Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo 8810215303, 9788810215302

Lo studio illustra la storia sociale del cristianesimo primitivo, cioè l'economia e la società del mondo mediterran

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Storia sociale del cristianesimo primitivo. Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo
 8810215303, 9788810215302

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Collana di studi religiosi diretta da:

Franco Bolgiani, Nynfa Bosco, Gian Enrico Rusconi

Ekkehard W. Stegemann Wolfgang Stegemann

Storia sociale del cristianesimo primitivo Gli inizi nel giudaismo e le comunità cristiane nel mondo mediterraneo

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Edizioni Dehoniane Bologna

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TraJu1ionc dal tedesco Ji: Roii/('O Fahhri

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ISBN XX-I0-40797-0 Stan1pa: < ìrafichl" ()ehonianc. Rolo!!na )99X

Alla n1en1orut dl'i nostri cari genitori Martha c Wilheiln Stl'){l'lllllllll

Avvertenza

La lettura integrale e continuata di un'opera così volumi­ nosa quale è questo sguardo generale sulla storia sociale del cristianesimo primitivo può essere presa in considerazione solo in via eccezionale. Ci permettiamo quindi di suggerire al lettore di affrontarla per parti. Il libro è stato redatto in modo da consentire una lettura indipendente di ognuna delle sue quattro parti. Perciò chi si in­ teressa soprattutto al tema «storia sociale del giudaismo in terra di Israele e seguaci di Gesù» può cominciare diretta­ mente dalla seconda parte. Con opportuni rinvii alle pagine collocati in nota si attira costantemente l'attenzione del lettore su importanti dati presupposti che, in questo caso, si trove­ ranno esposti in modo più dettagliato nella prima parte, dove presentiamo ad esempio l'economia antica in generale o il no­ stro mode llo di stratificazione sociale delle società mediterra­ nee. In teoria è addirittura possibile leggere anche un solo ca­ pitolo: per esempio, il capitolo secondo della quarta parte su «Le donne fra i seguaci di Gesù in terra di Israele» o il capitolo terzo della terza parte su «l conflitti esterni dei credenti in Cri­ sto con il paganesimo e il giudaismo della diaspora». Le abbreviazioni sono quelle abituali. Qua e là riportiamo anche termini greci, latini, ebraici o aramaici, sempre comun­ que in forma traslitterata. I termini ebraici e aramaici ven­ gono, inoltre, chiaramente contrassegnati (ebr. o aram.). A causa della grande varietà dei materiali abbiamo rinun­ ciato a un indice tematico. In fondo al voi urne abbiamo co­ munque riprodotto l 'indice dei passi biblici citati.

8

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Dedichiamo il volume alla memoria dei nostri genitori, i quali, assieme a molte altre cose, ci hanno insegnato a guar­ dare concretamente alla realtà umana e quindi anche al suo ri­ spettivo contesto sociale. Basel-Neuendettelsau, marzo 1995.

Gli autori

Introduzione

Questa Storia sociale del cristianesimo primitivo vuole get­ tare uno sguardo generale sulle condizioni di vita economiche e sociali di quei gruppi o comunità che nel Nuovo Testamento vengono collegati al Gesù storico o che si richiamano al Cristo risorto. Essa copre quindi un periodo di circa cento anni, all'i­ nizio dell' èra cristiana, al tempo in cui sono stati composti i 27 libri del Nuovo Testamento e sono avvenuti i fatti che essi rac­ contano. Si tenta di operare una sintesi a partire da una molte­ plicità di studi particolari. Si cerca di delineare il quadro glo­ bale della storia sociale del cristianesimo primitivo sullo sfondo delle corrispondenti conoscenze relative alle società mediterranee in generale. Non si tratta quindi di una storia po­ litica o degli eventi che hanno caratterizzato il cristianesimo primitivo. In questo volume tratteremo solo marginalmente degli avvenimenti storici del tempo preso in considerazione.

1. L'ESPRESSIONE «CRISTIANESIMO PRIMITIVO)) Conserviamo l'espressione «cristianesimo primitivo» per ragioni pragmatiche. 1 Dal punto di vista contenutistico, l'e­ spressione indica, da una parte, diversi fenomeni relativi al se­ guito di Gesù in terra di Israele, quindi il primo movimento di Gesù, la «comunità primitiva di Gerusalemme» e quelle che

12s.

1

Sulla problematica relativa a quesfespressione cf. solo

VouoA 1994,

lO

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Paolo chiama «Comunità della Giudea» e le comunità messia­ niche in terra di Israele dopo la distruzione del secondo tem­ pio (70 d.C.); dall'altra, le comunità cristiane nelle diverse città dell'impero romano (al di fuori della Palestina), specialmente le comunità paoline e quelle riconoscibili anche dopo il 70 d.C. a partire dagli scritti neo-testamentari. 2 In questo senso si po­ trebbe parlare anche di una «storia sociale del Nuovo Testa­ mento>>. 2. DELIMITAZIONE GEOGRAFICA

Si può quindi delimitare abbastanza chiaramente il pe­ riodo storico della storia sociale del cristianesimo primitivo di cui intendiamo parlare in questo volume . Si tratta del I secolo d.C. Più difficile è delimitare l'ambito geografico. Spesso non. possediamo alcuna informazione diretta sui luoghi in cui sono stati composti gli scritti del Nuovo Testamento o sui territori in cui abitavano i loro destinatari. Ciò vale , in particolare , per i Vangeli, ma anche per alcune Lettere. Abbiamo informazioni più precise su Paolo e sui grandi viaggi che lo hanno portato in molte importanti città dell'impero romano (fra cui Antiochia, Damasco, Efeso, Tessalonica, Corinto o Roma), dove vanno ricercate anche le comunità da lui fondate. Naturalmente, an­ che Gesù e i suoi seguaci sono facilmente localizzabili. Essi provengono da una regione agricola della Galilea nelle vici­ nanze del Lago di Genezaret. Così, dopo la crocifissione di Gesù a Gerusalemme, si costituì in quella città una comunità stabile di suoi discepoli, la cosiddetta comunità primitiva di Gerusalemme, il cui influsso si fece progressivamente sentire anche nei territori vicini, fino ad Antiochia di Siria. E tuttavia, dove fu composta la Lettera agli Ebrei e dove abitavano i suoi destinatari? Dove viveva l'autore della Lettera di Giacomo? La Lettera è indirizzata alle dodici tribù della diaspora (Gc 1,1 ) ; essa si rivolge perciò, almeno in linea di principio, a tutto

2

Cf. pp. 15ss; maggiori dettagli alle pp. 319 e 421.

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1441e Damasco eCafarnao

GALILEA

•Pella Sebaste (Samaria)

• Gerusalemme



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GIUDEA

12

Storia socitlle del cristianesimo primitivo

il mondo abitato del bacino del Mediterraneo. È quindi oppor­ tuno che anche noi teniamo presente, nella nostra descrizione, quest'ampia prospettiva geografica. Infatti, nonostante le molte incertezze su certi punti, possiamo affermare che gli au­ tori e i destinatari degli scritti neo-testamentari vivevano tutti in quello che allora era l'impero romano. 3. COLLOCAZIONE SOCIO-GEOGRAFICA

Essi facevano quindi parte di società che subivano più o meno intensamente le influenze politiche e militari, economi­ che, sociali e culturali di un sistema sociale che aveva il suo centro direttivo a Roma e negli imperatori romani. 3 Dal punto di vista socio-geografico si tratta del territorio disposto attorno al Mare Mediterraneo.4 Si tratta più esattamente, del territorio che, visto da Roma, copre l'Italia, la striscia costiera della Gre­ cia e dell'Asia Minore, e comprende, infine, anche la Siria e la terra di Israele (Palestina) . Verso la fine del I e l 'inizio del II secolo esso ingloba anche la Bitinia nella regione nord-occi­ dentale dell'Asia Minore.5 Più in basso, verso sud-est, il con­ fine è costituito dall'Arabia (Gal 1 ,1 7). La cartina geografica di pagina 11 consente di gettare uno sguardo d'insieme su que­ sto ampio territorio.

3 Sull'espansione di Roma uno sguardo sintetico in CHRIST 21984, 22ss.39ss.62ss. 4 La sua estensione verso oriente non è chiaramente definibile. Cosl da certi punti di vista si potrebbe addirittura parlare di un territorio la cui desi­ gnazione geografica di «Asia Anteriore» esprime anche comparabili s;ondi­ zioni economiche e sociali. Cf. KIPPENBERG 1991, 220ss. 5 Lo si deduce dalla famosa lettera di Plinio il Giovane all'imperatore Traiano sui processi ai cristiani.

Introduzione 4.

13

APPARTENENZA DELLE COMUNITÀ CREDENTI IN CRISTO AL MONDO MEDITERRANEO

Il mondo degli uomini di cui parla il Nuovo Testamento è quindi il mondo mediterraneo del I secolo. Dal punto di vista socio-geografico ci troviamo in un ambiente che presenta im­ portanti elementi comuni, come hanno mostrato gli studi etno­ logici o antropologici (antropologia culturale e sociale) com­ parati.6 Questi studi - stimolati soprattutto da Malina7 sono stati estesi anche al Nuovo Testamento. Si può quindi af­ fermare che le società del mondo romano erano culturalmente collegate da una molteplicità di elementi comuni. Questo vale analogamente anche per i rapporti politici e socio-economici. Infatti, per quanto profondo si voglia ritenere il livello di assi­ milazione delle diverse regioni prodotto dalla dominazione ro­ mana in seno all'imperium romanum, non vi è alcun dubbio che nell'insieme le strutture economiche e sociali nell'ambito delle città e delle campagne sono state modellate da fattori analoghi. Perlo scopo che qui ci proponiamo possiamo partire dal fatto che - nonostante tutte le particolarità - le condi­ zioni economiche e sociali nelle città o nelle campagne del mondo greco-romano, e anche in terra di Israele, erano strut­ turalmente simili. È cioè possibile ricondurle globalmente a un comune tipo di società, quello di società agricole sviluppate. 8 Naturalmente, non intendiamo dire che il conglomerato di so­ cietà esistenti nel bacino mediterraneo e dominate da Roma costituissero una società unitaria.9 Qui ci riferiamo anzitutto ai «tratti comuni» della struttura economica e sociale.10 Al ri-

6 Qui possiamo indicare solo poche fonti bibliografiche. Fondamentali la conoscenza dell'ambiente del mondo mediterraneo sono gli studi di HRAtJDEL 1990; HoRDEN-PURCELL 1986; DAvis 1977; Prrr-RIVERS 1977. 7 Qui rinviamo solo a MALINA 1993. 8 Cf. pp. 19ss. 9 Le differenze esistenti fra le diverse regioni e società dell'impero ro­ mano sono sottolineate da VrrriNGHOFF 1 980, 31ss. 10 Cf., al riguardo, ALFùLDY 1986, 71; cf. anche la critica ad ALFòLDY da parte di CHRIST 1980, 214.

per

14

Storia sociale del cristianesimo primitivo

guardo Alfoldy parla anche dell' «estensione dell'ordinamento giuridico di Roma», che era legato alla «Sanzione di forme di dipendenza sociali in base a princìpi unitari, alla costituzione di élites "romane" in base a criteri economici, sociali, politici e ideologici pressoché identici» .11 Si può affermare con Alfoldy: «Nell 'insieme l'impero romano era caratterizzato da un sistema econo­ mico e sociale unitario, dal momento che questo sistema, diverso se­ condo le province o le regioni, o era chiaramente modellato o almeno perseguiva l'obiettivo del processo di sviluppo economico e sociale, senza che esistessero veramente chiari modelli alternativi». 12

Analogamente, si somigliano anche le moderne società in­ dustriali occidentali, benché si possano certamente registrare delle differenze, come ad esempio fra gli Stati Uniti e la Ger­ mania o la Francia. Ma n eli 'insieme le moderne società indu­ striali si distinguono dalle società agricole solo a partire dallo sviluppo industriale , come possiamo constatare ancor oggi in diversi paesi dell 'Asia Orientale o anche in America Latina. Un a storia sociale del cristianesimo primitivo si inserisce quindi nel quadro della storia sociale delle società mediterranee del I secolo. È in questo quadro più vasto che le affermazioni di­ rette e indirette del Nuovo Testamento sugli aspe tti economici e sociali acquistano i loro contorni. Al tempo stesso, esse pos­ -sono essere usate come fonte per la conoscenza delle condi­ zioni di vita del tempo. Così una storia sociale del cristianesimo primitivo ha anche il compito di gettare uno sguardo sulle con­ dizioni economiche e sociali del mondo mediterraneo del I se­ rolo. È quello che faremo nella prima parte.

11 12

ALFÙLDY ALFùLDY

1986, 71. 31984, 93.

Introduzione

15

5. BASILARE DISTINZIONE

DELLE SOCIETÀ RAPPRESENTATE NEL NUOVO TESTAMENTO Qui noi operiamo una basilare distinzione fra i seguaci di Gesù in terra di Israele e le comunità dei credenti in Cristo al di fuori di Israele, nelle aree urbane dell'impero romano. AI ri­ guardo, decisive sono soprattutto le particolarità regionali atti­ nenti alla condizione economica, sociale e religiosa del giudai­ smo in Israele, particolarità che hanno influenzato anche i se­ guaci di Gesù in terra di Israele . In altri termini, i seguaci di Gesù erano parte della società maggioritaria ebraica della Pa­ lestina del tempo, mentre le comunità dei credenti in Cristo al di fuori di Israele vivevano nelle aree urbane di una società maggioritaria pagana. Inoltre, si considera anche la composi­ zione etnico-religiosa dei gruppi cui appartenevano i seguaci di Gesù in terra di Israele , a differenza di quella delle comu­ nità dei credenti in Cristo al di fuori di Israele. Queste ultime erano costit utivamente modellate proprio dal fatto che in esse i membri della società maggioritaria pagana erano in comu­ nione religiosa e sociale con gli ebrei della diaspora, e anzi p rogressivamente l'appartenenza dei non ebrei divenne domi­ nante. Al contrario, i gruppi dei seguaci di Gesù in terra di Israele erano costituiti praticamente di soli ebrei; la presenza dei pagani si fa marginalmente sentire tutt'al più negli ultimi trent 'anni del I secolo. Dal pun to di vista socio-storico e reli­ gioso comprendiamo quindi il seguito di Gesù in terra di Israele come un fenomeno del giudaismo palestinese del I se­ colo d.C. Con l'espressione «seguito di Gesù» intendiamo il movimento di Gesù vero e proprio, la cosiddetta comunità pri­ mitiva di Gerusalemme e le comunità messianiche in terra di Israele rappresentate, a nostro avviso, dal Vangelo di Matteo e dal Vangelo di Giovanni. Di tutti questi raggruppamenti tratteremo nella seconda parte, dove ci occuperemo delle condizioni socio-economiche in terra di Israele e della loro importanza per la situazione reli­ giosa. Le comunità dei credenti in Cristo al di fuori della terra

16

Storia sociale del cristianesimo primitivo

di Israele , nonostante la loro prossimità alla tradizione reli­ giosa ebraica soprattutto per ragioni sociologiche, non sono più un fenomeno del giudaismo. Lo dimostra già semplice­ mente il fatto che esse sono esistite al di fuori delle sinagoghe della diaspora, quindi indipendentemente dalle strutture so­ ciali del giudaismo al di fuori di Israele . Del resto, in base alla concezione che avevano di se stesse, le comunità dei credenti in Cristo si sono distinte sia dal giudaismo (in terra di Israele o nella diaspora) sia dalla società maggioritaria pagana.13 Nella terza parte delineeremo la storia sociale di queste co­ munità urbane dei credenti in Cristo. Infine, nella quarta parte descriveremo la particolare con­ dizione delle donne nel mondo mediterraneo in generale e nel movimento di Gesù e nelle comunità dei credenti in Cristo, sia dentro che fuori della terra di Israele, in particolare.

13

Cf. più ampiamente pp. 421s.

Parte prima

Economia e società del mondo mediterraneo nel I secolo

Capitolo primo

Tipologia delle antiche società mediterranee

In questo capitolo delineeremo la tipologia delle antiche società mediterranee e distingueremo da alcuni altri modelli di società quello che riteniamo più appropriato nel nostro caso (sezione l). Elencheremo poi i fattori strutturali delle società agricole che ci consentiranno di farci un'idea complessiva di questo tipo di società (sezione 2). l. SOCIETÀ AGRICOLE AVANZA TE

Riuniamo le società di cui qui ci occupiamo sotto la tipolo­ gia delle «società agricole». Così facendo, evidenziamo due ca­ ratteristiche delle società mediterranee: da una parte, la colti­ vazione della terra in vista della produzione; dall'altra, la sot­ tomissione al controllo di un piccolo gruppo della società della distribuzione dei beni della terra stessa. L'espressione società agricola sta quindi ad indicare che la colonna vertebrale eco­ nomica di questi stati era l'agricoltura. 1 Dall'espressione si de­ duce anche che la stragrande maggioranza della popolazione viveva nelle campagne e dei prodotti dell'agricoltura. I mem­ bri di una tale società erano soprattutto agricoltori liberi, fitta­ voli, lavoratori a giornata con le rispettive famiglie, e schiavi. La designazione implica quindi anche un'affermazione di fondo sulla struttura sociale : le società agricole sono società formate essenzialmente da lavoratori della terra. L'espres-

1

Vlss.

Cf.

solo

Al.FOLDY

1986, 47ss;

DE STE. CROIX

1981,

210s; FIENSY

1991,

20

Storia sociale del cristianesimo primitivo

sione «società agricola» non rende comunque l'importanza economica che avevano le città, soprattutto in campo artigia­ nale e commerciale, e come consumatrici dei prodotti agricoli. Ma� considerate dal punto di vista sociale e politico, le città in­ fluenzavano il carattere delle società agricole mediterranee anche per il fatto che in esse vivevano le élites, che domina­ vano campagne e città, sia in quanto proprietarie della mag­ gior parte dei beni e terreni, sia in quanto detentrici del potere di controllo sociale. Questa ulteriore precisazione sulla tipolo­ gia della società agricola mostra come la produzione agrico­ la - naturalmente non solo essa - fosse sottoposta a un si­ stema di dominazione politica e sociale che nel corso della ri­ distribuzione concentrava la ricchezza della società in mano a un'élite piuttosto ristretta. Ovviamente tutto questo ci di­ spensa dal dire che il modo di produzione di queste società era pre-industriale. 2

1.1 .

SOCIETÀ FONDATA SUGLI SCHIAVI?

La nostra caratterizzazione del tipo delle società mediter­ ranee pone al centro la produzione agricola e un determinato sistema di ridistribuzione. In questo sono dunque evidenti i due tratti fondamentali tipici di queste società. Altri modelli ascrivono questo ruolo, ad esempio, al «lavoro degli schiavi», che è la «forma tipica del lavoro dipendente)) e che sarebbe stata anche «la base della produzione agricola e urbana».3 I so­ stenitori di questa concezione vedono nelle società mediterra­ nee un tipo di «società fondata sugli schiavi» (fortemente svi­ luppata) .4 A noi sembra che una tale caratterizzazione non sia pertinente già solo per il fatto di sopravvalutare chiaramente l'importanza e il contributo del lavoro degli schiavi. Brunt ha stimato che, in Italia, gli schiavi fossero poco più di un terzo dell'intera popolazione, per cui già solo da un punto di vista J

2

Cf. p.

'

25.

3 SCHNEIDER 1981(b), 4 KREISSIG 1970.

95.

i

Tipologia delle antiche società mediterranee

21

numerico è impossibile pensare che il loro lavoro costituisse l'elemento principale della produzione .5 Inoltre, il lavoro degli schiavi in agricoltura, il settore centrale della produzione, era concentrato in certe regioni (soprattutto Italia e Sicilia) e non era certamente il fattore decisivo della produzione neppure nelle zone urbane. Lì gli schiavi, i liberti e gli uomini nati liberi erano artigiani che lavoravano gomito a gomito. E anche nel piccolo commercio legato all'artigianato, come del resto nel­ l'intero settore commerciale urbano. l'elemento prevalente non era quello degli schiavi. Kippenberg scrive giustamente: «Per molto tempo si era concentrata troppo l'attenzione sulla schiavitù come fonte principale della prosperità economica e, cosi facendo, si era quasi perso di vista il fatto che le città antiche si reggevano su un fonda­ mento agricolo e che ogni città era circondata da grandi estensioni di terra coltivata, da cui traeva la prosperità dei suoi abitanti». 6

Si può quindi tran q uillamente affermare che i più impor­ tanti fattori produttivi delle società mediterranee erano il pos­ sesso della terra e il lavoro di coltivatori diretti, fittavoli e lavo­ ratori a giornata, più o meno dipendenti dal punto di vista eco­ nomico. Naturalmente, in questo contesto, anche la schiavitù giocava un ruolo importante, ma non necessariamente quello decisivo.

1.2.

TECNOLOGIA O POTERE SOCIALE QUALI ELEMENTI DETERMINANTI?

Nella valutazione del tipo di società un ' importanza fonda­ mentale rivestono, accanto ai fattori della produzione (cioè il possesso della terra e il lavoro agricolo), anche la struttura so­ ciale e, in essa, soprattutto la ripartizione del potere di con­ trollo sui beni e sulle persone. Altre teorie sociali attribui­ scono un ruolo determinante al livello tecnologico o all'eserci-

5 BRUNT 1971 (a), 124. Cf. anche 6 KIPPENBERG 199 1 , 228.

ALF6LDY

31 984, 117.

22



Storia sociale del cristianesimo primitivo

zio del potere sociale. Nella sua concezione della storia delle forme di società, Sjoberg distingue, in base alla tecnologia, vi­ sta come variabile centrale indipendente, tre diversi tipi: po­ polo o società (folk o society ) ; società feudali o pre-industriali; società industriali-urbane. Naturalmente, anch 'egli ritiene che il rispettivo livello tecnologico abbia conferito ai succitati tipi di società la loro particolare strutturazione solo in relazione con specifiche strutture sociali e con l'influenza di altre varia­ bili (quali città, valori culturali e potere sociale). 7 Secondo la sua classificazione, le società dell 'antico mondo mediterraneo di cui qui ci occupiamo appartengono al tipo delle società feu­ dali, pre-industriali. Da parte sua, Kautsky distingue tre fasi nella ) familiare, Etienne 128 ha potuto sti­ mare anche i costi del sostentamento quotidiano di una fami­ glia di tre persone, fra cui uno schiavo. La spesa media era di circa 25 assi, quindi, rapportata all'anno (365 giorni), di ben 2280 sesterzi, cioè 570 denari ! Questa somma conferma come risulta anche dalle spese e dai costi della vita da noi cal­ colati 1 29 - che «qui abbiamo a che fare con cittadini di Pompei che godevano di una condizione di modesto benessere>>.130 In una situazione del genere sembrano molto realistiche anche le somme ritrovate nelle case dei ricchi. Un 'iscrizione risalente al periodo dell 'impero e proveniente da Isernia, nell' Italia cen­ trale (/LS 7478), ci permette di gettare uno sguardo sui costi che dovevano sostenere i viaggiatori che pernottavano nelle locande: «Locandiera, facciamo un conto unico: tu hai un sestario (0,54 litri) di vino, pane: un asse;

127 . 128

129 130

ETIENNE 1978, 214s. Tutte le cifre secondo ETIENNE 1978, 215ss. Al riguardo, cf. più avanti, pp. 141ss. EnENNE 1978, 218.

75

La situazione economica

companatico (carne): due assi giusto una ragazza: 8 assi - anche questo è giusto fieno per il mulo: due assi. - Quest'animale finirà per rovinarmi». -

-

Duncan-Jones ci permette di farci un'idea dei diversi prezzi e costi in vigore in tutto l'impero romano, suddivisi per regioni e per prodotti o per altri valori, servizi ed esborsi. 131 Qui possiamo fare solo alcuni esempi. I prezzi degli schiavi a Roma e in Italia variavano moltissimo. 132 Uno schiavo con par­ ticolari qualità era piuttosto caro. Calvisio Sabino possedeva 1 1 schiavi, ognuno dei quali conosceva a memoria l 'opera di un poeta greco. Per ognuno di essi aveva pagato 100.000 se­ sterzi ( = 25.000 denari). Plinio il Vecchio, parlando dell'acqui­ sto di uno schiavo cuoco a Roma, indica invece il prezzo di 2700 sesterzi ( =675 denari) . 133 Dovrebbe trattarsi di un prezzo piuttosto comune per l'acquisto di uno schiavo. Nella sua opera consacrata all'agricoltura 134 Columella riporta il prezzo di 1000 sesterzi ( = 250 denari) per un terreno non coltivato, adatto alla coltivazione della vite.135 Le fonti riportano cifre molto alte in relazione all'organizzazione dei giochi (a volte fino a 200.000 sesterzi) , alla realizzazione di statue (fino a 100.000 sesterzi) o al finanziamento di edifici pubblici e strade (fino a 2 milioni di sesterzi).

131

132

133

134

135

DuNCAN-JoNES 2 1982, 63ss.345ss. DuNCAN-JONES 2 1982, 348ss. PLIN IO IL VECCHIO, Hist. Nat. 9, 67. CoLUMELLA, De re rustica 3, 3, 8. DuNCAN-JONES 2 1982, 48ss.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

76

TAB. 3. Costi e prezzi (una scelta). Bene richiesto l pane 1 litro di vino

carne nella locanda spezie dall'Oriente: 1/2 kg di zenzero 1/2 kg di pepe (secondo la qualità) 1/2 kg di cannella 1/2 kg di incenso (tus) solo trasporto e dogana stoviglie economiche l tunica l sopravveste l mulo fieno per il mulo prostituta l iugerum di terra 1 38 l modius di grano suo trasporto per 50 miglia via terra suo trasporto per 1250 miglia via mare schiavi sepoltura di persone ricche realizzazione di statue organizzazione di giochi nave di 400 tonnellate finanziamento di edifici pubblici

Costo l asse l asse circa 2 assi

6 denari 4-1 5 denari136 10 denari

3-6 denari 2 denari137 1-2 assi 4 denari circa

12-20 denari 130 denari

2 assi

8 assi 250 denari

2 denari circa

16 denari 16 denari da 600 a 25.000 denari fino a 25.000 denari fino a 25.000 denari fino a 50.000 denari 50.000 -80.000 denari fino a 500.000 denari

3. ASPETfl P ARTICOLARI DELL'ANTICA ECONOMIA MEDITERRANEA In questa sezione vogliamo approfondire alcuni aspetti particolari riguardo alle considerazioni che siamo venuti fa1 36 137

138

PLINIO IL VECCHIO, Hist. Nat. 12,28ss. KLOFT 1992, 223. Cf. più avanti, pp. 80ss.

ta situazione economica

77

cendo sulla vita economica. Poiché quella delle società anti­ cheera quasi esclusivamente un'economia agricola, presente­ remo più ampiamente alcuni dei suoi aspetti. Nel paragrafo dedicato all'agricoltura analizzeremo la proprietà della terra e la concentrazione del suo possesso, la locazione della terra e i guadagni derivanti dalle imprese agricole (3. 1 ), ma anche i far­ delli imposti alla popolazione (3.2) e le condizioni generali di vita e di lavoro (3.3). 3 . 1 . AGRICOLTURA 3.1 . 1 .

Proprietà della terra e concentrazione del suo possesso

Si calcola che, al tempo di Erode il Grande, la terra di Israele JVesse un 'estensione di circa un milione di ettari. Di questi circa due terzi dovevano essere coltivabili. 139 L'estensione delle terre coltivabili era quindi di circa 700.000 ettari. Si può perciò rite­ nere che la Palestina giudaica fosse effettivamente una nazione dedita soprattutto all'agricoltura. Anche un'annotazione di Gi useppe Flavio concorda con questi calcoli moderni: «Noi giudei di Palestina non abitiamo una regione costiera né ci piac­ ciono il commercio e i contatti che esso favorisce con gli stranieri, ma le nostre città sono molto lontane dal mare e noi ci occupiamo prevalen­ temente della coltivazione del nostro ottimo suolo». 140

Se si applicano le cifre riscontrate in terra di Israele a tutto l'impero romano del I secolo d.C. appare chiaramente l'e­ norme importanza dell'agricoltura. Probabilmente oltre il 90o/o della popolazione viveva nelle campagne. L'agricoltura doveva quindi non solo nutrire la maggior parte della popola­ zione, ma anche occuparla. Le stime sul contributo offerto del­ l'agricoltura al prodotto sociale non sono concordi, ma confer­ mano la sua enorme importanza. Nel caso della Palestina, 139 140

BEN-DAVID 1974, 26s. GIUSEPPE FLAVIO, Ap. l, 12.

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Ben-Davi d parla del 70o/o circa; in relazione al tardo impero Jones calcola che, in termini di contributo all'economia, il rap­ porto fra agricoltura, da una parte, e commercio e manifatture , dall'altra, fosse di venti a uno. 141 Si tratta probabilmente di una cifra esagerata e valevole del resto solo per la tarda antichità. 142 Ma, anche ammettendo che in tutto l'impero romano l'agricol­ tura contribuisse, come in Palestina, a fornire il 70o/o del pro­ dotto sociale, è evidente la sua preminente importanza econo­ mica. Inoltre� essa era anche la base più importante di un possi­ bile arricchi mento e il principale obiettivo degli investimenti fi­ nanziari. 1 43 La proprietà terriera è considerata economica­ mente più sicura e moralmente più soddisfacente rispetto, ad esempio, al commercio. Così pensa già Catone il Vecchio nel suo De agricultura. Anche Columella conferma la superiorità dell'agricoltura sul commercio.144 Quest'attività economica era più sicura e più promettente in termini di ascesa sociale, per­ mettendo ad esempio ai liberti che si erano arricchiti di entrare a far parte, perlomeno a lungo termine. dello strato superiore attraverso ]'acquisto di cariche onorifiche o per via di matri­ moni.145 Di gran lunga prevalenti erano certamente le imprese familiari, per cui la «Casa», quale basilare unità economica e so­ ciale essenzialmente basata sull 'economia di sussistenza, rive­ stiva nell'economia antica un 'importanza fondamentale. Ma anche la spinta sociale ed economica verso l'ampliamento delle proprietà terriere era senza dubbio un importante fattore eco­ nomico, responsabile al tempo stesso di una sempre più ingiu­ sta ripartizione delle terre e delle possibilità economiche ad esse legate. 1 46 Cresceva il numero dei coltivatori diretti che per­ devano la loro terra, degli agricoltori liberi che diventavano semplici fittavoli (georgos, colonus, ebr. aris). La tendenza soBEN-DAvm 1 974, 304; JoNEs 2 1973, 465.469; cf. lo. 1981, 50. KIPPENBERG 1991 , 230. 143 CICERONE, Off. l , 1 5 1 ; cf. sopra, p. 49ss. 144 Cf. GARNSEY-SALLER 1989, 68. 145 Cf. l'esempio di Trimalchione ne Il banchettto di Trimalchione di PE­ TRONIO (metà del I sec. d.C.), il cui protagonista era un mercante che investì i propri guadagni nell 'acquisto di terreni. 146 Al riguardo, soprattutto JoNES 1 974, 1 14-139. 14 1

142

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cio-economica di cinque secoli viene riassunta da MacMullen con queste tre parole: «[ewer have more» (un numero sempre più ristretto di persone possiede sempre di più).147 Poiché la terra costituiva il fondamento della ricchezza, il crescente benessere dello strato superiore ricco poteva essere assicurato solo aumentando il possesso di terre. Naturalmente, si devono fare delle distinzioni all'interno dello strato supe­ riore. «La piccola nobiltà locale possedeva terre praticamente solo nella zona di residenza. I senatori di medio livello e i cava­ lieri di origini urbane possedevano, oltre alle loro proprietà in loco, grandi estensioni di terra perlomeno in un altro luogo lontano. I membri più ricchi dello strato superiore romano possedevano proprietà terriere enormi sia in Italia che nelle province» . 148 Plinio il Vecchio riferisce che sei persone . posse­ devano mezza Africa (Nord-Africa). 149 Sulla base di informa­ zioni relative alla siciliana Leontini/50 Duncan-Jones ha calco­ lato che, nel 73 a.C., circa 70.000 iugera ( = 1 7.500 ettari) delle terre colà esistenti sarebbero appartenute ad appena 84 agri­ coltori. Ognuno di essi avrebbe quindi posseduto mediamente 830 iugera (oltre 200 ettari). E negli anni in cui V erre fu gover­ natore della Sicilia per conto di Roma il loro numero si sa­ rebbe ridotto a 32. La concentrazione del possesso della terra era quindi enormemente aumentata. 1 5 1 Duncan-Jones ritiene che le maggiori proprietà terriere di Leontini avessero un'e­ stensione oscillante fra i 7000 e gli 8500 iugera (corrispondenti a circa 2000 ettari). 152 In Italia, Grecia, Nord-Africa ed Egitto, un numero ridottissimo di persone possedeva enormi esten­ sioni di terra.153 Attingendo alle sue proprietà terriere in Spa147 MAcMuLLEN 1974, 38. 148 GARNSEY-SALLER 1 989, 95; i maggiori patrimoni privati sono elencati da 0UNCAN-JONES 2 1982, 343s. 149 PLINIO IL VECCH IO, Storia naturale 18, 35. 150 CICERONE, Verr. 2, 3, 1 1 3. 1�1 DuNCAN-JONES 1976, 13. 152 DuNCAN-JONES 1976, 23. �3 MAcM uLLEN 1974, 6, con riferimento a CICERONE, LegAgr. 3, 14; PLI­ NIO IL GIOVANE, Ep. 3, 19; PETRONIO, Satyricon 48, 77; SENECA, Ep. 90, 39; Ben. 7, 10; DIONE CRISOSTOMO, Or. 7, 1 1 ; cf. WHITE 1967, 62-79; per la Palestina,

fiENSY 1 99 1 , 21ss.

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gna� Lucio Domizio Enobarbo (49 a.C. ) diede 40 iugera di terra a ciascuno dei suoi l 0.000 soldati, il che significa che do­ veva possedere almeno 400.000 iugera di terra.154 Plinio il Vec­ chio racconta che un liberto di nome Isodoro si vantava di pos­ sedere 3600 paia di buoi. 1 55 Con essi avrebbe potuto arare circa 360.000 iugera di terra.156 Dei terreni agricoli in Palestina, par­ leremo più avanti.157

3. 1 .2. Guadagni derivanti dall'agricoltura Quanto rendesse l'agricoltura - specialmente la coltiva­ zione della vite - lo dimostra una tenuta situata in Campania. Etienne 15� calcola che la famosa tenuta campana di Villa Bo­ scoreale avesse una superficie coltivata di circa 60-1 00 iugera, di cui 58 circa coltivati a vite. La produzione annua di vino am­ montava a 938 ettolitri, che permettevano di incassare 52.500 sesterzi , calcolati in base al prezzo del vino più economico. Na­ turalmente, il vino prodotto a Boscoreale era un vino di alta qualità, per cui si può ipotizzare un ricavato tre volte supe­ riore. Tenendo conto di altre colture (olio di oliva = 10-15 et­ tolitri), il rendimento annuo di questa tenuta era di circa 200.000 sesterzi ( = 50.000 denari). Così, un terreno di circa 25 ettari coltivato soprattutto a vite avrebbe potuto rendere an­ nualmente circa 2000 denari o 8000 sesterzi per ettaro, in altri termini 2000 sesterzi all'anno per l iugerum. Secondo Colu­ mella, il prezzo di l iugerum di terra adatto per la coltivazione della vite era di circa 1000 sesterzi. 159 La tenuta di Villa Bosco­ reale sarebbe costata quindi 100.000 sesterzi e si sarebbe trat­ tato di una tenuta molto redditizia. Etienne calcola che in Campania l 'agricoltura permettesse un guadagno netto del 154 B RUNT 1971 (b), 34; CESARE, Bel. Civ. 1, 17. PLI N IO IL VECCHIO, Storia naturale 33, 1 35. 156 Cf. B RUNT 1 97 l (b), 34. 1 57 Cf. più avanti, pp. 1 89ss. 155

158

1s9

ETIENNE 1 978. 185s.21 9. GARNSEY-SALLER 1989, 1 10.

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15°/o e stima che una proprietà di media grandezza consentisse un guadagno di 100.000 sesterzi.160 Nel I secolo, i maggiori proprietari terrieri dell'impero ro­ mano erano ovviamente gli imperatori, che ammassavano enormi estensioni di terra, in Italia e nelle province, mediante confische o per via ereditaria. Accanto ad essi, le persone più ricche dell'impero possedevano enormi patrimoni, il cui valore poteva raggiungere a volte i 400 milioni di sesterzi. Era il caso, ad esempio, di Cornelio Lentulo o Narcisso, un liberto dell'im­ peratore Claudio. Il filosofo Seneca possedeva un patrimonio di 300 milioni di sesterzi. 1 6 1 Il liberto C. Cecilio Isidoro avrebbe posseduto «Un'enorme estensione di terre coltivate e pascoli». Alla sua morte, nell 'anno 8 a.C., egli lasciò un'eredità di 3600 paia di buoi, 257.000 capi di bestiame, 41 16 schiavi e 60 milioni di sesterzi in contanti. 1 62 Il solo valore delle proprietà terriere di Crasso è stimato in 48 milioni di denari.1 63 Naturalmente, anche i grandi proprietari terrieri come Seneca disapprovano possedi­ menti così grandi. Ma la crescente concentrazione del possesso della terra condusse raramente alla formazione di enormi pro­ prietà contigue (latifundia). Per lo più anche i ricchi possedeva­ po un solo appezzamento di «notevole grandezza» cui si ag­ giungevano molte altre piccole proprietà.164 Già questo fre­ quente spezzettamento delle proprietà terriere obbligava i ric­ chi a ricorrere a schiavi e fittavoli per la loro coltivazione. 3.1 .3.

Locazione della terra

A partire dalla metà del I secolo si registra un costante in­ cremento della locazione della terra (locatiolconductio) a li­ beri agricoltori.165 Fra le possibili cause vi è, da una parte, la �arenza di schiavi e, dall'altra, il sempre minor interesse dei

160 Un'approfondita discussione sui rendimenti agricoli in DuNCAN-J oNES a1982, 33ss. 1 6 1 DuNCAN-JONES 2 1 982, 343. 162 GARNSEY-SALLER 1989, 99. 163 DE ST.E CROIX 1 981 , 574. 164 GARNSEY-SALLER 1989, 101 . 5 16 Anche GARNSEY-SALLER 1989, 105 , ipotizzano un progressivo passag­ &io dalla condizione di schiavi a quella di fittavoli.

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proprietari terrieri ad occuparsi personalmente dei loro af­ fari. 1 66 A volte, era lo stesso colonus a provvedere i lavoratori (schiavi/salariati liberi) necessari. Ma ciò poteva essere fatto anche dal proprietario, il quale controllava, inoltre, i fittavoli attraverso un >.169

Un chiaro esempio dei problemi che poteva avere un pro­ prietario che lasciava ad altri l'amministrazione delle sue pro­ prietà è offerto dalla parabola evangelica dell'amministratore 166

167 . 68 1 169

Cf. anche WIELING PLINIO IL GIOVANE, PLINIO IL GIOVANE, PLINIO IL GIOVANE,

1983, 1 184. Ep. 3, 19 . Ep. 3, 19; cf. 9, 37; cf. WIELING 1 983, 1 185. Ep. 3, 19.

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infedele (Le 1 6,1-9). All'orecchio del padrone giunge notizia che un suo amministratore (il termine greco è oikonomos ) am­ ministra male la sua proprietà.1 70 Il ricco proprietario fa chia­ mare l'amministratore e gli ordina di rendere conto del suo operato. Intende togliergli l'amministrazione. Probabilmente l'amministratore è uno schiavo ( vilicus). Si tratta comunque di un uomo assolutamente privo di mezzi e socialmente insicuro. Infatti, la parabola presuppone che, una volta licenziato, non abbia alcun mezzo di sostentamento e si trovi davanti all'alter­ nativa: lavorare o mendicare. Ciò significa che ora ha concre­ tamente solo due possibilità: diventare uno di quegli schiavi o lavoratori a giornata che sono condannati a un duro lavoro nei campi o cercare di sbarcare il lunario mendicando. Per sfug­ gire a questa spiacevole alternativa egli architetta un tiro man­ cino. D'accordo con alcuni debitori del padrone, manipola la documentazione relativa ai loro debiti, riducendo considere­ volmente questi ultimi.1 7 1 Così, un debitore che doveva 100 ba­ thoi ( l bath = circa 40 litri) ne deve solo 50, un altro che do­ veva 100 koroi di grano (l kor = circa 400 litri) ne deve solo 80. 1 72 100 bath di olio sarebbero quindi circa 40 ettolitri. Es­ sendo la produzione media di un ulivo di circa 0,25 ettolitri, il debitore avrebbe dovuto consegnare il prodotto di circa 160 ulivi. I 100 koroi di grano sono circa 400 ettolitri o 600 quintali. Calcolando la resa di circa 15 quintali di grano per ettaro, 600 quintali sarebbero stati la resa di 40 ettari. Le somme dovute erano comunque ingenti, per cui appare assolutamente plausi­ bile l'intenzione dell'oikonomos di obbligare i due debitori ad accoglierlo nelle loro case. Esagerando i toni, anche la parabola dei cattivi vignaioli (Mc 1 2,lss parr.) descrive le difficoltà che incontravano i grandi proprietari terrieri nella riscossione dei canoni di loca­ zione . Qui si tratta evidentemente di coloni partiarii. Forse il proprietario della vigna fa sorvegliare il raccolto da schiavi, i 170 KtPPENBERG 1 991 , 242, vede in Le 16,1ss un esempio di condizioni tipi­ che dei «possedimenti reali». 1 7 1 Riguardo ai debiti, cf. anche più avanti, pp. 86-91 e 190ss. m Sulle misure di capacità, cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 8, 57; 15, 314.

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quali devono poi anche prendere in consegna la parte del rac­ colto che spetta al padrone. In linea di principio, vigevano in Palestina le stesse condizioni vigenti in tutto l'impero ro­ mano.1 73 Se i proprietari terrieri facevano fatica a riscuotere i ca­ noni di locazione, i fittavoli. da parte loro, facevano fatica so­ prattutto a racimolare le somme dovute. Sul versante dei fitta­ voli, la situazione di gran lunga prevalente era quella di una di­ pendenza finanziaria o economica dai proprietari terrieri, an­ che quando non si era schiavi nel senso giuridico del termine. Al riguardo, Garnsey-Saller citano un 'iscrizione, 1 74 nella quale si descrive la situazione in una tenuta imperiale in Africa. Ne risulta che i sotto-fittavoli erano sfruttati dai fittavoli principali e dovevano non solo pagare più del canone di locazione pat­ tuito, ma lavorare anche oltre i tempi concordati. E quando si erano ribellati, erano stati presi, picchiati, legati e torturati dai soldati che l'amministratore dell'imperatore aveva fatto mar­ ciare contro di loro. Fra coloro che erano stati trattati in tal modo dovevano esservi anche cittadini romani. Un altro esempio. Fra i papiri di Ossirinco è stato trovato un contratto di affitto dell'anno 87/88 d.C. , nel quale si illu­ strano dettagliatamente gli accordi e si indica, in particolare, ciò che è richiesto ai fittavoli. In questo caso, si tratta dell 'af­ fitto di un appezzamento di terra per la coltivazione dei rava­ nelli (dai cui semi in Egitto si estraeva l'olio). Degni di nota sono il fatto che il fittavolo deve pagare il canone d'affitto an­ che nel caso in cui il raccolto vada male e la minaccia di una grave punizione in caso di inadempienza. Chi affitta è una donna, che è probabilmente anche la proprietaria della terra. Ma, dal punto di vista giuridico, può agire solo assieme al ma­ rito (come suo kyrios, qui reso con «tutore del sesso») . «Ierachiaina, figlia di Erode, abitante a Ossirinco, con suo marito Apollonia, figlio di Apol/onio, nipote di Aunes, in qualità di tutore del sesso, ha affittato a Eras, figlio di Armiysis, nipote di Milone, del vil­ laggio dei siri. discendente dei persiani, per il presente settimo anno 173

1- · l '174

Cf più avanti, pp. 189ss. C/L VIII 10570 e 14464; cf. GARNSEY-SALLER 1989, 1 60.1 77 nota 14. ..

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dell 'imperatore Cesare Domiziano Augusto Germanico, tutti i campi irrigati delle sue terre situate attorno alla (località) Nesla, per seminar/i a ravanelli, per un affitto per campo, in base (ai dati della nuova) misu­ razione secondo linee direttrici rettangolari, di due artabe di semi di ra­ vanelli. L 'affitto è esente da ogni pericolo [incorso dall'affittante]. Le tasse statali sulla terra sono a carico di lerachiaina, che sarà padrona anche dei frutti fino alla riscossione dell 'affitto. Stipulato il rapporto di affitto, il fittavolo deve pagare l'affitto pattuito a lerachiaina nel mese di payni dello stesso anno sull 'aia di Nes/a con seme di ravanello nuovo, pulito, integro e vagliato, misurato con la misura quattro che· n ici pieni rasi del fittavolo, misura che è al di sopra della misura Sera­ pis. Se non lo fa, le pagherà come punizione una volta e mezzo in più di quello che le dovrà».175

Un raccolto andato male ricade quindi sulle spalle del fit­ tavolo. Sulle catastrofiche conseguenze di questi cattivi rac­ colti ci informa Giuseppe Flavio.1 76 Egli descrive situazioni nelle quali le persone non hanno più neppure uno straccio per coprirsi e hanno consumato anche le sementi per l'anno suc­ cessivo.1 77 La maggior parte delle carestie descritte da Giu­ seppe Flavio riguardano comunque il I secolo a.C. Ma si atte­ sta anche una grande carestia sotto Claudio, n eli 'anno 46-47 d.C. Generalizzando, si può quindi tranquillamente affermare che nelle annate di cattivo raccolto le famiglie contadine sof­ frivano la fame. Ma neppure negli anni di buon raccolto dove­ vano avere veramente di che nutrirsi, dal momento che gli ap­ pezzamenti più piccoli si aggiravano attorno ai 7 ettari e dove­ vano nutrire in qualche modo una famiglia contadina di 6-9 membri.1 78 Sembra che la stragrande maggioranza dei piccoli agricoltori sia stata tutt'al più in grado di provvedere alla pro­ pria sussistenza. Comunque, al riguardo nulla sappiamo di preciso. I piccoli agricoltori non hanno lasciato testimonianze letterarie. D 'altra parte, è difficile stabilire la linea di demarca­ zione fra liberi coltivatori diretti, fittavoli e lavoratori agricoli 1 75

1 76

m 1 78

Il papiro (SB X 1 0532 ) è riprodotto e tradotto in HENGSTL 1 978, 357ss. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 1 4, 28; 15, 299s.365: 16, 64; 1 8, 8; 20, 1 01 . GIUsEPPE FLAVIO, Ant. 1 5 , 310.302s. Cf. anche JEREMIAS 3 1 962, 157-161. Al riguardo cf. più avanti, pp. 141ss.

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assunti a giornata. Al momento del raccolto, anche i liberi col­ tivatori diretti erano a disposizione dei grandi proprietari ter­ rieri come lavoratori di riserva. 3.2. FARDELLI IMPOSTI ALLA POPOLAZIONE 3 .2. 1 .

Mantenimento dell'esercito romano e della popolazione di Roma

Alla maggior parte delle spese dello stato - fra l'altro, per il sostentamento delresercito e per le distribuzioni di cereali al­ la plebs romana - si faceva fronte con la tassazione, in tutte le province ad eccezione dell'Italia, delle terre agricole coltivate. In particolare, anche i soldati romani dovevano essere nutriti dalle rispettive province. Al tempo dell'imperatore Augusto, legio­ nari e truppe ausiliarie totalizzavano circa 300.000 unità. Al loro nu­ trimento di base (cereali, vino e carne) dovevano provvedere, per quanto possibile. le regioni in cui risiedevano. Garnsey-Saller calco­ lano che il solo esercito 300.000 soldati e 1 chilo di cereali a testa al giorno - consumasse annualmente circa 100.000 tonnellate di ce­ reali. 1 79 Ciò corrisponde a circa 15 milioni di modii, per la cui produ­ zione si richiedevano circa 600.000 -800.000 iugera o 150.000-200.000 ettari di terra. E questo solo per l'esercito. Considerando, ad esem­ pio che la Galilea aveva circa 50.000 ettari di terra coltivabile, si do­ veva quindi riservare al solo sostentamento dell'esercito romano un'estensione tre-quattro volte maggiore della Galilea. -

,

Comunque si vogliano intendere queste cifre, l'esercito ro­ mano costituiva sicuramente un grosso peso supplementare per le città che ospitavano una guarnigione e per il loro imme­ diato hinterland. Anche il rifornimento di derrate alimentari di base alla popolazione urbana di Roma era un grosso pro­ blema economico e politico. Lo dimostra un interessante cal­ colo che qui riproduciamo solo per sommi capi.180 In base ad esso, Roma aveva circa un milione di abitanti. La quantità di cereali necessaria a nutrire la popolazione romana ammontava 179 Al riguardo. GARNSEY-SALLER 1989, 129ss. 180 GARNSEY-SALLER 1 989. 121ss. Cf. anche GARNSEY 1988.

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annualmente a 200.000 tonnellate. Qui si presuppone un ap­ porto calorico di sole 1700 calorie al giorno, per raggiungere il quale accorrevano annualmente almeno 200 chili di grano a testa. Per rifornire di cereali la popolazione della capitale oc­ correva quindi una quantità perlomeno doppia rispetto a quella consumata dall'esercito. E poiché sia il sostentamento dell'esercito che quello della popolazione di Roma1 8 1 avevano priorità politica, nell'impero romano si dovevano coltivare solo a tale scopo circa 600 . 000 ettari di terra con una resa di circa 45 milioni di modii di cereali. Giuseppe Flavio1 82 afferma che il Nord-Africa era in grado di coprire il fabbisogno di ce­ reali della città di Roma per otto mesi e che l'Egitto prov­ vedeva a fornire il necessario per gli altri quattro mesi. Già questa quantità rappresentava un grosso fardello per le capa­ cità produttive del settore agricolo, anche se il fabbisogno di cereali per Roma e per l'esercito veniva requisito solo in parte sotto forma di tassa da pagare in natura (frumentum, annona). 3 .2.2. Imposte obbligatorie

Il pagamento delle imposte obbligatorie a favore dell'eser­ cito era esigito a volte con metodi piuttosto duri. Secondo la descrizione di Tacito, suo suocero Agricola aveva introdotto in Britannia metodi meno violenti per la riscossione delle im­ poste obbligatorie. L'encomio dello suocero solleva il velo sulle vessazioni generalmente inflitte dai soldati: «Con un 'equa ripartizione delle contribuzioni alleggeri la riscossione dei tributi in frumento e in danaro, abolendo tutto ciò che, escogitato a fine di lucro, era più intollerabile dei tributi stessi. E infatti si obbliga181 Un'iscrizione proveniente da Efeso (Il sec.) presuppone che una volta Roma si sia servita dei granai del Nord-Africa: « È evidente che voi farete un saggio uso di questo accordo, memori delle necessità che anzitutto la città im­ periale debba ricevere un'abbondante provvista di frumento che è stato semi· nato e raccolto per il suo mercato e poi anche le altre città possono ricevere abbondanti provviste. Se, come preghiamo, il Nilo ci dona, secondo la sua tra­ dizione, una grande inondazione e in Egitto si ha un abbondante raccolto di frumento, dopo la patria voi sarete i primi» (C/G 29.27, 29.38). Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 15, 299ss, soprattutto 305ss, 182 GIUSEPPE FLAv1o, Beli. 2, 38ss.

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vano per ischerno i britanni a sostare innanzi ai magazzini chiusi, a comprare il frumento e a riscattarsi con il pagamento di una somma. Si fissavano inoltre itinerari difficili e contrade lontane, costringendo la popolazione, pur essendo vicini i quartieri invernali, a portare il tri­ buto in località fuori mano, fin tanto che, ciò che era comodo per tutti, diventasse un vantaggio per pochi». 1 M3

Ecco come Btichner commenta questo testo: «Se i conta­ dini non disponevano di una quantità sufficiente di cereali, do­ vevano comperarli essi stessi per i soldati . E venivano, inol­ tre, sottoposti a vessazioni facendoli aspettare davanti ai ma­ gazzini di raccolta dello stato. E paradossalmente dovevano ancora espiare queste vessazioni con somme in denaro, come se avessero commesso una colpa». 184 Queste vessazioni si rife­ riscono alla Britannia romana, ma sappiamo anche di lamen­ tele per i gravosi e ingiusti fardelli imposti con l'annona alla popolazione della terra di Israele all 'inizio del II secolo. 1 85 E l'annona era ovviamente solo uno dei tanti fardelli che la po­ polazione doveva sopportare. In realtà, il popolo era oppresso da tutta una congerie di imposte e prestazioni obbligatorie. Al riguardo, Stenger186 ricorda un detto di rabbi Yakob ben Yose: .

.

« Tale è la dominazione di Esaù (leggi Roma). Essa percepisce l'an­ nona e non ha ancora finito di percepire l'annona che già richiede la capitazione. E mentre è ancora intenta a incassare quest'ultima, già ini­ zia con la leva militare» (PesR 10).

Come paragone può servire anche un testo di Tacito, in cui si ricordano, accanto alle imposte e alle tasse, i lavori servili. Lo storico latino pone la sua annotazione critica nei riguardi di Roma in bocca al comandante britanno Calgaco: «Gli averi e i beni di fortuna ci sono consumati con i tributi, i raccolti annuali con le contribuzioni di frumento, le forze stesse e le mani ci sono logorate con percosse e offese nella costruzione di strade attra­ verso foreste e paludi». 181

183

T

184

1 85

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187

Agricola 1 9, 4. BOCHNER 1955. 288s. STENGER 1988, 36s. STENGER 1 988, 37. TA CITO, Agricola 31, l . TACITO,

lJa

situazione economica

3.2.3.

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Lavori servi/i

Alla popolazione locale erano richiesti lavori servili per le opere pubbliche (costruzione di strade, canalizzazioni) e pre­ stazioni a favore dell'esercito (per esempio, trasporti). Un passo del vangelo di Matteo (5,41 : «Se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due») e la requisizione di Simone di Cirene a portare il braccio trasversale della croce di Gesù (Mc 15,21 ) riflettono en passant queste prestazioni obbligatorie (angareuein ) . In genere, infatti, non ci si limitava a richiedere il lavoro delle persone e anche degli animali, ma si costringeva la popolazione a contribuire anche alle spese richieste per la co­ struzione degli edifici pubblici: «La costruzione e manuten­ zione delle strade, che collegavano tutti i punti importanti del­ l'enorme impero romano e che erano provviste di molte opere aggiuntive, quali ponti, viadotti ecc., erano fatte pagare alla popolazione locale; lo stato vi contribuiva solo in rarissimi casi e solo in Italia (costi di manutenzione di un miglio romano = 1 ,5 km in Italia: oltre 100.000 sesterzi)». 1 HH Naturalmente , il maggior fardello imposto alla popolazione era costituito dalle imposte dirette e indirette. 3.2.4.

Imposte

Già di per sé le semplici tasse dirette erano molto elevate e rappresentavano, soprattutto per i coltivatori diretti, un far­ dello praticamente insopportabile, che contribuiva al loro cre­ scente indebitamento e li costringeva alla fine a vendere il loro piccolo appezzamento di terra per saldare il debito o li ridu­ ceva addirittura in stato di schiavitù. Particolarmente evidente è la situazione della popolazione in terra di lsraele.1 89 Una tassazione così elevata mieteva le sue vittime soprat­ tutto fra la popolazione povera delle campagne. Filone de­ scrive molto chiaramente la situazione delle popolazioni delle campagne nel I secolo d.C.: 188 1 89

PEKARY 1979, 1 05. Al riguardo, più dettagliatamente, cf. più avanti, pp. 1 86ss.l95ss.202ss.

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«Così recentemente un uomo, incaricato di riscuotere le imposte qui da noi, se la gente in ritardo con i pagamenti, certamente a causa della po­ vertà, cercava di fuggire per timore delle insopportabili punizioni, prendeva a viva forza le mogli, i figli, i genitori e tutti gli altri parenti, picchiando/i, maltrattandoli e sottoponendo/i a obbrobriose violenze di ogni sorta, in modo che tradissero il fuggitivo o pagassero quanto da lui dovuto, due cose che essi non potevano fare, la prima perché non conoscevano il suo nascondiglio, la seconda perché non erano meno poveri di chi era fuggito. Ma egli (il collettore delle imposte) non li mollava se non dopo aver infierito sui loro corpi con supplizi e stru­ menti di tortura e aver tolto loro la vita in modi inauditi. Egli fissava a una fune un cesto pieno di sabbia, appendeva quel pesante fardello alla loro schiena e li esponeva a cielo aperto sul pubblico mercato, in modo da indurre loro alla disperazione mediante il terribile fardellçJ delle pu­ nizioni cui erano sottoposti, il vento e i cocenti raggi del sole, la vergo­ gna di fronte ai passanti e i pesi imposti sulle loro spalle e gli altri, che erano costretti a vedere la loro punizione, a provare anticipatamente quelle sofferenze. Alcuni di questi ultimi, che vedevano più chiara­ mente con l'anima che non con gli occhi e si sentivano personalmente maltrattati nella persona dell 'altro, si sono tolti anticipatamente la vita con la spada o il veleno o il capestro, dal momento che una morte senza torture appariva loro una grande fortuna nella loro sventura». 190

Di atrocità analoghe commesse contro chi non pagava puntualmente le tasse in Asia Minore parla anche Plutarco.191 Riferendosi a un periodo successivo (fine del III secolo d.C.), Lattanzio descrive così le tecniche adottate per la registra­ zione fiscale (census ) e le loro conseguenze: «Ciò che aumentò la pubblica calamità e il lutto generale fu il nuovo censo imposto alle province e alle città. I censitori erano sparpagliati dappertutto e mettevano tutto sottosopra come se si trattasse di cose di nemici o di prigionieri o di schiavi. l campi erano misurati in massa, gli alberi e le viti numerati, gli animali di ogni specie registrati. Lo stesso procedimento si usava anche con le persone: gli abitanti delle città e delle campagne erano ammassati in una piazza; tutte le piazze rigurgi­ tavano di schiere di servi e di schiavi, perché ciascuno doveva essere presente coi figli e coi servi. Dappertutto era un suono di lamenti e di percosse; i figli erano aizzati contro i genitori e i servi, fino ad allora fe­ delissimi, contro i padroni, le mogli contro i mariti, perché denuncias­ sero la vera entità delle loro entrate. Se la cosa non riusciva, erano essi

190 1 91

FILONE, Spec. Leg. 3, 159ss. PLUTARCO, Lucullo 20.

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La situazione economica

stessi sottoposti alla tortura fino a quando, sotto la pressione del do­ lore, confessavano e denunciavano anche quello che non avevano. Nessuna scusa di età o di salute era valida. Anche gli ammalati e i ca­ denti erano fatti comparire; si stimava l'età di ciascuno, ai fanciulli si aggiungevano e ai vecchi si detraevano arbitrariamente gli anni. Dap­ pertutto era un pianto e una mestizia grandissima ... Né era prestata fede alle dichiarazioni dei censitori e se ne mandavano sempre di nuovi perché trovassero qualche cosa di più; e se anche questi ultimi non riu­ scivano, altre tasse erano aggiunte per non fare la figura di averli man­ dati invano. Nel frattempo dim inuivano gli animali domestici, gli uo­ mini morivano. Ciò non impediva che si dovessero pagare le imposte anche per i morti. In breve, non si poteva più né vivere né morire senza pagare imposte. Restavano i soli mendicanti dai quali era inutile aspet­ tarsi un tributo: la loro miseria e infelicità li rendeva perlomeno im­ muni da qualunque ingiustizia. Ma quest'uomo cosi pieno di cuore [ci si riferisce all'imperatore Galerio, che aveva ordinato questo censi­ mento: 293-3 1 0 d.C.] ebbe pietà anche di loro e trovò il modo di libe­ rar/i dalla loro miseria: li fece radunare tutti, caricare sopra una barca e gettare in mare. Che uomo previdente e misericordioso, che non po­ teva sopportare che i suoi sudditi languissero nella miseria! Ma poteva anche darsi il caso che qualcuno simulasse la sua mendicità per sot­ trarsi alle tasse. Egli pensò di ovviare anche a quest'abuso, mandando a morte indiscriminatamente, contro ogni diritto di umanità, e i falsi e i veri mendichi». 192

3.2.5. Condizioni di vita e di lavoro

Nell'antichità, la stragrande maggioranza della popola­ zione rurale viveva sulla stretta linea di demarcazione situata fra ciò che era assolutamente necessario per la sussistenza e la fame. 193 I 'motivi di questa situazione vanno ricercati negli ap­ pezzamenti di terra in genere troppo piccoli, nelle conse­ guenze catastrofiche dei cattivi raccolti e soprattutto nell'ec­ cessivo fardello fiscale e nell 'esorbitante indebitamento dei piccoli agricoltori. Specialmente la popolazione rurale, cioè la stragrande maggioranza, si trovava continuamente esposta al pericolo di perdere il minimo indispensabile per la soprav­ vivenza. È su questo sfondo che si deve intendere il famoso te192 LATIANZIO, De mort. 193 0AKMAN 199lb, 167.

pers. 23.

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Storia sociale del cristianesimo primitivo

sto di Gesù «suJle preoccupazioni» (M t 6,25ss; Le 12,22ss ). C'erano «praticamente in ogni parte deli 'impero masse di agri­ coltori assolutamente poveri, privi di terra e di mezzi, i quali cercavano di procurarsi di che vivere come lavoratori a gior­ nata e lavoratori stagionali nelle proprietà degli agricoltori più agiati e dei grandi proprietari terrieri municipali e nei lati­ fondi>).194 Sulle poverissime condizioni di vita di molte persone dell'antichità ci informa il medico Galeno, che ci mostra come fosse soprattutto la popolazione rurale a vivere con il minimo indispensabile per la sussistenza o persino al di sotto di esso: «Le carestie, che hanno afflitto ininterrottamente per vari anni molti popoli sottomessi ai romani, hanno dimostrato chiaramente a chiun­ que non avesse perso completamente il lume della ragione quale gran­ de ruolo giochi nell'insorgere delle malattie l'uso di cibi malsani. lnfat­ t� molti popoli sottomessi ai romani, per esempio gli abitanti delle città, erano soliti ammassare e stoccare, immediatamente dopo il raccolto, una quantità di cereali sufficiente per tutto l 'anno e lasciare le ecceden­ ze agli abitanti delle campagne, ad esempio diverse specie di legumi, gran parte dei quali finiva comunque insieme al resto in città. Gli abi­ tanti delle campagne mangiavano i legumi durante l 'inverno, per cui in primavera dovevano ricorrere a cibi malsani; mangiavano rami e ger­ mogli di piante e cespugli, nonché tuberi e radici di piante indigeste; si riempivano lo stomaco con erbacce e cuocevano anche erba verde». 195

Galeno (nato nel 129 d.C.) sembra considerare stolti lo stile di vita e la previdenza degli abitanti delle campagne. Ma dalle sue parole appare chiaramente che qui si tratta non tanto di una corretta previdenza e di un sano stile di vita, quanto piuttosto della catastrofica situazione alimentare della popola­ zione rurale. La sua alimentazione «malsana», a base di rami ed erba durante la primavera, sta ad indicare che le provviste arrivavano solo fino alla fine dell'inverno. Si deve ritenere co­ munque che anche la maggior parte della popolazione urbana vivesse in condizioni di grande povertà. Era già «Un problema>) assicurarle a un prezzo accessibile «il suo alimento base, il fru­ mento>).196 Ma il testo di Galeno lascia intravvedere che la po194

ALFOLDY 3 1 984, 123.

GALENO, Sulle proprietà sane e malsane degli alimenti

1, 749ss. 1 98 1 , 52. È difficile valutare la grandezza delle città. Se Roma ha avuto effettivamente un milione di abitanti, una popolazione così elevata 195 196

JoNES

93

l.a situazione economica

polazione urbana nel suo complesso non viveva al limite della fame. A ciò vegliavano evidentemente i magistrati - special­ mente i «sorveglianti del mercato (agoranomoi) - allo scopo di evitare i disordini sociali. Anzi, sembra che soprattutto la popolazione urbana di Roma abbia abbondantemente appro­ fittato di questa situazione politicamente delicata. Generaliz­ zando, si può forse affermare che le condizioni di vita nei cen­ tri urbani della parte occidentale dell'impero romano, soprat­ tutto a Roma (che veniva continuamente rifornita di cereali provenienti dall'Egitto e dal Nord-Africa), erano in certo qual modo tollerabili. Ma si deve ritenere che, nelle parti orientali dell'impero, l'impoverimento di ampi strati della popolazione sia andato crescendo anche nelle città. Anche le condizioni di lavoro erano, in linea di principio, miserabili. A volte, si era costretti a lavori fisici pesanti e an­ che pesantissimi, per giunta dannosi per la salute. Si lavorava anche di notte. Erano soprattutto gli schiavi a patire malversa­ zioni. Apuleio descrive così la situazione degli schiavi in una panetteria: «Figurarsi degli individui con la pelle tutta rabescata di fregi lividicci e con le spalle zeppe di piaghe, e appena ombreggiate, piuttosto che ripa­ rate, da uno straccio tutto a brandelli. Certuni portavano soltanto una miserabile pezzuola sulle vergogne e tutti insomma erano vestiti d'un modo che attraverso i loro cenci si vedeva tutto. A vevano la fronte marchiata a fuoco, i capelli rasati a metà, un anello di ferro al piede. Erano pallidi da far paura e avevano gli occhi consumati dal fuoco, che come un nebbione, ottenebrava quell 'ambiente fino a rovinare la vista; e come i pugili, che prima di affrontare il combattimento si sparsarebbe un'assoluta eccezione. Così pensano comunque, ad esempio, GARN­ SEY-SALLER 1989, 121 , in base alle spese per l'acquisto di cereali fatte da Au­ GUSTO (Res gestae 15). Ma le cifre ricorrenti nell'antichità sono problematiche. In base ad esse Alessandria e Antiochia di Siria avrebbero avuto una popola­ zione di più di 300.000 abitanti e Pergamo di circa 180.000 (DuNCAN-JoNES � 1 982, 260s). RoHRBAUGH ( 1 991 , 1 33) ritiene che Roma abbia avuto solo 200.000 abitanti e pensa che solo poche città oltrepassassero i t 00 000 abitanti. BEN-DA v m (t 974. 52) calcola per alcune città di Israele una popolazione oscil­ lante fra i 15.000 (Sefforis) e i 1 00.000 abitanti (Gerusalemme) circa. Sefforis, nelle cui vicinanze si trova Nazaret, avrebbe avuto quindi pressappoco la po­ polazione di Pompei. .

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gono di quella polvere fine fine, così anch 'essi apparivano coperti di un sozzo e biancastro srrato di spolvero di farina e di ceneraccio». 191

Nel prossimo capitolo tratteremo ancor più approfondita­ mente della situazione sociale della popolazione povera.

197

APULEio,

Metamorfosi 9, 12.

Capitolo terzo

Stratificazione e situazione sociale nelle antiche società mediterranee

In questo capitolo presentiamo anzitutto la stratificazione sociale delle antiche società in base alla testimonianza di al­ cuni autori antichi (sezione 1). In secondo luogo, discuteremo i criteri di una stratificazione moderna (sezione 2) e presente­ remo un nostro modello di stratificazione (sezione 3). Infine, delineeremo per sommi capi la situazione sociale dell'élite o strato superiore (sezione 4) e della massa della popolazione o strato inferiore (sezione 5).

l. STRA TIFICAZIONE SOCIALE SECONDO GLI ANTICHI AUTORI Prima di passare alle analisi moderne della stratificazione delle società mediterranee , vogliamo presentare a grandi linee il modo in cui alcuni scrittori del tempo hanno valutato la ge­ rarchia sociale . Dalle fonti emerge, in linea di principio, solo la concezione dell 'élite e degli uomini. 1 Sulla concezione della grande massa della popolazione o delle donne sappiamo ben poco. 2 Alcuni esempi ci permetteranno di illustrare i fattori più importanti delle differenze sociali secondo la concezione degli antichi. Per Filone di Alessandria,3 godono della mas­ sima considerazione i nobili natali (eugeneia ), associati alla ric­ chezza, agli onori e alle cariche, ma anche la salute e la bel­ lezza, nonostante i filosofi abbiano sempre mostrato di prefe-

1

2

3

MAcMuLLEN 1974, 138ss. VITIINGHOFF 1990, 205s. Cf. solo FILONE, Virt. 187ss.

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rire a questi tratti esteriori il valore superiore delle virtù. An­ che l'apostolo Paolo riflette questa diffusa concezione quando cita, come esempi della massima considerazione sociale, i po­ tenti (dynatof) e i nobili (eugenefs) (cf. l Cor 1,26).4 Elio Ari­ stide descrive la «Stratificazione sociale mediante le opposi­ zioni ricco/povero, grande/piccolo, famoso/sconosciuto e no­ bile/plebeo».5 Un giudizio analogo si trova nel libro del Sira­ cide.6 Ma vediamo un po' più in dettaglio la concezione di due scrittori del I secolo. 1. 1. LA CONCEZIONE DELLA GERARCHIA SOCIALE IN

GIUSEPPE FLAVIO

La stratificazione sociale che traspare dall'opera dello sto­ rico ebreo Giuseppe Flavio è tipica della concezione dell'élite. La sua distinzione fondamentale della società ebraica si basa sull'opposizione fra il re o la casa reale e i sacerdoti, da un lato, e il popolo in quanto tale (laos) e, in particolare, l'uomo co­ mune e la donna comune (idiotes), dall'altro.7 Ma egli si inte­ ressa soprattutto a chi è membro dell'élite sociale, che caratte­ rizza con il termine «potente» ( dynatos) e, direttamente colle­ gato ad esso, con il termine «ricco» (plousios/euporos ) . La massa della popolazione è invece «debole» (adynatos/asthe­ nes) e «povera» (aporos/endees; più raramente: peneslpto­ chos). Per Giuseppe Flavio i ricchi e i potenti sono ovviamente anche personalità particolarmente degne, eminenti o in vista e formate, per cui nella loro presentazione ricorrono spesso i termini axios o anche episemos/ouk asemos. La massa, che può

4 Egli ricorda anche i saggi (sophoi), debitore forse in questo a un ideale del . �iudaismo. 3 ALFOLDY 1984, 94: AEL ARIST, Or. 26,39.59. 6 Cf. WISCHMEYER 1 995, 48ss. 7 Per quanto riguarda Giuseppe Flavio, cf. l'interessante analisi di HAMEL 1989, 206ss. Qui non riproduciamo i passi o i riferimenti in grado di suffragare le nostre affermazioni, ma rinviamo per questo alla Josephus-Konkordanz; molte prove anche in HAMEL. Cf. , recentemente, anche MA YER-ScHA.RTEL 1994, 28ss.

97

Stratificazione e situazione sociale

dimostrare soltanto origini comuni, resta sconosciuta (ase­ mos ) Egli pone fra gli eminenti, oltre alla casa reale, soprat­ tutto le famiglie sacerdotali di Gerusalemme, che si distin­ guono specialmente per le loro proprietà terriere, per il po­ tere politico e militare e anche per un particolare modo di ve­ stire, per il consumo di cibi scelti e per la loro formazione (comprendente anche la conoscenza della Torah) e abilità re­ toriche. La massa (p/ethos), il popolino, è invece non for­ mato, senza belle maniere , non intelligente e codardo. 8 Basta un solo esempio per illustrare sinteticamente il modo in cui Giuseppe Flavio valuta la stratificazione sociale. Nelle A.nti­ chità giudaiche egli parla di un certo Athronges, un bandito sociale che mirava al potere. 9 Ma questo Athronges non po­ teva vantare né antenati importanti e famosi, né ricchezza o potenza (era forte solo fisicamente ), era insomma un pastore di pecore. Quindi anche per Giuseppe Flavio ciò che caratte­ rizzava l'élite era il potere, la ricchezza e la considerazione (soprattutto a causa dei propri natali). .

1 .2.

LA CONCEZIONE DELLA GERARCHIA SOCIALE

IN GIOVENALE

Lo scrittore satirico Giovenale , appartenente forse alla ca­ tegoria dei cavalieri romani, condivideva in linea di principio questa valutazione della gerarchia sociale; ma riteneva che al suo tempo fosse intervenuto un cambiamento sociale. A suo avviso, in passato l'origine (etnica), la nascita (nobile), la con­ siderazione, la libertà personale e la formazione erano più im­ portanti del patrimonio e delle entrate per definire la posi­ zione sociale di una persona. Tuttavia, al suo tempo erano pro­ prio questi ultimi fattori a giocare un ruolo decisivo. I ricchi

8 Un'importanza non trascurabile riveste ovviamente il fatto che le cate­ gorie «puro-impuro» siano usate pochissimo da Giuseppe Flavio (HAMEL 1989, 209). Ma ciò dipende probabilmente dal fatto che i destinatari dei suoi scritti erano non ebrei. 9 GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 17 278; cf. più avanti, pp. 297ss. ,

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erano al vertice della scala sociale indipendentemente dalla loro origine, nascita, grado di libertà o professione. Al contra­ rio, i poveri erano in fondo alla scala sociale, a prescindere dal possesso di altre caratteristiche positive e qualità personali.10 In questo equivoco sociale Giovenale trovava un facile appi­ glio per la sua satira: «Uno smidollo di eunuco si ammoglia a petto nudo Mevia impugna ghiere e fulmina cinghiali di Maremma, più dell'intera nobiltà è ricco un tale che alle mie barbe giovanili strappava era-era-era col suo rasoio, della canaglia del Nilo fiore lo schiavo di Canopo Crispino agita una vestaglia di Sidone per fare a un suo anello d'estate ventolino, le dita quasi rotte dal peso madide: ci vuole per non scrivere satire a queste viste, sforzo. 1 1

Per Giovenale, l'eunuco che si sposa e la donna (Mevia) che combatte nell'arena come un uomo12 vanno contro l'or­ dine naturale. Lo stesso dicasi del barbiere, che possiede una ricchezza troppo grande,13 nonché di Crispino, che non solo possiede ingenti ricchezze,14 ma esercita probabilmente anche un'alta funzione sociale. In base alle teorie sociologiche mo­ derne, il barbiere e Crispino sono due esempi evidenti di in­ consistenza della condizione sociale. 15 Il barbiere (di un tempo) - quindi una persona disprezzata dal punto di vista delle élites - ora supera in ricchezza tutti i patrizi. Anche Cri­ spino merita il disprezzo per molti motivi. È nato schiavo

10 11 12 13

pagna.

Al riguardo, REEKMANS 1971, 121 . GtovENALE, Sat. l , 23ss. Al riguardo, anche TACITO, Ann. 15, 32. Secondo GIOVENALE (Sat. 10, 225s), egli possiede diverse case di cam­

14 Cf. anche GIOVENALE, Sat. 4, 1ss.

15

Al riguardo cf. più avanti, p. 108.

Stratificazione e situazione sociale

99

( verna), apparteneva alla plebs di Canopo, sua città natale, considerata del resto particolarmente immorale, 16 è egiziano, quindi membro, secondo il pregiudizio di Giovenale, di un po­ polo incivile, 17 inoltre, ostenta la sua ricchezza.1 8 Per Giove­ nale, la ricchezza di Crispino è pertanto in stridente contrasto con la sua origine e la sua condizione sociale. Le categorie so­ ciali prese in considerazione dallo scrittore satirico erano fon­ damentalmente le seguenti: origine (etnica), nobiltà, libertà personale, patrimonio, occupazione, età, sesso.1 9 All'interno di ognuna di queste categorie è poi possibile distinguere secondo i diversi livelli di rango.20 In cima alla scala sociale starebbe, secondo Giovenale, un uomo anziano, romano, patrizio, nato libero, ricco, senza attività professionale. 1 .3. AUTO-COLLOCAZIONE NELLO STRATO INFERIORE

La predominanza del punto di vista dell'élite nelle antiche «definizioni dello strato sociale» è innegabile. Anche per le co­ noscenze sulle esperienze e condizioni di vita dei gruppi ap­ partenenti allo strato inferiore dipendiamo essenzialmente dalla concezione dei membri dello strato superiore. Ma anche i gruppi dello strato inferiore hanno integrato in linea di princi­ pio il punto di vista della élite, come mostra il già citato esem­ pio di Paolo. In base ai criteri vigenti in questo mondo egli

GIOVENALE, Sat. 6, 84; 15, 46. 17 Cf. GioVENALE, Sat. 1 5,46. Sul disprezzo per gli egiziani nell'antichità in genere, cf. SM ELIK-HEMELRIJK 1984, 1 852-2000; su Giovenale, cf. SMELIK-HE­ MELRIJK 1 984. 1965-1967. 111 Alcuni tratti inducono a pensare che Crispino fosse un cavaliere ro­ mano, appartenesse quindi all'ordo equester (anelJo, mantelJo di porpora), ma è difficile poterlo affermare con certezza. Cf., al riguardo, REEKMANS 1 971, 142. Potrebbe trattarsi anche di un'imitazione dell'aspetto esteriore dei cava­ lieri (nel Satyricon di PETRONto, ad esempio. Trimalchione imita il modo di ve­ stire e i segni distintivi dei cavalieri): indossa un mantello rosso scarlatto con ampie bande in porpora e porta al dito un anello placcato in oro (Satyricon 32). 19 È interessante notare come per Giovenale lo status civitatis (il fatto di possedere o meno la cittadinanza) non giochi alcun ruolo importante: REEK­ MANS 1971 , 123. 20 REEKMANS 1 971 , 124. 16

100

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pone i membri della comunità cristiana di Corinto fra i «di­ sprezzati» ( 1 Cor 1 ,28). E, pur essendo personalmente fiero della sua discendenza ebraica (2Cor 1 1 ,22), nell'insieme non si fa alcuna illusione sulla sua appartenenza ai socialmente de­ boli, alla massa anonima (agli «Sconosciuti» in contrapposi­ zione ai nobili. i «conosciuti»), ai nullatenenti (2Cor 6,9s; 1 1 ,29; cf. l Cor 4, 10s) 2 1 Il tipico giudizio sociale dell'élite si ri­ flette quindi nella coscienza di coloro sui quali si emette quel giudizio e addirittura quel giudizio negativo. Anche chi ha rag­ giunto una qualche posizione grazie alla sua professione di ar­ tigiano e si è arricchito, si vergogna spesso, parlando di se stesso, di presentarsi semplicemente come membro del pro­ prio gruppo professionale, poiché «il successo economico da solo non basta per ottenere un giudizio positivo da parte dei propri concittadini. I loro monumenti, le loro iscrizioni e le al­ tre testimonianze li presentano come notabili, come interlocu­ tori riconosciuti dalla loro città o dallo stato».22 Il già citato proprietario di una grande panetteria romana - Marco Vergi­ lio Eurisace - aggiunse alla sua qualifica professionale di pa­ nettiere (pistor) il titolo di redemptor, cioè di impresario ope­ rante a favore dei mercati ufficiali. Nel Satyricon di Petronio, al banchetto di Trimalchione partecipa anche uno scalpellino, il quale trova la sua collocazione nella gerarchia sociale non solo in base alla sua riuscita sul piano economico, ma grazie al titolo onorifico di sacerdote del culto imperiale (sevir). 23 Sem­ bra che anche nel commercio - quando non si tratta di grossi commercianti, appartenenti in ogni caso già solo per questo, come ad esempio i cavalieri, ai notabili della società - la con­ siderazione sociale sia legata soprattutto al riconoscimento di una particolare utilità per lo stato dell 'attività che si svolge. Un 'iscrizione trovata a Gera poli rende onore al commerciante Flavio Zeuxis a causa del suo coraggio e della sua utilità so.

21

500ss.

22

23

Sulla condizione sociale di Paolo, cf. più ampiamente più avanti, pp. MoREL 1991, 251 ; diversamente MoREL 1991 , 251 .

VnTINGHOFF

1990, 206.

Stratificazione e situazione sociale

101

ciale: «Molte volte ha attraversato i mari e ha reso servizio alla sua patria» (S/G 1229). L'imperatore Adriano raccomandò al consiglio della città di Efeso di accordare un posto nel consi­ glio della città a due naukleroi (chiaramente proprietari di navi dediti al commercio marittimo), sottolineando, oltre al loro coraggio, soprattutto i servizi resi alla comunità (fra l'al­ tro, avevano trasportato sulle loro navi lo stesso imperatore ). 24 Parlando di se stesso, un commerciante di pelli di capra non trascura di sottolineare che ha venduto merci «rispondenti alle necessità del popolo» ( CIL IX, 4796). E dove non era possibile elogiare simili pregi, come nel caso della popolazione che lavo­ rava per il proprio sostentamento, si doveva ricorrere, per col­ mare l'assenza di valore sociale della propria professione , ad altre virtù socialmente riconosciute. Il semplice commerciante è perlomeno «Onesto>> o addirittura misericordioso e «amico dei poveri».25 Autodefinendosi così, egli si attribuisce eviden­ temente un tratto tipico dell'uomo nobile , il quale si distingue, fra l'altro, per la sua liberalitas. Il riferimento ai valori aristo­ cratici appare non solo nell'autocollocazione negativa della gente comune, ma sembra ritornare anche nel riferimento a quelle virtù che vengono attribuite all'élite.26 1 .4.

S GUARDO SINTETICO SULLE ANTICHE VALUTAZIONI DELLA GERARCHIA SOCIALE

Dai pochi esempi che abbiamo portato riguardo alla con­ cezione antica della gerarchia sociale , risulta che principali in­ dicatori per stabilire la posizione sociale di una persona sono, nella coscienza dell'uomo dell'antichità: la nascita (nobile) e la partecipazione al potere politico e al possesso materiale. Essi elevano chiaramente una persona al di sopra della massa degli uomini e le assicurano stima e considerazione. Si presuppon-

24

La cosa si trova nelle iscrizioni di Efeso (5, 1487s); cf. GIARDINA 1991,

25

GIARDINA 1991, 299. Cf., al riguardo, solo GIARDINA 1991 , 300.

295s.

26

102

Storia sociale del cristianesimo primitivo

gono anche la nascita libera e il diritto di cittadinanza. Dove invece mancano tutti questi tratti, o la maggior parte di essi, sia a causa de li 'umile nascita e/o dell'attività finalizzata al so­ stentamento, sia a causa della mancanza dei diritti della per­ sona, sia a causa della povertà, si ha il disprezzo o la poca con­ siderazione. Nella sottostante tabella 4 illustriamo il modo in cui gli antichi giudicavano le differenze sociali (indicando ov­ viamente solo le varianti fondamentali).27 T AB.

4. Principali differenze sociali

Élite

Non-élite/massa

nobile potent e ricco

comune debole povero disprezza to

considerato

Questa bipartizione delle società antiche ritorna anche nella distinzione terminologica fra honestiores e humiliores. Il riconoscimento giuridico dei privilegi dell'élite avvenne solo nel II secolo (a partire da Adriano) , ma sembra essersi limitato a conferire una maggiore forza giuridica alla particolare posi­ zione che certi gruppi di persone si erano ritagliata già prima di allora.28 Agli honestiores appartenevano i senatori, i cava­ lieri, l'aristocrazia cittadina (in seguito, anche i veterani e certi giudici e magistrati). Tutti gli altri appartenevano al gruppo degli humi/iores, quindi gli schiavi, i liberti e chiunque, uomo o donna, non possedesse nessuno dei criteri richiesti per fruire

n In linea di principio, questi criteri valgono praticamente solo per gli uomini, per cui anche l'appartenenza all'uno o all'altro sesso deve essere con­ siderata fra i fattori dominanti della condizione sociale. Al riguardo, cf. più avanti, pp. 1 1 7ss. 28 VIITINGHOFF 1990, 234.

Stratificazione e situazione sociale

103

dei privilegi giuridici: dignitas, considerazione, nascita nobile, carattere e ricchezza.29 Anche quest'evoluzione posteriore di­ mostra quindi che gli altri fattori - come, ad esempio, la con­ dizione giuridica personale (libertà personale, cittadinanza), l'attività professionale o l'età - non modificarono la fonda­ mentale bipartizione della società in élite e non-élite (massa, popolazione comune) in base alle principali variabili ricordate sopra. E anche Giovenale, che metteva l'accento sulla conside­ razione data dalla nascita e disprezzava le persone ricche e po­ tenti nate schiave, deve almeno implicitamente riconoscere che la ricchezza e le cariche politiche possono innalzare in modo significativo una persona nella gerarchia sociale, anche nel caso in cui quest 'ultima sia macchiata da una nascita non nobile e da una professione allora poco considerata. Un 'analisi della stratificazione delle società mediterranee non può comunque basarsi solo sulle concezioni antiche, poi­ ché queste ultime rappresentano per così dire delle rilevazioni demoscopiche - in un piccolo gruppo della popolazione sul prestigio sociale di certe persone o gruppi. Ma non sempre il prestigio sociale equivale all'effettiva funzione di una per­ sona o di un gruppo nella compagine degli strati sociali. I fat­ tori soggettivi - che possono essere condivisi anche dalla maggioranza della popolazione - devono essere completati dai fattori oggettivi, che prendono in considerazione ad esem­ pio la funzione direttiva e l'influenza di alcune persone e gruppi in una determinata società. Così giungiamo alla discus­ sione moderna delle società antiche dal punto di vista della loro stratificazione sociale. 2. CRITERI DI UN'ANALISI MODERNA

DELLA STRA TIFICAZIONE SOCIALE D ELLE SOCIETÀ ANTICHE L'analisi della stratificazione presuppone essenzialmente una disparità sociale. Ciò significa che i membri di una società 29

Al

riguardo, GARNSEY 1970, 22ls.

1 04

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occupano diverse posizioni sociali in base a determinati fattori. Queste posizioni decidono delle loro possibilità di vita e della considerazione di cui godono. I pochi esempi addotti sulle con­ cezioni antiche della stratificazione sociale hanno chiaramente mostrato che la distinzione fondamentale era quella fra élite e non-élite (massalpopolo ). In cima alle società dell'impero ro­ mano vi era una ristretta élite dirigenziale, caratterizzata - se­ condo la concezione degli autori antichi - dall'origine nobile, dall'esercizio delle cariche pubbliche, dalla ricchezza e dalla considerazione. Questa classe dirigente va quindi intesa sia come élite politica (i potenti) ed economica (i ricchi), sia come élite di prestigio (i notabili). 30 Di fronte ad essa sta la massa della popolazione, caratterizzata dall 'assenza dei tratti sociali che contraddistinguono l'élite. Ma, per quanto importante, la concezione di questa struttura fondamentale delle società anti­ che non offre in ultima analisi che una grossolana griglia orien­ tativa. Infatti, sia la élite sia soprattutto la massa della popola­ zione presentavano evidenti differenziazioni interne. Ma non vi è accordo neppure sulla terminologia in grado di esprimere convenientemente una tale differenziazione. Si parla di strati, di gruppi di status, di classi o di caste. In ogni caso, non è questo il luogo per trattare più specificamente la questione terminologica .31 Nessuno dei termini citati è chiara­ mente definito a livello del linguaggio quotidiano o sociolo­ gico. D 'altra parte, la discussione terminologica è ulterior­ mente complicata dalla stretta relazione esistente fra la classi­ ficazione terminologica e i modelli di stratificazione e relativi criteri che vengono posti a fondamento dell'analisi degli strati. Più importante della terminologia è quindi una descrizione dei criteri che si pongono a fondamento dell'analisi della stratifi­ cazione. Ma prima di addentrarci nella presentazione dei cri-

30 VrTIINGHOFF (1990, 250 ) attira l'attenzione soprattutto sul carattere dei membri dell'orda come «gerarchia di prestigio». 31 Per la discussione di alcuni termini, cf. ad esempio LENSKI 1977, 108ss; cf. anche GARNSEY-SALLER 1989, 156ss; molto istruttivo sui fondamenti teore­ tici è RoHRBAUGH 1984, 5 19ss; cf. anche RUNCIMAN 1968, 25-61.

Stratificazione e situazione sociale

105

teri dobbiamo spiegare brevemente il motivo per cui qui usiamo prevalentemente il termine «strato».

2 . 1 . STRATO E «STATUS»

Si potrebbe parlare di strati, quando gruppi relativamente grandi della popolazione di una società hanno in comune una condizione sociale comparabile e quando quest'ultima li di­ stingue gerarchicamente dagli altri gruppi. Il problema cen­ trale della determinazione degli strati è costituito dalla scelta e correlazione dei fattori socialmente rilevanti che rendono comparabile la condizione sociale delle singole persone. Essi possono essere costituiti, ad esempio, dalla proprietà, dal po­ tere o dall'influenza sul piano politico, dalla considerazione, dalla nascita, dal sesso, dall'attività professionale, dalla forma­ zione ecc. Poiché tratteremo più specificamente dei criteri della nostra analisi della stratificazione sociale nelle pagine se­ guenti/2 ora ci limitiamo a indicare la conclusione cui giunge la valutazione dei fattori appena citati e quindi la definizione di strato di cui qui ci serviamo:33 uno strato comprende tutte le persone di una società che, dal punto di vista della loro parteci­ pazione al potere, ai privilegi e al prestigio, si trovano in una condizione sociale simile. Questa concezione dello strato sociale, orientata a criteri politici ed economici, ci sembra più significativa del concetto di status,34 poiché quest'ultimo rinvia soprattutto alla considera­ zione di cui gode una persona nel contesto di un determinato sistema sociale.

.J

32 33

Cf. più avanti, pp. 109ss. Basandoci su LENSKI 1977, 1 09 (che qui parla comunque di «classe»). 34 Il termine status non viene definito in modo univoco né nel suo uso comune né nella discussione sociologica: FuNK 1981 , 1 1 ; cf. anche LENSKI 1977, 1 14.

106 j

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Ecco come Funk definisce il concetto sociologico di status:

«[Lo status è] una posizione che gli uomini possono assumere in un si­ stema sociale (gruppo, associazione, società), posizione che si trova in vari modi collegata con altre posizioni dei sistemi sociali e che è asso­ ciata, in ogni sistema, a un determinato prestigio sociale». 35 n concetto di statu.s implica quindi, da una parte, una forte accentuazione della considerazione sociale, e serve, dall'altra, a comprendere la posizione sociale di una persona in relazione a diversi sistemi sociali della società in cui vive . Quest'ultimo aspetto consente di delineare un 'immagine multidimensionale di una società o di farsi un'idea dei molteplici intrecci che sta­ biliscono le singole persone nei sistemi sociali più diversi (per esempio: famiglia, gruppo religioso, associazione ecc.). 36 In base a questa concezione. una persona può quindi avere uno status differente nei diversi sistemi sociali.

