coll. classici di storia
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Italian Pages 1410 [724] Year 1987
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Storie Libri I-XL
Traduzione di Alessandro Vimercati Introduzione di Nicola Criniti Note, appendici, indici, bibliografie di Nicola Criniti e Danilo Golin
Rusconi
Prima edizione novembre 1987 Proprietà letteraria riservata Rusconi Libri S.p.A., via Livraghi 1/b, 20126 Milano ISBN 88-18-16002-8 Carte geografiche (tavole fuori testo) disegnate da Antonio Sartori
in t r o d u z io n e Alle note e agli indici hanno anche collaborato E . Golin, R. Marini, C. Banfi.
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1. L a; v it a
Polibio di Megalopoli visse_uno dei periodi più tormentati della storia ellenica, nel secondo; secolo a-C ., nel momento cioè in cui la, Grecia veniva sottomessa alla potenza sempre crescente e schiacciante di Roma. Figlio dell’età ellenistico/romana, è l’e sempio più tipico di una nuova mentalità^ che si veniva delinean do in quei tempi: e partecipò e visse da protagonista le vicende storico-politiche che dovevano cambiare definitivamente volto al mondo allora conosciuto. Sapendo anzitutto comprendereTTa grande novità 3elFurbe, riuscì a conciliare l’oriente greco con l’occidente romano, nella sua ammirazione e nel suo amore per la tradizione ed insieme per il nuovo che traspare così vivamente dalle sue Storie. Figlio dell’uomo di stato e capo della lega Achea Licorta, Polibio nacque nella città peloponnesìaca di Megalopoli, in Ar cadia, probabilmente nell’anno'205^(202/200 secondo altri): ed appena giovinetto il padre, dopo avergli impartito una buona educazione di base, lo volle avviare decisamente alla carriera po litica e militare. In quell’inizio del secondo secolo, in uh periodò di grave decadenza, la Grecia stàva sperimentando i suoi ultimi tentativi per ritornare al suo antico splendore: le città elleniche, resti decaduti dellé gloriose poleis, si erano unite in Leghe, per meglio difendersi ed organizzarsi. Appunto nella lega Achea, alla quale la città di Megalopoli apparteneva, Polibio iniziò a percor rere la strada della politica, venendo a contatto con gli uomini più abili ed importanti di quegli anni. Ammirò profondamente Lidiade, tiranno di Megalopoli, Gleomene III re di Sparta e il conterraneo Filopemene (che fu anche suo maestro): sulla loro scia, e su quella del padre, Polibio stesso divenne ben presto uno dei personaggi più insigni nell’àmbito della Lega. Partecipò a nu merose missioni diplomatiche e visse intensamente la politica del suo tempo, tanto da ricavarne una notevole esperienza, che fu in
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un secondo momento fondamentale per la formazione del futuro storico. Amò e venerò, in particolare, la sua città natale, in cui sembravano rifiorire i grandi ideali che avevano animato i Greci del passato: in essi, l’uguaglianza, la libertà di parola, la demo crazia - l’essenza stessa della civiltà ellenica, come con orgoglio Polibio fece più tardi trasparire dai suoi scritti - sembravano ri nascere a nuova vita. La sua carriera militare iniziò prestissimo, molto probabil mente nel 190/189, quando un contingente della lega Achea si trovò impegnato - in aiuto dei Romani - contro i Galati, o Gal li d'Asia Minore: comandanti romani del composito esercito era no in quell’occasione L. Cornelio Scipione Asiatico e Gn. Man lio Vulsone. Un’altra notizia che riguarda l’attività militare di Polibio risale all’anno 183: còl padre Licorta, stratego della Lega in quella circostanza, combàttè contro gli abitanti della Messenia, presso i quali il suo ammiratissimo Filopemene, fatto prigio niero, era stato avvelenato ^ Nel 181/180, a venticinque aririi, Polibio era scelto, insieme al padre, a far parte di uria ambasce ria indirizzata al re egizio Tolemeo V Epifane, morto pero prima che si potesse concludere la missione diplomatica a cui Polibio avrebbe dovuto partecipare. ' ' A questo punto, ci mancano