Semiotica dei media. Le forme dell'esperienza 8843049267, 9788843049264

Il libro insegna ad analizzare criticamente un'ampia gamma di prodotti mediali: fiction televisive, articoli di quo

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Semiotica dei media. Le forme dell'esperienza
 8843049267, 9788843049264

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Manuali universitari

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Scienze della comunicazione

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Via Sardegna 50 00187 Roma tel 06 42 81 84 17 fax 06 42 74 79 31

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Ruggero Eugeni

Semiotica dei media Le forme dell’esperienza

1a edizione, aprile 2010 © copyright 2010 by Carocci editore S.p.A., Roma Finito di stampare nell’aprile 2010 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino isbn 978-88-430-4926-4 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

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Parte prima. L’esperienza mediale e la semiotica dei media 1. 1. 2.

L’esperienza 25 Premessa 25 Che cos’è l’esperienza 25 2.1. Le definizioni terminologiche / 2.2. Le descrizioni sociali e antropologiche / 2.3. Le descrizioni neurali e fisiologiche / 2.4. Le descrizioni mentali

3.

Un modello dell’esperienza 32 3.1. La logica interpretativa / 3.2. La natura dinamica / 3.3. L’articolazione in tre strati

Percorsi di approfondimento 36 Quaderno degli esercizi 37 Riferimenti bibliografici 38 2. 1. 2.

L’esperienza mediale 41 Premessa 41 Che cos’è l’esperienza mediale 41 2.1. I media e il design dell’esperienza / 2.2. Un modello dell’esperienza mediale

3.

Le forme dell’esperienza mediale 47 3.1. Dall’esperienza mediale alle esperienze mediali / 3.2. Le modalità di attivazione nel mondo diretto / 3.3. Le conformazioni del discorso / 3.4. Gli statuti del mondo indiretto

Percorsi di approfondimento 53 Quaderno degli esercizi 54 Riferimenti bibliografici 55 3. 1. 2.

La semiotica e l’esperienza mediale 57 Premessa 57 Che cos’è la semiotica dei media 57 2.1. L’intento critico e l’obiettivo della semiotica dei media / 2.2. L’oggetto e il procedimento della semiotica dei media

3.

I percorsi di ricerca della semiotica dei media 63 3.1. Approccio standard, etnografico e archeologico / 3.2. Semiotica dei sistemi e semiotica dei processi

7

Semiotica dei media

4. 5.

Il metodo di ricerca della semiotica dei media 65 Un tracciato di analisi dell’esperienza mediale 67 Percorsi di approfondimento 68 Quaderno degli esercizi 69 Riferimenti bibliografici 70 Parte seconda. Una visita guidata all’esperienza mediale

4. 1. 2. 3.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile 75 Premessa 75 I grattacieli e la strada 75 Sensazione e percezione nei processi sensoriali 77 3.1. La natura attiva e situata dei processi sensoriali / 3.2. Il carattere multimodale e intermodale dei processi sensoriali / 3.3. Le due logiche operative dei processi sensoriali: sensazione e percezione

4.

La dinamica dei processi sensibili 81 4.1. L’attivazione delle configurazioni sensibili / 4.2. Configurazioni sensibili semplici e complesse, tonali e ritmiche

5.

Qualità e diagrammi tonali 85 5.1. Le qualità tonali visive / 5.2. Le qualità tonali sonore / 5.3. I diagrammi tonali

6.

Qualità e diagrammi ritmici 88 6.1. Le qualità ritmiche / 6.2. I diagrammi ritmici

7.

Il design sensibile dell’esperienza 91 Percorsi di approfondimento 92 Quaderno degli esercizi 93 Riferimenti bibliografici 93

5. 1. 2. 3.

L’ordinamento del mondo indiretto 97 Premessa 97 La sparizione di Nick 97 Situazione e mappe situazionali 99 3.1. La situazione e le sue trasformazioni / 3.2. Le mappe situazionali / 3.3. La portata delle trasformazioni: situazioni quadro e situazioni standard / 3.4. La cadenza delle trasformazioni: situazioni narrative, situazioni descrittive, turning points

4. 5.

8

Trasformazioni narrative e qualità sensibili 107 Il design narrativo dell’esperienza 108 Percorsi di approfondimento 109 Quaderno degli esercizi 110 Riferimenti bibliografici 110

Indice

6. 1. 2. 3.

L’ordinamento del discorso 113 Premessa 113 Vuoti, salti, ritorni 113 Le articolazioni del discorso 115 3.1. Produzione, intreccio, formato / 3.2. Le evidenze del discorso

4.

L’analisi dell’intreccio e della gestualità compositiva 122 4.1. Il tracciato e l’intreccio / 4.2. Microtessitura, macrotessitura e schemi complessivi

5.

Il design temporale dell’esperienza 126 Percorsi di approfondimento 127 Quaderno degli esercizi 127 Riferimenti bibliografici 128

7. 1. 2. 3.

L’ordinamento del mondo diretto 131 Premessa 131 “You can only watch” 131 Le regolazioni del rapporto tra mondo diretto e indiretto 135 3.1. Mondo egotropico e mondo allotropico / 3.2. I regimi del rapporto tra mondo diretto e indiretto

4.

L’esperienza di finzione dalla discontinuità alla pseudocontinuità 139 4.1. Dalla discontinuità radicale alla discontinuità moderata / 4.2. Dalla discontinuità alla pseudocontinuità

5.

Il design ontologico dell’esperienza mediale 143 Percorsi di approfondimento 144 Quaderno degli esercizi 145 Riferimenti bibliografici 145

8. 1. 2. 3.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto 147 Premessa 147 4672 Carney Lane, Boulder Highway 147 Il soggetto della percezione del mondo indiretto 150 3.1. Rendersi conto del soggetto della percezione / 3.2. Comprendere il soggetto della percezione / 3.3. Condividere il soggetto della percezione

4.

I soggetti interni al mondo indiretto 155 4.1. Rendersi conto del personaggio / 4.2. Comprendere il personaggio / 4.3. Condividere il personaggio / 4.4. Il carattere aspettuale dell’esperienza mediale

5.

Il design etico dell’esperienza 164 Percorsi di approfondimento 165 Quaderno degli esercizi 166 Riferimenti bibliografici 166 9

Semiotica dei media

9. 1. 2. 3.

Le relazioni con i soggetti del discorso 169 Premessa 169 L’incubo di Nick 169 I soggetti del discorso e le loro manifestazioni 173 3.1. I soggetti della produzione, dell’intreccio e del formato / 3.2. Le evidenze dei soggetti del discorso

4.

Intreccio, scrittura, stile 178 4.1. Il soggetto dell’intreccio come apparato / 4.2. Il soggetto dell’intreccio come autore

5. 6.

La relazione fiduciaria 181 Il design retorico dell’esperienza 182 Percorsi di approfondimento 183 Quaderno degli esercizi 183 Riferimenti bibliografici 184

10. 1. 2.

Le relazioni con i soggetti del mondo diretto 187 Premessa 187 Un imprevisto finale 187 2.1. «As I found They Found Nick» / 2.2. Di cosa parliamo quando parliamo di Grave Danger

3. 4.

Il web e l’esperienza della socialità 192 L’esperienza mediale e il fondamento della socialità 197 4.1. Il riorientamento della relazione di condivisione / 4.2. Il riorientamento della relazione fiduciaria

5.

Il design sociale dell’esperienza 201 Percorsi di approfondimento 201 Quaderno degli esercizi 202 Riferimenti bibliografici 203 Parte terza. L’analisi delle esperienze mediali

11. 1. 2. 3.

L’articolo della stampa quotidiana 207 Premessa 207 Miracoli sulle acque 207 Il soggetto del discorso come soggetto vocale 209 3.1. Le voci di dentro / 3.2. Espressione vocale ed efficacia simbolica

4.

Il soggetto del discorso come soggetto sociale 214 4.1. La voce del cronista e la relazione fiduciaria / 4.2. Racconto e commento

Percorsi di approfondimento 216 Quaderno degli esercizi 216 Riferimenti bibliografici 217 10

Indice

12. 1. 2. 3.

La grafica del periodico illustrato 219 Premessa 219 Corpi in copertina 220 L’analisi del formato grafico 222 3.1. L’esplorazione sensomotoria del formato / 3.2. Il diagramma tonale e ritmico del formato

4.

Il formato come spazio metadiscorsivo e i suoi soggetti 226 Percorsi di approfondimento 231 Quaderno degli esercizi 231 Riferimenti bibliografici 231

13. 1. 2. 3.

Il fumetto 233 Premessa 233 Il Cavaliere oscuro ritorna 233 Ritmo percepito e ritmo vissuto nel fumetto 237 3.1. Formato e produzione discorsiva nel fumetto / 3.2. Diagrammi ritmici ed effetti somatici

4.

Corpo del lettore e corpo del personaggio 241 Percorsi di approfondimento 243 Quaderno degli esercizi 243 Riferimenti bibliografici 244

14. 1. 2. 3. 4. 5.

La canzone pop 247 Premessa 247 Fútbol 248 Voce del soggetto, voce sociale 252 Verse, chorus, bridge: la canzone come oggetto sonoro 255 La polifonia dell’esperienza 258 Percorsi di approfondimento 260 Quaderno degli esercizi 261 Riferimenti bibliografici 262

15. 1. 2. 3.

Il commercial televisivo 265 Premessa 265 Ahhh! 266 Who’s the first? Le relazioni con il mondo indiretto 279 3.1. Le relazioni con gli oggetti del mondo indiretto / 3.2. Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto / 3.3. La diegetizzazione del dispositivo di persuasione

4.

The choice of a new generation. Le relazioni con il discorso 284 4.1. Le relazioni fiduciarie con i soggetti del discorso / 4.2. Le relazioni fiduciarie con la marca

11

Semiotica dei media

Percorsi di approfondimento 288 Quaderno degli esercizi 288 Riferimenti bibliografici 289 16. 1. 2.

Il videogioco 293 Premessa 293 In una galassia lontana lontana... 294 2.1. Un dio tascabile / 2.2. L’evoluzione del videogioco / 2.3. Trionfo e morte di Mediasemiotichensis / 2.4. Creare e condividere

3.

L’interazione con il mondo indiretto 302 3.1. L’esteriorizzazione delle mappe situazionali / 3.2. Avatar: le relazioni con i personaggi

4. 5.

L’interazione con il discorso 307 L’esperienza mediale nell’era della postmedialità 309 Percorsi di approfondimento 310 Quaderno degli esercizi 311 Riferimenti bibliografici 312 Indice dei nomi

315

Indice dei termini principali 323

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Introduzione

«Tutto sommato, la mia sola speranza è che questo libro continui a giacere, con qualche “orecchia” alle pagine, annotato, sporco di colori e di gesso, sul tavolo o sulla scrivania di chi si occupa attivamente di teoria e di pratica dell’arte, e che sia ancora, in questa sua veste più accurata, un interlocutore in quelle discussioni tra “addetti ai lavori” di cui le arti visive hanno bisogno per svolgere il loro compito silenzioso». Così Rudolf Arnheim introduceva la nuova edizione del suo Arte e percezione visiva 1. Queste parole mi tornano in mente ogni volta che sento alcuni colleghi lamentare la proliferazione di manuali delle discipline di cui si occupano – cosa che avviene abbastanza regolarmente alla fine di un piacevole pasto che ha allietato la fine di un convegno o di un concorso universitario. Si suole ripetere in questi casi che troppi manuali non fanno bene alla disciplina, che bloccano la riflessione teorica, e che il giovane studioso che ne aveva presentati al concorso due o tre avrebbe fatto meglio a scrivere una sola monografia su un tema specifico. In queste affermazioni c’è del vero; tuttavia l’implicazione che esse sottendono è sbagliata: come le parole di Arnheim ci fanno presente, è possibile concepire un lavoro teorico che dialoghi con i professionisti della produzione artistica e culturale, offra agli studenti uno strumento per acquisire conoscenze e atteggiamenti utili per la futura professione, orienti il lettore verso gli approfondimenti bibliografici pertinenti senza rinunciare a un approccio vivo e diretto con una certa materia. Insomma: è possibile pensare e realizzare un manuale nel vero senso della parola: un libro destinato a passare di mano in mano e a restare a portata di mano. Il volume che state leggendo ha l’ambizione di rappresentare questo tipo di manuale. In questa introduzione vorrei spiegare perché ritengo non solo possibile ma opportuno che la riflessione teorica sulla semiotica dei media adotti oggi uno stile “manualistico”; il che mi chiede di introdurre le idee di fondo e la struttura di questo lavoro. 1. Rudolf Arnheim, Art and Visual Perception. A Psychology of Creative Eye, 2a ed., University of California Press, Berkeley 1974 (trad. it. Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano 1984, p. 22).

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Semiotica dei media

La svolta esperienziale Il concetto di esperienza si sta affermando in differenti campi di studio. A ben vedere si tratta di un movimento di lungo periodo; la riflessione sull’esperienza permette oggi di riprendere e di ripensare una serie di ricerche che, da circa vent’anni, si sono concentrate su temi diversi: il corpo, la sensibilità, le emozioni, la coscienza, l’identità personale e così via. Al tempo stesso questo experiential turn ha permesso e permette il rilancio di un dialogo tra discipline differenti e, in particolare, tra scienze neurocognitive e scienze umane (filosofia della mente, estetica, antropologia, la stessa semiotica di cui ci occupiamo più direttamente). Non è semplice ricostruire le ragioni di questa svolta; né è semplice individuare una mappatura unitaria del fenomeno. Gioca indubbiamente in questo movimento uno scontento diffuso per la teoria pensata e organizzata come una costruzione autoreferenziale, incapace di rendere conto della dimensione vivente e vissuta dei fenomeni indagati. Tuttavia, a partire da questo sfondo comune, i percorsi adottati per realizzare il “ritorno all’esperienza” sono molteplici e non sempre conciliabili: essi vanno dalla fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty alla filosofia di Bergson, dalle analisi dell’esperienza moderna di Benjamin alle critiche che Wittgenstein muove alla concezione di “interiorità”, dall’idea di esperienza estetica di Dewey alla fenomenologia della lettura di Jauss e Iser, e la lista potrebbe continuare 2. Più specifiche e dunque più facilmente individuabili le ragioni che hanno spinto ampie aree degli studi sui media ad adottare la svolta esperienziale e a considerare la relazione dei soggetti con i media in quanto esperienza mediale. L’orizzonte culturale in cui viviamo presenta oggi un curioso paradosso. Per un verso i grandi media del Novecento (la stampa, il cinema, la radio, la televisione) sono al centro di un processo di individuazione e di celebrazione: è divenuto evidente il ruolo che essi hanno giocato all’interno della cultura e dell’arte del secolo appena trascorso; ed è divenuto evidente che tale ruolo non è legato semplicemente ai “testi” da essi prodotti, quanto piuttosto ai dispositivi e alle pratiche che li costituiscono. Di qui ricerche, volumi, enciclopedie dedicate ai vari media; di qui anche una loro musealizzazione, e una riflessione sui dispositivi mediali attuata dall’arte e dalla videoarte. Per altro verso però questi stessi media vedono in atto un processo di riassorbimento da parte dei media digitali, un interscambio molto stretto con pratiche non mediali, una disseminazione e una “rilocazione” (Casetti) nel 2. L’esame di alcune descrizioni dell’esperienza offerte da differenti discipline viene fornito al cap. 1; rinvio ai Percorsi di approfondimento del capitolo per la bibliografia in merito.

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Introduzione

tessuto sociale. I media non sono più avvertiti come dispositivi ritualizzati e localizzabili, ma piuttosto come “nuvole”, aggregati di pratiche e dispositivi leggeri e variabili che possono infiltrarsi agevolmente in ogni piega del sociale: di qui un processo, opposto al precedente, di de-individuazione. La stessa riflessione teorica si domanda con crescente insistenza che cosa sia realmente un medium e se sia ancora possibile individuare criteri di distinzione all’interno di una condizione postmediale 3. All’interno di questo contesto (coerentemente) contraddittorio, l’adozione della prospettiva esperienziale appare una mossa tattica indispensabile per rifondare la riflessione teorica. In un certo senso essa riprende e mima il movimento dei processi grassroots degli stessi utenti: studiare l’esperienza che i media procurano vuol dire analizzare la loro costituzione “dal basso”. Solo ripartendo dal contatto vivo e immediato con le differenti esperienze che i media permettono è possibile risalire a formulazioni di più ampia portata circa identità, ruoli e peso storico degli apparati, così come vengono avvertiti intersoggettivamente. Una semiotica dell’esperienza mediale La svolta esperienziale nel settore dei media studies e l’idea di esperienza mediale costituiscono l’orizzonte di riferimento del mio lavoro 4. A partire da questa scelta e all’interno di tale orizzonte, faccio tuttavia alcune opzioni teoriche e metodologiche peculiari, che contrastano con taluni orientamenti di questo campo di ricerche. Queste opzioni si connettono al recupero di alcuni punti cardine della disciplina semiotica e dunque danno vita allo specifico progetto di una semiotica dell’esperienza mediale. Parto dunque dall’idea che l’esposizione ai dispositivi mediali e il loro uso da parte del lettore/osservatore/spettatore comportino il vivere un’esperienza mediale. Si tratta di una forma effettiva di esperienza: essa è collocata in certe situazioni sociali e ambientali; implica un coinvolgimento dell’intero organismo (l’insieme di mente e di corpo) di chi vi prende parte; è un’esperienza viva e vissuta in prima persona e all’interno del presente dal soggetto. Rispetto a queste assunzioni, che come ho detto provengono dal campo dei media studies coinvolti nella svolta esperienziale, introduco due opzioni specifiche. La prima opzione concerne l’esperienza mediale in quanto prolungamento e parte dell’esperienza in generale. La riflessione teorica sull’esperienza 3. Torneremo su questi temi, legati a nostro avviso alle ripercussioni dell’esperienza dei nuovi media sulla sensibilità culturale complessiva, alla fine del cap. 16: rinviamo a quella sede per i rimandi bibliografici. 4. Per una bibliografia sull’esperienza mediale rimandiamo ai Percorsi di approfondimento del cap. 2.

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Semiotica dei media

(non solo quella limitata ai media) sottolinea con insistenza la sua dimensione incorporata, sensibile ed emozionale. Una simile insistenza si spiega a partire da un’esigenza polemica: gli studiosi si rivolgono al tema dell’esperienza per superare i limiti di una riflessione soprattutto cognitivista che aveva privilegiato lo studio dei processi razionali svolti da una mente disincarnata e de-situata. Tuttavia tale impostazione rischia di condurre a modelli poco efficaci: o perché esclusivamente incentrati sulla dimensione sensibile-emotiva, oppure perché frammentati in aree e settori differenti (razionale, emotivo, sensibile, pratico ecc.) di cui non riescono a spiegare l’unitarietà. Assumerò dunque nel mio approccio che l’esperienza in generale – e quindi anche l’esperienza mediale – possiede differenti aspetti: essa è fatta di ragionamento, emozione, sensibilità, relazione intersoggettiva e così via. Tali aspetti non vengono percepiti come unitari in base ad assunzioni aprioristiche, ma a partire da una rete di relazioni e determinazioni reciproche. Il “meccanismo” che articola questi differenti aspetti e assicura la loro reciproca determinazione è la dinamica dell’interpretazione: l’esperienza si basa su un processo costante, dall’andamento a spirale e tendenzialmente infinito, di elaborazione di configurazioni a partire da risorse percettive e mnestiche, e di riutilizzo delle configurazioni prodotte quali ulteriori risorse. L’interpretazione in sé non è né razionale né emotiva, ma è in grado di mettere in relazione sia risorse emotive che risorse di ragionamento. Questa opzione costituisce un primo recupero della tradizione semiotica: in particolare, riprendo in questo caso l’orientamento interpretativo che fa capo alla riflessione di Charles S. Peirce. La seconda opzione che introduco rispetto al panorama dei media studies concerne l’esperienza mediale in quanto forma specifica di esperienza, non riducibile a quella ordinaria. Leggendo gli interventi di molti autori del settore si coglie un progetto talvolta sotteso, talvolta esplicito: quello di una naturalizzazione dell’esperienza e, per estensione, dell’esperienza mediale. Per quanto anche in questo caso le posizioni siano differenziate, emerge l’idea che nelle relazioni tra l’organismo e il mondo gli aspetti immediati siano più pertinenti e rilevanti di quelli mediati dagli ambienti culturali e dalle agenzie che operano in essi. Una prima contestazione di questa presunta “innocenza” dell’esperienza viene dal punto precedente: la dinamica dell’interpretazione implica l’intervento di risorse memoriali e dunque un radicamento sociale e culturale dei soggetti. C’è tuttavia una seconda ragione per contestare la naturalizzazione dell’esperienza mediale: la natura progettuale e progettata di una simile esperienza. Al contrario dell’esperienza ordinaria, l’esperienza mediale è artificiale, precostituita e seriale; essa risponde a un design esperienziale, e si incarica di rendere operativo questo progetto all’interno dell’esperienza ordinaria. Questo suo carattere peculiare fa sì inoltre che essa costituisca una forma particolarmente complessa di esperienza, in quanto sovrappone al mondo percepito diretta16

Introduzione

mente un mondo percepito indirettamente e introduce lo spessore irriducibile di un discorso. A ben vedere lo studioso che oggi si ritrova a contestare la naturalizzazione dell’esperienza mediale e ne rivendica la natura costruita e progettata non è molto lontano dalle posizioni che all’inizio degli anni sessanta assumevano i semiologi della prima generazione strutturalista, in particolare Roland Barthes e Algirdas Julien Greimas. Oggi come allora si tratta di minare le basi di un progetto ideologico che i media perseguono: quello di affermare l’impercettibilità della loro attività. Che si tratti dei media broadcasting dell’epoca o delle “nuvole mediali” di oggi, che si tratti insomma della vecchia società dell’informazione o dell’attuale società dello spettacolo, la teoria è comunque chiamata a non dismettere la propria vocazione critica. Questa opzione recupera dunque la seconda, ampia tradizione semiotica: l’orientamento strutturalista che fa capo alla riflessione di Ferdinand de Saussure. La ricerca, un’arte del fare Queste opzioni di fondo possiedono alcune conseguenze profonde sui modi in cui una semiotica dell’esperienza mediale pensa sé stessa e il proprio lavoro 5. Se mi interrogo sul tipo di attività che svolgo nell’analizzare gli andamenti dell’esperienza mediale, mi accorgo che in effetti non esco dall’orizzonte dell’esperienza: anche questo lavoro che svolgo costituisce una particolare forma di esperienza. Inoltre non si tratta di un’esperienza che possa porsi in un rapporto di alterità e di distacco rispetto all’esperienza mediale, pena la perdita dell’oggetto della sua ricerca. Il mio lavoro di riflessione teorica e di analisi non fa altro che proseguire la mia esperienza mediale; esso sfrutta l’andamento a spirale della dinamica interpretativa per condurre una ulteriore torsione riflessiva, in assoluta continuità con l’andamento dell’esperienza mediale situata e incorporata. Questa presa di coscienza produce varie conseguenze importanti: rende lo studioso consapevole della natura situata e incorporata delle proprie considerazioni; lo invita dunque ad alcune prudenze metodologiche nella generalizzazione dei propri risultati; lo spinge a non concepire la propria attività come separata dal campo di fenomeni che studia e dalle attività dello “spettatore ordinario” dei media. Esiste in altri termini una folk media semiotics che la disciplina non può respingere ma deve al contrario riprendere, coltivare, raffinare metodologicamente. In particolare, una simile consapevolezza configura uno specifico andamento del lavoro teorico e di analisi: esso costituisce il passaggio ininterrot5. Riprenderemo questi aspetti al cap. 3, cui rinvio anche per una sintetica disamina dello sviluppo della semiotica e la relativa bibliografia.

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Semiotica dei media

to tra il vivere e il rivivere alcune esperienze mediali da un lato, e l’osservarle e lo spiegarle dall’altro. La dinamica del lavoro semiotico possiede dunque un andamento “a zeugma” tra comprensione e spiegazione, forme e stati differenti di un’esperienza viva e unitaria. Sotto questo aspetto l’attività teorica e analitica è anzitutto un’arte del fare: un’attività concreta che richiede a sua volta esperienza. Nel riflettere sulle esperienze mediali metto all’opera un certo atteggiamento e utilizzo alcuni strumenti operativi che si sono sedimentati nel tempo e con la pratica. Possiamo comprendere a questo punto perché ritengo che la semiotica dell’esperienza mediale debba orientarsi verso una forma di esposizione “manualistica”. Se infatti assumiamo il principio che essa costituisce una pratica, la sua trasmissione richiede un discorso che non si limiti a introdurre informazioni astratte, ma insegni piuttosto a condurre una serie di operazioni in modo disciplinato e consapevole. Un libro che chieda non solo di essere seguito, ma di essere eseguito. Insomma: un libro da non tenere in biblioteca ma sotto mano, da sottolineare e da pasticciare: quel manuale di cui Arnheim parlava nella sua introduzione, e che anche io spero di aver scritto. La struttura di questo volume Questa serie di ragioni spiega l’impostazione che ho dato al volume. La trattazione è divisa in tre parti. La prima parte, che abbraccia i capitoli da 1 a 3, introduce alcuni concetti fondamentali relativi all’esperienza, ai media e alla semiotica. Il punto di arrivo è un modello dell’esperienza mediale articolato in sette snodi. La seconda parte, dal capitolo 4 al capitolo 10, costituisce una “visita guidata” all’esperienza mediale ed esplora singolarmente i sette snodi enucleati nella prima parte. Vengono affrontati in tal modo alcuni problemi chiave della semiotica: ogni capitolo presenta un riquadro che riassume la posizione della semiotica del testo e del racconto sulle questioni indagate. La mia speranza è mostrare come l’approccio esperienziale permetta una loro riformulazione e che questa sia più efficace nel rendere conto di quanto effettivamente accade nei nostri quotidiani rapporti con i media. Il filo conduttore di questa seconda parte è l’analisi passo passo del doppio episodio della serie televisiva csi Grave Danger (Sepolto vivo), scritto e diretto da Quentin Tarantino, che ha concluso negli usa il 19 maggio 2005 la quinta stagione della serie. Questa scelta è dettata dal desiderio di seguire un unico esempio per introdurre l’uso degli strumenti analitici in modo da facilitare la continuità della trattazione; ma anche dall’estrema ricchezza di spunti che il film televisivo di Tarantino (al pari di molta fiction televisiva contemporanea) riesce a offrire. La terza parte abbraccia gli ultimi sei capitoli. In essi affronto alcuni tipi di 18

Introduzione

esperienza mediale differenti dalla fiction televisiva. L’intento è duplice: da un lato metto in luce le particolarità di esperienze mediali non legate all’audiovisivo (l’articolo di giornale, la grafica del periodico, il fumetto, la canzone pop) oppure che usano l’audiovisivo per finalità particolari (il commercial), o ancora che consentono una gestione interattiva dell’audiovisivo (il videogioco). Dall’altro lato offro uno spazio maggiore ad alcuni aspetti dell’esperienza mediale che per ragioni di spazio o di opportunità erano rimasti in ombra nella seconda parte: dal rapporto con gli oggetti alla rilevanza della vocalità, dai processi fiduciari alla possibilità di discorsi “nidificati” gli uni negli altri (come nel caso della grafica del periodico o, più recentemente, degli spazi virtuali dei nuovi media digitali). Ogni capitolo prende le mosse da un caso di analisi particolare. Anche in questo caso il dialogo con la tradizione di studi semiotici è tenuto in vita da alcuni riquadri che ricostruiscono gli approcci dei singoli settori della semiotica dei media allo specifico mezzo considerato nel capitolo 6. Il tono del discorso cerca di essere piano e fa costante riferimento agli esempi via via introdotti. Ho scelto di non inserire direttamente le indicazioni bibliografiche, ma di concentrale nei Percorsi di approfondimento alla fine di ciascun capitolo. Ho privilegiato in questa sede volumi di orientamento ampio, il più possibile documentati e recenti. Ogni capitolo è inoltre corredato, in quest’ottica, di un Quaderno degli esercizi che fornisce alcuni suggerimenti per personalizzare mediante una propria attività di analisi il lavoro di lettura. I titoletti laterali infine hanno il compito non solo di riassumere i concetti salienti, ma anche di segnalare al lettore il passaggio dalle parti di analisi alla formulazione di principi più generali. Ringraziamenti La lista dei debiti accumulati nel corso della scrittura di questo volume è lunga. Francesco Casetti ha incoraggiato e seguito passo passo lo sviluppo del lavoro: non posso che aggiungere il mio grazie a quello di tutti coloro che hanno potuto e possono apprezzare la sua straordinaria generosità intellettuale. Il progetto originario del volume prevedeva una scrittura a quattro mani con Andrea Bellavita: le due mani di Andrea sono cadute 6. Fa eccezione il cap. 12, dedicato al periodico illustrato, in quanto affronto unitariamente il tema della semiotica del giornalismo nel riquadro del capitolo precedente. Ho dovuto rinunciare ad affrontare per ragioni di spazio vari tipi di esperienze mediali che pure ritengo interessanti: dalla moda al cibo, dai parchi a tema agli eventi, dagli spazi commerciali alla videoarte. Tuttavia mi sembra di aver introdotto tutte le questioni teoriche e analitiche chiave di una semiotica dell’esperienza mediale.

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Semiotica dei media

strada facendo, ma molte sue idee fortunatamente sono rimaste. Molte occasioni di discussione sono nate intorno alle attività del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo e del dottorato in Culture della Comunicazione dell’Università Cattolica, presso cui lavoro. Ringrazio in particolare Chiara Giaccardi, Fausto Colombo, Armando Fumagalli, Silvano Petrosino, Maria Grazia Fanchi, Massimo Locatelli, Elena Mosconi, Massimo Scaglioni, Nicoletta Vittadini, Alice Cati. Su molti punti della mia riflessione risuona il magistero di Gianfranco Bettetini, che ha incoraggiato la mia riorganizzazione del dibattito semiotico recente intorno all’idea dell’experiential turn. In alcuni casi mi sono giovato delle competenze specifiche di alcuni studiosi del Dipartimento per l’aggiornamento bibliografico relativo a specifici media: Matteo Stefanelli per il fumetto, Gianni Sibilla per la canzone pop, Patrizia Musso per la pubblicità, Matteo Tarantino per il videogioco. Il dialogo con Adriano D’Aloia mi fornisce molti spunti utili sulle questioni legate a cinema e processi sensoriali. Un grazie anche a Miriam de Rosa, Glenda Franchin, Marzia Morteo, Marco Muscolino, Mauro Resmini, Simone Tosoni. I miei studenti di Milano e di Brescia hanno fatto da cavie a quei curiosi esperimenti che sono stati per un paio d’anni le mie lezioni sull’esperienza mediale: spero si siano riavuti da quell’esperienza e guardino ancora csi. Alcune versioni precedenti del manoscritto sono state lette da alcuni colleghi e discusse in vari ambiti accademici: ne ho ricavato una mole impressionante di commenti, suggerimenti e in qualche caso la diretta fornitura di alcuni volumi, che hanno aiutato moltissimo il mio lavoro. Ringrazio in particolare Peppino Ortoleva, Maria Pia Pozzato, Isabella Pezzini, Nicola Dusi, Federico Montanari, Roberto de Gaetano, Guglielmo Pescatore, Antonio Somaini, Marta della Berardina. In occasione di una lezione al dottorato dell’Università di Roma 3 ho potuto discutere alcuni punti con Filippo Mazzarella, Vito Zagarrio e Veronica Pravadelli. I Convegni torinesi organizzati da Giulia Carluccio e Federica Villa sulla post-testualità e quelli udinesi organizzati da Leonardo Quaresima e dal suo staff sono stati momenti di riflessione preziosi sui temi che mi interessano. Philippe Dubois mi ha invitato a tenere le lezioni della cattedra Roger Odin del dottorato dell’Università di Paris 3 per l’anno 2007-08; in quell’occasione ho presentato un primo modello di analisi dell’esperienza e ne ho discusso con i giovani studiosi presenti e con Laurent Jullier. Brevi ma illuminanti gli scambi avuti in quella e in altre occasioni con Raymond Bellour. Arianna Cucchi ha sopportato e supplito le mie assenze dalla direzione dall’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo nel corso della stesura del libro. Gabriella Gialdini ha rivisto completamente il manoscritto indicandomi i punti in cui contenuti e punteggiatura si facevano particolar20

Introduzione

mente ingarbugliati. Il maestro Tiziano Giampieri ha trascritto lo spartito della canzone analizzata al capitolo 14. Le ricerche bibliografiche per questo libro non sarebbero state possibili senza l’aiuto dei bibliotecari della mia Università: un grazie a Rinaldo Sordelli e Anna Caccia; l’intelligente e generosa politica di acquisizioni bibliografiche portate avanti dalla dottoressa Ellis Sada e dal dottor Gabriele Signorini, direttori rispettivamente delle biblioteche di Milano e di Brescia, ha fatto sì che non fossi mai deluso nella ricerca dei volumi che mi occorrevano.

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Parte prima L’esperienza mediale e la semiotica dei media

La prima parte di questo libro, costituita dai capitoli dall’1 al 3, chiarisce che cos’è l’esperienza mediale e in cosa consiste l’approccio della semiotica a questo tipo di esperienza. Precisiamo anzitutto in quali termini è possibile pensare l’esperienza e fornirne un modello, a partire dai differenti approcci disciplinari che si sforzano attualmente di definire e descrivere tale concetto (cap. 1). Quindi individuiamo quali caratteristiche definiscono quel particolare tipo di esperienza che si qualifica come “mediale”, in quali termini essa chiede di rivedere il modello di esperienza e in base a quali criteri si distinguono differenti forme dell’esperienza mediale (cap. 2). Infine esaminiamo mediante quali metodi si può studiare l’esperienza mediale, in cosa consiste la specificità dell’approccio semiotico e come è possibile delineare concretamente un metodo di analisi semiotico dell’esperienza mediale che ne ripercorra il modello precedentemente delineato (cap. 3). Ogni capitolo fa derivare le proprie considerazioni dall’esame di alcuni casi concreti di esperienza e di esperienza mediale; diamo in tal modo alla nostra presentazione un andamento operativo: vorremmo che, per quanto possibile, il lettore non avvertisse di trovarsi di fronte a una rete di concetti astratti, ma si sentisse piuttosto accompagnato in un processo di analisi “in prima persona”. I semplici esercizi suggeriti nel Quaderno alla fine di ogni capitolo intendono far sì che, una volta assimilato un certo stile di riflessione, l’analisi venga prolungata personalmente. Questo libro è simile per certi aspetti a uno di quei film o di quei fumetti che riprendono personaggi già noti, apparsi separatamente, e li fanno finalmente incontrare (un po’ tipo il Freud contro Maciste di morettiana memoria). Questi primi tre capitoli si assumono appunto il compito di introdurre i tre illustri protagonisti di un simile cross over: l’esperienza, i media e la semiotica. I riquadri inseriti al loro interno hanno la funzione di fornire alcune coordinate di fondo utili per inquadrare questi tre personaggi e raccontare la loro storia: si tratta di panoramiche piuttosto ampie che riguardano rispettivamente la questione dell’esperienza cosciente, lo sviluppo storico dei media e delle esperienze mediali, le coordinate di fondo e l’evoluzione della disciplina semiotica. 23

1 L’esperienza

1. Premessa Questo capitolo introduce il concetto di esperienza in generale. Nel secondo paragrafo forniamo una definizione del termine e tre descrizioni che affrontano l’esperienza da punti di vista e mediante strumenti di analisi differenti: quelli socioantropologici, quelli neurofisiologici e quelli cognitivomentali. Il terzo paragrafo è dedicato a comporre le indicazioni emerse in un disegno unitario capace di evidenziare tanto la dinamica quanto la logica interna dell’esperienza. Il punto di arrivo è un modello di articolazione dell’esperienza che costituirà la base di ulteriori elaborazioni nei prossimi due capitoli. 2. Che cos’è l’esperienza 2.1. Le definizioni terminologiche Il tour del mio gruppo musicale preferito

fa una tappa nella città in cui vivo. Giungo al campo sportivo fin dal pomeriggio per assicurarmi un buon posto, mi mescolo alla folla eccitata assieme agli amici che mi hanno accompagnato, finalmente inizia l’evento con un’esplosione di suoni... Mi rendo conto che sto vivendo un’esperienza particolare: ma che cos’è effettivamente la mia esperienza? I dizionari forniscono due definizioni principali di esperienza. La prima è quella di «patrimonio personale di competenze acquisite mediante la pratica (piuttosto che mediante la teoria e lo studio)». In questo senso posso dire che “ho una lunga esperienza di concerti”: non per niente mi sono recato in anticipo al campo sportivo, ho portato panini e acqua minerale ecc. La seconda definizione è quella di «decorso degli eventi di coscienza che si svolgono a partire dalla concreta e viva collocazione del soggetto all’interno di un mondo»: faccio esperienza del concerto e della sua preparazione per come lo posso cogliere dal punto in cui mi trovo e, se per caso fossi colpito nell’attesa da un colpo di sonno, la mia esperienza della preparazione del concerto si interromperebbe. Alcune lingue marcano la distinzione tra le 25

Esperienza acquisita, esperienza vivente e vissuta

Semiotica dei media

Esperienza immediata, esperienza riflessa

due accezioni: in particolare il tedesco distingue tra “esperienza” (Erfahrung) e “esperienza vivente o vissuta” (Erlebnis). In questo libro intendiamo l’esperienza nel secondo senso: l’esperienza che faccio al concerto è Erlebnis, esperienza vivente e vissuta. Tuttavia non scarteremo immediatamente la prima accezione: un confronto tra i due termini fornisce infatti alcune preziose indicazioni circa il concetto di esperienza che ci interessa. Una prima serie di indicazioni si desume a partire dalla differenza tra esperienza sedimentata ed esperienza vivente. Posso dire di possedere una certa esperienza sedimentata di concerti, e questa esperienza è svincolata dalla particolare occasione del concerto di oggi: se invece di venire allo stadio fossi andato al mare data la bella giornata, la mia esperienza sedimentata di concerti resterebbe comunque in mio possesso. In modo differente, io faccio una certa esperienza vivente, ovvero la costituisco a partire da una particolare e definita situazione nella quale sono immerso. Se non fossi qui e ora (per esempio se fossi andato al mare) l’esperienza del concerto non esisterebbe. L’esperienza vivente e vissuta è dunque per sua natura situata e incorporata, ovvero si costituisce a partire da una concreta e specifica relazione dell’organismo del soggetto (ovvero del suo complesso di corpo e di mente) con un certo ambiente. Una seconda serie di indicazioni si desume all’opposto a partire dalla continuità tra le due accezioni del termine “esperienza”. A ben vedere l’esperienza sedimentata da un lato e quella vivente e vissuta dall’altro non sono incompatibili l’una con l’altra: esiste anzi tra loro un rapporto di continuità. Giungo a possedere un’esperienza collaudata in quanto seleziono e accumulo gradualmente una serie di esperienze particolari e compio un lavoro di astrazione a partire dai singoli episodi che vivo. Dopo tre o quattro volte che sono stato dolorosamente colpito dallo scoprire quanto mi costa una bottiglietta di minerale ai concerti, ho imparato a portarmela da casa. Questo rapporto di continuità permette di gettare nuova luce sull’esperienza vivente e vissuta. Anzitutto essa appare ora situata non solo in un ambiente ma altresì in una storia, la storia del soggetto che la vive, a sua volta influenzata da un contesto di abitudini e assuefazioni di natura culturale (si tratta di un punto su cui torneremo nel prossimo paragrafo). Inoltre l’esperienza vivente appare ora non solo immediata e diretta, ma anche e allo stesso tempo riflessiva e consapevole; essa nel suo svolgersi si autorappresenta in modo da poter essere confrontata con altre esperienze e da sedimentare gradualmente un patrimonio personale di saperi e competenze. È appunto in questo senso che possiamo dire che l’Erlebnis è sia esperienza vivente (diretta e immediata) sia esperienza vissuta (cosciente e riflessa). 26

1.

L’esperienza

2.2. Le descrizioni sociali e antropologiche Una volta definito meglio il ter-

mine “esperienza” cerchiamo di descrivere in cosa essa consista. Poniamo che mentre sono assorto nei miei pensieri un improvviso accordo di chitarra elettrica mi faccia sobbalzare: alzo gli occhi e mi accorgo che un tecnico sta provando i diffusori del suono ma li ha regolati troppo alti. Percepisco che l’amica con la quale sono venuto al concerto, al mio fianco, ha assistito alla scena e ride divertita: anche io mi lascio andare a una risata liberatoria, per quanto nel frattempo mi renda conto e mi rimproveri di non aver fatto una bellissima figura. Possiamo fornire tre descrizioni di questa piccola esperienza a seconda del metodo di osservazione scelto e degli elementi considerati pertinenti. Una prima chiave di lettura dell’esperienza è di tipo sociologico e antropologico: quanto avvenuto viene visto e analizzato come un microevento sociale inserito all’interno di un evento sociale più ampio. Questa analisi mette in rilievo che l’esperienza che ho vissuto non è effettivamente e completamente “mia”, per due ordini di ragioni. In primo luogo essa mobilita una rete di conoscenze e di competenze che sono socialmente e storicamente determinate, per quanto rientrino in un “senso comune” che dà per scontata e rende inavvertita la loro radice culturale: la partecipazione all’evento del concerto è un rito collettivo proprio della nostra società; se invece di andare allo stadio mi fossi recato a una rappresentazione di teatro kabuki avrei percepito che lo spettacolo mobilitava competenze e abitudini che non fanno parte della mia cultura. La natura culturale delle mie competenze è legata, come abbiamo accennato sopra, a tutta la mia storia di soggetto sociale; in questo senso essa non è un fenomeno di superficie, ma investe profondamente le mie capacità e le mie attitudini: anche la mia sensorialità subisce una formazione culturale; per esempio se ho sentito il bisogno di alzare lo sguardo è perché il senso della vista viene considerato nella cultura occidentale contemporanea come il criterio prioritario di controllo dell’informazione sensoriale. Ogni esperienza è dunque condizionata culturalmente e quindi relativa a un certo ambiente sociale e storico: è possibile tracciare una storia e una geografia dell’esperienza. La presenza di una memoria culturale condivisa per un verso condiziona il mio modo di vivere l’esperienza del concerto e lo stesso microevento del piccolo soprassalto che ho vissuto; per altro verso rende solidale la mia esperienza con quella degli altri soggetti che vi sono impegnati, a cominciare dall’amica al mio fianco. Su questo punto si salda la seconda ragione che rende non del tutto “privata” l’esperienza: essa è un fenomeno relazionale. L’esperienza incontra le esperienze in corso da parte di altri soggetti, stringe con essi rapporti di solidarietà o di separazione e prende forma anche attraverso queste operazioni di sintonia o di estraneità: una delle ragioni per cui ho sorriso del mio stesso spavento è perché stavo tentando di recuperare un legame di complicità con la mia amica e di riparare alla mo27

L’esperienza è un fenomeno culturale

L’esperienza è un fenomeno relazionale

Semiotica dei media

mentanea interruzione del rapporto dovuta prima al mio chiudermi in me stesso e poi alla mia reazione poco controllata. ll correlato neurale dell’esperienza

I metasistemi funzionali

2.3. Le descrizioni neurali e fisiologiche Cambiamo a questo punto radical-

mente il modo di guardare e di descrivere l’esperienza e passiamo a uno sguardo neurale e fisiologico. Se con una qualche tecnica di brain imaging (ovvero di visualizzazione dei processi cerebrali) cercassi di capire cosa avviene nel mio cervello mentre sto aspettando che inizi il concerto, scoprirei un numero enorme di scambi di segnali elettrochimici tra le cellule che lo compongono, chiamate neuroni. I neuroni sono collegati reciprocamente mediante connessioni chiamate sinapsi; gli scambi tra neuroni avvengono attraverso le sinapsi: ne rafforzano alcune, ne modificano altre, ne lasciano cadere altre ancora, e possono anche modificare in modo provvisorio o di più lunga durata la struttura di alcuni neuroni. L’insieme di tali eventi costituisce il correlato neurale della mia esperienza. L’organizzazione delle connessioni sinaptiche e dei flussi di segnali non è casuale: le sinapsi collegano (sia al loro interno sia reciprocamente) una serie di aree cerebrali deputate a particolari funzioni. È possibile individuare in tal senso cinque ampi metasistemi funzionali che comprendono al proprio interno sistemi specifici: il metasistema percettivo, articolato nei sistemi della percezione esterocettiva (di dati esterni: vista, udito, tatto ecc.), propriocettiva (dell’apparato muscolo-scheletrico, in stasi e in movimento) e interocettiva (dei visceri o milieu interno); il metasistema emotivo, che permette una valutazione immediata degli stimoli in vista di una risposta dell’organismo in tempi brevissimi; il metasistema mnestico, articolato nei sistemi delle memorie procedurali o inconsce (per esempio quelle relative alle sequenze di movimento che compongono un’azione) e di quelle dichiarative o coscienti; il metasistema motorio, di progettazione, trasmissione ai sistemi periferici e controllo dell’attuazione di movimenti e azioni; e infine il metasistema del ragionamento, che presiede alla pianificazione e al controllo di piani di azione complessi. Quest’ultimo metasistema riveste particolare importanza per il fenomeno dell’esperienza. L’area cerebrale in cui è collocato (la corteccia prefrontale) presenta tre caratteristiche: è un luogo di convergenza e di rimando di segnali rispetto a molte altre aree (in particolare quelle cui pertiene la memoria dichiarativa); è in grado di attivare una rete particolarmente fitta di rimandi incrociati al proprio interno; buona parte dei suoi neuroni può essere modificata in forma transitoria dando luogo a una memoria a breve termine o memoria di lavoro. Tali caratteristiche fanno sì che il metasistema del ragionamento e della pianificazione sia capace di accogliere al proprio interno informazioni che provengono direttamente o indirettamente ma comunque contemporaneamente dai sistemi percettivi, emotivi e motori; di recuperare informazioni dai sistemi della memoria a medio e lungo ter28

1.

L’esperienza

mine; di trattenere, sincronizzare e fare interagire reciprocamente tutti questi elementi; di ottenere nuove configurazioni e di inviarle alla memoria a medio e lungo termine; di avviare e controllare delle sequenze motorie. Molti neuroscienziati pensano che sia questo quinto metasistema a rendere possibile il fenomeno dell’esperienza cosciente, sia per la fitta rete di scambi reciproci interni alla corteccia e con le aree subcorticali che ne sorregge il funzionamento (è l’ipotesi su cui insiste ad esempio Gerald Edelman), sia per il ruolo che vi gioca la memoria di lavoro (è l’ipotesi di Francis Crick e Christof Koch). Il punto di vista neurologico e fisiologico mette quindi in risalto due aspetti dell’esperienza. Anzitutto l’esperienza è un fenomeno complesso. Il metasistema della pianificazione e controllo di azioni riduce la complessità dei processi cerebrali (che svolgono in parallelo, contemporaneamente e in modo intrecciato, un numero elevatissimo di compiti) ma non la annulla: sia i dati di ingresso che le configurazioni in uscita costituiscono flussi molteplici e contemporanei. Mentre il mio cervello informa l’organismo che non c’è nulla da temere dal suono spropositato della chitarra che mi ha fatto sobbalzare e sospende la sequenza fisiologica approntata nell’ipotesi di un attacco esterno, già percepisce la risata della mia amica, avvia il movimento necessario per girarmi verso di lei, innesca una lettura emotiva della sua reazione, progetta (recuperando indicazioni dalla memoria) una sequenza di atti “riparatori” quali la risata successiva. In secondo luogo l’esperienza è un fenomeno dinamico: si svolge all’interno dello scorrimento temporale, deve far coesistere al proprio interno elementi temporalmente sfalsati in modo da produrre una loro sincronizzazione e una rappresentazione simultanea, e deve effettuare questo lavoro contando su mezzi fisiologici limitati. Per quanto gli studi sui meccanismi cerebrali della memoria siano ancora in pieno sviluppo, sembra che un ruolo fondamentale spetti alle relazioni tra la corteccia prefrontale e la memoria a medio e lungo termine (dislocata sulla regione temporale media della corteccia e in aree più interne quali l’ippocampo e il talamo). In sintesi la memoria di lavoro e il metasistema del ragionamento e della pianificazione lavorano all’interno di un segmento temporale determinato che va dai 3 ai 10 secondi, una sorta di “atomo di presente”. All’interno di tale segmento vengono prodotte alcune configurazioni che affluiscono alla memoria a più lungo termine e restano disponibili per rientri all’interno degli atomi di presente successivi e per confronti con essi. In tal modo viene assicurata sia una continuità esperienziale, sia la possibilità di confronti a distanza tra aree dell’esperienza. Se provate a far scattare un cronometro e a simulare le azioni del sobbalzare a un suono improvviso, riscuotervi, guardare una persona al vostro fianco e sorridere, vi accorgerete che il tutto si svolge nell’arco di poco meno di 3 secondi. 29

L’esperienza è un fenomeno complesso

L’esperienza è un fenomeno dinamico

Semiotica dei media

2.4. Le descrizioni mentali La descrizione socioantropologica e quella neu-

Esperienza fenomenologica ed esperienza intenzionale

Esperienza e interpretazione

rofisiologica, per quanto utili, non colgono il tratto che maggiormente caratterizza l’esperienza: esse la trattano come un fenomeno direttamente osservabile, mentre l’esperienza è e resta un fenomeno soggettivo e interiore. I suoi modelli e i suoi andamenti non si possono quindi osservare direttamente ma vanno ricostruiti indirettamente e in via ipotetica – per quanto persista in ogni caso un’esigenza di compatibilità con le descrizioni neurofisiologiche e anche con quelle socioantropologiche. Di qui il ruolo chiave di un terzo tipo di descrizione: quella mentale. Anche la descrizione mentale permette di evidenziare due aspetti fondamentali dell’esperienza. Il primo aspetto è un’ambiguità costitutiva dell’esperienza. Da un lato essa appare come un fenomeno puramente qualitativo, composto da sensazioni che in prima battuta non si riferiscono a oggetti precisi. Nel momento in cui il suono della chitarra mi invade e mi colpisce, avverto il fragore nelle sue qualità metalliche e liquide che come un’onda mi travolge e mi riscuote. Possiamo parlare (con un termine preso in prestito dalla filosofia della mente) di esperienza fenomenologica. Dall’altro lato l’esperienza appare come la storia in corso di un rapporto tra il soggetto e il mondo: essa implica quindi che il soggetto percepisca e rappresenti sé stesso, gli oggetti attorno a sé, la prospettiva da cui effettua tale rappresentazione, il concatenarsi di stati differenti di questo rapporto, colti nelle loro variazioni. Una volta che ho superato il primo spavento che il rimbombo della chitarra mi ha procurato, rappresento quanto avvenuto come l’insorgere di un falso allarme dovuto all’inesperienza del giovane tecnico che distinguo alla destra del palco (cui indirizzo mentalmente alcuni inviti che non posso riferire qui). Si parla di esperienza intenzionale, o rappresentativa, o cognitiva. Ci sono varie opinioni sulla relazione tra i due volti dell’esperienza: noi siamo dell’opinione che l’esperienza fenomenologica e quella intenzionale interagiscano reciprocamente e si determinino a vicenda all’interno di un unico processo. Il secondo aspetto che è possibile mettere in evidenza all’interno di una descrizione mentale dell’esperienza è la dinamica interpretativa che la anima. L’esperienza appare come un processo di determinazione, di sedimentazione e di manipolazione di senso. L’orizzonte dell’esperienza viene determinato per un verso da un costante afflusso e richiamo di dati sensibili, emotivi, volitivi, mnestici; per altro verso da un altrettanto costante lavorio di collegamento incrociato di tali risorse al fine di costruire una serie di configurazioni sensate. L’attributo della sensatezza deriva dalla combinazione di differenti proprietà: le configurazioni, per essere qualificate “sensate”, devono essere valutate in quanto appropriate e pertinenti rispetto alla nicchia contestuale e agli interessi del soggetto rispetto ad essa; devono apparire relativamente complete, coerenti, unitarie, controllabili, maneggiabili e all’occorrenza modificabili dal soggetto; 30

1.

L’esperienza

infine esse devono essere considerate in grado di spiegare e guidare comportamenti, scelte, orientamenti del soggetto. Per esempio non appena il microevento su cui stiamo ragionando si è concluso mi dico (ed eventualmente dico alla mia amica) che «sono stato colpito a sorpresa dal suono metallico della chitarra». Questa configurazione mi appare sensata: essa raffigura in forma accettabile quanto mi è avvenuto, mi permette di comprendere e organizzare molti elementi di cui ho fatto esperienza immediata, è una microstoria padroneggiabile e giustifica la mia reazione di sobbalzo 1. Questo processo di costruzione e manipolazione di configurazioni sensate è l’interpretazione. L’interpretazione è un processo ipotetico, una sorta di proposta relativamente affidabile ma comunque “azzardata” e costantemente rivedibile: ho descritto a me stesso il microevento che ho vissuto dicendo che il suono della chitarra “mi ha colpito”, ma subito dopo mi rendo conto che una descrizione migliore sarebbe quella di un “piccolo terremoto che mi ha fatto sobbalzare”. Spesso l’interpretazione fornisce differenti configurazioni e poi sceglie quella che le appare più sensata in base ai parametri introdotti sopra. In tal modo il termine “esperienza” recupera il senso più antico di “esperimento”: il verbo latino experiri vuol dire appunto “ricercare mediante prove e tentativi”; l’interpretazione è sempre un’operazione sperimentale e l’esperienza è un laboratorio costantemente in funzione. Coscienza ed esperienza tra scienze umane e neuroscienze Tra gli anni ottanta e novanta del xx secolo si è assistito a un fenomeno culturale originale: alcuni neuroscienziati hanno iniziato a intervenire su argomenti precedentemente ritenuti di competenza di filosofi e studiosi della conoscenza. Il problema della mente, dei suoi rapporti con il cervello e con il corpo, e soprattutto l’hard problem della coscienza, sono divenuti oggetto di un dialogo serrato tra scienze umane e neuroscienze. Le conseguenze del fenomeno sono state di ampia portata: è stato infatti inaugurato un nuovo stile di dialogo tra le “due culture” umanistica e scientifica, e ciascuna delle due ha iniziato a prendere sul serio i risultati dell’altra nell’elaborazione dei propri programmi di ricerca e dei relativi risultati. Nel campo della riflessione filosofica è tornato al centro dell’attenzione il problema della convergenza di tre filoni della filosofia del Novecento: la filosofia analitica, che si sforza di descrivere gli stati mentali nel modo il più possibile oggettivo e 1. Potremmo dire, in termini neurologici, che il mio cervello “premia” una simile configurazione mediante una microgratificazione e costituisce così un meccanismo di rinforzo che mi sospinge a proseguire il mio lavoro di assegnazione regolata di sensatezza.

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Semiotica dei media

logicamente coerente, anche mediante l’esame delle produzioni linguistiche; la fenomenologia, che guarda invece ai fenomeni mentali come a stati soggettivi che si possono descrivere solamente con un atto riflessivo consapevole e “in prima persona”; l’ermeneutica, che legge i fenomeni mentali come processi culturalmente ed esistenzialmente situati di interpretazione e comprensione del mondo, dei testi, degli altri soggetti. Nel campo delle scienze cognitive (ovvero delle discipline che forniscono modelli dei processi di conoscenza) è entrato in crisi il paradigma computazionale dominante fin dagli anni sessanta. Tale concezione riteneva il funzionamento della mente simile a quello di un software di computer, in grado di gestire le informazioni mediante algoritmi coordinati da un centro operativo. Le nuove scienze neurocognitive, nate dall’incontro tra cognitivisti e neurologi, contestano questa concezione su due punti: i nuovi metodi di brain imaging (ovvero di visualizzazione dell’attività neurale) negano l’esistenza di un unico centro di coordinamento – i processi neurali sono paralleli e pluricentrici –; inoltre i costanti e plurimi flussi comunicativi tra il cervello e il resto del corpo, che a sua volta è immerso in una nicchia ambientale, negano l’idea di una mente “disincarnata”. Numerosi e complessi i problemi ancora aperti del dibattito. In particolare risulta difficile spiegare in che modo i differenti livelli di descrizione degli stessi fenomeni forniti dalle diverse discipline si relazionino reciprocamente: eventi mentali soggettivi, eventi descrivibili oggettivamente ed eventi neurali sono riducibili l’uno all’altro (riduzionismo) fino alla possibile cassazione di un qualche livello (eliminativismo) o vanno mantenuti separati (antiriduzionismo)? Ma nell’ultimo caso occorre riconoscere una “lacuna esplicativa” (knowledge gap) tra i differenti livelli. Se questo dibattito è ancora aperto, si osserva di recente lo spostamento di attenzione dal problema della coscienza a quello dell’esperienza. Per quanto le questioni implicate in parte coincidano, si tratta di uno spostamento utile sotto diversi aspetti. Anzitutto l’esperienza non è solo cosciente: viene accolto almeno in parte il richiamo dei neuroscienziati al fatto che la maggior parte dei processi neurali è non cosciente. In secondo luogo il concetto di esperienza è di tipo dinamico e quindi avvicina meglio i modelli di funzionamento della mente all’idea delle attività neurali come un processo fluido e costante. Infine una riflessione sull’esperienza è presente anche in campo socioantropologico: si apre la possibilità di un’estensione del dialogo con discipline più attente alla dimensione culturale del fenomeno.

3. Un modello dell’esperienza La definizione e le descrizioni dell’esperienza ci hanno permesso di raccogliere all’interno di un ideale dossier una serie di caratteristiche differenti: l’esperienza è apparsa di volta in volta un fe3.1. La logica interpretativa

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L’esperienza

nomeno situato e incorporato, diretto e riflessivo, radicato culturalmente, implicante relazioni interpersonali, complesso e policentrico, dinamico, qualitativo e intenzionale, animato da una logica interpretativa 2. Cerchiamo a questo punto di tracciare una rappresentazione unitaria dell’esperienza. Ci ispiriamo a una descrizione mentale, ma teniamo conto delle differenti caratteristiche appena riassunte per riorganizzarle in un disegno unitario. Ricordiamo anzitutto che l’esperienza viene retta da una logica particolare: l’interpretazione. L’interpretazione è essenzialmente un processo o atto di mediazione tra due ordini di risorse. Da un lato gli elementi che derivano dalla relazione del soggetto con una certa porzione di ambiente, la sua nicchia ambientale; tali elementi sono determinati dalla nicchia stessa, dalla posizione in cui il soggetto si trova rispetto ad essa e dalle possibilità dei suoi apparati sensoriali. Dall’altro lato le risorse su cui lavora l’interpretazione derivano dal patrimonio di conoscenze precedenti depositate nella memoria del soggetto; tali risorse sono in larga parte acquisite mediante un addestramento del soggetto all’interno di un ambiente di vita determinato e dunque collocano il soggetto in un altro tipo di nicchia, la nicchia culturale. Il “lavoro” dell’interpretazione consiste nel comporre le due differenti serie di risorse in configurazioni sensate e adoperare le configurazioni in tal modo prodotte come ulteriori risorse interpretative. L’andamento del processo dell’interpretazione è dunque a spirale: esso ritorna costantemente sulle configurazioni già prodotte per modificarle e connetterle reciprocamente; in questa processualità lo stesso svolgersi dell’esperienza può e spesso chiede di essere configurato: grazie all’interpretazione l’esperienza si fa riflessiva, esperienza di un’esperienza nell’atto di svolgersi. In questo senso l’interpretazione parte da una duplice collocazione del soggetto: in una situazione ambientale contingente (nicchia ambientale) e in una situazione culturale più ampia (nicchia culturale); ciascuna delle due collocazioni fornisce al soggetto risorse per l’esperienza e al tempo stesso ne determina gli andamenti. L’interpretazione, però, è anche un atto creativo e relativamente imprevedibile: il suo ruolo è quello di far interagire ambiente e cultura trasformando l’uno nell’altra e viceversa; ciò che implica un costante sfuggire del soggetto alla pura determinazione delle nicchie in cui è calato. 2. Per chiarezza espositiva abbiamo assegnato i singoli tratti alle differenti descrizioni; occorre tuttavia osservare che alcuni di essi sono evidenziati trasversalmente da descrizioni differenti. Per esempio la natura relazionale dell’esperienza, a partire dai meccanismi di consonanza empatica che la percorrono, costituisce oggi un fertile terreno di scambio tra scienze sociali e antropologiche, neurocognitivismo e filosofia della mente (ci torneremo nei Percorsi di approfondimento del cap. 8).

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L’interpretazione come processo di mediazione creativa

Semiotica dei media Trasformazione, modulazione, manipolazione dell’esperienza

3.2. La natura dinamica Se abbiamo definito l’interpretazione un “proces-

so” è perché la natura dell’esperienza è costitutivamente dinamica. Questo dinamismo si coglie a più livelli. In primo luogo, all’interno dei singoli atomi di presente esperienziale, le differenti configurazioni prodotte sono in una condizione di trasformazione simultanea e reciproca. Mentre il suono della chitarra ancora risuona nelle mie orecchie con la sua qualità metallica ed elastica, mi rendo conto che esso non rinvia a un vero pericolo e nello stesso tempo avverto l’ironia della risata della mia amica. In secondo luogo le configurazioni interpretative prodotte all’interno dei singoli atomi di presente vengono scambiate con la memoria a medio termine e rappresentano il punto di riferimento per le nuove configurazioni. L’esperienza si presenta sotto questo aspetto come un’incessante modulazione di configurazioni; e queste a loro volta sussistono non in quanto oggetti veri e propri ma piuttosto quali ipotesi di lavoro esposte a una costante trasformazione. Superato lo spavento, mi giro intorno e mi accorgo che l’aria si è fatta più fresca, il mio stomaco continua a brontolare e la situazione di attesa del concerto continua a protrarsi. In terzo luogo le configurazioni della memoria a medio termine rimangono disponibili in qualità di risorse anche oltre i limiti temporali dell’episodio: esse possono essere recuperate a distanza di tempo e reintrodotte in nuovi atomi di presente per essere ulteriormente manipolate e combinate reciprocamente; è un simile lavoro di manipolazione che assicura la costruzione di configurazioni a lungo termine. Anche la memoria a lungo termine dunque non si presenta come un deposito di oggetti quanto piuttosto come un laboratorio dell’esperienza. Se la mia amica mi fa a sorpresa una fotografia con il cellulare mentre sobbalzo al suono della chitarra e il giorno dopo il concerto me la invia per e-mail, l’immagine mi riporta al concerto e all’episodio del mio piccolo spavento. Abbiamo fin qui parlato in senso generico di “configurazioni interpretative”; dobbiamo ora distinguere tra differenti tipi di configurazioni. In particolare individuiamo tre strati di configurazioni relativamente autonomi, compresenti e “trasparenti” l’uno rispetto all’altro. Il primo strato è quello della rilevazione e qualificazione sensibile delle risorse disponibili. Il soggetto avverte dei flussi di sensazioni che coesistono “intorno” a sé e “in” sé; si tratta di una sorta di notazione immediata delle risorse che non distingue (o distingue debolmente) tra interno ed esterno del corpo del soggetto e tra differenti oggetti presenti all’esterno; pure, il soggetto avverte dei criteri di congiunzione o di disgiunzione di tali sensazioni, che gli si presentano con una particolare ricchezza di qualità sensibili. Sento l’onda del suono metallico della chitarra, che richiama in qualche modo la violenza con cui il sole mi batte sulla fronte, mentre contrasta con 3.3. L’articolazione in tre strati

La rilevazione sensibile

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1.

L’esperienza

il brusio della folla che si congiunge al contrario con la carezza dell’aria fresca sulla mia pelle. Il secondo strato è quello dell’ordinamento narrativo delle risorse. Il soggetto percepisce anzitutto una distinzione e un legame tra sé stesso e l’ambiente che lo circonda, distinzione e legame che si basano primariamente sulla percezione di quel particolare involucro osmotico che è la pelle; quindi, egli individua una serie di entità all’esterno del proprio corpo con le quali interagire: con termini ripresi dalla filosofia della mente diciamo che egli rappresenta un campo di oggetti intenzionali, per come li coglie dalla posizione in cui si trova. Questo nuovo assetto del rapporto tra il soggetto e il mondo rende possibile monitorare sia le trasformazioni che intervengono all’interno del campo di oggetti intenzionali, sia le trasformazioni (precedenti, seguenti o concomitanti) che intervengono nel soggetto stesso, sia i legami tra la prima e la seconda serie di trasformazioni. Tali trasformazioni vengono registrate all’interno di mappe situazionali che, costantemente aggiornate, permettono una gestione controllata delle interazioni tra soggetto e ambiente. Al rintocco del suono di chitarra avverto una trasformazione all’interno del campo di oggetti che mi circonda, ne valuto il potenziale pericolo per il mio organismo, registro sia la non pericolosità del suono sia il fatto che esso ha prodotto in me una reazione di paura che mi dedico a calmare. Il terzo strato è quello della sintonia relazionale. Il soggetto avverte che all’interno del campo di oggetti intenzionali sono presenti altri soggetti, ovvero entità in grado di, e nell’atto di, svolgere un’esperienza simile alla sua. A partire da qui il soggetto esplora in forma ipotetica e indiziaria l’esperienza interiore degli altri soggetti (a partire soprattutto da una lettura dei loro segnali somatici); si rende conto riflessivamente del proprio stato esperienziale e innesca una lettura riflessiva della propria esperienza in corso; valuta il grado di sintonia o di estraneità tra la propria esperienza e quella altrui e cerca eventualmente di mettere in atto operazioni di allineamento o di sfalsamento. Nel momento in cui percepisco la mia amica sorridere del mio spavento mi rendo conto di essere oggetto di un apprezzamento poco lusinghiero; adotto allora la strategia di sorridere a mia volta di me stesso: in tal modo mi sintonizzo sulla condizione esperienziale della mia amica e assaporo il più ampio e complessivo stato di intesa (l’entusiasmo per lo stesso gruppo, il piacere di assistere a un concerto dal vivo, l’abitudine al rito dell’attesa ecc.) che ci ha portati a godere di questi momenti straordinari. La disposizione dei tre strati, dall’alto verso il basso, esprime una loro successione logica: le risorse rilevate in termini qualitativi (primo strato) vengono ordinate in campi di oggetti intenzionali (secondo strato) e all’interno di questi viene percepita la presenza di altri soggetti dell’esperienza (terzo strato). Tuttavia la dinamica “a spirale” dell’interpretazione – che è, ri35

L’ordinamento narrativo

La sintonia relazionale

Semiotica dei media

figura 1

Rilevazione sensibile

Ordinamento narrativo

Sintonia relazionale

cordiamolo, responsabile della costituzione e della modulazione dei tre strati di configurazioni – implica costanti meccanismi di sincronizzazione e di retrodeterminazione e rende quindi reciprocamente compresenti e determinanti i tre strati di configurazioni. Quando dico che “il suono della chitarra mi ha colpito” ho già fatto interagire una pura rilevazione qualitativa con una loro immediata riorganizzazione narrativa – ovvero ho rapidamente organizzato la microstoria di un suono che, come un oggetto, schizza dall’altoparlante per cozzare dritto sulla mia testa. Possiamo tradurre in forma visiva il modello dei tre strati, come si può vedere in fig. 1. Percorsi di approfondimento Alcune riflessioni di base sul termine e il concetto di esperienza vengono avanzate da Volli (2007) e Jedlowski (2008, pp. 71-2). Un’analisi delle ragioni per cui il tema dell’esperienza è divenuto centrale nella riflessione culturale è Ortoleva (2008). Jedlowski (2008) costituisce un buon punto di partenza per le ramificazioni sociologiche e antropologiche del concetto; Le Breton (2006) introduce invece allo studio antropologico dell’esperienza sensibile. Sull’evoluzione storica delle scienze cognitive e neurocognitive si possono confrontare Boden (2006), Piattelli Palmarini (2008) e Morabito (2007). Un panorama delle recenti assunzioni neurologico e neurocognitive si ritrova in Gazzaniga,

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1.

L’esperienza

Ivry, Mangun (2002), Baars, Gage (2007) e in varie voci di Barale et al. (2006-09). Due buone spiegazioni introduttive dei meccanismi neurali sono LeDoux (2002) e Oliverio (2008). Le posizioni cui abbiamo fatto cenno di Edelman si ritrovano ad esempio in Edelman (2004, 2006); quelle di Crick e Koch in Koch (2004). Un’ottima sintesi di tutta la questione è Tononi, Laureys (2009). L’ampio e complesso dibattito tra neuroscienze e filosofia della mente, in particolare intorno alla questione della coscienza, è presentato da Di Francesco (2000), Blackmore (2005), Velmans, Schneider (2007), Zelazo, Moscovitch, Thompson (2007), Gozzano (2009); meno strettamente legati alla questione della coscienza Di Francesco (2002), Paternoster (2002), Nadel (2003), Frixione (2003), Bermúdez (2005), Bickle, Mandik, Landreth (2006), Marraffa (2008), Gallagher, Zahavi (2008), Gallese (2008). Le ipotesi connessioniste alla Edelman si ritrovano rielaborate nell’interessante Hofstadter (2007). Alcuni esempi di dialogo tra filosofi e neurologi o neurocognitivisti sono Changeux, Ricoeur (1998), Petitot et al. (1999), Cappuccio (2006, 2008), Maldonato (2008). La questione della libertà del soggetto, evidentemente centrale all’interno di questo dialogo, viene affrontata da Melchiorre (2008). Le questioni relative all’intenzionalità, di notevole importanza per il nostro modello, sono state recentemente esaminate da Voltolini, Calabi (2009) (in particolare, per i nostri scopi, pp. 297-316). Il tema del corpo in quanto veicolo primo dell’esperienza è al centro di un corpus sterminato di ricerche; segnalo semplicemente quali possibili punti di partenza Marzano (2007) e Leoni (2008). Sulla natura “situata” dell’esperienza, si veda Robbins, Aydede (2009). Tra le descrizioni dell’esperienza di cui non abbiamo potuto render conto esplicitamente per ragioni di spazio, occorre menzionare almeno quella elaborata dalla riflessione estetica, sulla quale cfr. quale possibile punto di partenza Grifero (1999). Sul rapporto tra esperienza estetica e tecnica (molto rilevante per la questione dell’esperienza mediale) rinviamo all’antologia di Carboni, Montani (2008). All’interno di questo campo di studi riveste per noi particolare importanza la tradizione che vede nell’esperienza dell’opera d’arte il luogo in cui si riflette nei termini di un pensiero sensibile l’esperienza tout court: cfr. in particolare Franzini (2007). L’esperienza estetica è oggi al centro di un dialogo tra filosofi e neurologi etichettato con il nome di “neuroestetica”: una sintesi delle posizioni in Cappelletto (2009) e alcuni interventi in Lucignani, Pinotti (2007) e Pinotti, Somaini (2009).

Quaderno degli esercizi Focalizza la tua attenzione su una semplice esperienza di vita quotidiana di cui possiedi un ricordo ancora fresco: per esempio la colazione che hai fatto questa mattina. Prova a descriverne un breve segmento per iscritto. Rifletti sulle dinamiche che hanno animato il segmento che stai analizzando. Torna costantemente sulla descrizione scritta e completala mano mano. Quale ruolo e quale peso possiede la percezione che hai del tuo corpo nell’e-





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Semiotica dei media

sperienza che stai analizzando? Quale ruolo rivestono i dati e i condizionamenti culturali? Per esempio, concentrati in questa chiave sui tuoi gusti e le tue abitudini alimentari. Prova a separare ed elencare all’interno dell’esperienza che stai analizzando i tre strati della rilevazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale. Esamina ora le loro relazioni reciproche. Mettiti di fronte a una finestra: cosa cambia nell’ordinamento dei campi di oggetti intenzionali? Cosa distingue l’esperienza dell’interno domestico da quella dell’esterno?

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L’esperienza

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2 L’esperienza mediale

1. Premessa In questo capitolo definiamo in che cosa consiste l’esperienza mediale, ovvero quel particolare tipo di esperienza che facciamo ogni volta che veniamo a contatto ed entriamo in relazione con un mezzo di comunicazione: leggere un fumetto, guardare un film o un notiziario televisivo, ascoltare una canzone con l’iPod o giocare con la Playstation sono varie forme di esperienza mediale. Il secondo paragrafo chiarisce in che senso l’esperienza mediale costituisce una forma di esperienza come le altre e cosa invece la distacca dall’esperienza ordinaria; il punto di arrivo è un modello dell’esperienza mediale che riprende e rende più complesso il modello dell’esperienza in generale introdotto alla fine del capitolo precedente. Il terzo paragrafo esplora invece le differenti forme che assume l’esperienza mediale all’interno del nostro universo culturale, alla luce delle competenze pratiche che ci guidano negli usi quotidiani dei media. 2. Che cos’è l’esperienza mediale 2.1. I media e il design dell’esperienza Cambiamo scenario. Non sono riu-

scito a recarmi al concerto; fortunatamente l’evento è stato ripreso dalle telecamere e stasera viene trasmesso in televisione. Mi preparo ad assistere allo spettacolo comodamente sprofondato nella poltrona del mio salotto. Dopo l’ultimo stacco pubblicitario, dal buio emergono le prime note quasi di prova; una fly-cam panoramica dall’alto su una folla di ragazzi in delirio e plana sul palcoscenico dove le luci si accendono violentemente mentre parte il riff di chitarra di un pezzo molto conosciuto e bellissimo. Cosa cambia e cosa non cambia nel passaggio dall’esperienza diretta di uno spettacolo all’esperienza della visione e dell’ascolto attraverso un mezzo di comunicazione? 41

Semiotica dei media L’esperienza mediale è un’esperienza reale, dotata di caratteri peculiari

Il ruolo dei dispositivi nell’esperienza mediale

La determinazione dall’esterno dell’esperienza mediale

Cominciamo con il dire che l’esperienza di visione e di ascolto del concerto in televisione è un’esperienza reale, al pari della visione diretta nello stadio affollato. In assoluta continuità con la mia esperienza ordinaria, essa coinvolge una dinamica interpretativa che si sviluppa sui tre strati collegati della rilevazione e qualificazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale: apprezzo la dolcezza del movimento della fly-cam e noto come esso rimi con il suono dei primi accordi di chitarra, mentre mi rendo conto che sta iniziando l’evento del concerto e sento che la mia eccitazione è sintonizzata con l’entusiasmo della folla plaudente. Eppure al tempo stesso avvertiamo che si tratta di un’esperienza differente dall’essere fisicamente presenti al concerto. Possiamo esprimere questa differenza insistendo su due punti: la progettualità dell’esperienza e la moltiplicazione dei campi di oggetti intenzionali. Partiamo dal primo punto. Notiamo anzitutto che l’esperienza mediale implica (il termine stesso lo dice) la mediazione di uno strumento in grado di presentare alla mia attenzione una serie di materiali sensoriali: in questo caso l’apparecchio televisivo che trasmette le immagini e i suoni del concerto. Certo, anche nell’esperienza diretta è possibile l’uso di strumenti tecnologici: se mi fossi recato ad assistere al concerto e un guasto avesse rese inutilizzabili le attrezzature di amplificazione degli strumenti e delle voci, l’esperienza sarebbe stata ben diversa. Nel caso dell’esperienza mediale tuttavia il televisore diviene un centro generatore e un catalizzatore di esperienza: seduto nel mio salotto faccio esperienza del concerto solo in quanto il televisore trasmette quelle immagini; se si rompe il televisore l’esperienza del concerto non si trasforma: scompare. Sotto questo aspetto il semplice termine di “mediazione” appare riduttivo: possiamo dire piuttosto che il televisore costituisce un dispositivo di attivazione e di regolazione dell’esperienza mediale, a partire dalla possibilità che esso offre di rendere presenti e fruibili in un ambiente di vita una serie di materiali sensoriali. Non solo: a partire dalla constatazione che l’esperienza mediale viene resa possibile da un dispositivo di erogazione di materiali sensoriali, osserviamo anche che essa viene precostituita dall’esterno rispetto alla situazione in cui viene vissuta e da soggetti “altri” rispetto a chi la vive. Quanto appare sullo schermo per un verso è il frutto di operazioni e di scelte di una rete complessa di soggetti (gli operatori di macchina, i tecnici delle luci e del suono, il regista ecc.), per altro verso determina in modo controllato e pianificato l’articolazione e l’andamento della mia esperienza. Tale determinazione agisce sull’esperienza in quanto coinvolge e orienta i processi interpretativi che ne sono alla base: i materiali sensoriali introdotti dai dispositivi non solo rappresentano le risorse percettive adoperate dall’interpretazione, ma richiamano altresì le risorse memoriali e culturali opportune affinché le configurazioni prodotte appaiano sensate (cfr. cap. 1, par. 3.1). Per esempio 42

2.

L’esperienza mediale

le note introduttive richiamano la mia competenza relativa alla canzone con cui il gruppo solitamente apre i suoi concerti; mentre la particolare carrellata in fly-cam sulla folla esalta l’eccezionale partecipazione all’evento e sollecita quindi l’atteggiamento di eccitazione con cui già mi disponevo ad assistere allo spettacolo televisivo. Infine possiamo osservare che, in quanto precostituita, l’esperienza mediale non è più irripetibile, unica, personale, ma piuttosto ripetibile, serializzata, collettiva. Il concerto televisivo mi ha appassionato, decido di vedere anche la replica il giorno successivo: in tal modo mi trovo a rivivere un’altra volta la stessa esperienza (o un’esperienza molto simile). Non solo: il mio vicino di casa, chiacchierando sul pianerottolo, mi racconta che ha visto anche lui il concerto, che non conosceva il gruppo musicale ma che è stato conquistato dalla loro musica; il concerto lo ha appassionato, soprattutto quel riff di chitarra iniziale lo ha catturato... Insomma: l’esperienza mediale può coinvolgere allo stesso modo soggetti differenti e distanti, purché in grado di accedere alle immagini e ai suoni trasmessi dal mezzo e in possesso di aree di sapere e di gusto comuni. In sintesi dunque l’esperienza mediale, in quanto legata a un dispositivo tecnologico di attivazione e di regolazione, vede i suoi andamenti e le sue articolazioni precostituiti dall’esterno e diviene un’esperienza sovra-personale e seriale. Questo non vuol dire che le singole esperienze viventi e vissute dei particolari spettatori siano identiche: il mio vicino di casa potrebbe aver guardato il concerto, pur odiando il gruppo musicale, per poterne scrivere quella sera stessa una feroce stroncatura sul proprio blog. Il punto fondamentale è che su tutte le differenti e particolari esperienze di visione del concerto televisivo si stende e agisce un medesimo progetto di esperienza particolarmente coinvolgente e articolato. Possiamo dire dunque che i media sono dispositivi che mettono in atto un design esperienziale, ovvero un’attività di regolazione progettata di alcune aree dell’esperienza ordinaria: quando paghiamo il nostro abbonamento alla televisione satellitare (o quando acquistiamo un biglietto al cinema, noleggiamo un videogioco e perfino quando prenotiamo un volo per andare a Disneyland) acquistiamo appunto la possibilità di far accedere la nostra esperienza a questo progetto 1. Vedremo nel prossimo capitolo che questa caratteristica dell’esperienza mediale è fondamentale per la definizione dello statuto epistemologico della semiotica dei media; esamineremo inoltre nel corso della seconda parte di questo libro i differenti registri nei quali si articola in dettaglio il design esperienziale dei media. 1. Alcuni studiosi sostengono che l’avvento dei media avrebbe implicato una “mercificazione (commodification) dell’esperienza”: occorre osservare alla luce di quanto abbiamo appena detto che non è l’esperienza in sé a divenire merce (e in quanto tale a essere prodotta e distribuita in serie), ma i progetti di cui essa può essere investita grazie ai dispositivi mediali.

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La natura seriale dell’esperienza mediale

Il design dell’esperienza mediale

Semiotica dei media Mondo diretto, mondo indiretto e discorso

Il modello dell’esperienza mediale è un modello complesso

2.2. Un modello dell’esperienza mediale Il secondo ordine di differenze tra

esperienza ordinaria ed esperienza mediale concerne la moltiplicazione dei campi di oggetti intenzionali. Abbiamo detto nel capitolo precedente che nel passaggio dallo strato della rilevazione sensibile a quello dell’ordinamento narrativo, il soggetto definisce una distinzione tra sé stesso e un campo di oggetti e di soggetti che lo circondano (cfr. cap. 1, par. 2.3); eppure nel caso della mia visione del concerto in televisione lo stadio in cui si svolge il concerto e i giovani urlanti che vi si trovano non mi circondano affatto: intorno a me trovo ancora il mio solito salotto e davanti a me vedo il mio nuovo televisore a cristalli liquidi con schermo a 16:9. Dobbiamo dunque introdurre una distinzione tra due campi di oggetti: chiameremo il primo (con termini presi a prestito dalla psicologia della percezione artistica) “mondo percepito direttamente” o più semplicemente mondo diretto (il mio salotto e il nuovo televisore) e il secondo “mondo percepito indirettamente” o mondo indiretto (lo stadio in cui si svolge il concerto). Ma non basta. Se a questo punto mi interrogo sulle modalità mediante le quali si svolge la mia esperienza del mondo indiretto a partire dalla mia collocazione nel mondo diretto, mi accorgo che essa implica la presenza di una serie di oggetti e di processi che aprono la percezione del mondo indiretto al mondo diretto senza confondersi né con l’uno né con l’altro: l’insieme delle immagini sonore che si muovono sullo schermo televisivo con i loro movimenti di macchina, i giochi di montaggio, le manipolazioni dell’audio e così via vanno a comporre un terzo campo di oggetti intenzionali che chiamiamo il discorso. In altri termini l’esperienza mediale implica, a differenza dell’esperienza ordinaria, che un’area più o meno circoscritta dell’ambiente in cui è collocato il soggetto venga “ripiegata” su sé stessa e che i materiali sensoriali che la occupano permettano l’accesso percettivo a un secondo ambiente non direttamente presente: chiamiamo mondo diretto l’ambiente di base, discorso la forma complessiva assunta dai materiali sensoriali responsabili dell’accesso percettivo al secondo ambiente e mondo indiretto tale secondo ambiente. Possiamo tornare a questo punto al nostro modello dell’esperienza e osservare in che modo esso si arricchisce nel caso dell’esperienza mediale: gli strati della rilevazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale incrociano non uno solo, ma tre campi di oggetti e soggetti: il mondo diretto, il discorso e il mondo indiretto. La visualizzazione che avevamo introdotto nel cap. 1, par. 3.3 va dunque completata come appare in fig. 1 2. 2. Due osservazioni. In primo luogo diciamo propriamente (e illustriamo in termini grafici) che mondo diretto, discorso e mondo indiretto “incrociano” i livelli dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale mentre “toccano” solamente il livello della rilevazione sensibile, in

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2.

L’esperienza mediale

figura 1

Rilevazione sensibile

Ordinamento narrativo

Sintonia relazionale

Mondo indiretto Discorso Mondo diretto

Aggiungiamo un’ultima osservazione. Abbiamo detto che l’esperienza mediale si distingue dall’esperienza ordinaria per due aspetti: per un verso essa viene organizzata e guidata da un progetto, per altro verso essa richiede un modello di rappresentazione più complesso. Possiamo ora far interagire questi due rilievi: dal momento che il progetto è necessariamente isomorfo rispetto all’esperienza che esso impronta, possiamo affermare che il modello appena presentato si presta a rendere conto tanto dell’esperienza mediale in sé quanto del progetto che ne determina gli andamenti. In altri termini possiamo rappresentare il progetto di esperienza mediale come un’articolazione dei tre strati della rilevazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale rispetto ai tre campi di oggetti intenzionali del mondo indiretto, del discorso e del mondo diretto. L’utilità di tale osservazione ci apparirà più chiaramente alla fine del prossimo capitolo. quanto esso precede logicamente la distinzione in campi di oggetti intenzionali. In secondo luogo, il modello dell’esperienza mediale che presentiamo è valido in effetti per ogni tipo di esperienza “mediata”, anche quelle che precedono storicamente l’avvento dei media in senso moderno: dalla visione di un quadro o di un affresco alla lettura di una poesia. Una delle idee di fondo di questo libro è infatti che l’esperienza mediale è la particolare forma che ha assunto all’interno della nostra cultura quel modello più ampio e basilare di esperienza che è l’esperienza mediata: cfr. Breve storia dell’esperienza mediale, pp. 46-7.

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Il modello dell’esperienza mediale costituisce la forma del suo progetto

Semiotica dei media

Breve storia dell’esperienza mediale L’esperienza mediale è culturalmente e storicamente determinata: essa è legata al periodo storico che va dall’avvento della modernità (dalla metà dell’Ottocento circa) fino alla tarda o postmodernità dei nostri giorni. Più in particolare l’esperienza mediale rappresenta la forma specifica che ha assunto all’interno di questo periodo il modello più antico e generale dell’esperienza mediata. Con questo termine intendiamo una forma di esperienza che implica la presenza di oggetti-supporto di ospitare e di esibire materiali sensoriali precostituiti i quali (in differenti modi e con diverso grado di cogenza) determinano in modo pianificato alcuni andamenti dell’esperienza ordinaria: dai più antichi manufatti rituali fino a immagini, codici, libri ecc. Questi due tratti caratteristici dell’esperienza mediata (presenza di oggetti di determinazione da un lato, totale o parziale pianificazione dall’altro) vengono ripensati fin dalle origini della modernità alla luce di tre nuovi fattori: la forte presenza e il ruolo percepibile dei dispositivi tecnologici, l’intensa e anomala sollecitazione sensibile che essi implicano, l’estensione collettiva e la ripetibilità seriale dei processi esperienziali mediati. In tal modo l’esperienza mediata, nel momento in cui diviene esperienza mediale, viene investita da un alto grado di artificialità. L’evoluzione di una simile idea di artificialità costituisce il filo rosso che collega le diverse fasi di sviluppo e trasformazione dell’esperienza mediale dall’alba della modernità fino ai nostri giorni. Distinguiamo a questo proposito tre grandi fasi. Un prima fase è quella dei media meccanici e elettro-meccanici (dal 1850 al 1918 ca.). La stampa quotidiana e periodica e il romanzo sono i primi esempi di mezzi di comunicazione moderni ad ampia diffusione; si passa quindi alla riproducibilità dell’immagine fissa (fotografia, stampe, manifesti pubblicitari, fumetto) e del sonoro (fonografo e grammofono); si arriva infine alla riproducibilità dell’immagine in movimento: il cinematografo, tra la fine del secolo e l’inizio del Novecento, è l’ultimo dei mezzi meccanici e il primo dei mezzi elettronici. Una serie nutrita di testimonianze ci permette di cogliere la trasformazione delle forme precedenti dell’esperienza mediata nella nuova forma dell’esperienza mediale: la “riproducibilità tecnica” (secondo la nota formula che Walter Benjamin conierà negli anni trenta) si installa all’interno dell’esperienza mediata e ne determina il carattere decisamente artificiale – nei differenti sensi descritti sopra. Questa nuova forma di esperienza dell’artificiale, nel momento in cui irrompe nella sensorialità collettiva, presenta ora i caratteri della fascinazione, ora quelli del pericolo e dello shock. All’interno della seconda fase (dal 1919 al 1980 ca.), i media elettronici si stabilizzano per un lungo periodo su due modalità di distribuzione dei materiali sensoriali: il cinema attrae gli spettatori in luoghi pubblici e in tempi deputati; la radio prima e poi la televisione raggiungono capillarmente i propri utenti all’interno degli spazi domestici privati e della temporalità quotidiana, mediante un flusso ininterrotto di suoni e immagini. Ne deriva un’adesione costante e capillare delle esperienze mediali al tessuto dell’esperienza sociale: questa si configura sempre di più

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2.

