Storia dei Dogmi. Il Dio della salvezza. I-VIII secolo. Dio, la Trinità, il Cristo, l'economia della salvezza [1]

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Storia dei Dogmi. Il Dio della salvezza. I-VIII secolo. Dio, la Trinità, il Cristo, l'economia della salvezza [1]

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Storia dei Dogmi Direzione di

BERNARD SESBOÙÉ

I BERNARD SESBOÙÉ JOSEPH WOLINSKI

IL DIO DELLA SALVEZZA I -VIII secolo

Dio) la Trinità) il Cristo) economia della salvezza

r

~ PIEMME

Titolo originale: Histoire des dogmes, I: Le Dieu du salut © 1994, Desclée, Tournai (Belgique) Traduzione dal francese a cura dei Monaci Benedettini di Germagno (Verbania)

Copertina: Studio Aemme

I Edizione 1996

© 1996 - EDIZIONI PIEMME Spa. 15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 Te!. 0142/3361 - Telefax 0142/74223 Stampa: arti grafiche TSG s.r.l., via Mazzini, 4 - Te!. 0141/598516 - Fax 0141/594702 - 14100 ASTI

Abbreviazioni

BA Budé CCSG CCSL COD CSCO CSEL CTP DC DECA DHGE DSp DTC DzS FC GCS Jts LV Man si NBA NRT OOA PF

Bibliothèque augustinienne, Desclée de Brouwer, Paris. Éditions Les Belles Lettres, Association Guillaume Budé, Paris. Corpus Christianorum. Series Graeca, Brepols, Turnhout. Corpus Christianorum. Series Latina, Brepols, Turnhout. Conciliorum CEcumenicorum Decreta, a cura dell'Istituto per le scienze religiose, Dehoniane, Bologna 1991 (edizione bilingue). Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Louvain. Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vienne. Collana Testi Patristici, a cura di A. Quacquarelli, Città Nuova, Roma 1975 ... Documentation catholique, Paris. Dictionnaire Encyclopédique du christianisme ancien, 2 voli., Cerf, Paris 1990. Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclésiastiques, Letouzey et Ané, Paris. Dictionnaire de Spiritualité (Chantilly), Beauchesne, Paris. Dictionnaire de théologie catholique, Letouzey, Paris. Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, de/initionum et declarationum de rebus /idei et morum, Dehoniane, Bologna 1995. G. Dumeige, La Fai catholique, Orante, Paris 1969, nuova edizione 1993. Die Griechischen Christlichen Schrzftsteller der ersten (drei) ]ahrhunderte, Leipzig-Berlin. ]ournal o/ Theological Studies, Clarendon Press, Oxford. Lumière et Vie, Lyon. Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze e Venezia 1759-1798 (ristampa anastatica, Graz 1960-1962). Nuova Biblioteca Agostiniana, a cura di A. Trapé, Città Nuova, Roma 1965 ... Nouvelle Revue Théologique, Casterman, Namur-Tournai. Opera Omnia di S. Ambrogio, a cura di G. Biffi, Città Nuova, Roma 1979 ... Les Pères dans la fai, coll. diretta da A.G. Hamman, DDB, Paris. ABBREVIAZIONI

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PG PL

Patrologia Graeca (J.P. Migne), Paris. Patrologia Latina (J.P. Migne), Paris. RB Revue biblique, Jérusalem-Paris. RHE Revue d'Histoire ecclésiastique, Louvain. RSR Recherches de Science religieuse, Paris. RSPT Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques, Vrin, Paris. RTL Revue théologique de Louvain. Sources chrétiennes, Cerf, Lyon-Paris. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae (tr. it. La Somma teologica, a cura STh dei Domenicani italiani, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1984). TD Textes et Documents, coll. diretta da H. Hemmer e P. Lejay, Picard, Paris 1904-1912. TRE Theologische Realenzyclopedie, De Gruyter, Berlin-New York. TU Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, Leipzig. VG Vigiliae Christianae, Leiden. TZ Theologische Zeitschri/t, F. Reinhardt Verlag, Basel. ZKTh Zeitschrzft /ur die katholische Theologie, Herder, Wien. ZNTW Zeitschrzft /ur die neutestamentliche Wissenscha/t, De Gruyter, Berlin.

se

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ABBREVIAZIONI

Presentazione Bernard Sesboué

Il genere letterario della storia dei dogmi è nato in Germania durante la metà del XIX secolo ed è divenuto famoso grazie al contributo apportato da grandi studiosi (Seeberg, Loofs, Harnack), provenienti principalmente dal protestantesimo liberale. L'intenzione originale era incontestabilmente critica nei confronti della dogmatica tradizionale delle Chiese. L'analisi scientifica dei testi, condotta peraltro con presupposti sovente positivisti e secondo una concezione ermeneutica non sempre consapevole di se stessa, accusava un sensibile scarto tra i dati della storia e la lettera dei dogmi ufficiali. La prima storia dei dogmi prodotta dalla teologia cattolica francese fu l'opera magistrale di J. Tixeront; i suoi tre volumi apparvero tra il 1905 e il 1911 e conobbero riedizioni fino al 1931 1• Queste date dicono bene l'agitato contesto dottrinale della crisi modernista, all'interno del quale questo. autore ha preso la sua coraggiosa iniziativa. Infatti il modernismo cattolico non ha interessato solo il campo della critica biblica; di fronte a certi risultati della scienza tedesca, esso è anche sorto dalla percezione di una opposizione, ritenuta da alcuni irriducibile, tra i dati della storia, vale a dire lo sviluppo, o l' «evoluzione» di secolo in secolo dei dogmi cristiani, da una parte, e, dall'altra, la concezione astratta di una teologia scolastica che sembrava presupporre che tutte le formule e istituzioni della Chiesa risalissero in egual misura alle origini cristiane. Nella convinzione della insormontabilità di tale conflitto, il modernista Joseph Turmel scriverà una voluminosa Histoire des 1 J. TIXERONT, Histoire des dogmes dans l'antiquité chrétienne, I: La Théologie anténicéenne, II: De saint Athanase à saint Augustin (318-430), III: La /in de l'age patristique (430-800), Gabalda, Pa-

ris 1905-1911.

PRESENTAZIONE

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dogmes, con l'intento di provare non solo l'esistenza di una evoluzione «creatrice» di questi, ma altresì la loro eterogenea acquisizione 2 • In seguito, la problematica di questa questione è fortunatamente cambiata. Il movimento si è prodotto contemporaneamente tanto sul versante della storia quanto su quello della teologia. Le conoscenze storiche non hanno cessato di arricchirsi e di affinarsi, invitando a sfumare dei giudizi troppo affrettati o troppo perentori. La concezione teologica del dogma si è anch'essa spostata: non si cerca più di stabilire in modo troppo materiale e immediato, tanto sul piano delle formule quanto su quello delle istituzioni ecclesiali e sacramentali, l'identità del dogma con se stesso attraverso il tempo. L'approccio stesso della necessaria normatività del dogma si fa più aperto e sanamente critico, liberandosi da un certo numero di fissazioni, che non erano se non il contraccolpo di una angoscia. Esso si fa attento alla distanza storica e risitua la differenza dei linguaggi e delle pratiche nella continuità del senso. In breve, da una parte la storiografia si è considerevolmente rinnovata; dall'altra è l' ermeneutica teologica della storia del pensiero cristiano che si è mossa e approfondita. Al punto in cui ci troviamo su questo lungo percorso, che si protrarrà quanto la Chiesa stessa, il problema del rapporto tra storia e dogma - per riprendere il titolo di una celebre opera di Maurice Blondel 3 - non si pone più in maniera conflittuale. Se una legittima tensione perdura tra i due punti di vista, questa tensione appare gestibile in tutta onestà intellettuale e credente. Nella Chiesa, la storia dei dogmi non è più, oggi, l'oggetto di una crisi. A partire dai progressi compiuti da più di un secolo, effettuati attraverso un numero considerevole di lavori e di mofiografie storiche, così come di studi teologici sullo sviluppo dei dogmi, e vista la serenità, a differenza di una volta, di cui la ricerca ora dispone, l'opera appare realizzabile su basi veramente nuove. Dopo la lunga pazienza delle analisi, è arrivato il tempo della sintesi. Occorre ricapitolare le acquisizioni di più di un secolo di ncerca. D'altra parte, un nuovo bisogno si fa sentire attualmente nella comunità ecclesiale, un bisogno che si può qualificare come richiesta di identità. Il dogma è un aspetto inalienabile della specificità cristiana. Oggi vi è anche una cattiva reputazione. Il termine, e più ancora l'aggettivo «dogmatico», sono usati correntemente nella nostra cultura per sferzare una attitudine ideologica intransigente, che rifiuta tanto il dibattito quanto la 2 ]. TuRMEL, Histoire des dogmes, 6 voll., Rieder, Paris J M. BLONDEL, Histoire et Dogme, Montligeon, 1904.

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PRESENT AZIONE

1931-1936.

realtà dei fatti, quando non serve a designare delle regioni talmente astratte del sapere da non interessare più nessuno. Nella Chiesa il lato «autoritario» del dogma è sovente inteso e vissuto come una costrizione e un ostacolo a una vera libertà di pensiero. Al di là di questi sensi peggiorativi, cosa nascondono esattamente il termine e la funzione del dogma nella fede della Chiesa? In che cosa il dogma rappresenta per i cristiani una dimensione fondamentale, attorno alla quale essi hanno bisogno di raccogliersi? In che senso esso appartiene all'identità cristiana? Questa identità ha peraltro due facce: l'una sincronica, perché è assolutamente importante che i cristiani possano avere una conoscenza riflessa di ciò che li unisce e li vincola nella fede, tenuto conto delle differenze confessionali; l'altra diacronica, perché è altrettanto capitale che questi stessi cristiani possano percepire che la loro fede, quali che siano stati gli sviluppi del suo discorso, è pur sempre, ancora oggi, la stessa degli apostoli. E per questo che non proponiamo né una enciclopedia, né un dizionario, né un catechismo per adulti; ma vogliamo portare l'interesse su ciò che quel tipo di opere presuppongono. Intendiamo esporre, con una metodologia il più possibile scientifica, la storia dei dogmi, al fine di permettere ai cristiani di oggi di meglio conoscere e comprendere la genesi e il contenuto delle affermazioni che la loro fede implica. Questo bisogno ci pare anche, per un certo verso, quello della nostra società. I tempi non sono più quelli in cui queste questioni interessavano solo gli specialisti, i professori e i chierici in formazione. Non solamente numerosi laici cristiani sono ormai protagonisti, ma anche numerose persone sentono il desiderio di maggior chiarezza sul contenuto del dogma cristiano, che appartiene alla storia e alla cultura di cui siamo partecipi. Una storia dei dogmi sconfina in effetti con la storia del pensiero occidentale e con quello della sua formazione. Indipendentemenete dalle sue implicazioni propriamente dottrinali, essa incrocia gli interessi della cultura stessa. Noi miriamo dunque anche all'«uomo onesto» di oggi. Tale è il pubblico al quale questi volumi sono diretti, un pubblico sicuramente diversificato, ma unito dalle medesime esigenze. Queste considerazioni dicono già l'intenzione dell'opera: proporre, in uno stile spigliato e vivace, chiaro e pedagogico, una piccola «summa» di storia dei dogmi, fondata sulla migliore e più aggiornata documentazione, ma senza la pretesa di entrare in tutti i dettagli. La dimensione stessa dei quattro volumi progettati non lo permetterebbe. Gli alberi non ci nasconderanno dunque la foresta! Anche se i suoi autori sono studiosi di primo piano e specialisti della materia, l'opera non ha anzitutto l'intenzione di presentare nuove ricerche, ma di sintetizzare i migliori risultati delle scoperte acquisite. Essa farà tesoro dei lavori più importanti, ma non farà sfogPRESENTAZIONE

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gio di erudizione. La sua originalità si situa anzitutto nella presentazione coerente del percorso e nel modo di raccogliere gli insegnamenti di questa storia dogmatica. Tutto questo suppone una certa ermeneutica dottrinale.

Le opzioni maggiori Proporre una storia dei dogmi in un volume relativamente leggero, suppone che siano state operate delle scelte chiare. Anzitutto: che cosa è un dogma? Il termine ha bisogno di essere precisato, in quanto circoscrive il contenuto dell'opera. Una storia dei dogmi non è quella di tutte le dottrine che sono state l'oggetto della ricerca e dell'insegnamento nella lunga catena dei dottori cristiani. I dogmi sono costituiti dall'insieme delle affermazioni appartenenti alla fede. Il criterio originale del loro riconoscimento si trova dunque nei Simboli di fede e negli «articoli» che li compongono. I dogmi si sono sviluppati a partire da questa cellula-madre. Molti tra questi hanno trovato la loro espressione normativa in definizioni conciliari. I concili costituiranno dunque una tra le maggiori referenze dell'opera. Una referenza però non esclusiva, perché certi dogmi centrali, come ad esempio quello della redenzione, si sono sviluppati senza dar luogo a una definizione formale: non bisogna confondere «dogma» con «dogma definito». Il concetto di dogma, in quanto espressione autorizzata di un punto appartenente alla fede cristiana, è legato anche a quello di tradizione. Per tradizione non si intende qui l'insieme molto ampio di teologie, di pratiche e di usanze affermate e vissute nella Chiesa secondo la legge della lenta evoluzione. Si intende il veicolo vivente delle affermazioni della fede nella comunità cristiana. Questa tradizione ha bisogno di essere valutata caso per caso: compito che pure appartiene a una storia dei dogmi. Simboli di fede, decisioni conciliari, dogmi trasmessi dalla tradizione vivente costituiranno dunque l'oggetto di quest'opera, colti nella loro genesi e secondo i loro sviluppi storici. Una storia dei dogmi deve ugualmente situarsi con chiarezza nei confronti della Scrittura. Molte di tali storie, infatti, prendono avvio dalla testimonianza del Nuovo Testamento. Ciò ha il vantaggio di risalire fino al1' evento fondatore del cristianesimo, vale a dire la vita, la morte e la risurrezione di Gesù di Nazareth, proclamato dai credenti Cristo, Signore e Figlio di Dio, come pure di risalire alla sua attestazione rivelata, e di seguire il primo sviluppo dottrinale, inscritto nella sequenza dei libri del Nuovo Testamento. Senza dubbio tale opzione è teoricamente preferibile, tuttavia ci allontanerebbe dal nostro vero proposito e costituirebbe un doppione rispetto a numerose e buone opere attualmente esistenti e facilmente accessibili, che propongono nei loro differenti aspetti la teologia, la cristologia e la 10

PRESENTAZIONE

pneumatologia, la soteriologia, l'ecclesiologia e l'etica del Nuovo Testamento. Il nostro punto di partenza si situerà precisamente nel momento del venir meno della generazione dei testimoni apostolici dell'evento fondatore di Gesù, confessato come Cristo. La testimonianza della Scrittura rimane nondimeno il criterio decisivo della validità di ogni dogma. L'appello alla Scrittura funzionerà dunque a titolo di rilettura e di verifica. Il dogma cristiano si presenta sempre come una traduzione, una interpretazione e una esplicitazione di un dato che si trova nella Scrittura. In linguaggio tecnico si dice che c'è una norma normata regolata da una norma normans. Esporre la storia dei dogmi è dunque anche mostrare in che senso vi è un modo autorizzato nella Chiesa di comprendere e di vivere il messaggio della Scrittura. Il carattere normativo e la dimensione storica della referenza dogmatica non consentono di sviluppare le differenze confessionali. Gli autori del1' opera sono dei cattolici e, nello spirito della richiesta di identità evocata sopra, intendono proporre una storia dei dogmi che appartengono alla fede cattolica. Questa affermazione appartiene alla semplice onestà intellettuale. La specificità propriamente cattolica di certi dogmi sarà dunque chiaramente indicata. Una prospettiva storica seria non può comunque fare astrazione né dai più importanti dibattiti né dalla diversità delle interpretazioni cristiane. Le differenze del punto di vista e della posizione, specifiche dell'ortodossia e del protestantesimo, saranno dunque introdotte nel momento in cui queste acquisiranno la loro massimale pertinenza storica. E saranno altresì riprese ogni qual volta la loro problematica eserciterà una interferenza con le posizioni cattoliche. Ortodossia e protestantesimo saranno considerati non solo al di fuori di ogni prospettiva polemica, ma con la più grande benevolenza ecumenica, nel desiderio di proporre al lettore una documentazione onesta e bene informata. Articolazione dello storico e del dogmatico

Generalmente le opere di questo genere privilegiano sia la successione dei periodi, sia la suddivisione tematica. Nel primo caso, ci si interessa all'insieme del lavoro dogmatico realizzato in ogni secolo, che si coglie secondo il proprio centro di gravità, in funzione della situazione della Chiesa nella storia e nella cultura del tempo (ma allora ci si ferma generalmente all'epoca patristica); nel secondo caso, si opera un taglio sistematico del corpus dogmatico (ad esempio, teologia fondamentale: rivelazione, fede, Scrittura, tradizione, magistero; teologia dogmatica: Trinità, creazione, peccato; cri~tologia, soteriologia; ecclesiologia, dottrina mariana, grazia; sacramenti, escatologia) e si situa lo sviluppo di ciascuna unità dogmatica dalle origini ai nostri giorni. PRESENTAZIONE

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Davanti ai rispettivi vantaggi e svantaggi di queste due soluzioni, abbiamo deliberatamente optato per una articolazione dello storico e del dogmatico o del tematico. Constatiamo in effetti che un dato periodo ha concentrato i suoi sforzi su qualche questione maggiore, che costituiva a quel tempo l'oggetto di conflitti, di ricerche e di sviluppi nell'interpretazione e nella formulazione delle questioni. I grandi dibattiti trinitari e cristologici appartengono alla Chiesa antica; fanno loro seguito in Occidente i conflitti sulla grazia e l'appropriazione della salvezza da parte della singola persona; il Medioevo apre alla riflessione sulla Chiesa e ai sacramenti; i tempi moderni convergono sui problemi legati alla verifica della rivelazione e della fede nei confronti della ragione. Ogni argomento sarà dunque trattato nel quadro del periodo in cui esso ha conosciuto il maggior sviluppo. Se noi vogliamo presentare però i grandi periodi rispettando le loro problematiche datate, dobbiamo altresì proporre lo svolgimento continuo dello sviluppo dei dogmi essenziali. Non smembreremo dunque l'unità tematica di un dogma: le sue anticipazioni e il suo seguito in un altro periodo saranno affrontati nel quadro di quello in cui esso ha trovato il suo centro di gravità. Lo studio dei grandi concili sarà tra i punti di maggiore appoggio in questa prospettiva e.servirà per questa articolazione. Questa scelta costituisce l'originalità di quest'opera e ci sembra la migliore per renderla significativa oggi. Siamo coscienti del rischio e delle difficoltà che comporta. In particolare, certi temi minori rischiano di non essere presi in considerazione. D'altra parte, questa congiunzione dei punti di vista esigerà leggerezza nella trattazione. La cesura dei periodi consentirà un certo «livellamento»: perché vi sono dei secoli nel corso dei quali uno sviluppo prosegue o si conclude, mentre un altro nasce e cresce secondo una nuova formalità. I quattro volumi Questa scelta ha portato alla composizione di quattro volumi, corrispondenti a quattro periodi, che comportano inevitabili sconfinamenti dell'uno sull'altro, e a quattro raggruppamenti dogmatici, ciascuno dei quali forma una reale unità. Il primo volume, dal titolo Il Dio della salvezza, tratterà del periodo che va dal I all'vm secolo e avrà per tema centrale Dio, la Trinità e il Cristo, e la soteriologia. Il secondo volume, L'uomo e la sua salvezza, affronterà il periodo che va dal v al XVII secolo e si occuperà dell'antropologia cristiana, con i temi della creazione, del peccato originale, della giustificazione e della grazia, dell'etica cristiana e delle cose ultime. 12

PRESENTAZIONE

Il terzo volume, I segni della salvezza, percorrerà il periodo che va dal XII al xx secolo e tratterà dei sacramenti, della Chiesa e della Vergine Maria. Il quarto volume infine, La Parola della salvezza, andrà dal XVI al xx secolo, per affrontare la dottrina della Parola di Dio: la rivelazione, la fede, la Scrittura, la tradizione e il magistero. Il primo periodo tratta anzitutto del mistero del Dio di Gesù Cristo e concerne principalmente lo sviluppo che ha avuto luogo nella Chiesa d'Oriente. I Padri greci stanno in primo piano. La salvezza appare innanzitutto come un'opera compiuta da Dio in favore dell'uomo. I punti più importanti dello sviluppo ulteriore (per esempio la questione del Filioque) vi saranno connessi. Il secondo periodo ci fa passare in Occidente e nel campo della teologia latina che tratta le questioni dell'appropriazione del mistero del Cristo da parte dell'uomo e in particolare quelle del peccato e della grazia. La problematica agostiniana la condiziona ampiamente. Naturalmente, il tema della creazione dell'uomo a immagine di Dio sarà ripresa più a monte. Questa problematica conduce a una nuova considerazione della dottrina della salvezza, più ascendente, nella quale si considera principalmente ciò che compete all'uomo. Il terzo periodo prende il suo avvio nel Medioevo: è a quest'epoca che viene in piena luce la considerazione tecnica dei sacramenti, della loro definizione e del loro numero. Certamente i Padri avevano parlato del battesimo, dell'eucaristia e degli altri riti che prenderanno più tardi il nome generico di sacramenti. Nel xv secolo appaiono i primi trattati sulla Chiesa. La considerazione dei sacramenti resta in primo piano nella preoccupazione del concilio di Trento; quella sulla Chiesa si fa progressivamente più precisa fino alle costituzioni dogmatiche del Vaticano I e del Vaticano II. Il quarto periodo affronta le grandi questioni che provengono da una riflessione fondamentale sulla fede: queste sono le più antiche nei loro presupposti e le più recenti nella loro tematizzazione e determinazione dogmatica. Così la conclusione dell'opera si congiungerà con il suo punto di partenza. Senso della storia e senso del dogma

Questo sforzo di coniugare il punto di vista storico e il punto di vista tematico è correlativo del progetto inerente a una storia che si vuole configurare come storia dei dogmi. Una tale opera è insieme un libro di storia e un libro di teologia. Da un lato, intende rispettare con onestà scientifica PRESENTAZIONE

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i risultati oggi riconosciuti della ricerca storica; dall'altro, desidera rendere conto dei punti cardinali del mistero cristiano, sia in quanto essi sono l'oggetto della fede dei credenti e sia in quanto mantengono, tra loro stessi, una coerenza e una solidarietà. Il presente lavoro intende conciliare questi due registri senza che l'uno debba sacrificare nulla all'altro, e vuole proporre in maniera culturalmente credibile la storia dei dogmi; ma se questa è la sua originalità, è altresì la sua difficoltà. Senza dubbio i differenti autori non pretendono di essere detentori di un'unica teologia dello sviluppo dogmatico, sulla quale si sarebbero messi d'accordo. In questo settore della teologia, come negli altri, il pluralismo è legittimo. Dopo Mohler e Newman nel XIX secolo, le teorie nel nostro secolo si sono moltiplicate e hanno visto mobilitati grandi nomi (M. Blondel, P. Rousselot, H. de Lubac, K. Rahner, M.-D. Chenu, ... ).Questi autori però intendono collocare le loro esposizioni nella prospettiva cristiana globale di uno sviluppo omogeneo. La fede le cui affermazioni si sviluppano nella storia è la fede ricevuta dagli apostoli, quella attestata nei libri del Nuovo Testamento, quella che è stata trasmessa dalla vita e dalla voce della tradizione viva della Chiesa, quella che le prime generazioni cristiane hanno formalizzato nelle loro confessioni e nei loro Simboli di fede. Secondo la bella formula di Ireneo, «È vero che si può avere una conoscenza più o meno vasta secondo la diversa intelligenza» 4 • Questa fede non evolve nel senso che essa avrebbe incorporato progressivamente dei contenuti che le sarebbero stati inizialmente estranei; ma si sviluppa piuttosto secondo il suo versante razionale, poiché ad ogni epoca essa deve rispondere a nuove questioni, che emergono come configurazione della coscienza e delle culture. Non dobbiamo dimenticare che il primo termine tecnico del linguaggio dogmatico è stato introdotto a Nicea (325) nel Simbolo di fede attraverso la scappatoia di un vale a dire (tout'estin). Questo significa che le formulazioni dogmatiche traducono il linguaggio della fede interpretandolo, l'organizzano e ne deducono le implicazioni razionali. L'opera si iscriverà dunque in questa prospettiva ermeneutica, ma senza volgersi verso il genere letterario apologetico. Lo sviluppo delle istituzioni sacramentali obbedisce parimenti a leggi proprie, che mettono sempre in gioco il rapporto della Chiesa col mondo. Là dove la conciliazione della storia e del dogma presenta una particolare difficoltà, gli autori avranno la lealtà di riconoscerla, proponendo la loro propria interpretazione. 4 IRENEO DI LIONE,

Contro le eresie, I, 10, 3, in Contro le eresie e gli altri scritti, a cura di E. Bellini, Jaca

Book, Milano 1981, p. 74.

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PRESENTAZIONE

Ci teniamo a ringraziare qui coloro che sono stati ali' origine di questo prog~tto: M. André Paul, che ne ha preso l'iniziativa a nome delle Edizioni Desclèe, M. Joseph Doré pss e P. Pierre Vallin sj, che hanno riflettuto con noi a proposito delle implicazioni di un tale lavoro e in vista delle migliori opzioni per condurlo a buon termine. Bernard Sesboiié desidera ringraziare in modo particolare P. Joseph Moingt sj, che gli ha concesso di utilizzare la documentazione raccolta per i suoi corsi inediti. Non solamente le citazioni dei testi e le traduzioni riportate saranno segnalate in nota, ma, di più, i passaggi o l'esposizione stessa si ispireranno a questi documenti. loseph Wolinski si è ugualmente ispirato, per la trattazione su Tertulliano, alla grande opera di J. Moingt su questo autore.

PRESENTAZIONE

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Introduzione

Il punto di partenza Bernard Sesboué

All'origine del lungo percorso storico che costituisce lo sviluppo del dogma ecclesiale vi è la presa di parola dei discepoli di Gesù di Nazareth, che lo proclamano Cristo e Signore in un discorso molto semplice, avente la forma di un racconto. Questa proclamazione (kerygma) parte dall'evento pasquale, del quale questi uomini si presentano come testimoni, ed è pronunciata con la forza dello Spirito che la prima comunità ha ricevuto: Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazareth - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete-, dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. [... ] Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. [ ... ] Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso (At 2, 22-36).

Questa proclamazione comporta anche una argomentazione, che non è stata riportata nella citazione: l'evento di Gesù compie le Scritture, rappresentate dai testi di due salmi. Tale è il contenuto iniziale della fede cristiana, già trasmessa nella sua semplice totalità e che sarà ormai l' oggetto di una tradizione/trasmissione ecclesiale costante. Tale è anche la prima «regola di fede». Tutto il Nuovo Testamento ne è l'orchestrazione, insieme storica e dottrinale. L'opzione di questa opera, come si è detto, consiste nel cominciare l'esposizione storica del dogma cristiano a partire dalla chiusura del NuoIL PUNTO DI PARTENZA

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vo Testamento. Questa rapida formulazione richiede qualche spiegazione di metodo e di contenuto. Sul piano storico non si può isolare arbitrariamente il Nuovo Testamento dalla letteratura cristiana non canonica mediante il semplice ricorso a un prima e a un dopo, come se la separazione provenisse da un punto del tempo. Le cose sono immensamente più complesse. Da un lato, la redazione del Nuovo Testamento supera il periodo apostolico concepito in senso ristretto, cioè quello dei testimoni dell'evento di Gesù. Più ancora, la determinazione del canone delle Scritture del Nuovo Testamento, vale a dire la sua chiusura formale, non sarà acquisita se non verso la fine del n secolo. D'altra parte, molti testi non canonici sono cronologicamente contemporanei degli ultimi documenti del Nuovo Testamento, e taluni addirittura anteriori a questi. Dall'una all'altra letteratura si estende dunque un'ampia zona in cui il già confina con il non ancora. La differenza che le separa è anzitutto di ordine dottrinale, o dogmatico, se si concede l'impiego di questo termine, anacronistico all'epoca della quale ci stiamo occupando. Resta il fatto che la distinzione tra scritti apostolici e scritti non o postapostolici, benché debba essere trattata con precauzione, è fondata nella storia, nella misura in cui uno dei primi criteri della canonicità resta l' appartenenza di uno scritto al periodo apostolico globalmente considerato. Che questa distinzione sia «dogmaticamente» giustificata non è indifferente per una storia dei dogmi, poiché il fenomeno di chiusura del canone significa la presa di coscienza, da parte della Chiesa post-apostolica, della sua distanziazione nei confronti dell'evento fondatore e della necessità di riconoscere una autorità di primaria importanza nell'insieme degli scritti attestanti veritativamente questo evento e la fede dei primi testimoni. La canonicità degli scritti del Nuovo Testamento è essa stessa un atto di autorità, che esprime un discernimento dottrinale a proposito del messaggio evangelico e suppone che non qualsiasi dottrina trova diritto di cittadinanza nella Chiesa che si vuole «apostolica». Questa canonicità è una decisione che fa intervenire la nozione di una norma nella fede. In questa opera noi riceviamo dunque gli insegnamenti del Nuovo Testamento, non a titolo di una documentazione del medesimo tipo degli altri scritti cristiani, ma come la referenza normativa di ogni discorso cristiano e dunque di ogni dogma. Questa storia dei dogmi sarà dunque costruita alla luce del Nuovo Testamento, come a quella della regola di fede mantenuta nella Chiesa. Tuttavia essa non vi farà direttamente appello se non quando sarà necessario per chiarificare gli sviluppi susseguenti e mostrare la continuità di una dottrina attraverso la diversità storica dei linguaggi. 18

INTRODUZIONE

Inoltre, il nostro punto di partenza non può passare sotto silenzio né certi scritti giudeo-cristiani, contemporanei alla redazione del Nuovo Testamento, o addirittura anteriori alla costituzione del suo canone, né il fenomeno della gnosi cristiana. All'inizio di questa storia noi ci troviamo come di fronte a una sorta di programma genetico, in cui si trova rinchiusa, in una unità semplice, non solamente la totalità del contenuto della fede (che si esprimerà progressivamente nei Simboli), ma anche l'insieme dei criteri e dei segni di riferimento della sua autenticità (ordine della tradizione apostolica, canone delle Scritture), come pure quello delle istanze di regolazione (successione apostolica ed episcopale) che permetteranno alle comunità cristiane di rimanere nella fedeltà alla tradizione ricevuta. Questo programma genetico si esprime però attraverso diversi scritti e in un tempo in cui questi segni di riferimento e queste istanze non sono ancora poste in forma esplicita o istituzionale. Noi dobbiamo dunque considerare contemporaneamente la plurafoà storica e complessa di molteplici discorsi cristiani e reperire, a partire da questi, l'esistenza e la genesi di una referenza formalmente autorizzata che ne costituisce l'unità. Queste due realtà rappresentano la situazione originale di ciò che sarà la trama di quest'opera: il dato storico e il dato normativo, chiamato a divenire il «dogma». Il dogma infatti, nel senso preciso che il termine acquista progressivamente, non esiste bell'e fatto. Il dogma in quanto dogma è un costrutto. Esso ha dunque una storia. La storia dei dogmi è fatta dall'incontro del dato evangelico e della regola di fede con l'incessante interrogazione che emerge, di epoca in epoca, dalla coscienza e dalla ragione umana. È allo studio di questi dati primordiali che saranno dedicati i primi due capitoli di questo libro.

