625 7 42MB
Interlingue Pages [844] Year 1994
Erodoto
Storie introduzione di F ilip p o c à s s o l a traduzione di a u g u s t a i z z o d ’a c c i n n i premessa al testo e note di d a n i e l a f a u s t i v o lu m e p rim o (libri I-II)
testo greco a fronte
Biblioteca Universale Rizzoli
%
ir r
$> ■ X
t l'H
/ J
IN T R O D U Z IO N E
Proprietà letteraria riservata © 1984 RCS Rizzoli Libri S.p.A., Milano © 1994 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A., Milano ISBN 88-17-12483-4 T itolo originale dell’opera: ISTOPIAI
prim a edizione: giugno 1984 quinta edizione: marzo 1994
Il testo greco riproduce l’edizione O xford del 1 9 2 7 3, curata da C. H ude. La traduzione di Augusta Izzo d’A ccin ni, rivista da D aniela Fausti per questa edizione, ci è stata gentilm ente concessa dalla RCS Sansoni Editore S.p.A., Firenze.
1. E rodoto nacque, frg il 490 c il 480 a .C ., ad A licarnasso, sulla costa occidentale dell A sia M inore. La citta e ra ’ stata fondata, m olti secoli prim a, dà coloni di stirpe dori ca; m a col passare del tem po si era isolata dagli altri Dori e aveva subito l’ijtiflusso della cultura ionica, che, fino all’età delle guerre persiane, era stata la più vivace ed evoluta di tutto il m ondo greco. Nel V secolo a.C. ad Alicarnasso si parlava, o alm eno si scriveva, in dialetto ionico, e lo stesso E ro d o to nella sua opera si servì di questo dialetto, che si era im posto come lingua della prosa letteraria (e, in parte, anche della prosa scientifi ca): tuttavia egli teneva a ricordare le origini doriche della sua patria (I, 144; II, 178, 2; V II, 99), e il suo atteggiam ento verso gli Ioni è spesso freddo e distaccato. D urante l’infanzia e la giovinezza dello storico, A licar nasso era soggetta a una tirannide, appoggiata dal G ran R e persiano; E rodoto e suo cugino Paniassi, noto come poeta epico1, si schierarono contro il tiranno Ligdami. 1 D i solito si dice che Erodoto era «cugino o nipote» di Paniassi. Ma l’incertezza è causata dal testo della Suda s.v. Ilaviiaaic;, che è certa mente corrotto: una palmare correzione del Krausse, di cui i critici si ostinano a non tener conto, elimina ogni ambiguità. Il testo dei codici è all’incirca il seguente: «Si narra che Paniassi era cugino dello storico Erodoto; infatti Paniassi era figlio di Poliarco, Erodoto di Lyxes, fratel lo di Poliarco. Alcuni invece tramandano che non Lyxes età fratello di Paniassi, ma Rhoiò, madre di Erodoto, era sua sorella». È evidente che, dopo aver detto «P oliarco e Lyxes erano fratelli», il lessicografo non può aver continuato «secondo altri Lyxes non era fratello di Paniassi»; il testo originale della seconda frase doveva essere: «Alcuni invece tramandano che non Lyxes era fratello di P oliarco, ma Rhoiò,
5
Paniassi fu ucciso; E rodoto fu costretto a fuggitel e andò •''0 in.esilio a Sam o, città ionica alleata di A tene (faceva p arte della lega delio-attica, che si era form ata per p ro teggere i Greci d ’Asia e delle isole contro la Persia). Più tardi partecipò ad una ribellione che pose fine al potere di Ligdami; ebbe quindi la possibilità di tornare in patria. L ’episodio dev’essere anteriore al 454, perché in quel l’anno anche Alicarnasso apparteneva alla lega delio attica, e certo gli A teniesi non avrebbero accolto fra i loro alleati una città governata da un tiranno, p er giunta vas sallo dei Pérsiani. Verso il 445 a.C . E rodoto si trovava ad A tene. La notizia, che ci è data dalla C ronaca di Eusébio, si riferisce alla sua presenza, non al suo arrivo, che dunque potrebbe essere anteriore di qualche anno. Sia da Eusebio, sia dallo scrittore ellenistico Diillo (73 Jacoby, fr. 3), risulta che in questo periodo egli era già noto e apprezzato (ebbe un prem io, o un com penso, dagli A teniesi, dopo aver letto in pubblico parte della sua opera) ; dunque aveva già raccolto, in parte, il m ateriale geografico ed etnografico che utilizza nelle Storie, e ciò significa che tanto il soggior n o 'a Samo, quanto quello ad Alicarnasso, erano stati interrotti da lunghi viaggi in A sia, in E uropa, e in Africa. r~2. I(yiaggi) costituiscono il capitolo più noto della biogra fia erodotea, poiché sono am piam ente docum entati dalle Storie stesse. E rodoto visitò la Scizia (limitandosi alle colonie greche sulla costa del M ar Nero: dell’entroterra parla solo p er sentito dire), varie isole del M are Egeo, le regioni occidentali dell’Asia M inore, l’isola di Cipro, la Siria, la Palestina, la M esopotam ia; inoltre l’Egitto, risa lendo il corso del Nilo fino alla prim a cateratta, e la Cirenaica. Visitò, com ’è ovvio, anche i centri più im por tanti della Grecia continentale, m a, probabilm ente, dopo il suo arrivo ad A tene. madre di Erodoto, era sua sorella». Dunque i biografi antichi concorda vano nel ritenere che i due scrittori fossero cugini; non potevano invece precisare se Poliarco, padre di Paniassi, era fratello del padre o della madre di Erodoto.
Nel m ondo antico i viaggi erano annoverati non fra gli svaghi, m a fra i guai.della/vita (cfr. ad esempio Orazio, Odi, I, 3); si affrontavano per necessità o per dovere. Perciò alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che E ro doto, sia,stato, alm eno da giovane, un m ercante, costretto a m uoversi p S motivi professionali, e che abbia approfit tato delle possibilità che gli si offrivano studiando i paesi che attraversava e interrogando gli uomini che incontra va. L ’ipotesi non è assurda (senza dubbio i fondatori della geografia greca furono com m ercianti e m arinai, che scris sero le loro opere per fini puram ente pratici) m a è super flua. Già nel V I secolo a.C . alcuni Greci (anche se, certam ente, pochi) viaggiavano p er altri m otivi, che van no dal desiderio di vedere e conoscere cose nuove alla vera e propria ricerca scientifica: ad esempio Solone, che secondo E rodoto andò in Egitto e in Lidia per vedere il m ondo (1 ,30,1); e ancora E rodoto, enum erando i motivi per cui i Greci si recavano in Egitto dopo la conquista persiana - che aveva posto fine a un lungo periodo di isolam ento - , scrive: «Alcuni, come è naturale, per com m ercio, altri come soldati, altri anche per visitare il pae se» (III, 139,1). F ra questi ultim i, dopo Ecateo di M ileto, che compose una Descrizione della terra in due libri, vi fu anche il nostro autore, il quale, come osserva argutam en te lo Jacoby, non può essere stato un com m erciante p er ché era troppo debole in aritm etica2. G ià gli antichi avevano rilevato che le notizie di E rodo to sui paesi stranieri erano talvolta false, o addirittura assurde. Gli studiosi m oderni si propongono di spiegare l’origine degli errori, e le spiegazioni non m ancano. A nzi tutto, è stato dim ostrato che lo storico ignorava le. lingue usate nell’im pero persiano3; dunque deve essersi servito di interpreti sia p er interrogare i suoi inform atori, sia per 2 F. Jacoby, Realencyclopàdie Suppl. II, s.v. H erodotos, col. 248 (come esempio di calcolo sbagliato cfr. I, 32, 3-4). Sui viaggi in età arcaica e classica v. G. Marasco, I viaggi nella Grecia antica, Roma 1978, pp. 45-70. 3 Ed. Meyer, Forschungen zu r alten Geschichte, I Halle 1892 (rist. Hildesheim 1966), pp. 192-195.
trad u rre le iscrizioni (II, 125,6; cfr. anche 154,2; 164,1). N on sem pre gl’interpreti saranno stati molto colti, e per ciò il contenuto dei testi e delle notizie comunicate a voce può essere stato deform ato; anche le dom ande di E rodo to potevano essere fraintese. D a una serie di equivoci deve essere sorta ad esempio l’idea, più volte ripetuta nel II libro ma del tu tto falsa, che vi siano profonde analogìe fra culti egiziani e culti ellenici. F ortunatam ente nelle satrapie occidentali dell’im pero persiano i residenti greci o di origine greca erano m olti, e senza dubbio essi furono tra gl’interlocutori preferiti dello storico (cfr. ad esempio II, 154, 4); altrim enti l’influsso negativo degl’interpreti sarebbe stato assai maggiore. In secondo luogo m olte delle affermazioni inesatte o fantasiose che troviam o nelle Storie non sono di E rodoto m a dei suoi inform atori: il caotico resoconto della storia egiziana (II, 99-146) era quello corrente in Egitto nel V secolo, e non solo fra gli umili, m a anche fra i sacerdoti dei tem pli. E non è necessario supporre, come tante volte si è fatto, che E rodoto abbia parlato con dei sagrestani scambiandoli p er vescovi: anche i sacerdoti di rango più elevato non erano storici di professione (lo studio della storia nel senso in cui lo intendevano i Greci e lo intendia mo noi sorse in E gitto m olto più tardi, dopo la conquista di A lessandro M agno). Fin dal secolo scorso, una piccola m a tenace e combatti«va m inoranza di studiosi sostiene che non «alcune noti, zie», ma «quasi tu tte le notizie» delle Storie su paesi e po poli dell’im pero persiano sono false; dì conseguenza, i ri ferim enti a osservazioni personali e a testimonianze sono inventati, allo scopo di far apparire credibile e rispettabile un racconto in tessuto di fandonie; E ro d o to non fu un grande viaggiatore m a un sedentario che in parte lavorò di fantasia, in p arte copiò le opere dei suoi predecessori sen za preoccuparsi di vagliarne l’attendibilità4. 4 Così, da ultimo, D . Fehling, D ie Quellenangaben bei H erodot, Berlin 1971 (cui rinvio per la storia del problema e la bibliografia precedente); la tesi del Fehling è stata accettata, nella sostanza, da F. Hampl, «Grazer Beitrage» IV 1975, pp. 97-136.
La teoria non ha mai avuto fortuna, perché le ricerche di archeologi e filologi hanno dim ostrato che nplle Storie si trovano, accanto agli errori, anche num erosi dati esatti (e inoltre, come si è detto, notizie di carattere rom anze sco o leggendario che erano realm ente diffuse e accettate nei paesi di cui si parla)5. T utto ciò è m anifestam ente incompatibile con l’ipotesi di u n ’opera com posta a tavoli no e senza alcuna conoscenza diretta del m ondo non greco: perciò chi la sostiene è costretto a cercare dovun que nuove m enzogne e a considerare inventate anche notizie che, vere o false, sono date da E rodoto in perfetta buona fede. V ediam o alcuni esempi di questa caccia al l’errore. a) E rodoto cita due versioni sull’origine dell’oracolo di Zeus a D odona, in Epiro: una gli è stata raccontata dai sacerdoti di A m m one, a Tebe d ’Egitto, l’altra dalle p ro fetesse dodonèe (II, 54-55). A m bedue presuppongono che il culto epirotico di Zeus derivi dal culto di A m m one, e intendono spiegare il rapporto fra i due centri. È inutile dire che il presupposto è falso e che non c’è nulla da spiegare; ci si dom anda invece se E rodoto ha inventato tutto o ha riferito fedelm ente ciò che si diceva a Tebe e a Dodona. Il Fehling opta p er la prim a ipotesi: i due rac conti sono sospetti perché corrispondono troppo bene alle idee preconcette dello storico sulla presenza di ele menti egiziani nella religione greca, e inoltre perché u n ’a nalogia fra le tradizioni di D odona e quelle di Tebe sarebbe impossibile (i Tebani non si sarebbero mai inte ressati di un oracolo greco)6. Si può obiettare che E rodoto non avrebbe mai osato esprim ere u n ’opinione diversa da quella accettata e so stenuta nell’am biente dodoneo, attribuendola per di più alle sacerdotesse. Già prim a di lui Pindaro identificava A m m one e Zeus (Pìtiche, IV , 16; IX , 52-53;fr. 36 Snell; 5 N ell’ambito di una sterminata bibliografia, cito due delle opere più recenti: R. Drews, The Greek Accounts o f Eastern H istory, Cam bridge (Mass.) 1973; A .B . Lloyd, Herodotus, B o o k ll, Introd., Comm. 1-98, Leiden 1975-Ì976. 6 D . Fehling, op. cit., pp. 50-54.
