Siamo umani. L’urgenza dell’empatia e della compassione 9788858521618

«La tolleranza nasce dallo scambio con gli altri e presuppone un punto di vista civile. È un esempio di aritmetica umana

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Siamo umani. L’urgenza dell’empatia e della compassione
 9788858521618

Table of contents :
Indice......Page 127
Frontespizio......Page 5
Il libro......Page 3
Gli autori......Page 4
Introduzione. L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti e la SGI......Page 7
L’influenza dei genitori......Page 11
Dialogo tra filosofia, religione e scienze naturali......Page 14
I tratti comuni del buddismo e del cristianesimo......Page 17
Cooperare per la salvezza......Page 19
1. Religione e tolleranza......Page 22
Il capitalismo, una nuova religione......Page 23
Carte della Tolleranza......Page 24
Monoteismo e intolleranza......Page 28
La religione e l’autorità......Page 34
Armonia con il pensiero scientifico......Page 37
Spezzare le catene della violenza e dell’odio......Page 41
Immagini della libertà e della responsabilità......Page 43
2. La compassione buddista e l’amore cristiano......Page 45
Nascita, invecchiamento, malattia e morte......Page 49
La religione cura l’individuo e la società......Page 51
La libertà come elemento centrale dell’idea di Europa......Page 56
La caduta del muro e la rinascita dell’Europa......Page 57
Limitare la libertà di espressione......Page 58
3. Creare una cultura di pace......Page 62
Una parabola......Page 64
Una visione dell’universale – l’eterno valore della vita......Page 67
Il desiderio di pace espresso nella Dichiarazione universale dei diritti umani......Page 68
Il sacro nell’umanità......Page 70
La pace comincia nella casa......Page 74
L’educazione umanistica......Page 78
Le origini dell’educazione Soka......Page 80
4. L’ambiente e l’educazione......Page 85
Un primo passo per l’educazione ambientale: valutare le condizioni attuali......Page 94
Un’etica nuova per il controllo della tecnologia scientifica......Page 95
Le armi nucleari: l’aspetto malvagio della vita......Page 98
5. La salute, la medicina e la bioetica......Page 102
La massima durata della vita......Page 103
Nuove prospettive sull’origine della vita e sull’evoluzione......Page 107
Le terapie riproduttive e l’uso degli embrioni......Page 109
La morte cerebrale e i trapianti di organi......Page 111
L’eutanasia......Page 113
Esperienze di quasi morte......Page 114
La natura eterna della vita......Page 115
Etica medica e pratica medica......Page 117
Il diritto del paziente all’autodeterminazione......Page 118
Errori nel prestare le cure......Page 120
Note......Page 122

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Il libro

«L

a tolleranza nasce dallo scambio con gli altri e presuppone un

punto di vista civile. È un esempio di aritmetica umana in cui la somma di uno più uno non fa due, ma tre. Quando un’opinione entra

in relazione con un’altra opinione, ne nasce una terza, punto di partenza per nuovi dibattiti». Mai come oggi l’essenza stessa dell’umanità è in pericolo. Stiamo assistendo a un’espansione di individualismo e materialismo e a una svalutazione della vita umana senza precedenti, con una conseguente crescita delle forme più terribili di violenza. E mai un sincero e franco dialogo tra religioni e culture diverse è stato tanto necessario. Per questo il dialogo tra Daisaku Ikeda, tra i più illustri e influenti maestri buddisti, e Felix Unger, medico cardiologo e accademico di fama mondiale, è percorso da un potente senso di urgenza e convinzione. L’unica strada per uscire da questa perdita di umanità è quella della tolleranza e della compassione, e in questo percorso il recupero dei valori di cui buddismo e cristianesimo sono portatori è fondamentale. Perché il valore autentico viene dal cuore e può essere trasmesso da un cuore a un altro.

Gli autori DAISAKU IKEDA, nato nel 1928 a Tokyo, è un maestro buddista giapponese, considerato una delle più importanti figure spirituali buddiste. È presidente della Soka Gakkai, un movimento religioso con milioni di seguaci nel mondo, e presidente fondatore della Soka Gakkai International. Numerosi i suoi libri, molti dei quali longseller. Per Piemme ha pubblicato Qualunque fiore tu sia sboccerai, La gioia del meno, Budda felice, L’arte dell’abbraccio e Felici ogni giorno. FELIX UNGER, nato nel 1946, è un medico e accademico austriaco. Cardiologo di fama internazionale (nel 1986 ha realizzato il primo trapianto di cuore artificiale in Europa) è presidente e cofondatore dell’Accademia europea delle scienze e delle arti, che conta 1.500 membri, tra cui 30 Premi Nobel, e presidente della Alma Mater Europaea, con sede a Salisburgo e varie sedi in Europa, di cui una in Italia.

Daisaku Ikeda Felix Unger

SIAMO UMANI Traduzione di Sergio Notari

SIAMO UMANI

Introduzione

L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti e la SGI

IKEDA: Al giorno d’oggi l’esistenza umana è minacciata sia dalla violenza diretta, sia da quella strutturale. Spetterà al potere rigido degli eserciti e della supremazia economica o al potere morbido del dialogo contribuire alla pace, alla sicurezza e alla coesistenza nel XXI secolo? Si è molto discusso sull’alternativa tra le due opzioni dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. La globalizzazione del dialogo è riuscita a tenere il passo con lo sviluppo sistemico dell’economia e delle comunicazioni? Nel luglio 1997, all’Università Soka a Tokyo, lei fece un’acuta osservazione: «La nostra capacità di impegnarci nel dialogo deciderà il futuro del nostro pianeta». Non vi è mai stato un momento in cui il dialogo interculturale e interreligioso sia stato necessario quanto adesso. Sarò molto felice se questo dialogo intrattenuto con lei, che presiede un ente cui aderiscono intellettuali illustri, l’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti, potrà dare un contributo al processo di globalizzazione del dialogo. UNGER: Alla luce di questo obiettivo, intendo impegnarmi al massimo in questa iniziativa. Ai nostri giorni, data la sempre maggiore enfasi attribuita ai valori materialistici, molte dottrine religiose stanno perdendo di vista i valori tradizionali che un tempo erano a loro comuni. La globalizzazione di cui lei parla dà un impeto crescente a questo processo. Col diminuire del valore che viene attribuito alla vita, diventano sempre più comuni delle forme di violenza terribili. Da un lato, la religione è in declino, dall’altro il materialismo dilaga. Per fermare questo corso degli eventi occorre tornare a riferirsi a valori ereditati dal lontano passato. I: Capisco quello che intende dire. Come ebbe a dire Tolstoj, il riconoscimento della santità di ogni singola vita è la sola e unica base su cui fondare la moralità 1. Il cristianesimo, il buddismo e altre religioni condividono i fondamenti etici che proibiscono di uccidere. Sebbene i termini possano differire, la nonviolenza e l’ingiunzione di non uccidere sono due modi di proibire simili atti. Per far sì che il XXI secolo sia un’epoca libera dalla violenza e dalle uccisioni dobbiamo adoperarci per rendere queste

proibizioni il fondamento di un’etica globale. È proprio per questo motivo che è così necessario il dialogo interreligioso. Nel suo discorso all’Università Soka lei dichiarò: «Il dialogo interreligioso costituisce il cardine di qualsiasi dialogo tra le culture e un punto di riferimento per la creazione di una cultura su scala globale». U: La Soka Gakkai Internazionale (SGI ), con cui ho intrattenuto rapporti per oltre dieci anni, è una forte organizzazione buddista che cerca di definire degli obiettivi ragionevoli per il genere umano sulla base della tradizione buddista e si impegna ad applicarli nel mondo reale. Questa tradizione è chiaramente esemplificata da lei, signor Ikeda. Con tutti i mezzi di cui dispone lei si sforza di ribadire il valore dell’umanità nel mondo contemporaneo. Grazie agli scambi culturali lei ha trasmesso il messaggio della pace con una forza particolare. Nell’avviare il nostro dialogo, vorrei sapere quali siano state le sue motivazioni fondamentali. I: La mia esperienza della guerra è stata un’importante fonte di ispirazione nel mio agire in favore della pace. Durante la Seconda guerra mondiale il male del nazionalismo esasperato distrusse la pace della nostra famiglia. La nostra casa venne distrutta dai bombardamenti e il più grande dei miei fratelli morì al fronte. Sebbene mia madre fosse una donna coraggiosa, fu letteralmente annientata dalla notizia della morte del figlio. In seguito, quando ci vennero restituite le sue ceneri, lei si sedette con l’urna tra le mani, con le spalle tremanti per il dolore. Non dimenticherò mai quei momenti. Ancora molto giovane, appresi che, per quanto la realtà potesse essere ammantata di belle parole, la guerra era una stupida e orrenda sventura. Una seconda, successiva fonte di motivazione fu il lascito che ereditai dai miei maestri nella vita. Proprio nel pieno della guerra, Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), primo presidente della Soka Gakkai, e il suo discepolo Josei Toda (1900-1958), il mio maestro diretto, si sforzarono di mantenere in vita la filosofia del maestro buddista giapponese Nichiren (1222-1282), che aveva attribuito un’importanza fondamentale alla dignità della vita. Le autorità militari rinchiusero Makiguchi in prigione e lì egli trovò la morte. Anche Toda fu incarcerato, ma riuscì a sopravvivere e portò avanti la missione di Makiguchi a sostegno della pace. Considero me stesso erede spirituale di Toda. Il suo desiderio più sentito era di liberare il mondo dalla sventura. Agire per realizzare il suo scopo è tutta la mia vita.

Un terzo spunto che sostiene il mio impegno è un senso di missione sociale in quanto uomo di religione. Diretta o strutturale che sia, la violenza è causa di grande sofferenza. Piuttosto che limitarsi a osservare le sofferenze altrui, è necessario alzarsi e praticare l’insegnamento buddista di “togliere la sofferenza e dare la gioia”. Azioni benevole di questo genere rappresentano lo spirito fondamentale del buddismo Mahayana. Nichiren, il maestro spirituale cui facciamo riferimento nella Soka Gakkai, espose questo concetto nella sua opera Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese. Non è possibile che una persona riesca a salvare se stessa ignorando le sventure che colpiscono le altre persone a causa della violenza. La guerra non è altro che la forma più disumana di violenza. U: I fondatori della Soka Gakkai, e Josei Toda in particolare, agirono in favore della pace durante la Seconda guerra mondiale e soffrirono personalmente a causa di ciò e furono privati della libertà. Questo è stato un punto di inizio determinante per l’impegno profuso dalla Soka Gakkai nella causa della pace e dell’abolizione delle armi nucleari. Nutro per tutto questo il massimo rispetto. I: La volontà ferma di Toda di proibire l’uso degli armamenti nucleari e il suo insistere sul fatto che qualsiasi minaccia che mettesse in discussione il diritto inviolabile alla vita fosse il male assoluto rappresentarono il suo testamento per me e i miei giovani compagni. Le armi nucleari hanno il potere di distruggere ogni forma di vita, la razza umana e la natura nel suo insieme. Occorre far sì che l’intera umanità diventi consapevole di questo male assoluto. Il nostro lavoro in questa direzione ha visto l’allestimento di due mostre, “Le armi nucleari: una minaccia per il genere umano” e “Le armi nucleari: una minaccia per il nostro mondo”, che sono state aperte in trentanove città e ventiquattro nazioni, tra cui la Cina, l’ex Unione Sovietica, la sede ONU di New York e Vienna, la capitale del suo paese. Nel desiderio di promuovere gli scambi culturali abbiamo anche organizzato altre mostre a Vienna: “Makie: la lacca e la ceramica dell’Oriente”, “Tesori dell’arte giapponese”, “Il Sutra del Loto e il suo mondo: manoscritti buddisti della Via della Seta”. È stata anche allestita una mostra di mie fotografie, “Dialogo con la natura”, che è stata anche ospitata alla Galleria nazionale ungherese in virtù del supporto fornito dalla sua accademia. Questa è un’ottima occasione per esprimerle ancora una volta la mia profonda gratitudine.

U: Sebbene non conosca con precisione il suo intento, ecco cosa penso degli scopi delle sue fotografie: l’uomo è un elemento della natura e si trova sulla via corretta soltanto quando è saldamente unito a essa. Nelle sue foto di paesaggi lei rivela questo significato simbolico in un modo affascinante: la natura nel suo stato originario, la natura accudita e la natura completamente addomesticata dei giardini. Le sue immagini non mostrano soltanto la possibilità di una coesistenza pacifica con la natura, ma anche il fatto che la pacifica convivenza tra gli esseri umani trova il suo fondamento nella natura. Tuttavia l’uomo è anche capace di dominare la natura e di distruggere le basi della vita. Nel suo libro La vita. Mistero prezioso lei spiega tutto questo dal punto di vista della tradizione buddista. I: Sì, nel libro analizzo i rapporti tra la natura e l’umanità. Nella visione buddista la legge fondamentale dell’universo si manifesta in tutte le forme di vita, il genere umano, la natura non umana, le stelle nel cielo. Tutte le forme di vita non sono elementi isolati, ma si integrano nella forza vitale cosmica. Posto in altri termini, la parte è il tutto e il tutto è la parte. Gli esseri umani e la natura non umana sono parti integranti della stessa forza vitale cosmica. Sono uniche nelle loro caratteristiche individuali e un tutto dal punto di vista della simbiosi. Sono interrelate in modo indissolubile. Come conseguenza, distruggere la natura significa distruggere l’umanità. Il buddismo non può accettare che l’uomo distrugga la natura o che ne sfrutti le risorse per soddisfare la propria avidità. Ed ecco il motivo per cui i buddisti ritengono che i danni ambientali, il degrado sociale, nelle sue forme di violenza dilagante e di estrema miseria, così come la devastazione spirituale causata da un ego ipertrofico, abbiano tutti delle radici comuni. L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti, che lei ha fondato con il sostegno di intellettuali e leader europei, condivide con la SGI una visione comune su molte questioni. Grazie agli scambi interculturali e interreligiosi l’Accademia si sforza di ristabilire le relazioni tra gli esseri umani e lo spirito, la società e la natura. Sono lieto di esserne membro onorario e di poter contribuire alla nobile missione che si è data. U: Lei svolge un ruolo attivo intrattenendo dialoghi con persone in tutto il mondo. La posizione di membro onorario del senato accademico viene conferita a persone d’azione come lei. Nel mio lavoro di cardiochirurgo ho appreso l’importanza della capacità di decidere e di agire senza essere

ostacolati da difficili riflessioni filosofiche.

L’influenza dei genitori I: Vorrei che mi consentisse di farle alcune domande. Lei è presidente dell’Accademia, cardiochirurgo rinomato e illustre pensatore. Suppongo che alcune persone che l’hanno formata nel suo campo di specializzazione o nella sua vita si siano guadagnate il suo rispetto. Potrebbe citare qualcuna di queste persone? U: Due miei zii erano insegnanti capaci ed esercitarono un forte influsso su di me sin da bambino. Uno era il conte Karl von Arco, esponente di una delle più antiche famiglie austriache. Egli mi insegnò soprattutto a essere capace di pensare in tutte le situazioni e a come agire nel mezzo delle difficoltà. L’altro fu il professor Gernot Eder, che mi insegnò a pensare in modo scientifico, analitico, metafisico e inclusivo. In anni successivi ho seguito un bravissimo cardiochirurgo che per me è stato come un padre e un maestro. I: Devono essere state relazioni splendide. Capisco che la sua giovinezza è stata ricca di crescita intellettuale. Suo padre era un pittore e presiedeva la Scuola viennese di arti applicate. Quali sono i ricordi più vividi che ha di lui? E qual è la lezione che ha appreso da sua madre che si è più impressa nella sua vita? U: Mi fa piacere che lei mi chieda dei miei genitori defunti. Mio padre era un pittore con un occhio molto attento. Era capace di catturare un paesaggio e riprodurlo in splendidi colori, come lei fa con le sue fotografie. I: I suoi genitori vissero entrambe le guerre mondiali e affrontarono anche i tempi dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania durante il dominio di Hitler. U: Sì, erano ancora molto giovani ai tempi dell’Anschluss. Mio padre dovette andare in guerra, ma entrambi sopravvissero alle fiamme del conflitto. Mio padre parlava in termini molto chiari, con accuratezza e onestà. Da lui appresi l’importanza di parlare con correttezza e giustizia in tempi difficili, quali sono anche i presenti. Immagino che avesse appreso tutto questo da suo padre, che era un ingegnere progettista. La mia famiglia mi ha

insegnato che il denaro non è tutto e che è importante vivere in modo giusto. Mia madre era sorridente, di mente aperta e ottimista: mi insegnò a non avere mai paura. Quali che fossero i problemi che incontrava, era solita dire sempre: «Non è niente. Ci dev’essere per forza una soluzione!». I: I suoi genitori erano persone magnifiche, raffinati filosofi che le hanno insegnato il cammino della felicità. In loro percepisco la grande luce della fede. Una vera educazione si esprime nel coltivare le menti che desiderano lottare per il bene della giustizia. L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti, che è stata fondata nel 1990, conta oggi oltre milleduecento intellettuali che provengono da più di cinquanta paesi europei, del Nord e Sud America, del Medio Oriente e dell’Asia. Il re Juan Carlos è un suo sostenitore; Václav Havel, ex presidente della Repubblica Ceca, è membro onorario del senato accademico e membro onorario è anche l’ex presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov. Ho avuto la fortuna di incontrare tutte queste persone. Ma dato che accademie tradizionali esistono già in tutta Europa, per quale motivo avete pensato di fondarne un’altra di nuovo tipo? U: L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti è stata fondata per rispondere all’intricato insieme dei problemi del mondo contemporaneo. Noi fondatori ci rendemmo conto che l’immagine della scienza si era allontanata dall’essere umano e che era nettamente sbilanciata verso la materialità. Dal nostro punto di vista, col crescere dell’influenza materialista sulla scienza e sulla società, l’umanità si sarebbe distaccata dalle sue qualità essenziali e sarebbe degenerata dal punto di vista metafisico, minacciando così di corrompere la stessa natura umana. Sono considerazioni di questo tipo che ci spinsero a fondare l’Accademia. Le scienze naturali sono originariamente radicate nell’umanità. La tendenza verso il materialismo nega i loro aspetti spirituali. Qualcosa di simile accade anche nell’ambito dell’economia. Invece di servire ai bisogni umani, e mi riferisco anche ai bisogni spirituali, la scienza si distacca e anzi assume un aspetto dominante sull’umanità. La nostra Accademia propone un approccio alla scienza che muove da prospettive diverse. Le relazioni umane sono costituite da un triangolo armonico e plasmabile di rapporti con la natura, di relazioni con gli altri esseri umani e di relazioni spirituali. Questi tre aspetti guidano l’esistenza delle persone e in questo quadro siamo in grado di risolvere i problemi della vita. Tutte e tre queste

relazioni sono essenziali e nessuna deve essere accentuata in modo esagerato. Le scienze che hanno la natura come loro oggetto di indagine, le scienze naturali e le discipline tecnologiche, richiedono di avere un sostegno di tipo sociale e spirituale. Lo stesso vale per le scienze che studiano le relazioni tra gli esseri umani, le scienze sociali, il diritto, l’economia e la politica. La medicina e la psicologia creano un ponte tra le scienze naturali e le scienze sociali e le connettono con il campo puramente spirituale della filosofia, dell’arte e della religione. I: In altre parole, gli esseri umani devono essere sempre al centro di questo armonioso triangolo rappresentato dalle scienze naturali, dalle scienze sociali e dagli studi umanistici. Da un altro punto di vista, gli esseri umani non esistono per favorire la scienza: è la scienza che deve lavorare per il bene degli esseri umani. In un discorso che pronunciò all’Università Soka lei disse: «Dobbiamo far sì che le scienze siano in grado di lavorare insieme per creare una rete che avvolga la vita nel suo complesso. È essenziale che la scienza si fondi su una filosofia interdisciplinare». Che azioni sta promuovendo la sua Accademia per affrontare questo tema? U: L’Accademia sta elaborando diversi progetti per il presente e per i prossimi anni, avendo ben presenti i problemi di una società sostenibile e le ricerche legate alla disponibilità di risorse idriche. Uno dei nostri progetti più importanti è l’Istituto di medicina. Siamo convinti che nella realtà europea un capitalismo sempre più aggressivo, delle autorità pubbliche abbastanza ridicole, la burocratizzazione degli ospedali e l’inettitudine della politica abbiano creato un sistema sanitario diviso in due classi. Le persone che dispongono di denaro hanno accesso alle cure mediche, mentre chi non dispone di molto denaro deve arrangiarsi come può. Come medico trovo questa situazione intollerabile. Abbiamo fondato l’Istituto di medicina nella speranza di riuscire a lavorare insieme al Parlamento europeo e all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per dare vita a un nuovo sistema sanitario. Non dobbiamo sentirci soddisfatti nell’apportare rettifiche di piccolo calibro, per non dire superficiali; occorre guardare alla radice dei problemi. Per tutti i miei colleghi dell’Accademia è evidente che la medicina contemporanea ha commesso degli errori nel valutare la sua stessa natura. I: A cosa si riferisce, di preciso? U: Una forte inclinazione verso le scienze naturali ha fatto sì che la

medicina sia arrivata, senza un’intenzione espressa, a considerare i pazienti come casi che possono essere presentati nei termini tipici delle scienze naturali. Il paziente diventa un’anomalia cui è possibile fare fronte come nel caso di altre anomalie sociali, come per esempio la criminalità. Questa visione porta al coinvolgimento delle autorità, dato che il paziente visto come una anomalia rappresenta un costo e i costi devono essere ridotti. Così il paziente diventa un semplice oggetto di intervento dello stato e della medicina e la medicina viene ad acquisire un senso opposto alla sua natura intrinseca, che è quella di servire l’interesse del paziente ed esclusivamente la sua buona salute. I: In pratica intende dire che i medici stanno perdendo di vista l’elemento essenziale, ossia che la medicina esiste per il bene dei pazienti. Essi suddividono i campi di ricerca e adottano un punto di vista riduzionista secondo cui un accumulo di ricerca condotta in aree ristrette alla fine condurrà a una visione olistica. Questo è un fenomeno che si osserva nella medicina occidentale e che è comune a tutte le scienze naturali. Studiare soltanto delle parti, perdere la visione del paziente come un’entità e considerare i pazienti più come casi che non come esseri umani, “anomalie”, per usare la sua definizione, è forse un destino inevitabile, dato che la medicina si è sviluppata nel contesto delle scienze naturali. Ma questo tipo di approccio tende a trascurare l’essere umano vivente. In un dialogo di diversi anni fa lo storico inglese Arnold Toynbee (18891975) disse che «è molto difficile per chiunque essere un medico con una solida impostazione etica e spirituale senza possedere una visione religiosa e filosofica, e anche un certo atteggiamento nei confronti della vita umana e dell’universo di cui il genere umano è parte» 2. Una riforma della medicina non può essere compiuta limitandosi al campo medico. Richiede il contributo della religione, della filosofia, dell’etica, della politica, dell’economia e della sociologia. La medicina si occupa della totalità della vita umana. È per questo che, prima di tutto, bisogna essere certi che includa il triangolo ideale a cui fate riferimento nella vostra accademia: le scienze naturali, le scienze sociali e gli studi umanistici.

Dialogo tra filosofia, religione e scienze naturali

U: Un altro tema di lavoro dell’Accademia legato a quanto abbiamo appena detto è la ricerca degli elementi fondamentali comuni ai diversi campi dell’apprendimento. I filosofi e gli scienziati naturali sostengono apertamente questo obiettivo. Trovare i denominatori comuni è il più nobile scopo della scienza. In quanto scienza che ha al momento le più importanti implicazioni sociali, etiche e antropologiche, la genetica offre spunti davvero potenti. Come medico mi sto occupando della questione di quando abbia inizio e di quando finisca la vita. In questo ambito la genetica svolge un ruolo significativo. I: In sintesi il buddismo è una ricerca sui temi fondamentali della vita e della morte e una ricerca delle modalità per affrontare le sofferenze che a esse sono legate. Sia Shakyamuni sia Gesù paragonarono il loro ruolo di salvatori a quello di medici. Le scritture buddiste parlano di Shakyamuni come del Grande Guaritore, ovvero come di un medico della vita. Dato che la malattia è una manifestazione di attività vitali, la saggezza religiosa e la scienza medica devono arrecarsi beneficio a vicenda. Il dialogo tra la medicina e la religione è indispensabile se si vogliono affrontare i temi dell’ingegneria genetica e della bioetica. In seguito vorrei chiederle di parlare delle sue importanti esperienze di cardiochirurgo legate a questi argomenti. U: La necessità del dialogo non è limitata alle discipline accademiche. Ai nostri giorni, con la continua crescita dell’informazione e con la sempre maggiore velocità con cui è trasmessa, il dialogo è ancora più necessario che in passato. Che piaccia o meno – e che ne siamo o meno consapevoli – le culture sono interrelate. E questo rende possibili scambi sempre più intensi. Il fatto eccitante che vediamo nelle discussioni che abbracciano i vari continenti è il modo in cui ci rendono capaci di rapportare il nostro modo di pensare a quello di altre persone. Seri confronti di questo genere di solito rivelano più punti in comune che differenze. Potrei anche spingermi a dire che, sotto molti punti di vista, siamo effettivamente la stessa cosa. I: Sono completamente d’accordo. Grazie al dialogo, persone cresciute in tradizioni filosofiche diverse possono lavorare per scoprire gli elementi comuni prima che le differenze. Fino a oggi ho avuto oltre milleseicento incontri con leader e pensatori di diverse culture e tradizioni filosofiche, tra cui persone di religione cristiana, islamica e induista. Una certezza che ho acquisito da queste esperienze è che è possibile creare fortissimi legami di

amicizia con persone che hanno tradizioni spirituali diverse. Da qui deriva la mia assoluta fiducia nell’umanesimo universale. E questo si applica anche al dialogo interreligioso. Con la lunga storia che hanno alle spalle, le religioni mondiali condividono molti elementi fondamentali. Nell’aprile 2002 mi incontrai con Abdurrahman Wahid, ex presidente dell’Indonesia e leader della principale organizzazione islamica indonesiana. Concordammo che tutte le religioni esistono per la felicità del genere umano e che, senza scendere a compromessi dal punto di vista della dottrina, dovrebbero cooperare tutte nel nome della pace. U: Sì, sebbene differiscano sotto molti aspetti, tutte le religioni nutrono la stessa speranza di pace per l’umanità. I: Durante il Millennium Summit dell’ONU nell’autunno 2000 il presidente Wahid disse che il dialogo può offrire un volto umano senza alcun riferimento alle etnie, alle culture e ai trascorsi storici e può consentire di preparare il terreno per promuovere valori comuni e una comune dedizione a una cultura globale di pace e armonia 3. Il dialogo è il metodo migliore per scoprire la nostra comune umanità e per tornare ai valori umani universali. U: Come medico mi sono reso conto che gli esseri umani in tutto il mondo sono straordinariamente simili da un punto di vista fisiologico. Su questa fisiologia noi innestiamo violente differenze culturali e religiose. Ma date le forti somiglianze dei nostri corpi, non stiamo forse prendendo in giro noi stessi quando individuiamo nelle differenze culturali e religiose le ragioni dei conflitti? I: L’identità fisiologica è una delle uguaglianze fondamentali che trascendono le razze e i gruppi etnici. La genetica ha evidenziato di recente che le differenze nella disposizione del dna individuale ammontano a circa lo 0,1 per cento. E, cosa ancora più importante, come ha sottolineato l’agronomo indiano ed ex presidente delle Pugwash Conferences M.S. Swaminathan, gli esseri umani e le piante si somigliano moltissimo sotto il profilo genetico. In sostanza egli conclude dicendo che la genetica moderna conferma la visione dell’unicità della vita sulla Terra. U: La conoscenza scientifica ci consiglia di insistere nel cercare gli elementi comuni e le somiglianze nei diversi continenti e nelle diverse tradizioni culturali e religiose.

Il dialogo interreligioso inteso come lotta spirituale U: Il dialogo può servire per allargare i nostri orizzonti portando la nostra attenzione sulle esperienze di altri. Ma questa è una cosa più difficile nell’ambito della religione di quanto non lo sia nel caso della scienza. Nelle scienze naturali le misure possono essere messe a confronto per creare delle basi di dati. Un chilo di pane resta sempre un chilo di pane. Ma non è altrettanto facile mettere a confronto il pane spirituale. Non si tratta certo di qualcosa di meno importante del pane alimentare, ma non è altrettanto facile valutarne il peso e metterlo in vendita. Con la tendenza a riporre una fede eccessiva nel pane concreto, a poco a poco, tutto ciò che è concreto acquisisce un’importanza maggiore di ciò che è spirituale, fino al punto di avere davanti a noi il sistema capitalistico che ha prodotto una degenerazione dell’umanità. Quello che era un mezzo si è trasformato in un fine a sé stante. Io mi oppongo a tutto questo perché il capitale non può essere preso come punto di riferimento per misurare il valore della vita. I: L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti ha promosso un corso dedicato al dialogo tra il buddismo e il cristianesimo come stimolo per opporsi al materialismo e ha pubblicato i testi relativi in tedesco e in inglese. Ha anche organizzato incontri di dialogo tra le quattro grandi religioni: il cristianesimo, l’islam, il giudaismo e il buddismo. Il senso di questo importante sforzo spirituale lascerà indubbiamente un segno nella storia. Rispondendo alla sua richiesta, per tre anni, a partire dal 1997, la SGI ha preso parte a sei conferenze organizzate dall’Accademia. U: Nonostante le differenze nei sistemi di pensiero che per esempio possiamo vedere confrontando la saggezza buddista con la rivelazione cristiana, queste conferenze hanno avuto risultati positivi nel mettere in luce gli elementi comuni tra le due religioni che possono essere utilizzati per vincere la sfida contro i problemi che affliggono il genere umano. Noi dobbiamo assolutamente costruire dei ponti.

I tratti comuni del buddismo e del cristianesimo I: buddismo e cristianesimo hanno molto in comune. Prima di tutto entrambe sono religioni che mirano alla salvezza. L’amore cristiano e la compassione buddista cercano entrambe la salvezza dell’umanità. Missione

del buddismo è la salvezza del genere umano tramite la compassione che sgorga dalla forza vitale cosmica e si manifesta nelle persone. Affrontando l’oppressione, Shakyamuni e i suoi discepoli viaggiarono in tutta l’India per alleviare le sofferenze della gente comune. U: Il cristianesimo insegna l’amore di Dio e si adopera per insegnare ad amare il prossimo. Gesù Cristo e i suoi discepoli affrontarono difficoltà e oppressione insegnando al popolo. Gesù disse: «Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano» (Matteo 5, 44). Insegna quindi l’amore per l’intero genere umano. I: Un secondo tratto comune è che entrambe le religioni indicano dei modi per spiegare la sofferenza umana e guidare le persone alla vera felicità. Il buddismo mette in risalto l’oscurità fondamentale, ovvero l’ignoranza innata della vera natura della vita come causa della sofferenza. Il cristianesimo, per parte sua, identifica la fonte dell’infelicità nel peccato originale. Tutte e due le religioni fanno riferimento a una dimensione eterna della vita in cui vengono rivelate le cause della sofferenza e viene raggiunta la vera felicità. U: Come lei dice, sebbene le radici filosofiche che spiegano i problemi fondamentali siano diverse, sia il cristianesimo sia il buddismo rivolgono la loro attenzione al cammino della vita: la nascita, l’invecchiamento, la malattia e la morte. I: La terza caratteristica comune è il riconoscimento della dignità dell’umanità e della vita sulla base di un concetto di sacro. Il buddismo insegna che la forza vitale cosmica trascendente è inerente a ogni forma di vita come natura di Buddha e la dignità della vita e dell’umanità deriva dalla manifestazione di questa forza. Nelle civiltà mondiali del futuro questo principio di dignità dovrà diventare il fondamento dell’etica e dei criteri di valore. U: Nella visione cristiana, la dignità della vita deriva dal fatto che l’essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Nonostante le differenze, buddismo e cristianesimo convergono su alcuni punti che vanno al di là dei problemi attuali; per fare qualche esempio, i diritti umani, i sistemi di valori e l’ambiente globale. I: Quando ci siamo incontrati nel luglio 2001 lei propose di allargare il dialogo avviato tra cristianesimo e buddismo e di includere le quattro

religioni maggiori, ovvero queste due più l’islam e il giudaismo. Mi trovai perfettamente d’accordo. I rappresentanti della SGI intervennero alla prima conferenza del nuovo ciclo allargato che ebbe luogo il 15 settembre 2001, a pochi giorni dagli attacchi terroristici di New York. U: L’attentato contro gli Stati Uniti fu uno shock tremendo. Il tema della conferenza sarebbe dovuto essere l’etica della vita. Ma in apertura della conferenza io dissi che gli attentati di quattro giorni prima accrescevano il pericolo di un conflitto globale. Di fronte a questo contesto di emergenza proposi ai rappresentanti delle quattro religioni di affrontare il tema dell’innato istinto umano all’aggressività e alla distruzione. La mia proposta venne accolta e, dopo un intenso dibattito, si giunse a concordare sul fatto che dovesse essere evitata la vendetta per mezzo di attacchi militari e che la discussione fosse il metodo corretto per fermare la guerra. I: Le sono grato per la saggia guida che seppe esercitare in quei momenti. Ho saputo che il teologo e giornalista Norbert Göttler ebbe a dire che il buddismo avrebbe potuto facilitare il dialogo tra islam e cristianesimo. Ripetute nel corso degli anni, queste conferenze fra le quattro grandi religioni hanno prodotto risultati positivi.

