Storia dell'astrologia occidentale. Dalle origini alla rivoluzione scientifica

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Storia dell'astrologia occidentale. Dalle origini alla rivoluzione scientifica

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NUOVA ATLANTIDE diretta da Paolo Aldo Rossi

JIM TESTER

STORIA DELL'ASTROLOGIA OCCIDENTALE Dalle origini alla rivoluzione scientifica

ECIG

NUOVA ATLANTIDE

TITOLO ORIGINALE

A HISTORY OF WESTERN ASTROLOGY

© Jim Tester, Boydell & Brewer Ltd. - Woodbridge, Suffolk, 1987

TRADUZIONE A CURA DI

OTTAVIO OLIVIERI e LICIA TAGLIANI

IN COPERTINA: GLOBO ASTROLOGICO ROMANO

©

ISBN · 88-7545-411·0 ECIG ·EDIZIONI CULTURALI INTERNAZIONALI GENOVA S.a.S.

di

G.L. BLENGINO

& C.

VIA CAFFARO 19/10- 16124 GENOVA l' EDIZIONE 1990

Prefazione A volte, i libri vengono considerati metaforicamente come la prole dei loro autori. Se ciò valesse anche per questo mio libro, la cosa confonderebbe le ostetriche, perché esso vedrebbe la luce sia in anticipo che in ritardo. In anticipo, perché nessuna autentica storia dell'astrologia occidentale, per quanto ve ne siano di vaste e ricche di contenuti, sarà possibile finché l'abbondante materiale sepolto nei manoscritti greci, latini (e forse anche pahlavi e arabi) non sarà completamente pubblicato, classificato, collegato, assi­ milato e sceverato. In ritardo, perché sono state scritte troppe cose sbagliate sull'astrologia, specialmente nel Medio Evo, sic­ ché, da tempo, sarebbe stato indispensabile apportarvi alcune cor­ rezioni. Da un lato, questo stato di cose è dovuto a studiosi che, come Thorndike (il quale si occupò di troppe cose perché tutte gli po­ tessero riuscire bene) , hanno voluto vedere astrologi dove non ve n'erano affatto e quindi hanno prestato fede a ciarlatani come Simone di Faro; d'altro lato, ciò è imputabile a coloro cui è sem­ brato di vedere l'astrologia ogni volta che o si presentava la pa­ rola astrologia, o quando un autore iniziava la sua opera con la descrizione dello zodiaco e delle caratteristiche e dei poteri dei pianeti, nonostante fosse chiaro trattarsi di un'opera di astrono­ mia. Non vanno dimenticati, infine, tutti coloro che hanno visto l 'astrologia ovunque : in manoscritti , vetrate, incisioni o in un calendario zodiacale. Per tutte queste ragioni, è sembrato a molti che, a partire dal XII secolo (o addirittura dal X ! ), l'Europa fosse interamente percorsa da astrologi; naturalmente questa visione dei fatti è del tutto priva di fondamento. Mi auguro che questo libro fornisca un quadro quantomeno plausibile; in ogni caso, esso è onestamente basato sulle prove da me rintracciate e trova maggior o minor fondamento a partire dalle mie personali considerazioni . Esso può tuttavia rappresentare almeno una traccia in cui inserire nuove ricerche e conoscenze, almeno fino a quando non comincerà a incrinarsi e si spezzerà, diventando prima inadeguato e poi completamente superato.

6 Non posso fornire una bibliografia. Quella meramente anno­ tata in ordine alfabetico o in altri modi (come anche quella che ri­ porta tutti i libri, gli articoli, i manoscritti, ecc. nelle note a pie' di p agina) risulterebbe assolutamente inutile o, più semplicemente, sarebbe una vanteria dell'autore, in quanto costringe il lettore ad addentrarsi in una spaventosa selva, tra i cui alberi sarebbe dif­ ficile districarsi. D'altra parte una breve bibliografia scelta è sì molto utile, ma impossibile per questo libro perché non esistono opere simili cui fare riferimento. n lettore attento alle note a fine capitolo potrà trovare, mi auguro, tutto ciò che desidera. Ho alcuni debiti di gratitudine da esprimere: quello ovvio, ma non meno caldamente sentito, nei confronti di bibliotecarie e bi­ bliotecari, in particolare quelli della University Library di Bristol, della B odleian Library di Oxford e della British Library. Ve ne sono poi alcuni personali. Ho dato inizio a quest'opera anni fa, quando mia madre stava morendo di cancro; la finisco in modo incompleto, con me stesso nell'identica condizione. Mia moglie mi ha aiutato nel mio lavoro più a lungo di quanto previsto in un primo tempo e senza la sua devota assistenza durante gli ultimi mesi, in p articolare durante quest'ultimo, non sarei riuscito a compiere ciò che ho fatto. Mi scuso per la fine dell'ultimo capi­ tolo; ho scritto sotto la pressione non del tempo, . che è pressante, ma �ell'eternità, che è inesorabile. Sono quindi più che grato a Richard B arber e agli altri che hanno partecipato alla pubblica­ zione, che sono stati così gentili e che mi hanno aiutato in queste ultime fasi. S. J. Tester Bristol, giugno 1 986. Nota degli editori

Jim Tester è morto poco tempo dopo aver scritto questa prefa­ zione. Vogliamo ringraziare il suo amico e collega John Farrell per aver compilato l'indice e aver seguito la pubblicazione de/ li­ bro con tutte le conseguenti difficoltà, personali ed editoriali, do­ vute alla circostanza.

Prefazione al i' edizione italian a L'astrologia è stata di volta in volta considerata scienza, arte, gioco e truffa; più spesso, una combinazione di questi elementi. Jim Tester riesce nella difficile impresa di descrivere e narrar e i punti salienti della nascita e dello sviluppo di questo fenomeno, non perdendo di vista la rigorosa analisi storiografica. Parafra­ sando K. Thomas, tutto ciò potrebbe apparire come "un argo­

mento che la maggior parte degli storici considera periferico, per non dire bizzarro ", ma la storia dell'astrologia e degli astrologi nel mondo Occidentale costituisce una parte non trascurabile della nostra tradizione. Questo aspetto è già stato posto in risalto da Garin, a caratterizzare significativamente quella che è anche, e soprattutto, una lezione di metodo:

Non si dà conoscenza, e tanto meno liberazione dall'errore e dalla superstizione; non si dà progresso della ragione, senza ren­ dersi conto di quanto sia tortuoso il cammino dell'umanità: e di come e perché lo sia. Non si esorcizzano né le torbide tentazioni dell'irrazionale, né le fantasie malate, con l'esecrarle o col dichia­ rare che non hanno diritto di esistere. I roghi fanno solo prolife­ rare le streghe. Il fatto stesso che certi atteggiamenti sopravvivano e di continuo risorgano nella storia, e si intreccino al progredire dell'uomo T propone problemi che vanno affrontati: storici e teo­ rici; di genesi e di significato. ll libro di Tester, qui proposto per la prima volta in traduzione italiana, è una risposta a queste meritorie istanze, ma è anche qualcosa di diverso: un affresco affascinante che copre millenni di storia, un percorso lunghissimo che va dalla proto-astrologia dei Caldei, tradizionalmente riconosciuti come i fondatori della "scienza astrologica", ai giorni' nostri, tempi di ennesima risco­ perta e successo popolare. E' anche la storia di una scommessa perduta, del tentativo fallito di rintracciare e codificare le regole che collegano l'uomo all'universo, il microcosmo al macroco-

8 smo, al fine di rendere il sapiente finalmente padrone del proprio destino. Ma soprattutto è la storia, ricavata dalla rigorosa analisi, interpretazione e classificazione dei testi degli antichi astrologi, dei manoscritti che, come già deplorava Franz Cumont quasi un secolo fa, giacevano e giacciono, dimenticati e trascurati da tutti (ab omnibusfere neglecta despectaque), nelle biblioteche di tutto il mondo. Lontano dalla superficialità che aveva indotto taluni storici a parlare di astrologia ovunque si presentasse una carta dei cieli o qualche simbolo zodiacale, Tester propone le linee fonda­ mentali attraverso le quali venne a formarsi una tecnica molto simile a una scienza con i relativi pregi e difetti. Difetto principale fu quello di non riuscire mai a trovare regole uniformi, o meglio una concordanza seppur minima su quelli che avrebbero dovuto essere i principi tecnici basilari, tanto da rendere legittima l'indi­ viduazione di sette (e non scuole) astrologiche. Tradizionalisti e conservatori, detentori iniziatici del mistero, i praticanti l'astro­ mantica non avevano interesse alcuno a divulgare i principi della loro arte: l'incomprensibilità da parte dei profani era componente indispensabile del loro ruolo. Se si considerano tali premesse, lo sviluppo dell'astrologia "scientifica", fondata cioè su precisi dati matematici di osserya­ zioni astronomiche, diventa anche cha nson des gestes in cui ap­ paiono e scompaiono eroi, martiri, sostenitori, persecutori, truf­ fatori e gabbati. Ne fanno parte personaggi come il "caldeo" Berosso (2), vissuto ben centosedici anni, che per primo intro­ dusse l'arte in Occidente e si stabilì nell'isola di Cos per inse­ gnarla ai Greci; Marco Manilio, poeta che descrisse l'argomento in quattro libri di esametri raffinati e impeccabili; Tolomeo, il grande scienziato che distinse l'astronomia, scienza teoretica che si occupa dei moti celesti, dall'astrologia, scienza pratica, "utile e possibile" (Tetrab. I, 3 ) , che riguarda le previsioni che da tali movimenti si possono ricavare. Simili ai quattro elementi costitutivi del mondo sublunare (aria, acqua, terra, fuoco), i quattro aspetti dell'astrologia (arte, scien­ za, gioco, truffa) si presentarono nel corso dei secoli ininterrot­ tamente, in tutte le possibili combinazioni.

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Forse l'astrologia fu un gioco per i Greci, se questi chiama­ vano barbari quei popoli che adoravano gli astri e consideravano stolto il condottiero Nicia, atterrito da una semplice eclisse lunare. La razionalità greca non disdegnava tuttavia gli eterni giochi che i numeri svolgono tra loro; l'aspetto magico fu ben presto scalzato a favore del fascino, puramente intellettuale, che deriva dall'os­ servazione del cielo e dal pensiero, certamente arbitrario, che le sue configurazioni possano influire sulle vicende terrene. I grandi astronomi del tempo fornirono alcune regole del gioco; produs­ sero gli strumenti teorici e pratici per cui questo potesse continuare. Di certo l'astrologia fu arte (o almeno fonte di ispira­ zione) per Marco Manilio; i suoi nitidi versi trattavano di argo­ menti non certo agevoli. Se, come rileva Tester, la parte squisi­ tamente tecnica ne ha risentito, la parte poetica ne trasse indubbio giovamento. Con Tolomeo, astronomo, scienziato e matematico, l 'astro­ logia divenne scienza, "utile e possibile" per chi fosse in grado di comprenderne i principi e le implicazioni; la conoscenza di essa avrebbe aiutato l'uomo a fugare timori irrazionali ed esaltazioni ingiustificate, distinguendo la mera apparenza degli eventi quoti­ diani dalle inalterabili configurazioni celesti. Per i creduli clienti dei sedicenti mathematici l'astrologia fu spesso truffa; i numerosi editti tesi a bandire gli indovini dalla Roma imperiale ne sono in­ dubbia testimonianza Sorte pressoché contemporaneamente nell'isola di Cos, le due " arti sorelle" , la medicina e l'astrologia, condivisero per lungo tempo una sorte molto simile. Accomunate nei successi e negli insuccessi, giunsero talvolta a fondersi. La cosiddetta iatro­ mathematica, l'arte di guarire le malattie consultando gli astri e mediante i rimedi da questi suggeriti, si ripresenta continuamente nel corso dei secoli. Lo stesso Tolomeo non mancava di osser­ vare come esse fossero, ai suoi tempi, soltanto arti congetturali, basate cioè su mere supposizioni e carenti tanto nella teoria quanto nella pratica; solo col progresso della prima si sarebbero potUti avere risultati tangibili nell'altra. Con l'avvento del Cristianesimo, religione per dogma intolle­ rante di ogni altro culto, l'astrologia conobbe il suo primo de-

10 clino, anche se non mancarono resistenze interne. Agostino d i Ippona s i distinse per l a sua intransigenza; l e sue confutazioni fu­ rono ribadite più volte dai pensatori cristiani suoi contemporanei o successivi. Del resto egli stesso conosceva (o pensava di cono­ scere) a fondo l'astrologia per averla praticata in gioventù. Non mancavano però, nell'ambito della Chiesa, resistenze interne. La dottrina della predestinazione affermava che la salvezza e la dan­ nazione dell'uomo dipendono soltanto dal volere di Dio; di con­ seguenza molti credenti devoti potevano vedere nel decreto dei corpi celesti una diversa espressione di questa fede, come pure ri­ servare all'onnipotenza divina l'annuncio mediante gli astri della sua decisione irremovibile. Non diversamente dai loro predecessori pagani, anche gli im­ peratori cristiani combatterono l'astrologia: nel 409 d.C. Onorio e Teodosio costrinsero gli astrologi a bruciare i loro libri alla pre­ senza dei vescovi e a tornare alla vera fede sotto pena di esilio; tra gli eretici messi al bando nell'editto di Teodosio e Valentiniano del 425 non mancavano i mathematici. Non furono comunque gli editti o i roghi dei manuali le cause della prima scomparsa dell'astromantica dal mondo Occidentale; più semplicemente, nel corso delle invasioni barbariche l'astrologia conobbe la stessa sorte di altre arti o scienze. Cadute nell'oblio le cognizioni astro­ nomiche che ne erano il supporto indispensabile, iniziò un lungo periodo di declino; il biasimo per le antiche superstizioni riguar­ dava argomenti dei quali nessuno aveva più conoscenza. Tuttavia l'astrolç>gia sopravvisse, in buona parte per merito degli Arabi che, verso l'VIII secolo, iniziarono a praticarla utiliz­ zando le regole dei testi greci loro pervenuti in traduzioni dal si­ riano, dal persiano e persino dall'indiano. La traduzione del trat­ tato fondamentale, il Tetrabiblos di Tolomeo, insieme ai perfezio­ namenti derivanti dall'introduzione delle cifre arabe e dello zero, rendevano accessibili calcoli di una precisione prima inconcepi­ bile. Ancora una volta però l 'astrologia si trovava in contrasto con la fede religiosa: l 'assoluto monoteismo insegnato da Mao­ metto non lasciava spazio ad ogni sorta di fatalismo sul potere delle stelle. La deterministica visione del volere di Allah implicava l'assoluta dipendenza dell'uomo da Dio. Molti grandi pensatori

11 islamici, come Al-Farabi, Avicenna e lbn Khaldun, si schiera­ rono decisamente contro l'astrologia giudiziaria, ma il dottissimo Al-Kindi e il suo discepolo Abu Màshar furono astrologi ed esercitarono una grande influenza sugli scrittori occidentali del Medioevo. Mediante le traduzioni di Giovanni Ispano, Adelardo di Bath ed Ermanno di Carinzia, i loro trattati di natura didattica e didascalica, immediatamente accessibili anche ai profani, contri­ buirono a rendere conosciuta e apprezzata l'astrologia araba presso i lettori europei. Per il lungo periodo che va dal VI al XII secolo non vi fu in Occidente nulla di assimilabile all'astrologia "scientifica". Disper­ si i maggiori manuali in lingua latina, le cognizioni scientifiche dell'antichità tornarono in Occidente dopo un lungo esilio, se­ guendo un percorso tortuoso di cui Palermo e Toledo costituirono tappe importanti. Giunta assieme alle traduzioni di medicina, ma­ tematica, scienza e filosofia, anche l'astrologia fu accettata come parte dell'antica visione del mondo, patrimonio comune della ci­ viltà islamica e di quella cristiana. Più precisamente, all'interno del Quadrivium la medicina e l'astronomia non potevano essere disgiunte dallo studio dell'astrologia, parte integrante di en­ trambe. Tullio Gregory ha correttamente puntualizzato questo aspetto:

. . . nel XII secolo l'astrologia era una delle scienze fisiche che gli uomini dovevano studiare, proprio come scienza fisica e non come qualcosa basato su dati immaginari, perché essa era real­ mente una scienza positiva per l'uomo del Medioevo . (3). ..

Lo stretto legame tra astrologia e medicina fu codificato dai programmi di insegnamento nelle maggiori Università europee. Gli studenti di medicina di Bologna dovevano seguire un corso di astrologia della durata di quattro anni; il docente aveva tra i suoi compiti anche quello di stilare ogni anno un calendario contenente movimenti, congiunzioni e aspetti planetari. Ma se praticare l'astrologia comportava indubbi privilegi e vantaggi, tuttavia non mancavano rischi. E' nota la vicenda di Cecco d'Ascoli, condan­ nato al rogo in una piazza di Firenze nel 1327 . Secondo la tradì-

12 zione, motivo della condanna fu l'empio tentativo di calcolare l'oroscopo di Gesù Cristo al fine di dedurne la crocifissione; stando ad altre versioni, lo stesso tipo di calcolo avrebbe potuto fornire indicazioni sulla nascita dell'Anticristo per trarne non specificati vantaggi. Su questa vicenda Tester si limita a sospen­ dere il giudizio dichiarando che non si hanno elementi sufficienti per poter stabilire se Cecco sia stato davvero un martire a causa del suo credo astrologico; più semplicemente riporta documenti del tempo in cui C ecco viene definito " . . . uomo di mondana vita", riconducendo la sua esecuzione a meno affascinanti motivi personali e politici. Sorte di gran lunga migliore conobbero molti degli astrologi vissuti nel Rinascimento. L'arte poteva consentire loro di rag­ giungere posizioni di prestigio nelle corti europee, non esclusa quella pontificia. Contro questo stato di cose insorse tra gli altri Giovanni Pico, conte della Mirandola. La confutazione straordi­ nariamente lucida contenuta nei dodici libri delle Disputationes adversus astrologiam divinatricem rappresenta la reazione più aspra nei confronti dell'astromantica e delle sue superstizioni:

Non si può trovare facilmente un 'arte che racchiuda nei suoi forzieri speranze maggiori, che prometta beni più grandi e deside­ rabili. Si erige a depositaria della scienza . . è la frode più perico­ losa perché è lei . . . che corrompe la filosofia, inquina la medicina, indebolisce la religione . . . rende gli uomini meschini, dubbiosi, inquieti, li trasforma da liberi in servi e riesce a dare esito sfortunato a quasi tutte le loro azioni. .

La condanna di Pico risparmia però l'astrologia "matematica" o speculativa, quella che in maniera scientifica tenta di individuare l'influsso degli astri sui fenomeni naturali. Il "principe della con­ cordia", pensatore che espresse tutte le tendenze filosofiche fon­ damentali di cui si nutre la credenza astrologica, morì in giovane età nel 1494. Una diffusa leggenda narra come un astrologo ne avesse con precisione predetto l'anno e il giorno; tale circostanza riuscì a limitare gli effetti duraturi della confutazione contenuta nel Tractatus.

13 Con la Riforma e la Controriforma inizia un nuovo, lento, declino dell'astrologia determinato da un complesso di cause con­ comitanti. Quasi per paradosso la teoria eliocentrica non doveva sconvolgeme le tecniche; le posizioni relative dei pianeti nei con­ fronti dell'osservatore non erano certo mutate. Neppure vi furono confutazioni determinanti da parte degli alfieri della nuova scienza; non dimentichiamo che Regiomontano, Copernico, Tycho Brahe, Galileo, Keplero furono anche astrologi praticanti. In un contesto irreversibilmente mutato, in una diversa visione del mondo, l'astrologia dovette, per forza di cose, rendersi impe­ netrabile al punto di annullare il suo stesso prestigio, ignorando la realtà di fatti nuovi. L'ultimo, accorato tentativo di salvame la credibilità scientifica si deve a Jean Baptiste Morin de Villefran­ che, medico e astrologo personale di Luigi XIII. La sua menu­ mentale Astrologia Gallica è in buona parte l'estremo tentativo di difesa di un'arte in evidente decadenza. Purtroppo le argomenta­ zioni addotte non erano tali da smuovere alcuno scettico. A Morin non faceva certo difetto la modestia; se il suo trattato era dedicato personalmente a Cristo S ignore, che ringrazia per non averlo fatto diventare un eretico, uno dei cardini della sua difesa verteva sul fatto che l'astrologia si fondava su testi scritti da incapaci ed era praticata da stolti incompetenti, sicché essa avrebbe potuto acqui­ stare dignità scientifica solo se supportata da conferme autorevoli. Inutile dire come la più importante fosse quella personale dello stesso Morin, c he aveva avuto la benevolenza di studiare l'astrologia svelandone finalmente i segreti. Nonostante questa accorata difesa, sempre più lontana dai pro­ gressi della scienza e della tecnica, l'astrologia si avviava ad una nuova, silenziosa scomparsa. I suoi grandi avversari dei secoli precedenti erano pur sempre persone che conoscevano le regole del gioco, controbattevano i praticanti sulla scorta delle stesse fonti, condividendone in qualche maniera un'identica, rassicu­ rante visione del mondo. La sorellina sciocca dell'astronomia, se­ condo la famosa, affettuosa definizione di Keplero, era destinata a sopravvivere per i secoli successivi soltanto nelle forme più umili: quelle degli almanacchi popolari. Simile ad un animale la­ sciato da parte nel processo evolutivo, ignorata più che denigrata,

14 soppiantata non solo dalle nuove conoscenze ma anche d a nuove, raffinate superstizioni. Con ferocia gli Illuministi la relegarono nell'ambito del ciarpame chiamato "storia della stupidità umana"; non se ne trova traccia, neppure sotto la voce "Astronomia", nella Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert. Afferma un grande biologo, François Jacob:

Ogni epoca è caratterizzata dal campo del possibile definito non soltanto dalle teorie o dalle credenze in corso, ma dalla natura stessa degli oggetti accessibili all'analisi, dall'equipaggiamento per studiar/i, dal modo di osservar/i e di parlarne (4). In quest'ottica si è correttamente posto Jim Tester, conside­ rando le vicende dell'astrologia occidentale come facenti parte dell'avventura del pensiero umano, come storia di uomini, delle loro certezze e dei loro errori. E' sempre difficile, e sintomo di supponenza, rintracciare nella storia delle idee vincitori e vinti; le nostre sicurezze saranno probabilmente derise da posteri più smaliziati e informati. Se non è possibile sapere quanto e come le azioni degli uomini siano state influenzate dalla credenza nell'influsso degli astri, è senz'altro un grave errore analizzarne i comportamenti prescindendone completamente, sulla scorta di pregiudizi razionalistici. Nel corso dei secoli l'astrologia ha conosciuto periodi di pro­ sperità e miseria; simile alla fenice, è risorta più volte dalle sue stesse ceneri per poi essere di nuovo dimenticata. Seguirne i per­ corsi è uno dei possibili mezzi per riuscire a comprendere meglio una parte della storia umana. Ottavio Olivieri

l) E. Garin, Prefazione a Storia dell'astrologia di Boll, Bezold, Gundel, Roma-Bari, 1979 , p. XXI. 2) Vitruvio, De Architectura, Libro VI, 2. 3) T. Gregory, "La nouvelle idée de nature et de savoir scientifique du XII siè­ cle" , in The Cultura/ Context of Medieval Learning, Boston, 1975, p. 214. 4) F. Jacob, La logique du vivant, Paris, 1 969, p. 1 9.

I Introduzi on e S i dice che Talete di Mileto, i l primo filosofo della storia occi­ dentale, abbia vagato con la testa fra le nuvole osservando le stelle e sia così caduto in un pozzo dal quale fu salvato da una graziosa servetta che lo seguiva, perché era così occupato a sco­ prire cosa accadeva nel cielo che non vedeva ciò che era davanti a lui; si tratta di una riflessione non inopportuna a proposito di un filosofo. Fu forse a causa della sua esperienza con il pozzo che Talete dichiarò che ogni cosa era costituita dall'acqua. Un altro dei primi filosofi greci sostenne che il primo elemento dell'uni­ verso era l'aria ed un altro ancora il fuoco. Si aggiunga la terra a questi tre e si hanno i quattro elementi (terra, aria, fuoco e acqua) che si ritrovano continuamente in questa storia. Talete visse nel VI secolo a. C. , prima che l'astrologia fosse introdotta nel mondo greco, ma ciò non toglie che Talete, l'osservazione delle stelle, la filosofia e persino il salvataggio da parte della servetta non siano irrilevanti. Naturalmente l'osservazione delle stelle è molto più antica della filosofia e più antica della storia e i filosofi con la testa nelle nuvole sono ancora tra noi, così come il buon senso delle servette. Tuttavia il collegamento tra l'osservazione delle stelle, la filosofia e la Grecia ci porta molto opportunamente alle radici del nostro argomento : la storia dell'astrologia europea occidentale, un'arte antica formatasi spontaneamente e divenuta ai nostri giorni molto più di ciò che i Greci avevano costruito. Furono costoro che all'osservazione delle stelle, al magico e alla stregoneria aggiunsero la filosofia, la geometria e il pensiero razionale sull'essere e sull'universo, dando vita all'arte della astrologia. Furono loro a scrivere gli antichi libri di testo sui quali è stata fondata tutta la successiva astrologia, tanto che anche i due più importanti libri latini su questo tema sono tratti da fonti greche. La letteratura riguardante l'astrologia è immensa.

