Storia della mistica occidentale
 8860877768, 9788860877765

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SAGGI

Marco Vannini

Storia della mistica occidentale

Le Lettere

In copertina: Ritratto di Nicola Cusano in un particolare della pala d’altare della Cappella del St. Nikolaus-Hospital, Bernkastel-Kues.

Ristampa 2018 © Editoriale Le Lettere Ristampa 2016

La prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel 1999. La presente edizione è stata rivista, aggiornata e ampliata. Copyright © 2015 by Casa Editrice Le Lettere – Firenze ISBN 978 88 6087 776 5 www.lelettere.it

Indice

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 9 Parte prima LA FONTE GRECA I. Il mondo ellenico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 35 (Misteri e mistica, p. 35 - L’Iliade, poema della forza, p. 37 L’Iliade e la mistica, p. 41 - Eraclito, p. 45)

II. I classici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 51 (Platone, p. 51 - Aristotele, p. 63)

III. Il neoplatonismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69 (Plotino, p. 69 - Porfirio, p. 79 - Proclo, p. 82)

Parte seconda IL CRISTIANESIMO IV. Gli inizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 89 (Lo sfondo, p. 89 - Gesù, p. 91 - Paolo, p. 93 - Giovanni, p. 97 La generazione del Logos da Giovanni a Eckhart, p. 104)

V. I fondamenti platonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113 (Origene, p. 113 - Gregorio di Nissa, p. 117 - Dionigi Aeropagita, p. 122 - Agostino, p. 127 - Gregorio Magno, p. 137)

VI. Il cammino della mistica cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 141 (Il problema del «luogo mistico», p. 141 - Origene e l’egemonico, p. 147 - I Vittorini, p. 149 - Guglielmo di Saint-Thierry, p. 150 - Il problema della «contemplazione», p. 151 - Bernardo di Chiaravalle, p. 154 - La via amoris e i suoi problemi, p. 160 -

Margherita Porete, p. 168 - Santità e mistica, p. 173 - Mistica ed eresia, p. 176, Gerson, p. 178 - Ruusbroec, p. 183 - Meister Eckhart, p. 188)

VII. L’apogeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 203 (La controversia esicasta, p. 203 - La via del distacco, p. 207 L’Imitazione di Cristo, p. 218 - I mistici inglesi, p. 220 - La devotio moderna, p. 224 - Niccolò Cusano, p. 226)

VIII. L’età moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 236 (Tra Riforma e Controriforma, p. 236 - Sebastian Franck, p. 238 - Valentin Weigel, p. 239 - Jacob Böhme, p. 241 - Angelus Silesius, p. 243)

IX. La Controriforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 253 (Ignazio di Loyola, p. 253 - I gesuiti, p. 256 - La mistica carmelitana. I fondatori, p. 261 - La mistica carmelitana. Sviluppi, p. 268 - Le carmelitane, p. 270)

X. La sconfitta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 273 (L’ambiente, p. 273 - Francesco di Sales, p. 275 - Miguel de Molinos, p. 277 - La disputa del quietismo, p. 282)

Parte terza IL MONDO CONTEMPORANEO XI. La ripresa neoplatonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 289 (Giordano Bruno, p. 289 - Spinoza, p. 294)

XII. La frammentazione della mistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 299 (L’eredità quietista, p. 299 - Il sentimentalismo religioso, p. 301 - Dalla mistica all’esoterismo, p. 305)

XIII. Dopo l’illuminismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 309 (L’idealismo, p. 310 - Schopenhauer, p. 320 - Nietzsche, p. 326)

XIV. Il nostro tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 331 (Wittgenstein, p. 331 - Simone Weil, p. 335 - Etty Hillesum, p. 339)

Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 343 Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 347 Nota bibliografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 441 Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 447

Introduzione

Il nostro tempo



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desco, ella riconosce però nel più puro cristianesimo del Vangelo (che è poi quello della grande tradizione mistica) lo stesso insegnamento dell’amor fati. Esso presuppone, ovviamente, la «perdita dell’esistenza personale» e dei suoi legami, condizione non facile da realizzare, ma il guadagno è infinito, giacché si apre all’uomo la gioia perfetta, che consiste nell’«adesione pura e totale alla bellezza».43 Ancora una volta, dal cuore della contemporaneità scaturisce il riconoscimento dell’antica e sempre nuova verità, della bellezza tanto antica e tanto nuova.44 La consonanza di Simone Weil con il platonismo è in effetti totale: non un impossibile «ritorno» a Platone, ma il recupero della verità che il filosofo greco espresse – mai come una dottrina personale – le sembra l’unica via di salvezza per il miserabile tempo presente. La sua tesi della coincidenza tra platonismo e cristianesimo significa altresì che l’essenza del cristianesimo si trova nella mistica, di cui Platone è il padre occidentale, e si specifica nella esplicita presa di coscienza che l’ebraismo ne è l’opposto.45 È chiaro che su questi nodi tematici si gioca la storia religiosa, filosofica e culturale – in breve, la storia – del mondo cristiano nel prossimo futuro. Quale esso sarà non sappiamo, né importa qui fare profezie o formulare auguri; certo è però che la rinuncia da parte della cultura cattolica ufficiale ad appropriarsi del pensiero di Simone Weil testimonia davvero l’incapacità di confrontarsi liberamente con la più alta esperienza spirituale del ventesimo secolo.46 Etty Hillesum Testimonianza reale di come l’esperienza mistica si esprima in forme sempre nuove, adeguate ai tempi e ai luoghi, accanto alla Weil dobbiamo porre un’altra figura a lei vicina per molti motivi: Etty Hillesum. Come Simone, infatti, Etty era una ragazza borghese, di origine ebraica ma di educazione laica , che arrivò da sola, con un faticoso percorso tanto intellettuale quanto di vita, ad una piena maturità spirituale; come Simone, ebbe una vita assai breve47 ed una prematura fine dovuta allo spendersi per gli altri. A differenza della francese, il cui platonismo la tenne sempre distaccata rigorosamente da tutte le cose transitorie, l’olandese visse però un’ esistenza molto intensa, anche sotto il profilo sentimentale, esperimentando tutta la complessità delle passioni e il loro conflitto. La lettura del Diario di Etty è in questo senso molto istruttiva, dato che mostra il progressivo, faticoso emergere della spiritualità più elevata dal bel mezzo di una vita tutt’altro che monacale.

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Non abbiamo nella Hillesum alcuna dottrina sistematica, ma possiamo comunque indicare alcuni elementi essenziali del suo pensiero, iniziando da quello che è, comunque, il punto di partenza di ogni esperienza dello spirito: il distacco dall’egoità. La questione è abbandonare il tuo piccolo io […] muovere dal personale al sovra-personale [….] Diventare , per così dire, non significa smarrire i contorni della propria personalità; essi, anzi, emergeranno tanto più chiaramente una volta che non siano più oscurati e deformati dalle meschine considerazioni personali basate sull’ambizione, sulla vanità, sui complessi di inferiorità, ecc.48

Come in tutti i mistici che abbiamo incontrato, il risultato di questo radicale distacco, per cui ci si libera di tutto, di “ogni idea esistente, parola d’ordine, sicurezza, norma o appiglio convenzionale”, facendo il “gran salto nel cosmo”, è che la vita diviene “infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori”.49 Ciò che più colpisce nei diari di Hillesum è proprio questa luminosa certezza che la vita è buona, bella, “infinitamente ricca e abbondante”, appunto, anche nelle condizioni più dure, finanche atroci, quali erano quelle di un campo di internamento e di deportazione. Chi vive nel fondo dell’anima, infatti, prova infinita gioia in ogni luogo e in ogni momento e rifugge dall’orrido, sciocco pensiero del male, che è frutto del proprio attaccamento all’ego. Di fronte a ciò che ci colpisce, il pensiero del male, e da esso l’odio, il pensiero della vendetta, sono certamente la via più facile, ma servono solo a soddisfare il nostro io.50 Chi è sceso nel fondo della propria anima, sa bene quanto male essa possa contenere: Ricordati che sei un uomo anche tu […] Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi e non vedo nessun’ altra soluzione che quella di raccoglierci in noi stessi e strappar via il nostro marciume.51

Scendere nell’abisso di noi stessi, toglier via tutto ciò che è inessenziale, torbido, oscuro, in modo che emerga l’essenza dell’anima, il “me stessa”, ovvero la parte più profonda e ricca di noi in cui si riposa, e che si può chiamare “Dio”. Ma, quando si dice che si ascolta dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di noi: è la parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell’altro, Dio a Dio.52 La Hillesum esprime così l’esperienza ben nota ai mistici della unitas spiritus, in cui Io e Dio non sono più distinti, tentando anche lei di superare i limiti del linguaggio comune e delle teologie. Questa esperienza è comunque quella che Etty chiama del “grande splendore”,53 ovvero amore e luce, comprensione e volontà di bene per gli altri.



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La Hillesum non aderì esplicitamente a nessuna confessione religiosa, rifiutando anzi ebraismo e cristianesimo in quanto sistemi chiusi, visioni determinate della vita, ma dai suoi scritti si ricava chiaramente un adesione al messaggio di Cristo individuato sui due elementi essenziali: la necessità di morire a se stessi e l’amore universale.54 Con una grandezza di spirito che ricorda da vicino il suo antico compatriota Spinoza , la Hillesum estende perciò la sua comprensione e compassione a tutto il “male”: Se una SS stesse ammazzandomi a calci, riuscirei nonostante tutto a guardarlo negli occhi e domandare a me stessa […] : mio Dio, povero ragazzo, cosa ti è successo di così terribile nella vita da portarti a questo punto?55

Da Spier imparò che l’amore per tutti gli uomini è superiore all’amore per un uomo solo, perché l’amore per un singolo è una forma di amore di sé: una formula che è, tanto nella lettera quanto nello spirito, di perfetto conio eckhartiano. Rilke fu infatti per Etty il poeta della Gelassenheit, il distacco, ma Eckhart ne fu il maestro: non sappiamo quando abbia conosciuto il mistico medievale, ma di fatto nel campo di internamento aveva con sé un’antologia di testi eckhartiani.56 Del resto, ella sapeva benissimo di essere “uno dei molti eredi di una grande eredità spirituale” e, anzi, di doverle essere fedele, condividendola nel modo migliore possibile.57 Non meraviglia perciò che questa giovane donna abbia rapidamente scalato le vette del pensiero e, insieme, della carità, giungendo alla mistica intuizione dell’unità del tutto, che è buono: La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro casa, le persecuzioni, le atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme.58

Un unico, potente insieme: abbiamo sottolineato queste parole perché esse hanno il medesimo significato di quelle tante volte scritte o pronunciate da Eckhart: un unico Uno. Il segno più evidente della comprensione che tutto è uno, ed è bene, sta proprio nel sentirsi “a casa” dovunque su questa terra, dal momento che si porta tutto in noi stessi.59 E perciò Etty ripete spesso, fino alla fine, che questa vita, nella sua inafferrabile profondità, è straordinariamente buona, “purché Dio, dentro di noi, sia in buone mani”60. In perfetta opposizione con quanti definiscono Auschwitz come “male assoluto”, e vedono in esso la fine del senso del mondo e della storia, nonché la morte di Dio o la impossibilità di parlare di Dio

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dopo Auschwitz, la Hillesum testimonia così la superiore forza dello spirito, che si manifesta quando perdona il male, riconoscendo l’opposto come sé medesimo, e in questo riconoscimento erompe come il Sì – Amen su tutto.61 È la medesima superiorità testimoniata anche dalle commoventi parole della preghiera che un anonimo detenuto del campo di concentramento di Ravensbruck lasciò accanto al corpo di un bambino morto: Signore, ricordati non solo degli uomini di buona volontà, ma anche di quelli di cattiva volontà. Non ricordarti di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto. Ricordati invece dei frutti che noi abbiamo portato grazie al nostro soffrire: la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio, la generosità e la grandezza di cuore che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito. E quando questi uomini giungeranno al giudizio, fa’ che tutti questi frutti che abbiamo fatto nascere siano il loro perdono!

Conclusione

Il 13 settembre 1997 il primo ministro indiano conferiva a Madre Teresa di Calcutta, già premio Nobel per la pace per il suo impegno caritativo,1 quell’onore dei funerali di Stato che era stato tributato in precedenza a Gandhi. Con ciò si voleva riconoscere nella suora di origine albanese una delle «grandi anime» (mahatman) nate dalla madre India, quelle che hanno saputo tradurre nella propria vita la verità semplicissima e difficilissima dell’unione tra uomo e Dio nella sintesi di amore e distacco. Come si espresse infatti in proposito l’arcivescovo di Calcutta, «Madre Teresa era diventata indiana, cioè distaccata e assorta nella sua ricerca personale, da contemplativa, da mistica, e a ciò aggiunse la sua tensione cristiana, cioè la compassione per gli altri: allora realizzò la sintesi. Anche Gandhi era riuscito a mettere insieme distacco e carità, e per questo Madre Teresa mi confidò che lo ammirava e amava».2 Attraverso le opere e gli scritti di Teresa si coglie in effetti il motivo essenziale dell’annullamento dell’io, centrale nella tradizione mistica indiana non meno che in quella cristiana, con la conseguente rinuncia ai frutti dell’azione e la fine di ogni pretesa di merito.3 Perciò la strada che conduce alla verità è quella dell’umiltà, con la quale ci si distoglie dal particolarismo psicologico, ovvero dalle determinazioni che oscurano l’unità divina. L’esercizio dell’obbedienza e la fine della volontà conducono alla vera libertà; all’opposto, la schiavitù consiste nell’asservimento alla volontà propria, cioè all’io e alla sua meschina autoaffermatività. In questo stesso senso si riconosce nella sofferenza il mezzo migliore per distruggere tale affermatività, il cavallo più veloce per giungere alla conoscenza.4 L’annullamento dell’io fa emergere l’Essere, che non è un ente estraneo, ma lo spirito nella sua presente realtà di amore. È questa realtà che si concreta

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Conclusione

nell’esercizio della carità, nell’attenzione al prossimo, nel quale si riconosce il Cristo, la presenza di Dio qui e ora nel mondo.5 Così, ancora una volta, si dispiega la fenomenologia dello spirito. Il distacco da se stessi, il primato della carità naturalmente fanno pensare a un Dio-Luce-Amore-Spirito che è nel tutto e in rapporto con noi, sommamente reale e personale: anzi, fanno comprendere che propriamente quello noi siamo, e non il banale e accidentale io psicologico. La gioia estatica della carità naturalmente fa uscire di sé, ovvero fa porre un amore assoluto, e in esso ci fa identificare. Allora appaiono chiare sino in fondo le alienazioni marxiane e freudiane, che pongono l’essere dell’uomo nei rapporti sociali, subordinano la coscienza alla vita, pensano l’essenza umana come egoistica, istintuale:6 esse descrivono in effetti la regione dell’alienazione, della pesanteur, di cui parlava Simone Weil, opposta a quella dello spirito. Esso, propriamente esso, appare allora come la realtà, il paese del reale, la regione «che solo amore e luce ha per confine».7 Allora davvero niente più sbigottisce, tutto appare avvolto nell’unica realtà di luce: in modo onesto, non retorico, non mistificatorio, anche la sofferenza del bambino, dell’innocente, appare qui avvolta in quella luce eterna, dove tutto ciò che è è uno ed è bene. È questa l’esperienza mistica che sostiene tutto il cristianesimo e su cui si appoggia come fondamento ultimo anche la religione comune, nella sua quotidiana battaglia contro l’incredulità, per cui viene davvero spontaneo ripetere, con Hegel, che la fede dei nostri padri non era inganno e alienazione. Ma c’è comunque in ciò un equivoco gravissimo che occorre sciogliere. Infatti tale esperienza è in conflitto con la dogmatica, dal momento che ogni teologia la falsifica. Oggettivando e definendo, la teologia rende altra e finita la soggettività e infinità dello spirito, per cui ciò che è vero nella mistica diventa invece mistificatorio in un contesto adialettico, dogmatico. Di qui l’insofferenza che religione dogmatica e mistica nutrono spesso, nel profondo, l’una per l’altra. I racconti della creazione, il «disegno» divino sull’uomo e sulla sua storia, l’amore di un Dio personale nei confronti del singolo, appaiono di cattivo gusto e quasi blasfemi di fronte alla realtà del dolore e anche del male, che in questo caso, ovvero in un contesto oggettivistico, viene giustamente evocata. La storia biblica, gli «interventi di Dio», il popolo eletto, il profetismo, la gnosi paolina della redenzione, ecc. si mostrano come superstizione alienante, in diretta opposizione alla dialettica mistica. Non sono solo le esigenze di veri-



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tà della filologia a condurre a questo risultato, a non permettere cioè che la teologia si sostituisca alla scienza; ma sono anche, su un piano ben più profondo, le esigenze di verità spirituale. Infatti, mentre la scienza deve fermarsi di fronte a delle possibilità, lasciando in qualche modo la porta aperta alla credenza, per cui, dopo tutto, potrebbe anche essere così (una mossa, questa, profondamente menzognera, tutta di segno utilitaristico, come Simone Weil rimprovera a Pascal),8 alla dialettica mistica appare inequivocabilmente falsa ogni descrizione di Dio, del mondo e della storia esterna ed estrinseca allo spirito, che pone quest’ultimo in un rapporto di estraneità con l’essere. Con Wittgenstein potremmo concludere che la forma di vita spirituale, quella del distacco e della carità, ha un suo linguaggio, inconciliabile con quello oggettivistico della vita legata all’io — ivi compreso il linguaggio religioso.9 Anzi, più che un linguaggio la mistica ha il silenzio come forma espressiva più propria.10 In essa infatti non si ristà a Dio come all’essere-altro, ma si genera il Logos, e questa generazione avviene nel silenzio.11 In effetti solo il concetto di generazione rende ragione dell’esperienza mistica, dal momento che mistica è la vita del Logos, che è intelligenza perché è amore.12 L’unitas spiritus è perciò unità nella vita: è il muoversi dello spirito in armonia con quell’«Amor che move il sole e l’altre stelle».13

Note

Introduzione 1   La discussione sulla mistica ha una letteratura vastissima. Rimandiamo in proposito alla Nota bibliografica, ma fin d’ora segnaliamo i due volumi, a cura di E. Ancilli e M. Paparozzi, La mistica. Fenomenologia e riflessione teologica, Città Nuova, Roma 1984, in particolare il saggio introduttivo di E. Ancilli, La mistica: alla ricerca di una definizione, vol. 1, pp. 17-41. Molto importanti sono sempre le voci del Dictionnaire de Spiritualité, Beauchesne, Paris 1932-1995; in particolare la voce «Contemplation» (vol. 2, col. 1643-2193) e «Mystère et mystique» (vol. 10, col. 1861-1984), con una ricchissima bibliografia. Significativo anche il piccolo, sintetico Grundfragen der Mystik, Johannes Verlag, Einsiedeln 1974, che raccoglie saggi di W. Beierwaltes, H.U. von Balthasar, A.M. Haas (soprattutto il contributo di Balthasar: Zur Ortsbestimmung christlicher Mystik, pp. 39-71). 2  Cfr. Platone, Repubblica 379a, dove il termine «teologia» compare per la prima volta. Sul significato del termine in Aristotele, e poi più avanti, cfr. l’articolo Théologie, in Dictionnaire de Spiritualité, vol. 15, pp. 463-87, a firma di A. Solignac. 3   Ai commenti neoplatonici al Parmenide di Platone si riallaccia anche I nomi divini di Dionigi Areopagita; sempre in rapporto al Parmenide sono stati elaborati quei fondamentali concetti di «teologia affermativa» e, soprattutto, «teologia negativa», senza cui non si avrebbe teologia mistica. I neoplatonici riferivano la teologia negativa all’Uno e la teologia affermativa alle ipostasi dà lui derivate, in rapporto alle due ipotesi fondamentali del Parmenide: L’Uno è / L’Uno non è. 4   Per la discussione sul panteismo da parte di Hegel, cfr. le sue Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di E. Oberti e C. Borruso, Zanichelli, Bologna 1973, vol. 1, pp. 287-89; 451-53, ecc. 5   Per questo cfr. il mio Mistica e filosofia, Le Lettere, Firenze 2007. 6   Qui autem adhaeret Domino, unus spiritus est, scrive Paolo in 1 Cor 6, 17. Sulla base di questo passo fondamentale, Guglielmo di Saint-Thierry, nella sua Lettera d’oro, par. 263 (cfr. la edizione Mondadori, Milano 1997, p. 114), parla di unitas spiritus, che è lo stesso Spirito Santo. 7   Ampiamente diffusa nel Medioevo, essa è utilizzata anche da Bonaventura nel suo Itinerarium mentis in Deum V, 8. 8   Cfr. in proposito M. Baldini, Il linguaggio dei mistici, Queriniana, Brescia 1986.

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Note

9   Cfr. G.W.E. Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1960, vol. 1, pp. 51-52. 10   Cfr. H. Glockner, Hegel-Lexikon, Frommann-Holzboog, Stuttgart 1957, vol. 2, p. 1602. 11   Libretto della verità, a cura di M. Vannini, Mondadori, Milano 1997, p. 47. 12   Cfr. la mia Introduzione a N. Cusano, La visione di Dio, Mondadori, Milano 1998, pp. 17-18. 13   A. Silesius, Il Pellegrino cherubico IV, 10 (ed. it. a cura di G. Fozzer e M. Vannini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1989). 14   Sul grande mistico sufi cfr. il capolavoro di L. Massignon, La passion d’AlHallaj, 2 voll., Geuthner, Paris 1922. 15   Cfr. per esempio K. Barth, che ha scritto su «Mistica e ateismo» in Kirchliche Dogmatik, vol. 1, cap. 2, par. 17, «Religion als Unglaube». Ben diversa intelligenza mostra invece M. Cacciari nel suo Ateismo e mistica, in AA.VV., Alle radici della mistica cristiana, Augustinus, Palermo 1989, pp. 103-10. 16   Cfr. in proposito R. Guarnieri, Il movimento del Libero Spirito. Testi e documenti, “Archivio Italiano per la Storia della Pietà”, IV, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1965. 17   L’espressione è usata spesso da Eckhart. Cfr. per esempio il suo Commento al Vangelo di Giovanni, a cura di M. Vannini, Città Nuova, Roma 1992, nn. 450, 475, ecc. 18   Cfr. per esempio M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, a cura di G. Fozzer, R. Guarnieri, M. Vannini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, p. 497 e nota 401. 19   Cfr. cap. VI, pp. 168-73. 20   Cfr. in proposito M. Vannini, Il paradosso della natura, «Natura e sovranatura», in «Paradosso», 3, 1992, pp. 43-63. Si potrebbe sinteticamente dire che, quando compare la contrapposizione naturale-soprannaturale, per la mistica in quanto esperienza dell’Uno non vi è più spazio. A essa invece è connaturale, dialetticamente, l’idea della presenza del divino nella natura. 21   Cfr. per esempio Mt 12, 38-39; Lc 7, 1-10. 22   Il Pellegrino cherubico I, 285. 23   Cfr. in proposito il capitolo «Il concetto hegeliano della fede» nel mio Dialettica della fede, Le Lettere, Firenze 2011, con le citazioni dalla Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 2, pp. 99-101. 24   Cfr. M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., capp. CXXXI-CXXXVI. Cfr. in proposito anche il mio saggio Il «cuore» nella mistica femminile del Medioevo, in AA.VV., A. Rosmini, Filosofo del cuore? Philosophia e theologia cordis nella cultura occidentale, a cura di G. Beschin, Morcelliana, Brescia 1995, pp. 201-19. 25   Cfr. Meister Eckhart, Commento alla Sapienza, n. 154 (ed. it. a cura di M. Vannini, Nardini, Firenze 1994, pp. 163 sg.). [Tutti i commenti di Eckhart all’Antico Testamento sono disponibili in: Meister Eckhart, Commenti all’Antico Testamento, ed. con testo a fronte, a cura di M. Vannini, Bompiani, Milano 2012]. 26   Cfr. in proposito il mio Dialettica della fede, cit. Si noti come Eckhart scriva seccamente che «chi crede non è ancora Figlio» (Commento al Vangelo di Giovanni, nn. 158-159; ed. cit., p. 129). 27   Cfr. per esempio La gaia scienza V, 343, dove questo senso di nuovo inizio è collegato alla «morte di Dio». 28   Le citazioni dal Pellegrino cherubico che seguono sono rispettivamente: II, 258; I, 12; I, 295; VI, 115.



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29   Cfr. J. Gerson, Œuvres Complètes, vol. 3, ed. P. Glorieux, Desclée, Paris 1962, pp. 252 e 382. La definizione risale, non però in questa forma e senza che compaia il termine «mistica», a Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II, II, q. 97 a. 2, re. 2, ove il teologo, trattando del problema Utrum tentare Deum sit peccatum, scrive: «Dicendum est quod duplex est cognitio divinae bonitatis vel voluntatis. Una quidem speculativa […] Alia autem est cognitio divinae bonitatis vel voluntatis affectiva seu experimentalis, dum quis experitur in seipso gustum divinae dulcedinis et complacentiam divinae voluntatis: sicut de Hierotheo dicit Dyonisius, cap. 2 De Divinis Nominibus, quod “didicit divina ex compassione in ipsa”. Et hoc modo monemur ut probemus Dei voluntatem et gustemus eius suavitatem». Anche Bonaventura parla di un «Optimus modus cognoscendi Deum per experimentum dulcedinis» (Sententiae III, 35, q. 1, conc. 5; cfr. anche Sententiae 111, 34, q. 2, conc. 2; dub. 4; 35, q. 3, conc. 1), ma si deve notare come in questi teologi medievali sia del tutto assente quella preoccupazione di definire la «mistica» che compare invece in Gerson, dopo la grande stagione della mistica medievale. 30   Cfr. soprattutto il cap. VII, pp. 232-33, su Cusano e il De visione Dei. 31   Come è chiaro dalla parentela etimologica tra il greco esti, «è», ed éu, «bene». 32   Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 2, p. 272. 33   Ethica III, Affectuum definitiones, 2: Laetitia est hominis transitio a minore ad majorem perfectionem. 34   Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 1, p. 26. Su questo punto, cfr. più avanti, cap. XIII, p. 316. 35   Cfr. 1 Ts 5, 23; 1 Cor 2, 12-16. Cfr. in proposito il cap. IV. 36  Cfr. Mistica e filosofia, cit. 37   Cfr. in proposito la mia Introduzione a Eckhart, Le Lettere, Firenze 2014. 38   2 Cor 3, 17. 39   Sul tema della «morte mistica” cfr. soprattutto A.M. Haas, Mors mystica, in Sermo mysticus, Universitätsverlag, Freiburg (Schweiz) 1979, pp. 392-480. Cfr. T. Kobusch, Freiheit und Tod. Die Tradition der «mors mystica» und ihre Vollendung in Hegels Philosophie, in «Theologische Quartalschrift», 164, 1984, pp. 185-203. 40  Cfr. De generatione animae 736b: «Solo il noũs giunge dall’esterno ed è divino». 41   «Non quella vita che inorridisce davanti alla morte, schiva della distruzione; anzi, quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello spirito. Esso guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta devastazione» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 1, p. 26). 42   Così Eckhart nel sermone Praedica verbum, in Sermoni tedeschi, a cura di M. Vannini, Adelphi, Milano 1985, p. 105. 43   Questa è una delle tesi più importanti di Eckhart, che gli fu imputata come eresia (cfr. la prop. XXVI condannata dalla bolla In agro dominico), in quanto non si comprese il rapporto dialettico che essa ha, in Eckhart stesso, con l’essere di tutte le cose in Dio. Più in generale, si deve dire infatti che l’incomprensione della mistica è l’incomprensione della dialettica – ovvero la mancanza di esperienza spirituale. 44   Cfr. 1 Cor 2, 14. 45   Cfr. Aristotele, Metafisica 1072b, 1075a; De anima 430b. Che la conoscenza spirituale sia un essere la cosa stessa è affermato ripetutamente da Eckhart, così come da Margherita Porete. 46   Cfr. in proposito il mio Dialettica della fede, cit., soprattutto al cap. I: «Fede come distacco in Eckhart».

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47   Cfr. Sap 12, 6, dove si tratta dei Cananei: «Crudeli uccisori dei propri figli, iniziati [mystas] con il sangue a orgie nefande». Sap 8, 4 parla invece della Sapienza, che «presiede alle opere della creazione» ed è «iniziata [mystis] alla scienza di Dio». Entrambi i passi non hanno avuto alcun influsso sulla tradizione. 48   Cfr. Tob 12. 7.11; Gdt 2, 2; 2 Mac 13, 21; Sir 22, 22; 27, 16 sg. 49   Cfr. Dn 2, 28.29.47. 50   Cfr. 1 Cor 2, 6-16; Ef 3, 16.18 sg.; Col 1. 51   Cfr. Mt 13, 11; Lc 8, 10; Mc 4, 11. Per questa parte cfr. il saggio di H.U. von Balthasar, Zur Ortsbestimmung christlicher Mystik, cit., pp. 39-41. 52   Ibid., p. 43. 53   Cfr. in proposito il saggio di G. Sfameni Gasparro, Dai misteri alla mistica: semantica di una parola, in La mistica, a cura di E. Ancilli e M. Paparozzi, cit., vol. 1, pp. 73-113 (con ampia Bibliografia). 54  Cfr. in proposito il cap. IV, pp. 178-83. 55   Cfr. per esempio A. Stolz, Teologia della mistica, Morcelliana, Brescia 1935, poi ristampato con il titolo La scala del paradiso, Morcelliana, Brescia 1979. 56  Cfr. Lo specchio delle anime semplici, cit., particolarmente ai capp. VI e VIII. 57   Si noti il passo di Gv 8, 44: accusando i Giudei, Gesù dice che essi hanno come padre il demonio, bugiardo e padre della menzogna, che «quando mentisce, parla di quel che gli è proprio». Cfr. il finissimo commento di Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 480-85. 58   Cfr. F. Nietzsche, Aldilà del bene e del male 289. 59   Cfr. Platone, Convito 203a. Cfr. in proposito il cap. II, p. 53. 60   Cfr. Meister Eckhart, Istruzioni spirituali, in Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, a cura di M. Vannini, Adelphi, Milano 1999, p. 74. 61   Il Pellegrino cherubico II, 137. 62   Il Pellegrino cherubico VI, 263. 63   Il Pellegrino cherubico V, 86 e 87. 64   Così F. Heiler ritiene che si debba parlare di mistica al di fuori del cristianesimo, mentre quest’ultimo sarebbe retto dal principio della «profezia» (cfr. Das Gebet. Eine religionsgeschichtliche und religionspsychologische Untersuchung, Reinhardt, München 1920). Nella stessa direzione di una risoluta opposizione tra cristianesimo e mistica va E. Brunner, Die Mystik und das Wort, Mohr, Tübingen 1924. 65   Si parla di «mistica ebraica» a partire da M. Buber e soprattutto dall’opera di G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, il Saggiatore, Milano 1965 (l’originale tedesco è del 1957), che fu nominato docente di «mistica ebraica» nel 1925, nella nuova Università ebraica di Gerusalemme. Ma se si considera anche il grosso volume recentemente pubblicato, Mistica ebraica, a cura di G. Busi ed E. Loewenthal, Einaudi, Torino 1995, si vede che si tratta in effetti di qualcosa di radicalmente diverso dal concetto classico di mistica. Più esplicitamente il sottotitolo parla infatti di Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo. Il concetto è infatti quello di una sapienza esoterica, segreta, che offre chiavi arcane di conoscenza grazie a delle tecniche: dunque proprio l’opposto della chiarezza del Logos. Che non si debba propriamente parlare di mistica ebraica per la cabbala, ma, tutt’al più, di gnosi, è opinione anche di J. Beaude, nel suo La mistica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1992, pp. 38-44, che ribadisce non essere la mistica né una scienza segreta, né una scienza del segreto. 66   Operazione equivoca è, per esempio, quella di presentare una Encyclopédie des mystiques (a cura di M.M. Davy, 4 voll., Payot, Paris 1972) che va dallo scia-



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manesimo a Plotino, dal monachesimo alla «mistica hippy», dalla massoneria al sufismo, dal buddhismo tibetano ai king, passando per tutte le religioni positive vive e morte. In questo modo si avvalora l’idea del «misticismo» come esperienza limite, di carattere eccezionale, secondo una linea sincretistica di irrazionalismo molto diffuso ai nostri giorni. 67   Molto prima che esplodesse la moda del buddhismo in Occidente, De Lubac aveva dedicato ampia attenzione a questo grande fenomeno filosofico-religioso, valutandone appieno la grandezza. Cfr. per esempio Buddismo e occidente, Vita e Pensiero, Milano 1958 (l’originale francese è del 1952) e Aspetti del buddismo, Jaca Book, Milano 1980 (il volume italiano riprende testi francesi del 1951 e del 1955). «V’è nel buddismo un aspetto altamente mistico. Diciamo di più: esso è una specie di misticismo puro. Ha una mistica perfettamente sviluppata, ma non possiede teologia» scrive De Lubac (Buddismo e occidente, cit., p. 344), che rimprovera al buddhismo il suo ateismo, concependolo così come una «immensa, drastica, sottile pars purificans, una preparazione negativa attraverso il vuoto, con il terribile rischio che questo vuoto si trasformi in fine a se stesso» (ibid., p. 352). 68   La meditazione sulle Stanze della via di mezzo (Madhyamaka karika, ed it. a cura di R. Gnoli, Boringhieri, Torino 1961) illumina sul rapporto profondo tra perdita dell’io sostanziale e carità, confermando che «il bene degli altri ti è caro come il tuo» – come diceva Eckhart – solo quando non v’è più un io e un mio. 69  Dante, Paradiso XXXIII, 145. Mi permetto di rimandare anche a «Hegel e il buddismo» (in M. Vannini, Mistica e filosofia, cit., pp. 120-27) dove si chiarisce quanto qui è appena accennato. 70   Cfr. G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, cit., vol. 2, p. 340. 71   Assai interessante il confronto Eckhart-Sankara che R. Otto propone nel suo Mistica orientale, mistica occidentale, a cura di M. Vannini, SE, Milano 1997 (l’edizione originale del libro è del 1926). È significativo che sia prevalentemente il tema del confronto e della vicinanza tra mistica cristiana e mistica induista ad affascinare gli studiosi: cfr. J. Monchanin, Mistica dell’India, mistero cristiano, Marietti, Genova 1992 e H. Le Saux, Tradizione indù e mistero trinitario, EMI, Bologna 1989. 72   In proposito mi permetto di rimandare ancora al mio Mistica e filosofia, cit. 73   Cfr. in proposito W. Beierwaltes, Pensare l’Uno, Vita e Pensiero, Milano 1991. 74   Al classico del misticismo induista bisogna ricorrere come a uno dei termini di riferimento fondamentali. Per un confronto con la tradizione occidentale, cfr. per esempio G. Parrinder, Le Upanishad, la Gita e la Bibbia, Ubaldini, Roma 1964. Anche il bellissimo saggio di A.K. Coomaraswamy, Induismo e buddismo (Rusconi, Milano 1973) ha l’attenzione sempre rivolta al rapporto con l’Occidente, e in particolare a Eckhart. 75   Filosseno di Mabbug, scrittore siriaco, morto verso il 522, mette in bocca a san Paolo queste parole: «Tutte le visioni che la lingua riesce a rappresentare nella regione degli esseri corporali sono fantasmi dei pensieri dell’anima e non effetto della grazia. Di conseguenza bisogna guardarsi bene dalle fantasie dei pensieri profondi [=  del subconscio?]». Filosseno non dimentica di riferire un aneddoto spesso commentato negli ambienti monastici: il diavolo appare a un monaco in forma umana dicendogli di essere Cristo. Il solitario risponde: «In questo mondo, io non voglio vedere Cristo» (cit. da T. Spidlik, Serafino di Sarov, in La mistica, cit., pp. 625 sg.). La concezione di mistica come vita dello spirito è in effetti opposta a quella sensualistica delle «visioni», che fanno di Dio un

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oggetto e lo rendono altro, un capriccioso essere finito che gioca a nascondino con le creature, ora «rivelandosi», ora no. Bisogna notare che i grandi maestri di spiritualità hanno costantemente combattuto il visionarismo e ogni eccezionalità di carattere psicologico come fatto estraneo allo spirito, ma, d’altra parte, la tradizione ecclesiastica ha sempre incoraggiato la credenza nel «soprannaturale» riguardo a tali fatti, tanto valutati dalla superstizione popolare, contribuendo così a screditare la mistica. 76   Cfr. il sermone di Meister Eckhart Sta in porta domus domini, in I sermoni, a cura di M. Vannini, Paoline, Milano 2002, pp. 208-212. 77   Cfr. su questo tema essenziale il cap. VI, pp. 198-201. 78   Come avviene specificamente nell’ebraismo, e, comunque, ove è assente il concetto di Dio come Spirito. Perciò è fuorviante parlare di «mistica ebraica». Cfr. in proposito il cap. III, “L’ebraismo” del mio La mistica delle grandi religioni, Le Lettere, Firenze 2010. 79   Il riferimento è anche qui alla hegeliana Fenomenologia dello spirito, e al mio Dialettica della fede, cit., cap. II, «Il concetto hegeliano della fede». 80   Alla lettera estasi significa infatti «uscita». Ma, al di là dei significati psicologici, di tipo visionario, che vanno dallo sciamanesimo all’uso di droghe e costituiscono il ciarpame pseudomistico, la parola indica quella «uscita» da se stessi che si realizza nel distacco dall’io, ovvero nella fine della volontà propria: dunque il più profondo «rientro» in se stessi, nel fondo dell’anima, che è l’unico «luogo» in cui abita Dio, ovvero si genera il Logos. 81   In essa l’anima è costantemente «pensosa senza tristezza, gioiosa senza dissolutezza», come scrive Margherita Porete nel suo Specchio delle anime semplici, cit., cap. XXII. L’estasi non è perciò un attimo di eccezionalità, ma la condizione costante della vita spirituale, nel cuore del quotidiano. 82   Cfr. Gv 16, 22-24. Si noti come nella gioia piena che è la presenza dello spirito, che porta a «tutta la verità» (Gv 16, 13), «non avrete bisogno di interrogarmi su nulla». Parte prima. La fonte greca I. Il mondo ellenico 1   Cfr. in proposito G. Sfameni Gasparro, Dai misteri alla mistica: semantica di una parola, in La mistica. Fenomenologia e riflessione teologica, cit., vol. 1, pp. 101-108. 2   E. Rohde, Psyche I. Culto delle anime presso i greci, Laterza, Bari 1982, p. 296. 3  Erodoto, Storie II, 171. 4   La definizione aristotelica è contenuta nel trattato Sulla filosofia, per noi perduto, ed è riportata da Sinesio e da Michele Psello. Cfr. Sinesio, Dione, ed. Krabinger I, 271 sg.; Patrologia Greca (PG) 66, 1133d-1136a. Cfr. anche J. Croissant, Aristote et les mystères, Droz, Paris 1932, pp. 140-42. 5   Clemente Alessandrino (Protrettico II, 13, 5) dichiara «dolore celebrato con canti» le Tesmoforie, ovvero le feste demetriache introdotte in Grecia dall’Egitto, e definisce i fondatori di culti mistici come «quelli che hanno celebrato come misteri gli atti di violenza, hanno divinizzato storie di dolore» (Protrettico I, 3, 1). Nel medesimo senso Atenagora aveva già affermato che «i misteri mostrano le sofferenze degli dèi» (Pro christianis 32, 1).



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6   Firmico Materno, De errore profanarum religionum 22, 1. Cfr. in proposito il saggio di G. Sfameni Gasparro Dai misteri alla mistica: semantica di una parola, cit., pp. 96 sg. 7   Questa partecipazione è la koinonia, la «comunione» che il fedele, iniziato ai misteri, ha con il Dio. Si pensi alla teologia dell’apostolo Paolo: il cristiano conpatisce con Cristo (cfr. Rm 8, 17), è con-fisso alla croce (cfr. Gal 2, 19); con-formato alla sua morte (cfr. Fil 3, 10), con-morto con lui (cfr. 2 Tm 2, 11), con-sepolto con Cristo (cfr. Rm 6, 4), e dunque con-resusciterà con lui (cfr. Ef 2, 6), con-formato con il corpo della sua gloria (cfr. Fil 3, 10), con-regnando con Cristo (cfr. 2 Tm 2, 12), sedendo con lui nei cieli (cfr. Ef 2, 6). Mi si perdoni la modestia della traduzione, che ho usato per chiarezza, anche se in essa va in buona parte perduta la forza dell’originale greco, con tutti i suoi syn. 8   Anche Firmico Materno (De errore profanarum religionum 24, 1) conclude che il sacerdote con le parole rivolte ai fedeli «li persuade a nutrire fiduciosamente una buona speranza». 9   Cfr. qui il suo saggio L’Iliade poema della forza, in S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Torino 1967 (L’originale francese si intitola La source grecque, Gallimard, Paris 1953). 10   Ne esiste una bella edizione italiana, con testo greco a fronte e ampio commento di L. Simonini, Adelphi, Milano 1986. Il passo interpretato da Porfirio è quello che si riferisce all’antro di Itaca dove Odisseo nascose i doni dei Feaci (cfr. Odissea XIII, 102-112). Si tratta veramente di una gemma della letteratura classica, condensazione suprema della sapienza simbolica dell’antichità ellenica. 11   Cfr. S. Weil, L’Iliade poema della forza, cit., p. 20. Cfr. Mt 26, 32. Si veda in proposito il cap. «L’universalismo mistico di Simone Weil» del mio Mistica e filosofia, cit. 12   Ibid., pp. 33-36. 13   Abbiamo riportato qui per intero le pp. 39-40 del testo della Weil, conclusive del suo saggio L’Iliade poema della forza, cit., a motivo della loro centralità per tutto il nostro discorso. Sull’autrice cfr. comunque pp. 335-39. 14   Cfr. Lc 7, 1-10. 15   Cfr. Gv 8, 42-44; Mt 4, 1-10. 16   In questo senso si comprende come Platone (la formula usata rimanda da vicino al concetto fondamentale di Repubblica VI, 509b: il bene è sempre al di là dell’essere) sia frutto diretto dell’educazione omerica, insieme a tutte le grandi figure del mondo ellenico. 17   Cfr. l’opera weiliana La pesanteur et la grâce, Plon, Paris 1948, alle cui pagine ci siamo largamente riferiti. 18   «Divina sorte», ma potremmo anche tradurre «grazia divina». Così si esprime Platone (Repubblica VI, 493a) per indicare quel comportamento dell’uomo che, miracolosamente, sfugge all’adorazione della forza e segue la virtù. 19   La distinzione non è senza significato. Lo si è visto nella discussione sull’ortodossia o no di Meister Eckhart: «qualcosa dell’anima» può rimandare a una presenza sostanziale del divino nell’anima, mentre «qualcosa nell’anima» rinvia soltanto all’intervento di Dio nell’anima stessa. 20   Da un punto di vista primo ed essenziale non v’è dubbio, infatti, che Senofane abbia ragione nel suo celebre frammento: la rappresentazione del divino dipende da ciò che l’uomo è; per questo motivo gli Etiopi si raffigurano gli dèi scuri di pelle e di capelli, mentre i Traci se li immaginano chiari di pelle e biondi.

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 Cfr. Iliade VIII, 69; XXII, 209.   Absoluta necessitas, ovvero «liberissima necessità», chiama Dio Niccolò Cusano, nel suo De visione Dei, per cui cfr. più avanti, pp. 232-33. La contrapposizione fra deus, sempre determinato nei modi, e divinitas, assoluto indeterminato, è invece essenziale in Meister Eckhart, per cui cfr. pp. 192-93. 23  «La nécessité est le voile de Dieu» scrive Simone Weil in La pesanteur et la grâce, cit., p. 108, e poi prosegue: «La necessità è un’immagine dell’indifferenza, dell’imparzialità di Dio, che si può cogliere con l’intelligenza. Perciò la nozione comune di miracolo è una sorta di empietà (un fatto che non avrebbe cause seconde, ma solo una causa prima)». E ancora: «L’assenza di Dio è la più meravigliosa testimonianza dell’amore perfetto, e perciò la pura necessità, la necessità manifestamente diversa dal bene, è tanto bella» (ibid., p. 108). La comprensione dialettica di come la finitezza, ogni finitezza, non sia da adorare e ogni cosa sia riconosciuta come finita, e, insieme, sia oggetto di tenerezza infinita, è ciò che la Weil ha il merito di far riconoscere nell’Iliade. Ma si tratta di un tratto essenziale, comune a tutta la grande mistica: si prenda per esempio Meister Eckhart, o Silesius, o Spinoza. Come si è detto nell’Introduzione, p. 11, Dio è sempre intra omnia ed extra omnia. 24   Cfr. Eschilo, Agamennone 160-184. 25   Sermone 36A ed. Quint, Stetit Iesus in medio discipulorum (Meister Eckhart, I Sermoni, cit., pp. 299-302). La notizia che Eckhart riporta è un aneddoto tratto da Aristotele, Metafisica IV, 22, ripreso sia da Alberto Magno che da Tommaso d’Aquino, In Metaphisicam IV, 5, lect. 12, ma è comunque straordinario il fatto che Eraclito sia chiamato un «nostro maestro», che ha trovato la verità prima di Cristo. 26   Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi IX, 1-17. 27   Ibid. 28   Si potrebbero però sottolineare anche gli elementi di continuità tra Eraclito e i filosofi precedenti. G. Colli, per esempio (La sapienza greca, vol. 2, Adelphi, Milano 1980, p. 26), prendendo in esame la notizia per cui Talete fu il primo a sostenere che l’anima è immortale e che tutto è pieno di dèi (cfr. Aristotele, De anima A 5, 411a), scrive: «Se tutte le cose sono piene di dèi, e se tutte le cose – anche quelle apparentemente inanimate – sono piene di anime, ne segue che per Talete anima e divinità sono la stessa cosa. La portata di questa dottrina è grandiosa, e il suo influsso su Eraclito ed Empedocle evidente. Da questo sfondo forse emerge l’esaltazione dell’interiore, la vibrazione del nascosto che pervade le parole eraclitee». Aristotele (De partibus animalium A 5, 645a) racconta anche un episodio in cui Eraclito avrebbe invitato degli ospiti a entrare a scaldarsi al fuoco, dicendo che anche lì vi erano degli dèi. 29   L’etimologia rimanda, come nel latino lego, al «raccogliere» elementi altrimenti dispersi. E lo stesso etimo di lex, legge. G. Colli (Phýsis Krýptesthai philéi. Studi sulla filosofia greca, Adelphi, Milano 1988, p. 150 nota 50) scrive che in Eraclito «il significato di lógos è perfettamente unitario, si riassume in: legge del fenomeno, cioè rappresentazione, rapporto di soggetto e oggetto, in cui il soggetto è anche oggetto e viceversa (si ricordi che i contrari non sono altro se non individualità interiori). Il lógos sarà quindi anche espressione in genere, in quanto manifestazione, apparenza del noumeno, così in particolare parola e pensiero umano». 30   Seguo la numerazione convenzionale Diels-Kranz (DK), Die Fragmente der Vorsokratiker, 3 voll., Weidmann, Berlin 19516, 550. 31   DK, B 46. 21 22

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  DK, 570.   DK, 574. 34   Con tutto il rispetto per le altre interpretazioni, più o meno celebri, ci sembra che il significato aderente alla lettera sia comunque il più sensato e autentico. Éthos corrisponde etimologicamente al vetus latino, e indica quindi principalmente ciò che si è acquisito per tradizione. La contrapposizione dio-demone, comune nella cultura ellenica, risulta evidente da tutto il pensiero eracliteo: al posto del divino nell’uomo, che è il lógos, l’uomo è qui governato da un demone, ovvero da potenze inferiori, che surrogano il divino. 35   DK, B 45. 36   Cfr. DK, B 115: «È proprio dell’anima un lógos che accresce se stesso». 37   Cfr. DK, A 16. Si tratta di Sesto Empirico, Adversus mathematicos VII, 127-131. 38   Cfr. DK, A 20. Si tratta di Calcidio, In Timaeum 251. 39   Cfr. DK, A 17. Si tratta di Aezio, IV 7, 2 (Doxographi Graeci, a cura di H. Diels, Reimer, Berlin 1879). 40   Cfr. DK, A 15. La fonte è Macrobio, In somnium Scipionis I, 14, 19. 41   Cfr. in proposito, per esempio, i frammenti DK, B 1; 2; 85 [«È difficile combattere contro il desiderio: ciò che vuole, infatti, lo compra pagandolo con l’anima» (da Plutarco, Vita di Coriolano 22), ove è chiara la dipendenza dello psichico dal desiderio, dal legame, e dunque la necessità del distacco]; 89; 113, ecc. 42   DK, B 14. La fonte è Clemente Alessandrino, Protrettico 2, 22. È evidente come i primi autori cristiani fossero particolarmente sensibili al fascino di Eraclito, il filosofo del lógos, nativo di quella Efeso in cui, secondo la tradizione, fu redatto il Vangelo stesso del Logos, quello di Giovanni, e avvertissero perciò  –  giustamente  –  la sua critica come estremamente rilevante non solo per il mondo pagano ma anche per il cristianesimo. 43   DK, B 5. 44   DK, B 32. La fonte è ancora Clemente Alessandrino, Stromata V, 116. 45  Ricordo la splendida, profonda invocazione di Euripide (Troadi 885): «Chiunque tu sia, difficile a comprendere, Zeus, o necessità della natura, o mente dei mortali, te supplicai». 46   DK, B 67. La fonte è ancora un autore cristiano, Ippolito (Refutationes IX, 10). 47   DK, B 102. 48   DK, B 41. 49   DK, B 91. Citato da Platone (Cratilo 402a), da Aristotele (Metafisica III, 5, 1010a), poi da Plutarco (De E apud Delphos, 18), è uno dei più noti frammenti eraclitei. Non è propriamente eracliteo, invece, il detto pánta réi, per il quale cfr. comunque DK, A 6. 50   Cfr. DK, B 51: «Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della lira». 51   DK, B 53. 52   Il paradiso terrestre apparve giustamente a Hegel come un Garten der Tiere, un «giardino zoologico» (cfr. Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 2, p. 272). Cfr. in proposito il capitolo «Hegel: il pensiero dell’altro e il male» del mio Mistica e filosofia, cit. 53   DK, B 80. 54   DK, B 94. 55   Cfr. S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., p. 50. Non ci soffermiamo qui sul rilievo etico-politico della riflessione eraclitea che concerne la giu32 33

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stizia, anche se le fonti antiche sono concordi nel sottolinearne la portata. Cfr. comunque i frammenti B 43: «Bisogna spegnere la tracotanza (hybris) più dell’incendio», e B 44: «È necessario che il popolo combatta in difesa della legge come in difesa delle mura». Particolarmente denso e significativo il frammento B 114: «È necessario che coloro che parlano adoperando la mente si basino su ciò che è comune a tutti, come la città sulla legge, e in modo ancora più saldo. Tutte le leggi umane, infatti, traggono alimento dall’unica legge divina: infatti essa domina quanto vuole e basta a tutte le cose, e ne avanza per di più». 56   DK, B 30. 57   DK, B 84. 58   G. Pasqualotto, nel suo Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d’Oriente e d’Occidente, Pratiche, Parma 1989, dedica il primo capitolo a «Il Tao della physis: Eraclito e il Taoismo», sottolineando le affinità tra il filosofo di Efeso e il taoismo. 59   DK, B 60. 60   DK, B 103. 61   Cfr. DK, B 54. 62   DK, B 8. È da notare come sia il pensiero della dialettica coincidenza dei contrari a segnare la differenza più importante tra il monismo eracliteo e quello di Parmenide. La concezione del filosofo di Efeso salva infatti le differenze, il divenire, la molteplicità, che invece vengono paradossalmente negati dall’Eleate, il quale appare prigioniero di una dogmatica rigidità del pensare. 63   Anthologia Palatina IX, 540. La citazione è in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi IX, 16. 64   Cfr. DK, B 18. Dobbiamo a Clemente Alessandrino (Stromata IV, 50) questa citazione eraclitea: «Maggiori destini di morte ottengono maggiori ricompense», che si riferisce non alla morte fisica, ma alla morte mistica, come è confermato dalla parallela citazione di Ippolito, Confutationes V, 8, 42. 65   Cfr. DK, A 8. Per testimonianza di Aezio (Doxographi Graeci I, 7, 22; I, 27, 1; I, 28, 1) Eraclito «identifica il destino con il lógos che produce tutte le cose dal concorso degli opposti», per cui «tutto avviene secondo il destino, e questo è la stessa cosa della necessità»; ma «essenza del destino è il lógos, diffuso nella sostanza dell’universo». Da Eraclito a Spinoza, su questo punto essenziale, per cui il riconoscimento del dominio della necessità, ovvero della ragione che regge tutte le cose, risveglia la ragione in noi stessi e apre così la dimensione della libertà, convergono tutti i grandi mistici, che sono, in ciò, tutti alunni della grecità. Questo sembra davvero il pensiero essenziale della riflessione ellenica: la stessa fonte (Aezio, Doxographi Graeci I, 25, 4), parlando del maestro di Democrito, Leucippo, afferma che per lui «tutto avviene secondo necessità e che questa corrisponde al fato. Dice infatti nel libro Sull’intelletto che nulla si produce senza motivo, ma tutto secondo ragione e di necessità». 66  Cfr. DK, B 6. Nota acutamente G. Colli (Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano 1974, p. 70) che «quando Eraclito dice che il sole è nuovo ogni giorno non vuole certo insegnare il divenire, ma opporsi alla tirannia della necessità». Dal canto suo, volendo indicare i punti di contatto tra la grecità e il Vangelo, Simone Weil scrive: «La necessità è una nemica per l’uomo finché egli pensa in prima persona […] Effettivamente la volontà umana, per quanto un certo sentimento di scelta vi sia irriducibilmente legato, è semplicemente un fenomeno tra tutti quelli che sono sottoposti alla necessità […] Nell’universo, l’uomo non prova la necessità se non, contemporaneamente, come un ostacolo e una condizione di compimento