Si potrebbe, naturalm ente, continuare, ma credo che questi esempi siano sufficienti. N on è stato ancora dim o strato che E rodoto abbia, trascorso la vita davanti a una scrivania.
cfr. anche Pausania IX , 16, 1) e ricordava il mito della colom ba venuta dall’E gitto a D odona (fr. 58 Snell); e nem m eno Pindaro avrebbe parlato senza conoscere la tradizione dodonea, o in contrasto con essa. P er quanto riguarda i sacerdoti egiziani, essi forse poco sapevano e poco s’interessavano della Grecia in generale (anche que st’ipotesi, peraltro, è inverosimile: basti ricordare la p re senza di una colonia greca a N aucrati, nel delta del Nilo, le offerte dei Faraoni nei santuari di M ileto, Delfi, Cire ne, Lindo, Sam o, il m atrim onio di Amasi con Ladìce di Cirene: E rodoto, II, 159, 3; 178-182); m a non potevano ignorare il culto di Zeus A m m one, perché esso era sorto a C irene (le due odi pindariche citate sono dedicate a p er sonaggi di questa città) e perché Pindaro, dopo aver com posto un inno ad A m m one (fr. 36) lo aveva inviato ai sacerdoti dell’oasi di Siwa (Pausania, 1. c.). Sem bra evi dente che il clero tebano dovesse essere ben lieto di far proprio il m ito greco, sia pure correggendolo in senso razionalistico, cioè sostituendo alla colomba una sacer dotessa rapita dai Fenici. b) Secondo il Fehling, E rodoto sbaglia dicendo che E lefantina è una città, anziché un’isola, e che è lontana da Siene'( A ssuan), m entre Siene si trova sulla riva sinistra del Nilo, di fronte all’isola. Perciò m ostra di non conoscere la zona, e m ente quando afferm a di aver risalito il Nilo fino alla prim a cateratta7. M a Elefantina era appunto una città - situata su u n ’isola e lo storico non dice che sia lontana da Siene, m a solo che, secondo un sacerdote di Sais, fra le due località vi sono due m onti, e che «le sorgenti del N ilo... sgorgano dal mezzo di quésti monti» (II, 28,2-3). Il sacer dote , probabilm ente, non aveva mai visto l’alto Egitto ; ma E ro d o to , che c’era stato, respinge il suo racconto (28,2: «a me sem brava che scherzasse»), e lo spiega osservando che in quella parte del fium e vi sono rocce che provocano la form azione di vortici: il che è esatto8.
3. Alcuni studiosi ritengono che la visita ad A tene, la polis che dopo essere stata protagonista delle guerre per-' siane dom inava orm ai gran parte del m ondo greco, e l’incontro con Pericle, abbiano avuto un’influenza decisi va nella vita di E rodoto; egli avrebbe scoperto un m ondo nuovo, e l’arricchim ento delle sue esperienze avrebbe portato a m aturazione il suo pensiero di storico. M a è impossibile credere che l’im portanza della lotta panelle nica contro la Persia, i m eriti acquisiti da A ten e fra il 490 e il 480, il problem a dei rapporti via via più difficili, negli anni seguenti, fra gli A teniesi e i loro alleati, i conflitti fra gli aristocratici, i dem ocratici m oderati e i radicali nel l’àmbito della lega delio-attica e all’interno delle singole poleis, fossero sfuggiti a un uom o nato nei territori conte si fra Greci e Persiani, vissuto come esule a Samo - la maggiore alleata di A tene, e appunto perciò la meno rassegnata alla posizione d ’inferiorità in cui erano tenuti gli alleati - , e tornato in patria grazie a u n ’im presa che aveva arricchito la lega delio-attica di un nuovo m em bro. È preferibile supporre che lo storico, quando giunse ad A tene, fosse già bene inform ato su tutti i problem i discus si dai Greci della sua generazione e della precedente. L’unico fra gli esponenti della cultura ateniese che le fonti ci perm ettano di definire suo amico è Sofocle; e non tanto p er i num erosi riferim enti alle Storie che si trovano nelle tragèdie sofoclee (queste «citazioni», come quelle di Euripide, dim ostrano soltanto che l’opera di Erodoto era famosa e apprezzata), quanto perché il poeta dedicò allo storico u n ’ode (ricordata da Plutarco, A n seni sit gerenda resp. 3 = 785 B )9. La tradizione biografica tace
7 D . Fehling, op. cit., p. 169. 8 Cfr. A .B . Lloyd, op. cit., II, pp. 110-115. Evidentemente la pre senza di vortici faceva credere che in quel punto il Nilo sgorgasse dal sottosuolo.
9 A rigore, nemmeno questo dato è sicuro: Sofocle dedicò l’ode a un Erodoto non meglio identificato, che potrebbe essere un omonimo dello storico (cfr. Jacoby, op. cit., col. 233-234). Tuttavia, Plutarco doveva prevedere che i suoi lettori avrebbero automaticamente pensato
10
11
.. sui rapporti con Pericle: e il fatto che E rodoto sia diventa to cittadino di T uri, la colonia panellenica sorta per ini ziativa di A ten e sulle coste della C alabria, non prova di per sé u n ’adesione alla politica periclea di espansione verso l’occidente; egli può essere stato spinto da altri motivi, e soprattutto dal desiderio di com pletare i suoi studi geografici ed etnologici con una serie di viaggi in Italia e in Sicilia. Il trasferim ento dello storico a Turi ebbe luogo nel 443: ' egli fu infatti tra i fondatori della colonia, e perciò appun to ne ottenne la cittadinanza10. Sem bra che negli ultimi anni la sua attività di viaggiatore sia stata m eno intensa (la sua conoscenza dell’occidente è m olto lim itata, in confronto con le vastissime esperienze orientali); dunque egli deve aver passato m olto tem po nella sua nuova pa tria, e finì col sentirsi ad essa legato, più che alla prima; egli stesso infatti si presenta come turio (I, 1 , 1 ). In tutti i codici medievali le Storie cominciano con le parole: «Q uesta è l’esposizione delle ricerche di E rodoto alicarnasséo». Peraltro A ristotele, nel suo codice, leggeall’Erodoto più famoso, e se non si fosse trattato di lui avrebbe dovuto aggiungere una spiegazione; poiché non lo ha fatto, evidentemente sapeva che il dedicatario era appunto lo storico. Passi di Erodoto riecheggiati da Sofocle: 1 , 108,1 in El. 417-423; II, 35, 2 in Oed. Col. 337-345; III, 119, 3-7 ia A n t. 904-920; IV, 95, 4-5 in El. 62-64; VI, 107,1 in Oed. Tyr. 980-983..M olti lettori di Sofocle (fra i quali il G oethe) considerano spurii i versi dell’Antigone, che sono del tutto estranei al contesto in cui si trovano;'fra i critici più recenti si schiera contro l’autenticità R.P. Winnington-Ingram, Sophocles, an Interpretation, Cambridge 1980, p. 145; a favore J.C. Kamerbeek, The Plays o f Sophocles, Antigone, Leiden 1978, pp. 158-159 (ivi ulteriore bibliografia). Sui possibili raffronti tra Erodoto ed Euripide cfr. Ch. W. Fornara, «Journal of H ellenic Studies» XCI 1971, pp. 30-32. 10 F. Jacoby, op. cit. alla n. 2, col. 224-226; 242-243, e altri, ritengo no incerto che Erodoto sia stato tra i fondatori di Turi, e ammettono che possa esservisi recato dopo il 443. Peraltro, le fonti parlano esplicita mente di una sua presenza fra i coloni (Strabone, XIV 2, 16 = 656; Plutarco, deexil. 13 = 604 F); e con ragione. Infatti le colonie greche si comportavano come tutte le altre poleis per quanto riguarda il diritto di cittadinanza, cioè ne erano estremamente avare; se Erodoto fosse giunto un anno, o anche pochi mesi, dopo la fondazione, quando il corpo civico si era già costituito, non sarebbe stato ammesso fra i cittadini.