L’esperienza mediale

come esperienza artificiale. Anche in questo caso tale fenomeno viene visto da un lato come euforico (i media come portabandiera della modernità che si diffonde a livello di abbigliamento, cibi, arredamento ecc.), dall’altro come inquietante: tra i timori dell’epoca rappresentati dalla fiction fantastica e horror c’è anche la paura che l’intera vita sociale sia una rappresentazione e un’allucinazione collettiva (si pensi solo ai racconti che Philip K. Dick produce negli anni cinquanta e sessanta). Sul piano della riflessione intellettuale tali preoccupazioni prendono la forma di teorie e ricerche di stampo sociologico, psicologico e semiotico volte ad accertare gli effetti dei media e il loro ruolo nella riproduzione e stabilizzazione delle ideologie dominanti. I media digitali (dal 1980 ai nostri giorni) vedono infine all’opera quattro grandi fenomeni, tutti variamente legati all’applicazione delle tecnologie informatiche agli apparati delle comunicazioni: la pervasività e la differenziazione crescente dei canali di distribuzione e dei dispositivi di lettura dei materiali sensoriali (on line: televisione via satellite, Internet ecc.; off line: lettori di musica, dvd, videogiochi per consolle, e-books ecc.); un progressivo alleggerimento dei dispositivi, che comporta sia una loro minore percepibilità all’interno dell’esperienza mediale sia un loro possibile nomadismo (si pensi al fenomeno iPod); la possibilità di una maggior sinergia tra materiali sensoriali differenti (multimedialità: il sito Internet di un quotidiano contiene testi verbali, immagini, slide shows, file sonori, filmati ecc.); il superamento di una divisione netta tra esperienze di promozione da un lato, di ricezione dall’altro e quindi la possibilità per il fruitore di intervenire attivamente nell’elaborazione dei materiali sensoriali (interattività, dal semplice selezionare e richiedere certi contenuti fino all’elaborazione condivisa o alla distribuzione di materiali in rete). Anche le teorie e le ricerche mediali si concentrano meno sugli effetti dei media e maggiormente sulle dinamiche e sulle tattiche del loro consumo da parte dei pubblici (audience studies). Le conseguenze per l’esperienza mediale sono profonde: non solo essa si connette ancora più profondamente all’esperienza ordinaria, ma inizia a non essere più percepita in quanto artificiale. L’opposizione tra naturale e artificiale, che ancora in buona parte permette una qualificazione di base dell’esperienza mediale, sta iniziando in questo momento a vacillare, tanto da poter definire la fase presente come un momento di naturalizzazione dell’esperienza mediale.

3. Le forme dell’esperienza mediale 3.1. Dall’esperienza mediale alle esperienze mediali Fino a questo momento

abbiamo parlato di “esperienza mediale” al singolare e in senso generale. In realtà le esperienze di relazione con i media che noi facciamo sono plurali e specifiche: se il concerto fosse trasmesso non in televisione ma per radio mi sintonizzerei e lo ascolterei volentieri mentre sono impegnato a fare altro; se uscisse un dvd lo potrei acquistare in modo da rivedere il concerto senza i fastidiosi stacchi pubblicitari; ma d’altra parte, nel momento in cui gli 47

Semiotica dei media

Le esperienze mediali sono molteplici e si distinguono in base a criteri pratici

I tre criteri di individuazione delle esperienze mediali

inevitabili spot irrompono nel corso della trasmissione televisiva e magari preludono a un telegiornale, avverto immediatamente un salto e una discontinuità nella mia esperienza. È importante osservare che quando percepiamo una distinzione tra differenti esperienze mediali, non mettiamo in gioco un sapere categoriale astratto; ciò che ci permette di suddividere e articolare il campo dell’esperienza mediale è piuttosto una rete di competenze pratiche: distinguo lo spettacolo del concerto televisivo dalla visione di un telegiornale o dalla fruizione di un videogioco perché so che queste esperienze mi richiedono gesti, disposizioni, capacità di organizzare i materiali sensoriali e valutarne la portata, di tipo differente. Anche se le singole esperienze giocano qualche volta a spiazzarmi e a rinegoziare lo statuto di quanto sto vivendo: vedo che il conduttore del telegiornale che mi sta fornendo una notizia interessante improvvisamente sputa fuoco e mi accorgo che si trattava dello spot di un farmaco contro i bruciori di stomaco. I principali criteri che permettono di definire le forme dell’esperienza mediale sono tre. Il primo riguarda le modalità di inserzione dei materiali sensoriali veicolati dai dispositivi mediali all’interno del mondo diretto; il secondo criterio riguarda il discorso e le conformazioni che esso assume; il terzo criterio concerne infine il mondo indiretto e il suo statuto. Ciascuno dei tre criteri adotta dei parametri che consentono di tracciare delle “mappe” delle esperienze mediali. L’individuazione della singola esperienza deriva da una sovrapposizione e un intreccio dei tre criteri e delle relative mappe: nella terza parte di questo libro esamineremo alcuni dei vari tipi di esperienze mediali che si disegnano a partire da tali criteri e dalle loro combinazioni. 3.2. Le modalità di attivazione nel mondo diretto Il primo ordine di criteri ri-

Esperienze mediali pervasive o situate

guarda le modalità mediante le quali i materiali sensoriali veicolati dai media vengono resi presenti dai differenti dispositivi all’interno del mondo diretto. È in base a questa discriminante che sentire il concerto alla radio è cosa diversa dal vederlo in televisione. All’interno di questo ordine di criteri giocano due parametri. Il primo parametro riguarda la relazione tra dispositivi mediali e ambiente del mondo diretto: la distinzione chiave è tra dispositivi (e quindi esperienze) pervasivi e dispositivi (e quindi esperienze) situati. I dispositivi pervasivi si connettono in maniera profonda e completa all’ambiente. Il caso più tipico è rappresentato dal cinematografo, uno spazio pensato e progettato interamente per l’esibizione di immagini in movimento e di suoni. Gli impianti di home theatre casalinghi tendono a ricalcare questo modello: essi sovrappongono a spazi e arredamenti casalinghi uno schermo e alcuni diffusori sonori in modo da riprodurre un effetto di pervasività delle immagini e soprattutto dei suoni veicolati dal dispositivo all’interno dell’ambiente domestico. Il cinematografo non è però il caso estremo: è possibile costruire ambienti multi48

2.

L’esperienza mediale

sensoriali studiati per produrre una certa esperienza calcolata e precostituita in chi li abita o li attraversa: dai grandi outlet ai parchi a tema (ovvero quegli ambienti privi di una storia propria che Marc Augé ha battezzato “non luoghi”), dalle installazioni videoartistiche agli eventi culturali, museali o aziendali. I dispositivi situati, al contrario, delimitano l’erogazione dei materiali sensoriali all’interno di alcuni spazi e tempi precisi: questi tendono a non occupare completamente il mondo diretto, quanto piuttosto a integrarsi al suo interno. Il caso paradigmatico è quello della radio e in genere dei media a diffusione sonora (stereo, walkman, iPod ecc.). Sempre più, inoltre, media visuali e audiovisuali tendono a inserirsi negli ambienti sia domestici che outdoor, dai grandi videowalls che incontriamo negli spazi urbani ai piccoli e ravvicinati schermi dei videofonini. Molti media si pongono poi nell’ampio spazio intermedio tra le due polarità. Per esempio la televisione è un mezzo che tende da un lato alla pervasività (gli schermi di grandi dimensioni, gli impianti home theatre già richiamati sopra, la riorganizzazione degli spazi domestici attorno all’apparecchio televisivo) e dall’altro alla circoscrivibilità (schermi casalinghi più piccoli che si prestano a una fruizione di sfondo o “radiofonica”, video “nomadici” come i casi citati poco sopra). Il secondo parametro di distinzione riguarda le differenti modalità di attivazione e di mantenimento in vita dell’esperienza mediale: l’opposizione è in tal caso tra dispositivi (e quindi esperienze) ad attivazione automatica (o semiautomatica) e dispositivi (e quindi esperienze) ad attivazione manuale. I dispositivi automatici implicano la presenza di un player (ovvero di un dispositivo di erogazione dei materiali sensoriali) che agisce senza bisogno di alcun intervento attivo da parte del fruitore. In alcuni casi occorre un intervento di attivazione iniziale, ma in altri (per esempio nei videowalls) anche questo viene escluso. Molti media situati sono di questo tipo perché evidentemente è possibile che l’esperienza ordinaria continui a svolgersi tenendo i materiali sensoriali mediali sullo sfondo, senza bisogno di ulteriori interventi dell’utente: per esempio la radio o l’iPod prevedono questo tipo di funzionamento. Anche molti media pervasivi non prevedono interventi di rilievo dell’utente in modo da non distrarre la sua attenzione: pensiamo di nuovo al cinema e ai suoi surrogati casalinghi. Differente il caso dei dispositivi manuali, che richiedono alcune operazioni più o meno articolate, continue e visibili dell’utente per l’attivazione e lo svolgimento dell’esperienza. Un grado estremo è dato da tutte le esperienze mediali all’interno delle quali il corpo e la mente dell’utente funzionano da player biologico incaricato di attivare e mantenere viva l’esperienza: per esempio la lettura di un quotidiano, di un fumetto o di un manifesto pubblicitario implica una recita e una messa in scena interiori più o meno espressive affinché l’esperienza mediale possa dirsi effettivamente attivata. Un grado intermedio è invece costituito dalle differenti forme di interazione richieste da players automatici affinché l’esperienza si svolga e si trasfor49

Esperienze mediali automatiche o manuali

Semiotica dei media

figura 2 Esperienze ad attivazione automatica videowalls

cinema

installazioni

radio, stereo home theatre

Esperienze pervasive

tv set

Ipod videofonino

media digitali interattivi

“nonluoghi” mostre, eventi

Esperienze situate

stampa / fumetto: il lettore come player

Esperienze ad attivazione manuale

mi: da operazioni quali il cambio di canale televisivo o radiofonico, fino ai videogiochi e alla navigazione web. Incrociando i due parametri otteniamo una prima mappa di ordinamento delle esperienze mediali (cfr. fig. 2). Conformazioni del discorso ed esperienze mediali: testo, ipertesto, flusso e ambiente

3.3. Le conformazioni del discorso Il secondo ordine di criteri che ci per-

mette di discriminare tra differenti forme di esperienza mediale è dato dalle modalità con cui si presenta al suo interno il discorso. L’idea di discorso nasce (lo ricordiamo) dal fatto che alcuni materiali sensoriali all’interno del mondo diretto, variamente erogati dai dispositivi, permettono l’accesso al mondo indiretto; a partire da qui il discorso tende ad acquisire uno statuto autonomo, una consistenza oggettuale e spaziale, una certa conformazione che si sedimenta e si stabilizza in determinate rappresentazioni sociali. La trasmissione televisiva del concerto è immersa nel flusso lineare dei programmi televisivi e frammentata dai breaks pubblicitari; il concerto in dvd è invece percepito come dotato di confini precisi e delimitati, privo di interruzioni che non siano intenzionali, dotato di menu che permettono di navigare all’interno di un’architettura ad albero. Come il nostro esempio lascia intendere, la conformazione del discorso dipende da due parametri. Il primo è costituito dall’opposizione tra chiusura e definizione del discorso vs apertura e mancanza di delimitazione (e quin50

2.

L’esperienza mediale

figura 3 Conformazione lineare Esperienza testuale

Esperienza di flusso

Conformazione aperta

Conformazione chiusa Esperienza metatestuale / ipertestuale

Esperienza ambientale

Conformazione reticolare

di fluidità non solo spaziale ma anche temporale). Il secondo parametro è costituito invece da un andamento unilineare o da una struttura plurilineare e reticolare del discorso stesso. Dall’incrocio delle varianti si ricavano quattro grandi possibilità (cfr. fig. 3). È importante sottolineare che le conformazioni del discorso sono configurazioni culturali condizionate da una complessa interazione tra dispositivi tecnologici, forma fisica dei supporti mediali, pratiche di fruizione. Esse possiedono quindi una natura storica – per quanto di una storia curiosa, che non procede solo in avanti ma è fatta di sedimentazioni, sopravvivenze e ritorni. I modelli più antichi sono quelli del testo e dell’ipertesto, strutture chiuse e organizzate in forma monolineare o plurilineare. Quando i media nascono, verso la metà del xix secolo (cfr. Breve storia dell’esperienza mediale, pp. 46-7), è molto forte l’influsso del libro quale modello di configurazione lineare e definita. L’esperienza testuale rimane molto radicata nelle rappresentazioni sociali e, per esempio, passa facilmente dal libro al film, dotato anch’esso di confini precisi e di andamento lineare. I media che si reggono sul principio del broadcasting (come la radio e la televisione) mettono gradualmente in crisi questo modello di configurazione del discorso e introducono il nuovo modello dell’esperienza di flusso: il discorso procede per segmenti impaginati all’interno di un palinsesto lineare, tendenzialmente infinito e in perenne trasformazione. Nel frattempo i mezzi a stampa (quotidiani, periodici, fumetti, pubblicità visuale) avevano introdotto già dalle origini dei media (e riprendendo modalità ben precedenti) un tipo di modello misto: alla linearità del testo si sovrappone la reticolarità delle gri51

La natura culturale delle conformazioni del discorso

Semiotica dei media

glie grafico-visive che consentono e guidano una lettura non esclusivamente lineare. Per esempio e tipicamente la ricerca di un certo articolo in una rivista è reticolare mentre la sua lettura recupera un andamento lineare con la possibilità di tornare in qualsiasi momento alla modalità reticolare; il fumetto connette linearità e reticolarità in una interazione ancora più stretta e così via. Le tecnologie digitali, a partire dagli anni ottanta del Novecento, riprendono e amplificano la possibilità di una simile fruizione selettiva all’interno di una rete di possibilità e permettono la definizione della conformazione ipertestuale così come viene intesa oggi. Queste stesse tecnologie infine aprono la possibilità di conformazioni discorsive che congiungono la reticolarità ipertestuale all’assenza di delimitazioni spaziali e temporali propria del flusso radiotelevisivo; il discorso si configura quindi come un vero e proprio ambiente aperto che del testo non ha più nulla: la navigazione del web è il caso più rappresentativo e citato. Fattualità, finzione, partecipazione, estetica

3.4. Gli statuti del mondo indiretto Il terzo ordine di criteri che determina la

possibilità di distinguere tra differenti forme dell’esperienza mediale riguarda lo statuto del mondo indiretto. Questo si definisce in relazione agli altri due campi di oggetti intenzionali, in base a una relazione di continuità oppure di discontinuità con essi. Per esempio se il telefilm che sto seguendo si interrompe per trasmettere un breve notiziario, percepisco un salto all’interno della mia esperienza; quanto riferito dal giornalista concerne il mondo diretto in cui io vivo, è in diretta continuità con esso e dunque “mi riguarda”: se viene annunciato un ulteriore rincaro della benzina so che domani il mio pieno costerà qualche euro in più; al contrario, le vicende che si svolgono nel mondo indiretto della fiction televisiva possono appassionarmi e coinvolgermi, ma non possiedono una relazione di continuità con il mondo di vita all’interno del quale sono inserito. Anche in questo caso i due parametri introdotti generano quattro ampie possibilità (cfr. fig. 4). Nel caso dell’esperienza fattuale, l’esperienza mediale viene percepita in continuità con l’esperienza di vita quotidiana: quanto si svolge nel mondo indiretto concerne anche il mondo diretto e riguarda più o meno direttamente il fruitore e il mondo di vita nel quale questi è inserito. All’opposto, nel caso della finzione, il mondo diretto e quello indiretto rimangono separati: questo non implica necessariamente che quanto si svolge nel mondo indiretto sia “fantastico” e non coinvolga ambienti reali, ma lo svolgimento non ha correlazioni dirette con la situazione in cui si trova il fruitore. Il caso dell’esperienza estetica si ha quando i movimenti discorsivi acquisiscono una particolare evidenza e marcano una relativa autonomia rispetto agli svolgimenti del mondo indiretto: è il caso di molti videoclip, di alcune sequenze di film o serie televisive in cui la cura della fotografia o del mon52

2.

L’esperienza mediale

figura 4 Relazione di continuità Esperienza fattuale

Esperienza partecipativa

Con il mondo diretto

Con il discorso Esperienza finzionale

Esperienza estetica

Relazione di discontinuità

taggio divengono molto visibili, di certi videogiochi in cui conta soprattutto il design visivo e sonoro più che le tecniche di gioco. Infine nell’esperienza della comunicazione partecipata il discorso e il mondo indiretto sono in continuità e tendono a coincidere in quanto il discorso viene percepito dal fruitore come uno spazio di azione e interazione: pensiamo ai casi di interattività che richiedono un intervento costante del fruitore e soprattutto ai casi in cui il fruitore si fa co-autore e l’esperienza mediale consiste in un’attività di produzione dei materiali sensoriali che costituiscono il discorso (chat in rete, partecipazione a forum, contribuzione a opere aperte, redazione e manutenzione di un blog o pagine personali all’interno di una web community e così via). Percorsi di approfondimento Alcune introduzioni ai media e agli approcci di studio ai media sono Silverstone (1999) (che contiene un capitolo su media ed esperienza), Colombo, Eugeni (2001), Colombo (2003) e Sorice (2009). Per un inquadramento storico sintetico dei media e della loro storia, Ortoleva (2002). Tra le numerose storie dei media segnalo quelle più recenti: Briggs, Burke (2000), che indagano in particolare le relazioni tra sviluppi tecnologici e istituzionali dei media e forme di organizzazione e circolazione dei saperi sociali; Gorman, McLean (2003), attenti alla relazione tra media e società nel mondo moderno. Una storia dell’industria culturale che studia l’evoluzione dei rapporti tra media e processi culturali è Abruzzese, Borrelli (2000). La più recente Abruzzese, Mancini (2008) traccia una storia congiunta dei media, delle teorie e delle affabulazioni che li riguardano.

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Semiotica dei media

Sull’esperienza della modernità e della tarda modernità e le loro relazioni con i media rinvio ai riferimenti e ai commenti di Casetti (2005) per il cinema e di Ortoleva (2009) per i media in generale. Lo stesso Ortoleva ha valorizzato il contributo recentemente ripubblicato di Warshow (1962). Sul passaggio dalle esperienze mediate alle esperienze mediali, Colombo, Eugeni (1996). Una descrizione interessante dell’esperienza mediale (soprattutto nella fase dei media elettronici) è Thompson (1995). Alcune ricostruzioni storiche dell’esperienza mediale televisiva sono raccolte in Berton, Weber (2009). Molti studi dedicati ai singoli media stanno ripensando attualmente le questioni legate alla fruizione mediale a partire dall’idea di esperienza situata, incorporata, culturalmente radicata. Il settore più sviluppato a questo proposito è quello della teoria del cinema, settore in cui si ripropone l’alternativa tra un’impostazione “continentale” più attenta all’approccio fenomenologico e una anglosassone orientata verso una concezione cognitivista classica dell’esperienza filmica. Una panoramica (con alcune lacune) in Elsaesser, Hagener (2007); una serie di testi diversi in Somaini (2005) e Carluccio, Villa (2006). Si muovono su base fenomenologia Shaviro (1993) e Sobchack (1992, 2004); in ambito francese ricordiamo, a partire dal seminale Schefer (1980), il recente Bellour (2009); di orientamento cognitivista Grodal (1997, 2009), Pepperell, Punt (2006), Plantinga (2009). Due recenti e importanti lavori italiani sono Malavasi (2009) e D’Aloia (2009). Più vicina all’estetica del film classica è l’idea film come “spettacolo” di Termine, Simonigh (2003). Un percorso originale è quello intrapreso da Casetti (2008a, 2008b, 2009) a partire dall’idea di “rilocazione” dell’esperienza filmica nel panorama mediale contemporaneo.

Quaderno degli esercizi Elenca le esperienze mediali di cui sei protagonista nel corso della giornata o in alcune particolari occasioni. Quali aree del tuo tempo sono occupate dai dispositivi mediali e quali non lo sono? Quali differenze noti tra le prime e le seconde? Pensa a una semplice esperienza mediale di cui hai fatto o fai esperienza: per esempio la visione della tua serie televisiva preferita. In quali sensi puoi dire che si tratta di un’esperienza progettata? Quanto contano in questa progettazione l’impaginazione nel palinsesto, le scelte visive e sonore, il tipo di trama, i personaggi e così via? Riprendi l’elenco fatto al primo punto e prova a ricondurre le tue esperienze mediali alle tre mappe dei criteri di distinzione. Quali sono le aree delle mappe che frequenti maggiormente? Quali quelle meno praticate? Oltre ai criteri generali esposti nel testo, quali sono gli strumenti più particolari che usi per individuare una certa esperienza mediale (la presenza di certi attori, uno stile di ripresa ecc.)?

• •

• •

54

2.

L’esperienza mediale

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Semiotica dei media

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56

3 La semiotica e l’esperienza mediale

1. Premessa In questo capitolo definiamo che cos’è la semiotica dei media e quali strumenti essa offre per indagare l’esperienza mediale. Il secondo paragrafo descrive in cosa consistono l’obiettivo di ricerca, l’oggetto empirico di studio e il procedimento di indagine della semiotica dei media; queste caratteristiche emergono a partire da una distinzione della semiotica da altre discipline che studiano l’esperienza mediale, e consentono di giungere a una definizione della disciplina. Il terzo paragrafo prende in considerazione i differenti percorsi di ricerca che può assumere la semiotica dei media: questa panoramica ci consente di precisare la serie di scelte e di esclusioni che caratterizzano questo volume. Il quarto paragrafo considera infine più da vicino il metodo della semiotica dei media, ovvero l’analisi dei materiali sensoriali veicolati dai dispositivi mediali: esso conduce a illustrare il programma di lavoro che guiderà i capitoli successivi. 2. Che cos’è la semiotica dei media 2.1. L’intento critico e l’obiettivo della semiotica dei media L’esperienza me-

diale, in quanto vera e propria esperienza, può essere analizzata in base ai criteri di pertinenza e ai metodi di studio richiamati al cap. 1 per l’esperienza tout court. Da un lato troviamo dunque le discipline di taglio sociologico, antropologico e culturologico: queste esaminano in che modo si svolgono le concrete e particolari esperienze di fruizione dei media in contesti socioculturali differenti; quale relazione c’è tra esperienze mediali e processi culturali; quali sono le dimensioni quantitative e quali i caratteri qualitativi del consumo mediale. Per esempio (restiamo ancora sul nostro concerto televisivo) un antropologo o un sociologo dei media è interessato a come ho collocato la televisione nel mio soggiorno e ai piccoli riti domestici che io e la mia famiglia ci costruiamo intorno; al modo in cui il concerto rafforza la mia identità generazionale e favorisce eventualmente la conversazione con il mio vicino che è anche un mio coetaneo; a cosa faccio con57

Gli approcci non semiotici all’esperienza mediale

Semiotica dei media

L’approccio semiotico e il suo obiettivo: il design dell’esperienza mediale

cretamente mentre guardo il concerto (per esempio se mi alzo o cambio canale durante i breaks pubblicitari); alla misura in cui questi miei atti sono indice di azioni sociali più ampie e così via. Dall’altro lato abbiamo le discipline psicologiche, cognitive e neurocognitive: queste studiano i fenomeni e i processi tanto individuali quanto collettivi, di ordine razionale, emotivo e pratico che vengono sollecitati nel corso dell’esperienza mediale; esse si interessano inoltre agli effetti prodotti dalle esperienze mediali a breve e lungo termine negli individui e nei gruppi. Per restare al nostro esempio, uno psicologo e un neurocognitivista sarebbero interessati a controllare come cambiano certi miei indici corporei (sudorazione, battito cardiaco ecc.) nel corso del concerto; se potessero, cercherebbero di capire quali aree del cervello si attivano in corrispondenza dei differenti passaggi; potrebbero somministrarmi un test prima e dopo lo spettacolo per vedere se certi atteggiamenti cognitivi ed emotivi sono mutati e così via. Questi approcci, per quanto molto utili, presentano un limite. Essi considerano l’esperienza mediale alla stregua di una qualunque altra esperienza personale e sociale; in tal modo rischiano di far scivolare in secondo piano il carattere dell’esperienza mediale: il suo essere pre-, extra- ed etero-costituita a partire dai materiali sensoriali veicolati dai dispositivi, e quindi serializzata e sovra-personale (cfr. cap. 2, par. 2.1). La semiotica dei media interviene proprio su questo punto: essa intende perseguire una strategia di ricerca che porti decisamente alla luce la natura progettata delle esperienze mediali. Il suo intento di base è critico: la semiotica dei media intende decostruire l’idea che l’esperienza mediale sia diretta, trasparente e “spontanea”, per portarne alla luce la natura precostituita e seriale. Questo intento di fondo si precisa immediatamente in un obiettivo specifico che differenzia la semiotica dei media dalle altre discipline interessate ai mezzi di comunicazione. Essa non si propone di analizzare, descrivere o misurare le esperienze di fruizione e di consumo mediale così come sono direttamente osservabili, descrivibili e misurabili; il suo obiettivo è piuttosto quello di ricostruire e descrivere i progetti di costituzione delle esperienze mediali. Insomma: il semiotico dei media non è interessato al fatto che io mi metta davanti al televisore vestito come quando ero andato a uno storico concerto del gruppo, né gli importa se durante una canzone che ha segnato la mia vita accenda pateticamente l’accendino, o se la visione concerto in televisione divenga l’occasione per una rimpatriata di vecchi amici... Ciò che gli interessa è il progetto di costituzione artificiale dell’esperienza, ovvero la trama del design esperienziale che in quei momenti sta “lavorando” all’interno della situazione di fruizione in cui mi trovo. 58

3.

La semiotica e l’esperienza mediale

2.2. L’oggetto e il procedimento della semiotica dei media Ma come è possibi-

le ricostruire i modelli di costituzione dell’esperienza mediale che agiscono su di me nel momento in cui sono di fronte al mio concerto televisivo? La semiotica dei media risponde a questa domanda attraverso una seconda scelta di fondo, che concerne l’oggetto e il procedimento del suo lavoro. Dal momento che il progetto esperienziale viene veicolato dai materiali sensoriali erogati dai dispositivi mediali, la ricostruzione ipotetica di tale progetto da parte del ricercatore non potrà avvenire che a partire da questi stessi materiali: l’oggetto di studio assunto della semiotica dei media è dunque rappresentato dai materiali sensoriali erogati dai dispositivi mediali. Il semiotico concentra la sua attenzione sulle immagini e i suoni del concerto veicolati dal mio televisore: se ne procura una registrazione, la riesamina con cura mediante appositi strumenti (un videoregistratore, un lettore di dvd ecc.) e in tal modo cerca di farsi un’idea del progetto di esperienza che essi veicolano e costituiscono. Si tratta di un altro elemento che differenzia la semiotica dei media da altre discipline mediali: al contrario di quanto avviene in altri casi, la semiotica dei media “prende sul serio” i materiali sensoriali e ritiene che proprio a partire da tali materiali sia possibile ricostruire i processi interpretativi che essi innescano e guidano e quindi le esperienze che essi costituiscono. La scelta di questo oggetto di ricerca implica un particolare procedimento. I materiali sensoriali non determinano “automaticamente” e “da soli” l’esperienza mediale: essi innescano e guidano una serie di processi interpretativi svolti da un soggetto, all’interno dei quali le risorse percettive richiedono l’intervento di risorse memoriali e culturali (cfr. cap. 2, par. 3.1). La descrizione del progetto di esperienza mediale si precisa dunque come una ricostruzione di processi interpretativi (ivi compreso il richiamo di risorse memoriali e culturali) a partire dai materiali percettivi che li sollecitano e li guidano. Come può il semiotico dei media svolgere tale compito? La semiotica recupera a questo proposito, pur con alcune distinzioni e cautele, alcuni procedimenti delle scienze “hard” – ovvero quei procedimenti di ricerca empirica (propri di fisica, biologia ecc.) i cui metodi sono soggetti a particolari protocolli di svolgimento e verifica. Anzitutto, come uno scienziato “hard” nel suo laboratorio, il semiotico opera mediante una produzione controllata dei processi che intende indagare, che permetta di osservarne in modo analitico gli andamenti ed esplicitare le relazioni causative che vi si producono. A partire dunque dai materiali sensoriali erogati dai dispositivi, egli simula l’attivazione dei processi interpretativi che costituiscono l’esperienza mediale e, al tempo stesso, ne osserva e ne esplicita gli andamenti e le relazioni causative interne e con i materiali sensoriali di partenza. Per esempio egli osserva che il concerto si apre con una carrellata dall’alto, in fly-cam, sulla folla plaudente, e ipotizza 59

L’approccio semiotico e il suo oggetto: l’analisi dei materiali sensoriali

L’approccio semiotico e il suo procedimento: esperimenti mentali, comprensione, spiegazione

Semiotica dei media

La verifica dei risultati

che essa introduca lo spettatore al clima di esaltazione collettiva che accompagna l’avvio del concerto. Ciò che distingue il semiotico dallo scienziato “hard” è la natura dei processi indagati: questi non sono di ordine fisico ma mentale (egli non intende capire quali neuroni “sparano” durante la visione del concerto), né sono di ordine attuale ma potenziale (neppure intende chiedersi cosa accade nella mente di un gruppo di specifici soggetti cavia cui il concerto è proiettato, ma vuole piuttosto avanzare ipotesi circa la progettualità esperienziale implicata nei materiali percettivi analizzati). Ne consegue che il procedimento adottato sarà sì quello dell’esperimento, ma un esperimento di ordine mentale, all’interno del quale il semiotico è al tempo stesso soggetto indagato e soggetto indagante. In altri termini il semiotico deve passare attraverso un’attivazione “sulla propria pelle”, ovvero nella propria mente e nel proprio corpo, dei processi interpretativi per poterne analizzare in modo distaccato le dinamiche causative e di svolgimento: l’attività del semiotico richiede un coinvolgimento radicale, consapevole, calcolato e controllato nell’esperienza che intende indagare. Il lavoro del semiotico possiede in tal senso un andamento “a chiasmo”: egli passa continuamente dallo svolgimento in forma simulata di processi di interpretazione “in prima persona” all’osservazione distaccata di tali processi e alla descrizione di tali processi “in terza persona”: il procedimento di analisi implica una costante oscillazione tra operazioni di comprensione e operazioni di spiegazione (Ricoeur). Sotto questo aspetto il lavoro del semiotico è anche un’“arte del fare” e richiede – al pari di certe tecniche di meditazione o di recitazione – una disciplina che va acquisita con l’allenamento. Il che spiega per inciso il carattere pratico e applicativo che abbiamo inteso dare a questo libro. C’è un altro aspetto del lavoro del semiotico che richiama quello dello scienziato empirico: il problema della verificabilità dell’esperimento e dei suoi risultati. In primo luogo anche il semiotico sa che la procedura del suo esperimento può essere viziata da fattori non previsti e non rilevati: se questo è valido per gli esperimenti “hard”, tanto più lo sarà per quelli mentali in cui possono intervenire sensibilità e umori individuali del ricercatore. Può accadere più in generale che il ricercatore adotti quadri di risorse personali o propri del suo gruppo sociale, generando quindi rappresentazioni del progetto esperienziale che sono valide solo per un tipo particolare di spettatore. Perché l’esperimento sia valido deve essere ripetibile da altri ricercatori e i dati ottenuti devono essere confrontabili: per questo il semiotico è costantemente disponibile a comparare le proprie osservazioni con quelle di altri studiosi. In secondo luogo non solo la procedura dell’esperimento, ma anche i suoi risultati devono poter essere verificati: se inizialmente la semiotica si distacca dalle discipline che indagano empiricamente l’esperienza mediale, successivamente essa sollecita un confronto tra i risultati delle proprie ricerche e quelli delle discipline socio-antropologiche o 60

3.

La semiotica e l’esperienza mediale

La semiotica e il suo sviluppo: segno, testo, esperienza Stai leggendo questo libro e cerchi di capire di cosa parla, come è articolato, quanto tempo ci vorrà per studiarlo, che tipo di domande potrebbe fare il professore all’esame, se ti serve per la tua tesi... In ogni caso stai cercando di dare un senso alla situazione che stai vivendo, ai materiali che vi sono compresi e alle pratiche che vi si svolgono. La semiotica è la disciplina che studia i fenomeni di produzione e circolazione del senso: tali fenomeni vengono chiamati significazione. Lo studio della significazione ha fatto emergere al proprio interno differenti orientamenti e interessi. Tali alternative non si configurano come opposizioni nette: esse disegnano piuttosto un quadrante all’interno del quale si è mossa e si muove la ricerca semiotica. Da un lato sono stati distinti fenomeni di significazione mediata e artificiale da fenomeni di significazione naturale e diretta: guardare le previsioni del tempo in televisione o su Internet è cosa diversa dal cercare di interpretare il colore rosso delle nuvole al tramonto. Nel primo caso la semiotica è una disciplina che studia i testi e le manifestazioni discorsive, vicina a retorica, filologia, linguistica. Nel secondo caso essa si identifica con una filosofia della mente e della conoscenza. Dall’altro lato è stato distinto uno studio dei sistemi di significazione, ossia degli insiemi di conoscenze che rendono possibile la produzione del senso, da uno studio dei processi di significazione, cioè delle azioni e degli andamenti che articolano lo svolgimento della produzione del senso: il semiotico può chiedersi grazie a quali saperi so leggere una mappa meteorologica, oppure può interrogarsi su quali operazioni metto in atto quando confronto questa mappa con il colore delle nuvole in cielo. Dal punto di vista dei modelli che ha adottato, lo sviluppo della semiotica ha visto il succedersi di tre paradigmi di ricerca incentrati su altrettanti oggetti di riferimento. La semiotica del segno ha posto al centro dell’attenzione l’unità minimale della significazione. La storia del pensiero occidentale ha spesso affrontato i problemi legati alla significazione a partire dalla nozione di segno. In epoca moderna, all’inizio del Novecento, il linguista svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913) propone il progetto di una semiologia modellata sulla linguistica: questo progetto viene ripreso negli anni sessanta del Novecento da un gruppo di intellettuali francesi tra cui spicca il nome di Roland Barthes (1915-1980) e applicato ai messaggi delle comunicazioni di massa. Questo approccio considera il segno come l’unità di un sistema di significazione. Differente invece l’approccio del filosofo americano Charles Sanders Peirce (1839-1914) che analizza il segno in quanto unità di un processo di significazione che egli chiama semiosi e pone al centro di una disciplina chiamata semiotica; tale impostazione viene ripresa negli anni settanta da alcuni studiosi tra i quali Umberto Eco (n. 1932), che lavora a una semiotica di tipo interpretativo. Sia la dizione francese (“semiologia”) che quella anglosassone oggi prevalente (“semiotica”) derivano dal termine greco usato per il segno: semeîon. La semiotica del testo ritiene che la nozione di segno vada superata in direzione di un costrutto teorico più complesso: il testo o discorso. Negli anni settanta e ottanta

61

Semiotica dei media

si profilano due direzioni di ricerca al proposito. Da un lato il testo viene visto come unità di un più ampio sistema di significazione che è la cultura: le relazioni che conducono dalla cultura al testo vengono rappresentate come un percorso generativo da Algirdas Julien Greimas (1917-1992) e dalla Scuola di Parigi raccolta intorno a lui. Dall’altro lato il testo viene visto come unità di un processo di significazione: esso veicola e al tempo stesso riflette un percorso interpretativo che pone al centro dell’attenzione la figura del lettore o dello spettatore; è la direzione seguita ancora da Eco e da vari altri studiosi tra i quali, nel settore degli audiovisivi, Gianfranco Bettetini. All’interno della semiotica del testo si sviluppano un particolare interesse e una specifica attenzione di studio per il testo narrativo e le forme del racconto. I differenti metodi e la diversa articolazione dell’edificio teorico hanno portato a opporre una semiotica generativa, prevalentemente francofona e greimasiana, e una semiotica interpretativa, che vede in Eco e nei prosecutori del lavoro di Peirce i suoi principali esponenti. La semiotica dell’esperienza è un paradigma emerso gradualmente negli ultimi venti anni circa. Il concetto di testo è considerato insufficiente a spiegare i fenomeni di significazione per due ordini di ragioni. Esso non permette di rendere pienamente conto né della dimensione sensibile ed emotiva di tali fenomeni, né delle distinzioni e delle relazioni tra materiali significanti e pratiche sociali che li caratterizzano: è soprattutto il progetto della sociosemiotica, maturato negli anni ottanta, a focalizzare tale critica. Inoltre (e soprattutto) lo stesso concetto di testo è culturalmente situato (cfr. cap. 2, par. 3.3), in quanto prodotto e riprodotto all’interno dei processi di significazione che il semiotico deve analizzare e descrivere: da explicans il testo diviene explicandum. Ne deriva la scelta di focalizzare l’attenzione della semiotica sulle esperienze di significazione. Anche per quanto concerne il nuovo paradigma la semiotica si muove all’interno del quadrante di alternative introdotto sopra: in particolare il nostro lavoro intende contribuire allo studio dei processi all’opera nel caso di fenomeni di significazione mediata.

Definizione della semiotica dei media

psicologiche e cognitive; un simile confronto permette di comprendere se e in che misura i modelli di costituzione dell’esperienza che essa ha individuato hanno operato effettivamente sulle esperienze empiriche, per quali ragioni si assiste a eventuali scostamenti, e se è eventualmente necessario riconsiderare i modelli proposti e modificare le ipotesi avanzate. Anche il fatto che a un certo punto mi alzo con l’accendino in mano può interessare il semiotico, se questi ha osservato come l’insistente inquadratura nel concerto televisivo di spettatori nello stesso atteggiamento e con le lacrime agli occhi tende a sollecitare un coinvolgimento emotivo dello spettatore. Possiamo introdurre a questo punto una definizione: la semiotica dei media è la pratica di ricerca che ricostruisce e descrive i modelli di costituzione artificiale delle esperienze mediali a partire dall’analisi dei materiali sensoriali che innescano, sostengono e articolano tali esperienze. 62

3.

La semiotica e l’esperienza mediale

3. I percorsi di ricerca della semiotica dei media 3.1. Approccio standard, etnografico e archeologico Il semiotico dei media

opera dunque a partire dai materiali sensoriali veicolati dai dispositivi mediali; adotta un procedimento incrociato di simulazione e comprensione da un lato, descrizione e spiegazione dall’altro, dei processi interpretativi innescati e guidati da tali materiali; il suo obiettivo è quello di ricostruire il design dell’esperienza mediale. Ora, nello svolgere questo lavoro egli si rende immediatamente conto che il suo risultato può non essere univoco. Abbiamo detto infatti che i materiali sensoriali, nel momento in cui vengono presi all’interno dei processi interpretativi, richiedono l’intervento di determinate risorse memoriali e culturali affinché possano venir prodotte configurazioni sensate. A partire da questo principio, sono possibili tre differenti casi. Anzitutto è possibile che il semiotico rintracci, all’interno di uno stesso set di materiali sensoriali, richiami paralleli e relativamente distinti a competenze culturali diverse e tali da differenziare vari gruppi sociali e “target” di pubblico. Per esempio le canzoni del concerto televisivo sono piuttosto datate perché il gruppo è presente sulla scena musicale da una trentina d’anni. Tuttavia gli arrangiamenti e lo stile visivo del concerto sono molto dinamici e giovanili: lo spettacolo intende catturare sia i fan più attempati, sia un pubblico più giovane abituato a stili espressivi diversi da quelli delle origini del gruppo. Questa pluralità, per essere colta, richiede che l’analista sappia calarsi in differenti tipologie di spettatori: egli deve essere capace di adottare e incorporare in sé stesso quadri di risorse cognitive, sensibili, emotive e valoriali che non sempre gli appartengono. Dal momento che si tratta della situazione in cui normalmente il semiotico si trova a operare, parliamo di un approccio standard della semiotica dei media. Tuttavia il semiotico può spingersi oltre e considerare, all’interno del proprio esperimento mentale, il caso di spettatori del concerto che sono in possesso di risorse memoriali e culturali molto differenti dalle sue. Ipotizziamo il caso che il mio concerto sia trasmesso da un canale satellitare e ricevuto da una famiglia molto lontana dagli standard culturali dell’Occidente: è possibile che esso venga guardato come una sorta di documentario sugli strani riti collettivi che caratterizzano il mondo occidentale. L’esempio non è peregrino: alcune ricerche indicano che questo è stato l’atteggiamento con cui alcuni paesi non occidentali hanno accolto le prime soap operas; e per la verità è un po’ lo stesso atteggiamento con cui ci poniamo di fronte al televisore quando ci capita di ricevere via satellite una fiction televisiva giordana o cinese. Questa situazione di ricerca richiede al ricercatore una particolare dislocazione culturale, più pronunciata che nel caso dell’approccio standard: parliamo di un approccio etnografico della ricerca semiotica. 63

L’approccio standard

L’approccio etnografico

Semiotica dei media L’approccio archeologico

In questo libro seguiamo l’approccio standard

Un terzo e ultimo caso riguarda la possibilità che il semiotico incontri nel suo lavoro materiali che per essere interpretati richiedono competenze memoriali e culturali che sono state perdute o non sono più correntemente usate. Nell’ambito del nostro esempio possiamo pensare che il regista dello show televisivo pensi bene di trasmettere, durante la pausa tra il primo e il secondo tempo del concerto, un vecchio filmato delle origini del gruppo girato con una cinepresa in 16 millimetri. Se si volesse recuperare l’esperienza “originale” di visione del vecchio filmato (e non quella attuale, nostalgica e un po’ infastidita dalla cattiva qualità dell’immagine e del suono) occorrerebbe ricostruire le competenze e le risorse memoriali e culturali dell’epoca, ed effettuare una vera e propria archeologia dell’esperienza mediale. Si pensi ad esempio alla complessità ma anche all’utilità e al fascino che un simile approccio presenta per documenti mediali molto lontani, come il cinema delle origini o le prime trasmissioni radiofoniche. Questa situazione implica una dislocazione culturale del ricercatore ancora più pronunciata dell’approccio etnografico, in quanto si tratta anzitutto di ricostruire mediante i documenti ritenuti pertinenti un certo universo culturale per poi ipotizzare in che modo le esperienze mediali siano state concepite e vissute al suo interno: parliamo di un approccio archeologico. In sintesi l’approccio standard della semiotica dei media studia in che modo i materiali sensoriali vengono interpretati nello spazio culturale all’interno del quale sono prodotti – per quanto questo possa essere frastagliato e dar luogo a percorsi interpretativi differenti; l’approccio etnografico studia in che modo i materiali sensoriali vengono interpretati in spazi culturali differenti da quello all’interno del quale sono prodotti; l’approccio archeologico studia infine in che modo i materiali sensoriali venivano interpretati nello spazio culturale all’interno del quale erano stati prodotti e che è oggi scomparso. In questo libro ci atteniamo all’approccio standard, ma il lettore sappia che il metodo che presentiamo può essere usato anche per gli altri tipi di approccio. 3.2. Semiotica dei sistemi e semiotica dei processi I materiali sensoriali, una

Lo studio dei linguaggi dei media

volta presi nei processi interpretativi che essi controllano, richiedono dunque il recupero di particolari risorse memoriali e culturali. Questo principio comporta un’altra conseguenza per l’andamento della ricerca. Essa può scegliere due orientamenti che, per quanto complementari, sono differenti (cfr. anche La semiotica e il suo sviluppo, pp. 61-2). Da un lato il semiotico può studiare i sistemi di significazione. Egli decide di concentrarsi sulle risorse della memoria e della cultura richiamate dai materiali sensoriali e sulle condizioni necessarie affinché i materiali sensoriali possano dar luogo a configurazioni sensate. Nel caso della semiotica dei media questo orientamento di studio si occupa in particolare dei differenti lin64

3.

La semiotica e l’esperienza mediale

guaggi mediali. All’interno di questo orientamento i materiali sensoriali mediali vengono letti in quanto indizi di quegli elementi della cultura degli spettatori che sono necessari affinché l’esperienza mediale si svolga secondo il progetto che la informa; essi vengono confrontati con altri insiemi di materiali mediali per studiare analogie e differenze, e mettere in atto un procedimento di astrazione e generalizzazione. Prendiamo per esempio la carrellata dall’alto, in fly-cam, sulla folla plaudente che apre il concerto: essa richiama il mio sapere e la mia competenza rispetto a una modalità di rappresentazione audiovisiva che esalta la spettacolarità e l’eccezionalità di quanto viene mostrato, e si caratterizza mediante un confronto con altre modalità di rappresentazione: si avvicina al dolly dei kolossal hollywoodiani, si distacca dal piano fisso ripreso ad altezza normale ecc. Dall’altro lato il semiotico può studiare i processi di significazione. Egli decide di concentrarsi sullo svolgimento e sulle dinamiche dei processi interpretativi che, a partire dai materiali sensoriali, portano alla formulazione di configurazioni sensate e quindi a un certo svolgimento precostituito dell’esperienza mediale. I materiali sensoriali vengono analizzati in quanto rinviano alle modalità di svolgimento dell’esperienza mediale. Per esempio la carrellata dall’alto in fly-cam dona all’avvio dell’esperienza di visione del concerto un aspetto di esaltazione collettiva, mi fa sentire parte della folla eccitata e al tempo stesso mi dà l’idea di “avvicinarmi” al palcoscenico all’avvio dell’evento. Essa viene confrontata con le altre configurazioni che fanno parte dei materiali sensoriali. Il movimento planante “rima” con la fluidità di un accordo tenuto sul versante sonoro; ad essa si contrappone un violento primo piano del cantante del gruppo che irrompe immediatamente dopo e così via. Abbiamo già accennato al fatto che i due orientamenti sono complementari. Essi in sostanza guardano lo stesso fenomeno – i processi interpretativi e la costituzione dell’esperienza mediale – da due punti di vista diversi: quello dei sistemi di competenze e conoscenze mano a mano richiamati e modificati e quello dei processi di svolgimento dell’interpretazione e dell’esperienza. In questo libro privilegeremo l’approccio che descrive i processi di significazione, in quanto permette di rendere conto più direttamente dei modelli di costituzione artificiale dell’esperienza mediale. 4. Il metodo di ricerca della semiotica dei media Il lettore si sarà accorto che nel corso di questo capitolo si è prodotto uno slittamento da un setting a un altro: siamo partiti dal considerare uno spettatore comodamente seduto davanti a uno schermo televisivo mentre viene trasmesso un concerto di musica rock; siamo arrivati a considerare un ricercatore che, posto davanti a un lettore dvd, guarda e riguarda le immagi65

Lo studio delle esperienze mediali

Semiotica dei media

Dal procedimento di lavoro al metodo di analisi

La fase della descrizione dei materiali sensoriali

La fase della scomposizione analitica

La fase della ricomposizione sintetica

ni e riascolta i suoni del concerto per capire in che modo quelle immagini e quei suoni determinino l’esperienza dello spettatore. Nonostante la prima situazione sia decisamente più divertente della seconda, siamo costretti a trattenere la nostra attenzione sul ricercatore e a chiederci come, in termini concreti, questi deve lavorare per raggiungere il suo scopo. Cerchiamo insomma di capire in che modo il procedimento di ricerca tratteggiato nel par. 2.2 si traduca in un metodo di lavoro. Riassumiamo in cosa consiste il procedimento che guida il lavoro del semiotico. Egli a) prende in esame i materiali sensoriali che, erogati da un dispositivo mediale, determinano una certa porzione di esperienza; b) mette in atto a partire da essi alcuni processi interpretativi in forma di simulazione controllata, in modo da cogliere in quale maniera i materiali sensoriali li guidano e li determinano; c) giunge a definire così un progetto di determinazione complessivo dell’esperienza mediale che viene costituita a partire dai materiali sensoriali e mediante i processi interpretativi. Possiamo affermare che ciascuno di questi tre passaggi corrisponde a una fase pratica del lavoro del ricercatore. La prima fase, corrispondente al passaggio a, è quella della descrizione dei materiali sensoriali. Si tratta di scegliere i materiali sui quali si intende lavorare e fornirne una prima mappatura. Nel caso di materiali grafici è utile una descrizione accurata ed eventualmente degli schizzi che esplicitino certi schemi soggiacenti (per esempio l’impaginazione di una pagina di fumetti: cfr. cap. 13). Nel caso di media audiovisivi risulta indispensabile una trascrizione che consenta al ricercatore di maneggiare e controllare una notevole quantità di elementi sovrapposti (ne forniamo un esempio al cap. 15). Per esempio, se il nostro ricercatore ha deciso di lavorare sulle prime immagini del concerto televisivo, dovrà effettuare una mappatura delle inquadrature cui limita il suo lavoro, annotando sulla carta per ciascuna di esse il numero, la durata, i contenuti della parte visiva, il tipo di inquadratura e di movimento di macchina, gli stacchi di montaggio, i contenuti e qualità del sonoro sia sotto il profilo della musica che dei rumori o del parlato ecc. La seconda fase, corrispondente al passaggio b, è quella dell’analisi. Il ricercatore scompone il continuum dei materiali percettivi e individua gli elementi e gli aspetti di tali materiali che risultano pertinenti nella determinazione dei singoli processi interpretativi. Per esempio rileva l’importanza del movimento della fly-cam sulla folla indistinta, ai fini di costituire l’idea di un “ingresso” sulla scena del concerto; mette in evidenza l’uso accorto della nota di chitarra elettrica che accompagna tale movimento e ne sottolinea la fluidità e così via. La terza fase, corrispondente al passaggio c, è quello della sintesi. Il ricercatore ricompone i differenti processi interpretativi rilevati e osserva in che modo le configurazioni che sono state prodotte agiscono reciprocamente all’interno di un progetto unitario: questo rappresenta appunto il progetto 66

3.

La semiotica e l’esperienza mediale

di determinazione artificiale dell’esperienza mediale cui egli intendeva giungere. 5. Un tracciato di analisi dell’esperienza mediale Si pone a questo punto un’ultima questione: come è possibile rappresentare questo progetto complessivo di esperienza mediale? Quale forma esso assume? Quali snodi e quali fasi interne prevede? In altri termini: in vista di quale modello e seguendo quale tracciato e quali snodi il semiotico può organizzare tanto il lavoro di scomposizione analitica dei materiali quanto quello di ricomposizione sintetica del progetto di esperienza mediale cui intende pervenire? Possiamo apprezzare a questo punto l’utilità dell’osservazione conclusiva del cap. 2, par. 2.2. Come abbiamo evidenziato in quella sede, il progetto di esperienza mediale cui tende la ricostruzione semiotica è isomorfo al modello della stessa esperienza; esso può dunque essere rappresentato come un’articolazione dei tre strati della rilevazione sensibile, dell’ordinamento narrativo e della sintonia relazionale rispetto ai tre campi di oggetti intenzionali del mondo indiretto, del discorso e del mondo diretto. Portando avanti questa idea possiamo individuare una rete di snodi del progetto di esperienza mediale che corrispondono ai punti di incrocio tra gli strati di configurazioni e i campi di oggetti intenzionali; fa eccezione lo strato della rilevazione sensibile il quale, precedendo la costituzione dei campi di oggetti, tocca ma non incrocia mondo indiretto, discorso e mondo diretto e costituisce dunque uno snodo a sé 1. Ne deriva una rete di sette snodi che è possibile localizzare graficamente in fig. 1. Lo snodo A comprende l’intero strato della rilevazione e della qualificazione sensibile dei materiali sensoriali erogati dai dispositivi. Lo snodo B riguarda l’ordinamento narrativo del mondo indiretto e la costruzione delle relative mappe situazionali; lo snodo C tocca invece l’ordinamento del discorso nei suoi differenti aspetti di produzione, intreccio e formato; nello snodo D lo strato dell’ordinamento incrocia il mondo diretto: l’esperienza mediale individua i rapporti tra tale mondo diretto e gli altri due campi di oggetti, sia nel senso della continuità che della discontinuità. Con lo snodo E ci trasferiamo allo strato delle relazioni tra il soggetto fruitore e gli altri soggetti che vengono costituiti all’interno dell’esperienza mediale: in particolare tale snodo concerne la relazione tra il soggetto dell’esperienza e i soggetti presenti all’interno del mondo indiretto; lo snodo F focalizza invece le relazioni tra il soggetto dell’esperienza e i soggetti del discorso. Lo snodo G concerne infine la relazione del soggetto con altri soggetti del 1. Cfr. nota 2 del cap. 2.

67

Il modello dell’esperienza mediale come traccia per la ricomposizione sintetica

I sette snodi dell’esperienza mediale e le focalizzazioni dell’analisi

Semiotica dei media

figura 1

A

Rilevazione sensibile B Ordinamento narrativo

C D

Sintonia relazionale

E

F Mondo indiretto G Discorso Mondo diretto

mondo diretto a partire da un comune attraversamento esperienziale dei materiali mediali. I sette capitoli che compongono la seconda parte di questo libro sono dedicati a esplorare i singoli snodi che compongono l’esperienza mediale; essi rappresentano in tal modo una “visita guidata” all’esperienza mediale e un tentativo di spiegare la ricchezza molteplice e complessa del suo progetto. Percorsi di approfondimento Sono disponibili molte introduzioni ai differenti approcci ai media, soprattutto di taglio sociologico, antropologico e psico-sociale: segnaliamo tra i testi recenti Mancini, Marini (2006), Branston, Stafford (2006) e Boni (2006). Gli approcci sociologici in particolare sono efficacemente presentati (anche nelle loro relazioni con la semiotica) da Sorice (2009). Sono ugualmente disponibili diversi manuali di introduzione alla semiotica generale. Tra quelli a orientamento storico segnaliamo Bettetini et al. (1999, 2003), Bettetini (2009) e le antologie con commenti e introduzioni dei testi Fabbri, Marrone (2000, 2001) e Lorusso (2005). Tra quelli invece orientati alla presentazione sistematica della disciplina: Pozzato (1999) (sulla semiotica testuale), Volli (2000), Bertrand (2000) (pur essendo dedicato alla semiotica letteraria introduce concetti generali),

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3.

La semiotica e l’esperienza mediale

Gensini (2004), Magli (2004) (di impostazione più spiccatamente greimasiana). Per una mappatura delle due aree principali della semiotica, quella di orientamento strutturalista e quella incentrata sull’interpretazione, Traini (2006); per una introduzione alla semiotica strutturalista greimasiana Marsciani, Zinna (1991); per una introduzione alla semiotica dell’interpretazione Pisanty, Pellerey (2004). Gli orientamenti più espliciti verso una semiotica dell’esperienza derivano attualmente dalla sociosemiotica (Landowski, 2004, Marrone, 2010), dalla semiotica delle passioni e del sentire (Fontanille, 2004, Marrone, 2005) e dalla semantica di impronta fenomenologica (Violi, 2007). Una rassegna di posizioni e di opinioni in Marrone, Dusi, Lo Feudo (2007). Una panoramica di percorsi e articolazioni in Eugeni (2009a). Alcune presentazioni di una semiotica dei media (di impostazione differente rispetto alla nostra) sono Jensen (1995), Bignell (2002), Thwaites, Davis, Mules (2002), Danesi (2002), Gillespie, Toynbee (2006). Una raccolta di saggi in italiano è Pezzini, Rutelli (2005). Un esame dei differenti settori della semiotica dei media nel testo a cura di Eugeni (2009b). La relazione tra comprensione e spiegazione è stata affrontata da Paul Ricoeur in varie sedi; con specifico riferimento al metodo semiotico, cfr. Ricoeur, Greimas (2000), in particolare pp. 62-79. Tra le riviste che presentano con una certa regolarità interventi di semiotica dei media ricordiamo almeno “Versus, Quaderni di studi semiotici” (Bompiani) e “Semiotica – Journal of the International Association for Semiotic Studies / Revue de l’Association Internationale de Sémiotique” (Mouton de Gruyter). Tra le risorse on line segnalo: il sito Semiotica, cultura e comunicazione (http://www. archiviosemiotica.eu) dell’Università della Sapienza di Roma e la Fondation Maison des sciences de l’homme; “E|C”, rivista on line dell’Associazione Italiana Studi Semiotici (http://www.ec-aiss.it/); “Ocula – Occhio semiotico sui media” (http://www.ocula.it/); “Nouveau Actes Sémiotiques”, di taglio greimasiano (http://revues.unilim.fr/nas/index.php) e “CSonline”, rivista animata dal dottorato in Culture della Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano (http:// www.comunicazionisocialionline.it/). Presenteremo nei capitoli della terza parte del libro alcune opere di taglio semiotico dedicate a media particolari; occorre tuttavia precisare che nella semiotica dei media ha giocato un ruolo di rilievo la teoria e l’analisi del cinema e dell’audiovisivo: su questo settore cfr. i manuali introduttivi di Casetti, Di Chio (1990), Rondolino, Tomasi (1995), Ambrosini, Cardone, Cuccu (2003), Sainati, Gaudiosi (2007). Per un’introduzione alle teorie del cinema e dell’audiovisivo e le loro connessioni con la semiotica si vedano Casetti (1993) e Stam, Burgoyne, Flitterman-Lewis (1992). Per una panoramica sui metodi di analisi dei film Bertetto (2003, 2006).

Quaderno degli esercizi Pensa a una tua esperienza mediale ordinaria (per esempio quella considerata nel Quaderno del capitolo precedente). Ti è mai capitato di accorgerti che certi materiali mediali intendono produrre su di te o su altri spettatori un certo effetto?



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Semiotica dei media

Quali elementi provocano questa impressione (una “cattiva” recitazione? Una resa dell’immagine troppo “estetica”...)? Seguendo le indicazioni che vengono fornite al cap. 15, effettua la trascrizione di un testo breve: per esempio uno spot pubblicitario o un trailer cinematografico. Elenca gli elementi sensoriali (una particolare inquadratura, un movimento di macchina, un simbolo grafico ecc.) che a tuo parere caratterizzano l’esperienza di visione dei materiali che hai trascritto. Prova a guardare lo spot o il trailer con gli occhi e il patrimonio di conoscenze, competenze e gusti di un tuo amico/a (o comunque di una persona differente da te quanto a cultura, formazione ecc.). Prova a ipotizzare le sue reazioni a contatto con i materiali sensoriali trascritti. Ripensa all’esperienza di trascrizione e di primo avvio all’analisi che hai vissuto nei termini del procedimento di analisi sopra descritto.



• • •

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Parte seconda Una visita guidata all’esperienza mediale

La seconda parte di questo libro, che abbraccia i capitoli dal 4 al 10, esamina in modo approfondito ciascuno dei sette snodi dell’esperienza mediale messi in evidenza alla fine del cap. 3. Essa costituisce dunque una graduale esplorazione dei differenti registri che nel loro intreccio compongono l’esperienza mediale; al tempo stesso tale excursus permette di dettagliare il progetto di esperienza che viene costituito attraverso i media: ogni snodo corrisponde infatti a un determinato aspetto del design dell’esperienza, come verrà esplicitato in ciascuno dei paragrafi conclusivi. L’esposizione di questa seconda parte fa costante riferimento quale esempio-guida a Grave Danger (Sepolto vivo), doppio episodio della fiction televisiva csi scritto e diretto da Quentin Tarantino, che ha concluso negli usa il 19 maggio 2005 la quinta stagione della serie. I sette capitoli ripercorrono passo passo il film televisivo di Tarantino ed evidenziano di volta in volta gli aspetti utili a introdurre i differenti snodi dell’esperienza mediale. Questa scelta intende sottolineare il carattere operativo dell’approccio da noi proposto: non intendiamo illustrare concetti e categorie di analisi in astratto, quanto piuttosto far vedere “dal vivo” in che modo si può condurre l’analisi progressiva di un’esperienza mediale, dotandosi di volta in volta degli strumenti concettuali e metodologici appropriati. I riquadri all’interno dei capitoli presentano gli approcci “classici” della semiotica (in particolare della semiotica testuale) alle questioni che vengono via via affrontate; essi intendono esplicitare il dialogo incessante che lega la semiotica dell’esperienza mediale alla storia della disciplina e al panorama delle scienze umane.

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4 I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

1. Premessa Questo capitolo prende in esame lo strato della rilevazione e qualificazione sensibile. Il secondo paragrafo descrive le inquadrature che aprono Grave Danger e che costituiscono la base per le osservazioni seguenti. Il terzo paragrafo chiarisce cosa sono i processi sensoriali e in cosa consiste al loro interno la specificità della qualificazione sensibile. Il quarto paragrafo esamina le dinamiche del sensibile e distingue in particolare tra qualificazioni tonali e qualificazioni ritmiche. Il quinto e il sesto paragrafo analizzano come vengono rilevate e organizzate rispettivamente le qualità sensibili tonali e quelle ritmiche all’interno dell’esperienza mediale audiovisiva. Il paragrafo conclusivo evidenzia come lo snodo affrontato nel corso del capitolo implichi un design sensibile dell’esperienza mediale. 2. I grattacieli e la strada Da un frame completamente bianco emerge per assolvenza velocissima l’immagine del pinnacolo di un grattacielo illuminato di bianco sul fondo della notte; tale sfondo è screziato di luci multicolori: l’immagine è ripresa dall’alto con un rapido movimento circolare da destra verso sinistra, per cui le luci di fondo risultano leggermente filanti. L’inquadratura dura 2 secondi (fig. 1). Un brevissimo flash bianco introduce una seconda inquadratura dall’alto e in movimento su Las Vegas notturna: la facciata di un albergo rivestito di vetro scuro con sottili strisce arancioni sovrastato dalla scritta a lettere maiuscole “Mandalay Bay”, su cui si riflettono le luci della notte; il movimento è sempre circolare ma questa volta va da sinistra a destra. La seconda inquadratura dura 3 secondi (fig. 2). Un accento sonoro entra all’inizio della prima inquadratura, seguito da un tenuto di archi che si prolunga sulla seconda immagine mentre entra il suono dell’elicottero. A questo punto un nuovo flash bianco introduce l’immagine di una via di Las Vegas, inquadrata dall’alto al centro dell’immagine (fig. 3); la camera è sempre dinamica, ma possiede ora un andamento lineare e non più circola75

Semiotica dei media

figura 1

figura 2

re, a seguire la striscia della strada. Anche il sonoro cambia: un attimo prima del secondo flash bianco, un attacco ritmato introduce i primi giri armonici di una canzone country e la musica di archi fa posto alle note liquide di una chitarra acustica. L’inquadratura dura 4 secondi. Nell’istante in cui al suono della chitarra si sovrappone quello della voce di un cantante, 76

4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

figura 3

uno stacco diretto ci mostra un primo piano ripreso lateralmente dell’agente della squadra csi Nick Stokes alla guida della sua auto mentre canta la canzone country (Christmas in Las Vegas). Sullo sfondo, dal finestrino, vediamo scorrere nel buio azzurrato le luci colorate rosse, gialle e turchesi della città. Questa quarta inquadratura dura 9 secondi. Per quanto brevissimo (dura appena 19 secondi) questo segmento è sufficiente per introdurre le nostre considerazioni. 3. Sensazione e percezione nei processi sensoriali 3.1. La natura attiva e situata dei processi sensoriali Che tipo di esperienza sensoriale viene innescato e guidato da questo segmento di immagini in movimento accompagnate da suoni? Per rispondere dobbiamo chiarire in cosa consistono i processi sensoriali e sgomberare anzitutto il campo da alcune concezioni inesatte relative ad essi. Secondo una concezione ingenua, svolgere un’esperienza sensoriale vuol dire costruirsi una rappresentazione mentale simile a una fotografia o a un film di una certa scena. Noi saremmo spettatori di questo “film interiore” che scorre nella nostra testa. Tale concezione è fuorviante per tre ordini di ragioni. In primo luogo questo modo di intendere i processi sensoriali implica l’idea di un soggetto passivo e separato dal mondo che egli “rappresenta”. Al contrario, non c’è processo sensoriale senza movimento e senza azione: percepire fa parte dell’interagire con un ambiente complesso e rientra nel

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I processi sensoriali implicano l’azione

Semiotica dei media

La simulazione incorporata del movimento e dell’azione

I processi sensoriali coinvolgono modalità differenti

nostro costante dispiegare attività di progettazione, attivazione e controllo di azioni all’interno di un mondo. Di conseguenza non siamo mai spettatori distaccati di questo mondo: nel percepire non “assistiamo” allo spettacolo di un mondo, ma lo costituiamo attivamente attraverso il nostro interagire con gli elementi che lo compongono, a partire dalla specifica collocazione in cui ci troviamo. Ovviamente si può ribattere che noi non sempre ci muoviamo all’interno del mondo. Sono nel mio studio e osservo il tavolo ingombro di fogli, matite, l’immancabile tazza di caffè e, davanti a me, la vetrata che dà sul giardino, con il suo aspetto liscio e lucido. Percepisco tutto questo senza muovermi all’interno di questa piccola porzione di mondo. Tuttavia anche in questo caso non si può dire che sia propriamente uno spettatore distaccato: a ben vedere pur non muovendomi io ho infatti simulato una serie di spostamenti, di contatti fisici, di prensioni di oggetti. Tanto è vero che se vedo la signora delle pulizie toccare gli oggetti che sono sul mio tavolo per pulirli, sento che è “come se” io stesso svolgessi l’esperienza sensoriale cui assisto. In assenza di queste forme di simulazione incorporata del movimento e della prensione non si danno effettivamente processi sensoriali. I processi sensoriali sono dunque sempre “enattivi”, come sostengono alcuni studiosi di scienze neurocognitive: essi implicano comunque un agire (effettivo o simulato) e un “mettersi nel corpo” di un soggetto che si muove in un ambiente per saggiarne le possibilità. La scena che ho davanti, di conseguenza, non assomiglia per nulla a una fotografia ma si avvicina piuttosto all’immagine di un gioco elettronico che mi permette di muovermi al suo interno, di avvicinarmi ad alcune parti per esaltarne le dimensioni e il rilievo, di afferrare e spostare oggetti e in generale di modificare alcuni stati di cose. Insomma: i processi sensoriali sono sempre senso-motori, situati e incorporati, ovvero effettuati a partire da una relazione dinamica, fisica, concreta tra corpo e mondo. 3.2. Il carattere multimodale e intermodale dei processi sensoriali La seconda

ragione per cui la metafora della fotografia o del film interiori è inesatta riguarda il fatto che essa isola il senso della vista rispetto alle altre modalità sensoriali. Al contrario, l’esperienza sensoriale è un processo complesso che coinvolge molteplici modalità e flussi sensoriali che sono compresenti e interagiscono reciprocamente. Anzitutto i processi sensoriali sono multimodali nel senso che implicano l’accoglienza contemporanea e interagente di una varietà di stimoli esterni differenti: visivi, sonori, tattili, termici, gustativi, olfattivi. Mentre guardo il mio tavolo di lavoro e la vetrata di fronte sento il suono della pioggia che cade, la ventola del computer, l’odore della terra bagnata, il fresco del tavolo di marmo sotto il palmo della mia mano e così via. I processi interpreta78

4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

tivi che costituiscono la mia esperienza selezionano e collegano incessantemente questi flussi sensoriali. Inoltre se, come abbiamo detto sopra, i processi sensoriali implicano movimento e azione, i dati provenienti dal mondo, o esterocettivi, devono essere integrati con i dati che provengono dalla percezione del proprio corpo in quanto oggetto/soggetto in movimento, o propriocettivi. Nel nostro interagire con il mondo mobilitiamo costantemente una serie di mappe somatiche, o schemi corporei, che fanno capo principalmente alla percezione fornita dall’apparato muscolo-scheletrico e che ci danno informazioni circa la postura e i gesti in corso. Dunque noi “sentiamo” il nostro corpo interagire con il mondo nello stesso momento in cui accogliamo le sensazioni che il mondo ci offre. Per esempio se mi riscuoto dalla contemplazione del mio tavolo di lavoro e torno a scrivere al computer, avverto i movimenti del mio collo e degli occhi che spostano lo sguardo dal tavolo alla tastiera e allo schermo, i gesti delle mani e il controllo che esercito sui polpastrelli per dosare la forza con cui batto sui i tasti, e così via (informazioni propriocettive); e combino costantemente questi flussi con quelli visivi e tattili che mi vengono dal contatto e dal rapporto con il computer e la sua tastiera (informazioni esterocettive) 1. C’è anche una seconda ragione per cui i processi sensoriali sono complessi dal punto di vista delle modalità coinvolte: essi sono non solo (come abbiamo appena visto) multimodali, ma anche intermodali. Ogni processo sensoriale implica dunque un certo grado di sinestesia. La copertina lucida del libro che un collega mi ha appena inviato occhieggia sulla mia destra: nel processo sensoriale che mi porta a registrare tale presenza, la modalità visiva che esercito è intimamente legata a quella del tatto che non esercito effettivamente ma che comunque viene richiamata in modalità di simulazione; e il tatto a sua volta richiama un percorrere con il dito la superficie di carta e dunque una modalità sensoriale propriocettiva. 3.3. Le due logiche operative dei processi sensoriali: sensazione e percezione

La terza ragione per cui la metafora della fotografia o del film nel cervello non è soddisfacente risiede in una sua ulteriore implicazione: percepire vorrebbe dire semplicemente costruire la rappresentazione di una porzione 1. Occorre precisare (senza poter sviluppare però questo punto) che ai dati esterocettivi e propriocettivi vanno integrati anche i dati interocettivi, relativi ai “visceri” e al “milieu interno”, ovvero agli stati fisiologici del corpo e alle sue più o meno accentuate e incessanti alterazioni e modulazioni (cfr. cap. 1, par. 2.3). Mentre lavoro sto aspettando una telefonata importante e ogni tanto stacco gli occhi dallo schermo e guardo il telefono: percepisco allora il risorgere di un senso di nervosismo e di una piccola agitazione che già perdurava sullo sfondo e si esprime in una lieve accelerazione del mio battito cardiaco e in un altrettanto leggero aumento della sudorazione delle mie mani.

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Esterocezione e propriocezione

Scambi intermodali e sinestesie

I processi sensoriali incrociano due logiche differenti

Semiotica dei media

La logica della percezione

La logica della sensazione

La sensazione è autonoma dalla percezione

di mondo. In realtà a ben vedere i processi sensoriali sono più complessi e articolati. Da un lato è indubbio che vi sia un’attività di rappresentazione, se con questo termine indichiamo (in base a quanto abbiamo detto nel par. 3.1) la costruzione di uno strumento attendibile di pianificazione e controllo progressivo di una relazione interattiva tra il soggetto e il mondo. Sotto questo aspetto i processi sensoriali rappresentano il punto di accesso allo strato dell’ordinamento narrativo delle risorse esperienziali (cfr. cap. 1, par. 3.3) e ne costituiscono il gesto originario, ovvero la costituzione di campi di oggetti intenzionali a partire dalla distinzione fondante tra esterno e interno del corpo del soggetto esperiente. Chiamiamo questo versante dei processi sensoriali “percezione”. Dall’altro lato però i processi sensoriali presentano un aspetto e una logica differenti: essi consistono nell’esperienza di alcune qualità e delle loro relazioni, che non sono di per sé rappresentabili nella forma di campi di oggetti intenzionali. Nell’esplorare il mio tavolo di lavoro percepisco il carattere liscio e duro di alcune superfici (la lastra di marmo, la vetrata davanti a me), la consistenza elastica di altre (la tastiera dei computer), il carattere massiccio e pesante di alcuni volumi (una vecchia mastodontica stampante laser, una grossa radio) e quello sottile e leggero di altri (i foglietti sgualciti dei miei appunti, lo schermo del mio portatile), il carattere frammentato e disordinato di alcuni spazi (i fogli sparpagliati al mio fianco) e così via, senza che debba necessariamente attribuire tale qualità a degli oggetti precisi. Chiamiamo questo versante dei processi sensoriali “sensazione”. Nel modello di esperienza che stiamo proponendo, la sensazione è autonoma dalla percezione e la precede da un punto di vista logico. La rilevazione qualitativa delle risorse (sensazione) non richiede di per sé la loro organizzazione intenzionale (percezione); la percezione al contrario basa il proprio lavoro di selezione e messa in forma su quanto rilevato dalla sensazione. Il sentire il “liscio” del mio tavolo prescinde dal fatto che il tavolo sia davanti a me e sotto la mia mano, tanto è vero che ritrovo lo stesso senso di “liscio” sulla vetrata che vedo di fronte a me; al contrario il fatto di percepire il tavolo o la vetrata deriva dall’organizzare in base a coordinate spaziali precise le qualità delle superfici e dei volumi che sono alla portata dei miei sensi. La sensazione costituisce un sistema di rilevazione e di inscrizione nella memoria a breve termine delle risorse sensoriali e di alcune loro relazioni; tale sistema possiede il duplice vantaggio di essere veloce e di ampia portata: la sensazione fornisce alla percezione alcune risorse già parzialmente elaborate e altre al momento accantonate ma potenzialmente utili e integrabili. In particolare è probabile che la sensazione svolga un ruolo fondamentale nella correlazione tra le differenti modalità sensoriali esterocettive, nonché tra queste e quelle propriocettive e interocettive. 80

4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

I processi legati alla sensazione, ovvero la rilevazione e la qualificazione delle risorse disponibili da parte del soggetto, costituiscono dunque il primo strato dell’esperienza mediale: ad essi è dedicato il presente capitolo. Prima di proseguire con il nostro esame è tuttavia indispensabile chiarire un punto. In base al nostro modello di esperienza, l’autonomia della sensazione non implica affatto il suo isolamento: al contrario, in base alla logica a spirale dei processi interpretativi che articolano l’esperienza, sensazione e percezione interagiscono reciprocamente mediante una determinazione e rideterminazione incrociata. Vedremo in particolare in che modo le configurazioni sensibili vengono recuperate nella costruzione di figure e metafore del racconto (cap. 5) e di come esse siano determinanti nella percezione del discorso e dei suoi stili (rispettivamente, capp. 6 e 9) 2.

La sensazione interagisce con la percezione

4. La dinamica dei processi sensibili 4.1. L’attivazione delle configurazioni sensibili Una volta isolati i processi le-

gati alla sensazione, esaminiamo più in dettaglio la loro dinamica. Essi consistono, abbiamo detto, nella rilevazione di qualità collegate ai dati sensoriali. Ma cosa vuol dire “rilevare una qualità”? Passo la mano sul piano di marmo del mio tavolo di lavoro e avverto il suo carattere “liscio”. Posso dire di aver rilevato una certa qualità sensibile: ma posso dirlo perché ho avvertito una certa sensazione di familiarità, ovvero ho “riconosciuto” la presenza di una determinata qualità. In altri termini la rilevazione di una qualità implica la presenza, il recupero e la mobilitazione di una microunità di conoscenza sensibile che era già parte della mia memoria e delle mie competenze: la chiameremo configurazione sensibile elementare (cse). A prima vista potrei dire che la cse è costituita da dati tattili e che di conseguenza il “liscio” è una qualità legata al tatto; ma a ben vedere non è così. Ricordiamo che la sensazione partecipa della intermodalità propria di tutti i processi sensoriali (cfr. par. 3.2). Se posso rilevare la qualità del “liscio” è perché “riconosco” un’associazione tra un certo gesto di percorrenza, la costanza con cui i dati tattili mi giungono, la relativa assenza di attrito, nonché un determinato aspetto visivo del piano di marmo. La cse è insomma una unità sinestesica (ovvero multimodale e intermodale) e sensomotoria (al suo interno i dati sensoriali esterocettivi sono messi in rela2. Benché non possiamo approfondire questo punto, osserviamo inoltre che anche le configurazioni sensibili sono legate (come ogni tipo di configurazione interpretativa) a memorie culturalizzate: il modo in cui sentiamo il mondo che ci circonda è largamente appreso. Per esempio la “gerarchia” delle modalità sensoriali cambia da cultura a cultura: l’ambiente culturale in cui viviamo ha rinunciato alla preminenza dell’udito o dell’olfatto per favorire il nesso tra la vista e il tatto. Cfr. quanto già detto al cap. 1, par. 2.2.

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Le configurazioni sensibili elementari (cse)

Caratteri delle cse: sinestesia e sensomotricità

Semiotica dei media

Caratteri delle cse: attivazione e riattivazione multipla

Le configurazioni sensibili complesse (csc)

zione con i dati propriocettivi relativi al movimento che ne ha prodotto la particolare conformazione). Non è dunque il singolo dato sensoriale (per esempio tattile) a permettere la rilevazione e l’attribuzione di una qualità sensibile, ma la possibilità di ricondurre certi dati sensoriali a una particolare cse sinestesica e sensomotoria: solo all’interno delle cse – e quindi dalla interazione tra dati sensoriali differenti – prende forma una certa qualità sensibile. Fin qui ho detto che rilevare la qualità del “liscio” implica un “riconoscimento”; ma in effetti questo termine non rende bene quello che avviene effettivamente nella mia esperienza. Nel momento in cui passo il palmo della mano sul piano del tavolo non “riconosco” una sensazione di liscio come potrei “riconoscere” la risposta esatta in un test a risposta multipla: piuttosto vivo e sperimento direttamente e personalmente la stessa sensazione. In altri termini il “riconoscimento” è in realtà una riattivazione e le cse sono da considerare delle microsceneggiature sensibili: piccoli programmi di esperienza che mi permettono di rivivere certe sensazioni e di ri-sentire certe qualità qualora si presentino determinate condizioni sensoriali. In base a quanto detto sopra circa la natura multimodale delle cse, comprendiamo infine che esse sono a riattivazione multipla: posso riattivare una certa configurazione e rivivere le sensazioni che essa reca inscritte a partire dalla sollecitazione di modalità sensoriali differenti. Per esempio la sensazione di “liscio” può essere riattivata non solo ogni volta che tocco il tavolo o ne percorro con la mano la superficie, ma anche ogni volta che guardo il tavolo, o anche ogni volta che guardo qualcuno che tocca una superficie dello stesso tipo, e probabilmente ogni volta che ascolto o pronuncio la parola “liscio”. Quando parleremo di “qualità visive, uditive, tattili ecc.”, occorre quindi intendere “qualità attivate a partire da dati sensoriali visivi, sonori ecc.”. 4.2. Configurazioni sensibili semplici e complesse, tonali e ritmiche I processi

di riattivazione regolata delle configurazioni sensibili presentano due caratteri di particolare rilievo. In primo luogo la riattivazione delle cse all’interno del mio campo esperienziale non è un evento puntuale e isolato: al contrario, tale riattivazione è funzionale all’individuazione di relazioni reciproche tra esse, che possono essere di completamento, di analogia o di contrasto. L’individuazione di relazioni e di reti tra cse determina anche la loro sopravvivenza all’interno della mia attenzione, in quanto le qualità isolate sono destinate a essere cancellate mentre quelle collegate si rinforzano a vicenda. Per esempio il carattere “liscio” del mio tavolo può essere completato dal suono che fa la mia mano nel percorrerlo, una sorta di “fruscio” regolare; se ascoltassi ad occhi chiusi quel particolare suono “riconoscerei” rivivendola la sensazione di “liscio”. Il liscio del tavolo richiama ca82

4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

Percezione e sensazione nelle scienze umane e in semiotica La distinzione tra sensazione e percezione e un’attenzione specifica per gli aspetti sensibili vengono rilanciate nel campo delle scienze umane a partire dagli anni ottanta del secolo scorso. Gradualmente, sia le discipline psicologiche, cognitive e neurocognitive, sia quelle sociali e antropologiche, sia quelle filosofiche si interrogano sul ruolo dei sensi all’interno della vita mentale e sociale. Tale rilancio fa parte di un più ampio e diffuso interesse per tematiche e aspetti che i paradigmi funzionalisti e computazionali avevano lasciato in ombra: il sentire, l’emozione, la corporeità. La ricerca filosofica, in particolare, si trova a dover superare una duplice frattura. Per un verso c’è la divisione tra la filosofia analitica da un lato, interessata agli aspetti intenzionali e rappresentazionali della percezione, e la tradizione fenomenologica “continentale” dall’altro, attenta agli aspetti sensibili e soggettivi: il dibattito sui qualia (le qualità sensibili individuali), che si sviluppa dagli anni ottanta fino ai nostri giorni, esprime bene questo disagio e lo trasmette al dialogo della filosofia con le neuroscienze. Per altro verso c’è una distinzione interna alla filosofia continentale, tra una tradizione propriamente fenomenologica da un lato e una tradizione di ascendenza bergsoniana dall’altro. Tale distinzione si esprime bene nell’estetica dell’opera d’arte visiva: secondo la prima tradizione i processi sensibili sono alla base della costituzione del mondo e l’opera d’arte può esplicitare e mostrare nel suo svolgersi tale processo di costituzione sensibile (è la posizione espressa già negli anni sessanta da Maurice Merleau-Ponty); secondo la tradizione bergsoniana i processi sensibili lavorano contro la percezione e l’opera d’arte può esprimere lo scontro tra le forze destrutturanti e rinnovatrici del sensibile figurale e la resistenza strutturata della rappresentazione figurativa (è la posizione, molto influente nel dibattito francese, di Jean-François Lyotard e di Gilles Deleuze). Derivano da queste fratture tre grandi concezioni che improntano i rapporti tra sensazione e percezione nel dibattito attuale. In base alla prima, la sensazione è subordinata alla percezione e, al limite, riducibile ad essa. In base alla seconda concezione, la sensazione è al contrario un campo di azione autonomo, non riducibile alla percezione, indipendente da essa e dotato di logiche proprie: queste possono manifestarsi come delle forze che agiscono contro la rappresentazione figurativa e la narrazione. Infine in base alla terza concezione la sensazione opera autonomamente ma in modo integrato e incrociato rispetto ai processi percettivi rappresentativi e intenzionali: è la posizione che abbiamo scelto di assumere in questo libro. Queste posizioni si ritrovano variamente articolate anche nel campo semiotico. Qui è soprattutto la scuola greimasiana a interessarsi ai fenomeni sensibili. In un articolo del 1984 Greimas avanza l’ipotesi che in un’immagine si sovrappongano due linguaggi e due discorsi: quello figurativo (ciò che l’immagine esprime) e quello plastico (il gioco delle forme, dei colori e della loro disposizione nello spazio bipla-

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Semiotica dei media

nare). Il discorso figurativo rimanda a processi e grammatiche narrative, il discorso plastico rinvia a modi di significazione fondati sul sensibile; in particolare Greimas ipotizza che le categorie di base topologiche, eidetiche e cromatiche diano vita a figure plastiche, che queste entrino in relazioni contrastive (per es. sfondo/rilievo, appuntito/arrotondato), e che tali contrasti siano portatori di significati puramente plastici e non figurativi. L’indirizzo impresso dalla Scuola di Parigi porta a uno studio sempre più attento alla dimensione sensibile del visivo e dell’opera d’arte, con i lavori di Jean-Marie Floch (cfr. per esempio 1985), quello del Groupe Mu (1992) e numerosi altri (soprattutto da parte della Scuola canadese). Nello stesso giro di anni Greimas accentua sempre più la ripresa di un’impostazione fenomenologica e fa del corpo del soggetto il luogo di costituzione attiva della significazione mediante la propria sensibilità: in un volumetto del 1987 il semiologo valorizza la “presa estetica/estesica” (saisie esthétique) quale momento di rilancio del senso all’interno dell’esperienza. La riflessione semiotica successiva segue due strade convergenti. Da un lato viene focalizzato il ruolo del corpo: secondo Fontanille (2004) ad esempio è possibile cogliere il modo in cui il corpo funziona da substrato dei processi semiotici solo studiando e ricostruendo le sue figure semiotiche, ovvero le modalità mediante le quali i soggetti rappresentano e autorappresentano il proprio corpo e i suoi movimenti nello svolgimento dell’esperienza sensibile. Dall’altro lato, con autori quali Marrone (2001) o Landowski (2004), il tema della sensibilità percettiva viene collegato alla dimensione della sensibilità emotiva e situato all’interno delle pratiche e delle interazioni che intessono e occupano lo spazio sociale e della vita quotidiana.

cse e csc tonali e ritmiche

ratteristiche analoghe di altre superfici presenti (la mia stampante, il vetro di fronte a me) ma innesca anche relazioni di contrasto (il muro che si staglia al mio fianco non è più liscio ma ruvido) 3. Mediante questa rete di collegamenti si costituiscono reti di cse e configurazioni sensibili di maggiore ampiezza e complessità che chiameremo configurazioni sensibili complesse (csc). In secondo luogo è possibile distinguere due ampie modalità di riattivazione delle cse e delle csc. Da un lato le configurazioni sensibili possono essere riattivate e ri-esperite in base agli elementi persistenti o ricorsivi, e quindi stabili, che vengono definiti al loro interno; in questo caso vengono portati in primo piano gli aspetti esterocettivi: nel passare la mano sul tavo3. Inoltre la presenza di analogie apre la possibilità che vengano istituiti legami metaforici tra differenti cse: la sensazione esterocettiva e propriocettiva di “liscio” del tavolo può essere collegata alla sensazione interocettiva di calma e di dominio che fa da sfondo al mio lavoro finché il mio sguardo non incontra la presenza perturbatrice del telefono che potrebbe squillare da un momento all’altro.

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4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

lo avverto e ri-esperimento il suo carattere “liscio” derivante dalla regolarità dei dati sensoriali tattili e dal loro incrocio con quelli visivi ed eventualmente sonori. Dall’altro lato le configurazioni sensibili possono essere riattivate e rivissute in base alla processualità e alla dinamica che permette la loro definizione; in questo caso vengono portati in primo piano i dati sensoriali di tipo propriocettivo: nel passare la mano sul piano del tavolo concentro la mia attenzione sulla dinamica del movimento muscolare che sto compiendo e valuto il carattere regolare, costante e controllato del mio gesto. Insomma: dal momento che le cse sono configurazioni sensomotorie, è possibile riattivarle mettendo in primo piano gli aspetti sensibili oppure quelli motori. Diremo che nel primo caso vengono riattivati aspetti “tonali” delle cse e delle csc e nel secondo caso aspetti “ritmici”. Nel seguito del discorso eviteremo in genere, per ragioni di semplicità, di riferirci ancora a cse e a csc: parleremo pertanto della rilevazione di qualità semplici (o semplicemente di qualità) per far riferimento ai processi di riattivazione di cse; e della rilevazione di diagrammi di qualità (o semplicemente di diagrammi) per far riferimento alla riattivazione di csc. In base a quanto appena detto, tanto le qualità quanto i diagrammi potranno essere tonali oppure ritmici.

