Storia della matematica. Dal Rinascimento ad oggi [Vol. 2]

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Storia della matematica. Dal Rinascimento ad oggi [Vol. 2]

Table of contents :
Storia della matematica vol. II......Page 1
Colophon......Page 4
Indice......Page 7
Prefazione......Page 9
10. La geometria......Page 11
11. L’analisi matematica......Page 33
12. Lo sviluppo dell’analisi......Page 63
13. Eulero ed i fondamenti dell’analisi......Page 83
14. Lagrange e Laplace......Page 119
15. La geometria proiettiva......Page 137
16. Gauss e Cauchy......Page 153
17. Abel, Galois e l’algebra moderna......Page 167
18. Bolzano, Cantor e l’infinito......Page 179
19. Le geometrie non-euclidee......Page 197
20. Hilbert, Russell, Peano, Gödel......Page 217
21. Uno sguardo sul XX secolo......Page 251
Appendice A. Due problemi della ricerca contemporanea......Page 267
Appendice B. Cenni di storiografia matematica......Page 281
Bibliografia generale del II volume......Page 285

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COMPLEMENTI DI MATEMATICA PER L'INDIRIZZO DIDATTICO



Volume 2

Giorgio Tomaso Bagni

Storia della

Matematica Volume II Dal Rinascimento ad oggi



Pitagora Editrice Bologna

Collana: COMPLEMENTI DI MATEMATICA PER L'INDIRIZZO DIDATTICO Diretta da: BRUNO D'AMORE e PIERO PLAZZI Volume 2

ISBN

88-371-0879-6

©Copyright 1996 by Pitagora Editrice S.r.l., Via del Legatore 3, Bologna, ltaly. Tutti i diritti sono riservati, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa per mezzo elettronico, elettrostatico. fotocopia, ciclostile, senza il permesso dell'Editore. Stampa: Tecnoprint S.n.c., Via dellegatore 3, Bologna Codice: 31/300

"La sola difesa della mia vita, allora, o di chiunque sia stato matematico nello stesso mio senso, è dunque questa: ho aggiunto qualcosa al sapere, ed ho aiutato altri ad aumentarlo ancora: il valore dei miei contributi si differenzia soltanto in grado, e non in natura, dalle creazioni dei grandi matematici, o di tutti gli altri artisti, grandi e piccoli, che hanno lasciato qualche traccia dietro di loro".

Godfrey H Hardy

Giorgio Tomaso Bagni

STORIA DELLE MA TEMATI CHE Volume secondo Dal Rinascimento ad oggi

Indice

10. La geometria

p. 229

12. Lo sviluppo dell'analisi

p. 28 1

11. L'analisi matematica

13. Eulero ed i fondamenti dell'analisi

14.

Lagrange e Laplace

15.

L a geometria proiettiva

16.

Gauss, Cauchy

17. Abel, Galois e l'algebra moderna

18.

Bolzano, Cantor e l'infinito

19.

Le geometrie non-euclidee

20. Hilbert, Russe/l, Peano, Godei 21. Uno sguardo sul XX secolo

p. 25 1 p. 30 1

p. 337

p. 355 p. 37 1

p. 385

p. 397

p. 4 1 5

p. 435

p. 469

Appendice A. Due problemi della ricerca contemporanea p. Appendice B. Cenni di storiografia matematica Bibliografia generale del secondo volume

485

p. 499 p. 503

Prefazione Questo libro propone una presentazione cronologica della storia della mate­ matica, con particolare riferimento alle applicazioni didattiche. Ogni capitolo è stato corredato da alcuni "temi di matematica", ovvero da alcune citazioni ri­ guardanti il contenuto del capitolo, che il lettore è invitato a commentare. Molto rilevanti sono i miei debiti di riconoscenza nei confronti di alcuni studiosi e di colleghi. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato con suggeri­ menti, consigli, indicazioni; in particolare desidero ricordare con sincera, pro­ fonda gratitudine i Professori Bruno D'Amore e Piero Piazzi dell'Università di Bologna: certamente, senza il loro costante e generoso aiuto questo libro non sarebbe stato scritto. Desidero inoltre ringraziare mia moglie Luisa e le nostre piccole, stupende Chiara ed Elena, che hanno donato gioia e serenità anche alle giornate più fati­ cose ed intense.

Giorgio T. Bagni •••

Capitolo

10

La geometria

"Volendo risolvere qualsiasi problema, si deve innanzitutto considerarlo come risolto e si devono dare dei nomi a tutte le linee che sembrano necessarie per la sua costruzione, sia a quelle ignote, sia alle altre. Poi, senza fare alcuna differenza tra queste linee, note ed ignote, bisogna affrontare le difficoltà secondo l'ordine che mostra nella maniera più naturale in che modo tali linee siano in rapporto tra loro, fino a che non si sia trovato modo di esprimere una medesima quantità in due maniere diverse: ciò si chiama una equazione". René Descartes

10. 1 . Descartes, Fermat e la nascita della geometria analitica l 0. 1 . 1 .

Da Apollonio al XVII secolo

Se il XVII secolo fu caratterizzato dalla nascita e dallo sviluppo della geome­ tria analitica ( l ) e quindi dell'analisi matematica, dobbiamo osservare che l'idea di ottenere una descrizione di una retta o di una curva, in un piano, rispetto ad un sistema di riferimento era però molto più antica: la prima intuizione dell'im­ piego di un sistema di riferimento può infatti essere ricondotta ad Apollonio di Perga, ben diciotto secoli prima delle speculazioni di Descartes e di Fermat (sebbene nell'opera di Apollonio non fossero attribuiti valori numerici alle co­ ordinate [Struik, 1 98 1 , p. 1 3 4]); certamente il complicato e disagevole simboli­ smo che caratterizzava la notazione numerica della matematica greca ostacolò lo sviluppo dell'idea del "Grande Geometra" . Anche nella Geographia di Tolo­ meo e nell'Analyomenos di Pappo sono presenti accenni espliciti a idee non dis­ simili da quelle che saranno compiutamente sviluppate nel XVII secolo. (1 ) Alcuni Autori contestano il termine geometria analitica: "La disciplina creata da Fermat e da Descartes viene solitamente chiamata geometria analitica. La parola anali­ tica non è appropriata e sarebbe più opportuno chiamarla geometria delle coordinate o geometria algeb rica (che oggi ha un altro significato)" [Kline, 1 99 1 , I, p. 377].

230 Al tramonto del Medioevo, verso la metà del XIV secolo, Nicola d'Oresme mise a punto il sistema detto della "latitudine delle forme" ("latitudo forma­ rum"), nel quale era indicata una rappresentazione grafica di una quantità varia­ bile: fu un primo passo, ancora confuso ma certamente significativo, verso la nascita della geometria analitica (sarebbe azzardato affermare che alla base della proposta del matematico francese fosse presente una chiara consapevolezza del­ le straordinarie possibilità connesse all'applicazione dei metodi che saranno pro­ priamente detti "algebrici " alle questioni geometriche). Un altro grande francese, François Viète, tra il XVI ed il XVII secolo, si oc­ cupò della possibilità di impiegare l'algebra alla risoluzione di problemi geome­ trici. Ma la svolta decisiva in questo settore della matematica ebbe luogo sol­ tanto nel Seicento : nel 1 63 7 fu pubblicato il Discours de la méthode puor bien conduire sa raison, et chercher la vérité dans /es sciences di René Descartes (Cartesio, 1 596- 1 650); la sua celebre appendice intitolata La Géométrie è consi­ derata l'unica opera di argomento matematico scritta dal grande filosofo. Con La Géométrie veniva sostanzialmente descritta la possibilità di rappresentare graficamente equazioni indeterminate: il 1 63 7 è dunque l'anno di nascita della geometria analitica (2) . Ma un esame delle radici storiche della moderna geometria analitica non può dimenticare l'opera fondamentale Ad /ocos planos et solidos isagoge di Pierre de Fermat ( 1 601- 1 665), che fu pubblicata postuma nel 1 679 (ma che deve es­ sere considerata originale rispetto alle celebri ricerche di Descartes, essendo stata scritta nel 1629, owero ben otto anni prima della pubblicazione del Di­ scours de la méthode): in tale lavoro Fermat descrisse una "geometria delle coordinate" assai prossima a quella di Descartes e ne indicò alcune proprietà fondamentali. 10.1.2. René Descartes, Cartesio

Una figura di spicco dell'intera storia della cultura umana ha legato il proprio nome alla geometria analitica: René Descartes, latinizzato in Cartesio. (2) Sarebbe tuttavia storicamente scorretto amplificare il ruolo della Géométrie cartesiana fino a fure di essa la prima opera di geometria analitica modernamente in­ tesa. Osserva giustamente D.J. Struik: "Descartes pubblicò la sua Géométrie come un'appl icazione del suo metodo generale di unificazione, in questo caso unificazione di algebra e geometria. I meriti del libro, secondo il punto di vista comunemente accettato,

consistono soprattutto nella creazione della cosiddetta geometria analitica. È vero che in seguito questa parte della matematica si è evoluta sotto l'influenza del libro di De­ scartes, ma non si può considerare la Géométrie in sé come il primo manuale su questo argomento. Non vi si trovano assi 'cartesiani' e non vi sono derivate le equazioni della retta e delle sezioni coniche, anche se una particolare equazione di secondo grado è interpretata come denotante una sezione conica" [Struik, 1981, p. 134].

23 1

La ricerca, perseguita da Descartes, di un metodo generale per raggiungere la verità nelle scienze portava all'attribuzione di un ruolo centrale alla fisica mec­ canica; conseguentemente, la matematica venne ad assumere nelle speculazioni cartesiane un ruolo di primissimo piano, per le impareggiabili potenzialità di oggettività e di rigore [Anglin, 1 994] [Beck, 1 952, pp. 2 1 5-229] . Come sopra ricordato, l'opera centrale della concezione cartesiana è il Di­ scorso sul metodo ed in particolare fondamentale per la nascita della geometria analitica è la sua appendice intitolata La Géométrie; in tale lavoro, Descartes realizzò consapevolmente la sintesi di algebra e di geometria che indichiamo con i termini "geometria analitica" o "geometria delle coordinate" [D'Amore-Mat­ teuzzi, 1 976, p. 13 7]. L'impostazione cartesiana della geometria delle coordinate era incentrata sul­ l'applicazione dei metodi algebrici in questioni geometriche. Descartes si propo­ neva inizialmente di risolvere, in questo modo, alcuni problemi di costruzione, affiontati nei libri I e III della Géométrie; ma l'importanza della tecnica riso­ lutiva impiegata (appunto la geometria analitica, ovvero la sistematica, reciproca associazione di curve e di equazioni) superò grandemente l'entità dei problemi risolti. Proponiamo un esempio dei procedimenti cartesiani tratto dal III libro della Géométrie [K.line, 1 99 1 , l, pp. 364-365 ] : riprendendo una questione cara ai geometri Greci, Cartesio cercò il metodo generale per determinare due medi proporzionali da inserire tra le due assegnate quantità a e b (procedimento applicabile alla soluzione del "problema di Delo", nel caso particolare in cui sia posto b 2a) (si veda il paragrafo 2 . 5 . 3). Se z è uno dei cercati due medi proporzionali da inserire tra a e b, il secondo medio è z2/a in quanto risulta: =

Ponendo zl/a2 soddisfare:

=

b si ottiene l'equazione cubica alla quale la quantità z deve

Descartes dimostrava infine che, geometricamente, z e z21a possono essere costruite mediante l'intersezione di una parabola e di una circonferenza. Nota M. Kline a proposito della precedente tecnica risolutiva cartesiana: "Quanto alla costruzione descritta da Descartes, apparentemente essa non ha nulla a che fare con la geometria delle coordinate. Tuttavia, la parabola non è costruibile con riga e compasso, se non punto per punto, e bisogna perciò usare

232

la sua equazione per tracciare la curva con precisione" [Kiine, 1 99 1 , I, p. 3 6 5 ] (3). Siamo dunque in grado di evidenziare uno dei massimi contributi cartesiani alla matematica in generale e specificamente alla geometria. Particolarmente im­ portante fu infatti il superamento dei vecchi criteri greci (basati sulla rigida "co­ struibilità") impiegati per ammettere la stessa esistenza di una curva in àmbito matematico : Descartes sostituì a tali criteri il requisito, straordinariamente inno­ vativo, basato sull'esprimibilità della curva in questione mediante un'equazione algebrica di grado finito nelle coordinate x, y. Osserva ancora M. Kline : "La geometria delle coordinate cambiò faccia alla matematica. Affermando che una curva è un qualsiasi luogo descrivibile con un'equazione algebrica, Descartes ampliò enormemente in un solo colpo il dominio della matematica. Quando si consideri la grande varietà di curve che hanno finito per essere accettate e usate nella matematica e la si paragoni con quelle che avevano accettato i Greci, ci si rende conto di quanto sia stato importante spazzar via le barriere erette dai Greci" [Kiine, 1991, l, p. 3 7 5]. Concludiamo notando che la notazione algebrica presente in Descartes era ormai pressoché coincidente con quella modernamente impiegata; dunque il pensatore francese può essere considerato come il punto d'arrivo dello sviluppo del formalismo algebrico (4) . Nonostante la straordinaria modernità della neona­ ta geometria analitica, tuttavia, non possiamo dimenticare che nel Seicento l'e­ voluzione della matematica in questo settore non poteva dirsi completata; ricor­ diamo, ad esempio, che ancora non venivano usate le coordinate negative.

(3) M. Kline osserva inoltre che "Descartes non ottiene z scrivendo l'equazione in x

ed in y del cerchio e della parabola, e trovando le coordinate del punto di intersezione

risolvendo insieme le due equazioni . In altre parole, egli non risolve graficamente le due equazioni nel nostro senso; si serve piuttosto di costruzioni puramente geometriche (ec­ cetto che nel supporre che una parabola può essere tracciata), della conoscenza del fatto che z soddisfa ad un'equazione, di proprietà geometriche del cerchio e della parabola (che possono essere lette facilmente sulle loro equazioni)" [Kline, 1991, l, p. 3 65 ] . (4) Sarebbe tuttavia sostanzialmente scorretto attribuire direttamente a Descartes grandi meriti specifici per quanto riguarda l'evoluzione delle tecniche algebriche e dello stesso simbolismo in esse impiegato. Ricordiamo ancora una volta alcune condivisibili riflessioni di M. Kline a tale riguardo: "Alla luce del fatto che l'algebra aveva compiuto considerevoli progressi prima dell'ingresso sulla scena matematica di Fermat e di Descartes, la geometria delle coordinate non fu una grande realizzazione tecnica. Per Fermat essa era una riformulazione algebrica di Apollonia. Nelle mani di Descartes essa fiori come una scoperta quasi accidentale nel corso del proseguimento dell'opera di Vieta e di altri per rendere più facile la soluzione dei problemi di costruzione deter­ minati mediante l'introduzione dell'algebra" [Kiine, 1991, l, p. 3 75 ] .

233 10.1.3.

Pierre de Fermat

Come ricordato, a fianco di Descartes, tra i fondatori della geometria analiti­ ca, deve essere considerato Pierre de Fermat, un awocato e consigliere del Par­ lamento di Tolosa che fu uno dei grandi protagonisti della matematica del XVII secolo. Fermat era impegnato nella ricostruzione e nella ripresa del pensiero di Apol­ lonia; nell'opera Ad /oco splano s e t so /ido s isa go ge egli si dedicò allo studio ge­ nerale dei luoghi, con ciò ritenendo di integrare la classica impostazione greca. La ricerca di Fermat, al pari di quella di Descartes, fu coronata dal pieno successo, in quanto i matematici del Seicento, a differenza dei loro predecessori (anche ben più prossimi rispetto ai lontani Greci, come Nicola d'Oresme), pote­ vano finalmente disporre di strumenti algebrici adeguati; osserviamo tuttavia che l'indagine di Fermat si mantenne sempre particolarmente vicina allo spirito della ricerca di Apollonia; Descartes, invece, si applicò alla ricerca matematica con un'impostazione assai più libera, robustamente innovativa, indipendente, quasi fosse consapevole di essere sul punto di superare i metodi della matematica an­ tica. A Pierre de Fermat deve comunque essere ricondotto il principio fondamen­ tale della geometria analitica ( 1 63 6), secondo il quale un 'e qu azione in due in­ co gnite individua un lu ogo (re tta o c ur va) . Anche la possibilità di semplificare l'equazione di una stessa curva mutando opportunamente la posizione degli assi fu un'intuizione di questo grande matematico (si noti tuttavia che Descartes aveva osservato che il grado di una curva è indipendente dalla scelta del ri­ ferimento). Eppure Fermat pubblicò pochissimi lavori durante la propria vita: forse anche per questo la sua figura venne ad essere sovrastata da quella di Descartes, almeno per quanto riguarda la nascita della geometria delle coordi­ nate, ed all'unico nome di Cartesio venne spesso associata l'invenzione della geometria delle coordinate (5). Ricordiamo una significativa pagina di Fermat tratta da Ad /oco s plano s e t

so lido s isa go ge : "Sia NZM una retta di cui è data la posizione e sulla quale è stato fissato il punto N. Si ponga NZ uguale alla quantità incognita x, e si ponga la retta ZI (condotta perpendicolarmente alla NZ per I) uguale all'altra quantità incognita y. Sia: dx = by (5) Una controversia tra Descartes e Fennat sulla priorità cronologica della

della geometria delle coordinate fu origine di reciproche critiche, talvolta piuttosto a­ spre, che divisero a lungo i due grandi studiosi francesi ed i relativi seguaci.

scoperta

234

M

Allora il punto I sarà su di una retta, la cui posizione è nota" (traduzione e figura in [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992), p. 1 1 4). Storicamente, inoltre, interessante e significativo è il procedimento indicato da Fermat per trovare i massimi ed i minimi relativi di una funzione x�j(x), che descriveremo nel prossimo capitolo; come potremo notare, il pensatore francese era giunto ad intuire, a livello concettuale, lo spirito ed alcune tecniche del­ l'analisi matematica moderna [Edwards, 1 994) ; ma egli non disponeva ancora dello strumento adeguato per la sua corretta descrizione, strumento che troverà un ampio sviluppo con le ricerche complete ed organiche di Newton e di Leibniz. Pierre de Fermat, dunque, può essere considerato il pensatore nel quale rias­ sumere la grande svolta che portò la matematica antica, saldamente ancorata alla geometria classica, ad evolversi nella matematica moderna, nella quale un ruolo fondamentale spetterà alla geometria delle coordinate e quindi all'analisi infinitesimale. Un'osservazione di M. Kline ci sembra dunque particolarmente appropriata: "La geometria delle coordinate rese possibile l'espressione di figure e di cammini sotto una forma algebrica da cui poteva essere derivata la conoscenza quantitativa. L'algebra, che Descartes aveva pensato fosse soltanto uno stru­ mento, un'estensione della logica piuttosto che una parte della matematica pro­ priamente detta, diventò così più vitale della geometria. In effetti, la geometria analitica spianò la via ad un completo rovesciamento dei ruoli dell'algebra e della geometria. Mentre, dall'epoca dei Greci al 1 600 circa, la geometria aveva dominato la matematica e l'algebra le era subordinata, dopo il 1 600 l'algebra diventò la disciplina fondamentale; in questa trasposizione di ruoli il calcolo infinitesimale doveva essere il fattore decisivo" [Kiine, 1 99 1 , I, p. 3 77] . Il nome di Fermat non può tuttavia essere associato soltanto all ' impostazione della geometria delle coordinate o all'intuizione di alcuni elementari procedi­ menti infinitesimali : di assoluta rilevanza, come vedremo nel prossimo para-

235 grafo, devono essere considerate alcune sue ricerche incisive ed innovative nella teoria dei numeri. 10.1.4.

Fermat e la teoria dei numeri

È sempre difficile stabilire una precisa "data di nascita" per una teoria o addirittura per un intero settore della ricerca matematica. La seguente autorevo­ le citazione, però, sembra contraddire tale difficoltà almeno in un caso : "Si potrebbe cercare di fissare la data di nascita della moderna teoria dei numeri ... Si deve far risalire a un certo momento tra il 1 62 1 e il 1 63 6, proba­ bilmente più vicino alla seconda data. Nel 1 62 1 Bachet pubblicava il testo greco di Diofanto, corredato da un'utile traduzione latina e da un ampio commento. Non si sa con precisione quando Fermat ne acquistò una copia (senza dubbio la stessa sui cui margini avrebbe di lì a poco annotato alcune delle sue più im­ portanti scoperte), né quando iniziò a leggerlo; tuttavia, come si apprende dalla sua corrispondenza, entro il 1 636 egli non solo l'aveva studiato a fondo, ma stava già sviluppando autonomamente una serie di idee circa una varietà di ar­ gomenti toccati nel volume" [Weil, 1 993, p. 3]. Dunque A . Weil, uno dei massimi teorici contemporanei dei numeri, giunge addirittura a collocare la nascita della moderna teoria dei numeri in corrispon­ denza dell'inizio delle ricerche di Fermat sulle questioni indicate nell'opera di Diofanto. Certamente Pierre de Fermat fu il primo matematico che riprese in termini moderni la grande ed impegnativa eredità diofantea. Eppure egli non lasciò un'opera completa sull'argomento, una trattazione sistematica (cercò di convin­ cere Pasca! a collaborare in una simile impresa, ma senza successo [Weil, 1 993, p. 4]); la maggior parte dei risultati ottenuti da Fermat sono ricavabili dal suo epistolario. Dobbiamo inoltre sottolineare che le ricerche di Fermat nel campo della teoria dei numeri portarono a numerosi importanti enunciati, ma quasi tutti non corredati dalle relative dimostrazioni; tali studi, ed in particolare le loro possibili estensioni ed il loro controllo critico, influenzarono chiaramente lo sviluppo di questo settore della matematica per più di un secolo (6).

(6) M. Kline estende l'influenza delle ricerche fennatiane fino all'avvento di Gauss (il quale iniziò a pubblicare i propri risultati alla fine del Settecento): "Le ricerche in teoria dei numeri interi di Fennat determinarono la direzione degli studi in questo campo fino a quando Gauss non portò i suoi contributi I migliori matematici del XVIII secolo lavorarono duramente per dimostrare i suoi risultati" [Kline, 199 1 , I, p. 3 2 1 ] . . . .

236

Innumerevoli furono le propos1z1oni enunciate da Fermat sulla possibile rappresentazione di numeri primi (per un'ampia rassegna delle ricerche del mate­ matico francese si veda l'importante studio [Weil, 1 993]). Proporremo un esem­ pio significativo. In una lettera a Marin Mersenne ( 1 588- 1 648) del 25 dicembre 1 640, Fermat affermò che ogni numero primo della forma 4n+ l può essere scritto come somma di quadrati in modo unico. La dimostrazione di tale risultato può essere affrontata con il metodo della "discesa infinita", procedimento tipico dell'impo­ stazione di Fermat (1), che consiste nel provare che se esistesse un numero primo della forma 4n+ l che non verifica la proprietà data, allora ne esisterebbe (almeno) un altro, minore del precedente, che non verifica tale proprietà. Ite­ rando questa "discesa" si giungerebbe al primo 5 = 4· 1 +l, il quale però verifica la proprietà in questione, essendo esprimibile in modo unico come somma di quadrati ( 1 2+22). Dunque resta dimostrato che la tesi deve essere valida per ogni primo della forma 4n+ l . I n una lettera a Bemard Frénicle d e Bessy ( 1 605- 1 675) del 1 8 ottobre 1 640, Fermat affermò che se p è un numero primo e n è primo con p, allora nP-n è divisibile per p (la dimostrazione di ciò, che è considerato uno dei più interes­ santi risultati di Fermat, fu ottenuta quasi un secolo dopo da Euler, nel 1 73 6). Ancora ad Euler è dovuta l'importante correzione di un errato risultato enun­ ciato da Fermat: il matematico francese aveva affermato la primalità di tutti i • numeri della forma 2 2 + l , essendo n un naturale (ciò risulta vero, ad esempio, per n= O, l, 2, 3, 4); ma nel 1 732, Euler provò che per n= 5 l'espressione indicata da Fermat porta ad un numero composto (divisibile per 64 1 ) . Un'annotazione scritta (in latino) d a Fermat al margine d i una copia dell'edi­ zione di Bachet dell'opera di Diofanto merita di essere riportata: "È impossibile separare un cubo in due cubi, o un biquadrato in due biqua­ drati, o in generale qualsiasi potenza, ad eccezione di un quadrato, in due poten­ ze con lo stesso esponente. Ho scoperto una dimostrazione veramente meravi­ gliosa di ciò, ma questo margine non è abbastanza ampio per contenerla" . Quanto scritto equivale alla celebre proposizione seguente, la cui difficoltà ha sfidato i secoli : Ultimo teorema di Fermat. L'equazione in x, y,

z:

C) Fermat affermò di avere impiegato tale metodo nella dimostrazione della proposi­ zione ora enunciata (e di molti altri risultati), ma tale dimostrazione non compare espl i citamente in alcuno scritto del matematico francese . L'indicazione del metodo della "discesa i nfinita" compare in una lettera di Fermat a Carcavi del

1 75 9 .

237

dove n è un intero maggiore di 2, non ammette soluzioni intere positive non nulle. "Hanc marginis exiguitas non caperet" : una frase storica, che diede ideal­ mente inizio ad una lunga (e per molti versi feconda) sequenza di tentativi di dimostrazione, conclusasi solo alla fine del xx secolo . L'annunciata " dimostra­ zione veramente meravigliosa" di Fermat non fu infatti mai trovata; Frénicle de B essy dimostrò il caso n = 4; Euler dimostrò i casi n = 3 e, nuovamente, n = 4; Legendre dimostrò il caso n = 5; innumerevoli furono, dalla metà del XVII se­ colo ad oggi, i tentativi di generalizzare le molte prove parziali della celebre af­ fermazione (per una dettagliata rassegna storica di essi, si vedano [Dickson, 1 920], [Edwards, 1 977] e [Ribenboim, 1 979]) . Alcune elementari osservazioni su questa proposizione potranno essere di­ datticamente utili . Consideriamo la funzione espressa da:

con: xEZ+ /\ yEZ+ /\ cEZ+ (ci riferiamo agli esponenti dispari in quanto la di­ mostrazione relativa agli esponenti pari può essere ottenuta senza particolari dif­ ficoltà generalizzando quella per l'esponente 4) . In base all'ultimo teorema di Fermat, la precedente equazione è priva di solu-

zioni (nelle condizioni poste); owero, al grafico di y = 2n +.Jc2n+l -x2n+l non ap­ partiene alcun punto P con entrambe le coordinate intere positive. v

v= c-k

c

Sviluppando 2n +.Jc2n+l -x2n+l in serie di Taylor si ottiene :

x

238 zn�czn+1 _ xzn +1

S(x)=

=

c-c· S( x )

� 2n·[2n+ (2n+ l)} ....·f2n +(2n +l) (i -2)] · [ -1- ( .:_)2"+1 ]; 1.

i=1

2n+ l

c

Intersecando quindi il grafico di y= zn -r.Jc2"+1 -x2"+1 con la retta di equazione y= c-k, con kEZ+ 1\ O> (Umberto Bottazzini). 1 1 .6 . «l grandi progressi della matematica e della scienza hanno quasi sempre origine nell'opera di molti studiosi che portano ciascuno il loro contributo, pez­ zo dopo pezzo, per centinaia d'anni; alla fine, un uomo d'ingegno abbastanza a­ cuto per saper distinguere le idee valide nella gran massa dei suggerimenti e del­ le dichiarazioni dei suoi predecessori, dotato dell'immaginazione occorrente per incastonare le varie tessere in un nuovo mosaico e audace quanto basta per co­ struire un progetto generale, compie il passo culminante e definitivo . Nel caso del calcolo infinitesimale quest'uomo fu Isaac Newton» (Morris Kline) . 1 1 . 7 . «La notazione e le tecniche algebriche usate da Newton e da Leibniz non misero soltanto a loro disposizione uno strumento più efficace della geome­ tria, ma consentirono anche di trattare con la stessa tecnica molti e diversi pro­ blemi geometrici e fisici . Una delle modificazioni più importanti avvenuta fra l'inizio e la fine del Seicento fu l'algebrizzazione del calcolo infinitesimale» (Morris Kline) . 1 1 . 8 . «Mentre i problemi delle aree in connessione con la Statica (momenti e baricentri) segnano le vie del calcolo integrale, matura un altro ordine di idee che conduce al calcolo differenziale: questo movimento prende origine dai pro­ blemi delle tangenti, dei massimi e dei minimi e delle velocità» (Federigo Enri­ ques) . 1 1 . 9. « " Si deve senza dubbio ammettere che fra Newton e Leibniz sussiste una enorme differenza nel modo di trattare la filosofia" , si legge al termine della Recensio libri che Newton scrisse e fece pubblicare anonima prima nelle "Phi­ losophical Transactions" e poi in apertura del Commercium epistolicum. La grande polemica sul calcolo era in realtà un aspetto, certo il più eclatante, della loro radicale divergenza di opinioni sul "modo di trattare la filosofia" naturale» (Umberto Bottazzini). 1 1 . 1 0. «Il principio che un tempo Leibniz enunciò e sul quale riposano le fondamenta del nuovo calcolo è il seguente : "Due qualsiasi grandezze dello stesso genere sono vicendevolmente uguali quando differiscono tra di loro di u­ na quantità infinitamente piccola" Ciò manifestamente contrasta con la nozione di uguaglianza indotta dalla stessa natura nell'animo umano e non dobbiamo dunque meravigliarci se trovò molti tenaci oppositori» (Giuseppe Torelli).

Capitolo 1 2 Lo svi lu ppo dell ' A nalisi

"Tanto

è facile trovare il differenziale

contrario, è difficile assegnare l'integrale ad un qualsivoglia differenziale, al punto di una qualche quantità, altrettanto, al

che, talvolta, non possiamo veramente neppure affermare se si possa ottenere o no l'integrale di una quantità proposta".

Jean Bernoulli

12.1. L a famiglia Bernoulli 12.1.1. Una fam iglia di matematici

L'introduzione dei principali concetti e dei procedimenti analitici da parte di Newton e di Leibniz diede inizio ad un periodo di estrema vivacità scientifica e culturale; così M. Kline presenta l'ambiente matematico alla fine del XVII secolo : "Gli enormi progressi compiuti nel Seicento nel campo dell'algebra, della geometria analitica e del calcolo infinitesimale; gli stretti legami della matema­ tica con la scienza, che forniva problemi profondi e difficili; l'eccitazione provo­ cata dagli stupefacenti successi di Newton nella meccanica celeste e il migliora­ mento delle comunicazioni fornito dalle accademie e dalle riviste scientifiche, erano tutti fattori che facevano presagire ulteriori importanti sviluppi e che con­ tribuivano a creare un enorme entusiasmo intorno al futuro della matematica" [Kline, 1 99 1 , I, p. 465 ] . Tra coloro i quali tra i l XVII e d i l XVIII secolo furono impegnati negli studi scientifici, ricordiamo molti membri della famiglia Bernoulli che, originaria delle Fiandre, si stabilì a Basilea nel 1 5 83 a causa delle persecuzioni spagnole (1). (1) Ricorda D.J. Struik: "Basilea, in Svizzera, dal 1 263 città libera, fu a lungo un centro di ricerca. Ai tempi di Erasmo la sua Università era già un centro importante. Come nelle città olandesi, anche a Basilea fiorirono le arti ed i mestieri sotto il dominio di un'aristocrazia mercantile. A quest'ultima apparteneva la famiglia di mercanti dei Bemoulli, cha da Antwerp si erano trasferiti a Basilea dopo che dopo che la loro città e­ ra stata conquistata dagli Spagnoli" [Struik, 1 98 1 , p. 1 54] .

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Da Nicolaus ( 1 623 - 1 708) a Jean Gustave ( 1 8 1 1 - 1 863), la famiglia Bemoulli vide l'alternarsi di ben tredici studiosi, a lungo attivi nella ricerca matematica e fisica. Riportiamo un tratto dell'albero genealogico di questa sorprendente fami­ glia [Arrigo-D'Amore, 1 992, p. 1 1 9] :

Nicolaus ( 1 623 - 1 708) l Jacques I - Nicolaus I ( 1 654- 1 705) ( 1 662- 1 7 1 6) l Nicolaus II ( 1 687- 1 759)

Jean I ( 1 667- 1 748) l Nicolaus III Daniel I Jean ii ( 1 695- 1 726) ( 1 700- 1 782) ( 1 7 1 0- 1 790) l Jean III - Daniel II - Jacques II ( 1 746- 1 807) ( 1 75 1 - 1 83 4) ( 1 759- 1 789) l Christoph ( 1 782- 1 863) l Jean Gustave ( 1 8 1 1 - 1 863 ) -

In particolare, i fratelli Jacques (o Jakob, o James, 1 654- 1 705) e Jean (o Johann, o John, 1 667- 1 748), figli di Nicolaus Bemoulli, furono tra i più convinti discepoli e sostenitori di Leibniz [Bottazzini, 1 990] . 1 2. 1 .2. Jacq u es Bernoulli

Jacques Bemoulli fu professore di matematica presso l'Università di Basilea e si mantenne lungamente in corrispondenza epistolare con Leibniz, del quale co­ nobbe e profondamente ammirò le opere (sembra che, nel 1 687, proprio la let­ tura della fondamentale memoria leibniziana Nova methodus pro maximis et mi­ nimis itemque tangentibus, quae nec jracta, nec irrationales quantitates mo­ ratur et singulare pro illis ca/culi genus, apparsa sugli "Acta Eruditorum" nel­ l'ottobre del 1 864, abbia convinto Bemoulli ad intraprendere la via della ricerca matematica [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 60 1 ]). Così D.J. Struik cita alcune delle prin­ cipali ricerche di Jacques Bemoulli :

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"Tra i contributi di Jakob c'è l'uso di coordinate polari, lo studio della cate­ naria (già trattata da Huygens e da altri), la lemniscata ( 1 694) e la spirale toga­ ritmica. Nel 1 690 egli trovò la cosiddetta isocrona, proposta da Leibniz nel 1 687 come la curva lungo cui un corpo cade con velocità uniforme e che si ri­ velò essere una parabola sernicubica. Jakob studiò inoltre figure isoperimetriche ( 1 70 1 ) che lo portarono ad un problema di calcolo delle variazioni . La spirale logaritrnica, che gode della proprietà di riprodursi attraverso diverse trasforma­ zioni (la sua evoluta è ancora una spirale logaritmica così come la podaria e la caustica rispetto al polo) piaceva a tal punto a Jakob che egli volle che tale cur­ va fosse incisa sulla lapide della sua tomba, accompagnata dalla scrittura «ea­ dem mutata resurgo» " [Struik, 1 98 1 , p. 1 55 ] . In effetti Jacques Bemoulli si dedicò attivamente all'applicazione del calcolo infinitesimale ed alle equazioni differenziali. Si occupò delle serie numeriche; dimostrò ad esempio che la serie dei reciproci dei quadrati degli interi positivi è convergente, attraverso il procedimento seguente:

l l l l l l l l .. < + + + + + + + 12 22 32 42 . . . 1 1 · 2 2·3 3 · 4 + . = l 2-1 3-2 4-3 l l l l l -- + -- + . . . = l + 1 - - + - - - + - - - + . . . -. . . = 2 + = -l + -1 · 2 2·3 3 · 4 2 2 3 3 4 Di tale serie Bemoulli non riuscì tuttavia a determinare la somma; essa fu cal­ colata nel 1 73 7 da Leonhard Euler, che dimostrò :

ç (2 ) =

+oo

l l l l 1t 2 l + -2 + -2 + -2 + . . . = = n 2 3 4 6

L:-2 n=l

nell'àmbito degli studi sulla funzione zeta (ç, si veda il paragrafo 1 3 . 3 .4). Jacques Bemoulli scrisse inoltre il trattato Ars conjectandi (pubblicato po­ stumo nel 1 7 1 3), la prima opera completa ed organica sul calcolo delle proba­ bilità, con importanti elementi di calcolo combinatorio (2 ) . La quarta parte del­ l'opera è dedicata alla legge dei grandi numeri (sull'argomento è stato ritrovato un ricco epistolario Bemoulli-Leibniz) [Raymond, 1979]. (2 ) Non tutta l 'A rs conjectandi è originale: "Jakob Bernoulli fu anche uno dei primi a studiare la teoria delle probabilità, argomento su cui egli scrisse l 'A rs conjectandi, che fu pubblicata postuma nel 1 7 1 3 . Nella prima parte di questo libro è ristampato il tratta­ to di Huygens sui giochi d'azzardo, le altre parti riguardano combinazioni e permutazio­ ni e culminano nel � = n - (n -�) => %=n-n+% => �= n - n+(n - �) ...

