Storia della matematica. Dall’Antichità al Rinascimento [Vol. 1]

Table of contents :
Storia della matematica vol. I......Page 1
Colophon......Page 4
Indice......Page 7
Prefazione......Page 9
Introduzione. Prime forme di aritmetica e di geometria......Page 11
1. Le matematiche pre-elleniche......Page 17
2. La prima fase della matematica greca......Page 35
3. Euclide......Page 73
4. Archimede e Apollonio......Page 101
5. Verso il tramonto della matematica antica......Page 123
6. La matematica nelle grandi civiltà extraeuropee......Page 139
7. La matematica araba......Page 159
8. La diffusione della matematica araba in Europa......Page 169
9. La matematica rinascimentale......Page 199
Bibliografia generale del primo volume......Page 237

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COMPLEMENTI DI MATEMATICA PER L'INDIRIZZO DIDATTICO



Volume 1

Giorgio Tomaso Bagni

Storia della

Matematica Volume I

Dall'Antichità al Rinascimento

ru

Pitagora Editrice Bologna

Collana: COMPLEMENTI DI MATEMATICA PER L'INDIRIZZO DIDATIICO Diretta da: BRUNO D'AMORE e PIERO PLAZZI Volume l

ISBN 88-371-0833-8

©Copyright 1996 by Pitagora Editrice S.r.l .. Via del Legatore 3. Bologna. ltaly. Tutti i diritti sono riservati. nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta. memorizzata o trasmessa per mezzo elettronico. elettrostatico. fotocopia. ciclostile. senza il permesso dell'Editore. stampa: Tecnoprint S.n.c .. Via del Legatore 3. Bologna Codice: 31/87

sia stato matematico nello stesso mio senso, è dunque "La sola difesa della mia vita, allora, o di chiunque

questa: ho aggiunto qualcosa al sapere, ed ho aiutato

altri ad aumentarlo ancora: il valore dei miei contributi si differenzia soltanto

in grado, e non in natura, dalle

creazioni dei grandi matematici, o di tutti gli altri artisti, grandi e piccoli, che hanno lasciato qualche traccia dietro di loro". Godfrey H. Hardy

Giorgio Tomaso Bagni

STORIA DELLE MATEMATICHE Volume primo Dall'Antichità al Rinascimento

Indice

Prefazione

O.

Introduzione. Primeforme di aritmetica e di geometria

l.

Le matematiche pre-elleniche

2.

La primafase della matematica greca

3.

Euclide

4.

Archimede e Apollonio

5.

Verso il tramonto della matematica antica

6.

La matematica nelle grandi civiltà orientali

7.

La matematica araba

8.

La diffusione della matematica araba in Europa

9.

La matematica rinascimentale Bibliografia generale del primo volume

p.

p. p.

VII l 7

p. 25 p. 63 p. 9 1

p. 1 1 3 p. 1 29

p. 149

p. 1 59 p. 1 89

p. 227

Prefazione matica, con particolare riferimento alle applicazioni didattiche. Ogni capitolo è

Questo libro propone una presentazione cronologica della storia della mate­

guardanti il contenuto del capitolo, che il lettore è invitato a commentare.

stato corredato da alcuni "terni di matematica", ovvero da alcune citazioni ri­

Molto rilevanti sono i miei debiti di riconoscenza nei confronti di alcuni

studiosi e di colleghi. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato con suggeri­ menti, consigli, indicazioni; in particolare desidero ricordare con sincera, pro­ fonda gratitudine i Professori Bruno D'Amore e Piero Piazzi dell'Università di Bologna: certamente, senza il loro costante e generoso aiuto questo libro non sarebbe stato scritto. Desidero inoltre ringraziare mia moglie Luisa e le nostre piccole, stupende Chiara ed Elena, che hanno donato gioia e serenità anche alle giornate più fati­ cose ed intense.

Giorgio T. Bagni ***

Introduzione Prime forme di aritmetica e di geometria da seguire è quella di

"Per prevedere il futuro della matematica, la via

studiarne la

storia e lo stato attuale".

Henri Poincaré

Quando nasce la matematica?

La determinazione di una "data di nascita" per la matematica è impresa assai delicata, così come difficile è collocare cronologicamente gli esordi di ogni for­ ma di umano pensiero, di riflessione razionale, di espressione. Per tentare una simìle collocazione, inoltre, è indispensabile definire con chiarezza gli àmbiti entro i quali possiamo individuare la "matematica" vera e propria. Che cosa intendiamo, infatti, con il termine "matematica"? Ogni forma, anche rudimentale, elementare, di valutazione quantitativa (di considerazione di mol­ teplicità costituite da singoli oggetti, di confronto e di calcolo di lunghezze, di superfici, di volumì)? Oppure una qualche forma di ragionamento, un qualsiasi esempio anche di elementare, di primìtiva deduzione logica? Oppure un ben più evoluto passaggio all'astrazione, all'elaborazione consapevole e sistematica di definizioni, alla coerente ricerca di procedimenti, alla dimostrazione di regole, di formule, di teoremì? La matematica "come disciplina organizzata e indipendente non esisteva prima dell'entrata in scena dei Greci del periodo classico, compreso fra il 600 ed il 300 a.C.", scrive M. Kline [Kline, I, 199 1, p. 7]. E non possiamo certamente dargli torto, se consideriamo il significato più elevato ed impegnativo del termine "matematica", come impianto teorico formalizzato ed autonomo: dob­ biamo però analizzare anche molte importanti forme di matematica pre-ellenica che, sebbene in chiave formalmente più debole e contenutisticamente ancora le­ gata ad esigenze pratiche, esprimono la netta tensione dell'uomo verso una più esatta e consapevole comprensione della realtà. Nella "Cronologia della matematica", riportata da C.B. Boyer in appendice alla sua opera più fortunata, Storia della matematica, la prima data riportata è il 50 000 a.C., riferita all'uomo di Neanderthal: la traccia di un primo, elementare conteggio comparve nella lunga ed affascinante avventura dell'Uomo fin dai tempi più remoti [Boyer, 1982]. Così G. Loria descrive le prime manifestazioni umane riconducibili alla matematica:

2

"Le transazioni commerciali fra individui e fra popoli differenti, conseguenze inevitabili dell'umano consorzio, e, d'altro lato, l'aspirazione di sottoporre a mi­ sura l'universo dei fenomeni di cui il mondo è teatro e il genere umano spet­ tatore, nella segreta speranza di determinarne il meccanismo e scoprime le forze motrici, condussero, con un irresistibile imperativo categorico, l'uomo, non appena uscito dallo stato di barbarie, a foggiarsi tanto un'embrionale geometria quanto un'infantile aritmetica. Perciò è lecito affermare, senza tema di essere tacciati di esagerazione, che la storia delle matematiche comincia con la storia della civiltà" [Loria, 1 929- 1 933, p. 1 ] . L a matematica accompagna dunque l'Uomo da millenni, quindi l o guida e lo stimola lungo tutto il corso della sua storia in un'entusiasmante, progressiva costruzione del grande edificio del pensiero astratto. Come sopra accennato, in­ fatti, il "fare matematica" si svincolò, lentamente ma radicalmente, dalle quoti­ diane necessità pratiche del contare, del misurare, del calcolare, per divenire un inedito ed assai più impegnativo "pensare matematica". Non avremo più, con la grande geometria greca, l'esame e l'analisi di "una" singola situazione, in uno studio finalizzato alla particolare descrizione quantitativa di essa; bensì giun­ geremo all'esame ed all'analisi del complesso di "tutte" le situazioni analoghe ad una data (oppure immaginata), verso la comprensione e la descrizione delle ca­ ratteristiche che accomunano esempi, figure, casi anche quantitativamente assai diversi, ma logicamente equivalenti. Con l'irrefrenabile tensione verso l'astratto, inedita caratteristica del mondo filosofico-matematico ellenico, possiamo quindi affermare che la matematica da semplice strumento diventerà fine autonomo e primario, disciplina indipendente del pensiero umano. L'attività dei matematici attraverserà tutta la storia del pen­ siero umano, in tutti i continenti, in tutte le regioni : l'uomo sarà, nella sua forma più alta di espressione, pensiero; il pensiero diventerà subito astrazione. E l'a­ strazione, matematica. Storia e preistoria della matematica

Come avvennero le prime forme di conteggio? Gli storici e gli antropologi hanno avanzato molte ipotesi : probabilmente una prima concezione numerica è "in base 2" (troviamo conferma di ciò nell'esame della lingua tuttora in uso presso alcune tribù) [D'Amore-Matteuzzi, 1 976] . Senza dubbio la ricerca antro­ pologica deve essere considerata una preziosissima fonte di informazioni per lo storico della matematica: D.J. Struik osserva che negli antichi linguaggi "già co­ minciavano ad apparire semplici termini numerici e termini per alcune relazioni tra forme. Molte tribù australiane, americane e africane erano a questo stadio di sviluppo al momento del loro primo contatto con l'uomo bianco; alcune tribù

3

vivono ancora in queste condizioni, cosicché è possibile studiame costumi, abitudini e forme di espressione" [Struik, 1 98 1 , p. 22] . Struik riporta in proposito alcuni esempi tratti dalle lingue parlate da alcune tribù australiane: Murray River:

l = enea 2 = petcheval 3 = petcheval-enea 4 = petcheval-petcheval

(2+ 1 ) (2+2)

Una situazione analoga, sebbene leggermente più elaborata, è ravvisabile nel caso seguente: Kamilaroi:

l = mal 2 = bulan 3 = guliba 4 = bulan-bulan 5 = bulan-guliba 6 = guliba-guliba

(2+2) (2+3) (3+3)

B . D'Amore rileva un'analoga sistemazione dei numerali in uso presso la po­ polazione Wao dell'America latina (Amazonìa ecuatoriana), nella quale appare evidente il ruolo essenziale della base 5 [D'Amore, 1 992, p. 6] : Wao :

l = aruke 2 = mea 3 = meagoaruke 4 = meagomea 5 = emenpuke 6 = emenpukegoaruke 7 = emenpukegomea 8 = emenpukemeagoaruke 9 = emenpukemeagomea lO = tiepenpuke

(2+ 1 ) (2+2) (5+ 1 ) (5+2) (5+3 = 5+2+ 1 ) (5+4 = 5+2+2)

Attorno al 3 0 000 a.C. sono databili le lunghe ossa di lupo con tacche incise, rinvenute nel 1 93 7 in Cecoslovacchia da K. Absolom, nelle quali è chiaramente ravvisabile la traccia di un conteggio [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 1 ] . In esse sono riportate cinquantacinque tacche, suddivise a gruppi di cin­ que, e ciò sembra indicare che il 5 sia da considerare come base di un sistema primitivo di numerazione (Aristotele sarà il primo ad ipotizzare che proprio il numero delle dita di una mano fosse stato scelto come base per i primi sistemi di numerazione) [Picutti, 1 977, p. 7] . Notevole è inoltre la capacità rivelata dai no-

4 stri antichi progenitori di comprendere, di evidenziare e di sfruttare la corrispon­ denza biunivoca tra gli oggetti da contare e le tacche incise. Ricordiamo inoltre che intorno al 25 000 a.C. alla rudimentale aritmetica, fi­ nalizzata esclusivamente al conteggio, si affiancò una iniziale forma di geo­ metria: in quell'epoca comparvero infatti le incisioni di disegni geometrici pri­ mitivi. Le testimonianze fin qui citate, tuttavia, devono essere considerate nell'àmbi­ to della preistoria della matematica: mancano naturalmente le testimonianze scritte e gli stessi dati desunti sono ipotetici, quasi sempre tutt'altro che sicuri. Circa cinque millenni fa, finalmente, fecero la propria comparsa le prime forme di matematica sviluppata presso gli Egiziani e presso i Babilonesi. Intorno al 3 000 a.C. può essere datata la prima testimonianza matematica scritta conosciuta: sulla sommità dello scettro di Menes, rappresentante della prima dinastia dei Faraoni, troviamo registrate numericamente, con la scrittura a geroglifici, alcune prede di guerra. Gli Egiziani si mostrarono pienamente in gra­ do di rappresentare grandi quantità attraverso numeri: 400 000 buoi, l 422 000 capre e 1 20 000 prigionieri [Bunt-Jones-Bedient, 1 983 ] . Proprio in considerazione della prima presenza di una scrittura matematica, inizieremo il nostro viaggio attraverso la storia della matematica dall'esame dell'aritmetica e della geometria che fiorirono nella civiltà dell'antico Egitto; le potenzialità ed i risultati della matematica egiziana si collocarono infatti ben oltre il ricco bottino degli eserciti di Menes: alla matematica fiorita sulla rive del Nilo dedicheremo largo spazio nel prossimo capitolo.

Riferimenti bibliografici U. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della ma­ tematica, Sansoni, Firenze 1 992. C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. L.N.B. Bunt-P.S. Jones-J.D. Bedient, Le radici storiche delle matemati­ che elementari, Zanichelli, Bologna 1 983 . B. D'Amore, Numerali, numeri ed aritmetica nelle culture indigene centro e sudamericane, "Didattica delle scienze", n. 1 5 8, febbraio 1 992, pp. 5-8, La

Scuola, Brescia 1 992.

B. D'Amore-M. Matteuzzi,

1 976.

Gli interessi matematici, Marsilio, Venezia

Storia del pensiero matematico. l. Dali 'A ntichità al Settecento. Dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1 99 1 . G. Loria, Storia delle matematiche dali 'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 933 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa

Il.

M . Kline,

anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982).

5

E. Picutti, Sul numero e la sua storia, Feltrinelli, Milano 1 977. D.J. Struik, Matematica: un profilo storico, Il Mulino, Bologna 1 98 1 .

Temi di storia della matematica

0. 1 . «1 primi ragionamenti di carattere matematico avvennero, probabilmente, in quel lontano giorno . . . in cui alcuni bipedi scoprirono in se stessi il desiderio di evasione dalla propria insufficienza a poter tutto spiegare e tutto avere» (Bruno D'Amore-Maurizio Matteuzzi). 0.2. «Solo a poco a poco cominciarono ad essere usati termini numerici che esprimono, secondo Adam Smith, alcune delle "idee più astratte che la men­ te umana è capace di concepire" . La loro prima comparsa fu qualitativa piut­ tosto che quantitativa, come la distinzione solo tra uno, due e molti» (Dirk J. Struik).

0. 3 . «Prima di giungere alla matematica dei Babilonesi e degli Egiziani del 3 000 a. C. non c'è traccia di livelli matematici più avanzati. Poiché le popolazioni primitive crearono i primi insediamenti costruendo abitazioni e praticando l'agricoltura e l'allevamento del bestiame fin dal 1 0 000 a.C., ci si può rendere conto di quanto lenti furono i prinù passi mossi dalla matematica più elementare; inoltre, l'esistenza di un vasto numero di civiltà prive di matematica di cui si possa parlare mostra come questa scienza sia stata coltivata assai sporadica­ mente» (Morris Kline). 0.4. «l primati presentano una caratteristica anatomica particolarmente ido­ nea a spingere la loro mente a formare il concetto di numero. Nulla appare più stimolante verso tale via dell'avere a portata immediata dell'occhio, e in conti­ nuità, le dita della mano; anzi, l'evidente possibilità di esprimere un numero col semplice gesto di mostrare una quantità corrispondente di dita sembra suffi­ ciente a far concludere che tutto era già meccanicamente pronto durante la fase di ominazione nel Terziario per avviare l'uomo all'espressione del numero; mi­ lioni di anni durò poi la lunga attesa per poter realizzare tale espressione» (Et­ tore Picutti).

Capitolo l Le matematiche pre-elleniche "Le matematiche sono antiche, si può dire, come la civiltà: gli studi più recenti

degli storici intorno alla cultura degli Egiziani e dei Caldei hanno messo in

luce che quei popoli dovevano possedere

di due

già importanti conoscenze matematiche in un'epoca precedente forse

millenni gl'inizi della scienza greca". Federigo Enriques

1.1.

La matematica in Egitto

1.1.1.

L'aritmetica egiziana

I principali documenti dai quali possiamo apprendere le conoscenze matema­ tiche degli Egiziani sono i papiri; il più celebre di essi è il papiro Rhind (acqui­ stato dal British Museum, dove oggi si trova, da A.H. Rhind, il quale a sua volta lo aveva acquistato nel 1 858 a Luxor), risalente al 1 650 a.C., ma che probabil­ mente è una copia eseguita dallo scriba Ahmes di un precedente documento (databile intorno al 2000- 1 800 a.C.). Il papiro Rhind contiene 80 problemi risol­ ti, un ricco e vivace spaccato della matematica egiziana. Tra le altre fonti ma­ tematiche egiziane ricordiamo anche il papiro di Mosca, risalente al 1 800 a. C. , il papiro di Kahun, il papiro di Berlino ed il "rotolo di pelle" (importante per­ ché in esso è utilizzata la scrittura numerica ieratica). Alla matematica egiziana sembra essere collegata la comparsa delle prime cifre geroglifiche, tra il 3 3 00 a. C. e il 2850 a. C., contemporaneamente alle cifre sumere. Tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C. comparvero in Egitto le cifre ieratiche, una forma di scrittura numerica non geroglifica [Ifrah, 1 989] [D'Amore-Speran­ za, 1 992] . La più antica scrittura numerica egiziana era dunque geroglifica, additiva, in base dieci; non compariva alcun simbolo per lo zero. Esempi di numeri scritti secondo l'uso egiziano sono :

Il

Ili

2

3



(ì(ì

(ì(ì(ì

10

20

30

8 Esisteva in essa un segno per indicare ciascuna delle prime sette potenze di l O; pertanto, con le cifre geroglifiche egiziane era possibile rappresentare nu­ meri fino ad oltre il milione. L'esecuzione pratica delle operazioni aritmetiche nell'antico Egitto presenta alcune particolarità interessanti, che esamineremo nei prossimi paragrafi. 1 . 1 .2. La moltiplicazione ed il metodo del " raddoppio"

L'addizione egiziana era eseguita contando i simboli che formano i due ad­ dendi (che, come sopra osservato, erano scritti additivamente; si osservi che nel­ la scrittura egiziana dei numeri i geroglifici, all'interno di un numero, erano or­ dinati secondo valori crescenti):

l n ( I l ) addizionato a Iln ( 1 2) portava alla somma Ili nn (23) La sottrazione era eseguita per completamento, ovvero veniva calcolata la cifra mancante per giungere dal sottraendo al minuendo. La moltiplicazione egiziana era basata sull'interessante metodo detto del "raddoppio", che descriveremo con un esempio. Eseguiamo con tale procedimento la moltiplicazione 13 x 1 8 . Compiliamo una tabella di due colonne: il primo elemento della colonna a destra è il massimo tra i due fattori ( 1 8 ) ; nella colonna a sinistra, il primo ele­ mento è l. Le successive righe della tabella sono costituite dai doppi di ciascun elemento precedente, finché gli elementi della colonna a sinistra (potenze di 2) risultano non maggiori dell'altro fattore ( 1 3). l 2 4 8

18 36 72 1 44

A questo punto, evidenziamo nella colonna a sinistra le potenze di 2 la cui somma è il fattore 1 3 . Per fare ciò, consideriamo innanzitutto l'ultima potenza di 2 scritta (8); evidenziamo poi la precedente (4) se e solo se aggiungendo essa alle potenze già evidenziate non superiamo il fattore 1 3 (è 8+4 = 1 2 < 1 3 , dun­ que anche il 4 va evidenziato). Procediamo così fino ad aver evidenziato tutte e soltanto le potenze di 2 la cui somma è 1 3 . L a somma dei numeri che risultano collocati, nella colonna a destra, in corri­ spondenza delle potenze di 2 precedentemente evidenziate è il risultato della moltiplicazione 1 3 x 1 8.

9



• •

l 2 4 8

18 36 72 1 44

( 1 +4+8)

( 1 8+72+1 44)

13

234



• •

(risultato della moltiplicazione)

Giustifichiamo in notazione moderna il procedimento : 1 3 x l 8 = (2°+22+23)x 1 8

= 2°x l 8+22x l 8+23x l 8 = 1 8+72+ 1 44 = 234

Il metodo del "raddoppio" ora descritto consentiva di eseguire moltiplica­ zioni anche impegnative impiegando esclusivamente l'addizione e la moltiplica­ zione per 2 (il "raddoppio"). Metodi analoghi per eseguire la moltiplicazione vengono tuttora utilizzati da alcune popolazioni : un procedimento non dissimile da quello presentato è deno­ minato "metodo dei contadini russi" [D'Amore-Oliva, 1 993] . Esso è illustrato nell'esempio seguente (ancora riferito a 1 3 x l 8). Si compila una tabella partendo, nella prima riga, dai due fattori dell'opera­ zione; si divide ripetutamente per 2 il fattore della prima colonna, considerando soltanto la parte intera, e si raddoppia il corrispondente fattore della seconda colonna. Otteniamo : 13 6 3 l

18 36 72 1 44

Si considerano infine tutti e soltanto i numeri della seconda colonna corri­ spondenti ai numeri dispari della prima. Sommando tali numeri della seconda colonna si ottiene infine il risultato dell'operazione: 13 6 3 l

18 36 72 1 44



• •

( 1 8+72+ 1 44) 234

(risultato della moltiplicazione)

10

1 . 1 .3. Le frazioni egiziane e la divisione

Le frazioni utilizzate nell'aritmetica egiziana erano unitarie, cioè avevano nu­ meratore l (con le sole eccezioni di 2/3 e di 3/4); i denominatori non superava­ no il valore l 000. Osserviamo però che la scomposizione di una frazione qual­ siasi (ad esempio: il risultato di una divisione) in somme di frazioni unitarie non è univocamente determinata. Ad esempio è possibile scrivere: l

19

l

l

l

l

l

- = - + - +- = - + - + 24 2 6 8 2 4 24 La divisione egiziana era vista come l'operazione inversa della moltiplicazio­ ne: nella sua esecuzione veniva dunque cercato il multiplo (ciò poteva essere effettuato con il metodo del raddoppio, ma utilizzando anche le potenze fra­ zionarie di 2) del divisore tale da eguagliare il dividendo. Proponiamo un esempio di divisione effettuata con il metodo analogo a quello del raddoppio (dove con i simboli 2, 4, 8, . . . indichiamo rispettivamente le .

. l

l

l

. . d e11a d"tvtstone: 13 : 8 fr aztom - , -, - , . . . ) ; occuptamoct . . 2 4 8 • •



l

4

8 4 2 l

( 1 + 2+ 8)

(8+4+ 1)

2 8

l

l

1 +-+2 8

.

• •



13 (risultato della divisione)

Giustifichiamo in notazione moderna il procedimento :

=>

l l 1 3 : 8 = 1 +-+ 2 8

Il

Non abbiamo tuttavia prove certissime di un ampio uso di questa tecnica presso i matematici egiziani. Nel Papiro Rhind, per facilitare l'esecuzione pratica dei calcoli, è riportata una tavola dei valori di � espressi in somma di frazioni unitarie. n

Nei documenti egiziani troviamo inoltre dei numeri rossi ausiliari, sul cui ruo­ lo si fanno alcune ipotesi. Ma l'aritmetica egiziana, radicalmente ed esplicita­ mente basata sull' operazione di addizione, perde qui di semplicità e finisce così per mostrare i suoi limiti pratici. 1.1.4.

Le equazioni ed il metodo della falsa posizione

Nel papiro Rhind troviamo procedimenti equivalenti alla risoluzione di nume­ rose equazioni (quasi tutte di primo grado), in cui l'incognita è indicata dal ter­ mine aha (mucchio); il procedimento usato è oggi denominato "metodo di falsa posizione" (o regulajalsi) [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, pp. 1 9-20] . Un esempio contribuirà ad illustrare le caratteristiche di tale metodo. Si voglia determinare il numero che aggiunto al proprio quinto dà come som­ ma 48 (il problema è analogo ad un quesito risolto nel papiro Rhind). In forma moderna, si tratta di determinare il numero x tale che: x x+-= 5

48

Effettuiamo la falsa posizione : x = 5; ovvero, attribuiamo all'incognita un valore anche non esatto (come vedremo, la particolare scelta x = 5 consente, nel caso ora esaminato, di non avere a che fare con frazioni, nel primo passaggio risolutivo). Controlliamo innanzitutto se la posizione x = 5 ottempera a quanto richiesto; risulta: 5 5+-=

5

6:;t: 48

e ciò mostra che x = 5 non è la soluzione cercata. Ragioniamo ora così: sostituendo x = 5 nell'espressione

x+

x 5

abbiamo otte-

nuto 6 e non 48; ma se un multiplo di 6 è 48, lo stesso multiplo di x = 5 darà la

12

x cercata. Per ottenere 48 da 6 dobbiamo eseguire la moltiplicazione per 8 (di 6) :

vera

6 x 8 = 48 Dunque, per ottenere la cercata moltiplicazione per 8 (di 5): 5x8 = x

x

da 5 dobbiamo analogamente eseguire la

x = 40

In notazione moderna (1), poniamo x = a. in x+ a a+-=P 5

x

5

= 48

ed otteniamo :

Confrontando le scritture: e ricaviamo infine: x

a

=

48

p

x=

a-48

p

--

Il metodo di falsa posizione può essere impiegato con profitto (a fronte di qualche adattamento) anche nella risoluzione di alcune equazioni non lineari, come il I problema del papiro di Berlino, così espresso : la somma delle aree di due quadrati è 1 00; tre volte il lato di uno è quattro volte il lato dell'altro; quali sono i lati dei due quadrati? Modernamente esso richiede la risoluzione di un sistema di secondo grado costituito dalle due equazioni : x2+y = 1 00 3x = 4y Gli Egiziani procedevano però con il metodo della falsa posizione, ponendo inizialmente: (1) "Osserviamo che il metodo di falsa posizione non è una regola algebrica in senso moderno in quanto non è, in senso stretto, un algoritmo che agisce solo sui coefficienti" [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 20] .

13

x=4

1\

y=3

Si avrebbe allora, sostituendo tali valori nella prima equazione: x2+y = 42+32 = 25

:t:.