dati certi per ricostruire corret tamente la sua carriera, ma’ dobbiamo presupporre che l’attività politica del giovane Megalopolitano sia cgQtiriuata nell’ambito della Lega senza interruzioni, perché nel fi 69 ìjò vediamo militare come ipparco (comandante della cavalleria;, "il più importante grado nell’esercito ellenico dopo quello di stratego. L’anno se guente, in seguito alla terza guerra Macedonica (171/168), com battuta contro Perseo dai Romani, l’esercito greco dell’ultimo discendente di Alessandro Magno era duramente, e definitiva mente, piegato presso Pidna dalle legioni comandate dal console L. Emilio Paolo: in seguito a questa vittoria, in tutto il territorio ellenico prevalse - ed era inevitabile - il partito filoromano. Il trentasettenne Polibio, sempre legato agli ideali dell’Ellade clas sica, pur senza essere veramente ostile all’urbe, non mostrò tut tavia una posizione nettamente filoromana:, e si guadagnava una denuncia agli occupanti come nemico dello stato romano, venen do inviato in Italia con altri mille ostaggi per ornare il trionfo del vincitore. A denunciarlo era stato lo stratego acheo Callicrate, anch’egli facente parte della Lega, che gli; imputò la colpa di
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aver disatteso agli impegni che, con altri esponenti, avrebbe pre so con Roma nelle fasi della guerra aiutando i Macedoni. Iniziava così nel 167, per Polibio, il lungo periodo dell’esi lio, che tanta importanza ebbe nel futuro della sua vita. L ’esilio romano, il «maestro violento», toccò nel profondo e maturò l’ormai quasi quarantenne, e deluso, Megalopolitano, aprendogli la possibilità di nuove esperienze e di nuove conoscenze, che lo iniziarono quasi controvoglia all’arte della storia. E l’esilio durò ben sedici anni. Nell’urbe Polibio dovette; entrare abbastanza presto a far parte dell’entourage politico-culturale dei Gornelii Scipioni, il celeberrimo circolo degli Scipioni. E furono gli stessi figli del vincitore di Pidna - Q. Fabio Massimo Emiliano e P. Cornelio Scipione Emiliano Africano >- a chiedere al pretore che all’ostaggio greco fosse accordato il permesso di rimanere nel l’urbe, quando gli esuli ellenici prendevano la via dei vari munii cipi d’Etruria. E proprio allora, nei primi anni romani, iniziava quell’ami cizia profonda ed intima col grande Cornelio Scipione Emiliano, uno degli uomini politicamente più potenti ed influenti dell’epo ca. Stimolato probabilmente anche dalla vivacità culturale del l’ambiente in cui era inserito, Polibio nel frattempo metteva a punto o perlomeno andava raccogliendo il materiale per i suoi scritti. Ora che era libero dagli impegni politici poteva; dedicarsi completamente all’analisi ed alla interpretazione dei suoi due mondi: egli aveva vissuto e conosciuto profondamente la Grecia del suo tèmpo ed ora eira entrato a far parte del circolo culturale - filelleno, ma sempre romano - degli Scipioni e di quella ri stretta cerchia di persone che sembravano dover reggere, almeno in quel preciso contesto storico, le sorti dell’impero mediterra neo. E per tutti i sedici anni in cui il Megalopolitano fu tratte nuto in esilio nella città, egli rimase accanto - quale maestro e consigliere fidato - specialmente, a Cornelio Scipione Emiliano, il futuro protagonista della terza guerra Punica. • Ottenuta la liberazione, sia per le pressanti ambascerie in viate dai suoi compatrioti del Peloponneso, sia per intervento personale dell Emiliano e di M. Porcio Catone il Censore, nel 150 Polibio lasciava con i compagni superstiti Roma e l’Italia, per far ritorno nell’Ellade. Già nel 151, però, aveva accompa gnato Scipione; Emiliano in un viaggio verso la penisola Iberica e l’anno seguente era stato con lui nell’Africa settentrionale ed anche nella Gallia meridionale, ritornando in Italia proprio sulle
