Storia della filosofia occidenale. Dall’età post-kantiana al tardo Ottocento [Vol. 3.1]

Table of contents :
Blank Page......Page 1

Citation preview

Copyright © 1994 Editore Bulgarini, Firenze

EDITORE BuLGARINI FIRENZE Prima edizione, febbraio 1994 Ristampe

2

3

4

5

6

1999

1998

1997

1996

1995

1994

Finito di stampare per i tipi della tipolitografia Stiav s.r.l. in Firenze

Redazione Progetto grafico Copertina

Maurizio Landi Carla Prati Paolo Lecci Paolo Lecci Federica Giovannini

Impaginazione

Paolo Lecci Alba Melani Arianna De Lapi

Ricerca iconografica

Silvia Morpurgo

A questo volume hanno contribuito: CECILIA MARTELLI

autrice delle schede Diirer (cap. 5) e Courbet (cap. 17); PAOLA P ALAGI

con alcuni suggerimenti per la stesura del cap. 14 su Kierkegaard; GIULIO PERUZZI

collaboratore alla stesura del cap. 25 Sviluppi della matematica e della logica tra Ottocento e Novecento, autore dei parr. l, 2, 3, 4, 5, l O, del cap. 26 Gli sviluppi della fisica tra Ottocento e Novecento, con suggerimenti per la stesura dei restanti paragrafi; ALDO SERAFINI

autore della scheda Don Giovanni di Mozart (cap. 14).

·. ·PARTE PRIMA

·LA CULTURA FILOSOFICA EUROPEA DALL'.EPOCA .··.DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO • .SEZIONE PRIMA

TRA RIVOLUZIONEERESTAURAZIONE LA FILOSOFIA IN GERMANIA INGHILTERRA FRANCIA ITALIA

7

:.;;;.x.;.,:;;;;.;W$-;M-»X.~*.lj,.%":'>'9:"t~~-,..,-,?~

SEZIONE SECONDA

CONTRO EOLTREHEGEL

211

SEZIONE PRIMA

TRA RIVOLUZIONE ERESTAURAZIONE LA FILOSOFIA IN GERMANIA INGHILTERRA FRANCIA ITALIA

1

La filosofia tedesca di fronte a Kant tra critica e revisione. Gli epigoni di Kant Dallo «Sturm und Drang» al classicismo di Goethe Capitolo

Fichte

(1762-1814):

3

il giacobino sacerdote della libertà

Capitolo

Schiller

l

(1759-1805):

4

l'utopia dell'umanità riconciliata

Capitolo

5

Il romanticismo tedesco

72

6

Schelling (1775-1854): una filosofia in divenire Capitolo

Hegel

(1770-1831): Capitolo

7

la storia, ossia l'assoluto 8

La filosofia inglese tra fine del Settecento ed età della restaurazione Capitolo

l l

9

La filosofia in Francia tra tardo illuminismo restaurazione spiritualistica e inizi del pensiero socialista

l

10

La filosofia italiana tra età napoleonica e risorgimento

l

1

Capitolo

La fìlosofìa tedesca di fronte a Kant • • • • tra crtttca e revtstone. Gli epigoni di Kant

l ...................... ,...... ,. ,. ,. ,.... ,.... ,,,,,,,,,, . ,. ,. . .

La Germania alla fine del Settecento e condizioni della Germania verso la fine del Settecento sono contraddistinte sotto il profilo politico dalla frammentazione in più di trecento stati e staterelli, tra i quali innumerevoli quelli ecclesiastici e le città libere. Si tratta di principati retti secondo tradizioni assolutistiche che, soprattutto nei numerosi stati più piccoli, assumono il carattere di asfissianti regimi paternalistici che pretendono intervenire nella vita dei sudditi e regolarla anche nei più banali aspetti della quotidianità, secon. do i costumi e i principi del più chiuso tradizioFrazlonam~~to nalismo. Nel caso degli stati maggiori, non erano politiCO mancate llllZlatlve • . . · d.1 governo «l'll ummato», · come nel regno di Prussia che, con Federico II (17401786), aveva provveduto a riforme giuridiche, economiche ed educative che erano servite ad una relativa modernizzazione del paese. Ma le possibilità di un più profondo processo di rinnovamento sono bloccate dalle perduranti strutture feudali che dominano la società e impediscono al potere politico, da esse radicalmente condizionato, di mettere in discussione, quasi mai lo volesse, i rapporti tra le classi sociali. La popolazioue tedesca appartiene per due terzi al mondo contadino ed è soggetta Perduranti genera lmente ad una dura con d'1Z10ne . d'1 serv1tu, ·, 51 11 ;~u~~~ tartassata dalle imposte, dalle corvées e dalle altre prestazioni feudali. La nobiltà ha garantiti dai sovrani tutti i propri privilegi, fino a quelli più minuti della vita quotidiana, utili a distinguere anche esteriormente il proprio status sociale da quello dei borghesi, quali la foggia del vestire, la qualità e il numero delle carrozze o dei domestici. I ceti borghesi urbani non hanno lo sviluppo e le capacità imprenditoriali della coeva borghesia inglese o anche francese. Le strutture produttive sono assai arretrate, anche se in alcune regioni, come la Slesia e

la Sassonia, i territori renani e la stessa Prussia, non mancano i segni di uno sviluppo dell'industria manifatturiera e del nuovo sistema di produzione capitalistico. Berlino è alla fine del secolo una città, la più grande della Germania, che sfiora i centocinquantamila abitanti di cui più di ventimila sono lavoratori tessili salariati. L'arretratezza economico-sociale dipende in gran misura dal fatto che lo sviluppo Adrrleltrbatezzl a . .~ . , . ~ d. . e a org 1esm man11attunero e ancora 10rtemente con 1z10nato dal prevalere di una diffusa industria a domicilio, dispersa soprattutto nelle campagne, che segna con i suoi connotati feudali l'insieme della produzione «industriale», impedendo alla borghesia di assolvere ad un ruolo dominante nella realtà economica e sociale tedesca. In un paese così caratterizzato da un generale ri-

Veduta della Marktkirche ad Hannover.

8

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO l

tardo nello sviluppo di una società borghese moderna, arguto poeta tedesco del tempo, padrone dell' «impero era inevitabile che le idee illuministiche non facessero dell'aria», dopo che gli inglesi si erano impadroniti presa al di là della stretta cerchia degli intellettuali, del mare e i francesi della terra. Per quanto riguarda la società germanica in geneprovenienti in genere dalla piccola borghesia urbana e raccolti nelle università dello stato. La loro condizio- rale, il controllo culturale è fortemente esercitato, sia ne non è tra le più facili. Da una parte essi, in quanto nei paesi protestanti che in quelli cattolici, dalla tradizione religiosa e dal potere ecclesiastico. Nelle regioni . professori-funzionari dello stato, sono sottoposti .. ' Gh mte 11 ettua 11 al contro ll o d'1retto de1 potere po l'1t1co · che ne l'I- luterane il pietismo, attraverso la rivendicazione T d' . mita la piena libertà; dall'altra non esprimono un re- dell'intimità della fede e delle dolci consolazioni r;~g;~~:ne troterra sociale ricco di potenzialità e di capacità ege- del cuore, accoglie i bisogni sentimentali dei femoniche e pertanto le loro idee non sono in grado, deli, poco riconosciuti dal rigido razionalismo dell'orcome nel caso della coeva intellettualità inglese o -todossia religiosa. Quanto alla cultura più diffusafrancese, di incidere sulla realtà e di trasformarla. Di mente popolare e comunque non ufficiale, sopravviconseguenza l'intellettuale tedesco è indotto, talvolta vono concezioni teosofiche, idee e pratiche occultisticompiacendosene, a trasferire la propria azione dal che di ascendenza rinascimentale, che si esprimono piano della realtà a quello del mondo ideale dello attraverso sette e associazioni segrete come quella dei spirito, divenendo, secondo l'immagine ironica di un rosacrociani o della massoneria.

Alcune ragioni del primato di Kant partire dalla fine degli anni ottanta e, in particolare, durante l'ultima decade del Settecento, la filosofia kantiana ottiene un rapido quanto durevole successo, tanto da divenire il punto di riferimento ineludibile del dibattito filosofico nell'età della Aufklarung post-lessinghiàna e del primo romanticismo tedesco. Non solo i seguaci ma gli stessi avversari di Kant come Jacobi, Hamann, Herder, si trovano a dover in qualche modo riconoscere, costretti come sono a mi,. surarsi con le problematiche della Critica, la preL m11uenza · del f'l1oso1o ., d'1 1"-omgs v.. · berg. di Kant senza determmante Per un'intera generazione di giovani intellettuali tedeschi la lettura di Kant sarà il luogo principale della propria formazione. O, come nel caso di Fichte, l'occasione di vere e proprie conversioni filosofiche. Schiller, già drammaturgo e storico famoso, contrae agli inizi degli anni novanta, un debito con le tre Critiche kantiane assai significativo per lo sviluppo delle proprie riflessioni etiche ed estetiche, e lo stesso grande Goethe non rimane indifferente di fronte alla pubblicazione della Critica del giudizio, da cui ricaverà non poca ispirazione. Eppure nessuno, quando nel 1781 era apparsa la prima edizione della Critica della ragion pura, avrebbe mai potuto prevedere un così straordinario successo e una tanto profonda influenza: Konigsberg era, allora, nonostante la presenza di Hamann, un piccolo centro universitario abbastanza periferico nell'universo culturale tedesco e il testo kantiano, scritto in un linguaggio arduo e aspramente teoretico, che nulla concedeva ai gusti e alle inclinazioni dell'intelletto comune e della

«filosofia popolare», non sembrava destinato a valicare i ristretti confini di un pubblico di specialisti. Per spiegarsi la prorompente affermazione del criticismo è necessario aver presente che Kant poté apparire, già a cominciare dalla metà degli anni ottanta, come l'autorevole promotore di una ricomposizione unitaria delle diverse e spesso contraddittorie tendenze dell'Aufklarung. Dopo la morte di Lessing (l 781), si era infatti accentuata, nella cultura illuministica tedesca, sia sul terreno delle idee filosofiche e religiose sia su quello delle problematiche più direttamente politiche relative alla situazione tedesca, la divaricazione tra le tendenze più moderate e tradizionaliste dell' Aufklarung e quelle più radicali e innovatrici. Le prime, talvolta ancora influenzate dal misticismo pietista e più spesso dalla tradizione wolffiana, insistevano sul compromesso tra pregiudiziali re- L'A lkl" . . . log1c . he da una parte ed le. sue-opposte u arung e l1g10se e metaf'1s1co-teo emancipazione razionale dell'uomo dall'altra, e tendenze mantenevano forti legami, integrate com'erano nel sistema dei poteri costituiti, con i princìpi del dispotismo illuminato. Le seconde, rappresentate da più ristretti gruppi di intellettuali radicaleggianti, quasi sempre estranei alla cultura universitaria e accademica, andavano sviluppando, soprattutto attraverso la conoscenza degli scritti materialistici francesi e la crescente utilizzazione del pensiero spinoziano, fin dagli inizi del secolo trapiantatosi in Germania, tematiche radicalmente razionalistiche e ateistiche. Sul versante delle riflessioni politiche tutto ciò si traduceva in una critica sempre

9

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

più esplicita dell'assetto feudale della società e dell'assolutismo degli stati destinata, con la rivoluzione del 1789 e soprattutto la sua radicalizzazione giacobina, ad alimentare istanze democratiche e perfino socialistiche che, data l'arretratezza della borghesia tedesca del tempo, finiranno, peraltro, col venire isolate come utopistiche e astratte. In questa situazione Kant poté apparire il segnale di una possibile mediazione. Da una parte, con la liquidazione della tradizione wolffiana e della sua concezione teologica e dogmatica della ragione compiuta con la Critica e già preannunciata dai Sogni di un visionario del 1766 (di cui non è inutile ricordare la citazione voltairiana conclusiva), Kant portava l< ant, d . . 'b l d' l il mediatore un ecisivo contn uto a que processo 1«seco arizzazione» ed emancipazione della ragione dalle pesanti ipoteche metafisiche e religiose del passato, che rappresentava un motivo essenziale della più avanzata cultura illuministica tedesca ed europea. Le celebri proposizioni kantiane del Che cos'è l'illuminismo del 1784 avevano poi sottolineato la destinazione pragmatico-operativa della ragione come strumento di emancipazione dell'uomo e di trasformazione della

realtà esistente, e avrebbero condotto Kant a quel moderato liberalismo, certo, lontano da ogni idea giacobina, ma capace, comunque, di denunciare il paternalismo illuminato dei governi del tempo come «il peggiore dispotismo che si possa immaginare». D'altra parte l'umanizzazione kantiana della ra_gione, lungi dal voler mettere in discussione i principi fondamentali della tradizione cristiana, riconosceva la necessità regolativa delle idee di Dio, anima e mondo nell'uso speculativo della ragione e, recuperandole poi nei postulati della ragion pratica, le riconsacrava come valori costitutivi della razionalità umana. In tal modo Kant fàvoriva il recupero sia pur innovativo delle componenti metafisiche della tradizione illuministica tedesca e incoraggiava la filosofia tedesca ad abbandonare, sia sul terreno delle proposizioni teoretiche che su quello pratico-politico, le istanze dell'Aufklarung più radicalmente progressiste e contestative della realtà tedesca esistente. Si delineava così un cammino verso esiti idealistici, preannunciati nella teoria dell'appartenenza dell'uomo ad un superiore «regno dei cieli» proposto come principio regolativo della stessa dimensione storico-mondana dell'uomo.

3

Reinhold (1758-1823): il propagandista della filosofia kantiana l merito di aver favorito la diffusione della filosofia kantiana e di averla proposta come luogo di conciliazione tra esigenze della ragione e bisogni etico-religiosi rappresentati dalla tradizione cristiana, spetta certamente a Karl Leonhard Reinhold, autore di quelle Lettere sulla filosofia kantiana, che, sciogliendo la complessità del pensiero di Kant in una forma agile e comprensibile, lo avrebbero avvicinato ad un pubblico più vasto, assicurandone una rapida fortuna. Reinhold, viennese di nascita e di origine cattolica (dopo un breve soggiorno in u.n collegio gesuita era entrato a quindici anni nell'ordine dei barnabiti per fuggirne avventurosamente dopo nove anni, nel 1783), è tipico esempio del giovane intellettuale di formazione religiosa conquistato alle idee illuministiche delle logge massoniche, che gli fanno riscoprire la funzione emancipatrice della ragione. Distaccatosi dal cattolicesimo e infiammato di ammirazione per la Riforma riconosciuta come avvio all'età dell'illuminismo, Reinhold trova rifugio nel 1784 a Weimar dove, divenuto genero di Wieland, partecipa ai dibattiti illuministici collaborando alla rivista fondata dal grande poeta, il famoso Mercurio tedesco. È sulle pagine di questa rivista che Reinhold, conquistato nel1785 dal-

la lettura della Critica della ragion pura, pubblica tra il 1786 e l'anno successivo le sue Lettere. Convinto di vivere in un secolo il cui spirito sarebbe contraddistinto da una «crisi di tutti i sistemi, di tutte le teorie e di tutti i modi di pensare finora conosciuti, crisi di cui non si può trovare esempio analogo, quanto ad ampiezza e profondità, in tutta la storia del genere umano»;

convinto altresì che la Germania tra tutti i paesi d'Europa sarebbe «la più disposta a rivoluzioni dello spirito e meno a quelle politiche», Reinhold crede di scoprire nel criticismo non semplicemente una filosofia ma l'inizio della filosofia definitiva, senza aggettivi, «scienza rigorosa» capace di scoprire «i principi . . e umcamente . . Se l' e- Verso ult1m1 va l"d' 1 1 de11 a scienza». filosofala sigenza di una siffatta scienza fondamentale è delinit:va avvertita così urgente dall'epoca attuale, ciò dipende dal fatto che solo attraverso di essa sarà possibile la giustificazione di quei bisogni morali e religiosi che, nel secolo dell'illuminismo, non possono più essere garantiti né dal soprannaturalismo ecclesiastico né dal dogmatismo metafisica della ragione. Attraverso la fondazione critica del sapere Kant sarebbe stato capace di mantenere aperta alla ragio-

lO

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO l

Cl della filosofia elementare non sia altro da quello di condurre un'indagine rigorosamente descrittiva di 'o """"' quei contenuti, che si limiti ad esprimere «quello che :r: z accade in ogni coscienza» e sia dunque immune da ogni pregiudiziale metafisica e da ogni tentazione di «... la critica della ragione ha posto le condizioni indispensabili perché la nostra filosofia potesse abolire le prove «entificazione» dei fenomeni analizzati. Chiarificatrice in questo senso è la distinzione che metafisiche dell'esistenza di Dio sostituendole con la fondazione morale di tale cognizione, consistente nel fondare la Reinhold introduce tra condizioni interne e condizioni religione nelle sue verità essenziali sulla morale, compiendo esterne della rappresentazione: sono le prime di cui in tale maniera per via di ragione la riunificazione di en- deve occuparsi esclusivamente la filosofia, ed esse cotrambe, il che è appunto lo scopo del Cristianesimo che il stituiscono gli elementi intrinseci della rappresentaziosuo sublime fondatore realizzò attraverso la via del cuore». ne, rintracciabili dal rigoroso esame di essa. Quanto Reinhold è, peraltro, anche convinto che, così alle condizioni esterne, di cui si è sempre occupata la come si presenta, la filosofia kantiana rappresenta sol- psicologia ogniqualvolta si è lasciata condizionare L d' . . . come que lla della e con Iztom tanto la propedeutica del sistema definitivo del sapere: da domande d1. portata metaf'ISica, occorre infatti ricondurre i suoi diversi contenuti ad che chiede quale sia l'origine della coscienza o la rappresentazione un unico principio fondamentale che Kant non ha causa della rappresentazione, Reinhold insiste saputo rintracciare, capace di dare loro un'organizza- nell'affermare che esse rimangono fuori delle compezione sistematica. Non basta chiedersi con Kant come tenze della filosofia critica che di esse, pertanto, non si sian possibili l'esperienza e la scienza e risalire alle deve occupare. Che cosa sia l'anima e quale sia la loro condizioni a priori; occorre domandarsi come sia natura delle cose al di fuori e indipendentemente dalla coscienza e dalla rappresentazione: si tratta di proble.. d' possibile l'indagine critica stessa che si interroga La necesstta 1 ll d' · · · ·d1 · 1 d 1 mi che ormai possono occupare la mente solo di chi, un principio su e con IZ10lll a pnon e sapere, nsa en o a ignorando l'opera di Kant, si attardi ancora intorno ai fondamentale principio unico, indubitabile, universalmente ammesso di ogni filosofia, senza del quale non vecchi fantasmi della metafisica. Se, viceversa, limiteremo il nostro compito a quelsarebbe possibile né una filosofia teoretica né una filosofia pratica. Reinhold negli anni tra il 1787 e il lo di interrogare la nostra stessa coscienza su che cosa 1794, durante i quali insegna filosofia all'università di sia la rappresentazione, senza introdurvi surrettiziaJena, pubblica i testi Saggio di una nuova teoria della mente le diverse interpretazioni argomentate dalle difacoltà rappresentativa dell'uomo, Contributi alla retti- verse filosofie, allora sapremo «che la rappresentaziofica dei malintesi finora avutisi tra i filosofi, Il fonda- ne, la quale nella coscienza ha luogo in virtù del soggetmento del sapere filosofico, nei quali espone quella to, va distinta dall'oggetto e dal soggetto e riferita ad «filosofia elementare» che, per essere capace di ricon- entrambi». Da questa definizione si desume: a. che non si può stabilire che cosa sia la rappredurre la filosofia critica ai suoi «elementi» costitutivi originari, ha l'ambizione di proporsi come filosofia sentazione senza riferirla ad un soggetto rappresentandefinitiva in cui tutti i filosofi potranno e dovranno te come sua «esperienza vissuta» e ad un oggetto rappresentato in rapporto al quale essa si dispone come riconoscersi. Cartesianamente Reinhold ritiene che il principio accadimento oggettivo; b. che non è consentito pretendere di stabilire che fondamentale della filosofia debba poter esprimere un «fatto» che «deve essere evidente per tutti gli uomini» cosa siano soggetto e oggetto indipendentemente dalla prima e indipendentemente da ogni esperienza e pen- rappresentazione che ad essi si riferisce, e che pertanto siero determinato, tale, come Kant diceva dell' «lo l'esistenza indipendente di un soggetto in sé (l'anima) penso», da «poter accompagnare tutte le esperienze e di un oggetto in sé (la cosa in sé di cui ha parlato Kant) possibili e tutti i pensieri di cui siamo consapevoli». sono irrappresentabili; c. che nella rappresentazione sono da distinguerQuesto «fatto» originario e indubitabile perché sta a si, come sue condizioni interne, un elemento per cui . fondamento di tutto ciò che si può dimostrare, La l acolta 'b'l d' é h, . 'd essa viene riferita all'oggetto e che Reinhold chia- M . rappresentativa compre~s1 1 e 1per s pere. e m se st~sso ~VI . e~. d ell a rappresentaziOne, . atena e te, non e altro che la «Coscienza», e 11 pnnc1p10 ma matena e un elemento forma della che la esprime è quello che Reinhold, non senza qual- in base al quale viene riferita al soggetto e che rappresentazione che rischio di ambiguità, chiama «facoltà rappresenta- Reinhold chiama forma della rappresentazione. tiva». In realtà Reinhold non intende attribuire a que- Ne consegue che la rappresentazione consiste nell'unisto termine alcun significato metafisica rievocante an- tà indissolubile di forma e materia, dove la forma è tiche e moderne discussioni sull' «essenza» dell'anima posta dal soggetto ed è il modo secondo il quale il o delle cose. Egli per «facoltà rappresentativa» non. soggetto accoglie la materia, mentre quest'ultima è intende altro che l'insieme dei contenuti della coscienc appunto ricevuta dal soggetto come un dato a cui esso za e i loro reciproci rapporti e vuole che il compito conferisce la forma della rappresentazione. Se questa

ne la strada che conduce ai grandi problemi di D'10, de11''1mmortal'1ta' e de11 a l'b ' attraverso 1'l 1 erta, riconoscimento del primato della ragion pura pratica:

.. . Crtttctsmo e cristianesimo

11

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

o

«nella coscienza ha luogo in virtù del soggetto», non è però da esso interamente generata. o Se, in tal modo Reinhold recupera un aspetto della ::c z Critica kantiana senz'altro importante, come quello w della distinzione nella sintesi conoscitiva delle condia: zioni formali e a priori del sapere dai contenuti materiali particolari e mutevoli, ciò che appare lasciato del tutto in ombra dalla Critica della ragion pura è la distinzione tra idealismo trascendentale e realismo empirico. Stabilendola nella seconda edizione della sua opera, Kant aveva inteso difendersi dai fraintendimenti soggettivistici del suo idealismo e aveva proceduto alla confutazione dell'idealismo empirico di Berkeley. In effetti Reinhold sembra interpretare la concezione kantiana del fenomeno in senso coscienzialistico, tanto da risolverlo in mera rappresentazione interna alla coscienza da mantenere distinta dall'oggetto di per sé irrappresentabile, quando Kant, al contrario, si era sforzato di concepire il fenomeno come oggetto reale, . fuori .della coscienza, anche se non separabile, . lnterpretaz10ne coscienzialistica propno per 11 suo esser~ fenomeno, dalle forme a del kantismo priori della coscienza. E questa riduzione di tipo psicologistico del kantismo che induce Reinhold a riprendere il tema kantiano della cosa in sé e addirittura a considerarlo come il problema centrale della Critica, dandogli uno sviluppo che per più versi appare una semplificazione eccessiva della tormentata riflessione con la quale Kant lo aveva discusso, rispettandone la complessità e polivocità di significati. Da una parte Reinhold, fedele alla convinzione che «materia e forma solo con la loro unione formano la rappresentazione, e non si lasciano separare l'una dall'altra senza che con ciò sia tolta la rappresentazione stessa», riconosce che la cosa in sé è da considerarsi assolutamente non rappresentabile (né intuibile né pensabile), «vuoto oggetto senza concetto» che già Kant indicava come un «nihil negativum». Dall'altra, · . • però, il fatto che la materia, a differenza della 1 .a cosa m se forma prodotta dalla spontaneità della facoltà rappresentativa, sia data a questa che di fronte ad essa viene a trovarsi in una condizione di passività, richiede l'ammissione di una causa trascendente da cui la materia abbia origine. Tale causa viene identificata da Reinhold nella cosa in sé, intesa come «oggetto assoluto», vera e propria ipostatizzazione della materia una volta spogliata di ogni determinazione formale. E così le cose in sé, pur irrappresentabili, debbono essere riconosciute come reali: _J

sull'intelletto umano, con la sua idea di un misterioso oggetto-sostanza che agirebbe sull'anima producendo in essa le impressioni sensoriali, si configura per di più come una vera e propria deviazione dall'originario programma critico di Reinhold. Reintroducendo l'idea della cosa in sé come necessaria a spiegare in qual modo la materia conoscitiva possa essere data, Reinhold torna infatti a legittimare quelle prete- . . .·h h · . f . d l R1emergere d1 se meta.f1s1c e ~ e aveva m teso lasc1ar.e u?n a - tendenze la sua ncerca, nproponendo contradd1ttonamen- metalisiche te l'indagine sull'origine della coscienza e sulle condizioni esterne della rappresentazione. Non per caso Reinhold ripete questa sua operazione anche per spiegare la forma della rappresentazione che egli dice essere «prodotta» dalla coscienza. In tal modo quest'ultima appare come causa in sé esistente, prima e indipendentemente dalla rappresentazione. Se ci siamo soffermati alquanto sulla teoria reinholdiana della facoltà rappresentativa è perché essa appare negli anni della sua elaborazione, ed anche in seguito, come la più autentica interpretazione della filosofia kantiana, tanto che a molti non sembrò di dover fare sostanziali differenze tra le due. Ed è soprattutto per l'influenza assai vasta delle Lettere e degli scritti jenesi che si ricorda il nome di Reinhold. Del suo itinerario successivo - coinciso con l'insegnamento a Kiel tra il 1794 e la morte avvenuta nel 1823 -, dagli anni della conversione alla filosofia di Fichte e poi a quella di Jacobi fino ai successivi suoi orientamenti antologici e religiosi culminanti in un ultimo ripensamento dei rapporti tra ragione e rivelazione divina, non ci occuperemo, anche in considerazione della sua rilevanza storica secondaria.

La setta dei Rosa-Croce

«le cose in sé non possono essere negate come non possono esserlo gli oggetti stessi. Esse sono questi oggetti medesimi in quanto essi non sono rappresentabili. Esse sono quel 'quid' che deve stare alla base della semplice materia di una rappresentazione ... ».

Una tale argomentazione, che più che Kant sembra ricordare da vicino i percorsi dellockiano Saggio

12

a leggenda vuole che le origini di questa setta risalgano ad un cavaliere teutonico, Christian Rosenkreuz, morto nel1484 più che centenario, nella cui tomba sarebbero stati ritrovati, nel 1604, i documenti, pubblicati anonimi nel Wurttemberg, con cui ha inizio la storia dei Rosa-Croce: la «Fama fraternitatis» e la «Confessio fratrum Rosae-Crucis». . Attribuiti ad un teologo luterano, Johann Valentin Andreae, questi scritti

annunciano il generale rinnovamento del mondo e la riforma dell'umanità. Cultori di arti alchemiche, i rosacrociani pretendono di possedere i segreti per la produzione dei metalli preziosi (la pietra filosofale), per la predizione del futuro, la guarigione degli ammalati incurabili, la resurrezione dei morti e cosi via. Ciò che fa di questa associazione segreta, costituita inizialmente da piccoli gruppi di alchimisti · protestanti nascosti

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO l

L.LI

Schulze

(1761-1833):

il ritorno di Hume

N

-'

=> :c

o

e c'è mai stato uno scrittore la cui notorietà abbia coinciso esclusivamente con quella di un suo libro, questi è certamente Gottlob Emst Schulze, al punto che egli venne conosciuto e ricordato in Germania col nome di Aenesidemus, il personaggio protagonista del suo capolavoro. Al suo apparire, anonimo, nel 1792, col' titolo programmatico di Enesidemo, o intorno ai fondamenti

del tutto «aperta la questione se un pensiero più maC.J) turo ed adulto troverà o meno la soluzione dei problemi che la ragione si pone ... ». Ciò che Schulze vuole sostenere è solo che la filosofia critica, nella discussione della quale egli non fa alcuna distinzione tra Kant e Reinhold, è ben lontana dalla possibilità di presentarsi come la filosofia definitiva, capace di proposizioni realmente universali e necessarie, e insieme in della filosofia elementare sostenuta a Jena dal sig. grado di stabilire una volta per tutte, «per tutti i tem. prof Reinhold, con in appendice una difesa dello pi futuri», quali siano i poteri conoscitivi dell'animo Sopravv1venza . . l d ll . . d ll umano e i suoi limiti. di Hume scettlczsmo contro e pretese e a cntzca e a ragione, questo libro suscitò vasto interesse e aniPossiamo raccogliere le critiche che Aenesidemate reazioni per il suo esplicito intento, acutamente mus rivolge alla filosofia di Kant-Reinhold nei seperseguito dall'autore, di dimostrare che lo scettici- guenti punti: smo di Hume, che Kant aveva inteso neutralizzare, a. Kant incorrerebbe nello stesso processo illusonon era stato affatto confutato e che anzi esso usciva rio della ragione che egli giustamente rimprovera nelconfermato dalla filosofia critica, le cui conclusioni la dialettica trascendentale della prima Critica al dogstarebbero in sostanziale contrasto con le sue stesse matismo metafisico, là dove, demolendo le prove delpremesse. l'esistenza di Dio, mette a nudo l'impossibilità di deNon è che Schulze pretenda di sostenere l'assolu- durre l'ordine dell'esistenza dall'ordine del pensiero. tezza e la definitività dello scetticismo: non l'assolu- In questo stesso errore egli cadrebbe quando, partentezza perché «nessun scettico ha sinora messo in dub- do dalla premessa che conoscenze universali e bio l'esistenza delle rappresentazioni e la certezza di necessarie sono possibili solo in virtù di giudizi ~-o~:~:dizioni 1 ... tutto ciò che si presenta immediatamente nella co- sintetici a priori, conclude che dunque questi descienza ed è dato mediante la coscienza», ivi compre- vono esistere, come se, appunto, dal fatto che qualcoso l'ordine che nel mondo delle rappresentazioni ap- sa deve essere pensato in un certo modo, si potesse pare dominare; non la definitività perché «in fi- concludere che dunque esso anche deve essere in quel .. Lo scettiCismo l .1. ... neppure c1rca . 1. modo. Il fatto che noi pensiamo giudizi sintetici a osof'1a nulla e, stato stab11to limiti delle facoltà conoscitive umane», sicché rimane priori come fondamento ideale delle nostre conoscen-

Disegno del fiore mistico della Rosa-Croce.

tedesca; capace di creare quantomeno un clima favorevole alla sopravvivenza di suggestive intuizioni vitalistiche di origine magico-rinascimentale, è la connessione che con essa viene a stabilirsi tra Dio e vita della natura. Attraverso i misteri dell'alchimia, Dio viene ricercato nella natura; come principio della sua vitalità. La croce inghirlandatadi rose, simbolo della setta, vuole essere, appunto, il segno del h:~

13

cristianesimo conia natura. Se non direttamente i rosacrocialli, certo la tradizione magico~misterica e teosofica; di cui essi sono una manifestazione, costituisce le radici profonde di tanta parte . della cultura tedesca. La voracità concui il giovane Goethe divorerà i testi cabalistici e di alchimia magica, come l'intuizione romantica della natura o la filosofia della natura ai Schelling sono altrettanti segni della presenza efficace di quella tradizione. •

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

ze non significa che essi lo siano realmente, giacché in questo caso scambieremmo la necessità del pensiero con la necessità dell'esistenza. Dovrebbe allora anche essere riconosciuto legittimo - ma Kant questo non lo concede- dedurre l'esistenza reale di Dio dal fatto che noi lo pensiamo necessariamente. b. Anche ammesso che fosse consentito il passaggio dal pensare all'esistere, la filosofia critica - e qui d' Schulze si riferisce in particolare all'interpretaRei~:ol~. zione datane da Reinhold- andrebbe incontro ad insuperabili difficoltà per l'uso contraddittorio che ha fatto del principio di causalità. Da una parte il criticismo afferma, con la deduzione dei concetti puri dell'intelletto, che la categoria di causalità è riferìbile solo agli oggetti dell'esperienza; dall'altra, ricercando nella cosa in sé il fondamento dei contenuti materiali dell'esperienza, esso la viene a pensare dopo averne dichiarata l'inconoscibilità - come causa delle affezioni sensibili, facendo così del principio di causalità, inavvertitamente, un uso un attimo prima dichiarato illegittimo e riaprendo la strada alla vecchia metafisica. Se la cosa in sé è inconoscibile non se ne può fare la causa delle affezioni sensibili; se viceversa così la determiniamo, essa non è più inconoscibile. c. Nella medesima contraddizione cade Reinhold a proposito dell'elemento formale della rappresentazione. Anche qui riappare il fantasma della cosa

in sé, questa volta sotto le sembianze di un soggettoanima che sarebbe la causa dei giudizi sintetici universali e necessari che danno forma ai contenuti rappresentativi. In flagrante contraddizione con quanto Kant stesso argomenta a proposito dei paralogismi della ragion pura, Reinhold-Kant finiscono col fare di un animo, di un soggetto in sé non meglio definiti, la fonte delle conoscenze umane. Anche qui appare «del tutto naturale porre la domanda: se il soggetto dei nostri pensieri ci è interamente sconosciuto, donde sappiamo e comprendiamo che costituisce veramente la fonte di certe parti costitutive della nostra conoscenza?». Nell'intento di mettere Kant contro Kant, Schulze così incalza: «Secondo i più importanti principi e risultati della critica le categorie di causalità e realtà ... possono essere applicate soltanto alle intuizioni empiriche. Siccome però noi non possiamo intuire il presunto soggetto delle rappresentazioni, ma ... percepiamo soltanto immediatamente i mutamenti del senso interno, il soggetto non può rientrare nel campo degli oggetti conoscibili per noi, e quindi non gli si può attribuire, secondo le affermazioni proprie della critica, né una realtà conoscibile ed effettiva, né una causalità conoscibile ed effettiva».

Di fronte a queste clamorose contraddizioni della

Critica non resta altro che «ritornare a Hume» e alla sua onesta affermazione che noi non possiamo conoscere se non le nostre rappresentazioni e che è illusorio

Disegno di Pau! Gavarni per L'Ebreo Errante.

Gottlob Ernst Schulze, in una incisione del XVIII secolo.

14

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO l

ogni tentativo di trascenderle e di fondare un sapere con la pretesa dell'universalità e della necessità. Questa proposta di Schulze non avrà seguito nella filosofia tedesca del tempo che, con Fichte, avvierà uno svolgimento in senso metafisica e idealistico del kantismo. Quando nel180 l Schulze avrebbe ribadito in un . d nuovo scritto, Critica della filosofia teoretica, le Destmo e11 a . . . • h l d'ff . d . d' proposta di sue convmzwm scetttc e, a 1 uswne e1 gran 1 Schulze sistemi idealistici di Fichte e Schelling avrebbe consegnato ad una quasi generale disattenzione la pubblicazione. Non è da meravigliarsi che tra gli allievi di Schulze, per lunghi anni insegnante universitario prima ad Helmstadt poi dal181 Oa Gottingen, vi fosse Schopenhauer, destinato a diventare uno dei grandi oppositori dell'idealismo. L'Aenesidemus ebbe comunque una straordinaria

efficacia nel mettere in discussione la filosofia elementare di Reinhold al punto di convincere il suo stesso autore ad abbandonarla. Quanto alla capacità della critica schulziana di colpire, insieme con l'interpretazione reinholdiana, gli stessi fondamenti della critica kantiana, la questione è ancor oggi aperta a diverse conclusioni ed è stata significativamente . ep1stemo · log1co . contempo- . Importanza presente ne l d1'b att1to dell' raneo. Ciò che sembra, viceversa, pacifico è che Aenesidemus in Schulze manca lo sforzo di distinguere la Critica kantiana dalla interpretazione propostane da Reinhold, con la conseguenza di una non adeguata .rilevazione del significato dell'indagine trascendentale di Kant, ben più complessa e ardua di quanto potesse apparire dalle semplificazioni compiutene dalla filosofia elementare.

5 ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,.,,,,, . . ,,,,,,,,,.,,,,.,, . ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,,

Maimon

(1754-1800):

un kantiano tra Hume e Leibniz

l merito di avere recuperato il senso più vero del concetto kantiano di oggettività del conoscere che, piuttosto che richiedere riferimenti a realtà esterne al sistema del sapere, si fonda esclusivamente sulle modalità universali e le leggi costitutive della conoscenza stessa e dunque sul . potere oggettivante della ragione, è da riconoMento . S l M mmon, . . . d'1 di Maimon scers1 a a omon uno tra gl'1 ep1gom Kant, figura insolita e per molti versi sorprendente di uomo e di studioso. Di origine polacca - era nato nel 1754 in un villaggio lituano -, cresciuto nella religione ebraica, precocissimo conoscitore della Bibbia e dei testi del Talmud come della filosofia ebraica medievale, affascinato dal pensiero di Mosè Maimonide, al punto di rinunciare al proprio nome di Salomon ben Yeoshua per assumere quello dell'autore della Guida degli . Certi, Maimon abbandonò venticinquenne la PoUna vt1a l . . d'1 appren dere le errabonda oma, attratto dal des1'deno scienze e la filosofia tedesca, e si trasferì in Germania dove trascorse l'intera sua vita - morirà nel 1800 - in modo avventuroso ed errabondo. Poverissimo al punto di vedersi costretto talvolta alla mendicità, più volte rifiutato dalle comunità ebraiche tedesche per la sua eterodossia, Maimon poté godere a lungo dell'amicizia e della protezione di Moses Mendelssohn. Spirito irrequieto e stravagante, ribelle ad ogni pretesa di sistematicità, come testimoniano i suoi scritti spesso composti in stile saltellante e aforistico, anche Maimon maturò un rinnovamento radicale del suo pensiero attraverso la lettura della Critica della

ragion pura. Nel1790 pubblica il Saggio sulla filosofia trascendentale che lo stesso Kant apprezzerà per l'acutezza con cui viene colta la problematica del criticismo, e negli anni successivi il Saggio di una nuova

·logica o teoria del pensiero, con in appendice lettere di Filalete ad Enesidemo del 1794, con il quale Maimon intende rispondere allo scetticismo di Schulze, e le

Ricerche critiche sullo spirito umano del 1797. Come già accennato, egli rifiuta il concetto di cosa in sé come realtà esterna alla coscienza: in quanto tale essa è assolutamente impensabile, dal momento che pensarla significherebbe toglierne il carattere di esternità al sapere e quindi annullarla. Vero e proprio nonente, essa è paragonabile ai numeri immaginari bT • 1 118 della matematica (v-= a) che non corrispondono ;;~:ncs:s~ ad alcuna grandezza reale. Eliminato questo fan- in sé tasma, il carattere di «datità» dei contenuti dell'esperienza deve poter trovare una spiegazione diversa da quella di tipo realistico proposta da Reinhold e criticata da Schulze, giacché, osserva Maimon, «la parola 'dato' che il signor Kant usa molto spesso per designare la materia dell'intuizione, non significa per lui (come anche per me) qualcosa in noi che abbia una causa fuori di noi ... ».

15

Deve, dunque, essere possibile ammettere ciò che a prima vista appare paradossale, ossia che, pur nella sua datità, anche la materia conoscitiva trovi spiegazione a partire dalla coscienza e senza uscire da essa, come, del resto, aveva già insegnato Leibniz - cui Maimon fa esplicito riferimento - con la teoria delle «petites perceptions» e della coscienza, monade «sen-

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

za porte e finestre», che non riceve nulla dei suoi contenuti dall'esterno. Ciò comporta che la datità dei contenuti empirici invece che consistere in un loro «essere dati da ... » dipenda da un «come» essi sono dati e appresi dalla coscienza, e precisamente dal fatto questa è la risposta di Maimon - che essi risultano indeducibili dalle leggi logiche dello spirito umano. Ciò significa che le cose date nell'esperienza, considerate nella loro concreta particolarità, non sono risolubili nella pensabilità, non ne è cioè ricostruibile razionalmènte la genesi nella coscienza, e costituiscono come il limite oscuro e irrazionale che rende la coscienza umana finita e imperfetta. Certo, tutti i lumte oscuro . d Il' . . Il della coscienza co.ntenutl e espenenza Sl. generano ne ~ coscienza secondo regole, ma d1 queste la coscienza non è pienamente consapevole e perciò i contenuti particolari appaiono ad essa come dati. La coscienza non è capace di vedere la ragione per cui l'oro, per esempio, si presenta a noi con quel determinato colore giallo, con quel peso specifico e cosi via, o «perché io ora abbia proprio la rappresentazione della casa e non la rappresentazione dell'albero, che pure io avrei egualmente potuto avere». Avvalendosi delle più recenti acquisizioni della matematica, Maimon utilizza il concetto di differenziale, sostenendo che le regole secondo cui gli oggetti si generano nella coscienza sono come i differenziali degli oggetti, i noumeni di cui gli oggetti nelle loro empiriche determinazioni sono i fenomeni. Ma una volta messo in luce questo ineliminabile divario tra la particolarità dei contenuti empirici e l'universalità delle leggi e delle operazioni della facoltà conoscitiva, ne deriva un ridimensionamento della dottrina kantiana dei giudizi sintetici a priori. Non si vede, infatti, come sia possibile formulare giudizi universalmente validi e necessari in relazione ai determinati oggetti empirici: se, per esempio, ha ragione Critica del Kant ad affermare che «gli oggetti dell'esperienza giudizio in genere devono essere pensati nel rapporto di sintetico a priori causalità», non è altrettanto possibile sostenere che «proprio questi oggetti debbano essere quelli che stanno in questo rapporto». Dobbiamo dunque concludere contro Kant, che sugli oggetti in quanto dati nell'esperienza sono formulabili solò giudizi sintetici a posteriori e che i giudizi sintetici a priori sono possibili solo per la matematica, i cui oggetti, a differenza di quelli empirici, sono determinabili a priori nel loro stesso nascere, in quanto pienamente deducibili in tutte le loro particolari determinazioni dal loro concetto. Una vasta ombra di irrazionalità viene così a coprire l'umano mondo dell'esperienza e la prospettiva scettica humiana sembra di nuovo riemergere: del mondo dell'esperienza non è possibile fare scienza. ,. d' Se Maimon non esita, certo, a dichiararsi «scettico L m11 uenza 1 • • ' ' d · t 1 d· Leibniz empmco», non pero e meno eterm111a o ne 1stinguersi dallo scetticismo «empiristico» di Hume e di Schulze: mentre questo privilegia la «verità»

l'

..

delle impressioni sensibili a svantaggio dei procedimenti della ragione, Maimon, per la derivazione dall'idealismo trascendentale e soprattutto per l'influenza del razionalismo metafisica di Leibniz, motiva il suo scetticismo con il fatto che l'esperienza non è mai, come s'è visto, adeguata alle esigenze di universalità e necessità della ragione. È, per l'appunto, il riferimento a Leibniz che permette a Maimon di evitare le conclusioni humiane: il principio dell'assoluta spontaneità della monade e la convinzione leibniziana che la differenza tra senso e intelletto sia semplicemente di grado e non di M0b·r·111 . d 1 · 111 · ducon? Ma1mon.a · d abb an.don~r~ quel- limite della a e fun~1~ne la ng1da separazwne kant1ana tra 111tmzwne e coscienza concetto che, facendo delle intuizioni empiriche dei dati in alcun modo risolubili in concetti, le fissa nel~a loro irrimediabile irrazionalità, finendo con l'aprire la porta alla scepsi humiana. Il limite oscuro dell'esperienza che impedisce, come s'è visto, alla funzione intellettiva di esaurire appieno i dati empirici nella pensabilità, non è viceversa da intendersi come un limite rigido e fisso, posto una volta per tutte a sanzionare l'immobile imperfezione dell'intelletto umano. Al contrario, il limite dell'opaca esperienza, anche se mai eliminabile del tutto, può essere sempre spostato in avanti proprio perché tra sensibilità e intelletto non c'è che una differenza quantitativa che fa della sensibilità una specie di intelletto imperfetto suscettibile di continuo perfezionamento. Compito della ragione è appunto quello di realizzare un progresso all'infinito «per cui il pensato si accresce sempre, mentre il dato viene ridotto fino ad essere infinitamente piccolo». Quest'idea della progressività della ragione, con la quale Maimon intende interporre una distanza incolmabile tra sé e Hume, viene avvalorata nel Saggio sulla filosofia trascendentale dal recupero di un'altra idea fondamentale di Leibniz, quella di un intelletto infinito e divino per il quale quei contenuti, che al- L''d d' l'intelletto umano appaiono dati di fatto privi di in:e::u~ un necessità razionale, si risolvono del tutto in puro infinito pensiero come negli oggetti matematici. Un intelletto, aveva detto Leibniz, per il quale viene meno ogni distinzione tra «verità di fattm> e «verità di ragione», in quanto anche nelle prime esso coglie quel rapporto di necessità tra soggetto e predicato che caratterizza le seconde e che sfugge alla finitezza dell'intelletto umano. Certo Maimon, erede della cautela critica kantiana, non fa sue fino in fondo le certezze metafisiche leibniziane e, soprattutto negli scritti più tardi, analogamente a quanto aveva nel frattempo elaborato il T ~an t dell~ C~it!ca del giudi~io con l'idea di t~~ d~~malismo 0 111telletto 111tu1t1vo, assume 111 senso sempre pm scetticismo problematico questa prospettiva di un intelletto infinito proponendolo come principio regolativo (e non dogmatico), concetto-limite necessario ad un'ideale unificazione dell'intero sapere. In alcuni luoghi, là

16

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO l

dove Maimon è più sensibile al richiamo scettico, egli finisce col parlarne come di una vera e propria finzione della ragione, come se fosse incerto tra due direzioni opposte, ora più convinto, per usare le sue espressioni, di essere un «dogmatico razionale» ora uno «scettico empirico». È come se la sua fede indubbia nella potenza progressiva della ragione, che ha permesso di scorgere in lui lo stesso entusiasmo e la stessa tensione conoscitiva della nobile Aufkliirung lessinghiana, fosse in qualche modo incrinata da un acuto senso della relatività dell'umano sapere che sembra togliere alla «continua ricerca» ogni spessore prometeico: «Lo spirito ... non si può certo mai accontentare di quel mondo sensibile e della propria maniera di pensarlo; come dice l'Ecclesiaste: 'l'anima non sarà mai appagata'. Da un lato esso si riconosce limitato al mondo sensibile, d'altro lato invece sente in sé un irresistibile impulso ad allargare sempre questi limiti ... Anche ammesso che esso non trovi mai la

17

z

via dal sensibile all'intelligibile, potrà tuttavia con la continua ricerca di essa trovare altre verità (forse meno importanti, ma pur tuttavia abbastanza importanti per esser degne di essere cercate) come avvenne all'alchimista che cercando l'oro trovò il blu di Prussia».

O ~

Non tutta la ricca problematica gnoseologica di Maimon ebbe risonanza e prosecuzione nel dibattito filosofico del tempo; ma certo è che rilevante e immediata incidenza ebbe la sua liquidazione del concetto dogmatico di cosa in sé. Rifiutando le tendenze realistiche presenti in Kant e nel kantismo di Reinhold e risolvendo senza residui tutti i contenuti conoscitivi nell'ambito della coscienza, Maimon già im-• ,.daimo e 1 ea 1smo bocca quella strada che doveva condurre, a partire da Fichte, all'affermazione dell'idealismo post-kantiano, cioè di quella filosofia che, come vedremo, procede ad una radicale «mentalizzazione della realtà», esaurendola nell'immanenza dell'esperienza spirituale degli uomini.. M 1

."

1

Capitolo

1

La filosofia tedesca di fronte a Kant tra critica e revisione. Gli epigoni di Kant f&.i.··ùè-,H!'J\fr@>.''ì.ffi'.&:tPii":::Tij{f~à1[#-J"-'!•W·'- ;..;.:~;.;:t:-:-· (il romanticismo tedesco). La sua denominazione, «Sturm und Drang», risalente al titolo di un dramma teatrale di M. Klinger, uno dei suoi primi esponenti, vuole mettere in evidenza le tendenze contestatrici e protestatarie dei giovani che gli hanno dato vita, tra cui Herder e Goethe e, più tardi, lo Schiller dei Masnadieri. Sturm und Drang è un'endiadi traducibile con «impeto tempestoso»: gli «Stiirmer» intendono infatti ribellarsi ai valori incarnati nell' «uomo virtuoso» e sottomesso alle regole della ragione proposto dalla tradizione illuministica, in nome di una vitalità a lungo compressa che, finalmente liberata, consenta il recupero di un rapporto più diretto con la realtà non più falsificato dall'ipocrisia delle convenzioni morali e sociali, e la riscoperta delle forze istintive e della schietta e primigenia energia della natura. Possiamo così riassumere i principi cui lo «Sturm Principi dello «Sturm und und Drang» si ispirò: Drangn a. una nuova intuizione, opposta a quella meccanicistica dell'illuminismo, della natura, intesa come forza vitale, organicità vivente, talvolta avvertita panteisticamente come pervasa dalla presenza divina; b. l'esaltazione del «genio» come potere di penetrazione nella vita della natura e capacità di totale immersione in essa, che trova il suo luogo privilegiato nella poesia;

19

c. il rifiuto del classicismo illuministico di gusto francese che si esprime, da una parte nella riscoperta della poesia popolare e dell'architettura gotica come espressioni dell'autentico spirito nazionale tedesco, dall'altra nella concezione della poesia come sfrenata spontaneità creatrice ribelle ad ogni regola che non sia quella della libera fantasia e delle impetuose passioni. Il vero poeta vive nella caotica confusione (Wirrwarr) del tumulto sentimentale che egli sa, appunto, esprimere genialmente nella vitalità della poesia, fatta simile alla forza della natura. Se per questi aspetti indubbiamente irrazionalistici ed eversivi del «sano intelletto» illuministico, lo «Sturm und Drang» è stato spesso interpretato come reazione antilluministica e anticipazione della «Romantik», non bisogna dimenticare che, a differenza di quest'ultima, tendenzialmente tradizionalista e conservatrice, gli Stiirmer, discepoli di Rousseau, ammiratori della rivoluzione americana, esprimono con forza, ., d . d l . . d . «;,turm un an che se 111 mo o ve ato, 111 un peno o stanco Drangn e premonitore della crisi rivoluzionaria, la protesta 11Romantil>. L'ironia della sorte volle che il saggio Sulla dottrina di Spinoza, in lettere a Moses Mendelssohn riuscisse ad un effetto esattamente contrario a quello propostosi dal suo autore: l'esposizione che veniva . fatta del pensiero spinoziano ne metteva così beLa«Spmoza· luce tutto 1 'l ngore ·· d'1 f'l1 osof'1a compmta· Renaissancell ne m mente razionale e tutta la forza suggestiva del suo panteistico hen kai pan, da suscitare una vera e propria «Spinoza-Renaissance». Herder si dichiara pubblicamente spinoziano, Goethe non può che compiacersi della fortuna che arride al filosofo a lui più caro, il giovane Schleiermacher si prova nel tentativo di conciliare spinozismo e criticismo, e lo Spinoza di Jacobi è destinato a divenire, insieme con la Critica della ragion pura, uno dei presupposti più importanti della filosofia idealistica da Fichte e Schelling fino ad Hegel. In effetti Jacobi aveva riconosciuto a Spinoza il merito di avere offerto non una qualunque filosofia ma la filosofia nella sua perfetta sistematicità razionale: una compiuta risoluzione della realtà tutta, Dio compreso, nella catena infinita delle connessioni causali meccaniche, in un universo totalmente determinato dalla necessità. Ma nel pregio di Spinoza sta anche la spaventosa perversità di una filosofia che pretende fondarsi solo su se stessa: Dio viene identificato con il mondo e, pertanto negato («lo spinozismo è ateismo»). Alla libertà si sostituisce il fatalismo più inesorabile; le cose nella loro concreta singolarità vengono dissolte nella trama intemporale dei rapporti geometrici. La risposta di Jacobi a Spinoza è simile a quella che l'amato Pascal (due scritti jacobiani recano, significativamente, come sottotitolo, due citazioni dai «Pensieri») aveva dato a Cartesio: le ragioni del cuore J b' e del sentimento, il burlarsi della filosofia come a~~s~a~ vero filosofare, il «Deus absconditus». Chi si lasci penetrare dalla fede possiederà la verità al riparo da ogni scetticismo, al di sopra di ogni dimostrazione. E la verità parla nell'intimo del nostro cuore, là dove l'esercizio stesso della libertà, di cui abbiamo

21

esperienza nella vita morale, ci attesta la realtà di un Dio indipendente, personale e sopramondano; presente, sì, alla radice dell'essere, ma in quanto creatore di tutte le cose per un atto libero e incondizionato della sua volontà. In uno scritto successivo Jacobi dirà: «La fede in Dio è un istinto, un istinto naturale per l'uomo come la sua posizione eretta. Non avere questa fede è contro natura, come è contro natura per l'uomo la posizione curva».

Si tratta, come si vede, di una adesione ad un tradizionale teismo tanto sincera quanto candidamente sicura di sé, che muoverà un filosofo così caustico come Schopenhauer a dire di Jacobi: «ha scritto libri veramente commoventi, ed ha soltanto la piccola debolezza di veder pensieri fondamentali, innati nello spirito umano, in tutto quanto egli ha imparato e accettato prima del suo quindicesimo anno».

Jacobi non intende, peraltro, identificare questa sua fede religiosa con alcuna specifica fede positiva, fosse pure quella cristiana, di cui, certo, il suo pensiero e la sua vita sono fortemente imbevuti. Di fronte alle accuse che gli vengono rivolte di essere un fanatico nemico della ragione e un cripto-cattolico, egli risponde con la pubblicazione nel 1787 di uno scritto che dal titolo stesso, David Hume sulla fede, o L' .. d' · de ne · h'1a- Hume autonta 1 z'dea l'zsmo e rea l'zsmo. Vn d'za logo, mten marsi, per sostenere la filosofia della fede, ad un'autorità del tutto insospettabile. È Hume, infatti, ad aver sostenuto che, senza una fede, un sentimento, non è possibile affermare l'esistenza nemmeno delle cose al di fuori di noi e distinguerla da una vana fantasia. Qui, come nel caso dell'esistenza di Dio, è sempre una fede a darci la certezza immediata, tanto evidente quanto indimostrabile. In appendice al Dialogo Jacobi pubblica un saggio Sull'idealismo trascendentale in cui comincia a prender posizione di fronte a Kant. Già nel 1763, al ritorno da Ginevra, aveva letto con viva commo- , . . . l . . L, . . r·are 1 conii zwne o scntto 1(antiano su unzca ragzone pos- con Kant sibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio, riconoscendo con entusiasmo nell'affermazione che l'esistenza non è in alcun modo deducibile logicamente, quella propria già maturata convinzione che lo avrebbe portato alla filosofia della fede. Ora, però, era nato il criticismo e si trattava di giudicarlo, cosa che Jacobi avrebbe continuato a fare nello scritto del 1801-2 Sul tentativo del criticismo di ridurre la ragione ad intelletto e di dare alla filosofia in generale un nuovo fine e nella Introduzione all'edizione completa degli scritti filosofici dell'autore del1815. Per intanto egli riconosce, innanzitutto, a Kant il merito di avere demistificato con la critica la presunzione del razionalismo metafisico di poter risolvere la totalità del reale nella trama dei suoi concetti e di avere così «guadagnato uno spazio vuoto», tale da

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

chi dello stesso Jacobi, appaiono come le conclusioni ad esso più congeniali e insieme più distruttive. Via via che l'idealismo si svilupperà con Fichte e poi con Schelling, Jacobi si confermerà sempre più in una duplice convinzione: a. che l' «egoismo speculativo» già presente in Kant e portato a esplicitazione dai suoi successori, rappresenti una spaventevole forma di nichilismo (è Jacobi ad usare per primo questo termine, destinato ad una ricca storia che giunge fino a noi) nella · del soggetto cornspon: Idealismo e qua le a11 ,asso lut'1zzazwne . h'l' . d' D' d l . . . de la negazwne 1 10, e mondo e d1 tutti 1 mc IISmo valori oggettivi (che Jacobi, con candido accento platonico, chiama il bello, il buono, il vero in sé). Rivolgendosi a Fichte, così egli scrive: «Voler comprendere l'essere vuoi dire ... distruggerlo come essere esistente in sé e indipendente. E ciò che ci rimane dopo questa distruzione non è se non la stessa vuota soggettività che sempre si rinnova e si ripete all'infinito»;

Friedrich Heinrich Jacobi.

consentire, con la dottrina dei postulati della ragion pratica, il riconoscimento di Dio e della libertà. Ma i meriti di Kant finiscono qui. Intanto, la fede in Dio, nella libertà e nell'immortalità resta in lui una fede razionale che non trascende le nostre rappresentazioni, e non è dunque rivelazione del reale nella sua oggettività, non autentica esperienza antologica, come per Jacobi deve essere. Ma, soprattutto, la Critica della ragion pura è in sostanza ispirata ad un idealismo soggettivistico che tende a risolvere tutta la realtà nelle rappresentazioni del soggetto. È vero sì che Kant, riconoscendo il carattere recettivo della sensibilità, «prende le mosse, senza contraddirla, dalla fede naturale in un mondo materiale sussistente indipendentemente dalle nostre rappresentazioni», da cui derivare come da loro causa le affezioni sensibili, ma è altrettanto certo che «successivamente distrugge questa fede, mediante la dottrina dell'assoluta idealità di ciò che è spaziale e temporale», e con l'affermazione che il principio di causalità è valido solo per pensare i fenomeni. Insomma è presente in Kant una contraddizione tra l'idealismo, la sua vocazione più vera, e il realismo implicito nel concetto di «cosa in sé», onde avviene che «senza muovere dalla fede naturale ... non si può entrare nel sistema, ma poi non si può con essa restarvi e prendervi fissa dimora».

Si impone pertanto una scelta: o idealismo o realismo, o il primato e l'esclusività del soggetto con l'eliminazione del concetto di «cosa in sé», o l'accettazione di quest'ultimo con l'abbandono dell'idea. Idea llsmo 0 l' · · f'l1 oso f'1a deIla realismo 1smo e l' adeswne aIla real'1st1ca fede. Jacobi compie la scelta che nel giro di pochi anni sarebbe apparsa marginale e minoritaria. Prima Maimon, come s'è visto, poi Fichte, come vedremo, porteranno l'idealismo kantiano a quelle che, agli oc-

22

b. che l'idealismo non sia altro che uno «spinozismo rovesciato» e speculativamente ancor più avvertito, che, partendo dal soggetto invece che da un oggetto dogmaticamente affermato, perviene al medesimo risultato cui era giunto Spinoza, ossia a dis. solvere tutto il reale nelle astratte forme del dild~ahs~o e . . spmoz1smo mostrablle e del pensablle. La Lettera a Fichte del 1799, come Le cose divine e la loro rivelazione del 1811, dedicato all'idealismo schellinghiano, sono i testi che documentano il preoccupato commentario jacobiano allo sviluppo trionfale dell'idealismo. Nello scritto del 1802 Sul tentativo del criticismo Jacobi, forse anche per rispondere alle accuse, non infondate, di essere un irrazionalista sostenitore di un generico fideismo antifilosofico, procede ad una maggiore articolazione del principio della fede. Se rimane fermo che per cogliere una qualunque esistenza occorre una fede, e che, in questo senso, non c'è sostanziale differenza tra coscienza religiosa e coscienza comune (è necessaria la fede tanto per innalzarci a Dio quanto «per andare a letto o metterei a tavola»); non è, però, meno vero che ciò che distingue l'uomo dalle bestie non è .la· certezza delle cose sensibili, che sovrasens1 Fede nel 'b'l , 1e anche le best1e posseggono, bens1 quella delle co- e ragione se soprasensibili (le «cose divine»). Di qui il nuovo convincimento jacobiano che sia necessario interporre una maggiore distanza tra conoscenza sensibile e conoscenza soprasensibile. Ciò egli ottiene, affidando quest'ultima ad un organo superiore all'intelletto discorsivo e riflessivo, la ragione intesa come conoscenza immediata del sovrasensibile, suprema intuizione intellettuale del «bello, del buono e del vero in sé», che innalza l'uomo al di sopra di ogni altro essere vivente e gli consente, utilizzando, certo, anche i poteri discorsivi dell'intelletto, di costruire quel «discorso bene fondato» che è la vera filosofia.

J SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 2

3 '"''''"''''' ,. ,., . ,. ,,.,,,,,,,, .,,,,,,,,,, ,.,,,,.,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,, . . ,,.,,, ,,,,.,,,,,,,,,,,,.,, . . ,. , . , .................................. ,,.,, ·············· ''"''''"'''''''' ........... ,,,,,,,.,,,,,,,,, . . ,,,,, . . ,. ,,.,,,,.,,,,, . . .