12
•
va «di E rodoto turio» (Retorica, III 9 = 1409 a 28: si tratta di uria citazione Testuale). Se in un m anoscritto del IV secolo a.C ., che, in quanto posseduto da A ristotele, doveva essere di buona qualità, si trovano queste parole, è lecito supporre che esse rispecchino la stesura originale. Gli editori di età ellenistica m odificarono arbitrariam en te il testo, non certo perché ignorassero la biografia di E rodoto, m a perché credevano, a torto, che egli, poten do scegliere fra due etnici, dovesse preferire quello della sua città natale. P er contro va tenuto presente che, quan do preparava la stesura definitiva della sua opera, lo scrittore viveva a Turi da oltre un decennio e aveva lasciato A licarnasso da oltre quindici anni. La modifica si diffuse gradualm ente: ancora al tem po di Plutarco, fra il I e il II secolo d .C ., in alcuni codici si leggeva «àlicarnasseo», in altri «turio» (de exilio 13 = 604 F); più tardi del testo autentico si perse ogni traccia11. È certo tuttavia che E rodoto non dimenticò A licarnas so. Si è già detto che egli sem bra compiacersi di sottoli neare le tradizioni doriche della città, quindi, anche la propria nazionalità dorica (§ 1 ); inoltre non è avaro di lodi per i suoi concittadini (Fanete: III, 4; Artemisia: v. infra, § 10): L ’orgoglio campanilistico è evidente nell’as serzione che le poche trirem i con cui Alicarnasso aveva partecipato all’im presa di Serse erano le migliori dopo quelle di Sidone (V II, 99, 3) le quali a loro volta erano le migliori tra le navi fenicie (96,1). V a infine ricordato che i G reci, diversam ente dai R om ani, am m ettevano la dop pia cittadinanza, e perciò lo storico poteva diventare turio senza per questo rinnegare la patria di origine12. 11 S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I Bari 1966, p. 563 nt. 133, suppone che fin dall’inizio coesistessero due edizioni differenti, una con «alicarnasséo», l’altra con «turio». Meno importanti sono i numerosi riferimenti alla patria di Erodoto che si trovano in altre fonti, perché, anche quando si devono ad autori che hanno certamente letto Erodoto, non sono e non pretendono di essere citazioni testuali. A d esempio Strabone, XIV 2,16 = 656, dice che lo storico «fu chiamato» turio, non che si presentò nella sua opera come turio; nulla esclude dunque che nel suo manoscritto leggesse «alicarnasséo». 12 Secondo un anonimo epigramma citato da Stefano di Bisanzio,
13
E rodoto m orì a Turi, probabilm ente non molto dopo il 430. Si ritiene, infatti, che egli abbia continuato a lavora l e intorno alle Storie fino ai suoi ultimi giorni (§ 4) ; e i fatti più recenti ricordati nell’opera risalgono agli anni 431 e 430 (V I, 91; V II, 137; 233; IX, 73). Secondo alcuni critici _il passo in cui D em aràto suggerisce a Serse di occupare C itèra, a sud del Peloponneso, per m ettere in difficoltà gli Spartani (V II, 235, 2-3), non potrebbe essere stato scritto prim a del 424, quando gli A teniesi, guidati da Nicia, sbarcarono nell’isola. M a, in prim o luogo, è assur do supporre che il m ondo greco abbia scoperto l’im por tanza strategica di C itèra solo nel m om ento in cui se ne im padronì un nem ico di Sparta; gli stessi Spartani erano soliti servirsene com e base nella lotta contro la pirateria e vi tenevano un presidio perm anente (Tucidide, IV , 53). In secondo luogo, se proprio fosse stata necessaria un’e sperienza concreta per attirare l’attenzione, va ricordato che nel 455 C itèra era stata occupata da un altro am m ira glio ateniese, Tòlm ide (scoliasta a Eschine, II, 75; Pausania 1 ,27 ,5 ). Infine, da un altro passo erodoteo si appren de che l’isola era appartenuta, fino alla m età circa del VI secolo, ad A rgo (I, 82,2); e ciò concorda con le parole di D em aràto, secondo cui già Chilone (eforo a Sparta verso il 556-555 a.C .) la considerava una perpetua minaccia. i-1 4. L a cultura greca era in origine una cultura orale, nel senso che le opere letterarie erano tram andate a m em oria e diffuse m ediante la recitazione. M a anche quando la conservazione dei testi fu affidata alla scrittura sopravvis se l’abitudine della diffusione orale: i m anoscritti erano s. v. ©otjqioi, e secondo la Suda, s. v. 'HqóSoto?, Erodoto si recò a Turi e ne divenne cittadino perché aveva subito dei torti, non meglio precisa ti, da parte degli Alicarnassei. In generale i moderni respingono questa notizia, perché è presentata in forma inaccettabile, come se Erodoto fosse partito direttamente da Alicarnasso per Turi senza passare per A tene. L’obiezione non è valida per l’epigramma, che non ha una ‘ struttura narrativa; ma vale poco anche per la voce della Suda, che è soltanto lo striminzito compendio di una biografia più ampia. Non si può escludere, insomma, che lo storico abbia avuto contrasti con i suoi concittadini; ciò comunque non lo ha indotto a sfogare contro la polis le sue inimicizie personali.,
14
posseduti da poche persone, ch eli recitavano a m em oria, o li leggevano, in pubblico o in privato. Il prim o accenno a una lettura individuale si trova nelle Rane di A ristofa ne, datate al 405 a.C ., là dove Dioniso dice: «m entre leggevo per conto mio l’A ndrom eda di Euripide (5253)». Si noti che la precisazione «per conto mio» era necessaria: la parola «leggere» , da sola, a\ :ebbe signifi cato «leggere per altri»; infatti esisteva, e continuò a esistere per secoli, la professione di lettore (anagnostes). È interessante il fatto che, in piena età im periale, nell’anonimo opuscolo D el sublim e, Platone sia considerato autore da leggere p er conto proprio, O m ero ed E rodoto autori da ascoltare (13, 1; 26, 1-2). s>: La conoscenza m ediante audizione era la più comune soprattutto nel caso degli autori viventi, che si facevano essi stessi lettori. A nche le Storie, come risulta da num e rose fonti, furono diffuse per m olto tem po m ediante pubbliche letture tenute da E rodoto in varie città (Diillo, 73 Jacoby, fr. 3; Luciano, Herod. 1-2; 7; Eusebio, versio ne latina, p. 113 H elm , e versione arm ena, p. 193 Karst; Marcellino, Thuc. vita 54; Lex. Suda s.v. © om uòiSrig). e il passo famoso in cui Tucidide si vanta di aver composto la sua opera come un patrim onio di verità per sem pre, piuttosto che com e una prova di bravura p er ascoltatori occasionali (1 , 12 2 , 4), è stato sem pre interpretato, già dai c o m m e n ta to ri a n tic h i, c o m e u n ’a llu s io n e al suo predecessore13. 13 È ovvio che Tucidide, nell’adolescenza, ebbe occasione di ascol tare una o più letture di Erodoto (era nato intorno al 460); non è certo che ne sia stato commosso fino alle lacrime, come affermano i suoi biografi (Marcellino e la Suda). Gl’incontri fra uomini illustri sono un tema obbligato della biografia, e naturalmente si preferisce immaginare che le grandi anime s’intendano facilmente fra loro. A lle fonti citate nel testo su Erodoto lettore della sua opera deve aggiungersi il proverbio «fino all’ombra di Erodoto» (E.L. Leutsch, F.G . Schneidewin, Corpusparoem iographorum Graecorum, I Gòttingen 1839, rist. Hildesheim 1958, p. 400 N. 35). Come osservano gli editori, di per sé il proverbio dimostra che (almeno una volta) Erodoto non lesse la sua opera a Olimpia (rinviò infatti la lettura, in attesa di un giorno in cui vi fosse ombra, giorno che non venne, poiché le Olimpiadi si svolgevano in luglio); presuppone tuttavia che la sua abitudine di
15
/ D unque, il fatto che alcuni passi delle Storie si riferisca no a eventi del 431 e del 430 non significa che l’opera sia (stata scritta per la prim a volta in quegli anni, m a solo che il testo, già redatto, sia pure in form a provvisoria, m olto /tem po prim a (come si è visto, alcune parti erano già note / intorno al 445), fu aggiornato dall’autore nei casi in cui i I riferim enti all’attualità gli sem bravano utili. U n altro tipo I di rielaborazione si deve al fatto che l’opera fu presentata m an m ano a uditorii diversi; ad esem pio, p er spiegare la posizione dei Tauri nella Scizia E rodoto ricorre a due paragoni, con l’A ttica e con la Iapigia: si può supporre che il prim o sia stato inserito per una lettura ad A tene o in una polis non lontana da A tene, il secondo a beneficio di un pubblico tarantino, o in generale italiota. Nella m aturità E rodoto decise di redigere le Storie in form a definitiva, p er lasciarle ai posteri: dopo tutto, anch’egli pensava al futuro ( 1 ,1 ,1 ), non m eno di Tucidide. 7; Alcuni indizi fanno supporre che la m orte gli abbia im pe dito di condurre a term ine la revisione. Si citano a questo proposito due prom esse non m antenute: quella di narra re la fine di Efialte (V II, 213, 3), e quella di dedicare un apposito logos (racconto) all’Assiria (I, 106, 2; 184)14. M eno grave la prim a omissione, che potrebbe essere dovuta a una dim enticanza; più significativa la seconda, sia perché riguarda un intero logos, sia perché la prom es sa è ripetuta due volte. D unque, o E rodoto non ebbe il tem po di inserire nel testo la trattazione dedicata all’Assiria, o decise di rinunciarvi; m a in questo caso non ebbe il tem po di elim inare i passi in cui la prom etteva15. leggere in pubblico fosse universalmente nota. Sulla lettura in pubblico nel mondo antico v. A . M omigliano, «Atti Scuola Normale Pisa» V ili 1978, pp. 62-64. 14 La divisione delle Storie in nove libri risale agli editori di età ellenistica. L’autore invece divideva la materia in logoi: cfr. V , 36, 4, ove la sezione sulla Lidia è citata come «primo logos»; nell’ambito di questo primo logos la sezione dedicata ai Medi è citata come «il logos seguente» (I 75,1). SuH’originaria articolazione dell’opera v. Silvana Cagnazzi, «Hermes» CHI 1975, pp. 385-423. 15 L’ipotesi che Erodoto abbia eliminato il logos assiro (perché aveva deciso di spostare l’accento dal «polo etnografico» al «polo storico» della sua opera: v. infra, § 6) è di G. D e Sanctis, «Rivista di
Si può n o tare anche una grave contraddizione: dappri ma l’autore dichiara di non volérsi pronunciare sull’accu sa di tradim ento sollevata contro gli Argivi per il loro contegno durante l’invasione di Serse (V II, 150-152), poi li presenta senza ambagi come traditori ( I X 12; cfr. V ili, 73,3) • N on si può pensare a un lapsus memoriae, perché il problem a, vari decenni dopo la guerra, era ancora viva-' cernente discusso: si sente dunque la m ancanza di una scelta fra due giudizi incom patibili16. Alcuni studiosi ritengono inoltre che le Storie siano % rimaste incom piute17: sem bra strano che l’opera si chiuda filol. classica» L IV 1926 pp. 300-303; id ., Storia dei Greci, Firenze 1939, pp. 209-210. Alcuni autori vorrebbero risolvere il problema supponen do che il testo erodoteo delle Storie comprendesse realmente una sezione dedicata all’Assiria (cioè, secondo la terminologia greca, all’in tera Mesopotamia), poi smarrita per un incidente della tradizione ma noscritta: così J.L. Myres, Herodotus, Father o f H istory, Oxford 1953, pp. 4, 94-95; G. Huxley, «Greek, Roman and Byz. Studies» VI 1965, pp. 207-212; J.G. Macqueen, «Classical Quarterly» X X V III1978, pp. 284-291. L’ipotesi è suggestiva ma fondata su indizi molto labili. Un elenco esauriente delle contraddizioni attribuite, a torto o a ragione, a Erodoto, è offerto da R. Lattimore, «Classical Philology» LUI 1958, pp. 9-21; egli però le spiega come intenzionali autocorrezioni (v. nota seguente). 16 Secondo il Lattimore, op. cit., gli autori antichi scrivevano su rotoli di papiro, che era complicato e scomodo svolgere, il che li scoraggiava dal ricercate un passo già redatto; inoltre non avevano mezzi per eradere o cassare quanto avevano scritto. Dunque non torna vano mai indietro per correggersi, e quelle che a noi sembrano contrad dizioni erano in realtà l’unica forma di correzione di cui essi disponeva no. Il Lattimore ha esagerato le difficoltà: il papiro non era prodotto in rotoli, ma in fogli, che venivano incollati tra loro a formare rotoli solo a lavoro ultimato. L’autore «sfogliava» con facilità il suo manoscritto; e se non poteva cassare, poteva però cancellare in senso proprio, cioè barrare le parole da escludere; e aggiungeva la correzione tra le righe o in margine. 17 A d esempio: F. Jacoby, op. cit. alla n. 2., col. 371-379; K. von Fritz, Die griechische Geschichtsschreibung, I I , Berlin 1967, p. 447; Silvana Cagnazzi, op. cit. alla n. 14, pp. 406-414; A . Masaracchia, Erodoto, La battaglia di Salamina, Verona 1977, pp. XXX-XXXIII. Sostengono che l’opera è compiuta, fra gli altri: Ed. Meyer, op. cit. alla n. 3, pp. 189-192; W. Schmid, Geschichte der griech. Literatur, I 2 Miinchen 1934, pp. 595-597; H .R . Immerwahr, Form and Thought in Herodotus, Cleveland 1966, p. 9; J. Cobet, Herodots Exkurse, Wiesbaden 1971, pp. 171-176.