Cooperare per la salvezza U: In Europa una secolarizzazione sempre più forte e critica marginalizza la religione, con il risultato che le Chiese europee non hanno più la voce potente che avevano un tempo. Non esito a definire la secolarizzazione una sfortuna. Peraltro in essa vedo delle opportunità. Dato che costringe le Chiese a trovare una giustificazione al proprio esistere, contribuisce a liberarsi di molte zavorre dogmatiche del passato. Le Chiese possono legittimare se stesse solamente mettendo in evidenza il fatto che possono fungere da guide verso una coesistenza umana armoniosa. I: Lei sta parlando di ciò che dovremmo chiedere alla religione del XXI secolo. L’ancora di salvezza della religione è l’empatia e la cooperazione nel superare la sofferenza. In una scrittura buddista, in relazione alla causa della sua malattia, il laico Vimalakirti afferma: «Sono ammalato perché tutti gli esseri viventi sono ammalati» 4. Anche Nichiren disse: «Tutte le sofferenze che affrontano gli esseri viventi sono tutte sofferenze di Nichiren» 5. Lo

spirito di vivere le sofferenze altrui come se fossero le proprie è di certo una forza che può alimentare i dialoghi interreligiosi, contribuendo a superare le differenze e a costruire una società simbiotica. Aurelio Peccei, uno dei fondatori del Club di Roma, discusse con me della possibilità che le religioni mondiali potessero cooperare. «Queste grandi religioni hanno rivolto un appello alle altre grandi fedi del mondo allo scopo di studiare e operare insieme, e pertanto sottrarre la popolazione mondiale alla situazione che oggi la travaglia, guidandola prima che sia tardi alla salvezza terrestre?» 6. U: Quali considera i principali obiettivi del dialogo interreligioso al giorno d’oggi? I: Per ribadire il senso della nostra discussione, potrei elencare alcuni punti: in primo luogo, le religioni dovrebbero favorire la comprensione reciproca fra loro. Questo è il punto di partenza per parlare di tolleranza. Se, pur salvaguardando i propri sistemi filosofici e di fede, le religioni cercano di comprendersi a vicenda, saranno in grado di individuare le molte cose che hanno in comune. U: Abbiamo già visto i fattori che accomunano cristianesimo e buddismo. I: Sì. Il secondo obiettivo del dialogo interreligioso dovrebbe essere che tutte le religioni cerchino di imparare dalle altre e usino quanto hanno appreso per svilupparsi ulteriormente. Tutte le religioni dovrebbero crescere in risposta agli stimoli provenienti dalle altre filosofie e religioni, dallo spirito dei tempi e dalle condizioni globali. Il terzo punto, come ebbe a dire Peccei, per tutte le religioni dovrebbe essere «studiare e operare insieme, e pertanto sottrarre la popolazione mondiale alla situazione che oggi la travaglia, guidandola prima che sia tardi alla salvezza terrestre». I nostri dilemmi attuali possono essere identificati secondo tre classi di relazioni: come anche lei ha detto, le relazioni tra gli esseri umani e la natura, fra gli esseri umani stessi, e fra l’umano e lo spirituale. Il primo insieme di questioni fa riferimento alle relazioni tra il genere umano e l’ambiente naturale nella sfera ecologica: pensiamo allo sconvolgimento degli equilibri naturali che è rappresentato in modo molto chiaro dal riscaldamento globale. Poi seguono i problemi legati alle relazioni tra gli esseri umani negli ambiti politici ed economici, in cui ricadono le armi nucleari, i conflitti e le guerre, le disparità economiche e la povertà, i diritti umani e il terrorismo strettamente connesso a questo insieme. Al centro

troviamo poi la terza categoria, che prende in considerazione il declino dello spirito umano e la crisi che viene messa in evidenza da fenomeni quali l’apatia, gli scoppi di violenza improvvisa, le malattie mentali croniche e l’abuso di droghe, anche tra i giovani. In relazione a tutto questo sono argomenti di discussione i controlli di tipo etico sulla scienza dell’informazione in rapida evoluzione e sulla genetica. Sfide su scala mondiale che coinvolgono l’umanità intera richiedono di mettere in campo i risultati di molti campi della conoscenza. Chiave di volta è il ruolo della saggezza e della creatività nel mettere pienamente in gioco la nostra eredità intellettuale. In questo complesso insieme di sforzi, la religione ha il compito di sostenere e dare forza allo spirito umano e di elevare i nostri sistemi di valori etici e morali. U: Lei ha delineato i modi in cui la religione, in base a come lei la intende, può dare il proprio contributo per indirizzare il nostro mondo verso la pace e un solido ed equilibrato rapporto fra umanità e natura. Non vi è dubbio che la religione abbia il potere di realizzare tutto questo. I: La civiltà del XXI secolo dovrà essere una civiltà del dialogo, come suggerito dal mio amico Tu Weiming, docente dell’Università Harvard e persona attiva in molti campi. Per esempio, in occasione dell’Anno internazionale del Dialogo di Civiltà promosso dalle Nazioni Unite nel 2001 ha tenuto un discorso sulla civiltà confuciana nel corso di una conferenza organizzata dal segretario generale Kofi Annan. Ha definito il dialogo un importante meccanismo per risolvere le contraddizioni e i conflitti interculturali, e insiste molto sulla necessità di riconoscere e rispettare i valori e le condizioni degli altri popoli, cercando al contempo di apprendere e di trarne beneficio. Con le sue iniziative nel campo del dialogo interreligioso lei di fatto agisce in accordo con queste proposte del professor Weiming. U: Il dialogo interreligioso diventerà uno dei punti di riferimento base della nuova civiltà del dialogo. Il nostro stesso impegno nel dialogo mostra che la cooperazione reciproca tra le varie religioni è possibile e ambita dall’intero genere umano. Il dialogo tra il cristianesimo e il buddismo e tra le quattro grandi religioni ha arricchito la mia volontà di unirmi a lei nel parlare in favore della dignità della vita, del rispetto dell’umanità e della pace.

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Religione e tolleranza

I: La virtù della tolleranza è un tema di grande rilievo in questa epoca segnata dalla globalizzazione e da nuovi incontri. I rapidi sviluppi nei trasporti e nelle comunicazioni hanno aumentato di molto la possibilità delle persone di conoscere nuove realtà, a un livello inimmaginabile nel passato. Cercando di conoscere i nostri vicini nel villaggio globale veniamo in contatto con culture e tradizioni diverse. Sebbene certe differenze siano talvolta molto difficili da accogliere, il mondo sta diventando sempre più unito con il risultato che non possiamo fare a meno di andare d’accordo con i nostri nuovi vicini. In questo contesto, la tolleranza è essenziale. Ma la stessa parola “tolleranza” contiene un insieme di connotazioni e complessità. Lei si è impegnato a fondo per coltivare uno spirito tollerante. In che modo interpreta lei questa parola? U: La tolleranza è un concetto molto attivo e molto personale. Scaturisce dalle discussioni con altre persone e presuppone un punto di vista civile. È il processo attraverso il quale io esco da me stesso per parlare con gli altri. È un esempio di aritmetica umana in cui la somma di uno più uno non fa due, ma tre. Quando un’opinione giunge a uno scambio autentico con un’altra, ecco nascere una terza opinione, che crea il punto di partenza per ulteriori approfondimenti nella discussione. Ovviamente lo spirito della tolleranza si ritrova limitato quando le relazioni interpersonali sono tese. Ma dobbiamo interrogarci su questi limiti. In ogni caso direi che la tolleranza è un servizio spirituale reso a un’altra persona. È una forma attiva di coesistenza in cui io mi identifico e mi sento responsabile per i miei compagni. Gli incontri con altre persone ci portano a compiere grandi scoperte e danno un grande contributo all’umanità. In un senso non soltanto simbolico, ognuno di noi deve la propria esistenza a un incontro amoroso tra due persone. Ecco un altro caso di aritmetica umana in cui uno più uno dà come risultato tre. I: Gli incontri con le altre persone arricchiscono l’individuo, le culture e le civiltà. Incontrare uno sconosciuto significa in effetti incontrare un io ignoto, e questa è una cosa che ha effetti di grande trasformazione su

entrambe le parti in causa. Ma come ci insegna la storia sin dai tempi lontani, gli incontri possono essere caratterizzati dalla tolleranza e dall’accettazione, ma anche dall’intolleranza e dal rifiuto. I rifiuti si trasformano in conflitti e distruzione, laddove la tolleranza porta effetti positivi di creazione e armonia. Tornando all’aritmetica umana di cui parlava, uno più uno può dare come risultato zero o anche un numero negativo, oppure il risultato può essere tre, quattro, cinque o anche più. L’epoca attuale, caratterizzata da possibilità di incontri che mai si sono viste nel passato, può produrre risultati negativi e positivi che non hanno precedenti. Penso che sia molto preoccupante il fatto che gli scontri fondati sull’intolleranza scatenino le fiamme della guerra in molte regioni del mondo. Il compito più impellente è rendere il mondo un luogo in cui regni la tolleranza.

Il capitalismo, una nuova religione U: Avverto oggi l’esistenza di una nuova religione, la religione del capitale. Sebbene il capitalismo non comporti necessariamente l’uso della forza, il suo linguaggio nasconde la sua durezza con eufemismi quali “lasciar andare” le persone invece di dire che vengono licenziate; “ristrutturare” al posto di “chiudere”; “flessibilità” al posto di “irresponsabilità”. Ma nonostante queste circonlocuzioni, il linguaggio del capitale ha poco a che fare con la tolleranza. Indurisce i cuori e disprezza l’umanità. Ovviamente il capitale è necessario, ma solo fintanto che sostiene la vita. Come rivela il mito di re Mida, il capitale non dà alcun nutrimento. Ogni cosa che il re toccava si trasformava in oro, ma egli giunse alla morte perché non poteva nutrirsi del prezioso metallo. I: Dal punto di vista del Medioevo, la società moderna sembrerebbe fortemente incline al materialismo nel suo culto del capitale quasi fosse un dio. Il credo mai messo in discussione nell’onnipotenza dei mercati si fonda sulla legge della giungla. I ricchi stanno al di sopra dei poveri che sono ritenuti inferiori e devono restare ai margini dell’arena sociale. Quanto tutto questo renda le persone spietate è davvero preoccupante. La globalizzazione obbliga l’umanità a vivere insieme in un mondo che si

riduce dominato dall’ineguaglianza e dall’ingiustizia. Le persone espulse dall’indifferenza altrui divengono particolarmente cariche di rabbia. Gli attacchi terroristici sono inaccettabili, un male assoluto. Ma non è sufficiente la forza delle armi per eliminarli. Per fermare il terrorismo occorre creare una società caratterizzata dall’empatia e dalla condivisione delle sofferenze altrui. Dobbiamo insegnare alla nostra società a condividere. U: Siamo perfettamente d’accordo sul fatto che le aggressioni che provocano così tante vittime non siano giustificabili in nessun caso. Esercitando l’autocritica, e non per giustificare noi stessi, dobbiamo chiederci come possiamo ridurre l’odio terribile che la cultura capitalistica attira su di sé. Questo odio ha le sue radici nel modo in cui il nostro sistema economico a poco a poco soggioga il mondo intero e fa vacillare i valori morali delle altre culture. È per questo motivo che gli attacchi dell’11 settembre vennero diretti contro i simboli centrali del capitalismo. In questo caso l’odio si è unito all’intelligenza, alla pianificazione razionale e alla resistenza. L’Occidente ora sa di poter essere vittima di attacchi. Alla luce dei drammatici sviluppi successivi all’11 settembre, il termine “tolleranza” è davvero debole e poco utile. Ma non dobbiamo rassegnarci. Se lo facessimo, questo vorrebbe dire abbandonare la fede nei valori spirituali. I: Sono assolutamente d’accordo. La società moderna dominata dall’economia di mercato priva di controlli non è l’unico sistema in grado di sopravvivere. Altre società, radicate in tradizioni differenti, hanno il potenziale per sviluppare altre soluzioni. Per far venire alla luce questi potenziali dobbiamo promuovere lo spirito della tolleranza in ogni angolo del pianeta. In termini buddisti, lo spirito che sostiene la diffusione di questa tolleranza è la compassione.

Carte della Tolleranza I: La tolleranza è veramente una sfida essenziale del XXI secolo. Nello spirito del dialogo interreligioso, nel gennaio del 2002, l’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti ha pubblicato la sua Carta della Tolleranza, su cui mi vorrei soffermare. In essa si afferma che la tolleranza dovrebbe essere un dovere di tutte le persone. Come si è arrivati alla stesura di questo documento?

U: La nostra Carta della Tolleranza deve essere vista come il prodotto della natura multidisciplinare e internazionale dell’Accademia. I numerosi dialoghi interreligiosi hanno messo in luce che la coesistenza è allo stesso tempo una virtù e una necessità impellente. Il desiderio di rispondere a questa necessità ha portato a costituire un consiglio che ha avuto il compito di articolare il testo della Carta come espressione diretta dell’Accademia e in rappresentanza dell’intero senato. Per noi ha una grande importanza culturale. La Carta si compone di due sezioni: il preambolo e sei definizioni. Nel preambolo ci sono tre paragrafi, che fanno riferimento alla realtà sociale contemporanea. I: In esso si afferma che ogni persona deve rispettare le diversità e i valori degli altri come cose degne in se stesse di valore. U: La Carta descrive la vita umana al centro di continue trasformazioni e mette in luce la velocità e le dimensioni di questi cambiamenti come caratteristiche dei nostri tempi – al punto di rendere ignota la direzione verso cui tendiamo. Esprime inoltre l’ingiunzione di avvalersi di una cultura di tolleranza per contrastare le diverse forme di intolleranza. La sempre maggiore importanza attribuita all’individuo porta le persone a considerare le proprie vite un assoluto e a non nutrire alcuna empatia per gli altri. La famiglia dovrebbe funzionare come il nucleo stabile della società umana. Tuttavia si trova attualmente in pericolo e non sembra in grado di assolvere questa funzione. Abbiamo quindi fatto appello a tutte le persone che ricoprono incarichi pubblici di assumersi le proprie responsabilità e di agire affinché la tolleranza venga riconosciuta come un bene per la società. Nello stesso tempo abbiamo fatto appello a tutte le persone, senza riferimenti alle loro affiliazioni politiche o all’appartenenza religiosa. È corretto dire che il preambolo della Carta della SGI esprime l’umanesimo buddista? I: Sì, la Carta della SGI, promulgata nel novembre 1995, sancisce i nostri princìpi guida. In un passo il preambolo afferma: Noi, organizzazioni costituenti e membri della SGI , determinati a levare in alto la bandiera della cittadinanza del mondo, dello spirito di tolleranza e del rispetto dei diritti umani basato sui principi umanistici del buddismo, e a sfidare i problemi globali cui l’umanità si trova di fronte attraverso il dialogo e gli sforzi concreti basati su un costante

impegno di nonviolenza, adottiamo questa carta.

Lo spirito della tolleranza è un segno distintivo della Carta. Al preambolo fanno seguito dieci articoli che stabiliscono gli obiettivi e i principi della SGI. Il buddismo mira a sviluppare un senso universale dell’umanità, quindi la Carta è saldamente ancorata a questo obiettivo. I nostri membri provengono da centonovanta paesi e territori, senza limiti di appartenenza di carattere etnico o culturale. Le diverse culture e tradizioni religiose dei vari paesi in cui siamo presenti hanno tutte il potenziale sia per esprimere la tolleranza, sia l’intolleranza. Stimolando un dialogo sincero e l’importanza di contribuire alle comunità in ogni luogo, noi ci sforziamo di incoraggiare una tolleranza benevola. Siamo certi che la cultura del dialogo crei il terreno in cui può fiorire in tutte le sue forme l’umanesimo universale. La Carta della SGI esprime il nostro voto di buddisti di agire in favore della pace e della simbiosi. È su questi fondamenti che mi sono impegnato a dialogare con leader e intellettuali di diversa estrazione culturale e religiosa, tra cui esponenti cristiani, musulmani e indù. U: Capisco. Infatti è proprio per questa ragione che desidero veramente unirmi a lei in questo compito di promuovere la tolleranza in nome della pace. Il preambolo della nostra Carta della Tolleranza è seguito da sei definizioni: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

la tolleranza è la prontezza del singolo nel sollevarsi in nome della dignità di qualsiasi altro essere umano; la tolleranza è parte di un sistema di valori che mette in risalto la dignità umana; la tolleranza richiede la capacità di una persona di comprendere le altre e di rispettare i diversi comportamenti; la tolleranza si fonda sulla capacità di avere fiducia in se stessi; la tolleranza serve a proteggere la dignità e la libertà di ogni essere umano all’interno del proprio contesto culturale; il fatto di garantire e assicurare un continuo sviluppo della tolleranza dovrebbe essere considerato un nostro comune dovere e un elemento essenziale di ogni forma di educazione 1.

I: Concordo pienamente con l’idea di tolleranza che emerge da queste definizioni. Gli articoli che citerò adesso danno rilievo al modo in cui lo spirito della tolleranza viene espresso nel testo della Carta della SGI. – La SGI, fondata sull’ideale di cittadinanza mondiale, difende i diritti fondamentali dell’essere umano e combatte le discriminazioni. – La SGI, in accordo con lo spirito di tolleranza del buddismo, rispetta le altre religioni, dialoga e collabora con loro alla soluzione dei problemi fondamentali dell’umanità. – La SGI rispetta le diversità e si fa promotrice di scambi culturali, per contribuire allo sviluppo di una società internazionale basata sulla mutua comprensione e l’armonia tra i popoli. – La SGI in ossequio all’ideale buddista di simbiosi, sostiene la protezione della natura e dell’ambiente. – La SGI contribuisce all’educazione e allo sviluppo della ricerca, al fine di permettere a ogni individuo di sviluppare la propria personalità e godere di una vita realizzata e felice. 2 Come viene chiarito da questi articoli, la Carta della Tolleranza dell’Accademia e la Carta della SGI sostanzialmente coincidono nel modo di accostarsi al principio della tolleranza. U: Il nostro modo di porci nei confronti del dialogo è una delle molte cose che abbiamo in comune. Ogni forma di dialogo sincero esprime l’idea di tolleranza cui si fa riferimento nel Nuovo Testamento con l’appello a percorrere il “secondo miglio”. Questa difficile metafora fa riferimento all’imposizione da parte dei Romani a tutti gli ebrei di accompagnare un cittadino romano per un miglio portando il suo bagaglio. L’invito di Cristo a percorrere il secondo miglio pone le basi per il dialogo, dato che questa distanza percorsa insieme offre la possibilità di parlare degli argomenti più vari. Lei è di estrazione buddista e la sua immagine del mondo è diversa da quella cristiana. Non di meno, noi cristiani stiamo acquisendo familiarità con quell’immagine. Non che si intenda da parte nostra accettarla integralmente, tuttavia siamo in grado di coglierne i suoi elementi profondamente umani.

Le tradizioni che hanno espresso la vostra e la nostra Carta sono diverse. Noi non associamo la tolleranza con la nostra tradizione religiosa come fate voi, che avete dei tratti molto più nettamente secolari. Eppure troviamo un terreno di intesa sui valori fondamentali e il lavoro comune fa emergere nuovi elementi di condivisione. I: Il testo della Carta della Tolleranza dell’Accademia dovrebbe fungere da modello per i leader di tutti i paesi. Vincere l’intolleranza è uno scopo prioritario delle Nazioni Unite, come viene chiarito nel preambolo della Carta: «Praticare la tolleranza e vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato». In accordo con questa visione, le Nazioni Unite hanno organizzato la Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza a Durban, in Sudafrica. Sin dai lavori preparatori, i rappresentanti della SGI hanno dato il loro contributo al buon esito della conferenza. Tuttavia, nonostante gli sforzi compiuti a livello internazionale, continuano a verificarsi violazioni dei diritti umani che mostrano come l’intolleranza e la discriminazione siano difficili da sradicare. U: Non si può negare che fenomeni quali il razzismo siano di ostacolo all’affermazione della tolleranza. Noi ci basiamo entrambi sui diritti umani, ma avremo modo di tornare sulla questione in seguito.

Monoteismo e intolleranza U: Pensando all’intolleranza al giorno d’oggi, sono veramente addolorato nel seguire i contrasti disumani che continuano a manifestarsi nel Medio Oriente, la culla delle tre grandi religioni abramitiche, ovvero il giudaismo, il cristianesimo e l’islam. Tutte e tre fanno riferimento a un dio onnipotente riconosciuto dal patriarca Abramo, ma in realtà ne hanno seppellito lo spirito fondamentale. Dal mio punto di vista, il modo sbrigativo di mettere a tacere tutti gli argomenti che potrebbero mettere in discussione le proprie convinzioni e le proprie azioni cela in sé l’intolleranza. Dobbiamo essere sempre vigili e riconoscere l’intolleranza mascherata dall’ipocrisia. Ci sono frasi dietro le quali si nascondono giochi di potere che vengono abilmente mascherati. I: Sebbene la storia ci mostri come il monoteismo sia più facilmente incline all’intolleranza del politeismo, questa non è una tendenza che si

manifesta sempre. Anche i politeisti possono essere intolleranti. Non si tratta soltanto degli insegnamenti, anche l’atteggiamento dei credenti rispetto a essi può portare alla luce la tolleranza o l’intolleranza. Lo shintoismo, che è la religione tradizionale giapponese, è politeistico. Tuttavia, nel momento in cui divenne religione di stato alleata con l’ideologia fascista del XX secolo, manifestò un’intolleranza gretta, che arrecò gravi danni ai popoli asiatici. Durante la Seconda guerra mondiale Tsunesaburo Makiguchi, primo presidente della Soka Gakkai, e Josei Toda, secondo presidente, si rifiutarono di venerare le divinità scintoiste e furono di conseguenza incarcerati. Makiguchi morì in prigione, mentre Toda fu rilasciato dopo due anni di detenzione. Sebbene siano apparentemente più tolleranti, a seconda del modo in cui vengono interpretate e degli atteggiamenti dei seguaci, anche le religioni politeistiche possono rivelare il loro lato intollerante e violento. Benché sia vero che il buddismo non è stato mai al centro di guerre di natura religiosa e in genere è sempre stato caratterizzato dalla tolleranza, ci furono molti buddisti che accolsero con favore il nazionalismo estremo giapponese e scesero a compromessi con l’ideologia fascista dominante. La mancanza di un vero spirito pacifista impedì a queste persone di fede buddista di opporsi al regime. Solo pochi individui quali Makiguchi e Toda si alzarono con coraggio contro le autorità, continuando a sostenere la libertà di religione anche se erano stati incarcerati a causa delle proprie convinzioni. Sono le persone che fanno i principi. Viste da vicino, le guerre che vengono chiamate “di religione” spesso sono causate molto più da ragioni di carattere politico ed economico che non da motivazioni di fede. Oggi vediamo conflitti storicamente complessi e rivalità tra parti che si disputano profitti e perdite ridotti a rigide forme dualistiche in cui le varie religioni rappresentano il bene o il male. Ma questo non è altro che un abuso. U: In effetti bisogna sempre vedere se argomenti di carattere religioso sono effettivamente all’origine di un determinato conflitto. Seppure le parti coinvolte nelle ostilità possano avere precise radici religiose, questo non è sufficiente per affermare che la religione è la causa del conflitto in corso. I: Verissimo. E d’altra parte, il fatto che una persona di una determinata confessione ricorra a forme di violenza estrema non giustifica il sospetto e l’ostilità contro tutte le persone che professano le stesse credenze.

U: Dato che la religione è un fattore molto importante nella vita, dovremmo cercare di prevenire la tendenza all’intolleranza. Ma la storia ci dà occasione di dubitare della nostra capacità di fare questo. Per fare un esempio, sebbene si parli di amore per il prossimo, il cristianesimo è talvolta intollerante, come ci ricordano le vicende delle Crociate, le persecuzioni degli ebrei e la questione dell’aborto. La storia europea ci mostra esempi di errori irreparabili. Al fine di giustificare le Crociate il papa Urbano II definì i musulmani dei demoni. I crociati inflissero ai musulmani sofferenze inaudite, creando le basi per un’ostilità fra l’Occidente e il Medio Oriente e rendendo molto difficile la comprensione reciproca. L’etichetta di demoni aderì ben salda. Una volta che una delle parti comincia a guardare l’altra con astio, ecco che il conflitto sociale e multiculturale può avere inizio. I: La demonizzazione è il primo passo verso la guerra. Quando le altre persone non sono considerate uguali, ma vengono viste come esseri non umani incapaci di provare sofferenza e dolore, diventa possibile attaccarle e colpirle senza esitare. Queste persone diventano entità astratte, prive di individualità propria. Quando poi questo atteggiamento diventa ben radicato, è sempre più facile creare e ampliare le situazioni di rivalità. Le teorie sullo scontro delle civiltà o gli atteggiamenti di ostilità nei confronti degli arabi e dei cinesi hanno insiti in sé rischi di questo genere. Il mondo intero deve moltissimo alla cultura islamica. Importando quelle che al tempo erano le conoscenze scientifiche e naturalistiche più avanzate e anche altri contributi prodotti dalla cultura islamica, l’Europa cristiana è stata in grado di dare vita alla Rinascita del XII secolo da cui ebbe origine l’Europa moderna. Il mondo dovrebbe essere consapevole dei grandi contributi offerti dalla civiltà islamica. U: Cosa ne pensa del fatto che la religione, per sua natura, dia origine all’intolleranza? I: La domanda che mi pone è molto importante. Io sono convinto che la religione di per sé non rappresenti una minaccia per la tolleranza. La crisi della tolleranza non ha radici religiose; si tratta invece di un complesso intreccio di contrasti politici ed economici. La religione deve battersi contro questa crisi e cercare di far guadagnare alla tolleranza il consenso popolare. Parlando di religione e di tolleranza e intolleranza è necessario

interrogarsi sulla natura e sugli obiettivi di una religione. La religione, infatti, dovrebbe guidare le persone verso la verità eterna e universale. Di conseguenza, tutte le religioni dovrebbero avere come proprio fine la felicità umana. È contro la natura stessa della religione assumere posizioni caratterizzate dall’intolleranza e dall’arroganza. U: Nel corso della storia i seguaci di diverse religioni hanno sostenuto l’intolleranza nel desiderio di affermare la propria supremazia in relazione alla verità ultima. Lo stesso accade anche oggi. Ci sono addirittura persone che ritengono che l’intolleranza sia un’espressione forte e diretta, mentre la tolleranza che le si oppone sia un atteggiamento sviluppatosi solo successivamente. I: Fede religiosa significa credere fermamente nella verità esposta dal proprio credo. Ma se lasciamo che questa fede ci renda intolleranti, esclusivisti e poco inclini alla riflessione, andremo contro la finalità stessa della religione, che è la rivelazione della verità. Le persone religiose dovrebbero invece impegnarsi con tutta la loro saggezza e rivaleggiare nel perseguimento della felicità umana. Il fatto di riconoscere nelle altre confessioni religiose dei principi espressi anche nella propria dovrebbe consentirci di rafforzare la nostra sensazione di trovarci sul cammino corretto. D’altra parte, se respingiamo nel loro insieme le verità che vengono affermate nelle altre religioni, non facciamo altro che indebolire la nostra stessa credibilità. U: Credo che da questo punto di vista sia utile fare alcune considerazioni sull’epoca dell’Illuminismo. Gli intellettuali illuministi ritenevano che il sommo risultato raggiunto dall’umanità fosse l’uso della ragione come strumento per mettere in discussione e respingere l’imposizione degli assoluti. In Austria l’imperatore Giuseppe II fu molto attivo in questo ambito e promulgò la Patente di tolleranza che riconosceva per la prima volta la libertà religiosa. I: Giuseppe II, che fu il protettore di Mozart, è noto per le sue importanti riforme. U: Vorrei anche ricordare che l’impero austro-ungarico fu il primo stato che nel XIX secolo riconobbe come religione ufficiale l’islam. I: L’Austria è un buon esempio dei benefici effetti prodotti da un atteggiamento tollerante. Accogliendo persone dotate di talento di diverse

razze e religioni, l’Austria fece della sua capitale Vienna la culla dell’istruzione e dell’arte. Fra i sovrani Asburgo ci furono diversi amanti dell’arte, come per esempio l’imperatore Massimiliano I. Si diceva addirittura che nella famiglia Asburgo esistesse il precetto secondo cui l’arpa è un’arma più potente di una spada. Una profonda comprensione della cultura stimola lo sviluppo di un clima di tolleranza. Inoltre, sin dai tempi antichi, lo spirito umano ha dato vita a delle tradizioni culturali che avevano le loro radici nella religione. Questo è il motivo per cui la tolleranza nei confronti delle altre culture è direttamente legata alla tolleranza delle altre religioni e di tutte le persone. Sebbene sia una digressione, vorrei ricordare che nel 1980 la Min-On Concert Association invitò l’Opera Statale di Vienna per una tournée in Giappone. Come fondatore dell’associazione per me si tratta di un’esperienza indimenticabile. U: Fu davvero un evento storico. In Europa la tolleranza spesso viene vista più come ideale filosofico che religioso. Succede lo stesso anche in Giappone? I: In Occidente la tolleranza viene intesa come ideale filosofico. Tradizionalmente in inglese e in altre lingue occidentali, le parole che si riferiscono alle idee e agli ideali rappresentano dei concetti filosofici. Con la progressiva diffusione del processo di secolarizzazione, le risposte della teologia tradizionale alle domande sull’esistenza hanno perso la loro presa sulle persone e nel tempo si è sviluppata la filosofia esistenzialista, che prese l’avvio con Søren Kierkegaard (1813-1855). In Giappone, d’altra parte, non vi sono sistemi filosofici come quello occidentale che cercano di esporre ideali universali ed è quindi difficile stabilire in via definitiva se il tema della tolleranza sia religioso o filosofico. Dato che in Oriente la religione è una filosofia dell’umanità, della vita e della realtà concreta, un tema di carattere filosofico viene visto naturalmente come un tema religioso. Posto che la tolleranza sia essenziale per una convivenza armoniosa, deve essere guidata dalla religione. Ritengo che questo tipo di guida sia individuabile nella filosofia buddista della dignità della vita, dell’uguaglianza di tutte le persone e del rispetto dell’umanità. In relazione a questo è molto istruttivo l’esempio del Bodhisattva Mai Sprezzante, che è protagonista di un capitolo del Sutra del Loto. Egli riconosceva il supremo valore, ovvero la natura illuminata, come

inerente a ogni persona. Tuttavia, ignare di questa natura illuminata che esisteva nella loro vita, le stesse persone cui Mai Sprezzante mostrava il suo profondo rispetto lo disprezzavano e lo perseguitavano. Ma lui perseverava nella sua devozione, per far sì che tutti si risvegliassero e giungessero a riconoscere la loro suprema dignità. U: L’obiettivo più importante della religione è ridare alle persone il senso del loro valore, che sia per mezzo della preghiera, della meditazione, del digiuno o dell’esame interiore. La riscoperta del proprio valore intrinseco per mezzo della pratica religiosa può rappresentare una base su cui costruire forme di coesistenza armoniosa. I: Sì. Una persona che nutre una forte consapevolezza della propria vita rispetta la vita degli altri e lavora insieme a loro per manifestare le doti di ciascuno e costruire una vita di valore. U: È contrario alla natura della religione incitare al conflitto. In sostanza le religioni dovrebbero mostrare al genere umano la via della libertà e la necessità di non commettere il male per poter coesistere serenamente. La religione affronta la questione di tenere a freno il male che è nell’uomo, come è il caso per il cristianesimo, guidando le persone alla salvezza. Coloro che ricercano la salvezza non dovrebbero mai ricorrere alla forza. I: Come dice lei, le religioni mondiali hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo delle grandi civiltà e tutte sostengono ideali di pace e coesistenza e possiedono un enorme potenziale per coltivare questi ideali. Il professor Majid Tehranian, che era iraniano di nascita, è stato direttore del Toda Peace Institute, di cui sono fondatore. Egli faceva riferimento a questo enorme potenziale nelle sue considerazioni sul termine “jihad”. Egli osservava che la parola jihad in certe occasioni è stata interpretata come a significare “guerra santa” nell’islam, ma che, in un senso più specifico, il jihad che si affida alla forza armata è esteriore e di minore rilevanza. Il jihad interiore è inteso come il processo di purificazione spirituale che permette di sconfiggere il male che vi è in noi, come per esempio l’odio e l’avidità. Solo quest’ultimo può essere il Grande Jihad. Un altro elemento che faceva notare è che l’islam ammette il ricorso alla forza soltanto per autodifesa. U: La tolleranza si basa sulla tradizione abramitico-cristiana ed è un elemento per così dire obbligatorio nelle varie religioni di questo insieme. È interessante notare che le tre parole chiave della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, fraternità, sono degli aspetti della tolleranza. Questo

chiaramente creò dei problemi alla Chiesa, e in particolare a quella cattolica romana, nel momento in cui si dovette confrontare con gli ideali rivoluzionari. La tolleranza fondata sulla tradizione cristiana e la libertà sono chiaramente legate in modo indissolubile una all’altra. I: Sebbene non siano state fatte delle considerazioni definitive sulla Rivoluzione francese, essa fu indubbiamente una pietra miliare nel cammino degli esseri umani verso la libertà. Mi sembra di cogliere che, dal suo punto di vista e in relazione alla posizione della Chiesa cattolica, questo sviluppo possa essere inteso come una manifestazione della virtù della tolleranza che è dono di Dio. Dobbiamo in ogni caso continuare a favorire un dialogo aperto fra le religioni per far emergere sempre più il valore di questa virtù.