Qualità e diagrammi

5. Qualità e diagrammi tonali 5.1. Le qualità tonali visive La descrizione che abbiamo fornito dei processi

sensibili ci ha offerto alcuni strumenti necessari per analizzare in che modo viene innescata e guidata la rilevazione di qualità sensibili all’interno dell’esperienza mediale. Occorre anzitutto osservare che l’esperienza mediale si fonda su materiali sensoriali selezionati e limitati: immagini fisse, materiali grafici e di scrittura, suoni ecc. In particolare nel caso di un audiovisivo quale Grave Danger l’esperienza sensibile, per quanto sinestesica e intermodale, viene sollecitata e guidata da materiali sensoriali di tipo visivo-dinamico e sonoro; vediamo dunque come, a partire da questi due ordini di modalità sensoriali e dalla loro interazione, vengono rilevati qualità e diagrammi sensibili sia tonali che ritmici. Il lettore che teme di perdersi nell’elencazione che segue può far riferimento allo schema inserito a conclusione del par. 6. Esaminiamo anzitutto il versante delle qualità tonali che vengono rilevate a partire da materiali sensoriali di tipo visivo. Le due inquadrature che aprono Grave Danger (figg. 1 e 2) introducono immediatamente un contrasto sensibile. Nella prima spicca al centro dell’immagine il pinnacolo di un grattacielo illuminato da una luce bianca che ne mette in risalto la consistenza opaca e gessosa; la seconda inquadratura aggira invece un altro grattacielo dalla superficie di vetro nera e lucida, che riflette in piccoli frammenti luminosi l’ambiente notturno circostante. Un simile contrasto porta 85

Qualità delle superfici bidimensionali

Semiotica dei media

Qualità dello spazio quasi tridimensionale

Qualità dello spazio tridimensionale

alla luce un primo gruppo di qualità legate alla relazione visiva, tattile e sensomotoria con superfici bidimensionali. Troviamo anzitutto qualità relative alla conformazione della superficie e alle sensazioni della sua percorribilità: la superficie può essere liscia, composta da una testura regolare, o ancora granulosa e irregolare. Possiamo quindi individuare qualità legate alla consistenza: le superfici possono essere dure, morbide, elastiche, appiccicose o anche prive di consistenza. Un gruppo più ampio di qualità è collegato alle caratteristiche cromatiche delle superfici: il tono del colore, la sua luminosità e la sua temperatura (i colori possono essere vivi, accesi, caldi oppure spenti o freddi), il grado di riflettenza della superficie (che può essere lucida, opaca, trasparente). Torniamo alle prime due inquadrature di Grave Danger. Se le superfici dei due edifici inquadrati contrastano tra loro, c’è un altro aspetto visivo che invece collega le due immagini: il fondo scuro e in genere la chiave luministica bassa e notturna. Emerge qui un secondo gruppo di qualità riferibili alla relazione con uno spazio quasi tridimensionale, spazio di interstizio tra le superfici. Si tratta delle qualità legate alla illuminazione: intensità (si parla in termini cinematografici di “chiave” alta o bassa), colore e consistenza “materica” della luce (presenza di fumo o nebbia o al contrario trasparenza). Spostiamo infine la nostra attenzione al passaggio dalla seconda alla terza inquadratura (fig. 3). In questo caso si produce un effetto di stacco molto netto (marcato anche dal brevissimo flash bianco). Le prime due inquadrature comportavano la presenza di un oggetto centrale ben definito (i due edifici attorno a cui ruotava la macchina da presa), una evidente tridimensionalità e un certo sparpagliamento e disordine degli elementi percettivi di sfondo (evidente soprattutto nella coda della seconda inquadratura, che abbandona il Mandalay Bay per una breve ricognizione di un frammento dello skyline di Las Vegas). La terza inquadratura al contrario non presenta edifici al suo interno, appiattisce l’immagine (l’inquadratura è dall’alto a perpendicolo) e introduce un criterio di ordinamento degli oggetti mostrati (la Strip, la strada principale di Las Vegas, che scorre ben evidente al centro dell’immagine). Viene coinvolto in questo caso un terzo gruppo di qualità, legate alla relazione con uno spazio tridimensionale. È importante chiarire che questo spazio tridimensionale non va considerato come uno spazio cartesiano e geometrico, ma piuttosto come uno spazio vivibile e vissuto. Risultano in questo senso determinanti due tipi di qualità. Da un lato quelle riferite alla prensione e manipolabilità degli oggetti, ovvero alla possibilità che il soggetto li afferri e li utilizzi: peso, volume, taglia, conformazione tridimensionale. Gli oggetti possono essere percepiti come pesanti o leggeri, grandi o piccoli, massicci o cavi, afferrabili o sfuggenti ecc. Dall’altro lato giocano le qualità riferite alla percorribilità dello spazio e in particolare alla sua limitazione e articolazione: lo spazio può essere profon86

4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

do o piatto (o multiplanare, costituito cioè da superfici piatte sovrapposte), espanso o ridotto, liberamente percorribile o articolato da superfici che ne limitano l’esplorazione. 5.2. Le qualità tonali sonore Le qualità fin qui considerate vengono rilevate a partire dai dati sensoriali di tipo visivo. L’esperienza di visione del segmento di Grave Danger è tuttavia anche e al tempo stesso esperienza di ascolto: alla qualificazione visibile si aggiunge e si lega una qualificazione sonora, attivata da dati sensoriali uditivi. La rilevazione di qualità sonore si basa sulla riattivazione di cse relative alla produzione del suono: quando sentiamo un suono ne avvertiamo le particolari qualità in quanto sperimentiamo in forma simulata le presunte circostanze della sua produzione. Derivano da questo assunto di fondo quattro gruppi di qualità sonore. Un primo gruppo fa riferimento al tipo di percussione o di sfregamento di una superficie che causa il suono: percussione puntuale (un colpo secco), percussione ripetuta in modo regolare (un ticchettio) o in modo irregolare (il battito irregolare di un martello), sfregamento regolare (un fruscio, come quello sul mio tavolo di cui ho parlato prima) o irregolare (il rumore “granuloso” che producono superfici irregolari ma che si ritrova anche in certe voci “rauche”). Un secondo gruppo fa riferimento alla risposta della superficie percossa o sfregata e quindi alla consistenza del suono che può essere sorda o sonora, ovvero può risuonare o meno e in caso positivo può farlo più o meno a lungo; spesso le qualità di questo tipo vengono espresse facendo riferimento al materiale della superficie reale o presunta (un suono liquido, metallico ecc.). Questi primi due gruppi vengono spesso unificati in base alla tendenza metonimica a spazializzare le qualità sonore (scambiando la causa con l’effetto) e a considerarle in termini di “testure” sonore. Un terzo gruppo di qualità sonore fa riferimento all’investimento energetico necessario per produrre il suono: si percepisce un volume alto o basso, violento o dolce. Infine un quarto gruppo di qualità fa riferimento alla produzione sonora intesa come fonazione e dunque coinvolge dati propriocettivi e interocettivi: percepisco una qualità “acuta” o “profonda” di un suono in quanto ne replico mentalmente la produzione mediante i miei stessi organi fonatori, e avverto una spinta verso l’alto (suono acuto) o verso il basso (suono grave) degli apparati muscolo-scheletrici coinvolti. Sotto l’aspetto delle qualità sonore le prime due immagini del nostro segmento sono in un rapporto di continuità: esse vengono accompagnate da un suono elettronico che simula quello di archi o di fiati, puntuale ma molto prolungato, attivato da un investimento energetico iniziale e che va lentamente a spegnersi alla fine della seconda inquadratura, quando subentra il rombo regolare di un elicottero. Questa particolare testura sonora viene sostituita poco prima del passaggio alla terza inquadratura dagli ac-

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Qualità dell’attività di produzione del suono

Qualità della materia di produzione del suono

Qualità dell’energia di produzione del suono e dell’azione fonatoria

Semiotica dei media

cordi della chitarra acustica: la qualità cambia sensibilmente in quanto i suoni della chitarra creano una testura di suoni puntuali dalla sonorità metallica particolarmente dolce e dalla architettura compositiva più complessa; ancora differente l’inserzione dall’inizio della quarta inquadratura della voce di Nick sovrapposta a quella del cantante: la voce dell’uomo introduce una nota più acuta e una consistenza più aspra all’amalgama sonoro. Dalle qualità (cse) ai diagrammi (csc): completamento, analogia, contrasto tra qualità tonali

5.3. I diagrammi tonali Come abbiamo detto, la rilevazione delle qualità

tonali a partire dai dati sensoriali consiste nella riattivazione di particolari cse. Una volta riattivate, le cse vengono correlate reciprocamente in modo da formare csc tonali e permettere dunque la rilevazione dei più complessi diagrammi di qualità sensibili. Abbiamo anche già sottolineato che questa composizione può avvenire in base a tre modalità. In alcuni casi la relazione è di completamento: le qualità si integrano a vicenda. Per esempio nella quarta inquadratura (Nick ripreso all’interno dell’auto) la bassa luminosità che avvolge la scena si combina con una spazialità tridimensionale ristretta e contribuisce a definire l’idea di uno spazio scarsamente percorribile. In altri casi le qualità si rafforzano reciprocamente in base a rapporti di analogia: si assiste in tal caso alla costituzione di rime e richiami sensibili. Per esempio la qualità “liscia” delle superfici dei due edifici nelle prime due inquadrature rima con la continuità sonora del suono elettronico sullo sfondo. Infine in altri casi si gioca un contrasto tra qualità compresenti: il grattacielo bianco e illuminato della prima inquadratura si distacca dallo sfondo scuro, mentre il colore del secondo grattacielo rima con quello della notte circostante. 6. Qualità e diagrammi ritmici Nel caso delle qualità ritmiche i materiali sensoriali sollecitano la riattivazione delle cse non tanto in base alle loro modalità specifiche (visive o sonore), bensì in base alle loro trasformazioni. Queste trasformazioni vengono “rivissute” dal soggetto mediante una riattivazione degli schemi propriocettivi di movimento compresi nelle cse: non assistiamo semplicemente al gesto di un personaggio, allo spostamento di un oggetto o al dispiegarsi di una linea melodica, ma “riviviamo” un movimento corrispondente e in tal modo cogliamo una certa qualità dinamica del gesto, dello spostamento, della melodia. Derivano di qui due conseguenze. Anzitutto la distinzione tra modalità visive e sonore è meno rilevante che nel caso delle qualità tonali. In secondo luogo i parametri che permettono di determinare la qualità di una trasformazione visiva o sonora sono gli stessi che consentono di qualificare un movimento. In particolare essi possono essere raggruppati in due gruppi. Da un lato avremo una qualificazione dei segmenti mobili e gestuali dal 6.1. Le qualità ritmiche

Le qualità ritmiche: lunghezza e accentazione

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I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

punto di vista della loro velocità, della loro ampiezza e della loro direzione e dunque in relazione all’ambiente circostante: le qualità saranno quindi del tipo veloce vs lento, lungo vs breve ecc. Parliamo di un gruppo di qualità quantitative. Dall’altro lato avremo una qualificazione in base agli investimenti e alle modulazioni energetiche necessarie per condurre il gesto: le qualità sono in tal caso del tipo tonico vs atono, rigido vs fluido o ascendente vs discendente (a indicare non uno svolgimento spaziale ma la percezione propriocettiva della modulazione di una carica di energia). Parliamo di un gruppo di qualità accentuative. Per esempio le prime due inquadrature del segmento che stiamo considerando esibiscono a livello visivo un movimento di macchina identico per quanto condotto in senso opposto: una sorta di veloce carezza visiva circolare sui propri oggetti (i palazzi notturni visti dall’alto), un “massaggio” effettuato dallo sguardo su una superficie levigata. Lo stacco tra la seconda e la terza inquadratura introduce una qualità differente: il movimento di macchina si svolge sempre dall’alto, il suo andamento è ancora fluido ma la direzione diviene orizzontale, come costretta lungo un binario che lo incanala e lo rende più sicuro, ma anche più rigido. Per quanto riguarda le qualità ritmiche sonore troviamo un altro tipo di stacco tra le prime due inquadrature e la terza. Il sonoro che accompagna le prime due inquadrature, con la risonanza persistente del suono elettronico, richiama un movimento continuo, una sorta di “pattinamento” sonoro che tende nella parte finale a declinare e a spegnersi. Al contrario il brano di chitarra che subentra introduce un movimento saltellante per quanto orientato in avanti con una certa continuità. 6.2. I diagrammi ritmici Anche le qualità ritmiche si collegano reciproca-

mente e danno vita a diagrammi ritmici. In questo caso il collegamento avviene in due sensi. Da un lato le differenti trasformazioni compresenti si correlano sincronicamente in base alle già considerate relazioni di completamento, analogia o contrasto. Le trasformazioni possono concernere movimenti dei soggetti, movimenti della macchina da presa, trasformazioni delle condizioni di luce, trasformazioni della messa a fuoco; o, sul versante sonoro, voci, rumori, suoni musicali e così via. Per esempio nella quarta inquadratura (Nick nell’auto) si assiste a una rima ritmica tra l’andamento lineare dell’automobile, il procedere della canzone cantata da Nick e l’andamento calmo ed elastico dei gesti del personaggio (che si manifesta nello stile di guida rilassato, nei movimenti del volto, nel sottolineare il ritmo con la testa ecc.); tuttavia nell’ultima parte subentra un piccolo strappo contrastivo: Nick sottolinea la parola “street” lanciando brevemente indietro la testa con uno strappo che rompe la forte omogeneità ritmica. 89

I diagrammi ritmici: le combinazioni sincroniche tra qualità

Semiotica dei media

Le qualità sensibili nell’audiovisivo Qualità tonali visive. – Relazione con superfici bidimensionali: conformazione (liscia, testurata regolarmente, testurata irregolarmente), consistenza (dura, morbida, elastica, appiccicosa, priva di consistenza), colore e riflettenza (tono del colore, temperatura del colore, lucidità/opacità/trasparenza). – Relazione con spazi di profondità quasi tridimensionali: luminosità (intensità, colore della luce), consistenza materica (trasparenza vs opacizzazione). – Relazione con spazi e oggetti tridimensionali: prensione e manipolabilità degli oggetti (peso, volume, taglia, conformazione 3d), possibilità di percorrenza ed esplorazione dello spazio (profondità, articolazione). Qualità tonali sonore. – Attività di produzione del suono: percussione puntuale, percussione ripetuta regolare o irregolare, sfregamento su superficie regolare o irregolare. – Risposta della superficie sonora: consistenza sorda o sonora, grado di risonanza e matericità del suono. – Investimento energetico: volume del suono. – Modalità di fonazione: acuto/superficiale vs basso/profondo. Diagrammi tonali (solo sincronici): legami per completamento, per analogia, per contrasto. Qualità ritmiche (visive e sonore). – Quantitative, relative alla relazione con lo spazio contestuale: velocità, estensione, andamento. – Accentuative, relative all’investimento energetico e alla sua modulazione: tonicità, dosaggio in ascesa o in discesa. Diagrammi ritmici. – Sincronici: legami per completamento, per analogia, per contrasto tra segmenti mobili compresenti. – Progressivi/sequenziali: legami per completamento, per analogia, per contrasto tra segmenti mobili adiacenti: prosodia e accentuazione.





• •



I diagrammi ritmici: le combinazioni diacroniche tra qualità

Dall’altro lato i diagrammi ritmici vengono rilevati anche in modo progressivo, cioè a partire da un confronto e da una correlazione sequenziale, tra segmenti di movimenti adiacenti. Un simile confronto richiede anzitutto l’individuazione di cesure e pause più o meno pronunciate che delimitino segmenti mobili coerenti: per esempio il gesto di un personaggio o il movimento di un oggetto che si avvia e si conclude con un attimo di sosta, oppure il passaggio da un’inquadratura all’altra mediante stacchi di montaggio. A partire da qui, il confronto tra segmenti mobili adiacenti avviene individuando relazioni di completamento, analogia o contrasto tra i due gruppi 90

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I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

di qualità ritmiche che abbiamo individuato sopra. I diagrammi che ne derivano sono dunque giocati su varie forme di passaggio da segmenti mobili lunghi o brevi da un lato (qualità ritmiche quantitative), e tonici o atoni dall’altro (qualità ritmiche accentuative). Torniamo ancora una volta alle inquadrature che stiamo analizzando. Tra la prima e la seconda c’è uno stacco di montaggio netto, ma l’effetto di cesura è parzialmente riassorbito da due fattori: i due segmenti sono speculari e hanno una durata quasi uguale; inoltre essi vengono compresi sotto un unico movimento ritmico sonoro che parte da un forte accento iniziale e ne riassorbe gradatamente l’impatto fino allo sfumare del suono. Differente il passaggio alla terza inquadratura: la cesura del taglio di montaggio viene accentuata dal flash bianco che separa le immagini, un nuovo accento sonoro introduce la musica country dotata di microaccenti interni regolari e avvia un’inquadratura sensibilmente più lunga delle prime due. Queste caratteristiche ritmiche legano la terza e la quarta inquadratura separandole dalle prime due. Lo spettatore esperto di csi comprende che le due inquadrature iniziali generiche e comuni a tutte le puntate della serie hanno ceduto il posto al vero e proprio inizio dello specifico episodio. 7. Il design sensibile dell’esperienza Concediamoci, arrivati alla conclusione di questa elaborata ispezione delle differenti qualità sensibili dell’esperienza mediale, un “avanti veloce” del videoregistratore: allarghiamo dunque lo sguardo all’insieme di Grave Danger per considerare brevemente la costituzione dell’esperienza sensibile nell’arco dell’intero episodio. Giocano sotto questo aspetto due ordini di meccanismi. Da un lato c’è l’iterazione regolare di configurazioni sensibili, sia tonali che ritmiche. Per esempio notiamo il ricorrere di superfici dure, lucide e fredde; le dominanti cromatiche blu e nere e il tono luministico basso; le sonorità elettroniche piuttosto profonde e prolungate, l’alternanza tra movimenti di macchina fluidi e continui e inquadrature fisse più brevi e così via. Un caso isolabile per la sua esemplarità è quello della struttura degli spazi che ricorrono nel telefilm: si tratta di spazi spesso delimitati e costretti, la cui percorribilità è limitata sia dalla chiave luministica bassa e quindi dal nascondimento visivo (il parcheggio in cui Nick viene rapito); sia dalle pareti di vetro, in cui i movimenti potenziali e quelli effettivamente esibiti sono determinati dalla struttura di corridoi, passaggi, porte ecc. (gli uffici della squadra csi); sia da entrambi i fattori (il capannone in cui il rapitore dà appuntamento a Grissom alla fine della prima parte dell’episodio). Dall’altro lato gioca un meccanismo di variazione regolata delle qualità tonali e delle loro configurazioni tipiche: vengono introdotti alcuni scarti e variazioni che rimangono però parziali e controllati. Per esempio irrompono 91

Iterazione e variazione dei diagrammi tonali e ritmici

Semiotica dei media

La riconoscibilità sensibile

La disciplina della sensazione nell’esperienza mediale: il design sensibile

elementi non più duri ma molli (l’intestino che Nick scopre di lì a poco sull’asfalto e in genere le immagini dell’interno del corpo umano), ma anche in questi casi viene conservata la qualità della lucidità della superficie. Oppure la dominante cromatica passa dal blu all’arancione (nella sequenza in cui Catherine si reca nel locale del padre per chiedergli i soldi necessari per pagare il riscatto), ma resta la chiave luministica bassa. O ancora: il ritmo accelera per una improvvisa svolta delle indagini ma i soggetti, benché si spostino più velocemente e in modo più caotico, vengono seguiti da steady-cam sempre fluide e continue. In tal modo si ottiene un effetto di modulazione prodotto dal combinarsi di una costante variazione e di un fondo di costanza che assicura la riconoscibilità stilistica del telefilm e dell’intera serie csi. Questo insieme di ricorrenze e modulazioni fa sì che l’esperienza sensibile procurata da Grave Danger sia ben caratterizzata e riconoscibile. D’altra parte si tratta di elementi che ritornano in tutti gli episodi della serie e permettono di definire un profilo sensibile specifico e individuabile della serie csi. Tale profilo consente di collegare e distinguere al tempo stesso csi da serie consimili (a cominciare dagli spin off di csi Miami e New York, in cui le note cromatiche dominanti sono differenti) o da altri tipi di fiction televisiva (per esempio sit-com o fiction comiche, caratterizzate da una chiave luministica più alta). L’analisi dello strato della rilevazione sensibile mostra dunque come l’esperienza mediale implichi già all’interno di questo snodo l’intervento di una forte progettualità. Nell’esperienza ordinaria le qualità sensibili compresenti all’esperienza sono numerose e la loro organizzazione può essere solo locale e provvisoria. Nel caso dell’esperienza mediale, invece, si assiste a una riduzione del numero delle qualità e delle configurazioni sensibili e a forme più rigorose e prolungate della loro organizzazione: sia perché i mezzi tecnologici di riproduzione selezionano e portano in primo piano alcune qualità sensibili (per esempio l’uso della pellicola cinematografica o dell’alta definizione digitale piuttosto che della ripresa in elettronico e in bassa definizione determinano uno stile visivo differente); sia perché i materiali percettivi mediali soggiacciono a un progetto e sono quindi il frutto di un design sensibile (in questo caso visivo e sonoro) che effettua delle scelte, seleziona le qualità sensibili appropriate a certe scelte stilistiche, costruisce rime e contrasti tra tali qualità. Non stupisce insomma che il sound design e il visual design siano aspetti professionali sempre più rilevanti all’interno dell’industria dei media. Percorsi di approfondimento I problemi filosofici legati alla percezione, anche alla luce delle scoperte più recenti delle neuroscienze, vengono delineati da Paternoster (2007) e da Calabi (2009); una storia della distinzione tra sensazione e percezione nella filosofia moderna è

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4.

I processi sensoriali e la qualificazione sensibile

Spinicci (2000). L’approccio enattivo (o comunque ispirato alla lezione fenomenologica) alla percezione si ritrova, a partire dal seminale Varela, Thompson, Rosch (1991), in vari autori tra i quali Noë (2004) e in alcuni saggi raccolti in Cappuccio (2006) (cfr. in particolare quello di Vittorio Gallese). Per un’introduzione ai problemi legati al sensibile nella semiotica del visivo rimando a Calabrese (1999), Lancioni (2001), Corrain (2004) e Polidoro (2008). Due testi che affrontano il problema del corpo e della sensibilità con strumenti semiotici sono Fontanille (2004) e Marrone (2005). Sul problema del ritmo cfr. Ceriani (2003); gli aspetti ritmici sono stati sviluppati, in ambito greimasiano, da Fontanille, Zilberberg (1998) nei termini di una “semiotica tensiva”. Anche la teoria dell’audiovisivo ha valorizzato a partire dagli anni novanta la dimensione del sensibile nell’immagine in movimento, sottolineando in particolare la dimensione poli e intermodale (soprattutto “tattile”) della sensorialità audiovisiva: cfr. Dusi (2003), Auteliano, Innocenti, Re (2005), Chateau (2006), Aumont (2009), e, in ambito anglosassone, Marks (2000, 2002) e Barker (2009). Cfr. anche i testi sull’esperienza mediale indicati nei Percorsi di approfondimento del cap. 2.

Quaderno degli esercizi Riprendi la trascrizione del testo breve che hai effettuato dopo la lettura del capitolo precedente. Riguarda più volte il testo. Con l’aiuto del testo Le qualità sensibili dell’individuo, p. 90, ricostruisci il profilo sensibile tonale e ritmico del testo. Quali qualità e quali configurazioni risultano dominanti e tali da definire e caratterizzare il design sensibile (visivo e sonoro) del testo? Raccogli i loghi di alcune aziende che operano nello stesso settore merceologico e confrontali: quali aspetti sensibili li caratterizzano? È possibile individuare delle opposizioni tra di essi sotto il profilo del design visivo? A quali differenti “identità sensibili” ti sembra che rimandino? Segui le evoluzioni stilistiche di uno stesso personaggio nella versione di differenti autori e gruppi creativi, eventualmente sia in versione fumetto che in film live che in animazione 2d o 3d: per esempio come cambiano dal punto di vista sensibile il personaggio di Batman e l’ambiente di Gotham City dai fumetti di Frank Miller ai film di Tim Burton fino a quelli di Christopher Nolan?







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5 L’ordinamento del mondo indiretto

1. Premessa In questo capitolo affrontiamo il secondo snodo dell’esperienza mediale, collocato all’incrocio tra lo strato dell’ordinamento narrativo delle risorse esperienziali e la costituzione del mondo indiretto. Ci fa da guida l’analisi della prima sequenza di Grave Danger, che descriviamo nel secondo paragrafo. Il terzo paragrafo introduce e sviluppa i concetti di situazione e di mappa(e) situazionale(i), che sono centrali in questo capitolo. Il quarto paragrafo esamina il rapporto tra l’ordinamento narrativo del mondo indiretto e il precedente snodo della rilevazione e qualificazione sensibile, e definisce in tal modo il concetto di figura o metafora sensibile. Il quinto paragrafo sviluppa infine l’idea che l’ordinamento del mondo indiretto implica e attiva all’interno dell’esperienza mediale un design narrativo. 2. La sparizione di Nick Abbiamo visto nel cap. 4, par. 2 che la parte iniziale del telefilm passa da inquadrature ampie dall’alto di Las Vegas notturna a inquadrature più ravvicinate sul detective Nick Stokes della squadra csi, fino a che l’auto di questi si ferma in un parcheggio e l’uomo scende. I primi 19 secondi che abbiamo analizzato da vicino nel capitolo precedente si inseriscono in un segmento più ampio di 1 minuto e 12 secondi. Il secondo segmento si apre con una lunga inquadratura che, a partire da una scena vuota, vede l’ingresso di Nick e quindi il suo incontro con il poliziotto Michael; i due uomini vengono inquadrati in campo medio-lungo e accompagnati nel loro procedere da una steady-cam all’indietro. Il poliziotto annuncia al detective il ritrovamento di alcuni resti umani: la camera, senza stacchi di montaggio, effettua una panoramica verso il basso a seguire il percorso del raggio della torcia elettrica, fino a inquadrare una matassa di intestini che spiccano sull’asfalto lucido. Un totale inquadra i due uomini e la massa blu – rossastra a terra (fig. 1). L’immagine degli intestini ritorna in un dettaglio che rappresenta una soggettiva di Nick mentre ef97

Semiotica dei media

figura 1

fettua le prime fotografie, interrotta dai lampi bianchi del flash. Dopo un breve dialogo tra i due, inquadrati mediante totali e primi piani, il poliziotto Michael si allontana per vomitare. A questo punto irrompe un’inquadratura anomala: Nick e il poliziotto che si sta allontanando vengono inquadrati da un posizione distante, dietro le spalle di Nick verso la sua destra; una superficie scura occlude buona parte della vista. L’andamento incerto del movimento di macchina a mano rimanda alla presenza di qualcuno che sta sorvegliando da una posizione nascosta le azioni di Nick e del poliziotto. Questo secondo segmento dura 1 minuto e 7 secondi. Un terzo segmento parte dalla scena lasciata in sospeso precedentemente; un gioco di focali sottolinea la distanza tra il poliziotto sullo sfondo e il detective in primo piano. Viene introdotto un motivo musicale dall’andamento lento e inquietante, che continua fino alla fine della sequenza. Nick, inquadrato mediante un totale, comincia a spostarsi sul piazzale per cercare ulteriori indizi; il raggio di luce della sua torcia elettrica individua alcuni elementi messi in evidenza da dettagli e soggettive del detective: si tratta di un mozzicone di sigaretta e di alcune tracce di pneumatici. Ritornano per due volte le inquadrature dalla posizione nascosta, caratterizzate da un movimento incerto e traballante: nella prima delle due inquadrature l’immagine resta completamente oscurata per un paio di secondi. Questo terzo segmento dura 1 minuto e 9 secondi. Nick alza gli occhi verso la camera: il dettaglio di un bicchiere bianco in un sacchetto di plastica trasparente chiuso da un sigillo giallo rivela cosa sta 98

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L’ordinamento del mondo indiretto

figura 2

guardando. L’importanza del nuovo reperto viene sottolineata da vari elementi. La struttura dell’inquadratura sottolinea la centralità e l’evidenza dell’oggetto, posto al centro tra un palo e un idrante e direttamente illuminato da una luce azzurra che gli dona una qualità lattescente. L’inquadratura viene ripetuta due volte; il dettaglio del bicchiere viene ancora ripreso in controcampo nel momento in cui Nick lo raggiunge. Inoltre il percorso di avvicinamento del detective all’oggetto viene seguito dalla macchina da presa posizionata sopra le sue spalle e solidale con il suo corpo. Mentre Nick, inginocchiato, sta valutando la bizzarria del ritrovamento, da dietro le sue spalle si erge la massa scura e massiccia di un corpo che allarga le braccia a sovrastare e ghermire il detective (fig. 2). Un veloce effetto musicale ascendente culmina in un accento sonoro nel momento in cui l’immagine viene assorbita da una rapidissima dissolvenza in bianco. Questo quarto segmento dura 46 secondi e porta la durata dell’intera sequenza di avvio a 4 minuti e 7 secondi. 3. Situazione e mappe situazionali 3.1. La situazione e le sue trasformazioni Soffermiamoci anzitutto su due in-

quadrature: l’arrivo di Nick nel parcheggio, caratterizzato dalla brusca interruzione della canzone country (Nick spegne la radio) e da una lunga ripresa con leggero carrello avvolgente del detective che scende; e il prolungato carrello in steady-cam che mostra l’incontro dei due uomini di legge e accompagna il loro percorso comune fino a individuare la matassa di inte99

Semiotica dei media

Il sistema crono-topologico

Azioni e interazioni

Gli stati interiori

Costituzione della situazione

stini. Queste due inquadrature possiedono una funzione di spartiacque sotto diversi aspetti. In primo luogo l’arresto dell’auto avvia una stabilizzazione e una precisazione spaziale e temporale: allo spazio e al tempo generici e frammentati di Las Vegas inquadrata dall’alto o attraversata in auto da Nick, subentra il sistema spazio-temporale specifico e omogeneo del parcheggio notturno e di quanto vi si viene svolgendo. Diremo dunque che a partire dall’arresto dell’auto di Nick si viene precisando un determinato sistema crono-topologico. In secondo luogo i gesti e i movimenti di Nick si rivelano gradualmente come motivati, guidati e controllati da un progetto e da uno scopo: l’“arresto” dell’auto viene riconfigurato come il suo “arrivo” in un luogo che si presume essere la meta del suo spostamento; il lungo movimento di steadycam all’indietro che accompagna Nick nel suo incontro con il poliziotto fornisce informazioni utili a legittimare questa lettura del comportamento di Nick in quanto orientato; il carrello in steady-cam permette inoltre di cogliere il legame tra il comportamento di Nick e quello del poliziotto che ha chiamato la scientifica, anch’esso orientato verso uno scopo; infine la panoramica conclusiva dell’inquadratura sul mucchio di intestini traduce visivamente il carattere orientato di movimenti e comportamenti dei personaggi individuando un oggetto di mira su cui viene concentrata l’attenzione. In altri termini si passa dalla semplice visione di movimenti delle prime inquadrature alla individuazione di azioni e di interazioni dei personaggi – e dunque di alcuni sistemi di scopi e di finalità che focalizzano l’attenzione su determinati elementi del mondo indiretto i quali sono perciò definibili “oggetti di mira”. Infine, l’insieme dei movimenti corporei e del tono di voce di Nick e il confronto con quelli del poliziotto permettono di far emergere due differenti stati d’animo: tanto la postura, i gesti, la camminata e le espressioni del volto di Nick esprimono tonicità e sicurezza di sé, quanto quelli del poliziotto tradiscono stanchezza e disagio. In sintesi, a partire dall’arrivo di Nick nel parcheggio emergono alcuni stati interiori ed emozionali dei personaggi. Riassumiamo quanto appena detto dicendo che a partire dall’arrivo di Nick nel parcheggio e attraverso l’inquadratura in steady-cam viene avviata la costituzione di una situazione. Possiamo definire la situazione come un certo “stato di cose” dotato di un assetto e di un equilibrio riconoscibili. Come abbiamo visto la situazione implica la combinazione di tre aspetti: la collocazione spaziale e temporale di oggetti e soggetti; la manifestazione più o meno esplicita di una serie di azioni e interazioni e quindi la presenza di mire e obiettivi; la manifestazione degli stati interiori dei personaggi. Parleremo di un piano crono-topologico, di uno pratico e di uno emozionale della situazione. Spesso, nel caso dell’audiovisivo, il compiuto definir100

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L’ordinamento del mondo indiretto

si di una situazione viene evidenziato da un campo totale (ovvero tale da abbracciare in un modo percepito come completo un certo spazio): l’inquadratura del poliziotto e di Nick ripresi leggermente dal basso, con la matassa di intestini in primo piano e il parcheggio vuoto tenuto a fuoco sullo sfondo (fig. 1), svolge appunto tale funzione. Il seguito della sequenza conferma in un primo tempo la situazione stabilita: i due poliziotti sono raccolti intorno al reperto e Nick procede a effettuare delle fotografie; i flash luminosi e i dettagli sottolineano la centralità del reperto in quanto oggetto di mira. Tuttavia tale assetto non rimane stabile troppo a lungo. Una prima trasformazione della situazione si ha a livello topologico, quando il poliziotto si allontana per andare a vomitare. Più radicale la trasformazione che si verifica subito dopo, allorché assistiamo all’irruzione di uno sguardo “alieno” che da una posizione nascosta osserva la scena. L’inserimento di un nuovo soggetto (per quanto senza volto e per il momento senza corpo) porta con sé un nuovo sistema di obiettivi e di scopi: l’intera scena dei due poliziotti che fotografano il reperto (e in particolare la figura di Nick) costituisce l’oggetto di mira per una differente filiera di azioni che culminerà nel rapimento del detective. La situazione a questo punto risulta trasformata: è con occhi differenti che lo spettatore segue le successive esplorazioni di Nick, il replicarsi dell’individuazione di oggetti di mira sugli altri reperti e il suo allontanamento dal poliziotto. Il ritrovamento del bicchiere costituisce un punto di arrivo: sul versante della filiera di azioni di Nick esso si configura come un nuovo e decisivo oggetto di mira dotato di forte evidenza e centralità; sul versante del soggetto “alieno” e dei suoi scopi, esso costituisce l’esca che permette di portare a compimento il rapimento del detective. La situazione, dunque, è caratterizzata da una estrema e costante mutevolezza: essa è attraversata o per meglio dire costituita da flussi di trasformazioni. I tre differenti piani individuati – quello crono-topologico, quello pratico e quello emozionale – sono i livelli in cui agisce un’incessante modulazione: la situazione viene costituita attraverso il loro costante mutamento. 3.2. Le mappe situazionali L’analisi della sequenza del rapimento di Nick ci

ha posti immediatamente di fronte a un’evidenza: in quanto spettatori adeguatamente competenti, nell’accogliere i materiali sensoriali che il nostro televisore eroga a nostro favore, noi costituiamo una situazione, ovvero una specifica porzione di quel più ampio campo di oggetti intenzionali che è il mondo indiretto. D’altra parte la nostra relazione con la situazione in quanto realtà percettiva e intenzionale non è di pura, distaccata osservazione: noi facciamo un’esperienza viva e attiva della situazione e delle sue incessanti trasformazioni sui differenti piani. Mediante quali strumenti e quali dinamiche si svolge questa nostra esperienza? 101

La natura dinamica della situazione

Semiotica dei media Il carattere emotivo, razionale e pratico delle mappe situazionali

Gli usi delle mappe: retrospezione, ispezione, prospezione

Diremo che, per poter rappresentare le situazioni del mondo indiretto e cogliere le trasformazioni che le costituiscono, lo spettatore costruisce e aggiorna costantemente delle mappe situazionali. Una mappa situazionale è una configurazione di lavoro che comprende in forma sintetica gli sviluppi crono-topologici, pratici ed emotivi che hanno avuto luogo all’interno di una certa situazione. Il suo carattere è omeodinamico: essa tende a uno stato di equilibrio, che deve però essere costantemente ridefinito e rinegoziato. Inoltre la natura della mappa situazionale è di tipo emotivocognitivo: la mappa situazionale non è uno strumento di ragionamento e di valutazione “a freddo” e a posteriori rispetto all’esperienza viva, diretta e dinamica; essa serve piuttosto ad avvertire e valutare in modo molto veloce la pertinenza e la portata delle trasformazioni che intervengono nella situazione in modo tale che i soggetti possano immediatamente reagire in modo adattivo ai nuovi stati di cose. In altri termini le mappe situazionali sono al servizio di una esperienza momento per momento del mondo indiretto e di una completa immersione del soggetto nel presente dell’esperienza mediale. L’uso delle mappe situazionali implica una triplice attività che lo spettatore mette in atto all’interno del proprio presente esperienziale. In primo luogo c’è un’attività retrospettiva: lo spettatore richiama la mappa situazionale elaborata fino a quel momento, la usa come parametro per cogliere e valutare gli scarti che intervengono, si prepara a modificarne i rilievi. In secondo luogo lo spettatore svolge un’attività ispettiva: egli esplora il campo presente per cogliere le variazioni che intervengono, valutarne la portata e quindi aggiornare la mappa situazionale. Per esempio l’irruzione dello sguardo che spia i due poliziotti da una posizione nascosta richiede una ridefinizione della mappa situazionale e la registrazione al suo interno di un nuovo elemento che da quel punto in poi ne ridetermina gli assetti e definisce i criteri di rilevanza dei nuovi elementi. Infine lo spettatore mette in atto un’attività prospettiva di ordine ipotetico: egli cerca di anticipare in forma di congetture l’irruzione di trasformazioni in modo da non essere colto impreparato. In un certo senso egli “si racconta” in forma silenziosa e implicita quanto potrebbe accadere in modo da controllare gli effetti emotivi di quanto si svolgerà. Lo spettatore usa in tal caso la mappa situazionale come uno strumento di simulazione per possibili sviluppi, un po’ come un generale calcola su una mappa gli sviluppi di una battaglia o il giocatore di scacchi prevede sulla scacchiera l’andamento di una partita. L’attività prospettiva è strettamente legata a quelle retrospettiva e ispettiva: l’irruzione dello sguardo “alieno” getta sulla situazione l’ombra di una minaccia e dunque fa scaturire una serie di ipotesi e di simulazioni ancora imprecise ma dense di timori circa gli svolgimenti successivi. 102

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L’ordinamento del mondo indiretto

3.3. La portata delle trasformazioni: situazioni quadro e situazioni standard

L’ultima inquadratura della sequenza che stiamo analizzando ci mostra il corpo di Nick accovacciato, improvvisamente sovrastato dall’ombra scura del suo rapitore: un effetto ascendente e un forte accento della partitura musicale evidenziano l’eccezionalità dell’evento che si sta attuando, bruscamente interrotto dalla dissolvenza in bianco. È chiaro che il rapimento di Nick introduce una trasformazione radicale all’interno della mappa situazionale. Essa non tocca solo la situazione contingente del parcheggio, ma l’intero mondo indiretto: le indagini che vengono avviate e si sviluppano, i progetti per procacciarsi i soldi del riscatto e così via sono tutti piani di azioni funzionali al recupero del detective rapito. Per cogliere la portata della trasformazione introdotta dal rapimento di Nick rispetto alle altre trasformazioni registrate dalla mappa situazionale, dobbiamo dunque introdurre una distinzione. Le mappe situazionali possono adoperare due “scale” differenti per registrare le trasformazioni. I mutamenti essenziali dell’episodio vengono registrati su una mappa sensibile solo alle grandi svolte, e dunque a scala minore (diciamo, per esempio, 1:10); all’interno di tali mappe “di sfondo” si disegnano i mutamenti fondamentali dell’episodio: il rapimento di Nick, gli eventi decisivi in vista del suo rilascio, il fallimento degli sforzi in questo senso, le indagini per il ritrovamento e così via. Parliamo di mappe a scala ridotta e diciamo che esse seguono e registrano gli andamenti e le trasformazioni delle “situazioni quadro”. I mutamenti più contingenti e “di primo piano” vengono invece tracciati all’interno di mappe a scala più grande (diciamo 1:1), come quella che abbiamo ricostruito nell’esplorare la situazione delle indagini di Nick nel parcheggio culminate con il suo rapimento. Parliamo in questo caso di mappe a scala ampia, che permettono la definizione di “situazioni standard”. L’intero episodio Grave Danger (che è articolato in due parti, corrispondenti a due puntate della fiction) vede la presenza di una sola situazione quadro: il rapimento di Nick. Questo fatto costituisce un’anomalia e un sintomo di eccezionalità perché gli episodi della serie csi sono in genere guidati da più di una situazione quadro: alcune di queste sono interne ai singoli episodi (in genere la squadra è impegnata su due casi per ogni episodio), altri si trascinano da un episodio all’altro (il problema della insorgente sordità di Grissom, la sua storia di amore con Sara ecc.). In questi casi lo svolgimento “scorrevole” delle esperienze mediali si basa sulla capacità dello spettatore di percepire gli snodi di passaggio dall’una all’altra delle situazioni quadro e recuperare la mappa situazionale appropriata per cogliere e valutare le trasformazioni: lo spettatore mediale è dotato di una biblioteca di mappe situazionali che è in grado di recuperare e aggiornare con relativa facilità. 103

La scala delle mappe situazionali

Semiotica dei media

3.4. La cadenza delle trasformazioni: situazioni narrative, situazioni descrittive, turning points Prendiamo ora in mano un cronometro, oppure osservia-

La cadenza delle trasformazioni delle situazioni quadro: turning points e loro distribuzione

mo l’andamento del timer del lettore dvd mentre si svolge la sequenza che stiamo esaminando. L’introduzione delle trasformazioni salienti all’interno della situazione standard esposta (e quindi le modifiche della mappa situazionale corrispondente) segue una cadenza regolare. L’arrivo del detective al parcheggio, la presentazione dell’oggetto di mira costituito dagli intestini, l’introduzione del nuovo oggetto di mira costituito dallo stesso Nick da parte dello sguardo “alieno”, l’individuazione di nuovi reperti e l’allontanamento di Nick dal poliziotto, l’emergere del bicchiere come nuovo oggetto di mira centrale e infine la sparizione del detective si collocano a una distanza sostanzialmente regolare compresa tra 45 secondi e 1 minuto. In genere le altre situazioni standard seguono una cadenza simile, benché siano possibili sia accelerazioni sia rallentamenti. In particolare Grave Danger presenta vari esempi di rallentamento nella cadenza delle trasformazioni relative alle situazioni standard: vuoi per staticità dei soggetti (mancata trasformazione topologica), vuoi per assenza di presentazione di mire e di azioni (mancata trasformazione pratica), vuoi per assenza di indicazioni che permettano di individuare stati e cambiamenti interiori (mancata trasformazione emotiva). Per esempio le brevi situazioni che seguono la sigla e che si collocano temporalmente prima del rapimento di Nick, la sera stessa, sono costituite da conversazioni o azioni prive di mire definite da parte dei membri della squadra csi. Oppure: quando Catherine va a chiedere al padre (che gestisce un casinò) i soldi per il riscatto di Nick, la situazione viene introdotta da una lunga chiacchierata tra vecchie glorie dello show business (tra cui spicca Tony Curtis) che non presenta né movimenti interni né linee di azione definite. Possiamo distinguere in questo senso tra situazioni narrative (a cadenza alta o media di trasformazioni pertinenti) e situazioni descrittive (a bassa cadenza di trasformazioni). Facciamo a questo punto scorrere velocemente il lettore dvd per renderci conto di cosa avviene all’interno della situazione quadro. La prima parte dell’episodio si apre con il rapimento di Nick, trasformazione decisiva che muove l’intera azione: i manuali di sceneggiatura parlano a questo proposito di turning point, punto di svolta. Dopo un rallentamento dato dal recupero degli eventi avvenuti prima del rapimento e un nuovo slancio delle indagini, arriva un messaggio da parte del rapitore che mostra Nick sepolto in una bara di plexiglas e chiede un riscatto: si tratta di un nuovo turning point nella situazione quadro. Dopo una disperata ricerca dei soldi per il riscatto, Grissom porta il denaro nel luogo convenuto ma il rapitore si fa esplodere senza rivelare dov’è sepolto Nick: su questo terzo turning point si chiude la prima parte. La seconda parte dell’episodio riprende dalle indagini nel capannone, mentre Nick è sempre più provato dall’esperienza. Sara 104

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L’ordinamento del mondo indiretto

Mondi narrativi e condizioni elementari del racconto La questione del mondo indiretto, del suo statuto e delle sue dinamiche, è emersa all’interno della semiotica del testo ed è stata affrontata in modo differente dalla semiotica interpretativa e da quella generativa (cfr. La semiotica e il suo sviluppo, pp. 61-2). La semiotica interpretativa ha affrontato il problema del mondo indiretto attraverso l’analisi degli universi narrativi, delle logiche che ne governano le articolazioni e gli svolgimenti, nonché delle modalità della loro costituzione da parte del lettore o spettatore. Un termine usato è stato quello di diegesi e mondo/universo diegetico (per es. Genette, 1983, pp. 11-2). Si è parlato anche di mondi di invenzione finzionale (Pavel, 1986) o mondi possibili: si tratta in questo caso di concetti derivati dalla logica e dalla semantica delle modalità che implicano un’attenzione specifica per i “livelli di realtà” dei mondi narrativi; meno presente invece un’attenzione per le trasformazioni interne ai mondi possibili. Secondo Eco (1979, p. 128) un mondo possibile «consiste di un insieme di individui forniti di proprietà. Siccome alcune di queste proprietà sono azioni, un mondo possibile può essere visto anche come un corso di eventi». Un mondo possibile è sempre “ammobiliato”, ovvero dotato di un numero limitato di individui in possesso di un numero limitato di proprietà. Individui e proprietà possono essere variamente presi in prestito dal mondo dell’esperienza ordinaria o mondo di riferimento, in base a un principio generale di mutua trasformabilità dei mondi e a specifiche regole di reciproca accessibilità. La costruzione dei mondi possibili avviene all’interno della cooperazione interpretativa tra il testo e il lettore; tale processo è progressivo e implica tre passaggi (cfr. Eco, 1979, p. 72). Anzitutto il lettore avanza delle ipotesi generali sulla struttura e le leggi che reggono i mondi possibili, ma le considera ipotesi di lavoro da mettere come tra parentesi (“estensioni parentesizzate”); in seguito il lettore incontra segnali di trasformazione degli stati di cose del mondo (segnali di suspence, “nodi testuali”): egli è chiamato a costruire delle ipotesi relative alle trasformazioni imminenti del mondo possibile (“previsioni e passeggiate inferenziali”); infine vengono costruiti i mondi possibili, il che permette di confermare o di smentire le ipotesi generali sul funzionamento e quelle specifiche relative all’andamento del mondo testuale (“strutture di mondi”). Il problema delle trasformazioni interne al mondo indiretto è stato affrontato dalla semiotica interpretativa sotto la specifica etichetta delle “condizioni elementari della sequenza narrativa” (o “microracconti”). Eco ritiene che le condizioni minimali del racconto siano rappresentate dalla descrizione di azioni e di mutamenti sia esterni che interni ai soggetti; egli accenna ad alcuni criteri che stabiliscano la loro rilevanza (1979, pp. 107-8). All’interno della semiotica del cinema e degli audiovisivi è stata distinta l’esperienza audiovisiva del mondo indiretto e dei suoi mutamenti (“mostrazione”, tipica secondo Gaudreault, 1988, del cinema delle origini) da quella dell’organizzazione narrativa lineare (“narrazione”). Roger Odin (2000, pp. 17-40) propone di precisare il problema mediante la distinzione tra nar-

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Semiotica dei media

rativizzazione («inscrizione dei movimenti nel registro delle azioni e [...] produzione di un sentimento di narratività») e narrazione (costruzione di un racconto lineare mediante procedure di discorso che in misura differente sono sia di mostrazione che di articolazione narrativa). La semiotica generativa per lungo tempo non ha dimostrato interesse per il mondo indiretto in quanto campo di trasformazioni. Le questioni del mondo indiretto, della sua relazione con il mondo diretto e quindi dei “livelli di realtà” sono stati affrontati a partire dalla categoria di figuratività: si dice “figurativo” il contenuto di un discorso (verbale, uditivo o visivo) che ha un corrispettivo a livello dell’espressione della semiotica naturale, ovvero di quella “macrosemiotica” che è la realtà percepibile. All’interno del percorso generativo greimasiano le trasformazioni avvengono a un livello più profondo: quello delle strutture semionarrative; queste vengono manifestate al livello più superficiale delle strutture discorsive attraverso una tematizzazione e (appunto) una figurativizzazione. Per esempio la struttura astratta semionarrativa del passaggio dal nascondimento alla rivelazione può tradursi nel tema della bellezza nascosta e rivelata, e quindi nella figura e nella storia del brutto anatroccolo. Il livello figurativo dunque riveste una serie di trasformazioni già stabilite a livello profondo senza esserne responsabile; la sua responsabilità concerne soprattutto gli effetti di reale del discorso: per esempio un film dal vivo sul brutto anatroccolo è maggiormente veridittivo rispetto a un cartone animato. Inoltre abbiamo già visto (in Percezione e sensazione nelle scienze umane e in semiotica, pp. 83-4) come il livello figurativo si collega al e si distingue dal livello plastico, in un rapporto analogo a quello tra sensazione (plastico) e percezione (figurativo). Dalla fine degli anni ottanta la semiotica generativa ripensa il problema del figurativo e la sua relazione con la trasformazione e il mutamento: la superficie percettiva e sensibile del mondo e del discorso viene vista come il luogo di micro e macro manifestazioni del senso: «la figuratività non è il semplice ornamento delle cose: essa è [lo] schermo dell’apparire la cui virtù consiste nel dischiudersi, nel lasciarsi intravedere, grazie o a causa della sua imperfezione, come una possibilità di senso ulteriore» (Greimas, 1987, p. 57, grassetto mio). Ne consegue una rinnovata attenzione per il tessuto di microfratture che, nella vita quotidiana, provocano la riformulazione delle situazioni e delle relazioni (per esempio in Landowski, 2004).

scopre una serie di collegamenti che permettono di dare un nome e una motivazione al rapitore; viene così introdotto un turning point che orienta da qui in poi il plot dell’episodio. La tensione cresce sia per il tempo limitato dall’assenza di aria sia perché irrompono nella bara delle formiche rosse che iniziano a pungere Nick: nuovo turning point. Infine un controllo incrociato dei dati relativi al tipo di formica, ai percorsi del furgone e ai dettagli della vita del rapitore permette di individuare il luogo del seppellimento e salvare in extremis Nick (ultimo turning point). La cadenza regolare delle trasformazioni si ritrova dunque anche all’interno della situazio106

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L’ordinamento del mondo indiretto

ne quadro: questa, in entrambe le parti che compongono l’episodio, è articolata in tre punti di svolta disposti regolarmente all’inizio, verso la metà e alla fine. 4. Trasformazioni narrative e qualità sensibili Nel cap. 4, par. 3.3, abbiamo insistito sul fatto che i processi sensibili e quelli percettivi vivono in un rapporto di costante, possibile rideterminazione reciproca. Possiamo vedere immediatamente all’opera questo lavoro di reciproca determinazione nei processi di ordinamento del mondo indiretto: in questo caso l’interazione tra sensazione e percezione segue due percorsi distinti. Da un lato i punti di svolta e le variazioni del mondo indiretto vengono accompagnate e segnalate da mutamenti e scarti delle qualità sensibili, sia tonali che ritmiche. Il brusco spegnersi della canzone country e i due lunghi movimenti di macchina (il carrello intorno a Nick che scende dall’auto e la steady-cam) segnalano con un evidente salto ritmico l’avvio della costituzione della situazione; una forte differenza nella ritmica del movimento di macchina e nell’intensità luminosa segnala l’irruzione del punto di vista “alieno” del rapitore di Nick; i particolari caratteri luministici, l’ordinamento spaziale e il movimento di macchina anomalo (il fluido e prolungato carrello da sopra la spalla di Nick) si legano all’entrata in scena del bicchiere-esca; infine abbiamo già insistito sullo scarto ritmico sonoro e visivo che contraddistingue l’inquadratura del rapimento di Nick. Il mutamento dunque prima di essere “compreso” viene “sentito” in base alla variazione di uno o più parametri sensibili. In secondo luogo alcune qualità sensibili si collegano ad altrettanti elementi del mondo indiretto in modo tale da metterne in rilievo per analogia determinate caratteristiche non immediatamente evidenti ma comunque pertinenti: parliamo di metafore sensibili o “figure”. Per esempio l’immagine ricorrente della torcia di Nick che fruga nel buio, accarezza gli oggetti indiziari via via individuati e li sottrae all’indistinzione del buio notturno è la figura di una procedura di indagine agita dal detective che gradualmente e pazientemente getta fasci di luce e di comprensione nella tenebra del mistero. Le figure possono essere isolate oppure collegarsi in serie coerenti, e dare vita ad “allegorie” sensibili: la risonanza di senso che lega le configurazioni percettive e quelle sensibili viene estesa in tal modo a intere filiere di azioni di personaggi differenti, o a catene di ambienti diversi e così via. Inoltre sia le figure isolate che le serie allegoriche possono entrare in opposizione reciproca. Per esempio nella nostra sequenza il personaggio di Nick e le sue azioni vengono ripetutamente contraddistinti sia dalla presenza dell’ele107

Trasformazioni narrative e trasformazioni sensibili

Le metafore sensibili: figure e allegorie

Semiotica dei media

mento luminoso vivo e chiaro che squarcia le tenebre (il raggio della torcia, i flash abbaglianti della macchina fotografica), sia da uno stile ritmico fluido e lineare, che procede in direzione diritta a esplorare lo spazio tridimensionale del parcheggio. Queste caratteristiche sensibili tonali e ritmiche contrastano nettamente con quelle che vengono attribuite allo sguardo del rapitore di Nick. Sul piano tonale questo soggetto si lega al buio e alla tenebra: le sue soggettive sono parzialmente ostruite da superfici scure e in un caso l’immagine resta completamente occlusa per circa due secondi; inoltre sul piano ritmico il suo movimento è brusco, spezzato da scarti improvvisi, e il suo andamento è prevalentemente verticale. Ciò cui assistiamo nella sequenza è quindi anche il contrasto tra una “creatura della luce” dall’andamento fluido e continuo e una “creatura della tenebra” dall’andamento incerto e spezzato. In base a questa linea di lettura l’inquadratura finale, con il brusco sollevarsi dell’ombra scura sulla figura illuminata di Nick (fig. 2) e il successivo flash bianco che sottrae l’immagine alla vista, costituisce una vittoria della tenebra sulla luce: ciò cui assistiamo non è propriamente il rapimento di Nick quanto piuttosto la sua “sparizione” 1. 5. Il design narrativo dell’esperienza Percezione e ordinamento delle trasformazioni nell’esperienza ordinaria

L’uso di mappe situazionali per controllare l’insorgenza di trasformazioni nei rapporti tra noi e il mondo e per valutarne la portata non è un procedimento esclusivo dell’esperienza mediale e delle relazioni con il mondo indiretto: nella nostra esperienza ordinaria noi adoperiamo costantemente meccanismi analoghi. Mentre sto scrivendo queste pagine mi viene in mente per esempio che devo andare a fare la spesa, che domani dovrò ritirare l’auto dal meccanico, che devo telefonare a mio fratello che è uscito da poco dall’ospedale e deve tenere sotto controllo la propria salute... Ciascuna di queste numerose situazioni quadro mi richiede una mappa situazionale che mi permetta di valutare eventuali trasformazioni che si possono verificare e di pianificare interventi appropriati 2. 1. Si può osservare che la metafora sensibile o figura che abbiamo analizzato (l’opposizione tra luce e tenebra) rappresenta la sopravvivenza e il ritorno di un modulo fortemente radicato nella memoria culturale del soggetto occidentale (per esempio riporta alla vita una figura teologica del mondo cristiano). Anche le figure hanno dunque una storia, con i loro punti di emergenza, ripresa, reinvenzione. 2. In chiave più tecnica, alcune teorie di ambito psicologico sottolineano come siano costantemente in atto operazioni di valutazione immediata (appraisal) degli stimoli sensoriali; e come tale “controllo valutativo dello stimolo” (Stimulus Evaluation Check) si svolga integrando strettamente processi cognitivi ed emotivi. Secondo alcuni neurocognitivisti (per esempio Damasio, 1999) sarebbero proprio tali meccanismi ad assicurare la costituzione basilare della coscienza e dell’identità, a partire dalla rappresentazione che ci facciamo della situazione del nostro corpo e delle trasformazioni apportate dall’irruzione degli stimoli esterni.

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L’ordinamento del mondo indiretto

Questo non toglie che tra esperienza ordinaria ed esperienza mediale vi siano delle differenze: queste sono motivate, come ormai sappiamo, dalla natura artificiale e progettata della seconda. Nel caso dell’esperienza mediale le situazioni quadro che rappresento sono in numero limitato e controllabile, anche se possono essere molto numerose, quasi a simulare la molteplicità della vita quotidiana reale (pensiamo alle linee narrative di una soap opera o in generale di una narrazione seriale di lungo periodo). Inoltre, sul versante della cadenza delle trasformazioni, non percepisco un clock regolare di trasformazioni nelle situazioni che compongono la mia esperienza quotidiana; al contrario abbiamo visto che nell’esperienza mediale la cadenza delle trasformazioni è spesso ben definita e in quanto tale avvertibile dallo spettatore. Diremo dunque che la quantità delle situazioni quadro e la cadenza delle trasformazioni al loro interno definiscono differenti stili di design narrativo dell’esperienza. Percorsi di approfondimento L’attenzione per il momento presente e per le attività di mappatura delle relazioni con il mondo che esso ospita è al centro di numerose ricerche neurocognitive che abbiamo tenuto presenti nella nostra elaborazione: per es. Damasio (1999) e Stern (2004). Per le teorie dell’appraisal e in genere per il legame tra emozione, cognizione e azione nell’esperienza del mondo si vedano le sistemazioni complessive di Galati (2002) e Anolli (2002) e i rimandi ivi contenuti (in particolare a Frijda, 1986). Un’applicazione delle teorie psicologiche dell’emozione alla lettura è Levorato (2000). Alcuni studi di semantica estensionale del testo narrativo di taglio interpretativista (oltre ai testi citati in Mondi narrativi e condizioni elementari del racconto, pp. 105-6) sono aa.vv. (1978) e Bonomi (1994). Per la trattazione del figurativo all’interno della semiotica generativa rinviamo ai testi già indicati nei Percorsi del cap. 3. Nel campo delle teorie dell’audiovisivo la questione della costituzione del racconto nel mondo indiretto è stata affrontata a partire dalla discussione sulle relazioni tra “mostrazione” e “narrazione” e sull’unità narrativa elementare del racconto audiovisivo: cfr. Gaudreault (1988) e Odin (2000). Più di recente anche questa questione è stata reimpostata alla luce delle teorie neurocognitive dell’embodiment, per esempio da Grodal (2009). La questione della figura e del figurale (ovvero di come alcune qualità sensibili possano esprimere nel testo visivo e audiovisivo, in relazione con il mondo del racconto e lungo tracciati di ripresa e reinvenzione di configurazioni culturali, sensi ulteriori e non verbalizzabili), ha rappresentato un luogo di rilancio del dibattito sulle relazioni tra sensazione, percezione e narrazione. Limitando l’attenzione all’ambito dell’audiovisivo cfr. Aumont (1996, 2009), Brenez (1998), Aubral, Chateau (1999), Dubois (2004), Hansson (2005), Bertetto (2007).

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La disciplina delle trasformazioni nell’esperienza mediale: il design narrativo

Semiotica dei media

Quaderno degli esercizi Riprendi lo spot che hai già iniziato ad analizzare: quali trasformazioni di rilievo intervengono nel mondo indiretto? Con quale portata e quale cadenza si manifestano? Quali segnali sensibili le accompagnano? Confronta vari tipi di fiction seriale: una serie poliziesca, una sit-com, un serial di lunga durata, una miniserie. Quali differenze riscontri per quanto concerne il numero di situazioni quadro e le loro relazioni? Prendi in considerazione una fiction televisiva di tuo interesse: riesci a individuare alcune grandi metafore sensibili? Per aiutarti, lavora su alcuni assi di opposizione (luce vs ombra, interno vs esterno, ordine vs caos ecc.) e cerca di capire se differenti valori sensibili si legano a differenti gruppi di personaggi o a differenti situazioni articolando un’opposizione tra loro. Analizza una sequenza in cui sia presente una forte suspence (sul tipo di quella relativa al rapimento di Nick): in che modo l’effetto di suspence richiede la messa in opera di mappe situazionali di tipo previsionale? In che relazione sta l’attivazione di tali mappe con il ritmo delle trasformazioni? Quali elementi sensibili sono responsabili di tali effetti? Prendi in esame le dichiarazioni di alcuni autori di testi mediali circa i problemi e le difficoltà che si incontrano nel costruire mondi fittizi e nel tenerli in relazione con il mondo reale (per es. Dick, 1978) e confronta tali affermazioni con quanto hai studiato nel corso del capitolo. Prendi in considerazione alcuni manuali di sceneggiatura televisiva e cinematografica (per es. McKee, 1997): come si pone il problema del design narrativo del mondo indiretto?







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5.

L’ordinamento del mondo indiretto

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6 L’ordinamento del discorso

1. Premessa Questo capitolo prende in esame il terzo snodo dell’esperienza mediale, collocato al punto di incrocio tra lo strato dell’ordinamento delle risorse esperienziali e il campo di oggetti intenzionali del discorso. Il secondo paragrafo introduce la porzione di Grave Danger immediatamente successiva a quella presa in esame nel capitolo precedente: essa serve da base per le considerazioni che seguono. Il terzo paragrafo introduce il concetto di discorso e delinea le tre accezioni in cui esso si declina: la produzione, l’intreccio e il formato; esso esamina inoltre la questione dei differenti modi e gradi di evidenza del discorso rispetto al mondo indiretto, all’interno dell’esperienza mediale. Il quarto paragrafo offre alcuni strumenti per analizzare il discorso nella sua accezione di intreccio: questo viene considerato e analizzato in quanto traccia di una serie di movimenti e gesti compositivi. Il quinto paragrafo infine sviluppa l’idea che l’ordinamento del discorso definisce un particolare aspetto progettuale dell’esperienza mediale: il suo design temporale. 2. Vuoti, salti, ritorni La sequenza del rapimento di Nick si è conclusa, abbiamo visto, con un’improvvisa dissolvenza in bianco, un flash che occlude per un istante la visuale. Con altrettanta rapidità l’immagine si riapre sulla stessa scena del crimine: tra lo squillare concitato di sirene e cellulari entra dal fondo un’auto dalla quale scendono Grissom e Catherine. Brass, che sta interrogando il poliziotto Michael, li informa che Nick «è sparito da circa 25 minuti». I due detective iniziano le ricerche ripercorrendo passo passo il tragitto di Nick. Catherine ritrova il giubbotto del collega rapito e individua fibre di tessuto bianco imbevuto di una sostanza che sospetta essere alcool; Grissom vede invece il bicchiere nella busta che ha attirato anche Nick: «forse è un messaggio», commenta il detective in primissimo piano. Mentre l’uomo alza gli occhi verso la sinistra dello schermo, sullo sfondo di un effetto sonoro ascendente, 113

Semiotica dei media

figura 1

irrompe la sigla iniziale di csi: una sequenza di immagini veloci e frammentate di Las Vegas, membri della squadra csi al lavoro (in sovrimpressione appaiono i nomi degli attori), dettagli anche ravvicinatissimi di oggetti, parti di corpi, eventi (una goccia di sangue, l’iride di un occhio, un’esplosione ecc.). La canzone Who Are You degli Who fa da sfondo alla sequenza e ne determina in modo evidente gli andamenti ritmici. Questa prima parte, compresa la sigla, dura 2 minuti e 50 secondi: dall’inizio dell’episodio sono passati 7 minuti. Dopo la sigla è possibile inserire un break pubblicitario (nell’edizione italiana c’è solo un segmento di alcuni fotogrammi neri). Alla ripresa due immagini di Las Vegas dall’alto introdotte e separate da flash bianchi riportano alle modalità espressive dell’inizio dell’episodio. Il secondo flash introduce l’immagine in dettaglio di un proiettile: una mano guantata vi incide una x sulla punta, carica una pistola e spara in fronte a due ragazze legate l’una di spalle all’altra. Sul rumore dello sparo l’immagine stacca sulla silhouette di un uomo che ripete l’azione su due manichini facendo schizzare della vernice rossa e blu su uno schermo bianco teso sullo sfondo; in sovrimpressione appare la scritta “earlier that night” (fig. 1). L’uomo è Grissom e sta indagando sull’omicidio delle due ragazze prima che avvenga il rapimento di Nick. Un carrello in steady-cam segue Grissom e Sara mentre entrano nell’ufficio del detective discutendo del caso e una serie di primi piani in campo e contro campo seguono la loro conversazione: Grissom ha ricevuto e fatto incorniciare una dichiarazione di possesso di Trigger, il mitico cavallo di Roy Rogers. Seguono altre brevi 114

6.

L’ordinamento del discorso

scene che vedono impegnati i differenti personaggi della squadra all’interno della sede csi: Haggis spiega a Greg le regole del gioco da tavolo tratto dalla serie televisiva Hazzard e i due iniziano a giocare una partita; Archie discute con Conrad sull’assegnazione di fondi per un lavoro di ricerca. Più lungo e articolato il racconto che Warrick fa a Nick nello spogliatoio mentre si cambia: due uomini lo hanno provocato sabato sera mentre era fuori con la sua fidanzata e solo per poco la situazione non è sfociata in un atto di violenza; Nick ascolta, annuisce, interviene, fa domande mentre carica la pistola. Quando escono dallo spogliatoio i due incrociano Catherine che assegna loro due incarichi da spartirsi; i due amici decidono di tirare a sorte: il lancio di una moneta fa sì che il recupero dei rifiuti nel parcheggio tocchi a Nick. «Questa tienila tu: porta sfortuna», dice Nick lanciando la moneta a Warrick. Sul gesto di Nick e mentre la moneta ricade, un flash bianco accompagnato da un rumore elettronico cupo, come di vento, introduce il primissimo piano di Nick steso in un buio rossastro con gli occhi chiusi: il rumore si fonde con quello di un automezzo in moto. Nick si sveglia nel retro di un’auto, l’auto si arresta, Nick si agita ma qualcuno gli preme un panno bianco sulla bocca. Sul rilassarsi del corpo di Nick subentra un nuovo stacco pubblicitario. Il segmento, dalla ripresa dopo la sigla al nuovo stacco pubblicitario, dura 7 minuti e 25 secondi. 3. Le articolazioni del discorso 3.1. Produzione, intreccio, formato Poniamo che mentre parte il nuovo stac-

co pubblicitario un amico ci raggiunga davanti alla televisione e ci chieda che cosa è successo fino a quel punto. Abbiamo due scelte. Se vogliamo tagliare corto raccontiamo semplicemente che «Nick è stato rapito e sono iniziate le indagini per ritrovarlo»: in questo modo forniamo all’amico le informazioni necessarie perché egli possa costruirsi una mappa situazionale “di pronto uso”, essenziale ma comunque sufficiente a seguire la storia da quel punto in poi. Se invece abbiamo tempo e voglia di spendere qualche parola in più possiamo dilungarci a dire che «all’inizio il telefilm fa vedere Nick che arriva sul luogo del recupero di alcuni resti umani e viene rapito da uno sconosciuto; poi il racconto fa un salto in avanti e dopo venticinque minuti Grissom e Catherine iniziano a indagare e trovano alcune tracce; poi si interrompe perché c’è la sigla e, quando riprende, fa un salto all’indietro e fa vedere alcune vicende avvenute nella sede csi prima della scena del rapimento; alla fine siamo riportati al presente, Nick è tramortito e viene trasportato non si sa dove. Tutto questo è durato circa sette minuti». In questo secondo caso non ci limitiamo a consegnare al nostro amico una mappa situazionale essenziale, ma ripercorriamo e riepiloghiamo con lui e per lui la nostra esperienza di visione. 115

Semiotica dei media Il discorso è un’entità sincretica

Il discorso come produzione

Il discorso come intreccio

Se a questo punto rileggiamo con attenzione il resoconto che abbiamo fatto, ci accorgiamo di un paio di cose curiose. Anzitutto non abbiamo parlato al nostro amico solamente di quanto è avvenuto nella Las Vegas in cui si svolge l’episodio di csi. Piuttosto, abbiamo introdotto una serie di soggetti e di azioni (il telefilm “fa vedere”, il racconto “fa un salto in avanti”, “si interrompe” “riprende” ecc.) che sono responsabili della produzione dell’esperienza del mondo indiretto: in altri termini abbiamo fatto emergere la presenza di quel secondo campo di oggetti intenzionali che chiamiamo il discorso. Una seconda constatazione segue immediatamente. Per come ne abbiamo parlato al nostro amico, il discorso appare dotato di proprietà e caratteristiche diverse: in un caso “fa vedere”, in altri casi si muove o ci fa muovere nello spazio e nel tempo (“siamo riportati al presente”), in altri casi ancora appare come un oggetto dotato di una certa estensione temporale (“è durato sette minuti”). Il discorso si manifesta dunque come un’entità sincretica: è opportuno distinguere differenti definizioni del discorso all’interno dell’esperienza mediale. Ne possiamo individuare tre. Ritorniamo al brevissimo flash bianco che interrompe le immagini del rapimento di Nick e introduce alla stessa scena spaziale dopo venticinque minuti. Si tratta di un segno di interpunzione (una sorta di “punto e a capo” visivo e sonoro) che introduce bruscamente nell’esperienza di visione la consapevolezza della sua natura complessivamente artificiale ed eterodiretta: le attività di osservazione valutativa del mondo indiretto e i relativi aggiornamenti delle mappe situazionali vengono guidati da un fluire di immagini e di suoni controllato “dall’esterno” e dotato di una esistenza autonoma. Questa consapevolezza si estende a tutto l’insieme dei materiali visivi e sonori che vengono erogati dal dispositivo della televisione: sotto questo aspetto non c’è effettiva differenza tra il flash bianco che interrompe una situazione e introduce a un’altra, e l’identico flash bianco della macchina fotografica di Nick che punteggia la sequenza appena conclusa. Una prima e basilare definizione del discorso è dunque quella di “processo di manifestazione dei materiali sensoriali responsabili della costituzione progressiva dell’esperienza mediale”. Si tratta di una entità in costante movimento, così come è mutevole e trascorrente l’esperienza che essa costituisce: la stessa etimologia latina del termine “discorso” rinvia a un movimento inquieto e turbolento. Parliamo a questo proposito di “produzione” discorsiva, laddove il termine “produzione” intende rinviare a un fenomeno in atto, fluido e contingente. Il segno di interpunzione rappresentato dal flash bianco, d’altra parte, invita a riconfigurare questo movimento discorsivo nei termini di un procedimento e di un’azione più articolati. Nel pensare e nel descrivere questo flash come un’interruzione e una ripresa, implichiamo che il movimento 116

6.

L’ordinamento del discorso

del discorso venga considerato come un “procedimento di composizione di materiali eterogenei precedentemente sussistenti, in un insieme unitario e originale di nuova fattura”, un’azione di montaggio o per meglio dire (usando una metafora più antica) di tessitura: non parliamo più quindi di produzione discorsiva, quanto piuttosto di “intreccio”. Non a caso nel nostro linguaggio ordinario diciamo che perdiamo il “filo” di un discorso, o che ne tiriamo le “fila”, che leggiamo un “testo” (termine derivante da textum o tessuto) o che stiamo seguendo una certa “trama”. L’intreccio, abbiamo detto, compone materiali eterogenei in un insieme unitario: il prodotto dei gesti di composizione si dispone dunque all’interno di un “ambiente spaziale o temporale dotato di una estensione misurabile e di una conformazione descrivibile in termini di struttura”: possiamo dire che il discorso viene nuovamente riconfigurato in quanto “formato” 1. Nel nostro caso il formato è definito da caratteristiche temporali e consiste nei sette segmenti lineari di circa sette minuti di cui si compone ogni episodio di csi, per una durata complessiva di circa 50 minuti a episodio; nonché nella struttura di un incipit cui segue la sigla e quindi (dopo uno stacco pubblicitario) la ripresa dell’episodio. Questa articolazione a base temporale potrebbe essere tradotta in termini spaziali: per esempio nel caso acquistassimo il dvd di Grave Danger troveremmo un menu che segmenta il doppio episodio in una serie di “capitoli” in modo simile a quanto avviene per esperienze basate su materiali grafici. In sintesi dunque il discorso viene definito all’interno dell’esperienza mediale in tre modi: come produzione, entità dinamica costituita dai materiali mediali responsabili del farsi dell’esperienza in corso; come intreccio, procedimento di composizione di materiali eterogenei in un insieme unitario; come formato, oggetto dotato di un’estensione e di un’articolazione spaziale e/o temporale. Le tre definizioni sono strettamente legate e interdipendenti. Inoltre la logica della loro successione è quella di un passaggio dal discorso visto in relazione con il mondo indiretto al discorso visto in relazione con il mondo diretto: il che mette in luce la natura interstiziale e mediatrice propria del discorso nel suo complesso. 3.2. Le evidenze del discorso Il modello dell’esperienza mediale che propo-

niamo e che stiamo descrivendo implica un’articolazione interna complessa: tanto i differenti strati disposti “in orizzontale” quanto i campi di oggetti intenzionali disposti “in verticale” sono compresenti e si determinano 1. Possiamo osservare che, quando nel cap. 2, par. 3.3 abbiamo parlato della “conformazione” del discorso quale criterio per distinguere differenti forme di esperienza mediale, alludevamo in modo specifico alle principali tipologie di formati mediali.

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Il discorso come formato

Il ruolo interstiziale del discorso

Semiotica dei media

Il discorso presenta diversi gradi e forme di manifestazione e di evidenza

Il discorso come attività di costituzione dell’esperienza

reciprocamente. Abbiamo cercato di esprimere graficamente questo aspetto mediante la metafora della trasparenza reciproca di strati e campi di oggetti. Da questo principio generale deriva che anche il discorso costituisce una presenza costante e irriducibile nell’orizzonte dell’esperienza mediale: questa non può in nessun caso esser rappresentata come un “immergersi” totalizzante ed esclusivo dello spettatore nel mondo indiretto. Esamineremo più in dettaglio nel prossimo paragrafo in che modo il discorso in quanto intreccio e la costituzione del mondo indiretto interagiscono e si determinano reciprocamente. D’altra parte la compresenza di strati e livelli non esclude e anzi incoraggia differenti gradi di evidenza di uno strato o di un altro, di un campo di oggetti o di un altro: la modulazione dell’esperienza mediale consiste appunto in questi costanti e regolati andirivieni. In base a questo secondo principio, anche il discorso potrà avere gradi e modi differenti di manifestazione rispetto al mondo indiretto (e la stessa sorte tocca ovviamente al mondo diretto, come vedremo nel prossimo capitolo). In particolare distinguiamo tre gradi di evidenza del discorso – considerato nel suo complesso di produzione, intreccio e formato – rispetto al mondo indiretto. In primo luogo il discorso rappresenta lo sfondo di costituzione dell’esperienza mediale, costantemente presente all’interno dell’esperienza stessa e capace di emergere e di attirare su di sé l’attenzione in qualsiasi momento. Più in particolare l’attenzione dello spettatore si rivolge ai materiali mediali, ai processi di composizione e ai formati che rendono possibile e guidano l’esperienza mediale, in tutti i momenti e i luoghi di transito, di interruzione e di giunzione rispetto allo sviluppo delle situazioni del mondo indiretto: tipicamente l’inizio e la fine dell’erogazione dei materiali mediali, le microcongiunzioni interne alle singole sequenze, i passaggi da una sequenza all’altra, i momenti in cui le situazioni del mondo indiretto conoscono fasi di rallentata o mancata trasformazione (come nei brani o nelle sequenze descrittive). Per esempio l’inizio di Grave Danger si può leggere sotto questo aspetto come il graduale spostamento di attenzione dello spettatore dal discorso (le immagini di Las Vegas dall’alto separate dai rapidi flash bianchi, la canzone country di sfondo) al mondo indiretto (l’avvio della situazione narrativa a partire dall’arrivo di Nick nel luogo di ritrovamento dei resti). Nel corso della sequenza introduttiva il fatto che mentre Nick indaga il poliziotto sta vomitando, è espresso con un cambio di messa a fuoco tra Nick in primo piano e il poliziotto sullo sfondo. Ancora più evidenti gli interventi discorsivi legati alla sospensione più o meno prolungata dall’evoluzione del mondo indiretto, come avviene con il flash che separa il rapimento di Nick dalla sequenza dell’avvio delle indagini di Grissom e ancora più radicalmente con la sigla della serie csi che interrompe lo sviluppo narrativo della vicenda. Infine l’intero segmento della sigla rappre118

6.

L’ordinamento del discorso

senta uno spazio di assoluta assenza di trasformazioni narrative e di altrettanto forte visibilità dell’attività discorsiva 2. In secondo luogo il discorso può manifestarsi mediante una traduzione esplicita all’interno del mondo diretto, ovvero una messa in scena di processi e attività discorsive. Queste attività possono essere dello stesso tipo del discorso in atto (sono i casi di cosiddetta “mise en abîme”: cinema nel cinema, quadro nel quadro, racconto nel racconto ecc.) oppure di tipo differente 3. Per esempio il segmento degli avvenimenti che si svolgono prima del rapimento di Nick è ricco di riferimenti più o meno diretti e trasparenti a processi e attività discorsive differenti rispetto alla fiction audiovisiva che si sta svolgendo. Lo sparo di Grissom che riproduce l’omicidio delle due ragazze proietta su uno schermo teso dietro i due manichini delle macchie rosse e blu simili a un quadro astratto (il riassunto dell’episodio sul sito ufficiale della serie csi parla di una specie di “dipinto alla Pollock”: fig. 1). Soprattutto, il lungo racconto orale che Warrick fa a Nick, permette allo spettatore di assistere non solo e non tanto alla storia che Warrick racconta, quanto e soprattutto all’atto del suo narrare. Vedremo peraltro nel prossimo capitolo come la messa in scena di un intero dispositivo tecnologico di discorsivizzazione (la trasmissione via web-cam delle immagini di Nick sepolto vivo dal rapitore) costituisca uno degli elementi caratteristici di Grave Danger. Infine, il discorso può manifestarsi come un’attività di destituzione (piuttosto che di costituzione) del mondo indiretto: i procedimenti compositivi e di intreccio non consentono allo spettatore la costituzione di un mondo indiretto unitario e lineare, ma al contrario impediscono un normale funzionamento degli usuali processi interpretativi. Un simile turbamento può essere appena accennato: per esempio il caso delle due gemelle uccise, avviato ma poi non ripreso in Grave Danger, o la chiacchierata tra Grissom e Sara sul cavallo di Roy Rogers rappresentano delle anomalie rispetto ai normali andamenti di un episodio di csi e in quanto tali insinuano all’interno del mondo indiretto alcuni indizi circa la sua natura artificiale e lega2. È interessante osservare che in alcuni casi i “segni di interpunzione” che separano e collegano differenti sequenze esprimono i movimenti del discorso mediante delle figure, ovvero delle metafore sensibili analoghe a quelle incontrate nel capitolo precedente (par. 4) a proposito di soggetti e azioni del mondo indiretto. Per esempio il movimento della moneta lanciata da Nick alla fine del flash back sugli avvenimenti precedenti al suo rapimento, con la sua qualità ritmica di movimento fluido in cui un oggetto momentaneamente librato in aria ricade pesantemente verso una superficie solida, permette di percepire il passaggio dal passato del flash back al presente della prigionia di Nick come un “ricadere” nella difficile situazione che si è prodotta prima dello stacco della sigla. 3. Queste differenti modalità di manifestazione del discorso rispondono a un principio di rimediazione: forme storicamente e tecnologicamente successive del discorso riprendono e simulano quelle precedenti. Sviluppiamo questo aspetto nel cap. 9, par. 3.2.

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Il discorso come oggetto di rappresentazione nel mondo indiretto

Il discorso come attività di destituzione dell’esperienza

Semiotica dei media

ta a processi discorsivi. In altri casi questo andamento è più marcato: per esempio in alcuni film di David Lynch, quali Lost Highway (Fr./usa, 1997) o Inland Empire (Fr./Pol./usa, 2006), l’esperienza del mondo indiretto viene gradualmente portata verso una impasse radicale e irreversibile 4. Il problema del discorso narrativo nella semiotica del testo L’attenzione per le varie forme di discorso ha caratterizzato la semiotica del testo. Data la particolare pervasività del racconto, l’attenzione della disciplina si è concentrata sul discorso narrativo: si è anzi ritenuto che questo fosse il modello per altri tipi di discorso (scientifico, pubblicitario ecc.) che più o meno esplicitamente articolano in forma di racconto i propri contenuti. Lo studio del discorso narrativo si è basato sulla distinzione tra quello che in questo volume chiamiamo il tracciato narrativo, riorganizzazione degli eventi lungo una linea spazio-temporale misurabile, generalmente definito storia (in inglese story), e quello che noi abbiamo definito l’intreccio, operazione di ridisposizione dei materiali della storia all’interno del discorso o risultato di tale operazione, definito racconto (in inglese plot). A partire da qui la ricerca ha seguito due direzioni principali. La prima direzione di ricerca ha separato la storia dal racconto e l’ha analizzata in base alle logiche generali e astratte che presiedono alla sua articolazione. Le radici di questa impostazione di ricerca stanno nel lavoro dei Formalisti russi degli anni venti e trenta e in particolare nell’opera di Vladimir Propp. Nella semiotica contemporanea questa linea è stata perseguita da vari studiosi (Bremond, Todorov) e ha trovato il luogo di maggior elaborazione all’interno della teoria di Greimas. Questa direzione di ricerca ha condotto alla costruzione di una grammatica narrativa generale. Essa contempla sia un asse paradigmatico di selezione (le unità della storia sono considerate essere presenti nello spazio culturale in forma di motivi o funzioni preesistenti al singolo racconto) sia un asse sintagmatico all’interno del quale le unità in base vengono combinate in un modello narrativo dotato di una logica ben definita: per esempio una perdita o una serie di perdite iniziali e un recupero o una serie di reintegrazioni finali, e dunque in sostanza un passaggio regolato di oggetti materiali o simbolici da un soggetto all’altro (Propp e il primo Greimas); una serie di miglioramenti o peggioramenti variamente combinati (Bremond); l’assegnazione iniziale di un compito, il mandato, e il riconoscimento finale 4. Questo fenomeno è stato efficacemente descritto nei termini dell’estetica psicoanalitica di Jacques Lacan come una “emergenza del reale” all’interno del regime simbolico e immaginario del mondo indiretto. In base a questa rete di concetti, all’interno dell’esperienza mediale si produce la manifestazione dell’unica realtà che vi agisce effettivamente: la particolare, fragile e precaria attività di messa in forma del vuoto e di messa in senso dell’insensato che è appunto l’attività del discorso. Cfr. Recalcati (2007) per l’ambito delle arti visive, e Bellavita (2005) per l’audiovisivo.

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6.

L’ordinamento del discorso

del suo svolgimento, la sanzione (il secondo Greimas) ecc. La semiotica testuale di taglio cognitivista e interpretativista degli anni ottanta ha ripensato tale approccio e ha considerato i modelli narrativi in quanto schemi-tipo (templates), o sceneggiature-modello (scripts) che fanno parte della competenza culturale del lettore o spettatore: nell’interpretare un racconto il lettore se ne serve per lavorare i materiali che il testo gli fornisce in modo da costruire delle macroproposizioni che gli permettono di condensare e quindi controllare cognitivamente l’andamento del racconto (cfr. per es. Eco, 1979). La seconda direzione di ricerca ha affrontato il discorso narrativo senza separare la storia dal racconto, ma concentrandosi al contrario proprio sulle relazioni tra le due entità. Un libro fondamentale a questo riguardo è stato Genette (1972). Il teorico francese introduce la distinzione tra storia e racconto rifacendosi a due fonti: i Formalisti russi, che distinguevano tra fabula (storia) e sjuˇzet (intreccio), e gli studi di morfologia poetica di Günter Müller che negli anni sessanta aveva distinto tra erzählte Zeit (tempo raccontato) e Erzählzeit (tempo del raccontare). I due concetti esprimono rispettivamente in Genette la linea degli eventi narrati nel loro ordine logico e cronologico intrinseco (storia) e la linea di presentazione degli eventi all’interno del discorso narrativo (racconto). Genette analizza le possibili relazioni tra le due linee di svolgimento in termini di ordine, durata e frequenza. La teoria genettiana conoscerà una enorme diffusione e molte applicazioni. Occorre tuttavia considerare con Ricoeur (1983-85) che Genette “oggettiva” storia e racconto e astrae quindi tali entità rispetto alle dinamiche della loro costituzione all’interno dell’esperienza di fruizione del testo: di qui la critica espressa da Ricoeur, secondo la quale in questa impostazione si perde la possibilità di tematizzare e di spiegare lo Zeiterlebnis, l’esperienza vissuta della temporalità narrativa. Lungo la strada indicata da Ricoeur sono produttive alcune indicazioni della semiotica del cinema e dell’audiovisivo. Già Christian Metz (1968) aveva ipotizzato che i materiali audiovisivi del film vengono percepiti e fruiti in quanto discorso narrativo grazie ai differenti procedimenti di montaggio che intervengono su di essi per organizzare le relazioni spaziali e temporali del mondo diegetico; di qui una grande sintagmatica, ovvero una tipologia dei differenti procedimenti discorsivi di costituzione cinematografica del mondo narrativo, dalla sequenza ordinaria al sintagma alternato a quello parallelo ecc. In tal modo Metz pone l’accento sul processo di costituzione della storia da parte del discorso e non sulla relazione astratta tra due linee di svolgimento. In questa direzione (ma in termini più decisamene cognitivisti) Bordwell (1985, p. 53) definisce la narrazione filmica come «il processo mediante il quale il sjuˇzet del film e lo stile [ovvero l’insieme degli specifici mezzi espressivi del cinema tecnologicamente e culturalmente definiti] interagiscono nell’indirizzare lo spettatore mediante opportune indicazioni nella sua costruzione della fabula», entità puramente cognitiva e mentale.

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Semiotica dei media

4. L’analisi dell’intreccio e della gestualità compositiva La configurazione incrociata di mondo indiretto e discorso

La trascrizione sequenziale del mondo indiretto: dalle mappe ai tracciati

L’intreccio come partitura gestuale

4.1. Il tracciato e l’intreccio Abbiamo richiamato all’inizio del paragrafo

precedente il principio generale secondo il quale anche i campi di oggetti intenzionali, e non solo gli strati, si determinano reciprocamente all’interno dell’esperienza mediale. Ci concentriamo ora su un caso specifico ma molto importante di tale principio: la configurazione incrociata tra il mondo indiretto e il discorso in quanto intreccio. Torniamo alla ripresa di Grave Danger, una volta conclusa la sigla e lo stacco pubblicitario: dopo l’assassinio delle gemelle, sulle immagini di Grissom che replica il delitto, si sovrappone la scritta “earlier that night” (fig. 1). La sovrapposizione della scritta mette in moto alcuni gesti interpretativi che dobbiamo seguire con attenzione. La constatazione di base è che, nel presentarci gli eventi del mondo indiretto, il discorso ha effettuato uno “spostamento”, ha cambiato il loro ordine “originale”. Una simile constatazione implica a ben vedere una riconfigurazione sia del mondo indiretto che del discorso, in particolare del discorso in quanto intreccio. Per quanto riguarda il mondo indiretto, le trasformazioni che si svolgono al suo interno e che producono le modifiche delle mappe situazionali vengono ora tradotte nei termini di una o più sequenze lineari articolate da nessi cronologici (prima, dopo, mentre) e causali (a causa di, in conseguenza di, indipendentemente da). Le mappe situazionali, che sono sincroniche, vengono quindi trascritte in “tracciati” sequenziali che permettono la collocazione dei singoli episodi all’interno di una trama più ampia. Questi tracciati non servono più, come le mappe, per essere consultati “sul posto” e valutare l’andamento della situazione all’interno del momento presente in cui essa si volge; piuttosto, i tracciati permettono di collocare a posteriori certi episodi all’interno di una linea cronologica, di valutare le loro connessioni reciproche, di confrontare vicende che si sono svolte a distanza per individuare analogie e contrasti e così via. Insomma: i tracciati permettono di guardare agli sviluppi del mondo indiretto con un certo distacco, come dall’alto e con una maggiore libertà di spaziare da un punto all’altro. È appunto grazie a tale trasformazione che possiamo comprendere che l’arrivo di Grissom e Catherine avviene venticinque minuti “dopo” il rapimento, che l’indagine sull’omicidio delle due gemelle si è svolta “prima” del rapimento di Nick e che l’invio di Nick sul luogo del rapimento è stato la “conseguenza” del lancio sfortunato di una moneta. La teoria del racconto ha definito questi tracciati con i termini di storia o fabula, e li ha opposti al racconto, o sjuˇzet, o intreccio (cfr. Il problema del discorso narrativo nella semiotica del testo, pp. 120-1). La riconfigurazione del mondo indiretto è strettamente collegata a quella che subisce l’intreccio. Una volta assunto il tracciato del mondo indiretto come riserva di materiali a partire dai quali l’intreccio attua i propri prelievi 122

6.

