Storia, gioia 8845931366, 9788845931369

Gli scritti di Severino indicano un senso della "storia" profondamente diverso da quello presente nelle varie

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Storia, gioia
 8845931366, 9788845931369

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Gli scritti di Severino indicano un senso della «Storia• profondamente diveno da quello presente nelle varie forme di cul­ tura: nel suo significato più radicale la sto­ ria è l'infinito e sempre più ampio appari­ re degli etemi in ognuno dei «cerchi del­ l' apparire del destino della verità•. Ogni cerchio è l'essenza di ciò che chiamiamo «un uomo». Gli eterni, quindi, non sono m gestae. Che esistano res pstae- cose che son fatte esistere e che escono poi dall'esi­ stenza- è la «follia estrema•. Solo gli eter­ ni hanno Storia, solo essi possono «mori­ re• e rimanere eterni: la loro Storia pro­ segue all'infinito anche dopo la Imo mor­ te. La totalità infinita degli eterni è la Gioia, la Pianura che dà spazio all'infini­ to, e sempre più ampio, apparire degli eterni nella «costellazione» dei cerchi.

Di Emanuele Severino (Brescia, 1929) Ad.el­ phi ha pubblicato, a partire da Destino della ne­ eessitt.ì nel1980, tutte le più importanti opere filosofiche, seguendo le tappe del suo pensie­ ro. Gli ultimi titoli apparsi sono Intorno al senso del nulla (201!) eDike(2015).

«Nella terra isolata, il mito, la ragione filo­ sofica, la tecnica tentano di vincere la mor­ te. Le attuali capacità della tecnica con­ sentono di prendere in considerazione la possibilità che la tecnica riesca non solo ad allontanare la morte, ma a impedirne il sopraggiungere sia attraverso una rico­ struzione biopsichica dell'esser uomo, che Io renda certo del suo averla vinta, sia fa­ cendogliela dimenticare e coordinando la configurazione del mondo a questo oblio. Ma sia quella certezza, sia la certezza in cui tale oblio consiste sono fedi, quindi dub­ bio. E il dubbio trapela comunque, giac­ ché ogni barriera con cui la tecnica può isolare quelle certezze dal dubbio si tradu­ ce pursempre in una fede e quindi nel dub­ bio che la accompagna. La certezza, la fe­ de dì aver vinto la morte è il dubbio di non averla vinta. E quanto si sta dicendo della fede tecnica di aver vinto la morte va detto di ogni fede di avere strappato alla morte il suo pungiglione. Ma questo va detto al­ tresì di ogni certezza di dover morire, la quale maturi all'interno della terra isola­ ta: anche questa certezza è una fede e il dubbio che la accompagna è la ragione per la quale nel fondo dell'uomo restano accese, luci più o meno fioche, "cieche spe­ ranze" di poter evitare la morte».

BIBLIOTECA FILOSOFICA

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DELLO STESSO AUTORE:

Destino della necessità Dike Essenza del nichilismo Fondamento della contraddizione Heidegger e la metafisica flgiogo

n parricidio mancato Intorno al senso del nulla L 'anello del ritorno L 'intima mano La Gloria La morte e la terra La struttura originaria

La tendenzafondamentale del nostro tempo Legge e caso Oltre il linguaggio Oltrepassare Studi di filosofia della prassi Tautotis

Emanuele Severino

STORIA, GIOIA

ADELPHI EDIZIONI

© 2016 ADELPHI EDIZIONI

S.P.A. MILANO

WWW.ADELPHI.IT ISBN

978-88-459-313&-9

Anno 2019

Edizione 2018

2017

2016

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INDICE

Avvertenza

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PARTE PRIMA Sulla Storia I. Per introdurre Il. Storia autentica e inautentica del mortale III. Dallo sfondo alle epoche della terra isolata N. Oltre la dominazione della tecnica e altre fonne della storia del mortale V. Postilla intorno all'esser convinti di ciò che non è VI. Sulla relazione tra fondamento della contraddizione e unità di fede e dubbio, e sulle forme della contraddizione

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PARTE SECONDA Verticalità, Gioia, tracce I. Ripresa: il cammino e la Gioia II. Identità dello sfondo e differenza delle destinazioni

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III. Verticalità e 'venerdì santo'. Cerchi del dolore e della Gioia IV. Pareggiamento V. Configurazioni delle tracce VI. Essere, persintassi, iposintassi VII. Senso concreto originario dell'esser sé ed eternità dell'essente

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opere di Emanuele Severino citate

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STORIA, GIOIA

AVVERTENZA

Tra le due parole del titolo compare una virgola: la congiunzione potrebbe far pensare alla semplice con­ trapposizione di storia e gioia. Il loro senso autentico è invece essenzialmente diverso da quello ovunque con­ diviso. La storia, si pensa, è res gestae. Ma il gesto ha un inizio e una fine. E invece solo gli eterni hanno Storia. Che non ha termine nemmeno con la loro morte. Solo essi possono morire. Anzi, è con la morte degli eterni che all'interno della loro Storia va mostrandosi la Gioia. La Storia non è soltanto il comparire e scomparire degli eterni: è l'ordine di questa vicenda. Non una semplice contrapposizione dei due termini, diciamo; e tuttavia essa non è nemmeno assente: prece­ de la morte e con la morte ha compimento - sebbene anche prima della morte, anche nella non verità, quella dei mortali sia Storia degli eterni. La Storia precede quindi e segue la morte. E appare all'interno della Gioia della totalità degli eterni: all' in­ terno dell' Infinito che va mostrandosi nella Storia e, inesauribile, ne rende possibile l'infinito dispiegarsi. Rispetto ai miei scritti pubblicati, le pagine che se-

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Avvertenza

guono compiono alcuni passi avanti - anche approfon­ dendo le implicazioni a cui si è accennato. Il fondo del­ l'approfondire, come della Storia, è la Gioia. Ciò che si dispiega verso il fondo è, in ogni uomo, l'essenza del­ l' esser uomo: il destino della verità. E.S. Estate 2016

