Storia e Mitologia con antologia di testi di Raffaele Pettazzoni

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Storia e Mitologia con antologia di testi di Raffaele Pettazzoni

Table of contents :
INDICE DEL VOLUME
Prima Parte: Lo STUDIO DELLE RELIGIONI: PROBLEMI DI METODO
Seconda Parte: ANTOLOGIA DI TESTI di R. Pettazzoni a cura di S. Giusti
l. Le Superstizioni
2. La religion e primitiva in Sardegna
3. La scienza delle religioni e il suo metodo
4. Storia del cristianesimo e storia delle religioni
5. Le origini dell'idea di Dio
6. La religione di Zarathustra
7. L'Essere celeste nelle credenze dei primitivi -
8. L'Essere celeste nelle credenze dei primitivi -
9. I Misteri
10. Teoria storico-religiosa dei Misteri
11. Svolgimento e carattere della storia delle religioni
12. La Confessione dei peccati: metodo e risultati
13. Storia delle religioni e di mitologia
14. La formazione del monoteismo- Il problema di Dio-
15. Il metodo comparativo
Indice dei nomi

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SONIA GIUSTI

STORIA E MITOLOGIA . con antologia di testi di Raffaele- Pettazzoni

·

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SONIA GIUSTI

STORIA E MITOLOGIA con antologia di testi di RAFFAELE PETTAZZONI

BULZONI EDITORE

Alla realizzazione della presente pubblicazione ha concorso l'Università degli Studi di Cassino con i fondi della ricerca scientifica erogati dal Ministero P. I.

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

I diritti di ttaduzione, di memorizzazione eletttonica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

© 1988 by Bulzoni editore 00185 Roma Via dei Liburni, 14

INDICE DEL VOLUME

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Prima Parte Sonia Giusti Lo STUDIO DELLE RELIGIONI: PROBLEMI DI METODO Seconda Parte ANTOLOGIA DI TESTI di R. Pettazzoni

a cura di S. Giusti l.

2. 3. 4.

5.

6. 7. 8. 9.

10 11. .

12.

Le Superstizioni La religione primitiva in Sardegna La scienza delle religioni e il suo metodo Storia del cristianesimo e storia delle religioni Le origini deWidea di Dio La religione di Zarathustra L'Essere celeste nelle credenze dei primitivi I L'Essere celeste nelle credenze dei primitivi II I Misteri Teoria storico-religiosa dei Misteri Svolgimento e carattere della storia delle religioni La Confessione dei peccati: metodo e risultati -

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13 . Storia delle religioni e di mitologia 14. La formazione del monoteismo- Il problema di Dio15. Il metodo comparativo

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Avvertenza

Spinta dall'esigenza di ricostruire la genesi e lo sviluppo di un metodo che doveva essere storico e comparativo , ho seguito l'ordi­ ne cronologico delle pubblicazioni di Raffaele Pettazzoni per rin­ tracciare il filo intellettuale del suo ordito metodologico. A questo fine mi sono sembrate particolarmente utili alcune delle sue prefa­ zioni, alcuni saggi apparsi in riviste specializzate o presentati in Congressi internazionali, e due capitoli, tra i più criticamente impe­ gnati, delle sue opere. Per gli altri lavori di carattere più specificamente metodologi­ co, che qui non appaiono, rinviamo alle raccolte di saggi curate dall'autore: Saggi di storia delle religioni e di mitologia, (Roma, ed. it., 1946); Italia religiosa (Bari, Laterza, 1952); Essays on the History of Religions, Leiden, 1954); Letture religiose - Dalle sacre Scritture delle grandi religioni viventi - (Firenze, Parenti, 1959). A queste si aggiunge Religione e Sosietà (Bologna, Forni, 1966) curata da M. Gandini, con pref. di Vittorio Lantemari che contiene, fra gli altri, Gli ultimi appunti di R. Pettazzoni, curati da Angelo Brelich. Sono grata all'Accademia Nazionale dei Lincei che ha autoriz­ zato la pubblicazione di questi scritti di Raffaele Pettazzoni. Ringrazio inoltre Dario Sabbatucci e Alfonso M. Di Nola per i loro preziosi consigli e Mario Gandini per la cortesia con la quale ha messo a mia disposizione il ricco materiale della biblioteca comunale «G. C. Croce» di San Giovanni in Persiceto. *

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Nel testo e nelle note sono state adottate le seguenti abbrevia­ zioni: ALRI

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Associazione per la libertà religiosa in Italia

IDOC

=

International Documentation Center

SMSR

=

Studi e materiali di storia delle religioni.

Si avverte inoltre che i rinvii del Pettazzoni alle pagine dei pro­ pri lavori si riferiscono alle edizioni originali. s. GIUSTI

lO

PARTE PRIMA

LO STUDIO DELLE RELIGIONI: PROBLEMI DI METODO

Nei primi lavori di Raffaele Pettazzoni è già contenuto il nucleo germinativo degli interessi che accompagnarono tutta la sua produzione scientifica: la sua vocazione per gli studi religiosi risale all'anno che precede la laurea quando scrive il suo primo articolo di carattere storico-religioso in occasione di un avvenimento politi­ co: la guerra russo-giapponese. Il breve saggio fu pubblicato su «Il Resto del Carlino» il 29 febbraio 1904. Anche il suo impegno civile ha inizio sempre prima della guerra quando, non ancora ventenne, partecipa alla vita cittadina di ,San Giovanni in Persiceto dove nacque, in provincia di Bolo gna, intervenendo pubblicamente sul problema dell'educazione po­ polare; negli stessi anni si faceva conoscere come « divulgatore dell'idea socialista e organizzatore delle prime logge di resistenza proletaria» 1 • In seguito non partecipò più alla vita politica in modo cosi diretto, rifiutando di entrare nella lista dei candidati del Partito Socialista 2 conscio dell'impegno al quale non avrebbe potuto sottrarsi e sicuro di non poterlo assòlvere, preso com'era dalla sua attività scientifica e didattica. La sua fu piuttosto una battaglia civile condotta per più di quarant'anni attraverso tutto il suo magistero. La sua attività professionale era iniziata come professore di lettere antiche nei licei; in essa aveva riversato l'insegnamento ­

t

P. Toscm, Raffaele Pettazzoni, in «Emilia» 24 n.s. III (1954) pp. 49-50.

2 A. DoNINI, Raffaele Pettazzoni e gli studi storico-religiosi in Italia,

in M.

GANDINI, Il contributo di Raffaele Pettazzoni agli studi storico-religiosi: appunti per una bibliografia, Bologna, Forni, 1%9, pp. 54-79.

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ricevuto dal suo maestro Giosuè Carducci: l'amore per il mondo classico che non era da ammirare, ma da capire nella complessità delle varie forme che lo caratterizzavano. Da questa angolazione anche la religione di quel mondo non era considerata come un fatto isolato ; essa era organicamente inserita nella fitta rete di rapporti con gli altri aspetti della vita sociale ed economica. Allievo del paletnologo Edoardo Brizio, autore di I tempi preistorici 3, consegue, nel 1908 , il diploma di perfezionamento in archeologia e un anno dopo pubblica una monografia sui Kabiri. Se, come notò Leo V aliani, « Carducci non colpl nel segno quando scrisse che Emmanuele Kant decapitò Iddio», è certo che lui, il Pettazzoni, assimilò bene la lezione che consisteva nello spostare dalla filosofia alla storia lo studio del fatto religioso. Secondo Carducci, infatti, Kant si era limitato a dimostrare che «la deduzion e dell'esistenza di Dio dall'idea che ne abbiamo non regge alla critica, poiché non tiene conto del fatto che le nostre idee sono condizionate dalla forma della nostra ragione e non possono trascenderla. Negando coslla prova antologica della divi­ nità, egli rimandava la questione alla storia della filosofia e dell'e­ tica e a questa più che a quella » 4• Per tutta la vita Pettazzoni scelse ad oggetto della sua ricerca, che appunto non fu filosofica, ma storico-religiosa, il problema di Dio, strappandolo agli specifici ambiti filosofici per considerarlo nella pienezza della vita religiosa che è, per Pettazzoni, intimamen­ te legata alla condizione umana. Muovendosi tra i due poli rappresentati da Dio e la Natura; scriveva Pettazzoni nel '55 , l 'antropo logia ha rischiato di perder e di vista il suo proprio oggetto: !•uomo. Nell'insopportabile dominio della natura, gli uomini ten dono a sottomettersi a Dio, ad accetta-

3

E. BRIZIO, I tempi preistorici, Epoca preistorica I, in Storia politica d'Italia,

Milano, Vallardi, s.d.

4 L. VALIANI, Nacsita del monoteismo, in «L'Espresso », 3 nov. 1957; per Valiani è pur sempre con la filosofia, e specialmente quella di Vico, che oggi possiamo capire meglio di ieri la religiosità dd mondo classico.

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re i limiti della proprià condizione umana attingendo a due fonti per la costruzione dell'idea di Dio: l'una legata ai fenomeni meteorid con le grandiose teofanie, l'altra che sgorga dalle pro­ fondità della cosciema. Da una parte la sensazione della distama, «dall'altra l'aspirazione intima dell'uomo ad avvicinarsi a Dio, ad entrare in comunione con lui, ad assimilare la natura divina, ad essere, in qualche modo Dio lui stesso » 5• La frase che riportiamo, scelta fra i suoi scritti ed eternata sulla sua lapide, per chi conosoe il suo pensiero non è ambigua, anzi ha un valore paradigmatico: La religione rivelata ci divide la religione soffer.ta ci unisce. Per Pettazzoni « c'è un modo che pregiudizialmente sottrae la religione al giudizio storico, ed è il concetto della religione come verità di fede, verità assoluta da cui dipende la salvazione » 6• Dal 1909 al 1 9 1 4 fu ispettore del Museo Preistorico ed Etnografico di Roma e, proprio in qualità di ispettore, seguì la campagna di scavi in Sardegna nel 1 909. La sua produzione iniziale, quella che rientra tra il 1908 e il 19 12, si articola intorno ad un complesso di temi che, retrospetti­ vamente, risultano programmatici, sia per l'oggetto, sia per i contenuti metodologici e teoretici. Questi temi sono gli elementi fondamentali sui quali poggia la sua concezione della conoscema storica, una visione non facilmente riducibile in schemi, proprio per il carattere non sistematico della sua speculazione. Il suo lavoro, che gli occupò tutta la vita, fu problematicamente aperto

s R. PETTAZZONI, La cond#ion humaine, in « .Anthropologie religieuse », suppl. a « Numen », II ·(1955), pp. 1-3. 6 R . PETTAZZONI, Oriente e Occidente: Tradizioni antiche e prospettive moderne; questo fu l'ultimo discorso pubblico di Pettazzoni, pronunciato all'Acca­ deniia ·dd Lincei il 3 giugno 1959; sta in Rendiconti delle Adunanze solenni, 6 (1959), pp. 70-80; è inserito nella raccolta di saggi Religione e Società (a cura di M. Gandini) e oon la pref. di V. Lantemiui, Bologna, Ponte Nuovo, 1966.

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alle costanti verifiche di un metodo che si costruiva sul terreno stesso della ricerca. Si tratta di temi che vanno dalla religione del mondo antico, una religione che non si incarna nelle grosse correnti della religio­ ne ufficiale, ma nei percorsi umbratili,- sia nelle forme costitui­ tesi nei flussi delle migrazioni etniche, che nelle forme marginali rispetto alle religioni ufficiali, comprese le «superstizioni dei volghi» -, privilegiando più la religione etrusca che quella ro­ mana, più quella di Samotracia che quella greca, fino alle religioni dei «volghi europei» e dei «primitivi» ; con quest'ultimo aspetto faceva cosl emergere « l'imprescindibile unità epistemologica e scientifica della storia delle religioni e dell'etnologia religiosa», come scrive Lanternari 7• L'impegno civile di Pettazzoni, può essere sintetizzato con una frase ripresa dal suo saggio Oriente e Occidente nella quale si auspica l'affermazione di «una storiografia integrale, meno prigio­ niera delle partizioni e periodizzazioni tradizionali, più aperta e sensibile alle istanze di un sapere storico sempre più vasto ed organicamente articolato, per un sempre maggiore approfondimen­ to della coscienza storica, attuandosi concretamente in questa nuo­ » 8• va storiografia la Scienza Nuova divinata dal Vico ...

Fin dalla sua monografia, Le origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio, presentata all'Accademia dei Uncei nel1908, Pettaz­ zoni, mettendo a fuoco la concezione duplice dei Kabiri, quale si ricava dalle fonti letterarie antiche, ne fa un problema sostanziale. Rilevando cioè, in quelle fonti, la tendenza generale ad attenuare le differenze e ad attutire il contrasto fra le due concezioni dei m;67toÀoL .&&ot e dei (L&VcXÀoL .&so( sottolinea, viceversa, questa differenza come irriducibile di due categorie divine: quelle dio­ nisiache ((LS"(cXÀoL &eot) del vino e dell'ebbrezza come culti na-

7 V. LANTERNARI, R. Pettazzoni e le civiltà primitive, in 6-7', (giugno-luglio 1983). a R. PETTAZZONI, Oriente e Occidente , cit. ...