con un evento insignificante come la presa di Sesto, nel 478 a.C . (IX, 114-121). Si obietta che la caduta di questa città, situata sulla costa occidentale deH’Ellesponto, ebbe un grande significato simbolico perché suggellò l’abban dono dell’E uropa da parte dei Persiani; m a l’argomento non è valido. Serse aveva lasciato guarnigioni in vari centri della Tracia; il presidio di E ione fu sopraffatto solo alcuni anni dopo (Tucidide, I, 9 8 ,1 ), e lo stesso E rodoto afferm a che il valoroso M ascame difese per m olto tem po Dorisco (V II, 106). A ltre obiezioni sono però di maggior peso: p er gli scrittori antichi il concetto di «guerre persia ne» si riferisce solo al ciclo di eventi concluso nel 478 (Tucidide, I, 23, 1; 9 7 ,1 ; II, 16, 1) e non com prende le ulteriori attività dei Greci contro il dominio del G ran R e; E ro d o to , alludendo alla formazione della lega delio attica nel 477 a.C ., non prom ette, come fa di solito, di ^ rito rn a re più am piam ente sul tem a (V III, 3 ,2 ). Insom m a, è probabile che le Storie siano state pubbli cate dopo la m orte dell’autore, e prim a di aver subito l’ultim a revisione; è possibile, m a p er nulla certo, che siano incompiute. 5. A ristotele, nella Retorica, distingue una lexis eiromène, caratterizzata da brevi frasi allineate in serie (stile p aratattico), e una lexis katestrammène, cioè articolata in ampi periodi (stile ipotattico). C onsidera la prim a sgradevole-per la sua m ancanza di struttura, e orm ai supera ta, la seconda più gradevole e più m oderna; come esem pio tipico dello stilè antiquato cita E rodoto (Retorica III 9 = 1409 a 22-b 12) . In seguito, altri critici diedero giudizi ben più positivi : a denti stretti Plutarco, che p ur condannando E rodoto per la sua presunta m alafede di storico definisce il suo stile «spontaneo, facile, scorrevole» (Sulla malignità di Ero doto, 1 = 854 E ), con entusiasm o Dionisio di A licarnas so (ad Pomp. Gem. 11, ecc.), e l’autore del Sublime (13, 3), che lo considerano em ulo di Om ero. E ro doto, in verità, non si sentiva affatto vicino a O m e ro, e talvolta, quando lo cita, sente il bisogno di prendere le distanze (cfr. II, 120, 3: «se p u r conviene fare qualche 18
affermazione basandosi sui poeti epici»). Su questo pun to A ristotele era d ’accordo con lui: nella Poetica infatti scrive che il poeta e lo storico non differiscono perché l’uno scrive in versi e l’altro in prosa, m a perché il primo narra ciò che potrebbe accadere, il secondo ciò che è accaduto; e aggiunge: «si potrebbe m ettere in versi l’ope ra di E rodoto, e nondim eno sarebbe sem pre una sorta di' storia» (9, 1 = 1451 a 36-b 5)18. E ppure quando E rodoto dichiara di proporsi che «le imprese degli uomini col tem po non cadano in oblio , né le gesta grandi e meravigliose delle quali han dato prova così i Greci come i B arbari rim angano senza gloria» (1 ,1, 1 ), si attribuisce un com pito identico a quello degli aedi, che avevano cantato «le glorie degli uomini» (Iliade IX, 189; Odissea V ili, 73; cfr. Esiodo, Teogonia, 100). L’affi nità dell’ispirazione porta inevitabilm ente all’affinità del linguaggio e della tecnica narrativa. Nei dialoghi appaio no frasi che riecheggiano lo stile epico (V, 106, 3; VII, 103, 1 ; koiov (oìov) èc|){}éY^ao eirog, «qual mai parola pronunziasti»; cfr. Ilia d el, 552: jto ìo v to v (iM ov feuteg), e anche una clausola di esam etro presa di peso da O m ero (III, 14,10: ètti ynoaog 011603, sulle soglie della vecchiez za, cfr. Iliade X X IV , 487). Nel racconto sono rispettate le convenzióni dell’epopea: i condottieri superano per la bellezza e la statura i comuni m ortali (Serse, V II, 187,2; Masistio, IX , 2 5 ,1 ; Tigrane, IX , 9 6 ,2 ); Greci e Persiani com battono sul cadavere di Leonida (V II, 225, 1) e di Masistio (IX, 22,3-23) come gli A chei e i Troiani intorno alla salma di Patroclo19. 6. P er m olto tem po, il problem a più discusso a proposito delle Storie è stato quello della loro «composizione», o meglio della loro genesi. Ci si chiedeva in quale ordine 18 Notevole questo giudizio, da parte di un autore che altrove accusa Erodoto di essere un «mitologo» (de gener. animalium III 5 = 756 b 6). Ma poiché nel passo citato della Poetica segue l’asserzione che la poesia è «più filosofica e più seria» della storia, sembra che nemmeno qui Aristotele abbia voluto fare un complimento. 19 Cfr. W. A ly, Volksmàrchen, Sage und Novelle bei H erodot, Gòttingen 1921, p. 267-277; A . Masaracchia, op. cit. alla n. 17, pp. IX-X.
19
------------
fossero state com poste le varie parti dell’opera, e quale scopo si proponesse l’autore nelle varie fasi del suo lavo ro. Secondo1 la teoria più diffusa tra la fine dell’O ttocento e il principio del N ovecento, i libri VII-IX , dedicati alla spedizione di Serse, costituirebbero il nucleo originario delle Storie-, tu tto il resto si sarebbe form ato in un secon do tem po attraverso una serie di ampliam enti e aggiunte. | In seguito, fin quasi ai nostri giorni, prevalse la teoria dello Jacoby, del tutto opposta alla precedente. Se E ro doto avesse voluto fin dall’inizio scrivere una storia delle guerre persiane, una prem essa sullo sviluppo e la struttu | ra dell’im pero achem enide sarebbe stata senza dubbio ì utile; a questo tem a però è dedicata una buona m età 1 dell’intera opera, il che, p er una prem essa, sem bra un po’ I troppo. Inoltre la storia dell’im pero si articola in una | serie di trattazioni sui popoli conquistati, alcune delle | quali, e soprattutto quella dedicata all’Egitto, sono molto I più am pie di quel che sarebbe necessario per com prende | re i loro rapporti con la Persia. Di qui la tesi di un | m utam ento nell’im postazione, sopravvenuto quando il | | lavoro era in una fase già m olto avanzata. E rodoto sareb be partito da interessi prevalentem ente geografici ed et 1 l nologici: avrebbe voluto cioè com porre una periegèsi ; (descrizione in ordine geografico) dell’im pero persiano, ; come già altri prim a di lui, o anche di tutto il m ondo ! conosciuto, come il più illustre dei suoi predecessori, | Ecateo; ovvero - secondo u n ’altra formulazione della Is teoria - una serie di m onografie separate sui vari popoli | ì dell’oriente. D opo il suo arrivo ad A tene (v. sopra, § 3) fu J attratto da un tem a di tu tt’altro genere, la difesa della 1 G recia contro le spedizioni persiane del 49Ó e del 480; 5 cercò allora di inserire nel nuovo schema il m ateriale già I J raccolto, m a, poiché questo in gran parte non era perti nente, non riuscì a nascondere l’eterogeneità tra le due ? fasi della composizione20. Oggi la maggioranza dei critici propende per u n ’inter-
I I
20 La teoria più antica (precedenza dei libri dedicati alla spedizione di Serse) è ancora accettata da W.W. H ow, J. Wells, A Commentary on Herodotus, I Oxford 1912 (seconda ed. 1928), pp. 12-15 (con la biblio grafia precedente); 447-448. La teoria di un’evoluzione da interessi
20
prelazione unitaria. E rodoto ha voluto, fin dall’inizio, / narrare la storia delle guerre persiane, e delle loro cause prossime e rem ote; in questo disegno rientrava anche un ampio sguardo sull’im pero degli A chem enidi21. Inoltre si Vmanifesta un certo scetticismo sulla possibilità di indivi duare le fasi della composizione: p er un lungo arco di tempo l’opera è rim asta allo stadio di appunti via via rielaborati, sicché i vari strati non si sovrappongono l’uno all’altro, nia si confondono inestricabilm ente 2. Per quanto riguarda il m etodo, già il D e Sanctis amm etteva che l’antitesi fra l’indirizzo geo-etnografico e quello storiografico non è tanto netta, poiché la periegèsi dell’im pero persiano era stata disegnata, fin dall’inizio, secondo «una linea di sviluppo storico» (dunque, nemmeno all’origine era una vera e propria periegèsi); il Regenbogen aveva notato che anche le trattazioni dedicate ai singoli popoli sono condotte secondo un criterio storico e non puram ente descrittivo23. D ’altra parte gli studiosi più recenti insistono sul fatto che per Erodoto l’antitesi della quale noi discutiamo non esisteva. Egli prom ette nell’esordio u n ’esposizione della sua historìe, ricerca: il term ine è generico, e si applica a ogni tipo di ricerca, filosofica, storica, etnologica, geografica, fisica; il senso lim itato di «storiografia» appare per la prim a volta - e pur sem pre in concorrenza con gli altri significati - in A ristotele24. etnologici a interessi storiografici fa capo a F. Jacoby, op. cit. alla n. 2, col. 281-372; è stata sostenuta, con numerose varianti, anche da G. D e Sanctis, «Rivista di filol. classica», LIV 1926, pp. 289-309; LXIV 1936, pp. 1-14; id., Storia dei Greci, cit., II, pp. 205-210; Ph.-E. Legrand, Hérodote, Introduction, Paris 1932, pp. 134-137; W. Schmid, op. cit. alla n. 17, pp. 586-599; K. von Fritz, op. cit. alla n. 17, pp. 104-475 (v. specialmente pp. 113-121; 443-475). 21 M. Pohlenz, H erodot, Leipzig, 1937, pp. 59-91; M. Gigante, Nòmos basilèus, Napoli 1956, pp. 140-145. Sull’importanza delle cause e dei precedenti nella ricerca di Erodoto: G. Nenci, Introduzione alle guerre persiane, Pisa 1958, pp. 58-62. 22 Così H .R . Immerwahr, op. cit. alla n. 17, pp. 8-9, 23 G. D e Sanctis, Storia dei Greci, cit., II, p. 207 (cfr. 210); O. Regenbogen, Kleine Schriften, Miinchen 1961, pp. 69-71'(daun articolo pubblicato in «D ie Antike» 1930). 24 S. Mazzarino, op. cit. alla n. 11, I, pp. 132-133; 564 n. 143; J.
21
Prim a di afferm are che E rodoto, con uno sforzo non coronato dal successo, cercò di unificare elem enti dispa rati adattando il m ateriale etnologico a una nuova im po stazione di tipo storiografico, sarebbe stato opportuno chiedersi perché mai avrebbe dovuto fare tanta fatica: nulla gli im pediva infatti di pubblicare due opere, come E cateo, o una m oltitudine di brevi m onografie, come Ellanìco. È preferibile dunque supporre ch’egli conside rasse il suo lavoro come unitario per il m etodo e p er il contenuto; e si può pensare che questo atteggiam ento fosse scontato, tanto p er lui quanto per i suoi contem po ranei, se, come p are, già prim a di lui altri autori avevano com posto opere che trattavano sia l’im pero achemenide p er se stesso, sia le guerre fra Greci e Persiani25. R esta vero naturalm ente che l’opera è in alcune parti sproporzionata. Di questo difetto E rodoto era ben con scio, e, a proposito del caso più appariscente, la sterm ina ta trattazione sull’Egitto, se ne scusa con un argom ento che senza dubbio era ben accetto ai suoi uditori e lettori antichi, come ai lettori m oderni: «Vengo ora a dilungare il mio discorso intorno all’E gitto, perché m olte cose m e ravigliose esso possiede...» (II, 35,1). 7. E rodoto è quasi sem pre m olto esplicito, o addirittura pedante, nel farci sapere come e da chi abbia appreso ciò che riferisce. A ppare evasivo solo per quanto riguarda l’uso di fonti scritte: ciò si deve al fatto che i testi in lingue diverse dal greco erano p er lui incomprensibili, e doveva affidarsi, per farne uso, a un interprete (§ 2); i testi greci disponibili non erano molti ed egli - qualche volta a torto - non li considerava né im portanti né interessanti, tanto che forse, anche quando se ne serviva, riteneva poco serio e poco dignitoso confessarlo. Vi sono molti passi in i cui egli ha certam ente seguito fonti scritte, come quando
Cobet, op. cit. alla n. 17, p. 185; R. Drews, op. cit. alla n. 5, pp. 14-15; A .B . Lloyd, op: cit. alla n. 5, pp. 81-84; C. Meier, Die Entstehung des politischen bei den Grìechen, Frankfurt am Main 1980, pp. 360-434. 25 Cfr. M. M oggi, «Atti Scuola Normale Pisa» VII 1977, pp. 23-24.
