Segni, parole, magia. Il linguaggio magico 8827204504

L'autore, un antropologo che si occupa delle tradizioni magico-religiose delle culture meno note, in questo libro p

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Segni, parole, magia. Il linguaggio magico
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MASSIMO CENTINI

segni, parole magia EDIZIONI MEDITERRANEE

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MASSIMO CENTINI

Segni, parole, magia Il linguaggio magico

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EDIZIONI

A1EDITERRtWEE

In copertina: Raffigurazioni di cacciatori realizzate dagli indiani di Sierra di Kilo, Chihuahua, Messico.

Finito di stampare nel mese di maggio 1997 ISBN 88-272-0450-4 © Copyright 1997 by Edizioni Mediterranee - Via Flaminia, 158 - 00196 Roma O Printed in"Italy O S.T.A.R. - Via L. Arati, 12 - 00151 Roma

Indice

Pag. Premessa 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.

Il significato della magia Il ruolo magico del segno In principio fu la magia nelle caverne Il rituale della parola Le mani e i piedi dello stregone Gli strumenti del mago I riflessi soprannaturali Le formule magiche Le pietre degli sciamani I simboli della crgce I marchi di Satana

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Appendice Un viaggio tra i segni: la Porta Magica di Roma · Bibliografia

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Premessa

La magia è un universo fatto di «segni» che si sommano, si annullano e si intersecano all'interno di un meccanismo simbolico dotato di un linguaggio composito. Questo linguaggio - studiato da semiologi, antropologi e psicoanalisti - si avvale di elementi diversi, in cui gesti, parole e oggetti danno forma ad una sorta di grammatica criptica accessibile a pochi eletti e contemporaneamente capace di suscitare profonde ambiguità e false interpretazioni. Per avvicinarsi a questo miagmatico universo in cui sono rinvenibili anche tracce di culture che datano millenni, può essere di aiuto possedere una sorta di vademecum, in cui siano contenute alcune indicazioni per comprendere il linguaggio della magia. I Questo libro intende appunto favorire l'opportunità per la comprensione di questo linguaggio, attraverso brevi indicazioni sull'origine di alcuni dei suoi elementi più caratteristici. Segni, parole, simboli e qùalche oggetto assurti, in certi casi, ad emblemi del mondo della magia e spesso entrati a far parte di luoghi comuni, ma non per questo conosciuti come dovrebbero. Ci auguriamo che l'impostazione propedeutica scelta per questo breve viaggio nei simboli della magia, possa essere una prima opportunità di conoscenza dell'argomento. Conoscenza che potrà essere approfondita sulla base della bibliografia disponibile. L'AUTORE

1. Il significato della magia

La componente magica ha svolto un ruolo importante nella cultura; proprio in ragione di questa irrinunciabile presenza della magia, le pratiche rituali «altre» hanno sempre proposto un linguaggio comprensibile anche alle classi meno influenzate dalla cultura scientifica. L'empirismo che scaturiva dall'osservazione e dall' esperienza magica, forte del suo illimitato universo simbolico, di fatto era la struttura pùrtante di un meccanismo terapeutico arcaico e in continua lotta con gli influssi negativi, con le condizionanti mitiche, con la malasorte. Infatti, «un vastissimo senso magico investe qualsiasi pratica, qualsiasi procedimento atto a prevenire o a fugare una malattia o un sintomo doloroso» (1). La magia, essendo per definizione la capacità di dominare e strumentalizzare, secondo un progetto spesso anomalo e vincolato a tutta una serie di rituali e di formule in gran parte sconosciute ai non adepti, presenta possibilità indefinite, quando viene a misurarsi con le regole della razionalità quotidiana. In sostanza all'origine della magia vi sarebbe ~oncetto di potere, «di cui la forza del mago, quella del rito, quella dello spirito sono soltanto espressioni diverse» (2). (1) A. Pazzini, La medicina popolare in Italia (Storia, tradizioni, leggende), Trieste 1948, pag. 10. (2) M. Mauss, Teoria generale qella magia e altri saggi, Torino 1965, pag. 27.

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L'indagine etnologica, in particolare quella britannica guidata dal Malinowski, ha in origine individuato nella magia «un sistema che offre la soluzione dei conflitti che scaturiscono dall'impotenza umana ad affrontare tutti i rischi con il solo ausilio della conoscenza e dell'abilità tecnica» (3). Davanti ai grandi misteri irrisolti dell'esistenza, alle angosce che tormentano il nostro cammino di uomini incapaci di risolvere ogni cosa con l'ausilio della ragione, la magia era la strada «altra», il modo per intervenire nella realtà naturale, cercando di orientarla secondo il proprio interesse. Appoggiandosi ad un'empirica visione dei fatti della natura, il Frazer (4) poneva nella magia due assunti fondamentali: a) il simile crea il simile; b) l'effetto ha strette somiglianze con le cause. Il primo principio si avvale della consapevolezza che imitando una certa azione si ottenga effettivamente quanto simulato. Il secondo invece, parte dal presupposto che operando su un'effigie o un oggetto appartenente al soggetto dell'azione magica, si ottenga l'identico effetto sulla vittima del rito. Generalmente si tende ad individuare tre applicazioni della magia: a) magia nera (pratiche dirette a produrre dei malefici); b) magia bianca (pratica per combattere la magia nera e ristabilire un equilibrio iniziale: ad esempio la salute); c) magia «economica» (pratica destinata a garantire il dominio sulla natura, non necessariamente orientata verso il maleficio) . Le teorie del Frazer, per quanto datate, possono comunque offrire ancora alcune interessanti indicazioni per la nostra indagine. Secondo lo studioso inglese, la magia si suddivide in due grandi classi, quella omeopatica e quella contagiosa: Omeopatica (il simile produce il simile) Contagiosa (gli oggetti venuti a contatto mantengono un legame soprannaturale). (3) B. Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentak, Roma 1973, pag. 177. (4) J. Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione, Torino 1973, vol. 1, pag. 25.

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Come si evince da questa frammentaria descrizione, entrambe le forme di magia possono anche rientrare all'interno del vasto e articolato complesso costituito dalla terapia-magica. Il primo caso è relativo a quelle pratiche in cui è prevista l'assimilazione di un prodotto accostabile ad un oggetto che riconduce direttamente alla malattia da curare (oggi questa forma di cura è particolarmente diffusa anche al di fuori della cosiddetta medicina popolare) (5). Il fenomeno ha assunto toni sincretistici fondendosi al culto ed è particolarmente evidente nel ricorso a quei santi taumaturghi il cui l)Otere è da porre in relazione al martirio subito (Santa Lucia che fu accecata è protettrice della vista, Sant' Apollonia, a cui furono strappati i denti, protegge dalle carie, ecc. ecc.). Nel caso della magia contagiosa, ci troviamo davanti a fenomenologie che partono dal presupposto che, operando su alcuni elementi appartenuti ad un corpo, si possa intervenire - positivamente o negativamente - su quel corpo. Nella pratica magica è sempre necessario un celebrante, genericamente definito mago, che determina un cambiamento di status operando con metodi che, pur avendo una base nel livello naturale, sono diretti ad attivare forze soprannaturali, agenti per conto dell'uomo di magia. Tutta la pratica si avvale quindi di elementi simbolici che permettono l'azione magica: a) b) c) d)

strumento catalizzatore; rituale; formula; contesto culturale favorevole all'affermazione delle credenze; e) forte condizionabilità dei soggetti coinvolti; f) scarsa penetrazione della religione; g) limitate conoscenze scientifiche. Anche i nessi casuali ipotizzati da Frazer, ricondùcibili a due principi ba.,ilari, quello di similarità e quello di contagio,

(5) In medicina, per omeopatia si intende quella te0ria che si basa sul concetto che le forme morbose vadano curate con la somministrazione a dosi infinitesimali di quei farmaci che, somministrati a persone sane, indicano una sintomatologia analoga a quella considerata.