Facciamo un ese mpio. Un artigiano di Corinto, nato libero, come paterfamilias e prop rietario di una piccola officina, gode della mas­ sima stima in seno alla propria famiglia Esercita la sua autorità s u i membri della famiglia (compresi gli schiavi e gli operai) e ha quindi una posizione di assoluto potere sulla sua casa. Ma nella città in cui abita egli non appartiene all'élite, non ricoprendo alcuna funzione di­ rettiva politica Se poi non gode neppure del diritto di cittadinanza, non ha alcuna influenza diretta sulle decisioni politiche della comu­ nità in cui abita. Da questo punto di vista, non si distingue, in ultima analisi, dai suoi schiavi od operai salariati, che sono come lui esclusi dal potere politico; e non si distingue neppure dalla moglie e dai figli. E tuttavia il nostro artigiano può ricoprire certe funzioni direttive nella sua «consorteria», ad esempio in quanto membro di un'associa­ zione artigianale (collegium ) e compensare così almeno un po la sua mancanza di potere politico. Ma anche i suoi schiavi avevano queste possibilità. .

.

'

Nella maggior parte dei casi l'analisi dello status sociale di una persona porta quindi a concludere che essa non possiede un solo status sociale, ma molti. 35

FUNK 1981 , 1 1 . MEEKS 1993. 1 15ss, sembra preferire il termine status proprio per que· sto motivo. 36

·

Stratificazione

e

situazione sociale

107

Un'analisi della stratificazione non può e non deve espri­ mere questa condizione sociale pluridimendionale. Stretta­ mente intesa, essa considera solo il sistema sociale «Società» ­ si tratti della comunità urbana di appartenenza o del sistema sociale dell'impero romano in quanto tale - e stabilisce la po­ sizione sociale della singola persona in un certo senso in modo macro-sociologico, assume quindi una prospettiva sociale glo­ bale e sovra-individuale. La cosa è pienamente giustificata, come si può dimostrare con un altro esempio. Nel gruppo della popolazione che godeva dello status gi uridico della cittadinanza romana (civitas romana), e quindi anche di deter­ minati privilegi, vi erano cionondi meno evidenti e profonde grada­ zioni. Si pensi solo alla differenza fra l'imperatore, i senatori e i ca­ valieri, da una parte, e i «normali» cittadini romani, che dipende­ vano a centinaia di migliaia per il loro sostentamento dalle elargi­ zioni imperiali di cereali, dall 'altra. Tutti possedevano la cittadi­ nanza romana, e quindi uno status ben definito anche sul piano giu­ ridico, e tuttavia nel sistema sociale globale occupavano posizioni estremamente variegate .

Senza dubbio, l'analisi della stratificazione deve conside­ rare anche le differenze di status all'interno dei rispettivi strati o il fenomeno della cosiddetta inconsistenza o dissonanza dello status. A proposito delle differenze di status all'interno dei rispettivi strati, di cui subito ci occuperemo, qui diciamo solo che, ad esempio nei gruppi dello strato superiore, la casa imperiale e i senatori si distinguevano dai cavalieri e questi, a loro volta, dai decurioni. Ma il concetto di inconsistenza dello status richiede qual­ che altra considerazione.

Inconsistenza dello «status» Il problema deU 'inconsistenza dello status è stato molto di­ scusso in sociologia ed è stato anche applicato in particolare alle antiche società e al cristianesimo primitivo.37

37

1 19s.

LENSKI 1977, 1 25 (bibliografia) ; REEKMANS 1971, 1 41ss; MEEKS 1993,

108

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Secondo la nostra definizione, si ha inconsistenza dello sta­ tus fondamentalmente là dove i tratti fondamentali dell 'appar­ tenenza allo strato (potere, privilegi, prestigio) non sono con­ gruenti. Ciò accade soprattutto quando il prestigio di una per­ sona non combacia con le sue effettive funzioni di esercizio del potere e/o con i suoi privilegi. Per esempio, quando uno schiavo, grazie alle sue capacità individuali, alla sua forma­ zione professionale o alla sua posizione, consegue un'in­ fluenza e dei privilegi, che oltrepassano a volte di gran lunga il suo status giuridicamente definito. Basti ricordare qui le alte mansioni svolte dagli schiavi nella familia Caesaris. Ma lo stesso potrebbe dirsi anche degli schiavi che amministravano le proprietà terriere per conto dei loro padroni e con pieni po­ teri. Anche certi liberti avevano più influenza politica di molti senatori. Ma la macchia della loro nascita non libera restava loro appiccicata per tutta la vita ed era, come tale, non solo una questione di percezione personale, ma anche un fattore sociale. Infatti, dal punto di vista dell'élite antica, ciò che ca­ ratterizzava anzitutto e soprattutto lo status di un uomo era, come abbiamo visto, la sua nascita. Tuttavia, pur riconoscendo la realtà di questa problematica, non si dovrebbe accordare troppa importanza all'inconsistenza dello status. Infatti, a Roma e nelle città, l'esercizio delle cariche importanti presup­ pone non solo il relativo diritto di cittadinanza, ma anche l'ap­ partenenza ai rispettivi ordines (senatori, cavalieri, decurioni ). E solo le cariche subalterne {per esempio: littori , collettori delle imposte, «funzionari)) subalterni) erano accessibili anche ai non cittadini. Infine, solo i cittadini romani potevano (in li­ nea di principio) servire nelle legioni e la carriera degli ufficiali era aperta, in linea di principio, solo ai cavalieri. I criteri relativi allo status giocano quindi un ruolo impor­ tante. Ma, per la stratificazione che qui dobbiamo delineare, il concetto di status è, a nostro avviso, poco adeguato. Infatti, un' analisi degli strati procede piuttosto in modo macro-socio­ logico, si preoccupa quindi di delineare un quadro generale degli strati sociali; mentre un'analisi dello status si addice piut­ tosto a ricerche micro-sociologiche, che mirano cioè a rico-

Stratificazione e situazione sociale

109

struire in modo differenziato la posizione sociale delle singole persone o dei gruppi. 2.2.

CRITERI DI ANALISI DELLA STRATIFICAZIONE: POTERE , PRIVILEGI E PRESTIGIO

I fattori importanti per definire la posizione sociale sono diversi: proprietà, potere o influenza sul piano politico, consi­ derazione , nascita, sesso, attività professionale, formazione ecc. Perciò un'analisi della stratificazione delle antiche società deve chiarire i criteri, in base ai quali stabilisce la posizione so­ ciale di una persona. Uno dei pochi storici sociali delle antiche società a ricor­ dare i criteri della sua stratificazione è Alfoldy. Il suo modello a due strati (strati superiori e strati inferiori) della società ro­ mana ricorda quattro criteri principali per l'appartenenza agli antichi strati superiori:38 ricchezza, potere (cioè esercizio di alte funzioni politiche o sociali), considerazione e soprattutto appartenenza a un ordo, cioè a uno dei tre «ceti» (senatori, ca­ valieri, decurioni) . Come categorie della sua analisi Meeks ri­ corda: appartenenza etnica, ordo, cittadinanza, libertà perso­ nale, patrimonio, professione, età, sesso e cariche od onorifi­ cenze pubbliche.39 Per Vittinghoff, che ritiene assolutamente impossibile un 'analisi globale della società romana, un tratto fondamentale della società antica è la disuguaglianza giuridica delle persone, la quale co-determina e ricopre i fattori socio­ politici .40 Gli autori citati partono giustamente dal fatto che le opportunità e la posizione sociale delle persone dipendono non solo dalle loro caratteristiche e capacità personali, ma an­ che dai «sistemi di ripartizione»41 della loro rispettiva società, o, in altri termini, nella somma delle caratteristiche sociali. Certe caratteristiche sono chiaramente sovradeterminate dalla

3 1984, 94. 38 ALFÒLDY 39 MEEKS 1 993, 1 20 (basandosi su Reekmans). 40 VITIINGHOFF 199a, 172ss. -+ l Al riguardo, ampiamente LENSKI 1977, 70ss .

1 10

Storia sociale del cristianesimo primitivo

struttura della società in questione, per cui permettono una maggiore partecipazione alle gratificazioni di una società e, di conseguenza� maggiori opportunità. Un'analisi della stratifica­ zione sociale presuppone quindi anche una teoria della so­ cietà� la quale costituisce, a sua volta, il fondamento del mo­ dello di stratificazione che forma la disuguaglianza sociale della società da analizzare. Naturalmente qui non possiamo addentrarci nella complessa discussione di questa problema­ tica. Ma riteniamo (con Lenski42) che i sistemi di ripartizione sociale siano caratterizzati da tre «elementi fondamentali»:

potere privilegi prestigio Essi determinano, quali variabili più importanti, la posi­ zione sociale di una persona nel sistema sociale. Riteniamo, con Lenski,43 che la variabile principale sia qui il potere, che «stabilisce come vengono ripartite le eccedenze (intese come prodotto che eccede il fabbisogno) di una società» . Da esso di­ pendono i privilegi, intesi come «possesso o controllo di una parte delle eccedenze prodotte da una società» . Il prestigio, in­ fine, è soprattutto una funzione del potere e dei privilegi.

2.2.1. Potere come variabile principale Se la variabile potere determina fondamentalmente anche la misura dei privilegi e se il prestigio è una funzione di queste due variabili, allora è normale ritenere che il fattore potere debba giocare un ruolo decisivo anche nell 'analisi della strati­ ficazione delle antiche società mediterranee. In definitiva, quindi, la misura della partecipazione al potere decide della posizione sociale del singolo e permette anche, quale tratto più importante, di distinguere le posizioni sociali fra di loro. Al ri-

42 LENSKI 1 977, 70ss. 43 LENSKI 1977, 71s.

Stratificazione

e

situazione sociale

111

guardo, si deve comunque considerare su quali fondamenti o in quale forma si manifesta la partecipazione al potere nelle ri­ spettive società. Noi distinguiamo due fondamenti della forma istituzionalizzata44 del potere sociale:

potere mediante la posizione (ufficio o ruolo) potere mediante la proprietà (influenza) Le due forme di potere sono spesso legate, ma non neces­ sariamente.45 Mentre una determinata posizione o un ufficio nella società conferisce direttamente autorità, cioè «il diritto affermabile di comandare sugli altri»,46 una maggiore ric­ chezza produce ad esempio influenza, cioè la possibilità di per­ seguire i propri interessi contro gli altri o di influire sulla situa­ zione sociale. Nelle moderne società industriali occidentali il potere sotto forma di possesso (o entrate) gioca certamente un ruolo maggiore per la posizione sociale di una persona nella società e per la distinzione degli strati sociali. Al contrario, una carica sociale sembra avere minore importanza. Queste cari­ che sono aperte, in linea di p rincipio, a tutti i cittadini dello stato, sono estremamente diversificate (dal presidente della repubblica all'usciere) e sono soggette anche a un maggior controllo. Nell'impero romano, invece , l'esercizio delle fun­ zioni direttive pubbliche aveva un 'importanza decisiva ai fini dell'appartenenza a un determinato strato. Comunque anche la ricchezza, quale fondamento del potere sociale, giocava un ruolo non trascurabile .

2.2.2. Potere e ricchezza (influenza) Anche la ricchezza deve essere quindi considerata fonda­ mento del potere. Al riguardo, essa non va intesa solo come «Categoria economica», ma anche dal punto di vista della sua

44 Qui non prendiamo in considerazione la forma non istituzionalizzata del potere. 45 Cf. LENSKI 1977, 89. 46 LENSKI 1 977, 88 (riprendendo una definizione di M. We ber ) .

1 12

Storia sociale del cristianesimo primitivo

importanza per la partecipazione al potere sociale.47 Dal fat­ tore potere dipende, inoltre , anche il «sistema degli introiti e della trasmissione del patrimonio)), sistema considerato da Garnsey-Saller il «fondamento della struttura romana della di­ suguaglianza sociale ed economica».48 Ciò significa che il pos­ sesso e racquisizione della ricchezza era possibile soprattutto per i membri della classe dominante, ma anche per gli schiavi e i liberti che erano al loro servizio nelle alte sfere del potere esecutivo. Trattandosi di una società agricola, nella quale la terra rivestiva un 'importanza decisiva, le proprietà terriere erano trasmesse per via ereditaria e restavano per lo più in mano alle stesse famiglie. Esse erano, inoltre , anche la princi­ pale fonte di accrescimento del patrimonio. Olt�e a ciò, anche le cariche statali consentivano lauti guadagni. Garnsey-Saller sottolineano questo aspetto: «Tutto sommato, coloro che erano al di fuori potevano esercitare un controllo sulle agognate risorse solo quando una famiglia si estingueva e non lasciava neppure eredi adottivi. Era tipico del sistema romano il fatto che gli estranei che ne traevano il maggior vantaggio erano scelti nelle file dei dipendenti appartenenti allo strato inferiore (liberti, schiavi), i quali avevano conquistato la fiducia o la benevolenza dei loro padroni». 49

Per delineare la stratificazione delle società di cui qui ci oc­ cupiamo è quindi necessario stabilire la posizione sociale sulla base delle variabili citate, per cui bisognerà partire anzitutto e soprattutto dalla partecipazione al potere e considerare poi il ruolo che giocano i privilegi e, infine, il prestigio. Le conce­ zioni delle differenze sociali proposte dagli autori antichi che abbiamo analizzato sopra procedono, in linea di principio, in 47 In questo senso non ci sembra esatta, ai fini della definizione dello strato, la contrapposizione operata da AlfOldy fra categoria economica e fun­ zione sociale. In base ad essa, egli non vuole includere «in uno strato sociale, nell'impero romano, alcuna categoria economicamente costituita, ma [vuole comprenderlo] come un gruppo, i cui membri hanno una posizione sociale pressappoco identica, in base alla loro funzione e alla relativa valutazione da parte della società» ( ALFù LDY 1986, 76). 48 GARNSEY-SALLER 1 989, 157. 49 GARNSEY-SALLER 1 989, 157.

Stratificazione

e

situazione sociale

113

senso inverso, prendendo in considerazione, per così dire, il ri­ sultato (il prestigio) della posizione sociale basata sul potere e sui privilegi. Ma anch'esse presuppongono il fatto che il presti­ gio è condizionato dai sistemi di ripartizione, che assicurano in definitiva alle famiglie aristocratiche la fetta di potere giuri­ dico o di fatto di gran lunga più importante, mettendole così in condizione di beneficiare di enormi privilegi e, infine, del pre­ stigio che ne deriva.

2.2.3. Comparazione con i criteri di stratificazione proposti da Alfoldy Come abbiamo ricordato, Alfoldy elenca quattro criteri principali per l'assegnazione delle persone agli antichi strati superiori: ricchezza, potere, considerazione e, soprattutto, ap­ partenenza a un ordo, cioè a uno dei tre «Ceti>> (senatori, cava­ lieri, decurioni). Paragonando questi criteri con quelli da noi proposti, appare subito evidente che tre possono essere sus­ sunti sotto il nostro criterio «potere>>: potere (nel senso di alte cariche sociali), ricchezza e appartenenza a un ordo. I criteri «ricchezza>> e «ordo» possono essere ovviamente discussi an­ che sotto il nostro criterio privilegi, dal momento che i membri degli ordines appartenevano, secondo Alfoldy, ai «ceti privile­ giati». In definitiva, anche i quattro criteri di Alfoldy si pos­ sono quindi ridurre, in altra forma, ai tre da noi citati e con essi compararli, come risulta dalla sottostante tabella 5. TAB. 5. Comparazione tra criteri di appartenenza agli strati su­ periori.

Nostri criteri

Criteri di Alfoldy

potere (posizione/possesso) privilegi prestigio

potere funzione sociale/ricchezza/ordo ricchezzalordo considerazione

114

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Ma poiché per Alf5ldy l'appartenenza a uno dei tre ordi­ nesl«ceti» realizza di fatto le altre caratteristiche dello strato superiore, l�ordo diventa per lui, in ultima analisi, il criterio de­ cisivo, quello che nelle società dell'impero romano stabiliva l'appartenenza allo strato. Ciò significa che la funzione e il rango sociali costituiscono la base della sua analisi. 50 N ella comparazione con il criterio da noi proposto appare comun­ que chiaramente che con la categoria ordo solo una forma di potere diventa il criterio decisivo. Ma in tal modo si assume anche una prospettiva romana, secondo la quale la posizione occupata nel sistema del potere politico decideva della posi­ zione occupata nella gerarchia sociale. Ma già Finley ha sotto­ lineato come nell'antica Roma l'istituzionalizzazione del po­ tere politico fosse talmente avanzata che l 'appartenenza allo strato superiore romano e l'esercizio del potere politico non coincidevano necessariamente .51 In Alfoldy la società romana presenta quindi il carattere di una specie di «Struttura-ceti­ strati»;52 ma in tal modo si sottovaluta soprattutto la proprietà (in quanto mediatrice di influenza) come seconda forma istitu­ zionalizzata di potere. 53 Una conseguenza non irrilevante di questa prevalenza dell'appartenenza allo strato è anche l'im­ plicita ammissione della prospettiva androcentrica. Le donne non trovano posto nel modello di società di Alfoldy. 54

50

Cf. solo ALFOLDY 1986, 77. FINLEY 1974. 49; cf. la critica ad Alfoldy da parte di CHRIST (1980, 21 6); cf. ScHòLLGEN 1984. 12ss. Il modello dei criteri di Alfoldy richiede quindi da questo e da altri punti di vista una maggiore differenziazione. Va ovviamente notato che lo stesso autore ammette i punti deboli, che qui devono essere di­ scussi, della sua analisi e in parte li prende lui stesso successivamente in consi­ derazione: cf. ALFòLDY 3 1 984, 125ss; 1986, 72ss. 52 ALFOLDY 3 1984, 126. 5 3 Le considerazioni critiche e soppressioni fatte dallo stesso AlfOidy al modello di una società di classi mostrano chiaramente che egli in realtà in­ tende la proprietà, in linea di principio, come una categoria «economica» (AL­ FòLDY 3 1 984, 126s; cf. ID. 1 986, 76 ). 54 Al riguardo, anche MAYER-ScHA.RTEL 1994, 38s. SI

Stratificazione

e

situazione sociale

1 15

2.2.4. Potere e privilegi Ci sembra quindi più sensato subordinare il criterio dell'ap­ partenenza a un ordo al criterio principale di «potere». Rite­ niamo infatti più conveniente comprendere i criteri in modo più basilare, dal momento che il nostro interesse non si limita all 'elaborazione di una stratificazione sociale della società ro­ mana. Nella società ebraica, ad esempio, dell'élite facevano parte non solo i sacerdoti, e in particolare le famiglie dei sommi sacerdoti, quali membri di un quasi-ordo, ma anche le famiglie laicali, la cui appartenenza si basava unicamente sul potere e sulla ricchezza. Come l'appartenenza agli ordines costituiva già una particolarità delle società romane e, in senso stretto, solo una forma specifica di partecipazione al potere sociale, analo­ gamente può dirsi del criterio «ricchezza». Il possesso mate­ riale di beni mobili e immobili, da un lato, consente una forma di potere (cioè l'influenza); dall'altro, è una parte (essenziale) dei privilegi di cui godono i membri dei gruppi appartenenti allo strato superiore . Inoltre, essi possiedono a volte, grazie alla loro posizione, anche privilegi giuridici e di fatto, che li favori· scono rispetto ai membri dello strato inferiore. Questa diffe­ renza appariva soprattutto nel trattamento riservato dai ro­ mani a chi era citato in giudizio, come constatano Garnsey­ Saller: « Non solo il diritto penale correva su due binari, ma anche in tribunale

li usavano misure diverse. Così, ad esempio, alle testimonianze dei cit­

tadini di rango superiore si accordava una maggiore credibilità. Que­ venne formalmente sancito sul piano giuridico solo alla fine del lI secolo, ma doveva essere stato praticato già da molto tempo dai giudici romani, dal momento che era profondamente radicato nelle tra­ dizionali concezioni va/oria/i dell'aristocrazia. Alcuni decenni prima della comparsa di una distinzione, valevole sul piano giuridico for­ male, fra honestiores e humiliores, Plinio il Giovane consigliava a un JOVernatore di provincia in Spagna di tener conto, nelle audizioni in tribunale, delle "differenze di ceto " e della "diversa dignità "; infatti, "quando si confondono ? ueste differenze, nulla è più ineguale del/ 'u­ l(llaglianza " (Ep. 9,5)».5

llO sistema

ss

.GARNSEY-SALLER 1989, 167.

1 16

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Naturalmente, nella concessione dei privilegi conta molto non solo la partecipazione al potere, ma anche la ricchezza. Membri facoltosi e influenti dello strato superiore delle pro­ vince avevano, ad esempio, la possibilità di portare le loro con­ tese giudiziarie davanti all 'imperatore, anche quando non po­ tevano dimostrare il fondamento giuridico, in linea di princi­ pio necessario a tale scopo, della cittadinanza romana. 56 Il po­ tere, come presupposto per i privilegi, era conferito non solo dall'autorità che possedevano coloro che esercitavano alte ca­ riche politiche. Poteva essere assicurato anche dall'influenza, di cui potevano disporre, ad esempio, anche le donne e i fami­ liari della classe dominante, così come anche i loro schiavi e li­ berti, che esercitavano alte funzioni per i loro padroni politica­ mente potenti. In linea di principio, i liberti ricchi non avevano accesso alle alte cariche politiche, a causa del loro status giuri­ dico, ma la ricchezza consentiva loro un'influenza politica da non sottovalutare. Comunque ciò che loro mancava era so­ prattutto il prestigio. «Anche i potenti liberti imperiali veni­ vano disprezzati dai nobili come "schiavi", nonostante si com­ portassero spesso servilmente nei loro confronti».57 Così vi erano persone che, a causa della loro ricchezza o della loro posizione, disponenvano di potere sociale, anche se era loro ovviamente sbarrata - come alle donne, agli schiavi o ai liberti - l'appartenenza agli ordines e, soprattutto, l'eserci­ zio di un 'alta carica politica o militare . È significativo che a que­ sto riguardo anche Alfoldy non riesca a restare fedele al crite­ rio per lui centrale dell'ordo. Infatti, pone i liberti ricchi - che non appartenevano ad alcun ordo - «negli strati superiori della società romana perlomeno dal punto di vista della loro condizione economica». E così pure, a causa delle loro «condi­ zioni economiche e della loro posizione di potere ... , anche i li­ berti e gli schiavi dell'imperatore (Jamilia Caesaris)».58 Il mo-

S6

GARNSEY ALFùLDY 58 ALFùLDY 57

1970. 31984, 99, che cita 1984, 1 12 . 1 1 3. 3

TACITO, Ann.

14,

39.

1 17

Stratificazione e situazione sociale

dello dei criteri da noi proposto avrebbe potuto giustificare più facilmente quest'attribuzione allo strato superiore. Va infine notato che la considerazione sociale (prestigio) anche all'in­ terno degli stessi gruppi di status - per esempio, senatori o schiavi - non doveva essere identica. «Nel ceto dei senatori, che conosceva una grande fluttuazione di famiglie, i nobiles, che potevano gloriarsi di possedere degli antenati consolari, su­ peravano la maggioranza dei nuovi arricchiti».59 Notevoli diffe­ renze esistevano a livello degli schiavi, ad esempio fra quelli in­ catenati che lavoravano nei campi o nelle miniere e quelli che amministravano le proprietà terriere per conto dei loro pa­ droni. Anzi, alcuni schiavi impiegati nell'amminisrazione impe­ riale non solo esercitavano una notevole influenza politica, ma godevano anche di numerosi privilegi. In questo contesto si cita spesso un certo Muscio Scurrano, il quale, come schiavo del­ l'imperatore Tiberio, era «tesoriere» nelle Gallie.60 Egli aveva ottenuto dall'imperatore 16 schiavi come personale della sua casa, fra cui due cuochi, diversi servitori, tre segretari, un me­ dico e un'«amante>>.61 Analogamente, nei gruppi appartenenti allo strato inferiore si distinguevano, attaverso il conferimento di privilegi giuridici e di fatto, cittadini e non cittadini, schiavi, liberti e liberi.

2.3.

LA QUESTIONE DELLA CONSIDERAZIONE DELLE DONNE

Anche l'appartenenza sessuale di una persona può confe­ rire uno status più o meno elevato in una società, nonché le op­ portunità in genere. In realtà, dall'appartenenza al sesso ma­ schile o femminile scaturiva nelle antiche società del bacino del Mediterraneo una fondamentale asimmetria sociale, che li­ mitava non solo lo status sociale delle donne, ma anche le loro possibilità di partecipare al potere politico e di fruire di privi-

S9

60 61

MEYER

GARNSEY�SALLER 1989, 168. LENSKI 1977, 326; GARNSEY-SALLER 1 989. S u i liberti e gli schi avi ricchi esercitanti alte

1979, 178s.

169s. mansioni, cf. anche

BROCK­

118

Storia sociale del cristianesimo primitivo

legi. In questa misura si può affermare che le antiche società si suddividevano ancora, in base alla differenza di sesso, in due parti ineguali, nelle quali la situazione sociale degli uomini e delle donne era molto diversa. Questo influenzava ovviamente il modello di società.62 In base alle condizioni imposte dai cri­ teri del modello a due strati presupposto da Alfoldy, le donne dovevano appartenere sempre e necessariamente allo strato inferiore, dato che solo gli uomini potevano esercitare gli uffici politici. Esse non potevano diventare senatori o cavalieri, con­ siglieri delle città, ma neppure funzionari delle città, ufficiali e soldati. Il sesso comportava degli svantaggi per le donne anche relativamente alla possibilità della mobilità sociale. Riguardo alle loro opportunità di ascesa sociale, Kampen così sintetizza la situazione delle donne: «Anche se una donna era nata in una famiglia senatoriale, possedeva grandi ricchezze personali ed esercitava importanti mansioni religiose o sociali, le mancavano dal punto di vista strutturale gli attributi fonda­ mentali riguardanti la dignità (dignitas) di un romano. Ella, e anche le sue sorelle negli strati inferiori, non poteva né votare né esercitare un uffi­ cio politico o un ufficio amministrativo; cosi pure era esclusa, come tutte le donne del resto, dal servizio militare. l due strumenti importanti per il conseguimento della mobilità sociale - l'accesso al potere politico auto­ nomo e la partecipazione al cursus honorum ideologicamente impor­ tante per gli strati superiori - erano preclusi a tutte Le donne, indipen­ dentemente dalla loro appartenenza allo strato sociale. La posizione so­ ciale di una donna dipendeva quindi, molto più di quella di un uomo, dalla famiglia in cui era nata o entrata con il matrimonio. Se era nata in una famiglia di cavalieri, la donna poteva salire al li vello dei senatori solo mediante il matrimonio, mentre la mobilità di un uomo dipendeva dal suo «servizio» e dalla sua ricchezza. Al livello più basso della società, quello delle schiave, si poteva conseguire una mobilità verso l'alto attra­ verso la libertà accordata o conseguita, nonché attraverso l'attività del marito. Inoltre, una donna poteva cambiare potenzialmente il proprio status anche mediante la generazione di tre o quattro figli». 63

Specialmente le donne delle famiglie appartenenti all'élite potevano esercitare indirettamente il potere, per esempio ge-

62

63

Al riguardo, MAYER-ScHARTEL 1994, 38ss; 1981, 28.

'KAMPEN

BLUMENBERO

1 978.

Stratificazione e situazione sociale

1 19

nerando eredi legittimi, controllando le proprietà terriere e al­ tri beni, non da ultimo anche manipolando gli uomini,64 so­ prattutto attraverso l'influenza esercitata su di loro.65 Ma poi, di fatto, erano solo gli uomini a votare in senato, a diventare prefetti e procuratori, a guidare le sorti di una città nelle pro­ vince, ad esempio come ( ! ) duumviri. Le loro donne comun­ que, sul piano della ricchezza, della considerazione sociale e anche delle possibilità di esercitare un'influenza politica, si di­ stinguevano non solo dalle altre appartenenti alle famiglie de­ gli strati inferiori, ma anche dagli uomini degli strati inferiori. Così si dà effettivamente la possibilità di assegnare le donne a un determinato strato al di sopra dei loro mariti e pa­ dri. Senza dubbio, bisogna dire che, in linea generale, le donne (c i figli) partecipavano allo status dei loro mariti e padri, con­ dividevano in linea di principio anche i loro privilegi e patri­ moni o soffrivano, come i loro padri e mariti, della loro man­ canza. Ma si può dire di più. Infatti, nel nostro modello di cri­ teri si possono prendere in considerazione anche le donne sole. Poiché il potere è conferito non solo dall'autorità e quindi dalle cariche, ma anche sotto forma di influenza sul pa­ trimonio, con l'ausilio di questo criterio si può valutare anche la posizione delle donne sole. E, benché l'appartenenza a un determinato sesso richiedesse in linea di principio l'assunzione di un determinato ruolo - che non lasciava fuori pratica­ mente alcun settore della vita -, e quello delle donne fosse ri­ tenuto inferiore rispetto a quello degli uomini, la stessa aspra critica nei riguardi delle donne ricche e sole che è dato trovare negli scrittori antichi dimostra come la ricchezza desse anche alle donne la possibilità di infrangere lo schema stereotipo dei ruoli. Da una parte, qui noi assegniamo le donne sposate e le figlie non sposate ai rispettivi strati al di sopra dei loro mariti o padri; dall'altra, poniamo le donne, siano esse separate o ve­ dove, nello strato superiore, nella misura in cui da esso pro­ vengono o in esso entrano attraverso il matrimonio. Inoltre,

64 6S

Cf. KAMPEN 1981, 29; n anche testi a sostegno Cf. pi ù avanti, pp. 61 5ss.

di quest'affermazione.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

120

prendiamo in considerazione le donne sole, viventi senza ma­ rito e non esercitanti alcun ufficio politico, ma dotate di una notevole ricchezza, là dove parliamo dei gruppi dello strato su­ periore. Molto più difficile è valutare, con l'ausilio della cate­ goria influenza (o potere indiretto), le donne dello strato infe­ riore . Infatti, la maggior parte di esse non esercitava probabil­ mente alcuna influenza. Inoltre molto raramente esse avevano la possibilità di salire nello strato superiore attraverso il matri­ monio. Sembra anzi che le donne siano state segnate in modo particolare dalla mobilità verso il basso, cioè dal destino della discesa sociale. Specialmente dopo la morte del marito la con­ dizione delle donne (e dei figli) nei gruppi dello strato infe­ riore poteva drasticamente e drammaticamente peggiorare. Sappiamo di un caso in cui la famiglia di un calzolaio poté so­ pravvivere economicamente, dopo la sua morte, solo grazie alla prostituzione delle figlie. D 'altronde, anche nell'antichità le donne che lavoravano nelle imprese agricole o nelle mani­ fatture ricevevano un salario minore a parità di lavoro.66 Per il momento riteniamo sufficienti queste considera­ zioni, dal momento che sulla condizione sociale delle donne torneremo in un capitolo a parte.

3. UN MODELLO DELLE SOCIETÀ ANTICHE: É LITE E NON-ÉLITE complessità delle antiche società è stata fondamental­ mente ridotta a un modello a due o a tre strati.67 Per la descri­ zione della stratificazione sociale delle antiche società si è con­ fermato in linea di principio un modello dicotomico, che com­ prende la disuguaglianza sociale nel quadro di strati superiori o élite e strati inferiori o non élite (massa).68 Nel caso delle soLa

66

Cf., al riguardo, solo ScHOTTROFF 1980, 99s. Qui non prendiamo in considerazione il «sistema delle classi» proposto da LENSKI ( 1 977, 108ss). 68 Al riguardo, ALFòLDY 31984; criticano Alfoldy, fra gli altri, CHRIST 67

Stratificazione

e

situazione sociale

121

cietà antiche si deve infatti negare l'esistenza di «Uno strato in­ termedio (o di strati intermedi))), per il quale si deve presup­ porre una partecipazione a mezza via ai tratti rilevanti, in ter­ mini di strato, dello strato superiore e inferiore. Proprio la par­ tecipazione al potere divideva le società antiche in una ri­ stretta élite detentrice del potere, da un lato, e la massa dei senza potere, dall'altro. Questa struttura decideva fondamen­ talmente anche della partecipazione ai privilegi sociali, spe­ cialmente del patrimonio personale, ma anche dei vantaggi giuridici Solo grazie a un notevole patrimonio, i ricchi sprov­ visti di cariche politiche - anche donne sole o liberti - pote­ vano compensare mediante l'influenza la loro mancanza di partecipazione diretta al potere . Perciò, chi non possedeva ca­ riche pubbliche né ricchezza non apparteneva all'élite sociale. .

Mancavano quindi i �resupposti necessari per la costituzione di uno «Strato intermedio». 9 Non sarebbe certo difficile ritagliare lo spazio per uno strato del genere se si potessero applicare alle antiche società i criteri moderni, come ad esempio un relativo benessere («entrate medie))) o l 'appartenenza a un determinato gruppo profes­ sionale (liberi professionisti, maestri artigiani, insegnanti). Ma una cosa del genere ha ben poco senso. E a tale riguardo nulla muta nep­ pure l'interessante tentativo di Christ, il quale, nella sua discussione della posizione di Alfoldy, vuole ri unire insieme diversi gruppi sociali in un «gruppo degli strati intermedi». 70 Pone in questo gruppo gli agricoltori liberi con terra propria , i liberti urbani con un piccolo la­ boratorio. soprattutto i liberi artigiani e i commercianti. Egli dubita che anche i cittadini roma ni. che disponevano di mezzi propri di pro­ duzione e di un capitale ad uso commerciale o gli stessi legionari si considerassero membri dello strato inferiore. Ma, in realtà, anche ne­ gli stessi autori antichi non affiora mai la consapevolezza di trovarsi in presenza di uno strato intermedio, il cui status sarebbe da collocare fra lo strato superiore e quello inferiore.

Il modello di una gerarchia sociale a tre strati vuole spie­ gare il fatto che nell'élite, e soprattutto nella massa della popo-

1980, 197ss; VITIINGHOFF 1980, 31ss; recepimento della critica da parte di AL­ FOLDY 1986, 69ss. 69 Anche GARNSEY-SALLER (1989, 165 con nota 27) non ritengono sia esi­ stito uno vero ceto intermedio nel senso di un gruppo intermedio con patrimo­ nio autonomo o considerazione sociale. 7° CHRIST 1980, 216s. Per la critica a Christ, cf. ALFOLDY 1986, 79.

1 22

Storia sociale del cristianesimo primitivo

lazione, esistono evidenti gradazioni. Perciò Alfoldy parla al plurale di strati superiori e strati inferiori.11 Ma, ovviamente, in questo caso è problematico parlare di un modello a due strati. Per spiegare le differenziazioni sociali esistenti in seno all'élite e alla massa della popolazione, usiamo qui al loro posto, come sinonime dei termini élite e non-élite (massa) le espressioni gruppi dello strato superiore e gruppi dello strato inferiore. Quando ci riferiamo a questi gruppi in quanto tali usiamo, in modo sinonimo con i termini élite e non-élite (massa) le desi­ gnazioni di strato superiore e strato inferiore.

Strutture fondamentali della stratificazione sociale Come modello euristico per stabilire la posizione sociale di una persona nelle società d eli 'impero romano, proponiamo la strutt urazione fondamentale che segue nei paragrafi 3 . 1 e 3.2. Fondamentale è, al riguardo, la distinzione fra élite e non­ élite. I gruppi che appartengono all 'élite vengono qui designati come strato superiore; le persone che appartengono alla massa della popolazione come strato inferiore . È ovviamente possi­ bile operare ulteriori distinzioni all'interno di questi due grandi sistemi sociali. 3. 1 . GRUPPI DELLO STRATO SUPERIORE

Secondo il nostro modello di stratificazione allo strato su­ periore appartengono: a) i membri degli ordines romani (e le loro famiglie) e i membri delle case regnanti e le famiglie sa­ cerdotali e laicali che detengono il potere negli stati vassalli e nelle province; b) i ricchi senza cariche direttive politiche, indi­ pendentemente dal sesso o status giuridico, ai quali si devono aggiungere, come una specie di «appendice», i liberi, gli schiavi e i liberti impiegati in funzioni direttive per conto dei succitati gruppi dello strato superiore, che noi con Lenski chiamiamo: c) le persone del seguito (retainers) dello strato superiore. 71 ALFòLDY 3 1984, 125; 1986, 81.

Stratificazione e situazione sociale

123

Al riguardo, va notato che, a causa delle particolari strut­ ture delle società agricole, i membri dello strato superiore vi­ vevano fondamentalmente nelle città e solo occasionalmente in campagna, per cui ha senso parlare unicamente di un strato superiore urbano, nonostante che- esso avesse proprio nelle proprietà terriere il suo fondamento più prestigioso ed econo­ micamente più redditizio. a ) Ordines e famiglie dominanti negli stati vassalli e nelle province. Nei gruppi dello strato superiore si può porre anzi­ tutto l' «aristocrazia imperiale)), una categoria che si può indi­ viduare con una certa facilità: l 'imperatore e la casa imperiale (domus Caesaris), la nobiltà senatoriale (ordo senatorius), i ca­ valieri (ordo equester). Essi sono accomunati da un'analoga partecipazione al potere, ai privilegi e al prestigio, anche se in gradazioni diverse . Esercitavano il potere sotto forma di auto­ rità, detenevano cioè le cariche politiche direttive. Anche se in gradi diversL queste cariche presupponevano la ricchezza e co­ loro che le detenevano - come anche in vario modo le loro fa­ miglie - godevano, oltre che del possesso del patrimonio, an­ che di altri privilegi, non da ultimo nei processi. E infine, anche se in modo scalare, i membri dei gruppi in questione godevano del massimo prestigio. Noi poniamo nello strato superiore an­ che le donne e le famiglie di questi gruppi, anche se queste persone partecipavano solo in modo scalare ai privilegi e al prestigio sociale degli uomini e dei padri e disponevano, in li­ nea di principio, solo dell'influenza e non dell'autorità deri­ vante dall'esercizio di un ufficio. Indubbia è anche l 'apparte­ nenza dei decurioni (membri dei consigli cittadini) ai gruppi dello strato superiore locale o provinciale, dal momento che si distinguevano chiaramente dalla massa della popolazione a motivo della loro partecipazione al potere, ai privilegi e al pre­ stigio. Lo stesso dicasi delle case regnanti negli stati vassalli e delle famiglie laicali e sacerdotali del loro strato superiore. b ) Ricchi. Oltre a questi membri degli ordines, poniamo nello strato superiore anche le persone ricche che non ricopri­ vano alcuna carica politica direttiva, siano esse donne sole o

124

Storia sociale del cristianesimo primitivo

uomini� nate libere o che abbiano ottenuto solo in un secondo tempo la libertà (liberti). A causa della loro ricchezza, a volte ingente, queste persone potevano esercitare il potere sotto forma di influenza sui dirigenti politici, ma potevano disporre anche di un numero, a volte considerevole, di persone di servi­ zio. Inoltre, il loro patrimonio consentiva loro uno stile di vita privilegiato che le distingueva profondamente dalle opportu­ nità che aveva la mass a della popolazione. In linea di princi­ pio, queste persone potevano aspettarsi un trattamento di fa­ vore anche in tribunale, anche se la cosa non trovava alcun ag­ gancio nella legislazione . Il loro minor prestigio sociale ri­ spetto a quello dei membri degli ordines era compensato in certa misura dall'attribuzione di cariche sociali onorifiche (per esempio, l'essere funzionari del culto dell'imperatore - augu­ sta/es - o patroni/e di associazioni sociali). Al riguardo, biso­ gna tener conto di differenze circa la ricchezza e altre cose del genere fra Roma e le altre città, dal momento che queste diffe­ renze influivano anche sul grado di influenza. c) Persone del seguito (retainers). Consideriamo come gruppo specifico in seno allo strato superiore quei liberi, liberti e schiavi che, per conto dei loro padroni, esercitavano funzioni in posizioni politiche elevate o avevano alti incarichi ammini­ strativi nel settore privato. 72 Nel quadro del suo sistema di classi multidimensionale delle società agricole, Lenski designa questi gruppi come «classe vassalla» (retainers). Con questa designa­ zione egli intende evidenziarne il tratto essenziale, cioè «la loro dipendenza dall 'élite politica». 73 Ma nel nostro modello degli strati, nel quale non usiamo il termine «classe», è certamente meglio rendere il termine retainers con l'espressione persone del seguito. In questo gruppo vi sono senza dubbio molte grada­ zioni, che dipendono, da una parte, dal potere sociale; dall'al-

72 GARNSEY-SALLER (1989, 165) distinguono sia dai ceti elitari che dalla massa: «apparitores, littori, scrivani e altri impiegati dei magistrati romani»; essi usano, inoltre, anche l'espressione «appendice dell'aristocrazia domi­ nante». 73 LENSKI 1977, 325ss.

Stratificazione e situazione sociale

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tra, dalla consistenza del patrimonio dei rispettivi padroni; e, infine, anche dalla concessione di pieni poteri e privilegi alle persone in questione. In questo gruppo spiccano certamente i membri della familia Caesaris, i quali possedevano, soprattutto a Roma ma anche nelle province, posizioni influenti e dispone­ vano di grandi privilegi. E tuttavia anche nelle campagne gli schiavi, in qualità di amministratori di grandi proprietà terriere, potevano beneficiare dei patrimoni dei loro padroni in termini di opportunità, influenza e privilegi. Ma poiché l 'influenza e i privilegi di questi gruppi dipendevano in grandissima misura dalla benevolenza dei padroni e potevano decadere in qualsiasi momento - anche a causa del loro status giuridico - possono essere certamente annoverati fra i gruppi dello strato supe­ riore, ma devono essere anche chiaramente distinti dall 'élite. L'esistenza di questi gruppi evidenzia in modo particolare i li­ miti di un modello a due strati e la sua incapacità a tener pre­ senti tutti gli aspetti della disuguaglianza sociale. 3.2. GRUPPI DELLO STRATO INFERIORE

Più difficile è nell'insieme la differenziazione dei gruppi appartenenti allo strato inferiore. È certamente semplice ri­ partirli, sul piano per così dire socio-geografico, in gruppi ur­ hani e gruppi rurali dello strato inferiore, in base ai rispettivi luoghi di abitazione e di lavoro e anche in base a fattori econo­ mici, culturali e di altra natura (per esempio la mobilità so­ ciale },74 ma globalmente considerato Io strato inferiore era estremamente eterogeneo. Perciò, qui lo possiamo distinguere in gruppi solo in base ad alcune differenze essenziali. Anche in questo caso scegliamo come guida i criteri che abbiamo indi­ cato sopra (potere, privilegi, prestigio), che vanno ovviamente relativizzati. Dal momento che anche a coloro che godevano della piena cittadinanza non era riconosciuta, in linea di princi­ pio, altra possibilità nelle città se non quella di acclamare le

74 Cf. solo

MAcMuLLEN

1970, 30ss; ALFOLDY 31984, 1 14.

126

Storia sociale del cristianesimo primitivo

decisioni prese dai consigli cittadini e dai magistrati, il critero potere può essere preso in considerazione solo nel senso di una (relativa) influenza. 75 Pur ammettendo che questo o quel mem­ bro dello strato inferiore potesse esercitare, a causa del suo pa­ trimonio o delle sue relazioni personali con i detentori delle ca­ riche pubbliche, una certa influenza, è difficile dire come stes­ sero effettivamente le cose in questo campo. In linea di princi­ pio, riteniamo che anche i cittadini a pieno titolo delle città fos­ sero condannati a una «mancanza di potere di fatto», cioè che la «popolazione cittadina al di sotto dei decurioni era completa­ mente esclusa dal governo della città>>. 76 Perciò, in ultima ana­ lisi, si possono considerare criteri centrali solo un relativo patri­ monio (reddito) e privilegi e un relativo status e prestigio.

Patrimonio (reddito) Dal punto di vista della strato superiore faceva parte dello strato inferiore, in linea di principio, chiunque dovesse prov­ vedere con il lavoro al sostentamento proprio e della famiglia.77 Anche se questo criterio soggettivo non basta, coglie nondi­ meno un tratto decisivo dei gruppi dello strato inferiore. Essi erano infatti costretti a provvedere con il lavoro alla loro sussi­ stenza, non solo a causa della mancata partecipazione alle alte cariche politiche e, di conseguenza, della loro enorme man­ canza di potere, ma anche a causa dell 'esiguità, o addirittura as­ senza, del loro patrimonio. 78 In questa misura, nella struttura­ zione dello strato inferiore, ci si può basare soprattutto sul cri­ terio del reddito o patrimonio (relativo). Il coltivatore diretto libero, con il suo appezzamento di terra si distingue , a causa del suo patrimonio, dai lavoratori salariati privi di terra e anche dai

LANGHAMMER 1 973 49s. . 76 Al riguardo, soprattutto PLOMACHER 1987. Lì citazioni a pp. 15s, con ul­ teriore bibliografia. n Cf. CICERONE, O!f. l, l SO; cf. anche sopra, pp. 49ss. 78 A proposito della povertà il filosofo greco Antipatro ha detto: «Essa non è caratterizzata dal possesso, ma dalla sua mancanza ... ; non significa pos­ sesso di poco, ma non-possesso di molto» (citato in senso critico da SENECA, Ep. 87, 39s). 15

,

127

Stratificazione e situazione sociale Aristocrazia imperiale romana

Casa imperiale, senatori (famiglie), cavalieri (famiglie) Aristocrazia provinciale

Élite (gruppi dello strato superiore)

Aristocrazia cittadina

Decurioni, ricchi senza funzioni decurionali

Liberi , li berti, schiavi con elevate funzioni amministrative, culturali e militari

Persone del seguito

(retainers)

Relativamente poveri/benestanti

Non-élite (gruppi dello strato inferiore)

(penetes)

Minimo vitale

Assoluta­ mente poveri

Città

Campagna

FIG. 2. Piramide sociale 1: sguardo generale sulla stratificazione sociale.

128

Storia sociale del cristianesimo primitivo

lavoratori a giornata (che pure possono essere liberi. dal punto di vista del diritto personale). Lo stesso vale, in città, per l'arti­ giano con un suo laboratorio rispetto ai suoi operai stipendiati, schiavi o lavoratori a giornata. Ma dobbiamo subito aggiungere che le nostre limitate conoscenze sulle rispettive entità del pa­ trimonio e del reddito non ci consentono di operare ulteriori di­ stinzioni su questo punto. Cionondimeno, riteniamo che si possa tracciare una linea di demarcazione pragmatica, che indi­ chiamo con l'espressione minimo vitale. Al riguardo, presente­ remo alcune stime più avanti. 79 Qui poniamo quindi nello strato inferiore: a) i relativamente poveri l relativamente abbienti; b) gli assolutamente poveri. a) Relativamente poveri l relativamente abbienti al di sopra del minimo vitale (penetes) . Nel gruppo dello strato inferiore dei relativamente poveri/relativamente abbienti poniamo co­ loro che, in base al loro reddito o patrimonio erano in grado di provvedere sufficientemente alla loro sussistenza e a quella delle loro famiglie, che avevano cioè un alloggio conveniente e cibo e vestiti a sufficienza. Qui il minimo vitale rappresenta la linea di demarcazione verso il basso. La linea di demarcazione verso l'alto - fra i relativamente abbienti e i ricchi - è diffi­ cile da tracciare nel singolo caso. b) Assolutamente poveri (ptochoi) . Nel gruppo degli asso­ lutamente poveri poniamo coloro che vivevano al limite del minimo vitale o al di sotto di esso, che soffrivano quindi di una fondamentale carenza di tutti o di alcuni beni necessari ad as­ sicurare la sussistenza (cibo, alloggio, vestiti). Al riguardo, bi­ sogna tener conto di differenze fra la città e la campagna, ma anche fra le stesse città, dal momento che il costo della vita in città era molto più alto rispetto a quello delle campagne, ma variava anche da città a città.

79

Cf. più avanti, pp. 136ss.

Stratificazione e situazione sociale

129

4. DESCRIZIONE DELL'ÉLITE:

I GRUPPI DELLO STRATO SUPERIORE 4. 1 .

l

DIVERSI GRUPPI DELLO STRATO SUPERIORE

'4. 1 . 1 . I membri degli «ordines» I membri dell aristo cra z ia imperiale, al cui vertice c'era la casa imperiale romana e la nobiltà senatoriale (600 senatori), comprendevano anche i cavalieri. I l patrimonio minimo dei se­ natori ammontava a l milione di sesterzi, Ho ma la maggior parte lo superava abbondantemente.81 Essi avevano grandi proprietà terriere (in Italia e nelle province), da cui traevano certamente la maggior parte del loro reddito, al quale andava ad aggiungersi anche quello derivante dall'amministrazione delle cariche pubbliche nelle province . 82 L'ordo dei senatori fu sempre quello che godette di maggior prestigio. L'apparte­ nenza dei senatori e dei loro figli a questo ceto era indicata già a prima vista dalla toga con le sue larghe strisce di porpora (la­ tus clavus). Analogo abbigliamento portavano anche quei ca­ valieri cui era stato concesso di poter esercitare l 'ufficio di se­ natori. I figli dei senatori potevano partecipare , insieme ai loro padri, anche. alle sedute del senato. In tal modo, Augusto raf­ forzò il principio da lui stesso introdotto dell'ereditarietà del­ l'ufficio senatoriale. 83 La nobiltà imperiale era costituita, oltre che dai senatori, nobili di nascita, anche dai cavalieri ( ordo equester), i quali dovevano essere nati liberi (sotto Tiberio, i candidati dovevano anzi dimostrare che la loro nascita li'

80 D ioN E DI PRusA , Or. 54, 17, 26: Augusto aveva elevato l'originario pa­ trimonio minimo di 400.000 sesterzi a l milione di sesterzi: DtoNE CAssio 56, 4 1 , 3; AuausTo, Res gestae 8. 81 Si dice che Seneca abbia guadagnato, in soli quattro anni, 300 milioni di sesterzi: TACITO, Ann. 1 3, 42. 82 Un proconsole dell'Africa o dell'Asia guadagnava in questa carica l milio ne di sesterzi. &3 SvETONIO, A ugusto 38.

130

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bera risaliva ad almeno due generazioni). Secondo Diane Cas­ sio, 84 il ceto dei cavalieri e quello dei senatori erano compara­ bili, dal momento che per l'ingresso nei due ordines valevano criteri analoghi (nascita nobile, elevate doti personali, ric­ chezza) . Nondimeno, nella gerarchia sociale, i cavalieri erano subordinati ai senatori. Il ceto dei cavalieri constava di circa 20.000 membri con un patrimonio minimo di 400.000 sesterzi a testa. Molti di loro - specialmente i collettori delle imposte statali (publicani) e i grandi commercianti - avevano patri­ moni di gran lunga superiori e traevano i loro ingenti guadagni anche dalle proprietà terriere. Fra i cavalieri si trovano anche grandi commercianti, banchieri e appaltatori di imposte e do­ gane. Nell'insieme quest'orda era molto più eterogeneo ri­ spetto alla nobiltà di nascita senatoriale. Fra i cavalieri vi erano infatti anche figli di liberti, militari graduati (persino da centurio si poteva diventare ufficiale) e soprattutto membri dello strato superiore delle province. Per molti cavalieri la car­ riera nelle cariche pubbliche (cursus ho no rum) cominciava dal loro grado di ufficiali. Ali 'interno della cavalleria esisteva una gerarchia. Godevano di maggior prestigio i cavalieri che ave­ vano alte cariche a Roma e lì abitavano. La maggior parte del ceto cavalleresco apparteneva certamente al gruppo dello strato superiore provinciale o locale. Tuttavia si distingueva da quest'ultimo non solo sul piano sociale, ma anche mediante se­ gni esteriori (anello d'oro e strette strisce color porpora sulla toga: angustus clavus). Dal momento che i segni distintivi este­ riori del ceto senatoriale ed equestre avevano una grande im­ portanza, non mancavano ovviamente gli abusi. 85 Infatti, nella vita pubblica a Roma, ma anche nelle altre città dell'impero, i membri dell'aristocrazia imperiale facevano volentieri sfoggio della dignità e si aspettavano certi privilegi (ad esempio, posti riservati a teatro). Augusto provvide a rinnovare questi privi­ legi risalenti al tempo della repubblica. Scrive Svetonio:

DIONE CASSIO, 52, 1 9 , 4. Per esempio, il fatto di portare un anello d'oro: PLINIO IL VECCHIO (Sto­ ria naturale 33, 32). 84

85

Stratificazione e situazione sociale

131

«Egli corresse e ordinò la distribuzione dei posti negli spettacoli, eh 'era estremamente confusa e sregolata, indotto a ciò dall 'ingiuria fatta a un senatore, che a Pozzuoli in uno spettacolo affollatissimo, nessuno aveva lasciato sedere. Fece dunque emettere un decreto senatorio per cui, ogni qual volta si desse in qualsiasi luogo un pubblico spettacolo, il primo ordine di sedili fosse lasciato a disposizione dei senatori... Se­ parò i soldati dal popolo. Ai plebei ammogliati assegnò posti partico­ lari, uno speciale compartimento ai giovinetti pretestati e vicino a quello dei pedagoghi, e stabilì che nessuno del volgo mal vestito se­ desse nel mezzo della cavea».86

Infine, al gruppo delle persone con alte cariche politiche, i ngente ricchezza e grande prestigio appartiene anche l'aristo­ crazia delle province romane, che costituiva nelle città l' o rdo decurionum. Questi decurioni o consiglieri dovevano poter di­ rnostrare, come i senatori e i cavalieri, discendenza onorata, ricchezza e doti personali. Ma fra di essi si potevano trovare anche i figli dei liberti e certi veterani. Qui ciò che veramente contava era soprattutto la ricchezza. Infatti, le cariche citta­ dine erano cariche onorarie, per le quali non solo non si era pagati, ma si dovevano sostenere addirittura delle spese, do­ vendo versare dei contributi (più o meno elevati) alla tesore­ ria, quando si entrava a far parte del consiglio cittadino. Inol­ tre, ci si attendevano contribuzioni spontanee dagli honestiores della città. H7 Il patrimonio minimo richiesto, nel caso dell'ari­ stocrazia provinciale, oscillava fra i 20.000 e i 100.000 sesterzi (il patrimonio minimo a Como era ad esempio di 100.000 se­ sterzi). 88 L'ammontare della loro ricchezza variava notevol­ mente e in molti casi potevano essere considerati ricchi solo dal punto di vista della loro situazione locale. La politica ro­ mana mirava a integrare nella compagine governativa di Roma anche i membri dello strato superiore urbano delle pro­ vince . Quest'obiettivo venne perseguito soprattutto mediante la concessione della cittadinanza romana alla nobiltà urbana delle province. Verso la fine del I secolo, il processo d'integra86 SvETONio. Augusto 44; cf. DiaNE DI PausA, Or. 60, 7; SvETONIO, Claudio 2 1 ; TAciTo, Ann. 15, 32. 87 Sull' «evergetismo>> e sulla sua relazione con il potere sociale, cf. VEYNE

1988, lOlss. 88 PLINIO IL GIOVANE, Ep. 1, 19.

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132

zione dello strato superiore urbano nel governo romano era in gran parte concluso.�9 Comunque, anche il possesso della citta­ dinanza (sia a Roma che nelle città di provincia) non indica ancora di per sé l'appartenenza alla strato superiore. Global­ mente nell'impero romano non sono esistiti più di 150.000200.000 decurioni. I molteplici privilegi dello strato superiore non dipendono solo dalla ricchezza, ma soprattutto dall'appartenenza agli or­ dines. Come i senatori a Roma, anche i decurioni beneficia­ vano di posti riservati al circo e in teatro, partecipavano ai banchetti a spese della pubblica amministrazione, portavano vesti particolari. Ci si riteneva élite anche in senso morale (bonilhonestiores) e non si subivano le crudeli punizioni riser­ vate allo strato inferiore (si era ad esempio esiliati piuttosto che condannati a morte). 90 4. 1 .2. Altri membri dello strato superiore

Nello strato superiore poniamo, infine, anche i re o prin­ cipi vassalli con le loro famiglie, nonché le famiglie dello strato superiore negli stati vassalli e nelle province romane . Benché essi, come ad esempio la casa regnante erodiana in terra di Israele, non potessero dimostrare una loro origine nobile e non siano mai entrati a far parte di un ordo romano, ma ab­ biano ottenuto solo certi privilegi onorifici e la cittadinanza ro­ mana, vanno annoverati nell'élite in virtù del loro potere, del loro patrimonio, dei privilegi e del prestigio di cui hanno co­ munque godu.to a Roma. Il criterio del patrimonio e del potere vale anche per le famiglie sommosacerdotali e laicali, facenti tradizionalmente parte, in terra di Israele, dei gruppi dello �trato superiore e godenti anche di grande prestigio in mezzo al popolo. Dato il carattere urbano dello strato superiore, la ricchezza in sé non era ancora un segno di appartenenza all' aristocrazia,

89

90

STAHL 1978. GARNSEY 1970.

Stratificazione e situazione sociale

1 33

agli occhi della nobiltà senatoriale ed equestre. Esistevano co­ rn unque persone ricche e quindi influenti anche in campo poli­ t ico. Così pure «esistevano cittadini, più o meno numerosi a seconda dei casi, che avevano le qualifiche generali, compreso il patrimonio minimo, per entrare a far parte del consiglio dei decurioni, ma che non potevano essere eletti nel consiglio a causa del limitato numero di posti disponibili. Questi cittadini facoltosi - sia la spagnola Gades (Cadice) che l'italiana Pa­ dua (Padova) dovrebbero aver avuto sotto Augusto 500 citta­ dini con un patrimonio equestre di 400.000 sesterzi - non pos­ sono essere declassati, rispetto ai decurioni, negli "strati infe­ riori"».91 Nel gruppo dei ricchi senza cariche direttive politiche vanno posti anche quei veterani dell'esercito romano, conge­ dati con il grado di primipilus e con una somma di 600.000 se­ sterzi, che possedevano quindi l volta e mezzo il patrimonio rninimo richiesto ai cavalieri. Alcuni di essi divennero poi an­ che decurioni e ascesero addirittura alle posizioni direttive dei magistrati cittadini.92 Qui vanno ricordati anche i liberti arric­ chiti. Il caso più noto è quello dello schiavo liberato Trimal­ chione, di cui parla Petronio nel suo Satyricon. Si tratta certa­ mente di un personaggio inventato, anzi presentato in modo caricaturale, ma che lascia trasparire qualcosa di questo gruppo di persone ricche senza cariche pubbliche e con scarso prestigio. Petronio lo descrive come un uomo ricchissimo, il­ letterato, che si spaccia come nobile per il suo modo di vestire c il suo contegno, che vive nel lusso, ma che, a causa della sua origine, non possiede assolutamente il prestigio di un membro dello strato superiore. Tuttavia, pur non appartenendo a nes­ sun ordo, esercita una notevole influenza politica. Una certa compensazione per i liberti ricchi senza cariche politiche era data dalla possibilità di conquistare un certo prestigio perso­ nale, ad esempio attraverso cariche onorifiche legate al culto dell'imperatore (Augusta/es o Seviri Augusta/es ) . Conosciamo i l gruppo degli Augusta/es presente in Italia, grazie ad oltre

91 Così giustamente VnTINGHOFF 1990, 204s, limitando ALFòLDY 1986, 80.

92

VnTINGHOFF 1990, 241s.

134

Storia sociale del cristianesimo primitivo

tremila iscrizioni (lo stesso in Spagna e nelle Gallie ). «Nei tor­ nei (ludi) locali e nei teatri disponevano di un settore di posti riservati, portavano le insegne tipiche della loro posizione semi-ufficiale, avevano propri edifici in cui riunirsi. Come i de­ curioni, finanziavano progetti a favore delle loro comunità» e partecipavano così all'evergetismo.93 Ma anche a loro non ve­ niva risparmiato il disprezzo da parte dei nobili. Scrive Seneca: «Ai nostri giorni vi era un certo uomo ricco di nome Calvisio Sabino; possedeva la ricchezza e lo spirito di un liberto. Non ho ancora visto un uomo la cui fortuna sia stata un maggiore crimine contro la ric­ chezza».94

Questo Sabino per esempio aveva speso molto danaro per l'acquisto di schiavi che avevano mandato a memoria tutte le opere di Omero e di Esiodo; egli ne aveva a sua volta imparato qualche riga che si sforzava di ripetere alla bell'e meglio in oc­ casione di banchetti. Soprattutto Giovenale ha versato a piene mani nelle sue satire odio e scherno su questo gruppo di persone,95 nel quale vanno collocate anche le donne sole che non dovevano lavo­ rare personalmente, ma vivevano del loro patrimonio.%

4.1 .3. Persone del seguito («retainers») Alle persone del seguito dello strato superiore appartene­ vano specialmente i membri elevati della familia Caesaris, fra cui anche i liberti imperiali (Augusti liberti) con una posizione politicamente privilegiata,97 nonché gli aiutanti dei magistrati romani (apparitores ) , che erano certamente per lo più dei li­ berti. Essi esercitavano delle attività per così dire pubblico­ giuridiche, lavoravano negli archivi, nelle biblioteche, al censi­ mento o in altri progetti ufficiali.98 Fra i liberti dell'imperatore 93

D'ARMS 1990, 394; cf. anche VnTINGHOFF 1990, 204s.223s.250s. SENECA, Ep. 27. 5. 95 Cf. sopra, pp. 97ss. 96 Al riguardo cf. più avanti, pp. 628ss. 97 WEA VER 1972, 299s. 98 VnTINGHOFF 1990, 190s. 94

Stratificazione

e

situazione sociale

135

Claudio, dotati di notevole influenza politica e ricchezza, si ci­ tano continuamente Callisto, Narcisso e Pallante, i quali, se­ condo Plinio il Vecchio, sarebbero stati più ricchi di Crasso.99 Per i suoi meriti, Pallante avrebbe ottenuto dal senato una gra­ tifica di 15 milioni di sesterzi. 100 I liberti degli imperatori. che esercitavano alte funzioni nel loro apparato amministrativo, avevano non solo un enorme potere (delegato dali 'impera­ tore), ma anche la possibilità di accumulare ingenti ricchezze. In seno all'amministrazione imperiale - specialmente nella guardia pretoriana - essi erano chiamati a occupare posizioni importanti. In base alla descrizione di Tacito, erano ad esem­ pio (assieme alle mogli degli imperatori) coloro che dietro le quinte tiravano le fila della politica imperiale ed erano impli­ cati non di rado anche in tentativi di colpi di stato. Così, Tacito presenta Narcisso e Pallante come uomini potenti alla corte di Claudio. 101 Ma anch'essi non riuscirono a togliersi di dosso la macchia di una nascita non libera. Anche quando si sposavano in famiglie nobili, restava il divieto di accoglierli negli ordines. Solo i loro figli potevano giungere anche ad alte cariche politi­ che. A proposito di un liberto gratificato con la carica di pre­ tore , Plinio il Giovane scrive: «Personalmente, non ho mai stimato molto le onorificenze concesse a caso e non in base a una scelta ragionevole; ma quest 'iscrizione mi fa comprendere meglio di qualsiasi altra cosa che è una frase assoluta­ mente ridicola se la si può sprecare per un simile fango e sudiciume e che questa gentaglia possa osare accettarla e rifiutarla».102

«Il potere politico, e a volte economico, di diversi alti fun­ zionari dell'amministrazione imperiale centrale, e anche di al­ cuni procuratori delle finanze, superava nel I secolo quello di molti funzionari equestri o senatoriali». 103 Così, in singoli casi si può addirittura prendere in considerazione la possibilità di

99 100

101

102

103

PLINIO IL VECCHIO, Storia naturale 33, 10, 1 34. VJTIINGHOFF 1990, 192. TACITO, Ann. 1 1 , 34ss; 1 3, 1 4 e spesso. PLINIO IL GIOVANE, Ep. 7, 29. VITIINGHOFF 1990, 192s.

136

Storia sociale del cristianesimo primitivo

porre questi alti funzionari non solo fra le persone del seguito, ma direttamente nello strato superiore. Alcuni degli schiavi imperiali o ufficiali avevano, a loro volta, dei «sotto-schiavi» (un caso particolarmente degno di nota è certamente quello di un contabile dell'amministrazione fiscale nelle Gallie, che aveva al proprio servizio ben 16 schiavi 104) . Nel gruppo delle persone del seguito vanno posti, a causa della loro posizione militare, perlomeno i soldati romani che svolgevano funzioni direttive (per esempio, di centuria o di primipilus), nonché sa­ cerdoti e sacerdotesse e - in terra di Israele - farisei, dottori della legge e le stesse famiglie sacerdotali inferiori. A questo gruppo appartenevano anche gli amministratori di proprietà terriere (sia liberi che schiavi). 4. 1 .4. Percentuale dei membri dello strato superiore Le stime relative alla percentuale dei gruppi dello strato superiore nell'insieme della popolazione variano a seconda degli apitanti che si attribuiscono ali 'impero romano. Tenendo conto anche dei familiari, si può calcolare una percentuale oscillante fra l 'l e il 5o/o . In ogni caso, è evidente che nelle so­ cietà antiche lo strato superiore era molto ristretto.

4.2. STRATO SUPERIORE E RICCHEZZA

Globalmente, la linea di demarcazione fra ricchezza e po­ vertà coincideva in gran parte con la linea di demarcazione fra gruppi dello strato superiore e gruppi dello strato inferiore. «Ricchezza» è comunque un concetto relativo. Per la situa­ zione di allora si poteva ritenere ricco già chi mangiava a suffi­ cienza, si vestiva decentemente e disponeva di un alloggio sod­ disfacente. In ogni caso chi si trovava in queste condizioni po­ teva ritenersi fortunato. Da questo punto di vista, le condizioni di vita che abbiamo noi oggi nei paesi industrializzati dell'occi-

104

VI1TINGHOFF

1990, 192.

Stratificazione e situazione sociale

137

dente sarebbero state considerate dalla maggior parte della gente di allora condizioni di persone ricche. Ma questi privilegi erano ben lungi dal costituire la ricchezza tipica dello strato superiore. Per Giovenale, un reddito annuo di 20.000 sesterzi e il possesso di quattro schiavi non era ancora ricchezza. E, in realtà, persino nelle città del Nord-Africa si sarebbero dovuti sborsare fra i 5000 e i 20.000 sesterzi già semplicemente per ag­ giudicarsi cariche onorifiche pubbliche, il cui esercizio non comportava stipendio. 4.2. 1 .

Esempi di ricchezza

Come abbiamo visto, espressione di ricchezza erano so­ prattutto le grandi proprietà terriere. Ovunque nell'impero ro­ mano regnava un 'enorme concentrazione delle proprietà ter­ riere. In Nord-Africa, ad esempio, la metà delle terre esistenti era in mano a sei grandi proprietari. Al contrario, poteva acca­ dere che un appezzamento di soli 2200 metriquadri dovesse es­ sere diviso fra ben 60 famiglie di agricoltori. 105 A Gerusa­ lemme particolarmente ricco era considerato Nicodemo ben Gurion. Egli avrebbe dato a sua figlia una dote di l milione di denari d'oro, con uno solo dei quali si potevano comprare 300 pezzi di pane da 500 grammi ognuno. Sembra che il solo letto della figlia valesse 12.000 denari d'oro: per guadagnare una tale cifra 1500 lavoratori a giornata avrebbero dovuto lavorare un anno intero.106 Si tratta probabilmente di cifre leggendarie. Come ovunque altrove, anche in Israele i ricchi vivevano in città (soprattutto a ' Gerusalemme). Essi appartenevano in molti casi all'aristocrazia sacerdotale. Anche i rabbi potevano essere ricchi. Rabbi Tarfon possedeva molti campi e schiavi. Egli stesso considerava ricco chi possedeva 100 vigneti e 100 campi, nonché 1 00 schiavi per lavorarli. 107 Whittaker calcola che Catone il Giovane abbia ricavato dal suo patrimonio del valore di 4 milioni di sesterzi una rendita giornaliera di 550-650 105

106

107

ALFOLDY 31984, 95. BEN-DAVID 1 974, 313. B EN-DAVID 1 974, 314.

1 38

Storia sociale del cristianesimo primitivo

sesterzi. 108 Corrisponderebbe a un reddito annuo di circa 200.000-240.000 sesterzi. Secondo Tacito, 109 alla sua morte Se­ neca avrebbe lasciato un patrimonio del valore di 300 milioni di sesterzi. In città i ricchi possedevano palazzi (domus), in campagna ville. Le loro case erano generalmente molto ben arredate, per cui già il solo inventario costituiva un notevole valore. Sono soprattutto le case dei ricchi a mostrare chiara­ mente la loro posizione privilegiata. 1 10 Ciò vale anche per la Palestina,1 1 1 anche se qui, tutto sommato, vi era meno lusso ri­ spetto alle altre regioni. In città, in epoca imperiale, le case ad esempio quelle dei senatori a Roma - crebbero in numero e in lusso.11 2 Un esempio molto eloquente delle lussuose abita­ zioni dei ricchi è certamente, a Roma, la dimora dei Flavi a forma di palazzo e, in terra di Israele, quella degli erodiani.

.4.2.2. Alimentazione e abbigliamento dei ricchi Particolari segni di ricchezza erano considerati i banchetti, in cui si invitavano gli amici e i vicini ricchi o i propri parenti. In quelle occasioni, si servivano i cibi più squisiti provenienti da tutte le proprietà dei padroni. Ma, a parte questi banchetti, la vita dei ricchi si distingueva, fra l'altro, proprio per le loro possibilità in campo alimentare. In linea di principio, solo loro potevano permettersi, ad esempio, il consumo di carne. In un trattato del Talmud vi è una tosefta che indica prescrizioni ali­ mentari corrispondenti al patrimonio della persona. In base ad esse, chi possiede 10 mine (corrispondenti a 1000 denari) deve mangiare ogni giorno (in aggiunta) dei legumi. In caso di un patrimonio di 50 mine (5000 denari) si devono consumare ogni sabato circa 340 grammi di carne. Coloro che possiedono 10.000 danari possono permettersi questa quantità di carne

108

109

1 10 111

112

WHIITAKER 1 991 , 312 . TACITO, Ann. 13, 42. BRòDNER 1989. 42ss. Cf. più avanti, pp. 229. PLINIO IL VECCHIO, HistNat. 36, 109.

Stratificazione e situazione sociale

139

ogni giorno.1 13 Il banchetto di Trimalchione descritto nel Saty­ ricon di Petronio è ovviamente una caricatura e un'esagera­ zione. E tuttavia anch'esso mostra l'enorme importanza attri­ huita alla buona e squisita alimentazione dei ricchi. Ovvia­ mente un povero delle campagne è già fiero di poter servire al suo ospite un pollo o un uovo. 1 14 Di fronte a tutto questo colpi­ sce il frugale stile di vita dell'imperatore Augusto. Nella bio­ grafia dell 'imperatore, Svetonio ne descrive le sue abitudini alimentari, presentandole come «frugalissime»: «Appetiva particolarmente pane di secondaria qualità, pesciolini mi­ nuti, cacio vaccino premuto a mano, fichi freschi biferi; e mangiava an­ che prima della cena, in qualunque momento e in qualunque luogo il .\'UO stomaco lo invitasse». 115

I ricchi si distinguevano dal resto della popolazione non solo per le loro abitudini alimentari, a volte sontuose, ma an­ che per il loro abbigliamento. 1 1 6 Questa differenza fa venire in mente la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Il ricco vestiva porpora e bisso e passava le giornate banchet­ tando e godendo, mentre il povero Lazzaro non indossava chiaramente alcun vestito che meritasse anche solo un ac­ cenno e soffriva la fame (Le 1 6, 1 9s ). Un a sopravveste di lana ti nta con porpora e una sottoveste (tunicalchiton; ebr. chaluq) di lino fine erano segni di ricchezza e condizione sociale ele­ vata. Così si vestivano i re - e precisamente in vera porpora di Tiro - e i ·ricchi cercavano di imitarli. Per dimostrare la sua pretesa al titolo di re, il rivoluzionario Simon bar Giora indos­ sava porpora e lino. 1 1 7 Descrivendo Giovanni il Battista, Gesù chiede alla folla se si sia recata da lui nel deserto per vedere un

1 13 1 14 m

1 16

57ss.

HAM EL 1 989, 33. PETRONJO, Satyricon 46. SvETONIO, Augusto 76s. Riguardo all'abbigliamento, cf. lo sguardo generale in HAMEL 1 989,

1 17 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 29.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

140

uomo in molli vesti. E risponde subito lui stesso: coloro che in­ dossano abiti sfarzosi e mangiano cibi prelibati stanno nelle case dei re (Le 7 ,25).

5. DESCRIZIONE DELLA NON-ÉLITE:

I GRUPPI DELLO STRATO INFERIORE

5 . 1 . CALCOLO DEL MINIMO VITALE

Come abbiamo visto, 1 1 8 nello strato inferiore distinguiamo fondamentalmente fra coloro il cui patrimonio o reddito ba­ stava almeno ad assicurarsi il sostentamento e coloro che o vi­ vevano continuamente al limite del minimo vitale o erano ad­ dirittura costretti a vegetare al di sotto di esso. È possibile esprimere questa distinzione anche con termini greci. Come vedremo più dettagliatamente in seguito, 1 19 si possono distin­ guere in linea di principio i gruppi di cui stiamo parlando ricor­ rendo ai termini greci penes (p l. penetes) e ptochos (p l. pto­ choi) e ritrovare quindi questa distinzione anche nella co­ scienza degli stessi antichi. Naturalmente bisogna tener conto anche delle differenze fra città e campagna, nonché fra le di­ verse regioni e, soprattutto. fra le diverse città. Senza dubbio, il costo della vita era superiore a Roma rispetto alle altre città e alla campagna. Basti solo pensare che nell 'Urbe l'affitto di una casa poteva arrivare annualmente a circa 2000 sesterzi ( = 500 denari). Qui, dunque, l'affitto delle abitazioni era un pro­ blema centrale per la popolazione più povera.1 2° Ciò vale com­ parabilmente anche per le altre città. Solo in campagna le spese per l'alloggio non giocavano un ruolo così importante.

118 119

120

Cf. sopra, pp. 125ss. Cf. più avanti, pp. 155ss. WHITIAKER 1991 , 316ss.

Stratificazione e situazione sociale

1'4 1

Nonostante le grandi differenze fra le diverse regioni, è possi­ bile fare un calcolo del minimo vitale necessario per il sosten­ tamento.

Costi per il sostentamento e minimo vitale Un eccellente sguardo generale sui diversi calcoli e sulle diverse basi di calcolo per stabilire il minimo vitale è offerto da Oakman.1 2 1 Egli parte dal fatto che una persona adulta, con un lavoro che non comporta un particolare dispendio di energie, ha bisogno di 2500 calorie giornaliere . La quantità di calorie necessarie dipende naturalmente dall'età, dal sesso e dal tipo di attività. Ma le 2500 calorie possono servire come indice di riferimento. Applicando i valori calorici moderni anche all'an­ tichità, per produrre 2500 calorie occorrono 794 grammi di grano o 756 grammi di orzo. Moltiplicando per i 365 giorni del­ l 'anno si ha grossomodo un fabbisogno di 290 chili di grano o 275 chili di orzo a testa. Calcolando in base al modius latino (l modius di cereali = 6,503 chili), occorrevano quindi circa 44 1nodii di grano o 42 modii di orzo. Queste cifre corrispondono pressapoco anche alle stime di Brunt, il quale calcola per una famiglia antica di quattro membri un consumo annuo di 144 modii di grano. 1 22 5. 1 . 1 . Calcolo dell'estensione di terra necessaria

per assicurare il minimo vitale

l .'

Quanta terra era necessaria per produrre una tale quantità di grano od orzo? Non è possibile fornire al riguardo cifre esatte, sia perché lo stato delle fonti non ci permette di rico­ struirle, sia perché esse dipendono anche dalla resa che si po­ teva ottenere da un determinato terreno. 123 Qui ci limitiamo a comparare dei dati. Secondo Cicerone, 124 a Leontini in Sicilia la semina di 6 modii di grano per iugerum poteva rendere in

1

121

122 123

124

0AKMAN 1986, 57ss. B RUNT 1971 (b), 35. GARNSEY-SALLER 1989, 1 12ss; 0AKMAN 1986, 59ss. CICERONE, Verr. 2, 3, 1 12.

142

Storia sociale del cristianesimo primitivo

una buona annata dieci volte tanto, mediamente otto volte tanto. 1 2 5 Qui si tratta certamente di una resa particolarmente alta, dal momento che, in linea di principio, l iugerum di col­ tura a grano avrebbe reso in un anno mediamente buono 8 volte tanto cioè 48 modii di grano. Sottraendo la semente im­ piegata, si sarebbero avuti 42 modii di grano, quanto serviva per nutrire un adulto per un anno. Ma da Polibio e Catone il Vecchio sappiamo che essi stimavano in 2 iugera la terra colti­ vata necessaria per nutrire un adulto per un anno.1 26 Questo dato si avvicina probabilmente di più alla resa media per iuge­ rum. 127 Supponendo mediamente una resa per iugerum di quattro volte superiore alla se mente impiegata (e togliendo la semente utilizzata) da una semina di 6 modii risultano per il consumo 18 modii. In base alla stima di Brunt di 144 modii per una famiglia di quattro persone, quest'ultima avrebbe bisogno per sostentarsi di una superficie di 8 iugera (o 2 ettari). Anche Hamel suppone una resa piuttosto bassa. Secondo i suoi cal­ coli, il rapporto fra semina e raccolto è di l a 3. Egli calcola, inoltre, che, detratte le sementi per l'anno successivo, le tasse e le imposte, sarebbe restato per il sostentamento solo un terzo (!) del raccolto.128 Anche Ben-David suppone una resa piutto­ sto modesta . A suo avviso, una famiglia di 6-9 persone avrebbe dovuto coltivare per il solo sostentamento una superficie di circa 7 ettari (cioè 28 iugera)} 29 In base alle ricerche di Frayn, molti coltivatori diretti romani e italici possedevano e coltiva­ vano non più di 10 iugera (2,5 ettari).13° Comunque si vogliano valutare queste cifre, esse possono offrire un 'indicazione di massima sulla terra necessaria a una famiglia di agricoltori per assicurare la sopravvivenza dei suoi membri. D a questi calcoli risulta che la terra necessaria per nutrire una persona oscilla fra 2 (Catone/Polibio) e 4,5 iugera (Ben125

Cf. GARNSEY-SALLER 1989, 1 14. 0AKMAN 1986, 61 Come conferma, ad esempio, WHtTE 1970. 336, il quale ipotizza la ne· cessità di 7·8 iugera per una famiglia media composta di 3 persone e 1/4. 128 HAMEL 1 989, 1 34. 129 BEN-DAVID 1974, 44.46. 130 fRAYN 1 979, 15; cf. anche EVANS 1980, 159ss. 126 127

.

143

Stratificazione e situazione sociale

David). Se si calcola mediamente una resa di 1 8 modii di grano per iugerum e un fabbisogno annuo di 42 modii di grano a testa, si ottiene un valore medio teorico di 2 + 1/3 iugera di terra neces­ saria per il sostentamento annuo di una persona. Secondo i no­ stri calcoli, una famiglia di 6 persone aveva quindi teoricamente bisogno, per il proprio sostentamento, di una superficie di 14 iu­ gera pari a 3,5 ettari (Ben-David calcola una superficie doppia). Teoricamente quindi la superficie coltivabile della terra di Israele (circa 600.000-700.000 ettari) avrebbe potuto nutrire a sufficienza una popolazione di 1 - 1 ,5 milioni di abitanti. TAB. 6. Superficie necessaria per il sostentamento. FAM IG LIA

QUANTITÀ DI GRANO

SUPERFICIE COLTIVATA

l persona 4 persone

42 modi/ 144 modii

2 + V3 iugera

Brunt Catone/Polibio

l persona

-

Leontini

-

Teoria

54 modii ( l O volte tanto)

Leontini Madiamente Ben-David Ben-David Frayn

42 modii

-

6-9 persone

1

(8

volte tanto)

(4

volte tanto)

persona

superficie media

18 modii -

8 iugera 2 iugera l iugerum l iugerum l

iugerum

28 iugera

3-4,5 iugera 10 iugera

in Italia

5 . 1 .2. Costi per il sostentamento

La conoscenza di una lista di prezzi relativa alla città di Pompei ci consente un controllo di queste stime e la loro tra­ sformazione in costi di sostentamento. In base ad essa un mo­ dius di grano costava 30 assi, il che significa che 2 modii di grano costavano 15 sesterzi.1 3 1 Calcolando che un chilo di 131 ETIENNE 1978, 215.

144

Storia sociale del cristianesimo primitivo

grano produca circa 3000 calorie, un modius di grano sviluppa circa 20.000 calorie. Se una persona adulta ha bisogno media­ mente di 2500 calorie al giorno, secondo i prezzi che ci sono noti da Pompei, dovrebbe spendere più di 3 assi (precisamente 3,75 assi) al giorno per assicurare la razione di calorie di cui ha bisogno. Con questi 3-4 assi si sarebbero potuti comprare a Pompei 3-4 pani, dal momento che lì un pane costava circa l asse.132 Ma non conoscendo il valore calorico di un pane è pra­ ticamente impossibile trarre ulteriori concl usioni. E tuttavia si può andare oltre con i calcoli fatti da Ben-David. 133 In base ad essi, il reddito minimo di 200 denari di una famiglia di 6 per­ sone bastava ad acquistare annualmente 400 pezzi di pane a testa. 134 Ben-David calcola che un pane fornisse circa 12001400 calorie, 1 35 per cui secondo i suoi calcoli in epoca mish­ naica (verso il 200 d.C.) accorrevano circa 2,5-3 assi per soddi­ sfare il fabbisogno calorico quotidiano di 2500 calorie. 136 Tutto sommato, sembra quindi che accorressero circa 3 assi al giorno per raggiungere le 2500 calorie. Ciò equivale a una spesa an­ nua di circa 275 sesterzi (circa 69 denari). D'altronde, il prezzo del pane è anche un buon indicatore del po­ tere di acquisto, dal momento che nell 'antichità ci si nutriva soprat­ tutto di pane. 1 37 C aton e il Vecchio ricorda che gli schiavi che lavora­ vano incatenati nelle campagne man iavano da 2 a 2,5 chili di pane al giorno e praticamente nient'altro.' R Egli calcola, inoltre. che uno schiavo impiegato nei lavori agricoli costa annualmente, per essere mantenuto in vita e in grado di lavorare, 3 1 2 sesterzi (78 denari). Per

132 ETIENNE 1978, 216. 133 BEN-D A v m 1974, 300s.306ss. 134 Un pezzo di pane (500 grammi) costava nella Palestina giudaica dell'e­ poca mishnaica circa 1 ,33 assi, mentre nel 79 d.C. a Pompei costava attorno a l asse. 135 Cf. BEN-DAVID 1 974, 301 (implica circa 1 200 calorie) con la pagina 306 (1400 calorie); cf. anche SPERBER ( 1 965, 250s): l pane costava 1/24 di denaro. 136 Al riguardo, Ben-David suppone comunque un prezzo del grano di circa 15 assi per modius , quindi la metà del prezzo che costava un modius di grano a Pompei. Abbiamo preso come base la tabella che si trova in BEN­ DAVID 1974, 307. 137 Più in dettaglio, sui mezzi di sostentamento e sulle abitudini alimen­ tari, HAMEL 1 989, 8ss. 1 38 CATONE IL VECCHIO, De agricultura 56.

145

Stratificazione e situazione sociale

libero e la sua famiglia sarebbero stati necessari l 000 sesterzi (250 denari).1 39 Comparando ora queste cifre con il valore indicativo di 144 modii di grano per una famiglia di 4 persone, si perverrebbe praticamente, in termini di costi. alle stesse cifre indicate da Catone. Infatti, al prezzo di 30 assi per modius di grano a Pompei, 144 modii di grano comportano una spesa di 1080 sesterzi pari a 270 denari. t ore

Questa cifra non contiene comunque le spese supplemen­ tari per articoli «non food». A Pompei, una tunica costava 15 sesterzi (il suo bucato l denaro), le stoviglie più economiche at­ torno a 1-2 assi.140 Per una sopravveste (himationltoga; ebr. ta­ lit) si dovevano spendere dai 12 ai 20 denari.141 Ma in questi cal­ coli mancano soprattutto i costi dell'alloggio, che per gli abi­ tanti della città erano piuttosto salati, nonché fardelli imposi­ tivi, soprattutto onerosi per gli abitanti delle campagne (proba­ bilmente in media almeno il 20°/o ) Riguardo alla situazione della città di Roma, un dato che si trova in Giovenale può for­ nire un certo appiglio per farsi un 'idea dei costi del sostenta­ mento. Egli giudica un reddito annuo di 20.000 sesterzi ( 5000 denari), assicurato mediante pegni, e un possesso di quattro schiavi niente più di una semplice difesa dal rischio di ritrovarsi ridotti all'accattonaggio nella vecchiaia.142 Qui si tie­ ne certamente conto anche dei costi eccedenti la semplice ali­ rnentazione. Un altro paragone ci è fornito da Cicerone che ri­ teneva necessario per un membro dello stra to superiore un red­ dito annuo di 600.000 sesterzi ( = 150.000 denari) per condurre una vita agiata. Egli aveva un reddito annuo di 100.000 sesterzi ( 25.000 denari). 143 Si paragoni ciò con quanto si dice in Mt 20, dove la paga giornaliera di un lavoratore a giornata è di l de­ naro ( = 4 sesterzi ). Altrove si parla anche di 3 sesterzi. 144 Le cifre che siamo venuti indicando sono riprese sintetica­ mente nelle tabelle 7 e 8, dalle quali si evince, riguardo al costo .

=

=

CowELL 1956, 288. 258 e 104-106. 140 ETIENNE 1 978, 2 1 5. 141 BEN-DAVID 1974. 3 1 1 . 142 GIOVENALE, Sat. 9, 140ss . 143 GARNSEY 1 976, 1 26. 1 44 GARNSEY 1 976, 126. 1 39

146

Storia sociale del cristianesimo primitivo

giornaliero dell'alimentazione di una persona adulta, un va­ lore medio di 3 assi. Rapportati sull'anno accorrevano quindi per la sola alimentazione di una persona adulta circa 70 denari. Aggiungendo le altre spese per vestirsi e cose del genere, si possono paragonare queste stime con quelle relative alle spese della famiglia. Dobbiamo quindi ritenere che il minimo vitale di una famiglia di quattro persone in campagna (compresi gli articoli non food e le tasse) richiedesse almeno 250-300 de­ nari. 145 È difficile pensare che in città, soprattutto a Roma, questa cifra potesse bastare per garantire la semplice sussi­ stenza. Ma lì, come abbiamo ricordato, gli abitanti potevano contare su distribuzioni di derrate alimentari. TAB.

7. Costi annui per il nutrimento di una persona adulta. QUANTITÀ

CALORIE

PREZZO

PREzzo PER QUANTITÀ CALORIE GIORNALIERE

794 gr.

Teoricamente (prezzo a

2500

3,7 assi

3,7 assi

20.(XX)

30 assi

3,7

1200

l asse

1200/1400

l 1/2 asse

di grano

Pompei) l

modius

di grano Pompei

Palestina (Mishnah)

1/2 kg

di pane 1/2 kg di pane

assi

2 assi

2

1/2 -

3

assi

145 BEN-DAVID (1974, 292) ricorda che il Talmud supponeva un minimo vitale annuo di 200 denari.

147

Stratificazione e situazione sociale

TAB. 8. Costi (annui) per una famiglia. GRANDEZZA DELLA FAMIGLIA

COSTI ANNUI

l lavoratore e famiglia

250

schiavo

78

Catone il Vecchio

(144 modii di grano)

denari

denari

Brunt

4 persone

Ben-David

6 persone (Palestina)

250/300

Pompei

3 persone (l

570

schiavo)

270

denari denari

denari

Secondo questo calcolo, il mantenimento di uno schiavo (compresi gli articoli non food) costava r.irca 80- 100 denari. L'acquisto e il mantenimento di uno schiavo erano quindi un notevole fardello che le famiglie medie difficilmente potevano permettersi. L'esempio succitato di una famiglia di tre persone + uno schiavo, per il sostentamento dei quali occorrevano an­ nualmente, a Pompei, almeno 570 denari, conferma i nostri calcoli. Questa cifra può essere usata quindi come parametro per calcolare i costi di sussistenza di una famiglia di quattro persone nei centri urbani. Ovviamente vanno aggiunti i costi per l'alloggio, per cui in città una famiglia di quattro persone aveva bisogno per il proprio sostentamento di 600-700 denari all'anno (perlomeno il doppio dei costi di sussistenza in cam­ pagna). Su questra base si può affermare che i 5000 denari al­ l'anno, ricordati da Giovenale per una famiglia con quattro schiavi a Roma, consentivano una vita abbastanza buona ri­ spetto al minimo vitale, pur tenendo conto dell'alto costo degli affitti. Ma a Roma anche questo reddito annuo non permet­ teva certamente molto più di un modesto tenore di vita. Per garantire la sussistenza di una famiglia di quattro persone a Roma erano necessari, a nostro avviso, circa 900-1000 denari (quindi tre volte i costi necessari in campagna). Le cifre ripor­ tate da Cicerone (150.000 o 25.000 denari) mostrano ancora

148

Storia sociale del cristianesimo primitivo

una volta l'abisso che separava la strato superiore dalla gente comune riguardo alla qualità della vita. Riassumiamo nella ta­ bella 9 anche questi dati, che valgono ovviamente solo come valori orientativi e devono essere usati quindi con cautela. TAB. 9. Tenore di vita di una famiglia di quattro persone (an­

nualmente) . Minimo vitale In campagna In città A Roma

250-300 denari 600-700 denari 900- 1000 denari

Modesto benessere A Roma Ricchezza

5000 denari 150.000 denari

Questi calcoli mostrano, inoltre, la grande importanza del criterio possesso o reddito per quanto riguarda la distinzione dei gruppi sociali dello strato inferiore . Ci sembra quindi fon­ dato il fatto di tracciare, accanto alla suddivisione in gruppi dello strato inferiore rurale e dello strato inferiore urbano, un'altra fondamentale linea di demarcazione , prendendo come segno discriminante il minimo vitale in relazione al crite­ rio possesso o reddito . A tale riguardo, bisogna tener conto, come è chiaramente apparso, del fatto che le spese per garan­ tire il minimo vitale divergevano non solo nelle diverse città, ma specialmente fra campagna e città. E tuttavia si può certa­ mente affermare che chi non era in grado di garantire il mi­ nimo vitale neppure per se stesso (e la propria famiglia) appar­ teneva al gruppo dello strato inferiore qualificabile come asso­ lutamente povero. In questo gruppo poniamo, fra l'altro, i mendicanti itineranti e fissi in un luogo (specialmente gli han­ dicappati e i malati cronici), molti lavoratori a giornata nelle

Stratificazione e $Ìtuazione sociale

149

città e nelle campagne, gli schiavi fuggitivi, molti agricoltori e fittavoli poveri. Anche nel gruppo dei piccoli artigiani il red­ dito era praticamente insufficiente per il sostentamento della famiglia e si doveva far fronte a una vera catastrofe sociale, quando veniva a mancare , per esempio per morte, il marito e il padre. Fra le donne appartenenti alle famiglie dello strato in­ feriore vanno quindi poste in questo gruppo degli assoluta­ mente poveri soprattutto le vedove, che non potevano rispo­ sarsi o che ritornavano alla casa paterna. N on a caso esse sono sempre citate, insieme agli orfani, nel gruppo delle persone bi­ sognose o come le destinatarie naturali dell 'assistenza so­ ciale. 146 Ci occuperemo più dettagliatamente nelle pagine se­ guenti di questo importante problema della povertà (relativa e :JSSoluta) nelle società antiche. l·

·S .2.