22
precisa il num ero delle navi fornite dalle singole città o dai singoli popoli alle flotte greche o persiane, e talvolta anche i nomi dei com andanti (VI, 8; V II, 89-99; V ili, 1; ecc.), e non lo dice, m entre proprio in queste occasioni uno storico m oderno terrebbe a precisare l’origine dei dati. Sappiamo poi che egli ha attinto all’opera di Ecateo molto più spesso di quanto sia disposto a riconoscere: mà in ciò si è com portato come quasi tutti gli autori antichi, che nom inano i predecessori solo per criticarli, e non li citano proprio quando li seguono fedelm ente. Il proble ma è com unque assai poco rilevante, poiché è certo che la maggior parte dei dati raccolti nelle Storie deriva da osservazioni personali dell’autore e dalla tradizione orale26. E rodoto trascurò (a torto) gli archivi dei tem pli e delle poleis, ove avrebbe potuto trovare docum enti e anche cronache (brevi notizie sulla storia locale che i sacerdoti e i m agistrati aggiornavano di anno in anno). Egli preferiva conversare con le persone che conoscevano il contenuto degli archivi e farsi raccontare da loro ciò che sapevano, j Anche in questo caso non si può giudicarlo coi criteri della scienza m oderna; la filologia e la ricerca erudita si afferm arono solo in età ellenistica, e rim asero sempre ben distinte dalla storiografia. Gli storici utilizzavano, per gli eventi contem poranei o di poco anteriori, le testi monianze dirette di chi aveva partecipato, e, p er il passa to, la tradizione orale o le opere di storici precedenti.^-, I mezzi d ’indagine preferiti da E rodoto sono l’autopsia (visione diretta: di paesaggi, città, m onum enti) e l’axof] (audizione: raccolta di notizie presso i dotti, i viaggiatori, i testimoni di fatti significativi). Egli distingue con grande , cura ciò che h a visto e ciò che ha sentito dire (II, 29, 1; 147, 1; ecc.), e, com ’è logico, dà maggior peso all’auto psia: ad esempio conferm a ciò che «i Delfi affermano», e cioè che il cratere d ’argento offerto da Creso era opera di Teodoro di Sam o, perché lo ha osservato e lo giudica 26 V. in generale F. Jacoby, op. cit. alla n. 2, col. 392-467; K. von Fritz, op. cit. alla n. 17, pp. 407-416; inoltre P. Tozzi, La rivolta ionica, Pisa 1978, pp. 31-41, con esauriente bibliografia.
«opera non dozzinale» (I, 51, 3); ovvero m ette le mani avanti avvertendo che non ha potuto controllare de visu ciò che dicono i Caldei circa una statua d ’oro massiccio alta dodici cubiti (183,3). Inoltre presta fede ai suoi int. locutori solo se essi sono autoptai, testimoni oculari, ma non se ripetono quanto hanno sentito dire da altri (IV, 16; 24-25)21. Per quello che si riferisce agli eventi del passato, non può usare altrettanta cautela, e crede a ciò che gli si racconta anche se si tratta di tem pi remòtissimi (1 ,171,2; III, 122, 2; m a una notevole eccezione è rappresentata, -6om e vedrem o, dalla storia egiziana). Sull’attendibilità delle notizie tram andate da Erodoto 'già gli antichi diedero un giudizio severo. A ristotele, come si è detto, lo definiva «mitologo», cioè «contafavo le» (cfr. n. 18); Cicerone scrive che, sebbene egli sia «il padre della storia», e sebbene la storia sia tenuta al rispetto della verità, nella sua opera si trovano «fandonie innumerevoli» (de legibus 1 5; v. anche de divinatione I I 116). Tucidide, quando afferm a di aver attinto informazioni da fonti attendibili, e non «dal prim o che capita» (I, 22, 2), intende contrapporsi, ancora una volta, soprattutto a E rodoto28. Q uest’ultim o rim provero è in parte esagerato. U n criterio di scelta fra diversi tipi di inform atori viene chiaram ente afferm ato a proposito dell’Egitto : m entre la stori a più antica è stata narrata secondo la testim onianza degli Egiziani, a partire dalla X X V I dinastia l’autore accetterà invece l’opinione dei residenti stranieri, e quella degli Egiziani solo in quanto non è contraddetta dagli stranieri (II,-142,1; 147,1). Si allude naturalm ente ai Greci, molti dei quali, da Psam metico I in poi, erano stati direttamc-nte coinvolti nella vita del paese (152, 4-5; 154; 178, 1). 27 Sulle cronache: Sandra Gozzoli, «Studi classici e orientali» XIXXX 1970-1971, pp. 158-211. Sull’autopsia: G. Nenci, ivi, III 1953, pp. 14-46. 28 Sulla fortuna di Erodoto presso gli antichi e i moderni: Augusta Izzo d’Accinni, in Erodoto, Le Storie, Firenze 1951, pp. LXXV-XCIV; A . Momigliano, Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 29-44; Daniela Fàusti; in questo volume, pp 51-53.
Jf I 1 § 1 | I
j
I I j { J | j | ? ;
Sebbene una preferenza p er le fonti non indigene possa apparire a prim a vista discutibile, la scelta si rivela felice: iTresoconto della storia egiziana, che per le epoche più antiche non ha nessun valore, per i secoli dal V II al V è nell’insieme accettabile e utile. D el resto E rodoto non si attiene rigidam ente al principio che ha"stabilito: proprio per un episodio riguardante Psam m etico scarta le «scioc che fole» dei G reci e segue i sacerdoti di Memfi (112,5). Un altro esempio di scelta tra varie fonti si nota a proposito di Ciro il G rande: l’autore seguirà l’opinione di quei Persiani «che non vogliono esaltare le im prese di Ciro ma vogliono dire la verità» (I, 95, 1). Anche quando non si ferm a a pesare il valore delle fonti da cui attinge le diverse tradizioni, E rodoto m ette a confronto le tradizioni in se stesse, usando il criterio della logica e della verosimiglianza (III, 9; 45; 56; IV, 5-12; ecc.); dunque non si può dire che dia ascolto «al primo che capita». Q uando non ha elem enti per decidere fra due versioni non si pronuncia, e lascia la scelta al lettore (III, 122,1; V , 45,2). Talvolta conosce un solo racconto e lo respinge perché incredibile (I, 75, 5-6; 182; III, 16, 7; IV, 25, 1; 105j 2) o anche sem plicem ente perché non corrisponde alle sue im pressioni (1 ,172,1); o infine per ché dispone di dati che gli perm ettono di confutarlo (IV, 155, 2). C erto lo storico non ha considerato necessario espri mere ogni volta i suoi dubbi; m a è impossibile accusarlo di eccessiva credulità se si ricorda quanto egli afferma—, ripetutam ente: «Io sono tenuto a riferire quel che si dice, ma non a prestar fede a tutto» (V II, 152,3; cfr. II, 123,1; III, 9, 2; IV , 195, 2). -J D ’altra parte questi passi non sono im portanti solo come dichiarazione di scetticismo, m a anche per l’im pe gno che l’autore assume di «riferire quel che si dice» (cfr. III, 9, 2: «dal m om ento che viene narrato, conviene che sia riferito»), E rodoto dunque ha considerato suo dovere offrirci, oltre alla ricostruzione storica secondo lui auten tica, anche una «raccolta di m ateriali» sulle tradizioni e le credenze popolari che circolavano nel m ondo greco e nell’im pero persiano; e ha m antenuto l’im pegno tram an
dando racconti e opinioni che egli non accettava, m a che avevano - e hanno - un valore p er il 7fatto stesso di .-esistere29. ’ L ’attendibilità di E rodoto deve insom ma essere valuta ta su due piani differenti. U na parte della sua opera deriva da fonti bene inform ate, e vagliate, se non con un acuto senso critico, alm eno con una notevole dose di buon senso. P er il resto, egli è attendibile in quanto non inventa, ma conserva (e spesso è il solo a conservare) le dicerie, i pregiudizi, le superstizioni, gli aneddoti, le no velle, i miti: m ateriale prezioso p er la conoscenza della [v ita antica nella sua realtà concreta e quotidiana.
dei calendari: non solo l’èra, e il m odo di indicare gli anni (da l nom e di un m agistrato o di un sacerdote), m a anche i nomi dei mesi variavano da una città all’altra; oscillava
29 Cfr. H .R . Immerwahr, op. cit. alla n. 17, pp. 5-6; A . Masaracchia, Studi Erodotei, Roma 1976, pp. 41-42.
poi anche la data scelta com e Capodanno, sicché poteva accadere che due avvenim enti svoltisi contem poranea mente, per esem pio, a Samo e a M ileto, fossero assegnati nelle cronache delle due poleis ad anni diversi. In questa situazione si spiega che lo storico abbia rinunciato a un’e sattezza com unque irraggiungibile. M a per quanto ri guarda l’im pero persiano e la XX V I dinastia egiziana egli conosceva (senza dubbio da fonti scritte in greco) la lista dei re e la durata di ciascun regno; per i m onarchi persia ni, anche i principali avvenim enti datati secondo gli anni di regno. E rodoto c’inform a che l’esercito di Serse occupò e distrusse A tene durante l’arcontato di Calliade (V ili, 51): probabilm ente ha ricordato questo particolare, insi gnificante p er la m aggioranza dei Greci, perché si riferi sce all’episodio più dram m atico della storia ateniese. Gli autori più tardi usavano, insieme con la lista degli arconti ateniesi, anche l’èra olimpica, che perm ette un facile conguaglio con l’èra cristiana: da essi apprendiam o che Calliade fu arconte nell’anno attico che corrisponde al 480-479 a.C . L ’accostam ento di altri due passi erodotei (VII, 7; 20,1) dim ostra che l’anno di Calliade coincide col sesto anno del regno di Serse: dunque partendo da questa data, e som m ando le durate dei vari regni, possiamo inquadrare nella nostra cronologia buona parte della sto ria persiana, e, grazie ai rapporti fra la Persia e l’E gitto, anche di quella egiziana. I controlli effettuati sulle fonti egiziane ed orientali hanno dim ostrato che i dati erodotei sono in sostanza esatti. A proposito degli Achem enidi, si nota un solo errore: E rodoto sem bra credere che Ciro abbia sottom es so i M edi nel suo prim o anno di regno (558 a.C .), m entre in realtà per otto anni regnò sui Persiani come vassallo di Astiage, e si ribellò solo nel 55031. Nella lista della XXVI
30 V. soprattutto H. Strasburger, «Historia» V 1956, pp. 129-161; le inoltre H. Kaletsch, ivi, VII 1958, pp. 1-47; K. von Fritz, op. cit. alla n. 17, pp. 364-406.
31 A dire il vero Erodoto, su questo punto, non prende posizione. Si può solo sospettare l’errore, poiché egli attribuisce a Ciro 29 anni di
8. Spesso si rim provera a E rodoto un troppo scarso inte resse per la cronologia. M a un esame più attento delle condizioni in cui egli ha svolto il suo lavoro, e dei risultati ottenuti, dim ostra che il giudizio negativo è del tutto fuori luogo30. O ccorre tener conto del fatto, peraltro ben noto, che ai suoi tem pi non esisteva ancora u n ’èra riconosciuta da tutti: ogni popolo, ogni città, aveva il suo sistema di datazione, che era ignoto agli stranieri. Solo verso la fine del V secolo il sofista Ippia di Elide pubblicò la lista dei vincitori nelle O lim piadi, che poteva servire come punto di riferim ento com une a tutti i Greci; e solo nel III secolo l’èra olimpica fu definitivam ente adottata dagli storici. Non si può dunque pretendere che E rodoto ci offra una cronologia chiara e unitaria: poiché l’area dei suoi interessi è m olto vasta, egli era costretto a servirsi dei vari sistemi in uso presso le poleis e i regni di cui m an m ano si occupava, e la sua ricostruzione, per quanto - in parte poco soddisfacente, deve essergli costata notevoli fatiche. Quasi sem pre m olto vaghi sono i dati cronologici sulla storia greca, p er le condizioni particolarm ente caotiche
26
j „ : | I | 1 1 I 1 I I I | {
27
dinastia vi sono alcuni piccoli errori che, nell’insieme, hanno p o rtato E rodoto ad anticipare l’avvento di Psamm etico I dal 663 al 670. L a differenza, per un autore greco del V secolo che tratta la storia dell’E gitto nel V II secolo, è trascurabile. Vi sono poi vari episodi della storia greca che trovano la loro collocazione cronologica perché s’intrecciano con quelli della storia persiana: ad esempio la m orte di Policrate, che coincide con la follia di Cambise (III, 120,1) e deve perciò risalire al 523-522 a.C . Q uesti casi, in cui E rodoto è la nostra unica fonte, sono i più im portanti. P er la dinastia lidia dei M èrm nadi invece lo storico non ebbe a disposizione una fonte scritta, e fu costretto ad accontentarsi dei dati tradizionali e di ipotesi: anticipa perciò la m orte di Gige al 680 (la data esatta, il 652, risulta da un docum ento assiro). Il m argine di errore si attenua però m an m ano che si scende verso tem pi più recenti, e la cronologia di Creso (560-547) è esatta. 9. L ’esordio delle Storie, in cui si indicano come tema'«le gesta grandi e m eravigliose delle quali han dato prova così i Greci com e i B arbari», costituisce una prom essa di ^ o b ie ttiv ità ; e poiché l’autore non aggiunge alcuna spiega zione è lecito supporre che un atteggiam ento imparziale apparisse ovvio tanto a lui quanto al suo pubblico. È superfluo dire che la prom essa è stata m antenuta, e che E ro d o to , p er quanto riguarda non tutti i barbari, m a i M edi e i Persiani, è pronto a riconoscere le prove di coraggio (p. es. V II, 106-107; V ili, 17; perfino alle T er mopili l’abnegazione dei M edi rifulge accanto a quella degli Spartani: V II, 210, 2), e anche quelle di lealtà e di um anità: il com portam ento generoso di Serse verso Sperchia e Buli è contrappósto all’em pio gesto degli Spartani, regno (1214,3), è, d’altra parte, mostra di ritenere che gli Achemenidi, quando erano vassalli dei Medi, non avessero il titolo di re (1 107,2; 125, 2; 127,1; 130,3). Dunque egli pensava che Ciro avesse regnato anche sui Medi per 29 anni (558-530 a.C .) anziché per 21 (550-530 a.C .). Va ricordato tuttavia che secondo R. Drews, «Historia» XVIII 1969, pp, 1-11, Ciro spodestò Astiage non nel 550, ma nel 554; in tal caso l’errore di Erodoto si ridurrebbe a soli quattro anni.