Hamann

(1730-1788):

un «no» cristiano all'Aufklarung

z

z} e che la storia ha un ordito divino, senza di cui la trama delle vicende non sarebbe: «... tutti gli avvenimenti della storia terrena sono ombre di operazioni segrete e di scoperti prodigi ... }}, Se lo scandirsi del tempo in passato, presente e _L~ misurai futuro è cosiffatto che non si può conoscere il cnst1ana de . . tempo passato senza mtendere tl presente e, d'altro canto, il futuro cela in sé il segreto e del presente e del passato, allora compito dell'uomo cristiano è quello di misurare il tempo «secondo il conto che ne fa Di@. Ciò significa: a. che è grave errore pretendere di fermare il presente in se stesso assolutizzandolo, come se avesse in sé il proprio senso. Il presente, viceversa, è ciò che Dio ne vorrà fare e l'uomo, con spirito di pazienza e insieme con fantasia profetica, dovrà cercare di riconoscere in esso le intenzioni divine, in attesa della «pienezza dei temph}, quando, tutto consumato, la verità sarà finalmente compiuta; b. che la filosofia della storia non sarebbe possibile prescindendo dall'incarnazione del Verbo che «costituisce il mezzogiorno del tempO>}. Al cristiano, passato presente efuturo si rivelano per quello che sono: rispettivamente, il peccato, il Cristo incarnato e redentore sul Golgotha, il compimento del regno dei cieli, annunciato dallo Scheblimini del salmista (in ebraico Scheb limini significa, «siedi alla mia destrm} ). A questo tema della realtà come linguaggio di Dio è connessa la convinzione dello stretto legame tra sapienza e poesia, ragione e immaginazione. Hamann s . ritiene che l'originaria sapienza dell'umanità, P~~:~z: quale quella che si trova nella Bibbia o anche nei linguaggio testi di ogni altra religione, è stata espressa in linguaggio poetico, perché la poesia è «parola di Di@ e per questo anche «lingua madre del genere umanO>}. La verità è più vecchia della nostra ragione e va ricercata nei miti e nelle favole, e la stessa filosofia

non può esistere senza la poesia, se è vero che la ragione sussiste solo in quanto s'incarna nella parola e, quindi, in immagini e sentimenti. Si può capire perché Hamann sia così ostile alla Critica della ragion pura: la pretesa di Kant è appunto quella di separare la ragione dal linguaggio, nel c K . d'1 «pun'f'tcarlM da ogm. cond'tztona. ontro ant tentattvo mento sensibile ed emotivo. Il risultato di quest'operazione conduce ad una deformazione della natura umana, che è costituita dall'intreccio inseparabile di tutte le sue forze, fantastiche, sensibili e razionali: Kant, scindendo sensibilità e ragione, ha il torto di distruggerlo. Di ben diverso significato la figura di Socrate, il cui saper di non sapere Hamann contende alle interpretazioni illuministiche: l'ignoranza socratica non significa laica rinuncia alla ricerca delle verità eterne, in nome di un umanesimo relativistico, ma al contrario è la consapevolezza dei limiti della ragione e, s . ocrate e . . deIl a presenza d el dmmon, msteme, vero e pro- Cristo prio genio della profezia, anticipatore del cristianesimo. Giocando sulle analogie tra Socrate e Cristo, ambedue martiri della verità, Hamann sviluppa il tema, largamente presente nei dibattiti settecenteschi, del «geniO>}, sul filo di considerazioni estetico-religiose che ne fanno l'organo della filosofia e della poesia, e insieme il mediatore della rivelazione divina. Non può meravigliare che i giovani Stiirmer abbiano potuto vedere in Hamann un loro ispiratore: la ribellione all'astratta ragione, la valorizzazione delle forze emotive e sensibili dell'animo, il rifiuto dell'interpretazione fisico-meccanica della natura, l'esaltazione del genio poetico, sono tutti motivi che gli Stiir" mer poterono sentire inizialmente congeniali. Ciò H . ' l'1 separava dal «mago del nord}} era 1'l Stiirmer amann e gli che, pero, fatto che l'opposizione antilluministica di Hamann, oltre che essere guidata da un'ispirazione religiosa in sostanza estranea alla loro origine laica, aveva risonanze politiche di segno conservatore (basti pensare che Hamann fu irriducibile oppositore perfino dello stato federiciano, individuato come pericolosa espressione dell' Aufldarung), non conciliabili con il radicalismo di ascendenza rousseauiana degli Stiirmer. Di un certo rilievo sono anche le affinità che avvicinano Hamann a certi aspetti dell'imminente romanticismo filosofico, come per esempio il rifiuto del dualismo kantiano tra sensibilità e ragione e l'esigenza di ricomporre in unità le diverse facoltà dell'uomo, oppure la stretta connessione tra dimensione estetica e dimensione religiosa dello spirito umano. Ma , . . .d c .c ,1amann e 11 anche qm st evono 1ar notare aspett11ortemente mmanticismo antiromantici della riflessione hamanniana: in primo luogo nella spiritualità romantica confluirà quella linea di pensiero decisamente panteistica che da Shaftesbury e Spinoza passa attraverso Goethe, mentre, come si è visto, il Dio di Hamann è quello trascen-

24

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 2

dente del cristianesimo. La sua affermazione che la natura è linguaggio e rivelazione di Dio non ha nessuna inflessione panteistica, come è ben confermato dal fatto che l'incarnazione del Logos divino è sempre caratterizzata come «umiliazione» di un Dio che si abbassa fino alle miserie dell'uomo. In secondo luogo

non c'è sentore in Hamann dell'esaltata affermazione romantica dell'infinitudine dello spirito umano. Al contrario, fedele alla sua visione teocentrica, anzi cristocentrica, che gli deriva dall'originario spirito Iuterana, egli nega all'uomo ogni potere autonomo da Dio, il solo vero protagonista della storia.

4 ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,, . ,., . ,,,,.,, ..,,,.,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,.,,,.,,, . , . ,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,.,,,, ........... , '''''''''''''''''''"'''"'''''"'''' ,.,,,.,,.,,,,.,,,. ''"''"''"''''''"'''''''''''''''''"''"''"'"'''''

Herder

(1744-1803):

l'autocritica dell'illuminismo

e in Hamann e in Jacobi la crisi dell'illuminismo ha esiti irrazionalistici, caratterizzati da una riaffermazione, di contro alla laicità illuministica, della dimensione religiosa della fede, il rapporto di Johann Gottfried Herder con l'AufkHirung è assai più complesso e ambiguo, tanto da rendere improprio, per una corretta identificazione del suo pensiero, l'uso di contrapposizioni semplificatriei come quelle tra illuminismo e antiilluminismo, razionalismo e irrazionalismo. È indubbio che Herder, fin dall'esperienza sturmeriana degli anni settanta a cui partecipa intensamente, avverte i limiti e l'insufficienza della razionalità illuministica, cui egli viene contrapponendo via via nuove prospettive, destinate a incidere profondamente sulla crisi dell' Aufk:Iarung di fine secolo: da un nuovo modo di intendere la funzione e l'origine del linguaggio e, di conseguenza, i rapporti tra la ,. H~r~er e ragione e le componenti prerazionali della natura 1r11umrnrsmo . umana, alla scoperta della poes1a popolare come poesia autentica di fronte alla poesia d'arte, dal rifiuto delle concezioni giusnaturalistiche dell'uomo, che lo conduce a sviluppare l'idea del popolo come realtà organica in alternativa a quella illuministica dello stato, alla messa in discussione dell'idea illuministica di progresso, incapace, per la sua astratta linearità, di comprendere il concreto e contraddittorio svolgimento delle vicende umane. Tutto ciò, per altro, non significa che il percorso di Herder sia in qualche modo assimilabile a quello antiilluministico di Hamann. Egli non intende mai rompere con la cultura del suo secolo che, al contrario, riconosce come condizione imprescindibile di ogni nuovo passo avanti nella storia degli uomini. Nel l 784 così scrive:

insieme rendendosi rousseauianamente utile al bene del popolo e promovendone l'affrancamento. Viceversa il Settecento, oltre ad essere il secolo che ha visto consolidarsi in Germania il dispotismo assolutistico con il quale gli Aufklarer hanno finito in gran parte col patteggiare, è anche l'epoca della violenza colonialistica dell'Europa. In una pagina del l 784 ancor oggi di sorprendente attualità, Herder cosi scrive: «In Europa la schiavitù è abolita perché si è calcolato che gli schiavi costano di più e rendono di meno degli uomini liberi. Ma ci siamo permessi di alienare e trattare come schiavi, deportandoli nelle miniere d'argento e negli zuccherifici, tre interi continenti oo, Tre continenti da noi devastati e, come si dice, civilizzati e noi stessi oo• sprofondati nel lusso, nello sfruttamento e nella morte per questa operazione: e tutto ciò sotto il nome di prospero e felice commercio!».

Fin da quando a Konigsberg tra ill762 e ill765, giovanissimo studente di teologia (era nato a Mohrungen in Prussia orientale nel 1744), Herder segue le lezioni di Kant ormai in rotta col dogmatismo wolffiano e orientato a sottolineare il carattere e la destinazione umana del filosofare, egli comincia a pensare ad una filosofia della storia che, inquadrando le vicende umane in una visione complessiva della forma-

«Riconosco tutto quello che c'è di grande, bello e unico nel nostro secolo e l'ho sempre considerato come base, nonostante ogni mia critica In verità un grande secolo senz'altro la più alta cima dell'albero». oo.

oo•

Ciò non impedisce a Herder di rimproverare alla cultura del suo tempo di non aver saputo costruire una filosofia capace di «rischiarare» non solo e non tanto poche teste di dotti, quanto l'umanità nel suo

Johann Gottfried Herder con la moglie.

25

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

oc U..J o

zione dell'umanità, non si esaurisse in una semplice operazione teoretica, ma contribuisse all'educazione ed emancipazione degli uomini. o: L..U A Konigsberg Herder conobbe e frequentò anche ::c Hamann, subendo il fascino delle sue idee innovatrici sia teologiche che filosofico-letterarie, al punto Tra. ~lamann · suoi· scnttl · · d'1f'l1 oso f'1a de11a stona · degl'1anm· • • e che 1 111 wmmsmo . • . . settanta, m piena stagwne sturmenana, saranno contraddittoriamente debitori, oltre che dell'ispirazione umanistico-pragmatica di cui dicevamo, anche della concezione hamanniana della storia come disegno di Dio. L'influenza religiosa di Hamann doveva, per altro, trovare un limite nel fatto che il cristianesimo di Herder aveva rivelato fin dagli anni di Riga, dove, terminati gli studi teologici a Konigsberg, egli svolge dal 1765 al 1769 l'attività di pastore e di predicatore luterano, la chiara tendenza a risolversi in una dimensione puramente etica ed umana. Sono gli anni, del resto, in c.ui l'interesse di Herder per la religione appare rivolto a ricercarne le origini più remote che, sotto l'influenza di Hume, egli riconosce negli stati di paura del primitivo dinanzi ai fenomeni naturali. A lungo la riflessione teologica herderiana oscillerà tra queste tendenze razionalistiche ad umanizzare il fenomeno religioso e le influenze hamanniane, finché, negli scritti della maturità degli anni ottanta e novanta, non finiranno col prevalere in lui orientamenti panteistici e storicistici che lo allontaneranno sempre più dall'ortodossia religiosa. Nel 1769 compie un viaggio per mare da Riga a Nantes, di cui Herder ci ha lasciato un diario, straordinario documento già sturmeriano, in cui emergono l'entusiasmo per la selvaggia forza della natura e l'interesse per la storia e l'indole dei diversi popoli dell'Europa nordica, che dice di voler studiare in una «storia universale della formazione del mondo». A Parigi entra in contatto con l'ambiente illuministico, e a Strasburgo conosce Goethe, con il quale ha inizio quell'intesa che doveva condurli, attraverso la scoperta della poesia popolare e l'amore per Omero, Ossian e Shakespeare, all'esperienza dello Sturm und Drang. Nel 1772, intanto, pubblica un importante scritto, il Saggio sull'origine de/linguaggio, in cui, in contrasto con Hamann, afferma l'origine naturale del linguaggio. Contro gli illuministi, Herder è d'accordo con Hamann nel sostenere che il pensiero non è separabile dal linguaggio ma con esso nasce, e che dunque questo non è un mero sistema di segni conven, .. 0 L _ngme d~l zionali per comunicare un pensiero già pensato 1mguagglo · de11a parola; ma, viceversa, · pnma n·f'mta, la tradizionale credenza dell'origine divina del linguaggio. In questa idea, ripresa, come sappiamo, anche da Hamann, Herder vede una mortificazione dei poteri di autoformazione dell'uomo, una insensata ignoranza che nega un fatto evidente, ossia che «la lingua si è

26

sviluppata, a grado a grado, con il genere umano». L'uomo è insieme il creatore e la creatura del linguaggio, esso parla perché è, e insieme è perché parla. La ragione (e dunque il linguaggio) non è una facoltà separata e sovrapposta all'uomo come essere senziente e agente: sotto l'influenza evidente di Leibniz, Herder afferma che essa si è venuta formando lungo l'evoluzione del genere umano, emergendo come forza spontanea dell'anima dal fondo prerazionale e oscuro della vita umana, da quell' «oceano di sensazioni che penetra in essa rumoreggiando attraverso tutti i sensi», e di cui essa si fa principio di organizzazione mediante un atto di riflessione che le consente, in quell'oceano, di «isolare un'onda ... trattenerla, dirigere su di essa la propria attenzione ed esser cosciente di osservarla». La parola è, appunto, l'esito di questo atto di riflessione che fa dell'uomo «un solo centro sensorio pensante» capace di sviluppo e di evoluzione, insomma di storia. All'uomo come specie storica Herder dedica i suoi scritti più noti e più ricchi di influenza, da quelli degli anni settanta, composti durante il suo soggiorno a Buckeburg (l 771-1 77 6) come pastore di corte, tra i quali importante il saggio Ancora una filosofia Gl"1 .. d"1 · per l' educazzone · deIl'umam'ta' del filosofia senilidella deIla storza 1774, a quelli del decennio successivo, quando, storia dopo essere stato chiamato, per interessamento di Goethe, a ricoprire la carica di soprintendente ecclesiastico a Weimar, pubblica tra il 1784 e il1791 la sua opera più nota e fortunata, le Idee per la filosofia della storia dell'umanità. Negli scritti buckeburghesi, in particolare in Ancora una filosofia della storia, l'impianto generale del discorso appare caratterizzato da un interno dissidio tra la cornice teologica e provvidenzialistica da b" .• · dra lo. sc~nano . dell a sto~1a · Aln IQUIIa una parte, che mqua. herderiane umana come «cammmo d1 Dw sopra le naziOni», e l'analisi delle forze concrete che muovono la storia dall'altra, le quali rimandano sempre all'operosa iniziativa degli uomini. Questo malcelato contrasto tra umanesimo e teologia, iniziativa umana e provvidenza divina, si origina probabilmente dall'acuirsi in Herder della crisi del razionalismo illuministico, su cui s'innesta una assai forte suggestione del soprannaturalismo hamanniano. Dopo la pubblicazione del Saggio sull'origine della lingua e le rampogne rivoltegli da Hamann per essere caduto sotto l'influenza dei filosofi del «secolo senza Dio», Herder ebbe, infatti, un vero e proprio soprassalto di scrupoli religiosi e, come testimoniano le sue lettere di quegli anni, s'impegnò, quasi avesse timore del suo stesso pensiero, a restituire il primato alla fede religiosa. Conferma dell'ambiguità herderiana di questi anni è lo scritto del l 77 4-7 6 Sul più antico documento del genere umano, in cui ad una interpretazione in chiave

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 2

antropologico-razionale del primo capitolo della Genesi, si sovrappone l'affermazione dell'origine sovrannaturale del testo biblico, inteso come diretta rivelazione divina. Ciò che, comunque, appare importante di questo Herder buckeburghese è la maturazione di due idee fondamentali del suo storicismo: da una parte la concezione evoluzionistica della storia, dall'altra l'idea del popolo concepito come unità organica. Quanto alla prima, occorre dire che la sua origine è da ricercarsi nella straordinaria influenza esercitata sul giovane Herder dal saggio kantiano del1755 su La storia universale della natura e teoria del cielo. Se Evoluzione.e è stato possibile interpretare evoluzionisticamenstona . 'f'1cata cote una real ta, cos1, apparentemente p1etn me il sistema solare, chi potrebbe rifiutare l'estensione dell'idea di evoluzione ad una realtà così evidentemente dinamica e cangiante quale la storia umana? Ciò che è assai interessante in questa trasposizione all'interno della storia, di un concetto elaborato sul terreno delle scienze naturali, è, al di là del suo significato naturalistico destinato a rafforzare la componente laico-razionale del pensiero herderiano, l'uso che viene fatto dell'idea di evoluzione, introdotta all'interno di ogni epoca della storia, così da attribuire ad ogni singola formazione storica una propria autonoma specificità e singolarità, pur nel contesto generale della storia dell'umanità.

La casa di Herder a Weimar.

Viene cosi riconosciuta l'inconfondibilità di ogni CC: popolo e nazione che, in modo originale e destinato a ~ sopravvivere a lungo nella successiva cultura tedesca cc e più generalmente europea, viene concepito come . . !..LI un organismo unitario, una individualità provvi- ~o.((spln~~ ::r: sta di una propria anima (lo «spirito dei popoli»), el popo m incomparabile con ogni altra, caratterizzata da un proprio destino e da un proprio intrinseco significato. Di qui la ribellione di Herder all'idea astratta di progresso predominante nell' Aufldarung e, in generale, nell'illuminismo europeo: egli rifiuta di considerare «l'età dei lumi» come lo stadio terminale da assumere come modello in base al quale con orgogliosa sicumera «misurare in due istanti ... cento popoli e paesi diversi». Ogni popolo, ogni epoca devono essere valutati trasferendoci in essi e analizzando le diverse «circostanze» che li rendono tra loro incomparabili, pur concorrendo tutti in modi diversi alla formazione dell'umanità. Analogamente Herder rifiuta la li- c.ritica dell'idea . , dell''d . . . d'1 progresso: la d1 progresso neanta 1 ea 1.11um1mst1ca storia non procede placidamente di gradino in gradino, senza scosse e contraddizioni, senza distruzioni e perdite anche irreparabili; al contrario, ed Herder sturmerianamente lo sottolinea, la storia conosce l'urto anche violento delle opposte forze che la muovono, l'impulso con cui le rivoluzioni trasformano il mondo, maturandone i nuovi sviluppi. Rispetto agli scritti buckeburghesi, le Idee per la filosofia della storia dell'umanità segnano un sostanziale scioglimento delle precedenti ambiguità: l'insistente riferimento della storia all'opera di Dio lascia il posto ad una visione che, pur persistendo nel rintraccia- .. re nella storia uno svolgimento finalistico e un ~ 5111 • • • . . . h . . l 1mmanent1SI1C1 ordme umtano c e ne garantlscono senso e mte ligibilità, li riconduce ad una interpretazione schiettamente naturalistica nella quale, se si parla di Dio, se ne parla solo in quanto esso «è tutto nelle sue opere». A favorire questa chiarificazione in senso immanentistico, contribuisce, oltre che la ormai quotidiana conversazione con Goethe, la lettura di Spinoza che, iniziata nello scorcio degli anni settanta, agisce potentemente su Herder, tanto che egli, come già sappiamo, si sarebbe dichiarato al momento del dibattito su Spinoza suscitato da Jacobi, uno spinoziano. Nel La.scoperta di 1787, con la pubblicazione di Su Dio. Alcuni dia- Spmoza laghi, rifiutata l'equazione j acobiana panteismo - ateismo, conferma la sua fede nel Dio spinoziano che, per altro, si sforza di liberare dal meccanicismo geometrico che lo caratterizza, interpretandolo vitalisticamente, anche attraverso un'utilizzazione della filosofia leibniziana, come «forza infinita» che «si manifesta infinitamente in forze infinite». Il mondo fisico, e così quello storico umano, sono, appunto, questo sistema di forze viventi, che Berder si avvia a studiare in modo sempre più libero da pregiudiziali metafisiche trascendenti. L'intera storia

27

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

o: L..U o

0: L.LJ

:c

degli uomini tende a risolversi in una storia naturale, spazialmente e temporalmente determinata, di forze e impulsi puramente umani: «Ponete viventi forze umane in determinate condizioni di luogo e di tempo, ed ecco che avvengono tutte le trasformazioni della storia dell'umanità». La stessa continuità di sviluppo che Herder, pur non concedendo mai nulla a punti di vista materialistici, traccia dalle forme più elementari di vita a quelle sempre più alte e complesse, fino all'apparire dell'uomo, vero e proprio «compendio del mondo», conferma l'impostazione naturalistica ormai prevalente nelle Idee. La «conversione spinoziana» favorisce nel contempo, data la conne.ssione allora esistente in Germania tra spinozismo e opposizione politica, il consolidarsi degli atteggiamenti progressisti e antifeudali di Herder che si appuntano nel rifiuto di ogni uso retrivo («vero oppio dello spirito») dell'idea di tradizione e nella critica veemente del dispotismo politico. «Il popolo più nobile, sotto il giogo del dispotismo perde presto la sua nobiltà, il midollo delle sue ossa viene distrutto ... », al punto che «finisce coll'abituarsi al suo giogo, anzi lo bacia e lo circonda di fiori». E quanto più lo stato si estende, tanto più l'oppressione politica si fa oppressione sociale, producendo l'infelicità generale: «Nei grandi stati sono centinaia a dover soffrire di fame affinché uno solo viva nel lusso; decine di migliaia vengono oppressi e mandati a morte, perché una testa incoronata, sciocca o saggia che sia, possa realizzare le sue fantasie».

La filosofia della storia di Herder nel suo complesso è, del resto, caratterizzata dal rifiuto del primato dell'idea illuministica dello stato, cui egli contrappone il concetto di popolo, di cui s'è già detto. conlro 1.1 Q · l'Ismo d'1scende da11 e sue convm· giusnaturalismo uesto antistata zioni antigiusnaturalistiche. Di contro al giusnaturalismo illuministico che concepisce l'uomo come natura presociale, individuo-monade indipendente e irriducibile che ha bisogno dello stato come sovrordinato meccanismo disciplinatore della convivenza, Herder afferma che «la condizione naturale dell'uomo è la società» e che l'individuo isolato e capace di divenire uomo da solo è soltanto un'astrazione dei filosofi. È qui che si fa strada l'idea fondamentale di Berder, l'idea di «Umanità», fine supremo della storia. Non si deve intendere con ciò una fantomatica entità metafisica, soprastante la concreta realtà degli individui e delle singole formazioni storiche, ma neppure un mero concetto astratto, semplice nome collettivo , u . . che starebbe a designare l'atomizzata realtà degli L« mamtan m • d'lVI'd u1. . L'U mamta, . , msegna . Herder, e' la vi-. vente «catena che collega gli individui tanto tra di loro che con il tutto», cosicché «l'intera conformazione dell'Umanità» che si trova in ogni individuo,

28

«è collegata ... attraverso l'educazione, con i suoi genitori, maestri e amici, con tutte le circostanze della sua vita, quindi con il suo popolo e i suoi padri, e infine con l'intera catena del genere umano».

Nessuna contrapposizione, dunque, tra specie e individuo: il progresso e il compimento dell'una, senza il quale non si darebbe una storia dell'umanità, lungi dal poter darsi indipendentemente dal destino dell'individuo, richiede, al contrario, il pieno appagamento dei bisogni di quest'ultimo. In tal modo Herder riesce a prospettare la conciliabilità - ed è questo, forse, il punto più alto della sua filosofia della storia - di due esigenze che spesso erano apparse tra loro alternative: garantire gli interessi superiori della specie e, insieme, raccogliere la domanda di felicità di ogni singolo uomo. Qui sta, anche, la divergenza nei confronti di Kant che, nelle sue Idee di una storia universale, aveva contnipposto gli interessi razionali della specie al bisogno di felicità dell'individuo, sostenendo che il fine della storia sarebbe da ricercarsi nel progresso del genere c 0 111 umano al di là dei destini individuali. Herder, alle 1, 8 erorro·smo . . che Kant pu bbl"1ca nel 1785 a11e pnme . v 1· recenswm di«l r~-r .•.mr,

fT.mçaJ'i repicnd c~.:rgr­ ~Lo!ils:&:Nc.rkcr.

FIN

.

!Jn- f:Jf!cs d: l h!lo1rC1· Tn(n;;s l'r.rn~nv:m_, r:-.:mç.h. dnm.-ms \1cl,"'irf', fn

cc t

'.1\0RL!:ANS

h."'u:·L!!X" rrtomcm

CIC.C'Z

LETOUl\MI•:·

RECIT MEI\lORABLE DU SfEGE. DE LA .BASTILLE; i

l

La presa della Bastiglia.

l l

I

i,~

i

42

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 3

Verso la «Dottrina della scienza» in dal1791 Fichte si dedica ad una rielaborazione della critica kantiana che assume subito la portata di un vero e proprio superamento di essa, consistente nel ridurre la «critica» a «sistema», ossia nel tentativo di dedurre le distinzioni kantiane (tra natura e libertà, sensibile e intelligibile, attività teoretica e pratica) da un unico principio fondamentale. A differenza degli epigoni di Kant che avevano privilegiato la considerazione della Critica della ragion pura, Fichte capisce che il centro di gravitazione della Critica sta nella dottrina della libertà e nel «primato della ragion pratica», ma, soprattutto, nell'esigenza, espressa dalla Critica del giudizio, della unificazione di sensibile e intelligibile e del superamento del dualismo tra fenomeno e noumeno, necessità e libertà. Fichte è, dunque, d'accordo con Reinhold nel ricercare il principio primo e assoluto che dia sistematicità e rigore scientifico alla critica, ma nega che esso sia quello della facoltà della rappresentazione e della . coscienza di cui ha parlato Reinhold: questa è, F1chte e . . . . . · R . h Id mnanz1tutto, un prmClplO puramente teoretico, ern ° in grado di sistemare solo le proposizioni della prima Critica e non quelle dell'intera filosofia; inoltre il principio della coscienza e della rappresentazione, non essendo altro che l'espressione della coscienza empirica quale sintesi di soggetto e oggetto, si presenta come un fatto d'esperienza che, come tale, richiede di essere dedotto da un principio più alto. Si tratta, insomma, di ricercare la genesi della coscienza, la quale non può, dunque, essere assunta come principio della filosofia. Che il tentativo reinholdiano fosse insufficiente Fichte lo avevo capito dalla lettura, compiuta nel 1793, dell'Aenesidemus di Schulze. Si era trattato di un'esperienza particolarmente drammatica, se è vero, come Fichte stesso scrive, che la critica scettica di Schulze a Kant e a Reinhold lo aveva sconvolto, mettendo quasi in crisi la sua adesione alla filosofia La lettura di . . ~ «L'Enesz'demo ... m1. ha 1atto abb an donare s h 12 e cntlca: c u Reinhold, mi ha fatto dubitare di Kant, ha distrutto il mio sistema da cima a fondo». Ma Schulze assolve nell'itinerario di Fichte verso la Dottrina della scienza ad una funzione analoga a quella svolta da Hurne nei confronti della fondazione critica kantiana: proprio nel momento in cui Fichte sente vacillare le sue certezze sotto i colpi dello scetticismo, egli scopre che la forza dell'Enesidemo deriva dal fatto che Schulze continua a presupporre quella dottrina dogmatica della «cosa in sé», da cui né Kant né Reinhold mai sono riusciti a liberarsi. È su questo presupposto che Schulze può accusare Kant di essere indebitamen-

43

te passato dal piano della pensabilità a quello della realtà, supponendo che, dal fatto che noi possiamo «pensare» l'attività sintetica a priori del nostro spirito come fondamento «ideale~~ delle.nostre rappresentazioni, derivi che essa lo sia anche «realmente». Quando, dunque, si sia rifiutato quel presupposto dogmatico, la critica scettica potrà essere dominata e superata. Qui sta il merito principale di Maimon, aver mostrato che non c'è bisogno di ricorrere alla «cosa in sé» del dogmatismo per spiegare la materia della conoscenza, che può trovare giustificazione senza bisogno di uscire dai confini dell'io. Quello che, però, Maimon, ancora tutto chiuso nelle problematiche gnoseologiche della Critica della ragion pura, M .. 1... d' . , . . l'. . er1t1 e 11n111 1 non poteva scopnre e quanto costltmsce mtm- Maimon zione fondamentale di Fichte, con la quale questi sopravanza d'un colpo tutti gli epigoni di Kant. Il principio fondamentale della filosofia non è né il concetto di rappresentazione, né l'io teoretico, né tantomeno il fantomatico concetto dogmatico della «cosa in sé», bensì l'io come attività originaria, ossia come libertà e autodeterminazione. Si tratta di recuperare e portare a compimento l'assunto centrale della Critica della ragion pratica, e cioè il concetto di ragion pura immediatamente pratica: riconoscere che la ragione è originariamente ed essenzialmente pratica significa risalire all'io nella sua purezza originaria, all'io come atto che si pone liberamente e si coglie da sé, e si afferma come principio unico di tutte le determinazioni della coscienza. In principio è l'io, in principio è l'azione: questa è la verità che Fichte si avvia a porre a fondamento della Dottrina della scienza, come principio di unificazione di tutti i materiali che Kant ha lasciato separati e dispersi nelle sue tre Critiche. Si tratta di dare attuazione all'esigenza posta, ma non soddisfatta, da Kant • • nella Critica del giudizio: fondare la possibilità 1 . della l'b .., del man11estars1 1 erta, nel mon do sens1'b'1- Assout1zzaz1one dell'io le, unificare mondo fenomenico e mondo intelli... gibile, superando la separazione tra conoscenza e azione, io teoretico e io pratico. Questa impresa diviene possibile quando si comprenda che il sostrato autentico del mondo fenomenico, ossia del mondo cui si riferisce il conoscere, non è la fantomatica «cosa in sé» dei dogmatici bensì la libertà stessa della ragione come attività pratica: la conoscenza si deve poter spiegare con l'azione, la natura con la libertà, con l'io puro che, dunque, deve essere assunto come principio primo e assoluto della filosofia. È evidente che non si tratta di una mera rielaborazione della critica kantiana quanto di una interpre-

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

w

tazione dell'idealismo trascendentale di Kant in senso decisamente metafisica, che comporta quell'affermac..:> . zione dell'assoluto che Kant aveva considerata u... ·.. e.1?delta impossibile per chi voglia mantenersi nei limiti al 1a 11111tezza . . E' · ' · dell'uomo della Crztzca. Importante, pero, precisare che l'intento di Fichte è, si, quello di affermare l'assoluto, ma senza abbandonare per questo il punto di

1--· I

4

vista del finito, la fedeltà kantiana alla finitezza dell'uomo. La Dottrina della scienza, come vedremo, non vuole proporsi come sapere dal punto di vista di Dio, ma confermarsi filosofia dello spirito finito dell'uomo, con la pretesa, per altro, di compierne una deduzione genetica da un primo principio che ne giustifichi scientificamente la struttura necessaria e razionale.

.............................................................. ,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,n;;;:;=::··=···

La «Dottrina della scienza»: i princìpi ichte inizia il proprio insegnamento a Jena nel maggio del 1794. Nei mesi precedenti, desiderando offrire agli studenti un'introduzione al proprio corso, pubblica un saggio, Sul concetto

di dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia, a cui si aggiunge tra il1794 e il 1795 una serie di dispense che accompagnano le sue lezioni e a cui dà il titolo di Fondamenti della intera dottrina della scienza. Si tratta del capolavoro filosofico di Fichte, intorno al quale egli continuerà a lavorare per tutta la sua vita, elaborandone numerose e sempre nuove stesure, assillato dal bisogno di perfezionarne rigore e sistematicità. Il progetto di Fichte è di fondare la filosofia come conoscenza delle condizioni che rendono possibile ogni altra scienza, e dunque come scienza della scienza in generale o, come egli ama esprimersi, Dottrina della scienza. E se quelle condizioni consistono nel fondarsi di una qualsiasi scienza su di un proprio principio fondamentale dalla cui certezza viene poi dedotto un sistema di proposizioni altrettanto certe, allora la filosofia dovrà potersi fondare su un primo principio fondamentale assolutamente certo e, come . tale, capace di trasmettere certezza ai principi , ~~ Do~lrlna fondamentali di tutte le altre scienze. Insomma ueua SCienza . f' d . . come 10n i' dala filoso 1a eve poters1. cosiltmre mento del sapere umano nella sua totalità. Non si tratta più del compito che già Kant affidava alla filosofia quando, con la domanda «se siano possibili giudizi sintetici a priori», ricercava una giustificazione critica dell'esperienza e della scienza. La pretesa di Fichte è, piuttosto, di procedere ad una fondazione «metafisica» del sapere umano, inteso non semplicemente come conoscere bensi come coscienza intera dell'uomo con tutti i suoi contenuti. Non è questione dei giudizi sintetici della coscienza quanto della coscienza stessa come sintesi di sé e altro da sé, di soggetto e oggetto. Se dunque il sapere umano non è altro che il sistema dell'esperienza, il dispiegarsi della coscienza vivente dell'uomo, della sua vita reale, allora la filoso-

l j

44

fia è riflessione sulla coscienza, comune degli uomini che essa si propone di innalzare a consapevolezza di sé: la filosofia non produce nuovo sapere, ma è solo l' «osservatorim> che ha lo scopo di conoscere le leggi secondo cui si svolgono le «azioni necessarie dello spirito umano». Ma per poter diventare storiografo dello spirito umano, ricostruirne la «storia pragmatica», occorre che il filosofo si dedichi prima all'arduo mestiere dell'astrazione, rifacendo a ritroso il cammino reale dello spirito umano. Muovendo dalla vita umana reale e da un qualunque «fatto» della coscienza concreta egli, mediante l'astrazione da tutte le determinazioni empiriche, deve risalire alle condizioni ideali della coscienza reale, capaci di spiegarne la struttura necessaria. I tre principi fondamentali che vengono enunciati fin dalle prime pagine dei Fondamenti sono, appunto, l'esito di questo lavoro di astrazione. Vediamoli. Al primo, enunciabile nella formula «L'io pone se stesso», si risale partendo da un fatto qualunque della coscienza empirica, per esempio da una qualunque proposizione «che ci sia concessa da ognuno senza contraddizione». Possiamo scegliere il principio logico d'identità (A = A) che la filosofia tradizionale considera come base del sapere. In esso si pone semplicemente che se A è, allora è, senza per altro che si dica nulla sull'esistere di A: si stabilisce solo una connessione necessaria tra un «se» e un «allora». Ora, questa connessione è un «fatto» che come ogni altro richiede un fondamento, e questo non può tro- Il primo varsi che in un «atto» che lo ponga: questo atto principio della sono io in quanto giudicante. Sono io che pongo Dottrina della A e, ponendolo, affermo la sua identità con se scienza stesso. Il principio di .identità presuppone un principio ancora più originario che lo ponga, e questo è l'io come ragione assoluta, atto originario che, come tale, non può essere «posto» da altro che da sé: «l'io originariamente pone assolutamente il proprio essere». La logica formale presuppone, pertanto, la logica trascendentale: la proposizione «io sono» è il fondamento dell'altra, A= A. È evidente, qui, il precedente

p

il

!~ l '

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 3

della dottrina kantiana dell' «lo penso», con questa novità che, mentre per Kant l'io è solo la condizione formale del sistema delle nostre rappresentazioni, nel~ la Dottrina della scienza l'io viene assolutizzato come principio al di fuori del quale nulla può essere posto: «tutto ciò che è, lo è soltanto per un io, e tutto ciò che deve essere per un io, può esser solo mediante l'io». È chiaro che l'Io di cui si parla è il soggetto come ragione assoluta, egoità (Io puro), tesi originaria (Io= Io), da non confondersi con l'io individuale (io empirico), sintesi finita di soggetto e oggetto, che in questa egoità trascendentale ha, semmai, soltanto la propria condizione originaria. Un altro malinteso da evitare consiste nell'interpretare l'io del primo principio come reale prima e indipendentemente dall'io finito umano, staccato dal mondo e dagli uomini. Ci si lascerebbe sfuggire che l'Io puro è un'astrazione costruita dal filosofo in vista della deduzione dell'io unicamente reale, ossia l'io finito dell'uomo. Si dimenticherebbe che la proposizione «l'io pone se stesso» non è il sapere che un Io assoluto avrebbe di se stesso (l'«Ego sum» pronunciato da un Dio trascendente), bensì l'enunciato cui lo spirito umano perviene per poter pensare se stesso come pura razionalità e così dedurre la propria struttura razionale e necessaria. L'Io puro è, insomma, l'idea necessaria perché l'io finito possa fondare se stesso. Questo volevamo dire di sopra, quando avvertivamo che la filosofia fichtiana, pur implicando l'affermazione dell'assoluto, rimane una filosofia rigorosamente umanistica, legata al punto divista del finito. Fichte è, del resto, molto chiaro in proposito quando, per esempio, replicando nel 1795 a quanti avevano frainteso il significato del primo principio (ma anche del secondo) afferma:« ... considerare simili astrazioni come cose reali è una vera fantasticheria degna di spiriti fanatici>>. Ma è la polemica dura, insistente, con Spinoza a rendere inequivocabile il punto di vista fichtiano: l'errore di Spinoza consiste nell'aver separato l'assoluto dal finito ponendo il primo come reale in sé, sostanza, e nell'aver preteso di dedurre l'esistenza del finito da quella realtà ipostatizzata. Ih,~al modo il finito si riduce ad essere una semplice mqClificazione (modo di essere) dell'assoluta sostanza reale, totalmente determinato da essa e, pertanto, privato di quella che è la sua irriducibile autonomia e finitezza. Ma per comprendere quest'ultimo punto bisogna venire al secondo principio che si oppone al primo come l'antitesi alla tesi, e che annuncia, appunto, la condizione necessaria per spiegare l'esistenza 11 s~co~~o dello spirito finito. Fichte così lo formula: «All'io prme~pro . B'1sogna m. s1. oppone asso lutamente un non 10». nanzitutto chiarire che se, come s'è visto, il primo principio è la condizione necessaria della pensabilità del finito, esso però non è in grado di spiegarne l'esi-

45 i

l:,_

stenza (lo potrebbe solo se l'Io puro fosse una sostanza reale, ma si è visto che così non è). Alla domanda «perché il finito (la coscienza umana) esiste piuttosto che non esistere?» non si può dunque dare risposta invocando la ragione assoluta, dalla quale è deducibile solo la struttura necessaria del finito, la sua pura possibilità. Se l'esistenza del finito non è deducibile, si dovrà presupporla, ammetterla come un fatto assolutamente contingente. Il che non significa che non si possa rintracciarne le condizioni: il secondo principio ha appunto, questa funzione. Vediamo come Fichte lo enuncia. Anche qui si prendono le mosse da un fatto della coscienza empirica, da una proposizione della quale, data la sua certezza, non si richiede dimostrazione: non-A non è=A (è il principio logico di non contraddizione). E come dalla proposizione A=A si risaliva, quale suo fondamento, all'io quale atto del porre, così dalla proposizione oppositiva non-A non è=A si deve risalire ad un secondo atto dell'io, diverso e indeducibile dal primo, l'atto dell'opporre per cui «l'io oppone a se stesso un non io» (cioè la cosiddetta realtà esterna, la natura). Ma sussiste una fondamentale diversità tra i due atti dell'io e tra i due princìpi che li enunciano: mentre il primo è un atto assolutamente incondizionato e «senza nessun altro fondamento», l'atto dell'opporre ossia dell'essere posto del non-io presuppone, al contrario, un fatto d'esperienza. Afferma Fichte: «Oltre il porre dell'io per se stesso, deve esserci anche un altro porre. Questo è a priori una pura ipotesi; che un tal porre ci sia non si può dimostrare, se non per mezzo di un fatto della coscienza, e ognuno deve dimostrarlo a se stesso

Veduta di Johannistor a lena.

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

per mezzo di questo fatto; nessuno può dimostrarlo ad altri per mezzo di principi razionali». E ancora: «... che un tal porre ci sia, ognuno può metterlo in chiaro solo per una propria esperienza».

Il fatto d'esperienza qui invocato non è un fatto qualunque, giacché si tratta di quello costitutivo della finitudine della coscienza umana. Esso consiste nel non poter io, coscienza finita, rappresentarmi nulla senza apporlo a me stesso: «Se io voglio rappresentare una cosa qualunque, debbo apporla al rappresentante». Ciò equivale a dire che la coscienza concreta e finita dell'uomo non sarebbe possibile senza presupporre l'esistenza e l'opposizione di un non-io: non c'è soggetto umano senza un oggetto da esso indipendente, non un io senza un mondo. Il secondo principio della Dottrina della scienza presuppone, dunque, l'esistenza del finito, ne costituisce il fondamento ideale ed esprime il punto di vista della coscienza vivente dell'uomo: se il finito esiste, allora è necessario pensare che «all'io si oppone necessariamente un non-io». Anche il secondo principio è un'astrazione necessaria per poter dare ragione del punto di vista del finito. Il terzo principio è condizionato dai primi due e ne costituisce la sintesi: esso enuncia la situazione concreta dello spirito umano nel mondo, per cui una molteplicità di io finiti si trova di fronte una molteplicità di cose, gli oggetti dell'esperienza, che nel loro insieme costituiscono il mondo della natura. Questa molteplice relazione di soggetti e oggetti finiti, 1 ! t~r~o insomma il mondo dell'esperienza, trova spiegaprmclplo . . che s1. sv1'luppa tra 1. pnm1 . . zwne ne11a d'1alettlca due principi. Questi sono tra loro opposti come A è opposto, a non-A, la realtà alla negazione, all'antitesi: se nell'uno l'io si pone, nell'altro viene posto il suo opposto e non si vede come questi due atti possano essere pensati senza che si annullino a vicenda. D'altra parte nel primo principio che, per essere assolutamente incondizionato, esclude che qualcosa possa essere posto al di fuori dell'io, è contenuta l'esigenza che porre e opporre, io e non-io siano conciliati e unificati nell'io stesso. Se con la logica tradizionale, che ammette l'unità ma escludendone l'opposizione, la difficoltà è insormontabile, Fichte, cui si deve la prima formulazione della dialettica come processo di unificazione degli opposti, mostra come l'atto del porre e l'atto dell'opporre, proprio perché ambedue azioni dell'io, si conciliano in quanto si limitano reciprocamente. La sintesi degli opposti si profila dunque come relazione tra un io limitato e un non-io limitato. Se poi si considera che la limitatezza implica la quantità («limitare qualcosa vuol dire annullarne la realtà mediante negazione, non interamente, ma solo in parte»), e quindi la divisibilità e il molteplice, allora siamo in grado di enunciare il terzo principio della Dottrina della Scienza: «lo oppongo, nell'io, a un io divisibile(= la molte-

46

plicità degli spiriti finiti) un non-io divisibile» (= la molteplicità delle cose naturali). Siamo giunti, così, sulla soglia della coscienza reale: questo terzo principio la enuncia come sintesi concreta di soggetto e oggetto, io e mondo, dove, si badi, l'io non è soggetto isolato e solitario ma concreta intersoggettività, interrelazione di molteplici coscienze individuali e finite. Abbiamo esposto la dottrina dei primi principi del sapere. Essa ci ha permesso di tracciare una specie di preistoria ideale dello spirito concreto dell'uomo, di disegnare, in uno scenario metafisica ignoto alla coscienza comune, gli antefatti ideali di questa stessa coscienza. Questo lavoro di astrazione, che costituisce il primo compito della filosofia, ci ha consentito di proiettarci all'indietro, fino al principio unificante di ogni molteplice, all'Io puro come punto ideale di origine della realtà tutta, senza dover rinunciare al carattere umano del filosofare e all'autonomia del finito. Il compito ulteriore della filosofia è ora quello di discendere nel mondo reale degli uomini, di seguire il cammino dello spirito umano, di accompagnarne «la storia pragmatica».

I giacobini in Germania rivoluzionari francofili in Germania durante gli anni della rivoluzione non sono certo numerosi, e non c'è bisogno di ricordare le ragioni di questo fatto, che attengono alla assenza di una evoluta borghesia moderna nei paesi tedeschi. L'unica vicenda indicativa di una influenza di qualche entità degli eventi rivoluzionari francesi sulla situazione tedesca è quella rappresentata .dall'insurrezione di Magonza dei1792.Quando,dopola battaglia di Valmy del settembre 1792, le truppe francesi si presentano all'offensiva sulla linea del Reno, i giacobini di Magonza, che si erano già organizzati in un club, cacciano dalla città il principe arcivescovo e, aperte le porte ai francesi del generale Custine, proclamano la repubblica giacobina. Dopo la decapitazione di Luigi XVI del gennaio del1793, le truppe della seconda

coalizione antifrancese riconquistano la città, dopo una strenua resistenza di nove mesi da parte dei giacobini, sostenuti dal generale francese Klebèr. Quando nel17951a Prussia avrebbe sottoscritto la pace di Basilea con la Francia, Magonza insieme con gli altri territori della riva sinistra del Reno sarebbe stata ceduta ai francesi, nelle cui mani sarebbe rimasta fino al1815. Tra gli intellettuali tedeschi che nel1792 fecero buona accoglienza ai francesi è Johann Georg Forster, allora bibliotecario del principe elettore di Magonza. Egli, che già nel1790, durante un soggiorno a Parigi, aveva preso contatto con i circoli giacobini francesi, partecipa alla fondazione della repubblica magonzese e alla sua difesa, seguito da Karoline Michaelis, la futura moglie di August Schlegel e in seguito di Schelling. Tra i pochi illuministi tedeschi a

--~

-~

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 3

5 ........................................................................................................... ,. .......................................................................................................................... , .............. ,. ,.,,,.,,,, . ,,,,.,,,,,, . , . ,. . .

La «Dottrina della scienza»: la storia pragmatica dell'io e l'idealismo etico l punto di avvio è la reciproca limitazione di io e non-io in cui si concilia (terzo principio) la loro opposizione. In quella limitazione si nascondono due proposizioni opposte che costituiscono, rispettivamente, i principi delle due attività dell'io finito, l'attività teoretica e l'attività pratica. Le due proposizioni sono queste: l. L'io si pone come determinato dal non-io; 2. L'io si pone come determinante il non-io. La prima costituisce il principio dell'atteggiamento teoretico della coscienza; la seconda, il principio dell'attività pratica. Occupiamoci, intanto, dell'attività teoretica: nella coscienza, l'io trova dinanzi a sé un mondo di cose da cui dipende, un non-io che esercita su di lui, !imitandolo, la sua azione. La nostra coscienza empirica non sarebbe, se non presupponesse l'esistenza del non-

io e di un suo agire come forza indipendente sulla facoltà ricettiva che noi chiamiamo sensibilità. Questa forza, in cui non è difficile riconoscere il non-io assolutamente opposto all'io del secondo principio, è detta da Fichte il «primo motore», senza l' «urto» del quale , ... non sarebbe nemmeno pensabile l'azione dell'io. Latt'v.118 ., h, ,. h l . teoret1ca G1a, pere e 110, anc e ne momento teoretico, dell'uomo non potrebbe risolversi in totale passività - che equivarrebbe al suo annullamento-, dato che l'io è solo in quanto attivo. In che cosa consiste, allora, l'attività teoretica dell'io e com'è conciliabile con l'essere l'io passivo in quanto determinato dal non-io? La risposta di Fichte è assai complessa e non priva di oscurità. Egli sembra distinguere due significati del termine non-io. Nel primo di essi si tratta del non-io in quanto assolutamente opposto all'io, della natura come forza

Una famiglia della borghesia renana, di Januarius Zick.

schierarsi su posizioni apertamente rivòluzionarie, Forster si era venuto convincendo che la rivoluzione antifeudale non poteva, come pensavano molti scrittori tedeschi simpatizzanti inizialmente per gli eventi dell'89, consistere semplicemente in un'opera della filosofia, bensì richiedeva l'iniziativa dal basso e la concretezza della prassi. Un altro scrittore tedesco a trovarsi, negli anni delle turbolenze giacobine della Renania, su posizioni rivoluzionarie è Johann von Gorres che; durante il periodo napoleonico, si convertirà al nazionalismo romantico antifrancese e, negli anni della Restaurazione, giungerà al misticismo religioso e alla conversione al cattolicesimo. Nel1797 egli ha una funzione dirigente nel club giacobino costituitosi a Coblenza, la sua città natale, e auspica la

riunione di tutta la Renania con la repubblica francese. l giacobini di Magonza e gli intellettuali tedeschi con loro schierati saranno considerati dalla generalità dei patrioti tedeschi veri e propri traditori e verranno messi al bando dalla Germania, come è il caso di Forster, che muore povero e in solitudine a Parigi. Tra.i pochi intellettuali che continueranno a lungo a simpatizzare per la repubblica francese e a sperare in mutamenti rivoluzionari in Germania è Fichte, che ancora nel1799 così scrive ad un amico: «... se i francesi non raggiungono un sopravvento schiacciante ed impongono una rivoluzione almeno in una parte consistente della Germania, fra qualche anno nessuno che sia noto per aver avutonella sua vita anche solo un pensiero libero potrà trovare in Germania un angolo di pace».

47

u..J

1-

:c o LL

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

indipendente che prod~ce l'urto sull'io e ~he da questo soltanto sent1ta, ma non conoscmta>>, come :c ciò «viene che sta prima della facoltà teoretica e, anzi, la o rende possibile, provocandone, con la sensazione, il primo movimento. Altro significato ha il non-io in quanto conosciuto, ossia in quanto sistema di oggetti interno alle nostre rappresentazioni: di questo, si, si può dire che è un prodotto dell'io, della. sua. facoltà teoretica e che non sarebbe nulla senza d1 nm che ce lo rappresentiamo. Ma rimane che senza l' «urto» del non-io assolutamente opposto, quell'io teoretico produttore del sistema degli oggetti non sarebbe in alcun modo possibile («Solo per mezzo di questo non-io l'io è intelligente»). A spiegare come mai anche il non-io in quanto conosciuto, pur essendo un prodotto dell'io teoretico, si presenti alla coscienza finita come una realtà precostituita e indipendente da noi, Fichte elabora, riprendendola da Kant, la dottrina dell'immaginazione produttiva. Si tratta della facoltà originaria dell'io teoretico che ha il potere di produrre secondo la propria inconscia spontaneità e prima di ogni intervento L'immaginazione consapevole dell'io, i contenuti rappresentativi produttiva dell'esperienza, i materiali della conoscenza, i quali proprio perché prodotti inconsciamente, si offrira~no alla coscienza come reali indipendentemente da essa. Questi materiali ancora fluttuanti e immediati in quanto opera immediata dell'immaginazione, vengono poi fissati e determinati concettualmente ad opera dell'i~telletto. e della. ra~ione, diventando così veri e propn oggettl conoscmt1. Ma non termina qui la storia dell'io teoretico: l'intelligenza è ancora tutta come perduta negli oggetti conosciuti ed è ancora incapace di prendere coscienza di sé e del fatto che, dietro la «datità» degli oggetti, si nasconde la spontaneità creatrice dell'io. Perché questo avvenga e la coscienza finita passi dal realiL'ascesi smo empirico della coscienza comune all'idealidell'astrazione smo trascendentale che la innalza a coscienza filosofica, è necessario un lungo tirocinio della coscienza astraente che, a poco a poco, conduca l'io a riconoscere se stesso nella sua purezza. Si tratta di una dconversione della mente a se stessa, vera e propria pratica ascetica dell'astrazione: «Tutto ciò da cui io posso astrarre, tutto ciò che posso allontanare col pensiero ... non è il mio io ... Quante più cose un individuo determinato può allontanare col pensiero, tanto più la sua autocoscienza empirica si avvicina a quella pura; -da.! bambino .ch.e per la prima volta lasc.ia la su.a culla e perciò, 1mpara a d1stmguerla da se stesso ... fmo al fllosofo t;.ascendentale che ... pensa la regola secondo cui pensare un Io puro e la dimostra». LI.J

1-

È l'idealismo trascendentale che ci consente di innalzarci alla suprema astrazione dell'autocoscienza, là dove l'io, fattosi pura intelligenza, pensa se stesso e il proprio astrarre da ogni oggetto. Ma proprio in quel,

il

Jl.

48

sto culmine dello spirito teoretico, si rivela il limite insuperabile che impedisce allo spirito teoretico di affermarsi come assoluto. Proprio nel fare astrazione da ogni oggetto, l'intelligenza si scopre ancora irrimediabilmente condizionata dal non-io: anche là dove il pensare si fa puro pensare se stesso, rimane infatti la distinzione tra sé pensante e sé pensato, e dunque un'alterità (l'alterità di sé da se stesso) da cui non è possibile astrarre. Lo spirito teoretico conclude pertanto il suo viaggio rinviando al secondo principio, all'antitesi del non-io che si rivela come suo limite invalicabile. L'io teoretico non è in grado di spiegare da sé la propria limitazione; pensa se stesso e il mondo ma non sa rispondere alle domande: perché all'io si oppone un non-io? perché il mondo delle cose piuttosto che il nulla? qual è la destinazione del mondo? quale il significato dell'esistenza? Fatta oggetto di semplice sguardo teoretico, mèro spettacolo da contemplare, la natura non può che apparire muta e indifferente, . . . ,. e le domande sul suo senso rimangono "senza ri- 111111111.dellto . teorettco sposta, come lo saranno quelle del leopardtano pastore errante dell'Asia. Errore è, appunto, quello di cercare nella natura il significato dell'esistenza, invece che nell'interiorità dell'io stesso. Ma per questo è necessario che l'io superi la dimensione gnoseologica e da teoretico si faccia pratico. Solo così, dando compiutezza al kantiano primato della ragion pratica, sarà possibile finalmente, pur senza uscire dalla finitezza dell'uomo, l'affermazione dell'assoluto. Dobbiamo dunque esaminare l'attività pratica dell'io. Come già detto, essa si fonda sulla seconda proposizione contenuta nel terzo principio: «L'io si pone come determinante del non-io». L'attività pratica, infatti, si volge agli oggetti non per assumerli cosi come sono ma per manipolarli e modificarli e, dunque, comporta la preminenza dell'io sulle cose, il primo attivo, le seconde passive. Fichte intende qui mettere in evidenza l'originaria e necessaria praticità , ... dello spirito finito e la subordinazione del cono- L at,~tvtta . , . , l. , pra tca scere a11 ag1re: quest u timo non e semp1Icemente, come per Kant, una delle facoltà dello spirito che si collocherebbe accanto a quella teoretica in un rapporto di irriducibile dualismo. Al contrario, l'intento di Fichte è proprio quello di mostrare nell'attività pratica l'unità dello spirito con se stesso, il momento in cui si realizza la sua assolutezza. L'io come intelligenza, in quanto condizionato da qualcosa di esterno, non può esaurire in sé la natura originaria dell'Io che, come tale (v. il primo principio) è attività infinita e assolutamente incondizionata. Questa contraddizione tra io teoretico, dipendente e limitato, e Io assoluto può essere sciolta con il superamento della dipendenza, con l'affermarsi dell'io come attività che determina il non-io subordinandolo a sé; e questo è, appunto, l'io pratico.

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 3

L'io nella sua essenza è sforzo «infinito» teso alla realizzazione di sé, ed è in questo «sforzm> che sta il fondamento di quella resistenza, di quell' «urto» del non-io che, teoreticamente, era inesplicabile: proprio perché l'io è necessariamente azione e questa riL'i~ c?~1 e chiede un oggetto su cui esercitarsi, un limite da sforzo mlm1to · · t enza de1 superare, propno per questo c,,e 1a res1s non-io, l'urto e, di conseguenza, l'attività teoretica, l'intelligenza con tutto il mondo delle cose. In principio, dunque, è l'io come azione e solo perh tale, l'io è anche intelligenza. Questo è il più profondo significato del primato kantiano della ragion pratica: «Non è già la facoltà teoretica che rende possibi~e .la pratica, ma viceversa, solo la facoltà pratica rende poss1b!le la teoretica ... ».

E ancora: «... nell'uomo non è possibile l'intelligenza, se in lui non c'è una facoltà pratica ... su questa si fonda la possibilità di ogni rappresentazione ... senza uno sforzo non è possibile nessun oggetto in generale».

Johann Amadeus Fichte, in una incisione di Bollinger.

Qui sta la risposta alle domande che ci facevamo di sopra: la natura c'è perché l'io possa essere quello che è, infinito tendere per realizzare se stesso; la natura c'è perché possa realizzarsi la libertà dello spirito, perché l'io possa continuamente superarla riconducendola a sé e affermando progressivamente su di essa · il potere della ragione. Il significato dell'esistenza 11 senso dell'io e del mondo, o meglio della relazione iodella natura · · · categomondo, è tutto racchmso ne11'1mperat1vo rico di Kant, che non è un semplice principio formale della ragione soggettiva, bensì un vero e proprio principio antologico, l'essenza stessa dell'io. Non è esatto dire che l'io è, che l'io è tutto: l'io deve essere io, l'io deve essere tutto. · Il primo principio della Dottrina della scienza sta Il vero se~so ad esprimere il principio della ragion pura pratidel. pr~~o ca: non si tratta di un assoluto reale, di un Dio pnnclplo causa sui, bensì di un ideale che l'io finito si propone, di un'«idea regolativa», dello «scopo supremo dello sforzo della ragione». Dice Fichte: «solo qui diventa pienamente chiaro il senso della proposizione: l'io pone se stesso assolutamente. In es.sa ... si discorre di un'idea dell'io che deve essere necessanamente posta a fondamento della sua infinita esigenza pratica, che però è ìrraggiungibile per la nostra coscienza».

Non potrebbe essere più chiara l'affermazione dell'irrealtà dell'assoluto come principio separato dall'io umano e la sua immanenza allo spirito finito come suo ideale morale. L'assoluto è reale come infinito tendere dello spirito finito che dunque è l'unico infinito reale: «L'io è finito perchè deve essere limitato, ma esso è infinito in questa finità, perchè il limite può essere posto sempre più in là».

49

L'approdo della Dottrina della scienza del 1794 è, dunque, una forma di idealismo etico che, pur nutrito dell'ispirazione morale kantiana, va ben oltre la Critica. Essendo stato risolto il dualismo kantiano di metafisica della natura e metafisica dei costumi, cade nella morale fichtiana- di cui abbiamo un'esposizione ampia nel Sistema della dottrina morale secondo i princìpi della dottrina della scienza del 1798 - il dualismo tra sensibilità e ragione, tipico del rigorismo etico di Kant. Si ha una rivalutazione dell'impulso sensibile e del sentimento; nel dovere morale non si esprime più soltanto la parte razionale ma la totalità L''d . . e corpo. La natura sens1'b'l 1 ea11smo dell'uomo, amma 1 e e 1.1 etico corpo non sono più semplici ostacoli alla moralità, bensì il «materiale del dovere reso accessibile ai sensi». La libertà morale non si celebra più fuori del mondo, come voleva il formalismo kantiano, perché la legge morale deve poter trovare proprio nel mondo sensibile, attraverso l'azione reale, la propria realizzazione. La moralità non richiede semplicemente, come in Kant, l'accordo puramente interiore della volontà con se stessa e la propria legge, ma una modificazione delle cose stesse, del mondo intero della natura, tale da metterlo in armonia con la pura forma dell'io, in modo che sia quello che deve essere. Questa forte componente antiascetica non poteva non condurre ad una sostanziale trasformazione anche della dottrina del male radicale: esso consiste non più, come per Kant, nella ineliminabile di11 1 varicazione delle inclinazioni sensibili dal dovere ra~~a~e razionale, bensì nell'abbandonarsi all'inerzia e alla pigrizia. L'uomo è chiamato all'azione e alla libertà, al progresso, à lottare per l', l' «idillio»: non , ... già l'idillio pastorale che ci riconduce indietro, L ((ldllhon alla nostalgia della nostra infanzia, al «sonno delle nostre forze spirituali», bensì una nuova, superiore forma di poesia idillica che «ci conduca innanzi, alla nostra maggiorità, per farci sentire l'armonia superiore ... che rende felice il vincitore». Un idillio che, riconciliando natura e storia, necessità e libertà, «rappresenti l'innocenza pastorale anche in soggetti di cultura e con tutte le condizioni della vita più attiva, più fervente, del pensiero più esteso, dell'arte più raffinata, del più alto perfezionamento sociale; che, in una parola, conduca l'uomo, il quale ormai non può più tornare nell'Arcadia, fino all'Elisio».