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IDOC », XVI,

turalistici e quelle misteriche ( --:ço1t'oÀm .&eoy ), che aiutano chi le invoca nei pericoli, come culti mistici 9• Con questa impostazione egli dimostrava una notevole sensibi­ lità c riti ca non s olo per l'interpretazione delle fonti che venivano considerate nella loro duplice funzione di documenti-monumenti, ma anch e per i processi mitopoietici in senso storico, negando che possano aversi delle categorie mitiche fisse differenziatesi local­ mente in seguito al1e migrazioni, e soste nendo piuttosto la ridu­ cibilità di quelle categorie a formazioni storiche etnicamente diffe­ renziate.

Scegliendo allora il tema dei Kabiri - e non la religion e greca -, e più tardi la religione dei Sardi e degli Etruschi - invece della religione romana -, Pettazzoni dimostrava una vocazione e una passione storica che dovevano guidarlo, con un fiuto da segugio, sulle piste delle migrazioni etniche, non battute dai classi­ cisti, che lo avrebbero portato ad individuare sempre le ragioni umane espresse nelle differenziat e e stravaganti forme religiose. . Sicuro che il substrato della religione delle isole trace fosse di t�po dionisiaco, suppone che il nome dei Kabiri (fenici) si sia sovrapposto .ale l divinità indigene. È per verificare questa ipotesi che egli ripercorre le tappe storiche degli spostamenti etnici per la identificazione di queste divinità originarie della Tracia con i « Grandi » ( = Kabiri) dei Fenici. Da questo orientamento di studio Pet taz zon i si convinse che il nome Kabiri di origine fenicia (il nome Kabiri trova· riscontro in Asia minore dove sta ad indicare un monte della Frigia) si applicò a due successivi culti locali: uno comune alle isole trace, l'altro peculiare di Samotracia. E in questo lavoro, che è la sua prima ricerca di carattere storico-filologico, è ipotizzato e verificato contestualmente il valore euristico dei fenomeni religiosi i quali si dispiegano come processi

9 R. PETTAZZONI, Le origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio, Memoria della R. Ace. dei Lince.i, classe di scienze morali s to riche e filologiche, anno Ca:N, s. V., XII, fase. VIII, Roma 1909, p. 657.

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storici. In questa linea interpretativa dei fenomeni religiosi è già implicito, dunque, il particolare approccio storicistico assoluto che intende l'uomo come soggetto di storia, consapevole di farsi con la storia. Anche nel saggio del 1908, Il tipo di Hator, il metodo com­ parativo era stato. applicato su una rete di contatti etnici di ca­ rattere economico e politico al fine di seguire le variazioni migra­ torie della divinità hatorica: in Asia, in Grecia fino a Corin­ to, in Italia fino al Ticino, in Africa fino a Cartagine, Pettazzoni ripercorre le migrazioni di questa figura teriomorfica (corna bovine e particolare acconciatura dei capelli) attraverso la iconografia sacra 10• Pettazzoni usava lo stesso procedimento metodologico del sag­ gio precedente, Una rappresentazione romana dei Kabiri di Samo­ tracia, nel quale aveva seguito un ordine di idee che tendeva alla ricostruzione storica attraverso l'analisi dei reperti religiosi ; consi­ derando lo stretto legame dell'arte con le forme particolari della religione, l'A. analizzava i simulacri divini, più che le figurazioni mitologiche, consapevole della distinzione fra culto e mito . Scrive Pettazzoni: « Il culto si svolge secondo leggi proprie, in modi del tutto indipendend dalla forma che possa assumere per conto suo l ' e s p r e s s i o n e m i t i c a o sia, questa, espressione parlata 11 (!J.ti&c;o propriamente detto) o sia espressione figurata » • La di­ stinzione fra culto e mito si ricava, secondo Pettazzoni, anche dalla distinzione fra statuaria frontale, che esprime assenza di praxis e un rapporto con lo spettatore e statuaria non frontale che esprime il movimento e un'assenza di rapporto con lo spettatore che « si risolveva in fondo nella distinzione e nella differenza fra una 1 statuaria religiosa (del culto) e una mitica (del mito) » 2 • IO R . PETTAZZONI, Il tipo di Hator - storia di un tipo figurato in « Ausonia », IV, MCMIX, fase. Il, pp. 1-38. Il R. PETTAZZONI, Una rappresentazione romana dei Kabiri di Samotracia, in « Ausonia », 3 {1908), pp. 79-90. 12 Ibidem, p. 89 . -,

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In una recensione a Robert Eisler, intitolata Il mantello cele­ ste, aderendo alle tesi di Hermann Usener sull'uso della iconogra­ fia come strumento di analisi delle leggi mitogenetiche, il Nostro dimostra di apprezzare la ricostruzione storica dell'immagine « pretolemaica del cielo stellato, concepito come il mantello onde si avvolge la divinità, come tenda immensa tesa sopra il mondo ». Questa immagine era stata usata anche da Max Mi.iller per il quale « i primitivi quasi fatalmente adorano il cielo, non soltanto come la tenda azzurra cui sono attaccati il sole, la luna e le stelle, ma come un principio attivo, dotato di volontà, che opera dietro questa tenda e si manifesta con atti che sono tuono, fulmine ,. pioggia, neve grandine vento e ·Soprattutto luce » 13• Ma l'interesse della recensione di Pettazzoni, oltre che per la ritrovata immagine della figura dell'Essere celeste, che avrà cosl grande spazio nella sua opera, è dato dalla critica che egli fa ad alcune affermazioni dello Eisler, secondo il quale la filosofia greca deriverebbe dalla religione tout court e non dal mithos; questi, infatti, tiene a precisare la differenza fra mito e religione intendendo, quest'ultima, « come un sistema di atti pratici (o culto) o . . come un sistema di atti pratici e di atti teorici » , mentre mostra di apprezzare l a tesi dell'origine del mito dall'atto rituale e dello svolgersi della religione astrale dall'animismo. Scri­ ve Pettazzoni: « una volta che l'immaginazione escatologica ebbe trasportato la dimora delle l!lnime degli uomini (i morti) dalla terra, o dal sottoterra, nelle regioni degli astri, di qui sarebbe sorto il concetto dell'influsso astrale esercitato dai prototipi astrali (anticipazione delle idee platoni> . Questa sezione fu soppressa nel congreso di Leida ( 1912), aggregan­ dosi alla sezione dedicata ai « ·Popoli incolti » i temi riguardanti le « Questioni generali ». l

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intesa come un capitolo della storia della civiltà, secondo un indirizzo che si è manifestato recentemente fra gli etnologi? Non è qui il luogo di approfondire un tale problema. Dirò soltanto che la sua soluzione nell'un senso o nell'altro sembra dipendere dalla misura in cui potrà o dovrà essere ammessa l'azione del fattore individuale nella vita dei popoli incolti. Nel­ l'aspetto fisico e strettamente antropologico i popoli incolti pre­ sentano minori variazioni individuali che i popoli civili. Ma nel campo dell'attività spirituale non si può escludere a priori l'in­ fluenza di individui singolarmente dotati, che abbiano aperto nuove vie alla vita e alla civiltà dei gruppi sociali in mezzo ai quali essi vissero 2 • Nel limite del nostro argomento, cioè nel campo delle manife­ stazioni religiose, non si può certo parlare di una storia delle religioni australiane nello stes·so senso in cui si parla della storia della religione in Egitto 3 • L'intervallo fra le ricerche più recenti condotte con intendimento scientifico (Spencer-Gillen, Howitt, Strehlow-Leonhardi) e le osservazioni del Collins 4 o magari dei primi viaggiatori del sec. XVII, è troppo poca cosa in confronto della presumibile evoluzione ,secolare anteriore. Né certo si può costruire una storia delle religioni nord-americane prendendo come punto di partenza l'età in cui le conobbero il Lafitau 5 o il Charlevoix 6 •

2 A. VIERKANDT,

Fuhrende Individuen bei den Naturvolkern,

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Zeitschrift fiir

Sozialwissenschaft », XI, 542, 1908. 3 La prova migliore è fornita appunto dal modo come procedono i tentativi di ricostruzione che pur si sono fatti in questo campo, per es. dal Grabner [Zur australischen Religionsgeschichte: eine kritisch·methodische Studie, « Globus », 96 ( 1909), 341 ss. e da W. S cHIMDT (Der Ursprung der Gottesidee, Miinster i.W. 1912). 4 CoLLINS, An Account of the English Colony of New South Wales, London 1804. s J.F. LAFITAU, Mreurs des sauvages américains comparés aux mreurs des premiers temps, Paris, 1724. 6 P. CHA.RLEVOIX, Histoire générale de la Nouvelle France, Paris 1740.

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Deve adunque lo studio delle religioni ignorare le religioni dei popoli incolti? Assolutamente no, magari a costo di dover rinun­ ziare a chiamarsi « storia delle religioni » . Dato quel fatto umano che è il fatto religioso, è dato anche l'oggetto, sono dati anche i limiti propri di quella disciplina che si propone di studiarlo in tutte le manifestazioni che esso ha avute nello spazio e nel tempo. E ne è dato anche il metodo. Sul metodo della scienza delle religionl si è molto discusso. E le discussioni sembra si siano ultimamente polarizzate intorno a questa alternativa : metodo storico o metodo comparativo 7 • Il metodo storico studia le :religioni nel tempo; il metodo comparati­ vo le studia nello spazio . Il primo è il metodo particolarmente proprio per le religioni storiche; il secondo, per le religioni dei popoli che non hanno storia, dei popoli incolti. Né all'uno né al­ l'altro deve rinunziare lo studio delle religioni, cosl come non rinun­ zia alla conoscenza di nessun ordine di manifestazioni religiose. L'u­ no e l'altro debbono cooperare alla costruzione dell 'opera comune. Questo eclettismo ha avuto la sua ultima affermazione al Congres­ so di Leida 8, per opera del conte Goblet d'Alviella; il quale vi ha svolto la sua tesi favorita: Du concours que doivent se préter mutuellement dans la science des religions la méthode historique et la méthode comparative. L'eclettismo cosl formulato rappresenta indubbiamente un progresso di fronte ai vari esclusivismi: storico dei filologi, com-

7 GoBLET D'ALVIELLA, De la méthode comparative dans l'histoire des re­ ligions, « Revue de l'Université de Bruxelles », 1910; Troit limitations de la­ méthode comparative, « Revue de l'histoire des religions », LIII, 1906 ; La méthode comparative et le choix d'un étalon, « Revue de l'histoire des religions », LIX, 1909; G. FoUGART, Histoire des religions et méthode comparative, Paris 1912; L. H. ]ORDAN, Comparative Religion: its Method and Scope, « Transact of the !Il d Congr. for the History of Religions », Oxford 1908; E. HARDY, Was ist Religionswissenschaft. Ein Beitrag zur Methodik der historischen Religions-for­ schung, « Archiv fiir Religionswiss. », l , 9 ss, 1898. a R. PETTAZZONI, Il quarto congresso internazionale di storia delle religioni a Leida (9-13 settembre 1912), « Il Marzocco », 29 settembre 1912.

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parativo degli antropologi. D'altro lato, mi sembra che esso si presti, alla sua volta, ad una osservazione critica. Come lo studio delle religioni non è la somma delle singole conoscenze sulle singole religioni {storiche e non storiche) , così il suo metodo non può essere una somma di metodi diversi. In fondo alla cooperazione del Goblet d'Alviella io trovo un residuo (l'ultimo? ) di una concezione pluralistica dello studio delle religio­ ni (essenza e metodo), che fu già superata !in parte quando esso studio affermò la sua individualità e la sua indipendenza scientifica di fronte alle discipline ausiliarie 9, e che avrà il suo superamento pieno ed intero in una concezione assolutamente unitaria della scienza delle religioni : una e definita nel suo oggetto e nel suo metodo , come è uno e definito, pur nelle sue manifestazioni molteplici, il fatto religioso. La storia recentissima degli studi storico-religiosi mi sembra, a questo proposito, istruttiva. *

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Ci sono dei popoli che hanno una amplissima letteratura religiosa, e altri che ne sono quasi privi. Certe religioni non ci sono note che per i monumenti lasciati dai popoli che le praticaro­ no. Alcune sono religioni collettive (religioni nazionali) : altre non si possono concepire, anzi nemmeno designare, se non associando­ le all'opera e alla figura di un individuo. Il pluralismo metodico sembra dunque, a .prima vista, più che legittimo, quasi necessario, e necessariamente richiesto dalla varie­ tà multiforme di quegli ambienti ai quali la scienza delle religioni estende la sua ricerca. Eppure, di mano in mano che essa scienza progredisce, il ·pluralismo tende a semplificarsi, e quasi a polariz-

9 GoBLET D'ALVmLLA, Les sciences auxiliaires de l'histoire comparée des religions, « Transactions of the II!d Internat. Congress for the History of Religions », Oxford, 1908. Cfr. R. PETTAZZONI, Lo studio delle religioni in Italia, « Nuova Antologia », l maggio 1912. -

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zarsi, come dissi, intorno a due centii : metodo storico e metodo comparativo . Nessuna civiltà ebbe una letteratura religiosa cosi vasta come quella dell'India. Non era naturale che gl'indianisti come Adalber­ to Kuhn e specialmente come Max Miiller - il quale da parecchi è considerato come uno dei fondatori degli studi storico-religiosi - non potessero concepire la storia delle religioni senza il sussidio del documento linguistico, senza il linguaggio? Il metodo filologi­ co-glottologico fu eretto a sistema storico-religioso . Ignorando il tempo e lo spazio, non avendo che un limite : la razza - identifi­ cata con la lingua -, gli arianisti si accinsero a costruire la storia religisa dei popoli indo-europei sulla base di un comune patrimo­ nio mitico protoario . Nacque cosi la « mitologia comparata » : quale affermazione più cospicua del metodo comparativo? Di altri popoli non è pervenuta fino a noi nessuna tradizione religiosa; oppure, .se è pervenuta , resta, sino ad oggi, indecifrabile e muta. La religione micenea non ci è nota che per le rappresenta­ zioni figurate. Le religioni dei popoli preistorici si possono · indaga­ re soltanto attraverso i monumenti . I filologi avevano trovato il limite naturale alle loro compara­ zioni nell'indole stessa del loro strumento d'indagine : la lingua, identificata con la razza. Tra gli archeologi vi furono alcuni (Loe­ schcke; Schroder) che subirono l'influenza del sistema mitologico indo-germanico, e applicarono, per esempio, le idee indiane e ttaniche ad illustrare alcune rappresentazioni e figurazioni nate e formate in Grecia 10 • Ma in generale gli archeologi ignorano, com'è naturale, anche i limiti della razza ; e come spesso astraggono dal tempo e dallo spazio, cosi amano spaziare, nell'indagine dei ma-

10 Per esempio: la interpretazon1l di Hephaistos = yabhayista (fututionis valde cupidus) (SCHRODER, Apbrodite, Eros und Hepbaistos, Berlin 1887) applicata dal Loeschcke alle pitture della ceramica vascolare greca; o le idee indiane e iraniche sui cani mitici e sul gallo sacro applicate dal Doeschcke (Aus der Unterwelt, Dorpat. Progr. 1888) a spiegare una scena dipinta sopra un sarcofago di Oazomene.