1 00

ma tenuto conto che .JlOO = l O e che .J25 = 5 ed essendo l O fettive soluzioni del problema proposto vengono ad essere:

:

5 = 2, le ef­

x = 4·2 = 8 y = 3· 2 = 6 Il metodo della falsa posizione è consi derat o uno dei più . . . longevi della sto­ ria della matematica: è stato insegnato nelle scuole del mondo occidentale fino al XIX secolo (2). Ma la sua introduzione da parte dei matematici egiziani è assai significativa nel cammino della nostra disciplina; osserva C.B. Boyer che essa fu "un importante passo avanti nello sviluppo della matematica: infatti la verifica rappresentava una forma semplice di dimostrazione" [Boyer, 1 982, p. 1 9] . 1 . 1 .5. L a geometria egiziana

Democrito, intorno al 400 a. C., per sottolineare efficacemente la propria abi­ lità geometrica, affermò di non essere stato "superato da nessuno nella co­ struzione di segmenti con la dimostrazione, nemmeno dai tenditori di funi egi­ ziani" . I "tenditori di funi", dunque, erano considerati tra i più abili geometri del mondo antico, termine di paragone per chi volesse essere considerato un abile matematico [D'Amore-Matteuzzi, 1 976] . Anche Aristotele non mancò di rico­ noscere che la nascita della geometria avvenne nella valle del Nilo. (2) Nel manuale V . Buonsanto, Elementi di aritmetica, Società Filomatica, Napoli 1 843 leggiamo: "Si andrà in cerca di un numero che sciolga un quesito: ma voi nol tro­ verete altrimenti che per mezzo di un numero falso, che non lo scioglie. Ecco in che consiste il metodo della falsa posizione semplice. Vi sia stato detto: Un terzo ed un quarto del mio danaro sono 24 ducati. Quanto danaro ho io? Ignorando il vero nume­ ro de' ducati, supponete che chi vi ha parlato ne abbia 1 2 . Questo numero così arbitra­ riamente supposto si chiama posizione. Ma è facile vedere esser falsa una tale sup­ posizione, perché il terzo ed il quarto di 1 2 sono 4+3 = 7: e perciò il vostro amico do­ vrebbe avere non 24 ducati per un terzo e un quarto, ma 7. Dite però così. Se 7 nasce dalla falsa posizione 1 2; il 24 da qual numero nascerà? Farete dunque 7 : 1 2 = 24 : 2 8 8/7 e 2 8 817 = 41 e 1/7. L'amico ha dunque ducati 4 1 e 117. Per isciogliere simili quesiti si può supporre qualunque numero: ma giova sopra tutto il supporlo tale che non involga la noia delle frazioni. Giova parimente supporlo piccolo" (pp . 1 1 7- 1 1 9) .

14

Il "tenditore di funi " era una figura professionale di notevole importanza nell'Egitto antico : Erodoto, nel 450 a.C. , ricordava che le annuali alluvioni del Nilo, fonte di fertilità e quindi di prosperità per l'intera popolazione, provoca­ vano la totale cancellazione dei confini, delle suddivisioni dei campi. Ciò ren­ deva pertanto necessaria la periodica revisione di tali confini, al fine di ridise­ gnare correttamente la suddivisione dei terreni. Questo delicatissimo compito era affidato ad agrimensori molto abili che, mediante l'impiego di funi, riporta­ vano sul terreno le posizioni dei confini originali [Freguglia, 1 982, pp. 44-45]. La geometria egiziana, quindi, era ancorata a basi applicative. Nel vasto patrimonio geometrico egiziano troviamo, ad esempio, formule corrette per il calcolo dell'area del triangolo isoscele e del trapezio isoscele (per equiscomposizione). Assai interessante è la formula proposta per il calcolo del­ l'area A del cerchio :

(

. A = dtametro -

dt. ametro 9

)2

.

che equivale ad approssimare 1t con il valore: 3 , 1 6049 . . (osserviamo però che tale valore non era indicato come una costante: esso viene soltanto desunto da un esempio applicativo). Una giustificazione della formula ora ricordata può essere la seguente [Bunt­ Jones-Bedient, 1 983], basata sulla considerazione del quadrato circoscritto al cerchio considerato.

Dividendo il quadrato circoscritto in 9 quadratini uguali, si approssima:

15

A

2 = 63 ·(2r) 2 = 64 ·(2r) 2 = (�r)2 =2· 2 r ( ) 81 9 81 9

(dove il cerchio è stato identificato nell'ottagono non regolare) Si noti che l'ap­ prossimazione analogamente impostata (ma effettuata con un solo passaggio) :

sarebbe equivalente ad adottare per 1t il valore 3 , 1 1 1 1 . . . (ma non darebbe forse la possibilità di impiegare esclusivamente frazioni unitarie). Ricordiamo infine che presso gli Egiziani era impiegata la formula (corretta) per il calcolo del volume V della piramide:

V=

(Area di base) 3

x

(altezza)

Concludiamo sottolineando che l'abilità pratica degli ingegneri egiziani ap­ pare sorprendente anche ad una moderna valutazione: le piramidi, per motivi re­ ligiosi, sono orientate ai punti cardinali con una precisione che talvolta è appros­ simata al decimo di grado. Sembra però che l'attenzione scrupolosa e costante al risultato pratico abbia finito per condizionare lo stesso sviluppo della mate­ matica egiziana: in tutta la geometria dei "tenditori di corde" mancò sempre in­ fatti una distinzione tra i risultati esatti ed i risultati approssimati, e questo appa­ re, alla luce della moderna critica, il principale limite della matematica dell'antico Egitto [Loria, 1 929- 1 93 3 ] . Osserviamo sin d'ora che situazioni analoghe appari­ ranno anche in altre importanti tradizioni matematiche, come la matematica ba­ bilonese o la ben più recente matematica indiana .

1 .2. La Mesopotamia 1 .2. 1 . D sistema di numerazione

L'astronomia babilonese era strettamente collegata alla divinazione e richie­ deva uno strumento di calcolo efficace: il primo sistema posizionate di numera­ zione nacque sulle tavolette d' argilla dei Sumeri e venne poi ripreso dai Babi­ lonesi [Bourbaki, 1 963, p. 62] [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 1 Ricordiamo che le prime cifre cuneiformi sumere comparvero tra il 33 00

2].

16

a.C. e il 2850 a.C. e tali cifre furono adottate in Mesopotamia nella seconda me­ tà del m millennio a.C. [D'Amore-Speranza, 1 989] . Venne così elaborata una scrittura di tipo posizionate con la doppia base 60 e l O, nella quale un apposito simbolo era presente per indicare ciascuno dei nume­ ri l, 1 0, 60, 600, 3 600, 3 6000. Essa si consolidò nel periodo della dinastia degli Hammurabi (tra il 1 800 ed il 1 600 a.C . ; i testi risalgono al 1 900- 1 600 a.C.); ma affiancata a tale scrittura numerica sembra si sia mantenuta anche la più sempli­ ce numerazione decimale [Picutti, 1 977] (3). La notazione babilonese presentava però un problema pratico : mancava, ini­ zialmente, un simbolo per lo zero. Soltanto al tempo di Alessandro Magno com­ parvero due cunei inclinati per indicare una posizione vuota (ma tale indicazione era riportata soltanto nelle posizioni intermedie, mai alla fine del numero). Anche in alcune caratteristiche della moderna goniometria possiamo rilevare radici babilonesi: ad esempio, agli astronomi babilonesi può essere fatta risalire la comune suddivisione dell'angolo giro in 3 60 gradi. 1 .2.2. L'estrazione della radice quadrata

Un interessante procedimento babilonese consentiva l'estrazione approssima.., ta della radice quadrata. Illustreremo il metodo con un esempio. Si voglia approssimare ..Jf9. Una sua prima approssimazione per difetto è 4, essendo 4 il massimo naturale il cui quadrato ( 1 6) non supera 1 9 . Essendo :

..Jf9 . ..Jf9 = 1 9

ed anche:

19

4

4·- = 1 9

deve essere: 4




..Jf9

un'approssimazione per eccesso di ..Jf9.

Possiamo allora individuare un'ulteriore approssimazione di ..Jf9 nella media . . tra 4 antmettca

e

19

4

-

:

(3) Osserviamo tuttavia che l'uso della base 60 costituì talvolta un limite per l'a­ ritmetica babilonese: dall'esame di alcuni testi pervenutici sembra infatti che i Babilo­ nesi incontrassero difficoltà nell'eseguire le divisioni se il divisore aveva fattori diversi da 2, 3, 5 (si noti che: 60 22·3·5) [Neugebauer, 1974]. =

17

( )

l 19 -. 4 + - = 4'375 2 4

Per valutare la bontà di tale risultato, si noti che determinando .Jf9 con una moderna calcolatrice otteniamo il valore 4,3588. . . (4). 1 .2.3. La risoluzione di equazioni

Sarebbe forse azzardato affermare che una forma sufficientemente progredita di algebra nacque tra il Tigri e l'Eufrate, almeno se consideriamo la necessità di una espressione simbolica delle tecniche algebriche. Tuttavia i Babilonesi erano in grado, come vedremo, di risolvere equazioni di grado anche superiore al pri­ mo e sistemi di equazioni di primo grado in due incognite (5). R. Franci e L. Toti Rigatelli così descrivono le prime manifestazioni dell'alge­ bra: "Dal punto di vista dei concetti, le origini dell'algebra si possono far risalire a tre fonti diverse: alla matematica siriaco-babilonese, alla matematica indiana, alla matematica greca ed in particolare all'opera di Diofanto (III secolo d.C.) . La re­ cente interpretazione (prima metà del XX secolo) di O. Neugebauer di tavolette di terracotta scritte in caratteri cuneiformi ci permette di affermare che, già ver­ so il 2000 a .C., i Babilonesi erano in grado di risolvere equazioni particolari di secondo e terzo grado ed avevano conoscenza di procedimenti che oggi chia­ miamo algebrici" [Franci-Toti Rigatelli, 1979, p. 8]. Per evitare malintesi, ricordiamo che non esisteva alcuno strumento simbo­ lico completo nell'algebra babilonese: soltanto in qualche caso, e dunque senza alcuna sistematicità, qualche incognita veniva indicata mediante simboli speciali; in generale, le quantità incognite erano concretamente indicate dai termini lun­ ghezza (per indicare incognite di primo grado), area (per indicare incognite di secondo grado), volume (per indicare incognite di terzo grado); ma i matematici babilonesi sembrano consapevoli del valore esclusivamente indicativo di tali termini: infatti nessuno scrupolo impediva loro di addizionare ad esempio aree e volumi . . . (4) Notiamo che proprio su questo antico procedimento si baserà l'algoritmo iterativo di Newton per il calcolo approssimato della radice quadrata. (5) Una coppia di numeri sembra essere... particolarmente gradita ai solutori babilo­ nesi: frequentemente infatti incontriamo problemi con le soluzioni: x = 20, y = 30 [D'A­ more-Matteuzzi, 1976].

18

Inoltre, presso i Babilonesi non troviamo uno studio sistematico e generale delle equazioni, né alcuna giustificazione esplicita dei metodi applicati: si proce­ deva dunque esaminando i singoli casi, e solo raramente, nella risoluzione di e­ quazioni, i Babilonesi si mostrarono in grado di cogliere legami concettuali ed a­ nalogie significative tra i problemi introdotti e risolti (6). Frequenti erano gli esempi di impiego di equazioni di secondo grado per la risoluzione di problemi di vario tipo [Franci-Toti Rigatelli, 1979, pp. 28-29] [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1992, p. 161]; in particolare, venivano con­ siderate questioni come quella di "determinare due numeri conoscendone la somma s ed il prodotto p" con l'equazione (modernamente scritta):

xLsx + p = O Per ridurre un'equazione di secondo grado del tipo:

axLbx + c = O ad un'equazione scritta nella forma precedente, i Babilonesi ricorrevano alla so­ stituzione che modernamente può indicarsi con:

ax = X

x

x =a

mediante la quale si ottiene:

}{l-bX + ac = O Riportiamo ora (sempre in notazione moderna) un esempio di risoluzione babilonese di un'equazione di secondo grado: sia necessario trovare i due nu­ meri a, b sapendo che la loro somma è 8 ed il loro prodotto è 12. Le posizioni sono:

(6) L'esame di alcune delle molte tavolette babilonesi pervenuteci ha dato risultati assai interessanti. Ricorda ad esempio C.B. Boyer: "Fra le tavolette risalenti al periodo babilonese antico si trovano alcune tabelle contenenti le potenze successive di un dato numero, analoghe alle moderne tavole dei logaritmi o, più esattamente, degli anti­ logaritmi Una tavoletta contiene, fra gli altri, il problema: a quale potenza va elevato un certo numero perché dia un numero dato? Tale problema è equivalente a quello odierno di calcolare il logaritmo del numero dato in un sistema che ha come base quel certo numero... Anche allora le loro 'tavole logaritmiche' non venivano usate come me­ todo generale di calcolo, ma piuttosto per risofvere questioni molto pratiche" [Boyer, 1982,p.35]. . . .

19

h = 4-8

a = 4+8

(ed infatti: a+h = 8)

ed otteniamo (considerando le radici positive):

::::>

8=2

::::>

a = 4+8 = 6

"

h = 4-8

=

2

Possiamo dunque notare che la risoluzione di equazioni presso i Babilonesi viene a rappresentare un esordio ricco e stimolante per la storia dell'algebra; no­ ta però S. Maracchia che purtroppo tale esordio non fu seguito da un'altrettanto positiva evoluzione: "Dopo un inizio promettente per uno sviluppo autonomo dell'algebra nelle civiltà pre-elleniche mostrato da straordinarie risoluzioni di problemi di secondo grado presenti in tavolette sumero-babilonesi, questo importante ramo della ma­ tematica si viene a trovare poi per vari secoli subordinato alla più potente geo­ metria. Nella civiltà ellenica ed ellenistica, infatti, forse perché alcuni problemi che l'aritmetica non era riuscita a risolvere erano stati risolti dalla geometria as­ sai semplicemente, o forse per l'evidenza e la bellezza maggiori con cui questa colpiva la mentalità apollinea dei Greci, l'algebra si può dire che scompaia, rive­ stita da orpelli e fronzoli geometrici che, se pur consentivano la risoluzione di semplici problemi di primo e di secondo grado, non ne permisero uno sviluppo successivo" [Maracchia, 1 979, p. 3 1 ] . 1.2.4. La geometria babilonese

La geometria babilonese, come quella egiziana, era strettamente collegata al­ le necessità pratiche ed i problemi geometrici erano trattati con immediato ed esplicito riferimento ai corrispondenti problemi aritmetico-algebrici (''In Meso­ potamia il ruolo della geometria era insignificante. La geometria non era una disciplina matematica autonoma" nota seccamente M. Kline [Kline, 1 99 1 , l, p. 1 6]). Da ciò possiamo far derivare la fastidiosa compresenza di soluzioni esatte e di risultati approssimati (ad esempio, presso i Babilonesi, si trovava, inizial­ mente, l' approssimazione 3 per 1t; soltanto in epoca più tarda essa fu migliorata dal valore 3 , 1 25). Il teorema di Pitagora (che, nonostante fosse probabilmente conosciuto an­ che in Egitto, non si trova nei documenti egiziani) era largamente utilizzato in Mesopotamia. Molto interessante, a tale riguardo, è la Tavoletta Plimpton (col­ locabile tra il 1 900 ed il 1 600 a. C.), con tre colonne di numeri, in cui è stata ravvisata la presenza di teme pitagoriche e (forse) di elementi di una rudimen­ tale forma di trigonometria. Se infatti interpretiamo il valore riportato nella se-

20

conda colonna di tale tavoletta come la misura di un cateto di un triangolo rettangolo e quello nella terza colonna come la misura dell'ipotenusa, allora il valore riportato nella prima colonna viene ad essere il quadrato del rapporto tra l'ipotenusa e l'altro cateto (modernamente: il quadrato della secante trigono­ metrica). Ai Babilonesi erano inoltre noti alcuni risultati geometrici elementari: essi sa­ pevano ad esempio che un angolo alla circonferenza che insiste su di una se­ micirconferenza è retto (e anche questo non si trova nei documenti egiziani). Interessante è l'attenzione babilonese per la precisione numerica: ad esempio, il valore di .J2 è approssimato esattamente fino a 1 0--6. Inoltre i Babilonesi e­ rano consapevoli che .J2 è il rapporto costante tra la diagonale ed il lato di uno stesso quadrato. Concludiamo la presentazione della matematica babilonese con un'osserva­ zione di M. Kline, che facciamo nostra:

"l procedimenti aritmetici e algebrici e le regole geometriche erano il risul­ tato finale di osservazioni fisiche, di tentativi seguiti da errori e di intuizioni par­ ticolari. Il fatto che i metodi funzionassero era per i Babilonesi una giustifica­ zione sufficiente per continuare ad usarli. Il concetto di dimostrazione, la nozio­ ne di sistema logico fondato su principi che ne giustificano l' accettazione e la considerazione di questioni quali quella di determinare le condizioni sotto cui possono esistere le soluzioni dei problemi non sono reperibili nella matematica babilonese" [Kline, 1 99 1 , l, p. 20] .

Il panorama delle grandi civiltà mediterranee non è tuttavia esaurito dali 'E­ gitto e dalla Mesopotamia: un'esplicita menzione meritano infatti i Fenici. Se­ condo la testimonianza di Proclo, per i loro commerci, diventarono ottimi calco­ latori; erano inoltre famosi navigatori, e contribuirono in modo sensibile alla diffusione geografica del sapere [D'Arnore-Matteuzzi, 1 976]. Ai Fenici è dovuta l'introduzione del primo alfabeto fonetico.

Riferimenti bibliografici Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della ma­ tematica, Sansoni, Firenze 1 992. N. Bourbaki, Elementi di storia della matematica, Feltrinelli, Milano 1 963 . L.N.H. Bunt-P.S. Jones-J.D. Bedient, Le radici storiche delle matemati­ che elementari, Zanichelli, Bologna 1 983 . U.

C.D.

21

B . D'Amore-M. Matteuzzi, Gli interessi matematici, Marsilio, Venezia

1 976.

B. D'Amore-P. Oliva, Numeri, Angeli, Milano 1 993 . B. D'Amore-F. Speranza (a cura di), Lo sviluppo storico della matematica,

vol. I, Armando, Roma 1 989.

B. D'Amore-F. Speranza (a cura di), Lo sviluppo storico della matematica, vol . II, Armando, Roma 1 992.

R. Franci-L. Toti Rigatelli, Storia della teoria delle equazioni algebriche,

Mursia, Milano 1 979.

P. Freguglia, Fondamenti storici della geometria, Feltrinelli, Milano 1 982. Ifrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. M. Kline, Storia del pensiero matematico. I. Dall 'A ntichità al Settecento. II. Dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1 99 1 . G. Loria, Storia delle matematiche dall'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 933 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa G.

anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982). S. Maracchia , Da Cardano a Galois, Feltrinelli, Milano 1 979. O. Neugebauer, Le scienze esatte nell'antichità, Feltrinelli, Milano 1 974. E. Picutti, Sul numero e la sua storia, Feltrinelli, Milano 1 977.

Temi di storia della matematica

l. l. «La matematica orientale ebbe origine come scienza pratica, allo scopo di facilitare il computo del calendario, l'amministrazione del raccolto, l'organiz­ zazione dei lavori pubblici e la riscossione delle tasse. All'inizio fu naturalmente data importanza all'aritmetica pratica e alla misurazione. Tuttavia una scienza coltivata per secoli dai membri di una speciale corporazione, il cui scopo non è solo di applicarla, ma anche di insegname i segreti, sviluppa tendenze verso l'a­ strazione. Gradualmente avverrà che sarà studiata di per se stessa. L'evoluzione dell'aritmetica verso l'algebra avvenne non solo perché questa facilitava il calcolo pratico, ma anche perché era la naturale tendenza di crescita di una scienza coltivata e sviluppata in scuole di scribi. Per la stessa ragione, la pratica della misurazione si sviluppò fino ai primi elementi - ma non di più - di una geometria teorica» (Dirk J. Struik). 1 .2. «La prima manifestazione del pensiero matematico è proprio la geo­ metria . . . [Nell'antico Egitto] si trattava di possedere un criterio di natura tecnica che desse ampie garanzie per fini giuridico-amministrativi. Si doveva cioè "rappresentare" una certa realtà per poi ricostruirla. Questo procedimento impli­ cava la possibilità di disegnare figure simili e soprattutto di associare ad ogni figura un preciso valore: la misura dell'area» (P. Freguglia).

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1.3. «l Babilonesi usavano la loro conoscenza dell'aritmetica e dell'algebra elementare per esprimere lunghezze e pesi, per scambiare denari e manufatti, per computare interessi semplici e composti, per calcolare tasse e per dividere le quote di un raccolto fra il contadino, la Chiesa e lo Stato. La divisione dei campi e delle eredità conduceva a problemi algebrici. Non esiste possibilità di dubbio circa l'influenza dell'economia sullo sviluppo dell'aritmetica nel periodo più an­ tico» (Morris Kline).

1 .4. «

d a cui risulterebbe che anche q è pari; ma ciò è assurdo, avendo ammesso che p e q sono naturali coprimi. Ne segue dunque l'impossibilità di ammettere che i segmenti BD, AB siano costituiti da m e da n monadi. Alcuni Autori chiamano "teorema di Pitagora" la proposizione che afferma l'irrazionalità della radice quadrata del naturale 2 [Hardy-Wright, 1 93 8] . In ef­ fetti, appare probabile che la dimostrazione di tale risultato sia dovuta, se non a Pitagora stesso, almeno a qualche studioso della scuola pitagorica: lo scopritore d eli' incommensurabilità è talvolta indicato in Ippaso (o Ipparco) di Metaponto, operante nella seconda metà del v secolo a.C. [Boyer, 1 982] . Platone, nel dialogo Teeteto, ricorda che a Teodoro di Cirene (un pitagorico nato intorno al 470 a.C., maestro di Platone stesso) può essere fatta risalire la dimostrazione dell'irrazionalità delle radici quadrate di alcuni naturali; ma questa ricerca, a quanto narra Platone, si arresta al numero 1 7. Riportiamo il passo del dialogo platonico in cui sono menzionate le ricerche di Teodoro : "Teeteto. Il nostro Teodoro ci disegnava certe figure concernenti le potenze, quella di tre piedi quadrati e quella di cinque, dimostrando che queste potenze rispetto alla lunghezza del lato non sono commensurabili con l'unità di piede; e così, trascegliendo via via ciascuna potenza, arrivò fino quella di diciassette pie­ di; e a questa si fermò. Socrate. E avete anche trovato qualcosa di così fatto? Tee. A me pare di sì; vedi anche tu. So. Di' pure. Tee. Dividemmo in due classi tutta la serie de' numeri; ogni numero, che può risolversi in due fattori eguali, lo rassomigliammo per la figura ad un quadrato, e lo chiamammo quadrato ed equilatero. So. Sta bene. Tee. I numeri intermedi a questi, come il tre, il cinque e in genere tutti quelli che non possono risolversi in un prodotto di due fattori eguali, ma si ottengono sempre dalla moltiplicazione o d'un fattore maggiore per uno minore o d'uno

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minore per uno maggiore, e però, rappresentati come superficie, sono sempre limitati da un lato maggiore per uno minore; li rassomigliammo ad una figura oblunga e li chiamammo numeri oblunghi. So. Benissimo; ma dopo? Tee. Tutte le linee che rappresentate come quadrangoli equiangoli danno il numero equilatero e piano, le definimmo lunghezze; tutte le altre che danno il numero oblungo, le definimmo potenze, come quelle che in misura lineare non sono commensurabili con quelle lunghezze, ma nel valore della superficie che potenziano, sì. E anche per i solidi si disse qualche cosa di simile . . . " (da Teeteto) .

La citazione indica che l'irrazionalità di un numero (ad esempio della radice quadrata di 3) era concettualmente riportata all'incommensurabilità di grandez­ ze geometriche; e la ricerca, nella testimonianza di Platone, venne proseguita nella direzione dei "numeri figurati", confermando che l'intera matematica greca si mantenne costantemente vicina all'impostazione geometrica (3). D

c

G

Resta il problema di immaginare attraverso quale ragionamento sia stata ori­ ginariamente provata l'incommensurabilità del lato e della diagonale del quadra­ to [von Fritz, 1 945]. H.G. Zeuthen ipotizza una dimostrazione geometrica (rife­ rita alla figura precedente): sulla diagonale BD del quadrato ABCD si consideri il segmento BE congruente al lato AB . Sia F il punto d'incontro di AD con la perpendicolare a BD condotta per E; i segmenti AF, EF, ED sono congruenti. (3) Ci occuperemo specificamente dell 'algebra geometrica greca illustrata nel II libro degli Elementi di Euclide nel prossimo capitolo: l'impostazione dell'irrazionalità sulla base dell'incommensurabilità di grandezze geometriche è caratteristica dell'impostazione di Eudosso (si vedano i paragrafi 2 . 6 .3 e 3 .2 . 1 ) . Per quanto riguarda la posizione di Platone sul problema dell'incommensurabilità segnaliamo inoltre alcuni passi del Meno­ ne, riportati in [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp . 69-73] .