DIFFERENZIAZIONE SOMMARIA DEI GRUPPI DELLO STRATO INFERIORE

È particolarmente difficile operare una ulteriore differen­ ziazion e al di sopra della linea di demarcazione definita dal minimo vitale, essendo difficile tracciare il confine fra famiglie e persone relativamente povere e relativamente benestanti. Il possesso di quattro schiavi e un reddito annuo di 20.000 se­ sterzi, citato sopra nell'esempio di Giovenale. indica un rela­ tivo benessere o una relativa povertà? Giovenale sembra pro­ ' pendere per quest'ultima, allorché distingue tale situazione so­ ciale da quella di un mendicante. Questa valutazione può ap­ �licarsi quindi anche alle condizioni economiche e sociali a Roma. specialmen te in relazione ai membri ricchi dello strato superiore. E tuttavia nelle piccole città del Nord-Africa il censo minimo di 20.000 sesterzi bastava per essere ammessi b ell ' ardo decurionum, e quindi per far parte del locale strato superiore. La valutazione delle possibilità economiche di­ pende quindi, fra l'altro, dalla posizione sociale e dalle condi-

146 BoLKESTEIN 1967. 38s.281s.402.

150

Storia sociale del cristianesimo primitivo

zioni economiche generali di una regione o di una società. Qui si possono fare perciò solo delle ipotesi per differenziare l'am­ pio ventaglio dei gruppi dello strato inferiore, valutando le possibilità più o meno elevate di reddito in base alle diverse professioni o ai diversi guadagni. Del resto, si può solo stimare la percentuale della popolazione non libera, che si suppone fosse in città un terzo della popolazione totale. 147 La stragrande maggioranza della popolazione apparteneva allo strato inferiore e la maggior parte di essa viveva, inoltre, nelle campagne. Tutto sommato, lo strato inferiore urbano se la passava meglio della popolazione rurale . Molto più della di­ versità di condizione sociale (liberi, nati liberi, schiavi, citta­ dini e non cittadini, cittadini romani e peregrini), che assicu­ rava ovviamente diversi privilegi, era evidentemente il limite della povertà a distinguere ulteriormente in due parti i gruppi dello strato inferiore . Pensiamo che nelle campagne la maggior parte dei piccoli agricoltori e delle loro famiglie, dei piccoli fit­ tavoli, dei liberi lavoratori salariati e dei lavoratori a giornata, si muovesse continuamente sul confine del minimo vitale. Lo conferma la tesi già ricordata di Frayn,14s secondo cui l'esten­ sione media delle aziende agricole dei piccoli agricoltori in Ita­ lia non superava i 2,5 ettari ( = lO iugera), Una famiglia di quattro persone ne avrebbe potuto ricavare solo ciò che era strettamente necessario per sopravvivere. È difficile dire quale fosse nei centri urbani la percentuale delle persone che vive­ vano al limite della povertà. Ma anche a tale riguardo molte informazioni attestano un crescente impoverimento delle fa­ miglie dei piccoli artigiani e dei loro operai liberi. Oltre ad

147 ALFÒLDY e 1984, 1 1 7) fa notare come GALENO (5, 49) stimi per Per­ gamo, alla metà dei II secolo, la presenza di 40.000 cittadini e indichi in 1 20.000 il numero globale degli adulti, con donne e schiavi. Garnsey-Saller ri­ tengono che a partire dal III secolo a.C. gli schiavi in Italia e in Sicilia costituis­ sero la maggior parte della manodopera. Ma nelle vaste regioni dell'Africa i lavoratori agricoli sarebbero stati in gran parte liberi, per esempio in Egitto, che era il secondo maggior granaio dell'impero. Nelle Gallie e in Asia esiste­ vano altre forme di lavoro dipendente, ma non vi era schiavitù: GARNSEY­ SALLER 1989, 168ss. 1 48 Cf. sopra, p. 142.

151

Stratificazione e sitlMlzione sociale

essi, senza dubbio anche i piccoli commercianti, i lavoratori a giornata e altri lavoratori occasionali vivevano continuamente al limite del minimo vitale. Fra gli altri, al gruppo dei mendi­ canti veri e propri appartenevano soprattutto i malati cronici. L'esercito dei poveri urbani è stato probabilmente ingrossato dall'afflusso di quei settori della popolazione agricola che non ereditavano e non potevano più essere sfamati con i miseri raccolti dei piccoli appezzamenti di terra. Ma nelle campagne prevalevano probabilmente i nati liberi. La situazione dei la­ voratori agricoli, che non erano schiavi, comprende un ampio ventaglio che va dagli schiavi per debiti fino a una relativa in­ dipendenza. Anche nelle città non erano certamente gli schiavi (e i li berti) a formare il grosso della popolazione. Allo strato inferiore urbano appartenevano artigiani, commercianti, me­ dici (al di fuori dei «medici personali» dello strato superiore), insegnanti, musicanti, amministratori di case e patrimoni, por­ tuali, operai a giornata, mendicanti e molti altri. I pochi fra di loro che potevano aver raggiunto un certo benessere, per esempio i commercianti più ricchi e i piccoli industriali, com­ pensavano la loro mancanza di partecipazione al potere poli­ tico con l'iscrizione nelle associazioni artigiane (nelle quali molte cariche onorifiche erano indicate con gli stessi nomi che si usavano per le cariche pubbliche).

5.2.1 . Schiavi Fra gli schiavi vi erano notevoli differenze. 149 Senza dub­ bio, l'amministratore di una proprietà terriera ( vilicus ) il cui padrone viveva da qualche parte in città, deve aver guardato dall'alto in basso, pur essendo schiavo, un piccolo agricoltore. A differenza del piccolo agricoltore, egli non era costretto a la­ vorare personalmente nei campi, godeva di una certa sicurezza sociale, anche nel caso in cui il raccolto fosse andato male. Può darsi addirittura che in certi casi un piccolo agricoltore libero ,

149 Cf., sull'ampia bibliografia, solo: FINLEY 1 985; BROCKMEYER 1979; BARTCHY 1973; GOLZOW 1969.

152

Storia sociale del cristianesimo primitivo

abbia invidiato gli schiavi che lavoravano, a volte incatenati, in una tenuta agricola. Senza dubbio, dovevano lavorare duro, esattamente come lui, ma potevano contare su una regolare alimentazione e provvista di vestiti. Gli schiavi liberati resta­ vano legati ai loro vecchi padroni e dovevano continuare a compiere per loro certi servizi. Ma poteva succedere anche il contrario. Le persone libere potevano diventare schiave. Ciò accadeva normalmente in occasione di guerre e conquiste di territori, quando i membri del popolo vinto venivano fatti schiavi. Ma a partire da Augusto questo modo di procurarsi gli schiavi era caduto in disuso.15° Così si poteva sopperire con i fi­ gli generati dagli schiavi, con il commercio degli schiavi, per esempio con i germani e gli etiopi, oppure rendendo schiava la popolazione libera dell 'impero. Inoltre, si allevavano come schiavi i bambini abbandonati151 e i figli di famiglie cadute in miseria che erano venduti come schiavi per appianare i debiti. Per questa via anche gli adulti potevano diventare schiavi. Il fatto di essere schiavi non era necessariamente il peggior destino che si potesse immaginare, perlomeno considerando la cosa dal punto di vista economico o della mera esistenza. In­ fatti, l'appartenenza a un famiglia garantiva un certo sostenta­ mento, essendo lo stesso proprietario di schiavi interessato a preservare la capacità lavorativa del suo schiavo. Infine, in epoca imperiale, si mise in moto un processo teso a garantire anche agli schiavi una certa protezione giuridica. Così nel 1 9 a.C. s i emanò una legge (lex Petronia) che richiedeva i l con­ senso previo delle autorità, quando si volevano impiegare de­ gli schiavi nelle gare con le bestie feroci. L'imperatore Claudio sancì come omicidio l'uccisione di schiavi vecchi o malati. Do­ miziano, infine, proibì la castrazione forzata degli schiavi. A

1 50 «Poiché fra i popoli assoggettati si giunse solo raramente ad opporre una resistenza armata contro Roma, il numero dei ribelli puniti e immessi sul mercato degli schiavi si ridusse sempre più; la riduzione in schiavitù dei 97.000 giudei insorti nella grande guerra giudaica del 66-70 (GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 6, 420) fu piuttosto un'eccezione, come del resto la stessa rivolta» (ALFòLDY 31 984, 1 1 8). 151 Cf., al riguardo, W. STEGEMANN 1 980, 1 14ss.

Stratificazione e situazione sociale

1�3

ciò si aggiunse la liberazione degli schiavi nelle città e soprat­ tutto a Roma, il fatto cioè di poter contare, a una certa età, sulla propria liberazione . Sotto Augusto, questo atto giuridico detto manumissio era talmente frequente che alcuni vi vede­ vano un serio pericolo per lo stato. Si ebbero così leggi intese a ridurre le liberazioni di schiavi. Soprattutto si cercò di fare in modo che i liberati non «Ottenessero sic et simpliciter la cittadi­ nanza romana e quindi un'eccessiva influenza sulla vita pub­ blica».152 La prospettiva della liberazione poteva quindi com­ portare anche la concessione della cittadinanza, se il proprieta­ rio di schiavi era un cittadino romano. Ovviamente anche il proprietario di schiavi traeva vantaggio dalla liberazione. In­ fatti, lo schiavo che voleva diventare libero doveva restituire il prezzo del suo acquisto, guadagnare cioè un piccolo capitale, per cui restava anche da libero legato al suo padrone.

5.2.2. Attività professionali degli schiavi Le attività professionali degli schiavi (e quindi anche dei li­ berti) erano molto varie. Molti svolgevano in città professioni che presupponevano una certa formazione o determinate ca­ pacità: «consulenti giuridici, amministratori di case o patri­ moni, medici, pedagoghi, artisti, musicanti, attori, pubblici scrivani, ingegneri, persino... filosofi». 153 Nel settore produt­ tivo lavoravano come artigiani (ad esempio, nei laboratori di terra sigillata). Sbrigavano le faccende per i loro padroni, ma alcuni erano impiegati anche come cuochi, servitori domestici e schiavi di lusso. Nelle campagne gli schiavi erano impiegati ovviamente nei lavori agricoli e anche in questo caso in posizioni molto di­ verse. La massa degli schiavi era vergognosamente, e a volte brutalmente, sfruttata; fino al periodo dell'impero resta in vi­ gore l'abitudine di incatenare gli schiavi. Nelle campagne si praticava di meno anche la liberazione degli schiavi. Si può

152 153

ALFOLDY ALFÙLDY

3 1 984, 1 19. 3 1 984, 1 16.

154

Storia sociale del cristianesimo primitivo

quindi ben capire come fosse più attraente la prospettiva di es­ sere schiavi in città piuttosto che in campagna. Ancora peggiore di quella degli schiavi delle campagne era la condizione degli schiavi impiegati nelle miniere. In questo caso si trattava soprattutto di damnati, cioè di detenuti. È importante ricordare anche che in città gli schiavi pote­ vano organizzarsi in associazioni (collegia) assieme a coloro che esercitavano la stessa professione, ma sul piano religioso e comunitario anche con le persone libere.

S.2.3. La fuga degli schiavi Che le condizioni di vita di molti schiavi continuassero ad essere insopportabili, lo dimostra il fenomeno della fuga degli schiavi. Secondo Bellen, 154 erano inclini a fuggire soprattutto gli schiavi che avevano padroni crudeli e disumani. Questi fu­ gitivi potevano ritenere di poter far perdere le loro tracce al­ trove, soprattutto nelle campagne dove scarseggiava la mano­ dopera. Per questi fugitivi devono essere esistiti anche dei veri e propri «mediatori». In tal modo, gli schiavi non facevano che cambiare padrone, ma anche questo poteva avere la sua im­ portanza. Naturalmente. non esistevano solo i «mediatori» per i fugitivi, ma anche i cacciatori di teste, che cercavano di ritro­ vare dietro compenso gli schiavi fuggiti. Cosl conosciamo per­ sino dei mandati di cattura per questi fugitivi. Il trattamento degli schiavi e l'atteggiamento che si assumeva nei loro ri­ guardi era molto vario. Potevano essere trattati in modo cru­ dele e assolutamente discriminatorio, addirittura razzista, ma anche con mitezza e bontà, giungendo fino a riconoscerli come persone.155 Seneca ritenne che anche gli schiavi fossero uo­ mini! 156 Naturalmente anche lui colloca gli schiavi in una posi-

1 54

BELLEN 197s. Per l'atteggiamento del giudaismo nei riguardi della schiavitù, cf. prattutto GOLZOW 1969, 18ss; URBACH 1 964. lS6 SENECA, Ep. 47' l. m

so­

Stratificazione e sitwJzione sociale

1 55

zione sociale molto bassa. 157 Tuttavia né Seneca né alcun altro ha richiesto l'abolizione della schiavitù, neppure i cristiani. 158 5.2.4. Schiavi

e

inconsistenza dello «status>>

Il fenomeno dell'inconsistenza dello status era molto ac� �entuato proprio nel gruppo degli schiavi, chiaramente delimi­ tabile dal punto di vista dei diritti della persona. Accanto agli schiavi delle campagne e delle miniere, che a volte lavoravano molto duramente e potevano essere all'occorrenza anche inca­ tenati, vi erano gli schiavi impiegati nell'amministrazione delle proprietà terriere . In città, gli schiavi potevano essere impie­ gati in casa come servi e nelle officine come operai, a volte come specialisti, ma anche come sorveglianti di altri schiavi. Alcuni esercitavano - come abbiamo visto - alte funzioni amministrative per conto degli aristocratici. Essi avevano ov­ viamente in comune la situzione di dipendenza (anche se per tutti c'era una fondata speranza di essere liberati). La dipen­ denza è dimostrata anche dal fatto che gli schiavi e le schiave giovani erano usati come oggetti sessuali dai loro padroni (e a volte anche dalle donne). La situazione delle schiave, in parti­ colare, era in linea di principio meno sicura e meno promet­ tente di quella degli schiavi maschi dopo la loro liberazione. 5.3. S TRATO INFERIORE E POVERTÀ 5.3 . 1 . Povertà assoluta

«penetes»

e

e povertà relativa: «ptochoi»

La massa della popolazione era caratterizzata non solo dali 'umile nascita e dalla mancanza di potere politico che ne

157

B ROCKMEYER 1979, 10. Contro le auto-gratificazioni cristiane dell'epoca moderna già Franz Overbeck ha dimostrato in modo spassionato la posizione del cristianesimo primitivo e della Chiesa antica nei confronti della schiavitù; cf. OvERBECK 1 994, 144ss (e, al riguardo, pp. l lss sulla storia della ricerca). 158

1 56

Storia sociale del cristianesimo primitivo

derivava, ma anche dalla povertà. Per essa, «la grande occupa­ zione giornaliera era la lotta per la sopravvivenza e il puro so­ stentamento».159 I termini latini per indicare i poveri - come, ad esempio, pauper, egens o humilis «possono e devono in­ dicare non solo i miserabili e i mendicanti, ma anche gli arti­ giani e i commercianti che se la passavano un po' meglio, ma che , paragonati con gli strati ricchi, possidenti, erano indubbia­ mente poveri».160 E tuttavia anche la terminologia antica è in grado di tracciare qui dei confini più precisi. Ma meglio del la­ tino o anche dell'italiano, il greco può distinguere fra i due gruppi di poveri che oggi noi qualificheremmo come relativa­ mente poveri e assolutamente poveri.161 In una commedia di Aristofane questa distinzione è chiaramente descritta: -

«La vita del ptochos è campare senza possedere nulla, mentre quella del penes è campare con parsimonia, attendendo alle sue opere, non avanzando certo nulla, pur di nulla mancando». 162

Con questo si accorda anche una formulazione di Mar­ ziale: «Non è povertà il non possedere nulla»}63 Poi, nello stesso contesto, egli descrive i più miserabili fra i mendicanti di Roma, che distingue ancora una volta dai poveri. Ma ritorniamo al testo della commedia di Aristofane. An­ zitutto, abbiamo volutamente rinunciato a tradurre i due ter­ mini greci ptochos e penes. Entrambi possono essere resi con «povero>>. Naturalmente, il termine ptochos indica per lo più i poveri che vivevano ai limiti o addirittura al di sotto del mi­ nimo vitale, mentre con penes si indicava una condizione eco­ nomica nella quale la persona poteva garantire con il lavoro il sostentamento proprio e della famiglia. In linea di principio, questa valutazione risalente al IV secolo a.C. è rimasta valida per secoli. Anche in ebraico è possibile distinguere a livello

tS9

.

tal 161

162 1 63

VrrriNGHOFF 1 990, 181. WHITIAKER 1 991 , 313 . Cf. , per la terminologia, solo HAMEL 1989, 164ss. ARISTOFANE, Pluto 551s. MARZIALE, 1 1 ' 328.

Stratificazione e situazione sociale

157

terminologico fra questi due gruppi: l'assolutamente povero viene presentato spesso come ebjon, mentre per indicare chi è relativamente povero si usa il termine ani. 164 Meno chiari sono, come abbiamo detto, i termini latini usati per indicare i poveri. «Termini come inopes (privi di mezzi), egentes (bisognosi), pauperes (poveri), humiles (di poco valore) e abiecti (rifiuta­ ti/posti ai margini), erano usati in modo indiscriminato».165 La Vulgata, ad esempio, nella beatitudine dei poveri (Le 6,20), che nel test o origi n ale greco sono indicati con ptochoi, traduce con pauperes, mentre chiama il povero Lazzaro (Le 1 6, 1 9ss) - che pure è detto in greco ptochos mendicus, considerandolo quindi chiara­ mente come mendicante. -

Comunque si voglia giudicare la terminologia nei singoli casi, essa sottolinea comunque che la classe dei poveri non era unitaria. In ogni caso, siamo costretti a distinguere fra poveri relativi e poveri assoluti. Questa distinzione riguarda fonda­ mentalmente le necessità primarie della persona che compren­ devano, nell'antichità, il cibo (mangiare e bere), il vestito e ralloggio. Citiamo, come un esempio fra i tanti, Dione di Prusa: «Così anche noi sappiamo che il nostro corpo ha solo pochi bisogni: si dovrebbero menzionare il vestito, un tetto e il cibo».166 E bisogna ritenere che la grande maggioranza della popolazione antica abbia difficilmente oltrepassato la modesta soddisfazione di questi bisogni fondamentali.167 La cosa risulta chiaramente se ci basiamo sulle succitate stime approssimative delle spese necessarie per assicurare il minimo vitale.168

Reddito pro capite in terra di Israele Come comparazione può servire un calcolo teorico del prodotto sociale lordo pro capite nella Palestina del I secolo.

164 HAMEL 1989, 167. 1 65 WHITIAKER 1991 , 312. 1 66 D taNE 0 1 PRUSA, Or. 17, 21 167 CIPOLLA 1972, 55 168 Cf. sopra, pp. 140ss.

.

158

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Ben-David lo ha stimato in 49,6 denari su una popolazione presunta di l ,25 milioni. 16Y Se da questa cifra si toglie solo il 20°/o per le tasse e le imposte - una cifra presumibilmente troppo bassa - allora teoricamente (cioè senza tener conto dell'elevata concentrazione delle proprietà) ogni abitante di­ sponeva per vivere di circa 40 denari all'anno. Solo questo d ato mostra chiaramente che dobbiamo prendere in seria con­ siderazione il fatto che un numero estremamente alto di per­ sone vivesse al di sotto ( ! ) del limite della povertà. Si tratta di un dato assolutamente realistico. Infatti, in Israele (fin verso la fine del II secolo d.C.) si registrava un reddito annuo di 200 denari come minimo vitale di una famiglia (di 5-6 membri). In una massima rabbinica questa somma viene presentata come limite della povertà assoluta, per cui chi aveva un reddito an­ nuo superiore ai 200 denari non poteva più ricorrere al fondo ebraico delle elemosine.1 70 Questa somma era anche ciò che poteva gudagnare in un anno un lavoratore a giornata, suppo­ sto che potesse lavorare regolarmente e te nuto conto dei giorni di festa e di riposo. Considerando queste scarne cifre, è evidente che occorreva un'occupazione piuttosto lucrativa per nutrire una famiglia. Poteva allora un artigiano come il padre di Gesù nutrire la sua numerosa famiglia (secondo Mc 6,3 . cin­ que figli e diverse figlie)? Giuseppe era falegname. Anche un artigiano qualificato - in un piccolo villaggio come N azaret di Galilea - guadagnava raramente più di un semplice lavora­ tore a giomata. 171 Anche con 400 denari annui la famiglia di Gesù deve aver mancato anche delle cose più necessarie. In ogni caso con un tale reddito non avrebbe potuto distinguersi dai propri vicini che abitavano in campagna. Un piccolo agri­ coltore con un appezzamento di circa 3 ettari arrivava, tenuto conto delle maggiori imposte - per esempio la «decima)) - e delle tasse, a un magro reddito di circa 150 denari all'anno.

169 BEN-DAVID 1974, 303. Ulteriori calcoli sulla densità della popolazione Palestina in BROSHI 1979, lss; HAMEL 1989, 137ss. 170 BEN-D Avm 1974, 291 ss. 171 Probabilmente Gesù e suo padre hanno trovato lavoro nella vicina città di Sefforis.

in

Stratificazione e situazione sociale

159

Un testo di Giovanni Crisostomo, padre della Chiesa, può servire a illustrare la misera condizione sociale della popola­ zione rurale (qui quella dei fittavoli). Il testo risale al IV se­ rolo, ma vale certamente anche per il I secolo. Da esso risulta che nell'antichità si aveva coscienza della relazione esistente fra la povertà dei poveri e la ricchezza dei ricchi: " Ma potrebbero esistere uomini più ingiusti (dei proprietari di terre, che traggono dal suolo la loro ricchezza) ? Quando si considera il modo in cui essi si comportano con la gente povera e miserabile delle campagne, ci si convince che essi sono più inumani dei barbari. Infatti, a persone che sono costrette a sof frire la fame e a tormentarsi per tutta la vita essi impongono ancora imposte esorbitanti, le sottopongono a .faticosi lavori e le usano come asini e muli, anzi come pietre, non con­ cedono loro il minimo riposo e, senza tener conto se la terra produca o meno, si prendono assolutamente tutto e non conoscono indulgenza nei loro riguardi. Esiste forse qualcosa che sia più degno di misericor­ dia di queste persone, che si sono arrabattate per tutto l'inverno, che wmo state consumate dal freddo, dalla pioggia e dalle veglie e ora si trovano a mani vuote, e per giunta gravate da debiti, quando tremano e fremono, più che per la fame e l 'insuccesso, per i tormenti dell'ammini­ .\·tratore, le citazioni in giudizio, l'imprigionamento, il rendiconto, la ri­ H·ossione del canone di affitto, le spietate richieste? Chi è in grado di poter contare tutti gli affari che si fanno con loro, tutti i vantaggi che se ne ricavano? Con il /oro lavoro, con il loro sudore si riempiono i gra­ nai e le cantine, senza permettere loro di poterne prendere anche solo un po '; si incamera tutto il raccolto nei propri forzieri e si dà loro in cambio una somma irrisoria».1n 5 .3.2.

Persone relativamente povere («penetes>>)

Anche le persone relativamente povere {penetes) dove­ vano lavorare sodo (e svolgere spesso anche lavori malsani) per assicurare a se stesse e alle loro famiglie ciò che era indi­ spensabile per la sopravvivenza. A livello della povera gente, si apparteneva già al gruppo di coloro che se la passavano me­ glio quando si poteva assicurare regolarmente alla propria fa­ miglia cibo, bevande e vestiti e si disponeva di un alloggio ac­ cettabile. Ecco come il già citato retore Diane di Prusa de­ scrive la condizione sociale della popolazione urbana povera: 172

GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Matteo 61, 3.

160

Storia sociale del cristianesimo primitivo

«Per questi poveri non è certamente facile trovare lavoro in città ed essi devono dipendere dall 'aiuto altrui quando vivono in affitto e devono comprare tutto, non solo vestiti, suppellettili per la casa e cibo, ma an­ che la legna da ardere per l'uso quotidiano». 1 73

Come constata Marziale, i poveri sono resi scarni dalla fame e dal freddo. 174 E per Luciano di Samosata, autore sati­ rico, la vita di questi poveri non era altro che tasse e debiti, freddo in inverno, malattia e, in più, percosse da parte dei po­ tenti.17 5 Proprio l'esercizio del potere - compresa l'appropria­ zione violenta di ciò che possedevano - mostra la mancanza di potere e di diritto dei poveri. Le aggressioni dei potenti e dei ricchi contro i loro vicini poveri compaiono come un la­ mento stereotipo nei testi antichi,176 sia che i ricchi si imposses­ sino di ciò che appartiene a un orfano, 177 sia che un ricco voglia annettersi la capanna di un povero. 178 Proverbiale era la po­ vertà dei pescatori. 179 A proposito degli artigiani, il già citato Luciano dice che possono difficilmente mantenersi con il loro duro lavoro: «curvi al lavoro dal primo mattino fino a tarda sera, nonostante l'impegno e gli sforzi possono difficilmente ri­ cavarne un qualche guadagno» } 80 La Bibbia conferma questa constatazione. Paolo, ambulante «fabbricante di tende», ha certamente lavorato più a lungo del normale - dal sorgere del sole al tramonto - e tuttavia ha continuato ad aver bisogno dell'aiuto altrui per poter avere ciò che gli era indispensabile per vivere. 181 La situazione delle famiglie degli artigiani si fa­ ceva drammatica, quando il marito o il padre morivano. An­ che a tale riguardo Luciano ci descrive molto esattamente la tristezza della situazione: dopo la morte di un fabbro che lavo­ rava il rame al Pireo, la sua famiglia finisce rapidamente in ro­ vina. Anzitutto, la vedova è costretta a vendere gli strumenti 173

DIONE DI PRUSA, Or. 7, 105s. MA R ZIALE, 12, 32. m LuciANO (DI SAMOSATA ) , Cat. 15 . 176 MA c Mu LLEN 1974, 6ss. 177 FILOSTRATO, Heroikos 285 . 1 74 Apuleio, Metamorfosi 9, 35ss nx APULEIO, Metamorfosi 9, 35ss. Altri esempi in GRASSL 1982, 175. 179 Cf. VISCHER 1965, 139s. 180 LuciANO, Fug. 1 3, 17. 181 Sulla situazione degli artigiani molto istruttivo HOCK 1 980. 174

.\'tratificazione e situazione sociale

161

di lavoro, poi cerca di sfamare la propria famiglia filando, tes­ sendo e cucendo, ma alla fine non resta altro che cedere la fi­ glia come etèra in modo che anch 'essa contribuisca al sosten­ tamento.182 Anche gli insegnanti della scuola di base (didas­ k.a/os/magister) erano notoriamente mal pagati e le loro fami­ gl ie conducevano una vita miserevole. 183 Redditi maggiori po­ tevano avere invece gli «avvocati)), perlomeno a Roma. Nella presentazione della Vita di Apol/onio, Filostrato parla di que­ sta come di una professione che permette di trasfomare la po­ vertà in ricchezza. Altri autori antichi citano come professioni o attività redditizie, accanto alle proprietà terriere, quelle de­ gli armatori, dei finanzieri, dei militari, dei retori, dei sacer­ doti, dei commercianti, dei medici, ma anche dei falegnami e dei calzolai . ' �

5.3.3. Persone assolutamente povere («ptochoi») Se le persone relativamente povere potevano ancora prov­ vedere alle necessità fondamentali della vita, quelle assoluta­ rnente povere non avevano neppure abbastanza per vivere. L'aggettivo greco ptochos indica in linea di principio questa �ondizione di fondo delle persone povere: fame e sete, cenci per vestito, mancanza di un tetto e disperazione. Le persone assolutamente povere dipendono anche per le cose indispen­ sabili per la vita dall'aiuto altrui, che si procurano. ad esempio, mendicando. Oltre ai mendicanti, fanno spesso parte di questa categoria le vedove e gli orfani, ma anche i malati cronici e i di­ sabili, come ciechi, storpi, lebbrosi. 185 Anche qui esistevano ov­ viamente delle gradazioni. Il povero Lazzaro - un uomo se­ ri amente ammalato che vegetava davanti alla casa di un ricco e sperava di potersi sfamare con i resti dei suoi banchetti (Le 1 6,19ss) - o i mendicanti che passavano la notte sotto i ponti di Roma, possono aver invidiato anche coloro che ricevevano

182

1 83

184

115

LuciANO, Discorsi delle cortigiane 6. GIOVENALE, Sat. 7, 21 5ss; LuciANO, Hermot 10. DIONE DI PRUSA, Or. 80, l; cf. , inoltre, GRASSL 1982, 114. Cf., al riguardo, ampiamente W. STEGEMANN 1981, lOss.

162

Storia sociale del cristianesimo primitivo

almeno la sepoltura dei poveri.186 Secondo Orazio, 1 87 gli schiavi della pubblica amministrazione raccoglievano nelle strade di Roma i cadaveri gettati fuori dalle abitazioni (in quanto la loro sepoltura era evidentemente troppo onerosa per i loro pa­ renti). Contro una fine così poco dignitosa chi poteva si pre­ muniva, entrando a far parte di un 'associazione che si curava della sepoltura. Anche se non si erige a criterio la situazione peggiore di questi poveri assoluti, vi erano certamente nel gruppo delle persone di condizione modesta molti che rag­ giungevano a stento il minimo vitale e rischiavano continua­ mente di finire nella povertà assoluta. 1 88 Poteva trattarsi di pic­ coli agricoltori e piccoli fittavoli o di lavoratori salariati e lavo­ ratori a giornata nelle campagne, che probabilmente avevano un tetto, ma non abbastanza da mangiare, ma poteva trattarsi anche di piccoli artigiani e commercianti, di insegnanti ele­ mentari , di operai assunti a giornata e di artigiani ambulanti nelle città, i quali non riuscivano a nutrire sufficientemente se stessi e le loro famiglie. E proprio le condizioni degli alloggi urbani mostravano quanto fosse miserabile la vita dei poveri . A volte in un'unica stanzetta vivevano ben 16 persone}89 Le case da affitto di Ostia, alte almeno tre piani (insulae) e tuttora ben conservate, possono dare un 'idea di quanto modesti fos­ sero gli ailoggi. Chi non poteva permettersi neppure questi ap­ partamenti in affitto, era costretto a vegetare sotto i ponti, nei sottoscala o nelle cantine dei complessi abitativi. Dove era possibile, si costruivano baracche (tugurio). La condizioni igie­ niche erano pietose anche per il livello minimo che si richie­ deva nell'antichità. Nel già citato Satyricon di Petronio c'è una descrizione impressionante delle piattole che si aggirano in una taberna. 190 Su una pietra che serviva a segnare il confine si può leggere, accanto all'ordinanza del pretore («Nessuno deve

186 1 87 1 88

MARZIALE 1 1 , 328. ORAZIO, Sat. 1 , 8, 8-1 6. Sulla situazione nel giudaismo, cf. più avanti, pp. 231ss. 189 WHIITAKER 1991 , 317. 1 90 PETRONIO, Satyricon 95.

Stratificazione e situazione sociale

1 63

gettare qui sterco o un corpo morto»), questa aggiunta: «Tieni lontano di qui le tue feci, se no ti saranno rispedite». 191

5.3.4. Abbigliamento e alimentazione dei poveri L'abbigliamento era una proprietà preziosa, che si portava sempre appresso (chi aveva due sottovesti le portava l'una sull'altra) o si custodiva addirittura in un forziere. 192 Sembra che il possedere due sottovesti distinguesse, fra il popolino, chi stava meglio da chi stava peggio. Di qui la richiesta di Gio­ vanni il Battista alla folla: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha>> (Le 3,1 1 ). Per quanto riguarda i vestiti da dare agli schiavi impiegati nelle campagne, Catone il Vecchio prescrive che debbano ricevere ogni due anni una tunica lunga 3 piedi e mezzo e una coperta di lana (sagum) e sandali di legno. Natu­ ralmente gli schiavi dovevano restituire questo abbliglia­ mento, che si usava poi per rattoppare. 193 La sopravveste era per i poveri un bene così prezioso che poteva servire come pe­ gno (M t 5,40) o essere anche rubato (Le 6,29). Chi non portava sopravveste dava da vedere o che era estremamente povero c/o che si muoveva al di fuori delle norme vigenti, come ad esempio l'indemoniato di Le 8,27 (la mancanza del mantello può stare ad indicare sia povertà dell 'indemoniato, sia la sua condizione di persona dal comportamento anormale). Il termi­ nie «nudo» (gymnos) indica in questo contesto persone che non portavano il mantello, ma solo una sottoveste o che ave­ vano solo cenci attorno al corpo. In ogni caso, si indica cosi una condizione sociale bassa.194 Anche il Nuovo Testamento, quando descrive persone assolutamente povere (ptochoi), ac­ cenna spesso alla loro nudità (Ap 3,17; Gc 2,16; Mt 25 ,36 e spesso). Una condizione sociale bassa è indicata anche da so­ pravvesti scure, rozze e logore� che vengono considerate tipi­ che delle persone povere e degli schiavi.195 WHITIAKER 1991 , 322 (C/L VI, 31614·5). GausEPPE FLAVIO, Beli. 6, 282. 193 CATONE IL VEccHIO, De agricultura 59. 194 HAM E L 1989, 73. 195 LuciANO, PeregMort. lSs. 191

192

164

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Un altro tratto tipico della persona assolutamente povera è la sua fame (e sete). Il rapporto fra mancanza di abbiglia­ mento e mancanza di cibo sembra tipico (Le 3,1 1; Mt 25,35s; Gc 2,15s ). La carne era in linea di principio inaccessibile e ve­ niva consumata tutt 'al più in occasione delle grandi feste. Pane (nero) e olio di oliva erano l'alimento base dei poveri,196 asso­ ciati per quanto possibile con legumi (soprattutto cipolle) o uova. I n un midrash si dice: «Tuo padre è ricco, ti nutre con carne , pesce e vino vecchio ... tuo padre è povero, ti nutre con verdure e legumi>> . 1 97 Nell'editto dei prezzi di Diocleziano (301 d.C.) si limita il prezzo di mezzo chilo di carne di maiale a 12 denari; un uovo costa l denaro. Mettendo queste cifre in rap­ porto con il salario giornaliero mediamente percepito allora (25 denari),198 appare chiaramente che la carne poteva essere acquistata da una famiglia solo in via eccezionale . Doveva sen­ tirsi dare del «crapulone e ubriacone» chi mangiava circa 80 grammi di carne e beveva un quartino di vino (in questo caso vino di importazione i tal ica ) 1 99 Ampi settori della popolazione soffrivano certamente di malnutrizione cronica200 e a diverse famiglie povere in tempi di carestia201 non restava altro che nu­ trirsi di erba e radici.202 Così i poveri affamati devono aver in­ vidiato gli schiavi che, per ragioni economiche, erano suffi­ cientemente nutriti dai loro padroni. .

5.3.5.

Mobilità sociale

Le società antiche erano in linea di principio impermea­ bili. 203 MacMullen , che con il termine «mobilità sociale>> in-

1 96

W H I ITAKER 1991 , 321 .

1 97 Midrash, SifDt 37,76b, citato da BEN-DAVID

1 974, 309. 198 Sui dati relativi ai prezzi, BOcHER 1922, 229s. 199 B EN-DAVID 1974, 309. 200 WHITIAKER 1491 , 321 . 201 Sulle carestie di eccezionale gravità, cf. solo HAMEL 1 989, 44ss; GARN­ SEY 1 988. 202 DIONIGI DI AucARNASSO, AntRom. 1, 8, 3; cf. sopra la citazione di GA­ LENO, a p. 92. 203 Fondamentale, al riguardo, VIITINGHOFF 1990, 249ss.

Stratificazione e ·situazione sociale

165

tende non solo il passaggio da uno strato della società all'altro, ma anche il cambiamento di residenza e di professione, ritiene che la mobilità fosse molto bassa: «infatti, in un mondo costi­ tuito prevalentemente da piccoli agricoltori, le persone cam­ hiavano raramente di residenza ed erano pochi coloro che sali­ vano o scendevano nella scala sociale».204 L'assenza di mobi­ lità sociale dipende quindi anche dal fatto che la proprietà era legata in definitiva alla terra e quindi veniva trasmessa nor­ malmente agli eredi. Anche la provenienza da famiglie bene­ stanti era possibile solo mediante la nascita (o, pi ù raramente, mediante adozione). Senza dubbio, solo l'appartenenza al se­ nato romano era ereditaria, ma di fatto anche l'appartenenza al ceto dei cavalieri o alla nobiltà urbana delle province veniva trasmessa agli eredi. In tal modo esistevano dei limiti pratica­ mente invalicabili per l'ascesa sociale nello strato superiore. E tuttavia c'era una certa mobilità soprattutto nei gruppi dello strato superiore, dove l'ascesa nel ceto equestre e in quello se­ natoriale era comunque possibile. E vi era anche la possibilità che qualcuno si sposasse nelle famiglie aristocratiche o che, come liberto o addirittura come schiavo, riuscisse a diventare q ualcuno, quando le famiglie del padrone di schiavi si estin­ guevano senza lasciare eredi. La maggiore possibilità per ac­ quistare proprietà e rango, al di fuori delle rigide strutture so­ ciali, era offerta dalla carriera militare. Qui_ poteva succedere anche che qualcuno percorresse l'intera scala, da soldato sem­ plice a sottufficiale a ufficiale (entrando così a far parte dello strato superiore). Inoltre, lo stanziamento dei veterani nelle colonie romane faceva sì che si formasse, specialmente nelle province, uno strato superiore fedele a Roma. In ogni caso passando attraverso l'esercito, era possibile ottenere la cittadi­ nanza romana (al momento del congedo dalle truppe ausiliarie o dell'ingresso nella legione). Particolari opportunità avevano i centurioni con anzianità di servizio. Quando raggiungevano il rango di un primipilus, potevano essere accolti anche nell'ordo 204

MAcMuLLEN 1 981 (a), 1 55.

166

Storia sociale del cristianesimo primitivo

dei cavalieri. In via eccezionale anche qualcuno del gruppo del lavoratori agricoli poteva realizzare una modesta ascesa sociale. Al riguardo, possediamo un toccante documento, un 'iscrizione proveniente dalla provincia romana della N umidi a in Africa: «Sono nato come figlio di una famiglia povera, di un padre senza terra, che non aveva né patrimonio né casa. Dal giorno della mia nascita sono vissuto e ho lavorato nei campi. Né i campi né io stesso abbiamo mai avuto riposo. Quando l 'anno aveva portato a maturazione il frutto, ero sempre il primo a porre la falce attorno alle spighe. Quando la colonna degli uomini della falce aveva mietuto i campi e partiva per Cirta in Numidia, io precedevo tutti gli altri sul campo come primo ta­ gliatore e mi lasciavo dietro in fitta serie i covoni. Ho fatto dodici rac­ colti sotto il sole cocente e così sono stato acclamato dagli agricoltori capo della colonna. Sono stato capo della colonna dei tagliatori per do­ dici anni e i campi della Numidia sono stati mietuti da noi. Questi sforzi e una vita frugale mi hanno infine reso padrone, mi hanno assi­ curato casa e terra». 205

Senza dubbio, non molti compagni di sofferenza devono aver avuto la stessa «felice» sorte di questo lavoratore a gior­ nata. È vero piuttosto che i membri dello strato inferiore specialmente nelle campagne - registravano spesso la mag­ giore discesa sociale.

5.3.6. Disordini sociali Nelle società con gravi squilibri sociali non potevano man­ care anche disordini, conflitti e addirittura rivolte. «A qualun­ que livello scoppino questi conflitti», fra i loro fomentatori si trovano sempre «schiavi, poveri delle città personalmente li­ beri e contadini delle province, anch 'essi teoricamente liberi, ma di fatto privi di diritti e molto poveri».206 Sembra che vere e proprie rivolte di schiavi si siano avute solo nell'Italia meridio­ �ale. 207 E solo in poche province si �ono avute rivolte contro

205

Citato da ScHNEIDER 1 981 (b), 124. ALFùLDY 1 98 1 , 383; cf. anche GARNSEY-SALLER 1 989, 222ss. guardo, anche più avanti pp. 297ss. 1U1 TACITO, A nn. 4, 27; 12, 65. 206

a.,

al

ri­

Stratificazione e situazione sociale

167

Roma con un ampio coinvolgimento della popolazione locale (batavi, nell'anno 69; rivolta antiromana in Israele negli anni 66-70). Per quanto riguarda la città di Roma si conoscono disor­ dini provocati della plebs affamata sotto gli imperatori Tiberio c Claudio. Lì era l'esercito a tenere sotto controllo la folla in oc­ casione di pubb1 iche manifestazioni. Nel 32 d.C., Tiberio venne insultato in teatro dagli spettatori insorti per aver aumentato il prezzo dei cereali. L'imperatore pregò il senato e il magistrato di impegnare la loro autorità per schiacciare questa manifesta­ zione di dissenso. 208 Da allora le manifestazioni pubbliche fu­ rono regolarmente sorvegliate dalle truppe della guardia preto­ riana . Nerone ritirò nuovamente la guardia in occasione dei giochi.209 Anche nelle province si impiegò l'esercito romano per reprimere le sollevazioni e i disordini. Ma erano le stesse comu­ nità che dovevano assicurare l'ordine. Anche singoli cittadini bloccavano i sobillatori (cf. A t 18, 12-17). I disordini nella popo­ lazione potevano avere anche cause etniche e/o economiche (cf. At 19,23ss: sollevazione degli argentieri di Efeso}.210 Ma, tutto sommato, si resta colpiti dalla relativa «calma)) dei mem­ bri poveri dello strato inferiore.21 1 Luciano si meraviglia che i poveri si sollevino così raramente contro i ricchi, pur avendo sempre davanti agli occhi il loro lusso.212

:zns

209 21°

211

212

Ann. 6, 1 5. A nn. 13, 24s. Cf., al riguardo, anche più avanti pp. 561-566. Al riguardo, VnTINGHOFF 1 990, 257ss. LuciANO, Sat. 35.

TACITO, TACITO,

Parte seconda

Storia sociale del giudaismo in terra di Israele e i seguaci di Gesù

TIRO

Giscala lotapata



. cesarea di Filippo

\ Hippos

Ge rasa

Masada

FIG. 3.

La terra di Israele nel

l

secolo d. C.

La storia del popolo ebraico in terra di Israele o in Giudea, Palestina, 1 viene modellata, nell'ultimo trentennio del IV se­ colo a.C., dal passaggio dalla dominazione persiana a quella greca. I dominatori sono anzitutto i tolomei dell'Egitto e a par­ tire dalla transizione dal III al li secolo i seleucidi di Siria. L'a­ scesa di Roma accelera la fine del regno seleucida, per cui, dopo la rivolta maccabaica della metà del II secolo, la Giudea poté entrare in una fase di relativa autonomia sotto la dire­ zione degli asmonei. Ma a distanza di neppure cent'anni lo stato asmoneo cade sotto la diretta dominazione di Roma e dei suoi vassalli. Da essa il popolo ebraico non è più riuscito a liberarsi, nonostante le grandi sollevazioni al tempo della for­ mazione della letteratura di cui qui ci occupiamo.2 Questo cambio permanente della dominazione ebbe importanti conse­ guenze non solo sul piano della costituzione e dell'amministra­ zione politica, ma anche su quello dello sviluppo economico e sociale in terra di Israele , nonché naturalmente e non da ul­ timo in campo religioso. Al suo centro vi è sempre - come in tutte le società comparabili dell'antichità - l'antagonismo fra o

1 Qui noi usiamo indifferentemente la designazione biblica di «terra di Israele)>, il termine «Palestina)> introdotto dal linguaggio amministrativo ro­ mano-bizantino con l'intenzione di cancellare il termine «Giudea», odiato dai romani, e il termine «Giudea)>, corrente soprattutto a partire dagli asmonei, e usato ad esempio anche da Giuseppe Flavio, per indicare la Palestina abitata dai giudei, ivi compresa la Galilea e la Perea. Quando intendiamo la provincia romana dello stesso nome usiamo la grafia romana del termine (Judaea). Ri­ guardo ai nomi cf. Avi-YoNAH 1973, 322s; DoNNER 1976, 1 1 -13. 2 Le diverse fonti di natura letteraria, epigrafica e archeologica sono ac­ (Uratamente presentate da GRABBE ( 1992 ) nella sua opera in due volumi.

172

Storia sociale del cristianesimo primitivo

una piccola minoranza, consumatrice delle eccedenze, di membri delrélite dominante e delle persone del suo seguito nell'amministrazione e nell'esercito, da una parte, e la grande maggioranza, produttrice della ricchezza, degli appartenenti alle masse dominate, dall'altra.3 l. FONDAMENTI DELL'ANTAGONISMO

SOCIO-ECONOMICO Poiché nell'antichità la spina dorsale dell'economia anche in terra di Israele era l'economia agricola, anche lì si scontra­ vano in linea di principio gli interessi degli agricoltori (locali) e quelli dello strato dominante di turno. A prescindere dal pe­ riodo dell'autonomia asmonea, quest'ultimo era rappresen­ tato anzitutto e soprattutto dalle potenze egemoni straniere o dal loro rispettivo strato superiore, vassalli e persone del se­ guito . Ma tutti costoro si appoggiavano a loro volta sui membri del locale strato superiore ebraico e sulle sue persone del se­ guito, cioè perlomeno su un' «aristocrazia» di famiglie sacerdo­ tali, ma anche laicali. Naturalmente, anche i sacerdoti , e a volte anche quelli discendenti dalle famiglie di sommi sacer­ doti, si opponevano all'élite dominante , come mostra non da ultimo la rivolta maccabaica con la sua coalizione di piccoli agricoltori e sacerdoti de lle campagne. Dal punto di vista so­ cio-economico l'oggetto proprio dell'antagonismo è il fattore decisivo dell'economia: la terra. Lo dimostra, da una parte, il fatto che le élite dominanti perseguono sempre direttamente anche il possesso della terra, non da ultimo mediante confi­ sche; dall'altra, il modo di impadronirsi delle eccedenze, cioè il sistema delle imposte, che consisteva essenzialmente in una tas­ sazione dei prodotti economici (agricoli) e non di rado in una vera e propria consegna di prodotti della natura. Le conse-

3 J.H. KAUTSKY (1982, 72) afferma quindi non senza ragione che negli an­ tichi imperi mediterranei si trovano l'una di fronte all'altra non due «classi», ma due «Società» diverse, cioè l'aristocrazia che dominava e sfruttava e il po­ polo che era dominato e sfruttato.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

173

guenze economiche e sociali più appariscenti di questo sistema sono la concentrazione del possesso della terra nelle mani di un numero sempre minore di persone, nonché il crescente indebi­ tamento di un numero sempre maggiore di piccoli agricoltori e la concomitante riduzione di molti di loro al rango di fittavoli o braccianti e nella condizione di arrestati o resi schiavi per de­ hiti. La realtà sociale ed economica del popolo ebraico in terra di Israele era quindi caratterizzata dalla maggiore o minore di­ varicazione esistente fra lo strato superiore e lo strato infe­ riore rispetto alla terra e ali 'uso dei suoi prodotti. I crescenti problemi causati dai debiti illustrano al meglio questa situa­ zione. 2.

PRESUPPOSTI RELIGIOSI E CONSEGUENZE DELL'ANTAGONISMO

L'antagonismo socio-economico si riflette naturalmente anche sul piano religioso. Ciò dipende non solo dal fatto che il popolo ebraico - come altri popoli analoghi dell'antichità ­ interpreta sempre le proprie esperienze nel contesto della tra­ dizione religiosa, ma anche dal fatto che quest'ultima è già ca­ ratterizzata in se stessa da tradizioni socialmente ed economi­ camente rilevanti, derivate a loro volta dagli antagonismi so­ cio-economici del passato. Nella Torah (scritta), cioè il Penta­ tc uco, che ha assunto la sua forma attuale proprio in epoca persiana, una parte di questa tradizione era diventata un fon­ damento tradizionale normativo, per cui la sua legislazione so­ ciale e cultuale era stata considerata vincolante già anterior­ rnente al periodo storico di cui qui ci occupiamo. 4 Al riguardo, . t lcuni elementi fanno pensare che in questa tradizione fosse avvenuto sul piano socio-economico, e fosse stato innalzato al l i vello di tradizione giuridica santificata, un certo accomoda­ mento fra gli interessi degli agricoltori (ad esempio, con il di­ vieto di esigere interessi e soprattutto con le norme giuridiche

4 Cf., al riguardo, CROSEMANN 1 992(a); ALBERTZ 1992.

174

Storia sociale del cristianesimo primitivo

relative alla remissione dei debiti) e quelli dei sacerdoti (ad esempio, con le norme relative alle imposte ) .5 Altre tradizioni, come ad esempio quella profetico-escatologica e quella sa­ pienziale, che non sono state accolte nel Pentateuco o lo sono state solo molto marginalmente, dovrebbero aver raggiunto una certa importanza normativa già al tempo della domina­ zione ellenistica. Ancora altre tradizioni, successivamente au­ torizzate, di provenienza profetico-escatologica o prato-apo­ calitt ica e sapienziale-scettica sorgono proprio in questo pe­ riodo.6 Possiamo quindi pensare che tradizioni molto diverse abbiano esercitato il loro influsso sull'antagonismo socio-eco­ nomico in terra di Israele e che questo abbia influenzato a sua volta il processo della trasmissione e della formazione della tradizione. Così, ad esempio, la corrente dell'apocalittica che continua a crescere in questo periodo è da porre in relazione con le esperienze di crisi che dovettero fare , anche se in modo molto diverso, lo strato superiore e lo strato inferiore del po­ polo ebraico. Lo stesso dicasi della concentrazione su determi­ nate prescrizioni della Torah che contraddistinguono l'identità del popolo ebraico e della discussione delle norme halakhiche (relative al diritto religioso) quando si tratta di applicarle a n uove situazioni. La normativa pikuach-nefesh nella halakha del sabato7 e il prosbol nel diritto debitorio8 ne sono degli esempi. Anzi, persino norme apparentemente rilevanti solo dal punto di vista religioso, come quelle relative alla purezza rituale e alla halakha alimentare, riflettono una determinata, e anche controversa, reazione alle condizioni sociali. Ma questo non esaurisce l'importanza socio-storica della tradizione reli­ giosa. Infatti, incastonati nell'antagonismo socio-economico anche la Torah e i Profeti e gli Scritti sapienziali che la comple­ tano e la spiegano hanno esercitato un 'influenza sulla forma­ zione dell'identità e sulla direzione da prendere. Come è indi-

Cf. CROSEMANN 1992(b ) 393ss. 6 Sulla storia del canone cf., ad esempio, BEcKWITH 1985; MEADE 1986 e i relativi contributi in BALDERMANN, fra l'altro 1988. 7 Al riguardo, cf. più avanti pp. 354ss. 8 Cf. più avanti, p. 195. �

,

Storia sociale del cristianesimo primitivo

175

scutibile che la Torah impartisce norme concrete per la vita comunitaria, così è indiscutibile che esse valgono per Israele, cioè che nella Torah si articola e costituisce la relazione unica del Dio di Israele con il suo popolo e con la terra di Israele. E tuttavia essa viene variamente interpretata. Ciò appare chiara­ mente dalle esegesi della Torah fatte dalle correnti apocalitti­ che, dai sadducei, dalla comunità di Qumran e dai farisei e, non da ultimo, anche dai seguaci di Gesù. Riflessi di tutto que­ sto troviamo anche nella controversia con l'ellenismo in terra di Israele. 3.

FATfORI SOCIO-ECONOMICI E FORMAZIONE DI GRUPPI

I fattori socio-economici e politici influenzano in partico­ lare la fornzazione di gruppi in terra di Israele, anche se la mi­ 'ura della loro influenza è certamente diversa. Senza dubbio, tutti i membri dei diversi raggruppamenti hanno partecipato, in un modo specifico alla loro appartenenza a un determinato strato, all'antagonismo socio-economico, ma ciò non significa che possano essere ridotti ad esso. Vedremo, in particolare ri­ guardo alla comunità di Qumran e ai farisei, che i loro interessi religiosi, anche se in modi molto diversi, potevano essere in conflitto con i loro interessi socio-economici. Questi esempi mostrano anche chiaramente che il processo della tradizione e dell 'esegesi, per quanto pluralistico e antagonistico, non si espanse all 'infinito in ogni direzione, ma restò saldamente le­ gato, attraverso la base tradizionale consolidata della Torah, a una realtà stabile. Anche per questo, come vedremo, l'antago­ nismo religioso e l'antagonismo socio-economico non comba­ ciano. Come è innegabile, ad esempio, che farisei e sadducei avevano interessi diversi - favorevoli o contrari all'amplia­ mento della base tradizionale della Torah mediante la tradi­ zione profetica -, così è innegabile che questi interessi si pos­ sano ridurre semplicemente alle rispettive posizioni socio-eco­ nomiche. Ancora una volta, la storia del movimento farisaico insegna che la volontà di armonizzare diversi orientamenti e

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interessi - volontà che si è espressa nella costituzione della Torah quale base tradizionale comune - fu essa stessa un fer­ mento di continuazione dell'antagonismo. Questi fattori che trascendono la collocazione sociale ed economica si trovano anche in movimenti che, diversamente dai sadducei, farisei ed esseni, non erano radicati negli strati dominanti e nelle per­ sone del loro seguito, ma erano costituiti da persone prove­ nienti dallo strato inferiore . A questi ultimi apparteneva, a no­ stro avviso, anche il mòvimento dei seguaci di Gesù.

4. I SEGUACI DI GESÙ IN TERRA DI ISRAELE All'origine del movimento religioso che venne poi detto cristianesimo vi è un gruppetto di uomini e donne, nel quale Gesù di N azaret ha giocato il ruolo centrale. Questo gruppo, costituitosi ad un certo punto degli anni 20 del I secolo anzi­ tutto in Galilea e indicato generalmente come «movimento di Gesù» apparteneva, in base alla sua auto-coscienza religiosa, alla sua prassi di vita e al suo radicamento sociale, e non da ul­ timo anche a causa della sua limitazione geografica , al giudai­ smo in terra di Israele . Non si deve certamente misconoscere il fatto che Gesù o il gruppo che da lui prese il nome rappresentò in seno al giudaismo del tempo una posizione religiosa o teolo­ gica particolare - ad esempio relativamente all'interpreta­ zione della Torah e soprattutto alla proclamazione del regno di Dio come imminente che distingueva Gesù o il suo gruppo dagli altri raggruppamenti ebraici e che generava a volte anche veri e propri conflitti con questi ultimi, ma i se­ guaci di Gesù conservarono, anche là dove si distinguevano dagli altri gruppi, la loro identità ebraica. Essi rimasero, inol­ tre, costitutivamente legati alle fondamentali istituzioni comu­ nitarie e sociali dell 'Israele del tempo e furono caratterizzati dalla sua esperienza del presente. Per motivi attinenti alla sto­ ria religiosa e alla storia sociale, i seguaci di Gesù appartengono quindi al giudaismo della terra di Israele. Dopo la morte di Gesù il movimento continuò a vivere anzitutto in terra di Israele. Da una parte, sappiamo dalla cosiddetta «fonte dei lo-

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�ia» (una fonte comune al Vangelo di Matteo e di Luca, e da �:ssi rielaborata e introdotta nelle tradizioni riprese dal Van­ gelo di Marco) che un gruppo di «profeti» continuò la predica­ zione di Gesù (poiché dal punto di vista storico-sociale questa •seconda generazione» di seguaci di Gesù non si distinse prati­ camente dal movimento originario non è necessaria una sua trattazione a parte), dall'altra, risulta dagli Atti degli Apostoli e, fra l'altro, anche dalla Lettera ai Galati di Paolo che, ac­ canto a questi profeti itineranti, i seguaci di Gesù stabilirono un centro urbano anzitutto a Gerusalemme. Qui sorse una co­ munità stabile, la cosiddetta comunità primitiva di Gerusa­ lemme. Di essa dovremo sia pur brevemente occuparci, es­ sendo caratterizzata dalla stabilitas foci, quindi non più dall'e­ sistenza itinerante propria del movimento vero e proprio di Gesù, o dalle condizioni tipiche di un ambiente urbano e do­ vendo essere considerata per così dire come il punto di par­ tenza di altre comunità in Giudea, ma anche delle comunità credenti in Cristo urbane al di fuori della terra di Israele, delle quali parleremo nella parte terza. Mentre i seguaci veri e pro­ pri di Gesù, la comunità primitiva di Gerusalemme e le comu­ nità della Giudea vanno collocate storicamente nel periodo precedente la catastrofe del popolo ebraico (70 d.C.), i Vangeli di Matteo e di Giovanni rappresentano a nostro avviso le co­ munità messianiche urbane in terra di Israele nel periodo dopo il 70. Quindi con l'espressione «seguaci (o seguito) di Gesù in terra di Israele» intendiamo qui il movimento vero e proprio di Gesù, la comunità primitiva di Gerusalemme o le comunità della Giudea e quelle comunità messianiche in Israele posteriori al 70, che vediamo rappresentate sul piano letterario nei Vangeli di Matteo e di Giovanni. • *

*

Struttura della seconda parte Anzitutto presentiamo la situazione economica della terra di Israele (capitolo quarto), gettando poi uno sguardo gene­ rale sulla stratificazione sociale della popolazione (capitolo quinto). Nel capitolo sesto trattiamo delle tracce che queste

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condizioni socio-economiche hanno lasciato nella storia reli­ giosa ebraica prima e al di fuori del seguito di Gesù in terra di Israele e diamo uno sguardo anche ai movimenti politici e so­ cial-rivoluzionari di resistenza e di rivolta in epoca erodiano­ romana, movimenti che erano legati solo in parte a un esplicito programma religioso. Infine, presentiamo i seguaci di Gesù dalle loro origini nel movimento vero e proprio di Gesù (capi­ tolo settimo) fino alle comunità messianico-giudaiche in Israele dopo la catastrofe della guerra giudaico-romana (capi­ tolo ottavo).

Capitolo quarto

La situazione economica in terra di Israele

L'economia del popolo ebraico in terra di Israele era ca­ ratterizzata da una parte da fattori produttivi, quali l'agricol­ tura, l'artigianato, il commercio e la piccola industri a; dall 'al­ tra da condizioni politiche che stabilivano la natura e l'am­ montare di imposte, tributi, dogane e tasse che si dovevano pa­ gare allo stato centrale o alla potenza straniera di turno, non­ ché al tempio o al sacerdozio. Descriveremo quindi anzitutto la situazione di agricoltura, artigianato, commercio e piccola industria, tenendo conto anche delle condizioni di proprietà della terra, che è stata anche in Palestina la base della ric­ chezza (sezione l). Poi illustriamo i problemi che le imposte «statali» (sezione 2) e «religiose)) (sezione 3) creavano alla po­ polazione. Infine, tratteremo brevemente d eli 'importanza del tempio per l'economia (sezione 4). Quando necessario e possi­ bile in base allo stato delle fonti, distingueremo fra le condi­ zioni prevalenti nei diversi periodi storici. l . AGRICOLTURA, A RTIG IANATO,

COMMERCIO E PICCOLA INDUSTRIA 1.1. l FATIORI DECISIVI DELL ' ECONOMIA IN TERRA DI

I SRAELE

Come l'economia dei paesi mediterranei in genere anche quella della Palestina era di natura prevalentemente agricola.1 I fattori produttivi basilari erano quindi la terra e la forza la1 Cf., al riguardo, HERZFELD 2 1894; KRAuss II, soprattutto 248ss; HEJ­ >.39 Ma grazie a un'utilizzazione più razionale del suolo e a un'ammini­ strazione rigidamente organizzata, sotto i tolomei si può regi­ strare anche un notevole progresso dell'economia della Pale­ stina, il che induce Freyne a parlare di un «agrarbusiness». 40 Un'eloquente testimonianza al riguardo è costituita dalla corri­ spondenza di Zenone risalente alla metà del III secolo.41 Essa mostra anche come avvenivano i processi economici. Le

Degno di nota in questo contesto è anche un editto di Tolomeo II Filadelfo (283-246 a.C.) che prende chiaramente posizione contro la riduzione in schiavitù dei piccoli agricoltori.42 È probabile che qui af­ fiori un conflitto di interessi fra i vertici statali e gli appaltatori delle terre statali. Se questi, assieme agli agricoltori da loro dipendenti, erano interessati alla produttività dell'azienda, così da ridurre il nu1;

35 Cf. FIEN SY 1991 , 28ss. Salome lasciò in eredità dei territori in Galilea alla moglie di Augusto, Livia, la quale li passò poi a suo figlio Tiberio (GIU SE PPE FLAVIO, Ant. 1 8 3 1 ) . 37 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 1 7, 355. 2 1973, 40s. 38 Cf. HENGEL ;(, 39 TARN 1 959 (1 966), 179; HENGEL 21973, 68. 40 FREYNE 1980, 171. 41 Cf., al riguardo, RosTOVTZEFF 1955-1956, 268ss; HENGEL 21973, 76ss; KIPPENBERG 1978, 78ss. 42 Cf. RosTOVTZEFF 1955-1956, 270ss ; K I PPEN B E R G 1978, 79s. 36

.

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mero delle persone che ne facevano parte mediante la riduzione in schiavitù di alcuni dei loro membri, il re era interessato da parte sua al maggior numero possibile di liberi agricoltori, dal momento che aveva diritto a una parte del loro raccolto.43

1.2.3. Dominazione seleucida «A parte l'iniziale soppressione delle tasse per Gerusa­ lemme, la dominazione seleucida non ha cambiato pratica­ mente nulla nella situazione economica della terra di Israele. Anzi, sul fronte della politica impositiva la situazione della po­ polazione ebraica registrò addirittura un peggioramento.44 Hengel ha ipotizzato che gli sforzi riformatori ellenistici nello strato superiore di Gerusalemme abbiano avuto anche motiva­ zioni economiche. Essi avrebbero dovuto condurre a uno scambio economico illimitato, cioè più libero dalle restrizioni di natura giuridico-religiosa, con il mondo ellenistico circo­ stante.45 Ma la cosa è discutibile, in quanto i progressi tecnolo­ gici erano stati introdotti già in antecendenza.46 Va comunque notato che l'intenzione dei riformatori era in ogni caso quella di assicurare, mediante l'introduzione della cittadinanza elle­ nistica, la condizione economica dello strato superiore. Dali 'opera Oeconomica, 41 dovuta probabilmente ad Ari­ stotele, apprendiamo inoltre, riguardo all'epoca seleucida che l'intera economia del regno era divisa in quattro categorie am­ ministrative: economia del re, economia dei satrapi, economia urbana, economia privata. La corte reale aveva il monopolio dell 'economia monetaria, del commercio interno ed estero e delle imposte, mentre le satrapie o province amministravano le rendite statali provenienti dagli appalti ( ekphoria) e dalle de­ cime (dekate ) , cioè dalle tasse e dalle imposte. Gli introiti del43 È possibile che la Lettera di Ari.stea (22ss) presupponga questo decreto; cf. KIPPENBERG 1991 , 245s. 44 Cf. più avanti, p. 198. 4s Cf. HENGEL 2 1973, 505s; 1 976, 66. 46 Cf. la critica in BRINGMANN 1983, 76s. 47 Cf. , al riguardo, RosTOVTZEFF 1 955-1956, 343ss.

/Ja situazione economica in terra di Israele

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l'economia delle province riguardavano soprattutto la proprietà terriera e altre proprietà dello stato, il commercio e la piccola in­ dustria, il bestiame , le dogane terrestri e tasse di ogni genere . L'economia della polis riguardava l'amministrazione degli in­ troiti provenienti dalle proprietà terriere del loro territorio e an­ che da determinate tasse. L'economia privata, infine, riguar­ dava soprattutto la proprietà terriera e il prestito di danaro. Questa suddivisione, da una parte, illustra ancora una volta l'ampio spettro dell'economia antica, costituito dal possesso della terra o degli immobili e degli introiti che ne derivavano, ma anche dal commercio, dalla piccola industria e dalle imposte che gravavano su di essi; dali 'altra, mostra come l'economia agricola e quella urbana fossero distinte. Questa distinzione appare, non da ultima, nelle relazioni con la terra e nei rapporti di dipen­ denza degli agricoltori, cui esse davano luogo. Così, accanto ai piccoli agricoltori occupati sulle terre reali vi erano q uelli che la­ voravano le proprietà terriere dello strato superiore urbano. Le proprietà terriere molto estese, infatti, impiegavano anche nelle mansioni più diverse lavoratori assunti a giornata e schiavi. 1 .2.4. La

situazione sotto gli asmonei

«Sotto gli asmonei i piccoli agricoltori ebrei godettero ap­ parentemente di un te nore di vita relativamente sopportabile, essendo stati ampiamente liberati dal peso fiscale imposto loro dai seleucidi. È difficile pensare che gli asmonei abbiano consi­ derato tutti gli agricoltori come fittavoli dello stato, impiegati sulle terre di proprietà della corona. Ma anch 'essi possede­ vano proprie proprietà terriere, a volte molto vaste. Così si deve pensare che le piantagioni di balsamo nei pressi di Gerico fossero proprietà degli asmonei, come pure la pianura di Jesr­ eel conquistata da Giovanni Ircano. E questi non erano certa­ mente gli unici possedimenti degli asmonei. Solo che essi - a differenza dei sovrani ellenistici che li avevano preceduti non consideravano la terra in sé come loro proprietà.48 Inoltre,

48 Cf., ad esempio, MITIWOCH 1935, 352ss; soprattutto KREISSIG 1969, 231 ; APPLEBAUM 1977, 360.

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Schalit ipotizza che gli asmonei abbiano insediato piccoli agri­ coltori privi di terra nei territori conquistati, in qualità di fitta­ voli sui possedimenti reali, o (probabilmente nella maggior parte dei casi) come p roprietari della terra.49

1 .2.5. I cambiamenti sotto la dominazione romana ed erodiana A metà del I secolo a.C., questa situazione ha subito un profondo cambiamento ad opera di Pompeo e del suo legato Gabinio.50 Essi ripristinarono infatti le condizioni vigenti al tempo della dominazione ellenistica. La separazione della re­ gione costiera e delle città della Transgiordania dal territorio dello stato giudaico privò molti piccoli agricoltori ebrei delle loro terre e delle loro case e li costrinse ad emigrare nella parte residua dello stato. Inoltre, la perdita dei territori più ur­ banizzati comportò una limitazione del commercio, il che pro­ vocò un'ulteriore pressione sul settore agricolo. Solo Joppe probabilmente rimase una città portuale con una nutrita popo­ lazione ebraica. Ma in ultima analisi fu soprattutto l'imposi­ zione del tributo alla Giudea ad avere notevoli conseguenze per la popolazione. 51 Erode il Grande imitò in qualche misura i sovrani ellenisti, imponendo, da una parte, tasse molto alte , e, dall'altra, sulla scia della sua esclusione dello strato superiore tradizionale, confiscando enormi proprietà terriere. 52 Sia che le abbia utilizzate come proprietà personali, sia che le abbia passate ai suoi favoriti, in ogni caso la terra era lavorata sem­ pre più da fittavoli, lavoratori a giornata e schiavi. In questo modo una notevole quantità di terra passò in mano a proprie­ tari non giudei, mentre crebbe la percentuale dei fittavoli ebrei, il che elevò naturalmente anche il potenziale di conflit­ tualità sociale.

49 Cf. ScH ALJT 1969, 171s con l'aggiunta di 702ss; APPLEBAUM 1 977, 358s. so Questo è stato evidenziato soprattutto da APPLEBAUM 1976, 632s; 1977, 360s. 51 Cf. più avanti, p. 200s. 52 Cf. ad esempio GIUSEPPE FLAvio, Ant. 17, 304ss.

La situazione economica in terra di Israele

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1 .3. LA PROPRIETÀ DELLA TERRA AL TEMPO DI ERODE

Con un 'accurata analisi delle fonti (soprattutto Giuseppe Flavio, letteratura rabbinica e Nuovo Testamento, nonché i ri­ sultati delle ricerche archeologiche), Fiensy ha ricostruito il quadro generale delle medie e grandi proprietà terriere in Pa­ lestina al tempo di Erode. 53 Egli distingue fra le grandi pro­ prietà terriere del re e le grandi proprietà terriere dell'aristo­ crazia. Fra i grandi proprietari terrieri non erodiani vi era an­ che tutta una serie di famiglie sacerdotali. Fiensy (con Dohr54) opera la seguente distinzione: l. piccole aziende (1 0-80 iugera = circa 2,5-20 ettari) 2. medie aziende (80-500 iugera = circa 20- 125 ettari) 3. grandi aziende (oltre 500 iugera = oltre 125 ettari). A conclusione della sua analisi Fiensy afferma che le grandi e medie proprietà terriere - cioè le proprietà abba­ stanza grandi da consentire di non lavorarle personalmente , rna di impiegarvi fittavoli, lavoratori a giornata e schiavi erano molto diffuse. La maggiore proprietà terriera attestata dalle fonti era Qawarat Reni-Hassan nei pressi di Sichem. Doveva oltrepassare il migliaio di

ettari ed essere appartenuta anzitutto agli asmonei e poi agli ero­ diani.55 Dar stima che su questo possedimento reale siano vissute circa 175-200 famiglie. Forse esse erano inizialmente proprietarie, di­ ve ntando poi sempl ici fittavole dei loro propri appezzamenti. Nella parte settentrionale della proprietà si trova un edificio («palazzo») costruito con enorm i blocchi di pietra di stile erodiano, tenuto proba­ bilmente a disposizione dei proprietari quando si recavano in visita alla loro proprietà. Su una collina è stata trovata una struttura fortifi­ l'ata, che serviva probabilmente anche all'amministrazione dell'e­ norme complesso. La «Haris» che si trova a oriente di Qawarat Beni­ l fassan era probabilmente il villaggio di Arus, ricordato da Giuseppe

53

54 ss

Cf. FIENSY 1991, 24ss; altri esempi ora in Z. SAFRAI 1994, 355ss. DoH R 1 965.

Cf. DAR 1 986, 230ss; FIENSY 1991 , 38ss. In base alla struttura della te­ nuta quest'ultimo autore ipotizza che il complesso esistesse già all'epoca dei l(llomei.

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Aavio,56 che Erode aveva donato al suo ministro Tolomeo di Rodi. 57 Questo complesso non è atipico. Esistono infatti alcuni indizi che fanno pensare che Erode e i suoi successori, nonché i loro favoriti, avessero quasi ovunque in Palestina grandi proprietà terriere, forse con la sola eccezione dei dintorni di Gerusalemme, dove avevano i loro possedimenti le famiglie dello strato superiore non erodiano e non da ultimo le famiglie dell'aristocrazia sacerdotale, come quella di Giuseppe Flavio. 58 Anche nel Nuovo Testamento vi sono dei riflessi di questa situazione, soprattutto nelle parabole (cf., ad esempio, Mc 12,1 -12; Le 1 5,1 1ss; 16,1ss) ;59 Non mancano, inoltre, delle allusioni al possesso della terra nei dintorni di Gerusalemme con riferimento ai seguaci di Gesù (cf. Mt 27 5 7 ss ; Mc 15 21 ; At 4,36s; 5,1 ) . ,

,

Non è possibile dire quale fosse il rapporto fra fittavoli e coltivatori diretti in epoca romana. La maggioranza era costi­ tuita ancora da questi ultimi o dai primi?60 Ma anche se la maggioranza era costituita ancora dai coltivatori diretti , si deve ritenere con Fiensy che la terra controllata da Erode o dai suoi successori e dagli strati superiori abbia influenzato in modo significativo l'economia della Palestina.61

1 .3.1 . Concentrazione economica

all'epoca della dinastia di Erode Che Erode considerasse chiaramente tutta la terra come sua proprietà risulta anche dalla sua politica degli insedia­ menti, di cui beneficiarono comunque , oltre ai veterani, anche giudei provenienti da Babilonia e dall 'Idumea. Ma lo dimo­ strano anche le città fondate da Erode e dai suoi successori e la loro enorme attività edilizia.62 Quest'ultima assicurò agli agri­ coltori rimasti senza terra la possibilità di un salario.63 Date le grandi somme di cui Erode aveva bisogno soprattutto per le 56

Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 69. Cf. DAR 1986, 236; fiENSY 1991 , 42. � Cf. GIUSEPPE FLAvi o, Vita 422. Cf. FIENSY 1 991 , 49ss. 59 Al riguardo, HENGEL 1960; HERZ 1928; FIENSY 1991 , 55s. 60 Cf. FIENSY 1 991, 60 con nota 175, dove vengono ci t at i i rappresentanti dell'una e dell'altra risposta. 61 FIENSY 1991 , 60. 62 Al riguardo, MOMIGLIANO 1934(b), 351ss; APPLEBAUM 1976, 657s. 3 1962, 9ss . 63 Cf. J. JEREMIAS S7

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La situazione economica in terra di Israele

costruzioni, l'esercito e l'amministrazione, ma anche per i suoi costosi regali, non sorprende che Giuseppe Flavio lo accusi di aver speso di più di quanto disponesse.64 Lo stesso vale per i suoi successori. Sotto Erode, gli introiti dirivanti dalle tasse ammontavano annualmente ad almeno 1 000 talenti ( l talento 6000 denari), come si evince dal fatto che , secondo Giuseppe Flavio, gli in­ troiti statali dei suoi eredi ammontavano a più di 900 talenti (Erode Antipa 200; Filippo 100; Archelao 600; Salame 60) e gli introiti di Agrippa I hanno raggiunto i 1200 talenti.65 A ciò si aggiungevano le entrate derivanti dai beni della corona e da altre fonti, per esempio dalle miniere. È evidente che in tal modo Erode e i suoi successori stimolarono l'economia del paese , ma esercitarono anche un 'enorme pressione fiscale sulla sua popolazione. Senza le somme che affluivano nel paese dalla diaspora sotto forma di tassa per il tempio, difficil­ mente si sarebbe potuto provvedere al tradizionale culto del tempio e assolvere i doveri collegati con il tempio, per non parlare poi delle enormi opere edilizie di Gerusalemme. I cambiamenti economici intervenuti in Palestina dal tempo della dominazione romana si possono caratterizzare quindi, con Applebaum, come una «grave mancanza di terra», cioè come una riduzione all 'osso della superficie pro capite utilizzabile a fini agricoli.66 Sempre più persone dovevano provvedere al proprio sostentamento con sempre minor quan­ tità di terra. La conseguenza fu la dissoluzione delle forme tra­ dizionali di insediamento.67 Nonostante la superficie delle terre coltivate si estendesse sempre più,68 un numero sempre maggiore di coltivatori diretti disponeva di una quantità sem­ pre minore di terra. Al tempo stesso, le confische e la pres=

64

GIUSEPPE FLAVJO, Ant. 1 6, 1 54. Cf. SCHALIT 1 969, 262ss: APPLEBAUM 1977, 375s. 66 Cf. APPLEBAUM 1 976, 656; 1977, 366s. 67 In ogni caso così si possono interpretare certi reperti archeologici se­ condo APPLEBAUM 1 976, 641ss; 1977, 361 ss. 68 La Galilea, ad esempio, deve essere stata coltivata al 97% ; cf. CoLOMB­ KEoAR 1971, 136-140. Secondo REIFENBERG 1938, 1 1 3ss, era coltivato solo il 65-70% circa dell'intera superficie. 65

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sione fiscale riducevano sempre più il margine dell'afferma­ zione personale, per cui aumentava continuamente il numero degli agricoltori che perdevano la loro terra. L 'indebitamento e l'espropriazione dei piccoli agricoltori sono i segni distintivi dell'epoca romana. Si può quindi effettivamente parlare di un vero e proprio processo di impoverimento. La riduzione dei piccoli agricoltori liberi alla condizione di braccianti o addirit­ tura di mendicanti, passando per lo stadio di fittavoli, non rap­ presentò affatto un'eccezione. Cosl, da un lato crebbe il nu­ mero di coloro che lavoravano la terra come piccoli fittavoli o addirittura come braccianti e non più come proprietari e, dal­ Paltro, la proprietà terriera si concentrò in mano a pochi. In­ teri villaggi vennero così a trovarsi, anche come insediamenti, alle dipendenze dei grandi proprietari, mentre viceversa da poche fattorie autonome si costituirono agglomerati di molte case più piccole.69 1 .3 .2.

Problemi legati all'indebitamento

Al più tardi in epoca erodiana questa situazione trova la sua sedimentazione anche nella legislazione ebraica relativa ai debiti. Infatti, secondo la Mishnah/0 mediante l'introduzione del prosbol, Hillel ha creato la possibilità halakhica di conser­ vare un debito oltre l'anno sabbatico, e precisamente attra­ verso la spersonalizzazione delle obbligazioni, che ora pote­ vano essere passate a un tribunale.71 Forse egli si limitava a re­ golare una prassi preesistente,72 che viene probabilmente pres­ supposta anche in un documento aramaico riportato su un pa­ piro trovato nel wadi Muraba'at.73 Questa delicata modifica della legislazione ebraica relativa ai debiti (Dt 15,1ss), che pre­ scriveva una totale remissione del debito nell 'anno sabbatico, era probabilmente dovuta al fatto che, a causa della possibilità

69

Cf. APPLEBAUM 1 976, 643. Mishnah. Shevi 10, 2-4. 71 Cf., al riguardo, il trattato mishnaico Shebiit (JAsTRow-CoRRENS 1 960) . 72 Cf. NEUSNER 1973, 14ss. 73 Cf., al riguardo, FIENSY 1 991 , 6ss.

70

La situazione economica in terra di Israele

195

della remissione del debito nell'anno sabbatico, non si pre­ stava affatto o si prestava controvoglia ai più poveri, che erano poi coloro che ne avevano più bisogno, e questo nonostante la Torah considerasse un dovere il fare credito. 74 La normativa di liillel sarebbe stata introdotta quindi per favorire i poveri op­ pressi e non i ricchi prestatori di danaro. Tuttavia essa favori­ sce anche questi ultimi e sostiene il loro interesse a veder assi­ curati i loro prestiti. Goodman ha addirittura ipotizzato che il prosbol sia stato introdotto per favorire l'aristocrazia sacerdo­ tale o laicale e le loro intenzioni di investimento.75 Che que­ st'impoverimento dei piccoli coltivatori costituisse una note­ vole spinta al brigantaggio e alla formazione di movimenti ri­ voluzionari è pacifico. Non a caso i circoli asmonei esautorati continuarono a reclutare proprio fra i piccoli agricoltori schiere di sostenitori per le loro battaglie contro la classe do­ minante romana ed erodiana.76 Il clima rivoluzionario pro­ dotto dal nuovo ordinamento della Palestina da parte di Pom­ peo è anche una caratteristica socio-politica di tutto il periodo fino alla (prima) grande rivolta e non è certo un caso che pro­ prio al suo inizio si sia bruciato l'archivio di Gerusalemme in cui si conservava la documentazione relativa ai debiti. n Allora si raccolse per così dire ciò che Pompeo aveva seminato più di cent'anni prima.78 2.

LA STRUTTURA DELLE IMPOSTE IN TERRA DI ISRAELE

Il criterio della dominazione in terra di Israele, nonché il suo fine primario, era quello di percepire le imposte e di incas­ sare le tasse. Gli scopi che si collegavano a tale prassi erano naturalmente molto diversi. Per la dominazione straniera

74 Cf., al riguardo, 0AKMAN 1 986, 73ss; 75 Cf. GooDMAN 1 982; 1987, 57s. 76 Cf. ScHALIT 1 969, 323s. n GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 427. 78 Cf. APPLEBAUM 1 977, 361 .

CROSEMANN 1992, 268s.

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greca e romana o per quella dei loro vassalli vi erano natural­ mente in primo piano la conservazione e l'ampliamento della posizione di potere che si era riusciti a conquistare e quindi, in ultima analisi, il proprio arricchimento. Questo è stato spesso anche lo scopo dello strato superiore giudaico che ha parteci­ pato alla dominazione o che l'ha esercitata. Ma quest 'ultimo era anche più fortemente vincolato dalle tradizionali condi­ zioni di legittimazione del popolo ebraico. Ciò vale soprattutto per l'aristocrazia sacerdotale, il cui «diritto di tassazione» era garantito dalla legislazione biblica. Nella nostra descrizione di­ stinguiamo quindi fra imposte «Statali» e imposte «religiose».79 Si tratta naturalmente di una distinzione artificiale sotto di­ versi punti di vista. E tuttavia in terra di Israele la concentra­ zione delle imposte «religiose» sul tempio e il culto poterono signif�care, proprio sotto il giogo della dominazione straniera e in opposizione alle imposte «Statali», anche una specie di ma­ nifestazione di identità .80 Raccogliamo le diverse tasse «religiose» (tassa del tempio, decima, offerta delle primizie ecc.), i tributi e le imposte di­ rette (tassa fondiaria, capitazione ecc.), le imposte indirette (tassa della corona, tassa del sale, tassa sulle vendite ecc.), le tasse doganali (tassa doganale di ingresso e di uscita, tassa do­ ganale portuale, dazio ecc.), gli obblighi e le corvées (anga­ ria, 8 1 cf. anche Mt 5,41 ) che venivano imposti alla popolazione ebraica in Palestina, sotto il termine appunto di imposte.Pa La natura e l 'intensità del gravame rappresentato da queste impo­ ste erano naturalmente diverse, ma strutturalmente il sistema rimase relativamente uniforme dai tolomei fino ai romani. 83

79

Cf. solo STENGER 1988. Cf. STENGER 1 988, 149. Cf., al riguardo, Luz 1985 , 293. 82 Ciò corrisponde all'antica prospettiva, quale appare ad esempio nel termine greco telos; cf. HERRENBROCK 1 990, 191. !:IJ Un a buon.a panoramica generale si trova in STENOBR 1988; cf., inoltre, HERRENBROCK 1990. 80 81

La situazione economica in terra di Israele

197

2.1 . LE IMPOSTE STATALI 2. 1 . 1 . La struttura impositiva

sotto la dominazione ellenistica Nel passaggio dall'egemonia persiana a quella greca si ebbe un cambiamento nell'organizzazione della struttura im­ positiva. I tolomei introdussero, anche in Giudea come ovun­ que altrove, il sistema greco della concessione in appalto.84 Ciò significava che la responsabilità della riscossione delle imposte non veniva assunta direttamente, ma delegata e sub-delegata a imprenditori, cioè impresari o finanzieri. Normalmente il di­ ritto di riscuotere le imposte veniva aggiudicato al miglior of­ ferente per la durata di un anno. Gli appaltatori delle imposte (telones, pl. telonai) potevano essere singole persone o società. In linea di principio i territori assegnati mediante asta erano villaggi, distretti e persino intere province, ma nella maggior parte dei casi si trattava di piccoli appalti. Gli appaltatori delle imposte fungevano da «intermediari fra coloro che pagavano le imposte e i funzionari incaricati della riscossione»85 dell'am­ ministrazione finanziaria del re . Questi ultimi controllavano attraverso l'amministratore delle finanze (oikonomos) di una provincia gli appaltatori delle tasse e delle imposte; ma questi sorvegliavano a loro volta coloro che pagavano le imposte e i funzionari incaricati della riscossione. Gli appaltatori e i loro igaranti dovevano certamente rispondere in ultima analisi nel caso in cui non fossero riusciti a riscuotere la somma pattuita, �ma, nel caso in cui avessero riscosso più di quanto dovevano, mtascavano la differenza. Giuseppe Flavio ci offre la possibi­ lità di farci un 'idea di queste procedure quando descrive la messa all'asta dell'appalto generale delle imposte per la Siria e la Fenicia da parte del tobiade Giuseppe:

84

as

Al riguardo, ora soprattutto HERRENBROCK 1990, 108ss. RosTOVTZEFF 1955/56, 258.

1 98

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«Ora, nel giorno della messa all'asta dell'appalto delle imposte, i più eccellenti di ogni città fecero le loro offerte per aggiudicarselo. Erano già stati offerti 800 talenti per le imposte di Siria, Fenicia, Giudea e Sa­ maria, quando giunse Giuseppe e biasimò gli offerenti di proporre così poco per le imposte. Egli stesso promise di dare il doppio e di conse­ gnare, inoltre, al re coloro che a vessero mancato nei suoi riguardi. Con le imposte infatti si offrì anche questo. Il re accettò l'offerta con gioia e aggiudicò la cosa a Giuseppe, che intendeva aumentare così fortemente le sue entrate, dopo avergli chiesto se poteva fornire anche dei ga­ ranti».86

Secondo lo storico ebreo, Giuseppe ebbe questo appalto · generale delle imposte per ben 22 anni, il che gli permise una leggendaria risalita dalla povertà (penia) alla ricchezza. 87 Non è chiaro quale fosse in questo periodo la relazione amministra­ tiva fra l'appalto generale delle imposte dei tobiadi e la re­ sponsabilità impositiva del sommo sacerdote o delle autorità giudaiche. Comunque durante l'epoca seleucida chi concor­ reva per la carica di sommo sacerdote concorreva anche per aggiudicarsi l'appalto delle imposte. Allora la responsabilità dell 'amministrazione delle imposte era (nuovamente) in mano al sommo sacerdote. Non possiamo dire se in epoca seleucida continuasse a funzionare anche il sistema tolemaico dei piccoli ·appalti. 2. 1 .2. Ammontare delle imposte

Non sappiamo a quanto ammontasse il carico impositivo in epoca tolemaica. Ma il decreto del seleucida Antioco Illxx mo­ stra chiaramente che si riscuoteva abitualmente, oltre al tri­ buto {phoros ), la capitazione, la tassa della corona e la tassa del sale. Esso mostra, inoltre, che si riscuotevano delle tasse .doganali sulle merci trasportate, per esempio il legno.xiJ Qual­ che indicazione si può ricavare anche dalle informazioni rela­ tive al periodo del presunto intersacerdotium (1 59-152 a.C.).

86 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 12, 1 75-177. 87 GIUSEPPE FLAVIO. Ant. 12, 1 70. 88 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 12, 1 38ss. 89 Cf. HERRENBRÙCK 1990, 1 80; KIPPENBERO 1991 , 184ss.

La

situazione economica in te"a di Israele

199

Allora Demetrio I ha preteso come tributo un terzo dei pro­ dotti dei campi e la metà dei prodotti degli alberi da frutto. Ma dopo la battaglia di Magnesia, che costrinse Antioco III a ri­ sarcire grosse somme, il tributo, per il cui versamento dovette farsi garante il sommo sacerdote, venne drasticamente aumen­ tato. Se sotto Seleuco IV esso ammontava già a 300 talenti,90 Giasone, al momento della sua «scalata» alla carica di sommo sacerdote promise di portarlo a 360 talenti, oltre ad offrire altri 80 talenti, nonché una tantum 150 talenti. Menelao lo scavalcò alcuni anni dopo offrendo la folle somma di altri 300 talenti. 91 La pressione fiscale crebbe di conseguenza.92 Secondo i libri dei Maccabei, fra il 175 a.C., anno in cui Antioco IV divenne re, e i1 169 a.C. , anno del saccheggio del tempio, vennero pas­ sati ai seleucidi sotto forma di tributo circa 4000 talenti. E a tutto questo si devono aggiungere le tasse e le dogane o le al­ tre imposte.93 Ciò ci permette di renderei facilmente conto di come il sacrilego saccheggio del tesoro del tempio e l'elleniz­ zazione forzata abbiano potuto far traboccare il vaso. La ri­ volta maccabaica va quindi intesa, non da ultimo, anche come liberazione dalla pressione impositiva che i sele ucidi esercita­ vano sul popolo ebraico.

2.1 .3. La struttura impositiva sotto gli asmonei L'evoluzione della situazione impositiva della Giudea sotto la direzione degli asmonei non è del tutto chiara. È comunque certa la liberazione, prima parziale (cf. l Mac 1 1 ,33ss);94 e poi totale, dali 'obbligo del pagamento del tributo alla Siria sotto Demetrio II e Simone nel 142 a.C. Allora «fu tolto il giogo dei pagani da Israele e il popolo cominciò a scrivere negli atti pubblici e nei contratti: "Anno primo di Simone il grande, sommo sacerdote, stratega e capo dei giudei"» (l Mac 13,41s).

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92

93 94

Cf. BRINGMANN 1 983, 1 1 5 nota 17. Cf. BRINGMANN 1983, 1 15ss. BRINGMANN ( 1 983, 1 1 8) la ritiene più alta rispetto al tempo dei romani. Cf. BRINGMANN 1983, 1 19. Cf. anche GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 13, 125.