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orme della via percorsa da Annibaie attraverso le Alpi; una set tantina d’anni prima. Quando gli fu accordato di lasciare libera mente la penisola italica, del resto, Polibio aveva ormai chiara mente delineata la sua opera storica, deciso a seguire la sua nuo va vocazione di scrittore. Spinto appunto da questa passione, egli cercò anche in seguito - attraverso numerosi viaggi compiuti nei luoghi più diversi del mondo? antico - di dare alla sua espe rienza politica ed umana quel carattere di completezza che solo poteva derivargli dalla conoscenza diretta dei governi, dei popoli e dei luoghi stessi. Polibio, infatti, doveva poi dichiarare più volte che lo stori co, e di per sé ciascun essere razionale, non deve e non può limi tarsi a condurre la sua ricerca basandosi solo sull’esame dei do cumenti ufficiali o meno, ma deve muoversi sul materiale vivo ed attuale del mondo contemporaneo. Non basta, oltretutto, stu diare le mentalità, le vicende o le scelte politiche di un determi* nato popolo: la conoscenza di chi si accinge a scrivere un'opera di storia deve abbracciare la realtà - anche la più prosaica - nel la sua sfaccettata complessità ed essere, per quanto è concesso dai limiti umani, la più completa e lai più comprensiva possibile.’ Proprio per questo motivo, troviamo Polibio presente, anche se intimamente certo non partecipe, ad alcune delle vicende più drammatiche ed emergenti del cinico e brutale imperialismo espansionistico di Roma nel secondo secolo: alla distruzione di Cartagine in Africa (149-146) e di Corinto in Grecia nel 146, e forse alla fase finale dell’allucinante assedio di Numanzia in Spa gna, nel 134/133, con Scipione Emiliano. 1 ' E appunto di fronte alle rovine fumanti di Corinto, nel 146, Polibio doveva constatare una volta per tutte l’inutilità di quell’ultimo e sconsiderato, se pur ammirevole, tentativo da par te dei Greci di riconquistare la perduta libertà: fra i primi, ebbe lucida coscienza della fine deUa^gtande..-epQBea deli’ElTaHe'cIassica~ed insieme dell’jneguagliabiJe^superiorità delle milj&ie altaffi ne. strumento .-principale .deÙ’unperialisxriCLijo^anOj armon icamente strutturato con le realtà politico-sociali dell’urbe. Aveva tuttavia anche la rara ventura di poter visitare le più grandi me tropoli del Mediterraneo - tra esse, in particolare, il centro cul turale più importante dell’epoca, Alessandria d’Egitto - e di po ter conoscere di persona molti dei luoghi che ci ha descritto nel le sue Storie. Era, naturalmente, vieppiù convinto che chi tratta va di storia doveva avere una conoscenza diretta ed una espe
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rienza concreta non solo di cose politiche e militari (a lui, del resto, connaturali), ma puranche geografiche ed ambientali. Tornato con 1 amico Scipione Emiliano a Roma, cercò - con buoni risultati - di offrire l’ultimo servigio alle sempre velleitarie e rissose poleis elleniche (che gliene furono pubblica , mente riconoscenti), rendendo più miti le ire dei vincitori Roma ni: ormai Polibio stesso aveva imparato a stimarli ed apprezzarli, se non proprio ad amarli. Nel 129 era scomparso il suo potente protettore, forse per intrighi del partito popolaresche - col tri buno della plebe del 133, Ti. Sempronio Gracco —aveva segnato 1 inizio drammatico di una svolta ben precisa nell’ambito della politica tradizionalmente ottimate dell’urbe. E proprio dopo questo drastico taglio del cordone ombelicale che lo legava agli Scipioni, Polibio dovette stendere gli ultimi (dieci?) libri della sua grande opera storica, e la maggior parte del dodicesimo: libri in cui, non a caso, esprimeva appieno la sua posizione contrad dittoria, ma sempre leale e mai ambigua, verso lo stato romano. Pochi anni dopo, probabilmente nel 123 (ma per altri più tardi, nel 120/118) - al sorgere della meteora dell’altro Gracco, Gaio - ed ormai ottantaduenne, morì in patria in seguito ad una caduta da cavallo anche Polibio, colui che era stato l’interprete più acuto delle vicende storiche dell’umanità classica del terzo/ secondo secolo, nella difficile e tormentata fase di passaggio dal la grecità alla romanità.