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per il suo volere; di conseguenza questa prova non è mai interamente pura dalle illusioni irriducibilmente legate all’esercizio della volontà […] Il rapporto tra la necessità e l’intelligenza non è il rapporto tra il padrone e lo schiavo. Non è neppure il rapporto inverso, né il rapporto tra due uomini liberi. È il rapporto tra l’oggetto contemplato e Io sguardo. La facoltà che nell’uomo guarda la forza più brutale come si guarda un quadro, chiamandola necessità, quella facoltà non è ciò che nell’uomo appartiene all’altro mondo. Essa è all’intersezione dei due mondi. La facoltà che non appartiene a questo mondo è quella del consenso. L’uomo è libero di consentire o no alla necessità. Questa libertà non è attuale in lui se non quando concepisca la forza come necessità, vale a dire quando la contempli […] Il consenso alla necessità è puro amore e anche, in qualche modo, eccesso d’amore. Questo amore non ha per oggetto la necessità in sé, né il mondo visibile di cui essa costituisce la stoffa […] Neppure per amore degli altri uomini noi consentiamo alla necessità. L’amore degli altri uomini è in un certo senso un ostacolo a questo consenso, poiché la necessità schiaccia gli altri come noi stessi. È per amore di qualcosa che non è una persona umana, e che tuttavia è qualcosa come una persona. Perché ciò che non è qualcosa come una persona non è oggetto d’amore. Qualunque sia la credenza professata a proposito delle cose religiose, compreso l’ateismo, là ove è consenso completo, autentico e incondizionato alla necessità, vi è la pienezza dell’amore di Dio, e in nessun altro luogo. Questo consenso costituisce la partecipazione alla croce dei Cristo. Chiamando Lógos quell’essere umano e divino che egli amava sopra tutto e da cui era teneramente amato, san Giovanni ha racchiuso in una parola, fra molti altri pensieri infinitamente preziosi, tutta la dottrina stoica dell’amor fati. Questa parola, Lógos, presa dagli stoici greci che l’avevano a loro volta ricevuta da Eraclito, ha diversi significati, ma il principale è questa legge quantitativa di variazione che costituisce la necessità. Fatum e lógos sono d’altronde apparentati semanticamente. Il fatum è la necessità, e la necessità è il lógos, e lógos è il nome stesso dell’oggetto dei nostro più ardente amore. L’amore che san Giovanni portava a colui che era il suo amico e il suo signore, quando stava reclinato sul suo petto durante la Cena, è quell’amore stesso che noi dobbiamo portare alla concatenazione matematica di cause ed effetti che, di tanto intanto, fa di noi una specie di poltiglia informe. Manifestamente, ciò è folle. Una delle parole più profonde e più oscure del Cristo rivela questa assurdità. Il rimprovero più amaro che gli uomini facciano a questa necessità, è la sua indifferenza assoluta ai valori morali. Giusti e criminali ricevono ugualmente i benefici del sole e della pioggia; giusti e criminali sono ugualmente colpiti da insolazione, annegano nelle inondazioni. Precisamente questa indifferenza il Cristo ci invita a considerare come l’espressione stessa della perfezione del nostro Padre celeste e a imitare (cfr. Mt 5, 45). Imitare questa indifferenza è semplicemente consentirvi, è accettare l’esistenza di tutto ciò che esiste, compreso il male, eccettuata soltanto la porzione di male che noi abbiamo la possibilità e l’obbligo di impedire. Con questa semplice parola il Cristo si è annesso tutto il pensiero stoico e insieme Eraclito e Platone» (S. Weil, Discesa di Dio, in La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., pp. 234-40). II. I classici 1   Nato in Atene nel 428 a.C. da famiglia aristocratica, si chiamava in realtà Aristone. Il soprannome di Platone, che poi ha sostituito il nome, gli fu dato scher-

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zosamente, forse dal maestro di ginnastica, per la sua ampia (platýs) costituzione. Nel 408 conobbe Socrate e la sua vicenda filosofica e umana lo convinse a dedicarsi alla filosofia, persuaso che – come scrive nella VII Lettera – non vi sarà giustizia nello Stato se esso non sarà governato dai filosofi. Anche per Platone, infatti, il tema della giustizia (e, dunque, del bene) innerva tutta la speculazione, e la vita. Testimonianza del suo concreto impegno etico-politico sono i viaggi che egli compì a Siracusa, dove era allora tiranno Dionisio il Vecchio, nel tentativo di attuare là, insieme all’amico Dione, una riforma dello Stato. Il tentativo falli: Dione fu poi ucciso, e anche Platone rischiò la vita. In Italia il filosofo conobbe bene i circoli pitagorici, poi visitò Creta, l’Egitto e altri paesi. Nel 387 fondò in Atene la sua scuola, che si chiamò Accademia (dal nome del parco in cui si trovava, dedicato all’eroe Academo) e in Atene morì, nel 348. Le sue opere, quasi tutte in forma dialogica, in numero circa di trenta, costituiscono il corpus di gran lunga più importante della intera storia dei pensiero e uno dei massimi monumenti letterari dell’umanità. 2   Il significato religioso dell’orfismo e, poi, del pitagorismo che ne ha raccolto molti elementi, è indiscutibile: basti pensare all’idea del corpo come tomba dell’anima, imprigionata in esso e bisognosa di liberazione per tornare alla sua sede celeste, o a quel concetto di trasmigrazione delle anime attraverso vari corpi (metempsicosi) che troviamo ancora nell’induismo. Non li prendiamo però specificatamente in esame per due motivi. Il primo e fondamentale è che essi non configurano una mistica nel senso forte in cui intendiamo il concetto, ovvero come esperienza di unità; il secondo è che ne abbiamo conoscenza assai imprecisa, quasi sempre affidata a scrittori e testi molto posteriori (se non a Platone stesso), suggestivi ma poco affidabili. 3   Ci riferiamo in particolare ai dialoghi cosiddetti dialettici: Teeteto, Parmenide, Sofista, Politico, cui dovremo accennare più avanti. 4  Cfr. VII Lettera 341c-e. 5   Lo sostiene, tra i molti altri, anche S. Weil: cfr. ancora il suo La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., pp. 45 sg. 6  Cfr Convito 202e-203a. 7  Cfr. Convito 203b-204c. 8  Cfr Convito 206b-209e. 9  Cfr. Convito 210c. 10  Cfr. Convito 210d. 11   Ibid. 12  Cfr Convito 211c. 13  Cfr. Convito 210e. 14  Cfr. Convito 211d. 15  Cfr. Convito 211e-212a. 16   Ibid. 17  Cfr. Repubblica VI, 509b. 18  Cfr Convito 205e. 19   Anche nella VII Lettera (341d) Platone parla dell’«improvviso» brillare nell’anima della verità, «come la fiamma brilla dalla scintilla e di se stessa in seguito si nutre», quando si ha lunga familiarità con i problemi della filosofia, vivendo con essi. Perciò non ha senso parlare o scrivere di tali problemi, come si fa invece per le altre scienze. 20  Cfr. Teeteto 176. Conviene rileggere tutto il brano, che è uno dei più belli e profondi della spiritualità platonica: «Non è possibile che il male scompaia,



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giacché è necessario che ci sia sempre qualcosa di più o meno contrario al bene. E questo qualcosa non può avere la sua sede tra gli dèi, ma è necessario che circoli in mezzo alla natura mortale, in questo mondo. Per questo motivo bisogna sforzarsi di fuggire di quaggiù il più presto possibile. Questa fuga è il diventare simile a Dio in tutta la misura del possibile. Questo diventare simili significa diventare giusto e santo con l’aiuto della ragione. Ma, mio caro, non è facile persuadere la gente che bisogna fuggire il vizio e cercare la virtù per un motivo diverso da quello dell’uomo comune, che non vuole parere cattivo, vuole parere virtuoso. Queste sono ciance da vecchie, direi. Ma la ragione vera è che mai, in nessun modo, Dio è ingiusto. Egli è giusto in sommo grado, e non c’è nulla di più simile a lui di colui fra noi che è il più giusto possibile. La conoscenza di ciò è la salvezza e la vera virtù. Ignorare questo significa essere stupidi e vili. Le altre abilità apparenti, gli altri saperi, che concernono la politica, la potenza, la tecnica, sono grossolani e mercenari. Quanto a quelli che commettono ingiustizie, le cui parole o azioni sono empie, è meglio non ammettere che possano essere abili per la loro malvagità. Infatti i rimproveri li fanno esultare, e credono di essere considerati non come esseri vuoti, inutile peso alla terra [cfr. Iliade XVIII, 104], ma come esseri virili, quali si deve essere per restare sani e salvi nello stato. Bisogna dire la verità: essi sono quello che non credono di essere, quanto più credono di non esserlo. Infatti ignorano il castigo dell’ingiustizia, che è invece la cosa che meno bisogna ignorare al mondo. Esso non è quello che credono – la morte o le percosse, che a volte gli ingiusti non subiscono – ma un altro castigo, al quale è impossibile sfuggire. Ci sono nella realtà due modelli, l’uno divino e beato, l’altro privo di Dio e miserabile. Essi non vedono che è così. La loro stupidità, la loro estrema ignoranza impediscono loro di vedere che sono simili al secondo e diversi dal primo a causa delle loro azioni ingiuste. Sono puniti dal fatto stesso di vivere quella vita che si accorda con il modello cui assomigliano». 21   Fedone 64a-67d. 22   Platone stesso, per esempio nel Gorgia (493a) o nel Cratilo (400c), ci informa che è antica dottrina orfico-pitagorica essere il «corpo» (sóma) «tomba» (séma) dell’anima. Il pitagorico Filolao dice: «Sappiamo per la testimonianza degli antichi teologi e poeti che l’anima è legata al corpo per effetto di un castigo e come sepolta in questa tomba» (DK, 44 B 14). 23  Cfr Fedone 67b. 24   L’opera ormai classica in proposito è quella di W. Burkert, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1972. Si noti che le fonti posteriori, come per esempio Porfirio nella sua Vita di Pitagora, non comprendevano più il senso di tale repertorio magico-ritualistico. 25   Sofista 230. 26  Cfr Sofista 253b-259b. 27  Nel Politico (284b) si dirà apertamente: «Nel Sofista abbiamo costretto il nonessere a essere, dal momento che solo per questa via il nostro ragionamento poteva avere una soluzione». Cfr. in proposito il saggio di W. Beierwaltes, Il «non essere è» in Platone, in AA.VV., Identità e differenza, Vita e Pensiero, Milano 1989, pp. 38-52. 28   Del resto il significato dei biblico Ego sum qui sum di Es 3, 14 non è altro che l’affermazione della libera volontà del Signore onnipotente. Cfr. in proposito W. Beierwaltes, Platonismo e idealismo, il Mulino, Bologna 1972, pp. 16-18. 29   Cfr. in proposito il celebre passo del Fedro (274), in cui l’invenzione della scrittura a opera del mitico Theuth, dio egizio, viene valutata negativamente dal

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re Thamus, giacché i segni esteriori dispenseranno dallo sforzo interiore, e dunque si produrrà negli uomini non la vera sapienza, ma la presunzione. 30   Abbiamo di proposito accostato alle due frasi platoniche, già citate, l’ultima di Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus 6.432), per evidenziare in anticipo corrispondenze che vanno ben oltre le influenze storico-culturali e attengono invece a profonde affinità di pensiero. 31  Cfr. Repubblica VII, 514a-516c. 32  Cfr. Repubblica VI, 509d sgg.; VII, 533e sgg. Partendo dall’opinione, prodotta dalla sensazione, giungiamo per gradi al sapere, di cui la dialettica è la parte superiore e conclusiva, distaccandoci sempre più dal sensibile. In questo contesto la matematica svolge un ruolo propedeutico alla dialettica, in cui ci si muove ormai tra idee pure, prive di ogni riferimento al sensibile. 33   Repubblica VI, 492a-493a. Platone è qui, come spesso nelle altre opere, critico feroce del sociale, che vede tutto quanto sottomesso alla legge della forza, ovvero dell’ingiustizia. «Non c’è, non c’è mai stato, non ci sarà mai nessun insegnamento concernente la morale che non sia quello della moltitudine. Almeno nessun insegnamento umano: giacché, per ciò che è divino bisogna, secondo il proverbio, fare eccezione. Questo bisogna saperlo bene. Chiunque si salva e diviene quel che deve essere finché le città hanno una tale struttura [democratica], colui, se si vuoi parlare correttamente, bisogna dire che si salva per effetto di una divina sorte» (theoú móiran). Tutta la Repubblica ha come tema di fondo la giustizia e parte dalla constatazione della naturale iniquità dell’uomo: si legga ii racconto dell’anello di Gige (II, 359-362) e la straordinaria descrizione della sorte del giusto, che finirà torturato e crocifisso dalla maggioranza degli iniqui – una pagina che colpì i primi filosofi cristiani. 34   Ricordiamo il bellissimo frammento (DK, B 10): «[…] da tutte le cose l’Uno e dall’Uno tutte le cose». Cfr. in proposito M.C. Stokes, One and Many in Presocratic Philosophy, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1971. 35   Cfr. soprattutto Aristosseno (Elementi di armonia II, 39-40): «Come Aristotele soleva sempre raccontare, questa era l’impressione che provava la maggior parte di coloro che ascoltavano il corso di Platone Sul bene. Infatti ciascuno vi era andato pensando di poter apprendere uno di quelli che sono considerati beni umani, come la ricchezza, la salute e la forza e, in generale, una meravigliosa felicità. Ma quando risultò che i discorsi vertevano intorno a cose matematiche, numeri, geometria e astronomia, e, da ultimo, si sosteneva che il Bene è l’Uno, io credo che questo sia sembrato qualcosa del tutto paradossale». Anche Simplicio, nel suo Commento alla Fisica di Aristotele (Diels, 6-13, 22-30), afferma che Platone diceva essere principio di tutte le cose l’Uno e la dualità indeterminata, e che tale opinione, espressa nei suoi discorsi Sul Bene, fu ascoltata da Aristotele, da Speusippo e da Senocrate, e da loro messa per iscritto. In effetti Platone stesso (Filebo 16b) scrive: «Gli antichi, migliori di noi e che vivevano più vicini agli dèi, ci hanno trasmesso questa tradizione: le cose che si dicono eterne procedono dall’Uno e dal molteplice e hanno innato in loro il limite e l’illimitato»; ma Simplicio afferma: «Platone disse che l’Uno e la dualità indeterminata sono principi anche nell’ambito delle cose sensibili» (ibid.). Che il limite rimandi all’illimitato e che l’Uno determini anche la pluralità, il numero, e dunque il due, è evidente in tutta la dialettica platonica. 36   G. Reale, nel saggio L’«henologia» nella Repubblica di Platone: suoi presupposti e sue conseguenze (in AA.VV., L’Uno e i molti, a cura di V. Melchiorre, Vita e Pen-



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siero, Milano 1990, pp. 113-53) mostra come il pensiero dell’Uno (la henologia, appunto) in Platone sia ben diverso dal monismo o dal panteismo (anche S. Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., p. 69, nota come «non si può essere più lontani di Platone dal panteismo, dal mettere Dio nel mondo»). La concezione neoplatonica dell’Uno, legittimo frutto del platonismo, si pone non solo al disopra delle affermazioni, ma anche delle negazioni, e presenta perciò una dottrina della trascendenza assai più radicale di quella espressa dalla «sostanza separata» di Aristotele. Lo studioso milanese rileva come sia stato proprio Aristotele ad assorbire per intero la problematica dell’Uno in quella dell’essere, negando la trascendenza dell’Uno rispetto all’essere e costruendo così la metafisica come «scienza dell’essere in quanto essere». La consacrazione dell’aristotelismo nel Medioevo, soprattutto attraverso Tommaso d’Aquino, ha fatto sì che l’Occidente pensasse il paradigma aristotelico come paradigma metafisico per eccellenza, suscitando la condanna heideggeriana della metafisica quale «oblio dell’essere», ma tutto ciò non tocca affatto «il neoplatonismo, e ben prima Platone stesso, che miravano proprio a ciò che Heidegger riteneva dimenticato dalla filosofia occidentale, e lo raggiungevano in modo ben preciso» (ibid., pp. 114-18). 37  Cfr. Repubblica VII, 534b. All’interpretazione e al commento di questo passo è dedicato lo studio di H. Krämer, Dialettica e definizione del bene in Platone, Vita e Pensiero, Milano 1989, con Introduzione di G. Reale, cui rimandiamo per un approfondimento. 38  Il termine greco apháiresis, derivato dal verbo aphairéo (cfr. il participio aphelón evidenziato nel testo), è di cruciale importanza nella mistica, soprattutto in Plotino, come si vedrà. Esso indica l’atto di rimuovere, toglier via, che i latini resero alla lettera con abstractio, «astrazione», in quanto essa è l’operazione che rimuove i particolari e coglie così l’universale (come, per esempio, togliendo tutti i particolari accidentali dai vari uomini si va alla essenza universale «uomo»). 39   DK, B 45: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, potresti mai trovare i confini dell’anima; tanto profondo è il suo lógos». 40  Cfr. Fedro 246a-254a. 41  Cfr. Fedro 247c. Si noti la corrispondenza con Convito 211c-d. Si noti anche l’insistenza sul noũs che è guida (kybernétes, ovvero, alla lettera, «timoniere», «pilota») dell’anima: tutti temi destinati a grande fortuna. 42  Cfr Fedro 248b. 43  Cfr. Fedro 250a. 44   «Ed ecco, per tornare al nostro proposito, il punto al quale mira tutto il ragionamento sulla quarta forma di follia divina [che è appunto l’Amore, accanto alla facoltà di predire il futuro, alla creazione delle iniziazioni religiose, al genio poetico]. Allorché un uomo, vedendo la bellezza di quaggiù e rammentandosi della vera bellezza, metta le ali e desideri, così alato, di levarsi in volo e s’accorga di non poterlo fare e, come un uccello, guardi in alto e trascuri le cose terrene, costui si acquista fama di folle. Ebbene, io dico che di tutte le forme di divina follia questa è la più alta e derivante dalle più alte sorgenti, così per chi la possiede, come per chi ne partecipa» (Fedro 249d). 45   Fedro 253a. Non occorre sottolineare la rilevanza di questo passo, dal quale appare chiara la potenza di Amore nel rendere simile all’amato, soprattutto là dove l’amato è Dio – sia che si tratti delle divinità dei culti misterici, sia che si tratti di Zeus, sommo dio, di cui qui si parla. 46   Repubblica X, 621.

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 Cfr. Repubblica II, 379a.   «Dio ha voluto che tutto fosse buono, che nessuna cosa fosse sprovvista del valore che le è proprio. Così ha preso tutto quel che c’era di visibile, allorché tutto ciò era senza riposo, perennemente in un movimento senza ritmo e senz’ordine. E tutto ciò ha portato dal disordine all’ordine, ritenendo che l’ordine sia assolutamente migliore del disordine» (Timeo 29d). 49   «L’essere più perfetto non ha avuto e non ha licenza di fare altra cosa che la più bella. Riflettendo, egli si accorse che, tra le cose visibili, un universo senza intelligenza non poteva in alcun modo essere più bello di un universo in cui ci fosse una intelligenza. È impossibile che l’intelligenza esista in qualche luogo senza l’anima. Perciò egli costruì l’universo mediante l’unione di un’intelligenza con un’anima e di un’anima con un corpo, per compiere una cosa che fosse per essenza l’opera perfettamente bella. Così bisogna dire, secondo verosimiglianza, che questo mondo è nato dotato in verità di un’anima e di un’intelligenza, grazie alla provvidenza di Dio» (Timeo 30c). 50   «Quando il padre, che aveva generato questo universo, lo pensò mosso e divenuto immagine vivente degli dèi eterni, se ne compiacque e, oltremodo lieto, pensò di renderlo ancor più simile al modello. E, siccome quello è un vivente eterno, così prese a rendere anche questo universo, per quanto possibile, tale. Sennonché quel vivente è di sua natura eterno, e questo carattere non poteva esser conferito del tutto a ciò che è generato. Pensò dunque di fare un’immagine mobile dell’eternità e, ordinando il cielo, fece dell’eternità, che rimane sempre una, un’immagine eternale, che procede secondo la legge del numero – quello, appunto, che abbiamo chiamato tempo. Giacché i giorni, i mesi, gli anni, che non erano prima che fosse nato il cielo, mentre questo si veniva costituendo, egli fece sì che nascessero insieme con il cielo. Orbene, tutte queste cose sono parti di tempo; e l’«era» e il «sarà» sono forme generate di tempo, che noi senza accorgercene riferiamo all’essenza eterna, ma non certo a ragione. Diciamo infatti che essa era, è e sarà; mentre, a voler parlare secondo verità, a lei non s’addice che l’è, e l’era e il sarà convien che si dicano della generazione procedente nel tempo. Perché questi due sono movimenti, mentre a ciò che è sempre immutabile non si addice di divenire con il tempo né più vecchio né più giovane, né esserlo mai divenuto, né poterlo divenire ora, né poter esser tale in avvenire, come non gli si addice nessun’altra cosa di quelle che la generazione attribuisce a ciò che si muove nel sensibile. Queste sono forme nate con il tempo, che imita l’eternità e si muove circolarmente secondo rapporti numerici» (Timeo 38a). 51   Aristotele nacque a Stagira, sulla costa nord-ovest della penisola calcidica, nel 384 a.C. Il padre, Nicomaco, era medico alla corte macedone. Trasferitosi ad Atene quando aveva circa diciassette anni, entrò alla scuola di Platone, ove rimase fino alla morte del maestro. Dopo soggiorni in Asia Minore e a Lesbo, fece ritorno in Macedonia, incaricato dal re Filippo di educare il figlio Alessandro, che sarà poi Alessandro Magno. Nel 335 tornò ad Atene, ove apri la sua scuola, detta Liceo perché ubicata in edifici un tempo dedicati ad Apollo Licio. Nel 323, alla morte di Alessandro, quando in Atene prese il sopravvento il partito antimacedone, il filosofo abbandonò la città e morì l’anno dopo a Calcide. Le sue opere, pervenuteci fortunosamente e solo in parte (sono perdute tutte quelle destinate alla pubblicazione, mentre ci sono rimasti quelli che possiamo considerare i suoi corsi di lezioni), costituiscono un corpus impressionante per ampiezza e profondità, che ha lasciato un’impronta incancellabile nella storia dell’umanità – dalla 47 48



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logica alla fisica, dalla biologia alla psicologia, dalla metafisica all’etica, dalla politica alla poetica. 52  Dante, Inferno IV, 131. 53  Cfr. De anima I, 403a. È evidente perciò che non hanno alcun vero valore conoscitivo – ovvero sono sempre condizionate – le presunte «visioni». 54  Cfr. De anima III, 429b. In precedenza (De anima II, 413b) aveva scritto che «l’intelletto sembra un genere d’anima diverso, e che esso solo è separato, come l’eterno dal corruttibile». 55  Cfr. De anima III, 430a. 56  Cfr. De generatione animalium 736b: «Solo l’intelletto giunge dall’esterno, ed è divino». 57  Cfr. Metafisica XII, 1072a-1075b. 58  Cfr. Metafisica XII, 1074b-1075a. La questione se l’intelletto di Dio proceda dal suo essere o viceversa appassionò i filosofi e i teologi medievali. Meister Eckhart, discutendo proprio il terzo libro del De anima di Aristotele, dimostra che Dio è essere o ente in quanto intelletto, giacché l’intelletto precede sempre l’essere: cfr. le due «Questioni parigine», Se in Dio siano lo stesso l’essere e il pensare e Se il pensiero dell’angelo, in quanto esprime un’azione, sia il suo essere, in M. Vannini, Introduzione a Eckhart, cit., pp. 111-34. 59  Cfr. Metafisica XII, 1072b. 60   Il grande valore spirituale e mistico del pensiero di Dante non va cercato nell’esoterismo, magari dei cosiddetti «fedeli d’amore» (peraltro non è detto che esso non vi sia), ma direttamente e apertamente nelle sue opere, dal Convivio alla Commedia, ove il poeta mostra di aver ben compreso il senso profondo, aristotelico, di una vita divina nell’intelletto. Su Eckhart e Giovanni della Croce cfr., più avanti, i capp. relativi. 61  Cfr. Metafisica XII, 1074b-1075a. Le stesse affermazioni si trovano anche in De Anima III, 4304 e in Metafisica VII, 1032a-b. 62   Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea IV, 1123b. Si noti che il concetto di «virtù» (areté) qui presente è sempre quello della eccellenza omerica, che i Greci non abbandonarono in tutta la loro storia. Si noti anche che Aristotele considera dovuto a «qualche causa divina» (diá tinás théias aitías) quei dono della natura per cui si è buoni, anche se è necessario l’insegnamento, l’educazione alla virtù stessa (Etica Nicomachea X, 1179). 63  Cfr. Etica Nicomachea IV, 1124b-1125a. 64  «Theión ti en autó hypárkei» scrive Aristotele nell’Etica Nicomachea X, 1177b. Conoscenza di se stessi e conoscenza di Dio sono, ancora una volta, una sola e medesima conoscenza, secondo il ben noto precetto dell’Apollo delfico. 65   Etica Nicomachea X, 1178a. 66   Ibid. 67  Cfr. Etica Nicomachea X, 1179a. Hósper dokéi, «come sembra», o «come si crede comunemente»: il filosofo mostra qui rispetto per le dóxai ton sofón, le «opinioni dei sapienti» tradizionali, che «si accordano con gli argomenti razionali» (symphonéin tóis lógois). 68   Sottolineiamo che Aristotele utilizza qui l’aggettivo synghenés, «congenere», perfettamente in linea con il Convito platonico. 69  Cfr. Etica Nicomachea X, 1179a.

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III. Il neoplatonismo 1   Sullo stoicismo cfr. la magistrale opera di M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, La Nuova Italia, Firenze 1967. Più in particolare, sulla trasmissione dell’importantissimo concetto di apex mentis, lo studio di E. von Ivànka, Apex mentis. Wanderung und Wandlung eines stoischen Terminus, in «Zeitschrift für katholische Theologie» 1, 1960, pp. 129-76 (poi in Platonismo cristiano, Vita e Pensiero, Milano 1992). Cfr. comunque più avanti, pp. 142-44. 2   Nato a Licopoli, in Egitto, nel 205 d.C., Plotino frequentò la scuola del neoplatonico Ammonio Sacca, che fu maestro anche di Origene, ad Alessandria, allora grande crocevia di culture, e lì rimase fin quasi al quarantesimo anno. Si unì poi alla spedizione dell’imperatore Gordiano III contro i Parti, al fine di conoscere da vicino «la filosofia che si professava tra i Persiani e si onorava tra gli Indiani». Sconfitto l’imperatore, Plotino si salvò con la fuga, fermandosi poi per un certo periodo ad Antiochia. Infine passò a Roma, dove fondò la sua scuola, che ebbe grande seguito. Verso il 265 chiese all’imperatore Gallieno che gli fosse donato un borgo distrutto in Campania, per fondarvi una sorta di città di filosofi, di ispirazione platonica, che doveva chiamarsi Platonopoli, ma il progetto non andò avanti per l’invidia dei cortigiani. All’età di sessantasei anni, malato, il filosofo si ritirò nella villa di un amico vicino a Minturno, in Campania, ove morì. Le sue ultime parole furono: «Mi sforzo di far risalire il divino che è in me al divino che è nell’universo». 3   Il discepolo Porfirio, secondo quanto egli stesso racconta nella Vita di Plotino 24, fu incaricato dal maestro di ordinare e correggere le sue opere. Sistemò così i trattati plotiniani secondo un ordine non cronologico ma tematico, creando un corpus di sei Enneadi (ovvero un insieme, ciascuno, di nove scritti). Opera di lettura non sempre agevole, resa a volte complicata da ripetizioni, ritorni sullo stesso argomento, digressioni, ecc., frutto soprattutto di lezioni e commenti a testi platonici, le Enneadi sono comunque uno dei testi fondamentali della classicità e della storia della spiritualità. Rimaste a lungo ignorate in Occidente, ricomparvero nella cultura europea dopo la traduzione latina di Marsilio Ficino (Firenze 1493), ma il pieno riconoscimento del loro valore si ha solo dopo l’idealismo tedesco. Attualmente sono disponibili in italiano in tre versioni: quella di V. Cilento (Laterza, Bari 1947-1950); quella di G. Faggin (Rusconi, Milano 1992; il medesimo studioso vicentino aveva già pubblicato la traduzione delle prime tre Enneadi a Milano nel 1947-1948); quella di M. Casaglia et al. (UTET, Torino 1997). 4   Enneadi V, 1, 8. 5   Per un panorama del periodo, sempre interessante l’opera di C. Dodds, Pagani e cristiani in un’epoca di angoscia, La Nuova Italia, Firenze 1959. 6   Esso è la «regione della dissomiglianza», come la chiama Plotino (cfr. Enneadi I, 8, 13), probabilmente sulla base di un passo del Politico di Platone (273d) ove si parla della barca del mondo pronta a naufragare. Plotino deve aver conosciuto il testo in cui la lezione pónton («mare») era stata rimpiazzata da tópon («luogo»). L’espressione diventa poi celebre con Agostino: «Mi sono trovato lontano da te, nella regione della dissomiglianza» (Confessioni VII, 10). 7   Àfele pànta, «distàccati da tutto», insegna Plotino (Enneadi V, 3, 17). 8   L’immagine da Plotino (Enneadi I, 6, 9; ma forse da Platone, Fedro 252d e 254b) passa a Dionigi Areopagita (Teologia mistica 1025b) e da lui al mondo medievale. (Ma l’aveva ripresa anche Gregorio di Nissa, Sulle iscrizioni dei Salmi



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II, 11). Nel Rinascimento fu cara a Michelangelo, che deve averla conosciuta nell’ambiente dei platonici fiorentini. Un suo sonetto inizia così: «Non ha l’ottimo artista alcun concetto / ch’un marmo solo in sé non circonscriva / con il suo soverchio, e solo a quello arriva / la man, che ubbidisce all’intelletto». 9   La traduzione del greco noũs non è semplice. Marsilio Ficino lo rese con il latino intellectus; i traduttori italiani oscillano tra «intelligenza» (Faggin), «spirito» (Cilento), «intelletto» (Casaglia); i tedeschi lo traducono con Geist, «spirito», parola che ha però un forte significato intellettuale nella lingua germanica; anche i francesi scelgono talvolta esprit (Trouillard), talvolta intelligence (Bréhier). Ci sembra che per Anassagora o Aristotele la traduzione «intelletto» sia più corretta, ma per Plotino – che scrive peraltro molti secoli dopo, in epoca cristiana – «spirito» sia più felice. 10   Enneadi V, 3, 5. 11   Enneadi V, 3, 17. 12   Enneadi VI, 9, 7. 13   Enneadi III, 8, 10. 14   Enneadi VI, 7, 32. 15   Enneadi III, 9, 4. W. Beierwaites (Reflexion und Einung. Zur Mystik Plotins, in AA.VV., Grundfragen der Mystik, cit., pp. 9-36) sottolinea la dialettica sempre presente in Plotino. 16   Cfr. per esempio Enneadi VI, 9, 9; V, 8, 11. 17   «Fuggiamo verso la cara patria» scrive per esempio Plotino (Enneadi I, 6, 8) citando Omero (Iliade II, 140). Nello stesso passo il viaggio di ritorno di Odisseo viene interpretato come ritorno all’Uno. 18   Enneadi VI, 9, 11. 19   Enneadi VI, 9, 7. 20   Cfr. per esempio Enneadi I, 17, 71; IV, 4, 14, 16 sgg. Il vero «noi» è la «parte signora dell’anima» (kýrion tes psychés), ovvero ciò che è davvero l’anima, mediazione sostanziale tra coscienza sensibile e pensiero puro (cfr. Enneadi V, 3, 3; IV, 7, 1; IV 4, 18). Cfr. in proposito W. Beierwaltes, Reflexion und Einung. Zur Mystik Plotins, cit., p. 13 nota 15. 21  Cfr. Enneadi V, 1, 10; 1, 1, 7. 22  Cfr. Enneadi III, 1, 4. 23  Cfr. Enneadi V, 3, 4. Siamo sempre debitori a W. Beierwaltes (Reflexion und Einung. Zur Mystik Plotins, cit.) di queste preziose indicazioni. 24   Enneadi IV, 2, 24. 25   Cfr. W. Beierwaltes, Reflexion und Einung. Zur Mystik Plotins, cit., p. 16. 26   Cfr. Porfirio, Vita di Plotino 23. 27   Enneadi VI, 7, 34; VI, 8, 15. 28   W. Beierwaltes (Reflexion und Einung. Zur Mystik Plotins, cit., pp. 9-10) nota opportunamente che la questione se la mistica plotiniana sia monistica, teistica, panteistica, ecc. è piuttosto oziosa, vista la scarsa precisione di questi termini, che difficilmente rendono la complessità della problematica. A ogni modo è chiaro che ogni forma di mistica, in quanto presuppone il diventare uno con il Principio, con l’origine del tutto, ovvero dell’essere, è perciò monistica. Si può aggiungere che, in genere, quella di monismo o panteismo è un’accusa che viene portata da quegli autori, cristiani o non, che vogliono difendere determinate auctoritates. A loro si può ripetere quello che Leibniz scriveva a Malebranche: «Tutti coloro che aderiscono incondizionatamente alle opinioni di qualche autorità, sono come

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schiavi e sospetti di errore» (G.W. Leibniz, Scritti filosofici, a cura di D.O. Bianco, UTET, Torino 1967, p. 53). 29   Abbiamo ripreso qui alcuni passi del testo da noi scritto per il corso di filosofia di S. Moravia, Filosofia I, Le Monnier, Firenze 1990, pp. 458-65. 30   Paradiso XXXIII, 124 sgg. 31   Cfr. Porfirio, Vita di Plotino 9. 32   Porfirio, Vita di Plotino 23, dopo che l’autore ha riportato il lungo oracolo di Apollo che descrive Plotino come uomo divino e beato. 33   Enneadi VI, 9, 7. 34   Cfr. per esempio Enneadi II, 9, ovvero quel trattato Contro gli gnostici che Porfirio stesso (Vita di Plotino 16) testimonia essere rivolto contro i cristiani, nonché contro tutti i settari e sostenitori di apocalissi varie. Esso rappresenta una delle più belle e fiere proteste della ragione contro il soggettivismo religioso, contro il sentimentalismo, che introduceva potenze fantastiche, riti magici, libri sacri, ecc. per i bisogni della salvezza individuale. Questa è per Plotino mancanza di tenuta intellettuale, ma soprattutto morale. Significa cercare non il bello e la virtù, ma il piacere, di cui la salvezza è stretta parente; non avere nessuna dottrina della virtù; ignorare le considerazioni degli antichi, così numerose e così belle; non indicare come si acquista la virtù, come la si possiede, come si purificano e guariscono le anime. Ma è del tutto superfluo dire «rivolgetevi a Dio», se non si insegnano i modi di questo rivolgersi, come se si potesse farlo senza astenersi dai piaceri, restando dominati dalle passioni. Conclude qui Plotino: «La virtù giunta a compimento e vivente nell’anima, insieme con la saggezza, mostrano Dio: senza la vera virtù, Dio è un mero nome». 35   Ancora Porfirio – uomo del lógos, non sospetto di superstizioni – ci informa che, quando un sacerdote egizio volle evocare il demone di Plotino, apparve invece un dio. «Plotino infatti era assistito da uno di quei demoni che sono più vicini agli dèi e a lui si rivolgeva continuamente il suo occhio divino» (Vita di Plotino 10). Ancor più significativo l’episodio narrato nello stesso passo. Invitato da un amico a una cerimonia religiosa, Plotino gli disse: «Devono essi [gli dèi] venire a me, e non io a loro». 36   La citiamo d’ora innanzi nella edizione a cura di E. des Places: Porphyre, Vie de Pythagore. Lettre à Marcella, Les Belles Lettres, Paris 1982. 37   Cfr. Porphyre, Vie de Pythagore. Lettre à Marcella, cit., pp. 111-19. Questo è uno dei punti essenziali della polemica dei pagani contro i cristiani. Un secolo prima, Celso aveva scritto nel suo Discorso vero: «Una dottrina va accettata seguendo la ragione e una guida razionale, perché resta in ogni caso ingannato chi dà il proprio assenso a qualcosa in modo diverso […] Taluni, non volendo dare o ricevere conto dell’oggetto della loro fede, ricorrono a frasi come: “Non indagare, ma abbi fede”, oppure: “La tua fede ti salverà”, o ancora: “La sapienza in questa vita è un male, la follia un bene”» (Celso, Discorso vero, a cura di G. Lanata, Adelphi, Milano 1987, p. 158). 38   Porphyre, Vie de Pythagire. Lettre à Marcella, cit., pp. 119-20. 39   Cfr. per esempio il par. 16 (ibid., p. 115), dove si afferma che è Dio a sostenere l’uomo quando agisce bene. 40  Agostino, La città di Dio X, 29. 41   Porphyre, Vie de Pythagore. Lettre à Marcella, cit., pp. 120-21. 42   Così la chiama G. Faggin, cui dobbiamo anche una bella edizione del testo:



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Porfirio, Lettera ad Anebo. Lettera a Marcella, Fussi-Sansoni, Firenze s.d. (1954), poi Lettera a Marcella. Il testamento morale dell’antichità, Il Basilisco, Genova 1982. 43   Cfr. Proclo, I manuali, a cura di C. Faraggiana di Sarzana, con amplissimo saggio introduttivo di G. Reale, Rusconi, Milano 1985. La Vita di Proclo di Marino, che successe al maestro nello scolarcato dell’Accademia, è in effetti un’orazione celebrativa, composta secondo i canoni retorici del tempo, e ha probabilmente anche un fine apologetico del paganesimo di fronte al cristianesimo ormai prevalente, ma ciò nulla toglie alla sua precisa funzione biografica. 44   Cfr. in proposito W. Beierwaltes, Der Begriff des «Unum in nobis» bei Proklos, in Die Metaphysik im Mittelalter, Ihre Ursprung und ihre Bedeutung, De Gruyter, Berlin 1963, pp. 255 sgg.; cfr. anche Proklos. Grundzüge seiner Metaphysik, Klostermann, Frankfurt a.M., 1965, pp. 367 sgg. 45   De decem dubitationibus, q. 10, 64. 46   I, 777, ed. Kroll, Teubner, Leipzig 1899. Cfr. in proposito quanto scrive E. Brunner nel suo Une comparaison entre Proclus et l’advaita, in «Studia Philosophica», 1975 (comparso in italiano in «Simplegadi. Rivista di filosofia orientale e comparata», 2, 2, 1997, Padova, pp. 50-76). 47   Cfr. Platone, Repubblica X, 611c-d. 48  Cfr. Commentary on the First Alcibiades of Plato, L.G. Westerink, Nijoff, L’Aia 1954, p. 224. 49   Proclo, Teologia platonica I, 3, ed. Saffrey-Westerink, Les Belles Lettres, Paris 1968, p. 16. 50   Proclo, Commentario al Parmenide, Cousin, Paris 1864. col. 1071, 30-37. 51   Nato nel 251 in Siria, discepolo di Porfirio a Roma dopo il 270, morto in Siria verso il 325, Giamblico rappresenta il primo e più interessante tentativo di trasformare il neoplatonismo in una religione vera e propria, assumendo come testo sacro i cosiddetti Oracoli caldaici, raccolta anonima di testi magici e teurgici (cfr. la ed. a cura di E. des Places, Les Belles Lettres, Paris 1971). Naturalmente in questo tentativo viene a mancare lo spirito chiaro e puro di Plotino, sommerso dal sincretismo e dalle fumisterie orientali, ma ciò non toglie che in Giamblico vi siano importanti spunti mistico-filosofici. Egli è comunque un punto di passaggio essenziale tra Plotino e Proclo. 52   Proclo, Commentario al Timeo, ed. Diehl, Teubner, Leipzig 1903, vol. 1, pp. 209-10. 53   Cfr. la splendida immagine nelle Enneadi VI, 9, 8. Ne è forse un’eco lontana la danza dei beati intorno a Dio nel Paradiso di Dante. 54   Lo si vede perfettamente nella mistica speculativa germanica di Eckhart e Taulero, ai quali erano note ormai anche le opere di Proclo. Cfr. più avanti, capp. VI e VII. 55   Cfr. G. Taulero, I sermoni, a cura di M. Vannini, Edizioni Paoline, Milano 1997, pp. 567 sg. 56   Si tratta del De malorum subsistentia; De providentia et fato et eo quod in nobis; De decem dubitationibus circa providentiam. Essi ci sono noti solo in questa traduzione latina. È importante evidenziare che fu grazie a Guglielmo che il confratello Tommaso d’Aquino comprese che il Liber de causis non era di Aristotele, come fino ad allora si era creduto. 57   Cfr. in proposito W. Beierwaltes, Hegel e Proclo, in Platonismo e idealismo, cit., pp. 171-206.

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Parte seconda. Il cristianesimo IV. Gli inizi 1   Secondo una leggenda che trovò molto credito, tale versione fu eseguita in modo miracolosamente uniforme da settantadue anziani, sei per ogni tribù di Israele, giunti in Alessandria per invito del re, desideroso di avere una copia della Legge di Mosè per la sua celebre Biblioteca. Chiamata perciò dei «Settanta», tale versione divenne la redazione fondamentale del testo sacro. 2   Quanto la concezione teologico-religiosa ebraica dipenda dalle tradizioni delle tribù cananee (tanto esecrate proprio perché tanto vicine) si può vedere nel lavoro di P. Xella, Gli antenati di Dio. Divinità e miti della tradizione di Canaan, Essedue, Verona 1982. Cfr. anche R. Graves e R. Patai, I miti ebraici, Longanesi, Milano 1980. 3   Al detto rabbinico: «Maledetto sia chi a suo figlio insegna la sapienza greca!» (ove la sapienza greca non è altro che la libera ricerca intellettuale) fa riscontro il disprezzo che il mondo greco-romano – pensiamo soprattutto a Tacito – provò per gli Ebrei, questo piccolo e semisconosciuto popolo, cui Erodoto (che pure ha parlato di tutti i popoli mediterranei) non riserva neanche un cenno, tanto orgogliosamente chiuso da non volersi mescolare con gli altri. «Credat iudaeus Apella, non ego» scrive Orazio, per indicare proprio la differenza tra la superstizione e la razionalità (Satire I, 5). 4   Il giovane Hegel dedicò lunga meditazione al tema del rapporto tra ebraismo e mondo greco, lasciando nei suoi cosiddetti Scritti teologici giovanili pagine di straordinario rilievo in merito, soprattutto in Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, dove, all’inizio, riflette sulla figura di Abramo, in atteggiamento di ostilità verso tutto, e dunque in relazione di dominio verso tutto, perché non ama. Cfr. G.F.W. Hegel, Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1977, vol. 2, pp. 355 sgg. 5   Si ricordi, per contro, il rifiuto che Platone, nella VII Lettera come nel Fedro, oppone alla parola scritta, in quanto incapace di esprimere la verità (cfr. p. 57). 6   Che la menzogna abbia un carattere vitale, ovvero possa essere funzione essenziale di stimolo all’esistenza – proprio al contrario della verità, che disincanta – fu riflessione di Nietzsche. Il filosofo tedesco, paradossalmente, stima gli Ebrei il popolo più notevole della storia universale, proprio perché preferiscono la menzogna alla verità, mentre noi siamo ancora inguaribilmente platonici, ovvero persuasi che Dio è la verità, che la verità è Dio. Cfr. Nietzsche e gli ebrei, Giuntina, Firenze 2011. 7   Mi riferisco in particolare allo Zobar, o Libro dello splendore, probabilmente redatto in Spagna nel XII secolo, che è un miscuglio di commenti alla Scrittura, alla letteratura esegetica, cabbalistica e filosofica del tempo. Se si legge, per esempio, il capitolo «La dottrina teosofica dello Zohar» del volume di G. Scholem (Le grandi correnti della mistica ebraica, cit., pp. 283-335), si resta colpiti dalla complessità dell’impianto teologico del libro, in cui gli elementi filosofici (per esempio la concezione di Dio come En-Sof, ovvero Infinito) si mescolano alle più sbrigliate costruzioni fantastiche. 8   La definizione è di Numenio di Apamea, un platonico forse di origine ebraica, vissuto nella seconda metà del II secolo d.C. 9   Gv 10, 30. «Chi vede me, vede il Padre […] io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14, 9-10).



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10   La differenza dei «titoli cristologici» attribuiti a Gesù (per esempio maestro, messia, figlio dell’uomo, figlio di Dio, signore, Dio) si spiega con la diversa comprensione dei singoli evangelisti, ma anche con la cultura delle diverse comunità cristiane: è evidente, per esempio, che il concetto di messia non diceva assolutamente nulla ai Greci o ai Romani. Resta comunque il fatto che attribuire a un uomo il titolo divino è cosa assolutamente unica e incredibile. 11   Che questo sia il messaggio centrale del Vangelo è dato ormai condiviso dall’esegesi contemporanea. Cfr. in proposito J. Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento. La predicazione di Gesù, vol. 1, Paideia, Brescia 1976. 12   Questa, scrive lucidamente Hegel nella Prefazione alla sua Fenomenologia dello spirito (cfr. ed. cit., p. 19) è la novità che l’epoca moderna e la sua religione, ovvero il cristianesimo, hanno rispetto al mondo antico. Essa equivale infatti a enunciare l’Assoluto come spirito – che è poi il principio stesso della filosofia hegeliana. 13   Gv 14, 6: «Io sono la via, la verità e la vita». 14   Una probabile cronologia paolina fissa la vita dell’Apostolo tra l’inizio dell’era cristiana e il 58, presumibile data della sua morte a Roma. Entrato a far parte della comunità ecclesiale verso il 35, pochi anni dopo la morte di Gesù, Paolo è comunque il primo scrittore cristiano. La critica contemporanea è concorde nel rifiutare la paternità paolina delle Lettere ai Colossesi, agli Efesini, della Seconda lettera ai Tessalonicesi e delle cosiddette pastorali, che pure si possono considerare di ambito paolino. La Lettera agli Ebrei poi, non è neppure di tale ambito. Nella sterminata letteratura in merito, ci limitiamo qui a segnalare il libro di G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Cittadella Editrice, Assisi 1985. 15   F. Nietzsche, L’Anticristo 47. Cfr. comunque in proposito i capp. 42-48 dell’opera. Si noti che il discorso di Nietzsche non è frutto soltanto di una ostilità filosofica. Negli anni in cui egli scriveva, la filologia neotestamentaria stava cominciando a comprendere l’enorme iato tra la predicazione di Gesù (l’annuncio del Regno) e la gnosi paolina, che costruisce il «cristianesimo» come religione di redenzione (Dio salva l’umanità in Gesù morto e risorto): il libro di W. Wrede, Paulus, è del 1904. Che Paolo dipenda profondamente dall’escatologia giudaica del messia trascendente (per esempio da IV Esdra, Apocalisse di Baruc, Libro di Enoc) è un dato anch’esso acquisito dalla scienza storica. Si ricordi anche che amico di Nietzsche a Basilea era il teologo e storico delle origini cristiane Franz Overbeck. 16   «Il sacrificio della morte dà la spinta all’opinione che Dio sia un tiranno che chiede sacrifici. Questo è falso» scrive Hegel in diretta polemica contro la gnosi paolina, nelle sue Lezioni di Filosofia della Religione, Parte terza, cap. IV, 3ª sez. (ed. cit., vol. 2, p. 369). 17   Cfr. per esempio Rm 4, 13 sgg.; 6, 14; Gal 3, 13; 4, 5 sgg.; Col 2, 14. 18   Si legga, per esempio, l’impressionante inizio della Lettera ai Romani (1, 18-32) con il giudizio di condanna sul mondo pagano. Il «non giudicate» di Gesù (Mt 7, 1) è davvero molto lontano. 19   Come si è detto (cfr. Introduzione, p. 30) bhakti-marga, «via della devozione», è, nella Bhagavadgītā e nella storia delle religioni, il rapporto d’amore con un Dio personale. La parola deriva dalla radice sanscrita bhaj, che significa «rendere onore», «servire». 20   Cfr. per esempio 2 Cor 4, 16; Ef 4, 22-24; Col 3, 9-11. 21   L’antropologia paolina distingue nell’uomo carne, psiche, pnéuma (cfr. 1 Ts 5, 23). La carne e la psiche sono opposte allo spirito (cfr. per esempio 1 Cor 2, 14-

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15; Rm 8, 5-8 e 12-13). Su questo tema, vedi il cap. «Il Cristo di Paolo e il mondo greco», del mio Il Santo Spirito tra religione e mistica, Morcelliana, Brescia 2013. 22   Cfr. Fil 2, 5; 1 Cor 2, 16. 23   Gal 2, 20 recita: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me», affermando una sorta di sostituzione dell’io psicologico personale con l’io spirituale del Cristo. Gal 4, 19 parla di un «formarsi del Cristo in voi». 24   1 Cor 6, 17. 25   Sul primato della carità cfr. per esempio 1 Cor 13, 1-13; Col 3, 14. 26   Si legga l’impressionante brano di 1 Cor 2, 6-16, fondamentale per tutta la mistica cristiana: «Tra perfetti noi parliamo la sapienza, non la sapienza di questo mondo, né dei principi di questo mondo, che saranno ridotti a nulla; ma parliamo la sapienza di Dio, misteriosa e nascosta, quella sapienza che Dio, ancora prima che fossero i secoli, aveva già destinata per la gloria nostra, sapienza che nessuno dei principi di questo mondo ha mai conosciuto […] Dio l’ha rivelata a noi per mezzo dello spirito, perché lo spirito scruta tutto, anche le profondità di Dio. Chi fra gli uomini, infatti, conosce l’intimo dell’uomo, se non lo spirito che è in lui? Così nessuno ha conosciuto le cose di Dio se non lo spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto Io spirito del mondo, ma lo spirito che viene da Dio, affinché conosciamo le cose che Dio ci ha gratuitamente largite, e di queste noi parliamo, non con parole suggerite dalla sapienza umana, ma con quelle insegnate dallo spirito, adattando a uomini spirituali dottrine spirituali. Ma l’uomo psichico non accetta le cose dello spirito di Dio; difatti sono per lui follia, e non può comprenderle, perché sono esaminate spiritualmente. L’uomo spirituale invece giudica tutto, e non è giudicato da nessuno. Infatti, chi ha conosciuto il pensiero del Signore, da potergli fare da maestro? Noi invece possediamo l’intelletto di Cristo». 27   2 Cor 3, 6. 28   Cfr. 2 Cor 12, 1-4. 29   2 Cor 12, 7. 30   Cfr. Col 2, 18. 31   Non ho bisogno di quel che possiedo, perciò non ho bisogno di Dio: chi crede non è Figlio di Dio. Queste, e simili, asserzioni eckhartiane (per cui cfr. pp. 188-202) danno la piena misura di quello che intendiamo dire. 32   Cfr. per esempio 1 Ts, 5; Col 3, 14; Rm 13; Ef 6, 10-17. Riprendo in questa parte alcuni passi del capitolo «Il Cristo di Paolo e il mondo greco», in Il Santo Spirito tra religione e mistica, cit. 33   Così Agostino, nel De vera religione VI, 10-11, ove oppone paolinamente a un cristianesimo, appunto «carnale», un cristianesimo «spirituale», nel quale – si faccia qui attenzione! – i cristiani sono i veri eredi di Platone. Ai rapporto PaoloAgostino ho accennato nella Introduzione appunto ad Agostino, De vera religione, Mursia, Milano 1987, pp. 8-12. 34   Cfr. in proposito N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, Comunità, Milano 1976; cfr. anche F. Kampers, Die deutsche Kaiseridee in Prophetie und Sage, Scientia Verlag, München 1986. Si tenga presente che la suggestione alienante e nefasta del «tempo ultimo e definitivo» giunge, attraverso Giovanni di Leida, fino a Hitler. 35   Dal Prologo al cap. 3 (Nicodemo), all’11 (Lazzaro), al 12. 36   Si rilegga il bellissimo passo di Enneadi V, 5, 8: «Noi non sappiamo da dove è nata la grande luce, se dall’interno o dall’esterno. Quando essa sparisce diciamo che era interiore – eppure non era interiore. Non bisogna chiedere donde sia apparsa, perché non v’è alcun punto di origine: essa non parte da un luogo per