La conclusione di Riccati appare chiara e corretta anche al lettore moderno : "Il paralogismo consiste in ciò, che il lodato Scrittore ha fatto uso d'una serie tra quelle, che dagli Analisti si chiamano parallele, dalle quali, come altresì dalle divergenti, nulla ci vien fatto di concludere. E la ragione si è, che per quanto si vada avanzando nella progressione, non succede mai, che i termini susseguenti possano trascurarsi, siccome incomparabili cogli antecedenti; la qual proprietà alle sole serie convergenti si compete" [Riccati, 1 76 1 , I, p. 86] . La considerazione riccatiana si mostra dunque perfettamente inserita nella mentalità che il mondo matematico andava sviluppando verso la metà del XVIII secolo, ovvero verso la moderna consapevolezza dei rischi associati ad un im­ piego scarsamente rigoroso delle serie non convergenti, come la serie di Grandi . La posizione di Riccati (certamente anteriore al 1 754) anticipò dunque di tre lustri quella espressa nel 1 768 da d'Alembert, che affermò, in polemica con alcune tecniche euleriane presenti nelle Jnstitutiones ca/culi di.fferentialis cum eius usu in Analysi Finitorum ac Doctrina Serierum del 1 75 7 [Euler 1 75 71 787] :

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"Per quanto mi riguarda, riconosco che tutti i ragionamenti e i calcoli basati su serie non convergenti . . . mi sembrano sempre estremamente sospettosi " [Silov, 1 978] (6) . L'impostazione riccatiana è dunque moderna ed importante, nella direzione delle ricerche di Gauss ( 1 8 1 2), di Bolzano ( 1 8 1 7), di Cauchy ( 1 82 1 ) (1). (6) Scrive D.J. Struik: "È istruttivo dar conto non solo di alcuni dei contributi di Eu­ ler alla scienza, ma anche della debolezza di qualche sua conclusione . . . Non possiamo seguire Euler quando scrive che 1 -3+5-7+ . . . = O, o quando dal fatto che n+n2+ . . . = n/(1-n) e che l +n-1+n-2+ . . . = n/(n-1 ) egli conclude che . . . +n-2+n-1 + l +n+n2+ . . . = O . Certo bisogna stare attenti a non criticare troppo frettolosamente Euler per il suo modo di manipolare serie divergenti . . . A molti dei risultati del suo lavoro apparentemente indiscriminato sulle serie è stato dato un senso assolutamente rigoroso da parte dei matematici moderni" [Struik, 1 9 8 1 , pp. 1 60- 1 6 1 ] . (1) S i consideri inoltre l'opinione di Leibniz, che in una lettera trasmessa tramite Bourguet (senza data, probabilmente del 1 7 1 5 [Bagni, 1 990, p. 93]) scrisse: "Giudizio del Sig . r Leibnizio intorno la Dissertazione del Co. Jacopo Riccati . . . Io vi supplico Signore di ringraziare il Sig . r Conte Riccati, ed il Sig.r Zendrini della bontà, che mostrano per me. Io vorrei loro poter essere utile in qualche cosa. Frattanto io desidero che essi continuino ad introdurre in Italia le scienze profonde. Io non so s'eglino abbiano veduto quello ch'ho notato sopra la questione se 1 - 1 + 1 - 1 ecc. all'infinito è uguale a \ti come il R. P . Grandi ha asserito, e in qualche maniera con ragione. Imperciocché l/ ( l +x) è 1 -x+xx-x3+x"-x5 ecc. ed allora che la lettera x si eguaglia ad l , n:: vien l/ ( l + l ) = l - l + l - l + 1 - 1 ecc. = Y2 " Leibniz riconobbe dunque una qualche validità alla posizione espressa da Grandi, ma evitò comunque di pronunciarsi in modo assolu­ tamente netto sulla questione; egli "non seguiva Grandi su questo terreno e preferiva af­ fidarsi al «governo della ragione»" [Bottazzini, 1 990, p . 28 ] . Per quanto riguarda la posizione di Leibniz, citiamo la testimonianza del matematico veneziano G. Grones, che nel 1 83 1 scrisse: "Rinnovellatosi dal preclarissimo geometra p. Guido Grandi la qui­ stione se l - l + 1 - l . . . oo sia = \ti, e come si possa evitare l'assurdo, mentre essendo 1 - 1 = O sembra che tutta la serie a null'altro debba ridursi che a zero; quantunque non si pos­ sa altronde negare che se nella serie l/( l +x) è l -x+xx-x3 . . . oo si faccia x = l non ab­ biasi \ti = l - l + 1 - l . . . oo; il dottissimo Wolf chiese al Leibnitz la spiegazione del­ l'enimma. Questo sommo matematico, poi che ha osservato che se la serie è finita, con­ sti d'un numero pari di membri e termini in meno, siccome sarebbe 1-1 ovvero 1 - 1 + 1 - 1 dà zero per risultamento: e se consti d'un numero dispari di membri e termini in più siccome l ovvero l - l + l etc. dà sempre l'unità, stabilisce: et cum seri es est in­ finita nempe 1 - 1 + . . . etc. in infinitum ita ut excedat numerum quemcumque, tunc evanescente natura numeri, evanescit eham paris aut imparis assignabilitas: et cum ratio nulla sit paritate magis, aut imparitate, adeoque pro prodeunte o magis quam pro l, fit admirabilis naturae ingenio, ut transito a finito ad infinitum simul fiat transitus a disjunctivo (jam cessante) ad unum (quod superest) positivum inter disjunctiva medium (A ct. erudit. Lipsiae Tom. V ab an. 1 7 1 1 ad an. 1 7 1 9 Epist. G. G. L. ad V c/aris. Ch. Woljìum) " [Grones, 1 8 3 1 , pp. 37-3 8 ] .

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1 2.2.3. Vincenzo e Giordano Riccati

Gli interessi di Vincenzo Riccati ( 1 707- 1 775), quarto figlio di Jacopo, furono concentrati sulle scienze matematiche e fisiche, particolarmente sulla trattazione analitica di problemi meccanici, condotta attraverso equazioni differenziali . Tra le opere di Vincenzo Riccati, particolare attenzione merita De usu motus tractorii in constructione Aequationum Differentialium Commentarius, lavoro pubblicato a Bologna nel 1 752. In tale trattato, Riccati, do po aver ricordato al­ cuni studi sull'integrazione di equazioni differenziali mediante il procedimento di separazione delle variabili, indica la possibilità di ottenere importanti quadrature anche evitando il ricorso a questo metodo e cita una tecnica di Euler: "Primus, ac solus Eulerus, quantum quidem mihi constat, in tomo sexto Ac. Petrop. aequationis peculiaris maxime simplicis constructionem invenit per rec­ tificationem ellypsis, in qua aequatione non solum indeterminatae non separan­ tur, sed ne separari quidem posse, constructio docet" [Riccati, 1 752, p. 4] . Incoraggiato da questo primo successo euleriano, Vincenzo Riccati si impe­ gnò nella ricerca di un nuovo metodo per la risoluzione di alcune equazioni differenziali, impostata con l'ausilio di un modello fisico appositamente predi­ sposto. Anche per quanto riguarda le ricerche di Vincenzo Riccati nel campo dell'in­ tegrazione delle equazioni differenziali notiamo che non raramente, nella storia della matematica, l'importanza del risultato ottenuto è superata dall'interesse per il metodo: i procedimenti indicati da Vincenzo Riccati devono quindi essere in­ quadrati e commentati proprio in rapporto alla ricerca di nuove e più potenti tecniche di integrazione delle equazioni differenziali, nell'àmbito della cultura a­ nalitica, già tecnicamente consolidata, del Settecento. Così M. Kline descrive lo stato della ricerca sulle equazioni differenziali nell a seconda metà del secolo : "La ricerca di metodi generali per l'integrazione delle equazioni differenziali ordinarie terminò intorno al 1 775 . In effetti, l'interesse per i metodi generali di soluzione scemò, perché vennero trovati metodi parziali che si adattavano però a quei tipi di equazioni richieste nelle applicazioni . Ancora oggi mancano dei principi generali e di vasta portata per la soluzione delle equazioni differenziali ordinarie. Nel complesso, questo campo di ricerche ha continuato a essere una serie di tecniche separate per i vari tipi di equazioni" [Kline, 1 99 1 , l, p. 5 84] . . .

Con il lavoro De usu motus tractorii in constructione Aequationum Diffe­ rentialium Commentarius, Vincenzo Riccati consapevolmente non si impegnò nel tentativo di ottenere metodi generali di integrazione : egli rivolse piuttosto la propria attenzione ad alcuni tipi particolari di equazioni differenziali e ne pro­ pose la risoluzione attraverso un procedimento non usuale. In tale contesto,

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Vincenzo Riccati si dimostrò aggiornato conoscitore dei principali risultati del calcolo e delle tecniche analitiche messe a punto dai matematici del proprio tempo: la sua scelta è per certi versi opposta (tecnicamente) a quella di Jacopo, in quanto non è basata sulla possibilità, ormai sfruttata, di ottenere la separa­ zione delle variabili, ma persegue un diverso approccio all'integrazione (8). Possiamo concludere affermando che le molte equazioni proposte ed inte­ grate dai Riccati incisero, storicamente, nel processo di formazione del pensiero analitico contemporaneo non tanto in qualità di esempi isolati e, sostanzial­ mente, particolari : l'importanza delle ricerche analitiche di Jacopo e di Vincenzo Riccati nella storia della matematica deve essere ricercata nella versatilità dei procedimenti proposti e nella piena, moderna consapevolezza palesata dai due studiosi a proposito del ruolo assunto dalla strategia risolutiva nella trattazione e nell'integrazione delle equazioni differenziali. Una citazione merita anche Giordano Riccati ( 1 709- 1 790), quinto figlio di Jacopo. Gli interessi culturali di Giordano, come quelli del padre (ma a dif­ ferenza di quanto abbiamo notato per il fratello Vincenzo), furono vastissimi. In particolare, egli si occupò di matematica e di fisica, di teoria musicale e di archi­ tettura, con numerose pubblicazioni; mantenne una fitta corrispondenza con molti protagonisti del mondo della cultura del Settecento e si dedicò con pas­ sione alla sistemazione delle opere del padre e del fratello. Nella produzione letteraria di Giordano ·Riccati ricordiamo alcune ricerche matematiche, come la questione dei logaritmi dei numeri negativi, trattata in collaborazione con il fratello Vincenzo, della quale ci occuperemo nel prossimo capitolo; Giordano Riccati si interessò inoltre alla questione degli isoperimetri e si occupò della risoluzione delle equazioni algebriche [Bagni, 1 993 ] .

Riferimenti bibliografici G. Arrigo-B. D'Amore, Infiniti, Angeli, Milano 1 992 . G. T. Bagni, La matematica nella Marca. iacopo Riccati, Teorema, Treviso 1 990. G.T. Bagni, Vincenzo, Giordano e Francesco Riccati e la matematica del Settecento, Teorema, Treviso 1 993 .

(8) Vincenzo Riccati inserì il proprio trattato del 1 752 in un filone di ricerca assai fecondo, personalmente seguito già da alcuni anni; annota V. Brunacci: "Anche Clai­ raut nel 1 734, e Vincenzio Riccati nel 1 747, adoprando, per integrare un'equazione dif­ ferenziale, l'artifizio di differenziarla, per attenerne una equazione di un ordine supe­ riore, ma scomponibile in due fattori . . . [ottennero] due integrali differenti, uno dei quali era l'integrale completo, l'altro una relazione tra le variabili priva di costante arbi­ traria . . . " [Brunacci, 1 804] .

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U. Bottazzini, Il calcolo sublime. Storia dell'analisi matematica da Euler a Weierstrass, Boringhieri, Torino 1 98 1 . U. Bottazzini, Il flauto di Hilbert. Storia della matematica moderna e con­ temporanea, UTET, Torino 1 990. U. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della ma­ tematica, Sansoni, Firenze 1 992 . N. Bourbaki, Elementi di storia della matematica, Hermann, Paris 1 960 (traduzione italiana: Feltrinelli, Milano 1 963). C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. V. Brunacci, Corso di Matematica sublime, Allegrini, Firenze 1 804. L. Euler, Institutiones ca/culi differentialis cum eius usu in Analysi Finito­ rum ac Doctrina Serierum, 2 vv . , Galeati, Pavia 1 787. La presente seconda edi­ zione del capolavoro euleriano contiene alcune aggiunte alla prima ( 1 75 5), cu­ rate da F. Speroni sulla base delle annotazioni dello stesso Euler. G. Grones, Sulle quantità immaginarie. Lettera indirizzata al nobilissimo e dottissimo Sig. Francesco Amalteo, Alvisopoli, Venezia 1 83 1 . L. Grugnetti, L 'equazione di Riccati: un carteggio inedito tra Jacopo Ric­ cati e Nicola II Bernoulli, "Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche" , VI, 2 ( 1 986), 45-82. L. Grugnetti, Sulla vecchia ed attuale equazione di Riccati, "Rendiconti del Seminario della Facoltà di Scienze dell'Università di Cagliari", LV, l , ( 1 985), 724 . M. Kline, Storia del pensiero matematico. I. Dall'Antichità al Settecento. II. Dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1 99 1 . G. Loria, Storia delle matematiche dall'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 93 3 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982). P. Raymond, La storia e le scienze, Editori Riuniti, Roma 1 979. J. Ricca ti, Opere, tt . I, II, III, Giusti, Lucca, 1 76 1 , 1 762, 1 763 ; t. IV, Roe­ chi, Lucca 1 76 5 . V . Riccati, De usu motus tractorii in constructione Aequationum Differen­ tialium Commentarius, Lelio della Volpe, Bologna 1 752. G.E. Silov, Analisi matematica, Mir, Mosca 1 978. D.J. Struik, Matematica: un profilo storico, Il Mulino, Bologna 1 98 1 .

Temi di storia della matematica 1 2 . l . «li calcolo differenziale era stato presentato da Leibniz come uno spe­ ciale algoritmo per lo studio delle curve e in questo campo fu applicato con successo dai fratelli Bernoulli ; il nuovo calcolo si rivelò nelle loro mani uno strumento di straordinaria agilità e duttilità, che permetteva di risolvere facil-

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mente antichi problemi che avevano messo alla prova l'abilità dei più grandi geometri e apriva la via per "un mondo sconosciuto" di curve e di equazioni differenziali» (Umberto Bottazzini). 1 2 . 2 . «l matematici cercarono di usare il calcolo infinitesimale per risolvere sempre nuovi problemi fisici e si trovarono presto costretti a trattare una nuova classe di problemi . Essi fecero più di quanto si erano prefissi di fare. I problemi più semplici conducevano a quadrature che potevano essere valutate mediante le funzioni elementari. Quelli un poco più difficili conducevano a quadrature che non potevano essere espresse in questo modo, come nel caso degli integrali el­ littici. Entrambi questi tipi di problemi cadevano nel raggio d'azione del calcolo infinitesimale. Tuttavia, la soluzione di problemi ancor più complicati richiedeva l'uso di tecniche specialistiche; fu così che nacque la teoria delle equazioni dif­ ferenziali» (Morris Kline) . 1 2 . 3 . «Se p è il numero dei casi con i quali un certo evento può accadere, e q è il numero dei casi con i quali può non accadere, tanto il verificarsi, quanto il non verificarsi dell'evento hanno il loro grado di probabilità. Perciò se tutti i casi con i quali l'evento può accadere o non accadere sono ugualmente facili, la pro­ babilità del verificarsi starà alla probabilità del non verificarsi come p sta a q» (Abraham De Moivre). 1 2 .4. «Lo sviluppo del calcolo infinitesimale ha seguito diverse vie in Inghil­ terra e nel continente europeo : rigidamente vincolata alla tradizione newtoniana (e al suo infelice formalismo), la matematica inglese nel Settecento sarà incapa­ ce di cogliere la straordinaria quantità di risultati e di tecniche che la maggiore flessibilità e fecondità della tradizione leibniziana aveva assicurato ai matematici continentali» (Umberto B ottazzini) . 1 2 . 5 . «Fra il 1 695 ed il 1 700 non c'è volume degli Acta Eruditorum pubbli­ cati mensilmente a Lipsia in cui non appaiano delle memorie di Leibniz, dei fra­ telli Bernoulli, del marchese de l'Hòpital riguardanti, con notazioni abbastanza prossime a quelle di cui ancor oggi ci serviamo, i più svariati problemi del cal­ colo differenziale, del calcolo infinitesimale e del calcolo delle variazioni. È quindi pressappoco nell'intervallo di un secolo che si è forgiato il calcolo infini­ tesimale o, come lo definiranno poi gli inglesi, il calcolo per eccellenza ("calcu­ lus"); quasi tre secoli di uso costante non sono ancora riusciti a smussare com­ pletamente questo incomparabile strumento» (Nicolas Bourbaki). 1 2 . 6 . «Newton, Leibniz, Euler e perfino Lagrange consideravano le serie co­ me un'estensione dell'algebra dei polinomi e difficilmente si rendevano conto che, introducendo le somme con un numero infinito di termini, si trovavano di fronte a nuovi problemi . Di conseguenza, non erano affatto preparati ad affron-

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tare i problemi che le serie infinite ponevano; ma le difficoltà che in effetti nascevano li costringevano almeno di tanto in tanto a trattare tali questioni» (Morris Kline). 1 2 . 7 . «Un infinitesimo non è uno zero assoluto ma "una quantità evanescente che mantiene il carattere di quella che sta sparendo" in forza della legge di continuità; così Leibniz rispondeva a Grandi che gli aveva suggerito come esem­ pio di somma di differenziali che davano luogo a una quantità finita la serie 1 -1 + 1 -1 + . . . = 0+0+0+ . . . che secondo Grandi aveva per somma Y2 ed evocava ai suoi occhi i misteri della religione, la creazione divina dal nulla. Ma Leibniz non seguiva Grandi su questo terreno e preferiva affidarsi al "governo della ragione" e al suo principio di continuità, su cui si fondavano non solo il calcolo ma la spiegazione del mondo dei fenomeni naturali» (Umberto Bottazzini). 1 2 . 8 . «Era di gran moda, a quei tempi, discutere di serie formate da infiniti addendi . . . Non era ancora chiaro che non tutte le serie convergono ad un valore determinato e che esistono serie oscillanti, per cui i matematici del periodo si affannavano a cercare sempre un valore per quelle somme infinite» (Bruno D'A­ more). 1 2 . 9 . «La nozione di probabilità è apparsa e si è sviluppata ben prima della nascita del calcolo delle probabilità (XVI e XVII secolo). Già nell'antichità greca si incontra una scuola detta "probabilistica" Si tratta di un momento dell'Ac­ cademia, diretta nel II secolo a. C. da uno dei successori di Platone, Carneade. È, per quanto è noto, la prima volta che si forma una scuola filosofica attorno al termine "probabilità", segnale della costituzione già ferma di quest'ultima come nozione» (Pierre Raymond). 1 2 . 1 0. «

lo g. a = b + 2k1r · i

Prima di dare una descrizione della "controversia", anticipiamo una breve os­ servazione. Può sorprendere che pensatori del calibro di Bernoulli, d'Alembert e Riccati siano caduti in errori, alla luce della moderna sensibilità matematica, così gravi ed evidenti. Notiamo tuttavia che i matematici del XVIII secolo, ancora sprovvisti di basi fondazionali sicure per il calcolo infinitesimale, basavano molti ragionamenti sulla considerazione di funzioni particolarmente semplici, come polinomi, funzioni razionali fratte; dunque, "quando la funzione logaritmica dovette essere estesa ai numeri negativi e ai numeri complessi, essi procedettero in realtà senza alcuna base sicura ed è questo il motivo per cui i ragionamenti su queste questioni erano così grossolani" [Kline, 1 99 1 , l, p. 506] . (6) Euler utilizzò inoltre la formula ora ricordata per calcolare i logaritmi dei numeri complessi e provò che essi sono a loro volta numeri complessi; egli dimostrò in tal mo­ do la chiusura del corpo C rispetto al calcolo del logaritmo e dell'esponenziale [Kline, 1 99 1 , 1] .

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1 3.2.2. La descrizione di Francesco M. Franceschinis

Per inquadrare lo svolgersi della disputa sui logaritmi dei numeri negativi, presenteremo sinteticamente la nota De ' logaritmi de ' numeri negativi, di Fran­ cesco Maria Franceschinis, in cui l'Autore si proclama deciso assertore della tesi leibniziana ed euleriana. Il lavoro è incluso in Opuscoli Matematici, una raccolta di memorie dello stesso Franceschinis, pubblicata a Bassano nel 1 787. Riprendendo, sostanzialmente, l'introduzione neperiana, Franceschinis pre­ senta l'isomorfismo tra la progressione aritmetica degli esponenti e la progres­ sione geometrica delle potenze, e scrive: "I logaritmi. . . altro non sono, che i termini di una qualunque progressione aritmetica corrispondenti per ordine ai termini di una qualunque progressione geometrica . . . Secondo questa idea le due serie sono tra loro indipendenti, onde la stessa progressione aritmetica potrà dare allo stesso tempo la serie de' loga­ ritmi per i termini d'infinite progressioni geometriche diverse: così ogni quantità potrà avere infiniti logaritmi . . . e viceversa ogni quantità potrà essere logaritmo d'infinite quantità diverse" [Franceschinis, 1 787, p. 1 2] . L'Autore nota però che l a questione p osta in termini così generali necessita di una qualche precisazione ed afferma: "E dunque necessario che le due progres­ sioni siena in qualche modo tra loro dipendenti, e perciò siena determinate" [Franceschinis, 1 787, p. 1 4] . Per precisare questa "dipendenza" è necessario fis­ sare due coppie di termini corrispondenti nelle successioni introdotte: in questo modo, suggerisce l'Autore, risulteranno subito determinati " . . . la ragione, e la differenza, e perciò tutti gli altri termini della geometrica, e dell'aritmetica pro­ gressione" [Franceschinis, 1 787, p. 1 4] . Si fissano, innanzitutto, rispettivamente in l ed in O i primi termini delle due successioni, ovvero si suppone (per ogni valore accettabile della base) log 1 = O . Dopo aver brevemente ricordato le proprietà dei logaritmi, Franceschinis passa alla questione ritenuta centrale per il problema dei logaritmi dei numeri negativi : "Ora perché possiamo godere del vantaggio, che nel calcolo ne presentano i logaritmi, cioè onde per essi risalire possiamo alle quantità, è necessario, che tutti siena presi in uno stesso sistema . . . Fissato il rapporto dei due primi termini delle due serie in modo, che tutti i numeri positivi abbiano il loro logaritmo, i numeri negativi il potranno pure avere nel medesimo sistema? " [Franceschinis, 1 787, p. 1 7] . La risposta è decisa:

309

"Dalla genuina, e prima idea de' Logaritmi deducesi evidentemente non darsi i logaritmi de' numeri negativi. Perché nel sistema medesimo, che i logaritmi in­ chiude di tutti i numeri positivi, quelli pure si avessero de' numeri negativi, sarebbe prirnieramente necessario il poter fingere una progressione geometrica, in cui essendo compresi . . . i numeri positivi possibili potessero pure essere com­ presi . . . i negativi . Ma questo è impossibile" [Franceschinis, 1 787, pp. 1 9-20]. L'Autore giustifica questa affermazione ricordando che una progressione geometrica di base h e ragione j (con h positivo e diverso da l e j intero) non può assumere valori non positivi; e subito introduce una tesi proposta, tra gli altri, da d'Alembert : "Non v'è altro ripiego, che asserire, che il medesimo logaritmo corrisponde al medesimo numero, sia positivo, che negativo. Ciò diffatti procura di persuadere d'Alembert dicendo . . . che la progressione negativa è il complemento della posi­ tiva, poiché esse riunite ne danno tutte le medie proporzionali possibili" [France­ schinis, 1 787, p. 2 1 ] . L'affermazione alla quale l'Autore si riferisce merita attenzione e può essere illustrata attraverso un semplice esempio : sappiamo, infatti, che la "media pro­ porzionale" tra l e 4 è 2; la tesi di d'Alembert porterebbe ad affermare che an­ che il valore -2 gode della stessa proprietà rispetto a l ed a 4, in quanto risulta: ( 1 )·(4) = (+2)·(+2) = (-2)·(-2) Per confutare l'asserzione di d'Alembert, Franceschinis osserva: "In una progressione geometrica ciascun termine non ha la sola relazione di essere media proporzionale, lo che a tutti conviene fuori che al primo, e all'ul­ timo, ma quello altresì di essere estremo, e terza proporzionale, lo che a tutti conviene" [Franceschinis, 1 787, p. 2 1 ] . Riprendendo l'esempio precedente, infatti, sia +2 che -2 potrebbero essere considerati alla stregua di "media proporzionale" tra l e 4, ma soltanto il valore positivo, +2, può essere considerato "estremo" con 4 ed 8 nella proporzione: 2 : 4=4 : 8 Franceschinis ritiene di poter con ciò affermare la sostanziale estraneità delle quantità negative ad una progressione geometrica e prosegue quindi nell'esame di un secondo argomento indicato dai sostenitori delle tesi di Bernoulli (l'opi­ nione è espressa, tra gli altri, dallo stesso d'Alembert) . Ma il giudizio dell'Autore è ancora una volta negativo :

310 "Essere cioè 2·log l = 2·log(- 1 ), e provarsi dall'essere l : (- 1 ) = (- 1 ) : l , onde n e nasce (- 1 )·(- 1 ) = (+ 1 )· (+ 1 ) e 2·log l = 2·1og(- l ) (del qual argomento sembrano trionfare i Bernoulliani) trovasi, esaminato a fondo essere insus­ sistente, poiché da questo, che sia (- l )-( - l ) = (+ l )-(+ l) non si può dedurre, che sia 2 ·log l = 2 ·log(- l ) quando pure non deducasi essere -l = l, lo che niun buon Matematico mai vorrà" [Franceschinis, 1 787, p. 25] (1).

1 3.2.3. La curva logaritm ica

La trattazione di Franceschinis prosegue con l'esame della questione della curva logaritmica: sempre in contrasto con d'Alembert, Franceschinis nega che il grafico cartesiano dell'equazione y = logx possa essere costituita da due rami simmetrici rispetto all'asse delle ordinate; ciò è indicato dal grande pensatore francese e da molti altri sostenitori della realtà dei logaritmi dei numeri negativi, tra i quali i Riccati . Giordano Riccati, ad esempio, afferma : "La vera equazione della Logistica . . . ha due rami affatto simili, e dall'assin­ toto equidistanti, onde ci sono forniti i logaritmi di' numeri negativi eguali a quelli de' numeri postivi " [Bagni, 1 993 ] . Così replica Franceschinis: " Come può egli [il riferimento è a d'Alembert, ma anche a Riccati] poi pro­ porre il problema della costruzione della logaritmica in modo, che resti esclusa l'idea della progressione geometrica, se questa ne forma la essenza? . . . nella qua­ le progressione geometrica è impossibile il passaggio dal O al negativo" [Fran­ ceschinis, 1 787, pp. 3 1 -3 2 ] . Anche altri argomenti sostenevano l'opinione dei matematici schierati per la realtà dei logaritmi dei numeri negativi, Franceschinis li presenta e si appresta a confutarli :

(?)

L'Autore nota infatti che "siccome . . . nel passaggio dal le potenze alle radici con­

viene usare di molta cautela, questa pure sarà necessaria passando dai logaritmi delle potenze a quelli delle radici " [Franceschinis, 1 7 8 7 , pp . 26-2 7 ] . In sostanza, France­ schinis sottolinea che per estrarre la radice quadrata di entrambi i membri dell'ugua­ glianza (- 1 )· (- 1 )

= (+ l ) · (+ l )

siamo tenuti ad imporre opportune condizioni (" . . . u sare di

molta cautela") per evitare evidenti assurdità quali + l

=

-l.

Ed analoghe precauzioni

sono necessarie nell'estrazione del logaritmo nell 'esempio sopra riportato " perché l'equa­ zione sussista" [Franceschinis, 1 7 8 7 , p. 2 7 ] .

311

"Dalla equazione dx/x=dy crede Bernoulli, e d'Alembert dedursi invincibil­ mente, darsi i logaritmi de' numeri negativi, ed essere essi eguali ai logaritmi de' numeri positivi, poiché, di con essi, l'equazione dxlx = -dx/( -x) = dy, onde sarà y = logx = log(-x)" [Franceschinis, 1 787, p. 3 7] . Franceschinis non ritiene però decisivo questo argomento e, dopo aver pre­ messo che "l'equazione differenziale non ne dà mai espressamente la natura, e l'andamento della curva, ma solo ne esprime la relazione degli elementi delle co­ ordinate", sottolinea: "perché il doppio segno delle serniordinate indichi un doppio ramo di curva, è necessario, che questo doppio segno siavi necessaria­ mente inchiuso, né basta, che si possa l'uno per l'altro prendere salvando l'equa­ zione" [Franceschinis, 1 787, p . 3 7] . Per giustificare la propria opinione, l'Autore indica quale controesempio l'equazione differenziale: 2dy y

=

dx x

" Se suppongo mutato il segno alla x, l'equazione differenziale non si muta, perché -dxlx = dx/(-x) . . . dunque la curva ha un ramo, che corrisponde alle x ne­ gative? " [Franceschinis, 1 787, p. 3 8] . E subito risponde l'Autore integrando l'equazione proposta ed ottenendo una funzione in cui, "posta x negativa, y diventa immaginaria. Dunque la curva non può avere un ramo corrispondente ad x negativa" [Franceschinis, 1 787, p. 3 8] . La conclusione è decisa: "Così non dovrò poter argomentare un ramo negativo della logaritrnica dal trovare, che mutando il segno all'ordinata non si muta l'equazione differenziale della logaritmica" [Franceschinis, 1 787, p. 3 8 ] . Prima d i abbandonare l a questione della curva logaritmica, Franceschinis non risparmia un'ulteriore critica alle argomentazioni bernoulliane : "Di più il raziocinio del Bernoulli parmi che supponga in certo modo quello che è in questione. Diffatti come può egli conchiudere essere log.x = log.(-x) dall'essere dxlx = -dx/( -x), se non suppone -dx/( -x) essere il differenziale del logaritmo di -x, e perciò darsi tale logaritmo, ed essere reale, giacché reale è sicuramente il suo differenziale?" [Franceschinis, 1 787, pp. 3 8-3 9] . La trattazione prosegue con l'esame di un'altra questione collegata ad altre annotazioni di d'Alembert. Questi, riferendosi all'equazione esponenziale, sotto­ linea che "ci possono essere infiniti valori di x, che ne diano un doppio valore di " y [Franceschinis, 1 787, p. 4 3 ] ; ad esempio, risulta:

312 ( +2) 2 ( +2) 4

( -2) 2 4 = (-2)

=

=

4

=

16

La risposta di Franceschinis è la seguente: "lo credo, che l'equazione . . . non dia pel ramo negativo, che dei punti conju­ gati, e sconnessi, e non continuati, talmente che vi sono infiniti punti dell'asse, a cui non corrisponde ordinata negativa. . . onde l'equazione. . . non è generale, e non si adatta a tutti i punti dell'asse, e perciò il ramo negativo della curva non può essere composto di punti uniti, ma solo di punti divisi " [Franceschinis, 1 787, pp. 43 -44].

1 3.2.4. Le osservazioni di Gianfrancesco Malfatti

Giovanni Francesco Giuseppe Malfatti ( 1 73 1 - 1 807), un allievo di Vincenzo Riccati nello studio bolognese, fu coinvolto nella questione dei logaritmi dei nu­ meri negativi e contestò velatamente la posizione del proprio maestro sulla real­ tà di tali logaritmi . Malfatti, nell'occuparsi dell'argomento bernoulliano che so­ stiene la simmetria della curva logaritmica rispetto all'asse delle ordinate (argo­ mento sostenuto anche da Riccati), assunse una posizione di mediazione, forse (nota garbatamente E. Giusti in [Giusti, 1 982]) per confermare il rispetto e la gratitudine nei confronti del proprio maestro, Vincenzo Riccati [Malfatti, 1 795 ] . In sostanza, Malfatti sottolinea che la curva logaritmica di equazione: y = logx non può essere considerata coincidente con la curva di equazione: 2y = log x 2 essendo questa seconda equazione esprimibile da: se x>O, y = log(+x)

se x

I

Nella Theorie Analytique des Probabi/ités sono contenute le trasformate di Laplace di numerose funzioni; ricordiamo che la trasformata di Laplace di j(x) è la funzione espressa da: + «>

Lj(x) =

I e-xc j ( t )dt o

346

e risulta di straordinaria attualità in molti campi dell'analisi moderna (come per le equazioni differenziali e per le equazioni integrali [Kolmogorov-Fomin, 1 980] [Rudin, 1 975]).

1 4.2.3. Un'applicazione della trasformata di Laplace Presentiamo un moderno esempio di applicazione della trasformata di La­ piace. Consideriamo l'equazione integrale (oggi denominata equazione di Vol­ terra di II specie) : x

u(x) =

J sen( x - t)u(t )dt - ax o

nell'incognita u(x) E C(R); il lettore noti che essa è equivalente ad un'equazione differenziale assai semplice (che può essere risolta dopo aver derivato due volte l'equazione data, ottenendo u"(x) = -ax, con u(O) = O e u'(O) = -a) . Essa si può però anche risolvere fissando x�O ed operando una trasformazione secondo La­ piace (indichiamo con * l'operatore di convoluzione, owero poniamo : x

f * u(x) =

J f ( x - t)u(t )dt o

ed indichiamo con L l'operatore di trasformazione di Laplace) . Risulta dunque : u(x) = (sen * u)(x) - ax Procederemo supponendo che tutte le condizioni richieste dalle operazioni a­ nalitiche siano soddisfatte (in altri termini, nel corso della risoluzione supporre­ mo di poter fare tutto ciò che faremo, riservandoci poi di verificare il risultato) . È possibile dimostrare che l a trasformazione di Laplace muta prodotti di convoluzione in prodotti ordinari , ovvero che: L (f* g)(x) = Lj(x) - Lg(x) Dunque l'equazione assegnata corrisponde a: Lu(x) = Lsen(x)-Lu(x)-L(ax) Essendo :

347

a L(ax) = -x2 l L(senx) = -­ x2 + l possiamo scrivere: l a Lu(x) = -- ·Lu(x) -x2 x2 + l

)

(

1 Lu(x) l - - = _ !!_ x2 + l x2 da cui : Lu(x) =

-

(

1 + -t

-

x2

1

x4

r

A questo punto è necessario antitrasformare, ovvero risalire dalla trasformata di Laplace Lu(x) della funzione incognita u alla funzione u stessa; ricordando che:

(dove la funzione H, denominata "funzione di Heaviside" , è la funzione carat­

teristica dell'insieme R+ dei numeri reali positivi; ovvero : H = xR. ) , otteniamo infine:

( :}

u(x) = - x +

x

(risultato che, ottenuto nel modo sopra descritto, potrà però essere considerato accettabile solo dopo la verifica per sostituzione nell'equazione integrale data) .