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\\*/>« // L ’esperienza uman i e politica di Polibio di Megalopolisi concretò nella stesura delle sue opere storiografiche. La tradizio ne antica ci attesta, sotto il nome del nostro autore, una vita en comiastica in tre Hbri del suo eroe e maestro Filopemene, il grande generale ed uomo politico greco avvelenato nel 183 dai Messeni e il Trattato di Tattica (militare: cfr. Storie IX , 20,4), ambedue perduti, ma i cui punti fondamentali dovettero poi confluire, in varia misura, nell’opera maggiore: e pure due mo nografie, di cui abbiamo quasi solo il titolo, Sull'abitabilità della zona equatoriale e La Guerra di Numanzia, quest’ultima ricordata da Cicerone (Famil. V, 12,2), ma fonte di molti dubbi per gli studiosi. La fama di Polibio, del resto, è sempre ed esclusivamente
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rimasta legata alle Storie, la vasta opera universale composta du rante almeno un ventennio e pubblicata postuma, senza che l’au tore potesse rivederne o correggerne il testo. Ricollegandosi - ma con una critica implacabile é sistematica - all’opera dello storico siculo Timeot di Tauromenio. che jtórmi^nava^^^anno 264, e cìóè~ alla vigilia della prima_ spedizione romana in Sicilia (nella s te ss a n o c i si apriva in effetti lo scontro frontale tra Ro ma e Cartagine), Polibio giungeva quindi a narrare avvenimenti a lui contemporanei, che avevano mul^c^la prospettiva mondia le. Influenzato da questi, aveva anzi modificato l’originale data terminale della sua opera maggiore (che avrebbe; dovuto coinci dere con l’inizio della sua cattività romana) nel cruciale e, tantopiù per lui, drammatico 146. > Prima però di passare all’esposizione dell’ideologia di fon do, quale si evidenzia in tutta l’opera polibiana, sarà utile dare un rapido cenno alla struttura e all’argomento dei singoli libri, o per lo meno di quanto ci è rimasto. L’opera dello storico Mega lopolitano, infatti, non ci è giunta integra: ci rimangono i primi ginque libri completi, ed ampi estratti del sesto e diciottesimo, oltre a numerosi brevi stralci e citazioni estrapolate nei Lessici e negli autori greci e bizantini (Costantino; V II Porfirogenito, fra tutti, che ne curò nel X secolo d.C. una celebre raccolta di Ex cerpta historica). L ’opera, si badi, ci è comunemente nota in qua ranta libri (i due ultimi, veri e propri strumenti, dedicati ad ar gomenti geografici ed alla sintesi cronologica): se mai, come si e anche pensato, ci era stata prima del 130 a.C. una originaria edil zione in trenta libri, fu certo ben presto sostituita da questa. I primi due libri contengono una introduzione metodologica ed un’esposizione della materia propria di tutta l’opera, con ac cenni agli avvenimenti degli anni 264/220, cioè dei precedenti della guerra annibalica: dagli inizi della prima guerra Punica (264/241) ai prodromi della seconda (che doveva scoppiare nel 219/218 fino al 201). Con il terzo libro (dove sembra essere con fluito parte del suo Trattato dì Tattica), Polibio affronta l’argo mento che più lo interessa: inizia a narrare infatti le vicende in tercorse tra il 220/219, prime attività militari antiromane di An nibaie, e il 146/145, crollo definitivo1del potere cartaginese (ter za guerra Punica del 149/146) ed ellenico, culminato con le allu cinanti distruzioni di Cartagine e di Corinto nel 146. Tra gli an ni, cioè, nei quali Roma - dopo essere divenuta signora d’Ita lia - aveva conquistato in varie fasi, e nel giro di poco più di