33

Completiamo il quadrato DEFG e ripetiamo la costruzione sulla diagonale FD, scegliendo su di essa un punto H con FH congruente a EF. Intuitivamente, il processo ora descritto può essere ripetuto un numero indefinito di volte e ciò prova l'impossibilità di trovare un sottomultiplo comune al lato ed alla diagonale del quadrato ABCD [Hardy-Wright, 1 93 8] . Due secoli dopo Pitagora, Aristotele si occupò dell'incommensurabilità ed indicò una dimostrazione per assurdo dell'irrazionalità di .J2 (4). 2.3. La scuola eleatica 2.3. 1 . Parm enide e Zenone d ' Eiea

Nella dottrina di Parmenide d'Eiea (5 1 5?-440? a.C.), uno dei massimi filosofi del mondo greco, fondatore della scuola eleatica, l'importanza della speculazio­ ne astratta era da ritenere primaria: egli concepiva due forme di approccio alla conoscenza: un approccio razionale, ovvero pienamente rigoroso e tale da por­ tare alla conoscenza "secondo verità" (aletheia), ed un approccio sensibile, em­ pirico, dunque inevitabilmente impreciso, tale da portare ad un'erronea cono­ scenza "secondo opinione" (doxa) [Parmenide, 1 99 1 ] . E. Rufini, i n parte riprendendo una tesi del proprio maestro F. Enriques [En­ riques-De Santillana, 1 93 2, p. 107], riconosce nella scuola eleatica un primo passo verso l' introduzione dei metodi infinitesimali. Egli scrive: "Nell'opera di P armeni de si afferma . . . per la prima volta il concetto razionale del punto, della linea e della superficie; la sua critica tende in sostanza a stabilire che gli enti geometrici non possono definirsi che per astrazione, con un proce­ dimento indefinito di idealizzazione, come limiti del sensibile. Ora questa affer­ mazione costituisce il primo riconoscimento del carattere infinitesimale dei con­ cetti fondamentali della geometria, e quindi può riguardarsi come il primo ac­ quisto dell'analisi infinitesimale" [Rufini 1 926, p. 23 ] . (4) Tale dimostrazione ricalca quella da noi precedentemente indicata. Essa è ricor­

data da G. Loria: ".Ji non può essere un numero intero dal momento che fra l e 4 non cade alcun numero quadrato; si ammetta che valga p/q, ove p e q si suppongono numeri interi fra loro primi; sarà quindi p2 = 2q2; ciò prova che p è divisibile per 2; pongasi quindi p = 2p ', e sostituendo nella precedente si trova q2 = 2p 2, donde emerge che an­ che q è pari; sia q = 2q '. Ma allora p e q hanno entrambi il fattore 2, contro l'ipotesi di partenza: onde è assurdo che .J2 sia un numero razionale" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 3 1 ] . S i veda anche [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp .73-74] .

34

La posizione di Rufini sembra dunque fare riferimento ad una questione filo­ sofica, epistemologica, più che specificamente ricollegabile alle tecniche dell'a­ nalisi infinitesimale. Pur senza negare la validità di tale posizione, scegliamo di privilegiare l' esame dettagliato del ruolo di Zenone d'Elea (490-43 0 a.C.), se­ guace e forse figlio adottivo di Parmenide. Molti studiosi indicano in Zenone uno dei principali precursori dei metodi infinitesimali (scrive L. Brunschvicg: "Pour retrouver le plus ancienne trace de la pensée infinitésimale, il faut nous adresser . . . à Zénon d'Elée", [Brunschvigc, 1 929]); F. Enriques e G. De Santil­ lana affermano a proposito del pensiero zenoniano : "Ma ritorniamo allo scopo principale della critica di Zenone, per rilevame il più profondo significato matematico. I paradossi che il filosofo mette in luce sono quelli che si trovano sulla via dell 'analisi infinitesimale. La riflessione che riconosce l'idealità degli enti geometrici scopre, insieme al regno del pensiero, il mondo dell'infinito" [Enriques-De Santillana, 1 936, p. 54] . 2.3.2. I paradossi di Zenone e le serie

Il paradosso zenoniano di Achille e della tartaruga è notissimo : in una gara di corsa tra il veloce Achille e la tartaruga, Achille concede un tratto B di vantag­ gio alla tartaruga; dopo la partenza, Achille impiega un tempo M per coprire la distanza ò; ma in quell'intervallo di tempo la tartaruga percorre un tratto ò'; quindi Achille deve impiegare un tempo M' per coprire la distanza ò'; ma in quell'intervallo di tempo la tartaruga percorre un tratto ò"; e così via, indefini­ tamente . . . Il risultato, chiaramente paradossale, è che il pur velocissimo Achille non raggiungerà mai la lenta tartaruga. Questo celebre paradosso, spesso interpretato nell'àmbito della polemica che oppone Zenone ai seguaci della scuola pitagorica [Enriques, 1 93 8], è stato stu­ diato da molti matematici e storici della scienza: la sua analisi quantitativa (che riassumeremo in notazione moderna) porta alla considerazione di una serie geo­ metrica convergente. Ricordiamo innanzitutto la semplice e didatticamente efficace descrizione (ed interpretazione) che B. D'Amore e M. Matteuzzi propongono del paradosso ze­ noniano: " Se infatti consideriamo la retta come un continuo, e supponiamo che abbia lunghezza di l 00 m il vantaggio concesso da Achille alla Tartaruga e posto che Achille vada l O volte più veloce della Tartaruga, vediamo subito che il parados­ so decade. Infatti, una volta che Achille avrà raggiunto la posizione di partenza della Tartaruga, essa avrà percorso l O m. Raggiunta questa seconda posizione, Achille avrà uno svantaggio di l m; la Tartaruga si sarà nuovamente spostata;

35

ma, raggiunto quest'altro punto, Achille avrà uno svantaggio di 1 1 1 O di m . . . Dunque, per raggiungere la Tartaruga, Achille dovrà percorrere una distanza: d = 1 00 + 1 0 + l + 1 / 1 0 + 1 / 1 00 + . . .

. . . d a cui : d = 1 1 1,1 1 1 1 ...

Questo è un numero ben determinato, e non è affatto infinito. Achille avrà già superato la Tartaruga, ad esempio, dopo 1 1 1 , 1 1 1 1 1 2 m" [D'Amore-Mat­ teuzzi, 1 976, pp. 28-29] . Generalizziamo ora queste considerazioni. Indichiamo con vA > O la velocità di Achille e con v:f>O quella, minore di vA, della tartaruga. L'intervallo di tempo M in cui Achille copre il vantaggio ù concesso alla tartaruga risulta essere:

La distanza percorsa dalla tartaruga in tale intervallo di tempo è:

L'intervallo di tempo !J.t può dunque essere così calcolato : !J. f

o

=

VT · -'A.:.... __V VA

=

VT2 VA

·0

La distanza nuovamente percorsa dalla tartaruga in quest'ultimo intervallo di tempo !J.t è:

v Poniamo ora T = q Iteriamo il procedimento; la lunghezza della rincorsa di .

VA

Achille alla tartaruga viene allora ad essere espressa dalla serie numerica:

36

Ma per ipotesi la velocità della tartaruga risulta: :::::)

è

minore di quella di Achille; quindi

O

l

l

L i = -3 i=l

4

53

Una simile identità era nota a Democrito? Secondo alcuni storici della scienza, probabilmente sì, sebbene non certo e­ spressa in questa forma [Enriques-De Santillana, 1 93 6, p. 54] . Anche ammesso ciò, resterebbe comunque il problema di una sua rigorosa dimostrazione: la questione del calcolo del volume della piramide si traduce quindi, in termini moderni, nel problema della dimostrazione della convergenza ad .!.. della serie 3 geometrica

+OO l L, 1.

4 Non appare plausibile che Democrito abbia elaborato una simile dimostra­ zione per esaustione: è opinione diffusa che i suoi risultati siano stati intuiti (for­ se attraverso tecniche vicine al metodo cavalieriano degli indivisibili, che ve­ dremo nel capitolo I l ), ma non siano mai stati rigorosamente dimostrati. i=l

2.6.3. Eudosso di Cnido ed il metodo di esaustione

Riferendosi alla storia del calcolo infinitesimale, N. Bourbaki scrive: "I greci non possedettero né immaginarono niente di simile. Essi senza dub­ bio conobbero, non foss'altro per rifiutarsi di usarlo, un calcolo algebrico, ossia quello dei babilonesi, di cui una parte della loro geometria era probabilmente soltanto una trascrizione; è tuttavia nell'àmbito dell'invenzione geometrica che si sviluppa la loro creazione matematica forse più geniale: il metodo per trattare quei problemi che per noi competono al calcolo integrale. Eudosso, trattando del volume del cono e della piramide, ne aveva dato i primi modelli che Euclide ci ha più o meno fedelmente tramandato" [Bourbaki 1 963 , p. 1 7 1 ] . Il procedimento di dimostrazione denominato "per esaustione" è ricondotto ali' opera di uno dei più importanti matematici del mondo greco, Eu dosso di Cnido (408?-3 5 5 ? a.C.) (il termine "esaustione" non venne però usato dai Greci, ma fu introdotto soltanto nel XVII secolo) [Giusti, 1 983, p. 255]. Secondo alcuni studiosi, Eudosso fu inizialmente un allievo dell'Accademia ateniese di Platone. Egli veniva considerato il massimo matematico ed astro­ nomo del proprio tempo e fondò la scuola di Cizico o Cizio, in Asia minore: ad Eudosso è attribuibile lo sviluppo rigoroso della teoria delle proporzioni che raggiunse un livello analogo ali' attuale. Tutte le opere di Eudosso sono andate perdute: dunque l' attribuzione di ri­ sultati al grande matematico di Cnido è sempre indiretta, ovvero avviene in base a testimonianze di altri Autori. Per il metodo di esaustione, decisiva è la testi­ monianza degli Elementi di Euclide; ad esempio, la dimostrazione per esau-

54

stione del fatto che il volume di un cono rotondo è un terzo del volume del ci­ lindro avente la stessa base e la stessa altezza del cono in questione, inclusa co­ me proposizione 10 nel XII libro degli Elementi, è attribuita ad Eudosso [Dieu­ donné, 1 989, pp. 63 -64] . La dimostrazione di un risultato con il metodo di esaustione doveva essere preceduta dalla ricerca della tesi mediante tecniche diverse, frequentemente assai vicine al seicentesco metodo degli indivisibili. Tali tecniche, tuttavia, erano talvolta basate sull'intuizione e non erano considerate sufficienti a garantire la verità del risultato (secondo alcuni studiosi, la persistente diffidenza dei Greci nei confronti dei procedimenti euristici di questo genere era motivata dal rifiuto della matematica ellenica per l'infinito attuale [Dupont, 1 98 1 , l, p. 245]). Una volta individuata la tesi da provare, la sua dimostrazione rigorosa, per assurdo, veniva infine condotta applicando il metodo di esaustione propriamen­ te detto. 2.6.4. D postulato di Eudosso

Il metodo dimostrativo denominato di esaustione era basato sul postulato di Eudosso, che veniva utilizzato come lemma; enunciamo tale postulato in due forme: Postulato di Eudosso (1). Date due grandezze omogenee, A, B, con AB . Postulato di Eudosso (2). Date due grandezze omogenee, A, B, con A OB In modo del tutto analogo si prova che è impossibile che sia: OA < OB Non rimane che concludere con la tesi, owero affermare che: OA = OB Nell'applicazione del descritto procedimento risulta chiaramente necessario ammettere che mediante una grandezza si possa indefinitamente approssimare una grandezza omogenea assegnata. In questo senso, la dimostrazione eudos­ siana per esaustione è ricollegabile al celebre frammento di Anassagora ricor­ dato precedentemente ("Rispetto al piccolo non vi è un ultimo grado di picco­ lezza, ma vi è sempre un più piccolo, essendo impossibile che ciò che è, cessi di essere per divisione"), e conferma dunque l'importanza storica della posizione espressa dal filosofo di Clazoméne. 2.6.6. Uno schema per applicare il metodo di esaustione

Riteniamo utile riportare anche lo schema che consente la diretta applicazio­ ne del metodo di esaustione, proposto da E. Carroccio. Siano G e G' due grandezze omogenee e si voglia provame l'uguaglianza, ov­ vero dimostrare che risulta: G = G'. Siano A, B, A', B' grandezze variabili omogenee con G e G'. Sia (per ogni scelta di tali grandezze):

58

A = A'

B = B'

A

(a+b)(a-b) = a2-b2

Una conseguenza notevole della proposizione 5 è la seguente: tra tutti i ret­ tangoli di perimetro assegnato, quello con l'area massima è il quadrato. k+d

k-d

D Una dimostrazione elementare di tale risultato basata sulla formula ora ri­ cavata è la seguente: indicato con 2k il semiperimetro del rettangolo e dette:

k+d,

k-d

le misure della base e dell'altezza O�Q, dividendo P per Q otterremo come risultato il naturale n0 e come resto R 1 : Dividendo poi ancora Q per R 1 , otterremo:

(3) Una versione moderna della dimostrazione di questo celebre risultato fu data da Ernst Eduard Kummer nel 1 878: consideriamo l'insieme finito, per assurdo, di tutti i numeri primi: {2, 3 , 5 , 7, . . . , M} . Consideriamo il naturale: N = 2·3 ·5·7· . . . ·M > 2 . Il na­ turale N- 1 , essendo un prodotto di primi, ha almeno un divisore primo p in comune con N . Allora, p dividerebbe N-(N- 1 ) = l , il che è assurdo.

76

ed iterando il procedimento : R I = n2R2+R3 � = n3R3 +R4

e così via.

Possiamo quindi scrivere, riassumendo quanto sino ad ora ottenuto :

l

P : Q = no +

l

�+ �+

l 11:3 + . . .

--

S e P e Q sono numeri naturali, il procedimento ha termine e si dimostra che

il massimo comune divisore è l 'ultimo divisore trovato.

Ad esempio, applichiamo il procedimento della "divisione euclidea" per de­ terminare il massimo comune divisore dei naturali 1 65 e 70. Risulta:

1 6_ 1 5 = 25 _ 2+ = 2+ -- = 2+ 70

70

70

25

1 = 2 + ---:,.-- = 2 + 1 l l 2+ 2 + --2+ 5 25 25 1+l

20

20

20

(si noti che l'ultimo divisore è 5). Infine completiamo il procedimento :

1 l = 2+ = 2 + --....-.1 l 70 2+ 2 + __ 1 l l+4 l+

1 65

20

5

Il massimo comune divisore di 1 65 e di 70 è 5 (l'ultimo divisore). Il procedimento ora indicato ha una indubbia efficacia: esso consente di rica­ vare il massimo comune divisore di due numeri senza ricorrere alla scomposi­ zione in fattori primi (inoltre, ricordando che il prodotto del massimo comune

77

divisore e del minimo comune multiplo di due numeri è il prodotto dei numeri stessi, è possibile risalire, attraverso l'algoritmo presentato, anche al minimo co­ mune multiplo di due numeri senza ricorrere alla scomposizione in fattori primi). Notiamo infine che il procedimento precedente, introdotto per P, Q naturali, può essere ripetuto (ed assume particolare interesse) nel caso in cui P e Q siano grandezze; in particolare: •



se P e Q sono commensurabili (se ammettono una sottomultipla comune) il procedimento ha termine e si giunge al loro rapporto (razionale); se P e Q sono incommensurabi/i (se non ammettono alcuna sottomultipla comune) il loro rapporto (irrazionale) è indicato dalla frazione continua illimitata (4):

P:Q =

no +

Il:! +

l 11.z

+

l

l

� +. . .



3.4. Il metodo d i esaustione negli Elementi

3.4. 1 . Da Eudosso a Euclide

Abbiamo precedentemente ricordato che il metodo di dimostrazione per as­ surdo introdotto da Eudosso di Cnido era basato sulla proprietà di esaustione che abbiamo introdotto in termini informali. Riportiamo ora l'enunciato originale di tale proprietà come esso è presentato negli Elementi euclidei. Proposizione l del X libro degli Elementi. [Assumendosi come] date due grandezze diseguali, se si sottrae dalla maggiore una grandezza maggiore della metà, dalla parte restante un'altra grandezza maggiore della metà, e così si pro­ cede successivamente, rimarrà una grandezza che sarà minore della grandezza minore [inizialmente] assunta [Euclide, 1 970, p. 596] .

(4) Modernamente, l' introduzione delle frazioni continue viene fatta risalire a Pietro Antonio Cataldi ( 1 548-1 626), docente presso l'Ateneo bolognese, il quale, riprendendo in parte alcuni procedimenti dovuti a Rafael Bombelli ( 1 526- 1 5 73), pubblicò un sem­ plice metodo per l 'estrazione della radice quadrata basato su questo innovativo stru­ mento matematico. Torneremo su questo parlando della matematica rinascimentale.

78

Euclide giustificò tale fondamentale proprietà attraverso una dimostrazione concettualmente non dissimile da quelle riportate negli ultimi due paragrafi del capitolo precedente [Arrig o-D'Amore, 1 992, pp. 50-5 1 ] ; è importante sottoli­ neare che in tale dimostrazione essenziale è il ruolo del postulato di Eudosso, secondo il quale date due grandezze omogenee (non nulle), esiste un multiplo della minore che superi la maggiore [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 40] . Tale postulato appare negli Elementi in una forma leggermente ma significa­ tivamente diversa: Definizione 4 del V libro degli Elementi (postulato di Eudosso in forma euclidea). Si dice che hanno fra loro rapporto (o ragione) le grandezze le quali

possono, se moltiplicate, superarsi reciprocamente [Euclide, 1 970, p. 298].

Negli Elementi, dunque, tale postulato è una definizione : ovvero, così facen­ do, Euclide si dichiarava a conoscenza che, considerate due grandezze (omo­ genee e non nulle), può esistere oppure no un multiplo della minore che superi la maggiore. 3.4.2. Una dimostrazione per esaustione negli Elementi

L'applicazione del metodo di esaustione è sempre abbinata ad una "reductio ad absurdum" [Fraj ese, 1 969, pp. 266-273] . L a prima e forse l a più celebre dimostrazione per esaustione riportata negli Elementi riguarda la proposizione seguente. Proposizione 2 del XII libro degli Elementi. I cerclù stanno fra loro come i

quadrati dei diametri [Euclide, 1 970, p. 93 1 ] .

L a dimostrazione euclidea per assurdo, "probabilmente quella stessa di Eu­ dosso" [Boyer, 1 982, p. 1 08], può essere così schematizzata: dopo avere pre­ liminarmente dimostrato che il rapporto di due poligoni simili inscritti in cerchi è uguale al rapporto dei quadrati dei diametri dei cerchi circoscritti (proposizione l del XII libro), si prova, applicando la proprietà di esaustione, che il rapporto dei cerchi non può essere maggiore né minore del rapporto dei poligoni regolari inscritti. Non resta che concludere che il rapporto dei cerchi è uguale al rapporto dei poligoni regolari inscritti e quindi al rapporto dei quadrati dei diametri [Euclide, 1 970, pp. 93 1 -93 8] .

79

D

Siano c e C i due cerchi assegnati, rispettivamente di diametri d e D e di

aree a e A . Dobbiamo provare che: !!.... = A

d: . Per quanto sopra detto, dobbiamo

D

, a d2 a e >2 A D A

esc l u d ere entramb e l e poss1" b 1" l"1ta •

-

-

In una pnma r.1ase, ammettiamo ch e s1a: .

.

.


A D2

-



Deve esistere una grandezza a'd2 A D2

-

n>

.

In modo analogo giungiamo ad escludere anche la possibilità: !!.... < A

Non ci resta che concludere con la tesi : !!.... = A

d:

D

d: .

D



"In questa proposizione . . . entra in gioco l'infinito" nota A Frajese [Euclide, 1 970, p. 93 1 ], riferendosi allo sviluppo logico del capolavoro euclideo; e Giro­ lamo Saccheri ( 1 667- 1 73 3 ) nel proprio così commentava criticamente l'argomentazione presentata negli

Euclides ab amni naevo vindicatus, Elementi:

"Euclide ha già dimostrato (prop. l ) che due poligoni simili, inscritti in due cerchi, stanno tra loro come i quadrati dei loro diametri; proposizione da cui, come corollario, avrebbe potuto ricavare la 2 considerando i cerchi come poli­ goni infinitilateri" [ Saccheri, 1 904, p. l 04] .

81

Proprio riprendendo questa interessante affermazione saccheriana, A. Fraj ese giustamente osserva: 11 Saccheri è evidentemente assai vicino, nel tempo, alla fondazione del calco­ lo infinitesimale! Ma è proprio per evitare il ricorso all'infinito in questo modo che Eudosso di Cnido, il rigorizzatore della matematica greca, l'imbrigliatore dell'infinito, escogitò quel metodo che i posteri tardi dissero [Euclide, 1 970, p. 93 1 ] .

metodo di esau­

stione��

La caratteristica fondamentale che particolarizza l e classiche dimostrazioni per esaustione, infatti, è la seguente: in esse, basate sul metodo di dimostrazione indiretto (ovvero sulla riduzione ali' assurdo),

non troviamo mai un procedi­ mento che corrispondaformalmente ad un moderno passaggio a/ limite. Ricordiamo infine, a tale proposito, un'osservazione che reputiamo fonda­ mentale dovuta a G. Castelnuovo (che mette in evidenza la caratteristica del procedimento di esaustione che determinerà, come vedremo esaminando lo svi­ luppo della storia della matematica, la sua . . . sorte):

11Quel metodo [di esaustione], a differenza del processo di limite, non è un metodo di ricerca che conduca alla scoperta, ma fornisce solo il mezzo per dimostrare - per assurdo - un risultato che si suppone già noto11 [Castel­ nuovo, 1 93 8, p. 29] .

analitico

Il metodo di esaustione può essere applicato per dimostrare rigorosamente il risultato, precedentemente attribuito a Democrito, riguardante il volume della piramide; negli troviamo infatti la proposizione seguente:

Elementi

Proposizione 7 del Xll libro degli Elementi. Ogni prisma che abbia base triangolare si divide in tre piramidi uguali fra loro ed aventi basi triangolari [Euclide, 1 970, p. 949] .

Seguendo ancora il testo euclideo, giungiamo al risultato di Democrito : Corollario. È da ciò evidente che ogni piramide è l a terza parte d i u n prisma

che abbia la stessa base della piramide ed altezza uguale [Euclide, 1 970, pp. 949-950] .

Può essere didatticamente interessante applicare (modernamente) il metodo di esaustione alla questione della convergenza della serie geometrica che abbia­ mo sopra incontrato : riporteremo tale applicazione nel paragrafo seguente.

82

3.4.3. n metodo di esaustione e le serie

Diamo un esempio di impiego del metodo di esaustione dimostrando la convergenza ad _!_ della serie geometrica implicitamente utilizzata (secondo E. 3 Rufini, come sopra osservato [Rufini, 1 926]) da Democrito:

�i=l �. 4

Prima di fare ciò, proviamo con metodi moderni il lemma seguente. Lemma. O

n

'L i=l

4" - l

l

4'

---:- = -- .

3 ·4"

Dimostrazione.

Moltiplicando per _!. entrambi i membri dell'uguaglianza:

4

si ottiene:

Sottraiamo da quest'ultima l'uguaglianza precedente ed otteniamo :

Semplificando i termini opposti abbiamo:

1 " 1

"

l

1 1

l

- · 'L ----,- - 'L ----,- = - · - - 4 4n 4 i=l 4' 4 i=l 4' . . e d t'nfi ne gmngtamo aIl a test. :

l 4" - l � L.. i = --"i=I 4

3 ·4



83

Siamo ora in grado di dimostrare per esaustione (sempre in notazione moder­ na) il risultato sopra ricordato, necessario per concludere la dimostrazione della proposizione attribuita a Democrito. Proposizione. D

+ «>

l l = -. Li 3 4 j;)

Dimostrazione.

l l . . � .mnanzttutto . . C onstattamo che e' tmposst L.... i > - . "b"l1 e che sta: 3 j;) 4 Per il lemma precedente: •

e ciò è assurdo. Dimostriamo quindi (con il metodo di esaustione) che è impossibile che



l L.... i

. �

sta:

i=l 4


> (Paolo Freguglia).

Elementi

3. 3. «Gli di Euclide non sono soltanto la maggiore e più antica opera matematica greca che ci sia pervenuta, ma costituiscono anche il più au­ torevole manuale di matematica di tutti i tempi . . . La prima edizione a stampa degli uscì a Venezia nel 1 482 e fu uno dei primi libri matematici stampati. Si è valutato che, da allora in poi, ne sono state pubblicate almeno un migliaio di edizioni. Forse nessun altro libro, a parte la può vantare così tante edizioni, e certamente nessuna opera matematica ha avuto un influsso paragonabile agli di Euclide» (Cari B. Boyer).