Capitolo Lc_c_ •·-c.:;=:=;-------.c~-=

Schiller

(1759-1805):

l'utopia dell'umanità riconciliata

Può il bisogno di felicità dell'individuo essere sacrificato agli interessi superiori della specie e al suo progresso? Sono davvero inconciliabili tra loro esigenze della specie e bisogni dell'individuo? o non è, invece, possibile prospettare il progresso e compimento dell'una in armonia con l'accoglimento della richiesta di felicità dell'altro? Questa problematica, cui abbiamo già accennato a proposito della polemica, sul terreno della filosofia della storia, tra Herder e Kant (v. cap. 2, par. 4), è destinata a complicarsi, intrecciandosi con i problemi della nascente società industriale, e in particolare con l'avvio alla divisione sociale del lavoro, meccanismo fondamentale della moderna società capitalistico-borghese. Se, infatti, la crescente divisione del lavoro rende possibile il progresso civile e sociale degli uomini, ciò però avviene con il sacrificio dell'individuo, la cui interezza, attraverso la specializzazione e parcellizzazione del lavoro, viene frantumata. Schiller è consapevole - l'abbiamo visto - di questa perdita di essere, provocata dalla «barbarie» del mondo moderno, e la sua riflessione è come divisa tra l'esigenza di recuperare gli uomini, attraverso il superamento della società borghese, al pieno sviluppo di tutte le loro facoltà, e il riconoscimento che, senza la «maledizione» del lavoro diviso, non sarebbe stato possibile il progresso delle scienze, delle arti e, insomma, la civiltà della specie umana. Chi volesse seguire le vicende di questa problematica nell'età di Schiller, potrebbe riferirsi, oltre che agli scritti di Schiller stesso, alle riflessioni che si trovano, per esempio, in Fichte, Goethe, Holderlin. Le letture consigliate sono: Schiller, Lettere sull'educazione estetica (particolarmente la VI lettera), Armando, Roma 1976; Fichte, La missione del dotto (in particolare la Ili lezione), Editori Riuniti, Roma 1982; Holderlin, /perione, Feltrinelli, Milano 1981. Per una visione complessiva, A. Negri, Filosofia de/lavoro, 111 vol., Marzorati, Milano, 1981 pp. 357-408, ove si trovano anche pagine dal Wi/helm Meistere dal Faust di Goethe. Una riscoperta del pensiero schilleriano e una sua recente riattualizzazione è stata compiuta dai filosofi e sociologi della scuola di Francoforte (v. cap. 25**• par. 6.2). Impegnati in una battaglia politico-culturale contro la società repressiva del capitalismo avanzato, essi apprezzano in Schlller l'ideale dell'emancipazione umana dalla struttura autoritaria di una ragione mortificatrice delle forze impulsive e sensibili dell'uomo. In particolare è Marcuse a riconoscere nello Schiller critico del rigorismo kantiano e autore delle Lettere sull'educazione estetica, un significativo messaggio di riforma della civiltà, in nome del riscatto della sensualità e della dimensione erotica dell'uomo. Previa una conoscenza generale del pensiero di Marx e della psicanalisi di Freud, si legga di Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino 1964.

71

4

5

Capitolo

Il romanticismo tedesco

l

Gli inizi

• ~Il "~:Jè

no tra i più importanti esponenti del primo

s?herzosam~nte:

~):; romanticismo tedesco, F. Schlegel, scrivendo al

fratello .August, così si esprim7 : «Non t1 posso mandare la mta mterpretazwne . .' della parola 'romantico', essa è lunga centoventicinque fogli!». In effetti non v'è altro movimento culturale che, come quello romantico, sembri sfidare ·ogni tentativo di definizione, considerati non solo la ricchezza e la multilateralità delle tendenze spirituali che lo caratterizzano, spesso anche in modo contraddittorio, ma anche il suo svolgimento e la sua durata nel tempo e la sua diffusione in quasi tutti i paesi d'Europa. Rinunciando al tentativo di una presentazione generale e complessiva di questo fenomeno, nel timore di cadere in astratte genericità troppo remote dalla realtà delle cose, intendiamo qui occuparci esclusivamente del romanticismo tedesco nella sua prima fase di sviluppo, rinviando ai luoghi opportuni l'esame del movimento romantico nei vari altri paesi. Fin dal1796 F. Schlegel si era incontrato a Jena con Fichte subendone una forte influenza, e aveva . dato origine, insieme al fratello August Wilhelm, 11 pn~~~~u~~~ all'amico F. von Hardenberg (detto Novalis) e a 1 n Karoline Michaelis moglie di Auguste donna colta e intelligente, al primo nucleo di intellettuali da cui sarebbe sorto negli anni successivi il primo circolo romantico. Trasferitosi l'anno successivo a Berlino, F. Schlegel allaccia rapporti con il poeta Tieck e il filosofo Schleiermacher, e, insieme con loro e gli amici di Jena, dà vita nella capitale prussiana alla rivista Athenaeum, organo della nuova scuola, che tra il l 798 e il 1800, anno in cui se ne interrompe la pubblicazione, doveva iniziare a diffondere in Germania il nuovo messaggio. Due convegni, l'uno a Dresda nel1798 -cui partecipa anche il giovane Schelling -, l'altro a Jena nel 1799, incentrati sulla discussione intorno alla natura della

72

poesia, contribuiscono a consolidare i legami tra questi giovani dediti alla poesia, alla critica letteraria e alla filosofia. La quotidiana collaborazione, l'intrecciarsi delle conversazioni e l'annodarsi delle amicizie fraterne favoriscono una vera e propria elaborazione comune delle idee, delle esperienze e dei sentimenti, al punto che non è sempre possibile attribuire senza incertezze l'uno o l'altro di essi all'uno o l'altro dei singoli scrit-

Ludwig Tieck, in un quadro di Joseph Karl Tieler.

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 5

tori del gruppo. Questi amavano dire che spesso la loro filosofia era una «sinfilosofia», la critica una «sincritica», la poesia una «sinpoesia». Ciò non impedì che nel 180 l, con la morte di Novalis che, per la sua duplice esperienza di poeta e filosofo, aveva contribuito fortemente a garantire l'unità del gruppo, questo rapidamente venisse disgregandosi fino a scomparire. Ma questo non significò la fine del movimento romantico, che continuò a diffon-

dersi in altri centri della cultura tedesca come Heidelberg, Monaco e la stessa Berlino. L'opera infaticabile dei fratelli Schlegel, attraverso scritti dedicati alla sistemazione dell'esperienza dell'Athenaeum, corsi universitari di letteratura e filosofia, e soprattutto viaggi a Parigi, in Italia, in Inghilterra, che consentono nuovi legami con letterati di questi paesi, contribuisce al consolidamento e alla diffusione delle nuove idee in Germania e in Europa.

2 ,,.,,,,.,.,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ''"'''"''''''"''"'''''''' '''''''''''''''"''''''"''"''''''''' "''"'''''''' ''"''"'''''''''''''"''' ""'"'''"'''' '''''''''''"' ''''''''""''''''''' '"''''''' ,,,,,,,, '''''''''''''"''"'''"'"'''''"'''''''''''''''''''"'

I romantici tedeschi e la rottura con l'illuminismo rima di prendere in esame concezioni e perso. naggi di questa straordinaria vicenda, sembra : necessario chiedersi quali legami i romantici di Jena abbiano con la cultura tedesca degli ultimi ~ decenni del secolo, dalla tarda Aufln e appare, piuttosto, ricalcata sul modello degli stati napoleonici e di una nuova nobiltà, fondata sui meriti personali. Del resto la simpatia di Hegel per Napoleone va crescendo, nel periodo jenese, di anno in anno e si prolungherà fino alla sua caduta. Ne è esemplare testimonianza la celebre lettera da lui scritta il 13 ottobre del 1806, nel giorno stesso dell'ingresso dell'imperatore entro le mura di Jena dopo la vittoria sui prussiani, nella quale Napoleone viene rappresentato come incarnazione dello spirito universale: «Ho visto l'imperatore - quest'anima del mondo uscire a cavallo dalla città per andare in ricognizione; è, in effetti, una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, s'irradia per il mondo e lo domina».

Ma che Hegel non abbia alcuna indulgenza per la tradizione prerivoluzionaria è documentato, soprattutto, dalla sua lucida consapevolezza del maturare della nuova società borghese, fondata sul dominio del mercato e la potenza del denaro. Egli ha studiato, in questi anni, l'economia politica moderna, in particolare gli scritti di Smith (V. voL. 2, CAP. 22, PAR. 3.2), e, pur vivendo in un paese a ritardato sviluppo economico e sociale, si è venuto impadronendo della conoscenza dei meccanismi della società borghese moderna e delle sue leggi oggettive Ldoll~tudio . . Che pm. eg11. abb'1a trascntto . tutto que- politica e economm necessane. sto nella sua prospettiva idealistica, pacificando le contraddizioni sociali ed economiche nella idealità della sintesi etico-politica rappresentata dallo stato e nel metafisica attuarsi dell'«anima del mondo», non significa che perdano valore le sue interpretazioni dialettiche della realtà sociale del tempo. Non possiamo fermarci, per esempio, sulle analisi hegeliane del lavoro, individuato come essenza dell'uomo, principio di mediazione del suo rapporto con la natura e molla dello sviluppo della società. Né possiamo esaminare le sue trasformazioni che Hegel prende in esame, indotte dai processi di socializzazione, dall'inserimento nel mercato e dal suo meccanizzarsi che, subordinando l'uomo alla macchina, lo separa dal rapporto con la vivente natura, immiserendolo.

119

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

Ci limitiamo a sottolineare due aspetti, che ci paiono importanti, di questo interesse filosofico hegeliano per l'economia e la società: a. il fatto che, pur affermando il carattere progressivo della società capitalistica, Hegelnonnasconda l'abbrutimento cui è ridotto il lavoratore di fabbrica la cui «coscienza ... è degradata al più basso Progressività e livello di ottusità», né l'immiserimento di «una ccbrutalilà» della società vasta massa di popolo ... condannata all'insano e car>ilalistica insicuro lavoro nelle fabbriche, nelle officine, nelle miniere ... », mentre «si sviluppa il conflitto tra un'enorme ricchezza e un'enorme povertà incapace di migliorare la propria condizione. E la ricchezza diviene una potenza predominante»; b. e, soprattutto, il fatto, che Hegel appaia consapevole del carattere tumultuoso, caotico della produzione capitalistica delle merci, soggetta al cieco, incalcolabile rapporto tra bisogni e merci: « ... la connessione del singolo tipo di lavoro con l'intera infinita massa dei bisogni diviene illimitata ... incontro !la-

bile da parte della ragione ... sicché una lontana operazione spesso blocca improvvisamente il lavoro d'un'intera classe di uomini che con esso appagava i propri bisogni, lo rende superfluo e inutile». ·

Hegel è talmente colpito da questo inquietante aspetto della società fondata sul mercato, da parlarne come di un sistema che «si muove in sù e in giù in modo cieco ed elementare», e come di un «animale selvaggio» che «richiede un controllo forte e permanente e deve essere tenuto a freno». Confermando la propria convinzione sul necessario superamento dialettico dell'economico-sociale nel politico, Hegel attribuisce alla forza dello stato il compito di controllare quella bestia selvaggia e di · · deIla ragione. · Se e, , 1111att1, · c · lo 1((bestia .o stato e la n'd ur1a a1 dom1mo stato, come si è già accennato, l'istituzione chia- selvaggia» mata a restituire al mondo degli uomini unità e organicità, allora è in esso, e solo in esso, che potrà trovare un'adeguata redenzione la moderna società individualistica e competitiva.

7

La «Fenomenologia dello spirito»: significato e struttura. La rottura con Schelling

D~~[~I~;~~~tfE~t~~~;~

di fronte ad una imminente maturità della storia del mondo. E questo sembra richiedere una filosofia capace di ripercorrere le tappe di questa storia, e di esprimerla in un sapere finalmente compiuto ed assoluto. A questa impresa Hegel intende accingersi ora, che già si è provato nella ricostruzione e interpretazione di momenti essenziali della storia spirituale del mondo, dalla religione popolare degli antichi all'ebraismo e a Gesù e al cristianesimo con tutte le sue ambivalenze di religione positiva e insieme di religione dell'amore, e ancora, dal protestantesimo all'illuminismo e alle filosofie della riflessione in cui esso si è espresso, per concludere, infine, alla filosofia speculativa dell'identità assoluta del mondo. È in questa prospettiva e con questa ambizione che Hegel compone nel 1806 e pubblica nel 1807 il suo primo e, forse, più grande, capolavoro filosofico, col titolo di Sistema della scienza. Prima parte, la fenomenologia dello spirito. Pensata in un primo , , L.a momento come introduzione al sistema del saperenomeno.ogta d' ,, . ll . l . dello spirito re - e 1 questo c e traccia ne a stessa tlto azwne -,quest'opera viene ampliandosi via via che l'autore la compone, fino a divenire qualcosa di più che ------

una semplice introduzione, addirittura una esposizione, anche se non sistematica, dell'intera sua filosofia. Il termine fenomenologia era stato adoperato per la prima volta, sembra, in uno scritto del 1764, da Lambert, filosofo e scienziato tedesco, a designare, accanto alla dottrina della verità, quella della parvenza. In Hegel, invece, esso sta a significare la storia dell'anima, ossia della coscienza naturale dell'uomo che s'innalza dalla propria finitezza e immediatezza iniziale, attraverso un tormentato succedersi di tappe via via destinate a rivelarsi inadeguate, fino alla ·suprema e gioiosa identificazione col sapere assoluto. Di questo tema non mancano precedenti nella storia del pensiero filosofico: dal mito platonico della caverna che narra del viaggio di scoperta del prigioniero, che dall'umbratile esperienza sensoriale sale fino alla contemplazione dell'Idea, all' «itinerarium mentis in Deum» del medievale Ugo di San Vittore rv. voL. 1, CAP. 23, PAR. 3 ), o, tre secoli dopo, a quello di Cusano rv. voL. 2, CAP. 2, PAR. 2), che culmina nella visione di Dio come «coincidentia oppositorum». Ma, senza andare troppo lontano, la stessa «storia pragmatica» dell'io che abbiamo trovato in Fichte può essere vista come un antecedente della fenomenologia hegeliana. Non è nemmeno difficile riconoscere in questa una specie di romanzo della coscienza che rimanda ai «romanzi di formazione» tipici della più recente cultura moderna e, in specie, tedesca. È lo stesso Hegel

120

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 7

che nella prefazione dell'opera raffigura la crescita della coscienza umana come un «progresso pedagogico», suggerendo così un riferimento all'Emilio di Rousseau, anch'esso individuo «naturale» che progressivamente si eleva alla cultura e alla libertà. Ma, soprattutto, vengono in mente romanzi come il Un romanzo r:u·lh l . . della coscienza rr z. e.m Mezster d1. Goeth~ (V. CAP. 2, PAR. 6) o lo Heznrzch von Ofterdzngen d1 Novalis (v. CAP. 5, PAR. 4): come i protagonisti di questi, attraverso una serie di esperienze e di scoperte, superano le loro convinzioni iniziali e scoprono la loro vera e più alta vocazione, cosi la coscienza fenomenologica è costretta a rinunciare alle proprie successive certezze per scoprire anch'essa, alla fine del suo cammino, la verità. Ma le tante reminiscenze che la Fenomenologia evoca non ci devono nascondere la sua radicale novità. Essa consiste nel fatto che nel «pellegrinaggio filosofico» stesso della coscienza umana, attraverso cui uResullaton e que~ta assume consapevolez~a de~l'assoluto _ movimento dell «Intero», come ama espnmers1 Hegel -, è l'assoluto stesso a prendere coscienza di sé. Esso non è,. come l'Idea platonica al termine del viaggio dell'amma, trascendente questo viaggio, immobile nella sua pre-formata perfezione, ma piuttosto il «Resultato» dello stesso processo fenomenologico, inseparabile dal movimento di cui è risultato, hnmanente ad ogni momento di esso. Leggiamo: «Il vero è l'intero. Ma l'intero è solo l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell'assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Resultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e in ciò proprio consiste la sua natura nell'essere effettualità, soggetto, o svolgimento di se stess~». E questo svolgimento non è altro che lo spirito autocosciente nel suo processo di formazione ossia l'intero cammino della storia umana. ' Il paradosso hegeliano, se così vogliamo dire consiste nel togliere l'assoluto a quella intemporalità cui l'aveva consegnato la metafisica fin dai tempi di Parmenide e di Platone, e nel fare del tempo e della storia la dimensione in cui si consuma la rivelazione dell'assoluto a se stesso come il «diveniente» o meglio, come Assoluto e «spirito». Questo vuol dire Hegel quando, in un temporalità c~lebre passo della prefazione, afferma la necessità d1 superare Spinoza e di intendere «il Vero non come Sostanza, ma altrettanto decisamente come Sogg~tto», ossia come Sostanza che si fa Soggetto, in-sé che s1 fa per-sé, ossia autocoscienza, essere che si fa uomo. Da ciò discende che la Storia è la totalità delle «apparenze» attraverso cui lo spirito si rivela. Il compito del singolo individuo è quello di «ripercorrere i gradi di formazione dello spirito univers~le, anche secondo il contenuto, ma come figure dallo spirito già deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata», che è poi la storia della civiltà, la cultura, l'esistenza passata. Questa

«è proprietà acquisita allo spirito universale; proprietà che c.ostituisce la so.sta.nza dell'individuo e che, apparendogli estenormente, cost1tmsce la sua natura inorganica. Ponendoci dall'angolo visuale dell'individuo, la cultura consiste nella conquista di ciò ch'egli trova dinanzi a sé, nel consumare la sua natura inorganica e nell'appropriarsela». È così che la coscienza individuale aderisce allo sviluppo della storia up.iversale, la quale, d'altronde non dimentichiamolo, è la storia stessa dell'assoluto: Che, di fronte al singolo individuo, «tutto sia in sé già compiuto», non toglie, agli occhi di Hegel, il carattere drammatico e di ricerca del movimento fenomenologico della coscienza, di cui egli mette in evidenza l'irrequietudine dialettica. In ognuna delle tappe in cui la coscienza sosta, essa è «certa» di ,. . . aver trovato, che. ce LI mllqmetu>, che Hobbes ebbe solo il torto di assolutizzare in una presunta «natura» umana, immobile e intrascendibile. Nel conflitto che così esplode, inevitabile poiché le due autocoscienze «debbono elevare a verità la certezza loro di essere per sé», e «la libertà si conserva solo giuocandosi la vita», il più debole tra i due individui, vedendosi vinto, accetta di divenire servo dell'altro. Da questo momento, verrà svolgendosi tra la sua coscienza e quella del «signore» una dialettica dagli esiti assai significativi. Da una parte la coscienza del signore, avendo anteposto il desiderio di «riconoscimento» alla paura di morire, dimostrando così di disprezzare i beni materiali, ne continua a godere ponendo tra sé e loro il servo, costringendolo cioè a lavorare per lui. Il servo, da parte sua, piuttosto che perdere la vita ha preferito rinunciare al riconoscimento, ad essere per sé, e si è ridotto ad essere per il signore. . Ma il rapporto è destinato a capovolgersi, al punto che la servitù «diventerà ... il contrario di ciò ch'essa è immediatamente; essa andrà in se stessa come coscienza riconcentrata in sé, e si volgerà nell'indipendenza vera». E infatti il signore, da una parte comprende che il riconoscimento per cui ha rischiato la vita non ha nella coscienza dell'altro, scaduta com'è nella servitù, un adeguato rispecchiamento, dall'altra scopre di non essere indipendente perché ha bisogno del servo. Pertanto egli perde la direzione del movimento fenomenologico che passa nelle mani del servo. Bisogna, dunque, considerare ora il servo, non più per come è per il padrone, bensì, dato che, pur asservita, è ancora un'autocoscienza, per come è in sé e per sé. Innanzitutto, la coscienza del servo, nel momento di soccombere di fronte all'altro, ha sentito, al di sopra di sé e dello stesso vincitore, una potenza superiore, «essa ha infatti sentito paura della morte, signora assoluta ... ha tremato nel profondo di sé, e ciò che in essa v'era di fisso ha vacillato». Si tratta dell'esperienza della «assoluta negatività», del «puro esser-persé che, dunque, è in quella coscienza». D'altra parte, questo essere per sé emergente nel timore della morte si concretizza nel lavoro, attraverso il quale il servo

l

l_

123

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

impara a dominare le cose imprimendo in esse la propria forma, e prende coscienza di sé come dell'essere da cui, in sostanza, la vita stessa del padrone dipende. In tal modo la coscienza servile si muove verso la propria emancipazione. Dalla dialettica servo-padrone, che storicamente si riferisce al periodo della decadenza dell'impero romano, nasce come suo superamento la «coscienza stoica». La coscienza servile si emancipa attraverso la . scoperta che la libertà è del tutto indifferente alle La cosc1enza d' . . . . d Il . . . l stoica con 1z10m estenon e a v1ta, 1v1 comprese e catene della servitù, e si trova in quella forma superiore di lavoro che è il libero pensare. Lo stoico è l'uomo che toglie ogni valore al mondo esterno, se ne apparta indifferente, rifugiandosi nella dimensione della pura ragione interiore. Ma la libertà stoica si rivela una libertà astratta, il pensiero stoico vuoto e privo di vitalità, destinato a risolversi nella nuova figura dello «scetticismo», che segna il momento di transizione dalla decadenza greco-romana al mondo medievale-cristiano, cui si .. l.o scettiCismo • h. . . deIla «cosctenza . . ne 1ama la f'1gura successiva mfelice». Lo scetticismo è l'approfondimento della coscienza stoica, nel senso che il mondo, da cui lo stoicismo si limitava a distogliersi, viene ora radicalmente negato nel suo «spacciarsi per realtà», e la coscienza stessa si vanifica in un continuo contraddirsi in se stessa, vera e propria forma di «vaniloquio>>. Resultato dello smarrimento scettico è la «coscienza infelice», la più celebre, insieme al rapporto servopadrone, tra le figure hegeliane. Essa nasce dallo scindersi interiore dell'autocoscienza in due coscienze, l'una all'altra contrapposta: la coscienza finita, mutevole, individuale da una parte, la Coscienza infini. l a cosc1enza t · · da11 a infelice a, 1mmut evo le, asso1uta da11' alt ra, avvert1ta prima come estranea, lontana, inaccessibile. La coscienza finita soffre di questa separazione e, nella sua infelicità, anela alla riunificazione. Se il giovane Hegel aveva riservato, come s'è visto, questa esperienza al popolo ebraico, ora egli la estende allo stesso cristianesimo, quantomeno nella sua forma medievale. Se nel momento vetero-testamentario la coscienza esprime la propria solitudine nella drammatica invocazione del «de profundis clamavi ad Te domine», il cristianesimo medievale, che crede l'al di là della Coscienza assoluta incarnato in un individuo sensibile, cerca il superamento della scissione nella «vita . devota» e nell' «ascetismo». Se la devozione, «un V1ta- devota e b . d' Id b l ., ascetismo vago rus10 ~campane o una ca. a ne u os1ta, un pensare mus1cale che non arnva al concetto», finisce, armandosi nelle crociate, col cercare vanamente l' «al di là», come fosse un oggetto sensibile, in un sepolcro inevitabilmente vuoto, è l'ascetismo a condurre l' «anima» alle soglie della propria resurrezione nella «Ragione». Attraverso il digiuno e i castighi, e la rinuncia alla propria stessa volontà, rimessa nelle mani del

prete, la coscienza ascetica porta agli estremi la mortificazione di sé. Ma questa radicale negazione della propria miserabile individualità e finitezza, in quanto suo superamento, si capovolge dialetticamente nella riappropriazione, da parte della coscienza, di quel proprio lato universale e immutevole, che aveva estraniato da sé come Coscienza infinita. «Nel pensiero ... che la coscienza singola è, in sé, essenza assoluta, la coscienza ritorna in se medesima», e si fa Ragione, ossia «certezza di essere ogni realtà». Della terza sezione della Fenomenologia diamo un rapido cenno. La ragione comincia col cercare se stessa in quella natura da cui si era ritratta con l'esperienza stoica, e che ora invece si dà ad osservare, convinta di potervisi adeguatamente rispecchiare. La coscienza rivive così l'esperienza che era stata del naturalismo rinascimentale e dello sperimentalismo scientifico moderno, e delle filosofie della natura fino a Schelling: ricercare se stessa, la propria razionalità, nel siste- L . . . ma delle cose. Essa prende in esame, mediante d:l~~::85 1 ~udini 9 1one11 . . . l' osservazwne e l' espenmento, pnma 1.1 mon do fisico e la natura vivente, poi la stessa vita psichica, pretendendo di interpretarla secondo leggi analoghe a quelle del mondo fisico. La vicenda di questa «ragione osservatrice» culmina, ma anche entra in crisi, con scienze come la fisiognomica o la frenologia che pretendono di conoscere l'internità della vita spirituale, riducendola, rispettivamente, all'espressione fisica del volto o alle diverse parti del cervello e, addirittura, alla forma del cranio. Ed è una specie di suprema ironia che la ricerca, che la ragione ha fatto di sé come oggetto, pervenga alla stupefacente conclusione che «l'essere dello spirito è un osso»! Delusa e stanca della scienza, come Faust nell' Urfaust di Goethe, la ragione torna allora a se stessa e cerca la realizzazione di sé nella vita attiva, consumando esperienze come quella, appunto, della faustiana «ricerca del piacere», o quella dell'uomo della «legge del cuore», e infine del «cavaliere della virtù». Dopo essersi estenuata nella tensione senza fine dell'edonismo e della sensualità che «prende la vita a quel modo che vien colto un frutto maturo», la ragione torna a cercare in se stessa la regola della propria vita, e crede di averla trovata là dove l'hanno cercata Rousseau, il Werther di Goethe o il Moor dei Masnadieri di Schiller, nei buoni sentimenti del «cuore>> che vuole realizzare nel mondo la propria legge, e vuole la felicità di tutti. Ma questa delicata aspirazione a migliorare il mondo, questo «batticuore per il benessere dell'umanità» si scontra con la dura e crudele legge del mondo che irride alle pie intenzioni del cuore. Là dove il sentimentalismo fallisce, si impone allora la necessità di combattere contro il mondo in nome della virtù che lotta contro il vizio. La ragione si riconosce nel rigore con cui il «cavaliere della virtù» contesta il «corso del mondo», e pretende di piegarlo alla purezza di un astratto dover essere.

124

l

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 7

Questo «donchisciottismo» della ragione, in cui si può riconoscere il moralismo di Kant come il fanatismo di Robespierre, è destinato anch'esso ad essere smentito dalla realtà, a rivelarsi vuota e impotente declamazione, «sconvolta presunzione» di modificare un corso del mondo, che a sua volta si rivela, secondo quanto ha insegnato Smith, «una generale guerriglia dove ognuno arraffa quello che può», vero e proprio «bellum omnium contra omnes>>. Il fallimento di queste esperienze della ragione pratica dipende, secondo Hegel, dal fatto che la ragione ha cercato di realizzarsi come mèra individualità (ora come «piacere», ora come «cuore» e «virtù»), sicché anche il «mondo» si è mostrato come «solamente una universalità opinata, il cui contenuto è piuttostp il giuoco inessenziale del consolidarsi e del dissolversi delle singolarità», il «bellum» di cui sopra, appunto. È necessario, allora, che l'universalità soltanto 'opinata' divenga universalità vera e sostanziale. Ma come? È l'avvento dello «spirito» a insegnarcelo, e la quarta sezione della Fenomenologia rappresenta per.. ciò il momento più importante del «viaggio» delLo i> riduzione, incapace di dar conto della religione come manifestazione di Dio e, dunque, come pensiero di Dio su se stesso, Hegel vede nella religione il «sapere che lo spirito divino ha di sé attraverso la mediazione dello spirito finito», cioè come processo in cui la conoscenza che Dio ha di se stesso s'incarna nella conoscenza che l'uomo ha di Dio. Anche la religione, come l'arte, è inseparabile dal suo svolgimento storico, nel quale si possono riconoscere i momenti della sua dialettica: dalla «religione . naturale» alla «religione dell'individualità spiri- L181151011111•. . ll .. l .,. .. portatore:

l

« ... lo spirito del mondo ha ritrovato qui, in questo stato dello spirito, in questa università del centro, la sua realtà effettuale».

Questa profonda convinzione di essere «vicino al Signore», suo «assistente nei più profondi recessi del santuario», accompagna ormai gli anni berlinesi di Hegel, interamente dedicati all'insegnamento. La pubblicazione della Filosofia del diritto, la fondazione nel 1827 degli Annali berlinesi per la critica scientifica, la rivista intorno alla quale si coagula il primo nucleo della scuola hegeliana, e in cui Hegel pubblica alcune recensioni, rappresentano le principali iniziative editoriali di questi anni. Grande è il successo che la filosofia hegeliana ottiene non solo a Berlino e un po' ovunque in Germau nia, ma anche in vari paesi europei, dal Belgio su~cv::~~ all'Olanda, dalla Danimarca alla lontana Finlandia. Ad ascoltare le lezioni di Hegel accorre da tutte le parti della Germania un pubblico sempre più numeroso, di cui spesso fanno parte alti funzionari, personalità ufficiali; al suo lavoro scientifico collaborano storici, giuristi, teologi, naturalisti, studiosi di estetica. Nonostante le polemiche con Fries, Schleiermacher ed altri avversari, la vita di Hegel scorre tranquilla, tutta raccolta nello studio e nella didattica. Sono questi anche gli anni dei viaggi all'estero, cui lo chiamano le numerose amicizie ma anche il gusto di viaggiare, di scoprire la vita delle grandi città, i crocicchi della storia: in Olanda ammira la grande pittura fiamminga del Seicento, a Vienna e a Praga l'opera italiana, a Parigi

visita i luoghi della rivoluzione. Durante uno di questi viaggi, s'incontra casualmente a Karlsbad nel1829 con Schelling e, dopo tanti anni, s'intrattiene con lui per alcune ore, in tranquilla, piacevole conversazione. Le rivoluzioni liberali del1830 a Parigi e a Bruxelles lo turbano profondamente, poiché negli ultimi anni si era venuto convincendo che la rivoluzione fosse ormai un ricordo del passato, superato dall'affer- 1 /~r~:~~enti marsi dello stato politico moderno. Le fiamme a qua e Sl oppongono a quan o commc1a a n velare la sua ispirazione illiberale. Napoleone li perseguita, chiude fin dall803 la classe di scienze morali e politiche dell'Istituto, sopprime la loro rivista, Decade filosofica, accusandoli di essere astratti dottrinari, ma in realtà diffidente della loro .pretesa di coltivare con spirito critico la scienza della società e della politica.

Gli «ideologi», che nutrono un vivace interesse per-gli studi di fisiologia e di medicina e per le scienze umane in genere, dalla pedagogia alla morale e alla politica, attribuiscono alla filosofia il compito di L' 1.. d . d d ., . . 'f' . ana 1s1 e1le neon urre a umta 11 sapere sclent11co, orma1 sensazioni sempre più differenziato nella specificità delle delle idee e diverse discipline. A questo scopo essi ritengono fondamentale un lavoro di «analisi delle sensazioni e delle idee» in grado di scomporre i processi mentali e il funzionamento della mente, onde scoprirne i meccanismi elementari e originari. Pur rifacendosi al sensismo di Condillac, con cui concordano nello spiegare geneticamente le operazioni e i contenuti mentali riconducendoli alla sensibilità, essi dissentono da esso su di un punto fondamentale. . d' Mentre la statua di Condillac (V. voL. 2, CAP. 23, PAR. 11 ' d' · · · · . sens1smo 1 11) puo 1vemre senztente e progress1vamente sv1- condillac luppare le varie funzioni mentali, solo in quanto in essa è presente l'anima, vero principio metafisica della vita psichica, indipendente dall'organismo corporeo, gli «ideologi» rifiutano ogni presupposto metafisica e intendono spiegare la genesi della vita psichica aderendo rigorosamente ai fatti dell'esperienza, a cominciare da quelli che testimoniano dell'appartenenza delle facoltà psichiche all'organismo corporeo. Sotto l'influenza del materialismo, in particolare di Ho lbach, gli «ideologi~~ contrappongono alla psicologia, in fondo ancora spiritualistica, di Condillac, la scienza delle idee - nel senso lockiano di modifi- 11 1 . . . della cosc1enza . . appunto, «c eo og1a» e cazwm -, l' «l.deologla» fisiologia che non è altro che un aspetto della fisiologia. Non è senza significato che a far parte della sezione filosofica dell'Istituto fossero chiamati filosofi come Destutt de Tracy accanto a medici e fisiologi come Cabanis. Occupiamoci del primo. Intanto egli si distingue da Condillac nel concepire la sensibilità, da cui prende origine tutta intera la vita mentale, come un fenomeno fisiologico generato dalforganizzazione corporea dell'uomo, tanto da rifiutarsi di risolverlo, come inve- 0 1 11 de ~" Cond'Il · uno stato appartenente Tracy es u ce 1aceva 1 ac, m esclusivamente alla coscienza. Destutt de Tracy ne parla come di un dinamismo diffuso in tutte le parti del

164

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO 9

corpo e quindi operante anche a livello inconscio: una sensibilità interna intimamente legata agli organi interni e al reticolo dei tessuti nervosi, condizione della vita psichica, anche nelle sue forme spirituali superiori. In secondo luogo egli, di contro a Condillac che riduceva la sensibilità alla semplice sensazione determinata dagli stimoli esterni, distingue in essa, così profondamente ancorata alla corporeità, diverse ope. . razioni originarie, l'una all'altra irriducibili: il Le operaz1om . · · • l' d l' della sensibilità «sentl:e:> m senso p~opno, oss1~ app~en. ere g 1 oggetti m quanto ag1scono sugh orgam d1 senso, il «ricordare» che è il risentire le tracce lasciate dalle sensazioni passate, il «giudicare» che è il cogliere i rapporti tra gli oggetti sentiti, e infine il «volere» che è il sentire dei desideri in relazione agli oggetti sentiti e giudicati. L'interessante di questa classificazione è il fatto che con essa Destutt de Tracy riconduce alla corporeità vivente dell'uomo anche le operazioni 'superiori' del pensare e del volere, fondando su di essa la gno.1. . seologia, la logica e l'etica. Negli Elementi di L'um 1caz1one 'd l . l' " d l . del sapere l eo ogza, opera 10n amenta e composta tra 11 ' 1801 e il1815 e distinta in «Ideologia», «Grammatica generale», «Logica» e «Trattato sulla volontà», Destutt de Tracy traccia le linee di una vera e propria unificazione del sapere in un quadro complessivo, nel quale dovrebbero trovare la loro armonizzazione le diverse discipline scientifiche. Un altro punto importante della ideologia tracyana è quello relativo alla prova dell'esistenza del mondo esterno. Anche qui in contrasto con Condillac, Destutt de Tracy nega che tale prova possa fondarsi sui cinque sensi, i quali ci attestano soltanto modifi, cazioni della nostra coscienza. Avviando un ar, • Lesls1enza > ere attlvtta vo ontanomotnce co semp tce est11 0 e cc derio istintivo-inconscio intrinseco alla organizzazione sensoriale. Non ha compreso Tracy che il sentimento dello sforzo volontario col quale noi vinciamo la resistenza dei corpi è rivelativo del nostro esistere come realtà psichica interiore cosciente di sé, soggetto spirituale, io indipendente dalla sfera fisio-sensoriale. Lo stesso fenomeno dell'abitudine, che segna il meccanicizzarsi dell'attività psichica, conferma che . d' alla radice di questa è da riconoscersi un'attività Ab1tu me e . . . . 'd 'b'l ~ . .. h libertà ongmana trn uct 1 e, un «tatto pnmtttvo» c e Maine de Biran, riprendendo un termine leibniziano, chiama «appercezione». Attraverso di essa l'io si apprende come «sforza>>, attività volontaria, libertà. D'accordo con Cartesio nell'affermare l'autotrasparente originarietà dell'io, Maine de Biran rifiuta però di identificarlo cosi con un'inerte «res cogitans» come col puro atto di pensiero, con la mèra «idea ccVolo ergo d' , N . . l . sum» 1 se». on questa costttmsce a cosctenza concreta dell'uomo, bensì la volontà, sicché la celebre proposizione cartesiana richiederebbe di essere riformulata così: «volo ergo sum». «Sono, non indeterminatamente una cosa pensante, ma ... una forza volente che passa dalla virtualità all'attualità in grazia della sua propria energia, determinandosi .. . da se stessa all'azione».

ita

È evidente l'evoluzione in senso spiritualistico e metafisica della meditazione biraniana, della quale i documenti più significativi, oltre il Diario e la Memoria sulla scomposizione del pensiero, sono la Memoria sui rapporti tra il fisico e lo spirituale nell'uomo del1811 e il Saggio sui fondamenti della psicologia del 1812. Il ritorno a nozioni come quelle di «io» e di «coscienza» contro quello che ora appare come ridu,. . . • zionismo fisiologistico degli «ideologi», l'afferL1111enonta · de11a trascen denza de11''10 nspetto · maztone agl'1 stati psicofisici conducono Maine de Biran a riscoprire il tema classico (tradizione platonico-agostiniana) e seicentesco (Cartesio-Pasca!) dell'interiorità. È vero sì che l'io, in quanto centro dinamico di attività e sforzo volontario, non è pensabile indipen1 dentemente da un corpo a cominciare dal proco~p~ prio, su cui agire e da cui essere agito, e che dunque il rapporto anima-corpo è ben più intimo di quello che tanta tradizione metafisica abbia mai pensato, ignorante com'~ stata dei condizionamenti tanto oscuri quanto profondi che la vitalità organica esercita sulla coscienza. Questo non significa però che

l'io non sia autonomo dal determinismo fisico-organico, non sia chiamato anzi ad affermarsi come causalità libera, come presenza di sé a se stesso nella pura interiorità della vita spirituale. È la sua stessa iper-organiw cità, sulla quale ormai Maine de Biran insiste forteCl mente, che glielo consente. LJ.J Il tema dell'interiorità è del resto congeniale ad z uno spirito così incline all'introspezione e all'auscultazione di sé come l'autore del Diario intimo, tanto che il momento teorico della costruzione di una scienza reale dell'uomo e l'esperienza personale del ripiegamento interiore appaiono in lui strettamente intrecciati. M . . d. a p~r~tstenti. . . stati. d'1 conoscenza a1atlla e Asst'Ilat? per t~tta la ~tta depresswne e dt nevrost, egh addmttura n conosce di sé nella malattia una condizione privilegiata per la conoscenza di sé. Mentre lo stato di salute spinge gli uomini a distrarsi da sé e a tuffarsi nella vita esteriore, è la malattia, e lo stato di sofferenza che l'accompagna, a indurii all'esame di sé e della propria vita intima. Nel senso intimo, attraverso il quale l'io si rivela a sé come volontà, hanno origine le categorie che sono a fondamento di tutte le nostre conoscenze. Errano così gli empiristi, che pretendono derivare la conoscenza dal fatto elementare della sensazione, come i metafisici che intendono le nozioni fondamentali del conoscere come fossero idee innate, contenute passi- s . . . un,amma-ncettaco . . " mt1mo 1o. L e 1'dee d'ttorza, vamente m eenso categorie causa, sostanza, unità, identità, libertà non sono altro che l'elaborazione intellettuale dell'esperienza primitiva che l'io ha di sé come causalità efficiente e libera e indivisibile, che permane identica a sé pur nel variare degli stati di coscienza. Allo stesso modo, le idee che si riferiscono specificamente alle cose materiali, come quella di estensione, hanno origine dall'altra faccia dell'esperienza originaria, ossia l'avvertimento della corporeità come resistenza allo sforzo. I successivi sviluppi dell'itinerario biraniano sono orientati verso esiti francamente religiosi, connotati da forti accenti mistici. Maine de Biran non si ferma infatti a sostenere la «doppiezza» dell'uomo, come sospeso tra due vite, quella organica e sensitiva L . · l't' 11 · d l a e1a o concedere a tentazwm sensismo anzi confermando fedeltà alla concretezza dei processi sperimentali della conoscenza, Gioia e Romagnasi si orientano a riconoscere i poteri dell'intelligenza, al punto che il secondo, in scritti degli ultimi anni della sua vita, dedicati ai problemi gnoseologici - Che cosa è la mente sana? del 1827, e Vedute fondamentali sull'arte logica del 1832 ~, si sarebbe misurato con problematiche assai simili a quelle affrontate da Kant. Come il filosofo della Critica, egli è avverso al «chimerismo» dei metafisici e insieme convinto della necessità di evitare le semplificazioni dell' «empirismo · casuale», ma rifiuta, però, di Kant Romagnosi e l> consistente nel pensare l'intima relazione del finito con l'assoluta realtà di Dio, senza la quale il finito non sarebbe neanche pensabile, come se fosse un rapporto d'identità, onde l'un termine finisce col risolversi nell'altro. La riaffermazione della netta distinzione tra l'essere divino e l'esistere umano consente di recuperare la dimensione sovrannaturale del cristianesimo, non più identificato senz'altro con la civiltà, senza che per questo si rinunci a cercarne la convalida nella filosofia e l'espressione nel mondo delle nazioni, che su di esso

si fonda come sull'originaria rivelazione da cui prendere avvio. Contro Lamemìais che, per aver voluto all'inizio riassorbire tutt'intera la civiltà nella reli- R d . h l . d . d' . ecupero e1 gwne, a eone uso p01 a una specie 1pante1smo sovrannaturale storico, che annega la religione nella dimensione meramente umana del progresso, Gioberti intende conciliare, in una unità che non cancelli le sproporzioni, religione e filosofia, Dio e storia, sovrannatura e natura. È nell'Introduzione del1840 l'atto di nascita del sistema filosofico giobertiano che, in sostanziale continuità, avrebbe trovato conferma e insieme ulteriore sviluppo negli scritti rimasti incompiuti de&li ultimi anni e pubblicati dopo la morte dell'autore. E in quest'opera che Gioberti conduce il suo attacco a c e r do contro Lutero e Cartesw, . responsab'l' ontro 1.u1ero 10n 11 d'1 Cartesio aver introdotto nella cultura e nella filosofia moderna, l'uno colla dottrina del libero esame, l'altro col «cogito» innalzato a «primum certum», il velenoso principio del soggettivismo antropocentrico o, come Gioberti preferisce chiamarlo, dello psicologismo, che disancora l'uomo dall'oggettività dell'Essere reale. «L'eresiarca gittò il seme fatale, che fu esplicato dal francese filosofo. Il primo sostituì il metodo psicologico al metodo ontologico nella religione; il secondo applicò questa innovazione alla filosofia in particolare, e per essa a tutto lo

192

SEZIONE PRIMA. TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE CAPITOLO lO

scibile. L'uno troncò il filo della tradizione religiosa; l'altro diede lo sfratto eziandio alla scientifica».

Si tratta allora di ritrovare la strada dell'Essere, di riscoprire lè radici antologiche da cui trae alimento e forza la mente dell'uomo, che gli consentono di evadere dal carcere del solipsismo e di ricollocarsi nella Verità dell'Essere, nella quale noi, per dirla 1 La,,;' rada coll'apostolo Paolo, «vivimus, movemur, atque de11"ssere . Rosm1m, . . che ora sumus». A questo non nesce Gioberti attacca duramente, accusandolo di ricadere in quello stesso soggettivismo che intenderebbe combattere. L'idea dell'essere che agli occhi del roveretano dovrebbe garantire l'oggettività e la realtà delle conoscenze umane, viene da lui intesa come idea dell'essere possibile, indeterminato, che non si vede come possa aprirci la strada all'essere reale; si tratta pur . . sempre di un'idea che dell'essere ha il soggetto e, Contro flosrmm pertanto, essa stessa soggettiva. Il fatto che Rosmini la presenti come oggettiva, distinta dallo spirito che la intuisce, non la fa differire dalle categorie di Kant, «il prussiano psicologo», come queste, in fondo, mèra forma mentale, «primum» psicologico e non anche insieme «primum» antologico. Alle deviazioni psicologistiche del pensiero moderno Gioberti contrappone la sua dottrina dell' «intùito originario», secondo cui c'è un atto d'apprendimento che sta a fondamento della vita della no~·c~intù.ito stra mente, e nel quale questa si trova ad esse. . costltmto . . dall' apongrnarron re semp11cemente spettatnce, prendimento immediato dell'Ente nella sua incondizionata oggettività ed esternità. Si tratta dell'intuizione dell'Idea: non idea nel significato che a questo termine attribuiscono i soggetti visti- si tratti di Cartesio o di Condillac, di Kant o di Rosmini -, come di «una cosa racchiusa nell'animo nostro, e avente al più una relazione di corrispondenza e di somiglianza coll'oggetto estrinseco», bensì nel senso originariamente platonico di Realtà suprema e somma Verità. Noi intuiamo originariamente l'Essere, e non questo o quest'altro essere quale si presenta condizionato dalle determinazioni della sensibilità, bensì l'Essere assoluto, infinito, necessario, eterno, perfettissimo, insomma Dio. Se i filosofi in passato si sono divisi nel ricercare gli uni la «prima idea» e gli altri la «prima cosa», «io - scrive Gioberti - chiamo Primo psicologico la prima idea, e Primo ontologico la prima cosa, ma siccome la prima idea e la prima cosa, al parer mio, s'immedesimano tra loro, e perciò i due primi ne fanno uno solo; io dò a questo principio assoluto il nome di Primo filosofico e lo considero come il principio e la base unica di tutto il reale e di tutto lo sci bile».

Potrebbe sembrare che l'ammissione di un intùito in virtù del quale lo spirito umano sta originaAccuse di riamente in immediato rapporto con l'Essere e, panteismo per così dire, in esso «insiste», conduca alla can-

cellazione della distanza che separa il finito dall'infinito, e pertanto faccia ricadere in quell'errore del panteismo che tanta suggestione aveva sempre esercitato sul giovane abate. Rosmini, di questo lo avrebbe accusato nella risposta alle sue critiche, contenuta nel saggio del 1846 su Vincenzo Gioberti e il panteismo. In realtà è presente nell'Introduzione un concetto, quello di creazione, che sembra mettere al sicuro dai pericoli del panteismo. L'Ente che si rivela all'intùito della mente, a questa si rivela in quanto creante le esistenze, sicché queste scaturiscono da Dio, non già quali sue necessarie emanazioni - come inse. gna Spinoza «il più terribile ed intrepido pantei- La cre~zrone: . ' , . garanzra contro sta che sta stato al mondo» -, bens1 quah creatu- il panteismo re della sua libera attività causatrice. Errore imperdonabile è confondere l'esistente con l'Ente,.attribuendo a quello la necessità che appartiene solo al secondo: solo Dio è, ed è necessariamente; le cose solo exsistunt, ossia escono fuori, emergono dalla potenza creatrice di Dio. E la creazione è olitico eg11 ora o a 1 a, non pm a speranze po 1t1c e 1 bensì a prospettive di ordine spirituale, filosofiche e religiose, che sempre più acquistano una dimensione escatologica. Come se volesse ritrarsi dal mondo reale per fissare lo sguardo nel futuro di una redenzione collocata al di là del tempo. Non pare, pertanto, che siffatti orientamenti potessero convincere facilmente Schelling ai programmi del patriarcale stato cristiano degli Hohenzollern. Sarebbe sbagliato, d'altronde, accreditare l'immagine di uno Schelling liberale. Ad impedirlo sta il fatto che egli avesse, in sostanza, salutato con sollievo la restaurazione antinapoleonica del 1814-15 e si fosse fatto sostenitore di una monarchia «temperata», chiusa ad ogni idea costituzionale moderna. I bagliori democratico-socialisti delle rivoluzioni del 1848 lo avrebbero addirittura gettato in un profondo sgomento. Quando Schelling tiene la sua prima lezione all'università, il15 novembre 1841, c'è tutta la Berlino dotta ad ascoltarlo, e persone venute da tutte le parti della Germania e d'Europa, volti noti e volti scano. . r sciuti destinati a gran notorietà, come quelli di Gli av~~~~:~~:~~~ Bakunin,. Engels, Burckhardt.' Kierkegaard .. Nonostante 11 grande successo d1 questa proluswne, numerosi sono i suoi avversari: gli hegeliani di stretta osservanza, teologi protestanti e cattolici legati alle rispettive ortodossie, gli esponenti del pensiero laico e liberale, i giovani hegeliani della «sinistra». Per la verità Schelling nutre la speranza di avere questi ultimi alleati nella battaglia contro la filosofia hegeliana: la sua critica di quest'ultima come filosofia prigioniera del concetto, puramente contemplativa e incapace di un qualunque contatto con il «vivente» e . l'esistenza reale e, viceversa, la sua proposta di Il rapporto coi .1. . . una f'l1 osof'1a capace d'1 conc1mre «carne» e IIQIOValll 'd . . 11 l , .1 d' hegelianh> «l ea», e restltmre a a vo onta 1 potere 1 costruire il «futuro», gli sembrano condizioni sufficienti per attirarsi le simpatie dei giovani hegeliani. Questi stessi, o quantomeno alcuni di loro, mostrano inizialmente qualche interesse per la nuova filosofia schellinghiana. Molto presto, peraltro, si sarebbe dissipato l'equivoco, e le opposte intenzioni si sarebbero chiarite:

mentre Schelling, scoprendo l'indeducibilità logica dell'esistenza, ne propone un'interpretazione religiosa, onde la volontà creatrice del nuovo è prima di tutto quella di Dio e il futuro quello escatologico, i giovani hegeliani sono immersi in una visione immanentistica dell'esistenza, e il futuro e l'azione costruttiva cui guardano sono interamente ed esclusivamente umani. Il successo dell'insegnamento berlinese di Schelling non era, d'altronde, destinato a durare a lungo. Già agli inizi del 1842 gli entusiasmi si sono assai ridimensionati e l'ultimo corso da lui tenuto, nel 1845-46, sarebbe stato seguito solo da una trentina di studenti. Le ambiziose speranze di rinnovare il mondo erano ormai fallite. Sarebbe venuta la grande crisi del 1848 e Schelling, terrorizzato dal nascente egualitarismo socialista, ne avrebbe tratto una duplice lezione. Da una parte, avrebbe radicalizzato in senso sempre più conservatore il proprio pensiero politico, al punto di sostenere la necessità di adottare da parte degli stati tedeschi dure misure repressive nei confronti degli agitatori rivoluzionari, in nome del compito di guida e di controllo dell'intera organizzazione esteriore della vita degli uomini da parte dello stato. Dal- 111848 l'altra, egli si sarebbe consolidato nella convinzione che l'unica rivoluzione possibile è quella interiore, e che dunque gli spiriti migliori debbano lasciare la politica agli «esperti» e occuparsi, piuttosto, dei superiori interessi dello spirito. È con questo segno di aristocratico raccoglimento in se stesso, e in una ininterrotta e affannosa ricerca di compimento della propria filosofia, che si può dire si concluda la vita di Schelling. Essa avrebbe avuto fine bruscamente nel 1854, nei silenzi alpestri di Ragaz, una piccola stazione climatica svizzera. Il suo ultimo messaggio ai tedeschi è l'eloquente testimonianza di quell'aristocratico individualismo da «spirito superiore», che lo aveva caratterizzato fin da quando, allo Stift di Tubinga, si era affacciato sui grandi avvenimenti del tempo: «Lasciate pure che vi si accusi di essere un popolo impolitico, perché la maggioranza di voi preferisce, piuttosto che governare, essere governata ... voi, che considerate maggior fortuna che vi si lasci l"otium' ... ; lasciate che .. vi si neghi spirito politico, voi che, come Aristotele, Uno 11~prnto ritenete che la prima funzione dello stato sia di garanti- supenore» re l"otium' ai migliori ... E, per concludere, sia il maestro di Alessandro Magno a dirvi: anche quelli che non imperano sulla terra e sul mare possono compiere opere belle ed eccellenti».

251

Capitolo ='-"c.c.~-::-:2:"-''

13

----ccLc_c:::]

L'ultimo Schelling (1809-1854): tra luce della ragione e oscuri abissi teosofici L'influenza che per lungo tempo gli schemi interpretativi di marca hegeliana hanno esercitato sulla ricostruzione della storia dell'idealismo postkantiano, ed in particolare sugli studi schellinghiani, ha impedito una equilibrata valutazione dell'ultimo Schelling, che solo a partire dalla metà del nostro secolo è diventato oggetto di un nuovo ed acceso interesse storiografico; così acceso da finire col mettere in secondo piano la prima produzione schellinghiana e, in particolare, la filosofia della natura. La polemica antihegeliana dello Schelling della filosofia positiva, e l'affermazione dell'indeducibilità logica dell'esistenza dovevano rappresentare, in un ambiente culturale dominato dalle filosofie esistenzialistiche, ottimi motivi per una Schelling-Renaissance. Non è senza significato che della filosofia positiva dovessero occuparsi filosofi come Jaspers (v. cap. 20**) e Marcel (v. cap. 21 **• par. 4). L'interesse per l'ultimo Schelling non è stato peraltro limitato a quest'ambito particolare della cultura filosofica novecentesca; esso ha coinvolto anche settori importanti della teologia- un solo esempio, P. Tillich (v. cap. 26**• par. 2.5)- e, perfino, un esponente del pensiero marxista come Bloch (v. cap. 24**• par. 6), il quale, per la verità, costituisce un'eccezione all'interno di una tn~dizio­ ne di pensiero che, dal giovane Engels a Lukàcs (per quest'ultimo, v. cap. 24**• par. 5), si è mostrata avversa a Schelling, come al campione di una filosofia irrazionalistica e reazionaria. In Italia c'è stato un vivo interesse per l'ultimo Schelling da parte di studiosi cattolici, come Bausola e Pareyson, mentre altri, come Semerari, hanno mantenuto la convinzione che il centro ispiratore del pensiero schellinghiano continui ad essere, anche nelle sue ultime espressioni, la filosofia della natura. Si suggeriscono le seguenti letture: A. Bausola, Metafisica e rivelazione nella filosofia positiva di Schelling, Vita e pensiero, Milano 1960; id. F. W.J. Schelling, La Nuova Italia, Firenze 1975; L. Pareyson, Lo stupore della ragione in Schel/ing, in AA.VV., Romanticismo, esistenzialismo, antologia della libertà, Mursia, Milano 1979, pp. 137-180; G. Seme rari, Introduzione a Schelling, Laterza, Bari 1971; G. Lukàcs, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1959, pp. 154-194.

252

'• r_~

Capitolo

14

.... ,,,,,.,,,, .. ,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,;;:::=:::::::::::=::::::;::;:=::::::;:;;;;;;;:::::::::::::iiiiiiliiii!iiiiiliiiiililifliiiiilili'iiliiiiliiiiiili!iii'iiliiliiiiiiiii!iiiiiiii'iliiillliiiiillliiliiililiiiiiiiiiliiillliiiiiiPHl:ii!!!'''''''·····

Kierkegaard (1813-1855):

l

Una biografia simbolicamente trasfigurata l rifiuto di confondere due piani del tutto diversi ed escludentisi come quelli del pensiero e dell'esistenza, è comune, come abbiamo cominciato a vedere, a tutti i pensatori che, pur diversissimi tra loro, intervengono nel complesso processo di crisi e dissoluzione dell'hegelismo - Herbart, Schelling, Schopenhauer, Feuerbach, Stirner, Marx. Esso è al centro anche della meditazione del filosofo e teologo danese Kierkegaard e della sua ribellione alla filosofia hegeliana. Egli, peraltro, si distingue da tutti questi altri autori per due aspetti che, tra loro strettamente intrecciati, rendono inconfondibile e assolutamente originale la sua opera. In primo luogo pone al centro del proprio discorso l'esistenza dell'uomo intesa come singolarità irripetibile, come «eccezione» che rifiuta di essere sacrificata allo «spirito di sistema», di essere risolta in una qualsivoglia determinazione universale, a cominciare dall'hegeliana «storia universale» che, con la sua onnicomprensività, pretende di esaurire in sé il tutto, facendo del singolo uomo come il trascurabile paragrafo di un libro. Le filosofie speculative, con la loro pretesa di impadronirsi della realtà della vita, irreten' . Lesmtenza d l ll . l . .d . . come o a ne e astratte artico azwm e1 concetti, prosingolarità prie dell'oggettività scientifica, si lasciano sfuggire di mano ciò che più conta per ognuno di noi, la nostra soggettività singola e personale. Non queste filosofie, ma solo quell'assolutamente «altro» dalla filosofia che è il cristianesimo, è capace di fondare e giustificare l'io individuale di ogni uomo, offrendogli la verità che salva, cui aderire personalmente ed appassionatamente. A Kierkegaard non interessa la verità impersonale e oggettiva: «La verità è una verità solo quando è una verità per me». Non si potrebbe essere più lontani da Hegel che, come sappiamo, aveva escluso dalla filosofia ogni accenno autobiografico.

Contro di lui scrive sarcasticamente Kierkegaard: «Un pensatore erige una costruzione enorme, un sistema che comprende tutta l'esistenza e tutta la storia del mondo, - e quando si guarda alla sua vita personale si scopre con stupore il fatto terribile e ridicolo che egli stesso, personalmente, non abita in questo enorme palazzo ad alte volte, ma in un granaio accanto, o in un canile, o tutt'al più in portineria. Se uno si permette, con una sola parola, di far notare questa contraddizione, egli si offenderebbe, perché l'essere in errore egli non lo teme, purché venga a capo del suo sistema - servendosi a questo scopo dell'essere in errore».