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andare a un altro, ma appare e non appare. Perciò non bisogna inseguirla, ma attendere tranquillamente finché essa appaia, come l’occhio attende lo spuntare del sole, il quale si eleva dall’orizzonte (dall’Oceano, dicono i poeti) e si offre ai nostri sguardi per essere contemplato». 37   Cfr. Gv 12, 46. ove Gesù dichiara di essere lui la luce. 38   Cfr. per esempio 1 Gv 3, 7: «Chi pratica la giustizia è giusto, come Cristo è giusto», e 4, 17: «Quale è Cristo, tali siamo anche noi in questo mondo». 39   Cfr. Gv 1, 1 e Gv 20, 28. Il cap. 21 è un’aggiunta posteriore: il Vangelo termina effettivamente con il cap. 20. 40   Cfr. tutto il cap. 5, e soprattutto 10, 30: «Io e il Padre siamo una cosa sola». 41   Cfr. Gv 15, 1-6. 42   Cfr. Gv 8, 31, dove, in opposizione ai farisei, Gesù afferma: «La verità vi farà liberi». 43   Cfr. 1 Gv 4, 18: «Nell’amore non c’è timore: anzi, il perfetto amore scaccia ogni timore, perché il timore suppone il castigo, ma chi teme non è perfetto nell’amore». 44   Cfr. Gv 15, 14-15 e 14, 12: «Chi crede in me compirà anche lui le opere che io faccio, anzi ne farà di maggiori». 45   Per questo punto cfr. proprio l’opera latina maggiore del maestro medievale, che è anche quella teologicamente più rilevante, ossia il Commento al Vangelo di Giovanni, cit. 46   Cfr. Gv 16, 7-13. Si noti come l’evangelista in 19, 30, parlando della morte di Gesù, dica: «Emanò lo spirito», usando un’espressione (parédoken to pnéuma) che, mentre esprime l’italiano «rese lo spirito», indica anche e soprattutto la concessione dello spirito, che solo dopo la sua morte poteva essere emanato. Cfr. anche Gv 20, 22. 47   Cfr. Gv 20, 29, dove la frase è significativamente posta all’epilogo del Vangelo, dopo l’episodio della incredulità di Tommaso e il suo rivolgersi a Gesù come Dio. 48   Cfr. Gv 6, 30 dove al mangiare terreno della manna Gesù contrappone il cibo di vita eterna. 49   Non è un caso che a questo testo sia dedicato uno dei più importanti sermoni di Eckhart, il primo della edizione critica Quint. Lo si può leggere in Meister Eckhart, I Sermoni, cit., pp. 91-98. 50   Cfr. Gv 8, 44. Nel Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 480-485, pp. 302305, Eckhart mette in rilievo come il demonio «quando mente, parla da se stesso» (o di ciò che gli è proprio: ex propriis loquitur), in quanto tutto ciò che procede da se stesso, dalla volontà propria, è menzogna. 51   Gv 4, 22-24. 52   Gv 3, 7. 53   Il regno di Dio, infatti, come interpreta bene Eckhart, non è altro che Dio stesso. 54   Cfr. Gv 3, 5-8. Cfr., per questi versetti, il Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 331-344, pp. 224-29. 55   Gv 12, 24-25. Si noti che psyché in questo contesto significa «vita», nel senso appunto fisico, animalis. Anche questo versetto è oggetto di uno splendido sermone eckhartiano, Qui odit animam suam (cfr. Meister Eckhart, I Sermoni, cit., pp. 199-203). 56   Si tenga presente che in Giovanni è fondamentale il concetto di metánoia,

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«cambiamento di mentalità», «conversione», che in Paolo è invece assente (il termine compare in lui una volta sola, in 2 Cor 7, 10). 57   Cfr. per esempio Gv 5, 22: «Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio»; Gv 8, 15: «io non giudico nessuno»; Gv 12, 47: «Non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvarlo». Anche su questo punto cruciale la contrapposizione con Paolo è netta. 58   Proprio nella pericope dell’adultera, per esempio, là dove Gesù si rifiuta di giudicare, egli congeda però la donna dicendole di non peccare più. Cfr. Gv 8, 11. 59   Gv 1, 18; 1 Gv 4, 12. 60   1 Gv 4, 7. 61   1 Gv 4, 8-16. 62   Testimonianza di supremo amore è infatti sacrificare la vita per gli altri: cfr. Gv 15, 13. 63   Cfr. più avanti, cap. V, p. 136. Il concetto è fondamentale anche per Meister Eckhart. 64   Cfr. 1 Gv 2, 6. 65   1 Gv 2, 8-11. 66   1 Gv 3, 14. 67   1 Gv 4, 20. 68   il primato che la massoneria accorda al Vangelo di Giovanni non deve far dimenticare le differenze profonde tra l’autentica mistica giovannea e la mentalità massonica. In questo senso ci sembra scorretto parlare di «mistica massonica», come si fa per esempio nella Encyclopédie des mystiques, cit., vol. 2, pp. 435-51, mentre è più corretto parlare di esoterismo, cristiano o no. 69   Cfr. per esempio Gv 1, 10; 15, 18-25; 1 Gv 4, 4-6. 70  Una piena comprensione di ciò, anche nei suoi risvolti pratici, sociali, «mondani», è mostrata da M. Scheler in Il risentimento nella edificazione delle morali, Vita e Pensiero, Milano 1975, cui rimando in proposito. 71   Cfr. per esempio il Commento al Vangelo di Giovanni di Eckhart, nn. 4-60 (ed. cit., pp. 47-77) e lo si confronti con il suo Commento alla Genesi, a cura di M. Vannini, Marietti, Genova 1989, nn. 2-27, pp. 38-48: il domenicano tedesco si sforza di conciliare i due «In principio», riportandoli entrambi a quel principio che è l’intelletto, il Logos. Cfr. invece come Fichte, nella sua Introduzione alla vita beata, libero da preoccupazioni dottrinali, chiaramente ponga l’inizio del Vangelo di Giovanni contro la dottrina biblica della creazione. 72   Cfr. Gv 1, 13. Le espressioni giovannee indubbiamente contrappongono la generazione carnale a quella spirituale, ma è significativa la sottolineatura della «volontà dell’uomo», che non si riferisce solo all’istinto sessuale, ma contrappone tutto ciò che è personale, egoistico, alla volontà di Dio, la quale si mostra nella rinuncia all’io, ovvero alla volontà propria. Non a caso mistici come l’anonimo autore del Libretto della vita perfetta (cfr. pp. 215-16) intenderanno l’imitazione di Cristo essenzialmente come rinuncia alla volontà propria. È grazie a tale rinuncia che «ogni cosa mia è tua, e ogni cosa tua è mia» (Gv 17, 10), come dice Gesù rivolto al Padre. 73   Sul significato essenziale della formula di fede cristiana, e in particolare sul carattere assolutamente discriminante del filioque, cfr. pp. 203-207. 74   H. Rahner, La nascita di Dio. La dottrina dei Padri della Chiesa sulla nascita di Cristo dal cuore della Chiesa e dei credenti, in Simboli della Chiesa. L’ecclesiologia dei



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Padri, San Paolo, Cinisello Balsamo 19942, pp. 15-143. A questo studio rimandiamo a completamento della sintesi qui necessariamente ridotta a poche pagine. 75   Cfr. Ippolito, In Danielem I, 10, 8. Discepolo di Ireneo, Ippolito (170-235 ca.) è il primo prete romano a produrre un’opera teologica. 76   H. Rahner (op. cit., pp. 17 sg.) cita in proposito diversi autori: da Lattanzio, De opificio Dei 12, 6 per il quale il cuore è la sede della sapienza, a Gregorio di Nissa, Patrologia Greca (PG) 44, 937D, 828A; 46, 397A. Per quest’ultimo il cuore è la fonte del calore vitale, e corrisponde all’uomo interiore (cfr. 2 Cor 4, 16) e al­l’eghemonikòn, là parte «reggente» dell’uomo secondo gli stoici. Dello stesso parere sono Clemente Alessandrino (Stromata 5, 1, 2) e Origene, dal quale il concetto passa in Ambrogio. 77   Cfr. per esempio Ef 3, 17: «Per la fede il Cristo dimora nei vostri cuori»; Gal 2, 20; Gv 14, 23. 78   Cfr. Ambrogio, Expositio in Psalmos 118, Serm. 6, 6; Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum (CSEL) 62, p. 112: «Verbum de corde Patris saliens […] ergo et nunc salit et currit de corde Patris super sanctos suos». La fonte è Ippolito, In Cantica Canticorum, Die Griechischen Christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte (GCS) I, p. 347. 79   H. Rahner (op. cit., pp. 22 sg.) cita in proposito diversi autori. Per Gregorio Magno cfr. Homiliae in Evangelia 29, 10 (Patrologia Latina, PL, 76, 1219 AB); per Agostino cfr. Enarrationes in Psalmos 44, 4 (PL 36, 496). Cfr. anche F. Ohly, HoheliedStudien, Steiner, Wiesbaden 1958. 80   Cfr. Ippolito, De Antichristo 61. H. Rahner (op. cit., p. 41) rileva che la stessa dottrina si trova anche nei due capitoli conclusivi della Lettera a Diogneto, probabilmente non appartenenti alla Lettera stessa e tradizionalmente indicati come frammento di uno scritto di Ippolito. 81   Cfr. Ippolito, In Cantica Canticorum (GCS I, 1, p. 372). 82   Cfr. H. Rahner, op. cit., pp. 43-53. Compare in Origene per la prima volta la domanda fondamentale della mistica cristiana: «Che giova a me se Cristo è nato dalla Vergine, ma non in me?» (cfr. per esempio In Lucam homiliae 22, 1). 83   Cfr. per esempio In Lucam homiliae 20 (GCS IX, p. 135). 84   Cfr. H. Rahner, op. cit., p. 50. Se il Logos-bambino che ha preso radice nel cuore dell’uomo non si sviluppa e prende forma adulta (a somiglianza del Logos che abitò nel seno di Maria), ne deriva un aborto: cfr. Origene, Commentarium in Matthaeum, Sermone 43 (GCS X, p. 86). 85   Origene, In Ieremiam homiliae 9, 4. Si tenga presente che la trasmissione del pensiero di Origene nel mondo latino avvenne prestissimo, grazie alla traduzione di Rufino. 86   Chiamato a torto Metodio di Olimpo, è lo scrittore che si assunse il compito di confutare le teorie di Origene, mezzo secolo dopo la sua morte. Per quanto anche in lui l’influenza platonica si faccia sentire (ha scritto, per esempio, un Convito delle dieci vergini a imitazione del Convito di Platone), essa ha più un carattere retorico-esteriore che un ruolo veramente essenziale. 87   H. Rahner (op. cit., pp. 63-75) tratta del tema come affiora anche in Giovanni Crisostomo, Cirillo Alessandrino, Procopio da Gaza, Anastasio Sinaita, Gerolamo di Gerusalemme, Gregorio di Nazianzo. Si tratta però di una presenza marginale, per cui non ne parliamo in questa sintesi. 88   Oratio 38, 4 (PG 36, 316A). 89   Cfr. Clemente Alessandrino, Stromata 5, 13, 89.

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  Gregorio Nisseno, De Virginitate 2 (PG 46, 324B).   Gregorio Nisseno, Commentarium in Canticum 9 (PG 44, 977C). 92   Gregorio Nisseno, De Virginitate 13 (PG 46, 380D). 93   Nato a Costantinopoli nel 580, segretario dell’imperatore Eraclio I, poi monaco nell’attuale Albania, fu in seguito a Roma, dove sostenne il papa Martino I nelle dispute teologico-politiche del tempo. Entrambi furono arrestati dall’imperatore Costanzo II; dopo un periodo di prigionia, Massimo fu torturato ed esiliato, e infine morì in una zona inospitale sulle rive del Mar Nero nel 662. Su di lui abbiamo il magistrale studio di H.U. von Balthasar, Kosmische Liturgie. Maximus der Bekenner. Höhe und Krise des griechischen Weltbilds, Herder, Freiburg i. Br. 1941. 94   Cfr. per esempio la Epistola 2 ad Ioannem de caritate (PG 91, 401 AB). 95   Per esempio Massimo il Confessore, Ambigua (PG 90, 280C). Altri passi sulla «identità con Dio per grazia» in PG 90, 324C; PG 91, 704D. 96   1 Cor 10, 11. 97   Massimo il Confessore, Quaestiones ad Thalassium 22 (PG 90, 424C). 98   Massimo il Confessore, Expositio super orationem dominicam (PG 90, 889BC). 99   Cfr. Gregorio Nazianzeno, Oratio de amore pauperum 7 (PG 91, 1081C). 100   Cfr. Massimo il Confessore, Ambigua (PG 91, 1081C). 101   Cfr. per esempio PG 90, 321B. Oltre a Gregorio Nazianzeno (cfr. nota 88), il concetto del «patire le cose divine» risale anche a Dionigi Areopagita: cfr. per esempio De divinis nominibus 2, 9 (PG 3, 368B). 102   Su questo concetto cfr. lo studio di A.M. Haas, Gottleiden-Gottlieben. Zur volkssprachlichen Mystik im Mittelalter, Insel Verlag, Frankfurt a.M. 1989. 103   Cfr. H. Rahner, op. cit., pp. 91-97. 104   Cfr. Agostino, De vera religione XXXIX, 72 (ed. cit., p. 137). Su Agostino, cfr. pp. 127-37. 105   Cfr. H. Rahner, op. cit., pp. 97-99. Agostino afferma sì più volte che la Chiesa è madre del Cristo (richiamandosi a Mt 12, 50), ma non nel senso che generi misticamente il Cristo nel cuore dei credenti. Parla, ovviamente, anche di un’eterna generazione del Logos, che «semper nascitur et semper natus est, semper fuit Pater et semper habuit Filium», ma il semper non si estende per lui alla nascita di Cristo perpetuantesi nel cuore dell’uomo. Quando Eckhart lo interpreta così, commette in effetti un errore (cfr. in proposito H. Rahner, op. cit., p. 141) perché Agostino non ha mai espresso tale idea. 106   De divisione naturae 2, 4 (PL 122, 531A). 107   De divisione naturae 1, 2. 108   Giovanni Scoto Eriugena è stato infatti il primo, in Occidente, a studiare Origene e a riconoscere con precisione la dipendenza di Ambrogio da Origene stesso (cfr. De divisione naturae 4, 16; 5, 27). 109   Nella lettera indirizzata a Carlo il Calvo, che l’Eriugena premette alla sua traduzione di Massimo il Confessore, informa che uno dei temi principali dell’opera è il ritorno del creato alla divina Bontà, tramite appunto la «théosis, id est deificatio» (cfr. PL 122, 1196A). 110   Cfr. H. Rahner, op. cit., p. 119. Lo studioso scrive che «Massimo, con il suo raffinato senso teologico, intuisce nell’Areopagita, suo garante, il pericolo proveniente da Plotino e da Giamblico, quello cioè di confondere nell’unico sistema delle processioni divine l’azione libera della venuta del Logos e la necessità della sua processione dal Padre. Dalla medesima accusa si deve difendere anche la dottrina di Meister Eckhart» (ibid., nota 38). 90 91



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111  Cfr. M. Jacquin, L’influence doctrinale de Jean Scot au début du XIIIe siècle, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques» 4, 1910. Per quanto concerne specificamente Bernardo, cfr. E. Gilson, Maxime, Érigène, S. Bernard: Aus der Geisteswelt des Mittelalters, BGPhTMA, Münster 1935, pp. 188-95, ove si pone l’accento su un passo del De diligendo Deo di Bernardo (cfr. PL 182, 991AB), che è preso quasi alla lettera da Scoto, De divisione naturae 1, 10 (PL 122, 450A), ovvero, in ultima analisi, da Massimo. 112   Ugo conosce bene l’Eriugena, che chiama «il teologo moderno» (in Eruditionis Didascalion 3, 1; PL 176, 865), e si è servito largamente del suo commento all’Areopagita. Ancor più forte è l’influenza di Scoto su Riccardo, che è il vero e proprio «erede della theologia cordis dei Padri della Chiesa» (H. Rahner, op. cit., p. 129). Per la diffusione del pensiero dell’Eriugena, importante è anche l’opera di Onorio di Autun, Clavis physicae, ove si presenta un estratto del De divisione naturae. 113   Per quanto concerne specificamente Eckhart, cfr. in proposito H. Rahner, op. cit., pp. 140-42. 114   Ne possediamo in italiano una edizione critica: G. Scoto Eriugena, Il Prologo di Giovanni, a cura di M. Cristiani, Mondadori, Milano 1987. Come opera di Origene è citata da Tommaso d’Aquino più volte, anche nella Summa Theologiae (I, q. 42, a. 2, ad. 3). Alcuni passi del Commento al Vangelo di Giovanni di Eckhart testimoniano che egli lesse l’intera opera, i cui due concetti caratteristici (cioè la tesi dell’unità del Figlio per il quale soltanto noi possiamo ascendere al Padre e quella della continuazione della generazione eterna del Logos nella natura e nella grazia) hanno importanza fondamentale per la mistica eckhartiana della nascita di Dio nell’anima (cfr. H. Rahner, op. cit., p. 138 nota 14).

V. I fondamenti platonici 1   Riprendiamo qui l’esposizione che de «La mystique d’Origène» fa il cardinale J. Danielou, Origène, La Table Ronde, Paris 1948, pp. 287-301. 2   In proposito, J. Danielou rileva che Origene non si distacca, di fatto, da una dottrina che era essenzialmente platonico-neoplatonica (cfr. per esempio Enneadi I, 6, 5). «Nel IV secolo l’accento sarà messo più fortemente sulla trascendenza radicale della Trinità e la somiglianza divina nell’anima apparirà come una grazia e non come una proprietà naturale, come un dono personale di Dio e non come una natura da riscoprire purificandola da ogni elemento estraneo. Ma in Origene la parentela (synghéneia) con il divino appare ancora come una proprietà della natura» (op. cit., p. 291). Si noti che il IV secolo è quello dell’accordo tra l’Impero e la Chiesa, che assume un potere e rivendica l’esclusività della salvezza, la funzione di mediatrice tra Dio e l’uomo. Più che nell’ambito spirituale, la radice della dottrina della grazia va forse cercata in quello politico, del potere, come sarà chiaro in Agostino. 3   Questo è uno degli aspetti principali della vita spirituale che Origene ha elaborato, soprattutto nel De principiis. Da lui lo ereditano i Padri del deserto: un grande spazio gli è dato nella Vita di Antonio, e anche nella mistica di Evagrio gioca un grande ruolo (cfr. J. Danielou, op. cit., p. 294). 4   Cfr. Origene, Commento a Matteo XII, 5 (cit. in J. Danielou, op. cit., p. 295). 5   Per la discussione sull’esatto significato del termine «estasi» in Origene, dove sembra presente in modo non univoco, cfr. J. Danielou, op. cit., pp. 295-96.

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6   È qui implicitamente contenuto quel concetto di epéktasis (alla lettera: l’«es­ sere oltre») che sarà il tema centrale della mistica di Gregorio di Nissa, per cui cfr. più avanti. 7   Non v’è distacco che non possa essere maggiore – insegnerà Meister Eckhart, in perfetta consonanza con l’antico maestro alessandrino  –  ed esso non è mai ultimo e definitivo, ma in ogni istante deve essere compiuto di nuovo, proprio come in ogni istante sempre nuovo deve essere generato il Logos nell’anima. Che la generazione di Dio nell’anima avvenga propriamente nel distacco è dottrina eckhartiana specifica. 8   Origene, Commento al Cantico 78 (cit. in J. Danielou, op. cit., p. 298). 9   Origene, Commento al Cantico 67, 91, 92 (cit. in J. Danielou, op. cit., p. 299). 10   È precisamente la dottrina che Agostino rende nota al mondo latino con il suo De magistro. 11   De Principiis (Perí archón) I, 104 (cit. in J. Danielou, op. cit., p. 300). 12   Cfr. ancora J. Danielou, op. cit., pp. 300-301. 13   Di ispirazione origeniana è, per esempio, una delle pagine più celebri delle Confessioni di Agostino (X, 27): «Tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ecco, tu eri dentro di me e io stavo al di fuori. Qui ti cercavo e, deforme com’ero, mi buttavo su quelle cose belle che tu hai creato. Tu eri con me, e io non ero con te, tenuto lontano da te proprio da quelle creature che non esisterebbero se non fossero in te. Mi chiamasti, gridasti e vincesti la mia sordità; folgorasti il tuo splendore e mettesti in fuga la mia cecità; esalasti il tuo profumo, lo aspirai e anelo a te; ti gustai, e ora ho fame e sete; mi toccasti, e ora brucio dal desiderio della tua pace». Tutti i commenti medievali al Cantico dipendono, in modo diretto o indiretto, da Origene, e così la tematica dell’amore nuziale in senso mistico, da Bernardo a Teresa d’Avila, la quale attribuisce grande importanza anche alla dottrina del «tocco dell’anima». 14   È consuetudine chiamare «Padri del deserto» gli eremiti che, dalla fine del III secolo, si ritirarono in luoghi isolati  –  a volte proprio nel deserto (in greco erémos) dell’Alto e Basso Egitto, adottando forme di vita sia comune (cenobitismo) sia assolutamente solitaria (anacoretismo). Il periodo di massima vitalità e ampiezza del fenomeno si ebbe nel IV e V secolo, poi ci fu una progressiva decadenza, finché la conquista musulmana, nel VII secolo, lo interruppe quasi del tutto. I più celebri Padri furono Antonio, Arsenio, Macario: le raccolte del loro «detti» (Apophtegmata Patrum) – assieme a quelli di altri Padri, e anche di qualche «Madre» – costituirono presto un patrimonio importante per la mistica (ma soprattutto per l’ascetica) del mondo cristiano, sia d’Oriente sia d’Occidente, dal momento che essi furono tradotti dal greco in latino nel VI secolo da due diaconi romani, Pelagio e Romano, che divennero entrambi papi. Cfr. in proposito I Padri del deserto, Detti, a cura di M. Vannini, Mondadori, Milano 1996. 15   Nato a Ebora, nella provincia romana del Ponto (Asia Minore) nel 345, fu monaco con Basilio di Cesarea, poi, come arcidiacono, in rapporto con Gregorio di Nazianzo a Costantinopoli. Interrotta bruscamente la sua promettente carriera ecclesiastica, si recò a Gerusalemme, dove si unì ai circoli origeniani di Rufino e Melania l’Anziana. Dietro consiglio di quest’ultima, passò poi in Egitto, dove fece una severa esperienza monastico-ascetica con i Padri del deserto, molti dei quali erano seguaci di Origene. Quando il vescovo Epifanio di Salamina (nell’isola di Cipro) iniziò la sua campagna contro l’«eretico» Origene, e fu poi seguito dal patriarca di Alessandria, Teofilo, i monaci del deserto di simpatie origeniane furono



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dispersi manu militari. A quella data però Evagrio era già morto, nell’Epifania del 399. A lungo dimenticato, o comunque poco noto (soprattutto perché la sua opera maggiore, intitolata Kephálaia Gnostiká, era stata condannata nel Concilio di Costantinopoli del 553, nel quadro di una rinnovata condanna dell’origenismo), Evagrio è stato riscoperto ai nostri giorni in larga misura per opera di Hans Urs von Balthasar, che sottolinea come l’origenismo di Evagrio si spinga a un punto tale da portarlo «più vicino al buddhismo che al cristianesimo. Il sottile idealismo del Mahāyanā [scuola buddhistica del «grande veicolo»], per cui il mondo corporeo e l’individualità sono solo apparenza, per il quale ogni pratica è solo, un mezzo per raggiungere la totale astensione dall’uso dei sensi: è questa l’esperienza fondamentale di Evagrio» (H.U. von Balthasar, Metaphysik und Mystik des Evagrius Ponticus, in «Zeitschrift für Askese und Mystik», 14, 1939, pp. 38 sgg.). Anche se la tesi di Balthasar è un po’ radicale, non c’è dubbio che Evagrio sia un rigoroso sostenitore del primato dell’intelligenza nella conoscenza di Dio. Essa si realizza in un’estasi noetica, che è preceduta però da una «ascesi» (praktiké), con la quale si combattono i vizi e si esercitano le virtù. Tradotto in latino da Rufino e Gennadio di Marsiglia, utilizzato ampiamente da Giovanni Cassiano (che non ne fa mai il nome), Evagrio esercitò grande influenza nell’Occidente medievale, anche se più sul piano ascetico che su quello mistico. Cfr. H. Bacht, Evagrio Pontico, in AA.VV., I grandi mistici, a cura di G. Ruhbach e J. Sudbrack, vol. 1, EDB, Bologna 1987, pp. 43-63. 16   Nato verso il 360 in Dobrugia (attuale Romania), Giovanni Cassiano divenne monaco assai giovane, vivendo prima in una cella a Betlemme, poi in Egitto, dove partecipò all’esperienza dei Padri del deserto. Verso il 399 lo troviamo a Costantinopoli, ordinato diacono da Giovanni Crisostomo. Quando questi fu illegalmente deposto da Teofilo, patriarca di Antiochia, ed esiliato dall’imperatrice Eudossia, Cassiano fu inviato a Roma dal clero costantinopolitano per appellarsi al papa, allora Innocenzo I. La missione non ebbe successo, e Cassiano rimase in Occidente. A Marsiglia fondò nel 415 un convento di suore, nonché il famoso monastero di San Vittore, di cui fu abate fino alla morte, contribuendo così in modo fondamentale all’instaurarsi di un monachesimo occidentale. Le sue Istituzioni di vita monastica e, soprattutto, le sue Conferenze (Collationes) dei Padri del deserto hanno dato per secoli ai latini il modello della vita monastica. 17   Epifanio, nato in Palestina verso il 315, dopo un’esperienza monastica in Egitto, tornò in patria dove fondò un monastero, di cui divenne superiore. Fu poi consacrato vescovo di Salamis (o Constantia) nell’isola di Cipro, e da lì iniziò la sua violenta campagna contro gli eretici. Nel 402 si recò a Costantinopoli per combattervi il vescovo locale, Giovanni Crisostomo, accusato di aver dato ospitalità a quattro monaci espulsi da Alessandria per il loro origenismo. Durante il viaggio di ritorno a Cipro, morì in mare nel 403.11 suo Panárion, l’opera maggiore, comprende ottanta eresie di ogni tipo, ma l’obiettivo principale di Epifanio è Origene, che egli considera un filosofo greco e non un teologo cristiano. Uomo certamente animato da zelo religioso, asceta rigoroso, Epifanio mancò però di moderazione, ed era anche probabilmente incapace di comprendere a fondo ciò di cui si occupava. Le sue opere valgono soprattutto come testo documentario per la storia della teologia. 18   Sotto il profilo più specificamente mistico-spirituale, le opere più importanti del Nisseno sono il De virginitate, le Omelie sulle beatitudini e quelle sul Paternoster (De oratione dominica), ma soprattutto La vita di Mosè e le Omelie sul Cantico

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dei Cantici (questi due scritti vanno situati, entrambi, nell’ultima parte della sua vita). 19   Cosi si esprime P. Evdokimov (L’Ortodossia, il Mulino, Bologna 1965, p. 123), citando l’Omelia XV sul Cantico dei Cantici. 20  Questo tema, assai importante anche per i suoi risvolti mistici, è stato sviluppato da Gregorio principalmente nella sua trattazione dogmatica Contro Eunomio. La questione che allora si poneva è molto significativa e in certo qual modo esemplare nella storia del cristianesimo per quanto riguarda i rapporti tra filosofia e fede, ma anche quelli tra mistica e filosofia. Eunomio sosteneva infatti che Dio è del tutto comprensibile e afferrabile con la ragione, puntando soprattutto sul concetto di natura divina non generata. Questo non costituiva di per sé un problema, ma Eunomio faceva derivare da ciò la conseguenza che Cristo, essendo generato dal Padre, non è a Lui uguale (anòmoios), il che poteva essere utilizzato in senso ariano. Fu per le esigenze della polemica contro Eunomio che Gregorio sviluppò la sua tesi della inconoscibilità di Dio. Le tesi di Eunomio furono condannate dal Concilio di Costantinopoli del 381; le sue opere bruciate per ordine dell’imperatore Arcadio nel 398. A quella data però Eunomio era già morto, in ritiro nei possedimenti di famiglia in Cappadocia. 21  Cfr. Convito 202e-203a. Cfr. cap. II, p. 52. 22   Così scrive Gregorio nel suo Commento all’Ecclesiaste 3, 8 (PG 44, 733B-C). Il concetto è divenuto un tópos anche in Occidente, soprattutto attraverso Agostino. 23  Gregorio Nisseno, De virginitate (PG 46, 372D). Cfr. in proposito E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 125, da cui riprendiamo queste citazioni. 24   Ibid. 25   Cfr. PG 46, 368C. 26   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit.; cfr. anche PG 44, 369D; 45, 28D32D. 27   Così nelle Omelie sul Cantico dei Cantici (PG 44, 805C-809C). 28   In particolare il concetto di apátheia rimanda più allo stoicismo. Nell’educazione retorico-filosofica del tempo confluivano però motivi delle diverse scuole di pensiero greco: platonismo, aristotelismo, stoicismo finivano così per incontrarsi abbastanza armonicamente. E. von Ivànka (Platonismo cristiano, cit., pp. 118-24) mostra poi come in effetti lo stoicismo e soprattutto l’insegnamento di Posidonio giochino un ruolo importante nella teoria della conoscenza del Nisseno. 29   Cfr. anche il Commento all’Ecclesiaste 7 (PG 44, 729D). 30   È l’opinione sostenuta dal cardinale Danielou nel suo fondamentale studio Platonisme et théologie mystique. Essai sur la doctrine spirituelle de saint Grégoire de Nysse, Aubier, Paris 1944, pp. 290-302 («Sobre ivresse et sommeil vigilant»). A questo studio rimandiamo per l’approfondimento di quanto qui necessariamente solo accennato. 31  «Méthe oúk alóghiston, théia», scrive Origene (Commento a Giovanni I, 30). Cfr. J. Danielou, op. cit., p. 292. 32   Implicito il riferimento al Salmo 22. La citazione di Gregorio si riferisce a un suo Sermone sull’Ascensione: cfr. J. Danielou, op. cit., p. 294. 33   Cfr. PG 44, 137BC. Discute il tema dell’estasi razionale e del valore della diánoia B. Salmona, nel suo saggio Gregorio di Nissa, in La Mistica, a cura di E. Ancilli e M. Paparozzi, cit., vol. 1, pp. 307-10. 34   Cfr. At 17, 34. La scelta della falsificazione è chiara: Paolo parla in quel testo ai filosofi ateniesi, e presenta loro il cristianesimo come rivelazione del «Dio



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ignoto» sempre venerato dall’antichità pagana, con un discorso di tipo conciliatorio tra Greci e cristiani. Lo Pseudo-Dionigi vuole presentare la sua opera come frutto di questa conciliazione, o di questa sintesi. 35   Tema fondamentale del neoplatonismo (ma l’immagine di una «aurea catena» che lega tutti gli esseri risale addirittura a Omero, Iliade VIII, 9), esso segna anche la sua differenza dal cristianesimo. Proclo, per esempio, rimprovera ai cristiani non di ammettere un’unica origine di tutto l’essere, perché su questo punto egli concorda con essi (contro il dualismo gnostico), ma di trascurare di «determinare esattamente gli intermediari e le processioni degli esseri» (cfr. Commentarium in Timaeum III, 153). È proprio il tentativo che compie lo Pseudo-Dionigi. 36  «Divinità fontale» (pegáia theótes) definisce lo Pseudo-Dionigi il Padre (I nomi divini II, 7), riprendendo una terminologia propria degli Oracoli caldaici. 37   Il testo ispiratore rimane il Convito platonico (202e-203a), più volte citato. 38   Lo Pseudo-Dionigi è amante fino all’eccesso degli hypér (latino super, tedesco über), che tentano di esprimere l’essere oltre del sostantivo, o dell’aggettivo, cui si riferiscono; egli sta così all’origine prima di un linguaggio che ha come ultimo esito lo Über-mensch di Goethe e Nietzsche. 39   Concetto molto importante nella storia della mistica cristiana, perché permette di parlare di Dio al di fuori delle Persone trinitarie, che sono evidentemente determinate dal loro stesso rapporto. Lo ritroviamo in Meister Eckhart, ove, però, la divinità (gotheit) è pensata in genere al di sopra del Padre. 40  Cfr. Epistola II, 1068a-1069b (PG 4, 401D). Utilizziamo qui il testo di Dionigi Areopagita, Tutte le opere, a cura di E. Bellini, Rusconi, Milano 1981, p. 386 e nota 37. 41   I nomi divini I, 7, 596C. 42   Come abbiamo notato nell’Introduzione (p. 9) è solo con questo testo – specie dopo la sua ricezione medievale – che si può cominciare a parlare di «mistica». Sottolineiamo ancora che il significato originario dell’aggettivo rimanda al silenzio. Si discute se Teologia mistica sia il vero titolo del trattato, visto che non compare mai nel testo: secondo alcuni potrebbe essere il titolo dell’intero corpus dyonisianum. Va comunque notato come quella che chiamiamo Teologia mistica si contrapponga, nel contenuto, ai precedenti trattati (ai Nomi divini, e soprattutto alle due Gerarchie), tanto che si potrebbe pensare addirittura a differenti autori. 43   Teologia mistica I, 1-3. 44   Tra gli studiosi contemporanei, E. von Ivànka tende a rimarcare i punti di distanza di Dionigi dal platonismo, punti che lo rendono invece a pieno titolo un cristiano: cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 192 sgg; 223 sgg. Anche W. Völker (Kontemplation und Ekstase bei Pseudo-Dyonisius Areopagita, Steiner, Wiesbaden 1958) sostiene il carattere cristiano della mistica dionisiana, ricollegandola soprattutto a Gregorio di Nissa. Di parere opposto, per esempio, B. Brons (Gott und die Seienden. Untersuchungen zum Verhältnis von neuplatonischer Metaphysik und christlicher Tradition bei Dyönisius Areopagita, «Forschungen zur Kirchen- und Dogmengeschichte», 28, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1976). 45   Dionigi Areopagita, Teologia mistica IV-V. Utilizziamo qui la traduzione di P. Scazzoso, in Dionigi Areopagita, Tutte le opere, cit., pp. 413-14. 46  Nell’immenso panorama della letteratura su Agostino mi permetto di rimandare, come prima introduzione, al mio Invito al pensiero di sant’Agostino, Mursia, Milano 1989, che fornisce anche un’adeguata informazione bibliografi-

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ca. Mi astengo qui dall’accennare alla vita e alle opere di Agostino, data la loro grande notorietà. 47   Cfr. soprattutto Confessioni III, 4, ma anche De Trinitate XIV, 19, 26. 48   Esso è stato però importante in senso negativo, relativamente alla mistica, in quanto Agostino non ha mai perduto una mentalità improntata al dualismo manicheo, con la sua divisione del mondo tra bene e male. Essa riemerge soprattutto durante la dura controversia con Pelagio, quando la visione neoplatonica dell’universo, scandito in gradi diversi di bene, sembra davvero lontana. 49   Cfr. soprattutto Confessioni VII, 9. 50   Come è stato notato più volte, in Agostino emerge prepotentemente il tema e il problema (factus sum mihimet ipsi quaestio) del soggetto individuale. Ciò fa di lui – così si dice – il primo scrittore moderno. Ovvero il primo lontano dai classici, o, come direbbe Nietzsche, il primo plebeo. 51   Cfr. Porfirio e la Lettera a Marcella, cap. III, pp. 80 sg. 52   De vera religione XXXIX, 72-73 (ed. a cura di M. Vannini, Mursia, Milano 1987, pp. 137-39). Dall’introduzione a questo testo sono riprese anche alcune delle righe che seguono. 53  Cfr. De vera religione III, 3 e nota 2. 54   Cfr. in proposito C. Boyer, Christianisme et néo-platonisme dans la formation de saint Augustin, Beauchesne, Paris 1920; poi Desclée, Roma 1953, p. 85. 55  Cfr. Confessioni VII, 9. 56   Ibid.: «Quelli che si elevano, per così dire, sul piedistallo di una dottrina superiore non ascoltano le tue parole: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” [Mt 11, 29]. Anche se conoscono Dio, non lo glorificano come Dio, né lo ringraziano, ma si invaghiscono dei loro pensieri e il loro sciocco cuore si oscura, cosicché diventano stolti mentre affermano di essere sapienti». Sta parlando appunto dei filosofi platonici. 57   Si noti come nel testo di Confessioni (VII, 9), dove Agostino ammette la sua dipendenza dai platonici e, insieme, rimarca la distanza da essi, è proprio la citazione di Paolo (Fil 2, 6 sgg. e Rm 5, 6; 8, 32). ovvero la teoria della morte redentrice del Cristo, a segnare la discriminante tra la dottrina platonico-giovannea del Logos e la religione cristiana vera e propria. 58  Cfr. De vera religione VII, 13; L, 99. 59  Cfr. De vera religione XXIV, 45; XXV, 47. 60  Cfr. De vera religione VII, 13; L, 99. 61  Cfr. De vera religione L, 99 e nota 32. 62  Cfr. De vera religione XVII, 33; LI, 100. 63   Senza per questo che venga meno il concetto di anima individuale: cfr. Plotino, Enneadi IV, 9. 64   Cfr. sopra, cap. IV, p. 98. 65   C. Butler, in Il misticismo occidentale, il Mulino, Bologna 1970, p. 126 (l’edizione originale inglese è del 1922), elenca quelli che gli sembrano i passi fondamentali per la mistica di Agostino: Confessioni VII, 16. 23; IX, 23-25; X, 65; Enarratio in Psalmum XLI (ebr. XLII); De quantitate animae 74, 75, 76; De Genesi ad litteram XII; Epistula CXLVII; De videndo Deo; Contra Faustum XXII, 52-58; De civitate Dei XIX, 1, 2, 19; Sermones CIII, CIV. Si tratta dei passi in cui viene più direttamente descritta un’estasi, o qualcosa di simile, secondo l’interesse che anima lo studio di Butler. Parlare di mistica è, a nostro parere, problema più ampio. 66   Cfr. C. Butler, op. cit., pp. 141-42.

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  Confessioni VII, 17.   C. Butler (op. cit., p. 165) cita in proposito alcuni passi della visione di Ostia (Confessioni IX, 10): «Attingimus eam modice toto ictu cordis»; «rapida cogitatione attingimus»; «momentum intelligentiae»; nonché dalla Enarratio in Psalmum XLI, 10: «Perstrictim et raptim: quasi per transitum». Intende infatti sottolineare la «transitorietà dell’esperienza mistica» (ibid., p. 164). 69  «Pondus meum amor meus, eoque feror quocumque feror» scrive Agostino (Confessioni XIII, 9); perciò «Ci si trasforma in quel che si ama» recita Silesius (Il Pellegrino cherubico V, 200), citando Agostino: «Uomo, in quel che ami sarai trasformato: / Diventi Dio se l’ami, terra se terra ami». 70  Sul concetto di apex mentis rimandiamo allo studio omonimo di E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., nonché al par. «Il problema del “luogo mistico”» del cap. VI, pp. 141-46. 71   Lo fa anche C. Butler (op. cit., p. 169 sgg.) opportunamente rilevando la distinzione, anche su questo punto, tra il misticismo cristiano classico (Agostino, Gregorio, Bernardo) e forme posteriori, forse più famose ma senza dubbio meno pure. Lo studioso benedettino sottolinea anzi come «sarebbe necessario limitare l’uso di parole come “misticismo” e “mistico” a questo [ovvero di «stato altissimo della contemplazione e dell’unione»] significato religioso e filosofico, evitando qualsiasi connessione vaga, impropria, equivocabile, la quale porterebbe solo confusione e discredito all’intero argomento. Inoltre non si dovrà confondere lo stato mistico con i vari fenomeni accidentali che possono verificarsi in concomitanza con esso, quali le visioni, le rivelazioni, i rapimenti e altri fenomeni di natura psicofisica. In particolare gli scrittori cattolici dovrebbero evitare di accreditare come mistiche, esperienze e manifestazioni singolari le quali confinano con lo spiritismo: rivelazioni, preveggenze, casi di telepatia, o religiose «storie del mistero». Per tutti questi fenomeni esiste già un termine scientifico: sono fenomeni «psichici», non mistici. «Mistico» è parola alla quale è connesso esclusivamente un significato religioso, il significato assegnatole inizialmente dallo PseudoDionigi, di «conoscenza segreta o percezione di Dio nella contemplazione» (ibid., pp. 100-101). 72   Sul significato profondo dell’esperienza di «grazia», che è tutt’uno con «distacco», mi permetto di rimandare al mio Sulla grazia, Le Lettere, Firenze 2008. 73   Questa esperienza e consapevolezza, profondamente e intimamente cristiana, è rimasta sepolta per secoli sotto la dogmatica e il formalismo. Emerge con luminosa chiarezza in Eckhart e nella mistica tedesca: Silesius canta: «Dio non apprezza cosa fai di bene, ma solo come lo fai; / Non guarda ai frutti, solo a radice e semi» (Il Pellegrino cherubico V, 37). Sotto questo profilo, sua erede genuina è la kantiana Critica della ragion pratica. 74  Cfr. Confessioni XI, 28, nelle celebri pagine (plotiniane) sul tempo. 75   De Trinitate IX, 9, 14. Utilizziamo qui la traduzione di G. Beschin, Sant’Agostino, La Trinità, Città Nuova, Roma 1973, p. 381. 76   De Trinitate IX, 10, 15 (ibid., pp. 383-85). 77   De Trinitate IX, 12, 18 (ibid., p. 387). 78   Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 507 e 509. 79   Molto spesso (e sono queste le sue pagine migliori) il vescovo di Ippona parla dell’esperienza dell’illuminazione, della luce «invisibile ed eterna» che l’intelligenza vede, non con gli occhi del corpo, una volta che essa stessa è fatta luce, ovvero è completamente distaccata dai legami contenutistici. Nel De Genesi ad 67 68

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litteram (XII, 31, 59) scrive per esempio: «Diversa è quella luce [lumen] stessa da cui l’anima è così illuminata che vede tutto ciò che veramente è, in sé medesima o in quella luce. Perché quella luce è Dio stesso; essa invece, benché razionale e intellettuale e fatta a sua immagine, è creatura, e perciò, mentre si sforza di fissare lo sguardo su quella luce, trema di debolezza e non vi riesce. Tuttavia da quella luce le viene tutto ciò che vede intellettualmente, nella misura in cui vi riesce. Quando dunque, sottratta ai sensi carnali è rapita in questa luce, e resa presente a quella visione più espressamente, vede anche al di sopra di sé, non nello spazio, ma in un modo particolare, aiutata da questa luce, tutto ciò che vede in se stessa con l’intelligenza» (cit. in C. Butler, op. cit., pp. 175 sg.). 80   Del problema della visione di Mosè e Paolo si parla nel De Genesi ad litteram XII, e nel De videndo Deo (ovvero Epistola CXLVII). Quanto sia costretto a ciò dal testo biblico, che il vescovo di Ippona (siamo verso il 415) accetta e difende a spada tratta, e quanto il pensiero di Agostino abbia ondeggiato in proposito, dando luogo a interpretazioni molteplici, è cosa che non possiamo qui esaminare. 81   Dalle fonti greche, attraverso Ambrogio, Agostino non riprese infatti solo quel metodo allegorico che gli permise di superare le difficoltà dell’interpretazione letterale della Scrittura, ma anche il gradualismo dell’ascesa mistica, secondo quell’itinerario (che sarà poi ripreso quasi costantemente) della triplice via, purgativa, illuminativa e unitiva. Le tappe dell’itinerario sono descritte in vario modo, per esempio nel De quantitate animae e nel De vera religione, ma si deve tener presente – oltre l’ovvio svilupparsi e modificarsi di un pensiero nell’arco di quasi mezzo secolo – che in Agostino non v’è affatto quella mentalità scolasticotrattatistica che comparirà invece nel XII e XIII secolo e sempre più prenderà il sopravvento nei secoli successivi, con il tentativo di fare della mistica una scienza. 82   Nativo dell’Africa settentrionale, profugo in Gallia, lo troviamo ad Arles verso la fine del V secolo. Il suo scritto godette di grande apprezzamento, come è dimostrato dal vasto numero di codici e poi di edizioni a stampa, anche perché veniva spesso attribuito al celebre Prospero di Aquitania. Cfr. in proposito K. Ruh, Storia della mistica occidentale: Le basi patristiche e la teologia monastica del XII secolo, vol. 1, Vita e Pensiero, Milano 1995, pp. 161-67. 83   Sulla figura di Gregorio Magno, non specificamente per il versante spirituale, cfr. le belle pagine di G. Falco, La Santa Romana Repubblica, Ricciardi, MilanoNapoli 1973, pp. 101-24. 84   Cfr. K. Ruh, op. cit., p. 173. 85   Ancor prima, a Platone, ad Aristotele, agli stoici si deve l’impianto della contrapposizione tra bios praktikós e bios theoretikós. I Padri greci la ripresero dalle fonti classiche e vi applicarono moduli cristiani. 86   Moralia in Job VI, 58. 87   Homiliae in Ezechielein II, V, 17. Riprendiamo queste citazioni da C. Butler, op. cit., p. 192. 88  Cfr. Homiliae in Ezechielem II, V, 9: «Primus gradus est ut se ad se colligat; secundus ut videat qualis est collecta; tertius ut super semetipsam surgat, ac se contemplationi Auctoris invisibilis intendendo subiciat». 89  Cfr. Moralia in Job XXIII, 42. «Gli attributi con cui san Gregorio suole qualificare questa Luce sono gli stessi usati da sant’Agostino: Luce eterna di contemplazione, Luce invisibile, Luce incorporea, Luce infusa nella contemplazione; Luce vera, qualcosa che si può appena scorgere; Luce interiore, di cui un raggio fulgido lampeggia un attimo nell’anima per la grazia della contemplazione, ma che l’uo-



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mo, immerso nelle sue tenebre, non conosce qual è veramente, Luce immutabile che non s’effonde nella sua interezza all’occhio contemplante della mente, Luce incorruttibile, Luce soprannaturale che la contemplazione dischiude alla nostra anima anelante e che nuovamente si cela, precipitandola nella sua infermità. Per san Gregorio contemplare è passare nella Luce, immergersi in essa, vederla di sfuggita e assaporarla appena, fissare lo sguardo alla fonte di luce. Questa Luce è Luce di Verità, che non si lascia conoscere dalla mente qual è veramente, ma che tuttavia penetra in essa come attraverso una feritoia» (C. Butler, op. cit., p. 205). Lo stesso studioso nota però che la tematica e la terminologia della Luce in Gregorio non deriva soltanto e tanto da Agostino, quanto da Giovanni (ibid., p. 202). 90  Cfr. Homiliae in Ezechielem II, II, 12. 91   L’uso del verbo rapio e del termine raptus rimanda al rapimento di Paolo al terzo cielo (2 Cor 12, 2-4). Gregorio però non lo cita mai quando descrive l’elevazione contemplativa, pur usando proprio il verbo rapio. Cfr. per esempio Homiliae in Ezechielem II, II, 13: «La contemplazione rapisce [rapit] l’anima sopra di sé». «La mente viene spesso rapita [rapitur] dalla dolcezza della superna contemplazione» (Moralia in Job VIII, 30); «Rapiti sopra di sé, aderiscono con tutta l’anima alle cose celesti» (Moralia in Job X, 17). 92   Cfr. C. Butler, op. cit., p. 208: «L’anima è ammessa a gustare un’insolita soavità interiore (Moralia in Job XXIII, 43); cerca e raggiunge la dolcezza della scienza interiore (ibid., XXX, 39); è rapita dalla dolcezza della celeste contemplazione (ibid., VIII, 50); assapora una meravigliosa dolcezza (ibid., V, 53); pregusta la dolcezza del gaudio interiore e conosce la dolcezza del gaudio eterno (Homiliae in Ezechielem I, V, 12). Si sente quindi assorbita nella gioia della sicurezza (Moralia in Job XXIV, 11); è rapita ai gaudi segreti della pace (Homiliae in Ezechielem II, V, 16); circonfusa dalla luce di una quiete interiore (ibid., II, II, 14); e già assapora con voluttà interiore l’altro a cui è destinata (ibid., II, III, 9)». 93   Moralia in Job XV, 20. 94   Sulla durezza dei tempi vissuti da Gregorio e sulla sua attività politica, pratica, di carità, cfr. anche il vivido ritratto di G. Pepe, Il Medioevo barbarico d’Italia, Einaudi, Torino 1963, pp. 117-38. VI. Il cammino della mistica cristiana 1   Si tratta del catalogo della Certosa di Erfurt, pubblicato da P. Lehmann: Mittelalterliche Bibliothekskataloge Deutschlands und der Schweiz, Beck, München 1928. Lo troviamo riportato in E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 246 sg. 2  A parte l’utilizzazione che Meister Eckhart (nativo dei dintorni di Erfurt e priore domenicano sempre a Erfurt alla fine del Duecento) fa del concetto di «scintilla dell’anima», sul quale dovremo tornare, una tale terminologia è già presente nella mistica francescana del XIII secolo e in quella agostiniana del XII secolo: così, per esempio, nell’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura la successione delle facoltà dell’anima viene enumerata nel capitolo 1 nel modo seguente: sensi, immaginazione, ragione, intelletto, intelligenza, apex mentis. E nel capitolo 7, a proposito del livello supremo dell’ascesa spirituale, ovvero il mentalis excessus, si dice: «Qui è necessario che siano abbandonate tutte le operazioni intellettuali e che tutto il vertice del sentimento sia rivolto verso Dio». Nel suo De spiritu et anima (PL 40, 785), Alchiero di Chiaravalle afferma: «Lo spirito

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è chiamato spirito razionale [mens rationalis] perché è una scintilla e per così dire l’occhio dell’anima, al quale si addicono l’immagine e la conoscenza di Dio» (cit. in E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 247 sg.). 3   Lo scrittore stoico Posidonio cita infatti in proposito Eraclito: «Uomini dèi, dèi uomini: il lógos infatti è lo stesso». Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi VII, 143. 4   Cfr. il frammento DK, B 67, riportato anche a p. 47. 5   Riprendo qui, quasi alla lettera, parti del saggio di E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 250 sg. A esso rimando anche per i riferimenti storici alle fonti: Posidonio, Plutarco, Cicerone, Seneca, ecc. 6   Cfr. J. Gerson, Teologia mistica, a cura di M. Vannini, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1992, p. 101. Già Filone Alessandrino scriveva (De opificio mundi 66) che «Dio, a coronamento di tutto, creò l’uomo, cui donò un eccellente intelletto, una sorta di anima dell’anima, come la «pupilla» (kóre) nell’occhio, della quale quanti investigano la natura delle cose con maggiore acutezza dicono che è l’occhio dell’occhio». 7   Cfr. per esempio la conclusione di M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., p. 497 e nota 401. A partire dagli autori classici, per venire ai cristiani Origene, Agostino, e poi Ugo di San Vittore, Guglielmo di Saint-Thierry, Hadewijch d’Anversa, Eckhart, Taulero, Gerson, ecc., l’immagine giunge fino a Silesius. 8   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 252 sg. 9   Cfr. in proposito la mia Introduzione a Eckhart, cit. Cfr. in seguito, p. 197. 10   Cfr. in proposito p. 170. 11   Sulla formula poretiano-eckhartiana, e poi sul bellissimo distico silesiano, intitolato «Senza perché», cfr. più avanti, pp. 85, 197, 252. 12   Così si esprime Eckhart nel sermone Sta in porta domus Domini (ed. Quint, 19), che si può leggere in Meister Eckhart, I Sermoni, cit., pp. 208-12. Perciò vive nello spirito chi vive nel Figlio, scrive sempre Eckhart, ovvero nella conoscenza. L’eredità stoica appare chiara anche in Spinoza (cfr. cap. XI, pp. 296 sg.), nel fondamentale concetto dell’Etica (V, 3 e Corollario), per cui si passa dalla servitù delle passioni alla libertà dell’intelligenza attraverso la comprensione, ovvero facendosi un’idea chiara e distinta delle passioni medesime. 13   «Tieni a mente che devi comportarti nella vita come a un banchetto. Passa una vivanda. Ti si ferma davanti? Stendi la mano e prendine con moderazione. Passa oltre? Non la fermare. Ancora non viene? Non ti protendere avanti con il desiderio: aspetta che arrivi. Lo stesso devi fare per quanto concerne i figli, la moglie, il denaro, gli onori, e sarai così degno di sedere una volta a mensa con gli dèi. Se poi non toccherai neppure quello che ti sarà posto davanti, non facendone alcun conto, allora sarai degno non solo di sedere a mensa con gli dèi, ma anche di regnare insieme a loro. Operando in tal guisa, Diogene, Eraclito e altri simili venivano chiamati divini, e tali erano veramente» (Epitteto, Manuale 15). Ai nostri giorni, ha ben riconosciuto il valore dello stoicismo, anche in senso «mistico», Simone Weil. 14   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 254-60, che seguo in alcuni passi alla lettera. 15   Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra I, «Dell’amore del prossimo». Senza indulgere alla polemica, o a un facile moralismo, non si può però fare a meno di notare come personaggi quali Bernardo di Chiaravalle, Gerson, Caterina da Siena, ecc. (per non fare che alcuni esempi noti) abbiano manifestato uno spirito aggressivo, un’intolleranza e perfino un odio che contrastano molto con le