1 4.2.4. n concetto di probabilità secondo Laplace Ma le opere sopra menzionate non sono interessanti soltanto per i molti svi­ luppi analitici in esse contenuti. L'impostazione della teoria della probabilità di

348

Laplace è basata sui seguenti fondamentali principì, che riportiamo negli enun­ ciati originali : "Principi generali del calcolo delle probabilità. r principio. Il primo di questi principì è la definizione stessa di probabilità, che . . . è il rapporto del numero dei casi favorevoli e quello di tutti i casi possibili . r principio.

Ma ciò presuppone che i diversi casi siano ugualmente possibili . Se non lo sono, si dovranno determinare prima le loro rispettive possibilità, la cui corretta valutazione è uno dei punti più delicati della teoria dei casi . . . 3 ° principio

. . Se gli eventi sono indipendenti gli uni dagli altri, la probabili­ tà di esistenza del loro insieme è il prodotto delle loro particolari probabilità . . . .

.

4 ° principio. Quando due eventi dipendono l'uno dall'altro, la probabilità dell'evento composto è il prodotto della probabilità del primo evento per la probabilità che, verificato si questo, si verifichi il secondo . . . 5 ° principio. S e si calcola a priori la probabilità dell'evento accaduto e la probabilità di un evento composto da questo e da un altro che si aspetta, la se­ conda probabilità, divisa per la prima, sarà la probabilità dell'evento atteso, de­ sunta dall'evento osservato. 6° principio.

Ciascuna delle cause alle quali un evento osservato può essere attribuito è indicata con tanto maggiore verosimiglianza quanto più è probabile che, supposta l'esistenza di tale causa, l'evento abbia luogo. 7° principio.

La probabilità di un evento futuro è la somma dei prodotti della probabilità di ciascuna causa, dedotta dall'evento osservato, per la probabilità che, tale causa esistendo, l'evento abbia luogo " [Laplace, 1 987, pp . 29-3 4] . Non è difficile riconoscere in tali principì alcuni enunciati classici che sono entrati nella pratica e nella didattica della probabilità. La precedente definizione di probabilità, ad esempio, è frequentemente citata ed utilizzata, anche ai giorni nostri, per la sua chiarezza e la sua notevole semplicità. Si noti, tuttavia, che es­ sa non risolve il problema di una esauriente e rigorosa definizione della pro­ babilità. Che significa, infatti, affermare (si veda il 2° principio) che i casi con­ siderati devono risultare tutti . . . ugualmente possibili? Si potrebbe rispondere che tutti i casi considerati devono avere la stessa probabilità di manifestarsi, ma così facendo la definizione di un concetto verrebbe a riferirsi al concetto stes­ so . . .

349

1 4.2.5. La probabilità dopo Laplace Tra il XIX ed il XX secolo, ai russi Pafnuti Tchebycheff ( 1 82 1 - 1 894), Andrei Andreievic Markov ( 1 856- 1 922) e Andrei Nicolaievic Kolmogorov ( 1 903 1 987) sono da attribuire contributi innovativi e profondi alla teoria della proba­ bilità; quest'ultimo, in particolare, mise a punto nel 1 93 3 la fondamentale intro­ duzione assiomatica della probabilità. All'inizio del xx secolo ricordiamo inoltre le opere di Emile Bore) ( 1 87 1 1 956), che pubblicò Eléments de la théorie des probabilités ( 1 909) e di Richard von Mises ( 1 8 83- 1 953) . A von Mises è dovuta la definizione frequentista della probabilità, che riportiamo :

Definizione di von Mises. La probabilità P(A) dell'esito A di un esperi­ mento ripetibile è il limite a cui tende la sua frequenza relativa, al tendere all'in­ finito del numero delle prove effettuate [Daboni, 1 980] (9 ) . La ricerca nel campo della probab i l it à vide tra i principali protagonisti degli ultimi decenni anche Bruno de Fin etti ( 1 906- 1 985) e Laurent Schwartz (nato nel 1 9 1 5) : a de F in etti è dovuta la seguente definizione soggettivistica della pro­ babilità, espressa nel fondamentale trattato Teoria della probabilità ( 1 970) :

Definizione di de Finetti. La probabilità P(A) dell'evento A, secondo l'o­ pinione di un individuo coerente, è il prezzo che tale individuo ritiene equo at­ tribuire ad un importo unitario esigib il e al verificarsi dell'evento A [de Finetti, 1 995] (10).

(9 ) Alla definizione ora specificata sono

però associate alcune sostanziali difficoltà. Innanzitutto, è necessario supporre l'esistenza del limite menzionato; inoltre, il carattere di ripetibilità è, in effetti, un'astrazione: è sempre possibile ripetere un esperimento più volte, nelle stesse condizioni? La probabilità, infatti, verrebbe definita soltanto dopo l'esecuzione pratica della serie di esperimenti. Ed un esperimento ripetuto n volte può essere realmente ritenuto lo stesso esperimento effettuato n volte, oppure dovrebbe essere considerato alla stregua di . . . n esperimenti (analoghi, ma non propriamente identici) effettuati successivamente? (10) Il punto di vista della definizione ora presentata è dichiaratamente soggettivo, e ciò sembra limitare, se non addirittura escludere, quel contenuto di oggettività che caratterizza le definizioni precedenti (e, del resto, tutte le definizioni matematiche) . Il lettore noti tuttavia che una valutazione soggettiva non deve essere considerata ne­ cessariamente arbitraria: se l'individuo è coerente ed esperto, la sua valutazione coinciderà, in linea di principio, con quella di altri individui coerenti ed esperti . Re­ sterebbe il problema di dare una definizione di coerenza, ma non riteniamo opportuno addentrarci in ciò.

350

Riferimenti bibliografici M.T. Borgato-L. Pepe, Lagrange a Torino (1 750-1 759) e le sue lezioni inedite nelle R. Scuole di Artiglieria, in "Bollettino di Storia delle Scienze Ma­ tematiche" , VII, 2, 1 987. U. Bottazzini, l/flauto di Hilbert. Storia della matematica moderna e con­ temporanea, UTET, Torino 1 990. U. Bottazzin i-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della matematica, Sansoni, Firenze 1 992. C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. F. Burzio, Lagrange, UTET, Torino 1 942 . L. Daboni, Calcolo delle probabilità ed elementi di statistica, UTET, Torino 1 980. B. de Finetti, Filosofia della probabilità, Il Saggiatore, Milano 1 995 . M. Kline, Storia del pensiero matematico. l. Dall'Antichità al Settecento. Il. Dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1 99 1 . A.N. Kolmogorov-S.V. Fomin, Elementi di teoria delle funzioni e di analisi funzionale, Editori Riuniti, Roma 1 980. A.N. Kolmogorov-A.P. Yushkevich, Mathematics in the 19th Century. Mathematical Logic, A lgebra, Number Theory, Probability Theory, Birkhauser, Base! 1 992 . P.S. de Laplace, Theorie Analytique des Probabilités, Courcier, Paris 1 820. P.S. de Laplace, Saggio filosofico sulle probabilità, Theoria, Roma 1 987. S. Maracchia, Da Cardano a Galois, Feltrinelli, Milano 1 979. C.D. Olds, Continued Fractions, Random House, New York 1 963 (tradu­ zione italiana: Frazioni continue, Zanichelli, Bologna 1 968). L. Pepe, Supplemento alla bibliografia di Lagrange: i «Rapports» alla prima classe dell'lnstituta, in "Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche", XII, 2, 1 992. P. Raymond, La storia e le scienze, Editori Riuniti, Roma 1 979. W. Rudin, Analisi reale e complessa, Boringhieri, Torino 1 975 . A. W eil, Teoria dei numeri. Storia e matematica da Hammurabi a Legen­ dre, Einaudi, Torino 1 993 .

Temi di storia della matematica 1 4 . 1 . «Il calcolo delle variazioni fu fondato nel XVIII secolo, principalmente da Euler e da Lagrange. Oltre a problemi matematici e fisici di varia natura, c'e­ ra una motivazione principale per questo studio, il principio di minima azione che, nelle mani di Maupertuis, Euler e Lagrange, diventò uno dei principì fonda­ mentali della fisica matematica. I matematici del XIX secolo continuarono a la-

35 1

varare sull'azione minima e gli stimoli maggiori al calcolo delle variazioni nella prima metà del secolo vennero da questa direzione» (Morris Kline) . 1 4 . 2 . «O



logeX � Q

D

Infatti, se per assurdo fosse logeXE Q, avremmo che l'esponenziale di un numero razionale sarebbe razionale (x), contro quanto sopra affermato. • •

Essendo tg

( :)

= l E Q, risulta:

: � Q e dunque 1t � Q .

D

Infatti, se per assurdo fosse 1t E Q, avremmo che la tangente di un nu4 mero razionale sarebbe razionale (ovvero 1 ), contro l'ipotesi . • Ricordiamo infine quanto scrive C.B. Boyer sulla personalità scientifica di Lambert: "Molti matematici, in ogni tempo, hanno preteso di essere anche filosofi . [Tra questi] Johann Heinrich Lambert, scienziato svizzero tedesco che scrisse intorno a svariati argomenti matematici e non matematici. . . Si racconta che, al­ lorché Federico il Grande gli chiese quale fosse la scienza di cui era maggior­ mente esperto, rispose seccamente: «Tutte» . Oggi, forse, si avrebbe di lui un ri­ cordo migliore se non avesse cercato, con poca modestia, di dominare tutti i campi della scienza, giacché era effettivamente dotato di eccezionale abilità" [Boyer, 1 982, pp. 534-3 5 3 ] .

1 5.2. Monge e Poncelet

1 5.2. 1 . Gaspard Monge e la geometria descrittiva

Uno dei creatori dell'É cole Polythecnique, Gaspard Monge ( 1 746- 1 8 1 8 ) , fu il grande sistematore della teoria della prospettiva ed il padre di quella che comu­ nemente viene oggi chiamata geometria descrittiva; nella diffusa opera Geo­ metrie descriptive di Monge sono raccolte le lezioni tenute dall'Autore all'É cole

358

Normale nel corso di " stereotomia" nell'anno accademico 1 794- 1 795 [Monge, 1 83 9] . Monge si proponeva d i risolvere sia il problema della rappresentazione di un oggetto tridimensionale che il problema inverso, ovvero la ricostruzione delle caratteristiche di un oggetto a partire dalla data sua rappresentazione. Per que­ sto, egli mise a punto un procedimento efficace per ricavare una tale rappresen­ tazione, denominato metodo della " doppia proiezione ortogonale" : l'oggetto è proiettato ortogonalmente su due piani tra loro perpendicolari, detti primo e se­ condo piano di proiezione; l'intersezione di tali piani (oggi detta "linea di terra" ) era originariamente indicata da Monge con il termine base de l'elevation. Il piano verticale viene infine ruotato attorno alla linea di terra fino a coincidere con il piano orizzontale : la rappresentazione finale dell'oggetto in questione è quindi contenuta in un'unica tavola, nella quale sono rappresentati i due piani sovrapposti . P(2)

p

Monge dimostrò che: •

un punto è rappresentato da ut1a coppia di punti (proiezioni) appartenenti ad una retta perpendicolare alla linea di terra; • viceversa, ogni coppia di punti appartenenti ad una retta perpendicolare alla linea di terra costituisce la rappresentazione di un punto; • una retta è rappresentata da una coppia di rette (proiezioni); • viceversa, ogni coppia di rette non perpendicolari alla linea di terra costi­ tuisce la rappresentazione di una retta; • un piano (non inclinato a 45° rispetto ai due piani perpendicolari) è rappresentato dalle sue due tracce (le intersezioni del piano considerato con i due piani di proiezione), le quali si intersecano sulla linea di terra; • viceversa, due rette che si intersecano sulla linea di terra costituiscono la rappresentazione di un piano .

359

Si definisce "retta di profilo" una retta le cui proiezioni coincidano con una stessa retta perpendicolare alla linea di terra; si può allora dimostrare che: • condizione necessaria e sufficiente affinché un punto appartenga ad una retta non di profilo è che la prima proiezione del punto appartenga alla prima proiezione della retta e la seconda proiezione del punto appartenga alla seconda proiezione della retta. Se invece la retta in questione è una retta di profilo, la condizione enunciata è solo necessaria.

T"

L

T

T'

Per quanto riguarda la trattazione matematica della prospettiva, l'Autore, do­ po avere presentato alcuni esempi corretti di ricavo della rappresentazione di un oggetto, ricorda "un risultato molto importante per le sue frequenti applica­ zioni " : "Tutte l e volte che dobbiamo mettere in prospettiva alcune rette parallele tra loro (ma non parallele al quadro), su qualsiasi quadro, le prospettive di queste rette concorrono in un punto" [Monge, 1 839, p. 230] . Ricordiamo poi che, oltre a tali questioni di prospettiva lineare, Monge in Geometrie descriptive si occupò del caso della rappresentazione prospettica ot­ tenibile quando il quadro è costituito da una superficie sferica o da una super­ ficie conica [Monge, 1 83 9, pp. 255-257] (2 ) . Gaspard Monge fu dunque un buon matematico ed un attivo ed apprezzato insegnante; così C.B. Boyer ricorda la sua attività didattica: (2 ) Nella propria Geometrie descriptive, Monge si occupò anche del piano tangente ad una superficie curva (nel capitolo Il), dell'intersezione di superfici curve (nel capitolo III) e dell'applicazione di tale argomento a diverse questioni (nel capitolo IV) [Bagni­ D'Amore, 1 994] .

360

"Monge tenne corsi universitari su due discipline matematiche entrambe es­ senzialmente nuove rispetto ai programmi di studio tradizionali. La prima era allora nota col nome di stereotomia, corrispondente a quella che oggi viene più comunemente chiamata geometria descrittiva. . . All'É cole Polytechnique egli tenne anche un corso sulla «applicazione dell'analisi alla geometria» . L'espres­ sione abbreviata «geometria analitica» non era ancora entrata nell'uso corrente; così era anche per l'espressione «geometria differenziale», ma il corso tenuto da Monge era essenzialmente un'introduzione a quest'ultima disciplina" [Boyer, 1 982, pp. 549 e 5 5 1 ] . Contemporaneo di Monge fu Lazare Nicolas Marguerite Camot ( 1 7 5 3 - 1 823 , padre di quel Sadi Camot al quale è legata la denominazione del celebre ciclo termodinamico), che pubblicò a Parigi nel 1 80 1 De la corre/ation des Figures en Géométrie e nel 1 803 la Géométrie de position (il titolo è ripreso da Leibniz, ma con diverso significato). Il pensiero geometrico di Camot era caratterizzato da una continua tendenza alla generalizzazione di risultati e di concetti : da que­ sto punto di vista, quindi, egli è da considerare un matematico di impostazione decisamente moderna (3 ) . Inoltre, in Camot troviamo l'impiego sistematico dei numeri complessi, che sarà fecondo, vent'anni dopo, nell'opera di Poncelet (4) . 1 5.2.2. Il

Traité di Jean-Victor Poncelet

Una figura di estrema importanza per la storia della geometria è Jean-Victor Poncelet ( 1 788- 1 867), un allievo di Monge che tra il 1 8 1 3 ed il 1 8 1 4 scrive Ap­ plications d'analyse et de geometrie, un lavoro di geometria analitica che sarà pubblicato solo tra il 1 862 ed il 1 864; nel 1 822 pubblica il Traité des proprietes projectives des figures, in cui al metodo analitico sostituisce quello sintetico : con tale opera è identificata la nascita della moderna geometria proiettiva. (3 ) Non possiamo tuttavia dimenticare che Carnot si proclamava contrario all'uso dei numeri negativi, ritenendo che comportassero comunque assurdità. Il geometra francese non era certo l'unico a sostenere simili posizioni : "È certo che i numeri negativi non furono veramente ben capiti fino ai tempi moderni . Euler, nella seconda metà del Set­ tecento, credeva ancora che i numeri negativi fossero maggiori di oo . . . Ancora nel 1 83 1 De Morgan insiste sul fatto che è assurdo prendere in considerazione numeri minori di zero" [Kline, 1 99 1 , I, p. 69 1 ] . (4) Carnot s i occupò dei fondamenti dell'analisi infinitesimale e nel 1 797 scrisse Réjlexions sur la métaphisique du calcul infinitésimal: "Suo scopo era di dimostrare che la logica del calcolo riposa sul metodo di esaustione e che i vari metodi di presen­ tarlo non sono altro che semplificazioni o abbreviazioni, cui può essere fornita una logica fondandole su quel metodo. Dopo molto riflettere Carnot, come Berkeley, finì col concludere che gli errori nei ragionamenti usati di solito nel calcolo infinitesimale si compensano l'uno con l'altro" [Kline, 1 99 1 , I, p. 5 04] .

361

U n primo fondamentale risultato dovuto a Poncelet è l'introduzione del "bi­ rapporto" : considerati quattro punti A, B, C, D su di una retta, si dice loro birapporto (ABCD) la quantità: (ABCD) =

(��}(��)

Nel Traité, Poncelet risolse definitivamente l'antico problema della prospet­ tiva: è noto, infatti, che nel passaggio da un oggetto alla sua rappresentazione prospettica non si mantengono le distanze né i rapporti tra i segmenti. L'invariante rispetto alla proiezione è individuato dal fondamentale teorema seguente: Teorema. Dati quattro punti allineati A, B, C, D, siano A', B', C', D' quattro punti ottenuti dai primi con una proiezione su di un'altra retta. Allora risulta:

(ABCD) = (A'B'C'D')

Dunque Poncelet dimostrò che il birapporto è invariante nelle proiezioni : proprietà con questa caratteristica si dicono proprietà proiettive. Un altro grande merito di Poncelet è di avere riproposto organicamente e chiaramente la nozione di punto all'infinito : infatti nel XVII secolo, come abbia­ mo visto, notevoli furono le resistenze all'innovativa intuizione di Desargues; nel XVIII secolo tale concetto venne utilizzato solo in parte, tanto che lo stesso ter­ mine "punto all'infinito" era considerato alla stregua di un abuso di linguaggio

362

[Cassina, 1 92 1 ] . Poncelet invece utilizzò sistematicamente i punti all'infinito e fece "così dello spazio proiettivo il quadro generale di tutti i fenomeni geome­ trici " [Bourbaki, 1 963 ] . I n molti campi Poncelet si dimostrò assai vicino alle idee di Desargues (au­ tore peraltro, in quel periodo, del tutto dimenticato) : Poncelet, ad esempio, uti­ lizzò frequentemente la riduzione delle proprietà delle coniche alle proprietà del cerchio mediante opportune proiezioni (procedimento risalente a Desargues ed a Pascal); ciò era realizzato attraverso l'omologia, nel piano, ed attraverso un'a­ naloga trasformazione proiettiva nello spazio. Dall'operazione di proiezione Poncelet fece seguire il principio di continuità: lo studio delle proprietà di una figura può dunque avvenire su figure generali, le quali possono quindi variare con continuità per effetto di trasformazioni proiettive, portando alle varie figure particolari . Poncelet inoltre introdusse stabilmente nella matematica il settore della geo­ metria proiettiva complessa (già in parte trattato da Monge), superando così la diffidenza con la quale i punti immaginari erano trattati nel XVIII secolo : ad e­ sempio, tutte le circonferenze di un piano vengono ad avere due punti in comu­ ne (complessi) all'infinito, denominati punti ciclici. In coordinate omogenee, la circonferenza generica:

intersecata con la retta impropria, rappresentata da x3 = O, determina i due punti impropri complessi coniugati :

( l ; i; 0), ( l ; -i; O) (i punti ciclici). Il passaggio per i due punti ciclici diviene così la condizione ne­ cessaria e sufficiente affinché una conica sia una circonferenza: se ripetiamo, ad esempio, lo stesso procedimento per un'ellisse, troviamo nuovamente due punti complessi coniugati, ma diversi dai punti ciclici (ovvero dipendenti dall'eccen­ tricità dell'ellisse considerata) :

Analogamente, osservava ancora Poncelet, accade nel caso della geometria dello spazio: anche tutte le sfere ammettono una conica comune (complessa) al­ l'infinito, detta "ombelicale" (5) . (5) Per una presentazione semplice e didatticamente efficace dei punti e delle rette all'infinito, in coordinate omogenee, si può vedere [Arrigo-D'Amore, 1 992, pp. 2 1 02 1 8] .

363

1 5.3. Verso la geometria del XX secolo: il programma di Erlangen 1 5.3. 1 . n principio di dualità

Attenzione particolare merita l'evoluzione, nel secolo scorso, di un concetto fondamentale per la matematica contemporanea. Poncelet si occupò con Joseph Diez Gergonne ( 1 77 1 - 1 859), autore dell'Essai de dialectique rationelle, della proposizione denominata principio di dualità, le cui radici possono essere pe­ raltro ricercate addirittura in Apollonio, e più tardi in Desargues, in de la Hire e in Monge. Poncelet affrontò la questione della dualità collegandosi principalmente alle forme quadratiche; il lavoro di Poncelet sarà sviluppato, oltre che dallo stesso Gergonne, da molti matematici, tra i quali ricordiamo Julius Plocker ( 1 80 1 1 868), Michel Chasles ( 1 793 - 1 880, autore del Traité de geometrie superieure, pubblicato nel 1 8 52) e Charles Julien Brianchon ( 1 785- 1 864). A Brianchon è dovuto un risultato semplice ed elegante che, come vedremo, consente di for­ nire un celebre esempio di dualità. Il generale principio di dualità può essere enunciato nel modo seguente: Principio di dualità. Da ogni proposizione di geometria proiettiva piana può esserne ricavata un'altra, caratterizzata dalla stessa struttura logica della pri­ ma, mediante lo scambio dei termini duali .

In particolare [Freguglia, 1 982, p. 1 54] : •

la nozione di proiezione è duale della nozione di sezione e viceversa; la nozione di punto è duale della nozione di retta e viceversa; • la nozione di quadrangolo è duale della nozione di quadrilatero e vice­ versa, etc. •

Particolarmente interessante è la relazione di dualità intercorrente tra il teo­ rema di Pascal ed il "teorema di Brianchon" : ricordiamo infatti l'enunciato della pnma proposl Zl one: Teorema di Pascal. Condizione necessaria e sufficiente affinché i vertici di un esagono stiano su di una conica è che i punti comuni alle tre coppie di lati opposti appartengano alla stessa retta.

In tale enunciato modifichiamo alcuni termtru : m particolare, sostttmamo "vertice" con "lato" (e viceversa) e "punto" con "retta" (e viceversa). Otteniamo così la nuova proposizione, detta duale della precedente:

364

Teorema di Brianchon. Condizione necessaria e sufficiente affinché i lati di un esagono stiano su di una conica (owero : siano tangenti ad una conica) è che le rette comuni alle tre coppie di vertici opposti abbiano in comune lo stesso punto.

Il principio di dualità consente una notevole semplificazione dell'opera dimo­ strativa, poiché la dimostrazione di una proposizione implica la dimostrazione della proposizione duale; esso deve quindi essere considerato "tra i più rilevanti principi metamatematici" [Freguglia, 1 982, p. 1 54]. Il bavarese Georg Karl Christian von Staudt (I 798- 1 867), allievo di Gauss ed autore di Geometrie der Lage ( 1 847), fu uno dei sistematori della geometria del secolo scorso : in tale lavoro la geometria proiettiva è impostata e studiata come geometria "di posizione" senza ricorrere al concetto di misura (la geome­ tria di von Staudt è indipendente dalla metrica ed è diversa dalla geometria di posizione di Carnot, legata invece alla metrica [Bottazzini-Freguglia-Toti Riga­ telli, 1 992, p. 1 3 2]). Chiara è in von Staudt la concezione di dualità; riportiamo una citazione tratta da Geometrie der Lage : "Le prime proposizioni della geometria fanno già sentire una certa legge di reciprocità o di dualità, mercè la quale nello spazio il punto ed il piano stanno di fronte l'un l'altro (sono concetti reciproci); ed ogni proposizione, in cui non sia fatta alcuna distinzione fra elementi propri e impropri, trova il suo comple­ tamento in un'altra, che risulta dalla prima scambiando fra loro punto e piano (quindi anche punteggiata e fascio di piani, segmento ed angolo diedro etc. ) . Due tali proposizioni vengono collocate d'ordinario l'una a fianco all'altra, come i due lati di un'unica proposizione: per esempio : a 1 ) Due punti A, B determinano una retta AB, che è quella passante per entrambi . P 1 ) Una retta a e u n punto B po­ sto fuori della medesima determina­ no un piano aB che unisce la retta col punto . y 1 ) Tre punti A, B , C, che non giacciono in una stessa retta, deter­ minano un piano ABC che passa per i tre punti . o 1 ) Due rette che hanno un punto A comune giacciono in uno stesso piano .

a2 ) Due piani A, B determinano una retta AB, cioè quella in cui essi si tagliano. P 2 ) Una retta a e un piano B non passante per essa determinano un punto aB, nel quale la retta e il pia­ no si tagliano . y2 ) Tre piani A, B, C, che non passano per una stessa retta, deter­ minano un punto ABC nel quale i tre piani si tagliano . o 2 ) Due rette che giacciono in u­ no stesso piano hanno un punto A in comune.

365

Le proposizioni precedenti conducono ai seguenti problemi (postulati) : a 1 ) Tirare una retta per due punti dati. f3 1 ) Condurre un piano per una retta data ed un punto fuori di essa. y 1 ) Condurre un piano per tre punti dati non giacenti sopra una stessa retta. o 1 ) Condurre un piano per due rette date aventi un punto A in co­ mune.

a2 ) Trovare la retta di intersezio­ ne di due piani dati. f3 2 ) Trovare il punto di interse­ zione di un piano dato con una retta data non giacente in esso . y2 ) Trovare il punto di intersezio­ ne di tre piani dati non passanti per una stessa retta. o2 ) Trovare il punto di interse­ zione di due rette date giacenti m uno stesso piano"

[Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 1 3 1 - 1 3 2] . Scrive P . Freguglia: "Con von Staudt la geometria proiettiva ricevette il suo assetto definitivo e fu resa completamente indipendente dalla metrica nei suoi metodi e nei suoi principi . Infatti von Staudt. . . sviluppa secondo un ordine di idee puramente grafiche tutta la teoria della proiettività" [Freguglia, 1 982, p. 1 5 3 ] . 1 �.3.2. D programma di Erlangen

La geometria in generale e la geometria proiettiva in particolare furono cam­ pi di ricerca importanti e fecondi per tutto il XIX secolo, un periodo vivacissimo per la ricerca matematica [Kolmogorov-Yushkevich, 1 992] . Tra i maggiori stu­ diosi di geometria dell'età contemporanea citiamo Jakob Steiner ( 1 796- 1 863), al quale si devono decine di risultati di primaria importanza (quasi tutte le ricerche geometriche di Steiner furono condotte esclusivamente con metodi sintetici), Hermann Grassmann ( 1 809- 1 877), che introdusse il concetto di spazio vettoria­ le e Luigi Cremona ( 1 83 0- 1 903). I grandi progressi teorici portarono rapidamente all'apice della grande avven­ tura geometrica dell'Ottocento : già Arthur Cayley ( 1 82 1 - 1 895) in Fifth memoir upon quantics ( 1 8 5 9) affermò che il collegamento tra le proprietà metriche e le proprietà proiettive di una stessa figura può essere realizzato attraverso l'uso dei punti ciclici . In pratica, Cayley "considera la geometria metrica nel contesto della geometria proiettiva" [Struik, 1 98 1 ] . La progressiva precisazione dei con­ cetti di gruppo e di invariante portò ormai verso la definitiva riunificazione dell'opera dei geometri dell'Ottocento : essa sarà realizzata da Felix Klein ( 1 8491 925), che nella propria Antrittvorlesung (prolusione inaugurale, o Programm)

366

del 1 872 all'Università di Erlangen (il celebre documento oggi ricordato come programma di Erlangen), identificò la geometria con lo studio degli invarianti rispetto a gruppi di trasformazioni . Certamente il programma di Erlangen venne a contrassegnare un momento di primaria importanza dell'intera storia della nostra disciplina: esso segnò una svolta metodologica fondamentale ed influenzò decisivamente la ricerca mate­ matica. Illustriamo dunque brevemente quànto da esso è possibile dedurre e quali innovazioni furono dunque da esso portate per quanto riguarda la colloca­ zione ed il ruolo della geometria proiettiva nell'àmbito della matematica contem­ poranea. Così U. Bottazzini presenta lo spirito ed il contenuto del celebre documento di Klein : "Nel suo Programm Klein cominciava con l'osservare che le trasformazioni dello spazio in sé formano un gruppo . . . Come esempi di gruppi Klein suggeriva quello dei movimenti nello spazio e il suo sottogruppo dato dalle rotazioni intorno a un punto fisso. Il gruppo dei movimenti era a sua volta un sotto­ gruppo del gruppo delle collineazioni. L'osservazione cruciale era che «vi sono nello spazio delle trasformazioni che non alterano affatto le proprietà geome­ triche dei corpi», dove per proprietà geometriche Klein intendeva quelle indi­ pendenti dalla posizione della figura da studiare nello spazio, dalla sua gran­ dezza assoluta e dall'ordinamento delle sue parti. Egli chiamava «gruppo prin­ cipale» il gruppo di trasformazioni che lascia inalterate tali proprietà" [Bot­ tazzini, 1 992, p. 223 ] . Per classificare l e varie impostazioni geometriche è quindi necessario esami­ nare e classificare le trasformazioni, dal momento che ogni geometria può essere considerata come lo studio degli invarianti delle figure rispetto ad un certo gruppo di trasformazioni. Se le trasformazioni prese in esame sono le congruen­ ze, la geometria che ne studia gli invarianti (le distanze) è la geometria euclidea; se le trasformazioni considerate sono le più generali trasformazioni affini, la geometria originata è la geometria affine (che, quindi, generalizza la geometria euclidea); gli invarianti sono, in questo caso, i rapporti. Se le trasformazioni considerate sono le ancor più generali trasformazioni proiettive, la geometria che otteniamo è la geometria proietti va (della quale la geometria affine e di conseguenza quella euclidea vengono ad essere pertanto dei casi particolari); gli invarianti sono i birapporti . Il programma di Erlangen armonizzò e riunì ogni aspetto ed ogni settore di ricerca della geometria in un'impostazione unitaria per spirito, scopi e tecniche: dunque la geometria proiettiva, storicamente sorta sulla base delle ricerche sulla prospettiva e sull'ottica geometrica, si fuse definitivamente con tutti gli altri modi di interpretare la geometria e, in ultima lettura, con l'algebra [Bottazzini­ Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 97- 1 08] . Possiamo affermare che il 1 872 se-

3 67

gnò la fine della ricerca autonoma, isolata nel campo della geometria proiettiva (come nel campo di qualsiasi "altra geometria"), ricerca che sarà conglobata ed organizzata, dal punto di vista metodologico, nella più generale algebra delle strutture. La figura di Klein è collegata a quella di Marius Sophus Lie ( 1 842- 1 899), che, pur "lavorando in Norvegia in relativo isolamento" [Bottazzini, 1 992, p. 224], si mantenne a lungo in contatto epistolare col matematico tedesco. Lie si impegnò nella costruzione della teoria dei gruppi di trasformazioni e pubblicò i propri risultati in cinque importanti memorie pubblicate tra il 1 876 ed il 1 879 (con il comune titolo Theorie der Trasjormationsgruppe).

Riferimenti bibliografici G. Arrigo-B. D'Amore, Infiniti, Angeli, Milano 1 992 . G. T. Bagni-B. D'Amore, Alle radici storiche della prospettiva, Angeli, Mi­ lano 1 994. U. Bottazzini, Il flauto di Hilbert. Storia della matematica moderna e con­ temporanea, UTET, Torino 1 990. U. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della matematica, Sansoni, Firenze 1 992. N. Bourbaki, Elementi di storia della matematica, Feltrinelli, Milano 1 963 . C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. U. Cassina, La prospettiva e lo sviluppo dell'idea dei punti all'infinito, "Pe­ riodico di matematiche", 4, l , 1 92 1 , pp. 3 26-3 3 7 . B. D'Amore-P. Oliva, Numeri, Angeli, Milano 1 993 . F. Enriques, Le matematiche nella storia e nella cultura, Zanichelli, B olo­ gna 1 93 8 (ristampa anastatica: Zanichelli, Bologna 1 982). P. Freguglia, Fondamenti storici della geometria, Feltrinelli, Milano 1 982. M. Kline, Storia del pensiero matematico. I. Dall'Antichità al Settecento. Dal Settecento a oggi, Einaudi, T orino 1 99 1 . A.N. Kolmogorov-A.P. Yushkevich, Mathematics in the 1 9th Century. Mathematical Logic, A lgebra, Number Theory, Probability Theory, Birkhauser, B asel l 992. G. Loria, Storia delle matematiche dall'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 93 3 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982) . G. Monge, Géométrie descriptive, Hauman, Bruxelles 1 83 9 (settima edi­ zione) . D.J. Struik, Matematica: un profilo storico, Il Mulino, Bologna 1 98 1 .

368

Temi di storia della matematica 1 5 . 1 . «Lo spazio è illimitato; tutte le sue parti sono perfettamente simili e non hanno alcunché di caratteristico, e nessuna di esse può servire come termine di riferimento per indicare la posizione di un punto. Dunque, per definire la posizione di un punto bisogna necessariamente riferire tale posizione ad alcuni altri oggetti . . . la cui posizione sia nota» (Gaspard Monge) . 1 5 . 2 . «Nel 1 8 1 2 il giovane "politecnico" Victor Poncelet era stato arruolato come ufficiale del genio nell'armata napoleonica che partiva per la spedizione contro la Russia. Rimasto prigioniero durante la disastrosa e drammatica ritirata della Grande Armata, Poncelet trascorse quasi due anni nel carcere russo di Saratov. Nelle lunghe giornate della prigionia, "privo di ogni specie di libri", egli aveva cominciato a ripensare agli antichi insegnamenti di geometria ricevuti da Monge all'É cole Polytechnique e a quanto aveva imparato dallo studio della Géométrie de position ( 1 8 1 3 ) , il libro il cui Lazare Carnot aveva mostrato come si potesse fare della geometria senza ricorrere ai "geroglifici dell'analisi"» (Um­ berto B ottazzini). 1 5 . 3 . «L'É cole Polytechnique non fu l'unica scuola creata nel periodo della Rivoluzione Francese. Venne subito aperta anche l'École Normale, che era in grado di accogliere 1 400- 1 500 studenti, selezionati con criteri meno rigorosi di quelli che regolavano l'ammissione all'É cole Polytechnique e che vantava una facoltà di matematica di alto livello, ove insegnarono fra gli altri Monge, La­ grange, Legendre e Laplace» (Cari B . Boyer) . 1 5 . 4 . «Poncelet lavorava nel piano reale, completato con elementi all'infinito (punti e rette improprie), ma la considerazione di elementi ideali e immaginari gli consentiva di servirsi per lo studio delle coniche di una strumentazione equivalente di fatto all'estensione del piano reale al cosiddetto piano proiettivo complesso» (Umberto Bottazzini). 1 5 . 5 . « [Le radici negative.}. servono soltanto, per quanto sono in grado di giudicare, a confondere l'intera dottrina delle equazioni ed a rendere oscure e misteriose cose che sono per loro natura assai semplici e piane . . . Sarebbe quindi desiderabile che le radici negative non fossero mai state ammesse nell'algebra o che ne fossero nuovamente eliminate perché, se ciò fosse fatto, ci sarebbero buoni motivi per immaginare che verrebbero con ciò rimosse le obiezioni che molti uomini colti e d'ingegno formulano ora contro i calcoli algebrici consi­ derandoli oscuri e complicati da nozioni quasi inintelligibili» (Francis Masères, 1 73 1 - 1 734, fellow del Clare College di Cambridge, membro della Royal So-

369

ciety; il brano fu pubblicato nel 1 759 in Dissertation on the Use of Negative Sign in A lgebra). 1 5 . 6. «La figura di Lie si affaccia continuamente dalle pagine del "program­ ma di Erlangen" ed è difficile stabilire fino a che punto le idee ivi contenute siano essenzialmente di Klein o piuttosto il frutto di una comune elaborazione . . Fu significativamente Lie, d'altra parte, ad affrontare l'enorme e difficile compito da Klein formulato in chiusura del "programma di Erlangen" : costruire la teoria dei gruppi (continui) di trasformazioni» (Umberto Bottazzini). .