A questa esasperata sottolineatura della soggettività individuale si accompagna - ed è l'altro aspetto singolare del pensiero kierkegaardiano - un modo di comunicazione che intreccia la riflessione filosoficamente elaborata col racconto simbolico, l'aneddoto, l'episodio attraverso cui si adombra una tesi filosofica o teologica. Alla trasmissione oggettiva del sapere, alle categorie astratte del pensiero puro dei filosofi di professione, Kierkegaard contrappone un linguaggio ~h e esplora stati. d'anim?,. inq_uietudini~ d.ubbi, Una mcarnando espenenze spmtuah, scelte d1 v1ta, le comunicazione diverse possibilità esistenziali, in figure lettera- esistenziale riamente molto efficaci e in personaggi d'invenzione o tratti dai testi biblici e dalla storia della cultura, come Don Giovanni di Mozart, Giovanni il seduttore, Vietar l'Eremita, l'assessore Guglielmo, Abramo, Giobbe. Si tratta di una comunicazione esistenziale che si propone, non già di informare o di insegnare un sapere già costituito e cristallizzato, bensì di educare, costringendo il lettore a mettersi in discussione, provocando in lui riflessioni non convenzionali e scelte personali che comportino responsabilità e rischio. Anche qui, contro Hegel, che aveva ironizzato sulle filosofie edificanti, egli dichiara il proprio disinteresse per una filosofia che non sia comunicazione di

253

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

una verità che edifica, e che dunque non si traduca in dire: forse la maledizione che il padre, povero fanciullo passione esistenziale, coinvolgimento soggettivo dello guardiano di pecore, avrebbe lanciato contro Dio nella scrittore e del suo lettore. desolata pianura dello Jutland, accusandolo di non Non potremmo dunque occuparci del pensiero di averlo soccorso nella miseria e nella sofferenza; o forse Kierkegaard senza riferirei insieme alla sua vita, tanto la «colpa di Betsabea», l'aver sedotto, pochi mesi dopo più che alcuni episodi fondamentali di questa, per il la morte della moglie, la domestica, divenuta poi la sua resto povera di avvenimenti esteriori, vengono ad assu- seconda moglie. Quel che importa è il sentimento di mere lo spessore di veri e propri grandi miti che irrom- sgomento e di morte vissuto da Kierkegaard, un torpono negli scritti kierkegaardiani; proponendosi, pur mento che viene però anche interpretato da lui come nel mantenimento della loro irriducibile singolarità, segno di «eccezionalità», di un destino ad una vita come significati universali trascendenti la mèra dimen- spirituale superiore. sione autobiografica. Anche il rapporto con la giovane fidanzata è vissuSoren Aabye Kierkegaard era nato nel 1813 a to in modo drammatico, nel segno dell'ambivalenza Copenhagen, «figlio della vecchiaia», da un agiato psicologica e del sentimento doloroso di un'impossibile commerciante di 56 anni che dalla domestica di casa, possibilità. Attratto dalla grazia e dall'innocenza 11 · del'1z10sa · f ancm · 11 a d'lCIOttenne, · rarlpot1o con sposata in seconde nozze, aveva avuto sette figli, quasi d1. Regma, apparte- Regina tutti destinati a morire in giovane età. Soren, l'ultimo nente all'agiata borghesia della città, con la sperannato, viene educato dal padre Michael, appartenente za di potersi realizzare con lei in una serena vita «noralla setta dei Fratelli Moravi, ad una cupa religiosità che male», Kierkegaard le chiede di fidanzarsi con lei, «ma avrebbe segnato profondamente l'animo del fanciullo -come egli scrive- il giorno dopo vidi nel mio intimo, e del giovane, destinandolo ad una malinconia che che avevo sbagliato». La sua malinconia, il suo animo Una cupa . di «penitente» non gli consentono l'amore per la donna religiosità Sl sarebbe andata accentuando nel tempo. Per e il matrimonio. Anche in questo caso Kierkegaard si familiare accondiscendere alla volontà paterna Kierkegaard segue con scarso entusiasmo gli studi di teologia esprime attraverso misteriose allusioni, che vanamente all'università di Copenhagen, attratto dalla poesia, dal- hanno fatto sbizzarrire la fantasia degli interpreti: egli la filosofia e dagli ambienti mondani della città che parla di una «spina nella carne», che gli impedisce di frequenta con l'atteggiamento dissipato del giovane realizzarsi pienamente nel mondo: con essa si allude dandy, amante dell'eleganza e dei raffinati piaceri della certamente ad una sofferenza psico-fisica, probabilvita. È solo dopo la morte del padre che egli sente il mente ad una incapacità di vivere pienamente il probisogno di riprendere gli studi, che conclude con la prio corpo, di aderire a quelle forze vitali, che costituidiscussione nel 1840 di una tesi Sul concetto di ironia scono la base animale dell'essere umano. con particolare riferimento a Socrate, che sarebbe stata Ma, al di là di questo, è una diversa «chiamata» pubblicata l'anno successivo. che gli sbarra la strada del matrimonio, la consapevoIl rapporto col padre, il fidanzamento con Regina lezza dell'impossibilità di poter conciliare vocazione Olsen e la sua drammatica rottura, sono le vicende della religiosa e vita nel mondo. L'autentica religiosità crisua vita privata che, trasfigurate fantasticamente, . stiana non è compatibile col rapporto cmi una fanciulla avrebbero rappresentato la sorgente esistenziale di tutta immersa nella vita immediata, nella sfera del quella carriera di scrittore cui egli, «rentier» privo di finito e del temporale, priva di vere preoccupazioni qualunque preoccupazione economica, avrebbe dedi- religiose: cato interamente la propria breve esistenza. «Ciò che per lei non ha alcun significato, o un significato Il senso di colpa e il rimorso che alimentano la solo esteriore, temporale, ha per me un significato eterno». religiosità del padre, trovano la spiegazione nella drammatica scoperta che il figlio fa di una misteriosa colpa )(come Dio ha chiesto ad Abramodi sacrificargli il paterna e di cui egli parla nel suo Diario come di un figlio, così ora a lui chiede di rinunciare a Regina e ad «gran terremoto» che ha sconvolto per sempre il suo una vita di felicità, e di «dargli la precedenza>~t. Dopo il animo: travaglio di lunghi mesi di sofferente incertezza, egli restituisce l'anello alla fanciulla nell'agosto del1841, «Fu allora che io ebbi il sospetto che l'avanzata età di mio appena un anno dopo l'inizio del fidanzamento. E a padre non fosse una benedizione divina ma piuttosto una maRegina che, innamorata, non accetta la sua decisione, li rapporto col ledizi~~e ... Allor~ io sentii ~l silenzio della morte eread scermi mtorno; mw padre mi apparve come un condan- tenta in tutti i modi di apparire con la maschera odiosa 11' re nato a sopravvivere a tutti noi, come una croce funerea del cinico e dissoluto seduttore che ha voluto prendersi piantata sulla tomba di tutte le sue proprie speranze. Qualche gioco di lei, in modo da distaccarla da sé con il minimo colpa doveva gravare sulla famiglia intera, un castigo di Dio possibile di sofferenza per lei. Divenuta definitiva la vi pendeva sopra: essa doveva scomparire, rasa al suolo dalla divina onnipotenza, cancellata come un tentativo fallito ... ». separazione - Regina si sarebbe sposata qualche anno dopo con un antico spasimante da cui avrebbe avuto Di quale terribile peccato si trattasse non è facile figli e serenità -, Kierkegaard trasfigura a poco a poco

254

SEZIONE SECONDA. CONTRO E OLTRE HEGEL CAPITOLO 14

il rapporto con l'amata, trasferendolo dal piano mondano a quello invisibile dell'eternità, come se da Dio . gli venisse restituita una Regina «celeste» cui letrasl~~~~~;: ~ar~i. C?n i vin~oli spiritu~li di un «matrimoni? mv1s1blie». Egh pensa a le1 come alla sua «iettnce previlegiata», ne farà il punto di riferimento ideale degli scritti del cosiddetto «ciclo di Regina»; a lei dedicherà gli scritti edificanti e, morente, le lascerà le sue carte. Al rapporto con Regina, al fallimento dei suoi progetti matrimoniali Kierkegaard deve la definitiva presa di coscienza della propria «diversità», del proprio essere un' «eccezione», della propria vocazione di scrittore impegnato nella difesa di un cristianesimo paradossale, inconciliabile con le attrattive della sfera mondana. Subito dopo la rottura del fidanzamento, Kierkegaard parte alla fine del 1841 per Berlino dove intende seguire l'insegnamento del vecchio Schelling, impegnato nella battaglia antihegeliana. Il suo incontro con Hegel era stato, in un primo tempo, mediato dagli interpreti danesi e tedeschi e, del resto, la teoloAscuola da · 1 · · Il' · · ' d· C Schelling gm specu atlva msegnata. a umvers1ta 1 _openhagen era largamente mfluenzata dal pensiero hegeliano; ma dal 1838 al 1841 egli aveva iniziato la lettura diretta delle opere del filosofo tedesco, rispetto al quale la contrapposizione era stata, fin dall'inizio, globale. Egli parte, dunque, per Berlino con grandi aspettative nei confronti della «filosofia della rivelazione» schellinghiana. Ci sono rimasti i documenti dell'iniziale entusiasmo per Schelling come della rapida delusione e del definitivo distacco. Dopo aver ascoltato la seconda lezione del vecchio maestro, la gioia è incontenibile: «Quando ha pronunciato la parola 'realtà' nel rapporto della filosofia con la realtà, il frutto del mio pensiero è balzato in me di gioia, come nel seno di Elisabetta. Mi ricordo

Il mondo intero gira attorno a Kierkegaard,

ìn una caricatura contemporanea.

quasi ogni parola detta a partire da quel momento. Di qui può venire, forse, la chiarezza. Proprio quella parola che mi ricordava tutte le mie sofferenze filosofiche, le pene ... Ora ho posto tutte le mie speranze in Schelling».

Ma la filosofia positiva ben presto lo delude, essa non sa dare ciò che promette, appunto l' «essere reale»; si tratta ancora di speculazione, magari anche più verbosa ed evanescente. Scrive Kierkegaard: «Appena Schelling finisce torno a casa ... Ho lasciato perdere completamente Schelling ... chiacchiera a ruota libera».

E ancora: «Schelling ciancia in modo assolutamente insopportabile .. . Io sono troppo vecchio per ascoltare lezioni, ma Schelling è troppo vecchio per darle: tutta la sua dottrina tradisce la più alta impotenza ... Credo proprio che se fossi rimasto ad ascoltare Schelling avrei potuto rimbecillirmi ... ».

Di lì a poco avrebbe scritto: «Quando si sentono i filosofi parlare di realtà, si è tratti in inganno come dal leggere un cartello nella vetrina di un rigattiere: 'Si stira biancheria'. Ma sbagliereste a portar qui per questo i vostri panni. Si vende solo il cartello».

Tornato a Copenhagen, si sprofonda in un intensissimo studio che ha nei primi grandi scritti del 1843 il suo splendido sbocco: Aut-Aut, un frammento di vita

edito da Vietar Eremita; Timore e tremore. Lirica dialettica di Johannes de Silentio; La ripetizione. Un tentativo di psicologia sperimentale di Constantin Constantius. Come si vede si tratta di scritti firmati con pseudonimi, come se Kierkegaard non se ne volesse assumere direttamente la responsabilità. Il fatto è che, in tal modo, egli può presentare diverse possibilità di esistenza e contrastanti scelte di vita, immedesimandosi, sì, in esse e descrivendole nei più minuti particolari, ma al tempo stesso senza attribuirsene direttamente la paternità, creando un distacco e negandosi all'identificazione. Come se in queste possibilità . .. e scelte Kierkegaard individuasse un aspetto del- Gh tJseudonnm la propria personalità, senza, per altro, potersi riconoscere pienamente in nessuna di esse. È questo il procedimento della comunicazione indiretta, che presiederà anche alla pubblicazione degli scritti successivi tra il 1844 e il 1850. Solo degli scritti edificanti, che avrebbe composto ininterrottamente dal 1843 alla morte, Kierkegaard si riconosce l'autore, pubblicandoli col proprio nome: si tratta non propriamente di «sermoni» che vengono pronunciati da chi ha un ruolo e un'attività precisa nella Chiesa, ossia dal pastore - come rinuncia ad essere marito, così Kierkegaard rifiuta anche la carriera ecclesiastica -, bensì di discorsi attraverso i quali, in forma dimessa e non ufficiale, egli esprime le sue meditazioni sulle pagine bibliche, in uno stile vicino alla tradizione pietista, con lo scopo dichiarato di suscitare nel lettore raccoglimento, pace, serietà di propositi.

255

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

«Aut-aut»: estetica ed etica ià nella tesi di laurea Sul concetto di ironia si presentano alcune tematiche che saranno riprese e sviluppate negli scritti del 1843. In essa Kierkegaard intende mettere radicalmente in discussione il romanticismo come atteggiamen·to di fronte alla vita, attraverso la critica della sua concezione dell'ironia, che egli ritiene costituirne l'el . lemento centrale. Facendo riferimento in partiromani;~~~: colare a F. Schlegel e alla sua Lucinda, egli sostieironia socratica ne che l'ironia romantica, in quanto rifiuto del limite, affermazione di onnipotenza del soggetto che si libra infinitamente al di sopra delle proprie stesse creazioni, di volta in volta sperimentate, e sempre dissolte, perché sempre dichiarate insufficienti e insignificanti, rappresenta una completa assenza di serietà, un prendersi gioco della realtà che non può che condurre ad esiti nihilistici. Fortemente influenzato in questa critica severa del romanticismo da Hegel, che già aveva combattuto l'estetismo romantico, Kierkegaard contrappone alla non-serietà dell'ironista romantico nei confronti della vita, l'ironia socratica, orientata in direzione dell'impegno etico. Si viene, infatti, già profilando un motivo che sarà fondamentale nelle successive analisi dell'esistenza, quello della necessità della scelta cui l'esteta romantico viceversa si rifiuta. Già da ora il termine estetica viene adottato non solo e non tanto per indicare la riflessione sull'arte, quanto soprattutto per denotare un atteg&iamento nei confronti della vita. E in Aut-aut, il suo primo capolavoro, che Kierkegaard contrappone due compiute forme di esistenza, appunto quella estetica e quella etica. Le figure esemplari della sfera estetica si presentano come totalmente rivolte ad una raffinata ricerca del piacere che si presenta nell'attimo fuggevole, e la vita appare loro come un'avventura in cui «ciò che conta è godere». Kierkegaard si rivela raffinato fenomenologo della vita estetica che, indubbiamente, esercita su di ' . L es1s1enza l . . . una 10rte ., estetica m, nonostante n'f'mt1. d'11'dentt'f'tcarvtst, carica di attrazione, tanto che alcuni studiosi ritengono che la descrizione che egli ne fa sia in grandissima parte autobiografica. Egli distingue due tipi di avventura estetica che incarna nella figura del Don Giovanni mozartiano e in quella di Johannes il seduttore, presentate in due saggi della prima parte di AutAut, rispettivamente Gli stadi erotici immediati ovvero l'erotico musicale e il Diario di un seduttore. Don Giovanni rappresenta il seduttore «carnale»: questi gode della presenza e del possesso fisico della . . donna ed è espressione della prorompente, sanguiDan GIOVannl . . , d' .l . . . gna vtta1tta 1 cm a mustca mozarttana espnme potentemente con i suoi ritmi di danza il desiderio

vittorioso e la forza sensuale. Sempre in movimento alla caccia di una gonnella, Don Giovanni non ha storia; l'immediatismo del suo desiderio fa sì che questo si ripeta sempr6 uguale e sempre vittorioso come una forza della natura, di esperienza in esperienza, nell'amore mai esclusivo per una donna, ché Don Giovanni in ogni donna ama sempre e soltanto la donna. Altra è la modalità di seduzione e di piacere estetico esercitata dal seduttore del Diario, il quale gode della realtà solo mediatamente, vivendola nell'immaginazione e nel ricordo. Si tratta di un seduttore «cerebrale», che ama trasferire il gioco dell'amore in una dimensione tutta psicologica: a J ohannes non in11 teressa possedere fisicamente Cordelia - la fan- Di~~~uttore del 1 ciulla diciassettenne del Diario di un seduttore quanto goderne esteticamente e intellettualmente riducendola ad oggetto di vagheggiamento erotico, incantandola con le doti dello spirito, ma anche sconvolgendola col crudele dosaggio di impulsi appassionati e di improvvise freddezze, coll'arte sottilmente distruttrice dell'ironia. In questa raffinata dimensione della vita estetica, che preannuncia la stagione dell'estetismo decadente di fine secolo, la donna è inesorabilmente ridotta a mèro oggetto e la sua spiritualità- ma ne ha veramente una? - ha qualcosa della vita vegetativa: un fiore da cogliere, un frutto da assaggiare, insomma «un essere che esiste per altri esseri ... ». Quando, qualche d . un mtra . b'l . verz-. 1.a anna anno dopo, m 1 e d'talogo, I n vmo tas, inserito nello scritto sugli Stadi del cammino della vita pubblicato nel 1845, Kierkegaard avrebbe introdotto un gruppo di commensali, in una specie di dedizione moderna del Convito di Platone, a discorrere, nello spumeggiare dello champagne e della musica del Don Giovanni di Mozart, dell'amore e della donna, egli avrebbe confermato le sue pregiudiziali antifemminili. Motivo comune ai discorsi di tutti i commensali è che la donna, come l'amore, fanno parte del mondo dell'immediato e dell'irrazionale, confinati in una sfera ben lontana da quella dei valori spirituali. Abbiamo tratteggiato alcuni momenti dell'analisi kierkegaardiana dell'atteggiamento estetico. Dob biamo ora vedere perché esso sia destinato ad entrare in crisi e a preparare il passaggio ad altra dimensione, quella della vita etica. Il fatto è che l'esteta non può a lungo nascondere a se stesso la tragica inconsistenza Ila della propria vita, frantumata nella molteplicità L' . d'1 senso d'1 dest'den. che Sl. accen dono e resa esteta pnva dei aconti spengono di momento in momento, dissipata nell'inseguire infinite possibilità senza che mai ci si fermi su alcuna. Sicché l'assessore Guglielmo, che nella seconda parte di Aut-Aut impersona la scelta etica

256

SEZIONE SECONDA. CONTRO E OLTRE HEGEL CAPITOLO 14

può così rivolgersi all'uomo del piacere: «Sei spiritoso, ironico, buon osservatore, dialettico, esperto in piaceri, sai calcolare il momento, sei, secondo le circostanze, sentimentale o senza cuore, ma, con tutto questo, vivi sempre solo nel momento, la tua vita si disfa in una serie incoerente di episodi senza che tu possa spiegarla)).

L'esteta non è capace, infatti, di spiegazioni soddisfacenti «perché egli vive sempre solo nel momento, e ha una coscienza solo relativa e limitata di se stesso ... manca di limpidezza)).

Inutilmente egli tenterà di sfuggire al «rendiconto» della propria vita: «non sai che giungerà l'ora della mezzanotte in cui ognuno dovrà smascherarsi? Credi che si possa sempre scherzare con la vita? Credi che si possa di nascosto sgattaiolar via un po' prima della mezzanotte per sfuggirla? ... )),

Malinconia e disperazione glielo impediranno. Al momento in cui l'esteta, negli oscuri fondali del proprio animo, cerca di reprimere il nascente bisogno di raccogliersi in se stesso, fuori dalla dispersione del divertissement - nel senso che Pasca! aveva dato a questa parola - subentra in lui, irriducibile, la malinconia, vero e proprio «isterismo dello spirito», di cui egli stesso ignora il perché: «se si domanda ad un malinconico quale ragione egli abbia per essere così, cosa gli pesa, risponderà che non lo sa, che non lo può spiegare». Essa è il segno della vanità. di ogni cosa, della insostenibile dissipazione dell'esistenza, ma insieme anche la premessa per uscirne. Ma come si passa dallo stadio estetico a quello etico? La risposta dell'assessore Guglielmo è una sola: «dispera!». Se la disperazione accompagna comunque, in ogni momento, l'esistenza del seduttore, che ' . lui lo sappia o no, ciò che questi deve fare è di Dall estetiCa l' l l ' h' ) h' all'elica: la sce~ 1 ~r a vo ontdanamdepte, pe.rc e so ,0 c 1 assadisperazione pon amarezza e11a 1sperazwne puo comprendere il significato della vita. E non è che si debba disperare per qualcosa di particolare, semplice disappunto privo di verità e di profondità, bensì occorre disperare per se stessi, profondamente, totalmente: non si tratta di altro, infatti, che di partorire se stessi. Si compie, in tal modo, l'atto che discrimina l'uomo dell'eticità da quello del piacere: lo scegliere. L'esteta, in effetti, rifiuta di scegliere; la sua vita, considerata in profondità, appare come una non-scelta, una vita nell'indifferenza, un modo di eludere la decisione fondamentale che diventa costitutiva, in senso pieno, della personalità. Nell'atto, dunque, in cui egli sceglie di disperarsi, sceglie se stesso disperato, non più dunque nella propria immediatezza estetica, non come questo individuo casuale, bensì se stesso nel proprio eterno valore, «e allora per davvero si è fuori dalla disperazione».

1

Ha sbagliato la filosofia moderna fin da Cartesio, a pensare che il punto da cui partire per trovare l'assoluto sia il dubbio: se l'assoluto «sono io Dubbio 0 stesso nel mio eterno valore», allora il vero punto disperazione di partenza è la disperazione. E, infatti, la «disperazione è un'espressione molto più profonda e completa, il suo movimento è molto più ampio di quello del dubbio. La disperazione è l'espressione di tutta la personalità, il dubbio solo del pensierm).

In opposizione alla speculazione astratta dei filosofi che riducono l'uomo a pensiero impersonale e obbiettivo, e riservano l'accesso all'assoluto solo a chi possieda talento per pensare e dubitare, Kierkegaard pone con la disperazione l'intera personalità dell'uomo a base del cammino verso l'assoluto, sicché anche l'uomo più insignificante, e sia pure un'ingenua fanciulla, «che è tutto meno che un pensato re», possono disperare, e dunque salvarsi e percorrere quel cammino. Dobbiamo ora vedere a quale nuova condizione di vita conduca una scelta cosiffatta. Estetica ed etica ·/ non stanno tra loro -lo si è già capito - in un rapporto · di continuità, ma nemmeno in un rapporto di opposizione quale quello proposto dalla dialettica hegeliana, secondo cui i due opposti si conciliano in una unità \ superiore, nella quale e l'uno e l'altro vengono . conservati. La dialettica dell'esistenza, che non Et-et; a,ut-aut può giuocare con le dolorose opposizioni che si aprono 1 nella vita, comporta viceversa l'inevitabilità di una scelta radicale tra l'uno e l'altro dei due opposti, sicché essa si oppone alla dialettica dell'et-et che s'illude di poter sanare il dissidio con le astratte mediazioni del 1 concetto, proponendosi come la dialettica, drammati.,~ ca, dell'aut-aut. In effetti, in virtù della scelta etica l'uomo vive in una dimensione qualitativamente diversa: se l'esteta si risolve nell'attimo fuggevole, l'uomo etico s'innalza al di sopra di esso riappropriandosi costantemente del tempo attraverso la «ripetizione», la continuità riaffermata delle azioni e delle decisioni, la fedeltà a , . se stesso, la memoria della propria vita. Quanto L uomo etico l'esteta dissipa la propria personalità vivendo ai margini di se stesso nella frantumata molteplicità degli stati immediati, altrettanto costruisce la propria l'uomo etico, che si concentra in se stesso, nella propria interiorità raccolta e persuasa di sé. Ciò non significa, però, che l'io, scegliendosi nella propria interiorità possa prescindere dalle concrete determinazioni storico-esistenziali che lo costituiscono nella sua inconfondibile finitezza. La mia persona non potrebbe esistere se non come quell'individuo particolare, con quelle determinate qualità, collocato in quella particolare situazione umana e sociale, con alle spalle quella storia particolare. Peculiare della vita etica è di costituirsi come unità di universale e particolare, eterno e tempo, infinito e finito:

257

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

« ... chi vive eticamente esprime nella sua vita l'universale, diventa uomo universale, non per il fatto che si spoglia della sua concretezza (perché così si dissolverebbe proprio nel nulla), ma col vestirsi di essa e compenetrarla coll'universale».

della vita coniugale, riconciliando passione amorosa e virtù casalinghe attraverso l'infinitizzazione spirituale dell'umile finitezza della quotidianità. Ed in questo nuovo contesto viene ricondotta a nuovo significato la figura della donna: non più oggetto del piacere sensuale e del vagheggiamento este-

È vero, sì, che scegliersi eticamente significa pentirsi di fronte a Dio della propria finitezza immediata come di una colpa e, dunque, scegliersi fuori dal mondo, ma nello stesso istante significa anche scegliersi di ritorno nel mondo, per riassumervi in modo infinito la propria finitezza.

Don Giovanni

«Nel primo momento della scelta perciò la personalità avanza apparentemente nuda come il bambino dal grembo della madre; ma cosi non rimane e, nell'istante seguente, è concreta in se stessa a meno che l'uomo non compia un'astrazione volontaria. Egli diventa se stesso, proprio il medesimo di prima, fin nella particolarità più insignificante, eppure diventa un altro, poiché la scelta tutto compenètra e trasforma. Così la sua personalità finita diventa infinita con la scelta in cui egli sceglie se stesso in modo infinito». Erra il mistico che, scegliendo se stesso astrattamente, pensa di doversi esonerare dal mondo per mettersi in rapporto con Dio, dimentico di moglie, figli, amici e insomma di tutte le determinazioni della propria vita. La vita dell'assessore Guglielmo, acquista solidità e consistenza proprio perché le possibilità che ineriscono alla sua concreta realtà esistenziale vengono assunte - e riscattate - come compiti, doveri, responsabilità, cui assolvere sotto gli occhi di Dio: così egli è un marito che vive la fedeltà e la gioia coniugale, il senso del dovere, l'impegno del lavoro, la sollecitudine per gli amici. Se rimane fermo che il rapporto tra vita estetica e vita etica è quello radicalmente alternativo dell'autaut, e che tra l'una e l'altra c'è il salto della disperazione e del pentimento, ciò non significa però che manchino sottili elementi di transizione dall'una all'altra, al punto che lo stesso Kierkegaard, in una nota del suo Diario del 18 52, avrebbe definito la scelta dell'assessore Guglielmo come «godimento della vita con un'aggiunta etico-religiosa». E infatti il matrimo"' . nio, che in Aut-aut come anche, più tardi, negli dica e Sta d'1 del cammmo · della vzta, · assurge a lstltuzw· · · matrimonio ne-simbolo della dimensione etica, include in sé tanto un valore estetico quanto un valore religioso: esso non sarebbe infatti possibile eticamente se, da una parte, non fosse alimentato dall'inclinazione erotica, e dall'altra non fosse anche, insieme, «benedetto da Dio». In esso si uniscono in bella armonia terra e cielo, finito e infinito, tempo ed eternità. Contro l'estetismo romantico che aveva cantato la poesia dell'amore libero, spontaneo, avventura straordinaria che solleva gli amanti al di sopra di ogni codice giuridico e morale, l'assessore Guglielmo incarna ht figura a sua volta romantica dell'eroe coniugale che riscopre la poesia dell'amore nella prosa

258

ito e simbolo di quello stadio dell'esistenza individuale che Kierkegaard chiama stadio estetico, o del seduttore, è Don Giovanni: egli è il desiderio vittorioso, trionfante, è la potenza della sensualità, la forza cosmica inesauribile della seduzione carnale. Don Giovanni è l'eroe estetico per eccellenza, perché vive tutto nell'attimo: per lui tutto è affare d'un momento, e il momento si ripete all'infinito, come un insieme di variazioni musicali sopra un unico tema. Affascinante è l'analisi che Kierkegaard, nel suo

Enten-E/Ier, dedica al Don Giovanni di Mozart, l'opera di musica (1787) che ha reso immortale il personaggio del celebre libertino. Già Goethe - in uno dei suoi colloqui con Eckermann - aveva detto, a proposito del capolavoro mozartiano: «È una creazione musicale, l'assieme come il particolare, scaturita d'un sol getto da un solo spirito e permeata da un unico soffio di vita, che l'autore non ha composto a tastoni, sperimentando, spezzettando ad arbitrio, ma realizzando quanto gli imponeva lo spirito demoniaco del proprio

SEZIONE SECONDA. CONTRO E OLTRE HEGEL CAPITOLO 14

tizzante, essa viene restituita a dignità spirituale, poiché si rivela condizione necessaria al realizzarsi dell'etica. È la donna, infatti, che, in virtù del suo La donna e senso mnato · de11a f'm1tezza, · · d'1sce a11' uomo l'efca 1mpe 1 di perdersi nell'ansia dell'infinito, lo trattiene nel mondo, insegnandogli a conciliare il suo bisogno

di infinito con la finitezza della quotidianità. Il che, se riscatta la donna dalla «reificazione» cui l'aveva condannata l'esteta, è ancora ben lontano dal rappresentare una sua, sia pur incipiente, liberazione: essa si esaurisce interamente all'interno della famiglia, in un rapporto ancillare nei confronti dell'uomo.

1 Don Giovanni. 2 Donna Antonia, Donna Elvira e Don Ottavio, personaggi del Don Giovanni.

2

genio, dal quale era posseduto». Kierkegaard si muove sulla stessa linea di pensiero: per lui, il Don Giovanni di Mozart esprime l'idea stessa della musica, perché «la musica è il demoniaco». l Don Giovanni che, nel teatro di prosa, avevano preceduto nel tempo quello di Mozart e del suo librettista Lorenzo Da Ponte (L 'ateista· fulminato della Commedia dell'Arte, il Burlador de Sevilla di Tirso de Molina, il Dom Juan di Molière, per ricordare solo i principali) ragionavano e discutevano troppo sul palcoscenico. Il Don Giovanni di Mozart è una pura creazione musicale: la sua eterna vitalità sta nella sua essenza dialettica, nel contrasto continuo che, drammaticamente e musicalmente, oppone - e

lega insieme - il riso alle lacrime, la gioia al terrore. È stata una grandissima idea di Mozart quella di aver trattato il libertino (tutto sangue, fuoco e gioia di vivere) e il suo antagonista, il Commendatore (rappresentante dell'autorità, della serietà, della giustizia, sancite dalle leggi e dalle convenzioni) come due forze poste sullo stesso piano, che si affrontano in una lotta mortale. Un solo esempio, tratto dalla traduzione di Enten-EIIer di K.M. Guldbrandsen e R. Cantoni, varrà a dimostrare l'acume critico con cui Kierkegaard analizza la musica del Don Giovanni mozartiano, mettendone in rilievo quei significati (in modo paradigmatico, il tema dell'angoscia) che, per il pensatore danese, hanno valore decisivo:

ardito, sempre più sonoro, quello stesso accento che prima s'insinuava astuto, carezzevole e quasi spaventato, senza potersi fare strada. Così nella natura a volte si vede l'orizzonte buio, pieno di nubi; ... poi si vede all'estremo limite del · cielo, lontano sull'orizzonte, una folgore; veloce corre lungo la terra e nello stesso istante si spegne; poi appare di nuovo, cresce di forza, illumina momentaneamente tutto il cielo colla sua fiamma .... Come l'occhio in questo lampo percepisce l'incendio, così l'orecchio in quel colpo d'archetto «Non ardirò il tentativo morente intuisce l'intero assurdo ed infecondo di ardore. In quel lampo vi è tradurre la brevità energica e un'angoscia, è come se in vigorosa dell'ouverture in un quell'oscurità profonda esso linguaggio figurativo vago ed nascesse in angoscia. Così insignificante: voglio far è la vita di Don Giovanni. In notare un punto solo lui vi è dell'angoscia, ma dell'ouverture, e, perché il questa angoscia è la sua lettore mi comprenda, sono energia. In lui non è · costretto ad usare un'angoscia soggettiva e un'immagine, l'unico mezzo ragionata, è un'angoscia che abbia per mettermi in sostanziale. Nell'ouverture comunicazione con lui. non vi è quello che in Questo punto non è altro genere si dice, senza sapere che la prima apparizione di cosa si dica, disperazione; la Don Giovanni, il vita di Don Giovanni non è presentimento di lui, di quel disperata; ma è l'intera potere col quale egli più potenza della sensualità, che tardi prorompe. nasce dall'angoscia, e Don L'ouverture comincia con Giovanni stesso è questa poche note, profonde, gravi, angoscia, ma questa uniformi; poi, infinitamente angoscia è proprio il lontano, si sente un timido demoniaco desiderio di accenno che, come se fosse vivere. Dopo che Mozart ha giunto troppo presto, nello fatto così sorgere Don stesso istante viene Giovanni, ora la sua vita richiamato; finché, più tardi, si sviluppa incostante; si viene ripetuto, sempre più affretta verso il precipiziO>>.

259

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

L'irruzione del paradosso: la scelta religiosa ·,--[·.·.·

a tematizzazione, di qualche sapore hegeliano, della vita etica come possibile felice conciliazione tra mondo esteriore e interiorità, finito e infinito, persona e società, rappresenta un bre_ll! ve e instabile momento nel pensiero di Kierkegaard, destinato ad essere spazzato via dall'urgere irrefrenabile di una concezione paradossale e radicalmente antimondana del cristianesimo. Del resto quando, tra ill842 e il1843, egli lavora ad Aut-Aut, nella sua vita ha già trovato posto l'impossibilità della scelta matrimoniale e della condizione di pastore della Chiesa danese, in nome per l'appunto di una vocazione religiosa rivelatasi incompatibile con l'ispirazione cristiano-borghese della eticità. Già pochi mesi dopo la pubblicazione di AutAut, in Timore e tremore irrompe il tema della fede religiosa come «salto mortale» oltre la ragione e i principi dell'etica, come rapporto solitario del singolo con Dio, che non tollera più un qualsiasi riferimento all'universalità umana. L'armonia di individuale e universale, caratteristica dello stadio etico, si rompe e si annuncia quella incommensurabilità tra finito e infinito, destinata a diventare il tema cupo e devastante della più tarda religiosità kierkegaardiana. All'as11 5 811 •• ° sessore Guglielmo, serenamente inserito nel tranl 1 1 11 nmwe))(ea . ' subentra l' ar d'1lede qm'11'1zzante tessuto del l a soc1eta, mentoso e solitario «cavaliere della fede». Per delinearlo, Kierkegaard prende l'avvio dal testo biblico di Genesi 22, in cui viene presentata la «prova» di Abramo che si sente chiamato ad offrire in sacrificio il figlio Isacco, avuto proprio in virtù della promessa divina, la quale sembra dunque contraddire se stessa. Kierkegaard presenta il brano come caso tipico di rottura suprema di ogni umana logica. Nel suo cammino verso il monte del sacrificio, Abramo vive una solitudine vertiginosa, in cui sono spezzati tutti i legami e ogni forma di umana comunicazione, in rapporto assoluto con l'Assoluto in cui non si può entrare in «compagnia». La situazione è ben diversa da quella di Agamennone, «eroe tragico», che, nell'accettazione del sacrificio della figlia, Ifigenia, per il bene comune, attinge una forma di eticità più alta ed è confortato dal consenso e dalla comprensione del suo popolo. Abramo invece vive una situazione di «sospensione etiAbramo e d . d . l' . Agamennone ca>~:, etert?-man. o 11 suo rapporto con umversahta med1ante 11 suo rapporto con l'Assoluto (e non viceversa, secondo la via comune), si trova a dover lasciare dietro di sé non solo le leggi della socialità e dello stato, ma le stesse leggi morali più radicate e generali, come il «non uccidere», muovendosi in una terra di nessuno, ai limiti dell'assurdo. Attraverso >, e distingue tra l'angoscia precedente il primo peccato, condizione psicologica perché questo potesse essere posto, e le forme di angoscia che al peccato conseguono. Kierkegaard prende in esame l'angoscia al suo primo apparire in Adamo, prima del peccato. L'angoscia dell'Adamo innocente è generata da «nulla»: Innocenza e l ·· · ll' · angoscia d~ s~mtod umano, ancorah1mmerso nd~ 1gnoranz~ 1 se e . e11e cose, non a ancora 1 fronte a se «nulla» con cui lottare e appare come «spirito sognante», cui l'angoscia inerisce naturalmente. Così scrive Kierkegaard: «In questo stato è pace e quiete; ma c'è, nello stesso tempo, qualcos'altro che non è né inquietudine né lotta, perché non c'è niente con cui lottare. Allora, che cosa è? Niente. Ma quale effetto ha il niente? Esso genera l'angoscia. Questo è il profondo mistero dell'innocenza: essa è, nello stesso tempo, angoscia. Lo spirito, sognando, proietta la sua propria realtà; ma questa realtà è il niente, e questo niente l'innocenza lo vede continuamente fuori di sé».

L'angoscia è «vertigine della libertà». Il divieto biblico di mangiare i frutti dell'albero della conoscenza risveglia in Adamo la possibilità «concreta» della . libertà, in un intensificarsi dell'angoscia. Nello Angoscia e d' · d' d l"b r stato 1 mnocenza 1A amo entra ora un nuovo 1 era «nulla» che è la possibilità angosciante di potere, espressione più alta della forma precedente di angoscia, perché Adamo, pur non comprendendo il senso della frase «se ne mangerai, morirai», afferra l'idea di qualcosa di terribile:

bile dall' «ex-esistere» del singolo, «nudo» davanti a Dio. La differenza tra Adamo e gli altri esseri umani consiste solo in un aumento qualitativo dell'angoscia nella storia della specie. L'angoscia del peccato è realtà universale: essa è presente anche nel mondo pagano, sia pur nascosta e camuffata sotto l'idea del «cieco» destino, che equivale al «niente» da cui scaturisce la prima configurazione dell'angoscia. Nel contesto biblico, nel quale soltanto è possibile una piena consapevolezza del peccato, in relazione ad una rivelazione divina che si configura essenzialmente come offerta di salvezza, ogni volta che il peccato è posto, esso viene ad essere una possibilità tolta, realizzata, che pone, a sua volta, la possibilità di un ulteriore stadio: «per quanto sia profonda la caduta di un individuo, esso può cadere ancora più in basso e questo 'può' è l'oggetto dell'angoscia». È questo che Kierkegaard vuol dire, quando afferma che la possibilità è la più «pesante» delle categorie, e che la sua terribilità supera la realtà anche più terribile: «nella possibilità tutto è ugualmente possibile, e chi fu realmente educato dalla possibilità, ha compreso tanto il terribile quanto il piacevole di essa. Quando si esce dalla sua scuola si sa meglio di come un bambino sa l'abc che dalla vita non si ·può prendere nulla e che il terribile, la perdizione, la distruzione abitano porta a porta con La > che accentua all'estremo le contraddizioni dell'esistenza. Ciò su cui, semmai, Kierkegaard non è d'accordo con Lessing è quando questi sostiene che, se egli fosse 11 torto di st~to.contei?-poraneo. di Cristo e dei miracoli dei Lessing pnm1 temp1 della Ch1esa, avrebbe potuto aderire a dimostrazioni cosi evidenti dello spirito, mentre nel secolo XVIII, con l'unico dato disponibile del-

Kierkegaard al lavoro in un caffè, di C. Zeuthen (1843).

la Scrittura in cui sono riportati miracoli e profezie, una tale esperienza diretta è divenuta impossibile, con la conseguenza che tra verità meramente storiche e verità eterne la strada si rivela interrotta. Kierkegaard afferma, al contrario, che lo scandalo, la forza d'urto inerente alla proposta cristiana è identica nel XIX secolo come agli esordi del cristianesimo: avere vissuto ai tempi del Cristo, averlo visto e ascoltato non costituisce alcun vantaggio per il salto della fede. La rottura con l'immediatezza è ugualmente difficile in tutti i tempi, e la vera «contemporaneità» con Cristo è quella vissuta interiormente nell'istante in cui si decide se credere o scandalizzarsi. E questo istante appartiene ad un «tempo interno», ben diverso dal tempo empirico, quello della storia di tutti e di nessuno, successione infinita, fluire inarrestabile. Kierkegaard ironizza sui diversi tentativi di dare un fondamento oggettivo alla verità del cristianesimo: dall'idea che la fede possa essere il risultato delle ricerche storiche erudite sui testi della Bibbia e degli approfondimenti teologici, alla «prova dei secoli» come garanzia della verità del cristianesimo. Con veemenza egli afferma che in realtà diciotto secoli di tradizione cristiana «non hanno maggior forza dimostrativa di un giorno rispetto alla verità eterna che dev'essere decisa per una beatitudine eterna», e che un cosiffatto argomento può essere benissimo avanzato come prova della validità di altre religioni: «il maomettanesimo non dura forse da 1200 anni?». L'imbroglio Non solo, ma l'impiego dei diciotto secoli per delle ruove catturare il singolo al cristianesimo si rivela co- storiche del me un vero e proprio imbroglio anticristiano, cristianesimo giacché il cristianesimo non ha bisogno di alcun intermediario, e tanto meno dei milioni di cristiani transitati attraverso diciotto secoli, per mettersi in rapporto col singolo: «esso non vuole avere a che fare che con lui, e con lui soltanto, e così con ognuno in particolare».

269

l

l

PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

È in Scuola di cristianesimo del 18 50 che Kierkegaard approfondisce gli aspetti paradossali del cristianesimo relativamente alla figura di Cristo, mettendo in evidenza l'inseparabilità di fede e possibilità dello scandalo. Anche questo scritto, come La malattia mortale, è firmato con lo pseudonimo dì Antì-Climacus, il cristiano «in grado straordinario»; ma, a differenza de La malattia mortale che ha l'andamento di una riflessione ancora fortemente ancorata all'analisi psicologica e alla problematica filosofica, in esso è dominante una intonazione simile a quella degli scritti edificanti, proponendosi come un invito all'esercizio della vita cristiana. Al centro della meditazione kierkegaardiana c'è ancora il tema della fede come «farsi contemporanei al Cristo»: non al Cristo della gloria, che «siede alla destra del Padre», il cui ritorno non è ancora avvenuto, bensì al Cristo povero, umiliato, sputacchiato, ero-

cifisso, insomma sconfitto, che al profondo della sua ignominia, dice di essere Dio e chiede che si abbia fede in lui. Nulla in quest'uomo fa sospettare la F . divinità, nemmeno un indizio, sicché può essere ~o·anrtse1 • . lm,. o al Cristo» mporane1 oggetto so lo d1. f'ede: b'1sogna eredere m scandalizzarsene; non ci sono altre alternative. E avere fede in lui significa passare attraverso la possibilità di scandalizzarsi di lui e superarla, accogliendo in sé la folfia del cristianesimo, facendosi discepoli del Cristo attraverso l'imitazione della sua vita. Chi si sarà scandalizzato dell'uomo che, figlio dellegnaiolo e di una donna di nome Maria, dice di essere Dio, e di un Dio che appare degradato nell'uomo derelitto sulla croce, si potrà anche riconciliare con la ragione, con il mondo finito, con l' «ordine costituitm>; chi invece avrà creduto in quell'uomo e in quel Dio, lo seguirà nel cammino della derelizione, rinunciando al mondo, agli altri, a se stesso.

7 ................................................................ ,..... ,,,,,,,,,,, ........................................................... ,.......................................... ;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;; ;;;;;;•; ""'"' """""" "''"""'""'""''""'"

La lotta contro la «cristianità costituita»

~_·J-.=_·~. ~· .- · ~~~~{~\~~~~~e~: d!eu~u;~~~~fti:~ ~n~~~~~i ~~ conciliazione tra finito e infinito, Dio e uomo,

~ .:.•-. . .

. . ..·.·. ·. .·. .

affermazione dì immanenza e assolutizzazione della finitezza, il Cristo di Kìerkegaard, facendosi uomo, irrompendo paradossalmente nell'istante della fede, è segno dell' «assoluta differenza qualitativa» tra uomo e Dio e dell'incolmabilità della loro distanza. L'esistenza cristiana rifiuta ogni compromesso tra fede in Dio e vita mondana: Cristo è venuto nel mondo a portare la guerra, non la pace, e il segno del cristianesimo autentico non è l'et-et di chi vuole Amare Dio e odiare l'uomo «servire due padroni», ma l'aut-aut implacabile che insegna ad «amar Dio odiando l'uomo, odiando se stesso, e quindi odiando gli altri uomini, anche il padre e la madre, la moglie e il figlio». Questa religiosità kierkegaardiana così radicalizzata diviene il tema dominante e pressoché unico degli ultimi anni e raggiunge il suo culmine nella batta. t' . . glia che Kierkegaard intraprende, negli ultimi l.a cns 1am1a . d ll . l Ch'1esa danese e costituita mesi e a sua vita, contro a quella che egli chiama la «cristianità costituita», in nome di un cristianesimo ascetico dai tratti quasi impraticabili. Alla morte del vescovo Mynster, capo della Chiesa luterana danese (1854), i pubblici elogi tributatigli dal successore, il teologo hegeliano Martensen, che lo indicava come un «testimone della verità», scatenano la reazione di Kierkegaard. Tra il maggio e il settembre del 1855 egli pubblica a sue spese nove fascicoli di una rivista, Il momento, interamente .•

scritti da lui, in cui lancia terribili accuse contro l' «orribile menzogna pretesca» cui il cristianesimo è stato ridotto dalla Pl'edicazione della Chiesa ufficiale. L'estrema tensione provocata da una lotta così intensa, consuma le forze del fragile organismo di Kierkegaard: il 2 ottobre egli stramazza per la strada, privo di sensi, e un mese dopo muore, rifiutando i sacramenti offerti dal pastore luterano, cantando l' Alleluj a e ringraziando Dio del dono della «spina nella carne»·. La folla numerosa ai suoi funerali avrebbe mostrato come la sua polemica avesse avuto una insospettata eco e risonanza. Al di là dell'esasperazione parossistica delle accuse alla «cristianità», risulta efficace e corrosiva, per molti aspetti anche attuale, e non semplicemente limitabile alla tradizione cristiana della Danimarca o dei paesi protestanti, la denuncia del compromesso Chiesa-stato, di una cristianità di facciata, «titolo impresso sul dorso di una legatura vuota», «menzogna attaccata al cristianesimo come una ragnatela al fruttm>. Già il fatto che la Chiesa sia costituita di pretifunzionari che lo stato paga perché predichino il cristianesimo - è segno del miserabile inganno su cui si fonda la cristianità: «tra i vari servizi che lo stato offre ai suoi cittadini, come l'acqua, la luce, le strade, la sicurezza publica, c'è anche quello di un'eterna beatitudine nell'al di là, un'esigenza che lo Stato deve pur appagare ... ». E l'appaga attraverso dei preti che insegnano a conciliare il cristianesimo con le comodità e i piaceri della vita, suggerendo l'idea tranquillizzante che sia sufficiente essere cristiani «fino ad un certo grado»,

270

l

J

T l

SEZIONE SECONDA. CONTRO E OLTRE HEGEL CAPITOLO 14

senza esagerare, magari ad ore fisse di una giornata da spendere poi serenamente a mangiare, bere, fare figli e in tutte le altre «bricconate» della finitezza. E così «il modo di vivere che praticano i milioni di uomini costituenti la cristianità non ha nulla a che fare col Nuovo T.es~amento ·:· La. cristianità non è che il volgarissimo gioco d1 nmanere f1ssat1 nella sfera del finito e attribuirsi, insieme le promesse del cristianesimo». '

Scrive ancora Kierkegaard: «noi ... nella cristianità giuochiamo alla 'fede', giuochiamo ad essere cristiani. Siamo ben lontani dal rompere con ciò che l'uomo naturale ama; ce ne stiamo nelle nostre comode casette, nella cerchia della finità e chiacchieriamo tra noi delle promesse del Nuovo Testam'ento».

l

l

Questo non è cristianesimo, questo è paganesimo appena camuffato. In u~ mondo in cui, ormai, tutti sono cristiani, non c'è p1ù un solo vero cristiano, «il cristianesimo non esiste più!». Questa la paradossale conclusione cui approda Kierkegaard, lui l' «aspirante cristiano» che rivendica la necessità della rinuncia alla vita e della persecuzione come segno di autenticità cristiana, e insieme sa di esserne infinitamente lontano. La sola cosa per cui egli si sente diverso dai milioni di cristiani della «cristianità» è che egli di questa sa il terribile inganno, sa la tivialita' di una Chiesa trasformata in «bottega», dove si smercia il cristianesimo, «come se fosse birra». Per il resto, Kierkegaard non nasconde agli occhi dei suoi concittadini di contraddizi~~ Copenhagen le proprie contraddizioni anche dadell'uomo morose, a cominciare dalla dimensione estetica l> della filosofia hegeliana. Cristianesimo e panteismo e·

~~

udwig Andreas Feuerbach era nato a Landshut in Baviera nel 1804 in una famiglia della bor•.· ghesia intellettuale, costretta a frequenti carni~. biamenti di residenza dalla professione del pa~. dre, illustre giurista e magistrato. Compiuti gli studi secondari ad Ansbach, il giovane Ludwig studia dal1822 al 1825 teologia, prima ad Heidelberg e poi a Berlino. Fin da fanciullo egli aveva vissuto con grande intensità l'esperienza religiosa, e solo con gli inizi degli studi universitari comincia a distaccarsi dalla ortodossia religiosa. Infiammatosi di entusiasmo per la filosofia hegeliana, passa dagli studi di teologia a quelli di filosofia, segue le lezioni di Hegel impadronendosi rapidamente del suo pensiero, e conclude nel 1828 gli studi all'università di Erlangen, dove frattanto aveva dovuto trasferirsi. In questa stessa università insegna fino al1836 come libero docente, tenendovi periodicamente corsi di storia della filosofia moderna, ma la sua carriera universitaria era stata ormai irrimediabilmente compromessa dalla pubblicazione nel 1830 di quei Pensieri sulla morte e l'immortalità di cui s'è già parlato (v. CAP. 3), che lo segnalano come filosofo panteista e anticristiano. L'adesione di Feuerbach alla filosofia hegeliana si era caratterizzata fin dall'inizio per la sua spregiudicatezza e libertà, convinto com'egli era che si trattasse non di ripetere l'insegnamento di Hegel, «come se fosse il 'Pater Noster'», bensì di svilupparlo. Già nella lettera con la quale egli aveva inviato due anni prima al grande maestro la sua dissertazione per la libera docenza, Feuerbach scriveva che la filosofia hegeliana ha una volta per tutte superato la religione, . che questa è destinata a scomparire, sostituita 1811 Un h~gde~ ° dal «dominio unico della ragione» che non tollespregm 1ca1o , ra accanto a se nulla che pretenda essere una «seconda verità». Con una perentorietà che non poteva certo incontrare il consenso di Hegel- è significativo che questi lasciasse senza risposta la lettera -, il giovane Feuerbach afferma che «il cristianesimo non può essere considerato come la religione perfetta ed assoluta», dato che «questo può esserlo solo il regno della realtà dell'idea e della ragione», che dunque deve potersi diffondere nella vita dell'intera umanità, sostituendosi alla vecchia religione. Nei Pensieri sulla morte il cristianesimo nella sua forma moderna, ossia il protestantesimo, viene additato come la forma più estrema di soggettivismo che afferma il valore assoluto della «persona», del 1 Pensieri sul18 singolo individuo egoisticamente proteso a sepa1 mow . 1m. rars1. d a11 a total'1ta' e ad af~1ermare la propna mortalità. Si tratta di un atteggiamento che nasconde j.·.:

in sé un doppio significato: da una parte una considerazione pessimistica della vita terrena misconosciuta nella sua bellezza e disprezzata per la sua finitezza, dall'altra una incomprensione grave della realtà dello spirito universale, ridotto alla pallida immagine di un io personale posto fuori del mondo, estraneo alla natura ed alla storia, inefficiente e privo di significato. Al personalismo teistico cristiano Feuerbach contrappone la sua libera interpretazione dell'hegelismo: una specie di panteismo speculativo che afferma l'unità, l'universalità e l'infinitezza della ragione che pervade di sé, divino principio di vita, tutte le singole parti dell'universo. La morte rappresenta l'esperienza privilegiata scherzosamente Feuerbach dice che essa dovreb- L · «dottore a morte: un . h'1arata «d ottore m . f'l b e essere d1c 1 oso f'la» - m in virtù della quale ogni uomo sperimenta il supera- filosofia>> mento della propria effimera individualità e la restituzione del proprio essere finito all'infinità dello spirito universale. Pur essendo Feuerbach ben lontano dal qualificarsi come pensatore irreligioso, - egli anzi indica nel proprio panteismo idealistico «la filosofia che assume nell'uomo immediatamente la figura della religione» -, non c'è dubbio che la polemica anticristiana e l'affermazione della fine della religione continua. . d d l Inizia la 1otta ~o a rappres~ntare 11 fllo. con ~tt?re e suo pen- anticristiana s1ero gwvamle anche ne1 cors1 d1 Erlangen, raccolti nella Storia della nuova filosofia da Bacone di Verulamio a Benedetto Spinoza. Questa viene interpretata come progressiva liberazione dal cristianesimo e riconciliazione dell'uomo col mondo e con se stesso. Non potendo fermarci più che tanto su questo scritto, nel quale è evidente l'influenza dello schema hegeliano della storia della filosofia come progressiva rivelazione della ragione, ci limitiamo ad accennare a due aspetti che continueranno ad avere rilievo, sia pur in un contesto e con significati profondamente nuovi, anche nella maturità del pensiero feuerbachiano. Da una parte, la rivalutazione del protestan- n· • . l l . . 1va1utaz1one tes1mo, ne qua. e ora Sl scorge un m~mento 1m- del portante, propno per la sua natura d1 fenomeno protestantesimo religioso, nella storia della liberazione dell'umanità dal principio d'autorità e dall'ascetismo antimondano: la ribellione alla gerarchia della Chiesa, l'abolizione del monachesimo e del celibato dei preti, il rifiuto dell'antitesi cattolica tra «carne» e «spirito», la negazione che la verginità sia la virtù fondamentale, l'interiorizzazione dei dogmi, rappresentano un contributo notevole alla emancipazione umana e all'affermazione dell'immanentismo moderno. Questo - e ve-

284

ì SEZIONE SECONDA. CONTRO E OLTRE HEGEL CAPITOLO 15

niamo così al secondo aspetto che volevamo accennare - è destinato poi ad avere la sua enunciazione filosofica, ormai purificata dalle scorie della teo11 panteismo logia, nel panteismo verso cui si muove la filosoesito della filosofia fia moderna. Spinoza ne è da considerarsi il punto moderna d'approdo, per aver saputo esprimere filosoficamente l'unità di Dio e mondo, con il conseguente tramonto del Dio personale del cristianesimo. In uno scritto del 1837 su Leibniz, Storia della nuova filosofia. Esposizione, sviluppo e critica della filosofia leibniziana, Feuerbach presenta il primo filosofo tedesco moderno come colui che avrebbe compiuto l'ultimo, patetico tentativo, destinato al falliLeibniz: un • . filosofo mento, d1 tenere insieme teologia e filosofla, fede 11 patetico» e ragione. Come Tycho Brahe che tentava di conciliare sistema copernicano e sistema tolemaico,

Leibniz cerca di mettere d'accordo, soprattutto attraverso la dottrina dell'armonia prestabilita, il suo spirito autenticamente filosofico con l'idea cristiana di un Dio personale ed esterno al mondo. Il fallimento di questo tentativo e di tutta intera la «Teodicea» leibniziana doveva rappresentare l'ultima premessa alla definitiva scristianizzazione della filosofia moderna. E' significativo che, appena. un anno dopo la pubblicazione del Leibniz, Feuerbach dedicasse nel 1838 l'ultimo suo saggio di storia della filosofia a Pierre Bayle, lo scrittore scettico e antidogmatico che aveva fatto dell'irriducibile conflitto tra fede e ragione il tema centrale della sua critica filosofica:. Dopo di lui non c'è più spazio per sotterranei compromessi: la strada percorsa dal pensiero moderno conduce necessariamente al compimento della crisi storica del cristianesimo.

6.3

Verso la rottura con Hegel

·~ -'~ -: .·: _f.f:,.[_ -_.· :_

r.1

esofia l'annuncio della rappresenta fine della religione filospeculativa già unanella variante · ·· non secondaria dell'hegelismo di Feuerbach, ._~.,_.·'.-.;_. che lo distanzia sensibilmente dagli hegeliani " ortodossi, c'è anche un altro aspetto, già apparso nei saggi su Leibniz e su Bayle, che mette ancor più in evidenza l'eterodossia del Feuerbach hegeliano. Si tratta della individuazione della radice sentimentale della religione: se questa è incompatibile con la filosofia, lo si deve al fatto che essa attiene ad una sfera dello spirito umano, appunto quella del sentimento, che non ha nulla a che fare con la ragione, che è il fondamento della filosofia. Sotto la probabile influenza di Schleiermacher, Feuerbach si allontana dalla filosofia della religione di Hegel, che aveva inteso privilegiarne il carattere speculativo, teoretico, e . sviluppa una analisi genetico-critica della religio3 L• rnd,'c,e ne che, mutata di segno, sarebbe divenuta un sen1nnen a e ~' damentale deIl' ant1'hege l'1smo de11a sua della religione tema 10n maturità. La religione nasce come appagamento irrazionale dei desideri e dei bisogni pratici dell'uomo, e come tale non sarebbe in dissidio con la filosofia, che è disinteressata attività teoretica, pura contemplazione speculativa, se non fosse che essa tende a trasformarsi in teologia e, pur mantenendo le sue radici pratico-sentimentali, pretende di avere una portata teoretica concorrenziale a quella della filosofia. Ma mentre questa è attività puramente razionale e oggettiva che trascende la soggettività individuale, la teologia è falsa razionalità, espressione del soggettivismo passionale ed egoistico dell'individuo e del suo desiderio di felicità e di immortalità, come fin dai Pensieri sulla morte Feuerbach aveva messo in chiara evidenza.

La distanza di Feuerbach dagli hegeliani della «destra» è divenuta, ormai, incolmabile. Si capisce, pertanto, perché all'invito rivoltogli da Ruge nel 1838 di collaborare agli Annali di Halle egli risponda con una pronta adesione che segna l'inizio del suo legam'e con i giovani hegeliani della «sinistra». Egli aveva del resto, rinunciato ormai ad ogni ambizione acca- , . demica, nell'acquisita consapevolezza della in- L ~~eslone alla . pens1ero . con g11. onenta. IISIIliSitall compatl'b'l' 11ta, del propno menti della cultura ufficiale. Sposatosi nel 18 37 con Bertha Low, si era ritirato nella solitudine di Bruckberg, piccolo villaggio bavarese, dove avrebbe vissuto per ventiquattro anni, assorto negli studi, con la modesta pensione concessagli dal governo e i proventi di una piccola fabbrica di ceramiche, di cui la moglie era proprietaria. È proprio sugli Annali di Ruge che Feuerbach pubblica nel1839 i due scritti Filosofia e cristianesimo e, soprattutto, Contributo alla critica della filosofia hegeliana, che dovevano avviare il progressivo distacco da Hegel verso una nuova filosofia, in rotta con quella hegeliana. Nel primo di questi due saggi viene ripresa l'aspra polemica con la teologia, ed esplicitata la critica della filosofia della religione di Hegel. Di fronte a quella specie di Santa Alleanza filosofico-religiosa - come efficacemente è stata definita - che aveva visto unirsi in quegli anni in Germania teologi ortodos- 11 ~ra~nont~ del . . speculat1v1, . . p1et1st1, . . . h ege11am . . d'1 destra e cnstmnes1mo s1,. te1st1 seguaci di Schelling, tutti d'accordo nel tentativo di riaffermare il Dio trescendente e personale del cristianesimo, Feuerbach scatena la sua battaglia, sostenendo che proprio la teologia, col suo tentativo di dare un sostegno razionale alla fede, è la più eloquente testi-

285

1 PARTE PRIMA DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE AL TARDO OTTOCENTO

monianza del tramonto del cristianesimo che, finché è stato vitale, non ha mai avuto bisogno della ragione. Ora se ne tenta un'artificiosa rianimazione, rubando alla filosofia argomentazioni e procedure razionali, destinate a diventare nelle mani dei teologi ridicoli e insieme mostruosi sofismi, che non fanno altro che nascondere una sostanziale incredulità. Limite di Hegel, che ha consentito le interpretazioni cristiane della sua filosofia, è stato quello di accreditare una presunta natura concettuale della religione, facendo apparire i contenuti dogmatici della religione come conciliabili con la filosofia. Chi Contro la voglia - e Feuerbach lo vuole - sviluppare lo filosofia hegeliana della spirito autentico dell'hegelismo, al di là della sua religione lettera magari ambigua ed errata, deve chiarire che il Dio della filosofia è ben diverso dal Dio della religione: quest'ultimo è una creatura della fantasia, la quale costituisce proprio l'essenza della religione, e dunque è un Dio sensibile, personale, proiettato nell' «alto dei cieli», e invece il Dio della filosofia coincide col «Concetto generico di uomo». Feuerbach imputa ad Hegel di non averlo saputo dire chiaramente: «È stato rivolto ad Hegel il rimprovero che Dio sia solo un concetto generico, e in verità il concetto del genere umano. È solo da lamentare che Hegel stesso non abbia usato in modo sufficiente e preciso questa espressione».

Ma è Feuerbach a non rendersi ben conto che, coll'identificare Dio coll'uomo generico e astratto, ossia con l'essenza umana, egli si trova ormai, ad un . . . passo dal risolvere lo spirito universale di Hegel 1 !delnntlvo nel genere umano così come è dato empiricamendlstacco da l f · d · d · d ll Hegel te, con a conseguente uorusc1ta a1 qua n e a filosofia idealistica. Questo passo non avrebbe tardato molto a compierlo. Già nello scritto su La critica della filosofia hegeliana i conti con Hegel vengono fatti con ancor più stringente polemica, che assume l'intensità di un impatto frontale. In esso si mette in discussione il «metodo» della filosofia hegeliana e, più in generale, di tutta la filosofia idealistica da Fichte in poi, tanto che per molti interpreti si tratterebbe ormai del vero e proprio esordio del Feuerbach antihegeliano. Ma vediamo i vari livelli dell'incalzante critica feuerbachiana. In primo luogo viene messa in discussione la pretesa della filosofia hegeliana di essere la filosofia assoluta, «niente meno che la filosofia in persona», una specie di «giorno del Giudizio speculativo». Riprendendo il concetto di «genere» come universale umano, Feuerbach si chiede: ma è mai possibile «che il genere umano si possa realizzare assolutamente in un individuo, l'arte in un artista, la filosofia in un filosofo?».

Non è la stessa cosa che pensare che l'uomo di Nazareth sia il Messia, l'incarnazione di Dio? Strauss ha già dimostrato che questo miracolo è impossibile.

«La ragione ... non sa nulla di una incarnazione reale e assoluta del genere in una individualità determinata»,

giacché l'individuo, per universale che sia, è pur sempre una «testa ... contrassegnata da un naso ben determinato, sia esso aguzzo o camuso, sottile o grosso, lungo o corto, curvo o diritto». (

Chi pretende che nel sistema hegeliano sia contratta l'intemporale, assoluta verità, dimentica Se il tempo che continua a «una volta entrato nello spazio e nel tempo, ogni scorrere, allora ente deve anche adattarsi alle leggi dello spazio e del fiegel ha torto tempo il Deus Terminus sta come un guardiano all'ingresso del mdndo. La condizione per entrarvi è l'autolimitazione. Si prenda pure qualsiasi cosa che diventa reale - diventerà tale solo in quanto è un determinato. Una incarnazione del genere, in tutta la sua pienezza, in una sola individualità sarebbe un miracolo assoluto ... sarebbe di fatto la fine del mondo».

Non è un caso che i primi cristiani, per aver creduto nella incarnazione del Cristo, si attendessero, imminente, il Giudizio universale. Allo stesso modo, «se la filosofia hegeliana fosse l'assoluta realtà della idea di filosofia, allora l'arresto della ragione nella filosofia hegeliana dovrebbe avere come conseguenza necessaria l'arresto del tempo: perché se il tempo continuasse, come prima, il suo dolente cammino, la filosofia di Hegel dovrebbe immancabilmente perdere il predicato dell'assolutezza».

E così è: il futuro già incalza, e la filosofia hegeliana sta per essere una filosofia del passato, che presto sentiremo «come una costrizione esteriore, come un peso». In secondo luogo Hegel ha costruito un sistema filosofico totalizzante nel quale il pensiero puro pretende alla completa autosufficienza, rifiuta qualsiasi Contro la presupposto che non sia se medesimo, pone come filosofia come «cominciamento assoluto» il concetto di essere monologo del puro, così astratto e indeterminato da svanire nel pensiero nulla, e in tal modo la filosofia si risolve in un monologo del pensiero con se stesso da cui è escluso ogni riferimento alla realtà concreta. O, piuttosto, si pretende di escluderlo: in realtà Hegel non riesce in questo suo progetto di autofondazione della filosofia. A guardar bene, nella prima triade della Logica vengono assunti concetti e rappresentazioni che provengono, di sottobanco, dall'empiria, come quando si dice che «l'essere passa nel nulla, sparisce immediatamente nel nulla» o che «il divenire è l'unità inquieta di essere e nulla, e l'esserci è l'unità giunta a quiete». Lo «sparire», la «quiete» non sono forse rappresentazioni sensibili? e, allora, «che cosa stanno a fare, all'inizio?». Non è questa la realtà che si prende la rivincita su di un pensiero che presume di sé? A questa filosofia Feuerbach comincia già a contrapporre i primi elementi di un nuovo filosofare. Intanto il suo carattere «dialogico»: è necessario che

286

1 SEZIONE SECONDA. CONTRO E OLTRE HEGEL CAPITOLO 15

la filosofia ripari all' «assoluta frattura con la coscienza sensibile» perpetrata da Hegel, rinunci al monolo. . • • go con se stessa, si riapra al rapporto e alla verifiDia 1OQICIIa d ll d · l d' l d Ila filosofia ca e e cose, sottoponen os1 a 1a ogo tra puro e' pensiero e l' «altro» dal pensiero, l'intuizione sensibile delle cose particolari. Scrive Feuerbach: «La sola filosofia che inizi senza presupposti è quella che ha la libertà e il coraggio di dubitare di se stessa, è quella filosofia che si genera dal proprio contrario».