PARTE PRIMA S ULLA STORIA

I PER INTRODURRE

l Secondo le varie forme del sapere storico-scientifico esiste una storia dell'uomo e, ben più vasta, una storia dell'universo. Ne sono convinti anche i grandi miti del passato o tuttora viventi, che parlano di teogonie, co­ smogonie, antropogonie, metamorfosi. Anche il sapere filosofico ne è convinto; anche il senso comune e le sue diverse configurazioni. E in molti di questi saperi è pre­ sente la convinzione di essere essi stessi il risultato di un processo storico. Varia, certo, il modo in cui la storia è narrata. Ad esempio, a differenza di quanto ritengono le sapienze del passato, nel nostro tempo è divenuta do­ minante la convinzione che la storia del mondo non abbia un senso unitario, o che l'uomo non possa cono­ scerlo. Essa si esprime, tra l'altro, anche nel carattere che il sapere scientifico ha ormai assunto- cioè quello della specializzazione - e nella connessa probabilità che ogni tentativo di costruire una teoria fisica del tutto» (il tentativo, appunto, di scorgere il senso unitario del­ l'universo) vada incontro al fallimento. Al di là delle loro differenze, però, tutte le n arrazi oni della storia dell'universo e dell'uomo riconoscono che >, bensì ipotesi, tale convinzione non trat­ ta come ipotesi l'esistenza della storia dell'universo e del­ l'uomo. Riconosce sì che le proprie interpretazioni del­ la configurazione dei diversi eventi storici sono ipotesi, ma non è disposta a riconoscere che l ' esistenza della sto­ ria sia il contenuto di un 'ipotesi. Questa incoerenza, troppo vistosa per non essere notata dalla cultura che la produce, è un sintomo di grande rilievo. Il sintomo che trapela dal sottosuolo di tale cultura. Si può anche dire che, dato il modo in cui per lo più si presenta nel nostro tempo, il rifiuto della « Verità >> oscilla tra l'essere una ennesima forma di scetticismo ingenuo (dove tale rifiuto, a sua volta, non può essere che un'ipotesi, e dunque, da ultimo, una volontà, una decisione di voltare le spalle alla « Verità » ) e l' essere il riconoscimento del proprio carattere ipotetico - dove però entrambi questi modi di rifiuto continuano a dare per scontata l'innegabilità dell'esistenza della storia. Infatti, nelproprio sottosuolo, questo rifiuto è una conse­ guenza inevitabile del gesto grandioso e inaudito con cui si apre la storia dell' Occidente: la filosofia. Tra i molti scritti in cui considero questa inevitabile conseguenza,

I. Per introdurre

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La tendenzafondamentale del nostro tempo e L 'anello del ritor­

no; Il nuUa e la poesia, Cosa arcana e stupenda, Capitalismo senza futuro; Introduzione a Giovanni Gentile, L 'attuali­ smo. Leopardi, Nietzsche e Gentile: i più grandi abitatori del sottosuolo della filosofia degli ultimi due secoli - cioè del sottosuolo essenzialmente filosofico del nostro tempo.

2 La filosofia evoca per la prima volta il senso dell'asso­ lutamente incontrovertibile, e intende la « Verità » come l'assolutamente incontrovertibile; e tuttavia il rifiuto del­ la > che non sia la storicità dell'esistenza è inevitabile. Ma la convin­ zione che un qualsiasi (( esistente >> ( qualsisia il suo modo di esistere) abbia carattere storico non solo è una sem­ plice fede, ma è la Follia estrema (secondo l'espressione che compare nei miei scritti) ; sì che l'inevitabilità di quel rifiuto viene a cadere e la Non-Follia può presentar­ si come l'autentica verità assolutamente incontroverti­ bile che implica con necessità l'eternità di ogni essente (e un insieme infinito di altre determinazioni) . Se (( esi­ stenza » significa il venir fuori da altro, e da nulla, allora nessun (( esistente » è (ogni (( esistente » è nulla) , e tutto ciò che è (ogni essente) è eterno. La Non-Follia è il destino della verità. I suoi tratti vengo­ no richiamati nel capitolo I (parr. 2 sgg. ) della Parte Se­ conda, la lettura del quale dev'essere qui anticipata. Il "•

"•

I. Per introdurre

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destino è l'apparire dell'esser sé dell'essente in quanto essente - di ogni essente - e del suo non esser l'altro da sé: l'apparire di ciò la cui negazione è autonegazione. Sulla base di tale anticipazione si aggiunga che nel destino appare anche la convinzione che esista qualcosa come > assoluta. Il destino rende possibile l'isolamento della terra dal destino stesso: tale isolamento può essere soltanto se il suo essere appare nel destino; ma stando all' interno della terra isolata il destino non può apparire. E nella notte della terra isolata si svolge l'intera storia dei mor­ tali. Sin dall'inizio l'uomo, anche quando non se ne ren­ de conto, crede di essere un mortale: poiché crede che il variare della terra, a cui sente di appartenere, sia il diventar altro e da altro, crede nella morte delle cose e

I. Per introdurre

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di sé stesso - il diventar altro essendo il continuo mori­ re di ciò che diventa altro, sino a quel suo ultimo diven­ tar altro che chiude il processo di tale diventare. Esiste dunque una duplice storia della terra: quella inautentica che appare stando all'interno della Follia della terra isolata, e quella autentica che appare nella Non-Follia del destino e che è la storia autentica della terra isolata e della terra non isolata che sopraggiunge col tramonto dell'isolamento. Quanto alla terra isolata, il senso autentico che al di là della Follia, nel destino, compete alla storia comprende anche i nessi tra i conte­ nuti della Follia, che non possono apparire nella storia che appare nella Follia (la storia della Follia) . Nel desti­ no appare che cos'è in verità la Follia. In Oltrepassare (cap. X, parr. II-III) ho considerato la struttura essenziale della storia della terra isolata in quanto appare nel destino; e in una serie di altri scritti (da La tendenzafondamentale del nostro tempo a Capitalismo senzafuturo ) la struttura essenziale della storia della ter­ ra isolata in quanto appare nella Follia. L'intento centrale di questa Parte Prima è considera­ re il rapporto tra queste due strutture mettendo in risalto le sue linee di fondo e dandogli così lo spicco che sino­ ra non ha avuto. Il fondamento specifico di tale rappor­ to sono le tematiche di La morte e la terra (alle quali qui si rimanda) e propriamente i capitoli VII-VIII di questo scritto. I paragrafi VI-VII del capitolo VIII sono intitola­ ti, rispettivamente, « La storia del mortale » e (( La forma fondamentale della storia dei mortali >> .

II STORIA AUTENTICA E INAUTENTICA DEL MORTALE

l A parte ciò che vi si dice del destino, tutti i contenuti indicati nel capitolo I appartengono alla terra isolata: è in essa che appaiono. Che cioè esistano le varie forme di sapere nelle quali si afferma l'esistenza della storia dell'uomo e dell'universo; che esistano le sapienze del passato e del presente, il mito, la filosofia, la scienza, il senso comune, e qualcosa come Europa e Occidente, ed evocazione filosofica della « Verità �� e rifiuto della (( Verità �� e sottosuolo di questo rifiuto e le molte volon­ tà di trasformare le cose con la convinzione che esse, alcune o tutte, siano per sé stesse ciò che diventa altro, eccetera: tutto questo appare nella terra isolata. Essa esiste solo in quanto appare nel destino, ma è essa a mostrare tutti questi contenuti. D'altra parte, se Hegel ritiene che il sapere assoluto si produca come risultato della fenomenologia del sapere non assoluto, è invece l'autentico sapere assoluto, il destino, a essere il luogo originat:i o in cui è e appare la Follia del sapere non as­ soluto. E impossibile che il destino della verità sia il ri­ sultato del procedere nella non verità. Infiniti i contenuti della storia della terra isolata, e

