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16
16
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17
17
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19
19
19
19
20
20
20 21
20 21?
21 22
21? 22?
22
22?
23
23?
23
23?
24
24?
24
24?
25
25?
25
25?
26
14-1b
Fr. 1a Col. I
Col. II
Col. III
Ἰτοτομί ---
]v tóv Λέριονί
---
-- -
]. Eeov[
χρι.
}. . καί
]j
]umxoócl 10
δια]λύειί
I 1 τοτομ vel τουομ Crónert, titulationem coniciens: vacat P
Crónert
10 suppl.
II 1 Depexvôn]y xóv Λέριον Diels
Fr. 1b ---εχε---
Alquanto particolare la situazione di questi due frammenti, cui abbiamo assegnato i numeri rispettivamente 1a e 1b. Essi giacciono, non numerati, su un cartoncino liscio, fissato agli angoli con puntine da disegno a una tavoletta di legno. In alto a sinistra il cartoncino reca la scritta, molto calligrafica, «Papiro N. 558.». La cornice é custodita nella teca recante il talloncino, di fattura alquanto posteriore, che la identifica come cornice I. 1 frammenti delle rimanenti tre cornici sono invece numerati; il cartoncino su cui sono posti é
ruvido e fissato alla tavoletta con puntine diverse da quelle della cr. I. Sul cartoncino la scritta «Papiro N? 558» é posta al centro in basso e vergata da mano visibilmente diversa, certo più recente, da quella della cr. I. Singolare é dunque che fr. 1a e fr. 1b siano stati collocati
nella loro cornice da mani e in tempi diversi rispetto agli altri frammenti e che siano rimasti esclusi dalla numerazione progressiva; ma a contraddistinguerli é soprattutto il loro aspetto. La loro forma é molto regolare: fr. 14 rappresenta un rettangolo che 51 estende in
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
393
lunghezza per ben 422 mm. (l'altezza è di 75 mm.), ad occupare quasi quella dell'intera cornice;"”° fr. 1b disegna approssimativamente un quadrato, di lato pari all'incirca a 80 mm. Tali forme contrastano con quelle dei frammenti numerati, notevolmente irregolari e frastagliate. In più, fr. 1a e fr. 1b presentano, rispetto agli altri
frammenti, una superficie di aspetto più scuro e meno brillante, e caratterizzata da un estremo sfacelo: segno ne siano le poche lettere che si è riusciti a decifrare in superfici pur relativamente assai ampie.
Tutto ció, tuttavia, non basta ancora ad autorizzare il sospetto che
fr. 1a e fr. 1b possano appartenere ad altro rotolo ed esser stati all'origine mal collocati. Le sottostanti membrane di battiloro significano che il metodo usato per il loro svolgimento é identico a quello degli
altri frammenti di PHerc. 558, né la scrittura, per quel tanto almeno che é dato intravedere, presenta particolari scarti rispetto al resto del rotolo.
Quanto al testo (le tre colonne da cui siamo riusciti a leggere qualcosa, va detto, non sono affiancate), colpisce anzitutto la prima delle titulationes che incontreremo in questo rotolo. Per la sua lezione, co-
munque indecifrabile, dobbiamo rimetterci all'autorità del Crônert,
essendo oggi la scrittura quasi del tutto svanita."' Verosimile è l'integrazione del Diels a II 1: otterremmo cosi la probabile menzione erudita di una fonte. Per διαλύει (I 10) cf. fr. 20, l. 1. Possiamo ancora avanzare l'ipotesi che la sequenza xo.. in fr. 1a col. III possa celare il nome di Critone, il fedele amico di Socrate, presente accanto a lui
nei drammatici momenti del processo,
della detenzione,
della
morte.
Fr. 1
δίκ]η Σῳκράτ(ους) τ]ελευτῆκι» χρήσασθαι Ἰτῶν ἐν (ον) αὐτῶι 11..τ. .πολειτῶν
5
ἠ]δυνάτησάν te>
ἸΣάτυρος δ ̓ ὁ Καλλατιανός qnauv τῶι Σωκράτει
Ἰπολας ἀώρου
]. x . προβολὴν
170. Dovrebbe essere questo il «“pezzo” pià grande» cui fa riferimento CròNERT, p. 142.
171. CRÓNERT, p. 152, parla solo di segni posti «al margine superiore», ma in precedenza (p. 143) elencava questo pezzo tra quelli recanti una titulatio.
394
STUDI DI LETTERATURA GRECA
10
]. ov. xai τὰ τῶν Ἰων τὸν Σωκρά-
τη
1... δησισ...
]. xátntol[c . .]1 . . ].ac ἐπιγραίφ.... 15
ἐγ]κληματ. .....
1 Ἰησωχρατ i.e. titulatio cum compendio P, quod supplevi: et γραφ]ὴ Z sup-
plere possis: τελευτ]ὴ Σωκράτίους ci. Crónert post Crónert (τ]ελευτῇ) supplevi — 30vdelevi litteras del. P
5 suppl. Crónert
Σωκράψίτει Crónert ἁτητοίς Crónert
nert
2 Ἰελευτη vel Ἰεχευτη P: 4 prae πολειτων circ. 5
signum » P
7 τιανός φησιὶ)ν τῶι
8 πολας vel τολας Crónert 13 τκάτητοίς: uÀ 14 supplevi: fort. ]ràg ἐπιγραίφάς: )a ἐπιπραί Crô-
15 suppl. Crônert
16 aitiag...... Crónert: et αἰτιασάμενοι vel
sim. admittendum
Sovrapposto 1 ov
.Ónuc.
Primo elemento di notevole interesse in questo che, conservando ben 16 linee di una colonna mutila nel margine sinistro, è tra i piü
cospicui frammenti di PHerc. 558, é la titulatio che vi si legge in cima. Il Crónert ne decifrava la sequenza (gi.xgax, sulla quale azzardava l'integrazione, brillante e ammissibile dal punto di vista paleogra-
fico, teAevt]i] Σωκράτίους. ”* La nuova interpretazione data dallo studioso ai segni da lui di prim'acchito decifrati riceve ora piena conferma microscopica. Dall'esame risulta inoltre che al termine della sequenza leggibile non esiste lacuna. Di conseguenza, a meno di ammettere che le lettere della desinenza -ους siano scomparse senza lasciare traccia, bisogna presupporre una semplice abbreviazione,
identica a quella adoperata nella titulatio di fr. 11, l. 1. Quanto poi all'interpretazione della titulatio, la lettura della colonna che qui pre-
sentiamo chiarisce che vi si trattava non tanto della fine, come ipotizzava il Crónert, ma bensi del processo di Socrate, e rende dunque più appropriata al contesto un'integrazione come ôix]n ovvero
Yoaq]n 2oxoót(ovc). Altro elemento di sicuro interesse nel frammento é dato dalla citazione, alla l. 6 s., del peripatetico Satiro di Callatis. Apprendiamo dunque che l'autore del nostro scritto faceva uso di questa impor-
172. Cf. CRÓNERT, p. 148.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
395
tante fonte biografica, anche altrove citata da Filodemo; ” qui, con ogni probabilità, Satiro era utilizzato per il suo scritto su Socrate. "^ La dotta citazione ha inoltre il merito di insegnarci la patria di Satiro, precedentemente ignota.'” Osserviamo concentrati nelle prime tre righe di testo alcuni indizi di quella trascuratezza redazionale che distingue PHerc. 558 da PHerc. 495: la mancata apposizione di uno ı muto (l. 2 τ]ελευτῆςι»),
due errori rimasti inosservati (la superflua sillaba ov a l. 37° e l'ipercorrettismo ortografico πολειτῶν a ]. 4,””), e un terzo errore che lo scriba o il diorthotes è successivamente intervenuto a correggere (cinque lettere sono cancellate con un frego orizzontale d'inchiostro a l. 4). Comune invece con l'altro papiro è l'uso di riempitivi come quello a l. 5 fin. Quanto al testo della colonna, ricaviamo con ogni evidenza che vi si trattava del processo intentato contro Socrate. Lo dimostra il ricorrere, accanto al nome del filosofo (ll. 7 e 11), di termini rinvianti a un procedimento giudiziario, come προβολῇ (l. 9), ἐπιγραφή vel sim. (l. 14), ἔγκλημα (l. 15), aitia (l. 16), due dei quali estremamente rilevanti: il terminus technicus προβολή, infatti, indicava l'accusa preliminare da presentare alla boulé prima del confronto in tribunale su de-
litti d'empietà come quello di cui fu incriminato Socrate;"? mentre il verbo, da noi integrato, ἐπιγράφειν (possibili, con lo stesso senso, i sostantivi ἐπιγραφή o ἐπίγραμμα) era impiegato nello specifico per esprimere l'entità della pena, particolarmente in una procedura di
ἀγὼν τιμητός quale fu quella cui fu sottoposto Socrate."? Da ricordare infine il termine αἰτία già incontrato in PHerc. 495, fr. 5 col. I1. 6, dove puó celare, come qui, una connessa voce di αἰτιάομαι. Fr.2
Col.I LAI
Col. II brab[eou)v TAS
173. Cf. De piet. (PHerc 1088) VIII 12 ss. = Satyros FGrHist. 2: tale menzione, cosi come quella del nostro papiro, è da aggiungere all'indice dei Testimonia Herculanensia procurato dal DORANDI in CPF L.1*, come segnala M. GIGANTE, Kepos e Peripatos. Contributo alla storia dell'aristotelismo antico (Napoli 1999), p. 27 n. 61. 174. Testimoniato dal fr. 15 MÜLLER (FHG llI), su cui cf. ARRIGHETTI, Satiro, p. 3. 175. Cf. ARRIGHETTI, Satiro, p. 3. 176. Sulla quale, contrariamente a quanto afferma CRÔNERT, p. 147, non vi è traccia alcuna di cancellatura.
177. E da ritenersi molto remota l'eventualità di una lettura πόλει τῶν. 178. Sulla προβολὴ cf. R.J. BONNER - G. SMITH, The Administration of Justice from Homer to Aristotle, 11 (Chicago 1938), pp. 3 s. 24 s. € 63-65. 179. Cf. in particolare Aristoph., Pl. 480; e inoltre Plat., Leg. XI 915a1; Aeschin. 1.14, 1.16, 1.38; Demosth. 29.8: Isocr. 16.47; Dinarch. 2.12; Aristot., Ath. 8.4.
396
STUDI DI LETTERATURA GRECA
]Ἰαγει..... ψοι
nyu . .. χρήσαί[σθθαι τῆι γρα-
ἐκεῖῆνο δὴ εἶπεν
φῆι φίησιν
Joùdetégou ov
5
Avoiov[
Ἰήσαντος >
5
Ju1ov ἐρασ-»
ἀπολίογ - - - ἀκο-
Ἰδουτοτεμι
10
τοισί λουθησαί
πά]λιν ὅταν δι- «
Atoyle]v[
]. v ἀπὸ χωρί[ου
.. m il
Ἰιλα κτίστη. Jua κτί(στ
]. . eEvovo.
Ἰανυ -μεν..
]. σθαι xai ὑπ.
Ἰισεμ I 2 ψοι vel φοι
3 suppl. Crònert
P 76ovro vel Eovto litt. ovÀ fort. suprapos. suppl. Crónert
plevi
P
5 signum > P
6 signum >
8 signum « P 9 suppl. Crónert 1 11sq. Ua xti[o[t: Ua xt[ioit Crónert Il 1-3
6 ἀπολίογ suppl. Crónert
6sq. ἀκο]λουθησαί sup-
8 supplevi: scil. Atoylé]ving vel sim.
Sovrapposto 1 ]. ετου .[
].-.od
Il frammento ci restituisce due colonne mutile nei margini inferiore e laterali. Del piccolo sovrapposto, segnalato da Crónert, non é piü
traccia. Dal punto di vista grafico si nota l'abbondante impiego di uncini riempitivi a fine rigo (ll. 5, 6, 8: in quest'ultima riga l'uncino ha il vertice rivolto verso l'interno). Notevole anche la ripetizione di lettere alla l. 10 s. Non si puó escludere che il copista abbia vergato due volte la l. 10, anche se la posizione delle lettere gemelle non è combaciante. Quanto al testo, la sola col. Il, pur piü mutila, consente di fare
delle deduzioni remunerative: vi si parlerebbe dello scritto (l. 2 s. γραφή) che Lisia (1. 4) avrebbe offerto a Socrate perché lo usasse (l. 2 χρήσασθαι) in sua difesa (l. 6 ἀπολογία vel sim.) al processo ma che Socrate avrebbe rifiutato, secondo quanto tramanda Dio-
gene Laerzio.*° Il Διογίέ]ν[ης vel sim. da noi integrato a l. 8 potrebbe rinviare al filosofo cinico che già abbiamo trovato menzionato in
PHerc. 495, fr. 7 l. 5, e un riferimento al quale é ipotizzabile in fr. 11 l. 2, anche se nel contesto del presente frammento la sua menzione appare fuor di proposito (le lettere superstiti non sembrano appartenere a un sottoposto).
180. II 40 s.: cf. CRÓNERT, p. 147.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA ?
397
Fr. 3 Col. I
Col. II
U
πρί
J
τινος!
Ja
πα!
k
καί
5
M
Il 5 signum paragraphi P Sovrapposto 1 ἀ]νγελλονίτ Ἰωσινί
J διὰ τὴϊν Ιχαί 5
---
1λτ|- - -]tnl J. *a[
Ἰοι φύσις εἰ
êjai τῆς νῦνί 10
xJatà d& viv[ ]. αται &v xl
1 suppl.
Crónert
3 supplevi
6 litt. λτ fort.
suprapos.
9sq.
suppl. Crónert
Sovrapposto 2
ovnv[ xai À[
καὶ τί
ηθιαί Da questo confuso fr. 3, in cui non sempre facile è la distinzione tra sovra- e sottoposti, non si ricavano che un paio di particolarità grafiche: la paragraphos sotto col. II l. 5 e il banale errore ortografico nell'à]vyeAXov[t di sovr. 11. 1. Per un'altra paragraphos cf. fr. 13 11 7 s. Fr.4 uf
et.[ ανί owa[ 5
περιαί
«oa .[
Sovrapposto 1
M xJai του
398
STUDI DI LETTBRATURA GRECA
Meyalo ̓Αθηναί 5
xai Θοίρικ
- noxi 2sq. suppl. Crónert ̓Αθήναίζε Usener
2-4 xjai τοῦ [EUxAcióov ?y]| Μεγάίρων qotóvroc]l s suppl. Crónert
6 .nox{ vel σαί vel .noô[ P
Tutto ció che il fr. 4 puó comunicarci sta nell'integrazione di Usener
a sovr. 1 ll. 2-4.'' Stando alla congettura dello studioso, il nostro autore farebbe qui riferimento alla tradizione, riportata da Gellio,'^ delle «incursioni notturne» di Euclide in Atene: il Megarese, essendo interdetto ai suoi concittadini l'ingresso nella città rivale, vi si recava a piedi nottetempo, introducendovisi sotto spoglie femmi-
nili, per frequentare il suo maestro Socrate, e prima dell'alba faceva ritorno, sempre a piedi, verso casa sua.
Poco altro aggiungerebbe, se cogliesse nel segno, l'integrazione di Crónert a sovr. 1 l. 5. L'eventuale riferimento a Torico, distretto sulla costa orientale dell'Attica, una delle dodici città storiche della regione, non dovrebbe comunque più rientrare nel racconto delle
visite di Euclide a Socrate, non essendo la località situata sul tragitto tra Atene e Megara. Fr. 5 σ]οφίαν af ]Y .. w00 .. xep . t. χί
]. venl 5
]. axe
Ἱμενοσεχί ]. . οτοί
]ul
10
Ἰλαν προσ. . Jauxai γνωσί ἀ]ϊλλα ταραί
1 supplevi: fort. φιλο!σ)οφίαν supplendum
χειριτικ fort. suppos.