IL PUNTO DI PARTENZA

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Capitolo Primo

Primi discorsi cristiani e tradizione della fede Bernard Sesboué

l. l

PRIMI DISCORSI CRISTIANI

Tre tipi principali di discorso si presentano alle origini della letteratura cristiana, a titolo di interpretazioni del kerygma: quello del giudeo-cristianesimo, quello dello gnosticismo e quello dei Padri apostolici. Questi tre discorsi comunicano tra loro con sottili fenomeni di osmosi e, parzialmente, anche si sovrappongono. L'elasticità delle loro frontiere non toglie tuttavia nulla alla legittima distinzione dei loro rispettivi profili.

1. Il giudeo-cristianesimo Indicazioni bibliografiche: M. SrMON, Verus Israel. Etude sur les relations entre chrétiens et ]uzfs dans !'empire romain (135-425), De Boccard, Paris 1948; L. GoPPELT, Les Origines de l'Eglise. Christianisme et judaisme aux deux premiers siècles, Payot, Paris 1961; Judéo-Christianisme (Me!.]. Daniélou), RSR, 60 (1972), pp. 5-323;]. DANIÉLOU, La teologia del giudeo-cristianesimo, Il Mulino, Bologna 197 4.

Fino a un'epoca recente, si faceva partire il discorso cristiano da taluni scritti recensiti, dopo il XVII secolo, con l'appellativo di «Padri apostolici», vale a dire da quegli scritti provenienti da uomini appartenuti alla generazione susseguente a quella degli apostoli, con i quali taluni autori avevano ancora potuto venire a contatto. La letteratura apocrifa dell'Antico e del Nuovo Testamento era considerata in maniera peggiorativa. Per un Harnack, la dottrina cristiana era «nata dall'incontro del messaggio evangelico con la filosofia greca» 1• La scoperta però di nuovi documenti, ha attirato un'attenzione via via più positiva su tutta la prima letteratura 1

Cfr.].

DANIÉLOU,

La teologia del giudeo-cristianesimo, Il Mulino, Bologna 1974, p. 3. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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cristiana, esprimente la fede in Gesù Cristo nelle categorie del contemporaneo giudaismo e alla luce dell'Antico Testamento, in un tempo in cui il Nuovo cominciava senza dubbio a circolare, ma non era ancora costituito come corpus. Così alcune comunità di origine giudaica, conservanti perfino le osservanze del giudaismo, hanno garantito un collegamento tra la predicazione apostolica e le prime espressioni del cristianesimo di origine pagana (il «pagano-cristianesimo»). L'esistenza di questo giudeo-cristianesimo primitivo ha una grande portata dottrinale, se ci si ricorda che per la lettera agli Efesini il corpo della Chiesa cristiana è costituito dalla riconciliazione dei pagani e dei Giudei: Egli infatti [. .. ] ha fatto dei due un popolo solo [ ... ] per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia (E/2, 14-16).

Il termine di giudeo-cristianesimo abbraccia realtà assai differenti, anche se ci si attiene al solo punto di vista dottrinale, che è quello che ci riguarda. Vi fu infatti un giudeo-cristianesimo perfettamente «ortodosso» quanto alla fede cristiana e un giudeo-cristianesimo la cui cristologia, di tipo adozionista, riconosceva sì in Gesù un profeta, ma non il Figlio di Dio. Qui è sufficiente riportare la definizione data da}. Daniélou, che considera il giudeocristianesimo a partire dal corpus letterario che ci ha lasciato: Si può [ ... ] chiamare giudeo-cristianesimo una forma di pensiero cristiano che non implica l'esistenza di legami con la comunità giudaica, ma che si esprime entro un quadro d'estrazione giudaica. Il termine assume allora un significato molto più ampio. [ ... ] Comprende persone che hanno rotto completamente con l'ambiente giudaico, ma che continuano a pensare nelle sue categorie. [ ... ] È il giudeo-cristianesimo dei cristiani provenienti dal giudaismo, ma anche dei pagani convertiti 2 •

Il quadro di questo pensiero giudaico è quello dell'apocalittica. «È una teologia visionaria» 3 • Gli scritti giudeo-cristiani pervenuti fino a noi sono relativamente numerosi. Sono originari della Siria, dell'Asia Minore, dell'Egitto, della Grecia e anche di Roma, mentre molto pochi vengono direttamente dalla Palestina. Essi sono dunque l'eco di un'ampia espansione del cristianesimo nel mondo mediterraneo dopo la forzata dispersione della prima comunità di Gerusalemme (in particolare ad Antiochia) e dopo la distruzione del Tempio nel 70. Comprendono anzitutto apocrifi dell'Antico e del Nuo2

J

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Jbid., pp. 17-18. Ibid., p. 4. BERNARD SESBOÙÉ

vo Testamento 4 • Si conosce così una Ascensione di Isaia e dei Testamenti dei XII patriarchi, un libro designato come II Henoch, ma anche, e soprattutto, un «ciclo di Pietro» di origine antiochena, che comporta un Vangelo, degli Atti e una Apocalisse (come nel ciclo canonico di Giovanni in Asia Minore), un Vangelo dei Nazareni, un Vangelo degli Ebioniti, un Vangelo secondo gli Ebrei, che conserva la tradizione evangelica dei giudeo-cristiani venuti dalla Palestina, un Vangelo degli Egiziani. Il modo di produzione di questi scritti e il loro contenuto sono insieme prossimi e differenti dagli scritti canonici. In effetti J. Daniélou afferma che è attraverso categorie improntate ali' Antico Testamento, che costituivano il sottofondo della loro cultura teologica, che i primi scrittori cristiani, canonici o non canonici, hanno espresso il contenuto teologale della vita di Gesù 5 • Vi si trovano anche documenti liturgici, come la Didaché e le Odi di Salomone. Certi scritti, tradizionalmente recensiti tra i Padri apostolici, appaiono oggi come delle espressioni del giudeo-cristianesimo: come la Lettera ai Corinzi di Clemente Romano, l'Epistola di Barnaba, Il Pastore di Erma, e anche, in certa misura, le Lettere di Ignazio di Antiochia. I giudeo-cristiani hanno dunque proposto ai loro fratelli di razza, come ai pagani, i misteri della fede secondo una struttura semitica. Hanno utilizzato in particolare il genere apocalittico, elaborato e coltivato soprattutto nel giudaismo loro contemporaneo e hanno presentato un approfondimento ragionato dei dati principali della Buona Novella, praticando una esegesi dell'Antico Testamento analoga a quella dei Giudei della diaspora (cfr. Filone e gli autori alessandrini), oppure seguendo altre interpretazioni delle Scritture, prossime a quelle degli scritti palestinesi attribuiti ad autori biblici (ad esempio il Testamento di Giobbe). Hanno rispettato i loro metodi e praticato lo stesso tipo di creatività interpretativa sui testi, ma facendo già giocare l'argomento profetico concernente il Cristo. Essi hanno così costituito un nesso tra l'esegesi giudaica e la susseguente esegesi cristiana, ponendo il fondamento dell'interpretazione cristiana delle Scritture. La fede dei giudeo-cristiani

Quale era il contenuto della fede dei giudeo-cristiani? Il quadro generale della dogmatica giudeo-cristiana, lo si è accennato, è quello del1' apocalittica. «Il dogma cristiano primitivo e fondamentale - scrive A. 4 Cfr. la nomenclatura completa di questi scritti, Ibid., pp. 20 ss. L'esposizione che segue dipende per una parte dalla sintesi ricavata da questo libro, pur tenendo conto delle critiche mossegli dall'ambiente scientifico. 5 Cfr. Ibid., pp. 35 ss.

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Paul - [...] ha preso spontaneamente corpo nel linguaggio e nella scrittura apocalittica. [... ] Il dogma è, in qualche modo, la visione divenuta formula» 6 • Ora, I' apocalittica riposa su una cosmologia della scala dei sette cieli, abitati dai differenti esseri corporei e spirituali, secondo una precisa gerarchia. Il settimo cielo è la dimora di Dio. È in funzione di questa struttura del cosmo celeste, rivelatrice del mistero, che «saranno formulati i dogmi essenziali» 7 • Questa cosmologia attribuisce un importante posto agli angeli, così come ai demoni, che servono a interpretare il problema del male. L'angelologia giudeo-cristiana è dunque assai sviluppata nella letteratura apocalittica, come si nota anche nell'Apocalisse di Giovanni. Gli angeli costituiscono la prima creazione e sono ripartiti in diverse categorie nei diversi cieli, secondo la loro gerarchia. Essi sono preposti alle diverse collettività umane e proteggono inoltre gli individui, dei quali sono i custodi. I demoni sono degli angeli decaduti. Esisteva in effetti un arcangelo superiore, collocato a capo di un gruppo di angeli, al quale era stata affidata la terra. Divenuto però geloso dell'uomo, egli ne causò la caduta e si rese peccatore. Divenne Satana e fu punito. Anche fra i demoni esiste una gerarchia, quella dei demoni superiori, potenze il cui capo è chiamato Beliar, e i demoni inferiori, o spiriti, che sono i demoni tentatori. La rivelazione dei segreti divini è legata alla manifestazione delle «tavolette celesti», o del «libro del destino». Il profeta è colui che, nel corso di una ascensione celeste, è ammesso a contemplare il contenuto di queste tavolette per rivelare agli uomini i disegni di Dio. È a partire dalle categorie dell'angelologia che la dottrina giudeo-cristiana designa il Verbo e lo Spirito. Il Cristo è chiamato ordinariamente Angelo. Vi è forse una reminiscenza dell' «angelo di YHWH», messaggero delle teofanie dell'Antico Testamento, nel quale i cristiani leggono una manifestazione del Verbo. L'apocalittica però ha anche svolto il suo ruolo: essa conosce la trasformazione celeste, cioè angelica, delle grandi figure regali e cultuali. Nella sua apocalisse, Il Pastore, Erma parla del Verbo come dell' «angelo glorioso», o del «venerabilissimo angelo». È lui che separa i giusti dai peccatori, che corona i giusti e li introduce nella torre che è la Chiesa. «Vi sono qui delle funzioni divine, quella del giudizio delle anime, della ricompensa dei giusti, della distribuzione della grazia, del1' aggregazione alla Chiesa dei santi» 8 • Questo angelo glorioso ha anche una statura colossale, che sorpassa infinitamente quella degli altri angeli. «Questa rappresentazione è passata nell'iconografia primitiva, nella quale il Cristo è rappresentato sovente più grande rispetto ai personaggi che lo 6 A. PAUL, Leçons paradoxales sur les Jui/s et !es Chrétiens, DDB, Paris 1992, p. 68. 7 Ibid., p. 171. s Ibid, p. 207.

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circondano» 9 • Ma Erma modifica anche il tema dei sette arcangeli del giudaismo tardivo, per distinguere il Verbo dagli altri sei: «L'uomo glorioso è il Figlio di Dio e i sei sono gli angeli gloriosi che lo rafforzano a destra e a sinistra» 10 • Nel medesimo senso il Verbo è identificato talvolta con Michele. Questo angelo non è semplicemente quello che intercede per Israele: è anche il mediatore tra Dio e gli uomini (espressione che si trova in 1 Tm 2, 5). La trascendenza del Verbo in rapporto agli altri angeli è dunque perfettamente evidenziata. Questa cristologia angelica, largamente diffusa, sopravviverà fino al III secolo. Il contesto del suo uso mostra però che essa non può essere compresa nel senso che il Verbo sarebbe assimilato puramente e semplicemente a una creatura. Certi autori vogliono vedere qui l'origine del «subordinazionismo» anteriore al concilio di Nicea, cioè della dottrina che subordina il Figlio al Padre in un grado inferiore dell'essere 11 • Ritorneremo a suo luogo su questa questione assai disputata fino ai nostri giorni 12 • Una identificazione analoga si compie tra Gabriele e lo Spirito Santo, perché l'angelo Gabriele fu il messaggero dell'incarnazione. Ma si trova anche l'assimilazione del Verbo a Gabriele, così come altri titoli angelici attribuiti al Verbo. Spesso il Verbo e lo Spirito sono tra loro associati, ma la loro trascendenza è sottolineata di fronte agli «altri» angeli. Il tema dei due Serafini di Is 6, 2 avvia questa interpretazione. Non bisogna evidentemente cercare in questa letteratura una formalizzazione del tema trinitario. Il vocabolario angelico impiegato, con le sue precisazioni e le sue correzioni, ha per scopo quello di porre il Verbo e lo Spirito «con» Dio in una trascendenza assoluta rispetto agli altri angeli. Questo modo di fare sarà frequente nell'elaborazione del vocabolario cristiano: si utilizzano le categorie e le rappresentazioni dell'Antico Testamento, ma si fa loro subire una evoluzione semantica attraverso un gioco complesso di avvicinamenti e di opposizioni, al fine di abilitarle a esprimere la novità cristiana. L'utilizzazione della denominazione angelica per il Verbo è lungi dal1' essere l'unica. Il giudeo-cristianesimo dispone di una gran quantità di titoli per parlare del Figlio di Dio. Si serve di diverse espressioni semitiche, la maggior parte delle quali non saranno conservate, e designa in particolare il Cristo come il «Nome» di Dio. Si sa che nell'Antico Testamento il Nome designa sovente il tetragramma YHWH. Si conosce anche, per il mondo semitico, la pregnanza simbolica del nome, che manifesta 9

Ibid.

Il Pastore, Sim. IX, 12, 8, in I Padri Apostolici, a cura di A. Quacquarelli (Collana Testi Patristici= CTP 5) Città Nuova, Roma 1981, pp. 327-328. 11 Come ritiene J. HADOT, La formation du dogme chrétien des origines à la fin du IV siècle, CUNIC, Charleroi 1990, pp. 17-27. 12 Cfr. infra, pp. 207-211. IO ERMA,

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nascondendo. Questo uso si ritrova nel Nuovo Testamento (Rm 10, 12-13; Gv 17, 6, in cui il Cristo nella sua stessa persona manifesta il Nome del Padre). Ignazio di Antiochia è «incatenato per il Nome» 13 • Erma sviluppa questa teologia del Nome a proposito del Figlio di Dio 14 • Spesso il «Nome di Dio» designa il Figlio. È così che il Vangelo di verità testimonia una cristologia del Nome autenticamente giudeo-cristiana. Questo uso dice, a suo modo, una identità d'essere tra il Figlio e il Padre che si tradurrà più tardi in identità di natura. Il Verbo è anche chiamato, nella tradizione giudeo-cristiana, Legge. Nel giudaismo contemporaneo la Torah è una realtà divina, preesistente, una specie di incarnazione della Parola divina. Erma identifica così Legge e Figlio di Dio 15 • Giustino associa il termine Legge a quello di Alleanza: «Ora c'è un'altra alleanza e da Sian è uscita un'altra legge» 16 • Il Verbo è infine detto Principio (arché), nello spirito del prologo di Giovanni, ma il termine diviene allora una categoria personale. Ed è ugualmente chiamato Giorno. L'espressione dell'incarnazione si inscrive a sua volta nelle concezioni dell'apocalittica giudaica. Si può dire che questa modalità di espressione è «mitica», nel senso che questo termine ha oggi: non debole, ma modo di rappresentazione immaginaria di un dato religioso non ripresentabile in se stesso e pieno di senso nei confronti del rapporto tra l'uomo e Dio. L'incarnazione è rappresentata come una «discesa» del Figlio che attraversa successivamente i diversi cieli. Ma questa discesa ha questo di particolare, che è stata nascosta agli angeli; idea che si trova già in Paolo (1Cor2, 8; E/3, 9-11) e si ritrova in Ignazio di Antiochia 17 , senza dubbio sotto l'influenza dell'Ascensione di Isaia. Lo Spirito è associato a questa discesa, sotto il nome di «Sapienza». La nascita dalla Vergine Maria è chiamata un mistero compiuto nel silenzio, e considerata come miracolosa, e ugualmente la concezione verginale di Gesù, della quale gli autori parlano come Luca e Matteo. Un tema sviluppato con interesse, ad esempio in Ignazio di Antiochia 18 , è quello dei magi e della stella. Nel momento della nascita di Gesù, si manifesta un astro dallo splendore eccezionale, simbolo del messia. La scena indica anche la vittoria del Cristo sui demoni, poiché i magi, assimilati a dei sacerdoti idolatri, si convertono nell' adorazione di Gesù. Il combattimento del Cristo contro le forze del male viene anticipato dunque alla stessa natività. Ugualmente, al momento del IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Agli Efesini, 1, 2 e 3, 2, in I Padri Apostolici, cit., p. 100. ERMA, Il Pastore, Sim. IX, 14, 5-6; Vis. III, 1, 9, in I Padri Apostolicz; cit., pp. 324 e 102. 15 Ibid., Sim. VIII, 3, 2, p. 310. l6 GIUSTINO, Dialogo con Trifone, XXIV, 1, a cura di G. Visonà, Paoline, Milano 1988, p. 139. 17 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Agli E/esinz, XIX, l, in I Padri Apostolici, cit., p. 106. 1s lbid., XIX, 2-3, p. 106. 13

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battesimo, Gesù discende nel Giordano, vale a dire nelle acque della morte, per vincere il dragone. È dunque stabilito il legame tra battesimo e passione e anche discesa agli inferi. Il principe dell'abisso è vinto. Il battesimo d'acqua è inoltre collegato al battesimo escatologico attraverso il fuoco del giudizio (cfr. Mt 3, 11): al battesimo lo Spirito discende su Gesù, che è liberato da questo fuoco. La natività, il battesimo e la croce appaiono così come le tre tappe della redenzione. La dottrina della redenzione attribuisce un ampio spazio alla discesa agli inferi, che sarà ripresa più tardi tra le affermazioni del Simbolo occidentale 19 • Questa visione della salvezza si riferisce alla cosmologia già evocata: essa esprime la vittoria del Cristo sulle potenze del male, l'annuncio della salvezza ai giusti e la loro liberazione. Si tratta in effetti di rispondere alla questione della sorte dei giusti morti prima della venuta del Cristo. Alcuni documenti però vanno più lontano e parlano di una risurrezione già compiuta 20 , fattore molto interessante per la comprensione delle cose ultime. La discesa agli inferi è ugualmente legata al tema del battesimo, perché l'immersione battesimale è considerata non solamente come una discesa nella morte, ma anche come una discesa agli inferi, e la risalita dalle aèque è già la vittoria di una risurrezione 21 • La portata soteriologica dell'ascensione è ugualmente messa in rilievo: questa è la replica cosmologica e apocalittica dell'incarnazione, perché a una discesa corrisponde una risalita. Il tema era già presente nel Nuovo Testamento (E/ 4, 7-9), ma qui viene sviluppato. Nell'ascensione, il Cristo ripercorre la suddivisione dei sette cieli per raggiungere il cielo propriamente divino. Questa volta però la risalita trionfale del Cristo ha luogo nel suo corpo ed è manifestata agli angeli, che l'adorano. Talvolta la risurrezione di Gesù è essa stessa compresa come una esaltazione e una ascensione. Questa prospettiva farà scuola in Giustino, Ippolito, Origene e fino ai due Gregorio, di Nazianzo e di Nissa. «La teologia giudeo-cristiana, scrive J. Daniélou, è una theologia gloriae» 22 • Anche la croce, divenuta assai presto un emblema e un segno cultuale per i cristiani, è una croce di gloria e un segno di vittoria. È lo strumento della salvezza e, a questo titolo, viene pressoché identificata con il Cristo. La si paragona a diversi strumenti umani: albero o aratro, «argano» di elevazione verso Dio, in Ignazio di Antiochia 23 • Giustino e Ireneo, nella loro celebrazione della croce, restano gli eredi delle prospettive giudeo-cristiane 24 • La Cfr. infra, pp. 106-108. DANIÉLOU, La teologia ... , cit., pp. 288-289. 21 Cfr. Odi di Salomone, XXII, a cura di L. Tondelli, Ferrari, Roma 1914. 22 J. DANIÉLOU, La teologia ... , cit., p. 321. 2 3 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Agli E/esini, IX, 1, in I Padri Apostolici, cit., p. 103. 24 Cfr. M. Fmou, La vision de la croix dans l'oeuvre de saint ]ustin «philosophe et martyr», in «Recherches Augustiniennes», XIX (1984), pp. 29-110. 19

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sua forma le conferisce un simbolismo cosmico, poiché essa punta alle quattro dimensioni dell'universo: il suo braccio orizzontale esprime l'universalità della salvezza, mentre il suo braccio verticale trasmette la riconciliazione del cielo e della terra. Il suo incrocio dà consistenza alla nuova creazione, consolidata, rifondata e unificata. Essa è la potenza stessa del Cristo. Questa croce luminosa rinvia alla stella dei magi. Così come era stata annunciata nell'Antico Testamento attraverso diverse figure, quella del bastone, della scala, dell'asta, degli alberi (la scena di Mambre), ugualmente essa diviene a sua volta una profezia della fine dei tempi, nei quali verrà manifestata come croce escatologica. Gli Atti di Andrea (n secolo) contengono una celebre apostrofe del martire alla croce: «Salve, croce! [... ] Sono venuto a te e ti sento mia! Sono venuto da te che mi hai desiderato e voglio far conoscere il mistero per cui sei stata piantata. Sei stata piantata nel mondo per dare consistenza alle cose instabili: una tua parte è rivolta al cielo per annunciare l'uomo Parola; una tua parte si stende a destra e a sinistra per sbaragliare la tremenda potenza nemica e fare convergere il mondo nell'unità; una parte di te è piantata in terra per raccogliere insieme alle celesti, le cose terrestri e quelle dell'Ade. O croce, invenzione salvifica dell'Altissimo!» 25 .

La dottrina giudeo-cristiana fa posto anche alla Chiesa. Essa tratta evidentemente del battesimo e dell'eucaristia. Questi temi saranno ripresi nel terzo tomo di questa opera. La sua prospettiva apocalittica l'ha anche condotta a concepire un «millenarismo», vale a dire un regno di mille anni del Messia e dei giusti sulla terra, prima del passaggio ultimo dell'universo nel mondo della risurrezione. Tale dottrina, attestata fino a Ireneo e a Melitone di Sardi, proviene da una lettura letterale di alcuni testi dell' Apocalisse di Giovanni. Essa non verrà in seguito recepita nella Chiesa, ma rivivrà, nel corso della storia, sotto forme culturali diverse. (L'analisi di questo tema è esplicitata nel secondo tomo, nel capitolo dedicato all'escatologia).

Il giudeo-cristianesimo «eterodosso» Una parte notevole della letteratura giudeo-cristiana è tuttavia giudicata oggi «eterodossa». Alcuni studiosi hanno in proposito addirittura posto un primato dell'eterodossia su quella che diventerà più tardi l' «ortodossia» cristiana. Il punto principale concerne il rifiuto della divinità del Cristo, in particolare presso gli Ebioniti, che prendono il nome non da un personaggio, ma dal termine ebraico ebion, che significa povero. La loro cristologia vede nella persona di Gesù il più grande dei profeti, ma non il 25

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Apocrifi del Nuovo Testamento, II, a cura di L. Moraldi, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 489. BERNARD SESBOÙÉ

Figlio di Dio. Gesù, che è nato da Giuseppe e da Maria, è stato eletto da Dio nel momento del suo battesimo. Rigorosamente monoteisti, gli Ebioniti non possono considerare la fede nei tre nomi divini. Accanto a questi bisogna segnalare gli Elxaiti (dal nome di un personaggio chiamato Elxai, o piuttosto termine proveniente dall'ebraico e significante «forza nascosta»), conosciuti da Origene e Ippolito e la cui dottrina è prossima a quella degli Ebioniti. Nella stessa linea si trovano Cerinto, Carpocrate e i diversi nomi che Ireneo presenta come una genealogia della gnosi. Questo giudizio retroattivo di «eterodossia» può appoggiarsi su testimonianze dell'epoca? Non ci si può infatti accontentare di riportare sulle origini l'ortodossia ulteriore. La questione non è oziosa, perché il discernimento delle origini è sempre un problema particolarmente delicato. Ali' occorrenza comporta la specificità cristiana per rapporto al giudaismo e la continuità della fede. Si sa che le prime comunità cristiane, contemporanee alla redazione dei libri del Nuovo Testamento, hanno conosciuto delle reali diversità - taluni diranno delle fratture-, pur rimanendo abitate da una grande sete di unità. Questa questione è oggi l'oggetto di dibattiti tra esegeti e storici. Ch. Perrot ritiene, da parte sua, che il movimento che prende avvio dagli scritti neo-testamentari è quello che va «dalle prime diversità all'unità ecclesiale in costruzione, e non è per nulla il movimento contrario» 26 • Si può dire che il cristianesimo nascente poteva integrare ugualmente delle cristologie divergenti, come quelle che si incontrano presso alcuni giudeo-cristiani? Un primo discernimento consente, secondo Turner, di distinguere «una tradizione della grande Chiesa, attorno alla quale pullulano le sette eterodosse» 27 • Il giudeo-cristianesimo eterodosso è lui stesso un prolungamento dell'eterodossia giudaica. Perché lo stesso giudaismo veicolava la nozione, se non il termine, di ortodossia e di eterodossia. Parallelamente alla sua corrente centrale, esso conosce in effetti dei gruppi scismatici. Egesippo, giudeo del II secolo, venuto alla fede, parla chiaramente di sette eretiche che esistevano nel popolo Giudeo e che stanno alla radice dell'eterodossia cristiana 28 • La testimonianza di Egesippo invita a situare la prima eterodossia cristiana alla frontiera tra giudaismo eterodosso samaritano e cristianesimo 29 • Questo dato stabilisce un legame 26 CH. PERROT, Des premières communautés aux Eglises, RSR, 79 (1991), pp. 223-252, in questo articolo si trova una bibliografia sul problema. 2 7 Cfr. H.E.W. TuRNER, The Pattern o/ Christian Truth. A Study in the relations between Ortodoxy and Heresy in the Early Church, Mowbray, London 1954, pp. 97-143. Riassunto da}. DANIÉLOU, La teologia .. ., cit., pp. 79ss. 2 8 EUSEBIO DI CESAREA, Storia Ecclesiastica, IV, 22, 2-3, a cura di F. Maspero e M. Ceva, Rusconi, Milano 1979, p. 250. 29 ]. DANIÉLOU, La teologia .. ., cit., p. 107.

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con l'ambiente originale dello gnosticismo «cristiano», che sembra trovare la sua sorgente nella gnosi giudaica pre-cristiana. In ogni caso, il giudaismo rabbinico dell'epoca polemizzava contro gli «eretici», fra i quali si possono annoverare senza dubbio i giudeo-cristiani. D'altro canto, Ignazio di Antiochia è il testimone di una polemica cristiana molto antica contro i cristiani giudaizzanti. Egli afferma, con una formula divenuta celebre, che «è stolto parlare di Gesù Cristo e giudaizzare. Non il cristianesimo ha creduto nel giudaismo, ma il giudaismo nel cristianesimo» 30 • Il giudeo-cristianesimo è per noi pieno di insegnamenti nella misura in cui attesta la possibilità per la fede cristiana di esprimersi in culture differenti. Esso lo fa qui nella sua originale cultura semitica. Questo orizzonte dona un rilievo più grande alla successiva inculturazione di questo stesso cristianesimo nel mondo greco. L'antico giudeo-cristianesimo non sopravvisse però alla formidabile espansione del cristianesimo in ambiente pagano. Divenuto minoritario, gravato dalle tendenze eterodosse che lo attraversavano, fu più o meno relegato al rango di una setta 31 • Si trova nondimeno nel IV secolo nella Mesopotamia del Nord una espressione semitica della fede cristiana, della quale Afraate, saggio persiano, è un rappresentante di spicco 32 • Dal punto di vista della storia del cristianesimo, questa sparizione fu incontestabilmente una perdita.