Capitolo 1 6 Gauss e Cauchy "La matematica è la regina delle scienze e la teoria dei numeri è la regina delle matematiche" . Cari Friederich Gauss

1 6. 1 . Cari Friederich Gauss, "Princeps Mathematicorum "

1 6. 1 . 1 . Un genio precoce

Introduciamo l'opera di uno dei massimi matematici di ogni tempo presen­ tando una semplice formula aritmetica. Sia n un numero naturale; dimostriamo che la somma S n di tutti i numeri naturali non maggiori di n è data dalla formula: Sn =

n · (n + l) 2

Per fare ciò, elenchiamo ordinatamente in una prima tabella di una riga tutti i numeri naturali da l a n: l

2

3

4

(n-2) (n- l ) n

In una seconda riga, elenchiamo nuovamente tutti i naturali considerati, ma in ordine inverso (da n a l ) : l

n

3 4 2 (n- l ) (n-2) (n-3)

(n-2) (n- l ) n 3 2

Se sommiamo in colonna le due righe scritte, otteniamo :

(n+ l ) (n+ l ) (n+l ) (n+ l ) . . .

(n+ l ) (n+ l ) (n+ l )

ovvero : n volte il numero (n+ l). La somma di questi n numeri, n·(n+ l ), è il doppio della quantità S n cercata, essendo stata ottenuta addizionando due volte ciascun naturale compreso tra l e n. Possiamo pertanto concludere che :

372

2 · S n = n·(n+ l )

=>

Sn =

n · (n + 2

l)

Il semplice ed elegante procedimento sopra illustrato è ricordato in relazione ad un aneddoto riguardante Cari Friedrich Gauss ( 1 777 - 1 8 5 5): egli, fanciullo, durante un'esercitazione scolastica calcolò velocemente la somma di tutti i nu­ meri naturali da l a l 00 utilizzando il procedimento indicato, destando così la stupita ammirazione di compagni ed insegnanti : S 00 = 1

� n=i

n

=

100 · ( l OO + l) = 5050 2

1 6. 1 .2. Opere di Gauss

J. Dieudonné così descrive la situazione della matematica alla fine del Sette­ cento : "Il XVIII secolo era stato un luminoso periodo di sviluppo intensivo delle tecniche introdotte dalla matematica durante il XVII secolo, soprattutto in analisi e nelle sue varie applicazioni, sia ad altre discipline matematiche come la geo­ metria e il calcolo delle probabilità, sia alla meccanica e all'astronomia, con i successi che sono noti per quel che riguarda la previsione dei fenomeni naturali . Ma, stranamente, il secolo sembrava concludersi a un punto morto . . . Con Gauss, nel 1 796, inizia quindi un vero Rinascimento . . . Questo Rinascimento uti­ lizzerà come punto di partenza idee formulate nel XVIII secolo e anche prima. Ma quasi immediatamente lo stile e i contenuti cambiano, . . . anche per l'intro­ duzione di nuovi enti matematici, che si distinguono dagli enti classici perché privi di 'immagini ' accessibili ai sensi" [Dieudonné, 1 989, pp . 8 8-89] . Cari Friedrich Gauss dominò la matematica europea nel periodo a cavallo dei due secoli, sebbene, come vedremo, un'innata cautela lo portò a mantenere rap­ porti piuttosto prudenti con gli altri studiosi (l). (1 ) Scrive M . Kline: "Se si eccettua un viaggio a Berlino per partecipare ad un con­ gresso scientifico, Gauss rimase a Gottingen per il resto della sua vita. Non amava inse­ gnare e lo diceva . . . Pubblicò relativamente poco delle sue ricerche perché amava rifinire tutto ciò che faceva, in parte per conferirgli eleganza, in parte per dare alle sue dimo­ strazioni il massimo di concisione senza sacrificare il rigore (quello del suo tempo, al­ meno)" [Kline, 1 99 1 , II, pp . 1 0 1 5 - 1 0 1 6] . Osserva U. Bottazzini : "Nel deserto della matematica tedesca si ergeva solitaria la figura di Cari Friedrich Gauss, . . . l'uomo che con le sue Disquisitiones arithmeticae aveva fondato l'aritmetica superiore" [Bottaz­ zini, 1 990, p. 1 09] .

373

Gauss fu veramente un genio precoce: si occupò, giovanissimo, di teoria dei numeri e del teorema fondamentale dell'algebra (che dimostrò nella sua tesi di dottorato); non ancora diciannovenne, elaborò la celebre costruzione con riga e compasso del poligono regolare di 1 7 lati. Le sue principali proposizioni furono scrupolosamente raccolte in un diario di 1 9 pagine, che fu reso noto soltanto nel 1 90 l : in esso furono trovati 1 46 ri­ sultati, molti dei quali mai pubblicati in precedenza (tale diario "rappresenta forse il documento più prezioso di tutta la storia della matematica" [Boyer, 1 982, p. 5 77]). Durante tutta la propria vita, infatti, Gauss mantenne un atteg­ giamento critico nei confronti delle proprie idee e delle proprie scoperte (rias­ sunto nel motto Pauca sed matura). Molte ricerche gaussiane, conseguente­ mente, rimasero a lungo inedite: tra di esse ricordiamo gli studi sulle funzioni ellittiche e le ricerche sulla geometria non-euclidea, che riprenderemo nel ca­ pitolo 1 9 . Gauss si occupò di tutti i settori della matematica, apportando dovunque contributi importantissimi. Egli è dunque considerato uno dei maggiori ma­ tematici di tutti i tempi; i suoi contemporanei gli attribuirono il titolo di "Prin­ ceps Mathematicorum" (il titolo che era stato attribuito, alcuni anni prima, al grande Eulero).

1 6. 1 .3. La teoria dei numeri ed i numeri complessi

Vera pietra miliare della teoria dei numeri, le Disquisitiones arithmeticae ( 1 80 1 ) sono un trattato ricchissimo. In esso la nozione di congruenza (peraltro precedentemente inclusa in alcune ricerche di Euler, di Lagrange e di Legendre) fu ripresa con il dovuto risalto; venne dimostrato il teorema fondamentale del­ l'aritmetica (sull'unicità della scomposizione in fattori primi), fu dimostrata rigo­ rosamente la fondamentale legge di reciprocità dei residui quadratici, denomi­ nata dall'Autore "theorema aureum" [Dickson, 1 920] . Importanti concetti, cor­ redati da innumerevoli risultati, trovarono una sistemazione teorica chiara, or­ ganica e per molti versi definitiva. Un'annotazione sulla copertina di un manuale di logaritmi rivela un'importan­ te intuizione di Gauss, non inclusa nelle Disquisitiones arithmeticae : Prirnzahlen unter a (= oo) .!!.._ la a ovvero il numero di primi minore di a tende al valore __ al tendere di a log. a all'infinito [Boyer, 1 982, p. 5 82]. Tale teorema, di straordinaria importanza per

374

quanto riguarda la distribuzione dei numeri primi nell'insieme dei naturali, sarà dimostrato solo nel 1 896 (ci occuperemo di esso nella prima Appendice) . Al grande matematico tedesco è inoltre ricondotta la rappresentazione nel piano dei numeri complessi; sebbene essa fosse già stata proposta nel 1 797 da Caspar Wessel ( 1 745- 1 8 1 8), fu con gli studi di Gauss, pubblicati trent'anni più tardi, che tale metodo di rappresentazione ebbe larga diffusione ( 2 ) . A d esempio, i l numero complesso 4+2i viene rappresentato nel piano di Gauss nel modo seguente: asse immaginario (4 + 2 i )

o

4

asse reale

E, nota C . B . Boyer, dato che "gli uomini credono a ciò che vedono . . . le vec­ chie teorie sulla non-esistenza dei numeri immaginari furono abbandonate dalla maggior parte dei matematici" [Boyer, 1 982, p. 579] . A Gauss sono inoltre riconducibili i termini "numero complesso " e "unità immaginaria", nonché l'uso sistematico di i per 1 6 . 1 .4.



[Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 820] .

La geometria differenziale

A Gauss devono essere ricondotti alcuni sostanziali passi in avanti nel campo della geometria differenziale; egli infatti riprese l'idea di Euler, il quale aveva affermato che le coordinate (x; y; z) di un punto di una superficie possono essere espresse in funzione di due parametri u, v mediante le equazioni parametriche :

{

x = x(u; v) y = y(u ; v) z = z(u; v)

( 2 ) La teoria delle funzioni di una variabile complessa sarà sviluppata da Cauchy; Gauss però intuì che l'integrale di una funzione j{x+iy) lungo una curva chiusa semplice tracciata nel piano di Gauss, essendo f analitica (ovvero derivabile) in ogni punto di tale curva, è zero [Boyer, 1 982, p . 5 86] .

375

Gauss, attraverso tale rappresentazione ed in particolare attraverso la consi­ derazione dei differenziali :

{

dx = adu + a'dv dy = bdu + b'dv dz = cdu + c' dv

e dei determinanti : B

l

= e

c'

a a'

C=

l= :.1 ·

impostò lo studio sistematico delle superfici . L'elemento d'arco viene dunque ad essere: ds2 = dx2+dy2+dz2

= E(u; v)du2+2F(u; v)dudv+G(u; v)dv2

(ds viene detto elemento lineare) avendo posto: F

=

aa'+bb'+cc'

G = a'2+b'2+c'2

Gauss affermò che le proprietà di una superficie dipendono esclusivamente da queste funzioni E, F, G. Nel 1 827 egli pubblicò il lavoro considerato defi­ nitivo in questo campo, le Disquisitiones genera/es circa superficies curvas [Kline, 1 99 1 , II, pp. 1 029- 1 037]. Ma Gauss non si occupò soltanto di matematica pura ed applicata (ricor­ diamo i suoi importanti lavori di statistica): degni di menzione, ad esempio, so­ no i calcoli per determinare l'orbita dell'asteroide Cerere (condotti con il metodo dei minimi quadrati}, gli studi astronomici raccolti nel trattato Theoria motus corporum coelestium in sectionibus conicis solem ambientium ( 1 809; ricordia­ mo che Gauss fu per quasi mezzo secolo direttore dell'osservatorio di Gottinga}, le molte ricerche fisiche (in particolare di ottica) e gli studi di geodesia (2 ) . Concludiamo questa breve presentazione dell'opera del grande matematico tedesco riportando le parole di M. Kline: (2) Gauss e Friedrich Wilhelm Besse) ( 1 784- 1 846) nel 1 840 definirono un'ipotetica forma della superficie terrestre come quella superficie di equilibrio idrostatico assunta dalla superficie degli oceani (senza considerare i fenomeni accidentali o periodici che possono modificarla, quali, ad esempio, le maree); nel 1 878 il fisico e geodeta Johann Benedikt Listing ( 1 808- 1 882) indicò tale figura solida con il termine geoide [Bagni­ D'Amore, 1 994] .

376

"L'universalità delle .Jtttività di Gauss è tanto più degna di nota in quanto i suoi contemporanei avevano incominciato a confinarsi in ricerche specialistiche. Sebbene sia considerato il più grande matematico almeno dopo Newton, Gauss non fu tanto un innovatore quanto una figura di transizione fra il Settecento e l'Ottocento. Anche se elaborò delle idee nuove che occuparono in seguito molti altri matematièi, egli fu orientato più verso il passato che verso il futuro" [K.line, 1 99 1 , Il, 1 0 1 6] .

1 6.2. Angustio Louis Cauchy

1 6.2. 1 . " L'unico che oggigiorno faccia della matematica pura "

"Cauchy è matto" m a è i l solo "che s a come bisogna fare della matematica" ed è "l'unico che oggigiorno faccia della matematica pura" [Bottazzini, 1 990, p. 86] . Queste parole furono pronunciate d a u n giovane ed entusiasta matematico, Niels Henrik Abel, le cui opere saranno destinate ad avere un ruolo di primis­ simo piano nella storia della nostra disciplina (di Abel ci occuperemo nel capito­ lo seguente) . Augustin Louis Cauchy ( 1 789- 1 8 57) fu un matematico tra i più fecondi (le sue opere sono raccolte in ben ventisei volumi ; "dopo Eulero è il matematico più prolifico : come Eulero ha pubblicato lavori in tutti i settori della matematica pura e applicata" [Dieudonné, 1 989, p. 2 1 0]). Docente presso l'Università di Torino, presso l'É cole Polytechnique, presso la Faculté des Sciences e presso il Collège de France, si occupò particolarmente di funzioni di variabile complessa (è considerato il fondatore della teoria di tali funzioni) e di equazioni diffe­ renziali e fece importanti studi sulla convergenza delle serie. Le sue opere matematiche maggiori furono il Cours d'A nalyse algébrique (Parigi 1 82 1 ) le Leçons sur le applications du ca/cui infinitésimal à la géo­ métrie (Parigi 1 826), gli Exercises de mathématique (Parigi 1 826) e gli Exer­ cises d'A nalyse et de Phisique mathématique (Parigi 1 84 1 - 1 844) . Si occupò anche di meccanica, di ottica e nutri una passione profonda per la poesia [Kline, 1 99 1 , II] . L'importanza delle opere analitiche di Cauchy è duplice : sostanziale e for­ male. In esse, infatti, troviamo definizioni e dimostrazioni che erano finalmente considerate, con riferimento alla sensibilità matematica del XIX secolo, piena­ mente rigorose. Proprio la continua tensione verso livelli sempre maggiori di rigore, come vedremo nel prossimo paragrafo, deve essere considerata, storica­ mente, una delle più interessanti caratteristiche del pensiero del grande mate­ matico francese. ,

377

16.2.2.

Matematica e rigore

Riportiamo alcune parole dello stesso Cauchy: "Quanto ai metodi, ho cercato di dar loro tutto il rigore che si esige in geo­ metria, in modo da non ricorrere mai a dei ragionamenti tratti dalla generalità dell'algebra. Ragionamenti di questo tipo, benché ammessi abbastanza comune­ mente, soprattutto nel passaggio dalle serie convergenti alle serie divergenti e dalle quantità reali alle espressioni immaginarie, non possono essere considerati, mi sembra, che come delle induzioni adatte a far talvolta presentire la verità, ma che poco s'accordano con l'esattezza tanto vantata delle scienze matematiche" (traduzione in [Bottazzi ni-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 326]). Il progetto culturale di Cauchy, dunque, appare chiaro. Egli voleva svinco­ lare l'analisi dai procedimenti poco rigorosi (e talvolta nettamente scorretti) de­ rivanti dall'applicazione teoricamente non fondata di metodi di comodo, spesso riferiti a tecniche algebriche; essi avevano infatti l'unico scopo di giustificare ri­ sultati magari solo empiricamente verificati o praticamente utili [Grabiner, 1 98 1 ]. Un esempio di situazioni di questo genere (citato anche in [Bottazzini, 1 990]) è dato dalla serie di Grandi, già ricordata nel capitolo 12:

1-1+1-1+1-1+ . . . Riprendiamo brevemente quel celebre esempio : nel 1 703 Guido Grandi indi­ cò in lf2 la somma di tale serie e, come abbiamo visto, egli operò probabilmente in base alla formula:

� L. ( -x )k k=o

=

2

3

4

1 - x + x - x + x -. . . +

. . .

l

x+l

= --

la cui validità richiede l 'ipotesi lxi < l (mentre nel caso in questione viene posto x = 1). Ebbene, possiamo ora analizzare quell'errore di Grandi : l'impropria gene­ ralizzazione di un risultato in alcuni casi corretto, come la precedente ugua­ glianza, a tutti i casi possibili è proprio una delle "induzioni . . . che poco s'accor­ dano con l'esattezza tanto vantata delle scienze matematiche" (nelle parole di Cauchy, sopra ricordate). Una "induzione", in questo caso, del tutto errata. Cauchy avvertiva la necessità di fondare tutti i concetti analitici su definizioni precise. La definizione di limite e di infinitesimo, ad esempio, si trovano alla p. 4 del Cours d'analyse : "Allorché i valori successivamente assunti da una stessa variabile si avvici­ nano indefinitamente a un valore fissato, in modo da finire per differime di tanto

378

poco quanto si vorrà, quest'ultimo è chiamato il limite di tutti gli altri. Così, per esempio, un numero irrazionale è il limite delle diverse frazioni che ne forni­ scono valori sempre più approssimati . In geometria, la superficie di un cerchio è il limite verso il quale convergono le superfici dei poligoni iscritti, mentre il nu­ mero dei loro lati cresce sempre di più, ecc. Allorché i successivi valori numerici [ovvero i valori assoluti] di una stessa variabile decrescono indefinitamente in modo da diventare minori di ogni numero dato, questa variabile diviene ciò che si chiama infinitesimo o una quantità infinitesima. Una variabile di questa specie ha zero come limite" (traduzione in [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 3 27-3 28]). Si tratta di definizioni assolutamente rigorose? No, se esaminate con la sensi ­ bilità matematica dei nostri giorni . Ma il confronto con la letteratura matematica precedente evidenzia una radicale inversione di tendenza (3) : l'impostazione di Cauchy, anche se esaminata criticamente, riflette ampiamente l'impostazione della moderna analisi, nella quale il limite deve essere considerato come il con­ cetto fondamentale [Boyer, 1 982) (4) . L'opera analitica di Cauchy fu importante anche perché in essa troviamo una robusta sistemazione teorica di alcune nozioni geometriche (alle quali succes­ sivamente erano state applicate le tecniche analitiche) introdotti a partire dalla fine del XVII secolo in termini intuitivi. Scrive M. Kline: "Le nozioni di area limitata da una curva, di lunghezza di una curva, di vo­ lume limitato da una superficie e di area di una superficie erano state accettate nel modo in cui venivano intese intuitivamente, e veniva considerata una delle massime realizzazioni del calcolo infinitesimale il fatto che queste quantità po­ tessero essere calcolate mediante gli integrali . Cauchy invece, mantenendo fer­ mo il suo obiettivo di aritmetizzare l'analisi, definì queste quantità geometriche mediante gli integrali che erano stati formulati per calcolarle" [Kline, 1 99 1 , Il, p . 1 1 1 8] . Concludiamo quindi ricordando la posizione di U . Bottazzi ni, già citata nel capitolo 4, alla quale non possiamo non riferire quanto finora detto dell'opera matematica di Cauchy :

(3 ) Ad esempio, S . F . Lacroix, in Traité elementaire du Ca/cui Différentiel et du

Ca/cui lntégral ( 1 8 1 0- 1 8 1 9), non pone alla base del calcolo differenziale la nozione di limite, bensì quella di derivata e di differenziale [Lacroix, 1 83 7, pp. 2-3 ] . (4 ) Non tutto l'ambiente matematico del tempo apprezzò immediatamente l'esigenza di rigore espressa da Cauchy; ricorda U. Bottazzini : "Ciò che oggi viene considerato un primo passo decisivo verso il moderno rigore in matematica veniva rimproverato a Cau­ chy dai contemporanei come un «lusso d'analisi» o addirittura una «mancanza di chia­ rezza» sconsigliabile, se non controproducente, per gli studenti dell' École Politechnique" [Bottazzini, 1 990, p. 9 1 ] .

379

"Il rigore in matematica è anch'esso un concetto 'storico' e dunque in dive­ nire . . . Appellarsi all'esigenza del rigore nello spiegare lo sviluppo della matema­ tica sembra in realtà un discorso circolare : di fatto, alla formulazione di nuovi standard di rigore si perviene quando i vecchi criteri non permettono una ri­ sposta adeguata alle domande che vengono dalla pratica matematica" [Bottazzi­ ni, 1 98 1 , p. 1 3 ] .

1 6.2.3. Fourier e Dirichlet

Tra i matematici contemporanei di Gauss e di Cauchy, ricordiamo Jean B ap­ tiste Joseph Fourier ( 1 768- 1 830), autore della celebre Théorie analytique de la chaleur ( 1 822). Fourier, riprendendo un'idea di Daniel Bernoulli, indicò per una funzione espressa da y = f(x) uno sviluppo in serie della forma:

espressione nota oggi come sviluppo in serie di Fourier della funzione consi­ derata, con :

l

Il

I

a0 = - f (x)dx 7t

- Il

l

Il

I

an = - f(x) cosnxdx 7t

- Il

l

Il

I

bn = - f (x) sen nxdx 7t

- Il

Tale sviluppo generalizzava nettamente quello in serie di Taylor-MacLaurin, in quanto rendeva possibile la considerazione di funzioni con diversi punti di discontinuità o di non derivabilità [Boyer, 1 982, pp. 63 4-63 5 ] . Della convergenza delle serie d i Fourier s i occupò Peter Gustav Lej eune Dirichlet ( 1 805- 1 859), allievo di Gauss e suo successore a Gottinga; egli è ri­ cordato per la presentazione elaborata del contenuto delle gaussiane Disquisi­ tiones arithmeticae nell'opera Vorlesungen iiber Zah/entheorie. Dirichlet riprese inoltre una congettura formulata da Euler e da Legendre ( 5 ) e dimostrò con me­ todi analitici che ogni progressione geometrica: a,

a+b,

a+2b,

a+3 b,

a+4b,

con a, b coprimi contiene infiniti numeri primi . (5) Scrive A. Weil, sottolineando l'importanza delle ricerche di Dirichlet rispetto alle precedenti supposizioni (Legendre indicò una dimostrazione del teorema dei primi nelle progressioni aritmetiche, ma essa si rivelò errata): "Quanto a Diòchlet, questi avrebbe presto spiccato il volo per innalzarsi ad altezze da Legendre neppure immaginate" [Weil, 1 993, p. 3 1 5 ] .

380

1 6.2.4. L'analisi dopo Cauchy: Riemann e Weierstrass

L'opera di Cauchy per una radicale rigorizzazione dell'analisi fu proseguita da due matematici tedeschi, Bemhard Riemann ( 1 826- 1 866) e Karl Weierstrass ( 1 8 1 5 - 1 897). Come insegnante, Riemann fu il successore di Dirichlet ( 1 8 59) . La sua genia­ lità di ricercatore fu tale che molte sue straordinarie intuizioni vennero sviluppa­ te completamente, dopo la sua scomparsa prematura, da numerosi altri mate­ matici; ci occuperemo quindi di esse nei prossimi capitoli (Riemann si dedicò alla sistemazione dell'integrale: tratteremo l'integrale secondo Riemann e le suc­ cessive revisioni del concetto di integrazione nel capitolo 2 1 ; alle ricerche geo­ metriche di Riemann sarà dedicata parte del capitolo 1 9). Weierstrass diede la moderna definizione di limite e di funzione continua: egli affermò che la funzione x�j(x) è continua nel punto x = c se, per ogni numero reale E>O, esiste un reale eS tale che per tutti i valori di x per i quali è lx-cl < eS si ha lf(x)-.f(c)l < E. Scrive M. Kline commentando la posizione che portò Weier­ strass a tale definizione : "L'opera di Weierstrass nella rigorizzazione dell'analisi migliorò quelle prece­ denti di B olzano, Abel e Cauchy. Anche lui cercò di evitare l'intuizione e di ba­ sarsi su concetti puramente aritmetici . . . A Weierstrass non piaceva la frase «una variabile si awicina a un limite» perché suggerisce infelicemente le idee di tem­ po e di moto. Egli interpreta una variabile semplicemente come una lettera che sta per un qualsiasi insieme di valori che le possono essere attribuiti, cosicché il moto viene eliminato" [Kline, 1 99 1 , II, p. 1 1 1 1 ] . Dunque i l matematico tedesco mosse un passo deciso, anche dal punto di vista formale, verso la definitiva revisione dell'infinitesimo potenziale in favore dell'infinitesimo attuale [Arrigo-D'Amore, 1 992] . Egli scelse di "fondare una teoria dei numeri reali partendo dai razionali e, a monte, dai naturali" [D'Amore­ Matteuzzi, 1 975, p. 67]; ci occuperemo della concezione della continuità dell'in­ sieme dei reali secondo Weierstrass nel capitolo 1 8 . Analista di eccezionale levatura, Weierstrass si dedicò inoltre allo studio delle funzioni ellittiche ed abeliane e delle serie di potenze; fu il sistematore della teo­ ria delle funzioni analitiche di variabile complessa (6) .

(6) "Weierstrass era un uomo metodico e coscienzioso. A differenza di Abel, Jacobi e Riemann non aveva lampi di intuizione, anzi non si fidava dell'intuizione e cercò di dare una base salda al ragionamento matematico. Mentre la teoria di Cauchy si basava su fondamenta geometriche, Weierstrass si volse a costruire la teoria dei numeri reali e una volta fatto ciò, intorno al 1 84 1 , edificò la teoria delle funzioni analitiche sulla base delle serie di potenze, tecnica che aveva appreso dal suo maestro Cristof Gudermann ( 1 798- 1 8 5 2) e del procedimento del prolungamento analitico" [Kline, II, pp . 750-75 1 ] .

381

Riferimenti bibliografici Arrigo-B. D'Amore, Infiniti, Angeli, Milano 1 992. Bagni-B. D'Amore, Alle radici storiche della prospettiva, Angeli, Mi­ lano 1 994 . U. Bottazzini, Il calcolo sublime, Boringhieri, Torino 1 98 1 . U. Bottazzini, l/flauto di Hilbert. Storia della matematica moderna e con­ temporanea, UTET, T orino 1 990. U. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della ma­ tematica, Sansoni, Firenze 1 992. C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. B. D'Amore-M. Matteuzzi, Dal numero alla struttura, Zanichelli, Bologna 1 975 . L.E. Dickson, History of the Theory of Numbers, Carnegie, Washington 1 920. J. Dieudonné, L 'arte dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. J.V. Grabiner, The origins of Cauchy's rigorous calculus, MIT Press, Cambridge (MA) 1 98 1 M. Kline, Storia del pensiero matematico. Il. Dal Settecento a oggi, Einau­ di, Torino 1 99 1 . S.F. Lacroix, Traité e/ementaire du Calcul Différentiel et du Ca/eu/ Inté­ gral, 5me edition, Bachelier, Paris 1 83 7 . G. Loria, Storia delle matematiche dall'alba delle civiltà a l tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 93 3 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982). A. Weil, Teoria dei numeri. Storia e matematica da Hammurabi a Legen­ dre, Einaudi, Torino 1 993 . G.

G. T.

Temi di storia della matematica 1 6. 1 . «L'analisi . . . manca a tal punto di ogni piano sistematico che è sorpren­ dente che tanti uomini siano stati in grado di studiarla. E, quello che è peggio, essa non è mai stata trattata rigorosamente. Ci sono pochi teoremi dell'analisi a­ vanzata che siano stati dimostrati in maniera logicamente sostenibile. Ovunque si trova quest'abitudine miserabile di concludere dal particolare all'universale» (Niels Henrik Abel) . 1 6.2. «Fino al XIX secolo la teoria dei numeri consisteva in una serie di ri­ sultati spesso brillanti, ma isolati . Una nuova era ebbe inizio con le Disquisitio­ nes arithmeticae di Gauss, da lui scritte quando aveva vent'anni . Questa grande opera era stata inviata nel 1 800 ali'Académie francese, che la respinse, ma Gauss

382

la pubblicò a sue spese. In questo libro standardizzò la notazione; sistematizzò la teoria esistente e la estese; classificò i problemi da studiare e i metodi di attacco noti e introdusse nuovi metodi. L'opera di Gauss in teoria dei numeri è basata su tre idee principali : la teoria delle congruenze, l'introduzione dei numeri algebrici e la teoria delle forme come idea guida per l'analisi diofantea. La sua opera non soltanto diede inizio alla moderna teoria dei numeri, ma determinò le direzioni assunte dalla ricerca sull'argomento fino ai nostri giorni . Le Disqui­ sitiones sono di difficile lettura, ma Dirichlet ne diede un'esposizione accessi­ bile» (Morris Kline) . 1 6 . 3 . «La Théorie des jonctions analytiques era stata una delle opere più studiate dal giovane Cauchy. Se egli ora concordava con Lagrange sulla neces­ sità di fondare in modo rigoroso l'analisi senza limitarsi a giustificarne i metodi col successo nelle applicazioni o il ricorso all'evidenza empirica dei concetti in gioco, ne prendeva tuttavia apertamente le distanze quando si trattava di indi­ viduarne i fondamenti : gli argomenti di natura algebrica erano liquidati come " delle induzioni adatte a far talvolta presentire la verità, ma che poco s'accor­ dano con l'esattezza tanto vantata delle scienze matematiche"» (Umberto B ot­ tazzini). 1 6.4. «L'analisi rigorosa incomincia con l'opera di Bolzano, Cauchy, Abel e Dirichlet e fu poi proseguita da Weierstrass. . . In realtà il rigore conseguito da Cauchy . è insufficiente, rispetto agli standard moderni . Egli si serve di frasi come " si avvicina indefinitamente", "piccolo quanto si vuole", "gli ultimi rap­ porti degli incrementi infinitamente piccoli" e "una variabile si avvicina al suo limite" . Tuttavia, se si paragonano la Théorie des jonctions analytiques ( 1 797, 1 8 1 3 ) e le Leçons sur le ca/eu/ des jonctions ( 1 80 l, 1 806) di Lagrange nonché l'influente Traité du ca/eu/ différentiel et du ca/eu/ intégral di Lacroix (3 voli . , 1 797- 1 800, 1 8 1 0- 1 8 1 9) con i l Cours d'Analyse algébrique d i Cauchy c i s'inco­ mincia a rendere conto di quanto grande sia la differenza fra la matematica del Settecento e quella dell'Ottocento . Lagrange, in particolare, era puramente for­ male e operava soltanto con espressioni simboliche, mentre mancavano del tutto i concetti base di limite e di continuità» (Morris Kline). . .

1 6. 5 . «< matematici più eminenti del periodo della Rivoluzione furono, quasi senza eccezione, tutti francesi, ma con l'inizio del XIX secolo la Francia dovette ancora una volta spartire gli onori in campo matematico con altri paesi . Il più grande matematico del tempo - e forse di tutti i tempi - era così profondamente tedesco da non abbandonare mai la Germania, neppure per un breve viaggio . . . Gauss viene talvolta descritto come l'ultimo matematico in grado di abbracciare l'intero campo di questa scienza» (Cari B . Boyer).

383

1 6 .6. «La matematica deve trovare nella realtà esterna (fisica) stimoli e verifiche (e dunque anche i propri criteri di rigore) : questa è l'indicazione che emerge con chiarezza dall'opera di Fourier. La matematica è parte integrante della "filosofia naturale" e quest'ultima è lo strumento che abbiamo a disposi­ zione per conoscere la natura: questa è la "filosofia" che sta alla base della ricerca di Fourier e che dà corpo alla sua concezione della scienza, che non è un insieme di teorie astratte e formali, ma un ramo del sapere che ha anche forti interessi pratici» (Umberto Bottazzini) .

Ca pitolo 1 7 Abel, Galois e l ' algebra moderna

"Galois riuscì a pubblicare solo alcuni frammenti delle teorie che andava elaborando . I suoi scritti riempiono poco più di una cinquantina di pagine a stampa, ma in essi si trovano esposte alcune delle idee più profonde della matematica moderna, talvolta solo .

.

schizzate con un linguaggio conciso ed essenziale che ha sfidato la comprensione dei matematici ancora per una ventina d'anni dopo la morte dell'autore". Umberto Bottazzini

1 7. 1 . Niels Henrik Abel

1 7. 1 . 1 . Ruffini, Abel e l' equazione algebrica di quinto grado

In questo capitolo ci occuperemo di due geniali matematici vissuti nella pri­ ma metà dell'Ottocento, le cui vite furono accomunate sia dall'autentico, immen­ so talento, sia da un destino tragico che li portò a morire a poco più di vent'an­ ni : il norvegese Niels Henrik Abel ( 1 802- 1 829) e il francese Evariste Galois ( 1 8 1 1 - 1 83 2); ma a fianco di questi grandi non potremo dimenticare il medico e matematico Paolo Ruffini ( 1 765- 1 822), le cui ricerche anticiparono alcuni fon­ damentali risultati di Abel . Tra le più importanti opere di Abel è infatti la memoria Sulla risoluzione algebrica delle equazioni ( 1 824}, in cui viene provata l'impossibilità di trovare una soluzione generale per radicali dell'equazione algebrica di quinto grado. Ma cronologicamente il matematico norvegese fu preceduto da Ruffini, che nel 1 799 aveva pubblicato una dimostrazione in parte analoga a quella di Abel (1) . (l) Anche Lagrange s i era occupato, nel 1 772, della risoluzione d i equazioni generali di grado superiore al quarto. Scrisse il matematico torinese nella presentazione della no­ ta Rejléxions sur la résolution a/gébrique des équations: "In questa memoria mi pro­ pongo di esaminare i differenti metodi trovati finora per la risoluzione algebrica delle equazioni, di ridurli a dei princìpi generali e di far vedere, a priori, perché questi metodi funzionano per il terzo e quarto grado, e vengono meno per i gradi successivi" (tradu­ zione in [Bottazzini, 1 990, p. l 06] ) .

386

La dimostrazione di Ruffini però, a causa di alcune lacune, non aveva ottenu­ to la piena approvazione della comunità scientifica [Carruccio, 1 966] . Solo nel 1 822 Cauchy riconobbe la sua validità (e suggerì alcuni miglioramenti). Scrive U. B ottazzini : "Né la stima personale di Cauchy né la prestigiosa nomina a Presidente della Società Italiana di Scienze bastarono ad assicurare a Ruffini un pubblico ricono­ scimento del suo risultato, che, peraltro, nessun matematico europeo aveva a­ pertamente confutato. Dimostrazioni di impossibilità, come quella proposta dal matematico modenese, allora non erano certo usuali; l'argomento era fra i più difficili e controversi, ma non esistevano veri motivi per opporsi alla dimostra­ zione. Di fatto essa finì per essere dimenticata e ancora nel 1 823 Abel si illuse di aver trovato una formula risolvente per l'equazione generale di 5° grado, prima di accorgersi egli stesso del proprio errore e convincersi dell'impossibilità di una risoluzione algebrica" [Bottazzini, 1 990, p. l 09] . Con i lavori di Ruffini e di Abel si chiuse un lungo ed affascinante periodo di ricerche della storia della matematica in generale e dell'algebra in particolare: ricordiamo infatti che la risoluzione delle equazioni di primo e di secondo grado era stata condotta con successo già dai matematici babilonesi; le equazioni ge­ nerali di terzo e quarto grado furono risolte nel XVI secolo . Ma la ricerca di for­ mule risolutive generali per le equazioni generali di grado maggiore di 4 non aveva portato a progressi significativi. Sottolineiamo che i risultati ora citati sulle equazioni di quinto grado (e di gradi superiori) valgono per equazioni generali; ad esempio, l'equazione:

xs_2.x4+ l = O (di ottavo grado) può essere scritta nella forma: (.x4- 1 )2 = o

=>

ed essere quindi risolta dalle otto radici (in campo complesso) :

Tutto ciò non contrasta minimamente con quanto sopra affermato sulla non risolubilità di un'equazione algebrica di grado maggiore di 4, in quanto tale ri­ sultato è riferito ad equazioni generali, mentre l'equazione ora considerata rap­ presenta un caso evidentemente ben particolare [D'Amore-Matteuzzi, 1 975, pp. 3 2-3 3 ] . Nel 1 828 Abel pose il problema di trovare l e condizioni necessarie e suffi­ cienti affinché un'equazione algebrica di grado qualsiasi possa essere risolta per

387

radicali (ma la memoria fu pubblicata postuma soltanto undici anni dopo) (2). Queste sono le parole del matematico norvegese: "Si sa che ogni espressione algebrica può soddisfare un'equazione di grado più o meno elevato, secondo la natura particolare di questa espressione. C'è in questo modo un'infinità di equazioni particolari che sono risolubili algebrica­ mente. Da ciò derivano naturalmente i due problemi seguenti, la cui soluzione completa comprende tutta la teoria della risoluzione algebrica delle equazioni, cioè: l . Trovare tutte le equazioni di un determinato grado qualunque che siano risolubili per radicali . 2. Giudicare se un'equazione data sia o no risolubile alge­ bricamente" (traduzione in [Bottazzi ni-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 200]). Come vedremo nella prossima sezione, fu Galois a raccogliere idealmente, in termini vincenti, la grande sfida lanciata da Abel .