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comunque non sono in grado di risolvere in pieno il ruolo sociale della magia. Il rito magico, agendo direttamente e senza la mediazione di un medium spirituale (in questo caso il fenomeno si sposterebbe sul piano della religione), si pone in un ambito privo di quei parametri fissi, che la razionalità richiede quando tenta di stabilire le regole della propria esperienza quotidiana. Nella tradizione simbolica, in cui la magia e il mito hanno una posizione privilegiata, il mondo «è creato da un processo di classificazione e la ripetizione, mitica e tribale, della classificazione consente di preservare la conoscenza che questa racchiude» (6). Nel mito questo avviene attraverso immagini e ricostruzioni mentali, nel rito con oggetti, parole e manipolazioni. Infatti «il rito può includere enunciati verbali (formule, invocazioni, canti), così come può non includerli; tuttavia anche quando è muto utilizza, applicandolo agli oggetti, il medesimo meccanismo combinatorio del linguaggio. Se nella comunicazione verbale il senso non risiede dei singoli fonemi ma nella loro combinazione, così nel rito il messaggio non è trasmesso dagli oggetti che vengono manipolati, ma dall' organizzazione interna della configurazione simbolica di cui fanno parte. In sostanza il rito costituirebbe un processo di categorizzazione non verbale della realtà, destinato a immagazzinare e trasmettere informazioni complesse» (7). Esiste innegabilmente un legame atavico tra l'uomo e la magia, una connessione che scaturisce dalla mera volontà di appagare dei bisogni materiali, spesso irrisolvibili attraverso i mezzi consentiti. Il disagio causato dall'incertezza umana è una delle motivazioni poste alla base del meccanismo che ha indotto da sempre la nostra specie ad accostarsi alle pratiche magiche, in quanto ritenute strumenti estremi, corda di salvezza verso un'improbabile certezza ... Secondo Evans-Pritchard la magia scaturirebbe da uno stato di tensione, «quando un uomo è travolto dall'odio o dall'amore o da altri sentimenti, e quando non può trovare (6) E. Leach, La ritualisation chez l'homme par rapport à son développement culture! et socia!, in J. Huxley, a cura, Le comportament rituel chez l'homme et l'anima!, Parigi 1971, pag. 245. (7) P. Scarduelli, Introduzione all'antropologia culturale, Torino 1994, pag. 233.

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alcun altro rimedio» ricorre alla magia, che di fatto sarebbe un'attività simbolica di «carattere sostitutivo, dotata di una funzione catartica e stimolante» (8). La precarietà del sistema esistenziale è quindi il motivo dominante posto alla base della scelta magica (una scelta che a livello popolare è sempre stata caratterizzata da un amalgama tra empirismo, mito e religione), il che alimenta la volontà, insita nell'uomo di infrangere le regole prestabilite da un ordine superiore, invalicabile (dio, stato, antropocentrismo). Infatti, il senso della magia non deve il suo consolidamento solo agli archetipi e alle memorie rituali più antiche, ma anche al disagio, alle incertezze dei contesti che hanno garantito l'affermazione della ritualità. La magia finisce così per essere una sorta di reazione all'umano terrore della storia, che con le sue simboliche forme di evocazione di situazioni arcaiche, tenta la ripetizione dell'atto cosmogonico e la rigenerazione periodica del tempo primigenio. Nella sostanza, staccandosi dalla religione e preludendo la scienza, la magia ha offerto una possibilità «altra» di interpretare i fenomeni naturali (9), possibilità letta come errore, se destinato a contrastare le verità inattaccabili della cultura scientifica. Ma il sapere magico, fatto di un proprio specifico corpus di credenze e di miti, ha dimostrato da sempre una certa impermeabilità alle trasformazioni sociali. Anzi, questo patrimonio di sapienza naturale è diventato punto di riferimento all'interno delle culture emarginate, nella loro lotta contro i poteri dominanti. Il riferimento riguarda in particolare le pratiche dirette alla terapia medico-magica, un patrimonio «che si tramanda da millenni di generazione in generazione, negli ultimi strati di tutti i popoli. Questa raccolta di scienza popolare nella quale alcuni studiosi vollero riscontrare i primi libri di medicina, la vediamo ripetersi nella farmacopea classica grecoaraba e nei molti erbari e ricettari medievali» (10). (8) E.E. Evans-Pritchard, Teorie sulla religione primitiva, Firenze 1971, pag. 85. (9) M. Mauss, Op. Cit., pag. 126. (10) G.M. Nardi, Ricerche storiche intorno alle pratiche di medicina magica con particolare riguardo al popolo toscano, in «Rivista di storia delle scienze mediche e naturali», XXVIII, fase. 5-6, 1937.

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Con le strade alternative della magia, che nella faste popolari era interpretata in modo del tutto diverso da'quello delle classi dominanti, si pensava di poter agire concretamente, riconquistando o ottenendo quei poteri e valori notoriamente negati ai limiti dell'umano. Quindi la magia non è una forma di pre-religione e neppure espressione di una protoscienza, ma una strada per cercare di uscire dai ristretti ambiti della conoscenza ufficiale, troppe volte incapace di dare delle risposte agli interrogativi scaturiti dalle incertezze dell'anthropos. Come si rivela nelle culture etnologiche, «ben lungi dal1' essere una forma di scienza primitiva, la magia è la conseguenza del consapevole riconoscimento che la scienza ha i suoi limiti, e che l'intelletto umano e la capacità umana sono a volte impotenti» (11). La magia non può essere simile alla conoscenza scientifica, poiché le sue conoscenze si fondano sulla base di evidenze maturate da un atteggiamento che si sottrae alle regole del sapere sperimentale. Di conseguenza «la fede nella magia precede l'esperienza», anche se innegabilmente una certa forma di magia atavica ha permesso la sedimentazione di una conoscenza che può essere considerata proto-scientifica. Infatti, pur nella sua polivalenza, la magia offre una metodologia, un sistema articolato di segni che ha presa in ambiti capaci di decifrarne l'effettiva portata, stabilendo pertanto un rapporto privilegiato tra causa ed effetto. Il meccanismo magico si avvale di un complesso sistema di simboli, alimentati da riti, credenze e pratiche che hanno una loto significanza precisa, solo quando circolano all'interno di una dimensione definita da un punto di vista semantico (12). (11) B. Malinowski, Magia, scienza e religione, Torino 1970,,pag. 177. (12) «La cultura non è tuttavia un deposito d'informazione. E un meccanismo organizzato in modo estremamente complesso, che conserva l'informazione, elaborando continuamente a tale scopo i procedimenti più vantaggiosi e compatti, ne riceve di nuovi, codifica e decodifica i messaggi, li traduce da un sistema segnico in un altro. La cultura è il meccanismo duttile e complesso della conoscenza», J. Lotman-B. Uspenskij, Tipologia della cultura, Milano 1975, pag. 28. «La magia è una massa vivente, informe, inorganica, le cui componenti non hanno né posto né funzioni fissi, e talora si confondono tra loro; la distinzione, più profonda, tra rappresentazioni e riti talvolta svanisce deL tutto, al punto che un semplice enunciato di rappresentazione può diventare un rito», M. Mauss, Op. Cit., pag. 88.

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Il ruolo dominante è svolto dalla formula, che in effetti è il punto focale del rito magico: in essa sono evidenti quelle allusioni mitologiche agli antenati e a certi stati tradizionali, che sono parte integrante della cultura in cui la magia si trova ad operare. In genere la magia sembrerebbe costituita da un nucleo di elementi intrinseci, difficilmente scindibili nelle loro distinte strutture basilari. Sembrerebbe pure una forma esecutiva in cui sono inglobate tutte le conoscenze, ma trattate in modo irrazionale e senza un metodo specifico. La magia, comunque, intende indagare la realtà, trasformandola all'interno della propria pratica simbolica, creduta capace di condizionare i moti naturali. Nell'insieme, la magia si formula come un meccanismo di comunicazione, la cui morfologia poggia su una struttura che costituisce il proprio linguaggio sulla consapevolezza dell' eterno scontro tra bonum et malum. La contrapposizione tra luce e ombra, tra il bene e il male, di fatto è la componente primaria situata alla base delle credenze magiche: questo leitmotiv gioca da sempre un ruolo determinante, che si riflette nella sfera del sociale, condizionando i rapporti tra i singoli individui (13). Poiché la magia, a certi livelli, svolge un importante ruolo di comunicazione sociale, possiamo individuare nella sua struttura dialettica una dimensione linguistica molto precisa, che assegna al rituale magico la funzione di linguaggio, con caratteristiche molto simili a quella che gli antropologi hanno riconosciuto al mito. Ma i meccanismi del linguaggio, «dopo aver creato dei termini e averli entificati, avrebbero prodotto ulteriori conseguenze: dapprima vennero attribuiti diversi nomi ai diversi aspetti di un medesimo fenomeno naturale; in seguito si radicò la convinzione che ogni termine coincidesse con una specifica entità, si inventarono dei legami di parentela fra queste entità e si elaborarono dei miti che ne narravano odgini e vicende» (14).