II. Storia autentica e inautentica

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una moltitudine di prospettive li interpreta. Tuttavia ognuna di esse non solo afferma la storicità delle cose ­ cioè che esse, alcune o tutte, sono un diventar altro e da altro -, ma in relazione alla storia dell'uomo riconosce l'esistenza di un'epoca del mito, di un'epoca dove il punto di riferimento che prevale è la ragione critica (in­ nanzitutto filosofica) , di un 'epoca in cui la forma domi­ nante della ragione critica è la tecncrscienza (il tempo della tecnica) . Il riconoscimento generale dell'esistenza di queste tre epoche è pertanto un nucleo attorno al quale si raccolgono tutte le sfumature e la complessità che la cultura, specie quella dell'Occidente, ha portato alla luce intorno alla storia dell'uomo. (E l'esistenza di tale riconoscimento è a sua volta un contenuto che ap­ pare all'interno della terra isolata) . Nelle varie interpre­ tazioni della storia dell'uomo si possono porre nuclei diversi da quello che abbiamo indicato (ad esempio quelli costituiti dalle diverse forme di lavorazione della pietra, dei metalli e della materia in genere) , ma di esso non negano l 'esistenza (così come esso non nega che all 'interno dell'epoca del mito si siano sviluppate, ad esempio, quelle forme di lavorazione) . Tra le varie interpretazioni della storia dell'uomo si trovano anche quelle per le quali non può esistere un senso unitario della storia. È, questa, una conseguenza del rifiuto della « Verità » della tradizione occidentale (cfr. cap. I, parr. 2-3) , giacché il senso unitario della stcr ria pretende di valere come una siffatta « Verità » . Ma in quanto il destino mostra la Follia della fede nel diventar altro ( loc. cit. ) , mostra insieme la Follia di quell' aspetto di tale fede che è costituito dal rifiuto di un senso unita­ rio della storia dell' uomo ( dell' esistenza della quale non si dubita) . Ossia tale rifiuto smentisce sé stesso per­ ché è fondato sulla fede nella storicità di ogni cosa (cioè sulla fede nell'esistenza del diventar altro, che implica l 'inesistenza di ogni « Verità >> definitiva e di ogni eterni­ tà) , e quindi, al di là delle sue intenzioni, ha la pretesa

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Sulla Storia

di esibire non solo il senso unitario della storia dell'uo­ mo, ma il senso unitario della totalità dell'esistente. (A proposito della negazione di un senso unitario della totalità dell'esistente, essa afferma che l' esistenza non ha un senso unitario. Se si ritiene che dicendo que­ sto si afferma che il termine « esistenza >> ha molti signi­ ficati, si ritiene che il termine « significato >> non abbia molti significati - giacché nell'espressione « molti signifi­ cati >> il termine « significato >> , per quanto usato al plu­ rale, non può avere molti significati. Ma il significato non è un nulla: è l' esistente. Cioè la convinzione che l'esistenza abbia molti significati è costretta a essere, insieme, la convinzione che l' esistenza non ha molti significati. Per lo meno questo non averli entra a costi­ tuire il senso unitario del mondo. Si aggiunga che la negazione di un senso unitario dell'esistente è ricondu­ cibile alla negazione dell 'esistenza di una unità delle differenze, la quale negazione non può non riconosce­ re che ogni differenza ha di identico, con ogni altra, l'essere una differenza; e, analogamente, la negazione di un senso unitario dell'esistente si riferisce a ogni di­ verso senso dell ' esistente, sì che ognuno è identico a ogni altro nell'essere un diverso senso, e questa identità è appunto il senso unitario di ogni diverso senso. Ma va detto anche che l'impossibilità che la negazione di un'u­ nità delle differenze - e pertanto l'impossibilità della negazione di un senso unitario del Tutto - sia afferma­ zione di tale unità è un' autentica impossibilità solo in quanto, nello sguardo del destino, essa è un modo di essere dell' impossibilità che l'essente in quanto essente sia altro da sé) . Il rapporto tra le due strutture di cui si parla al termine del capitolo precedente - struttura essenziale della sto­ ria della terra isolata in quanto appare nel destino e struttura essenziale della storia della terra isolata in quanto appare nella Follia - è innanzi tutto il rapporto tra il modo in cui le tre epoche di cui si è detto apparten-

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Il. Stana autentica e inautentica

gono alla terra isolata in quanto essa appare nel destino - storia autentica del mortale - e il modo in cui tali epo­ che appaiono nella terra isolata - storia inautentica del mortale.

2 L'autenticità della storia del mortale non è data dal materiale storico che appare nella terra isolata ( età del mito, della ragione critica, della tecno-scienza) , ma dai nessi che competono a tale materiale in quanto esso appare nel destino. L'esistenza del materiale è il conte­ nuto della fede in cui consiste l'isolamento della terra, ma questo contenuto è l'immensità dell'universo. E infatti in grado di includere ogni altro materiale portato alla luce dalle altre interpretazioni della storia. (La fede porta con sé e offre questa immensità, così come nella vita comune certi sogni possono portare con sé e offrire un 'immensità di contenuti che la veglia è ben lontana dal possedere. La Follia è ricca) . Ma ai nessi tra i conte­ nuti del materiale storico che appaiono nel destino compete l'assoluta necessità che solo nel destino può es­ sere e apparire: essa è il destino (ed è abissalmente altro da ogni senso che alla necessità venga assegnato all'in­ terno della terra isolata) . L'inautenticità della storia del mortale è data dall'as­ senza di tale necessità. Anche questa forma di storia sta­ bilisce dei nessi ( tra mito, ragione critica, tecno-scien­ za) , che però sono probabili, ipotetici, quindi, alla fine, contenuti della fede, della volontà. Tuttavia tra questi nessi vi sono i più coerenti, all' interno della terra isolata, alla fede nel diventar altro. Che esista questa maggiore coerenza appare all'interno della terra isolata; e appare anche nel destino; tuttavia, in quanto appare nella terra isolata, tale coerenza non possiede la necessità che ad '

Sulla Storia

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essa compete in quanto appare nel destino: sono due coerenze essenzialmente diverse. Le altre interpretazioni della storia del mortale nega­ no certamente che all'interno della terra isolata quei nessi siano i più coerenti alla fede nel diventar altro. Ma qui non si tratta tanto di confrontarsi con le altre inter­ pretazioni di fatto esistenti, ma innanzitutto di portare alla luce la potenza concettuale che compete all'essenza dell'isolamento della terra e che di fatto non si è ancora manifestata o che ancora si trattiene in ciò che abbiamo chiamato sottosuolo » filosofico del nostro tempo. Ap­ punto in questa direzione si muove il gruppo di scritti, da La tendenza fondamentale del nostro tempo a Capitalismo senzafuturo, citati alla fine del capitolo precedente. «