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conclamate asserzioni di amore e spirito. Né si scomodi il determinismo storico, per cui in quei tempi era normale, e così via: queste sono menzogne, perché ciò non è mai stato normale, in presenza di vera spiritualità – né nell’antichità, né nel Medioevo, né mai, come è dimostrato dall’esempio contrario di chi ha esperimentato veramente cosa spirito sia. 16   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 258. 17   Nella sua opera principale, De sacramentis christianae fidei I, 10 (PL 176, 329). Prendiamo la citazione da von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 261. Attivo a Parigi verso il 1130, superiore della scuola benedettina di San Vittore, Ugo fu un grande erudito nelle discipline profane, commentatore della Scrittura, ma soprattutto uno degli scrittori spirituali più importanti del suo secolo. Conobbe Dionigi nella versione dell’Eriugena e redasse un Commento alla Gerarchia celeste; è autore di testi che hanno avuto grande fortuna nella storia della mistica, come De arrha animae, De arca Noe mystica, De meditatione. Oltre che sul suo discepolo Riccardo, infatti, l’influenza di Ugo si manifesta, tramite Pietro Lombardo, quasi suo contemporaneo, su tutta la nascente filosofia scolastica, e su entrambe le scuole, francescana e domenicana, del secolo seguente, spingendosi avanti, anche nel XIV secolo. 18   Cfr. Riccardo di San Vittore, Benjamin maior V, 5 (PL 196, 148C, 169C). Di origine scozzese, fu discepolo di Ugo e poi priore di San Vittore, a Parigi, dal 1162 per circa un decennio. Descrive l’itinerario verso la contemplazione nei due trattati, Benjamin maior e Benjamin minor (di quest’ultimo esiste una versione italiana, a cura di C. Nardini, Nardini, Fiesole 1991). Particolarmente significativo, anche per l’influenza che ebbe, il suo De quattuor gradibus violentae caritatis, nel quale l’amore viene visto come forza fondamentale nel cammino dell’anima verso Dio. 19   Riccardo di San Vittore, De quattuor gradibus violentae caritatis (PL 196, 1203). 20   Cfr. nota 2. 21   Se ne veda la recente edizione italiana a cura di C. Falchini, con Introduzione di M. Vannini, Mondadori, Milano 1997. Nato a Liegi verso il 1080, amico di Bernardo di Chiaravalle, Guglielmo studiò a Reims e Lione, fu abate benedettino a Saint-Thierry, vicino a Reims, ma poi passò ai cisterciensi, entrando nel 1135 nella certosa di Signy, nelle Ardenne, dove morì verso il 1148. Proprio da Signy indirizzò ai certosini della vicina Mont-Dieu quella lettera (Epistola ad fratres de Monte Dei) che per lungo tempo fu creduta opera di Bernardo, e che fu chiamata, in senso onorifico, Epistola aurea dal grande erudito benedettino Jean Mabillon, nel 1690. Oltre a questo testo, nell’ambito mistico Guglielmo ha scritto De contemplando Deo, De natura et dignitate amoris, oltre a opere teologiche e filosofiche importanti soprattutto nella disputa che oppose Bernardo di Chiaravalle a Pietro Abelardo in materia trinitaria, sulla grazia, la penitenza, ecc. e che portò alla condanna di quest’ultimo al Sinodo di Sens del 1141. Anche Guglielmo, infatti, come l’amico Bernardo, si oppose alla separazione fra teologia e filosofia, con la conseguente autonomia di quest’ultima. 22   Lettera d’oro, PL 184, 330C (Riprendiamo le citazioni sempre da E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 264). 23  Cfr. ibid., PL 184, 316D. 24   Ibid., PL 184, 315D (E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 265). 25   «È allora che si ha di Dio un pensiero corretto, secondo il modo proprio dell’uomo, se si può parlare di pensiero [cogitatio] là dove non c’è nulla che costringe (cogit) e nulla che è costretto [cogitur], ma dove soltanto, nel ricordo

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dell’abbondante soavità di Dio [cfr. Sal 144, 7], gioisce ed esulta, esperimentando il Signore nella sua bontà, colui che lo cerca con semplicità di cuore [cfr. Sap 1, 1]» Lettera d’oro, PL 184, 37A (par. 250, ed. a cura di C. Falchini, cit., p. 110). Si noti come il gioco di parole latino tra cogitare e cogere permetta a Guglielmo di porre in evidenza il carattere costrittivo, non libero, del pensiero determinato da un fine, del ragionamento, a differenza della libertà della ragione che si è fatta spirito. Cfr. in proposito il par. 201 della Lettera d’oro: «La volontà viene liberata quando diventa carità, ovvero quando la carità di Dio viene effusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato [cfr. Rm 5, 5]. E allora la ragione è veramente ragione, cioè disposizione della mente in tutto conforme alla verità. Quando infatti, una volta che la volontà è stata liberata per mezzo della grazia liberatrice, lo spirito comincia a trovarsi sotto l’influsso di una ragione libera, allora viene reso suo, cioè in grado di usare liberamente se stesso, e diventa animo, e animo buono. Animo, in quanto anima secondo il bene e porta a compimento il proprio essere animale con l’aiuto della ragione libera; buono, in quanto ama ormai il proprio bene, nel quale è reso buono e senza il quale non può essere né buono né animo» (ed. a cura di C. Falchini, cit., p. 95). Guglielmo utilizza qui la distinzione anima-animo, per cui l’anima, realtà incorporea adattata al corpo per vivificarlo, elimina da sé la desinenza femminile e diventa animo, nel momento in cui comincia a essere partecipe della perfetta ragione. Animo è così sinonimo di spirito (cfr. Lettera d’oro, par. 198; cit., p. 94). Per il vocabolario medievale relativo a questi termini, cfr. l’articolo di M.D. Chenu, Spiritus. Le vocabulaire de l’âme au XIIe siècle, in «Revue des Sciences Philosophiques et Religeuses», 41, 1957, pp. 209-32. 26   Lettera d’oro, PL 184, 347A (par. 249, ed. a cura di C. Falchini, cit., p. 109). Qui Guglielmo parla di acies cogitantis. 27  Cfr. Lettera d’oro, parr. 262-263 (ed. a cura di C. Falchini, cit., pp. 113-14). 28  Cfr. Lettera d’oro, PL 184, 347A (par. 249, ed. a cura di C. Falchini, cit., p. 109). 29   Così conclude E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 265. 30   Cfr. Introduzione, pp. 18-21, nonché il mio La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia, cit. 31   Non ci soffermiamo sulla sua personalità, molto nota, né sulla sua vita. Sostanzialmente contemporaneo (1090-1153) di Guglielmo di Saint-Thierry e dei Vittorini, nato in Borgogna da nobile famiglia, entrò molto giovane a Citeaux, poi fu inviato a fondare il monastero di Clairvaux (Chiaravalle), di cui fu abate fino alla morte. Nonostante il suo amore per la solitudine contemplativa, e nonostante anche la sua pessima salute, dispiegò una grandissima attività: viaggiò per tutta l’Europa per conto di papi e di potenti (tre i viaggi solo a Roma dal 1130 al 1138); predicò la seconda crociata; controllò l’azione di papi, vescovi, concili, prendendo posizione in questioni riguardanti la vita della Chiesa e i rapporti Chiesa-Stato; combatté le eresie e la nascente Scolastica, contribuendo potentemente, con la sua autorità morale e l’influenza esercitata sul papa, alla condanna di Abelardo. In breve, fu la maggiore potenza ecclesiastica e religiosa del suo tempo (così lo definisce C. Butler, op. cit., p. 227). Accanto all’attività pratica, Bernardo esercitò ampiamente anche quella letteraria; per il settore mistico le opere di gran lunga più importanti sono gli ottantasei Sermoni sul Cantico dei Cantici, il De diligendo Deo, il De consideratione. 32   Così C. Butler (op. cit., p. 248), che cita in merito Enneadi VI; 9, 9. Si tratta in effetti del passo ove Plotino contrappone, platonicamente, la Venere celeste a



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quella volgare, ovvero l’amore divino a quello terreno, e parla dell’anima che è «innamorata di Dio e desidera unirsi a Lui come una nobile fanciulla ama un nobile Padre». Il paragone, dunque, regge solo fino a un certo punto. 33   Sermone LXXI sul Cantico 5-10 (cit. in C. Butler, op. cit., p. 253). 34   Sermone XXXV sul Cantico 2. Nel Sermone XLIX Bernardo scrive alla lettera: «Vi sono due specie di estasi [excessus] nella santa contemplazione: l’una è dell’intelletto, l’altra dell’affetto; l’una avviene nella luce della conoscenza, l’altra nell’amore di devozione». 35   Sermone LVII sul Cantico 7. 36   Tali espressioni si trovano tutte nei Sermoni sul Cantico; cfr. C. Butler, op. cit., pp. 238 sg. 37   Sermone XLI sul Cantico 3. 38   De diligendo Deo 28. Per la storia e la fortuna di queste immagini, cfr. lo studio di J. Pépin, Stilla aquae modica molto infusa vino. Ferrum ignitum. Luce perfusus aër. L’origine de trois comparaisons familières à la théologie mystique médiévale, Miscellanea André Combes I, in «Divinitas», 11, 1967, pp. 331-75. 39   L’affermazione è ripetuta spesso nei Sermoni sul Cantico: il Sermone XXXI è tutto dedicato a questo argomento, ma cfr. anche i sermoni XXXII, 9; XXXIII, 6; XXXIV, 1. 40   C. Butler (op. cit., p. 257) rimanda in merito al lungo passo autobiografico del Sermone LXXIV sul Cantico, riportato alle pp. 235 sg., ma anche al Sermone XXXI sul Cantico 6: «Non vogliate credere però che in questa unione dell’anima con il Verbo sia da supporre qualcosa di apprensibile per via di sensi o di immaginazione. Io non faccio che ripetere le parole dell’Apostolo: “Chi si unisce al Signore è con Lui un solo spirito”. E cerco di esprimere, meglio che posso, nel mio linguaggio umano, l’ascesa a Dio di un’anima pura, o la santa discesa di Dio nell’anima, mettendo a confronto tra loro due realtà tutte spirituali. Questa unione avviene nello spirito, perché Dio è spirito e si innamora della bellezza che ha visto avanzare nelle sue vie, senza lasciarsi possedere dai desideri carnali; e si è attaccato a essa soprattutto perché ha osservato che bruciava d’amore per Lui. Ma l’anima che prova tali sentimenti e che si sa tanto amata non si accontenterà né di questa unione, accordata a tutti, né della presenza dello Sposo, cosa già più rara, in sogni o visioni; niente di tutto questo la soddisferà pienamente, se non che Dio, accordandole un privilegio speciale, discenda dal cielo ed essa possa riceverlo nel più profondo di sé, nelle midolla del cuore […] e la sua presenza le procurerà una gioia tanto maggiore, quanto meno sarà sensibile all’esterno». 41  Cfr. Sermone LII sul Cantico 4. Per la discussione del tema, cfr. C. Butler, op. cit., pp. 254-60. 42   Sermone XLV sul Cantico 7. 43   Sermone XXXI sul Cantico 6. 44   Come il Manzoni definì acutamente Fede e bellezza di Niccolò Tommaseo. 45   Nota giustamente C. Butler (op. cit., p. 271) che nel misticismo cristiano fino a Bernardo non v’è quella ossessione del demoniaco che invece compare nei secoli successivi, in stretto legame con quella «immagine distorta del misticismo come stato miracolistico caratterizzato da visioni, rivelazioni, favori straordinari, spesso immediatamente fisici: un misticismo su di un piedistallo, che lascia perplessi e rispettosamente a distanza, che non interessa la vita devota, tanto è fuori dalla comune portata umana, privilegio di soli eletti, e comunque così eccezionale che il solo desiderarlo sarebbe presunzione. Nella più autentica tra-

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dizione cristiana la contemplazione è il termine naturale di ogni vita vissuta con spirito religioso, è lo stato da desiderare, al quale attendere con tutte le proprie forze, e non la condizione di privilegio di poche anime devote. Nella dottrina di sant’Ago­stino e di san Gregorio la contemplazione era itinerario comune, porta aperta a ciascuno» (ibid., p. 276). 46   Cfr. in proposito cap. X, pp. 282, 286. 47   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 277. 48   Thomas Gallus, Grand Commentaire sur la Théologie mystique, a cura di G. Théry, Paris 1954, p. 14. 49   Ibid. 50   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 279. 51   Ibid. 52   Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum VII, 4 (Conclusione). Lo schema delle facoltà si trova invece all’inizio (I, 6), là dove i sei gradi (senso, immaginazione, ragione, intelletto, intelligenza, apice della mente o scintilla della sinderesi) vengono fatti corrispondere alle sei ali del serafino, la cui visione toccò a Bonaventura sul monte della Verna. 53   Ibid. 54   Cfr. per esempio i passi seguenti (tratti dalla edizione di Venezia, 1751-1755, t. XI, delle Opere di san Bonaventura, e citati da E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 270 sg.): «È necessario che l’affetto si elevi puro, senza mescolanza di intelletto, verso colui che esso sa, nella sua tendenza, che può appagare il suo desiderio». «Lo spirito non sarà mai soddisfatto se non raggiunge colui del quale è immagine, per il contatto amoroso che è il solo a desiderare in modo naturale». «Considera il movimento della pietra che il suo peso fa discendere naturalmente verso il centro. Allo stesso modo, disposto per il peso dell’amore, l’affetto si eleva verso Dio, senza alcun pensiero né alcuna scelta, tendendo, per così dire, verso il suo centro». «Lo spirito non potrebbe elevarsi con questi movimenti, se pensasse a qualcosa nel momento in cui si eleva; al contrario, l’affetto precipiterebbe miseramente dalla sua elevazione». Perciò l’introduzione della facoltà intellettiva, che sempre vuol conoscere, è uno dei principali ostacoli alla conoscenza mistica. Infatti «lo spirito è toccato dal fuoco dello Spirito Santo prima che sopravvenga qualsiasi pensiero». «Lo Spirito Santo, per il fuoco dell’amore, tocca e infiamma la punta più alta della facoltà affettiva e l’attira a sé in modo indicibile, senza alcun pensiero né scelta razionale». In conclusione, «la teologia mistica insegna a raggiungere la conoscenza immediata del Creatore attraverso le aspirazioni ardenti dell’amore unitivo». 55  Cfr. ibid., p. 390a. 56   Ibid., p. 391b. 57   Ibid., p. 346a. Per queste citazioni, cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., pp. 271 sg. 58   Cfr. E. von Ivànka, Platonismo cristiano, cit., p. 272 nota 96. 59   Non possiamo, per gli evidenti limiti di questo lavoro, dare conto neppure per sommi capi delle numerosissime e importanti figure, maschili e femminili, della storia del francescanesimo o che comunque sono da iscriversi nel suo ambito. La vita del santo di Assisi fu interpretata come piena sequela e imitazione di quella di Cristo dai suoi contemporanei, e poi anche oltre (Tommaso da Celano, Bonaventura da Bagnoregio, Ubertino da Casale, fino al De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Jesu di Bartolomeo da Pisa, alla fine del XIV secolo); fin



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dal Duecento una serie di donne (Margherita Colonna, Margherita da Cortona, Angela da Foligno, sulla quale dovremo tornare) prese ispirazione dal santo nella devozione alla Croce e sorse una letteratura spirituale di impronta francescana (cfr. per esempio lo Stimulus amoris di Giacomo da Milano e le Meditationes vitae Christi di autore anonimo). Le figure forse più importanti nella storia specifica della mistica sono quelle del francescano fiammingo Heinrich Herp (Erp, Arp, Herpius, Harpius, ecc.), morto nel 1477, autore dell’importante Spieghel der volcomenheit (Specchio di perfezione), la cui influenza si fece sentire fino a tutto il Seicento; del cappuccino inglese Benedetto di Canfield (1562-1610), la cui Regola di perfezione finì condannata per sospetto di quietismo; del francese Costantino di Barbanson (1582-1631), autore dei Segreti sentieri dell’amore divino. Tra i francescani dell’ambito spagnolo, particolarmente numerosi e forti, ricordiamo Francisco de Osuna (1492-1540), il cui Abecedario spirituale fu determinante anche per la vita di Teresa d’Avila, accanto ai contemporanei Bernardino da Laredo (autore della Salita al monte di Sion) e Pietro di Alcàntara (1499-1562). La tendenza a una devozione particolarmente incentrata sulla Passione, che dà luogo a manifestazioni fisiche particolari (levitazioni, estasi, stimmate) dura da secoli nell’ambito francescano (e cappuccino), maschile e femminile: basti ricordare Giuseppe da Copertino (1603-1663), Bernardino da Offida (1604-1694), Maria Maddalena Martinengo (1687-1737), Veronica Giuliani (1660-1727), Maria Francesca delle Cinque Piaghe (1715-1791), fino a giungere al contemporaneo Pio da Pietrelcina (1887-1968). 60   Per il significato che la discussione medievale sulla povertà di Cristo ha avuto, specie nel dibattito tra francescani e domenicani, e per comprendere quanto la povertà volontaria stessa possa essere espressione di legame e non di distacco, niente di meglio che la lettura del sermone Beati pauperes spiritu di Meister Eckhart, per cui cfr. più avanti, pp. 188-94. 61   Così per esempio L. Valle (Tra linguaggi e mistico, Borla, Roma 1986, pp. 187 sg.) coglie suggestivi punti di contatto tra la morte di Buddha e quella di Francesco. 62   Da Ockham, che non capisce nulla di Eckhart, alla vicenda del Savonarola, alla controversia sui riti cinesi (per non fare che alcuni esempi). Naturalmente ciò non esclude la presenza di figure di santi. 63   W. Goethe, Faust, Studio II. 64  Cfr. Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, a cura di P. Dinzelbacher e D.R. Bauer, a cura di M. Vannini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993. 65   La visione che la piccola Caterina da Siena ha di Gesù con in testa la tiara papale, per esempio, si inserisce bene nel clima del tempo, con il problema del papato in Avignone, ecc. È qualcosa che oggi farebbe sorridere, o addirittura parrebbe grottesco, in tempi di ecumenismo, ecc. Tra l’abbondantissima letteratura su Caterina da Siena, ci limitiamo a citare L’estasi e la parola, a cura di G. D’Urso, Nardini, Fiesole 1996. 66   Per quanto non ignoto all’antichità cristiana, il fenomeno del visionarismo esplode, significativamente, nell’epoca di Bernardo di Chiaravalle. Sua contemporanea, in rapporto con lui, fu infatti Ildegarda di Bingen (1098-1179), la prima grande visionaria del Medioevo, a sua volta in relazione con Elisabetta di Schönau (1129-1164). Da allora in poi si ha un’esplosione del fenomeno, quasi esclusivamente concentrato nell’ambito monastico femminile. In proposito cfr. P. Dinzelbacher, Mittelalterliche Frauenmystik, Ferdinand Schöningh, PaderbornMünchen-Wien-Zürich 1993; cfr. anche J. Thiele (a cura di), Mein Herz schmilzt wie

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Eis am Feuer. Die religiöse Frauenbewegung des Mittelalters in Porträts, Kreuz Verlag, Stuttgart 1988 – oltre, naturalmente, agli studi specifici sulle singole personalità. Fare anche solo un elenco di tali personalità è impossibile (ed esula dai criteri ispiratori di questo libro), ma tra quelle più significative possiamo ricordare, per il Duecento, Gertrude di Helfta, Matilde di Magdeburgo e Matilde di Hackeborn, Angela da Foligno; per il Trecento Brigida di Svezia, Caterina da Siena; poi Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), Margherita Maria Alacoque (1647-1690), Anna Katharina Emmerich (1774-1824); Gemma Galgani (1878-1903); Maria Faustina Kowalska (1905-1938). In realtà il fenomeno prosegue incessantemente anche ai nostri giorni, ma senza che assuma mai quel valore che gli fu dato nel passato. 67   Vissuta tra il 1248 ca. e il 1309, il suo Libro dell’esperienza è uscito in edizione critica nel 1985 (Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, Grottaferrata), a cura di L. Thier e A. Calufetti, a testimonianza di un rinnovato interesse per la Beata umbra. (Cfr. anche Angela da Foligno, Il libro dell’esperienza, a cura di G. Pozzi, Adelphi, Milano 1992). In realtà l’opera è frutto della registrazione-trascrizione di un religioso francescano, frate Arnaldo, con tutti i problemi che ciò comporta per un’esatta valutazione del pensiero e della personalità di Angela. 68  Citiamo per esempio questo passo dal Libro dell’esperienza: «Una volta, quando non aveva ancora finito di distribuire completamente i suoi beni, anche se le era rimasto molto poco, Angela, mentre stava in preghiera, a tarda ora, confessò di non gustare Dio. Lo pregò e si lamentò dicendo: “Signore, ciò che sto facendo, lo faccio solo per trovare te. Ti troverò quando avrò finito?”. E disse tante altre cose in quella preghiera. Le fu chiesto: “Cosa vuoi?”. Rispose: “Non voglio né oro né argento, e, se anche tu mi dessi il mondo intero, non vorrei altro che te”. Allora egli disse: “Datti da fare, perché appena avrai terminato, tutta la Trinità verrà in te”» (cit. in A. Calufetti, Angela da Foligno mistica dell’«Ognibene», San Paolo, Milano 1992, p. 160). Si noti il fine «gustativo» della Beata umbra. 69  Cfr. Il libro dell’esperienza, cit., pp. 192 sg. 70   La «fortuna» di Angela, come quella della contemporanea Chiara da Montefalco (1268-1308), dipende molto dall’essere state entrambe dalla parte dell’istituzione ecclesiastica nella lotta contro la setta del Libero Spirito, particolarmente forte nella zona. In effetti vi sono molti elementi nella vita di Angela e nel suo racconto che potrebbero imparentarla con il Libero Spirito, e che sono poi quelli che ne hanno fatto la «fortuna» più recente: da Huysmans a Bataille (cfr. Il libro dell’esperienza, cit., pp. 11-15). 71   In proposito, cfr. più avanti, cap. VII, p. 208. Rimando comunque fin d’ora alla mia Introduzione all’edizione di Enrico Suso, Il libretto della verità, Mondadori, Milano 1997. 72   La vicenda di Suso può essere seguita con precisione perché disponiamo della sua Vita: cfr. i capp. 19 e 20 (in Beato Enrico Susone o.p., Opere spirituali, a cura di B. de Blasio, Edizioni Paoline, Alba 1971, pp. 83-93), pagine veramente importanti nella storia della spiritualità, in quanto descrivono in concreto il passaggio dall’esteriorità all’interiorità, nella direzione del vero distacco dall’io. 73   Cfr. in proposito il mio Sulla mistica e il femminile, introduzione a Movimento religioso e mistica femminile, cit., pp. 5-22. Per il nostro paese si può consultare l’ampia antologia Scrittrici mistiche italiane, a cura di G. Pozzi e C. Leonardi, Marietti, Genova 1988, che copre un panorama che va da Chiara di Assisi al mondo contemporaneo. Interessante in proposito anche R.M. Bell, La santa anoressia. Digiuno e misticismo dal Medioevo a oggi, Laterza, Roma-Bari 1987.



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74   In italiano cfr. Hadewijch, Lettere. Dio amore e amante, a cura di R. Berardi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1992. Fondamentale resta però Hadewijch d’Anvers, Ecrits mystiques des Béguines, a cura di J.B. Porion, Seuil, Paris 1954. 75   Riprendiamo qui alcune righe del nostro saggio Il «cuore» nella mistica femminile del Medioevo, in «Rivista di ascetica e mistica», 1, 1994, pp. 63-82. Qui cfr. p. 74. 76   Per le vicende di Margherita e del suo libro, cfr. la «Prefazione storica», che Romana Guarnieri  –  scopritrice del testo e autorità in materia  –  premette alla recente edizione de Lo specchio delle anime semplici, cit., pp. 7-54. 77   Come opera di un «anonimo mistico francese del XIII secolo» Lo specchio delle anime semplici fu infatti pubblicato in inglese, nel 1927, a cura di C. Kirchberger, e come tale fu letto, fra gli altri, da Simone Weil. 78   Cfr. il mio saggio Il «cuore» nella mistica femminile del Medioevo, cit., pp. 7682. A completamento di quanto qui necessariamente solo accennato, cfr. il mio saggio, Libro di vita e di battaglia, in M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., pp. 73-104, e soprattutto le Note al Testo medesimo. 79   Cfr. la straordinaria canzone del cap. 6, in M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., pp. 143-45. 80  Cfr. ibid., cap. 19, p. 193. 81  Cfr. ibid., cap. 8, p. 149. 82   Ibid., cap. 22, p. 201. 83   Ibid., cap. 136, p. 491. 84  Cfr. ibid., capp. 96-101, pp. 371-83. 85   Questa espressione, diventata celebre quasi come «cifra» della mistica speculativa, soprattutto attraverso Eckhart e Silesius, viene usata spesso da Margherita («sans pourquoi», «sans nul pourquoi»), che l’ha, a sua volta, ripresa probabilmente dalle beghine fiamminghe come Hadewijch. 86   Cfr. sempre Lo specchio delle anime semplici, cit., cap. 115, p. 411. Il cap. 111 verte invece sullo Spirito, in quanto «movimento» donato all’anima. 87  Cfr. ibid., cap. 35, p. 231 e nota 118. 88   È fondamentale passo giovanneo (16, 7-13) è infatti richiamato da Margherita nella prima, importantissima «considerazione» del cap. 123, in Lo specchio delle anime semplici, cit., p. 451. 89   Cfr. per esempio ibid., cap. 69, p. 307, con riferimento implicito a Gv 4, 2024. 90  Cfr. ibid., cap. 100, p. 381. 91  Cfr. ibid., cap. 51, p. 265. 92  Di qui l’opposizione che Margherita stabilisce, nel suo libro, tra «Santa Chiesa la piccola», che è l’istituzione ecclesiastica, e «Santa Chiesa la grande», che è la vera comunità degli spiriti. 93  Cfr. Lo specchio delle anime semplici, cit., capp. 6, p. 145; 8, p. 151. 94   Ibid., cap. 59, p. 285. 95  Cfr. ibid., cap. 64, p. 297. 96   Cfr. per esempio ibid., capp. 57, pp. 280 sg; 69, p. 307. 97  Cfr. ibid., cap. 139, p. 497 e nota 401. 98  Cfr. ibid., cap. 56, p. 277. 99   Sulle circostanze storiche dell’incontro di Eckhart con il libro di Margherita (il maestro domenicano era a Parigi nello stesso periodo del processo alla Porete, e viveva nel convento domenicano di Saint Jacques, dove alloggiava anche

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l’Inquisitore che la condannò), rimando al mio saggio Libro di vita e di battaglia, cit. Ho indicato nelle Note allo Specchio delle anime semplici, cit., i numerosissimi punti importanti in cui Eckhart segue, talvolta alla lettera, il libro, ovviamente senza citarlo perché opera di un’eretica condannata a morte. 100   Mi permetto di rimandare al mio saggio Il paradosso della natura, cit., pp. 4363. 101   Figlio spirituale di Caterina da Genova è Ettore Vernazza, il padre del­ l’Oratorio del Divino Amore. Gli scritti di Caterina, raccolti dal Vernazza medesimo, nonché dal confessore di lei, Cattaneo Marabotto (cfr. Opere di S. Caterina da Genova, Paoline, Modena 1956), ebbero larga diffusione e influenzarono la mistica francese del Seicento, poi il romanticismo tedesco, nonché l’area protestante e anglicana, fin nel XIX secolo. La vicenda umana e l’opera di Caterina sono state oggetto dell’importante studio del barone F. von Hugel, The Mystical Element of Religion as studied in Saint Catherine of Genua and Her Friends, J.M. Dent & Sons, London 1923. 102   Per la storia della trasmissione del libro di Margherita Porete cfr. R. Guarnieri, Prefazione storica a M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit. 103   Alla medesima studiosa, R. Guarnieri, dobbiamo il miglior saggio in proposito: Il movimento del Libero Spirito. Testi e documenti, cit. 104   In questo campo c’è il problema di discernere nelle fonti (che sono quasi sempre i documenti dei processi, dunque la fonte accusatoria), il vero dal falso. Non vi è dubbio sul fatto che le accuse di licenziosità siano in alcuni casi vere, ma in altri assolutamente false (come è, per esempio, il caso del processo al cardinale Pier Matteo Petrucci di Jesi, nel 1687). 105   Ricordiamo che nel 1311, al Concilio di Vienne, nel Delfinato, papa Clemente V condannò come eretiche otto proposizioni riconducibili alla setta del Libero Spirito e, in parte, anche allo Specchio di Margherita. Ne riportiamo, in traduzione, le più significative: «1. Che l’uomo in questa vita può giungere a un grado così alto di perfezione da diventare impeccabile […] 2. Che non c’è bisogno di digiunare né di pregare, dopo che si è conseguito tale stato di perfezione, perché allora la sensualità è così sottomessa allo spirito e alla ragione che si può liberamente concedere al corpo quel che si vuole. 3. Che quelli che si trovano nel predetto stato di perfezione e nello spirito di libertà non sono soggetti all’obbedienza umana, né obbligati ai precetti della Chiesa, giacché – come dicono – “ubi spiritus domini, ibi libertas” [2 Cor 3, 17]. 4. Che si può conseguire in questa vita, così come in quella del paradiso, la beatitudine finale secondo ogni grado di perfezione. 5. Che ogni natura intellettuale è naturalmente beata in se stessa, e che l’anima non ha bisogno del lume di gloria per elevarsi alla visione di Dio e al suo godimento. 6. Che esercitarsi negli atti di virtù è proprio di un uomo imperfetto, mentre l’anima perfetta prende congedo dalle virtù». Non molti anni dopo, nel 1336, papa Benedetto XII emanava la costituzione Benedictus Deus, che fu interpretata in quel periodo come riservante il privilegio della visione beatifica alla vita del cielo. 106  A questo testo, pubblicato in traduzione italiana con l’originale a fronte (San Paolo, Cinisello Balsamo 1992) a cura dello scrivente, e alla relativa Introduzione, rimandiamo a necessario completamento di queste righe, anche per quanto concerne la vita e le opere di Gerson. Non ci occupiamo qui delle molte altre opere che il cancelliere parigino ha dedicato alla tematica mistico-spirituale; cfr. J. Gerson, La via semplice all’amore di Dio, a cura di B. Iacopini, Piemme, Casale



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Monferrato 1997, che comprende La montagna della contemplazione e La mendicità spirituale. 107   Al problema dei rapporti Gerson-Ruusbroec è dedicata l’amplissima opera di A. Combes, Essai sur la critique de Ruysbroeck par Gerson, 4 voll., Vrin, Paris 1946-1972. 108   Cfr. J. Gerson, Teologia mistica, cit., pp. 10 sg. 109   Molto interessante, nella Teologia mistica di Gerson, una Adnotatio doctorum aliquorum qui de contemplatione locuti sunt (cfr. op. cit., pp. 304-307), che costituisce un documento delle letture dell’autore, e, insieme, anche una traccia precisa della storia della mistica quale si configurava ai suoi tempi. Per il suo grande interesse, la riportiamo qui in sintesi. Si noti che l’ordine dato da Gerson non è cronologico. Per primo compare «il grande Dionigi, istruito da Paolo, che ha trattato per primo in modo speculativo la teologia mistica», poi il venerabile Riccardo di San Vittore, «il primo che gli ha fatto seguito, rielaborando organicamente questa materia, che altri avevano trattato sotto forma di elogio o di ammirazione». «Giovanni Cassiano ne parla nelle Collazioni dei Padri, soprattutto in quella sulla carità; Agostino ne parla nella Vera religione, nelle Confessioni, nel De diligendo Deo [testo apocrifo, attribuito oggi ad Alchiero di Chiaravalle], nella Trinità e spesso altrove, come in tutto il Commento ai Salmi. Giovanni Climaco ne parla nel suo libro sui Trenta gradini della scala [si tratta della Scala paradisi di Giovanni Climaco (ca. 550-625), monaco di Santa Caterina sul Sinai, tradotta in latino dallo spirituale francescano Angelo Clareno (1255-1337), che era stato in Grecia. L’opera non godette sempre di buona fama, specie perché il ventinovesimo gradino della Scala prevede una apátheia, una «impassibilità» di tipo stoico. Gerson stesso a volte esprime riserve in merito]. Gregorio Magno ne parla diffusamente nei suoi Moralia, soprattutto nel sesto libro, e nella terza Omelia su Ezechiele. Bernardo di Chiaravalle ne parla nel Commento al Cantico, nel De diligendo Deo, nella Epistola ai monaci di Mont-Dieu [opera invece, come sappiamo, di Guglielmo di Saint-Thierry], e anche altrove». Sono poi citate alcune opere di Ugo di San Vittore, l’Itinerario di Bonaventura, e, anonimamente, «alcuni trattati compilati da autori più recenti», come lo Stimolo d’amore verso la passione di Cristo [probabilmente opera del francescano Giacomo da Milano]. «Quell’altro libro sulla triplice via, che inizia con le parole “Viae Syon lugent” [ovvero l’opera di Ugo di Balma]; l’altro sul Nuovo secolo [si tratta probabilmente del De laude Domini novi saeculi del domenicano Bertrando di Alen, scritta ai primi del Trecento]; l’altro sui Sette cammini dell’eternità [De septem itineribus aeternitatis del francescano Rodolfo di Biberach]; l’altro sull’Ornamento delle nozze spirituali, la cui terza parte è sospetta di eresia». Infine Gerson allude ad «alcuni scritti in volgare, qualche sermone, piccoli trattati», pensando sicuramente a opere sue. 110   In occasione della canonizzazione della santa svedese, Gerson scrisse il De probatione spirituum (1415) prendendo risolutamente posizione contro gli eccessi del visionarismo. Sullo stesso tema torna nel De examinatione doctrinarum, del 1423, ribadendo il suo scetticismo in merito. 111  Cfr. Teologia mistica, cit., p. 15. Questa parte dell’opera (sono le Considerazioni 36-39 del Trattato primo, speculativo) finì per diventare una sorta di «piccolo trattato» sul rapimento e l’estasi, cui si sono rifatti poi molti teologi. 112  Cfr. ibid., pp. 24, 333. 113  Cfr. ibid., p. 25. Cfr. in proposito la citazione di E. Suso, Libretto della verità, qui pp. 11 e 309.

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114   Cfr. A. Combes, La théologie mystique de Gerson. Profil de son évolution, vol. 2, Desclée, Roma 1964, p. 249. Ci si riferisce in particolare alla comparsa, in Gerson, della tematica dell’anima verbigena, ossia della generazione del Logos nell’anima, e anche all’insistenza sulla portio virginalis animae – concetti, entrambi, tipici della speculazione eckhartiana. Cfr. anche Teologia mistica, cit., p. 30. 115   La sua Guide spirituel pour la perfection, a cura di M. de Certeau, è stata pubblicata anche in italiano (Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988). 116   È quella redatta verso il 1420, ovvero una quarantina d’anni dopo la sua morte, da Hendrik Utenbogaerde, latinamente Henricus Pomerius, che scrisse una Storia del monastero di Groenendael, di cui egli stesso era canonico. Su Ruusbroec (questa la grafia oggi preferita dagli studiosi) cfr. comunque il profilo di P. Verdeyen, Introduzione a Ruysbroeck, Nardini, Firenze 1991. Qui riprendiamo alcuni passi della nostra Introduzione a Giovanni di Ruusbroec, La vita divina, Mondadori, Milano 1998. 117   Seguo qui il testo di L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, a cura di M. Vannini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1991, pp. 261-82, riassumendo liberamente. 118   Cfr. in proposito il sermone Intravit Iesus in quoddam castellum; in Meister Eckhart, Sermoni tedeschi, cit., pp. 263-77; cfr. anche lo studio di D. Mieth, Die Einheit von Vita activa und Vita contemplativa in den deutschen Predigten und Traktaten Meister Eckharts und bei Johannes Tauler. Untersuchungen zur Struktur des christlichen Lebens, Regensburg 1969. 119   Cfr. P. Henry, La mystique trinitaire du bienheureux Jean Ruusbroec, in Mélanges J. Lebreton, t. II, «Recherches de sciences religieuses», t. XL, 1-2, 1952, pp. 335 sgg. 120   Riportiamo, per esempio, quella stessa che P. Verdeyen (op. cit., pp. 124 sg.) trae dall’Ornamento delle nozze spirituali, con la precisazione che essa può essere stata ispirata dalla Vita di Maria d’Oignies (beghina brabantina, 1177-1213) scritta da Giacomo di Vitry, un testo fondamentale per lo sviluppo del movimento beghinale e per la mistica dei Paesi Bassi: «Vi è un altro arrivo del Cristo nel cuore amante. Esso si accompagna a una grande dolcezza che fa nascere nel cuore e nelle capacità sensibili un godimento tale che l’uomo crede di essere avvolto internamente dall’abbraccio del divino amore. Orbene, questo gaudio e questa consolazione sono più saporiti per l’anima e per il corpo di tutto ciò che il mondo può procurare come piaceri, anche se un uomo potesse provarli tutti nello stesso momento e nella loro stessa pienezza. È qui che Dio scende nel cuore con i suoi doni, e vi diffonde una consolazione così grande e una tale gioia che il cuore interiormente trabocca. Si comprende allora quanto siano miserabili coloro i quali si tengono al di fuori dell’amore. La gioia così avvertita fa come liquefare il cuore, tanto che l’uomo non può più contenersi sotto l’abbondanza della gioia interiore. Dal gaudio così descritto nasce una ebbrezza spirituale, che per l’uomo significa esser colmato di dolcezza e gioia più di quanto il cuore e il desiderio possano desiderare o contenere. L’ebbrezza spirituale produce molti strani effetti: mentre gli uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, gli altri spargono molte lacrime nella grande allegria del cuore. Qualcuno manifesta un’agitazione di tutte le membra che lo spinge a correre, saltare, danzare: in altri l’ebbrezza è così grande da indurli a battere le mani e applaudire. Uno grida ad alta voce e manifesta così la sovrabbondanza che avverte in sé; un altro, per contro, tace, e fonde nella delizia che prova in tutti i sensi. Talvolta si è tentati di credere che tutti facciano la stessa esperienza; oppure ci si immagina che nessuno abbia mai assaporato ciò



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che si prova in se stessi. Sembra che sia impossibile vedere scomparire questo gaudio e che in effetti esso non andrà mai perso, e ci si stupisce talora che tutti gli uomini non divengano spirituali e divini. A volte si pensa che Dio è tutto intero soltanto per noi e non appartiene a nessun altro quanto a noi stessi, a volte ci si chiede con ammirazione che cosa sia un siffatto godimento, da dove esso venga e che cosa ci sia capitato. È la vita più deliziosa che un uomo possa conoscere su questa terra, in quanto gioia avvertita. E talvolta la delizia è così grande che il cuore teme di spezzarsi». 121   Cfr. in proposito la mia Introduzione a Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, cit., pp. 7-8. 122   Così nella tradizione popolare, religiosa e laica, relativa a Eckhart, per cui cfr. «Maestro Eckhart disse…», in Meister Eckhart, La via del distacco, a cura di M. Vannini, Mondadori, Milano 1995, pp. 121-64. 123   Sulla vita di Eckhart (1260-1328 ca.) cfr. K. Ruh, Meister Eckhart. Teologo, predicatore, mistico, a cura di M. Vannini, Morcelliana, Brescia 1989. Per il processo, cfr. W. Trusen, Der Prozeß gegen Meister Eckhart. Vorgeschichte, Verlauf und Folgen, Rechts- und Staatswissenschaftliche Veröffentlichungen der Görres-Gesellschaft, Paderborn 1988. Per una prima informazione generale, cfr. M. Vannini, Introduzione a Eckhart, cit. 124   Cfr. le proposizioni condannate dalla Bolla In agro dominico del 27 marzo 1329, emessa ad Avignone da papa Giovanni XXII, nn. XI, XII, XIII. 125   Ibid., nn. XX e XXI. 126  Cfr. l’inizio del sermone Misit dominus manum suam: «Quando predico, sono solito parlare del distacco, e di come l’uomo debba essere libero da se stesso e da tutte le cose. In secondo luogo, che l’uomo deve essere di nuovo conformato al Bene semplice, che è Dio. In terzo luogo, che si ricordi della grande nobiltà che Dio ha posto nell’anima, in modo che giunga meravigliosamente fino a Dio. In quarto luogo, io parlo della purezza della natura divina – quale splendore sia nella natura divina è inesprimibile. Dio è una Parola, una Parola non pronunciata» (Meister Eckhart, I Sermoni, cit., p. 397). 127   Lo si può leggere in Meister Eckhart, Sermoni tedeschi, cit., pp. 130-38. 128   Ibid., pp. 131-32. 129   Ibid., p. 131. 130   Ibid., p. 134. 131   Cfr. in proposito la mia, Introduzione a Eckhart, cit. 132   Cfr. il sermone Misit dominus manum suam, cit., che prosegue: «Agostino dice: Tutta la Scrittura è vana. Se si dice che Dio è una Parola, viene espresso; se si dice che Dio è inespresso, è inesprimibile. Tuttavia è qualcosa; chi può esprimere questa Parola? Nessuno può farlo, se non chi è questa Parola. Dio è una Parola che esprime se stessa; dove Dio è, egli pronuncia questa Parola; dove non è, non la pronuncia. Dio è espresso e inespresso». 133   Sermoni tedeschi, cit., p. 133. 134   Ibid., p. 132. 135   Ibid., pp. 135-36. 136   Ibid., pp. 132-33. 137   Ibid., p. 136. 138   Ibid., pp. 134-35. 139   Cfr. Eckhart, Commento alla Genesi, cit., n. 211, p. 121. 140   Sermoni tedeschi, cit., pp. 136-37.

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141   Così lo chiama spesso Eckhart. Nella teologia tomista infatti «processiones Personarum sunt rationes productionis creaturarum» (Summa Theologiae I, q. 45, a. 6, ad 2), e anche: «Sicut trames a fluvio derivatur, ita processus creaturarum ab aeterno processu Personarum» (In I Sententiarum Prol.). 142   Traduco qui con «ritorno» il tedesco durchbrechen, altre volte da me reso con «irruzione» o «penetrazione», in considerazione del contesto in cui la parola è posta, in rapporto dialettico con ûzvliezen, «fluire», e soprattutto perché Eckhart stesso, nelle opere latine, parla di reditus ed exitus, rispettivamente. 143   Sermoni tedeschi, cit., pp. 137 sg. 144   Questo è uno dei punti che maggiormente ha colpito quei contemporanei che si sono occupati del rapporto Eckhart-buddhismo. Citiamo qui in proposito soltanto D.T. Suzuki, Misticismo cristiano e buddhista, Ubaldini, Roma 1971 e S. Ueda (traduttore giapponese di Eckhart), Die Gottesgeburt in der Seele und der Durchbruch zur Gottheit. Meister Eckhart und der Zen-Buddhismus, Mohn, Gütersloh 1965. 145   Cfr. il sermone In occisione gladii (in I Sermoni, cit., pp. 140-145): «Tutto ciò che è diviso nelle cose basse, è unificato quando l’anima si eleva a una vita in cui non v’è più opposizione. Quando l’anima arriva nella luce dell’intelletto, non sa niente della opposizione. Ciò che sfugge a questa luce, cade nella mortalità e muore». 146   Lo si può leggere in Sermoni tedeschi, cit., pp. 102-107. Cfr. la mia Introduzione a Eckhart, cit., pp. 27 sgg. 147   Ibid., p. 104. 148   Ibid., pp. 104-105. 149  Cfr. Istruzioni spirituali, in Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, a cura di M. Vannini, Adelphi, Milano 1999, p. 60. 150   Cfr. per esempio il trattato Del distacco, in Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, cit., p. 132; o il sermone Omne datum optimum, in Meister Eckhart, I Sermoni, cit., p.  . 151  Cfr. Istruzioni spirituali, cit., p. 109. 152   Sarebbe interessante notare quanto Eckhart sia un pensatore classico, ovvero abbia la stessa mentalità dei grandi filosofi greci, da Platone a Plotino. Certo è, comunque, che egli valuta i filosofi «pagani» come i cristiani, e ha un commovente, profondo rispetto per gli antichi, maggiore di quello che pur mostrano i suoi grandi contemporanei, quale, per esempio, Dante. 153   Eckhart chiama Dio «nulla» con un rilievo e una pregnanza molto superiori a quelli della teologia negativa di stampo dionisiano. Se si legge per esempio il sermone Surrexit autem Saulus (Sermoni tedeschi, cit., pp. 199-209), si vede come il maestro domenicano seriamente consideri Dio come nulla. 154   Cfr. in proposito il sermone Dum medium silentium, in Sermoni tedeschi, cit., pp. 139-52. 155  Nelle Istruzioni spirituali (in Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, cit., pp. 115 sg.) Eckhart esorta a considerare insignificante il problema della natura e della grazia, che provengono entrambe da Dio. Sulla equivalenza tra distacco e grazia, rimando alla mia Introduzione a Meister Eckhart, Sermoni latini, Città Nuova, Roma 1989, pp. 9-13. 156   Infatti il male è il non-essere, e perciò il peccatore – che è l’uomo legato alla eigenschaft – non ha essere, non è essere: cfr. per esempio Commento alla Genesi, cit., n. 86, p. 67.



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157   Cfr. per esempio i sermoni Gott hat die Armen e Scitote quia prope est regnum dei (Sermoni tedeschi, cit., pp. 162 e 178). 158   La troviamo in conclusione del trattato Del distacco (in Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, cit., p. 146). 159   La tematica della giustizia è fondamentale in Eckhart. Essa significa l’essere assolutamente distaccato, uguale in tutte le cose: cfr. per esempio i sermoni Iusti vivent in aeternum (I Sermoni, cit., pp. 129-35) e Iustus in perpetuum vivet (Sermoni tedeschi, cit., pp. 108-12). 160   Così Eckhart chiama i suoi accusatori nel suo «scritto di difesa» (Rechtfertigungsschrift, per cui cfr. Opere tedesche, a cura di M. Vannini, La Nuova Italia, Firenze 1982, p. X). 161   Lo sottolinea giustamente A.M. Haas (Introduzione a Meister Eckhart, ed. it. a cura di M. Vannini, Nardini, Fiesole 1997), prendendo opportunamente le distanze da quelle mode attuali che vorrebbero farne un «guru» o qualcosa di simile. 162   Perciò Eckhart non si stanca di bollare con parole di fuoco quelli che sottomettono il divino alle cose di quaggiù, trattando Dio come un servo cui si danno i propri vestiti smessi, e che si segue come il cane segue una donna che porta la salsiccia, ecc. Cfr. per esempio Commento alla Sapienza, cit., nn. 34, 61; Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 315, 605 sg., 611-613. 163   Perciò Eckhart scrive che «chi crede non è ancora Figlio» (Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 158, p. 129): la dimensione della credenza è sempre quella dell’alterità. 164   Definizione ripetuta spesso da Eckhart, sia nelle opere tedesche, sia in quelle latine. Cfr. per esempio il sermone Unus deus et pater omnium (Sermoni tedeschi, cit., p. 39). 165   In proposito, mi permetto di rimandare ancora una volta al mio Dialettica della fede, cit., cap. I, «Fede come distacco in Eckhart». 166   Questa è la radice dell’eresia del Libero Spirito ai tempi di Eckhart, ma anche l’origine della interpretazione nazista del domenicano tedesco (su cui cfr. Meister Eckhart, Opere tedesche, cit., pp. XLIX-LIII; cfr. anche Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, cit., p. 25) e una delle componenti più profonde dell’antiebraismo del nazismo medesimo, così profondamente radicato nell’anima cristiana del popolo germanico. Alla coscienza dell’Assoluto presente nell’uomo, nel senso appunto di distacco, di negazione di ogni determinatezza, appare infatti ripugnante una religione dell’alterità assoluta. Ripugnante in quanto per eccellenza pensiero dell’Altro, e dunque pensiero del male e dell’alienazione – generatore di quel dualismo che divide il mondo in sacro e profano, buono e cattivo. Ripugnante nella sua positività, con la sua pretesa di catturare il divino, legandolo alla finitezza della carne e del sangue, giacché quell’Altro non è che il riflesso del soggetto psicologico e della sua affermatività, che si muove con le sole categorie dell’avere e dell’utile. 167   Cfr. sermone Nolite timere eos (Sermoni tedeschi, cit., pp. 77-81). 168   Cfr. per esempio Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 31, 33, 38, 82, 160, 642, ecc. Per le opere in volgare, cfr. per esempio i sermoni Impletum est tempus Elisabeth (in I Sermoni, cit., pp. 162-67), Convescens praecepit eis (Sermoni tedeschi, cit., p. 99). 169   Così parla la Bolla In agro dominico, censurando Eckhart. 170  Cfr. Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 556, 692.

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 Cfr. ibid., nn. 318. 568, 697, 100, 141, 241. 669.  Cfr. ibid., nn. 508, 509. 173  Cfr. ibid., nn. 31, 38, 500. 174   Convescens praecepit eos, in Sermoni tedeschi, cit., p. 96. 175   Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 290. 176  «Qui adhaeret Domino, unus spiritus est» (1 Cor 6, 17); «Dominus autem spiritus est. Ubi autem spiritus Domini, ibi libertas» (2 Cor 3, 17). 177   Nello «Scritto di difesa» (Rechtfertigungsschrift) pubblicato da G. Théry in «Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age», Paris 1926, p. 236, si legge il principio importantissimo per cui: «Nos non debemus scire de quocumque propter quid vel de quare extra nos, nec deum nec creaturam, nec propter nos ipsos nec propter aliquam rem extra nos, quia ad quodcumque movemur aliter quam ex nobis, hoc totum est actus mortalis peccati». L’atto di peccato mortale è la mossa di falsità, il mendacium, che finge di fondarsi su altro, soprattutto su Dio, ma serve in effetti all’io. Riconoscere rigorosamente quel che è nostro, riportare alla vera origine umana, è operazione primaria di verità, dopo la quale soltanto è possibile un opus davvero divinum, perfectum, cioè spirituale. Il testo citato prosegue, infatti: «Dicendum quod sicut alia innumera tardioribus absurdum videtur; est tamen manifesta veritas quod opus divinum non est nec perfectum nisi homo operetur ex deo in se, secundum illud: Pater in me manens, ipse facit operam (Gv 14, 10), et nisi operetur ex habitu in ipso existente, secundum illud: Spiritus sanctus superveniet in te (Lc 1, 35). In te, ait». Lo Spirito Santo in te, sottolinea Eckhart, non fuori di te. Come si è già notato, occorre una reditio completa, perché, se rimane qualcosa di incognitum, rimane qualcosa di alienum, e dunque il male. 178   Al detto di Talete fa riscontro 1 Cor 15, 28. 179   Questo è letteralmente il titolo originale dell’opera di A.M. Haas, che abbiamo tradotto come Introduzione a Meister Eckhart, cit. 171 172

VII. L’apogeo 1   Sotto questo aspetto la mistica di stampo esicastico si può ricollegare alla sedicente mistica ebraica, nella quale è determinante la componente delle «tecniche» – dalla composizione cabbalistica delle lettere della Scrittura alla disciplina respiratoria di Abulafia. Non v’è dubbio, del resto, che la Chiesa d’Oriente sia la più vicina alla positività dell’ebraismo, che «concreta» il divino nel rito, nel sacro, nel determinato. 2   Cfr. in proposito il saggio di M. Paparozzi, Gregorio Palamas, in AA.VV, La mistica, cit., vol. 1, pp. 419-60 (qui p. 436). Cfr. anche H. Bacht, Evagrio Pontico, in AA.VV., I grandi mistici, cit., vol. 1, pp. 43-63. 3  Cfr. M. Paparozzi, op. cit., pp. 437-38. 4  Cfr. ibid., p. 440. Sulla successiva figura di Isacco di Ninive (VII secolo) cfr. la mia Introduzione a Isacco di Ninive, La conoscenza di Dio, Mondadori, Milano 1998. 5   Cfr. M. Paparozzi, op. cit., pp. 441-42. Su Simeone, figura di recente riscoperta e messa in risalto, soprattutto da parte di esponenti dell’Ortodossia viventi oggi in Francia, cfr. H.M. Biedermann, Simeone, il nuovo Teologo, in I grandi mistici, cit., vol. 1, pp. 115-31. 6   Cfr. M. Paparozzi, op. cit., pp. 446-47 nota 68.