La religione e l’autorità U: Il clero può rappresentare un freno straordinario alla diffusione della tolleranza. Questo dipende dal fatto che i membri del clero temono che venga messa in dubbio la loro autorità e così, come ogni persona che abbia paura, ricorrono alle minacce. Viene levato lo spettro della dannazione per tutti coloro che non aderiscono alle posizioni espresse ufficialmente. I: Un clero autoritario è degenerato e ha perso di vista la salvezza intesa come missione fondamentale della religione. Tutti i grandi fondatori hanno sviluppato i loro insegnamenti in risposta alle grida di sofferenza dei loro contemporanei. Gli insegnamenti e le interpretazioni della vita e dell’universo che essi hanno elaborato con le loro riflessioni hanno fatto presa nei cuori delle persone perché si richiamavano ai bisogni della gente comune. Tuttavia, una volta che furono istituiti dei sistemi sociali rigidi con ruoli ben definiti, alcuni membri del clero cominciarono a usare le persone come strumenti per proteggere il proprio prestigio e i privilegi. Ogni volta che accadono cose di questo genere, le voci del popolo vengono ignorate. Se il grande scopo della salvezza delle masse viene meno, ogni desiderio di sviluppo e ogni elemento di saggezza che ricerca la verità viene perduto. Così il livello della religiosità declina e porta ad avere preti falsi e tiranni, ancora più legati alle trame secolari di chi non appartiene a un clero. Bisogna lottare energicamente contro preti di tal genere, altrimenti le persone si ritroveranno a percorrere la via della sventura.

Nella mia giovinezza lo shintoismo di stato, che fu il fondamento ideologico del nazionalismo esasperato, incitava il popolo giapponese alla guerra di aggressione. Come lei sa, il primo e il secondo presidente della Soka Gakkai, Makiguchi e Toda, scrissero e parlarono apertamente, in tutte le occasioni possibili, per opporsi alle autorità dell’epoca. Anch’io, come è facilmente comprensibile, dopo la sconfitta del Giappone ero critico e profondamente privo di fiducia nella religione, ma cercavo comunque un modello filosofico a cui riferirmi nella mia vita. In quel periodo incontrai Toda, il mio maestro nella vita, all’età di diciannove anni e fui così attratto dalla sua personalità che decisi di abbracciare la fede nel buddismo di Nichiren, di cui lui era devoto credente. Sin dal nostro primo incontro, ebbi la sensazione di conoscerlo da anni. Con grande sincerità e candore egli incoraggiò me e i miei coetanei a coltivare il sogno di un paese governato dalla pace e da una cultura dell’armonia, un paese che avrebbe dato un importante contributo al benessere di tutta l’umanità. Da Toda appresi che la religione autentica sostiene il processo di costruzione della pace, lo sviluppo della cultura e la felicità delle persone comuni. Compresi chiaramente che una religione di questo genere è fonte di fede, azione e umanità senza limite alcuno. U: Tenendo fede al mandato di Toda, lei si sta dedicando instancabilmente alle iniziative in favore della pace e agli scambi culturali che sono indispensabili per il futuro pacifico dell’umanità. I: Sono assolutamente consapevole dei pericoli rappresentati da una religione autoritaria, senza dimenticare ciò che accade quando un governo autoritario sfrutta la religione come strumento per la propria politica. In una delle sue opere lo scrittore austriaco Stefan Zweig (1881-1942) descrisse il teologo Sébastian Castellion (1515-1563) che pronunciò una dichiarazione di tolleranza dicendo che «le persone che ricoprono un ruolo di autorità si sforzeranno sempre di giustificare i propri atti di violenza facendo appello a qualche ideale religioso o filosofico» 3. U: Sì, è un fatto storico. I: Zweig insisteva sul fatto che «la violenza delegittima i principi che vorrebbe difendere» 4. La religione viene distrutta dal suo interno quando si lascia sfruttare o arriva a collaborare attivamente con chi commette azioni violente e atti di guerra. L’autorità è caratterizzata da un egoismo demoniaco intrinseco. Per contrasto, la vera religione agisce sostanzialmente per ridurre

la sofferenza umana. Laddove l’autorità opprime, domina e disprezza l’umanità dall’esterno, la religione fa emergere la forza della vita dall’interno e permette agli esseri umani di manifestare le proprie doti individuali capaci di creare grande valore. Per sua natura la religione è un’arte di purificazione dell’egoismo avido dell’autorità, che cerca di indirizzare il potere politico verso il bene delle persone comuni. U: Sì, la politica dovrebbe essere l’arte di essere al servizio del popolo. In fin dei conti il termine “ministro” deriva dalla parola latina minister che significa “servitore”. I: La religione dovrebbe essere una forza che opera per trasformare l’autoritarismo. Ci sono tuttavia dei casi in cui il suo desiderio di salvaguardia del proprio ruolo o l’aspirazione ad ascendere a ruoli di potere sono causa di atti crudeli di intolleranza. Dato che, come lei dice, la religione è una componente essenziale della natura umana, un comportamento ipocrita dei leader religiosi provoca confusione e profonda sfiducia. La tirannia dei falsi leader religiosi che si nascondono dietro l’autorità è inaccettabile. Dobbiamo fare affidamento su mezzi pacifici quali la libertà di parola per opporci all’intolleranza che mette a rischio la dignità umana. Questo è il significato di un concetto quale la tolleranza positiva, che significa incoraggiare le persone comuni a diventare più forti e più sagge per non essere più ingannate dalle autorità. È questo il tipo di lavoro che stiamo cercando di svolgere. U: Certo. Le persone dotate di una mente tollerante hanno il coraggio che occorre per promuovere la causa della pace. Possono opporsi al fanatismo e alla sete di vendetta che mettono a rischio la dignità umana. È sbagliato ritenere, come ho già detto in precedenza, che l’intolleranza sia primordiale e forte e che invece la tolleranza sia un concetto derivato e intrinsecamente debole. Tolleranza e religione sono inseparabili. I: A supporto di quanto lei afferma potrei fare riferimento a un esempio tratto dalla storia che mette in risalto l’inseparabilità di tolleranza e religione. Alcuni degli intellettuali con cui ho avuto modo di dialogare hanno mostrato il loro interesse per la figura del re indiano Ashoka e per le sue politiche umanitarie basate sulla compassione buddista e sviluppate con il fine della felicità del popolo. Fautore della tolleranza, egli riconobbe la libertà di culto. Inoltre, abbandonando l’idea delle guerre di conquista, cercò di avere scambi pacifici con molti altri paesi del suo tempo. Le sue azioni mostrano la

relazione ideale che dovrebbe intercorrere tra governo e religione e offrono un esempio illuminante di come la via della tolleranza religiosa favorisca la prosperità generale. Ashoka incarnò nell’azione di governo lo spirito di Shakyamuni, gli ideali di compassione che erano all’origine del buddismo. In tutte le religioni è molto importante fare continuamente riferimento allo spirito e agli insegnamenti dei fondatori. Ashoka contrastò i leader religiosi che avevano abbandonato lo spirito di Shakyamuni e si erano dimenticati delle loro responsabilità in relazione alla salvezza degli esseri umani. Uno degli editti che fece incidere su steli e colonne per far conoscere al popolo il suo volere diceva: «Chiunque, monaco o monaca, rompa l’unità del Samgha (la comunità dei fedeli buddisti) dovrà indossare abiti bianchi e vivere al di fuori dei monasteri» 5. Toda amava dirci che, se si fossero riuniti in una stanza i fondatori delle grandi religioni e filosofie mondiali, avrebbero di certo trovato molti argomenti per andare d’accordo. Tutti coloro che hanno combattuto per la liberazione umana e per la pace, e vorrei ricordare Gesù, Maometto e Shakyamuni, operavano in favore delle persone sofferenti e cercavano di alleviare il dolore, come fece Nichiren cui noi tributiamo il nostro rispetto. Un aspetto del movimento fondato da Nichiren fu il richiamo allo spirito di Shakyamuni e ai suoi insegnamenti per tutti coloro che volevano liberare le persone dalla sofferenza. Le sue parole ammonivano anche a tornare a riferirsi al Sutra del Loto, che afferma la dignità di tutti gli esseri umani e cerca di risvegliarli a questa verità. L’impresa cui si dedicò Nichiren fu quella di tornare al punto d’origine della religione, ossia alleviare le sofferenze degli esseri umani e indirizzarli verso la felicità autentica.

Armonia con il pensiero scientifico U: Come scienziato considero la tolleranza una condizione base per la coesistenza. A modo loro le religioni sono scienza. Sviluppano dei sistemi teologici che guidano i credenti nella ricerca di Dio e in questo modo offrono nuovi stimoli. I: La religione è la saggia ricerca della verità che concerne la vita e l’universo. È un percorso esistenziale che cerca di raggiungere la felicità umana. Sulla base dei risultati dei diversi percorsi di ricerca, le varie religioni

e confessioni hanno elaborato dei sistemi organizzati di insegnamento che hanno assunto la forma degli studi teologici e dottrinali. Avvalendosi della loro esperienza religiosa, i fondatori e i seguaci sviluppano dei sistemi teoretici coerenti e ben strutturati. Sotto questo aspetto, le religioni sono un’espressione della logica empirica che è alla base della scienza moderna. Makiguchi era un educatore. Il suo desiderio di condurre alla felicità tutti i bambini lo portò a definire i valori che essi avrebbero dovuto cercare di coltivare nella vita e a sviluppare intorno a essi le sue originali teorie educative. Nel pieno di questo processo egli incontrò il buddismo di Nichiren e si sentì talmente in sintonia con l’idea della dignità umana e con la possibilità di riformare la vita e la società che decise di convertirsi. Fu questa l’origine del movimento popolare della Soka Gakkai dedito alla pace, alla cultura e all’educazione, che si basa sul buddismo di Nichiren. Essendo un uomo moderno, Makiguchi si impegnò a verificare la validità universale dell’insegnamento che aveva abbracciato per mezzo di metodi scientifici che prevedevano la pratica concreta e le verifiche. Il suo modo di porsi era una versione moderna del metodo di cui si avvalse lo stesso Nichiren per mettere a confronto le diverse filosofie e religioni del suo tempo: prova documentaria, prova teorica e prova concreta. Come ho già detto, il buddismo, e il buddismo di Nichiren in particolare, è razionale ed empirico, proprio come nel caso della scienza moderna. U: È una cosa affascinante. I: Una religione che miri a rappresentare un punto di riferimento per la civiltà del XXI secolo deve armonizzarsi e anche guidare il pensiero scientifico razionale. Credo che il buddismo includa concetti che sono in profonda sintonia con riflessioni e osservazioni espresse nelle scienze sociali e in altre discipline umanistiche. I dialoghi che ho avuto con diversi intellettuali di diversi paesi sono stati per me una conferma di questa mia convinzione. In ogni caso, alle religioni del XXI secolo spetterebbe il problema di come gli esseri umani dovrebbero vivere, avendo ben presenti le condizioni del mondo, della società e dell’ambiente naturale. U: Dal mio punto di vista, la domanda fondamentale nella vita è da dove veniamo e dove dovremmo andare. Le religioni, le filosofie e le arti si sono sempre sforzate di dare una risposta a questo interrogativo, ognuno a modo

proprio. Tuttavia le stesse domande continuano a ricorrere anche oggi e vengono date nuove risposte. Ma alcune di esse non sono accettabili, non convincono affatto, quando non sono addirittura del tutto errate. Proprio in relazione al tema della tolleranza, occorre essere molto accurati. Dico questo perché io non potrei dire di aver veramente riflettuto su una risposta se non esprimo un giudizio di valore su di essa. Ma il fatto di giudicare il valore di una risposta non significa criticarla. Penso sia importante chiarire questo punto. I: Più i temi sono delicati, più è necessario che il dialogo sia sincero. Cosa ne pensa dell’affermazione secondo cui in Europa, a partire dal XVII secolo, ovvero dall’avvento del razionalismo, le religioni ufficiali hanno fatto un passo indietro per lasciare spazio al razionalismo scientifico, che a sua volta è diventato un nuovo tipo di religione? U: È certo il fatto che negli ultimi duecento anni il pensiero matematico e razionale siano stati sopravvalutati. L’opinione che prevale nel mondo è eccentrica, priva di controllo e gravemente inclinata verso tutto ciò che è razionale e teorico. Il rilievo eccessivo attribuito al denaro è sintomo di una visione errata della realtà. Anche nel mio campo, la medicina, le regole sono diventate meno stringenti. Nelle scuole di medicina gli esseri umani vengono studiati come oggetti. I pazienti vengono curati come possibili clienti delle assicurazioni sanitarie. Dobbiamo affermare chiaramente che la scienza non è e non può sostituirsi a Dio. L’eccesso di enfasi sulla ragione ha sostanzialmente alterato le relazioni tra gli esseri umani e la natura, tra gli esseri umani stessi e tra l’umano e lo spirituale. L’armonia antropocentrica è crollata. Le persone consapevoli stanno cominciando a capire che ci sono molte cose in cielo e in terra che non possono essere misurate. Come nelle altre visioni del mondo e nelle altre culture, la nuova cultura globale dovrà fondarsi saldamente sulla fede che caratterizza l’essere umano. Sebbene soggetta a diverse interpretazioni, la religione è all’origine della cultura. È per questa ragione che è tanto importante un approfondito dialogo interreligioso. I: Da questo punto di vista, il dialogo interreligioso dovrebbe diventare l’essenza del dialogo tra le civiltà. U: È proprio vero. Nell’estrema secolarizzazione del presente, a causa di un pluralismo che non conosce alcun limite, se una persona non commette

azioni illecite è completamente libera di agire in base alla propria inclinazione. Indubbiamente questo insieme di circostanze contribuisce enormemente allo sfruttamento e alla distruzione del pianeta da parte degli esseri umani. Tutto questo sta avvenendo al cospetto di quella che si potrebbe definire “tolleranza di facciata”, come si usa dire, politically correct, che è assolutamente insufficiente. Nel mondo di oggi, afflitto da diverse crisi, occorre fare riferimento a una tolleranza che abbia sostanza propria. I: Sì, capisco. La tolleranza formale che lascia libero gioco all’egoismo delle diverse parti in causa in una certa situazione non può essere accettata. Una tolleranza autentica deve essere basata sul superamento della rapace avidità umana. Questo è un ruolo che la religione ha svolto sin dai tempi più antichi. Una tolleranza che si limiti a riconoscere l’esistenza degli altri è essenzialmente passiva. Mi piace definire “tolleranza attiva” quella che ci permette di far fiorire un’umanità più radiosa che è capace di rispettare, di provare piacere e di apprendere dall’esistenza degli altri. È una tolleranza, per usare le sue parole, dotata di sostanza propria. La tolleranza passiva è pura e semplice formalità. Ciò che viene chiamato “tolleranza” deve essere considerato in riferimento al fatto che il suo impiego renda le persone più caritatevoli e più felici. U: Per salvaguardare il mondo occorre che gli esseri umani siano capaci di comprendere la loro natura essenziale. E dato che tutto questo deve cominciare dall’individuo, dobbiamo stabilire tre saldi principi morali: la dignità umana, lo sviluppo umano e la protezione umana, vale a dire la protezione della vita. Un’attenta riflessione sul valore della vita è importantissima in relazione all’ultimo principio. Il dialogo interreligioso può dare origine a linee guida che contribuiscano a proteggere l’umanità e la società, elaborando valori globali che trascendano le differenze di carattere religioso. I: Effettivamente il dialogo interreligioso è una delle urgenze pressanti della nostra epoca. La tolleranza dotata di struttura interna guida le persone a un dialogo aperto e all’apprendimento da parte di tutti. D’altro canto, un atteggiamento chiuso, che si limita ad accettare l’esistenza di altri in modo indistinto, è segno di una tolleranza soltanto formale. I tre principi che ha elencato rappresentano delle linee guida fondamentali per superare l’avidità e coltivare la tolleranza.

Spezzare le catene della violenza e dell’odio U: Sarà d’accordo con me nel riconoscere, in modo realistico, che avremo sempre di fronte l’intolleranza. Si potrebbe andare avanti all’infinito discutendo di natura dell’aggressività e di intolleranza. In Europa si è sempre pensato che gli esseri umani siano buoni per disposizione naturale e che sia la società a renderli aggressivi. Si è fatto riferimento a popoli primitivi presumibilmente pacifici per sostenere questa tesi. Ma oggi la maggior parte degli etnologi ha un’opinione diversa. Anche i popoli primitivi possono essere aggressivi. La tolleranza deve essere sviluppata, allo stesso modo di altre capacità che sono importanti per la vita civile, quali il modo di stare a tavola o la cortesia. Tutto dipende dall’educazione. Ci sono, ovviamente, degli elementi di casualità. L’educazione può avere successo soltanto se i genitori fungono da modello. Tutti sanno quanto sia difficile condurre una vita coniugale esemplare. I bambini che osservano i loro genitori che cercano di essere virtuosi cercheranno in seguito di emularli. I: Concordiamo sul fatto che sia l’educazione a rendere davvero umani gli individui. La questione importante è la natura dell’educazione: conduce a una cultura di violenza o a una cultura di pace? Sebbene siano fermamente radicate nella forza vitale dell’essere umano, l’aggressività e la violenza non rappresentano necessariamente la vera essenza della persona. Gli esseri umani possiedono innata in loro la capacità di contenere, controllare e sublimare la violenza e l’aggressività. Nella sua profonda ricerca sulla vita, il buddismo ha individuato sia il bene fondamentale, espresso dalla natura di Buddha, sia il male fondamentale, cioè l’ignoranza di questa natura, che sono in costante conflitto tra loro. Questa idea mette in evidenza la necessità che l’essere umano sia consapevole della violenza che esiste dentro di lui e di quanto sia importante sforzarsi di tenerla a freno. Così, dovremmo sempre cercare di invocare la tolleranza per opporci alle tendenze orientate all’intolleranza. Ogni volta che vengono lasciate le briglie sciolte in questa incessante lotta spirituale, la natura barbara e violenta può diventare dominante. Questo è vero sia nel caso delle singole persone, sia nel caso di intere civiltà. Chiunque combatta la violenza con metodi violenti si abbassa allo stesso

livello dell’antagonista e si unisce a esso da un punto di vista psicologico. Questi metodi errati non possono essere giustificati nemmeno se ci si avvale di questi per raggiungere un obiettivo giusto. Uno scopo nobile impone l’uso di metodi nobili. La violenza è una minaccia per la dignità della vita. Bisogna farle fronte con la non violenza, che difende in modo rigoroso quella stessa dignità. U: La tolleranza non è una cosa che può essere misurata. Contiene degli elementi di imprevedibilità. Una persona che viene colpita in qualche modo da un’altra reagisce in modo abbastanza tipico. Come possiamo vedere nel Medio Oriente odierno, da questa reazione si genera un processo a catena di grado sempre maggiore, con reazioni e controreazioni violente. Ma la creatività insita in una reazione che esprime tolleranza può spezzare questo ciclo prevedibile. I: È un punto molto importante. Al fine di continuare a veleggiare verso la pace duratura, la nave della storia umana deve poter contare su una forte corrente: l’invisibile ma tuttavia potente flusso della trasformazione che avviene nella mente dell’umanità. Non possiamo attenderci che i trattati, per quanto ben articolati, e le strutture producano i risultati sperati senza che vi sia un cambiamento nella mente delle persone. U: Nelle mie esperienze di dialogo interreligioso ho osservato che il carisma è molto più efficace delle semplici parole. Persone diverse riconoscono al termine “virtù” diversi significati. Ma le parole non sono poi così importanti. Ciò che conta davvero è la condotta concreta di una persona virtuosa. La tolleranza non può essere inquadrata in modo rigido, perché è qualcosa di intimo e individuale. È sempre legata alla singola persona. I: Senza dubbio la pratica attiva della tolleranza è ben più importante del parlarne. Inoltre, per dare maggiore sostanza all’idea di tolleranza, è indispensabile una rivoluzione dello spirito umano che la sostiene. I dibattiti sulla libertà, sull’eguaglianza e sulla tolleranza spesso si riducono a un semplice esame di sistemi. Senza un cambiamento delle condizioni spirituali della società, qualsiasi soluzione formalmente ineccepibile potrebbe trasformarsi in coercizione. E questo non farebbe altro che alimentare la spirale della tensione e dell’intolleranza. Il XX secolo ha conosciuto l’intolleranza espressa dagli stati totalitari, che hanno portato a tragiche rivoluzioni. Carl Gustav Jung disse che «se soltanto

si diffondesse una consapevolezza globale del fatto che tutte le separazioni e le fratture sono dovute alla contrapposizione degli opposti nella psiche, sapremmo finalmente da dove si dovrebbe iniziare» 6. Grazie a una consapevolezza diffusa di questo tipo, potremmo scoprire il punto da cui cominciare ad affrontare questo problema. Credo che sia necessario cominciare dalla rivoluzione interiore.

Immagini della libertà e della responsabilità I: L’importante principio buddista dell’origine dipendente chiarisce che tutte le cose umane e non umane sono interdipendenti e che nulla esiste nell’isolamento. Di conseguenza non vi è nulla nel mondo intorno a noi che sia privo di una relazione con l’io. Ogni azione compiuta da una persona è strettamente connessa al dinamismo della creazione cosmica. Ricollegandoci alla tolleranza, quindi, dobbiamo impegnarci in una riforma della vita interiore che conduca a una piena consapevolezza dell’interdipendenza e che faccia sorgere un senso di responsabilità nei confronti degli altri. U: È vero. La consapevolezza dell’interdipendenza è all’origine del senso di responsabilità. Forse, parlando di tolleranza, tendiamo a dare un risalto eccessivo alla libertà. Alla fine del XIX secolo la Statua della Libertà che fu eretta a New York accoglieva gli emigranti ricordando loro che avevano raggiunto un luogo di libertà. Ricordo molto bene una conferenza del neurologo e psicologo austriaco Viktor Frankl (1905-1997), che ebbe luogo all’Università di Vienna nel 1964, allorché disse che l’importanza della responsabilità avrebbe meritato maggiore attenzione e che sarebbe stato un’ottima idea innalzare una Statua della Responsabilità sulla costa occidentale degli Stati Uniti. I: Il senso di responsabilità per le altre persone e per la società dovrebbe scaturire dall’interno. Il termine inglese responsibility fa riferimento a una capacità di rispondere. Le persone vittime di un’oppressione segnata dall’intolleranza desiderano molto di più della libertà o di un trattamento di favore. Vogliono che la società ne riconosca l’esistenza, le rispetti e le valorizzi. Desiderano sentire la solidarietà in quanto membri di una società capace di offrire delle risposte. Un senso di responsabilità di questo genere è prova di autentica libertà. L’unico modo per esprimere la tolleranza oggi è far

crescere il numero delle persone dotate di questo senso di responsabilità e rendere la solidarietà un valore globale. U: In relazione alla responsabilità sono stato molto colpito dalle parole del cardinale Franz König (1905-2004) pronunciate nel discorso di chiusura di un congresso dell’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti e dell’Istituto di Medicina (che è oggi diventato Accademia Nazionale della Medicina) che si tenne a Washington D.C. Egli disse che i ricercatori devono svolgere il loro lavoro onestamente e che, quale che sia il materiale di cui si avvalgono, gli scienziati dovrebbero sempre seguire la voce della coscienza. Potrei dirlo con queste parole: la responsabilità non equivale forse alla voce della coscienza che ci dice dove dovremmo andare? I: La tolleranza impone che noi prestiamo ascolto alla voce della nostra coscienza. È un dialogo con le altre persone e con il nostro io nel perpetuo interrogarsi sui nostri interessi diretti e su ciò che ci arreca danno. Viktor Frankl disse che la voce della coscienza è la voce di un essere trascendente, la voce di Dio. Ma ora, dopo aver parlato di tolleranza, vorrei affrontare il tema della dimensione religiosa dell’amore e della compassione.

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La compassione buddista e l’amore cristiano

I: Si potrebbe parlare del buddismo come di una religione di saggezza e compassione. È caratterizzato dalla saggezza cosmica che si fonda sull’illuminazione di Shakyamuni alla Legge fondamentale, o verità, dell’universo e dalla compassione cosmica che è legata alla saggezza. L’idea buddista di compassione ha due aspetti: il desiderio di condividere un legame di amicizia con le altre persone (maitri in sanscrito) e il desiderio di fare proprie le sofferenze altrui (karuna in sanscrito). Quindi alla lettera significa una vicinanza assoluta tra le persone, senza alcun tipo di discriminazione. A partire da questo significato fondamentale, il buddismo Mahayana ha sviluppato il concetto di eliminare la sofferenza e dare la gioia. Nichiren affermò che questi due aspetti della compassione potevano essere rappresentati dall’amore paterno che costituisce un modello di riferimento e dall’amore materno incondizionato. Essendo di esempio, un padre incoraggia i propri figli a fare ciò che è giusto nei confronti degli altri. Citando le parole del maestro cinese Zhang’an (561-632): «Se uno è amico di una persona, ma manca della compassione di correggerla, in realtà è un suo nemico» 1, Nichiren incoraggiava a opporsi al male con fermezza. L’amore materno, invece, è in grado di accogliere ogni persona così come è e condivide le gioie e i dolori. La compassione quindi si esprime attraverso un comportamento che mantiene i due aspetti in equilibrio e cerca di migliorare se stessi e le altre persone. Qual è, dal suo punto di vista, il significato dell’amore e della compassione cristiani? U: Le nostre scuole religiose si concentrano sulla compassione, un principio fondamentale dell’etica cristiana, così come nel caso del buddismo. Compatire significa mettere se stessi al posto degli altri, essere commiserevoli, offrire sostegno. Dal mio punto di vista la compassione ha poco a che fare con la tolleranza. La compassione sta su un piano diverso ed esige la presenza di una virtù, ossia la carità. Trattandosi di virtù diverse, quale relazione intercorre tra compassione e tolleranza? Si pensi per esempio al caso di una persona che provoca del dolore a

un’altra. Colui che soffre stimola il mio desiderio di essere compassionevole e io desidero aiutarlo. Desidero anche che colui che ha provocato il dolore non infierisca sulla sua vittima. Tuttavia, è possibile che colui che commette il male abbia dei motivi per attuare il suo comportamento. Può darsi che la sua vittima in precedenza lo abbia insultato. In questo caso devo fare appello alla sua tolleranza. Ma la situazione potrà dirsi veramente risolta solo se faremo appello anche alla tolleranza della vittima. Altrimenti non sarà possibile porre fine al contrasto. La compassione è strettamente legata alla difesa della tolleranza, che può ispirare il desiderio di perdonare. Mi stimola ad agire ed io potrò avere successo soltanto se le due parti in causa si sforzeranno di risolvere il problema che vi è tra loro. Entrambe le parti devono confrontarsi con il difficile compito di perdonare. Il buon esito ha il suo prezzo. Il grande valore che la cristianità attribuisce al perdono è espresso nel Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». I: Lei pone la compassione e la tolleranza su due piani distinti. Se la compassione è sul piano della vicinanza tra esseri umani, la tolleranza è parte della virtù dell’amore che deriva da Dio. U: Proprio così. Le mie esperienze nei dialoghi interreligiosi mi hanno insegnato che la tolleranza è all’origine di valori positivi. Tutte le azioni dovrebbero essere indirizzate alla difesa del bene e all’evitare il male. Le persone non dovrebbero essere meschine, invidiose o arroganti. Virtù carismatiche quali la fede, l’amore e la speranza esprimono gli aspetti positivi di questa idea. In pratica io vedo la tolleranza come la virtù della coesistenza. In una qualsiasi scala di valori, il tema ricorrente è sempre tenere lontano il male. La suprema virtù carismatica è l’amore. Ovviamente nel considerare le situazioni occorre la saggezza. Per esempio, un giudice capace di combinare la saggezza con la propria esperienza sarà in grado di essere clemente di fronte a un reato minore, sentendosi magari soddisfatto di una semplice ammonizione, laddove è possibile che un altro giudice invochi la massima pena prevista dalla legge. Da dove viene la saggezza? Possiamo apprenderla? Di certo, dato che non deriva semplicemente dalle esperienze di vita, può essere insegnata, ma da maestri dotati di carisma. Anche le migliori istituzioni educative non possono garantire né imporre una saggezza carismatica. La saggezza pertiene

all’individuo. Le istituzioni possono premiare – e talvolta ostacolare – il lavoro di saggi insegnanti; ma restano comunque dei contenitori che, sebbene ne possano traboccare, non sono in grado di creare la saggezza. I: Sicuramente la saggezza si trasmette attraverso gli scambi personali tra maestro e discepolo. Ho parlato del buddismo come di una religione di saggezza e compassione. Dal punto di vista del buddismo quello che lei definisce “compassione” è una manifestazione nelle relazioni tra individui della compassione cosmica. Lei ha parlato della tolleranza in relazione alla virtù cristiana. Mi piacerebbe parlare adesso dell’interpretazione buddista della tolleranza e della relazione che intercorre tra saggezza e compassione buddiste e tolleranza. Se il cristianesimo si basa sulla fede nel Dio creatore onnipotente, il buddismo pone al centro di tutto la Legge fondamentale dell’universo, grazie alla quale Shakyamuni si risvegliò. Il Sutra del Loto insegna che la Legge alla base di questo risveglio trascende il tempo e viene impersonificata dal Buddha eterno. La Legge e il Buddha sono un’entità indivisibile e rivelano che la natura della vita cosmica è eterna, senza inizio né fine. Il Buddha eterno è dotato di tre “corpi” o virtù: il corpo del Dharma, il corpo della retribuzione e il corpo manifesto. Il corpo del Dharma è la Legge fondamentale ed eterna, la verità dell’universo. Il corpo della retribuzione è la saggezza cosmica inerente che viene manifestata da questa verità. Il corpo manifesto è la compassione cosmica che mira alla salvezza di tutti gli esseri viventi. Il Sutra del Loto, in sostanza, identifica l’energia vitale universale mediante le tre virtù, la verità, la saggezza e la compassione. Gli esseri umani che manifestano queste virtù nelle loro vite sono chiamati “gli inviati del Tathagata” (un altro appellativo del Buddha). Nel Sutra del Loto troviamo il seguente passo: Se dopo la mia morte uno fra questi uomini o donne devoti sarà in grado di trasmettere segretamente il Sutra del Loto a una sola persona, anche solo una frase, allora sappi che egli o ella è l’inviato del Tathagata. È stato inviato dal Tathagata a proseguire la sua opera. 2

Questi inviati del Tathagata, che condividono con lui il desiderio di salvare gli esseri viventi e agiscono su suo mandato, vengono anche chiamati “maestri della Legge” o “Bodhisattva della terra” (oppure, come viene

chiarito nel Sutra, “Bodhisattva che emergono dalla terra”). Da un punto di vista buddista, la tolleranza è una manifestazione della compassione eterna che è inerente alla vita cosmica e al Buddha eterno. In termini più concreti, è la virtù che viene manifestata nell’opera dei maestri del Dharma e dei Bodhisattva della terra. È quella che lei definisce la virtù della coesistenza. Dato che nel buddismo saggezza e compassione sono una sola cosa, la tolleranza buddista è unita alla saggezza inerente all’energia vitale cosmica. U: Qual è l’interpretazione buddista del perdono? I: Anche il perdono viene inteso come una manifestazione della compassione inerente all’eterna natura di Buddha. In relazione al perdono, mi ricordo di ciò che avvenne dopo la fine della Seconda guerra mondiale. I rappresentanti di Ceylon (oggi Sri Lanka), in occasione della conferenza di pace di San Francisco, che si tenne nel 1951, dichiararono di rinunciare alle riparazioni di guerra da parte del Giappone. Essi dichiararono che, sebbene ne avessero il diritto, non avrebbero richiesto il pagamento dei danni di guerra perché avevano ben presenti le parole del Buddha, i cui insegnamenti avevano arricchito le vite di innumerevoli persone in tutta l’Asia: «Perché l’odio non verrà sconfitto dall’odio. L’odio viene sconfitto dall’amore. Questa è una legge eterna» 3. Questo passo del Dhammapada (“Il cammino della perfezione”) contiene una chiara espressione del perdono e della tolleranza positiva che si basano sulla grande virtù cosmica della compassione. U: Come cristiano penso che la tolleranza reciproca tra persone di diverse fedi sia una manifestazione della virtù divina dell’amore. I: All’opposto del bene che favorisce la tolleranza e la coesistenza vi è il male che provoca divisione, una condizione patologica in cui le persone chiudono i loro occhi di fronte alle cose che hanno in comune con gli altri e divengono ossessionate dalle differenze. Andando al di là del livello individuale, questa situazione si può manifestare in forme di estremismo esclusivista, di razzismo e di nazionalismo. Coloro che si sforzano di andare oltre l’io limitato, per così dire inferiore, e si illuminano al grande io universale cercando di far emergere il sommo bene nella propria vita e in quella degli altri sono chiamati Bodhisattva nel buddismo. Sono persone che mettono in pratica la tolleranza positiva. U: Quindi lei stesso è un esempio della pratica del Bodhisattva.