Crónert
2 fort. γνησίως
4 Ἰνιη: avty legit Crónert
fin. litt.
5 axax: ayon legit
11 supplevi: fort. ἀλλὰ ταραίσσ vel ταραίχ supplendum
Poco si puó ricavare da questo disastrato frammento, di cui Crônert
181. In CRÓNERT, p. 147 n. 20, che abbiamo provveduto a completare dei man-
canti punti di lettera incerta e segni di fine rigo. 182. Noct. Att. VII 10.1-4 — fr. 1 DóniNG, su cui cf. GIANNANTONI, Socratici, p. 513 (il
quale ricorda anche che Epicuro scrisse un'opera Πρὸς rovc Meyagixovc), e ID., Socratis et Socraticorum reliquiae, 1 (Napoli 1990), P. 34.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA ?
399
offre la lettura delle sole ll. 4-7. Potremmo essere in contesto dottri-
nale, come sembrano indicare il verosimile quollo]Jogiav di l. 1 e,
forse, il γνῳσί di l. 1ο. In l. 2 la nostra proposta di lettura γγησίως dopo il precedente puolloJogiav trova conforto in Plat. Phaed. 66b2 toig γνησίως φιλοσόφοις e Resp. v 473d2 φιλοσοφήσωσι γνησίως. Nel passo del Fedone, Socrate ragiona dei turbamenti che agenti esterni procurano a chi vorrebbe fare della pura filosofia. Su questa scia, propongo di integrare il ταραί di l. 11 con il verbo ταράσσω o il connesso ταραχῆ, entrambi ricorrenti nel menzionato contesto platonico (66as, d6). Sovrapposto 1
5 .
...Àoute[
ι παρὰ tà[ ... . veau
.. π]ερὶ τῆς τρί ...... σασφί
8 suppl. Crónert
Sovrapposto 2
]. vo[ TE tobto πιθανός!
τ]ῆς εὐστοχίας καί . . Os τῆς κατὰ τὴ[ν 5
...ἔστησε διυ .{
.. ἀπὸ τοῦ σφί
1 titulationem ci. Crònert
3sq. suppl. Crónert
6 ..xò τοῦ σφ vel 0Q
vel oy legit Crónert
Dai due sovrapposti riconoscibili nel fr. 5 non si ricava che l'esistenza di una ulteriore titulatio, quella in capo al sovr. 2, la quale tut-
tavia, come ci faceva attenti già il Crónert,' potrebbe non appartenere ad esso, e il cui dettato non é comunque ricostruibile. Fr. ς bis ]ov ul ]voax[
183. CRÓNERT, p. 145.
400
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Questo che abbiamo designato come fr. 5 bis è un improduttivo pezzetto staccatosi verosimilmente dal fr. 5, accanto al quale giace sulla cornice. Fr. 6 του qa .. v σφαιροειδεῖϊ a . . to [.] toxa [.] Bageils . vxa[. .... ]. T. . . aov εμί
uwv z . . au[.]o [.]nxgum μαθί
10
.σί
....afool[
τῆι ἀφωνί[αι
ὡμ)ίλησενι! 15
ουρί
ὅρα σὺ δίέ ...)..0%.[
2 supplevi
Usener
12 αθορί vel adov[ P
13 suppl. Crönert
14 suppl.
16 supplevi
Estremamente confusa la situazione del presente frammento. Questa che leggiamo dovrebbe costituirne la base. Nelle ll. 1-6, tuttavia,
non si esclude la presenza di sotto- o sovrapposti, tradita da abnormi sequenze di lettere e da un'eccessiva lunghezza dei righi. Molto interessante è l'aggettivo σφαιροειδής di l. 1. La dottrina dell'universo sferico era sostenuta con forza, fra gli altri, dal filosofo
pitagorico Timeo di Locri nel Timeo di Platone.'** Poiché nella titulatio di un frammento successivo (fr. 9 l. 2) si fa probabile riferimento al medesimo Timeo, l'ipotesi che qui ci sia un cenno alla sua dottrina non è da scartare. In l. 2 la nostra integrazione Bagei[ç (possibile anche Baqeï[oa) sembra l'unica ammessa dalla sequenza βαφει: puó non essere casuale che riferimenti al βάπτειν non manchino nel
Timeo.'^5 Si segnalano, a 1. ı3, il dativo τῇ àqovíq (la ricostruzione è certa), già incontrato in PHerc. 495, fr. 2 sottop. 11. 5, e, a l. 14, il verbo ὁμιλεῖν, integrato da Usener con molta verosimiglianza, che esprime di 184. Cf. Plat., Tim. 33b4, 44d4, 63a5. 185. Cf. Plat., Tim. 7363, 83b4. Nel primo dei due contesti si fa anche menzione di σφαῖρα (73e7), con riferimento, peró, alla scatola cranica.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
401
norma, nelle scuole filosofiche, il rapporto e la frequentazione dei
discepoli verso i loro maestri."^ A 1. 16, infine, vi potrebbe essere una ripresa della narrazione con riporto di discorsi in forma diretta.
Sovrapposto 1
Ἰαμαλα!
]. ησιασῳ [ vl
5
Jdey ]n..... w« t«v O[
φιλοσ]οφίαι yev-
Ἶπται &i
25G. δι]ὰ μάλα ἱπολλῆς | παρ]ρησίας ὠϊμίλει Usener
7 suppl. Crònert
Nell’esiguo sovrapposto doveva parlarsi ancora di vita o dottrina della scuola, se si accettano il nuovo ὁμιλεῖν restaurato ancora da
Usener a l. 3,'” e il pià probabile φιλοσοφία di Crónert a l. 7. Quanto alla παρρήσια, anche questo costituisce un motivo frequente presso
i filosofi. "* Sovrapposto 2 at δὲ μοι περὶ Ts θαμί .. 00 μέγα χωί .. Qux κοσμήσει παί
οὐτῶι ἀκρειβέστε[ρον 5
...ὃγε ποιεῖ καί ...... 1. . αὐφυι
1 θαμ vel θαλ Crônert
200 vel ισσω Crônert
1-4 ῥηθήσετ]!αι dé μοι
περὶ τῆς Bad[aluns, H]S ἔσω péya xœ[ua.) tà ἠ)ρία, κοσμήσει, xá(Aw | Ev τρίϊτωι ἀκρειβέστείρον tempt. Diels
4 suppl. Crónert
Del presente sovrapposto é testimone unico il Crónert, da cui lo riportiamo con i necessari adattamenti e complementi ecdotici: del-
186. Cf. F.M. GIULIANO, Un dimenticato frammento di poetica: POxy III 414 e U«enciclopedia del sapere», in Papiri filosofici. Miscellanea di studi II (Firenze 1998), pp. 115165: 127 S.
187. In CRÓNERT, p. 144 n. 17, che abbiamo provveduto anche qui a colmare dei mancanti segni critici.
188. Per la lode che ne faceva Diogene di Sinope cf. D. L. VI 69.
402
STUDI DI LETTERATURA GRECA
l'originale, verosimilmente sollevato dallo stesso studioso, non é
oggi traccia. ® Tutto il senso del frammento sta nella ricostruzione tentata dal
Diels. * Quanto ipotetica essa sia, non ha bisogno di essere rimarcato; anche a prescindere da essa, perplessità sul passo, che sembrerebbe contenere una qualche citazione o reminiscenza poetica, esprimeva già il Crónert.?' Il motivo inerente a una ‘sepoltura’, ad ogni modo, non sembra avere apparente rapporto con il riferimento alla sepoltura di Socrate che abbiamo congetturato in PHerc. 495, fr. 6 col. II 4; si veda piuttosto, sempre in PHerc. 495, il riferimento alla 'splendida sepoltura' in fr. 12 l. 4 s. Interessante sarebbe anche il possibile riferimento a un ‘terzo libro' (l. 4). Ferma restando l'ipotesi che il nostro scritto sia il libro della Rassegna dei filosofi di Filodemo dedicato alla storia di Socrate e della sua scuola, potremmo essere in presenza di un rinvio interno all'opera. Di certo nel testo c'é soltanto, e di questo bisogna prender nota, un ulteriore ipercorrettismo per itacismo η6]}} ἀκρειβέστείρον di 1. 4.
Fr. 7 Col. I
Col. II
μῆτε σωπί
Ivl
χο.. ασα... ταί
οκλῆς καίὶ
oq....ô[
bwœxev u[
eud 5
--
vrayev| 5
xol
rav[ . EL. . . χαιρειί
ι 1 Σὠπίατρος ci. Crônert
II 154. Δι]οκλῆς ci. Crónert xa(i suppl. Cró-
nert
Non più di due possibili nomi è quanto si ricava dai due margini di colonna che sembra preservare questo frammento. Se l'integrazione Ewx[atgos, proposta dal Crónert a I ı, coglie nel segno, resta il problema di identificare il personaggio fra i tanti che portavano quel 189. ll sovrapposto in questione non era più leggibile anche per BALDASSARRI, p.
78, se è da attribuirsi a una svista il fatto che la studiosa lo assegnasse all'attuale fr. 5.
190. In CRÔNERT, p. 145 n. 18. Anche in questo caso siamo intervenuti sull'aspetto formale della congettura, rivedendone un refuso e presentandola in modo da rispecchiare meglio lo stato del papiro. 191. CRÓNERT, loc. cit.: «Forse ἧσπερ [sic!] ἔσω u£ya χῶμα ed ἠρία κοσμήσει derivano da un epigramma; in ogni caso il passo è strano».
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DEILA SUA SCUOLA?
403
nome in età ellenistica. Si puó pensare al poeta originario di Pato e
vissuto nell'Alessandria di Tolemeo Il, dove fu autore di farse fliaciche sulla falsariga del siracusano Rintone. * In esse non mancava la satira filosofica di stile epicarmeo, di cui è residuo la pungente invettiva contro gli Stoici preservataci dal più cospicuo relitto (tr. 6 Kaibel). Difficilmente Socrate, bersaglio preferito dei comici, " era risparmiato dagli strali di Sopatro. Filodemo avrebbe potuto conoscere, magari in Italia, la sua opera, ed utilizzarla, nel nostro testo, appunto in riferimento a Socrate. Per altri possibili impieghi di testi comici come testimonianza su Socrate nel nostro scritto cf. PHerc. 495, fr. 2 col. II 4 e fr. 4 l. 3. Assai verosimile e non meno rilevante è anche l'integrazione ΔιΠοκλῆς a II 1 s., dovuta sempre al Crônert: otteniamo da essa una seconda menzione dello storico di Magnesia, dopo quella da noi congetturata in PHerc. 495, fr. 118. Fr. 8
Col. !
Col. II ...
gave[
5
φησὶν al
Jév TIeuQaiei
Hnv xa[i
]xava[
Oal
]. νατοινί
1 ınl
5
uJetalni Ἰτωνί Σ]νραίκοσ
I 3 supplevi
II 2 suppl. Crónert
5 suppl. Crónert
7 suppl. Cró-
nert
Sovrapposto 1 Col.I
Col. II
ı0L
Inveo γράγψαντος
μαρ τοι
]vev
5
II 2 suppl. Crónert
οὐϊκοῦν
5 suppl. Crónert
192. Su tale rapporto si veda M. GIGANTE, Teatro greco in Magna Grecia, «Annali Ist. Ital. Studi Stor.» 1 (1967/68), pp. 35-87: 56-58. 193. Cf., più di recente, O. IMPERIO, La figura dell'intellettuale nella commedia greca, in A.M. BELARDINELLI εἴ AL. (edd.), Tessere: frammenti della commedia greca. Studi e commenti (Bari 1998), pp. 43-130: 99-129, € F. CONTI BizzARRO, Portica e critica lettera-
ria πεὶframmenti dei pocti comici greci (Napoli 1999). pp. 20-22 e 178-186.
404
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Null'altro si ricava dal frammento 8 se non, poggiando sulle verosimili integrazioni del Crónert, un riferimento al Pireo (II 2)?* e uno a Siracusa (II 7). In rapporto a quest'ultimo, sono da ricordarei riferimenti all'esperienza di Platone in Sicilia che abbiamo incontrato in PHerc. 495, fr. 811 6-10, e fr. 9 1. 5. Del sovrapposto, oggi perduto o illeggibile, è testimone unico il Crónert: il testo che ci fornisce, ad ogni modo, non offre nulla di
significativo. Fr.9
Col. I
Col. II
ἐν τῶι] πρώτωι ..... Jtóv Λοκρὸν
...... Ἰτὸνί
διατριβῶνί £..... μι
yl ov[ I 1sq. i.e. titulatio Diels
1 suppl. Crónert
2 tóv Aoxoóv: scil. Τίμαιον
Di interessante in questo frammento é la titulatio che si legge sopra col. I e che viene ad aggiungersi a quella già incontrata in fr. 1. Non si coglie, purtroppo, se la menzione del 'primo libro' in 1 1 sia da connettere a quella del ‘Locrese’ in [ 2. Quanto a quest'ultimo, potrebbe ben trattarsi, come ipotizzava il Diels,'” del filosofo pitagorico Timeo, protagonista dell'omonimo dialogo platonico: di Platone e dell'Academia, infatti, é menzione nel frammento successivo (fr. 10). Un possibile riferimento a una dottrina da Timeo sostenuta nel Timeo di Platone, inoltre, abbiamo già ipotizzato in fr. 6 l. 1. Da notare ancora, in II ı, il riferimento alle διατριβαί, da intendere certamente in senso filosofico. Sottoposto 1 Col. I
Col. II
Ἰᾳρί συϊναθροίσίας
. avoa[ .. .]va[
]vov ıl
ης xai x[
Jeeel 5
--ov[
kel
ovv δὲ! 5 .
...UX-[ ..0ov..[
vagav óe[
194. La lettura IIe di CRÔNERT, p. 143, puó essere perfezionata in Πειΐ. 195. In CRÓNERT, p. 149 n. 22.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA? τί - - - αὖtüpxnlc 10
405
q]u.ooogt
tal
A(
ἀλλὰ x[ai οντί
αὐτί I 2 suppl. Crônert
8sq. suppl. Crónert
vagav vel σιαρὰν P
8 supplevi
12 suppl. Crónert
Il 7
Dal presente sottoposto, di cui Crónert lesse solo la col. I, non si ricava se non la conferma di un contesto filosofico (I 8 s., II 8). La qualifica di αὐτάρκης, restituibile con ogni probabilità a I 8 s., potrebbe
adattarsi tanto bene a Socrate come a tutti i filosofi delle scuole ci-
nica e stoica, in primis Antistene e Diogene.'9* Fr. 10 Col. I
Col. II a..[
t0...00.[
σεί
M
δειν. . u[
-
5
5
---
---
axa[
- --Jol
-
---]M -
- - -]. μενί
Ev[
10
10
---].I
xov|
II 1 scil. titulatio
Il presente frammento, per quanto ampio, è quasi completamente
illeggibile, € non ci offre di rilevante che la traccia di una titulatio. Fr. 11 ἀποφθέγματα Xoxoát(ovc) av διτλώση! .. VOv ztot[
... . Qa πηλὸν el[v]at 5
... v x[ai) τί
... . ἐπιζητοίυ
196. Cf., per la tradizione relativa a Socrate, Xen., Mem. 1 6.4 ss.; per quella relativa ad Antistene e a Diogene, D. L. VI 11, 32, 37 S, 44.
406
STUDI DI LETTERATURA GRECA ....vjvEw . ıl
1 scil. titulatio cum compendio: à. Σωκράτίους Crónert
Crônert
4-7 suppl. Crônert
2 xAaïv]lav ci.
10 διηγ[εῖσθαι vel sim. supplendum
Sovrapposto 1 Πλάτωϊίν
αραισσ Θρᾶττία vavtoc δὲ ̓Ατίτικ . ve(ıJtO καὶ κί
5
σίαι[.)τουί ..]1a....v.. a Ἰσερι
10
1 supplevi: fort. titulatio
]xa
2sq. suppl. Crónert
Riportiamo il presente frammento con il suo sovrapposto, con l'avvertenza che entrambi in molti punti sono ormai leggibili con estrema difficoltà, talché la testimonianza del Crónert si rivela fondamentale.