(13) E.E. Evans-Pritchard, Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, Milano 1976. (14) E. Durkheim, Le /orme elementari della vita religiosa, Milano 1971, pag. 82. ,

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Perché la magia abbia una ragione di esistere, è ne;icessario che sia presente la società: nel suo socializzarsi la magia deve essere alimentata dalle speranze e dai desideri di tutti. Solo in questo modo il suo ruolo può esprimersi secondo quelle linee interpretative che fanno parte dell'iter simbolico genericamente definito rito (15). La fiducia individuale nell'efficacia della magia «è suffragata dalle tradizioni, dal consenso collettivo. Il fatto che le credenze magiche siano condivise costituisce un fattore di integrazione sociale» (16). Ne consegue che l'attività magica non è solo un supporto psicologico individuale, ma costituisce anche una forma organizzata per il gruppo. Nella magia ha sempre avuto una funzione importante la consapevolezza di chi si rivolge al mago, al guaritore o allo sciamano, che le cause delle anomalie siano spesso individuate in uno squilibrio dell'ordine naturale, determinato dall'infrazione di un tabù, o dalla magia nera. Il primo caso si avvale di un sistema spontaneo di rif erimento, che ha nell'ambiente e nel rapporto simbolico con esso, i parametri antropologici, spesso atavici, capaci di creare una favorevole simbiosi con la natura. Il secondo è presente in tutte le culture e si basa sulla dicotomia di principio tra bene e male, espressione dualistica di numerose tradizioni religiose. Inoltre va osservato, come barino dimostrato le indagini storiche su documenti della stregoneria e quelle nelle culture etnologiche tra i popoli privi di scrittura, che vi è una distinzione evidente tra la stregoneria e la magia. La seconda, a differenza della prima, non sarebbe basata su poteri innati, ma su tecniche apprese o su poteri conferiti divinamente. Di conseguenza, mentre le streghe sono considerate una minoranza deviante, temute ed emarginate, gli operatori di magia non rappresentano l'alterità, ma gli eletti padroni di una conoscenza riservata a pochi adepti, oppure i depositari di un antico sapere andato perduto (17). La magia si incerniera nell'incapacità di andare oltre l'apparenza e la dipendenza emotiva dai fenomeni naturali, che determinano lo sta(15) M. Mauss, Op. Cit., pag. 105. (16) B. Malinowski, Op. Cit., 1973, pag. 178. (17) J. Middleton-E.H. Winter, Witchcraft and Sorcery in East Africa, Londra 1963, pag. 9.

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to psichico e somatico alimentante la dimensione di patologia sociale. Dal punto di vista della sola razionalità, potremmo considerare la magia come un insieme di esperienze che si basano non tanto sulla ragione, quanto piuttosto sull'effetto delle emozioni all'interno del sentire umano. In realtà, mentre le teorie della conoscenza sono dettate dalla logica, quelle della magia risentono esclusivamente del peso di un'associazione di idee spesso in antitesi tra loro. Strutturalmente, e tenendo conto delle implicazioni funzionali, sia la stregoneria che la magia pongono in luce una funzione esplicita (danno una spiegazione ad eventi incomprensibili) ed una implicita (l'espressione di conflitti ed antagonismi interni alla società). E così stregoneria e magia - in senso negativo la prima, e positivo la seconda - producono una saldatura, attraverso la mediazione del fattore emotivo, tra eventi naturali (malattia, morte, sconvolgimenti della natura, ecc.) e rapporti interpersonali. In pratica coniugano il mondo fisic9 a quello soprannaturale, creando una sorta di «filosofia naturale», che si trova alla base del più spontaneo rapporto tra uomo e ambiente (18). Da un lato abbiamo l'uomo religioso, con la sua adorazione che si sottomette alla divinità; dall'altro il mago, che forza i poteri soprannaturali, cercando di raggiungere quanto desidera e abbattere quanto teme. In una realtà in cui la fede imposta non riesce con le proprie aspettative salvifiche a sostituire l'eterogeneità cultuale delle religioni precristiane, la magia, scontrandosi con i grandi monoteismi, subisce un'ulteriore evoluzione. Infatti, «la religione non è nata dall'evolversi della magia primitiva; al contrario, la magia deriva dalla religione che, guastandosi a contatto con la fragilità umana, scade nella cosiddetta magia bianca (i greci la chiamavano theurgia, azione di chi opera cose divine), a poco a poco perde la sua purezza e, attraverso varie sfumature, si trasforma nella magia nera, che in greco era detta goeteia, dal sinistro suono della recitazione delle formule ma~iche» (19). (18) E.E. Evans-Pritchard, Op. Cit., 1976, pag. 101. (19) A.A. Barb; La sopravvivenza delle arti magiche, in A. Momigliano, a cura, Conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Torino 1975, pag. 114.

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Secondo Mauss, la magia avrebbe un'origine molto lmile a quella della religione, ma a differenza della seconda, i conforma intorno ad un orientamento prevalentemente pratico e basato su principi tecnici. Il modello classificatorio strùtturato sull'osservazione caratterizzante la magia, consentirebbe di identificarla come un antenato del sapere scientifico, se pur condizionata da un profondo rapporto con il mito (20). Generalizzando, appare comunque evidente che i procedimenti magici riescono ad affermarsi maggiormente in realtà in cui l'esistenza quotidiana è trafitta da incertezze e calamità non risolvibili con la ragione della scienza o con la fede. La magia rappresenta il tentativo di porre un contrasto all'imprevisto, agli ostacoli che frustano l'impegno dell'uomo diretto al raggiungimento di uno specifico risultato. Le nostre capacità e le nostre conoscenze «hanno dei limiti oltre i quali gli sforzi pratici fondati razionalmente non valgono nulla; tuttavia gli uomini si ribellano all'inazione, pur rendendosi conto della propria impotenza». Per questa ragione quindi «la magia non è presente solo fra i primitivi, bensl fiorisce anche nelle società moderne, ovunque vi sia pericolo e incertezza, ovunque la sorte o il caso abbiano una parte predominante» (21). In polemica con le teorie funzionaliste, tendenti ad individuare nel ricorso alla magia e nelle formule rituali adottate uno strumento per alienare la tensione e le frustrazioni, altri studiosi (22) hanno sottolineato che in molti casi le pratiche magico-rituali non solo non eliminano la tensione e lo stress, ma al contrario producono nuove ansie e paure. (20) Abbiamo già visto il contrasto interpretativo caratterizzante l' allineamento della magia alla scienza; in effetti questo tentativo di individuare elementi in grado di porre la prima sulla scia della seconda, è stato oggetto di notevoli dibattiti antropologici. Per il Frazer, che attribuiva alla religione e alla magia un carattere pragmatico, la magia non poteva essere una «pre-scienza», ma un prodotto nato dal «consapevole riconoscimento che la scienza ha i suoi limiti» (Op. Cit., pag. 81). Anche Malinowski, se pur con strumenti diversi e partendo da fonti raccolte sul campo, sosteneva che «la magia non ha alcuna affinità con la scienza perché non è guidata dall'esperienza( ... ) il mago è ossesionato dal desiderio di ottenere un certo risultato, perciò l'elemento determinante, nella magia, è il fattore emotivo: paura, angoscia, ira, possessione» (Op. Cit., 1973, pag. 174). (21) B. Malinowski, Op. Cit., 1970, pag. 169. (22) A.R. Radcliffe Brown, Struttura e funzione nelle società primitive, Milano 1968.

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Il problema è comunque molto complesso, in quanto il nesso tra attività rituale e sfera emotiva si trova al centro di un'articolata serie di rapporti che sfuggono a qualunque generalizzazione. In effetti «esistono riti che non sono né la risposta all'angoscia provata dagli uomini di fronte all'ignoto, all'inesplicabile, alla morte e altri eventi traumatici, né la causa di ansie e paure, ma che anzi suscitano nei partecipanti gioia, euforia, senso di coesione e solidarietà, non mancano neppure rituali in cui la componente emozionale è del tutto assente, riti, per così dire, emotivamente neutri, quali, ad esempio, le preghiere o le offerte» (23). Freud ritenne di individuare il bisogno della magia nel desiderio, inteso come attivatore della pratica simbolica, di trasferire un'urgenza interiore sul piano pratico. Basandosi sulle istanze dei desideri, chi si avvale della magia crede nell'onnipotenza dei propri pensieri, certo che i suoi gesti magici saranno in grado di intervenire sulla natura, variandone i destini. In Totem e tabù, Freud tracciò un parallelismo tra il nevrotico ossessivo e chi crede nella magia, ampliando il concetto anche al «primitivo», secondo una visione animistica del Tylor (24). «Il principio su cui si basa la magia, la tecnica del modo di pensare animistico, è quello dell'onnipotenza dei pensieri (. .. ). Tutti i malati ossessivi sono superstiziosi e in genere contro la loro stessa convizione. Nella nevrosi ossessiva ci appare chiarissimo il perpetuarsi della onnipotenza dei pensieri; qui i risultati di questo primitivo modo di pensare sono assai prossimi alla coscienza (. .. ). Le pratiche ossessive primarie di questi nevrotici sono senz'altro di natura magica. In pratica esse sono, se non stregonerie, almeno contro-stregonerie, destinate ad allontanare le disgrazie che il nevrotico si aspetta; in genere la nevrosi ha inizio con simile aspettativa» (25). Una valutazione matura del fenomeno magico, anche quando è solo circoscritto ad un solo ambito di studio, non può verificare la realtà dei poteri magici, ma deve tener conto che la magia mette in discussione la «categoria di realtà» (23) P. Scarduelli, Op. Cit., pag. 215. (24) E.B. Tylor, Primitive Culture, New York 1871. (25) S. Freud, Totem e tabù, Roma 1970, pag. 142.