1 7 . 1 .2. Altre opere matematiche di Abel

La personalità scientifica di Abel fu straordinariamente ricca, e la sua ri­ levanza nella storia della matematica non può essere limitata alla dimostrazione di impossibilità sopra ricordata. Dopo avere completato gli studi a Christiania (Osio) ed a Copenhagen, nel 1 825 il ventitreenne matematico partì per Berlino e per Parigi, dove giunse nell'estate dell'anno successivo . Ma sia il soggiorno berlinese (''Gauss è il solo che sappia qualcosa ed è assolutamente inavvicinabile" [Bottazzini, 1 990, p. 84]) sia quello parigino ("Ciascuno lavora per conto suo senza occuparsi di quello che fanno gli altri. Tutti vogliono insegnare e nessuno vuole imparare. L'egoismo più assoluto regna ovunque" [Bottazzini, 1 990, p. 86]) furono avari di soddisfazioni per il giovane ed entusiasta Abel (3). Egli scrisse i primi lavori nel 1 825, ma la sua memoria più importante fu pubblicata soltanto postuma, a causa di una sfortunata e disdicevole serie di ritardi e di dimenticanze: una si­ tuazione che, come vedremo, certamente non torna ad onore dei grandi mate­ matici che vide per protagonisti. (2) Osserva U. Bottazzini: "Nello stesso anno dava un primo contributo alla realizza­ zione del suo progranuna rendendo nota, in un articolo apparso nel «Journal» di Crelle, l'esistenza di un'ampia classe di equazioni, oggi dette abeliane, che sono risolubili per radicali" [Bottazzini, 1 990, p. 1 09] . (3) Citiamo ancora U. Bottazzini : "Dalle lettere di Abel esce un quadro assai colorito degli ambienti matematici parigini . «Cauchy è matto» ma è il solo «che sa come bi­ sogna fare della matematica» ed è «l'unico che oggigiorno faccia della matematica pura. Poisson, Fourier, Ampère etc. non si occupano che di magnetismo e di altre faccende di fisica. Laplace non scrive quasi più . L'ultima cosa che ha fatto è stato un supplemento alla Théorie des probabilités»" [Bottazzini, 1 990, p . 86] .

388

Infatti il manoscritto di Abel contenente un'importante generalizzazione degli integrali ellittici fu fatto pervenire dall'Autore a Fourier il 3 0 ottobre 1 826 per la presentazione all'Accademia delle Scienze di Parigi . Fourier, dopo avere letto l'introduzione affidò il lavoro a Legendre ed a Cauchy, ma la memoria venne purtroppo esaminata soltanto nel 1 830, dunque un anno dopo la morte del ma­ tematico norvegese, e fu pubblicata nel 1 84 1 [Candido, 1 942] (4) . La proposi­ zione che Karl Gustav Jacob Jacobi ( 1 804- 1 8 5 1 ), considerato, con Abel, l'altro fondatore della teoria delle funzioni ellittiche, definì teorema di A bel è la più vasta generalizzazione del teorema di addizione per le funzioni ellittiche (S). Charles Hermite ( 1 822- 1 90 l ), il grande analista che risolse l'equazione gene­ rale di quinto grado per mezzo delle funzioni ellittiche, affermò che Abel aveva lasciato idee sulle quali i matematici avrebbero potuto lavorare per centocin­ quant'anni [Kline, 1 99 1 , Il , p. 758].

1 7 .2. Evariste Galois

1 7.2. 1 . L'immortalità in una lettera

La figura di Evariste Galois è certamente una delle più affascinanti della sto­ ria della matematica. La sua vita breve ed awenturosa e la sua fine tragica con­ triburono a creare il mito del giovane geniale che non esita a sacrificare la pro­ pria vita per gli ideali di democrazia e di libertà. Non ci occuperemo della personalità di Galois; ci limiteremo a ricordare che egli morì in un duello, forse determinato da un intrigo amoroso, ma più proba­ bilmente da mettere in relazione con le idee repubblicane del giovane; la notte precedente lo scontro (29 maggio 1 83 2), Galois scrisse all'amico Auguste Che­ valier ( 1 809- 1 868) una celebre lettera, in, cui esponeva i molti risultati da lui intuiti sui gruppi di sostituzioni e sulla risolubilità per radicali delle equazioni algebriche [Toti Rigatelli, 1 996] . (4) Citiamo B . D'Amore e M . Matteuzzi : "È fin troppo facile, parlando di Abel, ini­ ziare con parole di elogio, stupore, ammirazione o incredulità. . . È molto facile anche condannare l'ambiente norvegese per la lentezza con cui lo riconobbe e l'accolse; con­ dannare chi, a Berlino, non lo aiutò; condannare Gauss che non lo prese in considera­ zione . . . Sembra facile riconoscere una persona di grande ingegno: d'altra parte come ravvisare in un ragazzetto uno dei più grandi sistematori matematici della storia?" [D'Amore-Matteuzzi, 1 975, p . 3 7] . (5) Scrive M. Kline: "Abel aveva sottratto a Legendre quella che avrebbe potuto essere la crema del lavoro di tutta la sua vita introducendo l'idea dell'inversione degli integrali ellittici, che Legendre si era lasciato sfuggire e che si rivelò invece essere l'idea chiave per esplorarli" [Kline, 1 99 1 , Il, p. 75 8] .

389

Il rapporto di Galois con la comunità scientifica fu sempre teso, difficile (6). Nonostante egli avesse presentato due memorie all'Accademia delle Scienze ( 1 829 e 1 83 0), i suoi scritti più importanti furono pubblicati solo quattordici an­ ni dopo la sua morte sul "Journal de Mathématiques pures et appliquées" da Joseph Liouville ( 1 809- 1 8 82) .

1 7 2 2 Galois e le equazioni algebriche .

.

.

Il problema, indicato da Abel, di trovare condizioni necessarie e sufficienti affinché un'equazione algebrica di grado qualsiasi possa essere risolta per radi­ cali fu risolto da Galois; seguiremo la presentazione di alcuni importanti risultati di quest'ultimo proposta in [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 1 1 2] . Ricordiamo che, data un'equazione algebrica a coefficienti in C, si dice cam­ po di razionalità di tale equazione il campo generato dai coefficienti (che è un sottocampo del campo complesso; il più piccolo campo di razionalità di un'e­ quazione algebrica è Q); se inoltre si considera z E C, si dice campo ampliato mediante z del campo di razionalità dell'equazione considerata il campo gene­ rato dai coefficienti dell'equazione e da z. Tali concetti sono molto importanti per la precisazione delle nozioni di equa­ zione riducibile e di equazione irriducibile. Scrisse Galois: "Quando converremo di riguardare come note certe quantità, diremo che le aggiungiamo all'equazione che si tratta di risolvere. Diremo che queste quantità sono aggiunte all'equazione . . . Si vede inoltre che le proprietà e le difficoltà di un'equazione possono essere del tutto diverse a seconda delle quantità che le si sono aggiunte. Per esempio, l'aggiunzione di una quantità può rendere riducibile un'equazione irriducibile" (traduzione in [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 1 1 3 ]). Ad esempio, l'equazione:

ha come campo di razionalità Q; essa è riducibile nel proprio campo di razio­ nalità, potendo essere scritta nella forma: (6) Scrive U. Bottazzini : "Nel 1 829 Galois si presentò come candidato per l'ammis­ sione alla prestigiosa École Polytechnique. Secondo una tradizione raccolta dai suoi pri­ mi biografi, sembra che il geniale candidato, insofferente per la banalità delle domande rivoltegli, dopo un rapido scambio di battute, scagliasse il cancellino contro l'esamina­ tore. Di fatto, respinto dal Politecnico, Galois si iscrisse all' École Normale" [Bottazzini, 1 990, p. 1 1 4] .

390

(x+ l )(x- l ) = O Invece l'equazione :

ha sempre come campo di razionalità Q, ma è irriducibile nel proprio campo di razionalità. Essa è riducibile nel campo ampliato mediante J2 , potendo essere scritta nella forma:

(x+J2 )(x-J2) = O Galois introdusse quindi il gruppo dell'equazione, oggi denominato gruppo di Galois. Consideriamo l'equazione algebrica di grado n:

Siano x 1 , x2, x3, . . . , xn le sue radici (distinte) . Galois affermò che esiste sem­ pre un gruppo di sostituzioni su x 1 , x2, x3, . . . , xn tale che ogni espressione razio­ nale delle radici che non varia per le sostituzioni di questo gruppo appartiene al campo di razionalità dell'equazione; inoltre, ogni espressione razionale delle radici non varia per queste sostituzioni . Tale gruppo (il gruppo simmetrico delle radici x 1 , x2, x3, . . . , xn) si dice gruppo di Galois dell'equazione data. 1 7.2.3. La condizione di risolubilità per radicali

Riportiamo ora le conclusioni del matematico francese : " Il gruppo G la cui equazione è risolubile per radicali si deve ripartire in un numero primo di gruppi H simili ed identici . Questo gruppo H in un numero primo di gruppi K simili ed identici, e così di seguito, fino ad un certo gruppo M che non conterrà più che un numero primo di sostituzioni. Reciprocamente se il gruppo G soddisfa alla condizione precedente l'equazione sarà risolubile per radicali" (traduzione in [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 1 1 6]). In termini moderni, Galois stabilì che un'equazione algebrica (irriducibile) è risolubile per radicali se e soltanto se il gruppo simmetrico delle sue radici (il suo gruppo di Galois) è risolubile C) . (1) Ricordiamo che un gruppo si dice risolubile se tutti i suoi fattori di composizione sono numeri primi (l'indice di ciascun sottogruppo della serie di composizione in quello che lo precede deve essere un numero primo) [Kiine, 1 99 1 , II, p. 1 1 7] .

39 1

Si dimostra che il gruppo simmetrico di grado n (il gruppo di sostituzioni delle n radici, in generale distinte, di un'equazione algebrica di grado n) è risolu­ bile per 2:91::::;4 e non è risolubile per n>4 [Franci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 1 42] . Ciò comporta che le equazioni di grado n con 2:91::::;4 sono risolubili per radicali; mentre se n>4 esse non sono risolubili per radicali . Riportiamo l'illustrazione dello stesso Galois relativa al gruppo simmetrico di grado 4 (ovvero all'equazione di quarto grado) : "È facile verificare questo percorso essenziale nella risoluzione delle equa­ zioni generali di quarto grado. In effetti, questa equazione si risolve per mezzo di un'equazione di terzo grado, che esige essa stessa l'estrazione di una radice quadrata. Nella sequenza naturale delle idee, è dunque necessario cominciare da questa radice. In effetti, aggiungendo all'equazione di quarto grado questa radi­ ce quadrata, il gruppo dell'equazione che contiene in tutto 24 sostituzioni si decompone in due gruppi simili ed identici che non ne contengono che 1 2 . Indicando con a , b , c , d l e radici, ecco questo gruppo partendo dalla permuta­ zione arbitraria abcd: abcd badc cdab dcba

acdb cabd dbac bdca

adbc dacb bead cbda

e si vede che i tre gruppi nei quali lo abbiamo diviso sono simili ed identici. Poi per mezzo dell'estrazione di un radicale di terzo grado resta semplicemente il gruppo : ab cd badc cdab dc ba Questo gruppo si divide di nuovo in due gruppi simili ed identici : abcd badc

cdab dcba

Così per mezzo di un'estrazione di radice quadrata non si avrà altro che un'equazione il cui gruppo sarà : abcd badc

392

e che si risolverà infine per mezzo di una radice quadrata" (traduzione in [Bot­ tazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 207]).

1 7.2.4. Lo sviluppo dell' algebra astratta

Il procedimento di Galois portava dunque ad una condizione necessaria e sufficiente affinché un'equazione algebrica (irriducibile) sia risolubile per radica­ li . Osserviamo però che lo stesso matematico era consapevole della limitata uti­ lità pratica del metodo indicato; egli osservava a tale riguardo : " Se adesso voi mi date un'equazione scelta a vostro piacere, e di cui deside­ rate sapere se è o no risolubile per radicali, io non avrei niente da fare che indi­ carvi il mezzo di rispondere alla vostra questione, senza voler incaricare né me né alcun altro di farlo . In una parola i calcoli sono impraticabili . Sembrerebbe dopo ciò che non ci fosse alcun profitto da ottenere dalla soluzione che ci pro­ poniamo . In effetti sarebbe così se la questione si presentasse ordinariamente sotto questo punto di vista. Ma, la maggior parte delle volte, nelle applicazioni dell'analisi algebrica, ci si riporta ad equazioni di cui si conoscono in anticipo tutte le proprietà: proprietà per mezzo delle quali sarà sempre agevole rispon­ dere alla questione per mezzo delle regole che esporremo " (traduzione in [Fran­ ci-Toti Rigatelli, 1 979, p. 1 1 8]). La visione di Galois, dunque, andava ben oltre la portata del problema prati­ co : le idee del giovane matematico contenevano spunti di enorme importanza, che i matematici del tempo compresero, apprezzarono e svilupparono solo pro­ gressivamente (con un termine introdotto nel 1 895 da Klein, a Galois è dovuta l'aritmetizzazione dell'algebra, analoga all'aritmetizzazione dell'analisi) [Toti Ri­ gatelli, 1 989] [Kuga, 1 993 ] . Scrive L . Toti Rigatelli : "Dotato di grandissime capacità intuitive, Galois espose la condizione di riso­ lubilità per radicali usando concetti della teoria dei gruppi che ancorà non erano stati definiti È appunto partendo dalle idee di Galois sulla teoria delle equa­ zioni algebriche che, nella seconda metà del secolo scorso si sviluppò la teoria dei gruppi e, successivamente, quella delle altre strutture algebriche" [Bottazzi­ ni-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, pp. 204-205 ] . . . .

L'interesse della comunità matematica per l e questioni alla base degli studi di Galois si consolidò rapidamente verso la metà dell'Ottocento. Già negli anni im­ mediatamente precedenti la pubblicazione degli ultimi lavori del geniale mate­ matico francese (ovvero tra il 1 844 ed il 1 846), Cauchy aveva scritto una venti­ na di articoli sui gruppi di trasformazioni . Anche Julius Wilhelm Richard De-

393

dekind ( 1 83 1 - 1 9 1 6) [Dedekind, 1 990], Enrico Betti ( 1 823 - 1 892) e Marie Enne­ mond Camille Jordan ( 1 83 8- 1 922) si occuparono a fondo delle idee di Galois [Bottazzini, 1 990] ( 8 ). Fu Dedekind che, riprendendo l e idee di Galois, diventò il fondatore dell'al­ gebra astratta: ad esempio, fu lui che nel 1 8 5 8 diede esplicitamente la corretta definizione di gruppo finito, derivata dalla considerazione dei gruppi di permuta­ zioni (ci occuperemo ancora di Dedekind nel prossimo capitolo). Nel 1 872 il norvegese Ludwig Sylow ( 1 832- 1 9 1 8) pubb licò alcuni importanti teoremi sui gruppi, più tardi ripresi da Georg F erdinand Frobenius ( 1 849- 1 9 1 7) e da Otto Ludwig Holder ( 1 859- 1 93 7); nel 1 878, Arthur Cayley ( 1 82 1 - 1 895) scrisse alcuni importanti articoli sui gruppi finiti, in cui giustamente sottolineò che il generale concetto di gruppo doveva essere precisato indipendentemente dall'originale problema combinatorio. Come già osservato nel capitolo 1 5, anche Felix Klein e Sophus Lie contribuirono in termini decisivi alla sistemazione teo­ rica del concetto di gruppo [Kolmogorov-Yushkevich, 1 992] . Per quanto riguarda le altre strutture algebriche, già negli scritti di Leopold Kronecker ( 1 823- 1 89 1 ), di Eduard Kummer ( 1 8 1 0- 1 893 ) e dello stesso Dede­ kind troviamo l'intuizione di alcune tecniche collegate agli anelli [Boyer, 1 982] . Ma è nel xx secolo che venne messa a punto una moderna teoria astratta degli anelli : in particolare, le opere di Joseph Wedderbrun ( 1 882- 1 948) e di Emmy Noether ( 1 8 82- 1 93 5) furono decisive per lo sviluppo della teoria degli anelli; Emil Artin ( 1 898- 1 962) riprese la teoria di Galois sulla base dei moderni con­ cetti di campo e di estensione [Bottazzini, 1 990] . Per quanto riguarda infine i campi, dopo le intuiziQni di Galois, un'organica sistemazione della teoria di tali strutture si ebbe soltanto nel 1 893 con Heinrich Weber ( 1 842- 1 9 1 3 ) [Kline, 1 99 1 , II] ; in questo settore sono da menzionare i contributi, all'inizio del xx secolo, di Leonard Dickson ( 1 874- 1 954) e di Ed­ ward Huntington ( 1 8 74- 1 952).

Riferimenti bibliografici

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(8)

Scrive L. Toti Rigatelli: "Nel 1 870 fu pubblicato a Parigi il Traité des Substitu­ tions et des Équations a/gébriques di Camille Jordan; si tratta del testo che permise di chiarire completamente il pensiero di Galois e che ne contiene le prime importanti ap­ plicazioni alla geometria" [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 208 ] .

394 G. Candido, Sulla mancata pubblicazione, nel l826, della celebre memoria di A bel, Marra, Galatina 1 942 . E. Carroccio, Paolo Ruffini matematico e pensatore, in " Atti e Memorie dell'Accademia nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Modena" , s. VI , v. VIII , Modena 1 966. B. D'Amore-M. Matteuzzi, Dal numero alla struttura, Zanichelli, Bologna 1 975 . J.W.R. Dedekind, Lezioni sulla teoria di Galois, Sansoni, Firenze 1 990. R. Franci-L. Toti Rigat611i, Storia della teoria delle equazioni algebriche, Mursia, Milano 1 979. M . Kline, Storia del pensiero matematico. 11. Dal Settecento a oggi, Ei­ naudi, T orino l 99 1 . A.N. Kolmogorov-A.P. Yushkevich, Mathematics in the 19th Century. Mathematical Logic, A lgebra, Number lheory, Probability lheory, Birkhii.user, B ase) 1 992. M. Kuga, Galois ' dream, Birkhii.user, Base) 1 993 . L. Toti Rigatelli, La mente algebrica. Storia dello sviluppo della teoria di Galois nel XIX secolo, Bramante, Busto Arsizio 1 989. L. Toti Rigatelli, Evariste Galois (1811-1832), Birkhii.user, Base! 1 996.

Temi di storia della matematica 1 7 . 1 . «Uno dei problemi più interessanti dell'algebra è quello della risoluzio­ ne algebrica delle equazioni . Pertanto si trova che pressoché tutti i geometri di alto livello hanno trattato questo soggetto. Si perviene senza difficoltà all'e­ spressione generale delle radici dei primi quattro gradi . Per risolvere queste e­ quazioni si è scoperto un metodo uniforme e che si credeva di poter applicare ad un'equazione di un grado qualunque; ma malgrado tutti gli sforzi di un La­ grange e di altri distinti geometri non si è potuto ottenere lo scopo proposto. Questo fece pensare che la risoluzione delle equazioni generali fosse impossibile algebricamente; ma è una cosa che non si poteva stabilire, visto che il metodo adottato non avrebbe potuto condurre a conclusioni certe se non nel caso il cui le equazioni fossero risolubili» (Niels Henrik Abel) . 1 7 . 2 . «Se in un primo tempo anche la sua ultima dimostrazione del 1 8 1 3 fu accusata di incompletezza, tant'è vero che il teorema porta il doppio nome di Ruffini-Abel dato che indipendentemente, anche se successivamente, il secondo ottenne lo stesso risultato senza lacune, la critica più moderna riconosce a Ruf­ fini la completa paternità del risultato» (Bruno D'Amore-Maurizio Matteuzzi).

395

1 7 . 3 . «Quando noi vorremo raggruppare delle sostituzioni, le faremo prove­ nire tutte da una stessa permutazione. Poiché si tratta sempre di questioni nelle quali la disposizione primitiva delle lettere non ha alcuna influenza, nei gruppi che considereremo, si dovranno avere le stesse sostituzioni quale che sia la per­ mutazione dalla quale si sarà partiti. Dunque se in un simile gruppo si hanno le sostituzioni S e T, si è sicuri di avere la sostituzione ST» (Evariste Galois). 1 7.4. «Raccolse le sue carte e scrisse . . . una lettera in cui tracciava a grandi li­ nee il contenuto essenziale delle ricerche che da più di un anno aveva maturato, semplicemente accennando inoltre al campo "immenso" di risultati che aveva so­ lo intravisto. "Mais je n'ai pas le temps", non ho il tempo per svilupparle. "Pre­ gherei pubblicamente Jacobi o Gauss di esprimere la loro opinione, non tanto sulla verità, ma sull'importanza di questi teoremi" raccomandava Galois all'ami­ co . "Dopo di che ci sarà qualcuno, spero, che trarrà profitto a decifrare questi scarabocchi (tout ce gàchis)"» (Umberto Bottazzini) . 1 7. 5 . «Due sono i problemi principali dell'Algebra. Il primo consiste nella determinazione dei valori numerici approssimati delle radici di un'equazione quando sono dati quelli dei coefficienti e costituisce la risoluzione numerica delle equazioni; il secondo nell'esprimere le radici per funzioni analitiche dei coefficienti, delle quali si conoscano e il modo di determinarle numericamente allorché è dato il valore dell'argomento, e tali proprietà che ci permettono di introdurle nei calcoli analitici anche quando i coefficienti sono lettere e debbano ritenersi in tutta la loro genericità; ciò che può chiamarsi la risoluzione analitica delle equazioni» (Enrico Betti). 1 7 . 6 . «L'avvento del nazismo segnò anche la fine della straordinaria stagione matematica di Gottinga. Come Emmy Noether, molti dei matematici . . . erano e­ brei e furono costretti a lasciare l'insegnamento. La maggioranza emigrò negli Stati Uniti . . . Al nuovo ministro nazista che gli chiedeva "come andava la mate­ matica a Gottinga ora che era stata liberata dall'influenza ebraica" , il vecchio Hilbert rispose: "La matematica a Gottinga? Non esiste più"» (Umberto Bottaz­ zini).

Capitolo 1 8 Bolzano, Cantor e l ' infinito

"L'infinito ! Nessun altro problema

ha

mai scosso più profondamente lo spirito

umano". David Hilbert

18.1. Bernhard Bolzano e Georg Cantor

1 8. 1 . 1 . Bolzano

La storia dell'infinito, in matematica, è stata lungamente dominata dalla pe­ sante eredità aristotelica, che impose la concezione di infinito potenziale [Lom­ bardo Radice, 1 98 1 ] ; ricordiamo alcuni passi significativi del filosofo di Stagira: " È impossibile che l'infinito sia in atto . . . Rimane da dire, allora, che l'infinito è in potenza; . . . l'infinito non è in altro modo, ma solo in questo, cioè in potenza e per detrazione; anche per l'aggiunzione [che è il contrario della detrazione] l'infinito è, così, pur sempre, in potenza" (da Fisica, riportato in [Arrigo-D'A­ more, 1 992, p. 4 1 ]) .

I l divieto imposto d a Aristotele contro l'infinito i n atto frenò, nel corso dei secoli, gli sforzi di molti studiosi impegnati nel confronto con uno dei più im­ portanti ed emozionanti concetti dell'intera cultura umana; ma non riuscì a fer­ mare il filosofo e matematico Bernhard Bolzano ( 1 78 1 - 1 848). Nato e vissuto a Praga, Bolzano studiò le proprietà dei numeri reali e nel 1 83 5 scrisse Grossenlehre ( Teoria delle grandezze, opera pubblicata soltanto nel 1 93 0), un primo tentativo, non rigoroso ma molto interessante, di sistemare i numeri reali; si occupò quindi a fondo degli insiemi infiniti e nel 1 85 1 pubblicò Paradoxien des Unendlichen (Paradossi dell'infinito) (1). Riportiamo un brano di questa celebre opera: (1) L'opera di Bolzano fu importante anche per quanto riguarda la definizione di molti concetti analitici . Scrisse il matematico boemo: "Una funzione ./(x) è continua per tutti i valori di x all'interno o all'esterno di certi limiti se, essendo x uno di questi valori qual unq ue, la differenzaj(x+ro)-j(x) può essere resa più piccola di ogni grandezza data se si prende ro arbitrariamente piccolo" (traduzione in [Bottazzini, 1 990, p. 85]).

398

"Non tutti gli insiemi infiniti possono essere considerati uguali tra loro per quanto riguarda la loro molteplicità . . . In effetti, tutti coloro che definiscono l'in­ finito come qualcosa non suscettibile di ulteriore aumento debbono trovare non soltanto paradossale, ma addirittura contraddittoria l'idea di un infinito che sia più grande di un altro" (traduzione in [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 422]). L'infinito in atto, dunque, non sembra più intimorire i matematici; inoltre nel­ le parole di Bolzano possiamo intravvedere una fondamentale possibilità: quella di concepire diversi insiemi infiniti, di confrontare tali insiemi e di giungere così a contare oltre l'infinito . Sarà Cantor a portare a compimento questa grande intuizione [D'Amore-Matteuzzi, 1 975] . Secondo alcuni, Bolzano si sarebbe addirittura reso conto della differenza tra la potenza del numerabile e la potenza del continuo. Certamente egli sviluppò i­ dee spesso inusuali, attraverso procedimenti che oggi giudicheremmo non pie­ namente ortodossi; molti dei suoi risultati, talvolta trascurati dai matematici suoi contemporanei, vennero riscoperti e valorizzati da studiosi posteriori [Bot­ tazzini, 1 98 1 ] . . .

1 8. 1 .2. Cantor e l a continuità

·S e Bolzano intuì alcuni importanti fatti sul rinnovato concetto di infinito, la figura centrale della rivoluzione che portò a questo effettivo rinnovamento fu quella di Georg Cantor ( 1 845- 1 9 1 8). Cantor compì gli studi a Zurigo, a Gottinga ed a Berlino, dove conseguì il dottorato nel 1 867 con una tesi sulla teoria dei numeri. Nel 1 874 contattò Julius Wilhelm Richard Dedekind ed elaborò le proprie fondamentali considerazioni sui cardinali transfiniti. Ma larghi settori della comunità matematica non accet­ tarono subito le idee innovative di Cantar, che operò quasi esclusivamente presso la piccola università di Halle (professore straordinario nel 1 872, ordina­ rio nel 1 879 [Loria, 1 929- 1 93 3 , p. 929]); l'auspicato passaggio alla prestigiosa università di Berlino fu contrastato da Leopold Kronecker (celebre la sua frase: "Dio ha creato i numeri interi; tutto il resto è opera dell'uomo"), il quale "appro­ vava il programma di una totale aritmetizzazione dell'analisi, ma esigeva che l'aritmetica fosse finita" [Boyer, 1 982, p. 654] . Cantar si dedicò agli studi sulla continuità dell'insieme dei numeri reali, vivaci ed importanti tra il XVIII ed il XIX secolo . Dedekind, che come abbiamo accen­ nato collaborò a lungo con Cantar, fu autore nel 1 872 del fondamentale trattato Continuità e numeri irrazionali; il suo nome è associato ad un celebre postulato sulla continuità della retta:

399

Postulato di Dedekind. S e si considera un segmento AB suddiviso nelle due parti S , T non vuote tali che: • ciascun punto del segmento appartenga ad una delle parti; • ciascun punto della parte S preceda (nel senso della percorrenza da A verso B) ciascun punto della parte T, allora esiste uno ed un solo punto C di AB, appartenente alla parte S o alla parte T (m a non ad entrambe) tale che ogni punto di AB che precede C appartiene a S ed ogni punto di AB che segue C appartiene a T (2 ) . Anche Karl Weierstrass, uno dei massimi matematici tedeschi di ogni tempo, enunciò un postulato di continuità: Postulato di Weierstrass. Ogni successione indefinita di punti di un segmen­ to A, B, C, . , P, . . ordinata secondo uno dei versi del segmento possiede un punto limite. . .

.

Tra i risultati matematici dovuti a Cantor, fondamentale è il postulato deno­ minato " della continuità" : Postulato della continuità di Cantor. S e si considerano due classi S e T di segmenti tali che : • nessun segmento della classe S sia maggiore di qualche segmento della classe T; • fissato un segmento arbitrario E: esistano un segmento della classe T ed uno della classe S tali che la loro differenza sia minore di E:, allora esiste un segmento che non è minore di alcun segmento di S e che non è maggiore di alcun segmento di T.

Osserva G. Arri go : "La retta che risulta da questo assioma è sicuramente diversa da quella imma­ ginata dai Greci. Essa, in particolare, non è più frutto di un'intuizione geome­ trica, ma prodotto di una speculazione puramente aritmetica. " [Arri g o-D'Amo­ re, 1 992, p. 1 5 8] (3 ). (2 ) Commentando tale postulato, G. Arrigo nota "la dichiarata intenzione d i Dede­ kind di considerare la retta come un insieme in corrispondenza biunivoca con quello dei numeri reali" [Arrigo-D'Amore, 1 992, p. 1 5 8] . (3 ) Citiamo ancora G. Arrig o: "L'idea di considerare tale retta non è dovuta a Can­ tor: era già implicita nei fondamenti della geometria analitica di Descartes. Ma, se pen­ siamo bene, essa non può essere frutto di una costruzione geometrica. Infatti è impos­ sibile anche solo costruire geometricamente (con riga e compasso) i numeri reali so­ luzione di un'equazione algebrica generale di grado superiore o uguale al quinto" [Arri­ go-D'Amore, 1 992, p. 1 5 8 ) .

400 Ai nomi di Cantor e di Dedekind è giustamente associato un fondamentale assioma della matematica:

Assioma di Cantor-Dedekind. I punti di una retta sono in corrispondenza biunivoca con gli elementi dell'insieme dei numeri reali (4) .

Alle ricerche di Cantor è inoltre legata la teoria degli insiemi infiniti. Certamente Cantor trovò nelle intuizioni di Bolzano una stimolante fonte di spunti, soprattutto per una radicale rivalutazione dell'infinito in atto . Nota U. Bottazzini : "La distinzione tra infinità categorematiche (attuali) e infinità sincategorema­ tiche (potenziali) era stata proposta anche da Bolzano nei suoi Paradoxien des Unendlichen, un testo assai apprezzato da Cantor per l'audacia con cui il mate­ matico boemo si era spinto sul difficile terreno dell'analisi dell'infinito attuale" [Bottazzini, 1 990, p. 252] . Ecco, nelle parole di Cantor, la concezione di infinito in atto che si affianca a quella, ormai insufficiente in rapporto alle esigenze della matematica moderna, di infinito potenziale: "Mi pare che l'infinito matematico, per quanto ha fin qui trovato una applica­ zione riconosciuta alla scienza, ed ha contribuito alla sua propria utilizzazione, si presenti in primo luogo, nell'interpretazione di una variabile, crescente sopra ogni limite o decrescente nell'arbitrariamente piccolo, e che si trovi però sempre come grandezza che permane finita. Chiamo questo tipo di infinito infinito im­ proprio. Inoltre, in tempi recenti e recentissimi, si è presentato, nella geometria come nella teoria delle funzioni, un altro tipo ugualmente accettato del concetto di infinito; in base ad esso, ad esempio, nello studio di una funzione analitica di variabile complessa, è divenuto necessario, e generalmente consueto, immagi­ narsi - nel piano rappresentante la variabile complessa - un unico punto gia­ cente all'infinito, ovvero infinitamente lontano, ma ben definito, e quindi esa­ minare il comportamento della funzione in prossimità di questo punto come di un qualsiasi altro . . . Così si giustifica l'idea che in questo caso l'infinito debba es­ sere concentrato in un punto ben determinato. Quando l'infinito occorre in una tale forma determinata, lo chiamo infinito proprio" (traduzione in [Bottazzini­ Freguglia-Teti Rigatelli, 1 992, p. 428]). L'assoluto divieto aristotelico, ormai, è soltanto uno sbiadito ricordo . (4) Alle ricerche sul discreto e sul continuo si dedicarono molti importanti mate­ matici tra il XIX ed il XX secolo; in particolare ricordiamo Charles Méray ( 1 83 5- 1 9 1 1 ) ed Hermann Wey1 ( 1 885- 1 955).

40 1

1 8. 1 .3. Cantor, Dedekind e la teoria cantoriana degli insiemi

Per quanto riguarda la nozione di insieme infinito, Dedekind aveva messo a punto la definizione seguente (che superava definitivamente l'antica nozione co­ mune euclidea secondo la quale il tutto deve essere comunque maggiore della parte) : Definizione. Un insieme si dice infinito quando si può mettere in corrispon­ denza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio.

Ad esempio, proveremo che N, l'insieme dei numeri naturali, è un insieme in­ finito. Infatti l'insieme PçN dei numeri naturali pari, sottoinsieme proprio di N, può essere messo in corrispondenza biunivoca con N. D Sia P = { m E N : m=2 · n 1\ nE N } . Per dimostrare che P può essere messo in corrispondenza biunivoca con N è necessario individuare una funzione biiettivaf P�N. Tale funzione è:

La funzione f è biiettiva (ovvero P e N sono posti, attraverso j, in corrispon­ denza biunivoca) : rappresentiamo tale relazione nel modo seguente :

o i

f

l

,!. o

2 i

l

,!. l

4 i

6 i

8 i

10 i

12 i

14 i

,!. 2

,!. 3

,!. 4

,!. 5

,!. 6

,!. 7

l

l

l

l

l

(P)

l

(N)

Ad ogni elemento di P corrisponde dunque uno ed un solo elemento di N viceversa e ciò prova quanto affermato. •

e

Cantor introdusse inoltre il concetto di potenza di un insieme, non solo per gli insiemi finiti, ma anche per quelli infiniti. Ricordiamo che due insiemi si dicono equipotenti se possono essere messi in corrispondenza biunivoca: la relazione di equipotenza può essere definita anche per gli insiemi infiniti, e dunque si presentava il problema di estendere il con­ cetto di potenza di un insieme anche a questi. La potenza degli insiemi infiniti non poteva certo essere data da un numero naturale (come nel caso degli insiemi finiti) : si trattava quindi di "inventare" concetti e denominazioni nuove per in­ dicare la potenza di tali insiemi .

402

Sorgeva però un problema: tutti gli insiemi infiniti hanno la stessa potenza? Avrebbe potuto essere sufficiente, ad esempio, concludere che la potenza di in­ siemi come N, Z, Q, R è "infinito", senza specificazioni? L'argomento era di estrema importanza: come vedremo, una delle massime conquiste della teoria degli insiemi di Cantor sarà proprio identificabile nella possibilità di "confron­ tare" (e addirittura di classificare) gli insiemi infiniti in base alla loro cardinalità. Cantor morì in un ospedale psichiatrico di Halle, dopo trent'anni vissuti in preda a gravi esaurimenti nervosi; solo nell'ultimo periodo della sua vita la cor­ rettezza delle sue teorie era stata riconosciuta dalla comunità matematica. Scrive C . B . Boyer: "La tragedia personale di Cantor trova un conforto nelle lodi di uno dei mag­ giori matematici dell'inizio del nostro secolo, David Hilbert, che esaltava la nuo­ va aritmetica transfinita come «il prodotto più stupefacente del pensiero ma­ tematico, una delle più belle creazioni dell'attività umana nel campo del puro in­ telligibile» . Di fronte all'esitazione di anime timide, Hilbert esclamava: «Nessuno ci scaccerà mai dal paradiso che Cantor ha creato per noi»" [Boyer, 1 982, p . 65 5 ] .