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numenti, sopra i popoli più diversi e le civiltà più disparate, portando l'indirizzo comparativo alle sue conseguenze estreme. Nell'assenza della tradizione scritta e delle tradizioni orali, nello sforzo di penetrare il senso della figura, sembrano tratti fatalmente verso un simbolismo più o meno temperato, che offre il terreno propizio al rifiorire intermittente di idee e di sistemi non troppo dissimili da quelli di G. Fr . Kreuzer 1 1 • *

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Chi conosce una ·sola religione non ne conosce nessuna . Biso­ gna soggiungere : chi conosce più religioni non conosce ancora la scienza delle religioni. Nella storia della religione in Grecia incontriamo a volta a volta dei fatti o gruppi di fatti su cui siamo informati in modo veramente eccezionale, perfino sui particolari più minuti. La storia della religione in Egitto ci offre una serie più o meno continua, ma ad ogni modo unica, di fatti religiosi concatenati per una successione più volte millennaria. Ma la messa in valore di una tale somma di conoscenze in ordine alla scienza delle religioni comincia soltanto quando l'una o l'altra di queste religioni è presa come tipo cui si riconducono, per via di confronto, gli svolgimenti della religione presso altri popoli e in altri ambienti culturali. Ebbene: come le sequenze dei fatti offerte dalle religioni storiche tendono a proiettarsi più vastamente nello spazio, così i fenomeni tipici delle religioni non storiche tendono a disporsi in serie nel tempo. Poi che l'elemento storico è teoricamente nullo presso le religioni dei popoli incolti (religioni non storiche) , sembra naturale che esse non possano offrire all'indagine se non una fenomenologia e una morfologia religiosa.

11 G. FR. KREuzER, Symbolik und Mythologie der alten Volker, besonders der Griechen, 1810-12.

1 80

E così, in realtà, è avvenuto. Coloro che si misero a studiare le religioni dei popoli incolti - con tanto ardore da perdere troppo di vista le religioni storiche - arrivarono a scoprire un certo numero di fenomeni religiosi. Il feticismo, l'animismo, il naturalismo, il totemismo, la magia: sono modi e forme religiose, di cui dobbiamo la conoscenza a quegli antropologi e etnologi e sociologi che portarono il loro campo d'indagine sulla vita dei popoli primitivi. Il totemismo 1 2, il samanismo 1 3 , il manismo, il demonismo, il nagualismo 1 4 non sono fasi necessarie dell'evoluzione religiosa; e tanto meno ha carattere di necessità la loro successione in un ordine qualsiasi. Eppure, se consideriamo la storia di queste scoperte, vediamo che a ciascuna di esse tien dietro un tentativo di fissare il nuovo fenomeno in una serie sequenziale. Appena una forma nuova si delinea su l'orizzonte dell'indagine, subito si manifesta la tendenza ad universalizzarla, e quindi a ricercarla e riscontrarla presso le religioni storiohe , e quindi, anche per questo lato, a fissarla nel tempo. Scoperto - alcuni decenni prima 1 5 - il feticismo, A. Comte costruì su di esso la serie dei tre gradi successivi : feticismo, politeismo, monoteismo 16• Chi oserebbe oggi sostenere le origini feticiste del monoteismo? Il feticismo stesso come fenomeno reli­ gioso tipico e caratteristico ormai non è più ammesso che da

12 F. B. ]EVONS, The Piace of Totemism in the Evolution of Religion, Folk-lore », X, 369 ; J. TouTAIN, L'histoire des religions et le totémisme, « Revue de l'histoire des religions », LVII, 1908, 3.33 . A. VAN GENNEP, Totémisme et méthode comparative, « Revue de l'histoire des rel.igions », LVIII, 1908, 34; E. REUTERSKiékn, Totemismus, « Archiv fiir Religionswissenschaft », XV, 1912, l . 13 Cfr . A. VAN GENNEP, De l'emploi du mot « chamanisme », « Revue de l'histoire des religions », XLVII, 1903, 51. 14 D. G. BRlNTON, Nagualism: a Study in native American Folk-Lore and History, 1894. 15 DE BROSSES, Dissertation sur le culte des dieux fétiches ou parallèle de l'ancienne religion de l'Egypte avec la religion actuelle de la Nigritie, 1760. 16 Cours de philosophie positive ( 18.39), t. IV. «

181

pochi 17 • E. B. Tylor gli sostituì, nella serie, l'animismo . Ma oramai nessuno più crede che l'uomo abbia cominciato ad ess ere religioso con l'attribuire uno spirito a tutte le cose. Si è riconosciuto che la religiosità può essere indipendente dall'idea di spirito . Si sono osservati e studiati i principi e le idee della magia, le credenze in una forza magica, impersonale , non spirituale, non antropomorfa : tutt'un altro ordine di fenomeni religiosi che si presentano con caratteri propri, comuni e fondamentali, e del tutto indipendenti dall 'animismo. Così si è scoperto il pre-animismo 1 8 • Già nel nome si rivela la tendenza cui sopra accennavo . Questa tendenza delle forme religiose a disporsi in successioni relativamente cronologiche ha il suo corrispettivo nell'altra, dei fatti religiosi a ricercarsi dei paralleli spaziali . Le due tendenze propendono ad avvicinarsi e ad integrarsi a vicenda. C'è un momento in cui sembra che quasi si tocchino, vale a dire si fondano insieme; ed è quando si fanno entrare nel quadro e nel dominio della storia le religioni dei popoli primitivi. Questo è avvenuto in primo luogo per i popoli che sono primitivi nel senso che sono primordiali; ma poi si ,verifica anche per quelli che sono attualmente primitivi, cioè per i popoli incolti. Nel primo caso si ha la pre-istoria. Nel secondo caso si ha l'etnologia come storia della civiltà. Non pochi elementi culturali dei popoli incolti moderni si ritrovano presso i popoli primordiali. Ma per questi la stratigrafia stabilisce le successioni, e, quindi, le cronologie relative; non è ancora la storia, ma è già la preistoria. Necessariamente non si tratta che degli elementi della civiltà materiale : la soprastruttura s ocial e , sp irituale , religiosa è irreparabilmente scomparsa. 17 ACHELIS, Der Fetischismus als universelle Entwicklungsstufe des religiosen Bewusstseins, « Das Ausland », 1 1891 , 961 ; R. M. MEYER, Fetischismus, « Archiv fiir Religionswissen.schaft », XI, 1908, 320 ; V. CltARUZINA, Osservazioni sull'uso della parola « feticismo » (in russo), « Etlmograficeskoe Obozrenie », 1908. 18 R. R. MAlmTT , Preanimistic Religion, « Folk-lore » XI, 1900, 162 ss; E. CLODD, Preanimistic Stages in Religion; « Folk-lore », XX, 1909 (cfr. « Transactions of the IIId Congress for the History of Religions », Oxford, 1908, I, 33).

1 82

Ma essa sussiste, invece, e si osserva presso i primitivi attuali.

n concetto dell'etnologia come parte della storia generale della

civiltà è un'applicazione, una estensione, e un superamento insie­ me, del concetto su cui è fondata la paletnologia. Se si concepisce la civiltà come un organismo ben costituito e complesso , che non ·Si diffonde a frammenti, ma si trasporta nella quasi totalità dei suoi elementi fondamentali, vien fatto natural­ mente di pensare, per esempio, ad una civiltà delle palafitte come corrispondente e rappresentante di una determinata forma di or­ ganizzazione sociale; e, sempre in base allo stesso principio della solidarietà degli elementi culturali, diviene legittimo di cercare, per esempio, in Australia l'area o la fase culturale della credenza in un Essere Supremo o quella dei miti lunari e solari 19• Se questo indirizzo , inaugurato già dal Ratzel e dal Frobenius , affermato oggi d a una scuola di etnologi tedeschi 20, fosse destinato a trionfare, fornirebbe esso, for,se, la soluzione del problema fondamentale della scienza delle religioni. Il dualismo fra metodo storico e metodo comparativo, fra tempo e spazio nello· studio delle religioni, verrebbe meno . Ma in attesa che la sistesi si attui, e senza volerla aspettare piuttosto dall'uno che dall'altro indirizzo degli studi, noi possiamo fin da ora constatare i sintomi del suo divenire in quei fenomeni d'interferenza che siam venuti additando fra l'un metodo e l'altro, i quali hanno la loro manifestazione culminante in questa antitesi caratteristica: il metodo filologico che crea la mitologia comparata ; il metodo antropologico che scopre il preanimismo . Una cosa è certa ad ogni modo, ed è che qui non si tratta di due metodi da abbinare, di due ordini di conoscenze da sommare, ma di una visione sintetica, di una concezione unitaria da conse-

19 F. GRXBNER, Wanderung und Entwickelung so:daler Systeme in Australien, Globus », 90 ( 1906), 181 ss ; Zur Australischen Religionsgeschichte, « Globus », 96 (1909), 341 ss. 20 W. ScHMIDT, Die kulturhistorische Methode in der Ethnologie, « Anthro­ pos », VI, 1911, 1010 ss. «

183

guire, una concezione della scienza delle religioni e del suo metodo fondata sulla natura del suo proprio oggetto, cioè del fatto religio­ so indefinitamente vario e multiforme nel tempo e nello spazio, ma nell'essenza sua uno e definito.

1 84

4.

Storia del cristianesimo

e

storia delle religioni *

Il cr1st1anesimo nasce accanto a una tomba. Un cadavere infisso a una croce, un silenzio di morte dopo il tumulto, un occultarsi dei discepoli sbigottiti, un vacillare della fede. Ma la fede vinse la morte. Nei discepoli di Gesù rivisse l'antico spirito ebraico, ribelle alle leggi di natura come ai destini della storia, educato dai Profeti a superare le sconfitte e le smentite della realtà nelle speranze dell 'ideale. Come alla caduta di Giuda gli Ebrei , avulsi della terra dei padri, privati di regno e di nazione, tratti in cattività, vissero di aspettazione e di fede, creden­ do ancora e sempre nella potenza di Jahve e nei destini· del suo popolo, cosl alla morte di Gesù i discepoli setbarono fede al Maestro risorto da morte, e l'avvento del regno di Dio spostaro­ no nel tempo fino al ritorno di Lui su la terra. Per la fede in Jahve, su le rovine d'Israele e di Giuda sorse il Giudaismo come comunità religiosa del popolo ebreo : per la fede in Gesù, intorno alla tomba di Gesù nacque il cristianesimo 1 • Cosl la storia delle religioni investe la storia del cristianesimo fin dalle sue origini : per i rapporti speciali della nuova fede con lo spirito religioso ebraico; per i suoi rapporti generali con le forme elementari della religione. Infatti, nella resurrezione di Gesù si riflette idealmente la credenza primordiale della vita che continua dopo la morte. E

* «

l

Scientia », VIII (1914), 16, pp. 88-100.