2. Lo gnosticismo Indicazioni bibliografiche: F. SAGNARD, La gnose valentinienne et le témoignage de saint lrénée, Vrin, Paris 1947; H. CoRNELIS -A. LEONARD, La gnosi eterna, Paoline, Roma 1961; R.M. GRANT, Gnosi e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976; M. SCOPELLO, Les Gnostiques, Cerf, Paris 1991.

Alcuni elementi del giudeo-cristianesimo sono prossimi alla gnosi. Vi è dunque, tra l'uno e l'altra, una parziale intersezione. Lo gnosticismo però pone dei problemi specifici all'interpretazione delle origini cristiane. Tra «gnosi» e «gnosticismo» bisogna ormai ritenere la distinzione acquisita dai ricercatori: la prima designa una tendenza costante dello spirito umano che ricerca il senso della vita nella conoscenza; il secondo designa il movimento storico che si è sviluppato nel II e nel III secolo. Questo secondo è quello che ci interessa qui 33 • Lo gnosticismo è dunIGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Magnesii, X, 3, in I Padri Apostolici, cit., p. 112. Cfr. M. S1MON, Verus Israel. Etude sur les relations entre Chrétiens et ]uz/s dans !'empire romain, (135-425), De Boccard, Paris 1948. 32 Cfr. AFRAATE, Dimostrazioni, edizione francese(= ed. fr.) a cura di M.]. Pierre (SC 349 e 359), 1988 e 1989. 33 Cfr. M. SCOPELLO, Les gnostiques, Cerf, Paris 1991, p. 13. 30

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que una manifestazione storica della gnosi, il cui nome (gnosis) significa conoscenza. È un vasto movimento religioso, il cui sviluppo è contemporaneo a quello delle origini del cristianesimo. Esso ci è reso noto, da una parte, grazie a fonti cristiane antiche, attraverso la confutazione degli eresiologi cristiani, che hanno largamente citato i loro avversari: Giustino, Ireneo, Ippolito di Roma, Clemente di Alessandria, Origene, Epifanio di Salamina ed Eusebio; e dall'altra grazie a fonti originali ritrovate nel corso di questo secolo: in particolare al momento della scoperta, nel 1945, dei quaranta scritti di Nag-Hammadi (Egitto), tra cui Il Vangelo di verità, e di quella, nel 1947, dei manoscritti di Qumran. Lo gnosticismo è una dottrina che definisce la salvezza attraverso la conoscenza. Per averne una idea globale, presentiamo queste due definizioni; quella di uno gnostico antico e quella di uno studioso moderno: De/iniziane di Teodoto: «Chi siamo, che cosa siamo diventati; dove siamo, dove siamo stati precipitati; dove tendiamo, dove siamo purificati; che cosa è la generazione, che cosa è la rigenerazione» 34 . Definizione di Charles-Henri Puech: «Si chiama o si può chiamare gnosticismo - oppure gnosi -, ogni dottrina e ogni attitudine religiosa fondata sulla teoria o sull'esperienza del conseguimento della salvezza in virtù della conoscenza» 35 .

Lo gnosticismo contemporaneo delle origini cristiane è dunque una «conoscenza perfetta», ottenuta per rivelazione e illuminazione nel corso di una esperienza interiore. Questa rivelazione procura la salvezza, intesa come una rigenerazione, o come il ritorno dello gnostico al suo io originale e al principio divino che lo costituisce, malgrado il suo esilio nel mondo materiale decaduto, che tenta di prenderlo nella sua trappola. Lo gnostico non è veramente di questo mondo. Solo in lui l'uomo interiore e spirituale è capace di salvezza, non il corpo, né l'anima inferiore. La gnosi tuttavia, intesa in senso largo, è una tendenza profonda e costante dello spirito umano: si può dunque parlare di «gnosi eterna». L'epoca contemporanea ne conosce dei riaffioramenti. D'altra parte, la psicologia del profondo si interessa al mondo delle rappresentazioni gnostiche, in quanto proiezioni dell'inconscio umano. 34 CLEMENTE ALESSANDRINO, Estratti da Teodoto, 78, 2, in Testi gnostici in lingua greca e latina, a cura di M. Simonetti, Mondadori, Milano 1993, pp. 388-391. 35 CH.H. PUECH, Annuaire du Collège de France, 53• annata, p. 163.

I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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Le origini dello gnosticismo Sul piano storico, l'origine e l'evoluzione dello gnosticismo sono mal conosciute. Senza parlare di prodromi iraniani della gnosi, si può menzionare una pre-gnosi greca e una pre-gnosi giudaica. Dal versante greco, Platone può a buon diritto essere considerato come un antenato della gnosi per la sua concezione della reminiscenza e le sue esegesi allegoriche dei miti della religione greca. In ogni caso, il movimento platonico, che allegorizzava a sua volta i suoi scritti, sarà uno dei veicoli della gnosi. Più tardi, i Greci, venuti a contatto con le religioni misteriche dell'Oriente e dell'Egitto, cercheranno di trasporle in «sapienza», sempre attraverso il metodo allegorico. Sul versante giudaico, la Palestina apparirà come «la possibile culla del movimento gnostico» (Cornélis, Doresse). Certe «sette giudaiche» presentano dei tratti gnostici, come gli Esseni di Qumran, i Samaritani e altri gruppi menzionati da Egesippo, il quale presentava l' eterodossia giudaica come l'ambito originale dello gnosticismo cristiano 36 • Secondo gli studi recenti, il ponte tra la gnosi e il giudaismo sarebbe costituito soprattutto dalla «mistica della Merkabah», reperibile in I Enoch e in altre apocalissi palestinesi, e anche in testi alessandrini del II secolo a.C. 37 • Per questi gnostici la conoscenza della Legge dipende da un modo di interpretazione, la cui chiave è riser\lata agli iniziati. Ugualmente, l'apocalittica giudaica e le speculazioni cosmologiche alle quali essa si consegna possono ricongiungersi con alcuni temi gnostici. Alla convergenza delle tendenze gnostiche greche e giudaiche si deve segnalare Filone di Alessandria (20 a.C - 40 d.C. circa).

Lo gnosticismo cristiano Questo ambiente permette di comprendere la nascita dello gnosticismo cristiano. Esso proviene dall'ambito più o meno dissidente del giudaismo, soprattutto ellenistico. Gli scritti giovannei polemizzano già con i primi gnostici cristiani: l'Apocalisse menziona i nicolai ti (Ap 2, 6.15). Giovanni, secondo Ireneo, ha incontrato Cerinto a Efeso; Satornilo ha insegnato ad Antiochia. Più tardi, Ireneo fornirà una genealogia della gnosi che si è trasmessa attraverso una tradizione segreta da maestro a discepolo dopo Simon Mago (cfr. At 8), tramite Menandro, Satornilo, Basilide e Isidoro. Lo stesso Epifane è il figlio di Carpocrate. Questa ricostruzione, che non presenta tutte le garanzie di storicità, offre tuttavia in modo adeguato il funzionamento della gnosi. Cfr. }. DANIÉLOU, La teologia ... , cit., p. 95. Dato comunicato da M. André Paul, che ringrazio per le sue suggestioni concernenti il giudeocristianesimo. 36 37

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A metà del II secolo, la storia dello gnosticismo cristiano si illumina con le sue due grandi figure: Valentino e Marciane. Valentino, originario di Alessandria, vi ricevette la formazione sotto l'imperatore Adriano. Egli andò in seguito a Roma e ruppe con la Chiesa sotto l'episcopato di Aniceto. Valentino è il teologo del pleroma dei trenta eoni, dottrina che si appoggia su una esegesi allegorica dei testi della Scrittura. Tra i suoi discepoli orientali si conta Bardesane e Marco; in Occidente, Tolomeo ed Eracleone. La scuola valentiniana è quella che sarà più conosciuta dai Padri della Chiesa. Marciane, nato nel Ponto verso 1'85, discepolo di Cerdone, andò lui pure a Roma. Dualista, egli ritiene che il vino nuovo del Vangelo non può essere conservato negli otri vecchi dell'Antico Testamento, che viene pertanto respinto. Il Padre di Gesù, pieno di amore, non può essere il Dio vendicatore, tipico dell'Antica Alleanza. Apelle sarà suo discepolo. Le scelte intenzionali e arbitrarie che Marciane ha operato negli scritti neotestamentari, hanno contribuito, a loro modo, per le reazioni che hanno provocato, alla costituzione del canone del Nuovo Testamento. Di fronte a questo movimento, la fede cristiana si è spesso compresa come la «vera gnosi». Questa espressione ha un grande rilievo nel pensiero paolino (cfr. 1 Cor 2, 7-8; 2 Cor 12, 2-4; Col 2, 2-3), che conosce due trilogie: quella della fede, della speranza e della conoscenza (gnosi), e quella della fede, della speranza e della carità 38 • L'idea della conoscenza, e della salvezza in forza di questa, è presente anche nel vangelo di Giovanni (Cv 17, 3). Ireneo denuncia la «falsa gnosi». La lotta con gli gnostici sarà dunque condotta contro questa «pretesa» o «falsa gnosi» (Ireneo) tramite la «vera gnosi» (Clemente di Alessandria e Origene).

Le grandi caratteristiche del movimento gnostico Alcuni tratti caratterizzano particolarmente lo gnosticismo antico: il grande uso delle rappresentazioni mitologiche; l'interpretazione molto immaginativa delle Scritture, che conferisce una particolare attenzione ai primi capitoli della Genesi e impiega la simbolica dei numeri; il gusto per l'apocalittica; l'esoterismo fondamentale, che si traduce in un elitarismo (perché lo gnostico beneficia della rivelazione di un segreto riservato agli iniziati); l'attitudine anti-cosmica e anti-carnale: il mondo visibile è malvagio, perché è il frutto di una decadenza e perciò l'uomo è prigioniero di un corpo incapace di salvezza - ciò che avvia una interpretazione doceta della cristologia: l'umanità di Cristo non è che una apparenza (dokein) e JS

Cfr. J.

DuPONT,

Gnosis. La connaissance religieuse dans !es épitres de saint Paul, Gabalda, Paris 1949. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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non ha potuto soffrire sulla croce -; l'attitudine anti-storica: l'uomo è prigioniero del tempo e deve esserne liberato; l'attitudine antinomica o dualista: il mondo è un mescolamento di due nature contrarie e inconciliabili (luce e tenebre); lo gnostico deve dunque fuggire dal mondo inferiore e liberare il suo legame spirituale con il mondo superiore; infine la metafisica degli intermediari, attraverso i quali lo gnostico deve risalire verso la sua origine e il suo fine. La gnosi valentiniana ripartisce in particolare l'umanità in tre gruppi, determinati in funzione della loro origine: gli «spirituali», i puri (o pneumatici), vale a dire gli gnostici che sono i «veri cristiani» e che saranno salvati; quelli che sono frutti del Demiurgo o del dio «intermediario» (gli psychici), che sono identificati con i cristiani della grande Chiesa; e infine i «materiali» (gli hylici), che sono eslusi da ogni salvezza. La libertà umana non gioca in tal modo alcun ruolo nella salvezza. Ortodossia ed eterodossia degli gnostici

La gnosi cristiana ha posto e pone ancora oggi numerosi problemi di discernimento: nei grandi teologi gnostici, che cosa emerge come espressione autentica della fede cristiana e che cosa deve essere considerato come «eresia»? Ora, secondo Turner, all'epoca si stende una «zona d'ombra fra ortodossia ed eresia» 39 • I maestri gnostici manifestano un talento teologico incontestabile. Taluni, come Harnack 40 , hanno voluto vedere in essi i primi teologi cristiani, i primi ad aver fatto passare il messaggio del Cristo in ambiente greco, mentre l'interpretazione cattolica recente li respingeva, come gli antichi Padri, nel campo della totale eterodossia. Oggigiorno, alcuni studiosi cattolici, come A. Houssiau, J. Daniélou e A. Orbe, e alcuni protestanti, come G.K. Kretschmar e R.M. Grant, hanno restituito le credenziali alla letteratura gnostica e hanno sottolineato le strette relazioni di pensiero tra dottori gnostici e cristiani. A. Orbe è perfino arrivato «alla conclusione paradossale che talvolta gli gnostici hanno espresso la dottrina ortodossa, o taluni suoi aspetti, in modo più soddisfacente dei loro contemporanei ortodossi» 41 • Perciò «una frase usata da un maestro gnostico non è necessariamente una frase gnostica» 42 • Vi sono ad esempio, negli scritti di Valentino, numerose formule autenticamente cri39

H.E.W. TURNER, citato da R.M. GRANT, Gnosi e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976,

p. 210.

A. VON HARNACK, Histoire des dogmes, [1893], Cerf, Paris 1993, pp. 19-20. R.M. GRANT, Gnosi e cristianesimo primitivo, cit., p. 210. Cfr. A. ORBE, Estudios valentinianos, I-V, in «Analecta Gregoriana», 65, 83, 99-100, 113, 158, (Romae 1955-1956). 4 2 R.M. GRANT, Gnosi e cristianesimo primitivo, cit., p. 209, citando Van Unnick. 4D 41

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stiane. Certi dottori gnostici sono stati delle personalità e dei teologi di primo piano. Molte delle loro esegesi e delle loro idee devono dunque venir recepite con grande cura. Si può stabilire un certo parallelo tra le loro dottrine e quelle del cristianesimo: esse presentano il mistero di Dio in una teologia del pleroma; rendono conto della caduta; hanno una teologia della creazione e della salvezza nelle quali le diverse manifestazioni di Gesù o del Cristo occupano un posto decisivo; hanno una escatologia; formano una Chiesa. Tuttavia, qualunque sia la degradazione, oggigiorno inafferrabile, tra l'ortodossia e la gnosi, e l'affinità di certi temi che giustificano l' espressione «gnosi cristiana», non si può concludere che la letteratura gnostica, nelle sue tesi madri, rappresenti la prima teologia cristiana. Il dualismo profondo che le appartiene è radicalmente estraneo al cristianesimo ed esso ha portato con sé una cristologia «doceta», che contraddice formalmente il mistero dell'incarnazione, non riconoscendo al Cristo che l' «apparenza» di una umanità. La teogonia dei trenta eoni di Valentino non ha nulla a che vedere con il mistero trinitario. La loro dottrina non lascia inoltre posto alcuno alla libertà umana. Questa gnosi non potrebbe costituire una prima ortodossia cristiana, chiamata a essere ulteriormente cambiata in un'altra. È anche per reagire contro i pericoli rappresentati dallo gnosticismo nelle comunità cristiane che la «grande Chiesa» ha formalizzato e perfino stabilito i grandi caposaldi della sua ortodossia: sistemazione del canone delle Scritture, contro le amputazioni alle quali procedeva Marciane; istituzione delle formule di fede che diventeranno i Simboli; emergenza di un episcopato rappresentante la successione apostolica del ministero, del quale si comprende l'istituzione in vista del mantenimento della verità della fede. Questa regolazione nuova della vita di fede non è avvenuta senza la perdita di una certa «libertà creativa» 43 e a beneficio di una istituzione preoccupata della sua autodifesa. Si tratta però di una reazione «viscerale», senza la quale il rigetto massiccio della gnosi, espresso da Giustino, Ireneo e i loro successori, non si potrebbe spiegare. Il rifiuto che la Chiesa, come la Sinagoga, operarono della gnosi fu dunque molto significativo; prima di tutto, trionfava la concezione occidentale ed ebreo-cristiana, che il tempo e lo spazio sono reali; ma, soprattutto, si continuò a rendere il culto al Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Contro gli attacchi gnostici, la Chiesa ha conservato l'Antico Testamento e ha continuato ad affermare che la storia di Gesù non può essere intesa in termini puramente simbolici 44 .

4J 44

Ibid., p. 211. Ibid., p. 212. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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3. Il discorso cristiano dai Padri apostolici a Ireneo Lo studio del giudeo-cristianesimo e della gnosi ci ha già fatto incontrare le prime generazioni dei Padri della Chiesa della fine del r secolo e del corrente II secolo, che vengono chiamati «Padri apostolici» e «Apologisti». Questi uomini hanno una funzione ufficiale nella Chiesa, gli uni in quanto vescovi, gli altri in quanto responsabili delle scuole catechetiche. Tra questi, taluni sono dei giudeo-cristiani e la maggior parte ha dovuto confrontarsi con la gnosi. Non è inutile rintracciare l'evoluzione del loro discorso secondo il loro intento principale e i loro destinatari. Un primo discorso pastorale e liturgico Gli autori e i testi: I seguenti testi: Didaché; CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinzi; IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettere e Martirio di san Policarpo; Omelia dello Pseudo Clemente; Lettera di Barnaba; ERMA, Il Pastore, si trovano tutti in: I Padri Apostolici, a cura di A. Quacquarelli (CTP 5), Città Nuova, Roma 1981.

La prima letteratura patristica è pastorale e liturgica. Vi sono lettere che vescovi o altri responsabili delle Chiese indirizzano alle loro comunità: Clemente (o la Chiesa) di Roma, Ignazio di Antiochia e Policarpo di Smirne; c'è la lettera posta sotto il patrocinio di Barnaba (compagno di Paolo); ci sono anche delle omelie, come l'omelia detta anticamente II lettera di Clemente (ai Corinzi), che si riallacciano direttamente alle lettere apostoliche del Nuovo Testamento. C'è anche un racconto di martirio (Martirio di Policarpo), un documento catechetico, liturgico e canonico (la Didaché o Dottrina dei dodici apostoli); c'è infine l'originale apocalisse denominata Il Pastore e il cui autore è un laico, Erma, che reca alla Chiesa un messaggio di penitenza. In tutto questo primo discorso è la vita delle comunità cristiane che si esprime, con la loro fede, le loro difficoltà e i loro conflitti, le loro istituzioni e la loro liturgia. Tutti questi documenti sono l'espressione di una preoccupazione ad infra: si tratta di mantenere il buon ordine e l'unità nelle comunità; di ammaestrarle e di esortarle alla fortezza davanti al sempre possibile martirio; di chiamare alla conversione coloro che non sono fedeli alla loro professione cristiana; di vigilare sull'organizzazione delle comunità. Salvo Il Pastore di Erma, queste opere sono brevi, sgorgate dalla necessità o dal1' attualità. Nel loro insieme questi autori non si appoggiano su un Nuovo Testamento costituito e riconosciuto come Scrittura. Per essi «le Scritture» designano i libri dell'Antico Testamento. Se conoscono qualche epi-

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stola paolina, non citano i Vangeli, ma si riferiscono alle parole del Signore ricevute dalla tradizione orale 45 • Essi hanno ereditato però spontaneamente il principio esegetico, apostolico e giudeo-cristiano, che vede nel1' Antico Testamento una lunga profezia dell'evento Gesù Cristo. Questa letteratura è modesta, talvolta balbuziente. Appare più povera di quella del Nuovo Testamento. Essa rappresenta però, nondimeno, tutta l'audacia e il rischio della presa di parola da parte di uomini che hanno coscienza di non essere più degli apostoli. Il discorso apologetico Gli autori e i testi: GIUSTINO, Dialogo con Trifone, a cura di G. Visonà, Paoline, Milano 1988; ID., Apologie, in Gli Apologeti Greci, a cura di C. Burini (CTP 59), Città Nuova, Roma 1986; ATENAGORA, Supplica per i cristiani, in Gli Apologeti Greci, cit.; TEOFILO DI ANTIOCHIA, Ad Autolico, in Gli Apologeti Greci, cit.; A Diogneto, in I Padri Apostolici (CTP 5), Città Nuova, Roma 1981; 0RIGENE, Contro Celso, a cura di M. Simonetti, UTET, Torino 1971.

Dalla metà del II secolo, questa letteratura fa posto per lo più a una letteratura apologetica di difesa e di presentazione della fede cristiana, anzitutto di fronte ad avversari esterni, i Giudei e i pagani, e poi contro avversari che si presentano all'interno della Chiesa, gli eretici. Il Discorso ai Giudei è chiarificato principalmente dal Dialogo con Trifone di Giustino, scritto sull'antico modello dei dialoghi platonici. La finzione letteraria riveste un'eco delle reali discussioni dell'epoca tra Giudei e cristiani. L'essenziale del dibattito oppone due sistemi coerenti di interpretazione delle Scritture: il sistema cristiano vede in Gesù il Cristo, e dunque il Messia, che è la chiave delle Scritture. Questa interpretazione contraddice quindi radicalmente quella rabbinica, per la quale il Messia deve ancora venire, un Messia la cui manifestazione gloriosa non potrebbe essere riconosciuta nella morte ignominiosa in croce di Gesù di Nazareth. Giustino è per noi il primo testimone di una argomentazione scritturistica organizzata sul rapporto tra i due Testamenti. Prima di Giustino, Aristone di Pella aveva scritto una discussione tra Giasone (un giudeocristiano) e Papisca (un giudeo di Alessandria) a proposito del Cristo. Questo dialogo però, così come le apologie ai Giudei di Apollinare di Ierapoli, è andato perduto. Il Discorso ai pagani rappresenta però una urgenza ancora più grande, perché il vero pericolo per le nascenti comunità cristiane viene dalla loro 45 Cfr. il dibattito suscitato a riguardo di questo soggetto tra le posizioni divergenti di E. MASSAUX, L'influence del' évangile de saint Matthieu sur la littérature chrétienne avant saint Irénée, ristampa, University Press, Leuven 1986 e H. K6STER, Synoptische Uberlieferung bei den Apostolischen VCitern, Akademie Verlag, Berlin 1957, ripreso da F. Neyrinck nella sua presentazione alla nuova edizione di Massaux.

I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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parte. Oltre le persecuzioni, i pagani ridicolizzano e calunniano la fede e le pratiche dei cristiani. Essi ripetono che questi adorano una testa d'asino, che praticano l'incesto e l'omicidio rituale dei fanciulli; in definitiva li accusano di essere degli atei. I cristiani non erano in effetti né Giudei né pagani, ma formavano una "terza razza" (triton genos, dice Aristide di Atene) nell'umanità. Giustino ha il coraggio di rivolgersi alle più alte autorità dell'impero, imperatore e senato, per presentare loro una apologia della fede cristiana condotta in nome della ragione. In questo discorso razionale, che mira a esporre una verità universale, Giustino non esita a fare degli accostamenti tra il cristianesimo e certi tratti della filosofia e della religione pagana, e perfino con la mitologia. Egli sviluppa la dottrina dei «semi del Verbo», presenti in tutti i popoli. Giustino ritiene che i filosofi greci, anteriori ai profeti, abbiano fatto a questi come dei prestiti. L'argomento profetico è pure utilizzato, ma con massima discrezione. Ecco come risponde all'accusa di ateismo: Per questo motivo siamo giudicati atei; e noi confessiamo di essere atei verso questi che sono chiamati dèi, ma non verso Dio verissimo, non contaminato dalla malvagità e Padre della giustizia, della saggezza e delle altre virtù 46 .

Di questo discorso destinato ai pagani, Giustino è il testimone più qualificato, ma non l'unico: prima di lui Quadrato e Aristide di Atene avevano scritto delle apologie all'imperatore Adriano. L'allievo di Giustino, Taziano, scriverà dopo di lui un Discorso ai Greci. Altre apologie sono andate perdute. Dopo di lui Atenagora di Atene invia a Marco Aurelio e a suo figlio Commodo una Supplica intorno ai cristiani, e Teofilo di Antiochia farà lo stesso indirizzandosi al suo amico pagano Autolico. La lettera A Diogneto, di cui si conosce il destinatario ma non l'autore, è anch'essa una apologia del cristianesimo degli ultimi anni del II secolo. La definizione che essa dà dei cristiani è divenuta celebre: I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. [ ... ] Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono per46 GIUSTINO,

I Apologia, 6,

ma 1986, p. 87.

38

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1,

in Gli Apologeti Greci, a cura di C. Burini (CTP 59), Città Nuova, Ro-

seguitati. [ ... ] Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai Giudei sono combattuti come stranieri, e dai Greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani 47 .

Questa letteratura cristiana non poteva non provocare la risposta dei pagani. La grande risposta del paganesimo ai «filosofi» cristiani fu data da Celso, con la pubblicazione, nel 178, de.La vera dottrina, che voleva essere una replica alle «false dottrine» dei cristiani. Celso non ignorava gli scritti di Giustino e aveva anche una reale conoscenza delle Scritture: egli cita sovente le parole dei Vangeli. Anche se non esita davanti ai qualificativi ingiuriosi verso i cristiani («accozzaglia di gente semplice», «scostumati», «ciarlatani e impostori»), egli si guarda bene dal riproporre le accuse grossolane contro i cristiani, come quelle di antropofagia o di incesto. La sua argomentazione è molto più sottile. Critica la storia biblica, la risurrezione del Cristo e le «assurdità» raccontate dagli apostoli e dai loro successori. Sottolinea la superiorità delle idee religiose e filosofiche dei Greci. Ma solleva anche il problema politico di una nuova religione che rifiuta di rendere culto all'imperatore. Vale la pena cogliere il tono dell'opera: [La razza dei giudei e dei cristiani è comparabile] a una frotta di pipistrelli, oppure a formiche che vengon fuori dal loro buco, oppure a delle rane che tengono assemblee attorno a una palude, oppure a vermi che tengon concilio nell'angolo di un pantano, discutendo animatamente fra loro, per stabilire chi di essi sia il peccatore più grande, e dicendo: A noi Dio svela e predice ogni cosa in anticipo; egli trascurando il mondo intero e il corso celeste, lasciando da parte tutto il resto della terra per noi soli governa e a noi soli invia messaggeri, e non cessa mai di mandarli e di studiare il modo, come possiamo essere uniti a lui per sempre 48 •

Celso ha sollevato contro il cristianesimo una delle critiche più radicali della storia. I suoi argomenti hanno ancora oggi un forte impatto. L'eco suscitata da quest'opera dovette essere profonda poiché, tre quarti di secolo più tardi, Origene fu pregato di confutarla. Egli lo fece in una lunga opera chiamata Contro Celso, una nuova apologia del cristianesimo che «riflette come uno specchio la lotta tra il paganesimo e il cristianesimo. [ ... ] I due mondi sono rappresentati da uomini di grande cultura» 49 • Origene cita il testo di Celso in maniera talmente abbondante che ci consente di ricostruire ampiamente l'opuscolo, altrimenti perduto, del suo avversario. 47

A Diogneto, V, 1 - VI, I, in I Padri Apostolici, cit., pp. 356-357. Torino 1971, p. 317.

48 0RIGENE, Contro Celso, IV, 23, a cura di A. Colonna, UTET, 49]. QUASTEN, Patrologia, Marietti, Torino 1980, I, p. 331.

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Il discorso contro gli eretici DI LIONE, Contro le eresie e gli altri scritti, a cura di E. Bellini, Book, Milano 1981; CLEMENTE ALESSANDRINO, Estratti da T eodoto, edizione francese (=ed. fr.) a cura di F. Sagnard (SC 23 ), 1948. Alcuni testi si trovano anche in Testi gnostici in lingua greca e latina, a cura di M. Simonetti, Mondadori, Milano 1993.

Gli autori e i testi: IRENEO

Jaca

Giudei e pagani costituiscono gli avversari esterni. Contemporaneamente però la Chiesa deve far fronte a «dissidenti» interni e pertanto avvia un discorso anti-eretico. Abbiamo visto il sorgere di una prima forma di eterodossia attraverso certe tendenze giudeo-cristiane «giudaizzanti» e mediante lo gnosticismo. Ora, questi due fenomeni di sincretismo religioso si producono nel momento in cui i Simboli di fede sono ancora nella loro preistoria. Paolo e Giovanni hanno già avuto da ridire nei confronti degli ambienti gnostici. Lo gnosticismo può essere considerato come la prima eresia cristiana, perché si sviluppa al di fuori di ogni regola di fede. Lo gnosticismo costituì un movimento così forte e potente ed esercitò una così grande seduzione sulla vita delle comunità, moltiplicando con il proselitismo i piccoli gruppi «settari», che i responsabili delle Chiese considerarono la sua confutazione come una nuova urgenza. Giustino fu così indotto a scrivere un Libro contro tutte le eresie e un Contro Marciane, oggi perduti, che influenzarono Ireneo. Egli fu imitato da Egesippo. Il tono è polemico e la dinamica è quella dell'esclusione. Ma gli gnostici praticavano in contraccambio la medesima esclusione 50 • Il conflitto tra gli uni e gli altri verteva sull'identità cristiana, che ogni gruppo rivendicava per sé e negava all'altro. Il grande campione della fede cristiana contro le eresie fu comunque Ireneo di Lione, originario di Smirne (dove egli dice di aver conosciuto, da piccolo, il vecchio Policarpo), con il celebre libro il cui titolo originale era: Ricerca e rovesciamento della pretesa, ma falsa gnosi, generalmente più conosciuto sotto quello di Contro le eresie. In uno spirito molto moderno, si prende cura di esporre anzitutto la dottrina dei suoi avversari, stimando che «la vittoria contro costoro consiste nella manifestazione delle loro dottrine» 51 • Perché egli le «smaschera» e le fa uscire dall'aura di segreto che costituiva un elemento del loro prestigio. Le confuta anzitutto attraverso la ragione, mostrando le loro contraddizioni interne e reciproche. Questo però non è sufficiente: Ireneo si impegna a confutarle anche attraverso le Scritture, trattate secondo la tradizione ufficiale della Chiesa, vale 50 M. SCOPELLO, Les gnostiques, cit., p. 5l IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, I,

Jaca Book, Milano 1981, p. 117.