L’ordinamento del discorso

e montaggi, è possibile pensare e vivere il processo discorsivo come una sequenza di gesti, ovvero di microsceneggiature sensomotorie volte a produrre la composizione complessiva del discorso. Così, possiamo dire che l’intreccio viene “avviato, interrotto, ripreso”; i materiali che lo compongono vengono “afferrati, trascinati, annodati” ecc. Inoltre, se si assume il tracciato del mondo indiretto come sistema di riferimento di tale gestualità, diviene possibile valutare un andamento “spaziale” dei gesti compositivi: si parla quindi di direzione in avanti o all’indietro, di accelerazioni o rallentamenti e così via. È appunto in base a tale principio, e a conclusione del complesso lavoro di configurazione incrociata, che giungiamo a constatare che Grave Danger, nel riferirci gli eventi avvenuti “earlier that night”, effettua “uno spostamento” riportando “in avanti” eventi del passato 5. In conclusione, dal processo di riconfigurazione che abbiamo esaminato deriva che l’intreccio può essere espresso nella forma di una partitura gestuale, una sorta di coreografia di movimenti che per un verso procede con uno stile riconoscibile (fatto per esempio di salti, strappi, slanci più o meno nervosi, o al contrario di un regolare fluire privo di incertezze) e per altro verso giunge a comporre schemi unitari (linee, cerchi, ellissi continue o spezzate). Approfondiamo questo punto e delineiamo alcuni strumenti di analisi dell’intreccio in quanto partitura gestuale compositiva. 4.2. Microtessitura, macrotessitura e schemi complessivi Nel delineare i para-

metri che definiscono lo stile ritmico del gesto compositivo, iniziamo con il distinguere tra un andamento continuo o discontinuo: nel primo caso i materiali vengono intessuti rispettando l’unità spaziale e temporale della linea narrativa (microtessitura), mentre nel secondo caso sono presenti salti e spostamenti (macrotessitura o montaggio). In entrambi i casi entrano in gioco quattro parametri che definiscono le qualità ritmiche del gesto: la direzione, l’articolazione, la portata e l’investimento/modulazione dell’energia gestuale 6. Nel caso di una microtessitura (andamento continuo dei gesti di composizione) la direzione della gestualità può procedere in avanti, nel rispetto della progressione dell’azione narrata, oppure all’indietro, “riavvolgendo” l’azione, oppure ancora in senso longitudinale, tra differenti sottoazioni relativamente autonome ospitate all’interno di una stessa situazione. L’e5. Si osservi che nella nostra descrizione abbiamo assunto che l’intreccio lavora come un meccanismo di spostamento di parti del tracciato per presentarle allo spettatore o lettore; è però possibile anche una metafora opposta ma facente parte della medesima logica, che porti a vivere l’intreccio come un meccanismo di spostamento dello spettatore o del lettore: potremmo dire (e molti romanzi lo dicono) che “ora ci spostiamo” a quanto accaduto alcune ore prima. 6. Il lettore può seguire i paragrafi che seguono facendo riferimento al quadro riassuntivo fornito a conclusione del paragrafo.

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Microtessitura, macrotessitura e parametri di definizione

La microtessitura: direzione, articolazione, portata, investimento

Semiotica dei media

La macrotessitura: direzione, articolazione, portata, investimento

sempio di Grave Danger ci pone di fronte a casi di “normale” progressione, anche se in un paio di casi si assiste a moderati movimenti longitudinali, espressi mediante uno spostamento di attenzione tra primo piano e sfondo dell’immagine (il poliziotto che vomita mentre Nick continua a indagare, Catherine che analizza la misteriosa fibra bianca mentre Grissom trova il bicchiere nella busta di plastica). Il criterio della direzione si lega a quello dell’articolazione: il gesto compositivo può essere a senso unico (come accade normalmente) o a doppio senso: può esserci in alcuni casi un’alternanza tra progressioni e regressioni. Inoltre la portata del gesto può essere più pronunciata: il movimento in avanti o all’indietro può recuperare o anticipare porzioni più o meno ampie del tracciato. Infine l’investimento energetico e la sua modulazione si esprimono nella velocità del gesto di composizione rispetto all’andamento della linea narrativa: la presentazione della linea di eventi del mondo indiretto può essere accelerata o rallentata (riassunti più veloci, uso dell’accelerato, o al contrario ampie descrizioni, uso del ralenti ecc.). Nel caso dell’andamento discontinuo del gesto compositivo e della macrotessitura, la direzione del gesto può essere anzitutto rivolta in avanti oppure all’indietro rispetto alla linea narrativa che si stava sviluppando; avremo casi di ellissi e di “salti” che portano al recupero di porzioni successive o precedenti della linea narrativa: il primo caso è molto diffuso, e ne abbiamo visto un esempio proprio nel passaggio dal rapimento di Nick all’arrivo di Grissom e Catherine sul luogo della sparizione; il secondo caso, molto più raro, è proprio di racconti che procedono a ritroso, partendo dalla conclusione di una storia e narrandone le parti precedenti per segmenti successivi. Il gesto compositivo può inoltre seguire una direzione longitudinale, a recuperare linee narrative differenti: queste normalmente appartengono allo stesso mondo indiretto e si svolgono simultaneamente l’una rispetto all’altra (narrazione alternata), ma in alcuni casi estremi possono anche appartenere a mondi differenti e non comunicanti (narrazione parallela). In Grave Danger e in genere in csi il discorso segue separatamente le indagini di ciascun investigatore e dedica alcuni particolari punti snodo al ricongiungersi dei loro sforzi e al confronto dei loro risultati. Anche in questo caso la direzione si lega all’articolazione del gesto: al movimento di recupero (in avanti o all’indietro) può infatti aggiungersi un movimento di ritorno al punto in cui il racconto era stato lasciato in sospeso; nel caso di un’andata e ritorno dapprima verso il passato e poi nuovamente al presente avremo un flash back (come quello che in Grave Danger descrive gli avvenimenti che si sono svolti quella stessa sera prima del rapimento di Nick), mentre nel caso opposto di uno slancio in avanti e poi di un ritorno al presente avremo un flash forward (soluzione più rara in cui si presenta un avvenimento che sulla linea narrativa si colloca in un momento successivo); infine anche le narrazioni parallele possono conoscere un passaggio pro124

6.

L’ordinamento del discorso

I parametri di analisi dell’intreccio



Andamento continuo (microtessitura): direzione del gesto: avanti/indietro/longitudinale; articolazione del gesto: movimento unico o combinato; portata del gesto: arco temporale coperto; investimento e modulazione dell’energia gestuale: velocità. Andamento discontinuo (macrotessitura o montaggio): – direzione del gesto: recupero di eventi avanti/indietro/longitudinale; – articolazione del gesto: movimento unico (ellissi) o combinato (flash back, flash forward, contemporaneità); – portata del gesto: distanza temporale tra porzioni del mondo indiretto recuperate; – investimento e modulazione energetica: gestione del montaggio e dei passaggi in termini di velocità e andamento ritmico. – – – –



gressivo dall’una all’altra (come avviene in narrazioni costruite per episodi relativamente autonomi) o il ritorno più o meno regolare dall’una all’altra (come avviene nei racconti “corali” che contemplano differenti linee narrative variamente intrecciate). Inoltre i movimenti compositivi possono avere una differente portata: il salto in avanti dalla sparizione di Nick all’avvio delle indagini è di 25 minuti, il ritorno all’indietro si presume di circa un’ora e così via. L’investimento energetico e la sua modulazione si manifestano, all’interno dell’andamento discontinuo del gesto di composizione, negli stili di montaggio e nella velocità dei passaggi tra le inquadrature: per esempio la serie csi è contraddistinta da assolvenze e dissolvenze velocissime, un montaggio secco e rapido ecc. Come sempre sono possibili eccezioni e variazioni che sottolineano particolari passaggi: il movimento della moneta che ricade e la dissolvenza in nero che riporta al presente in cui Nick è legato e tramortito viene accompagnata da un ralenti che evidenzia un passaggio prolungato. L’insieme dei differenti gesti di composizione, continui e discontinui, rende infine percepibile uno schema complessivo, risultante dal sedimentarsi delle scelte gestuali effettuate: nel caso di Grave Danger è possibile rappresentare questo tracciato come una linea diritta spezzata, composta da linee minori (le operazioni investigative dei singoli membri) che si incrociano costantemente. Nel caso del flash back analizzato in questo capitolo la linea effettua un temporaneo ritorno all’indietro, mentre nel caso dell’incubo di Nick (che esamineremo nel cap. 9) c’è una deviazione in flash forward verso un futuro immaginato. Altri flash back più puntuali e frammentati interrompono la linea con istantanei salti all’indietro (le immagini-ipotesi 125

Gli schemi complessivi dell’intreccio

Semiotica dei media

sulle modalità del rapimento di Nick o sull’omicidio che ha indirettamente prodotto anni addietro il movente del rapimento). In altri casi il tracciato complessivo dell’intreccio può essere più complesso, soprattutto quando l’articolazione dei gesti si fa più nervosa e poco controllabile, e comporta numerosi movimenti in avanti e all’indietro o frequenti spostamenti tra linee narrative differenti. 5. Il design temporale dell’esperienza La costruzione di intrecci nell’esperienza ordinaria

La disciplina degli intrecci nell’esperienza mediale: il design temporale

Stamattina un collega al telefono mi ha trattato un po’ bruscamente, e non ne comprendo il motivo. Faccio un breve esame di coscienza: recupero alcuni episodi recenti che ci hanno visti lavorare insieme, li confronto tra loro per cogliere qualche mio sgarbo inavvertito, ripercorro la storia più antica della nostra amicizia, comparo le mie vicende accademiche e le sue per scoprire analogie e differenze e così via. Queste esperienze ci ricordano che ogni giorno noi costruiamo continuamente intrecci: buona parte della nostra esperienza ordinaria è dedicata a riorganizzare le esperienze passate o a immaginarne di future in termini narrativi, ovvero mediante un loro montaggio e una loro composizione discorsiva capaci di produrre nuove configurazioni sensate. In cosa l’esperienza ordinaria differisce dall’esperienza mediale sotto questo aspetto? Si possono individuare due differenze strettamente legate e riconducibili alla natura artificiale dell’esperienza mediale più volte richiamata. In primo luogo all’interno dell’esperienza ordinaria permane una separazione tra l’esperienza viva e diretta da un lato, e la sua riorganizzazione narrativa e discorsiva dall’altro. Al contrario, nell’esperienza mediale il rapporto con il mondo indiretto e la percezione della sua organizzazione nel discorso sono compresenti e contemporanei: in quanto spettatore (o lettore) percepisco il mondo indiretto e vivo le sue trasformazioni proprio e solo attraverso la percezione dei gesti di composizione dell’intreccio. Deriva di qui una particolare esperienza temporale che consiste nel sentire e nel vivere il tempo del mondo indiretto non semplicemente nei termini lineari e progressivi del tempo sociale e storico, ma piuttosto in quanto “variazione immaginaria” (Ricoeur) della temporalità ordinaria. La seconda differenza riguarda il carattere progettuale, più volte richiamato, dell’esperienza mediale: il procedimento di composizione dell’intreccio nell’esperienza mediale non è autodeterminato come nell’esperienza normale, ma piuttosto eterogestito ed eterodiretto. L’esperienza temporale di cui ho appena parlato è dunque il risultato di una pianificazione e di un progetto: il discorso narrativo, e in modo particolare l’intreccio, si rivelano dunque in ultima istanza gli strumenti di un design temporale dell’esperienza. 126

6.

L’ordinamento del discorso

Percorsi di approfondimento Come abbiamo detto in Il problema del discorso narrativo nella semiotica del testo, pp. 120-1, esiste un’ampia bibliografia semiotica relativa al discorso narrativo. Ci limitiamo a completare i riferimenti forniti con il richiamo a Chatman (1978), che sintetizza in un quadro unitario tanto le grammatiche del racconto quanto le riflessioni sul discorso narrativo. Un’opera recente che riprende questi temi è Bernardelli, Ceserani (2005). Di taglio più pratico Perissinotto (2005). Un’utile introduzione al concetto di “discorso” e all’analisi della narratività è Segre (1985) (in part. pp. 175-213). Per le teorie del discorso in ambito cinematografico e audiovisivo rimandiamo ai riferimenti introdotti nei Percorsi del cap. 3. Sul “discorso dei media” in chiave di discourse analysis di matrice linguistica, si veda Antelmi (2006). Come accennato in Il problema del discorso narrativo nella semiotica del testo, pp. 120-1, la riflessione sulla temporalità narrativa in termini di esperienza innerva l’ampia opera di Ricoeur (1983-85). Gli aspetti temporali dell’esperienza mediale audiovisiva sono stati approfonditi da Bettetini (1979) e ripresi più recentemente da Volli (2003). Una serie molto ricca di studi ha lavorato sulle forme del discorso televisivo, con una particolare attenzione ai format della narrativa seriale: Casetti (1984), Caprettini (1996), Casetti, Di Chio (1997), Buonanno (2002), Grasso, Scaglioni (2003), Cardini (2004), Pozzato, Grignaffini (2008), Innocenti, Pescatore (2008), Carini (2009), Iovane (2009), Grasso, Scaglioni (2009). Due collane di volumi utili per ulteriori ricerche sulla discorsività televisiva sono quella della vqpt (Verifica qualitativa programmi trasmessi), attualmente Zone. Collana di studi e ricerche sui media, edita da rai-eri e Link. Idee per la televisione, edita da rti. I processi di narrativizzazione propri dell’esperienza ordinaria sono stati al centro di numerose riflessioni: ricordiamo almeno per gli aspetti mentali Bruner (1986) e per quelli sociali Jedlowski (2000).

Quaderno degli esercizi Riprendi il testo breve che hai già analizzato. In quali modalità e con quale grado di evidenza si rende visibile il discorso al suo interno? Sempre con riferimento al testo breve che stai analizzando, applica i criteri di analisi della gestualità compositiva introdotti al par. 4 e individua le qualità ritmiche e il tracciato complessivo che essa disegna. Riprendi uno dei manuali di sceneggiatura di cui ti sei occupato al capitolo precedente ed esamina in che modo vi vengono trattati i problemi relativi a produzione discorsiva, intreccio e formato. Confronta la costruzione dell’intreccio in un autore classico come per esempio John Ford, uno moderno come Stanley Kubrick e uno contemporaneo come per esempio Quentin Tarantino: quali differenze e quali analogie riscontri?









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Semiotica dei media

Quali particolari problemi per la costruzione dell’intreccio pone e quali risorse offre il racconto seriale? Fai un confronto tra racconti seriali nel fumetto e racconti seriali televisivi e individua analogie e differenze nelle costruzioni di intreccio.



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L’ordinamento del discorso

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7 L’ordinamento del mondo diretto

1. Premessa Il quarto nodo dell’esperienza mediale si colloca all’incrocio tra lo strato dell’ordinamento narrativo e il campo di oggetti intenzionali del mondo diretto. Analizziamo in particolare in che modo si definisce, all’interno del mondo diretto, il suo rapporto di continuità o discontinuità con il mondo indiretto. Il secondo paragrafo descrive la sequenza di Grave Danger la cui analisi costituisce come sempre la base delle nostre osservazioni. Il terzo paragrafo introduce l’importante distinzione tra mondo egotropico e mondo allotropico e adopera tali concetti per spiegare differenti regimi di rapporto tra mondo diretto e mondo indiretto. Il quarto paragrafo si concentra sui rapporti tra mondo diretto e indiretto nel caso di esperienze mediali di finzione, e considera la possibilità che il rapporto di discontinuità proprio di questo tipo di esperienza mediale venga rinegoziato a favore di forme parziali o fittizie di continuità. Il quinto paragrafo avanza l’ipotesi che la progettazione dei rapporti tra mondo diretto e indiretto sia responsabile del design ontologico dell’esperienza. 2. “You can only watch” Nick, ancora stordito, viene deposto in una bara di plexiglas. Intanto le indagini proseguono febbrili su più fronti: i detective sono riuniti per fare il punto quando arriva una busta anonima indirizzata proprio a Nick. Grissom la apre con cautela, mentre la squadra lo osserva in ansiosa attesa da dietro la vetrata dell’ufficio (figg. 1 e 2): la busta contiene una pen-drive usb e un’audiocassetta. Nick si sveglia nella bara alla flebile luce verde di alcune torce a scuotimento, scopre di avere con sé una pistola e un piccolo registratore: quest’ultimo contiene un sinistro messaggio del rapitore che lo invita al suicidio. Il detective inizia a dibattersi, ma i suoi sforzi sono vani e i suoi gesti scomposti cozzano contro le pareti rigide. Nel frattempo la squadra ascolta l’audiocassetta: contiene una canzone molto ritmata in stile anni sessanta (si tratta 131

Semiotica dei media

figura 1

figura 2

di Outside Chance, interpretata dai Turtles, del 1962: fig. 3), che accompagna ossessivamente da questo punto in poi la sequenza. Grissom inserisce la chiavetta usb, mentre la squadra si riunisce davanti al computer. Sullo schermo appare un messaggio: «One million dollars in 12 hours or the csi dies. Drop-off instructions to follow. And now for your viewing pleasure 132

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L’ordinamento del mondo diretto

figura 3

figura 4

“you can only watch”» (“Un milione di dollari entro dodici ore o l’agente della scientifica muore. Seguiranno istruzioni per la consegna. E ora per la gioia dei vostri occhi ‘potete solo guardare’”). Quando Grissom clicca sulla parola “watch”, sullo schermo appare il viso sconvolto di Nick inquadrato da una web-cam (fig. 4). 133

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figura 5

figura 6

A questo punto Grissom, in primo piano, solleva gli occhi dallo schermo del computer alla macchina da presa, e guarda per così dire negli occhi lo spettatore (fig. 5). Una lunga serie di primi piani sempre più ravvicinati mostra gli altri membri della squadra, anch’essi con lo sguardo rivolto alla macchina da presa, alternati alle immagini di Nick che nello schermo del 134

7.

L’ordinamento del mondo diretto

computer si dibatte inutilmente e a totali del gruppo impegnato nell’osservazione degli schermi (fig. 6). 3. Le regolazioni del rapporto tra mondo diretto e indiretto 3.1. Mondo egotropico e mondo allotropico Non appena viene recapitata alla

sede della squadra csi la misteriosa busta riguardante Nick, Grissom la prende e, seguito da una steady-cam dall’andamento inquieto quanto lo stato d’animo dell’intera squadra, si reca in uno dei laboratori. Qui apre il plico con estrema cautela: alcune inquadrature ravvicinate e dettagli ripresi dalla macchina da presa posizionata di fronte a lui o alla sua destra seguono passo passo i suoi gesti misurati (fig. 1). Alla sua sinistra, dietro un’ampia parete a vetro, la squadra osserva con evidente tensione le azioni del suo capo: due lunghi campi totali mostrano il gruppo di detective in piedi, intenti a scrutare i gesti di Grissom, inquadrati nella cornice scura della vetrata che duplica quella dello schermo televisivo (fig. 2). Rispetto alle sequenze dedicate alla ricerca di Nick che hanno fin qui occupato la scena, spicca in questo segmento la quasi totale mancanza di azione: una porzione molto ampia del flusso discorsivo viene dedicata al semplice atto di aprire una busta ed estrarne due oggetti. Se l’agire pratico viene deprivato, tuttavia, c’è un altro tipo di comportamento che viene posto in evidenza: l’osservare l’agire altrui. L’azione vera e propria (l’aprire la busta per esplorarne il contenuto, affidato a Grissom) viene dilatata e rallentata nella misura in cui le si affianca e sovrappone l’atto di assistere all’azione stessa (che coinvolge il resto della squadra). Azione pratica e azione osservativa, d’altro canto, non sono intrecciate né semplicemente giustapposte: esse sono decisamente separate. La vetrata che si frappone tra l’operare di Grissom e l’osservare della squadra definisce un setting spaziale rigidamente bipartito: i detective osservano “al di qua” della vetrata quanto si svolge “al di là” di essa, senza la possibilità di intervenirvi direttamente. Non può sfuggire allo spettatore (né all’analista che ne ripercorre i passi) che questo setting e la condizione dei detective della squadra csi che vi sono inseriti richiamano per analogia la situazione di un altro soggetto: lo spettatore stesso, intento ad osservare una serie di azioni dalle quali è radicalmente separato, sulle quali non può influire direttamente e che non possono raggiungerlo personalmente. Esattamente come la squadra osserva da dietro la vetrata le azioni del suo capo, lo spettatore percepisce sé stesso nell’atto di osservare l’insieme delle azioni che si svolgono all’interno del mondo indiretto, separato e protetto dalla superficie dello schermo televisivo. Non a caso, come abbiamo notato, nelle due inquadrature frontali della squadra la cornice della vetrata duplica quella dello schermo televisivo. 135

Agire pratico e agire osservativo: le figure dello spettatore nel mondo indiretto

Semiotica dei media

Il mondo indiretto è in linea di principio allotropico

Cerchiamo di approfondire la natura di questa separazione. Lo spettatore, abbiamo detto, non può agire su, né “essere agito” da, quanto avviene al di là dello schermo, all’interno del mondo indiretto; o per lo meno non può farlo allo stesso modo in cui agisce e viene agito all’interno del mondo diretto “al di qua” dello schermo. Questo principio implica due differenti criteri di organizzazione dei mondi. Il mondo diretto, “al di qua” dello schermo, è organizzato in riferimento alla presenza corporea situata dello spettatore; questa definisce le coordinate spaziali, temporali e il tipo di relazioni personali con gli altri soggetti che fanno parte della stessa porzione di mondo: spazio, tempo e relazioni personali vengono percepiti in riferimento al qui, all’ora e all’io che determinano il radicamento di ciascun soggetto nella situazione. Il mondo diretto è, possiamo dire, un mondo alla prima e alla seconda persona. Al contrario, il mondo indiretto “al di là” dello schermo viene organizzato come un sistema autonomo rispetto al radicamento somatico dello spettatore nella propria situazione di vita, sistema dotato di punti di riferimento e di orientamento completamente interni: si tratta di un mondo alla terza persona. Parleremo dunque di un’organizzazione egotropica del mondo diretto e di un’organizzazione allotropica del mondo indiretto: diremo per brevità che il mondo diretto è un “mondo egotropico” e che il mondo indiretto è un “mondo allotropico”. Il mondo egotropico è dunque anzitutto la nicchia spaziale e temporale in cui il soggetto si sente immediatamente situato e che quindi vive e valuta in riferimento al proprio corpo, alle sue possibilità di movimento e di azione, all’impatto che gli eventi e le trasformazioni hanno su di esso; il mondo allotropico è invece vissuto come separato da questa dimensione esistenziale di immediato contatto e di personale coinvolgimento. 3.2. I regimi del rapporto tra mondo diretto e indiretto L’esperienza dell’orga-

nizzazione egotropica o allotropica del mondo non è esclusiva dell’esperienza mediale (cfr. par. 5); tuttavia essa caratterizza l’esperienza mediale e in particolare la distinzione tra mondo diretto e mondo indiretto. La conseguenza più immediata di questo principio è una costitutiva discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto: i media introducono l’esperienza di due mondi ugualmente abitabili ma ontologicamente differenti e in linea di principio non comunicanti 1. Rispetto a questa situazione di base sono possibili due tipi di sviluppo. 1. Se non in certe figurazioni immaginarie, in cui gli spettatori entrano nello schermo, come in La rosa purpurea del Cairo (The Purple Rose of Cairo, Woody Allen, usa, 1985), oppure alcuni personaggi ne escono, come in Videodrome (David Cronenberg, Canada, 1983) e in vari altri film dell’orrore; ma vedremo nel prossimo paragrafo come l’idea di una osmosi tra i due mondi sia presente in molte esperienze di finzione.

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7.

L’ordinamento del mondo diretto

La semiotica dell’enunciazione testuale I rapporti tra le situazioni del mondo diretto e quelle del mondo indiretto in cui si svolge l’esperienza mediale sono state focalizzate e analizzate dalla semiotica a partire dalla riflessione sul concetto di “enunciazione”. Tale concetto viene formulato dal linguista francese Émile Benveniste (1966, 1974) sulla scorta di, o parallelamente a, osservazioni di altri studiosi, in particolare quelle avanzate da Karl Bühler negli anni trenta e da Roman Jakobson alla fine degli anni cinquanta. Per Benveniste l’enunciazione è l’atto individuale di appropriazione e di uso della lingua all’interno di situazioni concrete, situate, dialogiche. L’atto dell’enunciazione dà forma all’esperienza che i soggetti fanno nel praticarla; tale forma può essere di due tipi. Da un lato, l’enunciazione discorsiva permette ai soggetti di configurare l’esperienza all’interno della quale viene praticata l’enunciazione stessa (configura, diremmo nella nostra terminologia, un’esperienza egotropica); questo avviene in quanto l’enunciazione adotta un “apparato formale”, ovvero una serie di elementi linguistici in sé “vuoti” che acquistano il loro riferimento solo rispetto allo stesso atto di enunciazione: i pronomi personali di prima e seconda persona (l’“io” e il “tu”), un sistema temporale definito rispetto al presente dell’enunciazione (oltre al presente il passato prossimo e il futuro semplice), i “deittici”, ovvero aggettivi dimostrativi e avverbi che si qualificano rispetto al “qui” e all’“ora” dell’enunciazione (“questo, quello, poco fa, tra poco” ecc.). Dall’altro lato, l’enunciazione storica articola l’esperienza di quanto viene enunciato come non pertinente rispetto alla situazione di enunciazione, dislocato in una dimensione “altra” (configura, diremmo nella nostra terminologia, un’esperienza allotropica); di qui l’uso della terza persona (“egli”), un sistema temporale che prescinde dal presente (passato remoto, varie forme di trapassati o di futuri prospettivi), e la rinuncia alle forme deittiche (non “ieri”, ma “il giorno prima”, non “qui” ma “in quel punto” ecc.). Per Benveniste le forme discorsive sono prioritarie da un punto di vista logico rispetto a quelle storiche: dal momento che l’enunciazione è per lui una pratica linguistica viva, direttamente operante nell’esperienza di comunicazione faccia a faccia, l’esperienza della storia presuppone sempre l’esperienza del discorso. Il seguito della riflessione sposta la discussione dalla comunicazione faccia a faccia ai testi scritti, e da un’attenzione per il soggetto che enuncia a quella per il soggetto della lettura dei testi. In tal modo il rapporto faccia a faccia non avviene più effettivamente, ma viene simulato all’interno dell’esperienza di lettura del testo scritto per ottenere particolari effetti cognitivo-emotivi (cfr. cap. 11). Le conseguenze di un simile spostamento vengono esplicitate all’interno della semiotica generativa greimasiana. Per Greimas (cfr. Greimas, Courtés, 1979, voce “enunciazione”), il semiotico, nel momento in cui affronta lo studio del testo, non può risalire in alcun modo alla situazione di enunciazione originaria, ma può solo ricostruire la sua inscrizione in forma di simulacro all’interno del testo enunciato. L’istanza dell’enunciazione viene pensata sotto questo aspetto come una duplice

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Semiotica dei media

operazione: anzitutto di débrayage , di “disinnesco” dell’io/qui/ora in un non-io, non-qui e non-ora installati nell’enunciato (per es. De Gaulle che dice «La Francia è un bel paese»); quindi di embrayage , ovvero di “reinnesco” che riporta soggetti, tempi e luoghi “altri” a essere individuabili in quanto soggetti dell’enunciazione (lo stesso De Gaulle che dice «Il generale de Gaulle pensa che la Francia sia un bel Paese»). È evidente che si è prodotta una rotazione di 180 gradi rispetto alla concezione di Benveniste: dal momento che la riflessione avviene attorno al testo e alla sua fruizione piuttosto che rispetto al proferimento di enunciati faccia a faccia, la priorità logica spetta ora all’enunciazione in quanto costituzione di un mondo “altro”, mentre la messa in forma della situazione di fruizione è secondaria e logicamente successiva; il testo non parla direttamente al suo lettore, ma piuttosto simula la relazione diretta e la continuità tra il proprio mondo e quello della sua lettura a partire da una radicale e costitutiva alterità. Questa impostazione di studio è stata applicata, oltre che ai testi scritti, anche a quelli visivi e audiovisivi. In questi ambiti è stato valorizzato la posa e soprattutto la direzione dello sguardo dei soggetti rappresentati come strumenti di costruzione di continuità o discontinuità tra mondo rappresentato e situazione di visione. Per esempio Calabrese (1985) traccia una tipologia del nudo femminile rinascimentale: le pose del corpo e la direzione dello sguardo dei soggetti ritratti manifestano una loro più o meno accentuata consapevolezza dell’essere guardati e una più o meno evidente volontà di restituire lo sguardo allo spettatore. Casetti (1986) analizza invece il testo filmico e distingue quattro configurazioni generali delle posizioni reciproche tra personaggi e spettatore: l’inquadratura oggettiva in cui domina il personaggio in quanto “egli”; l’interpellazione, in cui il personaggio indirizza lo sguardo e rivolge la parola allo spettatore e in tal modo gli dà del “tu”; la soggettiva, in cui lo spettatore viene messo nella posizione di un “io”; e l’oggettiva irreale, in cui l’“io” e il “tu” divengono un “noi” in occasione di inquadrature particolarmente ardite e anomale ma non riconducibili ad alcun personaggio. Se l’oggettiva costruisce un rapporto di discontinuità tra mondo diegetico e mondo della visione, le altre tre forme costruiscono in modo differente un rapporto di pseudocontinuità.

La radicalizzazione dell’allotropia del mondo indiretto

Un primo sviluppo tende a radicalizzare la discontinuità costitutiva tra mondo diretto e mondo indiretto: è quanto avviene nelle esperienze di finzione (cfr. cap. 2, par. 3.4). In questo caso la discontinuità viene applicata per sineddoche (ovvero in base a una omologia del tutto con la parte) agli interi mondi di vita che circondano i soggetti situati. L’organizzazione egotropica o allotropica si estende fino a coinvolgere non solo la porzione di mondo immediatamente presente al soggetto, ma altresì gli orizzonti di ricordi e di attese o progetti che circoscrivono e qualificano tale presente, e dunque le mappe situazionali mediante le quali il soggetto dona senso a quanto gli sta accadendo: alcuni eventi passati e alcuni progetti e attese ci 138

7.

L’ordinamento del mondo diretto

riguardano più direttamente di altri in quanto fanno parte in modo più immediato del nostro mondo. Evidentemente Grave Danger fa parte di questo tipo di esperienze: se, mentre seguiamo le vicende di Nick sullo schermo, ci giunge la telefonata di una persona cara che chiede il nostro aiuto urgente, siamo immediatamente in grado di valutare il differente statuto della serie di eventi all’interno dello schermo e di quella che chiede il nostro intervento nel mondo diretto (benché il decidere se lasciare o meno a metà il telefilm per correre ad aiutare il nostro amico sia un altro paio di maniche...). Un secondo, possibile sviluppo tende invece a riassorbire la discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto e a riconfigurare quindi il mondo indiretto in quanto egotropico. È il caso, per la verità molto ampio e diversificato, dell’esperienza mediale fattuale (cfr. cap. 2, par. 3.4). In alcuni casi ciò avviene in quanto il mondo di vita che costituisce l’orizzonte del mondo indiretto è lo stesso dello spettatore: per esempio nei notiziari di informazione, nei documentari e ancor di più nel film di famiglia. In altri casi più estremi può accadere che la stessa porzione di mondo indiretto mostrata dai dispositivi mediali vada ricollocata all’interno della situazione egotropica del mondo diretto: è il caso delle videocamere di sorveglianza.

L’egotropizzazione del mondo indiretto

4. L’esperienza di finzione dalla discontinuità alla pseudocontinuità 4.1. Dalla discontinuità radicale alla discontinuità moderata L’esperienza del-

la finzione lavora dunque all’interno di un orizzonte di competenze e di attese che prevede una discontinuità radicale tra mondo diretto egotropico e mondo indiretto allotropico. È appunto in questo senso che l’esempio della squadra csi che osserva Grissom da dietro la vetrata permette allo spettatore di percepire una relazione di (parziale) analogia con la propria situazione (figg. 1 e 2). Tuttavia, una volta fissati i parametri di fondo dei due possibili regimi di rapporto tra mondo diretto e mondo indiretto, occorre subito osservare che al loro interno sono possibili alcune rimesse in gioco e negoziazioni di tale rapporto: per un verso le esperienze fattuali riprendono vari aspetti di quelle finzionali; per altro verso queste ultime utilizzano alcune modalità espressive proprie delle esperienze fattuali in modo da far vivere al proprio spettatore l’esperienza finzionale “quasi come” fosse fattuale. Seguiamo questa seconda pista a partire dalla sequenza di Grave Danger che stiamo analizzando. Ritorniamo per un momento sulla scena della squadra csi che segue le azioni di Grissom da dietro la vetrata. Essa esprime certamente una discontinuità tra sistema osservante e sistema osservato e rinvia alla discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto. Tuttavia, al tempo stesso, tale setting tempera e corregge questa discontinuità: il mondo indiretto è certa139

Il regime di finzione: allotropia radicale del mondo indiretto

Il regime di finzione: allotropia moderata del mondo indiretto

Semiotica dei media

La “diegetizzazione del dispositivo”

mente distinto dal mondo diretto e dalla situazione egotropica in cui lo spettatore è inserito, ma al tempo stesso ne “riproduce” al proprio interno alcuni aspetti e andamenti. Questa tendenza alla messa in scena della situazione spettatoriale caratterizza con crescente esplicitezza il seguito della sequenza. Al segmento analizzato seguono infatti due sottosequenze. La prima riguarda Nick che, al suo risveglio nella bara di plexiglas, ascolta il sinistro messaggio che il rapitore ha inciso nel registratore sepolto con lui. La seconda sottosequenza riguarda la squadra che ascolta la canzone incisa dal rapitore nell’audiocassetta fatta recapitare: la particolare carrellata circolare in avanti e indietro sui detective raccolti intorno al tavolo sul quale è poggiato il registratore insiste appunto su questo spettacolo del gruppo immobile, teso nell’atto dell’ascolto (fig. 3). Possiamo evidenziare due aspetti che accomunano le due sottosequenze e al tempo stesso le distaccano dal segmento precedente. In primo luogo, se in precedenza la squadra osservava Grissom nell’atto di agire, ora tanto la squadra (compreso Grissom) quanto Nick ascoltano un messaggio registrato: l’oggetto dell’attenzione percettiva è ora un discorso mediato da un dispositivo tecnologico; lo spettatore riceve dunque ulteriori indicazioni per riconoscere nella situazione del mondo indiretto la situazione del mondo diretto della quale egli fa parte. In secondo luogo, anche se i materiali sensoriali non sono più di tipo visivo ma puramente uditivi, lo spettatore si rende conto che le percezioni dei personaggi coincidono con le sue: egli ascolta il messaggio registrato e la canzone dei Turtles come e insieme a Nick e ai membri della squadra csi. Tale coincidenza percettiva sottolinea ulteriormente l’analogia tra situazione rappresentata e situazione spettatoriale. Un ulteriore passo avanti in questo senso si ha di lì a poco, quando Grissom inserisce nel computer la chiavetta usb e appaiono sullo schermo i messaggi del rapitore e il volto di Nick ripreso dalla web-cam. In questo caso le ripetute inquadrature dello schermo del computer (nuovo e ulteriore dispositivo tecnologico di erogazione di materiali sensoriali) fanno sì che non solo le percezioni uditive dei personaggi coincidano con quelle dello spettatore (sullo sfondo continua, martellante, la canzone dei Turtles), ma anche quelle visive in certa misura siano le stesse (figg. 4 e 6). Ecco dunque evidenziato un primo caso di negoziazione della discontinuità radicale tra mondo diretto e mondo indiretto propria dell’esperienza finzionale: la situazione di visione e di ascolto dei materiali mediali per il tramite di un dispositivo tecnologico, propria del mondo diretto, viene riprodotta all’interno del mondo indiretto; il mondo egotropico che circonda e situa lo spettatore viene per così dire allotropizzato all’interno del mondo indiretto: si tratta di un procedimento che è stato definito dalla teoria del 140

7.

L’ordinamento del mondo diretto

film “diegetizzazione del dispositivo” 2. Ne deriva un rapporto di discontinuità moderata tra mondo indiretto e mondo diretto. Facciamo tre osservazioni sul regime di discontinuità moderata che abbiamo evidenziato. In primo luogo il procedimento della diegetizzazione del dispositivo può essere implicito e variamente “mascherato”: per esempio anche la scena della squadra che osserva Grissom da dietro la vetrata, pur non mettendo in scena un vero e proprio dispositivo mediale, presenta un’analogia con l’atto del guardare uno schermo televisivo. D’altronde uno dei più celebri casi di diegetizzazione del dispositivo è La finestra sul cortile (Rear Window, Alfred Hitchcock, usa, 1954), in cui un fotoreporter con la gamba ingessata vede (forse) maturare e compiersi un delitto nella casa di fronte dall’ampia finestra del suo studio. In secondo luogo, per annullare parzialmente la discontinuità tra mondo diretto e indiretto l’esperienza finzionale fa ricorso a un procedimento proprio delle esperienze mediali di tipo fattuale. Per esempio nell’intrattenimento e nell’informazione vengono spesso messi in scena all’interno del mondo indiretto vari tipi di rappresentazioni “vicarie” dello spettatore che rappresentano delle “istruzioni per l’uso” del testo: si pensi al pubblico in studio nelle trasmissioni televisive di varietà o di approfondimento; ai resoconti giornalistici delle reazioni della “gente comune” a un fatto di cronaca; ai personaggi che esprimono un giudizio positivo su un prodotto in uno spot pubblicitario e così via. Osserviamo infine che, quando il procedimento della diegetizzazione del dispositivo viene adoperato all’interno di un’esperienza finzionale, spesso viene espressa una teoria riferita all’essere e all’agire dello spettatore. Le rappresentazioni dello spettatore per un verso gli restituiscono la propria situazione, orientando la sua attenzione a quanto egli è e a quanto egli fa nel mondo diretto; per altro verso gli forniscono alcune indicazioni e alcune risorse interpretative mediante le quali egli può “rendersi conto” della condizione nella quale è immerso. Per esempio il passaggio che abbiamo analizzato in Grave Danger (dalle azioni di Grissom osservate da dietro la vetrata ai messaggi vocali ascoltati da Nick e dalla squadra, fino allo spettacolo sconvolgente di Nick sepolto vivo che la web-cam mostra tanto ai suoi compagni quanto allo spettatore) evidenzia in misura crescente una condizione caratterizzata al tempo stesso da una piena capacità di visione e una completa impotenza di azione; condizione vissuta dai personaggi in scena ma, anzitutto, propria e tipica dello spettatore e parte essenziale del piacere che lo mantiene di fronte allo schermo: come afferma il rapitore di Nick, 2. Il termine “diegesi” si riferisce, lo ricordiamo, al mondo indiretto e a quanto vi è contenuto: cfr. Mondi narrativi e condizioni elementari del racconto, pp. 105-6.

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Rappresentazioni e teorie dello spettatore

Semiotica dei media

con ironia solo parziale, «for your viewing pleasure “you can only watch”» 3. 4.2. Dalla discontinuità alla pseudocontinuità Le immagini del volto di Nick

Il regime di finzione: pseudoegotropia del mondo indiretto

ripreso dalla web-cam sono appena apparse sullo schermo del computer (fig. 4). Un primo piano frontale mostra Grissom con gli occhi puntati in basso, verso lo schermo, il volto illuminato dalla luce azzurra del riverbero, la bocca semiaperta e lo sguardo aggrottato. Poi improvvisamente il detective alza lo sguardo e lo fissa sullo spettatore, mentre la camera si avvicina lentamente al suo viso (fig. 5). Lunghi primi piani dapprima più distanti poi ravvicinati inquadrano uno ad uno i membri della squadra, lo sguardo rivolto anch’essi sullo spettatore. Questi sguardi in macchina dei personaggi vengono giustificati in quanto rivolti a uno schermo più ampio appeso ad altezza d’uomo nel laboratorio, come rivela di lì a poco un campo totale ripreso dalle spalle della squadra (fig. 6). Tuttavia questa spiegazione non risarcisce lo spettatore del piccolo shock che essi gli procurano: contrariamente alle regole ordinarie dell’esperienza mediale di finzione, lo spettatore ha l’impressione che lo sguardo che sta rivolgendo al mondo indiretto venga colto e restituito dai soggetti di tale mondo; per alcuni, lunghi momenti lo sguardo dei soggetti che abitano il mondo indiretto incrocia il suo, sembra avvertire la sua presenza e istituire con lui un legame di reciprocità particolarmente forte e intimo. Non è difficile, alla luce di quanto detto nei paragrafi precedenti, cogliere le ragioni del disagio procurato da questo sguardo in macchina: gli insistiti sguardi lanciati dai personaggi verso lo spettatore implicano che mondo indiretto e mondo diretto non siano più distinti in quanto sistema allotropico e sistema egotropico, ma piuttosto facciano entrambi parte di uno stesso sistema egotropico. Il rapporto di discontinuità tra il mondo indiretto e il mondo diretto viene riconfigurato in modo molto più radicale che nel caso della discontinuità moderata esaminato sopra: se prima avevamo parlato di una “eterotropizzazione del mondo diretto”, possiamo ora parlare di una “egotropizzazione del mondo indiretto”. Tra mondo indiretto e mondo diretto cade la cesura della discontinuità e si costituisce un regime unitario e fluido: dal momento che una distinzione comunque permane, parliamo di un rapporto di pseudocontinuità e di una “pseudoegotropia” del mondo indiretto. 3. In questa sede abbiamo evidenziato che la discontinuità moderata viene costruita mediante il procedimento della diegetizzazione del dispositivo di erogazione dei materiali mediali; tuttavia è possibile anche un altro procedimento: la diegetizzazione del dispositivo di produzione tecnica dei materiali mediali, la messa in scena a vario titolo del farsi del film (o dell’immagine fotografica, o dell’articolo di giornale ecc.). Riprenderemo questo punto nel prossimo capitolo, quando avremo introdotto il soggetto della percezione del mondo indiretto (cfr. cap. 8, par. 3).

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7.

L’ordinamento del mondo diretto

Il rapporto di pseudocontinuità tra mondo indiretto e mondo diretto è relativamente raro nel caso delle esperienze mediali di finzione, ma comunque non ne è assente. In alcuni casi sono gli inizi e le conclusioni a rappresentare casi di costituzione di una pseudopresenza diretta dei personaggi che guardano negli occhi lo spettatore e per così dire “gli danno del tu”; mentre le parti centrali sono deputate a una narrazione “alla terza persona”. In altri casi (come quello che stiamo esaminando) sguardi e indicazioni rivolti dai personaggi allo spettatore sorgono inaspettati, investono improvvisamente lo spettatore e gli rivelano che quanto egli sta guardando “lo riguarda”. D’altra parte, come già nel caso della discontinuità moderata, i procedimenti di interpellazione diretta dello spettatore o del lettore, responsabili del regime di pseudocontinuità nell’esperienza di finzione, sono frequenti o normali in tutti i casi di esperienza fattuale: per esempio un telegiornale o uno spot pubblicitario, in cui il conduttore, l’anchorman o il testimonial guardano regolarmente lo spettatore negli occhi; oppure una videoconferenza o una chat video via web, che sostituisce e riproduce le dinamiche di un rapporto faccia a faccia.

Esperienza di finzione ed esperienza fattuale

5. Il design ontologico dell’esperienza mediale Mentre scrivo queste pagine ho davanti una grande finestra che dà su un piccolo giardino; sollevo lo sguardo e osservo i miei figli, presi dal loro gioco, al di là dei vetri. Ma d’un tratto la mia bambina si accorge di me, mi guarda e mi lancia un cenno, quasi un gesto di intesa. Improvvisamente il sistema di organizzazione che reggeva la situazione è cambiato, perché è cambiato il rapporto tra i mondi che ci ospitavano e in cui vivevamo. Prima che la bambina si accorgesse del mio sguardo, il mio ufficio da un lato e il giardino dall’altro vivevano per me in una relazione di separazione e di parziale alterità: dallo spazio egotropico del mio ufficio seguivo i giochi dei bambini “alla terza persona”, nello spazio allotropico al di là della cornice della finestra. Il saluto e lo sguardo della bambina mi richiamano alla consapevolezza della praticabilità reciproca e della continuità tra questi due mondi: la relazione con i miei bimbi diviene ora alla prima e seconda persona. L’organizzazione del mondo in porzioni egotropiche e allotropiche e la necessità di organizzare i rapporti tra esse fanno parte dunque dell’esperienza ordinaria che ciascuno di noi svolge continuamente all’interno della vita quotidiana. Anche in questo caso tuttavia l’esperienza mediale introduce due particolarità. In primo luogo essa impone necessariamente una distinzione netta tra un 143

Egotropia e allotropia nell’esperienza ordinaria

La disciplina dell’allotropia nell’esperienza mediale: il design ontologico

Semiotica dei media

mondo diretto egotropico e un mondo indiretto che, essendo costituito a partire da un discorso, è allotropico. L’esperienza mediale ci obbliga quindi a valutare di volta in volta se quanto scorre nel mondo indiretto si configura per noi “alla terza persona” oppure se i soggetti e gli eventi che guardiamo e ascoltiamo ci rivolgono un appello diretto e ci coinvolgono in prima persona: dobbiamo insomma decidere se e quanto essi ci tocchino, ci “riguardino” (nel senso in cui usa questa espressione Georges Didi-Huberman), ci “pungano” (secondo una metafora utilizzata da Roland Barthes in un saggio sulla fotografia). In secondo luogo, come ormai siamo abituati ad aspettarci, l’esperienza mediale attua ancora una volta un lavoro di progettazione di questo aspetto dell’esperienza. Per un verso essa si basa su quella rete di saperi pratici che permette di distinguere differenti tipi di esperienze mediali e che funziona quindi da orizzonte di attese nel momento in cui si affronta una particolare esperienza mediale (cfr. cap. 2, par. 3.4). Per altro verso ogni particolare esperienza mediale introduce al proprio interno risistemazioni, negoziazioni, passaggi inaspettati – come nel caso dello sguardo in macchina di Grissom che abbiamo analizzato nel paragrafo precedente. L’esperienza mediale progetta dunque i modi mediante i quali i soggetti vivono il rapporto con mondi “altri” e, allo stesso tempo, prendono coscienza dei limiti, delle possibilità, delle responsabilità insite nel mondo “proprio”: possiamo dire che essa realizza un design ontologico dell’esperienza. Percorsi di approfondimento I concetti di organizzazione egotropica e allotropica del mondo vissuto ritornano in vario modo nelle scienze neurocognitive contemporanee di ispirazione fenomenologica: si parla per esempio di spazio egocentrico vs allocentrico, o di spazio peripersonale vs extrapersonale. Su questi aspetti cfr. Rizzolatti, Sinigaglia (2006, in particolare pp. 53-77). Come abbiamo detto in La semiotica dell’enunciazione testuale, pp. 137-8, la semiotica si è occupata dei problemi affrontati nel capitolo principalmente in base alla categoria della enunciazione. Un’ottima sintesi del concetto e della sua evoluzione, anche nell’ambito del’audiovisivo, è Manetti (2008). Sulle applicazioni all’ambito del visivo rinvio a Eugeni (2004) (oltre ai manuali di analisi e sulle teorie dell’audiovisivo introdotti al cap. 3). Una raccolta di saggi (anche storici) sui problemi dell’“indicalità” è Raynaud (2006). La questione della responsabilità dello sguardo dello spettatore è stato al centro di alcuni dibattiti recenti: cfr. Didi-Huberman (2003) e Montani (2007). Il riferimento all’immagine che “punge” è in Barthes (1980). Nell’ambito della teoria del film un’analisi classica della eteronomia di quanto si svolge al di là dello schermo è Cavell (1979).

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7.

L’ordinamento del mondo diretto

Quaderno degli esercizi Riprendi il testo breve che hai già analizzato. Quali modalità di rapporto tra mondo indiretto e mondo diretto ritrovi al suo interno? Reperisci e analizza una serie di opere di finzione, cinematografiche o televisive, che mettono in scena la fruizione di media. In che modi esse offrono allo spettatore strumenti per riconfigurare la propria esperienza mediale diretta? Reperisci e analizza una serie di opere di finzione che mettono in scena il passaggio da un mondo diretto a un mondo indiretto. Quali implicazioni possiede il passare dal fuori al dentro lo schermo cinematografico o televisivo e viceversa a seconda di testi comici, dell’orrore ecc.? Quali teorie sui media e sui loro spettatori implicano queste trame finzionali? Analizza le differenti figure vicarie dello spettatore in un programma televisivo di intrattenimento (pubblico in studio, spettatori che telefonano, passanti intervistati dagli inviati ecc.): osserva in che modo vengono messi in scena i differenti comportamenti e giudizi di questi soggetti e valuta in che misura e in che senso essi costituiscono delle indicazioni di comportamento per il pubblico “a casa”. Reperisci e analizza una serie di “sguardi in macchina”, sia in testi di finzione che in testi di informazione (telegiornali, programmi di approfondimento televisivo) o in pubblicità. Avanza delle ipotesi sulle ragioni per cui queste differenti esperienze mediali costruiscono un rapporto di pseudocontinuità con il mondo dello spettatore.











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Semiotica dei media

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8 Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

1. Premessa Questo capitolo esamina il quinto snodo dell’esperienza mediale, all’incrocio tra lo strato di costituzione del legame relazionale intersoggettivo e il campo di oggetti intenzionali del mondo indiretto. Il secondo paragrafo descrive la sequenza che conclude la prima parte di Grave Danger, al centro dell’analisi condotta nel corso del capitolo. Il terzo paragrafo esamina le relazioni tra il soggetto dell’esperienza mediale e il soggetto della percezione del mondo indiretto (quell’entità identificata spesso, ma come vedremo in modo semplicistico, con la “macchina da presa”). Il quarto paragrafo analizza le relazioni tra il soggetto dell’esperienza e gli altri soggetti rinvenibili all’interno del mondo indiretto: i “personaggi”. Il quinto paragrafo introduce l’idea che lo snodo dell’esperienza mediale affrontato in questo capitolo sia responsabile del design etico dell’esperienza. 2. 4672 Carney Lane, Boulder Highway Questo l’indirizzo presso il quale Grissom deve portare, da solo e disarmato, la somma del riscatto che Catherine si è procurata. Una serie di totali e di dettagli inquadra di spalle il poliziotto di fronte a un capannone fatiscente, immerso nella luce vivida del pieno giorno (fig. 1). Un carrello, sempre di spalle, lo segue mentre entra al suo interno: una tenebra compatta, appena rischiarata dalla luce che filtra dai vetri color sangue rappreso, è trafitta dai raggi del sole che penetrano dalle pareti sconnesse. Richiamato da una voce anonima («superi la porta...») Grissom avanza tenendo avanti a sé la torcia elettrica: alcune soggettive mostrano il furgone usato per il rapimento, taniche sporche, il cadavere di un cane disteso su un fianco; una serie di primi piani studiano il volto teso e sospettoso del poliziotto (fig. 2). Nel momento in cui Grissom supera un pannello che divide l’ampio locale, un controcampo in totale mostra un uomo di spalle 147

Semiotica dei media

figura 1

figura 2

seduto a una scrivania che osserva sullo schermo di un computer lo spettacolo del volto di Nick semicosciente (fig. 3); sullo sfondo dell’immagine il punto luminoso e mobile della torcia elettrica segnala la presenza di Grissom all’altro capo dello stanzone spoglio e oscuro. Il dialogo tra i due uomini, disposti l’uno di fronte all’altro ai due lati estremi dello spazio e 148

8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

figura 3

figura 4

ciascuno con la torcia in mano, viene ripreso mediante alcuni campi e controcampi dapprima in totale poi sempre più ravvicinati fino a divenire dei piani medio lunghi. Mentre Grissom mostra tensione, malumore e l’intenzione di concludere al più presto lo scambio, il rapitore prolunga la conversazione in modo sgradevole: allude a possibili rapporti omosessuali 149

Semiotica dei media

tra Grissom e Nick, insiste sul senso di terribile sofferenza e di assurda impotenza che Grissom prova nel guardare il volto torturato del suo detective nella bara: «come si sente, sapendo che non c’è niente che può fare per tirarlo fuori da quell’inferno: inerme, inutile, impotente? Bene. Benvenuto nel mio mondo!». Nel pronunciare le ultime parole, l’uomo apre la giacca: ha legati al corpo alcuni pacchi di esplosivo. Dopo aver consigliato a Grissom di scostarsi, preme senza esitazioni il detonatore. Una terribile esplosione sconvolge l’immagine: due inquadrature dall’esterno mostrano il frantumarsi dei vetri del capannone. Al suo interno, alcune lente inquadrature in steady-cam collegate mediante dissolvenze incrociate indugiano su particolari della scrivania e delle pareti imbrattate di sangue e brandelli del corpo del rapitore. Grissom stordito si rialza, il volto sporco anch’esso di sangue. Una sua soggettiva mostra un totale del capannone ormai vuoto, inondato da un fiotto di luce che entra da una finestra distrutta sulla sinistra; nell’aria, tra il fumo, danzano leggeri i frammenti delle banconote (fig. 4). 3. Il soggetto della percezione del mondo indiretto All’inizio della sequenza la figura di Grissom in piedi davanti al capannone di lamiera arrugginita, in pieno sole, viene inquadrata mediante un totale immobile che isola la figura dell’uomo di spalle sulla destra dello schermo, a fianco di un alto palo scuro (fig. 1). Dopo un dettaglio della borsa con il denaro, ripreso anch’esso da dietro, e uno delle spalle di Grissom che gira la testa dai due lati, l’immagine ritorna sullo stesso campo totale dell’inizio: questa volta Grissom si muove verso il capannone. Le due inquadrature seguenti tornano sul dettaglio delle sue spalle e poi su quello della borsa, ma questa volta le immagini sono in movimento: un carrello segue il detective e, quando sale i pochi gradini e apre la porta di lamiera, si ferma a inquadrarlo dal basso. Come il lettore può verificare rileggendo la breve descrizione appena fatta, nel guardare questo segmento di Grave Danger noi percepiamo due serie di azioni distinte (per quanto strettamente correlate), riferibili a due diversi soggetti. Da un lato vediamo le azioni svolte da Grissom all’interno del mondo indiretto: il suo restare fermo a osservare il capannone, il suo avanzare e aprire la porta. Dall’altro lato assistiamo a una serie di azioni percettive svolte da un altro soggetto che guarda, si avvicina o si ritrae, sta fermo o si muove rispetto alla scena del mondo indiretto, più o meno in sincronia con i personaggi che lo abitano. Se, come abbiamo argomentato nel cap. 4, par. 3.1, la percezione è un processo attivo di esplorazione sensomotoria e 3.1. Rendersi conto del soggetto della percezione

Soggetto della percezione vs soggetto del mondo indiretto

150

8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

prensione situata del mondo, le immagini che vediamo ci fanno assistere “dal vivo” a uno di questi processi attivi di percezione. Per quanto le due serie di azioni appaiano in contemporanea e congiunte, l’agire percettivo del soggetto anonimo che segue le azioni di Grissom è logicamente prioritario: infatti è solo mediante il percepire quanto tale soggetto sente che lo spettatore può assistere all’agire di Grissom e in generale a quanto avviene nel mondo indiretto. Prima ancora di avvertire la presenza dei soggetti interni al mondo indiretto, lo spettatore si rende conto quindi della presenza di un altro tipo di soggetto che chiameremo il “soggetto della percezione” del mondo indiretto. 3.2. Comprendere il soggetto della percezione Il soggetto della percezione si

presenta allo spettatore come responsabile di un’attività percettiva in atto esercitata rispetto al mondo indiretto; egli viene quindi qualificato dal tipo di rapporto che lo lega a tale mondo, rapporto che lo spettatore può comprendere a partire da una serie di tracce e di indizi. Rileggiamo la breve descrizione delle inquadrature che aprono la sequenza 1. Al loro interno, nulla allude al fatto che il soggetto della percezione faccia parte del mondo indiretto: nessuno si rivolge a lui, né i suoi movimenti rimandano a una presenza direttamente coinvolta e coinvolgibile in quanto si sta svolgendo. Diremo dunque che il rapporto tra il soggetto della percezione e il mondo indiretto che egli percepisce è un rapporto di “esclusione”: il mondo indiretto è, per il soggetto della percezione, un mondo che egli percepisce ma che lo esclude. Pure, alcuni elementi spingono a dettagliare e a modificare parzialmente questa affermazione. I totali in cui la macchina da presa è immobile evidenziano certamente la condizione di esclusione del soggetto della percezione dal mondo; in altri momenti, tuttavia, la macchina effettua leggeri movimenti nervosi (inq. 2) o più consistenti spostamenti in avanti tali da manifestare una precisa intenzionalità che guida l’esplorazione percettiva (inqq. 5 e 6). In questi casi il soggetto della percezione manifesta (per 1. All’interno di queste sei inquadrature possiamo reperire un’elegante simmetria. La sequenza che comprende il totale di Grissom davanti al capannone (inq. 1) – il dettaglio della borsa (2) – il dettaglio delle spalle di Grissom (3) delle prime tre inquadrature si ripete con una leggera inversione “a chiasmo” (ovvero “a X”) nelle successive tre: totale (4) – dettaglio delle spalle (5) – dettaglio della borsa (6). Al tempo stesso viene introdotta una progressiva dinamizzazione delle immagini: la prima inquadratura è completamente statica, quasi una fotografia filmata; nel dettaglio dell’inquadratura 2 Grissom è immobile, ma alcuni leggeri movimenti della camera a mano introducono una sorta di vibrazione inquieta; nella 3 è Grissom, ripreso di spalle, a muovere il capo; il totale dell’inquadratura 4 vede muoversi Grissom verso il capannone; il dettaglio delle sue spalle dell’inquadratura 5 è un carrello che lo segue nel suo percorso di avvicinamento; infine il dettaglio della borsa dell’inquadratura 6 è anch’esso un carrello che accompagna Grissom e lo inquadra dal basso mentre sale i gradini.

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Soggetto della percezione e mondo indiretto: esclusione vs inclusione

Esclusione radicale vs esclusione moderata

Semiotica dei media

Inclusione radicale vs inclusione moderata

quanto debolmente) il possesso di un corpo, di una collocazione nel mondo, di stati di coscienza che si traducono in movimento: egli manifesta insomma una semipresenza all’interno del mondo indiretto, benché esso risulti comunque escluso da tale mondo – in particolare a partire dall’atteggiamento dei soggetti del mondo indiretto che, come Grissom in questo caso, non ne riconoscono la presenza. Dobbiamo dunque distinguere un rapporto di “esclusione radicale” (il soggetto della percezione percepisce un mondo da cui è completamente escluso) da uno di “esclusione moderata” (il soggetto della percezione manifesta una presenza e una semi-inclusione all’interno di un mondo che tuttavia non riconosce tale presenza). Effettuiamo ora due piccoli spostamenti in avanti all’interno della sequenza che stiamo esaminando. Primo spostamento: appena Grissom entra nel capannone buio e si toglie gli occhiali da sole, vengono introdotte numerose inquadrature, statiche o dinamiche, che sono riferibili a quanto egli vede nel suo percorso esplorativo. Si tratta di quel tipo di inquadrature che, com’è noto, vengono chiamate “soggettive”. È evidente che in questi casi il rapporto tra il soggetto della percezione del mondo indiretto e il mondo stesso cambia: da una relazione esclusiva essa si fa inclusiva. Chi percepisce è situato con il proprio corpo nel mondo indiretto, agisce al suo interno, può essere toccato dalle trasformazioni che vi si verificano e viene riconosciuto in quanto tale dagli altri soggetti presenti in esso. La soggettiva rappresenta un caso di “inclusione radicale”; tuttavia è possibile anche un’“inclusione moderata”: possiamo individuarne un esempio se compiamo un altro piccolo spostamento e ci portiamo all’inquadratura in cui il rapitore sta osservando le immagini di Nick sofferente. Sono soprattutto le immagini della web-cam a interessarci in questo caso: nel momento in cui ci mostrano Nick, esse manifestano la propria origine tecnologica e riproduttiva; anche in questo caso il soggetto della percezione è dunque situato all’interno del mondo indiretto, ne fa parte, vi agisce e ne viene direttamente toccato, ma tale soggetto è anzitutto un dispositivo tecnologico di ripresa. Il caso della web-cam è un caso estremo in quanto essa funziona senza che vi sia qualcuno che la manovra, come una videocamera di sorveglianza o una telecamera “robotizzata” in grado di operare senza alcun soggetto umano; in altri casi la produzione di immagini da parte di un dispositivo di ripresa richiama per metonimia la presenza di un soggetto umano che maneggia il dispositivo di registrazione all’interno del mondo indiretto e si avvicina quindi all’inclusione radicale proprio della soggettiva 2. 2. Il caso dell’inclusione moderata del soggetto della percezione nel mondo indiretto corrisponde di fatto al procedimento di diegetizzazione del dispositivo di ripresa delle immagini e dei suoni cui abbiamo accennato nel capitolo precedente (cfr. par. 4.1) quale ulteriore procedimento utile a riassorbire la discontinuità tra mondo diretto e mondo indiretto.

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8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

Possiamo rapidamente osservare su questo punto una trasformazione dall’estetica audiovisiva classica a quella contemporanea: la prima assegnava all’esperienza di finzione i due estremi dell’esclusione e dell’inclusione radicale, mentre riservava le due alternative intermedie all’esperienza fattuale; l’estetica contemporanea ha invece esteso massicciamente l’uso dell’esclusione e dell’inclusione moderate alla fiction: si pensi all’uso diffusissimo della camera a mano o della steady-cam nella fiction televisiva, oppure ai numerosi film che simulano (in parte o completamente) immagini girate da videocamere amatoriali o da altri dispositivi di ripresa 3.

Linguaggi audiovisivi classici vs contemporanei

3.3. Condividere il soggetto della percezione Mentre guardo la macchina da

presa seguire Grissom che si appressa al minaccioso capannone, cerco febbrilmente con la mano i pop corn che avevo preparato al mio fianco: tasto disperatamente la ciotola ma non trovo nulla; un rapido sguardo conferma che dei pop corn non c’è più traccia. Anche io ho svolto un’azione di esplorazione sensomotoria, analoga a quella che vedo effettuare dal soggetto della percezione all’interno del mondo indiretto. Tuttavia è chiara la distinzione tra le due attività: la ricerca dei pop corn viene svolta e controllata da me all’interno di un mondo che abito e in cui mi muovo liberamente. Essa dunque mi appartiene; l’attività di percezione dello spostamento di Grissom al contrario viene svolta da un soggetto che è altro da me all’interno di un mondo che non mi è direttamente presente, e dunque non mi appartiene. Una simile alternativa tra appartenenza e non appartenenza dell’esperienza percettiva può tuttavia essere negoziata. Ricordiamo (cfr. cap. 4, par. 3.1) che le attività di esplorazione sensomotoria e di prensione situata del mondo non vengono solo attuate direttamente dai soggetti della percezione mediante spostamenti fisici nel mondo, ma anche svolte in un regime di simulazione incorporata; questo fa sì che oltre alla percezione effettiva vi siano continue attività percettive del tipo “come se”: ricostruzioni, preparazioni o semplici ipotesi di tragitti esplorativi. Una volta constatato che ho fatto fuori tutti i pop corn, alzo lo sguardo verso il mio armadio-dispensa e calcolo rapidamente il percorso e le operazioni che dovrei fare per prenderne altri. Questa abitudine alla costante simulazione di attività percettive e sensomotorie fa sì che lo spettatore, nel momento in cui si trova di fronte le tracce dell’attività in atto del soggetto della percezione del mondo indiretto, possa leggerle come percorsi di simulazione incorporata che si svolgono all’interno del mondo indiretto, e quindi viverle come attività percettive e sensomotorie parzialmente proprie e non più radicalmente di altri. Parlia3. Due esempi per tutti, di genere differente: il film di guerra a impegno civile Redacted (Brian de Palma, usa/Canada, 2007) e l’action horror Cloverfield (Matt Reeves, usa, 2008).

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Simulazione incorporata e circuiti del “come se”

La condivisione dei processi sensoriali del soggetto della percezione

Semiotica dei media

Il “posizionamento” dello spettatore

mo a questo proposito di una condivisione dell’esperienza percettiva tra soggetto dell’esperienza e soggetto della percezione del mondo indiretto; e la opponiamo a un regime di non condivisione della stessa esperienza. Comprendere la relazione tra il soggetto della percezione e il mondo indiretto da un lato e far scattare o meno una condivisione dell’esperienza percettiva svolta da tale soggetto dall’altro rappresentano fasi differenti della costituzione della relazione intersoggettiva. Tuttavia esse si determinano reciprocamente e definiscono congiuntamente il tipo di esperienza percettiva che lo spettatore fa del mondo indiretto. In particolare l’incrocio delle diverse possibilità emerse in ciascuno dei due ambiti definisce differenti “posizionamenti” e gradi di coinvolgimento percettivo dello spettatore rispetto al mondo indiretto: da un grado massimo di distacco (rapporto di esclusione del soggetto della percezione rispetto al mondo indiretto e relazione di non condivisione tra questi e lo spettatore) a un grado massimo di presenza (rapporto di inclusione del soggetto della percezione rispetto al mondo indiretto e relazione di condivisione tra questi e lo spettatore), passando per i gradi intermedi degli altri possibili incroci. Il punto di vista nel testo narrativo Molti dei temi trattati in questo capitolo sono stati affrontati dalla semiotica all’interno del dibattito sul “punto di vista” narrativo. Già nella seconda metà dell’Ottocento alcuni autori come Henry James delineavano il problema della relazione tra la narrazione e lo “sguardo” dei personaggi dei propri racconti. Il problema si trasforma, nel corso del Novecento, da questione di tecnica narrativa a questione di teoria della letteratura: al suo interno si intrecciano e si sovrappongono differenti distinzioni riguardanti il punto di vista narrativo, in particolare tra: a) un’accezione puramente sensoriale (un percepire), una cognitiva (un sapere), una valoriale (un valutare e un credere); b) un’accezione contingente (una certa posizione del personaggio rispetto a una specifica scena e l’espressione di suoi singoli giudizi) e una assoluta (un regime di narrazione e l’espressione di una complessiva visione del mondo); c) l’atto del percepire e l’atto del riferire narrativamente quanto si percepisce (che nel discorso letterario sono intimamente uniti); d) un approccio semantico (che analizza la logica dei punti di vista) e un approccio pragmatico (che analizza gli effetti di tali strategie sul lettore in termini di suspence, manipolazione affettiva e ideologica ecc.). Genette (1972) riprende tali questioni in ambito semiotico e narratologico. Egli interviene sul punto c, e distingue nettamente la questione del punto di vista (problema di “modo” e di “prospettiva”) da quello del narratore (problema di “voce”). Il punto di vista così delimitato risulta uno strumento di selezione quantitativa dell’informazione relativa al mondo diegetico per il tramite del personaggio, che Genette chiama focalizzazione. La focalizzazione può essere interna (il Narratore ri-

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8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

ferisce quello che sa il Personaggio), esterna (il Narratore riferisce meno di quanto ne sappia il Personaggio) o di grado zero (il Narratore dice più di quanto ne sappia uno qualunque dei Personaggi). La concezione di Genette è stata molto influente e oggetto di numerose critiche, da lui stesso in parte discusse in 1983. Di particolare interesse gli sviluppi verificatisi all’interno della semiotica dell’audiovisivo. Per un verso è stato osservato che Genette si concentra sulla dimensione del sapere piuttosto che su quella del percepire (cfr. punto a delle problematiche sopra tracciate): François Jost ha proposto in tal senso di integrare la nozione di focalizzazione con quelle di ocularizzazione (e auricolarizzazione). Per altro verso è stato avvertito il limite di un approccio puramente semantico, tale cioè da non considerare gli effetti del gioco dei punti di vista sullo spettatore (cfr. punto d delle problematiche sopra tracciate). Tali effetti sono stati colti in due dimensioni. La riflessione francese ha insistito sulla dimensione affettiva e identitaria, a partire da una teoria psicoanalitica del cinema: Metz (1977) definisce identificazione primaria quella che lega lo spettatore al proprio atto di sguardo, costruito e diretto dalla macchina da presa, e identificazione secondaria quella che lega lo spettatore ai differenti personaggi. La teoria anglosassone ha insistito invece sulla dimensione cognitiva: per esempio Branigan (1984) ha delineato i processi di comprensione narrativa costruiti dal gioco dei punti di vista e in particolare dalla soggettiva. Alcuni interventi tentano una mediazione tra le due impostazioni: per esempio Bettetini (1984) e Casetti (1986). Lungo questa stessa linea di mediazione, il capitolo ha cercato di mostrare come questi due approcci possano convergere alla luce della più recente impostazione neurocognitivista, e come sia necessario recuperare un’articolazione tra contingenza e assolutezza, meno focalizzata dalla riflessione teorica (cfr. punto b delle problematiche sopra tracciate).

4. I soggetti interni al mondo indiretto 4.1. Rendersi conto del personaggio Torniamo alle inquadrature iniziali

della sequenza. Fin qui ci siamo concentrati sul manifestarsi dell’attività del soggetto di percezione del mondo indiretto; spostiamo ora la nostra attenzione sul personaggio che appare in scena: lo stesso Grissom in quanto soggetto interno al mondo indiretto. La prima inquadratura lo mostra immobile di fronte al capannone: il colore scuro dei suoi vestiti lo fa spiccare sullo sfondo chiaro e luminoso, accanto al lungo palo nero che si slancia alla sua destra (fig. 1). Il detective appare quasi come un oggetto inanimato, parte di una composizione immobile e priva di vita. La seconda inquadratura insiste in dettaglio sulla borsa: anche qui al centro dell’immagine c’è un oggetto; esso manifesta un leggero movimento, che però sembra quasi dovuto a cause non personali, come l’o155

Semiotica dei media

Il corpo del personaggio esprime lo svolgimento dei suoi stati di coscienza

Soggetti vs oggetti

scillazione prodotta dal vento. Ma nella terza inquadratura questa situazione inizia a cambiare: Grissom di spalle muove la testa “nervosamente” a sinistra e a destra, quindi avvia un movimento di avvicinamento “cauto” diretto verso la porta di lamiera velata di ruggine, sempre guardandosi intorno “guardingo”, per aprire infine la porta con un gesto che mostra “decisione”. Cosa è cambiato effettivamente nel passaggio dalle prime due inquadrature a quelle che seguono? Da un mondo di soli oggetti si è passati alla manifestazione di una presenza personale: lo spettatore si rende conto che all’interno del mondo indiretto è presente e operante un soggetto. Possiamo osservare in prima battuta che questo “rendersi conto” è collegato al manifestarsi della presenza di un corpo vivente e visibile, situato in un mondo e nell’atto di operare al suo interno. Ciò che rende evidente la “vita” di questo corpo non è il suo semplice apparire (come abbiamo detto, nella prima inquadratura Grissom sembra quasi un oggetto del paesaggio), e neppure il suo altrettanto semplice muoversi (anche la borsa piena di soldi della seconda inquadratura sembra mossa dal vento, senza che questo la renda un soggetto personale). Se attribuiamo al corpo di Grissom lo statuto del corpo di un soggetto è perché, a partire dalla propria presenza e mediante il proprio movimento, esso manifesta lo svolgersi e il manifestarsi di una esperienza in atto. Possiamo dire, in altri termini, che il corpo in movimento di Grissom appare come il corpo di un soggetto, in quanto strumento di costituzione e di manifestazione di una serie di stati di coscienza 4. Il lettore può peraltro verificare come nella nostra descrizione abbiamo indicato tra virgolette i differenti stati interiori di Grissom nel segmento analizzato, a partire dai gesti e dalle azioni che li manifestano. La presenza di corpi in grado di manifestare un’esperienza in atto, e quindi la costituzione progressiva di stati di coscienza, introduce una prima distinzione all’interno del mondo indiretto tra “oggetti” e “soggetti” 5. La controprova di questo principio è data dal fatto che anche alcuni elementi che di per sé sarebbero oggetti possono esser percepiti in quanto viventi e soggettivizzati qualora sia possibile attribuire ad essi degli stati coscienti: come avviene in certi film (a cartoni animati o live) in cui giocattoli, au4. Si tratta a ben vedere dello stesso principio che ci aveva portati a ipotizzare una presenza situata e riconoscibile del soggetto della percezione all’interno del mondo indiretto, principio reso più evidente ed esplicito nel caso dei soggetti interni al mondo indiretto. Lo ritroveremo anche in alcune manifestazioni del soggetto del discorso nel prossimo capitolo (par. 3.1). 5. In questo capitolo lavoriamo sulla relazione con i soggetti del mondo indiretto; teniamo dunque in ombra le relazioni dello spettatore con gli oggetti che vengono mostrati. Recuperiamo comunque questo aspetto nella terza parte: cfr. cap. 15, par. 3.

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8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

tomobili, soprammobili divengono veri e propri personaggi. Per converso, è possibile che alcuni soggetti umani perdano la capacità di manifestare stati di coscienza e divengano quindi soggetti oggettivizzati: si pensi all’iconografia degli zombies nei film dell’orrore e in genere al fatto che ogni corpo umano o animale al momento della propria morte (e dunque della perdita definitiva e irreversibile della possibilità di sperimentare stati di coscienza) dona automaticamente vita all’immagine del soggetto che era appena stato (Blanchot). 4.2. Comprendere il personaggio Appena entrato nel capannone Grissom

toglie gli occhiali da sole, accende la torcia elettrica e annuncia ad alta voce la propria presenza: «Scientifica di Las Vegas». Allorché la voce misteriosa lo invita a procedere, il detective inizia la sua esplorazione dell’ambiente. Oltre al pick up bianco con cui il rapitore ha trasportato Nick, il raggio della torcia si sofferma sul cadavere di un cane disteso a terra. A questo punto un primo piano di Grissom mostra il suo volto dalle sopracciglia aggrottate che guarda in basso a destra verso il cadavere del cane, annusa velocemente l’aria, alza lo sguardo verso sinistra in direzione della porta verso la quale è stato richiamato dalla voce misteriosa, poi di nuovo verso il cadavere e quindi verso la porta (fig. 2). Soffermiamoci su questa inquadratura. Essa permette allo spettatore di fare un passo avanti rispetto al semplice rendersi conto che esiste un soggetto esperiente dotato di stati di coscienza; lo spettatore viene ora avviato a comprendere gli stati di coscienza che caratterizzano concretamente e in un determinato momento l’esperienza in atto di Grissom: tensione, preoccupazione, inquietudine, determinazione, disgusto, curiosità circa la relazione tra il cadavere del cane e l’identità del misterioso personaggio di cui ha ascoltato la voce e così via. Ma in che modo avviene questa operazione di interpretazione e di comprensione? Cominciamo con l’osservare che essa procede a partire dalla presenza del corpo di Grissom al centro dell’immagine: la sua costituzione massiccia, la mimica dei suoi movimenti e delle sue posture e quella particolarmente espressiva del suo volto. Poco prima un altro elemento aveva caratterizzato il detective: la sua voce, anch’essa riconducibile a una sorta di gesto, prodotto e prolungamento di un atto di fonazione che interviene sull’ambiente circostante. La centralità del corpo, già intuita nella fase del rendersi conto della presenza dell’altro, si conferma al momento della comprensione dei suoi stati di coscienza 6. 6. Occorre osservare che questo ruolo del corpo del personaggio ai fini di un’interpretazione dei suoi stati interiori si gioca su due livelli collegati, uno più generale e uno più particolare. A livello più generale i corpi sono dotati di alcune qualità sensibili (sia tonali che ritmiche) stabili e ricorrenti: Grissom possiede una corporatura solida, un modo di gesticolare molto controllato

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Il corpo del personaggio e la comprensione degli stati di coscienza

Fisiognomica dei personaggi

Semiotica dei media La consonanza somatica tra personaggio e spettatore

La questione diviene dunque: in che modo passiamo dall’osservazione del corpo di Grissom e dei suoi movimenti agli stati di coscienza che esso vive e manifesta? La risposta sta nel fatto che nell’osservare la mimica del personaggio noi ripetiamo a nostra volta in forma virtuale la microsceneggiatura somatica cui tale mimica risponde, e siamo in grado in tal modo di sperimentare personalmente e direttamente gli stati di coscienza cui tale microsceneggiatura è collegata. Mediante l’osservazione del corpo altrui e del suo muoversi, noi attiviamo un particolare vocabolario somatico ed esperienziale che lega microsceneggiature sensomotorie e stati di coscienza cognitivi, affettivi, attivi. Diremo dunque che la comprensione degli stati di coscienza altrui a partire dal corpo mobile dell’altro, viene resa possibile da un meccanismo di “consonanza” tra lo spettatore e il personaggio in scena. È la messa in opera di tale meccanismo di consonanza che permette allo spettatore di “leggere” i veloci spostamenti degli occhi di Grissom e il suo arricciare il naso in quanto manifestazioni di un processo di ragionamento in atto, di una sensazione di disgusto e così via: tutti stati di coscienza che lo spettatore stesso vive in forma simulata 7. e un po’ rigido, una mimica del volto molto composta, una voce profonda e leggermente roca e così via. Tali qualità lo isolano rispetto al resto della squadra che gioca invece su registri espressivi più vivaci e immediati e su giochi di contrasti reciproci: l’aspetto “afro” di Warrick, la capigliatura crespa, l’espressione degli occhi spesso aggrottata, la costituzione minuta, contrastano con il corpo di Nick, che è al contrario muscoloso, dalla mascella squadrata ecc.; una distinzione delle caratteristiche e degli stili somatici che viene replicata sul versante femminile tra Catherine e Sara: slanciata, bionda, nervosa la prima; più minuta, bruna, riflessiva la seconda. Queste differenti qualità somatiche non si limitano a distinguere “esteriormente” i vari personaggi, ma indicano differenti stili di comportamento “interiore”: per esempio la distinzione somatica di Grissom rispetto alla squadra è da ricondurre a uno stile maggiormente freddo e distaccato, una maggiore riflessività, una migliore capacità di ragionamento e una più marcata capacità decisionale. A livello più particolare e contingente, tali qualità somatiche stabili e ricorrenti vengono di volta in volta rigiocate nelle particolari azioni e situazioni in cui i personaggi sono coinvolti, e servono allo spettatore da sistema di riferimento per cogliere gli stati di coscienza (ragionamenti, umori, emozioni, piani di azione e così via) che abitano e muovono i personaggi in un determinato momento. Nell’incontro con il rapitore di Nick, Grissom conferma il proprio stile somatico misurato e poco espansivo, ciò che rende particolarmente rilevanti i minimi segni che tradiscono la sua tensione e la sua rabbia: il gioco inquieto degli sguardi che abbiamo visto, il ripetuto serrarsi della mascella, l’indurirsi del tono della sua voce. 7. Ritorna qui il termine di “simulazione” già introdotto a proposito dei fenomeni di “simulazione incorporata” dei fenomeni sensoriali (cfr. cap. 4, par. 3.1 e la ripresa del concetto appena fatta in par. 3.3). Per quanto è possibile che vi sia un legame tra questi differenti fenomeni (gli studiosi sono divisi su questo aspetto), è importante sottolineare che essi si collocano a differenti livelli del processo esperienziale: la simulazione incorporata è un processo di base che riguarda l’esplorazione immediata del mondo percepibile; i processi di consonanza che stiamo considerando sono processi avanzati che concernono la comprensione di stati di coscienza complessi di altri soggetti.

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8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

Occorre tuttavia aggiungere immediatamente che il meccanismo della consonanza è una condizione necessaria ma non sufficiente per giungere alla comprensione degli stati di coscienza. Torniamo all’inquadratura del volto di Grissom che guarda alternativamente il cadavere del cane e l’uscio oltre il quale si cela il misterioso rapitore. Lo spettatore può comprendere quanto Grissom pensa, sente e sente di fare solo se fa intervenire il proprio sapere previo su quanto è accaduto: dal rapimento di Nick alle ricerche frenetiche e infruttuose, dalla tortura visiva di Nick sofferente nella bara alla fortunosa ricerca dei soldi per il riscatto. In altri termini, il meccanismo interpretativo della consonanza va integrato con un meccanismo di “inferenza” che fa riferimento ai saperi sedimentati nella mappa situazionale elaborata fino a quel punto. Sarebbe però un errore pensare il meccanismo della consonanza e quello dell’inferenza come due vie alternative di interpretazione degli stati di coscienza del personaggio. Piuttosto, essi si trovano in una relazione di determinazione incrociata tale da configurare la comprensione degli stati di coscienza altrui come un movimento “a spirale”, in base alla dinamica dei processi interpretativi che ormai ben conosciamo: più lo spettatore “vive” gli stati di coscienza del personaggio mediante il meccanismo di consonanza, meglio può richiamare e mettere a punto gli sfondi di sapere mediante meccanismi di inferenza; e viceversa più saperi richiama mediante le inferenze e meglio potrà “impersonare” il soggetto del mondo indiretto che si muove nello schermo. Risulta utile e pertinente a questo proposito il duplice senso che possiede in alcune lingue la parola interpretare: lo spettatore al tempo stesso comprende il soggetto del mondo indiretto e ne ripercorre in forma imitativa gli stati interiori 8. I meccanismi legati alla comprensione dei soggetti del mondo indiretto introducono due distinzioni al loro riguardo. In primo luogo lo spettatore non è chiamato a comprendere tutti i personaggi allo stesso modo e con un simile grado di continuità e di dettaglio degli stati interiori: per esempio il poliziotto Michael introdotto all’inizio dell’episodio scompare nel seguito. Questo determina una distinzione tra personaggi principali e personaggi secondari, cioè un gioco di rilievo dei personaggi tra soggetti “di primo piano” e “di sfondo”. Si tratta ovviamente di un gioco mobile, dinamico e negoziabile: spesso nei racconti un personaggio di sfondo si rivela decisivo a un certo punto della vicenda, oppure ritorna inaspettatamente in un altro episodio della stessa serie o finisce per divenire un personaggio stabile. 8. Vedremo più avanti che le risorse interpretative derivanti dalla consonanza con i soggetti del mondo indiretto possono essere rinforzate o al limite sostituite dai processi di consonanza innescati direttamente dalla produzione discorsiva e dai suoi soggetti nello spettatore: cfr. infra, cap. 11, par. 3.2 e cap. 13, par. 4.

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Il ruolo dell’inferenza nella comprensione degli stati di coscienza

La determinazione incrociata tra consonanza e inferenza

Soggetti di primo piano vs soggetti di sfondo

Semiotica dei media Soggetti individuali vs soggetti collettivi

In secondo luogo è possibile che alcuni personaggi si dimostrino uniti da criteri di comprensione omogenei: in alcuni casi la squadra csi viene colta “in gruppo”, mentre manifesta stati coscienza del tutto analoghi, per esempio di fronte allo spettacolo di Nick sofferente. In questo caso si definisce una distinzione tra soggetti individuali e soggetti collettivi; distinzione che, anche in questo caso, è spesso da rivedere e aggiornare nell’evoluzione dell’esperienza mediale. 4.3. Condividere il personaggio Grissom continua ad avanzare in direzione

Dalla comprensione alla condivisione degli stati di coscienza

Le inquadrature soggettive e la condivisione dell’agire percettivo

della porta verso la quale è stato richiamato dalla voce misteriosa. Una nuova inquadratura in soggettiva mostra il raggio della sua torcia elettrica indugiare sulle ciotole del cibo del cane morto, il giaciglio dell’animale, una scatola di cartone. Dopo un piano medio del detective inquadrato dal basso, un carrello lo segue di spalle mentre si avvicina alla porta e si appresta a varcarla. Possiamo certamente dire che “comprendiamo” gli stati di coscienza di Grissom in questi istanti: il suo timore, la cautela, ma anche la sua curiosità e la determinazione ad affrontare finalmente faccia a faccia il misterioso individuo. Ma il termine “comprendere” non esprime a pieno il tipo di relazione che intratteniamo con il personaggio del detective; in questo caso la comprensione prelude a un ulteriore passaggio che ci conduce a condividere una parte degli stati di coscienza di Grissom: il detective si muove nel mondo indiretto spinto dalla stessa curiosità e dall’ansia di conoscere lo scioglimento della vicenda che anima anche noi spettatori, dalla posizione di comodità ma anche di impotenza in cui siamo confinati. La relazione tra lo spettatore e il soggetto del mondo indiretto passa dunque da una relazione di “comprensione” a una relazione di “condivisione” degli stati di coscienza: lo spettatore non solo comprende come Grissom vive la situazione della ricerca di Nick, ma è condotto a vivere come lui e con lui l’azione nel suo svilupparsi. In cosa consiste questa condivisione e che cosa viene condiviso tra spettatore e soggetto del mondo indiretto? Quali meccanismi e quali condizioni determinano un simile passaggio? Cominciamo con l’osservare che un ruolo decisivo all’interno della sequenza che stiamo analizzando viene svolto dalle inquadrature semisoggettive o soggettive di Grissom: carrelli che lo seguono da dietro le spalle (semisoggettive), inquadrature di quanto egli vede e ascolta nel suo percorso di esplorazione percettiva (soggettive visive e sonore). Come abbiamo detto nel par. 3 la soggettiva implica un rapporto di inclusione radicale tra il soggetto della percezione e il mondo indiretto e incoraggia una relazione di condivisione dell’esperienza percettiva tra questi e lo spettatore. D’altra parte possiamo ora constatare che la soggettiva sollecita mediante un meccanismo di sineddoche (la parte per il tutto) una condivisione più ampia non solo delle percezioni, ma di tutto l’insieme degli stati di coscienza 160

8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

(cognitivi, emotivi e attivi) del soggetto del mondo indiretto così come si presentano in quel particolare momento, e così come lo spettatore può comprenderli in base alla dinamica di consonanza e inferenza descritta sopra. Il “percepire con” implica dunque per lo spettatore un condividere gli stati di coscienza contingenti del soggetto del mondo indiretto. Ma questa è solo una prima area e un primo stadio della condivisione. Soffermiamoci su un’altra soggettiva di Grissom, che si colloca alla fine della sequenza che stiamo esaminando. Quando il detective si risveglia dallo stordimento conseguente all’esplosione vede il capannone distrutto, illuminato da un fiotto di luce che penetra da una finestra sfondata sulla sinistra: nello spazio vuoto, tra le volute del fumo, volteggiano dolcemente i frammenti delle banconote del riscatto (fig. 4). L’immagine rimanda immediatamente al vanificarsi degli sforzi di Catherine per procurarsi il denaro, ma possiede anche una portata più generale: il volteggiare leggero dei frammenti di banconote nell’aria costituisce la figura (nel senso precisato nel cap. 5, par. 4) del complessivo vanificarsi di tutti gli sforzi compiuti fino a quel punto dalla squadra dei detective per salvare Nick; essa richiama dunque, a conclusione della prima parte dell’episodio, il ricordo di tutto quanto si è svolto fino a quel momento. D’altra parte il fatto che tale inquadratura sia una soggettiva mette in evidenza che una simile memoria non è patrimonio esclusivo di Grissom e della sua squadra: assieme ai progetti e ai piani di azione condotti fino a quel punto dalla squadra csi, lo spettacolare suicidio del rapitore rende inservibile anche l’insieme di aspettative e di speranze che lo spettatore stesso aveva maturato. La soggettiva delle banconote in frammenti porta dunque alla luce una seconda area e un secondo grado di condivisione tra lo spettatore e il soggetto del mondo indiretto: dalla condivisione degli stati immediati e contingenti di coscienza si passa alla condivisione di una memoria relativa a quanto si sta verificando e capace di cogliere il valore e il senso dell’avvenimento contingente; in una parola viene condivisa tra lo spettatore e il soggetto del mondo indiretto la mappa situazionale maturata fino a quel punto. La soggettiva richiama dunque non solo la condivisione degli stati di coscienza contingenti, ma dell’intera mappa situazionale che si è definita nel corso dell’episodio, nonché dell’intero flusso di saperi e emozioni che ha condotto alla sua progressiva costruzione. Consideriamo infine un ultimo elemento. Le soggettive di Grissom all’interno del capannone non costituiscono un caso isolato: esse si collegano a quelle molto simili di Nick che esplora il parcheggio nella sequenza introduttiva, poi riprese quasi letteralmente nell’esplorazione investigativa dello stesso Grissom e di Catherine subito dopo il rapimento; o quelle di Warrick che analizza la zona in cui era parcheggiato il pick up del rapitore. Ritornano in tutti questi casi movimenti esplorativi di un ambiente buio, rischiarato dal raggio della torcia elettrica che, come una sorta di “solidificazione” dello sguardo, fruga l’oscurità e strappa brandelli di oggetti e di in161

La condivisione delle mappe situazionali

La condivisione degli sfondi memoriali, affettivi e valoriali

Semiotica dei media

Soggetti protesi vs soggetti alieni

dizi. Le soggettive di Grissom dunque non sono isolate: esse si collegano a un sistema coerente di soggettive e semisoggettive che vengono attribuite in Grave Danger ai componenti della squadra csi. L’organizzarsi delle soggettive in una rete sistematica che fa riferimento ai membri della squadra csi rinvia a una terza area e a un terzo grado di condivisione tra spettatore e soggetti del mondo indiretto. Ciò che accomuna i membri della squadra csi e che al tempo stesso lega lo spettatore a questa microcomunità è uno sfondo condiviso di memorie, di affetti, di sensibilità, di convinzioni e di valori che si è definito e precisato nel tempo, mano a mano che la serie evolveva episodio dopo episodio. La portata sineddotica della soggettiva percettiva si estende dunque ulteriormente fino a coinvolgere la condivisione di un sentire comune che tocca sia una serie di memorie e di competenze di lunga durata (che prescindono cioè dal singolo episodio), sia un’etica di fondo improntata alla condivisione e alla responsabilità reciproca, alla ricerca scientificamente corretta e disciplinata della verità a partire dagli indizi raccolti e così via. In sintesi lo spettatore può condividere con alcuni soggetti del mondo indiretto alcuni stati di coscienza contingenti, lo sviluppo e lo stato della propria mappa situazionale, un sentire di fondo relativo a memorie e a valori di più ampia portata. Le tre aree e i tre gradi di condivisione si rafforzano e si sorreggono reciprocamente 9. A partire da questo insieme di meccanismi possiamo introdurre un’ulteriore distinzione tra i soggetti che abitano il mondo indiretto: da un lato avremo coloro con i quali lo spettatore condivide (con un grado di stabilità e di completezza variabile) stati di coscienza, mappe situazionali e sfondi etici: li chiameremo “soggetti protesi”; dall’altro lato avremo personaggi con i quali tale condivisione non può scattare, che chiameremo “soggetti alieni”. Anche in questo caso sono possibili scambi e trasformazioni: un soggetto inizialmente alieno può divenire protesi, o viceversa, nel corso della narrazione. 4.4. Il carattere aspettuale dell’esperienza mediale Soffermiamoci ancora un

istante sulla distinzione tra soggetti protesi e soggetti alieni e sulla questione della possibile condivisione degli stati di coscienza. Nel momento in cui Grissom sta varcando la porta del tramezzo che separa in due parti il capannone, un improvviso controcampo porta in primo piano, di spalle e seduto a una scrivania, la misteriosa figura del rapitore (fig. 3). Lo vediamo 9. Ricordiamo inoltre che tali condivisioni sono attivate e riattivate molto spesso (con le eccezioni di cui diremo subito nel par. 4.4) da inquadrature soggettive: il fatto che lo spettatore venga calato nella posizione percettiva contingente e somaticamente situata del personaggio rinvia per sineddoche agli altri ordini di condivisione; non a caso si parla di “punto di vista” del personaggio per indicare tutto l’insieme di stati, memorie, sensibilità e valori eventualmente condivisi da parte dello spettatore.