3 Che ai nessi tra i contenuti del materiale storico che appaiono nel destino competa l'assoluta necessità del destino significa che tale necessità appare nel cerchio ori­ ginario del destino, ossia nel destino in quanto apparire della convinzione che esista qualcosa come > presuppone una volontà che sia libera di obbedire o di­ sobbedire all'imperativo (e che quindi ha un potere li­ mitato) ; e anche se quel (( tu puoi >> nega il (( tu devi >>, il (( tu puoi >> (pur essendo un potere illimitato) si fonda sullo stesso presupposto. Rivolgendosi a sé stessa, la tec­ nica è la forma più rigorosa della negazione del (( tu de­ vi >> della tradizione epistemica: nella misura in cui la tec­ nica sente e capisce (e incorpora) la voce del sottosuolo

IV. Oltre la dominazione della tecnica. . .

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e l'inevitabilità dell'inesistenza di ogni Limite additato dal « tu devi ��. La tecnica è la forma più rigorosa, all 'in­ temo dell'errare della terra isolata, del « tu puoi fare ciò che vuoi, perché non esiste alcun Limite al tuo volere ». Ma il « dovere �� e il > ( ho ara mi òn doxazon oudèn doxazei ) , e « chi è convinto del nulla è, in ogni senso, un non esser convinto >> ( hO ghe midèn doxaz6n tò parapan oudè doxazei ) . Dunque l' esser convin­ ti del falso non può essere l'esser convinti « del non en­ te >> ( tò mi òn doxazein ) , ossia di ciò che non è, sia che quest'ultimo « venga riferito agli enti >> (peri tOn 6nron ) a proposito dei quali si è convinti del falso, sia che ciò che

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Sulla Storia

non è venga considerato in sé e per sé )) ( autò kath 'hau­ to ) ( 1 89 a-b) . Che il « non ente )) venga riferito agli enti significa che è in relazione agli enti che l'esser convinti del falso attribuisce loro il non ente, ossia ciò che essi non sono. D'altra parte, questa distinzione del Teeteto tra il « non ente )) in quanto « riferito agli enti )) e il non ente « in sé e per sé )) anticipa in qualche modo la distinzione, a cui perviene il Sofista, tra il « non ente )) in quanto « diver­ so )) ( héteron) dali ' « ente )) (ossia il « non ente )) di cui si può ed è necessario affermare che a sua volta è) e il « non ente )) in quanto « contrario )) ( enantion ) dell' « en­ te )) , ossia il non ente come nulla assoluto ( tò medam8s on) . La distinzione del Teeteto anticipa in qualche modo la distinzione a cui perviene il Sofista non nel senso che in questa distinzione Platone veda la soluzione dell'apo­ ria, come accadrà nel Sofista, ma nel senso che tale di­ stinzione viene portata alla luce. Poiché nel Teeteto Pla­ tone non ritiene ancora che il fondamento della solu­ zione dell'aporia sia la distinzione tra il non ente come héteron e come enantion, il non ente compare in questo dialogo soltanto col significato assoluto assegnatogli da Parmenide; sì che se l'esser convinti del falso è l'esser convinti di ciò che assolutamente non è (ossia è un non esser convinti) , allora, come abbiamo richiamato, l'es­ ser convinti del falso risulta impossibile. Nel Sofista, il « parricidio )) ' compiuto dallo Straniero eleate introducendo la distinzione tra héteron e enantion (nella quale appare come non sia contraddittorio affer­ mare che il non ente come héteron sia) , intende perveni­ re a un duplice risultato: mostrare che la molteplicità degli enti non è impossibile (come invece Pannenide, secondo Platone, ritiene ) ; e su questo fondamento mo­ strare in che modo non risulta più contraddittorio (con­ trariamente a quanto si sostiene nel Teeteto ) nemmeno affermare che l'esser convinti del falso è l'esser convinti di ciò che non è. La molteplicità degli enti non è impos> non sia in sé stessa una contraddizione.

5 Il Sofista prepara la casa dell'Occidente e ormai del Pianeta - la casa dell'essenza autentica del nichilismo. Ma qui si intende accennare ad altro, ossia a quell'altra forma di (( turbamento » , richiamata all'inizio di questa Postilla, che però questa volta, non prendendo il Socra­ te del Teeteto, dovrebbe prendere lo Straniero eleate. Il quale però nel Sofista non mostra di avvedersene, giac­ ché egli pensa di aver dissolto il turbamento di Socrate. Ma in relazione al problema delle condizioni che ren­ dono possibile l'esser convinti del falso, evitando così che ogni pensiero sia vero, si illude. E come è lo Stranie­ ro a indicare al Socrate del Teeteto la via per liberarsi dal turbamento, ora è questo Socrate a poter mostrare che anche lo Straniero ha di che turbarsi, perché anche la via da lui indicata è impercorribile - impercorribile per lo stesso motivo per il quale Socrate aveva dovuto ri­ nunciare a definire l'esser convinti del falso come l'es­ ser convinti del non ente. Infatti, se in chi è convinto che Teeteto vola appare soltanto Teeteto che vola, allora costui non è convinto del falso, ma constata qualcosa di insolito che tuttavia

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V. Postilla

appare e pertanto è. E se in costui apparisse soltanto Teeteto seduto, egli non potrebbe esser convinto che Teeteto vola. Per esser convinto del falso è necessario che in lui appaia sia Teeteto seduto sia Teeteto che vola (cfr. Teeteto, 1 90 d) , ossia è necessario che in lui appaia Teeteto seduto e che egli sia convinto che Teeteto vola. Sennonché, in questo modo, egli è convinto che Teete­ to seduto è Teeteto che vola. Ma questa convinzione identifica i diversi. Ha cioè la stessa essenza della convinzione, appunto considerata nel Teeteto, che l'uno sia il due, il bue sia il cavallo , il pari sia il dispari. È cioè anch'essa una negazione di quella dimen­ sione della bebaiotate archi che il So.fista, come l'intera filosofia di Platone, non ha ceno l'intenzione di negare. Questa identità di Teeteto seduto e di Teeteto che vola, infatti, non è il rapporto tra un ente e un non ente che è héteron rispetto a esso, ossia è a sua volta ente, diverso dal primo, ma è il non ente come enantion dell'ente, ossia come assolutamente nulla - quell'assolutamente nulla che, lungi dall'esser lasciato da pane, continua peraltro a esser coinvolto nella definizione che colloca l' ane del sofista nel genere d eli' arte produttiva ,. (poietichi téchm) , ossia della potenza ,. ( djnamis ) per la quale gli enti che prima non sono poi sono ( tois mè pr6tnrm oU.sin hjsteron gignesthai, So.fista, 265 b) ; dove questo loro non essere (e il non essere che loro compete quando non so-­ no più) - che è l'essenza del senso del divenire che i Gre­ ci portano alla luce una volta per tutte nella storia del­ l'Occidente, e ormai del Pianeta - è il nulla assoluto, es­ sendo necessario, perché vi sia divenire in questo senso, che qualcosa dell'ente che ancora non è (o ormai non è più) sia (o sia stato) nulla, assolutamente nulla Le sapienze dell'Occidente (quelle dell' Oriente so­ no la loro preistoria) non possono risolvere l'aporia del nulla assoluto che anche Platone ha dovuto lasciare ir­ risolta. (Anche il tentativo del neopositivismo di risol­ verla affermando che il termine « nulla ,. non ha alcun •



••

,.