1 8.2. Cantor e i cardinali transfiniti

1 8.2. 1 . La potenza del numerabile

Possiamo indicare una specifica denominazione per la potenza di tutti gli insiemi equipotenti all'insieme N dei numeri naturali: diremo che N ed ogni in­ sieme equipotente a N ha la potenza del numerabi/e. Ad esempio, quanto sopra provato a proposito dell'insieme Pç;;; N dei numeri naturali pari dimostra che P ha la potenza del numerabile. Analogamente, dimostriamo che anche l'insieme Z dei numeri interi ha la po­ tenza del numerabile. D

Dobbiamo dimostrare che Z è equipotente a N, ovvero individuare una funzione biiettiva g: Z---+N . Tale funzione è così rappresentata schematicamente : o

g

l

t

t

-1-

-1-

l

o

l

-l

t

2 t

-2 t

3 t

-3 t

4 t

-1-

-1-

-1-

2

3

4

-15

-16

-17

l

l

l

l

l

(Z)

l

(N)

403

Ovvero : N

z

o 2n+ 1 2n

o n+ 1 -n



Ad ogni elemento di Z corrisponde dunque uno ed un solo elemento di N e viceversa. •

Anche l'insieme Q dei numeri razionali ha la potenza del numerabile. D

Analogamente a quanto proposto nelle dimostrazioni delle proposizioni precedenti, dobbiamo "allineare" in un'unica "fila" tutti gli elementi di Q : fatto ciò, sarà possibile mettere in corrispondenza biunivoca gli elementi di Q e quelli di N attraverso una funzione biiettiva (come fatto nelle citate dimostrazioni). Scriviamo gli elementi di Q+ (le frazioni positive) nella tabella seguente: 1 1 1 - 1 /2 2/ 1

/

1 /

3/1

41 1

2/2 3/2

/

l /

4/2

/ / /

1 /3 - 1 /4

1/5

1 /6

2/5

2/6

3/4

3/5

3/6

4/3

4/4

4/5

4/6

2/3 3/3

/

/

2/4

/"

5/1

5/2

5/3

5/4

5/5

5/6

6/ 1

6/2

6/3

6/4

6/5

6/6

Grazie a questa tabella, possiamo scrivere una "fila" di razionali in base alle regole seguenti : • scriviamo innanzitutto l'elemento O (non compreso nella tabella), che sarà il primo elemento della "fila" ; • partiamo dall'elemento 1 1 1 (che si trova, nella tabella, in alto a sinistra); • "percorriamo" la tabella procedendo a zig-zag, ovvero secondo una ser­ pentina che, da 1 / l , individua successivamente :

111

1 /2

21 1

3/1

2/2

1 /3

1 /4

2/3

3/2

4/ 1 . . .

404



consideriamo esclusivamente le frazioni, tra quelle così individuate, che non risultano equivalenti ad una frazione già considerata; ad esempio, una volta accettato l'elemento 1 1 1 , dobbiamo trascurare 2/2, 3/3 , 4/4 . . (frazioni che sono tutte equivalenti a 1 1 1 ); • nella "fila" di elementi di Q, dopo O, per ciascuna delle frazioni m/n così individuate, scriviamo sia la frazione positiva, +m/n, che la frazione negativa, ovvero -m/n. Otteniamo, pertanto, quanto inizialmente ricercato : l'intero insieme Q (giac­ ché tutti i razionali compaiono nella tabella sopra considerata! ) risulta ordinato nella "fila" precedente; Q può quindi essere messo in corrispondenza biunivoca con N mediante la funzione biiettiva h: Q � N rappresentata da: .

h

o t

+ 111 t

-111 t

+ 1 /2 t

- 1 12 t

+2/ 1 t

-2/ 1 t

+3/ 1 t

t o

t

t 2

t 3

t 4

t 5

t 6

t 7

l

l

l

Ad ogni elemento di viceversa. •

Q

l

l

l

l

(Q)

l

(N)

corrisponde dunque uno ed un solo elemento di N e

1 8.2.2. La potenza del continuo

Quanto dimostrato nel paragrafo precedente ripropone una questione centra­ le per la nostra trattazione: tutti gli insiemi infiniti hanno dunque la stessa po­ tenza (la potenza del numerabile)? La risposta è: no. La proposizione seguente, dovuta a Cantor, motiva inconfutabilmente questa risposta ( 5 ) . L'insieme R non ha la potenza del numerabile. D Ammettiamo, per assurdo, che R abbia la potenza del numerabile: do­ vrebbe allora essere possibile " à1lineare" in un'unica "fila" tutti gli elementi di R. Inizieremo a scrivere questa "fila" elencando tutti i reali x con O. a+ E N0

·4 ·s

O E N0 s E Cis . O E s : a E s a, b E N0 . a+ = b+

. :::Ja .

. :::J .

a+ E s

: :::J .

N0 :::J s

Induct

a=b

a E N0 . ::>. a+ -= O

Tali assiomi possono essere così i!lustrati : Assioma zero. I numeri formano una classe. Assioma l Lo zero è un numero . Assioma Il. Se a è un numero, il suo successivo a+ è un numero . Assioma III. Se s è una classe contenente lo zero e, per ogni a, se a appartiene a s, il successivo a+ appartiene a s, ; allora ogni numero naturale è in s (Peano chiama tale proposizione "principio di induzione" e la indica con "Induct''). Assioma IV. Se a e b sono due numeri e se i loro successivi a+, b+ sono uguali, allora a e b sono uguali . Assioma V. S e a è un numero, il suo successivo a+ non è zero .

La relazione introdotta da Peano è un'applicazione: a-M+ avente per do­ minio N e per codominio N\ { O } ; si può facilmente dimostrare che essa è una biiezione. Dall'esame di tali assiomi, e segnatamente ricordando il concetto di successivo, si può dimostrare che Peano introduce in N un ordine stretto. Applicando opportunamente i propri assiomi, ed approntando le necessarie dimostrazioni, Peano giunse ad introdurre le operazioni aritmetiche con i numeri naturali, nonché a descrivere ed a dimostrare le loro proprietà formali. Storica­ mente interessante è, a tale proposito, un'osservazione di N. Bourbaki : "Prima del XIX secolo, pare non vi sia stato alcun tentativo di definire l'ad­ dizione e la moltiplicazione dei numeri naturali se non richiamandosi diret­ tamente all'intuizione; Leibniz è il solo che, fedele ai propri principi, fa espres­ samente notare che delle "verità evidenti" come 2+2 = 4 sono anch'esse su­ scettibili di dimostrazione se si riflette sulle definizioni dei numeri che vi figu­ rano; egli non riteneva affatto come scontata la commutatività dell'addizione e della moltiplicazione. Ma non spinge oltre le sue riflessioni a questo proposito, e, verso la metà del XIX secolo, nessun progresso si era ancora compiuto " [Bourbaki, 1 963 ] .

44 1

Esaminiamo brevemente l'introduzione dell'addizione secondo Peano, che si basa sulle due condizioni seguenti, date nella simbologia originale [Peano, 1 908, p. 29] : ·1 ·2

a e N0 . :::::> . a+O = a a, b e N0 . :::::> . a+(b+) = (a+b)+

Per induzione (1), Peano dimostra che se a, b sono numeri, anche numero. Seguiremo la trattazione di E. Carroccio; innanzitutto :

a+b è un

a+O = a è u n numero (per definizione) Supponiamo che a+b sia un numero e consideriamo a+(b+ l ).

a+( h+ l ) = (a+b)+ l (per definizione); è un numero per il postulato 2 Il teorema risulta quindi provato per il postulato 3 . Analogamente si dimostra la proprietà associativa (a+b)+c = a+(b+c). Infatti :

(a+b)+O = a+(b+O) (per la definizione dell'addizione di O ad un numero).

Supponiamo inoltre che (a+b)+c = a+(b+c); allora:

(a+b)+(c+ l ) = [(a+b)+c]+ l = [a+(b+c)]+ l = a+ [(b+c)+ l ] = = a+ [ b+(c+ l )]

Infatti il primo passaggio segue dalla definizione di somma; il secondo dal­ l'ipotesi del procedimento induttivo; il terzo ed il quarto dall'inverso della defi­ nizione di somma. Il teorema risulta infine provato in base al postulato 3 . Peano quindi dimostra la proprietà commutativa dell'addizione, definisce il prodotto (ponendo a x O = O e a x( b+ l) = axb+a) e ne dimostra le usuali pro­ prietà (si veda [Peano, 1 908] ; alcune dimostrazioni sono riportate in [Carroccio, 1 972]). Torneremo su alcune questioni collegate all'assiomatica di Peano illustrando i risultati di Godei. Ricordiamo le parole di B . D'Amore e M. Matteuzzi a pro­ posito del Formulaire de mathematiques: (1) Per quanto riguarda l'induzione, nota E. Carroccio: "Il principio di induzione matematica è usato, ma mai esplicitamente enunciato, da Euclide. Lo enunciò invece l'abate Maurolico (nel Rinascimento): ripreso da Dedekind, si ritrova alla base dell'aritmetica di Peano. Secondo Poincaré il principio è un esempio di giudizio sintetico a priori nel senso kantiano" [Carroccio, 1 972, p. 8 ] .

442

"In un libro di neppure 500 pagine, Peano è stato in grado di condensare la matematica pura ed applicata comprendendo tutte le teorie, dalla teoria dei nu­ meri, all'algebra, alla geometria, all'analisi, alla meccanica pura ed applicata. Il linguaggio, dunque, si è rivelato veramente potente" [D'Amore-Matteuzzi, 1 975, p. 1 48) (8) .

20.2.2. La curva di Peano

Prima di concludere la presentazione dell'opera peaniana accenniamo alla curva di Peano, una curva grazie alla quale sono state elaborate molte impor­ tanti considerazioni sul concetto stesso di curva piana. Ricordiamo che alla fine del XIX secolo una curva piana era introdotta dalla definizione di Jordan: una curva piana è il luogo descritto nel piano cartesiano da un punto P (x; y) le cui coordinate siano espresse parametricamente da:

{

X = h (t) y = fz ( t )

essendo t un parametro reale, j1 , j2 continue. Peano dimostrò che, impiegando la definizione di Jordan, è possibile co­ struire una curva in grado di "riempire" completamente un quadrato .

3

4

2

1

2

3

4

(8) Complessivamente, nel Formulaire de mathematiques, pubblicato in "latino sine flexione" (la lingua internazionale elaborata dallo stesso Peano) con il titolo Formulario Mathematico, Peano usa 239 simboli, di cui 37 riferiti alla parte di Aritmetica.

443

Presenteremo la curva di Peano seguendo [Carroccio, 1 972, pp. 224-229] (9 ). Consideriamo un quadrato inizialmente suddiviso, come nella figura a sini­ stra, in quattro quadrati uguali; una spezzata congiunga i centri dei quattro qua­ drati, ordinati in modo tale che due quadrati consecutivi abbiano in comune un lato. Ripetiamo la suddivisione di ciascun quadrato in quattro quadratini uguali ed indichiamo una nuova spezzata tale da congiungere tutti i centri (sempre ordinando i q uad rat i in modo che due quadrati consecutivi abbiano in comune un lato) . Iterando indefinitamente il procedimento si ottiene la curva di Peano . Si noti che rispetto ad un riferimento cartesiano (ad esempio con gli assi comprendenti due lati consecutivi del quadrat o) la curva di Peano può essere espressa in forma parametrica [Carroccio, 1 972, p. 228] e dunque è tale da ri­ spettare la definizione di Jordan ( 1 0 ) . Esempi come quello proposto da Peano hanno stimolato la riflessione critica sulla definizione di Jordan (oggi accettata come definizione della classe di curve denominate curve di Jordan).

20.3. David H ilbert e i l formalismo

20.3. 1 . Un matematico universale

Presenteremo ora lo studioso che riuscì a dare moderno rigore alla geometria euclidea e che secondo M. Kline è "il più importante matematico di questo se­ colo" [Kline, 1 99 1 , Il, p. 1 23 7 ] : David Hilbert ( 1 862- 1 943). (9) La presentazione della curva di Peano qui riportata tiene conto delle semplifi­ cazioni di Hilbert ed è basata sull'impostazione di Waismann [Carroccio, 1 972, p . 225 ] . ( 1 0 ) E. Carroccio esamina l a corrispondenza tra l a curva di Peano ed i l quadrato nel quale era stata costruita attraverso la considerazione di un segmento congruente al lato del quadrato e suddiviso in un numero di parti uguale al numero dei quadratini nei quali il quadrato stesso viene suddiviso; le parti del segmento sono numerate in modo tale da seguire i vertici della curva di Peano (si veda la prima delle figure nella pagina pre­ cedente) . Carroccio nota: "La corrispondenza nel senso che va dal segmento al quadrato è univoca", ma "la corrispondenza inversa non è univoca", cioè "ad ogni punto del quadrato non corrisponde un solo punto del lato" Infatti "se il punto che appartiene al quadrato si trova . . . su di un lato di separazione tra due quadratini [contigui], o su di un vertice di uno dei quadratini, allora i due o quattro quadratini contigui sul quadrato non sempre corrispondono ad intervalli consecutivi sul lato. Quindi ad ogni punto del quadrato vengono a corrispondere più punti sul lato" [Carroccio, 1 972, pp . 228-229] . La corrispondenza in questione non è biunivoca, ma è continua; non è possibile che una tale corrispondenza sia continua e biunivoca in quanto la curva di Peano non può essere topologicarnente equivalente ad un quadrato [Carroccio, 1 972, p . 230] .

444

Matematico profondo, dalla straordinaria versatilità, Hilbert si occupò di fisi­ ca matematica e di relatività, di algebra funzionale, di logica. Dal 1 895 al 1 93 0 fu docente presso l'Università d i Gottinga; lasciò l a cattedra per l'avvento del nazismo . Hilbert fu il massimo esponente del formalismo, che "(inteso in senso moderato) è senza dubbio, oggi, la dottrina più importante e seguita tra i mate­ matici" [D'Amore-Matteuzzi, 1 975, p. 1 5 1 ] . Secondo l'impostazione formalista, ogni teoria matematica deve essere basata sù di un insieme di assiomi (o postu­ lati), da cui dedurre rigorosamente i risultati . Un sistema di assiomi deve possedere alcuni requisiti; citiamo Hilbert : " Se raccogliamo insieme i dati di un campo conoscitivo più o meno esteso, ci accorgiamo presto che questi dati ammettono un ordinamento. Questo ordina­ mento viene ottenuto ogni volta per mezzo di una certa intelaiatura di concetti, in modo che ad ogni singolo oggetto di quel campo conoscitivo corrisponde un concetto di questa intelaiatura e ad ogni dato interno al campo conoscitivo cor­ risponde una relazione logica tra i concetti . L'intelaiatura dei concetti non è che la teoria di quel campo conoscitivo . . . Perché la teoria di un campo conoscitivo (cioè l'intelaiatura di concetti che la esprime) possa servire al suo scopo (cioè ad orientare e ad ordinare), devono essere soddisfatti principalmente due requisiti : si deve offrire in primo luogo un quadro complessivo sulla dipendenza (risp . , indipendenza) dei teoremi della teoria, e in secondo luogo una garanzia della non-contraddittorietà di tutti i teoremi della teoria. In particolare, sotto questi due punti di vista vanno esaminati gli assiomi di ciascuna teoria" (traduzione in [Bottazzini-Freguglia-Toti Rigatelli, 1 992, p. 452]). Per illustrare la concezione hilbertiana di un sistema di assiomi, presenteremo le impostazioni indicate da Hilbert per la geometria e per i numeri reali ( 1 1 ) . 20.3.2. I termini primitivi della geometria di Hilbert

Ad Hilbert è dovuta la fondamentale impostazione assiomatica della geo­ metria euclidea, pubblicata nel 1 899 nei Grundlagen der Geometrie (I fonda­ menti della Geometria) [Hilbert, 1 970] ; importanti sono anche da considerare precedenti ricerche ( 1 8 82) dovute a Moritz Pasch ( 1 843 - 1 93 0) [Struik, 1 98 1 ] . Hilbert introdusse tre termini primitivi (termini non definiti esplicitamente, la cui definizione implicita è contenuta negli assiomi); essi sono

(l 1 )

" In logica Hilbert, quasi contemporaneamente a Pcano, riedificò completamente,

legato a Leibniz ci aveva lasciato . Nei suoi Grundzuge der theoretischen Logik Hilbert

sia da un punto di vi sta teoretico, sia simbol ico, ciò che l'eredità di un passato ancora

ristruttura completamente la logica matematica dandole, sostanzialmente, la forma rigorosa attuale" [D'Amore-Matteuzzi , 1 9 7 5 , p . 1 5 7 ) .

445

• • •

il punto; la retta; il p iano .

Inoltre, egli introdusse alcune relazioni primitive (ovvero relazioni non defini­ te esplicitamente, ma la cui definizione è implicita negli assiomi) : • • • • •

appartenere a, o essere incluso in; essere compreso fra; essere congruente a; essere parallelo a; essere continuo.

A questi elementi pri mitivi (termini e relazioni) Hilbert fece seguire venti as­ siomi, divisi in cinque gruppi, mediante i quali gli elementi primitivi trovano un'implicita definizione.

20.3.3. Gli assiomi della geometria di Hilbert

Primo gruppo: gli assiomi di appartenenza Con il primo gruppo di assiomi, Hilbert si occupa della relazione di apparte­ nenza, ovvero del collegamento tra i concetti primitivi denominati punto, retta e ptano . Assioma l del I gruppo. Per ogni coppia di punti, esiste (almeno) una retta alla quale tali punti appartengono . Assioma 2 del I gruppo. Per ogni coppia di punti distinti, esiste al più una retta alla quale tali punti appartengono. Assioma 3 del I gruppo. Ad una retta appartengono (almeno) due punti . Esistono (almeno) tre punti che non appartengono alla stessa retta. Assioma 4 del I gruppo. Per ogni tema di punti, esiste (almeno) un piano al quale tali punti appartengono . Assioma 5 del I gruppo. Per ogni tema di punti non appartenenti alla stessa retta, esiste al più un piano al quale tali punti appartengono . Assioma 6 del I gruppo. Se due punti distinti di una retta appartengono ad un piano, allora ogni punto di quella retta appartiene a quel piano . In tale caso, si dice che quella retta appartiene a quel piano . Assioma 7 del I gruppo. Se due piani hanno in comune un punto, allora hanno in comune (almeno) un altro punto. Assioma 8 del I gruppo. Esistono (almeno) quattro punti che non apparten­ gono allo stesso piano .

446

Secondo gruppo: gli assiomi dell'ordine Con il secondo gruppo di assiomi, Hilbert si occupa della relazione essere compreso fra, ovvero dell'ordinamento dei punti su di una retta, nel piano e nello spazio. Assioma l del I I gruppo. Se un punto P è compreso tra i punti A e B, allora A, P, B sono punti distinti di una stessa retta e P è anche compreso tra B e A Assioma 2 del II gruppo. Dati i punti C e D, esiste (almeno) un punto E della retta a cui appartengono C e D tale che D sia compreso tra C ed E. Assioma 3 del II gruppo. Dati tre punti di una stessa retta, ne esiste al più uno compreso tra gli altri due. Assioma 4 del II gruppo (assioma di Pasch). Dati tre punti A, B, C non appartenenti alla stessa retta, sia r una retta del piano al quale appartengono i tre punti A, B, C; se r passa per un punto del segmento AB, allora essa passa anche per un punto del segmento AC oppure per un punto del segmento B C .

Terzo gruppo: gli assiomi della congruenza Con il terzo gruppo di assiomi, Hilbert si occupa della relazione di za e della possibilità del trasporto di segmenti e di angoli .

congruen­

Assioma l del III gruppo. Dato un segmento AB ed una semiretta di origi­ ne A', esiste su tale semiretta un punto B' tale che AB sia congruente ad A'B'. Assioma 2 del III gruppo. Se due segmenti sono congruenti ad un terzo segmento, allora essi sono congruenti tra di loro. Assioma 3 del III gruppo. Dati i due segmenti adiacenti AB, BC (ovvero tali che i punti A, B, C appartengano alla stessa retta) e dati i due segmenti adiacenti A'B', B'C' (ovvero tali che i punti A', B', C' appartengano alla stessa retta), se AB è congruente ad A'B' e BC è congruente ad A'C', allora AC è con­ gruente ad A' C'. I segmenti AC, A'C' sono dette le rispettive somme naturali dei segmenti AB, BC ed A'B', B'C'. Assioma 4 del III gruppo. Nel piano a, sia (a; b) l'angolo convesso avente per lati le semirette a, b di comune origine; nel piano a' , sia cr' un semipiano avente per origine la retta r'; sia a' una semiretta di r' avente per origine il punto O'; allora, in cr' esiste una ed una sola semiretta b' di origine O' tale che l'angolo (a; b) sia congruente all'angolo (a'; b') . Assioma 5 del III gruppo. Sia il segmento AB congruente ad A'B', il seg­ mento AC congruente ad A'C', l'angolo BAC congruente a B'A'C'; allora: l'an­ golo ABC è congruente all'angolo A'B'C'. Sia il segmento AC congruente ad A'C', il segmento AB congruente ad A'B', l'angolo CAB congruente a C'A'B'; allora: l'angolo ACB è congruente all'angolo A'C'B'

447

Quarto gruppo: l'assioma delle parallele Il quarto gruppo di assiomi è costituito dal solo assioma delle parallele. Assioma l del IV gruppo (assioma di Euclide). Data una retta r ed un punto P non appartenente ad essa, nel piano al quale appartengono r e P esiste al più una retta r' alla quale appartenga P tale che r' non intersechi r.

Quinto gruppo: gli assiomi di continuità Il quinto gruppo di assiomi, comprendente gli assiomi denominati di conti­ nuità, è costituito dall'assioma di Archimede e dall'assioma di completezza. Assioma l del V gruppo (assioma di Archimede). Dati due segmenti AB, CD, esiste un numero naturale n :t:. O tale che, se si riporta sulla semiretta AB (di origine A) n volte CD a partire da A, il punto P che si determina quale secondo estremo della somma naturale CD+CD+CD+ . . . +CD (n volte) non è compreso tra A e B . Assioma 2 del V gruppo (assioma della completezza lineare). I l sistema di punti di una retta, con le proprietà di ordine e di congruenza in esso definite, non ammette alcuna estensione tale da conservare tutte le relazioni tra gli ele­ menti preesistenti .

Si noti che Hilbert tradusse in termini assiomatici la continuità della retta scindendo tale continuità in due problemi distinti, individuati rispettivamente dall'assioma archimedeo e dall'assioma di completezza.

20.3.4. Non-contraddittorietà e indipendenza degli assiomi di Hilbert

In Grundlagen der Geometrie, Hilbert provò la piena correttezza della pro­ pria impostazione, dimostrando : •

la non-contraddittorietà del sistema di assiomi, ovvero l'impossibilità di dedurre dagli assiomi una conseguenza tale da contraddire uno di essi; • l'indipendenza degli assiomi introdotti, ovvero l'impossibilità di dimostrare uno di essi sulla base degli altri . Hilbert portò dunque a compimento il grande edificio logico euclideo, confe­ rendo ad esso organicità e rigore. Chiudiamo questa sintetica presentazione del­ l'assiomatica della geometria hilbertiana con una frase di H. Freudenthal, nella quale è ben riassunto il ruolo di Hilbert nella storia della geometria:

44 8

"Difficilmente un altro matematico potrà competere, come Hilbert, con il suo antico collega Euclide" [Freudenthal, 1 957].

20.3.5. L' introduzione assiomatica dei reali di Hilbert

Hilbert diede un'introduzione assiomatica anche per i reali. Come vedremo dal testo hilbertiano, il numero è introdotto come termine non definito : "Nella teoria del concetto di numero, il metodo assiomatico si configura co­ me segue: pensiamo un sistema di cose; chiamiamo queste cose numeri, e indi­ chiamali con a, b, c, . Pensiamo questi numeri in certe mutue relazioni la cui descrizione precisa e completa avviene mediante i seguenti assiomi : . .

Primo gruppo. Assiomi di connessione Assioma l del I gruppo. Dal numero a e dal numero b nasce per addizione un numero definito c; in simboli : a+b = c o c = a+b. Assioma 2 del I gruppo. Se a e b sono numeri dati, allora esistono uno ed un solo numero x e uno ed un solo numero y tali che: a+x = b e y+a = b. Assioma 3 del I gruppo. Esiste un numero definito, indicato con O, tale che per ogni numero a risulta: a+O = a e O+a = a. Assioma 4 del I gruppo. Dal numero a e dal numero b nasce, mediante mol­ tiplicazione, un numero definito c; in simboli : ab = c o c = ab. Assioma 5 del I gruppo. Se a e b sono numeri dati arbitrari e a non è O, al­ lor� esistono uno ed un solo numero x e uno ed un solo numero y tali che ax = b

e ya = b.

Assioma 6 del I gruppo. Esiste un numero definito, denotato con l , tale che per ogni a risulta: a· I = a e I ·a = a.

Secondo gruppo. Assiomi di calcolo Se con formule:

a, b, c si indicano numeri qualsiasi, allora valgono sempre le seguenti

Assioma Assioma Assioma Assioma Assioma Assioma

l

2 3 4 5 6

del del del del del del

II II II II II

gruppo. gruppo. gruppo. gruppo. gruppo. II gruppo.

a+(b+c) = (a+b)+c. a+b = b+a. a(bc) = (ab)c. a(b+c) = ab+ac. (a+b)c = ac+bc. ab = ba.

449 Terzo gruppo. Assiomi d'ordine Assioma l del III gruppo. Se a e b sono due numeri qualsiasi distinti, allora uno di essi è sempre maggiore dell'altro, che è detto minore del primo; in simbo­ li : a>b e bb e b>c, allora: a>c. Assioma 3 del III gruppo. Se a>b, allora è sempre vero che : a+c>b+c e c+a>c+b . Assioma 4 del III gruppo. S e a>b e c>O, allora: ac>bc e ca>cb .

Quarto gruppo. Assiomi di continuità Assioma l del IV gruppo. Assioma di Archimede. Se a>O e b>O sono due numeri arbitrari, allora è sempre possibile sommare a a se stesso un numero sufficiente di volte in modo tale che si abbia: a+a+ . . . +a>b. Assioma 2 del IV gruppo. Assioma di completezza. Non è possibile ag­ giungere al sistema dei numeri una qualsiasi collezione di cose in modo tale che nella collezione combinata siano soddisfatti gli assiomi precedenti; cioè i numeri formano un sistema di oggetti che non può essere allargato in modo tale che gli assiomi precedenti continuino a valere" (traduzione in [Bottazzini-Freguglia-T o­ ti Rigatelli, 1 992, pp . 456-45 8] e in [Kline, 1 99 1 , II, pp. 1 1 5 6- 1 1 57]).

Lo stesso Hilbert sottolineò che gli assiomi ora presentati non sono indi­ pendenti, ovvero che alcuni di essi possono essere dedotti dagli altri .

20.3.6. Zermelo e l' assiomatizzazione della teoria degli insiemi

L'impostazione formalistica hilbertiana ebbe importanti riflessi anche nella teoria degli insiemi, inizialmente presentata da Cantar senza il ricorso ad un'im­ postazione assiomatica rigorosa. Seguiamo A. Cantini : "Nel 1 9 04, al III congresso internazionale dei matematici, Hilbert aveva so­ stenuto che solo una fondazione simultanea di logica e matematica poteva sal­ vaguardare dalle antinomie l'edificio matematico . Lo strumento capace di tale unificazione è proprio il metodo assiomatico; ma solo dopo il 1 9 1 8 l'idea hilber­ tiana diviene il fulcro di un concreto progetto . . . L'assiomatizzazione della teoria degli insiemi ad opera di Zermelo ( 1 908) costituisce una tappa fondamentale" [Cantini, 1 979, p. 1 83 ] . L'applicazione del metodo assiomatico alla teoria degli insiemi ebbe dunque in Ernest Zermelo ( 1 87 1 - 1 953) il principale protagonista. Zermelo riteneva che

450

la causa del sorgere delle antinomie della teoria degli insiemi doveva essere ricercata nell'insufficiente definizione del concetto di insieme (Cantor non ri­ chiedeva alcuna particolare restrizione: un insieme era semplicemente una qual­ siasi collezione di enti del nostro pensiero) [Dieudonné, 1 989, p. 1 8 8] . Per comprendere la proposta di Zermelo è dunque opportuno ritornare bre­ vemente alla situazione della nozione di insieme alla fine del XIX secolo. Citiamo in proposito E. Casari : "Più di mezzo secolo di discussioni e sviluppi della teoria cantoriana ci per­ mettono di indicare come caratteristiche del concetto cantoriano di insieme le seguenti proprietà: l ) La sua esistenza in corrispondenza ad ogni molteplicità di enti distinti caratterizzabili da una condizione. 2) La sua determinazione completa da parte degli elementi della molteplicità corrispondente. 3) La sua sostanzialità nel duplice aspetto di : a) individualità e cioè capacità al pari di ogni altra sostanza individuale a go­ dere di attributi, ad essere, cioè, elemento di molteplicità; b) assolutezza e cioè indipendenza dal linguaggio nel senso che un insieme e le sue proprietà sono indipendenti da ogni nostra possibilità linguistico-teoretica di caratterizzarli " [Casari, 1 964, p. 2 1 ] . Abbiamo però potuto verificare che una simile concezione di insieme non po­ teva essere considerata sufficiente a causa del possibile sorgere di antinomie logiche, come l'antinomia di Russell; era pertanto necessario procedere ad una sua correzione, ovvero ad una più dettagliata specificazione del concetto di in­ Sieme. Abbiamo già presentato la teoria dei tipi : come abbiamo visto, Russell era dell'opinione che "la limitazione debba riguardare la natura delle sostanze che intervengono come elementi nella molteplicità e che si debba ammettere l'esi­ stenza degli insiemi solo in corrispondenza a molteplicità i cui elementi siano omogenei dal punto di vista di una gerarchia delle sostanze" [Casari, 1 964, p . 32]. L a scelta d i Zermelo è ben diversa: egli "ritiene invece che l a limitazione deb­ ba riguardare la natura delle molteplicità (non quella dei suoi elementi) e che cioè si debbano ammettere solo gli insiemi corrispondenti a certe molteplicità particolari costituite attraverso l'applicazione di certi ben determinati processi " [Casari, 1 964, p. 32] . Così M . Kline descrive l'impostazione di Zermelo : "Il programma di Zermelo prevedeva di ammettere nella teoria degli insiemi solo quelle classi che con meno probabilità avrebbero generato contraddizioni . Perciò la classe nulla [vuota], ogni classe finita e la classe dei numeri interi sem-

45 1

bravano sicure. Data una classe sicura, certe classi formate da essa, come ogni sottoclasse, l'unione delle classi sicure e la classe di tutti i sottoinsiemi di una classe sicura dovrebbero essere classi sicure. Tuttavia egli evitava la comple­ mentazione perché, mentre x può essere una classe sicura, il suo complemento . . . potrebbe non essere sicuro in qualche universo di oggetti" [Kiine, 1 99 1 , II, p. 138 1]. Presenteremo l a traduzione degli assiomi della teoria degli insiemi d i Zerme­ lo, risalenti al 1 908 (seguiremo [D'Amore-Matteuzzi, 1 975, p. 96]): Assioma I . Bestimmtheit o Assioma della determinazione. Se ogni elemen­ to di un insieme M è anche un elemento di N, e viceversa, allora è M = N: per­ tanto ogni insieme è determinato dai propri elementi . Assioma II. Elementarmengen o Assioma degli insiemi elementari . Esiste un insieme improprio, l'insieme vuoto, che non contiene alcun elemento. Se a è un oggetto del dominio [per Zermelo, sinonimo di insieme], esiste l'insieme { a } che contiene soltanto a come elemento. Se a e b sono oggetti del dominio, al­ lora esiste l'insieme { a, b } che contiene come elementi a, b e soltanto essi . Assioma III. Aussonderung o Assioma di separazione. Se un predicato F(x) è definito per tutti gli elementi di un insieme M, allora M ha un sottoinsie­ me MF che contiene come elementi tutti gli elementi x di M per i quali il predi­ cato F(x) è vero . Assioma IV. Potenzmenge o Assioma dell' insieme potenza . Ad ogni insie­ me T corrisponde un insieme P(T) che contiene come elementi tutti e soltanto i sottoinsiemi di T. Assioma V. Vereinigung o Assioma dell'unione. Ad ogni insieme T corri­ sponde un insieme S(T) che contiene come elementi tutti e soltanto i sotto­ insiemi di T che contengono un solo elemento.

Il nome di Zermelo è legato inoltre all'assioma della scelta [Rubin-Rubin, 1 963 ] ; secondo tale assioma, dato un insieme qualsiasi di insiemi non vuoti e disgiunti, è possibile scegliere un elemento in ciascuno di tali insiemi in modo che questi elementi costituiscano un (nuovo) insieme ( 1 2 ). La sua formulazione originale è la seguente :

( 1 2 ) Sull'assioma di scelta nella forma originale e nelle forme ad essa equivalenti si veda [Monk, 1 972, pp . 1 5 1 - 1 65 ] . "L'assioma di scelta ha applicazioni importanti in quasi tutti i settori della matematica; in particolare, nella stessa teoria degli insiemi e in algebra, analisi e topologia" [Rogers, 1 978, p . 1 54] .

452

Assioma VI. A uswahlt o Assioma della scelta . Se T è un insieme, del quale gli elementi sono insiemi non vuoti a due a due disgiunti, allora l'insieme unione S(T) contiene almeno un sottoinsieme S1 avente uno ed un solo elemento in co­ mune con ciascun elemento di T. Assioma VII. Axiom des Unendlichen o Assioma dell' infinito . Il dominio contiene almeno un insieme Z contenente a sua volta l'insieme vuoto come elemento ed è costituito in modo tale che a ciascun suo elemento a corrisponda un ulteriore elemento { a } .

Si ottiene l'insieme infinito costituito da: O, { 0 } , { { 0 } } , Abraham A . Fraenkel ( 1 89 1 - 1 965) riprese i risultati d i Zermelo e nel 1 922 li formulò nel linguaggio del calcolo dei predicati : il sistema assiomatico per la teoria degli insiemi che venne messo a punto è noto come sistema di Zermelo­ Fraenkel, identificato dalla sigla ZF, una teoria del primo ordine con uguaglian­ za (si veda [Lolli, 1 974, pp. 1 5- 1 8] e [Rogers, 1 978, pp. 1 3 7- 1 5 6] ; per una sua presentazione informate ma corretta si veda [Crossley, 1 976, pp. 93 - 1 2 1 ]). An­ che per sottolineare la differenza formale rispetto agli assiomi sopra riportati, richiamiamo la moderna espressione degli assiomi di ZF : A l . Assioma di estensionalità :

(\fx) (\fy) (\fz(zE x � zEy) � x = y)

Questo assioma è decisivo per il superamento delle antinomie logiche: Zer­ melo dimostrò infatti che " ogni insieme ha almeno un sottoinsieme che non è suo elemento . . . Questo risultato elimina evidentemente l'antinomia di Russell " [Casari, 1 964, p. 44] . Definiamo xçy con :

(\fz) (zE x � zEy).

A2 . Assioma dell' insieme vuoto :

(3x) (\fy)-.(yE x) Si noti che A2 afferma l'esi stenza dell'insieme vuoto, che indicheremo con 0 ; la sua unicità è garantita d a A l . A3 .