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mezzo secolo aveva sottomesso al suo dominio, quasi;tutta la terra civile allora conosciuta. Lo stupore e l’ammirazione di Polibio sono in ogni caso grandi: mai prima di allora - neppure con Alessandro Magno un unico impero era riuscito a sottoporre durevolmente al suo scettro popoli di tante razze diverse e nazioni così vaste. Ed è necessario tener presente proprio questa premessa se si vorrà da re una giusta interpretazione all’opera polibiana. Se è vero infat ti che il periodo storico si riflette nell’individuo e che la perso nalità dello stesso è il tramite per l’interpretazione del mondo che lo circonda, potremo capire quanta parte ebbe l’esperienza concreta nella costruzione delle Storie. E Polibio, più di ogni al tro intellettuale del tempo, aveva assistito di persona all’attua zione di quella idea di impero universale, che era stata di Ales sandro Magno e che era già entrata a far parte di una forma ben precisa di cultura in tutto il Mediterraneo. ’ . Non ci dobbiamo quindi meravigliare se il greco Polibio si ispiro così fervidamente alla romanità ed alle sue realizzazioni (più che alle sue timide teorizzazioni). Aveva infatti trovato nel l’urbe, durante gli anni dell’esilio, un ambiente socio-politico a lui confacente, e che concretizzava, alla fine, le speranze diffuse anche in Grecia di un saldo stato romano-ellenistico, oligarchico ed unificante. Gli interessi degli ottimati romani contemporanei non differivano molto da quelli dell’oligarchico greco Polibio, tant’è vero che egli si inserì immediatamente nella schiera degli Scipioni e divenne amico dei senatori più in vista del tempo. Egli certo non avrebbe potuto redigere la sua opera se non aves se incontrato in Roma l’aristocrazia del circolò culturale cui par tecipò per sedici anni. E, coerentemente, come scrittore si accin se ad un’impresa che aveva come scopo primario quello di de scrivere i modi e i mezzi con cui Roma si era; espansa per tutta Yoikumene. con notevole imparzialità ed amore per la verità straordinari per l’epoca e l’ambiente. ................. Polibio, con questi presupposti, scrive una storia universale che non è indirizzata a nessuno in particolare: tutti gli uomini di una certa cultura, siano essi Greci o Romani, possono leggere e capire le sue pagine, perché la sua non vuol essere opera di parte. Già con questi brevi accénni si è quindi introdotto il di scorso metodologico: bisogna ammettere di trovarsi di fronte ad un mòdo del tutto nuovo di fare la storia, perché nuovo e diver so è l’interesse di chi la scrive. E Polibio stesso amò dare al let-
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tore spiegazioni dettagliate circa il suo nuovo modo di redigere un’opera che fosse scientifica, più che letteraria: spingendo mol ti studiosi moderni ad interessarsi alle sue Storie e a cercarne di interpretare il suo pensiero, espresso talvolta in un linguaggio ostico e difficile, lungi però dall’essere retorico, e costellato un po’ dappertutto; da una terminologia originale. La_ storia, afferma l’autore, deve essere innanzitutto storia ^■pragm atica, stòria cioè di fatti politici, economici o militari che ^^^ianoylna^pur sempre fondati sulla esperienza concreta di coloro che li vivono, per poter offrire a chi si accinge ad affrontare la carriera pubblica o a copWe le^arÌcBe c:ivlli e militari uri concre to punto di riferimento di cui potérsi avvalere. Risulta evidente, quindi, quale sia lo scopo che lo storico si propone - egli scrive per offrire un servizio: infatti; il fine fondamentale dell’opera storica consistei fondamentalmente nell’utilità (ed anche un Ma chiavelli trarrà giovamento da questa, ed altre lezioni). Il genere pragmatico, del resto, non è invenzione di Poli bio: e con questo termine non si vuole indicare un metodo parti colare, ma 4si. vuole solo richiamare l’attenzione dei .lettori sulla differenza fra le Storie e le altre opere a carattere genealogico, mitologico» o leggendario, scritte precedentemente in Grecia e a Roma. La storia .pragmatica o dei fatti è per lui l’unica storia possibile, ed è l’unica a potere essere compresa nelle; autentiche forme storiografiche: perché : si fondai sull’analisi- .di situazioni _, concrete, ed umane, che vengono sottoposte‘'all’indagine critica e all’acribia dell’autore. . • A questi infatti spetta il grave ed impegnativo compito di esaminarle sotto il triplice aspetto della data, delle modalità e delle cause: la data rappresenta l’aspetto cronologico, le modali tà ràpprèsentario il come si evolve una determinata situazione