16 Tuttavia, a prescindere dalle opere specialistiche vertenti su particolari aspetti, dagli scrittori dell'antichità e del Medioevo e da L 'A strologie Grecque di Bouché-Leclerq (la migliore introdu­ zione a questo argomento), questa letteratura è quasi completa­ mente inutile agli storici tranne che per le fonti. Le opere in mate­ ria sono generalmente di tre tipi. In primis, i libri di astrologi o dilettanti, utili a volte per spiegare come le opere sull'astrologia siano di solito grossolanamente astoriche e assolutamente acriti­ che. Secondariamente, i libri di coloro che attaccano l'astrologia. Fra questi, quelli antichi sono a volte utili fonti d'informazione, ma per la maggior parte essi risultano acritici e astorici come quelli del primo gruppo. Infine vi sono raccolte e storie popolari, che nel tempo sono cresciute nel numero, ma non nel valore. Praticamente nessuno di questi libri cita le fonti primarie; anzi, sembra che molti di questi testi siano stati copiati l'uno dall'altro: concezioni generali, note a pie' di pagina, errori e tutto il resto. Tuttavia è neces sario risalire alle fonti primarie, molte delle quali sono state stampate, ma di cui poche sono facilmente accessibili. Si può dire che le prime due categorie di libri, quelli degli scrittori che spiegano o difendono l'astrologia e quelli dei suoi detrattori, abbiano iniziato ad esistere fin dai primi secoli a. C., allorché l'astrologia divenne un'arte pubblica e specializzata. In tutta la civiltà occidentale, fin dall'epoca dei Greci, vi è sempre stato qualcosa di più che un'inclinazione verso l'astrologia. Ma prima di generalizzare in modo piuttosto semplicistico, è necessario essere più precisi riguardo al soggetto stesso. Sembra che il nome "astrologia" possa comprendere ogni cosa che va da una vaga accettazione delle "influenze" astrali sulla vita dell'uomo fino alle precise e fatalistiche predizioni del futuro. Se conside­ riamo il termine nel suo senso più stretto, così come è stato de­ finito nella Prefazione, e prescindiamo dalle successive necessarie suddivisioni, possiamo dire che, generalmente, esistono e sono esistiti due tipi di astrologia, definibili come "forti" e "deboli" . L'astrologia "forte" presume ed accetta u n fermo. determinismo, sicché la conoscenza e l'esperienza permetterebbero predizioni si­ cure di eventi ed azioni che, essendo " scritti nelle stelle", deb­ bono necessariamente accadere. L'astrologia "debole" tiene conto

17 della libertà morale dell'uomo e i l suo atteggiamento s i può rias­ sumere nella massima: "gli astri inclinano e non necessitano". La divisione tra questi due tipi di astrologia non è sempre chiara né sembra che l'un tipo possa escludere l'altro, ma entrambi pos­ sono essere considerati validi. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda l'antichità pagana, quando la nozione di libero arbitrio non era di per se stessa molto chiara. Uno stoico come Seneca poteva fermamente sostenere la libertà morale dell'uomo e contemporaneamente ritenere che il fato regoli ogni cosa e che la vera libertà consista nel seguire il fato anziché opporvisi, asse­ condando ciò che deve succedere invece di tentare di contrastarlo, facendosene trascinare volenti o nolenti. Malgrado queste ambi­ guità, la distinzione tra astrologia "forte" e "debole" è reale ed ha una certa importanza storica, specialmente se si guarda ai primi secoli del Cristianesimo. Ci sono, di conseguenza, quattro possibili atteggiamenti nei confronti dell'astrologia e, di questi, tre sono effettivi. Il primo è sostenere l'astrologia "forte", credere in un destino determinato e nel necessario legame tra i segni nei cieli e gli avvenimenti sulla terra nella vita degli uomini. Per tutti coloro che accolgono questa opinione, il senso dell'astrologia risiede nella preveggenza dell'inevitabile, poiché, come afferma Tolomeo (Tetrabiblos I, 3) :

Persino per quanto riguarda le cose che necessariamente acca­ dranno, il fatto che siano inaspettate di solito causa una turbata confusione o gioia oltre ogni limite, mentre la preveggenza abitua e concilia l'anima alla prova delle cose venture come se fossero già presenti, preparando/a a ricevere ogni cosa che accadrà in pace e fermezza. Vi sono poi coloro che respingono un siffatto determinismo, credono nel libero arbitrio e conseguentemente non possono ac­ cettare l'astrologia "forte" . Essi si dividono in due classi: vi sono alcuni che rifiutano il fato, ma danno per certo che le stelle pos­ sano fornire una guida, sia per quanto riguarda il carattere che per quanto concerne gli eventi futuri, !asciandoci liberi di modificare la nostra condotta alla luce delle conoscenze ottenute attraverso

18 l'astrologia. Costoro sono i sostenitori dell'astrologia "debole " e sembra che la maggior parte dei moderni astrologi faccia parte di questa categoria. Infine, vi sono coloro che rifiutano l'astrologia in blocco, tanto nel campo religioso che in altri campi, sia che credano nella libertà dell'uomo o che si attengano ad un determi­ nismo scientifico di altro genere. Tutte queste opinioni hanno origini antiche e la cristianizzazione dell'Europa, sorprendente­ mente, non determinò alcuna grande differenza. Il Tetrabiblos di Tolomeo è stato appena citato. I suoi quattro libri costituirono per secoli il trattato più influente in campo asf!ologico. L'autore era quello stesso astronomo e geografo del II secolo che compose l'Almagesto, il più importante libro di te­ sto di astronomia per i tredici secoli successivi. Tolomeo fece per l'astronomia greca ciò che Euclide aveva fatto per la geometria. Detto per inciso, quello che ora è generalmente conosciuto come " sistema tolemaico" (che è in realtà una forma semplificata e di­ vulgativa di un sistema aristotelico di sfere concentriche, di etere e cristallino) non ha un'effettiva rassomiglianza con l'intricato e preciso sistema matematico di epicicli dell 'A lm agesto . L'unica reale somiglianza tra il sistema elaborato da Tolomeo e il cosid­ detto sistema tolemaico consiste nel geocentrismo. Il fatto che si continui ad usare il suo nome è senz'altro ingiusto nei confronti di Tolomeo. Questi era un greco alessandrino della metà del II se­ colo d. C. e Alessandria era la patria dell'astrologia greca. Nel Tetrabiblos (con questo nome greco o nella sua forma latina di Quadripartitum è generalmente conosciuta la sua Apotelesmatica) egli compendiò l'astrologia del suo tempo in versione scientifica. In questo libro Tolomeo dichiara che l'astrologo deve essere un uomo "che comprende completamente i movimenti di tutte le stelle, del sole e della luna tanto da riconoscere il luogo e il tempo di ogni configurazione" . Col nome di "stelle" egli definiva anche i pianeti : infatti in greco o( TTÀch>lrre c; acrtÈpec; (oi p/ànetes astè­ res) significa semplicemente "le stelle vaganti" . I pianeti erano così chiamati perché, invece di muoversi in orbite giornaliere re­ golari intorno al polo, come fanno le stelle "fisse", si muovono intorno ai cieli sullo sfondo delle stelle e a tratti si fermano o ri-

19 tornano sul loro percorso (in tal caso i pianeti sono detti retro­ gadi). Non è quindi necessario essere un astronomo esperto per capire l'astrologia e la sua storia, mentre è importante avere al­ cune idee intorno al meccanismo di quell'universo celeste che fornisce i dati all'astrologo. Per l'astrologo, ma anche (per convenienza) per i moderni libri di testo elementari di astronomia matematica, l'universo è una ampia sfera vuota sulla cui superficie interna le stelle appaiono fisse e al cui centro la terra sta ferma. Tra le stelle fisse e la terra si trovano le orbite del sole, della luna e dei pianeti. Questi ultimi furono, per gran parte del periodo della storia dell'astrologia, in numero di cinque, cioè i cinque che sono visibili ad oçchio nudo. Quattro di essi - Saturno, Giove, Marte e Venere - sono facili da vedere; il quinto, Mercurio, è molto più difficile da individuare perché si trova molto vicino al Sole. E' vero che Urano può a volte essere anche visto senza telescopio (se la notte è chiara e si sa esattamente dove guardare) e che vi sono astrologi che affer­ mano che Urano fosse conosciuto nell'antichità, ma non si ha al­ cuna certezza a tale proposito. Tutti gli antichi parlano solo di sette pianeti: sette perché, per gli antichi, anche il Sole e la Luna erano pianeti dal momento che anch'essi avevano un'orbita. L'ordine di questi sette pianeti, che si muovono dall'esterno verso la Terra considerata al centro, è il seguente: Saturno, Gio­ ve, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. Ciò significa porre i pianeti in un ordine discendente relativo al tempo che impiegano per ruotare intorno ai cieli. A tale proposito l'affermazione di fondo più corretta è che più tempo essi impiegano a compiere la loro rivoluzione, più distano dalla terra. Questi sette pianeti sono le "sette stelle nel cielo" dell'antica filastrocca inglese Green grow the rushes O. Le Iadi, "portatrici della pioggia di aprile", erano quasi certamente in origine gli angeli (i "soldati di Gabriele"), le "Intelligenze" angeliche che nel neoplatonismo cristiano facevano muovere le otto sfere (una ciascuna per i sette pianeti, più una per le stelle fisse: la sfera delle stelle gira intorno alla Terra una volta al giorno) . I "nove astri lucenti " sono appunto queste otto sfere cui se ne aggiunge una nona, la più esterna, detta Empireo. Il resto di questa filastrocca non h a nulla a che vedere con

20 l'astronomi a o l'astrologia, sebbene sia certamente pervasa di fascino e di mistero. Se ora consideriamo i sette pianeti nell'ordine descritto prima e, poi, diamo un nome alle ore di ogni giorno, iniziando con la prima ora di Sabato che prende il nome da S aturno, la seconda ora apparterrà a Giove, la terza a Marte e così via per le ventiquat­ tro ore. Di conseguenza, la prima ora del giorno successivo ap­ parterrà al Sole. Se poi chiamiamo ogni giorno con il nome della prima, troveremo i nomi dei giorni della settimana. A tale pro­ posito è utile considerare i nomi in una lingua neolatina (il fran­ cese o l'italiano) e compararli col latino, tenendo presente che l'anglosassone Sunday (giorno del Sole) è diventato il giorno del S ignore (Dominica dies) in molti paesi cristiani, ma non in Inghilterra, a dispetto (o a causa) dei Puritani. I sette giorni della settimana sono cosi, almeno in parte, una conseguenza del fatto che vi erano sette pianeti e ventiqu attro ore nel giorno, sebbene tutto ciò sia, in più ampia misura, legato alle fasi della luna (nuova, primo quarto, piena, ultimo quarto) che si ripresentano all'incirca ogni sette giorni. Ma torniamo alla tecnica e tracciamo un cerchio per rappresentare la sfera delle stelle fisse, conside­ rando la terra il punto centrale di essa. N

21 Poniamo il polo Nord ed il polo Sud i n cima ed i n fondo alla figura e a metà di essi tracciamo il grande cerchio dell'equatore (un grande cerchio in una sfera è quello il cui piano passa attra­ verso il centro della sfera) . Questo è l'equatore celeste, una linea immaginaria che corre sulla superficie interna della sfera, ovvero la proiezione sulla sfera dell'equatore celeste. L'intera sfera ed ogni cosa che si trova entro essa, ad eccezione della Terra che ri­ mane fissa, ruota sull'asse tra i poli, in direzione Est-Ovest, im­ piegando 23 ore e 56 minuti per ogni rivoluzione. La stella po­ lare, riconoscibile in una notte stellata se si osservano le sette stelle dell'Orsa Maggiore, si trova virtualmente al Polo Nord ce­ leste e durante la notte si possono vedere le costellazioni conver­ gere in circolo intorno ad essa. Se guardiamo il cielo occidentale al tramonto o subito dopo e consideriamo quali costellazioni tra­ montano col sole o immediatamente dopo di esso, continuando ad osservare e a prendere nota delle costellazioni per un anno, sco­ priremo di aver redatto un elenco di costellazioni situate in un grande circolo sulla sfera celeste. Noteremo anche che il Sole si è mosso intorno ai cieli, da Occidente ad Oriente, ed ora si trova di nuovo al punto di partenza. Questo grande cerchio giace su un angolo di circa 23° 1(2 dall'equatore ed è chiamato eclittica, perché è la parte dove avvengono le eclissi. Il sole impiega un anno a viaggiare intorno ali 'eclittica, nella direzione opposta a quella della sua quotidiana rotazione attorno alla terra; ciò consegue dal fatto di essere parte della sfera mobile dei cieli. Poiché esso si muove lentamente in direzione opposta a quella di rotazione, im­ piega un periodo appena più lungo delle stelle per girare_ intorno alla Terra da Est a Ovest (24 ore in luogo delle 23 ore e 56 minuti impiegati dalle stelle). Dal momento che questo movimento an­ nuale del Sole da Ovest verso Est intorno all'eclittica non avviene sull'equatore o parallelo ad esso, ma è inclinato ad angolo, du­ rante l'anno il S ole sembra (considerando la Terra al centro) muoversi verso Nord e verso S ud, attraversando l'equatore due volte : una volta, in primavera, in direzione Nord e di nuovo, in autunno, in direzione Sud. Due volte l'anno si ferma muovendosi in una direzione, da Nord verso S ud, e ritorna indietro per muo­ versi verso Sud oppure verso Nord. La parola greca per "rotazio-

22 ne" è tropos e se noi tracciamo nella fig. l due cerchi tratteggiati che rappresentano la rotazione giornaliera del Sole, da Est verso Ovest, e i punti di ritorno, avremo i tropici: del Cancro a Nord, perché quella era la costellazione in cui il Sole girava verso Nord, e del Capricorno a Sud, per la stessa ragione. Si ricordi che, mentre il Sole impiega un anno per girare intorno all'eclittica da Ovest verso Est, è a sua volta trasportato da Ovest verso Est ogni giorno insieme ad ogni altra cosa situata sopra o dentro la sfera. Il Sole impiega 365 giorni e 1/4 per tornare indietro da dove è par­ tito sull'eclittica, ma questo movimento annuale rallenta la sua rotazione giornaliera se riferita alle stelle, sicché nel corso dell'an­ no le stelle hanno girato intorno alla terra 366 volte e 1/4. Così il giorno stellare è più breve del giorno solare; è questo il motivo per cui le costellazioni non si trovano tutte negli stessi siti con­ temporaneamente ogni notte dell'anno. Non influenza del tutto i movimenti relativi il fatto che la vera spiegazione sia che la Terra gira sul proprio asse ogni giorno, mentre gira intorno al sole durante un anno. I movimenti appa­ renti delle stelle e del sole sono quelli esposti. La descrizione, che oggi riconosciamo esatta, era stata effettivamente ipotizzata da un astronomo greco, Aristarco, all'inizio del III secolo a. C. Poiché non era (e non è) del tutto ovvia per la nostra esperienza guidata dal buon senso e siccome andava oltre ciò che gli uomini pote­ vano vedere, rimase un'idea solo occasionalmente citata e più tardi confutata dall'imprecisa fisica di Aristotele. La terra immo­ bile al centro non è un punto ma una sfera. Ne erano a cono­ scenza tutti gli astronomi antichi e medievali, dall'epoca di Platone in poi. Le prove da loro addotte erano le seguenti : la scomparsa delle navi sull'orizzonte, la forma dell'ombra terrestre sulla luna e l'apparire e lo scomparire delle costellazioni quando ci si muove verso Nord e verso Sud sulla superficie terrestre. Nessuno studioso che avesse tratto questi rudimenti di astrono­ mia da una delle prime enciclopedie medievali avrebbe potuto considerare la terra piatta. Ciò non significa che nel Medioevo non ci fossero sostenitori di questa teoria; c'erano e ci sono tut­ tora ! Ma la terra è una sfera e noi siamo, per forza di cose, da qualche parte sulla sua superficie. Il punto della sfera stellare che

23 si trova direttamente sulle nostre teste è lo zenith e il circolo che limita la nostra visuale, l'angolo della curva terrestre oltre cui non possiamo vedere, è l'orizzonte. Essi sono raffigurati in un nuovo diagramma (fig. 2) assieme all'eclittica e ai tropici. Questi ultimi descrivono la quotidiana rotazione del Sole al punto più setten­ trionale e più meridionale dell'eclittica. Indichiamo sul diagramma con una linea continua quelle parti dei tropici che si trovano sopra l'orizzonte. Queste linee continue rappresenteranno le ore di luce solare del giorno più lungo e di quello più breve. Ciò si verifica due volte l'anno, allorché il Sole nel suo viaggio intorno all'eclit­ tica attraversa l 'equatore ed il giorno e la notte sono eguali. I punti di incrocio sono chiamati equinoxes: nell'emisfero setten­ trionale il punto dove il Sole incrocia l'equatore a Nord è detto equinozio di primavera, l'altro è l'equinozio d'autunno. L'intera sfera celeste, intesa come Sole, Luna e Pianeti, ruota da Est ad Ovest ogni giorno; ma, poiché essa si muove più velo­ cemente dal Sole (o, più esattamente, poiché il S ole rimane un poco indietro), le costellazioni così considerate raggiungono il Sole, in modo che ad un certo punto dell'anno una data costella­ zione, chiamata Orione, può essere sopra l'orizzonte durante il giorno, diventando perciò invi sibile, per poi riapparire sopra l'orizzonte di notte e tornare visibile dopo essersi mossa da quel punto. In modo simile si comporta, ad esempio, Sirio, la stella del Cane, la più brillante del firmamento, che è visibile d'inverno nell'emisfero settentrionale, mentre d'estate è alta nel cielo du­ rante il giorno e perciò invisibile. Per questo motivo quel periodo è detto canicola, i giorni del Cane così famigerati negli antichi racconti misogini, perché Sirio è insieme al Sole, il quale si trova nel momento di massimo calore. L'oggetto più evidente nel cielo notturno, quando è visibile, è la Luna. Il suo movimento è estre­ mamente complicato; possiamo soffermarci per ora solo su tre punti. In pri�is, il suo moto sulla sfera stellare, in apparenza ir­ regolare, è sempre abbastanza vicino all 'eclittica; secondaria­ mente, il tempo intercorrente tra un novilunio e un altro è di circa ventinove giorni e mezzo (mese lunare o sinodico) e da ultimo, il tempo che la luna impiega a percorrere l'eclittica è poco più di ventisette giorni (mese siderale).

24

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25 La fig. 3 mostra perché questi mesi hanno una lunghezza di­ versa. Quando la Luna si trova tra la Terra ed il Sole (ma non esattamente sullo stesso piano, perché si avrebbe un'eclisse) , la parte oscura della luna è rivolta verso di noi (noi non possiamo vederla) ed è il novilunio. Contemporaneamente, si trova su una linea che unisce la Terra e una certa stella. Se chiamiamo la stella S avtemo la posizione A sulla fig. 3. Quando la Luna e la Terra si saranno spostate nella posizione B, poco più di 27 giorni dopo, la Luna si troverà ancora in linea con la stella S e la direzione di quest'ultima rispetto alla Terra non sarà cambiata, perché le stelle si trovano a tali distanze da noi che le loro posizioni non mutano col movimento della Terra intorno al Sole. In altre parole : nella posizione B, la Luna ha girato intorno al cielo e intorno all'eclit­ tica: questo rappresenta un mese siderale. Ma il sistema Terra­ Luna deve muoversi un po' più di due giorni, prima che la Luna ritorni in linea con il Sole per avere un'altro novilunio alla fine di un mese lunare (posizione C); ciò avviene perché la posizione del Sole di fronte alle stelle, come abbiamo visto, è cambiata. L'osservatore assiduo del cielo notturno distinguerà subito ad occhio nudo i cinque pianeti visibili. Essi brillano di una luce a volte più chiara e comunque più fissa rispetto al resto delle stelle e luccicano solo leggermente quando sono bassi sull'orizzonte. Tutti i pianeti si muovono attraverso la sfera delle stelle fisse con un movimento piuttosto regolare. Sembra a volte che si fermino (nelle loro "posizioni") e persino che muovano un poco all'indie­ tro (diventando retrogradi) . Tutti viaggiano entro pochi gradi dell'eclittica, a ritmi differenti; Mercurio impiega solo 88 giorni per compiere la sua rivoluzione, mentre Saturno impiega quasi 30 anni. La zona intorno all'eclittica, circa 8° 1/2 da entrambe le parti, nella quale viaggiano il Sole, la Luna e i Pianeti, è chiamata Zo­ diaco. Poiché Mercurio si trova vicino al Sole, è un pianeta molto difficile da vedere: infatti è visibile solo per circa mezz'ora (prima dell'alba vicino all'equinozio d'autunno e dopo il tramonto verso l'equinozio di primavera) ed è raramente lucente come Sirio. Per contro Venere è l'oggetto più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna. Essa può formare delle ombre ed è talvolta visibile anche alla luce del giorno. Per parte dell'anno appare come una stella

26 del mattino, sicché gli antichi la conoscevano come Phosphoros (in greco) o Lucifer (in latino) ; ambedue le parole significano "portatrice di luce". Altre volte Venere è vista come Hesperus o Vesper, la stella della sera. Si dice che Pitagora abbia identificato le due presunte stelle con un pianeta, appunto Venere. Marte brilla di una luce rossastra e, a causa del suo periodo di rivolu­ zione biennale, è visibile ogni notte per circa diciotto mesi e poi scompare dai quattro ai sei mesi. Il suo movimento è il più irrego­ lare tra quelli di tutti i pianeti, se considerato in rapporto alle stelle fisse, e la sua luminosità varia molto a seconda della distanza dalla terra. Fu questa distanza, ovviamente mutevole, che rese la teoria delle sfere concentriche così insoddisfacente; infatti, se tutte le sfere avessero lo stesso centro, la distanza di ciascun pianeta non dovrebbe mutare. Tuttavia l'irregolarità del movimento di Marte rende ogni schema geocentrico molto complicato e macchi­ noso. Giove, che impiega circa dodici anni per completare il suo viaggio intorno allo zodiaco, è maestosamente luminoso : non sussiste perciò dubbio alcuno sulla sua associazione con il sovra­ no degli dei dell'Olimpo. Il titolo di " sole della notte" fu invece attribuito dai Babilonesi e dai Greci a Saturno, che non è più brillante di una stella mediamente luminosa, ma che impiega quasi trent'anni a compiere la sua orbita. La sua lentezza suggeriva il concetto di vecchiaia e la vecchiaia saggezza e potere. Suggeriva anche grande lontananza e dunque freddezza e mistero. Mentre il Sole è luminoso e caldo e portatore di vita, Saturno fu immedia­ tamente associato al freddo, alla morte e alla malvagità. Questi cinque pianeti sono quelli conosciuti dagli astronomi e dagli astrologi nei secoli che precedettero l'invenzione e lo sviluppo del telescopio. Era questo il sistema con cui l'astrologo aveva a che fare: un sistema fondato sulle osservazioni a occhio nudo, ovvero quello che chiunque, armato di pazienza, potrebbe fare ancor oggi con pochi, semplici strumenti atti a misurare gli angoli e le altitudini. Che fosse o no un sistema geocentrico non è importante; bisogna sempre ricordare che ciò che interessa l'astrologo sono le posi­ zioni relative della Terra, del Sole, della Luna e dei Pianeti ed esse sono identiche sia che le esprimiamo mediante relazioni an-

27 golari viste dalla terra, sia che si usi il sistema cosmologico geo­ centrico o quello eliocentrico. I nostri sensi ci dicono che la Terra è ferma e che tutto il resto si muove intorno ad essa. Questo era il sistema accettato dagli uomini per la maggior parte della storia documentata. Tolomeo affermava che l'astrologo avrebbe dovuto conoscere i movimenti dei corpi celesti tanto da poter riconoscere " lo spazio e il tempo di ogni configurazione" . Certo l'astrologia, così come è intesa in questo libro, non potrebbe esistere prima del concepimento di un sistema matematico abbastanza preciso, tale da rendere possibile all 'uomo la rappresentazione di siffatte "configurazioni " o, in altre parole, delle posizioni relative della terra e dei pianeti sullo schema delle stelle fisse. Questo ci forni­ sce una primissima data riguardante l'inizio dell'astrologia pro­ priamente detta. Sorprendentemente per coloro che credono che l'astrologia risalga a migliaia di anni prima di Cristo, questa data si può collocare verso la fine del V e l'inizio del IV secolo a.C. Prima di questa data, se si risale ai tempi del primo uomo sa­ piens, vi erano state indubbiamente congetture sull'influenza dei cieli nella vita quotidiana e profezie basate sui presagi stellari. S i può parlare a questo proposito d i "prato-astrologia", intorno alla quale possiamo formulare congetture più o meno attendibili, ma ciò non riguarda i fini di questa storia. La maggior parte di quanto è stato scritto è per quattro quinti speculazione e solo qualcosa va oltre. Il fine di questo libro è delineare la storia dell'astrologia mate­ matica dal tempo dei Greci, quando ebbe inizio, fino al XVIII se­ colo, per fornire in qualche modo un resoconto dell'atteggia­ mento degli uomini nei confronti di essa e delineare la sua posi­ zione nella storia della società e delle idee. Se l'astrologia sia una vera scienza, un'arte, un imbroglio o qualcosa a metà fra tutto questo, è stato per ventitré secoli un enigma costante dell'univer­ so mentale dell'uomo occidentale; la sua storia è dunque parte integrante della storia umana.

II Dagli ini zi a Manilio L'astrologia è l'interpretazione e l a predizione degli eventi ter­ reni e dei caratteri e delle disposizioni dell'uomo in base alla mi­ surazione e all'intrecciarsi dei movimenti e delle relative posizioni dei corpi celesti, delle stelle e dei pianeti, inclusi, tra gli ultimi, il S ole e la Luna. Questo può implicare, in maggior o minor mi­ sura, la "fede" negli influssi stellari, ma comunque comporta certamente relazioni costanti (e quindi utilizzabili) tra le configu­ razioni celesti e gli avvenimenti terreni. Poiché l'astrologia pro­ priamente detta dipende dallo schema dei movimenti e delle posi­ zioni dei pianeti, essa non poteva comparire che dopo lo sviluppo dell'astronomia matematica. Nonostante le numerose e fantastiche rivendicazioni fatte fin dall'antichità a proposito della grande età dell'astronomia babilonese, si può affermare con certezza che una sorta di astronomia teoretica matematica si sia sviluppata solo in epoca relativamente tarda nella storia della Mesopotamia, dal V secolo a.C. in poi, e che il reale sviluppo di questa scienza sia stato una conquista dei Greci (l). La prima astronomia mesopotamica era puramente descrittiva e il periodo "preistorico" durò dal 1 800 a.C. circa fino al V secolo. Probabilmente osservazioni precise e ordinate non furono fatte prima del 700 a.C. circa ed esse riguardavano per lo più la Luna e le eclissi, non i movimenti planetari. Infatti Tolomeo, nel II se­ colo d.C. , usando le antiche tavole delle eclissi, denuncia la man­ canza di accurate osservazioni dei pianeti. Sembra che la maggior parte dell'astronomia matematica sviluppatasi in Mesopotamia verso la fine del IV secolo a.C. avesse a che fare con la costru­ zione delle effemeridi per il calcolo del dìfficile calendario lunare. Il calcolo del calendario può essere con siderato come la causa primaria della nascita dell'astronomia scientifica, dato che un ca­ lendario era necessario per finalità religiose o agricole (inizial­ mente le due cose erano difficilmente separabili) . Quanto

30 all'astronomia matematica greca, essa ebbe realmente inizio solo a partire dal V secolo, con Eudosso. L'epoca di maggior evolu­ zione si ebbe nel III e II secolo a.C., da Aristarco a Ipparco. L'antico Egitto invece fornì solo due contributi alla storia dell'astronomia, in quanto questa scienza non vi si sviluppò suf­ ficientemente. "L'astronomia egizia" , afferma Neugebauer (2), "restò, durante tutta la sua storia, a un livello eccessivamente grezzo e non ebbe rapporti con l'astronomia matematica in rapida evoluzione fino all'epoca ellenistica" . I due contributi consistet­ tero in un semplice calendario (rimasto fino ai nostri giorni) com­ posto da dodici mesi di trenta giorni più cinque o sei giorni "epagomenali" che formano un anno e nella nozione di dodici ore diurne e dodici ore notturne che gli astronomi ellenistici compen­ diarono nelle ventiquattro ore eguali, "equinoziali" , che tuttora u siamo. Sembra perciò che l'astrologia oroscopica non possa essere più antica del IV secolo a.C.; Neugebauer afferma categorica­ mente che "la principale struttura della teoria astrologica è indub­ biamente ellenistica" (3). I primi testi veramente astrologici i n nostro possesso provengono dall'Egitto ellenistico : scritti i n gre­ co, risalgono al periodo che va dalla fine del III al II secolo. Il primo manuale più o meno completo è il poema in cinque libri del poeta romano Manilio (inizio del I secolo d. C.); il primo dei po­ chi oroscopi babilonesi conosciuti è datato 4 1 0 a. C., mentre la grande quantità di oroscopi, tutti greci, pervenutici dai tempi anti­ chi, appartiene ai primi cinque secoli della nostra era. Di conse­ guenza, le rivendicazioni fatte da molti astrologi sulla presunta grande antichità della loro arte debbono essere considerate con un certo scetticismo. Si è appena detto che l'astrologia è un prodotto relativamente recente della cultura Greca. Ciò suona strano, dal momento che è comunemente e giustamente risaputo che i Greci classici non co­ noscevano un culto delle stelle e non indulgevano nell'adorazione di divinità solari, lunari e planetarie. Di conseguenza l'astrologia non sarebbe indigena della Grecia ma deve esservi stata intro­ dotta. Che tipo di astrologia poteva esservi stata introdotta e quando? Perché i Greci, razionalisti e scettici circa l'adorazione ·

31 degli astri, accettarono l'astrologia così velocemente e la svilup­ parono; e perché lo fecero? Per quanto la scienza o arte dell'astrologia oroscopica fosse stata una creazione tarda dell'età ellenistica essa ebbe, per forza di cose, una lunga preistoria. Si può dire che, nelle scuole greche, si siano mischiate due correnti: quella babilonese e quella egizia. Non vi era stata necessità di importare le idee egizie; dopo la con­ quista di Alessandro Magno, l'Egitto dei Tolomei faceva parte del mondo greco e Alessandria divenne e rimase per secoli la capitale intellettuale del mondo antico. Fu la tradizione babilonese ad es­ sere introdotta e fu dall'Oriente che l'idea di un 'arte importante come l'astrologia pervenne in Grecia. Non che i Greci fossero del tutto indifferenti e rigorosamente scientifici nei confronti dei corpi celesti. S arebbero stati davvero uno strano popolo se non aves­ sero guardato il S ole e la Luna come entità in qualche modo di­ vine. Famell, a tale proposito, affermava che "l'adorazione del Sole era stata una volta prevalente e molto forte tra i popoli delle culture pre-elleniche, ma una minima parte delle comunità del pe­ riodo storico posteriore la riteneva un potente elemento della reli­ gione di S tato, mentre allo stesso tempo la percezione individuale del grande astro poteva ancora essere definita come religiosa" (4). Wilamowitz è ancora più enfatico : "Vadorazione del S ole non è originariamente ellenica. Gli dei greci, che amavano e odiavano, aiutavano e danneggiavano gli uomini, erano ctonii, appartene­ vano alla Terra e apparivano tra gli uomini. Nel novero degli dei non compariva Uperion (i poteri superiori). Ancor meno la Luna" (5). Dopo aver parlato dei miti delle stelle, alcuni dei quali, come quelli riguardanti Orione, erano certamente derivati da fonti stra­ niere, prosegue: "Tutto ciò non aveva niente a che fare con la reli­ gione. Fu solo attraverso l'astrologia che le costellazioni ebbero una qualche influenza sul destino degli uomini ed anche in questo caso erano fondamentalmente solo O'�IJ.CXTCX (segni) " (6) . L'autorità antica più attendibile a tale proposito è Aristofane, che nella sua commedia La pace (vv. 406-4 1 6) distingue i Greci dai Barbari per il fatto che i Barbari adorano il Sole e la Luna come divinità. I Greci stessi ritenevano che la loro astronomia

32 derivasse da B abilonia e che l'astrologia fosse stata introdotta in Grecia dal "Caldeo" Berosso. Ma di che tipo di astrologia si trattava? Dal II millennio a.C. si sviluppò in Mesopotamia una ricca mes se di letteratura oracolare , poi raccolta e organizzata in un'opera nota come Enuma Anu-Enlil ( 1 000 a.C. circa) . L'astro­ nomia di questi omina (presagi) è puramente descrittiva e tutti riguardano la nazione nella sua totalità, il re o i principi reali. Nessuno ha a che fare con il destino di singoli individui. In uno di questi tipici omina leggiamo:

Quando la Luna nasconde Giove (S agmìgar), quell'anno un re dovrà morire . . (oppure) . . ci sarà un 'eclisse della Luna e del Sole. Un grande re morirà. Quando Giove si trova al centro della Luna, ci sarà carestia ad Aharru. Il re di Elam sarà passato a fil di spada: a Subarti . . . (?) scoppierà una rivolta. Quando Giove si trova al centro della Luna, il valore della Terra sarà basso . Quando Giove spunta da dietro la Luna, vi sarà inimicizia nel paese (7) . .