Cfr. MAURENBERGHER, Von ]erusalem ntJCb Rom, 1910 (dr.: Von Nti%areth nach Golgotha: Untersuchungen iiber die weltgeschichtlichen Zusammenhiinge des Christentums, 1909). 185

questo rapporto ideologico fra animismo e cristianesimo si deter­ mina poi in un problema storico e locale : il molto discusso problema del culto dei morti presso gli Ebrei. È noto che questo culto e le credenze e le pratiche ad esso relative non hanno nella religione degli Ebrei una parte molto importante . Parve, questo, un fatto unico nella storia delle religioni, e fu considerato come una prova - o riprova - dell'originalità e superiorità religiosa del popolo ebraico (Renan) 2; mentre nelle credenze intorno alla vita ultraterrena quali appaiono nel Giudaismo nei primi secoli a . Cr . , s i vide l'infiltrazione di idee persiane o greche o egizie . E durò fatica a farsi strada una concezione storica molto più raziona­ le, che trova nella preponderanza assoluta del monoteismo jahvi­ stico e profetico la causa naturale onde fu relegato nell'ombra il culto dei morti; e senza negare la penetrazione di idee straniere, ritiene tuttavia legittimo di riconnettere le idee ebraiche (anche se tardive) su la religione dei morti con un nucleo primordiale di credenze e pratiche animistiche, non molto divet5e da quelle che sono comuni a tutti i popoli in uno stadio primitivo della civiltà 3 Come l'origine, cosl lo svolgimento ulteriore del cristianesimo si inquadra nella storia generale delle religioni. *

*

*

Storia del cristianesimo vuol dire storia dell'impero romano, del medioevo, delle formazioni nazionali moderne ; vuoi dire storia del popolo ebraico in particoalre e dei popoli semitici in generale , anche nei loro rapporti col mondo egiziano e con l'iranico ; vuoi dire storia del pagahesimo greco-romano e dei paganesimi barbari­ ci : germanico, celtico e slavo. Esteso così nel tempo e nello spazio , il cristianesimo rappresenta uno svolgimento religioso ininterrotto

2

Histoire du peuple d'Israel. Das Leben nach dem Tode nach den Vorstellungen des alten Israel und des ]udentums, Giessen 1892; An. Lons, La croyance à la vie future et le culte des morts dans l'antiquité israélite, Paris 1906.

3 FR. ScHWALLY,

1 86

per la durata di un tremila anni, e condensa in sé l'esperienza religiosa di molti popoli diversi. Nella storia delle religioni lo svolgimento millennario non è un fatto unico e speciale del cristianesimo . G. Foucart, sostenendo da un punto di vista metodologico l'opportunità di fissare una delle religioni storiche come punto di riferimento per lo studio di tutte le altre, sceglieva la religione egiziana come quella che può essere seguita nel suo svolgersi per parecchi millenni ininterrottamente 4 • E già Max Miiller aveva disegnato u n « origin and growth of religion, as illustrated by the religions of India » 5 • Ma le nostre considerazioni voglion essere di ordine più gene­ rale. Noi ci domandiamo se accanto ed oltre alla concezione rettilinea della storia ininterrotta del cristianesimo non ci sia posto per un'altra concezione che, per restare nel linguaggio delle imagi­ ni geometriche, potremmo chiamare concentrica . *

*

*

La religione di Gesù è universale. Il cristianesimo è cattolico : fu cattolico nel suo primo periodo, e rimase cattolico dopo la riforma protestante . (Né la cattolica, come tendenza esplicantesi nelle forme della propaganda e delle missioni, venne meno del tutto nel protestantesimo) . Il cristianesimo cattolico è dunque l'attuazione della religione universale di Gesù; e il processo di questa attuazione si compi dando origine a quell'organismo nuovo che è la Chiesa. La religione di Gesù era universale in quanto superava ogni differenza di nazione, di razza e di classe, ed aveva valore per tutti gli uomini come individui. I preludi di questa concezione della vita religiosa si erano già svolti presso quel popolo dove - si noti - la vita religiosa fu più intimamente fusa con la vita collettiva nazionale : gli Ebrei Ma come non fu mai attuata presso il popolo ebraico una religione individuale-universa-

4 G. FoUCART, Histoire des religions et métbode comparative, Paris 1912. 5 Hibbert Lectures : London 1878.

1 87

le nel genuino senso profetico, così la Chiesa non attuò mai nella sua pienezza l'universalismo religioso di Gesù. La Chiesa cattolica rappresenta il divenire dell'idea univeralistica della religione nel momento storico dell'impero romano. Di mano .in mano che la Chiesa acquista coscienza della sua missione universale, lo Stato romano subisce un processo di snazionalizzazione, dal quale esce trasformato da ·stato nazionale in stato internazionale. Avvicinatisi così l'una all'altro, la Chiesa e lo Stato finiscono per fondersi . La Chiesa diviene religione di stato, non di uno stato nazionale , ma pur sempre di uno stato, quello che si era sostituito alle varie nazionalità. Ma lo stato internazionale non è universale : c'è sem­ pre qualcuno che resta fuori dello Stato, e che resterà quindi fuori della Chiesa. Corrispondentemente si svolge il concetto della Chie­ sa come istituzione necessaria e sufficiente per la salvezza degli uomini. Così il cattolicismo della Chiesa risulta essere una diminuzione dell'universalismo religioso di Gesù. Ciò dipende ultimamente dal fatto che la religione di Gesù è soprattutto religione interiore : solo una religione interiore è veramente universale senza esclusi­ vismi. La Chiesa, invece, venne organizzandosi secondo un tipo culturale che fece larga parte anche ad elementi provenuti da antichi culti, nazionali o non nazionali : l'organizzazione culturale della Chiesa si tradusse in una esteriorizzazione della religione. Questo dimostra meglio di ogni altra prova quanto siano intima­ mente connessi i due termini : religione universale e religione interiore . Ciò è poi confermato dalla storia generale delle religioni . *

*

*

Con l'avvento di una religione universale s'inizia un'èra nuo­ va dello svolgimento religioso. È nota la classificazione delle religioni in tribali, nazionali, universali 6 un criterio che per molti

6 ABR. KuBNBN, National religions and universal religions (Hibbert Lectutes), London 1882. .ALLAN MENZIBS, History of religion, London 1895, divide le -

188

aspetti appare preferibile a quello (fondato su Jo sviluppo partico­ lare dell 'idea di Dio), onde le religioni si classificano in polidemo­ nistiche (o animistiche o feticistiche) , politeistiche e monoteistiche . Veramente, tra religioni tribali e religioni nazionali la differen­ za è piuttosto di grado che di essenza. Quando dalle tribù si forma la nazione, conseguentemente e parallelamente la religione da triba­ le diviene nazionale. Questo trapasso si compie restando sempre la religione intimamente compenetrata con la vita collettiva della tribù o della nazione. Ben altra è la trasformazione religiosa che si opera con l'avvento di una religione universale. La religione uni­ versale sposta il centro della religiosità dalla vita sociale alla vita dell'individuo. Là dove tutti i singoli possono vivere separatamen­ te una propria vita religiosa, ivi veramente la religione è universa­ le. Questa trasformazione si compie con Gesù; ma si era già venuta elaborando, come dicevamo sopra, presso i profeti ebraici. L'impronta originale che i profeti dànno aJ.la religione ebraica sta appunto nell'affermazione di questo concetto nuovo della religio­ ne : un concetto la cui importanza religiosa è molto superiore a quella dell'idea monoteistica. Infatti, il monoteismo ebraico comincia coll'essere puramente nazionale, e però relativo; né per esso la religione ebraica si solleva di molto sopra il tipo delle religioni nazionali. Jahve originariamente non è il Dio unico in senso assoluto , ma il Dio (unico) d'Israele, come Kamos è il Dio di Moab, come Hadad e altri Baallm sono rispettivamente gli Dei particoJari di questa o quella comunità nazionale siriaca o cananea. Quella trasformazione di Jahve da Dio nazionale d 'Israele in Dio universale, che contiene il germe di una fondamentale corre­ zione teoretica dell'idea stessa di Dio, fu promossa dagli avveni­ menti politici nei quali si svoJse la storia del popolo ebraico . religioni in: tribali, nazionali, individuali (cfr. GoBLET D'ALVmLLA, in « Revue de l'histoire des religions », XXXIV, 1896). - C. P. TmLE, Introduction to the science of religion (Gifford Lectures), Edinburgh 1897.

1 89

Annientato, con la caduta di Giuda (586 a . Cr .), e tratto in esilio il popolo di Jahve, Jahve stesso non poteva conservarsi se non diventando un Dio indipendente dai destini del suo popolo, il Dio di tutti i popoli, reggitore di tutti i destini della storia, il Dio assolutamente unico, l'eterno, il creatore . La data del 586, segnan­ do, con la caduta di Giuda, l'avverarsi delle predizioni di Geremia, che preparano quelle di Ezechiele e del Deuteroisaia, segna anche il trionfo del profetismo anti-nazionale e l'avvento di quel mono­ teismo universale - preannunziato già lontanamente da Amos e da Rosea -, che avrà la sua più piena espressione nel giudaismo postesilico 7 • Questa data del 586 ha dunque una importanza che trascende la storia del popolo ebraico, e segna un momento capitale nella storia universale della religione. Il cristianesimo, in quanto nasce dall'univer.salismo religioso di Gesù, sposta all'indietro la sua preistoria fino a raggiungere quella data. E non solo il cristianesi­ mo . L'islamismo è pur esso, in certo grado, una religione universa­ listica, ma dipendente dallo sviluppo anteriore dell'ebraismo e del cristianesimo . Maometto non è originale : deriva da Mosè e da Cristo . L'islam rappresenta dunque l'adattamento a una parte dell'Oriente di quel nuovo tipo religioso universalistico che in Occidente si era attuato col cristianesimo . Dal nostro punto di vista occidentale, adunque, la storia reli­ giosa presenta una sua propria linea di sviluppo ininterrotto, che ha il suo punto di partenza nel tramonto delle religioni nazionali e nell'avvento dell'idea religiosa universale : un punto che noi pos­ siamo fissare neiJa data - convenzionale come ogni data, ma pure opportuna - del 586 a. Cr. In questa linea più vasta rientra la linea della storia religiosa cristiana, non - dunque - per un arbitrario spostamento del suo punto di origine, ma in virtù di un fondamentale criterio di valutazione religiosa.

7 Cfr. A. CAussE, Les prophètes d'Israel et les religions de l'Orient: Essai sur les origines du monothéisme universaliste, Paris 1913.

190

Tuttavia, questa nuova vlSlone, che noi cosi conseguiamo, dello sviluppo del cristianesimo, non è ancora quella che noi auspicavamo in principio : resta sempre una visione parziale e limitata, in quanto è relativa al nostro punto di vista particolare occidentale ed europeo. L'Oriente attuò una sua propria religione universale, la quale, sorta circa contemporaneamente, si svolse per altro in un senso del tutto indipendente dalla linea religiosa ebraico-cristiana-mussulma­ na . La religione universalistica dell'Oriente è il buddismo . Né si può comprendere nella sua pienezza il fenomeno dell'universalismo religioso occidentale, senza tener conto del parallelo fenomeno orientale . Solo da questo confronto può venire in evidenza quel che abbiano in comune i due svolgimenti. Tale elemento comune , che dunque risulta essere la base dell'universalismo religioso, è appunto quello della religiosità interiore e individuale 8• L'elemento individuale compare nelle religioni universalistiche già nell'atto e nel modo della loro fondazione : in quanto sono , appunto, religioni fondate, e prendono nome dal loro fondatore : Budda, Cristo, Maometto . Ma un tale intervento del fattore indi­ viduale potrebbe essere puramente estrinseco e contingente, e non destinato a influire su la natura intima dello svolgimento religioso . Infatti, non tutte le religioni fondate sono, reciprocamente , uni­ versali. Zaratustra fondò (o riformò ? ) una religione che non usd dal mondo persiano 9; come rimase sostanzialmente limitata: al mondo cinese la religione di Confucio. Più profondamente, e con ben altro valore religioso, si afferma nelle religioni universalistiche l'elemento individuale in quanto l'individualismo religioso implica, correlativamente, la religiosità interiore. Le religioni universali di Gesù e di Budda, in quanto spostano il centro della vita religiosa dalla società all'individuo , lo

8 « Tribale », « nazionale », « individuale » ( = universale) sono appunto i tre momenti dello sviluppo religioso secondo ALLAN MENZIES, op. cit. 9 TrELE, Geschichte der Religion im Altertum� Bd. II, l . Lascio impregiudica­ ta la questione dei rapporti fra il mazdeismo e il mitraismo dei misteri. 191

trasportano anche dall'esteriorità formale del culto e del rito verso un'esperienza sempre più intima e profonda. Ad alimentare questa esperienza Budda trovò una fonte ine­ sauribile nel mistero della morte. Tale è invero il substrato religio­ so su cui Budda costrul la sua dottrina della liberazione dal dolore, che è liberazione dalla morte. E il fatto della morte domina tragicamente il primo sorgere del cdstianesimo: la morte di Gesù diviene il prototipo della morte di ogni cristiano. Non è senza una ragione che il mistero della morte penetra cosl profondamente nello spirito delle religioni fondate su l'esperienza religiosa indivi­ duale; e la ragione è che la morte è, tra i fatti umani, il più ricco di suggestione interiore, come quello che pone ogni individuo di fronte al mistero. Tale è anche il valore intimamente religioso di quei molteplici culti primordiali che costituiscono le religioni ani­ mistiche. In questa identità e universalità umana della morte, nella profondità dei sentimenti che essa può suscitare in ogni uomo , noi cogliamo il nesso onde possono essere associate le infime manife­ stazioni di una primordiale religiosità di tipo animistico e le formazioni religiose più alte e più perfette 1 0 • E questo nesso emana dall'esser qui identica la fonte religiosa ispiratrice - l'uo­ mo e il mistero dell'io -, di fronte a quell'altra grande sorgente della religiosità che è il mondo esterno, la natura, il non-io, con il suo pur multiforme mistero . Ed è importante constatare che l'ele­ mento naturalistico appare in ispecial modo prevalente proprio nelle religioni di tipo nazionale (indiana-brahmanica, ellenica, ecc.) . Dopo aver adorato le forze deLla natura, sembra quasi che l'uomo voglia ripiegarsi su se stesso, e in questa contemplazione di sé trovi alla sua religiosità una formula superiore. Questo è veramente l'intimo fondamento religioso che è co­ mune al buddismo e al cristianesimo, questa interiorità della vita religiosa che si estrinseca in un tipo di religione universalistica . Dal nostro punto di vista riesce evidente l'inferiorità religiosa 10