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antropocentricamente accettata. In questo senso, risultil'. che l'esperienza magica concepisce la natura come un contesto culturalmente condizionato, in cui i poteri attivati dal rituale sono considerati reali e profondamente vincolati allo sviluppo della società in cui si affermano. Pertanto, nello studio della magia, ogni generalizzazione può essere rischiosa, in quanto, pur esistendo un atteggiamento comune, le singole realtà vanno affrontate all'interno della loro specifica dimensione, in cui possono così essere storicizzate (26). L'attività magica, forzando la realtà, propone una reazione all'angoscia determinata dal «rischio di non esserci», che corrisponde, in certe situazioni di crisi, all'annullamento della personalità. Il tracciato simbolico del rituale magico assume i toni del dramma, «che si svolge nelle fasi critiche dell' esistenza, quando l'ordine abituale si incrina (ad esempio quando si verificano violazioni delle tradizioni) o in casi di emergenza fisica e psichica (fame, solitudine); è in questi casi che l'Io ingaggia la lotta contro la minaccia di perdersi e ottiene il proprio riscatto» (27). Nello st1,1diare la magia, applicata nei più diversi aspetti della cultura, ci si rende conto che la nostra valutazione non ha per oggetto solo i poteri della magia in sé, ma pone in discussione il nostro stesso concetto di realtà. In sostanza «l'indagine coinvolge non soltanto l'aspetto del giudizio (i poteri magici) ma anche la stessa categoria giudicante (il concetto di realtà)» (28). Mentre nelle culture tradizionali l'atteggiamento magico è più evidente, poiché il rapporto con la sfera della sacralità è molto affermato, nella società moderna, investita da una progressiva desacralizzazione, si impone una emarginazione non solo del sapere magico, ma anche della tradizione spirituale più atavica. Queste forme culturali, che fanno parte della tradizione più antica, sono quindi destinate a sopravvivere in forma degradata, nella cultura «altra» e folklorica, in certi casi del tutto prive della loro originaria valenza rituale. (26) L. Lévy-Bruhl, L'animismo primitivo, Torino 1960. (27) «Infatti il semplice crollo della presenza, la indiscriminata coinonia, lo scatenarsi di impulsi incontrollati, rappresentano solo uno dei due poli del dramma magico: l'altro polo è costituito dal momento del riscatto della presenza che vuole esserci nel mondo», E. De Martino, Il mondo magico, 1973, pag. 95. (28) E. De Martino, Op. Cit., pag. 22.

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1. Un mago consulta gli astri in un'incisione del XVI secolo.

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2. Il ruolo magico del segno

Il segno, semplice o complesso, è espressione di un codice ben preciso, che attraverso il simbolismo si incarica di comunicare dei significati a chi è in grado di decodificarli. Infatti, secondo i moderni antropologi strutturalisti, le credenze e le pratiche di magia, fanno parte di un sistema di comunicazione complesso, che si avvale del segno come esponente principale all'interno della dialettica del rito (1). Con la messa in atto del rito, l'officiante attua una sorta di ripetizione drammatica del mito, evocando una dimensione oscura e staccata dal reale, che si collega ad una conoscenza atavica, sfuggita ad ogni tentativo di imbrigliarla tra i parametri della scienza. Secondo la logica rituale, tempo e spazio non sono due riferimenti omogenei e continui. Infatti nella magia il tempo mitico degli dei è atavico e continuamente ripetibile con l' ausilio degli strumenti forniti dal rito. Con il meccanismo simbolico, il mago riproduce una stqria lontana, rendendo possibile il riaffermarsi di un evento primordiale, fino a sentirsi contemporaneo degli dei (2). Per simbolizzare il mito e i suoi aspetti con un apparato di segni, il mago ricorre ad un linguaggio metaforico destina-

(1) C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Milano 1966, pag. 189. (2) M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino 1967, pag. 67.

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to a creare un dialogo diretto con le forze che intende utilizzare e governare. In questo senso, certi atteggiamenti magici risultano l'espressione dell'esigenza di concettualizzare il rapporto tra le forze della natura e il gruppo sociale, dando all'officiante il ruolo di coordinatore all'interno del meccanismo che collega micro e macrocosmo. Nell'economia del nostro discorso, va soprattutto sottolineato il nesso tra la magia e il linguaggio, che si esprime appunto attraverso un complesso di segni, secondo un rapporto intuitivo e metaforico. In sostanza, l'attività magica e l'espressione linguistica costituiscono una struttura complessa, in cui non vi è la tendenza al collegamento e alla sistematizzazione secondo i precetti dell'analisi scientifica. In essa è invece attiva la volontà di isolare le singole conoscenze, che risultano inserite nel percorso simbolico del rito magico (3). In questo problematico complesso cultuale; i segni hanno giocato e giocano un ruolo fondamentale, perché cristallizzano in pochi elementi grafici, vocali e gestuali, tutto un patrimonio di conoscenze antichissime. È difficile scindere quali segni, nel passato più remoto, fossero esclusivo dominio della magia, in quanto spesso l' attività rituale del mago e quella del sacerdote non erano facilmente separabili. Fenomeno che continua a ripetersi attualmente nelle pratiche simboliche delle culture etnologiche e nella religiosità popolare. Possiamo scorgere una effettiva affermazione dei segni magici sotto forma di simbolismi criptici,• quando la magia fu costretta a separarsi nettamente dalle dottrine delle religioni ufficiali, con le quali aveva un complesso rapporto, molte volte di autentica simbiosi. Pertanto l'affermarsi di un apparato di segni tipico della magia, fu soprattutto determinato dalla necessità di possedere un insieme di simboli incomprensibile per il profano e per quanti ne demonizzavano le procedure. Dall'antichità ad oggi, il patrimonio dei segni della magia ha visto aumentare naturalmente le proprie dimensioni, arricchendosi di elementi sempre più complessi e di difficile interpretazione. (3) E. Cassirer, Linguaggio e mito, Milano 1961, pag. 59.

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Inoltre, abbiamo assistito ad una sorta di specializzazione dei segni utilizzati nella magia, nell'alchimia e nelle diverse forme del rito. Questo immenso complesso si presenta come un tessuto la cui fitta struttura è costituita da un ordito legato alle tradizioni religiose più antiche e una trama che ha nell'immaginario collettivo il proprio inesauribile propellente. Una sorta di energia indecifrabile, atavicamente alimentata dall'uomo di magia che sa di essere il depositario di una forma di cultura «altra», in cui sono racchiusi millenni di conoscenze, di misteri e, naturalmente, di segni.

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3. In principio fu la magia nelle caverne

Intorno alla cosiddetta arte delle caverne, si è andata affermando una sorta di mitologia interpretativa che, basandosi su superate valutazioni antropologiche, ha considerato molte opere dell'uomo della preistoria espressioni di una tradizione magica tout court. Questa scuola di pensiero, contestata dagli archeologi più moderni (1), sia pur colpevole di alcune ipotesi spesso poco realistiche, ha comunque indicato delle possibilità di approfondimento non completamente irrazionali. In genere, da parte di alcuni studiosi della magia, si ipotizza che in certe testimonianze emblematiche dell'arte del Paleolitico superiore (40.000-6.000 a.C.) siano rinvenibili le tracce di un preciso approccio magico alla realtà quotidiana,

(1) «Per lungo tempo, la ricerca del senso dell'arte paleolitica è stata affrontata dall'esterno, tramite comparazioni con i popoli primitivi viventi, quando non addirittura attraverso una semplice e vaga induzione personale; è per questo che la preistoria si trova ancora oggi gravata da teorie sulla magia, sui culti di fecondità, sul totemismo o lo sciamanesimo paleolitici; teorie tutte che contengono, senza dubbio, una parte di verità, attinta dagli Australiani, dagli Eschimesi o dai Lapponi, ma che di fatto non sono state mai oggettivamente dimostrate», A. Leroi-Gourhan, Le religioni della preistoria, Milano 1970, pag. 76; per una riflessione più ampia, anche in relazione al significato simbolico del gesto e alle sue implicazioni rituali: A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Torino 1977.