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8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

osservare con indifferenza sullo schermo di un computer di fronte a lui (e quindi anche di fronte a noi) lo spettacolo di Nick sofferente ripreso dalla web-cam. Grissom, il cui sguardo ci aveva fin qui accompagnato, è ora solamente un punto di luce in fondo allo stanzone. È impossibile negare un piccolo effetto di shock causato da questa inquadratura: essa costringe lo spettatore a guardare tanto Grissom quanto lo spettacolo di Nick trasmesso dallo schermo del computer dal punto di vista del misterioso rapitore e torturatore. «Benvenuto nel mio mondo», dirà di lì a poco l’uomo a Grissom e, indirettamente, allo stesso spettatore. Come possiamo interpretare questa semisoggettiva a partire da quanto detto nel paragrafo precedente? Come mai la soggettiva (o, come in questo caso, la semisoggettiva), che dovrebbe essere riservata a soggetti protesi e qualificarli in quanto tali, viene estesa a soggetti alieni? Per quanto l’attribuzione della soggettiva a soggetti alieni possa avere differenti motivazioni 10, in questo caso essa costituisce l’avvio e la premessa di una successiva comprensione e di una possibile condivisione di stati di coscienza, mappe situazionali e sfondi etici del personaggio alieno. Nella prima parte dell’episodio (che si conclude con questa sequenza) le premesse che muovono le azioni e gli stati di coscienza del misterioso personaggio non vengono dichiarati: essa si chiude, come abbiamo visto, con il suo spettacolare suicidio. Tali premesse emergono tuttavia nella seconda parte. L’uomo è il padre di una ragazza che a causa del contributo della squadra csi è stata condannata per concorso di colpa in un omicidio cui era sostanzialmente estranea. La dura esperienza del carcere ha traumatizzato la ragazza e suo padre. Il progetto del rapimento, il seppellimento di Nick e il complesso dispositivo di trasmissione via web-cam costituiscono una vendetta dell’uomo: questi ha voluto che la squadra csi condividesse il senso di disperata impotenza che si prova nel guardare soffrire una persona cara senza poter intervenire in alcun modo, di cui lui stesso è stato vittima. 10. Oltre al caso dell’introduzione di una multiaspettualità, che qui approfondiamo, sono possibili almeno altri tre casi. Il primo è quello di un uso temporaneo della soggettiva in un contesto monoaspettuale: la soggettiva viene assegnata momentaneamente a soggetti alieni che sono destinati a restare tali. Si tratta di scelte che producono un effetto di disagio per lo spettatore, in quanto rappresentano inviti alla condivisione e all’intimità percettiva con un soggetto di cui (ancora) si ignorano stati di coscienza e intenzioni, o di cui già si conoscono o si intuiscono intenzioni e piani di azioni contrari rispetto al punto di vista dei soggetti protesi: per esempio le soggettive dei mostri di vario genere del cinema dell’orrore. Il secondo caso è quello di un’aspettualità mobile, che transita da un soggetto all’altro: per esempio nel film A Clockwork Orange (Arancia meccanica, S. Kubrick, gb, 1971) le soggettive e il punto di vista vengono attribuiti nella prima parte del film alle vittime del crudele teppista Alex, e nella seconda parte del film allo tesso Alex in fase di rieducazione. Infine un terzo caso è quello del soggetto “pseudoalieno”: le soggettive vengono attribuite a un soggetto sconosciuto che nel seguito del’esperienza mediale si rivela essere un soggetto protesi.

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La “protesizzazione” parziale dei soggetti alieni

Semiotica dei media

Multiaspettualità vs monoaspettualità: la “polifonia” dell’esperienza mediale

Queste progressive rivelazioni non pregiudicano la distinzione tra soggetti protesi (la squadra csi) e soggetti alieni (il rapitore e nella seconda parte dell’episodio sua figlia). Tuttavia lo spettatore sente che esiste anche un altro taglio di visione e di valutazione della vicenda cui sta assistendo; e avverte che tale differente punto di vista sulla stessa vicenda è potenzialmente praticabile allo stesso modo di quello “dominante” della squadra csi che egli stesso condivide. Si delinea in altri termini, a partire dalle soggettive e semisoggettive del rapitore, la natura relativa e prospettica di ogni esperienza cosciente: questa, per lo stesso fatto di essere situata, è orientata e parziale, ovvero aspettuale. Possiamo concepire Grave Danger come un caso di “multiaspettualità moderata”: lo spettatore sperimenta la presenza e la potenziale praticabilità di punti di vista differenti e complementari all’interno del mondo indiretto, ma i meccanismi di condivisione restano baricentrati su un personaggio o su un gruppo preciso di personaggi (in questo caso la squadra csi) 11. In tal modo Grave Danger si distingue dai casi di esperienze mediali di tipo più rigidamente “monoaspettuale”: è il caso di produzioni discorsive “a tesi”, in cui personaggi positivi e negativi sono nettamente distinti senza che si possano condividere neppure potenzialmente le ragioni che animano i soggetti alieni (è il caso di produzioni di propaganda, di quelle pubblicitarie ecc.). Al tempo stesso Grave Danger non presenta i caratteri della “multiaspettualità radicale”, che mette in scena una serie di punti di vista differenti senza offrire allo spettatore criteri di scelta tra l’uno e l’altro di essi. 5. Il design etico dell’esperienza

La dinamica aspettuale nell’esperienza ordinaria

La questione dell’aspettualità ci porta di fronte a una dinamica che non è esclusiva dell’esperienza mediale. Sto svolgendo una riunione con i miei collaboratori e discutiamo della possibilità di cooptare un nuovo ricercatore nel nostro gruppo di lavoro. Ascolto i differenti pareri e, nell’interpretarli, cerco di cogliere i reali sentimenti di ciascuno nei confronti del possibile nuovo arrivato: simpatia, fiducia, oppure antipatia e timore che sottragga spazi e visibilità e così via. L’esperienza ordinaria ci chiede costantemente, nelle nostre relazioni con gli altri soggetti e nelle scelte che facciamo ogni giorno, di incrociare e confrontare i nostri “punti di vista” per individuare consonanze e dissonanze, relazioni di condivisione o di estraneità nei criteri che guidano le nostre valutazioni del mondo e il nostro agire al suo interno. 11. La multiaspettualità è estremamente diffusa nelle esperienze mediali: il genere letterario del romanzo è stato storicamente contraddistinto dalla tendenza a presentare una certa pluralità di punti di vista e una “polifonia” (Bachtin) di stili di discorso, di visione e di azione nel mondo, tale da richiedere allo spettatore un costante confronto tra il proprio punto di vista e quelli molteplici presentati all’interno di tali “opere-mondo”.

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8.

Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

Anche in questo caso l’esperienza mediale riprende una dinamica dell’esperienza ordinaria ma la lavora in modo particolare. Essa può porre lo spettatore in relazione con scelte particolarmente articolate, e chiedergli esperimenti mentali complessi circa la scelta della posizione da adottare, dei soggetti per i quali parteggiare, delle soluzioni da adottare. Mediante la progettualità che la contraddistingue, l’esperienza mediale regge e disciplina un uso “in prova” dei punti di vista altrui, e rende tale esperienza un particolare “laboratorio del giudizio morale” (Ricoeur). Parliamo a questo proposito di un design etico dell’esperienza. Percorsi di approfondimento Le considerazioni che abbiamo avanzato sulla costituzione del legame intersoggettivo si basano sul dibattito oggi molto vivo in campo filosofico e neurocognitivo, circa i differenti meccanismi di “simpatia” ed “empatia” che agiscono nell’esperienza: rinviamo, oltre che ai testi di introduzione al neurocognitivismo segnalati nel cap. 1, alle opere più specifiche di Berthoz, Jorland (2004), Goldman (2006), Stueber (2006). La scoperta dei “neuroni specchio” (senz’altro importante ma oggi anche controversa per quanto concerne la portata dei loro effetti sull’esperienza umana) è presentata da Rizzolatti, Sinigaglia (2006), Rizzolatti, Vozza (2008), Iacoboni (2008). Una delle conseguenze di tale scoperta è l’idea di una “consonanza intenzionale” sviluppata da Gallese (2005). Gli sviluppi delle teorie dell’empatia nel campo dell’etica sono discussi da Boella (2006, 2008). L’interesse per i meccanismi della simpatia e dell’empatia è transitata agli studi di teoria dell’esperienza letteraria e filmica; concentrandoci su quest’ultimo settore rimandiamo alla sintesi delle posizioni fornita da Coplan (2009). Alcuni interventi più specifici sono Murray Smith (1995), Plantinga, Murray Smith (1999), Carroll (2008) e Plantinga (2009). Sulla relazione tra spettatore e personaggio nella serialità televisiva ha lavorato in una prospettiva molto vicina alla nostra Braga (2003, 2008). Il dibattito semiotico sul punto di vista, cui abbiamo fatto cenno in Il punto di vista nel testo narrativo, pp. 154-5, è riassunto e commentato per il settore letterario in Pugliatti (1985), Meneghelli (1998) e Turchetta (1999). Per il settore degli audiovisivi rimandiamo, oltre ai testi di introduzione generale alle teorie dell’audiovisivo introdotti al cap. 3, alla raccolta Cuccu, Sainati (1987). Il collegamento tra punto di vista e visione etico-valoriale del mondo (indispensabile per lo sviluppo dei temi legati all’aspettualità) si ritrova in particolare, con impostazioni differenti, in Booth (1983) e in Bachtin (1963, 1975). L’idea del racconto come “laboratorio del giudizio morale” in relazione a una teoria narrativa del sé è sviluppata da Ricoeur (1990, in part. pp. 231-62). L’idea del cadavere (“la spoglia”) come prima immagine del soggetto è di Blanchot (1955, pp. 222-31). Una particolare attenzione è stata tributata, tra le espressioni somatiche degli stati di coscienza, alla conformazione e alla mimica del volto umano: il dibattito stori-

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La disciplina dell’aspettualità: il design etico

Semiotica dei media

co sulla fisiognomica è ripreso e commentato da un punto di vista semiotico da Magli (1995). Per il dibattito relativo al corpo dell’attore rinvio alla sintesi di Pitassio (2003).

Quaderno degli esercizi Riprendi il testo breve che hai già analizzato. Come si manifesta il rapporto tra il soggetto della percezione e il mondo indiretto? Quali configurazioni, di inclusione o di esclusione, risultano prevalenti? In che modo lo spettatore viene avvicinato oppure tenuto a distanza rispetto al mondo indiretto? Analizza, sempre all’interno del testo breve, la relazione tra spettatore e soggetti del mondo indiretto: in che modo si distinguono soggetti e oggetti? Come è possibile distinguere tra i soggetti quelli di primo piano e quelli di sfondo, quelli individuali e quelli collettivi? Puoi identificare soggetti con i quali sussiste una relazione di condivisione con lo spettatore? Quali aree sono toccate dalla condivisione: percezioni, stati di coscienza contingenti, saperi, affetti, convinzioni e valori di più ampia portata? Esistono invece soggetti che vengono configurati come “alieni”? Analizza un film o un video recenti nei quali le attività di ripresa siano presenti in modo evidente (per esempio mediante movimenti di macchina instabili, messa a fuoco incerta e così via). Compila una lista degli effetti che rendono percepibile il lavoro della macchina da presa o della telecamera (o della videocamera o del videofonino). Confronta questo stile di ripresa con quelli di altri tipi di testi (per esempio con quelli del cinema “classico”). Analizza gli aspetti somatici (compresa voce e gestualità) che contraddistinguono i personaggi di alcune fiction televisive contemporanee: quali rapporti di analogie e di differenze riscontri? Quali sistemi di opposizioni e di analogie vedi all’opera? Analizza uno spot pubblicitario: come viene giocata l’aspettualità, ovvero quali punti di vista risultano prevalenti? Mediante quali tattiche lo spettatore viene invitato a condividere particolari punti di vista e a rigettarne altri in quanto inadeguati o inappropriati? Aiutati con le considerazioni specifiche del capitolo 15.

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Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto

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9 Le relazioni con i soggetti del discorso

1. Premessa In questo capitolo prendiamo in esame il sesto snodo dell’esperienza mediale, che si colloca all’incrocio tra lo strato della costituzione di relazioni intersoggettive e il campo di oggetti intenzionali del discorso. Il secondo paragrafo introduce, come di consueto, la sequenza di Grave Danger su cui esercitiamo la nostra analisi nel seguito del capitolo: si tratta del momento in cui la squadra individua finalmente il luogo in cui è stato sepolto vivo Nick. Il terzo paragrafo affronta la questione della costituzione dei soggetti del discorso: dal momento che il discorso era apparso un’entità articolata in produzione, intreccio e formato, a ciascuna di tali articolazioni corrisponde un soggetto particolare. Il quarto paragrafo approfondisce le modalità mediante cui può definirsi all’interno della nostra cultura il soggetto del discorso e in particolare quello responsabile dell’intreccio: distinguiamo tra i due profili di apparato e di autore. Il quinto paragrafo affronta la questione della relazione tra il soggetto dell’esperienza e i soggetti del discorso: l’elemento di fondo di tale relazione è individuato nella fiducia, variamente definita a seconda dei tre tipi di soggetto. Il sesto paragrafo introduce l’idea, a partire da queste ultime considerazioni, che questo snodo sia responsabile del design retorico dell’esperienza. 2. L’incubo di Nick L’incrocio dei dati raccolti dai detective ha permesso di individuare il vivaio all’interno del quale è stato sepolto Nick: le macchine della polizia corrono sul luogo. La camera a mano segue febbrile le ricerche sempre più frenetiche. È Catherine a trovare l’antenna di trasmissione della web-cam e a richiamare i compagni. Nel sottosuolo intanto Nick è allo stremo delle forze: la macchina da presa penetra nel tubo di aereazione, arriva al corpo del detective ricoperto di formiche rosse nella luce verdastra delle torce; un velocissimo zoom in avanti focalizza alcune formiche che mordono l’uomo 169

Semiotica dei media

figura 1

figura 2

e quindi si inoltra sotto la sua pelle a seguire le tossine iniettate all’interno di una vena; i rumori dei morsi lasciano spazio a quelli del milieu interno, con lo sciabordare ritmico del sangue, fino ad arrivare al cuore che pulsa spasmodico (figg. 1 e 2). Subentra uno stacco pubblicitario. Alla ripresa, l’apertura di un coperchio metallico rivela i volti del dottor Robbins e del suo assistente inquadrati dal basso, in una contre-plongée per170

9.

Le relazioni con i soggetti del discorso

figura 3

figura 4

fettamente verticale, mentre fissano la macchina da presa (fig. 3). «È un peccato che non siano arrivati in tempo» esclama il medico legale mentre la posizione della macchina da presa si sposta in posizione simmetrica a quella precedente, in una plongée verticale sopra i due uomini: essi hanno appena estratto da uno dei vani dell’obitorio il cadavere di Nick e lo stanno os171

Semiotica dei media

figura 5

servando. Il dialogo continua e ritorna l’inquadratura dal basso, una sorta di bizzarra soggettiva del cadavere. A questo punto si sente una risata fuori campo, e appare l’immagine in primissimo piano degli occhi di Nick che si aprono in un bianco e nero piuttosto contrastato che da qui in poi accompagna la sequenza (fig. 4). Un’inquadratura in piano medio (una sorta di soggettiva di Nick se questi avesse il viso rialzato a sufficienza) rivela gli stessi medici che ridono sguaiatamente; il dottor Robbins avvia la riproduzione della canzone Christmas in Las Vegas. Inquadrature analoghe dei due medici mentre eseguono una grottesca autopsia di Nick con attrezzi da macellaio e una sega elettrica, si alternano a primi piani del volto del detective impassibile. All’improvviso al posto dell’assistente del medico subentra il padre di Nick, che si informa con una recitazione caricata da sit-com umoristica circa le modalità del decesso del figlio (fig. 5); il dottor Robbins gli risponde a tono snocciolando dati medici sull’asfissia che ha ucciso il detective. Allorché il medico strappa il cuore di Nick per consegnarlo al padre soddisfatto («suo figlio aveva davvero un buon cuore!»), una rapidissima dissolvenza in bianco e una nuova assolvenza altrettanto veloce portano su un primissimo piano degli occhi di Nick che si aprono all’improvviso; il ritorno del colore, il rumore del cuore pulsante e della cupa musica che accompagnava la ricerca nel vivaio segnalano che siamo nella bara: Nick è ancora vivo e il suo era solo un incubo. 172

9.

Le relazioni con i soggetti del discorso

3. I soggetti del discorso e le loro manifestazioni Catherine è sicura di aver individuato, nel vivaio notturno squarciato dalle luci delle torce elettriche, il trasmettitore della web-cam: le frequenze del suono elettronico del rilevatore aumentano sempre più e si uniscono alla musica di archi che accresce la tensione della scena. Una steady-cam fluida segue i vari spostamenti della donna che si inginocchia a smuovere la terra. A questo punto un piano ravvicinato inquadra le mani di Catherine che scavano disperatamente fino a recuperare il sacchetto di plastica con il dispositivo di trasmissione che comprova la scoperta: il movimento di macchina è leggermente flottante, quasi a partecipare all’instabilità pratica ed emotiva del particolare momento; il piano successivo inquadra ancora le mani di Catherine con il sacchetto: questa volta la macchina è ferma, in compenso sono le torce dei compagni di squadra accorsi al richiamo della donna a ondeggiare e rendere internamente animata e instabile l’inquadratura. Le immagini e il sonoro che descrivono gli istanti del ritrovamento del luogo in cui Nick è sepolto sono dunque caratterizzati da un costante movimento. Come già sappiamo (cfr. cap. 6, par. 3) questo complesso e fluido insieme di trasformazioni visive e sonore è la prima modalità di manifestazione del discorso: esso costituisce la produzione discorsiva in atto. Possiamo tuttavia fare a questo punto un passo avanti e osservare che una simile, incessante mobilità rimanda a uno stato di coscienza di eccitazione e di frenesia che, perfettamente sintonizzato con lo stato d’animo della squadra, ne esplicita ed esalta la turbolenza interiore. In altri termini, la produzione discorsiva si manifesta ora come il corpo di un soggetto del discorso, oggetto mobile capace di esprimere alcuni stati di coscienza soggettivi. In questo modo la produzione discorsiva rinvia a un soggetto responsabile dei suoi andamenti che, attraverso essa, esprime i propri stati di coscienza e li rende condivisibili: da entità impersonale essa diventa strumento di un “soggetto (responsabile) della produzione” 1. 3.1. I soggetti della produzione, dell’intreccio e del formato

1. Si potrebbe sostenere che il movimento ondeggiante dell’immagine va riferito al soggetto della percezione del mondo indiretto che dimostra in questo caso un rapporto di esclusione moderata rispetto al mondo indiretto (cfr. cap. 8, par. 3.2); ma si tratterebbe di una risposta incompleta. I movimenti di macchina entrano infatti a far parte in questo caso di un andamento complessivo che coinvolge i gesti degli attori, il movimento delle luci, il pulsare sonoro del dispositivo di rilevamento maneggiato da Catherine, l’accompagnamento musicale, le urla dei soccorritori e così via. Torneremo nella terza parte del libro sulla relazione di consonanza immediata con il soggetto della produzione discorsiva e sulla conseguente efficacia simbolica del discorso in quanto produzione: cfr. cap. 11, par. 3.2.

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Il soggetto della produzione discorsiva

Semiotica dei media Il soggetto dell’intreccio

Il soggetto del formato

Gradi e forme di manifestazione dei soggetti del discorso

Andiamo avanti nell’esame della sequenza. Mentre Catherine segnala disperata la propria presenza a Nick urlando attraverso i tubi di aerazione, l’inquadratura penetra (quasi a seguire le onde sonore delle grida della donna) all’interno della bara, per poi passare nel corpo del detective attraverso le sue vene (figg. 1 e 2). Questi complessi movimenti di macchina virtuale si prestano a due ordini di considerazioni. Da un lato essi esibiscono uno scarto e uno spostamento tra due spazi e due temporalità: dal mondo superiore dei vivi, in cui si svolge la forsennata ricerca, al mondo infero dei morti, in cui Nick subisce la sua tortura. Due mondi che differiscono anche dal punto di vista visivo e sonoro: dal buio tagliato da sciabolate di luce del vivaio ai colori innaturali, verdi e rossi accesi, dell’interno della bara; dalle urla e dal motivo musicale incalzante della ricerca, ai suoni innaturalmente amplificati del morso delle formiche e del battito cardiaco del detective sepolto. I movimenti di macchina che penetrano nella bara di Nick esibiscono dunque quel procedimento di composizione e montaggio di materiali eterogenei che rappresenta la seconda articolazione del discorso: l’intreccio. Anche in questo caso inoltre il procedimento dell’intreccio manifesta il rimando a un soggetto responsabile della gestione complessiva dei materiali espressivi, capace di coordinare i differenti materiali espressivi in vista di un risultato unitario: affiora dunque il profilo di un “soggetto (responsabile) dell’intreccio”. D’altra parte le inquadrature del viaggio all’interno della bara e del corpo di Nick mettono in atto un distacco di tipo tecnologico rispetto a quelle immediatamente precedenti relative alla ricerca del luogo del seppellimento. Se facciamo intervenire alcune elementari competenze relative alle modalità di realizzazione dell’audiovisivo, riconosceremo che il procedimento di generazione delle immagini è cambiato: non più normali riprese live più o meno manipolate in postproduzione, ma brevi segmenti generati in computer graphics. Si profila in tal modo un “soggetto del formato”, responsabile della realizzazione e della impaginazione del discorso in quanto oggetto concreto e materiale. 3.2. Le evidenze dei soggetti del discorso Abbiamo detto nel cap. 6, par. 3.2, che il discorso conosce differenti gradi e modalità di manifestazione rispetto al mondo indiretto, e che esiste una costante modulazione di tale evidenza. L’emergere o meno del discorso implica evidentemente anche una maggiore o minore evidenza dei suoi soggetti: nel caso in cui il discorso rimane sullo sfondo, la presenza dei soggetti del discorso resta più o meno implicita; nel caso in cui il discorso viene figurativizzato nel mondo indiretto, anche i suoi soggetti conosceranno una “incarnazione” in soggetti del mondo indiretto; infine, nel caso in cui avviene una destituzione del mondo indiretto e della sua coerenza, affiora con particolare evidenza l’operato dei soggetti del discorso, e in particolare del soggetto dell’intreccio.

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9.

Le relazioni con i soggetti del discorso

È necessario ora completare questo punto con un’osservazione importante: le manifestazioni del discorso, e quindi dei suoi soggetti, sono differenti a seconda del tipo di materiali sensoriali e dei dispositivi che permettono l’attivazione delle esperienze mediali. Sotto questo aspetto il discorso audiovisivo rappresenta la fase avanzata di uno sviluppo molto lungo: questo cammino parte dalla discorsività orale, basata sulla vocalizzazione e la presenza diretta e somatica del soggetto del discorso; passa attraverso la discorsività scritta e iconica in cui il soggetto del discorso è presente solo indirettamente e metonimicamente attraverso le tracce che ha lasciato mediante il proprio agire somatico su un supporto; e arriva all’esibizione di immagini in movimento e suoni registrati automaticamente, che solo in modo doppiamente indiretto rinviano alla presenza di un corpo che costruisce un discorso. Ora, come alcuni autori hanno messo in rilievo, questo progresso è stato sostenuto dal principio della “rimediazione” (Bolter e Grusin): le nuove forme discorsive hanno riprodotto al proprio interno quelle precedenti. Per esempio un romanzo può fingere di essere un racconto orale rivolto a un ipotetico ascoltatore, un quadro può simulare uno sguardo diretto del soggetto al proprio osservatore e così via. In altri termini le forme di discorso più recenti possono esibire al proprio interno anche le forme del discorso e dei suoi soggetti precedenti – per quanto in forma simulata. Nel caso del discorso audiovisivo queste considerazioni implicano che i soggetti del discorso possono manifestarsi – tanto all’interno del mondo indiretto quanto all’interno del discorso stesso – sia come soggetti di un discorso audiovisivo, sia come soggetti di un discorso scritto, sia infine come soggetti di un discorso orale. Nel caso di Grave Danger per esempio essi appaiono di volta in volta come organizzatori di dispositivi mediali (per esempio il rapitore con il meccanismo della web-cam che mostra il volto di Nick agonizzante); come erogatori di scritte e materiali grafici (lo stesso rapitore nei messaggi che scorrono sullo schermo del computer, ma anche il soggetto del discorso che si esprime con soprascritte quali “earlier that night”); o infine come narratori orali (Warrick che racconta a Nick nello spogliatoio la drammatica serata del sabato precedente, o la voice over che riassume quanto accaduto nella prima parte del doppio episodio all’inizio della seconda). Queste possibilità configurano l’esperienza mediale come un alternarsi e un sovrapporsi regolato di voci e di presenze discorsive di varia natura, che possono essere percepite come allineate (i vari racconti che ci giungono convergono nel permetterci la ricostruzione di mappe situazionali unitarie) oppure come sfalsate e dunque tali da contraddirsi e talvolta da delegittimarsi a vicenda (le differenti “voci” riferiscono versioni differenti di un fatto e ci rendono impossibile la costruzione di mappe situazionali unitarie) 2. 2. Questo aspetto verrà ripreso nella terza parte, cap. 14, par. 5.

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I fenomeni di “rimediazione” discorsiva

La regolazione delle voci dei soggetti del discorso

Semiotica dei media

Il soggetto del discorso nel testo narrativo e nel film Tra le tre accezioni del soggetto del discorso (in quanto responsabile di produzione, intreccio e formato), sono state soprattutto le prime due ad attirare l’attenzione della semiotica del testo e del racconto. Una prima linea di riflessione si concentra sul soggetto del discorso come produzione. Come abbiamo visto (cfr. Il punto di vista nel testo narrativo, pp. 154-5) nel suo influente saggio del 1972 Genette aveva invitato a distinguere la questione del punto di vista da quella della voce narrante. Nell’affrontare la questione della voce e della narrazione l’autore francese chiarisce che «ogni avvenimento raccontato da un racconto si trova a un livello diegetico immediatamente superiore a quello dove si situa l’atto narrativo produttore di tale racconto» (ivi, p. 275). Egli distingue così tra tre differenti livelli: extradiegetico, esterno al mondo prodotto dall’atto narrativo; diegetico (o intradiegetico), interno a tale mondo; metadiegetico, livello costruito da un atto narrativo di secondo grado: «l’istanza narrativa di un racconto primo è dunque, per definizione, extradiegetica, come l’istanza narrativa di un racconto secondo (metadiegetico) è per definizione diegetica» (ivi, p. 276). Inoltre egli introduce una seconda, complementare distinzione tra narratori eterodiegetici, presentati come assenti dalla storia narrata, e narratori omodiegetici, presenti nella storia che essi narrano in quanto personaggi. L’incrocio tra extra/intra da un lato e omo/eterodiegeticità dall’altro permette di costruire una tipologia delle voci narranti. Un capitoletto veloce, poi ampliato in Genette (1983), segnala la presenza di fronte al narratore di una possibile figura di ascoltatore o recettore cui il narratore si rivolge, chiamato narratario. Nel riprendere le idee di Genette, Greimas osserva che narratore e narratario costituiscono l’esplicitazione di due istanze più astratte di produzione dell’enunciato presupposte dalla sua semplice esistenza: il destinante o enunciatore da un lato, il destinatario o enunciatario dall’altro; i narratori e narratari diegetici di Genette vengono ribattezzati interlocutore e interlocutario. Greimas propone di studiare le relazioni tra questi attanti alla luce delle categorie e degli strumenti dell’analisi del racconto, come storie di manipolazione e di sanzione agite dal destinante sul destinatario: tra queste strategie occupano un posto di rilievo quelle fiduciarie o di veridizione, tese a stabilire il valore di verità di quanto viene trasmesso (cfr. Greimas, Courtés, 1979, voci “enunciazione”, “veridizione” e voci collegate). Questa impostazione è stata parzialmente criticata in tempi recenti da Coquet (2007), che rivendica un fondamento somatico e naturale del soggetto del discorso. Questa linea di riflessione parte, come è evidente, dalle manifestazioni figurative dell’istanza di produzione del discorso all’interno del mondo indiretto per risalire alle forme non figurative della sua presenza. Essa è stata molto influente anche nella semiotica del cinema: per esempio Casetti (1986) riprende la distinzione di Greimas tra enunciatore ed enunciatario come istanze astratte, e narratore e nar-

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9.

Le relazioni con i soggetti del discorso

ratario come loro manifestazioni; egli ritiene che questi ultimi agiscano in forma implicita (informatore e osservatore) o esplicita (narratore e narratari diegetici) rispetto al mondo finzionale mostrato. In altri casi il narratore extradiegetico viene chiamato narratore-camera (Sara Kozloff), mega-narratore o narratore primario (André Gaudreault) ecc. Una seconda linea di riflessione sposta l’attenzione sul soggetto del discorso inteso come intreccio. Alcuni studiosi hanno lavorato sull’attività di tale soggetto in termini di scrittura. Metz (1971) sottolinea come le differenti convenzioni espressive del cinema (ovvero i codici e i sottocodici cinematografici, siano essi specifici del cinema o non specifici e comuni ad altre pratiche espressive) non vengono semplicemente selezionate e messe in atto dai film, ma piuttosto intrecciate, modificate e rilavorate al loro interno mediante un processo di spostamento o dislocazione che egli chiama “scrittura” – un termine che ha conosciuto negli anni settanta una certa fortuna a partire dalle riflessioni post-strutturaliste di Derrida, Kristeva, Barthes. Nell’effettuare una serie di analisi filmiche sulla base delle idee di Metz, Raymond Bellour (1979) ha dimostrato che nel cinema classico americano questo lavoro del film prende la forma di giochi ordinati di ripetizioni e variazioni. Più recentemente la riflessione sulla “scrittura” ha preso due strade. Da un lato c’è chi propone di considerarla una pratica sociale collettiva e generale: Fontanille (1994) ha proposto di chiamare quest’attività, di natura socio-semiotica, prassi enunciazionale. Dall’altro lato c’è chi insiste sulla natura specifica della scrittura: Aumont (1996, p. 150) sostiene che l’immagine cinematografica per un verso trasporta e trasforma «elementi di simbolizzazione o elementi già simbolizzati», per altro verso a partire da essi inventa un senso grazie al proprio potere figurale. Altri studiosi hanno lavorato, più che sull’attività di scrittura, sui soggetti dell’intreccio in quanto istanze di progettazione del percorso di interpretazione del testo, percepiti e delineati dal lettore o dallo spettatore nel corso della fruizione testuale. Così per esempio Eco (1979) riprende l’idea che la lettura del testo implichi la costruzione di un profilo dell’autore, che Wayne Booth o Wolfgang Iser chiamano Autore implicito: Eco parla di un Autore modello quale ipotesi interpretativa avanzata dal lettore sulla base della strategia testuale di scambio regolato del sapere. Bettetini (1984) chiama un simile soggetto Enunciatore modello. A partire dalla metà degli anni ottanta entrambe le linee di ricerca delineate (sia quella orientata al soggetto della produzione che quella focalizzata sul soggetto dell’intreccio) vengono sottoposte ad alcune critiche. Bordwell (1985) ritiene che lo spettatore sperimenti la presenza di una narrazione (ovvero un set di indizi per la costruzione di una storia), ma non di un narratore né di un autore implicito, a meno che la stessa strategia narrativa non gli richieda di costruire il profilo di una figura autoriale in base a fattori storici e culturali veicolati principalmente da tratti stilistici. Ancora più radicale la critica di Metz (1991) contro l’idea che la teoria adotti figure personali e antropomorfe per spiegare i processi di enunciazione filmica. L’unico modo di riproporre oggi la figura dell’enunciatore testuale sembra

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Semiotica dei media

dunque quella di Odin (2000), che ritiene tale figura costituita dallo spettatore in base ai modi di produzione del senso culturalmente situati e in particolare alle indicazioni che consentono la fruizione sensata del film di finzione: «l’enunciatore non è un fatto testuale ma una supposizione e una costruzione dello spettatore o del lettore» (ivi, p. 66).

4. Intreccio, scrittura, stile 4.1. Il soggetto dell’intreccio come apparato Come abbiamo già fatto al cap.

Marche e stile del soggetto dell’intreccio

6, dedichiamo una particolare attenzione al discorso in quanto intreccio; focalizziamo dunque l’attenzione sul soggetto che ne è responsabile. Torniamo al momento in cui la macchina da presa penetra con un fluido travelling nel tubo di aerazione, raggiunge il detective sepolto, avanza velocemente sui dettagli delle formiche rosse ingigantite che mordono la sua pelle spostandosi dall’una all’altra (fig. 1). Ciò che ci colpisce in questo movimento, oltre alla sua abilità tecnica, è la similarità che lo lega ad altri momenti della serie csi: l’uso del travelling virtuale, che penetra in spazi angusti o all’interno dei corpi delle vittime e ingrandisce in modo inusitato elementi microscopici per svelare fenomeni normalmente invisibili, è un procedimento espressivo tipico e ricorrente della serie csi; esso, al pari di altre procedure espressive, conferisce ai differenti episodi una riconoscibilità immediata e un’identità specifica rispetto ad altre produzioni di fiction televisiva. Possiamo dire dunque che nei singoli episodi di csi ritroviamo una serie di configurazioni (sia sensibili 3, sia relative all’ordinamento del discorso) che con la loro ricorsività costituiscono delle impronte capaci di manifestare la presenza e l’azione di un soggetto riconoscibile, familiare, cui ci lega una condivisione di abitudini estetiche e di gusti – un po’ come leggendo la lettera di un amico ritroviamo certe espressioni o un certo ritmo delle frasi che ci appaiono come una “firma” che lo rende insieme riconoscibile e presente. Diremo dunque, da questo nuovo punto di vista, che le configurazioni ri3. In effetti abbiamo già incontrato questo fenomeno all’interno del primo snodo dell’esperienza mediale: il travelling virtuale in computer graphics è una di quelle configurazioni sensibili, tonali e ritmiche, che con la loro ricorsività e le loro variazioni controllate definiscono l’identità sensibile di una esperienza mediale (cfr. cap. 4, par. 7). Ora, all’interno di questo sesto snodo, tali configurazioni subiscono una riconfigurazione: esse appaiono come componenti del discorso tali da esprimere l’azione ricorsiva del soggetto scritturale; in sintesi, esse vengono riconfigurate quali marche stilistiche.

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Le relazioni con i soggetti del discorso

correnti costituiscono delle marche; e che nel loro insieme le marche definiscono uno stile di scrittura che rimanda a sua volta a un soggetto dell’intreccio riconoscibile e familiare 4. Nel caso della serie csi il soggetto dell’intreccio si costituisce mediante la definizione e la messa in opera di un repertorio di marche stilistiche all’interno dei differenti episodi della serie, indipendentemente dal nome del regista che firma il singolo episodio: parleremo di tale soggetto in quanto “apparato”, definito a partire da un set di “marche stilistiche standard”. 4.2. Il soggetto dell’intreccio come autore Spostiamo ora la nostra attenzio-

ne alla sequenza, immediatamente successiva, della grottesca autopsia del cadavere di Nick (figg. 3, 4 e 5). È impossibile non avvertire un senso di crescente disagio. Il brusco salto temporale ci ha introdotti in una situazione del tutto inusuale per la serie csi: la morte di uno dei protagonisti; le stesse modalità espressive sono spinte sempre di più verso forme inattese rispetto agli standard stilistici ben collaudati della serie: l’uso di plongées e contre-plongées, gli sguardi in macchina dei due medici e dello stesso Nick, il brusco passaggio al bianco e nero, il tono grottesco e caricato della recitazione dei medici e del padre di Nick e in genere l’aspetto parodistico e splatter della scena dell’autopsia rappresentano scostamenti vistosi rispetto alle marche stilistiche standard della serie 5. Come giustificare tale intromissione? Come recuperare una sensatezza dei processi di scrittura e una coerenza del soggetto che li opera? Anzitutto possiamo osservare che la strana sequenza dell’incubo di Nick non è l’unica anomalia di Grave Danger rispetto a un “normale” episodio di csi: anche l’uso del flash back iniziale, le relativamente lunghe conversazioni tra i membri della squadra che ritardano l’azione, il caso dell’omicidio delle due gemelle inizialmente introdotto ma non sviluppato, l’insistenza degli sguardi in macchina dei membri della squadra nella sequenza del «potete solo guardare», la conversazione “inutile” ai fini dell’azione tra vecchie glorie di Las Vegas (tra cui Tony Curtis che cita indirettamente un suo vecchio e famoso film con Jack Lemmon, A qualcuno piace caldo) ecc. sono intromissioni e manipolazioni rispetto all’andamento stilistico standard della serie. 4. La terminologia segue una serie metaforica coerente, relativa alla tecnologia della scrittura: lo stilus era la bacchetta usata per incidere lettere e numeri sulle tavolette di cera. 5. Il finale della sequenza, con il risveglio di Nick, risolve solo in parte il senso di inquietudine: certo, esso permette di legittimare la scena dell’autopsia etichettandola come un suo “incubo”, ma resta l’intromissione di un segmento che resiste a una riduzione ai parametri di lettura ordinari e alle marche stilistiche standard degli episodi della serie.

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Marche standard e soggetto-apparato

Semiotica dei media Marche personalizzate e soggetto-autore

Se vogliamo recuperare un senso a questo insieme di anomalie, dovremo individuarvi il ricorrere di una serie di marche stilistiche estranee alla serie csi, ma pure non casuali né isolate: esse rimandano piuttosto ai film del regista che firma la realizzazione di Grave Danger, Quentin Tarantino. L’uso di dialoghi che ritardano e sostituiscono l’azione; l’improvviso irrompere della violenza con un certo gusto per lo splatter e per il grottesco; la frammentazione temporale del racconto mediante flash backs, flash forwards e inserti che si rivelano sogni, incubi o allucinazioni dei personaggi; più in generale un atteggiamento al tempo stesso ironico, distaccato, appassionato e partecipe rispetto alle convenzioni e alle marche stilistiche standard di un certo genere cinematografico: sono tutti elementi che caratterizzano il cinema di Tarantino e che si presentano come un nuovo repertorio di marche stilistiche differente da quello standard 6. Grave Danger manifesta dunque la presenza di un secondo soggetto dell’intreccio, caratterizzato da un nuovo repertorio di marche stilistiche. Anche in questo caso il soggetto che affiora possiede una consistenza propria, una riconoscibilità basata su una consuetudine, una familiarità e una condivisione di gusti con lo spettatore. Il suo statuto è tuttavia differente rispetto al soggetto apparato: le marche rimandano allo stile di qualcuno individuato con un nome e un cognome; che nel momento in cui si presta a dirigere l’episodio di una serie televisiva, pur assumendo l’andamento e lo stile del soggetto apparato 7, è sempre pronto a riaffermare la propria specificità e autonomia stilistica. Parliamo dunque in questo caso di “marche personalizzate” e del soggetto dell’intreccio in quanto “autore”. Possiamo dire che apparato e autore sono i due ampi profili che il soggetto 6. Una volta adottata questa chiave di lettura, affiora peraltro una serie complessa di rimandi e di citazioni e autocitazioni marcatamente tarantiniani: la sepoltura dell’eroe ancora vivo cita l’episodio analogo di Kill Bill volume 2, del 2004 (uscito nelle sale qualche mese prima della trasmissione dell’episodio di csi); la ricerca forsennata della persona rapita e sepolta viva cita un vecchio film con William Prince, Macabre (William Castle, usa, 1958), dove, con elegante inversione dei ruoli, è un padre medico a cercare di salvare la figlia che è stata sepolta viva; alcune battute dei personaggi (per esempio quella di Grissom al rapitore alla fine della prima parte: «normalmente avrebbe ragione al cento per cento, ma in questo caso si sbaglia al cento per cento») ricalcano quelle di personaggi di film di Tarantino e così via. Diremo meglio al cap. 10 di come la notazione di tali marche stilistiche tarantiniane abbia costituito un forte motivo di aggregazione dei fan di Tarantino che in vari siti Internet hanno commentato Grave Danger. 7. Anche il gesto dell’assunzione troppo esibita e insistita di alcune marche stilistiche standard suona come un gesto scritturale consapevolmente d’autore. Per esempio il travelling digitale di ingrandimento dei particolari interni e invisibili viene adoperato con un’insistenza sospetta rispetto a un normale episodio di csi: per penetrare, in modo del tutto gratuito, all’interno della chiavetta usb nella sequenza del «potete solo guardare»; per entrare prima nella bara, poi nel corpo di Nick, con una duplicazione del movimento, nella sequenza che stiamo esaminando ecc.

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Le relazioni con i soggetti del discorso

dell’intreccio assume nell’orizzonte della cultura mediale. La loro distinzione d’altra parte non va vista come un’opposizione netta ma piuttosto come una polarità: in molti casi l’uno può assumere movenze e caratteri dell’altro, come testimonia lo stesso caso di Grave Danger. 5. La relazione fiduciaria Abbiamo detto fino a questo punto che il soggetto dell’esperienza mediale avverte la presenza e l’azione, all’interno del discorso, di alcuni soggetti. Possiamo ora chiederci quale tipo di relazione egli istituisce con essi. Torniamo alla sequenza che stiamo analizzando. Per un verso ci rendiamo conto che anche nei confronti dei soggetti del discorso (e, in modo particolare, nei confronti del soggetto della produzione discorsiva e dell’intreccio) possiamo attuare un movimento di comprensione degli stati di coscienza e delle intenzioni che muovono il loro agire: comprendiamo lo stato emotivo teso e concitato del soggetto della produzione, espresso dai movimenti incessanti del corpo del discorso 8; e comprendiamo parimenti l’atteggiamento ironico e rilassato che accompagna Tarantino nella propria interpretazione degli standard stilistici della serie csi. Al tempo stesso però ci rendiamo conto che la logica che governa la nostra relazione con i soggetti del discorso non si orienta prioritariamente verso una condivisione di stati di coscienza; piuttosto, essa mira a veder confermato o smentito un rapporto di fiducia. In altri termini la natura fiduciaria della relazione diviene in questo caso prioritaria. A ben vedere, la ragione di tale fenomeno risiede nella dinamica propria dell’esperienza mediale. Nel momento in cui accettiamo di sottoporci ad essa, infatti, decidiamo di affidare una parte del nostro vivere e del nostro esperire ai soggetti del discorso; accettiamo cioè di entrare in uno spazio di interazione all’interno del quale la costituzione di quanto abbiamo di più caro e di più proprio, la nostra esperienza, viene affidata ad altri soggetti. Si tratta di un atto che può essere compiuto solo nella persuasione che l’altro sia un altro sé, ovvero che esista una condivisione di fondo di valori, norme e convinzioni tali per cui questa delega del sé quale centro di elaborazione dell’esperienza non pregiudichi il suo sviluppo e i suoi effetti, ed essa si svolga come se a compierla fossimo noi stessi. Osserviamo che è possibile dettagliare meglio il tipo di relazione fiduciaria a seconda dei differenti soggetti del discorso. Così, il soggetto della produzione discorsiva è responsabile, per la natura stessa del suo operare, dei valori di verità del discorso: la sua posizione è quella di un testimone, sogget8. Sui meccanismi della consonanza immediata tra corpo del discorso e corpo dello spettatore e sulla conseguente “efficacia simbolica” del discorso, ci soffermiamo nella terza parte, in particolare nel cap. 11, par. 3.2.

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La relazione di condivisione con i soggetti del discorso

La relazione di fiducia con i soggetti del discorso

Valori veridittivi, estetici, tecnici

Semiotica dei media

Relazioni intersoggettive e costruzione della socialità

to chiamato alla responsabilità veritativa del proprio dire. La sua competenza corrisponde dunque all’origine del sapere che trasmette, all’arché di quanto mostra 9. Il soggetto dell’intreccio è invece responsabile dei valori estetici del discorso: la sua competenza si sposta dall’origine del dire ai parametri di gusto che assicurano una base di condivisione. Infine il soggetto della realizzazione tecnica del formato è responsabile dei valori pratici e d’uso del discorso: la qualità delle riprese e degli effetti, il rispetto delle durate dei singoli segmenti e dell’episodio nel suo insieme, nel caso di un’edizione in dvd della qualità del riversamento audio e video ecc. Osserviamo di sfuggita (riprenderemo questo punto al prossimo capitolo, par. 3) che la relazione simpatica/empatica (con i soggetti del mondo indiretto) e quella fiduciaria (con i soggetti del discorso), pur seguendo due logiche distinte, convergono nella costruzione di un legame sociale mediante la percezione di un sentire comune con gli altri soggetti. Possiamo dire che nel caso della relazione di simpatia/empatia tale sentire comune che regge il legame sociale viene costruito e sperimentato; laddove nella relazione fiduciaria tale sentire comune viene presupposto ed eventualmente verificato o negoziato. 6. Il design retorico dell’esperienza

La gestione della fiducia nell’esperienza ordinaria

La disciplina della fiducia nell’esperienza mediale: il design retorico

Sono ancora immerso nella riunione con i miei collaboratori di cui ho parlato nel cap. 8, par. 5, e stiamo sempre discutendo la possibilità di cooptare un nuovo ricercatore nel nostro gruppo di lavoro. A un certo punto una dottoranda mi prende da parte e mi riferisce a mezza voce che il possibile candidato ha in realtà copiato la sua brillante tesi di dottorato sulle marche stilistiche nel cinema di Quentin Tarantino da un’opera rumena sullo stesso argomento di cui noi tutti ignoravamo l’esistenza. Una simile rivelazione è ovviamente decisiva nel rifiutare la cooptazione del nuovo studioso; ma quanto devo credere alla mia collaboratrice? Se convocassi il giovane, gli chiedessi ragione dell’accusa e lui la rigettasse con sdegno, a chi dare fiducia? Anche sotto questo aspetto dunque l’esperienza mediale riprende e prolunga al proprio interno una serie di andamenti dell’esperienza ordinaria. Al tempo stesso, essa è in grado di rendere particolarmente insidiosi e complessi i problemi legati alla fiducia, al credere e alla confidenza: molti film lavorano per esempio sull’idea che “nulla è ciò che sembra” e giocano il proprio finale su una rivelazione che costringe lo spettatore a riconoscere come menzognero il soggetto del discorso in cui aveva fino a quel punto ri-

9. Cfr. cap. 11, par. 4.1.

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Le relazioni con i soggetti del discorso

posto la propria fiducia 10. L’esperienza mediale diviene dunque un “laboratorio del credere” e la sua natura progettuale fa sì che essa costituisca un design retorico dell’esperienza. Percorsi di approfondimento Sullo studio semiotico dei soggetti del discorso si vedano, oltre ai rimandi contenuti in Il soggetto del discorso nel testo narrativo e nel film, pp. 176-8, i manuali di introduzione alle teorie semiotiche e sull’audiovisivo presentati al cap. 3. Il concetto di “rimediazione” è stato introdotto da Bolter, Grusin (1999). Le questioni relative allo stile, con riferimento rispettivamente alla letteratura e all’arte, vengono inquadrate in C. Segre, Stile, in Segre (1985, pp. 307-30). Più personale (e radicale) l’approccio di Bottiroli (1997). Nel campo del cinema e dell’audiovisivo tale nozione è stata valorizzata da Bordwell (per es. 1997) che insiste sulle relazioni tra modi di produzione, evoluzioni tecnologiche, procedimenti ideativi e definizione stilistica. La questione della traccia documentale e delle forme di esperienza che essa implica è stata rilanciata da Ferraris (2009). La questione della fiducia si ritrova nella semiotica greimasiana sia a proposito delle procedure di veridizione, sia nell’analisi di alcune passioni che (come la collera) giocano appunto sulla delusione di attese fiduciarie: cfr. Greimas (1983) e Greimas, Fontanille (1991). Per alcuni approcci di taglio sociologico si vedano Gambetta (1988) e Roniger (1992); utili per la declinazione del problema nella società contemporanea molti spunti di Giaccardi, Magatti (2003). Il problema della fiducia e della affidabilità in relazione all’agire comunicativo è stato delineato in senso filosofico da Petrosino (1999), in chiave sociologica da Gili (2005), e in senso più semiotico e pragmatico da Casetti (2002).

Quaderno degli esercizi Riprendi il testo breve che hai già analizzato. Prendi in esame gli elementi e gli snodi che portano maggiormente in evidenza la presenza operante del soggetto della produzione, di quello dell’intreccio e di quello del formato. Individua le differenti manifestazioni espressive del soggetto del discorso: personaggi che si rivolgono direttamente allo spettatore, scritte, scorrere complessivo delle immagini e dei suoni. Che relazioni puoi individuare tra essi? Ti sembra che lavorino in senso cooperativo o che siano in atto processi di delegittimazione tra i differenti soggetti? Esamina le procedure espressive ricorrenti nel testo che stai analizzando: taglio dell’inquadratura, illuminazione, movimenti di macchina, stili di montaggio ecc. Quali di esse sono ricorrenti in testi affini (per esempio, se stai analizzando un







10. Un esempio famoso è I soliti sospetti (The Usual Suspects, Bryan Singer, usa/Germania, 1995).

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Semiotica dei media

trailer cinematografico presta attenzione al montaggio veloce, all’uso delle dissolvenze, alla voice over ecc.)? Quali appaiono delle marche specifiche del soggetto della scrittura? Tale soggetto si configura come apparato o come autore? Se individui un profilo di soggetto autore, in quali scelte di scrittura riconosci un intenzionale sovvertimento delle marche stilistiche standard? Quali elementi e snodi portano alla luce la relazione fiduciaria tra i soggetti del discorso e lo spettatore? In che modo le traduzioni figurative del discorso e dei suoi soggetti pongono il problema della fiducia e della confidenza tra i partner della comunicazione? La relazione fiduciaria è maggiormente orientata ai valori veridittivi, a quelli estetici o a quelli d’uso? Prendi in esame un film in cui sia presente la voice over. Come interferisce tale voce con la presentazione degli svolgimenti? Come si rapporta ai personaggi? Quali sono le sue caratteristiche sensibili (tono, ritmo, implicazioni sinestesiche ecc.: riprendi quanto detto a questo proposito al cap. 4)? Esamina esempi differenti di fiction televisiva contemporanea. Stila una lista di procedimenti espressivi e osserva quali si ritrovano in serie differenti. Quali correlazioni tra procedure espressive e generi o sottogeneri delle serie riesci a individuare? Considera la figura dell’attore: in che senso, in che misura e mediante quali elementi è considerabile anch’egli un soggetto del discorso?





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10 Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

1. Premessa Questo capitolo prende in esame il settimo e ultimo snodo dell’esperienza mediale, collocato all’incrocio tra lo strato della costituzione delle relazioni intersoggettive e il campo di oggetti intenzionali del mondo diretto: esso analizza quindi il costituirsi di relazioni tra il soggetto dell’esperienza mediale e altri soggetti che fanno parte del suo mondo di vita. Nel secondo paragrafo raccontiamo un’esperienza anomala rispetto ai capitoli precedenti: quella di una (forzata) incursione tra i siti Internet che parlano a vario titolo di Grave Danger o ne mostrano alcuni brani: descriviamo in particolare il clip relativo alla sequenza del salvataggio di Nick, che conclude l’arco narrativo del doppio episodio di csi. Il terzo paragrafo analizza le relazioni tra i differenti soggetti implicati in questi scambi via Internet, già spettatori di Grave Danger, e si chiede in che modo si configura tra essi un legame sociale. Il quarto paragrafo torna alla sequenza del salvataggio di Nick e analizza mediante quali modalità il legame sociale tra gli spettatori viene precostituito e indirizzato dalla stessa fiction – e dunque sottomesso a una intenzionalità e a una progettualità. Il quinto paragrafo avanza in conclusione l’idea che l’esperienza mediale è analizzabile anche sotto il profilo dei progetti di costituzione di relazioni sociali di cui essa è portatrice: i media mettono in atto un design sociale dell’esperienza. 2. Un imprevisto finale 2.1. «As I found They Found Nick» Nick si è appena riscosso dall’allucina-

zione. La squadra scava disperatamente, seguita da una camera a mano più flottante e inquieta che mai. L’orologio di Warrick segna l’ora 0: l’ossigeno di Nick è finito. Nella bara l’uomo, ormai psicologicamente distrutto e divorato dalle formiche rosse, schiaccia la pistola al collo e sta per premere il grilletto. A questo punto il mio televisore si spegne: tutta la zona in cui abito è vittima di un black out. 187

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figura 1

Appena la corrente ritorna, dopo circa un quarto d’ora, riaccendo la televisione: Grave Danger è terminato. Che fare? Trovare una videoteca vicina aperta a quest’ora è impossibile. Eppure mi rode la curiosità di sapere cosa ne è stato del povero Nick e della squadra... Alla fine ho un’idea: accendo il computer, mi collego a Internet, accedo al sito di scambio video Youtube e faccio una ricerca con le parole “csi Grave Danger clip”. E qui faccio alcune scoperte interessanti. Anzitutto Grave Danger è presente con circa 140 clip, un numero molto elevato. Molti di questi sono semplicemente il ritaglio di alcuni brani del telefilm, eventualmente collegati tra loro a formare sequenze più ampie 1. Sono presenti inoltre molti clip video che rielaborano le immagini del doppio episodio sintetizzandolo, aggiungendo una colonna sonora originale ed 1. L’attenzione degli utenti di Youtube si sofferma su alcune sequenze particolari: per esempio il rapimento di Nick (Nick Kidnapped, in 5 parti postate da fruity11, viste da 22.300 a 15.000 utenti circa), o l’incontro con il rapitore che conclude la prima parte (csi: Grave Danger (clip), postato da SatanicoPandemonium e visto da 17.000 utenti).

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figura 2

eventualmente alcune manipolazioni grafiche 2. Ma il clip video più visto in assoluto di Grave Danger è quello che stavo cercando io: Grave Danger: They Found Nick, postato dalla mano premurosa quanto provvidenziale di MissyWatson e visto da più di 27.000 contatti, abbraccia i decisivi 4 minuti e 28 secondi che mi sono perso (fig. 1) 3. Posso così avviare il video, passare alla modalità di visione a schermo intero e godermi le ultime fasi del salvataggio di Nick. La squadra sta per estrarre finalmente Nick, quando una telefonata di Haggis ferma l’operazione: il collega informa Catherine della possibilità che vi sia una carica di esplosivo sotto la bara, pronta a esplodere appena sollevato il corpo del detective sepolto. Grissom decide di usare una ruspa per gettare sulla bara una quantità di terra pari al peso di Nick nel momento in cui questi viene tirato fuori; ma l’uomo è ormai fuori di sé: Grissom si china sulla bara ancora chiusa per un colloquio a tu per tu attraverso il diaframma di plexiglas, e convince Nick a sottostare a quest’ultima prova (fig. 2). L’esecuzione del piano di Grissom è spettacolare. La terra viene gettata sulla bara; la squadra tira la corda allacciata alla cintura del detective e lo trae fuori violentemente dal cumulo nell’istan2. Nick Stokes: Grave Danger di Ki20so domina con più di 24.000 contatti, ma i rifacimenti e le sintesi sono molte (per esempio Grave Danger in 10 minutes, di Shortmoose offre ai suoi circa 12.000 contatti l’occasione di una visione “compattata” del doppio episodio). 3. La stessa MissyWatson ha postato lo stesso clip in due parti separate, entrambe molto viste: Nick Stokes: Grave Danger (14.600 contatti) e Nick Stokes is Saved (24.700 contatti circa).

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te la bara esplode e proietta Nick a terra, finalmente salvo. Alcune immagini più lente e rilassate concludono la sequenza: un lungo primo piano in ralenti di Nick steso, il volto tremante sporco di terra; le immagini del detective che viene portato via in ambulanza insieme a Warrick e Catherine; quelle dei membri della squadra rimasti sul posto, riuniti in una sorta di foto di famiglia: «I want my guys back!» sono le ultime parole che Grissom rivolge a Ecklie prima di una dissolvenza in nero. Il clip è terminato. Passo dal video a tutto schermo allo schermo parziale e osservo che la parte inferiore contiene ben 115 commenti al video che ho appena visto. Incuriosito, inizio a leggere di cosa si tratta. 2.2. Di cosa parliamo quando parliamo di Grave Danger Scorro i primi inter-

venti e mi accorgo che essi sono dei racconti dell’esperienza mediale di visione di Grave Danger o di alcuni suoi momenti salienti. La possibilità di rivedere il clip, tipica del sito che stiamo esplorando, è in questo caso decisiva in quanto consente allo spettatore di rendere nuovamente presente il ricordo dell’esperienza mediale e di ricostituire in tal modo la stessa esperienza in forma viva e attuale 4: stef500 (9 months ago) 5 we saw this episode in science class I LOVED IT!!!!!! IT WAS AWESOME!!!!!!! rockies07 (8 months ago) so sad I cry every time!! xtremeskittelz2007 (2 months ago) i cried when they finally got him out. this was a hell of an episode. ClarissaDalllo (1 month ago) The best CSI episode ever! Simply wonderful, always makes me cry. Really nearly brakes my heart when they find out there’s a bomb under the box, and Warrick finally gets away from Nick, Nick cries out in deathly fear. This sound, oh my God! George Eads did a great job in that episode. And Grissom! “I want my guys back.” Wonderful. ElyLauren (1 year ago) this is so sad i like when they get him out its so sad when he starts crying i was like crying when i saw this on my grandpas plazma tv it was so much more dramatic! 6

4. Riproduciamo gli interventi letteralmente, comprese le inesattezze lessicali, ortografiche e grammaticali che sono tipiche di una scrittura immediata quale quella sui siti di discussione. 5. Il riferimento temporale avviene rispetto alla data in cui ho consultato i siti per scrivere queste pagine, nel dicembre 2008. 6. Questo commento viene fatto al clip Nick Stokes Grave Danger che, come detto alla nota precedente, riproduce la prima metà del più ampio Grave Danger: They Found Nick.

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Ma non tutti gli interventi ricordano e confidano l’esperienza di visione di csi Grave Danger. In altri casi i partecipanti al dibattito passano dalla confessione della propria esperienza alla richiesta e fornitura di informazioni utili per una migliore comprensione dell’episodio o di alcuni suoi passaggi. Un esempio di questo tipo riguarda la frase finale di Grissom (in italiano: «voglio riavere i miei uomini»): GroovyGirl88 (2 weeks ago) Unfortunately, I didn’t watch the entire part of this episode.. Can anyone tell me why Grissom said: “I want my guys back” in the end of the episode? sorsha2 (2 weeks ago) Grimsom the team was split up, some were forced to work the day shift by the guy standing to the left of Grisom. So when this happened to Nick, Grisom realizes that he should ahve fought harder to keep them all together as one unit rather then letting them get split up. GroovyGirl88 (2 weeks ago) Oh okay, that makes sence.. Thanks.. ;) 7

A questo punto sono curioso di esplorare altre reazioni degli spettatori alla trasmissione di Grave Danger. Mi metto così alla ricerca di blogs che hanno ospitato opinioni e pareri “a caldo” all’indomani della trasmissione in prima visione del secondo episodio sulla rete televisiva cbs 8. Trovo diversi siti che ospitano discussioni di questo tipo: le opinioni si fanno di più ampio respiro e al centro dell’attenzione si collocano le particolari scelte effettuate da Tarantino rispetto alle marche stilistiche standard della serie. Da un lato si delinea la comunità dei fan del regista, che dichiara il proprio apprezzamento per le anomalie introdotte e fa partire un gioco di riconoscimento delle marche tarantiniane. Per esempio nel blog Everything Tarantino (http://www.everythingtarantino.com/data/csi.shtml) il moderatore sottolinea in un intervento del 20 maggio che It was also nice to see some of Tarantino’s influence show up in the show. Most noticably for me was the two conversations – first between Nick Stokes and the black csi guy in the locker room, and the second between the old guys at the bar with the csi’s dad who ended up giving them the $1M. 7. Si noti che quest’ultima battuta di GroovyGirl88 cita quella che Sara dice a Grissom nella parte iniziale di Grave Danger, allorché il detective ipotizza che le due ragazze assassinate siano due gemelle. 8. Avvenuta il 19 maggio 2005: la trasmissione ottenne un’audience di ben 30,3 milioni di spettatori, registrando un record assoluto di ascolti per la serie csi.

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E il 22 maggio ButchTheBoxer16 9 precisa Another amusing note which ties in a funny way is that The Turtles did the song Outside Chance on the tape that was sent to csi. Well, in Kill Bill Vol.1, when Uma Thurman is about to fight Lucy Lui, the song Please Don’t Let Me Be Misunderstood plays as they start to duel. Although the song in the movie was done by Santa Esmeralda, it was actually a remake of the same song, except it was originally done by...The Turtles! :)

Dall’altro lato si delinea invece la comunità di spettatori che non sono in modo particolare fan di Tarantino, e che considerano talvolta irritanti le peculiarità di scrittura del doppio episodio. Per esempio un’assistente bibliotecaria di 25 anni che si firma Kcountess, dal suo blog Life in the Past Lane, lamenta la lentezza dell’episodio, legata alle lunghe conversazioni tra i personaggi che rallentano o sostituiscono l’azione: My Mom--voice of the average viewer--said at a number of points, “Why aren’t they doing anything? They’re just sitting there.” Which I kind of disputed earlier on (“Well how much can they do if they don’t really have a lead at the moment”, etc.), but by the 1hr:30min mark, was starting to agree with, though my questions along those lines were more aimed toward the writers. Some more investigating, some more twists and turns would have been great, and I don’t think that adding more action would have taken away from the personal, psychological stuff. I firmly believe that you can still do that, even while doing action. Besides, if you work the chracterization in with action, your viewers are actually paying attention, instead of nodding off.

3. Il web e l’esperienza della socialità Siti web e osservabilità delle relazioni sociali

Riflettiamo sul tipo di esperienza mediale che abbiamo appena fatto consultando Youtube e gli altri siti Internet in cui si svolgono discussioni su Grave Danger. Il fatto più immediatamente evidente è che abbiamo incrociato un’ampia serie di discorsi: le stringhe di pareri postati su Youtube o i vari interventi sui blogs con le relative risposte. D’altra parte spiccano con altrettanta evidenza le differenze tra questi oggetti e soggetti discorsivi e il discorso, così come esso ci è apparso in Grave Danger. Tali differenze sono sostanzialmente due, e si possono individuare facendo riferimento ai parametri di distinzione delle esperienze mediali introdotti nel cap. 2, par. 3. Anzitutto la conformazione del formato non è più lineare e definita ma 9. Molto spesso, come in questo caso, i nicknames scelti dai fan di Tarantino riprendono i nomi di più o meno famosi personaggi tarantiniani.

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Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

piuttosto reticolare e aperta: da un’esperienza testuale inserita in un’esperienza di flusso, siamo passati a un’esperienza ambientale (in cui possiamo ritrovare eventualmente microesperienze testuali, come il videoclip della sequenza di Grave Danger). Inoltre la produzione discorsiva e l’intreccio non sono più unitari e precostituiti: essi sono affidati a un “coro” di voci che intrecciano il discorso passo passo e in forma cooperativa, coro cui possiamo aggiungere la nostra stessa voce nel caso desiderassimo postare anche noi un messaggio o un commento; di conseguenza la relazione del discorso con il mondo diretto è in questo caso una relazione di continuità e l’esperienza diviene partecipativa. Esamineremo meglio questo tipo di esperienza, tipica dei nuovi media, al cap. 16. Per il momento ci interessa focalizzare e ritenere un punto specifico: stante la continuità tra ambiente del discorso e mondo di vita del soggetto, la consultazione dei siti che parlano di Grave Danger ci permette di prendere in esame le relazioni che si costituiscono tra i soggetti dell’esperienza mediale all’interno del mondo diretto. Esaminiamo dunque come si configura questa relazione. Un primo aspetto che colpisce immediatamente in queste relazioni è il fatto che i soggetti coinvolti sentono di condividere un patrimonio comune di saperi, memorie, affetti e valori. Tale patrimonio concerne l’esperienza di visione di Grave Danger e più ampiamente della serie csi, con tutto ciò che questo implica: legami affettivi con i personaggi, conoscenza degli antecedenti della vicenda, adesione ai valori che determinano i comportamenti dei protagonisti (e in particolare a quelli legati all’amicizia e alla coesione della squadra) e così via. Si può osservare che uno spostamento dei patrimoni condivisi provoca un parallelo sfasamento tra differenti gruppi sociali: per esempio abbiamo visto come nei blogs che si occupano di Grave Danger la comunità dei fan di Tarantino non coincide con quella dei fan della serie csi. Un secondo aspetto consiste nel fatto che i soggetti sentono di potersi fidare reciprocamente gli uni degli altri, ovvero di poter affidare ad altri in varia misura la determinazione della propria esperienza: se consulto con ansia il clip di MissyWatson è perché sono sicuro che si tratta del reale brano di Grave Danger che mi sono perso; se tanti soggetti confidano gli aspetti emozionali più intimi della visione del telefilm è perché sono sicuri che non verranno per questo presi in giro, ma piuttosto ascoltati e compresi; se alcuni postano una personale rielaborazione dell’episodio con una colonna sonora da essi stessi composta, è perché sono relativamente sicuri che il giudizio degli altri membri del gruppo su questa operazione estetica sarà giusto e forse benevolo. I due aspetti della condivisione e della fiducia sono strettamente uniti e interagenti: per un verso il senso di fiducia si basa sulla consapevolezza della condivisione di saperi, di affetti e di regole di azione (per esempio sulla co193

Socialità e condivisione

Socialità e fiducia

Socialità e pratiche condivise

Semiotica dei media

La ricezione testuale A partire dalla fine degli anni settanta si delinea all’interno della semiotica un’attenzione per il ricettore del testo nelle sue varie forme di lettore, spettatore, osservatore di immagini fisse. Il ricettore passa dal ruolo di semplice decodificatore di informazione a quello di un soggetto attivo in grado di mettere in atto una serie di operazioni complesse e articolate. Giocano nel campo semiotico due spinte congiunte (cfr. Eco, 1990, pp. 17-21): da un lato una linea semiotico-strutturale che reagisce al dominio eccessivo della nozione classica di struttura dell’opera e recupera il ruolo, il piacere e la libertà della lettura del testo (per esempio con i lavori che Roland Barthes produce negli anni settanta); dall’altro lato una linea fenomenologica ed ermeneutica che (a partire dai lavori di Roman Ingarden degli anni trenta e mediante le riprese di Wolfgang Iser negli anni settanta) sottolinea l’idea che l’esistenza del testo è legata all’atto della sua lettura e che quindi il testo stesso va consultato come un costante appello alle attività del proprio lettore implicito e implicato. Di fronte alla figura del soggetto del discorso in quanto enunciatore o Autore Modello (cfr. Il soggetto del discorso nel testo narrativo e nel film, pp. 176-8), si precisa dunque la figura simmetrica del soggetto cui il testo è destinato. Da un lato la semiotica generativa greimasiana insiste sulla presenza dell’enunciatario o destinatario e sulle sue figurativizzazioni all’interno dei racconti; dall’altro lato la semiotica interpretativa delinea la figura di un lettore implicito o Lettore Modello, inteso come «un insieme di condizioni di felicità, testualmente stabilite, che devono essere soddisfatte perché un testo sia pienamente attualizzato nel suo contenuto potenziale», e dunque una strategia testuale «il cui profilo intellettuale è determinato solo dal tipo di operazioni interpretative che si suppone (e si esige) che egli sappia compiere» (Eco, 1979, pp. 61-2). Un’idea simile traspare anche dal concetto di posizionamento dello spettatore che affiora negli studi di taglio semiotico sul cinema e viene canonizzata dalla cosiddetta “Screen theory”. Questa svolta collega e separa al tempo stesso la semiotica da una rete di studi più ampia e variegata che si raccoglie sotto l’etichetta di reception and audience studies, al cui interno confluiscono due filoni di ricerca: da un lato un filone umanistico di teoria dell’arte, della letteratura e dei media; dall’altro un filone sociologico, antropologico ed etnografico di ricerca sulle pratiche microsociali di consumo letterario, artistico e mediale, e sulle loro relazioni con i fenomeni macrosociali. I punti di collegamento tra la semiotica e gli audience studies sono due: il ricettore viene considerato un soggetto attivo e questa attività viene vista in termini cognitivi, come una produzione di senso e di significati. Anche i punti di contrasto sono due. Da un punto di vista metodologico gli audience studies contestano che la semiotica mediante le proprie analisi testuali possa individuare l’effettivo operare cognitivo e pratico dei pubblici, che non è necessariamente legato alle determinazioni testuali e che si può cogliere solo mediante metodi di rilevazione empirica (per esempio i metodi etnografici di osservazione partecipante). Da un punto di vi-

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Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

sta epistemologico e di presupposti della ricerca, l’assolutizzazione del profilo di ricettore determinato dal testo, propria della semiotica, condurrebbe quest’ultima a giocare dalla parte delle istituzioni che detengono il potere mediatico; gli audience studies intendono invece fare il gioco opposto e lavorano sotto questo aspetto in alcune direzioni che la semiotica non può seguire: essi valorizzano la dimensione comunitaria e sociale della ricezione, dalle comunità interpretanti locali alla più ampia sfera pubblica; inoltre gli studi sull’audience esaltano le tattiche e le pratiche di resistenza dei ricettori rispetto ai progetti interpretativi mediante i quali il potere mediale tende a riprodurre i propri quadri ideologici. Per esempio in un saggio molto influente Stuart Hall (1980) sostiene che occorre considerare come indipendenti le pratiche di codifica del testo messe in atto dagli apparati mediali e quelle di decodifica messe in atto dalle audience; è possibile che la decodifica adotti gli stessi codici dominanti della codifica (lettura egemonica dominante), ma è anche possibile che le comunità interpretanti si discostino parzialmente (lettura negoziata) o del tutto (lettura oppositiva) rispetto alle indicazioni del testo. La semiotica risponde a queste obiezioni in modi differenti. Da un lato la semiotica generativa, soprattutto con l’indirizzo sociosemiotico, espande la propria concezione di testo a quella di discorso (cfr. per es. Marrone, 2001), in modo da ricomprendere oggetti di analisi quali interazioni della vita quotidiana, spazi sociali ecc. A partire da qui essa riafferma che anche le tattiche personali e comunitarie dei recettori sono documentabili e analizzabili mediante l’analisi dei discorsi con strumenti semiotici e in particolare narratologici. Dall’altro lato la semiotica interpretativa distingue tra le interpretazioni del testo e i suoi usi: le prime possono essere molteplici e non legate alle intenzioni esplicite documentabili dell’autore empirico del testo ma, al contrario delle seconde, sono “autorizzate” dal testo stesso a partire da elementi intersoggettivamente rilevabili (cfr. Eco, 1979, 1990). A partire dalla seconda metà degli anni novanta si sono aperte nuove possibilità di dialogo e di scambio tra semiotica e audience studies, la cui portata e le cui dimensioni sono tutt’ora al centro del dibattito. Le nuove condizioni che hanno reso possibile una ripresa del dialogo sono due. In primo luogo è emersa la consapevolezza che le audience sono oggi estese o diffuse (Abercrombie, Longhurst, 1998; cfr. anche Alasuutari, 1999): si parla di convergenza mediale (Jenkins), di rimediazione (Bolter e Grusin) o di rilocazione (Casetti) per descrivere e interpretare tanto la multiforme pervasività mediale quanto le nuove forme di interazione con i media da parte degli spettatori (si tratta di fenomeni sui quali torniamo nel cap. 16). In questo contesto le audience hanno sempre di più la possibilità di mediatizzare la propria presenza e i propri interventi, e dunque di inscrivere in forma discorsiva all’interno dei media stessi le proprie pratiche: ne deriva una parziale ricucitura dello strappo metodologico tra semiotica e audience studies. In secondo luogo gli audience studies si rendono conto di trovarsi a un bivio e di dover ripensare la propria storia e il proprio sviluppo (Livingstone, 1998, 2006); in particolare viene avvertita l’esigenza di superare la pregiudiziale ideologica che identificava l’attività dei pubblici con pratiche di resistenza al potere mediale e di studiare piuttosto di

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Semiotica dei media

volta in volta i complessi intrecci e le dialettiche di scambio tra le predeterminazioni degli apparati mediali e le iniziative autonome delle audience (cfr. per esempio Jenkins, 2006); in questo senso viene almeno in parte superata la questione epistemologica che opponeva semiotica e audience studies.

noscenza e il rispetto di una “etichetta” di comportamenti comunicativi); per altro verso l’agire fiduciario permette la messa in atto di pratiche volte a recuperare, esplicitare, attualizzare, elaborare il patrimonio condiviso di saperi, memorie, affetti e valori. Tali pratiche sono differenti, e vale la pena esaminarle perché permettono di vedere dal vivo l’intreccio di condivisione e fiducia. Anzitutto troviamo il fatto puro e semplice dell’abitare insieme uno stesso ambiente mediale: i soggetti sono o sono stati impegnati nell’esperienza condivisa di tessitura del discorso, di inscrizione di tracce della propria presenza e di presa d’atto e di lettura di quelle degli altri, di manifestazione della propria voce e di accoglienza delle voci altrui. All’interno di questa pratica di base, ne troviamo poi di più specifiche. C’è per esempio la pratica della confessione intima: i racconti delle esperienze di visione del telefilm insistono soprattutto su reazioni emotive, ovvero su tutta una partitura di emozioni private che vengono in tal modo rese pubbliche e condivisibili. Poi è possibile individuare la pratica della formulazione ed esplicitazione di giudizi: sono soprattutto i blogs a vedere in atto questo tipo di interventi, che rappresenta un’altra modalità di esporre un sentire personale, questa volta con l’intento più pronunciato di una “chiamata a raccolta” di altri soggetti che condividono lo stesso sentire. Molto evidente in altri casi la pratica della implementazione congiunta e coerente dei saperi condivisi: le richieste di informazioni e chiarimenti, il mettere a disposizione di tutti le proprie competenze specifiche (per esempio relative agli episodi precedenti della serie, come abbiamo visto nel nostro esempio sulla frase di Grissom «I want my guys back»), il giungere in forma cooperativa a fornire alcune risposte ai quesiti corrispondono a questo tipo di azione congiunta. Infine è possibile assistere alla proposta di nuovi materiali mediali prodotti dagli stessi soggetti che partecipano allo scambio dialogico (si parla in tal caso di ugc, user generated content); in alcuni casi si tratta di interventi simili a quelli della confessione o del giudizio: i vari video che rimontano le immagini di Grave Danger sullo sfondo sonoro di una canzone in forma di videoclip musicale espongono al pubblico un prodotto privato e sollecitano il loro giudizio; in altri casi ci troviamo più vicini alle “comunicazioni di servizio” utili per consolidare il patrimonio di saperi comuni: tali per esempio i clip che “riassumono” Grave Danger in una manciata di minuti a uso e consumo di chi non ha visto l’episodio. 196

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Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

Condivisione di saperi, affetti e convinzioni da un lato e apertura fiduciaria dall’altro, nella loro interazione, caratterizzano dunque le relazioni tra i soggetti del mondo diretto. Diremo che tali caratteri definiscono queste relazioni come “relazioni sociali”: forme elementari dell’abitare insieme, del condividere una serie di risorse, dell’elaborare collettivamente tali risorse a partire da un reciproco affidarsi e confidarsi.

Le relazioni sociali

4. L’esperienza mediale e il fondamento della socialità 4.1. Il riorientamento della relazione di condivisione Fino a questo punto

abbiamo esplorato il tipo di relazione che si costituisce tra gli spettatori di Grave Danger a partire dai siti Internet che ne parlano; abbiamo dunque lasciato da parte il doppio episodio di csi in sé. In apparenza si tratta di una scelta dettata dal fatto che, tra l’esperienza di visione del telefilm e quella della partecipazione alle comunità di discorso che ne derivano, non ci sarebbe un collegamento significativo: la prima verrebbe semplicemente “usata” all’interno della seconda per produrre una base sociale – così come si raccolgono comunità intorno a conoscenze e passioni non mediali, dalle armi antiche alla pesca con la mosca. Tuttavia, a ben vedere, una simile conclusione sarebbe affrettata. Abbiamo visto infatti nei due capitoli precedenti che il legame di condivisione e il legame fiduciario si ritrovano anche all’interno dell’esperienza di visione del telefilm: in particolare il primo caratterizza le relazioni con i soggetti del mondo indiretto, il secondo quelle con i soggetti del discorso. Possiamo chiederci a questo punto se, all’interno della stessa esperienza di visione di Grave Danger, questi nuclei di relazione sociale subiscano un riorientamento: se essi non vengano reindirizzati dall’asse delle relazioni tra il soggetto del mondo diretto e i soggetti del mondo indiretto e del discorso, all’asse delle relazioni tra i differenti soggetti del mondo diretto; se, insomma, le relazioni sociali tra gli spettatori di Grave Danger che abbiamo colto nel paragrafo precedente non vengano fondate e progettate dalla stessa esperienza mediale della visione del telefilm che ne costituisce l’oggetto di base. Torniamo dunque a Grave Danger, e in particolare alla sequenza del salvataggio di Nick che abbiamo visto su Youtube; e concentriamo in primo luogo la nostra attenzione sui soggetti del mondo indiretto. Osserviamo anzitutto che nella sequenza tocca il suo culmine quel regime di condivisione di memorie, valori, emozioni che lega lo spettatore e i singoli soggetti della squadra csi (cfr. cap. 8, par. 4.3): noi seguiamo il salvataggio di Nick “con” i componenti della squadra, non solo nel senso che assistiamo a numerose soggettive o semisoggettive dei detective, ma anche nel senso che il nostro grado di sapere e le emozioni che guidano la forsennata corsa contro il tempo per salvare Nick sono comuni tra noi e i membri del gruppo. È 197

Condivisione e fiducia dal mondo indiretto al mondo diretto

La condivisione vissuta ed esibita

Semiotica dei media

Il superamento del diaframma dello schermo

importante osservare, alla luce di quanto abbiamo detto sopra, che questa esperienza di condivisione tra lo spettatore e i soggetti del mondo indiretto costituisce già di per sé una relazione sociale elementare: essa permette allo spettatore di sentire di far parte di un gruppo cui lo lega un bagaglio di conoscenze, affetti vissuti, intenti attuali. Ma c’è di più. Questo legame di condivisione si ritrova ora non solo nella relazione tra spettatore e singolo personaggio, ma altresì nelle relazioni tra gli stessi personaggi: il sentire comune e l’agire cooperativo della squadra csi (il suo costituire, in base a quanto detto in cap. 8, par. 4.2, un “soggetto collettivo”) vengono messi in risalto in modo insistente. Così, gli stessi gesti salvifici vengono compiuti ora dall’uno ora dall’altro dei suoi componenti: per esempio lo scavare, lo scuotere la terra dalla bara e così via; in alcuni casi viene inoltre sottolineato il legame affettivo tra i detective: Warrick per esempio non vuole allontanarsi dalla bara senza aver salvato Nick; per arrivare infine alla battuta finale di Grissom che conclude la sequenza riaffermando la compattezza del gruppo: «I want my guys back!» 10. A partire di qui la sequenza del recupero di Nick si configura come la celebrazione cerimoniale del recupero e della riammissione di uno dei membri all’interno della comunità. È importante osservare che questa cerimonia riproduce l’attraversamento dello schermo televisivo e si presta dunque a essere interpretata dallo spettatore come un ripercorrere e celebrare la propria ammissione alla condivisione di saperi, affetti e memorie che lega la squadra. Pensiamo alla sottosequenza del dialogo tra Grissom e Nick, ancora nella bara: una serie di soggettive alternate mostra il dialogo tra il capo della squadra e il suo detective separati dalla lastra di plexiglas trasparente ma sporca e graffiata. Questa barriera di separazione inizialmente divide in modo drammatico Nick dal contatto con il suo capo, un po’ come avveniva per la vetrata che abbiamo analizzato al cap. 7. In un secondo momento tuttavia essa si trasforma in una superficie di comunicazione e di contatto: per rassicurare Nick, Grissom poggia la mano sul lato esterno e invita Nick a fare altrettanto (fig. 2). Infine il coperchio viene rimosso e le mani di 10. Il forte legame che lega i membri della squadra csi emerge con evidenza in molte altre occasioni nel corso dell’episodio: esemplare al riguardo la sequenza dell’attivazione della chiavetta usb e del conseguente spettacolo di Nick nella bara mostrato dalla web-cam e vissuto collettivamente dalla squadra (analizzato al cap. 7). L’essere gettati in una stessa situazione di visione e di ascolto, il richiamo di memorie e affetti comuni, l’esperienza lacerante di una medesima sofferenza e di un’impotenza condivisa – in una parola: il veder morire Nick insieme – riattualizzano e rinnovano un forte legame comunitario tra i soggetti del mondo indiretto; al tempo stesso, la forte analogia tra la situazione vissuta dai soggetti del mondo indiretto e quella dello stesso spettatore all’interno del mondo diretto orienta l’attenzione di quest’ultimo verso l’esistenza di una rete di legami orizzontali che lo legano ad altri spettatori partecipi della stessa esperienza mediale di visione di Grave Danger.

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Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

Nick vengono inquadrate mentre si protendono ad afferrare disperatamente il braccio di Grissom. Possiamo dire, dunque, che nel corso della sequenza il legame di condivisione che lega lo spettatore ad alcuni personaggi isolati viene riconfigurato come legame che unisce lo spettatore ad un’intera comunità di soggetti del mondo indiretto. L’esperienza di visione di Grave Danger non appare isolata, ma condotta assieme a un gruppo di soggetti e tale da trasformare il gruppo in comunità inclusiva: il soffrire, il morire, ma anche lo sperare e l’operare insieme permettono di riprendere, confermare, consolidare il legame sociale. Gli strumenti chiave di una simile riconfigurazione sono due: da un lato la messa in scena di una relazione sociale estesa tra un gruppo di soggetti del mondo indiretto; dall’altro la messa in scena dell’ammissione di una o più figure dello spettatore alla comunità che si è in tal modo costituita. D’altra parte – e giungiamo qui al punto che maggiormente ci interessa – attraverso una simile riconfigurazione il legame sociale si fa fluido e pronto a contagiare e coinvolgere chiunque abbia vissuto la stessa esperienza, ovvero tutti i componenti del pubblico di Grave Danger. La squadra csi appare in questo senso come il modello di un’altra, speculare comunità: quella degli stessi spettatori; e la celebrazione dell’inserimento dello spettatore nella comunità del mondo indiretto celebra allo stesso tempo la sua appartenenza alla comunità spettatoriale. In sintesi, attraverso il complesso gioco di rappresentazioni e di specchi che abbiamo descritto, le esperienze mediali riorientano la relazione sociale elementare tra spettatore e personaggio in una relazione dapprima tra spettatore e comunità di soggetti del mondo indiretto e quindi tra il singolo spettatore e gli altri membri del pubblico.