.

Questi presagi sono tratti dalle stelle, dal sole, dalla luna e dai pianeti, dalle eclissi, dalle nuvole, dal tuono e dai terremoti. Chiaramente presuppongono che vi sia una qualche relazione tra ciò che accade nel cielo e ciò che accade sulla terra, sebbene non suggeriscano che la relazione sia proprio quella di causa ed ef­ fetto. A partire dal VII secolo l'osservazione accurata divenne sem­ pre più importante e più tardi il calcolo aritmetico gioca una parte rilevante in questa sorta di prato-astrologia. I nomi delle costella­ zioni, comprese quelle che si trovano lungo l'eclittica, sono fre­ quentemente u sati, per quanto non vi sia alcun richiamo allo zodiaco in quanto tale. Molti dei nomi erano tratti dai Greci; alla descrizione greco-babilonese dei cieli fu più tardi dato il nome di sphaera graecanica, per distinguerla dalla sphaera barbarica, la descrizione non greca (il vero significato di "barbarico"), di solito quella egizia. Accanto a questi oracoli ve ne sono alcuni che forniscono previsioni riguardanti un bambino basandosi sul mese

33 d i nascita, m a questi possono derivare più d a u n elenco d i mesi fortunati e sfortunati che da dati astronomici. Tra le costellazioni menzionate negli omina ci sono familiari quelle dell'Ariete, del Leone e dello Scorpione, ora conosciute da tutti come segni zodiacali. Tuttavia lo zodiaco degli astrologi non è più antico dell'astrologia stessa. Le prime divisioni dei corsi del S ole e della Luna attraverso i cieli servivano per la compilazione dei calendari, erano cioè un metodo per misurare il tempo. Oggi è difficile per noi immaginare un tempo in cui la "data" non veniva conosciuta semplicemente guardando un calendario. Infatti, per migliaia di anni, gli uomini potevano conoscere quale fosse il tempo dell'anno solamente guardando il calendario naturale del cielo e datavano la semina dei raccolti e tutte le loro attività in re­ lazione al sorgere e al calare delle Pleiadi, di Sirio o di altre stelle o gruppi di stelle facilmente riconoscibili. I raggruppamenti di stelle erano naturalmente del tutto arbitrari e popoli diversi consi­ deravano costellazioni diverse con nomi differenti, sebbene al­ cune, come Ursa Maior (il Carro o l'Orsa Maggiore) , siano così evidenti nel cielo da essere comuni a tutti. Il corso del sole attra­ verso l'eclittica durante l'anno sembra dapprima essere stato di­ viso semplicemente in quattro, le quattro stagioni, con i punti di divisione posti agli equinozi e ai tropici. Le divisioni del percorso della Luna presero il nome di "fasi lunari " , conosciute in Grecia, in Estremo Oriente, in India e persino nell'astrologia araba. Non più tardi del II millennio un certo numero di costellazioni fu con­ siderato come posto "nel corso della luna" e un elenco di diciotto di queste contiene i nomi di dieci delle dodici costellazioni che ora chiamiamo segni zodiacali. Sembra che le defmizioni delle dodici costellazioni che vanno dall'Ariete ai Pesci siano diventate co­ muni non prima della fine del V secolo a.C. e la prima menzione di dodici segni collegati alle costellazioni risale al 4 1 9 a C. (8). Vi fu certamente un qualche collegamento tra questa selezione di dodici segni e l'evoluzione di un calendario lunare e solare di dodici mesi di circa trenta giorni, ma non è del tutto chiaro quando e per opera di chi questo zodiaco della misura del tempo fosse associato con l'astrologia. Che dovesse essere associato in questo modo era del tutto naturale. La combinazione dei concetti

34 di giorni e mesi fortunati e sfortunati, l'importanza della data di nascita, il movimento del sole intorno all'eclittica non avrebbero potuto che portare a ciò. Il tempo e il luogo più adatti affinché av­ venisse questo collegamento sono rispettivamente la fine del V secolo e B abilonia, i cui rapporti con l'Egitto esercitarono una certa influenza sull'astronomia egizia. Le linee generali dello svi­ luppo dell'idea dello zodiaco sono riassunte da Gleadow: "Lo zodiaco crebbe (e non poteva essere altrimenti) come un conge­ gno per misurare il tempo. Solo più tardi poté essere usato per la divinazione e ancora dopo per l'analisi del carattere" (9) . Verso la fine del VI e l 'inizio del V secolo a.C. l'astrologia babilonese aveva probabilmente raggiunto lo stadio che permet­ teva di mettere assieme elenchi di giorni e mesi fortunati e sfortu­ nati, la rilevazione dei presagi (includendo quelli per i singoli in­ dividui) e il corso del sole, della luna e dei pianeti attraverso lo zodiaco. Ai nostri fini, è molto importante distinguere la credenza generica nella valutazione dei segni nei cieli come presagi di eventi terreni dalla chiara interpretazione di precise posizioni e movimenti che noi conosciamo come oroscopi o, più propria­ mente, come astrologia genetliaca. Quest'ultima sorse probabil­ mente alla fine del V secolo; è questo il tempo più verosimile per la sua introduzione in Grecia. Che ci fosse un qualche contatto tra la Grecia classica e l 'astrologia babilonese risulta chiaro nel frammento 55 A di Democrito, nel quale egli mostra di cono­ scere, verso la fine del V secolo, la triade babilonese di S ole, Luna e Venere (Sin, S hamash e Isthar) . Un secolo più tardi , Eudosso (cfr. Cicerone, De divinatione, II, 22) respingeva la ri­ vendicazione dei " Caldei " a proposito della loro capacità di pre­ dire il destino di un uomo in base alla data di nascita. Poco dopo Teofrasto riportò ancora la stessa affermazione, fondandosi sull'autorità di Proclo, nel suo commento al Timeo di Platone (3, 1 5 1 Diels) . Quanto ai primi chiari riferimenti all'astrologia babi­ lonese in Grecia, essi si trovano nel trattato medico di Ippocrate, Sulla dieta, databile intorno al 400 a.C. Nessuna di queste fonti è ovviamente riferita all'astrologia oroscopica o genetliaca: ognuna di esse tratta di quel tipo di rozza proto-astrologia che abbiamo in precedenza descritto. La men-

35 zione degli scritti di Ippocrate ci porta comunque ad un nome che abbiamo già incontrato: Berosso, collegato dallo scrittore romano Vitruvio (fine del I secolo a. C.) sia con l'astrologia genetliaca che con la Grecia:

Si deve ammettere che possiamo conoscere quali influenze abbiano i dodici segni, il Sole e la Luna e i cinque pianeti nel corso dell'esistenza umana grazie all'astrologia e ai calcoli dei Caldei. Dal momento che è loro propria l'arte genetliaca, in virtù di essa sono in grado di svelare eventi passati e futuri ricorrendo ai loro calcoli astronomici. Molti sono coloro che, discendendo dalla razza dei Caldei, ci hanno trasmesso le loro scoperte, ricche di perspicacia e sapienza. Il primo fu Berosso, che si stabili e in­ segnò a Cos; dopo di lui il dotto Antipatro, poi Achinapolus, che nondimeno fondò le sue previsioni non sulla data di nascita ma su quella del concepimento (Libro VI, Il). Detto per inciso: non si conosce niente di più né su Antipatro (e non vi è alcuna ragione accettabile per collegarlo allo stoico Antipatro di Tarso) né su Achinapolus. L'altro rilevante riferi­ mento a B erosso da parte degli scrittori antichi ( 1 0) ci narra che fu un sacerdote di Bel e visse fino alla veneranda età di cento­ sedici anni. Plinio si rifà alla sua autorità quando afferma che i babilonesi osservarono i cieli e tennero rilevazioni per 490000 anni ! S i può ragionevolmente perdonare chi abbia respinto l 'intero racconto pliniano come pura fantasia. E' sempre esistita, tuttavia, una tradizione molto diffusa secondo la quale l'astrologia è stata portata in Grecia da Berosso, e ciò che rende certa la sua esistenza è la sua astrologia, perchè ciò che noi conosciamo come tale non è nato fra i Greci. In conclusione: la residenza di Berosso a Cos e la data, pro­ babilmente l'inizio del IV secolo, sono abbastanza plausibili. Cos era la patria della scuola ippocratica di medicina e vi furono colle­ gamenti tra astrologia e medicina fin da epoche molto remote. I tempi erano maturi. Le critiche alla vecchia religione olimpica - il pantheon antropomorfico di Zeus éd Era, Ares, Afrodite, Hermes e tutti gli altri - da parte dei filosofi del V secolo e dei Sofisti,

36 avevano portato al tentativo dei filosofi stessi (soprattutto Platone e Aristotele) di trovare divinità più soddisfacenti nei cieli. Nelle Leggi, e specialmente nell'Epinomide , Platone propendeva per la divinità dei corpi celesti, che dovevano essere adorati per l'eterna matematica bellezza dei loro movimenti regolari. Non è impor­ tante a questo punto stabilire se Platone sia stato convinto da un ambiguo "ospite Caldeo" o ancor più dai Pitagorici, che propen­ devano per la stessa opinione sulle stelle e avevano grandemente influenzato il suo dialogo cosmologico, il Timeo. Il pitagorismo, Platone ed Aristotele, in una certa misura la religione orfica (che proveniva dall'Oriente e aveva influenzato Platone) prepararono il terreno per la ricezione delle idee astrologiche. Che l'astrologia propriamente detta si sia sviluppata in Grecia in epoca relativa­ mente tarda è reso evidente dal fatto che tutta l'astrologia più re­ cente fissa l'equinozio primaverile a 8° o a 0° in Ariete e non a 15° come avevano fatto astronomi più antichi , ad esempio Eudosso. L'inizio del IV secolo sembra poi la data più plausibile per l'introduzione dell'astrologia in Grecia e Cos fu probabilmente uno dei luoghi nei quali tale introduzione fu effettuata. Ha certo un qualche significato il fatto che, sebbene gli stati greci non avessero eretto templi al Sole, alla Luna o alle Stelle, Cos avesse un piccolo tempio dedicato ad Helios, il dio del Sole, e a Emera, la dea del Giorno ( 1 1 ). Perché dunque i Greci cominciarono a praticare l'astrologia, tanto da renderla loro propria e creare l'arte che conosciamo oggi? In p arte perché stavano a quel tempo già abbandonando le antiche forme religiose a favore di religioni più individuali e talvolta mi­ stiche. Non vi è prova della diffusione dell'astrologia popolare fino ad un'epoca molto successiva, nel II secolo. Di certo non fu­ rono persone incolte o superstiziose ad accettarla e a svilupparla. Furono piuttosto i filosofi, come Platone, a preparare il terreno e gli Stoici (che erano tra i maggiori logici e fisici dei loro tempi) a rielaborarla in modo compiuto nel loro sistema cosmologico. Furono i medici e gli scienziati come Teofrasto ad accogliere e sviluppare le sue connessioni con la medicina, le piante, i mine­ rali e con la scienza dell'alchimia, al tempo più vicina alla tecno­ logia chimica che a quella magica ricerca della pietra filosofale che

37 doveva diventare in seguito. Quanti hanno ammirato i Greci per il loro cristallino razionalismo (ed hanno sempre ignorato ogni cosa contraria come se non fosse greca, senza considerare che l'autore era un Greco, la lingua era il greco e il tempo l'età classica), hanno condizionato il loro pensiero in modo unilaterale tanto da rifiutare sia l'astrologia che il fascino da essa esercitato sulla mente dei Greci. Farnell ( 1 2) scrisse: "Facciamo qui anche no­ tare, tra le grandi perdite della religione greca, che le comunità evitarono il culto delle stelle e che nei giorni della sua indipen­ denza lo spirito ellenico fu perciò salvato dalla malattia della astrologia" (si noti la curiosa affermazione "liberai" che furono le straniere, autocratiche norme dei Macedoni a trasformare gli il­ luminati Greci in astrologi svaniti o qualcosa del genere). Persino Cumont, dopo molte affermazioni sulla "nuova teologia siderale" dei filosofi e sul pitagorico "sistema di numeri e figure geometri­ che atte a rappresentare certi dei " , essendo "in accordo con le teorie astrologiche" , può scrivere : "L'insaziabile curiosità dei Greci non poteva ignorare l'astrologia, ma il loro genio sobrio re­ spinse quella dottrina avventurosa e il loro appassionato spirito critico era in grado di distinguere i dati scientifici osservati dai B abilonesi dalle erronee conclusioni che costoro derivarono da esse. A loro eterno merito va il fatto che tra il miscuglio di osser­ vazioni precise e fantasie superstiziose elaborato dalla tradizione sacerdotale d'Oriente, essi scoprirono e utilizzarono gli elementi seri rigettando le fandonie" ( 1 3) . Questa asserzione è falsa sia nei dettagli che nella totalità. Può essere solo stata scritta da chi abbia deciso aprioristicamente cosa può essere ammesso come "Gre­ co " . E' il "maccarti smo" degli studiosi classici : troppi Greci indulgevano in attività non greche. Era molto più vicino alla verità George S arton quando scriveva: "Si può persino affermare che l'astrologia greca sia stata il frutto del razionalismo greco. Ad ogni buon conto essa ricevette un qualche tipo di giustificazione dalla nozione di cosmo, un cosmo così ben strutturato che nes­ suna parte è indipendente dalle altre parti e dal tutto". E ancora: " . . . il principio su cui si basa l'astrologia, una corrispondenza tra le stelle e gli uomini, in grado le prime di influenzare gli altri, non era irrazionale . . " ( 1 4) .

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38 Neugebauer riassume concisamente: "Confrontate c o n lo sfondo di religione, magia e misticismo, le dottrine fondamentali dell'astrologia sono pura scienza" ( 1 5). Il punto, ed è un punto veramente importante, è che l 'astro­ logia affascinò i Greci colti proprio perché erano razionali e per­ ché era un sistema razionale o almeno poteva presentarsi come tale. Non è un caso che i due maggiori astronomi greci, Ipparco e Tolomeo, fossero anche astrologi; anzi, il secondo fu l'autore del più importante trattato antico di astrologia. Né i Greci furono ne­ cessariamente in errore a questo proposito; a torto o a ragione ac­ cettarono l'astrologia e il loro accettarla come studio erudito e scientifico fu l 'atteggiamento comune; se non quello normale, fino al XVIII secolo. E' impossibile capire uomini come Keplero e Newton a meno di non vedere l'astrologia per come l'avevano resa i Greci: un tentativo razionale di tracciare lo stato dei cieli e di interpretare questa mappa nel contesto di quella "simpatia co­ smica" ( 1 6) che rende l'uomo parte integrante dell'universo. S i può riconoscere l a base scientifica dell'astrologia nell'antichità nell'ordine in cui sono nominati i pianeti. In Platone e Aristotele troviamo quello che è conosciuto come l'ordine "egizio" : Luna, Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno; il più antico or­ dine babilonese invece era: Luna, Sole, Giove, Venere, Saturno, Mercurio, Marte, un ordine che dal V secolo fu mutato per un certo periodo in : Luna, Sole, Marte, Venere, Mercurio, Saturno, Giove. Ma l 'ordine chiamato "caldeo" , che era senza dubbio greco e astronomico, ricavato dai periodi di rivoluzione dei pianeti intorno all'eclittica e quindi fondato sulla presumibile di­ stanza dalla Terra, era: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. E' proprio quest'ordine, divenuto comune a partire dal II secolo a.C. , quello usato nell'astrologia greca. I greci colti del IV e III secolo ricevettero assieme l'astronomia e l'astrologia babilonese e le svilupparono entrambe; certamente usarono la stessa parola astrologia per l'una e per l'altra. Uno dei primi a distinguere i due termini, astronomia (raro nel periodo classico) e astrologia, fu Isidoro di S iviglia nel VII secolo d.C ( 1 7) . Quasi in ogni epoca astrologia può significare in latino sia l'una cosa che l'altra. Isidoro definisce astronomia ciò che riguar-

39 da "la rotazipne dei cieli, il sorgere, il calare e i movimenti delle stelle e la ragione per cui sono chiamate così " . Distingue poi quella che chiama astrologia fisica, collegata al "corso del sole e della luna, oppure alle stagioni fisse delle stelle", dall'astrologia superstiziosa, quella "perseguita dai mathematici, che profetiz­ zano attraverso le stelle, distribuiscono i dodici segni celesti tra le parti dell'anima e del corpo e cercano di prevedere le nascite o il carattere dell'uomo in base ai corsi delle stelle" . Certamente una simile distribuzione dei dodici segni fu fatta, ad Alessandria, in Egitto; molti dei Greci colti che abbiamo considerato vissero e lavorarono in quella grande città greco-egizia dell'epoca elleni­ stica. Là ereditarono alcuni aspetti del pensiero egizio, che inglo­ barono nel loro pensiero astrologico e che ebbero un'influenza durevole sull'astrologia. In primo luogo è importante il fatto che l'antico Egitto non possedesse una astrologia propria. Tutte le opere direttamente o indirettamente riguardanti l'astrologia, così come noi la conosciamo, furono scritte da greci ellenistici a par­ tire dal III secolo a.C. Non vi sono neppure raffigurazioni di ge­ nere astrologico risalenti all'antico Egitto, anche se, come afferma Gleadow ( 1 8) : "Nessuna cultura ha lasciato un numero maggiore di documenti in ricordo delle sue credenze" . I due " zodiaci" di Dendera, i due di Esna, l'oroscopo di Athribis � il sarcofago di Heter appartengono tutti ai primi due secoli d.C. L'astrologia fu una creazione dei Greci ellenistici, ma molti degli studiosi che la svilupparono furono Greci alessandrini e forte fu l'influenza egi­ zia. Abbiamo visto che uno dei più importanti contributi egizi all'astronomia fu il calendario di dodici mesi di trenta giorni cia­ scuno più cinque giorni "epagomenali" (sei negli anni bisestili). Gli Egizi iniziavano il loro anno con il sorgere eliaco di Sirio che, ai tempi delle dinastie, precedeva immediatamente le piene del Nilo dalle quali dipendeva l'intero paese. Il sorgere eliaco di una stella o di una costellazione avviene quando si vede sorgere la stella ad Est, immediatamente prima dell'alba; il suo tramonto eliaco si verifica allorché tramonta ad Ovest, subito dopo il tra­ monto del Sole. Alla fine del II millennio a. C. trentasei costel­ lazioni erano associate al calendario; il sorgere eliaco di ogni co-

40 stellazione veniva considerato come "l'ultima ora della notte" per dieci giorni, dopo di che veniva sostituito da un 'altra costella­ zione. Ci sono numerosi elenchi di queste trentasei costellazioni, a partire dalla dinastia di mezzo in poi, il cui nome e il cui ordine variano, come è logico aspettarsi, nel lungo periodo. Le costella­ zioni usate a tal fine sono conosciute come "decani" , anche se l'origine del nome rimane oscura ( 19). Il sorgere di questi decani durante la notte veniva usato per dividere in ore il tempo della oscurità; poiché in estate, al tempo del sorgere eliaco di Sirio, si vedono sorgere dodici costellazioni prima dell'alba, essendo le ore notturne dodici. C'erano dieci ore giornaliere piene al tempo di Seti I (circa 1 300 a.C.), quando et:a in uso il sistema decimale. Si aggiunga a queste un'ora di crepuscolo ad ogni fine giornata e si avranno dodici ore di giorno e dodici ore di notte, variando la lunghezza dell'ora a seconda del periodo dell'anno (N. d. T.: manca un ' ora) . Due volte all'anno, nel periodo degli equinozi, giorno e n otte si equivalgono e tutte le ore sono uguali; per gli astronomi queste ore uguali, "equinoziali" , erano ovviamente più facili da usare: si giunse così alle nostre ventiquattro ore. Due costellazioni sono facilmente e sicuramente identificabili nella lista dei decani : Sirio e Orione; Sirio era la principale. L'intervallo tra il calare e il sorgere eliaco di Sirio, il periodo della sua invisibilità, era di circa settanta giorni; le altre costellazioni fu­ rono probabilmente scelte in quanto presentavano circa lo stesso periodo d'invisibilità. Di conseguenza, si trovano tutte in una zona parallela e a S ud dell'eclittica, cioè nello zodiaco o vicino ad esso. Dato che l'anno conta poco più di 365 giorni e non 360, il calendario basato sui decani perse gradualmente il passo rispetto all'anno effettivo; ciò comportò complicate modifiche. Quando, nell'Egitto dei Tolomei, il calendario fu riformato con l'aggiunta di un sesto giorno epagomenale negli anni bisestili, lo zodiaco greco-babilonese era già conosciuto e fu semplice aggiungere i decani allo zodiaco tanto da farli diventare un'ulteriore divisione di dieci gradi di quel cerchio. E' così che sono raffigurati, al tempo dell'imperatore romano Tiberio, nello zodiaco circolare di Dendera. Una volta divenuti sezioni dello zodiaco, i decani fu­ rono assorbiti dall'astrologia.

41 Uno dei testi in cui si tratta dei ·decani è incluso i n quella pro­ duzione connotata come letteratura ermetica (si tratta di opere scritte in lingua greca nell'epoca dell'Egitto dei Tolomei); a tale produzione appartiene una delle più importanti fonti dell'astro­ logia antica: il testo ermetico attribuito a Nechepso-Petosiris. Cerchiamo in primo luogo di spiegare l'aggettivo "ermetico". Uno dei più antichi grandi dei egizi era Thoth. Originaria­ mente associato alla Luna, divenne in seguito, a causa di questo collegamento, il dio del tempo e della misurazione del tempo e, quindi, in senso più ampio, dell'astronomia. Forse a ragione di ciò, o forse per motivi assai diversi, Thoth fu collegato alla scrit­ tura e a tutte le arti e scienze che derivano da essa, incluse la me­ dicina, l'astrologia e l'alchimia. Nell'Egitto dei Tolomei, durante il N secolo, i Greci alessandrini assimilarono gli dei egizi ai loro, tanto che Osiride si identificò con Dioniso, Horus con Apollo e così via. Quanto ad Hermes, egli possedeva molti degli attributi di Thoth e siamo informati da Aristosseno da Taranto come l'identificazione Hermes-Thoth fosse già presente prima della fine del IV secolo. Va poi ricordato l'uso dei Greci alessandrini di at­ tribuire sovente l'epiteto "megistos" (il più grande) ai loro dei, senza contare, come attesta la presenza costante del termine me­ gistos nelle iscrizioni, che spesso ricorrevano all'uso egizio di rafforzare un aggettivo mediante la ripetizione. Secondo una for­ mula rituale il cui senso ci sfugge, ottenuta attraverso la sintetiz­ zazione della triplice ripetizione nel termine trismegistos (letteral­ mente: tre volte il più grande), veniva così onorato il nome di Hermes, tanto che l'espressione Hermes Trismegistos finì col di­ ventare un nome proprio. A Hermes Trismegistos vennero attri­ buite opere di tutti i tipi, collegate con molte arti: "La letteratura ermetica ci si presenta nelle forme più disparate : sotto la prote­ zione di Hermes venivano composti trattati riguardanti l'astrolo­ gia e la medicina astrologica, ma anche raccolte di rimedi magici, opere di alchimia, brevi dissertazioni filosofiche o teosofiche, questioni di astronomia, fi sica, psicologia, embriogenesi, storia naturale (Kyranides). In breve, ogni cosa che, con il declino del razionalismo, assurse al rango di scienza" (20). Tutta questa pro­ duzione letteraria è greca e non sussiste alcuna prova che parte di

42 essa riproduca antichi scritti egizi. Inoltre, una buona parte degli scritti più antichi del Corpus Hermeticus riguardano l'astrologia e di conseguenza devono considerarsi posteriori all'inizio del IV secolo, mentre la maggior parte del Corpus è databile a partire dal II secolo. Tra i trattati astrologici raccolti nel Corpus, si distinguono per importanza due testi: il libro noto col titolo di Salmeschiniaka ed il manuale di Nechepso-Petosiris. Inoltre, un numero assai cospi­ cuo di frammenti giace ancora sepolto nelle appendici ai dodici volumi del Catalogus Codicum Astrologorum Graecorum, mentre altri frammenti ci sono pervenuti o (a partire dal IX secolo) in opere arabe, o in versioni tardo-latine (2 1 ) . Quanto alle due opere citate, entrambe greche e databili attorno alla metà del II secolo a. C . , possediamo solo alcuni frammenti; così , mentre passi del S almeschiniaka sono riportati da Nechepso-Petosiris, brani del manuale di Nechepso-Petosiris sono citati da quasi tutti gli astro­ logi successivi. Entrambe queste opere sono greche ed entrambe appartengono alla metà del II secolo a. C. In questi due scritti emergono costantemente idee di origine babilonese, tanto da far supporre che la Salmeschia-naka sia stata in origine un'opera babilonese. In essa si menziona il dio babilonese Nebu e si parla degli intervalli di cinque giorni, propri della cultura babilonese, in contrapposizione ai decani egizi; quanto al titolo, esso potrebbe derivare dalla parola babilonese salm i , il cui significato è "quadri". Come è noto, un intervallo di cinque giorni determina in un anno settantadue "quadri " , sicché è interessante osservare come Plinio, quasi tre secoli dopo, faccia ancora riferimento ai settantadue quadri:

Essi (coloro che non sono in grado di seguire l'astronomia) sono scusati dalla vastità dell'universo, dalla sua immensità di­ visa longitudinalmente in settantadue segni, simili a cose e ani­ mali, nei quali i sapienti hanno diviso i cieli (22). D'altra parte, questi quadri erano probabilmente di origine egizia (ad esempio, Plinio pone le Pleiadi nella coda del Toro, laddove la sphaera graecanica comprendeva solo la metà anteriore

43 del Toro nel cielo e la sphaera barbarica, ovvero egizia, raffigu­ rava l'intero animale) , tanto che nella Salmeschiniaka i nomi dei decani rivelano indubitabilmente la matrice egizia. Inoltre, è dove­ roso ricordare che non solo quest'opera è attribuita dagli scrittori successivi a Hermes Trismegistos, ma anche che i frammenti pa­ piracei pervenutici sono egizi. E' possibile pertanto considerarla il frutto della commistione, avvenuta nel II secolo a. C. con ogni probabilità ad Alessandria, delle tradizioni astrologiche babilonesi con quelle greco-egizie. Ancor più della Salmeschiniaka è citata dagli autori successivi l 'opera attribuita a Nechepso e Petosiris, considerati rispettiva­ mente un faraone egizio e un alto sacerdote, cifra non solo della loro autorità, ma anche del loro sapere e della loro antichità, tanto più che nel mondo antico (e, per un certo verso, anche oggi) era normale per gli scrittori di astrologia rivendicare la grande anti­ chità della loro arte. Tuttavia è certo che i nomi di Nechepso e di Petosiris non hanno alcuna connessione storica con personaggi dell'antico Egitto, così come incerte sono l'origine greca e la da­ tazione dell'opera stessa, riconducibile o al II secolo a.C. o, se­ condo Riess, al periodo tra 1'80 e il 60 a.C. Pare che il libro si presentasse come un'ampia miscellanea di versi e prosa, sicché è probabile che fosse il risultato di interventi diversi. Persino nelle pagine dell'articolo di Riess è difficile distinguere la parte origi­ nale di Nechepso-Petosiris; ciò diventa, poi, quasi impossibile se si esaminano le opere degli scrittori greci successivi che opera­ rono tra il II e l'VIII secolo d.C. : essi infatti tendono troppo spesso a rifarsi a Nechepso e Petosiris, o semplicemente agli " antichi " , ogniqualvolta sentono il bisogno dell'autorità del pas­ sato. Certamente l'opera conteneva molti dei luoghi comuni ri­ scontrabili negli scrittori più recenti; una buona parte, ad esem­ pio, di quello che concerne comete, eclissi nei vari segni, tempi favorevoli e sfavorevoli per l'azione e presumibile durata della vita, era probabilmente "antico" già nel II secolo. Inoltre, alcuni suoi passi , per esempio il frammento 12 di Riess, si presentano nella forma propria della letteratura oracolare babilonese, attualiz­ zata semplicemente dal suo inserimento in un contesto zodiacale:

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Quando Mercurio è in Gemelli al tempo del sorgere di Sirio, la crescita (della piena del Nilo) sarà degna di tale nome, ci sarà gioia tra il popolo ed il re sarà vittorioso. E' possibile che il calcolo del Punto di Fortll"na (che sta alla Luna come l'Ascendente sta al Sole) fosse già presente in Nechepso-Petosiris, come pure l'idea che, al momento della na­ scita, l'Ascendente sia identificabile col punto della Luna al mo­ mento del concepimento, ma per noi moderni non è facile essere chiari a proposito delle origini di molte delle idee di uso corrente in questi primi secoli dell'astrologia. Ciò che è certo è che esse furono sviluppate e gradualmente assimilate a un sistema zodia­ cale per opera dei Greci ellenistici d'Egitto, sebbene si trattasse originariamente di idee o egizie, o babilonesi, o formulate dagli stessi Greci. Un'altra testimonianza della prima rilevante commistione del pensiero babilonese con quello egizio è data dalla medicina astrologica. Si narra che Berosso si fosse stabilito nell'isola di Cos, patria della medicina ippocratica, e che pertanto l'astrologia abbia trovato la sua prima strada dentro il "corpus ippocratico" degli scritti medici. Nell'antico Egitto la medicina era posta sotto la protezione di Thoth, così come l'astronomia; quando, sotto le sembianze di Hermes Trismegistos, si riordinò l'astrologia, al dio fu conferito anche il ruolo di protettore della medicina astrologica, detta in greco iatromathematica. A un certo momento, tra il IV e il III secolo, le parti del corpo umano furono assegnate ai segni dello zodiaco, iniziando dall'alto, con la testa, e dall'equinozio di primavera, con l'Ariete, per scendere lungo il corpo e lungo il corso dello zodiaco, fino a terminare con i Pesci e quindi con i piedi. Quest'associazione dell'anatomia con le stelle fu molto probabilmente opera dei Greci stessi, influenzati da quell 'idea di " simpatia cosmica" , cioè di fusione armoniosa tra l'universo e l'uomo, che giocò una parte così importante nel pensiero stoico. L'idea dell'universo come macrocosmo e dell'uomo come micro­ cosmo in cui si riflette la natura e la struttura dell'universo, è greca e, in gran parte, stoica. Nel "corpus ermetico" si trovano alcuni scritti riguardanti la medicina "omeopatica" (o almeno una

45 forma assai simile ad essa) ; in essi domina la convinzione che il segno che governa una parte particolare del corpo possa essere influenzato da un pianeta malevolo o in cattivo aspetto. In conse­ guenza di ciò, ovvero per simpatia, la parte del corpo risulta af­ flitta e quindi malata. La conoscenza di questo legame suggerisce però anche il possibile rimedio, consistente nell'incrementare il potere del segno mediante l'uso di piante e animali ad esso asso­ ciati. La medicina. egizia conosceva già una grande, antica serie di tali rimedi semi-magici , mentre l'associazione con le stelle fu probabilmente introdotta sotto l'influenza babilonese, tanto più che anche a Babilonia la medicina aveva natura magica; viceversa i Greci furono i primi a sviluppare la medicina scientifica, di certo la loro più antica scienza empirica. I Babilonesi consideravano le posizioni delle stelle e dei pianeti in quanto aspetti favorevoli o sfavorevoli; i talismani e amuleti medicinali erano perciò preparati o scelti in accordo con lo stato favorevole dei cieli. L'associazio­ ne delle piante ai corpi celesti (23) probabilmente crebbe con la medicina astrologica. Le piante furono individualmente poste in relazione ai pianeti, ai decani e persino, in rare occasioni, con le stelle fisse. Sebbene molti dei testi pervenutici siano successivi, Pfister reputa che il materiale in essi contenuto evidenzi il periodo tra il II secolo a. C. e il I secolo d. C. come il tempo in cui ven­ nero elaborati i dettagli della teoria. Parimenti, la pratica medica egizia sancì l'associazione di certi animali coi segni e i pianeti, mentre l'associazione dei minerali coi segni dello zodiaco è di dubbia antichità e presenta molti problemi. I minerali furono pre­ sto posti in relazione ai pianeti, compresi anche il Sole e la Luna; questo collegamento appare derivato dalle somiglianze, soprat­ tutto cromatiche, tra minerali e pianeti (24). Inoltre i minerali fu­ rono associati anche alle stelle fisse, come attesta un trattato con­ servatoci solo nella versione di Mash'allah, un astrologo dell'VIII secolo, che tra l'altro lo attribuisce a Hermes. Quanto ai colori sappiamo che a Babilonia, in tempi molto antichi, furono asso­ ciati ai segni, ma i diversi colori attribuiti ai singoli pianeti differi­ scono molto a seconda degli autori; unici elementi comuni sono il rosso per Marte e l'oro per il Sole. Ci sembrano invece trascu­ rabili le relazioni tra i minerali attribuiti ai segni e tra i pianeti ed i

46 colori. Appare più credibile che le attribuzioni dei minerali siano derivate dalle correlazioni egizie tra pietre magiche, giorni dei mesi e decani, divenute poi, mediante questi ultimi, associazioni con lo zodiaco e, più tardi , coi pianeti. Quasi certamente il rapporto tra metalli e pianeti fu mutuato dall'alchimia, la cui patria d'origine fu ancora una volta l'ellenistica Alessandria; la stessa associazione egizia di tempi propizi e sfavorevoli (giorni o decani) con le stelle portava da un lato a quella commistione tra astrologia e alchimia che doveva avere una così lunga storia, dall'altro all'assegnazione dei diversi minerali ai singoli pianeti. Scelte ovvie erano quelle dell'oro per il Sole e dell'argento per la Luna; l'associazione dell'argento vivo con Mercurio, fondata sulla mobilità di entrambi, si affermò tanto da definire il metallo col nome del pianeta. · n piombo fu collegato a S aturno: il suo peso e il colore erano adatti al freddo e lento pianeta. A Giove fu attribuito in un primo tempo l'electrum (una lega d'oro e d'argen­ to), poi sostituito solitamente dallo stagno; a Venere il rame e a Marte il ferro, come si confaceva al dio della guerra. La maggior parte di questo tipo di collegamenti e la mesco­ lanza di diverse "scienze" con l'astrologia presero campo in modo confuso e intticato, senza che vi fosse unanimità di opinioni, du­ rante il III e il II secolo a. C. proprio in quell'Egitto che conobbe lo sviluppo dell'astrologia. Si può inoltre riscontrare un ulteriore contributo egizio alla tradizione. Lo zodiaco come lo conosciamo, diviso in dodici segni, è un'invenzione babilonese, ma vi sono anche altri modi per dividere il cerchio nell'eclittica. La più im­ portante e di maggior durata fu la divisione in "case", che gli anti­ chi chiamarono generalmente \ÒTTOl , in latino loci. Il nome "casa" per questo tipo di divisione è confuso, in quanto ogni pianeta ha uno o due segni dei quali è il " signore" : questi segni sono chia­ mati le "case " (olKOl o domi oppure domicilia nelle lingue anti­ che) dei pianeti . I \ÒTTOl , loci, divenuti in seguito le moderne "case" che governano i diversi aspetti della vita umana dal mo­ mento che influenzano ciò che avviene in que sto mondo (mundus), sono definiti col nome di "case mondane " e deri­ vano senz'altro dalle divisioni egizie dell'eclittica.

47 La divisione più semplice, probabilmente la più antica, .è in quattro quadranti. I quattro punti che dividono i quadranti furono chiamati KÈVTpa, in latino centra o cardines. Essi erano: il punto dell'eclittica che stava sorgendo sull'orizzonte al momento preso in considerazione; il punto dove il meridiano (l'arco di longitu­ dine che passa attraverso lo zenith dell'osservatore) taglia l'eclit­ tica; il punto dell'eclittica che sta tramontando; il punto diretta­ mente opposto al secondo (ovvero il punto dove l'altra metà del meridiano taglia l'altra metà dell'eclittica). Il primo punto fu chiamato WpOCTKÒTTOç1 horoscopus O ascendens, oggi noto come Ascendente (abbreviato in ASC). Il secondo era il J.LECTo\lpà'V€JlO:, tuttora conosciuto col nome latino di Medium Coeli (abbreviato in MC). n terzo era il o\lCTJç o 0\l VÒ V, l'occasus o discendente; l'ulti­ mo era l'u rr ò yel o v, tuttora, come il secondo, chiamato col nome latino di Imum Coeli (abbreviato in IMC). Per gli antichi Egizi il sole e le stelle erano forti e giovani ad Oriente, raggiungevano la massima potenza al mediocielo per poi declinare in età e indebolirsi ad Occidente. Ne deriva logicamente che se i quadranti sono rapportati alla vita umana, il primo, quello che va dall'oroscopo al MC, governa la giovinezza dell'uomo, il secondo, che va dal MC al discendente, l'età adulta e così via. Questo principio è esposto con semplicità in uno scritto ermetico d'argomento astrologico, un compendio tardo di materiale più antico, parte del quale sopravvive in una traduzione latina:

Capitolo XXIV: Sui quattro quarti dell'orogramma e su come si possano conoscere le quattro età della vita partendo dalla na­ scita . L 'inizio dei quattro è l'oroscopo . Dal primo grado del­ l'Ascendente al grado del Medium Coeli si parla di quarto orientale e maschile; questo quarto rappresenta la prima età della vita. Il secondo quarto è femminile ed è detto meridionale; va dal grado del Medium Coeli al grado del discendente. Questo è il quadrante meridionale. Rappresenta la mezza età, che segue la giovinezza ; infatti nella maturità un giovane dimostra le sue capacità . Il terzo quarto va dal grado del discendente al grado dell'IMC, che è opposto al MC. E' un quarto maschile e rappre-

48 senta l'età della vecchiaia. L'ultimo quarto va dall'1MC all'Ascen­ dente, è femminile ed è il quadrante se ttentrionale; rappresenta l'estrema vecchiaia e la morte (25).

I primi astrologi probabilmente lavorarono sulla base di questi quadranti; tracce di ciò si possono trovare nello stesso trattato er­ metico, ad esempio nel cap. XXVI: Se la Luna è all'Ascendente, Venere nel quarto discendente e Marte al MC, il bambino sarà generato da madre schiava o di basso censo . . .

MC

l MC

ASC

Fig. 4 O ancora:

O cc

l MC

ASC

Fig. 5

Fig. 6

49

Se il Sole e Saturno sono all 'A scendente, Giove al MC, la Luna e Marte seguono o sono nel quarto discendente . . . L a successiva divisione i n dodici case s i riscontra peraltro nello stesso capitolo, ad esempio nella formula: "Se la Luna è all'Ascendente e Giove e Marte sono nella undicesima (casa) ... " . Il passaggio successivo consisteva nel dividere ciascuno di questi quadranti in due, cosicché ogni punto cardinale avesse due case, una per parte (considerando cioè la parte sorta immediata­ mente prima e dopo di esso) . Questo sistema di otto case, detto octatopos, doveva durare in varie forme. A ciascuna delle otto suddivisioni erano collegati alcuni aspetti. della vita umana, quali il matrimonio, le malattie, i figli, le ricchezze, ecc. Si tratta di una rilevante differenziazione dagli antichi astrologi, sia per il preciso valore attribuito alle singole case che per il significato dell'Ascen­ dente e del MC. Il passaggio da otto case a dodici (questo numero era imposto anche dai dodici segni zodiacali) può essere stato indotto dall'attribuzione di una sfera di influenza agli stessi punti cardinali, seguita dall'assegnazione di uno spazio uguale alle altre case nel cerchio dell'eclittica. Più facilmente si può presumere che gli antichi orogrammi non fossero in genere di forma circolare, bensì quadrati, come continuarono ad essere per secoli. Nella fig. 4 il quadrato è semplicemente diviso dalle sue diagonali in quattro quadranti o quarti. Nella fig. 5 è aggiunto il quadrato formato dall'unione dei punti mediani di ogni lato, in modo che ogni punto cardinale abbia due sezioni, una per lato, e risultino le otto divisioni dell 'octatopos. Si ottengono dodici sezioni mediante l'inserimento del quadrato interno evidenziato nella fig. 6: sono le nostre dodici case, ciascuna collegata ad un particolare settore dell'esistenza. E' molto importante rilevare che queste dodici suddivisioni o cas� sono indipendenti dallo zodiaco. La loro posizione intorno all'eclittica è fissata dal grado dell'eclittica che sorge sull'orizzonte, l'Ascendente. Il segno zodiacale che sarà in quella posizione dipenderà dal tempo e dal luogo. Le dodici case mondane sono quindi una specie di struttura fissa entro la quale ruota lo zodiaco in direzione oraria.

50 Due altri elementi della carta di nascita furono introdotti o svi­ luppati in questa stessa epoca dalla commistione delle tradizioni babilonesi, egizie e greche. Uno di questi elementi è la dottrina delle dodecatemoria, l'altro è la dottrina dei Punti (KÀ�po t, sortes) ed in particolare del Punto di Fortuna (T ux� , Fortuna, il cui segno era spesso ®). Per quanto riguarda le dodecatemorie, gli antichi sono assolutamente confusi e imprecisi; la chiarezza intro­ dotta dalla mente logica di Housman , anche se non plausibile, è una sua caratteristica, come egli stesso confessa: "I materiali sono dispersi e frammentari e l'ordine e la sequenza che ho dato loro sono ipotetici; ma questa storia, che sia vera o meno, spiegherà la varietà dell'evidenza ed armonizzerà i punti discordi" (26). Sconsiglio di leggere le pagine di Bouché-Leclercq sulla que­ stione (L'astrologie grecque, pagg. 299-303) per evitare inesat­ tezze ed errori. Va notato tuttavia che, sebbene Bouché-Leclercq sia impreciso (semplifica senza sufficienti riferimenti alle fonti storiche), la confusione parte proprio dagli antichi stessi. La pa­ rola stessa, dodekatemorion, ha chiaramente a che fare con dodici parti (dodeka significa in Greco dodici e morion significa parte); pertanto ogni dodicesima parte potrebbe essere chiamata una do­ decatemoria. Così, nella tradizione babilonese gli stessi segni dello zodiaco, in quanto dodicesime parti della eclittica, erano a volte chiamati dodecatemorie. Ogni segno di trenta gradi potrebbe essere diviso in dodici parti di 2° 1/2 e così pure ogni part� attri­ buita a un segno, nello stesso ordine in cui essi si trovano nello zodiaco. Ognuna di queste parti di 2°1/2 era a sua volta anche una dodecatemoria e perciò alcuni scrittori definirono ciò con pro­ prietà, anche se prolissamente, una "dodecatemoria di una dode­ catemoria". Ovviamente ciò moltiplica le possibilità di interpreta­ zione; così, mentre un pianeta potrebbe essere in un certo segno, ad esempio Cancro, potrebbe anche trovarsi nella dodecatemoria di quel segno appartenente ai Gemelli, cosicché la sua influenza sarebbe modificata sia dall 'uno che dall'altro. Vi erano varie re­ gole per calcolare quale fosse il segno della dodecatemoria. Poiché il segno così calcolato era poi indicato come la dodecate­ moria del pianeta, si finì per chiamarlo impropriamente "dodeca-

51 temoria dei pianeti" o "della luna". Contemporaneamente si svi­ lupparono dodecatemorie dei punti cardinali (AS C, MC, ecc .) e dei Punti. Manilio propone un altro tipo di dodecatemoria dei pia­ neti, nel quale ogni parte di 2°1/2 di ogni segno è divisa in misure di 112 grado, ciascuna attribuita ai cinque pianeti : n�ll'ordine S aturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio. Tutto ciò appare più chiaro di quanto non siano le fonti; buona parte della confusione riguardante i singoli gradi o mezzi gradi del segno è nata proba­ bilmente dall'innesto sullo zodiaco greco-babilonese di alcune delle tradizioni egizie sui giorni e sui tempi fortunati e sfortunati, ognuno con un suo chronocrator, il "governatore del tempo". Il Punto di Fortuna così come noi lo conosciamo nelle nostre fonti è certamente invenzione dell'Egitto ellenistico ma può in de­ finitiva derivare da un più antico "luogo della Luna" babilonese, il grande dio Sin. La Luna era molto importante nell'astronomia e nell'astrologia dei Babilonesi, ed infatti il loro calendario era lu­ nare. Il coinvolgimento della Luna in tutti i vari metodi usati per calcolare la posizione del Punto di Fortuna, aggiunto al fatto che si parla a volte di "oroscopo della Luna", suggerisce una prece­ dente connessione con Babilonia. Comunemente si credeva che la Luna influisse sulla costituzione fisica dell'uomo, mentre il Sole era responsabile dell'aspetto fisico (ma gli autori antichi rove­ sciano occasionalmente questi ruoli) . La dea Fortuna, Tyche, di­ venne, in epoca ellenistica, con il crollo della religione più antica, quasi la più importante delle divinità. Gli uomini sentivano, nel mondo post-alessandrino, che le loro vite erano sempre più go­ vernate dal Caso, dalla Fortuna, da Tyche. Come Bouché-Le­ clercq mette in rilievo: "Il suo sesso, la sua natura proteiforme e la sua volubilità la avvicinavano sempre più alla luna . . . " (27). Così fu trovata per lei una posizione nel cerchio zodiacale che di­ pendeva dalla Luna, dal Sole e, poiché tutte le posizioni dipende­ vano dallo horoscopus, dall'Ascendente. I mezzi per calcolare la posizione del Punto di Fortuna sono variamente descritti da di­ verse fonti, alcune delle quali non sembrano averne ben chiara la nozione. La sua importanza generale (paragon abile allo stesso Ascendente) era tuttavia ammessa da tutti, anche da Tolomeo, che

52 non menziona nessun altro Punto, ma riassume il principio base del suo calcolo affermando che il Punto di Fortuna dovrebbe avere con la Luna lo stesso rapporto che l'Ascendente ha con il Sole, "che è come fosse l'horoscopus della Luna" (Tetrabibfos, III, 10). Gli altri punti più comunemente usati erano il Punto di Daimon, il Punto di Necessità e il Punto di Eros, sebbene in questi primi secoli ne esistessero probabilmente altri e se ne trovi traccia in oroscopi successivi. Ci può anche essere stata confu­ sione tra Punti e case, foci, come suggeriscono Neugebauer e van Hoesen (28), la qual cosa non sarebbe sorprendente poiché i foci avevano spesso gli stessi nomi : Necessità, Daimon, Eros e così via. Possiamo ora riassumere la posizione dell'astrologia ellenistica all'epoca d'Ipparco, astronomo e astrologo, nella metà del II se­ colo a.C. , omettendo i dettagli poiché sui dettagli le fonti sono frequentemente, anzi molto spesso, contraddittorie; non dimenti­ chiamo che l'astrologia era ancora nelle prime fasi della sua evo­ luzione. Le linee principali sono tuttavia abbastanza chiare. La carta natale, per lungo tempo chiamata (in maniera impropria) oroscopo, forniva un quadro preci so, per quanto possibile, dello stato dei cieli al momento della nascita, posizionando il Sole, la Luna e i cinque pianeti entro il cerchio dello zodiaco. Questo cer­ chio in movimento era a sua volta collocato in uno schema fisso di otto, o più spesso dodici foci, o case, ciascuna delle quali rego­ lava una sfera della vita dell'uomo, in modo da poter valutare la influenza dei pianeti. Questa relazione tra lo zodiaco e il cerchio delle case era fissata dall'horoscopus, l'Ascendente, .cioè il grado dello zodiaco che stava sorgendo all'orizzonte al momento della nascita. Questo grado designava la prima casa. L'interpretazione veniva ulteriormente complicata dall'aggiunta delle dodecatemorie e dei vari punti, tra i quali il più importante era di gran lunga il Punto di Fortuna. Le stelle fisse non giocavano quasi nessun ruolo in tutto questo, tranne quelle costellazioni che davano il loro nome ai segni dello zodiaco. Si trovano occasionali riferimenti alle paranatel/onta, o synanatel/onta, stelle che nascono contem­ poraneamente in un certo segno, o alle stelle maggiori quali Regolo o Sirio, ma sembrano avere poca o nessuna importanza in

53 questo stadio dell'evoluzione dell'arte astrologica. L a matematica e l'astronomia che supportavano tutto questo erano ancora molto rudimentali; in particolare, i metodi per calcolare le divisioni delle case erano incerti e approssimativi. Bisognerà attendere l'inven­ zione della trigonometria sferica, di certo precedente l'epoca di Tolomeo, perché una divisione più accurata diventi possibile.

Note al Capitol o II l

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S u questo e su ciò che segue, cfr. O. Neugebauer, The Exact Sciences in

A n tiquity, 2a ed. (Providence, Rhode lsland, 1 957), pp. 97 e sgg . ; M. P .

Nilsson, Geschichte der griechischen Religion (Monaco, 1 96 1 ) , I I , pp. 268 e sgg. 2 - Neugebauer, op. cit. , p. 80. 3 - Ibid., p. 1 70. 4 - L. R. Farnell, The Cults of the Greek States (Oxford, 1 909) V, pp. 4 1 9 e sg) . 5 - U. von Wilamowitz-Moellendorff, Der Glaube der Hellenen (Berlino, 1 93 1 ), l, p. 257. 6 - lbid , p. 262. 7 - R. Campbell Thompson, The Reports of the Magicians and Astrologers of Nineveh and Babylon (Londra, 1 900) , II, 192, p. lxvii. 8 - Rupert Gleadow, The Origin of the Zodiac (Londra, 1 968), c. 1 1 . 9 - lbid., p. 206. 10 - Vitruvio, 11. 1 , VIII. l ; Seneca, Quaest. Nat. , III.29, l; Plinio, N. H. , VII. 1 23 , 1 60 e 1 9 3 ; Censorino, De die natali, xvii. 1 1 - Farnell, op. cit. , p. 4 1 9. 1 2 - Ibid . , p. 420. 1 3 - F. Cumont, Astrology and Religion among the Greeks and Romans (New York e Londra, 1 9 12), pp. 40 e sgg. e 5 3 . 1 4 - G. S arton, A History of Science : Hellenistic Science and Culture i n the Last Three Centuries B . C. (Cambridge, Mass. e Londra, 1 959) , p. 165. 1 5 - Op. cit. , p. 1 7 1 . 1 6 - La frase è greca: per es. Ideler, Physid e t medici graeci minores (Berlino, 1 84 1 ) , I, p. 396: "còris gàr tès kosmikès sumpateìas toìs anthpò­ pois oudèn glnetai " (nulla avviene al di fuori dell'uomo, escludendo la sim­ patia cosmica) . 1 7 - Etymo/ogiae , III., 27. 18 - Op. cit. , p. 1 82. 19 - S.ulla parola dèkanos , decanus, cfr. A . E . Housman, M a n i /i i A stronomicon Liber Quartus (Londra, 1 920) , ix e sgg. Sull'astronomia dei decani, cfr. Neugebauer, op. cit. , pp. 81 e sgg.

55 2 0 - A. J. Festugière, L a Révélation d'Hermès Trismégiste, L 'Astrologie e t /es Sciences Occultes, I (Parigi, 1 944) , p. 82.

2 1 - S ul Salmeschiniake cfr. W. Kroll Pauly-Wissowa, Suppl.V, coli. 843 6. Per Nechepso-Petosiris, E. Riess , Nechepsonis et Petosiridis fragmenta magica, Philologus, Suppl . VI ( 1 8 92) , pp. 325-388. Il Catalogus Codicum Astrologorum Graecorum fu pubblicato a Bruxelles tra il 1 898 e il 1953 ad opera di molli curatori, principalmente Cumont e Boli. Il testo latino di un importante trattato astrologico ermetico era stato pubblicato, con un lungo commento, ad opera di W. Gundel: "Neue astrologische Texte des Hermes Trismegisto s " , in Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissen­ schaften , Phil. hist. Abtei/un�. Neue Folge, Heft 1 2 (Monaco, 1 936) . 2 2 - Plinio, N . H. , I I . , p. 8 1 1 0 . 2 3 Su questo e per altri dettagli, cfr. F . Pfister, "Pflanzenaberglaube" , Pauly-Wissowa XIX, pp. 1446 e sgg., specialmente pp. 1 449 e sgg. sulla astrologia; per gli elenchi delle piante, cfr. Festugière, op. cit. , pp. 1 39 e sgg . , Gleadow, op. cit. pp. 85 e sg. e le Appendici al CCAG , per es . VI., 8 3 ; VII., 253 e sg. ; VIII. , 3 , 1 3 2 e 1 5 3 ; VIII., 4 , 260, ecc. 24 Sui colori e i minerali planetari , cfr. Bouché-Leclercq, L 'A stro logie grecque (Parigi, 1 899), pp. 3 1 3 e sgg. 25 - Cfr. nota 2 1 , Gundel . 26 - Il Manilius di Housman, Libro II (Londra, 1 9 12), xxii. 27 - Op. cit. , p. 289. 28 - O. Neugebauer e H.B . van Hoesen, Greek Horoscopes (Filadelfia, 1 959) , commenti sugli oroscopi n. 95 e n . 1 37 , pp. 3 6 , 4 1 e sgg. -

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III Da Manilio a V ezio V al ente Manilio introduce la storia dell'astrologia a Roma, anche se quest'arte vi era giunta almeno due secoli prima. Riferimenti in proposito si trovano in Ennio e Plauto, che scrivevano alla fine del III secolo e all'inizio del II secolo a.C.; inoltre, la prima espulsione documentata degli astrologi dalla città avvenne nel 1 39 a.C. Consideriamo però per prima cosa l'atteggiamento della gente nei confronti dell'astrologia, specialmente quello dei filo­ sofi, e le reazioni dello Stato e della nascente Chiesa Cristiana. Continuiamo allora il resoconto dell'evoluzione dell'astrologia stessa prendendo le mosse dal poema di Manilio. Nulla si sa della vita di Manilio e lo stesso nome ha dato adito a infinite discussioni e a dubbi. La forma comunemente accettata, Manilio, è supportata da argomenti filologici validissimi e sarà pertanto quella che qui useremo. Le epoche esatte in cui i cinque libri ancora esistenti del poema sono stati scritti sono anch'esse oggetto di discussioni, sebbene non vi sia alcun dubbio che la composizione nel suo insieme appartenga al periodo che corre tra il 9 d.C. e i primi anni del regno di Tiberio, diciamo il 1 5 d.C. Così come è giunto fino a noi, il poema si compone di cinque li­ bri, l'ultimo in qualche modo mutilo (secondo Housman) e am­ piamente lacunoso. L'opera è dunque incompleta : nel Libro II Manilio non solo promette una descrizione delle influenze plane­ tarie che non ci è mai pervenuta, ma altresì promette (ma non mantiene la promessa) di compendiare il tutto. Il fatto è che risulta impossibile tracciare un oroscopo o interpretarlo compiutamente in base alle indicazioni di Manilio, sebbene l'opera si presenti chiaramente come un manuale di astrologia. Al lettore moderno può sembrare una bizzarra l'idea di un manuale in versi, ma due fattori spiegano ciò. In primo luogo una ragione stilistica: gli esametri erano stati la forma metrica della più grande opera filo­ sofica latina del secolo precedente, il De Rerum Natura di

58 Lucrezio; inoltre l'unico testo astronomico i n lingua latina era una traduzione in versi del poema astronomico del greco Arato (III secolo a.C). In secondo luogo non va dimenticato che Manilio scriveva per il gruppo dei litterati della corte e il verso era il mezzo didattico più adeguato a questo tipo di pubblico. Infatti la difficoltà di esprimere concetti matematici e astronomici in esame­ tri latini era per essi una delle maggiori attrattive dell'opera ed era uno degli aspetti di cui Manilio era consapevole e (in modo non del tutto giustificabile) orgoglioso. Il Libro I costituisce un'introduzione all 'astronomia elemen­ tare; si tratta di una sphaera, cioè di una descrizione dei cieli ela­ borata in modo tale da permettere al lettore di seguire la succes� siva materia astrologica. Questo è in parte l'argomento dell'ultima sezione del primo capitolo del libro, in cui troviamo descritti il circolo dei tropici e l'equatore, l'artico e l'antartico, l'orizzonte, il meridiano e la Via Lattea. Quest'ultima vi viene inclusa non per­ ché attinente all'astrologia, ma in quanto Manilio copia una più antica sphaera. D 'altra parte buona parte dell'opera è segnata da elenchi delle stelle fisse nelle loro costellazioni, ma queste non sempre risultano collocate in modo preciso, dato che l'astronomia di Manilio è il frutto dello stato della scienza prima dell'epoca di Ipparco, anteriore di circa un secolo e mezzo. I vv. 263-274 elencano i segni dello zodiaco, sebbene la posizione dello zodiaco stesso sia descritta solo quattrocento versi più avanti:

Primo l'Ariete, splendente nel suo vello d'oro, Stupisce nel veder sorgere il dorso del Toro, Toro che chiama, a testa bassa, i Gemelli, Cui segue il Cancro; e il Leone segue quello, Poi la Vergine e la Bilancia con giorni e notti eguali, Che tocca Scorpione e la sua stella lucente, La coda cui mira il Centauro col suo arco, Pronto a scoccare la sua freccia veloce. Viene ancora la stretta curva del Capricorno, Dopo di lui l'Acquario che dall'urna versa Acque che son preziose per i seguenti Pesci, Che toccano Ariete, ultimi tra i segni.