Elementi

Bibbia,

Elementi

Elementi

3 .4 . «l geometri classici - la sistemazione degli di Euclide è del 3 00 circa a.C. - avevano messo in luce la possibilità di dare una struttura deduttiva alle teorie matematiche. Le verità matematiche vengono, in tale prospettiva, ge­ nerate mediante argomentazioni puramente logiche, in cui intervengono certe proposizioni che, per la loro semplicità ed evidenza, risultano assunte in quanto vere per sé (gli assiomi) come basi per le argomentazioni razionali. In tal modo si stabilisce, per così dire, un ordine tra le verità matematiche, in base alla loro dipendenza più o meno diretta dagli assiomi, e quindi in base alla loro evidenza» (Andrea Cantini). 3 . 5 . «Il modo di concepire una definizione è, presso i Greci, in particolare presso Euclide, essenzialmente diverso dal nostro. Non si tratta, per loro, di costruire concetti, quasi di creare nel nostro spirito quegli enti geometrici che vengono considerati : si tratta invece soltanto di descriverli, affinché possano essere facilmente riconosciuti attraverso una soddisfacente nomenclatura. Quegli enti geometrici, cioè, esistono già: la definizione ha per Euclide soltanto il senso di individuarli» (Attilio Frajese). 3 . 6. «"Punto è ciò che non ha parti" . È, questa del punto, la più celebre de­ finizione di Euclide. Essa viene comunemente interpretata nel senso che il pun-

89

to, non avendo parti, non ha neppure estensione alcuna: Euclide introdurrebbe in tal modo, nella sua prima definizione, il punto quale ente idealizzato, cioè il punto privo di dimensioni della (Attilio Frajese).

geometria di precisione» 3 . 7 . «Il quinto libro degli Elementi, in cui si introduce la teoria generale delle

proporzioni . . . è per generale riconoscimento una pietra angolare dell'edificio geometrico, che senza di esso non potrebbe elevarsi al di sopra delle considera­ zioni più elementari. La teoria che vi si stabilisce si situa a un livello di astra­ zione molto maggiore di quello della parte geometrica dell'opera, quasi una o piuttosto una nella quale trova il suo fonda­ mento tutta la matematica» (Enrico Giusti).

tageometria,

mathesis universalis

me­

3 . 8 . «Il postulato di Archimede si distingue dagli altri della geometria ele­ mentare per il fatto di richiedere un numero di operazioni non determinato a priori; la critica moderna tende perciò a considerarlo come un'affermazione di indole più elevata e che esce dal campo strettamente elementare» (Gino Fano). 3 . 9 . «+ «> an 2

-

--

l

---

che è il rapporto che individua la sezione aurea. Daremo una giustificazione di tale affermazione nel prossimo capitolo. Osserviamo infine che notevole è la modernità di alcune tecniche proposte da Fibonacci nel Liber A baci: nel capitolo XIV troviamo ad esempio un procedi­ mento che può essere collegato con l'attuale frazione continua ascendente; in­ fatti è impiegata la scrittura:

1 64

c a

d b

per indicare la frazione: c a+-

_f!_ b

Iterando tale procedimento, alla scrittura: e

c a

f d b

viene a corrispondere la frazione: e

c+-

a + ___1_

d

b

Come sopra anticipato, non è difficile individuare in tale procedimento la tecnica per introdurre una frazione continua ascendente [Favaro, 1 874] (4). Nonostante la rinascita degli interessi culturali, dobbiamo rilevare che Fibo­ nacci fu una figura sostanzialmente isolata, nel Medioevo (sebbene C.B. B oyer indichi in Giordano Nemorario, un domenicano morto nel 1 23 7 "un abile, anche se meno dotato, competitore" del Pisano [Boyer, 1 982, p. 3 00]); il Liber Abaci, dopo la sua prima pubblicazione, venne riedito nel 1 228, ma ciò non determinò una sua vasta diffusione: l'opera matematica più significativa del Medioevo occidentale fu pubblicata a stampa solo nel XIX secolo (5) [ Guglielmini, 1 8 1 3 ] .

(4) A . Favaro ricorda anche che nel Liber Abaci è presente una tecnica iterativa per approssimare la radice quadrata di un numero non dissimile da quella che sarà utiliz­ zata, oltre tre secoli dopo, da R. Bombelli e da P .A. Cataldi per l'introduzione delle fra­ zioni continue discendenti [Favara, 1 874] . (5) Ricorda P . Cassali, nell'opera Storia critica dell'origine, trasporto in Italia e primi progressi in essa dell'algebra (pubblicato a Parma nel 1 797): "Pare che . . . il libro di lui [di Leonardo] fosse divenuto raro, ed andato in disuso; poiché anche il Tartaglia sul principio del suo gran trattato accenna di Leonardo i viaggi, il libro, il trasporto del­ l'aritmetica, dell'algebra, della geometria dall'Arabia in Italia; ma dice tutto ciò essergli da altri riferito" [Veratti, 1 860, p. 3 0] . Il Liber Abaci (secondo la lezione del Codice Magliabechiano) fu pubblicato a stampa a cura di B. Boncompagni nel 1 85 7 .

165

8. 1 .3. D Liber quadratorum

Il Liber quadratorum fu scritto da Fibonacci nel 1 225, dopo che il mate­ matico pisano ebbe risolto la questione (anch'essa proposta a Palermo da Mae­ stro Giovanni) della determinazione di un numero razionale q tale che: e siano quadrati [Loria, 1 929- 1 933, pp. 23 1 -23 2] . Leonardo trovò la soluzione:

q=

41 l2

2

q -5 =

96 1 =

1 44

(�)2 12

In questa significativa opera (probabilmente in parte ispirata d a analoghe ricerche arabe), Fibonacci si occupò di alcuni procedimenti per spezzare un qua­ drato nella somma di due quadrati (owero delle "equazioni pitagoriche") ed e­ nunciò per primo la doppia identità:

(a2+ b 2)(c2+tf2) = (ac+bd)2+(bc---ad)2 = (ad+bc)2+(bd---ac)2 che G. Loria propone di chiamare "teorema di Fibonacci" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 23 3 ] . Nel Liber quadratorum il matematico pisano riportò inoltre alcune ricer­ che sui "numeri congrui", owero sui numeri così esprimibili :

ab(a+b)(a-b) 4ab(a+b)(a-b)

quando a+b è pari quando a+ b è dispari

Fibonacci dimostrò che ogni numero congruo è divisibile per 24 e che affin­ ché la doppia equazione:

abbia soluzioni intere è necessario che m sia un numero congruo (osserviamo che tale doppia equazione generalizza la questione posta da Maestro Giovanni [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 234]). La diffusione del Liber quadratorum fu purtroppo assai limitata e ciò impedì forse un auspicabile sviluppo, nel tardo Medioevo, degli interessi e delle ricer­ che nel campo di una neonata . . . teoria dei numeri.

1 66

8.1.4. La storia dello zero

Un nuovo protagonista entrò a far parte del mondo matematico occidentale nel tardo Medioevo: l'introduzione della cifra zero nella matematica europea fu determinata dalla diffusione delle cifre indo-arabe. La storia dello zero è infatti strettamente legata all'evoluzione dei sistemi di scrittura dei numeri. Molte tradizioni matematiche antiche, come abbiamo osser­ vato, non conoscevano lo zero : l'aritmetica romana (analogamente a quella gre­ ca) non disponeva di alcun simbolo per indicare una quantità nulla; la necessità di un simbolo specifico per lo zero fu causata dal passaggio dalla notazione additiva alla notazione posizionate. Con quest'ultimo nuovo ed assai più pratico sistema, il valore di un simbolo utilizzato nella scrittura di un numero veniva a dipendere, oltre che dal simbolo, dalla sua posizione nel numero stesso : una pri­ ma conseguenza di ciò è proprio la necessità della cifra zero. Come sappiamo, infatti, nella scrittura moderna (che si awale della notazione posizionate in base dieci derivata dall'aritmetica indo-araba) dei numeri : 23 9 1

67294

1 076524

1 98 1 2

la cifra 2 indica rispettivamente migliaia, centinaia, decine ed unità. Nel caso si voglia scrivere posizionalmente in base dieci un numero, ad esempio, costituito da due decine e da nessuna unità, tale numero deve essere scritto collocando il 2 nella posizione delle decine ed utilizzando un indispensabile simbolo speciale (la cifra zero) in grado di evidenziare questa assenza di unità: 20 = 2· 1 0 1 + 0 · 1 00 Abbiamo precedentemente rilevato che la più antica tecnica per la scrittura di numeri riconducibile alla notazione posizionate fu quella babilonese, che uti­ lizzava le basi l O e 60 (probabilmente quest'ultima scelta per la sua ricchezza di divisori) : ma in essa non comparve per secoli alcun simbolo per lo zero e ciò costituì una grave fonte di ambiguità dei numeri scritti con questa notazione. Soltanto nel tardo periodo dei Seleucidi, owero negli ultimi tre secoli preceden­ ti l'era volgare, i Babilonesi sembrarono intuire la necessità di un simbolo per lo zero: nei testi astronomici risalenti a quel periodo comparvero infatti segni d'interpunzione per separare le cifre, ma il loro impiego non era ancora regolato da principi rigorosi e di conseguenza neppure allora l'ambiguità della notazione babilonese fu del tutto superata. L'affermazione definitiva della notazione posizionate fu determinata dallo sviluppo e dall'affermazione della matematica indiana e fu un'innovazione di estrema importanza per la matematica mondiale: tale metodo si estese al mondo arabo e quindi alla cultura occidentale; si ha però notizia di altre tradizioni cui-

167

turali nelle quali era adottata una notazione di tipo posizionale: la scrittura delle ampiezze angolari nell'Almagesto tolemaico, opera fondamentale della mate­ matica ellenistica e l'indicazione del tempo nel calendario maya. Le cifre indo-arabe si diffusero rapidamente nell'Europa medievale grazie a tre autori operanti nella prima metà del XIII secolo : Alessandro di Villedieu, au­ tore del Carmen de algorismo, Giovanni di Halifax detto Sacrobosco, autore dell'Algorismus vulgaris, e, come precedentemente ricordato, Fibonacci: lo stesso Leonardo latinizzò in "zephirum" il vocabolo " sifr" usato dagli arabi : " . . . quod arabice zephirum appellatur" [Boyer, 1 982] . Da allora, la notazione posi­ zionale ha regolato incontrastata la rappresentazione dei numeri naturali.

8.2. Dante e la matematica

8.2. 1 . Matematica e logica nella Divina Commedia

La Divina Commedia è una preziosa fonte per la conoscenza dello stato della matematica del XIII secolo: si tratta infatti di un'opera straordinariamente ricca di riferimenti culturali e di annotazioni di argomento scientifico [Maracchia, 1 979] [Cimrnino, 1 988] [Andriani, 1 989] [D'Amore, 1 994] . La matematica è presente in molti passi del capolavoro dantesco (frequenti sono ad esempio i richiami numerologici). L'Inferno è, delle tre cantiche, la me­ no ricca di riferimenti alla matematica e, più in generale, alle discipline scien­ tifiche. Ma una famosa citazione non può essere omessa: parliamo dell' episodio del canto XXVII in cui un "nero cherubino" è impegnato a contendere (vittorio­ samente) addirittura a San Francesco l'anima di un celebre trapassato. Vittima della ferrea logica del nero cherubino è lo scaltro capitano ghibellino Guido da Montefeltro ( 1 220?- 1 298), protagonista di un aneddoto riportato da alcune fonti medievali [Dante, 1 985]: Guido suggerì a Bonifacio VIII (per Dan­ te, "il principe de' novi Farisei"), di espugnare Palestrina con l'inganno, forte della promessa di assoluzione del papa. Ma la speranza della salvezza eterna derivante dall'assoluzione pontificia svanisce irrimediabilmente dopo la morte d eli' astuto condottiero, nonostante lo stesso San Francesco si rechi ad acco­ gliere l' anima di Guido (il quale fu "cordigliera" negli ultimi due anni di vita, e "morì santamente" ad Assisi [Dante, 1 985, p. 3 1 9]).

Francesco venne poi, com 'io fu ' morto, per me; ma un de ' neri cherubini li disse: "Non portar: non mi far torto.

1 68

Venir se ne dee giù tra' miei meschini, perché diede il consiglio frodo/ente, dal quale in qua stato li sono a ' crini; eh 'assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi, per la contradizion che no/ consente ". Oh me dolente! come mi riscossi quando mi prese dicendomi: ''Forse tu non pensavi che io loico fossi "! (Inferno, XXVII, 1 1 8- 1 23 )

"Per l a contradizion che noi consente" : requisitoria impeccabile (una sua ana­ lisi dal punto di vista logico è elaborata da E. Carroccio in [Carroccio, 1 97 1 ] ed è riportata in [D'Amore, 1 994, pp. 5 8-6 1 ]), che si conclude con l'inevitabile dan­ nazione di Guido, accompagnata dallo scherno del diabolico vincitore. 8.2.2. Dante e la geometria

Il Paradiso è senza dubbio la cantica più interessante per la presenza di rife­ rimenti matematici. Ricordiamo innanzitutto un passo ricchissimo di spunti : non per sapere il numero in che enno li motor di qua su, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non, si est dare primum motus esse, o se del mezzo cerchio far si pote triangol sì eh 'un retto non avesse. (Paradiso, XIII, 97- 1 02)

Chiaro è il riferimento alla logica modale; in " si est dare primum motus esse" troviamo la questione fisico-filosofica dell'esistenza del moto primo. Infine, la frase " se del mezzo cerchio far si pote triangol sì ch'un retto non avesse" è riferita all'impossibilità, nella geometria euclidea, di ottenere un triangolo in­ scritto in una semicirconferenza e non rettangolo [D'Amore, 1 990, p. 1 0] . Tra gli spunti d i sicuro interesse matematico è i l passo seguente, i n cui Dante si rivolge al suo avo Cacciaguida:

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O cara piota mia,

che sì t'insusi, che come veggion le terrene menti non capere in triangol due ottusi, così vedi le cose contingenti anzi che siano in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; (Paradiso, XVII, 1 3 - 1 8) Chiarissimo è il riferimento alle proprietà angolari di un triangolo; con l' affermazione "non capere in triangol due ottusi", Dante sottolinea l'impossibi­ lità dell' esistenza di un triangolo con due angoli interni maggiori di un angolo retto : nella geometria euclidea, la somma dei tre angoli interni di un triangolo è infatti sempre pari a due angoli retti [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 23 8]. Forse meno evidente è il riferimento alla circonferenza; per chiarirlo, ripor­ tiamo la parafrasi di C. Dragone del passo citato : " O mia radice cara, che tanto t'innalzi, tu che, come la mente dei mortali vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, così vedi le cose che possono e non possono avvenire prima che esistano in se stesse, per­ ché le vedi contemplando la divina essenza, il punto al quale tutti i tempi sono presenti, come i punti della circonferenza sono presenti al cerchio . . . " [Dante, 1 985, p. 1 1 3 7] . Esaminiamo finalmente quello che da molti commentatori è considerato "il più famoso passo matematico di Dante" [D'Amore, 1 990, p. 8] . Si tratta del ri­ ferimento al problema della quadratura del cerchio, ovvero della determinazio­ ne, con l'uso (esclusivo) della riga non graduata e del compasso, di un quadrato con la stessa area di un cerchio dato: un problema, com'è oggi noto, insolubile.

Qual è 'l geomètra che tutto s 'affigge per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond 'elli indige, tal era io a quella vista nova; veder volea come si convenne l 'imago al cerchio e come vi s 'indova; (Paradiso, XXXIII, 1 3 3 - 1 3 8)

1 70

Dante era evidentemente a conoscenza dell'estrema difficoltà del problema citato; e di esso fornì anche una parziale, ma interessante collocazione storica: E di ciò sono al mondo aperte prove

Parmènide, Me/isso, e Brisso, e molti, li quali andavano e non sapean dove. (Paradiso, XIII, 1 24- 1 26) Ricordiamo che il sofista Brissone (o Brisone), secondo alcuni discepolo di Euclide, fu "deriso da Aristotele (Analit. poster. , l, 9) perché ostinato ricerca­ tore della quadratura del circolo" (C. Dragone, in [Dante, 1 984, p. 1 082]). Tuttavia Brissone, frequentemente citato con Antifone (o Antifonte), è oggi considerato una figura rilevante nella storia della matematica antica. Afferma ad esempio G. Loria: "Il sofista Brissone . . . , al pari del contemporaneo Antifonte, fece sforzi per risolvere il problema della quadratura del cerchio, i quali, benché lo abbiano condotto ad errori indiscutibili. . . contengono nel proprio seno un germe fecondo : cioè l'uso dei poligoni inscritti e circoscritti, di cui poi . . . Archimede fece sì mirabile applicazione" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 3 5 ] . Merita d i essere riportata l'opinione d i M . Kline sui due sofisti: "Mentre tentava di quadrare il cerchio, Antifone ebbe l'idea di approssimare l' area del cerchio inscrivendovi dei poligoni aventi un numero sempre maggiore di lati. Brisone vi aggiunse l'idea di usare poligoni circoscritti. Antifone suggerì ulteriormente che un cerchio poteva essere considerato come un poligono con un numero infinito di lati. Vedremo come queste idee furono riprese da Eudosso nel suo metodo di esaustione" [Kline, 1 99 1 , l, pp. 52-5 3 ] . Osserviamo che i n Dante non è presente alcuna considerazione sul ruolo essenziale che il procedimento di Brissone venne ad assumere con Archimede e con Eudosso, sul "germe fecondo" che Loria e Kline evidenziano; il poeta si limitò a ricordare Brissone nell' àmbito del negativo giudizio aristotelico. Significativa è l'attenzione riservata da Dante al problema della quadratura del cerchio, che egli riprese anche in altre occasioni; in Monarchia, III, III, 2, leggiamo : " Geometra circuii quadraturam ignorat, non tamen de ipsa litigat";

171

ed in Convivio, Il, XIII, 27: "Lo cerchio, per lo suo arco, è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto" . 8.2.3. Dante ... matematico?

Assai difficile, ed a nostro avviso sostanzialmente scorretto, sarebbe soste­ nere una simile tesi. G. Loria, che spesso cita Dante nella propria Storia delle matematiche, afferma categoricamente: "Fra gli epigoni del Fibonacci non figura Dante Alighieri" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 23 7] . Il motivo di tale drastico giudizio viene presto spiegato, forse non senza una qualche (eccessiva?) durezza: "Ad onta di certe asserzioni ingiustificate di ciechi ammiratori dell'autore della Divina Commedia, tutto induce a credere che le cognizioni matematiche di Dante si riducessero a quelle attinte alle opere di Aristotele ed agli scritti di Boezio. Le allusioni aritmetiche da lui fatte lo designano come un tardo aderen­ te al misticismo neo-pitagorico . . . " [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 23 8]. Eviteremo di addentrarci nel campo, certamente opinabile e comunque non propriamente matematico, evocato dal richiamo al "misticismo neo-pitagorico " . Rileviamo comunque che, senza dubbio, l a formazione culturale d i Dante non escluse le discipline del Quadrivio; ed evidentemente, come abbiamo spesso po­ tuto osservare, tra i riferimenti scientifici del poeta un ruolo primario deve esse­ re attribuito ad Aristotele ed a Severino Boezio. Alcuni studiosi ritengono di attribuire una ben più profonda competenza matematica al grande poeta [Cimmino, 1 988] : tra i riferimenti matematici dante­ schi più citati troviamo una frase indirizzata da Cacciaguida a Dante, in cui è ravvisabile un importante spunto aritmetico :

Tu credi che a me tuo penser mei da quel ch'è primo, così come raia da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei; (Paradiso, XV, 5 5 -5 7) Elementare è la considerazione espressa da Dante: dalla conoscenza dell'unità (''da l'un") deriva, per semplice addizione, la conoscenza di ogni altro numero naturale (''il cinque e 'l sei"), secondo la successione:

1 72



'

l + l = 2;

2+ 1 = 3 ;

3 + 1 = 4;

4 + 1 = 5;

5 + 1 = 6;

Qual è l'effettivo rilievo matematico di tutto ciò? B. D'Amore, pur riportando il riferimento, non sembra attribuire ad esso particolare importanza ed osserva: "Mi pare che l'affermazione di Dante non sia di grande rilevanza aritmetica; credo che qualsiasi persona anche di modesta cultura possa ben comprendere che, avendo a disposizione l'unità, sia ragionevolmente facile costruire o rag­ giungere qualsiasi numero per addizione ripetuta di essa. Dico ciò espressa­ mente perché si è voluto invece vedere in questa frase addirittura qualche an­ ticipazione dell'intuizione di Giuseppe Peano ( 1 858- 1 932), che . . . ideò un siste­ ma assiomatico dei numeri naturali" [D'Amore, 1 994, p. 5 1 ] . Dante, dunque, precursore di Peano? No : restiamo convinti, con D'Amore, che un raffronto Dante-Peano non possa essere caricato di significati particolari, e non rappresenti una clamorosa anticipazione dell'assiomatizzazione dell'a­ ritmetica, ma sia da considerare al limite dell'evidenza più banale. Comunque, la chiara ed incisiva presentazione della relazione "essere successivo di" tra numeri naturali non può non colpire il lettore e merita di essere ammirata e segnalata tra i richiami matematici più stimolanti della Divina Commedia. Dante quindi non può essere considerato propriamente uno specialista in campo matematico : ma le sue conoscenze non appaiono banali, superficiali. Le molte citazioni confermano nettamente il gusto attento per le questioni ed i pro­ blemi della matematica, la predilezione non solo per la logica classica, ma anche per la geometria euclidea, frequentemente posta come termine di paragone, una sorta di grande palestra speculativa per l'intelletto umano.

8.2. I manuali medievali di aritmetica: l'Aritmetica di Treviso

8.2. 1 . La stampa a caratteri mobili

La storia dei manuali di matematica, ed in particolare di quelli di aritmetica pratica, risale ad alcuni secoli prima dell'introduzione della stampa a caratteri mobili. Tra le opere che si occuparono della risoluzione di problemi aritmetici pratici, ampiamente utilizzate dai mercanti, abbiamo citato il Liber Abaci del 1 202 [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 22-28] . L'invenzione della stampa determinò il rapido diffondersi di alcuni interes­ santi manuali di aritmetica. Appena due decenni dopo la pubblicazione della Bibbia ad opera di Giovanni Gutenberg a Magonza ( 1 456), vide la luce a Tre-

1 73

viso il primo libro di matematica a stampa pubblicato al mondo, Larte de /abbacho, un manuale anonimo noto come l'Aritmetica di Treviso. Pochi anni dopo la pubblicazione de Larte de labbacho, altri manuali di arit­ metica pratica furono pubblicati in varie località dell'Europa: nel 1 483, a Bamberg (Baviera) fu stampato un manuale dovuto ad Ulrico Wagner; nello stesso anno venne pubblicato a Padova l'Algorismi tractatus di Prosdocimo B eldomandi, e l'anno seguente un lavoro di Pietro Borghi fu stampato a Vene­ zia [Loria, 1 929- 1 93 3 ] . 8.2.2. Larte de labbacho

I maggiori studiosi concordano nell'accettare la data del 1 0 dicembre 1 478 quale data di pubblicazione de Larte de /abbacho, come riportato a conclusione dell'incunabolo [Romano, 1 969] [Bagni, 1 989] (qualche discordanza emerge per quanto riguarda lo stampatore, che secondo alcuni sarebbe il fiammingo Gerardo da Lisa, secondo altri Michele Manzolo, detto il Manzolino [Boncom­ pagni, 1 862- 1 863 ]). Larte de labbacho è un manuale costituito da sessantadue pagine, non nume­ rate (la numerazione delle pagine dell' esemplare conservato nella Biblioteca Capitolare di Treviso non è certamente originale; altri esemplari, come quello della Biblioteca Universitaria di Bologna, non hanno le pagine numerate [Pichi, 1 88 8]); i caratteri sono sorprendentemente chiari; tipograficamente, la stampa del libro è curata, elegante e precisa: gli errori di stampa, in tutto il volume, non sono che una ventina (apprezzabilmente pochi, rispetto a quanto mediamente riscontrato in opere coeve . . . e non solo !). L'opera, dichiaratamente dedicata "a ciascheduno che vuole usare )arte de la merchadantia chiamata vulgarmente larte de labbacho", è caratterizzata da una solida e chiara impostazione didattica, ed è impreziosita da un ricco e signi­ ficativo corredo di esempi, attentamente calibrati per difficoltà. Dal punto di vi­ sta linguistico, molte parole sono di evidente derivazione dialettale e tutti gli accenti sono omessi : tuttavia il testo non presenta rilevanti difficoltà di interpre­ tazione e risulta quindi agevolmente comprensibile anche per il lettore dei giorni nostri. L' opera si apre con la precisazione di alcune definizioni fondamentali : innan­ zitutto, viene detto numero "una moltitudine congregata . . . da molte unitade et al meno de la do unitade : come e 2 el quale e lo primo e menore numero che se truova" (ne Larte de /abbacho sono considerati i soli numeri naturali). Interessante è la netta distinzione che l'Autore introduce tra numero e cifra (detta "figura") : è opportuno sottolineare che le dieci cifre attraverso le quali vengono rappresentati, in notazione decimale, i numeri non sono considerate ne Larte de labbacho come altrettanti numeri naturali. Infatti, i numeri rappresen-

1 74

tabili con una sola cifra (detti "numeri semplici") sono soltanto i numeri asso­ ciati ad una "moltitudine . . . al meno de la do unitade", ovvero i naturali da 2 a 9. I numeri vengono quindi suddivisi in tre classi: • " numeri semplici", ovvero quelli rappresentati da un'unica cifra: sono i nu­ meri naturali dal 2 al 9; • "numeri articuli", ovvero i numeri naturali (con rappresentazione decimale di almeno due cifre) divisibili per dieci; • "numeri misti", ovvero i numeri naturali maggiori di dieci, ma non divisibili per dieci. L'anonimo Autore de Larte de labbacho indica come fondamentali, nella pra­ tica aritmetica, cinque "atti" : il contare (con la numerazione in base dieci) e le quattro operazioni. 8.2.3. Le operazioni aritmetiche

Ne Larte de labbacho non compaiono i segni con i quali, modernamente, so­ no indicate le quattro operazioni aritmetiche (+, -, x, : ) (6). Le quattro operazioni aritmetiche vengono così denominate ed indicate: "iongere", ovvero sommare, operazione che viene indicata mediante: "et"; "levare" o "cavare", ovvero sottrarre, operazione che viene indicata me­ diante: " de"; • " moltiplicare", operazione che viene indicata mediante: "fia"; • "partire", ovvero dividere, operazione che viene indicata mediante: "in" . • •

Interessanti e numerosi sono gli esempi che illustrano l'atto di "iongere" e l'atto di "cavare" (estesi anche a quantità espresse in termini frazionari non de­ cimali, come in ducati, grossi e piccoli, oppure in lire, soldi e piccoli). Dal punto di vista pratico, l'Autore, pur ricordando la validità della proprietà commutativa dell'addizione, suggerisce di eseguire l'operazione in colonna di­ sponendo sempre l'addendo maggiore sopra l' addendo minore. Per quanto riguarda la sottrazione, l'Autore ricorda che "mazor da menore non puo fir cavato" ed illustra numerosi esempi pratici (tratti dagli esempi già proposti per l'addizione), eseguiti in colonna (approfondiremo la tecnica propo­ sta per l'esecuzione pratica della sottrazione nella sezione 8 . 3). (6) Rispetto alla pubblicazione del manuale ( 1 478), l 'introduzione d i tali segni è più tarda (nel 1 489, con G. Widmann, per i segni di addizione e di sottrazione; nel 1 63 1 , con G. Oughtred, per quello di moltiplicazione; nel 1 65 7, ancora con Oughtred, per il segno di divisione; nel 1 557, con R. Recorde, per quello di uguaglianza) [Boyer, 1 982] .