Il riorientamento della relazione sociale verso il mondo diretto

4.2. Il riorientamento della relazione fiduciaria Passiamo ora a considerare i

soggetti del discorso e la relazione fiduciaria tra costoro e lo spettatore. Due aspetti delle loro scelte e dei loro comportamenti appaiono particolarmente pertinenti. Una prima scelta concerne soprattutto il soggetto dell’intreccio in quanto apparato (cfr. cap. 9, par. 4.1). Se tutta la sequenza non presenta problemi di interpretazione e di comprensione, la battuta finale di Grissom («I want my guys back») necessita per essere compresa di conoscenze supplementari che vanno al di là della visione del doppio episodio. Se ripercorriamo Grave Danger, non tarderemo a individuare altri passaggi caratterizzati da un andamento reticente ed enigmatico e da un atteggiamento di “elusione”. In questi casi il soggetto del discorso evita di fornire una gamma completa e soddisfacente di informazioni e dissemina l’esperienza mediale di blanks, 199

I “vuoti” del discorso

Semiotica dei media

Le allusioni del discorso

di vuoti che spetta al pubblico colmare mediante forme più o meno cooperative di interpretazione. Tali vuoti possono essere colmati mediante il ricorso a una conoscenza più estesa della serie e al recupero di mappe situazionali precedenti relative al mondo di csi: queste sono necessarie ad esempio per cogliere il significato della frase di Grissom «I want my guys back». Oppure possono richiedere la conoscenza di altre serie televisive: il soprannome “Pancho” dato dal padre di Nick al ragazzo e ripreso da Grissom nella sequenza che stiamo analizzando deriva probabilmente dalla vecchia serie televisiva degli anni cinquanta The Cisco Kid. O, infine, possono richiedere l’intervento di competenze specifiche del mondo diretto: per esempio le parole che Grissom legge sulle labbra di Nick attraverso la webcam e che lo spettatore non può ascoltare (negli scambi in Youtube, un ragazzo sordo che sa leggere il labiale ne rivela il contenuto agli altri users). Non è un caso che a tutti gli esempi appena citati corrispondano altrettanti scambi di informazioni nei gruppi di discussione su Internet: l’atteggiamento di elusione è infatti un primo procedimento utile al riorientamento del legame fiduciario dalla relazione tra spettatore e soggetto del discorso a quella tra i vari spettatori. In particolare tale procedimento denuncia pubblicamente l’esistenza di un segreto e sollecita quindi una ricerca collettiva dei frammenti di verità mancanti o deficitari. Un secondo aspetto pertinente riguarda più direttamente il soggetto dell’intreccio in quanto autore (cfr. cap. 9, par. 4.2). In questo caso si percepisce un atteggiamento non tanto di elusione, quanto di “allusione”: l’autore fornisce allo spettatore costanti e fuggevoli rinvii a conoscenze specifiche relative al mondo mediale o a particolari patrimoni iconografici. Pensiamo alla grottesca figura di Nick nella bara: i due tappi scuri che si è ficcato nel naso pendono sul davanti come dei grotteschi baffetti alla Hitler, mentre i pezzi di stoffa infilati nelle orecchie lo rendono simile a un buffo animale da cartone animato, una sorta di enorme, mostruoso Bugs Bunny (fig. 2). Ancora: nei ralenti che seguono il recupero del detective, il corpo e il volto sono percorsi da un tremore gelatinoso e ricordano alcune inquadrature di scene di azione alla Sergio Leone o alla Sam Peckinpah. Anche a questo proposito non è casuale che molti interventi nei blogs dei fan di Tarantino si siano dedicati a una collazione minuziosa dei numerosissimi rinvii disseminati dal regista in Grave Danger. Il procedimento dell’allusione costituisce infatti una seconda modalità di riorientamento della relazione fiduciaria che, in tal modo, passa dal garantire il legame tra spettatore e autore all’alimentare la relazione sociale tra gli spettatori all’interno del cosiddetto fandom – l’insieme dei mondi discorsivi ristretti, costruiti e abitati dagli appassionati di particolari serie, personaggi, autori mediali. 200

10.

Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

5. Il design sociale dell’esperienza La relazione sociale e l’esperienza della socialità sono centrali nell’esperienza ordinaria. Costantemente, noi sentiamo di appartenere a (o di essere esclusi da) gruppi comunitari definiti da una condivisione di saperi, memorie, affetti e valori; gruppi legati dal comune impegno a custodire, riattualizzare, manipolare incessantemente tale patrimonio; gruppi impegnati in tal senso in una serie di pratiche più o meno codificate e ritualizzate, basate sulla fiducia reciproca. Una simile esperienza ci aiuta a delineare la nostra identità, i tratti e le storie che ci definiscono: si pensi, solo per fare un esempio, all’importanza che rivestono le memorie famigliari, la loro custodia e la loro trasmissione, nel permettere ai soggetti di individuare una propria collocazione all’interno del mondo che essi abitano. L’esperienza mediale, anche sotto questo aspetto, riprende e prolunga l’esperienza ordinaria, con due particolarità. Da un lato essa artificializza il patrimonio di memorie, di affetti e di valori sulla cui condivisione si basa il legame sociale: alle storie e alle persone che conosciamo direttamente si sovrappongono i legami e i ricordi di storie e personaggi dei mondi mediali indiretti che frequentiamo, e che divengono la base di scambi e condivisioni con altri soggetti del mondo diretto. Dall’altro lato l’esperienza mediale rende artificiali spazi, modi e tempi delle pratiche sociali: se voglio scambiare la mia opinione con qualche altro spettatore di Grave Danger, posso certamente fare due chiacchiere con un mio collega di fronte alla macchinetta del caffè (rimanendo quindi all’interno dell’esperienza ordinaria e diretta), ma posso anche collegarmi a un sito in cui si discute del doppio episodio di csi, e coinvolgermi così in una nuova esperienza mediale. In questo secondo caso le modalità della mia interazione (modi, tempi, mezzi ecc.) sono previsti e consentiti in base alle modalità e ai vincoli fissati dai progettisti del sito: per esempio in Youtube non posso immettere interventi più lunghi di un certo numero di caratteri, il mio intervento riceve una certa formattazione, la temporalità degli scambi non è immediata e così via. Ancora una volta dunque l’aspetto saliente dell’esperienza mediale appare la sua progettualità, il fatto cioè che essa è pre- e eterocostituita, o per lo meno pre- ed eteroindirizzata: in particolare, sotto l’aspetto considerato in questo capitolo, essa appare come l’occasione e lo strumento per la messa in opera di un design sociale dell’esperienza. Percorsi di approfondimento La bibliografia di taglio sociologico sulla relazione sociale e i nuclei elementari della socialità (dalla riflessione del primo Novecento di Georg Simmel a quella degli anni settanta di Erving Goffman) è molto ampia: rimandiamo per un orientamento alle voci corrispondenti di Gallino (2004). Un problema rimasto costante-

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La socialità nell’esperienza ordinaria

La disciplina della socialità nell’esperienza mediale: il design sociale

Semiotica dei media

mente sullo sfondo della nostra riflessione è quello del grado e del tipo di “libertà” e di autodeterminazione del soggetto dell’esperienza sociale e mediale; ci hanno aiutato a orientarci le riflessioni di Cesareo (1998, 2004). La questione è stata rilanciata di recente in termini aggiornati e problematici da Magatti (2009). I problemi relativi ai nuovi media e alla loro analisi semiotica verranno approfonditi nei Percorsi di approfondimento del cap. 16. Per la questione più specifica del rapporto tra nuovi media e legami comunitari il testo classico è Rheingold (1993); un inquadramento accurato negli articoli di Nancy K. Baim e di Nicholas W. Jankowski all’interno di Lievrouw, Livingstone (2006, rispettivamente alle pp. 5-36 e 37-66 dell’edizione italiana). Sul legame tra relazioni sociali in rete e identità del soggetto cfr. la ricognizione e le ricerche di Tosoni (2004). Sui fenomeni legati al fandom rimandiamo a Scaglioni (2006), cui ci lega anche l’interesse per un approccio al fenomeno in chiave di esperienza. Le questioni relative al ruolo del lettore/spettatore/osservatore nelle teorie, semiotiche e non, presentano una bibliografia molto ampia. Oltre ai testi citati in La ricezione testuale, pp. 194-6, si vedano Bertoni (1996) per una ricognizione nell’ambito della teoria della letteratura e Denunzio (2004) per una ricognizione di ampio respiro sulle teorie dello spettatore cinematografico. Più focalizzato sui temi che abbiamo affrontato, e dedicato alla figura dello spettatore di cinema, è Fanchi (2005). Alcuni testi che introducono agli audience studies sono (oltre a quelli citati alle pp. 194-6 di questo capitolo) Moores (1993), McQuail (1997), Livingstone (1998), Livolsi (2003), Gillespie (2005), De Blasio et al. (2008).

Quaderno degli esercizi Riprendi ancora una volta il testo breve che hai già analizzato. Puoi reperirvi delle traduzioni figurative del legame comunitario tra soggetti sociali e/o spettatori? Puoi individuare eventualmente dei riferimenti che richiedono pratiche di decodifica e di interpretazione particolarmente elaborate e quindi tali da incoraggiare una collaborazione tra spettatori? Ti vengono in mente altre esperienze mediali in cui puoi ritrovare tali caratteristiche? Cerca in Internet la presenza di commenti riferiti a vario titolo allo spot o alla campagna che stai analizzando: su quali principi si basano tali commenti? È possibile individuare la costruzione di forme di comunitarietà? È possibile pensare che queste fossero previste e incoraggiate dallo stesso spot? Esamina vari tipi di interazione on line: blogs, discussioni in differita, chat live (per esempio mediante Messenger o altri software simili), social networks (come Facebook), siti di giochi on line eccetera. Prova a stilare una mappa delle differenti tipologie di esperienza di legame comunitario chiedendoti come si presentano i differenti soggetti, quali sono le forme della loro interazione, quali insiemi di memorie e valori sono posti in condivisione, quali pratiche vengono messe in atto, quali regole e quali vincoli vengono richiesti ecc.



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202

10.

Le relazioni con i soggetti del mondo diretto

Scegli un prodotto culturale “di culto”, ovvero riguardo al quale esiste una consistente produzione di interventi e di commenti di fan (per esempio la saga di Harry Potter o Il Grande Fratello). Analizza le produzioni del fandom, individua le differenti tipologie ed esamina in che modo esse si incrociano con la tipologia delle forme di comunità on line del punto precedente.



Riferimenti bibliografici abercrombie nick, longhurst brian (1998), Audiences. A Sociological Theory of Performance and Imagination, Sage, London. alasuutari pertti (ed.) (1999), Rethinking the Media Audience. The New Agenda, Sage, London. bertoni federico (1996), Il testo a quattro mani. Per una teoria della lettura, La Nuova Italia, Firenze. cesareo vincenzo (a cura di) (1998), Sociologia. Concetti e tematiche, Vita e Pensiero, Milano. cesareo vincenzo et al. (a cura di) (2004), Verso una sociologia per la persona, FrancoAngeli, Milano. de blasio emiliana et al. (2008), La ricerca sull’audience, Hoepli, Milano. denunzio fabrizio (2004), Fuori campo. Teorie dello spettatore cinematografico, Meltemi, Roma. eco umberto (1979), Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano. id. (1990), I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano. fanchi mariagrazia (2005), Spettatore, Il Castoro, Milano. gallino luciano (2004), Dizionario di Sociologia, utet, Torino. gillespie marie (ed.) (2005), Media Audiences, Open University, London (trad. it. Media audiences, a cura di M. Sorice, Hoepli, Milano 2008). hall stuart (1980), Encoding-Decoding, in S. Hall et al. (eds.), Culture, Media, Language, Hutchinson, London, pp. 11-23 (trad. it. Codifica e decodifica nel discorso televisivo, in Id., Il soggetto e la differenza. Per un’archeologia degli studi culturali e postcoloniali, a cura di M. Mellino, Meltemi, Roma 2006, pp. 33-50). jenkins henry (2006), Convergence Culture, New York University Press, New York (trad. it. Cultura convergente, Feltrinelli-Apogeo, Milano 2007). lievrouw leah a., livingstone sonia (eds.) (2006), The Handbook of New Media, 2nd ed. (1st ed. 2002), Sage, London-Thousand Oaks-New Delhi (trad. it. parz. Capire i new media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali, a cura di G. Boccia Artieri, L. Paccagnella, F. Pasquali, Hoepli, Milano 2008).

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Semiotica dei media

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204

Parte terza L’analisi delle esperienze mediali

La terza parte di questo libro, dal cap. 11 al cap. 16, prende in esame singole tipologie di esperienza mediale. Nella prima parte (cap. 2, par. 3) avevamo introdotto alcuni criteri generali che ci permettono di distinguere in termini concreti e operativi tra differenti forme dell’esperienza mediale. La “visita guidata” che abbiamo effettuato nella seconda parte ci ha portati a esaminare da vicino un caso di fiction televisiva; per quanto abbiamo cercato di estendere costantemente le nostre considerazioni all’esperienza mediale in generale, si è trattato comunque dell’esame ravvicinato di un tipo specifico di esperienza situata e ad attivazione automatica, testuale (per quanto inserita in un flusso) e finzionale. I capitoli della terza parte intendono presentare altre forme di esperienza mediale, e fornire gli strumenti adeguati per analizzarle. Il lettore potrebbe temere a questo punto che ci prepariamo ad applicare il modello di analisi dei sette snodi, delineato nella parte precedente, a ciascuna delle tipologie che stiamo per presentare. Su questo intendiamo, almeno in parte, tranquillizzarlo: i capitoli che seguono focalizzano la propria attenzione solamente su alcuni degli snodi individuati, e in particolare su quelli che ci permettono di mettere in risalto i caratteri specifici delle differenti forme dell’esperienza mediale. Tuttavia, essi non contengono solo qualcosa in meno rispetto alla seconda parte, ma anche qualcosa in più: alcuni aspetti, che per ragioni di lunghezza o di pertinenza erano rimasti in ombra nell’excursus condotto nella seconda parte, verranno ripresi e adeguatamente valorizzati in questa sede. Anche in questa terza parte basiamo le nostre considerazioni sull’analisi di alcuni casi concreti, scelti con una certa libertà tra esperienze mediali contemporanee o, in alcuni casi, del passato più o meno recente. I vari casi vengono introdotti nel primo paragrafo e ripresi nel corso di ciascun capitolo, fornendo mano a mano concetti e terminologia di analisi: confermiamo in tal modo l’impostazione operativa adottata nella prima e seconda parte. I riquadri interni ai capitoli cambiano funzione: essi riassumono ora gli approcci della semiotica (in particolare della semiotica del testo) alle particolari tipologie di media che vengono prese in considerazione. 205

11 L’articolo della stampa quotidiana

1. Premessa In questo capitolo prendiamo in esame l’esperienza mediale della lettura di un articolo di quotidiano. Ci rivolgiamo dunque alle esperienze situate che richiedono una costante attivazione e riattivazione manuale da parte del soggetto in quanto non possono contare su un player esteriorizzato e automatico. Si tratta inoltre di un’esperienza di carattere testuale e fattuale (cfr. cap. 2, par. 3). La nostra analisi si concentra sulle relazioni instaurate dal lettore dell’articolo con i soggetti del discorso e in modo particolare con il soggetto della produzione e con quello dell’intreccio: essa si riallaccia quindi alle tematiche affrontate al cap. 9. La trattazione ci permette sia di esaminare in che modo si configura tale relazione all’interno della specifica esperienza di lettura, sia di approfondire la questione (lasciata in ombra a suo tempo) della relazione con il soggetto della produzione discorsiva. Risulta particolarmente importante la possibilità che questi instauri una relazione di consonanza immediata con il soggetto dell’esperienza. Il secondo paragrafo introduce il caso di analisi: una corrispondenza di Enzo Biagi dal Polesine dei primi anni cinquanta. Il terzo paragrafo si concentra sul soggetto della produzione discorsiva, ovvero il responsabile della voce che i materiali grafici fanno risuonare all’interno dell’esperienza di lettura, e mette in luce la relazione di consonanza immediata tra questi e il lettore. Il quarto paragrafo focalizza invece la dimensione storica e sociale del soggetto del discorso, sia in quanto soggetto della produzione che in quanto soggetto dell’intreccio. 2. Miracoli sulle acque Nel novembre del 1951 il Po esonda a causa delle forti piogge; la zona del Polesine, in Veneto, subisce una grave inondazione: i morti sono più di ottanta e i senzatetto circa 180.000. Si tratta della prima grande tragedia naturale italiana del dopoguerra. Il giovane cronista Enzo Biagi visita con im207

Semiotica dei media

barcazioni di fortuna i paesi inondati raccogliendo storie e testimonianze. Il 24 novembre 1951 sul “Giornale dell’Emilia” appare l’articolo di cui trascriviamo la prima parte 1. Le fotoelettriche di Corbola illuminano l’approdo dei profughi Eran passate da poco le 10. Cadeva qualche goccia. I pescatori di Goro e i marinai romagnoli, si eran già sdraiati sul fondo delle battane, o in un angolo riparato del barcone, per chiudere un occhio. Il soldato addetto al centralino della base di Corbola stava scrivendo una lettera alla ragazza. Nella stanza da pranzo della Trattoria degli autisti, il generale Petroni esaminava, al lume di una lampada, gli ultimi dispacci. Pareva che la giornata fosse conclusa. Si udiva, lontano, il rombo di qualche motore, e il muggito delle vacche ammassate sugli argini. Moto-barche e zattere ondeggiavano, leggere, nell’improvvisato porticciolo. Solo le ronde battevano i piedi sull’asfalto umido, stancamente. Gli operatori delle fotoelettriche gettavano fasci di luce fredda sull’immensa laguna. Ma a un tratto si udirono delle grida: «Allo zuccherificio di Bottrighe chiamano aiuto». La preghiera dei guardiani Lo stabilimento è allagato. L’acqua ha coperto i macchinari, i gabinetti delle ricerche chimiche, gli immensi magazzini stipati di pacchi. Sono rimasti sul posto soltanto i guardiani che vigilano su quelle cose morte, su quelle ricchezze perdute. Due uomini, durante la consueta ispezione, erano finiti in una camera allagata, e vi erano rimasti bloccati. Non sapevano neppure nuotare, e intanto l’acqua saliva, e il liquido sporco e gelato intorpidiva le membra, toglieva loro il respiro. Si facevano coraggio a vicenda, e ogni tanto provavano a urlare, chiedevano angosciosamente di essere tolti da quella trappola. Ma nessuno li sentiva, e l’acqua ancora cresceva. Disse uno: «Rimarremo qui dentro, per sempre. Ci siamo salvati dall’inondazione, ma da qui non si va fuori. Chi vuoi che venga a prenderci? Dormono tutti, c’è anche un po’ di nebbia, sarebbe pure difficile trovarci». Disse l’altro: «Preghiamo». Ormai l’acqua copriva le spalle dei due prigionieri. «Proviamo ancora una volta» propose uno «tutti e due assieme». Gridarono: «Aiuto!» poi tacquero. Avevano un nodo alla gola, una voglia immensa di piangere. Il vento portò quella invocazione verso la riva, alle capanne di foglie, alle tende che ospitano tanta gente che ha perduto la casa. C’era ancora chi vegliava, e qualcuno partì per dare l’allarme. L’agita-

1. Gli articoli di Biagi sul Polesine sono stati ripubblicati in F. M. Battaglia, B. Benvenuto (a cura di), Professione reporter. Il giornalismo d’inchiesta nell’Italia del dopoguerra, Rizzoli bur, Milano 2008; il brano analizzato è alle pp. 60-2.

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11.

L’articolo della stampa quotidiana

ta corsa dell’uomo fu accompagnata dall’abbaiare dei cani randagi che vagano per la campagna. Allora i pontieri saltarono su un motoscafo e, guidati dalla scia dei riflettori, puntarono verso quella stanza dove stava per entrare la morte. Manovrarono con abilità, si immersero nella corrente, ma riuscirono ad afferrare quelle braccia che, disperatamente, cercavano una mano amica. Dissero i due guardiani: «Quando tutto sarà finito faremo costruire una nicchia e vi porremo una statuetta di San Cristoforo, che portò Gesù attraverso le onde». Poi la luce dei grossi fari si spostò verso un altro punto, verso la sezione Maternità dell’ospedale di Adria. Si era saputo che una donna era stata colta dalle doglie, ma nella città non c’è energia elettrica e i medici visitano e operano in ambienti rischiarati dalle candele. Allora i soldati orientarono quelle sorgenti luminose sui padiglioni, sulle corsie, dove un bimbo stava per affacciarsi a questo mondo. E i due gemellini – che riempirono di strilli le deserte camerate – furono accolti da un bianco chiarore, non videro, nell’aprire per la prima volta gli occhi, ombre paurose, ma il dolce e sorridente volto della mamma. Più tardi albeggiò e vedemmo spuntare i rossi anfibi dei vigili. C’erano a bordo non molti passeggeri. Disse il comandante del primo scafo: «Ad Adria, il livello è andato su di dieci centimetri, e sulla superficie affiorano spesso carogne di animali. I buoi hanno i ventri gonfi, enormi; i maiali scivolano via con le corte zampe rivolte verso il cielo. Solo le anitre e le oche si divertono a giocare, e pescano con facilità. Ma le bestie morte inquinano l’acqua, e vedrete che tra non molto scoppierà qualche caso di tifo». Raccontò pure che, dalle parti di Rovigo, nei paesi, molti chiudevano le imposte delle finestre per ingannare i pompieri che, sfidando grossi pericoli, cercavano di condurre in salvo gli abitanti dei casolari minacciati. «Hanno seccato chili e chili di pane, disse, ammazzano galline, bollono l’acqua, e si preparano a una lunga resistenza. Si sentono assediati da noi, e non dal fiume.» [...]

3. Il soggetto del discorso come soggetto vocale Leggiamo il titolo e l’inizio dell’articolo: come si svolge questo tipo di esperienza mediale? È evidente che, al contrario di quanto accade per l’audiovisivo, il passaggio dall’incontro di materiali sensoriali allo svolgimento dell’esperienza mediale non è automatico: l’esperienza va attivata e costantemente sostenuta mediante una serie di operazioni svolte dallo stesso soggetto. In questo caso insomma non c’è un player automatico: è il soggetto dell’esperienza stesso con il suo organismo – ovvero il suo sistema di mente e corpo – a svolgere il ruolo di dispositivo di attivazione. Questa attivazione avviene mediante l’operazione della lettura: il soggetto opera una traduzione dei segni grafico-verbali in un flusso sonoro articolato che fa risuonare interiormente. Il lettore deve insomma recitare per sé 3.1. Le voci di dentro

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La lettura: l’organismo come player

La presenza della voce

Semiotica dei media

La confabulazione organizzata

Toni e ritmi della voce

stesso lo scritto: recitare nel senso di “impersonare”, dare corpo e collocazione al flusso del discorso fissato graficamente, facendolo rivivere mediante il proprio organismo all’interno della particolare situazione di lettura. Questo implica che l’esperienza mediale della lettura si configuri anzitutto come percezione della presenza viva di una voce: il soggetto della produzione discorsiva viene percepito come presente e operante mediante le inflessioni, gli andamenti, le modulazioni di un flusso vocale; flusso fissato (nel duplice senso di inscritto ma anche temporaneamente immobilizzato) nel tessuto grafico che compone l’articolo, ma restituito dallo stesso lettore alla vita, al dinamismo, alla presenza. Torniamo per esempio al titolo e alle prime righe dell’articolo. Il carattere più ampio e in grassetto del titolo (Le fotoelettriche di Corbola illuminano l’approdo dei profughi), lo spazio vuoto tra questo e il corpo dell’articolo, la continuità grafica di quest’ultimo, ci avvertono di una differenza tra la voce che proferisce il titolo e quella che prende stabilmente in mano la produzione del discorso a partire dalle prime righe («Eran passate da poco le 10. Cadeva qualche goccia ecc.»). Nell’attivare la recitazione interiore dell’articolo traduciamo queste differenze grafiche in una modifica del tono della voce che stiamo impersonando: in questo modo costituiamo la percezione di un passaggio di mano da una voce introduttiva (che proferisce il titolo) a una voce responsabile da quel punto in poi della produzione del discorso; voce presente al tempo stesso in noi e di fronte a noi. Osserviamo di sfuggita che affiora ancora una volta a questo riguardo la caratteristica di base dell’esperienza mediale: il suo costituire l’artificializzazione progettuale di un’esperienza ordinaria. Una simile recitazione di discorsi per noi stessi è infatti una pratica di confabulazione interiore che svolgiamo costantemente: essa ci permette ad esempio di raccontarci quanto ci è accaduto, impersonare altre persone mediante l’adozione imitativa della loro voce per cogliere il loro punto di vista eventualmente alternativo al nostro, cantare una canzone che ci piace o recitarci la sequenza di un film che ci ha colpiti, anticipare i passaggi di un discorso che dobbiamo tenere o scrivere e così via. Solamente, nel caso della lettura, accettiamo che la nostra attività di confabulazione interiore venga organizzata e guidata passo passo da un’istanza esteriore che ne ha preventivamente progettato gli andamenti. 3.2. Espressione vocale ed efficacia simbolica Nella lettura, dunque, il sog-

getto dell’esperienza traduce un tessuto di segni grafici in un flusso vocale interiore, e costituisce in tal modo la percezione della presenza di uno o più soggetti della produzione discorsiva in quanto voci. Occorre prestare attenzione alla particolare relazione che lega il soggetto dell’esperienza e il soggetto della produzione discorsiva. Torniamo al nostro articolo, leggiamo il primo periodo e prendiamo in esa210

11.

L’articolo della stampa quotidiana

me più da vicino la voce di base responsabile della sua produzione. Possiamo notare che essa è contraddistinta da alcune qualità ricorrenti, sia tonali che ritmiche (cfr. cap. 4, parr. 5 e 6). Le qualità e i diagrammi tonali sono legati al tessuto fonico del discorso: in questo caso esso è uniforme, privo di stacchi e anomalie; fa eccezione la frase conclusiva, che si affolla improvvisamente di consonanti rutilanti, spesso precedute da altre consonanti dentali o gutturali (“tratto”, “udirono”, “grida”, “zuccherificio”, “Bottrighe”): queste immettono nella voce un senso di apprensione e di urgenza. Le qualità e i diagrammi ritmici sono legati a due parametri: da un lato la lunghezza dei segmenti che compongono il flusso fonico, indicate dalla punteggiatura e dalle impostazioni grafiche (la divisione all’interno di e tra i periodi mediante la punteggiatura, gli a capo alla fine di ogni paragrafo, la separazione mediante i titoletti tra gruppi di paragrafi ecc.: criterio quantitativo); dall’altro la struttura accentuativa determinata dalla distribuzione degli accenti tonici su sillabe e parole. Per quanto riguarda il primo aspetto i periodi sono brevi, separati da punti e frammentati all’interno dalle virgole; i moduli si ripetono in forma abbastanza monotona, con rari slanci. Anche la struttura determinata dagli accenti è piuttosto regolare, con il frequente ricorso a frasi scandite da ottonari e dodecasillabi. Le qualità ritmiche confermano dunque una sostanziale uniformità: l’impressione è quella di un flusso vocale articolato in forma piana, senza particolari strappi o impennate. Ma anche sotto il profilo ritmico si conferma l’anomalia della frase conclusiva, l’unica che in questo primo paragrafo costituisce un momento di slancio: essa è spezzata in moduli ritmici atipici rispetto a quelli che precedono, tali da non rispondere più a una metrica regolare e piana. La prosecuzione della lettura dell’articolo conferma questo stato di cose: toni e ritmi restano regolari e controllati, con alcuni rari e significativi strappi ed eccezioni. Possiamo chiederci a questo punto: che tipo di relazione instauriamo, in quanto lettori, con questa voce? Ricordiamo che ogni voce rinvia al soggetto che l’ha prodotta in quanto prolungamento immateriale nello spazio di un gesto somatico di produzione: la voce ci appare come la manifestazione presente di un corpo nell’atto di svolgere e manifestare un’esperienza. Questo fatto rende la relazione con il soggetto della produzione discorsiva molto vicina a quella con i soggetti del mondo indiretto (cap. 8, par. 4 e cap. 9, par. 5): anche in questo caso percepiamo un corpo esperiente che vive e manifesta stati di coscienza soggettiva; e anche in questo caso possiamo risalire dai gesti di questo corpo agli stati di coscienza vissuti e manifestati. La differenza rispetto alla relazione con i soggetti del mondo indiretto consiste nel fatto che gli stati di coscienza manifestati dalla voce sono relativi non a un agire generico, ma a quella specifica forma di azione che è la produzione discorsiva e l’esperienza che essa implica. Per esempio abbiamo osservato che il tono e il ritmo piani e regolari dell’articolo di Biagi si animano allorché viene riferito l’arrivo della notizia della richiesta di aiuto, 211

La voce e l’espressione degli stati di coscienza del soggetto del discorso

Semiotica dei media

La consonanza immediata e l’efficacia simbolica della voce

a esprimere la trasformazione da uno stato costante di attenzione concentrata nell’enunciare l’accaduto a uno stato circoscritto di apprensione e di urgenza. Colpisce, nel corso dell’articolo, che anche il resoconto di alcune azioni più concitate (come il drammatico salvataggio dei guardiani dello zuccherificio) viene raccontato con un tono “piatto” e un ritmo del tutto regolare e ripetitivo 2, in modo da esprimere un distacco emotivo e il mantenimento di una pacata concentrazione del parlante. Possiamo cogliere analogie e differenze tra i due tipi di relazione (quella con i soggetti del mondo indiretto e quella con il soggetto della produzione del discorso) su un altro punto strettamente collegato. Ricordiamo che la comprensione degli stati di coscienza dei soggetti del mondo indiretto avviene mediante l’interazione di meccanismi di consonanza e meccanismi di inferenza: a partire dallo spettacolo dei corpi in movimento dei personaggi, per un verso ne impersoniamo e simuliamo gesti e movenze per sentire quanto essi sentono, per altro verso richiamiamo ciò che sappiamo su di essi. Nel caso della relazione con la voce del soggetto della produzione discorsiva i meccanismi di consonanza sono più immediati, profondi e totalizzanti. Anzitutto, come abbiamo detto nel par. 3.1, l’esperienza della lettura viene attivata a partire da un atto di incorporazione: in prima istanza attraverso la lettura noi facciamo nostra questa voce, utilizziamo il nostro organismo per farla risuonare, viviamo in prima persona i suoi toni e i suoi slanci, e solo in seconda istanza percepiamo il soggetto vocalizzante come distinto da noi. La tensione improvvisa che elettrizza la coda del primo periodo o l’andamento tranquillo del racconto del salvataggio, noi li viviamo come fossero nostri: non abbiamo alcuna possibilità di aggirare una simile immersione viva in un flusso sensibile. Inoltre, anche quando la voce è divenuta altro da noi, essa mantiene un forte legame viscerale con il nostro organismo e un deciso potere di influenza immediata: nel caso avessimo chiesto a un amico di leggerci l’articolo di Biagi, la recitazione ad alta voce delle frasi che annunciano la richiesta di aiuto dallo zuccherificio di Bottrighe ci avrebbe trasmesso un immediato, leggero trasalimento. In sintesi possiamo dire che, nel caso della relazione con il soggetto del discorso, l’interazione tra consonanza e inferenza prevede un peso maggiore dei meccanismi di consonanza immediata: gli stati di coscienza espressi dalla voce vengono assimilati dal lettore e fatti propri mediante una “efficacia simbolica” del discorso, un’azione diretta (per quanto non esclusiva) dei movimenti e dei ritmi della voce sui meccanismi somatici del lettore. 2. Con la sola eccezione della frase «Disse l’altro: “Preghiamo”», isolata a separare i due periodi che descrivono la disperazione dell’essere intrappolati e il sorgere della speranza per il grido ascoltato.

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L’articolo della stampa quotidiana

Semiotica e informazione giornalistica L’informazione giornalistica ha attratto l’attenzione della semiotica fin dai suoi primi sviluppi. Quotidiani e rotocalchi sono analizzati da Roland Barthes in vari saggi, con l’intento di individuare i sistemi mitologici e ideologici di cui sono portatori e le strategie di naturalizzazione che mascherano il loro fondamento culturale: per esempio Barthes (1961) analizza l’interazione tra l’articolo e l’immagine fotografica che lo accompagna, mentre Barthes (1962) studia la struttura narrativa della notizia di cronaca. Negli anni successivi l’intento critico della primissima generazione semiotica resta vivo e si ridefinisce in base ai nuovi strumenti della semiotica. Di qui due approcci (cfr. Eco, 1997): uno di taglio sociolinguistico attento soprattutto a denunciare l’uso di linguaggi settoriali e criptici nei quotidiani (cfr. per esempio Eco, 1971 e Dardano, 1986), e uno di taglio testuale che analizza le strategie di presentazione delle notizie con l’intento di smascherare la loro presunta obiettività: per esempio Bettetini (1981) esamina l’intreccio di forme narrative e commentative; Veron (1981) analizza le forme di costruzione semiotica dell’avvenimento; Calabrese e Violi (1984) portano alla luce le strategie di individuazione dei contenuti chiave nel “Corriere della Sera” e in “Repubblica” (ma sulla lettura del quotidiano in generale cfr. anche Calabrese, Violi, 1980); la ricerca coordinata da Buscema (1982) pone al centro dell’attenzione e dell’analisi i telegiornali. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta si assiste a una serie di trasformazioni: cambia l’informazione, sia a stampa sia televisiva, mentre cresce il fenomeno dell’informazione sui nuovi media; e cambiano anche gli atteggiamenti della semiotica: questa rinuncia alle questioni legate all’“obiettività” dell’informazione (cfr. Landowski, 1984, trad. it. pp. 153-64); riprende il suo dialogo con la (micro e macro) sociologia dei media e dell’informazione; presta una nuova attenzione agli aspetti del sensibile e delle emozioni anche in questo settore. Derivano di qui lavori quali quelli di Ferraro (1994) e Pozzato (2004), che analizzano l’informazione alla luce dei processi di costruzione di immagine; Marrone (1998, 2010), che studia l’interazione di forme del sensibile, forme narrative e forme passionali nella definizione dell’identità delle testate giornalistiche televisive; Montanari (2004) che lavora sulle continuità e discontinuità del racconto della guerra nei differenti media.

Invitiamo a questo punto il lettore e rileggere la nostra analisi della sequenza del ritrovamento del luogo di sepoltura di Nick in Grave Danger effettuata al cap. 9. Ci si accorgerà come questa particolare relazione di consonanza immediata con il soggetto della produzione discorsiva, che abbiamo qui sviluppato a proposito di un soggetto vocalizzante, possa essere estesa anche ad altri tipi di esperienze mediali. Nel caso dell’audiovisivo potremmo parlare di una vocalizzazione visivo-sonora, per esprimere l’idea che anche in questo caso le produzioni discorsive vengono vissute come flussi 213

La relazione di consonanza immediata con il soggetto della produzione discorsiva

Semiotica dei media

di un agire somatico che entrano in immediata risonanza e consonanza con il sentire dello spettatore. 4. Il soggetto del discorso come soggetto sociale Fiducia e veridizione

La natura testimoniale della voce del cronista

L’origine del dire e del mostrare

4.1. La voce del cronista e la relazione fiduciaria I meccanismi di consonanza

immediata che legano il soggetto dell’esperienza a quello della produzione discorsiva costituiscono la base per la costruzione della specifica relazione fiduciaria tra essi; in particolare tale relazione fiduciaria concerne il valore di verità del discorso espresso dalla voce (cfr. cap. 9, par. 5). Tale relazione è anzi particolarmente importante nel caso di un’esperienza mediale di tipo fattuale, affrontata dal lettore o spettatore nella consapevolezza di un rapporto di continuità tra il mondo indiretto e quello diretto: la voce del soggetto del discorso costituisce il nostro legame esperienziale con un mondo che si estende in continuità con quello in cui viviamo e operiamo, e non semplicemente con un mondo “altro” quale quello dell’esperienza di finzione. La voce del soggetto del discorso è dunque attenta a legittimare lo statuto di verità di quanto dice; questo avviene mediante due tattiche. La prima consiste nell’adozione del tono piatto e dimesso che abbiamo analizzato: esso si incarica di costruire o ribadire la natura testimoniale della voce del cronista rispetto al mondo indiretto. Il soggetto della produzione discorsiva, nell’atto di riferire gli avvenimenti, manifesta un’attenzione quieta e pacata, raramente percorsa da fremiti comunque controllati. In tal modo questa voce denuncia una propria appartenenza sociale: essa recupera e ribadisce il ruolo socioculturale del “cronista”, il cui mandato è quello di ricercare, guardare e riferire senza coinvolgersi e dunque senza viziare i criteri di credibilità e di affidabilità 3. La seconda tattica (strettamente connessa alla prima) consiste nel denunciare più o meno implicitamente l’arché, l’origine del proprio dire. Essa si coglie in modo particolare alla fine del brano che analizziamo. Qui per un verso la voce narrante si mette improvvisamente in scena all’interno del mondo indiretto in quanto soggetto di osservazione solidale con il mondo osservato (Più tardi albeggiò e vedemmo spuntare i rossi anfibi dei vigili). In tal modo il soggetto della produzione discorsiva si presenta come lo stesso soggetto della percezione del mondo indiretto, legato a tale mondo da un rapporto di inclusione (cap. 8, par. 3.2); si tratta di una tattica che raggiun3. La questione dell’appartenenza sociale della voce del soggetto della produzione è più complesso, e verrà ripreso nel cap. 14, par. 3. Per il momento osserviamo che la qualificazione sociosemiotica del cronista viene definita anche dagli aspetti lessicali, con la compresenza di forme paraletterarie (“eran”), termini semidialettali (le “battane”) o forme colloquiali (“chiudere un occhio”), che ricorrono in tutto l’articolo.

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L’articolo della stampa quotidiana

ge la massima efficacia nel caso del fotogiornalismo e del videogiornalismo, dal momento che la produzione dell’immagine fotografica, cinematografica o video implica di per sé una compresenza di mondo riprodotto e apparato di riproduzione. Per altro verso vengono introdotte le dichiarazioni del comandante dello scafo mediante virgolettati (disse il comandante del primo scafo: «Ad Adria, il livello è andato su di dieci centimetri, e sulla superficie affiorano spesso carogne di animali...») o nella forma del discorso indiretto (Raccontò pure che, dalle parti di Rovigo, nei paesi, molti chiudevano le imposte delle finestre...). L’installazione nel discorso di queste voci seconde implica un parziale distacco della voce prima, un non assumersi per intero la responsabilità di quanto esse riferiscono e il garantire solamente la verità del fatto che tali voci esistono e “circolano”: posizione particolarmente rilevante per le affermazioni allarmistiche relative alle possibili epidemie e per quelle accusatorie sulla mancata volontà di essere salvati da parte di alcuni abitanti. Possiamo affermare che il passaggio agli aspetti fiduciari e veritativi ha spostato inevitabilmente l’attenzione verso il carattere culturalmente e socialmente situato della relazione tra il soggetto dell’esperienza e il soggetto della produzione discorsiva. Il rinvio e questo radicamento sociale della voce sono duplici: essa rimanda al tempo stesso a un personaggio (il giornalista Biagi) e a un mestiere (il reporter, o meglio il cronista). 4.2. Racconto e commento La voce del soggetto del discorso esibisce dunque un’attività che consiste in un semplice riferire: vengono esclusi interventi diretti ed espliciti che permettano di determinare una linea interpretativa, e lo stesso tono emotivo della voce resta quieto e distaccato; in tal modo viene stretto e ribadito il legame fiduciario tra il lettore e il soggetto della vocalizzazione in quanto “cronista” e testimone. In altri casi questa stessa voce potrebbe tuttavia assumere un andamento opposto, e intercalare o sostituire al racconto dei fatti un commento degli stessi: è il caso per esempio degli articoli di fondo o di opinione che danno per scontata la conoscenza delle vicende cui fanno riferimento e si impegnano piuttosto a esprimere dei pareri e delle interpretazioni. Tuttavia le chiavi interpretative che il soggetto della vocalizzazione lascia da parte vengono rimesse in gioco dal soggetto responsabile dell’intreccio nell’articolo di Biagi. Il lavoro di scelta e montaggio degli episodi non è infatti casuale ma costituisce una linea interpretativa coerente dell’accaduto. Tale linea interpretativa adotta una rete di simboli e riferimenti di tipo religioso e cristiano: la preghiera dei due guardiani imprigionati, esibita nella frase isolata e dal titoletto della sezione; il vento che, come simbolo divino dello Spirito, porta l’estremo grido di aiuto dei due ad altri uomini; il pro-

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La natura sociale e culturale del soggetto del discorso

Il soggetto della produzione e i commenti espliciti

Il soggetto dell’intreccio e i commenti impliciti

Semiotica dei media

posito dichiarato a conclusione della vicenda di costruire un’edicola a san Cristoforo; il richiamo implicito all’episodio evangelico (e, prima ancora, biblico) dei soggetti miracolosamente salvati dalle acque simbolo del male e dell’indistinzione; il fascio di luce come simbolo della salvezza che giunge a squarciare le tenebre (esibito fin dal titolo dell’articolo); la scena finale della natività sono tutti riferimenti che un lettore di formazione cattolica può agevolmente cogliere e collegare in una rete coerente. Agli atteggiamenti espliciti del soggetto della produzione discorsiva e della vocalizzazione, impersonati e vissuti dal lettore direttamente sulla propria pelle, si combinano dunque – all’interno dell’articolo di Biagi come in un qualunque articolo della stampa quotidiana o periodica – gli atteggiamenti impliciti del soggetto dell’intreccio, dati dalla scelta e dal montaggio dei differenti materiali espressivi adottati. Percorsi di approfondimento Tre introduzioni complessive di taglio differente al giornalismo contemporaneo sono Castronovo, Tranfaglia (2002), Sorrentino (2002) e Agostini (2004). Su giornalismo e letteratura (e, più in generale, per i rimandi a introduzioni storiche al giornalismo) si veda Papuzzi (1998). Una buona introduzione alla semiotica del giornalismo è Lorusso, Violi (2004). Calabrese, Volli (1995) è una guida all’analisi dei telegiornali ispirata a metodi semiotici e di agevole lettura. Una sintesi delle discussioni e delle analisi semiotiche dell’informazione si trova in Marrone (2001, pp. 65-135). Sul fotogiornalismo e in genere sulla relazione tra giornalismo, fotografia e tattiche della veridizione, rinviamo a Vilches (1993), Eugeni (2000), Scalabroni (2003), Peverini, Spalletta (2007). Sul “contagio emotivo” si vedano i testi sull’esperienza mediale indicati nei Percorsi di approfondimento del cap. 3. Sulla questione dell’efficacia simbolica cfr. Lévi-Strauss (1958) e le sue riprese indicate e discusse da Marrone (2001, pp. xxxixxxvi). Sulle questioni relative alla voce e all’enunciazione vocale rinviamo ai Percorsi di approfondimento del cap. 14. Sulle questioni legate alla lettura da un punto di vista neurocognitivo, si vedano Dehaene (2007) e Wolf (2007).

Quaderno degli esercizi Confronta differenti tipologie di articoli di quotidiano: il resoconto di cronaca, l’articolo di commento (per es. un articolo di fondo), un’intervista ecc. Come variano il tono della voce e le sue caratteristiche? Quali sono i diversi procedimenti di costruzione della fiducia tra il soggetto della vocalizzazione e il lettore? Che relazione intravedi tra il tono della voce e lo status socio-culturale del soggetto del discorso (direttore della testata, commentatore e fondista, intellettuale ospite, cronista ecc.)?



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L’articolo della stampa quotidiana

Soffermati su un articolo che possieda una forte componente narrativa: come vengono gestite le tensioni emotive dalla voce? Quali strumenti grafici, fonetici, prosodici, sintattici vengono messi all’opera? Confronta l’articolo di taglio narrativo con altri articoli in cui sia presente una componente di analisi e di commento dei fatti. Confronta articoli di quotidiani di impostazione politica e ideologica differente. Quali elementi manifestano gli atteggiamenti dei soggetti del discorso rispetto ai fatti trattati? In che modo tali atteggiamenti tendono a costruire una consonanza e una relazione fiduciaria con il lettore? Che differenze individui tra articoli narrativi e articoli di commento? Analizza l’incipit di alcuni romanzi di larga tiratura, sia italiani che stranieri: come si presenta la voce del soggetto del discorso? A quale “identità” essa rimanda? Quale atteggiamento manifesta rispetto a quanto viene narrato? Quali tipi di relazioni sociali tra i lettori essa potrebbe innescare? Confronta poi le tue osservazioni con i commenti sullo stesso romanzo che trovi sul web (pareri di fan, consigli di passaparola, interventi polemici ecc.).







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Semiotica dei media

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12 La grafica del periodico illustrato

1. Premessa Questo capitolo prende in esame l’esperienza mediale della visione, o lettura veloce, di un periodico illustrato; quanto diremo può comunque essere applicato all’analisi di una qualunque esperienza mediale che venga attivata dal percorso dello sguardo su una superficie grafica bidimensionale: lettura del quotidiano nel suo insieme, visione di una pagina o di un cartellone pubblicitari e così via. Anche in questo caso, come nella lettura dell’articolo di giornale, il soggetto attiva l’esperienza personalmente, senza ricorrere a un player esterno; tale attivazione è questa volta affidata al processo di percorrenza visiva di uno spazio grafico bidimensionale dalla conformazione reticolare e dai confini definiti: si tratta di una esperienza ipertestuale. Inoltre non risulta pertinente la relazione tra mondo diretto e mondo indiretto, quanto piuttosto quella tra mondo diretto e discorso, una relazione caratterizzata dalla discontinuità: si tratta dunque di una esperienza di tipo estetico (cfr. come sempre i criteri introdotti nel cap. 2, par. 3). Il particolare tipo di esperienza ci porta a focalizzare la nostra attenzione sul discorso: in particolare, sullo sfondo di quanto detto nei capitoli 6 e 9 della seconda parte, approfondiremo alcuni aspetti relativi al discorso in quanto formato. Il secondo paragrafo introduce gli oggetti di analisi: tre riviste di differente impostazione dedicate al corpo e alla salute. Il terzo paragrafo esamina da vicino la costituzione del discorso e si concentra sul discorso in quanto formato. Il quarto paragrafo prende in considerazione il fatto che il formato costituisce in alcuni casi uno spazio metadiscorsivo: uno spazio discorsivo di primo grado che permette di selezionare esperienze mediali e discorsi di secondo grado; il paragrafo affronta quindi la questione del soggetto del formato in quanto metasoggetto discorsivo. 219

Semiotica dei media

2. Corpi in copertina Gli ultimi anni hanno visto un boom delle riviste dedicate al corpo e alla salute; la moltiplicazione delle testate ha coinciso con una differenziazione di destinatari e quindi di tagli e impostazioni. Per la nostra analisi abbiamo scelto tre riviste mensili il cui titolo indica immediatamente un riferimento a corpo e salute, ma che sono al tempo stesso molto differenti l’una dall’altra: si tratta dei numeri usciti nel febbraio 2009 di “Ok. La salute prima di tutto”, “Men’s Health” e “Salute naturale”. “Ok. La salute prima di tutto”, edita dal gruppo rcs, si presenta come un periodico femminile: la copertina (fig. 1) esibisce l’attrice Stefania Rocca, mentre gli “strilli” evidenziati in rosso presentano articoli e servizi dedicati all’amore, al dimagrimento, alle confessioni di alcuni divi soprattutto televisivi. “Men’s Health”, del gruppo Mondadori, denuncia fin dal sottotitolo (Il magazine maschile più letto nel mondo) la propria destinazione (fig. 2): campeggia in copertina in piano americano l’attore Hugh figura 1

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La grafica del periodico illustrato

figura 2

figura 3

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Semiotica dei media

Jackman, mentre i titoletti rimandano ad articoli su come bruciare i grassi o evitare le malattie invernali. Infine “Salute naturale” (fig. 3), del gruppo Riza, rinuncia alla fotografia per presentare il disegno acquerellato di una ragazza tra i girasoli che beve una tisana, nuda e inginocchiata con il busto eretto; il disegno è schiacciato da alcuni titoli molto ampi che segnalano un servizio sull’ossigenazione del sangue: tutti elementi che la caratterizzano come una rivista salutista attenta ai benefici della natura e dell’equilibrio tra mente e corpo (La nuova via del vivere bene è il suo sottotitolo). 3. L’analisi del formato grafico Visione dell’immagine e organizzazione di percorsi

3.1. L’esplorazione sensomotoria del formato Partiamo dall’esame delle tre

copertine: iniziamo a guardarle e chiediamoci che tipo di esperienza mediale stiamo svolgendo 1. Anche qui, come nel caso della lettura, incontriamo alcuni materiali sensoriali inerti che sta a noi attivare in un’esperienza mediale: si tratta in questo caso di tracce grafiche verbali e visive depositate

1. In tal modo facciamo partire l’esperienza mediale dall’atto di lettura visiva; occorre essere consapevoli che così facendo operiamo una semplificazione: l’esperienza mediale inizia infatti quando prendiamo in mano una delle nostre riviste. Avvertiamo anzitutto che essa si presenta come un particolare oggetto materiale dotato di alcune qualità di tipo visivo e tattile: la sua superficie esterna è generalmente liscia e lucida, con una grammatura della carta superiore a quella delle pagine interne; il formato standard di cm 20,7 × 28,5 e il peso (che varia dai due etti e mezzo ai tre etti) legato a sua volta alla fogliatura e alla grammatura della carta, permettono di maneggiare e sfogliare la rivista con relativa facilità, sia appoggiandola su una superficie sia tenendola in mano, per esempio in metropolitana o in treno. La nostra competenza ci permette di individuare e di valutare eventuali variazioni rispetto a questi standard: per esempio una rivista può segnalare il proprio carattere ecologico usando una copertina di carta riciclata ruvida e non sbiancata; oppure può evidenziare la propria preziosità aumentando la grammatura della carta interna o il formato, o il numero di pagine e così via; in altri casi ancora la portabilità e la maneggevolezza della rivista possono essere esibite riducendo il formato, come accade per alcune riviste che pubblicano un’edizione di formato normale e una di formato ridotto leggibile con più difficoltà ma meno ingombrante negli spostamenti. Insomma: una rivista – come un qualunque prodotto editoriale (un libro, un quotidiano, un fumetto ecc.) e prima ancora come un qualunque prodotto tout court – è anche un oggetto materiale e in quanto tale esibisce qualità tonali legate al tatto, al peso, alle dimensioni, alle possibilità di manipolazione che essa permette o impedisce. È importante sottolineare che, in base al nostro modello dell’esperienza, tale area non viene “superata” e annullata nel seguito della lettura, ma rimane ben presente e disponibile per ulteriori processi di produzione del senso: si pensi per esempio a come l’esperienza di lettura di un libro in brossura si qualifichi costantemente nel suo svolgersi come meno prestigiosa (o meno impegnativa) rispetto a quella di un’edizione di lusso. Riprenderemo la questione della relazione esperienziale con gli oggetti a proposito della semiotica della pubblicità, al cap. 15, par. 3.1.

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La grafica del periodico illustrato

su un supporto cartaceo. Per attivare l’esperienza mediale però non è più sufficiente il “dare voce” alle tracce grafiche: occorre prima di tutto organizzarle in quanto forme colorate disposte su uno spazio di fondo bidimensionale, valutare quindi le possibilità di percorrenza visiva e sensomotoria di questo spazio e infine attuare i tragitti che sono stati intravisti. Solo all’interno di tali tragitti potremo poi tradurre le tracce grafiche verbali in vocalizzazioni interiori. Insomma: se la lettura aveva conferito all’esperienza un andamento lineare, l’interazione con una superficie grafica la configura come plurilineare, tale per cui ogni tragitto si definisce all’interno di una matrice reticolare di possibilità. E se la lettura ci era apparsa come l’artificializzazione dell’esperienza ordinaria di confabulazione interiore, l’osservazione di una superficie grafica si definisce piuttosto come l’artificializzazione di un altro tipo di esperienza ordinaria: l’esplorazione di un campo visivo, che (come abbiamo detto nel cap. 4, par. 3.1) è sempre basato su tragitti esplorativi di tipo sensomotorio e sulla simulazione di interventi attivi e di manipolazione di quanto si osserva. Questa dinamica implica una conseguenza importante per quanto riguarda l’ordinamento del discorso nelle sue differenti accezioni (cfr. cap. 6, par. 3). Il discorso viene percepito in questo caso basilarmente come un oggetto dotato di una precisa articolazione spaziale, cioè come “formato”. A partire dalla percezione del formato avviene l’attivazione di specifici tragitti di sguardo e di lettura e dunque la percezione di un’attività di produzione discorsiva e di un intreccio di materiali differenti. Per esempio l’occhio può muoversi sulla superficie delle nostre copertine in quanto attratto da un elemento particolare quale il logo delle riviste, oppure le immagini centrali di “Ok. La salute prima di tutto” e di “Men’s Health”, o i titoli molto evidenti di “Salute naturale”; i percorsi dello sguardo e della produzione discorsiva possono essere indirizzati sia in senso orizzontale che verticale: per esempio “Ok. La salute prima di tutto” e “Men’s Health” privilegiano l’uso di due colonne di titoletti verticali tra cui scegliere, mentre “Salute naturale” pone i titoli in un’unica ampia colonna che occupa quasi tutta la superficie e dà maggior peso all’orientamento orizzontale. L’interazione circolare che si crea tra formato e produzione ribadisce il ruolo centrale del discorso in quanto formato. Per un verso il formato viene percepito come una sorta di carta topografica che fornisce istantaneamente e in forma sinottica la planimetria di un territorio e che al tempo stesso segnala differenti ma limitate possibilità di esplorazioni e tragitti. Per altro verso le produzioni discorsive che risultano dall’attivazione di tali tragitti rimandano costantemente alla matrice che li consente e che li guida, ovve223

Lettura e movimento

Il ruolo prioritario del formato

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ro nuovamente al formato. Concentreremo dunque la nostra attenzione in questo capitolo sul discorso in quanto formato 2. 3.2. Il diagramma tonale e ritmico del formato In base a quanto abbiamo

appena detto, il discorso in quanto formato viene percepito sia come un oggetto a sé, sia come la matrice e il programma dei percorsi di esplorazione che permettono di attivare le produzioni discorsive. Nel primo caso esso sarà distinto da qualità tonali, nel secondo da qualità ritmiche, legate cioè ai possibili movimenti esplorativi. Non potendo procedere a un esame completo delle riviste, dedichiamoci all’analisi ravvicinata del sommario di “Ok. La salute prima di tutto” (fig. 4). La rivista presenta un sommario a doppia pagina affiancata; esso irrompe dopo una sola doppia pagina pubblicitaria e data la sua ampiezza occupa per intero il campo visivo del lettore, come una sorta di ampio schermo cinematografico.

figura 4

2. Da un punto di vista pratico può essere utile ricostruire una mappa grafica del formato disegnando (o ricalcando su carta sottile dalle pagine che si analizzano) i blocchi di testo della gabbia grafica per poi individuare su di essa i pesi visivi e tracciare i principali vettori direzionali. Si ricostruisce in tal modo lo schema grafico (quello che tecnicamente si chiama il menabò o timone) della rivista.

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La grafica del periodico illustrato

Dal punto di vista tonale, risaltano due elementi: l’aspetto lineare e pulito dei caratteri grafici e l’impostazione cromatica: domina il distacco delle figure scure e delle scritte su fondo rosso rispetto al fondo bianco; ma si notino, sulla base di queste ricorrenze, alcune variazioni poco ordinate, quali ad esempio i colori cangianti delle virgolette – freccette accanto ai numeri delle pagine. Dal punto di vista ritmico dobbiamo distinguere vari elementi. Anzitutto osserviamo la presenza di una certa gabbia grafica complessiva evidenziata dalla disposizione del testo e dall’uso di filetti o altri accorgimenti. In questo caso ciascuna pagina è costruita in base a tre colonne verticali delimitate da un sistema di filetti tipografici: nella pagina sinistra esse si allargano a mano a mano che si avvicinano al centro pagina, mentre al contrario si restringono a destra nell’avvicinarsi al bordo esterno. Questa simmetria non è perfetta in quanto le parti inferiori delle due colonne verso il centro della pagina destra vengono riaccorpate in unico blocchetto di tre colonnine riunite sotto il titoletto Le rubriche. In secondo luogo notiamo che tale gabbia grafica prevede (o su di essa si sovrappone) un sistema di pesi visivi, ovvero l’occupazione di alcune superfici particolarmente consistenti da parte di elementi unitari ed evidenti: in questo caso sulla parte superiore delle due larghe colonne centrali si apre un ampio collage di immagini fotografiche che rimandano ad alcuni degli articoli e che costituiscono un forte elemento di equilibrio centrale. Anche qui però l’equilibrio non è perfetto: alcune immagini fuoriescono infatti da questo collage; in particolare spicca, al piede della seconda colonna della pagina sinistra, la fotografia di un conduttore di telegiornale. In terzo luogo osserviamo che alcuni elementi grafici o iconici sono dotati di un potere di orientamento dello sguardo: parliamo di “vettori”, quali dita o braccia puntate, frecce indicatrici, orientamento di corpi e sguardi. Nel caso che stiamo esaminando spicca ad esempio la posa dell’animale al centro del collage, nell’immagine più ampia: mentre le pose degli esseri umani nelle altre foto guardano verso lo spettatore, il lori (una piccola proscimmia indiana) è orientato verso sinistra e rilancia lo sguardo del lettore verso tale direzione. La gabbia grafica globale, il sistema di pesi visivi e la presenza di vettori determinano le direzioni preferenziali dei tragitti di esplorazione visiva e sensomotoria della superficie grafica. Questi elementi costituiscono nel loro insieme un diagramma ritmico (cfr. cap. 4, par. 6) che qualifica ampiezza, direzione e investimenti energetici dei movimenti esplorativi. Questo diagramma ha d’altra parte una struttura gerarchizzata: esso può incorporare diagrammi minori, legati a eventuali gabbie grafiche locali e in particolare all’ampiezza reciproca dei segmenti e delle parti che compongono le varie aree della pagina (blocchetti di testo o immagini). All’interno di tali gabbie minori o di secondo grado in genere la direzione e 225

Qualità e diagramma tonali del formato

Qualità e diagramma ritmici del formato: la “gabbia”

I pesi visivi

I vettori di orientamento

Il sistema di nidificazione dei diagrammi ritmici

Semiotica dei media

l’ampiezza sono prefissati, e il diagramma modula solo la velocità e gli investimenti energetici degli spostamenti. In questo caso le due colonne intermedie e la parte inferiore delle colonne centrali più ampie presentano i riferimenti agli articoli del numero della rivista in blocchetti regolari ordinati sotto titoletti evidenziati da uno sfondo rosso (Gli esperti rispondono, Anch’io, Un medico per amico ecc.). Le due colonnine laterali sono invece riservate a “comunicazioni di servizio” più veloci, quali ad esempio la legenda dei simboli che compaiono negli articoli o gli indirizzi Internet ed e-mail. In teoria le possibilità di gerarchizzazione sono numerose, ma in pratica difficilmente si giunge oltre il secondo livello di annidamento che abbiamo individuato. 4. Il formato come spazio metadiscorsivo e i suoi soggetti

Dal formato metadiscorsivo alla costituzione dei discorsi e ritorno

Percorro dunque con lo sguardo il sommario di “Ok. La salute prima di tutto”. A un certo punto la mia curiosità è attratta da un trafiletto sulla sinistra: a pagina 42 viene segnalato un servizio su Vincenzo Salemme, del quale viene riportata la seguente dichiarazione : «Le prime tre volte che ho fatto l’amore con mia moglie ho vomitato. Sono pieno di nevrosi, vado dall’analista». Incuriosito (dal particolare delle tre volte: perché proprio tre?) vado a pagina 42 e inizio a leggere l’articolo. È chiaro che dalla percorrenza della doppia pagina del sommario alla lettura del trafiletto, e soprattutto dell’articolo, si è prodotto uno scarto: siamo passati da un’esperienza di visione di una superficie grafica a un’esperienza di lettura di un particolare articolo. Che relazione sussiste tra le due esperienze, che percepiamo comunque collegate? Cominciamo con l’osservare che non sempre l’esplorazione visiva di superfici grafiche implica il passaggio verso esperienze mediali più specifiche: per esempio potrei guardare una pagina pubblicitaria o studiare la piantina della metropolitana della mia città senza oltrepassare l’esperienza attivata dai miei percorsi visivi. Accade tuttavia in alcuni casi (e una rivista considerata nel suo complesso grafico è uno di questi) che tale tipo di esperienza serva a orientare il lettore verso la scelta di una seconda e più specifica esperienza da attivare. Le superfici grafiche sono usate spesso in questo senso come “metaspazi” utili affinché il soggetto venga messo in grado di fare una scelta tra differenti esperienze specifiche da attivare; esse obbediscono in questo senso a una logica dell’“ipermediazione” (Bolter e Grusin) che ha trovato più di recente forme di applicazione particolarmente efficaci nei nuovi media (per esempio nelle pagine web, o nei menu di opzioni di videogiochi e di dvd: cfr. cap. 16) 3. 3. Occorre anche considerare che alcuni tipi di spazio metadiscorsivo non corrispondono a superfici grafiche: per esempio i palinsesti televisivi. È tuttavia interessante notare come tali

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La grafica del periodico illustrato

In casi di questo genere, il discorso in quanto formato viene riconfigurato come uno spazio metadiscorsivo, ovvero “di primo grado”, rispetto al quale si può scegliere di attivare esperienze (e quindi costruire discorsi) “di secondo grado”. Questo fatto implica che anche il soggetto percepito come responsabile del formato venga riconfigurato come un “metasoggetto del discorso”, ovvero un soggetto di primo grado (in questo caso identificabile grosso modo con il direttore o con l’editore della rivista) rispetto ai responsabili dei discorsi particolari di secondo grado che esso ospita (grosso modo, in questo caso, gli autori dei singoli articoli). Un simile metasoggetto, pur essendo distinto dai responsabili dei discorsi particolari, ne è tuttavia avvertito come il responsabile ultimo, incaricato di organizzare le singole voci degli estensori degli articoli, di conferire un’identità unitaria al discorso polifonico che essi producono, di garantire veridicità e godibilità delle loro produzioni. I profili e le identità del metasoggetto del discorso vengono costituiti e percepiti a partire principalmente dal formato (per quanto siano possibili altri luoghi di esplicitazione: editoriali, avvisi ai lettori, pubbliche dissociazioni da questo o quell’articolo ecc.) e sono legate a fattori socialmente e culturalmente definiti. Vediamo quali profili del metasoggetto del discorso vengono delineati a partire dai sommari delle nostre tre riviste. Partiamo da “Ok. La salute prima di tutto”, che abbiamo già analizzato (fig. 4). Quanto osservato sopra permette di individuare una direzionalità piuttosto varia della lettura: l’occhio è sospinto dal centro in varie direzioni e viceversa, con spostamenti modulati da un ritmo sincopato e caratterizzati da cromatismi variati. Parliamo di un modello rotocalco, perché questo tipo di grafica rimanda a molte caratteristiche della stampa periodica (ma anche quotidiana) contemporanea: molto spesso la grafica esibisce una calcolata irregolarità e molteplicità di percorsi in modo da dare l’impressione di offrire al suo lettore un insieme eterogeneo di materiali che questi può percorrere in modi non casuali ma comunque liberi e dinamici. Il metasoggetto del discorso che si manifesta mediante questa presentazione dei contenuti e delle forme della rivista appare dunque non particolarmente autorevole sotto il profilo medico e scientifico 4: egli si conforma piuttosto metaspazi siano comunque traducibili in superfici grafiche: per esempio nei menu delle televisioni satellitari o del digitale terrestre che permettono il passaggio da un canale all’altro, oltre che ovviamente negli schemi grafici di quotidiani e riviste dedicati a riferire la programmazione televisiva. 4. La responsabilità scientifica è piuttosto demandata a un secondo soggetto: la Fondazione Umberto Veronesi, cui viene associata, in un quadrato blu contornato di rosso posto in alto a destra della copertina, la direzione scientifica. Si osservi come invece in “Salute naturale” tale dissociazione tra direzione editoriale e scientifica non venga prodotta (cfr. infra).

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Soggetti e metasoggetti del discorso

La natura sociale e culturale dei metasoggetti del discorso

Semiotica dei media

al profilo del responsabile di un periodico di informazione leggera, mediatore di notizie, curiosità, confidenze di vip e organizzatore di tali materiali in forma varia e vivace. Differente l’impostazione del sommario di “Men’s Health” (figg. 5 e 6). Qui il sommario giunge a pagina 11, dopo differenti pagine pubblicitarie, e le due pagine che lo compongono non sono adiacenti ma successive. La gabbia grafica evidenzia due colonne, quella nella parte interna più ampia in entrambe le pagine. La prima pagina del sommario presenta nella colonna interna una fotografia dell’attore Hugh Jackman e una riproduzione in piccolo della copertina; per il resto è occupata da blocchetti di testo regolari con titolo e sintesi degli articoli che fanno parte della categoria “Storie di copertina”. La seconda pagina evidenzia due immagini prive di cornice e blocchetti più brevi, regolari, divisi per categoria. Tutte le immagini seguono ed evidenziano l’andamento delle colonne, e costituiscono indicazioni vettoriali per rispettarne l’andamento di lettura; solo la fotografia della colonna destra sulla seconda pagina è orientata vettorialmente verso destra, quasi a invitare a proseguire la lettura della rivista. Le qualità ritmiche rinviano a un forte ordine nella lettura sia per quanto concerne la direzione, dominata dalla scansione delle colonne, sia per quanto riguarda la ritmica molto regolare. Le qualità tonali rafforzano tale impressione di ordine, con l’uso di colori limitato (nero per i caratteri, rosso per il numero di pagine sul fondo bianco: anche le immagini non presentano forti colori alternativi) e un lettering molto razionale e tecnico. Parliamo di un modello catalogo. Il profilo che emerge è quello di un metasoggetto razionale, dotato di autorevolezza legata a una competenza di tipo tecnico, capace di fissare uno sfondo rigoroso per gli articoli e di determinare un atteggiamento di lettura serio e ordinato qualunque siano gli argomenti affrontati. “Salute naturale”, infine, introduce il sommario alle pagine 4 e 5, dopo aver presentato un editoriale del proprio “Direttore scientifico”, Raffaele Morelli (fig. 7). Le due pagine affiancate sono occupate all’esterno da due colonne che occupano circa un terzo di ciascuna pagina: quella a sinistra ospita il colophon con tutte le indicazioni sulla gerenza della rivista, mentre quella sul bordo destro contiene l’annuncio di alcuni incontri personali con Raffaele Morelli. Il sommario è sviluppato nella parte centrale della doppia pagina, in un rettangolo delimitato da un filetto giallo ocra e diviso in due colonne che rispondono alla suddivisione delle due pagine. La scansione dei titoletti è abbastanza regolare; movimentano tale impostazione cinque disegni di piante o alimenti utili alla salute accompagnati da didascalie, e un blocchetto rosa fucsia nella parte inferiore della colonna di sinistra che contiene le indicazioni per contattare i numerosi esperti della rivista. La ritmica della lettura del sommario è complessivamente ordinata e regolare: le due colonne ben delineate costituiscono un invito 228

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La grafica del periodico illustrato

figura 5

figura 6

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Semiotica dei media

figura 7

a percorrere gli argomenti in modo organico. La stessa presenza del blocchetto fucsia, pur rompendo la simmetria, rafforza l’orientamento dell’occhio dall’alto verso il basso costituendo un “peso” grafico che àncora e stabilizza la colonna di sinistra. Questo ordine non ha tuttavia la rigidità tecnica e razionale di “Men’s Health”, pur non giungendo alla varietà di percorsi e ritmi di “Ok. La salute prima di tutto”: la presenza dei disegni che inframmezzano lo scorrimento degli argomenti costituisce una possibilità di deviazione che toglie all’andamento della lettura ogni possibile rigidità. Le qualità tonali confermano un controllo non rigido dell’esperienza: la gamma cromatica è limitata con ampio uso di gialli e verdi che si incrociano nell’azzurro del numero delle pagine e nei titoletti delle didascalie che accompagnano i disegni; lo stesso uso del disegno piuttosto che la fotografia (presente già nella copertina) rimanda a un’idea di hand made e di artigianato: parleremo complessivamente di un modello lunario. Un simile sommario delinea un metasoggetto del discorso autorevole in quanto rassicurante, pronto a comporre un percorso di lettura vario ma rilassante, da affrontare con leggerezza. Si tratta di un soggetto che peraltro si manifesta qui molto più che nelle altre testate analizzate: sia in quanto “responsabile scientifico” pronto ad accogliere il lettore fin dalla soglia della rivista con l’Editoriale, sia in quanto variegata rete di esperti pronti a rispondere alle domande inoltrate. 230

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La grafica del periodico illustrato

Percorsi di approfondimento I temi trattati in questo capitolo sono stati affrontati dalla semiotica dei testi planari (ovvero caratterizzati da un supporto bidimensionale) o più ampiamente dalla semiotica dell’immagine. Questa a sua volta ha ripreso vari spunti dalla psicologia dei processi visivi, in particolare dalla Gestalt: ancora oggi utile in questo senso Arnheim (1974). Alcune opere di orientamento sono Aumont (1990), Appiano (1997), Eugeni (2004), Polidoro (2008). Sulla semiotica grafica in senso più stretto Bertin (1967). Sulla grafica dei quotidiani Savarese (1991). Si tratta di concetti e metodi di analisi che hanno dimostrato la loro validità anche in altri settori, in particolare nella semiotica del fumetto e in quella della pubblicità (cfr. riquadri rispettivamente ai capp. 13 e 15).

Quaderno degli esercizi Procurati alcune riviste e magazines di tematiche e taglio differenti (di attualità, femminili, di gossip ecc.). Con il metodo suggerito alla nota 2 ricostruisci la gabbia grafica della copertina e delle pagine del sommario. Quali differenze riscontri in termini tonali e ritmici? Che relazione intravedi tra il taglio della rivista e la sua grafica? Esamina la prima pagina di alcuni quotidiani dal punto di vista della grafica. Quanto incide il formato materiale e il tipo di carta nella percezione dell’oggettoquotidiano? Quali percorsi di lettura possibili vengono attivati dalla gabbia grafica? Come vengono usate le immagini e il colore? In che modo le differenze tra i quotidiani esprimono differenti profili dei metasoggetti del discorso? Analizza il sistema dei titoli delle prime pagine di alcuni quotidiani: come variano i collegamenti tra titoli, sottotitoli, corpi degli articoli? In quali modi la gabbia grafica e il sistema di pesi visivi e di vettori suggerisce una gerarchia tra le notizie e un loro peso differente? Concentrati sulle immagini grafiche e fotografiche che trovi nelle pagine interne, comprese quelle pubblicitarie. Quali caratteristiche tonali e ritmiche intravedi? In che modo esse rifluiscono nel metaspazio del quotidiano? In particolare, sussistono secondo te dei vettori interni alle immagini capaci di orientare anche al di fuori di esse la lettura delle pagine del quotidiano?









Riferimenti bibliografici appiano ave (1997), Manuale di immagine, Meltemi, Roma. arnheim rudolf (1974), Art and Visual Perception: A Psychology of the Creative Eye, nuova ed. (ed. or. 1954), University of California Press, Berkeley-Los Angeles (trad. it. Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano 1984). aumont jacques (1990), L’image, Nathan, Paris.

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Semiotica dei media

bertin jacques (1967), Sémiologie graphique. Les diagrammes. Les réseaux. Les cartes, Mouton de Gruyter, Paris-The Hague. eugeni ruggero (2004), Analisi semiotica dell’immagine. Pittura, illustrazione, fotografia, nuova ed. riveduta e aggiornata, isu Università Cattolica, Milano. polidoro piero (2008), Che cos’è la semiotica visiva, Carocci, Roma. savarese rossella (1991), Grafica quotidiana, in M. Bonfantini, A. Martone (a cura di), Specchi del senso. Le semiotiche speciali, esi, Napoli, pp. 183-209.

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13 Il fumetto

1. Premessa Questo capitolo esamina l’esperienza mediale della lettura del fumetto. Ci troviamo ancora nell’ambito delle esperienze che richiedono un’attivazione personale da parte del soggetto che la vive. In questo caso la conformazione del discorso è ambigua in quanto il fumetto si presta sia a una lettura reticolare e ipertestuale, sia a una lettura lineare e testuale. La relazione di discontinuità tra mondo diretto e indiretto la qualifica inoltre come esperienza di finzione, anche se in alcuni casi recenti di graphic journalism e reportages a fumetti la lettura del fumetto tende a essere ridefinita come esperienza fattuale (cfr. come sempre cap. 2, par. 3). L’analisi del fumetto ci consente di approfondire i problemi legati alla tensione e agli scambi tra formato e produzione discorsiva che abbiamo introdotto nel capitolo precedente, ma anche di toccare alcuni aspetti della relazione tra soggetto dell’esperienza e soggetti del mondo indiretto. Riprendiamo dunque e approfondiamo alcuni temi toccati all’interno della seconda parte nei capitoli 6 e 8. Il secondo paragrafo presenta l’esempio scelto per l’analisi: una sequenza tratta dal primo episodio del graphic novel The Dark Knight Returns (Il ritorno del Cavaliere oscuro, Frank Miller dc Comics, 1986). Il terzo paragrafo introduce all’analisi del fumetto evidenziando la produttiva tensione tra visione reticolare e lettura lineare, dunque tra esperienza del formato ed esperienza della produzione, con particolare attenzione per gli aspetti del ritmo. Il quarto paragrafo esamina la relazione tra discorso e mondo indiretto e mette in evidenza come l’esperienza personale e vissuta del ritmo possa essere usata dal lettore per interpretare gli stati di coscienza di alcuni personaggi. 2. Il Cavaliere oscuro ritorna The Dark Knight Returns è un graphic novel scritto da Frank Miller, disegnato dallo stesso Miller con Klaus Janson e Lynn Varley e uscito per i tipi della dc Comics nel 1986. Il romanzo racconta la ricomparsa di Batman 233

Semiotica dei media

figura 1

dopo dieci anni di silenzio, in una Gotham City futuribile, arsa dalla siccità e devastata da efferati episodi di violenza. La sequenza che analizzeremo si trova all’interno del primo episodio dell’opera e occupa le tavole da 14 a 19: Bruce Wayne rivive nel ricordo l’omicidio dei suoi genitori e sente ritornare in sé ormai incoercibile lo spirito di Batman che aveva a lungo cacciato e represso. Nella descrizione che segue useremo triplette di numeri separati da un punto per indicare tavola (primo numero), striscia (secondo numero) e vignetta (terzo numero). Le tavole 14 e 15 (fig. 1) sono perfettamente divise in quattro strisce di quattro vignette rettangolari di uguale grandezza. La striscia 14.1 mostra in primo e primissimo piano il vecchio Bruce Wayne che, davanti al televisore, scopre preoccupato che sta per andare in onda The Mark of Zorro, il film legato all’esperienza dell’omicidio dei suoi genitori. Le vignette sono accompagnate dai balloons delle voci televisive e dalle didascalie del monologo interiore del personaggio. La striscia 14.2 alterna immagini uguali alle precedenti con quelle del ricordo del piccolo Bruce. A partire da 14.3 e fino alla fine della pagina seguente, le vignette procedono in un ralenti silenzioso immerso in una luce plumbea: le immagini ricostruiscono l’omi234

13.

Il fumetto

figura 2

cidio dei genitori di Bruce, così come lo stesso Bruce lo sta rivivendo nel ricordo. La tavola 16 (fig. 2) è piuttosto complessa: essa combina in un montaggio attentamente regolato alcuni primi piani di Bruce, le immagini del suo ricordo (in particolare il dettaglio delle perle della collana della madre appena uccisa che rotolano), le voci provenienti dai notiziari televisivi e i primi piani degli annunciatori che riferiscono orribili episodi di cronaca. La tavola mantiene in generale la rigida struttura delle quattro vignette per striscia, ma la striscia 16.3 divide ciascuna vignetta in due ottenendo quindi 8 vignette. La tavola 17 si apre con un’unica, anomala vignetta che occupa per intero lo spazio delle strisce 17.1 e 17.2, smarginando sia a destra che a sinistra rispetto ai bordi normalmente bianchi della tavola. Bruce si sposta da sinistra a destra, urta e fa cadere una statua che si sbriciola a terra in basso a destra. Tuttavia la suddivisione in vignette non scompare del tutto: sullo sfondo i riquadri della vetrata di casa Wayne disegnano una griglia che corrisponde alla suddivisione in quattro vignette per due strisce. La metà inferiore della pagina riprende la scansione in due strisce da quattro vignette 235

Semiotica dei media

figura 3

per mostrare ancora immagini del ricordo alternate al volto di Bruce sotto la doccia. L’unica voce che risuona in questa tavola è quella impersonale, introdotta in forma di didascalie, dello spirito di Batman che parla a Bruce: «You are nothing... A hollow shell, a rusty trap that cannot hold me [...] You cannot stop me...» [“Tu non sei nulla... un guscio vuoto, una trappola arrugginita che non può trattenermi [...] Tu non puoi fermarmi”]. La tavola 18 (fig. 3) riprende il ritmo regolare delle strisce da quattro vignette, con un’eccezione finale. Bruce ascolta i messaggi della segreteria telefonica, presentati da balloons dalla forma “aguzza” e scanditi da piccoli “beep” e “click”. Davanti a lui si staglia una vetrata divisa in quadri regolari. Dietro la vetrata vediamo in soggettiva con Bruce avvicinarsi un pipistrello: la striscia finale, 18.4, è interamente occupata da un’unica vignetta che mostra il pipistrello con le fauci spalancate mentre frantuma la griglia della finestra e si getta verso Bruce e verso il lettore; la vignetta smargina verso il basso e verso destra occupando lo spazio bianco del bordo della tavola. La tavola 19 infine si apre con un’immagine dei tetti di Gotham sotto un ampio cielo nuvoloso che occupa lo spazio delle due strisce superiori; l’im236

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Il fumetto

magine smargina verso sinistra e verso l’alto (ma la scritta del rumore del tuono nella parte superiore smargina anche verso destra). La parte in basso a destra è occupata da due piccole immagini di schermo televisivo con didascalie che riproducono le parole dell’anchorman. A partire dalla metà inferiore della tavola riprende il ritmo regolare delle quattro vignette a striscia, per raccontare il ritorno a lungo preparato del Cavaliere oscuro. 3. Ritmo percepito e ritmo vissuto nel fumetto 3.1. Formato e produzione discorsiva nel fumetto Poniamoci di fronte alla

prima tavola doppia di The Dark Knight Returns. Per un verso essa viene percepita come una superficie grafica reticolare da percorrere mediante tragitti visivi e sensomotori e, al tempo stesso, da osservare sinotticamente come matrice attiva di percorsi possibili: ritroviamo la costituzione del discorso in quanto formato analizzata nel capitolo precedente. In questo caso la griglia grafica è scandita dalla suddivisione della tavola in vignette: essa si presenta molto rigida nelle tavole 14 e 15, con alcune variazioni in quelle successive; come nel caso della pagina di rivista individuiamo inoltre un sistema di pesi visivi e di linee vettoriali che orientano i percorsi all’interno della superficie grafica: per esempio la statua che cade nell’ampia vignetta della tavola 17 o la scritta “rrrrmmmmbbbllllll” della tavola 19. Il complesso di questi elementi costituisce un diagramma ritmico complessivo che qualifica i percorsi sia in termini di durate che di accenti: struttura molto regolare nelle tavole 14 e 15, esposta ad alcune variazioni di vario genere nelle tavole che seguono. Per altro verso, a partire dalla percezione sinottica e reticolare del formato, attiviamo un’esperienza mediale lineare mediante una lettura sequenziale delle vignette (nel sistema occidentale da sinistra a destra e dall’alto al basso) che implica sia l’osservazione visiva delle immagini sia un’attivazione vocale interiore di voci, suoni e rumori. All’esperienza del formato subentra quella della produzione: torna in particolare quell’attività del “dar voce” ai segni grafico-verbali analizzata al cap. 11; attività qui particolarmente variegata e complessa a causa della pluralità di forme visivo-sonore tali da rinviare a voci e rumori di qualità differente. Per esempio colgo la differenza tra il parlato più impersonale dello speaker televisivo, quello dalla tonalità “aspra” delle voci della segreteria telefonica alla tavola 18, il tono più basso e intimo della voce interiore di Bruce Wayne nella tavola 14 o dello spirito di Batman riportati nelle didascalie che occupano la parte superiore delle vignette della tavola 17. Ugualmente, faccio risuonare differentemente i secchi “click” della tavola 16 e della tavola 18 e il basso e profondo “rrrrmmmmbbblllll” che apre la tavola 19. E perfino l’assenza di materiali grafico-verbali e grafico-sonori che accompagna la seconda metà 237

Il formato come spazio multilineare e metadiscorsivo

La produzione discorsiva lineare

Semiotica dei media

La determinazione incrociata tra formato e produzione discorsiva

Ritmo percepito e ritmo vissuto nel fumetto

Durate e accentuazioni: i diagrammi ritmici

della tavola 14, l’intera tavola 15 e la seconda metà della tavola 18 non è semplice assenza di suoni ma momentanea e percepita sospensione dell’attività sonorizzante interiore e dunque silenzio “costruito” in quanto tale. La percezione del formato e quella della produzione entrano dunque in un rapporto di compresenza e di determinazione incrociata, come abbiamo visto a proposito della lettura del periodico. Tuttavia nel caso del fumetto la produzione discorsiva non possiede più un andamento plurilineare. Alcune direzioni di lettura trasversali sono pur sempre possibili: posso per esempio osservare il ricorrere “a scacchiera” del motivo della collana spezzata alla tavola 16, o quello della croce rappresentato dall’incrocio delle sbarre alla finestra alla tavola 18. Tuttavia risulta prevalente e dominante una lettura lineare che percorre il formato in un’unica direzione progressiva. Il lettore di fumetto si trova insomma di fronte a differenti modalità di svolgimento dell’esperienza mediale, che sono compresenti e si determinano a vicenda: l’osservazione sinottica della tavola in quanto formato; l’attivazione di percorsi trasversali che colgono e ripercorrono rime visive o visivo-sonore tra differenti zone della tavola; oppure una lettura lineare che attiva la produzione discorsiva sequenziale di immagini e di suoni. 3.2. Diagrammi ritmici ed effetti somatici Questa compresenza caratterizza

l’esperienza di lettura del fumetto e produce una conseguenza peculiare che tocca soprattutto gli aspetti ritmici. Abbiamo detto al capitolo precedente che è possibile analizzare il formato nei termini del ritmo dei percorsi visivi e sensomotori – cioè delle esperienze di attivazione e di produzione discorsiva – che esso precostituisce. D’altra parte abbiamo visto nel precedente cap. 11 che le qualità ritmiche della produzione discorsiva possiedono una particolare efficacia simbolica: essi creano una immediata risonanza nel soggetto dell’esperienza e nel suo organismo. Ne deriva che, nel caso percezione del formato e percezione della produzione discorsiva siano compresenti, le qualità ritmiche vengano avvertite contemporaneamente in due modi diversi e interagenti: come ritmi percepiti (nel formato) e come ritmi vissuti (nella produzione). Questo fenomeno, meno evidente nel caso del rotocalco, diviene centrale nel fumetto a causa dell’instaurarsi in posizione dominante di una modalità di produzione discorsiva lineare: nel leggere il fumetto percepiamo visivamente il ritmo e allo stesso tempo lo sentiamo agire su di noi e sul nostro corpo. Ritorniamo alla sequenza di The Dark Knight Returns e verifichiamo questo assunto mediante un’analisi più ravvicinata. Come accennato sopra le strutture grafiche che riconosciamo stagliarsi sulla pagina permettono di individuare a colpo d’occhio un determinato andamento ritmico della let238

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Il fumetto

tura. Una serie di elementi si incaricano in particolare di disciplinare il sistema quantitativo delle durate: i passaggi tra le vignette, le strisce, le tavole singole, le tavole doppie, gli interi albi richiedono tempi crescenti e quindi cesure via via più ampie nel processo di lettura; ugualmente, l’ampiezza relativa delle vignette e la complessità di decifrazione della scena rappresentata determinano tempi più brevi (vignette piccole e/o semplici) o più lunghi (vignette ampie e/o complesse) di osservazione; i balloons e le didascalie più grandi e/o pieni o più ristretti e/o radi svolgono una funzione analoga. Un’altra serie di elementi d’altra parte definisce la distribuzione di accenti: questa viene determinata da meccanismi visivo-retorici e sinestesici quali la presenza di rumori espressi da un lettering evidente e invasivo, effetti grafici di esplosioni o di cadute di oggetti, l’uso delle linee cinetiche, l’uso di particolari toni cromatici che staccano rispetto a quanto precede e segue e così via. Nel nostro caso le tavole 14 e 15 mostrano, come abbiamo già detto, una struttura molto regolare. Questa griglia estremamente rigida determina un’attivazione discorsiva cadenzata dal passaggio ripetuto in moduli costanti da una vignetta all’altra, da una striscia all’altra, da una tavola all’altra. Il progressivo svanire di balloons e didascalie nelle prime due strisce della tavola 14 e fino alla fine della tavola 15 accentua tale regolarità che viene affidata a puri mezzi visivi. Rispetto a questa impostazione la tavola 16 introduce tre perturbazioni. In primo luogo reintroduce alcuni elementi grafico-sonori; questi possiedono comunque una regolarità ritmica: nelle tre strisce inferiori intervengono con regolarità a vignette alternate. In secondo luogo come già osservato la tavola 16 attua un restringimento ritmico nel sottofinale: la striscia 16.3 dimezza le vignette e quindi determina la percezione di una scansione dell’esperienza discorsiva in segmenti più brevi e ravvicinati. Infine, se le due tavole non presentavano forti elementi di accentazione, i “klik” che scandiscono la striscia 16.3 rappresentano l’irruzione di un “ticchettio” regolare e ravvicinato, che torna in funzione di segno di interpunzione conclusivo dopo l’ultimo balloon di 16.4.3. L’intensificazione ritmica della striscia 16.3 (dato sia dall’accorciamento delle durate che dall’irruzione di accenti grafico-sonori) prelude a un breve ritorno alla regolarità ritmica di 16.4 e quindi alla ben più consistente “distensione” della durata costituita dall’illustrazione che occupa la metà superiore della tavola 17, che smargina occupando i bordi bianchi della tavola. L’effetto di caduta della statua sulla destra introduce un nuovo elemento di accento molto forte, per quanto puramente visivo (non ci sono effetti grafico-sonori della caduta della rottura della statua). Si conclude in tal modo un’ondata tensiva, costituita da una regolarità ritmica rigida (tavole 14 e 15), da una intensificazione (tavola 16 e 239

Ritmo e strutture tensive

Semiotica dei media

Semiotica e fumetto La semiotica ha iniziato a occuparsi molto presto di fumetti. In un saggio famoso Eco (1964) svolge un’analisi della prima tavola di Steve Canyon (di Milton Caniff), con un’attenzione al rapporto tra forme grafiche, racconto e valori ideologici. La ricerca degli anni settanta si è concentrata sulle differenti convenzioni espressive del fumetto (i suoi “codici” e il suo “linguaggio”) sia di tipo iconico (le distorsioni caricaturali di volti e corpi), sia di tipo grafico-sonoro (le metafore e sinestesie grafico-sonore), sia di tipo grafico (le modalità di impaginazione). Esempi di tale impostazione si ritrovano in vari lavori quali quelli di Fresnault-Deruelle (1972, 1977), Gubern (1972), il numero della rivista “Communications” dedicato al fumetto (aa.vv., 1976), Krafft (1978). A partire dalla fine degli anni ottanta si assiste a un’attenzione rinnovata per il fumetto e le nuove forme nel frattempo emerse (in particolare il graphic novel); l’attenzione si sposta sul fumetto in quanto “discorso”, capace di articolare in modo originale e specifico l’esperienza narrativa del lettore. Sono esempi di questo nuovo corso di studi Peeters (1998), Groensteen (1998), Baetens (2001), Floch (2002) e i saggi riuniti in Barbieri (2006).

