Storia della filosofia occidentale. Filosofia antica e medievale [Vol. 1]
 9788823410503

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a Clara e Viola

Presentazione

l manuale che viene offerto, frutto di una lunga esperienza d'insegnamento nei licei, si propone di coniugare la chiarezza della pagina, la più trasparente possibile, con uno sforzo di rigorosa esposizione della materia, che non si limiti alla superficie delle cose, ma riesca a cogliere della riflessione degli autori trattati ricchezza e spessore. Si sono pertanto volute evitare facili schematizzaziòni e quella sorta di chiarezza che risulta dall'aver impoverito i concetti e i problemi della loro complessità, e dall'aver eluso la loro oggettiva difficoltà. Della più parte degli autori viene curata una presentazione che accompagna la formazione del loro pensiero, mettendone in evidenza fasi, incertezze, ripensamenti, insomma il non sempre lineare percorso, nello sforzo di restituirne la vitalità, é di far vedere come e perché nasce una filosofia. Per questo si è voluto adottare un linguaggio che fosse di volta in volta il più fedele possibile a quello dell'autore trattato, dei suoi scritti, dai quali vengono riportati costantemente passi significativi - specialmente ogni qualvolta riunciarvi avrebbe voluto dire esprimersi in modo tanto meno chiaro ed efficace. Funzionale ad una rappresentazione la più vitale possibile dell'opera dei diversi autori è anche il riferimento alle biografie, utilizzate per far meglio capire la posizione di un pensatore, e del pensatore l'umanità, quali si vengono configurando nella società e nell'epoca cui egli appartiene. Per questo i dati biografici, salvo non frequenti eccezioni, non sono mai offerti separatamente dall'esposizione dello svolgersi dei contenuti filosofici. Ci si è, infine, preoccupati di assegnare il loro posto così alla irripetibile singolarità di ogni autore come alla formazione delle scuole, degli indirizzi, insomma dei tanti 'ismi', utili ad ordinare e ad orientarsi nel vasto materiale di conoscenze offerto, ma anche pericolosi e devianti, quando, ad esempio, non consentono di evitare la confusione tra Platone e il platonismo - o meglio, i platonismi -, tra Marx e i marxismi. Le numerose schede di vario argomento - letterario, artistico, musicale, politico, sociale, ecc. -, e così le stesse illustrazioni che corredano le pagine del manuale, sono state pensate e scelte in vista dell'accensione di curiosità, del suggerimento di intrecci interdisciplinari, e per favorire la percezione degli ambienti culturali in cui sono nati e cresciuti filosofi e filoso-

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fie. Ogni capitolo si chiude con suggerimenti bibliografici, frequentemente commentati, che vorrebbero favorire approfondimenti specifici e percorsi interdisciplinari. Gli indici tematici sono stati pensati in vista di un uso selettivo e manografico del manuale, di chi sia interessato a ritagliarsi lo studio intorno ad un tema o ad una problematica precisa. L'autore non sa se sia riuscito a tradurre in realtà il suo ambizioso progetto - e se sì, in quale misura -; quello che vorrebbe avere evitato è di aver offerto un esempio di «storia antiquaria», nel senso peggiore in cui Nietzsche adoperò questa espressione, come di opera mummificatrice del passato, inutile al presente e al futuro, pesante ingombro per il lettore, soprattutto per il giovane lettore, il quale, semmai, anche se non lo sa e non lo dice, ha bisogno di sentirsi «intrigato» nelle cose che gli si propongono. Si vorrebbe, insomma, aver evitato la confezione di una di quelle storie della filosofia, in cui Kierkegaard pensava con terrore di poter venire un giorno «incasellato», e delle quali Nietzsche, appunto, diceva che fossero fatte perché, «dall'intrico delle opinioni», i giovani venissero dissuasi dall'avere opinioni. Non piacerebbe, pertanto, all'autore venire annoverato tra quei professori «accademici», dei quali ancora lo scrittore tedesco ebbe a scrivere una volta: « ... di tutto il loro affaccendarsi si potrebbe dire ciò che Diogene, dal canto suo, obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: 'che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?'. Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia delle università: 'Non ha mai turbato nessuno'». L'autore ringrazia vivamente per la collaborazione e i contributi forniti - di cui viene data precisa indicazione in ognuno dei singoli volumi di questo manuale - i seguenti amici: Arrigo Bortolotti, Giuseppe D'Eugenio, Elena Ferretti, Cecilia Martelli, Massimo Mugnai, Paola Palagi, Michela Pereira, Giulio Peruzzi, Gilberto Raffaelli, Aldo Serafini.

Salvatore Tassinari 7

PARTE PRIMA

DALLA SOPHIA ALLA PHILOSOPHIA SEZIONE PRIMA

DALMYTHOS ALLÒGOS SEZIONE SECONDA

IL PERIODO DELLA PÒLIS ATENIESE

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««~roiezione di speranze e il momento dell'alba non risveglia, nell'uomo pritimori mitivo, alcuna emozione estetica ed è, al contrario, costantemente atteso con palese trepidazione, Se, poi, il sole, diversamente dall'uomo, riacquista, durante la stagione estiva, le forze che sembrava aver perduto nel corso dell'inverno, è possibile che, attraverso pratiche particolari, la sua vicenda di morte

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e di resurrezione si estenda, e risolva anche la finitezO za umana? lLe risposte a questi interrogativi proiettaho sulla ~ vita dell'astro l'insieme delle paure e delle angosce -l tipiche di una società primitiva, aprendo, nel contempo, spiragli non effimeri di speranza. Considerazioni analoghe emergono anche dalle cadenze finali del racconto di Gilgamesh, sconcertanti, altrimenti, per la nonchalance, con cui si fanno affermazioni mortalmente pesanti (v. NOTA, P. 24). In sei righe lapidarie viene condensato l'intero destino dell'umanità, dopo che molte pagine, in precedenza, ci avevano fatto apprezzare lo sforzo di una ricerca coronata da alterni risultati parziali. Anche la figura del serpente, cui è addebitata la responsabilità della definitiva perdita della giovinezza da parte dell'umanità, rimanda, infatti, ad alli motivo del tre credenze, che di questa sezione del racconto «serpente>> costituiscono, per così dire, il tessuto sommerso ed alle quali si fa riferimento per iscorcio.

La Demetra di Cnido,

attribuita alla scuola di Skopas.

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PARTE PRIMA DALLA SOPHIA ALLA PH!LOSOPHIA

Esse dicono dell'immortalità del serpente e legano questa convinzione tanto al mutamento della pel0:: le, che significa rinascita, quanto all'assorbimento di LJ..J energie che rinvigoriscono l'animale, quando egli si ~ trova a diretto contatto con la terra durante il periodo o del letargo. Sono queste credenze a suggerire la scelta t' ed au· avventure e di un contrastato ritorno il secondo; essi tentico, la seconda. rappresenterebbero, invece, adeguatamente concretizb. In una dimensione di analoga fluidità si collozati secondo le esigenze e le modalità espressive della cano anche i termini di cui Omero si serve per descri~ coscienza mitica, i momenti· dell'iniziazione rituale vere la vita spirituale dell'uomo. Essi appaiono, infatti, delle giovani generazioni al mondo della cultura so- in grado di determinare il quadro delle forze in gioco, cietaria ed alla conoscenza dei problemi dell'esisten- ma non ancora di definirne le priorità e le competenze za. Su queste «vicende'' simboliche, entrambe desti- specifiche. Si tratta di quella serie di vocaboli ananate ad illustrare, nell'un caso, la «lotta'' per l'atteni- lizzati dallo Snell, dai quali emerge l'immagine · · · · l vocaboli della mento del regno e, nell'altro, l'esperienza vittoriosa .d1· un ~orno f.r~ntumat~ m tantl segmentl, ~1asc~- vita spirituale del viaggio oltre le acque della morte, si sarebbero, no de1 quah e certo m rapporto con gh altn, poi, innestate quelle «realmente'' accadute e legate senza che, tuttavia sia possibile rìconoscere ad alcuno alle mire espansionistiche ed alle esigenze mercantili il ruolo accentratore ed unificatore del protagonista. dei sovrani micenei. · Tale prerogativa non manifestano, infatti, né il termiÈ, poi, sotto il profilo dell'organizzazione del ne psiché nell'ambito spirituale, né quello di sòma materiale che molto, in Omero, appare di derivazione nell'ambito fisico. Del resto gli altri vocaboli, che intemitica; e ciò interessa anche il problema della ressano i due medesimi settori, pur sembrando avere Alcune caratterizzazione psicologica dei personaggi e la occasionahnente una loro tenue specificità, si dimoparole-chiave: concezione relativa ai nuclei della loro vita intestrano più spesso intercambiabili e, dunque, avvicinati «Giustapposisecondo una disposizione per linee orizzontali. zionen riore. Alcune parole-chiave possono aiutarci ad evidenziare il complesso di fatti sopra accennati. Su di un piano di sostanziale uniformità, priva di Si tratta dei termini «giustapposizione,,, «intercam- sfondi e di articolazioni, si svolge anche la vita . . sociale del poema omerico. In questo caso il ter- La vita socmle biabilità'' e «concretizzazione''· Il primo di essi, che esprime un tipo di composi- mirte «giustapposizione'' serve ad indicare quella zione basato su un allineamento privo dì evidenti rap- pressoché totale aderenza fra l'uno ed i molti, che porti di subordinazione, abbraccia e riunisce, nel segno di un denominatore comune. i momenti, qualitativamente diversi, che riguardano: a. la disposizione 3 Si tratta delle sezioni poetiche nelle quali si procede all'elencadei temi narrativi; b. la consistenza della psicologia zione dei personaggi o delle cose che hanno parte nella narrazione.

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elimina la presenza di spazi privati e la possibilità di personali ripensamenti. Tale rapporto, che sembra ripetere quello esistente fra il narratore di miti ed il suo pubblico, viene suggerito da termini fondamentali quali timé (onore), aid6s (rispetto), ed areté (valore): vocaboli, tutti, privi ancora di essenza propria, la cui validità si misura sulla base del raffronto con elementi esteriori e quantificabili. Un premio definisce la timé, l'abilità fisica ed il consenso conseguente qualificano l' aretè, il «peso» di una persona ne determina l'aid6s presso gli altri. Questo sistema di valori, mentre segnala l'esistenza di un'etica ancora tutta mondana e legata al risultato più che all'intenzione, impedisce di pensare all'eroe omerico come a qualcosa di diverso d.a una tessera, significativa sia pure ed esemplare, di un mosaico più vasto che la contiene ed al quale si fa costante riferimento. c. Il termine «giustapposizione» si presta, infine, a qualificare, in qualche modo, anche la sfera dei rapporti fra uomini e dèi. Formalmente subordinato alla figura divina, che certo lo sovrasta per la «facilità» della sua esistenza, l'eroe omerico non vede mai . . d" totalmente annullata dal dio la sua «spinta deciUomuu e e1 . . . , al swnale». Anz1,. la presenza d'1 una d'1v1mta fianco di un uomo che deve decidere, sembra interpretabile come un residuo di quella tendenza mitica che spingeva ad oggettivare gli impulsi interiori in altrettante figure-causa esterne. L'eroe ed il suo doppio esteriorizzato: questi, dunque, in estrema sintesi, i termini costitutivi del rapporto uomo-dio. Le zone toccate dagli altri due vocaboli - intercambiabilità e concretezza- si lasciano circoscri>, tanti quanti ne entravano in un pugno, formano l'unità di misura

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sùperiore, là «dnlcma»; elle appunto significa roemio venta, in tal modo, il segno tangibile dell'aiuto parmenideo concesso dalla divinità al suo fedele e le figlie del Sole ricoprono il ruolo delle potenze mediatrici fra mondo umano e mondo divino. La seconda lettura sottolinea, invece, come l'insieme delle immagini e delle personificazioni presenti nel proemio si lasci afferrare solo nel suo v(llore simbolico e rappresenti, quindi, una semplice traduzione poetica di contenuti logici. Le cavalle, dotate, secondo gli antichi di poteri profetici, indicherebbero, allora, «l'aspetto cosmico della volontà», mentre la Notte ed il Giorno sarebbero il buio e l'illuminazione che caratterizzano la posizione dell'iniziato prima e dopo il suo incontro con la divinità. Importante è, comunque, notare che entrambe queste letture concordano su un dato di fondo: la mancanza di subordinazione dell'uomo alla divinità, che è invece tipica dei riti di iniziazione della tradizione dei «misteri». L'uomo è sì guidato dalle P cavalle, ma prima era stato spinto dal suo impul- eot:~z~àdivina so - «il desiderio del cuore» -; il punto d'arrivo un~ana" del suo viaggio è certo costituito dall'incontro con la dea, senza, però, che questo fatto oscuri il valore intellettuale della sua impresa conoscitiva, visto che la dea simbolizza proprio quella forza - il nous che nell'uomo si coniuga alla volontà. Nella lettura poetica ciò emerge dalle figure che segnano gli estremi del cammino «realmente» compiuto dal saggio: le cavalle ed il carro all'un capo, la dea all'altro; nella lettura concettuale, dai valori che esse adombrano: l'impulso, la volontà ed il lucido ragionamento. È stato detto acutamente che Parmenide, esponente della tradizione aristocratico-sacerdotale raccolta nelle istituzioni dell' «acropoli» delle città greche, rappresenterebbe, insieme ad altre figure di «sapienti» come Pitagora o Eraclito, la reazione della cultura «sacra» propria di quella tradizione all'aggressione proveniente dai ceti mercantili emergenti, c . .d . l ultura sacra e espr~s~wm ell' agorà.- 1~ centro «popo are?> del- cultura la c1tta -, e portaton d1 una cultura razwnale popolare antagonista, legata alle tecniche e ai saperi «profani» fondati sull'empiria. Una reazione, però, non chiusa nella difesa conservatrice del vecchio e screditato sapere sacerdotale, ma anzi capace di scendere sul terreno dell'avversario, quello del dibattito razionale, a proporre valori trascendenti e divini, sì, ma anche disposti a sottomettersi alla severa disamina

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della ragione. In tal modo, Parmenide, e gli altri pensatori dell'«acropoli», contrappongono all'«empirismo» dei «fisiologi» ionici il ragionamento che porta oltre i confini dell'esperienza. Dopo aver proposto l'obiettivo da raggiungere che, ricordiamolo, comprende la conoscenza sia del d «cuore» ben rotondo della verità, sia delle opi011 li > persone 1vme, che presentano, dunque, una consistenza al tempo stesso concreta e metaforica: Zeus splendente è il fuoco, Era donatrice di vita l'aria, Edoneo la terra, e Nesti, «che con le sue lacrime alimenta la sorgente dei mortali», l'acqua. Nella sua ricerca del vero essere, Empedocle si ferma, dunque, entro l'ambito degli elementi materiali, anche se inserisce, come vedremo tra poco, nel gioco delle combinazioni fra i quattro elementi, la presenza dinamica di forze divine.

Fuoco, aria, acqua, terra: si tratta di elementi sempre·uguali a se stessi, increati e perciò indistruttibili; essi si mescolano e si separano producendo quei Tisultati che il linguaggio comune indica coi nomi di nascita e di morte. «Ogni volta che gli elementi - si legge in un frammento non del tutto chiaro - ... si mescolano in forma di uomo, o di bestie selvatiche, o di piante, o di uccelli, essi - gli M 1 uomini - (lo chiamano) nascere; quando invece si sepa- esco a.nza e rana (parlano di) luttuosa morte. Bisogna pure dare un separazione nome a tutto ciò, e io stesso parlo secondo l'uso generale».

Ma, in realtà, «nessuna delle cose mortali conosce nascita, né fine ad opera di funesta morte. C'è solo mescolanza, e poi separazione di ciò che si era mescolato: è questo che gli uomini chiamano natura».

Ancora una volta coesistono, in questa posizio-

Morte di Fedra di P. Ligorio.

quella rivelazione disonorevole. La seconda versione mostra, dunque, una significativa

coincidenza fra l'onorabilità personale ed il silenzio su tutto ciò di cui gli altri considerano vergognoso

parlare; sotto questo profilo, essa costituisce un esempio della persistenza, in pieno V secolo, di quella che il Dodds definisce «cultura della vergogna», incline ad attribuire valore non a ciò che è, ma solo a ciò che appare. Nella tragedia è, anzi, tanto forte questo «tabù» della parola, che esso non solo si riflette nella fortissima reticenza di Fedra a toccare direttamente l'argomento del suo amore incestuoso, ma si traduce anche, concretamente, nella tavoletta, in cui la donna; prima di uccidersi, accusa il figliastro di averla voluta disonorare; in essa, infatti, quell'argomento compare sì, ma «distorto» sotto forma di calunnia e destinato, comunque, ad essere conosciuto dopoché la protagonista è definitivamente uscita di scena. In quest'opera è possibile cogliere anche altri echi della cultura ateniese della fine del V secolo, i frammenti indiretti di un dibattito affascinante e

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certo assai vivace. Due, in particolare, meritano attenzione, anche per il fatto che sembrano direttamente replicare a convinzioni, che appaiono centrali nella predicazione socratica. Il primo, assai noto, è legato all'affermazione con cui Fedra rifiuta la coincidenza fra conoscenza e volontà: «Noi conosciamo e distinguiamo il bene, ma non lo pratichiamo, o per pigrizia o perché ci fa comodo anteporgli qualche altro piacere; e nella vita i piaceri sono molti»; il secondo, poco dopo l'inizio della tragedia, sembra anch'esso implicito disconoscimento del valore della ricerca razionale: «Assai grande è il dolore che ci angustia al tornare del senno: certo è un male esser folli, ma è meglio morire senza averne coscienza». Nel suo fatalistico abbandono ad un ordine inconoscibile, Fedra dimostra, in tal modo, di èollocarsi assai lontano dall'ideale di una vita destinata all'indagine ed alla ricerca dei perché delle cose.

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ne, principi parmenidei - l'immobilità dell'essere, la sua eternità - ed elementi che rimandano ad Eraclito - il movimento. Empedocle descrive il processo da cui la realtà ha origine, attraverso la suggestiva metafora della pittura: «Come quando i pittori dipingono le tavolette votive,/ uomini ben esperti nell'arte grazie alla loro·sapienza,/ che, presi in mano i colori, li mischiano/ con equilibrio, quali più quali meno,/ e da essi creano immagini simili a tutte le cose/ .... cosi non c'è altra origine per tutte le creature mortali/ che appaiono in numero infinito».

L'incessante trasformarsi della realtà, osservato sul fondale ingannevole delle figure create dall'arte . dei pittori, viene ricondotto alla azione di due Amore e Od10 • , • . 10rme c d'1vme: . pnnc1p1, anch' ess1. persom'f'1cat1. m l'Amore e l'Odio. La grande forza di attrazione del primo favorisce l'aggregazione delle «radici»; quella repulsiva del secondo è causa della dissoluzione dei composti. Il sistema creato da Empedocle - a riprova del fatto che nella sua meditazione s'incontrano e s'intrecciano l'ispirazione dello scienziato, fedele osservatore dei fenomeni naturali, e quella del religioso, consueto al linguaggio delli1ito - si vale così dell'apporto dell'indagine razionale, come degli esiti che si possono ottenere con l'uso del procedimento analogi. lndagme d' d . . . . All a pnma . s1. razionale e co, 1 envazwne, appunto, m1t1ca. influssi mistici deve l'attenta osservazione, fertile di risultati, delle azioni reciproche di attrazione e repulsione che, a somiglianza delle relazioni chimiche tra le sostanze di cui parla la scienza moderna, gli elementi della materia esercitano gli uni sugli altri; al procedimento analogico, il trasferimento sul terreno «scientifico» di comportamenti morali, sperimentabili in ambito umano, quali sono, appunto, l'odio e l'amore. Se nell'Amore empedocleo ritornano caratteristiche già presenti nell'Eros di Esiodo, che appunto favorisce le unioni e dà origine alle stirpi divine, risale, forse, ad Anassimandro la tensione con cui viene drammaticamente presentato lo scontro fra le 11 cosmo due forze ed il loro alterno dominio sulle cose. Empedocle non guarda alle singole realtà del mondo, bensì al cosmo nel suo complesso, indicato come sede e come risultato di una lotta che ha accenti epici. In relazione al prevalere dell'una o dell'altra forza di Amore o di Odio, si costituisce una serie di momenti diseguali, collocabili in un movimento circolare. Alle due estremità si situano i due momenti di cui l'uomo, . chiuso nel breve giro della propria esistenza morLo SIero e 11 l h d' . d' . , . caos ta e, non a uetta espenenza, ma 1 cm e m molteplice grado, indirettamente, di rendersi conto sulla base dei dati offerti dal mondo in cui vive: da una parte, «lo Sfero, fisso nel saldo segreto dell'Armonia, che gode del suo essere unico», dall'altra, l'opposto confine rappresentato dal caos della dispersa molteplicità, della vita instabile e precaria, là dove Amore

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si è ritirato totalmente dal mondo. Le espressioni adoperate da Empedocle sono, a questo proposito, alquanto oscure e rimandano a quello sfondo misterico, cui forse egli appartiene in ragione della sua vicinanza spirituale con il mondo dei pitagorici e degli orfici. Quattro, comunque, risultano essere le epoche della storia del mondo: due - quelle di cui ora dicevano - segnate dal dominio esclusivo di Amore o di Odio, rispettivamente caratterizzate dalla perfet- L 11 . ' degl'1 elementi. - lo «S1ero» c d'1vmo . - e stagioni e qua rodel ta umta dalla loro completa scissione - il caos nemico di mondo ogni unità, mentre le altre due, nelle quali Amore ed Odio si equilibrano, costituiscono le fasi di passaggio al dominio di Odio o a quello di Amore. Non è dato, peraltro, a noi uomini sapere se il mondo nel quale oggi viviamo volga verso il caos o l'unità del divino. Quel che è certo è che una visione siffatta 11 . 1• . . del mon do, dove l' aspuazwne · · degl'1 dell'epoca CICICOriiOIOO de11 a stona uomini all'armonia ed alla giustizia appare ga- dell'Amore rantita dal ciclico ripresentarsi dell'epoca dell'Amore incontrastato signore del mondo, doveva esercitare un fascino enorme sulle masse diseredate degli uomini in attesa di pal1ngenesi sociali, altrimenti improbabili. In effetti, l'uomo, proprio perché appartiene a quella fase della storia del mondo nella quale Amore ed Odio sono tra loro in equilibrio, di modo che L . , , . . . h d' . . a nasc11a e la rea lta e umone ma ms1eme an c e 1stmzwne l'evoluzione del di elementi, non sarebbe in grado, senza la guida genere umano del profeta-scienziato, di cogliere lo «sfera» d'Amore, immobile nella sua completa uguaglianza ed infinito, là dove tutte le cose si riuniscono «per non essere che unità»: «all'Essere, - dice Empedocle - è impossibile accostarci sì da raggiungerlo con gli occhi e afferrarlo con le mani, che è la via di persuasione maggiore che arrivi al cuore dell'uomo». ·

In questa ricostruzione della ciclica storia del mondo, dominata dalla fatale necessità del movimento e del travaglio, trova posto anche la nascita del genere umano, che, al pari di quella di ogni altra creatura, dipende interamente dal caso, secondo cui avviene l'impatto degli elementi tra loro. «Nacquero molti esseri, racconta Empedocle, con due volti e due petti/, buoi con facce umane, e, tutt'al contrario/ uomini con la testa di buoi, e mescolati/ uomini e donne con gli organi avvolti nell'ombra».

Ma successivamente, in base ad una sorta Evoluzione di processo meccanico di selezione naturale, progressiva «queste membra insieme si accordavano», dando delle forme vita alle forme oggi esistenti, che hanno raggiun- create to una sufficiente condizione di stabilità, ossia, per usare anche qui espressioni caratteristiche della scienza moderna, di adattamento alle condizioni ambientali.

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Molti sono -l'abbiamo visto -i tratti parmenidei cuno contamina le sue membra nel sangue o per odio individuabili nel pensiero di Empedocle, che questi, fa un giuramento spergiuro», al medesimo itinerario di peraltro, si sforza di accordare con l'esigenza, tipica espiazione, di cui parlano, con accenti diversi ed in della sua vocazione scientifico-naturalistica, di riabili- contesti vari, alcuni fra i poeti lirici tra il VII ed il VI tare il movimento, conciliandolo con la stabilità e la secolo a. C. Ad una scelta sbagliata, causata dalla «saziecoerenza dell'essere. Se si riconosce che nessuna realtà tà», segue il funesto accecamento, la punizione inviata può originarsi dal non-essere, si contesta, tuttavia, da Dike, la Giustizia, che ripristina l'ordine violato. Si impara, così, attraverso la sofferenza personal'unicità eleatica dell'essere, che risulta, di fatto, diviso in quattro realtà semplici, che ne replicano sì le qualità le, a rispettare le leggi divine e a vivere con moderaziodi base, ma anche intervengono direttamente nella ne. L'anima empedoclea va incontro ad un lunghissimo periodo di lontananza dagli dèi beati - La 1 . . genesi del mondo e dell'uomo. . della metempstcost , . -, «nascendo m , que l tne etnpSICOSI Nel suo sforzo di isolare le quattro «radici» origi- e, 1.1mtto narie, Empedocle mostra un grado di precisione senza tempo, con ogni aspetto mortale e mutando le strade dubbio maggiore rispetto alle teorie di quei pensatori, penose del vivere». che in precedenza avevano parlato di principi costituCosì, in un frammento, troviamo scritto: .. tivi della realtà. Per quanto, infatti, l'espressione «Sono già stato ragazzo e ragazza, albero, uccello e La P:.eclsl~ne empedoclea sia ancora saldamente legata alla cordellmdagme • , d . . .. . pesce silenzioso che guizza dalle onde del mare». empedoclea postta e11mguagg10 mtttco, e scarsamente emptAlla fine, le due strade, che sembravano inconcirico possa definirsi il livello della sperimentazioliabili, della conoscenza razionale e dell'abbandono ne effettiva, non si può negare che la scelta di acqua, terra, aria e fuoco risulti funzionale alla spiegazione fiducioso nella divinità, finiscono col congiungersi e . della molteplicità dell'esistente. I quattro elementi , pacificarsi: la «ricchezza di pensieri divini» che rappresentano, infatti, approssimativamente, gli stadi l'uomo ha saputo conquistarsi, si traduce in chia- Intelligenza diversi (solido, liquido e aeriforme) in cui la materia ra opinione sugli dèi; questa in felicità. Le due e fede può presentarsi e si prestano, dunque, a coprire un dimensioni dell'intelligenza e della fede si sovrappongono e si completano, secondo una rapporto che ha numero pressoché illimitato di varianti. Significativo risulta, a questo proposito, l'uso che radici antiche, anche se non conosce ancora, netto, il Empedocle fa del principio della proporzione, desunto confine tra la fisica e la metafisica. Come tanti altri aspetti della sua vita avventurodai pitagorici, anche se in parte spogliato delle sue . valenze etiche. In due caratteristici frammenti, sa, anche la morte di Empedocle è rimasta avvolta nella leggenda. La proporzione Empedocle ci parla rispettivamente delle ossa, costituite di fuoco, terra ed acqua nel rapporto di Cosi ne racconta Diogene Laerzio: «Eraclide, dopo aver narrato come Empedocle fosse 4:2:2, e del sangue, in cui, invece, i quattro elementi si venuto in grande fama per aver risuscitato una donna morta, presentano in proporzioni identiche. che andò a celebrare un sacrificio in un podere di PisiaLa presenza di principi uguali in tutte le creature dice natte: furono invitati anche alcuni dei suoi amici, tra i quali La conoscenza rende possibile il processo della conoscenza. il prediletto Pausania. Dopo il banchetto tutti se ne andarono «Con la terra vediamo la terra, con l'acqua l'acqua/ con l'aria l'aria fulgida, il fuoco devastante col fuoco/ con l'amore l'amore, con l'odio l'odio terribile»:

Così leggiamo nel fr. 109, che esprime una concezione legata anch'essa al principio mitico dell'attrazione esercitata dal simile sul simile. In particolare la sensazione si produce quando si verifica l'incontro fra gli «effluvi» provenienti dai corpi esterni ed i «pori», di cui sono formati i nostri organi di senso. L P . . . . A questa tensione conoscitiva, ricca di campoe uriftcaztom nenti tradizionali forzate in contesti nuovi ed originali, si affianca la dimensione religiosa e sacrale, documentata per noi dai frammenti del poema intitolato Purificazioni. Nei versi conservati Empedocle parla, con accenti pitagorici, della condizione dell'anima umana. Egli ne conosce l'origine divina, e ad essa riconduce la propria capacità di presentarsi quale ispirato operatore di L'anima miracoli. La sa anche sottoposta, quando «qual-

a riposare in disparte, chi sotto gli alberi, dato che il luogo era in aperta campagna, e chi dove meglio preferiva: lui solo rimase nel luogo dove avevano mangiato; e lui solo, all'alba quando tutti si svegliarono, non fu ritrovato. Lo cercarono da ogni parte e interrogarono i servi, che dissero di non sapere nulla, ad eccezione di uno: questi riferì che a mezzanotte si era udita una voce fortissima che chiamava Empedocle , e che egli stesso, quando si era alzato, aveva visto una ~avventurosa luce celeste e un brillar di torce, e poi più nulla. I Ime presenti rimasero stupiti per questo avvenimento, e Pausania scese la scala e mandò gente a cercarlo ancora: più tardi però li fece richiamare, e disse a tutti che erano accadute cose degne piuttosto di preghiera, e che bisognava far sacrifici in suo onore, perché era diventato un dio ... lppoboto però dice che Empedocle (quando era rimasto solo), si era alzato e si era incamminato verso l'Etna: giunto al cratere del vulcano, vi si gettò dentro e scomparve. Con questo accorgimento avrebbe voluto dare una conferma definitiva della voce che correva su di lui, secondo la quale sarebbe divenuto un dio. Ma poi tutto si venne a sapere perché il vulcano ributtò fuori uno dei suoi calzari; infatti i calzari che portava abitualmente erano di bronzo (e perciò la lava non li aveva distrutti). Pausania smentì recisamente questa versione».

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Capitolo CC'"'=c'·E::c;-y~,.:~~1

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Sapienza ispirata e sapienza laica Di Senofane si può vedere: Senofane. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1956 (con un'ampia introduzione). Di Eraclito, si vedano: Eraclito, Testimonianze e imitazioni, a cura di R. Mondolfo-L. Taran, La Nuova Italia, Firenze 1972; Eraclito. l frammenti e le tèstimonianze, a cura di C. Diano-G. Serra, Mondadori, Milano 1980. Su Eraclito: R. Laurenti, Eraclito, Laterza, Bari 1974. Di Parmenide si vedano: Parmenide, testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1958, con ampia introduzione, che insiste sul carattere essenzialmente logico della filosofia parmenidea. Su Parmenide: A. Capizzi, Introduzione a Parmenide, Laterza, Bari 1975; idem, La porta di Parmenide, Ateneo, Roma 1975; L. Ruggiu, Parmenide, Marsilio, Padova 1975; M. Vegetti, Il coltello e lo stilo, Il Saggiatore, Milano 1977 (particolarmente interessante); G. Casertano, Parmenide. Il metodo, la scienza, l'esperienza, Guida, Napoli 1978. Su Zenone può interessare la lettura di poche pagine di un logico e filosofo del nostro tempo: B. Russell, l principi della matematica, Longanesi, Milano 1951, pp. 619-20; R. Mondolfo, La polemica di Zenone contro il moto e la negazione dello spazio, in Problemi del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1936; M. Migliori, Unità, molteplicità, dialettica: contributi per una riscoperta di Zenone di Elea, Milano 1984. Di Empedocle, si può vedere: G. Gallavotti, Empedocle, Mondadori, Milano 1975 (edizione commentata dei poemi). Su di lui: G. Colli, Empedocle, Pisa 1949.

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SEZIONE SECONDA

IL PERIODO DELLA PÒLIS ATENIESE

4

Capitolo

Il razionalismo greco 5

Capitolo

Filosofia e retorica 6

Capitolo

Platone

(427-347):

l

il fondatore dell'idealismo

146

7

Aristotele

(384-322):

la ragione sistematrice

186

4

Capitolo :::·:::::::;::;;;;;;;;;;;;::::···

············:··::::::·::::;;::;;;;;;;;:;::;;;;;;;;;:;;::::········

Il razionalismo greco

l "' '''"""""'""""'"'"' '"'""''"' """"'' '"""'"'"""'"'""'"'"'"" '"""""" '""""'""""' '"'""" """ '''""'""""' '"'"""'""""""'"'""'""'"''"""'""""'"''''' """""""""""""' """"'""""'"""

Il V secolo a.C.: il periodo storico

a cosiddetta «pentecontetia», il periodo, cioè, di cinquanta anni che separa la conclusione delle guerre persiane (480 a.C.) dall'inizio della guerra del Peloponneso (431 a.C.), racchiude il momento più creativo della civiltà attica, rimasta fino ad allora ai margini del mondo greco. Si tratta di un arco di tempo singolarmente breve, ma intenso .La e problematico, la cui immagine, positiva e nega«pentecontetm» • • • · tlva, c1. vwne restltmta, con eff'1cace real'1smo, da Tucidide, nella sua opera storiografica. In essa, emblematicamente contrapposte, troviamo, infatti, l'esaltazione dei meriti civili e culturali di Atene, espresL'Atpen~ di sa da Pericle nel momento alto delle grandi speenc1e . . accurata d'1una s1tuazwne . . ranze, e l' ana11s1 «morbosa>>, che, sempre più colpevolmente, scambia lavolontà di egemonia con il più gretto desiderio di sopraffazione. Nelle orgogliose e consapevoli parole dello statista, destinato a scomparire ben presto dalla scena politica, trovano giusta collocazione e in termini quasi di rapporto causale, la bontà della costituzione ateniese, la nobiltà delle scelte di vita, la reciproca tolleranza, pubblica come privata, ed il giusto riconoscimento dei meriti individuali. «Noi abbiamo una costituzione che non emula le leggi dd vicini, in quanto noi siamo più d'esempio agli altri che imitatori. E, poiché essa è retta in modo che i diritti spettino .. . non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiaPanta per tutti mata democrazia: di fronte alle leggi, per quanto rie preferon~~ guarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di per la quahta parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica, nell'amministrazione dello stato, ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la sua provenienza da una classe sociale».

Quella società, che vede soddisfatte le sue attese primarie, è, d'altra parte, naturalmente percorsa dal gusto del bello:

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«e abbiamo dato al nostro spirito - continua, infatti, il discorso pericleo - moltissimo sollievo alle fatiche, istituendo giochi e feste per tutto l'anno ed avendo belle suppellettili nelle nostre case, dalle quali giornalmente deriva il diletto con cui scacciamo il dolore».

Amore del bello, come amore della saggezza, professati entrambi senza cedimenti o pericolosa debolezza, costituiscono, infine, i presupposti obbli- ~~~ore ~elll gati dell'epigrafica affermazione, che ad Atene s:g~e:z: attribuisce il ruolo di «scuola dell'Ellade». Eppure, di quel medesimo periodo, che vede sorgere ed affermarsi il primato di Atene quale luogo . . . . · naturale della civiltà, il severo realismo tucidideo Alvahta e odi traccia un quadro molto meno esaltante, segnato dall'

a

«avvicendarsi continuo di tregue e di atti di rivalità reciproci o sferrati contro i propri alleati»;

una situazione destinata a trovare velenoso alimento nella pratica della guerra, che rovescia i valori consolidati rendendone dubbio ed ambiguo il significato. Nell'arco di questi cinquant'anni, rapinosi ed inquieti, che vedono maturare lo scontro fra Sparta ed Atene, si verificano d'altronde sviluppi determinanti e risultati decisivi per il mondo greco, come per quello di cultura occidentale. La strada è aperta dall'affermazione della democrazia, che, in questo secolo, appare come la definitiva maturazione delle esperienze iniziatesi con Solone e con Clistene. Il consolidamento di questo ·~~:~nnazione regime, del tutto originale per la Grecia del perio- d:;ocrazia do, rafforza la fiducia del singolo nelle proprie capacità e ne accelera l'emancipazione sociale. Il progetto riformistico, che conosce momenti di scontro anche molto violenti, si attua in tempi assai rapidi, fra il462 -l'anno del trasferimento alla Bulè, all'Eliea ed all'Ecclesìa di tutte le decisioni politiche e giuridiche-

SEZIONE SECONDA. IL PERIODO DELLA PÒLIS ATENIESE CAPITOL04

ed il 458, quando i rappresentanti della terza classe, gli zeugiti, vengono ammessi all'arcontato, e la responsabilità politica passa dalle mani dell'aristocrazia a quelle del popolo. Di questo mutamento epocale, che agita le coscienze ben oltre le affermazioni clamorose e le polemiche violente dell'una come dell'altra parte, noi conosciamo l'immagine pacificata che Eschilo rielabora per le Dionisie del 458, a suggello, quasi, delle positi-

ve energie che rendono grande la sua città. Le Eumenidi, terza opera della trilogia, intitolata Orestea, presenta, infatti, un'ambiente cittadino, in cui, con uguale preoccupazione del bene comune, operano fianco a fianco, uomini e dèi, figure del presente e del passato, nell'intento di ricacciare indietro i tetri fantasmi del passato, trasformandone la natura ed il comportamento. Di questo ambiente è ora opportuno considerare più da vicino le caratteristiche principali.

2

La democrazia ateniese. Democrazia e cùltura a democrazia ateniese, a dispetto della traspa- importanti i «correttivi>} alla grande libertà concessa e renza di un vocabolo rimasto inalterato fino ad garantita dalle istituzioni: l'ostracismo, e la possibilità oggi, non coincide esattamente con i regimi che di accusare chiunque sia responsabile di proposte illenei nostri tempi siamo abituati a designare con gali. il medesimo nome. Al centro di questo paesaggio urbano, che bisoEssa permette, in realtà, una gestione del potere gna immaginarsi caotico a volte, ma sempre intenso, da parte del popolo, che potremmo definire «di prima si muove un uomo che sempre più fa affidamen- . . . mano», ed equivale, sotto questo profilo, al significa- to sulle proprie capacità, e sente strettamente un 1 ~dlvlduo . . de11,.mteresse pubbl'1co e «motivato» to di un altro termine, isegoria, che evidenzia il tratto complementan. 1. p1am caratteristico di questa uguaglianza fondamentale. A di quello privato: un individuo «motivatm} che non . . tutti è, infatti, concessa la possibilità di prendere vive in maniera «inutile}}, La 'segona la parola durante i lavori dell'assemblea (isegoria Le istituzioni democratiche ateniesi non sono = parità di parola) e, dunque, di cooperare effettivacerto immuni da difetti o da errori. Si deve, peraltro, mente alle «cose della città». L' ecclesia (assemblea distinguere fra le insufficienze deplorate dagli opposipopolare) è, inoltre, protagonista della scena politica tori del periodo e quelle che appaiono obbiettivamenateniese, anche di fronte a personaggi autorevoli, che te imputabili a quel tipo di regime. Tra le prime vandebbono sempre tener conto delle sue decisioni e cer- no segnalate il disordine e l'inefficienza di un sistema basato sulla naturale indistinzione delle capacità, opcare, semmai, di orientarne gli umori. Gli oppositori del regime democratico attacche- posta all'ordinata gerarchia del regime aristocratico. ranno con violenza la pretesa che chiunque possa par- Isocrate come Senofonte, Platone come Aristotele lare persuasivamente di problemi che non conosce. concordano nel rilevare l'ignoranza politica delle . . e nel sottolinearne l pericolosa ~~bert.a ? Va, peraltro, ricordato che il «sistema» educativo, masse popolari d ,, . 1mpena1ISillo .., p . er 11secon o aspetto c e, pmttonell'Atene del V secolo, poggia su basi essenzialmente manovrab11ta. 1 politiche: le istituzioni cittadine, quali la famiglia, la . sto, da rimarcare la cronica incapacità di estendere i • palestra, l'assemblea, mantengono, infatti, co- principi ideali, su cui l'istituzione democratica pog11 «sdlstent~an stantemente vivo il contatto dei giovani con le gia; essa appare, infatti, una sorta di corpo chiuso ed eateniese uca IVO att1v1ta · · ' pubbl'1che ed appawno, · dunque, m · grado impenetrabile, che, nella città, non comprende tutti i di assicurare loro un livello di sufficiente compe- cittadini, ma solo i maschi adulti e liberi e, nelle relatenza in quella che veniva definita l'arte della politi- zioni internazionali, spesso confonde fra gli interessi ca. Il raggiungimento di questo obiettivo è, del resto, ideali e quelli di parte. Libertà ed imperialismo, uguafacilitato dall'esiguità numerica dei cittadini a pieno glianza e sperequazione sono, dunque, i due binomi titolo - 45.000 all'incirca-, nonché dall'assoluta pre- paradossali che caratterizzano la vita della città per valenza della parola parlata su quella scritta: condi- circa un secolo e mezzo. Grazie al forte impulso con cui promuove la cirzioni, entrambe, in grado di correggere le disuguaglianze sociali e di promuovere una parità autentica. colazione delle idee, la democrazia ateniese diventa Il segno più clamoroso - ed anche il più criticato fattore determinante per lo sviluppo di una vita cultu- di questo sistema politico consiste nell'attribuzione rale, il cui asse portante è ora rappresentato dal per sorteggio delle cariche pubbliche, insieme con l'at- teatro; non a caso, se si considera che il vocabolo li teatro tribuzione di un compenso a tutti coloro che parteci- designa, prima an,cora che il luogo delle rappresentapano ai lavori delle assemblee cittadine. Ugualmente zioni drammatiche, il pubblico che si riunisce per as-

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PARTE PRIMA DALLA SOPHIA ALLA PHILOSOPHIA

sistervi, protagonista di un'esperienza collettiva parallela al flusso degli avvenimenti reali. La tragedia e la commedia, che scavalcano i due generi fin allora z I.J..J prevalenti - l'epica e la poesia lirica -, diventano, 1cosi, un momento fondamentale della paidèia cittadi> della sua cerchia, di lppocrate, di Democrito, dello stesso Socrate, con la sua critica incessante contro la pseudo-scienza dei suoi concittadini. Anche i sofisti vanno inseriti in questo clima di vivace dibattito che investe tutti i valori tradizionali e 1solisti· -che, spesso, è stato avvicinato all'illuminismo e a perdere il controllo di sé, o, per meglio dire, a reagire · in modo diverso da quello, in genere, considerato normale, di fronte alle circostanze abituali. «Un giorno nell'esercito ... venutogli un pensiero, stette dall'alba ritto in un posto riflettendo e, poiché non ne veniva a capo, non smise ma restò in piedi investigando. E già era mezzogiorno e gli uomini se ne accorsero e, meravigliaUn ti, si dicevano tra loro che Socrate dall'alba stava in temperamento piedi ruminando qualcosa. Infine alcuni Ioni - poiché da «visionario>> era sera -, dopo cenato, portarono fuori i giacigli, sia per mettersi a dormire all'aria fresca, sia per spiare se lui sarebbe rimasto in piedi- tutta la notte. E lui rimase in piedi finché non fu giorno e si fu levato il sole; poi, fatta la preghiera al sole, se ne andò via».

La sua biografia ci presenta, dunque, accanto all'abile dialettico, esperto nel tendere tranelli ai suoi interlocutori, un personaggio che manifesta, secondo molti critici, tratti accentuati di un temperamento da «visionario». Nessuna meraviglia, dunque, che un personaggio come questo, estremamente inusuale, acquistasse presto notorietà nell'Atene periclea e diventasse motivo di fascinosa attrazione soprattutto per i giovani. La forza Doveva, in particolare, esercitare una forte sugprovocatrice della parola gestione il suo modo di mettersi in comunicaziosocratica ne con gli altri, la forza provocatrice della sua parola, non mai usata per impartire «lezionh> lui, che si dichiarava sapiente solo della propria ignoranza -, ma piuttosto per provocare negli altri il. turbamento intellettuale che viene dalla scoperta della propria ignoranza, e l'esigenza morale di una «nuova» persuasione. È ancora Platone, nel suo Simposio, a prestare ad

Alcibiade, amico «scapestratO>} di Socrate, reso ebbro dal vino, le parole straordinarie che colgono in .. profondità questo aspetto, il più significativo, ~~~~~::e e 0 della personalità socratica. Ascoltiamole: r «Noi certo, quando sentiamo parlare qualche altro, anche un retore bravissimo, su altri argomenti differenti, beh ... non c'è niente che, per così dire, importi a qualcuno. Ma se, invece - così Alcibiade si rivolge a Socrate -, uno ti ascolta, o ascolta qualche altro che riferisce i tuoi discorsi, anche se è davvero insignificante colui che parla, sia che lo senta una donna o un uomo o un fanciullo, ebbene, noi rimaniamo colpiti e ne siamo come posseduti. Per quanto mi riguarda, poi, miei cari, se non facessi l'effetto di sembrare del tutto ubriaco, vi potrei raccontare, giurandolo anche, quali passioni mi abbiano fatto provare i suoi discorsi e quali anche ora io soffra. Io, quando lo ascolto, il cuore mi prende a battere molto più che ai coribanti e mi scendono le lacrime, provocate dalle sue parole; e vedo che moltissimi altri provano le mie stesse sensazioni. Ascoltando Pericle o altri retori di valore, io sì pensavo che essi parlavano bene, ma non provavo nulla di tutto questo, non si scompigliava l'anima mia, né si adirava come se mi fossi trovato in servaggio».

Lo «scompigliarsi dell'anima>}: questo l'obbiettivo che Socrate si prefiggeva, in quell'opera di «propaganda}> morale cui sosteneva d'esser stato Lso m . • . . platomca . egl'1 dell'animall (( co Pl 91 18rSI . da un d'10. Nell'Apo logza ch1amato diceva di essere stato posto, da un dio appunto, «ai fianchi della città come un tafano ai fianchi di un cavallo di grande e buona razza, ma per la sua stessa grandezza un poco tardo e bisognoso di essere stimolato»,

con il compito di «risvegliare» gli ateniesi: «né mai io cesso di stimolarvi, di persuadervi·, di rampognarvi, uno per uno, standovi addosso tutto il giorno, dovunque».

È la crisi delle facili, pigre certezze su se stessi, sugli altri, sulla città, di cui sogliono vivere gli ateniesi - gli uomini -, che Socrate vuol provocare, lasciando i suoi interlocutori nell'incertezza, nel turbamento, perché, dialogando finalmente con se stessi e con gli altri, risalgano, a poco a poco, con le loro gambe, per la via che ha come posta la saggezza e la virtù. Diverso, come già si capisce, il programma di Socrate da quello dei sofisti, cui pure lo legano non marginali affinità. Il colloquio con Protagora, nell'omonimo dialogo di Platone, evidenzia molti punti di contatto fra Socrate ed i rappresentanti della prima generazione di quel movimento, senza che emer- , ga, nel contempo, alcuno di quei dati negativi so,:ra1.1ceae 1a . Pl atone 1'l so IS l . segmto, . avrebb ero opposto m che, m tipo del filosofo a quello del sofista. Li accomuna, in realtà, tanto l'impegno ad una indagine che deve incidere in modo non indolore sul presente della città, quanto quello di scelte coraggiose ed antitradizionali, nonché un'attenzione rivolta ai problemi dell'uomo, in luogo di quella relativa ai problemi difficilmente

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risolvibili della fisica e della teologia. Eppure, l'orizzonte socratico appare più ampio, e il suo intento, di andare più a fondo nella questione della vita degli ateniesi. Non basta a Socrate che costoro siano buoni cittadini; anzi non potrebbero neppure esserlo, se insieme non si provassero ad essere «uomi. . . ni» buoni; non basta la téchne politiké (l'arte poliuom1~1c~tut~~~in~ tica) di cui Protagora si dice maestro, qualora essa bUOOI l . . uonon s1, accompagm, a11'«esame d,1 sé» cm, ogm mo, singolarmente, è chiamato, che ognuno deve personalmente decidere, e senza del quale la vita non

meriterebbe di essere vissuta. D'altronde- e qui emerge anche una questione di metodo che separa Socrate dai sofisti -,la virtù mai la si potrebbe insegnare in una mera trasmissione a senso unico da «docente» a «discente», come pretendono fare i sofisti con i loro discorsi «monologici» e «cattedratici». Occorre il «dialogo» con gli altri, la domanda e la risposta, e la risposta . . nuove doman de, m . una ncerca . che suscita senza Il d1alogo sosta, che renda attivo, «vigile», ognuno degli interlocutori. Non è la massa cui Socrate ama rivolgersi, ma vuole interloquire con gli ateniesi, «Uno per uno».

7.2

«Saper di non sapere>>. La virtù e il bene

li arsi Ili

e la

a svolta in questa direzione, che doveva segnare per sempre la vita di Socrate, sembra doversi collocare nel periodo antecedente al431, l'anno dello scoppio della guerra peloponnesiaca. L'episodio decisivo, emblematico fors'anche, di quella crisi interiore maturata all'ombra delle insufficienti risposte fornite dalla saggezza tradizionale, è rappresentato dalla risposta data alla domanda di Cherefonte, amico e collaboratore di Socrate, Socrate e dall'oracolo delfico. Ce ne parla Socrate stesso l'oracolo delfico. nella ricostruzione fattane da Platone nell'ApoloLa ricerca del gia. La domanda di Cherefonte, provocatoria la 11più sapientell sua parte, era «Se vi fosse in Atene altri più sapiente di Socrate»; la risposta negativa del dio, mentre confermava le speranze di Cherefonte, sollevava, d'altra parte, più dubbi che certezze in chi, come Socrate, presumeva di essersi conquistato una certa rinomanza, ma era, ugualmente, convinto di non possedere alcuna saggezza particolare. Dall'indagine subito intrapresa da Socrate per dimostrare che il dio aveva «sbagliato», e che sicuramente qualcuno più saggio di lui doveva pur esserci nel settore almeno di sua competenza, emerge, però, che nessuno conosce davvero i principi della sua «arte»: non i «politici>>, non i poeti, in maniera poco rassicurante anche gli artigiani, i quali pretendevano di poter estendere le loro conoscenze ad altri e più complicati settori. Il dio, dunque, servendosi dell'esempio, in realtà poco consueto, di Socrate, intendeva dire: «Sapientissimo tra voi, uomini, è colui che, come Socrate, riconosce di non valer nulla in sapienza».

La conclusione dell'indagine socratica conduce, dunque, a due importanti constatazioni: l'una, limitativa e distruttiva, fa coincidere la sapienza reale con la sana consapevolezza dei limiti umani - il «saper di non sapere» -, l'altra, ottimisticamente fondata sulla

prima, costituisce uno sprone costante alla cono1111 scenza di se stessi, come, del resto, ammonisce a non sapere di sapere11 fare proprio il dio di Delfi, con il perentorio invito («conosci te stesso») inciso sul frontone del suo tempio. L'atteggiamento socratico informato a grande devozione per la voce religiosa greca più autorevole, quale emerge da questo stretto e produttivo legame con l'oracolo delfico, non impedisce, peraltro, a Socrate di procedere ad un aggiornamento non irrilevante della morale espressa dal culto delfico di Apollo: l'invito a conoscere se stessi, infatti, non suona più soltanto come necessità di arginare gli eccessi dei desideri e delle passioni, cause di hybris, secondo quanto insegnava la morale tradizionale dei greci; l'interpretazione socratica sottolinea, piuttosto, l'esi- . d' . . del Esigenza 1 genza d1. collocare dentro. d'1 n01. l' ongme interiorità comportamento, al fine d1 assumerne consapevolmente l'intera responsabilità; ciò che produce uno scarto considerevole rispetto alle precedenti massime di virtù, interessate soltanto ai risultati dell'azione, con l'elusione dell'apporto della riflessione e della responsabilità individuale. Ora, invece, è il «luogo», interiore, ove maturano le nostre scelte, a interessare più dei loro risultati. Con un atteggiamento che è, del resto, comune ai sofisti, Socrate interpreta le azioni umane come effetto delle parole, e queste ultime come il prodotto delle forze che agiscono dentro di noi. Agire virtuosamente significa, allora, non tanto seguire delle regole esteriori, ancorché sagge, come si limitava a chiedere la morale tradizionale, quanto comprendere la dinamica di quelle forze, e saperla padroneggiare. Ma occorre approfondire di più il senso del «sapere di non sapere», che fa, secondo l'oracolo, superiore Socrate ai suoi concittadini. Da una parte esso significa, in accordo con l'analoga posizione protagorea, consapevole rinuncia alla

119

w

o

Cf)

PARTE PRIMA DALLA SOPHIA ALLA PHILOSOPHIA

conoscenza dell'essere e della realtà in sé delle cose, che non è dato agli uomini di acquisire, e dunque CC: conversione della ricerca della verità e del bene La misura d · · 11' · d 1 ot.:> umana della ~ ~na m1sura umana, tutta mterna a 1~m~e. e,cn conoscenza l esistenza terrena, senza che questo s1gmf1Ch1, peraltro, in alcun modo -lo vedremo - un rifiuto di riconoscere un senso anche religioso all'esperienza morale dell'uomo. Dall'altra - e questo è motivo squisitamente e originalmente socratico - il «saper di non sapere» è condizione costitutiva della stessa esperienza morale, nel senso che mai, in nessun momento della sua vita, l'uomo può dire di aver conosciuto una volta per tutte che cosa sia il bene, e sempre deve tornare a Il «bene»: valore da saperlo, interrogando sempre di nuovo se stesso riscoprire ogni - e gli altri - su che cosa sia il bene da fare «ora volta e quì». Emblematico, a questo proposito, ciò che risponde Socrate al vecchio amico e discepolo Critone che, andatolo '! trovare in carcere, alla vigilia dell'esecuzione della condanna a morte, gli ha proposto di fuggire, e così, salvarsi la vita. La risposta non è un «no» pregiudiziale, come di chi sappia da sempre, in base a regole da sempre e per sempre stabilite, che cosa siano bene e male, ma: L.J.J

!;;(

«proviamo a discuterne insieme», «dobbiamo vedere se è giusto o meno che io tenti di fuggire da qui, nonostante gli ateniesi me lo vietino. Se mi parrà giusto ci proveremo, altrimenti lasceremo perdere».

Quando dunque Socrate affermava, come tutte le testimonianze concordano nel dire, che «la virtù è sapere», che sapere il bene e farlo coincidono, non intendeva riferirsi ad un sapere meramente teoretico, che, questo sì, una volta acquisito, è acquisito per sempre, consistendo in una conoscenza di qualcosa di già dato, di un contenuto enunciabile e definibile una . volta per tutte, e per tutti, indifferentemente, vaN:~~~:b:~~~ levole..se di un sapere di qu~sto tipo Socrate avesse mteso parlare, allora diventerebbe veramente - e trasparentemente - improponibile la sentenza sua che il sapere porti con sé necessariamente il fare. Sarebbe come attribuire a Socrate l'ingenuità di non aver pensato che si può benissimo «sapere» - in modo astrattamente teorico - che cosa sia il bene senza per questo aver le energie, la volontà di farlo: pieno è il mondo di «padri Zappata» - che «predicano bene e razzolano male»! No, il sapere socratico è un sapere eminentemente morale, non altro che quella consapevolezza di sé, sempre rinnovata - cui richiama l'esortazione delfica . socraticamente reinterpretata -, che consente di Cono~cere ~ 1 comprendere di volta in volta, ragionando con se . l . h bene e fare 11 • ,b ~: . bene stess1 e con g11a tn, c e cosa e . ene 1are m questa o quest'altra circostanza e, compresolo, di farlo. E allora, affermare che chi sa il bene anche non può non volerlo, cessa di apparire un paradosso insensato,

per rivelarsi una limpida verità morale: che il sapere il bene è essere «persuasi» del bene, come non potrebbe esserlo chi non lo traducesse in azione, sicché chi dica di saperlo e poi non anche lo faccia, in realtà «crede» di sapere, non sa. Quando Socrate afferma - còme ci dicono ancora concordi tutte le fonti - che «nessuno pecca volontariamente, il peccato è frutto di ignoranza», l'ignoranza di cui egli intende parlare è, appunto, questo colpevole «credere», che caratterizza la vita di ognuno che si affidi passivamente ad una sorta di tracciato - stabilito dalla tradizione, dal costume dominante, dalle leggi scritte, dagli altri -, dentro e fuori del quale trovino posto, una volta per tutte distinti, ad addormentare le coscienze, il bene ed il male. · Certo, più sfumati si fanno, in tal modo, i confini entro i quali l'uomo è chiamato a muoversi, mentre svaniscono i punti di appoggio fuori di lui, ai quali era abituato ad ancorarsi, ma di questa rischiosa problematicità è fatta un'autentica vita morale. E, del resto, appare ispirato ad un sostanziale ottimi- .. · - d'1mten · dere 1a natura del- 0socratico ttmnsmo smo 1'l mo do socrat1co l'uomo: questi è orientato naturalmente, spontaneamente, verso il proprio bene. Ciò significa: da una parte che, se tante volte gli uomini sono malvagi, ciò è solo perché credono erroneamente che ciò che fanno corrisponda al proprio bene, dall'altra che conoscere e fare il bene rappresenta il modo migliore attraverso il quale realizzare noi stessi. Che un simile atteggiamento potesse risultare troppo ottimistico nella sua fiducia nel potere della conoscenza e nell'idea che fare il bene comporti «automaticamente» una felice realizzazione di sé, appariva chiaro già ad alcuni intellettuali contemporanei di Socrate. Euripide, il poeta tragico con il quale il filosofo ateniese ha rapporti di amicizia e di intimità spirituale, sembra proprio voler correggere questa convinzione, misurandone l'efficacia sul piano della realtà. Nell'lppolito, una tragedia del 428, Fedra, protagonista della infausta vicenda che coinvolge F d · qu.esto mo do Sl· euripideo La e ra anch.e 1'l f'.1gl'1astro 1ppol'~to,. m espnme nguardo alle ragwm che s1 frappongono al raggiungimento della felicità da parte dell'uomo: «Mi sembra che gli uomini si comportino male, non per la natura della loro mente. Molti, infatti sanno ben ragionare. La cosa va vista in questo modo: noi sappiamo e conosciamo ciò che è bene, ma non lo mettiamo in atto, alcuni per pigrizia e altri per qualche altro piacere che viene preferito a ciò che è bello».

Considerazioni che, non solo limitano di molto l'efficacia della conoscenza del bene, ma preludono, nel caso in cui si voglia essere coerenti nell'agire con questa conoscenza, ad un risultato drammatico: quello stesso che Fedra è costretta a «volere» nel corso

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SEZIONE SECONDA. IL PERIODO DELLA PÒLIS ATENIESE CAPITOLO 4

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della vicenda e che ribalta il «per sé» socratico in un «contro di sé»: ella, infatti, come Edipo del resto, conosce il bene e lo attua; ma ciò coincide non già con la sua realizzazione, bensi con la distruzione della sua stessa persona. L' «esame» incessante, cui Socrate chiama i suoi concittadini, è stato spesso interpretato, fin dall'antichità, quale esplicito invito all'astensione dalla politica attiva, in una forma inaccettabile per l'uomo socrate e la greco autentico. Ma si tratta di una lettura inatpòlis. tendibile del messaggio socratico. Va tenuto preImportanza della téchne sente che i luoghi deputati della «missione» socratica sono le vie e le piazze di Atene, e che quella città egli intende rimodellarla, non già cancellarla. Sotto questo profilo Socrate rimane uomo della pòlis, che anche per lui, come per Protagora, rappresenta lo spazio naturale per l'ordinata crescita dell'uomo. Ne fa fede l'importanza che viene riconosciuta, per la stessa vita morale, al sapere tecnico, che fa partecipe ogni individuo della comunità cittadina, sulla base della competenza specifica per cui si è medici, generali, fabbri, uomini politici, calzolai, o si . . esercita qualsivoglia altro mestiere. Nei suoi diSapereetecmco · sapere scorsi· Saerate par1a spesso, come d'tce d'11U1· Al etmorale biade nel Simposio, «di fabbri, di calzolai, di conciatori», come a voler sottolineare che sono gli uomini concreti, dediti alle occupazioni concrete,

anche le più umili, a materiare la sua riflessione morale. Egli vuoi dire che il sapere morale non è separabile dal sapere tecnico, né questo da quello: conoscer se stessi significa infatti saper misurare le proprie capacità e competenze, e dunque esercitare bene il proprio mestiere. E il sapere morale, in ultima analisi, consiste nel sapere che è bene far bene il mestiere che si fa. Non di altro è fatta la vita morale degli uomini. È sulla base di questa rilevanza morale della competenza professionale che Socrate, prendendo in esame le istituzioni politiche ateniesi, si fa critico della democrazia, rinata dopo l'esperienza della guerra del Peloponneso, rimproverandole l'abitudine c .. h . l .h .. h ri!IC e a11 a d1. assegnare per sorteggiO e cane e po11t1c e. democrazia e Anche l'attività politica è una professione e, co- alla tirannide me tale, vuole competenza tecnica; sicché l'illusoria certezza di salvaguardare in quel modo il principio dell'uguaglianza sociale va incontro a riprovevoli storture, che creano disordine e non permettono a ciascuno di occupare il posto cui lo destina la sua natura, e che le sue competenze lo autorizzano ad occupare. Non meno severa è, d'altronde, la censura socratica nei confronti del governo dei trenta tiranni, i quali avevano cercato di coinvolgere lo stesso Socrate nelle loro malefatte, per tentare di screditarne la voce ed, insieme, di avallare le loro scelte politiche. All'ordine impartitogli da Crizia di arrestare un democrati-

Veduta panoramica di Atene al tempo di Socrate.