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7   Nato a Costantinopoli da cospicua famiglia (il padre era senatore e precettore di corte), che si distingueva anche per devozione, Gregorio ebbe un’accurata formazione retorica, ma a venti anni decise di farsi monaco all’Athos. La sua vita trascorse tra il Monte Santo, eremi in Macedonia, Tessalonica  –  di cui fu vescovo – e Costantinopoli, nella pace della contemplazione, ma anche in mezzo alle dispute teologico-politiche. Fu pure prigioniero dei Turchi e, nel momento in cui aveva avuto il sopravvento il partito avverso, detenuto nel palazzo imperiale di Costantinopoli. Morto nel 1359, neppure dieci anni dopo (1368) venne proclamato santo, in un concilio che si distinse per il deciso prevalere delle correnti antilatine. In effetti per molto tempo palamismo-esicasmo è stato sinonimo di integralismo ortodosso e ostilità ai latini. Tra le numerosissime opere ascritte a Gregorio, particolarmente importanti per il nostro tema sono il Tomo agioritico – vero e proprio «manifesto» dei monaci atoniti – e le tre Triadi in difesa dei santi esicasti. Cfr. J. Kuhlmann, Gregorio Palamas, in I grandi mistici, cit., vol. 2, pp. 9-26; J. Meyendorff, Introduction à l’étude de Grégoire Palamas, Seuil, Paris 1959; J. Meyendorff, San Gregorio Palamas e la mistica russa, SEI, Torino 1976. Per una bibliografia completa sulla questione, cfr. A. Rigo, Monaci esicasti e monaci bogomili. Le accuse di messalianesimo e bogomilismo rivolte agli esicasti e il problema dei rapporti tra esicasmo e bogomilismo, Olschki, Firenze 1989, pp. 16-36. 8   Triade I, 3, 34 (cit. in J. Kuhlmann, op. cit., pp. 15-16). 9   Meister Eckhart, Istruzioni spirituali, in Dell’uomo nobile, cit., p. 74. Il domenicano tedesco rappresenta davvero l’opposto dell’esicasmo: si ricordi che per lui un Dio pensato non vale niente, va e viene con il pensiero, e si tratta invece di dare a tutta la vita, senza sforzo, la dimensione spirituale. Tra i mistici dell’Occidente è probabilmente quello più ostile alle tecniche, e quello maggiormente persuaso della universalità e normalità della vita cristiana, priva di ogni compiacimento sensualistico. 10   Nipote del Metropolita Nilo di Tessalonica, si pose a fianco di Palamas nella questione esicasta. Più di ogni altro teologo bizantino insiste sulla Vita in Cristo (questo il titolo della sua opera, di recente pubblicata anche in italiano, Città Nuova, Roma 1994) come vita essenzialmente liturgico-sacramentale. La liturgia diventa per lui una sorta di gnosi, in cui viene misticamente raggiunto Cristo. 11   Si chiama così la raccolta di testi sulla preghiera a Gesù, tratti da trentacinque autori spirituali di epoche diverse, comparsa a Venezia nel 1782. È frutto della collaborazione di Macario Notaras (1731-1805) vescovo di Corinto, e Nicodemo Atonita (1749-1809). Tradotta in slavo e pubblicata a Pietroburgo già nel 1793 a cura di Paisij Velickovskij, ebbe una nuova traduzione russa, accresciuta, tra il 1884 e il 1905, a cura di Teofane il Recluso (su di lui, cfr. T. Spidlik, Teofane il Recluso, in I grandi mistici, cit., vol. 2, pp. 209-29). La sua influenza nell’ambito greco-ortodosso, e slavo in particolare, è stata enorme, contribuendo potentemente a diffondere la mentalità esicasta. 12   Su Serafino di Sarov (1759-1833) cfr. T. Spidlik, Serafino di Sarov, in La mistica, cit., vol. 1, pp. 621-44. In generale, sui mistici e santi russi, cfr. T. Spidlik, I grandi mistici russi, Città Nuova, Roma 1977; cfr. anche D. Barsotti, Mistici russi, Borla, Torino 1961. 13   Cfr. l’anonimo Racconti di un pellegrino russo, Adelphi, Milano 1978. Si tratta di un laico, vissuto nel secolo scorso, che narra le sue peregrinazioni e la sua ricerca della preghiera ininterrotta, largamente ispirata dalla Filocalia. 14   Alla fine dell’Ottocento, il russo Vladimir Solov’év comprese appieno il si-

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gnificato della questione del filioque come elemento essenziale del cristianesimo, il cui senso vero è l’unione di tutto l’umano nel divino, e capi il peso dell’esicasmo per il presente della storia del suo paese e, più in generale, del mondo slavo sotto influenza bizantina. Nel suo La Russia e la Chiesa universale (Comunità, Milano 1947), per esempio, dedica ampio spazio alla discussione dell’ascetismo atonita e alla sua pretesa di contemplare la stessa luce divina che si manifestò nella Trasfigurazione di Cristo sul Tabor, vedendo in ciò una distorsione del cristianesimo stesso, ovvero una sorta di monofisismo (pp. 25-28), responsabile primo della sconfitta nei confronti dell’Islam, che non è altro che «il bizantinismo conseguente e sincero» (p. 25). Privo del lato dell’umano (filioque) nella sua concezione dello spirito, il cristianesimo d’Oriente identifica la religione con la pietà e considera la preghiera come unica opera religiosa (p. 43), perciò se ne sta in opposizione con il «mondo» (il che vuol dire con la cultura, la scienza, l’umanità propriamente tale), salvo, ovviamente, precipitare nell’opposto. Vogliamo comunque precisare che tutto ciò non ha alcun senso polemico antiortodosso, o comunque apologetico del cattolicesimo, ma intende solo chiarire il valore delle questioni «mistiche» qui accennate. 15   Cfr. Introduzione all’edizione di E. Suso, Il libretto della verità, a cura di M. Vannini, cit., pp. 7-14. Riprendiamo qui alcuni passi dal nostro La teologia mistica, in Storia della teologia, a cura di G. Occhipinti, vol. 2, EDB, Bologna-Roma 1996, pp. 270-73. 16   Vita 48. Cfr. Enrico Susone, Opere spirituali, a cura di B. de Blasio, Edizioni Paoline, Alba 1971, p. 193. 17   Cfr. Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 373; Commento all’Ecclesiastico, cit., nn. 20 e 21. 18   Il libretto della verità, cit., p. 47. 19   Cfr. Meister Eckhart, Sermoni latini, cit., n. 189; Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 677. 20   Cfr. per esempio Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 655. 21  Cfr. Il libretto della verità, cit., p. 46. 22   Cfr. G. Taulero, I Sermoni, cit. A completamento di questa rapida sintesi cfr. la mia Introduzione al testo di Taulero (pp. 9-105). Cfr. anche l’ampia monografia di L. Gnädinger, Giovanni Taulero. Ambiente di vita e dottrina mistica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997. 23   Cfr. G. Taulero, I Sermoni, cit., pp. 95 sgg. 24   Ibid., p. 223. 25   Ibid., p. 637 (è il sermone 64, Beati oculi). Riprendo qui, adattandole, alcune parti della mia Introduzione, pp. 74-80. 26   Ibid., p. 142 (sermone 4, Ubi est qui natus est). 27   Ibid., p. 650 (sermone 65, Si exaltatus fuero). 28  Cfr. ibid., p. 651. 29   La traduzione francese di É. Hugueny sceglie «volere innato» (e in proposito J.A. Bizet, nel suo Jean Tauler de Strasbourg, Desclée, Paris 1968, p. 23 nota 4, scrive che gli sfuggono le ragioni di questa scelta); Cognet opta per «istinto profondo», pur riconoscendo che non è una traduzione pienamente soddisfacente (cfr. L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, cit., pp. 127-32). Per un esame più approfondito della questione, cfr. il saggio di C. Champollion, La place des termes «gemüte» et «grunt» dans le vocabulaire de Tauler, in AA.VV., La mystique rhénane. Colloque de Strasbourg 16-19 mai 1961, PUF, Paris 1963, pp. 187-91.



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30   Cfr. sermone 64, Beati oculi, in I sermoni, cit., p. 639. Accanto alla simplicitas, la plotiniana áplosis, è importantissimo sottolineare l’aspetto formale, che fa capire come lo spirito possa accompagnare ogni azione e non sia condizionato dal tempo e dallo spazio. Eckhart stesso insegna che l’uomo spirituale ama la forma divina, e non Dio in quanto creatore, fine o causa efficiente (cfr. Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 338), e solo così Dio è per lui sempre presente, tutto in tutte le cose, e non qui sì e là no. 31  Cfr. ibid. Sui problema dell’identificazione tra l’intelletto attivo aristotelico e l’essenza dell’anima, che è la tesi del domenicano Teodorico di Freiberg, e sulla utilizzazione parziale di questo concetto da parte di Taulero, cfr. E.H. Wéber, Jean Tauler et Maître Eckhart, in J. Tauler, Sermons, Cerf, Paris 1991, p. 698 nota 53. 32   Cfr. Meister Eckhart, Sermoni tedeschi, cit., p. 253. Eckhart traduce il versetto paolino così: «Dovete essere rinnovati nel vostro spirito [geist], che qui si chiama mens e vuol dire animo [gemüte]». E prosegue citando Agostino, per il quale c’è una parte primaria dell’anima, che si chiama mens, ovvero gemüte. 33   Cfr. G. Taulero, I Sermoni, cit., p. 513. Il passo di Eckhart cui si fa riferimento è nel sermone Mortuus erat et revixit (cfr. Sermoni tedeschi, cit., pp. 119-25, soprattutto pp. 123-25). 34   Cfr. E.H. Wéber, op. cit., nota 31, pp. 698-99. 35   G. Taulero, I Sermoni, cit., p. 512 (si tratta sempre del sermone 56, Renovamini spiritu mentis vestrae). 36   Cfr. E.H. Wéber, op. cit., p. 694. 37   Cfr. per esempio I Sermoni, cit., pp. 209-10, 631, 642. 38   Ibid., pp. 631-32 (è il sermone 63, Duc in altum). 39   Sul primo cfr. più avanti, cap. IX, pp. 265-68. Sulla figura del secondo, meno nota (si tratta del piemontese Paolo Danei, 1694-1775, fondatore dell’Ordine dei Passionisti), ma altrettanto degna di attenzione, e sul suo profondo rapporto di stima nei confronti di Taulero, che cita più volte come maestro della pace interiore, da trovarsi «in nihilo passivo modo», cfr. la mia Introduzione a G. Taulero, I Sermoni, cit., pp. 97-102. 40   G. Taulero, I Sermoni, cit., p. 632. 41   A puro titolo di esempio, ricordiamo che è documentata la lettura e l’influenza di Taulero in una figura per tanti versi così lontana dalla mistica speculativa renana quale fu Maria Maddalena de’ Pazzi (Firenze, 1566-1607). La estatica carmelitana deve aver trovato nello strasburghese – o comunque negli scritti a lui attribuiti, che per un certo periodo sono stati una quantità ancora maggiore dei già numerosi sermoni – nutrimento per la sua mistica del «nudo patire», dell’annichilamento di sé, del «nulla intendere, nulla voler, nulla sapere» (per cui cfr. più avanti, p. 270). 42   Lo si può leggere oggi in traduzione italiana: Anonimo Francofortese, Teologia tedesca. Libretto della vita perfetta, a cura di M. Vannini, Bompiani, Milano 2009. Alla Introduzione a questa edizione rimando a completamento delle righe presenti. 43   Sui rapporto Taulero-Lutero cfr. anzitutto la mia Introduzione a G. Taulero, I Sermoni, cit., pp. 90-95, che fornisce anche le opportune indicazioni bibliografiche. Sul rapporto più generale tra Lutero e la mistica medievale tedesca, rimando invece al mio Lutero, la fede e la Scrittura, saggio introduttivo a M. Lutero, Prefazioni alla Bibbia, Marietti, Genova 1987, pp. XVIII-XXV. 44   Anche Lutero presenta il «nobile e spirituale libretto» come composto secondo gli insegnamenti dell’«illuminato dottor Taulero, dell’Ordine dei Predicatori».

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45   Sulla storia della ricezione cattolica del libro, cfr. lo studio di E. Zambruno, La «Theologia Deutsch» o la via per giungere a Dio, Vita e Pensiero, Milano 1991. 46   Riprendo qui alcuni passi dal mio saggio La teologia mistica, in Storia della teologia, vol. 2, cit., pp. 277-78. 47   Cfr. Taulero, I Sermoni, cit., pp. 103-104. 48   Libretto della vita perfetta, cit., p. 41. 49   Ibid., p. 80. 50  Cfr. ibid., p. 52. 51   Ibid., p. 72. Il testo che abbiamo citato (lievemente modificato) conclude: «Vedi, qui deve essere assolutamente abbandonata e sparire ogni egoità, ogni legame a ciò che è mio, ogni seità, così come è proprio di Dio». 52   Ibid., pp. 77 sgg. 53  Cfr. ibid., p. 71. 54  I due capitoli successivi appaiono infatti chiaramente come un’aggiunta, motivata dalla preoccupazione di rispondere a obiezioni di carattere scritturistico. 55   Ricordiamo che all’«uomo nobile» è dedicato un trattato eckhartiano, per cui cfr. Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, cit., pp. 221-33. 56   Il distico è quello del Pellegrino cherubico I, 275. Cfr. in proposito l’Introduzione a A. Silesius, Il Pellegrino cherubico, cit., p. 68. 57   Riprendo anche qui alcune parti dal mio saggio La teologia mistica, in Storia della teologia, vol. 2, cit., pp. 279-81. 58   Per tutta la questione, cfr. lo studio di P.G. Bonardi e T. Lupo, L’Imitazione di Cristo e il suo autore, 2 voll., SEI, Torino 1964. 59   Come sostiene Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 185. 60   Cfr. capp. 29 e 30 dell’opera. Cfr. Anonimo inglese del XIV secolo, La nube della non-conoscenza e gli altri scritti, a cura di A. Gentili, Ancora, Milano 1981. 61   Cfr. in proposito il lavoro di P. Dinzelbacher, Mittelalterliche Frauenmystik, cit. (il cui contenuto, comunque, si trova in parte anche in Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, a cura di P. Dinzelbacher e D.R. Bauer, cit.). 62   La nube della non-conoscenza e gli altri scritti, cit., capp. 51 e 52, pp. 228-29. 63  Cfr. ibid., p. 376. 64   Interessante figura di mistico, nato nel Galles nel 1575, si convertì al cattolicesimo ed entrò nell’Ordine benedettino a Padova, nel 1605. Tornato in patria, dovette emigrare per la persecuzione cui erano allora sottoposti i cattolici e si stabilì in Francia, dove fu direttore spirituale delle suore inglesi residenti nel monastero di Cambrai, tra cui v’era anche Gertrude More, discendente di Tommaso Moro. Nel 1638, malato e sfinito dall’ascesi, rientrò nascostamente a Londra, ove morì. La sua ampia opera (più di sessanta trattati) fu in parte pubblicata, nel 1657, dal confratello Serenus Cressy, con il titolo di Sancta Sophia. Baker si pone nella linea apofatica dionisiana, stima moltissimo La nube e Hilton, ma conosce bene anche i mistici spagnoli del Cinquecento. Insiste sulla necessità della negazione della volontà personale come presupposto essenziale della contemplazione ed è anch’egli nemico delle varie forme di fruizione sensibile del «divino». 65   Lo nota anche suor Giovanna della Croce, nel suo I mistici del Nord, Studium, Roma 1981, pp. 54-55. 66   Nato probabilmente nel Lincolnshire, come Hilton, verso il 1320, entrò nell’Ordine agostiniano a Cambridge, dove divenne magister in teologia. Nel 1359 lasciò l’Inghilterra e si stabilì nell’antico eremo agostiniano di Lecceto, presso Siena, ove fu consigliere spirituale di Caterina da Siena, il cui Documento spi-



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rituale nacque sotto la sua guida. Rifiutò però di seguire la santa senese a Roma, per assistere il nuovo papa Urbano VI, e restò a condurre vita contemplativa fino alla morte, giunta verso il 1390. Delle sue numerose opere è rimasta solo una parte; in particolare il suo capolavoro, De remediis contra temptationes, il quale insegna a superare gli ostacoli che si frappongono alla contemplazione. Basandosi su una misurata ascesi, sulla preghiera, la meditazione, l’esercizio delle virtù, ma soprattutto sulla negazione del volere proprio, si possono vincere le varie tentazioni, dai dubbi sulla fede all’aridità spirituale, dalle seduzioni del peccato alla melancolia. L’opera, stampata nel 1508, ebbe ampia diffusione, sia in latino sia in traduzione inglese, e per lungo tempo fu attribuita a Rolle. 67   Così E. Zolla, Introduzione a Il libro di Margery Kempe, a cura di E. Zolla e M. Castino, Esperienze, Fossano (Cuneo) 1971. L’attenzione dello studioso di letteratura inglese trova molti argomenti di interesse in questa opera, che è la prima autobiografia e il primo racconto di viaggi in quel volgare. Che poi si tratti di mistica, è un altro discorso. Sull’argomento cfr. comunque D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Marietti, Torino 1976. 68   Cfr. in proposito il saggio di H. van Oerle, Liedwy di Schiedam: mistica o isterica?, in Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, cit., pp. 442-51. La vicenda di Liduina è interessante anche perché si intreccia proprio con quelle di alcuni esponenti della devotio moderna, e della congregazione di Windesheim. Ancora mezzo secolo dopo, quando, nel 1452, Niccolò Cusano visitò l’Olanda come inviato papale, dovette combattere le credenze nelle miracolose ostie sanguinanti. Cfr. in proposito S. Axters, Geschiedenis von de vroomheid in de Nederlanden, III. De Moderne Devotie 1380-1550, Anversa 1956, pp. 400-402. 69   Possiamo leggere l’opera in italiano, con il titolo Soliloquio infiammato con Dio, in Giovanna della Croce, I mistici del Nord, cit., pp. 142-221. 70   Su questa interessante figura di laico strasburghese, i cui scritti furono a lungo inseriti tra quelli di Taulero, e su tutta la storia degli «amici di Dio», cfr. lo studio di B. Gorceix, Amis de Dieu en Allemagne au siècle de Maître Eckhart, Albin Michel, Paris 1984, e anche il paragrafo Gli «amici di Dio» della mia Introduzione a G. Taulero, I Sermoni, cit., pp. 26-30. 71   Cfr. in proposito lo studio di M.A. Lücker, Meister Eckhart und die Devotio moderna, Brill, Leiden 1950. Si può qui ricordare che Gerard Zerbolt van Zutpen (1367-1398), bibliotecario dei Fratelli della Vita Comune a Deventer, nel suo De libris teutonicalibus si pronuncia contro la lettura dei «pericolosi» libri di Eckhart, che parlano della libertà dello spirito. Vero tramite tra Eckhart e la devotio moderna è Godeverd van Wefele, che utilizza interi passi delle eckhartiane Istruzioni spirituali nel suo Trattato, per lungo tempo attribuito a Ruusbroec. Abbiamo già parlato dell’ostilità di quest’ultimo verso l’«eresia», e non v’è dubbio che pensi a Eckhart quando scrive che si deve combattere l’influsso nei Paesi Bassi di «falsi profeti» e «uomini maledetti» (cfr. I. Degenhardt, Studien zum Wandel des Eckhartbildes, Brill, Leiden 1967, p. 35). Un vero e proprio odio teologico contro il maestro domenicano è mostrato poi da Jan van Leeuwen, il «cuoco di Valleverde», in alcuni suoi opuscoli, scritti tra il 1355 e il 1358. Tutto ciò mostra comunque la diffusione del pensiero eckhartiano nell’area dei Paesi Bassi: anche Groote, pur utilizzandolo, proibì ai membri della propria congregazione il possesso dei libri eckhartiani contenenti le 28 proposizioni condannate dalla bolla papale. 72   Si deve notare che lo stesso Groote, sostenitore di umiltà, di mitezza, di pazienza, si rivela poi nelle sue prediche un fanatico persecutore di eretici.

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73   Cfr. per esempio la Vita di Cristo del certosino Landolfo di Sassonia (13001377), un libro che mostra dipendenze dall’Orologio dell’eterna sapienza di Suso, e che, a sua volta, influenzerà la «conversione» di Ignazio di Loyola. 74   Ricordiamo in particolare i certosini Gerardo Kalckbrenner e il già menzionato Lorenzo Surio, cui dobbiamo la diffusione europea di autori come Taulero. 75   A un ignoto autore fiammingo, morto nel 1540 all’età di settantasette anni, si devono due importanti opere: il trattato Il tempio della nostra anima e La perla evangelica, che sviluppano i temi della sequela di Cristo in una mistica sponsale e trinitaria. Fu ancora una volta un certosino, Dirk Loer van Straten, a pubblicare, a Utrecht nel 1535, una prima versione ridotta della Margarita evangelica; poi, ad Anversa nel 1538, una versione più ampia, Die grote evangelische peerle, che fu più volte ristampata. Fu tradotta in latino (1545) e dal latino in francese (1602) e anche in tedesco, da Angelus Silesius, nel 1676 (una seconda volta nel 1698), influenzando così personaggi come Benedetto di Canfield, Francesco di Sales, Bérulle, Tersteegen, ecc. 76   Riprendiamo qui, quasi alla lettera, quanto scrive Giovanna della Croce, I mistici del Nord, cit., pp. 75-76. 77   Pensiamo soprattutto a Ernst Cassirer: il suo Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento risale, nell’originale tedesco, al 1927 (la ed. it. La Nuova Italia, Firenze, è del 1977). 78   Oltre al notissimo passo della platonica Apologia di Socrate, nel quale il filosofo racconta il responso dell’oracolo di Delfi su chi fosse il più sapiente dei Greci, bisogna ricordare Agostino, Epistola CXXX: «V’è in noi per così dire una specie di dotta ignoranza [l’espressione compare così, alla lettera: docta ignorantia], ma dotta dello spirito di Dio, che viene in aiuto alla nostra debolezza». Agostiniano è anche l’assioma Deus scitur melius nesciendo. 79   Basti qui far riferimento al passo del Libretto della verità di Enrico Suso (cit., p. 47), in cui la coincidenza dei contrari è esplicitamente affermata. Cfr. p. 209. 80   Riprendiamo qui, citando liberamente, da G. Santinello, Introduzione a N. Cusano, Scritti filosofici, Zanichelli, Bologna 1980, pp. 21-25. 81   1 Cor 13, 12. 82   1 Cor 15, 28; 12, 6. 83   L’opera si può leggere in edizione italiana: La visione di Dio, Mondadori, Milano 1998, con la mia Introduzione (dalla quale sono riprese queste pagine). Mi permetto anche di rimandare al capitolo «La visione di Dio: Cusano e Ibn Arabi» del mio Mistica e filosofia, cit., pp. 67-83. 84  Sermone Qui audit me, in I Sermoni, cit., pp. 168-173. 85   Perduto per secoli, il testo fu ritrovato e pubblicato per la prima volta da J. Übinger, Die Gotteslehre des Nicolaus Cusanus, Münster-Paderborn 1888. Lo si può leggere in italiano in N. Cusano, Opere filosofiche, a cura di G. Federici Vescovini, UTET, Torino 1972, pp. 789-856. 86   De beryllo è infatti il titolo di una delle opere cusaniane, conclusa nell’agosto 1458 nel castello di Andraz (Livinallongo, Buchenstein), dove Cusano si era ritirato per sfuggire alle minacce di Sigismondo d’Austria. 87   De non-aliud, ed. it. in N. Cusano, Opere filosofiche, cit., p. 846. Si noti che il testo riportato viene subito dopo la citazione della Prima lettera di Giovanni (Evangelista, non Battista, come curiosamente confonde Cusano) in cui si afferma che «nessuno ha mai visto Dio». 88   Ibid., p. 850.

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89   Perciò, in questo stesso passo citato, Cusano afferma che ogni spirito (umano) è non-altro che spirito (divino), per cui esso si può chiamare «spirito degli spiriti». Il gioco di parole – conforme anche a un certo gusto cusaniano – vuole esprimere nel profondo la unitarietà dello spirito, nel quale si superano le contraddizioni e non ha senso la distinzione umano-divino.

VIII. L’età moderna   Alba incompiuta del Rinascimento, Jaca Book, Milano 1977.   Il tentativo di sintesi platonico-cristiana del Ficino (1433-1499) è largamente compromesso dalle componenti sincretistiche di cui un certo Rinascimento si compiacque: pitagorismo, ermetismo, cabbala, astrologia, magia naturale, ecc. formano infatti una mescolanza piuttosto torbida, che mal si adatta con la religione platonico-cristiana del Logos. Ne risulta un filone che, più che mistico, va considerato esoterico, misteriosofico, finanche occultistico: pensiamo a Paracelso (1493-1541) o a Cornelius Agrippa di Nettesheim (1486-1535). 3   Cfr. la mia Introduzione a S. Franck, Paradossi, Morcelliana, Brescia 2009, nonché S. Franck, Religione come libertà, a cura di M. Vannini, Morcelliana, Brescia 2012. 4   Slesiano (1489-1561), fu uno dei Riformatori più importanti. Sostenitore di una via intermedia tra cattolicesimo e luteranesimo, si vide condannato dagli uni e dagli altri, e costretto a peregrinare da una città all’altra della Germania, vivendo sotto pseudonimi. La sua opera maggiore, La grande confessione, punta su una religiosità tutta interiore, indipendente da simboli esteriori. Suo seguace fu Daniel Sudermann (1550-1631), poeta autore di Lieder mistici, che girò per le corti tedesche svolgendo il mestiere di pedagogo; bibliofilo appassionato, fu uno dei canali più importanti per la trasmissione sotterranea dell’opera di Eckhart. 5   Cfr. G. Taulero, I Sermoni, cit., pp. 567-68 (è il sermone 60d). 6   Di Valentin Weigel si veda Conversione e distacco, a cura di M. Vannini, Morcelliana, Brescia 2010. 7   Riprendo qui alcuni passi dalla mia Introduzione a Silesius, Nardini, Fiesole 1992, pp. 28-37. 8   Cfr., in proposito, il mio saggio Lutero: la Scrittura e la fede, premesso a M. Lutero, Prefazioni alla Bibbia, cit. 9   Descrizione dei tre principi dell’essenza divina; La triplice vita dell’uomo; Quaranta questioni sulle anime; L’incarnazione di Cristo; Sei punti teosofici; L’elezione di grazia; De signatura rerum; Mysterium magnum (la sua opera maggiore, interpretazione simbolica della Genesi). 10   L’incarnazione di Cristo II, 1, 8. 11   Von der Gnadenwahl 1, 6 (a cura di R. Pietsch, Reclam, Stuttgart 1988, p. 11). 12   Nella sua Schutzrede wider Gregor Richter (Apologia contro G. Richter). 13   G.W. Goethe, Faust (è il monologo nella torre, all’inizio dell’opera). 14   Daniel Czepko von Riegersfeld, nato a Koschwitz, nella Slesia, nel 1605, studiò medicina a Lipsia e giurisprudenza a Strasburgo, viaggiò molto, fu umanista colto, fecondo e multiforme. Morì nel 1660. Scrisse anche poesia pastorale e versi amorosi, ma la sua opera più alta sono gli epigrammi mistici Seicento distici di sapienti, che hanno ispirato Silesius. Si possono leggere in italiano col titolo Sapienza mistica, a cura di G. Fozzer e M. Vannini, Morcelliana, Brescia 2005. 1 2

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15   Abraham von Franckenberg, nobile slesiano, nato nel 1563 da famiglia luterana, morto nel 1652. Lettore attento dei mistici medievali e di quelli del Cinquecento, seguace di Böhme (di cui aveva portato in Olanda gli scritti per farli pubblicare), ebbe una profonda amicizia con il giovane Scheffler (Silesius), cui donò buona parte della sua biblioteca mistica, che comprendeva anche libri appartenuti a Böhme stesso. Per le sue idee fu anch’egli in pessimi rapporti con l’autorità luterana. Al castello di Franckenberg, a Ludwigsdorf, giunse nel 1651 in visita Czepko, portando con sé il manoscritto del Seicento distici di sapienti. 16   Friedrich Christoph Oetinger (1702-1782), teologo luterano svevo, studioso di cabalistica, alchimia, discipline esoteriche, fu seguace di Böhme e anche del visionario svedese Emanuel Swedenborg (1688-1772), che fu da lui per primo tradotto in tedesco. La sua idea della storia come luogo della rivelazione divina, anzi della «corporeità come fine dell’opera divina», della «corporeità dello spirituale» ha influenzato filosofi come Baader e Schelling, i quali riscoprirono Böhme attraverso Oetinger (su cui cfr. cap. XII, pp. 306-307). 17   Cfr. G. Wehr, Jakob Böhme, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1971, p. 124. 18   Riprendo qui alcune parti della mia Introduzione ad Angelus Silesius, Il silenzio felice, Mondadori, Milano 1997. Per una più dettagliata trattazione della vita e del pensiero silesiano cfr. anzitutto la mia Introduzione a Silesius, cit.; in secondo luogo cfr. il Saggio introduttivo a Il Pellegrino cherubico, cit., pp. 5-74. Cfr. anche, infine, il capitolo 4, «Angelus Silesius, pellegrino nell’assoluto», in M. Vannini, Mistica e filosofia, cit. 19   Lo si può leggere in Appendice a Il Pellegrino cherubico, cit., pp. 409-34. 20   Lo chiama così Reiner Schürmann, in Maître Eckhart ou la joie errante, Planète, Paris 1972. 21   Per questa immagine, cfr. M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., p. 497 e nota 401. 22   Cfr. J. Lacan, Il seminario I, 1953-54, Einaudi, Torino 1978, pp. 287 sg. In particolare lo psicanalista francese concentra l’attenzione sul distico II, 30, affermando che «proprio di questo si tratta, al termine dell’analisi: di un crepuscolo, di un declino immaginario del mondo e addirittura di un’esperienza al limite della depersonalizzazione. È allora che il contingente cade – l’accidentale, il traumatismo, gli strappi della storia – e l’essere viene a costituirsi». 23   Meister Eckhart, Commento al Vangelo di Giovanni, cit., n. 507, p. 317. 24   Meister Eckhart, sermone Praedica Verbum, in Sermoni tedeschi, cit., p. 107. 25   Tale, per esempio, Karl Barth, che nella sua Kirchliche Dogmatik II, 1, Evz, Zürich 19755, p. 316, parla di «pie spudoratezze», a proposito dei versi silesiani. 26   Cfr. in proposito il saggio La fortuna del «Pellegrino cherubico», in Il Pellegrino cherubico, cit., p. 65. 27  Cfr. ibid., pp. 67-69. Per quanto concerne Hegel, cfr. anche i capitoli V e VI di Mistica e filosofia, cit. 28  Cfr. Von der Gnadenwahl, cit., p. 68. Schopenhauer punta la sua attenzione sui distici I, 8 e I, 275. In particolare quest’ultimo viene citato nella parte conclusiva de Il mondo come volontà e rappresentazione IV, 68), accanto al Vangelo di Giovanni, alla Lettera di Paolo ai Romani e a Meister Eckhart, dove si parla della redenzione che la natura attende dall’uomo, che è nel medesimo tempo sacerdote e vittima. 29   Il Tao della filosofia, cit., pp. 49-67.



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IX. La Controriforma 1   Cfr. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali 1. Tra le numerose edizioni, anche in lingua italiana, utilizziamo qui quella curata dal p. L. Tognetti S.J., Selecta, Milano 1953. Il Racconto del pellegrino si può leggere nella edizione a cura di R. Calasso, Adelphi, Milano 1966. 2   Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali 122-125. 3  Cfr. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali 313-27. Secondo il racconto ignaziano, quando si trovava a letto malato per la ferita infertagli a Pamplona nel 1521, pensando al suo passato di cortigiano e al suo futuro di soldato, in un primo momento provava piacere. Ma, terminata la serie di pensieri e di immagini, si sentiva di malumore, vuoto. Quando, invece, si immaginava di imitare i santi e le loro gesta, sentiva che, anche dopo, gli rimaneva un sentimento di gioia. «Consolazione» e «desolazione» erano diventate per lui realtà mediante le quali poteva avvertire la volontà di Dio nella sua vita. Cfr. P. Imhof, Ignazio di Loyola, in I grandi mistici, cit., vol. 2, p. 91. Si noti come sensazioni psicologiche assurgano qui addirittura a manifestazioni della volontà di Dio. 4   Furono chiamati così (in castigliano, «illuminati») coloro che, tra l’inizio del XVI secolo e la metà del XVII, furono dediti a forme di devozione personale e di intensiva lettura della Bibbia, a scapito delle forme consuete di devozione, liturgica e sacramentale. Su di loro gravò il sospetto di essere, in fondo, degli eretici del Libero Spirito, tanto più che insistevano sui temi del «distacco» (dejamiento) e dell’interiorità. In tal senso furono accusati, oltre a Ignazio, personaggi come Luis de Granada, Juan de Valdés. 5   Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali 23. 6   Ibid. 7   Cfr. G. Taulero, I Sermoni, cit., p. 50 e nota 12. 8   Così la celebre meditazione delle due bandiere, quella di Cristo e quella di Lucifero, negli Esercizi spirituali 136-146. 9   Si prenda quale esempio quello che dice Eckhart in proposito: «Se l’anima deve conoscere Dio, deve anche obliare se stessa e perdersi; perché non vede e conosce Dio, finché vede e conosce se stessa. Se invece si perde per amor di Dio e rinuncia a tutte le cose, allora ritrova se stessa in Dio» (Sermoni tedeschi, cit., p. 182). E anche: «Il disegno ben definito di Dio è che l’anima perda Dio. In effetti, finché l’anima ha ancora un Dio, conosce un Dio, ha la nozione di un Dio è ancora lontana da Dio. Perciò è desiderio formale di Dio annientarsi nell’anima, perché l’anima perda se stessa […] Il più grande onore che l’anima possa fare a Dio è abbandonarlo a se stesso e liberarsi di Lui» (cfr. M. Eckhart, Il ritorno all’origine, a cura di M. Vannini, Le Lettere, Firenze 2006, p. 39). Una pagina del genere è assolutamente inimmaginabile in Ignazio, che, anzi, l’avrebbe ritenuta assurda e blasfema. 10   Erasmo non appartiene alla storia della mistica, ma non v’è dubbio che la sua opera sia stata molto importante anche per determinare alcuni orientamenti specifici della mentalità religiosa, e, dunque, poi anche della mistica stessa. 11  Cfr. Esercizi spirituali 235-236. 12   Rimandiamo in proposito alle opere fondamentali, a principiare da quella di J. de Guibert, La spiritualité de la Compagnie de Jésus, Institutum Historicum S.J., Roma 1953. 13   Cfr. la mia Introduzione a Silesius, cit. I primi due libri del Pellegrino cherubico sono quelli che compongono il volumetto A. Silesius, Il silenzio felice, cit.

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14   La sua Dottrina spirituale si può leggere in italiano, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1984. 15   La sua Guida spirituale, a cura di M. de Certeau si può leggere in traduzione italiana, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988. 16   Cfr. la traduzione italiana di M. Calasso, Adelphi, Milano 1989. 17   Ibid., p. 13. 18   Ibid., pp. 16-112. 19   Ibid., p. 143. Si noti che Caussade pubblicò, nel 1741, nelle sue Istruzioni spirituali, il breve trattato Manière courte et facile pour faire l’oration en foi et de simple presence de Dieu, attribuendolo a Bossuet. Proveniente dal monastero delle visitandine di Meaux, fu da esse attribuito al loro vescovo Bossuet, mentre si tratta chiaramente di un adattamento del Moyen court di Madame Guyon. Non sappiamo se Caussade si sia reso conto della questione, ma la vicenda è comunque significativa per capire le sue simpatie spirituali. 20   L’ambiente divino, Queriniana, Brescia 1994. Sul pensiero religioso-mistico di Teilhard, fondamentale lo studio del confratello H. De Lubac, La pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, Aubier, Paris 1962. 21   Così scriveva nelle note, inedite, relative ai suoi Esercizi spirituali, alla data 10 dicembre 1939. Tali note si trovano, in originale, nella casa dei gesuiti a Chantilly, a nord di Parigi. In copia si trovano, in parte, presso gli archivi della Fondazione Teilhard de Chardin, a Parigi. Ricaviamo questi dati dall’articolo di R. Faricy S.J., Il rapporto con Gesù Cristo risorto nelle note private inedite di Pierre Teilhard de Chardin, in «La Civiltà Cattolica», II, 3140, 1981, pp. 126-35. 22   Cfr. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali 234-237. 23   Così nelle note relative agli Esercizi tenuti nel 1922. Cfr. J. Laberge, Pierre Teilhard de Chardin et Ignace de Loyola, Desclée, Paris 1973, pp. 233-34.11 libro contiene, in appendice, le note del ritiro del 1922, unico anno di cui sono state pubblicate. 24   Così nelle note, inedite, degli Esercizi del 1943, per cui cfr. R. Faricy S.J., Il rapporto con Gesù Cristo risorto nelle note private inedite di Pierre Teilhard de Chardin, cit. 25   Cfr. in proposito il cap. X, pp. 280-82. 26   Illuminanti in proposito sono le pagine che all’ascetismo dedica Nietzsche nella sua Genealogia della morale. Cfr. la mia Introduzione alla ed. it., Theorema, Milano 1994. Molto più che la problematica della sessualità, sublimata o non, che starebbe dietro alla mistica in genere (e soprattutto alle mistiche al femminile), cara agli studiosi positivisti (pensiamo per esempio a J.H. Leuba, La psicologia del misticismo religioso, Feitrinelli, Milano 1960), per lo più del tutto inesperti della materia che affrontano, è importante la riflessione schopenhaueriano-nietzschiana sulla volontà e sulle sue varie forme, in rapporto alla mistica. 27   Come si è già notato, il santo castigliano più volte ripete che Dio è spirito e parla solo allo spirito, per cui la cosa migliore da fare, qualora capitino visioni, estasi, ecc., è non attribuire loro alcuna importanza. Con molta finezza, e anche una certa ironia, a proposito di una suora che ripete sempre: «Dio mi dice…», Giovanni osserva che in realtà è lei che parla a se stessa. Cfr. il cap. «La fede come ‘notte oscura’» di Dialettica della fede, cit., e il cap. «La mistica» del mio La religione della ragione, Bruno Mondadori, Milano 2007. 28   Cfr. la voce «Guyon», in Dictionnaire de Spiritualité, cit., a firma di L. Cognet, vol. 17, col. 1335.



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29   Su Madame Guyon (1648-1717) cfr. più avanti, cap. X, pp. 283 sg. Su Caterina da Genova (1447-1510) cfr. cap. VI, p. 175 e nota 101. 30   Sulla vita e le opere di Teresa cfr., oltre la amplissima letteratura in merito, la mia Introduzione a Teresa d’Avila, Felice il cuore innamorato, Mondadori, Milano 1997 (sono le sue poesie). 31   La bibliografia sanjuanista è sterminata. Al lettore italiano segnaliamo, per un primo approccio, Y. Pellé-Douèl, Giovanni della Croce e la notte mistica, San Paolo, Milano 1990; D. Barsotti, La teologia spirituale di san Giovanni della Croce, Rusconi, Milano 1990. Non sono tradotti nella nostra lingua gli studi davvero fondamentali che hanno segnato la ripresa di interesse per il mistico carmelitano nel XX secolo: J. Baruzi, Saint Jean de la Croix et le problème de l’expérience mystique, Alcan, Paris 1924; G. Morel, Le sens de l’existence selon saint Jean de la Croix, 3 voll., Aubier, Paris 1960-1961. 32   Non ci soffermiamo su questo punto, ormai acquisito. Le traduzioni latine dei mistici tedeschi, soprattutto di Taulero, avevano ampiamente diffuso il loro pensiero anche nella penisola iberica. Ricordiamo comunque il fondamentale studio di J. Orcibal, St. Jean de la Croix et les mystiques rhéno-flamands, Desclée, Paris 1965. Tra gli studi più recenti cfr. R. Blumrich, La difusiòn de la «mística alemana» en el mundo latino e T.H. Martin, Los Místicos Alemanes en la España del XVI y XVII, in AA.VV., La Espiritualitad Española del siglo XVI, Pontificia Universidad de Salamanca 1990, pp. 83-91 e 217-28. 33  Il Dictionnaire de Spiritualité, cit., alla voce «Jean de la Croix», vol. 53, col. 431, a firma Lucien-Marie de Saint-Joseph, cita in proposito il benedettino A. Stolz e il gesuita K. Rahner, rimandando anche a teologi protestanti, senza nominarli. 34   Così lo definisce Siddhesvarananda, in Pensiero indiano e mistica carmelitana, Aram Vidya, Roma 1977, p. 150. 35  Cfr. Dictionnaire de Spiritualité, cit., col. 415. Non entriamo qui nel problema della duplice redazione del Cantico e dell’autenticità o non dell’una o dell’altra. 36   Fiamma d’amor viva 3, 79; cfr. San Giovanni della Croce, Opere, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 19672, p. 819. 37  Cfr. Notte oscura 2, 4, 2; parlando della povertà dello spirito, il mistico castigliano dice infatti che, «annichilite e addormentate le potenze, le passioni, gli appetiti e le affezioni del mio spirito, con le quali sentivo e gustavo imperfettamente Dio, passai dal mio modo umano di operare a quello divino del Signore, cioè: il mio intelletto usci fuori di sé, da umano diventando divino, poiché, unendosi con Dio, mediante questa purificazione, non intende più servendosi del suo vigore e della sua luce naturale, ma della sapienza divina con la quale si è unito; la mia volontà uscì di sé facendosi divina, giacché, unita con l’amore divino, non ama più imperfettamente, con le sue forze naturali, ma con le forze e la purezza dello Spirito Santo; così essa nei confronti di Dio non opera più umanamente; similmente la memoria ha cambiato le proprie apprensioni in quelle eterne di gloria; finalmente tutte le forze e gli affetti dell’anima, per mezzo di questa notte e purificazione dell’uomo vecchio, si rinnovano completamente con diletti di natura divina» (Giovanni della Croce, Opere, cit., p. 406). Sarebbe interessante vedere in dettaglio affinità e differenze tra un passo come questo e i sermoni di Eckhart: ci limitiamo qui a indicare, come chiave delle differenze, l’uso della prima persona, il linguaggio «gustativo», l’opposizione naturale-divino. 38   Toda ciencia trascendiendo è il verso chiave delle «Strofe composte dopo un’estasi di profonda contemplazione» (cfr. Opere, cit., pp. 1041-42), di chiara

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ispirazione dionisiana. Cfr. il cap. «La fede come ‘notte oscura’» di Dialettica di fede, cit. 39   Nella strofa XXXIX del Cantico spirituale si descrive il vertice dell’amore tra lo Sposo e l’anima. Qui non si tratta affatto di contemplazione dell’Uno, ma del movimento della vita trinitaria, in cui l’anima è mossa dallo Spirito Santo, nel quale ama Dio come Dio stesso si ama, e come ama noi. Nel medesimo testo, commentando il verso «all’aura del tuo volo e il fresco prende», Giovanni spiega che «per volo si intende la contemplazione propria dell’estasi e per aura lo spirito di amore causato nell’anima da questo volo», per cui bisogna notare che «Dio propriamente non si comunica all’anima per mezzo del volo, che consiste nella conoscenza che essa ha di Dio, ma mediante l’amore derivato dalla conoscenza: come l’amore è unione del Padre e del Figlio, così unisce anche l’anima e Dio» (Cantico spirituale B, 13, 11; cfr. Opere, cit., pp. 572-73). Sotto questo aspetto v’è un chiaro nesso tra la mistica francescana dell’amore e quella di Giovanni della Croce: non a caso persino il titolo della sua Salita del Monte Carmelo è ispirato dalla Salita al Monte di Sion del francescano spagnolo Bernardino da Laredo (1538), la cui teoria dei vertici dell’orazione mistica ha influenzato anche Teresa. 40   Per una sintesi dell’argomento, cfr. la voce «Carmes, II, Carmes déchaussés», in Dictionnaire de Spiritualité, cit., vol. 7, a firma p. Gabriel de Sainte-Marie Madeleine OCD, in particolare coll. 174-187. Si deve aggiungere che, dopo il rifiorire della fortuna sanjuanista nel nostro secolo, si sono avuti due importanti tentativi di sintesi di questo tipo. Il primo è quello di Jacques Maritain, che nella sua opera filosofico-teologica di maggior impegno, Distinguere per unire: i gradi del sapere (1932), pone la dottrina del santo castigliano al vertice della conoscenza, seguendo una linea di impostazione tomista. Il secondo è quello di Edith Stein (per cui cfr. più avanti, p. 272), con il suo Scienza della Croce. Studio su Giovanni della Croce (1950, postumo). La carmelitana tedesca tenta di saldare la fenomenologia fondata da Husserl, di cui ella era stata allieva e poi assistente, con la fenomenologia religiosa sanjuanista. 41   È ampiamente giustificata l’ironia di Voltaire, quando nel suo Dizionario filosofico alla voce «Grazia», scrive: «Che cosa direbbero [gli antichi] se sentissero parlare della “grazia di salvezza” secondo san Tommaso, e della “grazia medicinale” secondo il Cajetano; della “grazia esteriore” e “interiore”, di quella “gratuita” e di quella “santificante”, della “attuale” e della “abituale”, della “cooperante” e della “efficace”, che qualche volta è senza effetto, della “sufficiente”, che qualche volta non basta a niente, della “versatile” e della “congrua”? Diciamolo in buona fede: potrebbero forse capirci più di quello che ne comprendiamo voi o io?». Ampiamente giustificato anche il suo sdegno, che percorre tutto l’articolo, nel quale la considerazione che «tutto è grazia da parte di Dio» è giustamente opposta alle superstizioni teologiche, che si immaginano un Dio che fa e disfa nel particolare. Cfr. in proposito anche il mio Sulla grazia, cit. 42   Così lo chiama H. Bremond, in Histoire littéraire du sentiment religieux en France, Bloud et Gay, Paris 1916-1936, 12 voll., vol. 2, pp. 363-93. 43   Tra gli innumerevoli esempi in questo senso, valga quello di Veronica Giuliani (1660-1727), che entrò a diciassette anni nel monastero cappuccino di Città di Castello, dove rimase fino alla morte. Esso è tipico della condizione «mistica» femminile del mondo monastico controriformistico, tra orripilanti penitenze, fenomeni straordinari, accuse da parte dei superiori (fu accusata di stregoneria dal gesuita padre Crivelli, che la sottopose a prove durissime), fino al riconoscimen-



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to ufficiale della santità. Assai studiata anche ai nostri giorni, grazie soprattutto al copiosissimo materiale scritto da lei lasciato; cfr. in proposito V. Giuliani, Visioni, a cura di M. Baldini, Nardini, Firenze 1991. Bisogna comunque tenere presente che uno dei modelli principali di questa santità monastica femminile, imperniata sulla partecipazione amorosa alla Passione di Cristo, con insistenza specifica sulle ferite, sul sangue, è quello di Caterina da Siena. 44  Tutte le opere di Maria Maddalena, dai manoscritti originali, sono state pubblicate da Nardini a Firenze, in 7 voll., 1960-1966. Una scelta interessante è quella di G. Pozzi: M.M. de’ Pazzi, Le parole dell’estasi, Adelphi, Milano 1984. 45   Il manoscritto, che si trova alla Biblioteca Riccardiana di Firenze ed è databile ai primi del Quattrocento, è stato pubblicato, a cura di R. Guarnieri, in appendice alla edizione italiana de Lo specchio delle anime semplici, cit. La Guarnieri informa anche (ibid., pp. 49-54) sulla probabile circolazione del libro nel Cinquecento, negli ambienti legati a santa Caterina da Genova, poi alla milanese Isabella Berinzaga (1551-1624) e ad Achille Gagliardi (1537-1607), le cui dottrine mistiche giungono al Seicento francese. 46   Si noti il superamento delle opposizioni: amore-morte, morte-vita, saperenon sapere. Tutto ciò che si intende al di fuori della purezza del nulla appare a Maria Maddalena «grande ignoranza», ovvero un sapere relativo e contingente, mero frutto delle circostanze. 47   Per comprendere la mentalità di Teresa di Lisieux è interessante la vicenda massonica della mistificazione messa in atto da Leo Taxil, che inventò mille stupidaggini, la più incredibile delle quali fu il personaggio di Diana Vaughan, fondatrice e grande sovrana del palladismo, alleata del diavolo, convertita al cattolicesimo. Nell’inganno caddero tutti, a cominciare da papa Leone XIII, per cui non ci si deve stupire se ci cadde anche Teresa, la quale scrisse alla Vaughan (ovvero a Taxil) congratulandosi per la conversione e l’attività antimassonica, poi le inviò la sua foto di scena nelle vesti di Giovanna d’Arco, componendo anche un’opera teatrale sull’argomento, che assume in pieno tutto l’armamentario dell’antimassonismo patologico, con diavoli, forche, catene, fiamme, conciliaboli infernali, duelli tra Lucifero e san Michele, strofette metastasiane. Quando, il 19 aprile 1897, in una pubblica conferenza tenuta alla Société de Géographie di Parigi, Taxil svelò tutta la montatura, dileggiando i cattolici che c’erano cascati, non risparmiando nemmeno il papa e il segretario di Stato, mostrò anche al pubblico la foto di Teresa vestita da Giovanna d’Arco. Nel leggere la cronaca di quella giornata, la santa subì un trauma terribile. Le sue consorelle raccontano che da quel momento la sua salute subì un tracollo inarrestabile, fino a che cinque mesi dopo morì, il 30 settembre 1897 (cfr. in proposito gli studi di p. R.F. Esposito, da cui traggo queste notizie, citando anche alla lettera l’articolo Nuovo Dottore della Chiesa, in «Vita pastorale», 10 ottobre 1997, pp. 54-57). 48   Pensiamo a scrittori come Paul Claudel, Georges Bernanos, Charles Péguy, ma anche al Santo bevitore di Joseph Roth. Non entriamo qui nel problema di quanto gli scritti di Teresa siano stati interpolati dalle sorelle Celina e Agnese, che si sentirono in dovere di «completare il suo pensiero», per cui sono stati spacciati per teresiani molti testi sulla cosiddetta «infanzia spirituale», alimentando il cliché della «piccola Teresa» e della «piccola via». Cfr. in proposito l’edizione di Teresa di Lisieux, Storia di un’anima, Piemme, Casale Monferrato 1997, e la relativa Introduzione del curatore, G. Gennari.

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49   Cfr. la lettera a Madame de Sourdon, giugno 1902, in Élisabeth de la Trinité, Écrits spirituels, a cura di M.M. Philipon, Seuil, Paris 1949, p. 11. 50   Nel novembre 1903 così scriveva all’abate Chevignard: «In questo momento sto leggendo delle bellissime pagine di nostro padre san Giovanni della Croce sulla trasformazione dell’anima nelle tre Persone divine […] Il nostro beato padre dice che lo Spirito Santo la innalza allora a un’altezza tale da renderla capace di produrre in Dio la stessa spirazione d’amore che il Padre produce con il Figlio e il Figlio con il Padre, spirazione che non è altro che lo Spirito Santo stesso […] Io vorrei passare sulla terra come la santa Vergine “conservando tutte queste cose nel mio cuore”, per così dire seppellendomi nel fondo dell’anima, per perdermi nella Trinità che vi abita e trasformarmi in essa» (voce «Élisabeth de la Trinité», in Dictionnaire de Spiritualité, cit., a firma M.M. Philipon, voll. 26-27, col. 591). 51   Elisabetta considerava l’elevazione alla Trinità che chiude il Dialogo di santa Caterina da Siena come «la più bella di tutte le preghiere che io conosca, e la mia preferita». Su quella linea, Elisabetta compose di getto, il 21 novembre 1904, la sua celebre preghiera O mon Dieu, Trinité que j’adore. 52   Riprendo qui alcune righe dalle mie Introduzioni a Edith Stein, La scelta di Dio (Mondadori, Milano 1997) e A piedi nudi. Testimonianze dal Carmelo, raccolte da C. Ronchetti (Mondadori, Milano 1997).

X. La sconfitta   È con la fine delle guerre di religione (l’editto di Nantes è del 1598) che H. Bremond fa iniziare la sua Histoire littéraire du sentiment religieux en France, cit. La data non è casuale: basti pensare a quanto le guerre di religione hanno contribuito a spingere in direzione dell’interiorità. 2   Nota M. Bergamo (L’anatomia dell’anima. Da François de Sales a Fénelon, il Mulino, Bologna 1991, p. 13) che «non si può non essere colpiti, quando si volge la mente a considerare le pubblicazioni religiose nella Francia del XVII secolo, dalla frequenza con cui ricorre, nei loro titoli, la parola intérieur». 3   Barbe Acarie, nata Avrillot (1566-1618), conobbe nel 1601 le opere di Teresa d’Àvila e si adoperò per introdurre in Francia le carmelitane spagnole. Dopo la morte del marito (1616) ella stessa prese il velo, con il nome di Maria dell’Incarnazione. 4   Pierre de Bérulle (1575-1629) fu una importante personalità della storia religiosa francese. Già nel 1597 riadattò il Breve compendio dei milanesi Isabella Bellinzaga e Achille Gagliardi nel suo Bref discours de l’abnégation intérieure, influenzato da Ruusbroec ed Herp, nel senso di un distacco che va oltre ogni forma creaturale. Divenuto prete nel 1599, subì l’influenza dei gesuiti e si orientò verso una pietà più concreta, cristocentrica e anche fortemente intrisa di culto mariano. Insieme alla cugina Acarie, ebbe parte importante nell’introduzione in Francia del Carmelo teresiano, di cui nel 1614 fu nominato «visitatore permanente». Nel 1611 fondò la Congregazione dell’Oratorio; nel 1627 fu nominato cardinale da papa Urbano VIII. La sua ultima opera fu una Vita di Gesù (1629). Il tema mistico, di origine renana, dell’annullamento dell’io finisce in Bérulle a servizio della spiritualità controriformistica come annientamento dell’uomo di fronte alla maestà di un Dio biblicamente concepito, cui si connettono tutto il sacramentalismo cattolico e la mediazione sacerdotale. 1



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5   Nato in Inghilterra (Canfield, Essex) nel 1562 da famiglia puritana, William Filch si convertì al cattolicesimo e passò in Francia nel 1585, dove entrò nell’Ordine cappuccino, assumendo il nome di Benedetto. Studiò anche a Venezia; poi tentò di rientrare, in abiti civili, nel paese natale (1599) ma fu scoperto e gettato in prigione per quasi quattro anni. In carcere scrisse la versione inglese del suo capolavoro, la Regola di perfezione, che già circolava in francese, manoscritta, negli anni precedenti. Una versione in latino, meno ardita, fu stampata a Colonia nel 1610. Liberato per intervento diretto del re di Francia, si stabilì a Parigi, dove divenne consigliere spirituale di Madame Acarie ed esercitò grande influenza – a parere di Bremond, la più grande nel XVIII secolo  –  fino alla morte, avvenuta nel 1610. Nella Regola insegna la totale conformità al volere divino fino all’annullamento del proprio volere e del proprio io, annullamento che conduce a una perfetta unione. Ciò causò varie perplessità: anche Francesco di Sales sconsigliò la lettura del libro, soprattutto della sua ultima parte, finché nel 1689 l’opera fu posta all’Indice per sospetto di quietismo e uscì così dalla circolazione. 6   Richard Beaucousin (Parigi, 1561 - Cahors, 1610) entrò trentenne nella Certosa di Parigi, da dove esercitò per molti anni un’enorme influenza sugli ambienti religiosi. Favori la pubblicazione del Bref discours di Bérulle, della Regola di perfezione di Benedetto di Canfield, forse tradusse dal fiammingo in francese La perla evangelica e L’ornamento delle nozze spirituali di Ruusbroec. I suoi scritti spirituali sono andati perduti. 7   Nata a Milano nel 1551 da famiglia nobile ma impoverita, ebbe un’adolescenza dura e triste. Cambiò il proprio cognome, Lomazzi, in quello di Berinzaga o Bellinzaga, prendendolo dallo zio materno che l’aveva allevata. Rifiutò sia il matrimonio sia il chiostro, scegliendo una vita di devozione come secolare. Entrata in rapporto con i gesuiti di San Fedele, conobbe quel padre Achille Gagliardi, padovano, che doveva dirigerla e che iniziò a trascrivere i colloqui spirituali con lei. Si discute ancora oggi se la paternità del Breve compendio sia più di Isabella o del Gagliardi. Certo è che quest’ultimo, quando l’opera che circolava manoscritta sollevò perplessità e sospetti di fronte all’autorità religiosa, scaricò sulla donna tutte le responsabilità. Isabella visse in oscura tranquillità a Milano fino alla morte, nel 1624. In Italia l’opera fu stampata a Brescia nel 1611, verosimilmente all’insaputa dell’autrice. Prima della condanna ecclesiastica per sospetto quietismo, era circolata ampiamente: il basiliano Giuseppe de Camillis la riprende nella sua Vita divina ritrovata fra i termini del tutto e del nulla (1677) – un titolo davvero poretiano! – e Miguel de Molinos la tenne presente nel comporre la sua Guida spirituale. 8   Cfr. in proposito la Prefazione storica di R. Guarnieri, premessa alla edizione italiana dello Specchio delle anime semplici, cit., p. 51. 9   Nato in Savoia nel 1567 da famiglia nobile, frequentò a Parigi il celebre collegio gesuita di Clermont, dove ricevette una buona formazione umanistica. Passato a Padova a studiare diritto per volontà paterna, vi conobbe il gesuita Antonio Possevino e rinsaldò i suoi vincoli con la Compagnia. Ogni anno praticò gli «Esercizi spirituali» ignaziani. Consacrato prete nel 1593 e vescovo di Ginevra nel 1602, si dedicò alla riconversione al cattolicesimo delle popolazioni dello Chablais. A Parigi entrò in contatto con Madame Acarie e collaborò alla venuta delle carmelitane spagnole nella capitale francese (1604). Esercitò la direzione spirituale di molte nobili signore, e, in collaborazione con Giovanna Francesca di Chantal, fondò in Savoia le Visitandine (1610). Morì ad Avignone nel 1622. Nel 1877 papa Pio IX lo nominò Dottore della Chiesa.