1 75

La trattazione della moltiplicazione e della divisione è assai ampia ed interes­ sante: sono infatti riportati alcuni metodi pratici per l'esecuzione di tali opera­ zioni la cui valenza storica va ben oltre la semplice curiosità. Anticipiamo che la moltiplicazione viene così introdotta: "moltiplicare uno numero . . . per uno altro : non e altro . . . che trovare uno terzo numero : el quale tante volte contien uno de quelli numeri : quante unitade sono nel altro" . Anche per la moltiplicazione è evidenziata la proprietà commutativa; tuttavia, nell' ese­ cuzione di una moltiplicazione tra due fattori (analogamente a quanto prece­ dentemente indicato per l' addizione) l'Autore suggerisce di considerare sempre come moltiplicando il numero maggiore e come moltiplicatore il minore. Notia­ mo però che tutte le tavole riportate ne Larte de /abbacho per i prodotti di "nu­ meri semplici" (ai quali è aggiunta, per ogni numero, la moltiplicazione per lo zero, con il prodotto posto sempre uguale a zero) propongono esempi di pro­ dotti con i moltiplicandi minori dei corrispondenti moltiplicatori. La divisione è così introdotta: "partire e de do numeri propositi : truovare uno terzo numero : el quale se trova tante volte nel mazore : quante unitade sono nel menare". Dunque la divisione è introdotta come l'operazione inversa della moltiplicazione, e ciò consente di verificare l'esattezza dei calcoli effettuati n eli' esecuzione di una di tali operazioni mediante l' altra. A proposito della divi­ sione, nota l'Autore: "chel numero che de fir partito sempre de essere mazore : o vero al mancho eguale al partitore. E quando quelli sono eguali : sempre nasce . 1 . per parte" . 8.2.4. La moltiplicazione

Una larga sezione de Larte de /abbacho è dedicata ai procedimenti pratici utilizzabili per eseguire la moltiplicazione: nel manuale sono riportati molti metodi, ripresi da tradizioni precedenti [Picutti, 1 977]. Riassumeremo ed illu­ streremo con opportuni esempi i principali procedimenti presentati. a. Moltiplicazione per colonna. Il metodo viene adottato quando il molti­

plicatore è un "numero semplice"; esso corrisponde all'usuale, moderno proce­ dimento di moltiplicazione di un naturale qualsiasi per un numero naturale non maggiore di 9 (e non minore di 2, se consideriamo la definizione di numero che apre Larte de /abbacho). Un esempio di moltiplicazione per colonna è il seguente: 362

4 1 448

1 76

b. Moltiplicazione per crocetta. Il metodo viene adottato quando moltipli­ cando e moltiplicatore sono numeri di due cifre. Dopo aver scritto i due fattori in colonna, sono calcolati i prodotti delle cifre nella colonna destra e delle cifre associate "in croce" (non dimenticando di riportare le decine eventualmente ot­ tenute); infine, sono calcolati i prodotti delle cifre nella colonna sinistra (ricor­ dando che si tratta delle cifre delle decine). Un esempio di moltiplicazione per crocetta è il seguente:

4 3 x 2 5 1 075 5 x3 + (2x3} x l O + (5 x4}x l 0 + 2x4x l OO = 1 075 G. Romano nota che proprio da questo metodo deriverà l'adozione del sim­ bolo x per indicare la moltiplicazione [Romano, 1 969] . c.

Moltiplicazione per scachero. Come potremo constatare, corrisponde al­

la regola pratica per l'esecuzione della moltiplicazione utilizzata ai giorni nostri, metodo che si basa sulla proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto al­ l'addizione. Ad esempio, la moltiplicazione 23 6 x 75 è così eseguita per scachero : 236 l l 8 l652

o

7

5

1 7700 Essa si basa sull'espressione seguente: 23 6 x 75 = 23 6 x (5+70} = 236 x 5 + 23 6 x 70 = 1 1 80 + 1 6520 = 1 7700 d. Moltiplicazione per graticola. Riprende il metodo, detto anche "a gelo­

sia" o "a reticolo" o "moltiplicazione fulminea", noto agli Indiani ed agli Arabi, che abbiamo illustrato nel paragrafo 6.2. 3 .

1 77

8.2.5. La divisione

Illustriamo infine i principali procedimenti suggeriti ne Larte de l ' esecuzione pratica della divisione.

labbacho per

a. Divisione per colonna. Il metodo viene utilizzato quando il divisore è un

"numero semplice " e non è dissimile dal procedimento utilizzato in proposito ai

giorni nostri. Un semplice esempio di divisione per colonna è il seguente, in cui è calcolato 348 : 4 = 87 (con resto 0) : (divisore e dividendo) (quoziente)

4

348 87

o

(resto)

b. Divisione per battello. Si tratta di un procedimento piuttosto complicato, ma assai diffuso. Assai lunga, cronologicamente, è la fortuna della divisione per battello : E. Picutti la fa direttamente risalire alla "divisio aurea" eseguita sulle tavolette dell'abaco [Picutti, 1 977]; e soltanto nel XVII secolo essa sarà sosti­ tuita definitivamente dal metodo utilizzato ai giorni nostri, denominato inizial­ mente "divisione per danda" Illlustreremo la divisione per battello attraverso un esempio tratto dalle pp. 29-3 1 de Larte de labbacho, nel quale si esegue l'operazione 65284 : 594 = 1 09 (con resto 5 3 8). Si scrivono, inizialmente, il dividendo ed il divisore secondo la seguente di­ sposiziOne:

(dividendo) (divisore)

65284 594

Si determina, quindi, la prima cifra del quoziente (che è l ) e si scrive, sopra il dividendo, il primo "resto parziale" : esso si ricava, cominciando da sinistra, moltiplicando S x l = 5 e scrivendo l = 6-5 sopra la cifra 6. Quindi, si calcola 9x l = 9 e si scrive 6 = 1 5-9 sopra la cifra 5; si noti che la decina "presa in pre­ stito" deve essere tolta dall' l (prima cifra del "resto"), per cui nella riga supe­ riore non dovrà essere scritto alcunché ( 1 - 1 ) sopra la cifra l . Si calcola infine 4 x l = 4 e si scrive 8 = 1 2-4 sopra la cifra 2 (e, di conseguenza, 5 = 6- 1 sopra la cifra 6, per tener conto della decina "presa in prestito"). Il "resto parziale" individuato è dunque 58 (si osservi che, per limitare le possibilità di errore, il metodo originale prevede che ogni cifra già "utilizzata" venga cancellata con un tratto di penna).

1 78

5 -l- é 8 é��84 �94

Il divisore (594) viene quindi riscritto al di sotto dello schema, spostato verso destra di una posizione ed in modo da occupare le posizioni eventualmente li­ bere nelle righe superiori. Si ripete quindi l'operazione precedente dividendo il numero 5 884 (che può essere letto nella parte superiore dello schema) per il di­ visore, 594: la seconda cifra del quoziente è dunque O. 5 -l- é 8 é��84

�944

10

59

Infine, si completa lo schema determinando la terza (ed ultima) cifra del quoziente: 9. Il risultato dell' operazione è quindi 1 09 ed il resto, 5 3 8, può es­ sere letto nella parte superiore dello schema completato. -l- 5 ��3 -l- é & + 8 é��&4

�9444 �99 �

l

09

A parte una qualche apparente complessità del procedimento, il metodo ora descritto presenta l'inconveniente di non poter essere facilmente corretto : un eventuale errore costringe quasi sempre a ripetere dall'inizio l'intera esecuzione dell'operazione. La seconda e conclusiva parte de Larte de labbacho (da p. 30 a p. 62) è esclusivamente dedicata all'illustrazione di numerosi problemi risolti. In essa, troviamo esempi di calcolo di percentuali, di semplici problemi risolti con la "regola del tre", di conversioni di pesi, misure e valute [Romano, 1 969] . Gli e­ sempi che chiudono il manuale sono dedicati al calcolo delle date dei pleniluni : ciò indica che l'opera è concepita anche ad uso dei religiosi, in quanto la co­ noscenza esatta delle fasi lunari risulta indispensabile per la determinazione delle date delle feste religiose mobili (come la Pasqua). Il valore storico de Larte de labbacho non va certamente ricercato nell'im­ portanza o nell' originalità dei procedimenti presentati; dal punto di vista dell' im-

1 79

postazione complessiva, infatti, il manuale trevigiano non si discosta dalla scia magistralmente tracciata, quasi tre secoli prima, dal ben più profondo Liber A­ baci di Fibonacci. L'interesse de Larte de labbacho per la storia della scienza e, più generalmente, per la storia della cultura è collegato alle mutate possibilità di divulgazione derivanti, anche per l'aritmetica, dall'invenzione della stampa; nel manuale esaminato troviamo, quindi, un ampio spaccato della cultura matema­ tica pratica del tempo, che, proprio grazie alla stampa, può raggiungere un nu­ mero sempre più elevato di lettori. Il primo e più vasto lavoro di analisi de Larte de /abbacho risale al 1 8621 863 dovuto a B. Boncompagni [Boncompagni, 1 862- 1 863 ] . Recentemente, F. D'Acais-B . Porro e G. Romano hanno curato i commenti a due pregevoli ri­ stampe anastatiche dell' opera [D'Acais-Porro, 1 969] [Romano, 1 969] . La di­ sponibilità di riproduzioni anastatiche de Larte de /abbacho è particolarmente importante in quanto sono note pochissime copie dell'edizione originale del manuale. Nel 1 888, F.G. Pichi elencò soltanto otto esemplari originali de Larte de labbacho; sebbene tale valutazione sia certamente da aggiornare, è evidente la rarità bibliografica dell'opera [Pichi, 1 888] [Rouse Bali, 1 927] [Smith, 1 95 8, l, p. 249] .

8.3. I metodi pratici di sottrazione nei manuali di aritmetica

8.3. 1. L'esecuzione pratica della sottrazione

L'esecuzione pratica della sottrazione di numeri naturali in colonna si basa su procedimenti la cui elaborazione affonda nella storia della matematica. In non pochi libri adottati per l'insegnamento nella Scuola Primaria troviamo esposto il tradizionale metodo della sottrazione con la presa in prestito; consi­ deriamo ,ad esempio, la seguente sottrazione: 5

13

6

3-

2

6=

3

7

La regola così schematizzata (presentata anche in molti manuali di Aritmetica razionale) non è però l'unica a trovare spazio nei libri dedicati alla Scuola Primaria. Ad essa si affianca infatti quella illustrata nello schema seguente:

1 80

6 2

13

3

3

36= 7

La differenza tra le due regole sopra presentate è dunque questa: mentre nel primo caso la decina "presa in prestito" viene tolta dalla cifra delle decine del minuendo, in questo secondo caso essa viene aggiunta alla cifra delle decine

del sottraendo.

I procedimenti ora ricordati sono presenti in molte pubblicazioni di soggetto matematico; ne proporremo una breve rassegna, al fine di illustrare la diffusione dei metodi esaminati nella storia della nostra disciplina. 8.3.2. La sottrazione nella storia della matematica

Abbiamo esaminato i seguenti manuali di aritmetica pratica pubblicati a stam­ pa (risalenti ai secoli xv-xx): • 1 478, Anonimo, Larte de labbacho (senza indicazione dell ' editore, Treviso 1 478). Nell'Aritmetica di Treviso viene descritto direttamente il procedi­ mento per la sottrazione con l'incremento della cifra del sottraendo (1) :

(1) In questo paragrafo ci occupiamo di manuali pubblicati a stampa, a partire, dun­ que, da Larte de labbacho . Ricordiamo comunque che anche Fibonacci, nel Liber Aba­ ci (capitolo IV) del 1 202, optava per la sottrazione con l'incremento della cifra del sot­ traendo: "Quando poi si vorrà trarre un numero da un numero, si scriverà il numero minore sotto il maggiore, collocando i gradi simili sotto i gradi simili, e cominciando a sottrarre la prima figura del numero minore dalla prima del maggiore, e porrai il risultato sopra la prima figura. E si trarrà la seconda dalla seconda, e si porrà il residuo sopra la seconda, e la terza dalla terza. E le rimanenti dalle rimanenti per ordine, sempre scrivendo i risultati . E quando la figura del numero minore è maggiore della figura del medesimo grado del numero maggiore non potrai sottrarre. Allora si deve aggiungere alla figura del numero maggiore una decina e dalla somma si sottrarrà la figura del numero minore. E per l'addizione di detta decina dovrà tenersi in mano una unità. E la stessa dovrà essere aggiunta alla figura seguente del numero minore e questa quantità dovrà essere sottratta, se sarà possibile, dallo stesso grado del numero supe­ riore. E così operando di grado in grado fmo all'ultima figura del numero minore" [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 23] .

181

" [452-348] . 8 . de .2. non se puo cavare: ma .2. me compie . 1 0. quel .2. che te ha compi el to . 1 0. tu die iongere a !altro .2. che sora . 8 . dicendo .2. e .2. fa .4. el qual tu die scrivere per resto sotto quel . 8 . con questa conditione: che a la figura seguente al . 8 . zoe al .4. tu die iongere . l . " (le pagine dell'incunabolo non sono numerate). 1738, C. Clavio, Aritmetica prattica (Viezzeri, Venezia 1 73 8). L'Autore descrive innanzitutto il procedimento di sottrazione con la "presa in prestito" tra le cifre del minuendo (''che cosa ha da farsi quando la figura inferiore è mag­ giore della superiore", pp. 1 7-20); quindi enuncia una "più facil regola di sot­ trarre quando la figura inferiore è maggiore della superiore" (pp. 20-24) : •

"Questa regola ch'abbiam detto, è usata da molti Aritmetici, ma noi molto più facilmente così l'insegneremo. Quando la figura inferiore è maggior della superiore, piglisi la differenza che è tra essa, e il l O, e a questa differenza s' aggionga la figura superiore, dalla quale la sottrazzione non si può fare, e tutta la somma si scriva sotto la linea, perché questa somma avanzerebbe, se quella figura maggiore si levasse dal numero composto dal l O e da quella figura supe­ riore, dalla quale non si può fare la sottrazzione, non altrimente, che se fosse pigliata l'unità in presto . . . Doppo questo acciò non siamo sforzati di levare con l'imaginazione l'unità dalla figura superiore, dalla quale è stata virtualmente l'u­ nità pigliata in presto, aggiongeremo alla figura inferiore, che prossimamente verso la parte sinistra segue, una unità, e questa somma dalla figura superiore (senza levar prima da essa alcuna unità) sottrarremo" (pp.20-2 1). 1 7 42, A . M o rei, L 'arithmétique raisonnée (Desaint-Saillant, Paris 1 742). L'Autore descrive (e giustifica) il procedimento di sottrazione con l'in­ cremento delle cifre del sottraendo (p. 2 1 ) : •

"Pour òter du nombre le nombre

A B

& en trouver la différence

z

l 23o5 6729 5576

Avant que de faire cette opération, remarqués que la différence d es nombres A & B sera toujours la mème, si on ajoiìte à A & à B des nombres égaux, par exemple, si lorsqu'on ajoute dix, cent, mille, &c. au nombre A, on ajoiìte les mèmes dix, cent, mille, &c. au nombre B: 12 òtés de 1 4, reste 2: ajoiìtes l O à 1 2 & à 1 4, vous aurez 22 & 24 : 22 òtés de 24, reste aussi 2 : ajoiìtes 1 00 à 22 & à 24, vous aurez 1 22 & 1 24, dont la différence est aussi 2, &c. Pour òter donc B de A, je commence toujours par les unités, & je dis: 9 òtés de 5, je ne puis; j'aioiìte aussi l dixaine aux unités 5 de A, & j'aurai 1 5, j'aioiìte

1 82

aussi une dixaine aux dixaines 2 de B, & j'aurai 3 dixaines; puis je dis: 9 òtes de 1 5, reste 6; je pose 6 sous la ligne au rang d es unités" (8 ) (p.2 1 ). Il metodo viene quindi descritto anche per le cifre delle decine, delle centi­ naia e delle migliaia; rilevante è la giustificazione esplicita del procedimento, con l'illustrazione della proprietà invariantiva. • 1 760, A. Pereira, Tratado de arithmetica e algebra (Da Silva, Lisbona 1 760). Nella prima parte del Capitolo III, intitolata "Do Diminuir" (9) (pp. 71 1 ), l'Autore descrive il procedimento di sottrazione con la "presa in prestito" tra le cifre del minuendo; nella seconda parte del Capitolo III, intitolata "Outro modo de Diminuir" ( 1 °) (pp. 1 1 - 1 2), annota:

" Quando a letra de cima he mayor, ou igual com a debaixo, restamos huma da outra. . . Porèm quando a debaixo he mayor que a de cima, accrescentamos­ lhe l O fem os pedir emprestados, e dizemos: vay l, que accrescentamos a outra letra a debaixo, que se segue" (1 1 ) (p. 1 1 ). • 1 767 e 1 786, Paulini a S. Josepho, Institutiones Arithmeticae (Occhi, Venezia 1 767). Nel Capitolo l , "Propositio IV. De Subtractione Integrorum" (pp. 1 1 - 1 3), l'Autore descrive parallelamente i due metodi, sottolineandone l'e­ quivalenza:

" Si quis numerus inferior subduci non potest a superiori, quia ilio major est, intelligatur addita numero ipsi superiori decas, factaque subtractione, ponatur residuum infra lineam: sed deinde numerus superior, qui sequitur, unitate minui­ tur, vel (idem enim est) subsequens numerus inferior augetur unitate" (p. 1 1 ). (8) "Per togliere dal numero A 1 2305 i l numero B 6729 e trovare l a differenza Z

5 5 76 . Prima di fare questa operazione, si ricordi che la differenza dei numeri A e B sarà sempre la stessa, se aggiungiamo ad A ed a B dei numeri uguali, per esempio se quando aggiungiamo dieci, cento, mille ecc. al numero A, aggiungiamo gli stessi dieci, cento, mille ecc. al numero B: 1 2 tolto da 1 4, resta 2: aggiungendo 1 0 a 1 2 ed a 1 4 avrete 22 e 24: 22 tolto da 24, resta ancora 2: aggiungendo 1 00 a 22 ed a 24 avrete 1 22 e 1 24, tra i quali la differenza è ancora 2 ecc. Per togliere dunque B da A, comincio sempre dalle u­ nità e dico: 9 tolto da 5 , non posso; aggiungo allora l decina alle 5 unità di A ed ottengo 1 5 , aggiungo anche una decina alle 2 decine di B ed ottendo 3 decine; poi dico: 9 tolto da 1 5 , resta 6; pongo 6 sotto la linea al posto delle unità". (9) "Del Diminuire" . ( lO) " Altro modo di Diminuire". ( 1 1) " Q uando la cifra superiore è maggiore o uguale a quella inferiore, procediamo come nell 'altro caso . . . Quando la cifra inferiore è maggiore della superiore, accrescia­ mola fino a l O e diciamo: riporto l , unità con la quale aumentiamo l'altra cifra infe­ riore, collocata a lato della cifra in esame".

1 83 • 1 796, A. Marie, Lezioni elementari di matematiche (Allegrini, Firenze 1 796 ) . L'Autore, dopo avere dettagliatamente descritto il procedimento di sot­ trazione con la presa in prestito tra le cifre del rninuendo, annota:

"La sottrazione si fa anche in un altro modo che useremo nella divisione. Per sottrarre 2964 da 457 1 si dirà: dalla cifra inferiore 4 non può andarsi alla superiore l che è più piccola, ma andando a I l , la differenza è 7 che scrivo, e porto l perché sono andato a 1 1 : parimente da 6, + l (=7) andando a 7, la dif­ ferenza è O che scrivo: quindi da 9 non può andarsi a 5, ma andando a 1 5, la dif­ ferenza è 6 che scrivo, e porto l : infine da 2, + l (=3 ) andando a 4, la differenza è l che scrivo; e il resto totale è 1 607" (pp. 6-7 ) . 1 820, V. Brunacci, Elementi di algebra e geometria (Imperiale Regia Stamperia, Milano 1 820) . Riporta esattamente (p. 9 ) l'esempio presente in Ma­ •

rie, utilizzando addirittura le stesse parole di commento (siamo di fronte ad un'eccessiva . . . "stima" intercorsa tra i due trattatisti?):

"La sottrazione si fa anche in un altro modo. Per sottrarre 2964 da 457 1 si dirà: dalla cifra inferiore 4 non può andarsi alla superiore l che è più piccola, ma andando a I l , la differenza è 7 che scrivo, e porto l perché sono andato a I l : parimente da 6, + l (=7 ) andando a 7, la differenza è O che scrivo : quindi da 9 non può andarsi a 5, ma andando a 1 5, la differenza è 6 che scrivo, e porto 1 : infine da 2, + l (=3 ) andando a 4, la differenza è l che scrivo; e il resto è 1 607" (p. 9 ) . 1 843, L.B. Francoeur, Corso completo di matematiche pure (Batelli, Napoli 1 843 ) . In "Della sottrazione" (pp. 9- 1 4) , l'Autore introduce direttamente il procedimento per la sottrazione con l'incremento della cifra del sottraendo : •

"In generale, quando la cifra superiore sarà la minore, dovrà essa aumentarsi di dieci, ritenendo un'unità per aggiungerla alla cifra inferiore che succede im­ mediatamente a sinistra. Si osserverà infatti che in tal modo il numero superiore viene aumentato di l O, ma che nel tempo stesso viene parimente aumentato di I O il numero inferiore, il che non altera punto la differenza" (p. 1 2) . 1861, A. Bourdon, Elementi di aritmetica (Bizzoni, Pavia 1 86 1 ) . L'Autore tratta l'argomento in "Della sottrazione" (pp. 1 3 - 1 7 ) ; innanzitutto, egli in­ •

troduce il procedimento di sottrazione con la "presa in prestito" tra le cifre del rninuendo; in una "Osservazione", quindi, afferma:

"È chiaro che invece di diminuire di una unità la cifra dalla quale si è tolta una unità, si può lasciare questa cifra tal quale si trova, purché si aumenti di una

1 84

unità la cifra inferiore corrispondente. Questa maniera di operare è generalmente più comoda in pratica" (p. 1 6). • 1 920, S. Pincherle, Gli elementi dell 'aritmetica (Zanichelli, Bologna 1 920). Si tratta di un libro di testo per le scuole secondarie inferiori; l'Autore, nel paragrafo 25 (pp. 2 1 -23), introduce direttamente il procedimento per la sot­ trazione con l'incremento della cifra del sottraendo:

"Regola. Il sottraendo si scrive sotto il diminuendo, avendo cura di porre le unità del medesimo ordine in una stessa colonna verticale. L'operazione si co­ mincia dalla destra. Se si può, si sottrae ogni cifra del sottraendo dalla corri­ spondente del diminuendo; se non si può (per essere la cifra del sottraendo maggiore della corrispondente del diminuendo) si aggiunge l O alla cifra del di­ minuendo ed l alla cifra immediatamente a sinistra nel sottraendo" (p. 22). Il procedimento di sottrazione con la "presa in prestito" tra le cifre del mi­ nuendo viene descritto solo alla fine del paragrafo : "Osservazione. D a molti viene anche usato il seguente modo d i procedere . . . S e si può, si sottrae ogni cifra del sottraendo dalla corrispondente del dimi­ nuendo; se non si può (per essere la cifra del sottraendo maggiore della corri­ spondente del diminuendo) si aggiunge l O alla cifra del diminuendo e si diminui­ sce di l la prima cifra significativa a sinistra di quella del diminuendo stesso; es­ sendovi zeri intermedi, si sostituiscono con altrettanti nove" (pp. 22-23 ). 8.3.3. Valenza didattica dei procedimenti presentati

Dopo questa breve rassegna di fonti storiche, è opportuno ricapitolare i ter­ mini dei due procedimenti per l' esecuzione pratica della sottrazione, che come abbiamo potuto constatare sono spesso riportati parallelamente in manuali e libri di testo. Tali procedimenti sono evidentemente equivalenti : ad esempio, si esamini an­ cora l'esecuzione "in colonna" della sottrazione 63 -26: 6 32 6= 3 7 Con il tradizionale procedimento della "presa in prestito" tra le cifre del mi­ nuendo, al posto della sottrazione 3-6 (impossibile in N) si esegue la sottrazio-

1 85

ne 1 3-6 e quindi si decrementa di l la cifra delle decine del minuendo (la­ sciando inalterata la cifra delle decine del sottraendo); con il secondo procedi­ mento esaminato, si esegue ugualmente la sottrazione 1 3-6 e si incrementa di l la cifra delle decine del sottraendo (lasciando invece inalterata la cifra delle de­ cine del minuendo) La piena equivalenza dei due procedimenti è garantita dalla proprietà invariantiva: per quanto riguarda la sottrazione delle cifre delle deci­ ne, il risultato di (6- 1 )-2 (nel primo caso) è uguale al risultato di 6-(2 + 1 ) (nel secondo caso). Osserviamo però che, dal punto di vista dell'utilità pratica, il procedimento che non prevede il "prestito" tra le cifre del rninuendo può apparire di più sem­ plice esecuzione. Ad esempio, nelle sottrazioni di numeri in notazione binaria, la frequente presenza di ripetuti "prestiti" viene ad essere disagevole per l'allievo. Illustriamo quanto affermato con un esempio : si voglia eseguire, in colonna, la sottrazione 1 1 0000-1 000 1 (in notazione binaria): .