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co, avversario del governo, Socrate si era recisamente rifiutato, preferendo subire la prepotenza del regime, cc concretatasi nell'emanazione di una legge che vietava (.) l'insegnamento dell'arte della discussione. o U) Si diceva che il teatro dell'azione socratica è rappresentato dalle strade e dalle piazze di Atene, dove Socrate ama aggirarsi, sempre pronto al dialogo e al confronto con gli altri. Gli interlocutori sono gli uomini più rappresentativi di una città che, nel V secolo, ricopre il ruolo di guida spirituale della Grecia. Di fronte ad essi Socrate preferisce presentarsi come «inesperto», lui che proclama di essere sapiente solo della propria ignoranza. Le domande che egli pone, in maniera falsamente ingenua, partono da argomenti anche banali, per procedere, poi, a questioni più complicate e a problemi più difficili. È questo il momento della cosiddetta «ironia» socratica. Il termine significa, letteralmente, «simula,. . zione», «finzione» ed indica appropriatamente la ~ lroma volontà di Socrate di camuffare la sua reale iden. socra l 1ca e ... . , d' . ttta 1 «ch'uurgo» dell' amma per po t er meg110 procedere all'opera di rimozione delle presunte certezze degli altri. Affascinati dall'ingenuità insinuante delle domande di Socrate, i suoi interlocutori sono, infatti, ben presto condotti all'ammissione della loro reale ignoranza intorno all'oggetto della discussione, e ciò crea le condizioni più favorevoli per la successiva ricerca del vero. Si tratta di quel momento del ... l'intor· pidimento «metodo» socratico nel quale l'interlocutore si dell'animo trova come ammaliato dalla «musica» mai udita dell'ascoltatore dell'incantatore, che intorpidisce l'animo e lo riduce al silenzio. Nel Menone così confessa l'ammiratore di Gorgia che dà il proprio nome a questo dialogo di Platone: 1-

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Di fronte al sempre più allarmante squilibrio sociale, la sollecitudine degli autori del periodo si traduo ce in abbozzi di teorie, che certo riecheggiano un clicc.: CL ma di diffusa preoccupazione. In questo ambito tro>, lontano dal «chiacchiericciO>> sedentario dei nuovi insegnamenti, fondati sulla parola e non più sulle azioni. Con il progressivo tramontare degli ideali aristocratici anche il personaggio di Eracle subisce una trasformazione: da eroe di un perentorio ed irriflesso dinamismo egli diventa, piuttosto, il simbolo dell'eroe paziente, che la fatica affronta, come via più difficile ma più remunerativa, per il raggiungimento della virtù interiore. Così ce lo presenta Prodico nell'apologo famoso che lo descrive dubbioso dinanzi al bivio aperto sulla virtù e sul piacere; così anche lo interpretano alcuni poeti del V secolo, che sottolineano !'«inutilità>> delle sue imprese, travolte dalla medesima devastazione provocata sul suo corpo dal veleno contenuto nel sangue del centauro Nesso. Pur in questa sua ultima metamorfosi, segnata dall'irrequietezza delle nuove età, la figura del semidio mantiene intatta quella sua tensione dinamica, che lo fa modello di un ideale di vita intesa come agone.

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5.1 LLI

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Scuole socratiche minori I discepoli di .Socrate tra fedeltà e «devianza)>

i informa Diogene Laerzio che «dei suoi (di Socrate) successori, che furono detti socratici, i cc. più rappresentativi sono Platone, Senofonte e (.) Antistene: dei dieci noti dalla tradizione quato Cf) tro sono i più illustri: Eschine, Fedone, Euclide e Aristippo»; personaggi, tutti, salvo Eschine e Fedol..l.J ,_] ne privi per noi di connotati certi, che gli autori antio chi indicano concordemente come continuatori del :::..:> (..) pensiero di Socrate e che, però, al pari del loro «maeCf) stro», si rivelano di difficile «lettura» per un insieme di cause concomitanti. Il ruolo assolutamente preminente assunto da Platone, vero e proprio requisitore di una presunta «ortodossia» socratica, ha, infatti, determinato la re. legazione degli altri discepoli di Socrate al rango li monopol10 d' . . · · d · ·d1 · d1 platonico 1 mterpretl mmon e evtantl e penstero e maestro, e ciò ha influito sulla mancata conservazione delle loro opere, nonché sul livello d'informazione che ce n'è pervenuto, in generale piuttosto approssimativo. La sorprendente constatazione della grande discordanza che effettivamente separa pensatori appartenenti, per così dire, ad un medesimo ceppo, ha poi spinto la tradizione antica ad accostarli ad ambienti diversi da quello socratico, e a farne dei fondatori di vere e proprie scuole, spesso coincidenti con alcune dì quelle che, successivamente, si sarebbero richia((Qriginin diverse per i mate al messaggio socratico. Euclide era cosi indiversi serito nella tradizione eleatica, Aristippo in queldiscepoli la rappresentata dai sofisti; Antistene appariva come l'iniziatore della disadorna e provocatoria maniera di vivere dei cinici, cui, invece, egli fornirebbe, oltre al nome - cinico, dalla piazza di Cinosarge dove egli raccoglieva i suoi discepoli -, solo generici spunti di ribellismo destinati ad essere sviluppati dal suo continuatore Diogene; ancora Euclide veniva presentato come fondatore dell'atteggiamento nichilistico degli Scettici, Aristippo del materialismo edonistico, considerato poi caratteristico della dottrina epicurea. È riconoscibile, invece, in ciascuno di loro un'autentica matrice socratica, anche se essi svilupparono l'insegnamento del maestro, - così del resto ubbiden. do all'ammonizione di Socrate di «pensare con la La matr1ce . · · 1 d socratica propna testa» -, m mamera persona e, a secon a delle esperienze di vita e della diversa condizione sociale, spesso enfatizzandone la componente dissacrante, e magari utilizzandola come strumento di opposizione all'ordine costituito. In particolare, sembrano due le componenti, pre1-·

cedimenti aporetici (da aporia = dubbio) di Ze- socratica ad LU none di Elea. Celebre è rimasto l'argomento anti- aporeticità nomico, cosiddetto del «mentitore», attribuito a · Eubulide di Megara, consistente nell'affermare «io mento»: nel caso si dica la verità, si mente, mentre se si mente, si dice la verità. Una proposizione, dunque, che sarebbe vera e falsa ad un tempo. Tra i megarici, questo atteggiamento sarebbe degenerato spesso nelle sottigliezze dell'eristica, dando luogo ad argomentazioni evidentemente capziose, come, per esempio, quella del «sorite» (da sor6s = mucchio) anch'essa di Eubulide, volta a dimostrare L' . r l'impossibilità del molteplice: se un chicco non ens ICa basta a formare un mucchio, non ne bastano neppure due, tre e quattro, e via e via, poiché, siccome da un numero si passa gradatamente ad un altro, quello che si è detto del primo dovrà essere detto anche dell'ultimo; pertanto, non si avrà mai un mucchio. È insomma l'impossibilità di distinguere il poco dal molto:

d

«non son forse pochi due? non forse anche tre? o forse anche questi sì, ma non anche quattro? e così via fino ai dieci: due son pochi, e dunque anche dieci».

5.3 ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,i,,,, ''''''''''''''''''''''''''''"'''''''"''''''''''''''''';;;;:;;:::::::;;;

Antistene

(450-360 ca.):

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saggezza è «bastare a se stessi»

n Antistene, il più importante fra i socratici minori, che intese presentarsi come il più genuino interprete del pensiero di Socrate, il suo vero erede spirituale,. e per questo attaccò aspramente sia Platone sia gli oppositori del maestro, l'ascendenza socratica è rintracciabile innanzitutto nel senso fortissimo che egli ebbe dell'autonoL'aut . mia morale come condizione fondamentale della . ' rappre- onomla morale saggezza. E' lm. ad af"'!ermare che la v1rtu senta un' «arma che non può mai essere strappata di mano» a chi la possiede, né dai condizionamenti interni, rappresentati dagli istinti, né da quelli esterni, costituiti dalla sorte e dai tanti n6moi, divini e umani, che pretenderebbero rendere loro serva la volontà del-

l'individuo. Quanto alla vita istintiva, Antistene parte dalla valorizzazione socratica della temperanza quale fondamento dell'etica, ma tende a portarla agli estremi, trasformando la «misura» socratica, sempre impegnata nella ricerca di un sano equilibrio tra comando razionale e spinta vitale, in rinuncia ad ogni piarinuncia al cere, e rischiando di ridurre in tal modo i com- La piacere; un portamenti richiesti dall' «essere se stessi» - vera rldullivo sostanza di una autentica autonomia morale - J'tt))'~rivoyt:Gl.J:."f6Xv~hiv~rrfft'q)"'6~r~é.u~Èp Au~Ai~::WpQ,~,A'r.mi~Ott.Àt~p~hH~p\y.ttf-q·iJ{1 ' ~y6v'Ot~"Wf· ~v,..r41fqt~,uVrh.':'.G-y-W~..,

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