che avevano ucciso gli am basciatori del G ran R e (VII, 136, 2 ; indirettam ente il rim provero coinvolge anche gli Ateniesi). Q uando Serse oltraggia la salma di L eonida, il suo atto non è considerato tipico, m a spiegato come una straordinaria esplosione d ’ira e di rancore, in contrasto col tradizionale rispetto dei Persiani per i nemici valorosi (VII, 238; cfr. 181). Tutto ciò non costava alcuno sforzo a E rodoto, che metteva sullo stesso piano idee e costumi di tutti i popoli (III, 38,1: «ciascuno è convinto che le sue proprie usanze sono di gran lunga le migliori di tutte»), e che, fra l’altro, era disposto a considerare gli Egiziani m aestri dei Greci in fatto di religione; Plutarco, che invece credeva ferm a mente nel prim ato dei G reci, lo condannò come «filobar baro» (Sulla malignità di Erodoto, 12 = 857 A ). Tuttavia non deve dim enticarsi che obiettività non si gnifica indifferenza; anzi, si può parlare di obiettività solo quando non vi sia indifferenza. E rodoto è dalla parte dei suoi connazionali, in prim o luogo perché Serse è un inva sore, destinato alla sconfitta dalla volontà degli dèi, che negano a un uom o solo il diritto di dom inare sull’Asia e sull’E uropa (V ili, 109, 3). In secondo luogo perché, dopo aver riconosciuto ai Persiani tutte le possibili quali tà, egli è convinto che i G reci siano superiori ai loro nemici in un punto essenziale: essi vivono nella polis, comunità di uom ini liberi soggetti solo alla legge, e non sotto lo scettro di un despota (V II, 101-105; 135)32. Le guerre persiane sono ai suoi occhi uno scontro fra un popolo che difende la sua indipendenza, e sudditi che si battono p er tim ore della sferza (V II, 103, 4; 223,3) o per distinguersi agli occhi del re (V III, 86; 89, 2; ecc.). In tal m odo, nonostante la sua avversione p er la guer ra, più volte ribadita (I, 87,4; VI, 98,1-2; V ili, 3 ,1 ), egli giustifica pienam ente la resistenza dei Greci all’invasio ne, e spiega la loro vittoria. B en diverso è l’atteggiam ento che E rodoto adotta ver so la rivolta ionica33. Il fatto ch’egli colga ogni occasione 32 M. Gigante, op. cit. alla n. 22, pp. 124-125. 3? G. Nenci, «Rendiconti Accademia Lincei» V ili 5, 1950, pp. 106-
118; P. Tozzi, op. cit. alla n. 26, pp. 29-30,41-49; D . Lateiner, «Historia», XXI 1982, pp 129-160.
convinzioni, che la rivolta era stata dal principio alla fine una pura follia. Q uesta ipotesi è confortata dal fatto che in qualche punto E rodoto si dim ostra incoerente, e lascia trasparire la sua sim patia per la causa dei ribelli. D apprim a deplora la «insana ostinazione» degli Ioni che alla vigilia dello scontro decisivo si rifiutarono di tradire (V I, 10), e, almé no apparentem ente, giustifica con la disorganizzazione e la reciproca diffidenza il tradim ento di quasi tutti gli alleati durante la battaglia navale di Lade (13-14); ma poco dopo esalta il valore dei Chii, che continuarono a com battere e subirono gravissime perdite: lungi dal riba dire il giudizio di «insana ostinazione» osserva che essi «non ritennero giusto rendersi pari a quelli che erano vili» (15, 2). Particolarm ente complesso è il problem a dei Samii. Secondo u n ’opinione m olto diffusa, E rodoto, essendo stato esule a Sam o, era pregiudizialm ente favorevole a questa città e le accordava una certa preferenza rispetto alle altre poleis ioniche: ciò sarebbe conferm ato dall’epi sodio di Lade. I Samii infatti furono i prim i a tradire e ad allontanarsi, provocando la fuga degli altri; sicché le pre sunte giustificazioni addotte p er il tradim ento valgono soprattutto p er loro. M a si deve tener conto anche di un altro passo: gli ufficiali di undici trirem i samie (su sessan ta) «rimasero e parteciparono alla battaglia navale, di sobbedendo ai loro strateghi»; i concittadini, in séguito, li onorarono come uomini, valorosi iscrivendo i loro nomi su una stele elevata nell’agorà (VI, 14, 2-3). Sembra dunque che E rodoto, e la polis di Samo, siano solidali con questi Samii, e non con quelli che tradirono; lo storico ha voluto spiegare il tradim ento, non giustificarlo.
34 L’ostilità di Erodoto verso gli Ioni della dodecapoli anatolica è stata senza dubbio esagerata da una parte della critica moderna, come hanno dimostrato G. Nenei, op. cit. alla n. 33, pp. 106-108; A . Masaracchia, op. cit. alla n. 29, pp. 9-44; v. inoltre G. Maddoli, «La parola del passato» X X XIV 1979, pp. 256-266 (discussione di 1 , 143,2). Tuttavia non si può negare una certa dose di «malignità»: «Queste dodici città... eressero un santuario per sé sole... e decisero di non farne partecipe alcun altro degli Ioni; del resto veramente nessuno richiese loro di esserne partecipe, ad eccezione degli abitanti di Smirne» (I, 143, 3; v. anche VI, 12,2-4).
10. I giudizi di E rodoto sui regimi politici delle poleis greche possono sem brare al lettore m oderno superficiali e approssimativi; m a ciò non dipende da m ancanza di idee o di salde convinzioni, bensì solo dal fatto che nel V secolo cominciava appena a form arsi una «scienza politi ca», e non esisteva ancora una term inologia accettata da tutti.
p er m ettere in rilievo l’indisciplina, gli errori e i tradim en ti di capi e di gregari non può stupire: il suo resoconto sem bra nella sostanza veritiero e si può solo sospettare che abbia calcato un p o ’ le tinte a causa della scarsa sim patia che aveva per gli Ioni34. Stupisce invece che lo storico deprechi l’iniziativa in se stessa, considerandola solo nei suoi risultati, come fonte di mali (V, 28 ,1 ; 30,1; cfr. anche 9 7 ,3 , sull’appoggio di A tene), senza una paro la di apprezzam ento sul suo scopo. Non si può certo credere che condanni la rivolta perché era fin dal princi pio destinata al fallim ento: altrove dà un giudizio positivo sui Perinzi «che si m ostrarono uomini valorosi nella dife sa della propria libertà» (V, 2, 1), benché, ovviamente, non avessero alcuna speranza; e approva anche l’aristo crazia dei Cimm èri, che avrebbe voluto «com battere fino alla fine» contro gli Sciti, e non essendo riuscita a convin cere il popolo preferì il suicidio alla fuga (IV, 11). Senza dubbio egli trovava assurda una lotta per la libertà guidata da un tiranno che aveva abdicato solo «a parole» (V, 37, 2); m a questa spiegazione non basta, perché il suo atteggiam ento non m uta dopo la m orte di A ristagora e l’espulsione di Istieó. Si può supporre ch’e gli si sentisse in dovere di scagionare i D ori d ’A sia in generale, e soprattutto i suoi concittadini di Alicarnasso, che, quasi soli fra i sudditi dei Persiani nell’A natolia occidentale, non avevano preso le armi. P er difenderli dall’accusa d ’inerzia e di viltà senza entrare in una pole mica che gli sarebbe riuscita difficile, non aveva altra risorsa se non quella di sostenere, contro le sue intime
30
31
A d esem pio, per quanto riguarda le m onarchie, si os serva che lo storico non distingue rigorosam ente fra i titoli di re (basilèus) e tiranno: e da ciò si è voluto indurre ch’egli non sia ostile per principio alla tirannide. In teo ria, i re sono m onarchi legittimi, i tiranni invece usurpatori saliti al p o tere grazie al delitto e al tradim ento (anche a danno dei propri seguaci; quasi tutti infatti esordivano come capi di u na fazione aristocratica o popolare): ma questa distinzione fu codificata solo più tardi. Sebbene E rodoto non dia im portanza alla form a, e talvolta chiami re un tiranno, e tiranno un re35, la sua avversione alla tirannide è evidente: basti ricordare che p er lui l’uom o più giusto è colui che rinuncia al potere personale senza esservi costretto, come fece Cadm o di Coo (V II, 163,3), e com e, per un m om ento, volle fare M eandrio di Samo (III, 142, 1). L ’interpretazione di E rodoto è stata resa difficile, in questo come in altri casi, dalla sua obiettività, che lo p o rta a giudicare positivam ente alcuni tiranni, o singoli atti di un tiranno. U n esempio caratteristico è quello di Pisistrato: nello stesso capitolo si am m ette che era un valoroso, e che am m inistrò saggiam ente A tene, m entre si ricorda che oppresse la città e ingannò il popolo (I, 59). Il caso più clam oroso è quello di A rtem isia, che gover nava Alicarnasso nel 480. E lla seguì con cinque trirem i la spedizione di Serse contro la G recia e si distinse non tanto per il suo coraggio in battaglia quanto per i suoi consigli, m olto apprezzati, anche se non sem pre seguiti, dal re. E rodoto ribadisce continuam ente la sua am m irazione per A rtem isia, e sem bra perdonarle finanche l’atto piratesco da lei com piuto a Salam ina, quando, nel caos che seguì la disfatta dei Persiani, speronò e affondò una trirem e ami ca, aprendosi così la strada verso la salvezza e nello stesso tem po dando ai G reci l’im pressione di essere dalla loro
parte, sicché non fu inseguita (V ili, 87-88). Il fatto ch’el; |., avesse com battuto dalla parte degl’invasori non costi; tuiva certo un problem a p er E rodotò: molti G reci, tanto : delle colonie anatoliche quanto della m adrepatria, si era no com portati nello stesso m odo ed egli dim ostra nei loro rinuardi la massima com prensione (pur sapendo che l’ac cusa di «medismo» era considerata infam ante: v. sopra, § ‘ 4). La sua sim patia appare invece singolare se si pensa ’ che Artem isia erà la m adre di Ligdami, il tiranno contro cui E rodoto aveva com battuto in gioventù36. L a spiega zione - oltre che nel fascino esercitato da una figura senza dubbio eccezionale - sta probabilm ente nel fatto che la piccola e oscura polis di A licarnasso aveva goduto di una certa fama solo al tem po di A rtem isia, e per suo m erito. I Per i regimi aristocratici E rodoto m ostra di conoscere solo il term ine «oligarchia», governo di pochi (III, 8 1 ,1; 82; V 92 P 1), che ha u n ’evidente sfum atura negativa: infatti nel famoso dialogo dei nobili persiani sulle costitu zioni Megabizo lo evita, e ricorre a una perifrasi: «scelto un gruppo degli uom ini migliori (àristoi), a questi affidia mo il potere» (III, 81, 3)37. Il term ine «aristocrazia» appare per la prim a volta in Tucidide. Infine, E rodoto è il prim o autore a noi noto che usi la parola «dem ocrazia» (V I, 43, 3; 131,1) e il verbo 6rì(tox0axé8o'&ai, reggersi con un governo democratico (IV, 137,2; V I 43,3). A lcune allusioni di Eschilo (Suppli ci, 604, 699) dim ostrano che la parola preesisteva38; tut-
36 Secondo la Suda, s.v. ‘Hoóòoxog, Ligdami era nipote di Artemi sia; K.J. Beloch, Griechische Geschichte, I I 2, p. 2, ha dimostrato che era invece suo figlio. 37 E superfluo dire che il dialogo è del tutto immaginario; ma non è I stato inventato da Erodoto, che anzi è pienamente convinto della sua l autenticità. Il problema della fonte cui lo storico attinse è molto discus so: cfr. H . A pffel, op. cit. alla n. 35; S. Mazzarino, op. cit. alla n. 11, pp. 174-175, 580-581; F. Lasserre, «Museum Helveticum» XXXIII 1976, pp. 65-84; Hannelore Edelmann, «Klio» L V II1975, pp. 319; D . Lanza, 35 H. A pffel, D ie Verfassungsdebatte bei H erodot, Diss. Erlangen Il tiranno e il suo pubblico, Torino 1977, pp. 225-232; W. Nippel, 1957, p. 67-68; A . Ferrili, «Historia» X X V II1978, pp. 385-398, sosten ■ Mischverfassungstheorie und Verfassungsrealitàt, Stuttgart 1980, p. 34 gono che la confusione è solo apparente, e che Erodoto distingue i due n. 17. Sul termine e il concetto di oligarchia: Domenica Paola Orsi, titoli. Su questo punto, e in generale sull’atteggiamento dello storico «Quaderni di storia» X IV 1981, pp. 135-150. verso la tirannide, mi permetto di rinviare a un mio articolo in corso di 38 Cfr. V. Ehrenberg, «Historia» 1 1950, pp. 515-548. Sul termine e pubblicazione negli Studi in onore di Piero Treves.