N. S0DERBLOM, Heilandtypen in

der Religionsgeschichte,

«

Religion

Geisteskultur, Zeitschrift fiir religiose Vertiefung cles rnodemen Geisteslebens

1 92

u. ».

dell'elemento intellettualistico di fronte a quello della esperienza interiore; poiché in base a questa ci stanno dinnanzi su uno stesso livello due religioni come iJ. buddismo e il cristianesimo, le quali sotto l'aspetto dogmatico (intellettualistico) rappresentano gli e­ stremi opposti, poiché l'una ha superato l'idea di Dio, l'altra ha fatto dell'idea di Dio l'elemento centrale della credenza. *

*

*

Dopo Gesù, la religione non si mantenne a lungo in quella sfera altamente ideale cui egli l'aveva sollevata. Quel movimento di ecdesiasticizzazione del cristianesimo che conduce da ultimo alla fondazione della Chiesa di stato, segna anche un progressivo attenuarsi dell'intima religiosità, un rinnovato prevalere delle for­ me culturali esteriori, un rifiorire delle superstizioni, delle quali non poche trovan posto nel seno stesso del culto ufficiale 1 1 • Questo inaridirsi delle pure sorgenti religiose si manifesta anche nell'importanza che assumono allora le dispute dogmatiche. Al contatto con l'intellettuaHsmo greco, nasce la teologia cristiana e la cristologia. Le opposizioni assumono, anch'esse, forma dogma­ tica; e producono le eresie, spesso generatrici di scismi. Né i concili riescono a toglier di mezzo queste tendenze che serpeggiano in seno al mondo cristiano. Tutta la storia del cristianesimo è pervasa dal fluire e rifluire di onde religiose che si determinano in un modo centrifugo, dando origine a delle formazioni periferiche. In realtà le eresie non sono soltanto eterodossie dogmatiche, ma hanno un valore più profondamente religioso - se pure meno appariscente -, in quanto rispecchiano molto spesso le aspirazioni ad una vita .più intensa e più pura. Tali aspirazioni possono svilupparsi nel seno stesso della Chie­ sa, come il monachismo cenobitico e ascetico dei primi secoli, come rpiù tardi - almeno in parte - il misticismo. Ma spesso u

W. SoLTAU, Das Fortleben des Heidentums in der altchristlichen Kirche,

Berlin 1906.

193

danno origine a delle comunità separatiste. Il movimento france­ scano finisce col produrre delle vere e proprie sètte scismatiche, come quella degli Apo stolici 1 2 • Uno degli aspetti religiosi dei moti separatisti si manifesta appunto nelle forme che essi assumono generalmente, di associazioni di tipo settario : si circondano di mistero, e nel segreto svolgono una loro propria vita religiosa, ben diversa da quella della Chiesa ufficiale . Un altro carattere tipico, e che rivela anch'esso una profonda aspirazione religiosa, è la ten­ denza generale a restaurare la purezza dei primi tempi, a rivivere la vita apostolica, a ricondurre il cristianesimo alle sue origini. Tale tendenza, che ispirerà costantemente i moti riformatori del medio evo ed oltre il medio evo, comincia a comparire già nel II secolo 1 3 • Inoltre va tenuto presente che le nuove chiese ereti­ che ripetono generalmente l'origine loro da un fondatore ; . e da questo lato sono simili alle grandi religioni universalistiche ; e risultano quindi appartenere allo stesso tipo di queste , in seno alle quali esse si formano, se anche il più delle volte non riescano a oltrepassare le proporzioni modestissime di una piccola confessio­ ne . Tuttavia anche un moto separatista può assumere, per un concorso di circostanze favorevoli, forma, vita e o rganismo di una nuova Chiesa. Come l'Oriente asiatico si staccò parzialmente dal tronco unitario sotto le formule nestoriana e monofisita e mani­ chea, cosl l'Oriente europeo si organizzò a parte in Chiesa gre­ co-ortodossa, e il Settentrione d'Europa nelle varie Chiese Prote­ stanti. In tali casi, come nella primitiva Chiesa cristiana, l'impulso religioso originario si rivesti di particolari ragioni politiche e di nuovo assunse forme ecclesiastiche ortodosse ed ufficiali. E corri­ spondentemente risorsero in seno alle nuove Chiese, le correnti

12 F. Tocco, L'eresia nel medio evo, Firenze 1884. 13 Cfr. HrLGENFELD, Die Ketzergeschichte des Urchristenthums, Leipzig 1884.

Notevolissimo è, p. es., l'elemento estatico nella « nuova profezia » dei Montanisti, in rapporto col carattere entusiastico che era proprio dei culti della Frigia (Montanus stesso pare fosse stato sacerdote della Magna Mater): G. N. BoNWETSCH, Die Geschichte des Montanismus, 188 1 .

1 94

religiose autonome . Così il Protestantesimo vide pullulare le con­ fessioni eterodosse. Né la Chiesa greca fu immune da formazioni settarie; né queste vennero meno nella Chiesa russa 14 • Così tutta l a storia del cristianesimo sembra svolgersi fra un'alternativa di moti centripeti e centrifughi, di tradizioni inin­ terrotte e neoformazioni periferiche . Tra la Chiesa e la sètta il cristianesimo diviene. Le correnti religiose più forti e più intense non si adattano entro i limiti segnati dalla religione ufficiale . Da questo nostro punto di vista, della esperienza e della vita religiosa interiore, le formazioni eterodose e settarie acquistano dunque un significato speciale, che interessa lo sviluppo intimo della religiosi­ tà assai più che il loro elemento intellettualistico e dogmatico . Or questa concezione religiosa delle formazioni eterodosse in seno al cristianesimo ha poi un valore e una portata che trascende la storia particolare della religione cristiana, si applica alle origini stesse del cristianesimo, e si conferma nella storia generale delle religioni. Il cristianesimo stesso nasce come formazione eterodossa di fronte all'ortodossia giudaica 1 5 • Gesù levò la sua protesta formi­ dabile in nome dell'intimo sentimento religioso contro le aridità del formalismo e del ritualismo tradizionale . Né fu il solo. Al tempo suo non erano pochi gli uomini che si appartavano a vivere una vita religiosa indipendente dalle prescrizioni ufficiali . Questi uomini erano organizzati in sètte . I primi cristiani, prima ancora di chiamarsi tali, furono una sètta giudaica : San Paolo la salvò dal pericolo di finire oscuramente come le altre sètte, aprendole · le vie del mondo greco e romano . Né la protesta di Gesù fu contro la religione ebraica. Gesù stesso discende dai Profeti . Questo già dimostra che anche in seno all'ebraismo si combattevano i due principi della ortodossia e della protesta religiosa. Contro il culto ufficiale popolare fatalmente 14

N. TsAKNI, La Russie sectaire. 15 JoH. WEISS, Das Problem der Entstehung des Christentums, Re1igionswissenschaft>>, XVI, 1913.

«

Archiv ·

fiir

195

incline alle forme idolatriche la protesta si levò per bocca dei Profeti, precursori della religiosità individuale e interiore . Quando la riforma profetica si compie attuandosi nella comunità religiosa giudaica, l'opposizione continua a vivere ispirandosi all'idea mes­ sianica; come più tardi rivive ancora nell'opposizione degli Haga­ disti contro la Halacha, della Kahbala contro il Rabbinismo , e in una serie di moti (fino al Hasidismo del secolo XVIII) che affermano i diritti della religiosità interiore contro il rigorismo 1 della Legge 6 • Non altrimenti s i affermò in India il buddismo di fronte alla religione tradizionale : non altrimenti che come protesta in nome dell'intima religiosità. Per ciò il buddismo cominciò con l'essere una sètta eterodossa; e se per un momento fu ( al pari del cristia­ nesimo) religione ufficiale di uno stato nazionale indiano, pure soltanto uscendo dall'India {come il cristianesimo dal mondo semi­ 17 tico) potè attuare il suo programma di religione universalistica • Il buddismo segna la rivolta contro il formalismo ritualistico e sacrificale dei Brahmani, nel quale si era immiserito e inaridito lo splendido naturalismo religioso dell'età vedica . La tradizione di questo spirito naturalistico indiano fu più forte della riforma ; e dopo la parentesi buddistica il naturalismo riprese il suo sviluppo indigeno rivivendo nelle forme orgiastiche dei culti çivaiti e vish­ nuiti; culti settari anch'essi, in origine, e rimasti tali di fronte alla vittoriosa ortodossia brahmanica . Anche in Grecia la religione ebbe u n carattere eminentemente naturalistico ; ed anche là, accanto al naturalismo e all'estetismo dei culti olimpici, si manifestarono le correnti profonde ed oscure che misero capo all'orfismo e alle altre sètte mistiche. E in Persia i misteri mitriaci accolsero non poche tendenze 1 religiose che non avevano trovato posto nel Mazdeismo ufficiale 8 • 16 S . A . HoRODEZKI, Zwei Richtungen im ]udentum, wissenschaft », XV, 1912.

«

Archiv :ffir Religions­

17 Env. LEHMANN, Der Buddhismus als indische Sekte, als Weltreligion, Tiibingen 191 1 . 18 FR. CUMONT, Les mystères de Mithra2, Bruxelles 1913.

196

Oltre lo sviluppo del cristianesimo vediamo adunque attraver­ so l'intero sviluppo della storia religiosa ripetersi questo fenome­ no, che appare quindi come l'espressione di bisogni religiosi for­ temente sentiti : intendo il prodursi delle formazioni religiose estranee alla religione ufficiale, e spesso organizzate in tipi settari. Ché se noi, allargando ancor più il nostro orizzonte, pensiamo alle società segrete dei popoli selvaggi e le associamo idealmente a quel che furono le comunità culturali esoteriche presso le religioni più evolute, e riflettiamo che anche presso i selvaggi quelle società d'iniziati furono spesso elaboratrici di concetti religiosi superiori, ci si disegna dinnanzi alla mente quasi una legge religiosa universa­ le che, verificandosi nelle singole formazioni religiose, nelle infe­ riori come nelle ,superiori , fino al cristianesimo, appare come la legge stessa dello svolgimento religioso, in quanto esso si attua per un moto continuo di oscillazion,e tra le forme ortodosse e le eterodosse, fra la chiesa e la sètta, fra il dogma e l'eresia . *

*

*

Dai suoi primordi, adunque, fino alla pienezza del suo svilup­ po, la storia del cristianesimo si collega intimamente con l'univer­ sale storia religiosa dell'umanità . Essa riflette nel suo svolgimento le singole storie religiose parziali, come, alla sua volta, si riflette in queste . Né le religioni primitive, « che non hanno storia » , restano escluse da questa generale comprensione. Non soltanto per il fatto delle società esoteriche dei selvaggi esse vanno tenute in conto . Ma il culto dei santi e dei martiri nel cristianesimo, e i suoi rapporti col culto dei morti e degli eroi 19; ma le diverse lotte iconoclastiche, che si imperniano sul valore magico della figurazione della persona divina; ma i molteplici elementi superstiziosi che trovarono acco­ glienza nel culto ufficiale : ci trasportano a quegli stadii primitivi

19 E. Lucms ,

Die Anfange des Heiligenkults in der christlichen Kirche,

Tiibingen 1904 ; H. DELEHAYE, Les origines du culte des Martyrs, Bruxelles 1912.

197

in cui la religione assunse le forme costanti dell'animismo e della magia. Taie è la visione che noi chiamavamo concentrica della storia del cristianesimo, secondo Ja quale tutta la storia religiosa si riversa ad illuminare il particolare svolgimento cristiano, come rispettivamente varrebbe ad illuminare lo svolgimento islamico o buddistico od ogni altro. Di fronte a questa che spazia largamente per i campi della storia religiosa, la visione dello sviluppo millennario ininterrotto sembra forse avere il vantaggio di una maggiore unità, che le sia conferita appunto dalla continuità dello sviluppo storico . Ma la nostra concezione ha pure la sua unità intima e profonda, in quanto è basata su la fondamentale identità e unità del fenomeno religioso, unità immanente attraverso la multiforme varietà delle sue estrinsecazioni nel tempo e nello spazio. Direi , anzi, che la concezione concentrica della storia del cristianesimo è la sola che abbia unità vera, appunto in quanto è fondata su la natura propria ed essenziale del cristianesimo, che è quella di essere un fatto religioso . L'altra concezione, rettilinea e continua, si risolve prati­ camente in una somma inorganica di singole indagini e di singole discipline : è soprattutto storia letteraria (filologia ed esegesi) per il periodo giudaico ed evangelico ; soprattutto storia filosofica nel momento dei contatti col mondo greco ; soprattutto storia politica per tutta la estensione dei rappoti col mondo romano, medievale, europeo 20 • Quella, invece, che noi concepiamo, che unifica le indagini

20 Anche nella pratica didattica la storia ininterrotta del cr1st1anesimo si divide necessariamente in una pluralità di discipline, come dimostra l'orga:nzy;zazio­ ne delle facoltà teologiche in Germania, dove la divisione è fatta secondo un ' criterio di specializzazione che riflette appunto i tre momenti capitali sopra accennati, e cioè: esegesi (suddivisa in esegesi dell'Antico, ed esegesi del Nuovo Testamento) ; dogmatica; storia della Chiesa. Cfr. A. FlARNACK, Die Aufgabe der theologischen Facultiiten und die allgemeine Religionsgeschichte, Berlin 1902; J. REviLLE, L'histoire des religions et les facultés de théologie; « Revue de l'histoire cles Religions », XLIV, 1901.