40

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116. 31, 3, in Contro le eresie e gli altri scritti, a cura di E. Bellini,

a dire manifestando l'accordo delle parole dei profeti con quelle del Signore e degli apostoli, e dunque dell'Antico con il Nuovo Testamento. Sviluppa, inoltre, una grande argomentazione scritturistica di portata dogmatica. Questo lungo percorso nelle Scritture lo conduce a discernere le armonie del disegno di Dio, della grande «disposizione» o «economia» divina, che annuncia e compie la salvezza degli uomini in Gesù Cristo. Apportando ogni novità con la sua venuta, il Cristo «ricapitola», nel breve tratto della sua esistenza, tutta la storia dell'umanità, dalle sue origini alla fine, cioè la riassume e l'assume, la libera e la perfeziona, per condurla al suo compimento e porre l'uomo in comunione con Dio. Con Ireneo il discorso cristiano compie un passo da giganti: egli è, a buon diritto, secondo la parola di Altaner, «il padre della dogmatica» 52 •

Il.

TRADIZIONE E REGOLA DI FEDE

La breve presentazione fatta degli scritti giudeo-cristiani, dello gnosticismo e dei primi sviluppi del discorso patristico, ha mostrato che la questione della «regola», o della normatività della fede, attraversa strutturalmente i primi discorsi cristiani. Al di là della diversità delle correnti, delle zone d'ombra fluttuanti tra ortodossia ed eterodossia e della discrezione dei testimoni sul funzionamento di una regolazione della fede in un'epoca in cui si cercano ancora le istituzioni per farla, era impossibile rendere conto dei documenti senza incontrare subito questo aspetto delle cose. Questi testimoni originali erano, nella loro complessità e nelle loro divergenze, portatori del messaggio cristiano: in essi la referenza ai principali articoli della fede - e dunque a ciò che si chiamerà progressivamente il o i «dogmi» - era già presente.

1. Il dogma prima del dogma: la regola di fede Se il contenuto del dogma ha una storia, anche il senso del termine ne ha parimenti una. All'epoca delle origini, il termine dogma è un anacronismo. La parola emerge senza dubbio in certi scritti (Clemente Romano, Ignazio di Antiochia). La Didaché usa l'espressione «secondo il principio del vangelo (to dogma tau euaggeliou)» 53, ma esso non ha il senso teologicamente elaborato che gli conferirà il Concilio Vaticano I, per il quale è 52 53

B. ALTANER, Patrologia, Marietti, Torino 1977, § 93, p. 114. Didaché, Xl, 3, in I Padri Apostolici, cit., p. 36. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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dogma di fede ogni verità rivelata dalla Parola di Dio e proposta da credere, in quanto rivelata, dal magistero della Chiesa 54 • Il senso oscilla, al1' epoca, tra quello di «decisione» e di «dottrina». La formalizzazione progressiva del concetto sarà legata allo sviluppo delle formulazioni dogmatiche stesse, elaborate in nuovi tipi di linguaggio 55 • La realtà però che il termine dogma è chiamata a ricoprire esiste già. Si tratta dell'Evangelo e del suo messaggio, della sua autorità unica nell' ordine della fede e delle condizioni di fedeltà alla sua verità. È dunque legittimo far partire una storia dei dogmi da questo primissimo livello in cui una letteratura cristiana post-apostolica si differenzia dagli scritti del Nuovo Testamento. Se non vi sono ancora dei concili - bisognerà attendere la fine del II secolo per vedere convocati i primi concili locali e il IV per la riunione del primo concilio ecumenico di Nicea -, esiste comunque già una coscienza viva che la fede cristiana comporta una normatività, o una regola, o, ancora, degli articoli di fede. L'idea che la fede cristiana debba rimanere fedele a se stessa, conservare la sua autenticità e non ammettere la mescolanza con dottrine estranee, è già presente nel Nuovo Testamento. Essa si esprime nella polemica intrapresa da Paolo contro i Gala ti giudaizzanti, quando proclama l' anatèma verso chiunque annunci un vangelo diverso da quello da lui stesso proclamato (Gal 1, 8-9). La si ritrova nella decisione collegiale degli Atti degli Apostoli concernente il rifiuto di imporre ai cristiani venuti dal paganesimo le osservanze giudaiche (At 15). L'interpretazione retrospettiva che vede in questa riunione il «concilio di Gerusalemme» esprime una verità profonda. La prima decisione (il termine dogma è impiegato in At 16, 4) che, sotto la forma di una prescrizione disciplinare, ricopriva una affermazione dottrinale di importanza capitale per l'avvenire del cristianesimo, era stata presa da una assemblea collegiale composta da «apostoli e anziani (o presbiteri)» (At 15, 6). Questa assemblea fornisce il modello simbolico delle future riunioni conciliari di vescovi, «successori degli apostoli». La preoccupazione dell' «ortodossia», nel senso etimologico del termine, vale a dire del mantenimento dell'autenticità della fede di fronte alle minaccianti deviazioni, si esprime largamente nelle epistole cosiddette pastorali del corpus paolino (1Tm6, 3-6; 2 Tm 4, 1-4; Tt 3, 10-11). Esistono in effetti degli «eterodidascali» (1 Tm l, 3; 6, 3), cioè dei maestri che insegnavano altre cose rispetto alla vera fede. Il suo autore conclude la Prima lettera a Timoteo con il consiglio di evitare «le chiacchiere profane Cfr. DzS 3011. Cfr. W. KASPER, Il dogma sotto la Parola di Dio, Queriniana, Brescia 1968. Le determinazioni che concernono il termine dogma nei tempi moderni saranno trattate nel volume IV di quest'opera. 54 55

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e le obiezioni della cosiddetta scienza» (1 Tm 6, 20). Il pericolo della gnosi appare dunque già da questo momento. Ugualmente, la Seconda epistola di Pietro parla di «pseudoprofeti» e di «pseudodidascali» (2 Pt 2, 1), in grado di introdurre nel popolo dottrine perniciose. Tendenze o gruppi che mettono in causa la dottrina della Chiesa, o che non si inscrivono nella comunione di vita delle sue comunità, vengono stigmatizzati: il termine hairesis, che oscilla tra il senso di «scuola», di «setta» o di «fazione», e prende un significato sempre più negativo, è già impiegato (1 Cor 11, 19; Gal 5, 20; 2 Pt 2, l; Tt 3, 10); così come, d'altro canto, lo è dai Giudei a proposito dei cristiani («la setta dei Nazorei», secondo At 24, 5.14). Si sa la fortuna che questo termine conoscerà in seguito. La stessa preoccupazione investe i primi documenti cristiani non canonici dei Padri apostolici. Se Clemente Romano è soprattutto teso a riportare la pace nel nuovo conflitto sollevato a Corinto da coloro che hanno destituito i «vescovi» o «presbiteri» della comunità, egli ricorda nondimeno agli abitanti della città il risvolto dottrinale della decisione che questi hanno preso dimettendo i loro ministri. Si è già citata sopra la testimonianza di Ignazio di Antiochia contro i giudaizzanti. Anch'egli insiste sull'unione della comunità attorno al vescovo, al presbiterio e ai diaconi. Egli esorta così i Tralliani: «Prendete solo l'alimento cristiano e astenetevi dall'erba estranea che è l'eresia», cioè «coloro che per farsi credere mescolano Gesù Cristo con se stessi». È non separandosi «da Dio Gesù Cristo, dal vescovo e dai precetti degli apostoli» 56 che i cristiani rimangono «puri» e trovano la verità dell'Evangelo. Sarebbe dunque erroneo pensare che la preoccupazione della normatività dell'Evangelo cristiano non si sia manifestata che a partire dalla letteratura apologetica della metà del II secolo. Essa appartiene già al primissimo discorso cristiano e si manifesta in occasione delle crisi che mettono in causa l'unità delle comunità. È vero che Giustino ha molto contribuito alla formalizzazione dell'idea di eresia, ma la formula un po' drastica di A. Le Boulluec: «Si deve attribuire a Giustino l'invenzione dell'eresia» 57 chiede di essere ben compresa. Essa è giusta a livello del termine, al quale Giustino fa subire una evoluzione semantica decisiva. La parola indicava ancora, nel mondo pagano, una attitudine, una corrente, una «scuola» o una «setta» filosofica, mentre, nel mondo giudaico, Giuseppe Flavio designa con lo stesso termine i quattro movimenti costituiti dai farisei, dai sadducei, dagli esseni e dai partigiani di Giuda il Galileo. Con Giustino invece il termine giunge a qualificare formalmente una eterodossia cristia56 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Tralliani, VII, 1, in I Padri Apostolici, cit., p. 117. 57 A. LE BouLLUEC, La notion d'hérésie dans la littérature grecque, IJe-IJJe siècles,

I: De Justin à Irénée,

Et. August., Paris 1985, p. 110. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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na. Questa elaborazione semantica però, legata alla confutazione delle «eresie» contemporanee, non è anzitutto un atto di esclusione, anche se la polemica dell'epoca si esprime in termini di una radicalità che non potrebbe più essere la nostra, ma la constatazione di una incompatibilità irriducibile tra due dottrine, la cui posta in gioco appare vitale nei confronti della fede ricevuta dagli apostoli. L'universo dottrinale della gnosi non può conciliarsi con il cristianesimo. Con Giustino i due concetti di ortodossia e di eresia si formalizzano l'uno in rapporto all'altro. Se l'espressione «la norma crea l'errore» 58 possiede una parte di verità, questa verità è dialettica e legata al suo reciproco: «l'errore crea la norma». Si può anche dire che la seconda formula ricopre una priorità cronologica: una serie di «deviazioni» nel campo della fede, che si sono manifestate dagli ultimi scritti del Nuovo Testamento e si sono in seguito estese, ha suscitato nella Chiesa un'altra serie di decisioni e di istituzioni, finalizzate al mantenimento dell'autenticità della fede stessa. Gli apologisti succeduti a Giustino sono i testimoni della stessa convinzione di incompatibilità «tra le dottrine della verità» e «gli insegnamenti dell'errore: mi riferisco alle eresie» 59 • Ireneo si farà il grande difensore della fede degli apostoli contro l'insieme delle dottrine gnostiche.

2. La forma della regola di fede: l' «ordine della tradizione» Indicazioni bibliografiche: D. VAN DEN EYNDE, Les Normes de l'Enseignement chrétien dans la littérature patristique des trois premiers siècles, Duculot, Gembloux e Gabalda, Paris 1933 (opera un po' datata ma che rimane utile); H. HOLSTEIN, La Tradition dans l'Église, Grasset, Paris 1960; Y. CONGAR, La Tradizione e le tradizioni, 2 voli., Paoline, Roma 1964-1965; R.P.C. HANSON, Tradition in the Early Church, SCM Press, London 1962; O. CuLLMANN, La Tradition. Problème exégétique, histori9ue et theologique, Delachaux-Niestlé, N,euchatel-Paris 1969'; W. RORDORF - A. ScHNEIDER, L'Evolution du concept de tradition dans l'Eglise ancienne, Peter Lang, Berne 1982.

Come si esprime a quest'epoca la referenza all'Evangelo e a una regola di fede? Una parola la riassume, quella di «tradizione», che ha valore di matrice: «All'inizio era la tradizione», scrive Y. Congar 60 • Il termine deve essere inteso contemporaneamente come ciò che è stato trasmesso - l'Evangelo - e come l'atto della trasmissione e deve essere compreso in maniera inglobante. Non si tratta di una o di diverse tradizioni, si tratta dell'unica tradizione della fede, tradizione ricevuta dalla predicazione Ibid., p. 35. TEOFILO DI ANTIOCHIA, Ad Autolico, II, 14, in Gli Apologeti Greci, cit., p. 398. Y. CoNGAR, La Tradizione e le tradizioni, 2 voli., Paoline, Roma 1964-1965, pp. 27-28. Y. Congar è il grande specialista contemporaneo della Tradizione. 58

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apostolica e custodita da un popolo e dai suoi ministri. È la tradizione viva, fatta alla Chiesa, dell'Evangelo; è la tradizione vissuta nella testimonianza della fede delle comunità. Dalle sue origini la Chiesa vive sotto il regime della tradizione. La tradizione nel Nuovo Testamento L'idea di tradizione è già salda nel Nuovo Testamento: Paolo ne ha ricevuto il principio e il vocabolario dalla sua formazione giudaica. «E innanzitutto, con gli atti di trasmettere (paradounai) e di ricevere (paralambanein), oppure tenere e osservare (katechein, kratein), Paolo costituisce la trama stessa o la legge del regime della fede mediante la quale si edificano le comunità» 61 • Con il termine di tradizione egli intende in un unico movimento il messaggio della fede (1 Cor 15, lr5), le regole concernenti la vita interna delle comunità (1 Cor 11, 2; 2 Ts 2, 15; 3, 6) e l'ideale del comportamento cristiano. Tutto questo non costituisce che un'unica cosa. L'origine di questa tradizione è il Signore stesso (1 Cor 11, 23). In Luca e in Giovanni l'idea della tradizione si esprime attraverso il vocabolario della «testimonianza» (Le 24, 48-49; At 1, 8.22; Gv 15, 17; 19, 35; ecc.). L'origine ultima di questa trasmissione è Dio stesso che ha inviato suo Figlio, e l'ha «dato (paredoken) per tutti noi» (Rm 8, 32), cioè, in altri termini, lo ha «trasmesso». Il verbo greco paradidonai esprime in effetti, contemporaneamente, l'idea di trasmettere e di consegnare, o anche di tradire, come nel caso di Giuda. Il Figlio è così la «tradizione del Padre», che si è a sua volta «consegnato» (Gal 2, 20; E/5, 2). All'origine della tradizione cristiana vi è dunque l'atto fondatore per il quale Dio ha consegnato suo Figlio per noi e per il quale il suo inviato si è lui pure consegnato, al fine di donarsi agli uomini. La tradizione ecclesiale non sarà dunque mai un semplice ricambio: essa comporterà sempre il dono personale di colui che trasmette, consegnandosi nella testimonianza della sua stessa vita. La tradizione nei Padri apostolici Clemente Romano è del tutto cosciente dell'origine di questo movimento di invio e di trasmissione: Gli apostoli predicarono il vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente dalla volontà di Dio 62 . 61 Ibid., p. 28. 62 CLEMENTE ROMANO,

Ai Corinti, XLII, 1-2, in I Padri Apostolici, cit., pp. 76-77. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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La stessa idea si ritrova in Ignazio di Antiochia: Chiunque il padrone di casa abbia mandato per l'amministrazione della casa, bisogna che lo riceviamo come colui che l'ha mandato 63 .

o ancora: Come il Signore nulla fece senza il Padre col quale è uno, né da solo né con gli apostoli, così voi nulla fate senza il vescovo e i presbiteri 64 .

Rimane tuttavia vero che il termine tradizione resta raro nei Padri apostolici. Clemente raccomanda ai Corinzi di conformarsi alla «norma gloriosa della nostra tradizione» 65 • L'idea di norma o di regola è dunque già associata a quella di tradizione. Questa è per lui un lungo movimento che ha la sua origine nelle testimonianze dei patriarchi dell'Antico Testamento e rimonta addirittura alle origini dell'umanità. Questo impiego singolare non deve far dimenticare il titolo della Didaché, o Dottrina dei dodici apostoli, anche se questo non è primitivo - testo già incontrato e che data della fine del I secolo o dell'inizio del secondo-, che pone sotto il patrocinio della loro autorità un insieme catechetico, liturgico e disciplinare che rappresenta la tradizione ecclesiale venuta dagli apostoli. Più tardi, all'inizio del III secolo, La Tradizione apostolica, attribuita a Ippolito di Roma, farà lo stesso per questo libretto liturgico che costituisce il primo rituale cristiano. Verso la metà o la fine del II secolo, l'autore della lettera A Diogneto dice di se stesso: «Trasmetto in maniera degna le cose tramandate a quelli che si sono fatti discepoli della verità» e così «si conserva la fede dei vangeli, si conserva la tradizione degli apostoli» 66 • I Padri apostolici si sentono legati dalla tradizione che viene dagli apostoli perché essi non sono più dei testimoni. Si vede sorgere qui una nuova articolazione con la distinzione tra tradizione apostolica e tradizione post-apostolica. Dall'una all'altra vi è continuità concreta e successione. Esiste anche, tuttavia, una discontinuità radicale: la seconda fase della tradizione non ha più la stessa autorità di quella del tempo fondatore. La tradizione post-apostolica è sottomessa (normata) alla tradizione sovrana degli apostoli (normans). È a questa condizione che essa permane in maniera costante nella vita della Chiesa. La sottomissione si oggettiva in diversi modi, come si vedrà. 63 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Agli E/esini, VI, 1, in I Padri Apostolici, cit, 64 In., Ai Magnesii, VII, 1, in I Padri Apostolici, cit., p. 111. 65 CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti, VII, 2, in I Padri Apostolici, cit., p. 66 A Diogneto, XI, 1 e 6, in I Padri Apostolici, cit., p. 362.

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p. 102. 53.

La dottrina della tradizione in Ireneo Bisogna attendere Ireneo per trovare una dottrina riflessa sulla tradizione. In un celebre testo del Contro le eresie, egli risponde alla domanda: «Si può trovare con certèzza la verità dell'Evangelo?» articolando, nel modo indicato sopra, i due tempi della tradizione. Ireneo sottolinea anzitutto l'origine della predicazione dell'Evangelo nel mandato del Signore agli apostoli e l'anteriorità della predicazione orale sulla messa per iscritto dell'insegnamento: Il Signore di tutte le cose dette ai suoi Apostoli il potere di annunciare il Vangelo e attraverso loro noi abbiamo conosciuto la Verità, cioè l'insegnamento del Verbo di Dio. [. .. ]Quel Vangelo essi allora lo predicarono, poi per la volontà di Dio ce lo trasmisero in alcune Scritture perché fosse fondamento e colonna della nostra fede 67 .

Nell'attività di trasmissione degli apostoli vi sono dunque due momenti: l'uno orale e l'altro scritto. Anche le nuove Scritture, in particolare i quattro vangeli di cui Ireneo per primo ci ha lasciato il numero e gli autori, sono un atto di trasmissione. Tuttavia la «tradizione degli apostoli» resta l'inglobante vivo delle Scritture. Essa è attestata in tutte le Chiese ed è alla sua luce che bisogna leggere le Scritture stesse. Il secondo tempo della tradizione si opera, da una parte, grazie alla successione apostolica dei vescovi, che risale a coloro ai quali gli apostoli hanno affidato le Chiese, e, dall'altra, nella conservazione delle Scritture e nella confessione di fede. Sono precisamente queste le oggettivazioni della tradizione originale sulle quali dovremo tornare. Per Ireneo, questa tradizione globale, che egli chiama «tradizione apostolica» (III, 3, 3), perché proveniente dagli apostoli, o «antica tradizione degli apostoli» (III, 4, 2), è praticamente identica alla «regola della verità», espressione che egli predilige (I, 22, 1; II, 27, 1; III, 2, 1; 11, 1; 15, 1; IV, 35, 4), o alla «predicazione della verità» (III, 3, 3), che si esprime in particolare nella confessione di fede. Si tratta, in termini simili, della «tradizione della verità» o, ancora, dell'«ordine della tradizione» (III, 4, 1). Questa costituirebbe la sola referenza «anche se gli apostoli non ci avessero lasciato le Scritture» (III, 4, 1). Perché questo ordine della tradizione «scritta senza carta e inchiostro nei loro cuori mediante lo Spirito» (III, 4, 2), fa vivere della verità della fede i barbari che ricevono la salvezza. In un altro contesto, Ireneo conclude così una formula di fede: È questa, caro, la predicazione della verità, ed è questo il modo della nostra redenzione, e questa è la via della vita, che i profeti hanno annunziato e che ha 67 IRENEO DI LIONE,

Contro le eresie, III, Pr. e 1,1, cit., p. 216. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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confermato il Cristo e gli apostoli hanno tramandato, e che la Chiesa in tutto questo mondo somministra ai figli suoi. La quale ci conviene custodire con ogni fedeltà, con volontà sana e riuscendo graditi a Dio con opere buone e con sana volontà di costumi 68 •

Questa dottrina si è senza dubbio formalizzata per antitesi alla concezione della tradizione esoterica, professata dagli gnostici, alla quale Ireneo oppone una tradizione ufficiale e istituita. Essa tradisce una convinzione molto forte, per mostrare che traduce un insegnamento ricevuto. Una dottrina della tradizione non si inventa; si riceve, sotto pena di una contraddizione formale. Questa dottrina, d'altronde, diventerà subito autorevole e i successori di Ireneo la ripresenteranno a loro volta 69 • Una ancor più precisa delucidazione condurrà a distinguere ciò che nella tradizione appartiene alla regola di fede universale o invece proviene da certe usanze cultuali e liturgiche che non hanno la medesima autorità. Qual è il contenuto di questo «ordine della tradizione» considerato come regola della fede? Esso riposa sul triangolo di tre dati fondamentali e tra loro solidali: la successione apostolica, il canone delle Scritture e il Simbolo di fede. Questi tre dati si presuppongono e si sostengono mutualmente nell'organismo vivente della tradizione: l'uno senza l'altro non avrebbe senza dubbio potuto sopravvivere. Essi costituiscono come la matrice dello sviluppo futuro del dogma e della differenziazione progressiva di un annuncio globale del mistero cristiano in articoli distinti di fede e quindi in molteplici dogmi. Dobbiamo dunque affrontarli uno per uno. Il terzo, il Simbolo di fede, è sufficientemente importante per meritare di costituire da solo il capitolo successivo.

3. Il mantenimento della regola di fede: la successione apostolica La missione ricevuta dal Padre per il Cristo e nello Spirito è dunque all'origine della tradizione. Questa si esprime in particolare nella successione apostolica dei vescovi, il cui fine è precisamente quello di permettere alla Chiesa di restare fedele a una tradizione autentica. Questa istanza di regolazione della fede appare prestissimo nella letteratura cristiana. Il vocabolario della successione apostolica è assente dal Nuovo Testa68

Io., Esposizione della predicazione apostolica, 98, in Contro le eresie e gli altri scritti, cit., pp. 527

e 528. 69 Vale a dire Ippolito, Tertulliano, Clemente Alessandrino e Origene. Cfr. i testi citati da Y. CONGAR, La Tradizione e le tradizioni, cit., p. 54.

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mento, ma la preoccupazione dell'avvenire delle Chiese e dei loro ministri è ben presente, in particolare nelle epistole pastorali del corpus paolino e negli Atti degli apostoli. Questi documenti attestano la cura del mantenimento dell'identità cristiana nell'avvenire delle Chiese. Questa comprende la «fedeltà al deposito» della tradizione apostolica, la conservazione della «sana dottrina» nelle Chiese (cfr. 1 Tm 6, 20; 2 Tm 4, 3) e, a questo fine, l'istituzione dei «presbiteri» in queste Chiese (1 Tm 5, 17. 22; Tt l, 5; At 14, 23; 20, 17). Essa porta con sé l'emergenza del gesto rituale di imposizione delle mani per la loro investitura (1 Tm 4, 14; 5, 22; 2 Tm l, 6; At 14, 23). L'imposizione delle mani simbolizza insieme la continuità e l'autenticità del ministero che ha origine nell'evento fondatore di Gesù (referenza cristologica) e la trascendenza propria del dono di Dio nell'oggi della Chiesa (referenza pneumatologica). Il vocabolario della successione appare già in Clemente Romano, nella rilettura sintetica e teologica che egli fa dell'attività degli apostoli allorché fondarono le Chiese: Predicavano per le campagne e le città e costituivano le loro primizie, provandole nello spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. [... ] Per questo motivo, prevedendo esattamente lavvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero (diadexontai) nel ministero altri uomini provati. Quelli che furono da essi (Apostoli) stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo, [ .. .] riteniamo che non siano allontanati dal ministero 70 .

Questi testi distinguono bene due momenti nella successione: anzitutto l'atto con il quale gli apostoli stessi stabiliscono dei ministri, scegliendoli fra le «primizie» dei credenti, come faceva Paolo stesso (cfr. Rm 16, 5; 1Cor16, 15). Clemente li chiama qui vescovi 71 e diaconi (cfr. Fil l, 1), ma questo vocabolario non è ancora fissato: i vescovi sono altrettanto dei presbiteri 72 • Più avanti egli pone la regola della successione futura. Si sottolineerà che questa tiene conto dell' «approvazione di tutta la Chiesa», ma il popolo non è tuttavia libero di dimettere coloro che sono stati regolarmente investiti. Esso li riceve come inviati di Dio, secondo il movimento della tradizione. In Ignazio di Antiochia, l'apostolicità della trilogia gerarchizzata dei ministri, vescovi, presbiteri (più esatta~ente presbiterio) e diaconi, della 70 CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti, XLII, 4 e XLIV, 2-3. in I Padri Apostolici, cit., pp. 77-78. 71 L'impiego dei termini etimologici vescovi e presbiteri ha qui per fine il rispetto della genesi

di questi ministeri, che rimangono ben differenti dalle figure di quelli che sono i vescovi e sacerdoti del nostro tempo. 72 CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti; cfr. Introduzione, all'ed. fr. a cura di A. Jaubert (SC 167) 1971, p. 83. I - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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quale è il primo testimone, si esprime non attraverso l'idea formale della loro successione, ma attraverso quella della loro conformità ai «precetti del Signore e degli apostoli» 73 • Secondo una identificazione di natura mistica, il vescovo, circondato dal suo presbiterio, rappresenta simbolicamente il Cristo circondato dai suoi apostoli. È per questo che Chiunque il padrone di casa abbia mandato per l'amministrazione della casa, bisogna che lo riceviamo come colui che l'ha mandato. Occorre dunque onorare il vescovo come il Signore stesso 74 •

Nella seconda metà del II secolo, Egesippo (113-175), giudeo convertito al cristianesimo, è preoccupatissimo dell'ortodossia nelle Chiese. Al fine di verificarla, egli fa un viaggio nel Mediterraneo e le visita. Il criterio dell'ortodossia consiste per lui nella possibilità di stabilire una lista di successione dei vescovi risalente fino agli apostoli: La Chiesa dei Corinzi rimase nell'ortodossia fino a che Primo divenne vescovo di Corinto. Allorché navigai verso Roma, ho vissuto con i Corinzi e ho passato con loro un certo numero di giorni, durante i quali ci siamo riconfortati della loro ortodossia. Giunto a Roma, ricostruii una successione fino ad Aniceto, del quale era diacono Eleuterio. Sotero è succeduto ad Aniceto e, dopo di lui, vi fu Eleuterio. In ogni successione e in ogni città, ne è come predicano la legge, i profeti e il Signore 75 .

Questo testo stabilisce fermamente un legame tra l'ortodossia e la successione. La seconda è presentata come la garante della prima. La successione apostolica ha dunque come funzione primaria quella di mantenere le Chiese nella verità, fedelmente custodita, della fede apostolica. La stessa dottrina si dilata con Ireneo e assumerà da allora autorità. Il vescovo di Lione prende chiaramente in considerazione i due poli della successione, l'uno costituito per ogni Chiesa che meriti il nome di apostolica, l'altro risiedente nella successione apostolica dei vescovi. Un testo di questo autore è particolarmente celebre: Dunque la tradizione degli apostoli, manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono vedere la Verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. [... ] Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. [...] Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare la successioni di tutte 73 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Magnesii, XIII, 1, in I Padri Apostolici, 74 ID., Agli E/esini, VI, 1, in I Padri Apostolici, cit., p. 102. 75 EUSEBIO DI CESAREA, Storia Ecclesiastica, IV, 22, 2, cit., p. 250.

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cit., p. 113.

le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi confondiamo tutti coloro che [. .. ] si riuniscono oltre quello che è giusto 76 .