32
33
2 . Storie voi. 1
\
tavia la parsim onia con cui lo storico ne fa uso lasci! supporre che il term ine non fosse ancora familiare né a lui né al suo pubblico. Nella sua opera troviam o anche perii frasi come «il popolo al potere» (III, 80, 6; 8 2 ,1 ), o nom i astratti dal significato non sem pre chiaro, m a com unquj m eno ampio: isonomia, uguaglianza di fronte alla leggi (80, 6 ; 83, 1; 142, 3; V 37, 2); isegoria, diritto di parola uguale per tutti (V, 7 8 ,1 ); isocratia, uguaglianza, o equi! librio, di poteri (V , 92,1). j Si è osservato che questi tre ultimi term ini sono generi! ci: indicano cioè un regim e «non tirannico», che potrebbe] essere tanto aristocratico quanto dem ocratico . È c e rti i però che due di essi, isonomia e isegoria, nelle Storie s o n | usati come sinonimi di dem ocrazia. Infatti, nel dialogo^ fra i nobili persiani, O tahe parla di isonomia, m a anche dj «popolo al potere»; e più oltre, in un passo che richiama i| contenuto del dibattito e la tesi di O tane, E rodoto ricorri al term ine dem ocrazia (V i 43,3). Facendo l’elogio dell l’A tene clistenica, parla di isegoria, m a altrove scriverà: _ che d is te n e diede agli A teniesi la dem ocrazia. j ^ D unque, le parole «Yisegoria è un bene prezioso», con quel che segue (V, 78, 1), non sono soltanto un elogioj della libertà, m a anche della dem ocrazia. Gli studiosi m oderni che considerano E rodoto freddo o scettico nei riguardi della sovranità popolare40 citano un passo in cu{ egli, confrontando il fallim ento di A ristagora a Sparta col successo ottenuto ad A ten e, osserva: «A ppare chiaro..| che è più facile ingannare m olti che uno solo» (V, 97)> Q ueste parole dim ostrano che non gli sfuggivano i rischi] cui sono esposte le assemblee; m a la critica della dem o crazia è stata esercitata in tutte le epoche anche dai! democratici. il concetto di democrazia: C. M eier, Entstehung des Begriffs Democratie, Frankfurt am Mein 1970; Domenica Paola Orsi, «Quaderni di storia» XI 1980, pp. 267-296. 39 Così V . Ehrenberg, op. cit. 40 P. es. Ed. Meyer, Forschungen, cit., II Halle 1899 (rist. Hildesheim 1966), pp. 226-228; F. Jacoby, op. cit. alla n. 2,,col. 357-358; H. Strasburger, «Historia» I V 1955, pp. 1-25; Ch. W. Fornara, Herodotus, Oxford 1971, pp. 48-49.
34
1 1 . Secondo una teoria che risale ai due fondatori della nioderna critica erodotea, il M eyer e lo Jacoby, E rodoto era un partigiano di A ten e e di Pericle: la sua opera non è tanto un’esaltazione della lotta panellenica contro l’inva sore quanto una esaltazione di A tene, protagonista della guerra e artefice della vittoria; e si propone lo scopo di giustificare l’egem onia ateniese41. Q uesta tesi è inaccet- ' tabile: p er confutarla, basta rilevare che lo storico, quan do vuole contrapporre la civiltà greca a quella persiana, sceglie come term ine di paragone Sparta (V II, 101-105; 135) m ostrandosi così ben lontano dall’accettare le orgo gliose definizioni di A tene «scuola dell’Ellade» (attribui ta da Tucidide, II, 4 1 ,1 , a Pericle) o «Eliade dell’Ellade» (attribuita a Tucidide, in Antol. Palatina V II, 45). Inoltre nei suoi giudizi sulle altre poleis greche non tiene alcun conto dei loro rapporti con A tene: demolisce bensì la figura del corinzio A dim anto, uom o corruttibile (V ili, 5, 2) e meschino (59; 61), m a non accetta la versione atenie se sulla codardia dei Corinzi a Salam ina (94, 4); ancora a proposito di Salam ina, sottolinea il valore degli Egineti (84; 86) e lo giudica superiore a quello degli Ateniesi (93). P er contro, non nasconde il medismo di A rgo (V ili, :73; IX , 12), tradizionale alleata di A tene contro Sparta, e attribuisce un abbietto opportunismo a Corcira (VII, 168), alleata recente. Come spesso accade, la tesi esagerata di E rodoto fau tore di A tene o addirittura propagandista della politica periclea, ha finito col provocare una reazione altrettanto esagerata. Si è afferm ato dunque che egli am m irava A te ne per il contributo alla lo tta contro Serse, m a condanna va la politica im perialistica del periodo successivo e p er tanto era ostile a Pericle42.
41 Ed. M eyer, Forschungen, cit., I, pp. 196-202; II, pp. 197-198; 221-223; F. Jacoby, op. cit. alla n. 2, col. 237-242; 355-359. È degno di nota che ambedue questi autori considerino Erodoto scettico o indiffe rente nei riguardi della democrazia. V . l’equilibrata critica di O. Regenbogen, op. cit. alla n. 23, pp. 77-80.42 H. Strasburger, op. cit. alla n. 40; Ch. W. Fornara, op. cit. alla n. 40, pp. 41-58; H . J. Me Culloch, «Symbolae O slaenses»L V II1982, pp.
35
Le prove di un’ostilità verso A tene nop sono convin- : centi: si afferm a che E rodoto concluse là sua opera col 478 perché non voleva parlare della lega delio-attica, form atasi nel 477 e divenuta ben presto uno strum ento della suprem azia ateniese. M a se così fosse egli si sarebbe astenuto anche dal trattarn e incidentalm ente; invece ile ricorda l’origine, e in tono positivo (V ili, 3,2: gli A tenie si assunsero l’egem onia quando gli altri Greci ebbero, bisogno di loro) . N on si possono certo considerare ostili gli accenni al fatto che A tene, liberata dalla tirannide, sarebbe un giorno diventata una rivale pericolosa per Sparta (V, 91, 1) e p er C orinto (93, 1). Q uesti due passi non fanno che riecheggiare il tem a del capitolo 78: la libertà è un fattore di forza e di potenza. Che poi la foi /do... leggibili in un papiro di A lceo (fr. 1, 13 Voigt). 49 V. anche Iliade, IV 55-56; O dissea, X I 149 (è m ^ o v éc o ), 381; XV II400; XIX 348. Solo in Od. X V III16-18 è possibile l’interpretazio ne «invidiare»; ma il confronto con gli altri passi omerici induce a tradurre: «io non mi oppongo... e non è giusto che tu ti opponga».
dettato da una legge non scritta che im pone di «non eccedere» (è il principio attribuito ai Sette Sapienti e citato da P indaro, fr. 35 b Snell); o anche l’ira suscitata dalla trasgressione al divieto50. In E rodoto non troviam o le parole phthònos theòn51. L ’atteggiam ento degli dèi è definito dall’aggettivophthoneròs ( I , 3 2 ,1; III, 4 0 ,2 ; V II, 4 6 ,4 ) e dal verbophthonèo (V II, 10 e; V III, 109, 3); il com portam ento um ano che provoca l’ira divina è epìphthonos (IV,*205)52. Q uest’ultimo passo, di solito trascurato, va invece te nuto presente p er com prendere la natura dello phthònos divino: Feretim e, dopo aver com piuto un’orribile strage a B arce, m orì di una m alattia non m eno orribile «poiché in verità le vendette um ane troppo violente riescono odiose (epiphthonoi) agli dèi». D unque lo phthònos è provocato da un atto che è condannato anche dalla m ora le um ana. Ci si dom anda se è possibile che l’eccesso di felicità e di fortuna sia di p er sé una colpa secondo la legge divina; e alcune frasi di E rodoto sem brano suggerire quest’inter pretazione. Am asi scrive a Policrate ricordandogli che il 50 Óltre al Pohlenz e al D el Grande (sopra, n. 46), v. H. Fraenkel, Aeschylus, Agam em non, II Oxford 1950, pp. 349-350; J.L. Myres, op. cit. alia n. 15, p. 50; W. Pótscher, op. cit. alia n. 44, pp. 23-26; H .R. Immerwahr, op. cit. alla n. 17, p. 313. Fra i lessici erodotei, su questo puntò, il vecchio Schweighàuser è più attendibile del Powell. Secondo il Fraenkel, p. 350 n. 1, l’invidia o gelosia degli dèi era un concetto ormai superato al tempo di Eschilo, ma vivo in epoche più primitive: lo proverebbe di per sé il termine phthònos. Ma, se è vero che nell’epopea phthonèo non significa invidiare, nessun Greco ha mai creduto nell’invi dia degli dèi verso i mortali. Gli dèi sono bensì invidiosi o gelosi l’uno dell’altro, ma questo sentimento è espresso con termini diversi da phthònos (v. ad esem pio O dissea, V 118-120). 51 La formula è di Eschilo, Pers. 362 (A gam . 946-947 va interpretato diversamente: cfr. H . Fraenkel, op. c it., p. 430); torna poi in Euripide, Ale. 1135; Suppl. 348; Iph. Aul. 1097 (anche cpdóvoc; tìeótìev in Or. 974). Ma già in Pindaro, Isthm. VII 39, si legge ài)avài)tov (jvOóvoc. 52 N el discorso di Solone a Creso, Erodoto definisce la divinità anche taoa'/wàec;, turbolenta (1 3 2 ,1 ). W. Pótscher, op. cit. alla n. 44, pp. 24-26, interpreta «imprevedibile»; direi piuttosto «che sovverte, che sconvolge». I due concetti {tóvog, Tapay/n sono abbinati anche da Pindaro, Isthm. Ili, 39-42.