Subito da rilevare, in fr. 11 l. 1, una ulteriore titulatio, che, diversamente da quanto vide il Crónert, non termina in lacuna, ma stacca il nome di Socrate in un'abbreviazione identica a quella della titulatio
di fr. 1, l. 1. Il primo degli 'apoftegmi socratici' di cui tale intitolazione ci informa potrebbe essere, a l. 2, quello del ‘raddoppio del mantello' escogitato da Diogene, che Crónert ipotizzava rinviando
a D. L. VI 22:'” abbiamo già rilevato i possibili riferimenti al Cinico in fr. 2 col. II 8, e in PHerc. 495, fr. 7 l. 5. Per la possibilità che il riferimento alla χλαῖνα riguardi invece lo stesso Socrate, è da tener presente anche D. L. II 28 ̓Αμειψίας δ ̓ &v τρίβωνι [fr. 9, CAF I p. 272] raράγων αὐτὸν φησὶν οὕτως: Σώκρατες ... πόθεν àv σοι χλαῖνα γένοιτο;.
Senonché, il riferimento di l. 4 al πηλός sembra rinviare a un contesto appropriato ancora a Diogene. Il διηγί (scil. διηγί[εῖσθαι o voce
affine) di l. 10 conferma che ci troviamo in un contesto narrativoaneddotico, per cui cf. ancora la titulatio διηγ]ήματα di fr. 17 ]. 1. Il sovr. 1 ci restituisce di nuovo il nome di Platone (]. 1), non letto dal Crónert. Rilevante é che dovrebbe trattarsi ancora di una titula-
197. CRÓNERT, p. 150.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
407
tio: lo dimostrerebbero la scrittura, più chiara, piccola e corsiveggiante, e la posizione, alquanto sopraelevata rispetto a quella della riga inferiore. Nel testo sottostante poteva aver posto, come osser-
vava il Crónert, "" un riferimento all'arguta risposta che Socrate avrebbe dato a chi (Platone?) rinfacciava l'origine semibarbara di Antistene. Nello stesso sovrapposto é da rilevare, a l. 4, una ulte-
riore cancellatura da parte dello scriba: la lettera, cassata con un doppio frego, sembrerebbe essere uno .. Fr. 12 Jov... Jav....
]hov...
..... £v dé τῶι ἐἸχκαίι)δε5
κάτωι φησὶ τὸν Δημή]τριον ἸΠλάτων
]πλ. Jev
ov 10
Jev
]jv.oo
Jéxe
e> 454. suppl. Crönert
nert
5 Ἰτριον: Δημήϊ]τριον scil. τὸν Φαληρέα ci. Cró-
6sq. suppl. Crónert
13signum » P
Di interessante, nel presente frammento, é il rinvio a un Demetrio,
che il Crónert, con buone probabilità di cogliere nel segno, ipotizza essere il Falereo, ?? da Filodemo più volte ricordato nella Retorica : '^? il rinvio sarebbe, verosimilmente, alla di lui Apologia di Socrate, menzionata da Diogene Laerzio.""' Alla l. ; s. compare nuovamente il nome di Platone. Da notare infine, a l. 13 fin., un segno di riempimento.
198. CRÔNERT, P. 150 n. 27, con rinvio a D. L. 11 31 e VI 1 — Antisth., frr. 124 e 122
DECLEVA Caizzi, su cui cf. anche GIANNANTONI, Socratici, p. 134. 199. CRÓNERT, p. 149 n. 23 (il o che lo studioso sottopuntava è da ritenersi certo).
Molto ridotte le possibilità che possa trattarsi qui di Demetrio di Bisanzio (metà circa del I a.C.), il peripatetico autore di un Περὶ ποιημάτων, citato da Filodemo nel V della Poetica (PHerc. 1425-1538, IX 34-X 32). 200. Si vedano i luoghi riportati supra, n. 78. 201. IX 15, IX 57; in V 81 Diogene menziona genericamente un suo libro su Socrate.
408
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Sovrapposto 1 Col. I
Col. II Σωκράτου)ς μαθηϊίτ]αὶ
γό]ρας &’ &v τῶι
μεί
Ἰντωιλευτε}
τοί
]v πώρρω δὲ
χί
5
Jat . . ασελε
]. πολλα
---
5
Jot.
1 i.e. titulatio: suppl. Crônert
Al x[
2 yójoac vel Μετ)ρᾶς Crónert 4 o]v vel
xàv]v supplendum
Nel presente sovrapposto si segnala una ulteriore titulatio. La sua in-
tegrazione, dovuta al Crónert, é molto verosimile. Nella prima riga di testo (I 2) è possibile vi fosse la citazione di una fonte. Non dicono molto le proposte del Crónert per ricostruirne l'identità. A I 3 si segnala, infine, un ulteriore intervento di espunzione dello scriba, che ha eliminato alcune lettere con un frego orizzontale. In I 4 è possibile integrare la comune giuntura o]? πώρρω o anche πάν]ν πώρρω, per la quale ultima cf. p. es. Aristoph., Nub. 212, Xenoph., Cyr. IV 3.16, Antipho 5.27.^* Fr. 13
Col.I
Col. II
..]vto..... 0l ... Jvov[
de . [. .] αἰκί
... ]exa[
v.xava[
... of
5 . oaenm[---Jov[
tU
5
zoqt[
προστί εἰμι[ I 2 fin. .oeqiv legit Crónert
Crónert
II 2 aux vel ux P
3 fin. oetvevi legit Crónert
4 fin. δε legit
7 signum paragraphi P
Del presente, molto disastrato frammento si segnala la paragraphos apposta a II 7 s., simile a quella incontrata in fr. 3, II 5. Crônert offre solo la prima colonna, con alcune lezioni a fine rigo che non è dato più ritrovare; né pare possano identificarsi con le lettere visibili nella parte destra del frammento, che abbiamo ritenuto di assegnare
202. In fine rigo, subito dopo la sequenza πωρρω, CRÔNERT, p. 149, legge δι, che lascerebbe presupporre un διά. Ma la lezione de, quasi certamente la particella, è sicura.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
409
a una seconda colonna, la cui esistenza é chiaramente provata dalla paragraphos. Fr. 14 EJE
̓Ακαδηϊμείας
Πλάτωνι( υς τῶν τοί
. tel $ .
.zovó[
τῶν ..nve.a..
1 suppl. Crónert
Il frammento ci preserva, accanto al nome di Platone, una interessante menzione dell'Academia, a prova che la trattazione del nostro scritto non era riservata a Socrate, ma si estendeva in qualche modo
ai suoi discepoli e al loro séguito, come ben risulta anche dal frammento successivo.
Fr. 15 Col. 1
Col. II
μένωι εἰς rr]v ̓Ασίαν. Πλά-
ava........ υσμεί
Tinve
ναισυ.... πρὶνί
σαντι
εἰς Σικ)ελίαν [π]λεὺ] ΠυϊθΠῶδε
- --
Juel
5
Ιων!
...
5
ιαγεί ιπροσί
EUTE( l 1-3 Ξενοᾳφῶντα μὲν εἰς wv
̓Ασίαν. Πλάϊ[τωνα è εἰς Σικ]ελίαν {π]λεῦ![σαι ci.
Usener, sed cfr. PHerc. 495 fr. 9 Îl. 2-5, ex quibus supplevi suppl. Usener
3 Mv[B]dôe
Tutto quanto ci trasmette il presente frammento è nella col. I. La contiguità della l. 1 con PHerc. 495, fr. 9 l. 5 colpisce immediatamente. Ad essa dovette ispirare Usener la sua ricostruzione:^? ho tuttavia ritenuto pià economico preservare il costrutto dativale presente in quel passo. Qualunque sia il costrutto, si parla qui ancora dei rispettivi viaggi compiuti da Platone e Senofonte dopo la morte di Socrate. Sempre per l'Usener, Πνυ[θ)]ῶδε (I 3) sarebbe detto o di
Socrate o di Senofonte."^ Ritengo la prima ipotesi la pià probabile, in considerazione del possibile accenno all'interrogazione di Cherefonte alla Pizia che si ha nel frammento successivo (fr. 16 l. 1). 203. In CRÓNERT, p. 151 e n. 28.
204. Cf. CRÔNERT, p. 151 n. 29: UsENER rinviava a D. L. Il 23 e a Xen., Anab. Il 1.5.
410
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Fr. 16 σ]οφώτατον eoe[
. . .Jeqat toùc[
... γὰ)ρ γράίφει σινοί
1 suppl. Crónert, τίνα &v λέγοι! σφρφώτατον ἐρέσθαι coniciens oqav P
2 οφαι vel
3 suppl. Crônert
Se fosse valida l'integrazione che Crónert proponeva exempli gratia
per l. 1,“ avremmo un riferimento al famoso episodio del responso che la Pitia avrebbe reso a Cherefonte, indicando in Socrate il più sa-
piente tra i mortali:“* sull'episodio si appuntó particolarmente la critica epicurea di Colote.“” Un possibile accenno a un viaggio verso Pito è inoltre in fr. 15 col. I 3. A l. 3 potremmo avere un ulteriore rinvio a una qualche fonte imprecisabile. Fr. 17
Ἰήματα vo.ovyev..aox|
... wuÔ{
λαχοί 5
]vev
]toa
1 i.e. titulatio: διηγήματα Diels: περὶ Σωκράτους διηγ]ήματα Crónert: nunc tantum...taP
Di interessante questo frammento ci conserva una ulteriore titulatio, oggi appena individuabile: per la sua lezione bisogna fare affidamento sull'autorità del Crónert. Se è valida la sua integrazione, che
riprende quella del Diels, ** nella colonna erano contenute 'narrazioni' concernenti Socrate: doveva trattarsi, dunque, di una sezione
a carattere prevalentemente aneddotico, analoga a quella di fr. :1, dove si veda in particolare l. 10 διηγ[εἴσθαι etc. Sottoposto 1 Σωκράτῃης
205. Cf. CRÓNERT, p. 151 n. 30. 206. Cf. Plat., Apol. 20e8 ss.; D. L. II 37. 207. Cf. AcOsTA MENDEZ - ANGELI, Filodemo, pp. 84-89. 208. In CRÓNERT, p. 152.
FILODEMO, STORIA DI SOCRATE E DELLA SUA SCUOLA?
411
1i. e. titulatio
Ad un sottoposto dovrebbe appartenere questa ulteriore titulatio, ”® anch'essa ormai difficilmente riconoscibile, secondo la quale nel capitolo era ancora discorso su Socrate. Fr. 18 ὑμεῖς xai[. εινατί
Fr. 18 bis ειδί ]. aye
]1ooo
Nulla si ricava dal fr. 18 né dal frammento, non letto da Crónert, che
giace alla sua sinistra, e che abbiamo indicato come 18 bis. Fr. 19
ανταί μαί Εγ. 20 δι]αλύεί[ι ]ra ÀA
1 suppl. Crónert
Prendiamo atto della forma διαλύει (l. 1), già incontrata in fr. 1a, col. I 10.
Fr. 21 .--μ---
Fr. 22 ---.00--
---κ---
---ιτ--.
Fr. 23 -220V---
209. Cosi CRÔNERT, p. 152.
412
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Fr. 24 ---UI---
Fr. 25 --
Pz. 14 Crónert wv δ ̓ ἀπὸ t(o0] AaAo[bvtoc . σ}υντρί.βουσα zxo[
τευποί πασ..
5
οἱ
τα . νλαί
1 λαβοί P ante corr.: λαλοί P post corr.: suppl. Crónert
2 o]evtoiovoa:
i. e. Xanthippe ci. Crónert
Del presente frammento il Crónert é ancora teste unico: per una ri-
costruzione della sua vicenda si veda l'Introduzione ($ III). Da rilevare sono un ulteriore intervento correttivo da parte dello scriba (l. 1) e, nell'ipotesi dell'editore,"^ un nuovo riferimento a Santippe (I. 2: cf. PHerc. 495, fr. 1 col. [ 4 s.).
210. Cf. CRÓNERT, p. 151.
OYA' AIIO KPHNHE IIINQ: ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?*
Che l'epigramma 28 Pf. di Callimaco, tràdito dall'Antologia Palatina (xi1 43), costituisca uno dei momenti più rilevanti e, a un tempo, problematici nella produzione superstite del poeta di Cirene, è testimoniato dalla continua fioritura di studi che lo contorna'. L'interpretazione in particolare del distico conclusivo ha fomentato, nei decenni appena trascorsi, un'accesa, non ancora sopita polemica'. Sono i due versi ecboici che, anche indipendentemente. da reciproci dissensi tra studiosi, hanno calamitato l’in-
* [l presente lavoro nasce da un contributo al seminario su "Epigramma ellenistico ed epigramma protobizantino" diretto nel 1995 a Firenze dal Prof. Enrico Livrea, che ringrazio per la disponibilità con cui lo ha accolto e i suggerimenti di cui lo ha arricchito. - I riferimenti all'opera di Callimaco saranno effettuati sulla base del testo stabilito in Callimachus, ed. R. Pfeiffer, vol. I: Fragmenta; vol. Il: Hymni et epigrammata, Oxonii 1949-53 (Ξ Pf.). Autori ed opere greci sono citati secondo le abbreviazioni in uso nel Greek-English Lexicon (Ξ L.-S.-J.). 1. Un'ampia bibliografia sull'epigramma, che muove sin dal secolo scorso, è in P. Krafft, Zu Kallimachos’ Ecbo-Epigramm (28 Pf.), «Rhein. Mus.» n. F. 120,
1977, p. 1. Integrazioni per le annate successive in L. Lehnus, Bibliografia callimachea. 1489-1988, Genova 1989, pp. 295-7, e in G. Zanetto - P. Ferrari, Callimaco. Epigrammi, trad. di G. Z., introd. e comm. di P. F., Milano 1992, p. 34. Da
aggiungere, ancora, B. M. Palumbo Stracca, Callimaco e l'eco: una replica, «Quad. Urb. Cult. Class.» n. s. 37, 1991, pp. 129-32, e U. Hübner, Kallimachos 28. Epigramm ohne Lysanias, «Philologus» 140, 1996, pp. 225-9. 2.