200

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Anzi , ora la Giudea si espanse e impose essa stessa il tributo sui territori sottomessi (cf. l Mac 15,28ss).95 A causa delle im­ prese militari degli asmonei, per le quali dovevano essere as­ soldati grandi eserciti, rimase comunque un grande bisogno di danaro anche dopo la liberazione dal giogo dei seleucidi. E quindi, in linea di principio, continuò a funzionare anche il si­ stema impositivo. Lo dimostra il cosiddetto Decreto dei perga­ meni, che presuppone una distinta struttura per le tasse e le dogane.96 Secondo Schalit, sotto Giovanni !reano o Alessan­ dro Ianneo la tassa del tempio potrebbe essere stata elevata da 1/3 di siclo, che si pagava dal tempo della dominazione per­ siana, a 1/2 siclo, diventato poi corrente97 ed essere stata, inol­ tre, trasformata in una «regolare tassa statale per tutta la po­ polazione giudaica e non giudaica, cioè in capitazione».98 2. 1 .4. La struttura impositiva sotto i romani e gli erodiani

Nondimeno la conquista romana significò, anche dal punto vista impositivo, una drastica cesura per la popolazione giu­ daica della Palestina; essa venne infatti nuovamente sottopo­ �ta a tributo, come in epoca pre-asmonea. 99 «Quale bottino della vittoria e multa della guerra», come definisce opportuna­ mente il tributo Cicerone, 100 la parte rimasta dello stato asmo­ neo dovette pagare al governatore romano della Siria un'ele­ vata imposta in oro e prodotti della natura come indennizzo delle spese sostenute per l'esercito e per la guerra (stipendiuml phoros).101 Come sempre avveniva, in questo contesto giundi

Cf. anche GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 1, 89. Cf. ScHALIT 1 969, 265ss; HERRENBROCK 1990, 183s. 97 Cf. più avanti, p. 207. 98 SCHALIT 1969, 262-271 . 99 Cf. ScHAL IT 1969, 265ss; RosrovrzEFF 1955/56, 777ss; HERRENBROCK 1990, 1 85ss. 100 CICERO:-.JE, Verr. 3, 6, 12. 101 Con la riforma de l diritto delle province da parte di Ce sare e di Augu­ sto si distinsero le province in «senatorie» e «imperiali» si fece anche una distinzione a livello dei tributi: le province senatorie pagavano lo stipendium, quelle imperiali il tributum. 95

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La situazione economica in terra di Israele

201

sero nel paese anche grandi appaltatori di imposte romani (pu­ hlicani), i quali riscuotevano le diverse imposte accanto ai pic­ coli appaltatori ellenistici già presenti sul posto. 1 02 I primi ap­ paltavano probabilmente una parte delle imposte dirette, non­ ché lo stipendium, ma anche le imposte relative alla terra e ai porti (portorium ) . E tuttavia il potere dei pubblicani fu note­ volmente ridotto dal loro avversario Gabinio, che successe a Pompeo come governatore della Siria. Sembra che egli abbia assegnato la riscossione delle imposte soprattutto al «procura­ tore» Antipatro e allo strato superiore dei suoi cinque distretti amministrativi (sinedri). 103 Queste misure si collocano proba­ bilmente nel contesto di un conflitto romano da tempo latente circa lo sfruttamento delle province fra iJ ceto dei cavalieri, dalle cui file provenivano in gran parte i membri delle associa­ zioni dei pubblicani, e l'alta nobiltà senatoriale, che occupava le più alte cariche amministrative nelle province. Solo con la riforma finanziaria iniziata da Cesare e proseguita poi da Au­ gusto si pose in gran parte fine al doppio sfruttamento, che si traduceva da parte dei pubblicani in una vera e propria spolia­ zione delle province . 1 04 In ogni caso, già nel 47 a.C. Cesare vietò che l'appalto delle imposte in Giudea venisse concesso ai pubblicani romani. 105 Egli stabilì anche espressamente che !r­ eano (con i suoi figli ) , nella sua qualità di sommo sacerdote, avesse diritto, come i suoi predecessori, anche alle decime. De­ gno di nota è iJ fatto che l 'imperatore abbia escluso dalle impo­ ste annuali l'anno sabbatico.106 La riscossione delle imposte viene ora �osta sotto la responsabilità dell'etnarca asmoneo Ir102

Cosl RosTovrzEFF 1955-1 956 e HERRENBROCK 1990. Cf. STENGER 1988, 49. 104 Naturalmente, certe province imperiali - come appunto la Giudea ­ ricevettero procuratori provenienti dal ceto dei cavalieri. 105 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 200s; RosTOVTZEFF 1955-1 956, 792s; HERRENBROCK 1990, 186s. 106 Da GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 202s non risulta chiaramente l'ammon­ tare delle imposte. Secondo HEICHELHEIM, l'imposta sui cereali ammontava annualmente al 12,5% e nell'anno dopo l'anno sabbatico, nel quale non ve­ niva riscossa, il doppio, cioè il 25% . PER ScHAUT invece l'imposta normale era del 20% , mentre quella dell'anno successivo all'anno sabbatico del 25% (cf. 0RABBE 1992, 335). 103

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Storia sociale del cristianesimo primitivo

cano 11,107 cioè di fatto soprattutto sotto la responsabilità del suo generale Antipatro, che viene nominato ufficialmente an­ che «procuratore» della Giudea.108 Non sappiamo se egli si sia assicurato così anche i servizi dei piccoli appaltatori ellenistici, ma è probabile. In ogni caso per la riscossione del tributo egli si servì soprattutto dei suoi figli. Lo dimostra drasticamente il caso di Cassio, il quale in qualità di governatore della Siria, cercò con ogni mezzo di spremere dalla Giudea l'enorme somma di 700 talenti di argento, imponendo percentuali di­ verse nelle regioni suddivise in toparchie. 109 Giuseppe Flavio racconta che Erode, come governatore militare della Galilea, riuscì a consegnare la sua parte, mentre altre toparchie non riuscirono a farlo. La conseguenza fu che Cassio fece vendere schiavi i magistrati delle restanti città, i quali avevano chiara­ mente la responsabilità del pagamento del tributo, nonché gli abitanti di quattro città. 1 10 2. 1 .5 .

La situazione sotto Erode

Dopo il breve intermezzo di tre anni, causato anche sul piano impositivo dall'incursione dei parti, con l'avvento al po­ tere di Erode nel 37 a.C. la popolazione giudaica torna ad es­ sere assoggettata al tributo romano. Naturalmente, non è del tutto chiaro se tale tributo venisse ad aggiungersi alle imposte che Erode riscuoteva per se stesso o se fosse già contenuto in esse, e venisse quindi percepito solo in forma indiretta. 1 1 1 In ogni caso, sotto Erode, la Giudea dovette pagare · il tributo prima ad Antonio e poi a Ottaviano, al quale Erode, dopo la battaglia di Anzio del 3 1 a.C., diede anche l'enorme somma di 800 talenti, come ringraziamento per averlo confermato nella sua carica di sovrano.112 Di fatto Erode fungeva quindi da 107

GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 200. G IUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 143; lo., Beli. l, 199. 109 La somma corrisponde a circa 7 mili on i di denari. Basandosi sulle stime di BEN-DAvm (1974, 303), sarebbero più del lO% del prodotto sociale lordo della Palestina. 11° Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 271ss. 111 Cf., al riguardo, GRABBE 1992, 337. 112 GiusEPPE FLAVIO, Ant. 1 5 , 200. 1 08

La situazione economica in terra di Israele

203

quindi da procuratore romano, pur avendo anche la corona di re dei giudei, il che comportava per il popolo un ulteriore ag­ gravio fiscale.1 13 Si può quindi capire come, dopo la morte di Erode, si sia espresso nei modi più diversi il desiderio di otte­ nere una riduzione del pesante fardello fiscale. 1 14 Da una parte, si insorse; dall 'altra si cercò di influenzare Archelao, il potenziale successore. Una delegazione giudaica si recò a Roma e chiese ali 'imperatore addirittura l'unione della terra di Israele alla provincia romana di Siria e la sua amministra­ zione da parte di un proprio governatore, 1 15 pur di essere solle­ vati dall'insopportabile fardello delle tasse erodiane. Natural­ mente, Augusto lasciò le cose in linea di principio così com'e­ rano, ma ora la suddivisione del potere e del territorio introdu­ ceva una differenziazione amministrativa. 2.1 .6.

La struttura impositiva nella pro vincia della Giudea

La situazione cambiò per una parte della terra di Israele nel 6 d.C., quando l'etnarchia di Archelao venne trasformata in una provincia romana. Ora erano nuovamente i romani i di­ retti destinatari delle imposte, cioè per la prima volta era Ce­ sare colui al quale si doveva dare ciò che era di Cesare. In quell'occasione si tenne anche il censimento (census) - cosa che si faceva abitualmente in occasione della costituzione di una provincia romana - abbinandolo comunque al normale controllo degli elenchi dei contribuenti della Siria e �ffidan­ dolo in ogni caso anche al locale governatore Quirinio. Lo si può dedurre dalle informazioni che si trovano in Giuseppe Flavio1 16 e nel Vangelo di Luca (2,1 ss), benché in quest'ultima fonte si supponga a torto·una relazione con un censimento del­ l'impero ordinato da Augusto e si indichi come data l'anno della nascita di Gesù.117 Infine, ll si presuppone, sempre a 113

Cf. SCHALJT 1969, 162; STENGER 1988, 54. STENGER 1988, 54s. 115 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 17, 308. 1 16 G t usEPPE FLAVIO, Ant. 1 8, ls. 1 17 Cf. GrusEPPE FLAVIO, Ant. 17, 355; 18, ls; lo., Beli. 2, 1 17. Al riguardo cf. anche STERN 1974, 372ss; STENGER 1 988, 56ss. 1 14

204

·

Storia sociale del cristianesimo primitivo

torto, che l'iscrizione negli elenchi dei contribuenti potesse av­ venire solo nel proprio luogo di origine. Il censimento signifi­ cava la tassazione della popolazione in base al suolo e alla per­ sona (tributum soli e tributum capitis), cioè la costituzione delle liste per la futura tassazione. Erano tenuti a pagare il tri­ buto tutti i maschi di una casa (familia, oikos) a partire da 14 anni e tutte le femmine a partire da 12 anni e si doveva pagare un denaro a testa all'anno (cf. Mc 12,13-17). Come abbiamo ri­ cordato, nel corso di questi censimenti, accompagnati normal­ mente da brutali interrogatori, avvenivano anche vere e pro­ prie sollevazioni. Conosciamo, ad esempio. quella capeggiata da Giuda il Galileo. 1 1 8

2.1 .7. Responsabilità dell'aristocrazia giudaica

per la riscossione delle imposte Benché ora i romani fossero i diretti responsabili, anche nella provincia della Giudea essi non concessero (nuova­ mente) l'appalto della riscossione delle imposte ai pubbli­ cani. 1 19 né le riscossero direttamente in altro modo attraverso esattori romani, ma lasciarono questo compito a terzi. Nor­ malmente, le imposte venivano riscosse dallo strato superiore della provincia e dagli appaltatori delle imposte che offrivano di più, ai quali, all 'occorrenza, i romani mettevano a disposi­ zione anche la forza persuasiva dei loro soldati. Così dovrebbe essere avvenuto anche nella provincia della Giudea. Secondo Giuseppe Flavio, 120 già alla realizzazione del censimento aveva partecipato il sommo sacerdote Ioazar, cosa che gli era natu­ ralmente molto nuociuta.121 Inoltre, è possibile dedurre la re­ sponsabilità dell'aristocrazia giudaica riguardo alla riscossione

1 18

Cf. al riguardo, JoNES 1974, 164ss; S1ENGER 1988, 20s.161s. L'affidamento dell appalto ai pubblicani avrebbe significato soprat­ tutto che l'organizzazione della riscossione delle imposte sarebbe stata intera­ mente in mano ai romani, cioè ai cavalieri e ai loro impiegati. 120 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 18, 3.26. 121 Cf., al riguardo, SlENGER 1 988, 63; GooDMAN 1 987, 43s. 1 19

.

'

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205

delle imposte da un'annotazione dello storico ebreo, che si ri­ fe risce all'epoca del governatore Gessio Floro poco prima della grande rivolta, da cui sappiamo che la toparchia di Geru­ salemme - la città stessa e il suo hinterland - non aveva pa­ �ato il tributo di 40 talenti. Agrippa II allora era riuscito a con­ vincere gli abitanti di Gerusalemme a non con tinuare a rifiu­ larsi di pagare le imposte: "l magistrati ( archontes) e i membri del consiglio (bouleutai) si spar­ pagliavano per i villaggi alla raccolta del tributo».

Ma non riesce a ottenere lo stesso successo nel paese. Il popolo si solleva contro di lui, per cui deve battere in ritirata: . F:gli [Agrippa Il] mandò da Floro a Cesarea i loro magistrati insieme n i maggiorenti, perché egli potesse designare fra loro quelli che dove­ , ·ano occuparsi di raccogliere il tributo nel paese [nella toparchia]». 122

cD

Potrebbe darsi quindi che, in corrispondenza alla liturgia ufficiale legalmente estorta nel periodo della monarchia, il sommo sacerdote e i membri del sinedrio garantissero con il loro patrimonio la riscossione delle tasse e avessero quindi un interesse diretto a farsi carico della loro riscossione. 1 23 Ma que­ sta è solo un 'ipotesi. Infatti, i dati forniti da Giuseppe Flavio si riferiscono solo alle fasi critiche degli inizi della provincia e al periodo vicino alla grande rivolta. Il coinvolgimento del sommo sacerdote nel censimento potrebbe quindi corrispon­ dere anche alla tattica usata dai romani, i quali, nei momenti di resistenza in atto o incombente da parte della popolazione, si servivano degli strati superiori per contenere la collera popo­ lare . Che l'aristocrazia giudaica si impegnasse quando si ritar­ dava il pagamento delle imposte si spiega facilmente con il fatto che proprio essa temeva gli scontri armati e voleva impedire le conseguenze che poi si sarebbero effettivamente verificate.

165.

122

GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 405ss. Cf., al riguardo, HERRENBROCK 1990,

123

Cf. STENGER 1988, 64.

206

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Infine, si deve anche notare che nei Vangeli sinottici, ad esempio. nulla si dice di una partecipazione dei sommi sacerdoti o del sinedrio nella tassazione statale della popolzione. Essi consentono solo di po­ ter affermare che i tutti «publicani», quindi gli «appaltatori delle im­ poste», che riscuotevano le tasse, erano giudei. Così, secondo Le 1 8, l 0- 14, un pubblicano e un fariseo si recano insieme al tempio a pregare; e giudei come Levi/Matteo (Mc 2,1 3ss; Mt 9,9- 1 3) sono «pubblicani» che vengono chiamati a seguire Gesù.124 Infine, in Le 1 9, 1 ss si ricorda addirittura a Gerico un «capo dei pubblicani» (archi­ telones) ricco, Zaccheo, che era certamente il «capo di una società di appalto» .125 Quest 'ultimo viene definito espressamente da Gesù come «figlio di Abramo», un titolo che in Luca viene dato solo ai giudei. Anche Giuseppe Flavio ricorda a Cesarea un ricco «publicano» ebreo di nome Giovanni. 1 26

2.1 .8. L 'ammontare del fardello impositivo Circa l'ammontare del fardello impositivo non possediamo alcun dato preciso. Le stime oscillano fra il 12 e il 50°/o del pro­ dotto sociale. 127 Applebaum ritiene che Erode abbia incassato sotto forma di imposte almeno 900 talenti all'anno, il che signi­ ficava, in base alla sua stima di una popolazione in Palestina di 3 milioni di persone, un fardello di circa 3 dracme o denari a testa. 1 28 A ciò si aggiungevano poi le imposte religiose, che non erano certamente insignificanti. Se si ritiene con Applebaum che a quel tempo un povero fellah egiziano doveva sborsare circa 60 dracme su un reddito medio di 210 dracme, è evidente che un povero agricoltore palestinese non se la passava molto meglio. Se doveva pagare imposte per una famiglia di più per­ sone e il suo reddito era attorno al minimo vitale, le imposte diventavano per lui un peso insopportabile. È comunque pos­ sibile che la stima della popolazione fatta da Applebaum sia molto al di sopra della realtà. Broshi ritiene che la Palestina 124 tzs

277

Cf. più avanti, pp . 335ss.339ss. Cf. già RosrovTZEFF 1 902, 480; ampiamente ora HERRENBROCK 1990,

e.J'assim. 1

GIUSEPPE FLAVJO, Beli. 2, 287ss. Cf. F.C. GRANT 1926, 105; KlPPENBERG 1 978, 126; 0AKMAN 1 986, 7 1s; APPLEBAUM 1976, 665; 1977, 376s; B EN-DAVID 1974, 304; STENGER 1988, 1 29ss. 1211 APPLEBAUM 1 976, 665; 1977, 376; se c on d o il cambio che SCHALIT (1969, 263) deduce da Giuseppe Flavio, 900 talenti erano comunque solo 9 milion i di dracme. 127

/.a situazione economica in terra di Israele

207

avesse allora un milione di abitanti.129 Ma anche così la stima del fardello contributivo fatta da Applebaum non è esage­ rata. Anche se il passaggio da una dominazione all'altra ha sempre comportato dei cambiamenti, alla fine per la popola­ zione il carico impositivo dovrebbe essere stato relativamente costante, cioè sempre molto alto. Anche Tacito ammette che nella provincia della Giudea le imposte erano pesanti!30 E chiaramente Erode dovette assicurare a più riprese delle re­ missioni di imposte.131 Ma, in linea di principio, esse furono riscosse senza pietà. 2.2. LE IMPOSTE RELIGIOSE

La ricostituzione del giudaismo post-esilico in terra di Israele comportava anche l'organizzazione delle imposte reli­ giose. 1 32 Esse erano incentrate sul tempio e sul culto, ma inclu­ devano anche il sostentamento dei sacerdoti e dei leviti in ogni angolo del paese. Ne 1 0,33-40 ricorda come obbligatorie un 'imposta annuale per il servizio del tempio (la terza parte di un siclo ), l'offerta della legna da ardere per la casa del Signore, l'offerta delle primizie (primi frutti , nascita dei primogeniti e riscatto del primogenito maschio degli esseri umani), nonché il pagamento delle decime per il personale del culto (primizie della pasta, offerte prelevate per i sacerdoti, decima dei leviti e decima prelevata) e altre decime. 1 33_ 2.2. 1 .

La tassa del tempio

Le principali spese per il tempio, cioè soprattutto per il culto, erano coperte in epoca persiana con i contributi offerti dai re. Ma chiaramente, come mostra il già citato passo di N ee129

Cf. BROSHI 1979; per la discussione ora anche Z. SAFRAI 1994, 436ss. TA CITO, A nn. 2, 42. 131 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 15, 303.365; 16, 64. 132 Cf. SAFRAI 1976, 865-907; LIVER 1963; STERN I (1974ss), 198s. 133 Cf., al riguardo, STENGER 1988, 149ss; SAFRAI 1976, 865-907; 1981 . 130

208

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Storia sociale del cristianesimo primitivo

mia, queste sovvenzioni non erano sempre assicurate o suffi­ cienti, per cui dovevano essere integrate con donazioni volon­ tarie.134 Questa tradizione è confermata dal fatto che Antioco III, quando i seleucidi presero il posto dei tolomei alla guida del paese� promise ai giudei dei contributi per il tempio. avendo contratto con loro un debito di riconoscenza.135 Se­ condo 2Mac 3,3, anche Seleuco IV assunse le spese per il culto; e Demetrio promise all'asmoneo Gionata per il culto del tem­ pio le entrate provenienti da Akko ( l Mac 10,39). Queste in­ formazioni potrebbero essere interpretate nel senso che an­ cora in epoca seleucida non esisteva una regolare tassa per il tempio. 1 36 Ma per il I secolo d.C. questa viene presupposta come assolutamente ovvia da Giuseppe Flavio, da Filone e dal Vangelo di Matteo e, per i primi due , espressamente anche per la diaspora. Secondo Es 30, 1 3, così come secondo Giuseppe Flavio e la tradizione rabbinica, 1 37 essa ammontava a mezzo si­ cio d'argento o a una doppia dramma ( = 2 denari),138 il che corrisponde a mezzo siclo. Anche Filone 139 e il Nuovo Testa­ mento (Mt 17,24) attestano il pagamento di . una doppia dramma; e si dovevano pagare due dracme anche come fiscus Judaicus. 1 40

a) Introduzione della tassa del tempio, probabilmente sotto gli asmonei Non si sa con certezza da quando si sia cominciato a ri­ scuotere ogni anno il mezzo siclo da ogni israelita maschio a partire dal ventesimo anno di età 1 4 1 e anche dagli ebrei della 134 Cf. Esd 6,8ss; 7,15ss; Ne 10,33ss; nonché GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 11, 16ss.62. 1 02. 127. · 135 GIUSEPPE FLAVI O, An t. 12, 1 40s. 136 Effettivamente anche nella letteratura di questo periodo non vi è alcun accenno a una tassa del tempio; cf. STERN l ( 1 974ss), 199. 3 1 3 7 Cf. soprattutto Mishnah, mSchek; inoltre, BILLERBECK 1 96 1 I. 761 s. 138 Cf. ad esempio GIUSEPPE FLAVIO, A n t. 3, 196; 18, 312; Io., Beli. 7, 2 1 8. 139 FILONE, Her. 186. 1 40 S u queste differenze cf. STENGER 1988, 151ss. 141 Secondo Es 30,14; cf. FILONE, SpecLeg. l, 77; secondo la traduzione di Es 30,1 4 fatta da GrusEPPE FLAVIO l'obbligo di pagare l 'imposta andava dal ventesimo al cinquantesimo anno di età (Ant. 3, 196 ).

La situazione economica in terra di Israele

209

diaspora. 142 È comunque probabile che la tassa del tempio in senso vero e proprio sia stata introdotta dagli asmonei. 1 43 Na­ turalmente, nonostante la sua introduzione, essa rimase di­ scussa. Secondo il Talmud, 144 i sadducei sostenevano, richia­ mandosi a Nm 28,4 (discorso al singolare), che le offerte abi­ tuali dovevano essere fatte dai singoli liberamente, mentre al­ tri (i farisei?) citavano loro N m 28,2 (discorso al plurale), quale prova del dovere di tutto Israele di fare l'offerta del ta­ lnid.145 Dopo il 70 a.C., la tassa del tempio venne sostituita dal­ l'umiliante fiscus Judaicus per Giove Capitolino1 46 a carico di uomini e donne , da 3 a 62 anni di età.

b) Riscossione della tassa del tempio In linea di principio ognuno poteva portare personalmente la propria tassa del tempio a Gerusalemme. Ma era prassi cor­ rente, sia nella diaspora che in terra di Israele , che essa venisse riscossa localmente da certe persone di fiducia, conservata in particolari contenitori a forma di tromba, che rendevano più difficili i furti, e poi portata da una delegazione a Gerusa­ lemme. 147 Anche Mt 17,24 presuppone l'esistenza di questi esattori della tassa del tempio. Filone ci consente di farci un'i­ dea di questa procedura: «Quasi in ogni città esiste una cassa ( tameia) per il danaro sacro, nella quale si versa quanto è dovuto per le tasse; in date stabilite si scelgono

2 14

In Ne 10,33 si tratta di una tassa annuale volontaria, ma ammontante a 1/3 di siclo: e Es 30,1lss presuppone il l /2 per tutti gli israeliti maschi a partire dal ventesimo anno di vita, ma una sola volta in vita. A Es 30 si richiama anche -IQ 159,6s: cf., al riguardo, ScHORER-VERMES 1973ss Il, 271 . 1 43 Cf. , al riguardo, ScHALIT 1969, 262ss; STERN I (1974ss), 199; STENGER 1 988, 167ss: FREYNE 1980, 279 . Critico LIVER 1963, 173-198; MANDEL (1 984) ri­ tiene che solo i farisei pagassero l'imposta. 1 44 Talmud. bMen. 65a. 145 Cf. SAFRAI 198 1 , 265. È tuttora discusso se anche i sacerdoti fossero te­ nuti a pagare l'imposta; in ogni caso, non subivano un pignoramento, se non la pagavano; cf. SAFRAI 1976, 880; STENGER 1988, 173.179. 1 46 Cf. GiuSEPPE FLAVIO, Beli. 1, 218; SVETONIO, Dom. 12, 2; D1oNE CASSIO 65, 7; cf. STERN II (1974ss), 129s.282. 147 Cf. STENGER 1988, 1 57.

210

Storia sociale del cristianesimo primitivo

dei messaggeri del danaro sacro, per quanto possibile uomini eccel­ lenti, i più in vista di ogni città, i quali consegnano intatti i doni carichi di speranza di rutti; le speranze dei devoti riposano infatti sulle offerte prescritte».148

A proposito dei giudei della Mesopotamia, Giuseppe Fla­ vio racconta addirittura che, a causa delle «scorrerie dei parti». inviavano i loro carichi di danaro a Gerusalemme solo scortati da numerosi pellegrini. Anche le città nelle quali si conservava il danaro raccolto fino al suo trasferimento a Gerusalemme ve­ nivano scelte in base alla protezione militare di cui gode­ vano.t49

c) Chi pagava la tassa del tempio? Poiché per ragioni di uguaglianza la tassa del tempio era di due denari per tutti coloro che erano tenuti al suo pagamento. indipendentemente dal fatto che si fosse ricchi o poveri, si può facilmente immaginare che per molte famiglie, anche alla luce di tutte le altre imposte, essa comportasse un non piccolo far­ dello. In ogni caso ciò potrebbe spiegare perché il terzo libro dei Maccabei elench i al primo posto fra i motivi di apostasia nell'Egitto tolemaico l'odio per i «Contributi per la città santa» (3Mac 2,3 1 ). Qui appare comunque chiaramente anche il va­ lore simbolico nazionale e religioso della tassa del tempio. Non a caso quindi anche il Vangelo di Matteo fa intervenire Gesù e i suoi apostoli nella discussione circa il dovere del pagamento o meno della tassa del tempio (Mt 17,22-27). 150 Anzitutto, Pietro fa espressa­ mente notare agli esattori delle imposte che Gesù paga la doppia dramma. Ma nel dibattito interno che segue sulla materia, Gesù pre­ senta comunque questo comportamento come dettato dalla necessità di evitare un scandalo. Infatti, egli (assieme ai suoi apostoli) sarebbe li­ bero da un tale dovere. Qui si presuppone chiaramente, come motivo di questa libertà, una relazione particolarmente intima di Gesù (e dei suoi apostoli) con Dio, quindi un particolare genere di figliolanza

148 FILONE SpecLeg. l, 78. 149 GiusEPPE FLAVIO, Ant. 18, 3 1 l ss. 150 Cf. ora, al riguardo, Luz 1 990, 527ss. ,

.2 1 1

l .a situazione economica in terra di Israele

"llvina. 1 5 1 Ciò potrebbe essere interpretato nel senso che i l pagamento �ella tassa del tempio non era considerato del tutto ovvio da parte dei aeguaci di Gesù. 1 5 2 Ma si può anche pensare che l 'apoftegma ambienti al tempo di Gesù una discussione sul fiscus Judaicus. Sorprendente è comunque la solidarietà con il giudaismo, pragmaticamente giustifi­ cata, che viene qui richiesta dal Gesù di Matteo. 1 53

Non è certo neppure se gli esseni o la comunità di Qumran pagassero la tassa del tempio. Secondo Giuseppe Flavio, essi avrebbero inviato comunque dei doni votivi, 154 che non erano necessariamente la tassa del tempio, ma potevano anche es­ sere altri doni volontari. 155 Anche i timorati di Dio potevano fare doni del genere, ma non partecipare alla tassa del tem­ pio. 156 I non giudei erano infatti esclusi per principio da tale tassa.157 A volte si sostiene comunque che, oltre ai doni votivi, si sia riscossa anche la tassa del tempio. «Essi non accettavano Jal tempio e utilizzavano in altro modo solo le offerte e le de­ cime che erano legate alle celebrazioni sabbatiche e festive fis­ sate dal calendario)).158

d) Divieto del «cambio delle valute» nel recinto del tempio

Poiché con la tassa per il tempio si provvedeva anche alle offerte quotidiane tamid, valide per l'espiazione di tutto Israele, il denaro della tassa era considerato «danaro sacro» 159 o addirittura «danaro del riscatto» 160 (cf. Es 30,15). Il mezzo di pagamento richiesto era, a causa della sua stabilità, il mezzo si151 Come i figli del re non pagavano le imposte, così anche i figli di Dio erano esentati dal pagamento delle imposte alla casa di Dio. 152 Con riferimento alla Mishnah (Ned II, 4) si ritiene che il pagamento della tassa del tempio in Galilea non fosse considerato ovvio (cf. FRE YNE 1 980, 280: Luz 1 990, 531 ). 153 Circa la discussione sulla pericope cf. anche STENGER 1 988 183s. 154 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 1 8. 1 9. 155 Cf., al riguardo, SAFRAI 198 1 , 32s; STENGER 1988, 173ss. IS6 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 1 1 0. 157 Al riguardo, Mishnah, mShek 1 ,5; cf. ScHORER II (1907), 362f. 158 H. STEGEMANN 1 993, 244s. 159 Cf. GIUsEPPE FLAVIO Ant. 16, 27s.163s.170 e spesso. 160 FILONE, SpecLeg. l, 77. ,

,

212

Storia sociale del cristianesimo primitivo

cio di Tiro, che conteneva mediamente 7,2 grammi di ar­ gento. 161 Per il cambio delle altre monete o delle monete più comuni l 'autorità del tempio aveva previsto dei cambiavalute, che venivano pagati con una maggiorazione dell'8% per ogni mezzo siclo. Com'è noto, questi cambiavalute sono ricordati anche nella scena della «purificazione del tempio» descritta nei Vangeli (Mc 1 1 ,1 5ss; Mt 21, 12s; Le 19,45ss; Gv 2,13ss).102 Qui si presuppone comunque che le operazioni di cambio delle valute e la vendita degli animali sacrificali avvenisse nel recinto del tempio. Ma questa è - specialmente nella versione giovannea - una rappresentazione assolutamente tenden­ ziosa, che difficilmente può essere avvalorata sul piano storico. In realtà, i venditori di animali non potevano recarsi «sulla col­ lina del tempio, e verosimilmente neppure in Gerusalmme, ma [dovevano] restare fuori presso una delle porte della città»16J e i cambiavalute si trovavano in ogni caso al di fuori del recinto del tempio. 164

e) Custodia della tassa del tempio Secondo Giuseppe Flavio165 vi erano molte tesorerie sotto i colonnati dei cortili interni del tempio. Una di queste era la te­ soreria (gazoplylak[e]ion; cf. Mc 12,42; Gv 8,12.20), 1 66 che cu­ stodiva la tassa del tempio e le offerte volontarie. Secondo la Mishnah, 167 nel cortile delle donne vi erano tredici contenitori a forma di tromba con su scritta in aramaico la loro destina­ zione (per esempio, «nuovo siclo» per la tassa del tempio del­ l'anno in corso; «vecchio siclo», per la tassa dell'anno prece161

Cf. BEN-DAVID 1974, 23. In greco questa maggiorazione del prezzo viene detta kolbon, per cui il cambiavalute che agisce in questo modo viene detto kollybistés (Mc 1 1 ,15; Mt 21,12; Gv 2,15); in ebraico shulhanim da shulhan, cioè il >. 5 Anche per il giudaismo della diaspora, legato ad esso dal pagamento della tassa del tempio e dalla partecipazione personale alle fe­ ste di pellegrinaggio, il tempio rappresentava il centro nazio­ nale e cultuale. Questa concentrazione religiosa sul tempio corrisponde alla sua importanza sociale e politica, nonché in parte econo­ mica. Al centro vi era ovviamente il servizio del tempio,6 cioè il culto sacrificate. Anche se aveva un alto significato simbo­ lico, cosmico-mitico e storico-salvifico,7 il suo nocciolo irrinun­ ci abile era comunque sempre l'esecuzione materiale del sacri­ ficio. Il culto in senso propri o era il culto sacrificale del sommo sacerdote . che officiava comunque solo nelle solennità impor­ tanti - soprattutto nel giorno dell'espiazione nel santo dei santi - e occasionalmente nei giorni di sabato, e in particolare quello dei sacerdoti, che erano responsabili del sacrificio quo­ tidiano, del sacrificio festivo e dei sacrifici privati. Una fun­ zione subordinata avevano i leviti, che accompagnavano il culto occupandosi della musica e del canto sui gradini degli atrii, ma che fungevano anche da guardiani delle porte, oltre ad assicurare la pulizia del tempio. I sacerdoti erano divisi in 24 classi (ebr. mishmara� gr. patria)H o ephemeria;9 una sottou­ nità si dice in greco phyle10). Ognuna di esse assicurava a turno, due volte all'anno, il servizio di una settimana e, inoltre, quello dei gi orni festivi. A tale scopo la maggior parte di loro si spostava a Gerusalemme dalle loro residenze e villaggi sparsi nel paese, dove normalmente vivevano, fungendo da giudici, insegnanti della Torah o scrittori. Ad essi si univa una rappre­ sentanza di l eviti e laici (e br. maamadot), cosicché tutto il po-

2 1 980. 55. 6 Il culto nel vero senso del termine è il culto del tempio: 7 Cf. MAIER 1973, 383ss� GRABBE 1992, 539s. 8 GIUSEPPE FLAv1o, Ant. 7, 366. 9 Cf. Le l ,5.8. 10 GIUSEPPE FLAv1o, Vita 2. 5

SAFRAI

cf.

Rm 9,4.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

242

polo partecipava continuamente - almeno simbolicamente al culto del tempio. N ormalmente si sacrificava due volte al giorno: al mattino (ebr. shaharit) e nel pomeriggio o alla sera (ebr. mincha). Que­ sti sacrifici tamid, consistenti nell'immolazione di un agnello e di altre offerte all'altare degli olocausti nel cortile dei sacer­ doti, erano accompagnati da offerte di incenso nel (e br.) he­ chal (cf. Le 1 .,8ss ) , un lungo vano davanti al santo dei santi (ebr. debir). Nei giorni di sabato, di novilunio e nei giorni fe­ stivi si facevano anche altre offerte (ebr. musa[) a conclusione del sacrificio del mattino. Si parla anche di un 'offerta portata da non giudei, il cui rifiuto è stata la scintilla che ha dato inizio alla grande rivolta antiromana.1 1 S i poteva essere sacerdote e levita solo i n base alla discen­ denza da una famiglia sacerdotale o levitica. In epoca romana. faceva parte del personale del tempio anche il «prefetto del tempio»12 (ebr. sagan; gr. strategos [tou hierou] ), che veniva su­ bito dopo il sommo sacerdote, di cui era sostituto, «i servitori del tempio» (hyperetai), 1 3 che svolgevano determinate funzioni relative alla sicurezza, e i funzionari del tesoro del tempio. 14 Naturalmente, il recinto del tempio non era solo il centro del culto, ma anche un luogo dove si apprendeva e si inse­ gnava, si pregava e si tenevano le assemblee liturgiche. I tempi della preghiera seguivano quelli dei sacrifici (cf. A t 3, l : tamid serale; At 2,15: tamid mattutino?). Le preghiere con la recita dello Shema («Ascolta, Israele ... ») o le letture della Torah erano collegate per quanto possibile ai sacrifici quotidiani. Al­ l'interno del recinto del tempio vi era probabilmente una scuola e una sinagoga. 15 Così, secondo il Vangelo di Luca, an-

11 GIUSEPPE FLAvro, Beli. 2, 408-421 . In epoca ellenistica vi era un «capitano del tempio)); secondo SAFRAI (1976, 875s ) , esso potrebbe identificarsi con il «prefetto del tempio)) menzio­ nato nelle fonti talmudiche. 13 Cf. Mc 15,54 par.; Gv 18,3.9.22; At 4,1; 5,24-26; GrusEPPE FLAVIO, Beli. 6, 294. Secondo Le 22,4.52 esistevano degli strategoi tou hierou («guardie del tempio))); cf., al riguardo, ScHùRER-VERMES II (1973ss), 278. 14 Cf., al riguardo, ScHORER-VERMES II ( 1 973ss), 279ss. 15 Cf. b Yom 13b ; ma cf. HoENIG 1979. 12

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

243

che Gesù ammaestra nel recinto del tempio (Le 2,41 -52; 19,47 ; 20, 1 ); 1 6 e, secondo il Talmud, «si racconta di rabbi Yochanan ben Zakkay che sedeva tutto il giorno all'ombra del tempio e insegnava».17 Vi è, inoltre, tutta una serie di indizi che permet­ tono di ritenere che nel recinto del tempio si conservassero e copiassero libri. Secondo Giuseppe Flavio, in occasione del saccheggio del tempio vennero asportati rotoli18 e soprattutto la «legge » (rotolo della Torah-Pentateuco) assieme ad altre suppellettili. 19 Per quanto riguarda la «legge» potrebbe trat­ tarsi di quel «libro dell'atrio del tempio», dal quale leggeva, se­ condo la Mishnah, il sommo sacerdote nel giorno dell'espia­ zione e in base al quale si correggevano le copie dei rotoli della Torah.20 Ma nel recinto del tempio si conservavano anche altri libri, compresi quelli extra-biblici. 2 1

1 .2. SINAGOGHE In base a iscrizioni greche si può documentare l'esistenza di sinagoghe2 2 nella diaspora già nella seconda metà del III se­ colo a.C.23 In terra di Israele, le testimonianze più antiche sono l'iscrizione di Theodoto a Gerusalemme e i reperti archeolo­ gici di Gamia, Herodion e Masada, risalenti alla metà del I se­ colo d.C.24 Si è quindi ipotizzato che le sinagoghe siano sorte in terra di Israele piuttosto tardi, forse solo in epoca post-macca­ baica.25 In Giuseppe Flavio, nel Nuovo Testamento e poi an16 Secondo At 3,llss, anche Pietro ha predicato nel cortile di Salomone (che si trovava al di fuori del recinto del tempio). 17 Talmud. bPess 26a. 111 GIUSEPPE FLAVIO, Vita 418. 19 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 150.1 62. 2° Cf. Mishnah, mKel XV, 6; mMQ III, 4; jSan II, 20c. 21 Cf. GI USEPPE FLAVIO, Ant. 3, 38; 4, 303; 5, 6 1 ; Io., Ap 1 , 33. 22 Cf. LIFSHITZ 1967; HRUBY 197 1 ; HENGEL 1971 , 1 57-184; SAFRAI 1976, tJ08-944; HOITENMEISTER-REEG 1 977; HOTIENMEISTER 1993; LEVINE (a cura) 1 98 1 ; ScHORER-VERMEs II ( 1973ss ) , 417ss. 23 Cf., al riguardo, LIFSHITZ 1967, n. 92 (Schedia in Alessandria), n. 99 (Arsinoe/Fayyum) . 24 Cf., al riguardo, HOITENMEISTER-REEG 1977, 192-195.525 . 1 73s-.314s; GUTMAN 1 981 , 30-41. 25 Cf. GRABBE 1992, 54s.

244

Storia sociale del cristianesimo primitivo

che nella Mishnah si trovano numerose allusioni a sinagoghe a Gerusalemme e in terra di Israele, in particolare a Tiberiade , Dor, Caesarea (Marittima), Nazaret e Cafarnao. Ma, a diffe­ renza della diaspora, il numero delle sinagoghe in Palestina prima del 70 d.C. deve essere stato piuttosto ridotto. Le radici delle sinagoghe vanno ricercate non, come spesso si sostiene. nell'esilio babilonese, ma in un'istituzione post-esilica, «Che doveva assicurare funzioni pubbliche di cui facevano parte an­ che le funzioni religiose. Solo verso la fine del secondo tempio e soprattutto dopo la sua distruzione cresce progressivamente l'importanza delle funzioni cultuali».26 Ma già l'iscrizione di Theodoto mostra che le sinagoghe assolvevano anche altre funzioni e, d'altra parte, si dovrebbe essere piuttosto prudenti quando si tratta di associare l'aggettivo «cultuale» con la fun ­ zione fondamentale delle sinagoghe in terra di Israele. Questa prudenza è suggerita anche dal termine greco synagoge, usato principalmente in Palestina, che può indicare sia la «riunione » o la «comunità>>, sia anche l'edificio in cui si tiene la ri unione , quindi la sinagoga. Nella diaspora, il termine greco che si usa abitualmente per indicare la sinagoga è invece proseuche (luogo di preghiera).27 Come dimostra chiaramente l'iscrizione greca di Theo­ doto, le sinagoghe in terra di Israele servivano sia alla lettura pubblica della Torah e all'insegnamento dei comandamenti, e certamente alla fine anche all'istruzione dei bambini, sia all'ac­ coglienza, in particolari locali, dei forestieri, probabilmente so­ prattutto dei pellegrini giudei provenienti dalla diaspora. Inol­ tre, esse potrebbero essere state utilizzate, anche in Palestina, come centri di riunione locale in particolari circostanze/8 quindi in certo qual modo come municipio e forse anche come luogo di custodia di vari beni comunitari. Non è possibile af­ fermare con certezza se esse siano state o meno, come nella diaspora, anche luoghi dove si pregava, si mangiava insieme e si pronunciavano le sentenze giudiziarie. 26 v

28

HOTIENMEISTER 1993, 1 64. Cf. HENGEL 1 971; H OTIENMEISTER 1993. Per Tiberiade, cf. GIUSEPPE FLA vJo, Vita 276s.

245

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

Una componente del «Culto»-del-sabato29 (At 15,2 1 ) sinagogale, diventato certamente ben presto settimanale , fu fin dall'inizio la let t ura della Torah - probabil m e n te con traduzione successiva in ara­ m aico (targum) e occasionalmente forse anche in greco - e la sua sp iegazione 30 Le 4,17 conosce già anche la haftarah, la lettura profe­ t ica (cf. anche 2Mac 1 5,9). Non è ce rto se anche la preghiera facesse parte fin dall'inizio della liturgia. Ma alla recita dello Shema con be­ nedizioni conclusive) dovrebbe alludere già G iuseppe Flavio; 1 anche l a Mishnah la presuppone. È poss i bile che già prima della distruzione del tempio si siano recitate nelle sinagoghe anche altre preghiere. per l!Sempio la Preghiera delle diciotto benedizioni (e br. tefillah, ami­ dah ) la Preghiera delle sette domande, nonché brani adattati dalla li­ turgia del tempi o (benedizione sacerdotale ha/le/ e hoshanot). ­

.

\

,

,

Le sinagoghe furono costruite spesso grazie alle offerte di persone benestanti, come mostra anche l'iscrizione di Theo­ doto. Non è certo se anche in terra di Israele si siano distinti in questo come donatori i ti morati di Dio (cf. Le 7,1 -7). Le fun­ zioni amministrative erano esercitate da un presidente della si­ nagoga (ebr. rosh hakenesset; archisynagogos; cf. l'iscrizione di Theodoto; Mc 5,22.35s.38; Le 8,49; 13,14 ) In Le 4,20 si ricorda anche un inserviente della sinagoga (hyperetes). .

1 .3. LA FAMIGLIA

L'importanza per il giudaismo delle famiglie e, di conse­ guenza, della quotidianità religiosa viene spesso trascurata.32 In realtà, le famiglie svolsero un ruolo decisivo nel campo della socializzazione religiosa in epoca ellenistico-romana. La vita quotidiana era determinata in molti modi dalla Torah e dalle sue prescrizioni, che caratterizzavano le relazioni sociali, il ritmo della vita quotidiana, il sabato e le feste, le occupa­ zioni. La coscienza dell'identità ebraica è stata rafforzata so-

29

Cf. P. ScHAFER 1973, 39 1 -413. Cf. FILONE, «quod omnis probus liber sit» 12,81s; Som. II, 18,127; Vit­ Mos. II, 27,2 1 5s; LegGai. 23 127 e spesso; GIUSEPPE FLAvio, Ap. 1 1 , 175; Le 4. l 5ss; 6,6; At 1 5,21 e spesso; Gv 6,59; 1 8,20. 31 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 4, 212. 32 Cf., al riguardo, soprattutto SAFRAI 1 976, 728-792.793-833. 30

,

246

Storia sociale del cristianesimo primitivo

prattutto dalla strutturazione religiosa del tempo, dalle pre­ ghiere quotidiane , dallo studio della Torah e, non da ultimo. dalle prescrizioni relative alla purezza rituale e ai cibi, nonché dalle strategie matrimoniali endogame. 33 Le famiglie rivesti­ rono una particolare importanza anche a causa della perdita di autorità da parte dello strato superiore giudaico in seguito alla sua profonda amalgamazione con le potenze dominanti e il suo stile di vita sfarzoso e non di rado sprezzante nei riguardi della cultura ebraica. Così non fu probabilmente casuale la formazione, già all 'inizio dell 'epoca ellenistica, di una «devo­ zione alla Torah» legata alla persona, devozione la cui manife­ stazione più antica si trova nei Salmi l; 19 e 1 19.34 Natural­ mente, anche le tradizionali strutture familiari giudaiche non erano rimaste al riparo delle tensioni socio-economiche e poli­ tiche. Goodman ritiene di poter stabilire una dissoluzione delle grandi famiglie tradizionali, anche in base alle testimo­ nianze archeologiche offerte dagli usi funerari. 35 2. FONDAMENTALI CORRENTI RELIGIOSE

IN EPOCA ELLENISTICO-ROMANA 2. 1 . PUREZZA RITUALE E ASCESI COME DELIMITAZIONE DI CONFINE

Dal punto di vista dell'antropologia culturale, «le prescri­ zioni relative alla purezza rituale costituiscono una specie di reticolo che circonda tutti gli aspetti della società». Verso l'e­ sterno esse servono da delimitazione di confine e, all 'interno, per la «conservazione della totalità o pienezza del corpo so­ ciale», nonché di quello individuale.36 Le concezioni della pu­ rezza individuale e sociale si condizionano a vicenda. Esse ave-

33

Cf. MALINA 1993, 1 14ss. Cf. A M I R 1 985, 1 -34; ALBERTZ 1992, 623ss. 3!5 Cf. GooDMAN 1987, 68s. 36 MALINA 1993, 153. 34

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

247

vano una particolare importanza ai fini della conservazione dell'identità soprattutto là dove i giudei erano in minoranza ed erano esposti alla forte pressi one assimilatrice delle società maggioritarie, quindi nella diaspora. Ma anche in Palestina vi erano spesso occasioni che spingevano a ostentare la propria santità. Da un lato, c'erano regioni in cui i non ebrei costitui­ vano una parte rilevante , anche se non elevata, della popola­ zione; dall 'altro, c'era una notevole spinta verso la delimita­ zione preservatrice dell 'identità a causa della dominazione straniera pressoché continua, con le sue strutture di governo pagane o semi-pagane. Non è certamente casuale che le di­ scussioni sulle prescrizioni relative alla purezza rituale e agli alimenti assumano una notevole importanza anche nel Nuovo Testamento e soprattutto nella Mishnah37 e siano addirittura decisive per i farisei e gli esseni. La vita quotidiana della mag­ gior parte dei giudei ne era profondamente influenzata, come attesta specialmente Gi useppe Flavio38 e anche Le 2,22s.39. Lo dimostrano anche le scoperte archeologiche, con i loro nume­ rosi bagni di purificazione rituale (ebr. mikvaot). È possibile che fossero già largamente praticate le abluzioni giornaliere prima e/o dopo i pasti o al momento della preghiera (cf. Mc 7,2s par.; Gv 2,9s).3" A ciò si aggiungevano riti di purificazione che si rendevano necessari occasionalmente (per esempio, dopo i funerali, i parti, i contatti con cose immonde) o in modo più frequente (come, ad esempio, dopo le mestruazioni o i rap­ porti sessuali). Ma specialmente la preoccupazione per i cibi kosher deve aver assunto un'importanza più o meno grande nella vita quotidiana del popolo ebreo. Il grado di osservanza era ovviamente diverso e dipendeva anche dall'essere sacer­ dote o !evita o semplice israelita. Vi sono. inoltre , chiari indizi per poter affermare che gli esseni e i farisei prendevano mag­ giormente sul serio l'evitare l'impurità rituale rispetto agli altri ambienti giudaici . E tuttavia sembra che non sia esistita alcuna contestazione di fondo delle prescrizioni relative alla purezza 37

38

39

Cf. PASCHEN 1970. GIUSEPPE FLAVIO, Ap. l , 1 98.205. Cf. anche Arist. 305s; Shab l, 4; Yad.

248

Storia sociale del cristianesimo primitivo

rituale, neppure fra i primi seguaci di Gesù, anche se essi pre­ sero posizioni differenti.40 Vanno ricordate in questo contesto anche la strategie ma­ trimoniali endo game e il tabù dell'incesto, nonché le rigide re­ gole riguardanti la sessualità e i tabù sessuali. Non è casuale il fatto che si siano potute collegare certe esigenze di purezza cultuale con l'ascesi sessuale e il ritorno al deserto, come di­ mostrano il caso di certi individui carismatici (Banno, Gio­ vanni il Battista) e, non da ultimo, quello degli esseni. Lo stile di vita improntato all'ascetica sessuale e all '«autonomia eco­ nomica» deve essere stato dettato dalla volontà di dimostrare una presa di distanza dalla società e deve aver goduto di una particolare venerazione in mezzo al popolo. Risulta anche ab­ bastanza chiaramente che Giovanni il Battista si aspettava il rinnovamento della società giudaica da un battesimo (simbo­ lico) nel Giordano e che subì il martirio, secondo la tradizione sinottica (cf. Mc 6,14ss par. ), a motivo della sua decisa critica del divorzio di Erode Antipa e del matrimonio, non permesso dalla legge ebraica (Es 20,17; Lv 20,2 1 ) , di questi con la moglie del fratello ancora vivente. A ciò corrisponde l'esegesi restrit­ tiva della halakhah della separazione fatta da Gesù (cf. Mc lO,lss par. ; Le 16,18 par; Mt 5,32), ma presente anche in altri ambienti del giudaismo in terra di lsraele.41 Infine, bisogna te­ ner conto di certe analogie con le concezioni relative alla pu­ rezza rituale nel cvntesto delle malattie e della loro guari­ gione. Gli «spiriti immondi» sono, sia per la tradizione sinot­ tica sia, fra l'altro, per i Testamenti dei dodici patriarchi, la causa delle malattie, e l'esorcismo è una forma abituale di «guarigione» e «purificazione».

2.2.

L'APOCALITTICA COME FENOMENO DI DISSIDENZA

Qui distinguiamo, con Koch e altri,42 fra le «apocalissi» come genere letterario e l' «apocalittica» come designazione di 40

Cf. Luz 1990, 414ss. 41 Cf. AMRAM 2 1968; Luz 1 990, 268ss (con ampia bibliografia). 42 Cf. KocH 1970; KocH-SCHMIDT (a cura ) 1982; cf., da ultimo, CoLLINS 1 99 1 , 1 1 -32.

'Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

249

una corrente religiosa nel giudaismo dell'epoca ellenistico­ romana e del primo cristianesimo.43 Con ciò non intendiamo negare che tale corrente sia continuata anche oltre questa epoca, sia nel cristianesimo che nel giudaismo.44 Gli scritti apo­ calittici, riuniti in uno stesso genere letterario in base a concor­ danze strutturali, risalgono, dal punto di vista della storia della tradizione, fino al I I I secolo a.C. Qui non ci occupiamo delle peculiarità di questo genere. Il ventaglio di temi trattati dall'a­ pocalittica è molto vario. Fra di essi vi sono la concezione del presente come tempo della fine e la concezione della crescita del male, del bisogno e delle catastrofi cosmiche, l'attesa della �surrezione, di un giudizio finale su tutti gli uomini e di un nuovo eone. Nell'apocalittica si sviluppano anche concezioni mitologiche sulla figura di un giudice celeste, come quella del «figlio dell'uomo» e, in seguito, anche figure di salvatori mes­ sianici.45 Le attese del messia non sono quindi indispensabili per il pensiero apocalittico. Ma una volta presenti, esse si svi­ luppano in una grande varietà di forme.46 I temi apocalittici si trovano a volte anche in altri scritti post-biblici e prato-cri­ stiani, che non possono essere collocati nel genere letterario dell'apocalisse. È quindi opportuno parlare dell'apocalittica come di una corrente religiosa. Essa trova ospitalità soprat­ 't utto negli scritti di Qumran,47 nei Testamenti dei dodici pa­ triarchi e nel Nuovo Testamento, per cui questi scritti sono a volte prossimi dal punto di vista del genere letterario alle apo­ calissi.48

4 3 Su questo punto cf., fra gli altri, HELLHOLM (a cura) 1 983; Lambrecht (a cura) 1980; un buono sguardo generale in J.J. CoLLINS 1 986, 345-370; cf., inol­ tre 1979; 1 984; A.Y. COLLINS 1 986 ; MOLLER 1991 . 44 Contro la tesi classica della discontinuità dell'apocalittica nel giudai­ smo rabbinico e dopo di esso, cf. solo ScHOLEM 1992, 23ss; M OLLER 1 991 , 35ss. 45 Sulla nascita e lo sviluppo della speranza nel messia, cf. M O LLER 1991, 166ss. 46 Cf., al riguardo, ad esempio LANDMAN 1 979; CHARLESWORTH 1 992; LICHTENBERGER 1993. 47 Cf. H. STEGEMANN 1983, 495-530; J.J. CoLLINS 1990, 25-51 . 48 S u Qumran, cf. la nota precedente e , inoltre, KocH-SCHMIDT 1982, 9s.

250

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Dal punto di vista della storia della tradizione, l'origine della let­ teratura apocalittica e dei suoi temi è discussa. Le sue principali radici dovrebbero trovarsi nella tradizione profetica, ma essa assunse anche materiale proveniente da altri settori della tradizione. Caratteristica è la pseud o nim i a delle figure dei veggenti. Infatti , a parte l'Apocalisse neo-testamentaria di Giovanni, che ha dato il nome a tutto il genere, tutte le altre apocalissi prendono a prestito il nome di un personaggio biblico (Adamo, Enoch, Abramo, Mosè, Isaia, Baruch , Esdra ecc. ). Come ha convincentemente ipotizzato Goodman , questa pseudoni­ mi a è forse da mettere in relazione anche con una R erdita di autorità da parte degli strati dirigenti della società giudaica Q In ogni caso, an­ che qui si articola quella frattura della tradizione che caratterizza glo­ balmente l 'apocalittica.50 .

L'elemento specifico della visione apocalittica del mondo viene descritto da Mtiller, in comparazione con la restante tra­ dizione di Israele, come «Una concezione del tutto diversa della salvezza che si realizza nella storia». 5 1 Una tale diversità appare soprattutto sul piano della concezione antropologica, come mostrano chiaramente gli scritti di Qumran.52 Decisivo per la prospettiva teleologica è il crollo della fiducia in uno svi­ luppo salvifico intrastorico, nonché nella prosecuzione della scrittura e accuratezza della storia salvifica passata. Ora ci si attende un cambiamento unicamente da un repentino sconvol­ gimento e da un portentoso intervento di Dio alla fine. prece­ duto ovviamente da terribili catastrofi. Questa frattura della tradizione appare anche nell'idea secondo cui non è possibile trovare sic et simpliciter senso e orientamento nella tradizione biblica, ma che si deve passare attraverso una rivelazione dei misteri divini. Secondo la concezione apocalittica, questi mi­ steri sono stati indubbiamente posti da Dio nella Scrittura, ma possono essere trasmessi e svelati solo grazie a una rivelazione straordinaria. Anche se questa concezione del mondo scade in topica letteraria, rimane comunque chiaramente un sintomo

49

50

SI

52

GOODMAN 1987, 77s. Cf. MOLLER 1991, 195ss. MOLLER 1 991 , 53. Cf. LICHTENBERGER 1980.

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

del pubblico degli scritti apocalittici e di altri spazio alle sue tematiche. 2.2. 1 .

scritti che

251 fanno

Origine sociale dell'apocalittica

Anche se l'apocalittica giudaica non si limita alla sola Pale­ stina, essa ha indubbiamente il suo punto focale geografico in questa regione . E il profilo della sua visione del mondo do­ vrebbe essere prevalentemente un riflesso della storia socio­ economica e politica del giudaismo dell'epoca ellenistico-ro­ mana. Anche se essa non è una diretta emanazione della mas­ siccia ellenizzazione forzata della Giudea sotto il seleucida Antioco IV Epifane, ma trova la sua origine in un'epoca pre­ cedente, è fuori dubbio che, a partire dalla battaglia di Magne­ sia (190 a.C.), la pressione politica, economica e religiosa, sem­ pre più decisa e militante, contribuì in modo decisivo alla for­ mazione dell 'apocalittica.53 Al riguardo, dovrebbero aver gio­ cato un ruolo, non da ultimo, anche le lotte partigiane degli strati superiori giudaici e gli aperti sforzi di ellenizzazione di certe loro frange . Si deve pure notare che anche l'intermezzo maccabaico. nonostante i suoi iniziali successi, non modificò la situazione di fondo (cf. Dn 1 1 ,25), ma spostò solo la problema­ tica più verso l'interno. «Così, il disaccordo intra-giudaico do­ veva assumere forme tanto più difficilmente riconciliabili quanto più gli obiettivi del consequenziale realismo politico e del perseguimento del potere da parte della nuova dinastia asmonea richiedevano, già sotto Simone, un 'apertura proprio verso le "tentazioni" ancora combattute della cultura elleni­ stica».54 Nonostante tutti i cambiamenti di governo sotto la do­ minazione erodiano-romana questa situazione rimase pratica­ mente immutata. E tuttavia, nonostante diverse precedenti esperienze catastrofiche del popolo ebraico, si determinò una situazione qualitativamente nuova. Ora infatti all'oppressione economica e culturale-religiosa si aggiunse un'impotenza poli-

53 54

Cf. MOLLER 1991, 52ss. MOLLER 1991, 92.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

252

tica di fatto del popolo, la quale, proprio perché sofferta in terra di Israele e mediata, inoltre, dal fallimento del proprio strato superiore , rese enormemente più difficile, se non addi­ rittura impedì , la possibilità di un collegamento con le espres­ sioni tradizionali della speranza. 2.2.2. Esperienza di impotenza

e

di crisi

È questa esperienza di impotenza che bisogna tener conto quando si tratta di valutare l' «escatologizzazione>> della storia (Mtiller) che ha luogo nell'apocalittica. Non sembra quindi che si possa parlare di una «de-storicizzazione» (B ultmann) o di una fatalistica negazione della storia. Al contrario, è possibile vedere proprio nel suo radicale trascendimento una visione enfatica della storia, ovviamente nelle condizioni di quella esperienza di profonda inanità della speranza in un passaggio intra-storico alla salvezza. In base a questo va valutata anche la concezione della Torah e dell'elezione propria dell'apocalit­ tica. Infatti, «la forte individualizzazione della salvezza o della non salvezza è una conseguenza storicamente condizionata della battaglia giudaica per la legge nei 34 anni dopo il 175 a.C., nel corso dci quali il tempo che precedeva l'atteso giudi­ zio finale assunse progressivamente il carattere di decisione pro o contro la legge chiesta permanentemente non più al po­ polo nella sua totalità, ma solo al singolo». 55 Il fatto che solo la schiera dei giusti e dei fedeli venga salvata e la Torah appaia soprattutto come norma del giudizio escatologico riflette uni­ camente , sul piano della concezione teologica, ciò che l'espe­ rienza della crisi del popolo ebraico e, non da ultimo, del suo strato superiore ha mostrato chiaramente sul piano pratico. L'universalità del peccato, che si manifesta anche nel compor­ tamento di Israele inteso come apostasia, scuoteva l'abituale tradizione dell'elezione così come incoraggiava la concezione di un giudizio universale che avrebbe incluso anche Israele. Topoi come quelli di «pianta retta» e «nuova alleanza», che si

s� MOLLER 1991 ,124.

. i' .

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

253

incontrano nella letteratura qumranica e anche altrove, mo­ strano come l'idea dell'elezione incentrata in Israele non venga affatto cancellata, ma solo modificata. Inoltre, dalle concezioni apocalittiche di un «regno di Dio» o dall'idea del «figlio dell'uomo» e del regno dei «santi dell'Altissimo» nel li­ bro di Daniele, e più pienamente dalle figure messianiche della letteratura apocalittica, si evince chiaramente che l' «indi­ vidualizzazione» della salvezza e della non salvezza non impe­ disce l'attesa di una società caratterizzata da un giusto eserci­ zio del potere sovrano. Questa viene attesa soltanto in un nuovo eone e l'appartenenza ad esso viene strettamente legata a una radicale separazione degli spiriti. 2.2.3.

Sociologia dei circoli apocalittici

Mentre è chiaro che l'apocalittica è un riflesso della storia reale del giudaismo in epoca ellenistico-romana, rimane piut­ tosto misteriosa la collocazione storico-sociale dei circoli che hanno prodotto la letteratura apocalittica. In base a determi­ nati pregiudizi si è voluto vedere in essa un movimento anti­ sacerdotale o anche anti-farisaico, ovviamente di natura piut­ tosto settaria o segreta.56 Ma è stata soprattutto la tipologia della setta a influenzare il quadro generale. Già Weber ha interpretato l'apocalittica in questo modo. Se­ condo lui, il giudaismo post-esilico con il suo processo di crescente esautorazione della profezia a favore di una ierocrazia sacerdotale ha costretto sullo sfondo anche l'apocalittica. «La polizia del potere sa­ cerdotale» ha trasformato, a suo avviso, la teologia tardo-profetica­ apocalittica in una «faccenda di sette e comunità misteriche».57 Ploger ha ulteriormente svilup pato questo approccio nel suo li­ bro Theokratie und Eschatologie. 5 Egli considera i circoli apocalittici delle «conventicole» emarginate, le quali, contro lo strato superiore giudaico dominante e soprattutto conto l'aristocrazia sacerdotale con la sua affermazione religiosa dello statu quo, curavano la tradizione profetica e trovavano così consenso in mezzo al popolo.

56 Cf. KocH-SCHMIDT 1982, 18ss. 57 WEBER 1920 1971, 379ss. 3 58 Pu:>GER 1 968. =

254

Storia sociale del cristianesimo primitivo

Recentemente, anche Hanson ha ripreso questa visione dell ' ap o­ calittica come un gruppo esclusivo contrapposto alla società domi­ nante.59

Qui ci si rende giustamente conto della posizione di dissi­ denza dell'apocalittica, ma resta da chiedersi, da un lato, se la categoria sociologica della conventicola o della setta descriva adeguatamente il fenomeno e, dall'altro, se si possa vedere nel fariseismo o nel sacerdozio la vera controparte di questa cor­ rente. In realtà, non si può escludere che anche dei sacerdoti siano stati portatori dell'apocalittica.60 Lo stesso vale per gli studiosi della Scrittura. A nzi, vi sono validi motivi per pensare che a produrre le apocalissi siano stati soprattutto i circoli de­ gli studiosi della Scrittura. Inducono a pensarlo non solo la qualità letteraria di questi scritti e la loro dimestichezza con la Scrittura, ma anche il fatto che il veggente Enoch si qualifica espressamente come «scrib� della giustizia».61 Collins ha quindi ipotizzato che gli autori del Libro di Enoch siano stati in ogni caso «scrittori che soffrivano a causa degli attacchi por­ tati dall 'ellenismo, delle conseguenti erosioni degli usi e co­ stumi tradizionali e del continuo peggioramento delle divisioni fra le classi ». 62 Va in questa direzione anche la presentazione del profeta Daniele come «Vero saggio» (Dn 12,3 . 1 0) .63 Inol­ tre. se, come abbiamo visto, i circoli degli studiosi della Scrit­ tura e i circoli sacerdotali in parte si sovrappongono, non è ne­ cessario escludere gli uni o gli altri dal campo dei produttori dell'apocalittica. In ogni caso, l'origine dell'apocalittica non va ricercata nello strato inferiore, bensì nell'élite, nello strato su­ periore o nel gruppo dei retainers. È pensabile che i principali portatori delle apocalissi e dell'apocalittica possano essere stati specialmente quei circoli dello strato superiore e del gruppo dei retainers che erano stati privati del potere e che si

59

Cf. P. HANSON 1 979. Cf. LEBRAM 1970, 523s; H. STEGEMANN 1 983, 504. Cf. l Hen 12, 3s; 15, l ; 2Baruch. Cf. poi ALBERTZ 1992, 636; SALDARINI 1989, 258s.261. 62 J .J . CoLLINS 1984, 63 (traduzione dell'autore). 63 Cf. ALBERTZ 1992, 636. 60 61

1'/uralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

255

opponevano alle famiglie dominanti. Perciò non è escluso che essi abbiano trovato simpatie e influenza in mezzo al popolo. Ma noi distinguiamo l'apocalittica come fenomeno di dissi­ denza letterario-elitaria, quale si incontra nelle apocalissi, e anche in altre testimonianze letterarie, dai fenomeni profetico­ millenaristi o chiliastici, quali ad esempio il movimento peni­ tenziale di Giovanni il Battista e dei seguaci di Gesù, che sono sorti piuttosto nello strato inferiore e si sono costituiti in veri e propri movimenti attorno a figure carismatiche .64 Natural­ mente, questi ultimi, nella misura in cui si attivano sul piano letterario, si collegano anche con la tematica e la forma apoca­ littica degli studiosi della Scrittura, come mostra chiaramente la tradizione neo-testamentaria relativa a Giovanni il Battista e a Gesù di Nazaret. Ma questa testimonianza letteraria va se­ parata dal fenomeno storico in sé. In ogni caso è difficile consi­ derare i portatori dell'apocalittica come un raggruppamento strutturato all'interno e ben delimitato verso l'esterno, come sono invece questi movimenti e ancor più i farisei e gli esseni. Si tratta piuttosto di una corrente religioso-letteraria di natura dissidente. che in determinate circostanze è potuta diventare un vero e proprio movimento di devianza, con una chiara struttura sociale interna e una ben definita delimitazione - fi­ nalizzata all'auto-identificazione - verso l'esterno, come è av­ venuto effettivamente nel caso degli esseni. Ma qui si tratta di uno sviluppo non legato all'apocalittica in quanto tale, bensì prodotto dalla concomitante azione catalizzatrice di altri fattori. 2.2.4. Gli

asidei come movimento originario?

A partire da Ploger, i circoli apocalittici vengono fatti risa­ lire agli asidei (asidaioi; ebr. hasidim), che per molti sarebbero stati anche all'origine degli esseni e/o dei farisei. Questi asidei sono ricordati nel primo e secondo libro dei Maccabei (l Mac 2,42; 7,13s; 2Mac 14,6) nel contesto dell'insurrezione macca-

64

Cf. più avanti, pp. 281 ss.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

256

baica.65 Come «riunione (synagoge) dei devoti» essi si schiera­ rono, secondo lMac 2,42, con i maccabei e parteciparono. quali «Valenti uomini (ischyroi) di Israele», all'insurrezione. Qui essi vengono inoltre descritti come «coloro che volevano mettersi a disposizione della legge», il che spiega probabil­ mente anche il loro nome di «devoti». Secondo l Mac 7,13s. essi furono «i primi (protoi) fra gli israeliti a chiedere loro [cioè ai seleucidi] la pace». Qui si presuppone la situazione se­ guita all'avvento al trono del seleucida Demetrio l, che no­ minò sommo sacerdote Alcimo. un sacerdote moderatamente favorevole all'ellenismo. A differenza dei maccabei. gli asidei cercarono quindi chiaramente, dopo un certo tempo, di tro­ vare un terreno di intesa con i seleucidi e riconobbero Alcimo come legittimo sommo sacerdote, benché egli non discendesse da Zadok e provenisse da una modesta famiglia sacerdotale. Ma poiché immediatamente prima di questa informazione in lMac 7,12 si ricorda che degli «Scribi» (grammateis) si presen­ tarono ad Alcimo e a Bacchide, governatore della Siria, per chiedere giustizia, Tcherikover66 e, più recentemente, soprat­ tutto Kampen67 hanno sostenuto che gli asidei si identifiche­ rebbero con questi scribi. Tcherikover presenta quindi gli asi­ dei come un gruppo di laici pii e versati nella conoscenza della Scrittura («classe degli scribi» ), i quali, indipendentemente dall'aristocrazia sacerdotale, sotto i maccabei, sarebbero di­ ventati, in forza della loro coalizione con le élite cittadi ne, un influente strato direttivo intellettuale. E nella caratterizza­ zione degli asidei come ischyroi dynamei in l Mac 2,42 e nel protoi di lMac 7,13, Kampen vede un'allusione all'(elevata) condizione sociale di questo gruppo, che egli presenta perciò sinteticamente come «leading citizens devoted to the la w » 68 A ciò allude, secondo Kampen, anche 2Mac 14,6, dove si ricorda che fra i giudei i cosiddetti asidei, comandati da Giuda Macca.

65

Cf., al riguardo, soprattutto HENGEL TCHERI KOVER 1961 , 1 25s. l96ss. 67 KAMPEN 1 988. 611 KAMPEN 1 988, 1 07.113s e spesso. 66

2 1973, 319-381 ;

KAMPEN

1,

1988.

1'/uralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

257

beo, non permisero che si ponesse fine alla guerra. Kampen ri­ tiene che questo gruppo debba essere considerato non all'ori­ gine dell'apocalittica, ma all'origine del fariseismo. Tuttavia a queste supposizioni si possono muovere alcune ohiezioni. Anzitutto, la contrapposizione fra «apocalittico» e ((proprio degli scribi» o «farisaico» presupposta da Kampen dovrebbe essere problematica. 69 Inoltre, è piuttosto improba­ bile che gli «scribi» menzionati in lMac 7, 12. 13s e gli «asidei>> si ano le stesse persone. Tutto lascia pensare che qui si devano vedere due diversi gruppi, i quali, a differenza dei maccabei, si "forzarono, dopo l'investitura di Alcimo, di trovare un com­ promesso. Con molta probabilità anche la designazione degli asidei come ischyroi dynamei non si riferisce alla loro condi­ zione sociale, bensì al fatto che erano «valenti combattenti», 4uindi alla loro importanza militare . Inoltre, non vi è alcuna difficoltà a intendere il protoi di 1 Ma c 7,13 in senso temporale: essi furono i primi a cercare la pace con i seleucidi e con il loro protetto Alci mo. I nfine, il term ine «asidei» in 2Mac 1 4,6 (di­ versamente da l Ma c 2,42 e 7, 1 3s?) dovrebbe essere semplice­ mente una designazione globale di tutti coloro che erano in­ sorti contro le misure coercitive ellenistiche, come ritiene Sal­ darini: «Tutti i veri oppositori dell'ellenizzazione erano asidei c custodi del giudaismo contro l'oppressione straniera»_? A nostro avviso, è perciò praticamente impossibile rite­ nere che gli asidei fossero, dal punto di vista storico-sociale, qualcosa di più di un semplice movimento di resistenza anti­ cllenistica di devoti della Torah. Così pure, è difficile rendere plausibile l 'ipotesi secondo cui qui si tratterebbe di u na setta o Ji una conventicola. Lo stesso dicasi delle impegnative ipotesi secondo cui gli asidei sarebbero stati all'origine di uno o addi­ rittura più partiti del primo giudaismo. Ciò può valere tutt'al più nel senso generale, secondo cui i circoli fedeli alla Torah e anti-ellenistici furono i portatori di quelle correnti di fondo dalle quali, in epoca maccabaica, vennero influenzati anche i

69

70

Cf. anche ALBERTZ 1992, 599. SALDARINI 1989, 253.

258

. \

Storia sociale del cristianesimo primitivo

raggruppamenti esseni e farisaici. Ma ci sembra privo di fonda­ mento il voler vedere negli asidei una sorta di movimento composito che si sarebbe poi scisso in diverse fazioni.

3. LA FORMAZIONE DI G RUPPI IN EPOCA ELLENISTICO-ROMANA Come è chiaramente apparso, il pluralismo religioso non si identifica in alcun modo con i soli raggruppamenti principali di farisei, esseni e sadducei/1 che noi distinguiamo in base alla tradizione antica. Il giudaismo dell'epoca ellenistico-romana è caratterizzato da un ampio e variegato spettro di gruppi, movi­ menti e correnti con una configurazione sociale più o meno delineata. Si è quindi affermato che si dovrebbe parlare piutto­ sto di «giudaismi» che non di «giudaismo». Ma noi riteniamo che questo uso del plurale sia eccessivo e anche impraticabile. Infatti, come abbiamo già detto all'inizio, esistono caratteristi­ che e istituzioni essenziali che sono comuni a tutte le correnti e a tutti i gruppi, pur nella varietà delle loro posizioni al ri­ guardo. E tuttavia è opportuno distinguere chiaramente come raggruppamenti speciali gli esseni - o la comunità che sta die­ tro agli scritti trovati a Khirbet Qumran i farisei e i saddu­ cei. Ciò è giustificato, non da ultimo, dal fatto che i farisei e i sadducei nel Nuovo Testamento e nella letteratura rabbinica, i farisei, i sadducei e gli esseni in Giuseppe Flavio, e gli esseni anche in Filone e altri autori antichi, sono espressamente ri­ cordati come gruppi o presentati come «correnti» e in modo relativamente a-specifico per designare un «movi­ mento religioso minoritario».79 Ma questa caratterizzazione è troppo vaga e non dice praticamente nulla sul piano socio­ religioso. Infatti, in questo senso si possono certamente presen­ tare come «sette» anche i farisei e specialmente gli esseni. Così facendo però non si afferrano ancora le differenze specifiche fra questi gruppi e la loro relazione con il restante pluralismo. La teoria della devianza Ci sembra quindi necessario saggiare altri teoremi socio­ religiosi. Al riguardo, pensiamo soprattutto alle cosiddette teo­ rie della devianza, che sono già state appl icate con successo nella descrizione del conflitto del cristianesimo primitivo con il giudaismo del tempo.80 Decisivo è il fatto che questa teoria descrive il processo della formazione della devianza in relazione a gravi situazioni di crisi delle società e presenta la formazione dei gruppi come parte di una «carriera di devianza», nella quale l'iniziale esclu­ sione in quanto devianti viene neutralizzata. La formazione del gruppo non è quindi solo una conseguenza del non confor­ mismo o di una concezione di identità dei devianti (ancora) in­ capace di diventare maggioranza; ma è anche, al tempo stesso, un rafforzamento della stessa identità deviante, che ora si può stabilizzare in un gruppo con comuni convinzioni, interessi e forme di vita. Come ha dimostrato specialmente Erikson,81 la devianza non presuppone - in ogni caso non necessariamen­ te - una società maggioritaria regolata dal consenso sulle nor­ me e in tale misura solida e ben compaginata, come si presup­ pone ad esempio nella dicotomia Chiesa-setta. Risolutive non

78 Cf., al riguardo. HoLMBERG 1990. 108ss. Di questo tratteremo più ampiamente in seguito (cf. pp. 4 10ss.). 79 Cf. WILSON 1 973, 1 1ss; 1 990; SALDARINI 1 989, 70ss. 80 Al riguardo cf. più avanti, pp. 41 3-417. 81 ERIKSON 1966.

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

261

sono neppure le motivazioni di coloro che considerano de­ viante un certo comportamento. Decisivi sono piuttosto i fat­ tori che provocano la crisi o il cambiamento della società e co­ stringono globalmente a prendere una nuova direzione e quindi anche a una delimitazione dei confini, al fine di contras­ segnare la propria identità. In questo senso la devianza è un'opportunità per diventare, in certe circostanze, maggio­ ranza. Naturalmente, quando ciò avviene, si perde anche la co­ scienza dell'origine deviante della concezione maggioritaria. Le teorie della devianza sono così feconde per la descri­ zione della formazione dei gruppi nel giudaismo dell'epoca el­ lenistico-romana perché consentono di comprendere questi gruppi come reazione alla crisi del giudaismo e di spiegare al tempo stesso le diverse forme da essi assunte. Il processo di formazione del gruppo come neutralizzazione del processo di esclusione e di delimitazione e come stabilizzazione interna è particolarmente evidente nel caso degli esseni. Ciò vale certa­ mente in minor misura anche per i farisei e i sadducei. Se di­ ciamo in minor misura, è soprattutto per il fatto che non posse­ diamo a loro riguardo auto-testimonianze, in grado di orien­ tarci sulla coscienza che essi avevano di se stessi. Tuttavia an­ che qui troviamo diversi indizi che ci permettono di presentare anche queste due formazioni come fenomeni di devianza.

3.2.

FENOMENI DI DEVIANZA

3.2. 1 . Principali raggruppamenti religiosi: esseni, farisei e sadducei



N el caso degli esseni la devianza è assolutamente evid te. Essa appare, fra l'altro, nel loro abbandono della società mag­ gioritaria e nel loro consolidamento, avvenuto dopo un certo tempo, in un insediamento comunitario sul Mar Morto, con una propria struttura sociale . una propria letteratura religiosa, proprie dettagliate regole per la vita comunitaria, raccoglienza nel gruppo e l'esclusione dallo stesso. Oltre a ciò, la coscienza della separazione si riflette anche nell'auto-designazione degli

262

Storia sociale del cristianesimo primitivo

esseni come «Unione» ( ebr. jahad) e in metafore - in parte presenti anche in altri scritti apocalittici - come «pianta santa», «pianta della giustizia», «alleanza di grazia», «alleanza di Dio>> e «resto)).82 Tutto questo mostra che la comunità di Qumran si considerava in definitiva come una nuova perfetta costruzione (l QS 8,5s). Il ritiro nel «deserto» corrisponde a un simbolismo della storia della salvezza, che venne attualizzato anche da altri gruppi.83 L'ingresso nel loro «ordine significa la separazione dal peccato e dai peccatori, in senso positivo il perdono dei peccati, anzi }'«assicurazione della contin ua pre­ senza di Dio» ,84 a proposito della quale naturalmente tutti i membri vengono annualmente valutati ed «esaminati», in base alla loro conoscenza e al loro progresso, per verificare se ab­ biano sufficientemente ottemperato alle prescrizioni dell'al­ leanza di Dio.85 Anche al suo interno la comunità di Qumran è organizzata in base a una rigida gerarchia. Al vertice stavano i sacerdoti che rappresentavano anche l'ultima istanza decisio­ nale.�6 Infine e soprattutto. gli scritti di Qumran ritornano con­ tinuamente su questa separazione dalla massa del popolo.H7 Degno di nota è il fatto che in 4QMM T (C 7s) questa separa­ zione dal mainstream del popolo viene indicata con una forma del verbo ebraico parash. Infatti, dalla stessa radice o dal suo equivalente aramaico deriva anche la designazione del gruppo dei farisei, in trascrizione greca pharisaioi (e br. perushim � aram. perishaja ), una designazione che originariamente è stata certamente data loro dall'esterno «Con il significato negativo di separatisti o settari». 88 82

Forse anche il nome «esseni�, attribuito loro dall'esterno, esprime que­ s;parazione. Cf. anche più avanti. p. 288. 84 LICHTENBERGER 1 980, 1 38. 85 Cf. HENGEL 1973, 402. 86 Cf. ScHORER-VERMES II (1973ss), 575s. ff1 Cf. JQS 8,1 1 - 14; IQSa 1 ,2s; 4QFlor 1 .14-16; CD 8,16 (cf. 7,9-14); l l QMelch 25; 4QMM T. HR R. MEYER 1973, 13; diversamente BAUMGARTEN (1983), che interpreta etimologicamente il nome farisei nel senso di «specifiers» (interpreti, esegeti). Nella letteratura rabbinica non tutte le affermazioni relative ai perushim si ri­ feriscono ai farisei storici; esse si riferiscono a volte anche a un «gruppo sepasta

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263

Bisogna comunque notare che, dal punto di vista della struttura sociale, della vita comunitaria e della sua regolamen­ tazione, la situazione dei farisei non appare così evidente come quella della comunità di Qumran. È infatti incerto se le forme sociali comunitarie ricordate in questo contesto - forme che in base alla letteratura rabbinica si possono ipotizzare per il gruppo dei cosiddetti chaverim siano da riferire ai farisei storici. Ora questo presuppone l'identificazione tuttora di­ scussa dei perushim (farisei) con i chaverim. 89 In ogni caso, Giuseppe Flavio descrive i farisei perlomeno come un gruppo politico delimitabile dall'esterno. Ma è fuori discussione che la vita comunitaria dei farisei fosse meno rigidamente organiz­ zata di quella degli esseni e, nel loro caso, i confini con la so­ cietà maggioritaria erano certamente molto più indefiniti e permeabili che non nel caso degli esseni. La devianza non do­ veva quindi significare automaticamente l'abbandono della so­ cietà e la separazione sociale , «settaria». Essa poteva venire invece vissuta anche in modo offensivo e integrativo. Riguardo ai sadducei, la devianza può essere colta solo in­ direttamente. La si può dedurre soprattutto dal fatto che nella tradizione anch'essi vengono espressamente indicati come hai­ resis, cioè come un certo orientamento di scuola, hanno un proprio nome di partito (sadducei significa probabilmente «quelli del partito di Zadok», cioè del sacerdote capo davidico cui si ricollegava anche la linea legittima dei sommi sacerdoti che, sotto Onia IV, era emigrata in Egitto )90 e vengono con­ traddistinti in base a certi interessi politici e concezioni reli­ giose, che erano in contrasto con quelli dei farisei. È probabile -

ratista che nel periodo dopo la distruzione del tempio si distinse per una parti­ colare continenza e ascesi» (P. ScHAFE R 1991 , 1 30). Ma proprio la designa­ tione di questo gruppo estremista come «separatisti» (perushim ) mostra chia­ ramente , ancora una vol ta il carattere originariamente negativo della designa­ tione dei farisei storici. 119 Cf. SPIRO 1980, 1 86-21 6; P. ScHAFER 1991 , 126; ma diversamente, ad cse m�i o ScHORER-VERMEs II (1 973ss), 399. Cf. BuRcHARD 1978, 472. Degno di nota è pure il fatto che anche la co­ munità di Qumran indicava se stessa come bene Zadok, esprimendo in tal modo la propria legittimità sacerdotale, senza che questo nome le sia stato at­ tribuito dall'esterno. ,

,

264

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che la designazione di «sadducei» esprimesse la pretesa di con­ tinuare l'autentica linea dei zodokiti.91 Inoltre, l'affermazione di Giuseppe Flavio, secondo cui egli «passò attraverso)) la loro scuola di pensiero92 e il loro influsso soprattutto sul popolo, ma anche sul sacerdozio, era piuttosto ridotto, 93 induce a pensare a una certa esclusività.94 Infine, vi sarebbe a favore di questo anche l'ipotesi, secondo cui i sadducei non si identificavano con l'aristocrazia sacerdotale dominante, ma costituivano an­ che in essa una minoranza.95 Ciò sarebbe avvalorato anche dal fatto che, nella tradizione rabbinica, i sadducei sono identifi­ cati probabilmente con i «boetusei))96, nome questo da ricon­ durre certamente alla famiglia del sacedote alessandrino Boeto, che era una delle quattro famiglie nelle quali Erode sceglieva i sommi sacerdoti. Ma è impossibile dire in che mi­ sura i sadducei avessero una propria organizzazione di gruppo. Già il semplice fatto che si trattava di membri di famiglie dello strato superiore e del sacerdozio ai massimi livelli li condan­ nava ad avere una struttura sociale necessariamente ridotta.

3.2.2. I motivi della devianza Rispetto alla comunità di Qumran, la devianza dei farisei e dei sadducei risulta meno chiaramente. a) Devianza della comunità di Qumran. Per quanto ri­ guarda la comunità di Qumran , il già citato testo di 4QMMT mostra chiaramente il motivo della separazione. Qui si tratta certamente di una lettera (o copie di una lettera), indirizzata all'aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme agli inizi della co­ munità, in cui lo stesso «maestro di giustizia)), o comunque una successiva guida autorevole della comunità, riassume, su una

91 Cf. B AUMBACH 1973, 203. GIUSEPPE FLAvio, Vita l Oss. 93 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 3, 1 66; lo., Ant. 13, 298; 18, 17. 94 Cf. B URCHARD 1978, 473. 95 Cf. SALDARINI 1989, 298ss. 96 Cf. LEMOYNE 1972 332ss 92

,

.

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265

ventina di punti halakhici discussi, la diversa esegesi della To­ rah fatta dalla comunità di Qumran, esegesi a prooosito della quale non è disposta a scendere a compromessi.97 Qui giocano un ruolo importante anche certe questioni relative alla pu­ rezza cultuale, come sottolinea già la stessa separazione dall'e­ sterno che significa purezza e ascesi. Nel corso di questo svi­ luppo separato le differenze halakhiche crescono sempre più, per cui alla fi ne nel Documento di Damasco (CD) si ha un 'am­ pia raccolta di «ciò che, al di là degli scritti biblici, dovrebbe avere per gli esseni una permanente validità dal punto di vista giuridico» .96 Questa pretesa esclusiva di un 'interpretazione au­ torevole della Torah implica un elemento carismatico, come mostra la concentrazione di questa pretesa sul «maestro di giu­ stizia». Ciò viene espresso anche negli altri titoli che gli ven­ gono dati: «maestro incomparabile»; «interprete (per eccel­ lenza) della Torah».99 Ma la pretesa di assolutezza nell'inter­ pretazione della Torah si collega anche con l 'idea di rappre­ sentare l' unica tradizione legittima del culto e del sacerdozio. Già all 'inizio del la separazione si ha essenzialmente un con­ flitto sulla legittimità del sommo sacerdote e del calendario cultuale, nonché del culto di Gerusalemme. Probabilmente il venerato fondatore della comunità pretendeva, come legittimo zadokita, l 'ufficio di sommo sacerdote o lo aveva effettiva­ mente esercitato per un certo tempo dopo la morte di Alcimo fino alla sua deposizione da parte del maccabeo Gionata («Sa­ cerdote empio» ) . 100 In ogni caso, il rifiuto del calendario lu­ nare, ricordato per la prima volta sotto il sommo sacerdote Menelao nel 1 67 a.C. e poi introdotto dal sommo sacerdote Gionata nel 1 52 a.C., e la preferenza accordata al calendario solare per il culto del tempio dovrebbe essere stato il motivo decisivo per la secessione del «maestro di giustizia».101

97 Cf., al riguardo, SCHIFFMAN 1 992, 35-49. 98

H. STEGEMANN 1 993, 212; cf. ScHIFFMAN 1975. Cf. G. JEREMIAS 1963; H. STEGEMANN 1 993, 206. Così ipotizza H. STEGEMANN 1 993, 205ss. Per l'identificazione del «sa­ cerdote empio» con Gionata, cf. G. JEREMIAS 1963. 101 Cf. H. STEGEMANN 1 993, 231ss. 99 100

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Così la separazione essena significa in certo qual modo una devianza totale rispetto alla Giudea asmonea o erodiano-ro­ mana, devianza che si tradusse in particolare nella rigida osse r­ vanza delle concezioni sacerdotali relative alla purezza rituale. Di conseguenza gli esseni avanzano la pretesa di rappresen­ tare l'intero Israele. Solo loro rappresentano, quanto «al­ leanza di Dio» e «tempio», il «popolo di Dio» o la «comunità di Israele», mentre tutti gli altri sono considerati la massa per­ ditionis che ha deviato dal retto cammino. Qui si riflette la tra­ sformazione della propria devianza in proiezione sulla società maggiorit aria. «Chi si rifiutava permanentemente di far parte di questa unione, si escludeva da se stesso definitivamente da Israele in quanto popolo della salvezza, disprezzava l'alleanza di Dio del Sinai e abbandonava il terreno della Torah, che aveva legato indissolubilmente la salvezza di Israele alla sua permanenza nella santa terra di Dio». 1 02 Questa coscienza di sé è decisamente legata a una spiegazione della storia, del mondo, degli uomini e della Torah caratterizzata in senso apo­ calittico, la quale accentua la pretesa radicale mediante conce­ zioni dualistiche . Le interpretazioni del presente come tempo della fine dal punto di vista della salvezza o della perdizione si collegano con la coscienza non solo di essere dalla parte della luce e della verità contro le tenebre e la menzogna, ma anche di vivere già nella nuova creazione e di partecipare nel culto alla comunione con la realtà celeste.

b) Devianza dei farisei. La specificità della devianza dei farisei è più difficile da cogliere. Si citano essenzialmente due motivi. 103 Il primo si riferisce alla p resentazione che ne fanno Giu­ seppe Flavio e il Nuovo Testamento, secondo cui i farisei erano noti, in genere, per la loro accurata spiegazione della Torah e, in particolare, per il rinvio a speciali tradizioni (orali?), che non si trovano nella Torah scritta di Mosè.104 Con •

102 H .

103 104

STEGEMANN 1 993, 231 . Cf. il breve riferimento in PoRTON 1986, 69s. Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 1 3, 297.408. Cf. anche Mc 7,5; Mt 15, 2.

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questo potrebbe accordarsi anche la polemica contro i dorshe ha-halakot, i «cercatori delle cose leggere», di Qumran, 105 nella misura in cui l'espressione può essere applicata ai farisei ed es­ sere interpretata come deformazione del loro richiamarsi agli insegnamenti (orali ) (halachot). 1 06 Come secondo motivo della devianza dei farisei si possono citare le allusioni alla rigida osservanza delle prescrizioni rela­ tive alla purezza rituale e agli alimenti, nonché del pagamento delle decime, che si trovano nel Nuovo Testamento107 e che vengono ricavate da Neusner dall'analisi della tradizione rab­ binica (vedi sotto) . In questo contesto si cita sempre anche la presa di distanza dei farisei dal amme ha aretz, dalla gente co­ muneY)8 Qui vanno probabilmente ricordate anche le annota­ zioni di Giuseppe Flavio sulla vita semplice e nemica del lusso dei farisei. Questo interesse dei farisei per la purezza ri tuale li accomuna con gli esseni. di cui non assumono comunque la tendenza ascetico-esoterica. Ma, a differenza degli esseni, il cui ideale di purezza si radica chiaramente nel loro stampo sa­ cerdotale, quello dei farisei è piuttosto un ideale laicale. Lo conferma anche la loro rigida osservanza delle prescrizioni re­ lative alle decime . Forse le diverse sottolineature che si trovano nella tradi­ zione mostrano che ciò che appariva come deviante nei farisei poteva essere giudicato anche diversamente da altri punti di vista. Se per i detentori del potere e soprattutto sadducei essi erano un gruppo che, richiamandosi alla loro accurata esegesi della Torah e alle «tradizioni dei padri», propugnava una di­ versa concezione politica e religiosa, dal punto di vista del po­ polo erano probabilmente un gruppo, che accordava una parti­ colare importanza alla purezza rituale e rappresentava così esemplarmente un modo in cui si poteva santificare la vita.