198

parziali - varie a seconda dei singoli periodi - nell'essenza religiosa dell'intero fenomeno cristiano, e in questo contempla lo svolgimento religioso universale è, in somma e in una parola : la

storia religiosa del cristianesimo .

1 99

5.

Le origini dell'idea di Dio * Ci sono delle religioni che riconoscono e venerano un solo Dio. Ci sono altre religioni che riconoscono e venerano più di una divinità. Il Dio delle religioni monoteistiche ha per lo meno un tratto comune con gli dèi delle religioni politeistiche : quello di essere uno spirito; e di questa spiritualità il segno più caratteristi­ co è l'invisibilità. « Dio è uno spirito perfettissimo » insegna la Dottrina Cristiana. E nel Vangelo di Giovanni è detto (IV, 24) : 1tVS:UfJ.tX o .&e:6c;; , xoct 't'oÙc;; rtpoO"Kuvouv't'occ;; OC:Ò't'Òv èv7tVS:UfJ.tX't'L xocl OCÀYJ.&e:(oc �e'L rt p oO"Kuve:i:v. Spiriti erano gli dèi di Omero, che prendeva­ no parte, invisibili, alle battaglie degli uomini. Spiriti ernao gli

dèi vedici e brahmanici, i quali, invocati, venivano ad assidersi, invisibili, sull'erba della sacra vedi, per partecipare alla solennità del sacrifizio. Il teismo e il razionalismo del sec. XVIII avevano portato a concepire come primitiva l 'idea di un Dio unico e solo, comunicata agli uomini per un atto di rivelazione : idea, da prima chiara e distinta, e poi via via oscuratasi nella coscienza umana per il prevalere di simboli, i quali, escogitati dai sacerdoti per un fine

* « Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze » VII Riunio­ ne-Siena settembre 1913, pp. 3-30, Roma, Tipogr. Naz., 1914, pp. 7-22. N.B. In questo discorso mi sono proposto di far conoscere al Congresso in forma provvisoria le :linee direttive di una mia indagine su le origini e lo sviluppo dell'idea di Dio nella storia delle religioni e nei rapporti fra la storia religiosa e lo svolgimento del pensiero filosofico. Esso non ha quindi il carattere di una trattazione sistematica e compiuta; onde, anche, ho tralasciato quasi del tutto la documentazione dei fatti, la quale potrà essere data soltanto in una redazione definitiva.

200

pedagogico, per meglio rendere intelligibile all'uomo la sublimità di Dio, fraintesi poi dal volgo, avrebbero dato origine a una moltitudine di divinità. Secondo questo sistema, il politeismo era sorto, dunque, attraverso un simbolismo primordiale, da un pri­ mordiale monoteismo. Augusto Comte, nella Filosofia Positiva, invertì i termini di questo svolgimento; e pose come gradi successivi il feticismo, il politeismo e il monoteismo. Gli antropologi inglesi del sec. XIX scopersero l'animismo, e applicando la loro scoperta allo studio delle religioni primitive, costruirono un sistema teorico che ripeteva, sostanzialmente, quel­ lo del Comte: animismo-politeismo-monoteismo. In fondo, era sempre l'idea di Dio che s'imponeva a tutti questi sistemi come elemento centrale della religione. Variava il modo di concepire il processo onde questa idea si sarebbe attuata nella storia: dal perfetto all'imperfetto, secondo i principi raziona­ listici prevalenti nel sec. XVIII; dall'imperfetto al perfetto, dal semplice al complesso, secondo la teoria dell'evoluzione che teneva il campo nel sec. XIX. Per gli uni, degenerazione: per gli altri, progresso. Poi che Dio è uno spirito, e poi che non c'è religione senza Dio - tali sono le proposizioni postulate più o meno esplicitamente dagli antropologi evoluzionisti , la religione deve cominciare là dove comincia l'idea di spirito, e deve andare via via affinandosi, da uno stadio primordiale a base di spiriti, o di tanti dèi quanti sono spiriti, attraverso una graduale riduzione delle figure divine, verso una religione di pochi spiriti maggiori che sono gli dèi del politeismo, e quindi verso la religione dello spirito unico, che è il Dio monoteistico. L'animismo, come era, dunque, il primo grado, cosl era anche il minimum del fenomeno religioso. Esso doveva trovarsi - e fu trovato - nelle credenze religiose dei popoli più selvaggi. Doveva trovarsi ai primordi della vita umana; e, infatti, fu trovato nel culto dei morti praticato dall'uo­ mo delle caverne. L'uomo era dunque partito da se stesso per arrivare a Dio: da se st�so, vale a dire dai dati della sua propria coscienza, dai suoi -

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sogni, e dal mistero della morte, che di giorno in giorno gli si ripresentava. Ma l'uomo primitivo contemplò pure il magnifico spettacolo della vita che gli stava dintorno. La natura gli si rivelò in tutte le sue forze meravigliose, che gli riempirono l'animo di ammirazione e di stupore. Quale parte ebbe dunque la natura nella religione primitiva? Nessuna, parvero dire gli animisti più intransigenti e con questi anche lo Spencer -, i quali ogni culto derivavano dalla religione dei morti, e nella natura vedevano soltanto un'ispi­ ratrice di miti, privi di un vero e proprio valore religioso. Altri, come il Tylor, distinsero opportunamente fa « mani» e « spiriti», fra spiriti dei morti (ghosts) e spiriti delle cose (spirits); ma subordinarono i culti naturalistici ai culti animistici, pensando che l'uomo avrebbe cominciato a venerare il sole o la luna o un altro elemento naturale soltanto dopo avervi collocato uno spirito, e solo a questo spirito come tale avrebbe rivolto il suo culto. Nella quale concezione ritorna ancora una volta il principio fondamenta­ le che ogni religione deve avere un Dio e non si ha il Dio se non si ha lo spirito. In realtà l'animismo, essendo manifestazione e conquista spe­ ciale del metodo antropologico applicato alla storia delle religioni, era sorto e si era affermato come un moto di reazione contro la scuola filologica e mitologica che operava nel campo naturalistico . Ne veniva di conseguenza che l'animismo tendesse a porre in seconda linea l'elemento naturalistico della religione. La verità è che naturalismo e animismo si integrano a vicenda nel concetto più comprensivo di religione. Se non che : i sistemi che rispettivamen­ te li rappresentarono non si integrarono in un sistema teorico unitario, perché furono, ciascuno dal suo punto di vista, troppo unilaterali, e quindi parziali. Se era fatale nel sistema dell'animi­ smo la tendenza anti-naturalistica, da essa anche trasse origine, più o meno consapevolmente, la critica del sistema stesso; la quale cominciò verso la fine del secolo XIX. Era proprio necessario che l'uomo prima concepisse ç:ome opera di spiriti i grandi fatti della natura, per poi poterli venera202

re? La concezione spiritica dell'universo era piuttosto una filosofia primitiva, intesa a spiegare il perché delle cose: un prodotto intellettualistico, in cui troppo poca parte era fatta, per esempio, all'elemento sentimentale della religione. Non potè dunque l'uomo sentire la potenza del sole senza pensare a uno spirito che dimo­ rasse in lui o in altra guisa lo facesse muovere? E non bastava questo sentimento e questo riconoscimento del potere del sole perché ci fosse religione? Quale è dunque - ecco che il problema si presentava in forma più vasta - qual'è dunque il minimum della religione? Ci sono dei fatti che presentano i caratteri neces­ sari e sufficienti della religiosità, pur non dipendendo dall'idea di spirito? Esistono dei popoli che non hanno la religione degli spiriti, che non hanno il culto dei morti, e che pure vivono di una loro vita religiosa? Tali furono i nuovi problemi che si affacciarono alla mente degli studiosi. Messisi su questa via, i nuovi studi portarono a formulare una · teoria nuova, basata su l'esistenza di uno stadio religioso anteriore all'animismo. Conseguentemente, questo stadio fu chiamato un preanimismo 1 • Tutti quei prodotti della religiosità che potevano essere sorti ed essersi manifestati indipendentemente e anterior­ mente all'idea di anima o di spirito, furono compresi nel prea­ nimismo. Essi furono, in primo luogo, i fenomeni della magia. Ma mentre progredivano gli studi su la magia, si veniva formulando una ipotesi che riportava allo stadio preanimistico della religione anche la credenza in un essere supremo. Tale ipotesi è dovuta ad Andrew Lang, spirito acuto e geniale, poeta e critico ad un tempo, e polemista pieno di brio, uno dei primi rappresentanti dell'indirizzo antropologico della scuola ingle­ se, che egli difese calorosamente contro il metodo filologico, predominante ai suoi tempi e rappresentato da Max Miiller. L'ipo1 R. R. MARETT, Pre-animistic religion, Folk-l.ore, 1900, 162 ss.; The Thresholdof Religion, London 1909 ; Eow. CLODD, Pre-animistic stages in religion,

Folk-Lore, 1909.

203

tesi del Lang fu giustamente definita un preanimismo monoteisti­ co 2• Infatti, quell'essere supremo che secondo il Lang rappresenta la prima fase religiosa dell'umanità, appare come un vero e pro­ prio Dio, senz'altre figure accanto a sé, unico e solo oggetto della venerazione umana, creatore degli uomini e delle cose, non sogget­ to a morire, eternamente vigile su gli eventi del mondo, sempre pronto a intervenire per difendere la moralità e per svelare e punire ,l'ingiustizia. Or questo Dio unico e buono ed eterno e creatore non sarebbe, però, uno spirito: perché la sua idea si sarebbe formata prima {preanimismo) del formarsi dell'idea di spirito, e dunque, indipendentemente da questa. Il Lang dice espressamente: «L'es­ sere supremo dei primitivi è un essere concepito indipendentemen­ te dalla questione di spirito o non-spirito, e probabilmente ante­ riore al sorgere dell'idea stessa di spirito » 3 • Resta dunque a vedere quali siano le origini dell'idea dell'essere supremo, di questo essere, pur non essendo spirito, sarebbe tuttavia idealmente cosi elevato, da avere in sé i caratteri della divinità 4• P. W. ScHMIDT, Der Ursprung der Gottesidee, p. 105 ss. A. LANG, The Making of religion3, London 1909, 1187. Altrove il LANG dice: « � impossibile provare storicamente quale dei due fondamentali elementi della fede - l'idea di un Essere eterno o di Esseri etemi, e l'idea di spiriti 2

3

sopravviventi - sorse prima nella mente dell'uomo (The Making of religion3, p. 202). 4 Il P. W. SCHMIDT, nel recensire il mio libro su La religione primitiva in Sardegna, mi attribuisce (Anthropos, VIII, 1913, p. 573 ss.) questo sillogismo: ogni Dio è uno spirito; l'essere supremo non è uno spirito (notisi che lo stesso ScHMIDT ha scritto: « das héichste Wesen ist iiberhaupt kein Geist, ist niemals von einem Korper getrennt worden », Ursprung der Gottesidee, 176); dunque l'essere supremo non è un Dio. Secondo lo SCHMIDT (seguito da un altro recensore del mio libro in Bilychnis II, 1913, p. 496) bisognerebbe distinguere tra « spirito » come essenza distinta dalla materia e « spirito » come principio vitale del corpo umano. Ma se la parola « spirito » ha un suo proprio significato, questo è soltanto il primo, e tanto più in rapporto con una teoria del preanimismo. E la mia argomentazione si riferiva appunto al preanimismo del LANG. Quanto a me, nulJa di più alieno dal mio modo di pensare che il voler ridurre sotto lo schema di un sillogismo un problema come quello delle origini e dello sviluppo dell'idea di Dio. Ciò risulterà anche meglio da questa mia trattazione, dove l'idea di Dio, al

204

Se l'essere supremo non è uno spmto, sarà dunque natura: un qualche elemento naturale che l'uomo abbia personificato nella figura di un essere immensamente grande e possente e benefico e giusto . Ma anche questa essenza mitica e naturalistica dell'essere supremo è da escludere, secondo il pensiero del Lang. Per il Lang, dò che è mitologia è l'elemento inferiore della religione. La religione ha un lato serio ed elevato che è di natura essenzialmente razionale, mentre il mito è l'ele­ mento fantastico e irrazionale per eccellenza 5• L'essere supremo ebbe dunque origine, secondo il Lang, nella sfera razionale della religiosità primitiva, e più particolarmente fu un prodotto dell'at­ tività speculativa mossa a cercare una causa delle cose. Come l'uomo conobbe in se stesso il fattore di questa o quella cosa, così concepì un fattore immensamente più abile e più potente, per quelle cose che egli stesso - l'uomo - non aveva fatte né poteva fare; onde, anche, assegnò a questo essere non-naturale ( « a ma­ gnified non-natura! man») gli attributi della paternità, della bene­ volenza, dell'interesse affettuoso per le sue creature 6• Così sorse dunque l'idea di Dio, nella forma di un essere unico e benefico e possente ed eterno; così : dalla tendenza speculativa che portava l'uomo a concepire una forza causale in rapporto con una sanzione morale. Questo aspetto del pensiero del Lang, per cui le origini natura­ li dell'idea di Dio sono spiegate mercé un processo mentale di carattere razionale o speculativo, fu generalmente trascurato dai critici della sua teoria, e fu, invece, accentuato dai suoi sostenitori. Il P. W. Swmidt, che si è proposto di divulgare la teoria del Lang difendendola dalle varie obiezioni che le furono mosse 7, e

sarà l'espressione sublimata di

pari dell'idea di anima è concepita appunto nel processo del suo divenire. Ché se l'idea di Dio fosse altra nelle figure degli esseri supremi e altra nel Vangelo di Giovanni, ciò starebbe appunto in favore della concezione evoluzionistica dell'idea di Dio. 5 Myth, ritual and religion, I, London 1887, p. 5 ss. 6

The Making of religion, p. X: cfr. Magie and Religion, p. 225, p. 69. W. ScHMIDT, Der Ursprung der Gottesidee, I, Miinster i. W. 1912.