Lo scontro, che ha raggiunto toni di estrema violenza, toccando chiara-
mente anche motivi di orgoglio personale, ha visto impegnati, dalla fine degli anni '60, da una parte Q. Cataudella, autore di un drastico intervento testuale sul v. 5 (καλὸς νήχ ̓ el per ναίχι καλὸς xaAóc, in «Maia» n. s. 19, 1967, pp. 356-8 = In-
torno ai lirici grea. Contributi alla critica del testo e all'interpretazione, Roma 1972, pp. 209-13), e dall'altra, risoluti a dimostrarne l'inconsistenza, C. Gallavotti e G. Giangrande, a sostegno, quest'ultimo, di una sua propria congettura risanativa del v. 6 (ti; κἄλλος ἔχει; per ug ̓ἄλλος ἔχει ̓, in «Eranos» 67, 1969, pp. 33-42 = Scripta minora Alexandrina, ÎII, Amsterdam 1984, pp. 1-10), in difesa della quale ha replicato anche alle obiezioni mosse da A. Barigazzi. Rassegna dei numerosi scritti di botta e risposta tra i quattro studiosi avvicendatisi nell'arco degli anni seguenti in L. Coco, Callimaco. Epigrammi, prem. di E. Degani, trad., comm,, saggio introdutt. e bibliografia a c. di L. C., Manduria-Bari-Roma 1988, pp. 1212, e in B. M. Palumbo Stracca, L'eco di Callimaco (Ep. 28 Pf.) e la tradizione dei versi 'ecboia', «St. It. Filol. Class.» 81, 1988, p. 218 nt. 5. Nuovi focolai di polemica si sono riaccesi ultimamente, sempre intorno al distico finale: all'appena citato contributo della Palumbo Stracca ha replicato G. Giangrande, Callimaco e
414
STUDI DI LETTERATURA GRECA
teresse della critica’. L'impegno si è concentrato a cogliere la pointe finale nei più sottili risvolti, a decifrarne il nesso con il resto del componimento. Dal senso della chiusa dipende in effetti, per la massima parte, la comprensione della pièce nel suo insieme. Ma l'esigenza di recuperare a fondo Wortlaut e significato degli ultimi due versi ha sottratto, forse, attenzione ad altri motivi che possono aver avuto non poca importanza nell'economia com-
plessiva dell'epigramma. È su uno di questi che intende soffermarsi il presente studio. La prima parte del componimento è organizzata nella struttura della Priamel*: Una serie di esempi introduce il pensiero del poeta: σικχαίνω πάντα tà δημόσια (4). In direzione dell'enunciato finale, avente carattere generale, devono dunque condurre gli enunciati precedenti, aventi valore di casi particolari®. Come Folien del suo 'ribrezzo per tutto ció che è volgare’ Callimaco presenta l'astio verso il ποίημα κυκλικόν (1), il fastidio della κέλευθος assai trafficata (1-2), l'odio per l'amante περίφοιτος (3), il diniego di bere ἀπὸ κρήνης (3-4). 51 considerino alcune moderne rese dell'espressione οὐδ ̓ ἀπὸ κρήνης xívo: «neque e fonte publico bibo»‘; «I drink not from
l'eco, «Quad. Urb. Cult. Class.» n. s. 34, 1990, pp. 159-61, cui ha fatto seguito B. M. Palumbo Stracca, Callimaco e l'eco: una replica cit. 3. Su essi si sono incentrati, al di fuori di detta polemica, anche A. Allen, Callimachus and Echo, «Class. Philol.» 69, 1974, pp. 211-2, e, fondamentalmente, il citato articolo di P. Krafft. 4.
L'andamento priamelico dei vv. 1-4, già riconosciuto da W. Krôhling, Die
Priamel (Beispielreibung) als Stilmittel in der griecbisch-rómischen Dichtung, Diss. Greifswald 1935, p. 18, è accuratamente analizzato da E. R. Schwinge, Poe-
tik als praktizierte Poetik: Kallimachos’ Echo-Epigramm (28 Pf.), «Würzb. Jahrb. Altertumsw.» n. F. 6a, 1980, pp. 101-5. Cf. ancora W. H. Race, The Classical Priamel from Homer to Boethius, Leiden 1982, p. 109, ε, sulla peculiarità che contraddistingue il caso in questione, A. Henrichs, Callimachus Epigram 28: A
Fastidious Priamel, «Harv. St. Class. Philol.» 83, 1979, pp. 207-12. 5.
Cf. E. R. Schwinge, art. cit. p. 104.
6.
F. Dübner, Epigrammatum Anthologia Palatina, instr. F. D., 1I, Parisiis 1888, p. 400 (il corsivo è dell'a.): cf. C. Cessi, La poesia ellenistica, Bari 1912, p. 257 (-né vengo a bere a fonte pubblico»); S. Quasimodo, Fiore dell'Antologia Palatina, saggio introdutt. e notc dı C. Vassalini, Bologna 1958 (rist. Milano 1992), p. 49 («e non bevo a una pubblica fontana»); L. Coco, op. cit. p. 119 («né bevo a fonte pubblica»); G. B. D'Alessio, Callimaco, introd., trad. e note di G. B. D'A., vol. 1: /nni, Epigrammi, Ecale, Milano 1996, p. 241 («né dalla pubblica fonte bevo»).
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
415
every well»'; «a fontana di piazza non bevo»'; «je ne bois pas à la source commune»'. Dalle citazioni 51 & evidenziato in caratteri italici ció che 1 traduttori hanno avvertito la necessità di specificare ma che il testo, di fatto, non dice". Sono sulla stessa scia caratteristiche identificazioni della κρήνη e della sua acqua. Ha fatto epoca la «Wasserleitungswasser»"; non è da meno ittoresca «parish pump»". Si tende dunque a riversare la volgarità
ravvisata da Cgllimaco nel bere ἀπὸ κρήνης sulla stessa κρήνη e
sulla sua acqua. Si contrappone quest'acqua a quella, pura, della πηγή", fino a farla, addirittura, di «pozzo»'". Ma la κρήνη e la sua 7.
A. W. Mair, Callimacbus. Hymns and Epigrams, with an Engl. Transl. by A.
W. M., London-Cambridge 1955, p. 157.
8. A. Presta, Antologia Palatina, a c. di A. P., introd. di G. Perrotta, Roma 1957, p. 106: cf. G. Zanetto - P. Ferrari, op. cit. p. 65 («non bevo alla fontana della piazza»).
9. É. Cahen, Callimaque, texte ét. et trad. par É. C., 6° éd. rev. par E. Delage, Paris 1972 (1922!), p. 28: cf. B. M. Palumbo Stracca, L'eco di Callimaco... cit., p. 216 («e non bevo alla fonte comune»). 10. Cf, per traduzioni più aderenti e aperte all'interpretazione che l'ambiguità del testo di fatto consente: W. R. Paton, The Greek Anthology, with an Engl. Transl. by W. R. P., IV, London-Cambridge 1960, p. 301 («l do not drink from a fountain»); G. Gualtieri, Antologia Palatina. 1 libri dell'amore, trad. di G. G., Firenze 1973, p. 431 («io non mi disseto alla fontana»); C. Meillier, Callimaque εἰ son temps. Recherches sur la carrière εἰ la condition d'un écrivain à l'époque des premiers Lagides, Lille 1979, p. 124 («je ne bois pas à la fontaine»); F. M. Pontani,
Antologia Palatina, a c. di F. M. P., IV: Libri XII-XVI, Torino 1981, p. 43 («alla fonte non bevo»); G. Paduano, Antologia Palatina. Epigrammi erotia (libro XII), introd., trad. e note di G. P., Milano 1989, p. 253 («non bevo alla fonte»); R. Aubreton, Anthologie grecque, 1* p.: Anthologie Palatine, t. XI: Livre XII, texte ét.
εἴ trad. par R. A. avec le conc. de F. Buffière εἰ de J. Irigoin, Paris 1994, p. 15 («je ne bois pas aux fontaines»). 11. U. von Wilamowitz-Moellendorff, Homerische Untersuchungen, Berlin 1884 (Ξ Philologische Untersuchungen, hrsgg. v. A. Kiessling u. U. v. W.-M., H. 7), p. 355 nt. 36: cf. le riprese in E. Kornemann,
̓Απὸ χρήνηω πίνειν (Zu Kallim.
Epigr. 28), «Philol. Wochenschr.» 27, 1907, col. 893, e in P. Krafft, art. cit. p. 21. Nella stessa direzione, «den Trunk aus der Leitung haß iche rende l'espressione H. Beckby, Anthologia Graeca. Buch XII-XVI, Griech.-Deutsch ed. H. B. München 1958, p. 33. Cf. ancora U. Hübner, art. cit. pp. 228, 229 (-Wasserleitung»).
12.
A. Henrichs, art. cit. p. 211.
13. Come intendono, fra gli altri, A. Barigazzi, Amore e poetica in Callimaco (ep. 28 e 6), «Riv. Filol. Istr. Class.» 101, 1973, p. 188, e C. Meillier, op. cit. p. 125, che esplica [ ̓οὐδ ̓ ἀπὸ κρήνης nivo con «je ne bois pas à la fontaine (χρήνη, la fontaine publique, εἴ non πήγη [sic])*, nonché, da ultimo, R. Aubreton, op. cit. pp. 99-100, per il quale «Ja fontaine (κρήνη), peut-être polluée, suggère la pureté de la source (zuyn)».
14.
Cosi G. Coppola, Cirene e il nuovo Callimaco, Bologna 1935, p. 164. Ma,
416
STUDI DI LETTERATURA GRECA
acqua sono veramente portatrici di connotazioni tali da meritare giudizi cosi spregiativi? Manca, sulla κρήνη in letteratura, uno studio adeguato". La ricostruzione archeologica non puó essere sfruttata, per l'interpretazione del testo callimacheo, se non tenendo conto che si tratta di un contesto letterario-e marcatamente'*. Essa non informa, nella sostanza, che del lato architettonico dell'oggetto. La κρήνη in quanto fabbricazione é, allora, la costruzione che, convogliando in un condotto o accogliendo in un bacino l'acqua della sorgente - la πηγή, 56 51 vuole -- la offre, talora nella monumentale imponenza di una fountainhouse, alla pubblica fruibilità". Ma la documentazione dell'archeologia non basta a chiarire il significato che, a livello linguistico e simbolico, avevano per i Greci la κρήνη in sé e il fatto di bere ἀπὸ κρήνης. E. necessario, per questo, tornare alle testimonianze letterarie. Negli autori in cui i termini κρήνη e πηγή appaiono contestualmente, la differenziazione non rimanda a una contrapposizione.
quello, è il φρέαρ, che in Hdt. 4.120.1 e Th. 2.48.2 alla κρήνη si oppone. Separatamente dalle χρῆναι sono considerati ı φρείατα sın da Il. 21.196-7. Netta la distinzione tra φρέαρ e πηγή (- κχρήνη) in Nonn. Par. 4.15-9, su cui D. Gigli Piccardi, 1 pozzo di Giacobbe e Danao in Nonno, «Kowovia» 19, 1995, pp. 153-61. Per la corretta resa tecnica di simile terminologia v. infra, nt. 81. 15. Proviene da un archeologo, cd è soltanto inteso a tracciarne una differenza con la πηγή, quello di R. E. Wycherley, Πηνή and κρήνη, «Class. Rev.» 51, 1937, pp- 2-3. Limitate ad Omero, e/o all'aspetto archeologico dell'oggetto, le tratta-
zioni di W. Richter, Die Landwirtschaft im bomerischen Zeitalter, Gôttingen 1968 (= Archacologia Homerica, hrsgg. v. F. Matz u. H.-G. Buchholz, Bd. II Kp. H), pp. 31-2, e di R. Toelle-Kastenbein, Der Begriff Krene, «Archäol. Anzeig.», 1985, pp. 451-70. Non fa alcun riferimento ai termini della lingua originale, purtroppo, la recente monografia di D. P. Crouch, Water Management in Anaent
Greek Cities, New York-Oxford 1993, sul sistema idrico della città greca e sull'approvvigionamento del privato: l'a., anzi, si distacca, in una breve premessa (p. 48), da ogni riferimento «to the ancient Greek authors' remarks on the water
cycle, springs, urban water supply, and so on», avendo trovato che questo «did not add up to a comprehensive account of what the ancients knew, believed, or did about water». 16.
L'éx8«igo τὸ ποίημει tó xvxkixôv inscrive la pièce del pocta filologo con
un'immediata marca di generc. Sulla pregnanza (meta)letteraria dell'inapit & fon-
damentale G.B. Conte, Memoria dei poeti e sistema letterario, Torino 1985* (1974"), pp. 5-14, 45-64.
17.
E questa sostanzialmente la differenza tra κρήνη e πηγή che R. Ε. Wycher-
ley, art. cit., rileva dai passi dı Tucidide e Pausania che stanno per esserc ripresi
qui in esame. Ë da postulare sottesa una differenziazione tra χρήνη e πηγή nella definizione di D. P. Crouch, op. cit. p. 345, secondo cui «a natural outpouring of water (a spring) is different from the man-made architectural expression of the delivery of water to a public place (a fountain)-.
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
417
La κρήνη sorge intorno alla πηγή. La sua costruzione non comporta alcuna deminutio nella purezza o limpidezza dell'attigua
acqua sorgiva. È intesa, piuttosto, a preservarla, amplificando la sacralità
del luogo. Ettore e Achille in fuga lungo le mura rag-
iungono, in Omero, i xoovvó καλλιρρόω, là dove zampillano îe âue πηγαί dello Scamandro impetuoso". Tra le realtà significate dai due termini non si scorge, qui, differenza di sorta". Non si scorge in Cratino, per il quale al poeta, torrente in piena di versi, rimbombano le anyai di una bocca 6o6exáxgovvov", né in Apollonio, dove una χρήνη di nome IInyoí segna il destino di Ila?. In Tucidide, la κρήνη che oggi, dopo la sistemazione voluta dai tiranni, é detta Enneacruno, era chiamata un tempo, quando le πηγαί erano allo scoperto, Callirroe”. Ma non ne è mutato il ruolo. Come gli abitanti del luogo se ne servivano in passato per tà πλείστου ἄξια, cosi ancor oggi, prosegue lo storico, si fa uso della sua acqua πρό te γαμικῶν xai È ἄλλα τῶν ἱερῶν. E alla stessa Enneacruno 51 riferirà Pausania ancora come a una mmym”. La fonte Pirene a Corinto è anch'essa per Strabone, al suo stesso sgorgare πρὸς τῇ ditn τοῦ ὄρους, da dove scroscia in città, xovn*. 18. /l. 22,147-8. Il passo è riportato da A. Barigazzi, L c. (supra, nt. 13), quale esempio dell'opposizione tra la κρήνη come fontana pubblica, alimentata da un
acquedotto, e la -sorgente naturale, mmy, che contiene l'idea dello zampillare».
19. Non la scorgevano i commentatori antichi. Gli scoli al passo discettano sulla ubicazione delle sorgenti dello Scamandro senza cogliere una opposizione
tra i xgouvoi e le πηγαί nell'indicazione del poeta. Cf., anzi, sch. in X 147a.?, V p. 300.80-1 Erbse xpouvoi καλοῦνται xai ol ἀπὸ τῶν ὀρέων μετὰ ψόφου xai χρούσεως vüovtez χείμαρροι. νῦν δὲ ai τῶν πηγοῦ v ἀπόρροιαι. Come esempio di κρουνοί indi-
canti l’erompere delle acque dalla montagna lo sch. a.!, p. 300.76-7 citava 1]. 4,454, in cui χείμαρροι ποταμοὶ κατ ̓ ὄρεσφι ῥέοντες congiungono le acque provenienti xgovvov £x yeyaAov.
20.
Fr. 198.2 PCG: cf. Lyc. 247-8 κρηναῦον ?E ἄμμοιο ῤοιβδήσῃ yavos, | 3nyá c
üvolEaz.
21. 1,1221 ss. Lo stesso, incantevole teatro del ratto del giovane da parte delle Ninfe è xgnı ın Theoc. 13,39 ss. 22.
1,15,5.
23.
1,14,1. Nessuna differenza qualitativa presuppone il periegeta ın 4,31,6 par-
lando della 'Agmvón κρήνη e dell'acqua che vi scorre èx πηγῆς καλουμένης Κλεψύδρας. Con κρήνη, del resto, Pausania designa elette scaturigini come quella Cassotide sacra alle ninfe parnasie (10,24,7), oltre ovviamente alla "Inzov xaXovμένη κρήνη (2,31,9). E la Castalia, che in Clem.Al. Protr. 2,11,1, p. 10.24 StählinTreu = 19.5 Marcovich (2 Eus. PE 2.3.2), Nonn. 13,133-4 e Sozom. Hist. eccl. 5,19,10-1, p. 225.1-6 Bidez è πηγὴ, in Pi. P. 1,39a e sch. in Eur. Or. 1094, 1 p. 204.19 Schwartz &, a riprova dell'intercambiabilità dei due termini fin in età più avanzata, xornvj.
24.
8,6,21.