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attraverso strumenti e rituali in cui la raffigurazione svolgeva un ruolo fondamentale. L'uomo della preistoria «era un sensitivo, vicinissimo alla natura, da cui traeva la sua possibilità di esistenza. Le potenze naturali e celesti s'incarnavano senza sforzo in lui» (2). In quel tempo l'uomo poteva quindi contare su una maggiore adesione al mondo circostante, su una più intima capacità di entrare in risonanza con tutto l'insieme delle forze che ogni giorno sembravano predominare sulla sua fragile esistenza. Poiché l'uomo della preistoria si trovava in continua lotta per la sopravvivenza, cercò di instaurare con le forze della natura un rapporto che fosse in qualche modo contrassegnato da una sorta di linguaggio che gli permettesse di impostare un dialogo, fatto di riti, necessari per accattivarsene le forze. L'uomo che si serviva di questo linguaggio, di fatto si serviva della magia. Infatti, secondo il nostro modello di interpretazione tipicamente antropocentrico ed empirico, allora la magia era l'unica forma di accesso al mondo del soprannaturale. Questo linguaggio si basava su tutta una serie di segni, vincolati all'atavico convincimento che il simile producesse il simile, o che agendo su una rappresentazione si potesse colpire il soggetto rappresentato. Un espediente rituale che, come è noto, ha ancora oggi la sua affermazione in seno a numerose forme di magia: da quella rituale rinvenibile anche in certe pratiche folkloriche della religiosità popolare, a quelle più complesse o tetre della magia nera. Con questa consapevolezza, il «mago» della preistoria cercava di agire sui soggetti delle sue pratiche servendosi di raffigurazioni che avevano lo scopo di facilitare il rito compiuto secondo regole che possiamo solo in parte ipotizzare. Naturalmente la tesi non è condivisa da tutti, ma va comunque osservato che, di certo, numerose manifestazioni della cultura figurativa paleolitica ebbero una funziope che non può essere ascritta al solo piacere dell'arte per l'arte. Molte di queste manifestazioni risultano inserite in spazi particolari (quasi

(2) M. Moreau, Le civiltà delle stelle, Firenze 1975, pag. 57. Per un approfondimento è sempre di notevole interesse il saggio di E. Bozzano, Popoli primitivi e manifestazioni paranormali, Venezia 1941 (rist. Milano 1974), che, se pur datato, offre delle stimolanti occasioni per azzardare delle comparazioni.

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sempre grotte) che pongono ulteriormente in luce il loro probabile ruolo magico-rituale. Gli esempi dell'arte rupestre preistorica possono essere collocati in tre specifici gruppi geografici: franco-cantabrico, ispano-orientale, nord-africano. In genere queste figurazioni sono tali da rappresentare sempre l'aspetto più espressivo di ogni singolo soggetto, e risultano contrassegnate dallo sforzo di porsi nei confronti del soggetto osservando un forte realismo rappresentativo. Il mago della caccia

Un concreto riferimento alle tesi che pongono le raffigurazioni pittoriche del Paleolitico in stretto rapporto alla magia, ci giunge dalle tracce rituali connesse alla caccia. Le testimonianze archeologiche sono tali da lasciar intuire una funzione rituale governata da procedimenti simbolici in parte unificati da un'identica visione de( rapporto tra naturale e soprannaturale. Probabilmente, rappresentando una scena di caccia, l'uomo della preistoria pensava di garantirsene l'effettivo accadimento, sublimando in questo modo le limitazioni materiali imposte alla sua condizione di essere indifeso all'interno dell'universo della natura, in cui era vittima di eventi incontrollabili e di ostacoli insormontabili. Le vaste rappresentazioni pittoriche in cui i soggetti principali sono gli animali, vanno probabilmente intese non solo come il risultato estetico di un'attenta osservazione della natura, ma soprattutto come segni preponderanti all'interno dell'intenzione magica di giungere al controllo del soggetto rappresentato attraverso la manipolazione della sua immagine. Infatti, possedere l'immagine di qualcuno è un modo per agire sul soggetto dell'effigie, una possibilità soprannaturale per dominarlo. Le raffigurazioni di animali «colpiti» (cioè segnati da colpi inferti sulla pittura) erano probabilmente destinate ad offrire il consolidamento di un desiderio ancora non concretizzato. In pratica, la teatralizzazione della caccia serviva a rinforzare le possibilità della battuta e a favorirne l'esito .. Azzardando un parallelismo etnologico, possiamo osservare che nel deserto del Kalahari, in Sudafrica, i Boscimani, 27

dopo aver disegnato un'antilope all'interno di un cerchio e aver posto sul disegno delle corna dell'animale, scagliano le loro frecce sul feticcio, per assicurarsi una caccia proficua e priva di pericoli. Si è anche suggerito che per l'uomo della preistoria l'animale rappresentato e coinvolto nella procedura magica, fosse sempre una preda particolarmente difficile da catturare e quindi non raggiungibile senza l'apporto di una potenza superiore. Accanto alle raffigurazioni di animali «colpiti» o inseriti in contesti che rimandano direttamente alla scena di caccia, esistono anche alcune testimonianze dove appare per la prima volta l'essere ibrido, creato dall'antropomorfizzazione della preda evocata.

2. Il presunto mago paleolitico travestito, in una pittura rupestre della grotta dei Trois Frères.

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Ad esempio, l'essere favoloso graffito nella grotta di Trois Frères, in Francia, è forse la rappresentazione più inquietante in cui l'immagine schematica e l'integrazione magica prodotta dall'unione dell'animale con l'uomo, propongono l'apparizione di una creatura che può essere considerata uno «stregone», il depositario della conoscenza, l'anello di congiunzione con gli esseri superiori. Ancora nella grotta di Trois Frères, è rintracciabile un' altra interessante scena, in cui alcuni animali sono inseguiti da uno «stregone» (o cacciatore) travestito con pelli e corna. Intorno a questa raffigurazione, e ad altre analoghe, gli studiosi continuano a discutere. Ci si chiede se si tratti di una rappresentazione molto realistica di caccia, in cui i cacciatori risultano mascherati da animali per meglio avvicinarsi alle prede. Oppure se l'essere ibrido sia una specie di sciamano, capace di trasformarsi in animale per mettere a segno la sua pratica magica. Domande senza una risposta, che qualche spregiudicato parallelismo etnologico cerca di risolvere, ponendo gli esseri ibridi del Paleolitico in relazione ai maghi delle cosiddette culture «primitive». Tesi certamente stimolanti e interessanti, ma che, fino ad oggi, sono ferme a livello di ipotesi, subendo le suggestioni della fantasia e restando imbrigliate nelle ferree regole della scienza, non disposta ad accreditare alcuna teoria che non possa essere dimostrabile.

Il feticcio del mago Non certo con pochi rischi interpretativi, le indicazioni fornite dall'analisi delle testimonianze provenienti dall'arte della preistoria e valutate attraverso un'ottica sensibile al ruolo della magia, sono state poste in relazione alla documentazione etnografica studiata tra le cosiddette popolazioni «primitive». Questa forma di comparativismo (3), pur non condivisa da tutti gli scienziati, pone in rilievo un'indicazione fondamentale: l'arte preistorica e dei «primitivi» risultano prevalentemente strumento magico inserito all'interno dei diversi rituali. (3) E.B. Tylor, Primitive Culture, New York 1958; per una proposta più razionale: E.E. Evans-Pritchard, Teorie sulla religione primitiva, Milano 1978.

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3. Raffigurazioni di cacciatori mitici realizzate dagli indiani di Sierra di Kilo, Chihuahua, Messico.