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10   Le opere che più hanno formato la personalità religiosa di Francesco sono il Combattimento spirituale del teatino Lorenzo Scupoli (1589), scoperto negli anni della formazione patavina e poi portato sempre con sé; l’Imitazione di Cristo; autori medievali come Bernardo di Chiaravalle e Bonaventura da Bagnoregio; i gesuiti  –  dagli Esercizi spirituali ignaziani ad autori contemporanei, spagnoli, italiani, francesi –; ma soprattutto Teresa d’Avila, mentre è quasi certo che non abbia mai letto Giovanni della Croce. Al contrario, il vescovo di Ginevra mette in guardia da libri come La perla evangelica, cui la traduzione francese (1602) aveva assicurato grande successo, e soprattutto dal libretto della Bellinzaga. 11   Cfr. F. de Sales, Traité de l’amour de Dieu, Annecy 1894, pp. 42 e 53. 12   Cfr. M. Bergamo, op. cit., p. 176. 13  Cfr. ibid., p. 183. Bergamo prosegue: «Nel Traité de l’amour de Dieu il discorso mistico si distacca dalla problematica ontologica dell’essenza dell’anima, per articolarsi in una prospettiva squisitamente psicologica, innalzando un edificio, raffinato e complesso, di psicologia religiosa. Nascita di una forma, più moderna, di teologia mistica? Nascita, più semplicemente, della mistica moderna? Sì obietterà, immagino, che la riscrittura psicologica della mistica cristiana si era già abbondantemente prodotta nel XVI secolo, in opere come quelle di santa Teresa. Senza dubbio: ma, in santa Teresa, questa riscrittura si effettua in modo puramente empirico, senza potersi raddoppiare di una conveniente problematizzazione filosofica. Teresa non disponeva di una teoria adeguata della struttura dell’anima, che le permettesse di pensare, su un piano teorico, quella trasformazione psicologica del discorso mistico, che andava compiendosi, empiricamente, proprio sotto la sua penna. Al contrario, quando, negli ultimi capitoli delle Moradas [il Castello interiore], essa si riferisce alla struttura dell’anima, evocando la distinzione tra il centro e le potenze, e presentando il centro dell’anima come «mansione» in cui Dio stesso risiede, sembra ancora di sentir risuonare, come un’eco lontana, la grande voce della mistica dell’essenza». 14  Cfr. ibid., pp. 188-89. 15   Cfr. in proposito proprio il trattato eckhartiano L’uomo nobile, in Eckhart, Dell’uomo nobile, cit. 16   M. di Molinos, Guida spirituale, UTET, Torino 1935, pp. 231-32 (1. III, cap. 18, n. 176). 17   Ibid., pp. 234-35 (1. III, cap. 19, nn. 184-186). 18   Ibid., pp. 236-239 (1. III, cap. 20, nn. 187-195). 19   Cfr. M. de Molinos, Guya espiritual, a cura di C. Lendinez, Pontificia Universidad de Salamanca, Madrid 1974. 20   Anche il cardinale P.M. Petrucci intitola una sua opera Il tutto di Dio e il nulla delle creature (Bologna 1682), ispirandosi tanto a Molinos quanto alla Bellinzaga e, probabilmente senza saperlo, ancora a Margherita Porete, forse attraverso Caterina da Genova. 21  Nato a Marsiglia nel 1627 da ricca famiglia borghese, divenne cieco da bambino per un incidente. Nonostante ciò poté studiare, fino al dottorato alla Sorbona. Entrò in contatto con le personalità colte di tutta Europa, da Gassendi a Cristina di Svezia, e fu molto stimato per i suoi scritti spirituali, in particolare La pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione (in francese, Parigi 1664-1670, presto tradotto in italiano, olandese, inglese), che riprende i motivi classici della mistica dionisiana e renano-fiamminga, accanto a quelli più recenti di spagnoli, come Giovanni della Croce e Juan Falconi. Gli attacchi del gesuita Segneri, che



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comincia le sue pubblicazioni antiquietiste con il Sette principii su cui si fonda la nuova orazione di quiete (Venezia, 1680), pur senza far nomi, sono diretti esplicitamente ed esclusivamente contro l’opera di Malaval, che viene poi messa all’Indice nel 1688, in concomitanza con la condanna di Molinos. Malaval accettò la condanna, ma protestò la sua ortodossia e continuò a scrivere. Fu fatto oggetto di pesanti attacchi da parte di Bossuet e nel 1697 fu messa all’Indice anche una sua importante Lettera all’abate di Foresta-Colongue. Morì a Marsiglia nel 1719 in fama di santità. Da notare che nel 1685 aveva conosciuto personalmente Madame Guyon, durante un suo breve soggiorno nella città, ed ebbe occasione di esprimere un giudizio favorevole sul suo Metodo breve. 22   Juan Falconi de Bustamante (1596-1638), nato nella provincia di Alméria, fu frate mercedario, teologo, professore in varie facoltà teologiche spagnole; dal 1625 esercitò a Madrid la direzione spirituale presso monasteri, laici e anche a corte. Morì nella capitale spagnola nel 1638, sfinito dalle austerità e penitenze. Quasi tutte le sue opere apparvero dopo la morte: particolare importanza hanno alcune sue Lettere di direzione spirituale, che, insieme al Cammino diretto verso il cielo (in castigliano; il manoscritto madrileno è seguito immediatamente da un Compendio breve de la eminentisima perfecciòn cristiana che non è altro che l’opera della Bellinzaga), delineano un percorso simile a quello di Molinos e di Madame Guyon. In particolare la Lettera n. 1, tradotta in italiano e in francese con il titolo Lettera a una delle sue figlie spirituali, in cui si insegna il più puro e perfetto spirito di orazione, fu stampata nel 1685 in appendice al Metodo breve di Madame Guyon, e perciò fu messa all’Indice, insieme ad altri scritti del Falconi. 23   Nato probabilmente nel 1640 a Thonon, Andrea La Combe entrò dai barnabiti prendendo il nome di Francesco. Dotato di grande ingegno e cultura, compie una rapida carriera, in Savoia e a Parigi. Nel 1671 conosce casualmente Madame Guyon nella sua casa di Montargis, poi è inviato a insegnare a Bologna e a Roma. Pochi anni dopo torna in Savoia come superiore del suo ordine. Nel 1681, a Gex, ritrova la Guyon, di cui subisce il fascino spirituale. Lei, a sua volta, vede nel religioso una sorta di inviato da Dio. Mandato a Vercelli, viene seguito dalla Guyon: i due compiono insieme anche un pellegrinaggio a Loreto. Nella città piemontese vede la luce nel 1686 la Orationis mentalis analysis, per la quale La Combe aveva ottenuto ogni approvazione ecclesiastica, ma due anni dopo l’opera viene messa all’Indice, nel quadro della epurazione antimolinosiana. Richiamato a Parigi insieme alla Guyon, il barnabita prosegue nel suo apostolato, che ottiene grandi successi, ma si diffondono libelli contro di lui, che lo accusano di immoralità e molinosismo. Nell’ottobre 1687, su istigazione dell’arcivescovo di Parigi, François de Harlay de Champvallon («personnage d’une moralité extrémement douteuse», lo chiama gentilmente Cognet, come avremo ancora modo di vedere), il re concede una lettre de cachet con cui La Combe viene arrestato. Passando di carcere in carcere, dalla Bastiglia all’isola di Oléron, ai Pirenei, senza mai subire un vero processo e potersi discolpare, il barnabita perde il senno e muore nel 1715 nel manicomio di Charenton, poco lontano da Parigi, dove si trova dal 1712. La sua Analysis è stata tradotta in italiano e pubblicata, con ampio studio introduttivo e note, a cura di A. Gentili, con il titolo Meditare, Ancora, Milano 1983. 24   Si ricordi che alla figura di Antonio Maria Zaccaria (1503-1539), fondatore dei Chierici regolari di San Paolo, detti appunto «barnabiti», è vicina quella del domenicano Battista da Crema (Giovan Battista Carioni, 1460-1534), che dello Zaccaria fu maestro e amico. Si discute ancora oggi se I detti notabili di un santo

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(Venezia, 1583) siano dell’uno o dell’altro. Autore spirituale fecondo e influente (a lui si deve per esempio la diffusione in Italia di quel concetto di «combattimento spirituale», che avrà tanta fortuna), Battista da Crema fu sospettato di rinnovare le eresie dei begardi e nel 1559 anche le sue opere furono poste all’Indice. 25   Cfr. in proposito la Nota storica di A. Bianchi, Il «caso» La Combe, in appendice a F. La Combe, Meditare, cit. 26   Jeanne Marie Bouvier de La Motte nacque a Montargis nel 1648 da famiglia della piccola nobiltà. L’esempio di santa Giovanna Francesca di Chantal la colpì fin da piccola, ma i suoi progetti di vita religiosa furono frustrati dai genitori, che la maritarono, a sedici anni, con Jacques Guyon, di ventidue anni più anziano di lei. Dal matrimonio, che durò dodici anni, nacquero cinque figli, di cui due morirono in tenera età. Di grande importanza la sua amicizia con padre La Combe, grazie al quale ella iniziò a scrivere le sue numerosissime opere, a iniziare dai Torrenti (1682) e dal Metodo breve e facilissimo per fare orazione (1684). Cfr. la ed. it. a cura di M. Vannini: Madame Guyon, Un modo semplice di pregare, Mondadori, Milano 2000. A seguito del barnabita, Madame Guyon si recò in Italia, con vari progetti di fondazioni religiose, poi rientrò in Francia. Imprigionato il La Combe nel 1687, anche la Guyon fu messa una prima volta sotto custodia, a Parigi, nel 1688. L’accusa di quietismo era pretestuosa: in realtà l’arcivescovo della capitale francese, François de Harlay de Champvallon, voleva far sposare un proprio nipote, che godeva di cattiva fama, con la figlia di Madame Guyon, Jeanne-Marie, ricca di dote, ma la madre non era d’accordo e si rifiutò sempre di piegarsi ai ricatti del prelato. Sempre al 1688 risale anche il primo incontro di Madame Guyon con Fénelon, che concepì per lei una venerazione profonda, rimasta inalterata nonostante tutte le traversie che li dovevano colpire. Nel giro di pochi anni, infatti, dopo un breve periodo in cui furono nelle grazie di Madame de Maintenon, favorita del re, i due caddero sotto la persecuzione del vescovo di Meaux, Bossuet. Il comportamento di quest’ultimo in tutta la vicenda fu vergognoso: menzognero, ipocrita e non esente da interessi nepotistici. Mentre però Fénelon aveva una cultura e una posizione sociale tale da potersi difendere, la povera Madame Guyon venne stritolata dal potere monarchico-ecclesiastico: più volte imprigionata, costretta a ritrattazioni e dichiarazioni di ortodossia, si piegò sempre umilmente. Mantenne però fino alla morte, avvenuta a Blois nel 1717, le proprie idee, e attorno a lei si radunò un piccolo gruppo di seguaci, che non doveva essere senza importanza nella storia della spiritualità del XVIII secolo. 27   Cfr. la voce «Guyon», a firma di L. Cognet, in Dictionnaire de Spiritualité, cit., 6, vol. 43, coll. 1306-1336; qui col. 1332. 28   Jean de Bernières-Louvigny, nato da famiglia benestante a Caen nel 1602 e ivi morto nel 1659, fu una figura religiosa molto importante, ardente apostolo del cattolicesimo, in rapporto con quasi tutte le grandi personalità spirituali del tempo, che lo stimarono moltissimo e cui chiesero consigli. Solo dopo la sua morte furono pubblicate le Lettere e soprattutto l’opera, in francese, intitolata Il cristiano interiore, o la conformità interiore che i cristiani devono avere con Gesù Cristo, che conobbe un successo strepitoso, con numerosissime edizioni in pochi anni. 29   Cfr. la voce «Guyon», in Dictionnaire de Spiritualité, cit., vol. 42, col. 1336. 30   François de Salignac de La Mothe nacque ai primi del 1651 (la data 6 agosto è quella del battesimo, non della nascita) nel castello avito di Fénelon, nel Périgord, da famiglia nobile. Avviato alla carriera ecclesiastica, si conquistò larga fama già con il suo Trattato sull’educazione delle ragazze (1687), cui seguì il roman-



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zo pedagogico Le avventure di Telemaco (1695), scritto per il nipote del re, di cui Fénelon era precettore. L’incontro con Madame Guyon, nel 1688, mutò la vita dell’ecclesiastico, e ne fece uno degli scrittori spirituali più importanti di Francia. Per difendere la donna dalle accuse di quietismo, infatti, Fénelon scrisse tutti i suoi capolavori mistici: dalla Memoria sullo stato passivo, allo Gnostico di Clemente Alessandrino, alla Spiegazione degli articoli di Issy, fino alla importantissima Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore (1697) (vedi la ed. it. a cura di M. Vannini, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2002). Avversario principale di Fénelon nella controversia fu Bénigne Bossuet, vescovo di Meaux, che era un incompetente in questo settore, e che si regolava astutamente con criteri e appoggi politici, compiacendo la Maintenon. Esperto retore e controversista, Bossuet addivenne prima a un accordo con Fénelon, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Cambrai, firmando a Issy, nel 1695, con lui e con altri ecclesiastici 34 articoli che dovevano chiudere la questione con una sorta di compromesso, ma poi proseguì la campagna contro la Guyon, scrivendo la Istruzione sugli stati di orazione. Dalle accuse di quietismo, che travolsero la donna, Fénelon si difese appellandosi al papa, Innocenzo XII, che lo stimava molto, ma il pontefice non poté o non volle opporsi alle pressioni che venivano dalla corte di Francia. Il 12 marzo 1699 il Breve Cum alias condannò 23 proposizioni della Spiegazione delle massime dei santi, ossia quelle in cui si parla di «puro amore» e di «indifferenza». Fénelon si sottomise e passò il resto della vita nella sua diocesi, dedicandosi con zelo ai compiti pastorali. Morì nel 1715. 31   Sull’argomento è fondamentale lo studio di P. Zovatto, Fénelon e il quietismo, Del Bianco, Udine 1968. 32   Cfr. M. Bergamo, op. cit. 33   Si legga per esempio, nelle Massime di La Rochefoucauld, quanto egli scrive sull’«amor proprio» e le sue infinite capacità di metamorfosi, conscie e inconscie, sulle sue possibilità di incarnare tutti i contrari, ecc. (cfr. F. de La Rochefoucauld, Massime, a cura di M. Enoch, Newton Compton, Roma 1993, pp. 52 sg.). 34   È significativo che i cosiddetti Pensieri di Pascal (1623-1662) siano diventati una delle opere più note, quasi un classico, della meditazione cristiana del Seicento. A un occhio attento come quello di Simone Weil non sfuggì però il carattere eminentemente psicologico dell’opera (il cui impianto utilitaristico è chiarissimo in testi come quello, celebre, della «scommessa»), dove l’intelligenza è piegata a dimostrare la tesi che serve ai bisogni dell’autore. Documento interessante di un conflitto tra fede e ragione, all’inizio della scienza moderna, nonché testimonianza di una personalità indubbiamente di rilievo, i Pensieri sono – come volevano essere – il tentativo di un’apologetica, non certo di una mistica, che è peraltro estranea al giansenismo. Si può notare anzi che molti giansenisti furono in prima fila nel combattere le tendenze mistiche del loro tempo: Pierre Nicole (1625-1695) fu un «antimistico militante», come lo chiama Cognet, e terminò la sua battaglia ventennale con una Refutazione degli errori dei quietisti (1695) in cui sono condannati tutti, da Molinos a Malaval. Cognet (De la dévotion moderne à la spiritualité française, Fayard, Paris 1958, pp. 98-102) nota finemente lo stretto rapporto fra psicologismo e antimisticismo che si stabilisce in questo periodo in Francia, anche per l’influenza di Francesco di Sales, e che sposta l’attenzione dalla spiritualità alla morale, con profonde venature pessimistiche. Port-Royal si iscrive quasi completamente in questo ambito.

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Parte terza. Il mondo contemporaneo XI. La ripresa neoplatonica 1   Filippo Bruno nacque a Nola ai primi del 1548. Prese il nome di Giordano insieme all’abito domenicano, vestito a Napoli nel 1565. Nel convento di San Domenico, dove aveva lavorato Tommaso d’Aquino, Bruno si procurò uno straordinario sapere: dalla tradizione aristotelico-tomista propria del suo Ordine, ai grandi filosofi greci come Eraclito, Parmenide, Plotino, ai contemporanei, come Copernico e soprattutto Cusano. Proprio questa vastità di letture gli rese angusto l’orizzonte conventuale, per cui, sospettato di eresia, lasciò l’abito e fuggì, prima nell’Italia del Nord, poi in tutta Europa: Savoia, Svizzera, Francia, Inghilterra, Germania, Praga, insegnando senza timori le nuove teorie cosmologiche e filosofiche. Dappertutto si scontrò con i dogmatismi clericali; la sua speranza di trovare presso i Riformati quella libertà che non c’era nella Chiesa cattolica andò delusa, e si convertì anzi in un profondo disprezzo per Lutero, Calvino e seguaci, che negavano il libero arbitrio, il valore delle opere e riproponevano, rafforzata, la tirannia della Scrittura e l’ipocrisia confessionale. Nel cristianesimo riformato Bruno vide soprattutto il veleno teologico, l’odio per l’intelligenza e la ragione, anzi, per tutta la natura umana, considerata come opposta alla divinità. Nel 1585 il Nolano fece un tentativo di rientrare nel cattolicesimo, senza dover riprendere l’abito religioso, ma il tentativo falli. «Cittadino e domestico del mondo, figlio del padre Sole e della Terra madre» si senti perciò Bruno, «accademico di nessuna accademia», e in effetti v’è in lui una mentalità davvero universalistica, insofferente dei limiti posti dai luoghi, dalle consuetudini, ma soprattutto dalla stupidità e dal servilismo degli uomini. In questo senso non fu illusione, ma solo anticipazione dei tempi, il suo concetto di cattolicità, riportato all’originario significato etimologico, non solo geografico, di universalità. Rientrato in Italia, a Venezia, nel 1591, l’anno dopo pensava di presentare al papa la sua opera Le sette arti liberali. Fu invece denunciato come eretico al Santo Uffizio dal suo ospite, il patrizio Giovanni Mocenigo, e subì un primo processo nella città lagunare. Il processo avrebbe potuto concludersi favorevolmente, e Bruno si era dichiarato pronto a sottomettersi, ma Roma richiese la consegna dell’imputato e Venezia cedette. Il processo romano, in cui ebbe larga parte il gesuita Roberto Bellarmino, iniziò nel gennaio 1593 e si concluse nel febbraio 1600, con alterne vicende, di difficile ricostruzione. Dopo tentativi di compromesso, il Nolano dichiarò di non volere né dovere ravvedersi, non avendo e non sapendo di che ravvedersi, per cui moriva «martire e volentieri», e alla lettura della sentenza che lo condannava al rogo pronunciò le celebri parole (in latino): «Forse tremate più voi a pronunciare questa sentenza che io nel riceverla». Il 17 febbraio 1600, con la lingua «in giova», ovvero con un grosso chiodo conficcatovi per impedirgli di parlare, fu «dai ministri di giustizia condotto in Campo dei Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu bruciato vivo». 2   L’accusa che viene rivolta al panteismo da parte cristiana (e anche la discriminante che permette di distinguerlo da ciò che panteismo non è) riguarda non tanto l’aspetto metafisico quanto quello morale: si imputa infatti in genere al panteismo, come a ogni monismo, la colpa di compromettere la possibilità della morale. Sotto questo aspetto bisogna notare che per Bruno ogni cosa finita è buona in quanto radicata nell’Uno-Tutto, ma non è certo Dio, perché Dio non si iden-



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tifica con le singole cose finite, ma è «l’unità che complica il tutto». Come sarà in Spinoza e in Hegel, dunque, l’errore consiste nel fermarsi alla singola cosa o al singolo ente intelligibile senza riportarlo alla totalità, e, parallelamente, la colpa consiste nel fare oggetto d’amore un essere finito, non in quanto essere  –  che, come tale, è buono –, ma in quanto finito. Si tratta cioè della stessa concezione etico-metafisica per cui Meister Eckhart poteva dire, insieme, che «le creature sono un puro nulla» e che «ogni creatura è piena di Dio». 3   Sotto l’aspetto strettamente spirituale non v’è alcuna differenza tra il distacco da tutti i contenuti, ivi compresa l’umanità di Cristo («è bene per voi che io me ne vada…»), insegnato dai grandi mistici cristiani e la esplicita negazione del dogma, visto nella sua determinatezza storica, compiuta da Bruno: il risultato, infatti, è una identica rimozione delle mediazioni tra l’anima e Dio. La differenza però è enorme sotto tutti gli altri aspetti (psicologico, politico, sociale, ecc.) in quanto nel primo caso v’è la soggezione medievale alla auctoritas, costituita da libri o da persone, per cui alla mistica resta solo uno spazio privato, fuori dalla sfera civile, mondana, anzi, isolato e opposto a essa. Nel secondo caso invece, quello bruniano, siamo in presenza della moderna rivendicazione dell’autonomia della ragione rispetto a ogni pretesa autorità: è il «sapere aude» che Kant celebrerà come illuministica uscita dell’uomo dallo stato di minorità, in tutti i campi. Non c’è alcun dubbio che questa seconda e moderna condizione di verità, salutata gioiosamente da Nietzsche come una liberazione dalle catene e un dispiegarsi del mare aperto di fronte a noi, sia più consona al riconoscimento della comunità di essenza uomo-Dio, propria del Cristo e del cristianesimo in quanto tale, che non la medievale dipendenza teologica dal dogma, dalla Scrittura, dal potere ecclesiastico. 4   G. Bruno, De gli eroici furori, in Dialoghi morali, Laterza, Bari 1927, p. 473. 5   Baruch de Spinoza nacque nel 1632 ad Amsterdam da una famiglia ebrea emigrata dal Portogallo per sfuggire alla persecuzione religiosa. Dedicatosi allo studio della Bibbia, del Talmud, della Cabbala, ne ricavò solo dubbi e delusione, per cui si rivolse alle scienze e alla matematica. Lesse Descartes nonché i filosofi antichi e medievali. Scomunicato dalla sinagoga, lasciò Amsterdam e si rifugiò a Rijnsburg, trovando cordiale accoglienza tra i cristiani perseguitati dalla Chiesa protestante. Qui scrisse le prime opere e iniziò la stesura dell’Etica, compiuta nel 1665 e pubblicata postuma. Successivamente il filosofo si trasferì a Voorburg, presso L’Aia, e poi, nel 1669, a L’Aia. L’anno dopo pubblicò il Tractatus theologicopoliticus, opera con cui inizia la moderna critica biblica. Il libro suscitò feroci opposizioni, e fu poi vietato dal parlamento olandese. Nel febbraio 1677 il filosofo moriva, consunto dalla tisi. Su di lui Borges ha scritto la finissima poesia che segue: «Foschia d’oro, l’Occidente illumina / la finestra. L’assiduo manoscritto / aspetta, già carico d’infinito. / Qualcuno costruisce Dio nella penombra. / Un uomo genera Dio. È un ebreo / dai tristi occhi e dalla pelle citrina; / lo porta il tempo come porta il fiume / una foglia nell’acqua che declina. / Non importa. Il mago insiste e scolpisce / Dio con geometria delicata; / dalla sua malattia, dal suo nulla, / continua a eriger Dio con la parola. / Il più prodigo amor gli fu concesso, / l’amore che non aspetta di essere amato». Nei versi del poeta argentino si colgono bene le ascendenze eckhartiane: «genera Dio», «erige Dio con la parola», nonché l’elemento mistico essenziale del filosofo olandese, per il quale l’amore dell’uomo verso Dio e quello di Dio verso l’uomo sono un solo e medesimo amore.

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6  Nel Tractatus theologico-politicus, infatti, che è la prima opera che tratta la Bibbia con i criteri della filologia scientifica, si dimostra quale sia la storia della formazione della Bibbia stessa, redatta sostanzialmente da Esdra, insieme alla inconsistenza storica di tradizioni venerande, quale la paternità mosaica del Pentateuco. È istruttivo rileggere l’anatema che su Spinoza («il saggio più puro», come lo ha chiamato Nietzsche) pronunciarono i capi della sinagoga di Amsterdam il 27 luglio 1656: «Secondo il giudizio dell’angelo e la decisione dei santi, noi con l’assenso di Dio [sic] e di questa santa comunità, in presenza dei libri sacri della Torà e delle seicentotredici prescrizioni quivi scritte, malediciamo, espelliamo, esecriamo e anatemizziamo Baruch de Espinosa: con la maledizione con cui Giosuè maledì Gerico, con la maledizione con cui Eliseo ha maledetto i figli, con tutte le esecrazioni che stanno scritte nella Legge. Sia maledetto di giorno, sia maledetto di notte! Sia maledetto quando dorme, maledetto quando si sveglia! Sia maledetto quando esce, maledetto quando entra! Che il Signore non gli perdoni mai! Egli farà divampare la sua collera e la sua indignazione contro quest’uomo che è colpito da tutte le maledizioni che stanno scritte nel libro della Legge. Egli estinguerà il suo nome sotto il cielo e lo separerà per sua sventura da tutti i rami di Israele con tutte le maledizioni del firmamento che stanno nel libro della Legge. Ma voi, che state fermi in Dio vostro Signore, possiate voi tutti vivere e prosperare. State in guardia che nessuno gli si rivolga a voce o per iscritto, nessuno gli manifesti favore, nessuno dimori con lui sotto il medesimo tetto, nessuno si trattenga a quattro braccia di distanza da lui, nessuno legga una pagina che egli abbia composta o scritta». Il comportamento delle Chiese cristiane contro l’«ateo» Spinoza non fu peraltro diverso. 7   Cfr. capp. I e II, pp. 45-63. 8   Cfr. l’ultima proposizione dell’Etica V, XLII: «La beatitudine non è il premio della virtù, ma la virtù stessa; e noi non ne godiamo perché reprimiamo le nostre libidini; ma, viceversa, possiamo reprimere le nostre libidini perché ne godiamo». 9  Cfr. Etica V, XLII, Dimostrazione. 10   Etica V, XLII, Scolio. 11   Cfr. G. Faggin, Storia della Filosofia, vol. 2, Principato, Milano 19825, p. 158. Lo studioso vicentino riconosce con chiarezza il «misticismo dell’intelligenza» proprio di Spinoza, che «rifiuta qualsiasi elemento patetico e qualsiasi tradizione religiosa, e che possiede dei mistici il senso originario dell’Uno e dell’Infinito, il distacco dal mondo, la divina indifferenza dello spirito e l’adesione all’eterno presente» (ibid., p. 141). 12   Etica V, III. 13   Etica IV, LXIV. 14   Etica IV, LXIV, Corollario. 15   Etica V, 36, Scolio. 16   Per quanto concerne Paolo, cfr. i consueti versetti 1 Cor 12, 6; 1 Cor 15, 28; At 17, 28. Per Eckhart cfr. Sermoni tedeschi, cit., p. 233 (sermone Ecce mitto angelum meum); per Giovanni Scoto cfr. De divisione naturae III. 17   Questo è uno dei punti che hanno fatto riflettere sulla consonanza di Spinoza con il taoismo (cfr. G. Pasqualotto, «Tao sive natura: Spinoza e il taoismo», cap. III, in Il Tao della filosofia, cit.) e con il buddhismo (cfr. per esempio J. Wetlesen, La consapevolezza del corpo come apertura all’eternità: una nota sul misticismo di Spinoza e la sua affinità con la meditazione buddhista, in «Simplegadi. Rivista di filosofia orientale e comparata», II, 3, ottobre 1997, pp. 54-74).



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18   Per la profonda influenza che lo stoicismo ebbe su Spinoza, cfr. per esempio le note di G. Gentile a B. Spinoza, Ethica, Sansoni, Firenze 1963, pp. 675, 754 (la prima edizione dell’opera è Bari, 1915). 19  Cfr. Etica I, Appendice. 20  Cfr. ibid. Si ricordi in proposito il celebre frammento eracliteo: «Per la divinità tutte le cose sono belle, buone, giuste; gli uomini invece alcune cose ritengono ingiuste, altre giuste». 21   Anche sul problema dell’influenza scolastica e cartesiana in Spinoza, cfr. le note di G. Gentile a B. Spinoza, Ethica, cit., per esempio pp. 662 sgg. 22   Cfr. J. Wetlesen, op. cit. Nel De intellectus emendatione Spinoza già scriveva che «la possibilità di concepire le cose dal punto di vista dell’eternità non perviene alla mente a meno che anche l’essenza del corpo sia concepita dal punto di vista dell’eternità». 23   Sotto questo profilo è perfetta la consonanza con Eckhart, che ritiene il pensiero del male «cogitatio vana, sine intellectu» e sostiene la possibilità di pensare la distinzione di Dio solo in quanto «quoddam indistinctum» (cfr. per esempio la mia Introduzione a Meister Eckhart, Commento alla Sapienza, cit., pp. 22-30, dove si discute il rapporto con Spinoza; cfr. anche H. Aalber, Meister Eckhart en Spinoza, in «Spinozistische Bulletin», 2, 1939, pp. 66-91). 24   Sul rapporto Böhme-Spinoza cfr. A. Dyroff, Die Entstehung der Lehre Spinozas von «Amor dei intellectualis», in «Archiv für Geschichte der Philosophie», 31, 1918. Si noti che, nello Scolio alla prop. LXVIII della parte quarta dell’Etica, il filosofo olandese tenta una significativa interpretazione spirituale del peccato originale, sostenendo che l’uomo recuperò la libertà (perduta appunto con quel peccato) grazie ai patriarchi, «condotti dallo Spirito del Cristo, cioè dall’idea di Dio, dalla quale soltanto dipende che l’uomo sia libero e che desideri per gli altri uomini il bene che desidera per sé». Il rapporto tra Spinoza e il cristianesimo, attraverso la mistica, non la dogmatica, è ancora tutto da definire. 25   Etica V, XXX VI e Corollario.

XII. La frammentazione della mistica 1   Cfr. C. Francovich, Storia della Massoneria in Italia. Dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, Firenze 1972, pp. 25-27. 2   Jane Ward nacque da famiglia benestante a Norfolk nel 1623. Nell’adolescenza esperimentò una conversione che la allontanò dai piaceri mondani; trasferitasi a Londra, sposò a 21 anni, contro la volontà dei genitori, il modesto commerciante, molto pio, William Lead (o Leade), da cui ebbe quattro figlie. Per impulso del teosofo John Portage, studiò appassionatamente le opere di Böhme, tradotte in inglese tra il 1642 e il 1662, e si dedicò progressivamente alla vita contemplativa, diventando punto di riferimento della setta dei «Filadelfi» e compilando una serie di opere mistagogiche che conobbero largo successo anche nel continente (furono tradotte in tedesco tra il 1693 e il 1705), così da influenzare il movimento pietista. Mori nel 1704. 3   Nata a Lille nel 1616, morta a Frakerne, in Olanda, nel 1680, ebbe una vita errabonda, dovunque perseguitata per la sua dottrina, che, nutrendosi di visioni, rivelazioni, estasi, pretendeva di ristabilire la purezza della Chiesa primitiva. Le sue opere furono pubblicate da Poiret in 19 volumi, ad Amsterdam, a partire dal

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1679, e ripetutamente messe all’Indice. Il suo appello a una religiosità interiore, al di sopra della mediazione ecclesiastica, le guadagnò comunque numerosi seguaci ed estimatori, tra cui il pedagogista Comenio. 4   Gottfried Arnold (1666-1714) di simpatie pietiste, fu teologo, poeta, professore di storia e storiografo del re di Prussia. Il suo capolavoro è la Storia imparziale della Chiesa e degli eretici, nella quale studia l’eresia fuori da ogni dogmatismo, ristabilendo la verità storica. Della sua inclinazione mistica è documento l’opera Sophia, o della sapienza divina. Stimava profondamente i mistici cattolici del Seicento e pubblicò traduzioni di Molinos, Guyon, Petrucci. 5   Gerhard Tersteegen (o Ter Stegen) nacque nel 1697 a Moers, tra Germania e Olanda, da famiglia protestante già in contatto con il pietismo. Si unì presto al gruppo quietista che faceva capo a Wilhelm Hoffmann a Mühlheim, nella Ruhr, dove si trovavano anche dei labadisti, ovvero seguaci dell’ex gesuita Jean de Labadie. Era costui un francese, nato nel 1610 e morto nel 1674, che aveva lasciato la Compagnia di Gesù e aveva aderito alla Chiesa riformata; successivamente però aveva abbandonato anche quella e aveva fondato ad Amsterdam una propria comunità, predicando la rinascita dello Spirito e il rinnovamento della vita personale. Attraverso Hoffmann, Tersteegen conobbe Poiret, nonché gli scritti di Madame Guyon. Condusse vita ritirata, ascetica, senza sposarsi e fondò poi una «fraternità spirituale» a Otterbeck, vicino a Wuppertal. Nel giovedì santo del 1724 stilò con il proprio sangue una «consacrazione» a Cristo, «dolce amico dell’anima» e iniziò anche un’intensa attività di educazione spirituale. Con i suoi discorsi edificanti, le sue lettere e soprattutto le sue poesie (Il giardinetto spirituale, a imitazione del Giardinetto del paradiso di Arndt; La lotteria dei pii) si guadagnò molti seguaci. Tradusse in tedesco molti autori mistici: Labadie, de Bernières, l’Imitazione di Cristo (a eccezione del libro IV sull’eucarestia), facendosi sostenitore di un cristianesimo al di sopra dei confessionalismi, fondato soprattutto sull’unione amorosa con Dio ed esplicantesi nella carità. Le sue Biografie scelte di anime sante presentano 25 biografie di santi, tutti cattolici. Tersteegen morì nel 1769, tra il cordoglio generale. 6   Così, per esempio, il quacchero James Nayler entrò nel 1656 in Bristol a cavallo, preceduto da donne che cantavano «Santo, santo, santo il Signore Dio di Israele» e gettavano i loro mantelli davanti a lui, considerato una nuova incarnazione del Messia. Nayler si faceva chiamare, non molto modestamente, «re d’Israele e figlio dell’Altissimo». 7   Philipp Jakob Spener nacque a Rappoltsweiler, in Alsazia, nel 1635. Ebbe fin da ragazzo una profonda vocazione religiosa, ispirata soprattutto ad Arndt e ad autori puritani inglesi, per cui dopo gli studi accademici e una serie di viaggi (a Ginevra ascoltò le prediche di Labadie) accettò l’incarico di pastore a Francoforte sul Meno. Qui, in occasione della «fiera del libro» del 1675, pubblicò i suoi Pia desideria, in tedesco (la traduzione latina, a opera dello stesso Spener, è del 1678), che si possono considerare il «manifesto» del pietismo (la parola stessa deriva dal frequente uso del latino pius e pietas in questo ambiente) e che ebbero numerosissime edizioni, ottenendo per decenni una diffusione molto larga. Dopo la pubblicazione del libro Spener iniziò la costituzione di piccole comunità devote, che si raccoglievano liberamente, in contrapposizione al culto pubblico. Quando, nel 1682, un gruppo di amici di Spener abbandonò la Chiesa luterana, il teologo si trovò in difficoltà con le autorità, per cui lasciò Francoforte e si trasferì prima a Dresda e poi a Berlino, dove morì nel 1705. A quella data nella Chiesa luterana infuriava ormai una dura lotta teologica intorno al pietismo, divenuto oggetto di



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esaltazione per gli uni, di disprezzo per gli altri. Ancora nel 1886 la monumentale Storia del Pietismo del teologo protestante A. Ritschl manifesta una radicale avversione al fenomeno, considerato un genuino proseguimento del misticismo monastico cattolico medievale. È vero, del resto, che per Spener l’Imitazione di Cristo, la Teologia tedesca, le prediche di Taulero (una edizione delle quali fu pubblicata a Francoforte nel 1681 con prefazione di Spener) costituiscono i documenti essenziali del vero spirito cristiano. 8   Johann Arndt (1555-1621) fu predicatore protestante in varie città della Germania del Nord, poi sovrintendente a Celle, nel Luneburg. La sua opera più importante, forse in origine una raccolta di prediche, uscita con un primo volume nel 1605, poi con quattro e sei volumi, si intitola Quattro libri del vero cristianesimo (scritta in tedesco). Fu stampata decine di volte, tradotta in moltissime lingue e letta in cerchie vastissime. Arndt si rifà alla mistica medievale di Bernardo di Chiaravalle, Angela da Foligno, Eckhart, Taulero, alla Teologia tedesca, all’Imitazione di Cristo, sottolineando l’importanza dell’interiorità. Il vero cristianesimo consiste per lui nel ritrovare l’immagine di Dio, presente nello spirito umano ma pervertita dal peccato, liberandola da tutto quel che la offusca e vivendo poi in conformità a essa. 9   Citiamo qui, alla lettera, da R. Osculati, Introduzione a P.J. Spener, Pia desideria, Claudiana, Torino 1986, pp. 16-17. 10   Nikolaus Ludwig, conte di Zinzendorf e Pottendorf, nato a Dresda nel 1700 da nobile famiglia, fu educato dalla nonna materna, devota pietista e amica di Spener. Frequentò poi l’istituto pedagogico di Francke ad Halle, per cui appena adulto riprese il programma speneriano di formare delle ecclesiolae in ecclesia, ovvero delle piccole comunità all’interno della Chiesa, che servissero da lievito per la riforma. Successivamente si convinse però che tale programma era inadeguato e tentò qualcosa di più vasto e ambizioso. Sulle terre ereditate, a Berthelsdorf, fondò così Herrnhut e poi altri centri dei Fratelli Moravi in Germania, Olanda, e nei paesi baltici. La Chiesa luterana ortodossa non vide di buon occhio questi tentativi, e il governo sassone lo esiliò, per cui Zinzendorf si recò in Inghilterra, dove conobbe John Wesley, e soprattutto in America, dove fondò altre comunità, sostenendo l’ideale della riunificazione delle Chiese protestanti. Le stravaganze sentimentalistiche cui talvolta i suoi seguaci si abbandonavano (originate comunque dagli elementi sensuali e antirazionali impliciti nella sua teologia), accanto ai problemi finanziari che tormentavano le comunità, resero più difficile l’ultimo periodo della vita di Zinzendorf, che morì a Herrnhut nel 1760. 11  Nella Fenomenologia dello Spirito (cit., vol. 2, pp. 183-84), riferendosi al pietismo il filosofo tedesco parla di una «coscienza che vive nell’ansia di macchiare con l’azione e con l’esserci la gloria del suo interno; e, per conservare la purezza del suo cuore, fugge il contatto con la realtà e s’impunta nella pervicace impotenza di rinunziare al proprio Sé affinato fino all’ultima astrazione e di darsi sostanzialità […] il suo operare è l’anelito che non fa se non perdersi nel suo farsi oggetto privo di essenza […]; in questa lucida purezza dei suoi momenti, una infelice anima bella, come la si suol chiamare, arde consumandosi in se stessa e dilegua quale vuota caligine che si dissolve nell’aria». 12   Wesley nacque a Epworth, nel Lincolnshire, nel 1703, figlio di un ecclesiastico non conformista della Chiesa anglicana. A Oxford, dove aveva studiato, fondò con il fratello Charles e altri amici un gruppo di studio religioso che fu chiamato derisoriamente «metodista” per l’enfasi posta sulla devozione e sullo

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studio metodici. Detti anche Holy Club («santo gruppo») perché fanno di frequente la comunione, digiunano e compiono attività caritatevoli, i membri di questo gruppo non furono però ben visti dall’autorità religiosa. Wesley passò così in America, dove venne in contatto con i Fratelli Moravi e lesse l’Imitazione di Cristo. Tornato in Inghilterra, iniziò un’attività di predicatore itinerante, nel tentativo di scuotere l’isola dal suo torpore religioso. Mori a Londra nel 1791. Il fratello Charles (Epworth 1707, Londra 1788) gli fu vicino nelle sue iniziative, ed è importante soprattutto come poeta religioso; compose infatti inni sacri tuttora molto apprezzati nel mondo anglosassone. Temperamento estremamente emotivo ancor più del fratello, gli nocque in questioni private, sentimentali, che portarono discredito al movimento. 13   William Law (1686-1761) fu diacono della Chiesa anglicana, ma dovette abbandonare l’ufficio nel 1715, essendosi rifiutato di giurare fedeltà a re Giorgio I, e divenne allora prete della piccola Chiesa dei «non-giuranti». Appassionato lettore di Böhme e dei mistici cattolici, pubblicò nel 1725 l’opera Una seria chiamata a una vita santa e devota (in inglese), libro il cui successo è paragonabile alla Introduzione alla vita devota di Francesco di Sales. 14   Ci riferiamo allo scritto di Kant I sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica (1766), nel quale si trattano alla stregua di follie le «visioni» di Swedenborg che riguardano il mondo degli spiriti e degli angeli. 15   Figlio di un alto ecclesiastico svedese, professore di teologia all’Università di Uppsala, Emanuel Swedenborg nacque a Stoccolma nel 1688 e crebbe in un ambiente colto e devoto. I suoi interessi si rivolsero alla matematica, alla fisica, alle scienze naturali, per cui viaggiò molto, in Inghilterra, Francia, Olanda, diventando un’autorità in questi ambiti. Ebbe così incarichi statali nell’amministrazione delle miniere e pubblicò numerosi nonché cospicui trattati scientifici, sostenendo, fra l’altro, una teoria sull’origine dell’universo che anticipa quella di Kant-Laplace. Le sue ricerche si rivolsero poi all’individuazione di un linguaggio simbolico attraverso cui i rapporti tra finito e infinito potessero essere espressi con precisione matematica, sulle orme di Cartesio e Leibniz, nonché al campo zoologico e anatomico. Le sue opere in tutti questi settori sono ampie e notevoli. Fu solo oltre la cinquantina che Swedenborg andò incontro a quelle esperienze eccezionali (sogni, visioni, viaggi estatici) che fecero di lui un «mistico». Da allora in poi, fino alla morte, avvenuta a Londra nel 1772, lo Svedese si dedicò all’indagine sulle realtà celesti, fondando anche una Chiesa che porta il suo nome. La sua opera influenzò soprattutto artisti e letterati, tra cui Blake, Goethe, Balzac, Baudelaire, Emerson, Yeats, Strindberg. 16   Cfr. nota 16 al cap. VIII. 17   Johann Albrecht Bengel (1687-1752) fu filologo biblico, fondatore del pietismo svevo e pioniere dell’analisi critica del Nuovo Testamento. Le sue interpretazioni, in particolare dell’Apocalisse, hanno influenzato sino ai nostri giorni la teologia e l’esegesi. 18   Riprendiamo qui alcuni concetti e proposizioni da G. Spindler, F.C. Oetinger, in I grandi mistici, cit., vol. 2, pp. 196 sg. 19   Jan Baptist van Helmont (1580-1644), chimico e fisico belga cui si devono importantissime scoperte, soprattutto nel campo dei gas (oltre alla creazione del nome stesso di «gas», coniato sulla base del classico «chaos»). Si ricordi che anche van Helmont fu uomo incline al misticismo, il che non gli impedì di essere un grande scienziato.



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20   Cfr. in proposito il saggio di A. Faivre, Aspects de l’ésotérisme chrétien (XVIIIe siècle), in Encyclopédie des mystiques, cit., vol. 2, pp. 306-67. Esso tratta di una trentina di figure, che vanno da Cagliostro a Baader, riunite sotto il comune profilo esoterico. Riteniamo comunque discutibile parlare di «mistica» per molte di esse. 21   Martinez de Pasqually (1710 ca.-1774) è personaggio su cui non sappiamo molto, soprattutto per il segreto di cui amò circondarsi, spacciandosi per mago, teurgo, e così via. Compare in Europa a metà del Settecento, fondando ordini iniziatici nell’ambito massonico (gli Eletti Cohen, ovvero preti eletti) e diffondendo teorie molto simili a quelle dell’antico gnosticismo cristiano, che proponevano una sorta di reintegrazione dell’uomo nella condizione di Adamo prima della caduta. Ebbe notevole seguito nell’ambito teosofico; anche in massoneria le sue idee continuarono a circolare, grazie soprattutto a uno dei suoi discepoli, il lionese Jean-Baptiste Willermoz (1730-1824). Un filone spiritualistico e misticheggiante continua a essere presente anche nella massoneria contemporanea: basti pensare all’esempio di René Guénon (1886-1951) e al suo muoversi tra filosofia, religione e «tradizione iniziatica».

XIII. Dopo l’illuminismo 1   Qualcuno parla, per esempio, di mistica in filosofi e teologi come Kierkegaard, Rosmini o Newman, ma allora il concetto di mistica sfuma in quello più ampio e generico di religiosità fino a perdere la sua consistenza specifica. Resta comunque il fatto che nulla di essenzialmente nuovo è apportato da queste – o anche da altre (per il nostro secolo pensiamo per esempio ad Adrienne von Speyr, 1902-1967) – figure che potrebbero essere addotte, per le quali l’illuminismo sembra non esistere. 2   Naturalmente v’erano anche nel passato le eccezioni. Ricordiamo per esempio che già P.G. Lasson affermava essere Hegel un mistico. Cfr. E. Benz, Les sources mystiques de la philosophie romantique allemande, Vrin, Paris 1968. Lo studioso tedesco, membro del comitato scientifico per l’edizione critica delle opere di Eckhart, indica con precisione la radice mistica di alcune delle principali tesi idealistiche, a partire dalla concezione dell’Io in Fichte, di origine eckhartiana, per terminare alle «età del mondo» di Schelling, che riprendono idee di Bengel e Oetinger. 3   E. von Bracken, Meister Eckhart und Fichte, Triltsch Verlag, Würzburg 1943. 4   J.G. Fichte, La missione dell’uomo, Laterza, Bari 1970, p. 180. 5   Cfr. M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., p. 496. 6   Cfr. I. Degenhardt, Studien zum Wandel des Eckhartbildes, cit., pp. 48-49. 7   Scrivendo a Placcius, il filosofo asserisce che i distici silesiani sono affetti da spinozismo, da quietismo, e quasi confinanti con l’empietà (pene vergentia ad impietatem). Non a caso Heidegger, in Il principio di ragione, contrappone il silesiano «senza perché» della rosa al leibniziano principio di ragion sufficiente. 8   J.G. Fichte, Prima Introduzione alla Dottrina della Scienza, in «Rivista di Filosofia», 1946, pp. 175-203. 9   All’inizio della triade dialettica fondamentale fichtiana, per cui «quell’essere, la cui essenza consiste puramente in questo, che esso pone se stesso come esistente, è l’Io come soggetto assoluto. In quanto si pone, è, e in quanto è, si pone», corrisponde da vicino la Quaestio parisiensis I di Eckhart, «Se in Dio siano lo stesso essere e pensare», dove viene affermata la primarietà del pensiero sull’essere (cfr. M. Vannini, Introduzione a Eckhart, cit., pp. 123-31).

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10   J.G. Fichte, Guida alla vita beata, a cura di A. Cantoni, Principato, Milano 1956, Lezione Sesta: «La dottrina del Vangelo dell’apostolo Giovanni», Riepilogo. Coincidenza della dottrina della vita beata con quella del Vangelo dell’apostolo Giovanni, p. 79. 11  Cfr. ibid., p. 87. 12  Cfr. ibid., p. 85. Sul carattere mistico dell’opera fichtiana cfr. il mio Tesi per una riforma religiosa, Le Lettere, Firenze 2006, pp. 221-27. 13   Da qualche anno si ha in Italia – soprattutto grazie agli studi di Pareyson e dei suoi allievi – un certo interesse per la filosofia dell’«ultimo» Schelling. Essa si presta a fornire ampio materiale di riflessione sulla religione positiva e non è sgradita al mondo cristiano, in cui permane l’ostilità verso Hegel, e che perciò guarda con simpatia allo Schelling antihegeliano dell’ultimo periodo. Cfr. in proposito F. Tomatis, Kenosis del Lógos. Ragione e rivelazione nell’ultimo Schelling, Città Nuova, Roma 1994. Al confronto con le idee dell’ultimo Schelling è dedicata anche una parte essenziale dell’opera di M. Cacciari: Dell’inizio, Adelphi, Milano 1990. 14   Di Schelling è impossibile parlare senza periodizzare, dal momento che sottopose sempre a revisione e anche a profondo mutamento le proprie idee. Ci si perdoneranno i limiti di questi brevi cenni, che non hanno la pretesa di sostituirsi alle indagini storico-filosofiche specifiche. 15   Espressa con vigore e calore nelle opere giovanili (le Idee per una filosofia della natura sono del 1797, quando Schelling aveva ventidue anni), essa risente della lettura e della profonda simpatia che il filosofo ebbe per Spinoza e soprattutto per Bruno, cui è intitolata anche un’opera del 1802: Bruno, o del principio naturale e divino delle cose. Non entriamo qui nel merito della questione su quanto Schelling abbia mantenuto questa idea nel corso della sua vita. 16   Cfr. Gv 4, 23-26. Non a caso padre De Lubac (pure ampiamente disposto a riconoscere il positivo di tante filosofie e teologie, anche atee) espresse sempre la sua irriducibile ostilità al gioachimismo e ai suoi esiti, fino, appunto, a Schelling. Cfr. H.U. von Balthasar, Il padre Henri de Lubac, Jaca Book, Milano 1978, p. 53. 17   Cfr. X. Tilliette, Attualità di Schelling, Mursia, Milano 1972, p. 173. Sotto questo profilo, scrive giustamente Tilliette, la filosofia dell’ultimo Schelling è profondamente imparentata a quella di Kierkegaard. Non si può però dimenticare proprio quello che il filosofo danese scriveva da Berlino al fratello Pietro nel febbraio 1842: «Schelling chiacchiera in un modo del tutto insopportabile […] Io sono troppo vecchio per stare a sentire lezioni, ma Schelling è troppo vecchio per tenerle. Tutta la sua teoria delle Potenze rivela la più grande impotenza […]. Credo che mi sarei completamente rimbecillito se avessi continuato ad ascoltare Schelling». 18   Cfr. in proposito F. Tomatis, Kenosis del Lógos, cit., pp. 29-31. 19   Ricordiamo in particolare l’importanza dell’inconscio nella filosofia di Schel­ ling. Su questo punto egli sarà «saccheggiato» da tutti gli psicologi posteriori. Anche la distinzione anima-animus, ripresa e rimaneggiata da Jung, è schellinghiana. 20   Per tutto questo paragrafo cfr. il mio Mistica e filosofia, cit., ai capitoli 5 e 6: «Hegel: morte dell’anima e libertà dello spirito»; «Hegel: il pensiero dell’altro e il male». 21  «Sotto il concetto di “speculativo” bisogna intendere quel che prima si era soliti chiamare “mistico”. Oggi “mistico” è equivalente a misterioso, ma in proposito bisogna notare che il mistico è misterioso solo per l’intelletto, e ciò



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solo perché principio dell’intelletto è l’identità astratta, mentre il mistico (che è la stessa cosa dello speculativo) è la concreta unità di quelle determinazioni che per l’intelletto valgono solo nella loro separatezza e opposizione» (H. Glockner, Hegel-Lexikon, cit., p. 1602). Il fatto è che, come nel susoniano Libretto della verità, pretendono di parlare di queste cose (e anche di Hegel) dei «selvaggi» che non sono mai andati oltre l’opposizione dei contrari. 22   «Che il vero sia effettuale solo come sistema, o che la sostanza sia essenzialmente soggetto, ciò è espresso in quella rappresentazione, che enuncia l’Assoluto come Spirito – elevatissimo concetto appartenente all’età moderna e alla sua religione […] Secondo il mio modo di vedere […] tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto» (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, cit., Prefazione, pp. 19 e 13). 23   «Se la concezione di Dio come unica sostanza indignò quell’età in cui tale determinazione venne espressa, la ragione di ciò stava nell’istinto il quale avverte come in tale concezione l’autocoscienza, invece di essersi mantenuta, è andata a fondo» (ibid., pp. 13-14). 24  Nella Selbstanzeige che Hegel fece dell’opera nella «Intelligenzblatt der Jenaer Allgemeinen Literatur-Zeitung» del 28 ottobre 1807, si afferma che il libro descrive le diverse forme dello spirito che esso deve compiere, quali Stationen (termine tecnico tipico delle «stazioni» della via crucis) di quel cammino con cui diviene puro sapere o spirito assoluto. La forma di spirito religioso è indicata come «finale» (endlich). 25   Cfr. in proposito T. Kobusch, Freiheit und Tod. Die Tradition der «mors mystica» und ihre Vollendung in Hegels Philosophie, in «Theologische Quartalschrift», 164, 1984, pp. 185-203. Cfr. anche il mio Mistica e filosofia, cit., cap. 5. 26   Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di M. Vannini, La Nuova Italia, Firenze 1984, p. 78. All’Introduzione a questa antologia rimando a completamento di queste righe. 27  Cfr. ibid., p. 59. 28   G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, cit., Prefazione, p. 26. 29   «Ma il semplice è quello che aliena se stesso, va alla morte, e perciò riconcilia con se stesso l’essenza assoluta. In tale movimento esso si presenta come spirito […] l’immediatezza cessa di essere estranea o esteriore all’essenza, in quanto viene superata: questa morte è dunque il suo sorgere come spirito». (Fenomenologia dello spirito, a cura di M. Vannini, cit., p. 74). La vicenda della morte di Cristo viene vista da Hegel speculativamente, ovvero misticamente, quale esemplare per la vita di ogni anima umana: ciò che fu di Cristo, è di ogni uomo buono e divino, come diceva Eckhart. Nell’esperienza della «morte di Dio» si ha infatti quel sapere che è la Begeistung («i-spirazione», «spiritualizzazione») con cui la sostanza diviene soggetto, con cui muore la morte («con cui sono morte la sua astrazione e mancanza di vita [Leblosigkeit]», ed essa quindi diviene autocoscienza veramente, realmente, «semplice e universale» (ibid., p. 78). Alla semplicità, che è la condizione eckhartiana dell’occhio privo di colore, e perciò capace di vedere tutti i colori, corrisponde infatti l’universalità. Essere nulla, nulla sapere, nulla volere, nulla avere significano essere, sapere, volere, avere tutto. 30   Al male e al bene sono dedicate le pagine della Fenomenologia che precedono immediatamente l’emergere dello spirito nella coscienza religiosa (cfr. Fenomeno-

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logia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, cit., pp. 71-75). Mi permetto rimandare ancora, su questo punto davvero cruciale, al mio Mistica e filosofia, cit., cap. 6. 31  Cfr. Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, cit., p. 71. Il paradiso terrestre viene liquidato come «giardino zoologico» giacché l’innocenza dell’uomo che non conosce bene e male è una condizione animale e bontà e umanità vere si possono avere solo dopo che si è compresa, ovvero superata, l’opposizione bene-male. 32  Cfr. ibid., p. 72. 33   Così, citando, senza nominarlo, il Nathan der Weise di Lessing, scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia: «Il vero e il falso appartengono a quei pensieri determinati che, privi di movimento, vorrebbero valere come essenze particolari delle quali l’una sta di qua, l’altra di là, rigidamente isolate e senza reciproca comunanza. Contro una simile concezione si deve decisamente affermare che la verità non è moneta coniata, la quale, così com’è, possa venir spesa e incassata. C’è un falso, quanto poco c’è un cattivo 1…]». Cfr. Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, cit., pp. 30-32, ove si contrappone al pensiero dogmatico, per il quale il vero consiste in una proposizione che è un risultato fisso, la diversa natura della verità filosofica. 34  Cfr. Fenomenologia dello spirito, a cura di M. Vannini, cit., p. 75. 35   Ibid., p. 79. 36   «A quel modo che il concetto dello spirito si era fatto presente a noi allorché entrammo nella religione, cioè come il movimento dello spirito certo di sé medesimo che perdona al male e così dimette la sua propria semplicità e la sua dura immutabilità, ovverosia come il movimento per cui l’assolutamente opposto si riconosce come la stessa cosa, e questo riconoscimento erompe come il Sì tra questi estremi – tale il concetto intuito dalla coscienza religiosa a cui si è rivelata l’essenza assoluta: essa supera la distinzione del suo sé da ciò che essa intuisce: è tanto il soggetto quanto la sostanza, ed è dunque lo spirito, proprio perché è in quanto è questo movimento […] Esso [lo spirito] è tale in quanto percorre i tre elementi della sua natura; questo movimento attraverso se stesso costituisce la sua realtà: – quello che si muove è lui; esso è il soggetto del movimento e anche lo stesso muovere, o la sostanza attraverso la quale passa il soggetto» (ibid., p. 79). La citazione implicita di 2 Cor 1, 19-20, nella quale il «Sì» è Cristo, non è – di norma – stata individuata dagli studiosi della Fenomenologia dello spirito. È interessante notare anche che si tratta dello stesso versetto che fa da sfondo alla nietzschiana «Canzone del Sì e dell’amen» dello Zarathustra. Il testo hegeliano corrisponde da vicino a quello di alcuni sermoni eckhartiani (che peraltro il filosofo tedesco non conosceva), come per esempio Convescens praecepit eis (cfr. Sermoni tedeschi, cit., pp. 95-101), nel quale si afferma fra l’altro che «Dio è morto»: quando il bene degli altri ti è assolutamente caro come il tuo, quando hai abbandonato te stesso e tutte le cose, quando non cerchi in niente il tuo bene e compi tutte le opere senza un perché, allora si manifesta lo spirito. Esso supera ogni numero e ogni molteplicità, si apre un «passaggio» (durchbruch) attraverso Dio nel mentre stesso in cui Lui si apre un passaggio in noi. Nel medesimo sermone Eckhart sostiene, come farà poi Hegel, che il versetto giovanneo «Tutto quello che ho udito dal Padre mio, ve l’ho rivelato» (Gv 15, 15) non va inteso in senso riduttivo, come fanno certi «grandi chierici» che si accontentano di poco, ma in senso forte, per cui tutto vuoi dire davvero tutto, e quel tutto è il Figlio, il Logos, ovvero lo Spirito, che nessuno ha se non è il Figlio.