7 P.

205

che l'ha applicata in parecchi dei suoi scritti di etnologia religiosa speciale 8, parla, a dirittura, delle origini prem.itologiche dell'essere supremo, come pertinente a un orizzonte religioso assolutamente distinto da quello mitico, e anteriore, e non avente nulla in comune con i prodotti dell'animismo, del naturalismo e della magia 9• « La credenza in un essere supremo e buono» - cosi procla­ ma L. von Schroder 10, un orientalista che ha accettato la teoria del Lang - « costituisce una terza sorgente della religione, accanto al culto della natura e al culto delle anime». Da questi due culti provengono i miti. « L'essere supremo e buono è senza miti» (mythenlos) 11• In questo modo l'idea di Dio verrebbe ad essere astratta dal complesso degli altri prodotti della religiosità : l'unità e l'identità del fatto religioso si scinderebbe in una religiosità inferiore (che è mitologia, animismo, naturalismo, magia), e una superiore, che è l'unica credenza in Dio unico e solo. E come Dio è unico e solo, cosi anche è unico il mondo onde esso si mostra all'orizzonte della coscienza umana 12• L'essere supremo non è spirito, non è natura : è pensiero puro, idea pura, l'idea di causa estesa dall'uomo a un essere non-umano. E corrispondentemente, è di un tipo unico e straordinario la religione che a lui , s i tributa : una religione senza culto e senza sacrifici, senza offerte di vittime, tutta adorazione e

s P. W. ScHMIDT, Stellung der Pygmlienvolker in der Entwickelungsgeschichte des Menschen, Stuttgart 1910. Grundlinien einer Vergleichung der Religi'onen und Mythologien der austronesischen Volker, Denkschriften der K. Akademie der Wissenschaften in Wien, philos.-histor. Kl., Bd. 53, 3, Wien 1910. 9 Questa idea è esplicitamente formulata nelle citate Grundlinien, ecc., (poi attenuata in Ursprung der Gottesidee, p. 149). 10 L. voN ScHRODER, V'ber den Glauben an ein bochstes Wesen bei den Ariern, Wiener Zeitschrift fiir die Kunde des Morgenlandes, XIX, 1905, p. 4. 11 Ibid., p. 23. -

12 Di qui alla teoria della rivelazione come modo unico onde Dio si sarebbe fatto conoscere all'uomo, il passaggio è facile. Cosl il padre ScHMIDT mette d'accordo i dati dell'etnologia con quelli della tradizione ortodossa: Ursprung der Gottesidee, 150 s.

206

preghiera, pure azioni e pensieri puri, sotto l'occhio vigile dell'Al­ tissimo. E di fronte a questo quadro ideale di una religione santissima sta la visione disgustosa dei culti animistici deturpati da ogni sorta di nefandezze e mostruosità sanguinarie. L'avvento degli dèi-spiriti segnerebbe la decadenza della purità primitiva, e il prevalere di una religione sfrenata e immorale. L'idea primordiale di Dio finisce per oscurarsi : l'essere supremo impallidisce sempre più nella coscienza umana, e si ritrae, indifferente e muto, in una lontananza inaccessibile. Cosi rivive l'antica teoria della degenerazione : a partire dall'a­ nimismo la religione si svolgerà progressivamente verso forme sempre superiori, sempre meno impure. Ma prima di intraprendere il suo fatale cammino, l'umanità sembra sostare per un momento - per secoli? per millennii? - quasi assorta in una serena comunione con Dio. *

*

*

Per ciò che riguarda il lato propriamente teoretico dell'ipotesi del Lang, vale a dire l'origine razionale dell'idea di Dio, conviene anzitutto domandarsi se nel suo pensiero non sia venuta a prevale­ re, suo malgrado, una concezione che è particolarmente propria degli antropologi da lui combattuti, degli animisti. Si direbbe quasi che l'antica sua solidarietà con l'indirizzo di quella scuola che egli stesso aveva difesa strenuamente nei suoi principi fonda­ mentali, si sia riaffermata in lui ancora una volta nel momento in cui egli, seguendo con perfetta sincerità le nuove vedute del suo pensiero, clamorosamente dichiarava di staccarsene. Quello spirito razionalistico che informa il sistema classico dell'animismo, e che sembra quasi discendere in linea più o meno diretta dai sistemi dei razionalisti del sec. XVIII, quella tendenza a cogliere del fenomeno religioso, cosi complesso e cosi vario, il solo aspetto intellettuale, cosi da ridurre in certo qual modo la religione a una filosofia primordiale ed ingenua, trascurando quasi 207

del tutto gli elementi sentimentali ed emotivi, ed ignorando la profonda diversità tra la psiche dell'uomo primitivo e la mentalità dell'uomo moderno: questo spirito contro il quale il Lang stesso più d'una volta ritenne doveroso di reagire, sembra quasi rivivere ancora nel suo pensiero, nella forma di quel principio di causalità che egli pone come elemento ed origine spirituale dell'idea dell'es­ sere supremo, e di Dio. E, a questo stesso proposito, converrebbe poi osservare se quell'operazione mentale che è postulata dal Lang per spiegare le origini razionali dell'idea di Dio, corrisponda davvero a quel processo del pensiero che è proprio dell'uomo primitivo. Il quale non ignora il principio di causalità, ma suole applicarlo in una maniera particolare. Post hoc) ergo propter hoc: questo che per noi è un sofisma, è quasi la norma logica per la mentalità dell'uo­ mo primitivo 13• Molte delle operazioni magiche non hanno altro fondamento soggettivo che questo . E non solo il rapporto di successione più o meno immediata, ma anche i rapporti di conco­ mitanza, coincidenza, somiglianza, contatto, sono pensati come altrettanti rapporti causali, sono identificati fra loro in una nozio­ ne ancora indistinta della causalità. Soprattutto, poi, ciascuno di questi rapporti è riferito ad una causa particolare e momentanea, per difetto di quella facoltà di generalizzazione e di sintesi che sola può far ricondurre fenomeni, apparentemente diversi, ad un'unka e medesima causa. Il Lang, da quell'etnologo e antropologo che egli era, non costrul una teoria puramente speculativa, ma volle fondarla sopra una base di fatti positivi osservati presso le credenze dei « selvag­ gi» nelle varie parti del mondo. La somma di questi fatti si è venuta accrescendo per nuovi dati ed elementi raccolti successivamente. Ormai risulta in modo non dubbio che la credenza in un essere supremo è largamente diffusa presso i popoli primitivi.

13 Cfr. A.

208

LANG, Myth, ritual and religion, I, 93 .

A questa constatazione generale occorre tuttavia far seguire alcune osservazioni.

l) Innanzi tutto, l'indagine dei fatti positivi ha fatto vedere che la credenza nell'essere supremo allo stato puro, ossia come forma unica della religione non si riscontra effettivamente presso nessun popolo. L'esistenza di uno stadio religioso rappresentato dalla sola religione dell'essere supremo è quindi puramente ipote­ tica. La credenza nell'esssere supremo appare sempre accompagna­ ta da altre credenze di tipo «inferiore » - sia animistico sia naturalistico - più o meno sviluppate. Qualche volta esiste, accanto alla figura dell'essere supremo, un vero e proprio pantheon politeistico: una moltitudine di divinità, le quali interes­ sano la vita religiosa molto più dello stesso essere supremo. Infatti, nella maggioranza dei casi l'essere supremo non riceve alcun culto, neanche di semplici preghiere; tutt'al più è invocato in circostanze ,straordinarie. Egli non interviene nel corso delle cose umane: la sua bontà e benevolenza verso gli uomini sembra­ no dunque svanire in un'atteggiamento addirittura indifferente, riconosciuto e dichiarato come tale dagli stessi selvaggi.

2) I tratti fondamentali che sono assegnati all'essere supre­ mo come suoi propri e caratteristici non sono cosl costanti né cosl assoluti da non ammettere qualche eccezione. Per esempio, nelle credenze delle tribù australiane che abitano il territorio di Porto Stephens, del lago Macquarie o del fiume Herbert, c'è la figura di un essere supremo Koin (Kohin, Coen) 1 4 che abita nella foresta, oppure nella via lattea, ed è concepito come un guerriero gigante­ sco che si aggira di notte e uccide chiunque s'imbatte in lui. Manca adunque a questo essere supremo il tratto essenziale della bontà e benevolenza. Le tribù centrali del Nuovo Mecklenburg credono in un essere che abita «lassù», che « vive da sé»

14

HowiTT, The native tribes of south-east Australia, 96, 4 s.

209

(dunque: eterno, increato), e che essi chiamano a hintubuct 15, cioè « ava nostra»; e quindi è di sesso femminile, e però essenzialmen­ te diverso dall'essere supremo concepito come padre.

3) Infine occorre tener presente quella parte che nella costi­ tuzione dell'idea dell'essere supremo presso i singoli popoli selvag­ gi spetti eventualmente alle influenze esercitate da idee religiose più evolute, e particolarmente dalle religioni monoteistiche: il cristianesimo e l'islamismo. E l'indagine critica deve esercitarsi non solo sui dati oggettivi, verificando quali elementi estranei si siano effettivamente infiltrati nelle credenze indigene, ma anche sui dati soggettivi, vale a dire sulle notizie e -sui rapporti scritti intorno alle credenze medesime, in quanto rispecchino le interpre­ tazioni di uno spirito non sorretto dal senso critico e naturalmente inclinato a riconoscere nelle forme religiose dei selvaggi i residui o le alterazioni di forme religiose superiori. A questo proposito non sara mai superfluo tener conto delle osservazioni che E. B. Tylor formulava sin dal 1 892 16 intorno alla possibilità di infiltrazioni cristiane per opera dei missionari e intorno ai vari modi onde tali influenze poterono esercitarsi. Oggi, per altro, dopo avere condotto a termine questa indagine critica, dopo aver fatta la debita parte all'opera di propaganda che le varie missioni - cattoliche e protestanti - esercitano per i loro fini, nonché a quel processo di trasmissione che avviene naturalmente per i contatti fra i popoli, rimane pur sempre un residuo di fatti, in base ai quali la credenza in un essere supremo presso popoli primitivi è da ritenersi legittimamente fondata. Altro è l'atteggiamento che la critica può assumere di fronte alla interpretazione dei fatti accertati. Prima e dopo che il Lang formulasse la sua teoria, i fatti che a 15 P. G. PEEKEL, Religion und Zauberei Anthropos-Bibliothek, I, 3, 1910. 16 E. B. TYLOR, On the limits of savage cal Institute, XXI, 1 892.

210

auf dem mittleren Neu-Mecklenburg, religion, Joumal of the anthropologi­

lui servirono per la sua costruzione ipotetica erano stati spiegati in altre e diverse maniere. Qualcuno (Howitt) vide nell'essere su­ premo (degli Australiani) né più né meno che un parallelo superio­ re di qualche grande figura di antenato e di capo illustre, vissuto già su la terra e poi, dopo morte, elevato - per usare un linguaggio religioso moderno - alla gloria dei cieli 17• È evidente che questa ·spiegazione s'ispira alla teoria dell'animismo. Altri diedero un'interpretazione naturalistica, vale a dire cercarono un qualche fenomeno o corpo naturale che fosse il substrato e il contenuto della figura (mitica) dell'essere supremo: il van Gennep pensò al tuono 18, il Foy al sole 19, il Graebner (almeno in parte) alla luna 20• Ultimamente il Durkheim ha inquadrato la figura dell'essere supremo nel suo sistema esegetico a base di totemi­ smo 21• A proposito di questi vari tentativi di spiegazione è da osser­ vare che essi riguardano soltanto una determinata area etnografica, e precisamente l'Australia, vale a dire considerano esclusivamente, o quasi, gli esseri supremi australiani. Già per il fatto di questa loro parzialità non possono - né pretendono- opporsi direttamente alla teoria del Lang, la quale con disegno vastissimo, anzi universale, considerava la credenza nell'essere supremo presso tutti - o quasi - i popoli primitivi. Coerentemente a queste sue premesse universali, il Lang diede alla credenza stessa una spiegazione di valore assoluto, ricercandone le

17 HowrTT, The native tribes of south-cast Australia, London 1904, p. 500 ss. Cfr. Folk-Lore, XVII, 1906. 18 VAN GENNEP, Mythes et légendes d'Australie, p. CXVI: cfr. p. LXXVIII, n. 2. 19 Archiv fiir Religionswissenschaft, VIII, 1905, 537 s. Più recentemente il FoY ha accennato a un'altra spiegazione in senso meteorologico : Fuhrer durch das Rautenstrauch-Joest-Museum3, COln 1910, 58 s. 20 F. GRii.EBNER, Zur australischen Religionsgeschichte, Globus, 96, 1909, nn . 22, 23, 24. 21 E. DuRKHEIM, Les formes élémentaires de la vie religieuse, Paris 1912, p. 409 ss.