Assioma della cop pia (non o rdinata) :

(Vx) (Vy) (3z) (Vw) (w E z � (w = x v w = y))

453 A4. Assioma dell' insieme somma (o dell' unione) : (\ix)(3y)(\iz) (z Ey � ( 3t)(z E t 1\ I E x)) Definiamo z = .xuy con: (\i t)(tE z � (tEx v tEy)). A5 . Assioma dell' infinito : (3x)(0 EX 1\ ( \iy)(yEX � yu{y} Ex)) All'insieme infinito che si può costruire in base ad A5 appartengono come elementi i termini della successione: 0, { 0 } , { 0, { 0 } } , { 0, { 0, { 0 } } } , . . . A6 n . Schema d i assiomi d i rimpiazzamento : (\i t 1 ) . . . ( \i tk) ((\ix)(3 !y)Aix, y, 11, . . . , tk) � (\iu)(3v)B(u, v)) , dove B(u, v) significa ('v'r)(rE v � ( 3s)(sE u 1\ An(s, r, t 1, . . . , tk))) Ogni assioma di tale schema corrisponde ad una An. A7. Assioma dell' insieme potenza : (\ix)(3y)(\iz)(z Ey � zç.x) A8 . Assioma di scelta : se esiste una funzione A: a.�A a che ad ogni a. E x fa corrispondere A a :�; 0 (x ç dominio di A), allora esiste almeno una funzione/ a.�.f{a.) defi­ nita per ogni a.Ex (x ç dominio di}) tale che .f{a.) EA a A9. Assioma di regolarità : (\ix)(3y) (x -:;; 0 v (y Ex 1\ (\iz)(z Ex � -.(z Ey)))) Un altro sistema di assiomi fu ideato da John von Neumann ( 1 903- 1 957), che introdusse una distinzione tra "insieme" e "classe" . Citiamo ancora E. Casari a proposito dell'impostazione di von Neumann: "La caratteristica fondamentale di questo impianto della teoria degli insiemi è costituita dall'idea che non è tanto l'esistenza degli insiemi in corrispondenza ad ogni molteplicità quella che dà origine alle contraddizioni, quanto invece . . . l'as­ sunzione che ogni insieme possa entrare a far parte di altri insiemi " [Casari, 1 964, p. 5 6] . Von Neumann ritenne dunque opportuno individuare due diversi tipi di " ag­ gregati" : gli insiemi, che possono essere membri di una classe, e le classi, che

454

non possono, a loro volta, appartenere ad una classe (né ovviamente ad un in­ sieme) ( 1 3). Le ricerche di Von Neumann ( 1 925) furono riprese nel 1 940 da Kurt Godei ( 1 906- 1 978) e tra il 1 93 7 ed il 1 95 8 da Pau! Bemays ( 1 8 8 8- 1 979); dalle loro iniziali il sistema viene indicato con la sigla NGB [Mendelson, 1 972] (sul ruolo di NGB rispetto a ZF si veda [Casari, 1 964] e [Lo11i, 1 98 5 ]).

20.4. D a Godei, a Turing, a Church

20.4. 1 . L'assiomatica di Peano e i risultati di Godei

L'impostazione formalistica, dunque, portava i matematici tra il XIX e il XX secolo a cercare le fondazioni assiomatiche de1le teorie; ma l'entusiasmo per i successi conseguiti ebbe a scontrarsi con alcuni risultati de1la logica [Cantini, 1 979] . Ci riferiremo innanzitutto all'assiomatica per i numeri naturali . È innanzitutto opportuno sottolineare un'importante caratteristica dell'impo­ stazione assiomatica di Peano, precedentemente illustrata: essa descrive l'insie­ me N, ma non definisce specificamente la successione dei numeri naturali at­ traverso un numero finito di assiomi; grazie agli studi di alcuni logici del Nove­ cento (ricordiamo T. Skolem, che pubblicò le proprie ricerche nel 1 93 3 ) venne dimostrata l'impossibilità di caratterizzare l'insieme dei naturali con un nu­ mero finito o numerabile di postulati. Alla luce di quest'ultimo fondamentale risultato, quindi, l'impostazione as­ siomatica di Peano per i naturali non può essere considerata come una specifica e completa introduzione assiomatica di N (costituita da un numero finito di as­ siomi). Tuttavia sarebbe riduttivo e storicamente ingiusto ridurre l'opera peania­ na ad un semplice tentativo fallito : essa va considerata come un'utile ed elegante descrizione di N, grazie alla quale è possibile ottenere brillantemente la di­ mostrazione dei risultati propri dell'aritmetica. Nel 1 928, inoltre, Hilbert pose la questione della completezza dell'aritmetica di Peano, ovvero chiese di stabilire se applicando gli assiomi peaniani sia pos­ sibile dimostrare o confutare ogni proposizione aritmetica. La risposta giunse appena tre anni dopo, e provocò un vero terremoto nella comunità matematica: nel 1 93 l il logico e matematico austriaco Kurt Godei ( 1 906- 1 978) dimostrò che l'aritmetica di Peano non è completa e che è impossibile costruire un sistema di assiomi per l'aritmetica tale da garantire tale completezza. ( 1 3) Con una semplice distinzione: "Le classi sono insiemi così grandi da non poter essere contenute in altri insiemi o classi, mentre gli insiemi sono classi più ristrette, e possono essere membri di una classe" [Kline, 1 99 1 , Il, p. 1 3 8 1 ] .

455

Pertanto, tutte le teorie aritmetiche (l'aritmetica di Peano, ma anche altre teo­ rie sviluppate sui numeri naturali) contengono proposizioni indecidibili, ovvero la cui verità non può essere dimostrata o confutata mediante una catena di de­ duzioni, partendo dagli assiomi (alla decidibilità dedicheremo il paragrafo se­ guente). Un simile risultato è certamente di estrema importanza. Ma Godei si spinse oltre: si occupò anche della questione della non-contraddittorietà della teoria elementare dei numeri, ovvero della possibilità di ottenere, nell'àmbito di essa, due risultati in contraddizione tra di loro. Godei giunse a provare che è impossi­ bile dimostrare la non-contraddittorietà della teoria elementare dei numeri: si tratta di uno dei più profondi ed importanti risultati della logica matematica del xx secolo; una dimostrazione di impossibilità che contribuì pesantemente a de­ terminare la crisi del formalismo ( 1 4) .

20.4.2. "Quante sono" le dimostrazioni di teoremi matematici?

Abbiamo appena ricordato l'opera di Godei, che dimostrò che tutte le teorie aritmetiche contengono proposizioni indecidibili, ovvero la cui verità non può essere dimostrata o confutata mediante una catena di deduzioni, partendo dagli assiomi. Approfondiremo ora il problema della decidibilità, che collegheremo ad alcune considerazioni riguardanti gli algoritmi. Pochi anni prima della pubblicazione del teorema di Godei, nel 1 926, Paul Finsler ( 1 894- 1 970) propose una questione assai profonda, a dispetto della for­ mulazione semplice, condensata nella " strana" domanda: quante sono, comples­

sivamente, le dimostrazioni di. . . tutti i teoremi matematici? La risposta infinite, sebbene si presenti spontaneamente, non può essere con­

siderata esauriente. Sappiamo infatti che ogni dimostrazione matematica deve poter essere scritta utilizzando un alfabeto finito di simboli (tutti i numeri, le lettere dell'alfabeto, i segni etc. che compaiono nella scrittura di una dimostrazione). Combinando (anche con ripetizione) questi simboli possiamo ottenere al più un'infinità aven­ te la potenza del numerabile di dimostrazioni matematiche. Proprio da questa semplice osservazione "combinatoria" sorgerà, come vedremo, un problema teorico di notevole portata. Ricordiamo che il numero a.ER si dice algebrico se è zero di un polinomio non nullo a coefficienti razionali; il numero a. E R si dice trascendente se non è algebrico, ovvero se non esiste alcun polinomio non nullo a coefficienti razionali del quale a. è zero .

( 1 4) Scrivono B . D'Amore e M. Matteuzzi : "Il progranuna hilbertiano (e quindi for­

malista in senso stretto), pur se storicamente ha un'importanza di primo piano, fu dimo­ strato irrealizzabile dal celebre teorema di GOdei" [D'Amore-Matteuzzi, 1 975, p. 1 5 1 ] .

456

Consideriamo ora gli enunciati che possono essere scritti nella forma:

a E R è trascendente Quanti enunciati sono rappresentati dalla frase ora scritta? Infiniti, e più pre­ cisamente un'infinità avente la potenza del continuo (un enunciato per ogni nu­ mero reale). Ma abbiamo sopra affermato l'esistenza di un'infinità avente la po­ tenza del numerabile di dimostrazioni. Dunque si pone il problema : l'enunciato "aE R è trascendente" può essere dimostrato oppure confutato per ogni aER? Riflettendo sulle precedenti annotazioni, possiamo riprendere il concetto di problema decidibile, e riferire tale concetto alla nozione di algoritmo : diremo decidibile un problema per il quale esiste un algoritmo (quindi una procedura eseguibile con un numero finito di passi) in grado di risolverlo ( 1 5).

20.4.3. Funzioni computabili

Alla nozione di problema decidibile si collega direttamente quella di funzione computabile. Consideriamo una funzione N � N, n�fin). Essa viene detta com­ putabile se esiste, per ogni naturale n, un procedimento mediante il quale cal­ colare.f(n) in un numero finito di passaggi . Non è difficile fornire esempi elementari di funzioni computabili . Le funzioni N�N : n

fin) = � ) = 1 +2+3+ . . . +n i�l

fin) =

n

n i = 1 ·2· 3 · . . . ·n = n ! i�l

sono computabili : i loro valori possono essere calcolati, per ogni n naturale, ri­ spettivamente con n- 1 addizioni o con n- 1 moltiplicazioni. Assai meno agevole è immaginare casi di funzioni non computabili . Riportiamo a tale proposito un procedimento di Godei nella versione propo­ sta da [Mendelson, 1 972, pp. 1 67 - 1 68] (tale procedimento è dettagliatamente illustrato in [D'Amore-Matteuzzi, 1 975]).

( 1 5) Osserviamo che la questione della decidibilità dell'enunciato "a E R è trascen­ dente" è naturalmente tutt'altro che chiusa da quanto sopra esposto; a tale riguardo, infatti, si dovrebbe tener conto che una singola dimostrazione di trascendenza può esse­ re riferita ad un 'infinità di numeri reali e bisognerebbe ad esempio domandarsi se tale infinità può avere la potenza del continuo.

457

Consideriamo una teoria del primo ordine K e consideriamo i simboli - , :::>, le parentesi, la virgola, le variabili individuali xk> le costanti individuali aie> le lettere funzionali .J;t, le lettere predicative Akn (l'apice indica il numero degli argomenti; il pedice distingue lettere diverse con lo stesso numero di argomenti; per ulte­ riori approfondimenti si veda ad esempio [Mendelson, 1 972, p. 6 1 ]). Mettiamo ora a punto un sistema per associare un numero naturale ad ogni e­ spressione matematica (operazioni, equazioni, enunciati, dimostrazioni . . . ); tale procedimento viene detto aritmetizzazione. Facciamo cioè corrispondere ad o­ gni simbolo u impiegato nella scrittura di una espressione (tutti i numeri, le let­ tere dell'alfabeto, i segni etc.) un numero naturale g(u), detto numero di Godei (o godeliano) di u. In tale modo, "traducendo" ogni simbolo in base alla corri­ spondenza prefissata, ad ogni scrittura può essere associato un numero naturale. La tabella di conversione è la seguente:

g(() = 3 g()) = 5 g(,) = 7 g(-) = 9 g(:::>) = 1 1 g(xk) = 5+8k g(ak) = 7+8k g(hn) = 9+8(2n3 k) g(Akn) = 1 1 +8(2n3 k)

per k = l , 2, . . per k = l , 2, . . per k, n� l per k, n� l .

.

Due simboli diversi hanno dunque due diversi numeri di Godei; ogni numero di Godei di un simbolo è un naturale dispari. Data l'espressione u1u2 . . . u,., il suo numero di Godei viene definito da:

g(u l U2

· · ·

U r) =

2g(u, )3g(u2) pr - 1 g(u,) · · ·

(essendo P; l'i-esimo numero primo e p0 = 2). Ogni numero di Godei di un'espressione è un naturale pari che, scomposto in fattori primi ha come esponenti dei numeri naturali dispari. L'unicità della scom­ posizione in fattori primi assicura che due espressioni diverse hanno numeri di Godei diversi [Mendelson, 1 972, p. 16 7] . Data la successione di espressioni e1, e2, . . . e,., il suo numero di Godei viene definito da:

g(e l• e 2 • e ) = 2g(e,)3g(e2) pr - 1 g(e, ) · · ·

r

· ·

·

Si tratta di un numero naturale pari che, scomposto in fattori primi, ha come esponenti dei numeri naturali pari.

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Dunque ad ogni funzione computabile può essere fatto corrispondere il pro­ prio numero di Godei . Ma non vale il viceversa; innanzitutto non tutti i numeri naturali sono numeri di Godei (ad esempio, I O non è un godeliano : la sua scom­ posizione in fattori, 2 · 5 , non comprende il 3 ) ; inoltre, non ogni numero naturale (anche se si tratta di un godeliano) è il numero di Godel di una funzione com­ putabile. Infatti, anche ammesso che un naturale assegnato, "tradotto" mediante la prefissata tabella di conversione, origini una sequenza di simboli, non è detto che tale sequenza abbia un qualche significato matematico, e tanto meno che essa indichi una funzione computabile. Consideriamo ora la funzione N�N. n�(n) definita da:

(n) = l (n) = j(n) + l

se e solo se n non è il numero di Godei di una funzione computabile se e solo se n è il numero di Godei di una funzione computabilej(n)

E giungiamo finalmente al problema centrale:

putabile ?

la funzione n�(n) è com­

Se essa lo fosse, esisterebbe un numero di Godei N+ per (n), che potrebbe essere ottenuto trasformando il procedimento di calcolo di (n) mediante la fis­ sata tabella di conversione. Ma allora risulterebbe (in base alla stessa definizione della funzione ) :

e tale uguaglianza è assurda. Possiamo dunque concludere che l'assegnata fun­ zione n�(n) non è una funzione computabile

20.4.4. Una macchina per calcolare: la macchina di Turing

Il calcolo pratico e gli strumenti per agevolarlo furono certamente tra gli in­ teressi dei matematici dell'età moderna e contemporanea: ricordiamo che il re­ golo calcolatore venne ideato all'inizio del XVII secolo da Edmund Gunter ( 1 5 8 1 - 1 626) e regoli circolari furono introdotti da William Oughtred ( 1 5 741 660) . Macchine per il calcolo furono ideate anche da Samuel Morland ( 1 6251 695), ma è Charles Babbage ( 1 792- 1 87 1 ) ad essere considerato il vero pionie­ re di tali strumenti ( 1 8 3 3 ) . Il primo calcolatore meccanico moderno fu realizzato nel terzo decennio del XX secolo da Vannevar Bush ( 1 890- 1 975), mentre il pri­ mo calcolatore interamente elettronico, denominato ENIAC, fu realizzato nel

459

1 944; cinque anni dopo fu allestito il primo elaboratore in grado di operare in base ad un programma predisposto . Il funzionamento di un calcolatore (come di ogni macchina per eseguire operazioni o algoritmi) coinvolge alcune importanti questioni teoriche che sono riassunte ed esaminate nella branca della logica matematica che si occupa della computazione. In questo e nei prossimi paragrafi presenteremo una selezione di questioni inerenti alla teoria della computazione, partendo dalla presentazione della macchina di Turing, ideata nel 1 93 6 dal matematico inglese Alan Turing ( 1 9 1 2- 1 954), una macchina in grado di eseguire le operazioni descritte in un (qualsiasi) algoritmo [Manna, 1 978] . Una macchina di Turing è costituita da: •

un nastro rettilineo (unità di memoria), di lunghezza infinita in entrambe le direzioni, suddiviso sequenzialmente in celle, ciascuna delle quali può recare impresso un simbolo, tratto da un apposito alfabeto, costituito da un numero finito di simboli; • una testina di lettura e di scrittura, in grado di muoversi lungo il nastro di una cella (a sinistra o a destra) per volta, di leggere i simboli dell'alfabeto contenuti in ciascuna cella, di scrivere e di cancellare simboli dell'alfabeto nelle celle del nastro; • un'unità aritmetica, in grado di eseguire le operazioni aritmetiche elementari; • un'unità di controllo, in grado di stabilire le modalità di funzionamento della macchina dopo ogni operazione. Il funzionamento dell'unità di controllo (e dunque il funzionamento dell'intera nostra macchina) è regolato da un programma specifico rispetto all'algoritmo che la macchina stessa è chiamata ad eseguire. Il programma è costituito da una sequenza ordinata di istruzioni numerate, tratte dalla seguente lista:

istruzione D istruzione S istruzione N istruzione a istruzione Sk istruzione Sak istruzione A

la testina si sposta verso destra; la testina si sposta verso sinistra; la testina non si sposta; la testina cancella il simbolo attualmente nella cella di lettura e sostituisce ad esso il simbolo a; il programma prosegue con la k-esima istruzione; il programma prosegue con la k-esima istruzione se e solo se il simbolo attualmente nella cella di lettura è a; arresto .

Il funzionamento di una macchina di Turing, convenzionalmente, prevede che la testina sia inizialmente collocata in corrispondenza della cella non vuota più a sinistra di una parola (o di un'istruzione) scritta sul nastro; l'unità di controllo

460

della macchina inizia allora ad eseguire la prima istruzione del programma e (a meno che l'istruzione in esecuzione non sia il salto, Sk, o il salto condizionato S ak) passa ad eseguire, sequenzialmente, le istruzioni successive. Prima di proseguire, proponiamo un semplice esempio . Consideriamo una macchina di Turing con la testina posizionata in corri­ spondenza della cella non vuota più a sinistra di una parola (o di un'istruzione) scritta sul nastro. Desideriamo che la macchina si sposti a destra cancellando, di volta in volta, tutti i simboli presenti nelle celle e scrivendo, in ogni cella, il simbolo a.. Tutto ciò dovrà accadere finché la testina non leggerà, in una cella, il simbolo f3 : a questo punto il funzionamento della macchina di Turing dovrà ar­ restarsi . Il programma è il seguente: (istruzione l ) (istruzione 2) (istruzione 3 ) (istruzione 4) (istruzione 5)

a.

D sps Sl A

20.4.5. La tesi di Church e il problema dell'arresto

L'importanza attribuita alle macchine di Turing è da far risalire alla celebre

tesi di Church, enunciata nel 1 93 6 da Alonzo Church, secondo la quale ogni algoritmo può essere eseguito da una macchina di Turing [Rogers, 1 978]. In effetti, tutti gli algoritmi conosciuti sono eseguibili da una macchina di Tu­ ring ( 1 6). Nonostante la concezione di macchina di Turing sia originariamente ideale, notiamo che la realizzazione pratica di una macchina di Turing non com­ porta eccessive difficoltà: sono state costruite macchine particolari, dette mac­ chine di Turing universali, in grado di imitare il funzionamento di qualsiasi macchina di Turing (M.L. Minsky nel 1 967 ha descritto dettagliatamente la co­ struzione di macchine di questo tipo). Ma la constatata versatilità di una macchina di Turing non deve far pensare che il funzionamento di una tale macchina sia del tutto esente da problemi . Tra i problemi algoritmicamente non risolubili, ovvero per i quali non può essere predisposto un algoritmo efficace, il più noto è il problema dell'arresto di una generale macchina di Turing [Preparata-Yeh, 1 976] . Per alcune macchine di Turing, operanti su nastri contenenti alcune successioni di simboli, non è possibile predisporre un algoritmo tale da provocare l'arresto della macchina. Proponiamo una elementare descrizione del problema dell'arresto.

( 1 6)

N on possiamo dimenticare che la definizione d i algoritmo come

dinata di istruzioni. ciascuna delle quali siva, peraltro didatticamente efficace .

è

descritta precisamente è

sequenza or­

soltanto discor­

461

Sia M una macchina di Turing qualsiasi, operante su di un nastro qualsiasi. Ammettiamo che esista un algoritmo in grado di determinare l'arresto di M in corrispondenza di un simbolo a, riportato in una cella del nastro. Dovrebbe al­ lora esistere una seconda macchina di Turing, che chiameremo macchina infor­ matrice T, capace di informarci dell'awenuto arresto di M; sul proprio nastro, la macchina T dovrà riportare una descrizione m della macchina M. Le modalità di funzionamento della macchina T possono ad esempio essere così stabilite: in caso di arresto di M in corrispondenza di un simbolo a, T ci informa di ciò arrestandosi in corrispondenza del simbolo 1 (diverso da a) del proprio nastro; • se invece M non si arresta in corrispondenza di un simbolo a, T ci informa di ciò arrestandosi in corrispondenza del simbolo a del proprio nastro . •

Applichiamo ora la macchina informatrice T a T stessa: owero, sul nastro di T riportiamo la descrizione t di T. Come funzionerebbe, in tale situazione, la macchina informatrice T? Applicando quanto precedentemente stabilito, otte­ niamo le possibilità seguenti : se T si arresta in corrispondenza di a, la macchina informatrice, che è T stessa, si dovrebbe arrestare in corrispondenza del simbolo 1 (diverso da a); • se T non si arresta in corrispondenza di a, la macchina informatrice, che è T stessa, si dovrebbe arrestare in corrispondenza del simbolo a. •

Si tratta di una contraddizione: ciò conferma che il problema dell'arresto non può considerarsi risolto per una qualsiasi macchina di Turing M, owero è al­ goritmicamente non risolubile (17) .

Riferimenti bibliografici G. Arrigo-B. D'Amore, Infiniti, Angeli, Milano 1 992. J.M. Bochenski, La logica formale. l. Dai Presocratici a Leibniz. gica matematica, Einaudi, Torino 1 972. U. Bottazzini, Ilfkmto di Hilbert, Utet, Torino 1 990.

Il. La lo­

(17) Si potrebbe obiettare che le modalità di funzionamento sopra stabilite per la macchina informatrice T sono tutt'altro che obbligatorie. Potrebbe effettivamente esi­ stere una macchina informatrice T' il cui funzionamento non si basa sulle convenzioni sopra segnalate per la macchina T. Ma possiamo però immaginare un'ulteriore macchi­ na T" in grado di convertire il funzionamento di T' nel funzionamento di T e dunque la contraddizione sopra segnalata non può essere evitata.

462

Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della matematica, Sansoni, Firenze 1 992. N . Bourbaki, Elementi di storia della matematica, Feltrinelli, Milano 1 963 . A. Cantini, Ifondamenti della matematica, Loescher, Torino 1 979. E. Carroccio, Matematiche elementari da un punto di vista superiore, Pitagora, Bologna 1 972. E. Casari, Questioni di filosofia della matematica, Feltrinelli, Milano 1 964 . J.N. Crossley, Che cos'è la logica matematica?, Boringhieri, Torino 1 976. B. D'Amore-M. Matteuzzi, Dal numero alla struttura, Zanichelli, Bologna 1 975 . J. Dieudonné, L 'arte dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. G. Frege, Logica e aritmetica, Boringhieri, Torino 1 96 5 . H. Freudenthal, Zur Geschichte der Grundlagen der Geometrie, i n : "Nieuw Archief voor Wiskunde", 4, V, 1 957, pp. 1 05- 1 42. A.R. Garciadiego, Bertrand Russell and the Origins of the Set-theoretic "Paradoxes", Birkhauser, Basel 1 992. D. Hilbert, Fondamenti della geometria, Feltrinelli, Milano 1 970. H. Kennedy, Peano, storia di un matematico, Boringhieri, Torino 1 983 . M. Kline, Storia del pensiero matematico. Il. Dal Settecento a oggi, Einau­ di, Torino 1 99 1 . G. Lolli, Teoria assiomatica degli insiemi, Boringhieri, Torino 1 974 . G. Lolli, Le ragioni fisiche e le dimostrazioni matematiche, Il Mulino, B o­ logna 1 98 5 . C . Mangio ne, Logica e fondamenti della matematica nella prima metà del­ l'Ottocento, in : L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Gar­ zanti, Milano 1 97 1 , v. IV, pp. 1 40-208 . Z. Manna, Teoria matematica della computazione, Boringhieri, Torino 1 97 8 . E . Mendelson, Introduzione alla logica matematica, Boringhieri, Torino 1 972 (prima edizione 1 964). H. Meschowski, Mutamenti nel pensiero matematico, Boringhieri, Torino 1 973 . J.D. Monk, Introduzione alla teoria degli insiemi, Boringhieri, Torino U.

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463

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Temi di storia della matematica 20. 1 . «La geometria richiede, come anche l'aritmetica, per venire fondata in modo coerente, solo poche, semplici proposizioni fondamentali. Queste propo­ sizioni fondamentali si chiamano gli assiomi della geometria. L'esposizione degli assiomi della geometria e l'indagine sui loro mutui rapporti costituiscono un problema che è stato discusso sin dai tempi di Euclide, in numerosi ottimi trat­ tati di letteratura matematica. Il problema indicato porta all'analisi logica della nostra intuizione di spazio» (David Hilbert). 20.2.

«Quando siamo impegnati nella ricerca sui fondamenti di una scienza, dobbiamo disporre di un sistema di assiomi che contiene una descrizione esatta e completa delle relazioni che sussistono tra le idee elementari di quella scienza. Gli assiomi così disposti sono nello stesso tempo le definizioni di quelle idee ele­ mentari; e nessuna asserzione interna al dominio della scienza di cui stiamo col­ laudando le fondamenta è ritenuta corretta a meno che non sia derivabile da quegli assiomi per mezzo di un numero finito di passaggi logici» (David Hil­ bert).

20. 3 .

«Henri Poincaré, immune senz'altro dal sospetto di parzialità in favore del formalismo, riconobbe nel 1 902 che gli assiomi della geometria sono delle convenzioni, per cui la nozione di "verità", così come viene generalmente intesa, non ha più senso. La "verità matematica" sta quindi solo nella deduzione logica, partendo da premesse poste arbitrariamente grazie agli assiomi» (Nicolas Bour­ baki).

20.4. «Se la Geometria ha da essere veramente deduttiva, il procedimento inferenziale deve essere completamente indipendente sia dal senso dei concetti geometrici sia dalle figure; si possono considerare soltanto le relazioni sussi­ stenti tra i concetti geometrici che occorrono in teoremi già disponibili, o rispet­ tivamente nelle definizioni . Nel corso di una deduzione è certamente ammissibile ed utile, ma per nulla necessario, pensare al significato dei concetti geometrici in questione» (Moritz Pasch).

464

20. 5 . «In matematica, come in tutte le scienze, ci imbattiamo in due tendenze diverse: da una parte la tendenza astratta, che si propone di ricavare delle rela­ zioni logiche dal molteplice materiale che ci sta a disposizione, quindi di ordi­ nario e collegarlo in maniera sistematica; dall'altra, la tendenza intuitiva, che si propone piuttosto di giungere ad una chiara percezione degli oggetti considerati e ad una rappresentazione concreta delle loro relazioni reciproche» (David Hilbert) .

20.6. «Hilbert ha indicato un modo per evitare le conclusioni che potrebbero venir suggerite dall'intuizione geometrica, ma che non derivano dagli assiomi : ciò consiste nel cambiare il nome degli enti geometrici e delle loro relazioni. Hil­ bert proponeva di dire "tavolo", " sedia" e "bicchiere" al posto di "punto" , "ret­ ta" e " piano"» (Jean Dieudonné). 20. 7 . «Hilbert, non pago di offrire un sistema di assiomi completo per la geo­ metria euclidea, li classifica in più raggruppamenti di diversa natura e si sforza di determinare l'esatta portata di questi gruppi di assiomi, non solo sviluppandone separatamente le conseguenze logiche, ma anche discutendo le diverse "geo­ metrie" che si ottengono allorché qualcuno di tali assiomi viene soppresso o modificato . . . Egli mette così chiaramente in evidenza, in un campo considerato fino ad allora tra i più vicini alla realtà sensibile, la libertà di cui dispone il matematico nella scelta dei suoi postulati» (Nicolas Bourbak.i). 20. 8 . Se l'intuizione continua eventualmente a dare degli assiomi delle geo­ metrie un possibile fondamento psicologico, essa non è però più garante della loro coerenza, perché l'intuizione spaziale si mostra suscettibile di differenti interpretazioni reciprocamente incompatibili (ad esempio le diverse ipotesi sulla parallele, il carattere archimedeo o meno dello spazio . . . ) Il metodo assiomatico diviene dunque sempre di più un modo di fare matematica, oltre che un procedi­ mento per sistemare le conoscenze; con la sua rigorosa applicazione si riesce a controllare e ad inibire ogni " intervento" indebito dell'intuizione» (Andrea Can­ tini). .

20.9. «Pasch notò che in Euclide non erano compiutamente definite nozioni come punto e retta. Definire un punto come ciò che non ha parte significa poco, perché qual è il significato di parte? In effetti, Pasch mise in evidenza che alcuni concetti devono essere non definiti, altrimenti o il processo è infinito, oppure i matematici devono basarsi su concetti fisici . Una volta selezionati alcuni con­ cetti da lasciare indefiniti, altri possono essere definiti a partire da questi. Poiché vi sono termini non definiti, sorge il problema di quali proprietà di questi concetti possono essere usate per ottenere delle dimostrazioni relative ad essi. La risposta data da Pasch è che gli assiomi fanno delle asserzioni sui termini indefiniti e che queste sono le uniche asserzioni di cui possiamo fare uso. Come

46 5

aveva detto Gergonne già nel 1 8 1 8, i concetti indefiniti sono definiti implicita­ mente dagli assiomi» (Morris Kline). 20. 1 0 . «Coloro che parlano con l'aiuto dell'intuizione bisogna che traggano forza da ciò in cui si concatenano tutte le cose, proprio come la città trae vigore dalla legge, e assai più fortemente» (Eraclito).

20. 1 1 .

«Come può l'intuizione ingannarci fino a questo punto?» (Henri

Poincaré).

20. 12. «lnvero il metodo assiomatico è e rimane l'unico sussidio indispensa­ bile ed appropriato allo spirito di ogni ricerca esatta, non importa in quale domi­ nio; esso è inattaccabile dal punto di vista logico ed è al tempo stesso fecondo; garantisce perciò una piena libertà di ricerca. In questo senso procedere as­ siomaticamente significa nient'altro che pensare sapendo ciò che si fa» (David Hilbert). 20. 1 3 . «Il diciannovesimo secolo, che si vantò dell'invenzione del vapore e dell'evoluzione, avrebbe potuto rivendicare un più legittimo titolo di gloria per la scoperta della matematica pura» (Bertrand Russell). « È abbastanza curioso che Euclide non abbia ritenuto di dover dare una presentazione assiomatica dei suoi Libri aritmetici negli Elementi. Pensava forse che fosse inutile introdurre "ipotesi " per concetti di base ammessi senza di­ scussione?» (Jean Dieudonné) .

20. 14.

20. 1 5 . «Gli assiomi di Peano esprimono molto chiaramente i principi essen­ ziali che riguardano i numeri naturali. Tuttavia . . . non forniscono una teoria com­ pleta dei numeri naturali . Col semplice ricorso ai tre termini primitivi di Peano ed ai suoi assiomi è impossibile (applicando unicamente i normali principi logici elementari) . . . esprimere e tanto meno dimostrare certe leggi all'interno del si­ stema» (Stephen F. Barker). 20. 1 6 . «

l

+«>

5

ç ( 3) = L3 n =2 :L n= J

n=J

� (- l y- l 2n n3 n

Ciò consentirà di riscrivere l'espressione di ç( 3 ) in modo da rendere possibile l'applicazione di un noto criterio di irrazionalità. A tale proposito, si consideri la formula: n3un+(n- l )3u n-2

=

(34nLS l n2+27n-5)u n- 1

n "2= 2

(3) Il lettore osserverà che quanto ora riportato non sarebbe direttamente equivalente

f: (

k - 1 ) L Quanto provato appare comunque sufficiente x x + a1 . . . x + ak nel contesto della dimostrazione di Apél)' [Piazzi-Bagni, 1 995] .

all'affermazione:

k= l

rt

a1 a

=

493

Attraverso una successione

{ �:}

{ un } , è possibile definire la nuova successione

interamente costituita da razionali che converge a ç(J) (per una descri­

zione del procedimento si veda [V an der Poorten, 1 978- 1 979]). Proprio studiando questa convergenza, Apéry riuscì a provare l'irrazionalità di ç(3 ); infatti è noto il seguente Criterio di irrazionalità. Considerato il reale �' se esiste un 8>0 ed una suecessione

{P }

P

n di reali razionali tale che n � f3 e che: qn qn n =

l , 2, . . .

allora il reale � è irrazionale. L'applicazione di questo criterio è decisiva per la dimostrazione ora esami­ nata. Nel caso di ç(3 ), infatti, Apéry dimostrò che:

e giunse a provare l'esistenza del reale positivo 8 (previsto dal criterio di ir­ razionalità) ed a calcolare peraltro : 8

=

((

r)4

l og . I + J2 - 3 l og . l + J2 + 3

=

0,08052943 1 . . .

Ciò consente di applicare il criterio di irrazionalità precedentemente ricordato e di concludere dunque che il numero reale ç(3 ) è irrazionale. Prima di concludere la presentazione della dimostrazione di Apéry, ricor­ diamo che essa sfrutta implicitamente un'interessante scrittura di ç(3 ) sotto forma di frazione continua discendente [V an der Poorten, 1 978- 1 979] :

4 94

--------,-

1 17-

2_ 7_ 9

______

____

53 5 - ------�-n6

--

A.2.3. L'opera di Bernhard Riemann

Una fase di notevole importanza nello studio della funzione ç è associata agli studi di Riemann, il quale propose nel 1 8 59 di definire tale funzione per x E C e si occupò del prolungamento analitico di ç all'intero piano complesso . Gli zeri delia funzione ç così prolungata (si osservi che ç ammette un polo per z l ) sono : =

• •

x = -2, x = -4, x = -6, . . . detti zeri banali di ç; alcuni numeri complessi (non reali) x, con parte reale O�e(x)::; l .

Come sopra anticipato, Riemann suppose che tutti gli zeri non banali di ç siano caratterizzati dalla proprietà di avere parte reale Re(x) = lh. La congettura indicata da Riemann non è ancora stata provata né smentita; nel 1 9 1 4, G.H. Hardy giunse a dimostrare che ç ha infiniti zeri non banali per i quali risulta verificata la supposizione riemanniana [Bottazzini, 1 990, p. 3 5 1 ] . Molte verifiche della congettura in casi particolari sono state condotte sugli zeri di ç: il primo lavoro in tale direzione fu condotto nel 1 903 da J. P. Gram, il quale calcolò i primi 1 5 zeri non banali di ç; nel 1 93 5 , E . C . Titchmarsh giunse alla determinazione dei primi l 04 1 zeri non banali di ç. Con la diffusione dei mezzi per il calcolo automatico, questo genere di ricer­ che subì un impulso notevole: nel 1 986, grazie all'utilizzazione di un elaboratore per più di l 000 ore di tempo-macchina, la congettura di Riemann è stata veri­ ficata da J. Van de Lune, H.J.J. te Riele e D . T . Winter per il primo miliardo e mezzo di radici non banali della funzione ç, ma evidentemente tutto ciò non comporta alcunché per quanto riguarda la validità in generale della supposizione in esame. Nel 1 9 84, una dimostrazione della congettura, annunciata dal giap­ ponese Matzumoto, si è rivelata errata [Ribenboim, 1 980] .