Nascita, invecchiamento, malattia e morte U: Per me la religione è l’essenza dell’umanità. Come sono giunto io, medico, a questa conclusione in tempi come quelli attuali? Le persone forse non si stanno allontanando dalle Chiese in numeri sempre crescenti e non è tutto questo comprensibile? La risposta a entrambe le domande è sì. Tuttavia, in quanto medico, vedo chiaramente che nei momenti difficili molti pazienti si aggrappano alle loro convinzioni religiose. I: Questa è un’osservazione importante. La sofferenza della malattia costringe le persone a confrontarsi con l’idea della propria morte e ispira profonde riflessioni sulla vita. Rivolgendo il nostro pensiero alla vita e alla morte sentiamo il bisogno di un saldo punto di riferimento filosofico e religioso. Nichiren insegna che «la malattia stimola lo spirito di ricerca della via» 4. Egli scrive anche: «Prima di tutto dovrei studiare ciò che riguarda il momento della morte e poi tutto il resto» 5. I giapponesi attribuiscono una grande importanza all’aspetto della persona defunta. Ci sono persone che muoiono con un’espressione del viso distesa e gentile, che viene considerata come una conseguenza del fatto di aver vissuto una vita di valore e piena di soddisfazioni. Altri possono invece mostrare espressioni diverse. Come valuta questa enfasi sull’aspetto della persona al momento della fine dal suo punto di vista di medico? U: Come lei ha detto, le persone muoiono con espressioni del viso molto diverse. Coloro che hanno avuto delle vite felici e soddisfatte e coloro che riescono a concludere le loro vite con fiducia e serenità mentale si può dire che muoiano con un buono stato vitale. Se dovessero reincarnarsi, rinascerebbero in una buona condizione. Le ricerche hanno mostrato che le persone che muoiono con espressioni del viso contorte e spaventate sono andate incontro alla loro ora conclusiva con dei problemi che le tormentavano. Forse nella loro vita sono mancati la fiducia in loro stesse o il senso di appagamento. I: Il buddismo fa riferimento ai quattro momenti solenni della nascita, dell’invecchiamento, della malattia e della morte con l’insegnamento delle quattro sofferenze. Nessuno sviluppo della scienza medica e nessuna ricchezza materiale possono risolvere i problemi che esse pongono. Il tema

fondamentale della nostra esistenza è superare queste sofferenze in un modo che ci permetta di esprimere al massimo la radiante bellezza della vita. La storia dei quattro incontri che Shakyamuni fece all’esterno del palazzo reale in cui viveva da giovane è una metafora di come egli divenne consapevole delle quattro sofferenze. Si racconta che in un’occasione il principe Siddharta, ovvero il giovane Shakyamuni, uscì dal palazzo dal cancello a est e incontrò una persona anziana. Un altro giorno, uscendo dal cancello a sud, si imbatté in una persona malata. Poi, uscendo dal cancello a ovest, incontrò un corteo funebre. Quando invece uscì dal cancello a nord, incontrò un asceta. Questi quattro incontri persuasero Shakyamuni ad abbandonare la vita secolare e a dedicarsi alla ricerca religiosa. La religione in sintesi esiste per rendere le persone capaci di fare fronte alla realtà della vita negli aspetti di nascita, invecchiamento, malattia e morte e di ricercare la vera felicità. Da questo punto di vista tutti gli esseri umani sono religiosi. Come lei ha detto, la religione «è l’essenza dell’umanità». Se voltiamo le spalle alle quattro sofferenze e perdiamo di vista la saggezza religiosa con cui è possibile esplorare la verità della vita giungeremo al punto di svilire la vita stessa. U: Concordo. Ci sono temi come l’aborto e la manipolazione genetica che al giorno d’oggi confondono i termini secondo cui definire l’inizio e la fine della vita umana. A sua volta questo stato di cose rende facile alla scienza sfruttare la vita a proprio vantaggio. La natura dei nostri tempi richiede l’impiego del dialogo interreligioso come strumento per costruire una cultura di rispetto per la vita. Da un lato, il nostro mondo è dominato da valori di tipo utilitaristico, il che significa continuo sviluppo della tecnologia. Dall’altro stiamo entrando in un’epoca di grande enfasi attribuita ai valori della vita che non possono essere misurati in termini di utilità. Le esperienze di religiosità profonda stanno diventando sempre più importanti nel processo che conduce alla comprensione del significato della vita. I: Il fatto di affrontare le quattro sofferenze ci insegna come comprendere più profondamente il significato di vivere e ribadire la dignità della vita fa risplendere le nostre esistenze in modo radioso. Questa è la missione essenziale della religione. Goethe, che superò egli stesso una grave malattia, scrisse nell’idillio Arminio e Dorotea: L’immagine emozionante della morte non si impone con terrore all’uomo saggio, e

nemmeno la scena conclusiva dell’esistenza per l’uomo pio; ma spinge il primo a tornare alla vita e all’azione e al secondo offre una possibile via per fuggire dalle avversità. Per entrambi così la morte diviene vita! 6

U: È un passo ricco di significato. I: Sempre in relazione a questo, la Conferenza internazionale sulle cure palliative, organizzata nel novembre 2004 dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, si è occupata dell’importanza di intervenire per ridurre le sofferenze fisiche dei pazienti affetti da malattie croniche e le sofferenze causate in ultima istanza dalla morte. Un medico che conosco mi ha parlato di malati terminali che, nonostante le sofferenze causate dal cancro, si preoccupavano di incoraggiare gli amici e le altre persone che avevano intorno. Come diceva questo medico, persone di tal genere sono forti anche davanti alla malattia e alla morte. Per contro, al cospetto di una situazione critica, persone che sono sempre vissute pensando soltanto a se stesse si dimostrano deboli. La forza si trova in una vita vissuta con un senso di solidarietà con le altre persone e facendo tutto il possibile per essere loro d’aiuto. La compassione, come viene insegnata nel buddismo Mahayana, è la pratica di eliminare la sofferenza dalla vita degli altri e di dare loro la gioia. L’effetto di questo tipo di azioni non ricade soltanto sulle altre persone, ma consente a ognuno di far emergere la propria forza vitale in grande quantità. Quando una persona persegue il cammino del Bodhisattva, dalla sua vita scaturiscono energie creative che trasformano le quattro sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte in gioia. Per questo motivo Nichiren scrisse: «Noi ci avvaliamo degli aspetti della nascita, dell’invecchiamento, della malattia e della morte per adornare le torri che sono i nostri corpi» 7. Egli faceva riferimento alla visione della vita e della morte esposta nel buddismo Mahayana, che consente a ognuno di trovare gioia e compostezza così nella morte come nella vita. U: Anche l’amore cristiano è fonte di un’immensa energia positiva, la somma virtù. L’amore crea un’energia perfetta nelle nostre vite. Per questa ragione Gesù continuò a predicare l’amore.

La religione cura l’individuo e la società

U: Per cercare di correggere le distorsioni che vediamo ovunque ai nostri giorni, occorre riorganizzare tutto in modo da agire per il bene dell’umanità. Quando la scienza perde di vista la necessità fondamentale di essere al servizio del genere umano, può assumere aspetti tirannici. Lo stesso vale per la religione. Ma quando vengono usati come strumento per favorire il bene dell’umanità e della vita, la scienza e il sapere diventano una vera e propria arte. I: Lo ha spiegato in modo bellissimo e sono assolutamente d’accordo con lei. U: Eugen Biser, teologo, che è stato rettore della nostra accademia, interpreta il buddismo e il cristianesimo secondo una dimensione terapeutica aperta sia agli individui sia al genere umano in toto. I: L’insegnamento di Shakyamuni delle Quattro nobili verità rappresenta un metodo terapeutico per affrontare la sofferenza umana. Esse sono la verità del dolore, la verità dell’origine del dolore, la verità della cessazione del dolore e la verità della via che conduce all’estinzione del dolore. Dato che sin dalle origini il buddismo ha sempre avuto la finalità di sconfiggere la sofferenza, esso può essere visto come una terapia a vari livelli, che si allarga gradualmente dall’individuo alla società nel suo insieme. U: Oggi, in una società sempre più globalizzata, la dimensione sociale della terapia sembra assumere un’importanza via via maggiore. La società deve confrontarsi con un gran numero di tradizioni, punti di vista e valori che, nel contesto globale, interagiscono l’uno con l’altro, spesso in modo incoerente. Costrette a mettere insieme alla bell’e meglio un proprio sistema di pensiero avvalendosi di ciò che è a disposizione, le persone fanno uso di tutti gli elementi apparentemente adattabili, senza preoccuparsi troppo del fatto che rientrino in un quadro d’insieme coerente. I: Gli esseri umani sono incapaci di tollerare il vuoto spirituale e sono sempre alla ricerca di qualcosa in cui credere, un punto di riferimento per sentirsi spiritualmente appagati. Ma ciò in cui credono ha un effetto decisivo. Ecco la ragione per cui è tanto importante coltivare nel modo più ampio possibile dei valori universalmente condivisi di tolleranza, compassione, amore e rispetto per la dignità umana. Se si perdono di vista questi elementi e si cade nel vuoto, è possibile che vengano create le basi per nuove forme di totalitarismo.

In che modo si pongono gli europei di oggi rispetto all’intolleranza estrema dei sistemi totalitari quali il fascismo e lo stalinismo? U: L’estrema brutalità e l’intolleranza del nazismo e dello stalinismo e il disprezzo per l’umanità che mai si era conosciuto prima di allora continuano a rappresentare un trauma per gli europei, ancora oggi. Noi continuiamo a chiederci come sia stato possibile che un’ideologia abbia spazzato via una cultura estremamente elaborata come la nostra e abbia condotto allo sterminio di massa. O anche, in termini ancora più severi, che cosa c’era di sbagliato nelle culture europee così diverse tra loro che ha permesso a simili ideologie di nascere e di diffondersi? È un fatto che il socialismo dittatoriale alla fine è stato sradicato. Ma questo significa automaticamente che tutte le ideologie che disprezzano l’umanità, tutti i poteri egemonici che hanno così poco a cuore la vita umana siano venuti meno? Non direi. I: Le ideologie totalitarie che mostrano disprezzo per l’umanità possono apparire a più riprese in forme diverse. Sappiamo che il nazismo si sviluppò nel contesto della democratica Repubblica di Weimar. Una cosa che credo sia importante osservare è che, dietro l’influenza crescente di un’ideologia totalitaria, ci sono molte persone che simpatizzano con essa e le offrono sostegno. Ricordo che il professor Toynbee considerava il fascismo e il comunismo come moderne religioni, che erano emerse per prendere il posto del cristianesimo. Ma dato che le persone in definitiva non potevano avere fede in essi perché non erano all’altezza delle aspettative, essi sono diventati delle religioni dove vigeva il culto del potere collettivo di un gruppo 8. Ritengo che questa considerazione sia valida tuttora. U: Anche il Giappone ha conosciuto simili traumi. Come viene discusso il passato dagli artisti e dagli intellettuali giapponesi? A quali conclusioni si è giunti? I: Sono stati davvero pochi gli intellettuali, gli artisti e i leader religiosi che si opposero al totalitarismo dilagante. Josei Toda si oppose a questo sistema che aveva nello shintoismo di stato il supporto spirituale e la sua opposizione gli costò due anni di carcere. Questo fu uno dei motivi per cui sentivo di poter riporre tutta la mia fiducia in lui. È vero che nel dopoguerra, quando le dichiarazioni in favore della pace e i sentimenti di opposizione alla guerra cominciarono a diffondersi, vi furono persone del mondo della cultura e dell’arte che si opposero al totalitarismo in modo sincero. Ma molti di essi

non si sono comunque spinti fino al punto di prendere in esame i disastri e le sventure che il Giappone ha causato agli altri paesi asiatici. Questa è una tendenza che vediamo persistere anche oggi. La filosofa politica Hannah Arendt (1906-1975) si avvalse del termine “tenebre dell’oblio” per spiegare il modo in cui il totalitarismo cancella la memoria di un popolo. Molti giapponesi hanno confinato il male inflitto agli altri paesi in queste “tenebre”. L’incapacità di venire a patti con gli schemi mentali del totalitarismo è esattamente la ragione per cui i paesi che sono stati invasi dal Giappone ancora oggi non nutrono fiducia in noi. U: La realtà del mondo contemporaneo che i mezzi di comunicazione ci riferiscono quotidianamente mi spaventa. È veramente agghiacciante. L’intolleranza è la parte negativa di noi esseri umani. Ma io insisto nel dire che la tolleranza è nei nostri geni. Nonostante le cose orribili che accadono nel mondo di oggi, continuo a nutrire ottimismo per gli sviluppi futuri. Sono due i fattori che mi portano a pensare così. Uno si trova nella tradizione di Gioacchino da Fiore (1130 circa-1202), Nicola Cusano (1401-1464) e Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955). Tutti e tre questi pensatori erano convinti che lo spirito umano si sviluppa e che noi siamo capaci di conseguire una maturità spirituale. In relazione a questo, Teilhard offrì le sue considerazioni in merito all’ingegneria genetica. La tecnologia applicata ai geni ci mostra che noi tutti siamo il risultato di variazioni, quindi di mutazioni. È per questo che nutro la comprensibile speranza che l’umanità possa svilupparsi in modi che alla fine renderanno possibile la coesistenza pacifica. I: Tutti e tre i filosofi a cui ha fatto riferimento credevano che lo spirito umano sia capace di crescere all’infinito. Questa convinzione dava loro la capacità di nutrire la speranza per il futuro. Anche Nichiren aveva grandi speranze per la capacità dei membri della razza umana di vivere in pace e in simbiosi. Egli visse nel Giappone del XIII secolo, in un’epoca segnata dal pessimismo e dalla disperazione. Nella storia del buddismo si era nell’era chiamata Ultimo giorno della Legge, un’epoca distante circa duemila anni dalla morte di Shakyamuni, in cui il buddismo sarebbe caduto in declino, la vita umana sarebbe stata sempre più contaminata e l’intera società sarebbe diventata corrotta e confusa. In quegli anni il Giappone conobbe una terribile serie di sventure quali alluvioni, incendi, terremoti, epidemie e carestie. Ma Nichiren scrisse: «Quando accade un grande male, seguirà un grande bene» 9.

Egli riteneva che, proprio in ragione delle crisi ricorrenti, fosse giunto il tempo di una rinascita spirituale che avrebbe dato origine a un mondo di pace perpetua. Egli vedeva se stesso come guida di questa storica riforma. U: È affascinante. L’altro fattore che alimenta il mio ottimismo è l’evoluzione dell’Europa da una condizione di rivalità bellica a una di unità apparentemente sempre più salda. Nel corso di questo processo ci dobbiamo confrontare continuamente con il problema di come superare i vecchi nazionalismi e forgiare un’unità europea preservando allo stesso tempo le strutture regionali vitali nel più ampio schema d’insieme. L’Europa ha compiuto due passi davvero importanti e incoraggianti: gli Accordi di Schengen e l’adozione dell’euro come moneta unica per diciannove paesi. Gli Accordi di Schengen hanno eliminato i controlli di confine in molti, anche se non in tutti, i paesi europei. I: Cercando di conservare le realtà regionali, l’Europa si sta muovendo verso un’unità conseguita in modo pacifico. Si spera che il suo assetto pluralistico e non fondato sul potere militare possa servire da modello per un nuovo assetto regionale e globale. Ricordo il conte austriaco Richard Coudenhove-Kalergi (1894-1972) che fu un sostenitore della visione paneuropea. Noi ci impegnammo a dialogare sin dal 1967. A quel tempo ero abbastanza giovane da essere suo figlio. Il suo modo di parlare sincero mi diede la sensazione che egli volesse affidarmi una missione. I nostri dialoghi furono pubblicati in un libro intitolato Bunmei Nishi to Higashi (traducibile come “Civiltà: Oriente e Occidente”). Il conte Coudenhove-Kalergi disse che sarebbe stato possibile evitare un terzo conflitto mondiale soltanto continuando a mettere in risalto l’importanza della simbiosi e della fiducia reciproca sulla base di un movimento spirituale che trascendesse i conflitti legati a differenza di razza, religione, ideologia e nazionalità 10. Questa affermazione riveste oggi un’importanza ancora maggiore di quella che aveva quando fu fatta ormai più di quarant’anni fa. Una federazione di compassione e tolleranza che crea legami di fiducia reciproca è essenziale se vogliamo porre un freno al continuo dilagare della violenza nel mondo. U: Ebbi l’occasione di conoscere il conte Coudenhove-Kalergi durante un convegno paneuropeo a Vienna nel 1964. Era un discendente degli Asburgo che, sulla base del principio del “vivi e lascia vivere”, riuscirono a governare l’Europa centrale in modo esemplare. Molte lingue furono riunite sotto una stessa corona, o meglio sotto un’unica idea. La tradizione, che risaliva a

Carlo Magno e ai principi di governo del Sacro Romano Impero, garantiva alle persone che sarebbero potute vivere bene. Oggi abbiamo bisogno di un’idea di Europa simile, che sia capace di agire ben al di là degli ambiti della burocrazia e dell’economia. Nel 1923 il conte Coudenhove-Kalergi cominciò a sviluppare questa idea in una visione brillante. I: Sì. Nell’opera Paneuropa, che il conte scrisse e dedicò ai giovani europei, si legge: Il fatto che un’idea resti un’utopia o diventi una realtà di solito dipende dal numero e dalle energie dei suoi sostenitori. Fintanto che migliaia di persone credono nella Paneuropa, essa è un’utopia; se a credere in essa sono milioni, è un programma; ma nel momento in cui cento milioni di persone credono in essa, diviene una realtà. 11

Credo che sarebbe davvero felice di vedere le centinaia di milioni di persone che oggi credono nella sua visione della Paneuropa.

La libertà come elemento centrale dell’idea di Europa I: L’Unione del Danubio, una delle entità su cui si fondò l’idea di Paneuropa di Coudenhove-Kalergi, nacque in Austria. Nel corso della sua lunga storia l’Austria ha sviluppato una profonda saggezza riferita alla tolleranza. Gli Asburgo cercarono di incorporare lo spirito della tolleranza nel governo. Storicamente l’impero asburgico agì coltivando l’idea di una comunione paneuropea e si cercò in tutti i modi di far sì che i diversi gruppi etnici e le diverse lingue venissero riconosciuti come aventi uguali diritti. Per fare un esempio, l’articolo 19 della Costituzione austriaca del 1867 garantiva l’eguaglianza di tutte le nazionalità sotto la monarchia e dichiarava che tutte le persone avevano il diritto inviolabile di preservare la propria lingua e la propria nazionalità. Si può quindi affermare che l’idea di Paneuropa sia legata in modo indissolubile agli Asburgo e alla cristianità. U: La tradizione imperiale di Carlo Magno, che durò mille anni, fino all’epoca di Carlo I (1887-1922), non avrebbe potuto svilupparsi senza una concezione umana dell’impero. Anche oggi continua a esistere un’idea di Europa secondo cui ognuno può vivere in libertà. La libertà è uno degli elementi base del cristianesimo e deriva dal Vangelo, e soprattutto dalle

Lettere di san Paolo. In esse si dice che gli esseri umani possono svilupparsi solo se sono spiritualmente liberi. Ma in questo quadro, quando si passa alla realtà concreta, occorre abbinare l’idea di libertà a quella della coscienza individuale. I: Certo, altrimenti la libertà si trasformerebbe in auto-indulgenza. È per questa ragione che l’opera della religione volta a coltivare la coscienza è fondamentale in una società libera.

La caduta del muro e la rinascita dell’Europa I: Nel corso della Guerra fredda la frattura che si era creata fra l’Est e l’Ovest turbò la simbiosi che era stata alimentata per lungo tempo. Ma il mondo europeo riprese vita con la fine della Guerra fredda. Quali furono le sue reazioni alla caduta del muro di Berlino quindici anni fa? U: Il 9 novembre, il giorno in cui cadde il muro di Berlino, ebbe un significato enorme per l’Europa. È chiamato Wende (“la svolta”) perché fu un momento che cambiò completamente la vita degli europei. Fu allora che finì la Seconda guerra mondiale, nel vero senso della parola. Fu un momento davvero commovente e significò che finalmente le relazioni tra gli stati dell’Europa centrale potevano essere normalizzate. Io e mia moglie Monica andammo subito a Berlino, dove riuscimmo a staccare un frammento del muro che ancora oggi conserviamo a casa. Nessuno riusciva a immaginare che il comunismo sarebbe crollato d’un tratto, senza che venisse sparato un solo colpo di fucile. Io fui subito certo che la caduta del muro avrebbe aperto nuove prospettive piene di speranza per l’Europa. Non molto tempo fa mi sono recato a Riga, la capitale della Lettonia, e ho affermato che in passato non vi erano mai stati problemi nei rapporti tra la Russia e l’Europa. Le tensioni erano sorte quando l’ideologia comunista aveva diviso l’Europa in due. Ma ora tutto questo è finito. Dal punto di vista dell’Europa il dialogo con Mosca o San Pietroburgo non è nulla di speciale. Tempo addietro la Russia, la Germania e l’Austria discutevano di moltissimi temi in un quadro di relazioni che purtroppo è venuto meno per quasi un secolo. I: Io visitai Berlino nel 1961, due mesi dopo che era stato costruito il

muro. Ad alcuni amici che mi accompagnavano ebbi modo di dire: «Sono certo che entro trent’anni questo muro di Berlino non esisterà più». Non stavo facendo una sorta di profezia, ero invece convinto che lo spirito umano amante della pace e della libertà avrebbe trionfato. Ma allo stesso tempo stavo esprimendo la determinazione di fare del sogno del mio maestro, la civiltà globale, una realtà. U: Credo che, come Toda ebbe a dire, dovremo arrivare tutti alla consapevolezza di essere cittadini del pianeta. Anche se parliamo lingue diverse, abbiamo culture diverse e diverse religioni. Si tratta di un’idea che invece di dividerci dovrebbe unirci. I: Occorre coltivare nei popoli di tutto il mondo una solidarietà spirituale basata sulla consapevolezza di condividere la cittadinanza globale, così che questa solidarietà ci dia la forza per superare i conflitti, inclusi quelli fra le nazioni.

Limitare la libertà di espressione U: Vorrei procedere nelle nostre riflessioni sulla tolleranza parlando di temi connessi sul piano sociale. Per esempio, nella cultura dell’informazione dei nostri giorni mi sembra che la violenza descritta dai mezzi di comunicazione alimenti l’intolleranza. Lei cosa ne pensa? I: La libertà di parola e di espressione è assolutamente indispensabile per costruire una cultura caratterizzata dalla pace e dalla tolleranza. Molte persone tuttavia mettono in discussione lo scopo di questa libertà quando in suo nome i mezzi di comunicazione minacciano i diritti umani attraverso un atteggiamento troppo soggetto a finalità commerciali. La tendenza a lamentarsi di questa situazione sembra giustificare i tentativi fatti dalle autorità per porre dei limiti alla libertà. In pratica, sono gli stessi mezzi di comunicazione a minare le basi della libertà. Il giornalismo può soffiare sul fuoco dell’odio razziale e della xenofobia, arrecando una minaccia esplicita al sorgere di una cultura di tolleranza. Non bisogna mai dimenticare che i nazisti affermavano che il popolo crederà a qualsiasi menzogna purché la si ripeta più e più volte. La storia ci offre numerosi esempi in cui delle menzogne sono state causa di odi profondi. Le menzogne aprono la strada alla violenza. Per questo motivo dovrebbe essere

un fondamento etico di una cultura tollerante il fatto di respingere le falsità e salvaguardare la verità. Il celebre economista John Kenneth Galbraith (1908-2006) ebbe modo di dirmi che era convinto che i giornalisti hanno degli obblighi cui sono tenuti a rispondere in quanto esseri umani, il primo dei quali è la verità. E sebbene sentisse il bisogno di adottare delle misure per reprimere coloro che nel loro lavoro di giornalisti non si attenevano alla verità, egli affermava comunque che tali misure dovevano essere applicate soltanto dopo una disamina accurata 12. U: Decidere quali siano le leggi da adottare per difendere la tolleranza è un tema molto importante. Senza limitazioni nel contesto sociale, le persone che provocano l’odio razziale continueranno a seminare i loro semi finché la tolleranza non sarà annientata. D’altro canto, le azioni di controllo messe in pratica dalla polizia politica non possono andare oltre una limitazione superficiale della libertà di espressione. L’odio sotto traccia continua ad accumularsi e sicuramente verrà il momento in cui esploderà. Bisogna consentire agli artisti di utilizzare forme espressive che provocano shock. Ma a che punto un artista dovrebbe sentirsi dire che la società non è più in grado di tollerare una provocazione? Occorre essere equilibrati, ma questo comporta dei rischi. Un eccessivo lassismo potrebbe mettere in crisi il tessuto sociale. Nello splendido dramma teatrale Omobono e gli incendiari dell’autore svizzero Max Frisch (1911-1991) il protagonista Omobono è così permissivo nei confonti dei piromani che arriva al punto di consegnare loro dei fiammiferi. Credo che sia possibile mantenere l’equilibrio necessario soltanto se siamo fieri del nostro valore. I: La libertà di espressione è alla base della libertà e della democrazia. Sebbene i limiti posti dalle società e dagli stati alla libertà di espressione possano variare in relazione ai contesti culturali, le limitazioni dovrebbero essere minime. Per mantenere un equilibrio tra la libertà di espressione e la necessità di limitare le espressioni di violenza, di odio e di discriminazione occorre una visione olistica e positiva, che deve coinvolgere l’apparato legale, la capacità di autoregolarsi e l’educazione. L’educazione è fondamentale perché eleva il livello di chi diffonde e di chi recepisce le informazioni diffuse dai media. In termini più concreti, la conoscenza del linguaggio dei media, ovvero la capacità di discernere, di valutare e di mettere in pratica le informazioni, deve essere enormemente

sviluppata. L’educazione che realizza questi obiettivi a casa, a scuola e nella comunità riesce a offrire all’opinione pubblica l’autonomia e l’indipendenza per rivolgere delle critiche ai media e per avvalersi del loro servizio. E questo è anche il metodo per migliorare la qualità dei mezzi di informazione. L’educazione dovrebbe incoraggiare le persone ad avere nei confronti dei media un atteggiamento di dialogo critico e indipendente, preparando così il terreno a una cultura di tolleranza e di pace. Le ricerche condotte sugli effetti delle informazioni diffuse dai media individuano una correlazione tra le espressioni violente e la violenza sociale, anche se non si giunge al punto di stabilire degli evidenti nessi causali. È chiaro che servizi di informazione eccessivamente violenti e provocatori non possono contribuire a uno sviluppo psicologico sano dei bambini. U: Non riesco a capire il motivo per cui gli esperti insistono nell’affermare che non vi è relazione fra la violenza nei media e l’aggressività che si riscontra tra i giovani. La televisione è sostanzialmente finanziata dalla pubblicità. L’investitore pubblicitario desidera solo che i suoi prodotti o servizi vengano accolti positivamente dal mercato. È evidente che la pubblicità televisiva abbia un suo effetto, mentre si presume che la violenza non ne abbia alcuno. In nome della tolleranza bisogna che questa incredibile ipocrisia venga affrontata una buona volta. Nell’aprile 2002, nella cittadina di Erfurt, in Germania, venne commesso un crimine che in precedenza avevamo associato solamente agli Stati Uniti. Uno studente di diciannove anni espulso dalla sua scuola vi si recò armato di tutto punto e sparò a quattordici insegnanti, due studenti e un altro adulto. Si fermò soltanto quando un insegnante che si imbatté nell’assalitore in corridoio gli intimò di levarsi la maschera e di fissarlo negli occhi. In questa vicenda noto due cose che sono di una chiarezza estrema, quasi come se le stessi osservando con la lente di ingrandimento. Da un lato vi è l’azione sanguinaria di un giovane maniaco di armi che passava il suo tempo a guardare video violenti e a giocare a videogiochi violenti. Dall’altro un’umanità profonda, capace di esercitare un’influenza su un’anima brutalizzata come quella del giovane assassino. I: Dobbiamo credere con forza che lo spirito della compassione buddista e dell’amore cristiano possono trasformare chiunque. La certezza di questo fatto è il punto di riferimento che mi permette di sostenere il dialogo invece che la corsa agli armamenti. Desidero unirmi a lei, un cavaliere dell’amore e

della tolleranza, nella continua lotta per far prevalere la pace sulla guerra, la civiltà sulla barbarie e la tolleranza sull’intolleranza.

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Creare una cultura di pace

I: Per invertire le tendenze che hanno fatto del XX secolo un secolo di guerra e di violenza e rendere il XXI un secolo di pace e non violenza dobbiamo mettere in atto un cambiamento di paradigma. Dobbiamo trasformare la cultura di guerra in una cultura di pace, modificando così i fondamenti da cui emergono in tutto il mondo i conflitti e la violenza. Come possiamo fare questo, e quali sono le condizioni necessarie? Per rispondere a queste domande, e tenendo ben presente quanto abbiamo già detto in relazione alla tolleranza e alla compassione, vorrei affrontare tre argomenti essenziali: i diritti umani quale elemento indispensabile di una cultura di pace, il ruolo delle donne nell’azione per la pace e l’educazione umanistica quale chiave di volta della pace. U: Sono d’accordo con lei sulla necessità stringente di creare una cultura di pace. Ma sono davvero turbato dal corso pericoloso e sgradevole lungo il quale si sta evolvendo il mondo attuale. La globalizzazione sempre più veloce sta travolgendo le culture regionali e le etnie. Le crisi economiche prodotte dal divario tra le nazioni sviluppate e quelle che lottano per avviare lo sviluppo sono alla radice di improvvisi massacri e di conflitti etnici. Basta dare un’occhiata ai giornali per capire che la guerra è sulla porta della nostra casa. Inoltre dobbiamo fare fronte al terrorismo, le cui radici possono essere individuate in conflitti etnici non risolti. Abbiamo davanti a noi una miscela di fondamentalismi etnici e religiosi che provocano azioni terroristiche estremamente violente. I: Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti la paura del terrorismo si è diffusa parallelamente al crescere della tensione in tutto il mondo. La globalizzazione politica, culturale ed economica che cerca di valicare i confini etnici e nazionali tende all’unificazione. La reazione a questo fenomeno, tuttavia, riporta in auge il nazionalismo e il fondamentalismo, che sono alla base delle azioni terroristiche violente. Nello stesso tempo, a causa dell’espansione della rete di trasporti e telecomunicazioni e agli sviluppi prodotti dall’azione delle grandi

multinazionali, siamo venuti in contatto con tradizioni, filosofie e sistemi di valori dalle radici storiche e geografiche molto diverse. Se da un lato la ricezione di questi diversi valori può essere elemento che arricchisce il nostro pensiero, è anche un fenomeno che distrugge le culture e sconvolge i sistemi di valori. Da questo punto di vista, la nostra epoca di integrazione globale non deve diventare un’era caratterizzata dalla confusione. Al giorno d’oggi siamo in una situazione di conflitto caotico tra la standardizzazione centripeta e la disintegrazione centrifuga. Continuando a cercare dei valori universali dobbiamo tuttavia rispettare e apprezzare al meglio l’originalità e l’individualità. Anche in questo caso è essenziale una visione equilibrata. L’ossessione per i particolarismi e per l’isolamento dai contesti più ampi, per le tradizioni e per i propri sistemi di valori nutre l’arroganza, il pregiudizio e la discriminazione. Una ricerca rivolta unicamente all’universalità, da un lato, rischia di condurci verso la standardizzazione su scala planetaria, mentre dall’altro un’enfasi eccessiva sull’individualità minaccia di portare a contrasti sempre più forti e globali. U: Lei ha sottolineato diverse questioni che mi preoccupano molto. Osservo con ansia il modo in cui i movimenti fascisti e nazionalisti insistono su questioni inaccettabili che non danno alcun contributo alla comprensione fra i diversi popoli del pianeta. Sono troppe le persone che restano indifferenti rispetto al futuro dell’umanità e del mondo. Questa indifferenza porta alla violazione dei diritti umani e mette a rischio la libertà. I: Le disparità economiche, l’oppressione e la discriminazione creano le condizioni favorevoli al terrorismo. L’indifferenza nei confronti di queste realtà equivale all’incapacità di comprendere le sofferenze altrui. Questo si riflette nel male tutto moderno che è l’incapacità di riconoscere l’esistenza degli altri. La tendenza a non nutrire alcun interesse per la società e gli altri e a limitarsi a considerare se stessi è particolarmente evidente nei giovani, su cui ricade la responsabilità del futuro. U: Ho l’impressione che, in aggiunta all’indifferenza, vi siano tra i giovani un crescente senso di isolamento e un’aggressività che li porta all’alienazione e a un individualismo davvero estremo. Legati come sono a tutte le informazioni diffuse dalla globalizzazione, i giovani sono sempre più attratti da uno stile di vita materialistico. Al denaro viene attribuito un valore maggiore che non alla vita umana. Credo che questo ultraindividualismo rappresenti una minaccia per il nostro mondo.

I: Oltre al materialismo, questa tendenza all’individualismo esasperato è un’altra malattia della modernità. Le persone egoiste sono chiuse nel loro piccolo mondo e non nutrono il minimo interesse per il dolore e la sofferenza degli altri. La loro emotività viene scatenata da questioni banali e sfocia in atti violenti. La tendenza egoistica a soddisfare i propri desideri agisce come terreno di coltura per i conflitti, perché favorisce l’ineguaglianza, i pregiudizi e le discriminazioni.

Una parabola I: La mia visione di una cultura di pace parla di una realtà in cui tutti gli esseri viventi possono manifestare le caratteristiche che sono loro proprie vivendo in una condizione di eguaglianza. Come è possibile trasformare la cultura distruttiva e aggressiva della guerra in una cultura di pace attraverso il dialogo e la cooperazione? Vorrei citare un’immagine descritta nella parabola dei tre tipi di erbe medicinali e dei due tipi di alberi, contenuta nel capitolo La parabola delle erbe medicinali del Sutra del Loto. In questo passo vi è una rappresentazione ideale della pace secondo la visione buddista. Il testo parla di come tutti i generi di alberi e di piante, con nomi e caratteristiche propri, crescano insieme. La pioggia che cade dalla coltre di nubi nutre egualmente ogni specie, facendo sì che ciascuna possa fiorire e portare a maturazione i propri frutti 1. Le piante simboleggiano la cultura umana. Nell’immagine le varie specie di piante, sebbene di diversa natura, crescono tutte grazie a una pioggia che cade su di esse e arricchisce il terreno: tutto questo ci descrive un universo benevolo che preserva i tratti distintivi di tutte le forme di vita, che crescono e fioriscono in una cultura di pace. U: Sì. L’immagine della coesistenza, della diversità e dell’uguaglianza della parabola che ha citato indica un modo per diffondere una cultura di pace. In questo millennio l’umanità deve affrontare il problema dello sviluppo nella cooperazione. Nel fare questo dobbiamo renderci conto che le vite di tutti i popoli di diversa etnia e diversa tradizione religiosa sono ugualmente importanti.