59 L'ordine dei segni, che si muovevano sullo zodiaco in senso antiorario, in direzione Est-Ovest, e avevano inizio con l'equino­ zio invernale, era il seguente : Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, S agittario, Capricorno, Acquario e Pesci , secondo i nomi latini con cui sono comune­ mente conosciuti e che sono familiari a chiunque legga il p roprio "oroscopo" . I segni sono abitualmente contrasSegnati da simboli che variano notevolmente presso le più antiche fonti e non si ri­ trovano assolutamente prima dell'epoca bizantina; i simboli usati ai nostri tempi sono, nell'ordine:

I versi di Manilio 805 - 8 1 2 elencano invece i pianeti ; nell'ordine caldeo abbiamo già incontrato Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. Anch'essi hanno i loro simboli, di origine recente, tranne quelli per il Sole e la Luna; sembra tut­ tavia che il simbolo per il S ole sia cambiato all 'epoca del Rinascimento: la forma più antica era d mentre la forma post-rinascimentale è 8 ; gli altri simboli sono: Sa turno



Giove

4

Marte

cf

Venere

9

Mercurio



Luna

))

60 n testo termina con una lunga sezione riguardante le comete e la loro importanza come presagi, portando diversi esempi storici. Si riparlerà delle comete nel Libro V (probabilmente incompiuto) per circa trentacinque versi. Esse possono comunque appartenere anche alla sphaera del Libro I, in cui si inseriscono in modo cer­ tamente più naturale. Le stelle fisse vengono classificate in base alla loro grandezza. Gli altri quattro libri trattano di astrologia; per sommari dettagliati il lettore potrà consultare le edizioni di Housman e Goold ( 1 ) . Ciò che a noi qui interessa è unicamente illustrare i l pensiero di Manilio e la situazione confusa e in fase di sviluppo dell'astro­ logia della sua epoca, partendo da quei brani in cui il poeta latino si differenzia da altre fonti antiche. Nel Libro IV, così come al­ trove in passaggi occasionali, egli si sofferma su alcune idee ge­ nerali di carattere filosofico. Manilio scriveva per il gentiluomo romano colto della società letteraria dei tempi di Augusto, un gentiluomo con una considerevole conoscenza della filosofia greca e in particolare, forse, della scuola stoica. Quasi all'inizio del Libro (dal v. 14) Manilio scrive: I destini governano il mondo, e ogni cosa è stabilita da una legge prefissata; ogni lunga epoca è contrassegnata dalle sue sorti prefissate. Nel momento della nostra nascita, iniziamo a morire e la nostra fine dipende dal nostro inizio . Da quel momento deri­ vano ricchezza e potere, e povertà, troppo spesso trovata; da quel momento ognuno di noi già possiede le proprie capacità e il proprio carattere, i propri difetti e virtù, le perdite e i guadagni. Nessuno può rinunciare a ciò che gli è stato dato, o possedere ciò che non gli è stato dato, né può cercare di afferrare con le sue preghiere le fortune negategli o sfuggire a ciò che grava su di lui: ognuno di noi deve sopportare il proprio destino. Queste belle frasi costituiscono un luogo comune degli Stoici e non vi è alcun dubbio che lo S toicismo, accettato da molti Romani colti, specialmente nella versione proposta da Posidonio che lo trasformò in modo da adattarlo alle idee romane, facilitò l 'accettazione dell'astrologia greca. Non che tutti gli Stoici ere-

61 dessero all'astrologia, ma i l loro credo, che insisteva sul concetto del Fato regolatore di ogni cosa, rappresentante di una legge co­ mune e di una "comunione di idee" che lega, in un tutto unico, ogni cosa nell'universo, teneva chiaramente conto della divina­ zione, della percezione degli effetti di quella legge del Fato attra­ verso i presagi, compresi quelli celesti. Perciò, come Manilio dice più avanti (vv. 883-896) :

La natura non si nasconde in nessun luogo: la vediamo tutta chiaramente e teniamo l'universo in pugno. Noi, essendo parte dell'universo, lo vediamo come il nostro generatore ed essendo noi i suoi figli, giungiamo fino alle stelle. Nessuno sicuramente dubita che una qualche divinità dimori nei nostri petti e le nostre anime ritornino ai cieli e vengano da lassù. Questo proprio perché l'universo si compone di quattro elementi, cioè di aria e fuoco e terra e acqua, il tutto è un alloggio per la Mente che vi governa; anche noi quindi possediamo corpi di sostanza terrena, spiriti nu­ triti dal sangue e una mente che governa tutto e controlla ogni uomo . E' cosi strano che gli uomini possano capire l'universo, considerando che vi è un universo dentro di loro e ognuno di essi è nel suo piccolo simile a dio? Si tratta di quella simpatia cosmica così cara agli S toici, che considerava l'uomo come immagine dell'universo, un microco­ smo; un'idea che avrebbe avuto grande fortuna nei secoli succes­ sivi, con ramificazioni in campi diversi dall'astrologia. Un po' più del primo quarto del Libro l, che è di quasi mille versi, tratta della classificazione dei segni dello zodiaco in rela­ zione alle loro nature e qualità: maschili o femminili , umani o animali, semplici o multiformi, e così via. Il genere dei segni, come fa rilevare Housman, " . . . è fondato non sul sesso ma sulla fantasia pitagorica secondo la quale i numeri dispari sono ma­ schili e i numeri pari femminili . . . "; poiché si inizia con l'Ariete, il gruppo femminile "è capeggiato da un Toro femminile, provvi­ denzialmente amputato alle spalle" . In tre punti Manilio è unico o a ogni modo differisce dalla maggior parte degli astrologi antichi : classifica l 'Ariete , il Leone e il S agittario in movimento, i

62 Gemelli, la Vergine e l'Acquario in piedi, il Toro, la Bilancia e il Capricorno seduti, il Cancro, lo Scorpione e i Pesci sdraiati. Questa classificazione è differente da un'altra simile di Tolomeo in quanto quella di Tolomeo è ovviamente fondata sulla natura dei segni, mentre Manilio basa la propria sulla posizione dei segni nella rappresentazione iconografica. Inoltre, Manilio elenca quat­ tro segni come "mutilati" (cfr. Housman : il latino hafraudata . . . amissis . . . membris, "diminuito dalla perdita di alcune parti ") : Scorpione, Toro, Cancro e Sagittario. Gli elenchi di tali segni in altri astrologi sono generalmente più lunghi, anche se Vezio Valente ne cita, solo due. Lo Scorpione era mutilato dalla perdita delle chele, che andavano a formare la costellazione della Bilancia; il Toro zoppica su una gamba piegata in due, il Cancro non ha occhi e il Sagittario ne ha solo uno (nelle rappresentazioni, ovviamente). Nell'assegnazione dei segni in rapporto alle sta­ gioni, gli astrologi antichi differiscono: la maggior parte fa ini­ ziare le stagioni con i segni tropicali, la primavera con l'Ariete, l'estate con il Cancro, l'autunno con la Bilancia e l'inverno con il Capricorno; saltuariamente però sono indicati i termini delle sta­ gioni e Manilio li pone nel mezzo dei suoi gruppi di tre, sicché i Pesci, l'Ariete e il Toro appartengono alla primavera e così via. Manilio tratta poi di quelli che sono tecnicamente conosciuti come aspetti, cioè i rapporti geometrici tra i segni. Un moderno manuale così definisce gli aspetti : "Astronomicamente, gli aspetti sono certamente distanze angolari fatte al centro della terra tra una linea tracciata a partire da un pianeta e una linea tracciata a partire da un altro pianeta. Esse sono misurate in gradi lungo le eclitti­ che" (2). Per "pianeta" si legga "segno" e questo varrà per gli an­ tichi. Parleremo molto più diffusamente degli aspetti quando arri­ veremo a Tolomeo; un esempio è qui sufficiente. Poiché vi sono 3 60° in un cerchio completo, si possono tracciare tre linee dal centro alla circonferenza a 1 20° per parte; i tre punti sulla cir­ conferenza formano un triangolo equilatero (fig. 7). Poiché ci sono dodici segni dello zodiaco, si può osservare che quattro triangoli simili, conosciuti anticamente come trigoni (il greco per triangolo è trz'gonon, trascritto in latino come trigonum); si inscri­ vono nello zodiaco e ognuno di loro unisce i tre segni come

63 gruppo. S i tratta di ciò che i moderni astrologi definiscono abitu­ almente "triplicità" ma a volte anche trigono come gli antichi (fig. 8). Si possono anche inscrivere quadrati (con un angolo di 90° al centro) o esagoni (con un angolo di 60°) , o tracciare linee attra­ verso il cerchio orizzontalmente o verticalmente, per ottenere altri aspetti, il più ovvio dei quali è l'opposizione diretta.

Fig. 7

Fig. 8

Per quanto riguarda gli aspetti, l'unico punto in cui Manilio differisce dagli altri è nel valutare il trigono come molto più im­ portante e potente del quadrato; la maggior parte degli altri astro­ logi li considera uguali in potenza, ma opposti negli effetti. Riportiamo qui di seguito uno schema che collega i segni alle dodici grandi divinità. L'elenco proposto da Manilio è:

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Ariete: Toro: Gemelli: Cancro: Leone: Vergine:

Mmerva Venere Apollo Mercurio Giove Cerere

Bilancia: Scorpione: Sagittario: Capricorno: Acquario: Pesci:

Vulcano Marte Diana Vesta Giunone Nettuno

Si noterà che in questa disposizione gli dei si trovano di fronte alle dee attraverso lo zodiaco. Ci sono altre prove, sia letterarie che monumentali, per l'attribuzione degli stessi segni agli stessi dei e dobbiamo tener conto di almeno due cose. Prima di tutto del fatto che non c'è alcuna connessione tra l'attribuzione delle divi­ nità ai segni e il genere dei segni; secondariamente, che tutto ciò non ha niente a che fare con il sistema delle "case" planetarie, se­ condo il quale, per esempio, il segno dei Gemelli si trova nella casa di Mercurio. Dopo questa digressione, Manilio continua con i rapporti tra i segni, descrivendo i segni che si "vedono" e si "ascoltano" l'un con l'altro (in questa classificazione ci sono minime differenze tra le varie fonti) e quelli che si " amano" e " stanno in agguato" l'un con l'altro: per questi ultimi è forse meglio mantenere i termini la­ tini di Manilio e chiamarli amantia e insidiantia. Val qui la pena di citare per intero la nota di Housman:

Gli amantia e gli insidiantia sono evidentemente sconosciuti a tutti eccetto che a Mani/io che li ordina come segue: dal punto o ll e) alle sofferenze e la "cattiva sorte " (Ko:KÈ -r ù xn al dolore. Il punto di fortuna e l'horoscopus (l'A scendente) trattano della sorte e della vita dell'uomo. � O:l � O \> , daemon ('' spirito " ) sta a significare questioni di pensiero, i problemi d'azione del M.C. Epwç (éros) riguarda i desideri e la Necessità (avcl'(Kll ) gli odi.

S uccessivamente, nel cap . XII del Libro IV, troviamo un elenco ancor più dettagliato di foci. Non è chiaro se si tratta degli stessi tòpoi o loci (Valente non usa mai OlKOl, case) o se ce ne sono altri, né la cosa deve sorprendere dal momento che la confu­ sione è un dato di fatto nell'opera di questo autore e dei succes-

81 sivi. Tuttavia appare verosimile che ciò che segue sia un elenco delle "case mondane " , mentre l'elenco precedente riguardava i Punti, sortes, come in Manilio: ·

Intendiamo che i foci inizino dall'horoscopus che governa la vita, l'affermazione personale, il corpo e lo spirito . Il secondo governa la vita di un uomo ed è la porta di Ade; governa l'ombra, il dare, il prendere e il dividere, i rapporti con le donne, il com­ mercio, gli affari e le eredità, ed è il focus dei testamenti: Il terzo è quello dei fratelli o del vivere all'estero, della regalità e del potere, degli amici e dei parenti, dei profitti e degli schiavi. Il quarto, della reputazione, dei bambini, delle mogli, degli affari privati, degli anziani, degli affari, della città (nel significato antico, non in quello moderno) , della casa e dei possedimenti, della permanenza e del cambio, compreso il cambio di luogo, dei pericoli, della morte, del dolore e delle questioni mistiche. Il quinto, il locus dei bambini, è quello dell'amicizia e della collettività, della libertà e di tutte le attività positive. Il sesto è il locus degli schiavi, delle of­ fese, dell'inimicizia, della sofferenza e della debolezza (il settimo manca nel testo; è il locus al punto cardinale dell'occasus, il tra­ monto, e il suo ruolo può esser stato simile a quello descritto da Manilio: presiede alla fine della vita, ai giuramenti, alla buona fede, ecc. e queste indicazioni mancano dall'elenco di Valente) . L 'ottavo è il focus della morte e dell'eredità, della vanità e del giudizio debole. Il nono, dell 'amicizia, della vita all 'estero, del profitto esterno, di Dio, del re e del governante, della astronomia (sebbene astronomìa andrebbe più probabilmente letta come ofKo\lO(..L l O:, amministrazione) e dei provvedimenti giudiziari, delle epifanie degli dei, della profezia e della partecipazione ai misteri e nelle questioni nascoste. Il decimo è il locus degli affari, della re­ putazione, del progresso, della moglie e dei figli, del cambia­ mento e delle questioni nuove. L'undicesimo è quello degli amici, delle speranze, dei doni e dei figli della libertà . Il dodicesimo è quello degli stranieri, dei nemici, degli schiavi, del dolore e dei pericoli, dei giudizi e delle sofferenze, della morte e della debo­ lezza.

82 Si può notare la base maschile e in qualche modo xenofobica di questo passo, come pure la confusa, notevole sovrapposizione dei foci, così come si può utilmente confrontare tutto questo con la descrizione di Manilio al fine di verificare lo stato di variabilità e di confusione delle idee astrologiche di quell'epoca. Tuttavia, nell'A ntologia si trova una nota nuova; o almeno, an­ che se non proprio nuova, compare qui chiaramente per la prima volta nella nostra letteratura e non sarà certamente l'ultima. L'astrologia è ora divenuta, se non un'arte segreta, almeno una arte gelosamente custodita da coloro che la praticano. Nel cap. XI del Libro I Vezio Valente scrive:

Vi supplico , fratelli più che onorati e voi tutti iniziati in questa arte sistematica, nell'apprendimento della sfera celeste, dello zo­ diaco, del Sole, della Luna e dei cinque pianeti ed anche della preveggenza e della sacra Necessità, di tenere nascoste tutte que­ ste cose e di non dividerle con i non iniziati, ad eccezione di co­ loro che sono degni e capaci di custodirli e ricever/i in modo cor­ retto. Si tratta di una supplica ricorrente nell'A ntologia e in partico­ lare nella prefazione al Libro VII:

Per quanto riguarda tutti questi argomenti e questo libro, an­ drebbe richiesto un giuramento a tutti coloro che li apprendono, affinché possano accettare ciò che leggono con cautela e come se appartenesse ai misteri (i misteri erano i segreti religiosi di sefte quali quella di Mitra o di Orfeo, gelosamente custoditi dagli adepti). Alcune ragioni di questa segretezza appaiono subito evidenti; viceversa non si può considerare evidente il fatto che l'astrologia si presenti fin dagli inizi come una sorta di conoscenza arcana svelata solo agli iniziati e derivante da antichissimi sacerdoti egizi. Ciò non è vero, sebbene essa fosse un'arte greco-egizia e lo prova la provenienza alessandrina non solo della maggior parte delle nostre prime fonti, ma altresì delle fonti usate e citate da

83 Vezio Valente. Dei 93 riferimenti alle diverse fonti contenuti nell'indice di Kroll, solo due riguardano i Caldei, le fonti babilo­ nesi; dieci appartengono a Critodemo, autore di cui non sappiamo quasi nulla di certo se non dati contraddittori. Di lui parla Plinio, forse suo contemporaneo (in tal caso la datazione non dovrebbe essere posta oltre il 79 d.C.), ma i brani di Valente tratti da Critodemo, stando agli oroscopi che includono, spostano la data verso la fine del I secolo. Otto riferimenti riguardano l'opera Sull 'Ascendente di Ipsicle, altro personaggio di cui non si sa nulla. li resto delle fonti riguardano singole citazioni (una o due al massimo) per autore, a parte "gli antichi" (vanno esclusi i riferi­ menti a Nechepso-Petosiris, in numero non inferiore a 42) . Poiché " gli antichi " , of rraÀcnof, sono da identificarsi con le stesse fonti, più della metà dei riferimenti di Vezio Valente è tratto da questi libri egizi. Sia ai tempi dei Romani che nelle epoche successive l'astro­ logia fu sempre considerata un'arte orientale ed estranea, tanto più che non vi è prova ·alcuna che sia mai esistita un 'astrologia romana indigena. Con tutta la loro predilezione superstiziosa per la divinazione, i Romani non indulsero mai all'osservazione delle stelle. La loro divinazione, come la loro religione, fu fermamente legata alle cose terrene, così come si confaceva al buon senso di un popolo che agli inizi della sua storia era stato pastore-conta­ dino. L'astrologia, insieme alle idee filosofiche e ai modelli lette­ rari greci, fu introdotta a Roma agli inizi del II secolo a.C., epoca in cui i Romani giunsero per la prima volta con i loro soldati nelle città greche dell'Italia meridionale ed entrarono in contatto con la civiltà della Grecia ellenistica. L'astrologia non ebbe comunque mai molta presa tra gli intellettuali : i riferimenti all'astrologia nella letteratura romana risultano scarsi se si considera la vastità di questa letteratura. L'arte astrologica entrò a Roma invece con gli schiavi e gli insegnanti greci e fu dapprima guardata con grande sospetto, come del resto accadde a tutto ciò che era greco. La reazione di Catone è senz'altro quella tipica degli antichi repubbli­ cani romani, come attesta un passo in cui delinea le caratteristiche di un buon fattore ( 1 3):

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Non gli si permetta di alloggiare né uno scroccone, né un in­ dovino, né un divinatore, né di ascoltare i consigli di un astrologo (chaldaeum). I consigli dell'astrologo dovevano riguardare senza dubbio il momento giusto (in senso astrologico) per piantare, potare, mie­ tere o far montare la vacca dal toro; un sistema decisamente poco sicuro (così pensava Catone) per condurre una fattoria. Circa vent'arini dopo, nel 1 39 a. C. , epoca di grandi tumulti tra le classi più povere e specialmente tra i molti schiavi immigrati, un editto di Cornelio, praetor peregrinus, espulse gli astrologi da Roma e dall'Italia romana. In quel periodo gli S toici, la cui filosofia era appena stata introdotta negli ambienti dei Romani colti, si erano in larga misura opposti all'astrologia, sotto l'influenza di Panezio di Rodi. Cicerone lo cita ( 1 4) in quanto egli "rifiutò le predizioni degli astrologi" , così come fece l'astronomo stoico S chilo di Alicarnasso. Ma nel tempo che intercorse tra questo periodo e la morte di Giulio Cesare (44 a.C.), "la maggioranza dell'aristo­ crazia romana era stata convertita" (cfr. Cramer) ( 1 5). Una delle cause principali fu l'insegnamento di Posidonio, filosofo ed inse­ gnante stoico amico di Cicerone, che ebbe una così grande in­ fluenza su molte menti mane. Esistevano allora, cos' come esistono oggi, almeno due tipi di astrologi e due tipi òi astrologia. D a una parte vi erano i "guaritori" , i venditori ambulanti di oroscopi , collocabili sullo stesso livello degli indovini e dei maghi che affliggevano la plebe romana. Dal momento che erano tutti "orientali " e stranieri, di­ vennero persone sospette nei periodi di tumulto civile. Dall'altra parte si ponevano gli astrologi " scientifici" , provenienti per lo più da Alessandria ma anche dalla Grecia, che svilupparono la teoria e la pratica dell'arte al livello intellettuale dei Romani istruiti. Nel corso di tutta la storia romana si presentarono due forme di at­ teggiamento nei confronti di quest'ultimo tipo di astrologia: una di accettazione (sebbene generalmente ciò si verificasse solo nel caso dell'astrologia "debole" , dato che pochi Romani accettavano un fatalismo assoluto) e una di rifiuto, condizionata da una più o

j

85 meno rilevante propensione a riconoscere una qualche influenza delle stelle sulle vite degli uomini. Quanto agli epicurei come Lucrezio, con il loro materiali smo ateo e il loro desiderio di libe­ rare l'uomo da tutte le paure superstiziose, erano obbligati a op­ porsi all'astrologia e lo stesso valeva per gli scettici accademici come Cicerone e gli eclettici come Plinio. L'atteggiamento dello Stato stesso era ambivalente. Quasi tutti gli imperatori , da Augusto in poi, tenevano e proteggevano presso di loro astrologi di corte; anzi , alcuni di essi, come Trasillo, amico di Tiberio, acquistarono una grande influenza. La teoria dell'astrologia non fu mai bandita e chiunque era libero di occuparsene o di discuterne e tuttavia la pratica era limitata. Il de­ creto di Augusto dell' l l d.C., per esempio, rese illegale ogni tipo di consultazione privata o segreta con gli "indovini" e la predi­ zione della morte di qualcuno. Questo decreto fu invocato almeno venti volte nei successivi cent'anni per accusare di tradimento in­ dividui sospettati di voler attentare alla vita dell'imperatore. Mentre gli astrologi di corte trovarono il mezzo di acquisire un grande potere, coloro che non godevano il favore dell'imperatore e la massa di venditori popolari di oroscopi in generale furono frequentemente perseguitati. Nel I secolo essi furono banditi sei volte da Roma e dall'Italia, sempre in periodi in cui le agitazioni · politiche creavano l'eventualità che i ribelli pericolosi per l'autorità trovassero il modo di farsi "aiutare dalle stelle" . Come af­ ferma Cramer ( 1 6), quando l'ordine senatoriale accettò l'astrolo­ gia scientifi ca, come fecero Crasso, Pompeo e Cesare stesso, "era passato il tempo in cui gli ostacoli governativi agli astrologi dimostravano il disprezzo per questa " scienza" in quanto tale. D'altra parte, l'idea che le promesse astrologiche di successo po­ tessero incoraggiare gli elementi sovversivi era divenuta tanto più valida durante le decadi di feroce conflitto civile, dai giorni di Mario a quelli di Ottaviano (90-30 a.C.). Con l'avvento del go­ verno monarchico si aggiunse un ulteriore motivazione: gli oppositori politici, in momenti di tensione, potevano ottenere quelle esatte informazioni sul futuro che i governanti stessi consideravano affidabili" . Fu senza dubbio questo atteggiamento ostile delle autorità e i pericoli derivanti dal rimanere coinvolti con

86 una qualche importante figura politica come il mecenate, specialmente lo stesso imperatore, e presumibilmente anche lo scetticismo di molti dei più validi intellettuali, a far sì che gli astrologi tenessero l'arte segreta. Il filosofo e maestro stoico Panezio fu tra qu anti argomenta­ rono contro l'astrologia. Cicerone, nel De Divinatione (II, 42), ci informa che Panezio era l'unico tra gli stoici a rifiutare le rivendi­ cazioni degli astrologi. Questi ebbe un certo seguito nella seconda metà del II secolo a.C., un periodo in cui l'astrologia si stava sviluppando rapidamente nel mondo greco. C'erano a: quel tempo diverse scuole, o " sette", di filosofia greca, inclusi gli Scettici e i Cinici (che naturalmente respinsero l'astrologia, così come respinsero quasi tutto il resto) ; i succes­ sori di Platone all'Accademia, pesantemente permeati da idee di altre scuole; i successori di Aristotele al Liceo, i peripatetici. Le due più importanti "sette", in termini di influenza successiva sulla speculazione dell'uomo su se stesso e sul mondo, erano quelle degli Epicurei e degli Stoici. La filosofia di Epicuro, meglio co­ nosciuta per mezzo del poema dello scrittore latino Lucrezio, il De Rerum Natura, era materialista ed atea, con l'intenzione dichiarata di liberare l'uomo da ogni tipo di superstizione per permettergli così di raggiungere la pace della mente, liberata da vane paure. Per sua stessa natura l'Epicureismo fu necessariamente indiffe­ rente nei confronti dell'astrologia, eccetto forse nei confronti di un'astrologia di tipo rigido, fatalistico e scientifico, quale in ef­ fetti non esisteva. L'astrologia era poi troppo legata alle aspira­ zioni e alle emozioni degli uomini, con i loro sentimenti religiosi, perché glrEpicurei potessero accettarla. Anche gli Stoici erano tecnicamente mat�rialisti, ma il loro ma­ terialismo non era semplice e rigido come quello degli Epicurei, per i quali esistevano solo gli atomi e il vuoto. Gli S toici non ri­ conoscevano alcuna distinzione tra materia e spirito; si potrebbe dire che essi " spiritualizzavano" la materia così come materializ­ zavano lo spirito. Da Aristotele ereditarono i quattro elementi (terra, aria, fuoco e acqua) e probabilmente anche un quinto, l'etere, più fine degli altri quattro. Per lo stoico l'anima era mate­ riale, ma di una materia così fine da pervadere il corpo e tale da

87 riunirsi dopo la morte alle regioni eteree dei cieli. Il Fato gover­ nava ogni cosa ed era cura dell'uomo saggio agire in sintonia con esso piuttosto che contro di esso, perché solo così era possibile raggiungere quell'affrancamento dagli affanni che era l'aspi­ razione comune tanto dello stoico quanto dell'epicureo. Tutte le cose nell'universo obbedivano alla legge del Fato, sicché la "simpatia cosmica" risultava essere un principio naturale per il pensiero stoico. Gli Stoici furono infatti i primi a supporre che le stesse leggi fisiche andassero riferite sia ai corpi celesti che a quelli terreni, i n contrapposizione all'opinione aristotelica se­ condo la quale le leggi del mondo sublunare sono differenti da quelle del mondo celeste. Il celebre verso di Manilio:

fata regunt orbem, certa stant omnia lege i destini regolano il mondo, tutte le cose sono stabilite da una legge prefissata è un concentrato di puro stoicismo. Lo S toicismo era perciò natu­ ralmente propenso ad accettare l'astrologia e si presentava anche come un "credo" adatto ai Romani. Mentre gli Epicurei consiglia­ vano all'uomo saggio di allontanarsi dalle distrazioni e dai peri­ coli della vita politica, gli Stoici enfatizzavano il dovere del saggio verso lo Stato, il suo impegno nella politica. Se Zenone, Crisippo e Panezio costruirono lo stoicismo greco, fu Posidonio a dargli la forma con cui divenne parte della tradi­ zione romana. Posidonio fu un grande ammiratore di Roma e in­ segnò a molti giovani Romani, compreso Cicerone, sicché il suo stoicismo divenne una parte importante della vita intellettuale ro­ mana. Gran parte dell'"opposizione stoica" sotto i primi impera­ tori fu opera di coloro che consideravano la tirannia contraria alla tradizione romana e che erano cresciuti nel culto di Bruto, Muzio Scevola e degli antichi eroi romani, considerati saggi stoici prima della nascita dello stesso S toicismo. E' difficile distinguere se l'opposizione nascesse dal pensiero stoico o se i contestatori fos­ sero stoici proprio perché oppositori. Certamente uno dei più

88 grandi rappresentanti dello stoicismo romano, S eneca, non era avversario dell'imperatore, anche se il suo antico pupillo, Nero­ ne, aveva emesso sentenza di morte nei suoi confronti. Sempre Cicerone ci informa che Posidonio era favorevolmente disposto nei confronti dell'astrologia. Nel De Divinatione (Libro I, v. 1 30) il retore latino afferma che Posidonio pensava "che vi sono in natura segni di eventi futuri " ; né si dimentichi che S ant'Agostino, riferendosi probabilmente all'opera smarri t a D e Fato , dichiara che Cicerone s i riferiva a Posidonio come a d un personaggio " assai dedito all'astrologia" ( 1 7). Ora, fu proprio lo stoicismo di Posidonio che i Romani ereditarono, ma lo scettici­ smo pratico che sembra essere stata una loro caratteristica impedì a molti intellettuali, anche stoici, di accettare in pieno le idee dei " Caldei" . S eneca, nelle Quaestiones Natura/es (Libro II, v. 32) , sostiene che, siccome ogni cosa in natura si muove secondo le stesse leggi del Fato, tutte le cose possono essere segni per chi è in grado di decifrarli (sebbene poi si curi di sottolineare che in pratica non tutti i segni possono essere letti, dato che non sap­ piamo ancora abbastanza di essi e delle loro leggi). Le osserva­ zioni dei Caldei, afferma Seneca, prendono in considerazione i poteri delle cinque stelle (cioè, i pianeti); ma sicuramente tutte quelle altrè migliaia di stelle non brillano per niente:

Cos 'altro porta a tali grossolani errori nel lavoro di chi è esperto nel redigere le carte natali se non il fatto che ci assegnano così poche stelle, quando tutte quelle che brillano sopra di noi ri­ vendicano i loro diritti su una parte di noi? Forse le stelle più basse nei cieli dirigono il loro potere sopra di noi più da vicino, ma sicuramente sia le stellefisse che quelle che appaiono tali, poi­ ché il loro movimento è uguale a quello del cielo, non hanno forse un qualche dominio su di noi? Questo è ovviamente un:argomentazione sia in favore che contro l'astrologia e tuttavia ha il merito di lasciare almeno spazio all'astrologo, specialmente a quell'astrologo che ricorre molto spesso alle stelle fisse.