105 Cf. 4QpNah l , 2.7; 2, 2.4; 3, 3.7; I QH 2, 15. 106 Cf. FLUSSER 1981 , 121ss 107 Cf. Mc 2.1 5ss/Mt 9,1 0ss!Lc 5,29ss; Mc 7.1ss/Mt 15,1ss/Lc 1 1 ,37ss. 108 Cf. solo PoRTON 1986, 70. .

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È risaputo che Neusner ha collegato la concentrazione dei farisei sulla purezza rituale e sul rigido pagamento delle decime con l 'ipo­ tesi, secondo cui essi erano una sorta di «Comunità conviviale» , una «iable-fello wship», e questo non solo in certe occasioni, ma anche nella vita di tutti i giorni. Essi pretendevano di realizzare l'ideale della purezza sacerdotale e facevano in certo qual modo delle loro case dei templi. Sarebbe stata proprio questa particolare purezza, ri­ chiesta solo nel tempio, a separarli dalla gente comune. Il problema rappresentato dal fatto che Giuseppe Flavio presenta i farisei soprattutto come un gruppo politico - in conflitto con i sad­ ducei e che , a causa della simpatia di cui godeva in mezzo al popolo� esercitava un certa influenza, ma che dovette sempre sottostare al partito dei sadducei e dovette poi fare dolorose esperienze di esclu­ sione e forse, sotto Alessandro Ianneo, addirittura di persecuzione viene risolto da Neusner con un 'altra ipotesi . Poiché queste informa­ zioni si riferiscono soprattutto alla storia iniziale dei farisei sotto i maccabei, mentre quelle relative alla loro concentrazone su questioni di purezza rituale sembrano provenire da un'epoca tarda della storia del gruppo, nel corso della loro storia i farisei si sarebbero trasformati da partito politico fino a diventare, in epoca erodiana un gruppo piut­ tosto quietistico-religioso di tipo settario. 109 Contro questa ipotesi si può ovviamente rilevare che i farisei han no giocato un influente ruolo politico non solo sotto gli asmonei, ma anche in epoca erodiano-romana. Inoltre, è metodologicamente discutibile il fatto che Neusner applichi al fariseismo la tradizione rab­ binica, anche quando essa non si riferisce espressamente ai farisei. ' w

I n certe convinzioni religiose dei farisei, come ad esempio la fede nella risurrezione, nel giudizio e negli angeli, si può ve­ dere non solo un 'influenza apocalittica, ma anche la loro aper­ tura alle nuove correnti religiose. Ciò induce a pensare che i farisei fossero un movimento riformatore più che conserva­ tore. A ciò corrisponde il fatto che nella questione della «fede nel destino», essi assunsero una posizione intermedia fra i sad­ ducei (secondo i quali tutto è soggetto alla libera volontà) e gli esseni (per i quali tutto è prestabilito ) . 1 1 1 I loro incessanti tentativi, attestati specialmente d a Giu­ seppe Flavio, di influenzare i circoli dominanti, mostrano chia­ ramente che i farisei, a differenza degli esseni, non hanno le-

109 Cf. NEUSNER 1 971; 1973; 2 1979; inoltre, SALDARINI, 1089, 199ss. 1 1° Cf. S. CoHEN 1984, 27-53; P. ScHAFER 1 991, 130ss. 111 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 13, 171ss.

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gato la loro devianza a una pretesa di esclusività. Anche il loro rinvio alle «tradizioni dei padri» e non a un 'autorità carisma­ tica sta ad indicare un programma rivolto all'elemento istitu­ zionale . « I farisei non erano un semplice gruppo con un obiet­ tivo limitato, concreto, ma un'organizzazione associativa vo­ lontaria, esistente da lunga data e ben strutturata . che mirava a influenzare la società ebraica e che intrattenne molte relazioni al fine di raggiungere i propri scopi». 1 12 c ) Devianza dei sadducei. Infine, dobbiamo chiederci quali fossero i motivi della devianza dei sadducei. Spesso si suppone che costoro fossero un gruppo particolarmente elle­ nizzato dello strato superiore. 1 13 Ma è difficile accordare con questa affermazione il conservatorismo religioso del gruppo. Esso induce piuttosto a pensare che i sadducei fossero un mo­ vimento dello strato superiore, che ha reagito contro certe ten­ denze assimilatrici o riformatrici . 1 1 4 Ci si avvicina maggiormen te al fenomeno della devianza prestando attenzione ai contesti nei q uali si incontrano i sad­ ducei. La loro rivalità con i farisei sul terreno dell'influenza politica, come viene descri tta da Gi useppe Flavio, e la diffe­ renza con i farisei nella val utazione delle questioni religiose, indicano che i sadducei vanno visti soprattu tto come un gruppo antifarisaico. La loro devianza è quindi anzitutto una conseguenza della loro reazione contro i farisei e contro la loro influenza sul circoli dominanti. Ciò significa che i saddu­ cei si sono formati nello strato superiore come un movimento antifarisaico. Al riguardo, la concentrazione dei sadducei sulla Torah scritta e il loro rifiuto delle tradizioni farisaiche, di cui parla Giuseppe Fl avio, inducono a pensare che essi rappresen­ tassero una posizione conserva trice rispetto a quella piuttosto riformistica dei farise i . 1 15 A ciò corrisponde il loro rifiuto della fede apocalittico-farisaica negli angeli e nella risurrezione, fio112

113 114

us

SALDARINI 1989, 284. APTOWITZER 1927, IX; cf. LEMOYNE 1972, 334ss; SALDARINI 1989, 302. Cf. SALDARINI 1 989, 302s. Cf. R. MEYER 1973; BAUMBACH 1973, 2l ls.

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rita soprattutto in epoca ellenistica, ma anche il loro nome di «sadducei», che esprime una pretesa di legittimazione conser­ vatrice, di stampo sommosacerdotale. Questo li avvicina certa­ mente agli esseni, dai quali li distingue comunque il carattere non apocalittico, il riconoscimento della legittimità dei sommi sacerdoti di Gerusalemme, l'assenza di pretesa di esclusività e la ricerca di un 'influenza «immanente al sistema». È difficile pensare che anche negli strati superiori questo atteggiamento fosse maggioritario o in grado di diventarlo. Perciò è certa­ mente più giusto pensare, con Saldarini, che i sadducei non solo non si identificavano sic et simpliciter con l'aristocrazia dominante, ma che, anche in seno allo strato superiore, costi­ tuivano soltanto una corrente, forse particolarmente conserva­ trice.

3.3.

STRATO DI APPARTENENZA DI ESSENI, SADDUCEI E FARISEI

a) Strato di appartenenza dei sadducei La collocazione ne­ gli strati della società ebraica dei sadducei è in qualche modo evidente . Infatti, sia le testimonianze di Giuseppe Flavio, sia quelle del N uovo Testamento, inducono a pensare che i saddu­ cei appartenessero alla strato superiore dominante di Gerusa­ lemme. Essi vengono ricordati per la prima volta sotto Gio­ vanni Ircano, il quale ruppe con i farisei e si avvicinò ai saddu­ cei.1 16 Ciò indica, in ogni caso, che i sadducei erano vicin i allo strato dominante. A favore di questa tesi depone anche il fatto che, sempre secondo Giuseppe Flavio, essi non avevano i loro sostenitori nel popolo, ma fra i ricchi e i nobili. 1 1 7 È pure evi­ dente che ne facevano parte alcuni membri dell'alta aristocra­ zia sacerdotale; ma lo storico ebreo fa solo il nome del sommo sacerdote Anania.1 18 Da ciò non si può comunque dedurre che tutti i sommi sacerdoti, o addirittura tutti i membri dello strato .

116

1 17

1 111

Cf. G IUSEPPE FLAv1o, An t. 13, 293ss. Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 13, 297. Cf. GI USEPPE FLAVIO, Ant. 20, 199ss.

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superiore, fossero sadducei. Tuttavia nulla impedisce di trarre la conclusione opposta. Anche secondo il Nuovo Testamento i sadducei, in quanto gruppo influente del sinedrio, apparten­ gono allo strato superiore e sono citati insieme al sommo sa­ cerdote (cf. solo At 5,17).

b) Srato di appartenenza dei farisei. Se anche i farisei ap­ partenessero allo strato superiore è invece questione discussa. Evidente è, comunque, che essi non appartenevano neppure sic et simpliciter allo strato inferiore , anche se lì trovarono i loro sostenitori. La loro appartenenza allo strato inferiore è smentita dal ruolo politicamente influente che hanno avuto, secondo Giuseppe Flavio, anzitutto sotto Giovanni Ircano e poi soprattutto sotto Salome Alessandra, ma anche in epoca erodiano-romana. A ciò si aggiunga il loro continuo tentativo di influenzare la politica dei circoli dominanti, cosa questa che, sotto Alessandro Ianneo, li ha esposti anche a persecuzioni. I farisei infatti immischiarono i seleucidi nello scontro intra­ giudaico, per cui Alessandro si vendicò spietatamente, fa­ cendo crocifiggere 800 insorti.119 I farisei dovrebbero aver avuto un certo potere già sotto Giovanni Ircano. Infatti, ri­ guardo al suo passaggio ai sadducei, Giuseppe Flavio annota che furono nuovamente soppresse le norme giuridiche intro­ dotte dai farisei.120 Sotto Alessandra, ancora secondo lo storico ebreo, essi non solo parteciparono sempre maggiormente al potere, ma divennero alla fine addirittura amministratori (dioiketai} 121 di tutto lo stato, con il potere esecutivo di im­ porre e levare il bando, incarcerare e scarcerare.122 Altrove Giuseppe Flavio afferma persino che Alessandra sarebbe stata 1 19 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 13, 379ss. Evidentemente questa brutalità del «leone furioso» non fu criticata a Qumran, come si era normalmente rite­ nuto in un primo tempo, ma giustificata, ivi compresa l'insolita modalità del­ l'esecuzione capitale; cf. 4QpNah l , l ss e, al riguardo, YADIN 1 981 , 167-1 84. 120 GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 13, 296. 121 Probabilmente qui l'uso del termine dioiket da parte di Giuseppe non � casuale; sotto la dominazione tolemaica, esso designava il supremo ammini­ stratore finanziario ed economico del regno dopo il re. 122 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 1, l lOs; cf. lo., Ant. 13, 409.

272

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regina di nome, ma che il potere sarebbe stato esercitato di fatto dai farisei. alla maniera dei sovrani assoluti.123 Con ciò concorda anche il fatto che i farisei avrebbero cercato di in­ durre Alessandra a uccidere i responsabili della soppressione , sotto Alessandro Ianneo, degli 800 oppositori. 124 Sembra che lo stesso Erode abbia rispettato i farisei come un importante gruppo di opinione e di programma.125 Sempre secondo Giu­ seppe Flavio, anche all'inizio della rivolta antiromana, i mag­ giorenti dei farisei si trovavano, accanto ai sommi sacerdoti, fra i circoli dirigenti e dominanti di Gerusalemme . 126 Anche secondo la presentazione del Vangelo di Marco e del Vangelo di Matteo i farisei erano membri influenti degli ambienti do­ minanti della Galilea e, secondo il Vangelo di Giovanni e gli Atti degli Apostoli, anche a Gerusalemme, in particolare come membri del sinedrio. 127 Tutto ciò induce a collocare i fa­ risei, in parte nel gruppo dei retainers a causa della loro forma­ zione, in parte probabilmente addirittura nello strato supe­ riore dominante, a causa della loro discendenza. 128 Ma i confini fra questi due gruppi sono mobili, nella misura in cui membri del gruppo dei retainers potevano salire, in certe circostanze , nella classe dello strato superiore dominante. Così non è casuale il fatto che Giuseppe Flavio, che proveniva dall'aristocrazia sacerdotale, si sia considerato, perlomeno per un certo tempo, come appartenente ai farisei. Si discute se ciò significhi che egli fu un convinto fautore delle dottrine farisaiche. In ogni caso sembra molto probabile che egli non avesse intrapreso la sua carriera pubblica se nza tener conto del ruolo direttivo dei farisei.129 Anche il fariseo Simone ben Gamaliele, ricordato dallo storico ebreo nella sua autobiografia, discendeva da un 'illustre famiglia di Gerusalemme ed esercitò un'influenza sul sommo sacerdote Anania,130 che era un sad­ duceo. Lo stesso vale per Samia, che, al tempo dell'ascesa politica di

1 23

GiusEPPE FLAV IO, Ant. 13, 409. G IUSEPPE FLAVIO, Ant. 13, 410. Cf. SALDARINt 1989, 98ss. 126 Cf. GIUsEPPE FLA v1o, Vita 20ss; lo., Beli. 2, 409ss. 127 Cf. , al riguardo, SALDARINI 1 989, 144ss. 128 Cf. SALDARINI 1989, 94s. 129 GIUSEPPE FLAVIO, Vita 10-12. Cf. MASON 1989, 3 1 -45. 130 GIUSEPPE FLA vto, Vita 1 96ss. 124 125

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273

Erode, era membro del sinedrio, discepolo del fariseo Pollione e pro­ babilmente egli stesso fariseo. 1 31 A t 5,34 ricorda come membro del si­ nedrio e come dottore della legge stimato presso tutto il popolo il fa­ riseo Gamaliele, che viene spesso identificato con Gamaliele I (t 50 d.C. ), un discendente di Hillel. Anche se il Gamaliele lucano fosse una figura letteraria, è comunque degno di nota il fatto che Luca lo ponga negli ambienti del potere. Un interessante sguardo sulla collo­ cazione sociale dei farisei permettono, infine, due altre annotazioni di Giuseppe Flavio. Egli ricorda infatti che, nel 66 d. C . , «i più ragguar­ devoli fra i farisei» tentarono, insieme con i sommi sacerdoti e i citta­ dini più influenti di Gerusalemme, di stornare la guerra incom­ hente. 1 32 Inoltre riferisce di una delegazione mandata da Gerusa­ lemme in Galilea per destitu irlo dal suo comando in Galilea. 133 Que­ sta delegazione era composta da uomini di diversa estrazione (genos ) , ma di uguale formazione (paideia ) . Due di essi, i farisei Gion ata e Anania, erano di estrazione popolare (demotikoi); il terzo, Joazar, pure fariseo, era di stirpe sacerdotale; mentre il quarto, Simone, di­ scendeva da una famiglia di sommi sacerdoti. Due cose sono chiare: anzitutto, la distinzione fra Simone e Joazar, entrambi sacerdoti, e di cui uno discendeva addirittura dall 'aristocrazia sacerdotale; in se­ (ondo luogo, la distinzione fra Gionata e Anania, da un lato, e Si­ mone e Joazar, dall'altro: questi erano di orgine sacerdotale, mentre quelli erano di origine non sacerdotale. Il problema è se Giuseppe Flavio, con la designazione dei farisei Gionata e Anania come demo­ likoi, alludesse solo alla loro discendenza non sacerdotale, volendo quindi dire che erano laici , 1 34 o se invece non si riferisse (anche) alle origini più modeste dei due. 1 35 In ogni caso, in base al contesto e al­ l'uso che solitamente lo storico fa del termine demotikos,136 sembra molto più probabile questa seconda ipotesi. Va comunque osservato che è difficile che si siano inserite in una delegazione ufficiale man­ data a Giuseppe da Gerusalemme persone di estrazione molto mode­ sta. Lo esclude già semplicemente l'allusione al fatto che erano tutti e quattro della stessa formazione - il che dovrebbe implicare : di eccel­ lente formazione - e la constatazione che proprio Gionata, quindi uno dei farisei espressamente i ndicati come di bassa estrazione, era il capo della delegazione. Riteniamo perciò che anche i farisei di bassa estrazione facenti parte di q uesta delegazione fossero dei membri del

1 31

Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 1 63ss.

132 GIUSEPPE FLAv1o, Beli. 2, 408ss. 133

GIUSEPPE FLAVIO, Vita 197ss. Così, secondo la traduzione di CLEMENTZ 1993, 38. 135 Così, secondo la traduzione di H.St. THACKERAY, «Giuseppe� (Loeb), vol. I, 75 ( >147 o come «poveri» 148 e l'espressione «poveri dello spi­ rito», 149 nonché le affermazioni sulla «mescolanza della pro­ prietà)> (si veda sotto), hanno indotto a ipotizzare che la comu­ nità di Qumran vivesse in uno stato di volontaria povertà e co­ munione dei beni. Inoltre, poiché alcune espressioni della «re­ gola della comunità» 150 sembrano sostenere l'ideale della vita celibataria, la comunità di Qumran è stata paragonata a un or­ dine monastico.151 Tutto questo è confermato apparentemente anche dalle annotazioni sugli esseni che si trovano in Plinio il Vecchio� Filone e Giuseppe Flavio.152 Ma, poiché quest'ultimo sembra presupporre sia esseni celibatari che esseni sposati, si è supposto che perlomeno il «nocciolo della comunità» abbia vissuto a Qumran in modo celibatario e in stato di volontaria povertà.

145

GIUSEPPE FL AVI O Beli. 2, 567; 3, 1 1 . 146 G I USEPPE fLA VIO , Ant. 15, 373; 17, 347s. 147 4QPs 37. 148 J QpHab 12,3ss; JQM 1 1 ,8s. 13; 13,14; JQH 1,36; 2,32.34; 3,25; 5,16ss e spesso. 1 49 J QM 14,3.7; cf. J QS 3,8; 4,3. 150 Cf. semplicemente JQS 1,1ss. 151 Cf. soprattutto SIEDL 1 963. 152 Cf. ADAM-BURCHARD 21 972. ,

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Ora vi sono, anzitutto, buone ragioni per ritenere che le af­ fe rmazioni sulla povertà degli scritti di Qumran non siano da considerare in senso semplicemente metaforico, quali riferi­ menti all'umile spiritualità della comunità, ma non si riferi­ scano neppure semplicemente alla povertà materiale. «Il ter­ mine "poveri" indica sempre coloro che appartengono al vero Israele e devono proprio per questo patire violenza e mise­ ria>>!53 Come ha chiaramente mostrato Lohfink, ciò che carat­ terizza le affermazioni sulla povertà sono le esperienze di per­ secuzione , di umiliazione e di emarginazione, e quindi anche reale sofferenza e reale miseria. In primo piano vi sono le stig­ matizzazioni a causa dell'appartenenza alla comunità, ma an­ che concreta oppressione e avversione, anzi forse addirittura spoliazioni e saccheggi.154 E tuttavia sorprende il fatto che «la povertà non compare mai espressamente come mancanza di beni materiali e mai compare, in opposizione ai "poveri", un gruppo di "ricchi")). 155 La ricchezza non viene disprezzata. Il fatto che l'orante dica, che non vorrebbe scambiare la verità di Dio con il possesso, 156 presuppone la possibilità della scelta fra verità e possesso, ma non contiene alcuna critica della ric­ chezza in sé. A ciò corrisponde il fatto che, ad esempio, si rim­ provera al «Sacerdote empio)) di aver mancato di fedeltà per avidità di possesso.157 Tutto questo fa pensare piuttosto a membri dello strato superiore declassati che non allo strato in­ feriore. In secondo luogo, è sbagliato anche supporre una comu­ nione dei beni tale da sopprimere la proprietà privata. 1 58 È cer­ tamente questa l'interpretazione suggerita da Filone e soprat­ tutto dalle annotazioni di Giuseppe Flavio sugli esseni. Ma a

lSJ

154

m

156

LoHFINK 1990, 33. l QpHab 12,9s. LoHFINK 1 990, 99.

Cf.

Cf. JQH 1 4,20; 15,23, Cf. / QpHab 8,10s. 158 Secondo HENGEL ( 1 973, 40) vi sarebbe stata addirittura una «comu­ nione dei beni ben organizzata e imposta con la forza», che egli presenta come «la spiritualità ebraica della povertà fatta legge». 1 57

278

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una più attenta considerazione risulta, come ha già mostrato Paschen, che qui un ideale socio-utopico ellenistico ha falsato la prospettiva.159 Basandosi sulle affermazioni relative alla proprietà nella catechesi sulla purezza rituale, 160 Paschen mo­ stra chiaramente che la graduale cessione della proprietà è da porre in re lazione con il codice di purezza rituale sacerdotale della comunità. Non si tratta di rinuncia alla proprietà, ma del­ l'esigenza che nelle transazioni economiche all'interno della comunità si scambino solo beni che corrispondono alle prescri­ zioni di purezza rituale. 161 La graduale «mescolanza» del patri­ monio di chi entra nella comunità con la proprietà della comu­ nità serve quindi alla purificazione dei beni mobili in vista del­ l'uso intracomunitario. Come chi desidera entrare nella comu­ nità viene sottoposto a un processo di purificazione, che lo mette in grado di «avvicinarsi» alla comunità per così dire come un sacerdote al culto, così si fa anche con le cose che egli possiede. Esse vengono introdotte nel patrimonio della comu­ nità e sottoposte alla sorveglianza dei sacerdoti. La proprietà privata e l' uso privato non sono quindi esclusi. Esisteva certa­ mente anche un patrimonio comunitario che era amministrato da uno speciale «sorvegliante». E chiaramente ognuno doveva versare mensilmente almeno il salario di due giornate lavora­ tive nella cassa sociale. 162 Ciò sta ad indicare che nella comu­ nità vi era anche chi aveva bisogno di essere aiutato. È possi­ bile che con questo danaro si siano risca ttate dalla schiavitù per debiti persone che desideravano entrare nella comunità.163 Ma, riguardo alla comunità nel suo insieme, non si può parlare di povertà in senso materiale e neppure di povertà volontaria. In terzo luogo, ora abbiamo anche una prova archeolo­ gica. 164 È indubbio che i resti del complesso di costruzioni di

Cf. PASCHEN 1 970, l 09ss. Cf. I QS 5,1 3-20. 161 Q uesto spiega anche il «dovere di comprare in contanti)) di JQS 5,16s; cf. PASCHEN 1 970, 1 02s. 162 CD 14,12-1 17. Cf. H. STEGEMANN 1993, 261ss. 163 Cf. H. STEGEMANN 1993, 262s. 164 Cf M. BROSHI 1992. lS9 160

.

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

279

< 'hirbet Qumran si distinguono chiaramente dalle sontuose

l:Ostruzioni di Erode e di altri membri dello strato superiore in terra di Israele per la loro semplicità e assenza di ornamenti, ma questo non basta di per sé per affermare che il dato con­ ferma l'auto-designazione degli esseni come «poveri».165 In­ fatti, persone veramente povere non avrebbero certo potuto permettersi queste costruzioni, alle quali dovevano essere an­ nesse grandi estensioni di terra coltivata, 166 anche nel caso in cui avessero messo insi eme tutti i loro patrimoni. Inoltre , l'ele­ vata efficienza dell'azienda e soprattutto la struttura idrica al­ tamente sviluppata dal punto di vista tecnico è in stridente contrasto con la mancanza di ornamenti dell 'insieme, che va attribuita piuttosto a motivi religiosi, piuttosto che economici. Anche l'enorme biblioteca della comunità è indice di una no­ tevole potenza economica. In ogni caso, l'insediamento era un'azienda economicamente molto florida, che poteva perse­ guire la propri a autonomia , oltre che con l 'agricoltura , con la lavorazione della ceramica, la concia delle pelli, la fabbrica­ zione di rotoli e il commercio. È molto probabile che nella comunità di Qumran fossero rappresentati tutti gli strati sociali. Ma fi n dall'inizio ebbero in essa un ruolo particolare i membri dello strato superiore e del loro seguito, i sacerdoti e gli scribi. Anche le donne potevano farne parte, ovviamente con minori diritti.167

4. MOVI MENTI E SINGOLE FIGURE PROFETICO-CA R I SMATICHE IN EPOCA ERODIANO-ROMANA Accanto alle grandi correnti e agli orientamenti di fondo, i cui inizi risalgono al primo periodo dello scontro fra la popola­ zione gi udaica e i regni ellenistici, esiste, in epoca ellenistico­ romana, tutta una serie di fenonomi religiosi interpretabili, al

165 166

167

così HENGEL 1978. 335. Cf. HENGEL 1978, 335ss. Cf. H. STEGEMANN 1993, 267ss.

Ma

280

Storia sociale del cristianesimo primitivo

pari delrapocalittica, come reazioni di protesta indirette al caos socio-economico e politico-religioso in terra di Israele. ma aventi le loro basi, a differenza dell'apocalittica e dei prin ­ cipali gruppi religiosi, non nell 'élite, bensì nello strato infe­ riore e negli ambienti scarsamente considerati . Qui pensiamo, da un lato, a singole figure taumaturgiche o profetiche; dall'al­ tro, ai movimenti dei cosiddetti «profeti oracolari» e, infine . anche a quelli di Giovanni il Battista (e Gesù) che, a partire da Weber, sono stati presentati dal punto di vista socio-religioso come «movimenti carismatici» - o in collegamento con que­ sto, dal punto di vista socio-etnologico - come «movimenti millenaristi>>, 168 che sappiamo essere tipici della situazione dei popoli colonizzati con struttura tribale tradizionale o dei gruppi in condizione svantaggiata che vivono ai margini delle società maggioritarie straniere. Ritorneremo su questo punto più dettagliatamente là dove descriviamo i seguaci di Gesù. 1 6Y Anche le singole figure sono ovviamente dotate dal punto di vista carismatico. Ma esse non hanno mobilitato le masse né hanno avuto una stretta cerchia di seguaci. Al contrario, nei movimenti profetico-chiliastici sorti attorno a persone cari ­ smaticamente dotate - che cercarono di farsi riconoscere come garanti della speranza (messianica) nella salvezza o me­ diante azioni prodigiose, nonché mediante una vita esemplare , l' «estraneità economica» e, non da ultimo, anche il martirio ­ si raccolsero grandi folle di sostenitori, o anche, come nel caso del Battista (e di Gesù) sia un 'ampia cerchia di seguaci sia una più ristretta cerchia di discepoli. Fenomeni del genere si eb­ bero non solo in terra di Israele, ma, come mostra l'esempio di Gionata il Tessitore, e del suo movimento in Cirenaica, 1 70 nella diaspora. Se i taumaturghi rappresentano una risposta al bisogno in­ dividuale, i movimenti profetico-carismatici sviluppano per così dire una concezione di liberazione dall'oppressione in­ terna ed esterna di tutto il popolo. Essi propongono quindi un 168 169

1 70

Cf. MOHLMANN 1961 ; WrLSON 1973; WORSLEY 1968; GAGER 1975. Cf. più avanti, p. 328. Cf. GIUSEPPE FLAvi o, Beli. 7, 437ss.

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281

>. 268 Anche Athronges portava un diadema e si faceva chiamare re. La sua banda assaltò presso Emmaus una coorte romana. che sorvegliava un trasporto di derrate alimentari e di armi. Ma in capo a pochi mesi anche queste bande furono ster­ minate dalle forze erodiane-romane. Che pure Gesù di Nazaret sia stato assimilato ai preten­ denti al regno provenienti dall 'ambito del banditismo sociale risulta anche dal racconto della passione dei Vangeli, in parti­ colare dall'interrogatorio davanti a Pilato (cf. Mc 1 5,1 ss parr.), dalla scena della derisione di Gesù come re (Mc 15,1 6ss parr.) c soprattutto dalla scritta «re dei giudei» posta sulla croce (Mc 15,26ss parr.). Inoltre, nel Vangelo di Giovanni, dopo il mira­ colo della moltiplicazione dei pani , il popolo vuole «fare re» Gesù (Gv 6,14). Ma proprio nel quarto Vangelo si prendono chiaramente le distanze da questa interpretazione della sua fi­ gura. 269

268

269

GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 61. Cf., al riguardo, E. e W. STEGEMANN 1993, 41-56.

306

Storia sociale del cristianesimo primitivo

5.4. GRUPPI INSURREZIONALI ANTI-ROMANI

Come abbiamo già ricordato, Giuseppe distingue cinque diversi gruppi insurrezionali: sicari, zeloti, gruppi insurrezio­ nali di Galilea e di Giudea e idumei. I sicari fanno la loro comparsa sotto Felice o sotto Festo.270 I loro capi erano Menahem, figlio di Giuda il Galileo, e, a Ma­ sada, Eleazaro ben J air, un nipote di Giuda il Galileo. Gli zeloti vengono ricordati per la prima volta nel contesto della grande rivolta e sono capeggiati soprattutto da Eleazaro ben Simon. Poi Giuseppe Flavio ricorda i non meglio precisati gruppi insurrezionali della Galilea sotto Giovanni di Giscala e i gruppi insurrezionali della Giudea sotto Simon Bar Giora, nonché un gruppo compatriota degli idumei. A questi si aggiungono ancora i veri e propri responsabili della rivolta a Gerusalemme, quindi il gruppo proveniente dal­ l 'aristocrazia, il quale sotto la guida del capitano del tempio Eleazaro, figlio dell'ex-sommo sacerdote Anania, spinse al «boicottaggio dei sacrifici» e, infine, anche la parte della no­ biltà antiromana capeggiata dallo stesso Anania. Noi conside­ reremo qui più dettagliatamente solo alcuni di questi gruppi.

5.4.1. l sicari Giuseppe Flavio dice che i sicari fecero la loro comparsa a Gerusalemme sotto il governatore Felice come «Una nuova forma di banditismo». La novità dovrebbe essere consistita nel tipo di resistenza da essi espresso. Infatti, «commettevano assassinii in pieno giorno e nel bel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla folla, nascondendo sotto le vesti dei piccoli pugnali, e con questi colpi­ vano i loro avversari». 271

Per il primo cf. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 254; per il secondo cf. lo., 20, 1 86. 271 GIUSEPPE FLAv1o, Beli. 2, 254s; cf. anche la versione parallela in lo., Ant. 20, 186. Ant.

270

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307

Da questo passo risulta chiaramente che lo storico ebreo non solo utilizza il termine giuridico romano sicarii, ma è an­ che consapevole che è stata un 'anna speciale, un pugnale ri­ curvo (sica ) , a suggerirlo. Ma ciò che sta in primo piano nel termine «sicari» è certamente l'assassinio, compiuto con il pu­ gnale, di propri concittadini e, in particolare, di membri dello strato superiore. 272 Il primo attentato spettacolare dei sicari fu l'uccisione del sommo sacerdote Gionata.273 Ma Giuseppe im­ puta loro tutta una serie di assassinii di potenti e ricchi, accom­ pagnati anche da saccheggi e incendi. 274 Fra le azioni dei sicari, oltre agli assassinii, vi sono anche i sequestri di persona. Così lo storico ricorda che essi rapirono il segretario (grammateus) del capitano del tempio Eleazaro, figlio del sommo sacerdote Anania, e riuscirono a ottenere, in cambio del suo rilascio, la liberazione di dieci membri del loro gruppo. 275 Anche questo dovrebbe aver fatto parte del nuovo genere di banditismo at­ tuato dai sicari in Giudea. Comunque la loro tattica li distin­ gue chiaramente dal banditismo sociale, non da ultimo per il fatto che gli obiettivi scelti dai sicari non erano i romani, bensì unicamente i membri dello strato superiore giudaico. E vi è anche un'altra differenza. I briganti operavano essenzialmente nelle campagne e nei villaggi, mentre i sicari concentrarono la loro azione su Gerusalemme . Essi vanno quindi considerati come fautori di una sorta di guerriglia urbana o di commando terrorista urbano, che sceglieva per le proprie azioni rappre­ sentanti simbolici dello strato dominante giudaico. Infine, col­ pisce il fatto che i capi dei sicari, Menahem ed Eleazaro ben Jair, siano posti da Giuseppe Flavio in un contesto che li acco­ muna a Giuda il Galileo /76 il fondatore del cosiddetto quarto 272

MICHEL-BAUERNFEIND 1969, II, 2, 268s. Secondo GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 20, 163ss, il procuratore Felice avrebbe pagato dei banditi per uccidere Gionata. 274 GIUSEPPE FLAVIo, Ant. 20, 1 87; cf. Io., Beli. 2, 264ss. 275 GtusEPPE FLAVIO, Ant. 20, 208s. 276 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Be/l. 2. 433; 7, 275ss. È piuttosto improbabile che Giuda il Galileo si identifichi col pretendente al regno di Giuda, figlio del capo brigante Ezechia; ma cf., ad esempio, KENNARD 1 945, 28 1-286; HENGEL 21976, 336ss; BLACK 1974, 45-54. 273

Cf.

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Storia sociale del cristianesimo primitivo

partito dei giudei e il capo della rivolta contro il censimento in Giudea nel 6 d.C.271 E altrove egli chiama «Sicari» anche i so­ stenitori di Giuda il Galileo. 278 Senza dubbio, in questo caso Giuseppe non menziona alcuna tattica corrispondente a quella che sarà poi adottata in seguito dai sicari, ma esiste un'analo­ gia fra questi gruppi, dal momento che lo storico attribuisce anche ai sicari di Giuda il Galileo azioni terroristiche contro i propri concittadini. Dunque questi «sicari si sarebbero decisamente opposti a coloro che erano disposti a sottomettersi ai romani». 27� Se si tiene conto dello sfondo giuridico romano del termine, non si deve necessariamente pensare a un gruppo unitario di sicari a partire dal 6 d.C. Ma, oltre ai vincoli di parentela, vi sono an­ che altri indizi a favore di una stretta relazione fra l'opposi­ zione armata costituita da Giuda il Galileo e i sicari , al tempo della grande rivolta. Vi sono infatti evidenti concordanze fra questi gruppi di opposizione sul piano sia della legittimazione religioso-politica sia delle linee programmatiche. 280 Secondo Giuseppe Flavio, Giuda il Galileo ha strettamente unito il suo motto dell 'unica signoria di Dio con l'obiettivo della libertà di Israele, per la quale si doveva combattere, fino al martirio. 2x1 Ma attribuisce progetti analoghi anche a Eleazaro e ai sicari fuggiti in Egitto. 2H2 Inoltre, il fatto che Giuseppe presenti espressamente Giuda come un grande «maestro» e «dottore>> (sophistes) 283 e Zadok - l'altro fondatore del quarto partito ­ come fariseo, e veda addirittura questo quarto partito concor2" Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 18, 4ss.23. Che Giuda abbia operato in Giu­ dea e non in Galilea non solo risulta dal fatto che il censimento fu tenuto solo nell'ambito della provincia. ma è suggerito anche dal soprannome «il Gali­ leo», che in Galilea sarebbe stato assolutamente inutile (cf. HENGEL 21 976, 342s). 278 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 254. 279 Qui non ci troviamo quindi davanti ad alcun «USo anacronistico» (così RHoAns 1976. 56) del termine «Sicari>), ma anche certamente ad alcun uso a­ specifico per gli insorti in quanto tali (come in A t 21 ,38 per i seguaci di Teud;j . Cf., al riguardo. HENGEL 21976, 93ss. 281 GIUSEPPE fLAVIO, Bel/. 2, 1 17s.433; ID., Ant. 1 8, 4ss.23ss. 282 Cf. G IUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 323.327.341.372.406.410.418. 283 G I US EPPE fLAVIO, Beli. 2, 1 18.433.

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309

dare in linea di principio con quello dei farisei� induce a pensare che anche Menahem, che pure viene presentato come sophi­ stes,284 ed Eleazaro provenissero da questo gruppo dei retainers. A differenza del banditismo sociale, i sicari non erano quindi esclusivamente un gruppo dello strato inferiore, ma re­ clutavano i loro membri anche nel gruppo delle persone del seguito dello strato superiore. Con ciò concorderebbero sia il loro programma religioso-politico, sia il fatto che le loro azioni terroristiche erano rivolte contro l'élite sommosacerdotale di Gerusalemme. 285 Questo era l'obiettivo strategico dei sicari, come dimostra soprattutto l'assassinio del sommo sacerdote Anania da parte di Menahem, ancora durante la rivolta. 286 Co­ munque Menahem reclutò i propri seguaci anche fra i banditi sociali delle campagne. 287 Questo potrebbe spiegare il suo in­ gresso a Gerusalemme come pretendente al regno (messia­ nico ), al pari di Giuda, Simone e Athronges. Egli entrò in città «come un re)), «recandosi a pregare in gran pompa, ornato della veste regia e avendo i suoi più fanatici seguaci come guardie del corpo)). 288 Degno di nota è il fatto che la pretesa di Men ahem fu rifiutata da Eleazaro, figlio di Anania, e dai suoi sostenitori, non da ultimo a causa della sua bassa estrazione sociale, e poi da essi ucciso. Allora i sicari si ritirarono nella fortezza di Masada, dove, sotto la guida di Eleazaro ben Jair, resistettero ai romani fino al 74 d.C.

5.4.2. Gli zeloti Hengel ha mostrato che in Bellum Giuseppe Flavio usa il termine greco zelotes, in modo assoluto, determinato e al plu284 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 445; ovviamente il termine potrebbe avere un significato peggiorativo: «dottore che travia il popolo» (HENGEL 21976, 339). 2115 BAUMBACH (1985, 99) ritiene «che Giuda riunì sotto un programma di salvezza escatologica gruppi di banditi sociali preesistenti, creando così un'or­ ganizzazione religiosamente motivata e in grado di colpire, che puntò dritta sull'obiettivo [della liberazione di Israele]». 286 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 423ss. m GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 434. 288 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 434.444 .

310

Storia sociale del cristianesimo primitivo

rale, unicamente come nome di partito. Da diversi passi risulta chiaramente che qui si tratta di un'«autodesignazione onori­ fica» di questo gruppo,289 che risale a modelli vetero-testamen­ tari come quello dei «zelanti di Pincas» (Nm 25,10ss), ma an­ che al movimento di liberazione maccabaico. 290 Con èiò con­ corda anche il fatto che la direzione,291 se non addirittura la maggioranza degli zeloti, era costituita da sacerdoti, certa­ mente non solo rurali, ma comunque non membri dell'aristo­ crazia sacerdotale. 292 Essi vengono ricordati per la prima volta da Giuseppe nell'anno 66 d.C. come scorta armata del sicario Menahem che avanzava pretese regalj293 e poi nel contesto delle lotte di potere fra gli insorti,294 quando i sicari, sotto la di­ rezione del sacerdote Eleazaro ben Simon, assunsero a Geru­ salemme la direzione della rivolta, sottraendo la alle forze an ti­ romane più moderate dell'aristocrazia, cioè a Giuseppe ben Gorion e al sommo sacerdote Anania. Questo quadro è tipico. Infatti, in entrambi i passi, gli zeloti sembrano avere piuttosto la funzione di guardie del corpo, ma in realtà perseguono, come mostrano la loro concentrazione sul tempio e la scelta di nuovi sacerdoti capi e di un nuovo sommo sacerdote (si veda sotto), un obiettivo che è chiaramente rivolto contro l'aristo­ crazia sacerdotale dominante. Questo dovrebbe essere stato anche il motivo per cui essi appoggiarono inizialmente il sica­ rio Menahem. Naturalmente Giuseppe presenta gli zeloti come la parte più radicale della rivolta. Essi sostennero per­ manentemente e in coalizioni sempre diverse degli scontri ra.



r .

Bel!. 4, 160s; 7, 268ss. HENGEL 2 1 976, 68. HENGEL 21 976, 160ss. 291 Si cita, accanto a Eleazaro ben Simon, un sacerdote Zaccaria, figlio di Anficallos (GIUsEPPE FLAVIO, Beli. 4, 224). 292 Cf. HENGEL 21976, 64s; BAUMBACH 1973, 278ss; 1985, 97; ScHWIER 1 989, 142ss. Diversamente, M. SMITH 197 1 , 17ss («peasant-piety»); R.A. HoRSLEY 1 986, 1 59-1 92 ( «peasants-turned-brigands-turned Zealots» ) 293 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 444. Ciò non significa che lo storico ebreo identifichi sicari e zeloti. Ci si riferisce piuttosto a Beli. 2, 433s, dove egli ri­ corda che a Menahem si erano uniti anche «altri banditi», fra cui appunto an­ che alcuni zeloti (cf. BAUMBACH 1 985, 97). 294 G IUSEPPE FLAv1o, Beli. 2, 564. 289

290

GIUSEPPE FLAVIO,

.

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311

sentanti la guerra civile con i gruppi antiromani dell'aristocra­ zia gerosolimitana sotto la direzione di Anania e si trincera­ rono a tale scopo nel tempio. «Quelli trasformarono il tempio di Dio nel loro fortilizio e in un baluardo contro le sommosse popolari, sì che il santuario diventò il loro comando gene­ rale»21}5 {forse Mc 1 1 , 17 allude a questo). Con l'aiuto di Gio­ vanni di Giscala, che aveva ottenuto anche l'appoggio del gruppo degli idumei, gli zeloti riuscirono in un primo tempo ad imporsi e provocarono un vero bagno di sangue fra la nobiltà laicale e sacerdotale. Ma poi, grazie a una divisione interna, Giovanni riuscl ad avocare a sé il comando. 296 Ben presto egli stesso venne comunque combattuto dagli idumei e spodestato infine da Simon Bar Giora e dai suoi seguaci. Gli zeloti, sotto la direzione di Eleazaro, ruppero nuovamente con Giovanni e, quando cominciò l'assedio di Gerusalemme da parte di Tito, dovettero ritirarsi nell'edificio del tempio e, infine, addirittura nei sotterranei . Essi restarono sempre un gruppo più o meno isolato fra gli insorti e scomparvero con la fine della guerra. Tutto ciò induce a ritenere gli zeloti un gruppo di sacerdoti ra­ dicali che agì negli anni 66-70 d.C. e limitato anche sul piano sociale, data la sua composizione essenzialmente sacerdotale, e sul piano religioso-politico, riguardo all'obiettivo della ri­ volta. 297 I tentativi di estendere questo partito sul piano tem­ porale o in qualsiasi altro modo non sono convincenti. 298 L'azione più spett acolare degli zeloti fu il loro spodestamento dell'antica aristocrazia sacerdotale nel 67 d.C. Nonostante il racconto fortemente polemico di Giuseppe Flavio299 risulta chiaramente che essi aggiunsero alla prima riforma del tempio, al boicottaggio dei sa­ crifici dei pagani e soprattutto del sacrificio dell'imperatore da parte di Eleazaro ben Anania e dei suoi sostenitori, una seconda riforma ben più radicale. Essi scelsero, infatti, un sommo sacerdote mediante

295

GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 4, 151. GIUSEPPE FLA v1o afferma che «gli zeloti si unirono [ a Giovanni ] e ri­ nunciarono a restare separati)) (Beli. 5, 250). 297 Di essi non si parla neppure nelle Antiquitates, che si interrompono prima della rivolta. 298 Contro SCHWIER 1989, 13lss. 299 GIUSEPPE FLA V IO Beli. 4, 147ss. 296

,

312

l� .

Storici sociale del cristianesimo primitivo

l'estrazione a sorte. quindi con un giudizio di Dio. La sorte cadde su un sacerdote di campagna di nome Pincas. Giuseppe sottolinea con dure parole l'evidente illegittimità di una tale scelta, ma lascia intrav­ vedere al tempo stesso che gli stessi zeloti prestavano molta atten­ zione alla legittimità nel loro senso. Essi scelsero infatti il sommo sa­ cerdote in «Uno dei casati dei sommi sacerdoti, di nome Eniachin».�1") Se Giuseppe aggiunge anche che questo Pincas «non avrebbe affatto soddisfatto la necessità della discendenza da sommi sacerdoti», ciò si­ gnifica che questa contraddizione si basa probabilmente sulle diverse concezioni della legittima discendenza. In questo senso, per quanto riguarda la riforma del tempio si trattava «non solo di un tentativo di esautorare la nobiltà sacerdotale gerosolimitana, ma di un vero e pro­ prio ristabilimento della purezza del tem gio attraverso il ricorso alla sola legit tima stirpe sommosacerdotale». 1 Anche questo colloca gli zeloti nella tradizione de!la lotta anti-ellenistica per la purezza del tempio condotta al tempo dei maccabei.

5.4.3. Altri gruppi insurrezionali Fra gli altri gruppi insurrezionali dobbiamo ricordare ora quello di Giovanni ben Levi di Giscala e quello di Simone bar Giora. Giovanni ben Levi proveniva da Giscala di Galilea ed era un levita,302 per cui aveva in origine lo status sociale proprio del gruppo dei retainers.303 A ciò rinvia anche la sua amicizia con il fariseo Simone ben Gamaliele. 304 Senza dubbio, Giu­ seppe Flavio lo qualifica come «povero (penes)», 305 ma non come poverissimo (ptochos). All'inizio, egli era «Un bandito solitario. più tardi trovò anche compagnia per il suo vivere cri-

300 301

GIUSEPPE

FLAVIO, Beli. 4, 155. ScHWIER 1 989, 141. G i u SE PPE FLA v1o dipinge a fosche

302 tinte il carattere di Giovanni, che era il suo più acerrimo avversario in Galilea. Ciò spiega anche la sua sottoli­ neatura secondo cui Giovanni, che pure era levita, non osservava le prescri­ zioni relative ai cibi e alla purezza rituale (cf. Bel/. 7, 264). 303 Il fatto che GIUSEPPE FLAVIO attribuisca a Giovanni traffici inganne­ voli durante la rivolta (cf. Beli. 2, 590ss; Vita 71ss) è difficilmente un valido motivo per assegnarlo alla merchant class di Lenski (contro CROSSA N 1 994,

269).

304 305

GIUSEPPE FLAVIO, Vita 189ss. GIUSEPPE FLA v1o, Beli. 2, 258.

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313

minoso», saccheggiando la Galilea. 306 Ciò avvalora l'ipotesi che avesse abbandonato la sua condizione socio-economica per intraprendere una «carriera» di bandito sociale, reclu­ tando i suoi seguaci anche negli ambienti emarginati degli agricoltori dei villaggi dell'alta Galilea e dei rifugiati senza ra­ dici della regione di Tiro.307 All 'inizio , egli era apparentemente contrario alla rivolta, cui aderì dopo la distruzione di Giscala, riunendo la sua banda di fuggiaschi e combattendo il coman­ dante Giuseppe, che era stato mandato da Gerusalemme. Come molti altri insorti, sfuggì all'avanzata dei romani in Gali­ lea e riparò a Gerusalemme, dove per breve tempo poté aggre­ gare a sé anche gli zeloti e prendere il comando della rivolta in città. Dopo la vittoria dei romani, venne condannato alla pri­ gione a vita. 308 Ciò dimostra che i romani non accordarono molta importanza alla sua partecipazione alla rivolta. Simone bar Giora era, come indica il soprannome, figlio di un proselito, e originario di Gerasa, quindi della Decapoli. Sembra che all 'inizio avesse formato una banda di insorti, che operò nella regione di confine con la Giudea secondo lo stile dei banditi sociali, rubando e saccheggiando le case dei ric­ chi. 309 Ma le circostanze risvegliarono in lui l'interesse politico. Sfuggì a un esercito mandato da Anania nella toparchia di Acrabatene e si unì ai sicari che si erano rifugiati a Masada. Dopo che gli zeloti e gli idumei ebbero deposto Anania, «mirò alla conquista del potere assoluto» a Gerusalemme e avanzò anche altrimenti questa sua pretesa politica «promettendo la libertà agli schiavi». 310 Degno di nota è il fatto che Giuseppe Flavio ora ricorda anche che «la sua non fu più una banda di soli schiavi e ladroni, ma anche di non pochi cittadini, che gli prestavano obbedienza come a un re>>. 311 Egli riuscì quindi a

306

3ff1

308

309

310 311

GIU SE PPE FLAVIO, Be/l. 2, 587.589. GIUSEPPE FLAvJo, Beli. 2, 588; Io., Vita 372. G IUSEPPE FLAVIO, Beli. 6, 434. Cf. GIUSEPPE FLA v1o, Beli. 2, 652. GIUSE PPE FLAVIO, Beli. 4, 508. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 4, 5 10. Cf.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

314

radunare attorno a sé non solo banditi sociali, ma anche «per­ sone per bene».312 E come Menahem, e prima di lui già Giuda, Simone e Athronges, pretese il ruolo di un contro-re. Non è certamente casuale il fatto che anche Giuseppe Flavio ricordi il motivo del comandante carismatico dell'esercito, cioè «vigo­ ria del corpo e audacia». 313 Ma vi sono soprattutto indizi che fanno pensare che Simone si sia volutamente ispirato , per il suo contro-regno (messianico) , al modello di Davide.314 Così lo storico ebreo racconta che Simone in Idumea prese anzi­ tutto Hebron, cioè la città abitata da Davide prima di diven­ tare re (2Sam 2,1ss; 5,3ss ) . E sorprendentemente ricorda spesso delle donne o la moglie di Simone al suo seguito, come se qui si trattasse del seguito di una casa reale. 3 1 5 Ma soprat­ tutto descrive il suo ingresso in Gerusalemme, dove era stato chiamato dagli oppositori di Giovanni di Giscala, come l'in­ gresso trionfale di colui al q uale ci si era rivolti «come salva­ tore e protettore». 316 Probabilmente questa pretesa salvifica messianico-davidica si riflette anche nelle monete della rivolta, che recano la scritta «anno 4» e . 317 In ogni caso, Simone mantenne ferma la sua pretesa regale fino alla fine, quando - dopo un tentativo di fuga andato a vuoto - si presentò ai romani con una sottoveste bianca e un man­ tello di colore purpureo. 318 In realtà, i romani avevano visto in lui il capo più importante della rivolta, e lo fecero sfilare a Roma «come vittima sacrificate nella parata del trionfo», giu­ stiziandolo vicino al foro. 31 9

312 GIUSEPPE FLAVIO, Bel/. 4, 510. G IUSEPPE FLAVIO, Bel/. 4, 503.

313 31 .. JIS

316

317

Cf. MICHEL-BAUERNFEIND 1969, II, l, 230; CROSSAN 1994, 278. GIUSEPPE FLAVIO, Bel/. 2, 653; 4, 505.538. GIUSEPPE FLA vto, Bel/. 4, 575. Cf. HENGEL 21976, 303. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 29. Secondo GIUSEPPE FLAVIO, il tentativo

31R di Simone è proprio quello di provocare con il suo travestimento un terrore pa­ nico, cosa che faceva certamente parte anche della tattica dei banditi sociali (cf. SHAW 1991, 367s). 31� Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 6, 434; 7, 1 18ss.153ss.

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

315

5.4.4. Sguardo generale sulla formazione dei gruppi

Gettando uno sguardo generale sulle diverse formazioni di gruppi in terra di Israele in epoca erodiano-romana, ci si rende chiaramente conto che la loro collocazione socio-storica può fare luce in qualche modo sulla loro varietà e i loro antagoni­ smi. Infatti, si possono distinguere i diversi gruppi fondamen­ talmente in base alla loro appartenenza all'élite e allo strato dei retainers oppure allo strato inferiore. Mentre gli esseni, i sadducei e i farisei appartenevano sostanzialmente all'élite, tutti gli altri movimenti provenivano fondamentalmente dallo strato inferiore. Senza dubbio, specialmente nel caso dei fari­ sei, ma anche degli esseni, si sono avuti degli influssi anche sulle masse, e, in senso inverso, nei movimenti dello strato in­ feriore sono giunte a volte singole figure carismatiche prove­ nienti dallo strato ( inferiore ) dello strato dei retainers, ma fon­ damentalmente ogni gruppo reclutava i propri membri o nel­ l'élite o nello strato inferiore. Gruppi dell'élite e dello strato dei retainers. I sadducei rap­ presentavano un raggruppamento dello strato superiore puro, conservatore, caratterizzato soprattutto in senso sommosacer­ dotale, mentre il gruppo dei farisei era formato più o meno da membri dello strato dei retainers, membri di famiglie sacerdo­ tali, ma soprattutto di famiglie laicali. Se dei farisei si può dire che costituivano essenzialmente, come i sadducei, un gruppo riformatore dello strato dei retainers, il quale si sforzava di conseguire potere e influsso politico e mirava al tempo stesso a un'integrazione del popolo giudaico sulla base delle loro con­ cezioni religiose, degl i esseni si può affermare che proveni­ vano da una cerchia di membri dello strato superiore e dello strato dei retainers privati del potere, i quali avevano trasfor­ mato la loro volontà di potere nella pretesa di rappresentare in modo esclusivo il «Vero Israele». In questa misura, essi sono i soli fra tutti i gruppi dello strato superiore a sviluppare anche un «mondo alternativo» di stampo apocalittico. In questi gruppi elitari gli elementi carismatici si riscontrano, anche in relazione al gioco osservabile a livello socio-religioso di stigma

316

Storia sociale del cristianesimo primitivo

o esperienza di impotenza e carisma, solo presso gli esseni e anche qui solo occasionalmente, cioè nella persona del vene­ rato fondatore, il «maestro di giustizia». Non è ovviamente ca­ suale il fatto che la comunità essena sia stata persistentemente caratterizzata da concezioni apocalittiche, grazie alle quali essa mantenne la dissidenza radicale, anche politicamente fon­ data, che si trovava all 'origine dell'apocalittica, mentre sembra che i sadducei non siano stati minimamente influenzati da que­ sta corrente e i farisei abbiano adattato solo certe concezioni, inaugurate dall'apocalittica, relative a un saldo escatologico. Degno di menzione è il fatto che la pretesa di legittimità di questi gruppi si tradusse sempre in uno specifico programma «ermeneutico», che informò la spiegazione della Torah o in senso conservatore o in senso riformistico o radicale. La ri­ spettiva configurazione sociale di questi gruppi dipende o dal loro strato di appartenenza o dal grado di devianza, che fu il ri­ sultato della crisi della società ebraica o del suo fraziona­ mento. Nel caso dei sadducei si può ipotizzare che, data la loro appartenenza allo strato superiore (sommosacerdotale) di Ge­ rusalemme, costituissero un raggruppamento che presentava già solo per questo una certa separazione socio-economica dai membri dello strato inferiore. Ma, a parte questo, non è possi­ bile dire se e in che misura si distinguessero anche dagli altri membri dell'élite. In ogni caso, dovrebbero essere presentati, secondo la loro coscienza, come legittimi rappresentanti della tradizione sommosacerdotale e come garanti della continuità di Israele ed essersi scontra ti non a caso con l'opposizione e la concorrenza dei farisei, che li consideravano devianti. Analo­ gamente si può dire degli esseni, a parte il fatto che qui vi era fin dagli inizi di questo gruppo un'esperienza di estromissione dal potere e la separazione dall'aristocrazia dominante di Ge­ rusalemme considerata illegittima. Ciò comportò la forma­ zione di una propria complessa struttura sociale e di un'iden­ tità deviante, che fece degli esseni il gruppo più separato della società ebraica. Nel caso dei farisei, infine, sembra che l'ele­ mento che maggiormente stimolò la coesione di questo gruppo siano stati certi interessi politici specifici dello strato e comuni interessi religiosi. La loro devianza va vista perciò, da un

Pluralismo religioso in Israele in epoca ellenistico-romana

«Maestro di giustizia»

Giovanni il Battista





317

Élite (gruppi dello strato superiore)

Farisei Esseni Capi dei banditi sociali Un seguace di Gesù (pubblicano)

Persone del seguito (retainers)

Esseni Banditi sociali Seguaci di Giovanni il Battista Seguaci di Gesù

Non-élite (gruppi dello strato inferiore)

Minimo vitale

Banditi sociali Seguaci di Giovanni il Battista Seguaci di Gesù Profeti oracolari Taumaturghi

Città

Campagna

Fio. 5. Piramide sociale 3: gruppi religiosi nella terra di Israele compreso il

movimento di Gesù.

318

Storia sociale del cristianesimo primitivo

lato, da una prospettiva politica, nella misura in cui risulta dal confitto di potere , dall'altro, da una prospettiva religiosa, nella misura in cui il conflitto politico si traduce sempre- anche in conflitto religioso. Raggruppamenti dello strato inferiore. L'elemento dei mo­ vimenti dello strato inferiore più appariscente dal punto di vi­ sta socio-religioso dovrebbe essere quello carismatico. Esso non solo caratterizza le singole figure taumaturgiche, ma è an­ che un elemento catalizzatore decisivo nella formazione dei gruppi dello strato inferiore . Ciò appare soprattutto nella mo­ bilitazione di breve durata delle masse da parte dei profeti oracolari e dell'entrata in scena di Giovanni il Battista, carat­ terizza ta sia da un 'influenza di ampia portata, sia dalla forma­ zione di una cerchia ristretta di discepoli, ma anche nei capi ca­ rismatici sorti fra i banditi sociali e nei movimenti insurrezio­ nali. Ciò che contraddistingue i gruppi è, non da ultimo, anche uno stile di vita «estraneo all'economia», come mostra special­ mente il caso di Giovanni il Battista , ma in certa misura anche quello dei banditi sociali. Un elemento comune a questi gruppi è anche il carattere ampiamente a-politico o pre-politico dei loro movimenti. Al riguardo, si sviluppano, e si vivono anche in parte e si cercano di realizzare concretamente, come ad esempio nel caso dei banditi sociali e degli insorti, dei «mondi alternativi». Ma, a prescindere dalla grande rivolta, questi movimenti non sono stati politicamente influenti come i fari­ sei e i sadducei. Le motivazioni religiose di questi movimenti si nutrivano nel collegamento con le grandi figure del passato (Mosè, Giosuè, Davide, Elia ecc.), anche se una propria con­ cezione religiosa appare solo negli zeloti e nel movimento del Battista. Quest'ultimo è chiaramente influenzato dalle tradi­ zioni apocalittiche, mentre gli zeloti si ricollegano a conce­ zioni teocratiche.

Capitolo settimo

I seguaci di Gesù in terra di Israele

in epoca neo-testamentaria

Sguardo generale Riguardo ai seguaci di Gesù in terra di Israele distin­ guiamo qui tre fasi, che presentano, a nostro avviso, un loro caratteristico profilo non solo per ragioni storico-temporali, ma anche sociologiche: l) il «movimento di Gesù» vero e proprio, cioè il gruppo legato a Gesù durante la sua vita, per i cui membri si usa nor­ malmente nei Vangeli il termine «apostoli/discepoli» (mathe­ tes ) termine in ogni caso fuorviante dal momento che ne face­ vano parte anche delle donne; 2) la «comunità primitiva di Gerusalemme», sorta dopo la morte di Gesù, o le «comunità di Dio in Giudea», come le chiama Paolo (Gal 1 ,22; l Ts 2, 14), distinguendole espressa­ mente dalle «comunità dei gentili» (Rm 16,4);1 ,

1 Già dal punto di vista geografico e della loro composizione di ebrei e non ebrei, su1 piano de1la storia deHa religione e della storia sociale le . Per il gruppo di seguaci, uomini e donne, che era legato direttamente a Gesù durante la sua vita usiamo anche l'espres­ sione, oggi molto diffusa anche al di fuori dai paesi di lingua tedesca, di «movimento di Gesù». 3)

Dal punto di vista della sociologia della religione, quest'espres­ sione implica comunque una certa decisione previa, dal momento che denota già il momento carismatico del fenomeno. Il termine «movi­ mento>> indica, infatti, un'opposizione all'«istituzione» e trascende, di conseguenza, anche l'abituale «dicotomia Chiesa-setta».3 Cionondi­ meno, esso rimane piuttosto indeterminato dal punto di vista sociolo­ gico. Può comunque fare problema il fatto che il termine dei movimenti millenaristici si ritrovano perlomeno nel cristianesimo primitivo in quanto tale, se non addirittura nella maggior parte dei movimenti proto-giudaici, e, dall'altra, proprio gli aspetti sociologica­ mente rilevanti della «generalizzazione» e della trasforma­ zione del carisma vengono chiaramente spiegati basandosi sulla teoria weberiana del governo carismatico, teoria che è determinante nel terzo modello. 23 Considerato da questo

21 22

Cf. soprattutto J. SMITH 1 978. Cf. GAGER 1975, 12; HoLMBERG 1990,

78.

23 È ciò che avviene soprattutto nelle ricerche di MOHLMANN ( 1 961 ), sulle

quali

si basa Gager.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

329

punto di vista, il modello millenaristico costituisce una conta­ minazione del modello carismatico con elementi «ideologici» di natura apocalittica o chiliastica. Ma è proprio l'astrazione del concetto di carisma dagli aspetti limitati dal punto di vista religioso-culturale a caratterizzare il terzo modello.

1.1.3. Il modello carismatico La concezione interpretativa carismatica, 24 risalente a We­ ber, gode oggi di grandi favori nell'analisi religioso-sociologica del movimento di Gesù. La sua applicazione si trova in nuce nello stesso Weber. Essa è stata elaborata, fra gli altri, da Hen­ gel, Theissen, Schtitz, Holmberg, Ebertz, Schluchter, Bendix. 25 Anche questo modello è influenzato da fenomeni tipici della storia della religione cristiano-giudaica. Esso deriva dalla di­ scussione sul diritto e sulla costituzione della Chiesa avvenuta nel XIX secolo e trova il suo paradigma soprattutto in feno­ meni proto-cristiani.26 Ma, nel contesto della sua sociologia del comando, Weber ha trasformato il concetto di carisma in un tipo ideale - cioè in un anti-tipo del comando tradizionale e del comando giuridico - che può essere applicato a fenomeni comparabili della più diversa provenienza religiosa, politica e culturale. Il suo interesse non riguarda solo i labili inizi, ma l'e­ voluzione dell'elemento carismatico verso un movimento e in un movimento. Egli si interessa così alla situazione sociale con cui si trovano in relazione i fenomeni carismatici. E concentra, non da ultimo, l'attenzione sul processo relativo al mutamento o trasformazione dei movimenti autenticamente carismatici attraverso la «quotidianizzazione del carisma». 27 Considerato dal punto di vista della storia della sociologia, ciò ha il vantag­ gio di non esaurire il concetto di carisma nell'interpretazione delle proprietà personali «al di fuori del comune» di certi

24 Cf. WEBER 5 1976. 25

6

HENGEL 1968; THEISSEN 1991; J.H. ScHOTZ BENDIX 1985; EBERTZ 1987; cf. ScHLUCHTER 2ti KEHRER 1990, 195-198. 27 ScHLUCHTER 1988, 535s.

1978;

1979, 222-244; HoLMBERG 1988, 197-260.

330

Storia sociale del cristianesimo primitil·o

individui, ma di consentirne l'uso a livello di rapporti social i . «Si tratta della caratterizzazione di situazioni nelle quali deter­ minate proprietà (capacità, competenze) delle persone dive n ­ tano capaci d i essere socialmente riconosciute». 28 Queste si­ tuazioni sono caratterizzate da «necessità interiore>>, crisi della tradizione, prodotte specialmente dalla «necessità esteriore ". quindi da crisi politiche e socio-economiche, e dalla «ricerca di persone con proprietà e capacità o competenze soprannaturali o sovra-umane>>,29 dunque dell'operatore di prodigi, il quall' non solo promette una svolta o una salvezza dalla necessiti� mediante la sua legittimazione carismatica, ma la garantisce mediante l'azione. Naturalmente, a tutto questo è legato an ­ che un determinato «messaggio», che interpreta la nuova si­ tuazione. per cui nella trasmissione di questo messaggio i l modo dell'oralità è quello primario. 30 Ma ha bisogno - e ciò è decisivo - della conferma dello spirito e della forza, quindi della convalida attraverso il prodigio fuori del comune o della rivelazione . Il carismatico non è un predicatore; per ottenere il riconoscimento sociale egli deve dimostare visibilmente la sua intima relazione con il Divino. Alla struttura relazionale del concetto corrisponde la necessità del riconoscimento del cari­ sma da parte dei vengono reinterpretati, con l'ausilio della sacra tra­ dizione, e trasformati in uno «stato di elezione)), 36 mentre si valuta negativamente la situazione dei privilegiati . Decisiva è al riguardo l' «auto-stigmatizzazione)) (Lipp) dei carismatici, il fatto cioè che essi stessi partecipano alle sofferenze dei sotto­ privilegiati, mentre ne annunciano, e in parte sperimentano, il superamento. Ciò non solo rafforza la fiducia nel messaggio, ma è anche una condizione della sopravvivenza del movi­ mento carismatico, quando il carismatico ha sopportato nel martirio il destino inflittogli da coloro che detengono il po­ tere. 37 Per i movimenti carismatici quindi la morte violenta dell'autentico portatore del carisma non è affatto una cata­ strofe, ma in certe circostanze la scintilla iniziale che consente il dispiegamento e la trasformazione del carisma.

34

35

Cf. soprattutto LIPP 1 985. Cf. EBERTZ 1987' 19.

37

Cf.

36

EBERTZ 1987, 47. LIPP 1985 , 14.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

333

1 .2. GLI INIZI DEI SEGUACI DI GESÙ IN TERRA DI ISRAELE

Qui seguiamo l'interpretazione degli autentici seguaci di Gesù come inizio di un movimento carismatico e poniamo tutto questo nel quadro della storia sociale e della storia reli­ giosa. Al riguardo, presentiamo anzitutto gli inizi della «Car­ riera carismatica» di Gesù nella cerchia del Battista (par. 1.2. 1 ) e la fondazione di un proprio movimento carismatico da parte di Gesù (par. 1.2.2) . In corrispondenza all'approccio interpretativo weberiano nel campo della sociologia religiosa, elaboriamo la struttura del comando carismatico dei primi se­ guaci di Gesù e la situiamo dal punto di vista della storia della sociologia (par. 1 .2.3). Segue una descrizione dell'atti­ vità e del messaggio carismatici (par. 1 .2.4), la presentazione dell 'autentica devianza dei seguaci di Gesù (par 1 .2.5) e, in­ fine, il suo inquadramento nel ventaglio della storia religiosa e della storia sociale del giudaismo contemporaneo in terra di Israele (par. 1 .2.6). 1 .2. 1 . Giovanni il Battista e Gesù

I Vangeli pongono gli inizi della «carriera carismatica» di Gesù in terra di Israele in relazione con il movimento di con­ versione escatologico del Battista. 38 Anche se la descrizione dei rapporti fra Giovanni e Gesù è chiaramente influenzata in queste fonti, dall'interesse per una periodicizzazione della sto­ ria della salvezza e per la questione di chi fra le due figure sia da ritenersi superiore, è comunque storicamente probabile che Gesù non solo si sia sottoposto al battesimo di Giovan ni, ma sia entrato anche a far parte della sua cerchia di discepoli. È possibile che la cosa si rifletta anche nella designazione, diven­ tata poi nome di derivazione, di «nazoreo» o , mentre l'altro non specifica ulterior­ mente la sua condizione sociale.

b) Ulteriori informazioni. Comparando la descrizione lu­ cana della vocazione di Pietro e degli altri pescatori (Le S,lss) con il modello di questa interpretazione che si trova in Marco ( 1 , 1 6ss) colpisce subito una cosa: Luca pensa chiaramente che

69 70 71

Cf.

sulla storia dell'interpretazione

Cf. più avanti, pp. 650 . Cf. GNILKA 1 978- 1979, II, 333.

HERRENBROCK 1990, 3ss.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

343

Pietro e gli altri pescatori appartenessero a una sorta di «Coo­ perativa di pesca» (cf. solo Le 5,10). Come tali, avrebbero quindi fatto parte dei circoli più benestanti dello strato infe­ riore. Così, in Luca, essi abbandonano volontariamente tutto ciò che possiedono, il che significa che, in base alla sua descri­ zione, possedessero dei beni a cui rinunciare (Le 5,1 1 ; 18,28). Ma qui si tratta già di un 'interpretazione successiva riguardo ai seguaci di Gesù. 72 Essa suggerisce l'idea che i discepoli e le di­ scepole di Gesù abbiano rinunciato volontariamente ai Joro beni e che i mariti abbiano abbandonato anche le loro mogli. Ma da) Vangelo più antico (Marco) e dalla cosiddetta «fonte dei logia>> non risulta un simile radicalismo etico. Il racconto dell'uomo ricco mostra che la rinuncia al possesso era richiesta ai ricchi e che era proprio questa richiesta a impedire loro di diventare discepoli di Gesù (Mc 10,17ss ). Nel quadro delle ri­ nunce dei discepoli e delle discepole di Gesù è quindi più op­ portuno e giusto parlare di rinuncia sociale. Ciò significa che, nel corso della loro sequela, essi lasciano le loro famiglie allar­ gate (compreso il loro lavoro). E anche nel caso di Gesù ap­ pare chiaramente come le famiglie non fossero d'accordo con una tale decisione. La famiglia di Gesù ritiene che egli sia «fuori di sé» (Mc 3,20ss) e vuole andare a prenderlo e ripor­ tarlo a casa (Mc 3,31ss ). Inoltre, Marco ci descrive piuttosto dei discepoli poveri (povero nel senso di ptochos ) . La cosa è particolarmente evidente là dove si contrappongono il mendi­ cante cieco Bartimeo, che segue Gesù dopo la sua guarigione, e l'uomo ricco, che viene chiamato ma non accetta (Mc 10,17ss.46ss). L'estrema povertà dei seguaci di Gesù risulta an­ che dal racconto relativo al conflitto sul modo di intendere il sabato (Mc 2,23ss ). Gesù infatti difende i suoi seguaci che strappano le spighe dall 'accusa di violare il sabato attirando l'attenzione sulla loro condizione di indigenza materiale. 73 An­ che il racconto della maledizione del fico (Mc 1 1 ,12ss) con­ tiene un chiaro accenno alla fame di coloro che seguono

72 Al riguardo, ScHOTIROFF-STEGEMANN 31 990, 102ss. 7� Cf. ScHOTIROFF-STEGEMANN 31990, 58ss.

344

Storia sociale del . cristianesimo primitivo

Gesù. 74 Un quadro analogo risulta anche dalla «fonte dei lo­ gia». In essa, i discepoli di Gesù vengono presentati e descritti come assolutamente poveri (ptochoi) (cf. Le 6,20ss dove si parla di fame e lacrime). La loro vita al limite del minimo vi­ tale è presupposta anche nel discorso sulle «preoccupazioni». Qui non si tratta delle vuote e superflue preoccupazioni dei benestanti, ma del problema della sopravvivenza di persone che oggi non sanno se domani avranno ancora qualcosa da mangiare, che sono vestite miseramente (Mt 6,25ss/Lc 12,22ss ). Queste preoccupazioni per ciò che è indispensabile per vivere sono presupposte anche dalla richiesta del pane quotidiano nel «Padre nostro)) (Mt 6,1 1/Lc 1 1 ,3). Anche l'esi­ stenza errabonda dei seguaci di Gesù (mancanza di alloggio� cf. soprattutto Mt 8,20; Le 9,58) indica condizioni di vita perlo­ meno al limite del minimo vitale. Questo quadro è confermato anche dal rapporto dei seguaci di Gesù con i ricchi o con lo strato superiore. c) Rapporto con i ricchi. Con lo strato superiore e con i ricchi i seguaci di Gesù avevano un rapporto critico. Fra di loro avevano probabilmente dei simpatizzanti (Mc 15,43), ma ciononostante il nostro quadro dei rapporti dei primi seguaci di Gesù con l'élite della società ebraica è caratterizzato dalla critica della ricchezza e dal conflitto di Gesù con lo strato diri­ gente di Gerusalemme. Tutto sommato, colpisce il fatto che ­ ad eccezione del Vangelo di Luca - i problemi della ricchezza e la loro discussione giocano un ruolo non molto importante nella tradizione sinottica su Gesù di Nazaret. Ciò sottolinea ancora una volta la distanza che separava i seguaci di Gesù dall'élite ricca. Alla più anti ca tradizione di Gesù appartiene certamente questa dura parola: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio)) (Mc 10,25). Nella «fonte dei logia)), la ricchezza (espressa 74 Mc 1 1 ,12: Gesù aveva fame (epeinasen). Da lontano ritiene che vi siano dei fichi sull'albero, ma scambia le foglie verdi per frutti maturi. La maledi­ zione del fico non sarebbe seria se si supponesse che Gesù si era semplice­ mente dimenticato di fare colazione a Betania.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

345

con mammona, il termine aramaico-fenicio per indicare il pos­ sesso) è considerata idolatria (Le 12,13; M t 6,24) . Alla più an­ tica tradizione di Gesù risale anche l'idea del rovesciamento della condizione sociale nel futuro regno di Dio: gli ultimi sa­ ranno primi e i primi ultimi. 75 I primi e gli ultimi possono indi­ care anche il livello sociale. Si può quindi ipotizzare che anche Le 1 ,53 (gli affamati saranno riempiti di beni e i ricchi riman­ dati a mani vuote) e la parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (Le 1 6,1 9ss : nel suo nocciolo) risalgano alla più antica tradizione di Gesù. L'imminente regno di Dio pareggia le condizioni sociali esistenti. In esso, i ricchi se ne vanno a mani vuote, mentre i poveri non patiranno più la fame e non piangeranno più. Que­ sto rovesciamento è implicito anche nei moniti pronunciati sui ricchi (Le 6,24s ), la cui provenienza dalla più antica tradizione di Gesù è comunque incerta. Il fatto che egli venga detto un «mangione» e un e dei «piangenti», nonché l'analoga beatitudine dei «bambini», sono chiari rinvii alla condizione socio-economica.

Decisivo è quindi il fatto che le persone assolutamente po­ vere e i sofferenti in Israele sono considerati il nocciolo della riunione escatologica del popolo di Dio per il regno di Dio. In tal modo, Gesù «illustra>> con le sacre tradizioni quel mondo alternativo che egli proclama e vive. L'espressione «regno di Dio» sottolinea la nuova situa­ zione che si trovarono davanti, nel dramma escatologico, Gesù e i suoi seguaci. Infatti, «corrisponde all'ideale del re , sia tradi­ zionale che contemporaneo, il fatto di essere soccorritore nel bisogno e benefattore, non amministratore di cose». 85 Nell'i­ dea della realizzazione escatologica della signoria regale di Dio vi è quindi in primo piano l' elemento positivo di quella si­ gnoria: l'aiuto. Che ciò implichi anche, al tempo stesso, la lotta contro i demoni e la vittoria su di essi è evidente . Ma l 'idea della signoria regale di Dio sembra comunque fagocitare quella del giudizio di Dio. Ciò non significa che Gesù non avrebbe atteso anche la venuta di Dio come giudice. Al con­ trario, anch'egli predica il giudizio escatologico e, nelle para­ bole, collega la venuta del Regno proprio con la venuta del Giudice (cf. Mc 4,1-34 par.) e le esperienze dei miracoli, intesi come realizzazioni del regno di Dio, con l'appello alla conver­ sione (cf. anche Mt 8,1 1s/Lc 1 3,28s; Mt 1 1 ,21 24/ Lc 10,13-15). Al riguardo, anch'egli presuppone, come il Battista, che tutti in Israele («questa generazione>>) hanno bisogno di conver­ tirsi. Anch'egli contrappone provocatoriamente ai «figli del regno» i popoli pagani. Catastrofi storiche, come l'uccisione dei pellegrini galilei da parte di Pilato, sono considerate esempi ammonitori (Le 13,1-5). In questa misura, i seguaci di Gesù non solo presuppongono la predicazione del Battista, ma la continuano. 86 Ma, come Giovanni si considerò mandatario -

85

86

B URCHARD 1987, 23; cf. Cf. REISER 1990.

CAMPONOVO

1984.

350

Storia sociale del cristianesimo primitivo

del Giudice venturo, cosi Gesù e i suoi più stretti seguaci si considerarono incaricati del regno di Dio, esecutori della si­ gnoria regale di Dio. Ciò implica probabilmente anche un fu­ turo ruolo nel giudizio e precisamente per Gesù stesso, in quanto «Figlio dell'uomo», nei riguardi della cerchia dei suoi discepoli (cf. Mc 8,38; Le 1 2 ,8s par. ) e per i «dodici» nei ri­ guardi di Israele (Mt 19,28) . Ma ciò presuppone che Gesù e i «dodici» compissero una missione nei riguardi di Israele, che mirava, in ultima analisi, alla ricostituzione dell ' antico popolo delle dodici tribù. 87 Corrisponde all'auto-stigmatizzazione il fatto che l'azione e l 'annuncio dei seguaci di Gesù siano rivolti, in particolare, ai più poveri dei poveri e ai sofferenti. A loro non solo si pro­ mette la consolazione (cf. M t 6,25ss par.), ma si fa sperimen­ tare la vicinanza del regno di Dio. Ciò avviene soprattutto nei miracoli. Di conseguenza, si biasima la ricchezza (cf. solo Le 6,24ss ). Era considerato ricchezza già semplicemente ciò che oltrepassava il minimo vitale (cf. Mt 6, 19-21 par.) o che con ­ sentiva di vivere senza lavorare (cf. Le 12,16-2 1 ) . La richiesta del «pane quotidiano» , il fatto cioè che si abbia già oggi ciò che si può mangiare domani (Mt 6,1 1/Lc 1 1 ,3), rende chiara in un modo sorprendente questa prospettiva di miseria. 88 A ciò ap­ partengono anche le richieste etiche di Gesù: aiutare i poveri (Mc 1 0,17-22 par.); accogliere gli orfani (Mc 9,33-37; 10,1 3-16 par.) ; non opprimere i debitori (Mt 18,23-34). 89 Qui non sembra ancora aver giocato alcun ruolo la fede in una specifica funzione storico-salvifica di Gesù come messia. Non Gesù, ma Dio è il Signore del Regno che viene. Nella tra­ dizione si trova certamente il termine «fede»90 riferito a Gesù, soprattutto nei racconti di miracoli. «Credere significa ritenere Gesù capace di compiere i miracoli che egli faceva con il dito di Dio come manifestazione del regno di Dio ormai pre­ sente» . 91 In ogni caso, Gesù dovrebbe essersi compreso, ed es-

fi7 88 89

90 91

Cf. RoLoFF 1 993, 37. Cf., da ultimo, CuLLMANN 1994, Cf. BU RCHARD 1987, 46. Cf. LOHRMANN 1976. B U RCHARD 1987, 27.

68ss .

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

35 1

sere stato compreso, come un profeta (cf. Mc 6,15; 8,27; Le 1 1 ,49ss; 13,34s). Degno di nota è il fatto che l'annuncio del re­ gno di Dio che si è fatto vicino contiene anche l'annuncio del perdono dei peccati. È difficile pensare che se lo sia attribuito lo stesso Gesù (ma cf. Mc 2,1-12 par). Probabilmente egli è en­ trato in contatto con peccatori notori, che erano già in un cam­ mino di conversione, per esempio sedendo a mensa con loro (cf. Mc 2,15ss; Mt 1 1 , 19/Lc 7,34). Questo rinvia ancora una volta al carattere integrativo dei seguaci di Gesù. Essi vedono che il regno di Dio toglie la necessità economica e fisica, ma guarisce anche la società ebraica. 92 Decisivo è perciò il fatto che la preghiera di Gesù chieda il perdono di Dio, la santifica­ zione del suo nome e il compimento della sua volontà nel mondo (Mt 6,9- 1 3/Lcl 1 ,2-4). Soprattutto nelle parabole si di­ fende - probabilmente a causa delle critiche - questa carat­ teristica integrativa (cf. solo Le 15,lss; M t 20,1ss ). In ogni caso, qui si sviluppa un «mondo alternativo», che promette anche ai peccatori che si convertono un futuro nel regno di Dio e ai po­ veri un minimo vitale.

1 .2.5. Autentica devianza, ma non rottura con il giudaismo Il carattere carismatico dei seguaci di Gesù implica una certa genuina devianza e una concezione pre-politica. 93 L'in­ terpretazione del presente come il tempo dell'avvento del re­ gno di Dio sviluppa la realtà di un mondo alternativo, nel quale le necessità interiori ed esteriori della società ebraica vengono considerate come già parzialmente superate. A costi­ tuire il nucleo della riunione di Israele per il regno di Dio sono i più poveri dei poveri e i peccatori (convertiti). È, non da ul­ timo, proprio quest'esplicito legame sociale fra l'avvento del regno di Dio e i poveri e i peccatori (convertiti) ciò che distin-

92

Cf. ScHOSSLER FioRENZA 1988, 1 62ss. L'elemento pre-politico del movimento di Gesù nostro avviso, da R.A. HoRSLEY 1 989, l05ss. 93

è

sopravvalutato, a

352

Storia sociale del cristianesimo primitivo

gue i seguaci di Gesù da varie correnti del giudaismo, anche se esso mostra chiaramente nella sua dottrina contatti con altri orientamenti e gruppi.94 Che questa auto-comprensione esca­ tologico-carismatica dei seguaci di Gesù abbia caratterizzato anche il loro rapporto con le istituzioni del giudaismo e soprat­ tutto con la Torah è assolutamente evidente. Ma la cosa è stata spesso interpretata nel senso che vi era già all'inizio del movi­ mento di Gesù una frattura perlomeno implicita con il giudai­ smo. Ma nell'interpretazione dei testi si deve porre mente al fatto che, da una parte, la tradizione di Gesù è stata modificata da successive esperienze di devianza e, dall'altra, la storia della recezione cristiana è partita non di rado dalla premessa di una fondamentale frattura fra Gesù e il giudaismo. Si deve certa­ mente ammettere che il potenziale carismatico dei seguaci di Gesù ha potuto, in certe circostanze, accrescere la devianza nei confronti del giudaismo e, alla fine, trascendere il contesto ebraico. N o i vediamo che ciò avviene effettivamente dopo la morte di Gesù e poi specialmente nel contesto del supera­ mento del quadro intra-giudaico in terra di Israele, mediante la diffusione della fede in Cristo negli ambienti non ebraici della diaspora . Solo qui si sviluppa - e solo progressivamente - la coscienza di un'identità autonoma nei confronti degli ebrei e dei pagani. 95 Ma non si può presupporre una cosa del genere nel caso dei primi seguaci di Gesù, per quanto specifica possa essere stata la loro posizione nei riguardi delle istituzioni del giudaismo e, soprattutto nei riguardi della Torah. Lo evi­ denziamo brevemente nei punti sottostanti.

a) Rapporto con le istituzioni religiose del giudaismo Gettando uno sguardo sui rapporti dei seguaci di Gesù con le istituzioni del giudaismo, così come le abbiamo già descritte sopra,96 risulta anzitutto chiaramente che la tradizione consi-

Al riguardo, cf. più avanti, pp 359ss. Cf. più avanti, pp. 449ss. 96 . cf. sopra, pp. 240ss. 94

95

.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

353

dera assolutamente ovvio il fatto che Gesù e i suoi seguaci fre­ quentino in giorno di sabato le sinagoghe (Mc 1 ,23.39; 3,1; 6,2; Le 4,15s e spesso). Non si incontrano obiezioni di alcun ge­ nere. Diversamente sembrano stare le cose quando si tratta della posizione assunta nei confronti del tempio. Senza dubbio, Luca presenta come assolutamente ovvio il fatto che anche Gesù, come già i suoi genitori, si rechi al tempio. E, secondo Giovanni, egli ha partecipato alle feste di pellegrinaggio a Ge­ rusalemme (Gv 2,23; 5 , 1 ; 7,2- 1 1 ; 1 0,22). Ma la tradizione ri­ flette anche una notevole critica (cf. Mc 1 1,1-17 par.; 13,2 par.; 14,58 par.; Gv 2,1 8-22). Anche a questo riguardo non vi è, a nostro avviso, alcuna radicale contestazione dell'istituzione del tempio e del culto sacrificate, ma tutt'al più la critica degli abusi e l'annuncio di un intervento punitivo da parte di Dio. Tutto questo però si mantiene nell'ambito dei fenomeni di cri­ tica del tempio e degli annunci di sventura tipici nel giudaismo del tempo.97 Così pure è difficile attribuire al movimento di Gesù, come fa TheiBen, un «ethos a-familiare».98 L'appello a seguirlo implica certamente, per la cerchia più stretta dei suoi discepoli, un abbandono (temporaneo) delle famiglie, ma que­ sto non vale ovviamente per tutti. Al contrario, Gesù ha co­ mandato di aver cura dei genitori (Mc 7,10-13 par.) e di acco­ gliere gli orfani (Mc 9,37 par.) e ha vietato lo scioglimento dei vincoli matrimoniali (cf. l Cor 7,10s; Mc 10, 1-12; Le 16,18 par.; Mt 5,32). I passi in cui si collega la richiesta di seguire Gesù con l'abbandono dei princìpi fondamentali della solidarietà e della pietà familiare (Mt 8,21s; cf. anche Le 14,26, a differenza di Mt 10,37) dovrebbero essere iperbolici o riflettere un'inter­ pretazione posteriore.99

97

Cf. E.P. SANDERS 1985, 61ss.

98 Cf. THEISSEN 3 1 989, 83s e spesso.

99 In Luca si trova, inoltre, un' «interpretazione cinica» redazionale; cf. STEGEMANN 1979, 94- 120. Diversamente ora CaossAN, che considera Gesù un «cinico ebreo, contadino» (1 994, 553) e ritiene possibile un'influenza su di lui del cinismo greco.

W.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

354

b) Rapporto con gli elementi fondamentali della fede ebraica Così pure, mai si pongono in discussione gli elementi fon­ damentali della fede ebraica, 100 quali: il monoteismo e l'ele­ zione del popolo. La confessione dell'unico Dio è assoluta­ �ente ovvia (cf. solo Mc 10, 1 7ss par.; Mc 1 2,28ss par.; M t 23,9). L'unicità di Dio o la santificazione del suo nome è stata presentata come «il fondamento oggettivo del messaggio di Gesù» sul regno di Dio}01 Essa implica anche l'elezione del po­ polo. che ovviamente non viene considerata - in corrispon­ denza con la critica profetico-apocalittica - come automatica garanzia di salvezza (cf. quanto si è detto sopra a proposito dell'annunzio del giudizio) . Si parla certamente in modo pro­ vocatorio della testimonianza dei pagani nel giudizio, della loro partecipazione al regno di Dio e dell'esclusione da esso dei «figli del regno», nonché dell'esemplarità della fede di un non ebreo, ma tutto questo presuppone proprio l'elezione di Israele. In Gesù non si trova alcun rivolgersi in modo pro­ grammatico ai noi ebrei.102 Tuttavia l'elezione della terra non gioca alcun ruolo esplicito nella tradizione di Gesù, quindi si deve concludere piuttosto nel senso di un 'ovvietà di questo to­ pos, piuttosto che non nel senso di una sua critica.

c) Rapporto con la Torah Per quanto riguarda il rapporto con la Torah, bisogna anzi­ tutto osservare che nella tradizione di Gesù esistono fonda­ mentali prese di posizione assolutamente favorevoli nei suoi riguardi (Mt 5,17-20; cf. Mc 1 2,28-34 ) . Anche se qui si riflet­ tono le posizioni di una fase successiva dei suoi seguaci, la cosa mostra chiaramente che Gesù non era assolutamente conside­ rato il maestro del superamento della Torah. Ciò che era in di­ scussione era la spiegazione della Torah, ma anche questo solo su certi punti. Secondo la tradizione del Vangelo di Marco, la 100 101

102

Cf. sopra, pp. 237ss. Cf. MERKLEIN 1987, 13-32. Cf., al riguardo, E.P. SANDERS

1985, 212ss.

Seguaci di Gesù

in

Israele in epoca neo-testamentaria

355

devianza riguardava soprattutto la halakhah del sabato, il di­ ritto riguardante la separazione e le norme relative alla purezz a rituale; secondo la tradizione della «fonte dei logia», inoltre, soprattutto il comandamento dell'amore del prossimo nel con­ testo della rinuncia alla violenza e dell'amore dei nemici. In ogni caso, ci sembra che l'auto-coscienza carismatica dei se­ guaci di Gesù, quale movimento dei poveri in Israele , sia per così dire la chiave di volta della loro spiegazione della Torah. Halakhah del sabato. Riguardo alla halakhah del sabato lo si può constatare in due modi. Da una parte, Gesù giustifica il comportamento degli apostoli che in giorno di sabato strap­ pano le spighe (cf. Mc 2,23-28 par.). La motivazione per il di­ ritto di compiere un 'azione del genere è la necessità o la fame che patiscono coloro che seguono Gesù come mendicanti (in base alla loro auto-stigmatizzazione ). Pensiamo che qui si sia applicata alla situazione dei mendicanti il principio sviluppato in occasione della rivolta maccabaica, secondo cui il pericolo di vita fa passare in secondo piano il sabato (pikuach ne­ fesh). 103 Ponendosi dal punto di vista delle persone assoluta­ mente povere si stabilisce che il sabato non è al servizio della propria rovina. Che nella spiegazione di ciò che significa pericolo di vita giocas­ sero un ruolo anche situazioni socialmente condizionate lo potrebbe chiarire una comparazione. In Mt 12, 1 1 si permette infatti la salvezza di un animale che si trova in pericolo di vita. Lo stesso si può trovare nella tradizione rabbinica. 104 A Qumran invece la halakhah è più esi­ gente anche in questo caso.105

Negli altri racconti di conflitto a proposito del sabato al centro della discussione vi è l'autorità carismatica di Gesù (cf. Mc 2,1-12; 3,1-6; Le 13,10-17; 14,1 -6; Gv 5,1 - 1 8; 9). Il fatto che queste guarigioni siano state operate mediante il solo uso della parola fa sì che qui non vi sia un'infrazione della halakhah del sabato. Questi racconti riflettono quindi evidentemente «solo»

103 Cf. SCHOTIROFF-STEGEMANN 1 979' 58-70. Cf. bShab 1 28b. 105 CD 1 1 , 16s.

104

Storia sociale del c.ristianesimo primitivo

356

delle discussioni sull'autorità di Gesù. Ma anche in questo caso si deve notare come siano confluite già nella tradizione poste­ riori prese di distanza dallo stile di vita giudaico (cf. solo Mc 2;28 par.). Diritto della separazione. I seguaci di Gesù erano molto in­ teressati al diritto relativo alla separazione , che veniva inter­ pretato in un modo estremamente rigoroso e permetteva la se­ parazione - secondo la scuo l a farisaica di Shammai - solo in casi estremi (Mc 10, 1 - 1 2 par.; Le 16,18 par. ; Mt 5,32; cf. lCor 7,10s). M a anche questo punto si può forse comprendere al meglio sul piano socio-storico. Bisogna considerare se anche fra i seguaci di Gesù giocasse un ruolo l ' asp etto della profetica «critica del sovrano » . 1 06 Ma l'ambito di validità della proibi­ zione della separaz ione dovrebbe essere naturalmente più am­ pio . Si deve perciò ipotizzare che la proibizione della separa­ zione si riferisca a certi fenomeni sociali prodotti dalla crisi della società ebraica. Ci chiediamo se la povertà non sia potuta essere una causa della disgregazione della famiglia . Norme relati ve ai cibi e alla purezza rituale. Riguardo alle norme relative ai cibi e alla purezza rituale la tradizione è chia­ ramente influenzata da esperienze posteriori, nella misura in cui qui, cioè nel contesto contemporaneo, si insegna la purezza di tutti i cibi (cf. Mc 7, 19). Ora è difficile presupporre una cosa del genere per lo stesso Gesù. Si deve piut t osto ritenere che i primi seguaci di Gesù abbiano fondamentalmente ricono­ sciuto la halakhah relativa alla purezza rituale (cf. solo Mc 1 ,40-45 ) . Diversamente, anche i posteriori conflitti sulla com­ mensalità con i non ebrei sarebbero difficilmente pensabili. Ma, ammesso che Mc 7,15 riprenda un'antica tradiz ione, è evi­ dente che, sulla base di un riconoscimento di principio della purezza rituale, era richiesta una pure zza etica del cuore. An­ che questo si trova nella tradizione ebraica, non da ultimo nella tradizione del Battista. 107 Senza dubbio, vi è ben poco a 106 107

Cf. sopra, pp. 290s. Cf. BuRCHARD 1987,

46s.