Dal ritmo guardato al ritmo vissuto

in particolare 16.3) e da una distensione accompagnata da un’accentazione (tavola 17.1-2). Quanto accade dalla metà della tavola 17 fino alla parte superiore della tavola 19 replica questo schema e prospetta una seconda ondata tensiva (più breve) con una distensione finale. La scansione delle vignette rimane costante e costituisce di nuovo un ritmo di fondo regolare su cui si sovrappongono balloons del parlato e scritte grafico-sonore dei rumori. Di particolare rilievo sia i “beep” e “click” della segreteria telefonica che punteggiano la parte superiore della tavola 18 introducendo un “ticchettio” di accenti; sia il fatto che a partire da 18.3 e per tutta la striscia 18.4 il “sonoro” scompare di nuovo, facendo emergere la regolarità ritmica della scansione visiva. Questo andamento regolarmente cadenzato prelude alla seconda “distensione”, nuovamente accompagnata da una forte accentazione (anche in questo caso puramente visiva e non sonora): l’irruzione del pipistrello di 18.4 e la frantumazione della vetrata. La seconda ondata ripete dunque con una certa variazione lo schema della prima: regolarità ritmica, intensificazione tensiva, distensione accentata. Questa analisi ricostruisce il diagramma ritmico complessivo della sequenza e descrive quanto l’occhio può scoprire scorrendo le tavole. Ma, come abbiamo detto, questo ritmo guardato prospetta un ritmo vissuto dal lettore sulla propria pelle e sul proprio corpo mediante l’attivazione 240

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Il fumetto

della produzione discorsiva. Se leggiamo effettivamente queste tavole e ci assoggettiamo alla durata e quindi ai ritmi che la articolano e la scandiscono, avvertiamo la sensazione fisica di “ingabbiamento” rigido, sgradevolmente costrittivo e tensivo cui ci costringe la griglia delle tavole 14, 15 e 16, con la particolare intensificazione e il martellamento degli accenti della tavola 16; avvertiamo parimenti il senso altrettanto fisico di liberazione e di distensione dato dallo smarginamento della parte superiore della tavola 17; e avvertiamo infine il ripetersi di una simile sequenza somatica di ingabbiamento-liberazione, procedendo nella lettura dalla seconda metà della tavola 17 fino alle vignette smarginate della fine della tavola 18 e dell’inizio della tavola 19. 4. Corpo del lettore e corpo del personaggio Formato e produzione discorsiva, e quindi ritmo guardato e ritmo vissuto, sono dunque compresenti e interagiscono nell’esperienza di lettura del fumetto. La loro interazione produce effetti incrociati: il formato, in quanto prospetta la percezione fisica del ritmo, viene in parte somatizzato; per converso, il ritmo vissuto della produzione acquisisce una particolare visibilità e una certa evidenza riflessiva all’interno dell’esperienza. Questa situazione si manifesta con evidenza se passiamo a esaminare le relazioni tra discorso e mondo indiretto. Spostiamo l’attenzione dal discorso al mondo indiretto nella sequenza di The Dark Knight Returns. Ci accorgiamo subito che alcuni elementi caratteristici del formato ritornano anche qui, tanto da poter parlare di una “diegetizzazione del formato” 1. Infatti la griglia grafica che definisce il ritmo di fondo dell’esperienza discorsiva – il rigido schema di quattro vignette per quattro – viene riprodotta all’interno del mondo indiretto e diviene la griglia di sbarre che sostiene la vetrata di casa Wayne. Questo passaggio è molto evidente nell’illustrazione che occupa la metà superiore della tavola 17: la scansione della vetrata in riquadri coincide perfettamente con la scansione delle vignette della tavola e sostituisce la griglia grafica. Molte vignette della successiva tavola 18 inoltre esibiscono la griglia di sbarre della vetrata, il particolare dell’incrocio di due sbarre (che riproduce l’incrocio dei bordi delle vignette) o la loro ombra sul pavimento o sul volto di Bruce. D’altra parte è importante sottolineare il significato simbolico che assume la vetrata nel mondo indiretto: essa separa Bruce dall’esterno e in particolare dall’irruzione del pipistrello-spirito di Batman: è la trappola in cui Bruce 1. In analogia con il procedimento della “diegetizzazione del dispositivo” di cui abbiamo parlato al cap. 7, par. 4.1.

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La diegetizzazione del formato

La griglia e la gabbia

Semiotica dei media

Sentire del lettore e sentire del personaggio

Consonanza immediata e comprensione del personaggio

ha chiuso Batman (di cui si parla in una delle didascalie), ma anche la trappola in cui ha chiuso sé stesso. A partire da tutto questo, diviene molto importante la conclusione della seconda ondata ritmica che abbiamo rilevato. L’irruzione del pipistrello frantuma la vetrata che separa Bruce dal mondo esterno e riduce a pezzi la griglia ordinata delle sbarre; al contempo, la vignetta che rappresenta tale evento apre a due immagini ampie, esse stesse “liberate” dalla costrizione della griglia grafica, e coincide con un senso di liberazione e di distensione del ritmo somaticamente vissuto dal lettore. Il lettore non possiede informazioni all’interno del mondo indiretto per interpretare gli stati di coscienza di Bruce in questo momento: il volto del personaggio nelle vignette precedenti è enigmatico e il suo corpo è fuori campo; tuttavia, dato il sistema di analogie tra mondo indiretto e discorso che è stato costruito, egli è portato ad applicare al personaggio di Bruce a livello del mondo indiretto la stessa sensazione somatica di “liberazione”, distensione, rilassamento che egli sta vivendo nell’esperienza della produzione discorsiva. In altri termini, pur in assenza di segnali espliciti circa gli stati di coscienza del personaggio, il lettore può avanzare ipotesi circa quello che il personaggio sta sentendo mediante l’uso e l’applicazione di una particolare risorsa: il proprio sentire attuale, il sapere somatico relativo all’esperienza ritmica che egli stesso sta vivendo. Cercando di generalizzare questa osservazione, possiamo riprendere quanto abbiamo detto al cap. 11, par. 3.2 sulla consonanza immediata che viene costituita a partire dalla produzione discorsiva (quella che abbiamo chiamato l’efficacia simbolica del discorso) e applicarla alle relazioni tra il lettore o spettatore e i soggetti del mondo indiretto, i personaggi. Il meccanismo di base della comprensione degli stati di coscienza dei personaggi passa, abbiamo detto al cap. 8, par. 4.2, attraverso una consonanza innescata dai corpi e dai volti dei personaggi in scena, adeguatamente rielaborati dai processi inferenziali. In alcuni casi tuttavia le inferenze riguardo a tali stati di coscienza vengono innescate e sostenute non dalle consonanze con i corpi dei personaggi, ma da quelle più immediate con il soggetto della produzione discorsiva: il caso di The Dark Knight Returns ce ne ha fornito un esempio. Molto spesso d’altra parte i due procedimenti si integrano: si pensi a una qualunque sequenza di thriller in cui le immagini del volto contratto del protagonista impegnato in un’azione estrema sono accompagnate da un tessuto di percussioni che simula un battito cardiaco impazzito e/o da movimenti di macchina febbrili. Queste dinamiche confermano ancora una volta come, nell’esperienza mediale, anche i fenomeni di consonanza immediata vengano riassorbiti in meccanismi di tipo inferenziale: l’emozione è sempre una risorsa per l’interpretazione, e questa crea nuove forme emozionali. 242

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Il fumetto

Percorsi di approfondimento Un primo approccio al fumetto è Raffaelli (1997). Un’introduzione al fumetto in chiave semiotica è Barbieri (1998). Molti spunti utili in Caprettini (1997). Due introduzioni di taglio sociologico sono Frezza (1999) e Brancato (2000). Un libro semplice ma utile per acquisire la terminologia anglosassone sul fumetto e la sua analisi è Saraceni (2003). La questione del ritmo nel fumetto è approfondita in Barbieri (2004), da cui abbiamo ripreso varie idee per la nostra analisi. Per un approccio non strettamente disciplinare ma ricco di spunti utili rinviamo ad alcune opere di autori di fumetti che riflettono sul proprio linguaggio: Eisner (1985, 1996) e McCloud (1994). Sul fumetto supereroistico in modo specifico si veda Bongco (2000) (che contiene un capitolo sul linguaggio e uno dedicato proprio a The Dark Knight Returns). Sul fumetto contemporaneo, Stefanelli (2006). Infine due storie del fumetto sono Restaino (2004) e Barbieri (2009).

Quaderno degli esercizi L’analisi condotta sulla sequenza di The Dark Knight Returns si è concentrata sulle qualità ritmiche. Analizza la stessa sequenza sotto il profilo delle qualità tonali (colore, consistenza del segno grafico, lettering ecc.). Il fumetto contemporaneo dialoga intensamente con altri mezzi e in particolare con il cinema. Analizza in che modo alcune sequenze di graphic novels sono state tradotte per il grande schermo. Se vuoi utilizzare anche in questo caso la sequenza che abbiamo analizzato, confrontala con quella analoga del film Batman (Tim Burton, usa, 1989). Confronta lavori di uno stesso sceneggiatore con disegnatori differenti e valuta in che modo il lavoro di sceneggiatura si adatta a diversi stili grafici. Per esempio confronta l’impostazione di The Dark Knight Returns con quelle di Batman: Year One (Frank Miller e David Mazzucchelli, dc Comics 1988) ed Elektra: Assassin (Frank Miller e Bill Sienkiewicz, Marvel, 1986-87). La nostra analisi si è concentrata sulla tavola e sulla striscia in quanto inserita all’interno di una tavola. Analizza l’andamento ritmico della striscia autonoma, per esempio nei Peanuts; valuta per esempio le differenze che si producono nel passaggio dalla striscia divisa in vignette a quella unica (in cui la striscia coincide con una lunga vignetta) che Schulz usa abbastanza spesso nell’ultimo periodo della sua produzione. Riprendi in esame alcuni passaggi di Grave Danger: per esempio la sequenza in cui la squadra, raccolta davanti al computer e con sullo sfondo la canzone dei Turtles, vede per la prima volta il volto di Nick nella bara, oppure le sequenze del ritrovamento della bara. In che modo gli andamenti della consonanza somatica immediata tra produzione del discorso e spettatore forniscono a quest’ultimo indicazioni per interpretare lo stato interiore dei personaggi in scena?











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Semiotica dei media

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Il fumetto

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14 La canzone pop

1. Premessa Questo capitolo prende in esame l’esperienza mediale dell’ascolto di una canzone pop. Molte delle considerazioni che facciamo sono comunque applicabili anche ad altre esperienze mediali basate sull’ascolto e quindi sulla costituzione di oggetti sonori e sull’“ammobiliamento” di ambienti sonori (come per esempio una trasmissione radiofonica). Con l’analisi della canzone ci spostiamo sul terreno delle esperienze mediali attivate automaticamente mediante dispositivi di erogazione di materiali sensoriali – in questo caso sonori. La conformazione del discorso è lineare e testuale; il rapporto con il mondo diretto può essere sia di tipo estetico (discontinuità con il discorso) che di tipo finzionale (discontinuità con il mondo indiretto: cfr. come sempre cap. 2, par. 3). L’analisi della canzone pop ci permette ancora una volta di riprendere e completare quanto abbiamo osservato sul discorso e i suoi soggetti ai capitoli 6 e 9; essa ci dà in particolare l’occasione per approfondire la questione delle manifestazioni della produzione discorsiva nel mondo indiretto e delle relazioni tra personaggi e voci, accennata nel cap. 9, par. 3.2. Il secondo paragrafo introduce la canzone che costituirà il nostro oggetto di analisi: La leva calcistica della classe ’68 di Francesco De Gregori (1982); questa descrizione introduttiva verrà fatta in base ai parametri classici dell’analisi musicologica: armonia, melodia, ritmo, timbro e intensità. Il terzo paragrafo esamina la canzone in quanto produzione discorsiva, oggetto dunque di un’esperienza viva e progressiva di ascolto che mette al centro della propria attenzione una voce. Il quarto paragrafo analizza la canzone in quanto formato: oggetto autonomo, spazializzato, ripetibile da altri esecutori. Infine il quinto paragrafo allarga l’attenzione a una questione di portata più ampia, che si ritrova in varia forma all’interno di una qualunque esperienza narrativa: a partire da una considerazione della canzone in quanto racconto, esamineremo le relazioni che si costituiscono tra la voce 247

Semiotica dei media

di produzione del discorso e le voci presenti e agenti all’interno del mondo indiretto. 2. Fútbol La leva calcistica della classe ’68 è stata pubblicata per la prima volta da Francesco De Gregori nell’album Titanic, del 1982 1. Successivamente l’artista ne ha presentato una versione live nell’album La valigia dell’attore del 1997, con orchestrazione e stile interpretativo differenti. Noi analizzeremo la prima versione. Iniziamo con l’ascoltare attentamente e descrivere la nostra esperienza di ascolto; è utile usare a tal fine i tradizionali parametri dell’analisi musicologica: armonia, melodia, ritmo e tempo, timbro, intensità 2. Le prime note della canzone di De Gregori introducono una serie di otto accordi suonati dal solo pianoforte: l’attacco in Re detta la tonalità della canzone e apre un giro di accordi che vede alternarsi Re, Re/Do#, Si-, Re/ La, Sol, Sol/Mi, Sol/La e La. La durata di ogni accordo si inserisce regolarmente nel ritmo del brano, in 4/4: ogni accordo occupa una battuta, ben scandita dal tocco del pianista. Questa struttura armonica è caratterizzata inoltre da un progressivo modificarsi di ogni accordo prima di passare a un accordo radicalmente differente: Re si modifica in Re/Do, Si- in Re/La, il Sol passa poi per slittamenti successivi omogenei al Sol/Mi, al Sol/La e finalmente al La. Quest’ultimo crea infine un effetto di sospensione che reintroduce al Re di partenza. Il timbro del pianoforte è limpido, con un leggero effetto di risonanza. L’intensità è abbastanza regolare, ma nella parte conclusiva del giro (dall’accordo di Sol fino a quello di La), il tocco si fa più delicato e l’intensità sonora diminuisce; anche il tempo di esecuzione rallenta leggermente. Il secondo giro di accordi ripete un andamento pressoché identico. 1. Edizioni musicali bmg Ariola-Serraglio, 1982. 2. Al lettore che non abbia alcuna conoscenza relativa al linguaggio della musica suggeriamo la lettura di un manuale di base, per esempio del classico Otto Károlyi, Introducing Music, Penguin, Harmondsworth 1965 (trad. it. La grammatica della musica. La teoria, le forme, gli strumenti musicali, Einaudi, Torino 1969 e successive ristampe). Ci preme in questa sede sottolineare che il ritmo presenta in musicologia due aspetti correlati. Da un lato esso definisce la forma dell’ambiente temporale del brano musicale in termini di scansione di accenti principali e secondari e di durate determinate a partire da tale scansione: questo aspetto consiste nella misura delle battute, che può essere a tempi pari (2/2, 2/4, 2/8) o dispari (3/2, 3/4, 3/8). Dall’altro lato esso definisce l’andamento del quadro armonico e della melodia, in termini di durata rispettivamente degli accordi e delle singole note e delle loro pause. Il termine tempo esprime invece le variazioni di velocità all’interno dell’esecuzione. Per le differenze (ma anche le analogie) rispetto alle “qualità ritmiche” cfr. la nota 4.

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La canzone pop

All’inizio della terza ripetizione del giro di accordi subentra la voce del cantante che esegue la prima parte della canzone: Sole sul tetto dei palazzi in costruzione sole che batte sul campo di pallone e terra e polvere che tira vento e poi magari piove Nino cammina che sembra un uomo con le scarpette di gomma dura dodici anni e il cuore pieno di paura

Lo schema armonico rimane quello dei due giri di accordi iniziali; nello spazio sonoro definito dalle otto battute su cui si snodano le combinazioni “verticali” degli accordi, si introduce ora la linea “orizzontale” della melodia con la sua serie di frasi progressive. Queste seguono uno schema di tensioni, sospensioni, distensioni e ricadute costruito sia dallo sviluppo in altezza delle frasi musicali, sia dal sistema dell’andamento ritmico interno e delle pause: la melodia scende gradatamente dall’ottava di partenza a quella inferiore, con effetti di slancio e di tensione alla fine del primo e del terzo verso (in corrispondenza delle parole “costruzione” e “vento”) e ricadute e distensioni dopo il secondo e il quarto verso (“pallone” e “piove”). Questo schema si ripete anche nel secondo gruppo di versi, in cui però il penultimo e l’ultimo verso vengono legati e l’effetto di sospensione tensiva viene spostato sull’ultima parola, “paura”. Come già accadeva nell’introduzione strumentale, il tempo di esecuzione rallenta leggermente nella parte finale di ciascun giro di accordi. Dal punto di vista timbrico il brano è caratterizzato dalla compresenza e dal contrasto del suono del pianoforte e di quello della voce del cantante: il suono del piano è meno intenso e tende quindi a costituire uno sfondo di accordi rispetto alla presenza della voce. Dopo l’ultimo accordo in La, il giro armonico cambia e passa a una tonalità minore; subentra infatti un Sol- che apre un nuovo giro di accordi: Sol-, Do, Fa, La4, Re-, Sol-7, Do, Sol-, Do. Questa sezione occupa complessivamente dodici battute. Il testo cantato è il seguente: Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo e dalla fantasia

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Semiotica dei media

Al contrario di quanto avveniva nel giro armonico precedente, le durate degli accordi sono differenti: i passaggi da Sol- a Do che aprono e chiudono (ripetuti per due volte in chiusura) il giro, occupano una battuta ciascuno, come avveniva prima; gli accordi al centro del giro (Fa, La4 e Re-) occupano invece una durata doppia (due battute). Da tali ripetizioni e dal raddoppiamento delle battute nella parte centrale deriva un senso di stasi e di sospensione trattenuta, come una sorta di esitazione, che domina questa parte della canzone. La linea melodica abita questo spazio armonico con un andamento alternato a onde ascendenti, discendenti, nuovamente ascendenti, separate da pause vuote che occupano due battute (dopo “paura”, “rigore”, “coraggio”) o tre (dopo “giocatore”). Il quadro timbrico e l’intensità rimangono costanti, con l’accompagnamento voce-pianoforte. Nella parte finale di due battute sull’accordo di Do, il pianoforte rimasto nuovamente solo rallenta il tempo e diminuisce il volume, ciò che prelude a una nuova trasformazione. Subentra infatti un nuovo giro armonico in maggiore: Fa, La-/Mi, Do-/Mib, Re4, Re, Sol-, Sol-/Do, Do, Fa, La4, La. Questa sezione occupa sedici battute. Il testo cantato è: E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori tristi che non hanno vinto mai ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro e adesso ridono dentro al bar e sono innamorati da dieci anni con una donna che non hanno amato mai chissà quanti ne hai veduti chissà quanti ne vedrai

Gli accordi occupano in genere due battute 3. Il quadro armonico è dunque ancora meno variato, più disteso e più stabile. La linea melodica si basa sulle ripetizioni delle note La, Lab e Do superiore: si tratta di una melodia basata sulla ripetizione di cellule simili o identiche, sullo sfondo della quale varia l’ambiente armonico. Ne deriva un’impressione di falso movimento, con slanci, tensioni, ricadute e distensioni che però non fanno progredire o fanno progredire in misura minima gli abbassamenti o gli innalzamenti della linea melodica. Alcune variazioni importanti riguardano il quadro timbrico e l’intensità. Fin dall’inizio del segmento subentra un tessuto timbrico più ricco e articolato rispetto al solo accompagnamento di pianoforte: la voce resta sempre in primo piano e il suono del pianoforte resta evidente; tuttavia quest’ultimo viene avvolto da ondate crescenti di archi e punteggiato dal ritmo 3. In base al raggruppamento di Sol-/Do con Do e di La4 con La.

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La canzone pop

delle percussioni e della chitarra. L’intensità del suono si fa inoltre complessivamente più potente. Le ultime parole (“chissà quanti ne vedrai”) vedono gli archi mimare e prolungare la cellula melodica costituita dalle note La e La# della voce, quindi il piano riprende visibilità e introduce dall’ultimo accordo di La all’accordo di Re che apre una nuova sezione della canzone. Il testo eseguito è il seguente: Nino capì fin dal primo momento l’allenatore sembrava contento e allora mise il cuore dentro alle scarpe e corse più veloce del vento prese un pallone che sembrava stregato accanto al piede rimaneva incollato entrò nell’area, tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare

Si ripresenta in questa parte il quadro armonico e melodico della prima sezione. Cambia rispetto a quella il tessuto timbrico e l’intensità. Se lì la voce era accompagnata dal solo pianoforte, in questo caso percepiamo la presenza oltre al pianoforte di chitarra, batteria, basso, su cui subentra all’inizio della seconda parte un suono di organo elettrico. Questo insieme timbrico rende complessivamente l’intensità del suono superiore a quella della prima sezione. Sulla parte finale (la “scena” del piccolo e glorioso gol di Nino) subentra una forte presenza delle percussioni e un deciso innalzamento dell’intensità del suono. Anche la sezione successiva riproduce il quadro armonico e ritmico della seconda sezione già esaminata; in questo caso anche il testo è quasi identifico: Ah! Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore un giocatore lo vedi dal coraggio dall’altruismo e dalla fantasia

Il tessuto timbrico resta ricco, con pianoforte, percussioni, organo elettrico ecc.; subentrano inoltre gli archi già ascoltati nella sezione analoga precedente e l’intensità del suono resta alta. Nella parte finale tuttavia (“un giocatore lo vedi dal coraggio ecc.”) l’arredamento timbrico si spoglia e resta251

Semiotica dei media

no nuovamente solo voce e pianoforte, con una presenza molto discreta di archi; anche l’intensità si abbassa fin quasi a spegnersi. Si passa in tal modo alla ripresa della terza sezione: qui il testo della prima parte (quello che andava da “E chissà quanti ne hai visti” fino a “e adesso ridono dentro al bar”) viene sostituito da una nenia cantata a mezza voce (“Na, naranà...”) accompagnata in modo discreto da piano, chitarra e percussioni, dall’intensità moderata. Mano a mano subentrano anche gli archi. La seconda parte di questa sezione recita un nuovo testo: Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette quest’altr’anno giocherà con la maglia numero sette

Ritorna l’accompagnamento del solo pianoforte, ma la presenza degli altri strumenti resta percepibile in sordina ed esplode sulle ultime parole: qui un rullante progressivo di batteria accompagna un generale innalzamento di intensità e l’ingresso di vari strumenti tra cui domina oltre alle percussioni l’organo elettrico. Il quadro armonico presenta lo stesso giro in Re dell’introduzione del pianoforte, nonché della prima e dell’ultima sezione; la melodia suonata dall’organo è però differente e consiste in alcune frasi ripetute tre volte per intero (la quarta volta a sfumare) che percorrono nei due sensi la scala di Re con vari effetti di sospensione, slancio e ricaduta. 3. Voce del soggetto, voce sociale La canzone: performance e oggetto sonoro

L’esperienza dell’ascolto della canzone ci mette in contatto con un fluire di materiali sonori. La nostra competenza culturale d’altra parte ci rende consapevoli del fatto che questo flusso è organizzato in una particolare forma, quella della canzone, caratterizzata da una certa durata, un certo sistema di ripetizioni, la presenza della voce del cantante in posizione di evidenza e così via. In tal modo il flusso dei materiali sonori viene riconfigurato in quanto discorso in atto; e, come per ogni tipo di discorso, la percezione che ne abbiamo si sfalda e si moltiplica (cfr. cap. 6, par. 3.1): da un lato il discorso ci appare come una produzione in atto e come l’intreccio di determinate componenti all’interno di uno scorrimento temporale: la canzone viene percepita come esecuzione o “performance”. Dall’altro lato essa appare come formato: oggetto sonoro spazializzato dotato di sezioni e di parti e dunque di una certa struttura, in linea di principio autonomo rispetto alla particolare esecuzione che stiamo ascoltando e perciò soggetto a esecuzioni differenti (per esempio quella fornita nel disco live dallo stesso De Gregori). Come sempre quando si tratta della percezione del discorso, i 252

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La canzone pop

differenti aspetti sono compresenti e interagenti. Dovendo separarli per necessità di chiarezza, esaminiamo anzitutto la canzone in quanto produzione discorsiva e performance. L’esecuzione presenta il concorso di differenti soggetti timbrici; tra questi un posto particolare spetta alla voce del cantante che, come abbiamo visto, gode di particolare evidenza e attraversa stabilmente quasi tutta la canzone. La voce di De Gregori appare caratterizzata da alcune precise qualità sia tonali che ritmiche 4. Dal punto di vista tonale la sua voce è contraddistinta da una grana leggermente nasale e da una intensità moderata e regolare (gli innalzamenti di volume sono limitati e prudenti). Dal punto di vista ritmico si tratta di una voce dalla gestualità “larga” e trascinata, che attua slanci prudenti e lunghe “pattinature”: caratteristica la pronuncia veloce dei gruppi consonantici e il perdurare sulla dizione delle vocali, spesso arricchite da modulazioni ascendenti o discendenti (rigoore, particolaari, giocatoore, vedraai ecc.). Questi frequenti allungamenti vocalici rendono poco nette le accentazioni eseguite dalla voce, che privilegia un andamento per brevi slanci e ricadute; in tal modo essa contrasta con l’investimento energetico evidente e puntuale che si percepisce nella produzione del suono da parte di alcuni strumenti: per esempio con il pianoforte, che accompagna la voce nella prima parte della canzone, o le percussioni nella seconda parte. A partire dalla qualificazione fornita da questi diagrammi tonali e ritmici, la voce del cantante mette in atto tre tipi di rinvio. Anzitutto la voce è lo strumento di manifestazione del soggetto della produzione discorsiva, in quanto incaricata di esprimere con i suoi movimenti determinati stati di coscienza soggettivi 5. La voce, come già sappiamo (cfr. cap. 11, par. 3), viene percepita come un gesto spogliato dal corpo che lo ha prodotto; in quanto tale essa agisce una mimica in grado di esprimere una serie coerente di stati di coscienza. La voce di De Gregori rinvia sotto questo aspetto a una certa indolenza e a una velata ironia: lo sviluppo delle reazioni emotive viene ristretto entro precisi limiti di estensione e di dinami4. Nel distinguere le qualità sensoriali in tonali e ritmiche avevamo preso in prestito due termini del linguaggio musicale ampliandone la portata: tale operazione rischia qui di creare qualche problema. Il lettore tenga presente che “tonale” e “ritmico” vengono qui adoperati in riferimento alle qualità sensoriali nell’accezione introdotta e spiegata al cap. 4. 5. In effetti anche le voci dei differenti strumenti vengono percepite come espressioni di corpi in movimento, tali da tessere una coreografia di gesti espressivi: questi si intrecciano variamente e con differente peso con quelli della voce. Le possibilità di questi dialoghi e di questi scambi, che giungono fino a una sostituzione della voce da parte degli strumenti, sono numerose e legate a forme e convenzioni culturalmente radicate. Possiamo dire che la voce è uno strumento in quanto ogni espressione strumentale e sonora è una voce, prodotto e prolungamento del gesto espressivo di un corpo.

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La performance e la voce: i diagrammi tonali e ritmici

L’espressione degli stati di coscienza

Semiotica dei media

Il personaggio del cantante

Il radicamento culturale della voce

ca, il che riflette un atteggiamento complessivo di dissimulazione e di distacco da quanto la voce stessa pronuncia e porge. Lungo questa direzione scatta il secondo rinvio: la voce rimanda a un carattere e a un personaggio. Si tratta in questo caso del personaggio De Gregori, cantautore della scuola romana (l’inflessione regionale determina la pronuncia di molti termini), che si caratterizza per apparire schivo, sfuggente, ma anche per una certa ironia, una sorta di costante distacco e una certa indolenza nel manifestarsi e così via. Personaggio che viene costruito non solo da questa canzone ma da tutto un insieme ampio e complesso di elementi: lo stile grafico e le copertine dei suoi album, i comportamenti adottati nei suoi concerti dal vivo, i (pochi) videoclip che realizza, l’abbigliamento, le interviste che rilascia ecc. Sotto questo aspetto la voce, nel suo esibirsi in una performance, rappresenta sempre la promessa di un corpo che completi e renda “ancorabile” a un supporto tangibile la coreografia vocale: molti aspetti del divismo canoro si basano sull’esibizione, sul camuffamento o sul nascondimento del corpo del cantante (qualche volta anche a causa della sua morte). Infine (e siamo al terzo rinvio) la voce del soggetto della produzione discorsiva individuata come voce del personaggio De Gregori è anche una voce sociale e culturale, posizionabile in un gioco di contrasti e affinità all’interno di una mappa degli stili canori che si sono definiti nel Novecento. Essa è per esempio ben differente dalla voce impostata di origine lirica e teatrale; si connette per alcuni aspetti alla voce “naturale”, colloquiale e intima del crooner senza conservarne però la partecipazione emotiva e l’omogeneità. Si tratta di una voce che si distacca dalla grana ruvida, raschiante e opaca dei cantanti blues e riprende alcuni elementi delle voci urlanti della protesta giovanile, ma mitigandone decisamente i toni. Il suo riferimento più evidente è senz’altro la tradizione degli chansonnier francesi e dei folk singer anglosassoni: in particolare essa riprende il tono distaccato – ora ironico, ora beffardo, ora semplicemente privo di emozioni – di Bob Dylan; mediante Dylan inoltre la voce di De Gregori si connette a un’altra tradizione novecentesca: quella della voce svogliata e distaccata del cabaret tedesco e delle ballate di Bertolt Brecht 6. 6. Si osservi che anche le “voci” degli strumenti possono rimandare ad alcune appartenenze socioculturali. Per esempio il riferimento alla tradizione del cantautorato è sottolineata dal ruolo importante che riveste l’accompagnamento del solo pianoforte: si tratta infatti di uno strumento che può essere suonato dallo stesso cantante, che esibisce in modo evidente il tocco fisico del musicista e l’aspetto “artigianale” del farsi della canzone. Un ruolo analogo viene svolto in altri casi dalla chitarra o, come nel modello di Dylan, dalla combinazione di chitarra e armonica. Si pensi allo statuto particolare delle esecuzioni unplugged di certe canzoni in alcuni concerti o album, esecuzioni che nel caso di artisti che sono anche autori delle proprie canzoni affermano e celebrano il principio di autorialità nella musica pop.

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14.

La canzone pop

4. Verse, chorus, bridge: la canzone come oggetto sonoro Passiamo ora al secondo aspetto che abbiamo richiamato sopra: dalla canzone in quanto produzione e performance, alla canzone in quanto formato e oggetto sonoro. Il riconoscimento della canzone in quanto oggetto sonoro e l’individuazione della sua struttura sono legati a due fattori. Da un lato gioca (in senso top-down) la nostra competenza culturale relativa alla forma canzone, alla sua durata e alle sue articolazioni interne, nonché alle sue possibili varianti: forma che si definisce a partire dagli anni venti in relazione all’avvento dei nuovi media di diffusione del suono registrato (dischi e radio) e si mantiene relativamente stabile fino ai nostri giorni. Dall’altro lato gioca (in senso bottom-up) la nostra capacità di individuare all’interno del flusso sonoro la ripetizione di unità modulari di differente formato. Come abbiamo detto nella descrizione analitica della canzone, già l’introduzione musicale di pianoforte ci permette di cogliere che per due volte si ripete uno stesso giro armonico. La voce che entra dopo i due giri di accordi intona una melodia che segue lo stesso schema armonico e ripete per due volte la stessa sequenza di frasi musicali. Si delinea in tal modo una prima unità modulare che viene ripetuta due volte: la strofa o, con termine inglese, il verse. La conclusione del secondo verse implica il passaggio a un quadro armonico e melodico differente (a partire dalle parole “Nino non aver paura”). Possiamo considerare questo modulo un ritornello, in quanto è l’unica sezione della canzone che torna invariata nella seconda parte: lo chiamiamo con la terminologia anglosassone chorus. Concluso il chorus un rallentamento del pianoforte introduce un terzo modulo, differente sia dal verse che dal chorus quanto a quadro armonico e ad andamento melodico (a partire dalle parole “E chissà quanti ne hai visti”). Questo terzo modulo non è propriamente un ritornello, ma neppure una strofa: esso corrisponde a quello che nella canzone anglosassone si chiama bridge, o middle-eight (in quanto è composto generalmente di otto battute collocate al centro della canzone). Nella sua conclusione il bridge reintroduce al modulo del verse ripetuto due volte, cui segue il chorus identico a quello della prima parte e un nuovo bridge parzialmente strumentale. Infine la lunga coda musicale finale riprende il giro armonico dell’introduzione strumentale e del verse sovrapponendovi però una nuova melodia. Nel complesso dunque La leva calcistica della classe ’68 si presenta all’ascolto con una struttura formale regolare composta da tre moduli ripetuti due volte: il verse (ripetuto due volte), un chorus e un bridge. Que255

La struttura dell’oggetto sonoro

Semiotica dei media

figura 1

Il radicamento culturale degli oggetti sonori

sto schema è inquadrato tra una introduzione e una coda strumentali che ricalcano l’andamento armonico del verse. Anche le durate sono regolari: ogni verse dura 30 secondi, i due choruses durano ciascuno circa 24 secondi mentre i due bridges durano circa 30 secondi ciascuno. L’introduzione musicale, modellata sul verse, dura anch’essa 30 secondi, mentre la coda ripete più volte lo schema a sfumare e dura quindi 53 secondi. Si ottiene lo schema riprodotto nella fig. 1 (in cui indichiamo con il pattern a linee oblique l’introduzione e la coda musicali; con le righe orizzontali i verses, con le linee verticali i choruses e con il pattern a scacchiera i bridges). Anche questa struttura compositiva possiede una storia e una collocazione culturale. Essa riprende uno degli schemi più assodati della canzone pop, quello verse-chorus, o strofa-ritornello; ma lo modifica con l’introduzione di un modulo di passaggio, più breve e in tonalità minore, tra il chorus e il verse successivo: quello che abbiamo chiamato il bridge. Questo schema proviene dalla canzone d’autore anglosassone, ma non è del tutto nuovo all’interno della tradizione italiana: non a caso la melodia che accompagna la coda strumentale cita Mi ritorni in mente, una canzone di Lucio Battisti e Mogol 7 che presenta uno schema complessivo ugualmente tripartito.

7. Edizioni musicali Acqua Azzurra, 1969.

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14.

La canzone pop

Semiotica e musica pop Un’attenzione per la “musica di consumo” è ben presente fin dagli esordi della disciplina semiotica, in linea con la sensibilità della teoria critica della Scuola di Francoforte (in particolare di Theodor W. Adorno) per la musica industrializzata nella società di massa. Per esempio Eco (1964) si occupa di musica gastronomica: ne mette in rilievo la struttura formulare, ripetitiva e pertanto immediatamente appagante; sottolinea il collegamento tra canzone e cantante-personaggio (l’esempio è quello di Rita Pavone); analizza il collegamento tra musica commerciale e mass media. Nel 1972 e nel 1977 Barthes analizza (in due saggi rifluiti in Barthes, 1982) la grana della voce di due cantanti popolari francesi; il tema della voce, del canto e del loro rapporto con il corpo è d’altronde al centro di numerosi altri lavori dello studioso francese, in particolare di Barthes (1970) e della voce “Ascolto” dell’Enciclopedia Einaudi rifluita in Barhes (1982). All’inizio degli anni settanta si sviluppa con maggior decisione una semiotica della musica; per quanto l’oggetto di analisi precipuo sia la musica colta, non manca in qualche caso un’attenzione alla popular music: per esempio Stefani (1976) analizza E la vita la vita di Enzo Jannacci e Cochi e Renato; e, nel delineare una teoria delle competenze “enciclopediche” di tipo musicale dei fruitori, distingue tra un modello popolare e uno erudito (Stefani, 1982). Nel corso degli anni ottanta e novanta, altri studi piegano in modo più specifico la semiotica alla musica popolare e alla sua forma chiave, la canzone. Un’applicazione delle principali teorie di semiotica della musica alla popular music è Middleton (1990). L’autore, già in un saggio del 1983 (ripubblicato in Bennett, Shank, Toynbee, 2007, pp. 15-20), indica nell’analisi delle differenti forme di ripetizione sintattica la principale chiave di approccio a tale oggetto e distingue tra ripetizioni di cellule melodico-ritmiche elementari (musematica) e ripetizioni di unità più ampie quali intere frasi (discorsiva). Questo approccio è sviluppato da Tagg (1994) che in numerosi interventi svolti fin dagli anni ottanta elabora e applica un modello molto completo di analisi della canzone basato sul rinvenimento di unità musematiche e discorsive, sull’individuazione dei pattern di movimento processuale cui esse danno luogo, sul confronto intertestuale con altri testi pertinenti. Anche Fabbri (2008, la cui prima edizione è del 1996) è attento alle forme di costruzione sintattica della canzone e ai suoi sviluppi storici, e fa dialogare la pratica compositiva e i manuali che la accompagnano con la sistemazione teorica e la pratica analitica. A partire dalla fine degli anni novanta fino a oggi emergono due linee di sviluppo. La prima, più decisamente attestata, tende a collegare l’analisi semiotica della canzone ai numerosi e differenti contesti e pratiche di apparizione, ciò che implica un rinnovato dialogo con l’articolata tradizione di studi sociologica sulla popular music: per esempio Sibilla (2003) adotta un approccio narratologico e, a partire dall’idea che la musica pop costituisce una forma di esperienza narrativa di cui la canzone rappresenta l’unità di base, analizza differenti luoghi di tale racconto (l’ascol-

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Semiotica dei media

to radiofonico, la visione dei videoclip ecc.). Peverini (2004) lavora sulle varie forme di risemantizzazione della canzone pop e dei suoi interpreti che avvengono nel videoclip musicale. Spaziante (2007) esplora le differenti articolazioni sociosemiotiche della canzone pop, con particolare attenzione al rapporto tra l’enunciazione canora e la costruzione intermediale del personaggio cantante. Quest’ultima indicazione ci conduce alla seconda tendenza in atto, che consiste nel focalizzare l’attenzione teorica e analitica sulle voci dei cantanti e sulle loro performance vocali, valorizzando quindi un’analisi della sostanza fonica in quanto strumento originale di costruzione del senso: oltre al già citato lavoro di Spaziante rimandiamo ai saggi della prima parte di Bennett, Shank e Toynbee (2007).

5. La polifonia dell’esperienza Vocalizzazione discorsiva e voci dei personaggi

La voce perduta

Fino a questo punto abbiamo esaminato la canzone in quanto discorso. Spostiamo ora la nostra attenzione al mondo indiretto che si compone e si modifica all’interno dell’esperienza mediale della canzone; e analizziamo le sue relazioni con il discorso, e in modo particolare con la produzione e la voce. Possiamo riprendere e approfondire a questo proposito un aspetto più generale delle relazioni tra il discorso e il mondo indiretto: il rapporto tra la voce del soggetto della produzione discorsiva e le voci dei personaggi che risuonano all’interno del mondo indiretto (cfr. in particolare cap. 9, par. 3.2). Nel momento in cui entra in scena, dopo l’introduzione musicale, la voce del cantante assume un comportamento e un andamento descrittivi: la prima parte del verse dedica alcune rapide pennellate all’ambiente, la seconda parte introduce il personaggio di Nino. Questa voce oscilla tra precisione di alcuni particolari (i palazzi in costruzione, le scarpette di gomma dura) e una generale incertezza e quasi svogliatezza nel precisare termini e sviluppi possibili: “magari” piove, Nino “sembra” un uomo. In generale c’è una sorta di sospensione tra ciò che si vede e che è da un lato, e ciò che sembra dall’altro, che ritroveremo più avanti. Si tratta in ogni caso della voce di un soggetto che non fa parte del mondo indiretto e che ne parla alla terza persona. Sotto questo aspetto avvertiamo che, nel passaggio dal verse al chorus, si produce uno scarto: ora la voce si rivolge direttamente a Nino, non parla più alla terza ma alla seconda persona e dà del tu al bambino protagonista; lo stesso passaggio in tonalità minore allude a un tono più intimo, a una comunicazione più personale. La voce dell’interprete ha cambiato ruolo: da quella del narratore impersonale, del cantastorie che descrive una scena e una situazione, è passata a impersonare la voce dell’allenatore o del padre di Nino che parlano al ragazzino e lo incoraggiano: si tratta forse di una voce che risuona nella mente del bambino, e che ricorda i valori umani che rendono grande il gioco del calcio e i suoi protagonisti. 258

14.

La canzone pop

L’avvento del bridge implica una nuova trasformazione. La voce continua a dare del tu a Nino, ma quanto dice è ben lontano dal tono incoraggiante e idealista del chorus: alla voce anonima del narratore e a quella personale dell’allenatore è subentrata nel bridge una terza voce che, rinunciando alle idealità legate al calcio, apre una prospettiva disillusa sul destino di vecchio ragazzo mai completamente maturato che attende il bambino. L’introduzione di un tessuto timbrico più vario e articolato e l’aumentata intensità del volume sottolineano il ruolo importante di questa terza voce disillusa e malinconica. Il ritorno del verse implica anche il ritorno della voce narrante impersonale, impegnata questa volta a raccontare la piccola, epica azione di gioco del ragazzino. Torna anche l’andamento sospeso e incerto tra l’essere e il sembrare: l’allenatore “sembra” contento, il pallone “sembra” stregato, l’intera azione di gioco è narrata senza dichiarare apertamente se il gol è frutto di bravura o di fortuna (“ed il portiere lo fece passare”). Spetta soprattutto all’accompagnamento strumentale (in particolare alle percussioni che sottolineano il gol) l’esaltazione del trionfo del ragazzino, in lieve disaccordo commentativo con la voce (che, come abbiamo detto, non si fa coinvolgere troppo dal punto di vista emotivo) e il testo che essa canta. Il chorus riporta in scena la seconda voce e i principi ideali che essa propone e ricorda a Nino: l’orchestrazione trascina inizialmente l’effetto di esaltazione successivo all’azione di gioco, ma successivamente la spegne poco a poco per tornare alla presenza più raccolta e meno chiassosa della sola voce con pianoforte. A questo punto il prolungamento della simmetria con la prima parte richiederebbe il ritorno della terza voce scettica e disillusa. La voce del cantante intona invece una nenia cantata a mezza bocca, quasi tra sé e sé, con un accompagnamento musicale discreto: essa rinuncia dunque al recupero della terza voce e delle sue disillusioni; al tempo stesso però il vuoto prodotto da tale assenza rimane incolmato, ciò che permette alla voce del disincanto di risuonare silenziosamente sullo sfondo, inespressa ma presente, rimossa ma non cancellata. Questa presenza silenziosa del disincanto rende ambigua la conclusione della canzone. Sulla seconda parte del bridge la terza voce viene sostituita da una quarta voce, attribuibile all’ingaggiatore che ha valutato la prestazione di Nino e ne determina l’inserimento in squadra. Di per sé la frase dell’ingaggiatore suona come la conferma del successo del bambino e rappresenta il compimento delle sue aspettative: questa valenza è sottolineata dal ritorno “trionfale” delle percussioni, del tessuto timbrico articolato e dell’intensità sonora pronunciata che aveva accompagnato il racconto del gol. Tuttavia la presenza silenziosa della voce del disincanto fa risuonare la frase come l’indicazione di un destino già segnato di felicità mancata o irrimediabilmente imperfetta. Il leggero scollamento tra l’essere e il sembrare che animava la voce del narratore impersonale e il generale scetticismo cui è improntato lo stile della voce del cantante riaffiorano in 259

Semiotica dei media

Gli spazi delle voci tra mondo indiretto e discorso

La polifonia dell’esperienza mediale

tal modo nell’andamento conclusivo della canzone e ne determinano la finale apertura di senso. Questa analisi delle voci che sono presenti e che si alternano ne La leva calcistica della classe ’68 pone in rilievo, come dicevamo, una questione più ampia che riguarda ogni esperienza mediale di tipo narrativo. Come sappiamo la produzione discorsiva viene percepita anzitutto come la presenza e il movimento di una voce; d’altra parte all’interno dell’esperienza mediale si profila un mondo indiretto all’interno del quale altri soggetti possono prendere la parola. Di qui alcuni aspetti importanti nell’analisi del discorso narrativo. In primo luogo sono possibili differenti relazioni tra la voce della produzione discorsiva e quelle del mondo indiretto. A un estremo troveremo una voce percepita come impersonale (cioè tale da non appartenere a nessuno dei soggetti del mondo indiretto), come nei verses della canzone analizzata: i teorici del discorso narrativo hanno parlato di diegesis o showing. All’altro estremo troveremo voci che parlano direttamente e che sono ascrivibili a soggetti del mondo indiretto, come nel chorus e nel bridge della canzone o in qualunque dialogo di un romanzo: si tratta della mimesis o telling. Tra i due estremi vi sono poi possibilità intermedie date dal discorso riferito o indiretto, in cui per così dire la voce del narratore impersonale si fa interprete della voce dei personaggi per riassumerne gli andamenti facendo sempre però sentire la propria presenza. Osserviamo che il caso della canzone di De Gregori non è un caso di mimesis pura, in quanto la voce del cantautore resta ben percepibile pur mettendo in scena il proprio impersonare altre voci. In secondo luogo tale fenomeno permette di sottolineare che ogni esperienza narrativa è un’esperienza “polifonica”, ovvero di attivazione e di ascolto di voci differenti: differenti per il loro timbro, per gli stati di coscienza che esprimono, per gli sfondi memoriali e valoriali che vi risuonano, per il rimando a collocazioni e identità socioculturali. Questa alternanza e questa sovrapposizione di voci rimanda d’altra parte alla natura multiaspettuale dell’esperienza mediale (cfr. cap. 8, par. 4.4): ascoltare una voce vuol dire prepararsi a riprodurla; riprodurre una voce vuol dire impersonare l’altro; impersonare l’altro significa infine sposarne, in parte e temporaneamente, i punti di vista, e dunque esercitarsi nella difficile arte del vivere la complessità multiaspettuale dell’esperienza. Percorsi di approfondimento In questo capitolo abbiamo intenzionalmente evitato di affrontare il vasto campo della semiotica musicale, limitandoci alle sue applicazioni alla canzone pop. Il lettore che desidera approfondire le sue conoscenze in questa direzione può far riferimento a varie introduzioni: Stefani (1976, 1982, 1987), Nattiez (1987, 1988), Tara-

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La canzone pop

sti (1994, 2002); Marconi (2001). Un’antologia di semiotica della musica è Marconi, Stefani (1987). Uno strumento completo e aggiornato (di orientamento in parte semiotico) è Nattiez (2001-05). Di taglio più strettamente semiotico le introduzioni a particolari aspetti del linguaggio musicale realizzate da Stefani, Marconi, Ferrari (1990) e Stefani, Marconi (1992). Per quanto riguarda la semiotica della popular music, oltre ai testi citati in Semiotica e musica pop, pp. 257-8, due lavori collettivi che danno un’idea degli orientamenti recenti della ricerca sono D’Amato (2001) e Calefato, Marrone, Rutelli (2007), il primo di impronta più musicologica, il secondo maggiormente sociosemiotico. I temi affrontati nel capitolo possono essere opportunamente collocati sullo sfondo di due aree di studio più ampie. La prima concerne gli auditory studies, una tendenza variegata che afferma l’importanza delle esperienze sonore (tanto bruistiche, ovvero relative all’universo dei rumori, quanto musicali, quanto vocali) rispetto a quelle visive esplorati dai visual studies. Un esempio recente è Bull, Back (2003); un testo specifico è Midolo (2007). Per alcune analisi del mezzo radiofonico che tengono conto di tale sfondo e per le bibliografie relative rimando a Ortoleva, Scaramucci (2003). Sulla voce nel film si veda Chion (1982, 1990). La seconda area di studio è l’analisi delle relazioni tra oralità, scrittura e racconto, e quindi delle persistenze e dei ritorni della radice orale del racconto nelle forme scritte e neo-orali quali quelle che si ritrovano nei media sonori. Un orientamento a questi temi è Bernardelli, Pellerey (1999). L’apertura di uno specifico ambito di ricerca dedicato alla “enunciazione vocalizzata” è delineato da Violi (2006).

Quaderno degli esercizi Analizza alcune autobiografie, libri intervista o articoli dedicati ad alcuni cantanti (a puro titolo di esempio indico Bob Dylan, Chronicles vol. 1, Feltrinelli, Milano 2004, in cui tra l’altro Dylan racconta un episodio che spiega l’influsso su di lui dello stile brechtiano): in che modo questi artisti pongono il problema dell’interpretazione vocale e sonora, della voce in quanto strumento di costruzione della propria identità, del confronto con gli stili interpretativi precedenti e coevi? Confronta due differenti interpretazioni di una stessa canzone: per esempio Generale cantata da De Gregori e da Vasco Rossi. Analizza cosa varia negli stili vocali e recitativi, nell’orchestrazione, nella gestione dei tempi e delle intensità. Prendi in esame differenti canzoni di uno stesso autore e cerca di individuare le costanti compositive nei giri armonici, nelle frasi melodiche, nella struttura complessiva della canzone. Analizza qualche manuale di composizione di canzoni, elenca i modelli che emergono, confrontali con quelli di differenti autori e scuole. Esamina un film in cui la canzone pop abbia una presenza di una certa evidenza: per esempio I’m not there (Todd Haynes, usa/Germania, 2007). In che modo la canzone viene fatta interagire con le immagini? Quali reciproci arricchi-











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Semiotica dei media

menti di senso si ottengono da tale combinazione? E, in particolare, in che modo la canzone con le proprie strutture e andamenti contribuisce a tale operazione? Torna all’analisi di un articolo di quotidiano o rivista (cfr. capp. 11 e 12) o anche di un fumetto (cap. 13): come vengono organizzate le differenti voci dei soggetti (dialoghi, monologhi interiori e flussi di coscienza ecc.)? Che relazione vedi tra questa pluralità compresente di registri vocali e la multiaspettualità dell’esperienza mediale di cui abbiamo parlato al cap. 8?



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La canzone pop

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15 Il commercial televisivo

1. Premessa Questo capitolo analizza l’esperienza mediale di visione di un commercial, ossia di un filmato pubblicitario normalmente trasmesso in televisione: si tratta di quello che in Italia si chiama un po’ impropriamente lo “spot”. Quanto diremo ci introdurrà più ampiamente a considerare alcune dinamiche della comunicazione aziendale, sia pubblicitaria che di marketing in senso ampio. Il commercial ci riporta nell’ambito dell’audiovisivo, ovvero di un tipo di esperienza attivato mediante l’erogazione automatica di materiali sensoriali da parte dei dispositivi mediali; si tratta di un’esperienza testuale, di tipo fattuale: pur presentando storie non direttamente riferite al mondo diretto, essa mette in relazione il soggetto dell’esperienza con oggetti e azioni effettivamente reperibili e praticabili nel proprio mondo di vita (cfr. come sempre cap. 2, par. 3). L’analisi del commercial e delle dinamiche della comunicazione pubblicitaria ci permette di riprendere e di approfondire alcuni aspetti dell’esperienza mediale in generale. In particolare sviluppiamo l’idea che, intrecciata alla rete di relazioni con i soggetti del mondo indiretto (cfr. cap. 8), si presenta anche l’esperienza della relazione con gli oggetti dello stesso mondo indiretto; esperienza che va spiegata alla luce dei processi sensoriali attivati (cfr. cap. 4). Al centro della nostra analisi c’è un commercial della Pepsi Cola della seconda metà degli anni ottanta: come di consueto la sua descrizione analitica occupa il secondo paragrafo. Il terzo paragrafo è dedicato alla relazione tra lo spettatore e i differenti oggetti e soggetti del mondo indiretto, con particolare attenzione al prodotto che viene pubblicizzato. Il quarto paragrafo è incentrato sulla costituzione di relazioni di fiducia tra lo spettatore e i soggetti del discorso, e in particolare quello della produzione e quello dell’intreccio. Oltre a tali soggetti si profila un responsabile ultimo del discorso del commercial e più complessivamente della 265

Semiotica dei media

rete di esperienze incentrate sulla bibita pubblicizzata: il brand (o marca) Pepsi Cola. 2. Ahhh! Lo spot che analizzeremo in questo capitolo è un commercial televisivo della Pepsi Cola prodotto alla fine degli anni ottanta. Esso fa parte di un’ampia serie di comunicati basati sul pay off finale “Pepsi Cola. The choice of a new generation” 1. Lo spot, più lungo di un normale commercial da 30 secondi (dura 56 secondi e mezzo), consta di 36 inquadrature. Nel caso del commercial Pepsi utilizzeremo una trascrizione “tecnica” dettagliata: si tratta di un procedimento di descrizione analitica metodica che, data la sua complessità e il tempo che richiede, è consigliabile solo nel caso di testi brevi (spot, videoclip, singole sequenze audiovisive); si tratta in ogni caso di un procedimento indispensabile per valutare i microandamenti dell’esperienza mediale. figura 1

1. Non sono riuscito a datare con precisione lo spot, che comunque, considerando l’uso del pay off e del particolare trademark a lettering arrotondato, si colloca tra il 1987 e il 1991. Per quanto concerne il pay off e la strategia di brand di questo periodo della Pepsi Cola cfr. il par. 4.2.

266

0:00-1:05 = 1”

2 1:06-2:02 = 1”

1

N. Durata * inq.

Banda sonora **

267 Taglio netto

Assente Musica (intensità, fonte, movimento, provenienza rispetto al quadro):

Voce del dj radiofonico che saluta e annuncia le temperature della giornata

Un gruppo di bagnanti che fa jogging sullo sfondo del mare, mentre altre c.s., in continuità persone giocano: permane una pluralità di vettori direzionali

Modalità di transizione:

Sovrascritte grafiche e loro e- Nessuna ventuale movimento:

Le figure umane in primo piano appaiono in una colorazione rossastra; il fondo di rocce e mare è invece immerso in una foschia azzurrina Composizione interna del qua- Quadro brulicante con soggetti che si muodro: vono in direzioni differenti

Colore:

Normale

Parlato (intensità, Profondità di campo e messa a Focus esteso, ma lo sfondo di rocce e mare fonte, fuoco: appare leggermente fuori fuoco, calato in movimento, una caligine azzurrina provenienza rispetto al Illuminazione: Luce piena sia dal fondo che dalla parte de- quadro): stra del quadro

Angolazione di ripresa:

Descrizione del contenuto:

Voce gracchiante della Una spiaggia affollata: in primo piano vari Rumori radio (cfr. sotto) bagnanti seduti sulla sabbia o in piedi, sul- (intensità, fonte, lo sfondo rocce e mare (fig. 1) movimento, Movimenti di macchina: Macchina fissa provenienza rispetto al Ampiezza del quadro/Distanza Piano lungo quadro): di ripresa:

Banda visiva **

Osservazioni

15. Il commercial televisivo

Un gruppo di ragazze mostrate in campo medio-lungo (o piano americano) pas- c.s. Il rombo del furgone si attenua sa da destra a sinistra sullo sfondo del mare. Il focus isola i soggetti rispetto allo sfondo del mare (effetto dell’uso di focali lunghe) Ingresso del furgone bianco da destra verso sinistra in primo piano, sullo sfondo c.s. Rombo del furgone e frenata della spiaggia; all’arresto del veicolo vediamo inquadrato dal finestrino l’abitacolo con la breve apparizione dell’autista, un giovanotto con maglia a righe e occhiali da sole

Campo medio di una buffa famigliola seduta sulla sabbia: non solo i due anziani c.s. coniugi ma anche il loro cane indossano un cappello-ombrello per ripararsi dal sole. I tre orientano all’unisono pigramente gli sguardi verso le proprie spalle Medio primo piano con furgone bianco di sguincio sulla sinistra: il giovane auti- c.s. + rumori degli sportelli sbattuti sta scende dal mezzo, apre il portellone laterale ed entra nell’abitacolo

5 4:24-6:08 = 1”

6 6:09-7:11 = 1”

7 7:12-9:19 = 2”

Campo medio con panoramica a seguire un furgone bianco in movimento da si- c.s. + rombo del motore del furgone nistra verso destra sullo sfondo della folla

4 3:20-4:23 = 1”

3 2:03-3:19 = 1,30”

268

Inquadratura piuttosto lunga, a seguire un’azione più complessa di quelle fin qui mostrate e sempre con il furgone e il giovanotto come protagonisti. Si può pensare a una sorta di soggettiva della famigliola dell’inq. precedente

La direzione di ingresso del furgone rima con la direzione di spostamento delle ragazze nell’inq. prec. La distanza dell’inquadratura si riduce ulteriormente passando dal piano medio al primo piano, nuovamente con riferimento al furgone

Varie differenze rispetto a inq. precedenti: lunghezza maggiore, introduzione di un movimento di macchina, piano più ravvicinato, introduzione del rumore del furgone in primo piano Semiotica dei media

Campo medio del giovanotto all’interno del furgone. Sulla destra, un com- Silenzio: di qui in poi scompare la plesso impianto scuro di registrazione e amplificazione del suono: il ragazzo voce gracchiante del dj radiofonico mette una cuffia audio e si avvicina a un microfono (fig. 2) Dettaglio di un interruttore che viene spostato dalle dita (del giovanotto)

Campo medio: da una superficie bianca (il tetto del furgone) su cui svettano Rumore meccanico degli altoparlanti La figura dei due altopardelle bandiere colorate emergono due grossi altoparlanti che si alzano lanti è antropomorfa e fa pensare a due occhi o due bocche di un essere artificiale Primo piano ripreso lateralmente e con focale lunga (sfondo fuori fuoco) di Sul passaggio di inquadratura si alza La donna non guarda in una donna con gli occhi chiusi e il volto girato verso la camera. La donna il rumore del caratteristico “fischio” macchina ma verso una apre gli occhi con leggero riverbero prodotto dagli direzione imprecisata altoparlanti Campo medio del giovanotto all’interno del furgone. Il giovanotto prende un Mentre sfuma il fischio, entra in pri- Angolazione e distanza ibicchiere di vetro tipo tumbler e dei cubetti di ghiaccio, li accosta al microfo- mo piano sonoro il rumore cristalli- dentiche a inq. 9 no e getta un cubetto nel bicchiere no e quasi metallico dei cubetti di ghiaccio che cadono nel bicchiere...

9 10:24-12:10 = 1,5”

10 12:11-13:07 = 0,5”

11 13:08-14:14 = 1”

12 14:15-16:01 = 1,5”

13 16:02-17:13 = 1,5”

Rumore dell’interruttore

Campo lunghissimo della spiaggia e dei bagnanti da una posizione legger- c.s. + rumore del portellone laterale L’angolazione di ripresa mente elevata del furgone che viene richiuso (coin- è simile a quella dell’inq. cide con il taglio finale dell’inq.) 1 ma da una posizione più elevata e arretrata (o con uno zoom più largo). Al rumore della radio accesa si sovrappone quello del portellone del furgone, anche se questo non viene inquadrato, in continuità con il sonoro dell’inq. precedente

8 9:20-10:23 = 1”

15. Il commercial televisivo

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270

Il movimento ottico e lo spostamento di focale mimano lo spostamento dell’attenzione del soggetto femminile. La caduta dei cubetti nel bicchiere viene amplificata mediante ripetizione visiva (inqq. 13-14) e sonora (inqq. 14-15-16)

17 21:08-22:18 = 1,5”

Primissimo piano del giovanotto di fronte al microfono. Il ragazzo avvicina il Silenzio collo di una bottiglietta di bibita al microfono; il suo sguardo è fisso all’oggetto e la sua bocca accenna un sorriso

16 20:08-21:07 Campo lungo di un gruppo di bagnanti con mare sullo sfondo: tutti orienta- ... si prolunga nell’inq. 15, mentre e- L’inq. ricorda alcune di = 1” no lo sguardo verso la sinistra dello schermo merge un rumore indistinto di folla quelle della prima parte, ma questa volta alla pluralità di vettori e direzioni subentra un criterio di ordinamento e un “attrattore” della complessità visiva

Viene ripreso il rumore dei cubetti di ghiaccio che cadono nel bicchiere amplificati e con un effetto di eco che...

15 18:17-20:07 = 1,30”

Primo piano ripreso lateralmente e con sfondo fuori fuoco della donna dell’inq. 12: gira la testa verso la propria sinistra. Un leggero zoom all’indietro e uno spostamento della messa a fuoco dal primo piano allo sfondo permette di distinguere che la sua attenzione è attratta dai due grossi altoparlanti emersi dal furgone che sono appunto alla sua sinistra sullo sfondo

Dettaglio del bordo del bicchiere imperlato di goccioline di umidità; in alto a ... che si prolunga in modo più evi- Viene ripreso lo schema sinistra si intravede il microfono scuro. Cadono dall’alto uno alla volta due dente nell’inq. 14 piano medio + dettaglio cubetti di ghiaccio che roteano leggermente e rimbalzano prima di fermarsi delle inqq. 9 e 10. Il dettaglio esalta le qualità sensibili visuali dei cubetti di ghiaccio innescando un’esperienza sinestesica (freschezza, fluidità della caduta, elasticità del rimbalzo ecc.)

14 17:14-18:16 = 1”

Semiotica dei media

La durata è particolarmente ampia, stante la complessità dell’azione eseguita. Il movimento di reframing verso sinistra mima quello dell’inq. precedente. Inoltre il vettore visuale dello sguardo del ragazzo, puntato verso sinistra, prolunga gli sguardi degli altri astanti e lo porta a conclusione sulla bottiglia di Pepsi

21 26:04-28:03 Primissimo piano del giovanotto di fronte al microfono, con in mano la botti= 2” glietta di Pepsi. Il ragazzo inclina la bottiglietta e inizia a versare la bibita scura nel bicchiere davanti al microfono, con lo sguardo sempre puntato sul liquido che scorre. Una leggerissima panoramica di reframing da destra a sinistra ne segue i gesti

Silenzio. Quando il liquido inizia a scorrere dalla bottiglia al bicchiere il rumore del fluido (“clop clop”) viene amplificato e ripetuto con effetto eco che...

Viene mantenuta una forte continuità nel riferimento spaziale di orientamento verso la sinistra

Primo piano del cane con il cappello-ombrello (già intravisto nell’inq. 6) che ... prolungamento e ripetizione effetto si gira verso le proprie spalle (alla sinistra dello schermo) eco nell’inq. 19...

19 24:01-25:06 = 1”

Torna la combinazione azione + dettaglio per descrivere visivamente i gesti del giovane. In questo caso il dettaglio è interpretabile come una soggettiva del giovane. Il dettaglio esalta anche in questo caso alcune qualità visuali dell’oggetto (la bottiglietta) e del modo di gestire la relazione con esso (le qualità dinamiche e ritmiche del gesto di stapparla)

20 25:07-26:03 Primissimo piano di due bambine (una delle quali con un paio di grossi oc- ... e nell’inq. 20 = 1” chiali) che guardano con attenzione e si spostano leggermente verso la sinistra dello schermo; leggero movimento di macchina di reframing con panoramica da destra a sinistra

Dettaglio della bottiglietta, al centro dell’immagine leggermente obliqua: la Nel momento in cui la bibita viene sua superficie è appannata dall’umidità; si legge in basso, ben visibile con i stappata il tipico rumore “pop” viene suoi colori bianco, rosso e blu sullo sfondo scuro della bibita, il logo “Pepsi”. amplificato e con effetto di eco, con... A sinistra è visibile il grosso microfono scuro. Sulla destra la mano del giovane con un apribottiglie stappa la bibita con un breve gesto deciso: la superficie del liquido si agita e fuoriesce lo sbuffo leggero del fumo dell’anidride carbonica (fig. 3)

18 22:19-24:00 = 1”

15. Il commercial televisivo

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Campo medio ripreso con focale lunga di alcuni bagnanti (tra cui spicca un an- ... e nell’inq. 23 ziano signore seduto) che girano lo sguardo verso la sinistra dello schermo

Primo piano dei due altoparlanti bianchi sul furgone

Campo lungo di un gruppo di bagnanti con mare sullo sfondo identica al- ... e si fonde con quello “ambientale” L’inq. riprende la 16 ma sol’inq. 16 (di cui rappresenta una sorta di continuazione): tutti i bagnanti co- delle onde del mare stituisce il movimento deminciano a muoversi verso la sinistra dello schermo (fig. 5) gli sguardi al movimento dei corpi che si spostano. Questo movimento rima con quello delle onde del mare

26 33:17-34:11 = 1”

27 34:12-35:14 = 1”

Il rumore frusciante della frizzantez- Il rinvio degli altoparlanza si prolunga... ti a due occhi o meglio a due bocche è evidente

Dettaglio del bordo del bicchiere con la bibita davanti al microfono: dall’alto ... e nell’inq. 25 si trasforma (sempre Cfr. sopra per rimandi sipiove il fiotto di bevanda scura mentre sulla superficie brulica la schiuma e amplificato) in quello frusciante del- nestesici. L’amplificazione visiva si accompagna rimbalzano verso l’alto piccoli sprizzi che rimandano alla frizzantezza (fig. 4). la frizzantezza qui a un’amplificazione temporale non legata alla resa di un’azione ma alla esibizione delle qualità sensoriali dell’oggetto bevanda

Cfr. sopra su direzione sguardi verso Pepsi

Le inqq. 22 e 23 riprendono il movimento degli sguardi verso sinistra in base a uno schema ripetitivo

25 31:17-33:16 = 2”

24 30:14-31:16” Primissimo piano del giovanotto che versa la Pepsi di fronte al microfono; il Il rumore si prolunga ancora... = 1” suo sguardo è sempre fisso sul fiotto di bibita, mentre la sua bocca si allarga in un sorriso

23 29:11-30:13 = 1”

22 28:04-29:10 Primissimo piano di un giovane disteso che si toglie gli occhiali da sole e si ... si prolunga, amplificato con river= 1” gira verso la sinistra dello schermo bero e ripetizione nell’inq. 22... Semiotica dei media

Ritorna la dialettica quadro di insieme/isolamento di un soggetto specifico e viceversa

273

Il movimento di reframing verso destra introduce un elemento di variazione, anche se lo sguardo dei soggetti è sempre orientato verso sinistra

Primissimo piano del giovanotto che davanti al microfono scosta il bicchiere Viene ripetuto per la terza volta il ru- Durata molto lunga, dodalle labbra, avvicina la bocca al microfono e parla al suo interno (fig. 7) more amplificato della deglutizione; vuta all’esibizione marsi spegne il riverbero sonoro del suo- cata di azione semplice no della deglutizione; il campo sonoro viene occupato nell’ultimissima parte dell’inq. dal suono proferito dal giovanotto. Giovanotto: “Ahhh!”

32 42:08-43:15 Campo medio lungo di un gruppo di bagnanti che si muovono con determi- Il suono “Ahhh” amplificato e pro= 1” nazione verso la sinistra dello schermo lungato diviene un tappeto sonoro quasi astratto che si estende all’inq. 32...

31 39:16-42:07 = 2,5”

30 38:04-39:15 Primo piano di una ragazza tra la folla, ripresa con focale lunga, che guarda ... che viene ripreso, amplificato e ri= 1,5” verso la sinistra dello schermo e si sposta verso la destra: movimento di pa- petuto noramica di reframing da sinistra a destra. La bocca della ragazza esprime una sensazione di sete (si passa la lingua sulle labbra che poi contrae). Negli ultimi fotogrammi un volto sfuocato in primo piano si sovrappone all’immagine della ragazza (esibizione della ripresa a distanza con focale lunga)

29 36:07-38:03 Primissimo piano del giovanotto che davanti al microfono accosta il bicchie- Silenzio. Nuovamente temporalità = 2” re alle labbra e inizia a bere la bibita. Leggero movimento di reframing con Nella parte finale rumore della de- lunga su atti di consumo panoramica questa volta da destra a sinistra (fig. 6) glutizione del liquido... del prodotto. Andamento ripetitivo del sonoro a onde progressive: silenzio, avvio, amplificazione/riverbero/eco, nuovo silenzio; ma l’ondata del suono è sempre più ampia (si è fusa con rumori ambientali)

28 35:15-36:06 Primissimo piano di un giovane (sempre ripreso con focale lunga ed effetti c.s. = 0,5” di messa a fuoco) che si passa le mani in testa mentre esce dall’acqua per dirigersi verso la sinistra dello schermo

15. Il commercial televisivo

274 Primo piano del giovane di spalle mentre apre il portellone posteriore del furgone in cui si intravedono varie casse di Pepsi Cola, il logo ben esibito sulle cassette. Il ragazzo calza in testa un berretto su cui campeggia ancora il logo Pepsi, mentre si volta e parla sorridendo alla folla (fig. 8)

Campo lungo inquadrato leggermente dall’alto con angolazione laterale rispetto al furgone e alla folla che lo circonda. Un movimento ottico di zoom all’indietro scopre gradualmente la spiaggia ora deserta e ancora cosparsa di ombrelloni e asciugamani, sulla quale si aggira un bagnante solitario. La parte finale dell’inquadratura riprende esattamente la posizione della macchina dell’inq. 33. Mentre ancora procede il movimento di zoom all’indietro, entra dalla parte inferiore dello schermo e con un effetto di progressivo rimpicciolimento la scritta “Pepsi” che va a posizionarsi al centro dell’immagine: tale posizionamento coincide con la fine del movimento di zoom all’indietro. Poco prima che tale equilibrio si produca entrano dai due lati due strisce formate da tre righe bianche che vanno a posizionarsi sotto la scritta Pepsi e si trasformano nella scritta, distribuita su due righe, “The choice of / a new generation” (fig. 9) Dissolvenza in nero

Le grida della folla, in continuità con l’inq. precedente, diminuiscono di volume mentre lo zoom si allontana. In concomitanza con l’apparizione delle sovrascritte grafiche una voice over dalla qualità leggermente roca e aspra recita “Pepsi. The choice of a new generation”

Il sistema di accenti della voice over isola la dizione “Pepsi” e prolunga i suoni della parola “new”

* La durata viene espressa in questo caso usando il time code di un programma di montaggio. Tali programmi indicano con la cifra a sinistra dei due punti i secondi e con la cifra a destra il numero di fotogrammi cinematografici (24 al secondo: non quindi i decimi di secondo); abbiamo tradotto la durata in secondi arrotondando al mezzo secondo. ** Per la prima inquadratura indichiamo la lista completa degli indicatori; nelle inquadrature successive semplifichiamo la trascrizione e non indichiamo gli elementi persistenti rispetto alle inquadrature precedenti (per esempio non ripeteremo che la camera rimane fissa, ma indicheremo solo in casi in cui è presente un movimento di macchina). Per alcune indicazioni relative alla scala dei piani e agli altri indicatori cfr. Vincenzo Buccheri, Il film. Dalla sceneggiatura alla distribuzione , Carocci, Roma 2003 e David Bordwell, Kristin Thompson, Film Art. An Introduction , 8th ed., McGraw-Hill, New York-London 2008 (trad. della 6a ed.: Cinema come arte. Teoria e prassi del film , Il Castoro, Milano 2003).

36 50:09-56:12 = 6”

La posizione è simile all’inq. 9 ma spostata verso sinistra in modo da inquadrare il furgone parcheggiato sul ciglio della spiaggia, verso la sinistra dello schermo

Mentre si spegne il riverbero del- Durata molto lunga, legata l’“Ahhh”, rumore del portellone che vie- soprattutto alla esibizione prolungata del logo ne aperto. Dopo un attimo di silenzio: Giovanotto: “Ok! Who’s the first?”

Campo lunghissimo della spiaggia e dei bagnanti da una posizione leggermente ... e all’inq. 33 elevata simile all’inq. 9. Spostamento massiccio dei bagnanti verso il furgone che si intravede in fondo, sulla sinistra dello schermo

35 49:04-50:08 Campo medio lungo inquadrato dall’alto del retro del furgone, con il giovane da- Grida della folla = 1” vanti, e la folla che lo circonda. Il protendersi delle mani e l’avanzamento dei corpi crea un forte elemento di convergenza verso il retro del furgone e le bottiglie di Pepsi

34 45:21-49:03 = 4”

33 43:16-45:20 = 2”

Semiotica dei media

15.

Il commercial televisivo

figura 2

figura 3

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Semiotica dei media

figura 4

figura 5

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Il commercial televisivo

figura 6

figura 7

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Semiotica dei media

figura 8

figura 9

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15.

Il commercial televisivo

3. Who’s the first? Le relazioni con il mondo indiretto 3.1. Le relazioni con gli oggetti del mondo indiretto La comunicazione

pubblicitaria ha la finalità di persuadere all’acquisto e al consumo di un determinato prodotto, e questo prodotto è molto spesso un oggetto materiale. Di conseguenza essa implica spesso la presenza nel mondo indiretto di un oggetto e la costituzione di una relazione (qualificata come positiva e euforica) tra questo oggetto e il soggetto dell’esperienza. Tale relazione tra soggetto e oggetto tende a essere centrale, nel senso che anche le relazioni di condivisione o di non condivisione con i soggetti del mondo indiretto sono determinate e ordinate dalla relazione tra questi e l’oggetto-prodotto: per esempio il commercial tenderà a istituire una relazione di condivisione tra lo spettatore e i personaggi che vivono una relazione positiva ed euforica con l’oggetto-prodotto, in modo da rinforzare la relazione positiva tra il prodotto e lo stesso spettatore. Questa centralità della relazione tra il soggetto dell’esperienza e uno o più oggetti del mondo indiretto ci permette di portare alla luce un aspetto dell’esperienza mediale rimasto in ombra nella seconda parte: la relazione non più solo con altri soggetti, quanto piuttosto con alcuni oggetti. Nel riflettere su tale esperienza di relazione possiamo riprendere quanto abbiamo detto al cap. 4 sull’andamento dei processi sensoriali (cfr. in particolare par. 3). Anzitutto percepire un oggetto è un processo attivo: se guardo una bottiglietta di Pepsi di fatto simulo l’esperienza somatica e sensomotoria dell’afferrarla, del maneggiarla, dello strapparla, del berne il contenuto; questo vuol dire che tra il guardare la bottiglietta, il prepararmi a usarla, il guardare qualcun altro che la stappa e ne beve il contenuto e l’eseguire io stesso l’azione c’è un legame di continuità. In secondo luogo i processi sensoriali sono multimodali e intermodali: essi coinvolgono e connettono canali sensoriali differenti; anche i processi di simulazione incorporata di cui abbiamo appena parlato possono essere innescati solo da un senso (per esempio la vista o l’udito), ma richiamano tutto il complesso intermodale che caratterizza l’esperienza dell’oggetto. Ci è sufficiente guardar bere la Pepsi per innescare un sistema sensoriale complesso, in cui per esempio hanno un peso notevole i dati gustativi (e lo stesso fanno i bagnanti sulla spiaggia a partire dai soli elementi sonori). In terzo luogo i processi sensoriali consistono nell’intreccio di due ordini di attività: la percezione di alcuni oggetti intenzionali e la sensazione di qualità soggettive; di conseguenza nella percezione dell’oggetto sono intrecciate la simulazione di una sequenza di azioni percepite (l’afferrare la bottiglietta, lo stapparla con un gesto deciso ecc.) e quella di un alternarsi re279

I processi sensoriali e la costituzione di relazioni pratiche e sensibili con gli oggetti

Semiotica dei media

Gli oggetti sono microsceneggiature di esperienze

golato di qualità sentite (la freschezza, il sapore dolce e il senso di frizzantezza ecc.). Iniziamo a comprendere in cosa consistono la costituzione e la regolazione di una relazione tra il soggetto dell’esperienza e l’oggetto-prodotto del mondo indiretto. L’oggetto viene costituito come il ricettacolo di una sceneggiatura esperienziale, il tracciato di un’esperienza viva dotato sia di un versante sensibile che di un versante pratico, disponibile ad essere attivato dal soggetto e per il soggetto. Lo spettacolo televisivo dell’uso del prodotto e delle sensazioni che se ne ricavano, pur limitato alle sole modalità della vista e dell’udito, permette allo spettatore di ricostruire l’intero sistema multimodale e intermodale di questo tracciato esperienziale che costituisce l’identità dell’oggetto. Possiamo dire in questo senso che la comunicazione pubblicitaria è una palestra dei processi sensoriali, perché ci insegna cosa possiamo e dobbiamo aspettarci in termini esperienziali dagli oggetti che ci circondano. Soffermiamoci, per esempio, sulla relazione che lega il soggetto con l’oggetto-bibita nel commercial della Pepsi. Essa si configura come un’esperienza simulata del prodotto e soprattutto delle sue qualità sensibili: il versante percettivo e pratico è in tal caso dominato da quello sensibile e qualitativo. Così, l’esibizione visiva e sonora di alcuni dettagli della bibita attiva in forma di simulazione incorporata alcune csc (configurazioni sensibili complesse, o diagrammi sensibili) all’interno delle quali le qualità visive e sonore sono correlate a qualità tattili e gustative che godono di un valore fortemente positivo. I dettagli della bottiglietta imperlata di goccioline, il rumore della bottiglietta stappata, il liquido bruno che fluisce dolcemente nel bicchiere e lo strato brulicante di schiuma frizzante (inqq. 18, 21 e 24-25: fig. 4) svolgono appunto il compito di richiamare una competenza sensoriale dello spettatore legata al consumo effettivo di una bibita gasata fresca, con tutti gli investimenti euforici che tale esperienza implica. La costituzione di una simile relazione è a sua volta finalizzata strategicamente a una valorizzazione della bibita agli occhi (e alle orecchie, alle mani e alla bocca) dello spettatore 2. 3.2. Le relazioni con i soggetti del mondo indiretto Come abbiamo accennato

sopra, la costituzione di una relazione con il prodotto-oggetto è centrale nella comunicazione pubblicitaria: anche le relazioni con i soggetti sono funzionali al rafforzamento della relazione di base con l’oggetto. Per ren2. Si osservi in ogni caso il radicamento culturale tanto dell’individuazione delle qualità visivosonore che attivano la configurazione sensibile (la patina umida, la schiuma ecc.), quanto degli investimenti valoriali positivi: sappiamo bene come i criteri del gusto siano relativi all’appartenenza culturale, etnica, sociale e talvolta familiare.

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15.

Il commercial televisivo

derci conto di questo principio, torniamo al nostro commercial Pepsi: possiamo individuare due tipi di relazioni con i soggetti del mondo indiretto. Da un lato troviamo una relazione di condivisione con il soggetto del mondo indiretto che vive l’esperienza di consumo del prodotto. Al centro dell’attenzione sta il personaggio del giovanotto-Pepsi inquadrato in primissimo piano nell’atto di consumare la bibita (inqq. 29 e 31: figg. 6 e 7). Le conformazioni percepibili del suo corpo, sia visive che sonore (i rumori amplificati della deglutizione e dell’“ahhh!” finale), fanno avvertire allo spettatore lo svolgersi di un’esperienza sensoriale soggettiva molto piacevole che può essere non solo compresa, ma parzialmente condivisa a partire dalla competenza sensibile comune al personaggio e allo spettatore stesso, appena riattivata nello spettatore dall’esibizione del prodotto. Anche in questo caso dunque la costituzione della relazione risponde a una strategia di valorizzazione del prodotto: viene esibito non più il prodotto con le sue qualità sensibili, ma un soggetto del mondo indiretto nell’atto di vivere un’esperienza viva e appagante di consumo; soggetto con il quale lo spettatore innesca una relazione di condivisione facendo interagire meccanismi di inferenza e di consonanza sensibile (cfr. cap. 8, par. 4.2). Dall’altro lato troviamo una relazione di condivisione con i soggetti del mondo indiretto che vivono (la maturazione di) un desiderio di consumo del prodotto e che di conseguenza pianificano e mettono in atto alcuni comportamenti di acquisto. La posizione centrale spetta in tal caso alla folla di bagnanti che, dapprima indifferenti, vengono poi attratti dall’esibizione sonora amplificata del consumo della Pepsi e orientano quindi verso il prodotto e il suo acquisto dapprima lo sguardo, poi il corpo (le inqq. sono molto numerose: si considerino per esempio le inqq. 16 e 27: fig. 5). Gli elementi che incoraggiano la condivisione tra lo spettatore e la folla di bagnanti sono numerose. Lo spettatore percepisce anzitutto che tanto lui stesso quanto la folla di personaggi del mondo indiretto stanno vivendo una situazione di comunicazione mediata: come quella dello spettatore, l’esperienza della folla viene attivata a partire da un dispositivo tecnologico (il sistema di amplificazione usato dal giovanotto-Pepsi). Inoltre lo spettatore percepisce un sincronismo nella maturazione del desiderio del prodotto tra sé stesso e la folla. Infine, la folla viene presentata come un soggetto collettivo, unificato da una medesima esperienza e dalla costituzione di stati mentali condivisi; al tempo stesso al suo interno vengono isolate, con un meccanismo di sineddoche, singole figure esemplari (la donna delle inqq. 12 e 15; il cane con il cappello-ombrello delle inqq. 6 e 19, le bimbe dell’inq. 20, il giovane dell’inq. 22, la ragazza dell’inq. 30): questo doppio movimento incoraggia lo spettatore a sentirsi parte di questo pubblico messo in scena dal commercial. Di nuovo: lo stabilirsi di una relazione di condivisione tra spettatore e folla rappresentata è funzionale a rafforzare e stabilizzare la 281

La relazione di condivisione con i personaggi che fanno esperienza dei prodotti

La relazione di condivisione con i personaggi che desiderano fare esperienza dei prodotti

Semiotica dei media

Il coordinamento tra gli assi di relazioni con l’oggetto e i soggetti

Costruzione di relazioni di condivisione e strategie persuasive

Il dispositivo persuasivo

valorizzazione del prodotto-bibita e a innescare comportamenti imitativi di acquisto. In sintesi dunque la costituzione delle relazioni tra il soggetto dell’esperienza mediale e gli oggetti e i soggetti del mondo indiretto sono funzionali, nel messaggio pubblicitario, alla messa in atto di differenti strategie di valorizzazione dell’oggetto-prodotto. Notiamo a questo proposito che i tre assi relazionali individuati nel commercial Pepsi (con l’oggetto-bibita, con il soggetto-giovanotto e con i soggetti-bagnanti) e le relative strategie di valorizzazione sono strettamente coordinati e organizzati reciprocamente in modo da non interferire l’uno con l’altro, ma al contrario da rafforzarsi a vicenda. Tale coordinamento riguarda sia la dimensione temporale che quella spaziale. Dal punto di vista temporale si osservi il ritorno “a loop” della struttura primo piano del giovanotto-Pepsi/dettaglio del prodotto/ piani medi e lunghi della folla/primi piani di singoli bagnanti/primo piano del giovanotto-Pepsi ecc. In tal modo i tre assi di relazioni vengono alternati in modo ordinato e serializzato. Dal punto di vista spaziale i tre tipi di relazione vengono coordinati in una mappa coerente: i totali della spiaggia mostrano sguardi (o, nella parte finale, movimenti di corpi) che puntano coerentemente verso la sinistra dello schermo; questi sguardi e movimenti si prolungano all’interno del furgone con i primi piani dello sguardo del giovanotto-Pepsi che fissa attentamente la bottiglietta della bibita (in alcuni casi anche la panoramica di reframing della macchina da presa da destra a sinistra accentua questo movimento di tensione verso la sinistra dello schermo implicito nei raccordi di sguardo: per es. inqq. 20-21); infine i dettagli che esprimono le soggettive del giovanotto sul prodotto Pepsi Cola concludono questo percorso di sguardo indicandone l’oggetto ultimo: il prodotto-bibita. Il flusso di sguardo che parte dalla folla, passa attraverso il giovanotto-Pepsi e raggiunge il prodotto, esprime il movimento di desiderio che anima il commercial e che regola le sue relazioni cognitive, emotive e pratiche con lo spettatore. 3.3. La diegetizzazione del dispositivo di persuasione Se a questo punto allar-

ghiamo la nostra attenzione ad altri commercial, ci accorgiamo che i tre tipi di strategia di valorizzazione che abbiamo individuato si ritrovano generalmente adoperati in forma isolata o in coppia, ma raramente tutti insieme. Alcuni commercial esibiscono la fabbricazione o il consumo del prodotto esaltandone le qualità sensibili; altri sottolineano le reazioni positive di soggetti nell’atto di usare il prodotto; altri ancora infine usano dei testimonial impegnati a dichiarare il loro apprezzamento per il prodotto e quindi a consigliarne l’uso. La ragione della completezza e complessità del commercial Pepsi sta, a ben vedere, in una caratteristica peculiare dello spot che abbiamo scelto: esso mette in scena lo stesso meccanismo pubblicitario di cui è parte. Il ruolo 282

15.