89 All'inizio del III secolo d.C. Plotino costruì l'ultimo grande sistema filosofico dell'antichità: il neo-platonismo, chiamato così perché era uno sviluppo del platonismo, con molto di Aristotele e molto dello stesso Plotino. Le sue opere, tutte in forma di brevi saggi, furono raccolte dall'allievo e discepolo Porfirio (purtroppo non in ordine cronologico) in gruppi di nove, ragion per cui esse sono conosciute come Enneadi (ennea è la parola greca che signi­ fica nove). In due saggi, uno composto molto presto (Enn., III l) e l'altro in epoca molto succes siva (Il 3 ) , Plotino attaccò l'astrologia: egli obiettava platonicamente che l'anima, la vera es­ senza dell'uomo, è situata oltre il mondo fisico e perciò è posta fuori dalle sue leggi. Nel primo trattato osserva inizialmente che l'astrologia ci sottrae ciò che è veramente nostro, "ci lascia come pietre che rotolano, non come uomini padroni di se stessi, in sintonia con la propria natura". Inoltre prosegue annotando che, se le stelle sono segni, si può allora supporre che esse siano cause delle cose che significano; in tal caso tutti i segni simili sa­ rebbero cause (uccelli, interiora e altri presagi) . Ancora: Plotino afferm a che, secondo gli astrologi, si possono dedurre inferenze che riguardano la sorte di altri dalla carta natale di una persona (genitori o figli, mogli o mariti), ma che cosa dire della carta na­ tale di questi ultimi? Inoltre, un uomo e un animale potrebbero nascere nello stesso momento: per questa ragione avranno lo stesso destino? Infine, come possono le stelle, che sono dei, cau­ sare il male e come possono essere migliori o peggiori a seconda delle loro relative posizioni nei cieli? E' sorprendente come molte di queste stesse argomentazioni siano state sviluppate da Origene, grande contemporaneo di Plotino, uno dei maggiori Padri della Chiesa. Un dettagliato confronto del lungo brano che Eusebio ( 1 8) cita da Origene con il saggio di Plotino dimostra chiaramente come essi attingessero ad una comune fonte di idee. La fonte poteva verosimilmente essere Ammonio Sacca, loro comune maestro nella scuola di Alessandria. Tuttavia ciò è più evidente in Origene che in Plotino e vale la pena citare un breve brano che è interessante e piuttosto importante:

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Esiste un teorema che dimostra come il cerchio zodiacale si m uova similmente ai pianeti da Occidente a Oriente, un grado ogni cento anni, e questo in un periodo lungo altera le posizioni dei dodici segni, sicché il segno così calcolato e il segno effettivo sono diversi. Le previsioni non si basano sul segno effettivo ma sul segno dello zodiaco calcolato: ciò non è del tutto comprensi­ bile. Si tratta di un problema, concernente la precessione degli equi­ nozi, di cui parleremo in seguito. Il fatto è che i punti equinoziali, i punti in cui l'eclittica si incrocia con l'equatore, non sono fissi. Quello che è chiamato "il primo grado dell'Ariete", quando il Sole è sull'equatore verso Nord, oggi non è effettivamente più in Ariete bensì in Pesci. Origene ha assolutamente ragione: il segno zodiacale dell'Ariete, quello che appunto inizia col "primo grado dell'Ariete " , l'equinozio primaverile, non corrisponde al segno che è effettivamente presente nel cielo, quello dei Pesci. Origene ci porta per la prima volta in un contesto cristiano. Se lui e Plotino sostengono le argomentazioni di Ammonio S acca, le loro opinioni rappresentano fedelmente quelle dei filosofi della metà del II secolo. A quel tempo la Chiesa Cristiana aveva ormai più di cent'anni e si stava espandendo attraverso l'Impero romano dopo i suoi inizi nel Vicino Oriente, ma rimaneva pur sempre una Chiesa greca. La lingua comune del Mediterraneo orientale e della maggior parte dei commercianti, degli artigiani e delle classi pro­ fessionali era la koiné, termine che corrisponde semplicemente alla parola greca "comune " . Il greco, questa lingua comune, era anche la lingua di tutti gli Ebrei della diaspora, la lingua nella quale fu predicato il Vangelo nei primi tempi. I libri" del Nuovo Testamento erano tutti scritti in greco. Viceversa, il latino era la lingua della metà occidentale dell'Impero, che si estendeva dall'attuale Romania all'Italia settentrionale e occidentale, inclu­ dendo l'Africa del Nord a occidente della Cirenaica. Tuttavia, città occidentali come Marsiglia (antica colonia greca, comunque e sempre città "internazionale") e Arles, centri di traffici e commer­ cio, comprendevano grandi comunità di lingua greca. Se non è verosimile che la religione cristiana fosse limitata alle classi so-

91 ciali più basse, come è stato spesso affermato, tuttavia v a notato che essa era ben lontana dall'aver conquistato importanti fedeli all'interno delle classi dominanti dell'Impero romano. B asti con­ siderare che l'Octavius di Minucio Felice, la prima opera apolo­ getica latina deliberatamente destinata ai Romani colti, fu proba­ bilmente scritta alla fine del II secolo e che alla metà del IV se­ colo, pur in un periodo così successivo, Agostino, nell'Africa settentrionale latina, aveva un padre pagano. Se teniamo conto della posizione della Chiesa primitiva, al­ meno nei primi due secoli della sua esistenza, nei confronti dell'astrologia, troviamo ben poche prove di un qualsiasi "atteggiamento" . Non vi è alcuna menzione dell'astrologia o degli astrologi, né tantomeno della divinazione in generale in nessuno dei primi concili della Chiesa: essi riguardano principalmente que­ stioni di disciplina o di rapporti con i pagani o, a volte, di eresia. Le cosiddette " Costituzioni Apostoliche" , che risalgono proba­ bilmente a non prima del IV secolo, proibiscono l'associazione con coloro che si occupano di incantesimi, divinazione, predi­ zione, ecc. , ma non menzionano esplicitamente l'astrologia. Una successiva versione araba dei decreti del Concilio di Nicea (325) include effettivamente un veto nei confronti dell'astrologia, ma è l'unica fonte riguardante quel Concilio che la riporti . La prima chiara condanna è contenuta nei decreti del Concilio di Laodicea, (364 o 3 67 ) che operò, piuttosto curiosamente, una precisa di­ stinzione tra mathematici e astrologi (forse i primi sono gli astro­ logi "scientifici" e i secondi i ciarlatani). Tuttavia, è possibile sup­ porre che la Chiesa si opponesse all'astrologia in quanto forma pagana di divinazione, e dunque altro tipo di superstizione, qual­ cosa che diminuiva, se non negava addirittura, la libertà dell'uo­ mo. Vi sono almeno due documenti a testimonianza di ciò. Epifanio, nel suo libro De Mensuris et Ponderibus, cap. XV, racconta la storia di Aquila, databile verso i1 1 20 d.C. ( 1 9):

Aquila viveva in Gerusalemme e notò che i discepoli di quelli che avevano ascoltato� di persona gli Apostoli, nella loro grande fede, operavano miracoli di guarigione e altri prodigi ed essendo molto impressionato da ciò nel suo animo, abbracciò egli stesso

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la fede cristiana e dopo qualche tempo cercò di essere battezzato . Ma poiché non cambiò il suo precedente modo di vivere e conti­ nuò a credere nella vanità dell'astrologia (il greco qui è astrono­ mia, ma vuol significare astrologia, essendo ancora le due parole, astronomia e astrologia, intercambiabili), materia nella quale era molto versato, poiché ogni giorno consultava le posizioni del suo oroscopo natale, fu interrogato dai maestri e per questo motivo rimproverato. Aquila non solo non mutò atteggiamento, ma con animosità si oppose ad essi e tentò di provare ciò che non può es­ sere provato, vale a dire il fato e tutto ciò che ne discende; fu perciò espulso dalla Chiesa, come se la sua salvezza fosse im­ possibile . L'altra testimonianza proviene dalla caustica penna del grande africano Tertulliano (Apologeticum, cap. XLID):

Spontaneamente ammetto che vi possano essere persone in di­ ritto di biasimare l'inutilità dei Cristiani. Primi tra essi saranno i mezzani, i ruffiani e i lenoni, poi i tagliagole, gli avvelenatori e i maghi, e ancora indovini, divinatori e astrologi. Tertulliano scriveva alla fine del II secolo. Fu verso la metà del secolo che Tolomeo scrisse il Tetrabiblos, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo. Sebbene l'opera fosse destinata ad avere grande influenza sull'astrologia medievale e successiva, di per se. stessa segna soltanto un passaggio nella lunga evoluzione dell'ar­ te dagli inizi in Babilonia e in Egitto. Gli antichi sistemi di misura del tempo avevano prodotto le idee di zodiaco, segni zodiacali e decani, concetti che poi furono adoperati per interpretare i segni celesti di eventi terreni. L'astrologia primitiva così delineata fu raffinata dai Greci, mediante le idee astronomiche e filosofiche che erano loro proprie. In questo processo furono particolarmente importanti i Pitagorici, con la loro simbologia dei numeri e gli S toici, coi loro concetti di " simpatia cosmica" e di universale in­ fluenza del Fato. Parimenti, fu portata avanti quella confusione di sistemi e parti di sistema trovata nelle fonti più antiche, con dode­ catemorie e singoli gradi, loci e punti, aspetti planetari e caratteri,

93 generi e sfere di influenza, i quattro elementi, le pietre, i metalli, le piante; in sostanza: tutto l'apparato che abbiamo visto trattando dell'astrologia in questi primi capitoli. Molto di questo fu siste­ matizzato da Tolomeo, anche se la sua non fu l'ultima parola in materia.

N ote al C apitol o III l - A. E. Housman, M. Mani/ii Astronomicon liber primus (Londra, 1 903). Gli altri libri furono pubblicati come segue: il Libro II nel 1 9 1 2, il III nel 1 9 16, il IV nel 1 920 e il V nel 1930. L'edizione curata e tradotta da G . P. Goold fu pubblicata nel 1977 nella Loeb Classica! Library. Essa contiene (pp. xvi-cv)' una guida completa al poema. 2 - M. E. Hone, The Modern Textbook of Astrology, 4a ed. (Londra, 1968), p. 1 80. 3 - Libro V, p. xii. 4 - I frammenti, che non ci dicono quasi nulla del sistema di Nigidio Figulo, furono pubblicati da A. Swoboda, P . Nigidii Figuli Operum R eliquiae (Vienna /Praga, 1 899; ristampa Amsterdam , 1964), pp. 1 06- 1 28. La detta­ gliata disquisizione di Swoboda sugli scritti astrologici di Nigidio si trova alle pp. 35-6 1 (in latino). 5 - Pp. 20-2 1 e nota 2 1 . 6 - Dell'astronomia e dell'astrologia d i questi versi si occupa R . J. Getty, "The Astrology of P. Nigidius Figulus" (Lucan. 1 . , 649-65), in Classica/ Quarterly, XXXV (194 1 ), pp. 1 7-22. 7 - O. Neugebauer e H. B. van Hoesen, Greek Horoscopes (Filadelfia, 1959). 8 - Cfr. cap. II, nota 2 1 . 9 - F. E . Robbins, "A New Astrological Treatise: Michigan Papyrus No. 1 " , i n Classica/ Philology, XXII ( 1 927), pp. l e segg. 10 - Cap. II, p. 21 e nota 2 1 . 1 1 - Vettii Valentis Anthologiarum Libri, ed. W . Kroll (Berlino, 1908). 1 2 - Op. cit. , p. 1 85. 1 3 - Catone, D e agri cultura, 5, 4. 14 - D e divinatione , II, 42. 15 - F. H. Cramer, Astrology in Roman Law and Politics (Filadelfia, 1954), p. 80. II testo di Cramer è un compendio della storia romana dal II secolo alla fine dell.'lmpero, comprese tutte le chiacchiere, nelle quali viene anche inclusa più o meno indiscriminatamente ogni cosa che riguardi le stelle e l'adorazione delle stesse, la magia e la superstizione. In tutto ciò la parte congetturale fon­ data su mere deduzioni è molto abbondante. Tuttavia riesce a riunire la mag­ gior parte dei rari punti fermi. 1 6 - Cramer, op. cit. , p. 236.

95 1 7 - Sant'Agostino, De Civ. Dei, V, 2. 1 8 - Eusebii Pamphili Evangelicae Praeparationis Libri XV, curato e tradotto da E. H. Gifford (Oxford, 1 903). Il brano si trova nel Libro V, cap. XI. La ci­ tazione è al 294 d. 19 - Migne, Patro/ogiae Cursus Comp/etus, Series Graeca, XLIII, 262.

IV Da A les s andria a B is an zio : To lomeo e l' astro lo gia tardo grec a Dei modi di predire il futuro attraverso l'astronomia, due sono i più importanti ed efficaci: uno, che è il primo nella teoria e nella pratica, è quello mediante il quale abbiamo conoscenza delle inal­ terabili configurazioni prodotte dai movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti in relazione reciproca e con la Terra; il secondo è quello che ci permette di indagare i cambiamenti prodotti nel mondo dai particolari aspetti di queste configurazioni. Il primo ha una sua logica e un suo metodo, desiderabile per sé, a prescin­ dere dai risultati che conseguono dalla sua combinazione con l'altro. Esso è stato esposto sistematicamente e scientificamente, nel miglior modo a me possibile, in questo trattato (syntaxis ­ Almagesto) . Del secondo, che non è altrettanto autosufficiente, ho cercato di dare una descrizione adeguata dal punto di vista fi­ losofico. Cosi "il divino Tolomeo" inizia il suo Tetrabiblos ( 1 ) . Egli oggi è noto soprattutto come scienziato, geografo e astronomo, ma per secoli fu anche il più famoso fra gli astrologi greci. Solo molto recentemente qualcuno ha trovato singolare il fatto che un grande astronomo scientifico abbia potuto es sere anche una autorità in campo astrologico. Tolomeo considera complementari le due materie e, sebbene l'astrologia "non sia così autosuffi­ ciente " , poiché dipende dall'astronomia per la sua base reale, promette di fornirne una descrizione genuinamente filosofica. E' l'altra parte della scienza dei cieli a rendere utile il tutto. Il manua­ le consta perciò di due parti: Almagesto e Tetrabiblos. Questo famoso manuale, corredato da validi commenti fin dalle sue prime edizioni, fu composto da Tolomeo verso la metà del II secolo d.C., molto probabilmente ad Alessandria, capitale

98 culturale e scientifica del tempo. La città di Alessandro il Grande (2) fu fohdata dal giovane conquistatore (aveva solo ventiquattro anni ! ) nel 332 a.C. , nove anni prima della sua morte. La si fornì di un buon porto sul Mediterraneo unendo l'isola di Faro alla spiaggia della baia: la luce sull'isola dette poi il nome a tutti i fari. A S ud la città aveva un porto sul lago Mareotis; il lago era colle­ gato attraverso un canale con un ramo orientale del Nilo che con­ sentiva ad Alessandria un buon collegamento col territorio retro­ stante. Rimase città greca fino · a quando il Califfo Ornar non la conquistò nel 64 1 e continuò a essere la principale città marittima del Levante fino al XIV secolo. Dire però che Alessandria fosse una città greca non è del tutto esatto. Fu fondata come colonia greca in Egitto, ma fu sempre fin dalla sua fondazione una città cosmopolita, con una popolazione "internazionale". Nel periodo di suo maggior sviluppo fu una grande città di circa mezzo mi­ lione di abitanti di tutte le razze. Non era solo un porto, ma anche un centro manifatturiero dove si lavoravano il vetro e il metallo (da qui le origini dell'alchimia), la carta, i profumi e l'incenso e un centro tessile, noto soprattutto per la qualità dei tappeti. Aveva fama di città di cultura, stravagante e fastosa, simile alla Firenze del XV secolo o alla Parigi del XIX secolo. Vi si trovavano splendidi edifici, molti dei quali fatti erigere dagli imperatori ro­ mani: Antonino Pio, per esempio, contemporaneo di Tolomeo, fece costruire le Porte del Sole e della Luna. Forse gli edifici più importanti da un punto di vista storico erano il Museo e la Biblioteca, probabilmente costruiti dai primi successori di Alessandro in Egitto: i Tolomei. Il loro nome dinastico probabil­ mente trasse in inganno alcuni scrittori latini medievali, che chia­ marono il nostro Tolomeo, lo scienziato, rex Aegyp torum, re degli Egizi. "Museo" non significava allora edificio per la raccolta delle vestigia del passato. La parola è semplicemente la forma la­ tina del greco "casa o tempio delle Muse" e le Muse erano le dee delle arti; il Museo era quindi la casa o il tempio delle arti e delle scienze. In realtà il Museo era una sorta d'istituto di ricerca, dove gli studiosi venivano mantenuti dallo Stato e tutti i tipi di dottrina, letteraria, filosofica, e scientifica, vi furono praticati e incoraggiati per circa cinque secoli.

99 Non che Alessandria fosse l'unico centro del sapere o della filosofia in quei secoli: Atene continuò ad essere la patria della filosofia finché Giustiniano non chiuse le scuole pagane nel 529 e la filosofia fiorì anche in altri centri, specialmente a Rodi e in Siria. Essa faceva parte del bagaglio intellettuale di tutti gli uomini i struiti ed era fonte di conoscenza per molti. Numerosi filosofi, da Aristotele in poi, scrissero brevi trattati "evangelici" , procl a­ mando la buona novella della validità della contemplazione filo­ sofica in un mondo tormentato ed esortando gli uomini alla sua pratica. Fu una di queste opere protrettiche, l'Hortensius di Cicerone, che convertì, nel IV secolo, il giovane Agostino allo studio della filosofia. La filosofia includeva ciò che gli antichi chiamavano "fisica", un resoconto razionale dell'universo fisico, e, proprio come ai giorni nostri la maggior parte delle persone istruite sa qualcosa degli atomi, delle molecole nonché delle parti­ celle che costituiscono la materia e può parlare della teoria dell'evoluzione, così al tempo di Tolomeo l'uomo colto aveva una filosofia eclettica, tratta da molte scuole, che gli forniva un quadro generale di se stesso e del suo mondo. Le parti di questo quadro che rivestono maggior importanza al fine di comprendere l'astrologia sono la dottrina dei quattro elementi e delle loro quat­ tro qualità e la nozione dell'unità dell'universo. Dietro a queste idee filosofiche, come dietro allo sviluppo dell'astrologia stessa, vi è la convinzione greca che questo sia un universo razionale, del quale possiamo dare un resoconto ragionato e di cui possiamo comprendere il funzionamento; una struttura ordinata, un co­ smos. La parola greca significava "ordine" e, poiché il buon or­ dine per i Greci rappresentava il bello, il verbo formato da co­ smos significava rendere bello, adornare (di qui deriva la parola "cosmetico" ! ). In tutta la storia dell'astrologia, attraverso le strade che percorre, comunque oscure e confuse, dobbiamo ricordare che essa non sarebbe mai emersa dal pantano di superstizione in cui era nata e in cui sembra spesso sul punto di scomparire, non avrebbe neppure rivelato i suoi due volti antichi di razionalità e magia, se i Greci, e soprattutto Tolomeo, non l'avessero collegata alla struttura della loro visione razionalistica del mondo.

1 00 La teoria dei quattro elementi è più antica della filosofia. Agli inizi della filosofia, nel VI secolo a. C., Talete scelse l'acqua come "materia" dell'universo, mentre Anassimene scelse l'aria e Eraclito il fuoco; questi ultimi trassero gli altri elementi dalla loro "prima materia" . Fuoco, aria, terra e acqua; l'aria, l'acqua e la terra rappresentano i tre più comuni esempi dei tre stati della ma­ teria a noi familiari : gassoso, liquido e solido. Il fuoco è ovvia­ mente differente: sembra provenire dai solidi , è abitualmente spento dall'acqua ed è fonte di luce e calore. I Pitagorici aggiun­ sero un quinto elemento, l'etere, una sorta di fuoco celeste. Lo aggiunsero probabilmente perché la loro filosofia era basata sui numeri, sulla matematica, ed esistono cinque solidi regolari, uno per ogni elemento: il cubo per la terra, la piramide per il fuoco, l 'ettaedro per l'aria, l'icosaedro per l'acqua e il dodecaedro per l 'etere . Fatto ancor più importante, i Pitagorici estesero e "canonizzarono" una dottrina molto antica, quella degli "opposti " (uno-molti, limitato-illimitato, pari-dispari, maschio-femmina, ecc. ), che si ritrova continuamente nella filosofia e nella medicina greche. Fu Zenone di Elea che prese due di questi opposti, caldo­ freddo e umido-asciutto, per farne un uso completamente di­ verso. Aristotele mise assieme le due visioni ed espose la propria teoria dei "corpi semplici "(Fisica 1 92 e segg.) (fuoco, aria, acqua e terra) dai quali derivavano, a turno, il caldo e il secco, il caldo e l 'umido, il freddo e l'umido, il freddo e il secco (De Gen. et Corrup . , Il). Gli Stoici si appropriarono di questa teoria e alcuni di loro ridussero le equivalenze a fuoco-caldo, aria-freddo, acqua-umido e terra-secco. Gli elementi, le qualità e gli opposti entrarono nel patrimonio culturale del pensiero classico più tardo, in particolare nella medicina. Furono sempre gli S toici a rendere comunemente accetta l'altra grande dottrina, quella dell'unità del cosmo che comprende l'uomo. Essi affermavano che tutte le cose sono tenute insieme dalla stessa forza cosmica o logos, ragione, incluso l'uomo. Epitteto, un liberto di Nerone, scrisse (Il, 10. 2):

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Considerate da che cosa vi distinguete grazie alla ragione: vi distinguete dalle bestie feroci, vi distinguete dal gregge. A causa di ciò siete cittadini del mondo e parte di esso (rroÀ�Tec:; .T oÙ ) KOCTJ...I. OU Kal.' J...I. 'E poc:; aU\0\) ' ' •

Poiché tutte le cose sono una e tutte sono governate dalla stessa legge naturale, o logos, possiamo capire tutto ciò e anche il fatto che ogni parte influenzi l'insieme e ne sia influenzata. E' la caratteristica principale dell'astrologia di Tolomeo, che si adegua allo spirito scientifico e filosofico della sua epoca. Egli aspira a fornire un resoconto (logos) dell'astrologia che sia sistematico e conforme alle idee filosofiche del suo tempo. I dettagli del suo sistema, che non differiscono molto da quelli dei suoi predeces­ sori (ad onor del vero Tolomeo non fu tanto un inventore o un innovatore, bensì piuttosto un divulgatore e un sistematico), sono meno importanti del suo metodo. A volte ciò che ha da dire su di un particolare argomento è meno degno di nota di ciò che non ha voluto dire. Sebbene non scoprisse nuove dottrine, riu scì a met­ tere in ordine il materiale in conformità alle proprie idee e non se­ guì pedissequamente le fonti, citate molto raramente e mai con ri­ ferimento di nomi. Molto probabilmente l"'antico" del cap. XI del Libro III è Nechepso-Petosiris; gli Egizi sono citati numerose volte, per essere riusciti ad "unire completamente la medicina e la predizione astronomica" (I, 3); nel Libro I, 21 vengono distinti i sistemi egizio e caldeo dei "termini". Sempre nello stesso capitolo Tolomeo fa riferimento ad un antico manoscritto da lui rinvenuto per caso, molto danneggiato, senza alcuna indicazione sulla pro­ venienza e sull'autore. E' probabile che i capitoli introduttivi all'intera opera, ed in particolare quelli sull'etnografia astrologica, siano tratti dalle opere dello scrittore stoico Posidonio. Parecchie volte Tolomeo fa riferimento a "coloro che hanno scritto a pro­ posito di queste cose "-, ma pensa sempre in modo autonomo e spiega i suoi principi; e questo è il suo comportamento abituale. Nel Libro I, 3 , 1 8 Tolomeo afferma che gli Egizi: "riuscirono ad amalgamare perfettamente la medicina con la predizione astro­ nomica " (C7\l\)T)1jf0\) TTO\)iOX� i€\lPO\> in greco) e di tutto ciò che si trova nella parte destra; Venere dell'odorato, de/fegato e dei muscoli; Mercurio della pa­ rola e del pensiero, della lingua, della bile e dei glutei; la Luna del gusto e del bere, della bocca, del ventre, dell'utero e di tutto ciò che si trova nella parte sinistra. -

Ovviamente le relazioni dei pianeti e dei segni e gli aspetti dei pianeti potrebbero dare al paziente differenti possibilità di recu­ pero dalla malattia o dalla ferita, a prescindere dai farmaci usati. I farmaci stessi, le piante usate, erano anch'essi influenzati dai movimenti dei cieli. Raccogliere certi fiori o erbe in particolari momenti del ciclo lunare, o sotto speciali stelle, era pratica più antica dell'astrologia. In quest'epoca essa veniva integrata nella astrologia medesima; i segni zodiacali e i pianeti assumevano in sè ciascuno uno o più fiori o piante, poichè il numero dei vegetali utili era superiore a quello dei segni e dei pianeti. Quanto ai

1 04 compilatori degli elenchi, essi non sapevano con certezza perché stabilivano quei certi legami o quali piante stavano enumerando. Uno di loro, ad esempio, afferma che "la pianta di Mercurio è il pentadactylwn o il pentapetalwn o l'eupatoriwn o l'anthropocheir o il pentaphyllum o lo pseudoselinum" . La prima, la seconda e la quinta sono la stessa pianta, il cinquefoglie rampicante, che è ci­ tato in connessione a Mercurio in almeno altri cinque elenchi. In altre liste il verbasco è attribuito allo stesso pianeta, mentre lo pseudoselinum (5) è probabilmente il prezzemolo selvatico. Vi sono molti elenchi, tutti molto diversi tra loro, non solo per quan­ to riguarda le piante descritte, ma anche per la completezza delle informazioni fomite; alcuni contengono semplici nomi, mentre altri si rifanno per le loro scelte a motivi di carattere medico, anche se queste ragioni sembrano avere una relazione fortuita con le parti del corpo governate dai segni zodiacali o dai pianeti a loro collegati. A volte la connessione è magica: una fonte afferma che il cinquefoglie è utile per curare le febbri e per le articolazioni, la milza, lo" stomaco e per lenire il mal di denti. Ben poche analogie ci possono condurre a Mercurio; si arriva al punto di dire che il ' toccare la bocca con la radice possa produrre capacità oratorie ed ecco trovato il collegamento. Non ci si meraviglierà di trovare l'eliotropio collegato con il Sole ed è proprio perché Satumo era il "Sole della notte" che questa pianta è talvolta legata a questo pia­ neta. La pianta del Sole era più comunemente la polygonum bi­ storta (tormentilla) , un afrodisiaco la cui radice dava giovamento agli occhi. La pianta di S atumo era spesso l'asfodelo che, in­ sieme ad altre virtù, aveva la proprietà di sconfiggere la paura dei demoni e di alleviare i disturbi della dentizione. La peonia era at­ tribuita alla Luna: Luna e magia erano sempre associate e la peo­ nia nell'antichità era considerata una pianta magica:

Doveva essere estratta dal terreno di notte, affinché i picchi non potessero strappare con il becco i suoi occhi; come per la mandragola, il gemito che emetteva quand'era sollevata dal ter­ reno era letale per coloro che l'avessero udito. I semi erano una protezione contro la stregoneria e le radici, anche se solo appese intorno al collo, erano valido rimedio contro il mal caduco (6).