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Utilizzato come feticcio, effigie di antenati, simbolo sacro con scopi evocativi molto precisi, l'oggetto artistico assolve la funzione fondamentale di evocare il soggetto del rito, fino ad esserne una rappresentazione concreta. Se le grandi composizioni pittoriche dell'arte delle caverne hanno svolto un compito rituale che oggi in gran parte ci sfugge, nelle culture magiche delle popolazioni a livello etnologico, ma anche nelle religioni occidentali, è la scultura ad essere «segno» privilegiato dell'azione magico-rituale. In queste rappresentazioni, l'arte primitiva diventa quindi espressione totale della c.ultura che esprime: è rito, è magia e teatro. La scultura risulta il «segno» più diretto e immediato per simboleggiare uno spirito o un essere supremo, che solo nella struttura dell'oggetto riacquista la propria primitiva solidità ed energia. Con la maschera, altro oggetto fondamentale nella magia del primitivo, si attua una pratica tendente a trasferire su chi si cela dietro di essa, la potenzialità della figura rappresentata, la forza dell'essere magicamente chiamato ad intervenire nella realtà. La maschera è infatti una sorta di medium: l'elemento di comunicazione, quasi uno strumento profetico, che con la sua teatralità favorisce il contatto con il trascendente. L'oggetto è quindi il soggetto e, secondo le pratiche della magia omeopatica, permette a chi opera di raggiungere un determinato effetto evocato. La raffigurazione come la maschera, ma anche la statuetta, il feticcio, o la pittura rupestre, si staccano dal presente venendo a situarsi in una dimensione parallela alla realtà, entro la quale i parametri appaiono definiti per mezzo di sistemi simbolici. Parametri governati dalla mentalità magica, secondo la quale ogni anomalia o effetto che alteri un certo stato di normalità, viene sempre considerato il risultato non casuale di un'azione magica effettuata con lo scopo di infrangere un equilibrio. Per contrastare e difendersi da queste azioni, si attuano pratiche di recupero e protezione capaci di combattere le forze avverse, sempre servendosi di un apparato simbolico. Nella coscienza animistica, le cause di queste anomalie possono essere ricercate nell'intervento di uno spirito maligno, nell'infrazione di un tabù o nell'attacco esterno attuato 31

con mezzi magici (fattura, magia nera, ecc.). Nel terzo caso è la figurazione ad essere il soggetto principale per favorire l'attacco rituale, secondo le prerogative di quella magia simpatica che, nel bene o nel male, è comunque parte del nostro approccio all'universo del soprannaturale. Dagli animali dipinti e poi «colpiti» delle grotte paleolitiche fino alle impronte delle mani impresse su certe figure dagli aborigeni, dai feticci africani alle bamboline di cera trafitte dagli spilloni, abbiamo modo di osservare un costante atteggiamento dell'uomo intenzionato ad intervenire sull' ambiente circostante. La funzione di questi oggetti e raffigurazioni appare nettamente staccata dal solo valore estetico e ornamentale, in quanto è connessa ad una t~adizione magica antica come l'uomo. In sostanza si deve constatare che tra la pittura rupestre paleolitica «affatturata» con sistemi simbolici diversi e la fotografia della vittima della magia nera «ferita» con fendenti rituali inferti dal mago, non ci sono poi molte differenze. In entrambi i casi si cela quella misteriosa certezza che dietro una rappresentazione di qualcuno, in fondo si nasconda un po' del suo essere. Un «segno» della sua esistenza.

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4. Il rituale della parola

La parola non è solo un elemento fondamentale di comunicazione, con un ruolo pratico e intellettuale molto preciso, ma è carica di valenze simboliche, dotate di una loro specifica forza evocativa. Proprio perché la parola permette di cogliere la realtà nella sua ~ssenza, ha un valore simbolico determinato ad estendersi oltre l'apparenza del significato, producendo immagini e suggestioni che stimolano il nostro immaginario. In questo probabilmente sta la sua «magia», il suo forte legame - non solo etimologico - con il mito; autentico protagonista all'interno del meccanismo magico. La potenza creatice e la forza magica della parola sono «presenti in tutte le cosmogonie mitiche; l'impressione provata di fronte a tutto ciò che è inconsueto, stupefacente, atto a suscitare timore o ammirazione trova forma nella parola e, attraverso la parola, si obiettiva in un'essenza divina, questa è inizialmente una potenza indifferenziata, divisa, universale» (1). Il fatto di utilizzare la scrittura con tale frequenza da renderla uno strumento abituale del nostro comunicare, ha privato la parola del suo autentico valore naturale. Invece, la storia della scrittura indica con numerosi esempi «come si sia (1) E. Cassirer, Linguaggio e mito, Milano 1961, pag. 101.

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4. Tavola magica triangolare del III sec. d.C., rinvenuta a Pergamo, con la raffigurazione di Beate e iscrizioni magiche.

sempre ritenuto possibile agire sul reale a partire dalla manipolazione dei simboli, e come anzi l'uomo sia giunto a nutrire un terrore sacro di quei simboli e del loro potere, quasi che, ormai tracciati, essi potessero da sé soli, e senza intervento di altri, scatenare la loro azione» (2). La scrittura divina

È indubbiamente emblematico che in molte culture l' invenzione della scrittura sia posta in relazione ad un intervento divino: una creatura superiore è sempre l'artefice di tale importante scoperta e pertanto, vista la sua appartenenza alla corte degli dei, assegna alla parola scritta una ulteriore valenza soprannaturale. (2) G.R. Cardona, Antropologia della scrittura, Torino 1981, pag. 154.

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Fu il dio Thot a· portare la scrittura tra gli Egizi, così come Hermes tra i Greci: il loro intervento è indicativo, poiché propone una prima oggettiva testimonianza del ruolo della scrittura come medium tra la parola rivelata e la sua trasmissione ai comuni mortali. È stato osservato come «l'invenzione della scrittura modellasse nel profondo la divinazione mesopotamica. Alle divinità veniva attribuita infatti, tra le altre prerogative dei sovrani, quella di comunicare con i sudditi per mezzo di messaggi scritti - negli astri, nei corpi umani, dappertutto che gli indovini avevano il compito di decifrare (un'idea, questa, destinata a sfociare nell'immagine plurimillenaria del libro di natura). E l'identificazione della mantica con la decifrazione dei caratteri divini inscritti nella realtà era rafforzata dalle caratteristiche pittografiche della scrittura cuneiforme: anch'essa, come la divinazione, designava cose attraverso cose» (3). Secondo la tradizione cinese, la scrittura nacque dall' osservazione delle tracce lasciate da un uccello sulla sabbia: i segni però non furono opera casuale, ma inviati sulla terra dalla divinità, perché solo gli uomini più dotati e sensibili ne potessero cogliere le illimitate possibilità. Il carattere magico e rituale si è attenuato - sia pur senza scomparire completamente - in seguito all'affermazione del sistema fonetico sull'ideografia. È di certo indicativo che «già i testi magici greci facessero un largo uso di parole straniere, barbare, senza un apparente significato, alle quali tuttavia conferivano significati misteriosi, capaci di evocare potenze nascoste. Spesso sono tra loro legati a filo doppio le sette vocali ed i sette pianeti, ed è anche possibile forse citare una delle forme del nome del dio dei Giudei, appellativo che, oltre al suo valore mistico, contiene curiosamente la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico» (4). Quindi comprendiamo abbastanza chiaramente che, secondo la tradizione simbolizzante posta alla base della magia, la parola è tanto più magica quanto diventa maggiormente

(3) C. Ginzburg, Miti, emblemi, spie. Moifologia e storia, Torino 1986, pag. 167-168. (4) J.G. Février, Storia della scrittura, Genova 1992, pag. 573.

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difficile comprenderne il senso e risalire al suo primitivo significato. Tutte le culture hanno dei miti per spiegare le singolarità della propria lingua, diventata originale dopo una fase di caos in cui le genti ne parlavano una sola. Creando delle_,particolarità si pone soprattutto in evidenza il potere straordinario della parola, che può essere mezzo per ordinare e definire le separazioni; ma nello stesso tempo può essere artefice di cambiamenti notevoli, di confusioni inimmaginabili. Il caso di Babele è in questo senso molto significativo (Gn 11,1-9). La parola è magica perché quando è stata pronunciata determina l'effetto voluto dal mago, pertanto si pone come catalizzatore all'interno del rito senza subire condizionanti. Quindi la parola magica risulta essere basata su una formula invariabile e dotata di una propria solidità storica. La magia della parola sta nella sua capacità di suscitare immagini e creare dal nulla, abbattendo regole e imposizioni dello status umano. «L'espressione prima è che il libro parli e parlando intenda», sottolinea Socrate (Fedro, 275): l'uomo che sa leggere quel testo può avvicinarsi alla conoscenza divina, ma solo quando sa anche scrivere può realmente avvicinarsi al sovraumano. «L'uomo che la possiede (la scrittura, n.d.a.) è simile al Demiurgo il quale, utilizzando un numero finito di segni grafici, ha trasformato il Chaos in Cosmos e ha costituito l'universo ordinato» (5). La scrittura rende possibile l'emancipazione del testo liberandolo dalla fragilità dell'oralità, anche quando l'oralità è parte della tradizione. Il testo scritto consente un'omogeneità e una solidità del significato del linguaggio primitivo, anche se una certa parte del significato può decontestualizzarsi e ricontestualizzarsi nel corso della storia. La cultura può condizionare il significato e il testo risulta di conseguenza espressione del periodo in cui la parola è rit_ualizzata. L'evoluzione ha cancellato molti significati della parola magica, indebolendone l'identità e l'apparato semantico: «è evidente che il mondo percettivo dell'uomo moderno non

(5) P.A. Rossi, prefazione a J.G. Février, Op. Cit., pag. 9.