È così che Ireneo risponde alla questione del luogo in cui si può trovare con ogni sicurezza la verità dell'Evangelo. Questo luogo sono le Chiese apostoliche, caratterizzate dal segno e dalla garanzia della successione apostolica dei loro vescovi o presbiteri 77 • Si tratta di una successione ufficiale, istituzionale e verificabile, a differenza della tradizione esoterica degli gnostici. Questa successione è stata attribuita alle preoccupazioni che avevano gli apostoli di affidare le Chiese a uomini che, quanto a insegnamento, fossero al di sopra di ogni sospetto. È per comodità che Ireneo si accontenta di enumerare la successione dei vescovi di Roma dagli apostoli fino a Eleuterio, suo contemporaneo, e di evocare nello stesso spirito le successioni di Smirne e di Efeso. Questi vescovi sono i garanti dell' «ordine della tradizione» venuta dagli apostoli. In un altro contesto della sua opera, Ireneo sottolinea ugualmente le tre componenti della successione apostolica nel ministero: vi è anzitutto la regolare successione a partire dagli apostoli (IV, 26, 2. 4. 5), che è una successione nell'episcopato (IV, 26.2) o la «successione dei vescovi» (IV, 33, 8). Il secondo elemento è sul «carisma della verità» (IV, 26, 2) e la «parola corretta» (IV, 26, 4), o la «incorruttibile purezza della parola» (IV, 26, 5), che si esprime attraverso la spiegazione delle Scritture «in tutta sicurezza» (IV, 26, 5) e la loro «immutabile conservazione .. ., implicante tre cose: un resoconto integrale, senza aggiunta né sottrazione, una lettura esente da inganno e, in accordo con le Scritture, una interpretazione legittima, appropriata, esente da pericolo e da bestemmia» (IV, 33, 8). La terza componente infine è la «condotta irreprensibile» (IV, 26, 4), «l'inattaccabile integrità della condotta» (IV, 26, 5) e il «dono sovraeminente dell'amore» (IV, 33, 8). Il vescovo deve essere un esempio evangelico per il suo gregge (cfr. 1 Pt 5, 3): Questo insieme di formule, di cui Ireneo ha il segreto, sottolinea la solidarietà dei tre elementi della successione apostolica, finalizzati con evidenza al mantenimento dell' «insegnamento degli apostoli», che Ireneo formalizza anche con delle brevi formule di fede. Ireneo non dimentica 76 IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, III, 3, 1-2, cit., p. 218. 77 In Ireneo la distinzione di vocabolario tra vescovo e presbitero non c'è ancora, mentre tale distinzione di ministeri esiste nella realtà di talune Chiese. I - PRJMI DISCORSI CRJSTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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nemmeno di articolare l'apostolicità di tutta la Chiesa con quella del ministero, menzionando insieme: - la dottrina degli apostoli; - l'organismo originale della Chiesa diffusa in tutto il mondo; - il contrassegno distintivo del corpo di Cristo, costituito dalla successione dei vescovi ai quali gli apostoli rimisero ogni Chiesa locale 78 •

Tertulliano è, in questo campo, il diretto erede di Ireneo: egli è preoccupato contemporaneamente dell'apostolicità delle Chiese del suo tempo e della successione dei vescovi. Il primo punto pone un nuovo problema, perché non tutte le Chiese possono vantarsi di essere state fondate direttamente da un apostolo. Vi è dunque da contemplare un altro caso: E [... ] fondarono delle Chiese in ciascuna città: da esse tutte le altre Chiese derivano successivamente il pollone della fede (traducem /idei) e i semi della dottrina, e le derivano tuttora, per poter essere Chiese. E per questo motivo anch'esse saranno considerate apostoliche, in quanto prole delle Chiese apostoliche 79 .

L'immagine è esattamente quella del margottare, alla stesso modo con cui le fragole si riproducono, emettendo un gambo che porta un nuovo germoglio e prende radice un po' più lontano. Quanto alla successione apostolica dei vescovi, Tertulliano riprende l'argomento di Ireneo - aggiungendovi il suo talento oratorio - allorché si indirizza agli eretici: manifestino, dunque, l'origine delle loro Chiese, percorrano la successione dei loro vescovi, che sia tale che, svolgendosi dall'inizio per gradi successivi, il primo loro vescovo abbia avuto come garante e predecessore un apostolo o uno di coloro che furono con gli apostoli e che abbia continuato, comunque, a restare insieme con gli apostoli 80 •

La successione apostolica non può però mantenere la regola di fede nelle Chiese, se queste non rimangono in stretta comunione le une con le altre. Nessun vescovo può insegnare in modo isolato. Analogamente anche i problemi posti dalla vita delle comunità, siano questi dottrinali o disciplinari, superano le circoscrizioni delle diocesi e richiedono un responso comune. La successione episcopale «è il fondamento dell'unità della Chiesa particolare, essa è al servizio tanto della comunione quanto dell'unità di tutte le Chiese» 81 • Questa necessità suscita il primo sviluppo IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, IV, 33, 8, cit., p. 377. 79 TERTULLIANO, Sulla prescrizione contro gli eretici, 20, 5-6, in Opere scelte di Tertulliano, a cura di C. Moreschini, UTET, Torino 1974, p. 140. 80 Ibid., 32, 1, p. 154. 81 GROUPE DES DoMBES, Le ministère de communion dans l'Église universelle, Centurion, Paris 1986, n. 18. 78

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dei sinodi o concili locali e regionali, che riuniscono ministri e fedeli e che diventano presto regolari. «L'autorità di questi sinodi si impone a ogni vescovo particolare» 82 • In questa concertazione, la Chiesa di Roma, riconosciuta da Ignazio di Antiochia come quella che «presiede alla carità» e che insegna «alle altre» 83 , quella che, secondo Ireneo, è fondata sui due apostoli Pietro e Paolo, dei quali conserva le tombe, e che è investita a questo titolo di una «origine più eccellente» 84 , è chiamata a svolgere un ruolo di «primato». Dalla fine del II secolo il suo vescovo diviene un collaboratore della vita sinodale delle Chiese, convocando lui stesso molteplici sinodi regionali. La sua Chiesa diviene l'istanza di appello in caso di problemi che non possono essere risolti a livello locale o regionale. La sua autorità, con il passare del tempo, non cesserà di affermarsi.

4. La norma della regola di fede: il canone delle Scritture Indicazioni bibliografiche: R.M. GRANT, Formazione del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1973; E. KASEMANN, Das Neue Testament als Kanon, Vandenhoeck und Ruprecht, Gottingen 1970; H. VON CAMPENHAUSEN, La/ormation de la Bible chrétienne, Delchaux et Niestlé, Neuchàtel 1971; ].A. SANDERS, Identité de la Bible. Torah et Canon, Cerf, Paris 1975; B.M. METZGER, The Canon o/ the New Testament. Its Origin, Developments and Signi/icance, Oxford 1987; CENTRE SÉVRES, Le Canon des Écritures. Études historiques, exégétiques et systématiques, a cura di Ch. Theobald, Cerf, Paris 1990, pp. 77-187.

Il termine di canone (kanon in greco) significa regola: canone delle Scritture vuol dunque dire «regola delle Scritture». Questa regola, che prende qui la forma della determinazione e della chiusura di un catalogo di libri, è un dato fondamentale della regola di fede. Essa è un elemento del suo contenuto nello stesso momento in cui ne costituisce la norma ultima. La formazione del canone delle Scritture è contemporanea all'emergere dell'autorità dei vescovi nella Chiesa. Si può dire che questi due fatti mantengono tra loro un rapporto dialettico: nel momento in cui si formalizza un principio di autorità, ugualmente si dà un principio di sottomissione e di obbedienza. I due principi sono compresi come una eredità apostolica e sono legati al fatto della distanza che si crea sempre di più tra l'evento fondatore e l'oggi delle Chiese. Da un lato si pone il principio della successione, e dall'altro si raccolgono e si autenticano tutte le Scrit82

Ibid., n. 19.

83 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Romani, Saluto e III, 1, in I Padri Apostolici, cit., pp. 121-122. 84 IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, III, 3, 2, cit., p. 218.

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ture («senza aggiunta né sottrazione», come dice Ireneo), vale a dire le Scritture antiche, ma anche le testimonianze apostoliche concernenti l'evento di Gesù e la predicazione dei primi testimoni. Si ritiene necessario «chiuderle» in un corpus definitivo, al fine di mantenere le Chiese nella fedeltà all'insegnamento degli apostoli. La formazione del canone delle Scritture è un avvenimento insieme storico e dogmatico. Essa deve dunque essere studiata secondo questi due aspetti.

La formazione del canone cristiano delle Scritture La grande difficoltà posta dalla storia è che non si può raggiungere una decisione iniziale della Chiesa che stabilisca formalmente il canone delle Scritture. Si tratta di un atto diffuso nello spazio e nel tempo. Non si è avuto un concilio, ma una coscienza e una preoccupazione che si originano negli ultimi libri del Nuovo Testamento e quindi un consensus che si è stabilito progressivamente. L'atto di recezione del canone ha preceduto di molto ogni decisione magisteriale. Non si può che ricostruire a cose fatte ciò che potevano essere l'Antico e il Nuovo Testamento per tale o tal altro autore. Si percepisce allora che l'idea di canone si presenta sempre come un «già là». Il caso dei due corpus si presenta poi in termini differenti.

La genesi del canone dell'Antico Testamento Non è la Chiesa cristiana che ha inventato l'idea di un canone delle Scritture, ma la riceve come un retaggio giudaico. C'era in effetti un precedente nella progressiva fissazione da parte dei Giudei di un «canone» delle loro Scritture, vale a dire di ciò che diventerà l'Antico Testamento dei cristiani. Il popolo di Israele aveva infatti preso l'abitudine di trasmettere per iscritto il racconto dei grandi avvenimenti che avevano segnato la sua alleanza con Dio. In questi scritti era conservata l'attestazione della rivelazione e della «storia» di Dio con il popolo che si era scelto. Si trattava dunque di un atto di tradizione, che conservava e trasmetteva di generazione in generazione la parola di Dio con la sua autorità normativa. Questi scritti furono in seguito l'oggetto di una «meditazione religiosa» che si compiva in un tempo evidentemente posteriore rispetto agli avvenimenti fondatori. Questa cominciò a partire dal ritorno dall'esilio con l'opera di Esdra e Neemia e comportò in seguito varie tappe 85 ; giungendo 85 Cfr. J. TRUBLET, Constitution et dature du canon hebraique, (a cui mi ispiro in questa sezione) in CENTRE SÉVRES, Études historique, exégétiques et systématiques, a cura di Ch. Teobald, Cerf, Paris 1990, pp. 77-187.

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alla ripartizione dell'Antico Testamento in tre gruppi principali di scritti, comportanti tra loro una certa gerarchia, che non corrisponde tuttavia alle tappe della formazione del canone. Certi libri del secondo o del terzo gruppo possono in effetti essere antichissimi. Al cuore del corpus stanno i libri della Legge (Torah) di Mosè, il grande legislatore e il primo partner dell'Alleanza (che porta il suo nome), colui che aveva trasmesso le parole ricevute da Dio (Genesi; Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio). La seconda raccolta è quella dei Profeti, il cui ministero è relativo al compimento della Legge: essa comprende i «profeti anteriori», che noi chiamiamo oggi i libri storici (Giosuè, Giudici; 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re) e i «profeti posteriori», i grandi (Isaia, Geremia, Ezechiele) e i Dodici «minori». La terza raccolta, solidale con la cessazione della profezia in Israele, è l'opera degli scribi, che collazionano i Salmi e i libri sapienziali, vale a dire i libri ispirati dalla «Sapienza» divina. Quest'ultimo gruppo di libri resterà a lungo fluido e aperto. Alle soglie del1' era cristiana, la Scrittura si presenta dunque come una triplice raccolta; la terza, avendo meno unità e autorità e comportando dei limiti un po' sfumati, era designata con il nome di altri «Scritti» (o «agiografi»). Questa situazione del canone delle Scritture giudaiche lasciava dunque in sospeso la questione della sua chiusura. Di per sé questo processo diacronico avrebbe potuto prolungarsi senza fine. Il problema della chiusura si pone a partire dalla presa di coscienza di un arresto della trasmissione e del passaggio a una nuova epoca, che non comporta più la medesima normatività. Il discernimento però delle frange di un canone riconosciuto ormai come chiuso, dà adito a delle divergenze. Nel giudaismo antico (prima e dopo Gesù Cristo) si constata una differenza di valutazione tra il giudaismo palestinese e il giudaismo alessandrino. Il giudaismo palestinese riconosce 24 libri, o 22+2, cifre che simbolizzano una totalità, forse a partire dal numero delle lettere dell'alfabeto ebraico. (Si ottiene 22 anche associando Giudici e Rut, Geremia e le Lamentazioni). Vi sono 5 libri di Mosè, cioè il «Pentateuco» già menzionato; 13 di Profeti dopo Mosè (i 12 profeti minori non fanno che un solo libro); 4 altri, contenenti degli inni a Dio e delle istruzioni per la condotta umana. Tale è la lista attestata in un testo di Giuseppe Flavio 86 • È difficile però sapere con precisione tutti i libri che questi metteva nel secondo gruppo (verosimilmente, oltre i libri già citati: Rut, 1 e 2 Cronache, EsdraNeemia, Ester, Giobbe, Lamentazioni, Daniele) e nell'insieme degli Scritti (senza dubbio Salmi; Cantico dei Cantici; Proverbi, Qoelet) 87 • Fino a poco 86 GIUSEPPE FLAVIO, Contro Apione, I, 8, testo commentato da P. Vallin in des Écritures ... , cit., pp. 229-231. s7 Cfr. la lista delle ipotesi in]. TRUBLET, Constitution ... , cit., p. 122.

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tempo fa la ricerca ha attribuito eccessiva importanza al ruolo giocato dalla riunione, impropriamente chiamata «sinodo» giudaico, di Jamnia, detta anche Jabne (tra il 75 e il 117), per la determinazione del canone. Quella infatti si accontentò di regolare un litigio sull'uso del Cantico dei Cantici e sulla canonicità del libro di Qoelet. Il proprio di questa lista è quella di non accogliere che i libri scritti in ebraico. Questi sono i libri chiamati oggi «proto-canonici». Essi sono recepiti da tutti i Giudei e da tutti i cristiani. Nel XVI secolo i Riformatori fecero riferimento a questo ristretto canone palestinese. Il giudaismo ellenistico era più aperto verso i libri recenti, qualcuno dei quali era stato composto direttamente in greco. Si tratta di ciò che il giudaismo palestinese chiamava «i libri esteriori» e che vengono chiamati oggi «deutero-canonici»: frammenti greci di Ester, Giuditta, Tobia, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide (o Ecclesiastico, libro che è passato dal primo al secondo gruppo), Baruch, i capitoli 13-14 di Daniele e qualche altro. Questa lista allargata ha per base la Settanta greca, cioè la traduzione fatta ad Alessandria a partire dal III secolo avanti Cristo. Una leggenda riportata dalla Lettera di Aristea, documento del II a. C., racconta che la «Legge» dei Giudei era stata tradotta dall'ebraico in greco da 72 saggi giudei di Gerusalemme, venuti, su richiesta del re Tolomeo, espressamente ad Alessandria per questo scopo, e che questi avevano compiuto il loro lavoro in 72 giorni 88 • Questa leggenda conobbe un grande successo, dapprima in Filone e poi negli autori cristiani, Giustino, Ireneo, Clemente di Alessandria, Tertulliano, Cirillo di Gerusalemme, Eusebio, Epifanio, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Ilario e Ambrogio, che l'amplificarono e fecero di questa traduzione un avvenimento propriamente miracoloso 89 • La Chiesa cristiana ricevette .molto spontaneamente il testo della Settanta, come è attestato dal fatto che gli scritti del Nuovo Testamento citano generalmente l'Antico secondo questa traduzione greca e riconoscono spontaneamente a questi scritti l'autorità di «Scritture», a testimonianza dell'ispirazione propria della Parola di Dio. La Settanta cristiana però fu un po' più ristretta della Settanta giudaica (essa escluse 3 Esdra, 3 e 4 Maccabei, i Salmi di Salomone ... ). Senza mai farne la teoria, gli autori del Nuovo Testamento supposero acquisita la recezione di questo canone delle Scritture. Nella Chiesa antica queste Scritture furono ricevute sotto il nome di «Antica Alleanza» o di «Antico Testamento», in opposizione al corpus propriamente cristiano delle Scritture apostoliche. Questa denominazione sottolinea tutta la distanza dei cristiani nel loro modo di considerare le 88 89

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Epistola di Aristeo a Filocrate, ed. fr. a cura di A. Pelletier (SC 89) 1962. Epistola di Aristeo a Filocrate, cfr. Introduzione, ali' ed. fr., cit., pp. 78-98. BERNARD SESBOÙÉ

Scritture in rapporto ai Giudei. Gli autori dei tre primi secoli citano indifferentemente i libri ebraici e i libri greci. La preoccupazione di offrire la lista dei libri dell'Antico Testamento si esprime raramente. Si ritrova una lista, fornita da Melitone di Sardi, vescovo nella seconda metà del II secolo, in un testo che ci è riportato da Eusebio. Melitone dice di essere andato in Oriente e di avervi appreso con esattezza «i libri dell'antica alleanza» - ed è la prima volta che si trova questa espressione per designare un gruppo di testi 90 • La lista che fornisce dei libri «ricevuti», è quella del canone palestinese, fatto questo che non sorprende se egli ha compiuto il viaggio a Gerusalemme. A partire da Origene, le controversie con i Giudei conducono un certo numero di scrittori orientali a ritornare al canone palestinese (Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Girolamo). Questa posizione però è molto più dell'ordine del principio che della pratica, perché questi autori continuano a citare i libri greci. In Occidente, se Ilario e Rufino subiscono l'influenza dei loro contemporanei greci, Ambrogio e Agostino non fanno distinzioni. Quest'ultimo, cosciente che vi sono delle differenze nella fissazione del canone e che non tutti i libri sono necessariamente accolti da tutte le Chiese, dà una lista completa del canone greco e conta in tutto 44 libri 91 •

La genesi del canone del Nuovo Testamento Le cose si presentano in questo caso molto differentemente. La Chiesa non dispone di alcuna referenza e deve inventare. È significativo il fatto che, per i Padri apostolici, il termine di Scrittura ricopra solamente i libri dell'Antico Testamento. «Il problema della genesi del Nuovo Testamento è, da allora, quello di cogliere come gli scritti cristiani siano venuti ad affiancarsi accanto alle antiche Scritture» 92 • L'idea di una «canonizzazione» degli scritti che testimoniano l' evento del Cristo si manifesta dalla fine del Nuovo Testamento. Una epistola pastorale (1 Tm 5, 18), appartenente al corpus paolino, designa insieme, con la qualifica di Scrittura, Dt 3, 16 e una parola di Gesù, attestata in Le 10, 7. Nella lettera pseudoepigrafa (cioè messa sotto il patrocinio di un autore che non è il suo), la 2 epistola di Pietro, l'autore parla come se fosse l'ultimo apostolo vivente ed esprime la preoccupazione della chiu90 Melitone di Sardi nella Storia Ecclesiastica (IV, 26, 12-14) di EUSEBIO DI CESAREA (cit., p. 258), citato da P. VALLIN, La Jormation de la Bible chrétienne, in CENTRE SÉVRES, Le Canon des Écritures .. ., cit., pp. 231-233. 9l AGOSTINO, La Dottrina cristiana, 2, 8, a cura di V. Tarulli, Nuova Biblioteca Agostiniana (= NBA VIII), Città Nuova, Roma i992, p. 75. 92 P. VALLIN, La Jormation de la Bible chrétienne, in CENTRE SÉVRES, Le Canon des Écritures .. ., cit., p. 214.

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sura della letteratura apostolica 93 • La sua lettera prende il valore di un «discorso di addio». La pseudoepigrafia ha dunque essa stessa un rapporto con il canone. L'autore mette in corrispondenza l'esperienza della rivelazione, di cui Pietro è stato fatto oggetto nel momento della trasfigurazione, con la parola dei profeti, per terminare così: Nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio (2 Pt 1, 20-21).

Così sono poste in corrispondenza l'apostolicità (del NT), la profezia (dell' AT) e l'ispirazione che è loro comune. Più avanti, l'autore menziona, a titolo di Scritture, il corpus paolino: Il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture (2 Pt 3, 15-16).

Così si vede che «il processo di canonizzazione del Nuovo Testamento è interno al Nuovo Testamento stesso» 94 , almeno in maniera incoativa. Esso si inaugura nel preciso momento in cui la Chiesa supera la soglia che la conduce all'epoca post-apostolica e prende coscienza in modo riflesso della necessità di riconoscere all'eredità degli scritti apostolici la loro autorità singolare. I primi Padri non possono dunque ancora appoggiarsi, per così dire, su un corpus costituito e riconosciuto come Scritture, allo stesso titolo dell'Antico Testamento. Nei loro scritti emergono nettamente due punti: da una parte la referenza agli scritti paolini 95 (il cui corpus ha potuto essere costituito molto presto), che erano letti e circolavano nelle Chiese; dall'altra la citazione di «parole del Signore», che fa direttamente appello alla tradizione viva 96 o all' «Evan~elo», la cui autorità è giudicata superiore a quella degli antichi scritti 97 • E l'autorità propria delle parole del Signore che conferirà tutta la loro importanza ai libretti presentati da Giustino come le «memorie» degli apostoli, «che si chiamano vangeli» 98 , e indicati 93 Cfr. ].N. ALETTI, La seconde épitre de Pierre et le canon du Nouveau Testament, in CrnTRE SÉVRES, Le Canon des Écritures .. ., cit., p. 241. 94 Ibid., p. 253. 9 5 CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti, V, 5 e XLVII, 1, in I Padri Apostolici, cit., pp. 52 e 80; IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Romani, IV, 3, in I Padri Apostolici, cit., p. 123; PoLICARPO, Ai Filippesi, III, 1-3, in I Padri Apostolici, cit., pp. 154-155. 96 CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti, XIII, 1-2 e XLVI, 7-8, in I Padri Apostolici, cit., pp. 57 e 80. 97 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Filadel/iesi, V, 1 e VIII, 2, in I Padri Apostolici, cit., pp. 129-130. 98 GIUSTINO, I Apologia, 66, 3, in Gli Apologeti Greci, cit., p. 147.

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in seguito da Ireneo come i quattro «vangeli». L'emergere di una ferma referenza ai testi in questi due ultimi autori non è di impedimento, d'altro canto, a un loro rapportarsi, altrettanto spontaneamente, alla tradizione vivente delle Parole (Logia) di Gesù 99 • Il futuro corpus del Nuovo Testamento poggia così su due pilastri, l'autorità del Signore (vangeli) e quella degli apostoli (epistole), che viene ad aggiungersi a quella dei «profeti» (ricapitolando in questo termine tutto l'Antico Testamento) 100 • Questa trilogia di testimonianze fonda le argomentazioni scritturistiche di Ireneo. Gli attacchi però di certi gnostici, in particolare di Marcione - che da parte sua rifiutava globalmente l'Antico Testamento-, mettevano in causa diversi scritti di questo Nuovo Testamento, mentre, d'altro canto, si moltiplicavano gli scritti detti «apocrifi». Questi avvenimenti resero urgente la difesa del principio di recezione della totalità delle Scritture senza «aggiunta né sottrazione», da parte di Ireneo e di Tertulliano. La prima lista che noi possediamo, il Canone detto di Muratori, dal nome dell'erudito che l'ha scoperto nel XVIII secolo, è più tardivo. La data di questo documento di origine romana resta ancora assai incerta (tra il 200 e il 3 00 secondo gli specialisti) 101 • Il testo, in passato, è stato attribuito a Ippolito. Esso comprende: i 4 vangeli; 13 epistole di Paolo (eccetto Ebrei); Giuda, 1 e 2 Giovanni, l'Apocalisse. Oltre all' epistola agli Ebrei, mancano Giacomo e 1 e 2 Pietro. Vi si trova però anche una Apocalisse di Pietro e Il Pastore di Erma. Si può constatare quindi una esitazione per certi libri. Tale esitazione si era ugualmente avuta a riguardo della Prima lettera di Clemente e della Didaché, segno della loro grande autorità nelle Chiese del II secolo. Se, per l'essenziale, alla fine del II secolo, il canone del Nuovo Testamento è una cosa acquisita quanto al principio e al contenuto, dei dubbi continueranno a sussistere, fino alla fine del IV secolo, per quella frangia di scritti controversi (Ebrei, alcune epistole cattoliche e l'Apocalisse). L'elenco stabilito da Eusebio di Cesarea 102 fa così menzione dei libri omologati, dei libri contestati e dei libri apocrifi. Alla fine del v secolo taluni concili africani forniscono la lista degli scritti del Nuovo Testamento, che si ritroverà nel decreto detto di Gelasio 103 • Bisognerà comunque attendere il Concilio di Firenze (1442) e il suo decreto per i giacobiti 104 per Cfr. Y.M. BLANCHARD, Aux sources du canon, le témoignage de saint Irénée, Cerf, Paris 1993. Sull'argomentazione scritturistica di Ireneo, cfr. B. SESBOÙÉ, La preuve par !es Écritures chez saint Irénée, NRT, 103 (1981), pp. 872-887. lDl Cfr. PH. HENNE, La datation du canon de Muratori, RB, 100 (1993), pp. 54-75. 102 EUSEBIO DI CESAREA, Storia Ecclesiastica, III, 25, cit., pp. 193-194. 103 DzS 179-180. 104 DzS 1334-1335. 99

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vedere un concilio ecumenico fornire l'elenco dei libri santi. È precisamente questo elenco che il Concilio di Trento riprende nel decreto Sacrosancta del 1546 105 • Il significato dogmatico del canone delle Scritture

«La storia del canone, ha scritto giustamente Harnack, è un capitolo della storia del dogma» 106 • Sul piano dottrinale, la determinazione ecclesiale del canone delle Scritture, in particolare di quello del Nuovo Testamento, ha una portata considerevole per il rapporto tra Scrittura e tradizione, come pure tra Scrittura e Chiesa. Abbiamo visto che non la Chiesa ha inventato l'idea di un canone, né di Scrittura ispirata. Essa è l'erede del canone giudaico nella forma della Bibbia greca della Settanta. È la Chiesa però dei testimoni apostolici che compone ciò che diventerà il Nuovo Testamento. È poi la Chiesa post-apostolica che, all'interno del processo descritto, tenuto conto delle sue esitazioni e della sua progressività, conferisce a questi nuovi scritti il carattere sacro di Scritture e costituisce, a partire da queste, un nuovo canone. Non sono dunque i libri della Scrittura che si autorizzano da se stessi come canone. La lista dei libri della Scrittura non è scritturistica. Questo si verifica per tutti e due i Testamenti, anche se la coscienza della genesi di un corpus appare già fondamentalmente in virtù della ripetuta rilettura dei documenti anteriori. Nei due casi, la tradizione vivente di un popolo ha prodotto, quindi raccolto e infine canonizzato, dei «libri (biblia)», vale a dire una «bibbia» o una «biblioteca». Per l'Antico Testamento, il processo è stato soprattutto «diacronico»: i libri venivano ad aggiungersi gli uni agli altri nel corso del tempo, fino a un punto di arresto. Per il Nuovo Testamento è stato piuttosto «sincronico»: tutti i libri sono supposti rendere testimonianza a un evento fondatore, alla cui epoca essi appartengono 107 • Questo dato di fatto non è contingente. A partire dalla comprensione giudeo-cristiana della rivelazione, non era possibile che fosse diversamente. Non può bastare che un libro, e ancor meno un insieme di libri, si autorizzino essi stessi come attestazione della Parola di Dio. Questa «Bibbia» infatti è stata prodotta in seno a un popolo che viveva di una esperienza di Dio. Essa è situata all'interno di una storia della salvezza. Ugualmente, essa sarà riconosciuta a sua volta da questo popolo in DzS 1502-1503. A. von Harnack, citato da M.]. LAGRANGE, Histoire ancienne du canon du Nouveau Testament, Gabalda, Paris 1933, p. 105. 107 Cfr. P. VALLIN, La /ormation de la Bible chrétienne, in CENTRE SÉVRES, Le Canon des Écritures .. ., cit., pp. 222-223. 105

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nome dei criteri che sorpassano necessariamente il contenuto particolare di ogni libro, poiché essi mirano alla coerenza dell'insieme e all'idea che il popolo si fa della sua storia santa. Tutto questo si collega a un dato antropologico: il libro in quanto libro non può bastare a se stesso. Esso suppone sempre una relazione viva tra colui che scrive e colui che legge. Un libro è sempre un atto di trasmissione o di tradizione. Esso prende senso e valore nella comunità culturale che lo produce e non riceve autorità se non all'interno di questo processo di comunicazione. Si legge sempre un libro perché, in un modo o nell'altro, qualcuno ce l'ha messo tra le mani. La Bibbia è un libro che la Chiesa mette tra le mani dei cristiani. La canonizzazione dei libri santi è dunque da parte della Chiesa un atto di ricezione e di obbedienza della fede. Nei concili futuri, le Scritture saranno l'oggetto di questa recezione, simbolizzata sovente liturgicamente. La recezione intende mantenere la Chiesa nella fedeltà all'iniziativa di Dio che l'ha suscitata. La Chiesa è dunque anzitutto un soggetto che «riceve» e obbedisce all'autorità delle Scritture, che sono per essa un «già là». Secondo una mediazione però che appartiene alla logica dell'incarnazione della Parola di Dio, l'atto di recezione della Chiesa si traduce necessariamente con un atto di autorità. È la Chiesa che «autorizza» il canone delle Scritture. È essa che decide ciò che le appartiene e ciò che non le appartiene, secondo la legge comune dei processi umani di comunicazione. Vi è dunque un paradosso, poiché un atto di obbedienza prende la forma di un atto d'autorità. Questo atto è anche un atto di predicazione, di comunicazione e di tradizione. Non si può avere Scrittura autorizzata che in una tradizione viva. Il canone si trova dunque al cuore della relazione tra Scrittura e Chiesa. C'è una solidarietà e una presupposizione reciproca: se la Chiesa fonda la Scrittura, a sua volta la Scrittura fonda la Chiesa. La decisione attinente il canone è il primo atto ecclesiale di interpretazione delle Scritture. A questo titolo è già un atto «dogmatico». Originale tanto nel suo oggetto quanto nella sua forma, è, nel suo principio, il primo di una serie. Questo vuol dire che tutti gli atti dogmatici, la cui lista sarà lunga, saranno tanto atti di obbedienza quanto, nello stesso tempo, atti d'autorità. Il canone è dunque la chiusura di un perimetro che traccia una precisa frontiera tra due tempi della Chiesa e del suo discorso. Questa chiusura però è anche una apertura a nuove parole vive nel corso della storia futura della Chiesa. Si può riconoscere, a cose fatte, che i criteri di riconoscimento dei libri del canone del Nuovo Testamento sono stati di tre ordini: il criterio apostolico, vale a dire l'appartenenza di un testo alla testimonianza originale dell'epoca apostolica e dei testimoni dell'evento fondatore; il criterio ecI - PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE

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clesiologico: si tratta di libri già ricevuti in qualche Chiesa, l'autorità della quale si è estesa alle altre; il criterio cristologico: la Chiesa ha riconosciuto i documenti che presentavano figure del Cristo giudicate conformi al kerygma apostolico. Il canone delle Scritture è una regola di fede. Ora, questa stessa fede ha, nello stesso momento, depositato il suo contenuto, sotto la forma di una unità semplice, nei Simboli di fede, che sono anch'essi delle «regole di fede» e dunque dei «canoni». Il canone ha valore simbolico, così come il Simbolo ha valore canonico. Tra il Simbolo e il canone vi è la relazione di una unità semplice con la totalità molteplice. Il Simbolo riassume la fede nel suo senso; il canone colleziona la totalità delle testimonianze autentiche di questa stessa fede. Simbolo e canone sono inseparabili. In questo senso il Simbolo è un canone nel canone, vale a dire la regola della lettura della regola, venuta dalla tradizione, che sono le Scritture. Si ritrova lo stesso paradosso nei due casi: degli atti della Chiesa post-apostolica hanno una pretesa di autorità apostolica. Sarà la stessa cosa per l'episcopato.