1 05 La maggior parte degli elenchi di piante si può trovare nelle opere di autori che scrissero in anni successivi, anche di molto, a Tolomeo. Poiché era comune che gli autori si copiassero a vi­ cenda senza porsi preoccupazioni e poiché l'astrologia era sempre un'arte conservatrice e la magia delle piante vantava origini anti­ chissime, possiamo sicuramente supporre che l 'assimilazione della maggior parte di questi concetti nell'astrologia greca si veri­ ficò nel corso del n secolo. Tuttavia tali concetti non avevano an­ cora sufficienti basi razionali, né era del tutto convincente il nesso con la medicina, tanto che Tolomeo non ne parla e non si occupa delle piante. E' invece sicuro di quella forma di sapienza medica, citata nel cap. III del Libro I come uno degli importanti benefici dell"'astronomia", che viene usata nei " sistemi iatromatematici" degli Egizi, cosicché (par. 19):

... grazie all'astronomia si possono conoscere le qualità dei temperamenti fondamentali e i sintomi che si presenteranno a se­ conda delle circostanze e le cause effettive di essi, poiché igno­ rando questi rimedi si fallirebbe nella maggior parte dei casi, in quanto identiche cure non sono adatte a tutti i corpi e a tutte le malattie. Nel cap. XIII del Libro Ill Tolomeo spiega il motivo per cui è importante osservare in modo accurato l'Oriente e l'Occidente, facendo attenzione ai singoli segni, considerando quali segni ri­ sultino " afflitti" da pianeti malefici in cattivo aspetto, in quanto (par. 4) :

. . . le parti dello specifico segno wdiacale che si trova afflitto sull'orizzonte mostreranno quale parte del corpo ne sarà influen­ zata, se essa sarà ferita, colta da malattia oppure entrambe le cose; le nature dei pianeti determinano la specie e le cause dei dei sin­ tomi.

1 06 E' appunto la natura dei pianeti a essere la causa: per Tolomeo questa è la spiegazione fisica, o "filosofica" della iatromathema­ tica. Ad esempio, si dice che Saturno (I, 4, 3):

... possegga in primo luogo le qualità refrigeranti e, mediante il raffreddamento, la capacità di asciugare delicatamente, con ogni probabilità perché è il pianeta più lontano sia dal calore del Sole che dalle umide esalazioni che sorgono dalla Terra. Di conseguenza (III, 1 3 , 6) :

. . . di solito Saturno rende gli uomini di ventre freddo e sov­ rabbondanti diflegma, soggetti a deflussi di umore, emaciati, de­ boli, affetti da itterizia e dissenteria, con tosse ed emissione di muco, colica ed elefantiasi; rende anche le donne soggette ad af­ flizioni dell'utero (o isteriche : il greco \lO'\EPlKqç significa en­ trambe le cose, essendo esse collegate nella medicina antica). Nel raffreddare e nell'asciugare, nel caldo, nell'umido e nel flemma (si noti non nella malinconia, la bile nera, che Tolomeo attribuisce a Marte) si hanno le quattro qualità e i quattro umori. Nel cap. II dell'opera si mostra invece chiaramente la imposta­ zione stoico-aristotelica:

Si potrebbe con facilità e molto chiaramente dimostrare a chiunque che un certo potere dall'eterea e invisibile natura è dif­ fuso sulla terra e compenetra tutte le sostanze mutevoli; tra i pri­ mari elementi sublunari, fuoco e aria sono circondati e mutati dai movimenti dell'etere. A loro volta essi circondano e mutano tutto il resto : terra, acqua, piante e animali che si trovano sopra e den­ tro di loro. I cambiamenti nelle qualità degli elementi, come del resto il loro equilibrio, producono mutamenti nel mondo sublunare; essi sono mediati e influenzati dai corpi celesti, soprattutto dal Sole e dalla Luna, ma anche dai pianeti e dalle altre stelle. Di conse-

1 07 guenza le loro relative posizioni, o aspetti, determinano conse­ guenze .,sulla terra; di ciò sono' a conoscenza i contadini, i pastori, i marinai e altri che osservano il cielo durante il loro lavoro·. S i tratta d i una visione sensata e rispondente a criteri filosofici. Sono queste le conclusioni cui Tolomeo giunge fornendo il re­ soconto di questa parte dell'astronomia. Ed ecco la discriminante e il motivo in base al quale può discernere nelle sue fonti ciò che è utile e ciò che è trascurabile, tanto più che a volte le omissioni sono esplicite. All'inizio del Libro l, 22, per esempio, dopo un lungo capitolo sui "termini", nel quale discute i meriti rispettivi del sistema caldeo e di quello egizio e sceglie tra i due, afferma:

Alcuni hanno anche specifiche divisioni più sottili di queste ri­ guardo ai governatori, definendoli "luoghi " (-r orrol ) e "gradi " {flolpO:l ). Si suppone che i/ luogo sia il dodecatemorion di un do­ decatemorion (cioè la dodicesima parte di un segno, la dodice­ sima parte dello zodiaco), vale a dire due gradi e mezzo, e confe­ risca il dominio su ciascuno dei segni a turno. A ltri, secondo diversi sistemi irrazionali (o:Àoywc:; , senza logos), assegnano ogni grado a partire dall'inizio di ognuno dei pianeti in conformità al sistema caldeo dei "termini". Questi ultimi li escluderemo dal nostro discorso poiché forniscono solo una spiegazione (logos) plausibile ma priva di fondamenti fisici. Nel capitolo successivo Tolomeo si occupa concisamente (in 23 righe) delle "facce" , dei "carri" e dell"'uguale" e tutto inizia con " S i dice"; Nelle fonti sussistevano numerose divergenze a proposito di queste curiose divisioni; in particolare il concetto di "faccia" proposto da Tolomeo (un pianeta si trova nella sua "faccia" se la sua casa e quelle del Sole e della Luna si trovano nella stessa relazione dello stesso pianeta rispetto ai due luminari) e quello di .Paolo Alessandrino nel IV secolo (che assimila le "facce" ai decani, nel senso che Marte si trova nella sua "faccia" nei primi 1 0° dell'Ariete e così via) sono completamente diffe­ renti. Era c hiaramente qualcosa con cui Tolomeo non desiderava

1 08 avere a che fare. Inoltre, dopo aver abbozzato il contenuto degli ultimi due libri, afferma:

Di ognuno di questi argomenti presenteremo uno schema rias­ suntivo definendo gli effettivi metodi pratici di indagine con un 'essenziale rappresentazione dei loro poteri attivi, come ab­ biamo promesso. Sorvoleremo sul controsenso superstizioso di molti, per cui non si possono fornire ragioni plausibili rivolgen­ dosi alle cause fisiche primarie. Indagheremo tuttavia su ciò che può essere correttamente compreso, non per mezzo di una quan­ tità di numeri (tramite i quali non si può pervenire alle cause) ma attraverso la realistica osservazione delle configurazioni stellari in relazione alla posizione delle loro case. Questo è il punto più evidente cui perviene Tolomeo quando accenna all'intru sione della magia numerologica nell'astrologia, una forte tentazione per il mago. Naturalmente i numeri sono magici e con essi, come ben sanno i matematici più o meno esperti, si possono fare cose molto curiose. I Greci non in­ ventarono la matematica; tuttavia ne avevano scoperta una loro p articolare e in questo ambito avevano compiuto grandi pro­ gressi. Kitto scrive (7) : "La matematica è forse la più caratteristica tra le scoperte greche, quella che li eccitò maggiormente . " Descrive poi alcuni giochi matematici che l i aiutavano a trascor­ rere piacevolmente le loro quiete ore e afferma:

Fu con grande gioia che rivelai a me stesso un intero sistema di funzionamento dei numeri del quale i miei insegnanti di mate­ matica mi avevano lasciato (mi spiace dirlo) completamente all'oscuro . . . Non mi avevano mai detto, né io avevo mai sospet­ tato, che i Numeri giocano tra loro questi seri e meravigliosi gio­ chi dall'eternità, prescindendo (in apparenza) dal tempo, dallo spazio e dalla mente umana . Era uno scorcio solenne di un nuovo, perfetto universo . Poi riuscii a comprendere come si sen­ tissero i Pitagorici quando fecero queste stesse scoperte . . . L'ultima e chiarificatrice Verità che gli /onici tentarono di scoprire nella "natura" fisica era sicuramente il numero.

1 09 I Pitagorici conferirono ai giochi numerici rispettabilità dal punto di vista filosofico e la grande autorità di Platone fece ascendere la matematica al regno della teologia. Ma a livello più terreno i numeri rimasero magici. Era molto più facile divertirsi con questi giochi in Grecia, perché i Greci usavano le lettere come numeri, di modo che alfa, beta, gamma, ecc. sostituivano i nostri uno, due, tre, ecc. Questo significa che un nome era anche un numero: il nome di Platone in greco poteva significare 1 26 1 e la somma di questi numeri dava 10, circostanza certamente signi­ ficativa. Era facile collegare questo tipo di simbolismo con un elenco dei pianeti o un diagramma dello zodiaco, o con le due cose assieme, in modo da avere alcune regole molto semplici adatte a pervenire a certi risultati senza tediarsi troppo con le complicazioni dell'astrologia. Molti trucchi del genere sopravvi­ vono nella letteratura: per trovare il segno zodiacale di un uomo, ad esempio, bisogna sommare le lettere del suo nome con quelle del nome della madre (per una donna il padre) e poi cominciare a contare nel cerchio zodiacale partendo naturalmente dal segno dell'Ariete. Sei dei segni sono benigni, tre (Cancro, Scorpione e Capricorno) malefici e i tre rimanenti (Bilancia, Toro e Sagittario) costituiscono una via di mezzo. Si può anche scoprire chi morirà prima, un uomo o sua moglie, sommando le lettere dei loro nomi e contando nello zodiaco, cominciando questa volta dal Capricor­ no, fino a giungere nel segno del Leone, che indica la prematura scomparsa del marito, o in quello della Vergine, che segna il destino nefasto della moglie Tolomeo non si occupa di queste suggestive teorie; per lui tutto questo è alogon, bizzarro, irrazionale. Il risultato della sua esigenza critica nel ragionamento è che la sua opera è più rigo­ rosa, e generalmente più semplice, di quelle degli altri astrologi greci. Quattro brevi capitoli (XIV-XVII) del Libro I trattano degli aspetti e delle altre relazioni tra i segni, compresa la mancanza di ogni relazione, ossia la disgiunzione. Tolomeo prende in conside­ razione solo quattro aspetti propriamente detti : l'opposizione, il trigono, il quadrato e il sestile, ognuno dei quali può essere calco­ lato in ogni segno. Nell'opposizione i segni sono separati fra loro

1 10 da sei segni, nel trigono da quattro, nel quadrato da tre e nel se­ stile da due; più propriamente, le distanze angolari includono tale numero di segni. La congiunzione non è considerata perché non può essere calcolata tra i segni ma solo tra i pianeti. Tolomeo propone una curiosa spiegazione matematica come fondamento dell'importanza di questi quattro aspetti, ma prosegue sostenendo che il trigono e il sestile sono armonici perché i segni interessati sono omogenei: tutti maschili o tutti femminili; il quadrato e l 'opposizione sono malevoli perché pongono in relazione segni non omogenei. Poco spazio è dedicato alle comete nel Tetrabiblos. Se si trala­ sciano quattro righe nel Libro II, 14, 1 0, dove si descrive come esse siano foriere di siccità e di vento, vi è un solo paragrafo molto generico (Libro II, 1 0), in cui l'autore non s'addentra in quei dettagli di classificazione e interpretazione presenti in altri scrittori. Ad e sempio Efestione di Tebe , che scrisse una Apotelesmatica in tre libri all'inizio del V secolo (8), cita Tolomeo alla lettera per ciò che riguarda il Libro II, 1 0 ma poi continua per quasi due pagine del testo riportato da Pingree descrivendo i di­ versi tipi di comete e i loro effetti seguendo alla lettera Nechepso e Petosiris. Dopo avere riportato le parole di Tolomeo, Efestione prosegue così:

Delle comete una è chiamata Hippeus (il Cavaliere) ed è stella sacra a Venere; ha le stesse dimensioni della luna piena, si muove con grande velocità ed ha una coda luminosa che la segue. E' tra­ sportata dal cosmo, attraverso lo zodiaco, con moto retrogrado . Indica la veloce caduta di re e tiranni e determina cambiamenti nelle vicende dei paesi verso i quali punta la sua coda. S ono esposte sette descrizioni del genere riguardanti una co­ meta per ciascuno dei pianeti. Efestione conclude così il capitolo: "Quelle chiamate Locides e Pogoniae compaiono fuori dallo zo­ diaco nella parte settentrionale del cielo" (9). Nell'antichità sorsero infinite discussioni sul fatto che le co­ mete potessero apparire o meno fuori dallo zodiaco e su quale fosse la differenza tra comete settentrionali e meridionali. La

111 maggior parte degli autori sosteneva che le comete fossero corpi sublunari. Era un punto di vista ragionevole, dal momento che era opinione comune che ogni cosa al di sopra della luna fosse immutabile per l'eternità e che le comete dovessero essere anno­ verate nel gruppo delle "stelle cadenti" o meteoriti. Tutto ciò si fondava sull'autorità di Aristotele che, nella Meteorologica, de­ dica due capitoli alle teorie sulla natura e origine delle comete. In questi capitoli si afferma che " ... è da considerarsi prova della loro natura ignea il fatto che la loro comparsa è comunque segno di vento e siccità . . . " ( l 0). Non solo Tolomeo è più conciso e semplice di altri, ma spesso espone i motivi che sostengono le sue affermazioni, laddove altri astrologi si fermano a: "S aturno è esaltato in B ilancia". Tolomeo fornisce una spiegazione "fisica" delle esaltazioni e depressioni: così Venere, che per sua n atura è umida (I, 4, 6), è esaltata nel segno dei Pesci, "segno nel quale è rappresentato l'inizio della piovosa primavera" , e depressa in Vergine, segno del secco au­ tunno. Talvolta questo. metodo di spiegazione lo costringe a ra­ gionamenti astrusi. Per esempio, nel cap. VI del Libro I vengono esaminati "pianeti maschili e pianeti femminili" :

Ancora, poiché i tipi di natura sono essenzialmente due, quello maschile e quello femminile, e già abbiamo esposto, parlando dei poteri, come la sostanza umida sia specialmente femminile (infatti vi è di solito prevalenza di questa sostanza in tutte le femmine e prevalenza di altre nei maschi), la tradizione ha correttamente stabilito che la Luna e Venere sono femminili, avendo esse una parte prevalente di umidità; il Sole, Saturno, Giove e Marte sono maschili e Mercurio partecipa di ambedue le nature in quanto pro­ duce in egual misura sostanze umide e sostanze secF he. Con queste proprietà è descritto Mercurio alla fine del cap. IV. Nel capitolo successivo, a proposito dei "seguaci" del Sole e della Luna, cioè i pianeti diurni e notturni, si dice che il giorno parte­ cipa maggiormente della natura maschile perché è caldo e attivo e la notte è femminile in quanto umida e calma. Inoltre la tradizione ci narra in modo appropriato che la Luna e Venere sono femminili

1 12 e perciò notturni e che il Sole e Giove sono maschili e quindi diurni; Mercurio, per i motivi sopra esposti, è comune al giorno e alla notte. Ma cos'è successo a S aturno e Marte? Per analogia con queste argomentazioni dovrebbero essere pianeti diurni. La tradi­ zione, purtroppo, non conosceva nulla dei ragionamenti di Tolomeo e li considerava l'uno notturno e l'altro diurno. Lo scrittore fu costretto a trovare una spiegazione: La tradizione assegna a ciascuno dei luminari i due pianeti di natura malefica, questa volta non per la comune causa fisica, ma per motivi opposti. Dal momento che simili stelle (il Sole e la Luna) , collegate a pianeti di natura benefica, aumentano la loro predisposizione a fare del bene, se associate a pianeti malefici, non essendo omogenee alla natura malvagia di essi, fanno venir meno buona parte del potere dannoso. La tradizione quindi ha as­ segnato Saturno, che è freddo, al calore del giorno e Marte, che è secco, all'umidità della notte; in questo modo ognuno di essi con­ sente la giusta proporzione temperando con la sua presenza la natura e diventando un salutare componente del settore da lui così migliorato.

Curiosa spiegazione, di certo consona allo spirito greco: questi potenti e malefici pianeti sembrano cercare una "dovuta propor­ zione" , la giusta misura, anche a scapito del loro personale detri­ mento. In ogni caso la fondamentale razionalità di Tolomeo e l'ordinata esposizione del suo pensiero sono dimostrate dalla struttura e dal progetto dell'intero trattato, costruito in forma si­ stematica. Il Libro I riguarda la meccanica dell'astrologia, divisa poi in due parti : astrologia "generale" o universale, trattata nel Libro II, e astrologia individuale o genetlialogia, compresa nei Libri III e IV. Questi due libri sono inoltre divisi in tre parti, la prima delle quali riguarda eventi anteriori alla nascita, la seconda il momento stesso della nascita, la terza le vicende successive. L'ultima sezione comprende l 'intero Libro IV. Ogni libro com­ prende un'introduzione che espone al lettore l'ordine previsto nella trattazione. Nel III, 4 Tolomeo fornisce un dettagliato indice

1 13 per gli ultimi due libri. L'autore fa del suo meglio per mettere in rilievo gli aspetti di questa p arte dell'astronomia " strutturata in modo filosofico". La fi losofia alla quale l'astrologia si appoggia è, senza sor­ prese, lo S toicismo. Senza sorprese perché lo S toicismo era il si­ stema filosofico più accettato e di maggior successo in quel tempo: era incredibilmente adattabile ed era completo; forniva una struttura etica flessibile basata su una fisica non solo molto avan­ zata ma anche di senso compiuto ( 1 1 ) . Scopo dello stoico era quello di raggiungere uno stato d'autosufficienza, autarkeia, in modo che nulla potesse turbare la sua fondamentale pace della mente. La via per raggiungere questo stato era il "vivere in ac­ cordo con la natura", che implicava conoscere cosa fosse la Natura e quale fosse il suo modo di operare. B ase del pensiero stoico è appunto l'unità della natura, dell'universo che comprende uomini e dei. Il pensiero stoico non è né materialista né spiritua­ lista, o forse è ambedue le cose. Si potrebbe affermare che mate­ rializzi lo spirito; infatti per lo S toicismo lo spirito partecipa della stessa sostanza dell'intero mondo fisico; ma si potrebbe ugual­ mente affermare che spiritualizzi il materiale. Poiché anima e ma­ teria, uomini, dei e cose partecipano della stessa sostanza, tutto agisce in conformità alle stesse norme, alla stessa Legge che può essere chiamata Fato. Per contraddistinguersi da Aristotele, che pensava vi fossero due tipi di fisica, uno per il mondo sublunare e uno per i cieli (i "movimenti naturali" nelle due regioni erano completamente diversi), gli S toici inventarono l'astrofisica, in base alla quale credevano, come noi, che le stesse leggi fisiche fossero valide in tutto l'universo. Non che l'uomo non sia libero : può scegliere di agire in questo o in quel modo, oppure non agire affatto. Di conseguenza può agire, o non agire, in accordo con queste leggi, con il Fato. Il fatto che l'uomo viva più o meno in accordo con la Natura non determina differenze in ciò che av­ viene: ciò che è destinato ad accadere accadrà comunque. Tuttavia la scelta determina una grande differenza nella qualità della nostra vita: si può seguire la propria via, in conflitto con la Natura e soffrire delusioni, dolori e angosce oppure seguire il Fato e rag­ giungere la pace. Questo perché, essendo tutte le cose unite e

1 14 agendo allo stesso modo, domina una "simpàtia" cosmica che conferisce un senso alla divinazione e quindi all'astrologia. Fu Posidonio, il maestro stoico di Cicerone, a fornire alla divi­ nazione basi razionali consone alla mentalità tardo-classica. Probabilmente sui suoi scritti si basò Tolomeo per la sua apologia nei capitoli di apertura. Nel Prologo egli afferma che "la maggior parte degli eventi casuali di grande importanza mostra chiara­ mente che la loro causa (ah-fa\>) viene dai cieli che ci circondano" e che l'astrologia, seconda e più utile parte dell'astronomia, in­ daga Taç éxrroTc:Àou� É\>aç � ETaBoÀaç sui "cambiamenti in­ dotti" in ciò che essi, i cieli , circondano. L'esplicita idea della cau salità è rafforzata nel cap . II, dove si afferma che gli aspetti dei pianeti determinano cambiamenti (éxrrc:pyéx�o\>Taf) e che il temperamento di ogni uomo è determinato dalla configurazione dei cieli alla sua nascita. Naturalmente non sono da tralasciare e v anno tenute in debito conto altre cause concomitanti assai rile­ vanti (O'U\>CXl Tlal ) quali i caratteri ereditari, l'ambiente e l'educa­ zione, ma le cause che discendono dai cieli sono le più importanti e potenti. La stessa dottrina delle cause è ribadita all'inizio del capitolo successivo, dove si illustrano i benefici apportati dalla astrologia, un capitolo essenzialmente stoico nelle argomentazioni svolte. La causalità non è limitata ai pianeti: il capitolo sulle stelle fisse (I, 9) parla della loro natura "in rapporto al potere attivo di ognuna" ; identica frase è usata nel capitolo seguente a proposito degli effetti mutevoli prodotti dalle stagioni. Quando nel Libro II si tratta della astrologia universale, scopriamo che la causa princi­ pale delle differenze etniche è "climatica" e avviene per mezzo degli "umori " ; viceversa le differenze nazionali derivano dalle caratteristiche dei pianeti (maschili, diurni, ecc.). "La prima e più potente causa" (� rrp4>TTJ Kaf lOXUPO\a\'1') af,fa ) delle condizioni generali delle campagne e delle città consegue alle eclissi del Sole e della Luna e ai movimenti delle stelle in quel momento (II, 5). Il cap . VIII spiega il modo di calcolare quali stelle abbiano un ruolo attivo nel causare ogni avvenimento. L'intero capitolo sui "go­ vernatori" (ofKoéEO"TToTfal) si occupa dei poteri attivi e causali dei

1 15 pianeti. Per quanto riguarda l'individuo, il Libro III, l , l chia­ risce molto la posizione: La causa degli eventi, sia in generale che in rapporto ai singoli individui, deve essere posta nel movimento dei pianeti, del Sole e della Luna.

La risposta al quesito se l'astrologia di Tolomeo fosse "forte" oppure "debole" , se cioè i movimenti dei corpi celesti fossero vere e proprie cause dei caratteri e degli avvenimenti oppure semplici segni, va posta nel senso "forte " , o quanto meno nel senso fatalistico proposto dagli S toici. Si tratta di una distinzione importante. La posizione degli Stoici, spesso ambivalente, è resa chiara da Tolomeo nel Libro I, 3, 6 e segg.:

Non dovremmo considerare che tutti gli accadimenti umani debbano seguire la loro causa celeste in base ad un qualche ordine divino originale e irrevocabile, che sancisca con precisione cos'è stato stabilito per ogni uomo e che questo debba necessariamente accadere senza che altre cause, di altro tipo, possano opporvisi. Si deve piuttosto pensare che, mentre il movimento dei corpi ce­ lesti si completa in eterno conformemente al fato divino e immu­ tabile, il cambiamento nelle cose terrene avviene in base ad un fato naturale e mutevole, traendo le sue cause primarie da ciò che è stato detto sopra in base al caso ed alla conseguenza naturale. Inoltre, mentre alcune cose accadono agli uomini per circostanze di carattere eminentemente generale e non per proprie doti naturali individuali - come quando a causa di grandi ed inevitabili muta­ menti celesti gli uomini periscono in gran numero, a causa di in­ cendi, pestilenze o inondazioni (poiché la causa minore cede sempre a quella maggiore e più forte) -, altre cose avvengono a causa di piccole dissonanze celesti dovute al caso, in relazione alla natura di ciascun individuo e al suo particolare temperamento. Si dovrebbe perciò prestare ascolto all'astrologo (genethlialogos) quando afferma che a un determinato temperamento, in una parti­ colare configurazione celeste, accadrà un fatto specifico che di questa è conseguenza. Se s'ignora ciò che sta per accadere a un

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uomo o se, essendone al corrente, non si farà nulla per impedirlo, seguirà necessariamente la conseguenza dettata dalla sua natura originale . Se invece siamo in grado di conàscere in anticipo ciò che accadrà e possiamo predisporre un rimedio (rimedio che è tale a causa dell'effetto combinato delle leggi naturali e del fato) o non avverrà o subirà considerevoli mutamenti. Il nostro destino, predetto dalle stelle che sono parte del fun­ zionamento della legge eterna, è naturale e mutabile; la previsione fatta dall'astrologo ci aiuta a fronteggiarlo. Tolomeo afferma che si dovrebbe prestare ascolto all'astro­ logo. Ci si aspetterebbe che un astrologo dica "Dovete ascoltarci quando diciamo . . . " ; nel Tetrabiblos c 'è un'ulteriore indizio del fatto che lo stesso Tolomeo non era un praticante dell'arte: il libro non è in alcun modo un manuale pratico e sarebbe veramente dif­ ficile tracciare una carta natale e interpretarla sulla scorta delle in­ dicazioni fomite dall'autore. n suo intento era quello di stilare un compendio razionale di questa parte dell'astronomia attraverso la logica del suo pensiero di filosofo e scienziato. Ricorse così a tutte le fonti che poté rintracciare, compreso l'antico manoscritto, e non sempre comprese in pieno il materiale usato; talvolta arrivò a fraintendere ciò che leggeva. Alcuni dei suoi errori sono perdo­ nabili; ad esempio, non ha assolutamente chiaro che cosa sia un topos. D'altra parte, la parola significa "luogo" e, in fonti di­ verse, ha diverse accezioni relativamente a differenti divisioni dello zodiaco. Come fu divisa l'eclittica da Tolomeo? In primo luogo, nei dodici segni dello zodiaco; in altre parole: nelle dodici divisioni" di trenta gradi che portano i nomi delle antiche costellazioni dell'Ariete, del Toro e così via. Per inciso, Tolomeo si riferisce sempre al segno da noi conosciuto come Bilancia usando il suo nome più antico, Chele (dello Scorpione, Xl1Àel� , che significa semplicemente "non vaganti" ed evita la nozione "fisse" in rapporto a qualcosa; la parola latinafuae ha in­ vece il significato di "ferme, immobili") è considerato nel Libro I, 9, dove Tolomeo fornisce tre elenchi di quelle vicine o comprese nella parte settentrionale o meridionale dello zodiaco. Ognuna di esse è paragonata, per ciò che riguarda gli effetti, ad un pianeta. Elenchi molto simili sono state redatti da antichi scrittori di astro-

131 logia e i n essi appaiono pressoché costanti le attribuzioni ai pia­ neti. Questi elenchi comprendono le costellazioni dell'antico zo­ diaco babilonese di 1 8 case, nel quale il Toro era diviso tra Pleiadi, Iadi e Orione, i Pesci fra settentrionali e meridionali, così come erano comprese anche le costellazioni della B alena, di Perseo e dell'Auriga. Appare indubbio che gli astrologi greci non si servissero molto delle stelle fisse (con la probabile eccezione di Regolo nel Leone) e ancor meno ne fece uso Tolomeo, che non si occupa di uno dei loro principali collegamenti astrologici: quello dei cosiddetti "nodi lunari " . L'espressione definisce semplice­ mente i luoghi di sosta della Luna, gli " alloggi " , chiamati più spesso, in quanto punti di fermata, stationes, " stazioni " . I nodi lunari sono probabilmente il motivo principale della sopravvi­ venza dell'interesse per le stelle fisse. Come altri aspetti di questa astrologia primitiva, in origine essi le erano quasi estranei e solo in seguito vi furono inglobati. Un'importanza maggiore ebbero invece più tardi nell'astrologia araba, soprattutto perché il calen­ dario islamico era, ed è, lunare e i nodi lunari appartengono ap­ punto a quella che si può chiamare una tradizione lunare, derivata con ogni probabilità da Babilonia, che a sua volta impiegava un calendario lunare. Ancora una volta ci troviamo di fronte alla fusione di tre tradi­ zioni : la babilonese, la greca e l'egizia. I Babilonesi fornirono le stelle, le costellazioni e i gruppi di stelle collegati alla Luna; i Greci le emerologie, elenchi dei giorni fausti o infausti per questa o quella attività, sebbene tali elenchi si possano più correttamente far risalire agli Egizi. Molti popoli primitivi conoscevano simili liste di giorni fortunati e sfortunati, spesso collegati alla Luna, dato che, in tempi in cui il calendario era sconosciuto, l'unico modo di conoscere che giorno fosse consisteva nell'osservare i cieli, e, in particolare, le fasi lunari. Quanto agli autentici contri­ buti egizi, essi consistettero nel simbolismo grafico e nel coin­ volgimento prima delle divinità, poi, in epoca successiva, dei pianeti. Il fatto che le stazioni lunari fossero in origine proprie dei B abilonesi è abbastanza chiaro (22). Esse si trovano nella lista delle stelle fisse redatta da Massimo di Tiro nel II secolo; quanto