1 1 00001 000 1= l l l l l

Il procedimento del "prestito" tra le cifre del rninuendo potrebbe comportare sùbito una qualche difficoltà per l' allievo: l' esecuzione di O- l non è possibile ed il "prestito" per eseguire l O- l appare tecnicamente complicato : il primo l pre­ sente si trova quattro cifre a sinistra del nostro O! I "prestiti" devono quindi av­ venire ripetutamente, e devono essere tutti tenuti ben chiari in mente: tutto ciò potrebbe non essere semplice per l' allievo non abilissimo. Il secondo procedimento sopra presentato può rivelarsi più agevole: per " sa­ lire" da l a l O (giacché da l a O non è possibile) si scrive l e si aumenta lo O (la seconda cifra da destra del sottraendo) di l ; si ripete Io stesso ragionamento altre tre volte ed infine si sale da l O ( l + l ) a 1 1 scrivendo l come quinta cifra (da destra) del risultato. Non è necessaria la lunga sequenza mnemonica delle "prese in prestito" e l'esecuzione dell' operazione appare meno insidiosa rispetto al caso precedente. Concludiamo rilevando che la praticità di questo secondo procedimento sem­ bra contrastare con la vasta diffusione del primo in molti manuali moderni. A ta­ le proposito, non sarà superfluo notare che, dal punto di vista didattico, il me­ todo che prevede la "presa in prestito" tra le cifre del rninuendo può apparire più semplice: la diminuzione della cifra del rninuendo (che ha "ceduto" un'unità alla cifra immediatamente prossima) può infatti risultare più chiaramente giustifi­ cabile dell'equivalente incremento della cifra del sottraendo.

1 86

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187

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stampa,

Temi di storia della matematica

8 . 1 . «L'aspetto più significativo dell'opera di Leonardo Pisano è l'osserva­ zione che la classificazione degli irrazionali contenuta nel libro X degli Elementi non è completa. Leonardo dimostrò che le radici di .x3+2x2f- 1 Ox = 20 non sono costruibili con riga e compasso e questo costituisce la prima indicazione che il sistema numerico contiene molti più numeri di quelli ammessi dal criterio costruttivo di esistenza dei Greci» (Morris Kline). 8.2. «Il Liber Abaci si apre con un'idea che suona quasi moderna, ma che era caratteristica del pensiero medievale sia islamico sia cristiano : e cioè che l'a­ ritmetica e la geometria fossero connesse tra di loro e si rafforzassero l'una con l'altra. Questa idea, naturalmente, ricordava l'A lgebra di Al Kuwarizmi, ma veniva ugualmente accettata nella tradizione latina che faceva capo a Boezio» (Cari B . Boyer). 8 . 3 . «È necessario rilevare esplicitamente che il Liber quadratorum assicura a Leonardo Pisano un posto distinto fra i pionieri dell'odierna teoria dei numeri? Se quell'opera non fosse rimasta durante più di sei secoli sepolta in immeritato oblìo, questa nobile parte della matematica non avrebbe atteso che Fermat le imprimesse quella spinta a cui essa deve la vita>> (Gino Loria). 8.4. «È vero che nelle università medioevali l'insegnamento della matematica non andava molto oltre i primi rudimenti della geometria e il teorema che in un triangolo isoscele gli angoli alla base sono uguali costituiva il pons asinorum che bisognava varcare per entrare a far parte della schiera dei dotti. Ma nume­ rosi erano stati i traduttori e commentatori di Euclide . . . » (Umberto Bottazzini).

Capitolo

9

La m atematica ri nascimentale

"Accetti dunque il Lettore con animo

di

libero da ogni passione l'opera mia, e cerchi farsene intendente, che vedrà

quanto giovamento gli sarà, avisandolo però che se egli capace non sarà della

di

parte minore della Aritmetica, non si ponghi a questa impresa

volere

apprendere l'Algebra, perché getterebbe il tempo". Rafael Bombelli

9. 1. D tardo Medioevo 9. 1 . 1 . Thomas Bradwardine e Levi ben Gerson

L'espansione dei traffici commerciali favorì, verso la fine del Medioevo, la diffusione dei manuali di aritmetica pratica; parallelamente, la matematica spe­ culativa era oggetto di studio da parte dei filosofi scolastici. Lo studio delle opere di Platone e di Aristotele portò molti uomini di cultura ad interessarsi di matematica (l) [Struik, 1 98 1 ] . Tra le maggiori personalità matematiche del XIV secolo spicca Thomas Bradwardine ( 1 290?- 1 347), arcivescovo di Canterbury, autore di alcuni lavori pregevoli tra cui spicca il trattato Geometria speculativa in quattro libri [D'A­ more-Matteuzzi, 1 976, pp. l 08- 1 1 0] . Le ricerche sui poligoni stellati del pensa­ tore inglese furono in larga parte riprese dalle considerazioni di Boezio. G. Loria definisce Bradwardine "tardo, ma non indegno discepolo dei sommi geometri della Grecia" e lo accosta idealmente ad un "geniale israelita" al quale spetta "un posto onorevole fra i commentatori di Euclide" [Loria, 1 929- 1 93 3 , pp. 244-245] : Levi Ben Gerson ( 1 288-1 344) (2). ( 1 ) A tale proposito ricordiamo che Agostino da Tagaste, nel De Civitate Dei, "ave­ va accettato la successione degli interi come un infinito attuale", ma "gli scrittori scola­ stici del Medioevo, in particolare Tommaso d'Aquino, accettavano l'inftnitum actu non datur di Aristotele" [Struik, 1 98 1 , p. 1 1 4] . (2 ) Gli Elementi di Euclide erano stati tradotti in ebraico da Moses lbn Tibbon nel 1 270 e da Jacob lbn Machir nel 1 277 [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 245] .

1 90

Levi Ben Gerson si impegnò nel tentativo di ridurre il numero dei postulati euclidei ed è per questo ricordato come un lontano precursore delle geometrie non-euclidee. Importanti sono inoltre i suoi lavori trigonometrici ed astronomi­ ci, in parte riconducibili all'impostazione tolemaica (troviamo ad esempio impie­ gata la notazione in frazioni sessagesimali); egli introdusse il teorema secondo il quale i lati di un triangolo sono proporzionali ai seni degli angoli opposti: si tratta del celebre teorema dei seni, ancor oggi presente nei testi di trigonometria per le scuole secondarie, che giustamente pertanto G. Loria propone di chiama­ re "teorema di Levi Ben Gerson" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 245] . 9. 1 .2. Nicola d'Oresme e la latitudo formo.rum

Tra i religiosi che si occuparono più profondamente di matematica spicca Nicola d'Oresme ( 1 3 23 - 1 3 82). Parigino, poi divenuto vescovo di Lisieux, Nico­ la fu un matematico originale e fecondo che riprese l'opera di Bradwardine e la arricchì con intuizioni straordinariamente moderne, innovative. In particolare, Nicola d'Oresme si occupò dello studio delle proporzioni e pubblicò l'A lgorismus proportionum, nella quale troviamo regole equivalenti a:

Nelle sue opere comparve anche la fondamentale intuizione di potenza ad e­ sponente non razionale [Struik, 1 98 1 ], ma forse la limitatezza degli strumenti tecnici disponibili impedì uno sviluppo organico e completo di tali indicazioni. Il nome di Nicola d'Oresme è inoltre legato ad un'importante tappa nella co­ struzione dei metodi di rappresentazione delle funzioni, che culminerà nel XVII secolo con le opere di Fermat e di Descartes. Con il Tractatus de /atitudinibus formarum ( 1 3 6 1 ), Nicola riprese idealmente Apollonio nella costruzione di un primitivo sistema di coordinate: ad esempio, per rappresentare un moto vario, indicò come "longitudini" (orizzontalmente) gli intervalli di tempo e come "lati­ tudini" (verticalmente) le velocità. Egli ottenne un grafico simile al seguente:

a

b

c

d

e

f

Nicola si interessò inoltre esplicitamente all'area sottesa da questo primitivo grafico, ma non fu in grado di spiegare il motivo per cui essa viene a rappre­ sentare lo spazio percorso [Boyer, 1 982].

191

Ricordiamo inoltre che Nicola d'Oresme fu un precursore delle concezioni spaziali a più di tre dimensioni (che erano state esplicitamente escluse da Aristo­ tele nel De Coelo in base ad una errata dimostrazione, come abbiamo preceden­ temente rilevato) [D'Amore-Matteuzzi, 1 976, p. 1 08]; egli notò che per indicare le funzioni di più di due variabili è necessario immaginare punti identificati da più di tre coordinate (e dunque punti dell'iperspazio). La sua conclusione fu " . . . ma non deve essere così", a conferma dell'assoluta fiducia della quale le concezioni aristoteliche godevano ancora nel tardo Medioevo [D'Amore-Mat­ teuzzi, 1 975, p. 64] . 9. 1.3. Le serie

Nicola d'Oresme si occupò anche di procedimenti infiniti e diede la più antica dimostrazione della divergenza della serie armonica (modernamente) scritta: +ex>

l

l l l l l l l

2: - = 1 + - + - + - + - + - + - + - + . . . i 2 3 4 5 6 7 8 i= l

La dimostrazione oresmiana appare semplice ed elegante anche al lettore di oggi. Il matematico francese suggerì di scrivere l'espressione che (sempre in no­ tazione moderna) equivale alla:

- l l + (-l ) + (l- + -l ) + (l- + -l + -l + -l }. . . 2 3 4 5 6 7 8

2: - = i i=l

l,

ovvero di raggruppare le frazioni entro parentesi contenenti rispettivamente 2, 4 , 8, . . . frazioni; la somma delle frazioni situate in ciascuna parentesi è allora non minore di 1h ed essendo possibile in questo modo ottenere un qualsiasi nu­ mero di parentesi, Nicola concluse che la somma della serie esaminata è mag­ giore di ogni costante arbitrariamente scelta. Nicola d'Oresme fu dunque un matematico di grande valore, di notevole vi­ vacità intellettuale; molte delle sue intuizioni ebbero, nella storia della nostra disciplina, un'importanza assoluta e furono riprese, secoli dopo la morte del ve­ scovo francese, da alcuni grandissimi pensatori. Il ritardo con cui alcune consi­ derazioni oresmiane furono sviluppate porta G. Loria ad affermare: "Riteniamo superflua qualunque nostra parola per esaltare l'importanza di questi risultati; essi erano forse di troppo superiori alla mentalità degli scienziati del tempo per venire apprezzati ed utilizzati durante il secolo XIV" [Loria, 1 9291 93 3 , pp. 247-248] .

1 92

9.2. L'algebra rinascimentale

9.2. 1. Verso il superamento dell' algebra retorica

La storia dell'algebra costituisce un capitolo assai importante della storia della matematica. Come abbiamo osservato nel capitolo precedente, il termine " algebra" trae origine da Al jabr wal muqabala, opera scritta nell'8 3 0 da Mohammed lbn Musa Al Kuwarizmi ("al-jabr" significa "ristabilire" ed è un ter­ mine riferito al procedimento modernamente detto "regola del trasporto", im­ piegato nella risoluzione delle equazioni). Abbiamo però osservato che le radici storiche dell'algebra sono molto più antiche: già in Mesopotamia ed in Egitto venivano considerate e correttamente risolte (anche se con riferimento ai soli numeri positivi) alcune equazioni alge­ briche di primo e di secondo grado. I Greci si occuparono di algebra nel periodo alessandrino : Erone di Alessandria, Nicomaco di Gerasa ed in particolare Diofanto di Alessandria, autore di una splendida Arithmetica in tredici libri, ebbero un ruolo primario nello sviluppo del calcolo algebrico [D'Amore-Oliva, 1 993 ] . I l simbolismo usato d a Diofanto era complicato e scomodo, m a storicamente è degno di menzione: esso, come abbiamo visto nel capitolo 5, anticipò di circa un millennio il passaggio dall'algebra retorica (utilizzata ad esempio da Al Kuwarizmi, in cui le equazioni erano semplicemente descritte con parole tratte dalla lingua) (3 ) all'algebra sincopata (in cui si ricorreva ad alcune descrizioni abbreviate). Esempi di algebra retorica, tratti dai lavori di aritmetica medievale, sono 1 seguenti [Franci-Toti Rigatelli, p. 9] : cose uguale a numero censi e cose uguale a numero censi uguale a numero censi uguale a cose censi e numero uguale a cose censi uguale a cose e numero cubo e cose uguale a numero cubo uguale a cose e numero cubo e numero uguale a cose

ax = b ax2+bx = c ax2 = b ax2 = bx ax2 +c = bx ax2 = bx+c x3+bx = c x3 = bx+c x3+c = bx

(3) B . Boncompagni osserva che nel Flos (versione manoscritta presente nel Codice A mbrosiano, E15 sup . , carta 1 0) Leonardo da Pisa detto Fibonacci imposta un sistema di tre equazioni indicando le incognite con i termini "bursa", "dragma" e "res" [Boncom­ pagni, 1 854, p. 1 7] .

1 93

Tra le opere matematiche del xv secolo notevoli sono i trattati di Johann Miiller da Konigsberg detto Regiomontano ( 1 436- 1 476) e di Nicolas Chuquet, Triparty en la science des nombres (1 484). L'espressione algebrica in esse im­ piegata era ancora retorica, ma non è difficile ravvisare in essi la presenza delle prime manifestazioni di algebra sincopata: ricordiamo che in tale periodo com­ parvero delle notazioni per gli esponenti (anticipate peraltro di un secolo dalle intuizioni di Nicola d'Oresme). Come sopra accennato, nell'algebra sincopata, utilizzata ad esempio da Luca Pacioli ( 1 445- 1 5 1 4), quantità ed operazioni erano indicate da simboli; così : "Trouame l .n°. che gioto al suo qdrat0 facia . 1 2" rappresentava l'equazione modernamente indicata: x+x2 = 12. Anche Girolamo Cardano ( 1 5 0 1 - 1 576) usava una notazione sincopata, della quale diamo un esempio [Kline, 1 99 1 , l, p. 304] : "Qdratu aeqtur 4 rebus p: 32" per rappresentare l' equazione modernamente scritta: x2 = 4x+32. Infine, nell'algebra simbolica (che sarà utilizzata da François Viète, circa un secolo dopo Pacioli) tutte le operazioni e tutte le quantità saranno espresse da opportuni simboli [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992] . 9.2.2. Luca Pacioli

La fama di cui gode Luca Pacioli è dovuta alla sua opera più importante, la Summa de aritmetica, geometria, proportioni et proportionalità ( 1 494, pubbli­ cata a stampa a Venezia nel 1 499). Si tratta della prima opera enciclopedica di soggetto matematico data alle stampe (''ed a questa fortunata circostanza è in parte debitrice della sua immensa diffusione" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 276]). Nella Summa troviamo riferimenti, talvolta espliciti, a molti scrittori mate­ matici precedenti (da Fibonacci agli algebristi arabi) : l'opera di Pacioli non può dunque essere considerata interamente originale, e la sua importanza, più che nel contenuto, deve essere ricercata nella forma, nel linguaggio; ricordiamo che Pacioli impiega largamente l'algebra sincopata. Alcune tecniche presenti nella Summa sono interessanti e rivelano la conside­ razione di Pacioli per i problemi classici della matematica del Quattrocento; tro­ viamo ad esempio l'equazione (modernamente) espressa da:

Pacioli ne indica la risoluzione seguente:

1 94

=>

=>

x2+x+ 1

=

�8 1 60 1

=>

(x2+x+1 )2 = 8 1 60 1 x=

_

_!_ + �- � + �8 1 60 1 2 v 4

"considerando solo la radice aritmetica del secondo membro, come era consue­ tudine del tempo" [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 77-78]. Le parole di S . Maracchia illustrano chiaramente il ruolo dell'algebra nell'ope­ ra di Paci oli e, più in generale, nella matematica del XV secolo : "Luca Pacioli . . . considera l'algebra una sorta d i emanazione della geometria, un suo figlio naturale nato solo per soccorrere questa: "Le quali regole [algebri­ che] ", scrive infatti, "principalmente furono trovate per rispetto alla quantità continua cioè geometria" . . . Da qui l'importanza storica, per l'algebra, delle equa­ zioni di quarto grado per la cui risoluzione . . . non può recar conforto la costru­ zione geometrica. L'algebra è costretta, in altre parole, a cavarsela con le pro­ prie forze, a diventare maggiorenne, per dir così, con suo indubbio vantaggio" [Maracchia, 1 979, p. 3 5] . Notiamo tuttavia che un metodo generale per l a risoluzione dell'equazione di quarto grado apparve solo alcuni decenni dopo la pubblicazione della Summa nell'opera di Cardano [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, pp. 78-8 1 ] . Alcune parti della Summa di Pacioli sono storicamente rilevanti, anche nel campo delle matematiche applicate. Ricorda ad esempio G. Loria: "Il problema da lui trattato di 'dividere equamente fra due giocatori la posta nel caso in cui la partita venga interrotta' fa apparire il Pacioli (anche se il risultato da lui ottenuto non sembra oggi accettabile) come uno dei primi che si occuparono di teoria delle probabilità" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 278]. Il nome di Luca Pacioli è inoltre ricordato per De divina proportione ( 1 509), un lavoro in tre parti nel quale viene studiata ed applicata la sezione aurea. La prima parte di tale opera, le cui meravigliose illustrazioni sono quasi certamente opera di Leonardo da Vinci, è però l'unica che merita l'attenzione dello storico della matematica; la seconda parte si riduce ad un trattato di architettura ispirato da Vitruvio. La terza parte dell'opera, certamente ingloriosa per Pacioli, altro non è che la riproposizione di un precedente lavoro di Piero della Francesca sui poliedri regolari [Bagni-D'Amore, 1 994] . Luca Pacioli, dunque, non può essere considerato propriamente un grande ri­ cercatore; la sua importanza nella storia della cultura scientifica è più propria­ mente da ricondurre alla sua attività di divulgatore, in un periodo in cui la mate-

1 95

matica (e l'algebra in particolare) sembrava essere preda di una certa stasi. Così U. Bottazzini inserisce l'opera di Pacioli nella cultura dell'epoca: "Dopo che Leonardo Pisano nel suo Liber Abaci ( 1 202) aveva insegnato a far di conto con «le figure de gl'Indi», gli abacisti non esitarono ad affrontare problemi che portavano ad equazioni di grado superiore e a calcolarne in certi casi le soluzioni . A quella tradizione, rimasta per lo più confinata in manoscritti che passavano da bottega a bottega, si ispirò frate Luca Paci oli. . . Pur lontana dalla profondità delle pagine di Leonardo Pisano, la Summa si presentava come un corpo di conoscenze imponente, che aveva ben presto fatto dimenticare la prima opera a stampa di carattere matematico, l'anonima Aritmetica di Treviso" [Bottazzini, 1 990, p. 3 ] . E d aggiunge M. Kline: " S ebbene la Summa non contenga nulla di originale, questo libro e il De di­ vina proportione ebbero un grande valore perché contenevano molto di più di

ciò che veniva insegnato nelle università. Pacioli fece da tramite fra ciò che era contenuto nelle opere scolastiche e la conoscenza acquisita dagli artisti e dai tecnici. Ciò nondimeno, è molto significativo per giudicare gli sviluppi mate­ matici dell'aritmetica e dell'algebra fra il 1 200 ed il 1 500 il fatto che la Summa di Pacioli, pubblicata nel 1 494, contenga quasi niente di più del Liber A baci di Leonardo Pisano, che è del 1 202" [Kline, 1 99 1 , I, p. 278] . 9.2.3. La risoluzione delle equazioni di grado superiore al secondo

Se l'algebra e l'aritmetica restarono pressoché ferme tra il 1 200 e la fine del Medioevo, un improvviso risveglio può essere registrato nel XVI secolo. La risoluzione delle equazioni di terzo (e di quarto) grado è fatta risalire al­ l'opera di due studiosi italiani del periodo rinascimentale: Gerolamo Cardano, che scrisse Ars Magna ( 1 545) e Nicolò Fontana, detto Tartaglia ( 1 500- 1 5 57), autore di Quesiti et invenzioni diverse ( 1 546) [Franci-Toti Rigatelli, 1 979] . Molto è stato scritto sulla contesa tra Cardano e Tartaglia per la priorità del­ la scoperta del procedimento risolutivo per le equazioni di terzo grado; tuttavia il primo a trovare una tecnica risolutiva per tali equazioni fu ( 1 5 1 5) il bolognese Scipione del Ferro ( 1 465- 1 526), che però morì senza rendere pubblica la pro­ pria scoperta [Maracchia, 1 979, p. 1 8] [Bottazzini, 1 990, p. 3] (4). (4) Del Ferro è ricordato per cinque volte da Bombelli nel manoscritto della sua Al­ gebra (ritrovato da E. Bortolotti nel codice B . l 5 69 della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna) .

196

Non ci addentreremo nell'aspra contesa su tale questione: ci limitiamo a con­ cludere che Cardano, del Ferro e Tartaglia contribuirono tutti, a vario titolo, al­ l'elaborazione del procedimento risolutivo dell'equazione di terzo grado. Rite­ niamo tuttavia interessante riportare la poesia in cui Tartaglia volle riassumere il proprio metodo per la risoluzione di una tale equazione (accompagnata da un cenno interpretativo in notazione moderna) : "Quando che 'l cubo con le cose appresso Se agguaglia à qualche numero discreto Trovan dui altri differenti in esso. Da poi terrai questo per consueto Che 'I lor produtto sempre sia uguale Al terzo cubo delle cose neto, El residuo poi suo generale Delli lor lati cubi ben sottratti Varrà la tua cosa principale" (S).

p>OAq>O

q = u-v uv = (p/3)3

x = Vu - Vv

Pertanto risulta sufficiente determinare u e v per ricavare la cercata radice x, e ciò può essere ottenuto attraverso le note tecniche relative ad equazioni di se­ condo grado [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 1 78- 1 79] . Riportiamo un esempio di applicazione del procedimento ora indicato; si voglia risolvere (in R) l'equazione seguente: x3 + 6x = 20 Si pone: 20 = u-v

essendo:

uv = 8

(S) Così prosegue la poesia di Tartaglia:

"In el secondo de codesti atti Quando che 'l cubo restasse lui solo Tu osserverai quast'altri contratti,

El terzo poi de questi nostri conti Se solve col secondo se ben guardi Che per natura son quasi congionti .

Del numero farai due part'à volo Che l 'una in l'altra si produca schietto El terzo cubo delle cose in stolo

Questi trovai, et non con passi tardi Nel mille cinquecente, quatro et trenta Con fondamenti ben saldi e gagliardi

Dalla qual poi, per commun precetto Torrai li lati cubi insieme gionti Et cotal somma sarà il tuo concetto.

Nella città dal mare intorno centa" . [Maracchia, 1 979, pp. 24-25] .

1 97

Risulta, risolvendo il sistema: u

= 6.J3+ 1 0

v = 6.Ji- 1 o

ed infine:

La semplificazione dei radicali doppi così ottenuti porta alla radice: x=2 Quest'ultima fondamentale semplificazione fu studiata da Rafael (Raffaele) Bombelli {1 526- 1 573) [Maracchia, 1 979, p. 4 1 ] . Ricordiamo inoltre che gli studi ora ricordati di Cardano, di del Ferro e di Tartaglia si limitavano a considerare le radici reali delle equazioni di terzo gra­ do; il primo ad occuparsi anche delle radici complesse fu proprio Bombelli, nella propria Algebra (redatta intorno al 1 560, data alle stampe nel 1 572 e pubblicata in due momenti successivi nel 1 572, l'anno prima della morte di Bombelli, e nel 1 579 [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 3 1 5] [Bo mbelli, 1 966, p. XLv]), opera tra le più im­ portanti della storia della matematica, della quale ci occuperemo specificamente nel paragrafo seguente. 9.2.4. L'Algebra di Bombelli

Rafael Bombelli, bolognese (è stato trovato il suo certificato di battesimo a Borgo Panigale), deve essere considerato senza dubbio uno dei grandi protago­ nisti della storia dell'algebra. Il titolo completo del suo capolavoro è Algebra,

divisa in tre libri, con la quale ciascuno da sé potrà venire in perfetta cogni­ tione della teoria dell'Aritmetica [Bombelli, 1 966] . L'edizione a stampa del 1 5 72- 1 579 riporta i primi tre libri dell'A lgebra, ov­

vero la parte propriamente algebrica (altri due libri, manoscritti, contengono la parte geometrica [Bombelli, 1 966]). In tale lavoro, Bombelli si occupò del cal­ colo con potenze e con radici (nel I libro) e di equazioni algebriche (nel II e nel III libro, dove è evidente l'influenza di Diofanto) [Maracchia, 1 979], contribuen­ do peraltro robustamente, come abbiamo sopra rilevato, all'elaborazione delle tecniche risolutive delle equazioni di terzo grado. Al matematico bolognese si deve inoltre l'introduzione sistematica degli esponenti per indicare le potenze dell'incognita [Loria, 1 929- 1 933, p. 3 1 7] . Riportiamo l'appassionata presentazione di G . Loria all'intuizione bombellia­ na dei numeri complessi :

198

"Nelle ultime pagine del suo I libro egli fa compiere all'algebra un mirabile sbalzo in avanti, assurgendo al livello di creatore del calcolo con numeri com­ plessi. A tale scopo egli introduce le locuzioni più di meno e meno di meno, per indicare le unità +i e -i, che abbrevia nelle scritture pdm e mdm; in conseguenza con la scrittura R c L 2 pdm 2 1 egli rappresentò l'espressione che noi indichiamo con la scrittura V2 + 2i . Per operare mediante i nuovi enti aritmetici stabilisce un certo numero di regole fondamentali, le quali non differiscono da quelle che oggi noi esprimiamo con le formole seguenti :

(±l )·i = ±i (+i)·(+i) = - l (-i)·(+i) = l

(±1}(-i) = + i (+i}(-i) = l (-i)·(-i) = - l "

[Loria, 1 929- 1 93 3 , pp. 3 1 6-3 1 7]. Come abbiamo precedentemente ricordato, il ruolo di Bombelli fu decisivo nella risoluzione delle equazioni di terzo grado, particolarmente per quanto con­ cerne la semplificazione dei radicali doppi che si vengono ad ottenere; nel­ l'A lgebra troviamo anche la corretta trattazione di alcune equazioni di terzo grado che, se risolte con il procedimento messo a punto da Cardano, da del Fer­ ro e da Tartaglia, portano a radicali doppi coinvolgenti quantità non reali; ad e­ sempio, la risoluzione dell'equazione:

xL I Sx = 4 porta alla somma di radicali doppi con radicando non reale:

x = V2 + I Ii + V2 - I Ii Si prova però che è possibile scrivere:

2 ± l li = (2 ± i)3 e dunque possiamo concludere con la soluzione in R:

x = (2+i) + (2-i) = 4 Ma l'opera di Bombelli non deve essere ricordata solamente per il decisivo contributo offerto allo sviluppo delle concezioni e delle tecniche algebriche. Nelle parti manoscritte dell'A lge bra (forse rimaste inedite in quanto considerate ancora incompiute dal proprio Autore, che mori poco dopo la prima pubblica-

199

zione dell'opera), il matematico bolognese racchiuse "un grande numero di pro­ blemi geometrici", impostati e risolti "introducendo un segmento unitario (co­ me . . . Descartes fece quasi un secolo dopo)" [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 323 ] . Così scrive E. Bortolotti presentando l'edizione dei manoscritti bombelliani : "La Geometria, che verrà ora tratta dall'inedito, segna il distacco fra l'Alge­ bra Geometrica degli antichi e la moderna Geometria Analitica" [Bombelli, 1 966, p. xxv] . Il nome di Rafael Bombelli è inoltre legato ad un'importante tecnica mate­ matica che prese corpo nel XVI secolo : le frazioni continue, alle quali è dedicata la sezione 3 di questo capitolo. 9.2.5. L'algebra in Francia: Francois Viète

Di notevole importanza per la matematica dei XVI secolo è inoltre l'opera di Francois Viète ( 1 540- 1 603), avvocato di successo e uomo politico, formatosi scientificamente sulle opere algebriche di Cardano, di Tartaglia, di Bombelli e sui lavori di Diofanto [Kline, 1 99 1 , I, p. 305 ] . Con l'opera d i Viète l a notazione algebrica sincopata venne ulteriormente perfezionata, tanto da giungere ad un livello molto prossimo a quello della mo­ derna algebra simbolica; il francese fu il primo matematico che impiegò sistema­ ticamente le vocali come incognite e le consonanti come parametri. Viète mantenne sempre una stretta connessione concettuale tra l'algebra e la geometria, tanto da apparire come un precursore della geometria analitica. Egli deve essere inoltre ricordato per i suoi contributi alla trigonometria, nella quale peraltro impiegò sempre frazioni decimali. Così scrive nel proprio Canon ma­ thematicus ( 1 579) : " Sessantesimi e sessantine non vanno mai usati se non raramente nella mate­ matica, mentre millesimi e migliaia, centesimi e centinaia, decimi e decine, e pro­ gressioni simili, ascendenti e discendenti, vanno usati frequentemente o esclu­ sivamente" [Boyer, 1 982, p. 349] . Il matematico francese si applicò inoltre allo studio di molte diverse questio­ ni : nel De numerosa potestatem resolutione ( 1 600) troviamo la descrizione del metodo di Ruffini, peraltro, come sappiamo, già noto ai Cinesi. Viète mise a punto anche un elegante algoritmo per il calcolo di 1t, del quale ci occuperemo dettagliatamente nella sezione 4 di questo capitolo.