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37   Così Eckhart e così Hegel, passando per Spinoza. Cfr. ancora il mio Mistica filosofia, cit., cap. 6. 38   Hegel ritiene infatti che l’anima sia per un verso «soltanto il sonno dello spirito» e per un altro «il noũs passivo di Aristotele, che, sotto l’aspetto della possibilità, è tutto». Cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche 389. 39   La malattia dell’anima dipende, secondo Hegel, dal «restare fermi in una particolarità del sentimento di sé», senza comprenderla nella sua finitezza e superarla (cfr. Enciclopedia delle scienze filosofiche 408). Spinozianamente, si tratta del «fermarsi nel sentimento» – ciò che è «non umano, animalesco» (cfr. Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, cit., Prefazione, p. 58) –, ovvero in quelle «determinazioni egoistiche del cuore» che non sono cattive in sé, ma lo divengono nella «immediatezza, naturalezza, egoismo» del cuore stesso (cfr. Enciclopedia delle scienze filosofiche 408A). Il compito fondamentale della filosofia consiste nel mostrare «che il finito non è: cioè non è il vero, ma è soltanto un passare e andare oltre se stesso»; «tener fermo il finito facendone qualcosa di affatto solido, un assoluto» costituisce perciò la «follia» (Wahnsinn, vanitas), in quanto lo spirito, invece di «nientificare il nulla», si «sprofonda nella sua soggettività, nella sua più intima contraddizione, dunque nel male» (cfr. ibid., 386A). Su questo tema cruciale, ricchissimo di implicazioni pratiche anche al presente, cfr. il mio La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia, cit., cap. VII: «Hegel: l’anima e lo spirito». 40   Il testo hegeliano rimanda probabilmente alla Critica del Giudizio di Kant là dove, trattando del «sublime», si evoca il «risvegliarsi in noi di una forza, che non è natura, per cui consideriamo come insignificanti i beni, la salute, la vita» e riconosciamo che la natura ha potere su di noi in quanto oggetti della natura stessa, ma non tocca affatto i «principi supremi della nostra vita, la loro affermazione o il loro abbandono». Proprio la dispiegata potenza della natura evoca in noi un’altra potenza (facoltà), grazie alla quale avvertiamo la sublimità del nostro destino, al di sopra della natura, guardando alla natura stessa senza paura e concependo un profondo rispetto per quell’Essere che si manifesta non tanto nella potenza della natura, quanto e soprattutto in questa forza presente in noi (cfr. I. Kant, Critica del Giudizio, Laterza, Bari 1970, pp. 115-16). Qui, in altre parole, alla forza del Dio biblico è contrapposta la grazia. 41   Cfr. il sermone eckhartiano Qui odit animam suam, in I Sermoni, cit. 42   Cfr. G.W.F. Hegel, Lezioni di Filosofia della Religione, cit., vol. 2, p. 369. 43   Ibid., p. 368. 44   Ibid., p. 369. 45  Cfr. ibid., vol. 1, pp. 103 e 289-90. La dottrina della grazia divina, la giustificazione a opera di Cristo e soprattutto la dottrina dello Spirito Santo sono di natura speculativa – scrive Hegel – e i teologi che non sono in grado di capirle dovrebbero ben guardarsi dal tacciare di «panteismo” quel che non possono comprendere. Essi non sanno più riconoscere Dio come spirito; spirito è per loro una vuota rappresentazione che significa una sostanza rigida e astratta, corrispondente all’unico modo in cui sono in grado di pensare Dio. «I vecchi teologi avevano penetrato ben più intimamente questa profondità, e specialmente i teologi cattolici. I protestanti di oggi hanno a disposizione solo la critica e la storia». Segue poi la citazione di Eckhart: «L’occhio con cui Dio mi vede è lo stesso occhio con cui io lo vedo […]». 46   G. Faggin, Schopenhauer, il mistico senza Dio, La Nuova Italia, Firenze 1951. Al filosofo vicentino spetta il merito di avere sottolineato i rapporti di Schopen-

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hauer con Plotino, Spinoza, la tradizione mistica neoplatonica, sempre più evidenti nello sviluppo del pensiero schopenhaueriano. 47   G. Pasqualotto, A. Schopenhauer, Il pensiero filosofico e morale, La Nuova Italia, Firenze 1981, p. 114. 48   A. Schopenhauer, Nuovi Paralipomena 404-405 (cfr. G. Pasqualotto, A. Schopenhauer, Il pensiero filosofico e morale, cit., p. 139). 49   A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari 1972, vol. 2, p. 532. 50  Cfr. Nuovi Paralipomena 506. 51   Nuovi Paralipomena 498, 503, 505-506. 52  Cfr. Nuovi Paralipomena 417, 426. 53   Cfr. per esempio l’eckhartiano Commento al Vangelo di Giovanni, cit., nn. 236, 337, 343, 373, ecc. 54   Nuovi Paralipomena, ed. Grisebach, Leipzig s.d., p. 105. 55   Cfr. più avanti, su Nietzsche, e cfr. in proposito il capitolo «Nietzsche: Ecce homo» del mio Mistica e filosofia, cit. 56   La vita di Schopenhauer (1788-1860) fu profondamente segnata dalla morte del padre, suicida nel 1805, e dalla condotta frivola della madre, che lo rese misogino e incapace di profonde e durature relazioni d’amore, ponendolo in un rapporto di risentimento e incomprensione verso il mondo. Con la dottrina del distacco e della fine delle passioni, contrasta il suo accanito desiderio di fama: Kierkegaard nota ironicamente come «Uno come lui, che presenta con tanto talento una concezione della vita così misantropa, sia poi gongolante di gioia e realmente felice in tutta serietà perché la Società delle Scienze di Trondheim (buon Dio: nientemeno che di Trondheim!) gli ha decretato il premio [per il saggio La libertà del volere, nel 1839]. Non gli passa per la mente che forse quella Società ha considerato una rara fortuna che un tedesco abbia loro mandato una dissertazione. E siccome Copenaghen non ha invece premiato un’altra dissertazione da lui presentata, egli strepita con tutta serietà nella prefazione che accompagna la sua edizione [si tratta del Fondamento della morale, pubblicato nel 1841]». Ciò non toglie che Schopenhauer sia per il filosofo danese «uno scrittore molto importante, che avrà la sua importanza proprio anche per il cristianesimo» (S. Kierkegaard Diario 9890, 2907). 57  Cfr. Il mondo come volontà, e rappresentazione, cit., p. 468, ove si conclude: «In India non potranno mai metter radici le nostre religioni: la sapienza originaria del genere umano non sarà soppiantata dagli accidenti successi in Galilea. Viceversa torna l’indiana sapienza a fluire verso l’Europa, e produrrà una fondamentale mutazione del nostro sapere e pensare». Cfr. A. Schopenhauer, Il mio Oriente, Adelphi, Milano 2007. 58   Cfr. in proposito H. von Glasenapp, Das Indienbild deutscher Denker, Stuttgart 1960; H. von Glasenapp, Die Weisheit Indiens bei Schopenhauer und in der neuren Forschung, in «Schopenhauer-Jahrbuch für das Jahr 1961». 59   Concludendo il suo capolavoro, Schopenhauer dichiara che non si deve «ammantare il nulla, come fanno gli Indiani, in miti e parole prive di senso, come sarebbero l’assorbimento in Brahma o il Nirvana dei Buddhisti» (Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p. 536). 60   Cfr. in proposito Y. Takeuchi, Hegel and Buddhism, in «Il Pensiero», VII, 1962, 1-2, pp. 5-46, nonché il mio Mistica e filosofia, cit., «Hegel e il buddhismo», cit. 61   Da sottolineare il fatto che la principale opera sull’inconscio del XIX secolo, la Filosofia dell’inconscio di Eduard von Hartmann (1870), è di impostazione



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sostanzialmente schopenhaueriana. A denti stretti anche Freud deve ammettere che le sue teorie «scientifiche» sono state «indovinate» da Schopenhauer: cfr. le Lezioni di Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 1972, p. 509. 62   Cfr. M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, cit., p. 497, nella conclusione. 63   Non si dimentichi, tra l’altro, che all’influenza schopenhaueriana della seconda metà dell’Ottocento si deve in larga misura la riscoperta di Eckhart. Nel 1868 A. Jonas pubblicò il saggio Schopenhauer und Meister Eckhart, in «Philosophische Monatshefte», pp. 43-74, 161-69). Cfr. in proposito I. Degenhardt, Studien zum Wandel des Eckhartbildes, cit., pp. 156-65. 64   Basti citare in proposito il saggio di H. de Lubac, Nietzsche mistico, in Mistica e mistero cristiano, Jaca Book, Milano 1979. 65   Cfr. F. Nietzsche, Ecce homo, Adelphi, Milano 1969, p. 142. Rimando al capitolo «Nietzsche: Ecce homo», in Mistica e filosofia, cit. 66   Particolarmente rivelante in proposito la terza dissertazione della Genealogia della morale: «Che significano gli ideali ascetici?». 67   Cfr. F. La Rochefoucauld, Massime, a cura di M. Enoch, cit., pp. 52 sg. Cfr. anche Mistica e filosofia, cit., pp. 140-142. 68   Cfr. F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, I (una pagina che sembra rimandare direttamente al moralista francese). Si noti, di passaggio, che il termine Sublimation – di origine medievale, poi goethiana – viene messo in circolazione da Nietzsche con un senso opposto a quello con cui lo userà Freud. Cfr. in proposito il mio La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia, cit., pp. 297 sgg. 69   Umano, troppo umano I, 261. 70   Sul rapporto tra Nietzsche e la mistica tedesca, cfr. il mio saggio Nietzsche ed Eckhart. Ipotesi di confronto, in Nietzsche e il cristianesimo, a cura di G. Penzo e M. Nicoletti, Morcelliana, Brescia 1992, pp. 221-32. 71   F. Nietzsche, Frammenti postumi (1884-1885), Adelphi, Milano 1975, p. 203. 72  Cfr. F. Nietzsche, Frammenti postumi (1887-1888), Adelphi, Milano 1971, p. 115. 73   Ibid. Di fondamentale rilievo per la religione è anche la parallela riflessione nietzschiana sull’importanza della grammatica per la costruzione dei concetti metafisici. Essi stanno infatti in stretto rapporto con le costruzioni sintattiche; la lingua è metafisica nella grammatica, giacché è essa che fa «soggetto», ecc. «Essere» deriva infatti da io, ed effetti linguistici sono il problema dell’essere e quello di Dio. Dunque non ci sbarazzeremo facilmente di Dio – pensa Nietzsche – perché crediamo ancora nella grammatica, ovvero nell’io, nel soggetto, nella sostanza. È il linguaggio che fissa la grossolanità dell’essere e perde la finezza del divenire, falsificando così il mondo. Si noti anche come questa riflessione avvicini Nietzsche a Wittgenstein. 74   «Da dove infatti gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo» (DK, B 1). 75  F. Nietzsche, Aurora 82. Cfr. in proposito G. Pasqualotto, Nietzsche e il buddhismo zen, in Il Tao della filosofia, cit., pp. 103-46. Cfr. anche S. Ueda, Das absolute Nichts im Zen, bei Eckhart und Nietzsche, in Die Philosophie der Kyoto-Schule. Texte und Einführung, a cura di R. Ohashi, Freiburg-München 1990, pp. 471-502. 76   F. Nietzsche, Frammenti postumi (1876-1878), Adelphi, Milano 1965, p. 329. 77   Cfr. Mt 7, 1; 5, 45. 78   Umano, troppo umano II, 308. La «morte di Dio», su cui Nietzsche ha scritto

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pagine celebri, costituisce infatti la liberazione dell’orizzonte, la possibilità di un agire finalmente creatore di valori, libero da ogni condizionamento. 79   Nietzsche non è perciò solo l’ispiratore principale di Freud (per cui cfr. G. Wehr, Friedrich Nietzsche als Tiefenpsychologe, Rolf Koser Verlag, Oberwil b. Zug 1987), ma anche, in anticipo, il suo confutatore. 80   Cfr. B. Spinoza, Ethica III, Affectuum definitiones II: Laetitia est hominis transitio a minore ad majorem perfectionem. Come per Schopenhauer (e per Hegel) anche per Nietzsche Spinoza è un autore essenziale: in Umano, troppo umano I, 475, si dice che al popolo ebreo si deve «l’uomo più nobile» (Gesù), il «saggio più puro» (Spinoza), «il libro più considerevole e la legge morale di maggior effetto nel mondo». 81  Cfr. Aldilà del bene e del male 21. 82   Per questa interpretazione, cfr. B. Welte, L’ateismo di Nietzsche e il cristianesimo, Queriniana, Brescia 1994; cfr. anche G. Penzo, F. Nietzsche. Il divino come polarità, Patron, Bologna 1975. 83   Cfr. P. Valadier, La portata radicale del sì nietzschiano, in Nietzsche contemporaneo o inattuale?, a cura di G. Penzo, «Quaderni di Humanitas», 1980, p. 131. 84   Oltre al titolo, l’Apocalisse è evocata anche nel paragrafo 6, che parla di «alfa e omega». Come Nietzsche stesso spiega, lo Zarathustra è costruito come un «quinto Vangelo», con una trama fittissima di allusioni e rimandi, più o meno scoperti, alla Scrittura e al Salvatore. 85   L’ultima parte della frase è in diretta opposizione all’amore di Dio per il mondo (cfr. Gv 3, 16). 86   Cfr. per esempio Umano, troppo umano I, 105: «Un Dio che genera figli con una donna mortale; un saggio che incita a non lavorare più, a non pronunciare più sentenze, a badare invece ai prossimi segni della fine del mondo; una giustizia che accetta l’innocente come vittima vicaria; qualcuno che comanda ai suoi discepoli di bere il suo sangue; preghiere per interventi miracolosi; peccati commessi contro un Dio; espiati da un Dio; paura di un aldilà, la porta del quale è la morte; il segno della croce come simbolo in un tempo che non conosce più la condanna e l’ignominia della croce – qual gelido soffio ci manda tutto ciò, come dal sepolcro di un antichissimo passato? Chi crederebbe che una cosa simile viene ancora creduta?». 87   Mi permetto di rimandare in proposito al mio saggio F. Nietzsche. Un rapporto di amore-odio con Gesù e un sorprendente tentativo di identificazione, in La figura di Cristo nella filosofia contemporanea, a cura di S. Zucal, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 267-97. 88   In particolare nell’Anticristo, la figura di Paolo, con la sua gnosi della morte salvifica, e soprattutto con la sua morale anticlassica, vero rovesciamento dei valori tipici del mondo antico, viene delineata come quella di un vero e proprio pervertitore del Vangelo, creatore di un dys-anghélion («cattiva novella») del­ l’odio e del risentimento, in diretta opposizione alla figura di Gesù, che incarnò invece i valori della mitezza, del distacco, della fine di ogni risentimento, tanto da potersi dire: Deus, qualem Paulus creavit, Dei negatio. Cfr. in proposito il mio saggio F. Nietzsche. Un rapporto di amore-odio con Gesù e un sorprendente tentativo di identificazione, cit. 89  Cfr. F. Brentano, Nietzsche als Nachahmer Jesu, in Die Lehre Jesu und ihre bleibende Bedeutung, a cura di A. Kastil, Meiner, Leipzig 1922. 90   L’impossibilità di credere nel Dio della teologia cristiana non ha, di per

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se stessa, niente a che fare con l’ateismo. Nello Zarathustra, infatti, l’ateo, colui che non sopporta l’idea di Dio per la sua propria meschinità, è definito come «L’uomo più brutto» (libro IV) e il vecchio papa del brano «A riposo» avverte una profonda consonanza con Zarathustra, al quale è la pietà stessa a impedire di credere in Dio. Solo che poi non si intravede una strada diversa da quella negativa dell’ateismo. 91   Nel brano dello Zarathustra «La festa dell’asino» (libro IV), si imputa proprio alla teologia cristiana (e a Hegel, letto attraverso Feuerbach) il fatto di aver reso impossibile la vecchia fede: «Colui che disse “Dio è puro spirito” ha fatto su questa terra il maggior balzo verso l’incredulità, ed è difficile rimediare al male che ha fatto» dice il vecchio papa. 92   Cfr. G. Wehr, Friedrich Nietzsche als Tiefenpsychologe, cit., nota 79; cfr. anche D. Lopez, E Zarathustra parlò ancora. La psicoanalisi della genitalità, Essai, Genova 1973, da cui si ricava come fosse già presente in Nietzsche quanto si trova in Freud e Jung. XIV. Il nostro tempo   La citazione heideggeriana («Wir kommen fur die Götter zu spät und für das Sein zu früh») rimanda alle origini e alle conclusioni «mistiche» del filosofo tedesco. Sull’argomento cfr. lo studio di E. Volpi, Heidegger e l’«ascesi» del pensiero. Una proposta per il Novecento, in Filosofia e ascesi nel pensiero di Antonio Rosmini, a cura di G. Beschin, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 165-94. Concludendo il paragrafo sul rapporto con la mistica, Volpi scrive: «Certo si potrebbe forse dire, usando un’espressione coniata in altro contesto da Fritz Mauthner, che Heidegger è stato un mistico senza Dio. Ma questa è una formula, non una soluzione» (p. 185). Non entriamo qui nell’argomento, ampiamente dibattuto: sta di fatto che Heidegger fu dall’inizio alla fine della sua attività di filosofo in confronto con Eckhart, e a lui rimanda direttamente nell’opera Gelassenheit (trad. it. L’abbandono, a cura di A. Fabris, Il Melangolo, Genova 1983). Cfr. in proposito il capitolo «La dimensione «mistica» della filosofia del XX secolo», del mio Il Santo Spirito tra religione e mistica, cit. 2   Nel 1997 esistevano in Italia almeno una cinquantina di Scuole di Psicoterapia riconosciute dallo Stato. Gli aggettivi usati per distinguerle (cognitiva, relazionale, comportamentale, integrata, bioenergetica, interattiva, transazionale, costruttivista, familiare, psicosintetica, ecc.) danno un quadro adeguato della polverizzazione cui la «scienza dell’anima» è andata incontro. Cfr. il mio La morte dell’anima, cit., capitolo «L’impossibile psicologia». 3   Ludwig Wittgenstein (1889-1951) nacque a Vienna da famiglia ricca (il padre, ingegnere, era un industriale dell’acciaio) e colta. Avviato agli studi di ingegneria in Inghilterra, passò a studiare i fondamenti della logica e della matematica con Bertrand Russell. Partecipò alla prima guerra mondiale, durante la quale concluse il suo primo capolavoro, il Tractatus logico-philosophicus (1920), cui si è ispirato molto del cosiddetto neopositivismo logico. Si dedicò poi all’insegnamento elementare in villaggi lontani dalla città, fino a quando Russell lo convinse a tornare in Inghilterra. Nel 1930 divenne così fellow del Trinity College di Cambridge, dove insegnò fino al 1947. Postume apparvero le sue Ricerche filosofiche (1955), testo chiave della «filosofia analitica». 1

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4   L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus 6.522, 6.44, 6.45. Citiamo dalla ed. it. a cura di A.G. Conte, Einaudi, Torino 1968, con qualche lieve ritocco. 5   Cfr. in proposito M. Micheletti, Lo schopenhauerismo di Wittgenstein, Zanichelli, Bologna 1967.11 filosofo austriaco lesse il capolavoro di Schopenhauer da giovane e pensò sempre che, con qualche lieve correzione, il suo pensiero fosse valido. 6   Non trattiamo qui del possibile significato «mistico» di questi poeti contemporanei, allo stesso modo in cui ci siamo astenuti dall’esame di figure come quella di William Blake (1757-1827) o di Dante, poeta mistico per eccellenza. 7   Tractatus logico-philosophicus 6.4312, 6.432. 8  Cfr. Tractatus logico-philosophicus 6.4312. 9   La parte finale del Tractatus, con il «mistico», trova spiegazione nei Quaderni 1914-1916, pubblicati in italiano insieme all’ed. citata, che contengono gli appunti preparatori dell’opera. Alla data 8.7.16, per esempio, Wittgenstein scriveva: «Si può dire: bene e male non v’è»; «Solo chi vive non nel tempo, ma nel presente, è felice»; «si può dire che viva in eterno chi vive nel presente»; «per vivere felice devo essere in armonia con quella volontà estranea dalla quale sembro dipendente. Ciò significa: “Io faccio la volontà di Dio”». E alla data 29.7.16: «O è felice solo chi non vuole?»; «Eppure, in un certo senso, il non desiderare sembra l’unico bene». E il 2.8.16: «Come il soggetto è non parte, ma presupposto dell’esistenza del mondo, così buono e cattivo sono predicati del soggetto, non proprietà del mondo». Il 5.8.16: «Buono e cattivo è essenzialmente solo l’Io, non il mondo». 10  Cfr. Tractatus logico-philosophicus 6.54. 11  Cfr. Tractatus logico-philosophicus 7: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». 12  Cfr. Tractatus logico-philosophicus 5.621: «Il mondo e la vita sono tutt’uno». 5.631: «Il soggetto che pensa, immagina, non v’è». 5.641: «L’io filosofico è non l’uomo, non il corpo umano o l’anima umana della quale tratta la psicologia, ma il soggetto metafisico, il limite – non una parte – del mondo». 13   Oltre al Tractatus logico-philosophicus, di grande interesse sono qui le Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, ed. it. a cura di M. Ranchetti, Adelphi, Milano 1967, e in particolare la Conferenza sull’etica, tenuta a Cambridge verso il 1930. In esse si traccia una precisa linea di critica della credenza religiosa, intesa come credenza in un qualche fatto: il fatto non è mai portatore in sé del religioso, né la conoscenza di un fatto è una «conoscenza religiosa»  –  neppure se, per assurdo, fosse la conoscenza del giudizio universale (cfr. ibid., p. 148). Il religioso, come l’etico e l’estetico, appartiene al valore, dunque al modo con cui si guarda ai fatti, che, tutti, possono essere investiti di significato religioso. 14  Cfr. Quaderni 1914-1916, cit., alla data 8.7.16. 15   Ricordiamo che Wittgenstein, molto ricco di famiglia, regalò per intero il suo patrimonio ai parenti, persuaso com’era che la povertà volontaria fosse un bene. Visse spesso da solo: nel 1913 si costruì una capanna in una località isolata della Norvegia e vi soggiornò fino allo scoppio della guerra mondiale, tornandovi poi, per un anno, nel 1936. Dopo aver lasciato volontariamente l’insegnamento universitario, che non amò mai, si ritirò in una capanna in Irlanda, sull’oceano Atlantico, dove entrò in familiarità con gli uccelli marini, che venivano a prendere il cibo dalle sue mani. Per un certo periodo pensò di farsi monaco e nel 1926 lavorò come giardiniere nel monastero agostiniano di Klosterneuburg, vivendo



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nella rimessa degli attrezzi. L’idea della vita religiosa tornò spesso a Wittgenstein, ma è chiaro che le sue convinzioni non gli permettevano di realizzarla. Certo è comunque che la purezza e l’intensità del suo pensiero colpirono tutti quelli che lo conobbero, a cominciare da Russell, che lo ricorda con commossa ammirazione (cfr. B. Russell, Ritratti a memoria, Longanesi, Milano 1958, p. 39). 16   Cfr. per esempio L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, a cura di M. Trinchero, Torino 1967, p. 71: «La chiarezza cui aspiriamo è una chiarezza completa. Ma questo vuol dire soltanto che i problemi filosofici devono svanire completamente». «Da cosa acquista importanza la nostra indagine, dal momento che sembra soltanto distruggere tutto ciò che è interessante, cioè grande e importante? (Sembra distruggere, per così dire, tutti gli edifici, lasciandosi dietro solo rottami e calcinacci.) Ma quelli che distruggiamo sono soltanto edifici di cartapesta, e distruggendoli sgombriamo il terreno del linguaggio sul quale sorgevano» (ibid., p. 68). 17   Sulla sensatezza delle proposizioni filosofiche anche nel capolavoro del filosofo austriaco, cfr. il mio saggio Senso e non-senso nel Tractatus di Wittgenstein, in «Il cannocchiale», 2, 1995, pp. 71-80. 18   Cfr., tra gli altri, U. Eco, Lo Zen in Occidente, in Opera aperta, Bompiani, Milano 1967. 19   Cfr. L. Wittgenstein, Lezioni e conversazioni, cit., pp. 125, 139, 140. 20   Ibid., p. 124. Scrivendo a Malcolm, lo mise in guardia dalla seduzione esercitata dalla psicoanalisi: «A meno che non si pensi con grande chiarezza, essa è una prassi pericolosa e immonda, e ha causato male a non finire e, in proporzione, pochissimo bene. […] Quindi, attento al tuo cervello» (N. Malcolm, Ludwig Wittgenstein, Bompiani, Milano 1988, p. 59). Più in generale, Wittgenstein espresse le sue critiche alle pretese di tutta la psicologia, cui imputò soprattutto grande confusione concettuale (cfr. Ricerche filosofiche, cit., p. 301). 21   Cfr. L. Wittgenstein, Note sul «Ramo d’oro» di Frazer, Adelphi, Milano 1975, p. 28. 22   Ibid., p. 23. 23   Si ricordi che tre fratelli di Wittgenstein morirono suicidi e che Ludwig stesso patì grandi sofferenze morali e mentali. Tanto più significative perciò furono le sue ultime parole, rivolte alla signora che lo assisteva: «Dite loro [agli amici] che ho avuto una vita meravigliosa» (cfr. N. Malcolm, op. cit., p. 113). 24   Nata a Parigi nel 1909 da agiata famiglia ebrea, fu allieva del filosofo Alain. Laureatasi in filosofia, insegnò fino al 1934 in vari licei di provincia. Temperamento rivoluzionario, a Le Puy divideva il suo stipendio con gli operai in sciopero, guidando la loro delegazione in prefettura. Volle poi conoscere da vicino la condizione operaia, lavorando nelle officine Renault, e questa esperienza compromise per sempre la sua fragile salute. Allo scoppio della guerra civile spagnola, si arruolò in un reparto antifascista. Nel 1940 lasciò Parigi per Marsiglia, dove ripeté la sua esperienza di operaia. Nel 1942 si trasferì a New York, ma tornò subito dopo in Europa, per partecipare alla Resistenza. Morì nel 1943 in sanatorio ad Ashford, nel Kent, sfinita dagli stenti. A eccezione di pochi articoli, le sue opere sono state pubblicate tutte postume. 25   Cfr. in proposito l’articolo di G. Gaeta, curatore della edizione italiana dei Quaderni della Weil, Simone Weil: un corpo estraneo nella nostra cultura, in «L’informazione bibliografica», 17, 3, 1991, pp. 422-26. Gaeta nota giustamente come siano fallimentari i tentativi di arruolare Simone Weil negli schieramenti consueti (giudaico-cristiano, marxista, nichilista-heideggeriano, ecc.) e come la cultu-

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ra italiana si trovi spiazzata di fronte a una figura così «problematica, anomala, tutto sommato pericolosa». Cfr. S. Moser, Il «credo» di Simone Weil, Le Lettere, Firenze 2013. 26   Si ricordi che Simone Weil, sorella di André – uno dei più grandi matematici di questo secolo – per la sua educazione scolastica e universitaria aveva una notevole familiarità sia con le discipline scientifiche contemporanee, sia con la storia della scienza. Cfr. S. Moser, La fisica soprannaturale. Simone Weil e la scienza, ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 2011. 27   Per Simone Weil la società è, assai più della carne, ostacolo al soprannaturale. L’adorazione del sociale è l’adorazione del demonio, la peggiore delle tentazioni di Cristo (Lc 4, 5-6). Anche su questo punto cruciale ella vede convergere platonismo e cristianesimo e rileva come l’umiltà (la virtù più lontana e avversata dal «grosso animale») sia la vera chiave del soprannaturale (cfr. per esempio il saggio Dio in Platone, in La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., pp. 55-60). 28   Idea stupida per eccellenza, nonché atea, quella del progresso è vista da Simone Weil come una superstizione moderna, legata a una concezione alienante della redenzione, che ne fa un’operazione storica, temporale invece che eterna. Dalla sua origine cristiana si è poi laicizzata: ora «è il veleno della nostra epoca» (cfr. S. Weil, L’enracinement, Gallimard, Paris 1949, pp. 202-206). Da parte sua, Wittgenstein intendeva premettere alle sue Ricerche filosofiche un motto di Nestroy: «Il progresso ha in sé soprattutto questo: di apparire molto più grande di quanto sia in realtà». 29   La definizione è di Karl Kraus, amico di Wittgenstein (K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1972, p. 300). 30   Cfr. il saggio Discesa di Dio, in La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., p. 135. Nei frammenti raccolti con il titolo La pesanteur et la grâce, cit., p. 69, la Weil scrive in proposito: «Agli occhi di Platone, l’amore carnale è un’immagine degradata del vero amore. L’amore umano casto (fedeltà coniugale) ne è un’immagine meno degradata. L‘idea di sublimazione non poteva nascere che nella stupidità contemporanea». Il riferimento è, come risulta chiaro, al concetto freudiano di sublimazione, non a quello nietzschiano. 31   Cfr. nota 19. 32   S. Weil, La pesanteur et la grâce, cit., pp. 168-69. Su questo tema cfr. il saggio Israele e i Gentili, in S. Weil, L’amore di Dio, Borla, Torino 1968, pp. 117-32. 33   Così Simone Weil in una lettera del 23 gennaio 1941 a Déodat Roché, che aveva scritto sul catarismo. Cfr. S. Weil, L’amore di Dio, cit., pp. 135-36. 34  Cfr. La pesanteur et la grâce, cit., p. 20. 35   Cfr. per esempio Israele e i Gentili, cit., pp. 121-23: «La stessa nozione di popolo eletto è incompatibile con la conoscenza del vero Dio: si tratta di idolatria sociale, la peggiore […] Tutto ciò che nel cristianesimo si ispira all’Antico Testamento è cattivo, e in primo luogo il concetto della santità della Chiesa modellato su quello della santità di Israele […] Questa concezione è indubbiamente un’idolatria sociale che ha per oggetto la Chiesa». 36  Cfr. La pesanteur et la grâce, cit., p. 11: «Tutti i moti naturali dell’anima sono retti da leggi analoghe a quelle della gravità materiale. La grazia sola fa eccezione». 37   «Accettare un vuoto in se stessi è soprannaturale. Dove trovare l’energia per un atto senza contropartita? L’energia deve venire dal di fuori». «L’uomo non sfugge alle leggi di questo mondo che per la durata di un lampo. Istanti di arresto, di contemplazione, di intuizione pura, di vuoto mentale, di accettazione



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del vuoto morale. È grazie a questi istanti che è capace di soprannaturale». «Tutti i peccati sono tentativi di colmare dei vuoti». «In tutte le cose, solo quel che viene dal di fuori, gratuitamente, a sorpresa, come un dono della sorte, senza che l’abbiamo cercato, è gioia pura. Parallelamente, il bene reale non può giungerci che dal di fuori, mai per sforzo nostro. In nessun caso possiamo fabbricare qualcosa che sia migliore di noi. Così lo sforzo teso veramente al bene non deve giungere al fine: è dopo una tensione lunga e sterile che termina in disperazione, quando non si attende più nulla, che dal di fuori  –  mirabile sorpresa  –  viene il dono. Questo sforzo ha distrutto una parte della falsa pienezza che è in noi. Il vuoto divino, più pieno della pienezza, ha preso luogo in noi» (La pesanteur et la grâce, cit., pp. 21, 32, 54). 38  Nei Quaderni Simone Weil scrive: «Un essere il cui io (aham) fosse l’ātman è un uomo-Dio» (Quaderni I, p. 374; IV, p. 222, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1982-1993). «L’essere dell’uomo è situato dietro il sipario, dalla parte del soprannaturale. Ciò che può conoscere di se stesso è solo ciò che gli è prestato dalle circostanze. L’Io è nascosto per me e per gli altri; è dalla parte di Dio… è in Dio… è Dio (ātman)» (ibid., IV, p. 374). Qui la coincidenza con le fondamentali tesi della mistica cristiana è totale: ricordiamo le parole che santa Caterina da Siena sentì rivolgersi: «Tu sei quella che non sei… Io sono quello che è». 39   Riflettendo sui mistici cristiani e, insieme, sulla Bhagavadgītā, Simone Weil scrive: «Distacco dai frutti dell’azione. Sottrarsi a questa fatalità. Ma come? Agire, non per un oggetto, ma a causa di una necessità. Non posso fare altrimenti. Non è un’azione, ma una sorta di passività. Azione non agente […] Il bene compiuto quasi di malavoglia, quasi con rimorso, è puro. Ogni bene assolutamente puro sfugge completamente alla volontà. Il bene è trascendente. Dio è il Bene» (La pesanteur et la grâce, cit., pp. 52-53). 40   «L’oggetto della ricerca non deve essere il soprannaturale, ma il mondo. Il soprannaturale è la luce: se se ne fa un oggetto, lo si abbassa» (ibid., p. 132). 41  Cfr. Lettera a Joë Bousquet, in L’amore di Dio, cit., p. 157. 42   Cfr. il saggio L’amore di Dio e l’infelicità, in L’amore di Dio, cit., pp. 161-207. 43  Cfr. Lettera a Joë Bousquet, cit. In La pesanteur et la grâce, cit., p. 23, si legge: «Rinunciare a tutto quel che non è la grazia e non desiderare la grazia. L’estinzione del desiderio (buddhismo) – o il distacco – o l’amor fati – o il desiderio del bene assoluto, si tratta sempre della stessa cosa: vuotare il desiderio, la finalità, da ogni contenuto, desiderare a vuoto, desiderare senza oggetto. Distaccare il nostro desiderio da ogni bene e attendere. L’esperienza dimostra che quest’attesa viene esaudita. Allora si tocca il Bene assoluto». 44   Cfr. Agostino, Confessioni X, 25. 45   Cfr. per esempio La pesanteur et la grâce, cit., p. 168: «Israele. Tutto è sozzo e atroce, come di proposito, a partire da Abramo incluso (salvo qualche profeta). Come per indicare in modo assolutamente chiaro: Attenzione! Questo è il male!». Molto significative nella loro coincidenza con quelle della Weil, proprio perché originate da un ben diverso punto di vista, le riflessioni di Emanuele Severino intorno alle origini del nichilismo contemporaneo: il concetto del Dio biblico, il suo creare dal nulla, la sua libertà assoluta, la sua potenza decisionale sono incarnazioni pure della violenza. Si tratta della stessa violenza che anima la fede nel senso volontaristico, in quanto volontà di potenza che costringe a commerciare con il nulla, creando o distruggendo, pre-supponendo il non-essere. Dal mondo ebraico quello cristiano ha ereditato una concezione del divino che si situa tutta

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nell’ambito della forza, ove Dio è il signore del nulla, mentre l’uomo ne è lo schiavo; nel nostro tempo questa concezione svela tutta la sua anima violenta e alienante (cfr. soprattutto E. Severino, L’essenza del nichilismo, Rizzoli, Milano 1995). 46   Cfr. G. Gaeta, Simone Weil: un corpo estraneo nella nostra civiltà, cit. 47   Esther (Etty) Hillesum nasce il 5 gennaio 1914 a Middelburg, in Olanda. Il padre era professore di lettere classiche, poi preside di liceo; entrambi i genitori erano ebrei non osservanti. Dopo il liceo Etty si trasferisce a Amsterdam per studiare all’università diritto, poi lingue slave. Dotata di un forte temperamento erotico e con costumi sessuali assai liberi, intrattiene diverse relazioni sentimentali, anche contemporaneamente, ma si trova in un groviglio interiore che le fa pensare addirittura di essere pazza e le fa pensare al suicidio. Esce da questa condizione entrando nel 1941 in cura da Julius Spier, un ebreo tedesco riparato ad Amsterdam per sfuggire alle persecuzioni naziste, che svolge l’attività di psichirologo, ovvero una psicologia che si basa anche sulla forma e le linee delle mani – un’attività cui era stato indirizzato da Jung. L’incontro con Spier, che Etty chiamerà «ostetrico della sua anima», è determinante: amico, maestro, amante, le fa conoscere Agostino, Francesco d’Assisi, Tommaso da Kempis ed altri classici della mistica, non solo cristiana, e la fa rinascere spiritualmente. Da lui Etty è incoraggiata a tenere un diario, ed in effetti finisce per riempire undici quaderni, che, insieme alle lettere, costituisce l’unico suo lascito letterario. Iniziata la deportazione degli ebrei, alla Hillesum viene trovata una sistemazione al Consiglio Ebraico, nella speranza di salvarla, ma le bastano pochi giorni per capire che quell’organismo è solo un’arma nelle mani dei nazisti per portare a termine il piano di sterminio, facendo leva sull’egoismo e la vigliaccheria di molti. Etty si fa mandare allora come assistente sociale al centro di smistamento di Westebork, nel nord dell’Olanda. È il luglio del 1942: da allora fino alla deportazione e alla morte, ad Auschwitz nel novembre 1943, Etty svolge con abnegazione la sua missione di assistenza, materiale e morale, agli internati, rifiutando anche ogni proposta di fuga. I suoi diari, consegnati ad un’amica, saranno pubblicati, prima parzialmente, solo nel 1981. 48   Cfr. Etty Hillesum, Diario 1941-43, Adelphi, Milano 2005, p. 158. 49   Cfr. Etty Hillesum, De nagelaten geschriften, Balans, Amsterdam 2008, p. 232. Riprendiamo queste citazioni da B. Iacopini - S. Moser, Uno sguardo nuovo. Il problema del male in Etty Hillesum e Simone Weil, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009. 50  Cfr. ibid., p. 487. 51  Cfr. Diario 1941-43, cit., p. 99 (Sottolineatura nostra). 52  Cfr. ibid., pp, 201 s. Cfr. anche B. Iacopini - S. Moser, Uno sguardo nuovo, cit., p. 107. 53   Cfr. E. Hillesum, Lettere 1942-43, Adelphi, Milano 2001, p. 117. 54   Cfr. B. Iacopini - S. Moser, Uno sguardo nuovo, cit., p. 59. 55  Cfr. De nagelate geschriften, cit., p. 23. 56   Questa antologia si è conservata e l’amica Maria Tuinzing, cui la Hillesum affidò i diari, vi ha lasciato un appunto in cui sottolinea quanto quegli scritti siano stati importanti per Etty nel suo ultimo anno di vita. Cfr. in proposito B. Iacopini - S. Moser, Uno sguardo nuovo, cit., p. 60. 57   Cfr. E. Hillesum, De nagelaten geschriften, cit., p.  551. 58  Cfr. Diario 1941-43, cit., pp. 138 s. 59  Cfr. ibid., p. 206.

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  Cfr. E. Hillesum, Lettere 1942-43, cit., p. 148.   Cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, sez. «La religione disvelata» (a cura di M. Vannini, La Nuova Italia, Firenze 1984, p. 79). Il riferimento hegeliano è, come per lo Zarathustra di Nietzsche (vedi sopra, p. 329) a 2 Cor 1, 17-20, ove il Sì a tutto è il Cristo. 60 61

Conclusione   Prendiamo qui Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) quale esempio contemporaneo di un «modo» essenziale della mistica cristiana, tradizionale eppure nuovo anche rispetto a figure non troppo lontane nel tempo (pensiamo, per esempio, a Charles de Foucauld, 1858-1916). 2   Che l’induismo sia il terreno privilegiato di somiglianza con la mistica cristiana è mostrato anche dalle figure dei monaci francesi Jules Monchanin (18951957) e Henri Le Saux (1910-1973), che vissero buona parte della vita in India, ove avevano fondato un ashram («monastero») cristiano, sperimentando le affinità profonde tra Mistica orientale e mistica occidentale (questo il titolo della significativa opera di R. Otto, cit., dedicata al confronto tra Eckhart e Sankara). Su questo tema cruciale, cfr. il mio Oltre il cristianesimo: Da Eckhart a Le Saux, Bompiani, Milano 2013. 3   Su questo punto anche Simone Weil notava una totale concordanza tra la Bhagavadgītā e il Vangelo. È comunque ovvio che Madre Teresa si esprima sempre nei termini cristiani. Cfr. G. Germani, Madre Teresa. Una mistica tra Oriente e Occidente, Paoline, Milano 2003. 4   Cfr. Meister Eckhart, Il distacco (Dell’uomo nobile, cit., pp. 145-46): «L’animale più veloce che può condurci a questa perfezione è la sofferenza […] Il fondamento più solido per sostenere questa perfezione è l’umiltà». 5   «Il mio cuore è così puro da poter vedere il viso di Dio in mio fratello, in mia sorella, quella nera, quella nuda, quella che ha la lebbra, quella che sta morendo? Questo è ciò per cui dobbiamo pregare. Perché Dio vive in noi e ci rende divini». (Madre Teresa, La gioia di amare, Mondadori, Milano 1996, p. 83). 6   «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, è l’esistenza sociale che determina la loro coscienza»; «Non la coscienza determina la vita, ma la vita determina la coscienza» scrive per esempio Marx (in Per la critica dell’economia politica e nell’Ideologia tedesca), cogliendo così certamente un’ampia parte della verità, ma negando l’essenziale, ovvero quel «fondo dell’anima» spirituale che non dipende dal sociale. Insieme al parallelo concetto che della psiche e della vita psichica aveva Freud, ove il «profondo» è l’oscuro istintuale, si delinea così una configurazione dell’anima essenzialmente antispirituale, antimistica, frutto dell’adorazione della forza. Su questo tema, rimando ancora una volta al mio La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia, cit. 7  Dante, Paradiso XXVIII, 54. 8   Particolarmente evidente nell’argomento della «scommessa», è però presente in tutti i Pensieri di Pascal, il quale ha confuso la fede con l’autosuggestione (cfr. S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1972, p. 162). Cfr. il capitolo «L’Universalismo mistico di Simone Weil» del mio Mistica e filosofia, cit. 9   Così Simone Weil può scrivere che «la necessità è una nemica per l’uomo, finché egli pensa in prima persona» (La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., 1

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p. 234), mentre diventa un’amica, «velo stesso di Dio», quando pensa impersonalmente, ovvero nel distacco, nell’universale. Sulle profonde affinità tra Simone Weil e Wittgenstein (accanto alle notevoli differenze) pone l’attenzione P. Winch, in Simone Weil. «The just balance», Cambridge University Press, Cambridge 1989. 10   Sul tema del silenzio, e più in generale del linguaggio mistico, rimandiamo ancora a M. Baldini, Il linguaggio dei mistici, cit. 11   Cfr. in proposito il sermone eckhartiano Praedica Verbum (Sermoni tedeschi, cit., pp. 102-107). Alle parole di Eckhart (e della Porete) non v’è davvero niente da aggiungere. 12   Cfr. Gv 1, 4: nel Logos è la vita. 13  Dante, Paradiso XXXIII, 145. Ciò non riguarda solo il Paradiso, ma l’intera esistenza umana. L’esempio di Dag Hammarskjöld dimostra come nel pieno della vita attiva sia possibile conformarsi alla volontà di Dio, a servizio del prossimo fino alla morte, in perfetto distacco (cfr. il suo diario Tracce di cammino, Mondadori, Milano 1997).

Nota bibliografica

Per una informazione aggiornata sulle pubblicazioni del settore, si veda la BIS, Bibliographia Internationalis Spiritualitatis, che esce annualmente a Roma, a cura del «Teresianum». Oltre ai testi indicati nelle Note, diamo qui ulteriori indicazioni generali. Il compito, ancorché svolto senza pretese di completezza, non è però facile, sia per la quantità di titoli che si presentano sull’argomento, sia, e soprattutto, per la molteplicità di significati che tuttora vengono conferiti al termine «mistica». In proposito rimandiamo innanzitutto ai nostri Introduzione alla mistica, Morcelliana, Brescia 2000 e Lessico mistico, Le Lettere, Firenze 2013, ove l’analisi dei principali termini (oltre sessanta) del linguaggio mistico fornisce ampia introduzione alla tematica. Si può vedere poi A.M. Haas, Was ist Mystik?, in Abendländische Mystik im Mittelalter. Symposium Kloster Engelberg 1984, a cura di K. Ruh, Metzler, Stuttgart 1986, pp. 319 sgg.; inoltre, limitatamente al mondo cristiano, Grundfragen christlicher Mystik. Wissenschaftliche Studientagung Theologia mystica in Weingarten vom 7-10 Nov. 1985, a cura di M. Schmidt e D.R. Bauer, in AA.VV., Mystik in Geschichte und Gegenwart, 1. 5, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1987. Un’ampia panoramica sui vari approcci (teologico, filosofico, psicologico e comparativo) alla mistica è fornita anche dal saggio Fondamenti teoretici: lo studio moderno della mistica, Appendice (pp. 360-465) al volume I di B. Mc Ginn, Storia della mistica cristiana in Occidente (Marietti 1820, Genova 1997), dal quale si comprende come la definizione e la valutazione della mistica dipenda dal quadro di riferimento filosofico-religioso di ciascuno, con esiti quindi estremamente diversi. È ovvio che chi pensa alla mistica come «conoscenza sperimentale di Dio» finisca per puntare sui caratteri di eccezionalità estatica,

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Nota bibliografica

visionaria, trattando così prevalentemente di vite di santi o di figure carismatiche. In tal modo il campo si dilata all’infinito, perdendo la sua specificità. Ciò vale sia in ambito religioso, sia in ambito laico, dove si parla allora di esperienze percettive straordinarie, magari indotte da sostanze o tecniche allucinogene. Nel 1954, per esempio, A. Huxley pubblicò Le porte della percezione (Mondadori, Milano 1958), in cui riferiva le sue esperienze con il peyòtl degli Indiani d’America, parlando in proposito di «vertici di contemplazione». È altrettanto evidente che le cose cambiano completamente se invece si ritiene la mistica la dimensione normale del cristiano nella vita di grazia, come fa per esempio A. Stolz, in Teologia della mistica (Morcelliana, Brescia 1936) poi ristampato col titolo La scala del paradiso (Morcelliana, Brescia 1979) o R. Panikkar, nel suo Mistica pienezza di vita, Jaca Book, Milano 2008. Anche nell’ambito cristiano stesso le valutazioni sulla mistica sono molto diverse: mentre il mondo protestante continua, sostanzialmente, a ritenerla un frutto del neoplatonismo, corpo estraneo nell’ambito della rivelazione biblica, in campo cattolico vi fu, nei primi decenni del Novecento, soprattutto in Francia, un’accesa discussione sulla natura e sul ruolo della mistica. A.E. Poulain, A. Gardeil, R. GarrigouLagrange, A. Saudreau e altri tentarono di definirla da un punto di vista teologico; J. Maréchal, M. Blondel e J. Maritain da un punto di vista filosofico. La celebre opera ultima di H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione (Comunità, Milano 1966; UTET, Torino 1971), si inserisce in questo contesto, che prende comunque le mosse dall’altrettanto celebre studio di W. James sulle Varie forme della coscienza religiosa, del 1902 (ed. it., con prefazione di R. Ardigò, Bocca, Torino 1904), il quale dedica due capitoli all’analisi della mistica. Un panorama ampio sulle discussioni in merito si trova in A. Savignano, Esperienza religiosa. Da James a Bergson, Benucci, Perugia 1985. A James si rifanno, in vario modo, anche i critici laici e positivisti della mistica, come per esempio J.H. Leuba, con il suo Psicologia del misticismo religioso, del 1925 (ed. it. Feltrinelli, Milano 1960), che tenta di riportare il misticismo all’elemento erotico. Un approccio alla mistica del Seicento francese mediato da categorie psicoanalitiche è quello tentato in Fabula mistica. La spiritualità religiosa tra il XVI e il XVII secolo, il Mulino, Bologna 1987) dal gesuita M. de Certeau, cui si devono anche importanti contributi sul linguaggio mistico del medesimo periodo. Sul problema si può vedere comunque l’opera di M. Baldini, Il linguaggio dei mistici (Queriniana, Brescia 1986), particolarmente attenta alla filosofia del linguaggio contemporanea.