418
STUDI DI LETTERATURA GRECA
Di κρῆναι e πηγαί nelle dimore di Smirne, e più d’una per abitazione, parla l'iperbolica descrizione di Aristide”. Per lo ps.-Mosco, Omero e Bione furono entrambi cari a delle παγαί: l'uno beveva dalla xoáva Pegaside, l'altro da Aretusa*. Il medesimo uso scambievole dei due termini in variatio era già del resto, a quanto é dato intravedere, nel mutilo inno di Filico". Entrambi gli au-
tori, evidentemente, li consideravano sinonimici. E l'interpretazione che confluirà nei lessici. Cosi Esichio glossa la voce κρήνη: πηγή". Suida, insieme ad altri lessicografi, propone per κρήνη la medesima glossa e fornisce, in più, una (par)etimologia — κάρα, καρήνη, χρήνη. κορυφὴ yào τοῦ ῥεύματος κιτλ. — che non lascia adito a dubbi sul fatto che con il lemma era intesa la prima scaturigine e tutt'altro che la conduttura forzata, l''acquedotto'^. Neanche la circostanza in cui sulla scaturigine intervenisse la mano dell'uomo comportava che il nuovo assetto assumesse d'ufficio una denominazione di χρήνη in contrasto con una, pristina, di πηγή. Il funzionario adibito alla sovrintendenza delle fonti figura infatti indifferentemente designato come ἐπιμηλητὴς tàv κρηνῶν o πηγῆς o ὑδάτων". Quanto, infine, al grado di purezza
25.
Or. 15,232, 1 p. 376.3 Dind. = 17.11, II p. 4.17 Keil.
26.
[Mosch.] 3 (Epit. Bion.). 76-7, su cui M. Paschalis, γλθχερὸν στόμα: Erotic Homer in the Lament for Bion, «MD» 34, 1995, pp. 181, 183. A πηγή. πῖδαξ. χρήνη. χρουνηδόν come simboli del pianto ricorre indifferentemente Nonno. Cf. D. Gigli Piccardi, Metafora e poetica in Nonno di Panopoli, Firenze 1985, pp. 86-7.
27.
H. in Cer. (?), SH fr. 680.39-41.
28.
K 4068.
29. K 2393, III p. 186.22-3 Adler: cf. EM 537.43-4 Gaisf. κρήνη: À πηγή. Παρὰ xó déw ῥήνη. rai κρήνη; Et.Gud. 345.60-346.1 Sturz κρήνη [...] ἀπὸ τοῦ xágav xai xoρυφὴν εἶναι τοῦ δεύματος. Koovvoc è chiaramente lo sbocco della mm in Nonn. 48.936-7. Per la possibilità di una effettiva parentela tra χρήνη e l'etimo di 'testa' (*xov-, cf. Hsch. K 3944 κράνα ̓ χεφαλή), già nel Passow s. v. χρήνη ma scartata da
É. Boisacq, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Heidelberg 1950*, p. 515 nt. 2 s. v. κρήνη, cf. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, Paris 1968, pp. 582 s. v. xonw e 587-8 s. v. κρουνός; J.
Knobloch, Die Quelle im Griechischen, «Glotta» 56, 1978, pp. 49-50. Tale parentela, di fatto, è attestata in più idiomi indoeuropei. Cf. P. H. Ilievski, Mycenaean ka-ra-na-ko, «St. Mic. Eg.-Anatol.» 20, 1979, pp. 164-5; F. Jelojeva, L'étymologie
du grec xoijn, in Aa. Vv., Études balkaniques antiques. La région des Carpathes εἰ des Balkans d'un point de vue diachronique, Matériels prélimin. à un Coll. internat, éd. par S. B. Bern&tein εἰ al., Moskva 1984, pp. 12-3.
30.
Sulle funzioni del magistrato è elucidante /G Il? 338.11-24. Altre attesta-
zioni di un ἐπιμηλητῆς tóv xonvóv vel sim. in L.-S.-J. s. v. κρήνη. Mal si fa affidamento, a partire da R. E. Wycherley, art. cit. p. 2, su tale titolazione come prova del carattere pubblico della χρήνη nello specifico del termine. In C/G 4502.2-3 il
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
419
delle acque, la perfetta equivalenza qualitativa tra la κρήνη e la πηγή anche sul piano simbolico è sancita in modo emblematico nella casistica dı Artemidoro: xmyai d& xai κρῆναι xai πίδακες ὕδατι καθαρῷ πλημμυροῦσαι ἀγαθαὶ πᾶσι μὲν ἐπίσης"". L'oniromante, con
l’intento di dispiegare per intero il ventaglio delle designazioni greche di ‘(pura) fonte’, apporta alla presente analisi un sinonimo, πῖδαξ, che non mancherà di rivelarsi significativo.
È ben difficile, alla luce di tutto ciò, che Callimaco abbia inteso motivare la sua rinunzia al popolaresco bere àrò κρήνης ın vista di una piü originaria, nobile fonte di abbeveramento - una πηγή. Nella sua espressione, xofjvn & ben lungi dall'essere terminus technicus* designante la fontana di piazza come fonte d'acqua scadente, in opposizione a quella, pura, della πηγή Il termine χρήνη non ha mai, per lo meno in ambito letterario, questo valore. Indica invece, spesso, la stessa scaturigine. Vale, al di fuori del contesto architettonico, come sinonimo di πηγή". Per la πηγή, anzi, fa da tramite alla venerazione. Nell'7liade, si ha la κρήνη μελάνυδρος, ñ te κατ ̓ αἰγίλυτος πέτρης δνοφερὸν χέει 06o9". La sua acqua, dunque, sgorga direttamente dalla roccia, di cui serba gli scuri riflessi, e in luogo scosceso, di
titolo suona ἐπιμηλητὴς "Eqxac πηγῆς. Attestazioni di un ἐπιμηλητῆς o ἐπιστάτης
ὕδατος ο ὑδάτων in RE VI.1 (1907) coll. 163-4 s. v. ἐπιμηληταί. E significativo che nel neogreco, dove χρήνη e πηγὴ sopravvivono entrambi, il termine ristrettosi al
linguaggio aulico sia il primo, non a caso quello glossato con l'altro nei lessici bizantini citati supra, ntt. 28-9. 31.
2,27, p. 150.3-4 Pack. Cf. 1,64, p. 70.13-5 ἀγαθὸν dé xai &v πηγαῖς xai èv λίμ-
vang καὶ &v κρήναις xui ?v ποταμοῖς καθαρὸν xui διειδὲς ἔχουσιν ὕδωρ λούεσθαι.
32.
Cosi in P. Krafft, art. cit. p. 18, ripreso ἀ E. R. Schwinge, art. cit. p. 102 nt.
4.
33.
Neanche sussistono elementi per affermare nello specifico, con A. Bari-
gazzi, art. cit. p. 186, che nell'epigramma, rispetto alla chiusa dell’Inno ad Apollo,
«ricompaiono le contrapposizioni fra l’acqua di sorgente e la fontana pubblica», per quanto, come si vedrà infra, pp. 15 ss. il parallelo tra i due contesti sia senz’altro da recuperare. 34.
Non a caso, in LfgrE πηγὴ compare s. v. κρήνη, insieme a πῖδαξ, tra i termini del Wortfeld. Malgrado il tentativo di R. E. Wycherley, art. cit., recepito in L.-S.J. Suppl. s. v. anyñ, la più ragionevole differenziazione tra xorjvn e πηγή resta ancora, anche alla luce dei passi appena considerati come di quelli che si stanno per considerare, quella che 51 legge nell'ultima Bearbeitung del vecchio Passow (1I.1,
Leipzig 1852* (Nachdr. Darmstadt 1993], p. 905 s. v. πηγή), secondo cui «πηγή cig(entlich) Quelle eines daraus entspringenden Flusses ist u(nd) daher in übertragener B(e)d(eu)t(un)g nur in Bezug auf etw(as) daraus Entstehendes gesetzt wird; χρήνη dagegen, ohne Beziehung auf etw(as) daraus Hervorgehendes, jedes hervorquellende Wasser bedeutet: ein Spring». 35.
9,14-5 = 16,3-4.
420
STUDI DI LETTERATURA GRECA
non facile portata. La ricorrenza in una similitudine sfrutta della κρήνη un’immagine convenzionale, che consegna al topos letterario*. Presso a una κρήνη, intorno ai suoi ἱεροὶ βωμοί, all'ombra di una graziosa πλατάνιστος, là donde óéev ἀγλαὸν ὕδωρ, gli Achei sacrificavano agl'immortali perfette ecatombi per ingraziarsi la partenza da Aulide". La sacralità della κρήνη, il locæs amoenus di cui si contorna, trovano qui archetipica sanzione”. Se ne rammenterà Platone, nel tratteggiare il paesaggio presso il βωμός di
Borea, nel luogo del ἱερόν defie Ninfe e di Acheloo, dove πηγὴ xa-
ριεστάτη ÖNO τῆς πλατάνου ῥεῖ μάλα ψυχροῦ tôatoc”. La πηγή di Platone è la κρήνη ἀϊ Omero. Tra i due referenti semantici non esiste opposizione qualitativa".
La presenza della κρήνη diventa piü diffusa nell'Odissea, dove 51 hanno i primi accenni alla sua realtà urbana, senza peró che l'immagine pura e santa ne sia, nel complesso, inflazionata. Da κρῆναι, da ἄλση, da ἱεροὶ xotauoi provengono le ninfe ancelle di Circe''; e κρηναῖαι sono in genere le Ninfe, figlie di Zeus". Quat-
36. La κρήνη μελάνυδρος ricorre ancora nell'//liade, Gleichnis, in 16,160 e 21,257. Torna nell'Odissea, 20,158, in Teognide, 1,959. Altri epiteti omerici della κρήνη 10,107) e καλλίριργοος (Od. 17,206; b.Hom. 3,300, 376):
sempre in contesto di negli /nni omeria, 19,20, sono καλλιρέεθρος (Od. quest'ultimo è associato
alla πηγή in A. Pers. 201-2. 37.
2,305-7.
38. Cf. W. Elliger, Die Darstellung der Landschaft in der griechischen Dichtung, Berlin-New York 1975, p. 289, e in generale, sul motivo letterario del locws amoenus nelle letterature classiche ς medioevali, E. R. Curtius, Ewropáische Lite-
ratur und lateinisches Mittelalter, Bern 1954* (1948!), trad. di A. Luzzatto e M. Candela Letteratura europca e Medio Evo latino, a c. di R. Antonelli, Firenze 1995, pp. 207-26; G. Schónbeck, Der locus amoenus von Homer bis Horaz, Diss. Heidelberg 1962; M. Fantuzzi, // paesaggio greco dall'epica alla bucolica, in Paesaggio. Immagine e realtà, Milano 1981, pp. 43-5. 39.
Phdr. 229a1-230c5.
40. Lo confermano, in Platone, altri due celebri passi. In Lg. 1v, 719c3-5, assiso sul tripode della Musa, il poeta, οἷον κρήνη, riversa, prontamente, τὸ ἐπιόν. Qui, in
un registro non meno altamente poetico che nel passo del Fedro - ıl discorso sı immagina pronunziato da un poeta —, χρήνη è scaturigine prima c immediata. E tale è nell'altrettanto poetico contesto di /on 534a7-b2, in cui i poeti affermano di cogliere i loro canti ἀπὸ κρηνῶν μελιρρύτων éx Movoüv κήπων uvüv καὶ ναπῶν.
Qui, il locus amoenus della κρήνη supera per incanto quello della πηγὴ del Fedro. 41.
10,350-1.
42.
17,240. Cf. A. fr. 168.2 N.! = 168.16 TrGF; [Mosch.] 3 (Epit. Bion.). 29; IG 1?
874-5 e 11° 4650-6 su cui M. P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, 1: Die Religion Griechenlands bis auf die griechische Weltherrschaft, München 1967* (1941'), p. 247; CIG 6293.1 = App.Anth. Η 271.1 Cougny. In //. 20,8-9 le
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
421
tro κρῆναι scorrono ὕδατι λευκῷ nell'incantevole isola della ninfa Calipso". Nel bosco sacro ad Atena, nell'isola dei Feaci, ha sede una κρήνη". Due χρῆναι 51 trovano nel meraviglioso giardino di Alcinoo, da una delle quali ὑδρεύοντο πολῖται: un venerato βωμός delle Ninfe sovrasta, in Itaca, la κρήνη καλλίροος alle cui gelide acque ὑδρεύοντο πολῖται'". Nella fertilissima terra dei Ciclopi &, in una spelonca, una κρήνη, da cui scorre ἀγλαὸν ὕδωρ“". Ma κρήνη è anche quella associata alla ἀγυιή, quella dove è possibile ξυμβάλλεσθαι con una fanciulla". Cosi, nell'Esiodo della Teogonia, περὶ κρήνην ἰοειδέα, presso la Ἵππου xgf|jvm danzano le Muse: ma la χρήνη a portata d'uomo delle Opere, nondimeno, è ai£vaoc, ἀπόρρυτος e ἀθόλωτος; li, è divieto dı οὐρεῖν".
Difficilmente per la κρήνη da cui nega di bere Callimaco puó rimandare tout court a quest'ultima troppo umana, a quella dell'Odissea cui si approvvigionano i cittadini feaci o itacesi, luogo d'incontro tra pretendenti, come a una fonte, perché popolare, di beveraggio, rispetto ad altre, qualitativamente inferiore. Non esiste, ἔγ 1 Greci, differenza di sorta nella valutazione di questa o di altra, più appartata fonte. Per i Greci c'é una sola χρήνη, ed è luogo puro, venerato e intatto, che si trovi nella pubblica piazza o nella sacra radura. La peste, in Tucidide, divampò dal Pireo, dai veleni, 51 disse, che 1 Peloponnesi versarono nei φρέατα, poiché non v'erano ancora χρῆναι laggiü". La χρήνη &, dunque, incontaminabile e, nella città, è tipica dell'acropoli, più che dei bassi o dell'agorà*. L'Ippocrene trezenia, l'Enneacruno, la Clessidra, l'Asclepieo, Aretusa, le sacre fonti di Tebe o Priene sono emble-
Ninfe abitano ἄλσει ς πηγαί, e in E. Rh. 929 e Orph. fr. 353.1 Kern sono πηγεῖαι.
La sinonimia tra κρήνη ς mrm ricopre l'intero spettro dei significanti. 43.
5,70.
44.
6,292.
45.
7,129-31; 17,205-11.
46.
9,140-1.
47.
15,440-2. Il topos delle fanciulle che sı recano ad attingere acqua alla χρήνῃ è
anche in 10,105-8 e 20,158. Supporto iconografico in D. P. Crouch, op. cit. p. 310.
48.
Cf. Th. 1-8; Op. 595, 758. Sul riuso callimacheo dell'immagine della Teogo-
nıa in hy. 5,170-1, in cui le Ninfe danzano ἀγχόθι anvyamv, cf. A. Kambylis, Die
Dichterweibe und ibre Symbolik. Untersuchungen zu Hesiodos, Kallimachos, Properz und Ennius, Heidelberg 1965, p. 41. 49.
2,48,2.
50.
Sulla «well-watered acropolis at Athens=, D. P. Crouch, op. cit. pp. 255-80. Richter, op. cit. pp.
Sulla χρήνη elemento palaziale della città omerica, W. 31-2.
422
STUDI DI LETTERATURA GRECA
matici esempi di κρῆναι venerate all'interno del perimetro urbano. La κρήνη, dovunque essa sı trovi, è simbolo sacro di vita. Attraverso essa la divinità concede all'uomo il soddisfacimento
della sua necessità primordiale". E più che significativo il fatto che intorno a una κρήνη sia sorta la città natale di Callimaco, che da quella ebbe nome*: il poeta stesso ne fa menzione*. Cosi, la κρήνη della superstite opera callimachea non è altra da quella
della più antica e nobile tradizione poetica che la ha preceduta. E quella che manda Xevxóv tôwe*. E quella, veneranda, di Radamanto*. Sono le fonti Cidalia e Argafia, dove si detergono, rincorrendosi, le Cariti*. Sono, ancora, le cento χρῆναι, cui 51 mescola quella di Europa”. Né mancano, nella κρήνη di Callimaco,
connotazioni care alla tradizionale simbologia poetica. E il caso delle κρῆναι mantiche del Didimeo apollineo, cui è prossimo il
51. Sul significato sacrale del bere e il gran numero dı fonti ritenute comunemente miracolose dai Greci, cf. M. P. Nilsson, Geschichte... 1 cit., pp. 103, 236; II:
Die bellenistische und rómische Zeit, München 1961* (1950'), p. 238; R. Flacelière, La vie quotidienne en Gréce au siècle de Péricles, trad. di M. G. Meriggi La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, Milano 1983, pp. 20, 246. In particolare, su «die Quellenverehrung in der hellenistischen Zeit», A. Kambylis, op. cit. pp. 111-2.