495 A.2.4.

La congettura di Riemann e i numeri primi

L'importanza della congettura di Riemann, come precedentemente osservato, è strettamente collegata ad alcune questioni sui numeri primi; molte ricerche sulla distribuzione dei numeri primi nell'insieme dei numeri naturali sono state condotte assumendo come ipotesi la validità della congettura di Riemann [Kline, 1 99 1 , II] . Illustreremo, nel seguito, un celebre esempio a tale proposito. Il numero di primi compresi nell'insieme {xEN: x91 } è indicato con n(n) e può essere stimato con la quantità [Hardy-Wright, 1 93 8) : n(n) -

n

dx Jlog. x

0

Tale formula deriva dalle ricerche di Legendre, di Gauss, di Pafnuti L. Tchebycheff ( 1 82 1 - 1 894) fino ai risultati conclusivi (pubblicati nel 1 896) di Jacques Salomon Hadamard ( 1 865- 1 963) e di Charles de La Vallée Poussin ( 1 866- 1 962), ottenuti applicando tecniche sofisticate di analisi complessa [Bot­ tazzini, 1 990, pp. 348-349] . La stima precedentemente espressa, per valori di n relativamente piccoli ( ov­ vero dell'ordine delle centinaia di milioni) è approssimata per eccesso; ma nel 1 9 1 4 J.E. Littlewood provò che tale approssimazione passa ad essere per di­ fetto, e poi ancora per eccesso, e poi ancora per difetto un infinito numero di volte, se n viene scelto abbastanza grande [Littlewood, 1 963 ] . È possibile pro­ vare che il primo di questi passaggi (da approssimazione per eccesso ad appros­ simazione per difetto) avviene per un valore di n minore di :

Tale numero è detto numero di Skewes, dal nome del matematico, S . Skewes, che lo introdusse nel 1 93 3 ; ma questa originaria dimostrazione venne resa possibile solamente dall'accettazione della validità della congettura di Rie­ mann; dunque la validità di questa celebre affermazione sulla distribuzione dei numeri primi venne fatta dipendere dalla (eventuale) dimostrazione della conget­ tura di Riemann. Solo in un secondo momento, nel 1 95 5 , lo stesso Skewes modificò i propri metodi di ricerca e riuscì a determinare una diversa limitazione per il sopra ri­ cordato valore di n, senza obbligatoriamente ricorrere all'accettazione della congettura di Riemann; il risultato di Skewes venne ulteriormente migliorato nel 1 966 da R. S. Lehman e nel 1 986 da H.J.J. te Riele.

496

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Temi di storia della matematica

A l . «Quando Hilbert aveva proposto il suo programma di formalizzazione del procedimento dimostrativo certo non immaginava che tutto ciò avrebbe portato alla luce i limiti intrinseci al formalismo e al ragionamento deduttivo . Se da un lato nella dimostrazione di Appel e di Haken viene esaltato l'aspetto mec­ canico di tale tipo di ragionamento, d'altra parte è proprio la rinuncia a priori alla possibilità di controllo al di fuori del ricorso al calcolatore ciò che certamen­ te lascia insoddisfatto il matematico abituato al tradizionale modo di " dimostra­ re" e chiama inoltre a una più profonda riflessione sulla dinamica dei linguaggi e sul nostro "controllo" su di essi» (Umberto Bottazzini). A. 2 . « È vero che Fourier era dell'opinione che l'oggetto principale della ma­ tematica fossero l'utilità pubblica e la spiegazione dei fenomeni naturali; ma un filosofo come lui dovrebbe sapere che il solo oggetto della scienza è l'onore del­ lo spirito umano e che da questo punto di vista un problema di teoria dei numeri

497

vale tanto quanto un problema sul sistema del mondo» (Cari Gustav Jacob Ja­ cobi).

A. 3 . «Oggi ( 1 99 1 ) la matematica sta vivendo un momento felice della sua ormai lunghissima storia. L'enorme quantità di risultati accumulati negli ultimi cinquant'anni grazie alla genialità dei matematici che sono stati attivi in questo periodo, ma anche al loro numero (si calcola che il numero dei matematici oggi in attività superi la somma di tutti quelli che sono stati attivi dall'inizio della storia di questa disciplina), consente di affiontare e di risolvere la maggior parte dei problemi posti dalle altre scienze. E anche dal punto di vista della teoria pu­ ra, se pure si è affievolita la tendenza alla costruzione di grandi teorie astratte che è stata tipica degli anni '40-'70, la loro applicazione alla soluzione dei grandi problemi lasciati aperti dalle epoche precedenti ha permesso di conseguire . . . risultati di rilievo assoluto. Il terzo millennio si sta per aprire quindi sotto i mi­ gliori auspici per questa disciplina antichissima, indissolubilmente intrecciata al­ l'evoluzione della nostra civiltà e che si appresta come sempre ad accompagnarla e a guidarla verso un futuro che è sì denso d'incognite, ma anche aperto come non mai alla soluzione dei principali problemi posti dalla necessità di costruire per l'umanità un modo di vivere più pacifico e giusto» (Alberto Conte) .

Appendice B C e n n i d i storiografia m atem ati ca " A man of science explains as much as ever he can, and then says: «This is ali

I can do; for the rest you must ask to the

next man» " . William Kingsdon Clifford

B. l . Dall'Antich ità al XVIII secolo

Il primo trattato di storia della matematica sembra dovuto all'aristotelico Eu­ demo da Rodi (Iv sec. a. C . ) : questo lavoro, probabilmente suddiviso in una storia dell'aritmetica, una storia della geometria ed una storia dell'astronomia, è purtroppo andato perduto, ma se ne ha notizia nell'opera di Proclo (4 1 0-485 ). Un altro aristotelico, Teofrasto (3 72?-287? a. C.), scrisse una storia della fisica, della quale ci sono pervenuti pochi frammenti . Nel X V I secolo, Petrus Ramus (nome latinizzato di Pierre de la Ramée, 1 5 1 51 5 72) pubblicò la Schola mathematicae, la prima opera data alle stampe in cui la storia della matematica è presentata in modo organico . Ma il primo studioso a dedicarsi specificamente alla storia della matematica fu l'urbinate Bernardino Baldi ( 1 5 5 3 - 1 6 1 7), il quale, in omaggio al proprio maestro, scrisse la Vita di Federigo Commandino; Baldi progettò anche una grande opera, Cronica, nella quale presentare cronologicamente la vita e l'opera dei maggiori matematici di ogni tempo (del lavoro, incompiuto, restano 22 1 biografie : un ampio schema di tale opera fu pubblicato postumo ad Urbino nel 1 707) [Loria, 1 929- 1 93 3 ] . Nel carteggio con Nicola Bernoulli, Pierre Raymond d e Montmort ( 1 6871 7 1 9), matematico che si occupò in prevalenza della teoria della probabilità, ma parallelamente lavorò ad una Storia della Geometria, sottolineò ripetutamente l'importanza dello studio della storia della matematica. Pochi decenni dopo, nel 1 742, un trattato vasto e sistematico di storia della matematica (in cinque libri) venne pubblicato da G . C . Heilbronner ( 1 705- 1 747) e nel 1 75 8 vide la luce a Parigi la celebre Histoire des Mathématiques dovuta a J.E. Montucla ( 1 7251 799); lo stesso Autore, quattro anni prima, aveva pubblicato un interessante saggio storico di argomento specifico, l'Histoires des recherches sur la qua­ drature du cere/e . Tra il 1 796 ed il 1 800 furono dati alle stampe i quattro tomi di un rigoroso lavoro storico di A. G. Kastner ( 1 7 1 9- 1 800); questa grande opera, come la cita-

500

ta Histoire des Mathematiques di Montucla, si occupa sia della matematica pura che delle sue applicazioni .

B.2. Dal

XIX

secolo ad oggi

Un sommario di storiografia matematica non può omettere i nomi di N.T. Reimer (I 772- 1 83 2), autore del i 'Historia problematis de cubi duplicatione (Gottinga, 1 798), di C . Bossut ( 1 73 0- 1 8 1 4), autore dell 'Essai sur l'histoire ge­ nerale des mathématiques (Parigi 1 802) e del veronese P. Cossali ( 1 748- 1 8 1 5), autore della Storia critica dell'origine, trasporto in Italia e primi progressi in essa dell'algehra (Parma 1 797), trattato in cui furono raccolti alcuni pregevoli studi sull'opera di Fibonacci, di Pacioli, di Tartaglia, di Cardano e di Bombelli; specificamente della storia dell'algebra si occupò anche il lucchese P . Franchini ( 1 768- 1 83 7), con l'opera La storia dell'algebra e de ' suoi principali scrittori (Lucca 1 83 7) (si veda lo studio di U. Forti, in [Castelnuovo, 1 93 8]). Tra gli storici della matematica operanti nell'Ottocento devono essere ri­ cordati il grande Giuseppe Luigi Lagrange ( 1 73 6- 1 8 1 3 ), che studiò in partico­ lare l'opera di Diofanto, il fiorentino G. Libri, che pubblicò a Parigi nel 1 83 8 Histoire des Sciences mathématiques en ltalie, in quattro volumi, ed il ro­ magnolo S . Gherardi ( 1 802- 1 8 79) . Fondamentale deve essere considerato il ruolo del Bullettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche e fisiche (pubblicato per venti volumi tra il 1 868 ed il 1 8 8 7) di B . Boncompagni ( 1 82 1 - 1 894), la prima rivista del genere. Accanto ad essa va ricordato il Bollettino di bibliografia e storia di G. Loria ( I 862- 1 95 4 ), autore della celebre Storia delle matematiche dali 'alba delle ci­ viltà al tramonto del secolo XIX ( I 929- 1 93 3 ); al di fuori dell'Italia iniziative analoghe ebbero luogo a partire dal 1 877 per opera di M. Cantor ( 1 829 - 1 920) , autore della Storia delle Matematiche fino al XVIII secolo, in quattro volumi; a partire dal 1 8 84 venne pubblicata la Bibliotheca Mathematica per opera di G. Enestrbm (fino al 1 9 1 5 ) . Nel 1 890 fu pubblicato i l Saggio di una biblioteca matematica italiana del secolo XIX di P Riccardi, autore del classico Biblioteca matematica italiana dalle origini della stampa ai primi anni del secolo XIX (pubblicato nel 1 893 e nel 1 928). Assai importanti sono considerati, anche ai giorni nostri, i lavori di P. Tannery ( 1 843 - 1 904), di F Casorati ( 1 83 5 - 1 890), di F . Hultsch ( 1 83 3 - 1 906), di H. Hankel ( 1 8 3 9- 1 8 73 ), di S. Gi.inter ( 1 848- 1 93 2) e, in tempi più vicini a noi, del veneziano G. Castelnuovo ( 1 865- 1 952); grande studioso dell'opera galileia­ na fu il padovano A. Favaro ( 1 847- 1 922) . I danesi H.G. Zeuthen ( 1 83 9- 1 920) e J . L Heiberg ( 1 8 54- 1 928) sono da annoverare tra i massimi storici della mate­ matica di tutti i tempi .

50 1

Due profondi storici della scienza, prematuramente scomparsi, operarono al­ l'inizio del XX secolo : R. Bonola ( 1 874- 1 9 1 1 ) ed E. Rufini ( 1 890- 1 924), i quali si occuparono rispettivamente della storia delle geometrie non-euclidee e della storia del calcolo infinitesimale. Anche ad E. Bortolotti ( 1 866- 1 947) e ad E . Carroccio ( 1 908- 1 980) si devono alcuni importanti studi di storia della matema­ tica. Pregevoli sono infine i frequenti riferimenti e le citazioni storiche presenti ne­ gli Eléments de mathématique di Nicolas Bourbaki e nelle opere dei bourbakisti Jean Dieudonné ed André Weil.

Riferimenti bibliografici G. Castelnuovo, Le origini del calcolo infinitesimale nel/ 'era moderna, Za­ nichelli, Bologna 1 93 8 (ristampa: Feltrinelli, Milano 1 962). G. Loria, Storia delle matematiche dal/ 'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 93 3 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982).

Temi di storia della matematica B . 1 . «Se l'ammirazione pei sommi matematici del passato indusse B . Baldi a narrarne la vita, ben si comprende come un analogo sentimento dovette sorgere contemplando lo spettacolo offerto dalla fulgida letteratura relativa nelle sue posteriori fasi di sviluppo» (Gino Loria). B . 2 . «L'interesse suscitato da tante applicazioni della scienza tende a produrre oggi una più equilibrata visione della cultura, nella quale anche la ricerca fisica e matematica prendono il posto che spetta loro . Umanesimo della scienza, o della tecnica, sono oramai espressioni comuni, che non indicano più un indirizzo cul­ turale accettato e propugnato solo da pochi» (Umberto Forti).

Bibliografia generale del II vol u m e

Come opere generali sulla storia della matematica indichiamo : U. Bottazzini, Il flauto di Hilbert. Storia della matematica moderna e contemporanea, UTET, Torino 1 990. N. Bourbaki, Elementi di storia della matematica, Feltrinelli, Milano 1 963 . C.B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, Milano 1 982. B. D'Amore-M. Matteuzzi, Dal numero alla struttura, Zanichelli, B ologna 1 97 5 . M. Kline, Storia del pensiero matematico. l. Dall'Antichità a l Settecento. Il. Dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1 99 1 . G. Loria, Storia delle matematiche dall'alba delle civiltà al tramonto del secolo XIX, Sten, Torino 1 929- 1 93 3 (riedizione: Hoepli, Milano 1 950; ristampa anastatica: Cisalpino-Goliardica, Milano 1 982). D.J. Struik, Matematica: un profilo storico, Il Mulino, Bologna 1 98 1 .

Di notevole interesse su argomenti particolari sono : E.T. Beli, I grandi matematici, Sansoni, Firenze 1 99 1 . U. Bottazzini, Il calcolo sublime, Boringhieri, Torino 1 98 1 . G. Castelnuovo, Le origini del calcolo infinitesimale, Zanichelli, Bologna 1 93 8 (ristampa: Feltrinelli, Milano 1 962) . R. Franci-L. Toti Rigatelli, Storia della teoria delle equazioni algebriche, Mursia, Milano 1 979. P. Freguglia, L 'algebra della logica. Un profilo storico, Editori Riuniti, Ro­ ma 1 97 8 . P . Freguglia, Fondamenti storici della geometria, Feltrinelli, Milano 1 982. S. Maracchia, Da Cardano a Galois, Feltrinelli, Milano 1 979.

Assai prezioso per la straordinaria ricchezza di citazioni originali riportate è: U. Bottazzini-P. Freguglia-L. Toti Rigatelli, Fonti per la storia della ma­ tematica, Sansoni, Firenze 1 992. Indispensabile per una ricerca storica è:

504

F. Barbieri-L. Pepe (a cura di), Bibliografia italiana di storia delle mate­ matiche 1 961-1990, in : "Bollettino di storia delle matematiche", Anno XII, nu­ mero l , giugno 1 992.

Utili per una presentazione didattica di alcune questioni storiche sono : G. Arrigo-B. D'Amore, Infiniti, Angeli, Milano 1 992. G. T. Bagni-B. D'Amore, A lle radici storiche della prospettiva, Angeli, Mi­ lano 1 994 . L.N.H. Bunt-P. S. Jones-J.D. Bedient, Le radici storiche delle matematiche elementari, Zanichelli, Bologna 1 983 . B. D'Amore-P. Oliva, Numeri, Angeli, Milano 1 993 . G. lfrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. E. Picutti, Sul numero e la sua storia, Feltrinelli, Milano 1 977.

Indichiamo infine, senza alcuna pretesa di completezza, alcune opere che po­ tranno stimolare la curiosità del lettore nei confronti della matematica e dei ma­ tematici : S. Chandrasekhar, Verità e bellezza, Garzanti, Milano 1 990. J. Dieudonné, L 'arte dei numeri, Mondadori, Milano 1 989. G.H. Hardy, Apologia di un matematico, Garzanti, Milano 1 989. B. Russell, Introduzione alla filosofia matematica, Longanesi, Milano 1 970. A. Weil, Ricordi di apprendistato, Einaudi, Torino 1 994 . •••

Collocazione cronol ogica di alcuni matematici

ABEL Niels Henrik ( 1 802- 1 829) ABU 'L-WAFA (940-958) AGNESI Maria Gaetana ( 1 7 1 8- 1 799) AL-BATIANI (850?-929) ALBERTI Leon Battista ( 1 404- 1472) ALEXANDER James W. ( 1 888- 1 97 1 ) ALHAZEN lba-Al-Haitham (965?- 1 039) AL-KUWARIZMI M.

lbn-Musa (att. 800-847)

ANASSAGORA di Clazoméne (500?-428 a.C.) AMPÈRE André-Marie ( 1 775- 1 836) APOLLONIO di Perga (ID sec. a.C.) ARAGO François ( 1 786- 1 85 3 ) ARCHIMEDE d i Simcusa (287-2 1 2 a.C.) ARCHITA di Taranto (428-347 a.C.) ARISTOTELE di Stagira (384-322 a.C.) ARGAND Jean Robert ( 1 768- 1 822) ARYABHATA (nato n e l 476) ASCOLI Giulio ( 1 843-1 896) BABBAGE Charles ( 1 792- 1 87 1 ) BAIRE René ( 1 874- 1 932) BANACH S te fan ( 1 892- 1 945) BARROW lsaac ( 1 630- 1 677) BA YES Thomas ( 1 702- 1 76 1 . BELTRAMI Eugenio ( 1 835-1 900) BERKELEY George ( 1 685-1 753) BERNAYS Pau! Isaak ( 1 888- 1 979) BERNOULLI Jakob I ( 1 654- 1 705) BERNOULLI Johann I ( 1 667- 1 748) BERNOULLI Nicolas II ( 1 687- 1 759) BERNOULLI Daniel ( 1 700- 1 782) BERNSTEIN Félix ( 1 878- 1 956) BERNSTEIN Serge Nathanovic ( 1 880- 1 968) BESSEL Wilhelm Friedrich ( 1 784- 1 846) BETTI Enrico ( 1 832- 1 892) BÉZOUT Etienne ( 1 739- 1 783) BHASKARA ( 1 1 1 4 - 1 1 85 ) BIENAYMÉ Jules ( 1 796- 1 878) BIRKHOFF George David ( 1 888- 1 944) BOHR Harald ( 1 887- 1 95 1 ) BOLYAI Farkas ( 1 775- 1 856) BOLYAI Janos ( 1 802- 1 860) BOLZANO Bemard ( 1 7 8 1 - 1 84 8 ) BOMBELLI Raffaele ( 1 526- 1 572) BOOLE George ( 1 8 1 5-1 864) BOREL Emile Felix E. J. ( 1 87 1 - 1 956) BORELLI Giovann i Alfonso ( 1 608- 1 679) BRADWARDINE Thomas ( 1 290?- 1 349) BRAHMAGUPTA (5 98-665?)

BRIANCHON Charles Julien ( 1 785-1 864)

BRIGGS Henry ( 1 5 56?- 1 63 1 ) BRIOSCHI Francesco ( 1 824- 1 897) BROUNCKER William ( 1 620?-1 684) BROUWER Luitzen E. J. ( 1 88 1 - 1 966) BRUNACCI Vincenzo ( 1 768- 1 8 1 8) BRUNELLESCHI Filippo ( 1 377- 1 446) BUNIAKOWSKI Victor J. ( 1 804- 1 889) BORGI Jobst ( 1 552-1 632) BURNSIDE William Snow ( 1 852- 1 92 1 ) BUSH Vannevar ( 1 890- 1 975) CACCIOPPOLI Renato ( 1 904- 1 959) CANTOR Georg F. L. P. ( 1 845- 1 9 1 8) CARATIIÉODORY Constantin ( 1 873- 1 950) CARDANO Girolamo ( 1 50 1 - 1 576) CARRUCCIO Ettore ( 1 908- 1 980) CARTAN Elie Joseph ( 1 869- 1 95 1 ) CASSINI Gian Domenico ( 1 625- 1 7 1 2 ) CASTELNUOVO Guido ( 1 865-1 952) CATALDI Pietro Antonio ( 1 552- 1 626) CAUCHY Augustin Louis ( 1 789- 1 857) CAVALIERI Bonaventura F. ( 1 598?- 1 647) CAYLEY Arthur ( l 82 1 - 1 895) CEBICEV Pafuuti Lvovic ( 1 82 1 - 1 894) CELLÉRIER Charles ( 1 8 1 8- 1 889) CESARO Ernesto ( 1 85 9- 1 906) CHASLES Miche! ( 1 793-1 880) CHEVALLEY Claude ( 1 909- 1 984) CHUQUET Nicolas (Il metà del XV sec.) CLAIRAUT Alexis Claude ( 1 7 1 3- 1 765) CLAVIO Cristoforo ( 1 5 3 7- 1 6 1 2) CLIFFORD William Kingsdon ( 1 845-1 879) COMMANDINO Federigo ( 1 509- 1 575) COTES Roger ( 1 682- 1 7 1 6) CRAMER Gabriel ( 1 704- 1 752) CREMONA Luigi ( 1 830- 1 903) D'ALEMBERT Jean B. Le Rond ( 1 7 1 7- 1 783) DANIELL Percy John ( 1 899- 1 946) DARBOUX Jean Gaston ( 1 842-1 9 1 7) DEDEKIND Julius Wilhelm R. ( 1 83 1 - 1 9 1 6) DE FINETTI Bruno ( 1 906- 1 985) DEL FERRO Scipione ( 1 465-1 526) DELLA FRANCESCA Piero ( 1 4 1 6?- 1 4 92) DELLA NAVE Annibale ( 1 500?- 1 558) DEL MONTE Guidobaldo ( 1 545-1 607) DELSARTE Jean ( 1 903- 1 968) DE MOIVRE Abraham ( 1 667- 1 754) DE MORGAN Augustus ( 1 806- 1 87 1 ) DENJOY Amaud ( 1 884-1 974)

506

DESARGUES Girard ( 1 593- 1 662) DESCARTES René di Perron ( 1 596- 1 650) DICKSON Leonard ( 1 874- 1 954) DIEUDONNÉ Jean Alexandre Eugéne ( 1 906) DIOFANTO di Alessandria (ID sec. a.C . ) DINI Ulisse ( 1 845- 1 9 1 8) DINOSTRATO (IV sec. a.C . ) DIRICHLET Peter G. Lejeune ( 1 805-1 859) DODGSON Charles (L. Carro!) ( 1 832- 1 898) DùRER Albrecht ( 1 47 1 - 1 528) EGOROV Dimitri Fedorovic ( 1 869- 1 93 1 ) ENRIQUES Federigo ( 1 87 1 - 1 946) ERATOSTENE di Cirene (276- 1 95? a.C . ) ERDOS Pau! ( 1 9 1 3 - 1 996) ERONE di Alessandria (l-ID sec. ) EUCLIDE d i Alessandria (IV-ID sec. a.C .) EUDOSSO di Cnido (400-347? a.C . ) EULER Leonhard ( 1 707- 1 783) FAGNANO Giulio Carlo ( 1 682- 1 766) FEJER Leopold ( 1 880- 1 959) FERMAT Pierre de ( 1 60 1 - 1 665) FERRARI Ludovico ( 1 522- 1 565) FIBONACCI Leonardo da Pisa ( 1 1 70?- 1 2 50?) FINSLER Pau! ( 1 894- 1 970) FIOR Antonio Maria (prima metà XVI sec.) FISCHER Charlie Albert ( 1 884- 1 922) FOURIER Jean Baptiste Joseph ( 1 768-1 830) FRAENKEL Adolf Abraham H. ( 1 89 1 - 1 965) FRÉCHET René Maurice ( 1 878- 1 973) FREDHOLM Erik Ivar ( 1 866- 1 927) FREGE Gottlob ( 1 848- 1 925) FROBENIUS Georg Ferdinand ( 1 849- 1 9 1 7) FUBINI Guido ( 1 879- 1 943) GALll..,E I Galileo ( 1 564- 1 642) GALOIS Evariste ( 1 8 1 1 - 1 832) GALTON Francis ( 1 822- 1 9 1 1 ) GAUSS Cari Friedrich ( 1 777- 1 855) GERGONNE Joseph Diaz ( 1 77 1 - 1 859) GIBBS Josiah Willard ( 1 839- 1 903) GIRARD Albert ( 1 590- 1 633) GLORIOSI Gian Camillo ( 1 752- 1 643) GòDEL Kurt ( 1 906- 1 978) GRAM Jorgen Pedersen ( 1 850- 1 9 1 6) GRANDI Guido ( 1 67 1 - 1 742) GRASSMANN Herrnann ( 1 809- 1 877) GREEN George ( 1 793- 1 84 1 ) GREGORY James ( 1 638-1 675) GUELFOND Alessander O. ( 1 906- 1 968) GUNTER Edmund ( 1 58 1 - 1 626) HAAR Alfred ( 1 885-1 933) Salomon ( 1 865-1 963) HAHN Hans ( 1 879- 1 934) HAMn..TON William Rowan ( 1 805 - 1 865)

HAD AMARD Jacques

HANKEL Herrnann ( 1 839- 1 873 ) HARDY Godfrey Harold ( 1 877- 1 947) HARRIOT Thomas ( 1 560- 1 62 1 ) HAUSDORFF Felix ( 1 868- 1 942) HEAVISIDE Oliver ( 1 850- 1 925) HECKE Erich ( 1 887- 1 947) HEINE Eduard ( 1 82 1 - 1 88 1 ) HELMOLTZ Herrnann von ( 1 82 1 - 1 894) HENSEL Kurt ( 1 86 1 - 1 94 1 ) HERMANN Jacob ( 1 678- 1 73 3 ) HERMITE Charles ( 1 822- 1 90 l ) HILBERT David ( 1 862- 1 943) HIRE Philippe de la ( 1 640- 1 7 1 8) HOLDER Otto Ludwig ( 1 859- 1 937) HUNTINGTON Edward ( 1 874- 1 952) HUYGENS Christian ( 1 629- 1 695)

IPPARCO di Nicea (ll sec. a.C. ) IPPIA d i Elide (intorno al 400 a.C. ) IPPOCRATE d i Chio ( ll metà V sec. a.C.) JACOBI Karl Gustav Jacob ( 1 804- 1 85 1 ) JEVONS William Stanley ( 1 835-1 882) JORDAN Marie Ennemond C . ( 1 83 8- 1 922)

KEPLER Johanne s ( 1 57 1 - 1 630) KHAYYAM Ornar ( 1 048-1 1 22) KILLING Wilhelm Karl Joseph ( 1 847- 1 923) KINTCHINE Alessandre Y. ( 1 894- 1 959) KLEIN Félix ( 1 849- 1 925) KOLMOGOROV Andrei N. ( 1 903 - 1 987) KOWALEWSKA Sofia V. ( 1 850- 1 89 1 ) KRONECKER Leopold ( 1 8 1 3- 1 89 1 ) KUMMER Emst Eduard ( 1 8 1 0- 1 893) KURATOWSKI Kasimir ( 1 896- 1 980) LAGRANGE Giuseppe Luigi ( 1 736- 1 8 1 3) LAGUERRE Edmond Nicolas ( 1 834- 1 886) LAMBERT Johan Heinrich ( 1 728- 1 777) LANDAU Edmund ( 1 877- 1 938) LAPLACE Pierre Simon de ( 1 749- 1 827) LA VALLÉE Poussin Charles de ( 1 866- 1 962) LEBESGUE Henri Léon ( 1 875- 1 94 1 ) LEGENDRE Adrien-Marie ( 1 752- 1 83 3 ) LEIBNIZ Gottfried Wilhelm ( 1 646- 1 7 1 6) LEVI Beppo ( 1 875- 1 96 1 ) LEVI ben Gerson (prima metà XIV sec . ) LEVI-CIVITA Tullio ( 1 873- 1 94 1 ) LEVY Pau! Pierre ( 1 886- 1 97 1 ) LHOSPITAL Guillaume F . A . de ( 1 66 1 - 1 704) LIAPOUNOV Alexandre M. ( 1 857- 1 9 1 8) LIE Marius Sophus ( 1 842- 1 899) LINDELÙF Emest ( 1 870- 1 946) LINDEMANN Ferdinand ( 1 852- 1 939) LIOUVILLE Joseph ( 1 809- 1 882) LIPSCHITZ Rudolf Otto S. ( 1 832- 1 903) LISTING Johann ( 1 806- 1 882)

507

LITILEWOOD John Edensor ( 1 885- 1 977) LOBACEWSKIJ Nikolaj I. ( 1 79 3 - 1 857) MAGJNI Giovanni Antonio ( 1 5 5 5- 1 6 1 7) MAUROLICO Francesco ( 1 494- 1 575) MACLAURIN Colin ( 1 698- 1 746) MARKOV Andrei Andreievic ( 1 856- 1 922 ) MASCHERONI Lorenzo ( 1 750- 1 800) MAXWELL James Clerk ( 1 83 1 - 1 879) MENECMO (IV sec.a. C . ) MENELAO (fine I sec. ) MENGOLI Pietro ( 1 63 5 - 1 686)

MÉRA Y Hugues Charles Robert ( 1 83 5- 1 9 1 1 )

RADON Johann Karl ( 1 887- 1 956) RAMÉE Pierre de la ( 1 5 1 5- 1 572) RAMANUJAN Srinivasa A. ( 1 887- 1 920) RAPHSON Joseph ( 1 64 8- 1 7 1 5) REGIOMONTANO Johannes M. ( 1 436- 1 476)

RICCATI Jacopo ( 1 676- 1 754) RICCATI Giordano ( 1 709- 1 790) RICCATI Vincenzo ( 1 707- 1 775) RICCI Gregorio ( 1 8 5 3 - 1 925) RIEMANN Georg F. Bemhard ( 1 826- 1 866) RIESZ Fryderik ( 1 880- 1 956) ROBERVAL Gilles Personne de ( 1 602- 1 67 5 )

MERSENNE Marin ( 1 588- 1 648)

ROLLE Miche! ( 1 652- 1 7 1 9)

MINKOWSKI Hermann ( 1 864- 1 909)

RUFFJNI Paolo ( 1 765- 1 822)

MOBIDS Augustus Ferdinand ( 1 790- 1 868) MOHR Georg ( 1 64 9- 1 697)

RUSSELL Bertrand Arthur W. ( 1 872- 1 970)

MONGE Gaspard ( 1 746- 1 8 1 8)

SACCHERI Giovanni Gerolamo ( 1 667- 1 73 3 )

MONIMORT Pierre Rémond de ( 1 678- 1 7 1 9)

SAKS Stanislav ( l 897- 1 94 3 )

MONfEL Pau! Antoine Aristide ( 1 876- 1 975) MORLAND Samuel ( 1 62 5 - 1 6 9 5 )

SALEM Raphai!l ( 1 898- 1 96 3 ) SCHERING Emst C . Julius ( 1 833- 1 897) SCHMIDT Erhard ( 1 876- 1 95 9 ) SCHREIER Otto ( 1 90 1 - 1 929) SCHRODER Friedrich Wilhelm ( 1 84 1 - 1 902 ) SCHUR Issai ( 1 875- 1 94 1 ) SCHWARZ Karl Hermann A. ( 1 84 3- 1 92 1 )

NASffi-EDDIN ( 1 20 1 - 1 274) NAPIER John ( 1 5 5 0- 1 6 1 7) NEUMANN Johann Ludwig von ( 1 903- 1 957) NEWTON Isaac ( 1 642- 1 727) NICOMACO di Gerasa (intorno al 1 00) NOETHER Amalie Emmy ( 1 882- 1 93 5 )

SEGRE Corrado ( 1 86 3 - 1 924 ) SEVERI Francesco ( 1 879- 1 96 1 ) SIEPEL Cari Ludwig ( 1 8 96- 1 98 1 )

O HM Martin ( 1 792 - 1 872)

SIERPINSKI Waclaw ( 1 882- 1 969)

ORESME Nicola ( 1 323?- 1 382)

SIMPSON Thomas ( 1 7 1 0- 1 76 1 )

OSTROGRADSKIJ Michele ( 1 80 1 - 1 86 1 )

SMITH Henry John Stephen ( 1 826- 1 8 8 3 )

OSGOOD William Fogg ( 1 864 - 1 94 3 )

SKOLEM Albert Thoralf ( l 887- 1 96 3 )

OUGHTRED William ( 1 5 74- 1 660) PACIOLI Luca ( 1 445?- 1 5 1 5?) PAPPO di Alessandria (III-IV sec . ) PARMENIDE d'Elea (V sec. a. C . ) PASCAL Blaise ( 1 62 3- 1 622) PASCH Moritz ( 1 84 3 - 1 930)

STAUDT Karl G. Christian von ( 1 798- 1 867) STEINER Jacob ( 1 796- 1 86 3 ) STEINITZ Emst ( 1 87 1 - 1 929) STEVIN Simon ( 1 548- 1 620) STIELTJES Thomas Jan ( 1 856- 1 894) STIFEL Michael ( 1 487- 1 567) STmLING James ( 1 692-1 770)

PEANO Giuseppe ( 1 858- 1 932)

STOKES George Gabriel ( 1 8 1 9- 1 903)

PEARSON Karl ( 1 857- 1 936)

STURM Jacques C . François ( 1 803- 1 8 5 5 )

PEffiCE Benjamin ( 1 809- 1 880) PEffiCE Charles Sanders ( 1 839- 1 9 1 4 ) PEURBACH George ( 1 423- 1 46 1 ) PICARD Charles Emilie ( 1 856- 1 94 1 ) PIER! Mario ( 1 860- 1 904)

SYLVESTER James Joseph ( 1 8 1 4 - 1 897) TAKAGI Teiji ( 1 875- 1 960) TALETE di Mileto (624?-548? a.C . ) TACQUET Andreas ( 1 6 1 2- 1 660)

PIETRO Hispano ( 1 2 1 5?- 1 277) PITAGORA di Samo ( 5 80?-500? a.C . ) Pmscus Bartholomllus ( 1 56 1 - 1 6 1 3 ) PLATONE (427-347 a. C . ) PLÙCKER Julius ( 1 80 1 - 1 868) POINCARÉ Jules Henri ( 1 854- 1 9 1 2) POISSON Siméon Denis ( 1 78 1 - 1 840)

TAYLOR Brook ( 1 685 - 1 73 1 ) TEODORO di Cirene (nato 470 a.C.?) TEONE di Alessandria (IV sec . ) THAB IT lbn-Qurra (896-90 1 ) TOLOMEO Claudio (morto nel 1 68) TOPLITZ Otto ( 1 88 1 - 1 940)

PONCELET Jean Victor ( 1 788- 1 867)

TORRICELLI Evangelista ( 1 608- 1 647)

POST Emi! Leon ( 1 897- 1 954) PROCLO (4 1 0-485?)

TURING Alan Mathison ( 1 9 1 2- 1 954)

TARTAGLIA Niccolò Fontana ( 1 499- 1 557)

TSCHmNHAUS Ehrenfried W. ( 1 65 1 - 1 708)

5 08 URYSOHN Pau! Samuelevic ( 1 898- 1 924) VANDERMONDE A . Téophile ( 1 735- 1 796) VARIGNON Pierre ( 1 6 54- 1 7 1 9) VENN Jolm ( 1 834- 1 923) VERONESE Giuseppe ( 1 854- 1 9 1 7) VIÈTE François ( 1 540- 1 603 ) VITALI Giuseppe ( 1 875- 1 932) VOLTERRA Vito ( 1 860- 1 940) VON MIESES Richard ( 1 883- 1 953) VON NEUMANN Jolm ( 1 903-1 957) WALLIS Jolm ( 1 6 1 6- 1 703) WARING Edward ( 1 736-1 798)

WEBER Heinrich ( 1 842- 1 9 1 3 ) WEDDERBRUN Joseph H. ( 1 882- 1 948) WEIERSTRASS Karl T. W. ( 1 8 1 5- 1 897) WERNER Johann ( 1 468- 1 528) WESSEL Caspar ( 1 745- 1 8 1 8) WEYL Hermann ( 1 885- 1 955) WHITE HEAD Alfred North ( 1 86 1 - 1 947) WIENER Norbert ( 1 894- 1 964) WRONSKI-Hoene JozefM. ( 1 778-1 853) ZARISKI Oscar ( 1 899- 1 986) ZENONE d'Elea (V sec. a.C . ) ZERMELO Emst F . F . ( 1 87 1 - 1 953) ZORN Max ( 1 906)