Sulla Staria

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significato dissolve sé stesso, perché il non aver alcun significato è un sinonimo, ossia ha lo stesso significato, del termine « nulla ) Non possono risolverla perché crescono all'interno della non verità dell'essenza del ni­ chilismo, cioè della fede nell'esistenza di enti che pri­ ma non sono e poi sono, la quale nel proprio inconscio crede che l'ente in quanto ente sia nulla. Non potendo risolverla, quelle sapienze si trovano nella situazione di non poter indicare il fondamento che rende possibile l'esser convinti di ciò che non è; giacché l'errore, in quanto contenuto di tale convinzio­ ne, non può essere che il nulla assoluto. Si trovano quin­ di nella situazione di non poter escludere, come lo stes­ so Platone avverte, che ogni convinzione sia vera (con i paradossi che ne discendono) . è l'apparire degli eterni che sopraggiungono nei cerchi del destino quan­ do la volontà, avendo voluto in un certo modo, estre-

VI. Fondamen to della contraddizione e fede e dubbio

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mamente complesso, crede di ottenere ciò che ha volu­ to. E questo credere di ottenere esiste solo se esiste il ri­ conoscimento intersoggettivo dell'esistenza di quell'a­ ver ottenuto - dove l'esistenza di tale riconoscimento è essa stessa il contenuto di un credere, di un interpreta­ re. L'esistenza della volontà e del riconoscimento inter­ soggettivo di ciò che essa vuole e ottiene sono tutti con­ tenuti della terra isolata. Che la volontà abbia potenza è quindi esso stesso un che di voluto, di creduto (cfr. Leg­ ge e caso ) . La potenza della volontà è cioè il contenuto di un sogno dal quale i mortali non possono risvegliarsi sino al tramonto della terra isolata e pertanto di essi stessi - il tramonto che accade all'interno dell'essenza dell'uomo - all'interno del cerchio del destino in cui l'essenza di ogni uomo consiste.

3 Se per 'fondamento' si intende ciò senza di cui è im­ possibile che un essente sia, allora il fondamento di ogni essente è ogni altro essente, e pertanto è la totalità degli essenti (giacché alla dimensione di ciò senza di cui è impossibile che un essente sia appartiene questo stesso essente) . Anche il 'fondato' è cioè 'fondamento' del proprio 'fondamento ' . Ma questo è il significato 'generico' (trascendentale) del 'fondamento ' . Tale si­ gnificato è la negazione della contraddizione ( 'generi­ ca' , trascendentale) che compete all'affermazione che un qualsiasi essente (un qualsiasi eterno) sia senza che un altro qualsiasi essente sia: il non essere di quest'altro essente è infatti l' impossibile. Quindi la negazione del­ la contraddizione 'generica' riguarda anche il rapporto tra negazione della contraddizione e contraddizione, e tra fede e dubbio, nel senso che come la negazione del­ la contraddizione è 'fondamento' (nel senso indicato)

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Sulla Storia

dell'esistenza della contraddizione, così tale esistenza è 'fondamento' del suo esser negata (nel senso, appun­ to, che se la contraddizione non esistesse non potrebbe nemmeno esser negata) ; e come il dubbio è 'fonda­ mento' della fede, così la fede è 'fondamento' del dub­ bio (nel senso, anche qui, che se la fede non esistesse non se ne potrebbe dubitare) . La prima parte del titolo del presente capitolo e il rela­ tivo sviluppo si riferiscono invece al fondamento specifico dell'esistenza di quei certi essenti che sono la contrad­ dizione e la fede - ossia al fondamento specifico che è, rispettivamente, la negazione della contraddizione e il dubbio. Il fondamento specifico è la negazione della contraddizione ulteriore (rispetto a quella 'generica' ) che, come si è prima richiamato, compete alla negazio­ ne, da un lato, che la negazione della contraddizione sia il fondamento dell'esistenza della contraddizione e, dall'altro lato, che il dubbio sia il fondamento dell'esi­ stenza della fede. La negazione della contraddizione ulteriore include quindi la negazione della contraddizione generica: sia nel senso che lo 'specifico' non è esclusione del 'gene­ rico', sia nel senso che anche l'esistenza della contrad­ dizione 'generica' sopra indicata ha come fondamento il suo esser negata.

4 Col tramonto della terra isolata tramonta la Follia che nega il destino della verità: tramonta la fede, la vo­ lontà originaria e dominante (quindi ogni fede, ogni volontà) , la contraddizione normale (cioè diversa dalla contraddizione C) . E poiché il dubbio dubita della fe­ de, tramonta il dubbio. Appare l' inizio della terra che salva - l'inizio del percorso infinito della Gloria che si è

W'.

Fondamento della contraddizione e fede e dubino

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liberata dalla morte - e, sin da questo inizio, appare la Gioia dell'apparire infinito del destino e pertanto del Tutto, cioè il modo in cui l'infinito appare nel finito (nella costellazione dei cerchi del destino) quando, tra­ montando la terra isolata, tramonta il suo contrastare il destino. L'infinito, l'eterno apparire infinito del Tutto, che non è un percorso, include tuttavia il percorso infi­ nito della Gloria. Per quanto innanzi si spinga, tale percorso rimane un finito. La necessità del permanere della differenza tra finito e infinito appare nei cerchi del destino. Ma dopo il tramonto della terra isolata è impossibile che in essi abbia a presentarsi qualcosa come > è, propriamente, una fede nell'esistenza di tale es­ sente. E se questa fede crede, oltre che nell' esistenza della finestra e della lampada, anche nell'esistenza delle loro parti e delle parti delle parti e delle sfumature di cui si è detto, allora, oltre alla presenza della finestra in

V.