52.
Ë la
̓Απόλλωνος κρήνη intorno a cui in Hdt. 4,158,3 si costitui la colonia di
Cirene e che in Pi. P. 4.294 sta metonimicamente per l'intera città. Su ció R. W. Macan, Herodotus. The Fourth, Fifth, and Sixth Books, with Introd. etc. by R. W. M., l, London-New York 1895 (Repr. New York 1973), p. 112; RE XIII.1 (1924)
col. 156 s. v. Kyrene; P. Giannini in Aa. Vv., Pindaro. Le Pitiche, introd., testo crit. e trad. di B. Gentili, comm. a c. di Aa. Vv., Milano 1995, p. 509. La fonte, detta anche Κύρη dal nome della ninfa amata da Apollo, & eponima di Cirene in Ov. Ib. 539 (ex coni.), Choerob. in Eph. 515g, 11 p. 42.7-8 Hilgard; St.Byz. s.v. Κυρήνη, p. 396.17-8 Mein.; AB p. 1173.
53. Hy. 5,88: sul pun etimologico cf. F. Williams, Callimachus. Hymn to Apollo. A Commentary, by F. W., Oxford 1978, p. 77. 54.
Fr. inc. sed. 546. Nell'identica formula in enjambement Nonn. 16,370-1 ha
πηγή.
55.
Aet. n, fr. 43.90.
56.
Frr. inc. δυςῖ. 751, 740. L''Aoyaqia è κρήνη ancora in Alciphr. 1,11,3, p. 13.14
Schepers. Sul culto delle Cariti presso le fonti orcomenie Argafia e Cidalia tesumoniato nei due frammenti callimachei cf. R. M. Rosado Fernandes, O tema das Gragas na poesia clássica, Paris-Lisboa 1962, p. 268.
57. Fr. inc. sed. 630: per l'interpretazione di Europa come fonte, cf. l'app. ad loc. (1 p. 426 Pf.); per la Εὐρωπία xoáva, Pi. Pae. fr. 70.2 Maehler.
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
423
sacro alloro'*; della ἵππω κράνα eliconide καλὰ ó£owa, lavacro di Pallade e Caricló, di esiodea memoria*. Né il registro epigrammatico, quello di un genere quotidiano, deve lasciar pensare che altra possa essere la χρήνη del suo codice. Risale al primo ellenismo, e ad ambiente più che mai prossimo a Callimaco, il cospicuo epigramma, inserito in un'antologia scolastica, che celebra l'omaggio di un maestoso ninfeo, in Alessandria, alla regina Arsinoe*. Li, ora κρήνη ora πηγή designano l'austa sorgente"'. Fra gli epigrammi ecfrastici del ıx libro della Paatina, poi, fa sovente la sua comparsa la χρήνη. Identici a quelli finora emersi ne sono, presso autori che abbracciano un ampio
arco di tempo, i caratteri. E sacra, come quella Asopide, Pegaside o Eliconide, è luogo popolato da Ninfe, associato ad Ermes, a
Cipride, al sacro alForo“. a sua acqua è ἔνθεον, ψυχρόν e ἀχραές",
essa stessa & εὔυδρος e καθαρή: attributo quest'ultimo che qualifica, in identico contesto, la πηγῆ, a conferma della sinonimia letteraria tra i termini*. Della xióaE è fatta chiaramente sinonimo, da non confondersi con il Bakaveïov*. Al di fuori del ıx libro,
58. Lyr. fr. 229.11, sul cui valore simbolico dell'acqua iniziatrice di vati in rapporto a Aet. 1, fr. 2.1 cf. E. Livrea, Callimaco, fr. 114 Pf., il Somnium ed il prologo degli ‘Aitia’, «Hermes» 123, 1995, p. 50 = Da Callimaco a Nonno. Diea studi di poesia ellenistica, Messina-Firenze 1995, p. 12. La duplice fonte & κρήνη in St.Byz. $. V. Δίδυμα, p. 229.21 Mein. (ex codd. AV).
59. Hy. 5,71-2, 77; Aet. ı, fr. 2.1: sulla funzione programmatica della fonte nel Somnium diffusamente L. Torraca, /l prologo dei Telchini e l'inizio degli Aitia dı
Callimaco, Napoli 1973* (1969'), pp. 81-99. 60. PCair 65445, linn. 140-54 = GLP 105(a) = adesp. pap., fr. 978 SH (donde si citerà): per una convincente interpretazione della pièce, probabilmente incisa sullo stesso monumento che consacrava, e un suo dotto inquadramento storicoletterario, cf. G. Ronchi, // papiro cairense 65445 (vv. 140-154) e l'obelisco di Arsinoe 11, «St. Class. Or.» 17, 1968, pp. 56-75; per i caratteri e ı contenuti dell'antologia in cui era accolto, O. Guéraud - P. Jouguet, Un livre d'écolier du III" siècle avant J.-C., éd. par O. G. εἰ P. J., Le Caire 1938.
61.
10; 14. É da rilevare che la scaturigine è immediata (5 λ]ευχὴν ἐκποδίσας στα-
yóva), se l'addendum lexicis txnoditw è da collegarsi all'atto di far sgorgare l'ac-
qua dal suolo 'con un calcio' (ἐκ xo&óc, su cui A. S. F. Gow, Tbeocnritus, Ed. with a Transl. and Comm. by A. S. F. G., II: Commentary, etc, Cambridge 1950, p. 134), e che a solennizzarla sono invitate le Κρηνιάδες (15). 62. Cf. 225.1, 230.2 (Honest.); 64.3-5 (Asclep. vel Arch.); 257.1-2 (Apollonid.); 314 (Anyt.); 326.3 (Leon.); 330.1 (Nicarch.); 333.2-3 (Mnasalc.); 684 (Anon.). 63.
Cf. 64.5 (Asclep. vel Arch.); 314.4 (Anyt.).
64. Cf. 257.1-2 (Apollonid.); 330.1 (Nicarch.); 374 (Anon.). Con varie coppie sinonimiche, fra cui χράνα e xayà, Anite dà segno di impiegare «jeweils eine andere Bezeichnung für die gleiche Sache» per W. Elliger, op. cit., p. 378. 65.
Cf. 315.2-3 (Nic.); 617.1-2 (Anon.).
424
STUDI DI LETTERATURA GRECA
l'immagine della κρήνη non è differente. E ἱερή e ἰθαρά“, appannaggio di Ninfe", luogo di ritrovo per le Cariti*. In Antipatro, poi, figura meglio della stessa πηγή: dalle πηγαί dell'Elicone sgorgó per Esiodo ὕδωρ εὐεπές, ma lui, il poeta vinosus, vorrà
bere κρήνης ἐξ ἀμεριμνοτέρης".. Callimaco dunque, di fronte a tale tradizione letteraria, non puó indicare, con la sua κρήνη toxt coxrt, la ‘fontana di piazza'; né disdegna la κρήνη per rivolgersi a una πηγή ovvero a un'altra, esclusiva κρήνη. Qualunque κρήνη o πηγή, anche la più isolata, è luogo potenzialmente pubblico, sicura garanzia di sopravvivenza alla comunità urbana”, ambito ristoro, lungo il cammino, ai viandanti”', frequente mèta, tra i boschi, di offerte e sacrifici”. Il rifiuto del poeta, invece, é categorico: οὐδ ̓ ἀπὸ κρήνης xivo. La giuntura, priva com'é di qualsiasi determinante, assolutizza l'enunciato. Per coglierne il valore è opportuno qualche ulteriore passo nel (meta)letterario. uso" portare a confronto con la dichiarazione callimachea, come il piü stretto locus parallelus, due distici della Silloge di Teognide”:
66.
Cf. xi 20.4 (Antip.Thess.); xv 22.6 (Simm.).
67.
vı 55.2 (Alc.Mess.): per xenvis = xoñvn cf. Suid. K 2394, 111 p. 186.24 Adler;
L.-S.-J. s. v. κρηνίς. 68.
vm 129.1 (Greg.Naz.).
69. χι 24. Per significare la fonte di vino, Euripide ricorre ora a χρήνη (Ba. 706: cf. Ath. 11 45c, I p. 105.12 Kaibel) ora a πηγή (Cyc. 496). Stessa alternanza per la
fonte di latte, che & κρήνη in Pi. Parth. fr. 104b.2 Maehler, πηγήὴ in S. EL 895 e PI. Mx. 237e5. In lyr. adesp., fr. 37.10-1 Powell si hanno κρῆναι di miele, latte, vino, unguento.
70. Non a caso, come considera D. P. Crouch, op. cit. p. 166, «the Greeks had learned to locate water sources and to place their settlements nearby». In generale, sulla funzione vitale della χρήνη per la polis, cf. F. Glaser, Antike Brunnenbauten (xpñvai) in Griechenland, Diss. Wien 1976, pp. 322-38; M. P. J. Dillon, The Importance of the Water Supply at Athens: The Role of the &uyrAnri) riv xonvvv, «Hermes» 124, 1996, pp. 193-6.
71. In Ar. Ra. 113, κρῆναι sono tra i necessari items di una mappa di viaggio. Cf., per numerosi esempi in cui la κρήνη assolve a una tale funzione, fra gli epigrammi della Palatina citati supra, ntt. 62-9. 72.
Topica la scena del Dyskolos menandreo, la 'disgrazia continua’ rappresen-
tata, per Cnemone, dal sacello delle Ninfe (442-7): la presenza in sito della fonte sı deduce dalle χέρνιβες (440), dal νᾶμα Νυμφὼῶν (947). 73.
Sin da R. Reitzenstein, Epigramm und Skolion. Ein Beitrag zur Geschichte
der alexandrinischen Dichtung, Giessen 1893 (repr. 1970), p. 69. 74.
1,959-62. Il testo è citato secondo B. A. van Groningen, Theognis. Le pre-
mier livre, éd. avec un comm., Amsterdam 1966, p. 363.
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
425
ἔστε μὲν αὐτὸς ἔπινον ἀπὸ χρήνης μελανύδρον. ἡδύ ti μοι ἐδόκει καὶ καλὸν ἔμμεν ὕδωρ ̓ νῦν è& Hön τεθόλωται. ὕδωρ Ö° ἀναμίσγεται ὕλει ̓
ἄλλης δὴ χρήνης πίομαι fj ποταμοῦ.
Si τεπάς a vedere, nell’immagine teogmdea‚ una metafora erotica”. Comunque sia, il passo può far progredire di qualche
Frado linterpretazione sin qui proposta. Teognide non dlsdegna a κρήνη. Beve alla κρήνη, non alla πηγή. Non respinge la κρήνη, una volta da altrui intorbidata, in favore di una più immacolata πηγή. Si volge a un’altra κρήνη: è disposto a indirizzarsi finanche a un ποταμός. Non fa conto, dunque, della purezza o della esclusività del suo dissetarsi". Ciò lascia intendere che il suo rifuggire dalla prima fonte voglia soltanto scansare co-utenti precisi. Questi non possono essere che plebei,i xaxoi. Avversari politici, parvenus al rango sociale del poeta. Callimaco, se mai ebbe presente il modello”, intese superarlo. Egli non cambia κρήνη, non corre rischio di dover condividere anche la nuova con altri. Rinunzia
in assoluto a bere ἀπὸ κρήνης. Ε questa la principale ragione per cui è da escludere, nella sua xofjvn, una piena sovrapposizione con quella teognidea". Cosa rappresenta insomma, in Callimaco, non bere ἀπὸ
xorivnc? Ancfie nel contesto urbano, che è quello in cui egli opera 75.
Cf. B. A. van Groningen, op. cit. p. 364. Di fatto, i paralleli apportati sono
assai tardi o di contesto distante: Eronda, l’Antologia Palatina, i Settanta.
76.
E senz'altro da accogliere, per l’ultimo verso, l'interpretazione che, ripren-
dendola da A. W. Gomme, dà B. A. van Groningen, op. cit. p. 364, secondo la
quale «κρήνη est la source d'cau pure [...], ποταμός est le fleuve où tout le monde va boire la méme eau souillée». 77.
Ne dubita anche A. Barigazzi, art. cit. p. 188.
78.
Nei paralleli in cui l'immagine del bere è traslata sul piano erotico, la meta-
fora impiega «die Vorstellung der κύλιξ, des ποταμός oder der κρήνη in allgemeinem Sinn und für den ἔρως schlechtin>, e ció comporterebbe, nell'epigramma, rinuncia assoluta del poeta all'amore: cf., per questa e altre ragioni contrarie all'ipotesi di intendere in senso erotico la κρήνη di Callimaco, P. Krafft, art. cit. pp. 18-22: è estremamente significativo che già B. A. van Groningen, op. cit. p. 364, osservasse al passo teognideo, pur nel leggervi la metafora erotica, che «Callimaque, Epigr. 28, 3 s., οὐδ ̓ ἀπὸ κρήνης nivo, a le goüt encore plus raffiné; aussi bien il n'y songe pas à l'amour, mais à la poésie». Contrari all'ipotesi della metafora erotica nell'áàxoó κρήνης πίνειν dell’ep. 28 anche Q. Cataudella, «Maia» n. s. 19, 1967, p. 356 = [ntorno ai lirici greci.. cit., p. 210; E. R. Schwinge, art. cit. p. 102
nt. 4; U. Hübner, art. cit. p. 225. Di fatto, essa è da escludere solo nella misura in cui la si equipari a quella - eventuale - di Teognide. La possibile metafora erotica nella κρήνη di Callimaco è portatrice, senz’altro, di significati più complessi.
426
STUDI DI LETTERATURA GRECA
e in cui si svolge la sua vicenda con l’eromeno”, la κρήνη &, ri-
spetto ad altre Fonti di approvvigionamento idrico, l’ideale per il fabbisogno dell'individuo*. Difficilmente l'aristocratico poeta si sarà privato, pur di evitare il contatto col pubblico, deïl?acqua della κρήνη per rivolgersi a quella del τός della via". Callimaco beve acqua
qoéao del cortile, dell'óxedi κρήνη: ma non alla
κρήνη. E verosimilmente ad un uso idiomatico" che è da ricondurre il significato dell'espressione ἀπὸ κρήνης nivew: bere di
per-
sona, direttamente dalla xofjvn*?. Equivale all'italiano ‘gerc
alla bottiglia”, ‘alla fontana’, al boccaccesco 'ad Arno'. Cosa comporta recarsi a bere ἀπὸ κρήνης si indovina dai vividi tocchi di Aristofane. La Corifea della Lisistrata rievoca la sua esperienza mattutina, ἐμπλησαμένη τὴν ὑδρίαν xveqaia | μόλις ἀπὸ κρήνης ὑπ ̓ ὄχλου xai θορύβου xai πατάγου χυτρείου, fra δοῦλαι e
στιγματῖαι (328-34). Promiscuità, ressa". E la situazione che si ripete nell'7nno V, ın cui Callimaco rimanda ὑδροφόροι e δῶλαι di
79.
Per l'ipotesi, già di G. Luck, secondo cui la dichiarazione di Callimaco a
Lysanies riverberata dall'eco ha origine dalla lettura di un graffito murario - ti-
pica situazione cittadina —, cf. A. Allen, art. cit. p. 211 nt. 1. 80. «The fresh-flowing water of the fountain was preferred for drinking, both for its limestone and for its purity, whereas water from the domestic cistern was used for activities in which its rather flat taste was irrelevant» (D. P. Crouch, op.
cit. p. 284). Ε φέρτατον lo ὕδωρ che scorre àrò κρανᾶν per Pi. Parth. fr. 104b.2 Maehler.
81.