Seguaci di Gesù in· Israele in epoca neo-testamentaria

351

favore della tesi secondo ·cui i seguaci di Gesù avrebbero avuto, nel campo della purezza rituale, un rigore pari ad esem­ pio a quello degli esseni, caratterizzati in senso sacerdotale� o dei farisei e, in seguito, dei rabbi. Essi «rifiutavano chiara­ mente norme come quelle relative alle abluzioni e al paga­ mento successivo della decima su prodotti agricoli sui quali probabilmente non era stata pagata (Mc 7,1-8 par.; Le 1 1 ,39-42 par. )>>.108 Ciò a cui essi miravano era la santificazione etica del popolo, non la santificazione rituale. Ma anche questo do­ vrebbe essere interpretato come percezione del punto di vista di uno strato inferiore ridotto alla miseria, più che non come critica della legge, essendo quindi motivato analogamente alla halakhah del sabato proposta da Gesù. Amore del prossimo/rinuncia alla violenza. N el discorso pro grammatico di Gesù (discorso della montagna � discorso della pianura) si sviluppa chiaramente un «mondo alterna­ tivo», il cui nocciolo può essere fatto risalire ai primi seguaci di Gesù (cf. Le 6,20-49 par.) . Decisiva è anche in questo caso l'in­ tenzione integrativa della spiegazione della Torah.109 Infatti, nella richiesta della rinuncia alla violenza, che viene chiara­ mente estesa anche alle misure costrittive dei romani o delle autorità in genere (Le 6,29/Mt 5 ,41), come pure in quella rela­ tiva all'amore del prossimo solidale anche nei riguardi dei ne­ mici, si esprime una tendenza a ristabilire l'equilibrio e a svele­ nire le situazioni conflittuali. Lo stesso vale per il comanda­ mento di rinunciare a giudizi di condanna. Al riguardo, è già stato ripetutamente dimostrato che proprio nel cosiddetto co­ mandamento dell 'amore dei nemici si sviluppa semplicemente ciò che si trova già incoativamente nella stessa Torah e che non si può assol utamente parlare di un di più. 1 10 Qui si valo­ rizza chiaramente un tratto fondamentale della società antica, e non da ultimo di quella ebraica, ampliando l 'ambito di vali­ dità del comandamento. Al riguardo, colpisce il fatto che gli 1011

B U RCHARD 1987, 46. Cf. B U RCHARD 1987, 50s. 1 10 Cf. solo MATHYS 1986.

109

Storia sociale del cristianesimo primitivo

358

esempi addotti a sostegno di questa richiesta presuppongano soprattutto la classica reciprocità bilanciata e generale . 1 1 1 A questo si potevano ricondurre anche situazioni concrete, come il processo legale (soprattutto in caso di debiti) e relazioni di prestito in genere, quindi in particolare la situazione concreta della povera gente. Nella versione di Luca gli esempi tolti da questo ambito giocano un ruolo molto importante. Con questo abbozzo di un «mondo alternativo» concorda anche il fatto di considerare come principio di comando nel gruppo dei discepoli il «servizio», insegnando così un rovescia­ mento dei normali rapporti (cf. Mc 10,41 -45 par.). Risuonano soprattutto, qua e là, toni di un sovvertimento escatologico dell'esistente (cf. Le 1,46-55; 6,20-26). Ovviamente colpisce il fatto che - forse a prescindere dalla questione delle impo­ ste 1 1 2 - il messaggio dei seguaci di Gesù sia da considerarsi tutt'al più pre-politico. In esso manca un confronto con le que­ stioni politiche e socio-economiche della terra di Israele, non­ ché una critica dell'élite ebraica. Come abbiamo ricordato, si criticano solo sommariamente i ricchi. Anche i conflitti con i farisei e gli scribi. nella misura in cui non sono dovuti a retro­ proiezioni di epoca posteriore, sono motivati in senso etico (spiegazione della Torah) e non politico.

d) Il destino di Gesù Comunque, in occasione di un pellegrinaggio del suo movi­ mento a Gerusalemme, Gesù subisce la sorte di un bandito so­ ciale o di un rivoltoso, quindi di un «brigante». Questo giudi­ zio emesso sui seguaci di Gesù da una prospettiva romana non è del tutto privo di fondamento, come subito vedremo. Esso ha una certa analogia con l 'atteggiamento assunto dalle auto­ rità romane nei confronti dei profeti oracolari e dei loro movi­ menti}13 Inoltre, se l'ingresso di Gesù in Gerusalemme fosse stato realmente collegato con un atto simbolico di purifica111

1 12 m

Cf.

Al

Cf.

sopra, pp. 64ss. riguardo cf. sopra, pp. 210s. sopra, pp. 284ss.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

.!3 59

zione nel recinto del tempio (cf. Mc 1 1 ,1 5s par.), atto che aveva una certa influenza sulle folle, una simile confusione è assolutamente probabile. Ma i parallelismi più evidenti sono quelli con la sorte del profeta di sventura Gesù ben Anania, che operò poco prima della grande rivolta. 1 1 4 In ogni caso, Gesù di N azaret, forse proprio come quel Gesù ben Anania, viene condannato a morte e fatto crocifiggere come «brigante» dal procuratore romano Ponzio Pilato, sulla base di una dela­ zione di persone provenienti dalle file dell 'élite di Gerusa­ lemme. Chiaramente questo procedimento sommario doveva servire, anche a motivo della prossimità della festa, a spaven­ tare e a prevenire possibili disordini. La descrizione degli av­ venimenti nel racconto della passione fatto dagli evangelisti va naturalmente oltre. Essa presuppone in parte un processo giu­ diziario previo da parte del sinedrio, un traditore proveniente dalla cerchia più stretta dei suoi discepoli e uno specifico inte­ resse delle autorità giudaiche all'esecuzione capitale di Gesù per motivi religiosi. Inoltre, essa vuole dare l 'impressione che sia le autorità giudaiche che quelle romane erano consapevoli dell'innocenza di Gesù. Si tratta certamente di una descrizione tendenziosa, che non può essere chiarita neppure solo in base alle esperienze posteriori, ma che è dovuta a interessi apologe­ tici miranti a stornare la criminalizzazione dei «cristiani» nel­ I 'impero romano. 1 15

1.2.6. Rapporto con altri gruppi e movimenti Dal punto di vista della storia della religione vi sono setto­ rialmente dei punti di contatto fra i primi seguaci di Gesù e nu­ merose correnti e gruppi del giudaismo contemporaneo, men­ tre dal punto di vista della sociologia religiosa e della storia so­ ciale esistono punti di contatto solo con i movimenti dello strato inferiore.

114

115

Cf. sopra, p. 284. da ultimo, REINBHOLD 1994.

Cf.,

a. anche più avanti, pp. 485ss.

Storia sociale del cristianesimo primi!i v t J

360

È in particolare l'elemento carismatico a distinguere, dal punto di vista della sociologia religiosa, i seguaci di Gesù, L' questo nonostante tutti i contatti con le correnti e i gruppi dello strato superiore e del gruppo dei retainers. Ma tak aspetto costituisce anche al tempo stesso la loro vicinanza con diversi movimenti dello strato inferiore. Nella forte accentua­ zione delle tradizioni biblico-apocalittiche sull 'attesa prossima della liberazione, nonché nella richiesta di una purezza escato­ logica del tempio, essi si avvicinano agli esseni. Su questo punto vi sono punti di contatto anche con gruppi insurrezio­ nali. I seguaci di Gesù condividono fondamentalmente la loro caratteristica integrativa con i farisei, la confessione dell'un i­ cità di Dio e della sua signoria anche con i sicari e gli zeloti. Ri­ guardo all'importanza delle esperienze carismatiche, non da ultimo nei miracoli, Gesù si avvicina, da un lato, a certe figure taumaturgiche e, dall'altro, ai profeti oracolari carismatici e a i loro movimenti, l a cui «attesa prossima)) della liberazione pre­ senta, inoltre, delle analogie con la speranza del regno di Dio dei seguaci di Gesù, anche se l'espressione «regno di Dio» è ti­ pica in particolare di questi ultimi. Ma esistono anche sorprendenti parallelismi con i banditi sociali. Ciò vale non solo in genere riguardo al fenomeno cari­ smatico, che, nel caso de i briganti-aspiranti al regno, era parti­ colarmente accentuato. Anche l'abbozzo di un «mondo alter­ nativo» e lo stile di vita itinerante, estraneo all'economia e alla famiglia, dei seguaci di Gesù con il concomitante aiuto da parte di circoli di simpatizzanti, conducenti vita sedentaria. corrispondono, da diversi punti di vista, a quelli dei banditi so­ ciali. Non è pertanto un puro caso che Gesù sia stato giust i­ ziato dai romani come un bandito sociale e che nella tradi­ zione si sia dovuto espressamente distinguerlo dai profeti ora­ colari e dal contro-regno perseguito dai banditi soci ali.1 16 An­ che dal punto di vista della storia sociale si può cogliere in molti modi la vicinanza ai banditi sociali e alla loro «nuova de­ finizione» di una carriera socio-economica di impoverimento. 1 16 .

Cf. sopra, pp. 286s e

304s.

,·, ·guaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

·-'361

Di conseguenza, dal punto di vista della storia sociale si deve constatare anche una evidente differenza rispetto ai farisei e agli esseni e, naturalmente, ai sadducei, che reclutavano so­ stanzialmente i loro membri nello strato superiore e in mezzo ai retainers, e potevano trovare tutt'al più dei simpatizzanti nello strato inferiore. Di fronte ad essi i primi seguaci di Gesù, erano come il banditismo sociale, ma anche come i movimenti dei profeti oracolari carismatici, una reazione alla crisi della società ebraica nello strato inferiore. Anche il «mondo alter­ nativo» da essi sviluppato era pre-politico. Tuttavia le diffe­ renze rispetto al banditismo sociale sono evidenti. I ricchi erano criticati e incoraggiati all 'esercizio della misericordia so­ lidale, ma non assaliti e derubati. Particolarmente evidente è l'assenza di violenza e la paziente sopportazione della domina­ zione straniera. L'elemento carismatico si concretizza in forze di guarigione e di aiuto, non in distinzioni fisiche e nelle qua­ lità del comando militare. A parte i momenti di preghiera, non si ha alcun atteggiamento di abbandono della società per riti­ rarsi in regioni difficilmente accessibili. Il luogo dell'attività re­ sta la vita pubblica tra la gente. Questo distingue i seguaci di Gesù anche dagli esseni. Ma, diversamente da questi ultimi, non si conosce alcuna partecipazione attiva dei seguaci di Gesù alla grande rivolta. Spesso si sostiene che Simone il Ca­ naneo, uno dei dodici (Mc 6, 18 par.), fosse stato anteriormente uno zelota. Ma noi riteniamo che al tempo di Gesù non esi­ stesse ancora un gruppo insurrezionale noto come «zeloti», 1 1 7 per cui nel suo soprannome vediamo semplicemente il rinvio a una persona «Zelante» in senso religioso. Evidenti sono anche le differenze nei riguardi dei movi­ menti carismatici dei profeti oracolari. Infatti, il loro carisma crollava nel momento della prova e doveva del resto fallire an­ che di fronte alle eccessive attese di prodigi. Il carisma dei se­ guaci di Gesù invece si conservò, poiché era rivolto a espe­ rienze di guarigione puntuali e individuali e integrato fin dall'i­ nizio in una comunione di vita fra il carismatico e i suoi disce-

1 17

Cf. sopra, pp. 295ss.

362

Storia sociale del cristianesimo primitivo

poli che andava al di là di esse. Così la morte violenta di Gesù non ha travolto anche il suo movimento. Invece i suoi sosteni­ torL uomini e donne, e soprattutto la cerchia più stretta dei suoi seguaci hanno subito compreso la morte di Gesù come un 'ulteriore decisiva tappa del dramma storico-salvifico (cf. lCor 15,3s). Anche la successiva interpretazione degli studiosi della Bibbia comprende il martirio di Gesù come una necessità apocalittica e un destino già previsto e annunciato nella Scrit­ tura (cf. Mc 8,3 1 ; 9,31; 10,33s; Le 24,25-27) . La sua morte viene interpretata come un'offerta della vita efficace, espiatrice dei peccati (cf. Mc 10,45), cosa probabilmente già preparata dallo stesso Gesù (cf. Mc 14,22-25 par. ). Analogamente a quanto era già avvenuto con il martirio del Battista , anche la crocifissione di Gesù non solo non ha posto fine al movimento carismatico. ma lo ha alimentato sotto una nuova forma, come attestano le visioni estatiche della risurrezione di Gesù nella cerchia dei suoi seguaci e sostenitori. 2. LE

COMUNITÀ DI DIO IN

GIUDEA

2. 1 . CONTINUITÀ E TRASFORMAZIONE DEL CARISMA DOPO LA MORTE DI GESÙ

Immediatamente dopo la morte di Gesù, constatiamo una sostanziale continuità e al tempo stesso l'inizio della trasfor­ mazione dell'elemento carismatico nelle esperienze estatico­ visionarie dei suoi seguaci, in particolare nella cerchia più stretta dei discepoli/e. Secondo la più antica tradizione, coloro cui è apparso il Risorto sono Simon Pietro (Ce fa) e l 'intero gruppo dei dodici, poi una più ampia cerchia di oltre cinque­ cento discepoli (e discepole?), nonché Giacomo, il fratello di Gesù, e tutti gli apostoli (1 Cor 15,5-7). Nei Vangeli invece si citano in parte come primi testimoni della risurrezione le donne (Mt 28,9s; Gv 20,1 1 - 1 8; indirettamente Mc 16, 1-8 par. ). Ma Luca afferma, con la tradizione paolina, che il Risorto è apparso anzitutto a Pietro (Le 24,34 ). Nel Vangeli si ricorda

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

363

anche l'apparizione davanti al gruppo dei dodici ( Mt 28,1 6-20; 24,36-49; Gv 20,1 9-23). Queste epifanie sono state intese come apparizioni di Gesù dal cielo. Ma, secondo l 'interpreta­ zione dei suoi discepoli, egli non è stato semplicemente por­ tato in cielo, come Giovanni il Battista o altri martiri prima di lui. Per essi, la sua risurrezione è, al tempo stesso, anche la sua glorificazione in una posizione di comando alla destra di Dio, come «Figlio di Dio)) e «Signore (cf. Rm 1 ,3ss) e - ripren­ dendo l'espressione scritturistica di Do 7,13 - come «Figlio dell 'uomo)). Ed è certamente in questo quadro che Gesù come «Christos» (traduzione greca del termine ebraico mashiah = «Unto») viene collocato nella tradizione messianica di Israele (cf. Mc 12,35-37 par.; 13,26 par.; 1 4,42 par.; cf. anche M t 28,18). Come Risorto e Glorificato presso Dio, egli è pronto, secondo la fede dei suoi seguaci, a stabilire in breve la signoria sopra Israele. Nell'attesa prossima della liberazione nulla è quindi cambiato, essa è diventata forse addirittura più pressante. Al tempo stesso il Glorificato già infonde dal cielo nei suoi se­ guaci lo spirito escatologico. Di conseguenza, i Vangeli colle­ gano le apparizioni del Risorto davanti al gruppo dei dodici con un rin novato incarico e una rinnovata missione e con l'ef­ fusione dello Spirito.1 18 E nel racconto dell 'effusione dello Spi­ rito nel giorno di Pentecoste a Gerusalemme (At 2), che coin­ volge anche gli ebrei della diaspora, si realizza, con un rinvio alla tradizione profetica (Gl 3,1-5; cf. Is 59,21 ; Ez 39,29), l'at­ tesa del rinnovamento escatologico del popolo di Dio. Chiara­ mente anche la morte di Gesù e la sua risurrezione vengono comprese , analogamente a quanto avvenuto già dopo il marti­ rio del Battista, come un'ulteriore decisiva tappa nel dramma della storia della salvezza, nel quale si riconosce a Gesù stesso un ruolo permanente e importante, esercitato ormai dal cielo. Questa «cristologizzazione» o «messianizzazione» di Gesù Le

1 18 Il problema, sollevato dai racconti evangelici, del modo in cui ristabi­ lire il numero dodici dopo la partenza del traditore Giuda Iscariota, viene ri­ solto da Luca con la ricostituzione del gruppo dei dodici da parte di Pietro me­ diante la scelta, compiuta attraverso un giudizio di Dio, di Mattia (A t 1,15-26).

364

Storia sociale del cristianesimo primitivo

viene proiettata all'indietro nella tradizione relativa al Gesù terreno. Ma, al tempo stesso, gli apostoli entrano in modo del tutto nuovo nella sequela di Gesù, dal momento che si rac­ conta anche di loro azioni prodigiose di natura carismatica comparabile alle sue (cf. A t 2,43; 3,1-10; 4,30; 5, 12-16; 9,32-43). Ancora in Paolo, i miracoli carismatici sono considerati segni di apostolicità (cf. Rm 15,18s; 2Cor 12, 12; l Cor 2,4; l Ts 1 ,5). Di conseguenza, alcuni condividono anche il destino di Gesù e in certi casi - prima come i figli di Zebedeo (Mc 10,35-45; At 12,1s), in seguito certamente anche Pietro1 19 e, infine, Gia­ como, il fratello del Signore 1 20 - anche il suo martirio. È natu­ ralmente significativo il fatto che Luca descriva il martirio di Stefano in evidente analogia con la passione di Gesù. 2.2. APOSTOLI

Il ruolo dell'invio è sottolineato soprattutto dal termine «apostolo)), che viene naturalmente usato in modo molto di­ verso nella tradizione. Esso può essere applicato (in Antiochia e nella diaspora) a tutti coloro che partecipano ali 'attività mis­ sionaria, compresi gli «inviati della comunità» concessi in se­ guito a Paolo come aiutanti nella diaspora, o anche (a Gerusa­ lemme) essere limitato al gruppo dei dodici.121 Lo stesso Paolo sembra distinguere fra apostoli, che sono stati direttamente in­ caricati dal Signore attraverso una visione (cf. Gal 1 , l ; l Cor 1 , 1 ; 9,1 ; 1 5,5-8; Rm 1 , 1 e spesso) , e apostoli, che hanno rice­ vuto l'incarico dalle comunità (2Cor 8,23). Al tempo stesso, egli pretende di essere l 'apostolo dei gentili (cf. Rm 1 1 ,1 3) e paragona il suo apostolato in mezzo ad essi a quello di Pietro a favore dei circoncisi (cf. Gal 2,1 -10). Il greco apostolos deve essere certamente compreso a par­ tire dall'istituzione prato-giudaica del shaliach e del diritto bi-

1 19

21 ,18sJ . 1

121

Ma nei Vangeli sinottici ciò viene solo presupposto (cf. tuttavia Gv GIUSEPPE FLAVIO,

Ant. 20, 200ss.

Cf. RoLOFF 1993, 77.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

365

blico del messaggero, e designa l'inviato come rappresentante di colui che lo ha incaricato in assenza di quest'ultimo. 122 Ciò sottolinea molto chiaramente la continuità esistente nel movi­ mento di Gesù nonostante la sua morte. 2.3. SPERSONALIZZAZIONE DEL CARISMA

Pur essendo intervenute in epoca successiva concezioni e riflessioni teologiche che hanno esercitato un 'influenza sem­ plificatrice, è comunque evidente il modo in cui qui si opera la «spersonalizzazione» o «I 'oggettivizzazione» (Schluchter) del­ l'elemento carismatico, il passaggio cioè da Gesù, autentico carismatico, a un movimento «carismatico personale e istitu­ zionale».123 Questo sviluppo affondava comunque le sue radici già nei primi seguaci di Gesù, nella misura in cui egli aveva fatto partecipare i dodici del suo potere carismatico. 124 Impor­ tante è anche il fatto che, dopo la morte violenta di Gesù, l'ele­ mento carismatico, da un lato, passa all'intera schiera dei suoi seguaci, come mostrano la menzione in Paolo dei più di cin­ quecento che lo videro e l'effusione dello Spirito a Pentecoste, dall'altro, a determinate persone, che assumono una posizione più elevata, come Simon Pietro e i dodici, poi a Giacomo, fra­ tello del Signore, e a tutti gli apostoli, che assicurano certe fun­ zioni missionarie e direttive del Glorificato. Sorprendente è, al riguardo, una concentrazione su Gerusalemme quale punto fo­ cale della storia della salvezza di Israele. Ciò non esclude l'esi­ stenza di altre comunità in terra di Israele. Ma il centro sembra essere diventato specialmente la Giudea. Il compito carisma­ tico riguarda soprattutto la costituzione, attraverso la mis­ sione , di una più ampia cerchia di seguaci in Israele, che ora si considerano i «santi» e la «comunità di Dio», quindi la riu­ nione escatologica del popolo di Dio. Essi vedono il nocciolo della comunità, oltre che nel gruppo dei dodici, anzitutto in Si122 123 124

Cf. RoLOFF 1993, 78. Al riguardo cf. sopra, pp. 338ss. Al riguardo cf. sopra, pp. 335ss.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

366

mon Pietro, la (cf. Gal 2,9). 126 Ma questo sviluppo presuppone già la progressiva scomparsa del gruppo dei dodici dopo il martirio di Giacomo, figlio di Zebedeo (At 1 2,1s), all'inizio degli anni 40 sotto Erode Agrippa l. Probabilmente dopo la partenza di Pietro da Gerusalemme, da mettere in relazione con quel mar­ tirio, 1 27 e dopo il martirio di Giovanni, figlio di Zebedeo (cf. Mc 10,35-45), sembra che il solo Giacomo, fratello del Signore, sia stato, fino al suo martirio, l 'unica autorità normativa della comunità di Gerusalemme, affiancato forse da un gruppo di anziani (cf. At 15,2.4.22s; 2 1 , 1 8).128 Questo sviluppo contiene certi tratti della trasformazione, descritta da Weber, dell'au­ tentico carisma in un carisma gentilizio. 1 29 Ma bisogna notare che essa è solo un aspetto della più profonda e ampia «oggetti ­ vizzazione» del carisma nei seguaci d i Gesù. 2.4. ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL CARISMA

Non vi è alcun motivo per dubitare della continuazione dell'identità ebraica nei seguaci di Gesù e della loro lealtà nei 125

Cf. , al riguardo, RoLoFF 1 993, 76.

126 Cf., al riguardo, BuRCHARD 1 983, 600; RoLOFF 1993, 80. 127 Secondo At 12,6-18, Pietro è sfuggito alla prigione solo grazie a un mi­

racolo.

128

129

Cf., al riguardo, HENGEL 1985, 71-104. Cf. COLPE 1987' 77.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

367

riguardi delle istituzioni e delle convinzioni fondamentali di Israele . Lo dimostra chiaramente, non da ultimo, l'ovvietà con cui partecipano al culto del tempio e al culto sacrificale, se­ condo la descrizione fatta da Luca negli Atti degli Apostoli. 130 Anche se i tempi della preghiera sono stati utilizzati, secondo Luca, come occasioni di propaganda missionaria, non si può considerare la partecipazione al culto del tempio unicamente come un espediente tattico per la propria predicazione. D'al­ tra parte, a questo momento non si dovrebbe ancora parlare di un «nuovo culto», 131 poiché fino alla distruzione del tempio il culto in senso vero e proprio era solo il culto sacrificale (e tut­ t'al più le riunioni che avvenivano in relazione ad esso). Le stesse riunioni sinagogali per la preghiera e la lettura della To­ rah non possono essere definite culto prima del 70 d.C. 132 Tut­ tavia si sono sviluppate certe istituzioni della vita comunitaria finalizzate all'auto-identificazione sul piano religioso (At 2,44 ), come la cena del Signore e il battesimo, e forme e for­ mule specifiche, come per esempio il «Padre nostro)) e il «Ma­ ranatha)), hanno ben presto caratterizzato la vita quotidiana dei seguaci di Gesù. Ma tutto questo non è stato considerato culto, così come non lo sono state le manifestazioni religiose in seno alle famiglie ebraiche, in relazione soprattutto ai pasti. È dovuto piuttosto alla funzione identificatrice dei pasti, comune nell'antichità anche al di fuori del giudaismo.133 Anche in que­ sto contesto si parla perciò di «comunità» e «di stare insieme)) (epi to auto einai: At 2,44; cf. 1Cor 1 1 ,20; 14,23 ) o di «riunirsi)) (synerchesthai: 1Cor 1 1 ,17s.20.23s; 14,23). Di conseguenza, an­ che gli Atti degli Apostoli presentano lo stile di vita della «CO­ munità primitiva)), avente come punti di riferimento il tempio e la casa, in questo modo:

130 131

Cf. ROLOFF 1993, 72s. Ma cf. solo RoLoFF 1993, 71. 132 Tutt'al più si può forse parlare di culto a proposito delle solenni riu­ nioni della comunità di Qumran, che considerava illegittimo il culto del tem­ pio di Gerusalemme. 133 Cf. E. STEGEMANN 1990(a).

368

Storia sociale del cristianesimo primitivo

«Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'u­ nione fraterna (koinonia). nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46). Naturalmente, all 'auto-coscienza dei seguaci di Gesù come ekklesia e comunità dei santi, quindi come nocciolo, animato dallo Spirito della riunione escatologica del popolo di Dio, corrisponde un decisivo passo verso la istituzionaliz­ zazione (del carisma). Qui si notano certe analogie con la co­ munità di Qumran. Ma la comunità di Gesù non lasciò Geru­ salemme, anzi vi si concentrò. E soprattutto il luogo della sua riunione è la casa. Se è evidente che qui si perviene in certo qual modo all'auto-identificazione dei seguaci di Gesù nei confronti degli ebrei, che non condividevano (ancora) la loro fede, è pure evidente che la sua base sociale e religiosa sono la casa e le famiglie. N o n è perciò casuale l'esistenza di pro­ prie forme e istituzioni religioso-sociali, cioè il battesimo e la cena del Signore, e la creazione di un proprio universo di sim­ boli, di una fede e di una dottrina, in cui si esprime in modo inconfondibile l'appartenenza alla ekklesia. Questa vita co­ mune è stata caratterizzata anche, e non da ultimo, da una certa reciprocità materiale (comunione dei beni) . Ovviamente tutto questo riprende certi approcci esistenti già fra i primi seguaci di Gesù e addirittura già nella loro preistoria nella cerchia del Battista. E non vi è alcun dubbio che qui si attua­ lizzano e rielaborano tradizioni ebraiche e solo ebraiche. Cio­ nondimeno, questa stabilitas loci rappresenta, assieme alla de­ limitazione verso l'esterno e a una strutturazione in grado di assicurare identità all'interno, anche un processo di crescente devianza che va di pari passo con le misure di distanziamento assunte da coloro che stanno al di fuori.

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

369

Battesimo Tutto induce a ritenere che con il battesimo i seguaci di Gesù si ricolleghino, dopo la Pasqua, al battesimo di Giovanni e precisamente anche nella misura in cui con esso si intende assicurare il perdono dei peccati e quindi la salvezza da questa «generazione perversa» (At 2,40). Ma, a differenza di Gio­ vanni, la ekklesia non battezza più nel luogo della storia della salvezza, posto al di là del Giordano. Questa tappa del dramma apocalittico è ormai alle sue spalle. Ed essa battezza «nel nome di Gesù Cristo» (At 10,48) o «per il nome di Gesù Cristo» (At 2,38; 8,16; Mt 28,19) . Quindi non solo si battezza nella forza e con il potere del Glorificato, ma a lui si cedono e sottomettono anche i battezzati.134 Di conseguenza, al batte­ simo si collega anche il dono dello Spirito (At 2,38). Diversamente da Giovanni, che rispediva immediatamente i battezzati fra il popolo, il battesimo dei seguaci di Gesù mani­ festa l'appartenenza alla ekklesia, cioè al suo Signore. Esso ha quindi una funzione di identificazione. Ciò spiega il motivo per cui in seguito il battesimo è potuto entrare in certi casi in con­ correnza con la circoncisione.

Cena del Signore Anche la celebrazione della cena del Signore (1 Cor 1 1 ,20) . · lo spezzare il pane, risale certamente ai primi seguaci di Gesù. Essa è legata al fatto che il movimento di Gesù si riuniva nelle case. Era questo il suo luogo più importante di vita sociale e religiosa autonoma. L'antica espressione «Spezzare il pane» (At 2,42; 20,7. 1 1 ; lCor 10,16; cf. Mc 6,41; 8,5; 1 4,22 par.), da un lato, sottolinea l'elemento del pasto più importante (e a volte unico) per lo strato inferiore e soprattutto per i poveri, dall 'al­ tro, ricorda la procedura, abituale nella tradizione ebraica, di collocare ali 'inizio del pasto una eulogia, una parola di benedi­ zione (e br. beracha) e il gesto di spezzare il pane. La cena del Signore si ricollega, inoltre, alla tradizione della preghiera di ringraziamento sulla coppa finale, l'eucaristia (e br. kiddush) 134

Cf. RoLoFF

1993, 70s.

370

Storia sociale del cristianesimo primitivo

(Mc 14,23 par. ). Ciò mostra che qui non si stabilisce alcuna procedura cultuale autonoma, ma ci si ricollega alle tradizio­ nali abitudini religiose ebraiche in occasione dei pasti. Al tempo stesso le parole di spiegazione pronunciate sul pane e sul calice, che hanno una certa analogia con il banchetto pa­ squale, attirano però l'attenzione sul significato specifico della cena del movimento di Gesù, che è memoria del dono della vita da parte del Signore. Data l'alta funzione di identifica­ zione religiosa che i pasti avevano nell'antichità, 135 è quindi del tutto naturale che tale movimento abbia voluto accertarsi della propria fede nel contesto dei pasti. In essi dovrebbe aver trovato espressione soprattutto l'impaziente attesa escatolo­ gica, come suggeriscono la menzione del termine «letizia» (At 2,42) e l'invocazione aramaica «Maranatha >> («Vieni, Signore nostro»: l Cor 16,22; Ap 22,20), che pure appartiene alla cena del Signore (cf. anche l C or 1 1 ,26). Le riunioni e i pasti comunitari erano probabilmente an­ che occasioni per prendere coscienza dello specifico contenuto della fede dei seguaci di Gesù, del loro insegnamento. Al ri­ guardo, dovrebbe aver giocato un ruolo centrale, come dimo­ strano chiaramente le più antiche forme della tradizione, I J(i so­ prattutto le confessioni di fede,137 l'interpretazione storico­ salvifica della morte e risurrezione di Gesù. Probabilmente vi si aggiunse molto presto anche il ricorso alla tradizione delle parole del Maestro. Anche se ci si ricollega ovviamente ai primi seguaci di Gesù, la differenza qui sta nel fatto che ora al Fentro c'era il destino di Gesù e il suo ruolo di garante del compimento storico-salvifico.

2.5.

LA SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA DELLA «EKKLESIA»

Sul piano materiale, dopo la morte di Gesù, la situazione sociale ed economica dei suoi seguaci non è significativamente �mbiata. Ma dopo un certo tempo cominciano ad aggiungersi 135 136

137

Cf. E.

STEGEMANN 1 990(a) . Cf. VIELHAUER 1975, 9ss. Cf. KRAMER 1963.

Seguaci di Gesù

in

Israele in epoca neo-testamentaria

371

anche ebrei provenienti della diaspora, probabilmente come nel caso di Barbana - anche un po' più benestanti. Il fatto che negli Atti degl i Apostoli si ricordi che anche un gran numero di sacerdoti accolse la fede in Cristo (A t 6,7) dovrebbe dipendere più dali 'idea lucana della comunità ideale che non dalla realtà. Noi riteniamo che la concentrazione su Gerusa­ lemme avesse anche delle motivazioni economiche. È senza dubbio probabile che in un primo tempo essa abbia causato anche nuovi problemi. Si deve infatti certamente escludere che uno degli apostoli originari della Galilea potesse avere una casa o una proprietà a Gerusalemme. Ora ciò significa che , in linea con il periodo carismatico itinerante dei seguaci di Gesù, gli apostoli erano costretti a contare su una cerchia di persone generose in grado di provvedere alle loro necessità. Ora una cosa del genere, soprattutto nel caso di una solidarietà mate­ riale motivata da un «surriscaldamento del sentimento della comunità», era possibile praticamente solo in una situazione di stabilitas loci. In ogni caso, anche l'estraneità economica dei seguaci più stretti di Gesù dovrebbe aver subìto un cambia­ mento, anche se singoli missionari itineranti hanno continuato a praticarla. Secondo la descrizione degli Atti degli Apostoli, la «comunità primitiva» vivevtil la comunione dei beni, prov­ vedendo attraverso di essa alle necessità di tutti (At 2,44s; 4,32-37) . Si tratta certamente di un'idealizzazione - risalente alle utopie sociali ebraiche e greche - degli inizi con inten­ zione parenetica, che trova del resto un parallelismo nell'an­ tica presentazione degli esseni. E tuttavia è difficile pensare che la vita comunitaria della Ekklesia non fosse caratterizzata, oltre che dalla condivisione religiosa e sociale, anche da una certa condivisione economica. Dovrebbe essere questo lo sfondo del ruolo dei benefattori che Luca ascrive, citandoli per nome, al levita Giuseppe detto Barnaba, originario di Cipro e - anche se in altro senso - ad Anania e Saffira (At 4,36s; 5,1 - 1 1 ). Decisivo è comunque il fatto che la povertà costituiva chiaramente un problema essenziale della Ekklesia di Gerusa­ lemme. Lo attestano non solo le differenze fra «ebrei» ed «el-

Storia sociale del cristianesimo primitivo

372

lenisti», ricordate da Luca a proposito degli aiuti alle vedove (si veda più avanti), ma anche e soprattutto l'intensa attività di collette organizzate da Paolo nella diaspora per i «miserabili {fra i santi] (ptochoi) di Gerusalemme» (Gal 2,10; Rm 15 ,25-29; cf. l Cor 16,1-4; 2Cor 8-9; At 1 1 ,29) .138 La carestia ri­ �ordata in At 1 1 ,27s e l'anno sabbatico che la seguì 139 dovreb­ bero aver particolarmente aggravato, 1 40 ma non sostanzial­ mente cambiato, la situazione dei gerosolimitani.141 Forse tutto questo si riflette anche nel nome ebionaei, attestato nel IV se­ colo da Girolamo ed Epifania per i cristiani abitanti nella re­ gione ad oriente del Giordano. 142

2.8. CRESCENTE DEVIANZA E ATTIVITÀ MISSIONARIA NEL GIUDAISMO DELLA DIASPORA f"

Il cambiamento che ebbe maggiori conseguenze sui se­ �uaci di Gesù in terra di Israele è costituito dall 'aggregazione di membri provenienti dal giudaismo della diaspora. Secondo Luca, ciò avvenne già nel contesto dell'effusione dello Spirito sui pellegrin i giunti a Gerusalemme dalla diaspora in occa­ sione della festa di Pentecoste. In ogni caso, quest'allarga­ mento dovrebbe essere avvenuto abbastanza presto, come di­ mostra la vocazione di Paolo al di fuori della terra di Israele, vocazione che va collocata al più tardi a metà degli anni 30. Anche se originariamente questo processo fu collegato con Gerusalemme , ebbe in ogni caso delle ripercussioni decisive sulle comunità domestiche che vi esistevano. Lo dimostra il fOntlitto sugli aiuti alle vedove degli «ellenisti>) - cioè dei se1 38

1 39 1 40

CoLPE 1987, 71. G I USEPPE FLAVIO, Ant. 20, Cf. GEORG I 1 965; BETZ 1 993 .

Cf.

101 .

141 Apparentemente il concilio degli apostoli, nel quale Paolo si impegna intraprendere azioni di solidarietà a favore dei poveri, coincide con questo anno sabbatico che seguì la grande carestia (47-48 d.C.). . . 142 .) • Cf. CoLPE 1987. 72. .,

a

Seguaci di Gesù in Israele in epoca neo-testamentaria

373

guaci di Gesù che provenivano dalla diaspora e la cui lingua madre era il greco - conflitto che fu risolto, secondo A t 6, 1 -6, nominando sette uomini scelti nelle fiJe degli ellenisti. Non si trattò assolutamente di una semplice ripartizione del lavoro fra apostoli e diaconi. La descrizione lucana permette ancora di riconoscere che con il collegio dei sette si stabilì la direzione carismatica di una vera e propria Ekklesia degli ebrei della diaspora, accanto alla comunità rappresentata dal gruppo dei dodici e da altri gruppi.143 In particolare, si presentano come carismatici e operatori di prodigi con la forza dello Spirito e come missionari Filippo (At 8,4-1 3.26-40) e Stefano (At 6,87 ,60). Con Filippo la missione viene estesa anche al di fuori di Gerusalemme, fra i non ebrei. Luca fa dipendere la cosa da un 'espulsione dei credenti in Cristo da Gerusalemme dopo il martirio di Stefano (At 8, 1 -3). ma ricorda sorprendentemente che gli apostoli rimasero in città. È quindi più logico pensare che la missione degli ellenisti fra gli ebrei della diaspora e so­ prattutto fra i non ebrei sia stata il motivo (e non la conse­ guenza) delle espulsioni. Forse è proprio questo lo sfondo che sta dietro anche al martirio di Stefano. In ogni caso, per Luca gli ellenisti rappresentano un anello di collegamento con la missione fra i non ebrei, che viene ben presto portata avanti al di fuori di Gerusalemme anche da Pietro. Specialmente l'epi­ sodio di Cornelio (At 10) indica che questa missione non fu la conseguenza di riflessioni teologico-strategiche degli apostoli, ma la loro reazione al verificarsi di fenomeni carismatici fra i non ebrei. Anche il fatto che il centurione Cornelio fosse un ti­ morato di Dio non dovrebbe essere casuale.144 Tutto questo preannuncia piuttosto lo sviluppo che, nella diaspora, è poi collegato soprattutto con Antiochia e con il cipriota Barnaba, nonché con l'ebreo della diaspora Paolo. Ed è poi anche il ri­ conoscimento della qualità carismatica di questa missione, di­ mostrata al concilio degli apostoli adducendo il caso del non ebreo Tito (Gal 2,1- 10), che permette di superare a Gerusa-

143

144

Cf., al riguardo, LoNING 1987, 81s; Cf. più avanti, pp. 454ss.

ScHENKE

1990, 78ss.

374

Storia sociale del cristianesimo primitivo

lemme l'atteggiamento inizialmente piuttosto indeciso nei suoi riguardi. Risolutivo è il fatto che la costituzione carismatica del movimento di Gesù è stata la base sia della sua diffusione che della sua crescente devianza. Di conseguenza, soprattutto il passaggio dei seguaci di Gesù nell'ambito del giudaismo della diaspora e dei non ebrei è collegato a crescenti misure negative messe in atto contro di loro. Alla fine degli anni 40. soprattutto a causa dello stretto legame delle comunità della Giudea con le comunità della diaspora, in particolare con quella di Antiochia di Siria, che praticava in modo program­ matico la commensalità di ebrei e non ebrei nelle comunità domestiche, 145 il potenziale conflittuale cresce notevolmente. Lo dimostrano, da un lato, l 'intervento dei gerosolimitani ad Antiochia, dovuto al timore di misure negative (Gal 2,1 1 - 14). intervento contro il quale reagiranno poi programmatica­ mente proprio i «gerosolimitani» Pietro e Barnaba, e, dall'al­ tro, le «persecuzioni» in Giudea, presupposte in lTs 2,14- 1 6 per il periodo precedente i l 50. d.C. Infine, non dovrebbe es­ sere casuale il fatto che Paolo, al cui nome si ricollega in modo del tutto speciale questa penetrazione fra i non ebrei, a metà degli anni 50 venga fatto prigioniero a Gerusalemme. E se al­ cuni anni dopo, assieme ad altri, anche Giacomo subisce il martirio, anche questa identificazione con le comunità della diaspora ha certamente giocato un ruolo. A nostro avviso. è stata quindi la dinamica carismatica ad accrescere e rendere se mpre più evidente in Palestina la distanza che separava il movimento di Gesù dal giudaismo. Che questo costituisse un notevole rischio, al tempo della grande rivolta, è evidente. Possiamo quindi facilmente immaginare che la comunità, ali 'i­ nizio della rivolta, abbia lasciato Gerusalemme e si sia rifu­ giata, come racconta Eusebio, 146 a Pella nella regione ad oriente del Giordano e quindi nel territorio delle città elleni­ stiche che erano sotto la protezione di Roma.

145

Cf. più avanti, pp. 450ss. 146 EusEBIO. HistEccl. 3, 1 1 , l .

Capitolo ottavo

Comunità messianiche 1n terra di Israele dopo il 70 d.C.

Integrazione e riformulazione del giudaismo dopo il 70 d.C. «Le conseguenze della prima grande guerra dei giudei con­ tro Roma sono state molto vaste, per cui è difficile esagerarne l'importanza per l'ulteriore storia del giudaismo». 1 Il giudai­ smo in terra di Israele registrò profondi rivolgimenti politici , sociali e d economici, ma anche cambiamenti permanenti nella prassi religiosa in vigore fino ad allora. 2 La Judaea rimase una provincia romana (di rango pretoriano ), per cui Gerusalemme divenne sede di una legione romana e Caesarea Maritima ri­ mase solo centro amministrativo. Le proprietà terriere di molti - secondo Giuseppe Flavio, di tutti gli ebre e - divennero proprietà dell'imperatore, per cui «la maggior parte, se non tutti, gli agricoltori ebrei furono trasformati in coloni (fitta­ voli) che coltivavano la terra pagando l'affitto)). 4 La distru­ zione del tempio pose fine al culto e a molti atti e doveri reli­ giosi collegati al tempio (pellegrinaggi, suono del shofar quando il Capodanno cadeva in giorno di sabato, certe tasse). Le funzioni dei sacerdoti al tempio cessarono e così pure l 'uffi­ cio di sommo sacerdote. Cessarono anche i compiti tradizio­ nali del sinedrio, che aveva la propria sede nel tempio. La

1 P. ScHA.FER 1 983, 145. 2 Cf., al riguardo, STEMBERGER 3

4

1979. GIUSEPPE FLAVIO, Bel/. 7, 216s. P. ScHAFER 1983, 145.

376

Storia sociale del cristianesimo primitivo

tassa per il tempio venne sostituita dall'umiliante fiscus Judai­ cus. L'improvvisa scomparsa dei centri tradizionali della vita religiosa e sociale le i mpose un forzato rinnovamento. In que­ sto contesto, assunsero un ruolo normativa, secondo la conce­ zione generale. i circoli moderati, i cosiddetti «saggi» (e br. ha­ hantim ), che in epoca amoraica vennero abitualmente chia­ mati rabbi.5 La maggior parte di questi continuò a proporre le tradizioni dei farisei, dalle cui fila a volte provenivano, e degl i scribi. Al riguardo, l'idea - forse già incoativamente svilup­ pata in precedenza - di una trasposizione delle norme della purezza rituale valevoli per il tempio nell'ambito della casa e dei pasti ha contribuito a rendere possibile la vita ebraica an­ che dopo la perdita dell 'indipendenza politica e la distruzione del tempio . 6 Lo studio della Torah - che costituiva il cuore dell· insegnamento dei farisei e soprattutto degli scribi - la sua applicazione alla vita quotidiana, l'osservanza del sabato e delle decime , la fede nella risurrezione e nel giudizio costitui­ rono i fondamenti dell'esistenza ebraica dopo il 70 d.C. - an­ che senza il culto del tempio e il sinedrio. Sembra quindi che. in relazione con l'insegnamento tradizionale dei cosiddetti scribi (grammateis) e di altri gruppi sociologicamente rilevanti (proprietari terrieri e commercianti), i farisei abbiano svilup­ pato, dopo la catastrofe della guerra romano-giudaica, i fonda­ menti di un giudaismo riformulato. 7 Progressivamente, le con­ vinzioni proprie di questa «coalizione» si estesero a tutto Israele. 8 Il centro spirituale del giudaismo divenne - certa­ mente con la tolleranza di Roma - la piccola località di Jabne/Jammia, situata sulla costa della Palestina. 9 Lì si prov­ vide a conferire forma normativa alla tradizione religiosa. Di fondamentale importanza fu anche il superamento del «frazio­ namento» fino ad allora esistente dei diversi raggruppamenti

s Cf., al riguardo, più ampiamente URBACH 2 1979; inoltre, H.J. BECKER 1990, 1 7ss. 6 NEUSNER 1970, 166ss. 7 NEusNER 1970, 1 96-1 99; 1981 , II, 94ss; cf. anche URBACH 1 968, 48-74. 8 SEGAL 1 986, 1 1 7. 9 P. ScHAFER 1 979, 43- 101 ; STEMBERGER 1979, 54ss.

Comunità messianiche in Israele dopo

il

70 d. C.

377

giudaici. 1 0 La scuola (edificio) divenne per cosl dire il simbolo della fine dei precedenti raggruppamenti e dell'inizio di una nuova coalizione in vista di una riformulazione del giudai­ smo. 1 1 Pian piano si formarono anche le autorità istituzionali (rabbi) , ma non è possibile indicare una data precisa. 12 In rela­ zione alla fondazione della scuola di Jabne è stata ampiamente discussa la formulazione della cosiddetta Birkat ha-minim («Benedizione degli eretici»). Si tratta della dodicesima bene­ dizione della preghiera delle diciotto benedizioni (e br. Shmone Esre/Amida), nella quale si maledicono gli eretici (ebr. minim). Su questa benedizione torneremo in seguito ! 3 Il periodo del giudaismo che inizia con il 70 d.C. viene detto normalmente «giudaismo rabbinico>> o «giudaismo clas­ sico». Si usa a volte l'espressione «giudaismo formativo» (for­ mative Judaism) coniata da Moore, 14 ma in questo caso l'agget­ tivo «formativo» va inteso nel suo significato inglese e quindi come termine connotante la forma. In questa misura si deve parlare, anche nel senso dell'espressione inglese, di un pe­ riodo, quello dopo il 70 d.C., nel quale il giudaismo assume una nuova forma. Ma si potrebbe parlare al tempo stesso an­ che di un processo integrativo del giudaismo di questo periodo, sottolineando così soprattutto il superamento del fraziona­ mento dei raggruppamenti fino ad allora esistenti nel giudai­ smo. Che nel corso del processo di integrazione si siano ope­ rate anche esclusioni dei gruppi giudaici che non accettavano il consenso della maggioranza - anche dei gruppi messianici di Gesù - risulta ch iaramente dalla nuova formulazione, sulla quale ritorneremo, della cosiddetta Birkat ha-minim. Ma si tratta certamente di un lungo processo che non può essere spiegato con un solo formale e universale atto di esclusione. 15 Ma già qui appare chiaro che le esclusioni vanno intese per

10

S. COHEN 1984, 27-53.

11 0VERMAN 1990, 43. 12

13

14

15

Cf. solo OvERMAN 1990, 43ss. Cf. più avanti, pp. 396ss. MOORE 71954; cf. anche NEUSNER 1979, 3-42. Così anche OvERMAN 1990, 56.

378

Storia sociale del cristianesimo primitivo

così dire come il rovescio della medaglia del processo di inte­ grazione, per cui seguono in qualche modo la logica sociolo­ gica di una nuova definizione dell'esistenza ebraica, resasi ne­ cessaria in una situazione di crisi sociale e religiosa. Le rela­ zioni a volte molto tese fra la popolazione maggioritaria ebraica in terra di Israele e le comunità messianiche di Gesù trovano certamente qui il loro Sitz im Leben. Una cosa è certa e molto importante: i gruppi degli · ebrei credenti in Cristo o messianici 16 in terra di Israele non appartenevano certamente alla coalizione portatrice del nuovo consenso. Ciò risulta già semplicemente dal fatto che non solo la fede, per loro essen­ ziale, in Gesù come Messia e Figlio di Dio non era condivisa dalla maggioranza degli ebrei, ma anche le loro convinzioni centrali circa la spiegazione della Torah, le norme della pu­ rezza rituale e il sabato erano interpretate dalle comunità cri­ stiane in modo deviante. Così questi gruppi si escludevano praticamente da soli dalla corrente principale del giudaismo che si andava riformulando. La composizione dei Vangeli di Matteo e di Giovanni va intesa alla luce del conflitto con que­ sto giudaismo che si andava ristrutturando dopo il 70 d.C. Il che significa che nella loro presentazione di Gesù e del suo rapporto con il giudaismo (e viceversa) sono evidentemente entrate le esperienze che i seguaci messianici di Gesù hanno fatto con il giudaismo nel periodo dopo il 70 d.C. Il ritratto esagerato e polemicamente sfigurato dei farisei e degli scrihi (soprattutto nel Vangelo di Matteo) va interpretato su questo sfondo. Ciò che in esso colpisce è non solo il fatto che i farisei e gli scribi, cioè i due gruppi che sostengono in modo particolare la coalizione del giudaismo rabbinico, appaiono strettamente collegati (cf. Mt 5,20; e soprattutto Mt 23), ma anche il fatto che vengono rappresentati come lo strato dirigente del giudai­ smo. Entrambe le cose sono comprensibili solo alla luce della situazione prevalente dopo il 70. 17 Anche il Vangelo di Gio16

Qui noi parliamo di «ebrei credenti in Cristo>> o di «ebrei messianici>> e non usiamo l'espressione da molti punti di vista problematica di «giudeo­ cristiani». Sulla semantica e sulla problematica dell'espressione giudeo-cri­ stiani o giudeo-cristiano, cf. CoLPE 1990, 38ss. 17 Più ampiamente, al riguardo, OvERMAN 1990, 141ss.

Comunità messianiche in Israele dopo il 70 d. C.

379

vanni - nel quale si parla sempre di «i giudei» in generale, e i farisei vengono praticamente identificati con loro e appaiono in posizione autorevole (per esempio: Gv 9) traduce le esperienze fatte dalle comunità messianiche con il giudaismo dopo il 70. Ciò che colpisce in queste esperienze è, non da ul­ timo, il fatto che, a differenza del processo di integrazione in seno al giudaismo, le comunità credenti in Cristo persevera­ rono dal punto di vista sociologico per così dire in uno stato di comunità esclusive, mentre nel giudaismo si cominciò a supe­ rare la divisione dei raggruppamenti precedenti. -

Nel corso del presente capitolo presenteremo anzitutto brevemente lo stato delle fonti neo-testamentarie (sezione 1 ), poi descriveremo l'organizzazione sociale delle comunità mes­ sianiche (sezione 2) e, infine, parleremo dei conflitti fra queste comunità e il giudaismo maggioritario (sezione 3).

l. LE FONTI NEO-TESTAMENTARIE Qui partiamo dall'idea che i Vangeli di Matteo e di Gio­ vanni (perlomeno nei loro elementi fondamentali) sono sorti in terra di Israele e presentano le situazioni ivi esistenti. Perlo­ meno su certi punti si può addurre qui anche il Vangelo di Marco, che è stato composto con ogni probabilità nei territori della Siria confinanti con Israele e contiene in ogni caso alcune affermazioni importanti sulle esperienze fatte nel contesto della guerra giudaico-romana; esso dimostra una grande vici­ nanza temporale e geografica a Israele e alla catastrofe della guerra giudaico-romana.

1 . 1 . VANGELO DI MAITEO

Si ritiene generalmente che il Vangelo di Matteo sia sorto in un ambiente giudaico dopo il 70 d.C., ma si discute se la re­ dazione finale sia opera di un giudeo-cristiano o di un cristiano

380

Storia sociale del cristianesimo primitivo

proveniente dal paganesimo. Gli argomenti addotti soprat­ tutto da Strecker a favore di un redattore cristiano prove­ niente dal paganesimo 1� sono stati ovviamente spesso attaccati 19 e indeboliti. Al carattere «giudeo-cristiano)) del Vangelo non si oppone neppure il fatto che sia redatto in un buon greco e che si apra missionariamente sui non ebrei. Per quanto ri­ guarda il luogo di composizione del Vangelo vi è un certo per­ sistente consenso che privilegia la Siria e, più precisamente , Antiochia. 20 Tale consenso si basa soprattutto sul fatto che il Vangelo di Matteo è composto appunto in un buon greco e non è certamente una traduzione. Ma il greco è stato anche la lingua degli ebrei della diaspora in terra di Israele, alcuni dei quali entrarono molto presto nelle comunità cristiane. 21 Inol­ tre, diversi elementi indicano che il primo Vangelo entrò in di­ scussione con il giudaismo in terra di Israele che si andava Ti­ formulando sotto l'autorità dei «saggi>) ( «scribi e farisei)) ).22 Perciò, in tempi più recenti, alcuni autori hanno pensato alla Palestina come luogo di composizione del Vangelo di Mat­ teo. 23 Questo implica la tesi secondo cui Matteo e i suoi desti­ natari vanno intesi come un gruppo deviante in seno alla so­ cietà ebraica in terra di Israele. Uno studio dettagliato della questione è stato fornito, da ultimo, da Overman. Egli localizza la comunità di Matteo in Gal ilea {Tiberiade o Sefforis ) 24 e la interpreta come una setta ebarica in conflitto con il giudaismo che si andava riformando dopo il 70. Lo studioso pensa addirittura a un 'autonomia isti-

STREcKER 3 1 971. Cf. solo Luz 1985, 62ss. 2° Cf., da ultimo, GNtLKA 1988, 514s; inoltre, ZuMsTEIN 1 980, 1 22-1 38; Luz (1985, 73ss ) è più prudente per quanto riguarda Antiochia, ma afferma: «Esso (cioè il luogo di composizione) era certamente una grande città della Siria, la cui lingua franca era il greco» (p. 75); KINGSBURY 1 986, 121. 21 Cf. sopra, pp. 372s. 22 Cf., da ultimo. soprattutto H.J. BECKER 1990. 23 Cf., ad esempio. GouLDER 1 974; VIVIANO 1 979 (Caesarea maritima); KONZEL 1978, 251 (ipotizza Caesarea Philippi); BEARE 1 982 (compresi i terri­ tori settentrionali confinanti); OvERMAN 1990; per precedenti sostenitori di questa localizzazione, cf. in KOMMEL 17 1973, 90. 24 0VERMAN 1990, 158s. Il< a. 19

Comunità messianiche in Israele dopo il 70 d. C.

381

tuzionalizzata della comunità; infatti, per indicare i propri gruppi, Matteo usa il termine ekklesia in contrapposizione al­ l'espressione: «loro» sinagoghe, cioè i luoghi di riunione del giudaismo che si andava riformando. Overman pensa anche a speciali competenze disciplinari in seno alla comunità. 25 Così si potrebbe parlare qui di una separazione istituzionale e orga­ nizzativa fra le comunità che Matteo ha sotto gli occhi e le si­ nagoghe. Naturalmente, la comunità matteana pretende la stessa tradizione, la stessa autorità, in parte addirittura gli stessi «ruoli», del giudaismo che si va riformando. 26 Sembra quindi che l'organizzazione dei gruppi credenti in Cristo si sia sviluppata in opposizione alle istituzioni ebraiche , ma anche in evidente dipendenza e ripresa delle stesse. La comunità mat­ teana è, per Overman, un gruppo minoritario che viene a tro­ varsi in duro conflitto con il «giudaismo formativo», in quanto suo parent group. Anche il sectarian language del Vangelo in­ dicherebbe il carattere di setta ebraica di questa comunità. 27 Ma come la setta matteana, anche il suo parent group, il «giu­ daismo formativo», sarebbe stato solo una minoranza in Gali­ lea, in un territorio posto sotto la dominazione di Roma. Cio­ nondimeno, Overman pensa a una certa autorità ufficiale del giudaismo dominato (de iure e de facto) dai farisei. Anche se in linea di principio la comunità matteana resta sociologicamente in seno al giudaismo, Overman ammette la presenza nel Van­ gelo di Matteo di alcuni testi chiave che indicano una svolta in direzione dei pagani (Mt 21 ,42; 28,1 9). Egli ritiene quindi che la composizione della comunità fosse fondamentalmente, an­ che se non interamente, ebraica ( «mostly, if not thoroughly, Je­ wish» ) , ma afferma anche che essa si muoveva in direzione dei pagani e cominciava perciò a cadere al di fuori del giudaismo formativo. 28 Anche Saldarini, appoggiandosi alle teorie della devianza sociologica, colloca la comunità matteana nel contesto del giu2S

0VERMAN 1990. 152.

27

Cf. solo OvERMAN 1990, 0VERMAN 1990, 158.

26 0VERMAN 1990, 153. 211

154.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

382

daismo. 29 La comunità di Matteo avrebbe avuto, oltre a una propria identità religiosa, anche sue riunioni autonome, sa­ rebbe entrata in molti modi in conflitto con gli altri gruppi ebraici , ma avrebbe contin uato a far parte del mondo ebraico. 30 Il suo comportamento deviante nei riguardi della società mag­ gioritaria ebraica ne farebbe un «alienative-expressive group».3 1 In base alle teorie della devianza sociologica, con l'espressione si vuole affermare che il gruppo matteano sarebbe stato de­ viante rispetto alla società maggioritaria, focalizzando la pro­ pria attenzione sul cambiamento sociale (alienative) e sulle ne­ cessità dei propri membri ( expressive ) . Esso avrebbe offerto agli aderenti un mondo nuovo, cristiano-giudaico, in alterna­ tiva al giudaismo convenzionale . 32 La comunità matteana do­ vrebbe essere considerata un movimento riformatore in seno al giudaismo, movimento che, come reazione al rifiuto da parte del giudaismo, divenne una «Setta». 33 Solo in seguito - anche se a distanza di non molto tempo - questo gruppo ebraico. come anche la maggior parte degli altri raggruppamenti, sa­ rebbe diventato anche sociologicamente un gruppo «cristiano». specialmente a causa del rifiuto da parte del giudaismo maggio­ ritario e della predominanza dei seguaci di Gesù non ebrei. Esso avrebbe perduto la sua identità ebraica e sarebbe diven­ tato un gruppo autonomo, separato. 34 Comunque Saldarini af­ ferma espressamente che la separazione delle comunità ebrai­ che e cristiane sia avvenuta solo alla metà del II secolo. 35 Le due interpretazioni, qui brevemente riferite, della co­ munità matteana come «Setta» giudaica o gruppo deviante, si basano giustamente sulla singolare stretta corrispondenza esi29

SALDARINI 1991 , 38ss. Posizioni analoghe nella stessa opera miscella­ SEGAL 1991 , 3ss. Cf. anche WIRE 1 991 , 87-121. Qui si tratta di una conti­ nuazione della precedente discussione se la comunità matteana facesse ancora parte della sinagoga (così, ad esempio, G. Bomkamm) o ne fosse già al di fuori, fosse dominata dai cristiani provenienti dal paganesimo. 30 SALDARINI 1991 , 57. 31 SALDARINI 1991 , 56s. 32 SALDARINI 1991, 57. 33 SALDARINI 1991, 59. 34 SALDARINI 1991' 60s. 35 SALDARINI 1991, 43.

nea:

Comunità messianiche in Israele dopo il 70 d. C.

383

stente fra molti testi del Vangelo di Matteo e fenomeni del giudaismo che si andava riformando dopo il 70. Ma esse non possono fare a meno di di intravvedere già nello stesso Van­ gelo di Matteo dei segnali che fanno pensare che il processo della separazione dal giudaismo - i popoli/pagani ( ethne) sono già presi in considerazione - sia già iniziato. Ma proprio qui sta il problema. Quale ruolo giocano i non ebrei nella co­ munità di Matteo? E non è certamente un caso che alla fine del Vangelo si intravveda una sorta di distanza dell'evangelista dal giudaismo (Mt 28,15: la diceria del furto del corpo di Gesù da parte dei suoi discepoli si è sparsa fino ad oggi [ ! ] «presso giudei» [senza articolo]). Non mostrano forse anche il termine ekklesia, come viene usato in Mt 1 6, 1 8; 18,17, e il testo di Mt 21 ,43 una tale distanza? Non sarebbe difficile suffragare con altri esempi questa discussione dei testi matteani. 36 È senza dubbio particolarmente difficile dirimere la questione dell'ap­ partenenza della comunità di Matteo al giudaismo, e decisiva, al riguardo, è, in ultima analisi, la questione se ne abbiano già fatto parte o meno «cristiani provenienti dal paganesimo». Qui non osiamo rispondere in modo definitivo; riteniamo comunque non solo pensa bile , ma estremamente probabile , che la comunità che sta dietro al Vangelo di Matteo sia da ascrivere al giudaismo messianico di Israele dopo il 70. La prospettiva dei «cristiani provenienti dal paganesimo» può indicare per così dire la posizione attuale, una «svolta» 37 nella storia e un nuovo orientamento della comunità. Quest'ipotesi costituisce il fonda­ mento della successiva valutazione del Vangelo di Matteo rela­ tivamente ai rapporti fra gli ebrei credenti in Cristo o messianici e la popolazione maggioritaria ebraica in Israele. 1 .2. VANGELO DI GIOVANNI

Spesso si ritiene - non da ultimo, in base alle tradizioni della Chiesa antica - che il Vangelo di Giovanni sia stato composto a Efeso o in Asia Minore, pur ammettendo che l'e36 Per la critica della comunità matteana come setta ebraica, cf. GuNDRY 1991, 62-67; cf. anche alcune annotazioni critiche di KINGSBURY 1991 , 259-269. 37 Luz 1985, 66.

Storia

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sociale del cristianesimo primitivo

vangelista potesse provenire anche dalla Palestina. 38 Natural­ mente, questa localizzazione presuppone ipotesi e specula­ zioni sull'identità dell'autore che non sono prive di problemi. È comunque sorprendente che la testimonianza manoscritta più antica del Vangelo provenga dall'Egitto e che la tradizione dell'Asia Minore cominci sensibilmente più tardi. In defini­ tiva, non si riesce quindi a uscire dalle evidenze o dagli indizi interni. Molti elementi depongono comunque a favore della composizione in un ambiente con caratteristiche ebraiche. Re­ centemente sono stati indicati anche buoni motivi a favore di una provenienza del Vangelo di Giovanni dall 'ambiente del giudaismo messianico in Israele, ad esempio dalla Galilea /9 dalla Giudea 40 o dalla Traconitide/Batanea. 41 Così, si può rite­ nere in particolare che i molti racconti di conflitti contenuti nel quarto Vangelo siano da intendere a partire da un conflitto in­ tra-giudaico. 42 A una discussione intra-giudaica rinviano con ogni probabilità anche i cosiddetti passi aposynagogos del Vangelo di Govanni, che riflettono un'esclusione dalla sina­ goga di coloro che confessavano il Cristo (Gv 9,22; 12,42; 16,2). Su questo ritorneremo più ampiamente sotto. Sanders offre un buono sguardo generale su altri testi del quarto Vangelo che possono avvalorare il supposto conflitto intra-giudaico. 43 Egli attira anzitutto l'attenzione sulle ten­ sioni, riconoscibili nel Vangelo, fra i sostenitori di Gesù e i so-

38 Cf., da ultimo, 39

40

HENGEL 1993. SANDERS 1993, 40. B ROWN 1979. WENGST 41 992, 157-179. SCHENKE

J.T.

41 (1992, 126) ritiene che «il luogo origi­ nario del "gruppo giovanneo"» fosse la Gaulanitide e la Batanea. 4 2 Cf. , per esempio, MEEKS 1975, 94- 1 04: SEGAL 1986, 1 56; J.T. SANDERS 1993, 41 ss. Anche Schenke suppone che la comunità giovannea fosse costituita prevalentemente di giudei credenti in Cristo, ma anche di samaritani e cri­ stiani provenienti dal paganesimo. Tuttavia, come ambiente del Vangelo pre­ ferisce un «giudaismo ellenistico, che non aveva il suo centro in Palestina/ Gerusalemme»: ScHENKE 1 992, 1 16-1 1 8. 43 J.T. SANDERS 1993 41 ss. ,

Comunità messianiche in Israele dopo il 70 d. C.

385

stenitori del Battista (Gv 3,25s; 4,1-3; 5 ,3 1 -36; 10,40-42).44 An­ che le varie reazioni della popolazione giudaica nei riguardi di Gesù possono essere intese come un riflesso delle esperienze della comunità giovannea (Gv 7,10ss.40-44). Il Vangelo parla addirittura di uno scisma (schisma) avvenuto nel popolo (ebraico) a causa di Gesù ( Gv 7,43; cf. 10, 1 9). Sanders vede giustamente nelle discussioni sul significato di Gesù (è «buono» o fuorvia il popolo: Gv 7 ,12; è un profeta o il messia: Gv 7,40ss) un 'allusione alle esperienze fatte al tempo della composizione del Vangelo. 45 A favore depone soprattutto Gv 7 ,13, che contiene un commento al riguardo: «Nessuno però parlava di lui [Gesù] in pubblico, per paura dei giudei». Il mo­ tivo della paura «dei» giudei si trova anche in Gv 9,22; 12,42; 19,38 e 20, 1 9. Il modo migliore di spiegarlo è quello di pensare alla presenza di giudei messianici in mezzo a una maggioranza giudaica. Ciò vale anche per quei testi che suppongono una se­ greta simpatia per Gesù da parte di circoli dirigenti del giudai­ smo (Gv 1 2,42; 1 9,38; cf. anche Nicodemo: Gv 3 , 1 ss ) 4fl È evi­ dente, inoltre, che il Vangelo di Giovanni distingue Gesù, in particolare, dai profeti oracolari e dai banditi sociali che mi­ rano a stabilire un contro-regno in terra di Israele, e presenta i capi del popolo come falsi pastori. 47 Infine, si deve anche no­ tare che nella terza Lettera di Giovanni si indica un 'espressa separazione dai pagani (3 Gv 7). L'argomentazione che siamo venuti svolgendo non viene necessariamente inficiata dal fatto che il quarto Vangelo riduce in linea di principio i vari gruppi del giudaismo a «Ì» giudei, con i quali identifica, inoltre , so­ prattutto i farisei. 48 Al contrario. L'assenza di una molteplicità di raggruppamenti ebraici e l 'identificazione del giudaismo .

44 Anche SCHENKE (1992, 120) sostiene che «le parti del Vangelo di Gio­ vanni, che presentano la discussione di Gesù con "i" giudei, avevano come loro effettivo retroterra quei dibattiti e processi teologici controversi, che il grupEo .. giovanneo" ha dovuto affrontare con il giudaismo del suo ambiente». 5 J.T. SANDERS 1993, 4 1 . 46 MARTYN 21 979, 1 1 6- 1 18 l i chiama «Secret be/ievers » e BRowN (1979, 1 69) «crypto-christians»; cf. WENGST 41992, 137ss. 47 Cf. E. STEGEMANN 1 989, 1 990(a). 48 Sul problema di questa terminologia, cf. solo WENGST 41992.

386

Storia sociale del cristianesimo primitivo

con i farisei si spiegano meglio riferendole al tempo dopo il 70� piuttosto che al tempo di Gesù. E anche la coscienza della di­ stanza, espressa dal fatto di parlare globalmente di «i» giudei, non richiede necessariamente che si presupponga un'autoco­ scienza di «cristiani provenienti dal paganesimo>>, come dimo­ stra il Vangelo di Matteo. Qui si possono intendere appunto i membri di quella maggioranza ebraica cui si contrappone la comunità giovannea. Inoltre, la dura polemica anti-giudaica presente in particolare nel Vangelo di Giovanni (cf. solo Gv 8,31ss) si spiega nel modo migliore come fenomeno di vici­ nanza, cioè come derivante dallo stretto rapporto con il giudai­ smo. È evidente che qui si cerca di elaborare dei conflitti. Inol­ tre, per quanto riguarda Gv 6,66ss e 8,31ss bisogna pensare che si tratti di una reazione nei confronti di giudei che, dopo es­ sersi convertiti alla confessione cristiana, l'hanno nuovamente abbandonata. 49 Una situazione analoga si trova descritta, a no­ stro avviso, nelle Lettere di Giovanni (cf. soprattutto l Gv 2,18ss).5 0 Nondimeno, questo parlare globalmente di «Ì»> giudei è sorprendente, se presupponiamo per il quarto Vangelo una situazione intra-giudaica. Così pure colpisce il fatto che nessun altro scritto del Nuovo Testamento si spinga tanto oltre nella propria cristologia da attribuire a Gesù - come invece fa il Vangelo di Giovanni - la qualifica di «Dio>> ( Gv 20,28: «Mio Signore e mio Dio»; cf. il conflitto su questa problematica in Gv 10,31ss). Non è questo il luogo per approfondire queste e altre pos­ sibili obiezioni. A nostro avviso, esse non bastano a porre radi­ calmente in discussione la tesi della provenienza del Vangelo di Giovanni dall 'ambiente del giudaismo messianico. Qui pre­ supponiamo quindi che la comunità giovannea fosse caratte­ rizzata in larga misura in senso >. 128 Nella sua opera classica sulla formazione di asso-

124

Su questo attira l'attenzione MEEKS 1993, 1 63. Cf. anche l'immagine della comunità come casa in 2Tm 2,19-22. Il termine episkopos («Sorvegliante»), usato anche per indicare la guida della comunità - lTm 3,2: Tt 1 ,7; cf. 1Pt 2,25; A t 20,28; Fil 1,1 - non è comunque un termine tipico proveniente dall'ambito della casa antica. Può in­ dicare servizi e compiti amministrativi (anche dal punto di vista economico) e viene usato sia nel mondo delle associazioni sia per i sorveglianti del tempio o i presidenti delle sinagoghe. Cf. solo RoLOFF 1989, 172s. 127 1Tm 2,8-15; 5,1ss; 6,1s; Tt 2,1ss. Per le direttive specifiche riguardanti le donne, cf. pp. 682ss. 128 MEEKs 1993, 164; cf. n anche 68-71. 125 126

Le comunità credenti in Cristo

473

ciazioni nell'antichità, Waltzing ne enumera ben 100 tipi di­ versi. 129 Le associazioni possono essere indicate con i termini collegium, corpus, curia, factio, hetaeria, thiasos, eranos, syn­ hodos e simili. Le più note sono, fra l'altro, quelle di determi­ nate categorie artigianali e industriali (panettieri, armatori ecc.), nonché di commercianti e mercanti, come pure di ad­ detti alle esequie dei membri dello strato inferiore ( collegia te­ nuiorum ), che garantivano ai loro membri una degna sepol­ tura. Tutte queste associazioni avevano certamente una deter­ minata divinità protettrice e celebravano riti cultuali, ma da esse si devono distinguere le associazioni cultuali vere e pro­ prie ( cultores ) , che recavano il nome della divinità (per esem­ pio, Giove, Ercole, ma anche Iside e Mitra) già a livello della loro stessa designazione. 130 Dal punto di vista della loro com­ posizione sociale, nelle associazioni si trovano soprattutto membri dello strato inferiore, da quelli più poveri a quelli un po' più benestanti; soprattutto nei collegi professionali pote­ vano assumere funzioni di patronato anche membri della strato superiore. Gli schiavi e le donne si trovavano in partico­ lare nelle associazioni religiose o c�ltuali.131 «Poiché normal­ mente i membri delle associazion(non presentavano i prere­ quisiti necessari per essere eletti in una magistratura cittadina o per essere cooptati nell' a rdo decurionum, per molti il colle­ gium non solo poteva soddisfare un 'esigenza sociale di ritro­ varsi in un gruppo di pe rsone di pari condizione, nel caso dei collegi professionali anche di persone aventi lo stesso inte­ resse, di offrire sacrifici e celebrare feste, ma poteva anche si­ gnificare un'auto-affermazione in un piccolo gruppo, soprat­ tutto quando si era stati chiamati a svolgervi una qualche fun­ zione». 132 Così è degno di nota il fatto che le designazioni delle funzioni di molte associazioni erano ricalcate su quelle dei ma­ gistrati della città ( «prytanis, tesoriere, segretario, decuriones,

1 29 WALTZING 1 895-1 900 ; ristampa 1968; qui vol. II, 145-1 57; breve sguardo generale in VnTINGHOFF 1 990 , 208ss. 130 Vrrr i NGHOFF 1 990, 210; AussOTIEL 1 982, 49ss. 131 . VnTINGHOFF 1 990, 21 1 . 132 VITIINGHOFF 1 990, 21 1.

Storia sociale del cristianesimo primitivo

474

quenquennales ecc.» ). 133 Le riunioni delle associazioni si tene­ vano mensilmente, sia in locali privati (anche locande), sia in edifici specificamente adibiti alle riunioni (schola), quando i membri delle associazioni disponevano di maggiori mezzi. 134 3.3 . 1 .

«Ekklesia» e associazione: somiglianze e differenze

Già nel II-III secolo le comunità credenti in Cristo furono considerate una forma delle antiche associazioni, 135 e dalla fine del XIX secolo fino ai nostri giorni anche gli studiosi moderni riprendono sporadicamente questa comparazione. 136 Come i collegia, anche le comunità credenti in Cristo erano piccoli gruppi a dimensione umana, nei quali era possibile il rapporto personale tra i membri. Anche in questo caso l 'appartenenza era su base volontaria e le riunioni erano collegate a rituali «cultuali» e a pasti comunitari. Ma le comunità credenti in Cri­ sto erano significativamente più esclusive per quanto riguarda i loro membri 137 e anche la loro composizione sociale non era così omogenea come quella delle associazioni. In base ai loro membri (anche schiavi e donne) e all'esplicito riferimento al­ l'unico Dio o Cristo (Ekklesia di Dio/di Cristo), si dovrebbero forse paragonare piuttosto alle associazioni cultuali (cultores), ma colpisce in particolare il fatto che nella comunità credente in Cristo manca quella «gerarchia delle funzioni» che era pro­ pria dell'organizzazione istituzionale di molte associazioni e che le ricollegava strettamente alle funzioni cittadine . 138 Solo �e regolari ri unioni, legate a pasti comunitari, potrebbero sug­ gerire un 'analogia con le antiche associazioni. Ma anche que­ sta analogia, come vedremo subito, non è chiara. Essa può di-

133

1 993, 1 69. STAMBAUGH 1988, 210; MEEKS 1993, 1 65.322; CoRLEY 1993, 18. 135 PLINIO IL GIOVANE, Ep. 1 0, 96: hetaeria; cf. TERruLLIANO, Apol. 38s: factio, corpus, curia, coitio. 136 HEINRICI 1876, 464-526; WILKEN 1979, 165-193; MALHERBE 1977, 87-91 . 137 MEEKS 1993, 167. 138 M EE K S (1993, 169) nota come solo episkopos presenti un'analogia con i collegi. 134

MEEKS

Le comunità credenti in Cristo

475

pendere anche dal modello della prassi dei pasti comunitari in uso nella casa antica. 3.3.2. Pasto comunitario

Finora non abbiamo parlato di una specifica esperienza so­ ciale del cristianesimo primitivo: quella dei pasti comunitari (inclusa la cena del Signore) delle persone riunite. Anche nelle case antiche si tenevano dei pasti comunitari con reciproci in­ viti a mensa. Così va segnalato come le brevi annotazioni sullo «spezzare il pane» di At 2,42.46 riflettano la prassi di pasti co­ munitari (At 2,46, inclusa la cena del Signore? ) dei credenti in Cristo di casa in casa e si ricolleghino quindi alla normale co­ munione a tavola praticata nella casa antica. Anche riguardo ai pasti dei credenti in Cristo a livello di diverse comunità do­ mestiche non è possibile escludere un 'analogia con i reciproci inviti a mensa nelle case antiche (si veda più avanti ciò che si dice riguardo a 1 Cor 1 1 ,17ss). Naturalmente, anche certi mem­ bri delle associazioni facevano questi inviti a mensa. Inoltre, pasti comunitari erano organizzati anche dai patroni o finan­ ziati con la cassa dell'associazione" I pochi testi neo-testamen­ tari che ci informano sulla comunione a tavola della comunità primitiva (soprattutto At 20,7. 1 1 ; cf. 1 Cor 10,14-22; 1 1 , 1 7-34) non ci cons�ntono alcuna conclusione univoca circa il modello \ dell'antica comunione a tavola cui si ispirava la prassi della Ekklesia. Un 'analogia con la prassi delle associazioni è sugge­ rita, perlomeno indirettamente, dalla lettera di Plinio sui pro­ cessi ai cristiani. Essa presuppone che in Bitinia i credenti in Cristo si riunissero per pasti comunitari, cosa che avrebbero poi sospeso a causa del divieto delle hetaeria. 1 39 O gli stessi cre­ denti in Cristo della Bitinia hanno inteso i loro pasti comuni­ tari in analogia con quelli delle antiche associazioni o hanno temuto che così potessero essere interpretati. Poiché dalla let­ tera di Plinio risulta anche una regolare riunione dei credenti in Cristo in un giorno fisso (stato die), il paragone con la prassi

139 PLINIO IL GIOVANE,

Ep. 10, 96, 7

Storia sociale del cristianesimo primitivo

476

delle antiche associazioni è comunque probabile. I loro pasti comunitari avevano, inoltre. carattere cerimoniale, il che signi­ fica, fra l'altro, che avvenivano regolarmente; che il numero dei loro partecipanti era fissato; come pure l'ordine a tavola (compreso quello del funzionario della comunità che «presie­ deva» durante il pasto). In tale misura essi confermavano an­ che i ruoli e le posizioni interni al gruppo. 1 40 I pasti comunitari permettevano l'espressione dei comuni interessi dei rispettivi gruppi e servivano al consolidamento della loro coesione sociale. Ma avevano anche una funzione di delimitazione, escludendo tutti coloro che non erano invi­ tati. t4t 3.3.3.

Pasto comunitario e cena del Signore

Se At 20, 7ss riflette, come si può supporre, la realtà delle riunioni dei credenti in Cristo alla fine del I secolo, se ne può dedurre che esse avvenivano regolarmente (il primo giorno della settimana) ed erano collegate a un pasto comunitario. La riunione che lì viene descritta ha luogo in una stanza al piano superiore (terzo piano) di una casa presa in affitto a Troade. Lo «spezzare il pane» (si veda immediatamente sotto) sembra essere lo scopo principale della riunione. Esso è collegato con un normale pasto (At 20,1 1 ). Inoltre, prima del pasto Paolo tiene anche una sorta di conferenza (in questo caso molto det­ tagliata), che prevedeva probabilmente anche una conversa­ zione o una discussione con gli altri convenuti. Con lo stesso verbo (dialegomai) si indicano anche le lezioni dottrinali del­ l'apostolo nelle sinagoghe e nel foro. Esse possono riferirsi alla sacra Scrittura e proclamare il regno di Dio (At 17,2. 17; 18,4; 19,8). Anche durante il pasto Paolo (At 20,7. 1 1 ) tiene un «di­ scorso» (edificante?). È lui, inoltre, a presiedere il pasto comu­ nitario. Non è del tutto chiaro se con «Spezzare il pane» si al­ luda alla cena del Signore collegata al normale pasto. 140

Sul pasto comunitario come cerimonia cf. ampiamente NEYREY 1991 ,

361ss.

141 STAMBAUGH

1988, 206.

Le comunità credenti in Cristo

477

La formula «Spezzare il pane» (cf. anche At 2,42.46; Le 24,35) è in ogni caso un'abbreviazione per indicare un «Cerimoniale»; ad essa è collegata cioè una benedizione o una preghiera di ringraziamento, forse anche un gesto di distribuzione da parte di colui che presiede il pasto (Le 24,30; At 27,33ss). Questo cerimoniale deve essere com­ preso a partire dalla prassi dei pasti ebraici, ma da Luca viene posto anche in modo speciale in relazione con Gesù (Le 24,31 .35). 1 42 Così ci si riferisce anche all'istituzione della cena del Signore (Le 22,14-20 parr.). E tuttavia l'atto cerimoniale non deve sempre necessaria­ mente comprendere anche la recita delle cosiddette «parole dell 'isti­ tuzione». Non ci si può aspettare una cosa del genere specialmente nella situazione descritta in At 27,33ss. Ma anche quel pasto comuni­ tario sotto la direzione di Paolo contiene elementi centrali della ceri­ monia in questione e gli viene attribuito addirittura un carattere «Sal­ vifico» (At 27,34). In At 2,46 lo «spezzare il pane» è collegato con la «letizia», cioè senza dubbio la gioia a motivo dell'attesa salvezza esca­ tologica (cf. anche l'aspetto escatologico nella paradosis della cena del Signore: 1 Cor 1 1 ,26: > (l Cor 1 1 ,21 ). Ciò potrebbe essere interpretato nel senso che gli ospitanti cristi ani - in accordo con le convenzioni so­ ciali 1 4 5 - offrono cibi diversi (forse alcuni degli ospiti più abbienti portano anche propri alimenti contribuendo così al pasto comunita­ rio). Secondo Paolo, sarebbe possibile evitare le differenze sociali dei credenti in Cristo che vengono così a crearsi, se i più benestanti (as­ sieme ai membri delle loro case) mangiassero a casa loro (l Cor 1 1 ,22). Infatti, nella prassi incriminata i credenti in Cristo che non hanno proprie case (schiavi, altri membri di case non credenti in Cri­ sto) vengono socialmente discriminati (1Cor 1 1 ,22). Inoltre, i credenti in Cristo più benestanti sembrano cominciare a mangiare prima che i membri più poveri (o alcuni dei membri più poveri) siano presenti (1Cor 1 1 ,33). L'aspetto temporale («aspettatevi gli uni gli altri>>: l Cor 1 1 ,33) viene quindi collegato con l'aspetto sociale. Si deve infatti sup­ porre che la formula introduttiva - «quando vi radunate insieme, non è possibile mangiare la cena del Signore» (lCor 1 1 ,20) - sia una descrizione della reale situazione che esisteva a Corinto.

In ogni caso, in questo conflitto tra i credenti in Cristo di Corinto si riflettono le differenze di condizione sociale di co­ loro che si riuniscono, differenze che contraddicono, secondo Paolo, l'unità in Cristo. 1 46 La prassi corinzia è quindi un esem-

Ampiamente, al riguardo, THEISSEN 3 1989, 290-317; MuRPHv-O'CoN­ 1983, 158-161 . 145 Cibi diversi: PLINIO IL GIOVANE, Ep. 2, 6; MARZIALE, Epigr. 3, 60; 4, 85 ; MuRPHY-O'CoNNOR 1983, 1 59s: THEISSEN 3 1989, 300ss. 146 Non devono essere necessariamente diversità di strato sociale, cioè fra ricchi (strato superiore) e poveri (strato inferiore). Cf. più avanti, pp. 497s .

NOR

144

Le comunità credenti in Cristo

479

pio che illustra esemplarmente ciò che abbiamo già sottoli­ neato sopra, e cioè che nei pasti comunitari e nel loro cerimo­ niale o nei cibi si ripropongono le differenze di condizione so­ ciale, e che questa struttura sociale si dimostra particolar­ mente chiusa nei riguardi del cambiamento. Sembra che nella comunità credente in Cristo di Corinto i ruoli interni al gruppo non fossero ancora chiaramente definiti, ma che nei suoi pasti comunitari si rispecchiassero i criteri relativi alla condizione sociale, prevalenti al di fuori della riunione dei credenti in Cri­ sto. In questo si potrebbe vedere un accenno al fatto che le riu­ nioni o i pasti comunitari delle comunità credenti in Cristo si distinguevano da quelli delle associazioni volontarie, nel senso che in queste ultime i ruoli interni al gruppo erano fissi. In ogni caso, non è necessaria una decisione definitiva circa la possi­ bile analogia fra i pasti comunitari dei credenti in Cristo e quelli delle antiche case o associazioni per situare la prassi conviviale della comunità cristiana primitiva dal punto di vista socio-storico. Infatti, la struttura del banchetto greco-romano costituisce il modello di tutti i pasti comunitari associati a riu­ nioni familiari, inviti di casa in casa, funerali, incontri nelle scuole filosofiche, riunioni di assoçl azioni artigianali ( collegia) o di altre formazioni di gruppi su base volontaria e di comunità religiose ( anche ebraiche ) o anche in occasione delle feste ebr che. 147



4. COLLOCAZIONE SOCIOLOGICA DELLA «EKKLESIA» NEL CONTESTO DELLE ANTICHE ANALOGIE 4.1.

MODERNA COLLOCAZIONE SOCIOLOGICA DELLA «EKKLESIA»

Secondo la concezione della sociologia moderna, le comu­ nità credenti in Cristo sono fondamentalmente dei «gruppi)) o

147

D.S. SMITH 1 980.

480

Storia

sociale del cristianesimo primitivo

«piccoli gruppi», i cui membri si riuniscono in particolari occa­ sioni e possono potenzialmente comunicare e interagire perso­ nalmente fra di loro. 148 Volendo precisare ulteriormente il loro carattere, le antiche comunità credenti in Cristo potrebbero essere definite come gruppi di interesse, dal momento che i loro membri condividono specifici interessi e valori, conside­ rati tipici del gruppo e fondamentali per la sua esistenza, l'e­ sercizio delle sue funzioni e la sua crescita. E poiché tali inte­ ressi vengono formulati anche religiosamente e rivolti, fra l'al­ tro, a uno scopo ultra terreno - per esempio il regno di Dio o la futura esistenza di nuove persone dopo la risurrezione - si potrebbe parlare della Ekklesia come di un gruppo religioso. 1 49 Dell'auto-comprensione di un gruppo fa parte anche il suo comportamento verso l'esterno, cioè un'auto-coscienza collet­ tiva («noi» distinti da «gli altri»), 150 rilevabile anche nel caso delle comunità dei credenti in Cristo. 151 Non così significativa, ma anche non del tutto esclusa, sarebbe la concezione della Ekklesia, nel senso della moderna terminologia sociologica, come «formazione partiti ca>> (faction) o «movimento sociale » (social moven1ent), nella misura in cui si intendono con ciò delle associazioni di persone che deviano strutturalmente da principi sociali (faction) o perseguono come movimenti sociali il cambiamento sociale. 152 Il termine che ci sembra meno con­ vincente è quello di «Setta», in quanto è un termine di gruppo che non dice nient'altro della entità in questione se non che si tratta di un gruppo minoritario. 153 Ma se viene inteso nel senso della visione formulata da Weber e Troeltsch, il termine non è

148

Cf., al riguardo, MEEKS 1993, 1 58. In un certo senso questa concezione viene espressa in un 'analisi socio­ logica moderna, che vuole d istinguere il cristianesimo primitivo (dopo la morte di Gesù ) quale nuovo «Culto» dal seguito di Gesù inteso come una «Setta»: STARK 1 986, 21 6-225. 150 ELUOTI 1993, 130s. 1 51 Cf. solo lTs 4.12; l Cor 5,12s; Col 4,5. 1 52 Brevi definizioni di una faction o di un social movement in ELuorr 1 993, 129.1 32. Cf., ad esempio. anche le considerazioni di G AGE R alla voce «movimento millennarista» ( 1979a, 88-130). 1 5 3 Così preten dono le definizioni di «Setta» proposte da WILSON 1 973: 1982. 149

Le comunità credenti in Cristo

481

pertinente, a nostro avviso, già per il semplice fatto che pre­ suppone una realtà che gli sta di fronte (nel caso di Troeltsch: la chiesa; più neutrale è l'espressione inglese: parent body), che dovrebbe rappresentare in questo caso ad esempio il giu­ daismo (o la sua rappresentazione locale nelle sinagoghe della diaspora) o la società pagana (o la sua manifestazione locale in una determinata polis ). Ma né il giudaismo della diaspora né la società pagana avevano questa funzione di parent body per la Ekklesia. Né in Paolo né nella maggior parte degli altri scritti del Nuovo Testamento è possibile riconoscere, d'altra parte, una corrispondente auto-comprensione delle comunità cre­ denti in Cristo ! 54 Solo nella doppia opera lucana si ritrovano tratti della Ekklesia che fanno pensare a una sorta di «setta» ebraica nel senso della sociologia delle sette elaborata da Troeltsch. 155

4.2.

RELIGIONE «INCASTONATA NELLA SOCIETÀ»

Queste moderne valutazioni sociologiche della Ekklesia inducono a comprendere il fenomeno delle comunità credenti in Cristo nelle città dell'antico mondo mediterraneo dal punto

154 Diversamente ScRooos 1 975, 1 -23, per il cristianesimo primitivo in ge­ nere; per le comunità paoline: WATSON 1986, soprattutto 104s. Per la prima Lettera di Pietro: ELuorr 1 981 . 155 La comunità lucana è un gruppo di minoranze nel quale si entra me­ diante una conversione consapevole; la sua direzione sembra essere piuttosto carismatica. L'autore si sforza perciò di vedere la comunità dei credenti in Cri­ sto in un rapporto specifico con il giudaismo, se ad esempio può parlarne posi­ tivamente come di una «via» (hodos: At 9,2; 16,17; 1 9,9.23; 22.4; 24, 1 4.22) o negativamente e dal di fuori come di un «partito» (hairesis: At 24,5 . 1 4; 28.22). Entrambi i termini si riferiscono al giudaismo come parent body. Cioè, sia nell'auto-coscienza delle comunità - perlomeno di Luca - sia anche nella vi­ sione dei cristiani dall'esterno, dal punto di vista della popolazione pagana. delle sue autorità e anche dei membri del giudaismo della diaspora. la Ek­ klesia appare in qualche modo somigliante al giudaismo. È comunque sempre chiaro sia per lo stesso Luca che per i rappresentanti del giudaismo che essa si distingue empiricamente e dal punto di vista del suo sistema simbolico dal giu­ daismo. La comunità lucana viene intesa come > era li­ bera. E anche le antiche autorità non potevano certamente in­ frangere così spesso il diritto. Qui ci troveremmo, inoltre, da­ vanti a un caso unico nella storia, quello in cui si sottopone alla flagellazione sinagogale un cittadino romano. A ciò non solo non sarebbe stato tenuto, ma difficilmente un cittadino ro­ mano si sarebbe potuto concedere questo trattamento disono­ revole nelle sinagoghe. L'idea che Paolo avrebbe rinunciato per motivi religiosi - patimenti per amore dell 'annuncio del vangelo - ai suoi privilegi di cittadino romano e che avrebbe quindi non solo taciuto la sua reale condizione sociale, ma si sarebbe anche sottoposto per ben otto volte a una punizione fisica tra l'altro molto pericolosa, specialmente nel caso della flagellazione romana, è una pura e semplice immaginazione . Diversamente dall'immagine d i Paolo delineata negli Atti de­ gli Apostoli, dalle Lettere non risulta neppure che l'apostolo abbia potuto disporre di notevoli somme per fin anziare i suoi viaggi o per il suo sostentamento. Al contrario, tutte le affer­ mazioni di Paolo in materia costringono a ritenere che egli ab­ bia lavorato manualmente per assicurare il suo sostentamento e sia dipeso dagli aiuti economici altrui. La sua attività artigia­ nale non viene meglio specificata (secondo At 18,3, era skeno­ poios/fabbricante di tende),54 ma viene presentata come un duro lavoro (kopos, kopian: 1 Cor 4,12; 2Cor 6,5 ; 1 1 ,23; 1Ts 2,9) . E secondo l Ts 2,9, egli ha lavorato già prima del sorgere del sole e ancora dopo il suo tramonto. Hock ha giustamente affermato che l'attività artiginale non ha avuto nella vita di Paolo un 'importanza marginale, bensì centrale. 54 Sulla discussione a proposito di questa professione cf. solo HocK 1 980, 20s: fabbricazione di tende di cuoio; RICHTER REIMER 1992, 206ss; LAMPE 21 989, 156ss.