200

9.3.

Le frazioni continue

9.3. 1 .

Le origini storiche delle frazioni continue

Il procedimento iterativo che sta alla base delle frazioni continue ha radici antiche e riveste un ruolo di primaria importanza nell' evoluzione e nello svilup­ po del pensiero matematico: storicamente, nelle frazioni continue possiamo ri­ conoscere "i primi passi verso la generalizzazione del concetto di numero (fino ad allora ristretto al solo campo dei razionali) e verso l'avvento del metodo infinitesimale" (E. Bortolotti) [Bombelli, 1 966] . Molti studiosi individuano nelle opere di Bombelli e di Pietro Antonio Ca­ taldi ( 1 548- 1 626) le radici storiche delle frazioni continue [Bagni-Piazzi , 1 995]. Tuttavia, tracce di procedimenti concettualmente vicini alle frazioni continue erano presenti, nella storia della matematica, già alla fine dell' Antichità [Sorto­ lotti, 1 9 1 9- 1 920] . Secondo A. Favaro, nel commento all'Almagesto di Tolomeo redatto da Teone di Alessandria (IV secolo) si trova "una costruzione geo­ metrica . . . [che] conduce alla formo la:

�a2 + r = a +

r 2a +

r

"

' 2a + -2a+ . . .

[Favaro, 1 874] . M a torniamo al XVI secolo: nell 'Algebra di Bombelli, per trovare l'approssi­ mazione della radice quadrata di un numero, troviamo applicata la formula:

Jn

= q+

r

______

2q +

r

r 2 q + -2 q+ . . .

(essendo n = q2 +r, q intero e q2 il massimo quadrato non maggiore di n). B ombelli ottenne alcune approssimazioni di Jn, come:

201

.J13 = 3 +

4

6+

6+

4

4

6+ . . .

--

Diamo una prima giustificazione della formula usata da Bombelli. Con essa viene ricercata un'approssimazione di .Jii ponendo n = q2+r. Dunque:

�q 2 + r = q + 8

r = 2q8+�)2

=>

=>

Per approssimare, in r = 2q8+82 trascuriamo il termine 82 ed otteniamo :

8 = ...!._ 2q quindi:

�q 2 + r = q + 8 Cerchiamo ora una seconda approssimazione: in r = 2q8+82 non trascuriamo il termine 82; prima di riprendere in esame quest'ultima formula, ricordiamo ancora l' approssimazione 8 = ...!._ e scriviamo :

2q

Dalla r = 2q8+82 si ottiene:

r r = 2q8+ 8 · 2q per cui :

=>

=>

8=

r

r 2q + 2q

--­

202

�q2 + r = q + o

�q2 + r = q +

=>

r r

2q + 2q

Riportiamo le parole di Bombelli : "procedendo come si è fatto di sopra si approssimarà come l'huomo vorrà . . . " [Bombelli, 1 966] : egli era quindi con­ sapevole della possibilità di iterare il procedimento; per contro, non appariva in­ teressato allo sviluppo della frazione continua, ma soltanto all' approssimazione della radice (Bombelli, infatti, riportava i risultati dei calcoli, senza indicare e­ splicitamente lo sviluppo [Bagni-Piazzi, 1 995]). 9.3.2. Pietro Antonio Cataldi

Più precise sono le notizie sulla vita di Pietro Antonio Cataldi rispetto a quel­ le, piuttosto scarse, disponibili per Bombelli [Maracchia, 1 979] : nel 1 5 83, Ca­ taldi prese la cattedra di matematica di Ignazio Danti nella natale Bologna, cat­ tedra che terrà fino alla morte. Nel 1 6 1 3 pubblicò Trattato del modo brevissimo di trovare la radice quadrata del/i numeri in cui troviamo nuovamente ap­ plicata la formula:

Jn = q + ---'--­ , 2q + r 2q +

--

2q+ . . .

(essendo n = q2+r, q intero e q2 il massimo quadrato non maggiore di n), espres­ sione del procedimento già introdotto da Bombelli . Giustifichiamo direttamente ed in termini generali questa formula. Poniamo : =>

f3 =

Ricordando la prima uguaglianza:

l

�q2 + r - q

=

�+q r

203 l

2q + -

f3 =

r

l

p

r



= --� p 2q +

Risulta: � "'f q -r r

=q+

r

l

2q + ­

p

. . questa npetutamente . do m l' uguagl"1anza: -l = e sost1tuen p

�q 2 + r = q +

r

1 ,

2q + -

.

otteruamo:

p

r

2q +

r

2q +

r

2q+ . . .

--

Con gli studi di Cataldi le frazioni continue entrarono a far parte del patrimo­ nio di tecniche, strumenti e concetti della matematica; molti studiosi, come ve­ dremo, seguiranno la traccia indicata da Cataldi e lo sviluppo della teoria delle frazioni continue sarà continuo e ricco. Modernamente, fondamentale è la questione della convergenza di una frazio­ ne continua; considerazioni di questo genere non apparivano negli scritti dei matematici del Cinquecento. Ad esempio, nell'opera di Cataldi troviamo lo sviluppo :

.JI8 = 4 +

2

8+

-=2 2 8 + -8+ . . .

__

-

204

Osserviamo che è possibile ridurre la frazione continua data in una frazione continua aritmetica (periodica con periodo di lunghezza 2), attraverso la trasfor­ mazione:

2 8+

l 2

2 8 + -8+ . . .

4+

l

l

8 + -4+ . . .

ottenuta dividendo per 2 il numeratore ed il denominatore ogni due livelli della frazione continua. E, com'è oggi noto, ogni frazione continua aritmetica è con­ vergente (6). Un'elementare, informate (ma didatticamente efficace) verifica dell'equiva­ lenza delle frazioni continue:

2 8+

2

e 4+

2 8 + -8+ . . .

l

l 8 + -4+ . . .

può essere condotta considerando le equazioni di secondo grado dalle quali pos­ sono essere ricavate tali frazioni continue; ad esempio : 2 8+x

X=

--

X =

----

x 2 + 8x - 2 = O

l

4x 2 + 32x - 8 = O

1 4 + -8+x

x 2 + 8x - 2 = O

Concludiamo valutando le approssimazioni di Jf8 ricavabili con il procedi­ mento sopra ricordato; esse possono essere agevolmente valutate con l' impiego di una calcolatrice tascabile: (6) In termini moderni, inoltre, la convergenza di tale frazione continua è garantita dal teorema di SlesZ}llski-Pringsheim, il quale afferma che la frazione continua

K(a., l bJ converge se per ogni

n

è:

lbJ:::la..l+ l [Lorentzen-Waadeland, 1 992] .

205

RRD ( HDHE )

che porta a: MD ( HDHE )

2 .Jl8 := 4 + 8

che porta a:

'1 : 3: 2: " 1: '1 . 25 lllllii iii!I:I IIJ:L:IJ II!llli:II ._ IIDI MD ( HDHE )

2 .J18 = 4 + -2 8+8

.J18 = 4 +

2 8+

che porta a:

'1 : 3: " '1 . 25 2= '1 . 2'12'12'12'12'12 l= lllllii iii!I:I IEI:IJ II!llli:II ._ IIDI

RRD ( HDHE )

che porta a:

2

" '1 : 3: '1 . 25 2= '1 . 2'12'12'12'12'12 1: '1 . 2'126'1785882 lllllii iii!I:I IEI:IJ II!llli:II ._ IIDI

2 8+8

--

RRD ( HDHE )

.J18 = 4 +

2 --:;2.---8+ 2 8+ 2 8+8

che porta a:

__

'1 : 1 . 25 3: 4 . 2'1242'1212'12 '1 . 2'1261785882 2= 1: '1 . 2'126'18'19955 lllllii iii!I:I IEI:IJ II!llli:II ._ IIDI

--

L' approssimazione così ottenuta (con un numero di iterazioni assai limitato ! ) può già essere considerata valida; calcolando direttamente .Jl8 con una calco­ latrice tascabile troviamo infatti: RRD ( KDHE )

migliore approssimazione per .Jl8 :

'1 : 3: 2= 1: '1 . 2'12618687 1 2 lllllii iii!I:IIEI:IJ II!llli:II ._ IIDI

206

9.3.3. Lo sviluppo storico delle frazioni continue

Molti, nei secoli seguenti, furono gli studi condotti da prestigiosi matematici sulle frazioni continue. Nel 1 625, Albert Girard (1 590- 1 633) descrisse alcuni sviluppi in frazioni continue di numeri irrazionali, ma senza riportare una loro completa giustificazione. John Wallis (1 6 1 7- 1 703) fu il primo ad utilizzare il termine "frazione continua" ; nell' opera di Wallis Arithmetica infinitorum (1 655) troviamo una formula che equivale allo sviluppo seguente:

i=l+ 7r

1--,:o--9

___

2+

2+

25

2+

49

--

2+. . .

attribuito a William Brouncker ( 1 620- 1 68 4 ) e che sarà dimostrato solo qualche decennio più tardi da Leonhard Euler ( 1 707- 1 783) . Negli Opuscoli postumi, pubblicati nel 1 703, di Christiaan Huygens (1 6291 695) si trova un esempio di sviluppo in frazione continua (limitata) di un numero razionale basato sull 'algoritmo della "divisione euclidea" . Euler si occupò spesso di frazioni continue e pubblicò De jractionibus conti­ nuis, opera rigorosa e profonda. Nei lavori euleriani troviamo molti sviluppi interessanti, alcuni dei quali riguardanti il numero e, base dei logaritmi naturali, come lo sviluppo in frazione continua discendente ordinaria che, indicato più compattamente annotando solo i denominatori, può scriversi :

e- l = [ 1 , 1 , 2,

l, l,

4,

l,

l , 6,

l, l,

8, l , 1 , . . . ]

Nel 1 770, Johann Heinrich Lambert ( 1 728- 1 777) pubblicò Beytrage zum Gebrauche der Mathematik und deren Anwendung, in cui si trova una sistema­

zione organica alle ricerche sulle frazioni continue. Tra i molti altri ricercatori che si occuparono di frazioni continue citiamo Giuseppe Luigi Lagrange (1 7361 8 1 3), Evariste Galois ( 1 8 1 1 - 1 832) e Cari Gustav Jacob Jacobi ( 1 804 - 1 85 1). 9.3.4. Frazioni continue, sezione aurea e successione di Fibonacci

Un'applicazione intuitiva e didatticamente interessante delle frazioni continue riguarda la successione di Fibonacci (Liber Abaci, 1202) [Oids, 1 968 ] , indicata ricorsivamente da:

207

a0 = a1 = l an = an-l +an-2

con:

nEN

1\

n?.2

Consideriamo il rapporto tra termini successivi di tale successione. Risulta: an-1 _l _ = =

l

____

=

l

_ _

_

Posto: 1\

l

, R3 = 1 + l 1+1

possiamo infine scrivere, intuitivamente, per k--++oo:

1R.r, = --l + ------,--11+1 +. . .

Consideriamo ora il valore del rapporto aureo (ricordiamo che la sezione aurea di un segmento unitario è la parte x di tale segmento tale che il rapporto tra l'intero e x sia uguale al rapporto tra x e la parte rimanente, 1 -x). Possiamo scrivere:

l

l : x = x : 1 -x

x2 = 1 -x

(risolvendo l' equazione)

JS - 1 x = --

Ma potremmo anche scrivere:

2

1\

x>O

208

l x = -l+x

x2+x = l

l x = --=--1 l+ 1+x --

e ripetendo indefinitamente la sostituzione giungiamo alla frazione continua:

x=

l

----

1 1 + ---:-11+ 1+ . . . --

Possiamo dunque concludere che il limite a cui tende il rapporto di due

' J5 - l . . successtvt . . d eIl a successiOne . tenruru , ovvero d.1 F1" b onacct e 2 rapporto aureo. .

--

1·1

val ore d el

9.4. Progressi del calcolo pratico nel Rinascimento

9.4. 1 . Le approssimazioni di

x

dall'Antichità al Rinascimento

Il calcolo approssimato dell'area del cerchio e quello della misura della cir­ conferenza, nella storia della matematica, rappresentano una questione assai im­ portante ed affascinante: innumerevoli, infatti, furono i tentativi di approssima­ zione di una delle più celebri costanti della matematica, x, ovvero il rapporto tra la misura di una circonferenza e quella del suo diametro. Ricordiamo che, cronologicamente, l'adozione del simbolo 1t per indicare il rapporto tra le misure di una circonferenza e del suo diametro va fatta risalire ali' opera Synopsis palmariorum matheseos (Londra 1 706) d eli' inglese William Jones ( 1 675- 1 749). Ma il problema dell'approssimazione di x, come sappiamo, è molto più antico e va ricondotto addirittura alle matematiche pre-elleniche. Proponiamo un breve riassunto di alcuni risultati . Nella Bibbia troviamo un'interessante approssimazione di x : nel I Libro dei Re è riportato che Salomone (x secolo a. C.) commissiona a Chiram di Tiro un bacino di bronzo, del quale sono indicate le misure:

209

"Fece un bacino di metallo fuso di dieci cubiti da un orlo all'altro, rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e la sua circonferenza di trenta cubiti" (l Re, 7, 23}. Quanto affermato, evidentemente, equivale a considerare pari a 3 il rapporto tra la misura della circonferenza e quella del suo diametro. Anche presso i Babilonesi era inizialmente accettato, per 1t, il valore 3 ; ma in una tavoletta scoperta nel 1 93 6 a Susa, 3 50 km ad est di Babilonia, si trova un elenco di dati sulla misura del raggio di un cerchio basata sulla misura del pe­ rimetro d eli' esagono regolare in scritto, che sarebbe equivalente ali' approssimacon il valore 3 + _!_ [Neugebauer, 1 974] . Nel papiro Rhind, il docu8 mento fondamentale della matematica egiziana, troviamo una regola equivalente all' adozione del valore approssimato 3, 1 6. Il più semplice ed efficace approccio al problema del calcolo di 1t, adottato, nei secoli, da molti grandi Autori della storia della matematica, consiste nell'ap­ prossimare il cerchio con una successione opportuna di poligoni regolari inscritti e circoscritti al cerchio dato : al crescere del numero dei lati di questi, infatti, diminuisce progressivamente la differenza tra l'area del poligono e l'area del cerchio, nonché tra la misura del perimetro del poligono e quella della circonfe­ renza. Archimede (287-2 1 2 a.C.}, considerando un poligono regolare di 96 lati, giunse ad approssimare 1t nei termini seguenti :

zione di

1t

IO

l

3 + - < tr < 3 + 7 71 Il più preciso valore di 1t calcolato nell'Età antica è dovuto all'astronomo Claudio Tolomeo, che intorno al l 50 d.C., nell 'Almagesto (VI, 7) indicò 3 , 1 4 1 6 (lo stesso valore, nella forma

3393 , sarà adottato dall 'indiano Aryabhata, tra il 1 080

ed il VI secolo). Quattordici secoli più tardi rinacque l'interesse, lungamente sopito, per il cal­ colo approssimato di n: tra la fine del XVI secolo ed il primo ventennio del XVII operarono Adrien van Roomen ( 1 56 1 - 1 6 1 5}, Ludolph van Ceulen ( 1 540- 1 6 1 0} e Willebrod Snell ( 1 5 8 1 - 1 6 1 4}. Concettualmente, i procedimenti utilizzati erano ancora legati all'approssimazione del cerchio mediante poligoni regolari inscritti o circoscritti; ma la scrittura dei numeri in forma decimale e l'uso delle frazioni consentirono di raggiungere un grado di precisione assai più elevato di quello conseguito dai matematici d eli ' Antichità.

v

210

9.4.2. L'opera di Viète

Proprio utilizzando ricorsivamente il descritto metodo di approssimazione, anche Francois Viète si occupò del calcolo di n; ma se i suoi risultati pratici devono essere considerati notevolmente inferiori rispetto a quelli ottenuti da Van Ceulen e da Snell, tuttavia Viète, nel 1 593 , ricavò un'importante formula per il calcolo di 1t. Tale formula, che presenteremo, inaugurò un ampio ed im­ portante settore di ricerca riguardante le approssimazioni di n: quello dei pro­ dotti infiniti e delle serie numeriche, metodi per i quali la precisione del valore approssimato ottenuto dipendeva essenzialmente dal numero di fattori o di ad­ dendi considerati . Impostando la propria ricerca su poligoni regolari di 4, 8, 1 6 . . . lati, Viète giunse all'espressione che può essere modernamente indicata con il prodotto infinito : 2

- =

1t

90° 90° 90° cos- cos- cos- . . . 2 8 4 ·

·

ovvero :

Ad esempio, i valori approssimati di 1t ricavati arrestando il precedente pro­ dotto rispettivamente al primo, al secondo ed al terzo fattore (i risultati di se­ guito riportati sono troncati alla terza cifra decimale) vengono ad essere:

3_

7f

=

[ �2

approssimazione rt : 2,828

! H· �f + f·H

approssimazione n : 3,06 1

=

2

-

7f

=

- + -·I H l l � IH H·� -

2

2

2

-

2

·

-

2

+-·

2

-+-·

2

2

-

2

approssimaziOne n : 3 1 2 1 ' .

.

L'espressione per 1t proposta da Viète merita un attento esame; consideriamo innanzitutto la successione, definita ricorsivamente (\in E N) :

21 1

b

n+ l

=

e quindi la successione definita da (V'n E N) :

Detto l il limite di questa successione, possiamo ricavare 1t ponendo : 1r = 3.. . l

Da quanto finora emerso, l' algoritmo proposto da Viète sembra essere effi­ cace (seppure la sua convergenza non sia rapidissima); per verificare l'utilità di tale espressione è necessario ricorrere ad una calcolatrice tascabile; riportiamo i primi risultati dell' approssimazione: ( IDME )

( HDME )

valore ao :

4: 3: 2= 1:

. 787 1 8678 1 1 87

l:lmllimJIImlmDICIIJ Dill

approssimazione

4: 3: 2= l= 2 . 828427 1 2474 1t: �:�m�HmJmmmniCIIJ Dill ( IDME )

( HDME )

valore a1 :

4= 3: 2= l=

. 787 1 8678 1 1 87 . 65328 1482439

l:lmllimJmDmDICIIJ Dill

approssimazione 1t :

valore a2 :

. 787 1 8678 1 1 87 . 65328 1 4 82439 . 6487288 6 1 936

l:lmllimJmDmDICIIJ Dill

appross1maz1one 1t :

valore a3 :

4: 3: 2= l=

3 . 1 2 1 445 1 5226

l:lmllimJIImlmDICIIJ Dill

( IDME )

( HDME )

4: 3: 2: 1:

3 . 86 1 46745892

l:lmllimJIImlmDICIIJ Dill

( IDME )

( NDME )

4: 3: 2= l=

4: 3: 2= l=

. 787 1 8678 1 1 8 7 . 65328 1 482439 . 64872886 1 936 . 637643577337

l:lmllimJmDmDICIIJ Dill

approssimazione 1t:

4: 3: 2= 1:

3 . 1 3654849854

l:lmllimJ iml mDml!IJDill

212

( MDHE )

( IDHE )

valore a4 :

approssimazione ( MDHE )

valore a5 :

'l : 3: 2: l:

3. 1 'l833 1 1 569'l

1t: Cll!lllil llllli:I DmlmDII:I!IDDIDI ( IIIIH E )

'l : 3: 2= }:

. 6'l872886 1 936 . 6376'l3577337 . 636875587723 . 636683692726

Cll!lllil llllll:l aml mDII:I!IDDIDI

approssimazione

( MDHE )

'l : 3: 2: }: 3 . 1 'l 1 2772589'l 1t: Cll!lllil m&:n:mlll mu ii:I!ID DIDI ( IDHE )

'l : 3: 2= l:

. 6376'l3577337 . 636875587723 . 636683692726 . 63663575 1 6 1 5

Cll!lllil llllll:laml mDII:I!IDDIDI

approssimaziOne

'l : 3: 2: }: 3 . 1 'l 1 5 1 388 1 l 'l 1t : Cll!lllil llml ll:mlll mD II:I!ID DIDI

Sottolineiamo ancora la fondamentale innovazione concettuale collegata al prodotto infinito indicato da Viète per il calcolo di 1t : al tentativo di determinare il massimo numero possibile di cifre decimali (spesso fine a se stesso, tenace­ mente perseguito al fine di evidenziare le capacità di calcolo), si affiancò la più moderna proposta di algoritmi esatti (ma infiniti), grazie ai quali fu possibile calcolare il valore di 1t con una precisione dipendente dal numero dei passi eseguiti . Dal punto di vista storico, si trattò di una svolta decisiva. 9.4.3. Dopo Viète

Tra gli algoritmi infiniti (serie numeriche, prodotti infiniti, frazioni continue) che permettono il calcolo di 1t, citiamo ancora alcune celebri espressioni tratte dalla storia della matematica dell 'Età moderna: 1t

2 2 4 4 6 6 8 l 3 3 5 5 7 7

- = -.-.-.-.-.-.-

2

1t =

4 �

---

l+

1

-

-

-----::-9-2 + --2::-:5:-

2+

2+ . . .

--

Wallis ( 1 655)

Brouncker ( 1 660)

213 x -=

4

l l l l 1 - -+-- -+-... 3 5 7 9

Gregory ( 1 67 1 ) e Leibniz ( 1 674) Euler ( 1 736)

- =

4

l l arctg - - arctg -239 5

x=

16·

x

owero :

(i - 3 -153 + /5s - 7 \7 + 9 -159 -. . .) + Machin ( 1 706) Sharp ( 1 7 1 7)

Lo sviluppo del calcolo infinitesimale rese quindi possibile l'elaborazione di importanti espressioni per x [Davis, 1 965]; si noti, tuttavia, che l' applicazione pratica di alcune tra le ricordate espressioni viene ad essere ostacolata dalla len­ tezza della convergenza; ad esempio, per calcolare x attraverso la serie di Leibniz con la precisione raggiunta da Archimede sarebbe necessario sommare circa 1 00. 000 termini; per ottenere le prime cento cifre decimali di x con il prodotto di Wallis o con la serie di Gregory-Leibniz sarebbero necessari non meno di l 00 anni di tempo-macchina di un supercalcolatore. Citiamo infine una data fondamentale nella storia di x : la ricerca di un valore decimale " esatto" per x terminò infatti nel 1 76 1 ; in quell' anno, Johann Heinrich Lambert ( 1 728- 1 777) dimostrò che x è un numero irrazionale, owero che non può essere scritto in forma di numero decimale finito né di numero decimale periodico [Hardy-Wright, 1 93 8, p. 47] . Nel nostro secolo sono state messe a punto altre formule per il calcolo ap­ prossimato di x, tra le quali ricordiamo l'espressione:

_!_ X

_

-

J8

f ( 4n) !( 1 1 03 + 263 90n)

980 1 n=O

( n !) 4 3964 n

Ramanujan ( 1 9 1 4)

(migliorata nel 1 987 dai fratelli Borwein). La velocità di convergenza di proce­ dimenti di questo tipo è notevole: ogni termine della successione utilizzata da Ramanujan aggiunge infatti circa 8 cifre decimali al valore approssimato di x.