Sia pur nel contesto di tutt’affatto differente interpretazione, un'analoga
considerazione esprimeva già E. Kornemann, art. cit. col. 893, secondo cui Callimaco non puó rinunziare di bere alla fonte «nur deshalb, weil auch der δῆμος davon trinkt; woher will er besseres Wasser nehmen?». Φρέαρ e ὀχετός possono corrispondere a «wellhead» € «drain» nella nomenclatura tecnica di D. P. Crouch, op. cit. pp. 345-6. 82.
Nessi preposizionali con àrò cedono volentieri ad essere impiegati formel-
baft. Esempi (à. τοῦ αὐτομάτου, &. σπουδῆς. è. στόματος etc, cui pud aggiungersi à. xowob) ın Schwyz.-Debr., II p. 447. «Half adverbial usages» registra anche L.-S.J. s. v. ἀπό, sez. 6. Che l'ep. 28 non manchi di colloquialismi mostra K. J. McKay,
Callimachus, A. P. xii. 43 (Ep. 28 Pf., 11 G.-P.), «Class. Rev.» 83, 1969, p. 143.
83. Con πίνειν. ἀπό esprime, con o senza oggetto espresso, il contatto diretto e fisico con ció da cui 51 beve, sia esso recipiente o fonte stessa. Cosi in IL 16,226 niveoxev ἀπ ̓ αὐτοῦ [sc. δέπαος] αἴθοπα olvov e X. Cyr. 4,5,4 meiv ἀπὸ τοῦ προρρέον-
τος ποταμοῦ. Per l'ánó xentñoos ἀφύσσειν, il contatto immediato che pure significa, cf. IL 1,598, 3,295, 10,578. 84.
Le vecchie del coro «emphasize the roughness of the competition at the
well» per J. Henderson, Aristophanes. Lysistrata, Ed. with Introd. and Comm. by
J. H., Oxford 1987, p. 110. Una situazione simile si immagina in Pi. Parth. fr. 104b Maehler, in cui gli abitanti dei dintorni del Galassio, ἐσσύμενοι, empiono 1 recipienti di latte che fluiva dalle greggi ὡς ἀπὸ xgavàv.
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
427
Argo ad attingere ἀπὸ xoavàv*. In questo senso, dunque, è da intendersi il rifiuto di bere ἀπὸ κρήνης espresso dall'ep. 28: nel disprezzo non della χρήνη ın sé e della sua acqua, ma soltanto del confronto con vile plebaglia che consegue al dissetarsi in locofosse pur questo l'acropoli*. Il poeta non vorrà recarsi sul posto, nell’affollato luogo della κρήνη, per bere della sua acqua direttamente, ἀπὸ κρήνης: quella stessa, pura acqua berrà, ma nel suo rivato, dalla piccola kylix, attingendo, evidentemente, dall'anora che gli sarà stata recata". Questo, con ogni probabilità, il significato immediato, nella sua semplice lettera, cui rimanda l'o$8' ànó κρήνης πίνω dell'ep. 28. Con un diniego cosi inteso, il disgusto del poeta per návto tà
δημόσια & assolto, senza danno per 1l suo pagto fine. Ma dalla
consumata allusività del Callimaco epigrammista è lecito attendersi, nella dichiarazione, un senso più profondo. Per meglio afferrarlo, è opportuno soffermarsi ancora un momento sul significato che doveva avere, per i Greci, il fatto di πίνειν ἀπὸ Ἀρῆνῃης.
La civiltà della domestica acqua corrente necessita di un attimo di riflessione per capire la situazione dell’uomo antico. Solone fu costretto ad emanare un decreto in base al quale si vietava di scavare più d’un pozzo per ciascun distretto e, coloro che non fossero riusciti a raggiungere la falda acquifera nel proprio, avrebbero potuto attingere da quello vicino, recandovisi due volte al giorno, non più di una ὑδρία di sei congi per volta, così da venire incontro alla ἀπορία ε, a un tempo, da non incoraggiare l’àgyia". Limitata, dunque, e sudata l’acqua di cui è possibile godere nella
propria casa. (La κρήνη, invece, è xÀnuuvootoa". Quando dalle
greggi del Galassio, all’epifania di Apollo, scroscid latte &ç ἀπὸ
85.
45-8.
86. La scena di calca descritta nella Lisistrata sı svolge, ın effetti, ın una χρήνη dell'acropoli, l'Enneacruno o Callirroe o, piü difficilmente, la Clessidra. Cf. J. Henderson, op. cit. pp. 109-10. 87.
Conforta una simile deduzione il fatto che, fra i motivi che accomunano gli
oggetti del rifiuto di Callimaco, e l'idea del movimento 'ciclico' che comportano:
essa è insita nel poema κυκλικός, nella strada che porta ὧδε xai ὧδε, nell'amante περίφοιτος ε, per ció che riguarda l'ánó κρήνης πίνειν, nel fare giornalmente la spola sul posto-spesso, anche in contesto urbano, fuori dello stretto abitato. 88. Plu. Sol. 23,6, 91c-d, su cui F. Glaser, op. cit. pp. 328-9 e M. P. J. Dillon, art. cit. p. 193; in generale, sulla povertà idrica del territorio ellenico e i conseguenti problemi nella vita urbana e domestica, R. Flacelière, op. cit. pp. 20, 31, 246. Le
cose non andavano certo meglio sul suolo egizio, dove anzi per dirimere le con-
troversie era istituito un tribunale apposito. Cf. R. J. Forbes, Studies in Anaent Technology, 11, Leiden 1955, pp. 23-4. 89.
Artem. 2,27, p. 150.3-4 Pack; da 1,64, p. 70.13-5 risulta che in κρῆναι è possi-
428
STUDI DI LETTERATURA GRECA
κρανᾶν, gli abitanti del luogo 51 accalcarono per colmare ogni recipiente”. Con πίνετ ̓ ἀπὸ κρανᾶν Callimaco invita le ὑδροφόροι argive a empire le loro κάλπιδες risparmiando, per i lavacri di Pallade, l’Inaco sacro*. Ben diversa è dunque la condizione di chi ha la fortuna di πίνειν ἀπὸ κρήνης. Cosi, in Nicarco, la κράνα εὔυδρος si rivolge al suo utente: ὅσον ποθέεις ἀπὸ κράνας | xai πίε xai κοίλαν κάλπιν ἐλὼν ἄρυσαι". Non c'é limite alla bevuta ἀπὸ κρήνης. La penuria negl altri momenti della giornata presuppone, in quella occasione, lo scialo, ıl 'pieno' di prezioso liquido, ὅσον ποθέεις.
La κρήνη dell’ep. 28 è la poesia, l’inesauribile fonte dell’epos.
Nella chiusa dell'Îx ο ad Apollo, Callimaco - poeta ὑδροπότης — imposta la dichiarazione della propria poetica su un’ampia metafora delle acque. Phthonos dichiara ad Apollo di non amare il poeta che οὐδ ̓ ὅσα πόντος ἀείδει; la replica del dio distingue il ποταμός, grande e lutulento, dalla πῖδαξ ἱερή, da cui le api recano a Demetra καθαρή e ὀλίγη λιβάς (105-12). Il xóvtoc, li, &, topicamente, Omero*. Nel passo omerico che ha fatto da base, nella tradizione letteraria, ad una simile identificazione”, 51 afferma che da Oceano discendono tutti i ποταμοί e tutte le κρῆναι. Callimaco, nell'/nno, precisa la differenza tra ποταμοί e κρῆναι. La niδαξ, infatti, equivale alla κρήνη: cosi è nella tradizione letteraria
che si è consiâerata“, e cosi è nell’interpretazione di Antipatro di
bile λούεσθαι nonché νήχεσθαι. Quello della fonte inesauribile & peraltro frequente topos nella poesia alessandrina. Cf. G. Giangrande, Hellenistic Fountains and Fishermen, «Eranos» 71, 1973, pp. 68-83. 90.
Pi. Parth. fr. 104b Maehler.
91.
Hy. 5,45-8.
92.
AP 1x 331.3-4.
93.
Sul termine e il suo valore nel contesto delle correnti poetiche ellenistiche e
del fecondo motivo del simbolismo acqueo presso i poeti cf. W. Wimmel, Kallimachos in Rom. Die Nacbfolge seines apologetischen Dichtens in der Augusteerzeit, Wiesbaden 1960, p. 225; A. Kambylis, op. cit. pp. 73, 101.
94. Per i numerosi elementi che lasciano prendere quasi per certa, nell'/nno, una simile identificazione e un elenco di passi in cui questa è di fatto, nella tradizione letteraria, apertamente effettuata, cf. F. Williams, op. cit. pp. 88-9 e 98-9, cui puó aggiungersi, con E. Livrea, Ennio e le lacrime di Omero, «Riv. Filol. Istr. Class.» 118, 1990, p. 39 e nt. l, il somnium Pythagoreum della tradizione enniana. 95.
IL 21,192-7: cf. F. Williams, op. cit. pp. 87-8.
96. Artem. 2,27, p. 150.3 Pack; AP 1x 315.2-3 (Nic.); cf. LfgrE s. v. κρήνη, sez. 6. In Suid. 11 1553, 1555, IV p. 128.1-2, 4-5 Adler; EM 671.19 Gaisf.; Et.Gud. 467.12 Sturz, xibaE è glossato con mmyn: per i luoghi dei detti lessici in cui l’identica glossa & epesegetica di κρήνη v. supra, p. 6 e nt. 29; Esichio rinserra il circolo sinonimico ponendo, tra le epesegesi di πῖδαξ (Π 2249), κρήνη e πηγή insieme. Nel-
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
429
Tessalonica, che, rifacendosi, in una polemica letteraria, alla professione di poetica dell’Inno callimacheo”, ne rende il πίδακος ἐξ ἱερῆς con κρήνης ?E ἱερῆς. Callimaco dunque, distinguendo, nell’Inno, la κρήνη dal ποταμός come discendenti dal πόντος, distingue due modi di far poesia dall'epos. C'é il μέγα βιβλίον, il carmen perpetuum del ποίημα κυκλικόν, che equivale al μέγας ὁόος del xoταμός fangoso, e c'é il breve e cesellato ἐπύλλιον, corrispondente alla piccola e pura πῖδαξ, Non era dissimile l'interpretazione antica del passo”. Tutto ció, preannunziato dall’ix6aigw τὸ ποίημα τὸ κυκλικόν, Callimaco concentra nella lapidarietà epigrafica dell'oóó' ἀπὸ χρήνης nivo'?. La posizione che Callimaco dichiara di assumere di fronte alla κρήνη, escluso a fortiori il ποταμός - ıl modello teognideo è lontano —, rimanda al rapporto del poeta con quella che 51
pone come la migliore tra le dlï possibili derivazioni del πόνtoc". Se il rifiuto di bere ἀπὸ κρήνης comporta, nella lettera, la rinuncia a una bevuta copiosa e condivisa con molti, ma non la privazione della pura acqua di κρήνη, traslato sul piano della poetica, allora, diventa il rifiuto di attingere a piene mani dal materiale dell'epos, come era tipico, appunto, del diffuso e popolare ποίημα κυκλικόν, senza tuttavia rinunciare a servirsi di quel materiale. Demetra, nell'7nno, non beve direttamente dalla xibaE, ma assapora la ὀλίγη λιβάς recatale dalla lunga fatica delle api: cosi, nell'epigramma, la rinuncia a bere direttamente alla κρήνη presuppone, nel bevitore, una solitaria e parsimoniosa delibazione, frutto di previo altrui lavoro ε, dentro metafora, la paziente
l'Inno, la xibu& occupa dunque ın modo percettibile il posto che, secondo un arcaico e tradizionale nesso associativo di complementarità/opposizione col ποταpoc, spettava alla κρήνη. Per l'associazione di κρῆναι e ποταμοί cf., oltre ai già con-
siderati luoghi di Omero (//. 21,196-7; Od. 10,350-1), Teognide (1,962) e Artemi-
doro (1,64, p. 70.14 Pack): S. Ai. 862; Prodic. fr. 84 B 5, II* p. 317.20 D.-K.; ΡΙ. Phd. 112c8; SIG 1° 527.35; Alex.Aet. fr. 3.16 Powell; Et.Gud. 346.2 Sturz; nonché, nello stesso Callimaco, 5y. 5,46. 97.
Cf. A. Kambylis, op. cit. p. 101 e nt. 97; F. Williams, op. cit. p. 95.
98.
AP xi 204.
99.
Il poeta, per lo scoliaste ad loc. (I p. 53 Pf.), vi rimbeccava tovc σκώπτοντας
αὐτὸν p δύνασθαι ποιῆσιι μέγα ποίημα, ὅθεν ἠναγκάσθη ποιῆσαι τὴν
100.
̓Εχάλην.
Non è un caso che una certa «Häufung der Aussagemittel» rilevasse nell'ep.
28 W. Wimmel, op. cit. p. 59.
101. Non disturba, nello stesso autore, l’identificazione di Omero ora con ıl mare ora con la fonte. Cosi, nel Sublime, il poeta sovrano è ̓Ωκεανός (9,13) ε, anche, νᾶμα (13,3). In direzione della κρήνη di Callimaco, poi, Omero è ῥεῦμα in AP IX 184 (Anon.).3-4 (cf. la εὔροια di Luc. Dem.Enc. 2), amnis in Manilio (2.8-11) e - notevole - πηγή in Giorgio di Pisidia (Exp. Pers. 1.66), che rinvia a una definizione comune (λέγουσι).
430
STUDI DI LETTERATURA GRECA
opera di studio, selezione e tornitura della materia poetica più fine e meno abusata'”. Οὐδ ̓ ἀπὸ κρήνης πίνω, dunque δρόσον ἀείδω: con operazione analoga a quella dell’ep. 28, Callimaco, nel senile prologo degli Aitia contro 1 Telchini, esprime per sé l'istanza di una poesia sottile, elaborata, da centellinarsi goccia per goccia'”, e codifica questa sua espressione di poetica in un linguaggio denso
e pregnante'“, che continua a raccïxiudere nel segno del simboli-
smo acqueo. Οὐδ ̓ ἀπὸ κρήνης πίνω ma, altresi, ἀμάρτυρον οὐδὲν ἀείδω" : Callimaco, ancora, pone la sua attività nel solco della tradizione del grande πόντος, non come gonfio e torbido -derivato, ma come cristallino rivolo di raffinata arte'®, 102. Quella delle api nell’/nno &, di fatto, la quotidiana fatica dello ὑδροφορεῖν. Cf., per il nesso, F. Williams, op. cit. p. 94. Il poeta, come la dea, saggia il frutto di quella fatica: coglie il fior fiore di un'ampia tradizione. La poetica della &yqvπνίη, che distilla λεπταὶ ῥήσιες, Callimaco esprime in ep. 27,3-4. 103. Aet. ı, fr. 1.33: il significato del δρόσον ἀείδιυ nel senso di «,ich singe den Tau", d. h. ctwas, das klein und frisch, rein und kostbar wie der Tau ist; also: rein, kóstlich, erlesen» è ricavato, con elegante e dotta analisi, da A. Kambylis, op. cit., pp. 85-6. E immagine «vom ,kleinen Trunk‘» annotava di sfuggita dall'ep. 28 W. Wimmel, op. cit. p. 39 nt. 1.
104.
E estremamente notevole che il maestro di un simile linguaggio, Pindaro, in
O. 6,85-6 tàs [sc. Θήβας] ἐρατεινὸν ὕδωρ | πίομαι sottenda i contenuti della propria attività poetica in una metafora in tutto analoga a quella dell'epigramma callimacheo. Sui citati versi pindarici e in genere sull'associazione acqua-canto in Pindaro, cf. F. Vendruscolo, La deliziosa acqua di Tebe (Pind. O. 6, 82-87), «Eikasmos» 5, 1994, pp. 53-63; sul linguaggio metaforico di Callimaco, tendente all'ermetismo verbale attraverso la duplicità di significati insita nell'espressione, C.