I: Il rispetto per la diversità, il dialogo e la visione dell’universalità sono condizioni necessarie per creare una cultura di pace. Rispettare la diversità significa che siamo capaci di riconoscere e rendere onore alle persone diverse da noi, che apprendiamo da loro e che facciamo nostro ciò che abbiamo appreso. Con un simile atteggiamento di apertura le persone, i gruppi e le nazioni potranno continuare a svilupparsi e a migliorare. La mente chiusa che esclude gli altri, d’altra parte, non può che svilire se stessa. U: Sono d’accordo. Nel nome di una cultura di pace dobbiamo rispettare le diversità della vita e della natura e creare valori umani universali. Per fare questo occorrono tolleranza e moralità. La tolleranza è indispensabile per gettare ponti verso un mondo nuovo in cui le persone riconoscono a vicenda la dignità della vita in ogni circostanza. I: Soltanto una cultura di pace può condurci a una civiltà globale prospera, in cui le diverse culture stimolano le une le altre nei modi più vari. Come abbiamo detto, è indispensabile in tutto questo riferirsi a un’idea di tolleranza attiva. U: I popoli del mondo, atei, buddisti, cristiani, musulmani, devono comprendere quanto sia importante la tolleranza attiva. I: Nel corso della storia le discriminazioni contro le civiltà, le culture e le etnie hanno provocato tragedie innumerevoli che uno spirito di tolleranza attiva avrebbe sicuramente permesso di evitare. È necessario rispettare le altre interpretazioni del mondo e dell’etica e cercare di apprendere umilmente da esse. U: È proprio quello che penso anch’io. Nel 2004 l’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti ha aperto a Salisburgo l’Istituto cardinal König come luogo di incontro aperto ai credenti e ai non credenti (il cardinale ne fu presidente onorario fino alla sua morte, sopraggiunta poco tempo dopo la fondazione dell’Istituto). Le sue finalità sono condurre dialoghi interreligiosi, promuovere scambi di opinioni con esponenti dell’ateismo e trasformare l’intolleranza in tolleranza. Per usare le sue parole, è un luogo in cui viene valorizzato il rispetto per le altre visioni culturali del mondo e dell’etica e in cui si cerca di apprendere da esse. I: Nutrivo una grande ammirazione per la lungimiranza e per le azioni del cardinal König. Il dialogo, la seconda delle condizioni che ho elencato per sviluppare una cultura di pace, è un modo pratico per coltivare lo spirito della tolleranza. La cultura della guerra dà la precedenza alla visione della propria

supremazia culturale ed è chiusa a tutte le altre culture; la cultura di pace, invece, è aperta. Ma riuscire a realizzare questa apertura non è sempre un processo facile. Come scrisse il professor Toynbee nel suo libro Il mondo e l’Occidente: «Il fatto di accogliere una cultura estranea è impresa dolorosa tanto quanto rischiosa» 2. Mentre sarebbe sciocco aspettarsi che tutto fili via liscio, non è necessariamente detto che tali incontri possano condurre a conflitti distruttivi. Il conte Coudenhove-Kalergi una volta mi disse che molte tra le più grandi culture si sono sviluppate grazie a ciò che avevano assorbito da altre culture. Il dialogo è la via pratica per essere aperti alle altre culture. U: Le religioni abramitiche hanno sottolineato l’importanza del dialogo, come possiamo vedere soprattutto nel Nuovo Testamento. In un discorso che feci all’Università Soka nel luglio 1997, dissi agli studenti che la nostra capacità di aprirci al dialogo determinerà il destino futuro del nostro pianeta. Il dialogo nutre la virtù della tolleranza. Imparare da questa virtù e agire in accordo con essa è ciò che ci permette di creare le fondamenta della pace. Il dialogo interreligioso colma i divari filosofici e crea le basi per la pace nel mondo. In modo meraviglioso, grazie al dialogo, non solo esprimiamo le nostre convinzioni, ma ascoltiamo anche le voci di popoli che hanno matrici religiose e culturali differenti. Tutte le loro idee e le affermazioni contribuiscono alla costruzione della pace globale. Inoltre, sono davvero colpito dal modo in cui lei incoraggia i suoi molti amici a proseguire nella sfida di vivere creativamente e nel segno del valore. I: La ringrazio per le sue parole gentili. Sono certo che il dialogo abbia la forza di trascendere le differenze e di unire il nostro mondo. Sulla base di questa convinzione mi sono impegnato in dialoghi interreligiosi e interculturali con leader e intellettuali di tutto il mondo. U: Sì, lei ha agito. Cercare il contatto, invece di aspettare che siano gli altri a muoversi per primi, è essenziale per progredire e incontrare le persone con un atteggiamento positivo; senza tuttavia trascurare le proprie ben salde opinioni. I: È vero. Impegnarsi in un dialogo non è la stessa cosa che limitarsi ad ascoltare ciò che gli altri hanno da dire. Il dialogo crea comprensione e fiducia reciproche. Senza fede e salde convinzioni filosofiche è impossibile capire le altre persone o sostenere con loro dei dialoghi autentici. Senza il

dialogo gli esseri umani vagano nell’oscurità della presunzione. Il dialogo illumina la fredda oscurità e ci mostra il sentiero da seguire.

Una visione dell’universale – l’eterno valore della vita I: Alla fine i valori eterni vengono in luce grazie al dialogo. Ritengo che la riflessione su di essi sia la terza condizione per una cultura di pace. Gli scambi intensi, o addirittura la convivenza con le altre culture, sono occasioni per osservare in modo approfondito la propria cultura. Immergersi nella natura intrinseca di una cultura o di una tradizione è un modo per tornare alle sorgenti spirituali ultime da cui essa è nata e ci permette di scoprire i valori universali che convivono con elementi specifici. I valori universali che hanno le loro radici nell’eterno sono alla base dell’energia spirituale che ha dato vita a tutte le grandi culture e civiltà. Si dovrebbe elaborare un’etica basata su questi valori universali, che interagisca con la civiltà moderna e venga applicata concretamente. Questo è il compito che spetta alla religione. Una religione che considera l’individuo un’entità complessa e ricerca l’armonia con la società e con l’ambiente naturale svolge l’importante ruolo di coltivare i valori universali lasciando allo stesso tempo spazio all’originalità dell’individuo. U: La religione ha il nobile compito di difendere i valori. Se fondata sull’eterno valore della vita, serve anche come nucleo per lo sviluppo della cultura. Accettando questa missione legata ai valori universali, serve come fondamento per una cultura che abbracci tutta l’umanità e che contribuisca allo sviluppo della tolleranza culturale. Gli esseri umani possono dare il loro contributo spontaneo alla cultura solo se sono capaci di rispettare la vita e tutte le creazioni di Dio. Nutro un profondo rispetto per il modo in cui, richiamandosi al valore fondamentale della vita, la rete globale della SGI si impegna in molte attività volte alla creazione di una cultura di pace. Chiunque lavori in favore della pace dovrebbe appoggiare le azioni intraprese dalla vostra organizzazione. I: Le religioni nel XXI secolo dovranno essere così magnanime da trascendere i settarismi e cooperare nelle iniziative che puntano alla felicità del genere umano. Per il bene della pace, devono tornare alle radici dei loro valori universali e dialogare ripetutamente avendo sempre a mente la

cittadinanza globale. Credo sia questo il ruolo delle persone che oggi hanno una fede religiosa. L’obiettivo concreto è coltivare lo spirito della tolleranza positiva nella mente di ogni individuo. Sin dall’inizio delle attività della SGI, i suoi membri si sono sempre impegnati nel proprio percorso di rivoluzione umana unito all’impegno per migliorare la società. Siamo fermamente decisi a mantenere questa rotta negli anni a venire. U: Quando ci sforziamo di vivere insieme in armonia e adottiamo spontaneamente e liberamente la tolleranza come elemento determinante, diventiamo capaci di ammirare l’umanità intera con uno sguardo privo di filtri. Cominciando da un individuo, come un fuoco che divampa, questa tendenza si trasmetterà ai familiari, alle comunità, alla nazione e ai continenti. Fare il primo passo verso la pace da casa propria è l’origine di un processo che crea le condizioni per alimentare la tolleranza e la virtù. Per questa ragione ho grandi speranze nei futuri sviluppi della SGI.

Il desiderio di pace espresso nella Dichiarazione universale dei diritti umani I: Il rispetto rigoroso dei diritti umani è indispensabile per creare una cultura di pace che duri nel tempo. Non di meno nel mondo di oggi la discriminazione e altre violazioni dei diritti umani sono molto diffuse, come ben vediamo nel complesso insieme di crisi tra cui possiamo ricordare il terrorismo, le guerre civili, la povertà, la fame e la piaga dell’hiv-aids che colpisce l’Africa. U: I disastri ambientali, la guerra e la miseria che colpiscono l’Africa sono una delle più grandi tragedie dell’umanità. Gran parte della responsabilità ricade sulle grandi potenze occidentali e sulle politiche coloniali. In qualità di medico dedito alla protezione della vita, sono veramente addolorato per le misere condizioni dell’Africa dei nostri giorni. I: Gli aiuti per l’Africa sono stati uno degli argomenti più importanti del summit G8 che si è tenuto in Scozia nel 2005. Dodici milioni di bambini africani hanno perso uno o entrambi i genitori a causa della diffusione dell’hiv-aids. Questi orfani vivono in strada, in condizioni di povertà estrema. Non hanno cibo né vestiti, vengono ridotti in schiavitù o costretti a diventare

bambini soldato, oppure vengono avviati alla prostituzione e all’accattonaggio. Per garantire il rispetto dei diritti umani nel XXI secolo è assolutamente necessario sconfiggere la povertà che provoca queste situazioni dolorose. U: Chiunque manchi della passione per proteggere la vita manca della passione per i diritti umani. Essi sono un insieme di norme di grande rilevanza, ottenuti a caro prezzo. La storia dei diritti umani è legata alla secolarizzazione europea. Non dobbiamo dimenticare che ci sono stati tempi in cui la Chiesa dominava la vita quotidiana in modo assoluto. La secolarizzazione ebbe inizio con la Rivoluzione francese e l’idea dei diritti umani ne è diretta discendente. La nozione dei diritti umani si è evoluta nel contesto europeo e ha contribuito moltissimo alla democratizzazione dell’Europa nel XX secolo. Pensa che i diritti umani siano applicabili universalmente e che siano anche parte delle tradizioni non europee, o che invece siano un riflesso della tradizione europea, in particolare quella che ebbe inizio con la Rivoluzione francese? I: Non è possibile negare il grande contributo dato dall’Europa al riconoscimento dei diritti umani. Per esempio, il pensiero illuminista del XVIII secolo fu un caposaldo nella lotta per i diritti umani che vennero affermati con le Rivoluzioni americana e francese. Nel XX secolo, in Europa e in molte altre parti del mondo, diverse persone si sono impegnate per creare i fondamenti per un riconoscimento universalizzato dei diritti umani. Il culmine di questo processo fu la Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata alla terza Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948. Nella Dichiarazione risuona la ferma determinazione di evitare il ripetersi delle atroci violazioni dei diritti umani che erano state commesse durante la Seconda guerra mondiale. Fra le persone che diedero il loro contributo alla stesura della Dichiarazione universale vi furono Austregésilo de Athayde (1898-1993), ex presidente dell’Accademia Brasiliana delle Lettere, con cui ho pubblicato un dialogo sul tema dei diritti umani nel XXI secolo, il dottor René Cassin (18871976), che fu presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo e premio Nobel per la pace, ed Eleanor Roosevelt (1884-1962). Il signor Athayde anteponeva i diritti umani al sistema politico e insisteva

sul fatto che, eterni e universali, essi debbano essere del tutto liberi da vincoli nazionali o storici 3. Nel lavoro di ricerca che doveva portare a salde motivazioni per affermazioni di questo rilievo, lui e le altre persone che lavorarono al testo cercarono di ripercorrere la storia dei diritti umani e giunsero fino al Codice di Hammurabi, che risale al XVIII secolo a.C. 4.

Il sacro nell’umanità I: Nel nostro dialogo sui fondamenti universali dei diritti umani Athayde citò i dieci comandamenti di Mosè. Nel rispondere, io menzionai i cinque precetti e i dieci buoni precetti, che sono alla base dell’etica buddista. In entrambi i casi troviamo al primo posto la proibizione di togliere la vita. Per dirla con altre parole, in entrambi i casi ci si appella alla non violenza e al rispetto della vita. Il buddismo mette in risalto la dignità della vita perché ogni vita individuale è dotata della natura di Buddha e della possibilità di renderla manifesta. Come ebbe a dire Athayde con una certa enfasi: «Mi sento vicino a questa visione buddista perché sono convinto che il riconoscimento della dignità umana non può diventare un valore ampiamente condiviso se non siamo consapevoli dell’elemento di sacralità che è insito in noi» 5. Ed egli disse anche che il buddismo esprime un aspetto importante nel processo evolutivo dei diritti umani 6. Nichiren dichiarò apertamente l’innata libertà degli esseri umani. Egli visse nel Giappone feudale e dovette subire le persecuzioni messe in atto dalle autorità. Ma egli dichiarò: «Anche se, poiché sono nato nel dominio del governante, sembra che io lo segua nelle azioni, non lo seguirò mai nel mio cuore» 7. Sono parole che rappresentano la cristallizzazione di una filosofia che esalta la libertà dello spirito umano. Sono state inserite in un volume curato dall’UNESCO , Birthright of man (“I diritti naturali dell’uomo”), che è stato pubblicato per commemorare i vent’anni della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il riconoscimento dei diritti umani amplia la portata della tolleranza, mentre il fatto di non rispettarli offre lo spunto per la diffusione ad ampio spettro del male dell’intolleranza. È per questo che il XXI secolo deve essere testimone di sforzi ancora più intensi da parte di tutte le religioni mondiali,

tra cui il buddismo e il cristianesimo, per far emergere dalle loro tradizioni spirituali e di pensiero dei solidi fondamenti filosofici a sostegno dei diritti umani. U: Durante il XX secolo il mondo ha conosciuto due conflitti mondiali. Al fine di prevenire il ritorno di simili tragici eventi, dobbiamo affermare con passione il valore della vita umana e proteggere la dignità della creazione divina, il genere umano. Nel secolo scorso l’attenzione ai diritti umani è stata usata come argomento per contrastare i paesi dell’Europa orientale. Ma un esame accurato delle vicende rivela che anche i paesi occidentali violano i diritti umani. Dobbiamo uscire da questo schema imposto dalle rivalità politiche ed espandere e arricchire l’idea stessa dei diritti umani. In quest’epoca segnata dalla globalizzazione è necessario adottare un nuovo quadro interpretativo che tenga conto della tolleranza e del rispetto per la dignità della vita. Quali pensa che siano le prospettive di sviluppo dei diritti umani in futuro? I: L’interpretazione dei diritti umani si sta evolvendo a grandi passi, a causa dei problemi di carattere ambientale e dei danni prodotti dai conflitti che in passato non venivano presi in considerazione. Questa evoluzione ci ha portato a parlare di diritti umani di terza generazione, che fanno proprio riferimento a diritti connessi all’ambiente, alla pace e allo sviluppo. Questo nuovo quadro punta a inglobare i diritti dei popoli nel futuro e i diritti delle piante e degli esseri viventi non umani. L’arricchimento e l’espansione dell’idea di diritti umani impone di adottare uno spirito di tolleranza e rispetto per la dignità della vita. Ma abbiamo anche bisogno di una solida filosofia che ribadisca in modo chiaro la dignità della vita. Dobbiamo far sì che gli interessi del genere umano vengano anteposti a quelli degli stati e delle grandi aziende. Per risolvere i problemi legati ai diritti umani è necessaria una solidarietà globale tra i popoli. Dobbiamo unirci tutti per andare oltre gli egoismi nazionali, etnici ed economici. U: Sono d’accordo. Lo scopo essenziale del genere umano è la pace nel mondo e il miglioramento delle condizioni ambientali del pianeta. Il tema dei diritti umani è un ponte nella direzione del dialogo tra le civiltà rivolto a creare le condizioni per la convivenza pacifica dell’umanità intera. Dobbiamo essere molto attenti alle condizioni che causano le divisioni tra i popoli, le

discriminazioni e lo sfruttamento. Far valere i propri diritti senza tenere conto dei diritti altrui è puro e semplice egoismo, che porta all’infelicità e al degrado ambientale. È importante evitare di agire così e capire che l’esistenza delle altre persone è un fattore di arricchimento per noi stessi. I: È proprio vero. È inaccettabile ergersi in difesa dei propri diritti mentre quelli degli altri vengono violati. Noi, e non io, dovrebbe essere la parola chiave di questo secolo. Dobbiamo fare in modo che la tendenza dell’epoca attuale diventi il vivere insieme, sostenersi gli uni con gli altri e prosperare insieme. U: Da questo punto di vista, in relazione ai diritti umani, occorre un cambio di passo. Bisogna superare l’egoismo che ammette lo sfruttamento e educare noi stessi come esseri umani capaci di tenere in alta considerazione i diritti degli altri. La preoccupazione esclusiva per la tutela dei propri diritti è indice di una mentalità ristretta. Il nostro vero obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare, illuminare e arricchire noi stessi. In questo modo, senza ricorrere allo sfruttamento, possiamo vivere arricchendo gli altri popoli e tutto il creato. In questo consiste la creazione di una società pacifica. I: Lo sviluppo e la fioritura della natura della persona è ciò a cui punta l’idea dei diritti umani ed è la fonte essenziale della felicità. La coesistenza armoniosa non è possibile se ognuno continua a insistere sui propri diritti ignorando quelli delle altre persone. In simili condizioni, non è possibile salvaguardare i diritti umani. U: I diritti umani, nel nuovo millennio, non sono ancora tutelati in modo adeguato. Per tutto il corso del XX secolo le libertà individuali e altri diritti sono stati al centro dell’attenzione, nel senso che sono stati i mezzi attraverso i quali si è cercato di razionalizzare e soddisfare i desideri umani di carattere materiale. Tuttavia, con il progresso della globalizzazione, questi diritti sono diventati semplici strumenti finalizzati alla condotta della vita quotidiana. Nell’epoca presente l’individuo ritiene sufficiente ribadirli in ogni occasione. Ma, pur consapevole della possibilità di essere frainteso, desidero sottolineare che i diritti umani sono soltanto un elemento parziale nell’opera di sviluppo e di fioritura dell’essere umano a tutto tondo. I: L’essere umano davvero completo è capace di rivolgere uno sguardo amorevole verso le altre persone ed è capace di esercitare controllo su di sé. Non è una persona che costruisce la propria felicità sull’infelicità altrui.

Il poeta austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) scrisse che una persona che vive realmente si identifica con gli altri e condivide le loro gioie e le loro sofferenze 8. Egli aggiunse che una persona di questo genere non rimane fredda e distaccata nelle relazioni con chi la circonda 9. Lo spirito che ci consente di autocontrollarci entra in funzione nel momento in cui noi comprendiamo che esistiamo perché gli altri esistono e ci preoccupiamo di ciò che ci circonda, incluse le persone intorno a noi. Il fatto di trascurare il controllo di sé e di insistere soltanto sui propri diritti porta alla distruzione dell’ambiente da cui dipende la nostra vita e a mettere in forse la sopravvivenza del genere umano. Ecco perché occorre coltivare un essere umano completo capace di esercitare l’autocontrollo e di avere cura degli altri: è una condizione indispensabile per creare un secolo dei diritti umani. Come ho detto in precedenza, Nichiren scrisse che «le sofferenze a cui sono sottoposti gli esseri viventi sono tutte sofferenze di Nichiren» 10. Lo spirito della compassione e dell’empatia è alla base del movimento della SGI e dovrebbe costituire uno dei fondamenti della filosofia dei diritti umani del XXI secolo. U: Possiamo dire che tutti i fondatori delle grandi religioni, Abramo, Cristo, Shakyamuni e altri, avevano come obiettivo principale la coesistenza pacifica e la prosperità del pianeta e dell’umanità. I loro insegnamenti puntavano a conseguire questi scopi. Sfortunatamente non possiamo dire che i leader religiosi dei nostri tempi perseguano sempre gli stessi fini. Per fare questo occorre che gli uomini di religione affrontino i grandi temi quali la pace e l’ambiente globale. I: È giunto il momento di tornare al punto di partenza di tutti i grandi fondatori i quali, nel desiderio di liberare l’umanità, ricercavano la felicità umana. Più di un secolo fa Tsunesaburo Makiguchi affermò che il genere umano doveva andare oltre le rivalità militari, politiche ed economiche e impegnarsi in quella che definì “competizione umanitaria”. Sono le persone stesse che dovrebbero interpretare la parte principale nel promuovere questo cambiamento. Il professor Toynbee disse che la storia è mossa da correnti sotterranee, che scorrono in profondità e sono difficili da percepire. Le azioni di ciascuna persona e il loro potere collettivo creano le correnti profonde di un’epoca. Le persone consapevoli della propria dignità e della dignità degli altri danno vita

al cambiamento nel luogo in cui sono. Il fatto di rivoluzionare i singoli individui e di sviluppare comunità formate da persone capaci di simili iniziative è la chiave per mutare corso al destino dell’umanità. Questa è l’idea di fondo della SGI. Dobbiamo affrontare con rabbia e senza timori tutto ciò che minaccia la dignità della vita. La collera rivolta contro il male è un bene e crea valore. Nichiren scrisse: «Da ciò dovresti renderti conto che la rabbia può essere sia buona sia cattiva» 11. Lottare contro il male sviluppa il bene in se stessi e negli altri. Il rispetto dei diritti umani non è un concetto astratto. Non è cosa che può essere ottenuta con le leggi o con l’imposizione di un qualche sistema. Deve emergere dalle lotte incessanti contro le ingiustizie che mettono a rischio la dignità della vita. Credo che l’alba di un secolo dei diritti umani inizierà a spuntare quando le persone comuni si risveglieranno orgogliosamente alla loro dignità universale, affronteranno le sfide concrete e daranno inizio alla competizione umanitaria.

La pace comincia nella casa I: Credo che un secolo delle donne sia sinonimo di secolo di pace. Questo perché alle donne spetta un ruolo fondamentale nel dare vita a una cultura di pace. Ovviamente sono contrario a una rigida ripartizione dei ruoli in base al genere. La cosa importante è che uomini e donne siano felici. Il fatto di assegnare alcuni ruoli esclusivamente agli uomini e altri alle donne porta all’infelicità ed è espressione di un’errata scala delle priorità. U: Nutro grandi aspettative per le donne in relazione al lavoro di costruzione della pace. E concordo con lei nel dire che è sbagliato assegnare dei ruoli soltanto in base ai generi. Uomini e donne costituiscono l’umanità nel suo insieme e sono le fondamenta del futuro. Le Sacre Scritture non mettono in adeguato risalto il ruolo della donna. Non di meno, la dottrina cristiana afferma che Dio creò gli esseri umani di due generi, maschile e femminile, e affidò a entrambi il compito di istruire se stessi e gli altri. Entrambi i sessi possiedono una dignità senza pari e devono dare il loro contributo al valore della dignità della vita. I: È così. Sebbene sia vissuto in un’epoca in cui le donne erano

essenzialmente disprezzate, Shakyamuni non fece mai discriminazioni nei loro confronti. Le ammise nel suo ordine ed esse continuarono a svolgere compiti importanti anche dopo la sua morte. Più di sette secoli or sono, Nichiren ribadì in modo severo di non fare discriminazioni tra i generi, convinto com’era che uomini e donne avessero delle nobili missioni da compiere: «Non devono esserci discriminazioni fra coloro che propagano i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo nell’Ultimo giorno della Legge, siano essi uomini o donne» 12. Di certo la cosa migliore è che uomini e donne, a casa, nel luogo di lavoro e nella comunità impieghino le proprie capacità sulla base del rispetto reciproco e dell’eguaglianza. Il preambolo della Carta della Tolleranza della sua Accademia fa riferimento alla situazione di oggi in cui «la famiglia viene messa a rischio ed è sempre meno capace di svolgere il proprio compito di rappresentare un nucleo stabile delle comunità umane» 13. L’esperienza personale mi ha insegnato che la famiglia e gli amici offrono la forza motivante per le energiche attività sociali del singolo individuo. La casa è il luogo dove si vivono delle relazioni umane forti e le donne in famiglia svolgono un ruolo importante. U: Non è possibile parlare di solidarietà sociale senza tenere conto della casa. Tuttavia oggi come oggi la famiglia e la casa stanno perdendo la loro capacità di creare la solidarietà e di rendere stabile la società. I: La famiglia è il più piccolo nucleo della società. Non è possibile avere stabilità sociale senza stabilità all’interno delle famiglie. Lo psicologo Erich Neumann (1905-1960) scrisse che gli uomini e le donne sono dominati da elementi conflittuali: il giorno e la notte, la consapevolezza patriarcale e quella matriarcale, e via dicendo. Se da un lato ciascun componente svolge una propria funzione, questi elementi si completano a vicenda e contribuiscono al risultato complessivo 14. Attraverso questo processo è possibile creare un ambiente famigliare stabile. I bambini giungono a considerare la famiglia un porto sicuro nel momento in cui i genitori cercano di vedere le cose dal loro punto di vista e condividono con i figli le gioie e i dolori di questi ultimi. Gli atteggiamenti positivi, di mente aperta, dei genitori nei confronti della comunità permeano le menti dei bambini e divengono forza coesiva per la società. Eleanor Roosevelt affermò che i diritti umani universali cominciano nei luoghi vicini alla propria casa 15. È proprio vero che la famiglia è il luogo in

cui lo spirito della tolleranza e la consapevolezza dei diritti umani prendono forma e si sviluppano. U: Grazie alle loro caratteristiche peculiari, le donne svolgono il ruolo fondamentale di garantire la stabilità della famiglia. Sebbene negli anni più recenti gli uomini abbiano cominciato a essere d’aiuto, la crescita dei figli è sempre stata un compito in cui le donne hanno dato un contributo sociale importante. Mi chiedo spesso quale sia il motivo per cui il meraviglioso lavoro svolto dalla donna nel crescere i figli non ottenga il dovuto riconoscimento. I: Quando incontrai la sua famiglia nel 1997, sua moglie Monica mi diede un’idea dell’importanza del ruolo di una compagna quando disse che per più di venti anni era stata madre senza mai sentirsi una vittima. Penso che i figli di madri che vivono la maternità sentendosi delle vittime vengano portati a considerarsi vittime loro stessi. La futurologa statunitense Hazel Henderson, con cui ho dialogato in un volume dal titolo Cittadini del mondo, è molto conosciuta per il suo concetto dell’economia dell’amore. Le donne sostengono l’economia delle aziende curando la casa, crescendo i figli, avendo cura degli ammalati e svolgendo ruoli nelle comunità. Sebbene la loro produttività sia metà del totale, i loro sforzi non vengono considerati quando si parla di prodotto nazionale lordo e non sono retribuiti. La dottoressa Henderson mette in risalto che l’economia dell’amore dovrebbe essere adottata come indice al posto del prodotto nazionale lordo. La sua teoria dà rilievo al contributo sociale delle donne, fino a oggi ignorato dagli economisti, e all’importanza di avere cura, condividere e valorizzare la vita e la natura. U: Sono molte le donne che oggi cercano di mantenere in armonia i loro doveri di madri con gli impegni lavorativi. Ma, a parte il ruolo biologico di accudire la vita, il loro peso sociale è essenzialmente sottostimato. I: Dobbiamo apprezzare al meglio il potere delle donne e fare tesoro delle loro opinioni e dei loro ruoli. Il poeta indiano Rabindranath Tagore (18611941) disse che le donne hanno una vitalità interiore superiore a quella degli uomini 16 e che la loro forza è indispensabile per forgiare una civiltà spirituale 17. Al cospetto della civiltà contemporanea dominata dall’uomo e fondata sulla forza, egli si augurava che il potere della donna avrebbe alimentato una civiltà dell’anima basata sulla compassione. Egli scrisse che «Si spera che la nuova civiltà sarà fondata non soltanto sulla competizione

economica e politica e sullo sfruttamento, ma su una cooperazione sociale globale; su ideali spirituali di reciprocità e non su ideali economici di efficienza. Ecco allora che le donne avranno il loro autentico ruolo» 18. Anche Gandhi affermò con chiarezza la sua convinzione che le donne avrebbero avuto in mano le chiavi per costruire un mondo non violento. Come egli scrisse: «Se con “forza” intendiamo il potere morale, allora la donna è incommensurabilmente superiore all’uomo… Se la nonviolenza è la legge del nostro essere, il futuro è con la donna» 19. Le donne hanno gli strumenti migliori per capire e alleviare la sofferenza perché nel corso della storia, in epoche di grandi conflitti sociali, di guerra, di violenza, di soppressione dei diritti umani, di carestie e di epidemie, sono quelle che hanno sofferto di più. Il senso di responsabilità che hanno per il futuro dei loro figli dà una grande forza alle loro voci. Credo che nel XXI secolo le attività e i contributi delle donne in molti campi trasformeranno dapprima la società e poi il tessuto stesso della civiltà. In sintesi le donne sono pacifiste dotate emotivamente della capacità di proteggere e di nutrire compassione per la vita. La scrittrice e attivista per la pace austriaca Bertha von Suttner (18431914) è un esempio delle imprese capaci di mutare il corso della storia che possono essere compiute da una donna votata sinceramente alla pace. Il suo romanzo Die Waffen nieder! (Abbasso le armi!, 1889) ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica. Nonostante le incomprensioni e le offese, ella continuò a scrivere e a tenere conferenze, cercando di favorire l’unità nella causa della pace. La sua influenza su Alfred Nobel fu determinante nel portare quest’ultimo a istituire il premio per la pace. Quando un suo interlocutore, nel corso di una conferenza di pace all’Università di Vienna – la sua alma mater – sostenne che fosse impossibile che degli individui potessero mutare il corso della storia, lei dichiarò con vigore il contrario. Lei stessa era una prova vivente di quanto sosteneva. È chiaro che qualsiasi adulto, uomo o donna, che abbia un senso di responsabilità per il futuro e desideri dare un proprio contributo, può diventare forza motrice del movimento per fermare la cultura della guerra e sviluppare una cultura di pace. U: È vero. Pensando alla pace e alla prosperità diffusa e tenendo conto dei ruoli di uomini e donne, bisogna pensare al mondo intero. Le nostre

esistenze sono il frutto degli sforzi coordinati dei membri di ambo i sessi. Gli uomini e le donne hanno i loro ruoli. Quando le persone interpretano le parti che sono state loro assegnate dal destino possono sperimentare la crescita personale e il trionfo.

L’educazione umanistica I: L’educazione umanistica è il fondamento per una cultura di pace. Negli anni recenti in Giappone i crimini commessi da giovani e giovanissimi sono stati fonte di grande preoccupazione. La tendenza a sminuire la vita in una società che si preoccupa soltanto dell’efficienza e degli elementi materiali contribuisce moltissimo a questo stato di cose. L’educazione ha un potere enorme nel perseguire l’obiettivo di fermare queste tendenze a commettere crimini orribili e di rompere il clima di violenza imperante. U: La situazione europea è simile. Come ho già detto, ci troviamo nel pieno di un processo di secolarizzazione che marginalizza e mette a tacere la Chiesa. Le persone hanno dimenticato il comandamento «Non uccidere». I valori condivisi da tutte le religioni si vanno perdendo e vengono sostituiti da valori materialistici che sono dominanti. La globalizzazione dei mezzi di comunicazione e l’omogeneizzazione del pianeta accelerano ancor di più questo corso. Il risultato è il disprezzo per il valore della vita e il frequente ricorso all’omicidio. Tutto questo è strettamente legato all’educazione. I: Sì, l’educazione rende i giovani, le comunità e le nazioni capaci di creare il futuro. Ma l’educazione nel Giappone di oggi si trova di fronte a problemi colossali, quali l’assenteismo studentesco, gli abbandoni e la crisi del sistema scolastico tradizionale delle classi. Sono problemi comuni a molti altri paesi. Che cosa pensa di tutto ciò? U: Come studioso di medicina, ho un modo molto semplice di accostarmi all’educazione. Penso ai miei studenti come se fossero i miei figli. I padri e le madri desiderano che i loro figli sperimentino il meglio, per cui il loro primo scopo è fare in modo che i figli facciano delle esperienze che sono fonte di crescita. I: Credo che il suo modo di vedere gli studenti come se fossero figli sia un elemento determinante dell’educazione. Le esperienze migliori si fanno giocando all’aperto e intessendo legami con gli altri ragazzi. Tuttavia, nelle

moderne nazioni industrializzate, i bambini trascorrono troppo tempo nelle case, completamente assorbiti dai computer e dai videogiochi. U: Proprio così. Nella società dell’informazione di oggi ci sono molte cose, come per esempio i mezzi di comunicazione, che hanno un impatto enorme sui bambini e i ragazzi. Le scene violente cui si assiste ogni giorno hanno un costo sotto il profilo educativo. Il fatto di vedere sullo schermo televisivo le immagini di atti terroristici e di omicidi seriali viene dato per scontato. I: È innegabile il contributo che alcuni programmi televisivi di qualità danno nel coltivare la sensibilità dei bambini e nell’arricchirli. Ma, evocando la rabbia e l’ostilità, gli stimoli visivi aggressivi ottundono l’immaginazione e l’empatia. Permettendo ai ragazzi di restarsene in ambienti circoscritti dove non fanno altro che subire passivamente le immagini si indebolisce la loro capacità di pensare, di giudicare, di amare e di essere empatici. La vita famigliare e le buone letture, tra cui includerei le opere classiche, possono creare una barriera che protegge i bambini dall’influenza corruttiva della realtà virtuale. Leggere è un’esperienza che arricchisce enormemente il mondo spirituale dei ragazzi. Come sfida intellettuale li aiuta a scegliere selettivamente all’interno dell’enorme massa delle informazioni e a sviluppare le loro autonome capacità di giudizio e l’immaginazione necessaria per provare empatia. U: I bambini oggi si trovano immersi in una società segnata dall’intolleranza, dalla guerra e dall’aggressività. Nel cercare di fare fronte a questi influssi, è impossibile non rimarcare a più riprese l’importanza del contatto con delle buone letture che allenano la capacità di giudizio e il potere dell’immaginazione. Rafforzare la famiglia è uno dei modi per ridurre le influenze negative dei mass media. Dato che i mezzi di comunicazione hanno un’influenza superiore a quella dei genitori, le mie opinioni potrebbero sembrare irrealistiche. Ma i genitori devono fungere da modelli e continuare a riporre le loro speranze nell’educazione. I: I bambini sono un vero e proprio specchio della società, un’immagine in sintesi. I problemi odierni legati ai comportamenti anomali dei minori sono radicati nell’indebolimento della funzione educativa che la scuola, la famiglia e la comunità dovrebbero svolgere. Pensando alle questioni educative, noi adulti dovremmo vederci riflessi in quello specchio e cercare continuamente di correggere noi stessi. Come lei ha detto, dei buoni esempi da parte degli

adulti sono essenziali per sviluppare le potenzialità dell’educazione.