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Capitolo Secondo

Il contenuto della tradizione: regola di fede e Simboli (secoli n-v) Bernard Sesboué

Dogma e storia

L' «ordine della tradizione» ha preso corpo, abbiamo visto, attraverso tre espressioni solidali: la successione apostolica, il canone delle Scritture e i Simboli di fede. Le prime due hanno anzitutto il valore di una garanzia formale della fedeltà della Chiesa alla tradizione apostolica. La terza ne esplicita il contenuto. A questo titolo essa riveste una importanza particolare. In essa si concretizza in maniera privilegiata la «regola di fede» cristiana, la cui espressione creerà un genere letterario originale, cui sarà dato il nome di «Simbolo». Gli articoli di fede che questi testi della Chiesa sviluppano costituiscono il cuore stesso del dogma cristiano. I Simboli di fede attestano infatti che la fede cristiana, se è anzitutto e soprattutto un credere in, comprende comunque anche un credere che. I primi documenti dogmatici della tradizione ecclesiale sono in effetti i Simboli di fede. Nell' Enchiridion symbolorum del Denzinger 1, la celebre opera che presenta una scelta dei più importanti testi dogmatici della Chiesa, i primi documenti citati sono i Simboli di fede. Essi hanno autorità più grande dei testi conciliari, poiché è una tradizione dei concili il «riceverli», così come ricevono le Scritture. Il loro studio è dunque uno dei tratti fondamentali della storia dei dogmi. Come più tardi i dogmi, anche i Simboli hanno una storia. Il loro paradosso è di non appartenere più alla Scrittura, chiusa una volta per tutte con il venir meno della generazione apostolica, ma di pretendere tuttavia una autorità apostolica. La cosa si esprime particolarmente in Occidente, con il Simbolo detto appunto «degli apostoli». Una leggenda tardiva voleva in effetti che gli articoli del Simbolo occidentale fossero stati compo1

Cfr. DzS, Dehoniane, Bologna 1995. II - IL CONTENUTO DELLA TRADIZIONE: REGOLA DI FEDE E SIMBOLI (SECOLI II-V)

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sti a Pentecoste dai dodici apostoli riuniti. Questo paradosso ricopre una lenta genesi che ha la sua origine nelle formule di fede del Nuovo Testamento e termina, attraverso la ricca diversità dei Credo, con la costituzione di formule autenticamente ecclesiali, secondo due linee distinte, quella d'Oriente e quella d'Occidente. Questo capitolo vorrebbe descrivere la storia del dogma prima del dogma, della cosa prima del termine. Per far meglio cogliere la natura e le realtà poste in gioco in questo sviluppo, non è inutile sostare dapprima sulle funzioni del Simbolo di fede nella Chiesa. Testi e commentari antichi: F. HANN, Bibliothek der Symbole und Glaubersregeln der alten Kirche, Morgenstern, Breslau 1897; DENZINGER-SCHONMETZER, Enchiridion, a cura di P. Hiinermann, Dehoniane, Bologna 1995, nn. 1-76 (dossier ragionato delle principali confessioni suddivise secondo le regioni di origine); IPPOLITO DI ROMA, Traditio apostolica, ed. fr. a cura di B. Botte (SC 11 bis), Cerf, Paris 1978; CIRILLO DI GERUSALEMME, Le catechesi, a cura di C. Ricci (CTP 103), Città Nuova, Roma 1993; TEODORO DI MOPSUESTIA, Omelie catechetiche, a cura di Tonneau-Devreesse, Città del Vaticano 1949; RUFINO DI AQUILEIA, Spiegazione del Credo, a cura di M. Simonetti (CTP 11), Città Nuova, Roma 1978; AGOSTINO, Discorsi 212-216, Nella trasmissione del Simbolo, a cura di P. Bellini (NBA XXXII/I), Città Nuova, Roma 1984, pp. 194-263; NICETA DI REMESIANA, Catechesi preparatorie al Battesimo, a cura di C. Riggi (CTP 53), Città Nuova, Roma 1985. Indicazioni bibliografiche: P. NAUTIN, ]e crois à l'Esprit Saint dans la sainte Église pour la résurrection de la chair. Étude sur l'histoire et la théologie du Symbole, Cerf, Paris 1947; J. DE GHELLINCK, Patristique et Moyen Age. Étude d'histoire littéraire et doctrinale, I: Les Recherches sur !es origines du Symbole des Ap6tres, Duculot, Gembloux 1949'; Le Symbole des Ap6tres, in LV, 2 (1952);].N.D. KELLY, Early christian creeds, Longmans, Green and Co., London 1960'; V. NEUFELD, The earliest christian Con/essions, Brill, Leyden 1963; J.N.D. KELLY, The Athanasian Creed, Longmans, London 1964; O. CuLLMANN, La Fai et le culte de l'Église primitive, Delachaux & Niestlé, Neuchatel 1963; H. DE LUBAC, La fede nel Padre, in Cristo, nello Spirito Santo, saggi sulla struttura del Simbolo, Marietti, Torino 1970; A. DE HALLEUX, Le Symbole de lafoi, in Patrologie et oecumenisme, University Press-Peeters, Leuven 1990, pp. 1-110; R.P.C. HANSON, Confessions et symboles de/oi, DECA, I, pp. 531-537.

I.

LE FUNZIONI DEL SIMBOLO DI FEDE NELLA CHIESA

Queste funzioni, numerose e varie, possono essere ricondotte a due principali: la funzione confessante e la funzione dottrinale. 1. La funzione confessante

Affermare la funzione «confessante» delle formule chiamate «confessioni di fede» può apparire una tautologia; però ha l'interesse di attirare l'attenzione su ciò che implica la denominazione conferita a questo gene64

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re letterario. L'attenzione è posta qui sull'atto di confessare e sul soggetto che confessa, si tratti del credente individuale o della comunità. Ogni società prova il bisogno di possedere un documento breve, che riassuma la sua natura, il suo fine o il suo ideale, ed esprima l'accordo che unisce i membri che la compongono. Questo testo è una referenza di base necessaria all'identità del gruppo. Esso rende conto dell'unanimità o del consensus che permette a questa di esistere. Per poter svolgere questo ruolo e servire di referenza viva e spontanea, deve essere ben conosciuto da tutti, e dunque comprensibile per tutti. Bisogna inoltre che veicoli in modo eloquente la motivazione affettiva della comunità formata e sia capace di mobilitare l'ideale che l'anima. Questo tipo di parola costituisce generalmente per i suoi membri un impegno e una adesione: un impegno per i membri fondatori e una adesione per coloro che entrano nel gruppo al loro seguito. Ciascuno dichiara di sottoscrivere questa carta e accetta che essa sia per lui normativa. Questa parola breve è l'oggetto di un patto o di un giuramento che unisce colui che è ricevuto con la società che lo riceve. Svolgono questa funzione, ad esempio, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, la costituzione, o legge fondamentale, di uno Stato, il manifesto di un partito politico, la carta di un movimento, la «formula» di un ordine religioso, ecc., così come le formule di iniziazione attestate dalla storia delle religioni. A seconda dei casi, si richiede un voto o una firma, oppure la recita orale della carta, da parte del nuovo membro, nel corso di una cerimonia di ammissione. È questa medesima realtà che è in causa nei testi della Chiesa chiamati Simboli; confessioni o professioni di fede, fede o Credo. Questo variegato vocabolario rinvia sempre alla necessità per la Chiesa di avere la sua carta fondamentale. Per convincersene, è sufficiente interrogare in particolare l'origine e il senso del termine simbolo. Il simbolo, scrive E. Ortigues, è un pegno di riconoscimento, un oggetto spezzato in due e distribuito tra due soggetti alleati che devono conservare ciascuno la propria parte e trasmetterla ai loro discendenti, in modo tale che questi elementi complementari, di nuovo rawicinati, permettano, per il loro reciproco combaciare, di far riconoscere i portatori e di attestare i legami di alleanza contratti anteriormente. Il sym-bolon consiste dunque nella correlazione tra elementi che, isolatamente, sono senza valore, ma la cui riunione (sym-ballo), o combaciamento reciproco, permette a due alleati di farsi riconoscere come tali, vale a dire come vincolati tra loro (sym-ballontes, contraenti). [ ... ] Due idee appaiono dunque essenziali: 1. il principio del simbolismo: mutuo legame tra elementi distinti la cui combinazione II - IL CONTENUTO DELLA TRADIZIONE: REGOLA DI FEDE E SIMBOLI (SECOLI Il-V)

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è significativa e 2. l'effetto del simbolismo: mutuo legame tra due soggetti che si riconoscono impegnati, l'uno nei confronti dell'altro, in un patto, una alleanza (divina o umana), una convenzione, una legge di fedeltà 2 •

A partire dalla pratica concreta del mutuo riconoscimento, questo testo ci dice la natura del simbolo, come questo sia immanente al funzionamento di ogni linguaggio (rapporto tra due significanti) e come pure si verifichi nel caso particolare dei Simboli di fede, formule di impegno o di giuramento e segni di riconoscimento tra cristiani. Non è dunque sorprendente che uno dei primissimi usi cristiani di questo termine riguardi la confessione di fede battesimale. Lo si trova negli scritti di Cipriano di Cartagine, nel III secolo: Si potrebbe obiettare ed affermare che Novaziano [...] battezza con il nostro stesso rito, [... ] sappiano innanzi tutto che noi non abbiamo lo stesso simbolo, né lo stesso modo di interrogare degli scismatici 3 .

Questo passaggio polemico sul battesimo degli eretici presenta il Simbolo in forma interrogativa: a questa interrogazione il neofita rispondeva con il triplice «credo» del suo proprio impegno. La situazione solenne dell'ingresso nella Chiesa, sottolineata dalla forma dialogica del Simbolo (la risposta del credente si congiungeva con la fede proposta dal celebrante), verifica perfettamente la definizione del Simbolo: è un giuramento suggellato in una alleanza, un giuramento di adesione al contenuto essenziale del mistero cristiano. La professione del Simbolo di fede è un caso di linguaggio performativo «in cui la parola attua ciò che esprime per il fatto stesso che l'esprime. [. .. ] Vi è identità tra l'atto e l'enunciato. L'agente e il locutore coincidono. È proprio in questo che consiste l'essenza del giuramento o del patto» 4 • L'uso del termine Simbolo, di origine greca, applicato alla confessione di fede, si generalizzerà in Occidente, dove passerà, dalle interrogazioni battesimali, ai Credo dichiaratori. Esso rifluirà in Oriente, dove lo si vede apparire, ma discretamente, a partire dal IV secolo 5• La coscienza cristiana antica percepiva sempre che la confessione di fede o il Simbolo, oggetto dell'impegno battesimale, rimaneva un segno di riconoscimento tra cristiani e di identità cristiana. Rufino evocherà ad esempio, alla fine del IV secolo, la situazione dei soldati-partigiani delle guerre civili, che nessun segno esterioE. 0RTIGUES, Le discours et le symbole, Aubier, Paris 1962, pp. 60-61. CIPRJANO, Lettere, 69, 7, 1, in Opere di S. Cipriano, a cura di G. Toso, UTET, Torino 1980, p. 679. 4 E. 0RTIGUES, Les discours .. ., cit., p. 167. 5 Cfr. Concilio di Laodicea, can. 7; HEFELE-LECLERQ, Histoire des conciles d'après les documents originaux, I/2, Letouzey, Paris 1907, p. 999. Su questo argomento cfr. P. TH. CAMELOT, «Symbole de Nicée» ou > egiziani Si tratta di fedeli segnalati da Serapione, vescovo di Thmuis, sul delta del Nilo, ad Atanasio: quest'ultimo li chiamerà «tropici», perché argomentano sui «tropi» (tropoi) o «figure di parole» impiegati dalla Scrittura. Essi fanno parlare di sé verso il 359-360. La loro argomentazione può essere così riassunta: se lo Spirito possiede la divinità, non può possederla che per nascita; se egli è generato dal Padre, il Figlio è dunque suo fratello; se è generato dal Figlio, il Padre è allora suo nonno! Queste due ipotesi sono però da escludersi, perché non è mai stato detto che lo Spirito sia generato. Se egli non è generato dal Padre, non può essergli consostanziale. D'altronde le figure di parole (tropoi) delle Scritture mostrano che lo Spirito è una creatura, e più precisamente un angelo. Il profeta Amos parla di Dio che ha «creato lo spirito (pneuma)» (Am 4, 13 ): questo termine può voler dire vento o Spirito. Contro ogni evidenza, i tropici lo comprendono qui nella seconda accezione. Essi hanno però dalla loro la materialità del termine. Ugualmente, la Scrittura impiega delle enumerazioni ternarie nelle quali, dopo il Padre e il Figlio, lo Spirito è sostituito da una creatura o da un angelo: «Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti» (1 T m 5, 21). I tropici di Thmuis sono ortodossi nei confronti del Figlio: è la loro 39 BASILIO MAGNO, 40

Lo Spirito Santo, II-VIII, cit., pp. 89-117.

Ibid., II, 4, p. 90. V - LA DIVINITÀ DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO (SECOLO IV)

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stessa comprensione del consostanziale che si rivolge in germe di eresia nei confronti dello Spirito. Poiché il Figlio era detto consostanziale in quanto generato, essi ne concludevano che lo Spirito non poteva esserlo, poiché non era generato.

Gli «pneumatomachi» d'Oriente Una terza tendenza si manifesta nello stesso momento storico (350-360) nella regione di Costantinopoli in seno al partito ariano moderato e si diffonde in Oriente. Questo gruppo fu chiamato quello dei «macedoniani», dal nome di Macedonia, arcivescovo di Costantinopoli, destituito nel 360. L'appellativo però loro rimasto è quello di «combattenti contro lo Spirito Santo» o «pneumatomachi». Dal fatto che è attribuito allo Spirito Santo un modo inferiore di produzione delle cose (gli esseri non sono creati da lui, né per mezzo di lui, ma solamente in lui), i macedoniani ne deducono per lo Spirito una inferiorità di natura. La sua divinità è dunque attaccata attraverso la sua potenza. Contato al di sotto («sottonumerato») del Padre e del Figlio, lo Spirito non deve venire glorificato con questi. Come i tropici, i macedoniani sono ortodossi per quanto riguarda il Figlio 41 • Un po' più tardi Eustazio di Sebaste, l'anziano maestro di Basilio nei suoi progetti di vita ascetica, abbraccerà la posizione pneumatomaca. Malgrado tutti gli sforzi del vesc.ovo di Cesarea, tra i due personaggi si stabilì una rottura. Questo incidente giocò un ruolo importante nella redazione del trattato Sullo Spirito Santo.

2. I grandi argomenti in favore della divinità dello Spirito Santo Atanasio d'Alessandria

In questo nuovo dibattito, due uomini di primo piano presero la difesa della divinità dello Spirito Santo: Atanasio d'Alessandria e Basilio di Cesarea. Il primo, nelle sue Lettere a Serapione, rispose alle obiezioni dei tropici di Thmuis. Il secondo, nel suo celebre trattato Sullo Spirito Santo, tenne anche conto dell'arianesimo radicale di Aezio e di E un omio e della tendenza macedoniana. Le loro argomentazioni scritturistiche, che cercavano di svincolarsi dalle leggi del linguaggio nel discorso biblico, essenzialmente coincidevano. 41 Il movimento «pneumatomaco» v.iene descritto soprattutto da Sozomeno, Storia ecclesiatica, IV, 27, in PG 67, 1199 e VI, 11; 1320-1321.

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Atanasio mostra ai tropici che lo Spirito non può essere né una creatura né un angelo, poiché la Scrittura gli attribuisce delle prerogative e delle attività propriamente divine. Egli viene da Dio (1 Cor 2, 12); riempie l'universo (Sap 1, 7); è unico come Dio, il Padre, e il Signore Gesù (1 Cor 12, 4-6). Le sue attività sono quelle proprie di Dio e non di una creatura: egli santifica queste ultime e le rinnova (1 Cor 6, 11; Tt 3, 5-6; Sai 103, 30); le vivifica (Rm 8, 11; Gv 4, 14; 7, 3 9); le segna con la sua unzione e con il suo sigillo (Is 61, l; E/l, 13; 1Gv2, 27); le rende partecipi della natura divina ( 1 Cor 3, 16-17; 1 Gv 4, 13). In breve, «Ora, colui che unisce la creazione al Verbo, non potrebbe essere egli stesso, (una) delle creature; e colui che dà la figliolanza alla creazione, non potrebbe essere estraneo al Figlio» 42 • Quanto al testo di Amos 4, 13, invocato dai tropici per provare che lo Spirito è una creatura, Atanasio non si limita a dichiarare insostenibile la loro interpretazione, ma cerca di fondare la sua posizione sul linguaggio usuale della Scrittura, quello la cui ricorrenza fa legge: quando la parola pneuma vuol dire semplicemente vento, è impiegata da sola, senza articolo e senza determinazione; quando significa lo Spirito, è sempre accompagnata da una determinazione che toglie l'ambiguità, manifestando uno o l'altro dei suoi attributi: Spirito di Dio, del Padre, del Cristo, Spirito Santo, Spirito consolatore, ecc. Al minimo è dotata di articolo 43 • Questa riflessione è l'esempio di una argomentazione di tipo «linguistico», che apparteneva alla tecnica esegetica dei Padri, molto legati al valore delle parole nella Scrittura. Un secondo argomento è desunto dalle relazioni trinitarie: perché una convinzione dottrinale vuole che lo Spirito abbia lo stesso rapporto col Figlio come il Figlio col Padre. L'appartenenza propria del Figlio al Padre, è identica all'appartenenza dello Spirito al Figlio. Perciò o l'uno e l'altro sono delle creature, oppure appartengono tutti e due in proprio al mistero di Dio. Se il Figlio è immagine del Padre, lo Spirito è a sua volta immagine del Figlio, poiché è lo Spirito del Figlio (Gal 4, 6) e Spirito di filiazione (Rm 8, 15). È Spirito di sapienza e di forza (Is 11, 2) e di gloria (1Pt4, 14), nomi questi che appartengono al Figlio. È per questo che Dio agisce inseparabilmente attraverso il suo Verbo e attraverso il suo Spirito (1 Cor 12, 4-6); egli crea attraverso l'uno e attraverso l'altro (Sai 32, 6); invia l'uno contemporaneamente all'altro (Sai 147, 7); abitano similmente in noi (E/3, 16-17). Così dobbiamo adorare Dio in Spirito e in Verità (Gv 4, 23-24), vale a dire nello Spirito Santo e nel Figlio (che è la Verità). In conclusione, se il Figlio, a motivo dello speciale rapporto che ha con il Padre [. .. ] non è una creatura ma consostanziale al Padre, parimenti neppure lo 42 ATANASIO, 43

Lettere a Serapione, I, 25, cit., (CTP 55), pp. 89.90.

Ibld., I, 4, pp. 43-44. V- LA DIVINITÀ DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO (SECOLO IV)

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Spirito Santo può essere chiamato creatura. Chi lo afferma devia dalla retta fede, misconoscendo lo speciale rapporto che lo Spirito ha con il Figlio e (misconoscendo) che (lo Spirito) è dato a tutti a partire dal Figlio, e (dunque) tutto ciò che ha, è del Figlio 44.

Infine, terzo grande argomento: se lo Spirito è una creatura, non c'è più Triade, ma solamente una diade. Ora, questo sarebbe la fine della fede battesimale. Il simbolo trinitario è in effetti fondato sul carattere unico e inseparabile dei tre Nomi divini nella Scrittura (cfr. Rm 8, 15; 1 Gv 4, 12-13; 16, 14.17; 17, 4; ecc.). Resta la difficile questione dell'origine dello Spirito. Tutta l' argomentazione di Atanasio, come più tardi quella di Basilio, si fonda su una convinzione «ontologica» che differenzia profondamente il cristianesimo dalla tradizione filosofica greca. Non c'è via di mezzo tra Dio e la creatura. Lo Spirito deve dunque essere o da una parte o dall'altra. E tuttavia la Scrittura non ci dice nulla della sua origine: non è né creato, né generato. Il solo termine impiegato a suo riguardo è quello di «procedere»: «Lo Spirito di verità che procede dal Padre» (Gv 15, 26). Questa espressione però concerne l'uscita dello Spirito nell'economia della salvezza e non la sua origine nella Trinità. Atanasio riprende, beninteso, questa affermazione, ma senza insistervi (I, 33; III, 1). Egli cita anche i testi giovannei (Gv 14, 26; 16, 14-15; 17, 1O) in cui è detto che lo Spirito è inviato «nel nome» del Figlio, che «riceve» da lui e che ciò che gli appartiene, dunque lo Spirito, appartiene anche al Padre. Atanasio però non supera l'affermazione della Scrittura. Egli non cerca di sviscerare un mistero che lo supera. Per lui la Scrittura insinua semplicemente una relazione originale dello Spirito con il Padre. Negli anni 374-375, Didimo il Cieco, autore alessandrino, scrive un trattato Sullo Spirito Santo, visibilmente influenzato da Atanasio, poiché vi si ritrovano gli stessi argomenti delle Lettere a Serapione. Didimo ne riprende in particolare il movimento dottrinale. Allorché, a proposito del Figlio, era possibile andare dall'origine alla consostanzialità, questa via è interdetta per lo Spirito Santo, poiché la Scrittura conserva il silenzio sulla sua origine. Bisogna dunque prendere il movimento inverso, provando anzitutto che egli appartiene alla natura divina e concludendone che deve avere anche una origine divina. A livello del linguaggio, Didimo è più esplicito di Basilio stesso nell'affermazione che lo Spirito è Signore e Dio. Egli non esita per nulla a parlare della consostanzialità dello Spirito col Figlio e col Padre. 44

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Ibid., III, 1, p. 125. BERNARD SESBOÙÉ

Basilio di Cesarea Nel 375 Basilio scrive un trattato molto importante per provare la divinità dello Spirito Santo. Già nella sua opera teologica della giovinezza, il Contro Eunomio, aveva dedicato un breve libro allo Spirito Santo. Questa volta prende spunto da un incidente liturgico che dovette essere provocato dagli pneumatomachi: Di recente, mentre pregavo col popolo, terminavo la dossologia a Dio Padre in due diversi modi, talora dicendo: «insieme al Figlio, con Io Spirito Santo», talora invece dicendo «per mezzo del Figlio nello Spirito Santo». Alcuni dei presenti lo osservarono e ci accusarono di avere usato formule insolite e per giunta fra loro contraddittorie 45 .

Questa controversia sulle particelle è significativa in rapporto agli argomenti di Aezio e di Eunomio, come pure a quelli degli pneumatomachi. La prima dossologia esprime l'uguaglianza della natura dello Spirito con il Padre e il Figlio. Basilio intende mostrare il suo pieno accordo con la seconda, anch'essa tradizionale e biblica. Per questo la sua prima argomentazione indugia sulle particelle e mostra che la pretesa regola di linguaggio delle Scritture invocata da Aezio è falsa. Si ricordi l'argomento: ciò che si dice differentemente è differente quanto all'essere. Ora, la Scrittura impiega tre preposizioni differenti per le tre persone divine: da (ek) per il Padre, per (dia) per il Figlio e in (en) per lo Spirito. Basilio rifiuta il principio e il suo fondamento, mostrando che le tre preposizioni sono impiegate a proposito delle tre persone. Così il per (1 Cor 8, 9; 2 Cor 1, 12) e l'in (E/3, 9; 2 Ts 1, 1) si dicono anche del Padre; il da (E/ 4, 15) l'in del Figlio; e il da (Mt 1, 20; Gv 3, 6) e il per (1Cor2, 10; 12, 18) dello Spirito Santo. È facile dunque concludere: «Se infatti la differenza dell' espressione indicava il cambiamento della natura, a loro dire, l'identità dell'espressione ora fa sì che si vergognino di dover ammettere che la sostanza permane immutata» 46 • Questa argomentazione linguistica non è senza pertinenza strutturale. D'altronde, la dossologia che dice con è fondata sull'ordine battesimale di Mt 28, 19, che connumera lo Spirito con il Figlio e il Padre mediante la particella e (kai). La Chiesa fa la stessa cosa nella sua liturgia battesimale e nella sua professione di fede. La seconda grande argomentazione parte precisamente dalla regola di fede battesimale e situa la cosa in una prospettiva globale. Un principio 45 BASILIO MAGNO, Lo Spirito Santo, I, 3, cit., p. 89. Sulle tappe di composizione e la struttura di questo trattato, cfr. H. DbRRIES, De Spiritu Sancta. Der Beitrag des Basilius zum Abschluss des Trinitarischen Dogmas, Vandenhock & Ruprecht, Gi:ittingen 1956, p. 261. 46 lbid., VI, 11, p. 99.

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dottrinale caro a Basilio e di grande importanza dogmatica vuole che la regola battesimale sia quella della fede e della dossologia. Basilio la esprimeva così in una lettera del 3 73: Noi crediamo come siamo battezzati e glorifichiamo come crediamo. Dunque, poiché ci è stato conferito grazie al Salvatore un battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, presentiamo una professione di fede conforme a questo battesimo e una glorificazione conforme a questa fede glorificando lo Spirito Santo con il Padre e il Figlio, perché siamo persuasi che questi non è estraneo alla natura divina 47 .

Vi è dunque una catena di corrispondenze tra la celebrazione del battesimo, che si fa nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, la regola di fede, che presiede tanto all'istruzione quanto alla professione battesimale e che viene dal comandamento del Signore espresso in Mt 28, 19 e, finalmente, la dossologia o glorificazione, che deve obbedire alla legge del battesimo. Questa regola di fede, che «connumera» le tre persone mettendole sullo stesso piano, corrisponde a una triplice immersione del neofita. Essa autorizza dunque la dossologia che le «connumera» nello stesso modo. Nel suo trattato Sullo Spirito Santo, il vescovo sviluppa con emozione questo argomento battesimale: Anzi, io chiedo nella preghiera per me stesso di partirmene verso il Signore con questa professione e li esorto a custodire e a conservare lo Spirito indiviso dal Padre e dal Figlio, salvaguardando insieme l'insegnamento sul battesimo sia nella professione di fede, sia nel pieno rendimento di gloria 48 •

Questa argomentazione si fonda, una volta ancora, sulla legge del linguaggio, inscritta nei testi confessionali e liturgici della Chiesa. A proposito però dell'identità divina dello Spirito, Basilio non riprende il termine consostanziale. Gli preferisce quello «d'identità d'onore», homotimos, termine costruito in greco nello stesso modo del famoso homoousios. L'uguaglianza di onore, nella confessione di fede e nella dossologia, prova la connaturalità delle tre persone. Come Atanasio e Didimo, Basilio ritorna anche sugli argomenti che procedono a partire dai nomi e dalle attività attribuite allo Spirito dalla Scrittura. Il nome di Spirito che gli è dato è precisamente un nome divino, poiché «Dio è Spirito» (Gv 4, 24); è Spirito Santo, di quella santità che è propria di Dio; condivide con il Figlio il nome di Paraclito (Gv 4, 26); è Signore (2 Ts 3, 5; 2 Cor 3, 17-18). Quanto alle sue attività, esse 47 BASILIO MAGNO, Lettere, 159, 2, cfr. ed. fr. a cura di Y. Courtonne, (Budé), 1961, p. 86. Questo principio lo si trova di frequente in Basilio. 48 BASILIO MAGNO, Lo Spirito Santo, X, 26, cit., pp. 122-123.

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esprimono signoria: creazione (Sa! 32, 6), ricreazione e rinnovazione (Sa! 103, 3 O), santificazione (1 Cor 6, 11). Come il Cristo, egli invia gli apostoli (At 13, 2, il caso di Saulo e di Barnaba). Conduce a Dio che è verità (Gv 16, 15), intercede per noi (Rm 8, 34). Tentarlo è mentire a Dio (At 5, 4.9: il caso di Anania e Saffira). Bestemmiare contro di lui è imperdonabile (Mt 12, 32). Le sue attività sono inseparabili da quelle del Figlio come il Figlio è inseparabile dal Padre: noi riceviamo la vita dal Figlio e dallo Spirito (Rm 8, 2); siamo eredi del Figlio per lo Spirito di adozione (Rm 8, 26-27); lo Spirito glorifica il Figlio come il Figlio glorifica il Padre (Gv 16, 14; 17, 4). Basilio parla poco della processione dello Spirito Santo, poiché anch'egli argomenta a partire dall'uguaglianza dello Spirito con il Padre e il Figlio a partire dai suoi nomi, dal suo essere e dal suo agire. Egli cita tuttavia Gv 15, 26 accostandolo al Sa! 32, 6: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal Soffio della sua bocca ogni loro schiera». Così commenta Basilio: (si tratta della) Parola che era fin da principio presso Dio ed è Dio. È Soffio della bocca di Dio «lo Spirito di verità, che procede dal Padre» 49 .