42
dio è phthoneròs: « D i nessuno infatti ho ancora sentito parlare che, essendo in tutto fortunato, da ultimo non sia finito m alam ente» (III, 40, 2-3); Io stesso m onito, con altre parole, rivolgono Solone a Creso (I, 32, 1, 9) e A rtabano a Serse (V II, 46, 4)53. Tuttavia in questi tre personaggi si m anifesta, accanto a un eccesso di prosperità, anche u n eccesso di ambizione ' o di orgoglio. L a nem esi da parte del dio «colpì Creso, a quanto si può congetturare, perché aveva creduto di esse re il più felice di tutti gli uomini» (134,1). In Serse non è punita la grandezza, m a l’am bizione, contro cui ripetutam ente lo m ette in guardia A rtabano. Q uest’ultimo si appella al divieto del dio (V II, 10 s)54, ma non lo accetta passivam ente, com e qualcosa d ’incom prensibile, anzi ne sottolinea la validità dal punto di vista m orale, poiché condanna le pretese di Serse com e hybris, cioè trasgres sione, m ancanza di m oderazione (16 a 2) e afferm a che «è male desiderare molte cose» (18, 2). Il giudizio sarà confermato più tardi, per bocca di Temistocle: « gli dèi e ^ gli eroi non permisero (ephthònesan) che un uomo solo, che p er di più è em pio e tem erario, im perasse sull’Asia e sull’E uropa» (V III, 109,3). Nel caso di Policrate, E rodo to non usa alcuno dei term ini che evocano l’idea di colpa, trasgressione o eccesso; m a la storia del tiranno è intessu ta di particolari che m ettono in rilievo la sua avidità, la sua m ancanza di scrupoli, la sua ferocia (III, 39, 44-45; 122, 2; 123,1; 124); sicché non si può m ettere in dubbio che agli occhi dello storico anch’egli sia colpevole di hybris. Vi è anche un passo nel quale si afferm a esplicitamente che il dio abbatte ciò che em erge, solo in quanto emerge: egli colpisce col fulm ine gli anim ali più grandi («quelli piccoli non lo infastidiscono»), gli edifici e gli alberi più 53 La figura del saggio consigliere è una caratteristica costante della tecnica narrativa erodotea; cfr. A . Bischoff, D er Warner bei H erodot, Diss. Marburg 1932; R. Lattimore, «Classical Philology» X X X IV 1939, pp. 24-35. 5 4 II divieto è espresso con o i i k è c i , non permette, che equivale a %póvu> è^ùrrjXa yévr]Tai, fir/re ìp y a ijx y à \a r e Kaì 6u>paarà, r à [lìv ‘'EXAijtri, r à Se /3apfiàpouTL àTtobtyOévTa, àicAea yevrjtai, rà r e aXÀa Kaì 8i’ alrCrjv ÌTTokipaìcrav àXkrjkouri.
! Q u esta è l ’esposizione delle ricerche di E rodoto di A licarnasso1 perché le im prese degli uom ini col tem po !/ non siano dim enticate, né le gesta grandi e meravigliose così dei Greci come dei B arbari2 rim angano senza gloria, e, inoltre p er m ostrare p er qual motivo vennero a guerra t fra lo ro .
1 La tradizione manoscritta è concorde nel riportare la lezione «alicarnasseo»; Erodoto nacque infatti in Caria, ad Alicarnasso, (odier na Bodrum), colonia di origine dorica situata sulle coste deli’Asia Minore, di fronte all’isola di Cos. Questa lezione corrisponde quindi alla realtà storica, ma un passo di Aristotele (Retorica III 9 = 1409 a 28) e un frammento di Duride di Samo (fr. 64 Jacoby) ci attestano che alla fine del IV secolo a.C. almeno in alcuni manoscritti era presente l’ag gettivo «turio» anziché «alicarnasseo». Erodoto infatti, dopo un sog giorno ad A tene, emigrò a Turii, la colonia panellenica sorta per volere di Pericle sulle rovine di Sibari nel 444/3 a. C ., e lì secondo la tradizione sarebbe morto. Plutarco ci testimonia che ai suoi tempi entrambe le lezioni erano in circolazione (cfr. D e exilio 13 = 604 F e D e malignitaie H erodoti 35 = 868 A ). Il definitivo prevalere di «alicarnasseo» si realiz zò forse per l ’influenza dei dotti di Alicarnasso che in epoca ellenistica, spinti dallo spirito di fierezza nazionale,'cercavano di esaltare Erodoto come gloria locale. I ritrovamenti archeologici sembrano sostenere questa ipotesi, poiché durante il regno di Eum ene II (197-159 a.C.) la biblioteca di Pergamo era ornata da una statua di Erodoto, di cui resta il basamento con l’iscrizione che lo qualifica alicarnasseo (Altertiimer voti Pergamon; Inschr. nr. 199). Il termine «barbari» indica tutti coloro che non parlano greco; in questo caso Medi, Persiani e gli altri popoli asiatici.
74
75
LIB R O PR IM O iST O PIfìN A
ixév pvv o t Xóyioi p C < r 0 a i.
rì)v
K aì
rà
rò
Y lp ià p o v
8v v a p . i v /careXeìi».
a7rò
*EXXj)z»ikÒi» 0 T é p a > v
< r p .iK p a
< r p .iK p a . iv
T i]i>
yé yo ve , à v d p to -
rà v rS ) p é v o v c ra v
ò p o im .
Kpoìcros i\v AuSòs p.ev yivo s, Trai? h i ’A X uarrea), Tvpavvos 8è idvétov r&v iv r ò s ’’AXvos irorapov, Ss pémv dirò fj.ea-ajj.(3pCris pera£v ’EvpCaiv (r e ) Kal YlaXayóvmv è£tei npòs a fiopijv avep-ov ès tò v Ev£etvov KaXeóp-evov iróvrov. ovros ò Kpoìcros (ìapfiàpcDV irp&Tos t& v r/ptìs thptev ro v i p.ìv Kare(TTpé\jraTO 'EXXrjvaiv ès (jìópov àiraycoyijv, t o v ? 8 è CXovs TrpotreTTOirjaraTO. K arearpé^aro p.ev "laivàs re Kal AìoXeas Kal Acopiéas to v s èv Ttj ’ A < ru j, iXovs h i •7Tpoo’eTroir]] (TTpo(j)Tj èyévero r& v
ttoX lcùv,
àXX? i $ imòpojArjs àpTTayq.
rj
8è -qyefiovirj ovno TrepiijXde, iovtra 'HpatcXeiòéwv, i s ro yevos
% rò KpotVou,
k aXeop,évovs 8 è
M epp-vaòas.
TjV KavòavXys, ròv
ol "EXXyves MvpcriXov òvopd(bv rov
Mvpcrov.
ovros òri fi>v è KavòaóXrjs rjpàtrdri
Greci erano liberi, poiché la spedizione dei Cimmerii18, che raggiunse ìa Ionia e che fu anteriore a Creso, non rappresentò un assoggettam ento delle città, m a si esaurì in scorrerie e saccheggi. 7. Il potere che apparteneva agli Eraclidi19, passò alla stirpe di Creso, detta dei M erm nadi, nel modo seguente.* [2] Era re di Sardi20 C andaule21, che i Greci chiamano Mirsilo, discendente da A lceo figlio di Eracle. Agrone figlio di Nino figlio di Belo figlio di Alceo prim o fra gli Eraclidi fu re di Sardi, m entre Candaule figlio di Mirso fu l’ultimo. [3] Quelli che prim a di A grone avevano signo reggiato questa terra erano discendenti di Lido figlio di A tys, dal quale prese il nom e tutto il popolo di Lidia, detto prim a M eonio. [4] Gli Eraclidi, a cui dagli A ttiadi era stato affidato il potere, se ne im padronirono in segui to ad un oracolo, essi che discendevano da una schiava di lardano e da Eracle, e regnarono per ventidue generazio ni di uomini durante 505 anni22, tram andandosi il potere di padre in figlio, fino a C andaule figlio di Mirso. 8. O rbene, questo C andaule era innam orato della sua 18 Popolo forse originario del Chersoneso Taurico (odierna Cri mea), secondo Erodoto invase la Lidia all’epoca di Ardys (1,15) sospin to dagli Sciti, a loro volta inseguiti dai Massageti lungo il fiume Arasse (I, 103; IV, 11,1). I favolosi Cimmerii ricordati da Omero vivevano in una perpetua oscurità (O d. XI, 14 sgg.). 19 La genealogia degli Eraclidi non è chiara, poiché Erodoto è l’unico autore che considera A lceo figlio di Eracle; inoltre i nomi dei suoi discendenti sono quelli di un dio babilonese e dell’eroe eponimo di Ninive. Probabilmente gli Eraclidi facevano risalire la loro origine a un dio solare,.arciere domatore di leoni, l’asiatico Bel, chiamato dai Lidi Sandon ed identificato dai Greci con Eracle. La schiava di lardano, cui si accenna poco dopo, è nella tradizione Onfale, figlia del re, che Eracle dovette servire per espiare l’uccisione di Ifito. 20 Capitale della Lidia. 21 N oto anche come Sadiatte; Candaule sembra essere in Lidia non tanto un nome proprio, quanto un epiteto divino per i sovrani. Esichio lo considera equivalente del greco kiivà’/X1!?. «strangolatore del cane» (Argo) epiteto di Ermes, citando un verso di Ipponatte (fr. 4 Diehl3). 2 In questo caso la durata di una generazione è calcolata di 23 anni circa; normalmente Erodoto considera la durata media di una genera zione 33 anni circa (cfr. II, 142,2).
84
85
r ijs
ètavrov
y v v a iK Ó s , èpa < rdeì s 8è
èvó/xi^é ol tlv a i
m arre 6è
TtoXXbv rtairémv KaXXCcrrrjv.
y v va ÌK a
r a v r a vopC fav, rjv yàp
oi t & v alxfiolodandola oltre misu ra. [2] Trascorso non m olto tem po, poiché era destino che a C andaule capitasse qualche sciagura, fece a Gige questo discorso: «Gige, io penso che tu non mi presti fede quando ti parlo delle bellezze della m ia sposa, ché per gli uom ini è più facile credere agli occhi che agli orecchi. Fa dunque m odo di vederla nuda». [3] M a quello replicò con voce concitata: «Signore, qual mai insano discorso tu fai, invitandomi a contem plare la mia sovrana nuda? Con lo spogliarsi delle vesti la donna si spoglia anche del pudore. [4] D a m olto tem po gli uom ini hanno trovato buoni pre cetti, dai quali bisogna im parare: e uno di essi è questo, che ognuno abbia cura delle cose sue. Io sono persuaso che la regina sia la più bella di tutte le donne, e ti prego di non chiedermi cose che son contro ogni legge». 9. Egli dunque così dicendo si schermiva, tem endo glie ne potesse venire qualche m ale. M a l ’altro rispose: «Ras sicurati, Gige, e non tem ere né di m e, che io ti faccia qualche proposta p er m ettervi alla prova, né di m ia m o glie; che tu riceva da lei qualche danno, perché farò in modo che essa non sappia neppure di essere stata vista da te. [2] Io ti collocherò nella cam era in cui dorm iam o, dietro la p orta lasciata aperta; dopo che io sarò entrato, subito anche la m ia sposa verrà a coricarsi. A ccanto all’ingresso c’è uno sgabello: su questo essa riporrà le 23 II nome del padre di Gige fa pensare che la famiglia fosse origina ria della Bitinia, dove esisteva la città di Daskyleion, che diede il nome a una satrapia persiana. Gige è il protagonista di una delle più famose novelle erodotee, di cui esistono due altre versioni, dove è accentuato l’elemento favolistico, nella Repubblica di Platone e nello storico Nico la Damasceno. Su Gige abbiamo indicazioni cronologiche anche da iscrizioni assire, dove compare come «Gugu», vassallo di Assurbanipal. Durante il suo regno durato all’incirca dal 685 al 657 a. C. lottò lunga mente contro i Cimmerii, che infine conquistarono Sardi e lo uccisero.
86 4. Storie voi. 1
(
87
T0VT0V T&V ljJ.O.TLOÌV KdTQ. 3
k a r’ t o v
r j< r x ) x ( r iv B póvov
n o W fjV
o rC x y