Le origini dell’educazione Soka U: Quali sono le origini dell’educazione Soka? I: Soka, ovvero “creazione di valore”, come termine applicato all’educazione è riferito al metodo sviluppato da Tsunesaburo Makiguchi. Mettendo in pratica le sue intuizioni mentre svolgeva il ruolo di direttore di scuola elementare, egli elaborò un sistema pedagogico orientato alla creazione di valore. Egli continuava a ripetere che lo scopo dell’educazione doveva essere la felicità degli allievi. Questo accadeva mentre in Giappone dominava il militarismo, che per parte sua chiamava a raccolta tutte le istituzioni educative per formare la gioventù imperiale e nazionalista. Non di meno, egli desiderava evitare che i bambini venissero sacrificati per i bisogni della società e voleva aiutare ogni allievo a vivere una vita felice dando pieno sfogo alle proprie capacità. Questo desiderio è alla base della pedagogia per la creazione di valore. Makiguchi scrisse: «La cosa importante è stabilire l’obiettivo del benessere e della protezione di tutte le persone, inclusi se stessi, ma senza guardare soltanto al ritorno personale. In altre parole, lo scopo è il miglioramento delle altre persone, perseguito con mezzi che arrecheranno nello stesso tempo benefici a se stessi e agli altri. Si tratta di uno sforzo consapevole di creare una vita comunitaria più armoniosa» 20. Lo scopo fondamentale dell’educazione Soka potrebbe quindi essere descritto come puntare alla felicità del singolo e delle altre persone intorno a lui, formando persone capaci di fare questo. U: Makiguchi, fondatore della Soka Gakkai, era fautore di un sistema educativo creatore di valore e diede dimostrazione di come la fede ci permetta di superare i problemi della vita. Questo genere di educazione umanistica è essenziale per coltivare dei cittadini globali, ossia cittadini capaci di pensare e agire su scala globale. Come viene promosso questo metodo dalla rete internazionale dell’educazione Soka? I: Le scuole medie inferiori e superiori Soka, il punto di partenza del sistema educativo attuale, vennero aperte nel 1968. In quell’occasione

articolai i cinque seguenti precetti come obiettivi dell’educazione umanistica: 1. 2. 3. 4. 5.

essere una persona dotata di saggezza e passione, che ricerca sempre la verità e crea valore; non causare mai problemi alle altre persone ed essere responsabili delle proprie azioni; essere gentili ed educati con gli altri, rifiutando la violenza e valorizzando la fiducia e l’armonia; esprimersi e agire con coraggio sulla base delle proprie convinzioni per la causa della giustizia; nutrire lo spirito di iniziativa e crescere fino a diventare onorevoli leader del Giappone e del mondo. Inoltre, pensando al XXI secolo, suggerii anche altri cinque principi guida:

1. 2. 3. 4. 5.

riconoscere la dignità unica inerente in ogni forma di vita; rispetto per la personalità; profonde amicizie che durino tutta la vita; ripudio della violenza; l’importanza dell’intelletto e della necessità di essere persone dotate di intelligenza.

Con mio enorme piacere, grazie agli sforzi di tutto il personale docente e non docente, e anche grazie alla consapevolezza degli studenti, questi precetti e principi vengono tuttora perseguiti e realizzati. U: Si tratta di linee guida veramente importanti. I: Dal giorno in cui venne aperto l’istituto, gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori Soka di Tokyo hanno intonato la canzone della loro scuola, i cui versi pongono delle domande sugli obiettivi. Per quale scopo cerchiamo di affinare la saggezza? Per quale scopo siamo pieni di passione? Per quale scopo amiamo gli altri? Per quale scopo ci battiamo per la gloria? Per quale scopo lottiamo per la pace? Il fatto di ignorare gli obiettivi posti da questi versi può portare gli esseri umani e la società al declino. La tradizione delle scuole Soka è quella di

invitare ognuno ad approfondire la propria filosofia di vita interrogandosi di continuo sui propri obiettivi e creando la propria storia tramite le azioni intraprese da giovane, aprendo così il cammino della propria vita. Durante la prima cerimonia di ammissione delle scuole medie inferiori e superiori del Kansai, che in origine era una scuola femminile, proposi un’altra linea guida: non si dovrebbe mai cercare di costruire la propria felicità a spese della felicità altrui. Dissi anche che, in confronto al mondo intero, le scuole Soka potevano sembrare piccole come dei semi di papavero, ma se i nostri studenti fossero rimasti fedeli a questo ideale e avessero seguito gli indirizzi proposti dalla scuola, l’impatto del nostro sistema educativo sarebbe stato avvertito in tutto il mondo. Questo perché il principio che è alla base della pace duratura è uno e universale. Dissi queste cose perché desideravo che i nostri studenti diventassero saggi e contribuissero alla creazione della pace e della felicità in ogni luogo in cui si sarebbero recati. U: Mi sento davvero vicino a questo modo di pensare. I: Chiedo al personale docente delle scuole e dell’Università Soka di essere di prima categoria, sia in termini accademici, sia sul piano della personalità, e di essere deciso a sviluppare se stesso. È anche mio desiderio che essi si impegnino a fare della nostra istituzione un ente in cui gli studenti vengono al primo posto. Dal punto di vista degli studenti, il corpo docente rappresenta l’aspetto chiave dell’ambiente educativo. È quindi importante che, come leader di un sistema educativo umanistico, gli insegnanti tengano in alta considerazione gli studenti, proprio come se fossero i loro figli. Desidero che siano insegnanti che i loro studenti saranno felici di aver conosciuto, di cui sapranno apprezzare il calore umano e che conquisteranno il loro favore, persone a cui gli studenti tributeranno il riconoscimento per ciò che sono riusciti a realizzare. Nel 1970, poco tempo dopo l’apertura delle scuole medie Soka, il conte Coudenhove-Kalergi visitò l’istituto e incoraggiò gli alunni. Egli scrisse in un’occasione che il fatto di conoscere persone buone e nobili era di gran lunga la cosa più utile per la crescita delle persone, molto più di qualsiasi altra cosa 21. U: In base alla mia esperienza, so quanto sia importante avere degli insegnanti meravigliosi per far sì che gli studenti crescano sotto il profilo umano. Un’interazione profonda e completa tra le personalità dell’insegnante e dell’allievo arricchisce l’equilibrio degli studenti e ne migliora il carattere,

le capacità e le qualità fisiche. I: L’inglese Thomas Arnold (1795-1842), preside della celebre Rugby School, una scuola pubblica, scrisse che non era il nome, ma la qualità dell’istituto che permetteva alla scuola di eccellere o di risultare scadente. Egli riteneva che l’influenza degli insegnanti e l’influenza reciproca che gli studenti esercitavano tra loro con il sostegno degli insegnanti fosse determinante per lo sviluppo della personalità degli allievi 22. L’educazione umanistica è formazione del carattere e perfezionamento come risultato di interazioni tra studenti e insegnanti che considerano i propri compiti con l’affetto che proverebbero per i propri genitori. Dato che sono gli insegnanti a definire il profilo dell’educazione, una rivoluzione educativa deve necessariamente comprendere una rivoluzione nell’assetto dell’istituto. U: Le sue parole mi fanno capire il motivo per cui gli occhi degli studenti delle scuole e dell’Università Soka brillano di speranza. Dato che i bambini sono i nostri sommi tesori, dobbiamo scegliere i loro insegnanti con grande cura. Da questo punto di vista la scuola di oggi sembra ben poco adeguata. Dal mio punto di vista, se rivestissi una posizione di autorità, darei alla scuola la massima rilevanza. Bisogna abituare i giovani studenti ad avere una prospettiva globale. L’educazione umanistica permette loro di comprendere con acume il mondo nel suo insieme. Questo significa guardare non solo alle cose materiali e visibili che vi sono tra la terra e il cielo, ma anche percepire con sensibilità i valori spirituali. I bambini capaci di comprendere le cose da una prospettiva olistica possono apprendere come contribuire al benessere dell’intera umanità. L’educazione umanistica dà nuovi significati alle idee che animano l’educazione naturalistico-scientifica, così da rendere la scienza più utile all’umanità. I: Concordo. Senza la saggezza che ci permette di utilizzarla per la felicità umana, la conoscenza più approfondita e sofisticata non è soltanto priva di utilità, ma anche potenzialmente pericolosa. Toda sosteneva che un gravissimo errore dell’umanità dei tempi moderni fosse il fatto di confondere la conoscenza con la saggezza. Da un certo punto di vista, la conoscenza può portare a sviluppare le armi di distruzione di massa. È vero, peraltro, che può arrecare enormi vantaggi e sviluppo industriale. C’è un grande bisogno di educazione umanistica come guida della conoscenza per puntare alla felicità e alla pace. Negli anni futuri il compito di sviluppare la saggezza dell’educazione umanistica con l’obiettivo di impiegare al meglio le

conoscenze acquisite puntando alla felicità umana diverrà veramente essenziale. In ogni modo, lo sviluppo interiore di un singolo individuo sarà di ispirazione per la trasformazione delle persone intorno a lui e libererà le energie capaci di trasformare l’opinione pubblica mondiale grazie all’azione dei cittadini comuni. Col graduale progredire di questo movimento pacifico, spunteranno abbondanti nuovi germogli di una cultura di pace. Il 2007 ha segnato il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione contro le armi nucleari di Josei Toda. Noi della SGI siamo decisi a smuovere una grande onda di cambiamento dei tempi, che ci conduca da una cultura di guerra a una cultura di pace, e non risparmieremo i nostri sforzi per promuovere l’educazione al disarmo e al rispetto dei diritti umani.

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L’ambiente e l’educazione

I: I temi ambientali che abbiamo davanti a noi impongono l’adozione di misure urgenti. Udiamo sempre più di frequente i richiami agli effetti distruttivi del riscaldamento globale causato dalle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle industrie e da altre fonti. Inoltre l’inquinamento atmosferico sta distruggendo lo strato di ozono che protegge l’atmosfera dal pericolo dei raggi cosmici. Lo squilibrio tra la natura e il genere umano sta creando uno stato di crisi per l’umanità e il pianeta. U: Il nostro rapporto con la nostra Terra è scioccante. Dobbiamo capire a quale punto ci si è spinti nello sfruttamento del nostro pianeta, con quale facilità sprechiamo le risorse naturali e quanto inquiniamo le acque e l’aria che respiriamo. Abbiamo un solo pianeta Terra, un solo ambiente in cui poter vivere e dovrebbe essere preoccupazione di tutti la sua possibile distruzione. I: Verissimo. A partire dalla seconda metà del XX secolo, quando il problema ha raggiunto una dimensione planetaria, abbiamo finalmente capito la grandezza della posta in gioco. Abbiamo capito che le risorse che stiamo sprecando non sono infinite. U: Una maggiore consapevolezza della crisi globale può far crescere il nostro senso di responsabilità per il futuro. Salvare il pianeta significa salvare la vita. In questo senso è una causa di giustizia assoluta, che non possiamo mettere in discussione. Per essere corretti dobbiamo ammettere che, negli ultimi quindici anni, in Europa sono stati compiuti grandi passi. Penso alle iniziative per fermare l’inquinamento, soprattutto quello delle acque. Grandi bacini idrici un tempo gravemente inquinati sono nuovamente accessibili agli esseri umani. I: È un esempio davvero simbolico. Di recente anche in Giappone è migliorata la qualità delle acque, al punto che molti fiumi inquinati sono tornati ad accogliere i pesci. U: Altrettanto simbolica è la crescente attenzione rivolta al benessere degli animali. Ma abbiamo ancora dinanzi a noi un problema colossale: la povertà su scala globale. L’unico modo per combatterla è cancellare il debito

dei paesi poveri e smettere di sfruttarli. Incidentalmente, si tratta di una raccomandazione antica, che ci riporta alla Bibbia. I: Uno dei problemi più importanti da affrontare per fermare la distruzione dell’ambiente è fare fronte ai disboscamenti illegali nei paesi in via di sviluppo e alla riduzione continua delle terre coltivabili. I conflitti di interesse tra i paesi in via di sviluppo e i paesi industrializzati complicano ulteriormente la situazione. Al Summit della Terra tenutosi nel 2002 a Johannesburg, i paesi in via di sviluppo hanno messo in discussione il diritto dei paesi industrializzati di promuovere una cultura dei consumi invitando allo stesso tempo gli altri paesi a risolvere il problema della povertà. In sintesi, emerse un contrasto legato ai modi in cui si pensava di mantenere in equilibrio la crescita economica e la salvaguardia dell’ambiente. U: Una cosa che mi turba profondamente è l’enorme divario tra il Nord ricchissimo e il Sud ridotto in miseria. L’Africa è una tragedia umana di cui l’Occidente porta grandi responsabilità. Come emerse al Summit di Johannesburg, le promesse di fare qualcosa restano lettera morta fintanto che lo sfruttamento delle risorse procede senza che a esso vengano posti dei limiti. I: Il solo modo per risolvere il problema dello squilibrio tra ambiente e sviluppo sta nella speranza che i paesi industrializzati guardino oltre i propri interessi nazionali e adottino un punto di vista globale. U: Sono d’accordo. Ma le visioni autoritarie ed egemoniche dell’Occidente impediscono ai paesi industrializzati di assumere un punto di vista globale al fine di migliorare le condizioni dell’ambiente e affrontare il tema del risanamento economico dei paesi in via di sviluppo. Ci sono ancora paesi il cui unico scopo è dominare ciò che è rimasto dopo la fine del periodo coloniale. I: Sicuramente, fintanto che le nazioni industrializzate non cambieranno il loro modo di agire, i problemi ambientali del pianeta continueranno ad aggravarsi. U: Sì, ma credo che un cambiamento radicale di paradigma avrà luogo nel XXI secolo e trasformerà i nostri valori. Al posto del desiderio di potere e dominio subentrerà la volontà di agire in modo significativo. Con ciò intendo l’idea di andare oltre i propri interessi nel breve periodo e oltre i desideri

legati ai beni materiali e sforzarsi invece di costruire salde fondamenta di umanità attraverso l’impegno consapevole di controllare e di sviluppare se stessi. I: Invece di essere dominati dai desideri, come individui dobbiamo adottare ideali più nobili e cercare la riforma interiore e la realizzazione profonda della nostra vita. U: Quando i paesi industrializzati abbracceranno questi valori e affronteranno i temi ambientali e il risanamento economico dei paesi in via di sviluppo su scala globale, le condizioni ambientali in tutto il pianeta miglioreranno in modo rilevante. I: La chiave risolutiva è un cambiamento dei criteri di valore. Il buddismo di Nichiren insegna che i tesori di un forziere (le ricchezze materiali) sono meno importanti dei tesori del corpo (i talenti e la statura sociale) e, cosa ancora più importante, che i tesori di maggior valore sono quelli del cuore (la fortuna virtuosa), che possiamo accumulare grazie alle azioni altruistiche. Il benessere economico e il rango sociale non portano alla felicità autentica. Il nostro obiettivo dovrebbe essere la felicità altrui al pari della nostra; noi possiamo coltivare questo duplice obiettivo affinando ed elevando le nostre caratteristiche umane e superando la bramosia di potere, di rango e di beni materiali. Nel suo Geography of Human Life (“Geografia della vita umana”), pubblicato nel 1903, Tsunesaburo Makiguchi guardava un secolo avanti nel proporre che l’umanità abbandonasse la competizione sul piano militare, politico ed economico per impegnarsi nella competizione umanitaria. Quello a cui pensava Makiguchi è qualcosa di molto vicino al cambiamento di paradigma da lei evocato. U: L’Occidente manca di fondamenta spirituali e si è abbandonato a un materialismo testardo. Questo stato di cose ha come conseguenza il peggioramento delle condizioni ambientali e la mancanza di qualsiasi piano per il futuro. Qual è la visione buddista su una situazione come questa? I: Per quanto riguarda le relazioni tra l’umanità e l’ambiente, il buddismo di Nichiren insegna che «se la mente degli esseri viventi è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra» 1. Per spiegare, se la vita umana è contaminata dall’avidità, dall’egoismo e dalla rivalità, queste forze negative disturberanno l’ambiente sociale e distruggeranno la natura. Se, d’altro canto, la mente umana è ricolma di

amore, non violenza e rispetto per la natura, questi tratti positivi permetteranno all’essere umano di agire in armonia con la natura e di creare un ambiente sociale simbiotico. La fede è la fonte di energia che permette alla mente ben orientata di trionfare. Come lei ha detto, respingere la fede significa respingere il sacro e il trascendente. Questo modo di agire mette a rischio la nostra capacità di controllare il male che è in noi e ci porta alla distruzione dell’ambiente. Il materialismo che non tiene in nessun conto il futuro non è altro che un rifiuto dello spirito e dell’etica, un’azione che indebolisce la nostra bontà e rafforza la nostra intrinseca brama. U: Occupandosi della vita, lo scienziato e il medico devono nutrire rispetto e riverenza, che aumentano via via che si approfondisce la conoscenza della relazione tra la natura e la vita. I: Il rispetto per la vita è il punto fondante essenziale della religione. Coltivare il sentimento di rispetto per la vita è la missione della religione. Il rispetto per la dignità della vita deve diventare il modello universale per il XXI secolo, perché il fatto di attribuire a una qualsiasi cosa un valore superiore a quello della vita conduce inevitabilmente all’oppressione. Non solo, il rispetto per la vita è un punto in cui scienza e religione vengono in contatto, come credo che lei ben sappia. U: Credo che ormai l’era del riduzionismo sia alle nostre spalle. Chiunque oggi tenti di ridurre le più alte manifestazioni della vita a semplici processi di basso livello cade in un viluppo di contraddizioni. I: Credo che il moderno metodo riduzionista sia inadeguato al cospetto dei fenomeni della vita, che si pongono su un piano del tutto diverso. Prima che nascesse la scienza moderna gli esseri umani traevano il loro nutrimento dall’ambiente naturale che veniva alterato soltanto per dare spazio al vivere. Si viveva in unione con la natura e gli esseri umani nutrivano per essa una profonda ammirazione. Poi però, a seguito della Rivoluzione industriale e dei progressi tecnologici, da cui ha tratto enormi benefici, l’uomo ha lasciato che il progresso gli sfuggisse di mano e causasse danni all’ambiente. Solo quando i problemi di inquinamento hanno cominciato a rappresentare una vera e propria minaccia siamo stati costretti a ricordare che il genere umano non è in alcun modo separabile da Madre Natura. Sin dall’epoca di Cartesio il progresso scientifico è stato interpretato nel senso di ricondurre le questioni complesse a sottoinsiemi più semplici

attraverso le metodologie analitiche. Di fatto però tutte le forme di vita sono organicamente connesse in un’unica grande entità. Il microbiologo francese di nascita e americano di adozione René Dubos (1901-1982), che ho avuto occasione di incontrare, affermò: «Che sia basato su convinzioni religiose, filosofiche o sociali, il senso della rilevanza deriva dalla consapevolezza della persona, per vaga che possa sembrare, che il suo intero essere è legato al cosmo, al passato, al futuro e al resto del genere umano. Questo senso di relazione universale è probabilmente molto affine all’esperienza religiosa» 2. Come lei sa, la parola “religione” deriva dal latino religo, che significa “legare, tenere insieme”. In altre parole la religione è una ricerca della connessione tra l’individuo e il sacro. Ogni religione ha una propria cosmologia e una visione del mondo in cui all’umanità è riconosciuto un ruolo e un luogo. Possiamo trovare le risposte alle domande esistenziali riscoprendo le connessioni all’universo e alla società: e la riscoperta di queste connessioni sembrerebbe essere la fonte della nostra religiosità e della nostra radiosa umanità. U: Interrogarsi sul significato della propria esistenza non è un gioco e affidarsi alla religione non è un modo per aggrapparsi a un’illusione. La religione è il desiderio profondamente umano di inquadrare la vita nel contesto di tre importanti relazioni: quella con la natura, quella con noi stessi e quella con la sfera spirituale. La sfida che ci attende nel XXI secolo è trovare il modo affinché tutto il genere umano cooperi per uno sviluppo e una crescita condivisi. La nostra esistenza diviene stabile soltanto se i tre lati del triangolo sono in armonia. L’umanità è esattamente al centro di questo triangolo. I: Le sue parole mi fanno pensare al principio buddista dei tremila regni in un singolo istante di pensiero esposto dal maestro cinese Tiantai (538-597) e da Nichiren. Spiegato in termini semplici, questo principio afferma che l’intero regno dei fenomeni, rappresentati dai tremila regni, è contenuto in un singolo istante di vita. Ciascun istante contiene potenzialmente i dieci mondi 3 o stati della vita ed è quindi un concentrato di possibilità. La vita in ogni istante manifesta uno di questi dieci mondi, o stati vitali. In base al principio del mutuo possesso dei dieci mondi, ciascuno dei dieci stati possiede in ogni istante la possibilità potenziale di manifestare uno dei dieci mondi e questa mutua inclusione viene rappresentata dai cento mondi

potenziali. Ciascuno di questi cento mondi possiede dieci fattori 4, cosa che ci porta a mille fattori o stati potenziali e questi mille fattori operano all’interno dei tre regni dell’esistenza 5, portandoci così ai tremila regni. La sua immagine del triangolo delle relazioni corrisponde alla dottrina buddista dei tre regni dell’esistenza. Dato che la vita in ogni istante include l’intero mondo fenomenico (i tremila regni) una trasformazione in un pensiero umano o nella mente può trasformare non soltanto il singolo, ma provocare un effetto di ripercussione nella società e nell’ambiente. Questo principio è una filosofia di speranza. Ogni singolo istante di vita contiene la saggezza universale e la compassione. Lo scopo del nostro movimento, la rivoluzione umana, è di risvegliare la saggezza e la compassione e di agire in modo solidale per costruire una società e un ambiente pacifici. U: Conosco la filosofia buddista che punta a creare la pace nella mente degli individui, nella società, nelle relazioni umane e nel mondo della natura. I: Nel nostro dialogo il professor Toynbee dimostrò una profonda conoscenza del buddismo, e sottolineò la necessità e l’importanza di una religione mondiale che permettesse al genere umano di comprendere che siamo tutti membri di una comunità globale e parte della vita cosmica 6. Egli espresse il suo augurio che la filosofia Mahayana ci rendesse capaci di superare l’egoismo e l’avidità. U: Mi sembra di riconoscere nelle sue parole ciò che, da un punto di vista cristiano, chiamiamo il Creatore del mondo, uno spirito che tiene unite tutte le cose. I cristiani credono che l’amore sia il legame che unisce l’umanità al Creatore. Il filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) mise l’accento su questo e dedicò la sua vita a cercare di rispondere alla domanda sull’unità tra la ragione divina e quella umana. I: Leibniz, per come lo ho conosciuto, affermava che una singola mente vale quanto il mondo intero 7. In altri termini, Dio è una mente, uno spirito. Lo spirito dell’umanità fu creato da Dio a sua immagine e opera attraverso la vera natura di Dio. Sulla base di questa stretta relazione tra lo spirito e Dio, Leibniz riteneva che il valore dello spirito umano fosse superiore a qualsiasi altro. U: In un certo senso lei si spinge un passo oltre nel vedere lo spirito divino all’opera – quello che lei chiamerebbe lo “spirito universale” – non

solo nello spirito umano, ma anche in tutte le cose. Come esito della caduta, alla fine del tempo la creazione stessa avrà bisogno di essere salvata. Solo allora Dio sarà in tutte le cose. Lei non accoglie questa sorta di deificazione differita. Ho usato termini cristiani quali lo spirito di Dio. Ci sono concetti simili riferibili al buddismo? I: Il buddismo insegna che la preziosa natura di Buddha è egualmente inerente in tutti gli esseri viventi e che può essere rivelata e manifestata in qualsiasi momento e luogo. Gli esseri inanimati, come gli alberi e la terra, nel mondo naturale sono anch’essi dotati della natura di Buddha e sono in grado di manifestarla. Insegna inoltre il buddismo che quando un individuo si risveglia alla propria natura di Buddha, al sommo valore interiore, le sue caratteristiche distintive possono manifestarsi ognuna a proprio modo, così come i fiori del ciliegio, del susino, del pesco e del prugno selvatico fioriscono ciascuno a modo suo. Il significato della vita sta nel manifestare pienamente questo valore supremo, nel pieno splendore dell’io e dell’ambiente. Un altro principio buddista, quello che afferma l’unicità della vita e dell’ambiente, insegna che gli esseri viventi e i loro ambienti sono indivisibili ed essenzialmente uniti. Le nostre vite stesse determinano l’intensità con cui la società e il mondo naturale esprimono il loro valore. In pratica il buddismo attribuisce alle azioni umane il potere e la responsabilità di stabilire ed elevare il valore del mondo intero, incluso l’ambiente naturale. U: Le sue parole mi offrono degli ottimi spunti di riflessione. Per evitare errori, dobbiamo cercare di chiarire l’interpretazione buddista e cristiana del termine “spirito”. I: È vero. Un altro fattore importante collegato alle tematiche ambientali è un esame di come le religioni definiscono la natura e si relazionano a essa. Nel febbraio 2005 dialogai con Wangari Maathai (1940-2011), la prima ambientalista che abbia ricevuto il premio Nobel per la pace. Ella fu perseguitata dal suo governo per le sue convinzioni democratiche, ma alla fine ottenne un grande successo con la Green Belt Movement, che incoraggiò le persone a piantare trenta milioni di alberi nel continente africano. Maathai aveva una profonda sintonia con la filosofia buddista che attribuisce grande importanza alla vita, alla natura e alla comunità umana. U: Vedo un parallelismo tra cristianesimo e buddismo non solo in

riferimento alla preoccupazione profonda per la Terra. Entrambe le religioni assumono anche posizioni esplicite nella cura e nell’arrecare salvezza all’essere umano. I: Parlando del modo in cui il buddismo e il cristianesimo si accostano ai temi ambientali, mi vengono in mente alcune figure storiche. Una di esse è san Francesco d’Assisi (1182-1226), il quale, come lei ben sa, sentiva un profondo legame con tutte le creature che egli chiamava gioiosamente “fratelli” e “sorelle”. La sua grande compassione per le creature non umane è rappresentata dal celebre affresco di Giotto che lo ritrae nella predica agli uccelli. Convinto che la vita umana e l’ambiente naturale fossero indivisibili, eglì ammonì che lo sfruttamento della natura era una manifestazione di avidità. Egli ammirava e provava affetto profondo per tutte le creature. In san Francesco credo di riconoscere alcune caratteristiche del Bodhisattva buddista. U: Questo è un paragone interessante. L’allontanamento dell’umanità dal Giardino dell’Eden dovrebbe servire come monito per noi tutti. Se, in preda ai piaceri del momento, ci dimentichiamo di prenderci cura della Terra, essa diverrà inabitabile. Dovremmo perciò rispettare la natura e trattarla con estrema cura. I: Proprio così. Se riusciamo a controllare la bramosia, ad amare l’umanità e a rispettare la natura, e se la società intera condivide questi valori, potremo creare una società simbiotica che sarà in armonia con i ritmi della Terra. U: Dobbiamo rivolgere ancora una volta lo sguardo verso il valore della creazione divina e tenere a mente il fatto che la scienza deve garantire un sostegno adeguato per la vita di tutti gli esseri umani. I: Il buddismo insegna come vivere in simbiosi e nel rispetto della natura. È uno stile di vita che fa riferimento alla Via di Mezzo, ovvero al rifuggire dagli estremi dell’edonismo e dell’ascetismo. In altri termini, mentre cerca di controllare la malvagità e gli impulsi istintivi inerenti alla vita, la visione buddista della natura e della vita sostiene lo sviluppo di un fondamento etico che permetta agli esseri umani di sviluppare una relazione simbiotica con la natura. U: È una filosofia con cui concordo pienamente. Un venti per cento particolarmente benestante della popolazione mondiale consuma al momento l’ottanta per cento delle risorse naturali. Il restante ottanta per cento della

popolazione soffre la fame. Attenendoci agli insegnamenti del buddismo dovremmo cercare dei modi per controllare la nostra avidità e vivere in modo prospero insieme ai popoli dei paesi in via di sviluppo e all’ambiente naturale. I cristiani affermano che la loro missione è di andare per il mondo per apprendere e scoprire le proprie motivazioni. Mi sembra che questa idea si avvicini all’etica buddista che antepone la salvezza delle persone alla propria illuminazione individuale. I: La figura del Bodhisattva nel buddismo è quella di una persona attiva che si dedica alla salvezza delle altre persone. I Bodhisattva Mahayana formulano quelli che sono chiamati i Quattro Voti. In primo luogo essi formulano il voto di salvare tutti gli esseri viventi e nel fare questo esprimono il loro sentimento di condivisione della sofferenza. In secondo luogo, esprimono la volontà di abbandonare tutte le passioni legate al mondo. Questo significa controllare tutti i desideri e trasformarli in atteggiamenti benevoli quali la non violenza, la compassione e la speranza. In terzo luogo fanno il voto di apprendere tutti gli insegnamenti buddisti. In termini contemporanei questo significa apprendere il buddismo e l’intera eredità spirituale umana, includendo tutti i campi del sapere, della filosofia e della religione. Come quarto e ultimo voto, essi decidono di conseguire l’illuminazione attraverso la pratica buddista. In altre parole questo significa far progredire la propria condizione di felicità aiutando le altre persone. Questi Quattro Voti sorgono dalla vita degli stessi Bodhisattva. Questa etica è un voto che sorge spontaneo ed è rivolto a se stessi, e non viene imposto dall’esterno. Proclamando questi voti i Bodhisattva manifestano la loro bontà innata che li indirizza verso la loro felicità e quella delle altre persone. Questa bontà in se stessa è all’origine di un’etica che favorisce il legame armonioso con la natura. U: Non ha alcun senso elaborare un’etica globale o ambientale se essa non scaturisce dal cuore dell’essere umano. Il desiderio di dare un contributo all’umanità e alla società ha un influsso sull’educazione solo se nasce da dentro di noi. I: Sì, è un punto importante. La forza che nasce da dentro è indispensabile per orientare i nostri valori in modo che la scienza, l’economia, la politica e tutte le imprese umane puntino al bene dell’umanità. L’educazione, la religione e la filosofia dovrebbero evocare una spiritualità che nasce da dentro. Ho affrontato questo tema molto rilevante in un discorso che tenni

all’Università Harvard nel settembre 1991, intitolato L’era del “soft power” e della filosofia basata sull’interiorità. U: Dobbiamo sempre poter contare su un’intenzione precisa se vogliamo che l’educazione abbia la capacità di cambiare la società. Ci rendiamo conto del valore del dialogo e dell’educazione quando ci accostiamo ad argomenti specifici della scienza e dell’economia dal punto di vista di come dovrebbero vivere gli esseri umani. Il singolo individuo ha dei limiti concreti ed è in grado di esercitare un’influenza moderata sulla vita degli altri. Tuttavia l’umanità nel suo insieme continua a esistere indefinitamente attraverso la nostra progenie. Per questo è importante che ci si sforzi di diffondere a livello globale il valore del contributo individuale al flusso eterno della vita dell’intera razza umana. I: È una cosa su cui mi trovo completamente d’accordo. Shakyamuni affermò: «Chiunque sia, visto o non visto, che viva vicino o lontano, che siano ora in vita o che vivano in futuro, possano tutte le creature godere di una mente felice» 8. Questo brano illustra chiaramente un punto di vista etico rispetto a tutti gli esseri viventi e anche un’etica che si tramanda nelle generazioni. Agli esseri umani è richiesto di vivere in simbiosi con tutte le creature della Terra, ossia in simbiosi con gli esseri “visti o non visti”, “vicini o lontani”. È un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’ambiente sociale e naturale che abbiamo ereditato da coloro che sono vissuti prima di noi, quando siamo nati, e ancor di più un’assunzione di responsabilità che dev’essere sviluppata e affidata a coloro che ancora devono nascere. Non dobbiamo mettere in pericolo o impoverire il florido ed eterno flusso della razza umana. Credo anche che la chiave per risolvere le sfide che minacciano l’ambiente globale, come lei ha detto, stia nel «diffondere a livello globale il valore del contributo individuale al flusso eterno della vita dell’intera razza umana».