Questo soffio che esce da Dio è una indicazione dell'origine dello Spirito, che non ha luogo secondo una generazione. Questa visione dello Spirito nel mistero di Dio si integra per lui nella teologia trinitaria: Il cammino della conoscenza di Dio va dunque dall'unico Spirito attraverso l'unico Figlio, all'unico Padre. E, per contro, la bontà naturale e la santità secondo natura e la dignità regale si effonde dal Padre, per l'Unigenito, allo Spirito. Così si confessano anche le ipostasi, senza disgregare il sacro dogma della monarchia 50 .

Un linguaggio particolarmente prudente

È da sottolineare tuttavia il fatto che il grande difensore della divinità dello Spirito Santo non acconsente mai a dire, a chiare lettere, che lo Spirito è Dio. Questo per due ragioni: anzitutto perché questa affermazione non si trova tale e quale nella Scrittura, in secondo luogo perché essa fa difficoltà a taluni cristiani deboli nella loro fede. Nella finalità di facilitare la comunione tra le Chiese, Basilio richiede dunque semplicemente l'accettazione della fede di Nicea e la professione che lo Spirito non è una creatura. Questa elasticità nel linguaggio su un punto capitale della Ibid., XVI, 38, p. 140. so Ibid., XVIII, 47, p. 154.

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fede è un esempio di «ecumenismo» ante litteram. Questa indulgenza però fu mal interpretata in ambiti che oggi chiameremmo tradizionalisti. Il suo amico Gregorio di Nazianzo riporta, riguardo al vescovo di Cesarea, un incidente significativo che si era prodotto nel corso di un pasto «ecclesiastico». Un monaco se la prende vivamente con Basilio e con suo fratello Gregorio di Nissa: «Cosa dite voi altri?» - esclama. [... ] - A qual punto siete mentitori e adulatori! Che si faccia l'elogio di quegli uomini su tutto il resto, non mi oppongo; ma la cosa principale non la concedo affatto: per l'ortodossia, è a torto che si fa l'elogio di Basilio e a torto quello di Gregorio; l'uno tradisce la fede per le intenzioni che ha, l'altro è complice di questo tradimento perché lascia fare. [... ] Arrivo proprio ora [ ... ] dalla riunione tenuta in onore del martire Eupsiche [ ... ] e là ho inteso Basilio il Grande parlare di teologia; sul Padre e il Figlio è stato eccellente, perfetto, di una qualità che un altro farebbe fatica ad aggiungere qualcosa; ma lo Spirito lo ha eluso. [.. .] Basilio [...] si limita a far intravedere oscuramente le cose e non fa, per così dire, che abbozzare la dottrina; non proclama francamente la verità; con più politica che pietà ci martella le orecchie e con la potenza della sua parola maschera la sua doppiezza 51 •

La risposta di Basilio a questo sospetto sarà dolorosa e ferita. La sua attitudine fu chiamata «economia», non nel senso dell'economia della salvezza, ma in quello di una prudenza e di una saggezza concreta, insieme pastorale e pedagogica 52 • È notevole il fatto che la sequenza del Simbolo di Nicea-Costantinopoli sullo Spirito Santo imiterà la prudenza di Basilio: essa proclamerà lo Spirito Signore, ma non Dio.

3. La riunione del I concilio di Costantinopoli (381) Nella serie dei concili ecumenici, il costantinopolitano I costituisce un caso del tutto originale. Nel momento della sua riunione infatti non aveva per nulla la consapevolezza di essere «ecumenico», nel senso che l' espressione aveva preso in occasione della celebrazione del concilio di Nicea. Esso fu un concilio dell'Oriente, convocato da Teodosio, imperatore in Oriente. Fu presieduto dapprima da Melezio di Antiochia, poi, alla morte di questi, da Gregorio di Nazianzo, che non resistette a una serie di contestazioni, e infine da Nettario, nuovo arcivescovo di Costantinopoli. Gli 5l GREGORIO DI NAZlANZO, Lettere, 58, cfr. ed. fr. a cura di P. Gallay, (Budé) 1964, pp. 74-75. 52 Su questa attitudine di «economia» e le sue variazioni cfr. BASILIO MAGNO, Lo Spirito Santo, introduzione all'ed. fr. a cura di B. Pruche (SC 17 bis) 19682 , pp. 79-110; Paolo VI ha citato questo esempio di Basilio come modello per il dialogo ecumenico oggi in un discorso rivolto al patriarca Atenagora, «Documentation Catholique», 1499 (1967), col. 1382.

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atti del concilio sono andati perduti e la nostra documentazione storica a suo riguardo è alquanto lacunosa 53 • Senza dubbio la lettera sinodale del 3 82, scritta l'anno seguente a Roma dagli stessi Padri conciliari, evoca il «torno» che è stato «prodotto l'anno passato dal sinodo ecumenico di Costantinopoli» 54 • Questo concilio però si è trovato avvolto da un silenzio quasi assoluto per tre quarti di secolo. Bisogna attendere il concilio di Calcedonia perché una reale autorità ecumenica venga riconosciuta al suo Simbolo e, di conseguenza, al concilio stesso 55 • A livello dottrinale - quello che qui ci interessa - il ruolo del concilio di Costantinopoli fu di mettere termine, in Oriente, all'eresia ariana e di proclamare la divinità dello Spirito Santo. I concili però dovevano anche affrontare problemi contingenti e di disciplina. Si trattava allora soprattutto di situare nell'insieme della Chiesa l'autorità del vescovo di Costantinopoli, nuova Roma, che aveva assunto un'importanza considerevole dopo che la città era divenuta la capitale dell'impero d'Oriente. C'erano anche problemi di persone da risolvere dopo tanti anni di scismi (la metropoli di Antiochia aveva dato al riguardo una triste irnrnagine 56 ). Oltre il celebre Simbolo che porta il suo nome, il concilio promulgò dunque quattro canoni disciplinari, il terzo dei quali 57 attribuiva il secondo posto d'onore e di dignità, dopo Roma, alla sede imperiale di Costantinopoli. Questo punto farà difficoltà agli occhi del1' antica Roma: i papi rifiuteranno sempre di avallare questo canone e più tardi il canone 28 di Calcedonia, sullo stesso argomento, conoscerà la stessa sorte 58 • Questo concilio riunì circa 150 vescovi, vale a dire poco più della metà rispetto al numero dei partecipanti al concilio di Nicea. I suoi membri più conosciuti fanno parte del gruppo degli amici di Basilio, prematuramente scornparso 59 , in particolare i suoi fratelli Gregorio di Nissa e Pietro di Sebaste, il suo amico del cuore Gregorio di Nazianzo, il suo corrispondente Anfilochio di !conio, e Melezio, il contestato vescovo di Antiochia, del quale Basilio aveva sempre preso la difesa. Erano ugualmente presenti Cirillo di Gerusalemme e Diodoro di Tarso. 53 Alcune notizie si ripetono presso gli antichi storici della Chiesa, Socrate, Sozomeno, Teodoreto. Qualche indicazione si trova in Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo. 54 Cfr. COD, p. 29. 55 Cfr. I. ORTIZ DE URBINA, Nicée et Constantinople, Orante, Paris 1963, pp. 223-240. 56 Cfr. F. CAVALLERA, Le Schisme d'Antioche, Picard, Paris 1905. 57 Cfr. COD, p. 32. 58 Cfr. infra, pp. 367-368. 59 Il 1° gennaio 379 secondo la data tradizionale, attualmente anticipata al 377 (P. MARAVAL, La date de la mort de Basile de Césarée, «Revue des Études Augustiniennes», 34 [1988], pp. 25-39) o 378 (J.R. PoUCHET, La date de l'élection épiscopale de saint Basile et celle de sa mort, RHE, 87 [1992], pp. 5-33).

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Il Simbolo di Nicea-Costantinopoli: origine e vicenda Il concilio di Calcedonia (451) attribuisce ufficialmente la paternità di questo Simbolo ai centocinquanta Padri di Costantinopoli. Tuttavia, l'origine del testo è oscura e ha dato luogo a molteplici ipotesi 60 • Non si tratta in effetti della ripresa formale del Simbolo di Nicea, perché i primi due articoli contengono delle differenze sensibili tra i due documenti. Harnack pensava si trattasse di una ripresa modificata del Simbolo di Gerusalemme. Oggigiorno quest'ipotesi non è più sostenuta. D'altra parte, nel 374, e dunque sette anni prima, nell'opera L'ancora della fede di Epifanio di Salamina, mirante ad ancorare i cristiani nella loro fede, si trova un Simbolo praticamente identico a quello di Costantinopoli 61 • L'ipotesi che farà di Epifanio il primo autore di questo Simbolo, ancora sostenuta da I. Ortiz de Urbina 62 , è ormai respinta: oggi si pensa con ragione che questo testo costituisce, nell'opera di Epifanio, una maldestra interpolazione 63 • Il grande editore dei decreti conciliari, E. Schwartz, l'aveva già dimostrato e ne aveva concluso che bisognava restituire il Simbolo al concilio di Costantinopoli, secondo la testimonianza dei Padri di Calcedonia. Costoro affermavano in effetti che Costantinopoli aveva «confermato» la «fede di Nicea». Una tale espressione, come ha mostrato J. Lebon 64 , non indica necessariamente una creazione letteraria scritta, ma può significare anche la ripresa dell'uno o dell'altro dei Simboli orientali esistenti e che avevano integrato le agg_iunte tipiche di Nicea. Costantinopoli ha «rinnovato» la fede di Nicea. E la soluzione alla quale è approdato A.M. Ritter, al termine di un lungo studio sull'argomento 65 . Molte ipotesi di dettaglio sono state avanzate (origine palestinese, siriaca, ecc.) e nello stato attuale della ricerca numerosi punti rimangono controversi. La parte propriamente redazionale dei Padri di Costantinopoli nei due primi articoli resta incerta e senza dubbio ridotta. Recentemente, a proposito dell'origine del Simbolo, Luise Abramowski 66 ha ridato grande importanza alla testimonianza fornita da Teodoro di Mopsuestia, contemporaneo degli awenimenti, all'epoca prete di

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6 Cfr. ].N.D. KELLY, Early Christian Creeds, Longmans, Gree and Co., London 1962, pp. 296-367. 6I EPIFANIO DI SALAMINA, Ancoratus, DzS 42, in PG 43, 232. 62 I. 0RTIZ DE URBINA, Nicée et Costantinople, cit., p. 187. 63 Cfr. A. DE HALLEUX, Patrologie et oecuménisme. Recueil d' études, University Press/Peeters, Leuven 1990, pp. 46-47 e 312-313; Stessa opinione in W. ScHNEEMELCHER, Die Entstehung des Glaubensbekenntnisses van Konstantinopel (381), in La signzfication et l'actualité du II conci/e oecuménique pour le monde chrétien d'aujourd'hui, Éd. du Centre ortodoxe du Patriarcat oecuménique, Genève 1982, pp. 178-179. 64 Cfr. A. DE HALLEUX, Patrologie et oecuménisme... , cit., p. 313. 65 A.M. RrTIER, Das Konzil van Konstantinopel und sein Symbol, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1965, pp. 185-187. 66 L. ABRAMOWSKI, Was hat das Nicaeno-Constantinopolitanum (C) mit dem Konzil van Konstantinopel zu tun?, «Theologie und Philosophie», 67 (1992), pp. 481-513, che propone una ripresa molto approfondita di tutta la questione.

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Antiochia e discepolo di Diodoro di Tarso, che era presente al concilio. Teodoro, verso il 392, mostra come i Padri di Costantinopoli sono pervenuti a completare e sviluppare il terzo brevissimo articolo di Nicea: I nostri beati Padri [=quelli di Nicea] trasmisero semplicemente, senza approfondire: «E allo Spirito Santo». Essi ritennero che questo era sufficiente per l'uditorio di quei tempi; ma i loro successori ci trasmisero un insegnamento completo sullo Spirito Santo. In primo luogo i vescovi occidentali si riunirono in concilio, perché non potevano venire in Oriente a causa della persecuzione (attuata) dagli Ariani in queste regioni; più tardi la grazia di Dio fece cessare la persecuzione e anche i vescovi orientali accolsero con gioia la dottrina trasmessa da questo concilio d'Occidente. Essi si accordarono con il loro modo di vedere e con le loro sottoscrizioni mostrarono la loro comunanza (di vedute) 67 •

Secondo questa testimonianza, un concilio occidentale avrebbe dunque già completato il terzo articolo del Simbolo di Nicea sullo Spirito Santo e l'Oriente avrebbe sottoscritto questo testo in un Sinodo che Ritter68 ritiene essere quello di Antiochia - tenuto tra i sostenitori di Melezio nel 379. Questo spiegherebbe il fatto di certe somiglianze del Simbolo di Costantinopoli con l'antico Simbolo romano. Sfortunatamente questo Simbolo inviato da Damaso ad Antiochia e al quale si è dato il nome di codice Romano-Nicaenum (poiché si tratta della formula latina completata con le espressioni di Nicea) è andato perduto. Si può pensare che il testo commentato da Teodoro è in linea con la formula romana, ma non sappiamo in quale misura. Il suo terzo articolo è più breve di quello di Costantinopoli. Anche L. Abramowski riconosce che la formula romana e il testo di Costantinopoli non potevano essere del tutto identici 69 • Teodoro conferma in effetti che è il concilio del 381 a completare il Simbolo con la sequenza sullo Spirito Santo. Egli continua nella stessa omelia: Quando coloro che inclinano al male introdussero le loro sfrontatezze - taluni chiamarono lo Spirito Santo servo e creatura e altri, pur astenendosi da questi nomi, non poterono dirlo Dio-, divenne necessario che questi dottori della Chiesa, riuniti da tutto il mondo ed eredi dei beati primi padri, rivelassero chiaramente davanti a tutti l'intenzione dei loro padri e, nella loro accurata indagine, mostrassero quale era la verità della loro fede, spiegando anche il pensiero dei loro padri. E ci scrissero delle parole per mettere in guardia i fedeli e annientare l' errore degli eretici. E come avevano fatto i loro padri per la professione di fede nel Figlio, combattendo l'empietà di Ario, così fecero costoro a riguardo dello Spirito Santo, rifiutando coloro che lo oltraggiano 70 . 67 TEODORO DI MoPSUESTIA, Le omelie catechetiche, IX, 1, a cura di R. Tonneau e R. Devreesse, Bibl. Vaticana, Città del Vaticano 1949, pp. 213-215. 68 A.M. RITTER, Das Konzil.. ., cit., p. 154. 69 L. ABRAMOWSKI, Was hat das Nicaeno-Constantinopolitanum .. ., art. cit., p. 314. 70 TEODORO DI MorsuESTIA, Le omelie catechetiche, IX, 14, cit., pp. 235-237.

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È dunque importante in questa questione distinguere il caso della redazione del terzo articolo da quello dell'origine globale del Simbolo. Si può pensare che, fatta eccezione per le menzioni già acquisite sullo Spirito Santo e tenuto conto di una reale influenza del Simbolo inviato da Damaso, «è tutta la clausola pneumatologica del costantinopolitano che deve rappresentare l'aggiunta propriamente detta del concilio del 381» 71 • La redazione della sequenza pneumatologica che afferma la divinità dello Spirito Santo aveva per scopo far ritornare i macedoniani all' ortodossia neo-nicena. Impresa che fallì. Chi fu l'autore della sequenza? Fra i «protagonisti dell'ortodossia pneumatologica, Atanasio e Didimo, Epifanio, Ambrogio, Basilio e i due Gregorio», «tutto orienta, secondo A. De Halleux, (. .. )verso i Padri cappadoci, i teologi più prestigiosi del1' assemblea» 72 , che sono d'altronde parenti, amici ed eredi del pensiero di Basilio di Cesarea. L'influenza reale di quest'ultimo, deceduto da almeno due anni, sulla redazione è discussa dagli storici 73 • È di fatto però la pneumatologia di Basilio che si trova concretamente messa in formule in questo articolo, come si potrà constatare nel breve commentario che segue. Le prudenze della formulazione richiamano la famosa «economia» basiliana: questa redazione conserva una volontaria discrezione nel linguaggio, nell'intento di consentire la concordia con i Macedoniani. È difficile essere più precisi: si sa che Gregorio di Nazianzo rigettò le «concessioni» fatte agli avversari nel corso delle trattazioni conciliari e avrebbe preferito una confessione più formale della divinità dello Spirito; si conoscono, d'altra parte, le vicissitudini delle sue relazioni con il concilio. W. Jaeger ha pensato a un ruolo importante di Gregorio di Nissa, ma con degli indizi ambigui 74 • Si può solamente concludere che questo terzo articolo presenta una ricapitolazione della pneumatologia basiliana e si appoggia, in una nuova situazione, sul precedente della sua attitudine conciliatrice. La prima storia di questo Simbolo dopo il concilio è altrettanto oscura come quella della sua origine. Senza dubbio nella loro lettera al papa Damaso, i Padri del sinodo del 382 si riferiscono all'opera compiuta l'anno precedente, ma non insistono sul loro proprio Simbolo. A partire da questo, è tutta l'opera del concilio che sprofonda in un silenzio pressoché completo e anche in un certo oblio, fino al 451. La grande controversia cristologica tra Cirillo e Nestorio non si riferisce che al Simbolo di Nicea 71 72 73 74

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A. DE HALLEUX, Patrologie et oecuménisme... , cit., p. 314. Ibid., pp. 314-316. Ibid., pp. 316-317. Su questo problema cfr. Ibid., pp. 319-321. BERNARD SESBOUÉ

del 325. Gli argomenti dei protagonisti conducono sul modo di interpretare la costruzione di questo Simbolo. Stessa attitudine a Efeso. Bisogna attendere la celebrazione del concilio di Calcedonia perché il Simbolo di Costantinopoli sia associato a quello di Nicea come referenza incontestabile della fede. Esso è letto solennemente, acclamato e proclamato conforme al Simbolo di Nicea. Per questo anche i Padri di Calcedonia gli riconoscono un'autorità ecumenica, la maggiore possibile, alla stessa stregua del Simbolo di Nicea. A partire da questo, il Simbolo di Costantinopoli, detto più frequentemente di Nicea-Costantinopoli, sostituirà progressivamente il suo glorioso predecessore nell'uso liturgico come Credo ufficiale della Chiesa.

La sequenza sullo Spirito Santo Questa sequenza comporta cinque clausole, che affermano la divinità dello Spirito Santo, la sua appartenenza alla Trinità, la processione dal Padre e la sua attività salvifica 75 • Per non riaccendere i dibattiti sul linguaggio e al fine di facilitare uno sperato accordo con i macedoniani, i Padri di Costantinopoli non hanno riprodotto, a proposito dello Spirito Santo, i termini filosofici impiegati a Nicea. I documenti dell'epoca mostrano tuttavia che si applicavano ugualmente allo Spirito. Le parole per definire la fede nello Spirito Santo sono dunque state scelte in modo da significare, in un linguaggio equivalente, la consostanzialità dello Spirito col Figlio e col Padre. Il parallelismo tra ciò che è affermato dello Spirito Santo e ciò che è detto del Figlio è in effetti intenzionale. Questa sequenza è un esatto riassunto dell'argomentazione dei Padri della Chiesa contemporanei, in particolare di Basilio di Cesarea, dopo che era stata sollevata la questione della divinità dello Spirito. «... e nello Spirito Santo». - È da sottolineare il fatto che qui non si trova ripetuta la menzione dell'unico Spirito, come si diceva per il Padre e il Figlio 76 , mentre i Simboli contemporanei - e dunque, verosimilmente, il modello sul quale i Padri lavorarono - mantenevano la ripetizione «un solo». L'intenzione sembra essere stata quella di far passare l'aggettivo dallo statuto di epiteto a quello di attributo e dunque di rinforzarne il valore: 75 Cfr. A. DE HALLEUX, La pro/ession de l'Esprit Saint dans le Symbole de Constantinople, in Patrologie et oecuménisme ... , cit., pp. 322-337. Mi ispiro spesso a questo commentario. 76 Nonostante la testimonianza di Teodoro di Mopsuestia il quale stima che i Padri di Costantinopoli hanno aggiunto la menzione di un solo Spirito, cfr. Omelie catechetiche, X, 2-3, cit., pp. 247-249.

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la fede si esprime verso lo Spirito che è santo, qualificativo che gli è attribuito dal Nuovo Testamento. Lo Spirito è Santo per natura, di quella santità che è la proprietà della natura divina - perché Dio solo è santo - e gli consente di essere santificante, così come il Figlio è redentore. Affermando la sua fede nella santità dello Spirito, la Chiesa esprime il fondamento della sua fede nella sua stessa santità e nel battesimo che la santifica. «Che è Signore». - Lo Spirito non sarà chiamato Dio, poiché la Scrittura non lo nomina mai così. Troviamo qui la riserva basiliana. Anche il termine Signore è capitale, perché è un nome propriamente divino, quello con il quale la Settanta traduceva il tetragramma YHWH. Esso designa dunque non solamente il Figlio, il Cristo glorificato, ma anche lo Spirito. Questo titolo mette lo Spirito sullo stesso piano del Creatore sovrano del mondo e il suo Figlio assiso alla sua destra. Perché non c'è via di mezzo tra la Signoria divina e lo statuto di servo creato. L'impiego del termine a proposito dello Spirito, benché contraddica il linguaggio di 1 Cor 8, 6 («un solo Signore»), ha un certo fondamento nella Scrittura: «Perché il Signore è lo Spirito» (2 Cor 3, 17). «E dà la vita». - Lo Spirito «vivificante» è una referenza al suo ruolo creatore, ri-creatore e divinizzatore nell'economia della salvezza. Perché lo Spirito è colui che comunica la vita divina, alla maniera del Figlio risuscitato e pieno di vita. Infatti è «lo Spirito che vivifica» (Gv 6, 63); «lo Spirito è vita» (Rm 8, 10); è «Spirito vivificante» (1 Cor 15, 45). Egli è dunque radicalmente differente dalle creature che vivifica, perché anch'egli possiede la vita per natura. Egli è dalla parte di coloro che danno e non di coloro che ricevono. Da dove gli viene questa vita? «Che procede dal Padre». - L'appello al testo di Gv 15, 26, «Lo Spirito che procede (ekporeuetai) dal Padre», per definire la proprietà ipostatica dello Spirito viene da Gregorio di Nazianzo 77 • Il termine «procedere» aveva nel vangelo un senso soprattutto «economico» e designava l'uscita dello Spirito verso il mondo. Qui è impiegato per supplire alla carenza di vocabolario scritturistico concernente l'origine dello Spirito: così come il Figlio è generato, lo Spirito «procede». Egli non è dunque una creatura. 77 GREGORJO DI NAZIANZO,

I cinque discorsi teologici, 31, 8-9, a cura di C. Moreschini (CTP 58), Roma,

Città Nuova, 1986, pp. 167-169.

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Il termine però non sembra possedere ancora, all'epoca, un senso tecnico elaborato. «Sottolineando che lo Spirito procede dal Padre, gli autori del Simbolo non intendevano precisare in che cosa si distingue dal Padre e dal Figlio, ma semplicemente dimostrare, nello stesso stile allusivo, che lo Spirito Santo, proveniente da Dio, non poteva essere creatura» 78 • Lo Spirito non è né ingenerato come il Padre, né generato come il Figlio, ma nemmeno è creato, perché ha un'origine divina eterna. Egli «procede dal Padre»: il para, «dalla parte del», del testo giovanneo è stato sostituito con un ek, «a partire da», che sottolinea l'origine. L'espressione esprime dunque a suo modo la consostanzialità dello Spirito, poiché questi proviene dalla sorgente della divinità, il Padre 79 • L'intenzione supera l'ambito dell'economia; essa mira proprio alla «teologia» e alla relazione ipostatica dello Spirito col Padre, benché in maniera ancora implicita. Lo Spirito possiede dunque la vita per natura, perché procede dal Padre, così come il Figlio è da questi generato. Non è dunque creato, ma consostanziale, perché è di origine divina. Gv 15, 26 può esplicitarsi con Gv 15, 13: lo Spirito di verità insegnerà agli apostoli la verità tutta intera su Dio perché viene dall'intimità di Dio e non dirà che ciò che ha inteso, così come il Figlio ha rivelato veridicamente il Padre perché era nel suo seno (Gv 1, 18). L'uno e l'altro dicono ciò che hanno inteso nel seno di Dio. La futura controversia tra Latini e Greci sul Filioque resta totalmente estranea all'intenzione del concilio. È su questo punto che l'Occidente, al tempo di Carlo Magno, opererà un'aggiunta unilaterale, senza l' accordo dell'Oriente, dicendo che lo Spirito procede dal Padre «e dal Figlio». Questa aggiunta sarà la causa di un contenzioso perdurante fino ad oggi 80 • «Che con il Padre e il Figlio è assieme adorato e conglori/z'cato». - Questa clausola esprime la corrispondenza tra la !ex credendi e la lex orandi. Lo Spirito fa parte dell'unica adorazione che si indirizza a Dio. Di conseguenza, lo Spirito deve essere adorato e glorificato nello stesso modo di Dio, così come il Figlio è glorificato alla destra del Padre. Egli riceve lo stesso culto e gli stessi onori. Questa uguaglianza è espressa mediante il con, rinforzata in maniera pleonastica (co-adorato con), particella che «connumera» lo Spirito con il Padre e il Figlio. È così che faceva la ScritA. DE HALLEUX, La pro/ession ... , cit., p. 331. Ibid., pp. 330-331. ° Cfr. infra la storia della disputa sul Filioque, pp. 287-307.

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tura (Mt 28, 19) e la dossologia che Basilio giustificava a Cesarea: «Gloria al Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo». Questa formulazione è dunque un'eco delle argomentazioni di Basilio di Cesarea contro gli «pneumatomachi». Il costantinopolitano I fu un concilio di pacificazione. Mise fine ai cinquant'anni di conflitti che sconvolsero l'Oriente cristiano dopo il concilio di Nicea. Ne raccolse l'eredità e confermò la sua definizione riprendendo l'affermazione del consostanziale a proposito del Figlio. Situò il suo' insegnamento sulla scia del suo glorioso predecessore affermando, a proposito dello Spirito, senza dubbio con altre parole, la stessa divinità del Padre e del Figlio. Non è dunque senza ragione di fondo - al di là delle numerose contaminazioni che si produssero nella tradizione manoscritta tra le due confessioni di fede - che il suo Simbolo ha ricevuto la designazione di Simbolo di Nicea-Costantinopoli.

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Capitolo Sesto

Il Mistero della Trinità: Riflessione speculativa ed elaborazione del linguaggio. Il «Filioque». Le relazioni trinitarie (a partire dal secolo rv) Bernard Sesboué

Il problema di un Dio insieme uno e trinitario si è posto nella Chiesa dall'inizio del III secolo. Esso fu dapprima riflettuto alla luce dell' economia della salvezza. La confessione però dei tre nomi divini non poteva non porre il problema del numero in Dio. Nel IV secolo la divinità del Figlio e quella dello Spirito sono state al centro della riflessione. Inevitabilmente, questa doppia affermazione, ormai formalizzata in un linguaggio preciso, riconduceva l'attenzione sulla Trinità in quanto tale. Come poteva la Chiesa cristiana continuare a professare il monoteismo, pur affermando anche la perfetta divinità del Figlio e dello Spirito? Questo stesso IV secolo ha dunque dato luogo a dibattiti nel corso dei quali sarà speculativamente scrutata la natura della distinzione trinitaria. La riflessione era un preambolo necessario all'elaborazione della formula trinitaria, anch'essa indispensabile all'unanimità della confessione della fede. Questa formula è ben conosciuta: afferma che vi sono tre persone distinte in una sola natura divina. L'espressione è quella tipica del vocabolario latino, nel quale essa si è sviluppata dopo Tertulliano. Nella sua apparente semplicità però essa non lascia supporre il difficile travaglio della sua elaborazione concettuale in Oriente, dove il termine di persona (prosopon) era giudicato insufficiente da se stesso a rendere conto della distinzione reale dei tre nomi divini e doveva essere sostenuto da quello di ipostasi, o di atto concreto del sussistere nell'unica sostanza. La formula greca parlerà dunque di tre ipostasi o persone in una sola sostanza o natura. Lo scopo di questo capitolo è di rintracciare anzitutto la doppia elaborazione dei concetti e della formula trinitaria nella seconda metà del IV secolo, principalmente in Oriente. VI - IL MISTERO DELLA TRINITÀ ... (A PARTIRE DAL SECOLO IV)

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Li storia del dogma della Trinità però non si arresta qui. Un nuovo conflitto si aprirà tra l'Oriente e l'Occidente a proposito della processione dello Spirito Santo. Questo conflitto interessa la comprensione di tutto il complesso gioco delle relazioni di origine nella Trinità. Esso è simbolizzato dalla formula latina «che procede dal Padre e dal Figlio (Filioque)», aggiunta in Occidente al testo del Simbolo di Nicea-Costantinopoli e sempre respinta dall'Oriente. Infine non sarà inutile ritracciare brevemente l'evoluzione della dottrina, che, in Occidente, a partire da Basilio e Agostino, ha compreso la distinzione trinitaria in termini di relazioni. Tali saranno le tre sezioni di questo capitolo.