Configurazioni delle tracce

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quanto tale nella lampada (e viceversa) , in quest'ultima sono presenti anche le parti della finestra, e le parti delle parti e le sfumature e tutto ciò che la fede della terra iS indica l'è) . Indicando ora con E l'essente, inteso nel senso più ampio (che include quindi anche gli essenù che stanno in relazione come X e Y) , si richiami inoltre che afferma­ re che E è, separando E dal suo esser sé, è affermare l'im­ possibile, perché a essere non è E, così separato, ma è l'esser sé di E. Così separato, infatti, E non può esclude­ re la negazione del proprio esser sé (e pertanto del pr� prio essere) ed è quindi una negazione dell'originario esser sé secondo cui si costituisce la struttura originaria del desùno. Ciò significa che l'E che autenticamente è non può essere che l'essente che, in tale struttura, è sé stesso come negazione della propria autonegantesi ne­ gazione. ( La separazione del ciò che dall' è appartiene ali' essenza della terra isolata) . L'originario esser sé dell'essente può venire espresso dalla formula E=E: un qualsiasi essente (E) è tale essen­ te (E) - è sé stesso. E è E. Quindi anche E=E deve essere inteso come (E=E) = ( E=E) - una formula, quest'ulùma, che non esclude E=E, ma se ne distingue includendola. In E è E, l'è è in relazione a E: la sua relazione al 'primo' E è la stessa sua relazione al 'secondo' E. (L'E « sogget­ to >> è lo stesso E « predicato >> - ma il concetto di « sogget­ to >> e « predicato » , che li concepisce come originaria­ mente separaù, è contraddittorio. Si aggiunga che già nella Struttura originaria si mostra che l'è ha, insieme, va­ lore copulaùvo ed esistenziale: dicendo che questo ri­ cordo è improvviso si dice che esiste come improvviso) . In quanto, in E è E, l'è è in relazione a E, l ' è è presente in E. Invece di è si può dire essere (E è E significa l'essere E da parte di E) , che dunque non è l' astratto essere « par­ menideo » , separato dall'essente (E) . L' è che compare a tutto ciò che è altro da esso. Se a questo punto il discorso aporetico continua a ri petere la procedura che lo ha condotto a questa ulteriore relazione, cioè continua a ricollocarsi nel prescindere dall'inclusione originaria indicata nel capoverso prece­ dente, allora tale discorso è costretto ad affermare che anche le tracce delle tracce dell'altro dall' (( essere » (com­ plesso) sono in relazione all' essere (semplice) , in cui sa­ ranno quindi presenti, e trovandosi dinanzi a queste 'seconde' tracce sarà costretto ad affermare anche di esse quanto ha affermato delle 'prime' , e così via all'in­ finito. Il regressus in indejinitum si produce (e lo si dica anche in relazione al modo in cui esso si presenta nei due pre­ cedenti paragrafi) perché si ripete all'infinito quella procedura. Che, si osservava, è arbitraria. E infatti arbitrario (ossia privo di necessità) negare che la relazione dell' (( es­ sere » (complesso) a ciò che è altro da esso abbia ad in­ cludere originariamente anche la relazione alle tracce dell'altro da esso. Come già si è rilevato alla fine del paragrafo 4 del capitolo V, è quindi in base a una sem­ plice decisione arbitraria che il discorso aporetico per­ venga alla negazione dell'esser sé degli essenti che si costitui sce come struttura originaria del destino della , verità. E quindi una necessità che la relazione dell' (( es­ sere » a ciò che è altro da esso abbia a includere originaria­ mente anche la relazione alle tracce dell'altro da esso: è una necessità perché la negazione di questa inclusione implica la negazione della struttura originaria. Ma intanto si può concludere affermando che la ne­ cessità che le tracce di ogni essente siano presenti in ogni altro (e anche l' essere semplice, non essendo un nulla, è un essente: anche l' (( è » è) non implica che l' esse­ re non possa essere un significato semplice. L' (( essere » (complesso) , accogliendo in sé tutte le tracce dell'altro da esso, consente all' essere di conservare la propria asso-

­

,

VI. Essere, persintassi, iposintassi

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luta semplicità semantica. Ossia l ' « essere •• complesso è già, originariamente, in relazione anche alle tracce che il discorso aporetico vorrebbe porre in relazione all' es­ sere semplice (che consente a ogni essente di essere sé stesso) . L'essere che unisce ogni essente a sé stesso non è dunque l' essere semplice, ma è l ' > è una determinazione per­ sintattica anche se ciò che sta in relazione è una deter­ minazione iposintattica. Ciò però non significa che lo stare in relazione, ad esempio, di questo ricordo con questo filo d' erba sia una determinazione persintattica. Lo « stare in relazione a una qualsiasi determinazione ipo­ sintattica )) , dunque non questa certa determinazione che è ad esempio questo ricordo e questo filo d'erba, è

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Verticalità, Gioia, tracce

qualcosa senza di cui nessun essente potrebbe appari­ re. (Poiché anche la relazione tra determinazioni ipo­ sintattiche è necessaria, non tutte le relazioni necessa­ rie sono determinazioni persin tattiche) . Le determinazioni iposintattiche sono determinate dalla loro relazione alla persintassi; e il contenuto di questa affermazione è a sua volta una determinazione persintattica (la si indichi con 7t) . Nemmeno 7t determi­ na per sé stesso le determinazioni iposintattiche. Infatti questa lampada - che come non è 8 o l ' esser sé, così non è 1t - non è determinata da 1t per sé stesso, ma dali ' esse­ re in relazione a 7t. In quanto la totalità delle determinazioni persintatti­ che è in relazione a ogni essente, essa è la determinazione persintattica di ogni essente. Ogni essente è lo stare in relazione ad essa. E che lo stia è un essente che appar­ tiene originariamente a tale totalità. Il modo in cui per le altre determinazioni persintatti­ che (ad esempio identità, eternità ) , che determinano sé stesse, è stato escluso il regressus in indefinitum è lo stesso del modo in cui tale regressus va escluso per 8 e per 1t - e per tutte le determinazioni persintattiche che costitui­ scono il contenuto del linguaggio che testimonia il de­ stino.

VII SENSO CONCRETO ORIGINARIO DELL' ESSER SÉ ED ETERNITÀ DELL'ESSENTE

l Si ripropone in questo paragrafo un tema già richia­ mato, per rilevare, da un lato, l'intreccio (la distinzione, che è insieme implicazione) tra esso e il tema dell'iden­ tità dell'identità considerato nei paragrafi 2, 4 del capi­ tolo precedente, dall'altro lato per introdurre al tema centrale di questo capitolo, indicato dal suo titolo. Separato dalla propria identità, cioè dal proprio es­ ser sé e non altro da sé, l'essente non può esser capace di escludere di esser altro da sé. Se lo escludesse non sarebbe separato dal proprio esser sé. Pertanto, separa­ to dal proprio esser sé, non è. (L'apparire di un essen­ te, in cui l'essente non appaia come il non esser l'altro da sé, non è l'apparire di un essente: è un non apparire. D'altra parte l'esser altro da sé appare. Tale apparire è una contraddizione, il cui contenuto è, appunto, l'esser altro da sé, ossia il nulla; ma il nulla è positivamente significante, e in questo caso è significante, nel proprio apparire, come l'esser altro da sé. Tuttavia può appari­ re come l'esser altro da sé soltanto se l 'esser-altro-da-sé non è altro da sé, giacché altrimenti la contraddizione, che è l' apparire di tale contenuto ed è un essente, non