ri spetto, ad uno o più perché, cioè rispetto ad una o più precise cause. Si intuisce quindi quale importanza particolare debbano avere le cause nello schema polibiano: esse sono le determinanti di qualsivoglia avvenimento umano, e talvolta il denominatore comune di più fatti. Lo ste'sso Polibio insiste a più riprese sulla applicazione di questo metodo, che noi potremmo definire anali tico. L ’autore, come è stato messo in luce molto chiaramente dalla critica più recente, identifica nella causa l’insieme di tutte quelle operazioni mentali compiute dall’uomo, che rendono pos sibile la realizzazione di un determinato fatto storico. L’agente
della istoria è sempre l’individuo razionale, l’essere pensante, che attraverso la sua azione dà concretezza al pensiero: secondo l’au rea massima che vale più una mente capace che cento braccia da sole. Proprio per queste premesse Polibio, come storico, si sente necessariamente impegnato a condurre un’inchiesta psicologica, che gli dia una conoscenza più. approfondita e comprensiva della psiche dei suoi personaggi. A questo punto è necessario richiamare ancora una volta al l’attenzione lo scopo fondamentale che egli si prefiggeva per il suo lavoro, che consiste, come si è già detto, nell’utile: Si com prende bene quindi come non possa essere sufficierite per; Poli bio un’opera intesa come una generica, ricerca della verità:- anche perché ogni verità. per essere veramente tale, deve essere logica, razionale, dimostrabile e a misura dell’uomo. Le Stòrie polibiane, in conclusioné7"3evono risultare apodittiche: o meglio, una nar razione critica e per quanto possibile esauriente di avvenimenti umani, comprensibili agli uomini, che ne sono gli autori irr quan to pensano, attori in quanto agiscono, e spettatori inquanto as sistono. . . • ■ ! • Visti in questa particolare luce, glheroi polibiani - vale a dire, quegli individui rilevanti .che più degli altri si impegnano a costruire la-storia - sono uomini razionali, rigorosi e decisi, con trapposti alla maggioranza degli altri, che sono invece impetuosi, mutevoli, impulsivi e quindi irrazionali. . In linea generale, poi, Polibio preferisce non lasciare molto spazio_a forze esterne inde terminate^-superiori- alTumanità. Tuttavia, senza per questo as sumere una posizione fatalistica e rassegnata, tipica di akri stori ci, anche Polibio è costretto ad ammettere l’esistenza di una for za incalcolabile ed inconoscibile, che interviene spesso anche contro le azioni umane e ne muta gli effetti prevedibili, inseren dosi arbitrariamente nel meccanismo storico: lo scrittore la defi nisce Fortuna o caso. ; -i: ■ Si tratta, in effetti, di una sorta di potenza superiore ohe agisce, regolandole ad un fine determinato immisurabile; sulle, azioni umane, restringendo così e limitando il: potere autonomo! dell’intelligenza degli individui, causa; prima della- storia.jE lo storico, che deve avere interesse vero e profondo per la cono scenza dei fatti, ha anche il dovere - nella sua ricerca - di ren derli chiari: non basta raccontare gli avvenimenti, e nemmeno può essere sufficiente spiegarli. Perché la storia possa essere uti le è necessario sia conveniente ed adeguata: è necessario cioè che
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l’autore sappia convincere il lettorei della validità e plausibilità delle sue conclusioni, cui è giunto attraverso una razionale auto psia delle vicende politiche, economiche e militari. Lo storico dev& utilizzare tutto il materiale che l’opportunità gli offre, per poter trarre - dalle contraddizioni dei documenti posti a con fronto fra loro la verità possibile, senza acriticamente preferireuna fonte all’altra. ’ . Naturalmente, la logica e il criterio - pur sempre pericolo so! - della verosimiglianza sorreggeranno l’autore non solo nella cernita/ ma anche ogni qual volta le testimonianze siano carenti e lacunose. In questo modo, « tucidideo », e solo con quésto me todo-'critico rigoroso - l’acribia e il ripensamento nelle loro ra gioni dei fatti - la storia, o meglio l’opera storica, si