Il commercial televisivo

Semiotica, marketing, pubblicità Fin dal suo avvio la semiotica contemporanea ha rivolto la propria attenzione ai messaggi pubblicitari: Barthes (1964) e Eco (1968, pp. 167-8) analizzano rispettivamente un annuncio della pasta Panzani e un gruppo di annunci Camay, Volkswagen, Knorr (per una rilettura di questi interventi cfr. Marrone, 2003). Le ragioni di una simile attenzione segneranno il destino successivo della semiotica della pubblicità: i due autori mettono in luce (pur con accenti diversi) il carattere altamente convenzionale e codificato degli annunci pubblicitari a stampa; e quindi la loro capacità di veicolare, confermare e al tempo stesso documentare codici e valori socialmente diffusi. In questo senso la semiotica della pubblicità riproduce al proprio interno in modo molto evidente quella tensione dialettica tra i sistemi di significazione e i processi di significazione propria di tutta la ricerca semiotica (cfr. La semiotica e il suo sviluppo: segno, testo, esperienza, pp. 61-2). Un’attenzione ai sistemi di significazione (e dunque ai linguaggi, ai valori e alle ideologie) prevale nel mondo anglosassone durante gli anni settanta e i primi anni ottanta. I lavori di Williamson (1978), Goffman (1976), Dyer (1982), Leiss, Kline, Jhally (1986), Jhally (1987) sottolineano la funzione di riproduzione dei dati culturali svolta dalla pubblicità all’interno del mondo sociale; ne risultano sminuite tanto le attività di ricezione quanto le dinamiche processuali dei testi pubblicitari. Proprio questi aspetti legati ai processi di significazione vengono valorizzati dalla semiotica francese di scuola greimasiana, in particolare con il lavoro di Jean-Marie Floch, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta (cfr. Floch, 1985, 1990). Viene superata un’attenzione focalizzata sui singoli annunci pubblicitari o televisivi, mentre si fa strada un più ampio e complesso interesse per i fenomeni intertestuali che costruiscono l’identità di brand (Floch, 1995; Semprini, 1992, 1995; Lombardi, 2001) e per i vari elementi del marketing mix (Umiker-Sebeok, 1987; Grandi, 1995; Ceriani, 2001). Anche le relazioni tra comunicazione pubblicitaria e contesto sociale vengono letti in chiave dinamica e di scambio reciproco dalle analisi sociosemiotiche di questo periodo (cfr. per esempio Landowski, 1989; Colombo, 1989; Giaccardi, 1995; Semprini, 1997, 2003; Eugeni, Fumagalli, 1999). Questo orientamento non dimentica d’altra parte un esame dei sistemi di significazione pubblicitaria, in particolare per le articolazioni di valore soggiacenti: sulla scorta di Floch (1990), Semprini (1992) individua quattro grandi aree valoriali: pratica, utopica, critica e ludica; mentre Ferraro (1998, 1999) evidenzia quattro regimi discorsivi di valorizzazione: casuale, posizionale, prospettico e multiprospettico. Più recentemente questi mapping semiotici dei valori si sono rivelati anche un utile strumento per prevedere le tendenze in atto, soprattutto del mondo giovanile (Ceriani, 2007; Proni, 2007). A partire dalla seconda metà degli anni novanta il paradigma esperienziale è emerso con forza anche all’interno della semiotica della pubblicità e del marketing; ne è risultato un orientamento ancor più deciso in direzione di uno studio dei pro-

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cessi piuttosto che dei sistemi. I segnali più evidenti sono tre. In primo luogo l’attenzione si focalizza sugli aspetti estesici (ovvero legati alla sensazione e al sentire) ed emozionali della pubblicità (cfr. per es. Melchiorri, 2002; Finocchi, 2006). In secondo luogo l’attenzione si allarga alle pratiche e alle esperienze di acquisto e di consumo dei prodotti da parte dei soggetti sociali (Pezzini, Cervelli, 2006; Ferraresi, Parmiggiani, 2007; Marsciani, 2007). In terzo luogo la semiotica della pubblicità incontra la semiotica degli oggetti, in quanto il prodotto stesso viene pensato, in riferimento alle differenti forme esperienziali che esso procura all’interno del tessuto della vita quotidiana, quale componente della propria comunicazione (cfr. Pozzato, 1995; Landowski, Fiorin, 1997; Nacci, 1998; Semprini, 1999; Landowski, Marrone, 2002; Deni, 2002; Fontanille, Zinna, 2006; Mattozzi, 2006; Mangano, 2008; Marrone, 2010). In senso più ampio e comprensivo, la semiotica è giunta di recente a interessarsi al marketing esperienziale, e ad analizzare i modi mediante i quali differenti Experience Provider controllati da un brand (messaggi pubblicitari, spazi di acquisto, packaging, prodotti ecc.) svolgono un’attività complessa e sinergica di Experience Management del soggetto-cliente, attività opportunamente progettabile (cfr. Ferraresi, Schmitt, 2006).

della comunicazione pubblicitaria consiste infatti nell’inserirsi all’interno di situazioni ordinarie della vita quotidiana; sollecitare l’attenzione del pubblico; raffigurare in modo evidente l’uso gratificante di alcuni oggetti, beni o servizi; attivare quindi nei destinatari il desiderio di sperimentare una relazione simile con tali oggetti mediante la pianificazione e attuazione di comportamenti di acquisto e consumo. Se il lettore ripercorre il comunicato si accorge che questo procedimento costituisce la sua ossatura narrativa: il commercial intende persuadere al consumo della Pepsi raccontando una storia di persuasione al consumo della Pepsi. Questo commercial mette dunque in atto una diegetizzazione del dispositivo persuasivo della comunicazione pubblicitaria. 4. The choice of a new generation. Le relazioni con il discorso Spostiamo ora la nostra attenzione alle relazioni del soggetto dell’esperienza mediale con i soggetti del discorso; riprendiamo in tal modo alcune questioni affrontate al cap. 9. Se rileggiamo la trascrizione dello spot ci accorgiamo che molto spesso, soprattutto in riferimento alle immagini della folla dei bagnanti, abbiamo sottolineato una particolare qualità visiva dell’immagine, derivante a sua volta da una scelta tecnica: l’uso di focali lunghe permette di inquadrare una certa scena a distanza; l’effetto visivo che ne deriva è quello di un’immagine “multiplanare”, in cui un determinato strato visuale viene tenuto a 4.1. Le relazioni fiduciarie con i soggetti del discorso

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fuoco mentre altri strati sovrapposti o di sfondo sono più o meno leggermente fuori fuoco. L’uso di focali lunghe emerge lungo tutto il commercial: per esempio nell’inq. 15 lo spostamento di fuoco permette di muovere l’attenzione dal primo piano della donna agli altoparlanti alle sue spalle; i numerosi primi piani di soggetti inquadrati tra la folla vengono isolati in quanto lo sfondo resta fuori fuoco; particolarmente interessante l’inq. 30: la macchina, nel seguire la ragazza che si sposta, incrocia altri soggetti fuori fuoco che ne limitano parzialmente la visibilità; infine l’ultima inquadratura, la 36 (fig. 9), sembra quasi svelare esplicitamente l’uso della focale lunga mediante lo zoom all’indietro che, partendo dal furgone assediato dalla folla di acquirenti, arretra a inquadrare l’intera spiaggia ormai deserta. Sarebbe tuttavia limitante considerare l’uso della focale lunga un semplice espediente tecnico ed estetico. Pur facendo parte di uno stile audiovisivo ampiamente diffuso nel cinema americano alla fine degli anni ottanta, tale uso deriva dal cinema documentario: la sua pratica richiama l’idea di un’attività di registrazione “a distanza”, capace di riprendere la scena osservata senza intervenire su di essa manipolandone gli andamenti. Anche il sonoro realistico (la radio gracchiante, i rumori amplificati, l’assenza di una colonna musicale “over”) partecipa di tale stile e ne rafforza i caratteri. Ne deriva una conseguenza importante per lo statuto del soggetto della produzione discorsiva, garante come sappiamo dei valori di verità del discorso (cfr. cap. 9, par. 5): tale soggetto si mostra allo spettatore nell’atto di riferire fedelmente una scena del cui andamento non è responsabile. Di qui una relazione di forte “fiducia veridittiva” tra il soggetto dell’esperienza mediale e il soggetto della produzione discorsiva 3. Questa considerazione può essere estesa al soggetto dell’intreccio: anche in questo caso il commercial costruisce una relazione fiduciaria, giocata però sul valore estetico del discorso. Per un verso abbiamo già detto che molte scelte stilistiche richiamano quelle del nuovo cinema americano del periodo: il cinema dei Coppola, dei Lucas e degli Spielberg aperto alle contaminazioni con le nouvelles vagues europee e con il cinema-verità, e particolarmente apprezzato in quegli anni da una “new generation” di spettatori. Per altro verso il fatto di essere un commercial “al quadrato”, capace di mettere in scena lo stesso meccanismo della persuasione pubblicitaria, ha delle conseguenze interessanti per quanto concerne la relazione fiduciaria con il soggetto dell’intreccio: l’uso dell’ironia offre allo spettatore una complicità che richiama una condivisione stretta di valori, competenze e consapevolezze. Sintomatico sotto questo aspetto il personaggio del giovanotto-Pepsi che, nell’incarnare all’interno del mondo indiretto il soggetto del discorso, ne mette in rilievo il carattere ironico e quasi beffardo. 3. In questo senso la figura sociosemiotica del “documentarista” è simile a quella del “cronista” che abbiamo delineato nel cap. 11, par. 4.

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La relazione di fiducia veridittiva

La relazione di fiducia estetica

Semiotica dei media Costruzione di relazioni fiduciarie e strategie persuasive

La marca come metasoggetto del discorso

In sintesi: se la costituzione delle relazioni con oggetti e soggetti del mondo indiretto era funzionale a strategie di valorizzazione del prodotto, la costituzione delle relazioni con i soggetti del discorso appare funzionale alla messa in atto di strategie di fiducia che vedono coinvolto lo spettatore. Le due principali strategie emerse sono quella di una fiducia veridittiva, propria dei comunicati che esaltano la “verità” di quanto lo spettatore sta vedendo (tipicamente, si parla di slice of life per indicare un genere di commercial che pretende di essere uno specchio fedele di piccole situazioni di vita quotidiane); e quella di una fiducia estetica, propria dei comunicati che sottolineano la condivisione di stili di gusto tra spettatore e soggetti del discorso (si pensi agli stili pubblicitari più “di tendenza” ed estetizzanti). Se allarghiamo lo sguardo ad altri commercial ci accorgiamo che in genere essi puntano sull’una e sull’altra di tali strategie fiduciarie: anche sotto questo aspetto lo spot della Pepsi si conferma come un esempio particolarmente ricco e complesso. 4.2. Le relazioni fiduciarie con la marca Soffermiamoci ora sulle apparizioni nel commercial del logo della Pepsi Cola, il brand che produce la bibita al centro dello spot. L’apparizione del brand è graduale. Il furgone che arriva sulla spiaggia è bianco e del tutto anonimo, né particolari segnali nell’abbigliamento del giovanotto che ne discende indicano che si tratta di un venditore di Pepsi Cola. Il logo appare per la prima volta nell’inq. 18, allorché il giovanotto stappa la bottiglietta e un dettaglio in soggettiva lo inquadra sulla superficie umida della bottiglia 4 (fig. 3). Una volta introdotto, esso scompare ancora fino alle inqq. 34 (fig. 8) e 35, ovvero verso la conclusione del commercial: qui nelle due lunghe inquadrature finali il logo appare dapprima in forma ripetuta sulle casse di bibite nel retro refrigerato del furgone, quindi sul cappellino che il giovanotto si pone in testa; infine il solo nome Pepsi ritorna nel claim finale scritto in sovrimpressione e pronunciato dalla voice over (fig. 8). Lo statuto di questo logo e in genere della Pepsi è a ben vedere ambiguo. Per un verso esso “marchia” alcuni oggetti del mondo indiretto, e in particolare la bibita di cui viene esibito il consumo. Per altro verso la posizione finale del logo e del nome Pepsi “marchia” il discorso stesso e figura come una sua firma conclusiva: la Pepsi non appare più solo come la bibita mostrata, ma come il soggetto che rivendica la responsabilità ultima del discorso, dei suoi svolgimenti e delle sue articolazioni. Il brand Pepsi passa dunque da oggetto del discorso a soggetto del discorso stesso; più esatta4. Esso appare contornato da una forma trapezoidale, con una parte rossa a sinistra e una blu a destra che delimitano un cerchio: al suo interno una parte rossa superiore e una blu inferiore vengono separate da una forma bianca rettangolare e a forma di onda che contiene la scritta blu scuro in caratteri maiuscoli arrotondati “pepsi”.

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mente, possiamo parlare del brand Pepsi come di un “metasoggetto del discorso” (cfr. cap. 12, par. 4). Con questo termine intendiamo tre aspetti differenti e complementari. In primo luogo la Pepsi è un metasoggetto del discorso in quanto riassume e riassorbe in sé le relazioni fiduciarie costituite tra lo spettatore e i soggetti della produzione e dell’intreccio, che abbiamo esaminato nel paragrafo precedente. L’emergenza finale del brand rappresenta una sorta di rinuncia a una maschera e di rivelazione del vero e autentico responsabile ultimo del discorso: le relazioni fiduciarie già maturate, sia di tipo veridittivo che di tipo estetico, non scompaiono ma vengono fatte proprie dal nuovo soggetto rappresentato dal brand. Al tempo stesso, il brand con il suo apparire si fa garante di tali relazioni e dunque rafforza il legame fiduciario con lo spettatore 5. Si tratta di una strategia comunicativa usuale nella pubblicità: il brand adopera solitamente le zone iniziali e finali dei comunicati per affermare la propria responsabilità discorsiva ultima. In secondo luogo Pepsi in quanto brand è un metasoggetto del discorso perché collega tra loro differenti commercial e differenti manifestazioni discorsive. Lo stesso pay off finale “The choice of a new generation” ricorre in tutti gli spot prodotti tra il 1984 e il 1991 e rimanda a un complessivo rinnovamento del brand nel contesto della “Pepsi Challenge” contro la Coca Cola. In questa fase della sua evoluzione di marketing i responsabili della Pepsi stanno rinnovando profondamente l’identità del brand e puntano su connotazioni di giovinezza, freschezza, bevanda di tendenza ecc. Una simile operazione passa per molte e articolate mosse: un nuovo design del logo, l’ingaggio di alcuni cantanti pop-rock (Michael Jackson in primis) in qualità di testimonial, l’adozione di un visual design degli spot improntato a un’estetica contemporanea ecc. In quest’ottica lo stesso prodotto offerto dal brand (in questo caso la bibita) è considerabile come un discorso teso a produrre una certa esperienza standardizzata: esiste un’assoluta continuità tra la comunicazione mediata dei commercial, la comunicazione semi-mediata degli eventi organizzati da Pepsi (per esempio i concerti di Michael Jackson) e l’esperienza diretta del punto vendita (i frigo Pepsi), del packaging (la bottiglietta) e del prodotto (il liquido della bibita). Passiamo qui alla terza ragione per cui il brand Pepsi è un metasoggetto del discorso: esso si ritrova sia all’interno di esperienze mediali (la bottiglietta Pepsi del commercial e la firma Pepsi dei differenti comunicati della campagna pubblicitaria) sia all’interno di espe5. In questo senso il brand è al tempo stesso simile e differente dal metasoggetto che si manifesta mediante un formato metadiscorsivo, come la “Direzione del periodico” incontrato al cap. 12. Simile perché anche in questo caso si tratta di un responsabile ultimo della discorsività; differente in quanto la sua apparizione è locale e solo a posteriori riferibile all’insieme del discorso.

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La marca riassorbe le relazioni fiduciarie

La marca coordina differenti manifestazioni discorsive

La marca media il passaggio dal mondo indiretto al mondo diretto

Semiotica dei media

rienze non mediali che si svolgono nel mondo diretto (la bottiglietta Pepsi nella sua materialità e il suo consumo effettivo). Il brand si pone e viene percepito come responsabile e garante della trasferibilità coerente dell’esperienza mediale all’interno dell’esperienza diretta 6; nell’assicurare con la propria costante e riconoscibile presenza questa coerenza, il brand costruisce la propria unitarietà e riconoscibilità (o al contrario, in casi negativi, la propria frammentazione e ambiguità). Percorsi di approfondimento Per una ricognizione generale dei problemi (non solo semiotici) relativi alla pubblicità si possono vedere Abruzzese, Colombo (1994) e Ferraresi, Mortara, Sylwan (2007). Una rete ampia e differenziata di interventi è in Grasso (2000). Alcuni manuali di semiotica della pubblicità sono Beasley, Danesi (2002); Volli (2003, 2005) (di taglio greimasiano); Bianchi (2005) e Saba (2006) (concentrati sugli spot pubblicitari). Un ottimo punto di partenza è Traini (2008). Sullo spot (e il trailer, il banner ecc.) come “forme (discorsive) brevi”, Pezzini (2002). Più in particolare sulla marca si vedano Musso (2005), Ferraresi (2008), Lombardi (2007) e soprattutto Marrone (2007), una sintesi ragionata della semiotica della pubblicità. Un confronto tra autori “pro-logo” e autori “no-logo” è in Mariano, Megido (2007). Sulla comunicazione di impresa in termini più generali, Bettetini (1993). Per altri aspetti più specifici rimandiamo ai testi citati nella parte finale di Semiotica, marketing, pubblicità, pp. 283-4.

Quaderno degli esercizi Esplora la tua casa e prendi nota di oggetti e prodotti che compongono il tuo ambiente di vita (mobili, vestiario, cibi e bevande, profumi e deodoranti, elettrodomestici ecc.). Quali e quanti di questi sono riconducibili a una marca e a un’attività di comunicazione pubblicitaria?



6. Questo ruolo del brand dipende dalla natura fattuale dell’esperienza di fruizione di messaggi pubblicitari, ovvero dalla continuità percepita tra mondo indiretto e mondo diretto (cfr. cap. 2, par. 3.4): nel seguire uno spot siamo consapevoli che si tratta di una vicenda fittizia; ma al tempo stesso sappiamo che quella vicenda vuole comunicarci qualche cosa che riguarda il mondo in cui viviamo, che essa ci riguarda e ci tocca: che non parla solo a noi ma parla anche di noi. Non a caso il discorso pubblicitario è stato affrontato anche con gli strumenti della retorica, la disciplina che per prima si è occupata del discorso persuasivo, ovvero di un discorso che è ritenuto in radice essere responsabile di una trasformazione del mondo in cui viene pronunciato; in particolare l’ampio uso delle forme narrative nella pubblicità contemporanea mette in luce il carattere di exemplum del messaggio pubblicitario, accomunandolo a generi discorsivi del passato oggi dimenticati di cui tuttavia esso rappresenta la versione contemporanea: dalla predicazione medioevale alla precettistica seicentesca.

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Isola una categoria merceologica di oggetti, per esempio quelli dedicati alla cura e all’igiene della persona. Prova a mappare i valori in base ai quali la comunicazione ne ha costruito una desiderabilità (valori sensibili, sociali, relazionali ecc.). Procurati il maggior numero di manifestazioni discorsive di uno o più prodotti della categoria che hai scelto: spot pubblicitari televisivi e/o radiofonici, annunci a stampa, affissioni ecc. Analizza anche il packaging del prodotto facendo attenzione alla complessità esperienziale (visiva, olfattiva, tattile) che viene di volta in volta articolata. Mediante quali dinamiche e strategie vengono richiamati e collegati al prodotto i valori del mapping? Come viene costruito il legame relazionale fiduciario con i soggetti del discorso e con il metasoggetto del brand? Recati ad analizzare un punto vendita del prodotto (meglio se il brand del prodotto possiede negozi propri in franchising): in che modo l’articolazione dello spazio, il design dei mobili di esposizione, i colori scelti per le parti e il mobilio, le divise dei venditori, fattori ambientali quali illuminazione, temperatura, profumi ecc., compongono una esperienza di accostamento al prodotto? Che legami esistono fra tale esperienza e il mapping di valori e le strategie sia di valorizzazione che fiduciarie veicolate dai comunicati sul prodotto? Recati a mangiare presso un fast food (per esempio un MacDonald’s). Come viene preparata l’esperienza del pasto nello spazio del locale? Come si presenta visivamente e olfattivamente il panino che hai scelto? C’è continuità o discontinuità tra l’esperienza di ingerimento simulata nei materiali pubblicitari e quella effettiva (analizza i differenti dati tattili, olfattivi, di gusto, visivi e anche uditivi)?









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16 Il videogioco

1. Premessa Questo capitolo si occupa dell’analisi semiotica del videogioco. Le nostre considerazioni risultano comunque utili per affrontare con strumenti semiotici il più ampio campo dei nuovi media digitali, caratterizzati da alcuni tratti salienti: interattività con il fruitore; convergenza e interazione di esperienze mediali e non mediali differenti; moltiplicazione e dispersione negli spazi sociali dei dispositivi di erogazione dei materiali sensoriali che innescano e guidano l’esperienza. Nel caso del videogioco (e rifacendoci come sempre ai criteri introdotti nel cap. 2, par. 3) l’attivazione dell’esperienza nel mondo diretto è condivisa dal dispositivo e dal soggetto: quest’ultimo sceglie sia quali materiali sensoriali il dispositivo gli debba erogare tra quelli individuati come disponibili, sia se tale erogazione debba essere demandata completamente al dispositivo (come quando nel corso del gioco avviamo la riproduzione di un breve filmato) o se piuttosto la responsabilità della scelta debba tornare a sé stesso (come nelle sequenze di gioco “normali”). Di qui una posizione intermedia tra esperienze di attivazione manuale e automatica. La particolare conformazione del discorso la rende un’esperienza ambientale; la continuità tra mondo indiretto e discorso la rende una esperienza tipicamente partecipativa, ma di fatto tutte le altre possibilità dello schema del cap. 2, par. 3.4 sono praticabili. In questo capitolo intendiamo comprendere in che modo i nuovi media digitali riprendono il modello complessivo dell’esperienza mediale presentato nella seconda parte, e ne adattano alcuni aspetti alle nuove condizioni che essi presentano. Non esaminiamo punto per punto i sette snodi, ma ne isoliamo tre in cui è possibile cogliere con particolare evidenza le novità introdotte dai nuovi media: le modalità di ordinamento del mondo indiretto e la modulazione delle mappe situazionali (cap. 5); le relazioni con i soggetti del mondo indiretto (cap. 8); la percezione e l’ordinamento del discorso, con particolare riferimento al formato in quanto spazio metadiscorsivo (capp. 6 e 12). 293

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Il secondo paragrafo presenta il videogioco al centro della nostra analisi, Spore (Will Wright, Maxis/Electronic Arts, 2008), descrive una sequenza di gioco e illustra le altre possibilità di intrattenimento offerte dal prodotto. Il terzo paragrafo si concentra sul mondo indiretto e affronta sia l’organizzazione delle trasformazioni nelle mappe situazionali, sia la relazione tra il giocatore e i soggetti presenti nel mondo indiretto. Il quarto paragrafo prende in esame l’esperienza del discorso nel videogioco e nei nuovi media. Il quinto paragrafo riassume rapidamente le novità intraviste e le loro relazioni per comprendere le trasformazioni in atto e le direzioni di sviluppo dell’esperienza mediale. 2. In una galassia lontana lontana... 2.1. Un dio tascabile Spore è un videogioco per pc e Mac pubblicato nel

settembre 2008 dalla Electronic Arts. La sua uscita è stata segnata da un immediato successo: nelle prime tre settimane ha venduto 2 milioni di copie. Tale successo è dovuto in larga parte alla notorietà del suo creatore, Will Wright, già autore di due giochi di enorme successo: SimCity (Maxis, 1989) e soprattutto The Sims (Maxis/Electronic Arts, 2000), il videogioco più venduto della storia. Con queste opere Wright aveva affermato una particolare concezione del videogioco quale dispositivo che permette di simulare una relazione interattiva del giocatore con situazioni complesse e dinamiche: costruire e gestire una grande città nel primo caso, padroneggiare le scelte relazionali e pratiche della vita quotidiana per The Sims. Lo stesso autore aveva dichiarato che Spore avrebbe ulteriormente amplificato tale logica simulatoria: di qui una grande attesa per il gioco, frutto di diversi anni di lavoro di un nutrito team di grafici e sviluppatori. I risultati, pur non appagando completamente le aspettative 1, sono comunque molto interessanti. All’avvio del gioco, dopo i credits, una cut scene 2 introduttiva conduce lo sguardo in avanti nel vuoto stellare fino a raggiungere una galassia a forma di spirale, inquadrata di lato e leggermente dall’alto, che gira lentamente. 1. Il gioco è stato accolto da alcune polemiche che hanno riguardato due aspetti. Da un punto di vista tecnico le complesse procedure di riconoscimento di autenticità della copia del gioco, che costringono a giocare la prima volta on line e impediscono qualunque tentativo di copia, hanno costituito un ostacolo alla sua diffusione. Dal punto di vista contenutistico la particolare concezione evoluzionista “panspermatica” adottata dal gioco ha sollecitato la perplessità di alcuni scienziati e la protesta di alcune associazioni contrarie alla teoria dell’evoluzione: cfr. Christian Nutt, gdc: Lessons Learned From Spore: Its Science And More, March 25, 2009, Gamasutra. The Art & Business of Making Games, http://www.gamasutra.com/php-bin/news_ index.php?story=22888. 2. Le cut scenes, o cinematics, sono brevi sequenze di carattere cinematografico, non alterabili dal giocatore e in questo caso in formato 16:9.

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figura 1

Emerge una musica elettronica ipnotica, con lunghe note tenute. Nella galassia si distinguono sette stelle che emanano onde luminose: una piccola scritta mi invita a cliccare su una delle stelle per iniziare a giocare (fig. 1). In alto a sinistra spicca il nome e il logo del gioco; subito sotto tre etichette, o tags, propongono tre differenti tipi di attività: “gioca” (il simbolo è un triangolino come quello del tasto “play” del videoregistratore), “crea” (il simbolo sono due strumenti di lavoro incrociati) e “condividi” (il simbolo è un quadrato diviso in settori). In basso, sempre a sinistra, altri tre elementi permettono ulteriori scelte: il simbolo della spirale della Galassia mi fa accedere a un menu di impostazioni (che comprende anche l’uscita dal gioco); il simbolo di un quadrato diviso in caselle (uguale a quello della tag “condividi” ) introduce alla Sporepedia, che presenta in forma sinottica tutte le creature e gli oggetti dell’universo Spore; infine un pulsante permette l’accesso a o la disconnessione da Internet. Iniziamo a esaminare l’attività di gioco. 2.2. L’evoluzione del videogioco Spore consiste nel costruire l’evoluzione di

una o più specie animali su un certo pianeta. Una volta scelto il pianeta su cui avviare la partita, occorre decidere in quale delle cinque fasi in cui si articola il gioco ci si colloca: Cellula, Creatura, Tribù, Civiltà e Spazio. È 295

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possibile giocare più partite in contemporanea su differenti pianeti, ma solo quando una delle fasi viene superata su uno qualsiasi di essi, le fasi successive risulteranno sbloccate anche sugli altri pianeti. Il gioco propone dunque un classico meccanismo a livelli e lo articola su differenti partite. Nella fase iniziale il giocatore deve dare un nome alla propria cellula ed effettuare alcune scelte di base: in particolare è importante il tipo di bocca e di alimentazione scelta (carnivora, erbivora od onnivora). L’attività della cellula all’interno della prima fase consiste semplicemente nel procurarsi cibo, nello sfuggire ai predatori e nel riprodursi: al momento della riproduzione il giocatore spende i punti dna accumulati annettendo nuovi organi e nuove capacità; tali trasformazioni modificano l’orientamento della cellula, per esempio accentuandone il carattere carnivoro e le capacità di combattimento. Al tempo stesso l’intero sistema ambientale si modifica in corrispondenza di tali scelte: per esempio una cellula portata al combattimento sarà attaccata più spesso da altre creature. Nelle fasi successive questa stessa logica di base si applica a situazioni sempre più complesse e all’interno di sceneggiature di gioco più elaborate 3. Le scelte che vengono via via effettuate si ripercuotono sugli sviluppi della specie: come chiarisce la stessa guida del gioco a proposito della fase Spazio, «l’evoluzione è un lungo viaggio in cui le prime scelte e le azioni hanno conseguenze essenziali sul futuro della specie. Il percorso scelto, dal microrganismo fino allo sviluppo della personalità e della cultura di una civiltà, riecheggerà a lungo». D’altra parte ogni fase possiede una propria autonomia in quanto prevede differenti generi di obiettivi e di strategie per raggiungerli. Sotto questo aspetto (come è stato acutamente osservato dall’anonimo estensore della voce Spore per Wikipedia) ognuna delle fasi si conforma a un particolare format di videogioco e cita più o meno esplicitamente un genere videoludico: la fase cellulare riprende il vecchio Pac-Man, la fase delle creature recupera Diablo; la fase tribale Populous; la fase di civilizzazione riprende e cita SimCity, Risiko! e le varie versioni di Civilization; mentre giochi quali SimEarth e Destroy All Humans! vengono invece ripresi per la fase spaziale, 3. Nella fase Creatura la specie si muove sulla terraferma e acquisisce rudimentali capacità sociali, sia interagendo con i membri della propria specie sia con altre specie. Nella fase Tribù viene avviata una forma primitiva di vita sociale: i soggetti vivono in tribù di dodici membri al massimo e possono costruire e scambiare strumenti, armi o vestiti. Lo stadio della Civiltà pone alla specie che è risultata dominante l’obiettivo di conquistare l’intero pianeta, mediante strategie di tipo militare, economico o religioso. Infine la fase Spazio permette al giocatore di muoversi all’interno di un panorama sconfinato (il programma prevede 500.000 pianeti e numerosissime specie differenti): egli può prendere contatto con specie di altre galassie mediante relazioni di guerra o di alleanza; l’obiettivo è di accumulare medaglie galattiche fino a diventare il re della galassia.

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con elementi di sandbox per il tipo di gioco 4. Inoltre vari elementi, dalla fase Creatura in poi, rimandano a The Sims (tutti i riferimenti alle relazioni interpersonali), mentre gli scontri diretti tra creature citano i vari picchiaduro e sparatutto. Sotto questo aspetto Spore non è un semplice videogioco, ma un meta-videogioco: per un verso esso realizza il sogno di Will Wright di costruire un dispositivo che colleghi i differenti ambienti di simulazione da lui inventati nel corso della propria carriera; per altro verso si pone come una galassia videoludica capace di contenere l’intero universo del videogioco e di riassumerne per così dire l’evoluzione. 2.3. Trionfo e morte di Mediasemiotichensis Vediamo più da vicino come si

svolge un segmento di gioco di Spore. Ho avviato da un po’ di tempo una partita con una creatura che, in onore di questo volume, ho chiamato Mediasemiotichensis e ho collocato sul pianeta Media Semiotics (la fantasia non mi manca). La prima fase di gioco, la caccia al cibo della cellula all’interno del brodo primordiale, è stata superata abbastanza agevolmente: ho deciso di conferire alla piccola Midi (la chiamerò così da qui in poi per brevità) un orientamento carnivoro. Sono quindi approdato alla fase Creatura e attualmente sono circa a un quarto del percorso evolutivo: ho incentivato le capacità di combattimento di Midi e sto incrementando decisamente il suo orientamento carnivoro e bellicoso. All’inizio della partita che analizzo 5 Midi è al centro della scena, di spalle, su un prato bluastro: sullo sfondo si intravedono alcuni alberi dalla strana forma tra i quali giocano piccole creature gialle. La melodia dolce e un po’ ipnotica di musica elettronica che mi ha accompagnato dal menu della galassia ha lasciato il campo sonoro a un tessuto di cinguettii, gracidii e grugniti. Prima di iniziare a giocare osservo con attenzione i vari elementi presenti sullo schermo (fig. 2). In alto a sinistra due riquadri mi ricordano quali sono le finalità del mio agire (in questo momento mi viene suggerito di cacciare quattro Disleum, le creaturine che si agitano sullo sfondo, per acquisire punti dna, e di procurarmi nuove parti per evolvermi individuando speciali carcasse di animali). In basso, sempre a sinistra, una piccola mappa indica la posizione di Midi sul territorio: in particolare essa evidenzia dov’è il suo nido e dove sono i nidi di altre specie. In basso al centro una serie di quadranti indica le azioni che posso far svolgere a Midi: a ciascuno dei due atteggiamenti di base – amichevole (colore verde e simbolo 4. s.a., “Spore (videogioco)”, in Wikipedia. L’enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org/wiki/ Spore_(videogioco). 5. L’analisi delle sequenze di gioco pone al ricercatore un problema pratico: come fissare la sequenza giocata che si vuole analizzare, data la sua estrema volatilità e l’impossibilità di riprodurla – o almeno di riprodurla identica – in molti videogiochi. Le due soluzioni possibili sono riprendere

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figura 2

del balloon) o aggressivo (colore rosso e simbolo del bersaglio) – corrispondono alcune abilità che si legano alla storia evolutiva di Midi e agli organi di cui l’ho via via dotata. In basso a destra un’immagine della mia creatura evidenzia lo stato di salute e quello della fame mediante due indicatori a forma di barretta (in questo momento quella della fame segna un punteggio basso). La parte inferiore dello schermo è infine occupata da una striscia di simboli. A sinistra alcuni pulsanti mi permettono di tornare al menu di base del gioco, di bloccare o far ripartire la partita, di accedere alla Sporepedia o alla mia collezione personale di creature. Segue verso destra un indicatore dei miei punti dna (sono a 20, un po’ bassino perché mi sono concesso un paio di nuove pinze per un colpo di livello 5). La parte centrale è occupata da una barra che indica il punto evolutivo cui è arrivata Midi: ho superato la seconda delle tre tacche interne alla fase Creatura. Infine un piccolo pulsante all’estrema destra mi permette di accedere a un quadrante che ripercorre tutta intera la storia evolutiva della specie che sto guidando fin dalla fase primordiale della cellula: le creature che ha ucciso, quelle con cui ha dialogato, le parti del corpo e le abilità che ha via via acquisito e quelle che ha ceduto (fig. 3). Nella parte superiore un indicatore specifica la cronologia in milioni di anni dell’evoluzione che sto guidando. lo schermo del computer con una videocamera, oppure (se possibile) attivare un programma di registrazione digitale di quanto vi si svolge, per poi analizzare con calma le sequenze ottenute.

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figura 3

Inoltre lo sviluppo indica l’orientamento di Midi verso un tipo predatore (piuttosto che socievole o adattabile). Chiudo il quadrante della storia evolutiva e ritorno con Midi sul prato azzurro. Decido di ignorare il suggerimento di mangiare i Disleum e di guidare Midi a esplorare una zona a ovest del nido, che ancora non ho visto. Posso spostare la mia creatura posizionando il cursore in un punto bersaglio, cliccando e aspettando che la creatura si diriga in quel punto e si arresti, oppure posso trascinare la creatura all’interno del mondo che essa abita tenendo costantemente premuto il tasto sinistro del mouse. In ogni caso lo sguardo della macchina da presa virtuale segue fedelmente la creatura, mentre il sonoro evidenzia i passi fruscianti e ritmati di Midi sul prato. Inoltre la direzione di marcia e gli spostamenti di Midi sono monitorati nella piccola mappa in basso. Avanzo dietro una collinetta e incrocio un nido di creature che hanno la forma e il colore di una salsiccia verticale con quattro zampette: se passo sopra di esse il cursore, un’etichetta mi informa che si tratta di Tokocat; il simbolo della faccina rossa con la bocca storta, i piccoli fulmini rossi che emanano da loro e lo stridio con cui accolgono Midi mi fanno capire che si tratta di una razza non amichevole. Ecco infatti che improvvisamente il sonoro viene invaso da un rullare di tamburi e un Tokocat attacca Midi da sinistra. Il rullio di tamburi si fa più forte e si mescola alle grida delle creature mentre scatta il combattimento: maneggio morsi e colpi con i pulsanti in basso al centro (le nuove pinze di cui avevo appena dotato Midi per for299

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tuna funzionano benissimo) e osservo con piacere che la barretta di indicazione di benessere del Tokocat, in sovrimpressione, scende più rapidamente di quella di Midi. Alla fine Midi vince il combattimento: il Tokocat giace a terra mentre i suoi compagni si alzano in volo per fuggire. Cliccando sul cadavere permetto a Midi di mangiare l’incauto avversario e vedo con sollievo risalire il livello dell’indicatore della fame. Piuttosto fiero mi avventuro ancora verso l’interno del territorio che non ho mai esplorato, ma all’improvviso sento uno strano ruggito alla mia destra. Non faccio in tempo a voltarmi che un enorme piede schiaccia e uccide la mia creatura. Una cut scene mostra Midi morta in terra e una scritta mi avvisa che devo tornare al nido per ricominciare una nuova partita. 2.4. Creare e condividere Un po’ deluso dall’improvviso attacco da parte

della Creatura Epica (questo il nome dei grossi e imbattibili mostri di cui fa parte l’enorme uccello che ha ucciso Midi) chiudo la partita salvando le modifiche apportate e torno al menu della Galassia per esplorare più velocemente le altre due modalità che Spore mi offre. La modalità “Crea” mi permette di accedere a un menu di editor, o “creatori”, con il quale posso costruire (o modificare se già esistenti) creature, strumenti, edifici, veicoli da usare nelle diverse fasi all’interno del mondo Spore (fig. 4). Tre pulsanti mi permettono di accedere alle attività di costruzione, colorazione o “prova”. Particolarmente interessante quest’ultima. La creatura, definitiva o semicostruita, appare a tutto schermo all’interno di una sorta di arena; alcuni pulsanti posti in basso mi permettono di farla muovere, danzare, manifestare emozioni; cliccando sui simboli di una macchina fotografica e di una cinepresa posso rispettivamente produrre scatti o filmati della creatura in movimento; i filmati sono inoltre pubblicabili automaticamente su Youtube. Torno a questo punto al menu base della Galassia e avvio la terza modalità di uso di Spore: la “Condivisione” (fig. 5). In questo caso lo schermo è diviso in un menu a colonna sulla sinistra e in una zona ampia sulla destra: il menu a sinistra mi permette di scegliere cosa visualizzare sulla destra. Oltre che alla Sporepedia (ovvero all’elenco completo di creature, edifici e veicoli), ho accesso a una mia pagina personalizzata ospitata sui server della E. A. (“Miospore”) che posso usare per caricare le mie creazioni e scaricare quelle di altri giocatori sconosciuti o amici. In tal modo, se l’universo di Spore di ogni giocatore resta chiuso agli altri, è possibile tuttavia un’osmosi regolata di creazioni. È anche possibile che ospiti e gestisca sulla mia pagina commenti di altri giocatori nei confronti delle mie creazioni: in tal caso la mia pagina si trasforma in una sorta di blog in cui intrecciare relazioni, scambi di pareri e suggerimenti o discussioni di varia natura con altri giocatori. 300

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figura 4

figura 5

Le modalità “Crea” e “Condividi” completano dunque la percezione di Spore: non solo (meta)videogioco, esso è un ambiente virtuale complesso che permette di svolgere una serie di attività differenti e relativamente autonome, per quanto più o meno correlate all’universo in cui si svolge l’attività di gioco. 301

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3. L’interazione con il mondo indiretto Trasformazioni del mondo indiretto e mappe situazionali

Il giocatore co-determina le trasformazioni del mondo indiretto

Le mappe situazionali vengono esteriorizzate

3.1. L’esteriorizzazione delle mappe situazionali Torniamo al segmento di

partita che ho descritto al par. 2.3, ed esaminiamo come avviene l’ordinamento narrativo del mondo indiretto (tema toccato nelle sue linee generali al cap. 5). Se ripercorriamo la sequenza di gioco che ha visto prima il trionfo poi la caduta di Midi ci accorgiamo immediatamente che “è successo qualcosa”: Midi si è mossa a esplorare un ambiente, è stata attaccata da un Tokocat, ha combattuto e ha vinto, ha mangiato il cadavere dell’avversario, poi ha continuato l’esplorazione ma è stata schiacciata dall’enorme creatura sconosciuta ed è morta. Il videogioco presenta sotto questo aspetto la stessa dinamica di ordinamento narrativo del mondo indiretto che abbiamo visto all’opera nell’audiovisivo o in altre forme mediali; anche in questo caso un’esperienza che si svolge al presente viene trascritta in una mappa situazionale di ordine mentale: tale mappa da un lato permette di ricapitolare il passato, inquadrare il presente e prevedere gli sviluppi successivi, dall’altro lato viene costantemente aggiornata e rimodulata a partire dal monitoraggio della situazione presente mediante dei dispositivi di traccia che individuano gli snodi chiave e li trascrivono al suo interno. Le mappe possono essere di scala e ordine differente a seconda di quanto è ampio l’orizzonte di eventi che esse abbracciano e trascrivono. Tuttavia, se questa dinamica resta identica, due elementi strettamente intrecciati si trasformano. Da un lato percepiamo che l’evoluzione della situazione dipende in questo caso anche dalle nostre scelte, o per meglio dire dall’interazione tra le nostre opzioni e le condizioni ambientali del mondo indiretto. In questo senso si assiste a un processo di riconfigurazione. In partenza il giocatore percepisce di svolgere una serie di semplici gesti (quali spostare il mouse sul tappetino, premerne i tasti o girarne la rotella) che gli permettono di scegliere e di co-determinare quali materiali sensoriali gli vengano erogati dal dispositivo mediale. Tale percezione viene tuttavia riconfigurata nell’esperienza del gioco, e finisce per essere percepita dal giocatore come un proprio interagire con l’ambiente del mondo indiretto per co-determinarne personalmente gli svolgimenti. Dall’altro lato assistiamo a una “esteriorizzazione” delle mappe situazionali: soffermiamoci su questo punto. Nel caso dell’audiovisivo (ma anche del racconto scritto) le mappe situazionali sono di ordine mentale; i luoghi di esplicitazione – per esempio le sequenze in cui i personaggi fanno il punto della situazione o si riassume quanto accaduto fino a quel momento – sono rari. Nel videogioco invece le mappe situazionali vengono visualizzate in modalità molteplici e compresenti: si tratta di mappe di differente scala e ampiezza, mantenute costantemente aggiornate da alcuni dispositivi di traccia. È appunto in questo senso che parliamo di una esteriorizzazione 302

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delle mappe situazionali. Vediamo alcuni esempi di tale esteriorizzazione in Spore. Un primo gruppo di mappe situazionali esteriorizzate trascrive la situazione contingente: sono, potremmo dire, mappe 1:1. Per esempio la piccola cartina geografica in basso a sinistra ci segnala costantemente dove ci troviamo con Midi, qual è la nostra direzione di spostamento, dov’è il nostro nido, quali nidi di altre creature possiamo incontrare, quale tragitto di migrazione hanno preso le altre Midi ecc. Allo stesso modo gli indicatori dello stato di benessere e di fame monitorano e ci riferiscono la condizione della nostra creatura. Un secondo gruppo di mappe situazionali esteriorizzate trascrive l’evoluzione interna alla singola fase Creatura: sono mappe 1:10. I segnali più evidenti sono l’indicatore dei punti dna accumulati e la barra di progresso in basso. Ma a ben vedere il corpo stesso della creatura, la sua attrezzatura biologica (un certo tipo di bocca, di occhi, di mani e piedi ecc.) e le relative capacità segnalate nella pulsantiera in basso al centro costituiscono la traccia visibile della sua storia di sviluppo. In maniera analoga nelle fasi successive altri elementi del mondo indiretto (totem, edifici, vestiario ecc.) costituiranno dei “segni del tempo”, sedimentazioni visibili di uno sviluppo evolutivo. Infine la stessa appartenenza alla fase Creatura individua la collocazione del momento contingente all’interno di una mappa temporale globale, di scala 1:100. L’esteriorizzazione di tale mappa si ottiene cliccando sul bottone in basso a destra e accedendo al quadrante che ripercorre l’intera storia evolutiva della specie, evidenzia gli episodi e i punti di svolta salienti, segnala gli orientamenti che ne sono derivati (fig. 3). I due aspetti che abbiamo evidenziato – la riconfigurazione delle operazioni mediali in termini narrativi da un lato e l’esteriorizzazione delle mappe situazionali dall’altro – sono strettamente connessi: le mappe situazionali esteriorizzate hanno infatti un ruolo essenziale nel riconfigurare costantemente l’agire effettivo del giocatore nel mondo diretto in un interagire con l’ambiente del mondo indiretto per orientarne gli andamenti 6. Esse inoltre sottraggono il flusso dei gesti del giocatore all’indistinzione e permettono di individuare punti salienti dello svolgimento, punti cioè in cui si produce una trasformazione più o meno radicale della mappa (per esempio la morte di Midi). In altri termini le mappe situazionali esteriorizzate permettono di vivere l’esperienza della produzione di un “evento”: una tra6. Ovviamente esse non sono l’unico strumento di tale riconfigurazione, cui collaborano vari aspetti della messa in scena del mondo indiretto: il meccanismo di spostamento della creatura, l’uso dei pulsanti di comando e così via.

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La produzione dell’evento nel presente di gioco

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sformazione irreversibile del mondo, personalmente agita ed esperita dal giocatore nel presente. 3.2. Avatar: le relazioni con i personaggi Il lettore avrà osservato che nel de-

La comprensione e la condivisione degli stati di coscienza dei personaggi

scrivere la sequenza di gioco nel par. 2.3 ho usato spesso espressioni alla prima persona per descrivere spostamenti e scelte di Mediasemiotichensis. Dietro questi segnali linguistici sta evidentemente una particolare relazione di condivisione che mi lega in quanto giocatore alla creatura: siamo dunque spinti verso l’aspetto della sintonia relazionale tra lo spettatore/ giocatore e i soggetti del mondo indiretto, argomento affrontato al cap. 8, par. 4. In quella sede avevamo osservato che i diversi tipi di relazione si basano su differenti gradi di attivazione di un sentire la presenza di un altro soggetto di esperienza, nel comprendere i suoi stati interiori ed eventualmente nel condividerli; sia la comprensione che (soprattutto) la condivisione, vedono all’opera meccanismi di simulazione-consonanza e meccanismi di cognizione-inferenza. Cosa avviene nel caso di Spore e, più ampiamente, del videogioco? Se pensiamo al mio rapporto con Midi, possiamo dire che cambiano i meccanismi che mi permettono di comprendere e di condividere gli stati di coscienza della mia creatura. Anzitutto la comprensione non è più affidata (o lo è minimamente) all’osservazione di un corpo, della sua costituzione fisica e della sua mimica: sono soprattutto indicatori scritti o simbolici a manifestare gli stati fisici ed emotivi di Midi e delle altre creature: per esempio gli indicatori della fame e del grado di benessere complessivo, i cuoricini che indicano il suo innamoramento, le faccine che esplicitano lo stato emotivo delle altre creature e così via. In questo senso il meccanismo di consonanza somatica tra lo spettatore/giocatore e i personaggi viene aggirato oppure ha un peso minore. Per quanto riguarda i meccanismi volti a costituire una condivisione tra spettatore e personaggi, ritroviamo nel videogioco molti dei procedimenti osservati nell’audiovisivo: l’uso di soggettive visive e sonore rimanda a una condivisione di stati di coscienza contingenti, di mappe situazionali e di sfondi di conoscenze e valori di più ampia portata. Tuttavia nel caso del videogioco questi aspetti, per quanto possano essere presenti, non sono strettamente necessari né sufficienti. I giochi possono essere visualizzati in soggettiva, ovvero in prima persona, ma anche (e spesso indifferentemente) in terza persona: per esempio posso giocare una partita di calcio della serie Fifa dal punto di vista del giocatore, ma anche guardandola dall’alto. Nel caso di Spore, nella fase creatura, sia ha una semisoggettiva visiva e una soggettiva sonora: il soggetto della percezione segue la creatura e registra gli stessi suoni che essa ode, riproducendone la provenienza e la direzionalità 304

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sui due altoparlanti del computer. Inoltre il giocatore può condividere conoscenze pregresse con il personaggio (come avviene in molti adventure games in cui il patrimonio di conoscenze del personaggio procede in sintonia con quello del giocatore), ma tale condivisione può anche non essere installata: per esempio in Spore la creatura non ha consapevolezza della storia evolutiva che io invece conosco e posso ricostruire. Infine il giocatore può condividere lo sfondo di valori del personaggio, ma questo non è strettamente necessario: potrei fare di Midi una creatura cooperativa e amichevole oppure aggressiva e polemica indipendentemente dai valori che mi muovono nella vita reale 7. Il meccanismo basilare della costituzione di una condivisione tra giocatore e personaggio risiede dunque altrove e si collega alle dinamiche di gestione dei materiali sensoriali proprie dei nuovi media. Se esamino attentamente la mia relazione con Midi, mi accorgo che ciò che mi lega a lei è il fatto che io sono responsabile di quello che ella è stata, è e sarà. Midi non è altro che il risultato di azioni e di scelte che ho via via effettuato nel corso della partita: in ogni momento di gioco sono posto di fronte ad alcune scelte di azione possibili (attaccare un’altra specie o farmela amica? Procurarmi un nuovo organo o no? ecc.) che determineranno il seguito dello sviluppo della creatura. Alla radice della mia relazione con Midi – e, in genere, alla base della relazione tra il giocatore e il soggetto o i soggetti-protesi del videogioco – sta dunque quel fenomeno di riconfigurazione esaminato nel paragrafo precedente: nel momento in cui le mie pratiche di erogazione dei materiali sensoriali vengono riconfigurate come un affrontare il mondo indiretto, io mi percepisco in quanto dotato di agency, capacità di agire consapevolmente per modificare le situazioni di tale mondo. Questa capacità determina la percezione di una mia responsabilità nei confronti di uno o più soggetti dei quali il software mi affida il controllo e il destino: è appunto questa responsabilità a costituire la relazione di forte condivisione con il soggetto controllato 8. Si conferma sotto questo aspetto il collegamento tra esperienza relazionale e design etico dell’esperienza mediale, decisamente 7. Questa relativa indipendenza è al centro di numerosi dibattiti sulle valenze etiche del videogioco e sulla stessa possibilità che il videogioco si presti a veicolare valori, convinzioni, ideologie. 8. In effetti nel videogioco la distinzione tra soggetti protesi e soggetti alieni coincide con quella tra soggetto/i controllabile/i e soggetti non controllabili: nel caso di Spore posso controllare una sola specie a partita; in altri casi (per esempio nel precedente gioco di Will Wright, The Sims) è possibile spostare il controllo delle azioni da un soggetto a un altro. Osserviamo che, a partire da quanto detto, si comprende anche il collegamento tra l’agency e l’esteriorizzazione delle mappe situazionali evidenziata nel paragrafo precedente: esse costituiscono risorse per le scelte cui sono chiamato e tracce delle scelte che ho effettuato.

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La relazione di responsabilità

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Semiotica, new media, videogiochi La semiotica ha iniziato a occuparsi di nuovi media digitali nella seconda metà degli anni ottanta. Si delineano in particolare tre aree di problemi, che accompagnano la riflessione per tutti gli anni novanta. La prima concerne lo statuto semiotico dell’immagine virtuale, prodotta al computer e quindi priva di un referente oggettuale soprattutto nella computer graphic: è una questione che a partire da Queau (1986) si ritrova per esempio in Colombo (1990); per una panoramica, cfr. Bettetini, Colombo (1993). La seconda questione riguarda le interfacce digitali, ovvero gli ambienti che permettono un’interazione tra uomo e macchina. La bibliografia al riguardo è molto ricca: per esempio Bettetini (1991) analizza le interazioni che si svolgono all’interno dell’“interspazio” tra uomo e macchina nei termini di uno scambio di azioni e saperi regolato e visibile tra enunciatore ed enunciatario; Colombo, Eugeni (1996) distinguono tra spazi rappresentati (i mondi visibili del videogioco) e spazi rappresentanti (l’interspazio di Bettetini, o spazio dell’azione del fruitore), a loro volta distinti dallo spazio logico dell’architettura ipertestuale (cfr. infra); Zinna (2004) distingue tra spazio di memorizzazione e spazio di rappresentazione/inscrizione. La terza questione concerne le nuove forme frammentate, reticolari, multimediali e interattive che può assumere il testo nei media digitali, ovvero l’ipertestualità. I testi seminali sono in questo caso Landow (1992) (pubblicato in versioni aggiornate la più recente delle quali è Landow, 2006) e Bolter (1991): il tema dell’ipertesto (per il quale cfr. Bettetini, Gasparini, Vittadini, 1999 e vari interventi all’interno di Bertetti, Manetti, 2001) consente di legare l’approccio ai nuovi media ad approcci più tradizionali della teoria della letteratura, in particolare alle nozioni di intertestualità sviluppate dal post-strutturalismo. Verso la fine dell’ultimo decennio del secolo scorso il panorama degli studi si trasforma (anche in corrispondenza di alcune innovazioni tecnologiche degli stessi new media oggetto di studio, e in particolare l’avvento del web e della comunicazione interattiva in rete). Anche in questo caso possiamo individuare tre piste di evoluzione della ricerca. La prima si concentra sul videogioco e mette in crisi gli approcci semiotici classici, in particolare le idee di ipertesto e di struttura (iper)narrativa: si assiste in questo settore a una frattura tra “narrativisti” e “ludologi” che si ricompone solo nel momento in cui viene rilanciato uno studio non delle “strutture” testuali e narrative del videogioco quanto piuttosto dell’esperienza videoludica: cfr. Wolf, Perron (2003), Harrigan, Wardrip-Fruin (2004), Raessens, Goldstein (2005), Rutter, Bryce (2006), Egenfeldt-Nielson, Heide Smith, Pajares Tosca (2007). In questa chiave Eugeni e Bellavita (2006) hanno analizzato il videogioco The Sims. Per alcuni esiti di questo dibattito cfr. Grodal (2009). La seconda tendenza esamina le forme di rimediazione messe in atto dai nuovi media rispetto ai media precedenti: i modi in cui essi ripropongono, riformulano, incrociano all’interno delle loro interfacce i dispositivi di cinema, radio, televisione o della pagina scritta. Questa tendenza di taglio socio-semiotico (o di semiotica cul-

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turale dei dispositivi mediali) viene lanciata da Bolter, Grusin (1999) e si ritrova in particolare, per quanto concerne il cinema, in Manovich (2001). Ma studi analoghi riguardano altri media e in particolare la televisione: cfr. per esempio Colombo (2007) e Scaglioni, Sfardini (2008). Anche in ambito letterario la questione della rimediazione pone analoghi problemi di ridefinizione in radice del mezzo: cfr. per esempio Mazzarella (2008). La terza tendenza si concentra infine sugli usi del web con particolare attenzione alle pratiche di dialogo e interazione, analizzate nuovamente con un taglio di tipo socio semiotico: cfr. per esempio Vittadini (2002). Più di recente anche lo studio dei videogiochi si è concentrato sempre di più sull’analisi delle interazioni videoludiche on line: cfr. per esempio Wolf, Perron (2008), Surman (2009).

forte nel caso del videogioco a partire dalle nuove possibilità di agency offerte al giocatore. 4. L’interazione con il discorso Spostiamo ora la nostra attenzione sulle altre attività che Spore mi consente di svolgere, descritte nel par. 3.3: la costruzione di creature o di oggetti e la condivisione o discussione on line sulla pagina web “MioSpore”. Cosa cambia in questi casi rispetto all’esperienza di gioco che ho vissuto fino a poco prima guidando Midi nella sua evoluzione? Evidentemente non sono più in relazione con il mondo indiretto in cui Midi si sta sviluppando; ma non posso neppure dire di essere ritornato all’interno del mondo diretto in cui vivo, opero, svolgo e sedimento la mia esperienza ordinaria. L’esperienza che svolgo nel costruire creature, edifici o veicoli che potrò poi usare all’interno del mondo indiretto, o nello scambiare tali oggetti con altri giocatori raccogliendo i loro commenti, si svolge all’interno di un altro campo di oggetti intenzionali: il discorso, o più esattamente il formato in quanto spazio metadiscorsivo. Abbiamo visto al cap. 12, par. 4 come la percorrenza visiva di superfici grafiche implichi la costituzione del formato in quanto spazio metadiscorsivo rispetto a singole produzioni discorsive: mi muovo visivamente all’interno della gabbia grafica del periodico e scelgo di “entrare” a leggere un certo articolo. Questa “nidificazione” dei discorsi e il rapporto sensomotorio con il formato che essa implica, si ripresentano nel caso del videogioco e più ampiamente dei nuovi media; troviamo però alcune importanti innovazioni. In primo luogo lo spazio metadiscorsivo non è più limitato dal proprio supporto materiale (nel caso del periodico, la rivista in quanto oggetto cartaceo); la conformazione reticolare del formato si estende quindi nei nuovi media in misura non controllabile dal soggetto dell’esperienza: il web è un 307

Uno spazio metadiscorsivo illimitato e globale

Semiotica dei media

La multimedialità

La possibilità della traccia

L’integrazione tra esperienze mediali e non mediali

L’ipertrofia dello spazio metadiscorsivo

metaspazio illimitato non più “tabulare” ma “globale” (Farinelli). Nel cap. 2, par. 3.3 abbiamo espresso questa trasformazione come passaggio del discorso (più esattamente, del formato) da una conformazione ipertestuale a una ambientale. In secondo luogo i discorsi di secondo grado che vengono attivati a partire dalla percorrenza del metaspazio di primo grado fanno riferimento a esperienze mediali differenti. Nel caso del periodico mi limitavo alla lettura degli articoli e alla visione di fotografie; nel web posso leggere e guardare immagini fisse, ma anche attivare la visione di audiovisivi o di brani audio o di videogiochi, come la partita di Spore che ho analizzato nei due paragrafi precedenti. In terzo luogo è ora possibile modificare alcuni oggetti e alcune superfici del metaspazio, e lasciare quindi una traccia del proprio passaggio e delle azioni svolte. Nel caso del periodico le possibilità di traccia erano al tempo stesso permesse e limitate dai processi di scrittura (vi è mai capitato di leggere una “Settimana Enigmistica” con i cruciverba già risolti?). Il metaspazio dei nuovi media è dotato di possibilità di memorizzazione molto più ampie e complesse: conserva il ricordo del grado di sviluppo raggiunto dalla mia creatura, delle modifiche di forma e di carattere che ho introdotto in altre creature, dei messaggi che ho postato sulla pagina “Miospore” e così via. Infine il metaspazio dei nuovi media consente non solo esperienze mediali e accessi a mondi indiretti ma anche e al tempo stesso esperienze mediate del mondo diretto: i commenti nella pagina “MioSpore” provengono da soggetti reali appartenenti al mio stesso mondo diretto; e se acquisto on line una estensione di Spore dal sito della Maxis, i soldi vengono effettivamente prelevati dalla mia carta di credito. In sintesi lo spazio metadiscorsivo costituito dalla superficie grafica viene enormemente potenziato negli ambienti virtuali dei nuovi media digitali: assistiamo a una ipertrofia del formato. La costituzione di un metaspazio ipertrofico costituisce il secondo nucleo di trasformazioni introdotte dai nuovi media – accanto alla costituzione di un mondo indiretto modificabile dal soggetto esaminata nei due paragrafi precedenti. Anche in questo caso gioca un processo di riconfigurazione delle pratiche di erogazione dei materiali sensoriali svolte dal soggetto: queste vengono percepite come percorrenza esplorativa dello spazio metadiscorsivo e come attivazione di specifiche esperienze mediali o mediate che sono nidificate al suo interno. Un ruolo chiave in questo processo di riconfigurazione viene giocato dalle interfacce, o superfici grafiche dello schermo. 308

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Il videogioco

5. L’esperienza mediale nell’era della postmedialità L’ipertrofia dello spazio metadiscorsivo presenta una conseguenza particolare: l’esperienza mediale resa possibile dai nuovi media digitali tende a riassorbire in modo evidente le forme precedenti di esperienza mediale, e al tempo stesso le rende indistinguibili sia tra loro sia rispetto alle esperienze non mediali. Questo fenomeno ha conseguenze profonde nel modo di sentire e di percepire l’esperienza mediale in sé, nel contesto culturale attuale. Anzitutto c’è un riassorbimento. I media digitali attuano in forme molto spinte quei processi di “rimediazione” che abbiamo considerato nel cap. 9, par. 3.2: le forme mediali precedenti (discorso orale, scritto, visivo, audiovisivo) vengono riprodotte e simulate all’interno dei media digitali. In questo caso troviamo però un aspetto ulteriore, praticamente sconosciuto nel passato: la presenza ipertrofica dello spazio metadiscorsivo fa sì che vengano ora recuperati e simulati non solo lo svolgersi delle esperienze mediali precedenti, ma altresì i dispositivi e le pratiche della loro attivazione. Ai processi di rimediazione si aggiungono processi di “ridisposizione”, ovvero di riformulazione di dispositivi e pratiche. Per accedere alla visione di un video su Youtube dobbiamo premere un bottone virtuale che simula il tasto play del telecomando del nostro videoregistratore, e così per sospendere la visione; ma ritroviamo costanti riferimenti al dispositivo cinematografico anche in un videogioco come Spore (per esempio il passaggio allo schermo in 16:9 nelle cut scenes). Metafore analoghe qualificano e danno un senso all’ascolto di un brano musicale piuttosto che all’operazione di “sfogliare” un album di fotografie. In secondo luogo però, a questo evidente assorbimento fa riscontro la percezione di una omogeneizzazione delle differenti esperienze mediali all’interno di una esperienza unitaria. Noi avvertiamo come unico il metaspazio che percorriamo e a partire dal quale attiviamo i filmati, i brani audio o le pagine dei quotidiani; e, prima ancora, percepiamo come unitarie le pratiche di attivazione dell’esperienza mediale nel mondo diretto a partire dai dispositivi del computer e delle sue periferiche. In effetti una simile indistinzione delle specifiche esperienze mediali di origine è ancora più radicale: le pratiche di attivazione e lo svolgimento delle esperienze mediali vengono accostati, all’interno dello stesso spazio metadiscorsivo, a pratiche di tipo mediato o non mediale: abbiamo analizzato nel paragrafo precedente con quale continuità passiamo dal visionare un video a scambiare un parere con altri spettatori nell’area di commento di Youtube, e più ampiamente in un qualunque sito di social networking. L’indistinzione tra esperienze mediali e non mediali all’interno del metaspazio produce un ulteriore effetto di omogeneizzazione: lo stesso spazio 309

Lo spazio metadiscorsivo ipertrofico e le forme dell’esperienza mediale Rimediazione e ridisposizione delle esperienze mediali

De-individuazione delle esperienze mediali

Semiotica dei media

Nuovi media e configurazione contemporanea delle esperienze mediali

Una fine, un principio

metadiscorsivo è percepito in continuità con lo spazio sociale. Anche lo spazio sociale appare un ambiente reticolare invaso in modo ipertrofico da esperienze mediali dai confini imprecisi. Si pensi alla moltiplicazione degli schermi che tappezzano la nostra vita quotidiana: cinema, televisioni, videowalls, telefonini ecc. La tendenza all’indistinzione, partita dall’interno del metaspazio ipertrofico dei nuovi media, finisce dunque per inghiottire lo stesso metaspazio e per renderlo scarsamente distinguibile dallo spazio sociale del mondo diretto. La situazione che si delinea è dunque paradossale. Per un verso i nuovi media recuperano e mettono in scena in modo evidente dispositivi, pratiche, immaginari e materiali dei media precedenti; per altro verso essi suggeriscono una indistinzione e una a-specificità delle esperienze mediali sia l’una rispetto all’altra sia rispetto alle esperienze non mediali. Ora, questi caratteri propri dell’esperienza dei nuovi media si ripercuotono in modo profondo sulla cultura contemporanea: essi finiscono per improntare una particolare sensibilità nei confronti dei media e dell’esperienza mediale in generale. Ritroviamo riprodotto in questo ambito il paradosso appena descritto. Da un lato i grandi media del Novecento vengono riconosciuti e celebrati per il loro peso culturale ed estetico: non solo per i loro prodotti (film, canzoni ecc.) ma più radicalmente per i loro dispositivi e le pratiche che essi hanno codificato. Stampa, cinema, radio, televisione entrano nei musei e divengono oggetto socialmente sancito di studio e contemplazione. Dall’altro lato le esperienze mediali appaiono intessere profondamente l’esperienza ordinaria in modo da rendere difficilmente distinguibili i passaggi dall’una all’altra o da un’esperienza mediale a una non mediale. Eccoci dunque ricondotti all’orizzonte culturale descritto nell’Introduzione: quell’orizzonte a partire dal quale ha preso corpo la svolta esperienziale dei media studies e da cui noi stessi siamo partiti nell’ideazione di questo manuale. Comprendiamo ora in che misura l’esperienza dei nuovi media stia oggi ridefinendo i modi di sentire e di vivere le esperienze mediali in generale. E in che misura la stessa esperienza della ricerca si scopra radicata culturalmente, nel suo lavoro di incessante comprensione e ricomprensione dei processi mediali. Percorsi di approfondimento Tra le introduzioni generali ai nuovi media segnalo Pasquali (2003), Lievrouw, Livingstone (2006), Menduni (2007). I termini chiave legati ai new media sono esposti in Mascheroni, Pasquali (2006). Una fondamentale introduzione alla semiotica dei nuovi media è Cosenza (2008); per alcuni approfondimenti si veda anche Cosenza (2003). Le questioni legate all’esperienza somatica del virtuale vengo-

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Il videogioco

no affrontate in chiave estetica ed estesica da Diodato (2005). L’idea che viviamo una condizione non tanto postmoderna quanto postmediale è stata avanzata nel campo della teoria dell’arte da Krauss (1999) e discussa tra gli altri da Hansen (2004), Rodowick (2007) e Casetti (2009). L’idea del superamento di una logica della tavola e della mappa all’interno di una nuova cultura della rete e del globo è sviluppata in Farinelli (2009). Sulla semiotica del videogioco si vedano Maietti (2004), Bittanti (2004) ed Eugeni (2009); Matteo Bittanti dirige con Gianni Canova la collana “Ludologica” (Unicopli, Milano) dedicata all’analisi di singoli videogiochi o di specifiche questioni legate al videogioco, che ha pubblicato a tutt’oggi una quindicina di volumi. Sulle migrazioni intermediali del cinema cfr. De Giusti (2008). Tra le numerose risorse on line dedicate al videogioco si vedano almeno il sito della rivista on line “Game Studies. The International Journal of Computer Game Research”, http://gamestudies.org e quello di “Ludology.org” http://www. ludology.org/weblog/.

Quaderno degli esercizi Confronta differenti tipi di videogioco sotto i vari aspetti dell’esperienza mediale: quali elementi sensibili e stilistici li differenziano? Quali sono i modi di organizzare l’esperienza narrativa? Come vengono gestiti nei videogiochi i passaggi tra esperienze del mondo del discorso ed esperienze del mondo indiretto? Come viene introdotto il giocatore nella finzione? Quali dispositivi di tracciabilità si ritrovano? Confronta differenti videogiochi e analizza la relazione tra giocatore e personaggi: come viene costruita la condivisione con alcuni di essi e la distanza rispetto ad altri? Che relazione c’è tra i differenti gradi di prossimità al personaggio e la possibilità di determinarne scelte e trasformazioni? Cosa cambia nei videogiochi legati a dispositivi differenti dal computer, come per esempio quelli per iPhone o nel caso delle consolle televisive quali Wii? Aiutandoti anche con quanto detto al cap. 10, analizza alcuni siti web di social networking: come viene organizzata l’esperienza del mondo del discorso? Come si passa anche in questi casi al mondo indiretto? Per esempio, come viene consentito e incoraggiato (o al contrario scoraggiato) il passaggio dalla visione di filmati a schermo parziale a quella a schermo pieno? Scegli vari tipi di interfaccia grafica (per esempio un videogioco, un software di montaggio video, un sito di giochi on line ecc.). Descrivi le interfacce e i modi in cui queste permettono le interazioni del fruitore. Traccia una tipologia delle più comuni metafore mediante le quali vengono configurati il mondo del discorso (scrivania, bacheca, televisione, schermo cinematografico ecc.) e gli interventi su di esso del fruitore.













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Semiotica dei media

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Indice dei nomi

Abercrombie Nick, 195, 203 Abruzzese Alberto, 53, 55, 288-9 Adorno Theodor W., 257 Agostini Angelo, 216-7 Alasuutari Pertti, 195, 203 Allen Woody, 136 Ambrosini Maurizio, 69-70 Anolli Luigi, 109-10 Antelmi Donella, 127-8 Appiano Ave, 231 Arnheim Rudolf, 13, 231 Aubral François, 109-10 Aumont Jacques, 93, 109-10, 177, 184, 231 Auteliano Alice, 93-4 Aydede Murat, 37, 40

Baars Bernard J., 37-8 Bachtin Michail, 164-6 Back Les, 261-2 Baetens Ian, 240, 244 Baim Nancy K., 202 Barale Francesco, 37-8 Barbieri Daniele, 240, 243-4 Barker Jennifer M., 93 Barthes Roland, 17, 61, 144-5, 177, 194, 213, 217, 257, 262, 283, 289 Battisti Lucio, 256 Beasley Ron, 288-9 Bellavita Andrea, 120, 128, 306, 312 Bellour Raymond, 54-5, 177, 184

Benjamin Walter, 14, 46 Bennett Andy, 257-8, 262 Benveniste Émile, 137-8, 145 Bergson Henri, 14 Bermúdez José Luis, 37-8 Bernardelli Andrea, 127-8, 261-2 Bernárdez E., 72 Bertetti Paolo, 306, 312 Bertetto Paolo, 69-70, 109-10 Berthoz Alain, 165-6 Berton Mireille, 54-5 Bertoni Federico, 202-3 Bertrand Denis, 68, 70 Bettetini Gianfranco, 62, 68, 70, 127-8, 155, 166, 177, 184, 213, 217, 288-9, 306, 312 Biagi Enzo, 207, 215 Bianchi Cinzia, 288-9 Bickle John, 37-8 Bignell Jonathan, 69-70 Bittanti Matteo, 311-2 Blackmore Susan, 37-8 Blanchot Maurice, 157, 165, 167 Boden Margaret A., 36, 39 Boella Laura, 165, 167 Bolter Jay David, 175, 183-4, 195, 306-7, 312 Bongco Mila, 243-4 Boni Federico, 68, 70 Bonomi Andrea, 109-10 Booth Wayne, 165, 167, 177

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Semiotica dei media

Bordwell David, 121, 128, 177, 183-4, 274 Borelli Davide, 53-4 Bottiroli Giovanni, 183-4 Braga Paolo, 165, 167 Brancato Sergio, 243-4 Branigan Edward, 155, 167 Branston Gill, 68, 70 Brecht Bertolt, 254 Bremond Claude, 120 Brenez Nicole, 109-10 Briggs Asa, 53, 55 Bruner Jerome, 127-8 Bryce Jo, 306, 314 Buccheri Vincenzo, 274 Bühler Karl, 137 Bull Michael, 261-2 Buonannno Milly, 127-8 Burgoyne Robert, 69, 72 Burke Peter, 53, 55 Burton Tim, 93, 243 Buscema Massimo, 213, 217

Calabi Clotilde, 37, 40, 92, 94 Calabrese Omar, 93-4, 138, 145, 213, 216-7 Calefato Patrizia, 261-2 Caniff Milton, 240 Canova Gianni, 311 Cappelletto Chiara, 37-8 Cappuccio Massimiliano, 37-8, 93-4 Caprettini Gian Paolo, 127-8, 243-4 Carboni Massimo, 37-8 Cardini Daniela, 127-8 Cardone Lucia, 69-70 Carini Stefania, 127-8 Carluccio Giulia, 54-5 Carroll Noël, 165, 167 Casetti Francesco, 14, 53-5, 69-70, 127-8, 138, 145, 155, 167, 176, 183-4, 195, 311-2

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Castle William, 180 Castronovo Valerio, 216-7 Cavell Stanley, 144-5 Ceriani Giulia, 93-4, 283, 289 Cervelli Pierluigi, 284, 292 Cesareo Vincenzo, 202-3 Ceserani Remo, 127-8 Changeux Jean Pierre, 37-8 Chateau Dominique, 93-4, 109-10 Chatman Seymour, 127-8 Chion Michel, 261-2 Colombo Fausto, 53-5, 283, 288-90, 306-7, 312 Coplan Amy, 165, 167 Coquet Jean-Claude, 176, 185 Corrain Lucia, 93-4 Cosenza Giovanna, 310, 312 Courtés Joseph, 137, 146 Crick Francis, 29 Cronenberg David, 136 Cuccu Lorenzo, 69-70, 165, 167

D’Aloia Adriano, 54-5 Damasio Antonio R., 108-9, 111 D’Amato Francesco, 261-2 Danesi Marcel, 69, 71, 288-9 Dardano Maurizio, 213, 217 David Zelazo Philip, 37, 40 Davis Lloyd, 69, 72 Deahene Stanislas, 216, 217 De Blasio Emiliana, 202-3 De Giusti Luciano, 311-2 De Gregori Francesco, 247-8, 252-4, 260-1 Deleuze Gilles, 83 Deni Michela, 284, 290 Denunzio Fabrizio, 202-3 De Palma Brian, 153 Derrida Jacques, 177 Dewey John, 14 Di Chio Federico, 69-70, 127-8

Indice dei nomi

Dick Philip K., 47, 110-1 Didi-Huberman Georges, 144-5 Di Francesco Michele, 37-8 Diodato Roberto, 310, 312 Dubois Philippe, 109, 111 Dusi Nicola, 69, 71, 93-4 Dyer Gillian, 283, 290 Dylan Bob, 254, 261

Eco Umberto, 61-2, 105, 111, 121, 128, 177, 185, 194-5, 203, 213, 218, 240, 244, 257, 262, 283, 290 Edelman Gerald, 29, 37-8 Egenfeldt-Nielson Simon, 306, 312 Eisner Will, 243-4 Elsaesser Thomas, 54-5 Eugeni Ruggero, 53-5, 69, 71, 144, 146, 216, 218, 231-2, 283, 290, 306, 311-2

Fabbri Franco, 257, 262 Fabbri Paolo, 68, 71 Fanchi Mariagrazia, 202-3 Farinelli Franco, 311, 313 Ferraresi Mauro, 284, 288, 290 Ferrari Franca, 261, 263 Ferraris Maurizio, 183, 185 Ferraro Guido, 213, 218, 283, 290 Finocchi Riccardo, 284, 290 Fiorin José-Luiz, 284, 291 Flitterman-Lewis Sandy, 69, 72 Floch Jean-Marie, 84, 240, 244, 283, 290 Fontanille Jacques, 69, 71, 84, 93-4, 177, 183, 185, 284, 290 Franzini Elio, 37, 39 Fresnault-Deruelle Pierre, 240, 244 Frezza Gino, 243-4 Frijda Nico H., 109, 111 Frixione Marcello, 37, 39 Fumagalli Armando, 283, 290

Gage Nicole M., 37, 39 Galati Dario, 109, 111 Gallagher Shaun, 37, 39 Gallese Vittorio, 37, 39, 93, 165, 167 Gallino Luciano, 201, 203 Gambetta Diego, 183, 185 Gasparini Barbara, 306, 312 Gaudiosi Massimiliano, 69, 72 Gaudreault André, 105, 109, 111, 177 Gazzaniga Michael, 36, 39 Genette Gérard, 105, 111, 121, 128, 154-5, 167, 176, 185 Gensini Stefano, 69, 71 Giaccardi Chiara, 183, 185, 283, 290 Gili Guido, 183, 185 Gillespie Marie, 69, 71, 202-3 Goffman Erving, 201, 283, 290 Goldman Alvin I., 165, 167 Goldstein Jeffrey, 306, 313 Gorman Lyn, 53, 55 Gozzano Simone, 37, 39 Grandi Roberto, 283, 290 Grasso Aldo, 127-8, 288, 291 Greimas Algirdas Julien, 17, 62, 69, 72, 83-4, 106, 111, 120, 137, 146, 176, 183, 185 Grifero Tonino, 37, 39 Grignaffini Giorgio, 127, 129 Grodal Torben, 54, 56, 109, 306, 313 Groensteen Thierry, 240, 244 Groupe Mu, 84, 94 Grusin Richard, 175, 183-4, 195, 307, 312 Gubern Román, 240, 244

Hagener Malte, 54-5 Hall Stuart, 195, 203 Hansen Mark B. N., 311, 313 Hansson Karlo, 109, 111 Harrigan Pat, 306, 313 Haynes Todd, 261 Heide Smith Jonas, 306, 312

317

Semiotica dei media

Hitchcock Alfred, 141 Hofstadter Douglas C., 37, 39 Husserl Edmund, 14

Iacoboni Marco, 165, 167 Ingarden Roman, 194 Innocenti Veronica, 93, 127, 129 Iovane Giorgia, 127, 129 Iser Wolfgang, 14, 177, 194 Ivry Richard B., 37, 39

Jackson Michael, 287 Jacques Bertin, 231-2 Jakobson Roman, 137 James Henry, 154 Jankowski Nicholas W., 202 Jannacci Enzo, 257 Janson Klaus, 233 Jauss Hans Robert, 14 Jedlowski Paolo, 36, 39, 127, 129 Jenkins Henry, 195-6, 203 Jensen Klaus Bruhn, 69, 71 Jhally Sut, 283, 291 Jorland Gérard, 165-6 Jost François, 155

Károlyi Otto, 248 Kline Stephen, 283, 291 Koch Christof, 29, 37, 39 Kozloff Sara, 177 Krafft Ulrich, 240, 244 Krauss Rosalind, 311, 313 Kristeva Julia, 177 Kubrick Stanley, 163

Lacan Jacques, 120 Lancioni Tarcisio, 93-4 Landow George, 306, 313

318

Landowski Eric, 69, 71, 84, 106, 111, 213, 218, 283-4, 291 Landreth Anthony, 37-8 Laureys Steven, 37, 40 Le Breton David, 36, 39 LeDoux Joseph, 37, 39 Leiss William, 283, 291 Leone Sergio, 200 Leoni Federico, 37, 39 Levorato Maria Chiara, 109, 111 Lévi-Strauss Claude, 216, 218 Lievrouw Leah A., 202-3, 310, 313 Livingstone Sonia, 195, 202, 204, 310, 313 Livolsi Marino, 202, 204 Lo Feudo Giorgio, 69, 71 Lombardi Marco, 283, 288, 291 Longhurst Brian, 195, 203 Lorusso Anna Maria, 68, 71, 216, 218 Lucignani Giovanni, 39-40 Lyotard Jean-François, 83

Magatti Mauro, 183, 185, 202, 204 Magli Patrizia, 69, 71, 166-7 Maietti Massimo, 311, 313 Malavasi Luca, 54, 56 Maldonato Mauro, 37, 40 Mancini Paolo, 53, 55, 68, 71 Mandik Peter, 37-8 Manetti Giovanni, 144, 146, 306, 312 Mangano Dario, 284, 291 Mangun George R., 37, 40 Manovich Lev, 307, 313 Marconi Luca, 261-2 Mariano Luigi, 288, 291 Marini Ronaldo, 68, 71 Marks Laura, 93-4 Marraffa Massimo, 37, 40 Marrone Gianfranco, 68, 71, 84, 93-4, 195, 204, 213, 216, 218, 261-2, 283-4, 288, 291 Marsciani Francesco, 69, 71, 284, 291

Indice dei nomi

Marzano Michela, 37, 40 Mascheroni Giovanna, 310, 313 Mattozzi Alvise, 284, 291 Mazzarella Arturo, 307, 313 Mazzucchelli David, 243 McCloud Scott, 243-4 McKee Robert, 110-1 McLean David, 53, 55 McQuail Denis, 202, 204 Megido Victor, 288, 291 Melchiorre Virgilio, 37, 40 Melchiorri Giorgio, 284, 291 Menduni Enrico, 310, 313 Meneghelli Donata, 165, 167 Merleau-Ponty Maurice, 14, 83 Metz Christian, 121, 129, 155, 167, 177, 185 Middleton Richard, 257, 262 Midolo Elena Dominique, 261, 263 Miller Frank, 93, 233, 243 Mogol, 256 Montanari Federico, 213, 218 Montani Pietro, 37-8, 144, 146 Moores Shaun, 202, 204 Morabito Carmela, 36, 40 Morelli Raffaele, 228 Mortara Ariela, 288, 290 Moscovitch Morris, 37, 40 Mules Warwick, 69, 72 Müller Günter, 121 Murray Smith Greg, 165, 168 Musso Patrizia, 288, 291

Nacci Michela, 284, 291 Nadel Lynn, 37, 40 Nattiez Jean-Jacques, 260-1, 263 Noë Alva, 93-4 Nolan Christopher, 93 Nutt Christian, 294

Odin Roger, 105, 109, 111, 178, 185 Oliverio Alberto, 37, 40 Ortoleva Peppino, 36, 40, 53-4, 56, 261, 263

Pachoud Bernard, 37, 40 Pajares Tosca Susana, 306, 312 Papuzzi Alberto, 216, 218 Parmiggiani Paola, 284, 290 Pasquali Francesca, 310, 313 Paternoster Alfredo, 37, 40, 92, 95 Pavel Thomas G., 105, 111 Pavone Rita, 257 Peckinpah Sam, 200 Peeters Benoit, 240, 245 Peirce Charles Sanders, 16, 61-2 Pellerey Roberto, 69, 71, 261-2 Pepperell Robert, 54, 56 Perissinotto Alessandro, 127, 129 Perron Bernard, 306-7, 314 Pescatore Guglielmo, 127, 129 Petitot Jean, 37, 40 Petrosino Silvano, 183, 185 Peverini Paolo, 216, 218, 258, 263 Pezzini Isabella, 69, 71, 284, 288, 291-2 Piattelli Palmarini Massimo, 36, 40 Pinotti Lamberto, 39-40 Pisanty Valentina, 69, 71 Pitassio Francesco, 166, 168 Plantinga Carl, 54, 56, 165, 168 Polidoro Pietro, 93, 95, 231-2 Ponzoni Cochi, 257 Pozzato Maria Pia, 68, 71, 127, 129, 213, 218, 284, 292 Pozzetto Renato, 257 Proni Giampaolo, 283, 292 Propp Vladimir, 120 Pugliatti Paola, 165, 168 Punt Michael, 54, 56

Queau Philippe, 306, 313

319

Semiotica dei media

Raessens Joost, 306, 313 Raffaelli Luca, 243, 245 Raynaud Savina, 144, 146 Re Valentina, 93-4 Recalcati Massimo, 120, 129 Reeves Matt, 153 Restaino Franco, 243, 245 Rheingold Howard, 202, 204 Ricoeur Paul, 37-8, 60, 69, 72, 121, 126-7, 129, 165, 168 Rizzolatti Giacomo, 144, 146, 165, 168 Robbins Philip, 37, 40 Rodowick David Norman, 311, 313 Rondolino Gianni, 69, 72 Roniger Luis, 183, 185 Rosch Eleanor, 93, 95 Rossi Vasco, 261 Roy Jean-Michel, 37, 40 Rutelli Romana, 69, 71, 261-2 Rutter Jason, 306, 314

Saba Cosetta G., 288, 292 Sainati Augusto, 69, 72, 165, 167 Saraceni Mario, 243, 245 Saussure Ferdinand de, 17, 61 Savarese Rossella, 231-2 Scaglioni Massimo, 127-8, 202, 204, 307, 314 Scalabroni Luisa, 216, 218 Scaramucci Barbara, 261, 263 Schefer Jean-Louis, 54, 56 Schmitt Bernd H., 284, 290 Schneider Susan, 37, 40 Schulz Charles M., 243 Segre Cesare, 127, 129, 183, 186 Semprini Andrea, 283-4, 292 Sfardini Anna, 307, 314 Shank Barry, 257-8, 262 Shaviro Steven, 54, 56 Sibilla Gianni, 257, 263 Sienkiewicz Bill, 243 Silverstone Roger, 53, 56

320

Simmel Georg, 201 Simonigh Chiara, 54, 56 Singer Bryan, 183 Sinigaglia Corrado, 144, 146, 165, 168 Sobchack Vivian, 54, 56 Somaini Antonio, 37, 40, 54, 56 Sorice Michele, 53, 56, 68, 72 Sorrentino Carlo, 216, 218 Spalletta Marica, 216, 218 Spaziante Lucio, 258, 263 Spinicci Paolo, 93, 95 Stafford Roy, 68, 70 Stam Robert, 69, 72 Stefanelli Matteo, 243, 245 Stefani Gino, 257, 260-3 Stern Daniel, 109, 111 Stueber Karsten R., 165, 168 Surman David, 307, 314 Sylwan Guingo, 288, 290

Tagg Philip, 257, 263 Tarantino Quentin, 18, 73, 180, 200 Tarasti Eero, 260, 263 Termine Liborio, 54, 56 Thompson Evan, 37, 40, 93, 95 Thompson John B., 54, 56 Thompson Kristin, 274 Thwaites Tony, 69, 72 Todorov Tzvetan, 120 Tomasi Dario, 69, 72 Tononi Giulio, 37, 40 Tosoni Simone, 202, 204 Toynbee Jason, 69, 71, 257-8, 262 Traini Stefano, 69, 72, 288, 292 Tranfaglia Nicola, 216-7 Turchetta Gianni, 165, 168 Umiker-Sebeok Jean, 283, 292

Varela Francisco, 37, 40, 93, 95 Varley Lynn, 233 Velmans Max, 37, 40

Indice dei nomi

Veron Eliseo, 213, 218 Vilches Lorenzo, 216, 218 Villa Federica, 54-5 Violi Patrizia, 69, 72, 213, 216-8, 261, 263 Vittadini Nicoletta, 306-7, 312, 314 Volli Ugo, 36, 40, 68, 72, 127, 129, 216-7, 288, 292 Voltolini Dario, 37, 40 Vozza Lisa, 165, 168

Wardrip-Fruin Noah, 306, 313 Warshow Robert, 54, 56

Weber Anne-Katrin, 54-5 Williamson Judith, 283, 292 Wittgenstein Ludwig, 14 Wolf Mark J. P., 306-7, 314 Wolf Maryanne, 216, 218 Wright Will, 294, 305

Zahavi Dan, 37, 39 Zelazo Philip David, 37, 40 Ziemke T., 72 Zilberberg Claude, 93-4 Zinna Alessandro, 69, 71, 284, 290, 306, 314

321

Indice dei termini principali

allotropia, organizzazione allotropica del mondo, mondo allotropico, 135-43 aspettualità del racconto/dell’esperienza mediale, 162-4, 258-60 autore, cfr. intreccio (soggetto/i dell’)

configurazioni sensibili complesse (csc), 82-5 elementari (cse), 81-2 tonali/ritmiche, 84-5 consonanza (meccanismi di), cfr. interpretazione e discorso (efficacia simbolica del) corpo dei soggetti del discorso, 122-6, 173, 241-3 dei soggetti del mondo diretto, 209-12 dei soggetti del mondo indiretto, 155-60

design (dell’esperienza mediale), 41-3 etico, 164-5 narrativo, 108-9 ontologico, 143-4 retorico, 182-3 sensibile, 91-2 sociale, 201 temporale, 126-7

diagrammi sensibili, 88-91 del formato, 224-6, 238 e strutture tensive, 239 ritmici, 89-91 tonali, 88, 90 diegesi, 105 diegetizzazione (del dispositivo), 140-1, 197-9, 282-4 discorso, 44 ss. articolazioni del, 115, cfr. produzione, intreccio, formato conformazioni del, 50-2 efficacia simbolica del, 210-4, 241-2 modalità e gradi di manifestazione/ evidenza del, 118-20, 174-8 soggetti del, 169 ss., 284-8, cfr. fiducia/relazione fiduciaria e formato (soggetto/i del)

efficacia simbolica, cfr. discorso egotropia, organizzazione egotropica del mondo, mondo/sistema egotropico, 135-43 emozione dei soggetti del mondo indiretto, 101 del soggetto dell’esperienza, cfr. sintonia relazionale con i soggetti del mondo indiretto, interpretazione/ dinamica interpretativa, discorso (efficacia simbolica del)

323

Semiotica dei media

nella costituzione delle mappe situazionali, 108n empatia/simpatia, cfr. sintonia relazionale con i soggetti del mondo indiretto enunciazione, 137-8, 176-8 esperienza descrizioni antropologiche dell’, 27-8 descrizioni filosofiche dell’, 30-1 descrizioni neurologiche dell’, 28-30 semiotica dell’, 62 terminologia dell’, 25-6 esperienza mediale, 41 ss. (ad attivazione) automatica, 48-50 (ad attivazione) manuale, 48-50, 207 ss. (ad attivazione) pervasiva, 48-50 (ad attivazione) situata, 48-50 ambientale, 50-2, 293 ss. di flusso, 50-2 estetica, 52-3 fattuale, 52-3, 139, 143, 207 ss., 265 ss. finzionale, 52-3, 138-43 ipertestuale, 50-2, 219 ss., 233 ss. partecipativa, 52-3 testuale, 50-2, 233 ss.

fiducia/relazione fiduciaria, 181-2, 199 ss., 214-5, 284-8 figura/e, 107-8, 119n, 161 formato (del discorso), 115-7 come spazio metadiscorsivo reticolare, 226-31, 237 ss., 307-8 della canzone come oggetto sonoro, 255-6 soggetto/i del, 226-30

interpretazione/dinamica interpretativa, 30, 32-3

324

e meccanismi di consonanza e inferenza, 157-60, 210-4, 237-42 intreccio (del discorso), 115-7, 122-6 e scrittura, 177 ss. soggetto/i dell’, 178 ss.

mappe situazionali, 101-3, 302-4 mondo diretto, 44 rapporti del m. d. con il mondo indiretto, 135 ss. soggetto/i del, 187 mondo indiretto, 44, 92 ss. oggetti del, 279-80 soggetti interni del m. i., personaggi, 155 ss. soggetto/i della percezione del, 150-4 statuti del, 52-3

ordinamento narrativo (strato dell’), 35 del discorso, 113 ss. del mondo diretto, 131 del mondo indiretto, 97 ss.

percezione, 77-81, 83-4 posizionamento dello spettatore, 154 processi sensibili, 81-5 processi sensoriali, 77-81 produzione (del discorso/discorsiva), 115-7, 176 e linearità, 237 ss. e vocalizzazione, 175, 209 ss., 252 ss. soggetto/i della, 252-4 punto di vista (narrativo), 154-5, cfr. aspettualità del racconto/dell’esperienza mediale

qualità sensibili, 85-91 degli oggetti, 279-80 ritmiche, 88-9, 90

Indice dei termini principali

tonali, 85-8, 90 uso delle q. s. come marche stilistiche, 178 ss. uso metaforico delle, 107

racconto condizioni elementari del, 105-6 vs commento, 215-6 vs storia, 120-1 reception studies, 194 rilevazione/qualificazione sensibile (strato della), 34, cfr. processi sensoriali, processi sensibili, percezione, sensazione

semiotica dei media, 57 ss. evoluzione della, 61-2 sensazione, 79-85

sentire comune/condivisione, 162 ss., 197 ss. sintonia relazionale (strato della), 35 con i soggetti del discorso, 169 ss., 284-8 con i soggetti del mondo diretto, 187 ss. con i soggetti del mondo indiretto, 147 ss., 280-2, 304-5 situazione, 99-101, 104-7 storia, cfr. racconto

turning point(s), 104-7

voce dei soggetti del discorso, cfr. produzione discorsiva (e vocalizzazione) dei soggetti del mondo indiretto, 157, 158 e n, 258-60

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