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contiene più scarsi relitti di quelle corrispondenze e analogie che erano familiari ai popoli antichi» (6). Si registra, nella lingua, una riduzione della sua potenzialità, del suo contenuto, ma soprattutto della sua potenza evocatrice in una cultura travolta dalla iperdiffusione dei linguaggi e dal caos dell'informazione. Nella parola magica permane quel senso di «alchimia del verbo» che permetterebbe, attraverso la liberazione dai limiti della chiusura esoterica, di ridare alla parola del mago il contenuto essenziale che possedeva in origine, quando nominare corrispondeva a conoscere. In realtà, «una delle caratteristiche di tale ricerca consiste nella volontà di ritrovare il legame che unisce il dire e il sapere, e di conseguenza anche l'avere. Queste ricerche di conoscenza sono anche ricerca di. appropriazione» (7). · «L'origine di tutte le cose è nei segni» recita un antico detto dei Dogon, ponendo nitidamente in rilievo come, paradossalmente forse, anche tra le culture prive di scrittura sia sempre stata avvertita la necessità di codificare in un sistema visivo significati posti alla base della tradizione. A oggettivare la sacralità della parola scritta contribuisce il metodo di trasmissione che l'ha portata agli uomini: può essere un messaggero divino ad averla dettata al profeta o al semplice intermediario; ma il testo può anche essere «caduto dal cielo» per illuminare i fedeli adoranti. Ad esempio, nell'Apocalisse, Giovanni afferma che «rapito in estasi» ricevette un ordine divino: «ciò che vedrai scrivilo in un libro» (1,11). La parola scritta è quindi memoria dell'evento, ma soprattutto prolungamento della parola divina: «Beato colui che leggerà e quelli che ascolteranno le parole di questa profezia e metteranno in pratica ciò che in essa è scritto» (1,3). Il tema atavico del passaggio della parola dall'alto al basso attraverso la scrittura, trova nella metafora del libro - inteso come «contenitore» esoterico di conoscenza - la sua espressione più caratteristica. La parola che giunge da Dio è indicazione, per chi la riceve, della legittimità dell'uso della stessa ai fini evocativi. (6) W. Benjamin, Angelus novus, Torino 1962, pag. 69. (7) G.C. Dubois, La lettera e il mondo, Venezia 1988, pag. 41.

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«Noi abbiamo fatto scendere su di te il Libro con la verità», troviamo scritto nel Corano (XXXIX,2): pertanto chi lariceve è l'eletto, colui che è legittimato ad utilizzarla per gli scopi rituali, ma soprattutto ne diventa il depositario, acquisendo attributi soprannaturali. Nella tradizione apocrifa cristiana, il tema risulta ancora più esplicito: qui si fa riferimento ad una lettera scritta da Cristo e caduta direttamente dal cielo in un caso a Gerusalemme e nell'altro a Roma. In entrambe le versioni, la lettera certifica l'operato dell'intermediario divino - in questo caso Pietro - garantendone il ruolo e la funzione. La matrice sacrale del testo scritto entrato a far parte della tradizione rituale, è sottolineata dalle regole che impongo 2 no un particolare rispetto nei confronti dei libri sacri, trattati non come semplici oggetti ma come parte vivente del messaggio rivelato. Nell'ebraismo i testi sacri logori, o con errori, non possono essere distrutti, ma raccolti in un apposito ripostiglio (genizah) della sinagoga. Anche intorno ai libri magici della tradizione medievale era diffusa una simile abitudine: circolavano infatti numerose leggende sulle loro proprietà di far sparire ogni riga scritta se il testo fosse finito nelle mani di persone non degne di leggerlo. Una creatura viva quindi, che sottolinea vigorosamente la funzione attiva della scrittura all'interno del processo simbolico del rituale. Tutte le culture magico-religiose, da quelle primitive a quelle moderne, hanno avuto con il testo scritto - anche costituito da un complesso di segni ideografici - un rapporto · non solo connesso al mero utilizzo, ma che si pone in relazione al sacro. Anche nel cristianesimo, in particolare nei riti copto ed etiopico, il Vangelo è trattato come oggetto di culto, portato in processione intorno all'altare e baciato dai fedeli. La sua funzione simbolica è destinata ad attivarne le potenzialità evocative con l'ausilio del rito di adorazione. Amuleti e talismani

Sul piano della magia, l'utilizzo della forza della scrittura si afferma in particolare negli amuleti e nei talismani. 38

Nel primo caso si tratta di oggetti a cui è riconosciuta la proprietà di proteggere da influenze negative (il classico «portafortuna»); nel secondo invece siamo al cospetto di un oggetto attivo, che produce effetti pericolosi e condiziona gli eventi. In entrambi i casi l'inserimento della parola sul supporto fisico dell'oggetto, già considerato straordinario, ne accentua le potenzialità, ponendolo in diretto collegamento con il soprannaturale. «Le parole che oggi ti ordino (. .. ) le legherai come un segno sulla tua mano, saranno come una fascia tra i tuoi occhi. Le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 6,6-9), cosl è detto nel Deuteronomio: fonte dell'Antico Testamento che per prima ci offre una chiara testimonianza dell'uso della parola scritta riportata costantemente come segno

5. Talismano arabo per 'proteggere dagli influssi della magia nera.

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della divinità. Ma il legame Dio-parola sarà poi condizionante nella trascrizione evangelica: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo» (Gv 1,1). Ma se nella versione cristiana questo legame ha assunto connotazioni simboliche spirituali, che in parte si sono allontanate dal principio scrittura-segno divino, nella tradizione cabbalistica il verbo ha mantenuto la sua primitiva funzione rituale. Ne abbiamo una prova oggettiva nei tefillim (filattèri): strisce di pergamena__ .sulle quali erano riportati dei versetti della Bibbia (8) da conservare sul corpo e sostanzialmente considerati degli amuleti di tradizione pagana. Questo ruolo protettivo della scrittura è rintracciabile anche nella· tradizione cristiana, che se pur in origine demonizzava la pratica dei filattèri (Mt 23,1-7), ha trovato nella religiosità popolare ampie affermazioni. Basti pensare alle copie delle lettere dei papi cucite nelle fodere dei vestiti, o custodite sotto il cuscino e considerate un valido strumento - di tradizione magica - per favorire il rapporto con Dio. Ma è nella Cabbala medievale che i tefillim si caricarono di motivi esoterici, entrando a far parte del misterioso complesso di credenze sull'occultismo ebraico (9). Nella religione islamica, il filattèrio si trova ail'interno di un complesso di elementi che pongono in evidenza la naturale ritualità di questo fondamentale strumento del culto. L' hirz, la scatoletta che contiene alcuni versetti del Corano, è spesso integrata - in particolare nell'Africa islamizzata con oggetti e simboli tipici dell'apparato magico. Pendagli, campanelli scaramantici, simboli come la falce di luna o la mano di Fatima, pietre protettive e altri oggetti, creano intorno a questi filattèri una dimensione in cui la parola si ritualizza con elementi dipendenti dal mondo dell' occulto (10).

(8) In genere: Es 13-16; Dt 6,4-9; 11, 13-21. (9) G. Scholem, La Cabala, Roma 1982, pag. 132. (10) V.L. Grottarelli, L'iniziazione al mestiere di fabbro in Africa, in «Studi e materiali di storia delle religioni», XXVII, 1965; A. Fischer, Gioielli africani, Milano 1984.