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Verticalità, Gioia, tracce

sarebbe e non apparirebbe) . Un essente (E) è solo in quanto è come (E=E) . Ma si è anche richiamato (cap. VI, par. l ) il motivo per cui E= E deve essere inteso co­ me (E=E)= (E=E) : che l'essente non possa venir separa­ to dal proprio esser sé significa che, nell 'esser sé ( in E=E) , l'essente non è separato da sé (altrimenti sarebbe altro da sé) , ma è l'essente-che-è-originariamente-in­ relazione-a-sé (ossia è E=E) a esser sé (ossia a esser E) , dove questo 'ultimo' sé (E) è questo stesso essere-origi­ nariamente-in-relazione-a-sé (ossia è appunto E=E) ; e questa relazione originaria è appunto espressa dalla for­ mula apparentemente sovrabbondante (E=E)= (E=E) ­ di cui già nella Struttura originaria si mostra come nem­ meno essa implichi il regressus in indefinitum. Questa formula esprime anch'essa l'identità di un 'i­ dentità (ossia dell'identità E= E) e anzi l 'identità dell 'i­ dentità (un qualsiasi essente che sia autenticamente, cioè originariamente, sé stesso è un essente che è origi­ nariamente sé stesso) ; ma la esprime in relazione alla necessità che l'essente non sia separato dal proprio es­ ser sé, e che, nell'esser sé, esso sia originariamente unito a sé stesso. Invece l 'identità dell'identità che viene consi­ derata nei paragrafi 2, 4 del capitolo precedente, e che possiamo indicare col simbolo]], è sì l'identità in quan­ to espressa da (E=E) = ( E=E) , ma considerata in relazio­ ne alla necessità che anche quell'essente che è l'identi­ tà dell'essente sia un essente identico a sé - senza che ciò conduca a un regressus in indefinitum. Tale regressus non sussiste, si è visto, perché in]] l 'identità dell'identi­ tà è la stessa identità dell'essente. Pertanto, se per un verso]] coincide con l'identità in quanto espressa dalla formula (E=E) =(E=E) , per altro verso si distingue da essa. L' identità che necessaria­ mente è anch' essa, in quanto essente, identica a sé (e che cioè è ]]) è appunto l' identità che viene espressa dalla formula (E=E) = (E=E) . A sua volta l'essente E che compare in questa formula è l'essente in quanto essen-

VII. Esser sé ed eternità deU'essente

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te, ossia ogni essente, quindi anche quell'essente che è ]], sì che l'identità in quanto (E=E ) = (E=E) è il modo autentico in cui ]] è un essente (l'essente che peraltro non è solamente l'identità dei singoli essenti, ma è l'i­ dentità della totalità degli essenti) .

2 Separato dal proprio esser sé, l'essente non è; l'essen­ te è in quanto non è così separato: ciò non significa che l'essente è (cioè l'essere dell' essente) non si distingua dali' esser sé dell'essente. l noi tre l 'essente è non è un ' espres­ sione inutilmente tautologica, che sarebbe tale perché essente significa già ciò che è, sì che l'essente è significhe­ rebbe l'essente, che è, è. L 'essente è è invece una tautologia necessaria per il motivo già indicato (nel cap. VI, par. l , e ripresentatosi anche nel paragrafo precedente) , ossia perché in essa il ciò che (x) del ciò che è non è originaria­ mente separato dal suo è (y) : è x-che-è-y (ossia è l'essen­ te, il ciò che è, appunto) ad essere - e ciò è espresso dalla formula (x=y) =y -, e a sua volta l'è del ciò che è- os­ sia l'y che compare per ultimo in (x=y) y - non è origi­ nariamente separato dal suo ciò che, ma è l'è del ciò che (ossia è y=x) . Dunque l'essente è significa (x y ) = (y=x) . Pertanto l'essente che è - e che quindi è in quanto non è separato dal proprio esser sé - è (x=y) = (y=x) . ( E d'altra parte che non sia separato non significa, come si è detto, che non sia distinto dal proprio esser sé) . Che l' essente che è non sia separato dal proprio esser sé, e pertanto sia sé stesso, significa dunque: [ (x=y) = (y=x) ] = [ (x=y) = (y=x) ] . Questa formula indica il senso concreto originario dell' esser sé dell'essente - il senso concreto simpliciter dell'esser sé essendo la totalità della verità in quanto

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Verticalità, Gioia, tracce

totalità delle determinazioni persintattiche e iposintat­ tiche: la Gioia dell'apparire infinito. Questa formula indica lo stesso esser sé che è espresso dalla formula (E=E)=(E=E) . (Il primo E conisponde a x y; il secondo E corrisponde a y=x) .

3 È appunto il senso concreto originario dell'esser sé, ora indicato, ad affermare con necessità l ' eternità dell'essente in quanto essente (cfr. Taut6tes, cap. XIV) . L'essente è eterno in quanto si configura come il senso concreto dell'esser sé. Già La struttura originaria ( 1 958) mostra sia il senso concreto originario dell 'esser sé dell'essente, sia l'impossibilità che l'essente in quanto essente provenga dal proprio nulla e vi ritorni; ma in questo scritto il linguaggio che testimonia il destino non dice che il senso concreto dell'esser sé implica la stessa eternità dell'essente, non dice l'implicazione tra questi due tratti del destino. E continua a non dirlo fino al capitolo XIV di Taut6tes ( 1995) . Ma anche dopo aver­ lo detto non gli dà il risalto dovuto e anzi non vi ritorna più. Nemmeno in Dike (2015) , dove pure viene indicato l'insieme dei percorsi che conducono all'affermazione dell'eternità dell'essente. Di qui l'opportunità di ripro­ porre ora il significato di quell' implicazione. L'essen te è ciò che è. L'è (l'essere) è l'è di ciò che è, tutta­ via il ciò che differisce (ha un significato diverso) dall' è. Stando al Sofista di Platone, in base a questa differenza Parmenide proibisce di affermare che le cose che non sono siano, cioè afferma il non essere di ogni ciò che (che non sia lo stesso è) . Platone mostra sì che il ciò che di ogni cosa non è un « contrario » , ma un « diverso » dall' è, tutta­ via (cfr. Essenza del nichilismo) man tiene la separazione, evocata da Parmenide, tra il ciò che e l'è, e quindi non può