506

Storia sociale del cristianesimo primitivo

«Molto più di quanto immaginiamo abitualmente Paolo era Paolo il La sua attività assorbiva la maggior parte del suo tempo... La sua vita era in gran parte la vita di un uomo impegnato in un laboratorio... che era p iegato sul suo banco da lavoro come uno schiavo e lavorava a fian co degli schiavi». 55

fabbricante di tende.

Che Paolo abbia lavorato in diversi laboratori lo si deduce, inoltre, dal fatto che svolgeva la sua attività artigianale come lavoratore a giornata 56 e che, oltre a lavorare , svolgeva anche «azione missionaria» ( lTs 2,9). 57 In questa misura egli può in­ tendere la sua dura vita di lavoro anche come parte della sua sofferenza per il suo ministero apostolico. Soprattutto il cata­ logo delle difficoltà di l Cor 4,8- 1 3 (cf. l Cor 9,8ss; 2Cor 11,7-1 1 ; 12,14-16) riflette tipiche esperienze negative degli an­ tichi artigiani . 58 La concezione moderna di «artigiani auto­ nomi» 59 è non solo anacronistica, ma induce anche ad affer­ mare sorprendentemente che Paolo avrebbe avuto la «possibi­ lità di ripartire liberamente il suo tempo>> e che avrebbe go­ duto di > e sollevano quindi il poblema se il loro interesse per questa tematica sia valutabile per i rispettivi destinatari in senso sociologico. Vangelo di Luca. «In nessun altro Vangelo la critica e la preoccupazione nei confronti dei ricchi {Le 1 ,53; 6,24s; 8,14; 12,13-2 1 ; 14,15-24; 16,14s. l 9-3 1 ) , l'appello alla rinuncia ai beni posseduti (Le 5 , 1 1 . 28 ; 12,33s; 14,33; 18,18-30) e alla generosità (Le 3,10s; 6,33-36; 8,1 -3; 1 6,9; 1 9, 1 - 10; 21 , 1 -4) , nonché le pro­ messe per i poveri (Le 1 ,53; 4,1 8s; 6,20s; 7,22) giocano un ruolo così importante come in Luca>>. 69 Il modo più sensato di inten­ dere la straordinaria importanza del tema «ricchezza e po­ vertà» nel Vangelo di Luca è quello sociologico, ma si discute se essa debba essere ricondotta a una corrispondente specifica situazione sociale delle comunità lucane. Esler ne deduce che fra i loro membri vi erano rappresentanti sia dei gruppi diri­ genti dello strato superiore sia del gruppo più basso dello strato inferiore (ptochoi). 70 Qui noi sosteniamo che nelle co­ munità lucane si trovavano certamente dei ricchi, ma sicura­ mente non membri dell 'élite politica, nonché dei relativa­ mente poveri (penetes), ma non rappresentanti del gruppo de­ gli assolutamente poveri (ptochoi). Proprio da Le 14,7ss certamente il testo più importante relativamente alla que­ stione dell'appartenenza degli assolutamente poveri alle co­ munità lucane - si deduce, a nostro avviso, che fra i destina­ tari credenti in Cristo di Luca non vi era alcun membro assolu­ tamente povero. 7 1 Tutte e tre le parabole del banchetto (Le 14,7-11.12-14.15s.21ss) presuppongono un ambiente urbano e sono rivolte o ai partecipanti

69

1988, 1 22. 1 987, 187. 3 71 Al riguardo, SrnoTIRoFF-STEGEMANN 1990, 129ss; diversamente EsLER 1987, 186. 70

RADL ESLER

Storia sociale . del cristianesimo primitivo

512

ai banchetti o a coloro che li organizzano. In tal modo, ci troviamo già per sé in un ambiente che si situa chiaramente al di sopra di quello degli assolutamente poveri. Il fatto che colui che dà il banchetto sia poi costretto ad invitare, al posto dei convitati abituali (amici, fratelli e sorelle, parenti, vicini ricchi) , persone assolutamente povere (e han­ dicappati) (Le 14,13) presuppone che questi, dal punto di vista della parabola, sono degli estranei. Non si tratta in alcun modo della loro integrazione nell'ambiente sociale di colui che dà il banchetto. Anche nella parabola del grande banchetto i poveri (e gli handicappati) sono «Ospiti di ripiego».

Degli assolutamente poveri è il regno di Dio; sono loro a ricevere la generosità richiesta da Luca. E tuttavia egli distin­ gue da loro i seguaci di Gesù che, secondo la sua descrizione, sono diventati volontariamente poveri. Contro l'appartenenza degli assolutamente poveri alle comunità lucane depone anche il fatto che proprio gli Atti degli Apostoli non forniscono al­ cuna prova in merito. Una valutazione della struttura sociale analoga a quella da noi qui descritta si trova anche in Moxnes: «La comunità era un gruppo che non apparteneva all'élite. Essa guar­ dava con riserve all'élite ricca esistente nel suo ambiente. Ciò non esclude comunque la possibilità di differenze sociali ed economiche nella comunità e neppure la presenza di membri aventi una loro pro­ pria ricchezza. La non-élite delle città ellenistiche si componeva di molti gruppi diversi: schiavi di diverse categorie; liberti; commercianti e artigiani provenienti dal di fuori; cittadini liberi, ma poveri ecc. Le prime comunità cristiane erano formate probabilmente da questi gruppi, forse con l'ag.fl_iunta di alcune donne di una condizione sociale un po ' piìì. elevata».

Lettera di Giacomo. La contrapposizione fra ricchi (plou­ sioi) e assolutamente poveri (ptochoi) è un tema importante anche della Lettera di Giacomo ( 1 ,9- 1 1 ; 2,lss; 5,1ss). Ma vi si riflette un conflitto sociale dei destinatari? Bisogna chiedersi se questo scritto contenga veramente delle informazioni con­ crete sulle comunità credenti in Cristo. 73 Già il destinatario («le dodici tribù disperse nel mondo»: Gc 1 , 1 ) resta vago. An-

72

MoXNEs 1 991 , 267 (traduzione dell'autore). 1 11964, 7 .162.

73 DIBELIUS

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

513

che i diversi testi che trattano del tema sconsigliano di appli­ care le affermazioni sociali della parenesi direttamente a strut­ ture e problemi sociali dei destinatari. Proprio là dove mo­ strano un riferimento alle stesse comunità danno piuttosto l'impressione di essere ipotetiche. Sembra che l'autore voglia accentuare le sue intenzioni parenetiche attraverso la costru­ zione di «alcuni casi» particolarmente «esagerati>>. 74 Gc 2,2ss descrive un caso estremo: un ricco e un povero entrano nell'assemblea comunitaria e vengono trattati diversamente. La di­ versità di condizione sociale è stridente. Il ricco ricorda un «cava­ liere» romano (ha un anello d'oro e un magnifico vestito); il povero indossa abiti sporchi e viene indicato con il termine greco ptochos: è quindi assolutamente povero. Entrambi vengono descritti come visi­ tatori, non come membri della comunità credente in Cristo. L'esem­ pio ipotetico è finalizzato a illustrare, mediante la costruzione di un caso estremo, il peccato del «fare distinzione di persone» come viola­ zione del comandamento dell'amore (Gc 2,8s). In un altro esempio si illustra una fede senza opere mediante il comportamento che si tiene nei confronti dei poveri (Gc 2,14ss). Anche qui si tratta ancora una volta di un caso ipotetico, del fatto cioè che a persone assolutamente povere (cioè prive di vestito e di pane quotidiano) si dà un aiuto spo­ radico e non risolutivo. L'esempio parte dal fatto che i poveri sono credenti in Cristo (fratello/sorella). Ma proprio così si vuole sottoli­ neare che l'aiuto offerto una tantum («andatevene in pace, riscalda­ tevi e saziatevi» : Gc 2,16) è insufficiente. Anche q ui è dubbio che si tratti di una reale esperienza della comunità.

Vi sono molti elementi per poter affermare che Giacomo presupponga una situazione sociale in cui non vi sono membri dell'élite sociale né assolutamente poveri. E tuttavia teorica­ mente l'autore sembra ipotizzare che compagni di fede assolu­ tamente poveri entrino a far parte della comunità, ma non che esistano in una delle comunità alle quali egli si rivolge. 3.1.2. Membri dello strato inferiore

relativamente poveri/benestanti («penetes»)

Molte testimonianze prosopografiche e anche notizie indi­ rette fanno pensare che, nel periodo qui preso in considera­ zione, la stragrande maggioranz� dei credenti in Cristo appar74

Così già DIBEuus 11 1964, 162.

514

Storia sociale del cristianesimo primitivo

condizione sociale oscilla fra relativamente poveri e relativa­ mente benestanti, ma nella maggior parte dei casi non è chia­ ramente individuabile. Testimonianze prosopografiche. Solo riguardo a poche persone fra quelle citate per nome 75 si può ricostruire in qual­ che modo la loro condizione sociale o la loro origine : One­ simo, che viene citato anche nella Lettera a Filemone, è uno schiavo (Col 4,9); Marco (Giovanni), un nipote di Barnaba (Col 4,10), è un ebreo; sua madre Maria possiede una casa a Gerusalemme (A t 12,12); in l Tm 4,14 si ricorda un fabbro (chalkeus) di nome Alessandro (cf. 1Tm 1 ,20); Onesiforo (2Tm 1 , 15) ha una comunità domestica, come pure una moglie di nome Ninfa (Col 4,15). Tutti costoro non mostrano alcun tratto sociale che li ponga al di sopra dello strato inferiore. Ad esso va assegnato anche il capo della sinagoga di Corinto, Cri­ spo, e tutta la sua casa ( At 1 8,8); come pure Giasone, che ospita Paolo e Sila a Tessalonica (At 17,9) , e Lidia, commer­ ciante di Filippi, con tutta la sua casa (At 16,14ss). 76 Allo strato inferiore appartiene certamente anche Barnaba, un levita di Cipro (At 4,36), nonché i «fabbricanti di tende» (skenopoioi) Priscilla e Aquila (At 18,2s), alcuni proprietari di casa e di terra a Gerusalemme (At 4,32ss) ; Anania e Saffira (At 5,1ss); e, inoltre , Tabita (At 9,36ss); le vedove di Gerusalemme (At 6,1ss) e Simone il conciatore (At 9,43; 10,6). Vanno citati, in­ fine, gli apostoli Pietro e Giovanni, che vengono presentati come persone «senza istruzione» ( agrammatos) e «popolane» (idiotes) (At 4,13). Pietro non ha monete d'oro né d' argento da dare al mendicante storpio (At 3,6) e tuttavia né lui né al­ cun altro membro della comunità primitiva di Gerusalemme (a differenza di Rm 15,26) o delle altre comunità credenti in

75 Alcuni esempi: Archippo di Colossi (Col 4,1 7), Arist arco (Col 4,10s), Dema (Col 4,24), Epafra (Col 1 ,7; 4,12), Gesù Giusto (Col 4, 1 1 ), Tichico (Col 4,7s; Ef 6,21 s), Silvano (2Ts 1 ,1 ; l Pt 5 , 1 2; spesso negli Atti degli Apostoli): Fi­ gelo e Ermegene (2Tm 1,1 5). Imeneo e Fileto (2Tm 2,17); cf. 2Tm 4,9ss. 19-21 . 76 Cf. RrcHTER REIMER 1992, 123ss. Cf. anche più avanti, p. 661 .

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

515

Cristo che si sono formate viene mai designato o caratterizzato come assolutamente povero. Anch'essi appartengono quindi ai relativamente poveri. Notizie indirette. Alcuni testi presuppongono che fra i loro destinatari vi siano uomini, donne, bambini di diverse età, li­ beri e schiavi o proprietari di schiavi/padroni (kyrioi) (Ef 5,21 ss; 6,9; Col 4,1 ; l Pt 2,1 1 ss; 3,1ss.7; 5,5; lGv 2,12ss; lTm 5 , 1 ; 6,1s; T t 2,1ss). Queste affermazioni implicano anche - cosa che d 'altronde può essere detta espressamente - che intere «case» erano credenti in Cristo (cf. solo Col 4,15 e 2Tm 1 ,1 6). In questo contesto, Verner sottolinea che solo circa un quarto delle famiglie libere dell'impero romano era abbastanza ricco da potersi permettere degli schiavi. 77 E delinea la situazione socio-economica delle comunità destinatarie di alcune Lettere deutero-paoline, basandosi fra l'altro sul fatto che in esse si ammoniscono i proprietari di schiavi. Ritiene che destinatarie delle Lettere pastorali fossero comunità piuttosto grandi e so­ cialmente diversificate, comprendenti anche persone con note­ voli mezzi economici. I membri dirigenti di tali comunità sa­ rebbero appartenuti addirittura a un gruppo di prosperosi pa­ droni. 78 E tuttavia essi superano difficilmente il livello dello strato inferiore più benestante. Anche l'ingiunzione fatta alle donne di vestirsi e adornarsi in modo dimesso ( l T m 2,9s) pre­ suppone un certo benessere, ma non deve essere sopravvalu­ tata. L'affermazione di 2Ts 3,l ls, che ricorda l Ts 4,1 1 (alcuni membri della comunità non lavorano e vengono sollecitati a lavorare e a mangiare il loro proprio pane) si riferisce difficil­ mente ai credenti in Cristo che «potevano vivere del loro da­ naro». 79 Quest'interpretazione non si concilia con l'afferma­ zione secondo cui essi non mangiano il loro proprio pane. Qui si tratta piuttosto del fatto che pretendevano, in quanto an­ nunciatori del Vangelo, di essere mantenuti.

77

78

79

VERNER 1983, 60s. VERNER 1 983, 180s. Così, naturalmente, KREISSIG 1967, 98.

516

Storia sociale del cristianesimo • •

primitivo

*

Breve sintesi sui gruppi dello strato inferiore. Anche se il quadro globale resta necessariamente vago, molti ele­ che le persone assolutamente povere non hanno fatto parte delle comunità urbane del p er iodo dopo il 70 d.C. Tutt'al pi ù si potrebbero considerare tali le vedove. La maggior parte delle testi­ m onianze prosopografiche e delle notizie indirette in dicano la condi­ zione sociale tipica dello st r ato inferiore al di sopra del limite de lla povertà. men ti i n d icano

3 .2. GRUPPI 3.2. 1 .

DELLO STRATO SUPERIORE

«Ordines>>

Secondo la descrizione de.gli Atti degli Apostoli, già negli anni 40 e 50 ( ! ) la fede in Cristo giunse fino ai vertici dell'ari­ stocrazia imperiale romana e penetrò anche negli ambienti decurionali. Alla nobiltà senatoriale va assegnato il governa­ tore di Cipro, Sergio Paolo, il quale viene alla fede (At 13,6ss). Una posizione comparabilmente elevata occupa an­ che quel funzionario etiope, sovrintendente a tutti i tesori della regina Candace, che viene battezzato da Filippo (At 8,27-39). Alla nobiltà decurionale urbana appartiene Dionigi, che è membro dell'areopago di Atene (At 17,34). Poiché que­ sto quadro non concorda con quello risultante dalle strutture sociali dell'epoca anteriore al 70 riconoscibili dalle Lettere di Paolo, non lo abbiamo preso in considerazione nel contesto delle comunità paoline. Il problema è se esso valga per l'e­ poca posteriore al 70 e quindi per il periodo in cui è vissuto l'autore degli Atti degli Apostoli e per la situazione delle sue comunità (verso il 90 d.C.).

a) Ostacoli per i membri dell'ordo credenti in Cristo I dubbi sono giustificati soprattutto riguardo alla scena leggendaria in cui interviene il proconsole Sergio Paolo (At

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

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13,6ss). 8° Fra i suoi molteplici doveri vi era, oltre alla parteci­ pazione alle celebrazioni cultuali pagane, anche il compimento di sacrifici. 81 Anche in base alle nostre conoscenze sulla «pene­ trazione del cristianesimo nel ceto senatoriale fino a Costan­ tino il Grande»82 è estremamente improbabile un'apparte­ nenza del proconsole Sergio Paolo alla comunità credente in Cristo. È comunque storicamente possibile che un governa­ tore romano nutrisse delle simpatie per il giudaismo (e in que­ sto caso anche per la fede in Cristo ). 83 Il Flavio Clemente, membro dello strato superiore romano, e sua moglie Domi­ tilla, che vengono processati da Domiziano a causa della loro inclinazione verso «lo stile di vita ebraico» 84 sono stati certa­ mente dei simpatizzanti del giudaismo e gli studiosi del pas­ sato li hanno considerati addirittura cristiani. 85 Così ciò che vi è di vero nel racconto leggendario relativo a Sergio Paolo è, a nostro avviso, tutt'al più il fatto che alla fine del I secolo nello strato superiore romano vi erano anche persone che dimostra­ vano una certa apertura (Sergio Paolo viene detto «Uomo aperto») o addirittura una segreta simpatia nei riguardi della fede in Cristo. 86 Difficilmente realistica è pure la possibilità che un membro della nobiltà decurionale urbana (Dionigi: At 17,34) si sia professato apertamente membro della comunità credente in Cristo. Un tale passo avrebbe comportato notevoli conseguenze sociali, conseguenze di cui non a caso non sen­ tiamo parlare. Anche in questo caso la partecipazione al culto

80 81

Al riguardo, solo HAENCHEN 1 968, 343.346. Una lista di cause di impedimento in EcK 1 971 , 400-406 . 82 Cf. l'articolo di EcK 1971. 83 Per esempio, Publio Petronio, il quale non tenne conto dell'ordine di Caligola di esporre l'effigie dell'imperatore nel tempio ed esercitò il suo uffi­ cio in modo molto umano: FILO�E, LegGai. 245; cf. anche GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 1 84ss; al riguardo, SIEGERT 1 973, 149. 84 DIONE CASSIO 67, 14. 85 Ma vi sono validi motivi per escludere che fossero cristiani. Cf., al ri­ guardo, solo l'approfondita discussione in PùHLMANN 1 966, 56ss; ma recente­ mente LAMPE 2 1989, 169s, è tornato a sostenere che Flavia Domitilla era cri­ stiana. 86 Es e mpi contrari Tacito e Plinio il Giovane, che disprezzano aperta­ mente i cristiani.

S18

Storia sociale del cristU.nesimo primitivo

degli idoli (dal punto di vista dei giudei e dei credenti in Cri­ sto ) era un ostacolo insuperabile, poiché uno dei doveri dei magistrati della città era quello di organizzare e partecipare alle celebrazioni sacrificali.87 È impossibile immaginare che un credente in Cristo potesse assolvere i doveri corrispondenti (tutti i compiti relativi all'organizzazione dei culti ufficiali fino a procurare gli animali per il sacrificio ) . È comunque possibile che i membri dell'ordo decurionum. specialmente quelli che non avevano cariche ufficiali, simpatizzassero (segretamente ) con la fede in Cristo. Il fatto che in epoche successive l'assun­ zione delle cariche onorifiche locali fosse praticamente vietata ai cristiani, soprattutto a causa del pericolo dell'idolatria, con­ ferma la nostra tesi. 88 E anche la stessa descrizione degli Atti degli Apostoli induce a chiedersi se Luca voglia veramente dire che Sergio Paolo o Dionigi erano diventati adepti della fede di Cristo nel senso di un ·appartenenza sociale alla comu­ nità credente in Cristo. In realtà, egli parla solo del fatto che vennero alla fede (A t 13,12; 17,12.34). Nulla si dice del loro battesimo né delle conseguenze so­ ciali. Ora sorprende proprio la mancanza di un accenno al battesimo (cf. , al riguardo. i battesimi in At 2,38-4 1 ; 8, 12s.l 6.38; 9 1 8 ; 10,47s: 16, 1 5 .33; 18,8; 19.5). Esso è stato certamente un procedimento rituale della conversione, che simboleggiava la fede o l atto della confessione come un evento sociale. Degno di nota è anche il fatto che si ricorda espressamente il battesi m o fra gli altri, dell 'etiope, del centuria Cor­ nelio e della sua casa, di Lidia e della sua casa, della guardia carcera­ ria e della sua casa, dei corinti (At 18,8) e dei discepoli di Giovanni ad Efeso (At 19,5) e, non da ultimo, dello stesso Paolo. Negli Atti degli Apostoli, a prescindere dall'etiope, fra t utti i membri dello strato su­ periore venuti alla fede in Cristo solo delle donne della nobiltà di Tessalonica si afferma, al di là della loro fede, che «aderirono» a Paolo e Bar n aba (At 1 7,4). .

'

,

Con questo risultato concorda anche il fatto che non tro­ viamo adepti della fede in Cristo ai massimi vertici della so­ cietà - nell'aristocrazia imperiale - prima della fine del II e

tr7

88

LANGHAMMER 1 973, 64-66. Su Tertulliano, cf. ScHùLLGEN 1 984, 172ss.

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

519

dell'inizio del III secolo. 89 Una situazione analoga presenta an­ che il quadro relativo al giudaismo della diaspora. Anche il fatto che pochissimi ebrei (come il nipote di Filone, Tiberio Alessandro) siano appartenuti al ceto dei cavalieri e siano sa­ liti fino ai massimi vertici della direzione politica (egli giunse fino alla carica di prefetto) si spiega con l'inevitabile decadi­ mento dal giudaismo. b) Strato sociale di appartenenza dei «cristiani» condannati da Plinio

Un 'ulteriore conferma della nostra analisi viene anche da un 'affermazione di Plinio il Giovane nella lettera che scrisse all'imperatore Traiano riguardo ai processi ai cristiani: «Mi sembra infatti che la cosa richieda di essere presa in attenta consi­ derazione, soprattutto a causa del grande numero degli accusati. In­ fatti, molti di ogni età, condizione sociale, anche dell 'uno e dell'altro sesso sono minacciati ora e in avvenire (multi enim omnis aetatis, om­

nis ordinis, utriusque sexus etiam, vocantur in periculum et vocabun­

tur ) .

La pestilenza di questa superstizione si è sparsa non solo nelle ma credo che la si possa fermare e porvi rimedio». 90 città, ma anche nei villaggi e nelle campagne,

Plinio parla qui chiaramente del pericolo ( ! ) che la super­ stizione cristiana (superstitio) potrebbe investire fra l'altro tutti gli ordines. Ma ciò non significa che all'inizio del II secolo vi fossero già dei membri degli ordines fra i credenti in Cristo. 91 Al contrario, poiché dalla formulazione di Plinio risulta il suo interesse a sottolineare l 'importanza della faccenda mostrando come tutti gli ordines rischiano di essere investiti dalla super­ stizione cristiana, non si sarebbe certo lasciato sfuggire l'occa-

89 Lo si ricaverebbe da TERTULLIANO (Apol. 37, 4; Scapula 4, 7); al ri­ guardo, solo EcK 1 971 , 383s. 90 PLINIO IL GIOVANE Ep. 10, 96, 9 (traduzione secondo KASTEN 1968). 91 Così, ad esempio, HAsENCLEVER 1 882, 271 . EcK (197 1 , 383s) ritiene che non vi fossero membri delrordo senatorius, ma certamente membri dell'ari­ stocrazia municipale; anche contro quest'ultima ipotesi e giustamente ScHùLL­ GEN 1984, 158s.

520

Storia sociale del cristianesimo primitivo

sione di ricordare un caso del genere se fosse realmente esi­ stito. Quindi al tempo di Plinio il Giovane la fede in Cristo non era giunta neppure fino all'orda decurionum . Un 'analogia è offerta ancora una volta dal quadro relativo al giudaismo della diaspora . Infatti, per il periodo di tempo da noi qui preso in considerazione non si conoscono neppure ebrei membri delle decurie locali dell'Asia Minore. 92 La cosa non è certamente casuale, poiché, come abbiamo spiegato, an­ che gli ebrei (al pari dei credenti in Cristo) difficilmente avreb­ bero potuto assolvere i doveri cultuali derivanti dall'apparte­ nenza all'orda decurionum. Cittadini romani credenti in Cristo. E tuttavia dalla lettera di Plinio si deduce che fra i christiani incriminati vi erano an­ che cittadini romani,93 che venivano annotati dal governatore in vista di una loro traduzione a Roma. Quest'indicazione è molto istruttiva dal punto di vista della storia sociale, poiché possiamo ritenere che in questo periodo nelle province la cit­ tadinanza romana fosse concessa quasi esclusivamente allo strato superiore urbano94 e andasse a vantaggio dei veterani che avevano servito nell'esercito (truppe ausiliarie) al mo­ mento del loro congedo. Inoltre, anche veterani delle legioni potrebbero essersi stabiliti nelle città dell 'Asia Minore. In base alle nostre conoscenze circa la prassi della concessione della cittadinanza romana ai provinciali è quindi teoricamente possibile che i christiani con cittadinanza romana ricordati da Plinio appartenessero allo strato superiore locale della Bitinia o addirittura alla cerchia dei decurioni. Ma, se Plinio avesse avuto veramente conoscenza di christiani provenienti dalla cerchia dei decurioni, si sarebbe lasciato sfuggire l 'occasione di parlarne all'imperatore ? È quindi più logico ritenere che i cit­ tadini romani ricordati da Plinio provenissero dagli ambienti

92 Cf. lo sguardo generale di TREBILCO sul Jewish involvement in city /ife in Asia Minore ( 1991 , 1 73ss), in base al quale solo a partire dal III secolo gli ebrei ricoprirono foca/ offices nelle loro città di origine in Asia Minore. 93 PLINIO IL GIOVANE, Ep. 10, 96, 5. 94 Cf. sopra, pp. 500s.

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

521

subdecurionali , e appartenessero quindi sì allo strato supe· riore locale, ma non all'ordo decurionum. Come analogia si può considerare, ancora una volta, la diffusione della cittadinanza romana fra gli ebrei dell'Asia Minore. Secondo Giuseppe Flavio,95 già alla metà del I secolo d.C. vi erano degli ebrei con la cittadinanza romana, per esempio ad Efeso (e altrove). La di� scussione circa la credibilità storica di quest'affermazione presenta un ampio ventaglio di conclusioni.96 Le due testimonianze provenienti da iscrizioni e relative al periodo da noi qui preso in considerazione ri­ salgono agli anni 80 e 90 del I secolo. Una ricorda un certo Publio Tir­ ronio Cl ado di Acmonia, che viene detto anche archisynagogos (capo della sinagoga). 97 La seconda si riferisce alla famiglia di Tito Flavio Alessandro, pure di Acmonia, il quale possedeva la cittadinanza ro­ mana probabilmente già alla fine del I secolo.98

Anche fra gli ebrei dell'Asia Minore vi sono stati quindi alcuni cittadini romani, ma naturalmente nessuno di loro ap­ parteneva alla cerchia dei decurioni. Anche i credenti in Cri­ sto con cittadinanza romana che Plinio prevede di trasferire a Roma possono essere stati membri di un gruppo socialmente ragguardevole delle locali famiglie dello strato superiore, ma non dell'élite politica. È anche possibile che essi fossero ( re­ lativamente ) ricchi. Così pure non si può escludere che i chri­ stiani con cittadinanza romana ricordati da Plinio provenis­ sero dal gruppo di gran lunga maggiore dei nuovi cittadini ro­ mani, e cioè dagli ambienti dell'esercito ( si veda, al riguardo , Cornelio, un cristiano esemplare proveniente dal paganesimo, di At 10s). 99 3.2.2. Ricchi e altri membri dello strato superiore

Indicazioni prosopografiche si trovano, ancora una volta, solo negli Atti degli Apostoli. Sila e Paolo vengono presentati

95

96

GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 228. SMALLwooo (1976, 127s) ritiene che la

cosa fosse possibile, ma parla di un numero «infinitesimally sma/1». 97 Sull'iscrizione, TREBILco 199 1 , 58; CIJ 766. 98 Così TREBILco 1991 , 173; CIJ 770. 99 Cf. anche sopra, pp. 454ss.

522

Stori.ll sociale del cristianesimo primitivo

come cittadini romani (At 16,37; 22,25) e Paolo sarebbe anche cittadino della sua città natale, Tarso (At 21 ,39), venendo così a far parte dell'élite cittadina . 100 All'élite locale di Tessalonica apparte ngono anche quelle donne dei cittadini altolocati (pro­ toi ) che si lasciano persuadere dalla predicazione di Paolo (At 17,4 ). A Be rea vengono guadagnati alla fede anche illustri ( eu­ schemon) uomini e donne (At 17,12). Anche il Menachem ri­ cordato in At 13,1 come syntrophos del tetrarca Erode po­ trebbe essere assegnato allo strato superiore, se con il termine 101 si deve intendere un compagno di gioventù di Erode. Notizie indirette sui ricchi si trovano, ad esempio, nel Van ­ gelo di Luca. Si può supporre che l'ampia critica e parenesi sui ricchi 102 sia rivolta a destinatari c redenti in Cristo. 103 Un capo dei pubblicani ricco (Zaccheo) si interessa a Gesù e diventa un modello per il giusto comportamento dei ricchi (Le 19,1ss). E tuttavia non viene assegnato agli ambienti che contano dello strato superiore, ma resta, nonostante la sua ricchezza� una persona disprezzata (Le 19,7. 10). Anche le donne di ambienti dello strato superiore benestanti e socialmente considerate giocano un ruolo. Secondo Le 8,1-3, esse hanno aiutato econo­ micamente già Gesù. Quest'affermazione, che si trova solo in Luca, è chiaramente un riflesso delle sue esperienze . 104 Anche nella Lettera di Giacomo si trova la parenesi rivolta ai ricchi (Gc 5,1ss). Ma questo annuncio del giudizio ai ricchi riguarda difficilmente i credenti in Cristo; infatti, si rimprovera loro, fra l'altro, di aver condannato e ucciso «il giusto>> (Gc 5,6). Anche se qui non dovesse essere inteso Gesù, è comun ­ que chiaro che il destino escatologico negativo dei ricchi è già stabilito e non si pensa né si sollecita una loro conversione (cf. 100

Cf. sopra, pp. 500ss. Favorevoli a un'alta condizione sociale sono, ad esempio, MEEKS­ WILKEN 1978, 15. O sua madre era semplicemente la nutrice di Erode? Prove derivanti dalle iscrizioni a sostegno di entrambe le possibilità in G.H.R. HoR­ SLEY 1983, 37s 102 Per i passi del Vangelo di Luca cf. sopra, pp. 512s. 103 Al riguardo, ScHOTIROFF-STEGEMANN 31990, 1 1 3ss. 1 04 Cf. più avanti, pp. 637s. 101

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

523

al contrario la parenesi di Gc 4,13-17). Così pure non si ram­ menta loro l'ideale dell 'esistenza dei credenti in Cristo. Inol­ tre, i destinatari della Lettera vengono chiaramente distinti dai ricchi: «Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano (katadyna­ steuein) e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?» (Gc 2,6s) ? E tuttavia Gc 1 ,9-1 1 dà l'impressione che l'autore conti sull'esistenza di credenti in Cristo ricchi. Qui infatti si raccomanda al fratello di umile condizione (tapeinos) di glo­ riarsi della sua alta dignità (hypsos) e al ricco di gloriarsi della sua bassezza (tapeinosis). Naturalmente, il ricco non viene espressamente indicato come fratello. L'evidente presa di di­ stanza dai ricchi, da un lato, e la messa in guardia dalla tenta­ zione della ricchezza, dall'altro, la «tentazione » infine di ab­ bandonare i parametri conquistati nella fede (nessuna consi­ derazione della persona, la scelta dei poveri da parte di Dio: Gc 2,1 .5), potrebbero dipendere da una discussione in atto, in cui si tratta della disponibilità delle comunità credenti in Cri­ sto di aprirsi ai ricchi. Anche la prima Lettera a Timoteo contiene ammonimenti ai ricchi (plousioi: l Tm 6,17 -1 9). Ma essi sono così generali («ai ricchi in questo mondo raccomanda .. » : l Tm 6, 17) da non poter concludere necessariamente che ci si riferisca ai membri della comunità credente in Cristo. Analogamente per quanto riguarda Ap 3,17. Qui la comu­ nità di Laodicea viene detta ricca, ma può difficilmente trat­ tarsi di qualcosa che vada al di là di un 'allusione a un certo be­ nessere. La ricchezza della comunità credente in Cristo di Lao­ dicea non era in ogni caso importante solo per il semplice fatto che si precisa che essa non ha bisogno di nulla. Anche nella prima Lettera a Timoteo si mette in guardia dal «voler diven­ tare ricchi» (ploutein) e dal pericolo della avidità di denaro (philargyria) che ne deriva. Al contrario, essa raccomanda ai credenti un ideale di sobrietà caratterizzato da un modesto te­ nore di vita («avere di che mangiare e di che coprirsi»: l Tm 6,6ss ) Ciò significa che sia in l Tm che in Ap la ricchezza viene descritta come una condizione sociale, nella quale ognuno può provvedere al suo sostentamento e non manca di ciò che è ne.

.

StoriiJ sociale

524

del cristianesimo primitivo

cessario per soddisfare i bisogni fondamentali della vita. Que­ sta condizione è quella delle persone relativamente povere (penetes ) . Si incontrano anche isolati ammonimenti nei confronti della cupidigia (pleonexia ) in realtà, un topos della critica dei ricchi - come marchio di infamia degli eretici (2Pt 2,3. 14) - e devono essere quindi valutati con la massima prudenza ­ o nelle liste dei vizi, oppure come pericoli della precedente esi­ stenza pagana (Ef 4,19; 5 ,3.5; Col 3,5). Essi non sono chiara­ mente una parenesi attuale per i ricchi credenti in Cristo. N elle élite locali al di sotto della nobiltà decurionale pos­ sono essere state soprattutto le donne a far parte delle comu­ nità credenti in Cristo, ivi comprese probabilmente alcune donne ricche. Comunque non solo la mancanza di testimo­ nianze prosopografiche al riguardo, ma anche le notizie indi­ rette sconsigliano di sopravvalutare le parenesi relative ai ric­ chi che si trovano nel Vangelo di Luca, nella Lettera di Gia­ como e nella prima Lettera a Timoteo come riflesso di un'alta percentuale di credenti in Cristo provenienti da questo gruppo dello strato superiore. -

3.2.3. Persone del seguito dello strato superiore ( «retainers» ) In Col 4, 14 si ricorda un certo Luca che viene indicato come medico ( iatros ) «Poiché molti medici erano schiavi, si potrebbe supporre che Luca fosse medicus in una familia ro­ mana e che abbia ricevuto il nome del suo padrone (Lucio, in forma abbreviata Luca) al momento della sua liberazione». 1 05 Se egli ha effettivamente lavorato per lo strato superiore ap­ parteneva al gruppo dei retainers. Allo stesso gruppo appar­ tiene anche Zena, un giureconsulto (nomikos: Tt 3,13), anche se non è del tutto chiaro se egli fosse un maestro della Torah o un giurista (romano). Nello stesso gruppo dovrebbero essere posti anche i sacerdoti di Gerusalemme che, secondo A t 6, 7, .

105

MEEKS 1993,

123.

Composizione sociale delle comunità credenti in

Cristo

S25

accolsero la fede, se potessimo essere certi che qui non si tratta semplicemente di un'affermazione fittizia. Lo stesso vale per i farisei diventati credenti, di cui si parla in At 15,5 . Anche il sottoufficiale romano (centuria) Cornelio che dirige la coorte italica a Cesarea sarebbe un retainer. Egli viene alla fede e si fa battezzare insieme con tutta la sua casa (At 1 0s), lo stesso an­ che per la guardia carceraria a Filippi con tutta la sua famiglia (At 16,30-34). Particolannente significativa è la figura di Cornelio. Egli viene descritto come della società del tempo. Mancano sia i membri appartenenti ai sup remi vertici della società (ordines) sia i me m b r i appartenenti al gruppo de­ gli assolutamente poveri (ptochoi) , se riteniamo che le vedove povere siano state aiutate dalle comunità. Le testimonianze sull'esistenza di credenti in Cristo ricchi appartenenti agli am­ bienti subdecurionali sono certamente sporadiche, ma assolu­ tamente degne di nota. Strato inferiore. Secondo la nostra analisi , la maggior parte delle comunità credenti in Cristo dopo il 70 era composta di membri provenienti dalla parte alta dello strato inferiore ur­ bano (al di sopra dei limiti della povertà). Questo dato risulta praticamente da tutti i testi del periodo da noi preso in consi­ derazione. E t u ttavia possediamo solo poche indicazioni circa la reale co n diz ione sociale o le attività professionali dei cre­ denti in Cristo dello strato inferiore. Si possono riconoscere al­ cune attività artigianali (conciatore, fabbro) che sono sempre legate anche al piccolo commercio (Lidia, mercante di por­ pora). Ma sembra che vi fossero anche operai salariati . L'appartenenza alle comunità di artigiani, operai, persone dedite alla piccola industria e al piccolo commercio è ampiamente attestata an­ che per l'epoca successiva a quella neo-testamentaria, quali: artigiani (technitai che Giustino chiama ch eirotechn a i) 108 e, accanto ad essi, persone assolutamente comuni come: un lavoratore (ergates), u19 un gualcheraio (fullo), 1 10 ma anche persone dedite alla piccola industria e al piccolo commercio.1 1 1 1 011 a. Did. 12, 3 ; GIUSTINO, Apol. 2 , 10. 109 l Clem. 34, l . 110 Erma 9, 32, 3. 111 M 3,5; 10,1 ,4s; cf. 4,5.7; 8,8,1s; 9,20,1 . Per le epoche posteriori: anche 0 RIGENE, Cels. l, 62; 3, 44.55 (persone semplici, comuni, ottuse, schiavi,

Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo

'

527

Si deve supporre un tale ventaglio già per le comunità pao­ line. Anche al tempo di Paolo appartenevano già alle comu­ nità credenti in Cristo schiavi e schiave. 1 12 Questa tendenza sembra essere continuata ed essersi consolidata con il batte­ simo di intere case (l'esistenza di padroni credenti in Cristo proprietari di schiavi e l'appartenenza dei loro schiavi alla co­ munità credente in Cristo sono attestate dalle parenesi di Col 3,18ss e Ef 5,22ss ). Ma verso la fine del I secolo si ha un cam­ biamento, poiché ora entrano a far parte delle comunità anche schiavi che non hanno padroni cristiani). è entrato anche nella ricerca storica .4 Nonostante la sua grande popolarità, si tratta comun q ue di un termine poco preciso. 5 E, nella m isura in cui intende descrivere gli interventi costrittivi giuridicamente fondati messi in opera dalle autorità romane contro i cristiani in quanto cristiani, esso n on è adatt o ad espri­ mere adeguat am ent e le esperienze dei credenti in Cristo con le autorità civili pagane nel periodo da noi qui preso in consi­ derazione. Infatti. quando ancora all'inizio del II secolo il sem­ plice fatto di essere cristiani era considerato un crimine passi­ bile della pena di morte (al riguardo , si veda immediatamente sotto ) , i credenti in Cristo erano tradotti davanti ai tribunali solo su de n uneia; Trai ano ha persino espressamente v ie tato di ricercarli (conquirendi n on sunt).6 Pert a n to non useremo il ter­ mine «persecuzione». Tut t avia è evidente che i credenti in Cri­ sto nelle aree urbane dell'impero romano, nel periodo da noi qui preso in considerazione, sono stati fatti oggetto di discrimi­ nazione da parte della popolazione pagana e, soprattutto e in

2 E usEBI O . HistEccl. 3, 1 8; cf. 3, 20; 4, 26; cf. solo SPEIGL 1 970, 24. La de­ scrizione di Eusebio non va oltre ciò che conosciamo dagli storici pagani (na­ turalmente non riguardo ai cristiani) ed è stata per questo, e anche per altri motivi. giustamente messa in discussione: SPEIGL 1 970. 34ss; MoREAU 2 1 971 . 37s. Di una persecuzione dei cristiani da parte di Domiziano parlano anche TERTULLJANO (Apo/. 5, 4) e LATIANZIO (De mort. pers. 3). Tertulliano afferma che fu lo stesso Domiziano a porre fine alla persecuzione; egli fonda probabil­ mente le sue conoscenze su Egesippo, il quale afferma, come Tertulliano, «che con un editto Domiziano avrebbe posto fine alla persecuzione da lui stesso in antecedenza ordinata»: MoREAU 2 1971, 39. Cf. anche SPEIGL 1 970, 33s, che cita anche Melitone di Sardi. 3 Cf. J. VooT 1954; V. GRUMEL 1 956. ' 4 Una persecuzione dei cristiani da parte di Domiziano è sostenuta, ad esempio, da GRoss 1959, 91 - 1 09. VoGT (1954, 1059ss) parla più prudentemente di conflitti di natura religiosa a Roma e in Asia Minore al tempo di Domi­ ziano� critici contro la tesi di una persecuzione ordinata da Domiziano: CHRIST 1 962, 1 99-206� SPEIGL 1 970, 18ss; KERESZTES 1 973, 1 -28; e globalmente MoREAU 2 1971, 37ss. 5 Critico già F. OvERBECK nel suo Studien zur Geschichte der alten Kirche (cf. OvERBECK II ( 1 994], 93ss). 6 PLINIO IL GioVANE, Ep. 10, 97, 1s.

Conflitti

con il

paganesimo e il giudaismo della diaspora

533

modo crescente, di criminalizzazione da parte di Roma per il loro comportamento religioso e sociale deviato. 7 I due termini sono molto adatti a nostro avviso per descrivere i conflitti esterni dei cristiani con il paganesimo nelle aree urbane. Anzitutto presenteremo i conflitti forensi, con le loro moti­ vazioni e i loro retroscena (par. 1 . 1 ) . Poi parleremo delle ten­ sioni sociali con la popolazione pagana (par. 1 .2). 1 . 1 . l V ARI CONFLIITI FORENSI

Presentiamo anzittutto i conflitti a noi noti delle comunità urbane con le autorità civili nell'epoca anteriore al 70. Al ri­ guardo, abbiamo alcune informazioni nelle Lettere di Paolo, ri­ guardanti le esperienze dello stesso apostolo e quelle della co­ munità di Tessalonica. A questi conflitti si aggiungono il tu­ multo scoppiato a Roma di cui parla Svetonio e il crudele tratta­ mento riservato da Nerone ai credenti in Cristo di Roma. Per il periodo dopo il 70 prenderemo in considerazione alcune affer­ mazioni dell ' Apocalisse di Giovanni, ma soprattutto i testi degli Atti degli Apostoli8 e la Lettera di Plinio sui processi ai cristiani. 1.1.1.

Conflitti con l'autorità pagana nel periodo anteriore al 70

a) Secondo 2Cor 1 1 ,25, lo stesso Paolo ha subìto per ben tre volte la flagellazione. 9 Direttamente collegato a ciò egli ri7 Sul termine «criminalizzazione» cf. VITIINGHOFF 1990, 265ss; cf. 1984, 33 1-357. 8 In Le 12,1 1s, Gesù predice ai suoi apostoli dei conflitti con i magistrati e la loro traduzione davanti ai tribunali (al riguardo, ampiamente W. STEGEMANN 199 1 , 77ss). In At 16,19ss; 17,6s; 1 8,12ss Luca riferisce esperienze analoghe. In questo contesto vanno considerati anche l'arresto e il processo di Paolo davanti al procuratore romano della Siria (a partire da At 21 ,27ss e spesso). I conflitti qui raccontati sono conflitti del tempo di Paolo. Ma non da ultimo i contenuti degli addebiti inducono a ritenere che in questi racconti si riflettano situazioni proprie del tempo di Luca e cioè del periodo successivo al 70. 9 Secondo l Ts 2,2, Paolo è stato maltrattato anche a Filippi. Ma la formu­ lazione non permette di dire se qui si sia trattato di una punizione fisica uffi­ ciale (come viene descritta in At 1 6,22s). Il verbo usato (hybrizo) non è speci­ fico. Può indicare anche maltrattamenti inferti da persone private.

534

Storia

sociale del cristianesimo primitivo

corda qui (2Cor 11,23) e in 2Cor 6,5, accanto ai «colpi» subiti anche la prigionia. Qui si intendono certamente gli imprigio­ namenti legati alla flagellazione. 10 E poiché in 2Cor 6,5 Paolo ricorda fra i pericoli corsi anche i «tumulti» (akatastasiai) è molto probabile che i suoi imprigionamenti e le sue flagella­ zioni siano riconducibili o comunque da porre in relazione (al­ meno in parte) con tumulti pubblici scoppiati attorno alla sua persona. Purtroppo non ci è dato sapere nulla di più preciso. Così pure nulla sappiamo di preciso a proposito della sua tri­ bolazione in Asia (2Cor 1 ,8s). Probabilmente è stato imprigio­ nato a lungo a Efeso e ha persino temuto di morire (cf. Fm 9,13; Fil 1 ,7. 12-14.30; 2,17). Nell'insieme i dati relativi alle sue esperienze negative con l 'autorità pagana restano vaghi. Sullo sfondo delle misure adottate dalle autorità civili contro Paolo sembra esservi soprattutto il fatto che egli disturba l'ordine pubblico con la sua attività propagandistica. 1 1 b) In questo contesto si deve prendere in considerazione anche l 'esperienza conflittuale della comunità paolina di Tes­ salonica. Infatti, secondo la descrizione di Paolo, quest'ultima è stata oppressa e ha sofferto a causa dei pagani (l Ts 1 ,6; 2,14; 3,3s ). Lo stesso Paolo parla di persecuzione (lTs 2,14). All'ori­ gine vi sono i concittadini pagani dei tessalonicesi. 12 Anche qui si deve supporre che queste esperienze negative dipendano da attività propagandistiche della comunità di Tessalonica. A ciò allude la richiesta di l Ts 4,1 1 di astenersi dalle faccende pub­ bliche e di lavorare con le proprie mani, in modo che i credenti non facciano cattiva impressione su coloro che sono al di fuori.

10 WENGST scrive: 4> e poi, in base alle loro confessioni - probabilmente estorte -, una grande quantità di altre persone. Rivestiti di pelli di animali furono sbranati dai cani e bruciati come torce viventi. 20 Perso­ nalmente Tacito non ritiene che i cristiani fossero responsabili d eli 'incendio, ma considera giustificata la loro punizione. Egli lamenta comunque che le modalità dell'esecuzione abbiano

18

TACITO, Ann. 15, 44. Le lettura chrestiani (con il secondo senso iron ico di «galantuomini») nel Codex Mediceus /1 è da preferirsi, secondo l'edizione di E. KoESTERMANN (Lei�ig 1965, 356), alla lettura christiani. La critica testuale non consente di dire con certezza che vi siano state anche crocifissioni; cf. WLosoK 1982, 286. 19

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

537

provocato. la compassione della popolazione e si sia così data l'impressione che essi erano stati sacrificati non al «bene co­ mune» , ma alla crudeltà di un singolo. Non si può quindi par­ lare di una persecuzione in qualche modo giuridicamente fon­ data dei cristiani in quanto cristiani da parte di Nerone. L'esi­ stenza di una legge contro i cristiani, che sarebbe stata promul­ gata per la prima volta da Nerone - esistenza dedotta in par­ ticolare dagli scritti di Tertulliano2 1 - è stata esclusa con va­ lide motivazioni. 22 Contro l'esistenza di una tale legge vi è in­ fatti soprattutto la considerazione che l'imperatore non inter­ venne contro i chrestiani in quanto tali, ma li fece imprigionare e giustiziare in base all'accusa di un concreto delitto (quello di essere degli incendiari). 1 . 1 .2.

Conflitti con l'autorità pagana nel periodo dopo il 70

a ) Nell'Apocalisse (2,9s) si predicono ai credenti in Cristo di Smirne, città d eli' Asia Minore, l O giorni di tribolazione ( thlipsis ) e ad alcuni di loro la prigionia. La comunità di Pergamo ha tenuto saldo il «nome» di Cri­ sto e non ha rinnegato la fede in lui, neppure nei giorni del martirio di un certo Antipa (Ap 2,13).23 Così pure ci si deve chiedere se il soggiorno di Giovanni sull'isola di Patmos sia stato la conseguenza della sua condanna alresilio (Ap 1 ,9). 24 Proprio la lettera spedita a Pergamo fa supporre che l'espe­ rienza conflittuale della comunità e la morte di Antipa siano da porre in qualche modo in relazione con le autorità civili. Si sottolinea, infatti, che la comunità abita dove si trova il «trono di Satana». «Con "trono di satana" (Ap 2,13) Giovanni allude

21

Cf. ad esempio TERTULLIANO, Apol. 4, 4. Cf. solo BoRLEFFS 1952. 23 In questo contesto si deve certamente stabilire un confronto anche con la comunità di Filadelfia, la quale viene lodata per non aver rinnegato il nome di Cristo (Ap 3,8). 24 Sul problema della condanna all'esilio di Giovanni cf. solo POHLMANN 1 966, 433ss; MOLLER 1984, 81, con riferimento ad Ap 6,9; 20,4. 22

538

Storia sociale del cristianesimo prim itivo

con ogni probabilità al culto dell'imperatore e al suo tempio. Per il veggente questo si trova al centro dei suoi attacchi» 25 (cf. Ap 13). A un'esperienza forense con l'autorità fa pensare an­ che la predizione della prigionia in Ap 2,10. E, a causa dell'ac­ cenno al culto dell'imperatore a Pergamo, ci si è chiesti se la morte di Antipa non sia da ricondurre al fatto che «egli rifiu­ tava di offrire il sacrificio davanti alla statua dell'imperatore, così come troviamo descritto in dettaglio nella famosa lettera di Plinio». 26 Ma più probabile den·analogia con la lettera di Plinio sembra comunque il fatto che l'Apocalisse rifletta la si­ tuazione di pericolo in cui vennero a trovarsi i cristiani sotto Domiziano. 27 A favore di questa ipotesi depone anche una comparazione delle esperienze dei membri delle sinagoghe a Smime e Filadelfia con quelle delle comunità credenti in Cri­ sto. L'inasprimento della riscossione del fiscus Judaicus sotto Domiziano e l'estensione delle accuse di asebeia allo «stile di vita giudaico» dei pagani poteva determinare per i credenti in Cristo, in caso di conflitto, una situazione pericolosa.28 Dato che n eli'Apocalisse di Giovanni non si parla di delazioni, il motivo scatenante di questo conflitto potrebbe essere stata ad esempio la non partecipazione dei credenti in Cristo al culto dell 'imperatore; si può pensare anche a «sporadiche azioni in­ traprese dai protagonisti locali (per esempio, dai sacerdoti del culto dell'imperatore)», 29 che possono aver interessato del re­ sto anche gli ebrei. 30 Anche un atteggiamento di deliberata op­ posizione al culto dell'imperatore da parte dei credenti in Cri­ sto quale occasione dei conflitti corrisponderebbe alla rigida 25 M O LL ER 1 984, 1 10; cf. anche PoHLMANN 1966, 430ss. A favore di que­ st'interpretazione vi è soprattutto Ap 13,2: «Il drago, figura di satana, dà alla "bestia" che esce dal mare, quale figura simbolica dell 'impero romano, la po­ tenza e il trono» (MOLLER 1 984, 1 10); ma cf. anche Ap 12,9, dove del drago o del serpente antico si dice che il loro nome è «diavolo» e «satana». 26 KRAFT 1974. 27 Molti esegeti sono favorevoli alla composiz ione dell'Apocalisse in que­ sto periodo; cf., al riguardo, semplicemente la discussione in MOLLER 1 984, 4042. Sulla relazione fra l'Apocalisse e Domiziano: ScHOlZ 1 933. 28 Cf. più avanti, pp. 552ss. 29 MOLLER 1984, 260. 30 Cf. G IUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 46ss.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

539

opposizione dell'Apocalisse nei suoi confronti o semplicmente nei confronti di Roma (cf. soprattutto Ap 13; 17). 31 Forse l'A­ pocalisse di Giovanni riflette quindi indirettamente un'accusa di asebeia contro i credenti in Cristo. b) A Filippi, secondo gli Atti degli Apostoli, Paolo e Sila vengono accusati dai romani (Filippi era una colonia romana) presso i magistrati che governano la città. 32 Il motivo dell'ac­ cusa è il seguente: Paolo e Sila provocano disordini in città e diffondono come ebrei usanze ( ethe) che i romani non devono praticare (A t 16,20s ) . Non ha luogo un vero e proprio processo ( cognitio ). Il magistrato procede per via amministrativa ( coer­ citio) contro gli accusati in quanto peregrini e subito dopo l'ac­ cusa li fa flagellare e gettare in prigione senza pronunciare al­ cuna sentenza di condanna (At 16,22s). L'accusa è duplice: anzitutto, gli ebrei provocano disordini nella città. E quanto fossero sensibili nei confronti di una simile accusa i magistrati romani e quelli delle città lo attestano gli stessi Atti degli Apostoli (cf. 17 ,6; 23,30ss; 24,5 ) . Qui non si deve naturalmente pensare a una vera e propria ribellione (sta­ sis; seditio ); non si accusano assolutamente gli apostoli di un cri­ mine passibile della pena di morte (ribellione contro Roma alto tradimento, perduellio ) . Per l'intervento semi-poliziesco qui descritto dei magistrati contro Paolo e Sila bastava già sem­ plicemente il fatto di poter intendere il verbo «ribellarsi)) nel senso di provocare un pubblico disordine (tumulto ) . 33 In secondo luogo, essi propagano usanze non romane (ebraiche) fra i romani. Anche questa seconda accusa non at­ tribuisce agli apostoli un crimine passibile della pena di morte e contemplato come tale dalla legge. Ciò risulta anche dalla punizione relativamente moderata degli interessati. D'al­ tronde, gli stessi accusatori fanno osservare che ai romani non =

31

50ss.

Al riguardo, POHLMANN 1 966, 438ss e MOLLER 1 984 , 257ss; SPEIGL 1970,

32 Sui magistrati a Filippi: ELLIGER 1 978 , Slss; sul testo in genere W. STE­ GEMANN 1 991 , 2 ll ss. 33 Cf. PLUTARCO, Coriolano 19; GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 41.

540

Storia sociale del cristianesimo primitivo

è consentito adottare le usanze ebraiche. Il problema in discus­ sione allora era proprio questo . Sullo sfondo vi è l'esperienza, che si può spiegare con riferimento al regno di Domiziano, se­ condo cui si poteva essere accusati come cristiani provenienti dal paganesimo di aver assunto lo . Un 'accusa che, secondo Dione Cassio, venne interpretata du­ rante il regno di Domiziano come asebeia e quindi come cri­ mine contro lo stato (crimen laesae maiestatis). 34 Anche dall'e­ pisodio di Filippi risulta quindi indirettamente l'accusa delit­ tuosa di asebeia (maiestas) contro i credenti in Cristo. c) La traduzione de1 l'apostolo Paolo a Corinto davanti a Gallione, governatore romano dell'Acaia (At 18,12ss) fu cau­ sata da un'accusa dei , ma sono ancora identificati con il giu­ daismo, è comunque chiaro che si tratta di appartenenti a un gruppo particolare in seno al giudaismo (At 24,5: «partito dei nazorei>> ). Ma il malinteso politico compare ad esempio già nel racconto lucano della passione, dove Gesù viene accusato dal sinedrio davanti a Pilato come un ribelle anti-romano. che svia il popolo ebreo, impedendo che si paghi il tributo all'impera­ tore e spacciandosi per messia-re (Le 23,2). Per Luca tutte queste accuse stravolgono il vero comportamento di Gesù,83 gli conferiscono cioè un senso insurrezionale. Ma riflettono anche una polemica anti-cristiana, da allora continuamente ri­ lanciata contro il movimento di Gesù, inteso come una forma­ zione rivoluzionaria di congiurati nemici di Roma o dello stato in genere.84 Dimostrando nel racconto della passione l'inno­ cenza di Gesù (cf., ad esempio la «confessione» del centurione: Le 23,47), Luca respinge anche l'accusa lanciata contro coloro che a lui si richiamano. 1 .2.3.

Lo sfondo contemporaneo dell'accusa di ribellione

Un fondamentale passaggio per la criminalizzazione dei credenti in Cristo era quindi certamente la loro identificazione negativa come un gruppo di ribelli anti-romani provenienti dal giudaismo. Quest 'accusa trova uno sfondo pericoloso, appa­ rentemente plausibile, nella situazione venutasi a creare dopo la guerra giudaico-romana. Scrive Tacito: «L'idea che solo i giudei persistessero nella resistenza accrebbe il risentimento nei loro riguardi».85 La sollevazione contro Roma diede ai giu­ dei la fama di essere ribelli e amanti della guerra.86 Già la stessa sollevazione aveva procurato ai romani qualche diffi-

113 Ciò appare soprattutto nella questione relativa al dovere di pagare il tributo, nella misura in cui la relativa scena - precedentemente descritta del comportamento di Gesù mostra che questa accusa è priva di fondamento: cf. Le 20,20ss. 84 Per le testimonianze relative alla Chiesa antica cf. ScHAFKE 1979, 606ss. 85 TAciTo, Hist. 5, 10. 86 Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Be/l. 2, 91s; lo., Ant. 17, 314; Io., Ap. 2, 68.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

553

coltà ed era stata domata alla fine solo grazie a un forte dispie­ gamento militare .87 E anche dopo averla domata, Roma non poteva essere certa di aver realmente ristabilito la pace. Un particolare fattore di incertezza era la diffusione su scala mon­ diale del giudaismo. Questo rapporto fra il giudaismo della madrepatria e il giudaismo della diaspora si riflette ad esempio in Giuseppe Flavio, il quale fa dire al re Agrippa, in un di­ scorso prima dello scoppio della guerra, che anche il giudai­ smo della diaspora sarebbe stato interessato dalla guerra. 8H Giuseppe aveva già sotto gli occhi la realizzazione di questa «profezia».89 Secondo lui, l'imperatore Vespasiano, quando sentì parlare dell'attività delle bande armate ebraiche, «si inso­ spettì delle inesauribili tendenze rivoluzionarie dei giudei e te­ mette che si raccogliessero di nuovo in forze attirando anche altri dalla loro parte».90 Il figlio di Vespasiano, Domiziano, una volta diventato imperatore, tenne un atteggiamento molto duro nei confronti degli ebrei e temette, come i suoi predeces­ sori, che potesse scendere in campo contro Roma un sovrano davidico.91 Il timore di una ripresa dell'insurrezione giudaica, ora anche con l'appoggio del giudaismo della diaspora, era quindi molto diffuso. Ad esso devono aver contribuito in par­ ticolare due scontri - ad Alessandria e nella Cirenaica - di cui ci parla Giuseppe Flavio.92 Questi due conflitti mostrano come la presenza di movimenti, anche solo sospettati di essere insurrezionali, fra le comunità ebraiche della diaspora nel pe­ riodo dopo il 70 poteva costituire una minaccia e un pericolo mortale anche per gli altri ebrei (leali). Essi evidenziano l'esi­ stenza di un conflitto anche nelle stesse comunità ebraiche. Su questo torneremo più avanti. In questo contesto è molto im­ portante notare come, nel periodo dopo la guerra giudaico-

87

1 .4-7.

TACITO, Hist. 5, 1 -3; SvETONIO, Vespasiano 6; Tito 3.4; DIONE CASSIO 66,

88

GIUSEPPE FLAVIO Beli. 2, 398s. Cf. GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 2, 457ss.487ss.559ss; 7, 361ss; D IONE CASSIO 66, �; cf., al riguardo, anche HENGEL 2 1 976, 374s. 90 GIUSEPPE FLAVIO, Be/l. 7, 421 . 91 E usE BIO HistEccl. 3 , 19-20. 92 GIUSEPPE FLAVIO Bel/. 7, 407ss.437ss. Al riguardo cf. più avanti, pp. 590s. ,

89

,

,

.554

Storia sociale del cristianesimo primitivo

romana, anche inermi gruppi messianico-entusiasti fossero fa­ cilmente esposti al pericolo di essere accusati di ribellione con­ tro Roma. In tal modo, si aprivano porte e finestre alla relativa identificazione dei partigiani di Gesù, i christianoi, come un gruppo di ribelli ebrei contro Roma esistente nella diaspora . Questo sospetto era avvalorato anche dall 'esecuzione capitale di quel Cristo che essi veneravano. 1 .2.4.

Il problema dello «stile di vita giudaico» al tempo di Domiziano

Nella crescente criminalizzazione dei credenti in Cristo il sospetto di una sollevazione anti-romana gioca quindi un ruolo importante proprio nel periodo dopo il 70. A ciò si ag­ giungeva la politica anti-giudaica dell' imperatore "Domiziano, nella misura in cui coinvolgeva indirettamente anche i credenti in Cristo.93 All 'inizio degli anni 90, Domiziano aveva inasprito la riscossione del fiscus Judaicus introdotto da suo padre.94 Quest'imposta aveva preso il posto dell'ebraica tassa del tem­ pio. Nel quadro dell'inasprimento del fiscus Judaicus sotto Domiziano anche i non ebrei, che vivevano secondo lo stile di vita giudaico, finirono pericolosamente sotto pressione. La ri­ scossione molto rigida delle imposte da parte dell'imperatore95 da una parte soppresse i limiti di età fino ad allora vigenti, e dall'altra allargò la cerchia delle persone tenute al pagamento della tassa. Vi vennero assoggettati anche coloro che vivevano secondo lo stile di vita giudaico, senza appartenere ufficial­ mente al giudaismo, e quanti avevano nascosto la loro origine ebraica ed erano così sfuggiti all'imposta supplementare ri­ chiesta al popolo ebraico. Si deve ritenere che i credenti in Cri­ sto ricadessero sotto entrambe le categorie.96 Comunque per

93 Sulla «politica religiosa» di Domiziano, cf. SMALLwooo 1976, 376ss: KERESZTES 1979, 257ss; cf. GROSS 1959, 91ss; SPEIGL 1970, 4ss. 94 Sul fzscus Judaicus cf. solo KERESZTES 1979, 258s; SMALLWOOD 1 976. 371 ss; STENGER 1988, 79ss. 95 SvETONIO, Domiziano 1 2, 2 . . 96 Cf., al riguardo, anche SMALLWOOD 1976, 376s; STENGER 1988, 98ss; Ju­ STER (1914, vol. II, 284) interpreta l'allargamento sotto Domiziano in riferi-

Conflitti con il paganesimo

e il giudaismo della diaspora

555

loro il problema non era la riscossione dell'imposta,97 bensì un possibile allargamento dell'accusa dello «Stile di vita giu­ daico». Dione Cassio stabilisce infatti un collegamento fra l'ac­ cusa dello «stile di vita giudaico» e il crimine di asebeia. Rac­ conta infatti che Domiziano fece giustiziare il proprio nipote Tito Flavio Clemente ed esiliò la di lui moglie Domitilla. Erano accusati di «ateismo» (atheotes), «Un addebito in base al quale vennero condannati molti altri che conducevano lo stile di vita giudaico; alcuni furono condannati a morte, altri furono puniti con la confisca dei loro beni».98 Il successore di Domi­ ziano, Nerva, non solo proibì le false accuse a causa del fiscus Judaicus,99 ma, sotto il suo regno, sempre secondo Dione Cas­ sio «a nessuno fu più permesso di accusare altri di asebeia o di stile di vita giudaico (Joudaikos bios)»}00 L'espressione greca Ioudaikos bios , analogamente all'e­ spressione di Svetonio Judaica vita, 101 indica qui lo stile di vita giudaico dei pagani, e forse anche dei proseliti. 102 Mentre il ter­ mine «ateismo» (atheotes) sembra essere giuridicamente aspe­ cifico, il termine asebeia indica un crimine passibile di morte ( crimen laesae maiestatis) . 1 03 Dobbiamo brevemente chiarire il sorprendente legame fra le ac­ cuse di lesa maestà (asebeia) e lo «stile di vita giudaico». Si tratta del problema dell adozione dello stile di vita giudaico da parte di non ebrei, quindi di simpatizzanti dell'ebraismo o di «timorati di Dio» e convertiti (prose liti ) . Sullo sfondo storico vi è la reazione estrema­ mente decisa dell 'amministrazione romana ad ogni forma di interesse verso il giudaismo (e culti orientali in genere) da parte dei membri dello strato superiore. Ciò poteva produrre conseguenze negative '

mento all'età e riguardante solo gli apostati, ma non i «simpatizzanti». Ma contro questa posizione anche KERESZTES 1979, 259. 97 Ciò potrebbe essere comunque sullo sfondo della discussione in Mt 1 7,22-27. Cf. sopra, p. 210s. 9R DIONE CASSIO, 67, 14. w Cf. KERESZTES 1 979, 260; SMALLWOOD 1 976, 378: la revoca riguardava no� le imposte, ma le false accuse. 100 D IONE CASSIO, 68, 2. 10 1 SvETONIO, Domiziano 12, 2 . 1 02 SMALLWooo 1976, 378s. 103 SMALLWOOD 1976, 379.

556

Sloria socillle

del

cristianesimo primitivo

non solo per la cerchia delle persone interessate, ma anche per la po­ polazione ebraica di Roma. Non è comunque possibile dimostrare l'e­ sistenza di un generale divieto della propaganda ebraica.104 Natural­ mente, si conosce una prassi di interventi anti-ebraici che può essere messa in relazione con la propaganda ebraica fra i romani e che ha colpito gli ebrei o i loro simpatizzanti. 1 05 Da essa risulta che solo una situazione rilevante p er Roma - sia essa dovuta al grande numero di simpatizzanti con q uistati dall'ebraismo o alla loro particolare posi­ zione sociale - ha condotto a prendere delle misure contro gli ebrei e/o i loro simpat izzanti . La cosa i mportante nel nostro contesto è il fatto di aver considerato un problema la conversione dei non ebrei al giudaismo o le loro simpatie nei suoi riguardi.

Sotto Domiziano, il collegamento fra lo «stile di vita giu­ daico>> e l' «asebeia» assunse quindi il carattere di crimine di lesa maestà. L'occasione per le relative denunce poté essere fornita dan ·inasprimento della riscossione dell'imposta giudaica. Il so­ spetto di condurre uno «stile di vita giudaico» rappresentò quindi un particolare pericolo proprio per i non ebrei, e dunque anche per i cristiani provenienti dal paganesimo. I credenti in Cristo non ebrei sarebbero già stati sospettati di «stile di vita giudaico» nella misura in cui si fossero attenuti semplicemente al cosiddetto «decreto degli apostoli» (At 15,20 e spesso). In questo contesto gioca certamente un ruolo anche l'estensione del culto dell'imperatore sotto Domiziano. 106 Anche a questo riguardo i membri del giudaismo sinagogale (a motivo della loro esenzione di fatto dal culto dell'imperatore) erano più pro­ tetti rispetto ai non ebrei, i quali , come i credenti in Cristo, non potevano praticare, a causa delle loro convinzioni, la venera­ zione divina dell'imperatore. Il Nuovo Testamento contiene alcune allusioni al fatto che il pos­ sibile conflitto circa il «culto dell'imperatore» non era sganciato dalle

104 MOMIGLIAN01934 ( a), 29ss; più esattamente SHERWIN-WHITE 1952, 81s; SMALLWOOD 1976, 1 30 . 105 Cf., al riguardo, VALERIO MASSIMO l, 3, 3: SMALLWOOD 1 976 , 1 28ss; B ICKHOFF- BòTICHER 1984, 281 s; TACITO, A nn. 2, 85, 5; SvETONIO, Tiberio 3 6, 1 ; GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 18, 65-84; DIONE CASSIO 57, 1 8, 5: SMALLWOOD 1976, 292ss; BICKHOFF-BòiTCHER 1984, 284ss. 106 Scorr 1936, 88-1 88.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

557

convinzioni di fede. At 1 2,2()..23, cioè il racconto dell'intervento pro­ digioso per punire Agrippa I di essersi fatto acclamare dio dal popolo («parola di un dio e non di un uomo»), è, accanto a A p 17s, «il più chiaro rifiuto da parte del Nuovo Testamento di tutte le forme di culto del re e dell'imperatore».107 Luca, ad esempio, modifica il suo modello marciano (Mc 10,42), criticando apertamente il culto Eu er­ getes politico (Le 22,25s). 1 0H E dalla formulazione lucana della tenta­ zione del «dominio mondiale» del diavolo (Le 4,5ss) si deve conclu­ dere direttamente a Roma sedes Satanae. H'f) Infatti, in base ad essa è il diavolo che deve conferire il dominio su l l orb is terrarum (Le 4,6) . Non è certamente a caso che l'affidamento del dominio su tutti i regni dell orb is terrarum da parte del diavolo venga fatto dipendere dall'a­ dorazione del diavolo da parte di Gesù e che venga respinto citando Dt 6,13. In At 10,25s, Pietro rifiuta tassativamente la venerazione quasi divina che gli viene attribuita da Cornelio.1 1 0 La drastica espe­ rienza di Paolo e Barnaba a Listra, dove vengono scambiati per Zeus ed Ermes e riescono a stento a trattenere la folla dall'offrire loro un sacrificio (At 14,8ss), non solo permette di riconoscere nella reazione degli interessati la stessa motivazione di A t 1 0,26 (si sottolinea che si è dei semplici esseri umani, ma mostra anche chiaramente la contrad­ ditorietà di qualsiasi venerazione divina di esseri umani). '

'

Tutto ciò mostra che, durante il regno di Domiziano, erano proprio i simpatizzanti del giudaismo, i convertiti o i gruppi identificati con il giudaismo - come i cristiani - a correre il rischio di essere accusati di asebeia. Al di fuori del Nuovo Te­ stamento si ricordano i nomi di tre personaggi implicati in un 'accusa del genere: Flavio Clemente, sua moglie Domitilla e A ciii o Glabri o (che nel 91 d.C. era console). Questo induce Williams1 1 1 a distinguere fra l'accusa relativa al fiscus Judaicus e quella relativa allo stile di vita giudaico come asebeia in base all 'appartenenza allo strato. A suo avviso, questa seconda ac­ cusa sarebbe stata rivolta solo a membri dello strato superiore (come Flavio Clemente e Domitlla). Comunque Dione Cassio allude al coinvolgimento di molti altri.1 12 Nel loro caso deve es107 STAHLIN 1962, 172. La tradizione parallela in GIUSEPPE FLAVIO, Ant. l9, 343ss. 108 Al riguardo, CASSIDY 1 983, 39. 1 1 09 Cf. il titolo di un articolo di MORGENTHALER 1956. 11° Cf., al riguardo, anche TACITO, Ann. 4, 38. 111 WILLIAMS 1 990, 196-2 1 1 ; cf. anche J.T. S AN DERS 1993, 167s.l83. 1 12 DIONE CASSIO 67, 14.

558

Storia

sociale del cristianesimo primitivo

sersi trattato non solo di membri dello strato superiore (se così fosse, Dio non li avrebbe citati anche per nome?), ma di tutti coloro che avevano un particolare dovere di lealtà nei con­ fronti di Roma, quindi, ad esempio, anche i soldati romani. Stenger afferma giustamente: «Bisogna supporre che anche le "persecuzioni" dei cristiani, che sembrano essere sullo sfondo di alcuni scritti neo-testamentari e che vengono certamente esagerate dalle successive fonti cristiane, vadano viste nel con­ testo deli 'inasprirne n t o delle misure di riscossione del fiscus Judaicus sotto Domiziano>>. 1 1 3 1 .2.5.

L 'essere cristiano come crimine passibile di morte: un nuovo traguardo

Circa la criminalizzazione dei cristiani un nuovo traguardo viene raggiunto con la domanda posta da Plinio a Traiano, se i cristiani siano punibili già a causa del loro stesso «nome» o se si debba dimostrare l'esistenza di «crimini collegati al nome » (flagitia ) . La domanda contiene tutto il problema del compor­ tamento delle autorità romane nei riguardi dei cristiani nel pe­ riodo anteriore alla persecuzione di Decio.1 14 La formulazione ricorda il comportamento tenuto dall'amministrazione ro­ mana nella tarda repubblica e nel primo periodo del princi­ pato nei confronti degli adepti di culti estranei a Roma, come ad esempio i culti di Bacco, di Iside, i druidi e i maghi. 1 15 Qui non si tratta di persecuzioni religiose, ma di interventi contro i sottoprodotti supposti criminali o realmente tali di questi culti, che vengono detti flagitia o scelera. Dopo la proibizione di questi culti forestieri, per la condanna dei loro adepti bastava il nomen, cioè l'appartenenza a quel determinato culto fore­ stiero vietato. Al riguardo, si partiva certamente dal fatto che i «crimini» collegati con il nome o accompagnanti il culto erano per così dire inseparabili da esso.11 6 Ma dalla lettera di Plinio o

1 1 3 STENGER 1988, 108. 114 SHERWIN-WHITE 1966, 696. _ns SHERWIN-WHITE 1966, 696; cf. anche MoREAU 21971, 19ss 116 Cf. SHERWIN-WHITE 1966, 780s.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

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dal rescritto di Traiano non risulta quali crimini lo stato ro­ mano presupponesse inseparabilmente legati al nomen Chri­ stianum. ' 1 7 In questa misura, riguardo a tali interventi, si può p arlare di «precedenti» della criminalizzazione dell'essere cri­ stiano sotto Traiano, 1 1 8 ma il caso è unico dal punto di vista giuridico. La cosa decisiva è che con i processi di Plinio comin­ cia la criminalizzazione dello stesso essere cristiano .

* *

*

Breve sintesi delle motivazioni della criminalizzazione Nel periodo anteriore al 70 si conoscono alcuni conflitti fra cre­ denti in Cristo delle comunità urbane e autorità romane o provinciali, dovuti certamente al fatto di causare pubblici disordini. Qui sem­ brano giocare un ruolo anche le tensioni causate nelle sinagoghe della diaspora dai propagandisti messianici. Degno di nota è il fatto che già in Svetonio questi disordini vengono ricondotti a Cristo. La crescente criminalizzazione romana dei credenti in Cristo può essere compresa sullo sfondo della particolare situazione politica venutasi a creare dopo la soppressione della rivolta anti-romana in terra di Israele. Da quel momento in poi gli ebrei furono considerati un popolo ribelle e si temette che singoli gruppi insurrezionali ebraici potessero diffon­ dere a livello mondiale la ribellione anti-romana. Sospetti erano in particolare anche i credenti in Cristo. Essi veneravano infatti in Gesù Cristo l'atteso re-messia davidico; e la sua condanna a morte da parte del prefetto romano della Giudea alimentò ulteriormente il sospetto di intenzioni insurrezionali. Durante il regno di Domiziano sembrano essere stati proprio i cristiani provenienti dal paganesimo ad attirarsi il sospetto di asebeia, a causa della loro appartenenza a una comunità uscita dal giudaismo e anche critica nei riguardi del culto dell'impera­ tore. Anche quando i cristiani furono considerati un gruppo auto-

117 SHERWIN-WHtTE 1966, 696s, suppone che Traiano o i suoi consiglieri credessero che i cristiani fossero propensi a commettere i delitti che i loro av­ versari attribuivano loro: «banchetti tiestei» e «matrimoni edipici». Ma, al ri­ guardo, può basarsi solo su accuse anti-cristiane posteriori; su questo, ampia­ mente, ScHAFKE 1979, 579ss. 118 CoNZELMANN 1981, 232.

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nomo, la loro origine ebraica e la loro forza di attrazione persino sui romani continuarono a giocare un ru o l o importante (Tacito) . Ma, al­ l'inizio del II secolo, il punto focale delle accuse di crimini subì uno spostam e n to , in quanto allora la stessa fede v e n ne intesa come una re­ ligione s tra niera corruttrice dei costumi e a volte come collegata a cri­ mini (f/agitia ) e poi sotto Plinio come criminale in se stessa. Così si pa ss ò dalla criminalizzazione dei credenti in Cristo (anche a causa della loro prossimità al giudaismo) alla criminalizzazione dell'essere cristiano.

1 .3 . CONFLITII CON LA POPOLAZIONE PAGANA

Gesù predice ai suoi apostoli che, a causa del suo nome, i suoi seguaci saranno odiati da tutti (Mc 1 3,13). Quest'impres­ sione ha anche l'autore del Vangelo di Matteo (10�22), il quale afferma addirittura che i seguaci di Cristo saranno odiati da tutti i popoli, anzi che si odieranno anche a vicenda (Mt 24,9s). Luca stabilisce una relazione ancor più evidente fra l 'odio e le esperienze forensi dei credenti in Cristo, affermando che essi saranno denunciati persino da genitori, fratelli e sorelle, pa­ renti e amici (Le 21,16s). Anche Giovanni fa subire l 'odio del mondo a coloro che confessano Gesù (Gv 15, 18s; 17, 14; 1 Gv 3,13). Gli stessi Atti degli Apostoli parlano continuamente di atteggiamenti ostili della popolazione nei confronti dei cri­ stiani. A volte si sobilla anche la plebe o si assoldano agitatori per provocare dei pubblici disordini (At 13,50; 14,4s; 16,19ss; 17,8. 1.3; 21 ,27ss). Il racconto più dettagliato su un conflitto so­ ciale del genere si trova in At 19,23ss. Anche da l Pt 4,12ss tra­ spaiono tensioni sociali dei credenti in Cristo con il loro am­ biente pagano. Tacito afferma che i christiani sarebbero stati odiati dal popolo ( vulgus) a causa dei loro crimini (flagitia ) . 1 1 9 Perciò essi vengono resi capri espiatori dell'incendio di Roma. Anche dalle denunce riferite da Plinio si può ricavare la testi-

1 19

TACITO, Ann. 15, 44, 2.

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monianza di un atteggiamento negativo della popolazione nei riguardi dei cristiani. Dopo il periodo neo-testamentario au­ menta chiaramente sia l'atteggiamento di ostilità nei confronti dei cristiani da parte della popolazione, specialmente della plebe, sia anche il numero dei processi contro i cristiani. 1 20 Il caso più noto è quello del martirio di Policarpo, nel corso del quale il governatore tiene un atteggiamento piuttosto bene­ volo verso i cristiani, mentre la folla si mostra fin dall'inizio ostile nei loro riguardi. 1 .3 . 1 . Conflitto a Efeso (At 19,23ss)

Il conflitto di Efeso, descritto negli Atti degli Apostoli (At 1 9,23ss) ,121 permette di chiarire alcuni meccanismi fondamen­ tali dell'atteggiamento ostile della popolazione nei riguardi dei credenti in Cristo. La loro presenza provoca un tumulto popo­ lare. Esso viene ordito da un certo Demetrio, il quale accusa Paolo di aver convinto con la sua predicazione molti abitanti di Efeso e dell'intera provincia dell'Asia ad abbandonare il culto pagano (At 19,26) . Ciò ha prodotto delle conseguenze negative sugli interessi commerciali dei fabbricanti di oggetti di devozione (e sui loro operai) (At 19,24). Essi temono il di­ scredito del loro settore commerciale e il disprezzo del tempio di Artemide. La folla eccitata si riversa nel teatro della città, trascinandosi dietro due compagni di Paolo. Nella concita­ zione della riunione un certo Alessandro prende la parola con l'evidente intento di mostrare che gli ebrei della città non c'en­ trano nulla con le accuse. Non appena ci si rende conto che è un ebreo, la folla riunita proclama per ben due ore le proprie convinzioni religiose («Grande è l'Artemide degli efesini)) ). Un rappresentante del magistrato cittadino (grammateus/ seri ba), responsabile dello svolgimento delle assemblee popo-

120

Al riguardo, ScHAFKE 1 979, 466ss. 121 Sui particolari, W. STEGEMANN 1991, 1 97ss; n anche ulteriore bibliogra-

fia.

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lari nel rispetto delle leggi, riesce a calmare la folla in subbu­ glio. Fa notare che la riunione è illegale, che i romani potreb­ bero intervenire, e discolpa indirettamente gli accusati (nes­ suna ierosilia o bestemmia della dea Artemide: At 19.37). Alla fine la riunione popolare illegale si scioglie. Degna di nota è l'identificazione dei credenti in Cristo con il giudaismo, come mostrano anche, fra l'altro, le accuse soggiacenti.

Comparazione con altri disordini122 Tumulti come la sollevazione popolare nel teatro della città di Efeso descritta in At 19 non erano rari.123 Ma normal­ mente si trattava di conflitti fra pagani. 124 Ad Alessandria e ad Antiochia vi venne coinvolta la popolazione ebraica della città.125 Spesso questi conflitti avevano delle cause sociali e a scontrarsi erano la popolazione urbana e l'aristocrazia citta­ dina.126 Con il conflitto di Efeso descritto dagli Atti degli Apo­ stoli si può comparare un 'iscrizione trovata a Magnesia, 127 in cui si parla di uno sciopero di panificatori efesini che aveva provocato una sollevazione dell'intera città. Anche questi pa­ nificatori furono accusati di ribellione (stasis/seditio) da parte dell'autorità (seconda metà del II secolo ). 1 28 Ma nel nostro caso gioca un ruolo anche il motivo dell'ostilità verso gli stra­ nieri o dell'ostilità verso gli ebrei. 1 29 In questa misura sono comparabili anche i conflitti ebraico-pagani, come in Alessan-

122

Sul significato dei disordini urbani in genere cf. MAcMuLLEN 1975, 163ss; STAHL 1 978, 166ss. 123 Cf. PLOMACHER 1987, 1 1 ; cf. anche LEE 1979, 67-87. 124 Una lista di questi conflitti in PLOMACHER 1 987, 1 1 . 125 FJLONE, Flacc. e LegGai; GIUSEPPE FLAVJO, Beli. 2, 490ss; 7, 46-62 (Antiochia). 126 DioNE DI PRUSA, Or. 34, 21; cf. anche Or. 46, 48 e Or. 39. 1 27 Ephesos II 215. 128 PLOMACHER 1987, 20. 129 Già WELLHAUSEN riteneva che Luca in At 19 recepisse un tumulto ori­ ginariamente antisemita (1907; 17); cf. anche Conzelmann su At 1 9,34: «Un quadro proveniente dall'ambiente dell'antico "antisemitismo")) ( 1 972, 123); sull'ostilità verso gli ebrei a Efeso d. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 14, 225-230. 234.237-240.262-264.

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dria e Antiochia. Infatti, anche se cominciò già negli anni 30, il conflitto alessandrino ebbe un rigurgito ancora nel 71 d.C., quando Tito, di ritorno dalla Palestina a Roma, fece tappa ad Alessandria.130 Il conflitto di Antiochia sull'Oronte ebbe luogo all'inizio della guerra giudaico-romana. 131 Dal punto di vista temporale questi due conflitti non sono quindi lontani dal tempo in cui furono composti gli Atti degli Apostoli. Antiochia. Come motivo di fondo delle sollevazioni contro gli ebrei di Antiochia Giuseppe Flavio indica indirettamente la grande forza di attrazione dell'ebraismo sulla popolazione pagana e, soprat­ tutto. l'odio contro gli ebrei a causa dello scoppio della guerra giu­ daico-romana. 132 La causa diretta è la supposizione di un certo An­ tioco (il cui padre è uno dei capi della comunità ebraica) secondo cui gli ebrei avrebbero deciso di dar fuoco alla città.133 Chiaramente an­ che in questo caso - come i cristiani a Roma al tempo di Nerone gli ebrei servirono da «capri espiatori» di un reale incendio scoppiato ad Antiochia.134 In realtà, secondo lo storico ebreo, dietro l 'incendio vi erano alcune «persone malvagie» che erano state incolpate della cosa. 135 Che ad Antiochia abbia giocato un ruolo, come motivo di fondo del conflitto, anche lo specifico comportamento degli ebrei ­ il loro stile di vita esclusivo e le particolarità della loro religione, quindi la xenofobia - appare ad esempio dal fatto che essi furono co­ stretti a sacrificare secondo il costume greco e a infrangere il riposo sabbatico.136 In definitiva, anche questo conflitto di Antiochia giusti­ fica quindi la tesi, secondo cui l'antica osti li.tà verso gli ebrei era una forma specifica di xenofobia. 137 Naturalmente, quest'interpretazione, in linea di principio corretta, non basta a spiegare in particolare i pro­ groms anti-ebraici dell'antichità. Nei massicci attacchi della popola­ zione pagana contro gli ebrei giocarono certamente un ruolo impor­ tante anche motivazioni conflittuali di natura sociale e politica. Ad Antiochia il risentimento anti-ebraico della popolazione pagana è stato in certo qual modo solo il terreno di coltura per il successo del­ l'agitazione di Antioco. Solo una particolare situazione politica gli

130

GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 12, 121. GIUSEPPE FLAVIO, Bel/. 7, 46. Cf., al riguardo, solo KRAELING 1982, 150ss; DOWNEY 196 1 , 199s.204ss. 132 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 43ss. 133 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 47. 1 34 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 54ss. 135 GtusEPPE FLAVIO, Beli. 7, 6ls. 136 GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 50ss. 137 SEVENSTER 1975, 89ss; cf. anche BICKHOFF-BOITCHER 1984, 226ss. 131

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diede la possibilità di far sfociare in un conflitto le differenze fra la popolazione ebraica e quella pagana. Questa particolare situazione politica è caratterizzata dall'incipiente rivolta gi udaica contro Roma, una rivolta nel cui contesto l'odio contro gli ebrei poté crescere e sca­ ricarsi infine in un progrom . Al riguardo, gli interessi economici di un gruppo di antiocheni colpevoli ese rcitarono certamente una funzione scatenante. Essi poterono deviare sugli ebrei quelle aggressioni della popolazione che si sarebbero dovute scaricare su di loro, in quanto autori dell'incendio. Alessandria. 138 Analogamente si può interpretare anche il con­ flitto alessandrino. «Negli anni 30 del I secolo d.C. si era formato ad Alessandria un partito di nazionalisti radicali, che collegava stretta­ mente insieme opposizione contro la dominazione romana e propa­ ganda anti-ebraica. Quando nel 38 questo gruppo riuscì ad avere per alcuni mesi il controllo della città, la tensione e l'avversione fino ad allora latente raggiunsero il loro apice». 1 3Q Gli avversari degli ebrei si trovano non solo nell'«indolente e fannullona>> plebe cittadina,140 ma certamente anche in ben determinati raggruppamenti («egiziani» e gruppi nazionalistici che si erano formati attorno al ginnasio).141 An­ che in questo caso probabilmente una «deviazione dell'aggressione>> sugli ebrei costituì lo sfondo socio-psicologico del progrom . Infatti. l'aggressione dei «nazionalisti» era diretta propri amente contro i ro­ mani, ma dal momento che essi non potevano essere attaccati diretta­ mente, furono attaccati gli ebrei. Agli occhi degli alessandrini nazio­ nalisti essi erano considerati come i protetti di Roma, poiché nel con­ flitto fra i tolomei e i romani si erano schierati dal la parte di Roma e ne erano stati ricompensati con dei privilegi (autonomia amministra­ tiva, libertà religiose ). 142 Senza dubbio, anche in questo conflitto si può chiarire la dinamica degli avvenimenti, che condusse a un inaspri­ mento delle tensioni fra «partiti» nemici sul piano sociale, con una specifica situazione politica.1 43 Infatti, con l'inizio del regno di Cali­ gola l'«equilibrio delle forze» subì uno slittamento ad Alessandria.

138 Al riguardo, da ultimo, BERGMANN-HOFFMANN 1 987, 1 5ss. 139 B ICKHOFF-BOITCHER 1984, 177.

1 40

FILONE, Flacc. 33.38.41 .66 e spesso; Io., LegGai. 120.130.132.

141 FILONE, Flacc. 1 7.29.34.93; cf. GrusEPPE FLA vro, Ant. 18, 257; Io., Beli.

2, 487.496; lo., Ap. 2, 69s. Cf., al riguardo, BrcKHOFF-BùrrcHER 1 984, 220ss. Gli «Atti dei martiri» alessandrini mostrano questo conflitto fra lo strato supe­ riore greco di Alessandria e la popolazione ebraica; al riguardo, GAGER 1985 (b), 47ss. 142 Cf., al riguardo. solo SMALLwooo 1 976. 233ss; GAGER 1 985(b) . 44; cf. anche BERGMANN-HOFFMANN 1 987, 20ss , i quali criticano anche questa teoria. 143 Cf., al riguardo, BERGMANN-HOFFMANN 1 987, 29ss.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

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Essendo Caligola considerato amico degli alessandrini, la sua ascesa al trono pose il governatore romano Placco in una difficile situazione. Fiacco era stato amico di Tiberio e aveva avuto un ruolo nella cac­ ciata in esilio della m adre del nuovo imperatore Caligola. Lo strato superiore nazionalista greco approfittò di questa «debolezza» di Fiacco e lo attirò dalla propria parte 144 Secondo la descrizione di Fi­ lone, membri dirigenti del gruppo dei nazionalisti di Alessandria pro­ misero a Fiacco che l'intera città avrebbe interceduto a suo favore presso Caligola se egli in cambio avesse «sacrificato» gli ebrei. 145 .