A nulla vale opporre che anche Hegel parte, nella

Fenomenologia dello spirito, dalla certezza sensibile. Non è vero: la fenomenologia «non comincia con l'opposto del pensiero, ma col pensiero dell'opposto del pensiero - nel che naturalmente il pensiero è già sicuro in partenza della vittoria sul suo rivale».

. . E così al pensiero basta voltarsi perché la veriuVoltar)sa'ronl~nnae tà del «questo albero qui» si sia dileguata (v. una 1 1 11 Ma s1. tratta, m . rea lta, , d'1un pren ders1. CAP. 7, PAR. s). giuoco della coscienza sensibile: quella verità «si sarà dileguata nella Fenomenologia, dove voltarsi costa soltanto una parolina; ma nella realtà, nella quale io

6.4

,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,;;;;;;;;;;;•;;;;=::;::::•::•;:;;;;;;;

devo far fare una conversione al mio corpo pesante, il qui, anche se dietro le mie spalle, mi si mostra come un'esistenza assai reale. L'albero limita le mie spalle; mi impedisce di essere nel luogo che esso già occupa».

Come si vede, siamo di fronte ad una svolta nell'itinerario feuerbachiano: la critica implacabile del metodo hegeliano fa epoca, e ne viene emergendo un anti-Hegel orientato ad accentuare l'empiricità della riflessione filosofica, a sottolineare la «sensibili- , . tà» come struttura costitutiva dell'essere umano- L antl·llegel «la realtà dell'essere sensibile individuale è per noi una verità suggellata col nostro sangue» -, a riconoscere, infine, nella natura la «verità e totalità del reale»: « ... la sostanza della realtà è la natura (nel senso più universale del termine). I segreti più profondi sono contenuti nelle più semplici cose naturali, quelle che il filosofo speculativo calpesta, lui che brama fantasticamente un aldilà».

Siamo alle soglie di quell'umanismo sensistico e naturalistico che sarebbe maturato negli scritti filosofici del 1842-43. Ma per portare a termine la demistificazione della filosofia speculativa, Feuerbach doveva passare attraverso la critica sistematica della religione.

,,,,,,,,,,,,,,,,,,;;:;;;;;;;;;;;;;:;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;=;;;;=;;;;;;r;;;;••=:·::

''''''"'''''''''''''''''''''''';;;;:;;;;;;;;;::!:;;::::···

L'essenza del cristianesimo

~

,·~ itinerario del pensiero, feuerbachiano che ~b;

scritto non si esaurisce dunque nell'esercizio, già di b1amo fmora percorso e accompagnato - lo s1 e per sé significativo, della ricerca scientifica, ma ha una sua precisa funzionalità politica, nel senso ampio visto - dalla c?n_vinzione che attraverso il do moderno s1 s1a venuta consumando la dlsso- della parola, in vista della emancipazione della . ~., luzione del cristianesimo, ormai ridotto ad un coscienza umana. E per assolvere a questa fun- ~n libro 1. . . , ff' fantasma, ad una caricatura della originaria esperien- zwne, ch e c,e, d.1 pm e 1cace ch e mostrare come,
... va filosofia. Sono i limiti e le insufficienze della esistenza terrena degli uomini che debbono essere soppressi, e per questo non basta la critica 'teorica', occorre un'azione reale, in grado di mettere radicalmente in discussione i rapporti sociali liberandoli dall' «egoismo» del «bourgeois». Ma quali i mezzi per raggiungere questo fine? quale forza è in grado di compiere quell'azione? È nel secondo scritto degli Annali, Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto, che · Marx, compiendo un altro passo verso la scelta 0 ... ccorre un,a comunista, giunge a individuare nel proletariato 10 rza rea e l c . le capace d'1 mtrapren . dere l' azwne . a 10rza soc1a rivoluzionaria trasformatrice della società. Se il riferimento all'antropologia feuerbachiana rimane ben fermo nell'idea secondo cui l'uomo è per l'uomo l'essenza suprema, l'urgenza della prassi rivoluzionaria sposta decisamente il discorso marxiano dalla critica del «cielo» alla critica della «terra». Al

contrario di Feuerbach che indicava nella religione l'origine della alienazione dell'uomo, Marx scorge in essa semplicemente il sintomo della miseria terrena dell'uomo e insieme il «fiore immaginario», consolatorio, che abbellisce la catena del suo asservimento · mondano.

«La miseria 'religiosa' è insieme tespressione' della miseria reale e la 'protesta' contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizio.. ne senza spirito. Essa è !"oppio' del popolo. Eliminare Dalla cn~l:a la religione in quanto 'illusoria' felicità del popolo vuoi della ~~! 1 9 1 one dire esigerne la felicità 'reale'. L'esigenza di abbando- alla enti~~ nare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di della politica abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la 'critica della valle di lacrime' di cui la religione è l'aureola». Ora, si deve,

«una volta smascherata la 'figura sacra' dell'autoestraneazione umana, smascherare l'autoestraneazione 'nelle sue figure profane'. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la 'critica della religione' nella 'critica del diritto', la 'critica della teologia' nella 'critica della politica». Da Parigi, l'occhio di Marx è ancora rivolto verso la terra tedesca e la sua domanda è se in Germania sussistano le condizioni della em~mcipazione sociale. Certo, la Germania è un paese arretratissimo rispetto a paesi come la Francia e l'Inghilterra; è ancora inchiodata ad una situazione precedente i11789:

«noi - osserva Marx - abbiamo condiviso le restaurazioni dei popoli moderni, senza condividere le loro rivoluzioni ... Noi, coi nostri pastori alla testa, ci trovammo sempre una sola volta in compagnia della libertà, nel 'giorno della sua sepoltura'».

È vero, però, che quello che i tedeschi non hanno saputo fare nella politica, hanno saputo pensarlo nella loro filosofia, da Kant a Hegel e a Feuerbach, e . che la teoria «radicale», che va cioè alla radice, 1:e, uer,~ach: una l oso la . ' alta essenza de11' uo- 1((radicale)) proclaman do l' uomo la pm m o, culmina nell' «'imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti' nei quali l'uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole ... ». D'altra parte è anche vero che l . , . l . h . . bachiani. della proprietà pneta pnvata, non ce a sp1ega»: c e Cl smno Non v'è dubbio che la descrizione che del comuprivata proprietari di capitale e operai senza proprietà che lavorano per i primi in cambio di un salario, nismo vien fatta nei Manoscritti contenga più di un fa parte- secondo l'economia politica, per la quale «è elemento di provenienza feuerbachiana, ma questo l'interesse del capitalista a valere come ragione supre- non può far passare in secondo piano né il fatto che ma» - dell'ordine naturale delle cose. L'intento di l'alienazione di cui il comunismo è il superamento Marx è, al contrario, quello didisoccultare ciò che sta non è più l'alienazione religiosa o filosofica bensì D'accordo con dietro la proprietà privata e la spiega, ciò di cui essa si quella strutturale dell'economia, né l'influenza Feuerbach alimenta e senza di cui non potrebbe essere: appunto, che su Marx esercita tutt'ora la filosofia hegelia- contro Hegel; il lavoro alienato. na. Si può dire che egli sia impegnato a contestare d'accordo con Dell'analisi economica compiuta da Smith, Ri- l'idealismo di Hegel, d'accordo con Feuerbach nel Hegel contro cardo e dagli altri economisti borghesi, vera e propria sostenere che l'uomo è «l'uomo reale, corporeo, Feuerbach anatomia della società capitalistica di cui fa propri i piantato sulla terra ferma e tonda», e però principali concetti, Marx denuncia come tendenziosa insieme a correggere l'umanismo di Feuerbach, scarsa. . l'impostazione, volta a presentare le leggi e i mente sensibile alla storicità dell'essere umano, con la Etermzzaz1one . • d. f . d ll' . dialetticità hegeliana. E allora il superamento del lavodella società meccamsm1 1 unzwnamento e economia caro alienato nella società comunista si prospetta hegecar>italistica pitalistica, come se fossero fondati sulla natura dell'uomo e quindi immutabili, e non invece un lianamente come negazione della negazione, esito di prodotto storicamente ed empiricamente determina- un processo storico che genera da sé quella società: bile, che, com'è sorto, così anche è destinato a perire. «l'intero movimento della storia è quindi l'atto reale di Gli economisti si limitano a descrivere le varie cate- generazione del comunismo». gorie economiche collocandole le une accanto alle alLa caratterizzazione marxiana del comunismo è tre, destoricizzate, mentre si tratta di offrirne una volta a distinguerlo dalle varie forme di teorie comunispiegazione genetica. ste esistenti, cui Marx riserva il nome sprezzante di Ma per fare questo occorre innalzarsi alla com- «comunismo rozzo». Mentre questo è ancora dipenprensione del carattere storico dialettico - proprio nel dente dalla logica dell' «avere», tanto da pretendere la senso hegeliano - del rapporto tra capitale e lavoro. In generalizzazione della proprietà privata, e da propor. ..• d esso si nasconde, infatti, una contraddizione diare, in una specie di «invidia» per la proprietà privata 1 Dmettlcitael. 1 d "d' 11 d'l fl' l'' più ricca, il livellamento degli individui e il ritorno rapporto ett1ea, ~ c~1 e~lV~ q~e ara 1~a e con ~tt~a 1ta antistorico alla semplicità innaturale dell'uomo «pocapitale-lavoro della soc1eta cap1tahst1ca che gh econom1stl non vedono. Detta contraddizione consiste nel fatto vero» e senza bisogni, il comunismo autentico è al «Comunismo che capitale e lavoro salariato sono, da una parte, contrario la soppressione positiva della proprietà rozzo» e inseparabili, l'uno bisognoso dell'altro, dall'altra in privata in tutte le sue forme, la vittoria della comunismo irriducibile conflitto. Sono inseparabili poiché è l'ope- logica dell'essere su quella dell'avere, la realizza- autentico raio a produrre col suo lavoro il capitale, non essendo zione piena dell'essere dell'uomo come essere soquesto altro che «lavoro accumulato>>, così come è il ciale, «maturato entro tutta la ricchezza dello sviluppo capitale che a sua volta produce l'operaio, il salario storico sino a oggi». Non dunque un comunismo «nenon essendo altro che una parte del capitale; ma sono gazione astratta dell'intero mondo della cultura e della anche in contrasto, perché «l'operaio conosce il capi- civiltà», bensì il comunismo come realizzazione dei talista come la negazione della propria esistenza e bisogni più alti e ricchi degli uomini, quali son venuti viceversa; ciascuno cerca di strappare all'altro la sua maturando nell'intero movimento della storia. esistenza». L'operaio percepisce nel capitalista il poL'antropologia comunista che ne discende è inteOC

~ a11asa zione, di una «falsa coscienza», nel senso deteriore della parola. Ciò può accadere perché la divisione sociale del lavoro, che riserva il privilegio del lavoro intellettuale agli esponenti della classe dominante, rende difficile agli intellettuali cogliere il condizionamento sociale delle idee e li orie?t.a piuttosto a considerarle come un puro prodotto spmtuale. Ma è, allora, questa «falsa coscienza» a confermare, essa stessa, la verità del materialismo storico: «Se nell'intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico».

La forte accentuazione del condizionamento che le strutture - come Marx ed Engels anche chiamano i rapporti economico-sociali e le forze materiali della produzione - esercitano sui pensieri degli uomini detti anche sovrastrutture ideologiche -, .no_n si- Str tture e gnifica peraltro che i fondatori del matenahsmo so:rastrutture storico intendano ridurre le idee a mère illusioni, riflessi passivi delle strutture. Essi intendono il processo storico come una totalità materiale-ideale, nella quale i rapporti tra i due lati che la costituiscono hanno un carattere dialettico e non meccanico, sicché quei lati si influenzano a vicenda, senza che il loro rapporto possa essere irrigidito nelle semplificazioni e nella im-

318

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 16

mediatezza dello schema meccanico di causa-effetto. Che Marx fosse lontano da ogni tendenza a ridurre la storia ad interpretazioni economicistiche esclusive di ogni autonomia degli uomini nei confronti della oggettività della vita materiale, lo si poteva vedere già nelle Tesi su Feuerbach dove egli, contro il materialismo meccanicistico che pretende che gli Con lro · · non smno · , conomicismo uomm1 altro che 1'l pro dotto de11'am1 e biente e dell'educazione, aveva sostenuto che «le circostanze sono modificate dagli uomini e che l'educatore stesso deve essere educato». Ora, nell'Ideologia tedesca, egli scrive con Engels che «le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze»: la relazione tra essere e coscienza, fatta salva la priorità dell'essere economico, è caratterizzata da un'integrazione reciproca, sicché anche le idee, quando si impadroniscono delle masse, acquistano un potere materiale. Engels, in una lettera della sua tarda maturità (1890), avrebbe scritto, contro il riduttivismo economicistico con cui le idee sue e di Marx venivano deformate dagli avversari ma anche da tanti seguaci, che «la situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura -le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa (costituzioni stabilite dalla classe vitto. . riosa dopo una battaglia vinta, ecc.), le forme giuridiche, Effrcacra delle anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervelsovrastruliure lo di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici -, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la 'forma'».

E questo è soprattutto vero in quelle fasi nelle quali la società è percorsa da crescenti contraddizioni che annunciano una imminente precipitazione rivoluzionaria. Della rivoluzione sociale Marx parla qui per la prima volta. Sappiamo che già nell'Introduzione . alla critica della filosofia hegeliana del diritto egli . Larrvouzrone 1 . d' l l . l l . sociale aveva m 1cato ne pro etanato a c asse «umversale», chiamata a realizzare l'emancipazione umana di tutti, e nei Manoscritti la rivoluzione comunista appariva come superamento dialettico del lavoro alienato. Lì però era la categoria filosofica dell' «essere generico» a costituire il fondamento del processo storico rivoluzionario, mentre ora è subentrato il concetto scientificamente controllabile di produzione materiale. Nonostante il completo capovolgimento dell'idealismo hegeliano, in cui individuano l'espressione più compiuta della ideologia borghese, Marx ed Engels continuano a vedere nella storia un processo de~~~~~~~~ dialettico razionale, la cui molla segreta essi scol>rodullive e prono nella relazione dialettica tra sviluppo delle rapporti sociali forze produttive -livelli della produzione e della di pro11rietà ricchezza, evoluzione delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche, crescita numerica dei lavo-

ratori - e rapporti sociali di proprietà che hanno sempre caratterizzato in senso classista le diverse organizzazioni sociali che si sono succedute nella storia. Dall'antico rapporto tra padrone e schiavo alla signoria feudale con il suo sistema servile, da questo al moderno rapporto tra capitalista e operaio, sempre la produzione, l'appropriazione della natura, si è venuta svolgendo all'interno di rapporti sociali conflittuali, nei quali la divisione del lavoro vuole che l'attività intellettuale e quella materiale, il comando e l'esecuzione, il godimento dei beni e la loro produzione siano riservati a classi e individui diversi. Quando i rapporti sociali, invece che favorire lo sviluppo delle forze produttive, cominciano ad astacolarle diventando per loro una specie di prigione, allora si pongono le condizioni della rottura rivoluzionaria, con la quale ai vecchi rapporti sociali se ne L d' . . . . l . . d . ll ç e con rzrom sostltmscono a tn, cornspon entl a e 10rze pro- della rottura duttive più sviluppate. L'esempio più tipico è rivoluzionaria quello della rivoluzione del 1789: i rapporti sociali, caratterizzati dal predominio della vecchia aristocrazia feudale non reggono più di fronte all'assalto delle nuove forze mercantili e industriali, che danno vita ad una nuova organizzazione giuridica e politica della società, fondata sul predominio della proprietà borghese. L'enorme sviluppo delle forze produttive che contrassegna la moderna società capitalistica- e di cui il «mercato mondiale» è l'espressione più impressionante -, e insieme l'estrema dicotomizzazione della società in due classi antagonistiche, da una parte i proprietari dei mezzi di produzione, dall'altra i proletari che producono interamente una ricchezza sociale destinata a porsi come potenza loro estranea e nemica, costituiscono le condizioni, mai verificatesi nel passato, che preparano una rivoluzione diversa Mondializzazione del mercato e da tutte quelle che l'hanno preceduta, destinata a unione liberare gli uomini dalla estraneazione, in una mondiale dei nuova società senza classi. La realizzazione del proletari mercato mondiale, che inserisce gli uomini nella dimensione della «storia universale» e «produce il fenomeno della massa 'priva di proprietà' contemporaneamente in tutti i popoli», pone le premesse della unione dei proletari di tutto il mondo tra loro, sicché questi divengono «individui empiricamente universali», interessati a riappropriarsi dell'immensa ricchezza sociale, nella quale è come depositata l'intera storia degli uomini, e da cui essi sono dominati come da una potenza estranea ed ostile «della quale non sanno donde viene e dove va». Mai nella storia si era verificato che ad un altissimo sviluppo delle forze produttive corrispondesse l'espropriazione della grande maggioranza della popolazione e quindi la nascita di una classe «universale» come il proletariato, estraniata da sé in forza di una divisione del lavoro che gli si impone come un fatto «naturale», una fatalità ineliminabile.

319

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

X

~ ~

Il comunismo, annunciano Marx ed Engels, è la riappropriazione, da parte degli «individui umani associati>>, della totalità delle forze produttive esistenti e la loro subordinazione, abolita la divisione sociale del , .. lavoro, allo sviluppo integralmente umano di ogni Cl1ecose11 . d' 'd M entre nell a vece h'1a soCieta, . , «ognuno comunismo m lVI uo. ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire ... se non vuol perdere i mezzi per vivere», nella società comunista a ciascuno è consentito lo sviluppo onnilaterale di tutte le proprie facoltà umane. A differenza delle rivoluzioni precedenti, nelle

quali la messa in discussione dei vecchi rapporti di proprietà era in funzione dell'interesse «particolare» della classe rivoluzionaria a redistribuire la proprietà a proprio vantaggio, nella rivoluzione comunista Carattere la classe proletaria nega se stessa come classe inedito della particolare e, abolendo ogni forma di proprietà rivoluzione privata, «si leva di dosso il vecchio sudiciume», comunista liberandone insieme tutti gli uominiS Non sono soltanto alcune condizioni particolari della società finora esistente a dover essere abolite, bensì la stessa «produzione della vita» come è stata finora: il comunismo è l'umanesimo integrale realizzato.

7 '''''""'''''' ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,,,,,,, '''"'''''''''" ''''''''"'''''''"''''''''''''"' ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ,,,,, ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, '

Il «Manifesto del partito comunista» n questi anni, 1846-4 7, l'impegno militante di Marx - e di Engels - si viene facendo intenso; essi si dedicano alla creazione di comitati di corrispondenza a Bruxelles, a Parigi e a Londra, allo scopo di costruire collegamenti internazionali tra i diversi gruppi socialisti rivoluzionari, e condurre una lotta teorica per l'affermazione della . d' . . . linea strategica che sarebbe stata enunciata più Anm ImiiZia 1 t d' l~,. ;r. dl . . Q politica ar 1 ne 1V1anvesto e partito comumsta. uesta lotta politica si svolge su due fronti, da una parte contro gli utopisti, come il socialista tedesco Wilhelm Weitling, che propongono iniziative immediate, improntate al metodo dei «colpi di mano» e affidate agli elementi più poveri ed emarginati della società, dall'altra contro i riformisti che rifiutano il principio della lotta di classe, il rovesciamento rivoluzionario della società, e immaginano di trasformarla progressivamente attraverso la diffusione graduale delle cooperative di produzione. È in questo contesto che prende significato politico oltre che teorico la pubblicazione nel 184 7 della

Miseria della filosofia. Risposta alla 'Filosofia della miseria' del signor Proudhon, con la quale Marx attacca duramente il socialista francese e il suo scritto del 1846, che grande risonanza aveva avuto tra i gruppi operai e socialisti parigini. Sarcasticamente egli osserva che «il signor Proudhon ha la sventura di essere misconosciuto in Europa in un modo singolare. In Francia egli ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo, perché passa per uno dei migliori economisti francesi».

In effetti egli è un cattivo economista perché, invece di procedere scientificamente utilizzando categorie che siano l'universalizzazione dei fatti economici, parte da idee astratte e metafisiche, come l'idea di giustizia, e pretende di adeguare ad esse i fenomeni

economici come l'essere si conforma al dover essere. Ma in tal modo egli sottrae le strutture economi- L . . che de11 a soCI.eta, alla loro determmatezza st on·ca, coa11polemica Pr dh · d'1 a11a loro superab'l' ' e le tras1orma c · ou on e qum 11ta, m «idee eterne, preesistenti ad ogni realtà», cadendo vittima delle fantasie dell'ideologia. È vero che egli adopera, per pensare la realtà economico-sociale, la dialettica hegeliana, ma, cattivo filosofo qual è, non capisce che è dalla contraddizione che scaturisce il superamento rivoluzionario del. h . . dll Un cattivo uso l'esistente, c e proprw nel negativo e avoro della dialettica· salariato, nella sua miseria, si nasconde e matura il presupposto della negazione. Al contrario, egli crede di poter risolvere la contraddizione, lasciando cadere il «lato cattivo» del capitalismo, conservandone il «lato buono»: e così vorrebbe la proprietà senza lo sfruttamento, la borghesia senza il proletariato. Proudhon non è, dunque, un socialista; egli considera i processi sociali «dal punto di vista e con gli occhi del piccolo contadino (e in seguito del piccolo borghese) francese». Forte della sua concezione materialistica e dialettica della storia, che qui espone per la prima volta pubblicamente, Marx può ben dire che una «filosofia della miseria», quando pretenda di costituirsi come teoria astratta, sostitutiva della prassi rivoluzionaria, non può che confessare tutta la «miseria della filosofia». Nella primavera del1847, Marx ed Engels aderiscono alla «Lega dei giusti», la più importante organizzazione di operai tedeschi dell'emigrazione, e vi conducono una battaglia per farvi prevalere le proprie L L d . · · ·L l d 'l d' L d · a« ega el 1mpost~z~om. a. e~a pren e 1 nome_ 1. « ega_ e1 giusti» comumstm, sostltmsce lo slogan cnst1anegg1ante: «Tutti gli uomini sono fratelli», con quello pugnace ed eversivo: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!», ed affida a Marx ed Engels la stesura del programma teorico e pratico del partito. È così che nel gennaio del1848 esce a Londra il Manifesto del partito comunista. '

320

l

J

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 16

Si tratta di un'opera altamente suggestiva, scritta in un linguaggio che, in certi momenti, si innalza alla qualità di un grande inno rivoluzionario, animata sempre da una forza drammatica eccezionale. L'iIl Manifesto nizio, minaccioso, introduce senza indugi il lettodel partito re nel clima concitato di un documento che vuole comunista servire da strumento di una battaglia politica: «Uno spettro si aggira per l'Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi, si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro».

La non meno celebre ultima pagina, d'altronde, sigilla un discorso che si era venuto svolgendo in una brillante concatenazione di tesi teoriche e politiche di grande efficacia propagandistica: «Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare».

Noi ci limitiamo ad accennare ad alcuni temi principali di questo scritto: a. il riconoscimento del ruolo della borghesia nella storia del mondo moderno; b. la teoria della rivoluzione proletaria; c. il rapporto classe-partito; d. la società comunista; e. il giudizio sulle dottrine socialiste precedenti. a. L'esaltazione della funzione rivoluzionaria della borghesia non potrebbe essere maggiore. A differenza delle classi dominanti delle precedenti epoche storiche, che conservavano immutato il loro sistema di produzione, «la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti sociali». La società viene sottoposta ad un «incessante scuotimento», le precedenti 11 1 010 ~ 1del!a condizioni di vita feudali, con il loro seguito di org msm opinioni e credenze rese venerabili dall'età, si dissolvono», i vari aspetti della vita vengono desacralizzati, perdono ogni velame di illusioni religiose e politiche, ogni sentimentalismo viene messo al bando e i rapporti tra gli uomini sono consegnati al «nudo interesse», allo «spietato pagamento in contanti». L'intero globo terrestre è stato invaso dalla produzione e dai traffici della borghesia che hanno reso le nazioni dipendenti le une dalle altre in uu unico mercato mondiale. Essa ha costretto tutti i popoli ad accettare la sua civiltà, rendendo dipendenti i popoli barbari da quelli civili, i popoli contadini dai popoli borghesi, l'Oriente dall'Occidente.

b. Ma proprio questo enorme sviluppo determina una crescente tensione tra la straordinaria crescita delle forze produttive e i rapporti sociali di proprietà, che escludono dal godimento della ricchezza prodotta la maggior parte della popolazione, sicché la società borghese somiglia sempre di più «allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». Le crisi di sovraproduzione, sco... nosciute alle epoche precedenti, sono il prodotto Le crrsr dr. so. . d . . . vraproduzrone del crescente dIvano tra pro uzwne e consum1, 11 segno di quanto il dominio sia messo in discussione paradossalmente dalla stessa ricchezza di cui si appropria. «l rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere le ricchezze da essi prodotte»: troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. E come la borghesia ha prodotto le armi che le recano la morte, «essa ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi - i moderni operai, i 'proletari'». Quanto più infatti il capitalismo si sviluppa, si espande, si concentra, tanto più cresce, fino a farsi

«N el suo dominio di classe che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato delle forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto tutte insieme le generazioni passate. Soggiogamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di intieri continenti, fiumi resi navigabili, intiere popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo - quale dei secoli passati avrebbe mai presentito che tali forze produttive stessero sopite in grembo al lavoro sociale?».

l

l

321

eottbon. l.l!ebrulft ln bff Offi« M ,~Hl>ung$•!1hftllf~l'ift fiir Uròcìtfr" ~~n :;. te. Jurgt~~rt. 46, L•vni'OOL STUlT,

Bnuor~tl ..n.

Frontespizio della prima edizione del Manifest der kommunistischen Partei di Marx e Engels.

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

immenso, l'esercito del proletariato. E questo anche perché i ceti intermedi, costituiti dal piccolo industriale, dall'artigiano, dal contadino, dal piccolo negoziante, sarebbero destinati a scomparire, schiacciati dall'alta concentrazione del capitale, e ad essere assorbiti dal proletariato. Marx prevede infatti che il momento culminante del conflitto all'interno della società capitalistica sarebbe stato caratterizzato dal semplificarsi della società nello scontro di due sole classi Progressiva sociali: i capitalisti e i proletari. La condizione di polarizzazione della società questi ultimi è segnata da un sempre più grave capitalistica stato di sfruttamento e di alienazione: un lavoro sempre più dipendente dalla macchina, sempre più elementare e ripetitivo, uomini ridotti a merce, «esposti a tutte le vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato», miserabili sotto-uomini spremuti dalla lunga giornata di un lavoro sempre più intensivo. D'altra parte, alla crescente privatizzazione della ricchezza corrisponde una sempre maggiore socializzazione del lavoro: sempre più numerosi gli operai si raccolgono nei medesimi luoghi di produzione - le . grandi fabbriche moderne - e ciò favorisce il loro l a borg1es1ae l . . . d ll . d' l i suoi becchini coa11zzars1, 11 maturare e a .coscienza 1 ~ ~sse~ della consapevolezza delle d1sumancr ~OJ?..dlzwm del lavoro salariato, l'esplicitarsi di una comune volontà rivoluzionaria. Come dire che la borghesia produce, attraverso il suo stesso sviluppo, i propri seppellitori. La rivoluzione proletaria, così come viene prospettata nel Manifesto, si configura come un lungo processo sociale che matura nelle cose, presuppone delle condizioni oggettive, ossia le contraddizioni e le crisi dell'organizzazione capitalistica della sòcietà, ma insieme anche il diffondersi e l'approfondirsi di una soggettività antagonistica dei proletari; la necessiProcessi tà delle condizioni oggettive garantisce il realismo oggettivi e coscienza di della prospettiva rivoluzionaria, il suo fondamenclasse to scientifico con esclusione di ogni astratto utopismo e volontarismo soggettivistico; d'altra parte la crisi dell'assetto capitalistico non potrebbe mai concludersi nella rivoluzione, in virtù del semplice automatismo dei processi oggettivi, se non maturasse nella classe sfruttata quella coscienza di sé che costituisce l'avvio di una nuova visione del mondo- ecco l'importanza della sovrastruttura! -, di una cultura alternativa a quella della classe dominante. Mentre questa, come si è già visto, è espressione di una coscienza capovolta, mistificata dall'ideologia, la cultura in cui si esprime la nuova soggettività operaia consiste nel «rimettere sui piedi» la realtà, e nasce dalla presa di coscienza dei proletari che la ricchezza capitalistica è il loro stesso lavoro espropriato, e che i rapporti sociali borghesi, lungi dall'essere eterni e immutabili, hanno un carattere storico transitorio. c. Un posto di grande rilievo ha nella teoria marxiana della rivoluzione il rapporto tra classe e partito.

Marx ed Engels sono contrari ad ogni concezione giacobino-blanquista del partito come piccolo gruppo di rivoluzionari che agiscono in nome delle masse, ma separatamente da esse: un partito del genere è in grado, tutt'al più, di compiere un «colpo di mano» non una rivoluzione. Questa richiede l'intervento attivo, il protagonismo dell'intero proletariato~ della grande maggioranza della popolazione, e ha, dunque, un carattere democratico che non è in alcun modo compatibile con il settarismo e i complotti. D'altra parte il proletariato non può nemmeno affidarsi semplicemente alla propria spontaneità; esso

Inghilterra 1844: le condizioni di lavoro

322

ncora ne La situazione della classe operaia in Inghilterra, così Engels descrive le condizioni degli operai nelle filande inglesi: «Vi sono poi alcuni tipi di lavoro in fabbrica che hanno conseguenze particolarmente dannose. In molti locali delle filande di cotone e di lino, soprattutto nelle sale di cardatura e di pettinatura, l'aria è piena di una polvere filamentosa, che produce disturbi al torace. Vi sono organismi che possono sopportarla, altri invece no. Ma l'operaio non ha scelta, deve prendere così com'è il

luogo in cui trova lavoro, che il suo petto sia o no in buone condizioni. Le conseguenze più comuni dell'ispirazione di questa polvere sono sputo misto a sangue, respiro pesante e sibilante, dolori al petto, insonnia, tosse, insomma tutti i sintomi dell'asma, che nei casi peggiori portano alla tisi ... Particolarmente malsana è la filatura a umido del lino, che viene eseguita da fanciulle e fanciulli. L'acqua schizza loro addosso, inzuppandone continuamente gli abiti e mantenendo sempre bagnato il pavimento. Ciò si verifica

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 16

ha bisogno di una guida che ne assicuri l'unificazione . intorno ad una teoria e ad un programma; ha Lal teot~tra bisogno dunque di un partito, di un partito di 10 d e par • • che sta · l' espresstone · de11' mtero · comumstt, proletariato e si identifichi con esso e, insieme, sia un passo più avanti, in modo da poterlo guidare. I comunisti sono l'avanguardia della classe operaia in quanto posseggono una più chiara coscienza teorica e «conoscono le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario». Ciò che li protegge dal rischio di separarsi dal movimento e di sostituirsi ad esso sta nel fatto che le loro posizioni teoriche

«non poggiano affatto sopra idee, sopra principi che siano inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi».

d. L'esito della rivoluzione proletaria è la società comunista, nella quale lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e la divisione in opposte classi sociali . vengono aboliti. Marx è assai sobrio nel tracciare Ll?d«cuc111•8 .. . d' . , ., (l omanm la ftstonomta 1 questa nuova socteta, non gta per reticenza, bensì perché egli ritiene che non si possa parlare del comunismo come ne parlano gli utopi-

1 Lavoro di cardatura, stiratura e torcitura del cotone, 1835. 2 Interno di uno stabilimento tessile con i telai automatici.

anche, sia pure in misura minore, nelle sale di doppiatura dei cotonifici, provocando continui raffreddamenti e affezioni polmonari ... Un'altra conseguenza della filatura del lino, derivante dalla natura stessa del lavoro, è rappresentata da caratteristiche deformazioni delle spalle, segnatamente della scapola destra che finisce con lo sporgere. Questo modo di filare ... provoca anche frequenti deformazioni delle ginocchia, che vengono impiegate per trattenere il fuso quando si

debbono riannodare i fili spezzati ... la neéessità di chinarsi frequentemente e la bassa struttura delle macchine hanno in generale come conseguenza una crescita difettosa ... nella fabbrica di cotone di Manchester, dove sono stato occupato, non ricordo d'aver mai veduto una sola fanciulla ben formata ... ; tutte erano piccole, mal cresciute, di una caratteristica statura tozza, francamente brutte di corporatura ... ll lavoro alle macchine causa una quantità di infortuni ... Il caso più frequente consiste

nell'asportazione di una falange del dito, più di rado avviene che il dito intero, la metà di una mano o la mano intera, un braccio ecc. vengano afferrati e stritolati dagli ingranaggi. Assai di frequente dopo questi infortuni, anche dopo i meno gravi, sopravviene il !risma, che provoca la morte. A Manchester, oltre ai molti storpi, s'incontra anche una gran quantità di mutilati; ad uno manca un braccio intero o mezzo braccio, all'altro un piede, all'altro ancora mezza gamba; sembra quasi di vivere in mezzo a un esercito che torna da qualche campagna militare. Ma le parti più pericolose del macchinario sono le cinghie che trasmettono la forza motrice dalla parte centrale alle singole macchine ... Chi viene afferrato da queste cinghie è trascinato con velocità vertiginosa dalla forza motrice che lo lancia in alto contro il soffitto e in basso sul pavimento con tale violenza da sfracellargli tutte le ossa e da provocarne la morte immediata. Tra il12 giugno e il 3 agosto 1844, il 'Manchester Guardian' riporta i seguenti infortuni 'gravi' -non accenna neppure a quelli più leggeri -:

323

12 giugno, un fanciullo muore a Manchester di trisma, provocato dallo stritolamento della mano rimasta impigliata in un ingranaggio; 15 giugno, un fanciullo di Saddlewo.rt viene afferrato e trascinato da una ruota e muore sfracellato; 29 giugno, a Greenacres Moor, presso Manchester, un giovane che lavora in una fabbrica di macchine cade sotto una mola che gli fracassa due costole e gli produce gravi lacerazioni; 24 luglio, muore a Oldham una fanciulla afferrata da una cinghia che le aveva fatto compiere cinquanta rotazioni: non le era rimasto neppure un osso intatto; 27 luglio, a Manchester una fanciulla finisce nella 'blower' (la prima macchina per la quale passa il cotone greggio) e muore per le mutilazioni riportate; 3 agosto, un operaio addetto all'incannatura muore a Dukinfield afferrato da una cinghia, che gli ha frantumato tutte le costole. Nel solo 1843, l'ospedale di Manchester dovette curare 962 ferite e mutilazioni provocate dalle macchine ... non sono compresi qui gli infortuni avvenuti a Salford, e neppure quelli curati da medici privati».

>< OC roerta e l'b ' c10 ·' d'1 cm· s1· tratta e' d'1 >r'et' 1 erta' umana. In rea1ta, 1 11 a «abolire la personalità, l'indipendenza e la libertà del borghese!». Così Marx ed Engels lo apostrofano: «Voi inorridite all'idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nell'attuale vostra società la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri; anzi essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per l'enorme maggioranza della società».

Ciò che i borghesi intendono per persona è, in verità, il proprietario borghese: «ebbene, questa persona deve effettivamente essere abolita». Non è vero che il comunismo abolisca la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali, anzi restituisce a tutti gli uomini tale facoltà: esso, piuttosto, «toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui». Quanto allo stato e al potere politico, esso è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra, e pertanto nella società comunista cessano le condizioni della sua esistenza. Il proletariato, certo, per strappare alla borghesia la proprietà, dovrà conquistare per sé il potere politico e, divenuto a sua volta classe dominante, accentrare tutti gli struChe cos'è lo menti di produzione nelle mani dello stato, rivolustato; sua scomt>arsa zionando l'intero modo di produzione. Ma, abonella sociotà lendo i vecchi rapporti di produzione, esso «abocomunista lisce ... anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe». In tal modo, concentrata tutta la produzione nelle mani degli individui associati, il potere avrà perso quel carattere politico e repressivo, che contraddistingue l'organizzazione dello stato. Al suo posto, > versale». Tramontate ormai le antiche certezze religiose e in fase di declino le esercitazioni metafisiche del pensiero, egli cerca nella «filosofia positiva», ossia nell'ancoraggio della ragione al terreno solido dei fatti vagliati scientificamente; la via di uscita, che consenta una nuova organizzazione della società e del sapere. Per certi aspetti, il suo atteggiamento nei confronti della propria epoca - egli comincia a scrivere durante gli anni venti, nella Francia dell'età della restaurazione - non è molto dissimile da quello di un de Maistre (v. CAP. 9, PAR. 4), del quale legge fin dagli anni giovanili . gli scritti con grande interesse: ad esso lo legano un Ana logle con . . .m . d'lVI'd ua l'IStico. de Maistre analogo d'1ssenso da11e. opmwm ... liberali del tempo, fastidioso retaggio della rivoluzione, l'apprezzamento del Medioevo come epoca organica- egli riprende da Saint-Simon (v. CAP. 9, PAR. 7) la distinzione della storia in età critiche ed età organiche -,nella quale valori sovraindividuali garantivano l'ordine e la coesione della società, l'urgenza del ristabilimento, accanto all'autorità politica, di un potere spirituale come suprema guida dell'umanità. Ciò che lo separa dal filosofo savoiardo e dalle sue nostalgie teocratiche è quanto in lui continua ad agire

l

dell'eredità illuministica: non della teocrazia del pontefice romano ha bisogno l'epoca presente, non del ristabilimento di un potere religioso consacrato dai libri di teologia; è alla scienza, ai suoi poteri di trasformazione del presente e di previsione del futuro, che bisogna chiedere gli strumenti per una totale riorganizzazione del mondo umano, in vista di una società «perfet. ta», in cui le esigenze d'ordine e quelle di progres- ... edistanze so, da sempre in conflitto nella storia dell'umanità, finalmente si incontrino e si concilino. Nemmeno dunque di una rivoluzione politica ha bisogno l'umanità di oggi, ma piuttosto di una rivoluzione intellettuale e morale capace di esprimere le idee generali che siano di nuova guida alla società. Com te vuole essere il portavoce e l'iniziatore di questo rinnovamento. August-Isidore-Marie-François-Xavier Comte era nato a Montpellier nel l 798 da una famiglia piccoloborghese cattolica e di tradizioni manarchiche e conservatrici. Di precocissimo ingegno, dotato soprattutto per gli studi di matematica, egli ha un carattere ribelle che lo conduce a contestare l'ordine impostogli dalla severa e chiusa educazione familiare. In una pagina autobiografica del suo Corso di .filosofia positiva ricorda che, appena quattordicenne, egli «percorse tutti i gradi essenziali dell'indirizzo rivoluzionario, e sentì il bisogno di un generale rinnovamento politico e religioso». Quando frequenta a Parigi tra il1814 e il1816la scuola politecnica, egli condivide le idee repubblicane dei compagni di studio, non senza lasciarsi prendere dall'entusiasmo per il ritorno di Napoleone e l'epopea dei Cento giorni. Chiusa dalle autorità politiche la scuola per motivi di ordine pubblico, il giovane Comte, dopo un breve soggiorno a Montpellier, decide, contro la volontà dei genitori, di ritornare a Parigi, dove lo

343

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

chiamano i suoi interessi intellettuali e dove, per vivere, dà lezioni private di matematica. Nel1817, l'incontro decisivo del suo futuro di pensatore: conosce Saint-Simon e si lascia sedurre dai suoi progetti di riforma sociale. Collabora ai giornali e alle riviste saint-simoniane, non senza maturare una ,. propria posizione indipendente che lo avrebbe L mcontro con . Saint-Simon portato alla rottura col maestro, consumatas1 nel ' 1824, dopo la pubblicazione nel 1822 del suo primo scritto importante, Piano delle opere scientifiche necessarie per riorganizzare la società, nel quale egli sosteneva la priorità di una riforma intellettuale, senza la quale è disegno chimerico e astratto pensare ad una riorganizzazione della società. Sempre alle prese colle difficoltà quotidiane della vita, tiene corsi privati di insegnamento della filosofia positiva per un pubblico colto anche se non numerov· d so, quando per l'eccessivo lavoro intellettuale e d~~~~s: dolorose traversie familiari- ha sposato nel l 825 Caroline Massin, donna spregiudicata, dal burrascoso passato e di carattere difficile e indipendente viene colpito nel 1826 da un accesso di pazzia, con conseguente degenza in manicomio. Scampato ad un

tentativo di suicidio - aveva cercato la morte gettandosi nella Senna -, a poco a poco si ristabilisce, tanto da poter godere, durante gli anni trenta, del periodo più sereno e più fecondo della sua vita. Tra il 1830 e il 1842 pubblica i sei volumi del suo Corso di filosofia positiva che gli doveva assicurare grande notorietà in Francia e in Inghilterra; da questo paese Stuart Mill entra in contatto con lui, dando inizio ad una durevole amicizia che si concretizza anche in aiuti finanziari, che gli consentono di fronteggiare con maggiore serenità le persistenti sue difficoltà di esistenza. La sua aspirazione ad ottenere un posto stabile di insegnamento alla Scuola politecnica dove presta attività di ripetitore, e, più tardi, di esaminatore, viene più volte frustrata, anche per l'opposizione dei matematici che non gli perdonano di essere venuto meno alla convinzione, tipica dell'assetto di origine settecentesca dell'organizzazione del sapere scientifico, che intorno alla matematica questo sapere debba trovare la propria unità. Ma è venuto il momento di vedere quali fossero stati gli esiti del suo lavoro filosofico-scientifico di questi anni.

2.2

ià nello scritto del 1822 egli aveva dato alle proprie idee, con la teoria dei tre stadi, una ~nqu. adratu~·a ~toric.is~ic~, cui avevano c?ncors~ mfluenze sta lllumm1stlche che romantiche. S1 tratta di una vera e propria filosofia della storia, con la quale Comte propone una ricostruzione del processo attraverso cui si son venuti svolgendo i vari . d . sistemi del sapere umano. Convinto peraltro che La teona e1 l' . . dl . . tre stadi orgamzzazwne e sapere s1a strettamente mtrecciata con l'organizzazione della società, ne discende che la teoria degli stadi non è semplicemente ai suoi occhi una interpretazione dello sviluppo storico delle conoscenze umane, bensì una teoria che riguarda la storia dell'umanità nel suo complesso. Nel primo stadio, che Comte chiama «stadio teologico», gli uomini, ancora dominati dalla fantasia e dalla religione, danno risposta alle loro domande circa la natura delle cose, ricercandola in esseri immaginari, in volontà sovrannaturali e divine da cui fanno . dipendere il corso degli eventi e l'ordine del Lo sta d10 d Q d' d l , teologico mon o. uesto sta 10 e sapere umano e a sua volta articolato in momenti successivi, che vanno dal primitivo feticismo, in cui gli stessi oggetti della natura fungono da esseri divini, al politeismo che distingue tra le cose nella loro immediatezza fisica e i personaggi divini che, separati da esse, in esse si manifestano, fino al monoteismo che, per la riduzione

l

che lo caratterizza della molteplicità dei fenomeni ad un unico principio divino, sia pur immaginato in una specie di sopramondo, prelude all'avvento dello stadio successivo. L'organizzazione sociale tipica dell'età religiosa è fondata sul principio di autorità e quindi sulla monarchia - i re rappresentano la o le divinità, personaggi divini essi stessi - e sulla forza militare. L'epoca del monoteismo, che Comte vede coincidere col Medioevo cristiano, ha significato, in particolare, l'affermar- u ·eta' . socm . le, l''msenmento . de11''md'1v1-. ordinata na soci s1. deIl' armoma duo nella realtà superiore della comunità politica e religiosa, il prevalere dell'ordine e della stabilità. La «res publica christiana» di Carlo Magno, fondata sull'unità-distinzione dei due poteri, politico e religioso, dell'impero e del papato, appare a Comte come l' espressione più alta dello spirito sociale del Medioevo e dell'età teologica. Nel secondo stadio, lo «stadio metafisica», alla fantasia subentra la ragione, alla religione, appunto, la metafisica. Gli uomini sono ancora alla ricerca delle cause nascoste delle cose e de.lla loro se~,r~ta natu~ Lo stadio ra, ma queste non vengono ncercate pm m essen metafisica divini immaginari; per ogni singolo gruppo di fenomeni si individuano «forze», «qualità occulte», «proprietà», «anime» che sarebbero le cause naturali dei fenomeni. L' «anima vegetati va» serve a spiegare

344

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 17

la vita delle piante, la «simpatia» è la causa dell'unirsi materiale indispensabile e nulla più. Compito dello ' delle cose, e se l'oppio fa dormire, ciò si deve, come scienziato è piuttosto quello di individuare le loro rela- ' faceva dire Molière ad un suo personaggio, alla «virtus zioni costanti per enunciarle poi in leggi immutabili ed dormiti va» in esso presente. Nel suo momento più alto oggettive, e per questo sono necessari i procedi- . . lo stadio metafisica conduce al concetto supremo di menti deduttivi ed ipotetici della ragione, da sotto- 1 ~ c°10 111 ~ 0 . l e. E , c,e11a sc1enza «Natura», in cui tutte le forze e proprietà delle cose si porsi. peral tro sempre alla ven'f'1ca spenmenta unificano, in una specie di corrispettivo laico dell'unico così che il sapere diviene sapere propriamente scientifiDio dell'ultima fase dello stadio teologico. Il Dio-Natu- co: rinunciando ad ogni curiosità circa la genesi dei ra dei deisti del Settecento o anche la «Natura sive fenomeni da cause metafisiche, cosicché la domanda Deus» di Spinoza potrebbero essere indicati come tipi- che ci si pone di fronte ad essi non sia più: perché? ma ca espressione del modo metafisica di interpretare i semplicemente: come? fenomeni naturali. È necessario, peraltro, stare attenti, quando si Quanto all'organizzazione sociale, essa viene per- ricorda che l'idea comtiana di scienza è un'idea fenodendo nello-stadio metafisica quella organicità che era menistica, a non equivocare sul significato che nella caratteristica della società teologica. Gli individui re- filosofia positiva ha un termine come quello di «fenoclamano la loro autonomia e libertà individuale, entra meno». Nonostante i riferimenti e le dichiarazione di in crisi il senso della comunità, ai principi organici della stima per Hume, di cui egli apprezza la critica del Chiesa e dell'impero si sostituiscono astratti priricìpi principio di causalità, e per Kant, cui attribuisce il . . razionali come quelli di diritto naturale e di sovra- merito di aver negato valore di scienza alla metafisica, ~~111 s~c 1 ?111 nità popolare, il potere politico passa dalle mani sarebbe difficile rintracciare in Comte qualcosa di simiindtviduahsttca d ll l .1. . . . E' questa la le al fenomenismo humiano o una valorizzazione della a quelle de1. gmnst1. e a c asse m11tare società che si è venuta delineando con la crisi po&t-me-. soggettività quale la si ritrova in Kant. Pur essendo vero dievale, culminata con la rivoluzione francese:ca:rattè- che il mondo delle cose, per il fatto di essere .. rizzata da un febbrile progresso, essa inclina all'anar- conosciuto, presuppone l'uomo, Comte è ben lun- EstranCII.a al · propno · m · lenomemsmo chia degli impulsi egoistici e dell'intelligenza critica, g1· da1 pensare che esso non abb1a, che alla verità condivisa da tutti preferisce l'individua- ! quanto mondo dei fenomeni, una propria consistenza listica competizione delle opinioni., anche indipendentemente dall'uomo. Il termine «fenoL'atteggiamento di Comte nei confronti dello sta~ meno>> non acquista mai nella filosofia positiva queldio metafisica è singolarmente ambivalente: da una l'accento soggettivo che noi ritroviamo, anche se in parte in lui risuonano accenti polemici che lo avvicina- modi assai diversi tra loro, in Hume e in Kant, sicché si no agli scrittori francesi della restaurazione cattolica, può dire che il compito che Com te si prefigge è quello di ed è evidente l'antipatia che, quasi ossessionato dal- costruire il sistema della conoscenza scientifica, e non . la esigenza di ordine e stabilità, egli prova per le già quello, tipico di un'impostazione citica del probleAmbtval~nza epoche critiche rivoluzionarie della storia di cui è ma gnoseologico estranea ai suoi interessi, di ricercarne comttana • ' . ' quasi sempre tentato d1 vedere l'aspetto puramen" il fondamento primo. Dicevamo di sopra dell'ascendenza illuministica e te negativo e distruttivo; dall'altra gli è impossibile confondersi con l'atteggiamento reazionario dei legitti- insieme romantica di questa teoria com tiana degli stamisti cattolici del tempo e non può non riconoscere che di. Non c'è dubbio che il culminare della storia dell'inla società moderna ha posto in primo piano l'idea e telligenza umana nel sistema del sapere scientifico, l'esigenza di progresso, dalla quale, non meno che da libero da ogni pregiudiziale teologica e metafisica, rapquella dell'ordine, non può prescindere la prospettiva presenti un lascito nella filosofia com tiana della grande di una nuova organizzazione sociale e intellettuale della tradizione illul)1inistica. La pagina del Discorso sullo società.. · spirito positivo del 1844 nella quale Comte illustra, L'ultimo stadio verso cui sta incamminandosi l'u- parlando della filosofia positiva, i diversi significati del manità, e che anzi va già delineandosi nel presente, è lo termine «positivo», è certamente dettata da una «stadio positivo». In esso gli uomini si liberano dalla limpida ispirazione illuministica: alla vecchia ma- ~sce.n~e~lze · d'1f'l r · · · illunumsttche ... pretesa di conoscere le cause e la natura delle cose nella . mera 1 oso1are, «c h'Imenea», «ozwsa», «mcerloro assolutezza, e il sapere si costituisce come sapere ta», «vaga e indeterminata», viene contrapposto il scientifico, relativo e fenomenico: esso intende moderno spirito «positivo», e cioè «reale» - alieno Lo 91?~io riferirsi soltanto ai fatti concreti e particolari, così · dall'occuparsi degli «impenetrabili misteri» cari all'inPOSIIIVO ·. Non che. fanzia dell'umanità -, «utile» - «al miglioramento come s1• presentano a11' osservaziOne. Comtè intenda ridurre la conoscenza scientifica ad un continuo della nostra vera condizione, individuale e piatto empirismo che collezioni e accumuli i fatti osser- collettiva» -, «certo» - di fronte alle «interminabili vati, !asciandoli isolati e slegati l'uno dall'altro, assolu- discussioni» e ai «dubbi continui» del vecchio regime tizzati come feticci. I fatti nella loro immediata empiri- mentale -, «preciso e determinato» - di fronte alle cità non fanno scienza, della quale costituiscono solo il «vaghe opinioni» della vecchia filosofia.

345

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

Ma quando si guardi più attentamente, non è difficile cogliere nella teoria dei tre stadi accenti e considerazioni che rinviano a «luoghi» tipici della cultura romantica. Innanzitutto l'atteggiamento di Comte di fronte agli stadi precedenti quello positivo, e in particolare di fronte a quello teologico, non segue la mentalità illuministica, secondo la quale tutto ciò che precede l'età dei lumi appartiene al mondo dell'errore e dell'ignoranza. Aderendo ad una concezione della storia, non lontana da quella dei romantici, Comte ritiene che il presente affondi le proprie radici nel passato, e che il progresso consista in un movimento graduale nel quale ogni fase è una tappa significativa, . che concorre all'acquisizione del risultato finale, ... e romantrche e non un momento meramente negativo da cui la ragione debba soltanto liberarsi per potersi attuare. È per questo che, trattando dello stadio teologico, Com te non ne parla in termini puramente detrattivi, e anzi mette in evidenza il contributo che esso ha dato allo sviluppo del sapere. Se, per esempio, gli uomini non avessero popolato i cieli di volontà divine che, attraverso i movimenti delle stesse, agiscono sul destino degli uomini, mai sarebbe nato l'interesse a conoscere i cieli e l'astronomia non sarebbe stata, cosi come è nelle pratiche feticistiche dell'umanità fanciulla che ha avuto i suoi umili inizi lo studio delle forme animali. È nella stessa superstizione degli inizi che va lentamente maturando il sapere destinato poi a divenire positivo, così come nell'ingenuità dell'infanzia va facendo le sue prove l'uomo che aspira a divenire adulto. E sempre a proposito dell'età teologica non va dimenticata la valutazione nutrita di intensa simpatia . . che Comte fa dell'età medievale, anche qui in ' ~rmpatl~a pel r contrasto con le asprezze antimedievali del Settel e1 a me!leva e . . 'f' . . . . cento e 111 s1gm1cat1va smtoma con 1.1me d'1eva11smo romantico.

Vedremo, del resto, quanto del cattolicesimo medievale è destinato ad essere recuperato nella modellazione, cui Comte si accinge, della nuova società dell'età positiva. Al processo di positivizzazione del sapere deve infatti poter corrispondere -lo sappiamo- una della Le condizioni trasformazione sociale che dia termine alla crisi trasformazione post-rivoluzionaria, riaprendo un. Ogni scienza gode di una propria, sia pur relativa, autonomia, poiché il passaggio da un ordine all'altro dei fenomeni implica un salto, sicché l'insieme di leggi che disciplina la scienza più complessa è irriducibile a quello che è proprio della scienza meno complessa. La sociologia, ultima ad assumere i caratteri della positività, è la prima tra tutte le scienze nel senso che tutte le altre ricomprende in sé e tutte le supera, giacché da essa dipende il senso e la direzione della totalità del sapere umano. Dobbiamo vedere come e perché.

2.4

~----_ •·-~-\'

Ila scienza - lo abbiamo accennato più volte Comte non attribuisce una funzione meramen.•·-· te intellettuale; egli, sulla scia della grande tradizione baconiana, la concepisce, piuttosto, proprio in quanto conoscenza rigorosa dei fatti, come un formidabile strumento di trasformazione c della realtà. La conoscenza delle leggi dei fenoonoscere ~er meni ci permette di «prevederli», e la previsione, agJre a· ima volta, ci mette nella condizione di agire sulla realtà e modificarla, sottoponendola al nostro dofuìnio. E non si tratta semplicemente del dominio dell'uomo sulla natura fisica, bensì del controllo che l'uomo realizza sulla propria stessa realtà, sulle condizioni e le modalità della vita sociale. ··' =.-..

. . -•. -_..·

_-._· _-~_-.·_ ...

' ,_La sociologia, in quanto conoscenza delle leggi dei fenomeni sociali, ci consente di prevedere lo sviluppo futuro della convivenza sociale e quindi di poterlo anche determinare. Le scienze che si volgono allo . studio del mondo fisico, dalla matematica alla Funzione . . l . ç • • . f . programma11ca b10 og1a, sono esse stesse 1enomem soCla11, unzw- della sociologia nali all'appagamento dei bisogni umani, e questo volevamo dire di sopra quando affermavamo che, secondo Comte, è la sociologia a dare senso all'insieme delle conoscenze umane. · La sociologia comtiana è ispirata ad una concezione organica della società, ed anche questo conferma il legame di Comte con la cultura post-illuministica europea, alla quale, con tutte le diversificazioni

347

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

anche non secondarie, è comune - da Hegel alla scuola storica del diritto (Savigny), da de Maistre a Saint-Simon e a Mazzini -la polemica contro il giusnaturalismo individualistico. Anche Comte afferma che l'individuo non è nulla al di fuori della società. Non l'uma.. nità sociale, ma l'individuo è un'astrazione conOrgamclsmo l · 1 11 d' f'l f' antigiusnatura- cettua .e' esiste~ t~ so ta?to, ne a mente. 1 1 os? .1 listico astratti. La soc1eta non e ne una costruziOne artificiosa voluta da presunti individui preesistenti che deciderebbero, attraverso un contratto sociale, di dar vita, sotto la spinta di motivazioni utilitaristiche, alla convivenza sociale, né una semplice astrazione concettuale. Prima è la società, e solo poi, in essa, sono gli individui, per i quali dunque la convivenza è una condizione assolutamente naturale. Da questo radicale anti-individualismo discende anche il motivo che induce Comte a negare alla psicologia dignità di scienza distinta ed autonoma - non l'abbiamo, infatti, trovata nella classificazione delle scienze. I comportamenti individuali sono in radice condizionati da una parte dall'organizzazione biologica, dall'altra dall'organizzazione sociale, e pertandella~:r:~:~: to l'indagine su di essi si ripartisce tra biologia e come scienza sociologia. La pretesa di riconoscere nella psicoloautonoma gia uno studio dell'intelligenza e delle altre facoltà dello spirito che si fondi sul metodo introspettivo è una pretesa infondata, poiché solo l'osservazione oggettiva garantisce la scientificità dell'indagine. Nell'introspezione, l'identità tra soggetto che osserva e oggetto che viene osservato apre la strada agli arbìtri della soggettività, scientificamente inattendibile. Così come la fisica, anche la sociologia, «fisica sociale,,, si distingue in due parti, inseparabili e integrantisi tra loro, la «statica sociale'' e la «dinamica sociale''· La prima studia le strutture immutabili della . vita sociale comuni a tutte le società in tutti i 11Stat1ca» e · che g.arantlscono · l' o.rd'me, 1'l !!dinamica» temp1,· g11. «org~nm sociale tessuto connettivo senza 11 quale l'orgamsmo sociale perirebbe. Tali organi, che sono la famiglia, la proprietà privata, la religione, la distinzione tra potere politico e potere spirituale, possono essere modificati dal succedersi degli stadi dell'umanità nella forrria in cui si manifestano, non certo nella loro sostanza. Mentre la statica è incentrata sull'idea di ordine, la dinamica sociale studia invece la società sotto il profilo dell'idea di progresso. La teoria dei tre stadi ne costituisce la parte più significativa. Abbiamo già accennato alle forme organizzative della società che accompagnano i primi due stadi della storia dell'umanità; si tratta ora di vedere come il compiersi del sistema delle scienze positive abbia posto le condizioni di un tipo di società, la società positiva, in cui finalmente le ragioni dell'ordine si conciliano con quelle del progresso, a dimostrazione dell'opposto errore in cui incorrono da una parte l'indirizzo politico reazionario, dall'altra quello rivoluzionario.

Comte riconosce nell'industrialismo il carattere di novità della società moderna, e da buon ex-seguace di Saint-Simon, sostiene che le istituzioni devono essere affidate alle nuove forze produttive materiali, sicché banchieri e industriali vengano investiti del compito di gestire il potere politico. Il conflitto tra classi possidenti e proletariato, che sta alle origini della moderna questione sociale, non appare a \.Comte così radicale e irriducibile da compromettere l'ordine e gli equilibri della società e, d'altra parte, le dottrine comunisti. . che fanno parte, ai suoi occhi, del vecchio e astrat- La ~~~cleta . · f'lSico . sull a soc1eta . , che pOSI IVa to punto d1• v1sta meta oramai ha fatto il suo tempo. Non con le rivoluzioni violente, né livellando la società sulla base di astratti princìpi egualitari si risolvono i problemi e gli squilibri sociali, ma piuttosto con l'educazione al «sentimento sociale» della solidarietà, ossia alla consapevolezza che tutti gli uomini sono membra di un medesimo superiore organismo, con la diffusione dell'istruzione scientifica e il riconoscimento per tutti del diritto al lavoro e al perfezionamento spirituale. Ma perché tutto questo sia possibile è necessario che, al di sopra del potere politico dei banchieri e degli industriali, un superiore potere spirituale diriga, come nel Medioevo il ceto ecclesiastico, la società verso lo scopo dell'integrazione e dell'armonia. I nuovi sacerdoti laici di questa società sono gli uomini delle «idee

348

Clotilde de Vaux, in un ritratto (1845) di Antoine Etex, presso la Maison Auguste Comte.

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 17

generali», cultori della filosofia positiva, e gli scienziati che da essi traggono luce intellettuale e morale. La funzione Curiosamente Comte individua i migliori alleati degli intellettuali e della filosofia positiva, coloro che spontaneamendei proletari te ne condividono lo spirito solidaristico e «socialista», nei proletari e negli operai. Questi, a differenza degli altri ceti, non sono stati influenzati dall'individualismo e dall'egoismo caratteristici della moderna epoca borghese, sono aperti al senso altruistico richiesto dalla nuova organizzazione sociale e sensibili al richiamo della cultura scientifica. Mentre lo spirito degli uomini appartenenti ai ceti medi è tutto rivolto

2.5

agli interessi particolari delle loro attività economiche, l'animo dei proletari è aperto alle «idee generali», tanto che Comte ritiene che essi, in alleanza con i filosofi positivi, abbiano da assolvere ad una funzione dirigente importante nella fase di transizione alla società positiva. Anche in vista di questo, egli tiene a Parigi, per diversi anni a partire dal 1843, corsi di astronomia e di filosofia positiva frequentati da gruppi numerosi di operai e artigiani parigini, molti dei quali avrebbero aderito alla «Società posi ti vista» da lui fondata nell848 per la diffusione delle sue idee filosofiche e politiche.