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DALL'ELABORAZIONE DEI CONCETTI ALLA FORMULA TRINITARIA

Gli autori e i testi: ATANASIO, Tomo agli Antiocheni, in PG 26, coli. 795-810; BASILIO MAGNO, Contro Eunomio e Apologia, ed. fr. a cura di B. Sesboiié - G.M. de Durand - L. Doutreleau (SC 299 e 305), Cerf, Paris 1982 e 1983; ID., Epistolario, a cura di A. Regaldo Raccone, Paoline, Alba 1968; per la parte mancante ed. fr. a cura di Y. Courtonne, 3 voli., (Budé) 1957, 1961, 1966. Indicazioni bibliografiche: A. DE HALLEUX, «Hypostase» et «personne» dans la /ormation du dogme trinitaire (ca 375-381), in Patrologie et oecuménisme, cit., pp. 113-214; R. PoucHET, Basile le Grand et son univers d'amis d'après sa corresponsance. Une stratégie de communion, «Augustinianum», (1992).

Le esigenze dell'esposizione domandano di far susseguire degli episodi che, nel tempo, si accavallano gli uni gli altri. Se la crisi concernente lo Spirito Santo è incontestabilmente posteriore rispetto a quella riguardante il Figlio, la prima era già abitata dal temibile problema della conciliazione tra l'unicità di Dio e la molteplicità delle persone. Come può l' affermazione di tre persone in Dio non «dividere» la sostanza divina? Era dunque inevitabile che l'affermazione nicena della piena e intera divinità del Figlio, in ragione della sua generazione eterna, provocasse nella riflessione teologica l'urgenza di un confronto con questa difficoltà. Su questo piano l'argomentazione scritturistica non è più sufficiente: bisogna poter avanzare sul terreno della ragione, là dove l'avversario ha posto l'aporia. Questo tempo di chiarificazione concettuale è contestualmente legato allo sforzo di chiarificazione di un linguaggio capace di rendere conto coerentemente di ciò che è uno e di ciò che è trino in Dio. Per uscire dalla molteplicità delle formule, più o meno contraddittorie, elaborate tra i concili di Nicea e di Costantinopoli, nonché dalla confusione che queste gene-

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BERNARD SESBOÙÉ

rarono nella vita delle Chiese, un tale sforzo, fondato su una sufficiente chiarificazione dei concetti, era necessario e urgente. Solo una formula trinitaria equilibrata e a tutti imponibile poteva ricomporre l'unanimità dei credenti nella loro confessione del Dio unico in tre persone. In questo doppio compito, il ruolo maggiore è stato svolto, in Oriente, da Basilio di Cesarea. La sua opera si è compiuta in due tempi: anzitutto gli fu necessario, contro le negazioni metafisiche di Eunomio, elaborare concettualmente la distinzione trinitaria; successivamente intraprese una battaglia ecclesiale per l' elaborazione di una formula equilibrata e completa.

1. L'elaborazione speculativa della distinzione trinitaria La contestazione trinitaria di Eunomio Eunomio di Cizico, il grande campione della seconda generazione ariana, ha portato il dibattito trinitario sul piano dei concetti con l'ausilio di una logica razionale implacabile. Per questo fu soprannominato il «tecnologo». La sua intenzione era di rendere conto della confessione di fede tradizionale alla luce della Scrittura e non c'è motivo per mettere in dubbio la sua sincerità. Dal fatto però che l'affermazione della fede conduce a una aporia nei confronti della ragione, Eunomio sottomette immediatamente la fede a quelle che egli pensa siano le imprescindibili esigenze della ragione. Per Eunomio 1, non solo l'ingenerato - è così che preferisce chiamare il Padre - è la sostanza di Dio, ma anche Dio è sostanza ingenerata. Questa prima tesi fonda e riassume tutta la sua teologia. Essa è per lui l'oggetto di una certa fede metafisica e costituisce la maggiore di tutti i suoi ragionamenti. Nello stesso tempo però, diversi argomenti gli offrono ugualmente uno spunto. L'ingenerato è una : 82, 113, 114, 117, 118 «T»: 82, 114, 117, 120 Dèr Balizeh (Iv sec.): 113, 115, 119

Gerusalemme (IV sec.): 83, 100, 104, 111, 115, 248 Mopsuestia (Iv sec.): 84 Quicumque: 106 Rochelle (Confessione riformata, 1571): 85 Salamina (Iv sec.): 84, 105, 115 Forma breve: 100 Forma sviluppata: 111, 112 Trentanove articoli (Comunione anglicana, 1563 ): 85

INDICE DEI SIMBOLI

481

Indice dei Concili

Aix-la-Chapelle (809): 296 Ancira (358): 229 Antiochia (268): 162 Antiochia (341): 227 Antiochia (344): 235

Efeso (449): 358, 359, 360, 365, 366, 367, 379 . Ferrara-Firenze (1439-1445): 59, 281, 291, 298, 301, 303, 304 Francoforte (794): 424, 425

Basilea (1437): 301 Gerusalemme: 42 Calcedonia (451): 63, 84, 124, 182, 183, 184,226,247,248,251,278,348, 353, 355,356,357,358,359,361,363,365, 367,368,370,371,372,374,375,376, 377,378,379,381,382,384,385,386, 387,391,392,394,395,396,397,398, 404,435 Cividale del Friuli (796): 296 Costantinopoli I (381): 84, 111, 233, 237, 238, 246, 247, 248, 249, 251, 254, 274, 297, 323, 327, 328, 367, 368 Costantinopoli II (553): 186, 348, 374, 376, 377, 380, 381, 382, 386, 387, 391, 395, 396, 398 Costantinopoli (III) (680-681): 382, 387, 388,390,395,396,398,399 Costantinopoli IV (869-870): 297 Efeso (431): 84, 221, 236, 251, 297, 337, 338,339, 340, 348, 349, 350, 352, 353, 354,355,356,357,370,384,398

Iereia (754): 403, 404, 405, 407 Laterano (649): 382, 389, 390, 394, 398 Lettera a Costantinopoli: 273 Lione II (1274): 291, 298, 299, 303 Nicea I (325): 42, 83, 84, 143, 164, 168, 183, 199, 206, 208, 209, 210, 214, 217, 220, 221, 222,223,224,225, 226, 227, 229,231,232,233,234,235,236,237, 245,246,247,248,249,250,251,254, 262,263,264,266,268,271,275,325, 340, 341, 343, 344, 347, 349, 351, 355, 371,374,375,387,403,404,406,408 Nicea II (787): 403-407 Parigi (361): 232 Parigi (825): 407 Reims (1148): 281 Rimini (359): 233 INDICE DEI CONCILI

483

Sardica (344): 227 Seleucia (359): 233 Sirmio (351): 227 Sirmio (357): 228 Sirmio (359): 228 Toledo III (589): 296 Toledo IV (633): 296

484

INDICI

Toledo XI (675): 296 Toledo XVI (693): 296 Trento (1545-1563): 60, 408, 433, 446 Vaticano I (1869-1870): 41, 396, 433, 452 Vaticano II (1962-1965): 187, 373, 433, 456,457

Indice generale

Abbreviazioni ... ........ .... . ................ ............... .................... ..... .........................

5

Presentazione (Bernard Sesboiié)

7

Introduzione IL PUNTO DI PARTENZA (Bernard Sesboiié)

17

Capitolo Primo PRIMI DISCORSI CRISTIANI E TRADIZIONE DELLA FEDE (Bernard Sesboiié)

21

I. I primi discorsi cristiani ... .............. ... ..... .............. .. ........ .......... ...... ..........

21

1. Il giudeo-cristianesimo .... ... .. .. .............. .. ......... ....... .. .. ... ............... .. .... .... .... La fede dei giudeo-cristiani ............... ................ ...... .................... ................... Il giudeo-cristianesimo «eterodosso» ... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .

21 23 28

2. Lo gnosticismo ........................................................................................... Le origini dello gnosticismo ........ .................... ..... .................... ................ .... .. Lo gnosticismo cristiano.................................................................................. Le grandi caratteristiche del movimento gnostico .......................................... Ortodossia ed eterodossia degli gnostici .... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... .. .. .. .. .. .. .... .. .. .. .. .. ...

30 32 32 33 34

3. Il discorso cristiano dai Padri apostolici a Ireneo .................................... Un primo discorso pastorale e liturgico.......................................................... Il discorso apologetico ..................................................................................... Il discorso contro gli eretici .. .. .. .. .. .. .... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... .. .. .. .. .. .. .. .. ..

36 36 37 40

INDICE GENERALE

485

Il. Tradizione e regola di fede .. .. .. ... .. .. ... ... .................. .. .. .. .. ... ... . .. ..... ......... .

41

1. Il dogma prima del dogma: la regola di fede............................................

41

2. La forma della regola di fede: l' «ardine della tradizione»........................ La tradizione nel Nuovo Testamento ............................................................ La tradizione nei Padri apostolici .................................................................. La dottrina della tradizione in Ireneo ...........................................................

44 45 45 47

3. Il mantenimento della regola di fede: la successione apostolica ... .. .........

48

4. La norma della regola di fede: il canone delle Scritture........................... La formazione del canone cristiano delle Scritture .... ... .... .... .... ..................... La genesi del canone dell'Antico Testamento ....... .................... .... .. ............... La genesi del canone del Nuovo Testamento ................................................. Il significato dogmatico del canone delle Scritture ....... .. .. .............. ........... ... ..

53 54 54 57 60

Capitolo Secondo IL CONTENUTO DELLA TRADIZIONE:

REGOLA DI FEDE E SIMBOLI (SECOLI II-V)

(Bernard Sesboiié) . ............... ... .... .. .. ...... ........................ .... ... .......... ... ... ..... ....

63

Dogma e storia................................................................................................

63

I. Le funzioni del Simbolo di fede nella Chiesa ..... ................. ... ... . .. ...... .... .

64

1. La funzione confessante ......... ... ........ ........ ... .... .... ...... ................... ............

64

2. La funzione dottrinale................................................................................

69

Il. Genesi e storia dei Simboli di fede ........................................................

70

1. La situazione delle confessioni di fede nel Nuovo Testamento................ Primo modello cristologico: il nome di Gesù e un titolo .................... .... ....... Secondo modello cristologico: il «kerygma» .................................................. Il modello binario: Dio, il Padre, e il Cristo .................................................. Il modello ternario: Padre, Figlio, Spirito ......................................................

72 72 73 74 75

2. La situazione delle confessioni di fede all'epoca dei Padri apostolici...... I due modelli cristologici ................................................................................ I modelli binari e ternari ................................................................................

76 76 78

3. L'unione delle formule cristologiche e trinitarie.......................................

78

4. In Occidente: il vecchio Simbolo romano detto «Simbolo degli apostoli»...........................................................................................................

81

5. In Oriente: verso il Simbolo di Nicea-Costantinopoli..............................

82

486

INDICI

Simboli conciliari ..... .......... .......... ... ........ ... ..... ... ............ .. .............. ...... .. ..... .... Il Simbolo di «Nicea-Costantinopoli» ........................................................... I documenti simbolici teologici e confessionali ......... .... .............. .. .............. ...

6. Nuove generazioni di Simboli nel corso della storia ....... ..... ........... .. .. .... .

84 84 84 85

III. Le strutture del Simbolo ............. ....................... ..... ............ ..................

86

1. Struttura formale: una relazione tra due partner...................................... Una struttura d'alleanza ................................................................................. Una struttura dialogica ...................................................................................

86 86 87

2. Struttura del contenuto: una Trinità «economica»....................................

89

3. Comparazione con le «anafore» eucaristiche...........................................

92

IV. Il primo articolo ............ ............ ......................... ....................... ............ ..

93

1. Credo in Dio; credo in un solo Dio ................ ..........................................

94

2. Dio Padre onnipotente...............................................................................

95

3. Creatore del cielo e della terra .. .......................................................... ......

97

V. Il secondo articolo ............. .. ...... ............... ..... .............. ..... ........................

98

1. La costruzione dell'articolo.......................................................................

98

2. La titolatura del Cristo............................................................................... «Gesù Cristo» o «Cristo Gesù» ..................................................................... Figlio di Dio, unico generato ......................................................................... Nostro Signore ................................................................................................

101 101 101 102

3. L'aggiunta al kerygma: l'origine divina e umana del Cristo...................... Generazione umana ....................................................................................... Generazione divina ........................................................................................ I:incarnazione in Oriente ...............................................................................

102 102 104 104

4. Il cuore dell'articolo: il «kerygma» cristologico ....................................... Qualche variante in un racconto stilizzato ................ ... .. .... .......... .. .. ...... .. .. ... Una aggiunta più tardiva: la discesa agli inferi ... ....................... ....................

105 105 106

5. Il ritorno del Cristo ........ ............................................................................. 108 VI. Il terzo articolo ............................. .................... .... .................. ................

109

1. La costruzione dell'articolo.......................................................................

109

2. In Oriente nel IV secolo: la divinità dello Spirito Santo............................

111

3. In Oriente, il resto di una sequenza «economica» sullo Spirito profetico

112

INDICE GENERALE

487

4. La sequenza ecclesiale: lo Spirito e la Chiesa .......................................... .

113 113 115 115 117 118 119

La Trinità e lo Spirito Santo nella Chiesa ..................................................... . La santa Chiesa ............................................................................................. . La Chiesa cattolica e apostolica .................................................................... . La comunione dei santi ................................................................................ .. Il battesimo e la remissione dei peccati ........................................................ .. La risurrezione dei morti o della carne ......................................................... . La vita eterna ................................................................................................ . Conclusione .................................................................................................... .

120 120

Capitolo Terzo L'ECONOMIA TRINITARIA DELLA SALVEZZA (SECOLO II ) (J oseph Wolinski) ....... .

123

I La rilettura cristiana delle Scritture e largomento profetico ................ .

123

1. Il mistero pasquale, fondamento di una ermeneutica ............................ ..

124

2. L'argomento delle profezie ....................................................................... .

126 126 127 128

Giustino: l'Antico Testamento giustificazione del!' evento di Gesù .............. . Ireneo: l'accordo dei due Testamenti ............................................................ . Tertulliano: la consonanza tra i profeti e il Signore ..................................... ..

129 Tipologia e allegoria ...................................................................................... . 129 I tre - e quattro - sensi della Scrittura .......................................................... . 131 . "ta' ne ll' opera sa l vz1;.{.·zca ........................................................ . Novz"ta' e con t znuz 134

3. Origene: dai tre ai quattro sensi della Scrittura ...................................... ..

II. Il Cristianesimo nei confronti della ragione: gli Apologisti ................. .

135

1. L'accusa di ateismo e il ricorso alla ragione ............................................. .

136

2. La teologia del Verbo negli Apologisti .................................................... .

139

Giustino e l'obiezione giudaica contro l' «altro Dio» .................................... . Teofilo di Antiochia e il Verbo espresso ........................................................ . Il Cristo, Potenza di Dio e Sapienza di Dio ................................................. .. Nascita del Figlio e «delimitazione» ........................................................... ..

140 141 141 142

III. Ireneo: economia trinitaria e salvezza in Gesù Cristo ........................ .

144

1. L'economia trinitaria della salvezza .......................................................... .

144 144 145

I primi usi della parola «trinità» ·.................................................................. .. Teologia ed «economie» ................................................................................ . I: utilizzazione antieretica delle economie .................................................... . Economie, regola difede e riferimento a Ef 4, 6 ........................................... . 488

INDICI

147

148

Il «beneplacito» del Padre, fondamento delle economie ............................... Le economie come manifestazione della Trinità ............. ............ .............. .. ... Economie, filiazione e condiscendenza divina ...............................................

150 151 152

2. La salvezza in Gesù Cristo: mediazione e ricapitolazione........................

Il Cristo «uno e lo stesso» ... ................. ............... ......... ... .............. ............. .... Il Cristo, vero uomo e vero Figlio di Dio ..... ............ .......... ...... ........ .......... .... La ricapitolazione nel Cristo, Nuovo Adamo ................................................ Maria, la nuova Eva .......................................................................................

154 154 154 156 158

Capitolo Quarto DALL'ECONOMIA ALLA «TEOLOGIA>> (SECOLO III) (Joseph Wolinski)

161

I. L'adozionismo e il modalismo monarchiani nei secoli II e III

.................

162

1. Il monarchianismo adozionista .......................... ,.....................................

162

2. Il monarchianismo unitariano e modalista ..............................................

163

3. Sabellianismo e «rivelazione funzionale» .................................................

165

Il. La questione del numero in Dio prima di Tertulliano: Giustino e Ippolito .........................................................................................................

165

1. Giustino e il problema dell'«altro Dio» ...................................................

166

2. Ippolito e il rapporto invisibile/visibile, Verbo/Figlio ............................

166

III. Economia e teologia trinitaria in Tertulliano ......................................

169

1. Unità di sostanza e Trinità: la presa in considerazione del «Dio Uno» ...

170 170 171

La Monarchia ................................................................................................. I tre paragoni montanisti ..... ........ .......................... ...... .. .............................. ... 2. Economia e disposizione: dimostrazione del numero in Dio ..................

Alterità e «disposizione»: prospettiva del numero nella sostanza una ........... La prospettiva del numero attraverso il grado, la specie e la forma ... ............ 3. Dalla cristologia alla Trinità eterna ..........................................................

173 173 17 4

La nascita del Figlio all'esterno, come «uscita» dal Padre ............................. La generazione del Figlio all'interno del Padre, come Sapienza .... ... ............. La «processione» dello Spirito Santo ............................................................. Una Trinità (solamente) economica? La tesi di Harnack .............................. I:origine eterna del Figlio e dello Spirito ...................................................... Tertulliano precursore in cristologia ..............................................................

175 176 177 178 179 180 181

4. Sostanza e Persona: l'apporto di Tertulliano ...........................................

183

INDICE GENERALE

489

IV. Origene e la teologia del Verbo di Dio ................................................

185

1. Origene e gli inizi della teologia erudita .................................................. Un precursore: Clemente d'Alessandria ........................................................ Fisionomia teologica di Origene .................................................................... Regola di fede e teologia erudita ................................................................... Preesistenza delle anime e mistero pasquale ..................................................

185 185 186 187 188

2. Immaterialità di Dio e generazione eterna del Figlio .............................. L'immaterialità di Dio .. ... .. ... ... ............ .... .......... .. .. .... ................. ....... .. .. ... ..... . La generazione eterna del Figlio ................................................................... Generato «come la volontà che procede dallo spirito» .. .. .... .... ................... ...

190 190 191 193

3. Dal Padre, «Bontà in sé», al Figlio, «Immagine della Bontà» ... ... ... .. ...... Il Figlio, «Immagine della Bontà» di Dio .................... .... ..................... .... .. .. . La distinzione Dio (ho theos) e Dio (theos) .................. .. .. .. .... ..... ...... .. .. .. .. .. .. La distinzione «Uno-molteplice» e la teologia delle «denominazioni» .........

194 195 196 197

4. La teologia dello Spirito Santo alla luce di Gv 1, 3 .................................

198

5. Origene e le tre ipostasi .... .... .... ............ .... ................ ... .. .... .. .. ...... .... .. .. .. .. .

200

6. Nuove prospettive sull'incarnazione ........................................................ Le due nature del Cristo .. ... .. .... .. .. .. .. . .. .. ... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. ... .. .. .. .. .. . Il Verbo intermediario e mediatore ............ ........................ .... ............ ... .. .. .. .. Il ruolo intermediario dell'anima del Cristo ..................................................

202 202 202 203

7. La doppia posterità di Origene .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .......... .. ..

204

8. Il «subordinazionismo» dei Padri ante-niceni .........................................

207

Capitolo Quinto LA DIVINITÀ DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO (SECOLO IV) (Bernard Sesboi.ié)

213

I. La divinità del Figlio e il dibattito attorno al concilio di Nicea (325) ...

214

1. L'eresia di Ario e il concilio di Nicea (325) .............................................. Gli inizi del conflitto: Aria e Alessandro ad Alessandria .............................. La dottrina di Aria: una convinzione «monarchiana» ................................... La dottrina di Aria: una convinzione cristologica .......................................... La riunione del concilio di Nicea .... .. .. ........ .... .. .. .... .. .................. ................... La «definizione» di Nicea: le aggiunte al Simbolo ......................................... La «svolta» di Nicea, evento dogmatico ........................................................

214 215 216 219 220 222 224

2. La crisi susseguente al concilio di Nicea .................................................. Nascita e sviluppo della controversia ............................................................. Atanasio, il «difensore» di Nicea ............ .................... ... .. .. .. .... .... ...... .. .. .. .. .. .

226 226 229

490

INDICI

Il contributo di Ilario di Poitiers ........ .. ................... ...... .. ............... .... .... ...... . La «recezione» del concilio di Nicea .............................................................. Emergenza del!' ecclesiologia conciliare ..................... .. ..... .... ..... .. ..................

231 233 234

II. La divinità dello Spirito Santo e il concilio di Costantinopoli (381) ...

237

1. Il sorgere delle eresie «pneumatiste» .......................................................

L'arianesimo radicale di Aezio ed Eunomio .................................................. I «tropici>> egiziani ......................................................................................... Gli «pneumatomachi» d'Oriente ..................................................................

238 238 239 240

2. I grandi argomenti in favore della divinità dello Spirito Santo ............... Atanasio d'Alessandria ...................................................................................

240 240

Basilio di Cesarea ··············'············································································ Un linguaggio particolarmente prudente .......................................................

243 245

3. La riunione del I concilio di Costantinopoli (381) .................................. Il Simbolo di Nicea-Costantinopoli: origine e vicenda ................................... La sequenza sullo Spirito Santo ............. ............................. ... .. .............. .. ......

246 248 251

Capitolo Sesto IL MISTERO DELLA TRINITÀ: RIFLESSIONE SPECULATIVA ED ELABORAZIONE DEL LINGUAGGIO. lL «fILIOQUE». LE RELAZIONI TRINITARIE (A PARTIRE DAL SECO-

(Bernard Sesboiié) ..............................................................................

255

I. Dall'elaborazione dei concetti alla formula trinitaria ............................

256

1. L'elaborazione speculativa della distinzione trinitaria ................. .. .... ......

La contestazione trinitaria di Eunomio ... ................. ... .... ..... ... ........ ........... ... La risposta speculativa di Basilio di Cesarea ... .... .......................... .... .............

257 257 259

2. L'elaborazione della formula trinitaria ..................................................... Breve storia dei concetti di persona e di ipostasi .................... ..... ................... Il ruolo giocato dai Cappadoci nel!'elaborazione della formula trinitaria ......

263 264 268

3. Dalla formula di fede del 382 al concilio del 553 ....................................

273

Il. Da Agostino a san Tommaso: verso la dottrina delle relazioni sussistenti ........................................................................................................

276

1. Agostino erede del pensiero greco ...........................................................

278

2. Da Boezio a Gilberto Porretano .............................................................

280

INDICE GENERALE

491

LO IV)

3. San Tommaso e le relazioni sussistenti .....................................................

282

Riflessione sulla relazione ..................... ...... ......... ... ..... .... ... .. ...... ..... ........... ... 283 Riflessione sulla persona ..... .. ................... ... ... ................. ....... ........................ 284 Conclusione: le persone, delle «relazioni sussistenti» .................. .................. 284 III. La dottrina del «Filioque» e il dibattito dottrinale tra Occidente e Oriente ... ................. .... .. .......... ............ ..................... ................ .......... .... ..

287

1. I Padri greci e la processione dello Spirito Santo ............ ... .. ...................

288

2. Agostino creatore della dottrina del Filioque ..........................................

291

3. Due considerazioni trinitarie .. .. ... ... .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. ... .. ... .. .. .. .. ... .. .. .. .. .. .. .. .

294

4. Dall'inserzione del «Filioque» nel Simbolo allo scisma tra l'Oriente e l'Occidente ...............................................................................................

296

5. Il fallimento dei tentativi d'unione: il II concilio di Lione e il concilio di Firenze ... .................. ...... ..................... ............... ................. ... ...................

Il II concilio di Lione (1274) ......................................................................... Il concilio di Ferrara-Firenze (1439-1445) ....................................................

298 298 301

6. Il «Filioque» e l'odierno dialogo ecumenico ...........................................

304

Capitolo Settimo CRISTOLOGIA E SOTERIOLOGIA. EFESO E CALCEDONIA (SECOLI IV E v) (Bernard Sesboiié) ............................... .... ..................................... ............ .... .......

3 09

I. Cristologia e soteriologia nel IV secolo .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .

310

1. I grandi temi soteriologici: mediazione di Cristo e divinizzazione dell'uomo .......................................................................................................

310

2. Il Cristo salvatore in Atanasio di Alessandria ..........................................

318

3. Apollinare di Laodicea e l'«apollinarismo» .............................................

323

4. La cristologia della scuola di Antiochia (Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia) ..............................................................................................

326

5. La cristologia dei Cappadoci ...................................................................

332

6. Alla fine del secolo due cristologie in tensione: Antiochia e Alessandria

336

II. I grandi dibattiti cristologici del v secolo .. ... .. .. .. .. .. . .. ... .. .. .. .. .. . .. .. .. .. .. .. .

337

1. Il dibattito sull'unità del Cristo: Nestorio e Cirillo. Il concilio di Efeso (431) .....................................................................................................

Il punto di partenza della crisi: Nestorio e la « Theotokos»

492

INDICI

338 338

I: intervento di Cirillo: la lettera del gennaio 430 ......................................... La risposta di Nestorio ................................................................................... La terza lettera di Cirillo a Nestorio .............................................................. La riunione del concilio di Efeso ................................................................... L'Atto d'unione del 433 ................................................................................. Nestorio era «nestoriano»? ........................................................................... Un primo bilancio ..........................................................................................

339 343 346 349 353 354 355

2. Una persona in due nature distinte: Eutiche e il concilio di Calcedonia (451) .................................................................................................... La questione posta da Eutiche ....................................................................... Il «latrocinio» di Efeso (449) ........................................................................ Il Tomo a Flaviano di Leone ......................................................................... La riunione del concilio di Calcedonia (451) ................................................. In margine a Calcedonia: l'ecclesiologia conciliare ........................................ La formula cristologica di Calcedonia ........................................................... Il bilancio di Ca/cedonia ................................................................................. La recezione di Ca/cedonia ................ ....... .. .. ......................... .. ...... ... ......... .. ..

356 357 358 361 365 367 368 372 374

Capitolo Ottavo NELLA SCIA DI CALCEDONIA: CRISTOLOGIA E SOTERIOLOGIA (DOPO IL VI SECOLO) (Bernard Sesboiié) ............................................................................

3 77

I. Le interpretazioni di Calcedoni a .... ............................. ......... .............. ....

377

1. Una lettura «efesina» di Calcedonia: il II concilio di Costantinopoli (553) .......................................................................................................

377

Il ruolo di Giustiniano prima del concilio .......................... .. ........ ............... .. Le peripezie del concilio: l'imperatore e il papa ............................................. Qual è il valore del II concilio di Costantinopoli? ......................................... I canoni del II concilio di Costantinopoli: l'interpretazione di Calcedonia .... Il bilancio del concilio ....................................................................................

379 380 382 386

2. Monoenergismo e monotelismo: il III concilio di Costantinopoli (681) . Un preludio: la crisi agnoeta ......................................................................... La crisi del monoenergismo e del monotelismo ............................................. Prima tappa: il monoenergismo ..................................................................... Seconda tappa: il monotelismo ...................................................................... Terza tappa: il concilio del Laterano del 649 ................................................. La riunione del III concilio di Costantinopoli (680-681) .............................. Il decreto dogmatico del III concilio di Costantinopoli .................................. Il bilancio del concilio ....................................................................................

387 388 390 391 393 394 395 396 398

INDICE GENERALE

493

377

3. La controversia delle immagini: il II concilio di Nicea (787) ................ ..

399

Una tradizione contraddittoria sulle immagini ............................................ . Linizio del conflitto iconoclasta .................................................................. .. La teologia delle immagini ricapitolata da Giovanni Damasceno ................ . Il «concilio» orientale di Iereia ................................................................... .. La convocazione del II concilio di Nicea ...................................................... . I dibattiti del II concilio di Nicea sulle immagini ........................................ .. La de/inizio ne dogmatica sulle immagini .................................................... .. La ricezione del II concilio di Nicea ............................................................ ..

399 401 401 403 403 404 405 406

II. La soteriologia nel primo millennio ..................................................... .

408

Priorità data alla mediazione discendente .................................................... . J;illuminazione ............................................................................................. . Redenzione e liberazione: il Cristo vincitore ................................................ . La dottrina del sacrificio: Agostino .............................................................. .

409 410 412 417

III. Cristologia e soteriologia nel secondo millennio ............................... .

422

1. La cristologia nel II millennio ................................................................ ..

422

Il senso di un contrasto ................................................................................. . La questione delle «tre opinioni» ................................................................ .. Scienza e coscienza di Gesù ......................................................................... .. I tempi moderni: il Cristo dei filoso/i e degli storici ..................................... . Il Vaticano II: il Cristo verità del!' uomo ...................................................... .. Il movimento cristologico contemporaneo .................................................... .

422 424 426 429 432 434

2. La soteriologia nel II millennio .............................................................. ..

437

La svolta di sant'Anselmo ............................................................................. . J; argomento soteriologico di Anselmo ........................................................ .. Una valutazione critica della dottrina di Anselmo ...................................... .. San Tommaso: dalla redenzione alla soddisfazione ...................................... .. La «soddisfazione» al concilio di Trento ...................................................... . I tempi moderni: dalla sostituzione alla soddisfazione «vicaria» ................. ..

437 438 441 443 446 447

CONCLUSIONE E TRANSIZIONE ......................................................................... .

455

Bibliografia essenziale in lingua italiana .................................................... ..

459

Indice degli autori antichi ........................................................................... . Indice degli autori moderni ......................................................................... . Indice dei Simboli ......................................................................................... . Indice dei Concili

465 477 481 483

494

INDICI