Un primo passo per l’educazione ambientale: valutare le condizioni attuali I: Poco fa lei ha detto che l’educazione ha la forza per smuovere la società. Il punto di partenza per diffondere un’etica globale a difesa

dell’ambiente è l’educazione ambientale. Come pensa che si debba procedere per diffondere l’educazione alla tutela dell’ambiente? U: Direi che è impossibile separarla dalle altre discipline accademiche e concentrarsi soltanto sulla conoscenza. Quello che possiamo fare è far crescere la consapevolezza ambientale ed esercitarci noi stessi nel tenere sempre a mente le implicazioni per l’ambiente di ogni cosa che facciamo. Per esempio, occorre sempre ricordare alle persone gli effetti delle nostre azioni sull’inquinamento atmosferico, così come la questione del consumo di risorse energetiche non rinnovabili. I: Il primo passo nell’educazione ambientale è una presa d’atto delle condizioni esistenti: le superfici di foresta che sono state distrutte, i livelli raggiunti dall’inquinamento dell’aria, delle acque e del terreno, le conseguenze di tutto questo sulla Terra, e via dicendo. In relazione a questo punto, nella proposta che ho formulato nel 2002, in occasione del Summit della Terra, ho messo in rilievo l’importanza di un approccio inclusivo al Decennio delle Nazioni Unite per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile. Nel quadro di questo tema, in cooperazione con la Commissione della Carta della Terra, la SGI ha organizzato una mostra dal titolo “I semi del cambiamento: la Carta della Terra e il potenziale umano”. È stata già presentata in oltre dieci nazioni. Inoltre la mostra “L’ambiente nel XXI secolo” viene presentata in Giappone dal 2006. U: Sono sicuro che il lavoro dei membri della SGI nell’ambito dell’educazione ambientale produrrà splendidi frutti. Dato che siamo agli inizi di un nuovo millennio, dobbiamo avvalerci dell’educazione ambientale per promuovere l’idea della simbiosi come modello globale. Uno degli obiettivi di questa crescita di consapevolezza è formare persone che desiderino fare dei luoghi in cui vivono degli ambienti accoglienti e sicuri per se stessi e per i membri della loro comunità.

Un’etica nuova per il controllo della tecnologia scientifica U: Il grande problema dell’Europa è lo stile di vita altamente secolarizzato, che dà origine a una visione assolutamente materialistica in cui ogni persona, come ebbe a dire Nietzsche, diviene dio di se stessa. In altri termini, i significativi passi in avanti nelle scienze naturali ci hanno reso

capaci di controllare moltissime cose in modi che un tempo non sarebbero stati pensabili. La nostra situazione attuale può essere paragonata all’apprendista stregone di Goethe che, impartendo alla scopa le istruzioni per farle trasportare l’acqua, finisce per provocare un disastro non sapendo come fare a interrompere il suo incantesimo. La nuova era in cui stiamo entrando ci obbliga a considerazioni etiche del tutto nuove relative al controllo della scienza. Dobbiamo imparare a usare i nuovi strumenti che la scienza ci mette a disposizione meglio di quanto non abbiamo fatto in passato, continuando nello stesso tempo a incoraggiare lo sviluppo della ricerca scientifica. I: Una curiosità intellettuale insaziabile e il desiderio di sapere hanno ispirato la ricerca e l’innovazione tecnologica in molti ambiti scientifici. Il ritmo di questi cambiamenti è probabilmente destinato a intensificarsi negli anni a venire. La scienza e la terapia medica si sono già avventurate in spazi che un tempo erano riservati a Dio; citiamo ad esempio le tecniche di clonazione e i progressi nell’ingegneria genetica. Oggi siamo costretti a tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è eticamente accettabile. Quanto lontano dovremmo spingerci nella manipolazione della vita umana e della natura? A quale punto dovremmo azionare i freni etici? Queste sono alcune tra le domande più urgenti che ci dobbiamo porre. Non riusciremo a impiegare a beneficio dell’umanità i nostri nuovi strumenti scientifici se non fisseremo dei modelli etici basati sul rispetto assoluto della dignità della vita. U: La cultura e la scienza possono sopravvivere solo se si dimostrano capaci di rispettare la vita e l’ambiente. Come emerge chiaramente da molte malattie della psiche, lo sfruttamento della natura comporta anche uno sfruttamento di noi stessi, e da questo deriva l’insorgere di malattie psicosomatiche. I: Ho parlato di non violenza nei confronti dell’ambiente con l’agronomo indiano M.S. Swaminathan il quale, citando Gandhi in relazione a questo tema, disse che gli esseri umani continueranno ad agire con violenza contro l’ambiente fintanto che saranno violenti tra loro. L’insegnamento della non violenza è l’aspetto più importante dell’educazione ambientale, che deve a sua volta essere basata sul rispetto della dignità della vita. L’educazione deve continuare a mettere in luce il potenziale di ciascuna vita insostituibile e la dignità di tutte le forme di vita, che ne è il pilastro portante.

U: È così. La cultura non si è sviluppata grazie allo sfruttamento, ma grazie al rispetto. L’educazione può essere davvero amica dell’ambiente solo se insegna il rispetto per la vita. Se ci concentriamo soltanto sull’ambiente, perdiamo il nostro punto di riferimento nel trascendente. E senza di esso non è possibile elaborare un’educazione ambientale che sia efficace. I: I bambini, sulle cui spalle giace la responsabilità per il futuro, devono imparare cosa sia il rispetto per la dignità della vita e nutrire riverenza nei confronti del trascendente come parte del loro percorso di educazione ambientale. In Geography of Human Life Makiguchi osservò due cose importanti da tenere presenti in relazione all’ambiente. In prima istanza, noi possiamo riconoscere a livello intellettivo le leggi e le regole della natura, ma non dovremmo mai dimenticare che esse non sono il prodotto dell’intelligenza umana. In seconda istanza, sul piano emotivo, dobbiamo essere consapevoli della necessità di un sentimento di ammirazione per la dimensione religiosa su cui si basano queste leggi naturali. Un approccio meramente intellettuale potrebbe condurci all’arroganza di pensare che la scienza possa conoscere tutto. Un atteggiamento solamente emotivo invece potrebbe portarci al distacco dalle realtà della vita. Makiguchi sosteneva che un atteggiamento corretto nei confronti della natura combina gli elementi intellettuali della regola e dell’ordine con la dimensione emotiva del rispetto per ciò che è religioso e trascendente. U: Un simile atteggiamento nei confronti della natura è importante per far sì che i bambini crescano con una condizione di equilibrio tra la mente, il corpo e lo spirito. I: Quando lei visitò le scuole Soka del Kansai nel luglio 1997 disse che occorreva lavorare con la testa, il cuore e le mani. Disse che il lavoro svolto soltanto con la testa, con l’intelletto, poteva risultare freddo. Quello fatto soltanto sulla base dell’emozione rischiava di perdere il contatto con la realtà, mentre quello svolto solo con le mani poteva portare alla distruzione del pianeta. Per questo era necessario vivere secondo un modello che mantenesse in equilibrio i tre aspetti. Con questo esempio così chiaro lei mise in evidenza le origini della crisi globale odierna e la perdita del senso dell’armonia da parte dell’umanità. Rimasi molto contento del modo in cui lei spiegò ai nostri allievi l’importanza di crescere come esseri umani completi in cui una mente acuta,

un cuore generoso e un’azione rapida coesistono armonicamente. U: Nessuna filosofia o sistema di pensiero ha senso se non è in grado di essere trasmesso alle altre persone. Poiché desideravo esporre le mie idee a giovani che saranno responsabili del nuovo secolo, cercai di parlare in termini semplici. Rimasi molto colpito dall’attenzione viva degli studenti che incontrai nelle mie visite alle scuole Soka del Kansai e all’Università Soka di Tokyo. Desideravo aiutarli, per usare le sue parole, a diventare persone veramente equilibrate. I: Makiguchi riteneva che lo scopo dell’educazione non fosse riempire la testa degli alunni di nozioni frammentarie, ma di sviluppare il loro intero essere e renderli capaci di utilizzare le conoscenze acquisite per il bene dell’umanità. Egli suggerì anche di adottare il sistema che definì della “scuola a metà tempo”, con l’obiettivo di coltivare personalità a tutto tondo capaci di utilizzare la testa, il cuore e le azioni. Secondo la sua idea, gli studenti avrebbero dovuto seguire i corsi in aula per metà della giornata scolastica e svolgere delle attività pratiche durante l’altra metà. Lo sviluppo di personalità a tutto tondo è la ragione fondamentale per cui l’Università Soka è stata fondata come istituto di arti liberali. U: È desiderio di tutti che le scuole e l’Università Soka formino grandi quantità di persone capaci che saranno in grado di contribuire al miglioramento dell’ambiente e a un futuro radioso.

Le armi nucleari: l’aspetto malvagio della vita I: È indispensabile sviluppare la saggezza, grazie alla quale saremo in grado di capire lo scopo verso cui indirizzare la conoscenza: le tematiche ambientali e delle armi nucleari in questo senso sono molto rilevanti. Le armi nucleari sono un prodotto della conoscenza scientifica. Proprio pensando a come gli esseri umani dovrebbero porsi nei loro confronti, assume grande importanza il tema della relazione tra conoscenza e saggezza. La fine della Guerra Fredda ha offerto un’opportunità eccellente per liberarsi completamente delle armi nucleari; in effetti, nell’ultima decade del XX secolo il movimento per l’abolizione delle armi nucleari ha fatto dei passi avanti e si è passati dal discutere di una loro riduzione alla creazione di un nuovo ordine internazionale in cui l’uso delle armi nucleari sia bandito.

Per fare un esempio, la Corte internazionale di giustizia ha emesso un’opinione non vincolante secondo cui l’uso delle armi nucleari rappresenterebbe una violazione delle leggi internazionali. Nel 2000, nel suo documento conclusivo, la conferenza per la revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT ) ha chiesto un impegno esplicito in favore dell’eliminazione totale delle armi nucleari. Purtroppo l’idea degli Stati Uniti di difesa missilistica ha portato a una situazione di squilibrio nell’assetto degli armamenti nucleari e all’avvio di una nuova fase di espansione nucleare spaziale. Inoltre gli Stati Uniti e la Russia hanno condotto dei test di livello minimo che non erano vietati dal Trattato per la messa al bando dei test nucleari (CTBT ). Come pensa che l’umanità dovrebbe porsi nei confronti della persistente minaccia rappresentata dalle armi nucleari? U: Non sono certo un fautore degli armamenti. Mi spaventano. L’umanità oggi dispone di una quantità di armi che potrebbe distruggere l’intero pianeta. Procedendo nel suo sviluppo, benché rappresenti se stessa in modo ipocrita come dedita alla pace, l’industria degli armamenti risulta sempre più implicata nelle guerre. Mi è stato insegnato che le nazioni hanno bisogno di armi per la propria difesa. Nonostante questo le armi nucleari, batteriologiche e chimiche mi turbano profondamente. Il loro uso è l’azione più vile che gli esseri umani possano compiere. È mia opinione che Hiroshima e Nagasaki dovrebbero averci insegnato che l’uso delle armi nucleari è sbagliato. I: Posto che le armi nucleari sono in grado di annientare la razza umana e di distruggere l’ambiente naturale, il problema, come nel caso del problema ambientale, si riduce al fatto di far prevalere o meno gli interessi di una nazione su quelli dell’umanità intera e del nostro pianeta. Non è possibile commettere errori: l’alternativa è o gli esseri umani o le armi nucleari. In relazione a questo, devo riferirmi ancora una volta alla dichiarazione di Toda contro le armi nucleari, quando egli disse: «Anche se una nazione dovesse conquistare il mondo grazie alle armi nucleari, i conquistatori dovrebbero essere visti come dei demoni, come l’incarnazione del male». Questa affermazione va oltre qualsiasi barriera di carattere politico o militare e tocca la dimensione fondamentale della dignità della vita. Il buddismo insegna che l’impulso del male è inerente alla vita e spinge le persone a realizzare i propri desideri egoistici anche a costo di distruggere le vite altrui e persino

l’ambiente naturale. Lo stato vitale in cui si è dominati da questo influsso malvagio è chiamato Regno in cui si gode liberamente delle creazioni illusorie degli altri. Per le nazioni, i gruppi etnici o le persone che ricoprono delle cariche, il tentativo di dominare i rivali per mezzo delle armi nucleari rappresenta una manifestazione palese di questo istinto malvagio. Era questo il male che Toda desiderava realmente sconfiggere. U: Sono d’accordo con lui. La domanda relativa alle armi nucleari per me ha una risposta molto semplice: devono essere eliminate. I: Dobbiamo imparare ad assegnare la priorità nelle nostre azioni a quelle che vanno a vantaggio dell’umanità e del pianeta. Il celebre cosmonauta russo Aleksandr Serebrov (1944-2013), con il quale ho pubblicato un dialogo intitolato The Cosmos, Earth and Human Beings (“Il cosmo, la Terra e l’umanità”), mi disse che la visione della Terra dallo spazio non solo rappresenta un’esperienza spirituale di grande importanza, ma stimola anche ad agire in difesa del nostro prezioso pianeta. L’astronauta americano Donald Slayton (1924-1993) una volta mi disse che la sua esperienza, del tutto simile, gli ha insegnato che il cosmo rappresenta un contesto unificante per la Terra e che è il locus dell’unità del genere umano. Dobbiamo anteporre gli interessi dell’umanità e della Terra a tutto il resto. Per fare questo dobbiamo adottare lo stesso punto di vista di queste persone che hanno ammirato il pianeta dallo spazio. Quali sono le sue aspettative per l’era spaziale del XXI secolo? U: Nel cercare di fissare delle regole valide per tutti, dobbiamo tenere conto che lo spazio appartiene a tutti ed è il sostrato della nostra esistenza. Essendo l’unico habitat in cui possiamo vivere, richiede tutte le nostre attenzioni. Anzi, credo che sia proprio il punto di partenza per la cooperazione umana. Di conseguenza, all’inizio di questo nuovo secolo, non dobbiamo sfruttare in modo scorretto lo sviluppo delle attività nello spazio. I: Non deve essere permesso a nessun paese di monopolizzare i processi di ricerca e sviluppo nel proprio interesse esclusivo. Le corse agli armamenti dovrebbero essere messe fuori legge. In tutte le maggiori religioni la preghiera è un momento di dialogo e di risonanza con l’universo eterno, che è progenitore della vita umana e non umana. In questo senso, come lei dice, il cosmo è «il sostrato della nostra esistenza». I nostri cuori e le nostre menti sono davvero cresciuti al passo con la globalizzazione? Oggi le pesanti

influenze del nazionalismo gretto e gli egoismi delle diverse nazioni rendono ancora più importante la comunione spirituale con il cosmo. U: È così. È particolarmente importante che i giovani, che hanno la responsabilità del futuro, abbiano delle opportunità per delle esperienze spirituali cosmiche e che sviluppino un punto di vista veramente universale. Mi risulta che le scuole Soka del Kansai partecipino a un progetto educativo che mira a ispirare un senso di intimità con il cosmo. I: Sì, hanno aderito al Sally Ride EarthKAM, un programma di conoscenza approfondita della Terra per gli studenti delle scuole medie. Si tratta di un’iniziativa promossa grazie alla NASA (National Aeronautics and Space Administration) negli Stati Uniti, che offre la possibilità di scattare delle fotografie di qualsiasi punto della Terra grazie a delle macchine fotografiche digitali a controllo remoto installate sulla stazione spaziale internazionale. Gli studenti devono calcolare la posizione orbitale della stazione spaziale, l’ora e la posizione dell’immagine e poi trasmettere le istruzioni per la ripresa dell’immagine in inglese. Le istruzioni vengono trasmesse alla stazione spaziale e le fotografie vengono scattate. È un’iniziativa che consente agli studenti di vedere degli aspetti del pianeta che sarebbe difficile rappresentare in una lezione tradizionale. Le scuole medie inferiori e superiori Soka del Kansai vantano il record delle partecipazioni al programma EarthKAM. Per parte loro, le scuole Soka di Tokyo seguono un programma di educazione spaziale elaborato in collaborazione con un osservatorio conosciuto in tutto il mondo. Si tratta di opportunità che permettono agli studenti di vedere il mondo come un piccolo pianeta che fluttua nello spazio senza alcun confine nazionale visibile, che necessita di tutte le nostre cure. U: Sono esperienze educative meravigliose, che proiettano l’educazione ambientale verso il cosmo. I: Per gli anni a venire, sarà necessario riformulare il celebre detto “pensare globalmente, agire localmente” e trasformarlo in “pensare cosmicamente, agire globalmente”. La razza umana deve comprendere che noi figli della Terra siamo tutti destinati a vivere insieme sul nostro pianeta. La nostra epoca impone un’educazione umanistica che ci insegni ad adottare un approccio universale e ad agire come cittadini del cosmo nei nostri tentativi di soluzione delle questioni globali che abbiamo dinanzi.

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La salute, la medicina e la bioetica

I: Fare del XXI il secolo della vita è l’impegno al quale ci siamo dedicati con costanza. Noi tutti speriamo che il secolo attuale sarà un’epoca in cui la salute, la malattia, la mortalità e il rispetto per la vita diventino obiettivi cui viene rivolta un’attenzione sempre maggiore. In relazione a questo, vorrei dedicare l’ultima sezione del nostro dialogo al tema della vita e della bioetica. U: Alla luce dei rapidi sviluppi delle bioscienze, ritengo che sia essenziale guardare in modo molto approfondito alla vita in se stessa. Per me è un piacere avere l’opportunità di riflettere su una filosofia di vita attraverso il nostro scambio di idee. I: Provo la stessa sensazione. Lei è un cardiochirurgo di fama mondiale. Perché decise di scegliere questo ambito di studi? U: Ho sempre desiderato diventare medico. Quando ero studente di medicina, la cardiochirurgia era una disciplina difficile e pericolosa; decisi di impegnarmi per migliorare la situazione. I: La sua scelta di questo percorso difficile le ha permesso di salvare molte vite preziose. Mi risulta che lei abbia operato oltre settemila pazienti. U: Sì, il numero è più o meno esatto. I: Come pensa che sia possibile mantenersi in buona salute? U: Sono due le condizioni che determinano delle buone condizioni di salute. La prima è l’assenza di possibili anormalità genetiche. La seconda sono gli sforzi che l’individuo compie per mantenersi in salute. Questo significa essere consapevoli di tutto ciò che rappresenta un pericolo per la salute ed essere sempre in guardia. La persona che non agisce così corre il rischio di ammalarsi. Superata l’età dei quarant’anni, ognuno dovrebbe diventare dottore di se stesso. I: Mi sembra un consiglio utile e importante. In altri termini, abbiamo bisogno della saggezza e dell’intraprendenza per proteggere la nostra salute comportandoci da medici e infermieri di noi stessi. Cosa pensa dell’opinione diffusa secondo cui la nostra società carica di stress sia causa di malattie? U: Lo stress ha un aspetto positivo e uno negativo. Le sfide stimolano uno

stress positivo. Superando una sfida gli esseri umani crescono dal punto di vista fisico e psichico. Senza questo cresceremmo pigri. Lo stress negativo, d’altro canto, è pericoloso. Se se ne lasciano dominare, le persone diventano pessimiste e prive di entusiasmo, e giungono al punto di rinunciare ad affrontare le sfide e persino di ammalarsi. I: Capisco. Quale sia l’influsso, benefico o negativo, che lo stress esercita su di noi dipende dal modo in cui noi stessi lo affrontiamo. Ecco la ragione per cui è importante affrontare le sfide con un’idea di scopo nella vita. Occorre trovare dei modi per liberare la forza vitale che è dentro di noi. Penso che sia importante essere a contatto con persone piene di energia vitale e vivere in ambienti che hanno le stesse caratteristiche.

La massima durata della vita I: Quali generi di persone ritiene che siano in grado di vivere a lungo? U: È ovvio che nessuno di noi può vivere all’infinito. Ma ci sono comunque ottime possibilità di vivere a lungo per coloro che hanno già raggiunto i sessant’anni. I: In Oriente all’età di sessant’anni viene attribuito un significato particolare, come uno stadio molto importante nel ciclo di vita di un essere umano. Le mie riflessioni mi hanno portato a ritenere che i sessant’anni siano una vera e propria pietra miliare. U: Ci sono persone che sono geneticamente portate per vivere a lungo. Al di là della genetica, tuttavia, l’esercizio fisico e spirituale è necessario per la longevità. E il secondo è veramente fondamentale. I: Penso che lei intenda che le attività a livello mentale, come per esempio la fede e la convinzione, siano fattori di lunga vita. U: Esatto. La fede e la convinzione sono l’opposto della paura. Avere una fede dalle salde fondamenta significa non avere paura. E questo è un elemento importante per la tolleranza. La fede permette alle persone di elaborare giudizi corretti e dà loro stabilità. I: Fede salda e convinzione ci indirizzano verso la buona salute e la lunga vita. In termini medici quanto può essere allungata la durata della vita? U: Se non insorgono problemi di qualche tipo, penso che una persona possa arrivare a vivere centoventi anni al massimo. La fine della nostra vita è

determinata dai nostri geni. I: Davvero? Per una meravigliosa coincidenza, in una scrittura buddista del maestro Tiantai, Parole e frasi del Sutra della Luce dorata, si menziona lo stesso numero di anni. U: Si ritiene che le cellule umane possano rinnovarsi in una forma o nell’altra fino a centoventi anni. Dopo quella soglia perdono la capacità di farlo. I: Gli insegnamenti buddisti e la scienza medica moderna concordano sulla durata della vita umana in modo significativo. In ogni caso, sebbene gli esseri umani siano molto interessati al tema di quanto a lungo potranno vivere, al momento è il tema della qualità della vita a meritare tutte le attenzioni. Nel Dhammapada si legge questo brano: «È meglio vivere un unico giorno in forze e con saggezza che vivere deboli e indolenti per cento anni» 1. In uno dei suoi scritti, intitolato I tre tipi di tesori, Nichiren scrisse: «Ma è più importante vivere un solo giorno con onore piuttosto che vivere sino a centoventi anni e morire in disgrazia» 2. In base alla sua esperienza di chirurgo, lei è in grado di riconoscere dei cuori che promettono la longevità? U: Ogni cuore umano è diverso. Nel corso di un intervento, l’esame delle contrazioni e del colore possono portarci a ritenere che, dopo un esito positivo dell’operazione, un cuore operato possa vivere ancora per almeno vent’anni. I: In Giappone, paese in cui l’aspettativa di vita è più alta che in qualsiasi altro paese al mondo, le malattie cardiache sono al secondo posto dopo il cancro come causa di morte. Cosa possiamo fare nella vita di ogni giorno per ridurre al minimo i pericoli di malattie cardiache? U: L’alimentazione è un tema di importanza primaria. Nei villaggi rurali giapponesi il cancro, in particolare dell’esofago, è causa frequente di morte, mentre i casi di malattie cardiache al confronto sono pochi. A Tokyo, come pure in altre grandi città come Los Angeles e San Francisco, dove le persone basano la loro dieta su abbondanti quantità di carne, le morti per malattie cardiache sono molto frequenti. I: Fino agli anni Settanta nei villaggi rurali giapponesi le cause principali di morte erano le malattie cerebrovascolari, seguite dal cancro, e i casi di malattie cardiache erano abbastanza rari. Oggi, invece, anche nelle campagne le persone mangiano molta più carne e le malattie cardiache stanno

aumentando. Nella sua opera Grande concentrazione e visione profonda Tiantai elencò tra le cause di malattie le abitudini disordinate nella dieta. Un altro testo buddista, il Sutra Gocaropaya, elenca i seguenti disturbi derivati da un eccesso di alimentazione: 1. 2.

pigrizia; sonnolenza prolungata che provoca preoccupazione nelle altre persone; 3. condizioni fisiche squilibrate e malattie. U: Detto in termini sintetici, il modo per prevenire le malattie cardiache consiste nel seguire queste tre regole: 1. 2. 3.

non fumare; ridurre l’assunzione di cibi ad alto tasso di colesterolo; per i diabetici, controllare regolarmente il tasso di zuccheri nel sangue.

I: Molto chiaro. Ho sentito dire che il fatto di bere acqua prima di andare a dormire previene la disidratazione, favorisce la circolazione del sangue e contribuisce alla salute. È vero? U: Il fatto di agevolare la circolazione protegge il cervello. Bere abbondanti quantità d’acqua è importante. Si dice che le persone prive di problemi cardiaci o renali dovrebbero bere due litri di acqua al giorno. Ma dovremmo fare attenzione a non bere troppa acqua minerale perché ha un alto contenuto di sodio, che contribuisce all’ipertensione. I: Quali cibi consiglierebbe per mantenere il cuore in buona salute? U: La cosa migliore è mangiare sempre la metà di ogni cosa. Ridurre la carne a una volta alla settimana e mangiare piuttosto pesce, frutta, cereali e verdure. Anche un bicchiere di buon vino può andare bene. Ma quello che conta è l’equilibrio. Mangiare e bere in modo eccessivo porta sicuramente a qualche problema di salute. I: Quindi la chiave è essere moderati nella dieta. Il Tesoro di analisi del Dharma descrive quattro categorie di nutrimento: 1.

cibi che vengono assunti tramite la bocca, quali carne, pesce e

verdure; 2. cose che danno gioia e piacere al contatto, quali la musica e l’arte; 3. cose che rinvigoriscono ispirando il pensiero e dandoci speranza; 4. il potere della mente che nutre il desiderio di vivere. Viene considerato nutrimento tutto ciò che rappresenta fonte di energia per la vita, non solo il cibo. L’interrelazione di queste quattro fonti di energia assicura la buona salute. Qual è l’esercizio migliore per il cuore? U: Camminare ogni giorno. Anche salire le scale è positivo. Di solito non uso gli ascensori. Credo che salire tre rampe di scale sia meglio che correre per un’ora o andare in palestra. I: Conservare la buona salute è espressione di saggezza. Una forma di meditazione buddista in cammino, che consiste nel camminare avanti e indietro in uno spazio definito, è un modo per regolare la propria condizione fisica. Le quadruplici regole della disciplina attribuiscono a questa azione cinque effetti: 1. 2. 3. 4. 5.

aumentare la capacità di camminare per lunghi tratti; stimolare la riflessione; ridurre le possibilità di malattie; favorire la digestione; prolungare la solidità della mente.

Gandhi scrisse che «senza tener conto della quantità di lavoro che una persona deve svolgere, si dovrebbe sempre trovare il tempo per un po’ di esercizio, così come facciamo per nutrirci. È mia umile opinione che, anziché sottrarre tempo al lavoro, questa attività ne aggiunga» 3. Qual è il momento migliore del giorno per fare esercizio? U: Il mattino, perché così stimoliamo la circolazione. Un po’ di esercizio mattutino aumenta le pulsazioni. Questo ci rende più semplice avere a che fare con i molti fastidi che dobbiamo affrontare nel corso della giornata. I: Ci sono dei modi per controllare lo stress che sono anche benefici per il cuore? U: Torniamo al punto: camminare. Ma anche una giusta dose di sonno è importante, tanto quanto amare le altre persone ed essere amati.

I: Una semplice affermazione di verità importanti. Sebbene le persone siano molto diverse, quale ritiene che sia la giusta dose di sonno in una giornata? U: Si tratta di una cosa che varia in relazione all’età e alle esigenze del fisico. Le persone anziane ne hanno meno bisogno, mentre le persone attive nel fiore degli anni necessitano di tempi maggiori. Per altro, i giovani possono restare per un po’ senza dormire. Un breve riposo dopo il pranzo fa bene. È per questo motivo che le genti mediterranee sono abituate alla siesta. Bisogna poi adattarsi alle attività del giorno. Per esempio, durante la stagione calda è meglio lavorare nelle ore fresche del mattino e riposare nelle ore più calde. Quando non possiamo fare nulla per controllare la temperatura, possiamo modificare i nostri piani. È importante non essere sempre di fretta ma lavorare in modo assiduo. I: I suoi consigli per la salute risuonano come parole piene di saggezza.

Nuove prospettive sull’origine della vita e sull’evoluzione I: Tutte le forme di vita terrestre sono composte di proteine determinate geneticamente dal dna. Discendono tutte dal primo dna che si formò sulla Terra, che nel corso di oltre quattro miliardi di anni si è ramificato in una miriade di forme, alcune delle quali oggi sono estinte. Questo è il modo in cui la scienza medica e la biologia molecolare spiegano l’origine della vita e il meccanismo dell’evoluzione. Che cosa pensa di questa teoria? U: Nel corso dello sviluppo umano ci si è imbattuti in diversi modelli di evoluzione biologica. Nel XX secolo la biologia molecolare ci ha spiegato che le informazioni genetiche sono codificate come una sequenza base di dna. La scoperta del dna ci ha permesso di spiegare l’evoluzione biologica sulla base della mutazione genetica. Sappiamo che tutte le forme di vita sulla Terra derivano dal dna originale e che, a livello molecolare, sono fatte nello stesso modo. Gli sviluppi dell’ingegneria genetica odierna rappresentano le basi per spiegare l’evoluzione biologica da un punto di vista genetico. La biologia tradizionale non era in grado di spiegare le origini e l’evoluzione della vita. L’ingegneria genetica ci offre nuove conoscenze per rispondere a questi quesiti. Senza dubbio i futuri sviluppi della disciplina forniranno spiegazioni

ancora più dettagliate. La tecnologia genetica ci condurrà in una dimensione del tutto diversa ed eserciterà un’importante influenza sulle nostre vite. Credo che ci aiuterà a comprendere meglio la creazione divina. I: A simboleggiare i risultati dell’ingegneria genetica, la decodifica del genoma umano nel 2003 ci ha rivelato che gli esseri umani hanno circa trentamila geni. U: Sì. Non ci può essere alcun dubbio sul fatto che i progressi conseguiti mese per mese nell’ingegneria genetica stanno avendo un impatto enorme sulla biologia. Nel futuro la decodifica del genoma ci permetterà di sapere ancora di più sui geni, favorendo così le diagnosi e le terapie per le malattie di origine genetica. Saremo in grado di prevenire o di fermare le malattie. L’ingegneria genetica sarà indispensabile nell’industria farmaceutica per lo sviluppo di molti prodotti, come per esempio l’insulina che serve ai diabetici. I: Sicuramente l’umanità può guardare con molte aspettative ai vantaggi che deriveranno dall’ingegneria genetica. Le diagnosi genetiche e le terapie diverranno sempre più comuni. U: Verranno sicuramente sviluppate nuove modalità diagnostiche e nuove terapie. I: Tuttavia ci sono persone che ritengono che i rapidi progressi in questo campo rappresentino una pericolosa manipolazione della vita. Proprio per la rilevanza che ha per l’esistenza umana, occorre considerare con molta cautela gli aspetti negativi della ricerca genetica. Come alcuni hanno fatto notare, la scoperta di un gene che predispone una persona per una certa malattia potrebbe pregiudicare le sue opportunità di inserimento nel lavoro o la sua adesione a un piano di assicurazione sanitaria. U: Non siamo ancora giunti al punto in cui tutte le informazioni genetiche sono state decodificate. Come lei osserva, la lettura delle informazioni genetiche, piuttosto che rivelarsi un progresso, potrebbe trasformarsi in una minaccia. Sarebbe possibile, per esempio, che a una persona che ha un gene che potrebbe causare il cancro all’età di sessant’anni venga rifiutata l’assicurazione sanitaria o che non venga presa in considerazione per un impiego. Allo stadio attuale delle conoscenze, diagnosi simili sono premature ed erronee. I: Condivido. L’idea dell’uso di informazioni genetiche per violare la privacy di una persona, come nel caso del rifiuto di un’assicurazione sanitaria, di un impiego o di un matrimonio, attualmente equivale a mettere il

carro davanti ai buoi. Essendo un’impronta della vita, le informazioni genetiche sono l’area più riservata della vita individuale di una persona. Per questa ragione la protezione di queste informazioni e il loro utilizzo devono sempre essere presi in considerazione nella diagnostica genetica. La scienza deve tutelare la dignità umana. U: L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti di Salisburgo organizzò un congresso di ricercatori su questo tema all’Istituto di medicina degli Stati Uniti a Washington nel 2001. Il tema del congresso, “L’impatto della tecnologia genetica e la dimensione umana” venne trattato in due sezioni. Nella prima gli specialisti riferirono dei più recenti risultati nella tecnologia genetica. Nella seconda, filosofi, teologi ed economisti presentarono le loro riflessioni sulla dimensione umana. I: Per fare in modo che la tecnologia genetica serva la causa della felicità umana è necessario che vengano prese in considerazione le opinioni di filosofi, teologi, economisti e specialisti di altri campi. U: La tecnologia genetica ha impatti su tutti i campi. Il nostro congresso mise in evidenza alcuni gravi fattori negativi, ma anche le aspettative e le speranze. Una cosa che ci si augura è che la tecnologia genetica permetta la nascita di una nuova industria che possa ripagare gli enormi capitali che le aziende hanno investito nel progetto genoma. I: Il punto fondamentale è come possiamo far sì che la tecnologia genetica sia strettamente collegata al perseguimento della felicità umana e che gli aspetti negativi di questa tecnologia siano tenuti sotto controllo. Qual è la sua posizione in proposito? U: Sono un rappresentante del mondo delle scienze naturali e aderisco al punto di vista secondo cui gli esseri umani dovrebbero studiare tutto ciò che esiste. La scienza mette a nostra disposizione moltissime informazioni che ci aiutano a curare le malattie e ad arricchire la vita umana. L’ingegneria genetica ha la potenzialità per rivoluzionare il nostro modo di pensare e di arrecare beneficio al genere umano.