:::::::·::·:·:::::·::::::::::::::::::::·::::::::::::;;;;;;:;::;;;;;;;;;;::;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;ì ;;;;;;;;;;;;;;;:;;;;;;;:;;:;:;;;;;;;;;;;::;;;;;:;;;;;:;;:::···

La religione dell'umanità

. l'incontro con una donna che segna profonda-

~.

mente il secondo periodo dell'attività di Comte, · · che doveva concludersi solo con la morte, nel 1857. Separatosi dalla moglie nell842 e caduto · in preda di una nuova crisi depressiva, egli conosce nell845 una giovane donna, Clotilde de Vaux, la ,. cui amicizia e il cui amore platonico, nonostante la Lmcontro con morte di lei sopraggiunta appena un anno dopo, una donna " d'IISpirazwne . . . avrebb ero rappresentato una 10nte e un punto di riferimento importantissimo per lo sviluppo del pensiero comtiano. Clotilde è la sua Beatrice, a cui egli per tutta la vita avrebbe dedicato quotidianamente i suoi pensieri e la «solenne effusione dei nobili sentimenti», una vera e propria forma di laica preghiera quotidiana. Vengono gli anni dell' «igiene del cervello», come egli chiama il proprio raccogliersi in se stesso, l'immergersi totalmente nei progetti di rinnovamento universale, in interiore comunione con Clotilde, il proprio ,. . «angelo custode», astenendosi per principio da L «tgtene del ogni lettura, astraendosi quasi del tutto da ciò che 11 cervem> . dl accad' e mtorno a l'" m, 10sse an ch e la .nvoluzwne e 1748, in cui egli vede una convulsione momentanea destinata a risolversi nell'aurora della società razionale. Cresce in lui- frutto anche questo del suo rapporto con Clotilde -la valorizzazione del sentimento, anche al di sopra della ragione, e si annuncia il misticismo degli ultimi anni della sua vita. La filosofia di Com te assume sempre più esplicitamente una intonazione religiosa, che trova espressione nella proposta di una nuova religione dell'età positiva, . . la religione dell'Umanità. Documenti di questa SVlliPPiç 1 dl. . . l. religiosi 1ase e pensiero comt1ano sono 1 quattro vo um1 del Sistema di politica positiva o trattato di sociologia, istitutivo della religione dell'umanità (1851-54) e il Catechismo positivista o esposizione sommaria della religione universale dell8 52.

1

L'oggetto della nuova religione non è più, naturalmente, una divinità trascendente, bensì l'Umanità, interpretata come il «grande Essere», uno e immortale, di cui i singoli individui umani, vissuti in passato e che vivranno in futuro, sono le molteplici passeggere manifestazioni. Nell'immenso mare della storia l'Umanità perpetua se stessa attraverso le opere , .. . . che sono ch'1amat1,. tutti,. a vivere . . L Umamta m d egl1. uom1m, essa e per essa. «Vivere per gli altri»: questo diviene il precetto fondamentale dell'etica, che ora Comte riscopre come scienza autonoma, superiore anche alla sociologia, nella quale in un primo tempo egli l'aveva risolta. Si tratta di una religione che non può rimanere nella dimensione della pura interiorità soggettiva, poiché essa deve accompagnare gli uomini in tutti i gesti e in tutti i momenti della loro vita, e pertanto, .. . . ·· . . La reltgtone . . 'b'l r~n d ers1 v1s.1 1 e, m~tena11zzars11~ n ti, s~~rame~- dell'Umanità ti, sacerdoti, dogmi. Con una met1colos1ta che finisce col cadere nel ridicolo, Comte mutua dal cattolicesimo, la religione nella quale era nato e di cui, pur distaccandosene, aveva continuato a sentire la suggestione e a riconoscere le benemerenze storiche, tutte le sue forme esteriori, traducendole nel linguaggio laico proprio di una religione «positiva». La religione comtiana ha dunque i suoi dogmi -le leggi scientifiche -, i suoi sacerdoti -gli scienziati -, il suo papa- naturalmente, Com te stesso-, i suoi santi- i grandi uomini che hanno contribuito al progresso dell'Umanità-, le sue chiese, il suo calendario e la sua liturgia. Anche la figura femminile trova 'posto in questo così corposo immaginario. La donna è innalzata a simbolo del potere del sentimento interiore ed ha la funzione di alimentare negli uomini il sentimento sociale e altruistico di contro all'egoismo e al principio dell'individualità. Quando Comte morirà, i discepoli della «Società positivista» e i cattolici si contenderanno le sue spoglie,

349

PARTE SECONDA. L'ETÀ DEL POSITIVISMO

LtJ l~ ~

2

8

volendo gli uni le esequie civili, gli altri quelle secondo il rito cattolico. Ma era già da qualche anno che Una contesa nella scuola comtiana erano avvenute diserzioni, eredità da parte di chi non aveva accettato gli sviluppi

2.6

...........

,,,.,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,.. , ,., ... ,,,,,, .. ,,,,,,,,

mistico-religiosi del suo positivismo. Sulla sua tomba, nel cimitero del Père Lachaise di Parigi, venne incisa la formula sacra della filosofia positiva: «L'amore per principio, l'ordine per base, il progresso per fine».

.,,,, .. ,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,..

,,,.,., '"'''''"''''''''''''''''''''"''''''''' ..

Comte e la filosofia francese dell'Ottocento stato detto che il Corso di filosofia positiva avrebbe a~uto nel p~nsiero francese. dell'Ottocento quas1la stessa Importanza che m Germania aveva avuto la Critica della ragion pura di Kant. È indubbio che la sua influenza va ben oltre i confini della scuola che, dopo la morte di . . Comte, si scinde tra coloro che difendono l'inteScissione della rezza del pensiero del maestro e quelli, come co~~:~~:: Emile Littré (1801-1881), il grande autore del Dizionario e della storia della lingua francese, che rifiutano il Comte mistico dell'ultima fase per propagandare la filosofia positiva nella sua formulazione puramente scientifica. In realtà, la diffusione del positivismo in Francia è assai ampia e il riferimento a Comte è ineludibile per tutti i pensatori francesi anche quando si distinDilfusione del guono o addirittura si contrappongono al padre positivismo in Francia del positivismo. Tra gli scrittori che prima e più di altri concorrono alla diffusione delle idee positivi-

stiche sono da citare Ernest Renan (1823-1892), storico dell'ebraismo e delle origini del cristianesimo- famosa la sua Vita di Gesù del1863 -, Hyppolite Taine (18281893), storico della filosofia e studioso di estetica, il cui saggio Sull'intelligenza del 1870, tipico tentativo di spiegazione meccanicistica esaustiva dell'intera vita psichica umana, sarebbe stato uno dei modelli cui si sarebbe ispirata la nascente psicologia scientifica francese. È da questi autori, e da altri, che doveva formarsi quella mentalità «positiva», laicista e razionalista, diffusa in mezzo alla borghesia intellettuale e non dell'epoca della Terza repubblica, e che avrebbe trovato .. nelle figure del medico, del farmacista, del maestro Una mentallta . . . , . . .. . d' l . «popolare>> elementare 1sum pm tlpicimterpreti e 1vu gaton a livello di massa. Sul finire del secolo, ultimo segno dell'influenza del grande filosofo di Montpellier, avremo con Durkheim (v. CAP. 28**· PAR. 3.2), la nascita vera e propria della sociologia.

350

Capitolo ==~-'---"--C~:__~_:.-=

Origini e caratteri del positivismo. La filosofia di Comte Sul positivismo in generale sono da vedere: L. Kolakowski, La filosofia del positivismo, Laterza, Bari 1974, apparso in Polonia nel 1966. Vi si prende in esame criticamente il pensiero positivistico dai suoi esordi nell'illuminismo ed in Hume fino alla sua ripresa novecentesca da parte dell'empirismo critico. W.M. Simon, Il positivismo europeo nel XIX secolo, Il Mulino, Bologna, 1980. Si tratta della esposizione più completa della filosofia del positivismo. S. Poggi, Il positivismo, Bari Laterza, 1987. È una presentazione della cultura positivistica che si distingue per non limitarsi ad una trattazione delle problematiche strettamente filosofiche del positivismo, e per estendere piuttosto l'esame al tema più ampio del rapporto scienza-filosofia. AA.VV. Scienza e filosofia nella cultura positivistica, Feltrinelli, Milano 1982. Si tratta della pubblicazione degli atti di un convegno tenutosi a Reggio Emilia nel1980. Il suo merito consiste nell'offrire un'analisi fortemente articolata del movimento positivistico, dai modelli filosofici al positivismo degli scienziati, fino alla riflessione sui contributi allo sviluppo delle scienze dell'uomo, dalla psicologia al diritto, dalla criminologia alla filologia. Un'utile antologia è, infine, quella proposta da P. Rossi, Positivismo e società industriale, Loescher, Torino, 1975. Sul positivismo francese sono da vedere F. Manuel, l profeti di Parigi, Il Mulino, Bologna 1979, e, nella prospettiva di una storia della sociologia, F. Ferrarotti, Il pensiero sociologico da Comte a Max Horkheimer, Mondadori, Milano 1974. Quanto a Comte suggeriamo: D. Fisichella, Il potere nella società industriale. Saint-Simon e.comte, Morano, Napoli 1965, attento a fermare «la prima e più importante formulazione del pensiero tecnocratico»; A. Negri, A. Comte e l'umanesimo positivistico, Armando, Roma 1971, impegnato nel tentativo di mostrare nel filosofo francese uno dei teorici, insieme a Marx - fatte salve le non secondarie differenze tra i due- deii'«Umanizzazione» della natura. Dello stesso Negri è da vedere Introduzione a Comte, Laterza, Bari 1983. F. Ferrarotti offre un'antologia degli scritti sociologici comtiani nel suo Comte, Il Mulino, Bologna 1977.

351

17

Capitolo

18

····· .,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,1,:=;;:::q:;: :::::::::=::::::P::::::::::::::::::::::::q::::::::::::::::::::::::::::=:::n:::::rnr:H:::::::::===···

Il positivismo inglese

l

·········::·:::::::::::::::·::::::::::•:::·::::;;;;;;:;;;.:;;;;;;;;;;;;;;;;;;;,;;;;;;;:;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;:;;;;:;;;;p;;;;!;;;;::::::::···

Tradizioni filosofiche e processi politici e sociali nello sviluppo della cultura positivistica in Inghilterra

,:~. ·..·.•·

~~~

uandoanni tra la fine degli anni trenta e gli inizi degli quaranta comincia a diffondersi in Inghilterra la conoscenza della filosofia positiva di Comte, attraverso recensioni dei volumi del ' Corso di filosofia positiva - che sarebbe stato tradotto in inglese nel1853 -, esistevano già nel paese della rivoluzione industriale, che proprio in quegli anni aveva conosciuto importanti riforme politico-sociali che ne avevano fatto il primo paese liberale d'Europa, le condizioni più favorevoli alla diffusione delle idee positivistiche. L'Inghilterra non aveva mai cessato di essere il paese della grande tradizione empiristica che da Bacone attraverso Locke discendeva fino a Newton e Hume; Cambridge, la seconda università inglese, continuava ad esserne la principale roccaforte. L'aderenza critica ai contenuti dell'esperienza, l'attitudine .. ad una ricerca scientifica libera dalle pregiudizia118 1 Una ~ ~ 1 ~ 110 li metafisiche, l'interesse vivo per gli studi storiempll'lst~ea . . . d . . . . . c1, econom1c1 e et1c1, aspetti tutti questi caratteristici di quella tradizione di pensiero, più che mantenuti vivi, esposti negli ambienti accademici al rischio delle cristallizzazioni dogmatiche e della stanca ripetitività, avevano avuto nei primi decenni dell'Ottocento interessanti sviluppi in studiosi e scrittori estranei alla cultura universitaria e assai sensibili al dibattito politico-sociale, che nella società inglese era ripreso, vivacissimo, soprattutto dopo la fine del periodo napoleonico. Noi abbiamo già preso in esame alcuni di questi pensatori, come Bentham e Ricardo, che, in connessione con il movimento politico radicale impegnato a rinnovare in senso liberal-progressista la stagnante situazione politica inglese, avevano dato impulso alle tendenze dell'utilitarismo etico e allo sviluppo del-

l'economia politica borghese. James Mill (17731836), discepolo e seguace di Bentham, fondatore insieme con lui nel 1823 della Westminster Rewiew, la rivista del radicalismo inglese, aveva ripreso le analisi psicologiche di Hume intorno alle conoscenze umane nel suo scritto principale, Analisi dei fenomeni della mente umana del1829, dando una rigorosa James Mill enunciazione della teoria associazionistica, secondo la quale i processi mentali e la formazione delle idee ubbidirebbero a precise leggi di associazione psicologica tra le sensazioni, un vero e proprio «chimismo mentale» suscettibile di rigorose analisi scientifiche. Empirismo gnoseologico e utilitarismo etico sono indirizzi di pensiero ai quali la diffusione delle idee positivistiche può fare riferimento in sostanziale continuità, tanto che l'Inghilterra è, forse, l'unico paese .. nel quale la transizione dall'epoca illuministica Una tra~slzlone , ,d l .. . . . . ((tranqwllan a11 eta e pos1t1v1smo avviene senza 11 travag110 che altrove è imposto dalla necessità di contrastare la predominanza di tendenze idealistiche c romantiche. Non che tali tendenze, sia pur di limitata influenza, non siano' presenti nel panorama della cultura inglese di questa epoca. Già nei primi decenni del secolo poeti come William Wordsworth (1770-1850) e Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) avevano Presen~e · dotto le temat1c · he de11a f"l1 oso f"1a 1'deal'1st1ca · romantiche mtro tedesca, in particolare di Schelling, e, più tardi, una singolare figura di scrittore, Thomas Carlyle (17951881) aveva fatto conoscere, con i suoi saggi su Schiller, Novalis, Jean Paul Richter, e con la traduzione del Wilhelm Meister di Goethe, la grande letteratura tedesca. In Sartor resartus del 1833-34 egli conduce una polemica insistente contro i miti illuministici del progresso e contro la moderna civiltà delle macchine e

352

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 18

del primato della scienza, in nome di una visione spiritualistica della storia come manifestazione di un principio spirituale infinito, e dell'universo come Carlyle • d' D' . . tempiO . deIl o spmta». .. «vestito 1 IO» e «m1st1co In piena età vittoriana, in contrasto con le tendenze liberali e democratiche dell'epoca e con l'utilitarismo e l'esaltazione di origine baconiana delle macchine come strumenti per il miglioramento della condizione umana, egli.esalta, nella sua opera del1841, Eroi e culto degli eroi, e poi in Passato e presente del1843, il culto degli eroi quali protagonisti, simili agli individui «cosmico-storici» di Hegel, della storia universale. La democrazia, con la sua visione utilitaristica e «materialistica» della vita sociale, nasce dal disperare di trovare eroi capaci di governare le cose umane, così come il fallimento della rivoluzione francese, cui

Carlyle aveva dedicato un celebre saggio nel 1837, sarebbe stato provocato dall'assenza di protagonisti capaci di esprimere con energia creatrice la superiore potenza dello spirito. Con questi orientamenti romantici e con altre tendenze, anch'esse influenzate dalla filosofia tedesca, come per esempio quella rappresentata dal pensiero di William Hamilton (1788-18 56) ispirato alla filosofia di Kant, deve in qualche modo misurarsi il pensiero positivistico inglese dell'età vittoriana che ha i suoi massimi rappresentanti in Joh n Stuart Mill, figlio del James Mill di cui ora abbiamo accennato, la cui opera domina il trentennio tra il1840 e il1870, e, più tardi, in Herbert Spencer, la cui influenza sulla cultura filosofica e scientifica inglese e più in generale europea sarebbe stata rilevantissima a partire dagli anni settanta.

Stuart Mill (1806-1873): \ il campione delliberalismo ottocentesco 2.1

La formazione giovanile. Dall'impegno politico alla filosofia ohn Stuart Mill, che era nato a Londra nel1806, era stato avviato dal padre fin da piccolissimo a • severi e inconsueti impegni intellettuali. All'età '. di tre anni aveva intrapreso lo studio del greco, . · e poco più tardi dell'aritmetica; a otto anni inizia lo studio del latino, della storia universale e, negli anni successivi, si dedica alla letteratura greca e ,. u romana, allo studio della logica e dell'economia Unmso la ·, 1. · g1a fanciullezza po.lt~ca; a sette anm· avev~ 1.etto. d'1v~r~1· d'1aj oghl d1 Platone. Questo sbalord1t1vo t1roc1mo culturale che, come egli racconta nella sua Autobiografia pubblicata postuma nell'anno stesso della sua morte-, gli aveva dato un vantaggio di un quarto di secolo nei confronti dei coetanei, era avvenuto sotto la guida attenta del padre che, durante le lunghe passeggiate in compagnia del figlio, discuteva con lui di tutto ciò di cui questi veniva di volta in volta impadronendosi. Nel 1820 il giovanissimo John- che aveva aggiunto al proprio cognome quello del padrino e benefattore John Stuart - trascorre un anno in Francia, e si accosta alla cultura di questo paese con grande interesse, che avrebbe conservato per tutta la vita. Ritornato in patria, si dedica allo studio degli scritti di . . untsptratore: · · egj'1 trova j''lB ltha Bent ham, ne1 cm· ut1·1·Itansmo etico et m dea capace di dare unità alla sua visione delle cose. Così scrive nell'Autobiografia:

«ora io possedevo una convinzione, una fede, una dottrina, una filosofia, anzi, una religione nel senso migliore della parola, la cui diffusione doveva formare il principale compito della mia vita». È in questi anni che Mill si dedica, unendosi a giovani coetanei animati dalla sua medesima fede, ad un impegno pubblicistico, che, dalle pagine della Westminster Review, si prefigge gli obbiettivi di riforma politica ispirati al radicalismo benthamiano, come l'estensione del diritto di voto e la libertà di parola. Nel frattempo ha inizio nella sua vita, e anche questa volta assai precocemente, l'esperienza del lavoro: il padre lo fa assumere, appena diciassettenne, come impiegato al servizio della Compagnia delle Indie, dove avrebbe lavorato per trentacinque anni, arrivando ad assumervi un ruolo dirigente di grande prestigio. Intorno ai vent'anni, questo giovane, cresciuto nell'impegno esclusivo dello studio, educato al culto unilaterale dei valori intellettuali e abituato a sottoporre tutto al vaglio dell'esame della ragione, con una totale inibizione delle spinte emotive dell'animo, cade in preda ad una crisi spirituale di cui egli stesso ha .. lasciato un fedele racconto. La consapevolezza un.a.1c11511 .f' . . Il ., d . . sp1r1 ua e del sacn 1c10 Imposto a a spontane1ta e1 sentimenti, e il timore di un irrimediabile inaridimento della affettività, lo gettano in uno stato di sconforto e

353

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

'l

,,'

"

di profonda depressione, da cui sarebbe riuscito faticosamente ad uscire solo scoprendo di non essere ancora ridotto all'insensibilità «di un pezzo di legno o di una pietra». Entra in crisi, in particolare, quella sua idea di utilitarismo secondo la quale sarebbe stata sufficiente la realizzazione degli obbiettivi di progresso intellettuale e politico degli uomini per sentirsi felici. Dovendo riconoscere che questo non è vero, «sentii mancarmi il cuore. L'intero fondamento su cui era costruita la mia vita crollava». In realtà questa crisi del giovane Mill, oltre che esito della forte repressione che l'educazione paterna aveva esercitato su di lui fin dall'infanzia, è soprattutto emblematica della crisi di un'epoca: la vecchia educazione illuministica cui l'aveva costretto il padre, ormai in procinto di tramontare, non regge più il confronto con le nuove idee che il secolo romantico va introducendo anche negli ambienti della cultura inglese. Il giovane educato ad essere una «macchina razionale», scopre ora la forza dei sentimenti e il caloScoperta dei re della vita interiore. Legge i poeti moderni, tra sentimenti e i quali Wordsworth in particolare lo suggestiona, della vita interiore si accosta agli scritti di Carlyle del quale scopre e fa suo il fortissimo sentimento dell'individualità, le idee dei sansimoniani lo avvincono e si volge con interesse alla lettura degli scritti giovanili di Comte. Egli si convince, in particolare, che la felicità personale, meta di tutte le aspirazioni umane, non si ottiene proponendosela come scopo, bensì guardando ad un fine più alto, come la felicità degli altri, e concentrando in esso tutte le proprie energie. L'amore di una donna, Harriet Taylor, che avrebbe potuto sposare solo dopo più di vent'anni, una volta libera da un precedente vincolo matrimoniale, fa da coronamento a questa rigenerazione psicologica del giovane Mill. Egli ne parla come della propria ispiratrice - ella avrebbe collaborato alla stesura del saggio Sulla libertà pubblicato nel 18 59 -, come della donna che con la sua saggezza e le sue intuizioni avrebbe influito profondamente sull'evoluzione della sua esperienza intellettuale e morale. Questo flusso di nuove esperienze vivificatrici non allontana, per altro, Mill dalle sue precedenti convinzioni. Pur consapevole ormai dell'importanza ~ d . dei sentimenti e della complessità della vita psir·e e1la a l . h l' . b h . utilitarismo ed co og1ca c e etica ent amana non sospetta empi;ismo nemmeno, egli si conferma nell'adesione all'utilitarismo etico e all'empirismo associazionistico, che ora intende semmai arricchire delle nuove esperienze, pur tenendosi lontano da ogni tentazione romantica di rinuncia alla fede nei poteri dell'intelletto analitico e nell'esperienza come ambito entro il quale soltanto si danno c'onoscenze reali e scientificamente apprezzabili. La morte del padre, avvenuta nel 1836, rappresenta, in un certo senso, una vera e propria liberazio-

ne. Finalmente il figlio può esprimere pubblicamente i suoi orientamenti. La pubblicazione nel 1838 di un saggio su Bentham e di un altro su Coleridge nel 1840, nei quali egli esprime i suoi nuovi punti di vista sull'etica e sull'utilitarismo, creano scompiglio tra le fila dei suoi amici benthamisti che lo accusano di deviazione e addirittura di tradimento della filosofia utilitaristica. \. Gli anni trenta rappresentano nella vita di Mill il periodo del suo prevalente impegno nell'azione politica che si sarebbe conclusa con l'insuccesso degli abbiettivi che il giovane radicale si era prefisso di raggiungere. Il decennio si era aperto con la riforma elettorale del 1832, che era stata il principale obbiettivo del movimento radicale di ispirazione benthamiana, ma dopo alcuni anni di azione riformatrice il . 1 gover~o .whig guidato d~ ~o~d Melbour~e era ve- ~:~~~~~~:el nuto nptegando su pos1z10m sempre pm conser- radicale vatrici, deludendo le aspettative dei radicali. Andava intanto organizzandosi nel paese il movimento democratico-socialista del cartismo, in cui si riconoscevano le ormai vaste masse lavoratrici. Mill, che, dopo la morte del padre, viene accentuando la sua critica del benthamismo anche sul terreno delle idee politiche e sociali, rimproverandogli una sostanziale chiusura alle esigenze che maturano nel paese di democratizzazione del sistema politico inglese, si pone l'obbiettivo di un rilancio del movimento radicale, anche attraverso l'utilizzazione di un nuovo periodico, la Rivista di Londra e Westminster, di cui diviene l'animatore. L'obbiettivo milliano è quello della costruzione di un terzo partito, in contrapposizione ai tories e agli whigs, capace di operare l'unificazione di una vasta area di forze progressiste, dalla «classe media» dei

354

Ritratto di fohn Stuart Mill.

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 18

grandi e piccoli capitalisti agli intellettuali, fino alle masse lavoratrici, in vista di un programma di riforme che si spinga fino alla richiesta del suffragio universale. Le speranze di Mill vanno rapidamente sfumando: la crisi del movimento cartista, culminata nella drastica repressione scatenata dal governo nel1839, e il nuovo orientamento del partito whig per la Dalla lotta politica alla riforma dei dazi granari, che riesce a coalizzare baliaglia delle di nuovo intorno a sé le forze del movimento idee neo-radicale, distogliendolo dagli obbiettivi ben più ambiziosi indicati dal programma formulato da Mill, costringono quest'ultimo a riconoscere il fallimento dei suoi programmi. Già nel 1840 egli decide

di ritirarsi a vita privata e di dedicarsi innanzitutto agli studi filosofici e scientifici, che, del resto, non aveva mai abbandon~to. Mill non vive questa decisione come una rinuncia all'impegno per il progresso civile e sociale del proprio paese: piuttosto, egli è ora convinto - e la lettura dei volumi del Corso dì filosofia positiva di Comte non ha scarso peso nella formazione di questa convinzione - che per la riforma della società sia necessario prima di tutto lavorare alla riforma delle idee, che di quella è condizione indispensabile, e che dunque alla battaglia politica, rivelatasi inefficace, debba subentrare una lotta che si conduce sul terreno delle teorie e delle indagini filosofiche.

2.2

···············:·:::::::::::::::::::::::;;;;;; ;;;;;;;;;;;:;;;;:;;;;;::;;:::;:;:;;;;;;::!::;::::······

G H studi di logica, psicologia e filosofia della scienza on è un caso che gli anni in cui Mill va lavorando alla stesura della sua prima e più grande opera filoso~ica, pubbli~at~ nel. 1843 .col tit?lo di Siste-

ma d1 log1ca razwcmat1va e mdutt1va con una esposizione dei princìpi di evidenza e dei metodi d'investigazione scientifica, siano anche quelli di una sua fitta corrispondenza epistolare con Comte. Egli è, . infatti, convinto di trovarsi impegnato in InghilRapporll con · , · d l · 'l 11 h Comle terra m un operazwne e tutto s1m1 e a que a c e Comte sta portando a termine in Francia col suo Corso di filosofia positiva, ossia quella di combattere le filosofie metafisiche e teologiche ancora dominanti in vista del trionfo della «filosofia positiva». In particolare Mill intende evidenziare il ruolo ideologico che quelle filosofie, con la loro pretesa di affermare il carattere innato e intuitivo delle verità riguardanti il mondo, svolgono a sostegno delle vecchie strutture sociali e religiose, e la necessità di colpirle a morte,. mostrando il fondamento empirico di tutte le operazioni e processi mentali dell'uomo. Così egli scrive a Comte, alla vigilia della pubblicazione della Logica: «non credo di venir ingannato dall'amor proprio pensando che se la mia opera verrà letta ed accolta ... , ciò rappresenterà il primo colpo un po' forte che la scuola antologica avrà ricevuto in Inghilterra, almeno nei nostri giorni, e che presto o tardi questo colpo le sarà mortale: ora, questa era la cosa più importante da fare, poiché questa scuola è la sola essenzialmente teologica, e poiché le sue dottrine si presentano oggigiorno presso di noi come sostegno nazionale del vecchio ordine sociale e delle idee non solo cristiane, ma anche anglicane».

· . L'assunto fondamentale del Sistema dì logica è UJ~a~o~~ca che non si dia mai un «pensiero puro», capace m u Jva di costruire proposizioni realmente indipendenti dall'esperienza, e che esso presupponga sempre

l'esperienza, senza della quale nessuna proposizione, anche la più generale, sarebbe formulabile. A differenza della logica aristotelico-scolastica che si proponeva come teoria del ragionamento deduttivo, la logica milliana vuole essere la teoria del metodo d'indagine proprio delle scienze empiriche, che consiste in quel tipo di «inferenza» che si chiama induzione. Tale procedimento è prioritario nei confronti dello stesso procedimento inferenziale sillogistico teorizzato da Aristotele: la premessa maggiore del sillogismo non è altro, infatti, che la generalizzazione, cui si perviene per via induttiva, di una serie più o meno ricca di osservazioni particolari raccolte sulla base delOrigine l'esperienza. La proposizione «Tutti gli uomini empirica sono mortali», da cui sillogisticamente si deduce dell'inferenza che il «duca di Wellington, essendo un uomo, è sillogistica mortale», non è affatto fondata, come potrebbero sostenere filosofi metafisici e intuizionisti, sull'apprendimento originario dell' «essenza» umana; essa non è altro che il risultato del nostro aver verificato la morte di questo uomo, di quello e di quell'altro ancora: Pietro è morto, Giacomo è morto, Tiziano è morto, dunque anche il duca di Wellington morirà. A fondamento di tutte le proposizioni possibili . non c'è né il procedimento inferenziale deduttivo dal generale al particolare, né, a rigar di termini, quello opposto, dal particolare al generale, concui comu. . .d .f' l'. d «Dal particolare n~mente m~ .scorr~ttamente s1 1 ent11~a m u- al parlicolare» zwne, bens1 11 ragwnamento «dal particolare al particolare». La proposizione generale si riduce ad essere niente altro che il compendio, il puro e semplice registro di tutta una serie di esperienze particolari. Non solo il procedimento sillogistico ma anche tutte le leggi scientifiche, gli assiomi della matematica e gli stessi principi logici, come quello di non contraddizione, sono fondati su generalizzazioni dell'espe-

355

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

rienza. È vero che la matematica si costruisce secondo figorosi proèedimenti deduttivi di un «pensiero puro», ma le definizioni su cui essa si fonda non sarebbero possibili se non fossero tratte da elementi forniti dall'esperienza. E così si può vedere che il principio di non contraddizione, secondo il quale due proposizioni contraddittorie non possono essere entrambe vere, non è altro che la generalizzazione di concrete . .Le. esperienze che ci insegnano la non compossibilità l genemtzzaztont d' d . . . . . . . . , . dell'esperienza 1 etermmat1 stati o s1tuazwm: 11 gwrno e mcompatibile con la notte, il moto con la quiete, ciò che è stato con ciò che ancora non è, e così via. Merito di Mill è stato di studiare con grande attenzione il procedimento induttivo e di avere cercato di individuare, dando compimento ad una ricerca che risaliva a Francesco Bacone, i metodi e i canoni dell'indagine sperimentale che consentono di risalire dai fenomeni particolari offerti dall'esperienza all'enunciazione, in una proposizione generale, della loro «causa». Premesso che qui per causa di un fenomeno Le procedure «non s'intende una causa che non sia essa stessa metodologiche un fenomeno», e che dunque non si tratta di dell'induzione ricercare «la causa ultima o antologica di alcuna cosa», Mill così articola le procedure metodologiche su cui si costruiscono tutte le scienze sperimentali: . a. metodo della concordanza che si esprime nel canone: «Se due o più casi del fenomeno investigato hanno soltanto una circostanza in comune, la circostanza in cui soltanto concordano tutti i casi è la causa (o l'effetto) del fenomeno dato».

b. metodo della differenza, esprimibile in un secondo canone: «Se un caso in cui il fenomeno indagato si verifica, ed un caso in cui non si verifica, hanno tutte le circostanze in comune tranne una, e quest'ultima si verifica solo nel primo caso, la circostanza in cui solo differiscono i due casi è l'effetto, o la causa, o una parte indispensabile della causa del fenomeno».

· é:ìnetodo dei residui, riassumibile in questo canone: «Se da un fenomeno si sottrae la parte che da precedenti induzioni sappiamo essere l'effetto di certi antecedenti, il residuo del fenomeno è l'effetto degli antecedenti rimanenti».

d. infine il metodo delle variazioni concomitanti, e il canone relativo: «Ogni fenomeno che vari in qualche modo ogniqualvolta un altro fenomeno varia in qualche modo particolare, è una causa o un effetto di quel fenomeno, o gli è connesso per qualche fatto di causazione».

Esaminato il procedimento induttivo e ricondottolo a tutta una serie di procedure investigative, dobbiamo ora chiederci quale sia il fondamento che gli dà

valore ed efficacia: come si può giustificare il fatto che da tutta una serie, sia pur numerosa, di dati particolari, osservati ed esaminati comparativamente, 11 10,1.uJmn?nto . . . d . . . l'? . delltnduztone si possa nsa1Ire a enunciazwm genera 1. come si legittima il «salto» che l'inferenza induttiva compie, passando dal noto all'ignoto? La risposta di Mill, destinata a sollevare nuovi problemi, consiste nel sostttnere che il presupposto che giustifica le generalizzazioni induttive è costituito dall'uniformità della natura, ossia dall'idea che i medesimi effetti seguono invariabilmente le medesime cause. Solo pensando che ciò che è accaduto in dL'ullnaifonrntnità · debb a, una vo lta che que11e cir· e aura certe circostanze costanze tornino a ripetersi, di nuovo accadere, solo cioè presupponendo che la natura abbia un proprio ordine causale, diviene possibile concludere da osservazioni particolari a proposizioni generali. Ma in tal modo il problema, più che essere risolto, si sposta: se il fondamento di legittimità dell'induzione è il principio di causalità, appare inevitabile chiedersi quale sia il fondamento di tale principio. Si ripropone il problema che era stato al centro della tormentata riflessione di Hume e di Kant. Escluso subito che la validità del principio di causalità possa farsi . . . discendere dalla fede che, senza dubbio, tutti gli 5' 1b'P1ror>ond: '1 ''h anno 10rtemente c · uommi m essa, ma che non puo,proemat liume essere fatta passare come una prova, Mill rifiuta anche di prendere la strada che porterebbe ad una risposta di tipo kantiano. Egli è vicino ad una ispirazione humiana e non può ammettere che il principio di causalità sia posseduto da noi «a priori», prima e indipendentemente da ogni esperienza. Non rimane, dunque, che ammettere che anche l'idea di causalità sia fondata sull'esperienza, sia anch'essa il risultato di un processo di induzione, l'esito di una serie di casi osservati empiricamente. Ma non siamo così caduti in un circolo vizioso? Prima fondiamo l'induzione sul principio di causalità, e poi siamo costretti a riconoscere che anch'esso · c da su un proce d'Imento m · dutt1vo. · M'Il s110n 1 tenta Un. .circolo ? . realta, d'1 una VIZIOSO. d1• mostrare che non s1, tratta m petizione di principio, poiché l'induzione attraverso la quale si perviene al principio di causalità sarebbe diversa da quella che su questo principio si fonda, e godrebbe di una estensione e universalità ben più ampie, a garanzia di una certezza assai maggiore di quella di cui godono le diverse leggi particolari della natura cui perveniamo con le induzioni fondate sul principio di causalità. Mentre, infatti, tutte le altre leggi particolari sono limitate da una quantità maggiore o minore di eccezioni, «alla legge di causalità non solo non conosciamo nessuna eccezione, ma le eccezioni che limitano o apparentemente infirmano le leggi speciali, !ungi dal contraddire la legge universale, al contrario la confermano, potendo noi, in tutti i casi sufficientemente accessibili alla nostra osservazione,

356

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 18

Repressione di una manifestazione cartista a Preston, in Inghilterra. far risalire la differenza del risultato, o all'assenza di una causa ch'era stata presente in casi ordinari, o alla presenza di una, ch'era stata assente».

La logica dell'induzione non può dunque non · ammettere, per orizzonti della realtà non ancora scrutati dalle scienze della natura, la possibilità logica delChi veda, in questo modo di spiegare l'origine del l'indeterminismo. principio di causalità, l'insidia del circolo vizioso, è, Siamo in grado ora di cominciare a vedere le non agli occhi di Mill, vittima della vecchia logica sillogi- piccole differenze che distanziano il «positivismo» stica e delle sue implicite pregiudiziali metafisiche: milliano da quello di Comte e che, esplicitandosi, «l'affermazione che i nostri procedimenti induttivi pre- avrebbero contribuito al sorgere dei contrasti tra i due suppongono la legge di causalità, mentre la legge di causalità filosofi. Ambedue certo, concordano nel rifiutare ogni è a sua volta un caso d'induzione, è un paradosso solo per conoscenza che pretenda di valicare i confini del- n· d . · uiVergenze a chi si fondi sopra la vecchia teoria del ragionamento, la l' espenenza, ma Comte cons1.dera l' espenenza Comte quale presume che in un raziocinio la verità universale, ossia inseparabile dai processi interpretativi della rala premessa maggiore, sia la prova reale delle verità particogione e, rifiutando quello che egli chiama «piatto emlari che si ostenta di inferirne». pirismo», finisce col riconoscere l'oggetto della conoIn qualunque modo stiano le cose, è certo che scenza scientifica non tanto nei fatti d'esperienza coMill, ponendosi da un punto di vista rigorosamente me tali, quanto nelle leggi che la ragione ha il compito empiristico, rifiuta all'idea di causalità ogni validità di formulare e che, una volta maturato lo stadio posiche pretenda all'assolutezza. Egli non intende, con tivo, son destinate a costituirsi come sistema totalizquesto, limitarsi a dire che il principio di causalità zante in grado di offrire una visione complessiva della ••• vale solo per il mondo dei fenomeni e non può_ realtà. Rel~tlv~t~ ded.1 essere esteso a quella che Kant chiamava «cosa_ Mill, al contrario, fedele alla psicologia associapnncllllO 1 . , ., d. l . . h causalità m se»; ma, pm ra 1ca mente, eg11 nconosce c e, zionistica e, più in generale, al fenomenismo di deriproprio perché la legge di causalità è fondata solo- vazione humiana, rifiuta alla ragione ogni potere cosull'induzione, noi non siamo autorizzati a ritenerla · struttivo di sapere e la limita alla registrazione delle valida nemmeno per il mondo dei fenomeni nella S:Qa associazioni tra i fatti d'esperienza considerati nella interezza, ma solo per quella parte che ci è nota . Scri- loro particolarità. La conoscenza è nulla più che un . ve Mill: passaggio dal particolare al particolare, e il generale, «ogni persona abituata all'astrazione e all'analisi arrive- che per Comte costituiva l'essenziale del sapere rebbe, io ne sono convinto, ... ad ammettere senza difficoltà scientifico, deve continuamente essere ricondotto alcome possibile in uno, ad esempio, dei numerosi firmamen- la individualità dei dati della percezione sensibile, . ti, di cui l'astronomia siderale compone l'universo, una successione degli avvenimenti tutta fortuita e non obbediente considerato che esso non ne è più che una somma. Questo non significa, peraltro, che Mill rimanga ad alcuna legge determinata ... poiché di fatto non vi è né nell'esperienza né nella natura del nostro spirito una ragione fino in fondo coerente col proprio radicale empiriqualunque di credere che non sia così in qualche parte». smo. Soprattutto quando, nel libro del Sistema di lo-

357

p ARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

gica, estende il discorso alla logica delle scienze morali, egli riconosce l'insufficienza o meglio l'impraticabilità di una metodologia meramente induttiva. D'accordo con Comte nel ritenere che per dare allo studio delle discipline riguardanti più direttamente l'uomo, come l'etica, la sociologia, la storia, uno statuto rigorosamente scientifico, sia necessario, e anche possibile, estendere ad esse procedure d'indagine analoghe a quelle delle scienze fisiche, è anche convinto però che ai fenomeni umani, politici, sociali e storici, per Attenuazione dell'indu1.ioni- la loro complessità, per la molteplicità e l'intrecsmoeinfluenze cio delle cause e degli effetti che li caratterizzano, comliane siano inapplicabili i metodi della ricerca sperimentale che abbiamo esaminato di sopra, e che essi richiedano, per essere esplorati, l'uso di procedure che diano spazio a momenti ipotetico-deduttivi, a ragionamenti e a teorie, naturalmente da ricondursi infine, sempre, alla verifica dei fatti. Si tratta in particolare del cosiddetto metodo deduttivo indiretto, necessario per la costruzione di una scienza come la sociologia, costituito dai tre momenti fondamentali dell'induzione diretta, del ragionamento e della verifica, di cui già in Comte si trovava un'ampia illustrazione. E non c'è dubbio - del resto egli lo riconosce apertamente - che, in questo temperamento della propria inclinazione empiristica, Mill risenta dell'influenza di Comte, che aveva sempre insistito sulla permanente necessità di combinare ragionamento ed osservazione, teoria ed esperienza. Di Comte, Mill prende, ad esempio, in considerazione la teoria dei tre stadi che accetta come ipotesi generalissima utile ad individuare le tendenze presenti nello svolgimento storico della civiltà, anche se sempre da sottoporre alla verifica dei fatti storici concreti. Che nonostante queste concessioni a procedimenti deduttivi, Mill non rinunci mai all'empirismo associazionistico di derivazione humiana, lo dimostra la sua psicologia e gnoseologia, esposta, più di vent'anni dopo, nell'Esame della filosofia di sir William Hamilton, un saggio critico pubblicato nel1865. Mill si colloca senza incertezze all'interno della tradizione fenomenistica inglese, e con essa ripete che l'esperienza si esaurisce nella serie di quegli elemenUna gnoseologia ti ultimi che egli chiama «stati di coscienza» o tenomenistica «sentimenti», e che, ben lungi dall'essere qualrinnovata cosa di soggettivo, si collocano, per così dire, al di qua della distinzione tra soggetto e oggetto, mente e corpo. In che cosa consista la natura dei corpi e delle menti al di là degli stati di coscienza, che alla coscienza comune appaiono come prodotti dai primi e ricevuti dalle seconde, non è dato sapere. Mill non si limita, peraltro, a confermare queste teorie della tradizione empiristica, ma, al contrario, in presenza delle critiche antiempiristiche avanzate dal kantiano Hamilton, introduce in quelle teorie delle innovazioni, in modo da renderle più efficaci nella lotta contro

le dottrine filosofiche dominanti nelle istituzioni accademiche britanniche. Non si dimentichi che fin dal Sistema di logica l'obbiettivo di Mill era quello di contrastare l' «establishment» della filosofia ufficiale su posizioni metafisica-religiose socialmente conservatrici. Ma vediamo quali siano le novità della teoria milliana della conosc~nza. Correggendo la tesi fenomenistica tradizionale, Mill nega che la realtà del mondo fisico si esaurisca nella serie degli stati di coscienza attuali, poiché ciò è in contrasto con le risultanze dell'osservazione che ci insegnano che «noi diciamo che una cosa esiste anche quando è assente e, di conseguenza, non è e non può essere percepita». Ciò non significa però che si debba dare ragione alle teorie antologiche che dogmaticamente si sentono autorizzate da quelle risultanze ad affermare l'esistenza assoluta delle cose, al di fuori del contesto dell'esperienza. Le difficoltà del fenomenismo si possono superare senza abbandonarlo, attraverso la teoria delle «sensazioni possibili»: è vero sì che il mondo fisico non è altro che un complesso di sensazioni, ma non semplicemente di quelle sensazioni che proviamo at- Le ccsensaz10m . . , . tualmente, bens1 anche d1 quelle che potremmo possibili» provare se fossero date certe circostanze temporali e spaziali. L'esistenza di una cosa è dunque da ammettere anche quando non venga percepita, ed essa consiste in un insieme di «sensazioni possibili». La materia è la «permanente possibilità di sensazioni». Analogamente Mill procede per quanto riguarda l'esistenza della mente. Secondo la teoria fenomenistica tradizionale anche la mente si esaurirebbe in una serie di stati di coscienza che fluiscono nella successione temporale. Ma se cosi fosse, come si potrebbe spiegare la coscienza che io ho di me come di una entità che, nonostante il variare dei suoi stati, continua ad essere la medesima? La coscienza deve essere qualcosa di più dei singoli stati che costituiscono la serie. Non si spiegherebbe, altrimenti, né la memoria, né la previsione. La risposta di Mill consiste nel riconoscere che l'io è il «legame» tra i diversi stati di coscienza, che gode di un'esistenza distinta- anche se non sepa- L''10 · · come rab1'le- da que11a de1· d'1vers1· stat1· che costltmscocdegame» no la serie della coscienza: «vi è tra tutti i membri delle serie un certo legame in virtù del quale io dico che essi sono sensazioni di una persona, la quale ha continuato ad essere la medesima persona ... e questo legame costituisce il mio io».

La realtà della mente consisterebbe, pertanto, nell'essere il principio di unificazione dei molteplici stati di coscienza. Queste elaborazioni della psicologia milliana della conoscenza non sono esenti da difficoltà anche no-

358

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 18

tevoli. Non si vede, per esempio, come si possa parlare di «sensazioni possibili», espressione che sembra evocare il concetto contraddittorio di «sensazione Alcune difficoltà non sentita». Quanto al concepire l'io come principio di unificazione degli stati di coscienza, è diffi-

cile vedere come tale concezione, che sembra tornare a fare degli stati di coscienza qualcosa di soggettivo, appartenente ad un io ad essi irriducibile, possa conciliarsi con quell'associazionismo psicologico cui Mill non ha mai inteso rinunciare.

2.3

Distanze da Comte ello stesso anno -1865- in cui Mill si misura con i problemi della riforma del fenomenismo, egli pubblica due saggi, raccolti nel volume Comte e il positivismo, nei quali fa i conti con la filosofia positiva comtiana, indicandone con chiarezza gli aspetti positivi che noi abbiamo già di volta in volta indicati, e il grande contributo alla creazione di una cultura filosofica libera dai pregiudizi teologico-metafisici e aderente allo spirito scientifico moderno, ma anche denunciandone gli errori, le deviazioni, le dottrine ai suoi occhi inaccettabili, o addirittura aberranti. Fin dal1846 Mill aveva interrotto gli intensi rapporti epistolari col filosofo francese, sempre più consapevole delle distanze che ne lo separavano e alla cui flifiutodel origi~e a.bbiat?o gi~ ~ccennato di. sopra. Gli_ scritti Comte comtlam degh anm cm quanta po1, con lo svtluppo er tuili ta mte ettua11 supenon a 1ano mtto a un u «voto plurimo». Solo così si può garantire che la maggioranza di governo non si lasci fuorviare da interessi particolari e di «classe», divaricati rispetto agli interessi generali della società. L'opinione di un operaio o di un negoziante non può valere quanto l'opinione di un datore di lavoro, di un banchiere o tanto meno di chi esercita una professione «liberale». Abbastanza ingenuamente, Mill prevede addirittura degli esami che dovrebbero accertare le qualità dei membri delle categorie intellettualmente privile... d j e11e l unt11 minoranze

giate, e ai quali potrebbe chiedere di essere ammesso anche il cittadino delle categorie inferiori. Ma Una in tal modo lo stato rappresentativo-democrati- democrazia co milliano finisce col configurarsi come uno anunezzata stato dietro la cui forma democratica si nasconde un governo riservato alla minoranza colta del paese. Nel 1865, Mill sarebbe stato eletto deputato alla Camera dei Comuni in uno dei collegi di Westminster, in particolare per l'apporto di voti operai, e di lì avrebbe svolto una significativa attività, fino alla conclusione della legislatura nel 1868, indirizzata in particolare all'estensione del diritto di voto alle donne. Non rieletto una seconda volta per aver spaventato con i suoi atteggiamenti progressisti l'elettorato più moderato, Mill tornò a vivere ad Avignone, in Francia, dove si era trasferito fin dal 1859, dopo la morte dell'amatissima moglie. E ad Avignone egli avrebbe concluso la sua esistenza nel 1873, assistito dalla figliastra Helen.

~

2.7

Gli scritti postumi sulla religione

·. _.'".1_~f·-. •-_-•·•j._·. bfi~~~to p~s~~~i,d~~eJ~~ 4~ ~fvs~~~tfs:~fl~ ~~~~ gione che Mill aveva prodotto durante gli anni

-1

0

.

cinquanta e sessanta. Pur provenendo da un'educazione paterna sostanzialmente areligiosa e non avendo mai smesso un atteggiamento illuministicamente polemico nei confronti della religione ecclesiastica, Mill aveva sempre negato che il suo utilitarismo etico comportasse conclusioni atee e irreligiose, e anzi egli lo considerava del tutto compatibile con .. RIIUIO 1 . . ' che abb'1a come scopo deJJ a dell'ateismo e J''d 1 ea d'1 una d'IVImta dell'irreligione propria attività la felicità degli uomini. Caratteristica del punto di vista milliano sulla religione, che trova conferma anche negli scritti postumi, è di aver sempre rifiutato di rappresentarsi la divinità con proprietà non corrispondenti ai requisiti della più alta moralità umana. Un essere divino pensato al di fuori di questi requisiti, anche quando fosse concepito come onnipotente e infinitamente buono, ma di una bontà incommensurabile con quella umana, non potrebbe mai essere riconosciuto e adorato: «io non chiamerò buono nessun essere che non corrisponda a ciò che io intendo quando applico questa parola ai miei simili; e se un tale essere può condannarmi all'inferno, - ebbene io andrò all'inferno».

In questi saggi religiosi postumi Mill rifiutando ogni pretesa di fondare su argomentazioni metafisiche il riconoscimento dell'esistenza di Dio, assume

tale esistenza come una ipotesi che assolve ad una importante funzione morale, quella di consolidare negli uomini la fede nel progresso dell'umanità, ma . . . . . . f' h . d' ,. . h 0ng1111 mora11 sottoImea 11 1att~ c e SI tratta .1 ~n 1potes1 c e della fede in non potrebbe mm essere convertita m una certez- Dio za assoluta. Essa si fonda su considerazioni induttive che, partendo dalla constatazione dell'ordine della natura, risalgono all'idea ragionevole di una intelligenza ordinatrice divina. Ma l'aspetto più interessante del discorso milliano è da ricercarsi nel modo con cui egli si rappresenta i rapporti della divinità con il mondo degli uomini. L'esistenza del male nel mondo, della quale non si può certo dubitare, toglie ogni credibilità all'idea di un Dio onnipotente e infinito, incompatibile con u . .. 0 1 · f' • ·ele crudi'dii n 10111110 le Imper1ezwm e ta e a natura. Ad essa amico degli' Mill sostituisce l'idea di un Dio, sì infinitamente uomini buono, ma bisognoso della collaborazione degli uomini nella lotta per il trionfo del bene. Al Dio della tradizione metafisica, ricco di tutte le perfezioni e chiuso nella propria trascendenza, viene contrapposta una divinità che condivide con gli uomini la finitezza delle capacità e appare profondamente inserita nelle vicende umane, legata all'uomo da un rapporto di cooperazione solidale. Si tratta di un teismo di nuova formulazione che rivela una sostanziale affinità con la religione comtiana dell'umanità, della quale semmai abolisce l'asprezza ateistica, cercando di riconciliarla, almeno in una certa misura, con i connotati della religione cristiana.

365

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

3.1

Spencer o820-1903).' la «Bibbia del positivismo» La filosofia spenceriana e la società inglese

[.•-~·.~,·•_.·].••· ~~~~·::;:~f~~~r~~~:~~~·~ff!~~~; ~

. .. · vien sostituendo quella di Spencer, che doveva diventare il più acclamato filosofo degli ultimi decenni del secolo, le cui ponderose opere sarebbero state tradotte nelle principali lingue europee. La filosofia spenceriana è lo specchio fedele della borghesia inglese ormai giunta al predominio sociale e politico, !iberista in economia, liberal-demoUna filosofia acilica settori e funzioni del tutto separati: la scienza ha per oggetto i fenomeni del mondo, e il suo compito è quello di spiegarli riconducendoli gli uni agli altri secondo la connessione delle cause, la religione, invece, ha per oggetto l'in sé misterioso del mondo, quell' Assoluto che, manifestandosi nei fenomeni, in realtà rimane celato dietro di essi, impenetrabile e inaccessibile al pur continuo e inesauribile progresso delle conoscenze. Il passaggio dal conflitto alla coesistenza pacifica

367

1 PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

tra scienza e religione è del resto frutto dello stesso processo evolutivo dell'umanità, e sarebbe dunque sbagliato pretendere di affrettarne il compimento. In ogni religione, anche in quelle meno evolute, si- nasconde un nucleo di verità che ha svolto una funzione positiva cui l'umanità, dato il proprio livello di sviluppo, non avrebbe potuto assolvere altrimenti. La riconciliazione tra religione e scienza è sì dunque la

3.4 '""

prospettiva possibile e prossima, ma in attesa del suo compimento è necessario che chi abbia saputo nel frattempo già innalzarsi alla superiore armo- La pazienza . d' . " d . . del· ma 1 ~agwne e .1~ e, sappra anche compatire, l'evoluzionista con pazienza e spmto tollerante, le forme ancora inadeguate della coscienza religiosa e morale, riconoscendole come gradini inevitabili e necessari nel cammino dell'umanità.

---

La filosofia e le scienze:

n principio generale dell'evoluzione

~

=~]

essuna scienza particolare, pur sapendo enun_-_-_-.·-.· dare in termini sempre più generali le verità Il\~ che via via viene raccogliendo e unificando a partire dal sapere comune fondato sull'osservaL~ zione quotidiana, è in grado di oltrepassare il campo particolare di indagine che le è proprio. È, appunto, compito della filosofia quello di scoprire la verità suprema da cui far derivare i principi di tutte le scienze, dai principi meccanici a quelli fisici, bioLa filosofia al logici, psicologici, fino alle leggi di sviluppo della eli sopra delle scienze società, in modo da dar luogo ad una conoscenza l>arlicolari. 11 completamente unificata del mondo. La filososuo compito fia, in quanto «conoscenza del più alto grado di generalità», deve dunque assumere i principi più generali cui è approdata la scienza moderna, come quelli della indistruttibilità della materia, della continuità del movimento e della persistenza della forza, e in base ad essi enunciare la legge generalissima, valida per tutti gli ordini di fenomeni, da quelli del mondo inorganico fino ai fenomeni spirituali più elevati. È questa la legge dell'evoluzione, che Spencer così nei Primi princìpi riassume: «l'evoluzione è una integrazione della materia dovuta alla concomitante dissipazione di movimento, durante la L quale la materia passa da una omogeneità incoerente e 1 d , ~ ~gge indefinita ad una eterogeneità coerente e definita; e e11 evo 1121011e durante la quale il movimento conservato subisce una trasformazione parallela».

1~-.~_!·l~f

Le diverse evoluzioni che le singole scienze ci permettono di conoscere, da quella astronomica espressa nell'ipotesi Kant-Laplace a quella che caratterizza la formazione del nostro pianeta studiata dalla geologia, dalla evoluzione biologica, che è l'esempio più di ognÌ altro eloquente, allo sviluppo della società dalle più semplici forme di comunità a quelle via via più grandi e complesse, tutte queste diverse evoluzioni non sono altro che i diversi casi di «Una sola evoluzione che funziona dappertutto allo stesso modo». L'ambizione di Spencer è quella di costruire una vera e propria cosmologia evoluzionistica in grado di of-

frirci la rappresentazione dell'unità dinamica del cosmo, ma che, non potendo penetrare l'intima essenza del mondo avvolta nel mistero, non potrà che sfuggire alle false alternative come quella tra materialismo e idealismo, le quali hanno una consistenza puramente verbalistica. Quando si voglia vedere più da vicino che cosa si ha da intendere per evoluzione, si scopre che . questa è connotata da tre caratteri: concentrazio- call~alleln . . . d . . e evo uz1one 'f!' ne, d1 1erenzrazwne e etermmazwne. -a. Che l'evoluzione sia un processo di concentrazione lo si vede chiaramente nei diversi ordini di fenomeni. La trasformazione della nebulosa originaria nel sistema solare ha rappresentato il passaggio da uno stato di dispersione della materia ad un suo . progressivo integrarsi nei diversi corpi celesti. E Un proc,ess_o di . orgamca, . d'1vers1. concen raz1one cos1, ne Ilo sv1.1uppo deIla v1ta elementi che si trovavano dispersi nel mondo vengono a concentrarsi in un medesimo tessuto organico, come nell'evoluzione sociale individui prima isolati e dispersi si sono venuti riunendo in gruppi, e questi a loro volta in associazioni ancora più concentrate. b. Nella «materia» che così è venuta concentrandosi si determinano poi dei processi di differenziazione che segnano il passaggio dal semplice al complesso, dall'omogeneo all'eterogeneo. ·E così nella storia del sistema solare, la massa inizialmente liquida si è . . d'l Processi d1 1· . d'1vers~. ~unti,. dan do luo- ferenziazione venuta_consol1.'d a~ do.m. go a d1fferenz1azwm d1 dens1ta, temperatura e così via. Analogamente gli organismi viventi si sono venuti differenziando in tessuti di varia specie e in organi variamente distribuiti, come nell'evoluzione sociale si assiste ad una progressiva divisione del lavoro, con la formazione di classi e condizioni sociali tra loro diverse. c. Infine evoluzione significa passaggio da uno stato meno determinato e ordinato ad uno più deter. . minato e ordinato. Ciò vuoi dire che i vari gruppi . vanno assumen do la carattenstlca . . d'1 Detenmnaz10ne ." d11enomem sistemi nei quali le varie parti, differienziate tra loro,

368

di

1 SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 18

stringono secondo connessioni che danno loro la coerenza di un tutto ordinato. Questo terzo carattere del processo evolutivo della realtà è particolarmente importante perché serve a distinguerlo dall'opposto processo di dissoluzione, anche nel quale si verificano differenziazioni e passaggi dall'omogeneo all'eterogeneo. Evoluzione e dissoluzione sono destinate, secondo Spencer, ad intrecciarsi ed alternarsi nella storia del mondo, Si è, forse, esagerato ogni volta che l'evo. luzionismo spenceriano è stato connotato come Evo luz1one e c d' . . f' . l dissoluzione una 10rma 1 mterpretazwne super 1c1a mente ottimistica della realtà. Anche se è vero che Spencer insiste spesso nel prospettare una evoluzione dell'umanità destinata all'instaurazione della più alta perfezione e della più completa felicità, ciò non toglie

che egli, proprio per la relatività cui è condannata la conoscenza scientifica, rifiuti di innalzare l'evoluzione a valore assoluto come si trattasse di una dimensione metafisica. Particolarmente negli ultimi anni, sotto l'influenza delle generalizzazioni sviluppatesi intorno alla seconda legge della termodinamica rv. CAP. 26, PAR. Jl, Spencer inclinò verso toni abbastanza lontani dall'evoluzionismo ottimistico iniziale, prospettando la possibilità che la dissoluzione possa avere il sopravvento, e l'universo concludersi nel disordine. A causa dell'intervento di cause esterne, gli equilibri del sistema universale possono rompersi, restituendo l'universo fenomenico al caos da cui è venuto sorgendo, e dal quale, certamente, nuovi processi evolutivi potranno però riprendere, alternandosi all'infinito ai movimenti dissolutivi precedenti.

3.5

Evoluzione e scienze umane: psicologia e sociologia. L'etica

~;~ ·;

ontro il parere di Comte, Spencer ritiene possibile la costruzion~ ~el~a psic?logia come scie~­ "'"' za autonoma. Egh d1stmgue m essa due aspettl, :;, cui dà il nome di psicologia oggettiva e psicolo1};; gia soggettiva. Mentre la prima studia la vita della coscienza dal punto di vista delle sue condizioni biologiche e quindi rientra nell'insieme delle scienze . . della natura organica, la psicologia soggettiva si La JlSicologia c d . . . e, pertan10n a mvece sul meto do mtrospettlvo to, è inconfondibile con ogni altra scienza. Dissociandosi dalla tradizione associazionistica culminata nell'opera di Stuart Mill, Spencer nega che la coscienza possa essere risolta nella serie degli stati psichici, e ne ristabilisce un'interpretazione sostanzialistica, pur negando che si possa conoscere alcunché dell'unità sostanziale che sta a fondamento della vita psichica, al di là degli stati in cui essa si manifesta. Quanto ai problemi gnoseologici, Spencer trova nella teoria evoluzionistica il modo di dare soluzione alla multisecolare discussione intorno all'origine delle c .. . conoscenze, che ha diviso i filosofi empiristi da di :nnlcp~h~zione quelli del razionalismo innatistico e aprioristico. msmo e Egl'1 sostlene . . innatismo che hanno ragwne gl'1 um. .e gl'1 altn. a seconda del punto di vista che venga assunto. Se si considerano le cose ponendoci dal punto di vista dell'esperienza del singolo individuo, non c'è dubbio che hanno ragione i Leibniz e i Kant a sostenere che i principi conoscitivi costituiscono un patrimonio innato e a priori della mente umana, e che senza di essi mancheremmo dei criteri necessari ad organizzare i materiali acquisiti attraverso l'esperienza che ogni individuo ha delle cose. L'errore di questi filosofi consi-

-.1:·.-·

ste nell'aver assolutizzato il punto di vista della psiche individuale, avendo essi ignorato il principio dell'evoluzione. Ciò che per l'individuo è a priori, non lo è per la specie: in realtà i principi conoscitivi - ma anche quelli morali - che nell'individuo sono come preformati, sono prodotti dell'evoluzione e quindi dell'esperienza delle generazioni anteriori, che via via viene ereditata dai discendenti. In questo senso Spencer sostiene che tutte le conoscenze, ivi compresi i principi fondamentali della logica, provengono dall'esperienza, e lui stesso si considera un filosofo empirista, anche se il concetto di esperienza, dilatato in senso evoluzionistico fino a comprendere l'intera storia filogenetica della specie umana, non è più, certo, quello elaborato dai Locke e dagli Stuart Mill. Su quasi tutti i problemi in disaccordo col positivismo di Comte, Spencer concorda con lui nel sostenere la possibilità di dare uno statuto scientifico allo studio della società, e anche nella concezione organicistica della società stessa, fondata sull'assunzione dell'organismo biologico come modello analogi. . co dell'organizzazione sociale. Anche per Spen- Una 5 ?~ 10! 09 111 . , al pan. deIl' orgamsmo . . cer la socwta, vlVente, non orgamciSIIca è un semplice aggregato di individui, bensì è un'entità che gode di un proprio ordinamento permanente, un tutto non confondibile con le parti che concorrono a costituirlo. E, nonostante questo, come nell'organismo vivente, anche in quello sociale, la modificazione di una della sue parti non può non influenzare, direttamente o indirettamente, le altre, e quindi l'organismo nel suo complesso. L'analogia vita biologica-società riguarda, poi,

369

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

anche l'evoluzione dell'una e dell'altra. Come, nell'evoluzione degli organismi biologici, dalla cellula originaria si passa ad associazionJ di cellule sempre più composite, cosi nell'evoluzione sociale le piccole comunità delle origini si evolvono in associazioni sempre più grandi e complesse, dalla famiglia alla tribù, dai comuni alle province, e infine agli stati. E, come , . nella vita organica, alla crescente concentrazione 11 L evoluz ?;e corrisponde una progressiva differenziazione di socla e funzioni e di organi: nel gruppo sociale si viene a differenziare dalla famiglia il capo-famiglia, dalla tribù il capo-tribù e la sua famiglia, nello stato i governanti dai governati. Analogamente il potere viene differenziandosi al proprio interno, dando luogo alle distinzioni tra potere temporale e potere spirituale. E così anche la vita economica della società si evolve, differenziandosi attraverso la divisione del lavoro, sia nell'industria che nel commercio di ogni singola città o stato, sia nelle relazioni economiche internazionali. E si potrebbe continuare trattando dell'evoluzione della mente umana e del sapere, del linguaggio, delle arti, delle scienze e così via. Ma, a differenza che in Comte, il modello biologico della sociologia spenceriana trova un limite di applicazione di grandissimo rilievo: mentre nell'organismo biologico, quando sia provvisto di coscienza, questa è concentrata in un unico organo, cui tutte le parti dell'organismo sono subordinate, al punto Limiti del modello da non avere alcuna indipendenza da esso, la biologico in società invece è costituita da parti - i singoli sociologia individui -, ognuna delle quali è un centro di coscienza che gode di una propria autonomia, mentre la società in quanto tale non possiede una propria coscienza specifica. Questa fondamentale diversità tra vita sociale e vita biologica consente a No"oal Spencer d'1n'f'mtare 1 'l cessi attivi che si esprimono in sintesi psichiche con$ notate da un carattere di novità rispetto agli elementi che la costituiscono. È questa una delle leggi fondamentali della psico.logia, che Wundt chiama legge delle «risultanti psichiche» o della «sintesi creatrice». La rappresentazione . . dello spazio, per esempio, è sì la risultante di La ccsm1esi . • l . .. .. l . creatrice>> sensazwm e ementan, v1s1ve tatti11 e museo an, cui può essere ricondotta come ai suoi elementi semplici costitutivi, ma questi non posseggono la proprietà spaziale che costituisce la novità di quella rappresentazione.

z

;j

'l

«Ogni formazione psichica presenta proprietà le quali, dopo che sono date, possono bensì essere conosciute dalle proprietà dei suoi elementi, ma non devono in nessun modo essere considerate semplicemente come le somme delle proprietà degli elementi».

La vita psichica è un flusso incessante di esperienze nel quale emerge l'azione attiva e unificatrice della . . coscienza che garantisce l'interconnessione e l'inUna psico1og>a d' d d . . . . . . h' . T l senz'anima ter 1pen enza e1 smgo11 atti ps1c 1c1. a e aziOne, che Wundt identifica con il volere, inteso quale ultima reazione psichica agli stimoli esterni, capace di unificare tutti gli aspetti della personalità, non fa capo, peraltro, ad alcuna sostanza spirituale che sottenda, quale suo fondamento semplice e immutabile, il continuo fluire dei processi psichici: la psicologia in quanto scienza dell'esperienza immediata, è necessariamente, agli occhi di Wundt, una «psicologia senz' anima».

La legge fondamentale dell'accadere psichico, dalla quale tutte le altre dipendono, è costituita dalla causalità psichica, da non confondersi con la causalità ., fisica: mentre quest'ultima regola il rapporto tra L . 'b'l' a causa 1ila oggetti. f'ISSI,. d'lVlSl 11 ed esterm. g11. um. ag11. altn,. psichica la causalità psichica riguarda invece i rapporti tra processi, avvenimenti, e comporta, di contro all'immobilità delle sequenze fisiche, un continuo accrescimento dell'energia psichica. La costruzione teorica wundtiana cercò sistematicamente il conforto della verifica sperimentale nella importante attività del laboratorio psicologico istituito a Lipsia, nel q~ale lavorarono per lunghi anni gli assistenti ed allievi di Wundt. La gran parte degli 111 b . . . . . nguar . d'o, sotto 1,.mfl uenza d'1 Hel- Lit>sia a matonodi espenment1 mholtz, i processi sensoriali e percettivi, e in particolare i tempi di reazione agli stimoli, dal cui studio sperimentale Wundt sperava di risalire a misurare tutte le attività psichiche fondamentali, dalla sensazione alla volizione. Dalla ricerca psicologica sperimentale egli escludeva, peraltro, le attività mentali superiori. Queste sfuggono al metodo introspettivo e non possono essere controllate attraverso gli strumenti di un laboratorio sperimentale. L'unico modo di accedervi è l'osserva. • 1.a ccpsico 1ogia . d . d . . . . . . zwne e1 1oro pro ottl, come 111mguagg10, 11mito, dei pot>oli>> i costumi morali, la religione, l'arte e così via. Accanto alla psicologia sperimentale, si tratta allora di costruire una «psicologia dei popoli», cui Wundt doveva dedicare gli ultimi venti anni della sua vita, durante i quali pubblicò un'imponente opera in dieci volumi, che recava appunto il titolo di Psicologia dei popoli.

396

·capitolo =-------.--..::=~=-==c~==J

Le origini della psicologia scientifica c::---=~c--------·--··----===--=-·--;--==::.::=--=-=:::·--,-

21

;__

:::===-~----,=-==-~=

Sulla storia della psicologia, si possono consultare: D.P. Schultz, Storia della psicologia moderna, Giunti-Barbera, Firenze 1974; F.L. Mueller, La psicologia contemporanea, Armando, Roma 1970; R. Thompson, Storia della psicologia, Boringhieri, Torino 1972; W.M. O'Neill, Le origini della psicologia moderna, Il Mulino, Bologna 1975; Storia della psicologia, a cura di P. Legrenzi, Il Mulino, Bologna 1980. Un'antologia utile ad un primo. approccio con la psicologia dell'epoca di Wundt è curata da S. Poggi, Le origini della psicologia scientifica, Loescher, Torino, 1980.

L ___.:.. -----,...,...-- ·.



397 J

Capitolo

22

Il marxismo nell'età della Seconda Internazionale

l

Marx, il marxismo, i marxismi ,"'"ij·~:c

!~

uando Marx, un anno prima della morte, ebbe

:~l :q~~~~ ~~~\e~~~~:~ ~~~ i~e~~~s;~~l!~~~:~~=: ':

~ ;; avvertiva, nel diffondersi di termini come queY sti, di «marxista» e di «marxismo», il pericolo

}:è

di apparire come il capo di una setta e, soprattutto, di . veder cristallizzate le sue teorie, per le quali egli Marx e 11 !' • l d . . d' . . marxìsmo pre1enva a enommazwne 1 «soc1a11smo mate' rialista critico», in dogmi immutabili ed astratti. Eppure il termine marxismo, proprio a partire dagli anni ottanta, comincia ad essere usato con sempre maggior frequenza dai seguaci di Marx e di Engels, fino a diventare designazione universalmente riconosciuta dell'insieme delle teorie marxiane ed engelsiane quali vengono interpretate, discusse e sviluppate all'interno dei movimenti e dei partiti socialisti che aderiscono alla Seconda Internazionale dei lavoratori, nata a Parigi nel 1889. Come è sorte comune ad ogni teoria o messaggio destinati a dar vita ad un vasto e duraturo movimento di idee diffuso in mezzo a grandi masse di uomini, e a fissarsi in vere e proprie forme istituzionali, anche il pensiero di Marx, divenendo, fin dall'ultimo decennio dell'Ottocento, la «dottrina» ufficiale di gran parte del movimento operaio socialista moderno, non poteva non confondersi col «marxismo>> e con la storia travagliata e drammatica delle interpretazioni, spesso assai diverse tra loro, che, sotto questo nome, si sono successe nella storia del mondo fino ad oggi. Tanto diverse sono le interpretazioni e gli sviluppi del pensiero marxiano che non di marxismo si dovrebbe parlare, quanto di «marxismi»: fin dalla fine dell'Ottocento, al «revisionismo marxista» di . MarxiSmo o B . . . · d marxìsmì? erns~em Sl contrappone 11 «marx1smo orto osso» d1 Kautsky, che, a sua volta, doveva essere combattuto, successivamente, dal «marxismo rivoluzionario» della Luxemburg e di Lenin. Per non parla-

re degli sviluppi successivi, dal «Diamat» sovietico dell'età staliniana, vera e propria filosofia ufficiale del mondo comunista dominato dall'influenza dell'Urss, al marxismo di Mao-Tse-Tung, fino alle diverse forme di «marxismo occidentale» sviluppatesi in Europa negli anni venti e in quelli successivi, e, ancora, nei decenni che seguono alla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi. In questo lungo cammino, l'eredità del pensiero di Marx e di Engels viene incrociandosi con le diverse culture non marxiste che dominano in Europa nei vari periodi storici, e che inevitabilmente intervengono ad «inquinare» l'originario patrimonio di idee marxiane ed engelsiane. Già in Engels del resto agisce una " 1 .1 !' • d l . .. . . o;nge se 1 10rte suggestiOne e c11ma pos1t1v1stlco europeo posìtìvìsmo che favorisce la tendenza del collaboratore di Marx ad inserire il materialismo storico e il socialismo scientifico in una più vasta prospettiva filosofica, capace di abbracciare in una medesima concezione il mondo della natura e quello della storia, secondo una prospettiva che, pur mantenendosi fedele ad un metodo dialettico di provenienza hegeliana, non è insensibile ai richiami dell'evoluzionismo positivistico. Della cultura positivistica è profondamente imbevuto gran parte del marxismo dell'età della Seconda Internazionale (1889-1914) che, dimentico della lettura dialettica della realtà che era stata degli «hegeliani» Marx ed Engels, va a scuola di darwinismo e di naturalismo scientista, proiettando sui processi storici . . , 1.1determm1smo . . b'10log1co . deIla lotta Marx1smo e deIl a soc1eta posìtìvìsmo per l'esistenza e della selezione naturale. Di questa «contaminazione» l'esempio più significativo è rappresentato da Karl Kautsky, il più famoso teorico della socialdemocrazia tedesca, collaboratore di Engels e fondatore nel 1883 di Die neue Zeit (Il tempo nuovo), la più importante rivista teorica socialista dell'epoca. La sua opera di sistematore delle idee di Marx

398

SEZIONE PRIMA. FILOSOFIA, SCIENZA E SOCIETÀ CAPITOLO 22

ed Engels avrebbe rappresentato fino alla vigilia della prima guerra mondiale il punto di riferimento più autorevole del movimento socialista internazionale e degli intellettuali di formazione marxista di tutti i paesi europei. Lo stesso iniziatore del cosiddetto revisionismo marxista della fine del secolo, Eduard Bernstein, avrebbe posto al centro della propria riflessione il concetto di evoluzione, e avrebbe soggiaciuto al modo adialettico con cui il positivismo assume ed assolutizza i dati dell'osservazione empirica. L'influenza positivistica non è peraltro senza eccezioni. Sul marxismo primonovecentesco esercita una non marginale influenza anche il filone neo-kan. tiano del pensiero tedesco, sviluppatosi fin dagli Manusmo e . d 11'0 G' , . B . neo·kantismo anm settan~a . e . tto.cento. 1a m ernstem son present1 nfenment1, anche se non del tutto esplicitati, all'etica kantiana, che sarebbe stata più tardi un punto di riferimento essenziale per l'austromarxismo dei primi anni del Novecento.

A partire poi dal 1905, l'anno della prima UJ rivoluzione russa, doveva gradualmente riemer- Ritorno alla gere nel marxismo il riferimento alla dialettica matrice Z hegelo-marxiana, soprattutto ad opera di Lenin. hegeliana O Sarebbe un errore vedere nel dibattito teorico ~ che coinvolge in quest'epoca i maggiori esponenti del z marxismo, un semplice confronto fra intellettuali, in0: teressante solo per la storia del pensiero politico e ~ filosofico: in realtà in esso si riflettono i problemi, le Z esigenze e anche le contraddizioni che, coinvolgendo zwmsmo etermrmst1co 1 auts1cy, e sostiene che il socialismo, !ungi dall'essere l'esito necessario e inevitabile della crisi finale del capitalismo, è semplicemente una possibilità, alimentata nel cuore delle masse proletarie dalla sua alta desiderabilità etica. In particolare Bernstein contesta tutta una serie di proposizioni marxiste che a suo parere sono state ASflelti superati del confutate dallo sviluppo economico e sociale che marxismo ha caratterizzato la più recente storia del capitalismo: a. la progressiva concentrazione delle imprese industriali non ha significato una corrispondente concentrazione dei patrimoni, ché anzi è aumentato in senso assoluto e in senso relativo il numero dei possidenti,

z soprattutto per il diffondersi delle società per azioni; b. i ceti medi, lungi dallo scomparire, mostrano una forte capacità di sopravvivenza, e anche nel settore produttivo siamo ben lontani dalla scomparsa delle piccole e medie imprese; c. la previsione di una crescente .pauperizzazione della classe operaia, con il conseguente acuirsi dei conflitti di classe, si è dimostrata errata; d. ma soprattutto si è rivelata infondata la prospettiva del crollo e, comunque, di una crisi finale del capitalismo. Al contrario, lo sviluppo dei 'trust' e delle altre forme di monopolio e di alleanza tra le diverse imprese, come anche l'estendersi del credito, consentono oggi al capitalismo, se non di rendere impossibili le crisi, di ridurne drasticamente la portata e di controllarle. In base a questi dati empirici, ai suoi occhi così rilevanti, Bernstein rifiuta le concezioni rivoluzionarie del socialismo, in nome di un gradualismo riformistico secondo il quale la società capitalistica sarebbe in grado di consentire, senza per questo dover essere messa in discussione da un astratto rivoluzionarismo, lo sviluppo al proprio interno del socialismo. La maturazione di rapporti socialisti di produzione avverrebbe lentamente e senza «salti», analogamente a c . . . . . . . . d' d . . ap1ta 11smo come 1 rapporti cap1ta1rst1c1 1 pro uzwne SI so- e socialismo no venuti formando a poco a poco all'interno della società feudale. In questa prospettiva, alla rivoluzione Bernstein contrappone le riforme, all'autoisolamento del partito socialdemocratico, conseguenza del rigido classismo della tradizione marxista, la collaborazione con i settori progressisti della borghesia e con i loro partiti, e addirittura la trasformazione della socialdemocrazia in un partito democratico, espressione non solo della classe operaia ma anche di altre classi. Il massimo esponente del revisionismo si spinge fino a considerare il socialismo come il legittimo erede delliberalismo borghese, sostenendo che «non esiste idea liberale che non appartenga anche al patrimonio ideale del socialismo». Queste proposizioni sollevarono un vasto dibattito nelle file della socialdemocrazia tedesca e, pur venendo condannate nel congresso di Dresda del 1903, si sarebbero diffuse largamente nel corpo del partito come anche nei gruppi dirigenti degli altri partiti socialisti europei. A rifiutare le analisi e le proposte di Bernstein non poteva mancare l'intervento di Kautsky, il «defensor fidei», - come è stato chia- l

to parzialmente cosciente, e anzi si radica profondamente nell'inconscio, condizionando anche in modo sotterraneo i comportamenti dell'io. La sua in. deg11. uom1m Ambivalenza . . e, amb'lValente pm-· del fl uenza su11a v1ta . ché, se da una parte esso consolida le difese dell'io super-Io rispetto all'irruenza anarchica delle pulsioni concorrendo all'indispensabile ordine e coesione sociale, dall'altra è autoritario e repressivo, e, in quanto rappresentante della tradizione, trasmette, insieme a ideali tuttora vivi e validi, anche atteggicynenti ottusamente conservatori, resistenze al nuovo, pregiudizi. In un saggio del 1921, Psicologia delle masse e analisi dell'io, Freud aveva già utilizzato sul terreno sociologico la teoria del super-io, che lì chiamava col termine di «ideale dell'io», per spiegare il fenomeno delle masse che negli anni tumultuosi del dopoguerra aveva assunto una straordinaria rilevanza. Egli aveva affermato che la massa si costituisce nel dLa 1Psicologia 1 . cm. un certo numero d''d''d'. eemasse momento 111 111 1v1 m s1 identificano tra loro per avere messo uno stesso oggetto, la figura suggestiva di un leader politico o religioso, ma anche un'idea o principio collettivo, al posto del loro ideale dell'io. Tra masse e capo si instaura un legame libidico, mentre il singolo vede compromessa la propria autonomia e libertà, completamente sacrificate allo spirito gregario di individui massificati. L'insegnamento più interessante e più fecondo di ulteriori sviluppi, che viene dalla teoria delle istanze psichiche, riguarda la problematica situazione di ,. . . frontiera in cui si viene a trovare l'io, un mediatore L 10de 1~ 1101 tre · h'1este de11'ese d el super-10, · pa rom strettotra leoppostenc che si prova nel difficilissimo compito di soddisfarle

456

Lo studio di Freud a Vienna.

SEZIONE SECONDA. LE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO CAPITOLO 24

entrambe. Di volta in volta Freud sottolinea dell'io ora la grande fragilità ed eteronomia, ora le pur reali possibilità di una seppur relativa autonomia. Con inarrivabile chiarezza, Freud illustra la drammatica esperienza dell'io, in una pagina della nuova serie di lezioni di Introduzione alla psicanalisi del 1932: «Un proverbio ammonisce di non servire contemporaneamente due padroni. Il povero io ha la vita ancora più dura: è costretto a servire tre severissimi padroni, deve sforzarsi di metter d'accordo le loro esigenze e le loro pretese. Queste sono sempre tra loro discordanti e appaiono spesso del tutto incompatibili; nessuna meraviglia se l'io fallisce così frequentemente nel suo compito. I tre tiranni sono: il mondo esterno, il super-io e l'es ... L'io, data la sua origine dalle esperienze del sistema percettivo, è destinato a rappresentare le richieste del mondo esterno, ma al tempo stesso vuole essere il fedele servitore dell'es, rimanere con l'es in buona armonia, raccomandarglisi quale oggetto e attirarne su di sé la libido. Nel suo sforzo di fare da intermediario tra l'es e la realtà, l'io è spesso costretto a rivestire i comandi inconsci dell'es con le proprie razionalizzazioni preconsce 1, ad occultare i conflitti dell'es con la realtà, a far credere, con diplomatica ipocrisia, di avere preso in considerazione la realtà anche quando l'es è rimasto rigido e inflessibile. Dall'altro canto, viene osservato passo per passo dal severo super-io che, senza tener conto delle difficoltà provenienti dall'es e dal mondo esterno, esige l'ottemperanza a determinate norme di comportamento, e punisce l'io, in caso di inadempienza, con spasmodici sentimenti di inferiorità e di colpa. Aizzato così dall'es, limitato dal super-io, respinto dalla realtà, l'io lotta per venire a capo del suo compito ... di stabilire l'armonia tra le forze e gli influssi che agiscono in lui e su di lui; e si comprende perché tanto spesso non riusciamo a reprimere l'esclamazione: «La vita è dura!». Se è costretto ad ammettere le sue debolezze, l'io prorompe in angoscia: angoscia reale dinanzi al mondo esterno, angoscia morale dinanzi al super-io, angoscia nevrotica dinanzi alla forza delle passioni dell'es».

Al tema dell'angoscia Freud dedica ampio spazio

lO

o in uno scritto del1925, Inibizioni, sintomo e angoscia, => nel quale, alla luce della nuova teoria del super-io, egli w rinnova radicalmente l'interpretazione del significato oc LL e della origine dell'angoscia nevrotica. Precedentemente aveva pensato che l'angoscia del nevrotico consistesse nella conversione della libido impedita a manifestarsi nella sua autentica natura sessuale dall'azione della rimozione. In questa ipotesi rimaneva però senza spiegazione il meccanismo che mette in moto il processo della rimozione. È la scoperta del super-io che consente di vedere a fondo l'eziologia dell'an- L' . · I l d d 11' · h · angoscia gos~1a .. nt~~to a se e e angosc1a, c e .pnma nevrotica: una vemva md1v1duata nello stesso moto pulswnale, nuova ipotesi viene ora ricercata nell'io; solo l'io può provare il sentimento di pericolo imminente che sempre accompagna ogni specie di angoscia, compresa quella nevrotica. Viene ad essere capovolto il rapporto tra rimozione e angoscia: non più quella causa di questa, ma l'angosciarsi dell'io provocherebbe esso stesso la rimozione delle pulsioni dell'es, avvertite dall'io come un pericolo di cui aver paura. Ma in realtà l'io ha paura delle sanzioni del super-io, qualora le pulsioni da questo proibite venissero appagate. Come il bambino edipico teme la collera del padre, così nell'angoscia nevrotica il soggetto teme le punizioni del super-io che, come sappiamo, è il padre interiorizzato . .L'angoscia sorge, dunque, nell'io dal conflitto intrapsichico tra pulsioni dell'es e richieste del super-io. ' Per razionalizzazione, si intende il procedimento inconscio con cui l'io cerca di presentare i comportamenti promossi dagli impulsi irrazionali e ciechi dell'es, come se avessero la loro origine in motivazioni coerenti dal punto di vista logico, o accettabili dal punto di vista morale.

'''''':''''''''''''i::;;;;;;;;;:::;;:;:;==;=:;;:;:;::=;::::;:;;;;;:;=;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;::::::::::::;;;;;;;;;;;;;;r ;;;;.;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;:;:::··· ...... ,,,,,,,,,,,,,,,;;•;;;;;;;;;;:;;;;;::;;=;;;;:;;;=:;;;;=;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;;!:::===···

L'uomo: un animale nevrotico e infelice. disagio nella civiltà

n

opo una diversione durata tutta la vita verso le scienze naturali, la medicina e la psicoterapia, il mio interesse è nuovamente tornato ai problemi culturali, che una volta avevano affascinato il giovane quando si era affacciato al mondo del pensiero».

Con queste parole Freud commenta il suo volgersi negli ultimi dieci anni della sua vita, pur sempre all'interno dell'orizzonte psicanalitico, alle grandi . questioni filosofiche, relative alla storia dell'uoGrandl · 'lta, ' a11a rel'1gwne. · In scntt1 · · come questioni mo, a11 a sua c1v1 filosofiche Avvenire di un'illusione del 1927, dedicato alla critica della religione, e Il disagio della civiltà del 1929, egli medita sulle illusioni, le speranze, le conso-

!azioni infantili, e però anche sull'ineliminabile infelicità degli uomini, elaborando un'interpretazione profondamente pessimistica del rapporto tra bisogni pulsionali dell'individuo ed esigenze superiori della società e della civiltà. Dell'origine della religione Freud si era già occupato in un celebre studio composto di quattro saggi del 1912-13, Totem e tabù: alcune concordanze tra la vita psichica dei selvaggi e i nevrotici, nel quale .,. 1 b. ;: d'1 orgamzzazwne . . costum1,. ere denze e 10rme so- ,oemeta u ciale di popolazioni primitive, oggetto di studio da parte di etnologi ed antropologi, venivano per la prima volta considerati alla luce dell'indagine psicanalitica sulla personalità inconscia, in particolare di quel-

457

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

o

\__

la dei nevrotici, con l'individuazione di suggestive :::> corrispondenze tra i comportamenti dell'uomo primiu.J tivo e le dinamiche inconsce dell'uomo civile. a: L.L. In particolare, Freud riteneva di aver trovato la conferma, attraverso questi studi, del carattere universale del complesso di Edipo, che non sarebbe semplicemente una situazione fantasmatica limitata al vissuto individuale quale si verifica all'interno della famiglia nucleare delle moderne società civili, bensì il dramma che segnerebbe le origini dell'intera storia dell'umanità, e quindi sarebbe operante nelle culture più diverse, a cominciare da quelle delle popolazioni primitive. Ne 'd sarebbero una testimonianza decisiva le strutture . F11ogenes1 e1 . . . d' l . l . h . ., complesso s?c1a11nuc .ear~ c. e 1pm r~cent1 stu 1antr?po ogledipico Cl avevano md1v1duato nel comportamenti di queste popolazioni: il «totem», l'elemento sacro, rappresentato per lo più da un animale, e riconosciuto come l'antenato degli appartenenti alla medesima tribù; e il «tabù», ossia il divieto religioso di uccidere l'animale totemico e di avere rapporti sessuali con i membri appartenenti al medesimo totem. Sulla base dell'assioma che là dove esiste un divieto, tanto più quando sia così severo come questo totemico, dobbiamo presumere la presenza di un desiderio, Freud concludeva che, fin dalle origini della storia umana, sarebbe stato presente nella psiche collettiva il desiderio di uccidere il padre e di giacere con la madre, insomma la situazione edipica. Nell'ultimo dei saggi raccolti in Totem e tabù, Ritorno del totemismo nei bambini, Freud, prendendo spunto da un'ipotesi di Darwin, esponeva il celebre «mito» dell' «orda primitiva» con il quale cercava di dare al complesso edipico un fondamento nella preistoria. Gli uomini primitivi sarebbero vissuti in piccole comunità - le orde -, nelle quali un solo maschio adulto, il capo dell'orda, possedeva tutte le femmine, costringendo i giovani discendenti maschi a cercarsi delle compagne fuori della tribù. Un giorno i figli e fratelli si sarebbero coalizzati, avrebbero ucciso il pa, d . .. dre e ne avrebbero mangiato le carni dando fine L or a pnm111va l , d a l or a paterna. Sarebbe pero, subentrato ne1. parricidi un fortissimo senso di colpa e il desiderio dell'espiazione, che avrebbe portato all'idealizzazione e sacralizzazione del padre e alla sua identificazione col totem: da quel giorno l'orrore per la colpa commessa e il meccanismo dell'«obbedienza posteriore» avrebbero introdotto i divieti dell'uccisione del totem e della endogamia, destinati a perpetuarsi, insieme col desiderio edipico, nella storia collettiva e individuale di tutti gli uomini. A segnare l'ambivalenza del rappor~o dei figli col padre ucciso, il «pasto totemico», la «pnma . festa dell'umanità»: una volta l'anno , in memona dell'antico delitto, ne è consentita la riproduzione, compiuta sopra il totem, attraverso il libero sfogo alle tendenze aggressive, rimosse ma non mai spente.

L'origine delle organizzazioni sociali, delle restrizioni morali e della religione risalirebbe a queste primordiali vicende. Scriveva Freud:

l'origine della religione

«Vennero in tal modo alla luce alcuni tratti che da allora in poi furono caratteristici della religione. La religione totemica era nata dal senso di colpa dei figli, come tentativo di attenuare questo sentimento e di riconciliarsi il padre offeso co~ l'obbedienza posteriore. Tutte le religioni successive appaiOno come altrettanti tentativi di soluzione dello stesso problema, variabili a seconda dei livelli di civiltà in cui vengono intrapresi e della direzione seguita, ma tutti miranti allo stesso fine, reazioni allo stesso grande evento con cui ebbe inizio la civiltà e che da allora non dà pace all;umanità».

Lo stesso cristianesimo, fondato com'è sulla credenza del peccato originale e sul mistero dell'uccisione di Dio, perpetuerebbe, attraverso il rito eucaristico, vera e propria ripetizione dell'azione da espiare, la memoria dell'antico misfatto. Ne L 'avvenire di un 'illusione Freud non si occupa più della religione da un punto di vista storico-psicologico, bensì del suo valore oggettivo di verità, che egli nega totalmente, dando veste teorica a quell'ateismo in cui era cresciuto fin dalla prima giovinezza. Ispirandosi ad una posizione di stampo illuministico, aggiornata secondo gli orientamenti materialistici del positivismo tedesco di fine secolo, Freud riconduce l'idea di religione al bisogno umano di una compensazione L'i~lt~sione alle angosce, di un pensiero consolante simile a religiosa quello col quale il bambino reagisce al sentimento della propria debolezza e si rifugia tra le braccia del padre. La religione è un'illusione da cui l'umanità, via via che, divenendo adulta, rinuncerà al fanciullesco esaudimento allucinatorio dei desideri, non potrà non liberarsi, convertendosi ai valori razionali della scienza. Certo, egli dice, la strada dell'emancipazione è assai lunga, e per molto tempo ancora l'umanità avrà bisogno del «narcotico» della religione, prima di divenire capace, ormai libera dai desideri infantili, di affrontare con le sole proprie forze la durezza della realtà. Allora, «come tutti i probi piccoli agricoltori di questa terra, l'uomo saprà coltivare la sua zolla in modo che essa lo nutra. Se distoglierà dall'aldilà le sue speranze e concentrerà sulla vita te\rena tutte le forze rese così disponibili, egli riuscirà probabilmente a rendere la vita sopportabile per tutti e la civiltà non più oppressiva per alcuno. Allora senza rimpianti potrà dire con uno dei nostri correligionarF: 'Il cielo abbandoniamolo agli angeli e ai passeri'».

Ma, in realtà, Freud non era affatto convinto della possibilità di conciliare esigenze della civiltà e bisogno umano della felicità. Ne è testimonianza il libro su Il disagio della civiltà, destinato a grande . . successo, e a divenire punto di riferimento di 0.15.a~ 10 e tanta parte del dibattito che si sarebbe sviluppato Clvilta

2

458

Il poeta Heinrich Heine (1799-1856).

SEZIONE SECONDA. LE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO CAPITOLO 24

sul versante dei rapporti tra psicanalisi e sociologia e, Nonostante tutti i suoi sforzi, la civiltà non ha in particolare, all'interno della corrente del freudo- dunque finora ottenuto granché. Rimane il·fatto che marxismo (v. CAP. 29**• PAR. 2.6). essa è possibile solo attraverso l'utilizzazione sublimata Già in un breve scritto de11908, La morale sessua- di Eros, da una parte, e la repressione di Thanatos dalle 'civile' e il nervosismo moderno, Freud aveva ricono- l'altra, procedure che, modificando la spontaneità pulsciuto che la civiltà può affermarsi solo a prezzo della sionale degli uomini, sono destinate ambedue a produrrepressione delle pulsioni sessuali, e quindi di una re quel diffuso, spesso silenzioso e impalpabile . sempre più ampia diffusione delle nevrosi; ma, allora, malessere che Freud chiama «disagio nella civil- Admllblv~ 1 '71"1 ~ 8 , responsab'l . larga m1sura . de1. nevrot1sm1 . . e a CIVI a si era astenuto dal valutare se e quanto il sacrificio della ta», 1e m sessualità fosse compensato dai vantaggi offerti dal caratteristici del mondo moderno. Si evidenzia qui il progresso civile. È ora che egli sottolinea le superiori carattere ambivalente della civiltà: da una parte essa fa ragioni della civiltà, che in qualche modo legittimano appello alle forze costruttive, unitive e vitali di Eros la richiesta di una rinuncia alle pulsioni libidiche. contro la distruttività della pulsione di morte; dall'altra, La situazione è veramente drammatica: nato con reprimendo la spontaneità delle forze libidiche, essa un impulso fortissimo ad essere felice, l'uomo è desti- sembra posseduta proprio da quell'istinto di morte cui nato a non esserlo, non solo per il fatto che il suo corpo vorrebbe ovviare, così da apparire nella sua stessa coè destinato a deperire e a disfarsi, non solo perché la struttività una via più lunga verso la distruzione finale. natura può infierire contro di lui con immani forze Freud passa in rassegna, evidenziandone i limiti, distruttive, ma anche e soprattutto a causa degli i diversi rimedi con cui gli uomini tentano di sfuggire . .. lnl elICita e · · · · 1e, 1a qua1e lffi· al disagio, dall'uso delle droghe alla sublimazione nelle l'ma ·one mteress1· deIl' orgamzzazwne soc1a 5 1 u li zl pone all'individuo una radicale limitazione della attività creatrici dell'arte e della scienza, che però . . sua libertà, lo obbliga a rinunciare a desideri e pulsioni, sono accessibili solo a pochi, al godimento delle ~~me~ 1 al la cui carica energetica desessualizzata viene posta al opere d'arte, che può offrire soltanto un'evasione lsaglo servizio degli scopi della civiltà, attraverso il meccani- temporanea dagli affanni della vita, e ancora alla scelta smo della «sublimazione». Attraverso di questo, la radicale dell'eremita che si apparta dal mondo e non pulsione sessuale, distolta dalla sua naturale destinazione, viene impiegata nella scienza, nelle arti e in ogni altra prestazione utile alla società. D'altra parte, la scoperta che Freud crede di avere fatto della presenza, alla radice dell'essere umano, di una pulsione di morte, lo dispone ad una visione fortemente pessimistica, perfino lugubre, della natura urna. . na: questa è dominata da impulsi aggressivi e Puls1one d1 d' · · h · H bb f d' morte e società 1st~utt1v1 c e, come 1?segnava . o es, anno 1 ogm uomo un lupo ne1 confront1 dell'altro uomo. Se la società non intervenisse con un'azione duramente repressiva, la competizione esploderebbe selvaggia, e l'incontrollata estrinsecazione delle pulsioni sarebbe talmente distruttiva da togliere ogni sicurezza alla vita. Tra gli strumenti più efficaci con cui la società interviene per sottoporre l'individuo al proprio controllo, uno dei più efficaci è rappresentato dalla formazione, accanto al super-io individuale, di una sorta di su per-io della civiltà che, con le sue severe imposizioni . normative, ha la funzione di fiaccare gli impulsi Un super-10 · ·d Il'' d' 'd . d . · . sociale aggress1v1 e m 1y1 uo, susClt~n o neg1~ uomm1 un acuto senso d1 colpa. Avv1ene pero che le richieste di questo super-io sociale siano così esigenti e inflessibili da apparire all'io impraticabili, al punto da produrre nell'individuo o la rivolta o la nevrosi, e comunque l'infelicità. Prova ne è il comandamento «ama il prossimo tuo come te stesso», che è certamente la più forte formazione reattiva che la civiltà abbia prodotto contro l'aggressività umana, ma che, per la sua irrealizzabilità, finisce col non avere tutta l'efficacia che vorrebbe. Freud con la figlia Anna.

459

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITJVISMO

vuole avere nulla a che fare con esso, fino al rimedio più universalmente diffuso, quello offerto dalle religioni che, attraverso una sorta di delirio collettivo, allucinano un mondo diverso, in alternativa a quello reale, proponendolo come riparo dalla sofferenza e promessa di felicità. Creatore di una teoria per tanti aspetti rivoluzionaria come la psicanalisi, Freud era in sostanza, sotto il profilo politico e sociologico, un conservatore. Condizionato dall'ambiente sociale borghese in cui si trova organicamente inserito egli non tiene conto, salvo che raramente, del carattere storicamente e socialmente determinato delle forme di repressione caratteristiche della civiltà occidentale, e scambia facilmente . . 'd , il disagio di 'questa' civiltà, col disagio 'della' DISagro e11a . 'l , 'd . l' . b'l d' civiltà 0 di . c1v1 ta, cons1 erato me 1mma 1 e, a meno 1 non 'questa' civiltà? voler ricondurre l'umanità alle sue origini ferine. Si capisce pertanto perché non si trovi traccia, nei suoi scritti sociologici, di una risposta alla crisi della civiltà occidentale, diversa dall'accettazione della condizione umana da questa consentita, sia pur con tutte le attenuazioni possibili dei pesanti costi che essa prevede. Alla coraggiosa denuncia che il giovane Freud aveva fatto della repressione sessuale succede ora, nel tardo pensiero freudiano, una ideologia della rassegnazione. Anche di fronte alla prospettiva, che ebbe assai chiara, di una possibile autodistruzione dell'umanità, Freud, in assenza di ogni analisi delle dinamiche reali 'b'l della storia, la riconduce alle sue vedute su di La possr 1e · · · bb · autodistruzione una astonca natura umana, m cm sare ero 1mdell'umanità mutabilmente radicati l'odio e la guerra. Nell'ultima pagina de Il disagio nella civiltà, come qualche anno dopo, in una corrispondenza con Einstein sul problema della guerra, egli non va oltre l'augurio che Eros riesca a prevalere su Thanatos: «Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l'evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttrice degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all'ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c'è da aspettarsi che l'Eros eterno farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario parimenti immortale. Ma chi può prevedere se avrà successo e quale sarà l'esito?».

A questa domanda Freud ebbe modo di veder profilarsi la risposta durante l'ultimo decennio della

sua vita: la conquista del potere da parte di Hitler in Germania, l'Anschluss, l'inizio della seconda guerra mondiale. Nel 1933 a Berlino i nazisti bruciano . . . . Il nazrsmo ne11e p1azze 1. suo1. l'b 1 n. ed eg11,. che non 1mmagma che si tratta soltanto dell'inizio di un'immane tragedia, commenta: «Che progressi stiamo facendo! nel medioevo avrebbero bruciato me; oggigiorno si accontentano di bruciare i miei libri». Non poteva sapere che dodici anni dopo, quattro sue sorelle avrebbero trovato la morte nei campi di sterminio hitleriani, insieme a milioni di ebrei. La psicanalisi, riconosciuta come creazione tipicamente ebraica, viene messa al bando in tutta la Germania. Contro il consiglio di amici e discepoli, Freud rifiuta di lasciare l'Austria, e solo dopo che questa viene invasa dai nazisti e la sua casa a Vienna saccheggiata, egli si convince, ottantaduenne, a lasciare la città in cui aveva trascorso settantanove anni della sua vita. Per intercessione del presidente .. 1 a .. d ott1ene . da11e auton-. L'esrro statum'tense Roosevelt, Freu Londra tà naziste il consenso all'espatrio e nel giugno del1938 si trasferisce a Londra, dove viene accolto con tutti gli onori. Il suo nome si era imposto ormai da anni in tutt.o il mondo. Decine e decine di intellettuali e scrittori gli avevano reso omaggio nella sua casa di Vienna, da Thomas Mann a Romain Rolland; da Virginia W oolf ad Albert Einstein. A Londra si rinnovano riconoscimenti, non solo da parte delle autorità, ma anche da parte di una folla anonima di estimatori. Ma la malattia lo stava ormai distruggendo. Egli era stato colpito da un tumore alla bocca fin dal1923, e negli ultimi quindici anni era vissuto in preda a crescenti sofferenze; basti pensare che aveva dovuto sottoporsi a ben trentatré interventi chirurgici, con l'asportazione di parte del palato e della mascella superiore. Nonostante tutto, a Londra, continua a ricevere ogni giorno pazienti, quasi sino alla fine. Negli ultimi mesi del 1938 riesce a terminare l'ultimo suo scritto importante, L'uomo Mosè e il monotei. · tormentata La morte smo: tre saggi,. ded'1eato all a stona del suo popolo. Poi è la lunga agonia: un ultimo, devastante intervento chirurgico, crescenti, atroci sofferenze. Freud che aveva sempre rifiutato calmanti, preferendo «pensare in mezzo alle torture piuttosto che non poter pensare lucidamente», chiede al suo medico personale di aiutarlo «a lasciare dignitosamente il mondo». Una piccola dose di morfina basta a farlo assopire per sempre: egli muore il 23 settembre 1939, dopo tre settimane dall'inizio della seconda guerra mondiale.

460

Capitolo E~~Z::C~'"Try~.o,~5::'2':'''Z""l

Freud

(1856-1939):

la scoperta di un continente

Nell'opera di Freud è abbastanza evidente, da una parte la predominante attenzione per i problemi dell'evoluzione sessuale maschile rispetto a quella riservata ai problemi, sentiti come particolarmente complessi e sfuggenti, della sessualità femminile, dall'altra la tendenza a considerare la sessualità femminile come dipendente da quella maschile e ad essa specularmente corrispondente. È questa caratterizzazione «fallocentrica» della psicanalisi freudiana che spiega la grande diffidenza, spinta fino al vero e proprio rifiuto, espressa dal movimento femminista degli anni sessanta e settanta· del nostro secolo nei confronti del padre della psicanalisi. Questi veniva accusato di aver costruito un modello di femminilità in cui la donna, considerata un· essere inferiore, verrebbe come schiacciata nella funzione di moglie e di madre, in vista della conferma più piena dello status quo borghese e patriarcale. Il celebre concetto della «invidia del pene» appariva come la conferma che la psicanalisi sarebbe unilateralmente fondata sull'idea che l'anatomia sia un destino, e che la psicologia femminile non potrebbe esser altro che una conseguenza inevitabile e immodificabile della costituzione anatomica e della fisiologia della donna. In questa opposizione a Freud le femministe, soprattutto degli Stati Uniti, facevano riferimento a Karen Horney (1885-1952), esponente del revisionismo neo-freudiano americano, che già nel 1924 aveva sostenuto che l'«invidia del pene» sarebbe da interpretare come segno di un sentimento d'inferiorità della donna da ascriversi, non già alla sua costituzione biologica, bensì ai condizionamenti sociali e culturali del contesto ambientale. Solo più tardi, nel movimento delle donne, è emersa una maggiore attenzione per Freud, e la consapevolezza della necessità di fare con serenità i conti con la psicanalisi, pena un pericoloso impoverimento delle ragioni e delle problematiche dello stesso femminismo. In particolare, interessa la riflessione che il più tardo Freud concentra sul rapporto madre-figlia anteriore all'età edipica, riconosciuto come il luogo fondativo della femminilità. Si tratta del luogo che sarebbe divenuto privilegiato oggetto di analisi da parte di molte analiste di scuola freudiana, tra le quali doveva avere una particolare importanza Melanie Klein (v. cap. 29**• par. 2.7). Ma è soprattutto in anni più recenti che la ricerca in chiave analitica sull'essenza del femminile ha assunto un rilievo particolare all'interno del movimento delle donne, soprattutto ad opera di una discepola di Jacques Lacan (v. cap. 23**• par. 3), Luce lrigaray, autrice nel1974 di un libro, Speculum: l'altra donna, che ha rappresentato una svolta nella elaborazione teorica di questo tema. Così ne parla Silvia Vegetti Finzi, in una penetrante pagina della sua Storia della psicanalisi: «La Irigaray, in un serrato dibattito filosofico con Freud e con la cultura classica, rappresentata da Platone, denuncia l'impossibilità del pensiero occidentale di pensare il diverso. Poiché il nostro pensiero poggia sul predominio dell'Uno rispetto al molteplice, sul principio di non contraddizione, sull'identità, ci riesce impossibile teorizzare ad un tempo un sesso e l'altro, se non nella forma della specularità negativa, della sottrazione, della mancanza. Se il sesso maschile è, quello femminile non è, perché così vuole la logica delle proposizioni, la sua struttura assiomatica. Una analisi critica che dà conto, assai più delle denunce meramente sociali, del coinvolgimento della donna, della sua complicità culturale con l'uomo, del sistema di impossibilità che si oppone ad una sua autorapprentazione ... Nelle opere successive, partendo dalla constatazione che il femminile non ha luogo se non all'interno di modelli e leggi emanati dai soggetti maschili, la Irigaray cerca di forgiare un linguaggio che dica l'essere femminile nella sua specificità, consistente nella pluralità, contrapposta alla unità fallica. Centrale, nella sua riflessione, è il rapporto con la madre, considerato come il momento fondante nella costituzione della identità sessuale femminile. Questo «primo amore» tra madre e figlia, interdetto dall'ordine patriarcale, rimane relegato ad una sorta di funzionalità afasica ave è possibile solo l'identificazione o la sostituzione.

461

24

Capitolo r=.c=.:=:::-:--:=~-===

24

Riprendendo i temi di Totem e tabù, la Irigaray sostiene che, all'origine della civiltà, ci fu un assassinio più arcaico di quello del parricidio, quello della donna-madre. Esso costituì l'atto inaugurale della società maschile, fondata sulla negazione del femminile. Ella pone al movimento delle donne (tra le quali troverà gran seguito) il compito di recuperare il legame con la madre e, attraverso questo, l'amore per se stesse e per le altre donne, normalmente sacrificato all'amore dell'altro e alla competizione per i favori sessuali dell'uomo. A questo scopo Luce Irigaray si impegna in un attraversamento della cultura tradizionale (che vede, tra i momenti più alti, il confronto con Platone, Descartes, Nietzsche, Heidegger), nel tentativo di lacerare il discorso maschile e di ritrovare, nelle impossibilità, contraddizioni, silenzi, modalità alternative di rappresentare il femminile, di dar voce al suo silenzio».

A chi volesse introdursi a questa così attuale problematica si potrebbe suggerire il seguente percorso. Di Freud potrebbero essere letti, nell'edizione italiana dei suoi scritti completi (Einaudi, Torino 1967-79), i saggi più ravvicinati ad una indagine sulla specificità femminile: Un bambino viene picchiato (1922); Il tramonto del complesso edipico (1924); Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi (1925); e infine Sessualità femminile (1931 ). Per una documentazione della tendenza antifreudiana del femminismo negli anni del secondo dopo-guerra, fondamentale importanza ha Il secondo sesso (1949) di Simone De Beauvoir (Il Saggiatore, Milano 1984, 11 • ed.). Psicanalisi e femminismo (1974) di Juliet Mitchell (Einaudi, Torino 1976}, segna invece il trapasso ad un rapporto più dialettico del femminismo con Freud. E ancora: J. Backer Miller (a cura di), Le donne e la psicanalisi, Boringhieri, Torino 1976, A. lmbasciati, Psicanalisi e femminilità, Angeli, Milano 1979, N. Bassanese e G. Buzzatti (a cura di}, La mascherata. La sessualità femminile nella nuova psicanalisi, Feltrinelli, Roma 1979. Della lrigaray, oltre Speculum, Feltrinelli, Milano 1974, di assai difficile lettura, si possono vedere Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli, Milano 1977, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1984.

462

Capitolo

25

Sviluppi della matematica e della logica tra Ottocento e Novecento

l . ,. ............. ,.,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ,,,,,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ''"''''''''''''"''''''''''''''

.... ···············::••;•••::::::::::::::::·::::;:;;;;;;;:;;;;;;;;;;;:, ;·;;;;;;j;;;;:::;:::·.

Considerazioni introduttive er aiutare la comprensione degli sviluppi della matematica nel XIX e nel XX secolo è utile passare schematicamente in rassegna alcuni degli elementi che avevano caratterizzato il pensiero matematico tra il XVII ed il XVIII secolo. In questo periodo la matematica era stata fortemente influenzata dalla geometria ed aveva mantenuto un solido riferimento all'esperienza, e pertanto in essa aveva esercitato un ruolo fondamentale l'intreccio tra discorso logico e intuizione. Gli Elementi di Euclide venivano considerati come il livello più alto di espressione della mente umana, il modello ideale di riferimento per coloro che ambissero ad elaborazioni rigorose nei più diversi settori della conoscenza, sicché non può meravigliare che, ad esempio, Spinoza ne facesse il tessuto assiomatico-deduttivo della sua Ethica, o che Newton costruisse i suoi Principia in modo manifestamente modellato sull'opera euclidea. La struttura degli Elementi era fondata su una organizzazione di tipo assiomatico. Essa traeva origine dalla constatazione che, in genere, per ordinare un certo ambito di esperienza era sufficiente introdurre dei concetti, sulla base dei quali formulare le proposizioni riguardanti i collegamenti possibili di questi stessi concetti all'interno di quell'ambito di esperienza. L'idea dell'organizzazione assiomatica di una teoria era, pertanto, quella di individuare un numero sufficientemente ristretto di concetti, riconosciuti come 'concetti primitivi', da accogliere per il loro significato di 'immediata evidenza intuitiva', ed insieme un numero ristretto di proposizioni - 'assiomi' - la cui verità fosse anch'essa 'intuitivamente evidente'. Utilizzando poi lo strumento logico della 'definizione' si poteva trasmettere ad ogni altro concetto, definito sulla base dei concetti primi evidenti, l'evidenza in-

tuitiva di questi; e così, utilizzando lo strumento logico della 'dimostrazione', si poteva trasmettere ad ogni altra proposizione- 'teorema'- dedotta dagli assiomi intuitivamente veri, la verità di questi ultimi. In questo modo, le operazioni logiche del definire e del dimostrare risolvevano i problemi dell'intelligibilità e verità dei concetti e delle proposizioni della teoria, riconducendoli all'intelligibilità e verità dei concetti primitivi e degli assiomi, per i quali il problema era risolto ricorrendo al criterio, extralogico, dell'evidenza intuitiva. Ma questa evidenza, assunta fin da Cartesio quale criterio generale di verità, e destinata a restare uno dei cardini del pensiero matematico fino a tutto il XVIII secolo, era davvero in grado di fondare su base sicura i concetti primitivi? Parlando di evidenza, non ci si appellava forse, più che ad una proprietà logica, ad una proprietà psicologica, irrimediabilmente . compromessa con la soggettività del pensante, e La ma~ematlca 'd . . l . . tra Se1cento e ç . come tale esposta 1ac11mente a n uzwm re at1v1- Settecento stiche? E poi, se dal punto di vista logico assiomi e concetti primitivi erano il punto di partenza, da un punto di vista euristico essi non erano invece il punto di arrivo di un lavoro di analisi mirante a ricondurre intelligibilità ed evidenza di un concetto complesso all'intelligibilità immediata di concetti più semplici? E questa interconnessione tra momento logico e momento empirico non congiurava forse a compromettere il rigore della stessa organizzazione del pensiero scientifico? Da questi interrogativi e perplessità doveva muovere il pensiero matematico ottocentesco, nella direzione di una «rigorizzazione» dei propri procedimenti. Uno specifico aspetto dell'eredità greca che si era perpetuato nel pensiero matematico e che doveva sopravvivere -lo accennavamo poc'anzi- fino agli inizi

463

f


>< ~

Ci§

l~

]to :di 'ricersa: 9·uello noto ··• ~·come IQte/{ige(lza artificiale •. •;(in inglesé'aititicial • •···· :inte1Jigén6p, r;~bbrewiçtto con

SEZIONE SECONDA. LE RIVOLUZIONI SCIENTIFICI-lE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO CAPITOLO 25

1 Un elaboratore costruito all'Università di Princeton ed entrato in funzione nel1951. 2 Ingrandimento di un chip. -

2

la sua capacità di interagire con l'ambiente circostante. l risultati provenienti dalle ricerche nell'ambito della Al hanno trovato prima di tutto applicazione nel campo della robotica, settore che sviluppa dispositivi meccanici, di largo impiego nell'industria, in grado di assolvere mansioni «intelligenti», precedentemente demandate all'uomo, con maggiore velocità e precisione efo in ambienti nocivi. Altro campo di vasta applicazione della Al è quello dei così detti sistemi esperti nei quali vengono codificate in un calcolatore le conoscenze relative ad uno o più settori (o a tutti i settori) di una certa professione (per esempio del medico, dell'avvocato, dell'architetto, dell'aviatore, ecc.) o di una certa attività (si pensi al gioco degli scacchi): il calcolatore è allora in grado, almeno entro certi limiti, di sostituire quella figura (il

professionista o il giocatore di scacchi) nell'ambito del settore di cui possiede il pacchetto di informazioni e le regole di correlazione tra queste. In entrambi questi settori vengono sviluppate tecniche sempre più sofisticate di >, nel senso che certe filosofie e illinguaggio comune danno a questa espressione, come di un punto di vista inidoneo a garantire l'oggettività scientifica. Non potrebbe esserci un fraintendimento più grossolano, del quale peraltro, almeno agli inizi, l'opera di Einstein andò vittima, ad opera di un'opinione poco provveduta sul terreno delle competenze scientifiche. Se è vero che la teoria einsteiniana aveva lasciato cadere, una volta per tutte, l'uniformità dei fenomeni, non era così per l'uniformità delle leggi fisiche secondo cui essi avvengono, delle quali veniva invece affermata l' «invarianza». Ciò significa che l'oggettività non si basava più sulla pretesa assolutezza di alcuni «concetti-cosa», come lo spazio e il tempo della meccaniL'oggettività ca newtoniana, bensì sulla determinazione delle scientifica e l'invarianza trasformazioni che rendono invarianti, nel pasdelle leggi saggio da un sistema di riferimento ad un altro, le fisiche leggi enunciate dalla fisica. Si trattava delle trasformazioni lorentziane, le quali consentono, infatti, di trasformare le une nelle altre le misurazioni spazio-temporali compiute da due osservatori, collocati in due diversi sistemi di riferimento l'uno rispetto all'altro in moto rettilineo uniforme. Ma riprendiamo ora la nostra esposizione. La relatività ristretta culminava in una ultima, conclusiva riformulazione della meccanica classica, M d relativa al rapporto tra massa ed energia. Se, co:sns:r;a me dicevamo di sopra, è tanto più difficile aumentare la velocità di un corpo quanto più questa è alta, ne deriva che la massa, cui è dovuta la resistenza

Equivoci sulla relatività einsteiniana

7 di un corpo alla variazione di velocità, debba aumenI..W tare con la velocità, di contro a quanto sosteneva la l-meccanica newtoniana, che considerava la massa una Cf) z costante dei corpi. Einstein osservava che, se un corpo U.J potesse raggiungere la velocità della luce, nessuna forza potrebbe mai determinarne l'accelerazione mentre la massa del corpo diventerebbe infinita. Conseguenza di questo nuovo modo di intendere il rapporto tra massa e velocità è la cancellazione della separazione, fondamentale nella meccanica classica, tra materia ed energia: se con la velocità la massa di un corpo aumenta, e se è vero che il movimento è energia (energia cinetica), allora se ne deve concludere che anche l'energia è parte integrante della massa. E_ mrl L'energia deve possedere una massa e questa deve possedere energia; se una distinzione è lecito fare tra le due, essa è da riferirsi ad uno stato del tutto temporaneo. La vecchia distinzione tra una materia, inerte e tangibile, ed un'energia, attiva ed invisibile, sta ormai alle nostre spalle. Einstein riassunse nel 1907 la sua teoria nella formula più famosa di tutta la storia della fisica: E=m c2, dove E significa energia, m massa di riposo e c la velocità della luce. A partire dagli anni quaranta, l'equivalenza einsteiniana di materia ed energia, più volte verificata prima d'allora attraverso esperimenti sulla massa v .. ., d . l . l d' d . enf1che e la. veloc1~a. eg11 e ettrom e con o stu 10 . e1 sperimentali raggi cosm1c1, avrebbe offerto, anche al pubbhco profano di conoscenze scientifiche, conferme altamente dramatiche di sé, negli eventi terribili dell'età atomica.

La relatività generale: un mondo non euclideo ulla base dei princìpi della relatività ristretta e dell'ipotesi di Lorentz sulla contrazione dei corpi in relazione alla velocità - fatta propria, come sappiamo, da Einstein -, Hermann Minkowsld, l'antico maestro di Einstein a Zurigo, proponeva un'immagine dell'universo in cui fisica e geometria si venivano fortemente intrecciando, lungo una direzione che già nell'Ottocento avevano suggerito le geometrie non euclidee. Secondo Minkowski ,. . d' spazio e tempo, in quanto relativi ad un determiL Isotopo 1 • d'1 n'fìenmento, · · a1cun . nato sistema non sono m .k 1 Mm OWSll d b'l' l' d 11' l . . mo o separa 11 uno a a tro ma costitUiscono un «continuo quadridimensionale» non euclideo, cui il matematico lituano dette il nome di «isòtopo»: ciò comporta che, per determinare interamente un evento, non è sufficiente riferirsi alle tre dimensioni dello spazio euclideo, ma occorre includere anche la dimensione tempo, le cui variazioni - lo abbiamo visto a

proposito della massa dei corpi - agiscono sulle dimensioni spaziali. Di questo spazio quadridimensionale doveva valersi Einstein nello sviluppo che la sua teoria avrebbe assunto nello scritto del 1916 su I fon-

damenti della teoria della relatività generale. Come sappiamo, la relatività ristretta aveva riguardato esclusivamente sistemi inerziali, caratterizzati da moti rettilinei uniformi; la relatività gene... rale doveva nascere dall'estensione delle leggi La relatlvlta della fisica relativistica a sistemi di riferimento generale comunque in moto, anche accelerato. A questa unificazione Einstein doveva pervenire partendo da un dato già noto alla meccanica classica, ma del quale questa non aveva saputo che farsene limitandosi a registrarlo, ossia l'eguaglianza Massa e tra «massa inerziale» di un corpo (= rapporto tra inerziale massa forza ed accelerazione) e «massa gravitazionale» gravitazionale o pesante (= rapporto tra peso del corpo e accele-

505

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

z

razione di gravità). Il grande scienziato doveva spiegare che detta eguaglianza costituisce una proprietà ldel campo gravitazionale, e che, tenendo conto di Cf) quest'ultimo, diviene possibile il passaggio da un siz stema inerziale ad un sistema accelerato. UJ Di qui la definizione del principio di equivalen11 principio di za, considerato valevole da Einstein per una pieequivalenza cola parte di spazio: UJ

«in un campo gravitazionale (di piccola estensione spaziale) tutto accade come in uno spazio libero da gravitazione, purché vi si introduca, al posto di un 'sistema inerziale', un sistema di riferimento accelerato rispetto a un sistema inerziale».

Il che equivaleva a dire che un osservatore, collocato all'interno di un sistema, non potrebbe mai stabilire, in assenza di punti di riferimento esterni al sistema, se egli sia soggetto ad un moto uniformemente accelerato oppure si trovi in un campo gravitazionale. È stato fatto l'esempio di un viaggiatore in un razzo che si muova fuori di ogni campo gravitazionale, e che, ad un certo momento del suo percorso, acceleri o deceleri, sottoponendo così il viaggiatore ad una spinta rispettivamente all'indietro e in avanti. Costui, . . nell'impossibilità di vedere all'esterno del razzo, Il vmgg1atore . . d ll' . dl . . interplanetario e unque 1Imitato a espenenza e propno sistema di riferimento, non potrebbe mai stabilire se quella spinta sia determinata da una variazione di velocità impressa al veicolo dalla sua forza propellente ovvero sia provocata dalla forza gravitazionale esercitata da un pianeta apparso improvvisamente vicino al razzo stesso. Celebre anche è rimasta l'ipotesi avanzata da Einstein stesso, di due osservatori, l'uno collocato all'interno di un ascensore in caduta libera dall'altezza di migliaia di chilometri, l'altro situato all'esterno di esso: il primo, in presenza del fenomeno di una Un ascensore . ll h f . . d' ll in caduta libera pa a c e, s ugg1tag11 1 mano, nmanga a ga eggiare nell'aria come una massa inerziale ma non pesante, riterrà che sulla cabina non si eserciti alcuna forza gravitazionale, e che essa costituisca - come Einstein scherzosamente si esprime - una sorta di «edizione tascabile» di sistema inerziale; per il secondo osservatore, invece, la cabina, e tutti gli oggetti in essa contenuti, è soggetta ad un moto conforme alla legge newtoniana di gravità. Da ciò si conclude che inerzia e gravità non vanno concepite come dotate di una realtà fisica assoluta: un campo che risulta inerziale in rapporto ad un sistema di riferimento - l'osservatore all'interno dell'a. scensore - è invece gravitazionale in rapporto ad lnerzm e . gravità un altro sistema - l' osservatore fuon. de11' ascensore. La novità della relatività generale consiste dunque nel fare di inerzia e gravità due descrizioni diverse di un medesimo fenomeno. Ne doveva discendere una radicale trasformazio-

ne del significato newtoniano della gravità. Questa non veniva più concepita come un campo di forze esistente in una geometria inerziale dell'universo, bensì come aspetto della struttura geometrica non più euclidea dello spazio-tempo. Spieghiamoci. Newton aveva visto nella gravità una forza che, applicata ad un corpo, ad esempio ad un pianeta o ad un proiettile, determina, combinandosi con gli effetti della legge d'inerzia, l'incurvarsi della sua traiettoria; secon.. do Einstein, viceversa, la traiettoria di un corpo Gravita e . ,d . geometria ne11o spaziO e etermmata dalla geometria dello fisica dello spazio stesso, ossia dall'incurvarsi di questo in spazio-tempo presenza della materia. Questa, infatti, in quanto curvo condensato di energia, fa dello spazio un «campo dinamico», risultante dal concerto delle quattro dimensioni costitutive della massa corporea. Se dunque i pianeti si muovono di un movimento ellittico ciò dipende dalla natura di uno spazio nel quale la linea più breve tra due punti non è rettilinea, come nella geometria euclidea, bensì curva. Così, identificando il campo gravitazionale con una geometria dello spaziotempo curvo, simile a quella sferica costruita da Riemann (v. CAP. 25, PAR. 5), Einstein trasformava la geometria da struttura rigidamente data, ente assoluto e im-

506

Alberi Einstein nel suo studio.

SEZIONE SECONDA. LE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO CAPITOLO 26

mobile, in un campo dinamico, variabile, interagente con la materia. Da questa nuova teoria della gravitazione, incentrata sull'identificazione di inerzia e gravità, di materia e campo gravitazionale, doveva profilarsi una cosmologia nella quale l'universo si configurava come una realtà finita e insieme illimitata: finita in quanto lo spazio curvo definisce l'universo come è definita la superficie di una sfera, sicché, per così dire, l'uni. Un umverso . h' d . . . . h, finito e verso s1 c m e su se stesso; 111 nmtata, gwcc e essa illimitato può essere percorsa un numero infinito di volte, allo stesso modo che non si finisce mai di percorrere una superficie sferica. Un ipotetico viaggiatore interstellare che, partito dalla Terra, si allontanasse da questa lungo una linea «rettilinea», scoprirebbe, dopo un lughissimo percorso, di star avvicinandosi di nuovo alla Terra, allo stesso modo che un pedone terrestre che camminasse lungo l'equatore verrebbe, ad un certo

momento, a ritrovarsi al punto di partenza. Negli ultimi venticinque anni della sua vita Einstein doveva lavorare all'unificazione in un «campo totale» dell'intera realtà fisica, superando così la distinzione tra materia e campo. Secondo questo audace progetto, campo gravitazionale e campo elettromagnetico non sarebbero che aspetti diversi di un mede11 i fondamentale il concetto di campo quantizzato. La 'realtà' doveva essere pensata come una classe di campi - campo dell'elettrone, campo del protone, campo del fotone -, di cui le particelle sarebbero mèri epifenomeni. Sottomettendo opportuni campi fonda-

mentali alle regole congiunte della meccanica quantica e della relatività ristretta, si sarebbero dovute derivare tutte le caratteristiche del mondo dei fenomeni fisici. Ma quali erano i campi - e quindi le particelle fondamentali? Sino alla fine degli anni venti si era pensato che la materia fosse composta da atomi i cui costituenti erano elettroni e protoni - particelle cariche le prime negativamente, le seconde positiva- L . a scoperta mente. La scoperta nel1931 del neutrone- parti- del neutrone cella elettricamente neutra- rappresentò il punto di svolta per la moderna interpretazione del nucleo come costituito da protoni e neutroni, e sancì la nascita della moderna fisica nucleare, aprendo la strada alla ricerca delle particelle elementari subnucleari, il cui numero e varietà si andò via via moltiplicando.

512

SEZIONE SECONDA. LE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO CAPITOLO 26

Prodigiose sono state le applicazioni tecniche che via via si sono venute facendo degli studi nucleari, in ordine soprattutto alla prospettiva della disintegrazione degli atomi dei corpi radioattivi. Già Rutherford aveva sperimentato il «bombardamento» del nucleo con i raggi alfa quali proiettili; dagli anni trenta, poi, e in particolare dal 1933, quanLa do venn~ costruito il ~i~lotrone,. una macchina disintegrazione capace dr produrre la drsmtegrazrone del nucleo, dell'atomo i progressi sulla strada di sconvolgenti applicazioni, soprattutto in campo militare, ebbero una fortissima accelerazione. Mentre nel 1933 Frédéric (1900-1958) e lrène (1897-1956) Joliot-Curie ottenevano corpi radioattivi artificiali attraverso il bombardamento dell'alluminio con particelle alfa, Enrico

Fermi (1901-1954) con la sua scuola di Roma, scopriva che, utilizzando il bombardamento dell'uranio con neutroni, si ottenevano elementi non previsti nella scala di Mendeleiev, cui venne dato il nome di nettunio e plutonio. Dagli studi di Fermi si sarebbe giunti nel 1938, attraverso il bombardamento dell'atomo di uranio con un neutrone, alla fissione (rottura) dell'atomo e alla scoperta che, con questa rottura, si liberano dal nucleo dell'uranio altri neutroni, che a loro volta producono la fissione di altri nuclei, in una reazione a catena capace di fare esplodere un'intera massa di uranio, con il conseguente sprigionarsi di una quantità di energia dalla spaventosa capacità distruttiva. L'umanità avrebbe conosciuto gli effetti di queste scoperte nel 1945, ad Hiroshima e Nagasaki.

11 .............................................................................. ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, ...... .

Considerazioni conclusive no dei caratteri fondamentali della fisica del XX secolo è quello relativo alla nascita ed allo sviluppo di nuove teorie, necessarie per la spie-~ gazione di ambiti fenomenici sempre più vasti. Alla monoliticità e staticità dell'orizzonte fornito dalla meccanica newtoniana nel corso pressoché di . tutto il XIX secolo, si sostituisce una successione Unpura1smo l l d' . l . , . d' .. di teorie .r teone, c~n e qua11 1 onzzonte .r sens.o e srgmfrcato acqursta una complessa artrcolazrone. In che senso allora si può continuare a parlare di uno sviluppo della fisica come pura e semplice accumulazione di nuove scoperte alle vecchie? (v. CAP. 16**• PAR. o. Questa idea accumulativa del sapere era sorta ''d in un periodo in cui le verità conseguite dalla L 1 ea f' . . l ''d . cumulativa del rsrca erano ntenute asso ute, ma quest 1 ea vresapere ne profondamente incrinata dallo sviluppo della fisica e delle scienze nel XIX secolo, ed essenzialmente superata nel XX. Ogni 'verità' acquisita è ora subordinata a criteri di verità propri di ognuna delle teorie relative ai diversi ambiti fenomenici. Allo stesso tempo si ripropone la questione di 11 problema ricostruire una visione unitaria del mondo della dell'unità del sapere natura, cercando anche un superamento dei parscientifico ticolarismi introdotti da uno specialismo sempre più esasperato. Dalle contrapposizioni ottocentesche tra fautori di un riduzionismo delle scienze biologiche alle leggi meccanicistiche della fisica e della chimica e coloro che invece ritenevano incommensurabili l a proposta l · d ll · · · 11 neopositivista .e sc~enze e. a ma terra vrvente nspetto a que .a rnammata - m parte analoghe alle contrapposizioni fra sostenitori di una riduzione delle scienze della psiche alle scienze biologiche e coloro che inve-~-

ce difendevano una piena autonomia della vita .spirituale -, si passa al tentativo neopositivista (V. CAP. 14**) di riscoprire l'unità delle scienze non in una unità delle leggi, ma in una unità di linguaggio (N eurath e Carnap). Scriveva Carnap: «Vi è una base comune di riduzione per i termini di tutte le branche della scienza», costituita da «una classe ristrettissima e omogenea di termini del linguaggio casale fisico», inteso come «quel sottolinguaggio che è la parte comune del linguaggio ordinario e del linguaggio fisico»; «tale unità di termini è certamente meno potente ed efficace di quanto sarebbe l'unità delle leggi, ma è condizione necessaria per l'unità delle leggi».

Questa tesi costituiva il nucleo centrale del «fisicalismo», che incarna una delle fasi più importanti dello sviluppo del neopositivismo, intorno a cui si appuntarono vivaci discussioni tra gli stessi neopositivisti. Sia le discussioni in ambito filosofico, sia gli sviluppi in ambito fisico avrebbero però finito . . • . . della propo- 11 1ISIC81ISfllO col sottolmeare tutto 1.1 dogmatrsmo sta fisicalista, salvandone soltanto l'idea che, nel processo di unificazione dell'immagine della natura, è necessario considerare attentamente i mezzi di espressione delle teorie scientifiche, i loro linguaggi, e le strutture logiche, sintattiche e semantiche su cui sono costruiti. L'abbandono del progetto fisicalista è sancito dalla proposta della ricerca dell'unità delle scienze in una unità metodica fondata sul metodo, propoPopper e il sto da Popper, della «falsificazione» (v. CAP. 15**). principio di Le scienze autentiche sono soltanto quelle che, falsificazione pur muovendosi all'interno di campi specifici

513

PARTE SECONDA L'ETÀ DEL POSITIVISMO

che impongono metodi specifici, inquadrano questi metodi particolari all'interno del criterio generale della falsicabilità: esse non pretendono di conseguire verità inconfutabili, ma sono consapevoli che i loro risultati possono sempre essere falsificati. Ma anche il falsificazionismo . risulta eccessivamente rigido rispetto al concreto sviluppo della conoscenza scientifica. Secondo il suo punto di vista, alle .. nostre spalle starebbe solo un cimitero di teorie lnsuIl1c1enza d. d ll' d. ., l .f' . . del falsificazio- 1strutt~ a _opera 1 1a ~l 1caz1~n.e messa m atnismo to al fme d1 una effett1va venf1ca della loro scientificità. Ma questo, di fatto, non è quello che succede per esempio in ambito fisico, dove teorie precedenti mantengono tutto il loro carattere normativa in ambiti fenomenici opportunamente delimi- · tati. La compresenza di teorie diverse, con le loro retroazioni interpretative che scoprono come nelle leggi passate fossero contenute più cose di quanto non si potesse apprezzare nel contesto precedente, . . .. insieme alle generalizzazioni analogiche che conLa rea lta e pm d' . l .. b l .., complessa sentono 1 sv11uppare nuove egg1 m ase a rherimento alla forma delle leggi precedenti, conduce alla metafora interpretativa di una realtà complessa strutturata in più livelli a seconda degli ambiti fenomenici considerati. La risposta alle esigenze di unificazione - questa è la consapevolezza nascente dagli sviluppi delle scienze del XX secolo - non può essere cercata lna deguatezza . ., l ff' . delle formule m una 10rmu a, per quanto ra mata essa s1a, bensì nella ragione dinamica dello sviluppo nel tempo della conoscenza scientifica. Il moltiplicarsi delle scienze di confine, che creano collegamenti tra scienze precedentemente considerate distinte (biochimica, biofisica, chimica-fisica, geofisica, sociobiologia, ecc.), denota la gradualità e flessibilità di una risposta che non può essere data . d' una volta per tutte, ma si risolve nell'unità della Le sc1enze 1 d' . . 'f' d ., d' confine «tra 1z10ne sc1ent11ca mo erna», tatta 1 una sempre più forte esigenza di rigore, tanto formale - con tendenza alla matematizzazione -, quanto operativo. L'immagine positivistica della piramide sembra essere sostituita dall'immagine della rete, i cui nodi rappresentano le varie scienze e le cui maglie disegnano in maniera sempre più complessa e fitta le interconnessioni tra queste. Questo processo di ricomposizione e ricomprensione dinamica delle scienze è strettamente correlato con il processo di sviluppo in ambito tecnologico, . sicché la sempre più interstiziale compenetrazioSclenza e d' . · h · 1· tecnologia ne 1 sc1enza e tecmca c e carattenzza mo t1 aspetti della conoscenza scientifica moderna, ha fatto sorgere il problema della presunta neutralità del sapere scientifico. Fu la seconda guerra mondiale, con la costruzione e la sperimentazione degli ordigni nucleari, a san-

z

o

eire una svolta qualitativa in ambito di amministrazione e finanziamento della scienza. L'impiego di ingenti risorse in alcuni settori della fisica permetteva uno sviluppo inimmaginabile fino a pochi anni prima, ma allo stesso tempo esso si risolveva in una d ll li tema e1la . . d ll . h selezw~e ~empre magg~o.re e ~ .r~cerc e su a neutralità della base d1 cnten econom1c1 e poht1c1. Lo stretto scienza rapporto tra impresa scientifica e progresso tecnologico non si è risolto automaticamente irt una diffusione del benessere, della libertà, della giustizia e della fratellanza tra i popoli. La positiva smania di

Nuovi ruoli per gli scienziati

514

iportiamo da Storia della scienza moderna e contemporanea, diretta da Paolo Rossi, vol. 111*, Utet, Torino 1988, una pagina dello stesso Rossi, utile a darci un'immagine appropriata della figura odierna del ricercatore scientifico, quale si è venuta profondamente modificando da quella consegnataci da una tradizione conservatasi fino al primo Novecento. «l destinatari dell'attività e dei discorsi degli scienziati non sono mai stati esclusivamente i membri di una ristretta comunità di specialisti. Ma questo allargamento dei destinatari si è fortemente accentuato dopo l'affermarsi e il diffondersi dei processi di

professionalizzazione. Il ricercatore scientifico ha rapporti di lavoro con il governo o con enti pubblici o privati. Al suo ruolo si sovrappone sempre più spesso quello del professore, dell'impiegato, del dirigente, del manager, dell'esperto. Poiché le spese per la ricerca superano la disponibilità dei singoli, è scomparsa la figura (un tempo così frequente) dello scienziato-artigiano che attinge ai suoi propri mezzi per «ricercare ciò che vuole)) o ciò che in quel momento gli sembra importante. Per il ricercatore scientifico è invece necessario un progetto di ricerca ed è necessario che quel progetto

SEZIONE SECONDA. LE RIVOLUZIONI SCIENTIFICHE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO CAPITOLO 26

conoscenza si è profondamente legata a logiche interne allo sviluppo tecnologico, che rendono sempre più difficile considerare lo sviluppo della conoscenza come un mèro strumento neutrale, che possa essere usato indifferentemente per il bene o per il male del genere umano. La sfida aperta dalla fisica sul versante gnoseologico si trasforma in una sfida sul versante politico, economico, etico e morale. Il disimpegno della scienza sul versante filosofico, che le ha fornito inizialmente libertà e spregiudicatezza, si è in parte trasformato in una miopia sugli

esiti e sulle ragioni del processo di sviluppo della scienza. Se è vero che la filosofia, e la cultura in senso lato, non possono più in alcun modo prescindere dalle acquisizioni in ambito scientifico e tecnologi- . co, è simmetricamente vero che il complesso ~ c 19 " ~a e 1 1 . 'f'1co-tecnolog1co . sembra non poter pm ., pre- 1 IOSOia sc1ent1 scindere da un'analisi di se stesso, che utilizzi i contributi della filosofia, della logica, della storia. È la sfida che tanti scienziati, a cominciare da Einstein, hanno cercato di raccogliere.

Veduta della zona in cui sorgono gli edifici del CERN, nei pressi di Ginevra; in sovrimpressione, si vede il tracciato del tunnel sotterraneo del LEP (Large Electron-Positron Collider).

sia considerato degno di essere perseguito (in vista di scopi teorici o di scopi pratici o di entrambi) da un qualche comitato di esperti che rappresentano una istituzione pubblica o privata, o un governo, o un'industria (anche questa pubblica o privata). Spesso sono i governi a mettere in moto ricerche, a scoraggiarne alcune e a favorirne altre. l costi e i vantaggi dei vari progetti non sono misurati in relazione ai generici «interessi della scienza», ma in relazione agli interessi perseguiti dai singoli paesi relativamente all'espansione scientifica, tecnologica, economica, militare. La partecipazione di un paese allo svilup~o scientifico è

infatti diventata una delle forme dell'investimento nazionale. Il budget del Cern (Consiglio europeo per la ricerca nucleare) ammonta nel1985 a circa 340 milioni di dollari. Lo staff consta di 3600 unità di cui 90 ricercatori e circa 900 tra ingegneri e fisici sperimentali. Sono inoltre presenti circa 300 borsisti di vario tipo e una comunità di fruitori di circa 3000 scienziati esterni. Non si tratta di una delle istituzioni più grandi... Le decisioni relative ai progetti (e il relativo controllo) vengono in genere prese, come si diceva, da commissioni che sono formate anche (ma non esclusivamente) da scienziati. Criteri che hanno a che fare con l'utilità o la sfruttabilità a fini pratici di una ricerca, con la «politica della scienza» perseguita da una determinata istituzione, addirittura criteri tout court politici si mescolano in tal modo ai criteri dell'accettabilità scientifica o dell'interesse teorico. Il reperimento dei fondi, soprattutto quando si tratta di cifre molto consistenti o addirittura (come in taluni settori) tali da creare problemi di bilancio per i

governi richiede spiccate qualità politiche, «diplomatiche» e manageriali, forti capacità persuasive, bravura nel propagandare la validità di un grande progetto presso l'opinione pubblica, abilità nelle trattative con i rappresentanti dei poteri istituzionali e con gli uomini politici. Non sempre (meglio, quasi mai) si tratta di rapporti facili. 'Quando uno scienziato dice qualcosa ha scritto Leo Szilard che frequentò non pochi esponenti politici - i suoi colleghi si chiedono subito se quello che ha detto è vero. Quando un politico dice qualcosa, i suoi colleghi si chiedono prima di tutto: perché lo ha detto?'. Sulla 'nuova figura' o sui nuovi ruoli degli scienziati e sugli innumerevoli problemi che tali ruoli comportano esiste una letteratura vastissima ... In essa ha trovato espressione, in varie forme, anche l'incertezza degli scienziati, la difficoltà, in cui essi si trovano, di far fronte a problemi nuovi e imprevisti dai quali la loro stessa tradizionale formazione li aveva tenuti lontano. Come ha scritto Jen Jacques Salomon, la 'divina purezza delle teorie che non

515

dovrebbe venir turbata dal corso della storia' appartiene ad un'epoca della scienza diversa dalla presente: un'epoca che 'la scienza stessa, con il suo successo, ha contribuito a chiudere'. Il paesaggio fra epoche diversamente caratterizzate, la trasformazione dei ruoli comportano problematicità e disagio e il disagio si configura qualche volta come nostalgia. Quest'ultima ha trovato una delle sue più limpide espressioni nelle parole di uno scienziato sovietico, proveniente da un paese nel quale ai «naturali» problemi del rapporto con i politici si aggiungevano quelli di un'intollerabile intromissione dell'ideologia e della politica nel lavoro della ricerca: 'Nell'anno in cui .morì Rutherford (il 1938) scomparvero per sempre i giorni felici del libero lavoro scientifico che ci rese lieti negli anni della giovinezza. La scienza è diventata una forza produttiva ed ha perduto la sua libertà. È diventata ricca, ma è stata · resa schiava e una parte di essa è velata dalla segretezza. Non so se Rutherford continuerebbe oggi a scherzare e a ridere come era abituato a fare'».

c::: •.

Capitolo c_·~·.·

26

=== Gli sviluppi della fisica tra Ottocento e Novecento Per una introduzione allo sviluppo della fisica dal XIX al XX secolo, suggeriamo: E. Bellone, l modelli e la concezione del mondo: da Laplace a Bohr, Feltrinelli, Milano 1972, e le seguenti antologie: M. La Forgia, Elettricità, materia e campo nella fisica dell'Ottocento, Loescher, Torino 1982; T.S. Kuhn, Alle origini della fisica contemporanea, Il Mulino, Bologna 1981; N. Robotti, l primi modelli dell'atomo: dall'elettrone all'atomo di Bohr, Loescher, Torino 1978; G. Bruzzaniti, La radioattività da Becquerel a Rutherford, Loescher, Torino 1980. E ancora: G. Gamow, Trent'anni che sconvolsero la fisica, Il Mulino, Bologna 1966; U. Giacomini, Scienze e filosofia nel XIX e XX secolo (antologia), Radar, Padova 1968; G. Toraldo di Francia, L'indagine del mondo fisico, Einaudi, Torino 1976. Un'antologia con introduzione, dedicata al rapporto tra scienza fisica e realtà economico-sociale è quella curata da A. Baracca e R. Livi, Natura e storia. Fisica e sviluppo del capitalismo nell'Ottocento, D'Anna, Messina-Firenze 1976. Sulla relatività ed Einstein: E. Bellone, La relatività da Faraday ad Einstein (antologia), Loescher, Torino 1981; AA.VV., Einstein scienziato e filosofo, Boringhieri, Torino 1958; L. lnfeld, A. Einstein, Einaudi, Torino 1952; A. Einstein e L. lnfeld, L'evoluzione della fisica, Boringhieri, Torino 1965; A. Einstein, Idee e opinioni, Schwarz, Milano 1965; idem, Relatività. Esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1980; idem, Autobiografia scientifica, Boringhieri, Torino 1979; idem, Come io vedo il mondo, Newton Compton, Roma 1979; C. Lanczos, Che cosa ha veramente detto Einstein, Ubaldini, Roma 1967; M. Born, La sintesi einsteiniana, Boringhieri, Torino 1969; R. W. Clarck, Einstein La vita pubblica e privata del più grande scienziato del nostro tempo, Rizzoli, Milano 1976; B. Hoffmann, A. Einstein creatore e ribelle, Bompiani, Milano, 1977; U. Giacomini, Einstein, e ancora Esame della discussione sulla teoria della relatività e Nuovi aspetti della cosmologia, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, voli. V e VI, Garzanti, Milano; R. Maiocchi, Einstein in Italia. La scienza e la filosofia italiane di fronte alla teoria della relatività, Angeli, Milano 1985; infine, E. Bellone, Einstein, in Storia della scienza, diretta da Mario Rossi, Vol. Ili*, Utet, Torino 1988. · Sulla fisica dei quanti: H. Reichenbach, l fondamenti filosofici della meccanica quantistica, Boringhieri, Torino 1950; M. Planck, La conoscenza del mondo . fisico, Boringhieri, Torino 1964; W. Heisenberg, Fisica e filosofia, Il Saggiatore, Milano 1961; N. Bohr, l quanti e la vita, Boringhieri, Torino 1965; E. Cassirer, Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna, La Nuova Italia, Firenze 1970; AA.VV., L 'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in Urss, Feltrinelli, Milano 1972; B. Ferretti, Le radici classiche della meccanica quantica, Boringhieri, Torino 1980; G. Toraldo di Francia, Le cose e i loro nomi, Laterza, Bari 1986; S. Petruccioli, Atomi, metafore, paradossi. N. Bohr e la costruzione di una nuova fisica, Theoria, Roma 1988.

516

li!i!!!i!iiiiiiiilliii!iiiiiiil!iiliiii iiiiiiiiiiiii!iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiilliiiiiiiiiiiiii iilii!iiiiiiiiiìliiiiiiiiiiiiiiiiliiiiiiliiiiiiiiiiiiiiliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!ii iiiiiiiii!iiiiiii ili! i!iiiiiiiiii!iiii!iiiiiiliii!liii·iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiii!iiiiiiii

Indice dei nomi I numeri evidenziati in nero indicano le pagine in cui è esposto· il pensiero dei vari autori; quelli in corsivo, le pagine in cui gli autori sono ricordati all'interno di una scheda.

Ackermann, W., 481 Acri, F., 380 Adler, F., 417 Adler, M., 417, 418-419, 453 Adorno, T.W., 272 Agostino (sant'), 183, 185, 187, 192,231, 238, 244 Alembert, J.-B. Le Rond, detto d', 174, 489, 490 Alessandro Magno, 146, 251 Ampère, A.M., 495 Andreae, J.V., 12 Angi ulli, A., 381 Anna Amalia, duchessa di Weimar, 68 Archimede, 468 Ardigò, R., 380, 385-389 Ariosto, L., 178 Aristotele, 82, 146, 251, 267, 306, 341, 355, 426, 429, 468 Arnim, A. von, 217 Arvon, H., 300 Asor Rosa, A., 382 Auber, D.F.E., 69 Augustenburg, Christian, principe di, 66 Avenarius, R., 411 Avineri, S., 149

Baader, B.F. von, 79, 242, 243 Babeuf, F.N., 88, 163, 174 Bach, J.S., 69 Bacone, F., 169, 182, 343, 352, 356, 498 Bakunin, M.A., 251,311,331, 399 Balbo, C., 198 Balzac, H. de, 341 Barth, K., 272, 299 Baudelaire, Cb., 341 Bauer, B., 250, 275, 278-279, 282, 283, 296, 305, 306, 308, 310, 316, 317 Bauer, 0., 417,418 Bayle, P., 285 Bebel, A.F., 413 Becquerel, H., 499 e n.

Beethoven, L. van, 63 Bel!, Cb., 392 Bellini, G., 81 Bellini, V., 69 Bellone, E., 492, 511 n. Beneke, F.E., 212 Bentham, J., 157, 158-160, 181, 202, 352, 353, 354, 362, 363 Bergman, 1., 264-265 Bergson, H., 179 Berkeley, G., 12, 38, 225, 226, 386, 412 Berlioz, H., 35 Berna, M., 442, 443 Bernays, P., 481 Bernheim, H., 443 Bernstein, E., 333,. 398, 399, 404-406, 407,408,417,419,422 Bertini, G.M., 380 Binet, A., 392 Bismark, O. von, 245, 376, 377 Bixio, N., 201 Blake, W., 89 Blanc, L., 173, 311 Blanqui, J.A., 174 Blanqui, L.A., 173, 311 Bloch, E., 131, 142, 252, 299 Bobbio, N., 149 Bohme, J., 79, 239, 242, 243 Bohr, N.H.D., 499,510, 511,512 Boito, A., 35 Boole, G., 471 Boltzmann, L., 493, 497 Bolyai, J., 474, 475 Bolzano, B., 467 Bonald, L.G.A. de, 168, 170, 172, 182, 186, 191, 192 Bonaparte, L., v. Napoleone III Bonaventura da Bagnoregio (san), 185, 187, 193 Bonhoeffer, D., 299 Born, M., 510, 512 Bome, L., 281 Boscovich, R.G., 495, 496 Bossuet, 168, 190 Brahe, T., 285 Brentano, B., 242

518

Brentano, C., 61, 217, 242 Brentano, F., 477, 484 Breuer, J., 444, 445 Broglie, L. de, 510 Brouwer, L.J.E., 478-479, 480 Brown, J., 97 Bruno, G., 32, 191, 229 Bucharin, N., 415 Biichner, L., 334, 374, 375, 376, 378, 379, 386, 394, 413 . Buffon, G.L.L., 428 Buonarroti, F., 198 Burke, E., 150-151, 159, 169, 180 Burckhardt, G.E., 251 Burns, M., 333

Cabanis, P.J.G., 164, 165-166, 170, 180, 224, 226, 339, 391 Cabet, E., 173 Calder6n de la Barca, P., 69 Cantoni, R., 259 Cantar, G., 465, 466, 467, 468, 478 Carlo Augusto, granduca di Sassonia, 33 Carlo X, 172 Carlo Magno, 344 Carlyle, Th., 352-353, 354, 364 Carnap, R., 484, 497, 513 Carnot, S.N.L., 491, 492, 493 Carré, M., 35 Cartesio, R., 21, 95, 106, 123, 167, 172, 175,176,177,182,183,192,193,195, 243,247,257,290,291,334,341,343, 346, 386, 430, 441, 462, 463, 488 Casari, E., 467 Casini, L., 299 Cassirer, E., 467, 483 Cattaneo, C., 182, 198, 199,200-202, 380, 420 Cauchy, A.-L., 465, 471 Cavour, C. Benso di, 198 Celli, G., 434 Cesare, Gaio Giulio, 146 Champfleury, pseudonimo di Jules Husson, 341

INDICE DEI NOMI

Charcot, J.M., 392, 443 Chateaubriand, F.-R. de, 168 Church, A., 486 Churcill, R.H.S., 360 Clausius, R.J.E., 492, 493 Clemente XII, 51 Cohen, H., 417 Coleridge, S.T., 354 Collodi, v. Lorenzini C. Comte, A., 170, 174, 339, 340, 341, 342, 343-351, 352, 354, 355, 357, 358, 359, 362, 364, 367, 369, 370, 373, 395 Condillac, E.B. de, 164, 165, 166, 169, 180, 181, 183, 184, 193,202 Condorcet, M.J.A.N. de, 153, 154, 174, 339, 343 Constant, B., 173 Copernico, N., 347, 426, 441 Coppino, M., 381 Cornelius, P. von, 35 Corot, J.B.C., 341 Coulomb, Ch.A. de, 494, 495 Courbet, G., 340-341 Couriau, E., 412 Croce, B., 222, 389 Curie, M., 499 Curie, P., 499 Cuoco, V., 180-181 Cusano, N., 120 Custine, A.-P., 46 Cuvier, G.-L., 426, 428, 429-430, 432

D'Alembert, v. Alembert Dalton, J., 493 Da Ponte, L., 259 Darwin, Ch.R., 333, 340, 367, 376, 422, 426, 427, 428, 431-437, 438, 440, 441, 458 Daumier, H., 341 Davidson, E., 361 D'Azeglio, M., 198 De Amicis, E., 381, 382-383 De Bonald, v. Bonald Dedekind, R.J., 465, 466, 478 Delacroix, E., 35 Democrito, 306, 316 De Morgan, A., 471 De Sanctis, F., 375, 381 Descartes, v. Cartesio Destutt de Tracy, A.L.C., 164-165, 166, 167, 180, 181, 339 De Vries, H., 438, 439 D'Holbach, v. Holbach

Diderot, D., 275, 339, 343 Dilthey, W., 107 Disraeli, B., 360 Dobzhansky, TH., 439 Dolcino, fra, 422 Dollfuss, E., 418 Dollinger, I. von, 197 Donizetti, G., 69 Drake, M.J., 221 Driesh, H., 438 Du Bois-Reymond, E., 373, 377, 378, 379 Duhem, P., 497, 498 Diirer, A., 80-81,90 Durkheim, É., 350

Eckhart, M., 239, 242, 247 Eckermann, J.P., 258 Edelmann, J.C., 106 Einstein, A., 460, 475, 494, 496, 500-508, 509, 510, 512, 515 Empedocle, 88, 455 Engels, F., 138, 174, 251, 252, 273, 275, 287,299,308,311,312,316,317,318, 319,320,322,324,325,330,331,332336,374,398,399,400,401,402,404, 405,410,411,413,413,414,415,416, 418, 419, 420, 421, 422 Epicuro, 288, 306, 441 Epitteto, 206 Eraclito, 88, 144, 214 Ernst August, re dell'Hannover, 221 Erodoto, 278 Escher, M.C., 472-473 Eschilo, 126, 448 Esiodo, 135, 278, 449 Euclide, 463, 474, 490 Euripide, 69

Fabro C., 272 Faraday, M., 95, 340, 495, 496 e n. Faust, J., 34 Fechner, Th. G., 391, 392, 394-395 Federico II di Prussia, 8, 282 Federico IV di Prussia, 274 Federico Guglielmo III, 140, 141 Federico Guglielmo IV, 244-245, 250, 282, 294-295 Fénelon, F., 168 Ferdinando IV (Borboni di Napoli), 183 Fermi, E., 513 Ferrari, G., 182, 198, 199-200, 380, 420

519

Feuerbach, L., 212, 234, 248, 253, 272, 275, 276, 279, 283-294, 296, 297, 299, 300, 30~ 310,312,314,315, 316,31~ 332, 374, 419, 421 Fichte, J.A., 9, 12, 15, 17, 20, 21, 22, 29, 38,40-61,47,51, 62, 63, 65, 67, 71, 72, 73, 74, 76, 79, 85, 87, 91, 92, 93, 94, 95, 98, 99, 102, 104, 106, 114, 115, 116,117,120,137,147,212,213,214, 215,216,219,220,225,238,247,250, 277, 281, 286, 305 Fischer, K., 276 Fitzgerald, G.F., 501 Flaubert, G., 341 Flemming, W., 438 Flourens, P., 392 Forberg, F.K., 56 Forster, J.G., 46, 47 Foscolo, U., 185 Foucault, L., 498 Foucault, M., 171 Fourier, Ch., 173,174,176-178,189,324, 325, 413, 422 Fourier, J.B.J., 491 Franklin, B., 50 Frege, F.L.G., 466, 467, 468-470, 471, 475, 476, 478, 480, 485, 486 Fresnel, A.J., 495, 501 Freud, S., 71, 177, 178, 219, 288, 418, 441, 442-462 Friedrich, C.D., 88, 89 Fries, J.F., 130, 137, 138, 147, 212

Gabelli, A., 381 Gabler, G.A., 277 Galilei, G., 95, 346, 347, 380, 491, 492, 504, 5Q8 Gallitzin, A.A., 23 Galluppi, P., 182-184, 185 Galton, F., 392 Galvani, L., 95, 97 Gans, E., 305 Garibaldi, G., 200, 201 Garin, E., 198, 385 Gauss, K.F., 474 Gay-Lussac, J.L., 493 Gentile, G., 187, 389 Gentzen, G., 485-486 Gibbon, E., IlO Gioberti, V., 182, 190, 191-196, 198, 208, 380 Gioia, M., 180, 181, 182, 185 Giordani, P., 203 Giorgio III, !50

INDICI

Giorgio V, 361 Giorgione, 81 Giovanni (san), evangelista, 23, 58 Giovanni d'Austria, arciduca, 295 Giovanni Guglielmo I, dei conti Vettini 68 ' Gladstone, W.E., 361 Godei, K., 482-484, 485, 486 Godwin, W., 153, 154, 160 Goethe,J.W., 9, 13, 19, 20, 21, 23, 24, 26, 27,29,30,34,35,31-31,38,41,52,57, 62, 63, 64, 68, 68, 69, 71, 73, 90, 91, 94, 95, 97, 101, 102, 106, 114, 121, 124,128,140,213,216,224,225,258, 259, 280, 281, 352, 450 Gontard, S., 87, 88 Gontard (banchiere), 87 Gorres, J. von, 47, 242, 275 Goschel, K.F., 277 Gotter, P., 246 Gounod, Ch., 35 Gozzi, C., 231 Gray, J., 160 Gregorio XVI, 172 Grimm, J. e W., 216, 217, 221 Groddeck, G., 455 Grazio, 136 Guerrazzi, F.D., 198 Guesde, M.B., 333 Guglielmo I (di Prussia), 245 Guizot, F.P., 173,281,321 Guldbrandsen, K.M., 259

Habermas, J., 114 Haeckel, E.H., 378, 379, 400, 438 Hall, Ch., 160 Hall, M., 393 Haller, K.L. von, 139, 186 Hamann, J.G., 9, 20, 23-25, 26, 29, 38 Hamilton, A., 50 Hamilton, W., 353, 358 Hamilton, W.R., 471 Hardenberg, F.L. von, v. Novalis Hardenberg, K., 138, 140 Hardy, G.H., 439 Hardy, T.H., 360 Haym, R., 148 Hebbel, F., 69 Hegel, G.W.F., 21, 38, 58, 62, 64, 77, 88, 92, 93, 102, 105, 106, 107-149, 189, 195,200,212,215,220,223,234,236, 242,246,248,249,250,253,255,256, 266,267,268,269,272,273,274,275,

276,277,278,279,280,280,282,283, 284, 285, 286,287, 289, 290, 291, 296, 299,300,305,306,307,308,310,311, 314,315,332,334,335,348,353,359, 375, 414,415,420,471 Heidegger, M., 272, 462, 483 Heisenberg, W.C., 510, 511, 512 Heine, H., 280-281, 308, 458 n. Helmholtz, H. von., 373, 374, 391, 392, 393, 394, 395, 396, 491, 492 Helvétius, C.-A., 158, 159, 165, 224, 238 Henslow, S., 431 Herbart, J.F., 212-222, 242, 253, 391, 395, 421 Herder, J.G., 9, 19, 20, 21, 23, 25-29, 30, 31, 38, 68, 71, 91, 93, 95, 97, 100, 106 Hertz, H., 340, 496, 497 Hess, M., 308, 332 Heyting, A., 479 Hilbert, D., 474, 475, 478, 480-482, 484 485,486 ' Hilferding, R., 415,417 Hinrichs, H.F., 277 Hitler, A., 460, 500, 501 Hobbes, Th., 123, 136,. 146, 231, 233, 238, 297, 459 . Hobson, J.A., 415 Hodgskin, Th., 160 Hofer, A., 141 Hofmannsthal, H. von, 418 Hofstadter, R., 483 . Holbach, P.-H., d', 34, 164, 206, 224, 238 HO!derlin, F., 52, 71, 87-88, 90, 91, 93, 109, 111, 112 Horney, K., 461 Humboldt, K. W. von, 29-31, 39, 68, 214, 364 Hume, D., 13, 14, 15, 16, 18, 21, 26, 38, 43, 153, 159, 183, 184, 199, 335, 339, 343, 345, 351, 352, 356, 391, 412, 508 Husserl, E., 183, 272, 468 Hutcheson, F., 158 Huxley, Th. H., 436 Huygens, Ch., 495, 498

Janet, P., 392, 444 Jessurun de Mesquita, S., 472 Jaspers, K., 249, 252, 275 Joliot-Curie, Frédéric e Irène, 513 Jordan, P., 510, 511 Joule, J.P., 491 Jung, C.G., 447, 452, 453

Infeld, L., 508 Irigaray, L., 461, 462

Kant, 1., 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 28, 29, 38, 41, 42, 43, 44, 45, 48, 49, 53, 55, 56, 57, 60, 61' 62, 64, 65, 71' 73, 82, 83, 87, 91, 92, 95, 100, 102, 104, 106, 109, 110, 111, 115, 116, 119, 123, 125, 126, 134,136,140, 142, 144, 181,182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 193,212,213, 214,215,216,219,220,224,225,226, 228,232,233,234,238,250,277,281, 310,335,341,343,345,350,353,356, 357,368,369,378,386,388,393,394, 413,417,421,469,470,471,474,475, 478, 508 Karl August, granduca di Sassonia Weimar, 68 Kautsky, L., 406 Kautsky, K., 333, 398, 400-403, 405, 407, 408,409,411,414,415,416,417,418 Kelsen, H., 418 Kelvin (Lord), 435-436, 492, 494 Kierkegaard, S.A., 38, 212, 248,249, 251, 253-272, 273, 288 Kleber, J.-B., 46 Kleene, s.e., 486 Klein, F., 475 Klein, M., 461 Kleist, H. von, 61, 88 Klimt, G., 418 Klinger, F.M., 19 Klopstock, F.G., 40, 63 Kokoschka, 0., 418 Kolakowski, L., 343, 351 Korner, G., 62 Korner, Th., 141 Kotzebue, A. von, 13 7 Koyré, A., 488 Kronecker, L., 478 I(uhn,S. von, 78,79

Jacobi, F.H., 9, 12, 20-22, 23, 25, 27, 38, 58, 61, 104, 106, 116, 121, 128, 212 ' 213 James, W., 452

Labriola, A., 222, 333, Lacan, J., 461 Lafargue, P., 333, 398

520

420~423

INDICE DEI NOMI

Lagrange, J.L. de, 489-490 Lamarck, J.B. Monet, chevalier de, 366, 428-429, 431, 432, 434, 436 Lambert, J.H., 120 Lamennais, H.F.R. de, 168,172-173, 191, 192 Laplace, P.S. de, 339-340, 368, 377, 388, 490, 491, 511 Lassalle, F., 332, 413 Lavoisier, A.L., 95, 97, 373, 491 Leibniz, G.W., 15, 16, 26, 41, 60, 82, 87, 91, 103, 183, 186,218,244,285, 369, 386, 430, 468, 469, 495 Lenin, 299, 398, 399, 400, 403, 404, 405, 407, 408, 409, 410-417 Leonardo da Vinci, 81 Leone XIII, 51, 377 Leopardi, G., 191, 194,203-207,208,209 Lessing, G.E., 9, 20, 34, 40, 51, 54, 62, 63, 69, 74, 100, 108, 110, 224, 269 Liebig, J. von, 373 Linneo, C., 434 Liszt, F., 68, 69, 234 Littré, E., 350 Lobacewskij, N.I., 473, 474, 475 Locke, J., 38, 50, 136, 180, 181, 182, 184, 186, 199, 352, 369, 391 Lombardi, F., 271 Lombroso, C., 379, 380, 384 Lorentz, H.A., 501, 502 e n., 504 e n., 505 Lorenzini, C., 381, 383 Low, B., 285 Lowith, K., 272 Lucrezio, 494 Luigi XIV, 46 Luigi XVI, 73 Luigi XVIII, 172, 174 Luigi I (di Baviera), 247 Luigi II (di Baviera), 105, 235 Luigi Filippo, 170, 173 Luigi Napoleone, v. Napoleone III Luckàcs, G., 62, 90, 240, 252, 272 Lukasievicz, J., 484 Lutero, M., 23, 60, 80, 130, 141, 143, 146, 175, 192, 195,216,238 Luxemburg, R., 398, 400, 405, 406-410, 416 Lyell, Ch., 366, 426, 428, 430, 432, 434, 435, 436, 437

'Mach, E., 18, 411, 412, 417, 494, 497, 500, 508 Machiavelli, N., 119, 185, 199, 380

Madison, J., 50 Magendie, F., 392 Maimon, S., 15-17, 18, 22, 41, 43 Maimonide, M., 15 Maine de Biran, F.-P., 165, 166-168, 179, 183, 391 Maistre, J. de, 166, 168-169, 170, 172, 181, 182, 186, 189, 191, 192, 195,343, 348 Malebranche, N., 166, 193 Malher, G., 418 Malthus, Th. R., 153-155, 158, 160, 162, 434 Mamiani, T., 198 Mangione, C., 478 . Mann, Th., 237, 240, 271, 460 Mantegna, A., 81 Mantovani, V., 182 Manzoni, A., 186, 191, 198 Mao-Tse-Tung, 398 Marcel, G., 179, 249, 252 Marcuse, H., 71, 148 Marlowe, Ch., 34 Martensen, H.L., 270 Martov, I., 410 Marx, J., 332 Marx, K., 71, 138, 153, 174, 208, 212, 248,253,271,272,273,275,279,281, 282, 288, 292, 299, 300, 304-332, 333, 334,335,336,337,351,363,398,399, 400,401,402,404,405,406,407,410, 411,413,414,415,416,417,418,419, 420, 421, 422, 423, 441 Massin, C., 344 Matthers, M., 361 Maxwell, J.C., 340, 493, 496, 497, 498, 500, 502 e n., 504 e n. Mayer, J.R. von, 373, 374, 491, 492 Mazzini, G., 185, 198, 199, 202, 348 Meinong, A. von, 477 Melantone, F., 34 Melbourne (Lord), 354 Mendel, G., 438 Mendeleiev, D.l., 513 Mendelssohn, M., 15, 20, 21, 23 Menenio Agrippa, 342 Mesmer, F., 97 Metternich, K.L., 321 Meyer, F., 225, 241 Michaelis, K., 46, 72, 75, 90, 96, 102 Michelet, K.L., 276 Michelson, A.A., 501, 502, 504 Mill, Harriet, 359 Mill, Helen, 365 Mill, James, 159, 352, 353, 362, 391

521

Mill, John Stuart, 18, 339, 344, 352, 353365, 366, 367, 369, 370, 372, 373, 391, 395, 469, 497 Miltitz, barone di, 40 Minkowski, H., 500, 505 Mittner, L., 79 Moleschott, J., 293, 334, 374-375, 376, 378, 379, 380, 394, 413 Molière, 69, 259, 345 Montalenti, G., 432, 439 Montanelli, G., 198 Montesquieu, Ch. L. de, 110, 339 Moore, G., 477 Morgan L. H., 336 Morgan, T.H., 438, 439 Morley, E.W., 501, 502, 504 Mozart, W.A., 256, 258 Mugnai, M., 469 Miiller, F., 34 Miiller, J.P., 373, 377, 392 Muller, H.J., 439 Musatti, C., 442 Mynster, vescovo danese, 270

Napoleone l, 59, 60, 73, 118, 119, 128, 137, 139,140,141,146,151,164,170, 174,343 Napoleone III, 173, 325 Natorp, P., 417 Necker, A.-L. G., v. Stael (de) Negri, A., 351 Neurath, 0., 513 Newton, I., 34, 95, 177, 347, 352, 437, 463, 474, 489, 491, 492, 496 e n., 498, 500, 504, 506, 509 Niccolini, G.B., 198 Nietzsche, F. W., 204, 223, 288, 296, 441, 442, 462 Novalis, 61, 72, 73, 77, 78-81, 82, 84, 87, 88, 90, 96, 98, 114, 121, 168, 352

Oersted, H. Ch., 494-495 Olsen, R., 254, 255, 260, 261 Omero, 26, 63, 278, 448 Orsi, P., 185 Ossian, 26 Ottone II, 68 Owen, R., 160-161, 17~, 324, 325

INDICI

Pagano, M., 180 Paley, W., 431, 437 Pankhurst, E., 360, 361 Paolo di Tarso (san), 23, 193 Parmenide, 121, 144,213,214,216 Pasca!, B., 21, 166, 167, 168, 257, 288, 289, 426, 464 Payne, Th., 150 Peakock, G., 471 Peano, G., 466, 475 Penrose, R., 483 Perrin, J., 499 Pestalozzi, E., 214 Pine!, Ph., 171 Pio IX, 185, 190, 196 Pisacane, C., 198 Pitagora, 480 Planck, M.K., 492, 509-512 Platone, 54, 77, 82, 85, 91, 121, 129, 146, 182, 186, 187, 192,213, 214, 224, 228, 229, 230, 247, 256, 353, 461, 462 Plechanov, G.V., 333, 405, 406, 410, 417 Plotino, 91, 142, 195, 239 Plutarco, 63 Poincaré, J.-H., 473, 476, 477, 478, 496, 497 e n., 508 Poisson, S.D., 491 Pomponazzi, P., 385 Popper, K., 513 Post, E.L., 486 Proudhon, P.-J., 173, 199, 311, 320, 324, 341, 413

Quine, W. Van Orman, 497 e n.

Racine, J., 69 Rahn, J., 41 Ramsey, F.P., 477 Rankine, W.J.M., 494 Reinhold, K.L., 10-12,13,14, 15, 17, 29, 41, 43, 52, 57, 78, 114 Renan, E., 350 Renner, K., 417 Ribot, Th., 392 Ricardo, D., 151-153, 155, 158, 160,311, 314, 326, 352, 363, 406

Richelieu, A.-E. du Plessis, duca di, 125, 139 Richter, J.-P., 352 Richter, L., 217 Ricoeur, P., 441 Riemann, B., 474, 475, 506, 508 Ritter, J., 148 Ritter, J.W., 97, 242 Robespierre, M.-F.-1., 125, 173 Rolland, R., 460 Romagnosi, G.D., 180, 181-182, 185, 201, 202, 203 Rontgen, W. K. von, 499 Roosevelt, F.D., 460, 501 Rosas, J.M. de, 432, 433 Rosenfeld, L., 511 Rosenkranz, W.K., 148, 275 Rosenkreutz, Ch., 12 Rosensweig, F., 148 Rosmini-Serbati, A., 182, 183, 185-191, 192, 193, 195, 196, 198, 199,201,208, 380, 386 Rossi, P., 514-515 Rossini, G., 69 Rousseau, J.-J., 19, 20, 40, 54, 87, 91, 108, 119, 121, 124, 136, 139, 153, 170, 305 Ruge, A., 248, 250, 275, 278, 279-283, 285, 292, 306, 307, 308, 332 Runge, Ph. 0., 88, 89 Russe!, B., 18, 466, 470, 471, 475-478, 485, 501, 502 Russo, V., 180 Rutherford, E., 499 e n., 510, 513, 515

Saccheri, G., 474 Saint-Simon, C.H. de Rouvroy, conte di, 173, 174-176, 177, 189, 324, 325, 339, 343, 344, 348 Salomon ben Yeoshua, v. Maimon S. Salomon, J.J., 515 Sand, G., 341 Sartre, J.P., 264 Savigny, F.K. von, 136, 217, 275, 282, 348 Schelling, K., 246 Schelling, W.F.J., 13, 15, 20, 21, 22, 38, 39, 46, 52, 53, 57, 58, 64, 72, 75, 77, 79, 88,90,91-106,107,108,110,111, 113, 114, 115, 116, 117, 122, 124, 128, 131,132,147,212,213,214,215,229, 232, 242-252, 253, 255, 277, 285, 332, 352, 375 Schiele, E., 418

522

Schiller, J. Ch. F. von, 9, 19, 29, 30, 34, 36, 52,62-71, 73, 75, 77, 78, 87, 88, 91, 93, 101, 102, 108, 110, 111, 112, 114, 124, 141, 142, 213, 352 Schlegel, A., 46, 72, 75, 102, 242, 305 Schlegel, F., 36, 52, 57, 72, 75-78, 79, 82, 84, 85, 87, 89, 90, 102, 114, 121, 141, 256 Schlegel, fratelli (August e Friedrich), 73, 88, 90, 96, 224 Schleiermacher, F.D.E., 21, 57, 72, 77, 82-86, 98, 121, 143, 147, 285, 296 Schlick, M., 497 Schnitzler, A., 418 Schtinberg, A., 418 Schopenhauer, A., 15, 21, 58, 206, 212, 223-241, 234, 242, 248, 253, 273, 455 Schrtidinger, E., 510 Schubert, G.H., 88 Schulze, G.E., 13-15, 16, 18, 41, 43, 221, 224 Schumann, R., 35 Scoto Eriugena, G., 195, 239 Shaftesbury, A.A.C., 24, 64, 219 Shakespeare, W., 26, 31, 63, 69 Shelley, P.B., 90 Silesio, A., 239, 247 Smith, A., 66, 119, 125, 135, 136, 140, 145, 151, 152, 153,311,314,363,406, 437 Soave, F., 180, 181 Socrate, 24, 57, 82, 176, 362, 421 Sofocle, 127, 448, 449 Sommerfeld, A., 51 Oe n. Sorel, G., 421 Spaventa, B., 187, 380, 381, 421 Spence, Th., 160 Spencer, H., 353, 366-371, 376, 387, 430 Spencer, Th., 366 Spies, J., 34, 35 Spinoza, B., 20, 21, 22, 24, 27, 32, 34, 41, 45, 58, 73, 77, 80, 83, 87, 91, 92, 96, 102, 104, 106, 121, 129, 136, 144, 193, 229, 243, 285, 290, 345, 387, 463 Stael, Madame de, 168, 173 Stein, Ch. von, 33 Stein, H.F.K. von, 140 Stendhal, 90 Stirner, M., 212,253,296-298,313,317 Strauss, D.F., 250, 274, 275, 276-278, 282, 286, 332 Strauss, R., 418 Strindberg, J.A., 264 Stuart, J., 353 Stuart Mill, v. Mill Szilard, L., 515

··_(

INDICE DEI NOMI

Ul'janov, A., 410 . Ul'janov, Vladimir Il'ic, v. Lenin Taine, H., 350, 392 Tarski, A., 484-485 Tauler, J., 239 Taylor, A.J.P., 244 Taylor, H., 354, 364 Thiers, A., 173, 281 Thomson, J.J., 499 Thomson, W., v. Kelvin (Lord) Thompson, W., 160, 360 Tieck, L., 57, 61, 72, 88, 89, 98, 102, 242 Tillich, P., 252 Timpanaro, S., 204, 208-209 Tirso de Molina, 259 Toland, J., 50 Tommaseo, N., 185, 186 Tommasi, S., 380 Tommaso d'Aquino (san), 185, 187, 190 Tocqueville, Ch. A. de, 173, 364 Trotzkij, L.D., 404, 409 Tucher, M. von, 128 Turati, F., 333, 420, 422, 423 Turing, A.M., 482, 486 Twardowski, K., 484

Ugo di San Vittore, 120

Vancini, F., 201 Vasoli, C., 240 Vaux, C. de, 349 Vegetti Finzi, S., 443, 461 Veit, D., 102 Verdi, G., 69 Verga, G., 201 Vico, G.B., 180, 181, 196, 199, 201,202, 380 Vieussieux, G.P., 198 Villari, P., 380 Virchow, R., 376 Vitruvio, 81 Vittorio Emanuele II, 200 Vogt, C., 334, 374, 375, 376, 378, 386, 394 Volta, A., 95, 97 Voltaire, 50, 206, 275, 305

Wackenroder, W.H., 90 Wagner, Richard, 69, 234 Wagn~r, Rudolf, 375

523

Wahl, J., 261 Wallace, A. Russe!, 434, 435, 436 Wallace, L., 450 Wallerstein, 1., 338 Washington, G., 50 Weber, A., 360 Weber, E.H., 394, 395 Wedgwood, E., 434 Weierstrass, K., 465, 466, 467, 471, 478 Weil, E., 148 Weinberg, W., 439 Weissmann, A., 438 Weitling, W., 320 Westphalen, J. von, 305, 306, 325, 332 Whitehead, A.N., 476-477 Wieland, Ch.M., IO, 20, 68, 224 Wilberforce, S., 436 Winckelmann, J.J., 68, 75, 76, 224 Windthorst, L., 377 Wittgenstein, L., 418 Wolff, Ch., 183 Wollstonecraft, M., 360 Woolf, V., 460 Wordsworth, W., 352, 354 Wundt, W., 219, 391, 392, 394-396

Young, Th., 495

i i i i: i i ni i; i i i; i i i ni i i ii i: i i i; i i i i i i i; i i1i i i ni:::=== ··•······•···==·= ======:::;::i ni i i !1 i i 1i i i i ni i i; i i; i i i ti i ii i; ni i 1i i;; i i 1i i i i;; i i; i i i: i i i; i i i ni i i i i i i; i i i ni i i ni: i 11 i i: i: i i i; i i; 1i i i i i i 1i i: i i 1i i: i i 1: i i1i i i;; i i1i i i; i i 1i i i i: i i 1i 1Hl i i 1i i i i i i i i i i i 1; i i i; i i i 1i i i; 1i i 11 i i tni 1i i 111 i i 1i 1iii i 11

Indice generale 2 3 4 5

La cultura filosofica europea dall'epoca della rivoluzione francese al tardo Ottocento

La scoperta di Kant e la rivoluzione francese Verso la «Dottrina della scienza» La «Dottrina della scienza»: i princìpi La «Dottrina della scienza»: la storia pragmatica dell'io e l'idealismo etico Gli anni di Jena. Idealismo e dogmatismo. L'intuizione intellettuale «La missione del dotto» e la filosofia politica La polemica sull'ateismo. Il tramonto del primato fichtiano nella cultura tedesca Il soggiorno berlinese. La svolta religiosa dell'idealismo fichtiano La filosofia della storia e i «Discorsi alla nazione tedesca»

6 Tra rivoluzione e restaurazione

7 8

La filosofia in Germania, Inghilterra, Francia, Italia

Capitolo

9

J La filosofia tedesca di fronte a Kant tra critica e revisione. Gli epigoni di Kant

l

La Germania alla fine del Settecento Alcune ragioni del primato di Kant Reinhold (1758-1823): il protagonista della filosofia kantiana Schulze (1761-1833): il ritorno di Hume Maimon (1754-1800): un kantiano tra Hume e Leibniz

2 3 4 5 SCHEDA

0

''.,.

__ ·:~.



lO

8 8 9

SCHEDE

lO

13 15

0

.. ··, .. ·.·.·-.:....-->·..:

La setta dei Rosa-Croce

12

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

18

Capitolo

l

2

2 3

Dallo «Sturm und Drang» al classicismo di Goethe

4

Lo «Sturm und Drang>> Jacobi (1743-1819): il realismo della fede ovvero la filosofia della non filosofia Hamann (1730-1788): un «no» cristiano all'Aufkliirung Herder (1744-1803): l'autocritica dell'illuminismo Humboldt (1767-1835): un liberale tra la «poesia» di Weimar e la «prosa» della politica tedesca Goethe (1749-1832): l'uomo che ha dato il suo nome ad un'epoca

2 3 4 5 6

19 19 20 23 25

Capitolo Faust

Capitolo

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

57 59 .. :.··

,,

61

4 62 62 63 64 66 68

....

Weimar

68

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

71

31

SCHEDA

0

0

56

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

SCHEDE

29

52 53

46 50

Tra rivoluzione ed estetica. La lettura di Kant La vita. Gli scritti pre-kantiani «Grazia e dignità»: il rifiuto del rigorismo etico di Kant «Lettere sull'educazione estetica»: il rifiuto della «barbarie» borghese moderna «Poesia ingenua e poesia sentimentale»: scissione e totalità nella storia dello spirito umano

5

47

l giacobini in Germania La massoneria tra Settecento e Ottocento

Schiller (1759-1805): L'utopia dell'umanità riconciliata l

Capitolo

"'. -~ ,· :,~:

41 43 44

34 38

J Fichte (1762-1814): il giacobino sacerdote della libertà

40

Da «guardiano d'oche» a giovane intellettuale alla ricerca di se stesso

40

524

5 Il romanticismo tedesco

l

2 3 4 5.1 5.2 6

Gli inizi I romantici tedeschi e la rottura con l'illuminismo Schlegel 0772-1829): l'ideologo del romanticismo Novalis 0772-1801): il romantico visionario Schleiermacher 0768-1834!.: una docile dipendenza Il teologo romantico L'ermeneuta HO!derlin (1770-1843): dal sogno giacobino alla follia

72 72

73 75 78 "-l

82 86 87

INDICE GENERALE

SCHEDE

0 Capitolo

DUrer La pittura romantica tedesca

80 88

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

90

Caratteri e fasi della filosofia schellinghiana Studente a Tubinga. Il giovanile fichtismo. Schelling e la polìtica La filosofia della natura L'idealismo trascendentale La filosofia dell'arte Il sistema dell'identità Filosofia e religione: verso la crisi della filosofia dell'identità

3 4 5 6 7

Elettricità, galvanismo, chimismo

0 Capitolo

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTI INTERDISCIPLINARI

2 3 4

6 7 8 9 lO Il

12 13 14 15 16

Filosofia e biografia in un filosofo che non amò mai dire: «io» Hegel a Tubinga e a Berna: teologo o giacobino? Il periodo di Francoforte: una svolta mistica e romantica? Il periodo jenese: la battaglia contro la «cattiva soggettività» Il periodo jenese: la logica e la nascita del sistema filosofico Ancora a Jena: A

8

La rivoluzione di luglio e la Germania Il '48 in Germania

280 294

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

299

8

Capitolo

L'età del positivismo

2.! Filosofia, scienza e società Capitolo

2 3 4

5 6 7 8 9 lO. l

10.2

2.3 2.4 2.5 2.6 2.7

16 ______________ Marx (1818-1883): «il sogno di una cosa»

l

2.2

Marx e il marxismo La famiglia, gli studi, il giornalismo militante La critica della filosofia hegeliana dello stato Dalla democrazia liberale alla rivoluzione proletaria La filosofia del comunismo Il distacco da Feuerbach. La teoria materialistica della storia Il «Manifesto del partito comunista)) La critica dell'economia politica e il comunismo Marx politico: una strategia per il comunismo Enge/s 11820-1895): il fondatore del marxismo Engels prima dell'incontro con Marx Engels dopo la morte di Marx. Il materialismo dialettico

304 304 305 307

3.! 3.2 3.3

308 311

316 320 325 330

3.4 3.5

Comte (1798-1857!: il «papa» laico della sociocrazia Il problema di Comte La teoria dei tre stadi La classificazione delle scienze La sociologia La religione dell'umanità Comte e la filosofia francese dell'Ottocento

343 344 346 347 349 350

c>i$JY> Bernstein (1850-1932): il dibattito sul revisionismo Luxemburg (1870-1919): una «Cassandra>> del socialismo

397

398 398 399 400 404

l 2 3 4 5 6 7 8

La teoria del partito Gli scritti filosofici Lenin, stratega della rivoluzione socialista

410 411 415

9 10

Origini e caratteristiche generali Il contributo di Max Ad1er Labriola (1843-1904): un professore comunista

417 418 420

0 Capitolo

24

Il «primo maggion Femminismo e socialismo

402 412

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

424

441 441 442 444 445 446 450 452 454 455 457

Edipo

448

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTI INTERDISCIPLINARf

461

25 Sviluppi della matematica e della logica tra Ottocento e Novecento

SCHEDE

0

438

SCHEDA

L'austro-marxismo 7.1 7.2 8

PISTE DI_RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

Un «maestro del sospetto>> Freud prima della psicanalisi Il caso della signorina 0.: verso la psicanalisi La nascita della psicanalisi Sogno e «lapsus>> come forme del desiderio Il bambino psicanalitico: un piccolo «perversm> Verso la costruzione di una «metapsicologia>> Al di là del principio di piacere: la crisi della psicanalisi panedonistica La seconda topica dell'apparato psichico: es, io e super-i o L'uomo: un animale nevrotico e infelice. Il disagio nella civiltà

406

Lenin 11870-1924!: il primato della politica 6.1 6.2 6.3

432

Freud (1856-1939): la scoperta di un continente

22 Il marxismo nell'età della Seconda Internazionale

l 2 3 4 5

0

391 391 392

Il viaggio del Beagle

528

l 2 3

Considerazioni introduttive L'«aritmetizzazione>> dell'analisi matematica Cantor 0845-1918). e Frege (1848-1925) la crisi dei fondamenti

463 463 465 467

INDICE GENERALE

4 5 6 7 8 9 SCHEDE

8 Capitolo

2 3

4 5 6

L'energetica Elettricità, magnetismo, ottica Verso i grandi mutamenti della fisica del XX secolo Inizi della fisica sub-atomica

478

7

480 484 ·~

472

482

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

487

Einstein 0879-1955!: impossibile un orologio che batta il tempo a tutto l'universo Lo scienziato e l'uomo La relatività ristretta e la sussunzione della meccanica newtoniana La relatività generale: un mondo non euclideo Rilevanza epistemologica e filosofica della teoria einsteiniana La meccanica quantistica Gli sviluppi della fisica sub-atomica Considerazioni conclusive

8.1 8.2

:·>

Maurits Cornelis Escher Mente e calcolatori

8.3 8.4 9

10 11

26 Gli sviluppi della fisica tra Ottocento e Novecento

l

471 474 475

L'algebra della logica Le geometrie non euclidee La crisi dei fondamenti e illogicismo di Russell L'intuizionismo Il formalismo. Il programma hilbertiano e i risultati di Godei Dopo la svolta godeliana

488

SCHEDE :--

Considerazioni introduttive 488 La meccanica classica 489 La nascita della termodinamica e la teoria cinetica dei gas 490

8

.. ~ ·..

494 494 497 499 500 501 505 507 509 512 513

~·'

Il testamento spirituale di Einstein Nuovi ruoli per gli scienziati

502 514

PISTE DI RICERCA E SUGGERIMENTIINTERDISCIPLINARI

516

529 sd