1 32 all'elenco arabo delle stazioni lunari di Alchandri (IX secolo) e a quello di Abenragel (Xl secolo), essi si rifanno a fonti del VII se­ colo; una lista copta molto simile, con nomi greci, deve essere ancora precedente, poiché l'impero copto era a quel tempo scom­ parso. Le stazioni lunari erano conosciute anche nell'India vedica e tutto sembra tradire origini greche. Tuttavia si tratta, come si è detto, di stazioni lunari, non solari, sicché non va dimenticato sia che i Babilonesi avevano già dal VI secolo a.C. un elenco di di­ ciassette "costellazioni che si trovano nel corso della luna" e uno zodiaco formato da diciotto costellazioni con ogni probabilità collegate alle prime, sia che il loro calendario era lunare. Lo schema di ventotto stazioni era derivato, tramite la magia egizia, dal collegamento tra l'elenco dei giorni fasti e nefasti del mese lu­ nare con le emerologie e lo zodiaco. Non più tardi dei tempi di Esiodo, verso la metà dell'VIII se­ colo a.C., i Greci possedevano un elenco dei giorni del mese più o meno propizi per intraprendere certe attività. L'ultima sezione del poema esiodeo Le Opere e i Giorni (vv. 765-828) menziona sedici dei trenta giorni del mese e indica cosa conviene o non con­ viene fare in ciascuno di essi; solo il quindicesimo giorno è del tutto negativo; il quattordicesimo, non considerato, è mutevole oppure neutro. Ma il poeta avverte anche il lettore che "lo stesso giorno è in un tempo una madre e in un altro una matrigna", cosa che ben pochi sanno. Esiodo non collega i singoli giorni agli dei, sebbene Zeus (lo Jupiter dei Latini) avesse il controllo su tutto, ma semplicemente li enumera: ad esempio, "il primo, il quarto e il settimo " , e così via, con un "sesto a partire dal mezzo" che può suggerire un rapporto con le fasi lunari; infatti " sesto dal mezzo" significa probabilmente sesto giorno dalla Luna piena. Si tratta di idee provenienti quasi sicuramente dalla tradizione autoctona della Beozia. Oltre a questo materiale, va ricordato che sono state tro­ vate emerologie orfiche risalenti all'incirca allo stesso periodo. Ai tempi di Erodoto, nel V secolo a. C., i Greci erano soliti attribuire la paternità di tutte le loro idee agli Egizi:

Queste sono altre scoperte degli Egizi, sapere cioè a quale degli dei appartenga ogni mese e ogni giorno e conoscere cosa

1 33 accadrà ad ogni uomo basandosi sul giorno di nascita, sapere che tipo di uomo sarà e anche come morirà. Di queste cognizioni quelli tra i Greci che sono poeti riescono a farne uso (Il, 82). Se si presta fede a Erodoto, l'attribuzione dei giorni agli dei sarebbe egizia; peraltro le emerologie babilonesi facevano la stessa cosa già partire dal X secolo a. C. ; potrebbe dunque trat­ tarsi di un'eccezione greca alla regola. L'elenco orfico citato da Weinstock presenta simboli animali per ogni fase lunare; ventotto simboli simili, in maggioranza ani­ mali, sono stati rinvenuti in Egitto. Il numero ventotto ricorre an­ che nei papiri di magia: è quattro volte sette, è lunare e ciò è suf­ ficiente a renderlo un numero magico. I simboli erano facilmente collegabili ad altre rappresentazioni delle divinità, senza che vi fosse alcuna connessione con le stelle. Probabilmente il processo di appaiamento simbolico fu quello descritto da Weinstock( 23) : "Le costellazioni che si trovano nel corso della Luna, nella sua traiettoria" vennero ordinate secondo una serie di ventotto; in questa serie, i simboli animali e i giorni vennero a convergere. Oltre a questo, c'erano le stazioni lunari, con lo stesso simboli­ smo grafico, collegate alle costellazioni, come negli elenchi arabi. Fin dal II secolo d.C. esse erano state assimilate dall'astrologia zodiacale, ma si trattava di un legame più tenue, ottenuto me­ diante il collegamento tra i giorni, i nodi lunari, le costellazioni, gli dei ed infine i pianeti. Questo fenomeno si verificò nel mondo di cultura greca, con ogni probabilità ad Alessandria. Abbiamo visto come Tolomeo non facesse riferimento a queste "stazioni lun ari " , sebbene fossero assai note al suo tempo. Egli non parla di esse neppure nel suo schema riguardante gli effetti delle stelle fisse sullo zodiaco. Tuttavia troviamo un accenno alle " stazioni lunari " nel Libro IV, 1 0, 20. Trattando dei "signori del tempo", i chronocratores, Tolomeo sostiene che il " signore" rela­ tivo a ciascun mese si può trovare contando sullo zodiaco ven­ totto giorni per segno, mentre quello del giorno si ricava con­ tando due giorni e un terzo (si noti : un dodicesimo di ventotto) per segno. Si avrà così l'intero zodiaco riassunto in un mese di ventotto giorni. Riguardo agli "ingressi" o transiti (par. 2 1 ) , la

1 34 Luna è il corpo celeste più importante per ogni singolo giorno. La combinazione tra l'associazione della Luna con il giorno e l'uso di un calendario lunare è sicuramente un'eco del sistema delle " stazioni". Quest'ultimo capitolo del trattato è alquanto curioso. Il suo contenuto non è riportato nell"'indice" del Libro III, 4 ed è diffe­ rente da quello della maggior parte del Tetrabiblos; inoltre vi si trovano anche piccole incongruenze nei particolari e nelle termi­ nologie. Lo stile è senza dubbio quello di Tolomeo e non c'è al­ cuna ragione per cui il capitolo non debba essere un'appendice aggiunta dall'autore; sembra piuttosto un ripensamento, allegato per la sua importanza e tratto da altre fonti. All'inizio del capitolo Tolomeo propone come soggetto "le divisioni del tempo"; tratta poi del dominio sulle singole parti del tempo e delle influenze che riguardano singoli istanti. Tale argomento è strettamente collegato al Libro III, 1 1 , in cui viene affrontato il complesso problema di come si possa determinare la lunghezza presumibile della vita ·di un uomo. Forse Bouché-Leclercq esagera quando scrive: "Il cal­ colo della durata della vita, con l'indicazione del tipo di morte stabilito dalle stelle, è il compito principale dell'astrologia, l'ope­ razione considerata più difficile dai praticanti e più pericolosa e maledetta dai suoi nemici " (24). Di certo la predizione della morte è la parte che re, governanti e potenti hanno cercato di reprimere o almeno di controllare, senza considerare che ciò costituisce una delle pratiche fondamentali dell'astrologia. Che l'argomento fosse di capitale importanza è dimostrato dalla lunghezza del capitolo di Tolomeo e dal numero di delucidazioni fornite per aiutare il lettore a comprendere una procedura estremamente complessa. Si tratta di un procedimento alquanto inconsueto, in quanto Tolomeo è solito evitare dettagli pratici e, di conseguenza, necessita e ricorre a poche spiegazioni. Nella astrologia greca coesistevano nume­ rosi e svariati metodi per calcolare la presunta data della vita: al­ cuni di essi erano assai rozzi e semplici; altri, ed è appunto il caso di Tolomeo, risultavano elusivamente complicati e abbastanza ambigui da consentire qualsivoglia risposta (25). Il sistema si ba­ sava probabilmente su Nechepso-Petosiris (e infatti nelle prime battute del capitolo troviamo citato proprio "l'Antico", ed era con-

1 35 siderato da Tolomeo come il più appropriato e naturale. S i tratta ora di identificare ciò che egli chiama O:II)ETlKÒc; TÒrroc; , "la casa o i l punto prorogatore " , nel senso di casa che fa muovere l'uomo nel mondo, o, ancora meglio, di "casa che esplica la sua influenza sul soggetto. " E' impossibile stabilire cosa volesse veramente si­ gnificare Tolomeo con questo termine, dotato nella lingua latina di diversi sinonimi, di cui i più comuni risultano essere proroga­ tor e significator. Secondo l'ordine di preferenza e di potenza le cinque case "prorogatrici" sono: il Medium Coeli, l'Ascendente, l'undicesima casa, quella del "Demone Buono", il Discendente e la nona casa, quella del "Dio" . Se ci si addentra nei dettagli, si nota che il vero "prorogatore" , aphetes, per una determinata na­ scita diurna è, in ordine di preferenza, la casa dove si trova il S ole; se esso è in una casa adeguata, si trova nella casa della Luna; se ha le stesse caratteristiche, si situa o nella casa del pia­ neta governatore della casa in cui si trova il Sole, o nella casa della precedente sizige (novilunio o plenilunio) o sull'Ascendente; come ultima risorsa, se proprio nessuna di queste indicàzioni è applicabile, coincide con l'Ascendente stesso. Per le nascite not­ turne l'ordine è dato o dalla casa della Luna, o da quella del Sole, o dalla casa del pianeta che governa la casa della Luna o, infine, dalla sizige o dal Punto di Fortuna; infine, ultima possibilità, o il Punto di Fortuna stesso, se la precedente sizige si ha durante la Luna piena, o l'Ascendente se ricorre la Luna nuova. Ancora una volta, l'astrologia lunare delle nascit� notturne, col suo uso del Punto di Fortuna, ovvero !"'oroscopo lunare " , ci riporta a B abilonia. Una volta trovato il punto di inizio (alcuni sistemi più semplici considerano l'Ascendente come punto di partenza, senza ulteriori complicazioni) dobbiamo trovare la fine ed è qui che cominciano i problemi. Il limite estremo è dato dall'Occidente, il punto del tra­ monto; qui intervengono i complessi metodi tramite i quali i lumi­ nari, i pianeti e i loro aspetti possono interferire, allungando o ac­ corciando le aspettative. Il metodo di Tolomeo richiede il calcolo in gradi degli intervalli dello zodiaco, poi la conversione di essi in gradi di A scensione Retta (cioè lungo l'equatore), infine la con-

1 36 versione in anni. Per fare questo correttamente bisogna ricorrere alle tavole dell'A lmagesto ; tavole che tra l'al tro provano come Tolomeo preferisse questo metodo laddove altri astrologi, dotati di minori conoscenze di trigonometria sferica, preferivano appli­ c are metodi aritmetici più semplici. Nell'Appendice (IV, l O) Tolomeo si serve ancora delle case "prorogatrici", i prorogatores, stabilendo però alcuni principi generali in ordine ai "tempi" :

Come in ogni fatto che riguarda l'astrologia, un destino mag­ giore ha la precedenza sui particolari; tuttavia quel grande destino si esplica nella terra del soggetto, luogo dal quale l'indagine gene­ rale sulla nascita è influenzata (così come la forma del corpo ecc.). Chiunque faccia una ricerca deve sempre tener conto della causa principale e più evidente; non si può descrivere, ad esem­ pio, un Etiope come uomo di pelle bianca e coi capelli lisci o par­ lare di un Gallo o di un Germano come persona di pelle nera o coi capelli ricci senza rendersene conto e basandosi solo sulle indica­ zioni della nascita. Non si può neppure parlare di Galli e Germani come uomini dal carattere gentile, amanti del ragionamento e della contemplazione o dei nativi della Grecia descrivendoli come sel­ vaggi ed ineducati (parr. 2 e 3). Nonostante questo brano evidenzi i pregiudizi di Tolomeo, non si può non notare che egli considera fondamentale e di pri­ maria importanza la comprensione delle condizioni universali del destino, onde poi collegarle alle singole situazioni che possono modificarlo. Di conseguenza, quando abbiamo a che fare con le "divisioni dei tempi " , dobbiamo tener conto dell'attuale età del soggetto, in modo da non predire fatti incongruenti, predicendo ad esempio "a un bambino affari, commerci, matrimoni ed altri interessi da adulto, o a un uomo molto vecchio il generare figli o altri avvenimenti più consoni a persone giovani". Ci si potrebbe domandare quanto sia anziano " un uomo molto vecchio" , così come si potrebbe avere qualche dubbio· sulle cognizioni di Tolomeo circa la biologia e il mondo. Qualche indicazione in me­ rito è ricavabile dal suo elenco delle "età dell'uomo" e della loro attribuzione ai pianeti. In termini generali le età dell'uomo sono

1 37 sette, in corrispondenza ai sette pianeti, "a partire dalla prima età e dalla prima sfera, quella della Luna, per terminare con l'età ultima e con la più lontana delle sfere planetarie, quella di S aturno" . Queste sette età sono diventate luoghi comuni e sono familiari, ad esempio, ai lettori di Shak:espeare grazie al discorso di Giacomo in Come vi pare. La Luna domina l'infanzia sino al quarto anno, quando subentra Mercurio per l 'intera l'adolescenza, l 'età dello studente. Dai quattordici ai ventidue anni, l'età dell'amore, inter­ viene Venere. La quarta età, la prima virilità, dura diciannove anni ed è l 'età del Sole, l'età dell'ambizione. Marte governa quindici anni di maturità, quando un senso d'ansia e di caducità prende l'uomo, mentre Giove regola dodici anni di vecchiaia e di ritiro. L'immagine di Shakespeare del resto della vita, la parte di S atumo, non è meno drammatica di quella offerta da Tolomeo :

Ultima scena del tutto, finale di questa strana avventurosa istoria, è una seconda fanciullezza e mero oblio senza denti, senza occhi, senza gusto, senza niente. Riassumendo in termini cronologici, i periodi assegnati ai pia­ neti risultano essere: quattro anni alla Luna, dieci a Mercurio, otto a Venere, diciannove al Sole, quindici a Marte, dodici a Giove. In questo contesto nessun periodo specifico è stabilito per Saturno; cui viene assegnato il lasso di tempo che supera i sessantotto anni; tu ttavia, altre fonti relative a questi "periodi" assegnano a S aturno trent'anni. Questi periodi hanno sconcertato molti commentatori. Neuger­ bauer e van Hoesen li hanno considerati semplicemente periodi minimi, seguendo in questo Vezio Valente e Firmico Materno, senza aggiungere ulteriori commenti . Bouché-Leclercq, fornite spiegazioni plausibili per i calcoli di S aturno, Giove e del Sole (i periodi siderali dei due pianeti ed il ciclo metonico) , afferma (cfr. pag. 409) che i numeri dieci, otto ,e quindici, rispettivamente attribuiti a Mercurio, Venere e Marte, "vanno· annoverati tra gli arcana" . Robbins si rifà a Bouché-Leclerq di cui condivide la tesi, anche se poi cita il papiro del Michigan (P. Mich. 149, cfr. Loeb,

1 38 pag. 445 n . ) in cui si "parla del periodo di Marte, pianeta che ritorna alla sua posizione originaria in quindici anni" (é\> •1$ . Ape wc; KÙKÀW o c; É\> heo"l\> lE1 -�\) émoKa\a0'1"00'l\) ÉXEl ) . Proprio l'Apokatastasis, il ritorno alla posizione originaria, fornisce la ri­ sposta. "Sepharial" lo spiega con chiarezza (26) :

Essi (i Caldei) scoprirono che Saturno ritorna alla congiun­ zione con la stessa costellazione dopo un periodo di trent'anni, Giove dopo dodici, Marte dopo quindici anni, il Sole dopo di­ ciannove anni, Venere dopo otto anni e Mercurio dopo un pe­ riodo di dieci anni (come si può osservare dalla terra dalla terra). n punto importante da osservare è che l'apocatastasis avviene quando S aturno appare, dal nostro punto di osservazione, con uno sfondo costituito dallo stesso gruppo di stelle. Uno sguardo alle effemeridi di un qualsiasi astrologo per verificare le posizioni di un pianeta in lungo periodo dimostra che i periodi riportati sono approssimativamente corretti. Ad onor del vero, persino l 'A tlante Stellare di Norton (27), dopo aver sia definito una op­ posizione come "favorevole" quando la Terra e i pianeti sono prossimi al punto dove le loro orbite sono più vicine, sia chiarito che questo punto è sempre quasi sulla stessa longitudine (le op­ posizioni favorevoli hanno luogo quasi nello stesso periodo dell 'anno), afferma (pp. 33-34) che la massima magnitudo d i V e nere si h a circa ogni otto anni, l 'opposizione favorevole d i Marte avviene ogni quindici o diciassette anni, quella d i Giove ogni dodici anni e le condizioni più favorevoli di S aturno ogni ventinove o trent'anni. Così non vi è nulla di arcano o magico in questi periodi planetari : essi hanno invece una solida base astro­ nomica. Sembra tuttavia che Tolomeo fosse all'oscuro di ciò, al pari dei commentatori moderni, dal momento che, essendo solito fornire spiegazioni, non ne offre nessuna a tale proposito. Dopo aver trattato delle età della vita e delle loro caratteristiche generali, Tolomeo scende nei particolari e ci riporta alle a!pÉueu:; o proroghe. In questo caso, egli dichiara, occorre riferirsi a:

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. . . ognuna di esse, non ad una sola, come si fa quando ci si occupa della lunghezza della vita. Cosi, la proroga dell'Ascen­ dente si applica alle faccende del corpo e ai viaggi àll'estero ; quella del Punto di Fortufza in materia di proprietà; quella della Luna a vicende spirituali (mentali), al matrimonio, alle associa­ zioni di persone; quella del Sole a quanto concerne l'onore e la reputazione; quella del Medium Coeli ad altre vicende dell'esi­ stenza, quali affari di commercio, amicizie o il generare figli. Occorre dunque tener conto di tutti i pianeti e di tutti i loro aspetti, sia perché ogni vicenda non può essere governata solo da una buona o cattiva stella, sia perché (osserva sempre Tolomeo) la fortuna di ogni uomo è spesso mista:

. . . si può perdere un parente e ricevere un 'eredità, o essere a letto malati e, allo stesso tempo, ottenere un qualche riconosci­ mento o promozione. Occorre poi identificare i "reggenti del tempo ", i "signori del tempo", i chronocratores. Si può trovare il signore dell'anno per ogni casa prorogatrice partendo da questa e contando nello zo­ diaco un segno per ogni anno dalla nascita, sino a trovare il go­ vernatore dell'ultimo segno. Il signore del mese si trova invece contando ventotto giorni da un segno; quello del giorno contando due giorni e un terzo. Questi tipi di computo sono già stati di­ scussi quando si è parlato del cap. XI del Libro III. Infine, si deve prestare attenzione a quelle che Tolomeo chiama erréJ.I{Jauet ç, termine entro il quale sono compresi sia gli "ingressi" propriamente detti che i �·transiti", vale a dire l'ingresso di un pianeta in un segno ed il passaggio attraverso questo. Qui i transiti di S aturno fanno riferimento alle generali case dei tempi, quelli di Giove alle case dell'anno, quelli del Sole, di Marte, Venere e Mercurio a quelle del mese e quelli della Luna a quelle del giorno. Il quadro generale viene poi raffrontato con la carta n atale originaria e valutato : è infatti assai simile a quella che si può definire una progressione. Una progressione è proprio que-

1 40 sto: una proiezione della carta natale nel futuro al fine di conside­ rare quali saranno gli effetti delle mutate posizioni dei corpi cele­ sti. Le stesse tecniche si possono adottare per interpretare un evento del presente, tracciando le posizioni planetarie attuali e confrontandole con la carta natale. Nella antichità questa pratica veniva definita una katarché, un "inizio " , e nel Medioevo e nei periodi successivi una electio , una scelta. Tolomeo non tratta di queste katarchai, né fa alcun riferimento ad esse, a differen za della maggior parte degli astrologi greci, fra i quali non mancano quelli che ne trattano diffusamente addentrandosi nei dettagli. Nell'astrologia tardo-greca questo aspetto tecnico divenne, come è logico, attività prevalente per i praticanti, anche se naturalmente vi era disaccordo in ordine alla convenienza dell'uso delle katar­ chai, come prova il fatto che esse non siano menzionate né nella Introduzione di Paolo Alessandrino né nel commento alla stessa fatto da Eliodoro. Anche Firmico Materno non se ne occupa, ma altri (Doroteo di Sidone nel I secolo d.C. ed Antioco di Atene, contemporaneo più giovane di Tolomeo) scrissero libri sulle ka­ tarchai o meglio "sulle interrogazioni" , plausibile sinonimo delle stesse. S e la genetlialogia sembra essere cresciuta su basi di astrono­ mia razionale, sotto la specifica influenza della filosofia stoica, la p arte dell 'astrologia che riguarda le katarchai ha le sue origini nella magia e nella superstizione e ne con serva, per così dire, l'impronta. Per il momento ci atteniamo alla parola greca (il sin­ golare è katarche) , dal momento che tale parola assumerà nei testi differenti significati. Katarchai in origine erano gli inizi in senso stretto (ad esempio nel senso di cominciare un viaggio) ; col tempo si aggiunsero altri significati, legati o alle indagini su cose perdute o ai risultati dei sacrifici. Come accadde a molte altre pa­ role greche, katarchai divenne così un termine specificamente tecnico dell'astrologia. Sia gli antichi Egizi che i Babilonesi si servivano di elenchi dei giorni favorevoli e sfavorevoli, simili a quello di Esiodo, collegati ai cieli, in particolare alla Luna e alle fasi lunari. L'attenzione nei confronti della Luna deriva dal fatto che essa è il corpo celeste mutevole più veloce e prevedibile. Abbiamo già visto come i

141 giorni s i possano collegare alle costellazioni, sia tramite l e sta­ zioni lunari, sia attraverso i decani egizi. I pianeti sono collegati alle ore del giorno e quindi ai giorni della settimana tramite i loro corsi celesti. S e teniamo conto del fatto che i chronocratores di Manilio si fondavano sui segni e non sui pianeti, possiamo con­ cludere che probabilmente egli si servì di fonti babilonesi. Il primo astrologo greco che si sia occupato di questi argo­ menti ed abbia scritto sulle katarchai.è Doroteo di Sidone, autore intorno alla metà del I secolo di un'opera in versi. Essa ci è giunta attraverso una traduzione araba dell'VIII secolo (tratta a sua volta da una versione persiana del III secolo) recentemente pubblicata da David Pingree (28 ) . La pratica doveva tuttavia essere più antica di Doroteo, dal momento che Nigidio Figulo nel 50 a.C. era solito operare in tal modo, raffrontando le posizioni dei pianeti e delle case, e Doroteo Aquila, poco tempo dopo, soleva quotidianamente consultare le sue carte (29). Il Libro V di Doroteo, l'ultimo e di gran lunga il più esteso, è interamente dedicato alle "interrogazioni", katarchai. Esso si apre con queste parole (Cfr. Pingree, pag. 262) :

Questo è il libro di Doroteo, re d'Egitto . Si compone di cinque libri: quattro trattano delle nascite e in essi si parla di ogni bene e di ogni male, della miseria e della felicità che gli uomini possono ottenere dall'inizio delle loro imprese alla loro fine . L 'ultimo, il quinto, riguarda la materia delle katarchai e tratta la condizione di ogni azione che sia stata cominciata, determina se essa incontra dei limiti o meno, dove si porrà l'inizio, il centro o la fine e cosa determinerà di buono o cattivo . Il libro offre già in apertura delle regole generali. Doroteo vi classifica i segni come "diritti " oppure "obliqui" : si tratta di una divisione molto semplice che indica quali segni sorgono in meno di due ore equinoziali e quali impiegano un tempo maggiore. Se la descrizione degli effetti conseguenti al fatto che l'Ascendente si trovi in questo o quel tipo di segno (diritto, tropicale, doppio ecc.). Le katarchai dipendono infatti primariamente dall'Ascen­ dente, dalla Luna e dai loro aspetti. Dei quarantatre capitoli di cui

1 42 si compone l'opera di Doroteo, quasi trenta trattano specifi­ c atamente della Luna e dei relativi aspetti. Ad esempio, nel cap. XVII Doroteo afferma : " . ; . Per ogni fatto che riguarda il matri­ monio bisogna considerare in quale segno si trovi la Luna . . . "; quanto ai quattro capitoli dedicati agli schiavi, essi fanno riferi­ mento soprattutto alla Luna e altrettanto avviene per i sette capitoli dedicati alla medicina. Consideriamo il cap. XXIX:

Se la Luna scende da Saturno indica nel paziente una forte febbre e diffi coltà nascoste nell'alimentazione; oppure un males­ sere lo colpirà nel ventre e nel corpo, o ancora la sua milza gon­ fierà. Talvolta la Luna cagionerà una malattia difficile da soppor­ tare, una ferita ed un forte dolore lo colpirà tanto che le sue mem­ bra saranno ferite oppure slogate; talvolta la sua atrabile sarà irri­ tata al punto di creare crampi e infiammazione intestinale. Indica che ogni malattia che lo colpirà resterà in lui per lungo tempo. S i può notare in questo brano l'associazione della bile nera, melancholia, con Satumo. Le case sono a loro volta importanti, specialmente i quattro cardines, la cui posizione speciale è forse un residuo dell'antica suddivisione in quattro parti:

Alcuni antichi sapienti scoprivano le modalità di un furto par­ tendo dai quattro 'cardini'. Se si fosse consultato uno di loro al fine di sapere qualcosa di unfurto o di uno smarrimento, avrebbe cominciato considerando l'Ascendente, per scoprire cosa fosse stato rubato o perduto . Avrebbe continuato studiando il MCper sapere ciò che riguardava il proprietario dei beni, la persona vit: tima de/ furto o chi questi beni aveva perduto . Il segno opposto all'Ascendente avrebbe rivelato il ladro ; il rifugio dei ladri e il na­ scondiglio della refurtiva sarebbero risultati dal 'cardine ' sotto la terra (cfr. Pingree, pag. 297). Permane in Doroteo la consueta confusione tra i nomi : "casa", " segno", "posizione" sono termini che diventano intercambiabili nelle versioni successive e riflettono l'uso improprio dei termini greci già rilevato in precedenza.

1 43 Non solo le case e i segni sono importanti : Doroteo impiega anche le dodecatemoria, i decani e i termini (il suo elenco di questi ultimi è esattamente lo stesso dei "termini" egizi in Tolomeo). Gli ingressi e i transiti dei pianeti hanno il loro signifi­ cato, come le loro retrogradazioni e le "stazioni" , quando i pianeti sembrano fermarsi; tuttavia è la Luna ad avere la parte più impor­ tante. Ciò accadeva chiaramente anche in Efestione di Tebe, uno scrittore vissuto tra la fine del IV e l'inizio del V secolo (30) . Il suo Libro III dedicato alle Ka tarchai si basa sul Libro V di Doroteo; a differenza di questi , però, Efestione collega la Luna (cap. VI) con quelli che definisce giorni "attivi" e "inattivi" :

S i considerano i giorni come 'attivi ' (É!lTTO:XTO l ) ogni qual volta la Luna si trova nel segno natale o in trigono ad esso in­ sieme ai pianeti benefici, oppure in un segno con pianeti benefici e in assenza di pianeti malefici, tranne che al tempo del novilunio e del plenilunio. Le ore diventano 'attive' tutte le volte che il se­ gno natale si trova all'Ascendente o in trigono ad esso, oppure sorge contemporaneamente all'oroscopo della Luna (cioè il Punto di Fortuna) senza formare aspetti con pianeti malefici. I giorni sono 'inattivi ' (émpo:xTol) e negativi quando la Luna è quadrata o opposta al segno natale, insieme a pianeti malefici, ed è novilunio o plenilunio; oppure quando un pianeta malefico si trova all'A scendente o in aspetto con la Luna piena o nuova in assenza di pianeti benefici. Per i Greci questa era una parte piuttosto avanzata della astrologia ed è presumibilmente questo il motivo per cui non troviamo cenno di essa nell'Introduzione di Paolo Alessandrino. Tuttavia la maggior parte degli f!Strologi successivi la fece propria e molti composero opere in cui trattavano delle "katarchai", ov­ vero delle "interrogazioni" (pOT'I)