VII. Esser sé ed eternità deU'essente

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evitare che ogni ciò che (ogni cosa) continui a essere quel che di esso pensa Pannenide: un nulla. Affermando l'essere della molteplicità degli enti, Platone affe rma pertanto nel pr�prio inconscio che tutte le cose del mon­ do sono nulla. E l'inconscia essenza del nichilismo del­ l'intera storia dell'Occidente e ormai del Pianeta. Si rimane all'interno di tale essenza se non ci si rende conto che il ciò che non è separato, ma è, originariamen­ te, necessariamente unito al proprio è, e gli è unito se­ condo ciò che abbiamo chiamato senso concreto origi­ nario dell' esser sé. Originariamente unito, perché da una disunione (separazione) originaria, dove quindi il ciò che è nulla, non si può che pervenire a un 'unione con l'essere, dove il ciò che non depone la propria origi­ naria nullità, ma è un nulla di cui si afferma l'essere. Ma l'unione originaria e necessaria del ciò che e del suo è è l ' eternità del ciò che - di ogni ciò che. E l'apparire di tale unione è una fondazione primaria dell'eternità, ulte­ riore a quella che compare quasi sin dall'inizio nei miei scritti (e che quindi si aggiunge alle altre fondazioni dell'eternità presente in Dike, Parte Terza, cap. l ) . Tale ulteriore fondazione non si basa sull'esclusione che il ciò che sia nulla - come invece vi si basa la fonda­ zione primaria dell' eternità che compare sin dai miei primi scritti -, ma si basa sull' esclusione che l'essere del ciò che - del ciò che che di per sé è nulla - sia l'essere del nulla, cioè si basa sull'esclusione che il nulla sia - anche se nella fondazione primaria dell' eternità dell'essente in quanto essente l' esclusione che il ciò che (l' essente ) sia nulla implica l'esclusione che il nulla sia u n essente. D' altra parte, nella fondazione primaria il divenir nulla e da nulla è escluso non perché esso implichi che il nul­ la sia, ma perché esso implica che l' essente sia nulla. Sembra che si possa obiettare che tale senso sussiste solo se il > di ciò che è stato) , allora incomincerebbe ad essere la relazione necessaria tra il ciò che e tale alternanza; e anche in questo caso è impos­ sibile che una relazione necessaria incominci a essere.

4 Negando che l'essente in quanto essente sia eterno, e che quindi il ciò che sia originariamente unito al proprio è, il nichilismo è costretto ad affermare che, affinché il ciò che si unisca al proprio essere, è necessario che il ciò

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che abbia a divenire (a divenire, appunto, un ciò che è) . E poiché il ciò che è è essen te solo se è sé stesso, allora, quando l'essente sia inteso come separato dal proprio esser sé, l'essente è nulla e quindi è un nulla a diventare essente, cioè sé; e d'altra parte anche questo sé, rag­ giunto dal presunto essente che per esser sé deve diven­ tar sé, è a sua volta inizialmente un nulla; sì che il diven­ tar sé è un nulla che diventa nulla, ossia è un non diven­ tare. Inoltre, come il ciò che non può incominciare a essere, né l'essente può incominciare a esser sé, così è impossibile che il ciò che finisca di essere, e che il ciò che è finisca di esser sé. Infatti, se un essente finisce, finisce una sintesi (la sintesi dell' esser sé, includente la sintesi del ciò che e del suo essere ) ; ma il finire di una sintesi è l'incominciare di un'altra sintesi, ossia di un ciò che che si unisce all' essere e di un essente che si unisce all'esser sé. Ma, come si è appena richiamato, l'incominciare di questa sintesi è impossibile. E se il finire di una tale sin­ tesi fosse il finire di ogni essente, cioè di ogni sintesi siffatta, resterebbe il nulla, che potrebbe 'restare' solo se rimanesse sé, cioè se fosse sé; ma è impossibile che il nulla sia sé (giacché solo quell'essente che è il positivo significare del nulla, e non il nulla da esso indicato, può esser sé) . '

E nello sguardo del destino della verità che appare quello che in verità il nichilismo è; e in tale sguardo appare anche la necessità che il nichilismo abbia a ne­ gare il > tra l 'esistere e il non esistere è appunto affermazione dell' esistenza del (( terzo » . D'al­ tra parte qualcosa può essere lo stesso solo se è un essen­ te: il nulla non è un sé stesso: sé stesso è quell'essente che è il positivo significare del nulla - cfr. La struttura origi­ naria, cap. IV, e Intorno al senso del nulla ) . Nella prospet­ tiva del nichilismo il divenire è cioè un essente che in­ sieme è e non è : negazione dell'esser sé dell'essente. Quanto si è detto del divenire che conduce il ciò che al suo essere va detto anche del divenire che riconduce il ciò che al nulla: anche in questo caso il divenire è un (( terzo » tra l'essente e il nulla e pertanto, affermando­ lo, si nega l'esser sé dell 'essente che appare nella strut­ tura originaria del destino. Certo, da Aristotele a Heisenberg il nichilismo con­ cepisce lo stato originario del ciò che - quindi del ciò che non ancora uni tosi al proprio essere - come (( essere in potenza » e pertanto non come nihil absolutum. Eppure, come altre volte ho rilevato, è inevitabile che, quando il ciò che è in potenza, almeno qualche aspetto dell' (( esse­ re in atto » (dell' (( essere in atto » rispetto a cui il ciò che è in potenza) sia un nihil absolutum; altrimenti ciò che è in potenza sarebbe già in atto. Dunque il divenire che conduce all'unione del ciò che al proprio è non è sempli­ cemente il (( passaggio dalla potenza all'atto » , ma è an­ che il passaggio in cui il ciò che, da nulla ( nihil absolu­ tum ) , diventa essente; e questo passaggio è un (( terzo »

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Verticalità, Gioia, tracce

rispetto al nulla e all 'essente. (Al tema della « potenza >> e della sua appartenenza all'essenza del nichilismo i miei scritti si sono riferiti più volte: da Fondamento della contraddizione, Parte Prima, cap. V, a Intorno al senso del nulla, Parte Prima, a Dike, Parte Terza, cap. II, parr. 6-8) . Essendo affermazione di un « terzo » , e quindi nega­ zione dell'esser sé dell'essente, il concetto di divenire è autocontraddittorio; cioè anche per questo motivo il divenire (quale è inteso all'interno del culmine ontolo­ gico della terra isolata) è impossibile (è negazione dell 'esser sé dell'essente ) . L'impossibilità del divenire è la necessità del non divenire degli essenti, ossia è la ne­ cessità dell 'eternità di ogni essente. (Anche qui, infatti, l'affermazione dell'esistenza di un terzo » tra divenire e non divenire è negazione dell'esser sé dell 'essente) . E anche questa è un 'ulteriore fondazione dell 'eter­ nità dell'essente in quanto essente (cfr., oltre a quella indicata nel paragrafo precedente - dove l'eternità è lo stesso senso concreto originario dell'esser sé - quelle considerate in Dike, Parte Terza, cap. l) .