211

origini in uno ·speciale atteggiamento dello spmto umano, e tro­ vandole in quella tendenza a porsi il problema della causalità che è comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

C'è un intimo nesso di solidarietà teoretica che lega, nel pensiero del Lang, la concezione dell'essere supremo, specialmente come creatore, con l'altra sua concezione delle origini razionali dell'idea di Dio. E questo nesso tanto più importa che sia messo in evidenza perché altrettanto connessi e solidali debbono essere gli elementi di una critica che non voglia essere, come furono in genere le critiche precedenti, parziale. Quanto alla concezione dell'essere supremo, io mi sono forma­ to la convinzione che esso sia figura di contenuto essenzialmente naturalistico. Ma nella determinazione specifica di questo contenu­ to dissento dalle ipotesi naturalistiche che sono state emesse fin qui. E particolarmente ritengo che ogni tentativo d'interpretazione sia inadeguato se si ispiri all'esame di aree etnografiche particolari e circoscritte, e non tenga presente la totalità delle credenze in quei tratti fondamentali che esse hanno comuni, sotto la moltepli­ cità delle forme singole e diverse a seconda dei luoghi e dei tempi. Inoltre io credo che l'essere supremo, in quanto ha oggettiva­ mente un suo proprio contenuto naturalistico, sia, dal punto di vista soggettivo, la personificazione di quel contenuto. Cosl, come anche pel Lang, interpretazione dell'elemento oggettivo e determi­ nazione dell'elemento oggettivo, si collegano fra loro intimamente come due aspetti necessariamente •solidali del medesimo problema. Se non che: il Lang vide nell'idea dell'essere supremo un prodotto dello spirito logico e razionale. Io credo, in vece, che l'essere supremo sia una figura mitica. Per tal modo l'essere supremo non è più, a parer mio, un fenomeno isolato, una creazione unica fra tutte le altre della credenza religiosa, ma è ricondotto a quelle leggi che presiedono generalmente al divenire delle figure divine: le leggi della mitogenesi.

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Da un esame condotto a traverso i tempi e i luoghi sulle credenze nell'essere supremo risulta un fatto di capitale importan­ za. Dappertutto dove la credenza in un essere supremo è sufficien­ temente attestata, la sua figura si presenta costantemente connessa, per qualche rapporto, col cielo. Il dato che risulta di gran lunga più frequente è che l'essere supremo risiede nel cielo 22: il cielo è la sua dimora, alla quale egli sall, un giorno, abbandonando la terra, o nella quale egli risiede fin da principio 23• Ma questo tratto fondamentale è poi espresso nel linguaggio delle singole credenze in forme infinitamente varie. Le stelle del firmamento sono i fuochi dell'accampamento dell'essere supremo (Australia : Arunta e Loritja); oppure sono i suoi figli e le sue figlie (Australia : Kulin). Le sue mogli sono talora il sole o la luna, talaltra le stelle (Australia : Kaitish) . Adirato con gli uomini, egli suscita un incen­ dio, che è l'aurora australe (Australia: Kurnai) 24• I fenomeni meteorici che avvengono nel cielo sono dovuti naturalmente all'es­ sere supremo. Egli regola il buono e il cattivo tempo (Fuegiani) 25• Egli manda la pioggia su la terra (Australia) . Il tuono è la sua voce (Australia) . La rugiada sono le lagrime che egli sparge per essere stato staccato dalla terra (Nuova Zelanda) 26• L'arco baleno è l'arco onde egli dardeggia fra le nubi; oppure è un ponte o una corda onde egli trae a ·sé le anime dei morti (Australia) xr. 22 Per questo lo stesso P. W. SCHMIDT ha scritto, a proposito degli esseri supremi australiani: « Sollten wir das australische h&hste Wesen nach etwas in der Natur benennen, so wiirde ich es mit dem Namen « Himmelsgott » « bezeich­ nen », salvo a soggiungere: « unter dieser Bezeichnung meine ich aber durchaus keine Personification des Himmels »: Ursprung d. Gottesiil., 280. 23 Cfr. HowrTT, The native tribes of south-east Australia, 488 ss. 24 Cfr. HoWITT, The native tribes of south-east Australia, 488 ss; SPENCER­ -GILLEN, The northern tribes of central Australia, London 1904, 490 ss.; STREHLOW-LEONHARDI, Die Aranda-und Loritia-Stamme, l, l s, Il, l s. 25 R. FITZ-ROY Voyages of the Adwenture and Beagle, Il London 1839, 180. , , 26 E. GREY, Polynesian Mythology2, Aucldand 1885, p. 9. xr E. TREGEAR, The Maori-Polynesian comparative dictionary, Wellington, N. z. 1891, s.v.

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Una documentazione compiuta dei fatti, che qui non posso addure, farebbe ancor meglio risaltare che la vita meteorica del cielo in tutta la ·sua varietà multiforme è la vita stessa di quell'es­ sere animato e possente che è l'essere supremo. Ma dove l'intimità di questo nesso si fa più profonda e insieme più manifesta è nel nome. Generalmente, quando ci è dato conoscere il significato del nome dell'essere supremo, troviamo che esso vuoi dire precisamente « il cielo». Citerò soltanto alcuni esempi. L'essere supremo pei Maori della Nuova Zelanda è Rangi, che in tutti i linguaggi polinesiani vuoi dire « il cielo». Kunialang, nome dell'essere supremo degl'indigeni delle isole dell'Ammiraglia­ to, vuoi dire «portatore del cielo» 28• Altjira è l'essere supremo degli Arunta australiani: egli abita nel cielo, che si chiama alki­ ra 26• Molti linguaggi bantu e altri parlati dai negri del Golfo di Guinea hanno per designare l'essere supremo dei nomi derivanti da una radice unica: Njame, Onjame, Nyongmo, Nyam, Nyambe, Nsambi, Anzam. Questa radice significa «splendere, splendente»; e i nomi di questi esseri supremi significano precisamente « il cielo» 30 • Alcuni paragonano appunto questa radice con l'indoeu­ ropea div-: è noto che da div- derivano anche i nomi di Dyaus, di Zeus, di Jovis (Jupiter), di Tyr; e questi dèi sono, nelle religioni e nelle mitologie rispettive, i continuatori di una figura primordia­ le dell'essere supremo, che fu messa in evidenza già dal Darmeste­ ter 31, e poi - con speciale rapporto alla teoria del Lang - dal von Schroder 3 2• Anche nella religione cinese Thien (Ti Shang-ti)

28 J. MEYER, Mythen und Sagen der Admiralitiitsinsulaner, Anthropos, II, 1907, 937, n. l. 29 STREHLOW·V LEONHARD!, op. cit., I, l. 30 ScHNEIDER, Die Religion der afrikanischen Naturvolker, Miinster i. W. 189 1 ; W. SCHMIDT, Ursprung der Gottesidee, 136 s; S. HARTLAND, in Hastings Encyclopedy of Religion and Ethics; II, 1909, 356 ss. 1 3 J, DARMESTETER, Le dieu suprème des Aryas, in Essais orientaux, Paris

1883.

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Wiener Zeitschrift fiir clie Kunde des Morgenlandes, XIX, 1905, 1 ss.

è il cielo 33; e secondo il Lang 34 è anch'esso una persistenza dell'essere supremo. Acaman, ossia « il cielo», è uno dei nomi di un Dio supremo adorato dal popolo libico dei Guanci, nelle Canarie, nel quale i vecchi autori spagnuoli vollero vedere un riflesso del Dio cristiano e cattolico 35• Uno dei dati più interessan­ ti di questa credenza sta appunto in ciò, che essa può essere studiata presso le tribù selvagge odierne e presso popoli primitivi dell'antichità, e quindi offre un campo estensissimo all'indagine storico-religiosa; la quale è poi, per sua propria natura, destinata ad essere tanto più proficua quanto più sia comprensiva, e si estenda ad abbracciare sotto un medesimo punto di vista le forme infime e le più complesse della religione 36• Ora, questo essere supremo il cui nome significa «cielo», i cui atti si risolvono in fenomeni celesti, è dunque realmente il cielo. In altri termini: l'uomo concepl il cielo come un essere umano, non dissimile dai suoi simili, ma infinitamente superiore e più possente, quasi rispecchiante nella sua figura la grandiosità stessa degli spazi celesti. Non è il sole né il tuono né là luna il substrato e il contenuto naturalistico dell'essere supremo: ma bensl il cielo: il cielo sconfinato ed immenso, soprastante a tutte le cose, la volta immane avvolgente la terra, sempre presente allo sguardo spaziosa e sublime, quasi lo sfondo immanente al conti­ nuo variare dell'atmosfera, come alla vicenda perenne dei giorni e delle notti. Nessun altro elemento - di quanti compongono la multiforme realtà del mondo esteriore, di quanti la natura poteva 33 DE GROOT, in: Kultur der Gegenwart, I, III, l (Die orientlischen Religionen), Berlin-Leipzig 1906, p. 165 ; M. CouRANT, Sur le prétendu mono­ théisme des anciens Chinois, Revue de l'histoire cles religions, XLI, 1900, l ss; V. v. STRAuss UND ToRNEY, Der altchinesische Monotheismus (Vortrag) , Heidel­

berg 1885. 34

Making of Religion3, p. 290 s.

35 R. BAs SET, Recherches sur la religion des Berbères, Revue de l'histoire cles

religions, LXI, 1910, 3 1 1 s; Cfr. R. PETTAZZONI, La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912, p. 202 s. 36 Cfr. N. SoDERBLOM, Ober den Zusammenhang hoherer Gottesideen mit primitiven Vorstellungen, Archiv fiir Religionswissenschaft, XVII, 1914, l s.

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offrire alla contempl azione vigile dell'uomo pruntttvo - nessun altro meglio del cielo era atto a indurre nell'uomo il pensiero di una grandiosità e di una maestà suprema. Il firmamento, sempre eguale e sempre diverso nei suoi aspetti multiformi, parve all'uomo vivere di una vita propria, anteriore alla vita umana, confondente il suo principio col principio stesso delle cose, non soggetta alla caducità né alla morte. Così ci spieghiamo naturalmente come l'uomo concepisse il cielo in figura di un essere, non solo supremo, ma anche eterno. D'altro lato, ci spieghiamo ancora come l'essere supremo appari sse il creatore per eccellenza. La violenza dei fenomeni atmosferici e delle energie scatenate nella tempesta, naturalmente suggeriva l'idea di una forza ultra­ possente. Ma l'effetto più tangibile dell'attività creatrice del cielo era il fenomeno della vegetazione. La terra, in erte di per sé, si rivestiva di vegetazione in seguito alla pioggia; dunque per virtù della pioggia. E la pioggia è un atto del cielo: atto magico di quella potenza superiore che risiede lassù 37• Estendendo per ana­ logia questa idea, l'uomo vide nel cielo supremo l'essere creatore per eccellenza, creatore del cielo stesso - in primo luogo -, e quindi della terra e del mare e dell'uomo e degli esseri viventi. E in base a questa interpretazione rimane poi spiegato un altro fatto, altrimenti incomprensibile: come, cioè, l'essere supremo sia qualche volta una figura di sesso femminile e di natura maligna, e, in genere, possa mancare di qualcuno dei tratti che gli sono assegnati dal Lang: perché il tratto fondamentale, quello che non può mancare, è l'elemento uranico, il quale, ad esempio, poté benissimo in alcuni casi (per l'influenza di un regime di tipo matriarcale?) essere rappresentato in figura di un essere femmi­ nile. Né mi sembra difficile spiegare per questa via anche l'attributo 37 Alcuni esseri supremi africani si chiamano con lll1l nome che significa «cielo», ma significa anche «pioggia» : SCHNEIDER, Relig. der afrik. Naturv., p. 90.

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della moralità, che generalmente è assegnato alle figure degli esseri supremi. Questo attributo ha la sua manifestazione più sensibile nel fatto che l'essere supremo dispone della sanzione morale, e l'applica a seconda dei meriti o demeriti dei singoli uomini. Merito o demerito, virtù o colpa, sono qui concetti relativi alla mentalità del selvaggio. La morale è tutta ispirata alla vita sociale. Le azioni sono buone o cattive secondo che sono conformi o difformi ai precetti vigenti nella tribù e costantemente conculcati dagli anziani e dai capi. La norma di giudizio morale che vale per i selvaggi vale anche per l'essere supremo, perché le istituzioni tribali sono opera sua, di lui che ha disposto tutte le cose, l'ordine sociale al pari del materiale. Ora, una tale facoltà di sanzione morale dell'essere supremo deriva soprattutto dal fatto che egli essendo il cielo, vigila su tutte le azioni umane, senza che nulla gli sfugga. Egli è ultrapossente; e, come tale, è anche onnipresente: « può andare dove vuole » , dicono i Yuin dell'Australia 38; e quindi può cogliere in fallo gli uomini. E per ciò egli disp