presenterà secondo Polibio come un tutto organico agli occhi di chi la eleg ge, un corpo vivente che esplica con ogni sua parte il tutto, 1 u nità del reale. Egli, per conto suo, è ben cosciente del grande mutamento che è avvenuto quando Roma si è affacciata al mon do mediterraneo: da quel momento in poi non e più stato possi bile scindere un avvenimento dall’altro, perché ogni avvenimen to diventa causa dell’altro,/e questo —essendo effetto-del pri mo - sarà a sua volta causa del seguente. In una tale costruzione, che esamina in modo sincronico i fatti che accadono nelle-varie parti della terra allora conosciuta, tutto trova posto: lo storico deve essere .dettagliato nelle sue analisi; deve usufruire’di tutto ciò che possa aiutare la comprenJ sione, della materia trattata. Per questo spesso Polibio si avvale di excursus e di digressioni più o meno rapide sia sulle costituzio ni ed usi dei vari stati, sia sulle tattiche e campagne militari (in cui vide, lucidamente, uno dei motivi della netta superiorità ro mana nel Mèditerraneo), sia ancora sui luoghi geografici e topo grafici: e, secondo una consolidata consuetudine/ offre la rico struzione dei discorsi degli uomini più rilevanti del mondo occi dentale. Rifuggendo- quasi sempre da retoriche declamatorie che nulla possono giovare a raggiungere un’autentica verità: e que sto, si noti, trova’ vigorosa ed insolita applicazione proprio nei discorsi che Polibio con prudenza ed abilità ha tanto ben ricrea to nelle pagine più vive delle sue Storie. • •jcPtit lia tecnica di inserire il discorso diretto pronunciato nelle varie 'occasioni" pubT?ìic|ie o j>rivate,^a.ttEjgau^,nw cltìjdi quei Galli che, sconfitti presso Delfi, passarono poi in Asia5. 6. I Ro mani intanto; che avevano sottomesso gli Etruschi e i Sanniti ed avevano sconfitto in parecchi scontri i Celti italici6, mossero ora per la prima volta l’attacco al resto dell’Italia, con l’atteggiamen to di chi stava per combattere non per la conquista di territori stranieri, ma più che altro per rivendicare territori già propri di diritto (infatti, in conseguenza delle guerre contro i Sanniti e i Celti, èrano diventati veramente esperti nell’arte della guerra). 7. Dopo aver condotto con valore la guerra contro Pirro ed aver lo alla fine costretto ad abbandonare l’Italia insieme al suo eser cito, continuarono ancora a combattere e sottomisero tutti quelli che si erano schierati dalla sua parte7. 8. Così, divenuti inspera tamente i signori della situazione e dopo aver assoggettato tutte quante le popolazioni d’Italia, ad eccezione dei Celti, iniziarono l’assedio della guarnigione romana, che allora teneva in mano Reggio. ‘
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6. 1. Correva il diciannovesimo anno dalla battaglia na vale di Egospotami ed il sedicesimo prima di quella di Leuttra1, 2. anno in cui gli Spartani firmarono con il re persiano la cosid detta pace di Antalcida, Dionigi il Vecchio, dopo aver vinto i Greci italioti nella battaglia del fiume Elleporo, stava assediando Reggio, mentre i Galli, coti un violento assalto, si impadroniva no di Roma tutta, ad eccezione del Campidoglio2. 3. I Romani, accettata una tregua e conclusi degli accordi a condizioni favore voli per i Galli, ridivennero insperatamente padroni della ,pro pria citta; ma, di più, come se avessero iniziato in questo mo mento il processo della pròpria affermazione, cominciarono, ne gli an n i immediatamente seguenti, ad,intraprendere guerre con tro i popoli confinanti. 4. Riusciti vincitóri di tutte le popolazio ni latine, grazie al proprio valore ed alla fortuna negli scontri bellici, diedero poi battaglia agli Etruschi, quindi ai Galli Celti e infine ai Sanniti, che confinavano a nord e ad est con il terri torio dei Latini3. 5. Qualche tempo dopo, i Tarentini, per paura delle conseguenze che sarebbero derivate dal lofo scorretto com portamento nei confronti degli ambasciatori romani, sì rivolsero 6. 