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La presenza di parole su un oggetto ha pertanto la funzione di contrassegnare con ulteriori attributi magici lo strumento sul quale si trovano inserite. Naturalmente, «qualsiasi oggetto può fungere da supporto, ma è evidente che certi oggetti saranno sentiti come i più pericolosi di altri, per un loro maggior contatto con il corpo (per esempio perché a contatto con la mano), o per loro proprietà strutturali; o perché comunque essi espongono il loro proprietario al male esterno» (11). Le scritte rituali e protettive possono anche essere poste direttamente sul corpo: in questo caso il tema magico si amalgama a formule grafiche caratteristiche della pittura corporale che, come è noto, assume intonazioni diverse nelle singole tradizioni. Messaggi per la divinità

In alcuni casi, le parole scritte su un determinato supporto non sono magiche solo perché presenti su un oggetto rituale, ma diventano tali in quanto messaggio cifrato per le divinità. Caso specifico le defixionum tabellae, utilizzate nella classicità per indurre una divinità a punire qualcuno a cui l' azione magica era diretta. Queste scritte erano apposte su sottili tavolette di metallo (prevalentemente di piombo), rinvenute a centinaia dagli archeologi nell'area mediterranea e che risalgono al VI secolo a.C., mentre le più recenti sono dell'età imperiale ed erano diffuse ancora nei primi secoli del cristianesimo. In genere queste tavolette, chiamate «defissioni», riportano delle scritte in greco, spesso con un linguaggio volutamente criptico; ne sono state rinvenute anche con scritte in latino in forma metrica, nella Spagna e nella Britannia, dove tale consuetudine giunse attraverso i soldati romani (12). Le defixionum tabellae rientravano nelle pratiche di magia nera e pertanto erano severamente perseguite dalla legge, che infliggeva pene severissime a chi fosse stato scoperto a praticare questo rito. (11) G.R. Cardona, Op. Cit., pag. 174. · (12) F. Cumont, Le religioni orientali nel paganesimo romano, Bari 1967.

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6. Un chiodo magico con formule per magia nera del III sec. d.C., rinvenuto a Pergamo.

Dopo aver scritto la maledizione sulla tavoletta, il defis-, sore vi incideva dei segni magici ed altri misteriosi in grado, secondo la sua interpretazione, di simbolizzare la vittima della sua ira. Quindi la tavoletta era ripiegata, in alcuni casi la si trafiggeva con un chiodo (in latino defigere significa inchio- • re) e quindi la seppelliva in un'area sacra dove c'erano dei santuari, ma spesso i luoghi prescelti erano i cimiteri. Emblematico il testo di una tavoletta rinvenuta a Cartagine: «Ucddete, sopprimete, dilaniate Gallico, il figlio di Prima, ora, al cospetto della folla; che restino legati i suoi piedi, le membra, i sensi, il cervello, cosl che, non uccida né orso né toro, con la rete semplice né con quella doppia e neppure con la tripla (. .. ) Fatelo nel nome del dio vivo onnipotente; adesso, adesso, presto, presto. Che l'orso pòssa sbranarlo e farne strazio!». Le scritte sulle tabellae potevano anche essere accompagnate da oggetti rituali, figure umane, o raffigurazioni di vario genere che servivano ad accentuare la potenza del testo scritto. È interessante notare che, in alcuni casi, nei testi sono rinvenibili i cosiddetti barbare anomata, cioè appellativi senza un senso preciso che, secondo gli autori degli scritti, avevano il ruolo di celare i nomi delle divinità evocate e quindi limitare ogni eventuale azione di scongiuro. In questo ambito vanno anche inseriti gli ephesia grammate, formule senza un significato diretto, ma create tenendo in evidenza solo i suoni che ne derivavano dalla pronuncia. In sostanza nelle tabelle, come nei papiri magici, si ricorreva spesso ad un vocabolario misterioso, il cui ruolo princi42

pale era quello di occultare le volontà del mago, creando di contro un dialogo privilegiato con le divinità evocate attraverso un linguaggio sincretistico, indecifrabile e che non era partecipe al rito. Parole da mangiare

L'importante ruolo di congiunzione svolto dalla scrittura magica è particolarmente evidente in quelle pratiche in cui il testo scritto deve entrare completamente a far parte del rituale fino a fondersi con esso. Ne abbiamo una precisa indicazione nei casi di grafofagia: una pratica non molto nota che meriterebbe puntuali approfondimenti. In genere l'ingerimento di testi scritti ha una funzione terapeutica, ma anche oracolare: la sua origine può essere ricercata nelle tradizioni della cosiddetta «acqua scritta». Un rito già rinvenibile nell'antico Egitto (13) e nella tradizione ebraica, in cui il liquido diventava autentico segno divino, in quanto utilizzato anche come strumento per le ordalie. Il caso è particolarmente chiaro nel rituale di Sotah, cioè quella pratica conosciuta come ordalia d~lla gelosia, in cui sono presenti alcune tracce concrete della tradizione tribale prejahvistica. Così lo svolgimento: quando un marito nutriva sentimenti di gelosia nei confronti della moglie e non aveva alcun elemento per confermare o azzerare le sue paure, conduceva la donna al tempio davanti al sacerdote per una sorta di cassazione divina. Dopo una serie di offerte, il sacerdote si rivolgeva alla donna dicendo: «il Signore ti faccia oggetto d'imprecazione e di maledizione in mezzo al tuo popolo, dandoti un fianco floscio e un ventre gonfio. Entrino queste acque di maledizione nelle tue viscere per gonfiare il ventre e afflosciarti il fianco. La donna dirà: Amen, Amen» (Nm 5,21-22). In seguito il sacerdote, prendendo un vaso d'argilla in cui vi era acqua proveniente dalla fonte delle abluzioni e terra (13) «Soprattutto dalla XXII alla XXX dinastia (945 a.C.-343 a.C.) erano usate statue guaritrici, coperte di testi magici. Sulle statue veniva versata acqua che poi andava a raccogliersi in bacili ai piedi della statua. Quest'acqua cosl impregnata della efficacia dei simboli era poi bevuta come sostanza medica», G.R. Cardona, Op. Cit., pag. 184.

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prelrv1H11 diti tempio, «scriverà questa imprecazione in un foglio r I~ 1111·" scomparire nelle acque amare; farà bere alla don1111 lr 1ll·q11l' amare della maledizione e le acque maledette entJÌ1111 111 lri per sua amarezza (. .. ) Dopo che le avrà fatto bere.· l'u11p111, se sarà impura e avrà tradito il proprio marito, le acq11r 11111111·e della maledizione entreranno in lei, gonfieranno jl s110 Vl'lltre, renderanno floscio il suo fianco e la donna sarà malt·detla in mezzo al suo popolo» (Nm 5, 23-28). Altri interessanti esempi sull'uso della parola mangiata per attivare meccanismi di divinazione soprannaturale provengono dalla cultura islamica, in cui sono diffuse delle coppe con testi coranici incisi nel loro interno. L'acqua conservata in questi recipienti, stando a contatto con i versetti sacri, è considerata dotata di poteri straordinari. In certi casi, nelle coppe si pongono delle tavolette con scritte coraniche, lasciando che l'inchiostro si sciolga e si misceli all'acqua. Il liquido ottenuto risulta cosl pregno di proprietà purificanti e capace di sanare le malattie. · L'interpretazione degli effetti varia in relazione alle diverse culture, con valenze simboliche che cambiano secondo le influenze magico-religiose presenti nell'area in cui la tradizione dell' «acqua scritta» si è affermata. Ne abbiamo un'interessante indicazione nelle pratiche rintracciabili nell'Africa islamizzata, in cui le bottiglie di «acqua scritta» (ottenute immergendo della carta con versetti coranici nelle bottiglie in cui si trova un liquido di colore indefinito) sono appese sotto il tetto delle case per allontanare gli spiriti malvagi. Più concreta l'esperienza grafofaga rintracciabile nella cultura tibetana, dove sono diffusi degli amuleti commestibili: cioè piccoli pezzi di carta sui quali sono riprodotte delle sillabe, spesso prive di significato, ma articolate in modo tale da formare delle figure geometriche complesse. Ognuno di questi amuleti è ingerito per guarire specifiche malattie: le sue caratteristiche terapeutiche sono determinate dalla forma assunta dai gruppi di sillabe riportate sulla carta.

Il segreto delle Rune Sulle pietre runiche sono state formulate diverse ipotesi, che in genere ne hanno posto in evidenza la funzione magica

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e divinatoria, anche se non sempre con la dovuta razionalità analitica. Ma che cos'è una pietra runica? E soprattutto quale tipo di rapporto esiste tra questa scrittura e la magia? In termini elementari possiamo dire che si tratta di una pietra sulla quale sono stati incisi segni alfabetici, che oltre a costituire un primo elementare linguaggio scritto, sono anche utilizzati come segni magici per divinare. Il termine runa deriverebbe da_~, che nell'antico norvegese significa 'segreto, misterioso: da cui scrittura segreta, accessibile a pochi adepti. Diverse interpretazioni etimologiche (14) hanno confermato il valore della parola, trovando anche riferimenti in lingue di altre culture, spesso molto lontane. L'alfabeto tunica è composto prevalentemente di segni molto schematici e dominati da un'impostazione generalmente ad