Le terapie riproduttive e l’uso degli embrioni I: Oggi la scienza medica va oltre la terapia e la prevenzione e arriva a manipolare la vita stessa. Il primo esempio di fecondazione in vitro risale al

1978. Da allora le terapie riproduttive sono progredite a velocità strabiliante. U: È proprio così. Sviluppata in origine per usi veterinari, la fecondazione in vitro oggi dà speranza a molte coppie che, sebbene lo desiderino, non sono in grado di avere figli. La fecondazione in vitro è una tecnica assistita che fa in modo che un processo che normalmente avviene all’interno del corpo di una donna si verifichi all’esterno di esso. I: Come lei dice, per molte donne apparentemente sterili è stato un vero dono. Ma allo stesso tempo si sono aperte anche le porte per interventi terapeutici nei primi stadi della vita. Oggi si è in grado di selezionare gli ovociti e di manipolare gli embrioni che vengono conservati criogenicamente. I medici e gli scienziati che operano in questo campo dovrebbero essere guidati dal rispetto per la dignità della vita e focalizzare la loro attività sull’idea di contribuire alla felicità dell’essere umano che riesce a superare un problema di fertilità. U: Sono anch’io sostenitore della necessità di porre dei limiti agli interventi sulle origini della vita. D’altra parte un problema molto attuale riguarda la fecondazione, non con l’obiettivo della riproduzione, ma per attuare terapie rigenerative in altri campi della medicina. Per esempio, le cellule staminali hanno reso possibile la riproduzione di diversi tipi di cellule dall’ovocita fecondato allo stadio di blastocisti o da quelle di un embrione abortito. I: È un campo che promette molto in relazione alla cura di malattie incurabili e nella medicina rigenerativa. Ma ovviamente la distruzione degli embrioni comporta dei problemi etici. Il Consiglio giapponese per le politiche scientifiche e tecnologiche sta esaminando la questione dell’uso degli embrioni. Purtroppo il criterio di riferimento adottato è quello dell’utilità della ricerca sugli embrioni piuttosto che quello del modo corretto di avere a che fare con la vita stessa. U: Non bisogna però dimenticare che molti embrioni non raggiungono lo stadio in cui possono essere definiti “vita”. Non tutti gli ovociti inseminati artificialmente tornano ai corpi delle madri. Un certo numero deve essere scartato. Anche molti ovociti inseminati in modo naturale non si impiantano e vengono perduti. Credo che la vita abbia inizio quando l’embrione è impiantato nell’utero materno. Non vedo quindi un grosso problema nel fatto di usare come materiale per la ricerca gli ovociti che non vengono impiantati nel corpo della madre. Dobbiamo tornare alle parole del cardinal König, che

fu presidente onorario della nostra Accademia: gli scienziati devono fare ricerca, ma devono sempre ascoltare la voce della coscienza. I: Sebbene possa recare notevoli benefici, credo che la ricerca sulle cellule staminali possa anche mettere a rischio la dignità della vita. Dobbiamo essere molto cauti. Intervenire sull’embrione, la gemma della vita, può far correre il rischio di considerare gli esseri umani come mezzi che servono un fine, cosa strettamente legata alla perdita di dignità dell’essere umano. Mentre avanza, la ricerca sugli embrioni deve sempre avere presente la natura dell’embrione stesso, che è la gemma della vita umana.

La morte cerebrale e i trapianti di organi I: La morte cerebrale si registra quando il cervello ha cessato irrimediabilmente di funzionare e il cuore viene mantenuto in attività per mezzo di apparecchiature esterne. In Giappone non vi è un’opinione univoca sul fatto che questa condizione equivalga alla morte. U: Sono restio a usare il termine “morte cerebrale” perché le persone sono portate a pensare che un individuo in questa condizione sia di fatto già morto. In questo caso, è lecito interrompere le cure intensive. Preferisco utilizzare il termine neurologico francese coma dépassé (“coma profondo”). In questa condizione il cervello segnala un’attività disordinata, la temperatura corporea cala, il cuore continua a battere ma si ferma la circolazione e le unghie assumono una colorazione nero-bluastra. Per qualche ignota ragione il termine francese coma dépassé fu tradotto erroneamente come “morte cerebrale” e il termine ha avuto fortuna. I: Il punto centrale della questione è legato al trapianto di organi, perché spesso si ricorre a donatori che sono nella condizione di morte cerebrale, che può essere preservata per periodi abbastanza lunghi grazie alle apparecchiature specifiche. Qual è la sua opinione in merito? U: La morte cerebrale viene stabilita avendo in mente un obiettivo, per esempio il trapianto di organi. In tali casi, occorre prendere una decisione sul fatto di interrompere le cure. Questa decisione diventa la giustificazione per rimuovere gli organi dei donatori. Alcune persone temono che gli organi vengano rimossi da persone che in realtà sono ancora vive. Ma la pratica medica internazionale ha fissato degli standard relativamente oggettivi che

possono portare a dichiarare la morte cerebrale. Occorre che siano rispettati con grande attenzione. I: Alcuni anni fa ho proposto l’adozione di criteri abbastanza severi, fra cui l’assenza di circolazione nel cervello, i quali dovrebbero ridurre le ansie dei familiari dei pazienti. Dato che i donatori in Giappone sono pochi, si sta sviluppando un movimento volto a rendere più elastici i criteri per procedere all’espianto da pazienti nella condizione di coma dépassé. Fino a oggi i trapianti sono stati autorizzati in presenza di dichiarazioni autografe dei donatori e del consenso dei familiari. Il sistema che si vorrebbe introdurre richiederebbe soltanto il consenso dei familiari. Credo tuttavia che il desiderio spontaneo e non forzato del paziente dovrebbe essere condizione determinante per procedere all’espianto di organi in caso di morte cerebrale. Ogni persona definisce la morte in un modo che le è proprio. Autorizzare gli espianti in base al solo consenso dei familiari potrebbe significare procedere al prelievo di organi su persone che non identificano la morte cerebrale con la morte. Inoltre, in molti casi, le famiglie che si trovano nella condizione di avere un parente di cui potrebbe essere dichiarata la morte cerebrale trovano molto difficile dare il loro consenso sulla base delle indicazioni del medico; queste infatti, a causa dei limiti di tempo talvolta ristretti, possono essere estremamente sintetiche. Nel caso in cui poi non sia possibile conoscere l’opinione del paziente in merito alla morte cerebrale, alla morte e alla donazione di organi, bisognerebbe dedicare molto riguardo all’enorme peso che verrebbe a gravare sulle spalle dei familiari con le nuove disposizioni che vengono proposte. U: Ci sono persone che temono che i trapianti di organi da pazienti in condizione di morte cerebrale trasformino i pazienti stessi in fonti di materiale utilizzabile. Tuttavia credo che già il fatto di utilizzare il termine coma dépassé consenta di garantire la dignità di una persona che ha già espresso liberamente il proprio consenso alla donazione di organi. Si tratta di un atto di vita. Ciò nonostante bisogna respingere con assoluta fermezza l’idea della vendita di organi per i trapianti, che sembra sia pratica attuata in alcuni paesi, perché in realtà è una cosa che danneggia profondamente l’idea stessa di cure mediche. I: Sono assolutamente d’accordo. Per venire incontro alla scarsità di organi, si stanno anche considerando come possibili donatori alcuni animali. Per esempio si è parlato della possibilità di utilizzare i cuori dei maiali. Che

cosa ne pensa? U: È un tema molto delicato. La mia reazione è negativa, a causa della possibilità molto elevata di trasmettere alla persona che riceve l’organo anche dei virus. I: Allora dobbiamo riporre le nostre speranze negli organi artificiali. Nel 1986 lei ha cominciato a sviluppare il più piccolo cuore artificiale ed è diventato famoso in tutto il mondo come pioniere in questo campo. Deve essersi trattato di un progetto molto complesso. U: Ho cominciato a lavorare su un cuore artificiale (il cuore ellissoide) nel 1975 e ho fatto il primo esperimento clinico nel 1986, come ponte che avrebbe portato al trapianto vero e proprio. Si trattò di un momento pionieristico e a distanza di più di trent’anni bisogna dire che fu veramente un passo importante. Il cuore artificiale deve essere molto semplice, altrimenti smette di funzionare come dovrebbe. Successive innovazioni tecnologiche hanno portato allo sviluppo di un cuore artificiale per uso clinico. Il futuro sembra promettente. Ritengo che in futuro il cuore artificiale diventerà di uso comune come oggi lo è il pacemaker.

L’eutanasia I: La legalizzazione dell’eutanasia in Olanda nel 2002 e in Belgio nel 2003 ha riportato le questioni bioetiche legate alla morte in primo piano. Il punto saliente è stabilire quando sia possibile consentire l’interruzione della vita così da porre fine alle sofferenze di una persona affetta da malattia incurabile. Che opinioni ha in proposito? U: Personalmente sono contrario all’eutanasia. Non può essere consentita né da un punto di vista umano né da un punto di vista medico. Il compito di un medico è adottare una terapia per prolungare la vita, non per distruggerla. Il dibattito sull’eutanasia non è nato in ambiente clinico. Verte sul riconoscimento del valore della vita di persone afflitte da incapacità cognitiva prolungata (il cosiddetto stato vegetativo) o di quelle che hanno gravi disturbi intellettivi. In pratica si discute della possibilità di porre termine a vite che non sono degne di essere vissute. Queste erano le basi su cui si fondavano i progetti nazisti in relazione all’eutanasia. Non è compito del medico giudicare la qualità della vita. Ed è per questo che ritengo sia sbagliato che i

medici parlino con leggerezza dell’eutanasia. Si dovrebbero preoccupare di come alleviare le sofferenze dei malati terminali, piuttosto che di come ucciderli. I: Sono d’accordo con lei. I dottori dovrebbero fare tutti gli sforzi possibili per alleviare il dolore con terapie anestetiche e antidolorifiche. Ma c’è chi pensa che le terapie che prolungano la vita peggiorino le sofferenze dei pazienti e ledano la loro dignità. Questa idea è stata alla base delle ultime legalizzazioni dell’eutanasia. Ma in realtà le considerazioni sulla dignità umana mancano il bersaglio. Tendono a concentrarsi sulle funzioni cognitive o sulla personalità come funzione della capacità cognitiva. Di conseguenza una perdita di questa capacità o la perdita irrimediabile delle funzioni psicosomatiche viene vista come fattore che sminuisce la dignità della vita. Sulla base di questo modo di vedere, si potrebbe arrivare a imporre l’eutanasia a pazienti deboli affetti da mali incurabili. Ma non bisogna consentire che una situazione del genere possa verificarsi.

Esperienze di quasi morte I: Nelle molte occasioni che ha avuto di seguire dei pazienti sul punto di morire ha avuto esperienze particolari della natura meravigliosa della vita e della grandezza della forza di vivere? U: In diverse occasioni ho osservato con stupore il momento in cui la vita abbandona i tessuti nel caso di pazienti morti durante un intervento chirurgico. Si percepisce realmente l’anima che abbandona il corpo. I: Alcune relazioni scientifiche pubblicate negli Stati Uniti su esperienze di quasi morte parlano di visioni di anelli di luce, di sentirsi trascinati in un tunnel oscuro e della sensazione di distacco dal corpo e di trovarsi a osservare se stessi nel corso dell’intervento chirurgico. Le è capitato che dei suoi pazienti avessero simili esperienze di quasi morte? Che idee si è fatto in proposito? U: Ho avuto numerosi pazienti che sono tornati a vivere dopo aver trascorso parecchi giorni in coma ed essere stati dichiarati incapaci di riprendere conoscenza. Tutti hanno detto che, durante il coma, si sentivano immersi in una luce tiepida e meravigliosa e che era come se stessero

viaggiando lungo un tubo stretto, e che erano riluttanti a tornare in questo mondo. Credo che queste esperienze di quasi morte siano rivelatrici del significato della nostra esistenza. Forse il bagno di luce che tanto desideriamo è il significato dell’esistenza. I: La dottoressa americana di origine svizzera Elisabeth Kübler Ross (1926-2004) ha descritto la sua personale esperienza di abbandono del corpo e di come si sia trovata sospesa sopra il letto a guardare se stessa. Parla anche di avvicinarsi e di fondersi con una luce. I suoi resoconti hanno molto in comune con le esperienze di quasi morte che lei ha citato. Il riferimento a una luce mi ricorda il racconto di Tolstoj La morte di Ivan Il’ic, il cui protagonista, un funzionario governativo, si ammala e combatte la paura di morire fintanto che non raggiunge la felicità pura della luce eterna. Trascendendo il tempo, la luce simboleggia il balzo versa la vita eterna. L’insegnamento buddista delle nove coscienze tratta dei livelli di consapevolezza profonda e suggerisce che dopo la morte la vita individuale si fonde con la vita eterna e universale, ossia con la vita cosmica. Le esperienze di quasi morte, vissute da persone di estrazione del tutto diversa, fanno riferimento a elementi comuni e universali che trascendono la cultura e la religione. Sebbene ci siano moltissime cose che restano prive di spiegazione, credo che si tratti di narrazioni affascinanti.

La natura eterna della vita I: Insieme alla questione della morte dobbiamo poi confrontarci anche con il difficile tema della natura eterna della vita. Il buddismo spiega che la vita è eterna e che si ripete in un ciclo di nascite e morti. Qual è la sua idea in merito alla natura eterna della vita? U: È un argomento molto difficile. Il cristianesimo insegna che l’anima con lo spirito è nel corpo fino al momento della morte, allorché viene liberata per ascendere e sublimarsi nella vita eterna. Gli sviluppi tecnologici in ambito genetico non rendono obsoleta questa visione. Poniamo il caso che nei cromosomi di una mosca a causa di una anormalità si verifichi un caso di cecità. Anche le mosche nate da essa saranno cieche. Lo stesso accade per le piante e gli animali, inclusi gli esseri umani. La nostra religione insegna che il Creatore, Dio, ci dona la vita. Ma se

la vita è determinata dai geni, o addirittura dalle catene di proteine, come potremo sapere da dove veniamo e qual è la nostra destinazione? Di nuovo ci troviamo dinanzi al vecchio problema fondamentale. Forse siamo in grado di percepire l’eternità della vita soltanto con la nostra coscienza e con l’inconscio. Forse l’unico modo per avvicinarci all’idea della vita eterna è affinare la nostra capacità intuitiva. Che cosa insegna la dottrina delle nove coscienze in merito all’eternità della vita? I: Le prime cinque sono gli organi di senso che recepiscono le percezioni sensoriali, la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e il gusto, attraverso gli occhi, le orecchie, il naso, il corpo e la lingua. La sesta coscienza è la funzione che organizza, analizza e assume decisioni sulla base delle informazioni ricevute attraverso gli organi sensoriali. Le nostre attività quotidiane vengono svolte sostanzialmente attraverso queste sei funzioni. A un livello più profondo ci sono la settima coscienza, manas in sanscrito (un mondo spirituale interiore indipendente dagli organi di senso), e l’ottava, alaya (il deposito del karma). Qui siamo nel regno della coscienza profonda e dell’inconscio. U: L’interazione tra sfera della coscienza e subconscio è diventato un ambito di ricerca molto importante. Gli studi sul cervello più recenti hanno messo in risalto delle attività nervo-craniali che precedono la coscienza e la volontà. La misurazione delle strutture cerebrali porta a sostenere l’ipotesi che dietro gli atti coscienti vi siano intenti subconsci. Possiamo dire che il nostro vivere in questo mondo sorge dal subconscio e si espande ampiamente nella sfera della coscienza. I: È un’idea molto stimolante. In termini moderni il karma che, secondo l’insegnamento buddista, continua a esistere attraverso i cicli di nascita e morte, potrebbe essere definito “energia vitale potenziale”. La coscienza alaya è la dimensione della continuità del karma. Alla morte della persona, tutte le attività delle altre sette coscienze divengono latenti nell’ottava, che si dice continui a operare. Quando discutemmo di questo tema, il celebre fisico e rettore dell’Università statale di Mosca Anatoly Logunov (1926-2015) espresse un vivo interesse per l’idea della continuità del karma. A un livello ancora più profondo dell’ottava coscienza il buddismo postula poi l’esistenza di una nona, la coscienza amala (“fondamentalmente pura”) che potrebbe essere assimilata alla vita universale. Lei ha detto che il nostro vivere nel mondo sorge dal subconscio e si espande ampiamente nella

sfera della coscienza. La morte rende la vita individuale latente nella vita cosmica. La nascita è la manifestazione della coscienza manas e delle altre che sorgono dalla coscienza alaya. U: Percepire la vita eterna richiede probabilmente sia le capacità conscie che subconscie e l’affinamento della nostra capacità intuitiva.

Etica medica e pratica medica I: Tutti i medici promettono di osservare il Giuramento di Ippocrate, che impone loro di adottare ogni mezzo disponibile a beneficio della persona malata, di trattenersi dal fare del male ai pazienti, di non somministrare loro droghe mortali, di tutelarne la riservatezza, di non somministrare medicine che inducano l’aborto, e via dicendo. U: Il Giuramento di Ippocrate è un riferimento etico universale per i medici che illustra i nostri doveri di alleviare il dolore e di curare le malattie. I: Qual è il suo concetto di medico ideale? U: Io dico sempre che abbiamo bisogno di medici, non di tecnici della medicina. Con il termine “medico” mi riferisco a una persona la cui personalità risplenda in modo completo. Una persona che è veramente umana. Una persona che ha sempre una visione equilibrata che le permette di discernere le cose importanti e le cose banali. Un medico che abbia queste caratteristiche avrà sempre presenti gli imperativi etici di rispettare i genitori, di non uccidere e non rubare, e via dicendo. Con il progresso della medicina ai dottori sono richieste competenze e conoscenze molto particolari. Le terapie e i sistemi di cura diventano sempre più complessi. È proprio per questo motivo che l’etica fondamentale della vita è così importante. I: Chiarissimo. Quali sono le condizioni che un medico deve soddisfare? U: Giorno e notte i medici devono proteggere i loro pazienti e agire nel loro interesse. I: Dice queste cose in modo sintetico e con una notazione di consapevolezza filosofica. Il testo buddista Sutra della Luce dorata afferma che in tutte le circostanze i medici devono essere compassionevoli e liberi dal desiderio del profitto. I medici devono agire per alleviare le sofferenze dei pazienti, non per trarne un qualsiasi vantaggio personale. Pertanto devono sempre avere un cuore pieno di compassione. Ritengo che lei incarni il senso

dell’agire per il bene dei pazienti. U: Lei è molto gentile a dire questo. Sforzarmi di essere così è diventato una parte fondamentale della mia vita. I: Ritengo che lei affronti ogni intervento chirurgico come un campo di battaglia in cui lottare per la vittoria è un punto di riferimento costante. Ci sono dei punti specifici che lei richiama alla mente per verificare di essere nelle migliori condizioni per operare? U: In modo del tutto naturale ricordo sempre a me stesso che essere un medico è il fondamento del mio lavoro. Grazie ai consulti quotidiani e agli interventi chirurgici posso aiutare i miei pazienti in modo diretto. Il fatto di incontrarli mi rafforza e dialogare con loro è la fonte della mia energia. I: Jivaka era un celebre medico che viveva al tempo di Shakyamuni. Il suo nome sanscrito significa “pieno di vita” o “donatore di vita”. Sono certo che il suo atteggiamento di donatore di vita faccia sentire i suoi pazienti a proprio agio. Lei una volta disse che il paziente è il sovrano del medico e che tutte le conoscenze e le capacità di un medico devono essere utilizzate per il bene del paziente. È un’affermazione molto significativa. U: Il dovere di un medico e il suo obiettivo sono di servire il paziente come il proprio signore. Il medico non deve mai considerare il paziente come un oggetto, o come mezzo per giungere a un fine. Ogni individuo è un soggetto. Credo che i diritti del paziente e il suo rango debbano tornare a essere riconosciuti per quello che sono. I: Le persone che ricoprono posizioni di leadership in molti campi, non solo nella medicina, hanno il compito primario di servire le persone. L’obiettivo del nostro movimento della SGI è di creare un’epoca in cui le persone comuni interpretino un ruolo da protagoniste e i leader siano al loro servizio.

Il diritto del paziente all’autodeterminazione I: C’è un tema strettamente connesso all’etica medica in merito al quale sarei interessato a conoscere la sua posizione, ed è quello del diritto del paziente all’autodeterminazione. Sembra che si sia posta una maggiore enfasi sulla questione in tempi recenti e questo ha portato a definire chiaramente i diritti dei pazienti in relazione alle terapie e a riequilibrare il rapporto tra

medici e pazienti. U: Sì, è proprio così. Man mano che questi diritti acquistano rilievo, le persone sono sempre più pronte a denunciare apertamente il fatto di sentirsi violate e a rifiutare di essere trattate come oggetti. I medici devono agire in base al riconoscimento dei pazienti come individui che vengono sottoposti a una cura. È assolutamente corretto che comprendano bene le terapie che vengono proposte e che prendano parte attiva nelle decisioni connesse alle terapie. I: Si dovrebbe ribadire il diritto del paziente a decidere in merito a tutto ciò che lo riguarda. Eppure le decisioni che occorre prendere nelle moderne terapie sono molto diverse tra loro e richiedono un attento esame di molte variabili, tra cui quelle cui abbiamo fatto cenno: la procreazione surrogata, il traffico di organi per i trapianti, il desiderio dei pazienti di porre fine alle proprie sofferenze tramite l’eutanasia. Che cosa pensa di questi ampi spazi decisionali su cui i pazienti sono chiamati a compiere delle scelte? U: Ritengo che i pazienti abbiano il diritto di scegliere una terapia. Un buon medico farà del suo meglio per esporre i rischi e i benefici delle decisioni che stanno per prendere e guiderà i pazienti a fare le scelte più opportune. Il dialogo tra medico e paziente è importantissimo. Purtroppo la medicina moderna sta perdendo di vista le possibilità di un dialogo che serva al medico per spiegare le circostanze e fornire al paziente tutti gli strumenti per prendere una decisione autonoma. I miei trent’anni di esperienza nel campo mi hanno insegnato che, una volta fornite tutte le informazioni necessarie e che il paziente ha avuto il tempo per riflettere, vengono prese le decisioni giuste. Quando le persone sono pronte a parlare delle cose, è possibile risolvere molti problemi in modo soddisfacente per entrambe le parti. I: Oggi è abbastanza comune che i medici descrivano ai pazienti le terapie in modo dettagliato, così che possano comprenderle ed esprimere quello che viene definito “consenso informato”. Ma questo ovviamente vale nel caso in cui il paziente sia in grado di esprimere il suo consenso. Come ci si comporta quando il problema riguarda dei minori? U: Quando il problema riguarda dei bambini, la questione dell’autodeterminazione è un po’ diversa. In tali casi i genitori e gli adulti devono avere la possibilità di decidere. Un bambino non è in grado di

decidere cosa sia meglio per lui. Lo stesso vale per le persone che presentano diverse disabilità legate alle capacità cognitive. In questi casi sono indispensabili degli accurati esami individuali. Un medico che si sente obbligato a rispettare il diritto alla vita del paziente sarà molto attento a non privare il paziente stesso del proprio diritto all’autodeterminazione e cercherà di indirizzare il paziente verso la decisione migliore. Come ho già detto, ma è bene ribadirlo, il dialogo e la fiducia sono i fondamenti indispensabili delle cure mediche.

Errori nel prestare le cure I: Sono assolutamente d’accordo. I pazienti hanno il diritto di sapere e di essere convinti della terapia alla quale stanno per sottoporsi. I medici hanno l’obbligo di spiegare loro chiaramente la situazione. In Giappone è diventato un problema sociale molto serio il sempre maggiore numero di errori compiuti dai medici, sia in ambito chirurgico, sia nella somministrazione di farmaci o in altre circostanze. Come pensa che sia possibile prevenire al meglio simili inconvenienti? U: I medici sono esseri umani che possono incorrere in errori. Per questo motivo è essenziale che ogni errore venga analizzato in dettaglio per chiarirne le cause. La medicina oggi si aggrappa energicamente a un approccio difensivo e comincia ad affrontare un problema solo dopo che è diventato grave. Inoltre i medici sono sovraccaricati di incombenze di burocrazia ospedaliera e devono gestire montagne di carte. L’informatizzazione dei dati relativi ai pazienti implica il fatto che trascorrano più tempo davanti ai computer che non con i loro assistiti. I: È una cosa preoccupante. Sebbene sia innegabile che la medicina divenga sempre più complessa e che il carico di lavoro dei medici sia sempre maggiore, più progredisce la tecnologia e più i medici dovrebbero sforzarsi di essere umani. U: Proprio per questa ragione ribadisco spesso che il nostro ospedale non deve diventare schiavo della burocrazia. La burocrazia ospedaliera funziona a meraviglia solo quando il numero dei pazienti si avvicina allo zero. Non voglio che al nostro ospedale succeda una cosa simile. Il nostro sistema sanitario deve sempre privilegiare i pazienti.

I: La sua osservazione è giusta e non si applica soltanto agli ospedali. Sin dalle loro origini tutte le organizzazioni devono definire i loro obiettivi e per chi esistono. Ascoltandola mi torna in mente il Giuramento di Ippocrate, là dove si afferma che la conoscenza e le competenze devono essere usate, non sfruttate, al servizio dell’umanità. Questo è lo spirito della sua Accademia. Ippocrate affermava anche che un medico che ama la saggezza è pari a un dio 4. Come medico illustre, che ha salvato molte vite, e grande fautore della crescita culturale dell’Europa, prego che lei possa continuare a svolgere il suo lavoro con fervore rinnovato. U: Il valore autentico viene dal cuore e può essere trasmesso da un cuore a un altro. Nel nostro dialogo sono stato molto colpito dalle sue parole piene di sincerità. Credo che, sulla base delle molte idee che condividiamo, siamo riusciti a creare una sintesi positiva. Mi auguro che insieme potremo continuare a diffondere lo spirito della tolleranza in tutto il mondo, per il bene della pace.

Note

Introduzione 1. Cfr. L. TOLSTOJ , The Kingdom of God Is Within You (Il regno di Dio è in voi), trad. di Constance Garnett, University of Nebraska Press, Lincoln and London 1984, p. 313. 2. A. TOYNBEE E D. IKEDA , Choose Life, ed. Richard Gage, I.B. Tauris, London 2007, p. 82. 3.

www.scoop.co.nz/stories/WO0009/S00089/un2k-indonesian-president-abdurrahman-

wahid.htm (consultato il 4 dicembre 2015). 4. Il Sutra di Vimalakirti, trad. di Burton Watson, Columbia University Press, New York 1977, p. 65. 5. NICHIREN , Record of the Orally Trasmitted Teachings, Soka Gakkai, Tokyo 2004, p. 138, di seguito citato come ROTT. 6. A. PECCEI E D. IKEDA , Campanello d’allarme per il XXI secolo, Esperia, Milano 2014, p. 135.

Capitolo 1 1. www.euro-acad.eu/downloads/memorandas/charta_of_tolerance.pdf (consultato il 5 dicembre 2015). 2. www.sgi-italia.org/lasokagakkaiinternazionale/. 3. S. ZWEIG , The Right to Heresy: Castellio against Calvin, trad. di Eden e Cedar Paul, Plunkett Lake Press, Lexington, Ma 2015, Kindle edition. 4. Ibid. 5. The Edicts of King Ashoka, trad. Ven. S. Dhammika, Buddhist Publication Society, Kandy, Sri Lanka 1993, p. 29. 6. C.G. JUNG , The Undiscovered Self with Symbols and the Interpretation of Dreams, trad. R.F.C. Hull, Princeton University Press, Princeton e Oxford 1990, Kindle edition.

Capitolo 2 1. Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, Firenze 2008-2013, vol. 1, p. 259, di seguito citato come RSND.

2. Il Sutra del Loto, Esperia, Milano 2014, p. 232, di seguito citato come SDL. 3. The Dhammapada, trad. Eknath Easwaran, Nilgiri Press, Tomales, Ca 2007, p. 106. 4. RSND, vol. 1, p. 833. 5. RSND , vol. 2, pag. 714. 6. J.W. VON GOETHE , Hermann and Dorothea, in J. GOSTWICK , The Spirit of German Poetry: a series of translations from the German poets, W. Smith, London 1845, p. 46. 7. NICHIREN , Record of the Orally Trasmitted Teachings, op. cit., p. 90. 8. A. TOYNBEE E D. IKEDA , Nijuisseiki eno Taiwa (“Dialogo sul XXI secolo”) tradotto dal giapponese, in Ikeda Daisaku Zenshu (The Complete Works of Daisaku Ikeda), Seikyo Shimbunsha, Tokyo 1991, vol. 3, pp. 271-2. 9. RSND, vol. 1, p. 992. 10. R.C. KOUDENHOVE -KALERGI E D. IKEDA , Bunmei: nishi to higashi (Civilization: East and West) tradotto dal giapponese, in Ikeda Daisaku Zenshu, op. cit., vol. 102, p. 94. 11. R. COUDENHOVE -KALERGI , PanEurope, A. A. Knopf, New York 1926, p. XVI. 12. J.K. GALBRAITH E D. IKEDA , Ningen Shugi no dai seiki o (Dialogue for a greater century of humanism) tradotto dal giapponese, Ushio Shuppansha, Tokyo 2005, pp. 199-200.

Capitolo 3 1. SDL , p. 154 e seguenti. 2. A. TOYNBEE , The World and the West, Oxford University Press, London 1953, p. 81. 3. Cfr. A. DE ATHAYDE E D. IKEDA , Human Rights in the Twenty-first Century, trad. Richard Gage, I. B. Tauris, London 2009, p. 38. 4. Ibid., p. 51. 5. Ibid., p. 63. 6. Ibid., p. 56. 7. RSND, vol. 1, p. 520. 8. Cfr. H. VON HOFMANNSTAHL , Buch der Freunde, Insel Verlag, Leipzig 1922, p. 5. 9. Ibid., p. 13. 10. ROTT , p. 138. 11. RSND , vol. 2, p. 876. 12. RSND , vol. 1, p. 341. 13.

www.euro-acad.eu/downloads/memorandas/charta_of_tolerance.pdf

(consultato

il

5

dicembre 2015). 14. E. NEUMANN , Zur Psychologie des Weiblichen, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am

Mein 1983, p. 101, tradotto dal tedesco. 15. Cfr. D. WINNER , Eleanor Roosevelt, Blackbirch Press, San Diego, Ca 2003, p. 52. 16. Cfr. R. TAGORE , The English Writings of Rabindranath Tagore, ed. Sisir Kumar Das, Sahitya Academy, New Delhi 1996, vol. 2, p. 413. 17. Ibid., p. 416. 18. Ibid. 19. MAHATMA GANDHI , All Men Are Brothers, Continuum, New York 2000, p. 148. 20. T. MAKIGUCHI , A Geography of Human Life, ed. Dayle Bethel, Caddo Gap Press, San Francisco 2002, p. 286. 21. R. COUDENHOVE -KALERGI , Ethik und Hyperethik, Verlag der Neue Geist, Leipzig 1922, p. 115, tradotto dal tedesco. 22. Cfr. A. STANLEY , Stanley’s Life of Thomas Arnold, J. Murray, London 1901, p. 94.

Capitolo 4 1. RSND , vol. 1, p. 4. 2. R. DUBOS , So Humanan Animal, Charles Scribner’s Sons, New York 1968, pp. 203-204. 3. I Dieci mondi: 1. inferno, 2. spiriti affamati, 3. animali, 4. asura, (esseri orgogliosi e collerici), 5. esseri umani, 6. esseri celesti, 7. ascoltatori della voce, 8. risvegliati all’origine dipendente, 9. Bodhisattva, 10. Buddha. 4. I Dieci fattori: 1. aspetto, 2. natura, 3. entità, 4. potere, 5. influenza, 6. causa interna, 7. relazione, 8. effetto latente, 9. effetto manifesto, 10. coerenza dall’inizio alla fine. 5. Tre regni dell’esistenza: il regno dei cinque aggregati, il regno degli esseri viventi, il regno dell’ambiente. 6. A. TOYNBEE E D. IKEDA , Nijuisseiki eno Taiwa, op. cit., p. 241. 7. G. LEIBNIZ , Discourse on Metaphysics and Other Essays, trad. Daniel Garber e Roger Ariew, Hackett Publishing Company, Indianapolis and Cambridge 1991, p. 39. 8. The Group of Discourses (Sutta Nipata), trad. K.R. Norman, The Pali Text Society, Oxford 1995, vol. 2, p. 17.

Capitolo 5 1. The Dhammapada, op. cit., p. 136. 2. RSND , vol. 1, p. 755. 3. MAHATMA GANDHI , The Health Guide, The Crossing Press, New York 1978, p. 179.

4. Hippocrates, trad. W. H. S. Jones, Harvard University Press, Cambridge, Ma 2006, vol. 2, p. 287.

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche. Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo. www.edizpiemme.it Siamo Umani di Daisaku Ikeda, Felix Unger The humanist principle © 2016 Felix Unger and Daisaku Ikeda English Translation copyright © 2016 by Soka Gakkai © 2019 Mondadori Libri S.p.A., Milano Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A. Ebook ISBN 9788858521618 COPERTINA || FOTO DI COPERTINA: © GETTY IMAGES | COPERTINA: ANDREA BONELLI | ART DIRECTOR: CECILIA FLEGENHEIMER

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Frontespizio Il libro Gli autori Introduzione. L’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti e la SGI L’influenza dei genitori Dialogo tra filosofia, religione e scienze naturali Il dialogo interreligioso inteso come lotta spirituale I tratti comuni del buddismo e del cristianesimo Cooperare per la salvezza

1. Religione e tolleranza Il capitalismo, una nuova religione Carte della Tolleranza Monoteismo e intolleranza La religione e l’autorità Armonia con il pensiero scientifico Spezzare le catene della violenza e dell’odio Immagini della libertà e della responsabilità

2. La compassione buddista e l’amore cristiano Nascita, invecchiamento, malattia e morte La religione cura l’individuo e la società La libertà come elemento centrale dell’idea di Europa La caduta del muro e la rinascita dell’Europa Limitare la libertà di espressione

5 3 4 7 11 14 17 17 19

22 23 24 28 34 37 41 43

45 49 51 56 57 58

3. Creare una cultura di pace

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4. L’ambiente e l’educazione

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Una parabola Una visione dell’universale – l’eterno valore della vita Il desiderio di pace espresso nella Dichiarazione universale dei diritti umani Il sacro nell’umanità La pace comincia nella casa L’educazione umanistica Le origini dell’educazione Soka Un primo passo per l’educazione ambientale: valutare le condizioni attuali Un’etica nuova per il controllo della tecnologia scientifica Le armi nucleari: l’aspetto malvagio della vita

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5. La salute, la medicina e la bioetica

102

Note

122

La massima durata della vita Nuove prospettive sull’origine della vita e sull’evoluzione Le terapie riproduttive e l’uso degli embrioni La morte cerebrale e i trapianti di organi L’eutanasia Esperienze di quasi morte La natura eterna della vita Etica medica e pratica medica Il diritto del paziente all’autodeterminazione Errori nel prestare le cure

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