214

9.4.4.

Un' ossenrazione di Paolo Aproino (1 586- 1 638)

La celebre approssimazione del cerchio con un poligono regolare di n lati, essendo n un numero naturale. . . "molto grande", ha trovato, nella storia della scienza, moltissimi entusiastici estimatori, ma anche qualche contestatore. Tra questi, merita un'adeguata presentazione il galileiano Paolo Aproino ( 1 5861 63 8). In una lettera di Aproino a Galilei datata 27 luglio 1 6 1 3 , troviamo alcune osservazioni sull' infinibile e sull'immensurabile; in particolare, riportiamo quan­ to scrisse Aproino in riferimento all'approssimazione del cerchio con il poligono regolare con un grande numero di lati: " [Mi sembra che] non si adatti a bastanza il transito di comparatione che si fa dal poligono di moltissimi lati al circolo, imaginandolo di infiniti; perché se ben

in quantità si va prossimando alla misura, nella specie però della figura si va sempre più allontanando, ché il poligono di mille lati mi pare più differente dal circolo che non è il triangolo, tanto quanto mille è più differente da uno che non è tre" [Michieli, 1 942] (il corsivo è nostro).

Questa inusuale osservazione merita un accorto commento : l' approccio di Aproino è innanzitutto (e dichiaratamente) qualitativo, e non esclusivamente quantitativo, come invece tradizionalmente avviene nel caso in questione. Infatti è ben noto ed accettato (e lo era, come abbiamo constatato, anche all'inizio del XVII secolo) che, al crescere del numero dei lati, la misura del perimetro di un poligono regolare approssima sempre più la misura della circonferenza del cerchio circoscritto (o, equivalentemente, inscritto) a tale poligono; in modo del tutto analogo, l'area di tali poligoni, al crescere del numero dei lati, fornisce una sempre migliore approssimazione dell' area del cerchio. Tuttavia, se accettiamo di considerare la circonferenza come una figura geo­ metrica delimitata da "un solo" lato (e, del resto, priva di angoli), l'osservazio­ ne di Aproino può apparire giustificabile ed addirittura profonda, interessante: al crescere del numero dei lati e degli angoli del poligono regolare, la "struttura" della figura (intesa nel senso sopra accennato, ovvero dal punto di vista del numero dei lati e degli angoli) può sembrare progressivamente ed irrimedia­ bilmente allontanarsi dalla "struttura" del cerchio. Impostando la questione attraverso la moderna analisi infinitesimale (che Paolo Aproino, cronologicamente, non poteva certo conoscere), troviamo che la funzione espressa da:

y=�

215

ha per grafico cartesiano una semicirconferenza di raggio unitario (nella figura, la semicirconferenza di raggio O); è noto che tale funzione è continua in tutto il proprio dominio D:

D = {xER: - 1 :::; x :::; l } e risulta derivabile in ogni punto interno ad esso, ovvero dell'insieme:

m

ogru punto

D0 = {xER: - l < x < l } c

c

Passando dalla semicirconferenza alla spezzata, come suggerito nella figura, vengono ad inserirsi uno o più punti di non derivabilità. Ad esempio, con­ sideriamo la spezzata ACB, grafico cartesiano della funzione espressa da:

{y

= l - l xi lx i :::;:; l

Tale funzione è continua in tutto il proprio dominio {xER: - l :::;:; x :::;:; l } , ma

non è derivabile in ogni punto interno ad esso, a causa della presenza di un

punto angoloso in corrispondenza dell'ascissa x = O. Al crescere del numero n dei lati della spezzata (si consideri ad esempio la spezzata AMCNB, con M e N punti medi rispettivamente degli archi AC e CB) viene a crescere il numero di punti di non derivabilità (i punti angolosi corrispon d enti. aIl e tre ascisse x = --, J2 x = O e x = ..fi ) , e questo semb ra lnt. . 2 2 zialmente concordare con le osservazioni di Aproino. Il galileiano non era però evidentemente in grado di analizzare la situazione limite, al tendere del valore n a + oo, in cui il numero dei punti di non derivabilità non ammette un limite infi­ nito, bensì si riduce a O (proprio nel caso della semicirconferenza). .

-

216

L'osservazione di Aproino può essere dunque considerata forse insolita, ma senza dubbio interessante, proposta, forse, in un momento storico nel quale l'importanza tradizionalmente assegnata alla valutazione quantitativa non favori­ va un approfondimento astratto-formale dell'argomento. 9.4.5. Altri strumenti per il calcolo: i logaritmi

La nascita dei logaritmi ed i primi studi condotti sulle loro proprietà e sulle loro applicazioni possono essere collocati in un periodo di tempo ben indi­ viduabile e relativamente ristretto : la prima metà del XVII secolo. I logaritmi fu­ rono infatti ideati nel l 594 dallo scozzese John Napier ( 1 550- 1 6 1 7) e pubblicati in due trattati soltanto nel 1 6 1 4 e nel 1 6 1 9 (come opera postuma). Il procedi­ mento originale di Napier usava inizialmente la base lle ; lo scozzese era al cor­ rente delle principali proprietà dei logaritmi. Nel 1 6 1 5 Henry Briggs ( 1 5 6 1 - 1 63 1 ) segnalò l'opportunità di adottare la base l O e diede una definizione di logaritmo assai chiara e moderna, molto vicina a quella che troviamo nei manuali scolastici oggi in uso : le sue pubblicazioni più importanti risalgono al 1 6 1 7 (Logarithmorum Chilias) ed al 1 624 (Arithmetica logarithmica). La fortuna delle tecniche introdotte fu rapidissima: vennero pub­ blicate nell'arco di pochi decenni tavole di logaritmi apprezzabilmente accurate. Indipendentemente da Napier e da Briggs, anche lo svizzero Joost Btirgi ( 1 552- 1 63 2), un collaboratore di Johannes Kepler ( 1 5 7 1 - 1 630), ideò i logarit­ mi : secondo alcuni storici, la sua prima intuizione va forse fatta risalire al 1 58 8 ( e sarebbe dunque precedente all'elaborazione d i Napier), m a egli rese pubblici i propri risultati, sostanzialmente analoghi a quelli di Napier, soltanto nel 1 620 [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 53] . L' esplicita indicazione della base e per i logaritmi naturali sarà uno dei meriti di Euler. Il grande matematico svizzero, inoltre, chiarì definitivamente l'annosa questione dell' impossibilità dell'esistenza, nel campo reale, dei logaritmi dei nu­ meri negativi e, applicando la funzione esponenziale, interpretò correttamente tali logaritmi come quantità complesse: all'opera euleriana è dedicato il capitolo 13.

9.5. Matematica ed arte: la prospettiva

9.5. 1 . La prospettiva fino al Rinascimento

Due sono le linee di sviluppo della ricerca sull'ottica e sulla prospettiva, dal tardo Medioevo all'Età contemporanea: da un lato, molti pittori si impegnarono

217

nell'elaborazione di regole pratiche per una rappresentazione verosimile e cor­ retta della realtà (in una prima fase esclusivamente attraverso la ricerca empiri­ ca, in seguito mediante una rigorosa applicazione geometrica). Parallelamente, si sviluppò, in particolare nell'Età moderna, la ricerca matematica che, anche ri­ prendendo i capolavori dell'Antichità, porterà in tempi più vicini a noi Desar­ gues, Pasca], Monge, Poncelet alla sistemazione della geometria proiettiva [Cas­ sina, 1 92 1 ] . Ricordiamo che spesso, nel Medioevo, i criteri della rappresentazione artisti­ ca erano collegati all'importanza dei soggetti ritratti : pertanto il personaggio più importante di un quadro veniva rappresentato con le maggiori dimensioni, indi­ pendentemente da qualsiasi visione prospettica. Tuttavia, accorgimenti pratici per la resa pittorica della tridimensionalità comparvero nelle opere di molti arti­ sti del tardo Medioevo, come Duccio di Boninsegna ( 1 25 5- 1 3 1 9), Giotto da Bondone ( 1 267- 1 3 3 6) ed Ambrogio Lorenzetti (attivo tra il 1 3 1 9 ed il 1 3 48); quest'ultimo fu forse ineguagliabile nella elaborazione pittorica intuitiva della terza dimensione, denominata "perspectiva cornrnunis", prima dell'introduzione di una teoria matematica in proposito (con le opere di Lorenzetti comparve, nel­ la storia della pittura, la convergenza ad un unico punto delle rette perpendi­ colari ad una retta orizzontale di fronte) [Bonelli, 1 978] [Meneghini-Mancini Praia 1 988]. 9.5.2. Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti

Al Rinascimento va fatta risalire la grande svolta che portò artisti, studiosi e matematici a distaccarsi dall'empirismo per elaborare regole precise per la rap­ presentazione del reale, norme codificate in trattati sistematici. Questo passag­ gio dalla "perspectiva cornrnunis" medievale alla "perspectiva artificialis" (i ter­ mini sono di Leon Battista Alberti) si colloca all'inizio del xv secolo, con gli studi di Filippo Brunelleschi ( I 3 77 - 1 446), il grande architetto che si occupò del rapporto tra la visione diretta ed una "verosimile" imitazione di essa (1). Le innovative idee di Brunelleschi si rispecchiarono nell'opera di uno dei primi maestri della pittura rinascimentale fiorentina, Masaccio ( 1 40 1 - 1 428): il suo capolavoro, gli affreschi della Cappella Brancacci della Chiesa fiorentina del Carmine, provano la sua adesione alla rigorosa impostazione prospettica brunel­ leschiana. (1) La "regula legitima" brunelleschiana superò definitivamente il vecchio concetto euclideo secondo il quale i raggi visivi uscenti dall'occhio andrebbero a cogliere i corpi luminosi (impostazione già contestata da Alhazen) : non abbiamo purtroppo informazio­ ni dirette delle teorie di Brunelleschi (alcune indicazioni possono essere desunte dalle opere di Piero della Francesca e di Sebastiano Serlio); ma è accertato che con l'architet­ to toscano fecero la comparsa nella storia della prospettiva i più evoluti concetti di piramide visiva e di un unico punto di fuga [Bagni-D'Amore, 1 994] .

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Nonostante la priorità cronologica, la mancanza di un trattato originale di Brunelleschi sulla prospettiva fa sì che Leon Battista Alberti ( 1 404- 1 472) sia considerato il primo scrittore rinascimentale sull'argomento. Alberti è autore del lavoro Della Pittura ( 1 43 5 - 1 436, stampato nel 1 5 1 1 ) in cui sono codificate ed ampliate le idee di Brunelleschi. L'ossatura geometrica del lavoro albertiano ap­ pare tuttavia ancora legata ad un vago empirismo, che sarà superato soltanto con l'opera di Piero della Francesca ( 1 4 1 6?- 1 492). 9.5.3. Piero della Francesca e Albrecht Diirer

Piero della Francesca, uno dei massimi pittori del xv secolo e di tutta la storia della pittura, è anche un profondo matematico ed un grande trattatista sulla prospettiva [Arrighi, 1 982] : egli nel 1 475 scrisse De prospectiva pingendi, il più importante trattato sulla prospettiva rinascimentale [Piero della Francesca, 1 942] . Ricordiamo che Piero è anche autore di due opere di argomento matematico. Una di esse è De quinque corporibus regularibus, che, come pre­ cedentemente ricordato, fu ripresa e pubblicata a Venezia nel 1 509 in lingua ita­ liana da Luca Pacioli nella III parte della Divina proportione (8 ). L'altra opera matematica di Piero della Francesca è il Trattato d'abaco, che pur non rive­ stendo particolare importanza matematica, conferma la solida preparazione scientifica del proprio Autore. Piero della Francesca, nel proprio De prospectiva pingendi, si mostrò piena­ mente consapevole della necessità di riferire la rappresentazione pittorica (figu­ rativa) ad un organico e completo sistema di procedimenti matematici : essi do­ vranno consentire una verosimile ed oggettiva "traduzione" dello spazio reale in uno spazio della rappresentazione attraverso opportune "degradazioni" (termine usato dallo stesso Autore per indicare le deformazioni prospettiche avvertite dall'occhio umano). Egli suddivise la propria trattazione in tre Libri : nel primo, sono trattati i punti, le linee e le superfici piane. Ecco la prima definizione data da Piero, chiaramente ispirata dalla corrispondente definizione euclidea: "Puncto è la cui parte non è, secondo i geometri dicono essere immaginativo; la linea dicono avere lunghezza senza latitudine" [Piero della Francesca, 1 942, p. 64] . Ma subito l'Autore (riprendendo un'annotazione già presente in Alberti) in­ dica un'altra definizione, secondo la quale le dimensioni del punto e la larghezza di una linea, pur essendo estremamente piccole, sono tali da poter essere ri­ levate visivamente: ( 8 ) Pacioli progettò anche di scrivere un trattato di prospettiva, poi mai realizzato . . . anche quello, forse, indirettamente "ispirato" da Piero?

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"Dirò adunqua puncto essere una cosa tanto picholina quanto è posibile ad ochio comprendere; le linee dico essere extensione da uno puncto ad un altro, la cui larghezza è de simile natura che il puncto. Superficie dico essere larghezza et longhezza compresa da le linee" [Piero della Francesca, 1 942, p. 65]. Nel I Libro del De prospectiva pingendi, le proposizioni I-XI sono enunciati geometrici e talvolta riprendono autonomamente alcuni risultati euclidei. Piero della Francesca mori il 1 2 ottobre 1 492, il giorno dello sbarco di Cri­ stoforo Colombo in America: preziosa e feconda sarà l'eredità per gli artisti e per i matematici dell'Età moderna di colui che Vasari definì "il miglior geometra che fusse nei tempi suoi" [Loria, 1 929- 1 93 3 ] . Pochi anni dopo Piero della Francesca, anche Leonardo d a Vinci ( 1 4521 528) si occupò di prospettiva e scrisse un Trattato della pittura, opera che è andata perduta nella sua versione originale (probabilmente mai completata come lavoro organico) e successivamente riedita raccogliendo materiale sparso risa­ lente agli anni tra il 1 485 ed il 1 5 1 5 . Ma l'impostazione leonardesca del pro­ blema della tridimensionalità appare incentrata sull'attenzione al risultato ar­ tistico globale del quadro (con sfumature per suggerire la distanza, colori che progressivamente sbiadiscono) ed era quindi ben diversa dall'impostazione di Piero della Francesca, il quale considerava gli oggetti come forme geometriche, ovvero entità da rappresentare secondo regole geometriche precise, senza alcu­ na concessione a chiaroscuri ed a sfumature. La diffusione delle teorie sulla prospettiva nell'Europa centro-settentrionale fu favorita dall'opera di Albrecht Diirer ( 1 47 1 - 1 528) grande artista di Norimber­ ga, in contatto con gli ambienti veneziano e bolognese, il quale pubblicò nel 1 525 Institutionem geometricarum Libri quatuor ( 1 525) e Unterweysung der Messung mit dem Zirkel und Richtscheyt ( 1 528) [Kline, 1 976] . Diirer espose al­ cune costruzioni (esatte ed approssimate) di poligoni regolari, le tecniche di rap­ presentazione prospettica di molti poliedri, nonché il loro sviluppo su di un pia­ no; la pianta e l'alzato erano utilizzati con palese sicurezza. Nel suo Unterwey­ sung, Diirer affermò che la struttura prospettica di un quadro non deve essere disegnata a mano libera, ma ricavata attraverso giustificati procedimenti mate­ matici. 9.5.4. Commandino e del Monte

Dal Medioevo fino al XVI secolo, dunque, la prospettiva rimase prevalente­ mente patrimonio degli artisti, particolarmente di pittori ed architetti, i quali applicarono concetti e tecniche geometriche al problema della rappresentazione della tridimensionalità. In questo periodo lo studio squisitamente matematico della prospettiva, in senso astratto, non era praticato e l'identificazione della

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prospettiva in una branca della geometria restava legato al ricordo dell'Ottica euclidea. A due studiosi italiani del XVI secolo viene fatto risalire il superamento di questa situazione: con le opere di Federigo Commandino (1 509- 1 575) e del suo allievo Guidobaldo del Monte ( 1 545 - 1 607) la "prospettiva degli artisti" e la "prospettiva dei matematici" imboccarono definitivamente strade diverse. L'urbinate Federigo Commandino fu infaticabile traduttore ed editore di mol­ te opere classiche della geometria greca [Conti, 1 992] . Egli è l'autore di Ptole­

maei Planisphrerium, Jordani Planisphrerium, F. Commandini in Ptolemaei Planisphrerium Commentarius (Venezia 1 55 8) in cui, commentando i lavori di

Claudio Tolomeo e di Giordano Nemorario, gettò le basi della prospettiva linea­ re. L'opera, corretta e profonda dal punto di vista matematico, fu però accolta con scarso favore dall'ambiente artistico [Bagni-D'Amore, 1 994] . Il pesarese Guidobaldo dal Monte nel 1 600 pubblicò nella propria città natale il trattato Perspectivae libri sex: quest'opera sancì la definitiva distinzione della prospettiva in senso matematico dal problema artistico della rappresentazione del reale. Del Monte fu un matematico scrupoloso e rigoroso : egli non esitò a riprendere in esame tecniche ed accorgimenti già utilizzati empiricamente dagli artisti, al fine di darne un'esauriente dimostrazione; il pesarese, ad esempio, sembra essere il primo a dimostrare rigorosamente che la proiezione centrale di

un fascio di rette parallele è costituita da un fascio di rette concorrenti in un punto e che più fasci di rette parallele tra loro e tutte parallele allo stesso piano hanno i ''punti di concorso " sulla stessa retta (9) . Guido baldo del Monte

si dedicò anche a studi di cartografia e pubblicò a Pesaro nel 1 579 il trattato

Planisphaeriorum theorica.

9.5.5. Dalla prospettiva alla geometria proiettiva

Gli studi di Federigo Commandino e di Guidobaldo del Monte segnarono dunque il punto di definitiva distinzione tra la prospettiva intesa quale ausilio alla tecnica pittorica, caratteristica del tardo Medioevo e del Rinascimento, e la prospettiva interpretata come specifico settore della ricerca geometrica. Ma mentre pittori ed architetti si impegnavano nella continua ricerca di sempre più suggestivi accorgimenti prospettici, la storia della prospettiva im­ boccava la strada parallela della ricerca matematica; più nessuna motivazione artistica era infatti alla base dell'opera di due grandi scienziati che nei primi decenni del XVII secolo si occupano di prospettiva: Johannes Kepler ( 1 5 7 1 1 63 0) e Simon Stevin ( 1 548- 1 620). (9 ) Non sarà inutile ricordare che Guidobaldo del Monte fu il primo studioso ad utilizzare la locuzione "punctum concursus", che entrò così a far parte della termino­ logia matematica [Loria, 1 929- 1 93 3 ] .

22 1

Johannes Kepler pubblicò nel 1 604 Paralipomena ad Vitellionem, lavoro al quale si può far risalire la nascita dell'ottica geometrica moderna. La trattazione unitaria delle coniche suggerita da Kepler, ed in particolare lo studio della posizione dei fuochi, comprendeva un'intuitiva introduzione del concetto di "punto all'infinito" (ed anticipò quindi l'impostazione che trent'anni più tardi sarà portata a compimento da Desargues) [Cassina, 1 92 1 ] [Maracchia, 1 982] . L'ingegnere di Bruges Simon Stevin nel 1 634 a Leida pubblicò il Traité d'optique : nel settore Scenographie, vulgairement dite Perspective (inserito nel I libro del Traité), Stevin espose con apprezzabile rigore geometrico la teoria della rappresentazione prospettica e si occupò della soluzione (fornita però soltanto in alcuni casi particolari) della "questione inversa del problema fonda­ mentale della prospettiva" [Loria, 1 929- 1 93 3 ] : Problema. Date i n u n piano due figure qualunque che siano l a prospettiva l'una dell'altra, le si collochino nello spazio in modo che la prospettiva abbia effettivamente luogo e si determini la posizione dell'occhio.

Nell'opera dello studioso fiammingo è enunciato e dimostrato il seguente: Teorema di Stevin. La relazione di prospettiva non varia se il piano con­

tenente la rappresentazione ruota intorno alla sua intersezione con il piano oriz­ zontale e l'osservatore ruota nello stesso senso intorno al proprio piede in modo di mantenere il parallelismo con il piano della rappresentazione [Bagni-D'Amo­ re, 1 994] . I molti lavori geometrici sulla prospettiva da Euclide al XVII secolo, culmi­ nanti con le ricerche di Kepler e di Stevin, resero fertile il terreno per una svolta di estrema importanza per la storia della matematica: la nascita della geometria proiettiva. Il primo grande artefice di questa svolta sarà Desargues, sul quale torneremo nel capitolo l O.

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anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982). S. Maracchia, Da Cardano a Galois, Feltrinelli, Milano 1 979.

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Temi di storia della matematica

9. 1 . «> (Federigo Enriques). 9 . 8 . «Ettore Bortolotti ( 1 866- 1 947) afferma che "l'algebra è un metodo e un'arte: è l'applicazione del metodo analitico all'arte numerica" Infatti per "Re­ gola d'Algebra" i matematici del Rinascimento intendevano quel procedimento per la risoluzione di problemi aritmetici che consiste di tre momenti essenziali : la messa in equazione, la riduzione dell'equazione in forma canonica, l'effettiva ri­ soluzione dell'equazione ridotta. Queste operazioni a loro volta presuppongono quello che viene chiamato calcolo algebrico : l'esecuzione di tale calcolo è favo­ rita da un simbolismo opportuno. È quindi necessario distinguere, nella storia dell'algebra, la storia dei concetti da quella del simbolismo usato per esprimere i medesimi» (Raffaella Franci-Laura Toti Rigatelli). 9. 9. «Gli artisti rinascimentali erano uomini universali, cioè venivano ingag­ giati dai principi per portare a termine ogni tipo di incarico, dalla creazione di grandi dipinti alla progettazione di fortificazioni, canali, ponti, macchine da guerra, palazzi, edifici pubblici e chiese. Erano perciò obbligati a imparare la matematica, la fisica, l'architettura, l'ingegneria, il taglio delle pietre, la lavo­ razione dei metalli, l'anatomia, la lavorazione del legno, l'ottica, la statica e l'i-

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draulica. Lavoravano manualmente e nello stesso tempo affrontavano i problemi più astratti. Almeno nel xv secolo, erano i migliori fisici matematici» (Morris Kline). 9. 1 0 . «Sono nato e cresciuto in campagna, in mezzo alle attività agricole; mi occupo degli affari e della famiglia da quando coloro che mi precedettero nel possesso dei beni di cui godo mi hanno lasciato il loro posto. Ora, io non so contare né con i gettoni né con la penna (Montaigne, Saggi, libro II). Ci tro­

viamo in Francia, attorno al 1 580, in pieno Rinascimento, e Michel de Mon­ taigne, uno dei massimi eruditi del suo tempo, ha molto viaggiato e possiede una ricca biblioteca. Eppure, confessa senza vergogna di non saper eseguire cal­ coli ! » (Georges Ifrah).

Bi bliografia generale del I volume

Come opere generali sulla storia della matematica indichiamo: N. Bourbaki, Elementi di storia della matematica, Feltrinelli, Milano 1 963 . C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. B. D'Amore-M. Matteuzzi, Gli interessi matematici, Marsilio, Venezia

1 976.

M. Kline, Storia del pensiero matematico. I. Dall'Antichità al Settecento. II. Dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1 99 1 . G. Loria, Storia delle matematiche dall'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 93 3 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa

anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982).

D.J. Struik, Matematica: un profilo storico, Il Mulino, Bologna 1 98 1 .

Di notevole interesse su argomenti particolari sono: E. T. Beli, I grandi matematici, Sansoni, Firenze 1 99 1 . R. Franci-L. Toti Rigatelli, Storia della teoria delle equazioni algebriche,

Mursia, Milano 1 979.

P. Freguglia, Fondamenti storici della geometria, Feltrinelli, Milano 1 982. P. Freguglia, L 'algebra della logica. Un profilo storico, Editori Riuniti, Ro­

ma 1 978.

S. Maracchia, Da Cardano a Galois, Feltrinelli, Milano 1 979. O. Neugebauer, Le scienze esatte nell 'antichità, Feltrinelli, Milano 1 974.

Assai prezioso per la straordinaria ricchezza di citazioni originali riportate è: U. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della ma­ tematica, Sansoni, Firenze 1 992.

Indispensabile per una ricerca storica è: F. Barbieri-L. Pepe (a cura di), Bibliografia italiana di storia delle mate­ matiche I961-1990, in: "Bollettino di storia delle matematiche", Anno XII, nu­

mero l , giugno 1 992.

228

Utili per una presentazione didattica di alcune questioni storiche sono : G. Arrigo-B. D'A m o re , lnfiniti, Angeli, Milano 1 992. G. T. Bagni-B. D'Amore, Alle radici storiche della prospettiva, Angeli, Mi­

lano 1 994.

L.N.B. Bunt-P.S. Jones-J.D. Bedient, Le radici storiche delle matematiche elementari, Zanichelli, Bologna 1 983 . B. D'Amore-P. Oliva, Numeri, Angeli, Milano 1 993 . G. Ifrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. E. Picutti, Sul numero e la sua storia, Feltrinelli, Milano 1 977.

Indichiamo infine, senza alcuna pretesa di completezza, alcune opere che po­ tranno stimolare la curiosità del lettore nei confronti della matematica e dei ma­ tematici : S. Chandrasekhar, Verità e bellezza, Garzanti, Milano 1 990. J. Dieudonné, L 'arte dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. G.B. Bardy, Apologia di un matematico, Garzanti, Milano 1 989. B. Russell, Introduzione alla .filosofia matematica, Longanesi, Milano 1 970. A. Weil, Ricordi di apprendistato, Einaudi, Torino 1 994 . •••