1 Con abbondanza di elementi chiarificatori Polibio qui allude al 387/6 a.C., appunto 19 anni dopo la battaglia- navale di Egospotami del 405 a.C., che con la vittoria spartana sugli Ateniesi sancì la conclusione della guerra del Peloponneso (cfr. cap. '2). Sedici anni dopo il 387, nel 371 a.C., i Tebarii di Epaminonda cancellavano ogni ulteriore velleità di egemonia spartana, vincendo la battaglia di Leuttra. 2 Nel 387/6 a.C. Sparta inviaya come £rQprio rappresenwnte a Sardi, per rice vere le condizioni di pace, Antalcida, (da cui il nome della pace stessa). Tiribazo, satrapo dèi re di Persia incaricato di dirigere le trattative, otteneva formalmente l’j t lusorio riconoscimento dell’indipendenza greca dal dominio spartano (cfr. Senofonte, Hell. V, ì ; 32, 6), ma in pratica, in accordo con Sparta, reinseriva la Persia, all’inter no delle relazioni politiche tra le città greche: in sostanza, l’egemonia spartana sulla Grecia era affiancata dà Una sorta di protettorato persiano. Nello stesso 387/6 si col loca il culmine dello sforzo espansionistico di Dionisio I di Siracusa, che, in territo rio italico, nel Bruzio, aveva ottenuto sui Greci locali l’importante vittoria dell’Elleporo (l’odierno fiume calabrese Stilaro), per poi assediare Reggio, che avrebbe capi tolato un anno più tardi. Infine, a proposito della presa di Roma da parte dèi Galli di Brenno, Polibio sembra seguire la cronologia di Timeo. 5 In rapidissima sintesi Polibio ricorda1la repressione romana di una rivolta della confederazione Latinas nel 338 a.C. (in conseguenza di ciò la confederazione venne sciolta) e quindi, in successione,1alcuni difficili impegni militari romani, che in realtà si svolsero pressoché contemporaneamente, lungo l’arco del IV secolo a.C.: le continue sommosse faticosamente represse in Etruria, frequenti penetrazioni galli che fronteggiate in Italia centrale (Polibio non sembra distinguere tra Galli e Celti; in questo caso) e le guerre Sannitiche, culminate nel 291 a.C. con la sottomissione di bellicose tribù italiche (Marsi, Peligni, Sabelli, ecc.).
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7. 1. Alle due città situate sullo Stretto, Messina e Reg gio, era infatti capitato un fatto singolare e pressoché simile. 2. Non molto tempo prima del momento di cui ora sto parlando, alcuni mercenari campani, pagati da Agatocle1 e che già da tem po guardavano con interesse alla città di Messina per la sua bel4 Nel 282 a.C., alcune navi romane penetrate nel golfo di Taranto per perse guire interessi mercantili, ma violando un trattato che impediva loro l’àccéssù, ven nero in parte distrutte dai Tarantini. In seguito all’aspro contrasto determinatosi tra Roma e Taranto, Pirro, re dell’Epiro in precedenza soccorso da Taranto nelle vicen de del suo regnò, intervenne in alleanza alla città magno-greca, contro Roma, comè capo supremo della lega degli Italioti (Greci dell’Italia meridionale o Magna Grecia) nel 280 a.C. 5 Dopò il passaggio di Pirro in Italia nel 280 a.C., alcune tribù galliche irrup pero ih Macedonia (279 à:C.j. Una pàrtè degli invasori venne duramente sconfitta a Delfi sul finire del 279 a.C., un altro .gruppo riuscì invece a passare indenne in Asia Minore. 6 Qui e altrove (cfr. olire, nello stesso capitolo) Polibio chiama Celti i Galli Cisalpini. ■ 7 Dopo vani tentativi di mediazione tra Roma e Taranto, Pirro ottenne due importanti vittorie sui Romani,ad Eraclea (280 a.C.) e ad Ausculum (oggi Ascoli Satriano, 279 a.C.). Nel 278 Pirro intervenne in Sicilia a fianco dei Siracusani^ attacca ti da Cartagine, ma, costretto ad abbandonare l’isola dopo iniziali successi, sbarpato in Italia, subì una decisiva sconfitta ad opera dei Romani a Maleventum (oggi Bene vento, 275 a.C.). Tornato in Grecia, Pirro verrà assassinato nel 272 a.C, Taranto verrà conquistata da Roma nel 271/0 a.C. 7. 1 Agatocle, tiranno e re di Siracusa dal 317 al 289 a.C., si era proposto, du rante la sua signoria, l’ambizioso scopo di riunificarè la Sicilia greca sotto l’egida siracusana, contrastando non solo la minaccia cartaginese, ma anche quella italica. I mercenari campani da lui assoldati erano noti col nome di Mamertini. ■■■•