Nota bibliografica

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I due volumi La mistica, a cura di E. Ancilli e M. Paparozzi (Città Nuova, Roma 1984) – in cui diversi studiosi cattolici hanno redatto saggi su figure di mistici, dal mondo antico a quello contemporaneo – danno anche ampia informazione sul dibattito che riguarda il tema «mistica» in generale. Per il mondo cattolico bisogna però notare come ci sia stato, negli ultimi decenni, un notevole spostamento di prospettiva, dovuto soprattutto al Concilio Vaticano II. Mentre nel passato si considerava vera mistica – ovviamente nel senso di conoscenza sperimentale di Dio – solo quella all’interno della Chiesa (nei suoi quattro tomi sulla Christliche Mystik, pubblicati tra il 1836 e il 1840, J.J. Görres divideva la materia in mistica «divina», «naturale» e «diabolica»), oggi si tende a vedere la presenza di Dio, come si dice, anche fuori del cattolicesimo, nelle altre confessioni cristiane e anche nelle altre religioni. Per esempio il Dictionnaire de spiritualité, nel suo fascicolo VI, col. 1915, pubblicato nel 1937, chiamava Antoinette Bourignon «falsa mistica», in quanto non sottomessa all’autorità ecclesiastica: un linguaggio e un concetto assolutamente inconcepibili negli ultimi fascicoli, usciti negli anni Novanta. Con un complesso di 17 tomi e 21 volumi, il Dictionnaire, pubblicato a Parigi dalla casa editrice Beauchesne tra il 1932 e il 1995, rimane comunque un’opera fondamentale per lo studio della mistica cristiana. A cura di L. Borriello, è l’edizione italiana del Nuovo dizionario di spiritualità, diretto da M. Downey, LEV, Roma 2001. Sul rapporto tra mistica e Scrittura nel cristianesimo, si veda M. Vannini, La religione della ragione, Bruno Mondadori, Milano 2007. Si deve anche notare che il genere letterario «storia della mistica» è recentissimo e soffre innanzitutto della incerta definizione della medesima, per cui il primo problema che si pone è quello della selezione del materiale. In secondo luogo, le storie della mistica occidentale che si è cominciato a scrivere hanno il problema della definizione dei limiti cronologici. Anzitutto quello dell’inizio: K. Ruh, nel vol. I della sua Storia della mistica occidentale (Vita e Pensiero, Milano 1995), comincia con Dionigi Areopagita, mentre Mc Ginn, nell’opera sopra indicata, dedica i primi due capitoli alla «matrice giudaica» e, soprattutto, all’«ideale contemplativo greco». Poi quello della fine: le storie della mistica occidentale (dunque per lo più cristiana) tendono a chiudersi con la fine del Medioevo (così per esempio P. Dinzelbacher, in Christliche Mystik im Abendland, Ferdinand Schöning, Paderborn 1994) o comunque con la «crisi» della mistica nell’età moderna, come progetta Mc Ginn. Inizio e fine sono comunque in rapporto, giacché

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Nota bibliografica

la «fonte greca» è quella filosofica, speculativa, presente in tutto il cristianesimo ma anche capace di viverne senza, e che, dunque, perdura anche dopo la déroute de la mystique del Seicento, esprimendosi in figure che tradizionalmente vengono considerate di filosofi. Sulla questione si può vedere il volumetto AA.VV., Alle radici della mistica cristiana (Augustinus, Palermo 1989), che raccoglie contributi sia storici sia teorici. Per la storia del concetto di anima, il suo esaurirsi e il passaggio dalla mistica alla psicologia, vedi M. Vannini, La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, Firenze 2004. Sul rapporto tra la mistica delle varie religioni, si veda M. Vannini, La mistica delle grandi religioni, Le Lettere, Firenze 2010. A un concetto di mistica di connotazione estatica-esoterica, tanto approssimativo quanto seducente per il grosso pubblico, si ispirano anche alcune fortunate antologie, quali per esempio quella curata da M. Buber, Confessioni estatiche (Adelphi, Milano 1987), nella quale si riportano passi da Plotino al sufismo, dall’India al chassidismo; o quella, non dissimile, di F.C. Happold, Misticismo (Mondadori, Milano 1987). Se infatti si finisce per pensare al misticismo semplicemente come a una sorta di «livello estatico» del religioso, è naturale che lo si rintracci in tutte le culture (d’Oriente come d’Occidente), a partire dallo sciamanesimo, magari sotto un profilo sostanzialmente concordistico. Anzi, questo stesso profilo può poi essere esteso a un «religioso» al di fuori delle religioni positive, per cui non ci si deve stupire se si parla anche di «mistica hippy», come nella Encyclopédie des mystiques a cura di Marie-Madeleine Davy (Payot, Paris 1995, vol. 2, pp. 554-76). Limitata al mondo occidentale è l’ampia antologia di E. Zolla, I mistici dell’Occidente (2 voll., nuova edizione riveduta, Adelphi, Milano 1997; la I ed. è del 1962), anch’essa ispirata a un concetto iniziaticoesoterico di misticismo, per cui si inizia con l’orfismo e ci si ferma alla rivoluzione scientifica del XVII secolo. A soli autori cristiani (da Gregorio di Nissa a Henri Le Saux) è invece dedicata l’opera a cura di G. Ruhbach e J. Sudbrack, I grandi mistici, 2 voll., EDB, Bologna 1987. I medesimi studiosi, gesuiti tedeschi, hanno curato anche una più ampia antologia di Christliche Mystik (Beck, München 1989), dai Padri apostolici ai giorni nostri. Tra le numerose antologie, segnaliamo la recente Testi mistici per la contemplazione di Dio. 2000 anni di letteratura spirituale, a cura di V. Noja, Borla, Roma 2006, nonché La transformation en Dieu dans les grands mystiques, a cura di B. Mc Ginn e P. McGinn, Cerf, Paris 2006. Delle Scrittrici mistiche italiane (Marietti, Genova 1988), da Chiara



Nota bibliografica

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d’Assisi alle contemporanee, si occupa invece l’antologia a cura di G. Pozzi e C. Leonardi. Ricco di riferimenti alla letteratura e alla poesia contemporanea è L. Gardet e O. Lacombe, L’esperienza del Sé. Studio di mistica comparata, Massimo, Milano 1988. Nell’ambito del discorso che il presente volume ha condotto (ove la mistica è presa nel suo originario significato greco, come esperienza dell’Uno al vertice della ragione, e poi seguita nelle sue vicende all’interno del mondo cristiano, fino ai nostri giorni) particolare importanza hanno gli studi di W. Beierwaltes: Platonismo e idealismo, il Mulino, Bologna 1987; Identità e differenza, Vita e Pensiero, Milano 1989; Pensare l’Uno. Studio sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, Vita e Pensiero, Milano 1991. Inoltre, il volume collettaneo L’Uno e i molti, a cura di V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano 1990; quello di E. von Ivànka, Platonismo cristiano, Vita e Pensiero, Milano 1992; l’opera del teologo B. Forte, Sui Sentieri dell’Uno, San Paolo, Cinisello Balsamo 1992, nonché – ci permettiamo di ripetere – il nostro Mistica e filosofia, Le Lettere, Firenze 2007. Segnaliamo anche l’esistenza in Italia di due collane dedicate alla mistica. La prima è «Biblioteca Mistica» dell’editore Nardini di Fiesole (Firenze), diretta da M. Baldini e M. Vannini, giunta al quattordicesimo volume, tra testi e studi. La seconda è «I Mistici», dell’editore Mondadori, a cura di M. Vannini, che conta trenta titoli, tutti in ambito cristiano. Infine segnaliamo l’unico periodico italiano del settore: la «Rivista di ascetica e mistica», giunta ormai al quarantesimo anno di vita, che ha sede nel Convento domenicano di San Marco, a Firenze, ove si trova oggi anche la Biblioteca di Arrigo Levasti (Modena 1886 - Firenze 1973), solitario studioso di mistica in un tempo e in una cultura ostili. Al direttore della «Rivista» e della Biblioteca, padre Fausto Sbaffoni o.p., vada qui il ringraziamento per l’aiuto amichevolmente prestatomi in molti anni di lavoro.

Indice dei nomi*

Aalber, H., 421 Abelardo, P., 385 Abramo, 90, 368, 437 Abulafia, 27, 398 Acarie Avrillot, B. (Madame Acarie), 273, 412, 413 Adamo, 93, 94, 307, 425 Aezio, 355, 356 Agnese, sorella di Teresa di Lisieux, 411 Agostino, vescovo di Ippona, 49, 54, 76, 81, 101, 105, 109, 110, 112, 116, 122, 127, 137, 138, 139, 144, 148, 149, 158, 161, 171, 199, 224, 247, 322, 332, 364, 364, 370, 373, 374, 375, 376, 378, 379, 380, 381, 382, 383, 384, 388, 393, 395, 401, 404, 437, 438 Agrippa di Nettesheim, C., 405 Alacoque, M.M., 257, 390 Alain (E-A. Chartier), 435 Alberto Magno, 123, 354 Alchiero di Chiaravalle, 150, 383, 393 Alessandro I, zar, 308 Alessandro VI, papa, 236 Alessandro di Afrodisia, 64 Alessandro Magno, re, 362 Alfonso Maria de’ Liguori, 286

Alighieri, D., 18, 65, 79, 140, 202, 351, 363, 367, 396, 434, 439, 440 Alvarez de Paz, J., 260 Alvarez, B., 256, 257 Ambrogio, vescovo di Milano, 105, 109, 116, 138, 373, 374, 382 Ammonio Sacca, 113, 364 Amore (Eros), 52, 53, 54, 56, 59, 61, 169, 170, 361 Ananke (Necessità), 44, 76 Anassagora, 365 Anassimandro, 327 Anastasio Sinaita, 373 Ancilli, E., 347, 350, 378, 443 Anfitride, 293 Angela da Foligno, 166, 167, 168, 240, 389, 390, 423 Anonimo Francofortese (vedi anche Teologia tedesca), 214-218, 239 Antologia Palatina, 50 Antonio, Padre del deserto, 376 Apollo, 19, 362, 363, 366 Arcadio, imperatore, 378 Ardigò, R., 442 Arias, F., 257 Aristosseno, 360 Aristotele, 19, 36, 50, 63-68, 71, 72, 80, 85, 91, 144, 153, 159, 163, 220, 231,

*  L’indice comprende anche i titoli delle opere anonime o di incerta attribuzione.

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Indice dei nomi

248, 320, 347, 349, 354, 355, 360, 361, 362, 363, 365, 367, 382, 429 Arnaldo, frate, 390 Arndt, J., 240, 247, 303, 422, 423 Arnold, G., 251, 301, 422 Arsenio, Padre del deserto, 376 Atenagora, 352 Atteone, 293 Averroè, 64 Axters, S., 403 Baader, F.X. von, 252, 306, 307, 308, 406, 425 Bacht, H., 377, 398 Baker, A., 222, 280, 402 Baldini, M., 347, 411, 440, 442, 445 Balthasar, H.U. von, 22, 347, 350, 374, 377, 426 Balzac, H. de, 424 Barbaglio, G., 369 Barlaam, monaco, 205, 206, 207 Barsotti, D., 399, 409 Barth, K., 348, 406 Bartolomeo da Pisa, 388 Baruzi, J., 252, 409 Basilio di Cesarea, vedi Basilio il Grande Basilio il Grande, 117, 118, 376 Bataille, G., 390 Battista da Crema (G.B. Carioni), 415 Baudelaire, C., 424 Bauer, D.R., 389, 402, 441 Beatrice di Nazareth, 169 Beaucousin, R., 273, 413 Beaude, J., 350 Beierwaltes, W., 347, 351, 359, 365, 367, 445 Bell, R.M., 388 Bellarmino, R., 418 Bellini, E., 379 Bellinzaga (o Berinzaga), I., 273-274, 278, 411, 412, 413, 414, 415 Benedetto XII, papa, 186, 232, 392 Benedetto di Canfield (W. Filch), 273, 280, 283, 285, 389, 404, 413

Bengel, J.A., 306, 313, 424, 425 Benz, E., 425 Berardi, R., 391 Berdjaev, N.A., 314 Bergamo, M., 412, 414, 417 Bergson, H., 442 Bernanos, G., 411 Bernardino da Laredo, 389, 410 Bernardino da Offida, 389 Bernardo di Chiaravalle, 112, 116, 151, 154-160, 161, 163, 240, 375, 376, 381, 384, 385, 386, 387, 389, 393, 414, 423 Bernardo di Waging, 232 Bernières-Louvigny, J. de, 283, 416, 422 Bernini, G.L., 263 Bertrando di Alen, 393 Bérulle, P. de, 273, 404, 412, 413 Beschin, G., 348, 381, 443 Bhagavadgita, 30, 369, 437, 439 Bianchi, A., 416 Bianco, D.O., 366 Biedermann, H.M., 398 Bizet, J.A., 400 Blake, W., 424, 434 Blannbekin, A., 166 Blasio, B. de, 390, 400 Blavatsky, E.P. (Madame Blavatsky), 27 Blondel, M., 442 Blumrich, R., 409 Boezio, S., 80 Böhme, J., 240, 241-243, 244, 245, 246, 247, 298, 301, 302, 303, 305, 306, 307, 308, 313, 319, 406, 421, 424 Bonardi, P.G., 402 Bonaventura da Bagnoregio, 116, 123, 160, 161, 162, 347, 349, 383, 388, 390, 393, 414 Borges, J.L., 419 Borriello, L., 443 Borruso, G., 347 Bossuet, B., 183, 284, 285, 286, 301, 408, 415, 416, 417 Bourignon, A., 301, 443

Bouvier de La Motte, J.-M. (Madame Guyon), 263, 282, 283-284, 285, 300, 301, 303, 307, 323, 408, 409, 415, 416, 417, 422 Boyer, C., 380 Bracken, E. von, 310, 425 Brahma, 430 Bréhier, E., 365 Bremond, H., 410, 412, 413 Brentano, F., 432 Brigida di Svezia, 180, 390 Brons, B., 379 Brunner, E., 350 Brunner, F., 367 Bruno, G., 235, 289-294, 296, 418, 419 Buber, M., 350, 444 Bucer, M., 238 Buddha, 215, 389 Buonarroti, M., 365 Burkert, W., 359 Busi, G., 350 Butler, C., 380, 381, 382, 383, 386, 387 Cabasilas, N., 207 Cacciari, M., 346, 426 Cagliostro, A. conte di, 425 Calasso, M., 408 Calasso, R., 407 Calcidio, 46, 355 Caligola, imperatore, 91 Calufetti, A., 390 Calvino, G. (J. Cauvin), 134, 418 Camillis, G. de, 413 Cantalicio, G., 246 Cantoni, A., 426 Caracciolo, I., 280 Carioni, G.B., vedi Battista da Crema Carlo V, imperatore, 261 Carlo il Calvo, imperatore, 110, 374 Cartesio, R. (R. Descartes), 244, 273, 419, 424 Casaglia, M., 364 Cassiano, G., 116, 377, 393 Cassirer, E., 404 Castino, M., 403

Indice dei nomi

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Caterina da Genova, 175, 263, 273, 283, 392, 409, 411, 414 Caterina da Siena, 163, 272, 384, 389, 390, 402, 411, 412, 437 Catez, É., vedi Elisabetta della Trinità Caussade, J.-P. de, 257, 258, 408 Celina, sorella di Teresa di Lisieux, 411 Celso, 366 Certeau, M. de, 394, 408, 442 Champollion, C., 400 Chenu, M.D., 386 Chevignard, abate, 412 Chiara da Montefalco, 390, 388 Chiara di Assisi, 390, 444 Chirone, 292 Cicerone, M.T., 63, 127, 138, 384 Cilento, V., 364 Cirillo Alessandrino, 373 Cisneros, G., 182, 226 Clareno, A., 393 Claudel, P., 411 Clemente V, papa, 392 Clemente Alessandrino, 107, 118, 121, 138, 352, 355, 356, 373 Cognet, L., 263, 394, 400, 408, 415, 416, 417 Cohn, N., 370 Colli, G., 354, 356 Colonna, M., 389 Combes, A., 393, 394 Comenio (J.A. Komensky), 422 Conte, A.G., 434 Coomaraswamy, A.K., 351 Copernico, N., 418 Costantino di Barbanson, 389 Costanzo II, imperatore, 374 Cratilo, 51 Cressy, S., 402 Cristiani, M., 375 Cristina di Svezia, regina, 277, 414 Crivelli, G.M., 410 Croissant, J., 352 Cusano, N., 12, 85, 123, 182, 207, 226-235, 236, 289, 290, 291, 292,

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Indice dei nomi

293, 298, 309, 348, 349, 354, 403, 404, 405, 418 Czepko von Riegersfeld, D., 243, 244, 246, 405 Danei, Paolo, vedi Paolo della Croce Daniele, profeta, 21, 80 Danielou, J., 375, 376, 378 Dante, vedi Alighieri D. David, 279 Davy, M.-M., 350, 444 De Bonald, L., 308 Decio, imperatore, 113 De diligendo Deo, 375, 386, 387, 393 Degenhardt, I., 403, 425, 431 Delacroix, H., 252 De Lubac, H., 28, 236, 351, 408, 426, 431 Democrito, 356 De Negri, E., 348, 427, 428, 429 Denifle, H.S., 312 Dhammapada, 321 Diadoco di Fotice, 205 Diana, 293 Didimo il Cieco, 117 Diels, H., 354 Dinzelbacher, P., 389, 402, 443 Diogene Laerzio, 45, 354, 356, 384 Dione, 358 Dionigi Areopagita (Pseudo-Dionigi), 9, 22, 110, 118, 120, 122-127, 137, 142, 161, 162, 186, 221, 227, 230, 231, 232, 233, 234, 256, 273, 347, 364, 374, 379, 381, 385, 393, 443 Dionisio il Vecchio, 358 Diotima, 52, 53 Dodds, C., 364 Downey, M., 443 D’Urso, G., 389 Dyroff, A., 421 Ebner, M., 166 Eckhart (Meister Eckhart), 24, 27, 28, 30, 37, 45, 46, 49, 54, 65, 96, 98, 104,

106, 107, 108, 111, 112, 113, 116, 123, 136, 144, 145, 146, 158, 159, 168, 173, 176, 177, 181, 182, 183, 184, 186, 187, 188-202, 203, 206, 207, 208, 209, 210, 212, 215, 220, 221, 224, 225, 226, 230, 231, 233, 239, 240, 247, 265, 267, 276, 277, 280, 283, 285, 290, 292, 293, 296, 298, 307, 310, 311, 313, 315, 316, 317, 319, 322, 323, 324, 325, 334, 341, 348, 349, 350, 351, 352, 353, 354, 363, 367, 371, 372, 374, 375, 376, 379, 381, 383, 384, 389, 391, 392, 394, 395, 396, 397, 398, 399, 400, 401, 402, 403, 405, 406, 407, 409, 414, 419, 420, 421, 423, 425, 427, 428, 429, 431, 433, 439, 440 Eco, U., 252, 435 Elisabetta della Trinità (É. Catez), 272, 412 Elisabetta di Schönau, 389 Emerico di Campo, 227, 233 Emerson, R.W., 424 Emmerich, A.K., 390 Empedocle, 354 Ender von Sercha, K., 241 Enoch, M., 417, 431 Epifanio di Salamina, 117, 376, 377 Epitteto, 146, 384 Er, 43, 61 Eraclio I, imperatore, 374 Eraclito di Efeso, 12, 19, 35, 37, 45-50, 51, 56, 59, 60, 104, 142, 143, 290, 294, 354, 355, 356, 357, 384, 418 Erasmo da Rotterdam, 255, 407 Erinni, 49 Erodoto, 36, 352, 368 Eschilo, 354 Escobar, M. de, 257 Esdra, 420 Esiodo, 48 Esposito, R.F., 411 Eudossia, imperatrice, 377 Eunomio, 378 Eusebio di Cesarea, 113

Evagrio Pontico, 116, 204, 375, 377 Evdokimov, P., 378 Everard, J., 235 Fabris, A., 433 Faggin, G., 320, 364, 365, 366, 420, 429 Faivre, A., 425 Falchini, C., 385 Falco, G., 382 Falconi de Bustamante, J., 281, 414, 415 Faraggiana di Sarzana, C., 367 Faricy, R., 408 Federici Vescovini, G., 404 Fénelon (F. de Salignac de La Mothe), 183, 214, 284-286, 289, 300, 301, 303, 323, 416, 417 Feuerbach, L., 433 Fichte, J.G., 310-313, 372, 425, 426 Ficino, M., 85, 236, 289, 364, 365, 405 Filch, W., vedi Benedetto di Canfield Filippo, re di Macedonia, 362 Filippo d’Assia, duca, 238 Filippo della Santissima Trinità, 182, 268 Filolao, 359 Filone Alessandrino, 91, 121, 148, 384 Filosseno di Mabbug, 351 Firmico Materno, G., 36, 353 Flete, W., 223 Fleury, A.-H., 300 Florenskij, P.A., 314 Forte, B., 445 Foucauld, C. de, 439 Fox, G., 301-302, 303 Fozzer, G., 348, 405 Francesco di Assisi, 163, 337, 389, 438 Francesco di Sales, 182, 273, 275-277, 283, 285, 404, 413, 414, 415, 417, 424 Francisco de Osuna, 261, 389 Franck, S., 235, 237, 238-239, 240, 241, 247, 303, 405 Francke, A.H, 304, 423

Indice dei nomi

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Franckenberg, A. von, 243, 245, 246, 406 Francovich, C., 421 Fratelli della Vita Comune, 224, 226, 403 Fratelli Moravi, 423, 424 Frazer, J.G., 334, 335 Frecht, M., 238 Freud, S., 330, 334, 336, 428, 429, 431, 432, 433, 439 Gabriel de Sainte-Marie-Madeleine, 410 Gaeta, G., 435, 437, 438 Gagliardi, A., 411, 412, 413 Galgani, G., 390 Galilei, G., 245 Gallieno, imperatore, 364 Gandhi, M.K., 343 Gardeil, A., 442 Gardet, L., 445 Garrigou-Lagrange, R., 442 Gassendi, P., 414 Gennadio di Marsiglia, 377 Gennari, G., 411 Gentile, G., 421 Gentili, A., 402 Gerlac, P., 224 Gerolamo, santo, 16, 117 Gerolamo di Gerusalemme, 373 Germani, G., 439 Gersen, G., 219 Gerson, J., 22, 123, 143, 178-183, 186, 218, 219, 232, 349, 384, 392, 393, 394 Gertrude di Helfta, 390 Giacomo III, 300 Giacomo da Milano, 223, 389, 393 Giacomo di Vitry, 394 Giamblico, 82, 83, 123, 367, 374 Gilson, É., 375 Giobbe, 41 Giorgio I, re d’Inghilterra, 424 Giovanna degli Angeli, 257 Giovanna della Croce, 402, 403, 404

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Indice dei nomi

Giovanna Francesca di Chantal, 413, 416 Giovanni, evangelista, 10, 18, 23, 93, 97-104, 111, 113, 116, 130, 132, 147, 177, 221, 242, 312, 348, 355, 357, 371, 372, 383, 404, 406, 408, 426 Giovanni VI Cantacuzeno, imperatore, 206 Giovanni XXII, papa, 395 Giovanni Climaco, 204, 393 Giovanni Crisostomo, 373, 377 Giovanni della Croce, 65, 121, 123, 157, 167, 213, 222, 256, 260, 261, 262, 265-268, 272, 273, 283, 285, 363, 409, 410, 412, 414 Giovanni di Gesù Maria, 182, 268 Giovanni di Leida, 370 Giovanni di Saint-Samson, 269, 283 Giovanni il Battista, 103, 404 Giuliana di Norwich, 223, 224 Giuliani, V., 389, 410, 411 Giuliano l’Apostata, 123 Giuseppe da Copertino, 389 Giuseppe dello Spirito Santo, 269 Giuseppe di Gesù Maria (F. de Quiroga), 268 Giustiniano, imperatore, 85, 117 Glasenapp, H. von, 430 Glauco, 83 Glaucone, 61 Glockner, H., 348, 427 Glorieux, P., 349 Gnädinger, L., 400 Gnoli, R., 351 Goethe, J.W., 235, 243, 303, 307, 311, 379, 389, 405, 424 Gorceix, B., 403 Gordiano III, imperatore, 364 Görres, J.J., 443 Graves, R., 368 Gregorio XVI, papa, 210 Gregorio Akindynos, 205 Gregorio di Nazianzo (o Nazianzeno), 107, 109, 117, 373, 374 Gregorio di Nissa (o Nisseno), 106,

107, 109, 110, 111, 116, 117-122, 125, 364, 373, 374, 376, 377, 378, 379 Gregorio Magno, papa, 105, 137140, 373, 382, 381, 385, 390 Gregorio Sinaita, 204, 205 Groote, G., 184, 224, 225, 403 Grossatesta, R., 126 Gryphius, A., 244 Guarnieri, R., 348, 391, 392, 411, 413 Guénon, R., 425 Guglielmo di Moerbeke, 85, 365 Guglielmo di Ockham, 165, 311, 387 Guglielmo di Saint-Thierry, 150-151, 152, 347, 384, 385, 386, 393 Guibert, J. de, 407 Guyon, J., 416 Guyon, J.-M., 416, 417 Guyon, J.-M. Bouvier de La Motte Madame de, vedi Bouvier de La Motte, J.-M. Haas, A.M., 347, 349, 374, 397, 398, 441 Hadewijch d’Anversa, 169, 183, 384, 391 Hallāğ, Ibn Mansūr al-, 12, 26 Hammarskjöld, D., 440 Happold, F.C., 444 Harlay de Champvallon, F. de, 415, 416 Hartmann, E. von, 430 Hegel, G.W.F., 10, 11, 15, 29, 56, 85, 243, 252, 304, 307, 308, 314-320, 325, 330, 344, 347, 348, 349, 351, 355, 368, 369, 404, 419, 425, 426, 427, 428, 429, 430, 432, 433, 439 Heidegger, M., 252, 361, 425, 433 Heiler, F., 350 Hennemann, J., 244 Hennemann, M.M., 244 Henry, P., 394 Herder, J.G. von, 307 Herp, H. (Harpius), 265, 270, 274, 283, 389

Hesse, H., 246, 252, 307 Hillesum, E., 339, 340, 341, 342, 438, 439 Hilton, W., 222, 223, 402 Hitler, A., 245, 370 Hoburg, C., 245 Hoffmann, W., 422 Hofmann von Hofmannswaldau, C., 244 Hölderlin, J.C.F., 307 Hugel, F. von, 392 Hugueny, É., 400 Hus, J., 181 Husserl, E., 410 Huxley, A., 442 Huysmans, J.-K., 390 Iacopini, B., 392, 438 Iacopone da Todi, 175 Ibàñez, P., 261 Ieroteo, 122 Ignazio di Loyola, 226, 253-256, 259, 261, 404, 407, 408 Ildegarda di Bingen, 389 Ilduino, abate, 122 Imhof, P., 407 Imitazione di Cristo, 218-220, 224, 402, 414, 422, 423, 424 Innocenzo I, papa, 377 Innocenzo XI, papa, 277 Innocenzo XII, papa, 417 Ipazio di Costantinopoli, 126 Ippolito Romano, 105, 106, 113, 115, 355, 356, 373 Ireneo di Lione, 373 Isacco di Ninive, 398 Ivànka, E. von, 144, 364, 378, 379, 381, 383, 384, 385, 386, 388, 445 Jacquin, M., 375 James, W., 442 Jeremias, J., 369 Jonas, A., 431 Jung, C.G., 252, 330, 426, 433, 438 Jurieu, P., 301

Indice dei nomi

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Kalckbrenner, G., 404 Kampers, F., 370 Kant, I., 251, 304, 309, 419, 424, 429 Kastil, A., 432 Kaufmann, W., 428 Kempe, M., 223, 224 Kempf, N., 163 Kierkegaard, P., 426 Kierkegaard, S.A., 304, 425, 426, 430 Kirchberger, C., 391 Knowles, D., 403 Kobusch, T., 349, 427 Köler, C., 244 Kowalska, M.F., 390 Krämer, H., 361 Kraus, K., 436 Krishna, 76 Krüdener B.J. von, baronessa, 308 Kuhlmann, J., 399 Kuntzschmann, C., 241 Labadie, J. de, 422 Laberge, J., 408 Lacan, J., 249, 252, 406 La Chaise, F. de, 281 La Colombière, C. de, 256 La Combe, F., 282, 283, 415, 416 Lacombe, O., 445 Lallemant, L., 257 Lamennais, H.-F.-R. de, 308 Lanata, G., 366 Landolfo di Sassonia, 404 Laplace, P.-S. de, 424 La Reguera, M.-I. de, 182 La Rochefoucauld, F. de, 273, 285, 326, 417, 431 Lasson, G., 425 Lattanzio, 373 Law, W., 305, 424 Lazzaro, 370 Le Saux, H., 351, 439, 444 Lead (o Leade), J., 301, 421 Lead (o Leade), W., 421 Lehmann, P., 383

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Indice dei nomi

Leibniz, G.W., 85, 251, 252, 306, 311, 365, 366, 424 Lendinez, C., 414 Leonardi, C., 390, 445 Leone X, papa, 236 Leone XIII, papa, 271, 411 Leoni, A.M., 281 Leoni, S., 281 Leonida, padre di Origene, 113 Lessing, G.E., 309, 428 Leuba, J.H., 408, 442 Leucippo, 356 Levasti, A., 445 Libero Spirito, 13, 95, 177, 178, 183, 184, 186, 188, 196, 208, 225, 284, 317, 390, 392, 397, 407 Liduina di Schiedam, 403 Libretto della vita perfetta (vedi anche Teologia tedesca), 214, 215, 372, 401 Libro della sequela di Cristo, 240 Loer van Straten, D., 404 Loewenthal, E., 350 Logau, F. von, 244 Lomazzi Bellinzaga, I., vedi Bellinzaga, I. Lopez, D., 433 Lucien-Marie de Saint-Joseph, 409 Lucrezio, 291 Ludovico il Pio, imperatore, 122 Luigi XIV, re di Francia, 281 Luigi XV, re di Francia, 300 Luis de Granada, 407 Luis de La Palma, 257 Luis de La Puente, 257 Luis de Leòn, 263 Lücker, M.A., 403 Lupo, T., 402 Lutero, M., 134, 148, 214, 215, 236, 322, 401, 405, 418 Mabillon, J., 385 Macario l’Egiziano, 204, 376 Macario Notaras, 399 Macrina, sorella di Gregorio di Nissa, 118

Macrobio, 355 Maintenon, F. d’Aubigné (Madame Maintenon), 416, 417 Malaval, F., 281, 415, 417 Malcolm, N., 435 Malebranche, N., 365 Manzoni, A., 387 Marabotto, C., 392 Maréchal, J., 252, 442 Margarita evangelica (vedi anche Perla evangelica, La), 246, 404 Margherita da Cortona, 389 Maria dell’Incarnazione, vedi Acarie Avrillot, 8. Maria Francesca delle Cinque Piaghe, 389 Marino, discepolo di Proclo, 82, 367 Maritain, J., 410, 442 Martin, T., vedi Teresa di Lisieux Martin, T.H., 409 Martinengo, M.M., 389 Martino I, papa, 374 Marx, K., 439 Marziale, M.V., 247 Massignon, L., 348 Massimo il Confessore, 106, 108, 109, 110, 111, 116, 118, 126, 374 Matilde di Hackeborn, 390 Matilde di Magdeburgo, 390 Mauthner, F., 252, 433 Mc Ginn, B., 441, 443, 444 Mc Ginn, P., 444 Meditationes vitae Christi, 389 Melania l’Anziana, 376 Melantone, F., 238 Melchiorre, V., 360, 445 Melisso, 59 Mercuriano, E., 274 Merswin, R., 225 Metodio da Filippi, 106, 107, 117 Metodio di Olimpo, 373 Meyendorff, J., 399 Michelangelo, vedi Buonarroti, M. Michele, imperatore, 122 Micheletti, M., 434

Mieth, D., 394 Minosse, 79 Mocenigo, G., 418 Molinos, M. de, 214, 260, 277-282, 286, 289, 303, 413, 414, 415, 417, 422 Monchanin, J., 351, 439 Monica, madre di Agostino di Ippona, 127 Montenay, G. de, 246 Moravia, S., 366 More, G., 402 Morel, G., 409 Mörike, E., 307 Mosè, 80, 93, 120, 136, 137, 220, 368, 382 Moser, S., 436, 438 Moulin, J. du, vedi Giovanni di SaintSamson Nāgārjuna, 28 Narciso, 74 Nardini, C., 385 Nayler, J., 422 Nazianzeno, vedi Gregorio di Nazianzo Nestroy, J.N., 436 Newman, J.H., 425 Newton, I., 243 Niccolò V, papa, 227 Niceforo Atonita, 205 Niceforo Gregoras, 205 Nicodemo, 370 Nicodemo Atonita, 399 Nicole, P., 417 Nicoletti, M., 431 Nicomaco, padre di Aristotele, 362 Nietzsche, F.W., 17, 23, 29, 43, 93, 94, 148, 289, 309, 315, 325, 326-330, 336, 338, 350, 356, 368, 369, 379, 380, 384, 408, 419, 420, 430, 431, 432, 433, 433, 439 Nilo di Tessalonica, 399 Nimrod von Württemberg, S., 245 Nisseno, vedi Gregorio da Nissa

Indice dei nomi

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Noja, V., 444 Novalis, F. von Hardenberg, 307 Nube della non-conoscenza (La), 220, 221, 222, 223, 402 Numenio di Apamea, 368 Nuovo secolo (Il), 393 Oberti, E., 347 Occhipinti, G., 400 Ockham, vedi Guglielmo di Ockham Odisseo, 353, 365 Oetinger, F.C., 243, 306-307, 308, 313, 406, 424, 425 Ohashi, R., 431 Ohly, F., 373 Omero, 38, 43, 365, 379 Onorio di Autun, 375 Opitz, M., 244 Oracoli caldaici, 367, 379 Orazio, 159, 368 Orcibal, J., 409 Origene, 106, 107, 109, 111, 112, 113117, 118, 121, 138, 147-148, 154, 364, 373, 374, 375, 376, 377, 378, 384 Orsini, G., 227 Osculati, R., 423 Osiride, 36 Otto, R., 351, 439 Overbeck, F., 369 Owen, J., 246 Padri del deserto, 116, 203, 375, 376, 377 Palamas, G., 204, 205, 206, 207, 399 Panikkar, R., 442 Paolo, apostolo, 10, 19, 21, 24, 93-97, 100, 104, 105, 113, 116, 122, 131, 136, 137, 153, 154, 156, 176, 177, 206, 228, 248, 302, 312, 329, 347, 353, 369, 370, 378, 380, 382, 387, 393, 406, 420, 432 Paolo della Croce (P. Danei), 213, 398 Paparozzi, M., 347, 350, 378, 398, 443 Paracelso, 241, 243, 405

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Indice dei nomi

Parentucelli, T., vedi Niccolò V, papa Pareyson, L., 426 Parmenide di Elea, 56, 59, 69, 70, 291, 356, 418 Parrinder, G., 351 Pascal, B., 290, 345, 417, 439 Pasqually, M. de, 307, 425 Pasqualotto, G., 252, 356, 420, 430, 431 Patai, R., 368 Pazzi, M.M. de’, 270, 271, 278, 390, 401, 411 Péguy, C., 411 Pelagio, monaco, 380 Pelagio, papa, 376 Pellé-Douèl, Y., 409 Penia, 52 Penn, W., 302 Penzo, G., 431, 432 Pepe, G., 383 Pépin, J., 387 Perla evangelica (La), 404, 413, 414 Petrarca, F., 205 Petrucci, P.M., cardinale, 260, 281, 389, 414, 422 Philipon, M.M., 412 Piccolomini, E.S., vedi Pio II, papa Pico della Mirandola, G., 85, 236, 289 Pierozzi, A., 182 Pietro, apostolo, 228 Pietro Abelardo, 385 Pietro di Alcàntara, 262, 389 Pietro Lombardo, 185, 385 Pietsch, R., 405 Pio II, papa, 227, 228 Pio IX, papa, 413 Pio da Pietrelcina, 389 Pirrone, 127 Placcius, V., 425 Places, E. des, 366, 367 Placilla, imperatrice, 118 Platone, 9, 35, 44, 51-63, 65, 69, 70, 72, 79, 82, 83, 91, 92, 102, 114, 115, 119, 124, 132, 144, 158, 163, 215,

236, 247, 294, 323, 325, 332, 338, 339, 347, 350, 353, 355, 356, 357, 358, 359, 360, 361, 362, 364, 367, 368, 370, 373, 382, 396, 436 Plauto, 227 Plotino, 24, 27, 35, 69-79, 80, 81, 82, 85, 92, 107, 113, 119, 128, 129, 132, 153, 155, 236, 290, 291, 292, 309, 323, 325, 351, 361, 364, 365, 366, 367, 374, 380, 386, 396, 418, 430, 444 Plutarco, 355, 384 Pohlenz, M., 364 Poiret, P., 301, 421, 422 Pomerio, G., 137 Pomerius, H. (H. Utenbogaerde), 394 Pomponazzi, P., 64 Porete, M., 13, 15, 23, 145, 168-173, 176, 177, 182, 183, 190, 222, 239, 270, 274, 278, 280, 283, 311, 325, 338, 348, 349, 352, 384, 391, 392, 406, 414, 425, 431, 440 Porfirio, 37, 69, 75, 79, 79-81, 113, 128, 309, 353, 359, 364, 365, 366, 367, 380 Porion, J.B., 391 Poros, 52 Portage, J., 421 Posidonio, 378, 384 Possevino, A., 413 Possidio, 128 Poulain, A.E, 442 Pozzi, G., 387, 390, 411, 445 Proclo, 82-85, 122, 123, 234, 236, 239, 367, 379 Procopio da Gaza, 373 Prospero di Aquitania, 382 Psello, M., 352 Pseudo-Dionigi, vedi Dionigi Areopagita Pseudo-Macario, 204 Pulcheria, 118 Quiroga, F. de, vedi Giuseppe di Gesù Maria

Racconti di un pellegrino russo, 207, 399 Radewijns, F., 224 Raffaello Sanzio, 63 Rahner, H., 104, 372, 373, 374, 375 Rahner, K., 409 Ramsay, A.M., 300 Ranchetti, M., 434 Reale, G., 360, 361, 367 Redi, A.M., vedi Teresa Margherita del Cuore di Gesù Redi, F., 271 Reimarus, H.S., 309 Riccardo di San Vittore, 112, 123, 149-150, 157, 161, 162, 219, 221, 375, 385, 393 Richter, G., 241, 242 Rigo, A., 399 Rilke, R.M., 341 Ritschl, A., 423 Roché, D., 436 Rodolfo di Biberach, 393 Rohde, E., 35, 352 Rolle, R., 220, 221, 403 Romano, papa, 376 Ronchetti, C., 412 Rosenthal, D.A., 252 Rosmini, A., 425 Rostock, S. von, 246 Roth, J., 411 Rufino, 117, 373, 376, 377 Ruh, K., 382, 395, 441, 443 Ruhbach, G., 377, 444 Russell, B., 433, 435 Ruusbroec, J., 179, 183-187, 224, 225, 265, 274, 283, 393, 394, 403, 412, 413 Saint-Martin, L.-C. de, 307, 308 Salignac de La Mothe, F. de, vedi Fénelon Salmona, B., 378 Salomone, 115, 116 Sandaeus, M., vedi Van der Sandt, M. Sankara, 351, 439 Santinello, G., 404

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Saudreau, A., 442 Savignano, A., 442 Savonarola, G., 389 Sbaffoni, F., 445 Scaramelli, G.B., 260 Scazzoso, P., 379 Scharschmied, A.K., 251 Scheffler, J., vedi Silesius, J.A. Scheffler, S., 244 Scheler, M., 372 Schelling, F.W.J., 10, 43, 243, 252, 291, 306, 307, 308, 313-314, 406, 425, 426 Schiller, J.C.E, 307 Schlegel, F. von, 252, 308 Schleiermacher, F.D.E., 251, 304 Schmidt, M., 441 Scholem, G., 350 Schopenhauer, A., 215, 218, 252, 320326, 330, 332, 406, 429, 430, 431, 432, 434 Schürmann, R., 406 Schwenckfeld, K., 239, 241, 247, 303 Scoto Eriugena, G., 109, 110, 111, 112, 116, 123, 231, 296, 374, 375, 420 Scupoli, L., 414 Segneri, P., 280, 414 Seneca, 384 Senocrate, 360 Senofane, 112, 353 Serafino di Sarov, 207, 399 Sesto Empirico, 46, 128, 355 Severino, E., 437, 438 Sfameni Gasparro, G., 348, 352, 353 Siddhesvarananda, Svami, 409 Sigismondo d’Austria, duca, 227, 404 Silesius, J.A., 15, 17, 25, 157, 218, 243-252, 256, 284, 298, 310, 311, 313, 323, 332, 348, 354, 381, 384, 391, 402, 404, 405, 406, 407 Simeone di Mesopotamia, 204 Simeone il Nuovo Teologo, 205, 398 Simonini, L., 353 Simplicio, 360 Sinesio, 352

458

Indice dei nomi

Socrate, 51, 55, 67, 118, 358 Solignac, A., 347 Solov’ëv, V.S., 314 Sourdon, F. Madame de, 412 Spener, P.J., 251, 303, 304, 422, 423 Speusippo, 360 Speyr, A. von, 425 Spidlik, T., 351, 399 Spier, J., 341, 438 Spindler, G., 424 Spinoza, B., 18, 235, 238, 244, 291, 292, 293, 294-298, 314, 317, 318, 341, 354, 356, 384, 419, 420, 421, 426, 429, 430, 432 Sprenger, M., 232 Stein, E., 272, 410, 412 Stimolo d’amore verso la passione di Cristo, 393 Stokes, M.C., 360 Stolz, A., 350, 409, 442 Strindberg, J.A., 424 Sudbrack, J., 377, 444 Sudermann, D., 405 Surin, J.J., 182, 257 Surius (o Surio), L. (L. Sauer), 184, 210, 404 Suso, E. (H. Seuse), 11, 168, 207-210, 215, 230, 283, 316, 390, 393, 400, 404 Susone, E., vedi Suso, E. Suzuki, D.T., 396 Swedenborg, E., 305-306, 307, 406, 424 Tacito, 368 Takeuchi, Y., 430 Talete, 354, 398 Taulero, G. (J. Tauler), 85, 181, 207, 210, 211, 212, 213, 214, 215, 225, 235, 239, 240, 244, 247, 252, 255, 265, 267, 270, 274, 278, 282, 283, 310, 313, 323, 367, 384, 400, 401, 402, 403, 404, 405, 407, 409, 423 Taxil, L., 411 Teilhard de Chardin, P., 258, 259, 408

Tempio della nostra anima (Il), 404 Teodorico di Chartres, 231 Teodorico di Freiberg, 307, 401 Teodosio, imperatore, 118 Teofane il Recluso, 399 Teofilo, patriarca di Alessandria, 376 Teofilo, patriarca di Antiochia, 377 Teologia tedesca, 214, 235, 240, 247, 252, 310, 313, 323, 324, 401, 423 (vedi anche Anonimo Francofortese) Teresa Benedetta della Croce, vedi Stein, E. Teresa d’Avila, 27, 116, 166, 256, 261265, 273, 276, 283, 376, 389, 409, 410, 412, 414 Teresa di Calcutta (Madre Teresa), 343, 439 Teresa di Gesù Bambino, vedi Teresa di Lisieux Teresa di Lisieux, 271, 272, 411, 409 Teresa Margherita del Cuore di Gesù, (A.M. Redi), 271 Tersteegen, G., 251, 301, 404, 422 Thamus, re, 360 Théry, G., 388, 398 Theuth, dio egizio, 359 Thiele, J., 389 Thier, L., 390 Thomas, N., 241 Tilliette, X., 426 Timeo di Locri, 62 Tognetti, L., 407 Tolomeo Il Filadelfo, re, 89 Tomatis, F., 426 Tommaseo, N., 387 Tommaso, apostolo, 369 Tommaso d’Aquino, 64, 123, 137, 185, 193, 212, 349, 354, 361, 367, 375, 418 Tommaso da Celano, 388 Tommaso da Kempis, 218, 224, 438 Tommaso di Gesù, 268 Tommaso Gallo (T. Gallus), 127, 160, 161, 162, 219, 221, 385 Tommaso Moro, 402

Indice dei nomi

Toscanelli, P. dal Pozzo, 226 Trakl, G., 332 Traversari, A., 227, 233 Trinchero, M., 435 Trouillard, J., 365 Tschesch, J.T. von, 246 Tuinzing, M., 438 Ubertino da Casale, 168, 388 Übinger, J., 404 Ueda, S., 396, 431 Ugo di Balma, 162, 163, 179, 180, 393 Ugo di San Vittore, 112, 123, 149, 150, 219, 221, 384, 385, 393 Urbano VI, papa, 403 Urbano VIII, papa, 412 Utenbogaerde, H., vedi Pomerius, H. Valadier, P., 432 Valdés, J. de, 407 Valla, L., 123, 228 Valle, L., 386 Van der Sandt, M., 182, 256 Van Helmont, J.B., 307, 424 Van Leeuwen, J., 403 Vannini, M., 348, 349, 350, 351, 363, 367, 372, 376, 380, 384, 389, 394, 395, 396, 397, 400, 405, 406, 407, 416, 417, 425, 428, 439, 443, 444, 445 Van Oerle, H., 403 Van Wefele, G., 403 Velickovskij, P., 399 Verdeyen, F., 394 Vernazza, E., 392 Vesalio, A., 245 Vincenzo di Aggsbach, 182, 232 Virgilio, 179 Vittorino da Feltre, 226 Völker, W., 379 Volpi, F., 433 Voltaire (F.-M. Arouet), 410

352, 385, 401, 427,

459

Walter, B., 242 Ward, J., vedi Lead, J. Weber, M., 331 Wéber, E.H., 401 Wehr, G., 406, 432, 433 Weigel, V., 239-240, 241, 247, 303, 405 Weil, A., 436 Weil, S., 13, 27, 37, 41, 43, 44, 49, 129, 331, 335, 336, 337, 338, 339, 344, 345, 353, 354, 355, 357, 358, 361, 384, 391, 417, 435, 436, 437, 439, 440 Welte, B., 432 Wenck von Herrenberg, J., 230, 231 Wesley, C., 305, 423, 424 Wesley, J., 305, 423, 424 Westerink, L.G., 367 Wetlesen, J., 420, 421 Willermoz, J.-B., 425 Winch, P., 440 Wittgenstein, L., 23, 30, 261, 331, 332, 333, 334, 335, 336, 345, 360, 431, 433, 434, 435, 436 Wolff, C., 306 Wrede, W., 369 Xella, P., 368 Ximénez de Cisneros, F., 226 Yeats, W.B., 424 Zabarella, J., 64 Zaccaria, A.M., 415 Zambruno, E., 402 Zenone di Elea, 59 Zerbolt van Zutpen, G., 403 Zeus, 43, 44, 47, 79, 355, 361 Zinzendorf, N.L. conte di, 304, 305, 306, 423 Zolla, E., 403, 444 Zovatto, P., 417 Zucal, S., 432

SAGGI

Ultimi titoli pubblicati 92. Lorella Cedroni, Menzogna e potere nella filosofia politica occidentale. 93. Silvia Albertazzi, Il nulla, quasi. Foto di famiglia e istantanee amatoriali nella letteratura contemporanea. 94. Ilaria Splendorini, Menzogna e sortilegio di Elsa Morante: una scrittura delle origini. 95. Francesco Gurrieri - Adolfo Natalini - Franco Purini, L’architettura invincibile. 96. Guarire le parole. L’ebraismo europeo tra filosofia e letteratura. A cura di Paola Ricci Sindoni. 97. Italia immaginaria. Letteratura, arte e musica tedesca tra Otto e Novecento. A cura di Petra Brunnhuber. Musica e musicologia a cura di Mario Ruffini. 98. Cristiana Lardo, I mostri dell’Orlando Furioso, specchi della natura umana. 99. Marco Vannini, La mistica delle grandi religioni. 100. Amelia Valtolina, Parole con figura. Avventure dell’immagine da Friedrich Nietzsche a Durs Grünbein. 101. Anna Dolfi, Gli oggetti e il tempo della saudade. Le storie inafferrabili di Antonio Tabucchi. 102. Enzo Golino, Madame Storia e Lady Scrittura. Saggi Cronache Interviste. 103. Paolo Lombardi, Un altro seicento. Vampiri, mummie, follia e profezia nel secolo della Rivoluzione scientifica. 104. Elio Vittorini. Il sogno di una nuova letteratura. A cura di Lisa Gasparotto. 105. Simonetta Chiappini, «O Patria mia». Passione e identità nazionale nel melodramma italiano dell’Ottocento. Nota iconografica di Andrea Muzzi. 106. Hervé A. Cavallera, Elémire Zolla. La luce delle idee. 107. Marco Vannini, Dialettica della fede. Nuova edizione ampliata. 108. Serge Safran, L’amore goloso. Libertinaggio gastronomico nel XVIII secolo. Traduzione di Angelo Mainardi. 109. Giovanni Capecchi, Voci dal “nido” infranto. Studi e documenti pascoliani. 110. Elisabetta Marino, Mary Shelley e l’Italia. Il viaggio, il Risorgimento, la questione femminile. 111. Aniello Montano, Spinoza e i filosofi. 112. Costruire uno Stato. Scritti di Tomáš G. Masaryk sull’identità nazionale ceca e la creazione della Cecoslovacchia. A cura di Pasquale Fornaro.

113. Giuseppe Betori, Parole e segni per dire la fede nel tempo. Prefazione del card. Gianfranco Ravasi. 114. La macchina nel tempo. Studi di informatica umanistica in onore di Tito Orlandi. A cura di Lorenzo Perilli e Domenico Fiormonte. 115. Paola Russo, Multinazionali farmaceutiche e diritti umani. Argomenti di filosofia politica. 116. Tradurre la letteratura. Studi in onore di Ruggero Campagnoli. A cura di Graziano Benelli e Manuela Raccanello. 117. Elena Agazzi, W.G. Sebald: in difesa dell’uomo. 118. Lionello Sozzi, Perché amo la musica. Ricordi, riflessioni, emozioni. 119. Luigi Chiara, La modernizzazione senza sviluppo. Messina a cento anni dal terremoto (1908-2008). Postfazione di Rosario Battaglia. 120. Roberto Celada Ballanti, Filosofia e religione. Studi su Karl Jaspers. 121. Cesare Mazzonis, Ragnatele sul nulla. 122. Paola Ricci Sindoni, Viaggi intorno al nome. Percorsi e figure dell’ebraismo contemporaneo. 123. Cecilia Bello Minciacchi, Scrittrici della prima avanguardia. Concezioni, caratteri e testimonianze del femminile nel futurismo. 124. Prisma Sudafrica. La nazione arcobaleno a vent’anni dalla liberazione (1990-2010). A cura di Lidia De Michelis, Claudia Gualtieri, Roberto Pedretti, Itala Vivan. 125. Paola Culicelli, La coscienza di Berto. 126. Guglielmo Barucci, “Simile a quel che talvolta si sogna”. I sogni del Purgatorio dantesco. 127. Fabio Pierangeli, Sergio Campailla. La rivelazione e la truffa. Con un saggio biografico di Paola Culicelli. 128. L’unità d’Italia e le città. Il messaggio di Giorgio La Pira. A cura di Piero Meucci e Anna Letizia Marchitelli. 129. Marco Vannini, Lessico mistico. Le parole della saggezza. 130. Carlo Flamigni. Medicina, impegno civile, bioetica, letteratura. A cura di Maurizio Mori e con la collaborazione di Marina Mengarelli Flamigni. 131. Angela Bianchini, Amare è scrivere.Tre scrittrici spagnole: Mercè Rodoreda, Carmen Laforet, Carmen Martín Gaite 132. Paolo Lombardi, Un segreto ricomporsi. Albert Speer, dalla memoria individuale alla Storia. 133. Sabine Moser, Il “Credo” di Simon Weil. 134. Paolo Zublena, La lingua-pelle di Tommaso Landolfi.

135. Esperienza religiosa e passione civile in Luciano Martini (1942-2007). Studi e testimonianze. A cura di Teresa Bigazzi Martini e Aldo Bondi. 136. Giovanna Rasario, Giorgio de Chirico. Un filo di Arianna. Prefazione di Leandra D’Antone. 137. Giovanna Costanzo, Alla ricerca dello spazio vissuto. Percorsi ricœriani fra aporie, itineranza e narrazione. 138. Marco Vannini, Introduzione a Eckhart. Profilo e testi. 139. Riccardo Donati, Nella palpebra interna. Percorsi novecenteschi tra poesia e arti della visione. 140. Vincenzo Pirro, Dopo Gentile. Dove va la scuola italiana. A cura di Hervé Cavallera. 141. Marco Menicacci, Mario Luzi e la poesia tedesca. Novalis, Hölderlin, Rilke. 142. In forma di saggi. Studi di francesistica in onore di Graziano Benelli. A cura di Manuela Raccanello. 143. Studi in onore di Enrico Ghidetti. A cura di Anna Nozzoli e Roberta Turchi. 144. Zeffiro Ciuffoletti, La città capitale. Firenze, prima, durante e dopo. 145. Paolo Lombardi - Gianluca Nesi, Cercarsi nel buio. Costruzione dell’identità e creazione del passato in cinque storie di nazisti. 146. Marco Marchi, Federigo Tozzi. Ipotesi e documenti. 147. Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. 148. Vincenzo Bugliani, Da Lotta Continua a Scienza &Vita. A cura di Ivanna Rosi. 149. Alessio Ricci, «Le dolci rime d’amor ch’i’ solia». Su alcuni imperfetti in prosa e in versi. 150. Sante Pagano, Il gergo militare in Italia. Le parole dei soldati dalla prima guerra mondiale ad oggi. 151. Giovanni Capecchi, Le ombre della patria. Capitoli ottocenteschi da Foscolo a Carducci. 152. Luigi Lombardi Vallauri, Meditare in Occidente. Corso di mistica laica. 153. Liliana Dell’Osso, Riccardo Dalle Luche, L’altra Marilyn. Psichiatria e psicoanalisi di un cold case. 154. Farinelli, Bontempellismo o plurimo? 155. G. Lonardi, L’Achille dei «Canti». Leopardi, «L’infinito», il poema del ritorno a casa.

Finito di stampare nel mese di febbraio 2018 per conto di Editoriale Le Lettere da Print on Web srl via Napoli, 85 - 03036 Isola del Liri (FR)