Del Grande, Poesia ermetica nella Grecia antica, Napoli 1937, pp. 9-27. 105.
Fr. inc. sed. 612.
106.
Nell'/nno, non c'é disprezzo per il πόντος come non c’è mai, fra i Greci, per
il mare, esempio - allora - di purezza. Cf. F. Williams, op. cit. p. 87 ε, sulla sim-
bologia catartica dell'acqua marina, «Mittel zur Reinigung und Entsühnung* nelle pratiche cultuali, A. Kambylis, op. cit. pp. 77-8, con la conclusione che nell'/nno «das Meer ist also auch für Kallimachos ,,rein‘‘»; sui sentimenti dei Greci verso il mare, per cui è classico A. Lesky, Thalatta. Der Weg der Griechen zum Meer, Wien 1947 (Repr. New York 1973), cf. anche, ora, P. Janni, // mare degli Antichi, Bari 1996, pp. 7-294. Del debito di Callimaco verso Omero, in una lunga tradizione di studi che data da E. Scheer, Callimachus Ὁμηρικόω, Progr. Rendsburg 1866, informa in particolare H. Herter, Kallimachos und Homer. Ein Beitrag zur [nterpretation des Hymnos auf Artemis, in Aa. Vv., Xenia Bonnensia, Festschrift Bonn 1929, pp. 50-105 = H. H., Kleine Schriften, hrsgg. v. E. Vogt, München 1975, pp. 371-416, aperto dalla constatazione che «daf Kallimachos ein "Ouneuxóc xav' ἐξοχήν gewesen ist, bedarf keines Beweises». Ennio, l'alter Home-
rus, dà da bere ai mortali wersus flamrneos (Sat. i, fr. 1.6-7 V.?). Qui, «l'identificazione dell'atteggiamento poetico con l'atto del bere si adatta bene al diffuso
concetto che Omero assomigli ad una fonte» per M. von Albrecht, Geschichte
der rómischen Literatur. Von Andronicus bis Boetbius, 1, Bern-München 1994?
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
451
51 scorge dunque nell'o$8' ἀπὸ κρήνης nivo, sotto il motivo del ribrezzo per tutto ció che è volgare, anche quello, collegato e, forse, più profondo, per la inerte e grossolana prolissità: ribrezzo che Callimaco esprime, ancora nell’immagine metaforica del bere, anche in relazione al vino, contrapponendo alla trace χανδὴ
ἄμυστις l'óMiyov κισσύβιον dell'uomo di Ico'”. E, in poetica, il rifiuto per 1l μέγα βιβλίον e il παχὺ γράμμα xai 00 τορόν, ben rappresentati dal ποίημα κυκλικόν, cui il poeta ὀλιγόστιχος oppone il suo ideale del xaxà λεπτόν, la sua Musa λεπταλέη . Il fastidio per il ‘molto’ è effettivo coefficiente che cifra la Priamel dell'epigramma, Leitmotiv che guida sullo sfondo il rifiuto di πάντα tà δημόσια, di elementi non intrinsecamente disprezzabili. Non lo sono, in sé, il ποίημα, la κέλευθος, l'égópevoc, la κρήνη, lo stesso Lysanies, καλὸς xaAóc: ció che disturba ıl poeta
è ıl pur minimo affoüamento che si aggiunga intorno, ἄλλος Exeu'”.
La κρήνη riprende, sul piano metaforico, 1l ποίημα κυκλικόν, l’epos, con 1l quale condivide la buona qualità di fondo e la negativa presenza del 'molto' sotto l’aspetto ambivalente sia dell'ampiezza sia della frequentazione"": stessa duplicità che compare nel prologo degli Aitia, nel rifiuto del percorso πλατύς, nella scelta di κέλευθοι ἄτριπτοι""". L'ultima Folie chiude cosi, con la prima, la Priamel dell'epigramma in una struttura anulare dal sapore forte(1992!), trad. di A. Setaioli Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a Boezio, l, Torino 1995, p. 140. Il riuso enniano della metafora dell'acqua sotto specie poetica si ritaglia un orizzonte selettivo non distante da quello callimacheo. Su Omero-fontez-consacrazione poetica nel somnium di Ennio, con ascendenze callimachee, cf. E. Livrea, Ennio e le lacrime di Omero cit, pp. 37-42.
107.
Aet. inc. lib., fr. 178.11-2.
108. Cf. fr. inc. lib. 465; ep. fr. 398; Aet. ı, fr. 1.9-30. Recente analisi dei motivi della βραχυσυλλαβίη e della syntomia, con cui Callimaco, fra ep. 8 e 11 e ia. fr. 191.32 ss., estende tale sua poetica alla sua generale concezione del discorso, in M. S. Celentano, L'elogio della brevità tra retorica e letteratura: Callimaco, ep. 11 Pf. = A. P. VII 447, «Quad. Urb. Cult. Class.» n. s. 49, 1995, pp. 67-79.
109. V. 6: il contesto dell'epigramma, certo, va in direzione del dibattutissimo κἄλλος ἔχει di G. Giangrande (supra, nt. 2), senza tuttavia che sussista, come osserva C. Meillier, op. cit., p. 125, necessità dell'emendamento testuale e della modifica sintattica.
110. La compresenza del duplice valore, nell'epigramma, di xvxiuxóv, nel senso tecnico grammaticale di ‘ciclico’ e in quello di arcwlatori»m (Ε. Dübner, op. cit. p. 400), è definitivamente chiarita da H. J. Blumenthal, Callimachus, Epigram 28, Numenius fr. 20, and the Meaning of κθχλικόω, «Class. Quart.» 28, 1978, pp. 1257. Che alla base del rifiuto del ποίημα κυκλικόν fossero in Callimaco non soltanto ragioni estetiche, ma anche il suo «elitáres Widerwillen gegen πάντα tà δημόσια», osserva P. Krafft, art. cit. p. 28 nt. 94. 111.
Aet. 1, fr. 1.27-8.
432
STUDI DI LETTERATURA GRECA
mente metaletterario, di cui è chiaramente portatrice anche l’immagine della κέλευθος molto battuta'". Non nuoce ció all'economia di un componimento che vuole rappresentare lo stretto intreccio, nel poeta, tra vita e letteratura, tra eros e poetica, intreccio di cui l'o8' ἀπὸ κρήνης πίνω sembra riannodare le fila'”. Ravvisare il motivo letterario nel primo distico e quello erotico nel secondo finirebbe invece per sbilanciare eccessivamente la tematica complessiva dell'epigramma verso quest'ultimo, cui à dedicato il distico conclusivo, vero e proprio succo della piéce, relegando decisamente in secondo piano 1l primo. Viceversa, il sottile inserimento, nel corpo della Priamel letteraria, del περίφοιτος ἐρὦμενος, l'ambiguità possibilmente insita nell'oó8' ἀπὸ κρήνης
112.
Ε notevole che il simbolismo acqueo ricorresse piü volte, intrecciato a
quello della via, nel complesso proemiale degli Aitia se ad esso & da ricollegare, come ipotizza E. Livrea, Callimaco, fr. 114 Pf. ... cit., il fr. 114 relegato da Pfeiffer tra quelli d'incerto libro: cf., per un quadro sinottico del susseguirsi delle due
metafore, la Übersicht contenutistico-strutturale del proemio ricostruito da Livrea a p. 61 - 29. Sull'immagine della via come metafora del canto topica nella lirica corale greca arcaica cf. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da
Omero al V secolo, n. ed. riv. e ampl., Roma-Bari 1995 (1984'), p. 85 con riferimenti e bibliografia, e, sul suo significato e il suo collegamento a quella dell'acqua in Callimaco, W. Wimmel, op. cit. pp. 58-9 e 103-11 e A. Kambylis, op. cit. pp. 81-2. Come strettissimi paralleli latini alle metafore dell'inno e dell'epigramma callimachei sulla non battuta via della poesia cf. Lucr. 1,926-7 auia Pieridum peragro loca nullius ante | trita solo cui si aggiunge anche, sia pur sfruttata in
senso diverso che da Callimaco, la metafora della fonte (927-8 iuuat integros accedere fontis | atque baurire); Prop. 3,1,17-8 opus hoc de monte Sororum | detulit intacta pagina nostra uia cui precedeva altresi la metafora dell'acqua (6 quamue bibistis [sc. Callimachi manes εἰ Coi sacra Philitae] aquam?). Sulla poetica lucreziana nel solco di quella callimachea cf. M. von Albrecht, op. cit. p. 297, e, sul rapporto dell'immagine properziana con quella degli Aitia, A. Kambylis, op. cit. pp. 157-8.
113.
La compenetrazione tra il motivo erotico e quello poetico nell'ep. 28 è par-
ticolarmente evidenziata, fra gli altri, da A. Barigazzi, art. cit. Ma contro la sua
idea di uno «hôlzern schematisiertes Epigramm» cf. P. Krafft, art. cit. p. 20. La pièces di fatto, in cui il παιδικόν si fa veicolo di poetica, & piuttosto un ulteriore caso di quella «Kreuzung der Gartungen» descritta da W. Kroll, Studien zum Verständnis der rómischen Literatur, Stuttgart 1924 (Nachdr. Darmstadt 1964), pp. 202-24 (trad. L'intrecao dei generi, «Aev. Ant.» 4, 1991, pp. 15-38), per la cui
ricerca da parte degli autori ellenistici cf. L. E. Rossi, / generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche, «Bull. Inst. Class. Stud.» 18, 1971, p. 84, ora in Aa. Vv., Dizionario della civiltà classica, 1, Milano 1993, pp. 702, e per esempi della quale negli epigrammi callimachei gli studi di E. Livrea, 7re epigrammi funerari callimachei, «Hermes» 118, 1990, pp. 314-24 - KPECCONA BACKANIHC. Quindici studi di poesia ellenistica, Messina-Firenze 1993, pp. 77-93, e L'epitafio callimacheo per Batto, «Hermes» KRECCONA BACKANIHC... cit, pp. 107-17.
120, 1992, pp. 291-8 =
ANCORA POETICA DELLA BREVITAS?
433
πίνω, introducono con raffinatezza alla pointe, 4}} ἀπροσδόκητον finale in un epigramma dalla complessa rete di allusioni, interne come esterne, e dai profondi significati, sul quale presumibilmente non si sarà finito di scrivere'".
114. L'’allusività letteraria, e la «Kreuzung der Gattungen» di cui alla nt. sopra, proseguirebbero nell’ultimo distico se in Lysanies 51 identificasse l'omonimo grammatico, concittadino di Callimaco e maestro, insieme a lui, di Eratostene nonché, a detta di C. Cessi, op. cit. p. 257, avversario del poeta c fanatico ammiratore di Omero. Su Lisania di Cirene e i suoi studi omerici cf. RE XIIL2 (1927) coll. 2508-11 s. v. Lysanias. Per la sua possibile identificazione con il personaggio dell'epigramma, già di F. Spiro, Ricerche alessandrine I. Teocrito e Callimaco,
«Rend. Acc. Linc.» V s. 2, 1893, p. 66, cf. ancora l. Lerose, Gli epigrammi di Callimaco, Napoli 1932, pp. 101-2; A. S. F. Gow - D. L. Page, The Greek Antbology. Hellenistic Epigrams, Ed. by A. S. F. G. and D. L. P., Π: Commentary and Indexes, Cambridge 1965, p. 156; G. Capovilla, Callimaco, 1, Roma 1967, p. 366; C. Meillier, op. cit. pp. 125-6; S. L. Tarán, The Art of Variation in the Hellenistic Epigram, Leiden 1979, p. 11 nt. 10; R. Aubreton, op. cit. p. 100. -Il Prof. Richard L. Hunter del Pembroke College di Cambridge, da me interpellato nel contesto della sua conferenza pisana del marzo 1996 su “Voci callimachee", ha prontamente approvato l'interpretazione qui proposta per l'o$8' ἀπὸ κρήνης nivo. In generale per tale espressione dell'ep. 28 come metafora di poetica anche G. Coppola, op. cit. pp. 164-5; W. Wimmel, op. cit. pp. 58-9 al.; A. Kambylis, op. cit. p. 82 nt. 42; B. A. van Groningen, L c. (supra, nt. 78).
INDICE
Premessa
Esegesi letterana ın Platene: la discussicne S, 206 SS Protagora Da *Studi Classicx e Onentalis 41
19901 . :5X
L'Odisseo dı Platone. Uno Inmua omenrice ro lp2 nunere Da: G. ARRIGHETTI
ed..
Rucerche di Fl x ULE N, DWl cul
Pisa 1995. 9-57
L'enthousiasmos del poeta filosoto tra Parmenuie € P Da: * Studi Classici e Onentali* 46.2 1997, 51835
Per una interpretazione letteraria di Platone. Questioni di m NX gia ermeneutica
Da: « Elenchos» 20 - 1999:. 309-344
Filosofia versus poesia: Platone davanti a un'antica disputa Da: G. ARRIGHETT! - M. TuLLI (ed.), Letteratura € nflessione su z tura nella cultura classica. Atti del Convegno, Pısa, —0 us 1ovo. sa 2000. 377-400
Filosofia in letteratura: il dialogo platonico e la sua interpretazione Da: «Atene e Roma» n.s. 45 (2000), 1-43
Poétique du mythe chez Platon
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4u
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BIBLIOTECA DI STUDI ANTICHI
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Commento storico al
V libro delle Storie di Erodoto.
Introduzione, commento storico, note complementari, testo, traduzio-
ne e indici - 1975.
P. E. Artas, Quattro archeologi del nostro secolo: P. Orsi, B. Pace, A. Della Seta, R. Bianchi Bandinelli - 1976.
G. STAMPACCHLIA, La tradizione della guerra di Spartaco da Sallustio a Orosio - 1976.
E. BRESCIANI, S. PERNIGOTTI, M. P. GiANGERI SiLvis, La tomba di
Ciennehebu, capo della flotta del re. Prefazione di E. Bresciani - 1977.
Aristofane. Banchettanti (AautaÂfç). I frammenti. À cura di A. C. Cassio - 1977.
L. TROLANI, Commento storico al Contro Apione di Giuseppe. Introduzione, commento storico, traduzione e indici - 1977. 10.
Proclo. Commento al I libro degli Elementi di Euclide. Introduzione, traduzione e note a cura di M. TIMPANARO CARDINI — 1978.
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G. BEJOR, Trea, un municipium piceno minore. Prefazione di E. Gabba 1977.
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M. Bancurzsi, La Tarentilla rivisitata. Studi su Nevio comico - 1978.
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Papiri letterari greci, editi da A. CARLINI, G. CALVANI, R. CINGOTTINI, A. CONCOLINO MANCINI, P. FABRINI, G. FANAN, D. FausT1, T. Luzzarro, D.
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Rerum Romanarum fontes ab anno CCXCII ad annum CCLXV a. Ch. n. Collegit atque notis illustravit R. M. ToreLLI. Prefazione di E. Gabba 1978.
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P. Tozz1, La rivolta ionica - 1978.
ASSUAN- E. BRESCIANI, Il tempio tolemaico di Isi - S. PERNIGOTTI, I blocchi decorati e iscritti. Con un contributo di D. Foraboschi per le iscrizioni greche. Prefazione di E. Bresciani - 1978.
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A. PERETTI, Il Periplo di Scilace. Studio sul primo portolano del Mediterraneo - 1979.
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Studi ellenistici IV - Aspetti e problemi dell’Ellenismo. Atti del Convegno, Pisa, 6-7 novembre 1992. A cura di B. VIRGILIO - 1994.
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Studi ellenistici VIII - Contributi di M. D. CAMPANILE, L. CARAMATTI, S. CARRELLI, G. RAGONE, C. RavAzzoLo, G. SiNATTI, F. SPAGNULO, B.
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Massalia.
L'oceano.
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Letteratura e riflessione sulla letteratura nella cultura classica. Atti del Convegno, Pisa, 7-9 giugno 1999. À cura di G. ARRIGHETTI, M. TULLI 2000.
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