I due conflitti, che qui abbiamo brevemente presentato, fra la popolazione pagana urbana e la popolazione ebraica mo­ strano questo quadro: in una determinata situazione politica, gli interessi sociali o economici della popolazione pagana o di certi suoi gruppi potevano far sì che l'ostilità latente contro gli ebrei, radicata nella xenofobia, si traducesse in scontri violenti. Al riguardo, si producevano evidentemente anche delle «de­ viazioni dell'aggressione», nella misura in cui la popolazione ebraica veniva resa il «capro espiatorio» di determinati av­ venimenti che avevano uno sfondo economico (incendio in Antiochia) o di rapporti politici che avevano delle conse­ guenze sociali (i romani avevano posto fine all'indipendenza di Alessandria). Anche l'episodio dell'argentiere di At 19 ri­ flette una situazione in cui l'esperienza estranea dei credenti in Cristo in mezzo alla popolazione pagana gioca un ruolo impor­ tante in un conflitto sociale. 146 Ma anche in questo caso l'odio pagano verso i credenti in Cristo non basta quale unica spiega­ zione della sollevazione qui descritta. Il racconto stesso parla di una concreta motivazione sociale dei disordini: le perdite economiche degli argentieri e dei loro operai. Lì si trova la forza scatenante della sollevazione. Ciò significa che anche nel racconto dell'argentiere si è in presenza di una «deviazione

1 44 Un ulteriore slittamento nell'«equilibrio delle forze» produsse poi la visita ad Alessandria di Agrippa l, il re ebreo da poco salito al trono: BERG­ MANN-HoFFMANN 1 987, 31 ss. 145 FILONE, Flacc. 24, 97·103. 146 L'episodio in sé permette di riconoscere anche un risentimento anti· ebraico da parte della popolazione. Cf. , al riguardo, solo ELLIGER 1 978, 1 54s; LODEMANN 1 987, 227.

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dell'aggressione». L'oggetto primario dell'aggressione , cioè Paolo, non è disponibile . E tuttavia , sorprendentemente, nel corso del racconto non si attribuisce più alcuna importanza neppure ai suoi diretti sostenitori. Nel teatro la folla insorta in­ veisce invece per ben due ore contro un membro della comu­ nità ebraica ( Alessandro). Va comunque notato che il rac­ conto presuppone che la popolazione pagana non distingua fra Paolo e gli ebrei di Efeso. Ma se questo racconto esprime un'e­ sperienza propria dell'epoca di Luca, allora si deve porre in modo nuovo la domanda sull ' oggetto primario dell ' aggres­ sione che qui figurano essere gli ebrei (o i «cristiani» con essi identificati). Effettivamente, anche in questo episodio si pos­ sono considerare come oggetto di aggressione primario o sog­ giacente i romani . Se è vero che in epoca romana il culto di Ar­ temide aveva perso di importanza a causa del culto dell'impe­ ratore , 147 allora, a livello del racconto, nel conflitto di Efeso i «Cristiani»/ebrei sarebbero resi «Capri espiatori» della perdita di importanza del culto di Artemide, cosa che, dal punto di vi­ sta economico, si ripercuote negativamente sul commercio de­ gli oggetti di devozione. Ma, in realtà, i veri responsabili di questa situazione sarebbero in un certo senso i romani. Del re­ sto, lo scriba della città (grammateus) minacciava la folla con un loro possibile intervento, quando diceva che la riunione po­ polare non autorizzata nel teatro avrebbe potuto essere inter­ pretata come una ribellione (stasis/seditio ) . 1 .3.2.

Discriminazione dei cristiani (l Pt 4, 12ss)

La prima Lettera di Pietro ci informa, più di qualsiasi altro testo, sull'atteggiamento ostile della popolazione nei confronti dei credenti in Cristo. Già all'inizio si allude a ogni sorta di «prove» dei destinatari (1 Pt 1 ,6), che in seguito vengono indi­ cate anche come «afflizioni» ( l Pt 2,19s; 3,14. 17; 4,1 .19; 5, 10). 147 ELLIGER 1978, 89: «Il culto dell'imperatore e l a credenza negli dèi orientali hanno chiaramente caratterizzato la vita religiosa della città romana (Efeso). Di fronte a questa avanzata gli antichi dèi greci, compresa la dea della città, sembrano essere retrocessi in secondo piano».

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Con intenzione pragmatica la Lettera sviluppa diverse strate­ gie per elaborare le esperienze negative. Fra l'altro. l 'autore sottolinea che i suoi destinatari condividono queste afflizioni con i credenti in Cristo sparsi nel mondo intero ( 1 Pt 5 ,9) e che esse sono comunione alle sofferenze di Cristo (1Pt 4,1 .13). Con riferimento alla tradizione vetero-testamentaria e giu­ daica, egli interpreta le esperienze negative anche come condi­ zione di stranieri e pellegrini degli eletti ( 1 Pt 1 , 1 .17; 2, 1 1 ).148 Nonostante tutta la Lettera sia percorsa dall'idea delle prove e delle afflizioni dei destinatari, essa non fa alcuna ampia suppo­ sizione circa la misura e la pericolosità della sofferenza.149 Spesso si ritiene che sullo sfondo di 1Pt 4,15s vi sia un conflitto forense: «Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida (phoneus) o ladro (kleptes) o malfattore (kakopoios) o come agitatore politico (allotrie­ piskopos). Ma se uno soffre come cristiano (christianos), non ne arros­ sisca: glorifichi anzi Dio per questo nome>>.

Ma è difficile sostenere che qui l'autore mette in guardia i suoi destina t ari dal «non lasciarsi accusare come criminali senza opporre resistenza>>. 150 Il v. 15 è un ammonimento etico, non un resoconto di un processo penale realmente subìto. An­ che il contesto induce a pensare che si tratta tutt'al più di insi­ nuazioni contro i «cristianh>. Essi vengono «insultati per il nome di Cristo>> ( 1 Pt 4,14) e non devono «arrossire» se sof­ frono a causa di questo. La terminologia deve essere intesa sullo sfondo delle fondamentali concezioni valoriali mediter­ ranee di «Onore e disonore (vergogna)». 151 Già prima ( l Pt 2,1 1 s) l'autore ha ammonito i suoi destinatari a tenere un buon comportamento, in modo che i «popoli», che li denigrano

148 ELuorr (1981 ) sostiene la tesi, secondo cui questa condizione di stra­ nieri e pellegrini deve essere intesa rea/iter (cosa questa assolutamente possi­ bile) . 14Y Cf., ad esempio, SPEIGL ( 1970, 48): calunnie, processi, sofferenze e morte ( ! ). 15° Così PòHLMANN 1966. 406. 151 Al riguardo, solo MALINA 1993, 40ss .

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come «malfattori» (kakopoioi), lodino Dio nel giorno del giu­ dizio a causa delle buone opere dei credenti in Cristo. Essen­ dosi allontanati dallo stile di vita pagano, i pagani sono frastor­ nati (1Pt 4,4). Si riconosce quindi soprattutto la critica pagana nei riguardi dello stile di vita dei cristiani provenienti dal paga­ nesimo (cf. anche lPt 3,13ss; 4.3ss), che viene presentato dal­ l'autore come calunnia o ingiuria e diffamazione (lPt 2,1 2 � 3,8. 16; 4,14). Nella prima Lettera d i Pietro s i esprime quindi la reazione negativa della popolazione pagana nei confronti dei «cristiani». Non è possibile riconoscervi concrete esperienze forensi. 1 52 Anche la cal unnia di essere dei «malfattori» (1Pt 2, 12; 4 ,1 5 ) non indica alcun crimine specifico, ma si riferisce al comportamento eticamente negativo, come risulta in partico­ lare anche da lPt 3,17. Se, secondo la volontà di Dio, si deve soffrire, allora è meglio soffrire per le buone azioni piuttosto che per quelle cattive ( 1 Pt 3,17). Allo stesso modo, ora 1 Pt 4,16 afferma che se uno deve soffrire per il fatto di essere «cri­ stiano» (hos christianos), allora non deve arrossire, ma deve glorificare Dio per questo nome. L'autore ammonisce quindi i suoi destinatari a non lasciarsi andare ad azioni criminose a causa delle accuse della popolazione pagana. Se si deve sof­ frire, si soffra come «cristiani» e non a causa di un qualsiasi cri­ mine ignominioso. I patimenti dei destinatari della prima Let­ tera di Pietro vanno cercati quindi nelle maligne insinuazioni della popolazione maggioritaria pagana, nelle quali l 'identità di gruppo ( christianoi) gioca certamente un ruolo. Per l 'autore queste esperienze negative sono un'onorevole conseguenza dell'essere cristiani ed espressione della condizione di stranieri e pellegrini in questo mondo. Nel suo insieme la Lettera esclude che l'autore o i suoi destinatari si trovino «in una per­ secuzione messa in atto dallo stato». «Si tratta invece di discri­ minazione e isolamento sociali». 153 1 52

È difficile vedere un'esperienza forense anche nell'esortazione del­ l'autore all'«apologia» nei confronti di chiunque la chieda (sic) e a rendere conto della speranza (quindi della fede) (lPt 3,15). Così anche BRox 1989, 29.1 59s. 1 53 B ROX 1989, 220.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora 1 .3 .3.

569

Interpretazione socio-psicologica dei conflitti; xenofobia e deviazione dell'aggressione

L'odio, la xenofobia e la tipica forma che tali fenomeni as­ sumono nell"ostilità anti-ebraica, caratterizzano chiaramente l'atteggiamento negativo della popolazione pagana nei riguardi dei «cristiani». In determinate situazioni di crisi, questo com­ plesso di pregiudizi può esplodere e condurre anche a dela­ zioni. Così nel processo di «deviazione dell'aggressione>> i cre­ denti in Cristo (come del resto anche i giudei) possono diven­ tare i «capri espiatori» delle perdite economiche di determinati gruppi. Ciò significa che, in certe circostanze, le presunte (At 19) o reali perdite economiche di determinati gruppi (At 1 6,19) a motivo dei «cristiani» determinano conflitti giudiziari con al­ cuni di loro. Anche Tacito parla di «odio» contro i chrestiani in relazione alle misure adottate sotto Nerone. Essi diventano i «capri espiatori» dell'incendio di Roma, poiché l'imperatore convogliava abilmente sui chrestiani le aggressioni della folla. Sembra che anche dietro le delazioni dei credenti in Cristo de­ scritte nella lettera di Plinio vi sia uno sfondo di tensioni sociali. Infatti, è proprio a causa del grande numero dei credenti in Cri­ sto che verrebbero abbandonati i templi (pagani), trascurati i culti e diminuite le vendite di animali sacrificali. 154 L'atteggia­ mento negativo dei pagani verso i credenti in Cristo è dettato soprattutto dalla xenofobia. Il comportamento estraneo, non pagano, dei «cristiani» provoca scandalo e dà luogo a ingiurie e calunnie. In definitiva, la situazione dei credenti in Cristo asso­ miglia a quella del giudaismo. Persino la prima Lettera di Pie­ tro, che mostra chiaramente l'esistenza dell 'odio verso i cri­ stiani in quanto tali, elabora questa esperienza di estraneità, ac­ cogliendo corrispondenti tradizioni ebraiche. 1 .3 .4.

Interpretazione sociologica: devianza

In questo contesto si avanza come modello interpretativo sociologico la teoria della devianza.155 I credenti in Cristo ven154 155

PLINIO IL GIOVANE, Ep. 1 0, 96, 1 0. Al riguardo, cf. più avanti, pp. 214ss.

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gono etichettati come outsiders o devianti (christianoi, malfat­ tori, adepti di una perniciosa religione straniera, «atei» ecc. ) che calpestano o infrangono le norme e le regole della società maggioritaria (come attesta con particolare evidenza la prima Lettera di Pietro). Ma non è più possibile ricostruire in detta­ glio una cosiddetta «Carriera deviante>> dei credenti in Cristo, una carriera che ha come punto di partenza un atto deviante, che può essere seguìto da un 'aperta stigmatizzazione come outsiders e quindi un isolamento dalle convenzioni della so­ cietà maggioritaria, con la finale organizzazione dei devianti in propri gruppi separati. Sembra anche che la devianza dei cre­ denti in Cristo non sia riconducibile a una ripresa per così dire teoretica di certi valori e di certe regole, ma che si sia prodotta in «Situazioni problematiche» nelle quali certi ambiti vengono classificati come «critici» e richiedono che si intervenga. 1 �6 Solo in situazioni del genere il ricorso ai valori tradizionali ha reso possibile l'esclusione dei «cristiani». Sullo sfondo si pos­ sono vedere ad esempio i danni economici subìti da determi­ nati gruppi e addebitati ai credenti in Cristo (conflitto di Efeso; lettera di Plinio). Ma sembra soprattutto che il tratta­ mento penale dei credenti in Cristo - che è, secondo le teorie della devianza, un «abbassamento della condizione sociale», 1 5 7 sia stato determinato dalla situazione politica instauratasi dopo il 70, in quanto «Situazione critica», stimolava lo stato a controllare la devianza.

-

2.

PRESA DI DISTANZA DEL GIUDAISMO DELLA DIASPORA DALLE COMUNITÀ CREDENTI IN CRISTO

La tematica di cui qui ci occupiamo appartiene all'ampio ambito delle relazioni giudaico-«cristiane» nel I secolo. In q ue­ sto contesto ci sembrano importanti le seguenti tre distinzioni fondamentali:

1.56 l!l?

BECKER 1 963, 1 3 1 . MALINA-NEYREY 1991 , 107.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

571

l) dal punto di vista del tipo di relazioni, fra interazioni simboliche e sociali; 2) dal punto di vista socio-geografico, fra le corrispondenti relazioni in terra di Israele e nella diaspora; 3) infine, dal punto di vista storico, fra le esperienze del periodo anteriore e quelle del periodo posteriore al 70. Trattiamo subito della questione del tipo di relazioni (si veda subito sotto). La distinzione fra le esperienze in terra di Israele e quelle della diaspora deriva, a nostro avviso, dal fatto che in terra di Israele abbiamo a che fare con una popolazione maggioritaria ebraica, cui le comunità messianiche cristiane si sono rapportate come gruppi minoritari. Nella diaspora invece sia i membri delle sinagoghe sia quelli della Ekklesia vivevano come gruppi minoritari nel contesto delle città pagane. Ciò si­ gnifica che in questo contesto si deve sempre tener conto del fatto che si tratta di conflitti fra minoranze, le cui realtà di rife­ rimento sono o la popolazione pagana o i suoi rappresentanti. La distinzione temporale fra i «periodi» anteriori e posteriori al 70 deriva, da un lato, dal fatto che in terra di Israele, nel pe­ riodo posteriore al 70, la nuova formazione del giudaismo su­ però la pluralità dei gruppi fino ad allora esistenti e nel corso dell'auto-definizione si ebbero influenze delimitanti nei con­ fronti delle comunità messianiche.158 e, dall'altro, dal fatto che nella diaspora, nel periodo anteriore al 70, i conflitti giudaico­ «cristiani» erano in primo luogo singole esperienze, in cui i re­ troscena politici rivestivano un 'importanza secondaria, mentre nel periodo posteriore al 70 si tratta di conflitti di gruppi (sina­ goga o Ekklesia ) , in cui le mutate «condizioni politiche» su ampia scala hanno giocato un ruolo importante. a) Distinzione fra interazione simbolica

e interazione sociale

Nell'antichità le relazioni fra ebrei e «cristiani)) riguardano un complicato processo storico-religioso e storico-sociale.159 158

Al riguardo, cf. sopra, pp. 196ss. Un buono sguardo generale sulla storia della ricerca è offerto da WANDER 1994, 8-39. 159

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Storia socill le del cristianesimo primitivo

Euristicamente si possono distinguere due livelli: da un lato. controversie su contenuti e con vinzioni religiosi, l 6fJ dall'altro manifestazioni sociali o conseguenze sociali di queste contro­ versie. I due livelli vengono qui distinti anche dal punto di vi­ sta terminologico come interazione simbolica e interazione so­ ciale, anche se naturalmente nella realtà sono strettamente in­ trecciati. Infatti . contenuti e convinzioni religiosi modellano, nel quadro della religione quale globale, anche valori, atteggiamenti e comportamenti de1le persone . Ma possono essere compresi , al tempo stesso, anche come parte di un «sistema simbolico>>.161 Controversie religiose. Il Nuovo Testamento contiene pra­ ticamente in ogni pagina, delle controversie dei suoi autori con il giudaismo sugli aspetti più diversi del > delle comunità ebraiche, ma non si presenta come il loro «persecutore» e, dall'altra, il fatto che Paolo in Rm 15,19 collega positiva m ente l'inizio della sua attività missionaria proprio con Gerusalemme.

Dalle auto-testimonianze di Paolo risulta quindi che egli ha «perseguitato» i credenti in Cristo non a Gerusalemme , ma piuttosto a Damasco. 1 92 Ma non si parla di interventi concreti. Paolo parla di «persecuzione» o del tentativo di «distruggere» la chiesa di Dio. Qui si deve pensare tutt'al più a interventi di­ sciplinari intra-sinagogali che raggiungevano la loro forma estrema nella flagellazione inflitta dalla sinagoga. Ma in ogni caso si può dedurre la cosa solo dalle posteriori esperienze personali di Paolo come missionario. 193 Secondo 2Cor 1 1 ,24 lo stesso apostolo ha subìto per ben cinque volte la flagellazione da parte della sinagoga. E da l Ts 2, 14s si deduce che egli stesso si considera «perseguitato dagli ebrei», come i profeti (cf. Gal 5,1 1 ; 6,12). In base al contesto si può supporre che si sia trattato di interventi di dissuasione dal continuare nella sua attività propagandistica: i giudei gli impediscono di parlare ai pagani perché possano essere salvati (l Ts 2,16). Va ricordato che nelle sinagoghe Paolo voleva guadagnare i > e di «oppressione>> della comunità in atto e ricorda in questo contesto la «sinagoga di satana>>.200 Ma contro l'identificazione della «bestemmia» con la delazione (prigionia) vi è soprattutto il linguag­ gio dell 'Apocalisse. Essa usa il nome bestemmia (b/asphemia) o il verbo bestemmiare (blasphemein) sempre e solo in relazione con il hestemmiare Dio (Ap 13,1 .5s; 16,9.1 1 .21 ; 17,3) . Il termine bestemmia in relazione con la «sinagoga di satana» dovrebbe essere inteso quindi, in base al linguaggio dell'Apocalisse, come un bestemmiare Dio. Partendo da questo presupposto si può precisare meglio l'e­ spressione «sinagoga di satana». Nell'Apocalisse di Giovanni «Sa­ tana» o «diavolo» simboleggiano mitologicamente la forza che si op-

198 Come esempio:

J.T. SANDERS 1993, 169. Cf. solo MOLLER 1984, 106s; POHLMANN 1966, 427ss. 200 Un'interpretazione apertamente anti-ebraica di questo contesto si trova in HEMER 1 986, 160; al riguardo, J.T. SANDERS 1993, 178. 199

584

Storia sociale

del

cristianesimo primitivo

r.one a Dio (o a Cristo), quindi un potere universale che ha usurpato il legittimo potere sovrano di Dio. Questo contro-potere divino si ma­ nifesta in particolare nell'imperatore romano e nel culto divino che gli viene reso (cf. soprattutto Ap 13). È questa la sit uazi one che si presuppone, non da ultimo, in Ap 2,13, dove si dice che il trono di sa­ tana si trova a Pergamo (si intende chiaramente il locale culto dell'imperatore).201 Ora è proprio questo potere anti-divino che viene posto continuamente in relazione con la bestemmia (fra l'altro Ap 13,1 .5s) e di cui si descrive l'adorazione (per esempio, Ap 13,8) . E esso, inoltre, che trascina in prigione i credenti in Cristo di Smirne e causa loro sofferenze (Ap 2.10: «Il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere ... »). L'espressione , poiché essa si è prostrata, a suo avviso, davanti a «Sa­ tana», cioè l 'imperatore romano e lo stato romano. Nei testi ci­ tati non si parla di una persecuzione dei credenti in Cristo o di una loro delazione da parte degli ebrei.

2.1.4. Vangelo di Luca e A tti degli Apostoli Le

6,22s.26205

può essere considerato

un

testo chiave:

«Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quan do vi metteranno al bando e vi insulteranno e respingeranno il vostro nome come scelle­ rato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esul­

tate, perché ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti».

Le esperienze negative qui descritte riguardano l'epoca dello stesso Luca (sono delle predizioni dal punto di vista di Gesù e si distinguono in questo dalle altre beatitudini). Si noti anche che l'evangelista - diversamente dalla formulazione parallela di Mt 5,l ls - non parla di «persecuzione». I primi due verbi - «odiare» (misein) e «mettere al bando» (aphori­ zein) si riferiscono alla perturbazione o all'interruzione delle relazioni comunitarie, mentre gli ultimi due - «insul­ tare» (oneidizein) e «respingere il nome come scellerato» (ek­ ballein to onoma hos poneron) - indicano denigrazioni ver­ bali. La beatitudine contiene quindi due fondamentali espe-

203 204

205

Cf., in questa direzione, anche KòsTER 1980, 689. Cf. sopra, pp. 555s. Sull'analisi in dettaglio W. STEGEMANN 1991, 1 1 3ss, con ulteriore bi­

bliografia.

586

· Storia sociale del cristianesimo primitivo

rienze di rifiuto inflitte, secondo la descrizione lucana, ai cre­ denti in Cristo dal giudaismo della diaspora: presa di distanza verbale (si veda sotto, punto a) e sociale (si veda sotto, punto b). Gli Atti degli Apostoli «illustrano>> queste esperienze. Dai loro svariati testi che parlano di conflitti sociali con il giudai­ smo si ricavano, riguardo alle comunità urbane dei credenti in Cristo al di fuori della terra di Israele di cui qui ci occupiamo, le seguenti affermazioni: attacchi verbali e presa di distanza sociale {At 13,45; 1 8,6; 19,9; 28,21s); sobillazione della popola­ zione pagana o dei suoi rappresentanti (At 13 , 50; 14,2.5; 17,5s.13); delazioni alle autorità (pagane) (At 17,6s; 1 8,12ss). 206 Anche queste relazioni negative si possono ricondurre a una presa di distanza verbale e sociale dai cristiani. La presa di di­ stanza sociale culmina, secondo le affermazioni degli Atti degli Apostoli , nelle den unce dei credenti in Cristo presso i funzio­ nari pagani, che vengono qui intese come un ambito conflit­ tuale a sé (si veda sotto, punto c ) . Passiamo a delineare breve­ mente questi tre tipi di esperienze.

a) Presa di distanza verbale L'espressione «respingeranno il vostro nome come scelle­ rato» (Le 6,22) può significare un uso peggiorativo della desi­ gnazione, ricordata in At 1 1 ,26 (26,28) , dei discepoli e delle di­ scepole come christianoi o «nazorei» (A t 24,5). Ma qui è diffi­ cile andare oltre una semplice supposizione. In ogni caso, è evidente che non si tratta di offese personali, ma di insulti de­ gli interessati in quanto membri della comunità credente in Cristo. Dal verbo indeterminato «insultare» (oneidizein) è dif­ ficile dedurre in questo contesto un diverso quadro. 207 Anche in At 13,45; 14,2; 18,6; 19,9 si annotano delle prese di distanza verbali, qui designate in particolare anche con i termini be­ stemmiare/bestemmia (blasphemeinlblasphemia), i quali fan­ no pensare che si tratti, dal punto di vista dei destinatari, di 206 Il processo di Paolo, descritto dagli Atti, inizia a Gerusalemme, non nella diaspora. 207 Cf., al riguardo, anche lPt 4,1 4.16; denigrazioni verbali dei cristiani anche in lPt 2,12; 4,4. Cf., al riguardo, solo BRox 1989, 220ss e spesso.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

.

587

giudizi negativi sulle loro convinzioni religiose. L'oggetto di questa bestemmia è probabilmente Gesù, come si può dedurre da Le 22,65 ; 23,29 e At 1 8,6. E che proprio la bestemmia rap­ presenti in certo qual modo l extrema ratio della presa di di­ stanza verbale dalle convinzioni e dalle comunità «cristiane», lo fa supporre anche una breve annotazione sull'attività perse­ cutoria di Paolo, in base alla quale quest'ultimo costringeva mediante punizioni a bestemmiare, qui certamente allo scopo di «abiurare» (A t 26,1 1 ).208 Anche la maledizione di Gesù nelle sinagoghe, di cui parla spesso Giustino, 209 è da intendere come una forma estrema di presa di distanza verbale. I testi ci­ tati affermano quindi che i credenti in Cristo, furono oggetto, da parte degli ebrei, di ingiurie verbali sulle loro convinzioni di fede. In questo contesto va pure ricordato che gli Atti degli Apostoli pensano anche a una netta opposizione alle convin­ zioni di fede «cristiane» nelle sinagoghe (cf. At 28,22). '

La popolazione pagana come destinataria della presa di di­ stanza verbale. Le attività finora ricordate sono informati, non indicano quindi alcuna normativa disciplinare da parte delle sinagoghe della diaspora. Nondimeno esse sembrano compor­ tare, secondo la descrizione degli Atti degli Apostoli, non solo iniziative di singole persone, ma anche di sinagoghe. Quest 'e­ sperienza contraddistingue in particolare le relazioni di Paolo con le sinagoghe della diaspora, come risulta dai riferimenti degli Atti degli Apostoli a conflitti di Paolo nelle e con le sina-

208 Il fatto di bestemmiare Gesù è l'espressione più chiara della presa di distanza verbale dalla comunità dei discepoli, come attesta a suo modo la let­ tera di PLINIO IL GIOVANE all'imperatore Traiano sui processi ai cristiani (Ep. 10, 96) . In essa, accanto al «test sacrificale», la maledizione di Cristo (maledi­ cerent Christo) viene considerata il segno più evidente del non essere cristiano dell'accusato. Infatti, non sarebbe possibile costringere i veri cristiani a una cosa del genere. FREUDENBERGER (1967; 147.152) vuole ricondurre l'uso della maledictio presso i romani a una «fonte ebraica» - per così dire secondo il modello del «test sacrificate» raccomandato ad Antiochia da un apostata ebreo contro i suoi connazionali ( GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 46ss). Questa rela­ zione è poco probabile; cf., al riguardo, anche MAIER 1982, 133s. 209 GIUSTINO, Dia/. 16.47.93. 108. 1 17.133. È incerto se già lCor 12,3 rifletta una situazione del genere.

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Storia sociale del cristianesimo

primitivo

goghe della diaspora (At 1 3 ,45 ; 14,2; 1 8,6; 1 9,9). Da At 13,45 o 14,2 e 1 8,6 (probabilmente anche At 19.9) risulta che la desti­ nataria di queste bestemmie o diffamazioni è la popolazione pagana della rispettiva città. Inoltre, quest 'ultima (o i suoi rap­ presentanti) è in At 1. 3.50; 1 4,5.19; 1 7,5ss. 13; 18,12ss la destina­ taria di interventi negativi da parte della sinagoga contro i cre­ denti in Cristo.210 E si resta colpiti dal fatto che nella maggior parte dei casi i diversi interventi posti in atto dalle sinagoghe contro Paolo sono in diretta relazione con le conversioni da lui operate in mezzo alla popolazione pagana. I conflitti descritti si riferiscono quindi a una presa di distanza da parte del giudai­ smo sinagoga/e dai credenti in Cristo. Il che significa che si può comprendere quest'atto come una presa di distanza per il fatto che il rifiuto dei credenti in Cristo viene manifestato anche e proprio in presenza della popolazione pagana� Una forma più grave di presa di distanza è ricordata in At 13,50 e 1 4,2 .5, dove si parla di sobillazione della popolazione pagana contro i cre­ denti in Cristo. I credenti in Cristo vengono identificati con il giudaismo. La presa di distanza verbale del giudaismo della diaspora dai cre­ den ti in Cristo presuppone naturalmente che i membri di que­ ste comunità potessero essere scambiati con i membri delle si­ nagoghe e potessero essere identificati da parte pagana come membri del giudaismo o ascritti ad esso. Questa possibilità si riflette anche negli Atti degli Apostoli. Così Paolo e Sila ven­ gono espressamente considerati ebrei (At 16,20). Anche il comportamento del legato romano dell ' Acaia, davanti al quale Paolo viene tradotto dagli ebrei di Corinto, dimostra che egli ipotizza l'esistenza di controversie interne al giudaismo e identifica quindi il predicatore «Cristiano» con il giudaismo espe­ ,(At 18,15s). Particolarmente impressionante è l'amara rienza di un ebreo di Efeso di nome Alessandro. 211 Egli si 210 Solo in Gerusalemme - e 11 è probabile - Paolo viene accusato da giudei dell' «Asia» presso gli stessi giudei. Nella diaspora i destinatari di misure del �enere sono sempre e solo i pagani. 11 Cf. sopra, pp. 56ls.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

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sforza di pronunciare un discorso di difesa davanti alla (ille­ gale) assemblea popolare. ma il suo tentativo viene rifiutato non appena la folla riunita si accorge che è un ebreo (At 19.33s). Anche qui si deve quindi supporre che Alessandro vo­ lesse difendere gli ebrei di Efeso, cosa che avrebbe potuto dif­ ficilmente fare meglio che ponendo una chiara distinzione fra la sinagoga e la comunità credente in Cristo.

b) Presa di distanza sociale Un secondo aspetto esperienziale è indicato dai verbi «odiare» e «mettere al bando>> di Le 6,22s. «Odiare» viene usato ne Il 'immediato contesto come ter­ mine antitetico all'amore del prossimo o anche all'etica della reciprocità antica (Le 6,27ss) . Esso indica quindi la soppres­ sione o il fallimento della solidarietà sociale, che si può concre­ tizzare ad esempio nel campo delle relazioni sociali fra vicini e amici, ma anche in quello delle relazioni intra-familiari (in Le 14,26, come condizione per la sequela si richiede l' «odio» di padre , madre, moglie, figli e fratelli e sorelle). In relazione al verbo «mettere al bando» l'esperienza del rifiuto che qui si riflette può essere intesa al meglio come una sorta di social ostracism (ostracismo sociale ) ,2 1 2 cioè come un rifiuto informale, espresso attraverso il comportamento so­ ciale. Quest'interpretazione viene suffragata ancora una volta dall'immediato contesto (Le 6,26), dal «Guai» parallelo alla beatitudine. Esso si riferisce al contrario di una simile messa al bando, cioè all'universale accettazione («Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi>>).

c) Delazioni presso le autorità pagane Secondo la descrizione di Luca, le misure relative alla presa di distanza culminavano nelle delazioni presso le auto-

212 HARE, 1 967, 53 con buone motivazioni; egli stesso sostiene un atto in­ formale di esclusiome (social ostracism).

Storia sociale

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del cristianesimo primitivo

rità pagane (Le 1 2 , 1 1s ; At 17,5ss e 1 8 , 1 2ss) . Secondo Le 12,1 1 s. Gesù predice ai suoi apostoli che saranno tradotti davanti alle sinagoghe e ai . 213 I versetti chiudono un ammoni­ mento ai discepoli di Gesù a rendergli testimonianza senza al­ cun timore. Le sinagoghe in quanto tali non esercitano natu­ ralmente alcun potere forense o disciplinare contro coloro che delinquono , ma giocano chiaramente un ruolo importante nella situazione di rischio che può condurre davanti ai magi­ strati pagani . Qui si potrebbe quindi implicitamente pensare a ciò che viene poi illustrato nei testi già citati degli Atti degli Apostoli e cioè che le sinagoghe giocano un ruolo nella tradu­ zione davanti ai magistrati {pagani). La designazione dei magi­ strati e delle autorità (archai kai exousiai) in Le 12,1 1 descrive il potere legato al loro ufficio; n on li indica con i loro titoli uffi ­ ciali. N el quadro del relativo vocabolario lucano essa indica probabilmente magistrati romani e cittadini con diverse com­ petenze. Le 12, 1 1 parla quindi di conflitti fra «cristiani prove­ nienti dal paganesimo» e sinagoghe della diaspora, che ven­ gono (possono essere) portati in u l t i m a analisi anche davanti ai «magistrati>> civili. Questa situazione è descritta da due testi degli Atti degli Apostoli (17 ,5ss; 18,12ss ), di cui abbiamo già trattato. 214 Essi riguardano denunce contro missionari «cri­ stiani>>. Il conflitto penale di Tessalonica, nel quale si imputa ai credenti in Cristo di ospitare o di partecipare a un movimento mondiale di ribelli ebrei, che sostiene la dignità regale di Gesù contro quella dell'imperatore (At 17,6s), implica chiaramente il motivo delle accuse: il sospetto che i credenti in Cristo siano sostenitori di un movimento ebraico di ribelli anti-romani. 11 loro sfondo storico viene illustrato da due conflitti in seno al giudaismo della diaspora descritti da Giuseppe Flavio e av­ venuti ad Alessandria e nella Cirenaica. 215 Nel primo conflitto i fuorusciti del temuto gruppo insurrezionale dei sicari, riparati ad Alessandria, convincono molti dei loro ospitanti 213 214 215

Al riguardo, ampiamente W. STEGEMANN 1 991 , 77ss. Cf. sopra, pp. 539ss. GIUSEPPE FLAVIo, Beli. 1, 407ss.437ss.

Conflitti con il paganesimo e il giudaismo della diaspora

591

ebrei a unirsi a loro e a insorgere in difesa della libertà. Alcuni degli ebrei più in vista della città tengono loro testa, ma vengono uccisi dai sicari, i quali continuano ad adoperarsi con grande impegno per pro­ vocare l'insurrezione. Alla fine i leader della gerusia alessandrina ri­ conoscono il pericolo che minaccia gli ebrei alessandrini a causa dei sicari e convocano un 'assemblea plenaria in cui spiegano la «pazzia» dei sicari. Essi illustrano in modo particolarmente impressionante il pericolo corso dagli ebrei di Alessandria di essere coinvolti in queste vicende, anche nel caso in cui non prendessero in alcun modo parte alle azioni dei sicari. Consigliano poi di consegnare i sicari ai romani, in modo da potersi così giustificare o difendere davanti a loro. La folla si lascia convincere e vengono catturati immediatamente 600 si­ cari. Dietro il comportamento degli anziani e dell'assemblea plenaria vi è chiaramente la conoscenza del «diritto statale e penale romano... Chi si univa ai ribelli che erano al di fuori del diritto dello stato cor­ reva un estremo pericolo (kindynos) e doveva aspettarsi la propria ��rovina" (olethros) , cioè la perdita della sicurezza del proprio diritto e i più severi castighi» .216 Come unica alternativa restava solo la de­ nuncia o la consegna dei sicari ai romani, in modo da potersi giustifi­ care davanti a loro. Il secondo conflitto avviene in Cirenaica. Viene scatenato dall'e­ sodo nel deserto di un gruppo di ebrei poveri (aporoi) sotto la guida del tessitore Gionata. Lì egli vuole mostrare ai poveri dei segni prodi­ giosi. Secondo Giuseppe, ebrei ricchi e influenti denunciano questo movimento. Questo conflitto è importante, nel nostro contesto, so­ prattutto per il fatto che i poveri capeggiati da Gionata sono un gruppo di entusiasti religiosi non armati che viene ciononostante de­ nunciato dagli ebrei al governatore romano della pentapoli libica e da quest'ultimo brutalmente represso. La cattura del capo determina alla fine pesanti conseguenze per altri ebrei (specialmente ricchi e no­ bili ). Lo stesso Giuseppe Flavio, che ci racconta il fatto, resta coin­ volto nel conflitto. Infatti, il governatore approfitta della cattura del tessitore Gionata per sopprimere soprattutto gli ebrei ricchi della Ci­ renaica e confiscarne i beni. Infine, in questo contesto si accusano an­ che gli ebrei più in vista di Alessandria (e anche Giuseppe a Roma) di «attività sovversiva»,217 ma queste accuse vengono naturalmente re­ spinte da Vespasiano. La denuncia di Gionata o dei poveri che lo se­ guivano conduce quindi - tragica ironia - proprio a ciò che essa vo­ leva impedire.218 216

1969, 281 . GIUSEPPE FLAVIO, Beli. 7, 447. 218 È molto discutibile se, a proposito del movimento religioso-entusiasta dei poveri, si sia trattato veramente di sicari. Essi non sono armati, né dimo­ strano durante il loro interrogatorio sotto tortura quella fermezza che ca217

MICHEL-BAUERNFEIND

592

Storia

sociale del cristianesimo primitivo

Non si possono escludere per il periodo posteriore al 70 le denunce dei seguaci di Cristo messi in relazione con il giudai­ smo, i qual i dovevano essere so spetti agli occhi dei romani già a partire dalla loro venerazione di Cristo che era stato giusti­ ziato come ribelle anti-romano. A ciò alludono anche certi in­ dizi del Nuovo Testamento.2 1 9 Che anche gruppi di ebrei entu­ siasti, non armati, fossero esposti al so sp ett o di essere dei ri­ belli lo dimostra il trattamento riservato al movimento di Gio­ nata Inoltre, entrambi i conflitti descritti da Giuseppe Flavio mostrano che le denunce dei s ospettati erano motivate dall'in­ teresse d e l giudaismo della diaspo ra a prendere le distanze da questi (supposti) ribelli, distoglie ndo così dalle sinagoghe la minaccia di altri pos s ibil i pe ricoli. .

2.2. RISULTATI E INTERPRETAZIONE SOCI OLOG I CA DEI CONFLITII GIUDAICO-«CRISTIANI>>

2.2. 1 . Risultati

Le Lettere di Paolo attestano sporadici interventi discip l i nari intra-sinagogali su gli ebrei credenti i n Cristo. A tensioni prodotte dagli ebrei credenti in Cristo nel gruppo degli ebrei romani allude anche il cosiddetto editto di Claudio. Degna di nota è, in questo caso, soprattutto la percezione del conflitto da parte delle autorità romane e il fatto che il giudaismo della diaspora romana ne ebbe delle conseguenze sociali. Circa gli altri scritti del Nuovo Testamento si possono prendere in con­ siderazione solo affermazioni della d oppia opera lucana, po i­ ché anche nell'Apocalisse di Giovanni non si evidenzia alcun conflitto sociale fra ebrei e credenti in Cristo. Dalla doppia opera lucana emergono soprattutto prese di distanza verbali e

­

ratterizzava i sicari (GIUsEPPE FLAVIO, Beli. 7, 417ss). Ma, dal punto di vista ro­ mano, questo non gioca alcun ruolo, dal momento che anche le attività degli agitatori religiosi erano considerate il primo passo verso la ribellione (Io., Beli. 2, 260; cf. 6, 300ss). 219 Cf. sopra, pp. 555s.

Conflitti

con

il paganesimo e il giudaismo della diaspora

593

in parte anche sociali del giudaismo della diaspora nei riguardi dei credenti in Cristo. In due casi esse culminano nella denun­ cia presso i magistrati pagani. Questi due casi pongono un pro­ blema storico particolarmente difficile. Sanders li ritiene stori­ camente non credibili e pensa che siano solo un riflesso di di­ versità teologiche ed espressione dell'avversione lucana per gli ebrei, dal momento che non esiste alcuna prova al di fuori del Nuovo Testamento di corrispondenti esperienze negative. 220 Per quanto quest'obiezione sia da considerarsi seria, riteniamo impossibile sospettare in un modo così generale di non credi­ bilità le affermazioni del Nuovo Testamento. In linea di princi­ pio non ci si deve aspettare una prova al di fuori del N uovo Testamento per esperienze del genere. Persino riguardo a con­ flitti drammatici - come ad esempio i progrom di Alessandria e di Antiochia, nei quali si verificarono a volte vere e proprie stragi di ebrei e ci si lasciò andare a efferate crudeltà - siamo informati solo dai diretti interessati. I conflitti di Alessandria e della Cirenaica rappresentano del resto delle analogie stori­ che. Così non è comunque da escludere, a nostro avviso, che si sia giunti a denunce. D 'altra parte, non si tratta assolutamente di esperienze tipiche o frequenti, ma tutt'al più di singoli casi. Nella particolare situazione storica seguita al 70 le delazioni dei credenti in Cristo sono da intendersi come misure di auto­ protezione da parte del giudaismo. In queste denun�e si ve­ deva la possibilità di mostrare che il giudaismo prendeva le di­ stanze da questo movimento messianico sospettato di essere an ti-romano.

220 J.T. SANDERS 1 987, 306ss; cf. , 1 993, 1 80ss (che si riferisce in senso cri­ tico a W. STEGEM AN:-.1 [1991] la cui interpretazione è stata qui ampiamente ac­ colta). SANDERS ritiene che la storicità delle denunce, descritte negli Atti degli Apostoli, di crede nti in Cristo presso le autorità pagane da parte di ebrei ( ! ) non sia del tutto esclusa, m a sia problematica. Può immaginarla tutt'al più per singoli casi, ma non sotto forma di misure tipiche (1993, 1 82s ) Anche noi pen­ siamo che non si tratti di esperienze e prove tipiche di una tendenza generale. E tuttavia non possiamo accettare la considerazione di SANDERs secondo cui in certe circostanze i credenti in Cristo ebrei avrebbero denunciato i cristiani provenienti dal paganesimo (1993, 186). Qui non possiamo entrare nei dettagli della sua critica. .

Storia sociale

5 94

del

cristianesimo primi ci v o

Va notato che pochissimi degli scritti neo-testamentari po­ tenzialme nte coinvolti riflettono manifestazioni sociali de l conflitto giudaico->, andrebbe contro ciò che gli dèi hanno naturalmente concesso, come dice Senofonte. 'N Colu­ mella scrive: «Così a buon diritto la donna è stata creata per restare e tenere in ordine la casa, mentre l'uomo per correre qua e là, al mercato e in luoghi lontani». 8() Ciò che qui viene presentato come >. 82 La casa come luogo di permanenza delle donne La casa dev� essere, in linea di principio, il luogo di perma ­ nenza delle donne. Basti ricordare al riguardo il già citato testo di Filone. Secondo la sua testimonianza, ad Alessandria esiste­ vano donne che passavano tutta la loro vita in casa: donne spo­ sate, che consideravano come limite invalicabile la porta di casa� e donne giovani, che non oltrepassavano le porte di colle­ gamento delle stanze inteme. 83 Così pure Filone ricorda spesso che alle donne era riservato, all'interno della casa, un'ala o parte dell'edificio, che in greco era detta gynaikonitis. Anche gli uomini avevano una parte della casa riservata a loro (an79

80 81

SENOFON'IE, Oik. 7, 3 1 . CoLUMELLA XII FoucA ULT 1989,

praef. II, 202s, osserva giustamente che «l'opposizione "na­ turale" di uomo e donna, la peculiarità delle loro capacità non devono essere separate dall'ordinamento della casa� esse sono fatte per questo ordinamento e vengono a loro volta da esso imposte sotto forma di doveri». 112 A ciò rimanda ScHOTIROFF 1994, 123. 83 FILONE, Flacc. 1 1 .

Le donne nelle antiche società mediterranee

627

dronitis).84 Questa opinione di Filone non è affatto isolata, 85 per cui sarebbe certamente errato il voler considerare questa prassi come tipicamente ebraica. Essa era universalmente dif­ fusa nell'antichità. Anzi, la separazione spaziale dei sessi ha continuato nei paesi del Nord-Europa fino al medioevo. An­ che Senofonte la presuppone, 86 come pure, a distanza di secoli, Diodoro Siculo,87 Giuseppe Flavio,88 Luciano 89 e Strabone, il quale constata con sua grande sorpresa che nelle case dei ric­ chi i sofisti hanno libero accesso persino al settore riservato alle donne. 90 Già Menandro ed Euripide hanno visto nella porta di casa il confine del territorio di una donna virtuosa. 91 Per quanto possibile, si aveva cura di tenere in casa e lontane dal mondo esterno soprattutto le giovani donne. 92 Il famoso retore Lisia un giorno impressionò il tribunale osservando che le sue sorelle e nipoti erano state allevate talmente bene che avrebbero provato imbarazzo persino davanti a un uomo della loro stessa famiglia. 93 All'occorrenza, la parte della casa riser­ vata alle donne veniva persino sorvegliata, come lascia intrav­ vedere, fra gli altri, naturalmente ironizzando, Aristofane. 94 La prassi non sembra naturalmente corrispondere all'i­ deale del confinamento delle donne in casa. Di notevole im­ portanza era certamente soprattutto la condizione sociale. 95

84 Cf., fra l'altro, FIWNE, Migr. 97; Io., Som. 2.9.55.184; lo ., Sac. 1 03; lo., Agr. 79. Rs Cf. anche, in ambito vetero-testamentario-ebraico, 2Sam 16,22; Sir 25,7ss; 42,1 2; Est 2,3.9. 14; Th 2,1 1 ; SalFocilide 5,215; 2Mac 3,19; 3Mac 1 ,18. Sui testi rabbinici attira l'attenzione MAYER 1 987, 85. 116 SENOFONTE, Oik. 9, 5s. B7 D I ODORO SICULO 17, 50. 88 GIUSEPPE fLAVIO, Ant. 17, 33.4 1 ; 19, 130. 89 LuciANO, Gallo 1 1 . 90 STRABONE, Geografia 15, 65 91 DoVER 1 988, 267: MENANDRO, fr. 592; EURIPIDE, fr. 521 . 92 DovER 1 988, 265. 93 LYSlAS III, 6. DovER 1988, 267. 94 ARISTOFANE, Thes. 414-415. 95 «La rigida segregazione delle donne fruenti del diritto della cittadi­ nanza era possibile solo nelle case che possedevano un numero sufficiente di schiavi e schiave da permettere alle padrone di non fare nulla o di dedicarsi .

628

Storia sociale del

cristianesimo

primitivo

Un a donna antica poteva assolvere il ruolo specifico che le era assegnato solo se non era obbligata a contribuire al sostenta­ mento della famiglia con il lavoro fuori casa. Quindi, anche se non possiamo più affermare con certezza in che misura fosse praticato il confinamento delle donne in casa, dobbiamo co­ munque ritenere che � in linea di principio ci si orientasse verso questo ideale. È un fatto che in diverse società mediterranee questa separazione spaziale di uomini e donne persista fino ai nostri giorni. Ed essa ha un suo senso nel contesto degli antichi valori dell'onore, del pudore e del disonore. Così, riguardo alla condizione delle donne mediterranee, Pitt-Rivers96 ritiene� come principio generale, che l'onore dell'uomo può essere compromesso dalla donna. È certamente questo uno dei mo­ tivi, e non il minore, per cui l'ambito specifico delle donne è la casa e in essa soprattutto la parte riservata alle donne, che era in linea di principio vietata agli uomini (vi potevano accedere tutt'al più i parenti, gli schiavi o le persone di condizione infe­ riore). Di conseguenza, le relazioni intime sono possibili solo fra membri della stessa famiglia; solo qui trovano la loro legit­ tima collocazione anche i rapporti sessuali. Per quanto è possi­ bile, le donne devono restare in casa; esse sono infatti le «repo­ sitories)) (depositarie) dell'onore maschile. Devono essere pro­ tette dai contatti con gli uomini di altre famiglie, i quali po­ trebbero macchiarle. 2.

STRATO DI APPARTENENZA E SITUAZIONE SOCIALE DELLE DONNE

2.1 . DONNE DELLO STRATO SUPERIORE

Abbiamo già ricordato che nel nostro modello dello strato sociale assegniamo allo strato superiore anche i familiari tutt'al più alle attività manuali del filare e tessere. Questo livello di segrega­ zione era assolutamente impossibile nelle famiglie pi ù povere»: DoVER 1 988, 278 � raduzione dell'autore); cf. anche THRAEDE 1970, 218. Pirr-RIVERS 1977, 1 1 5ss.

Le donne nelle antiche società mediterranee

629

cioè le donne e le figlie - dei membri degli ordines. Anche se nei singoli casi non è evidente se le donne sposate dell'élite di­ sponessero di un proprio patrimonio, è comunque certo che esse partecipavano in vario modo ai privilegi materiali, a volte anche giuridici , dei loro uomini. Sembra che Terenzia, la mo­ glie di Cicerone, fosse molto ricca, al punto da poter sostenere finanziariamente anche il marito. 97 Giuseppe Flavio qualifica espressamente come ricche solo due donne ebree (Maria, fi­ glia di Eleazaro e Berenice). 98 Ma si deve ritenere che molte donne della casa reale erodiana disponessero di considerevoli patrimoni (soprattutto Sal ome, la sorella di Erode, che rica­ vava dal suo patrimonio un reddito annuo di 60 talenti). 99 La donna d'affari più nota dell'antichità è certamente Eumachia di Pompei. che eresse per la consorteria dei fullones (gualchie­ rai) un edificio di 40 metri di larghezza e 60 di lunghezza, sul quale si poteva leggere questa iscrizione: « Eumachia, figlia di Lucio, pubblica sacerdotessa, ha fatto costruire a proprie spese, in nome suo e in nome di suo figlio Numistrio Pronto, un atrio, un portico coperto e un portico e li ha consacrati lei stessa in onore della Concordia e della Pietas Augusta». 100

La sua appartenenza a una famiglia dello strato superiore di Pompei è fuori dubbio. Era probabilmente 101 anche la pa­ trona della consorteria ( collegium) dei gualchierai. Queste funzioni di patronato delle donne (all'occorrenza, assieme ai loro mariti) sono certamente rare, ma non eccezionali. 102 Qui dobbiamo ricordare anche le molte benefattrici che ci sono note dalle iscrizioni grazie anche alle loro pubbliche onorifi­ cenze. Esse appartengono per lo più alle famiglie dell'élite, ma sembra che disponessero anche personalmente di notevoli pa-

m

98

99

CICERONE, Fam. 14. G I U SEPPE FLAVIO, Beli. 6, 201 ; lo., Ant. 20, 146. GIUSEPPE FLAVIO, Ant. 1 7, 1 47 .321 e spesso. Globalmente su questo

punto MAYER-SCHÀRTEL 1994, 76ss. 100 CIL X 8 1 0. Traduzione secondo ETIENNE 1978, 1 69. 1 0 1 A causa di una statua di Eumachia eretta dai fullones: CIL X 813; cf. ETIENNE 1 978, 169. 102 PoMEROY 1 985, 3 1 1 .

630

·

Storia sociale del cristianesimo primitivo

trimoni. In particolare, esse suffragano il modello dello strato da noi adottato, secondo il quale la ricchezza poteva compen­ sare in vario modo la mancanza di un esercizio diretto del po­ tere politico. Infatti, molte di queste donne ricche esercitavano funzioni cultuali e furono insignite di titoli onorifici propri delle cariche pubbliche. Qui possiamo ricordare solo alcuni esempi: 1 03 Euxenia, sacerdotessa di Afrodite di Megalopoli nel Pelopon ­ neso del II secolo a.C., viene onorata da un'iscrizione come benefat­ trice. Ha finanziato un muro di cinta del t e � io di Afrodite e anche una locanda per l'accoglienza dei forestieri. 1 Apparteneva a una fa­ miglia dell'élite. Quattro più ampie iscriz ioni riferiscono che Menodora (Pisidia, I secolo d.C.) distribuisce frumento e danaro agli abitanti della sua città natale e in nome di suo fi gl io in ricordo della sua morte - of­ fre 300.000 danari per il sostentamento dei bambini, senza tener conto delle spese per le statue di suo fi glio. 105 Una certa Tata ad Afrodisia ha finanziato diverse feste, prov­ vedendo fra l'altro anche l'olio per gli atleti dei giochi pubblici, im­ presa certamente molto costosa. Ion -

Il materiale proveniente dalle iscrizioni permette di con­ cludere che anche le donne ebree esercitavano le funzioni di patronato nelle sinagoghe. Così una ebrea di nome Rufina viene designata con il titolo di archisynagogos (presidente della sinagoga) in un'iscrizione del II secolo d.C. attestante un atto di donazione per la tomba del suo schiavo liberato. 107 Del IV e V secolo esistono altre due testimonianze a proposito di una tale Sophia Gortynia, che viene detta presbytera e archisy­ nagogissa; e di Theopempte. 108 Naturalmente, si discute se qui 109 si tratti di un'indicazione di funzione o di un titolo onorifico.

103

MER

Ampiamente, al riguardo, VAN BREMEN 1983; ripreso da Ross KRAE1992, 84ss. 1 04 V AN B REMEN 1983, 223. 105 VAN B REMEN 1983, 223. 106 Ross KRAEMER 1 992, 84. 107 CII 741 ; IGR IV 1452. 108 CII 731c; CII 756. 109 Cf. BROOTEN 1982, 5ss.

631

Le donne nelle antiche società mediterranee

Altri frammenti di sarcofaghi di Roma collocabili fra il colo a.C. e il

III secolo d.C) 1 1 0 e

I

se­

altro materiale proveniente da

iscrizioni danno a donne ebree, analogamente al titolo ma­ schile di «padre della sinagoga », il titolo di «madri della sina­ goga» o titoli similari. Questo titolo potrebbe indicare, anche nella sua forma maschile, una carica onorifica. 1 1 1 In ogni caso, qui si tratta solo di donne con un migliore tenore di vita, ma non appartenenti allo strato superiore.

a) Donne ricche Accanto alle donne dell'élite che abbiamo ricordato vi erano ovunque nell'impero romano donne benestanti «che non si procuravano da vivere con il loro lavoro, ma che posse­ devano dei beni e facevano lavorare altri per loro» . 1 12 Esse am­ ministravano autonomamente i loro possedimenti, che pote­ vano essere costituiti da proprietà terriere, laboratori e negozi, e persino da società di navigazione o da navi commerciali. 1 1 3 In molti casi non si riesce a stabilire chiaramente a quanto am­ montasse il loro patrimonio, per cui

è

difficile anche asse­

gnarle con sicurezza all 'uno o all'altro strato.

b)

Proprietarie

di terre

e di imprese

Abbiamo già ricordato sopra una donna egiziana che pos· sedeva terreni e li affittava. 1 14 Fra le proprietarie terriere vi erano anche donne ebree. 1 1 5 Nel caso di un villaggio egiziano si può dimostrare che la percentuale di donne proprietarie di terre ammontava a circa un terzo della popolazione}16 Var­ rone

(2,2,20)

1 1°

111

1 12 113 1 14

115

1 16

ricorda come proprietaria terriera una certa Do-

CII 523; CII 496: catacomba di Monteverde. Cf. LEON 1960, 194. ElCHENAUER 1988, 42. Al riguardo, ScHOITROFF 1980, 91ss; EICHENAUER 1988, 42ss. Cf. sopra, p. 84s. Cf. SCHOITROFF 1980, 91; EICHENAUER 1988, 44. ScHULLER 1987, 26.

632

Storia sociale del cristianesimo primitivo

mizia Lepida 1 17 e anche le iscrizioni riportano i nomi di diverse donne proprietarie di terre.118 Fra di esse va annoverata anche Giulia Felice di Pompei, la quale, secondo un 'iscrizione, aveva offerto in affitto un a grande estensione di terra . 1 19 Anche ad Ostia c'erano diverse donne proprietarie di terre . '20 Esistono numerose iscrizioni soprattutto riguardo a pro­ prietarie di fabbriche di mattoni e di tubi di piombo;121 per esempio riguardo a una certa Giulia Fortunata di Ostia che possedeva una fabbrica di tubi di piombo

(officina plumba­

ria ) . 122 Le donne si sono

occupate anche di commercio del vino 1 23 e della direzione di società di navigazione. Sappiamo anche

di donne che dirigevano fabbriche di mattoni e laboratori di scalpellini. 124 Anche Ummidia Quadratilla (che morì nel

107

d.C.) dev 'essere stata una donna facoltosa, dal mo me n t o che possedeva un intero corpo di ballo. 125 Così pure una certa Ce­ lia Macrina (Il secolo), la quale assicurava attraverso una fon­ dazione un aiuto mensile a un centinaio di bambini, sborsando circa

400

gazze,

16

danari ( per i ragazzi,

20

sesterzi al mese; per le ra­

sesterzi al mese ) .125 Donne facoltose esistevano an ­

che fra le liberte. Così ad esempio una certa Lida, liberta del ­ l'imperatrice Livia, che possedeva almeno

4

schiavi. 127 E, dal

momento che le norme ereditarie valevano anche per le schiave liberate con un patrimonio di al me n o zi

-

100.000

sester­

l' imperatore Claudio aveva concesso alle donne liberate

gli stessi privilegi concessi alle madri di quattro figli, se ave­ vano investito il loro danaro a favore del l 'annona romana - si

1 17 118 1 19

120 1 21

NAUER

1 22 123

124 125

t:z.i

127

V ARRONE, 2, 2, 20. EICHENAUER 1988, 44. ScHULLER 1 987, 23. ScHULLER 1987, 25. HERZIG 1983, 81; altre

testimonianze derivanti da iscrizioni in

1988, 45. EICHENAUER 1988. 45. Ll altre testimonianze. SvETONIO, Claudio 1 8.19. PoMEROY 1985. 3 1 1 ; LoANE 1 938, 103ss. PLINIO IL GIOVANE, Ep. 7' 24. PoMEROY 1985, 316. PoMEROY 1985, 306.

EICHE-

633

Le donne nelle antiche società mediterranee

può supporre che anche fra le schiave liberate vi fossero donne ricche.

2.2. STRATO INFERIORE E LAVORO FEMMINILE Sulle occupazioni delle donne dello strato inferiore siamo relativamente ben informati. 128 Le commercianti, che possede­ vano probabilmente anche una piccola impresa industriale, ap­ partenevano tutt'al più agli ambienti più benestanti degli strati inferiori . Così ad esempio Lidia, una commerciante di porpora di Tiatira, che possiede una casa a Filippi (At

16,14.15)}29 Ai

gruppi più poveri degli strati inferiori appartenevano le com­ mercianti di fagiolL le fabbricanti di corone, le venditrici di chiodi, 1 30 ma anche le pescatrici.131 Anche donne come Pri­ scilla, che prestavano la loro collaborazione in professioni commerciali (Rm

16,13;

1 Cor 16,19; At 18,2s), devono essere

certamente collocate nei gruppi più poveri dello strato infe­ riore. a) Settori dei servizi e dell'intrattenimento Vanno considerati a parte i settori dei servizi e dell 'intrat­ tenimento. Solo poche attrici, danzatrici o suonatrici di stru­ menti musicali possono aver avuto un certo introito. Ma la loro reputazione era piuttosto scarsa (Svetonio le pone sullo stesso piano delle prostitute ). 132 Erano in gran parte schiave o tutt'al più liberte. 1 33 Probabilmente anche le donne che servi­ vano nelle locande o nelle taverne non raggiungevano il livello

128 Sulle donne dello strato inferiore in genere cf. PoMEROY 1985, 293ss. Oltre alle occupazioni ricordate da ScHOTIROFF 1980, 98ss; 1994; ElCHENAUER 1 988 e GONTHER 1 987, cf. anche KAMPEN 1981 ; TREGGIAR1 1976, LE GALL 1970.

129

RICHTER REIMER 1 992, 1 23ss.

130 E1cHENAUER 1 988, 83ss. 131 ScHOTTROFF 1994, 127 in riferimento alla testimonianza di un'iscri­ zione: CIL VI 9801 ; cf. anche PLINIO IL VECCHIO, NatHist. 9, 143. 132 SvETONIO, Nero 21. 133 Cf., al riguardo, EICHENAUER 1988, 60ss .

634

Storia sociale del cristianesimo primitivo

di un relativo benessere. Lo stesso dicasi dei gradini inferiori delle levatrici che spesso erano considerate anche ciarlatane. Le donne medico rinomate (indicate vuoi come levatrici vuoi come medico) erano pochissime.134 Si rispettava e considerava soprattutto la nutrice dello strato superiore.

(nutrix )

e tanto più se allevava i figli

b) Donne povere dello strato inferiore Anche se esistono solo poche testimonianze riguardo al la­ voro delle donne nel

settore agricolo,

dalle informazioni che

possediamo possiamo concludere che nel lavoro dei campi ­ e

non unicamente nell' ambito domestico - erano impegnate non solo le donne dei piccoli coltivatori diretti e dei fittavoli,

ma anche le schiave come amministratrici, anzi addirittura come schiave incatenate. 135 Nel lavoro dei campi si impiega­ vano anche lavoratrici a giornata.136 Globalmente, nel settore artigianale o anche nel settore dei servizi sembrano dominare . anche nel lavoro svolto fuori casa, le attività tradizionali delle donne, quali sono descritte fin dai tempi di Senofonte. 1 37 Si deve ritenere che le donne fossero sempre presenti anche in molti settori occupazionali maschili, anche se professioni molto particolari (per esempio, la lavorazione del legno o dei metalli) erano certamente riservate agli uomini. Sembra che le donne (schiave) lavorassero anche nelle miniere.138 Le donne sono occupate nel

piccolo commercio,

nella

piccola industria alimentare (come fornaie), nel settore della cura del corpo (per esempio, acconciatrici, venditrici di profumi), ma anche in

campo sanitario come medico e levatrici, nel settore dei servizi domestici (nutrici, educatrici), addirittura come scrivane. Ma non sono da dimenticare neppure le molte donne che erano

134 SENECA, Ep. 66, pone sullo stesso piano la levatrice (obstetrix) e la donna medico (medica). Ampiamente, al riguardo, EICHENAUER 1 988, 148ss. 135 ScHOTIROFF 1980, 97s; ScHEIDEL 1990; per Giuseppe Flavio cf. MAYERSCHARTEL 1 994, 94s. 1 36 ScHOTIROFF 1994, 150. 1 3 7 SENOFONTE, Oik. 7, 21 . KAMPEN 1 981, 133. 138 SCHOITROFF 1980, 98.

Le donne nelle antiche società mediterranee

635

costrette a p ro curars i

di che vivere con la prostituzione, quali le ostesse e le inservi enti nelle locande e nei l ocali pubb lici e che erano disprezzate in q ueste loro attività appunto in quanto p rostitu te. Passando in rassegna il materiale relativo alle iscri­ zi oni, 1 39 Gtinth er giunge a queste conclusioni: «Le donne sono presenti soprattutto nel campo del la cura del corpo e del servi­ zio alla p er so n a» . 1 40 E « tipi ch e professioni femminili, se pure si può parlare di professioni, si sono avute solo nel settore della pr od uzione e della trasformazione tessile». Queste p rofessi on i furono apparentemente svolte da donne che si trovavano «al limite inferiore della gerarc h i a degli schiavi».141 D 'altronde, se­ condo l'analisi delle iscrizioni fatta da Gtinther, questo è l'u­ nico settore in dust ri ale in cui anch'esse sono rappresentate, mentre nel settore amministrativo sarebbero state incaricate solo del governo de lla casa. Anche secondo la sua analisi, molte donne erano impiegate specialmente in c ampo educa­ tivo e in campo sanitario (levatrici) . Interessanti sono al ri­ gu ardo le cifre addotte da Eichenhauer,142 le quali mostrano, no n osta nte tutti i p roblem i relativi alla loro i n t e rp retazion e, come nelle professioni femminili la pe rcen t u al e delle liberte e delle schiave fosse praticamente la stessa, mentre l e donne li­ bere non veng on o quasi ricordate. Al rigua rdo , le donne me­ dico, le scrivane e le nutrici sono liberte, mentre le donne im­ piegate nel settore tessile e q uel le dedite ai servizi alla persona sono per lo più schiave . Particolarmente degna di nota è la percentuale eccezionalmente alta di donne nubili. Sulla per­ centuale di

donne e uomini impiegati nelle diverse branche si possono fare so lo vaghe congetture, poiché bisogna ritenere che molte donne attestate dalle iscrizioni e citate accanto ai loro uomini esercitassero la stessa professione dei mariti, an­ che se solo raramente lo si a ffe r ma in modo esp l i cito .143

VI. GONTHER

139

CIL

1 42

1987, 135ss. Cf. , al riguardo, anche MAYER-SCHARTEL 1994, 95-98. EICHENAUER 1988, 141ss. TREGGIARI 1976, 98; EICHENAUER 1988, 143.

140 141 143

Capitolo tredicesimo

Le donne fra i seguaci di Gesù in terra di Israele

l.

LE DONNE NEL MOVIMENTO

DI

GESÙ

1 . 1 . AFFERMAZIONI DIREITE SULLE DONNE NEL MOVIMENTO DI GESÙ

La teologia e l'esegesi femminista hanno il merito di aver reso oggetto di ricerca scientifica la ricostruzione della storia delle donne nel cristianesimo primitivo. A tale riguardo l'ana­ lisi dei testi si è accompagnata fin dall'inizio anche a un inte­ resse socio-storico, ed è quest'ultimo aspetto che noi qui ri­ prendiamo in modo particolare. Ma, dal momento che gli scritti del Nuovo Testamento si collocano, in linea di principio, nell'abituale tradizione androcentrica dell'antichità, ogni ten­ tativo di ricostruire storicamente la partecipazione delle donne al movimento carismatico di Gesù poggia necessaria­ mente su una base testuale molto ridotta. I Vangeli conten­ gono solo quattro testi che trattano direttamente dell'apparte­ nenza di donne al movimento di Gesù: Mc 15 ,40s e i testi pa­ ralleli in M t 27,55s, Le 23,49, nonché Le 8,2s. Inoltre, i testi pa­ ralleli a Mc 1 5,40s sono evidenti rielaborazioni del loro mo­ dello marciano e non si possono quindi ritenere apportatori di ulteriori informazioni storiche sul movimento di Gesù. Anche Le 8,2s - dove si dice che molte donne guarite da Gesù lo se­ guivano e lo assistevano con i loro beni - non può essere uti­ lizzato per il movimento del Gesù storico. 1 I due versetti riflet1 Le donne sotto la croce ricordate in Gv 19,25-27 non sono presentate come seguaci di Gesù. Le 23,55 ripete semplicemente l'osservazione di Le 23,49.

638

Storia sociale del cristianesimo primitivo

tono chiaramente il vocabolario e la tendenza di Luca e illu­ strano l'importanza delle donne nelle comunità urbane dei credenti in Cristo al di fuori della terra di Israele. 2 Come unica affermazione diretta resta quindi solo il testo di Mc 15 ,40s. Questa ridotta base testuale è già di per se stessa degna di nota e consiglia prudenza nella ricostruzione di una storia sociale delle donne al seguito di Gesù. Ross Kraemer scrive giusta­ mente che la ricerca femminista ha chiaramente dimostrato la presenza di donne al seguito di Gesù, ma che l'esatta natura del loro coinvolgimento nel movimento di Gesù deve essere discussa. 3 Questa situazione problematica si trova in nuce già in Mc 15,40s. Da una parte, il Vangelo di Marco ricorda qui espressamente per la prima volta, nel contesto della crocifis­ sione di Gesù, delle donne come seguaci di Gesù e, dall'altra, la loro relazione con Gesù viene indicata con il verbo «ser­ vire», il cui contenuto semantico è discusso: «C'erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Jo­ ses, e Sa/ome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Gali­ lea, e molte altre (donne) che erano salite con lui a Gerusalemme».

Il testo presuppone che molte donne seguissero Gesù già in Galilea e che lo abbiano seguìto anche a Gerusalemme . Fra di esse si evidenziano come seguaci di Gesù specialmente tre donne che vengono indicate per nome, forse in analogia con il terzetto maschile di Pietro, Giacomo e Giovanni. 4 Cer­ tamente né in Marco né nei Vangeli in genere viene presen­ tata esplicitamente una donna come «apostola/discepola» di Gesù (mathethria),5 tuttavia il verbo «seguire» (akolouthrein)

5 2 Al riguardo, solo FITZMYER 1986, 695-698; SCHOTIROFF 1 980, 101 : «La sua (di Luca) descrizione di donne benestanti attorno a Gesù non proviene da tradizioni altrimenti attestate sul movimento di Gesù, ma da posteriori espe­ rienze della giovane chiesa nelle città dell'impero romano al di fuori della Pa­ lestina (cf. At 16,14s; 17,4.12), che l'evangelista proietta all'indietro al tempo di Gesù». 3 Ross KRAEMER 1992, 131. 4 CoRLEY 1993, 84-86; lì anche la ricca bibliografia secondaria. 5 Solo in At 9,36 Tabita viene detta mathetria.

Le donne fra i seguaci di Gesù in Israele

639

indica in modo pregnante, specialmente nel Vangelo di Marco, il fatto di seguire Gesù come discepolo. 6 Dove il verbo è usato per indicare gruppi che seguono temporanea­ mente Gesù (Mc 3,7; 5,24; 1 1 ,9), dal contesto si deduce che si tratta di una relazione solo attuale col maestro. Al contrario, da Mc 15 ,40s risulta chiaramente che le donne che seguono Gesù sono in una relazione continuativa con lui fin dalla Ga­ lilea.7 Nonostante la ridotta base testuale, si può quindi affer­ mare che anche delle donne hanno fatto parte del seguito di Gesù. Ma, a differenza degli apostoli/discepoli, Marco attri­ buisce espressamente alle donne una relazione speciale con Gesù: esse lo «Servivano». «Servire»:

un

verbo indicante la sequela?

L'interpretazione del verbo «servire» (diakont:in) di Mc 15,41 è fortemente discussa. Esso indica spesso il servizio alla tavola dome­ stica riservato alle donne (e agli schiavi e alle schiave, più raramente anche a uomini giovani). Ma può indicare anche, più genericamente, il prendersi cura delle persone (del loro sostentamento o nel senso generale di «servire» ) . 8 L'uso di questo verbo nel Vangelo di Marco include questo ampio ventaglio di significati: è usato certamente nel senso del servizio a tavola in Mc 1 ,13.31 ; una più ampia relazione di servizio è indicato invece dal diakonein di Mc 10,45 (cf. diakonos Mc 9,35; 10,43 ) ; inoltre, da Mc 9,35 e 10,43-45 si deduce che proprio il «Servire» esprime un comportamento esemplare per i discepoli di Gesù - ad imitazione del maestro - per cui viene positivamente connotato nel contesto della sequela. Nel movimento di Gesù si deve rovesciare la gerarchia convenzionale dominare/servire, per cui le funzioni «domi nanti» o dirigenti vanno esercitate come servizio a tutti. Che anche in Mc 15 ,41 si intenda quest'orientamento al servizio, lo sostiene ad esempio Schtissler Fiorenza. 9 Anche Schottroff intende

6

Cf. solo Mc 1 ,18; 2,14; 6,1 ; 8,34; 9,38; 10,21 .28.32 e spesso. Le 23,49 sembra smorzare il tono, dal momento che qui usa il verbo sy­ nakolouthein, che ha piuttosto il senso di accompagnare; cf. Mc 5,37; 1 4.5 1 . 2 1992, 726-732 ; cf. anche SCHOITROFF 21994, 299ss. 8 Cf. solo WEISER 9 ScHOSSLER FIORENZA 1988, 1 2.389s. A suo avviso, in Mc 1 5 ,40s «ap­ paiono donne che sono vere ministre e testimoni cristiane». «Esse sono vere seguaci di Gesù (akolouthein), poiché hanno compreso che il suo ministero non consiste nel dominio e nella gloria regale, ma nella diakonia (servizio ) (Mc 15,41 ) » (12) . 7

640

Storia socillle del cristianesimo primitivo

il verbo «servire» in Mc 15,41 - fra l'altro� a causa del «significato fondamentale di Mc 1 0,42-45 parr. (o Gv 1 3))> - come un'«indica­ zione di sequela ... e non come un'attività di servizio delle donne se­ condo una ripartizione del lavoro sessualmente specificata». 10 Weiser inte rpreta Mc 15,41 in senso lato: «aiutare qualcuno prendendosi cura di lui )> } ' Corley pensa invece che il linguaggio di Mc 1 5,41 richiami alla mente l'immagine di donne che servono Gesù a tavola. Considera evidente la relazione fra questo servizio che le donne gli rendono e la preparazione del cibo o il contesto dei pasti. 12 Si discute quindi se il in Mc 9,35 e 10,43.45 non possa essere fatto valere come presupposto ermeneutico di Mc 1 5 ,41 . E poiché solo qui il verbo «ser­ vire» viene usato anche in un senso più generale, si è indotti a credere che Mc 15,41 vada inteso, in analogia a Mc 1 ,13.3 1 , come attività di

. .l.· 10

ScHOITROFF

1994, 312s. 2 1992, 727. 1 1 WEISER 12 CoRLEY 1993, 86. 13 Cf. ScHoiTROFF 1994, 1 26: «Le menzioni della diaconia delle donne in Mc 1 ,31 parr.; Le 1 0,40; Gv 12,2; Mc 15,41 parr. vanno discusse nel contesto della concezione del servire (diakonein) propria del cristianesimo primitivo». In ogni caso, Schottroff restringe il campo, chiedendosi se Le 10,40 e Gv 1 2,2 non intendano >, che conosciamo anche attraverso testi di Tacito e Valeria Mas­ simo. 70 L'autore della Lettera a Timoteo sviluppa una chiara immagine della subordinazione e inferiorità delle donne, che egli motiva con considerazioni attinte alla teologia della crea­ zione. Egli vede chiaramente la loro salvezza storico-salvifica solo nella generazione della prole. Qui ci interessa soprattutto l'evidente ingiunzione a . Entrambe le cose mirano certamente anche al comportamento delle donne nella comu­ nità riunita, ma in modo ancor più radicale l'autore prescrive alle donne il comportamento da tenere nella vita pubblica e in casa. Ciò risulta dalla motivazione generale del rango subordi­ nato delle donne (sotto gli uomini) e dalla loro supposta sedut­ tibilità, ma anche da l Tm 5,13 (cf. 2Tm 3,6s ). A proposito delle giovani vedove lì si dice: 67

Qui ci basiamo - pur con qualche modifica - sulla traduzione di 1 994, 104. 68 Ampiamente. al riguardo, KOCHLER 1 986. SCHOTIROFF (1994, 1 1 6 e spesso) fa naturalmente notare, e in modo convincente, come l'interpreta­ zione dei testi vetero-testamentari nella tradizione ebraica - interpretazione negativa nei riguardi delle donne secondo la concezione odierna - non riveli in alcun modo un 'immagine della donna specificamente ebraica. Scrive ancora l'autore : «[La] propaganda intrisa di odio contro la liberazione delle donne è comune agli scrittori romani e greci e agli scritti religiosi ebraici, cristiani e gnostici» (Io., 1994, 1 16) . Per il topos della seduttrice sessualmente seducibile essa rinvia ad esempio a VALERia MASSIMo (IV 5; IX 5.3). Cf. anche la biblio­ grafia citata in ScHOTIROFF 1994, l 08, nota 20. 69 ScHOTIROFF 1994, 105ss. 70 Al riguardo, SCHOTIROFF 1994, 108; li altra bibliografia. ScHOTIROFF

Le donne nelle comunità urbane dei credenti in Cristo

681

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Storia sociale del cristianesimo primitivo

671

5,2

2,2-8

687

5 1 1 661 662

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2,4s

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Indice dei passi biblici

2,8 2,8s 2,14ss 2,15s 2,16 4, 13-17 5,1ss 5,6 5,14

468 514 514 164 163 5 14 524 5 1 3 523 529 523 464

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Pietro 1,1 1 ,6 1,17 1 ,22 2,9 2,1 1s 2,1 1ss 2,12 2,13-3 , 7 2, 1 8ss 2, 19s 2,20ss 2,25 3,1 3,1s 3,5s 3,7 3,7ss 3,8 3,13ss 3,14 3,15 3,17 4,1 4,3ss 4,4 4,8

567 566 567 468 423 567 516 568 469 469 566 51 1 472 685 516 685 516 687 468 568 566 568 566 566 568 568 469

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4,12ss 4,12ss 4,13 4,14 4,15s 4,16 4,19 5,1-5 5,9 5,10 5,12

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560 566 566 567 567 568 586 567 568 425 550 568 586 566 469 516 567 566 515

2 Pietro 1 ,7 2,3 2,14

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l Giovanni 2,12ss 2,18ss 2,19 2,22s 2,23 3,13 4,2s 4,15

516 386 579 405 579 396 405 560 405 405

2 Giovanni 7

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3 Giovanni

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Apocalisse 1 ,4 1 ,9 2,9

385 582 537 51 1 582 583 584

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Storia sociale del cristianesimo

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2,9s

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583 584

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22,20

370

1 3,4

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Indice generale

AVVERTENZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

INTRODUZIONE

• • • • • • • . • • • . . . . . . . . . . . . . . . • . . • . . . . . • . . . . . . . . . • • . . . • . • .

L'espressione «cristianesimo primitivo» . . . . . . . . 2. Delimitazione geografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Collocazione socio-geografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Appartenenza delle comunità credenti in Cristo al mondo mediterraneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 . Basilare distinzione delle società rappresentate nel Nuovo Testamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.

.

. .

Parte prima ECONOMIA E SOCIETÀ DEL MONDO MEDITERRANEO N E L I SECOLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Capitolo primo DELLE

TIPOLOG IA

ANTICHE

SOCIETÀ MEDITERRANEE

• •

l. Società agricole avanzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ' fion data sugtz s eh'zavz'?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1. socleta 1.2. Tecnologia o potere sociale quali elementi determinanti? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. Formazione e diffusione delle società agricole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 4. Il termine «pre-industriale» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.

I fattori centrali delle società agricole avanzate

pag.

7

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26

768

Storia

sociale del

Capitolo secondo LA SITUAZIONE ECONOMICA DELLE ANTICHE SOCIET À MEDITERRANEE .

cristillnesimo

. • •

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• • • • •• • • • • • • •

La discussione sull'economia antica . . . . . . ... .. . . . . . 1.1. Il concetto di economia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Economia e valori culturali. . .. . . . . . . . . .. .. . . . . . . 1.3. Inserimento dell'economia nella struttura sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4. Breve sguardo generale sulla storia della teoria economica dell'antichità . . . . . . . . . 1.5. Principali conclusioni delle ricerche sull 'economia antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Le condizioni che fanno da sfondo all 'economia delle società mediterranee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Produzione: tecnologia e organizzazione del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Distribuzione: reciprocità, ridistribuzione e mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3. Funzione e valore del denaro . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Aspetti particolari dell'antica economia mediterranea . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1. Agricoltura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ù . 3.2. Fardelli imposti alla popolazione . . . . . . . . . . . . . l.

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Capitolo terzo STRATIFICAZIONE

E

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primitivo

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95

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97 99

SITUAZIONE SOCIALE

NELLE ANTICHE SOCIET

À

MEDITERRAN EE. . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l.

Stratificazione sociale secondo gli antichi autori 1.1. La concezione della gerarchia sociale in Giuseppe Flavio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. La concezione della gerarchia sociale in Giovenale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. A uto-collocazione nello strato inferiore. . . . . 1.4. Sguardo sintetico sulle antiche valutazioni della gerarchia sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Criteri di un 'analisi moderna della stratificazione sociale delle società antiche . . . . . .. . . . . . . . . . . 2. 1. Strato e «status» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

.

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103 105

»

Indice generale

769

2.2. Criteri di analisi della stratificazione: potere, privilegi e prestigio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3. La questione della considerazione delle donne 3. Un modello delle società antiche: élite e non-élite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 1. Gruppi dello strato superiore ·· · · · · · · · · · · · · �! · · · 3.2. Gruppi dello strato inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Descrizione dell'élite: i gruppi dello strato superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. 1. l diversi gruppi dello strato superiore . . . . . . . 4.2. Strato superiore e ricchezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Descrizione della non-élite: i gruppi dello strato inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. 1. Calcolo del minimo vitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2. Differenziazione sommaria dei gruppi dello strato inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3. Strato inferiore e povertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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109

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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120 122 125

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. .

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. . . .

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.. .

.

.

Parte seconda STORIA SOCIALE DEL GIUDAISMO IN TERRA DI ISRAELE E I SEGUACI DI GES Ù . . . . .

l. Fondamenti dell'antagonismo socio-economico 2. Presupposti religiosi e conseguenze dell 'antagonismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Fattori socio-economici e formazione di gruppi 4. I seguaci di Gesù in terra di Israele . . . . .

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129 129 136 140 140 149 155

169 172 173 175 176

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Capitolo quarto LA SITUAZIONE ECONOMICA IN TERRA DI ISRAELE . . . .

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179

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179

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179

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1 85 191

. .

. . . . . .

l. Agricoltura, artigian ato , commercio

(. . , .. r

e piccola industria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 1 . I fattori decisivi dell'economia in terra di Israele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Aspetti dell'economia nel quadro della storia della Palestina . . . . . . 1 . 3 La proprietà della terra al tempo di Erode .

))

Storia sociale del cristianesimo primitivo

770

2. La struttura de1le imposte in terra di Israele. . 2 1 . Le imposte statali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Le imposte religiose. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. L'importanza economica del tempio . . . . . . . . . .· 3. 1. Assalti a l tesoro e alla tassa del tempio . . . . 3.2. Importanza economica del tesoro del tempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

.

Capitolo quinto SVILUPPO SOCIALE IN TERRA

Lo

DI

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. . .

ISRA ELE . . . . . . . . . . .

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237

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240

l.

Il cambiamento nello strato superiore sotto i regni greci e nello stato asmoneo . . . . . . . 1 . 1. Lo strato superiore giudaico al tempo dei tolomei e dei seleucidi . . . . . . . . . 1.2. Lo strato superiore e le persone del seguito nello stato asmoneo . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Formazione della società giudaica sotto i romani e gli erodiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1. Lo strato superiore e le persone del seguito («retainers») . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Lo strato inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Capitolo sesto IL PLURALISMO RELIGIOSO IN TERRA NELL 'EPOCA ELLENISTICO-ROMANA

DI

I SRAELE

. • • • • • • • . . . . • • • • . • . . . . • • • • •

l.

Istituzioni religiose: tempio, sinagoga e famiglia 1.1. Il tempio 1.2. Sinagoghe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. La famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Fondamentali correnti religiose in epoca ellenistico-romana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Purezza rituale e ascesi come delimitazione di confine . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 2. L 'apocalittica come fenomeno di dissidenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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240 243

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245

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246 248

Indice generale

771

3. La formazione di gruppi

in epoca ellenistico-romana . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il problema della descrizione socio-religiosa 3.2. Fenomeni di devianza . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3. Strato di appartenenza di esseni, sadducei e farisei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Movimenti e singole figure profetico-carismatiche in epoca erodiano-romana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. 1. Taumaturghi e profeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2. Movimenti di protesta profetico-carismatici («profeti oracolari») . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3. Giovanni il Battista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �- Movimenti di resistenza religioso-politici e social-rivoluzionari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. 1 . Resistenza non violenta e protesta di massa 5.2. Varietà dei movimenti di resistenza e di rivolta religioso-politici e social-rivoluzionari 5.3. Banditismo sociale e pretendenti (messianici) al regno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4. Gruppi insurrezionali anti-romani . . . . . . . . . . . . 3. 1.

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258 259 261

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305

I N EPOCA NEO-TESTA MENTARIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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319

l.

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326

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326

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333 362

Capitolo settimo SEGUACI DI GESÙ

J

IN TERRA DI

ISRAELE

Origini dei seguaci di Gesù in terra di Israele Modelli interpretativi desunti dalla sociologia delle religioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Gli inizi dei seguaci di Gesù in terra di Israele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le comunità di Dio in Giudea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Continuità e trasformazione del carisma dopo la morte di Gesù . . . . . . . . . . 2. 2. Apostoli 2. 3. Spersonalizzazione del carisma . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 4. Istituzionalizzazione del carisma . . . . . . . . . . . . . . 2.5. La situazione socio-economica della « Ekklesia» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.

2.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

))

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362 364 365 366 370

772

Storia sociale del cristianesimo primitivo

2.6. Crescente devianza e attività missionaria

nel giudaismo della diaspora . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .

>>

372

. . • • . • . . . • • . • • • . . • . . . • . . . . . • • . . . . . • • .• . . • . . • . • . • • . •

»

375

Le fonti neo-testamentarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

>>

379

Capitolo ottavo COMUNITÀ MESSIANICHE IN TERRA DI ISRAELE DOPO

l.

IL 70

1.1. 1.2.

2.

.

Vangelo di Matteo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . .. . . Vangelo di Giovanni . . . . . . . . . . . . . . .. . .. . . . . . . . . . . .

.

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.

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Composizione sociale delle comunità messianiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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La comunità matteana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La comunità giovannea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

))

2. 1. 2.2.

3.

D.C

smo in Israele dopo il 70 d.C. Considerazioni di 3.1 . l 3.2.

conflitti riconoscibili dalle fonti . . . . . . . . . . . . . Risultati e interpretazioni sociologiche . . . . . .

Parte terza STORIA SOCIALE DELLE COMUNITÀ CRI­ STIANE NELLE CITIÀ DELL'IMPERO ROMANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2. 3. 4.

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394 394

))

406

))

419

»

421 422 425

Differenze sociologiche fra le comunità credenti in Cristo e i seguaci di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

.

L'autonomia delle comun ità crede nti in Cristo La formazione delle comunità credenti

in

Cristo

Il problema della comunità sociale di ebrei e non ebrei.

. . . . .

..

...... . .. .. . 70 d.C . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . .

. . .

. .

. . .

. . . . . . .

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6.

Sguardo sommario sul giudaismo della diaspora 6. 1. 6.3.

Consistenza numerica e situazione sociale «timorati di Dio» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Influenza politica locale dei «timorati di Dio» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le sinagoghe: nome e funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . Condizione giuridica e privilegi . . . . . . . . . . . . . . . .

.

6.4. 6.5.

»

.

Ulteriore sviluppo dopo il

6.2. l

»

.

5.

j .

387 387 389

Conflitti fra le comunità messianiche e giudai­ fondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.

>>

379 383

.

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427 428 428 429 431 433 434 435

ln dice

773

generale

6.6. 6. 7.

Costituzione: «politeuma» e «collegium» . . . Forma organizzati va . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

)) ))

436 438

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441

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441 441

Capitolo nono LE COMUNITÀ NOZIONE E

l.

CRISTO: TRAITI FONDAMENTALI. CREDENTI IN

• • • • • . • • • • • • • • • • • • • . . . . . . .

Sul termine «ekklesia» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . «

Ekklesia)> come

riunione effettiva . . . . . . . . . . . « Ekklesia» conze comunità .......... .... . . 1 . 2. 2. Ambiente urbano e relazioni sociali . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Ambiente urbano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Illimitate relazioni sociali di ebrei e pagani nelle comunità credenti in Cristo . . . . . . . . . . . 3. An ti che analogie delle comunità credenti in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 1. L 'assemblea credenti in Cristo 1' . e l'assemblea popolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2. L '« Ekklesia» come comunità: casa e famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 3. « Ek klesia» e antiche associazioni . . . . . . . . . . . . . 4. Collocazione sociologica della «Ekklesia»

)) ))

nel contesto delle antiche analogie . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.1.

. .

.

.

. .

.

. .

.

. . .

. .

. .

.

.

.

.

4. 1.

4.2.

. .

. . .

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. .

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466 472

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485

.

. .

Moderna collocazione sociologica della « Ekklesia» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Religione «incastonata nella società» . . . . . . . . . L '« Ekklesia» come fittizia istituzione politica e fittizio gruppo parentale . . . . . . . . . . . . . . .

4.3.

. .

. .

445 446 446

.

. .

.

.

.

.

. . .

. . . .

Capitolo decimo COMPOSIZIONE SOCIALE DELLE COMUNITÀ CREDENTI IN CRISTO

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l.

Sullo stato della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2.

Composizione sociale delle comunità paoline .



2. 1. 2.2.

Le comunità paoline in generale . . . La condizione sociale di Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. .

. . .

»

491 492 500

774 3.

Storia sociale del cristianesimo primitivo Composizione sociale delle comunità credenti in Cristo urbane dopo il

»

3. 1 .

>>

3.2.

70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . :. . . . . . . . Gruppi dello strato inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gruppi dello strato superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Capitolo undicesimo CONFLITII ESTERNI DEI CREDENTI I N C R I STO CON IL PAGANESIMO E IL GIUDAISMO DELLA DIASPORA l.

>>

Discriminazione e criminalizzazione: conflitti sociali e penali con il paganesimo

>>

1.1.

>>

1�2.

2.

»

.. . . . I vari conflitti forensi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Motivazioni e retroscena della criminalizzazione dei credenti in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conflitti con la popolazione pagana . . . . . . . . .

»

1 . 3. Presa di distanza de l giudaismo della di aspora dalle com unità creden ti in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

Descrizione di alcuni conflitti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Risultati e interpretazione sociologica dei conflitti giudeo-«cristiani» . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

2. 1. 2.2.

.

Parte quarta RUOLI E COND IZIONE SOCIALE DELLE DONNE NEL MONDO MEDITERRANEO E NEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

511 511 517

531 531 533 54 5 560 570 579

»

592

»

605

>>

61 1

Capitolo dodicesimo DONNE NELLE ANTICHE SOCIETÀ MEDITERRANEE: SFERE SESSUALMENTE SPECIFICATE E STRATO SOCIALE DI LE

APPARTENENZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l.

Vita pubblica, governo della casa e «naturale>> separazione dei sessi . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1.1. 1.2. 1 . 3.

2.

Donne e politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Donne e vita pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Governo della casa e distinzione dei ruoli in base al sesso . . . . .

>>

61 1 612 619

>>

624

>> >>

Strato di appartenenza e situazione sociale delle donne

2. 1. 2.2.

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Donne dello strato superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Strato inferiore e lavoro femminile . . . . . � . . .

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Indice generale

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Capitolo tredicesimo LE DONNE FRA I SEGUACI DI GESÙ IN TERRA DI ISRAELE h

2.

· Le donne nel movimento di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1. Affermazioni dirette sulle donne nel movimento di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 .2. Affermazioni indirette sulle donne nel movimento di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. Relazioni di Gesù con le donne e delle donne con Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le donne e il seguito di Gesù in terra di Israele 2. 1 . Le donne nelle comunità primitive secondo gli A tti degli Apostoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Informazioni sulle donne nei Vangeli di Matteo e di Giovanni . . . . . . . .

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BIBLIOGRAFIA .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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INDICI

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Capitolo quattordicesimo LE DONNE N ELLE COMUNITÀ URBANE DEI CREDENTI IN CRISTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l.

L'appartenenza delle donne alla «Ekklesia» . . . 2. Strato sociale di appartenenza delle donne credenti in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La partecipazione femminile alla vita comunitaria della «Ekklesia» . . . . . . . . . . . . 3. 1 . La partecipazione delle donne alle funzioni e ai ruoli della « Ekklesia» . . . 3.2. Limiti posti alla partecipazione delle donne alle funzioni e ai ruoli della « Ekklesia» . . .

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INDICE DEGLI AUTORI . . . .

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INDICE DEI PASSI BIBLICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .