Scuola senza voti

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Scuola senza voti

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Ferdinando Montuschi

SCUOLA SENZA VOTI

editrice La Scuola

SCUOLA SENZA VOTI

FERDINANDO MONTUSCHI

SCUOLA SENZA VOTI

EDITRICE LA SCUOLA

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INTRODUZIONE

I

VOTI TARDANO A MORIRE

È molto probabile che i voti, anche se soppressi dal­ la legge, continuino a vivere, ad operare in altre forme ed a produrre i risultati di sempre. Possono vivere negli atteggiamenti degli insegnanti, nelle richieste dei geni­ tori, nelle motivazioni degli alunni, nei rapporti inter­ personali e nel costume scolastico in genere. I voti hanno avuto radici troppo profonde e dal tron­ co abbattuto potranno facilmente nascere altri arbusti, magari deformi, ma ugualmente tenaci e ingombranti. Che cosa si fa, o si dà, al posto dei voti? II voto Eliminato lascia un vuoto, lascia scoperta un’area che ci si preoccuperà sicuramente di coprire. E questa preoc­ cupazione, anche profondamente onesta, di sostituire il voto con qualcosa di più valido può far correre il rischio di cambiare solo le parole, gli aspetti formali e burocratici del valutare lasciando inalterato ogni aspetto sostanziale. Il voto nella scuola dell’obbligo è rimasto troppo tempo ed ha « fatto scuola » a tutti: agli insegnanti, agli alunni, ai genitori. Sui voti si sono incentrati, per se­ coli, i rapporti fra genitori e insegnanti, fra insegnanti e alunni, fra genitori e figli. La delusione e la gioia ave­

vano come punto di riferimento e come matrice unica i voti. Il voto non è solo espressione di una scala numerica ma è diventato una vera e propria categoria mentale. Il cinque, il sei, il sette... hanno un valore percettivo così strutturato ed un significato così definito in ciascu­ na persona che ogni altro sistema di valutazione rischia di diventare incomprensibile. Proviamo ad introdurre una scala convenzionale di­ versa dal voto espresso in decimi e già ci accorgiamo che vien meno la sicurezza percettiva e interpretativa. Proviamo ad usare una scala di cinque punti anziché di dieci e proviamo a dire che una certa prestazione può essere valutata con il punteggio, ad esempio, di quattro. Immediatamente ci accorgiamo che, per valutare il sen­ so di quel quattro, ci sforziamo di ricondurlo ad una scala di dieci per vedere se significa un sette, un otto, un nove... Lo stesso fenomeno si verifica quando, in alcuni esa­ mi o concorsi, si valuta in quarantesimi, in cinquantesi­ mi, in sessantesimi... La prima operazione che si fa è di vedere a che cosa corrisponde, in termini di « voti », il punteggio ottenuto. Il voto è la ricompensa che siamo stati abituati ad ottenere ed è stato da sempre il traguardo da raggiun­ gere nella scuola dell’obbligo. La tentazione di tradurre ogni risultato scolastico in un voto rimarrà a lungo, an­ che quando le leggi, le circolari, i regolamenti lo avran­ no perentoriamente espulso o ne avranno ribadito la sua definitiva sepoltura. Si tratta cioè di una categoria ormai solidificata, di una sorta di « gestalt » atavica che ci costrin­ gerà ancora per anni a tradurre mentalmente in voti qualun­ que giudizio, qualunque espressione sentiremo pronun­ ciare intorno al profitto scolastico. Una traduzione che diventa necessaria per chi ha bisogno di giungere a del­ le conclusioni rapide e a delle decisioni precise. Se le norme lo vieteranno non useremo più i voti né in forma orale né in forma scritta. I voti diventeranno

i tabù che ci screditano agli occhi di tutti, ed anche di noi stessi; ma è molto probabile che dentro di noi con* tinueremo a dar voti e a tradurre tutto in voti, pur esprimendoci in termini diversi per sentirci collaboratori di un rinnovamento nel quale potremo anche veramente credere. La resistenza psicologica dei voti può vanificare ogni tentativo di revisione del sistema di valutazione e può far ritornare nella scuola i voti sotto forma di aggettivi, parole, giudizi, profili, discorsi... che corrispondono an­ cora una volta al cinque, al sei, al sette... Se si vuol sopprimere il voto è necessario interve­ nire più in profondità ed andare ben oltre i provvedi­ menti organizzativi ed i cambiamenti burocratico-organizzativi del sistema di valutazione. Togliere i voti si­ gnifica infatti non cambiare un metodo, ma togliere un perno centrale su cui la scuola ed i suoi utenti hanno da sempre ruotato. La scuola dell’obbligo fondata sui voti non soddi­ sfa più il legislatore, e non soddisfa più una percentuale molto elevata di insegnanti, di genitori, di alunni. Dalla scuola fondata sui voti si dovrà passare allora alla scuola fondata su... Questo è il punto ancora aperto su cui do­ vremo indagare. Per ora cerchiamo di vedere che cosa significa togliere i voti dalla scuola, che cosa comporta togliere questi ingredienti così scomodi e insieme così familiari, come appare senza i voti la funzione del do­ cente, l’orientamento dei genitori, l’apprendimento de­ gli alunni. Nostro compito non è di esibirci in profezie su quel­ lo che sarà il futuro della scuola. Ciò che interessa è di analizzare e di individuare i possibili compqrtamenti che potrebbero concretamente strutturarsi come risposte più tipiche, anche se singolarmente differenziate, in coloro che direttamente o indirettamente sono chiamati in causa dal cambiamento del sistema di valutazione. Osservando alcuni fatti più evidenti ed analizzando alcuni fenomeni macroscopici che tutti possono rilevare

nella realtà, cercheremo pertanto di individuare i pro­ blemi che possono sorgere negli insegnanti, nei genitori, negli alunni in seguito alla soppressione dei voti, per cer­ care successivamente di intrawedere una prospettiva pe­ dagogica della valutazione in una scuola senza voti. Al­ cuni itinerari di ricerca e di sperimentazione conclude­ ranno questo lavoro che intende portare un contributo di riflessione e di analisi su un tema su cui sembra più facile prendere delle « posizioni » o elaborare degli sio-, gans che avviare delle pazienti e costruttive verifiche.

CAPITOLO I L’EREDITÀ DEI VOTI NELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO

I voti lasciano una evidente eredità negli insegnanti, nei genitori e negli alunni che in qualche modo li hanno già sperimentati. Cercheremo di indagare su questa ere­ dità cercando di scavare intorno ai problemi che si ori­ ginano quando ciascuno di questi interlocutori del di­ scorso scolastico rimane senza voto.

1.

Gli

insegnanti senza voti

Il tentativo di togliere il voto dalla scuola dell’obbligo, e particolarmente dalle mani dell’insegnante, è in atto da diversi anni. Alcuni segni evidenti del fenomeno si possono ritrovare sia sul versante degli studi docimo­ logici, sia sul fronte della legislazione scolastica, oltre che su quello notoriamente più chiassoso dell’azione sociopolitico-sindacale delle varie categorie di cittadini, ov­ viamente adulti. L’origine dei sospetti: il contributo degli studi do­ cimologici. — Gli studi docimologici hanno cominciato ad evidenziare il carattere pericolosamente soggettivo dei

voti. Lo stesso elaborato, corretto da più insegnanti, ri­ schiava e rischia di ottenere una gamma di voti straordi­ nariamente ricca e fantasiosa. I correttori tendono, cioè, a dare allo stesso compito voti che vanno con facilità dal quattro di’otto Abbiamo noi stessi condotto esperien­ ze di correzione di un tema fra studenti iscritti ad una Facoltà di Lettere e Flosofia e fra gli insegnanti elemen­ tari di due Circoli didattici di Roma. Le valutazioni, espresse in voti, hanno confermato l’atteggiamento so­ pradescritto. Queste verifiche, costanti nei loro esiti, restituisco­ no agli insegnanti un’immagine diversa, inedita dei « lo­ ro » voti. Quei voti così sicuri e così rifiniti di meno, di più e di mezzi punti da sembrare usciti da una bi­ lancia da farmacista, alla prova dei fatti ed alla prima sommaria verifica di oggettività ritornano deformati, in­ comprensibili, sconfitti. Sono gli stessi colleghi a non trovarsi d’accordo, a smentirsi a vicenda. Nella classe accanto, un cinque può diventare un sette solo se cambia l’insegnante-correttore. Ciò che sor­ prende è che non si tratta solo di essere più o meno in­ dulgenti, più o meno « larghi » o « stretti », come si esprimono in gergo gli studenti: si tratta di promuovere o di bocciare, di approvare o di respingere e di dare alla carriera di ogni ragazzo un orientamento ed una spinta decisamente diversi a seconda che si ottengano voti dal primo o dal secondo insegnante. Registriamo per il momento questo fenomeno senza 1 Si veda a questo riguardo: L. Calonghi, I voti dicono e non dicono, in « Orientamenti Pedagogici », 5 (1958) n. 2, pp. 221-235. Sui problemi docimologici si possono utilmente leggere: M. Gattullo, Didattica e docimologia, Roma, Armando, 1972; E. Pieron, Esami e docimologia, Roma, Armando, 1970; L. Calonghi, Sussidi per la valutazione scolastica, Zurigo-Roma, PAS, 1961; L. Calonghi, Valu­ tazione e docimologia, in Peretti M. (Ed), Questioni di metodologia Didattica, Brescia, La Scuola, 1974, pp. 723-744; L. Calonghi, Valu­ tazione scolastica, . La Scuola, Brescia 1976; O. Andreani Dentici, Abiliti mentale e rendimento scolastico, Firenze, La Nuova Italia, 1968; G. De Landsheebe, Elementi di docimologia. Valutazione con­ tinua ed esami, Firenze, La Nuova Italia, 1973.

introdurre altri interrogativi in ordine alle cause che lo determinano. La semplice registrazione del fatto intro­ duce un concetto di relatività dei voti e genera sospetti che sono di per sè problema. Al di là dei disaccordi fra i correttori, gli studi doci­ mologici hanno cercato di considerare i voti da altri pun­ ti di vista e di verificare, in particolare, la loro confron­ tabilità indipendentemente da coloro che li hanno espres­ si. Il valore quantitativo del voto, infatti, varia sia col variare della media cui si riferisce, sia col cambiare del­ l’ampiezza della gamma numerica utilizzata, cioè con lo scarto più o meno ampio dei singoli voti dalla media aritmetica dell’intera classe. Se volessimo confrontare, ad esempio, i voti di due alunni appartenenti a classi diverse, non dovremmo ac­ contentarci di vedere quale punteggio è più elevato, ma dovremmo rapportarli alla media della classe. Il voto set­ te, per esempio, può risultare pressoché medio in una classe dove la media dei voti è assai alta; oppure può risultare un punteggio molto alto, addirittura il più alto, in una classe dove l’insegnante utilizza in genere voti bassi. Per l’interpretazione oggettiva dei punteggi non ba­ sta tuttavia tener conto solo della media, ma è neces­ sario considerare anche la gamma dei voti utilizzata da­ gli insegnanti, cioè della media degli scarti dei singoli voti dalla media. Dovendo infatti confrontare voti uguali di due alunni appartenenti a classi con medie uguali, è oggettivamente più significativo ed elevato il voto di quell’alunno il cui insegnante ha usato una scala molto ridotta (ad es.: dal 5 al 7) rispetto al voto espresso da un insegnante che ha usato tutta la gamma dei voti (dall’l al 10). In questo secondo caso lo scarto medio dei punteggi dalla media aritmetica sarà più elevato. Adottando questi criteri si può procedere ad una in­ teressante elaborazione statistica dei voti — quelli die appaiono sui registri e sui compiti — capace di renderli

confrontabili, almeno sul piano quantitativo. Si possono cioè calcolare i punti « tipici » o « punti z ». In pratica si tratta di rapportare i singoli voti otte­ nuti con la media dei voti della classe e dividere questo dato per la media degli scarti dei singoli voti dalla me­ dia della classe1 2. Ma se il problema può trovare una sua soddisfacen­ te soluzione a livello statistico matematico e sul piano della oggettività « quantitativa », non sembra affatto ri­ solto sul piano educativo. Il disaccordo dei correttori rimane, i ragazzi continuano a subire ingiustizie, a com­ petere e a contendersi traguardi di valore non sempre comprensibile, ad essere classificati anziché aiutati a fare un passo in avanti... La lista, ormai lunga e monotona, po­ trebbe continuare. Ma a noi non interessa qui comple­ tarla: interessa piuttosto analizzare il senso di una solu­ zione affrettata del problema che potrebbe essere formu­ lata in questi termini: « I voti mancano di oggettività, dunque aboliamoli ». £ appena il caso di dire che questa conclusione sop­ prime il problema ma non lo risolve alla radice. I voti sono la manifestazione esterna di un modo di conside­ rare il profitto, l’apprendimento, le prestazioni scolasti­ che; sono il risultato di un modo di intendere la disci­ plina che si insegna, il sapere che si stimola, la cultura che si promuove. Le divergenze fra i correttori non sono puramente tecniche, nè si esprimono solamente nei voti. Sono di­ vergenze più generali che chiamano in causa il modo di 1 Nella formula statistica si usa più propriamente il sigma, che è lo scarto quadratico medio, cioè la radice quadrata della somma delle deviazioni dei singoli punteggi dalla media, elevata al quadrato, diviso il numero dei soggetti che fanno parte di quella desse o gruppo. La formula per calcolare i punti tipici viene così espressa: X-M Z = —-----sigma in cui X è il risultato o il voto individuale; M è la media della desse; z indica il «punto tipico».

considerare la scuola, la cultura, la vita. Nella discor­ danza fra i voti si può con facilità rilevare un diverso modo di interagire con gli alunni, un diverso modo di considerare gli obiettivi didattici, le motivazioni, le at­ tese, i punti di riferimento. Cambia totalmente il campo percettivo e interpretativo dei fatti. Se è interessante confrontare i voti espressi da di­ versi correttori sullo stesso elaborato, ancor più interes­ sante risulta il confronto delle motivazioni che li accom­ pagnano e l’analisi delle spiegazioni fomite dagli stessi correttori. Riportiamo un esempio riguardante la corre­ zione di un tema di un alunno di quinta elementare ef­ fettuata da due insegnanti che, oltre al voto, offrono una adeguata valutazione del loro modo di valutare. Il primo correttore esprime il voto cinque e aggiun­ ge la seguente motivazione: « Lavoro povero di idee e di concetti. Periodare scarno e povertà di vocaboli. Cor­ retto ma insufficiente sul piano della descrizione e della espressione ». Il secondo correttore, valutando lo stesso tema, as­ segna il voto sette e così lo giustifica: « Lavoro sobrio, stringato, essenziale. Il soggetto dimostra particolare ca­ pacità di sintesi, notevole efficacia espressiva e buona correttezza formale. Elaborato più che sufficiente ». Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Alcuni dati sembrano costanti. I correttori colgono gli stessi ele­ menti, ma li interpretano in maniera opposta. Per uno la stringatezza del periodare è povertà di ideazione e di linguaggio; per l’altro è capacità di sintesi ed efficacia espressiva. Sulla scorta di questa percezione lo stesso ela­ borato viene valutato, dal primo, in modo decisamente negativo e, dal secondo, in maniera nettamente positiva. Chiediamoci ora: che senso ha sopprimere dei sinto­ mi quando rimangono immutate le cause? Le divergen­ ze tradizionali non si esprimeranno più nei voti ma tro­ veranno altre strade per manifestarsi e per agire. E se la sola preoccupazione è quella di bloccare loro una strada,

ben altre ne troveranno e, in definitiva, ogni cosa rimar­ rà immutata. I voti, oltre a rivelare scarsa oggettività, ridotto va­ lore diagnostico e prognostico, sembrano avere radici pro­ fonde nella persona dell’insegnante, nei suoi atteggia­ menti, nel suo modo di considerare la cultura, l’educa­ zione e la vita. Il voto, non è che un sintomo, un segno esterno la cui presenza o assenza può cambiare qual­ cosa negli effetti giuridici e organizzativi dell’insegna­ mento e nella carriera degli alunni, ma la sua soppressione ben poco può modificare del costume scolastico se resta un’operazione formale di superficie, un adempimento bu­ rocratico diverso, percepito, magari, come un cedimento dovuto a pressioni sociali e sindacali ormai incontenibili. In questo clima, solo formalmente modificato, il vo­ to potrebbe continuare a vivere una vita sotterranea floridissima e meritare prima o poi gli onori riservati ai grandi perseguitati. Il libretto scolastico: una rivoluzione mancata. — La idea che i voti « funzionavano male », mentre cominciava a prendere corpo nelle opinioni degli educatori e degli operatori scolastici, sembrava farsi strada anche nel le­ gislatore e nelle norme relative alla valutazione nella scuola. Un fatto importante, per la verità non preso troppo sul serio, si è registrato nel 1965 con l’introduzione del libretto scolastico. Nella circolare ministeriale del 20 maggio ’65, n. 220, relativa all’introduzione di questo documento nella scuola dell’obbligo, si specifica che i vo,ti non sono sostituiti ma integrati. Si dichiara cioè ufficial­ mente che i voti non sono capaci di spiegare se stessi, pur avendo il potere di decretare la promozione o la boc­ ciatura degli alunni. È evidente che uno stesso voto può avere valore e si­ gnificato diverso quando è riferito a persone diverse. Un sei può significare per un soggetto il massimo del rendi­ mento, per un altro il minimo; per imo il massimo dello sforzo, per l’altro il massimo della pigrizia, e così via. Uno

■tesso punteggio può cioè esprimere valori diversi, signi­ ficati contraddittori, giudizi contrastanti. Di qui la neces­ sità di accompagnare i voti con un documento volto a ■piegarne il significato e, nello stesso tempo, ad aiutare insegnanti, genitori, alunni a meglio comprendere nel tem­ po gli itinerari culturali realizzati da ciascun soggetto. Il libretto scolastico, con il suo dichiarato ruolo inte­ grativo e di sostegno della pagella, implicitamente non fa che mettere in crisi i voti: ne denuncia i limiti, ne di­ chiara la equivocità ed apre la strada ad un nuovo siste­ ma di valutazione. Questo sistema è incerto, forse anche discutibile: si introducono infatti voci e termini a loro volta ambigui che non riscuotono gran simpatia presso gli insegnanti incaricati di compilare il libretto scola­ stico. Ma i fatti che restano, e die sembrano incontesta­ bili, sono almeno due: i voti vengono messi ufficialmen­ te in crisi dalle norme scolastiche; gli insegnanti posso­ no valutare il profitto degli alunni anche con criteri di­ versi dai voti. Gli insegnanti sono chiamati a spiegare i voti. I voti non sono ancora sotto processo, ma si desidera avere spiegazioni sul loro conto, come quando si vuol vedere più chiaro su qualcuno o su qualcosa di cui si dubita. Le spiegazioni possono essere ampie, dettagliate. Vengono date, sì, alcune indicazioni e vengono suggerite alcune voci; ma d si affretta a dire, nelle norme compi­ lative contenute nello stesso documento, che si può an­ che non tener conto di quelle vod, che ci si può espri­ mere in altri termini. Si lasciano soprattutto delle pagine bianche da utilizzare come meglio si crede, per valutare e annotare dò che può servire a vedere più chiaro nd processi di apprendimento e nel comportamento di ogni interessato. L’occasione poteva essere favorevole se utilizzata fi­ no in fondo. Il libretto scolastico, collocato accanto alla pagella con il compito di darle un significato e di soste­ nerla per quel tanto che ancora poteva reggere, avrebbe potuto gradualmente assorbirla, fagodtarla e renderla

così inutile fino a farla scomparire senza che nessuno potesse turbarsi o addirittura cogliere la portata rivo­ luzionaria di questo cambiamento. In fondo, erano quelle pagine bianche la grande oc­ casione che poteva stimolare la fantasia e la creatività di chi voleva valutare con criteri diversi. L’occasione era propizia perché il libretto scolastico apriva anche un dialogo fra genitori e insegnanti e da questo incontro poteva nascere davvero un nuovo modo di vedere e di valutare il profitto scolastico dei ragazzi. L’occasione non solo non è stata utilizzata in questa direzione ma si può dire abbia provocato il fenomeno inverso: la pagella ha fagocitato il libretto scolastico che è diventato un suo stanco, burocratico accompagnatore preoccupato più di giustificare se stesso che di offrire aiuto, spiegazioni e integrazioni ai voti. I voti hanno seguito la loro grande strada, forti del­ la loro tradizione e incuranti della minaccia giuridica rap­ presentata dalla sola presenza fisica del libretto scolastico nella vita della scuola. La scarsa utilizzazione di questo documento è stata giustificata in mille modi e nel costume scolastico i voti hanno retto benissimo conservando intatto il loro valore e significato. Non era forse vero che il libretto scolastico non doveva « sostituire » la pagella? £ stato proprio questo, fra tutti, l’invito preso più alla lettera e sul serio. Questo fatto ci sembra un segno sintomatico di un atteggiamento generale di attaccamento al voto da parte degli insegnanti o, per lo meno, di una mancanza di volontà a volere adottare spontaneamente altri criteri di valutazione. L’occasione del libretto scolastico non era forse incoraggiante, comoda e chiara; ma era pur sem­ pre una fase intermedia da sfruttare, da comprendere e da sperimentare per giungere più lontano, questa volta perfino col favore della legge. Per la verità va anche detto che, visto all’interno degli adempimenti burocratici e del sistema dei voti, si poteva facilmente essere colti dal disagio di dover solo

« riempire più carte » senza che nulla risultasse cam­ biato all’interno della valutazione e dei voti. Un disagio che pur largamente diffuso, non sembra tuttavia giusti­ ficare la « rivoluzione mancata ». Il voto e i suoi aspetti. — Che cosa può significare il voto per un insegnante? Su quali radici si innesta, quali meccanismi psicologici mette in movimento? Che valore vi attribuisce l’insegnante e fino a che punto lo considera parte e fattore della sua funzione, del suo ruolo? Queste e simili domande non possono avere una so­ la risposta. Se conducessimo una ricerca troveremmo for­ se una tipologia di atteggiamenti e di risposte così am­ pia da rimanere sorpresi. La ricerca avrebbe anche il pre­ gio di indicarci verso quali direzioni si orienta la mag­ gioranza dei docenti e quali comportamenti sono invece da considerare eccezionali, solo di pochi. Non avendo la possibilità di utilizzare dati quanti­ tativi attendibili ed esaurienti, ci limiteremo a formulare qualche ipotesi intorno al modo con cui può essere per­ cepito il voto dagli insegnanti in ordine al loro ruolo, alla loro funzione educativa, all’aiuto che possono dare agli alunni, all’informazione e all’aiuto che possono dare alle loro famiglie3. Possiamo ipotizzare un massimo ed un minimo di considerazione circa l’utilità dei voti, un massimo e un minimo di accettazione e di rifiuto. Ciò che può essere 3 Utili indicazioni sugli atteggiamenti degli insegnanti nella scuola dell'obbligo si possono trovare in alcune ricerche italiane. Fra queste, citiamo: ENAIP, Maestri in crisi, in « Formazione e lavoro » nn. 59/60 - 61/62, 1974. In questa ricerca vengono raccolti dati sulla frequenza dell’assegnazione dei voti da parte degli insegnanti e sul­ l’impiego dei diversi tipi di voto nelle varie classi della scuola ele­ mentare (n. 61/62, pp. 88-94). M. Livolsi, La macchina del vuoto, Bologna, Il Mulino, 1974. Si possono qui rilevare le opinioni dei maestri sull’attuale sistema di valutazione (p. 731 e segg.). Si veda inoltre: M. Babbagli - M. Dei, Le vestali della classe media, Bologna, Il Mulino, 1969; M. Badaloni (a cura di), Maestri in discussione, Roma, AIMC, 1975.

2) Scuola senza voti

interessante rilevare riguarda le motivazioni con cui si possono accettare o rifiutare i voti, nelle loro sfumature e combinazioni. In ordine alla propria funzione ed al proprio ruolo, il compito di assegnare i voti ai propri allievi può esse­ re visto dall'insegnante come: — un segno di riconoscimento di autorità, di po­ tere, di prestigio; — una prerogativa che consente di farsi obbedire; — un’occasione per poter pretendere dagli alunni quei comportamenti e quelle prestazioni scolastiche ri­ chieste dai programmi e dalle norme della convivenza sociale; — un’arma sicura di richiamo e di stimolazione; — una motivazione e un incentivo per l’apprendi­ mento; — un atto di giustizia per premiare i meritevoli e per punire gli svogliati... Questo modo di considerare i voti lascia largamente intrawedere la convinzione, da parte degli insegnanti, che dare voti è una funzione tipica e irrinunciabile del docente. Il non dare voti può essere invece considerato come una perdita di possibilità, capace di modificare an­ che il ruolo tradizionale del docente. Ma il dare voti può anche essere considerato una funzione inutile e si possono avanzare argomenti con­ trari ai precedenti: — l’autorità ed il prestigio personale vanno recupe­ rati al di là della valutazione ed il dare voti incoraggia solo un’inutile dipendenza; — dare voti non significa valutare ma semplicemen­ te assegnare punteggi, fare classificazioni inutili, scorag­ giare chi avrebbe bisogno di fiducia, incoraggiare com­ petizioni là dove sarebbe necessario istaurare collaborazione; — il voto è uno strumento troppo povero per valu­ tare e troppo equivoco per essere compreso ed utilizzato dagli alunni e dagli altri insegnanti;

— il voto valuta il profitto di ciascun alunno rap­ portandolo a standard medi di livello, mentre la valuta­ zione del profitto va vista in rapporto ai processi di ap­ prendimento singolarmente differenziati e in funzione promozionale — non classificatoria — di questi stessi processi. Con questi e simili argomenti si possono cioè strut­ turare atteggiamenti nettamente diversi in ordine ai vo­ ti: chi li ritiene espressione integrale della propria fun­ zione, strumenti validi di stimolazione e apprendimento, difficilmente potrà adattarsi a cambiare sistema di valu­ tazione; chi invece ha già interiormente superato i voti perché li ha resi inutili nei propri interventi, non potrà che sopprimere una sterile appendice burocratica e pro­ cedere nel suo impegno professionale con una contrad­ dizione in meno. Nel gioco degli atteggiamenti a favore o contro l’abo­ lizione dei voti si possono introdurre alcuni equivoci che meritano di essere sottolineati. Il primo e fondamentale equivoco può nascere da una facile interpretazione di disimpegno: una sorta di eliminazione dei voti affinché tutti siano promossi. Sulla linea di questa interpreta­ zione riduttiva si può giungere a ridurre anche l’impegno della scuola, ad accontentarsi di prestazioni e di livelli di apprendimento sempre più scadenti, ad abbassare i livelli di aspirazione degli insegnanti, degli alunni, delle famiglie. La scuola centrata sui voti, una volta venuto meno questo fondamentale pilastro, può davvero precipitare nel vuoto se non trova altre e più sicure fondamenta. Gli insegnanti che considerano inutile il voto potranno sentirsi liberati dalla sua soppressione; ma coloro che ancora lo considerano come un architrave del loro inse­ gnamento non possono che assistere — inquieti o rasse­ gnati — ad un crollo di valori, ad un improvviso ab­ bassamento del tono della scuola e ritenere concluso il periodo nel quale gli studi, anche nell’età dell’obbligo, erano davvero impegnativi e « seri ».

Vista come conclusione di una vertenza sindacale, l’abolizione dei voti può davvero essere vissuta con que­ sto stato d’animo di smobilitazione delle istituzioni, or­ mai dominate e assediate dalle rivendicazioni di chiunque abbia voce per farsi ascoltare. L’abolizione dei voti si presenta invece come ima richiesta di impegno di grande portata: l’impegno è ri­ chiesto soprattutto agli insegnanti che non solo vengono ancora chiamati a valutare, ma sono anzi invitati a farlo in maniera più completa e più corretta. Sono chiamati a vedere più chiaro non solo nel profitto, ma anche in ogni processo di apprendimento e di crescita al fine di aiutare a raggiungere quei livelli individuali massimi, che ben difficilmente coincidono con i livelli medi pre­ visti dai programmi. La valutazione con criteri diversi dai voti è forse ancora da scoprire, ma già si intrawedono possibilità capaci di renderla meno equivoca, più complessa, più ricca di risorse educative. Il voto infatti incentra la sua preoccupazione solo sul risultato, sul prodotto finito: la valutazione invece non può non interessarsi a tutto il processo, a tutte le fasi della crescita culturale e per­ sonale.

2.

I

GENITORI SENZA VOTI

I genitori, senza voti, possono sentirsi disorientati. Non sanno più « come va » il figlio a scuola, proprio per­ ché i voti hanno da sempre costituito un sistema di co­ municazione, forse non gradito ma certamente utile, tra la scuola e la famiglia. Di fronte ad una insufficienza che entrava in casa, la famiglia poteva reagire in maniera diversa: ma la perce­ zione di insuccesso nel profitto, in una particolare area culturale, appariva a tutti chiara ed evidente. Alcune fa­ miglie avranno scosso le spalle, altre si saranno allarmate più del necessario. Alcune avranno incolpato l’alunno,

altre la scuola, altre ancora il sistema sociale o tutte queste cose insieme. Ma nessuno poteva dubitare sulla chiarezza del messaggio contenuto in quel voto. CLa comunicazione mediante i voti è risultata così abituale e generalizzata che, per anni, parlare di scuola e di profitto ha significato parlare di voti. Anche il rap­ porto genitori e figli sembrava mediato esclusivamente dai voti in fatto di comportamenti scolastici. I veri pro­ blemi non riguardavano l’attività scolastica del ragazzo, gli obiettivi didattici ed educativi da raggiungere, il li­ vello di maturazione culturale e personale, i rapporti sociali realizzati col gruppo dei compagni, la validità delle motivazioni nell’apprendimento... Le inquietudini e le preoccupazioni dei genitori erano sintetizzate in una domanda: « Che voto hai avuto? Questo ripetuto interrogativo non pretendeva di in­ dagare le cause o di conoscere il senso del profitto rag­ giunto: si registrava il fatto e si cominciavano i con­ fronti. Le successive richieste dei genitori erano infatti: « ... e il tuo compagno che voto ha avuto?... e quell’altro tuo compagno?... ». Il problema era di tenere le posizioni. Quali fossero e quale significato avessero tali posizioni non sembrava essere un problema di rilievo. L’esperienza scolastica, per i genitori, si ricapitolava nel voto e da esso sembrava giustificata. Il buon voto raggiunto dava tranquillità, più tranquillità di un buon apprendimento. Il buon voto tranquillizzava le famiglie e le gratificava con l’idea stimolante del successo, della carriera, della riuscita sicura del figlio negli studi futuri e nella vita. Anche il rapporto genitori-insegnanti era mediato e imperniato sui voti. Le informazioni che si chiedevano e si davano guardavano i voti. Quando ci si trovava di fronte a voti che andavano dalla sufficienza in su si po­ teva rimanere tranquilli; nel caso di voti negativi il grande problema era di risalire faticosamente la china, a qualunque costo e a qualunque condizione.

Il campo e gli argomenti di confronto, di dialogo fra genitori e insegnanti sono stati davvero ristretti. Le di­ vagazioni e gli ampliamenti servivano unicamente per spiegare i voti o per far previsioni sul loro futuro. L’attenzione delle famiglie, concentrata ampiamente sui voti, sembra risultata da essi quasi totalmente assor­ bita. Ciò sembra avere la sua giustificazione: erano i voti infatti a decidere della carriera scolastica, presente e futura, dei soggetti. Ma questa preoccupazione esisten­ ziale di sopravvivenza scolastica ha spesso impedito di entrare nel merito dei problemi scolastici e della vita della scuola e di analizzare le sue finalità, i suoi obiettivi, le sue proposte educative e culturali. Questa mancanza di rapporto più ampio fra genitori e scuola si è manifestato chiaramente nel disorientamento registrato nel momento in cui le famiglie sono venute a far parte degli organi collegiali della scuola. Un analogo disorientamento potrebbe essere registrato a seguito del­ la eliminazione del voto. La famiglia, abituata a lottare per il « buon » voto potrebbe all’improvviso trovarsi allo scoperto: non sa­ pere per che cosa impegnarsi, non sapere che cosa pen­ sare del profitto dei figli e non avere nemmeno un argo­ mento di dialogo, un motivo di rapporto né con i ra­ gazzi, né con gli insegnanti. Non è improbabile che, in questa situazione di punti di riferimento e di sicurezze che vengono meno, siano proprio le famiglie a richiedere il voto o, per lo meno, a pretendere qualcosa di equivalente da poter tradurre mentalmente in voti. I genitori accetteranno facilmente di pagare il loro contributo alle novità purché non venga compromessa la loro sicurezza e non vengano messi fuori uso i meccanismi che hanno sempre utilizzato per garan­ tirsela. Le radici dei voti sembrano ancora più profonde di quelle che possono essere ritrovate negli insegnanti. Il voto verrà a lungo percepito come un diritto, resterà come un bisogno e verrà cambiato solo con qualcosa che

gli assomigli o che possa essere ad esso facilmente assi­ milato? La richiesta del voto o di qualcosa di equivalente po­ trà cessare quando la richiesta stessa dovesse diventare più esigente e quando ci si rendesse conto che la com­ prensione, la valutazione della crescita culturale di un ragazzo non può essere sintetizzata in un voto. Lo stesso valore del risultato può essere superato dal valore del processo e dal significato personale dell’esperienza sco­ lastica realizzata. II genitore non chiederà più i voti o altri segni equi­ valenti quando si renderà conto che questo tipo di cono­ scenza è insufficiente, equivoca, limitante la stessa capa­ cità di stimolazione e di riuscita del ragazzo. Il genitore, nella maggior parte dei casi, desidera più di essere tranquillo e rassicurato che di conoscere il sen­ so e di cogliere direttamente il valore del profitto del figlio. Ha cioè bisogno più di sicurezza che di spiega­ zioni: e di questa realtà bisogna certo tener conto. Ma va anche sottolineato come la tradizionale situazione di comodo, una volta venuta meno con l’abolizione dei vo­ ti, investa e responsabilizzi maggiormente tutti. I genitori potranno trovare risposta al loro bisogno di sicurezza e al loro diritto di informazione rivolgendo nuove domande alla scuola, agli insegnanti, ai propri fi­ gli. Dovranno cioè fare lo sforzo di entrare nel merito dei problemi, dei fatti, dei processi di avanzamento se vorranno osservarli con maggiore chiarezza. In questo saranno aiutati dagli insegnanti e dagli operatori scola­ stici impegnati, a loro volta, in uno sforzo analogo. Questa, anche se lunga e impegnativa, sembra la strada da percorrere per abolire la richiesta dei voti, sempre insorgente. Sembra necessario, infatti, abbando­ nare definitivamente l’idea di un simbolo (numero, pa­ rola, aggettivo, giudizio, ecc.) capace di tradurre e sin­ tetizzare un universo di problemi, di processi, di iti­ nerari di crescita. Lo sforzo congiunto sarà di cercare di vedere più chiaro e di interpretare più correttamente

questi processi che rimarranno sempre inafferrabili con i voti e indescrivibili da simboli equivalenti. Se i genitori chiedono solo i voti che servono a « pro­ muovere » i loro figli, rivolgono alla scuola dell’obbligo una richiesta davvero troppo modesta. Il diritto allo studio che la scuola deve garantire è personale e deve tradursi in una risposta adatta per ogni individuo. Da questo punto di vista, ciascuno ha il diritto di pretendere di più, cioè di poter non solo svolgere il programma previsto, ma di realizzare il massimo in rapporto alle proprie risorse. Anche la famiglia può allora chiedere di più alla scuola dell’obbligo se rinuncia alle richieste povere e assurde di valutazioni classificatorie e superficiali, e se sa entrare nel merito dei problemi scolastici per contri­ buire alla loro comprensione e alla loro soluzione pro­ prio utilizzando il suo ruolo e la sua competenza.

3.

Gli

alunni senza voti

L’abolizione dei voti avrà il suo effetto anche e so­ prattutto negli alunni, ad eccezione di quelli che faran­ no il loro primo ingresso nella scuola dell’obbligo e non sono pertanto ancora condizionati da questo sistema di ricompensa o di punizione che accompagna l’apprendi­ mento e le ordinarie prestazioni scolastiche. Ogni alunno che ha fatto l’esperienza del voto avrà un suo tipo di reazione. Chi era solito meritare punteg­ gi scadenti, negativi, si sentirà sollevato, liberato da un peso e da una minaccia costante: avrà l’impressione di non dover più rendere conto ai genitori dei propri in­ successi, del proprio disimpegno, delle proprie inca­ pacità. Gli alunni in difficoltà, e forse anche le loro fami­ glie, potranno salutare con gioia l’avvento di una nuova epoca dal successo assicurato, dal titolo di studio ga­ rantito, dal « cavalierato » culturale ormai in tasca...

Alunni e famiglie insieme, specie nei casi di diffi­ coltà e di insuccesso registrati in passato con frequenza, potranno percepire la eliminazione del voto come una vertenza sindacale andata in porto, come l’adozione di un sistema sociale più giusto e paritario dove ciascuno ha la sua parte di successo, il suo riconoscimento negli studi, il suo nullaosta culturale per un’esistenza più fe­ lice e senza avvilenti confronti. È appena il caso di rilevare, a questo riguardo, che i voti, da morti, possono giocare agli alunni e alle loro famiglie gli stessi scherzi che giocavano da vivi, quando venivano registrati con ufficialità e con solennità. Ed il maggior danno che si potrebbe registrare potrebbe pro­ prio consistere nel conservare la dipendenza dai voti scomparsi, di eliminare solo alcune risonanze negative: di sopprimere cioè il problema senza risolverlo. Il voto negativo poteva essere la espressione inade­ guata e ingiusta di un risultato scolastico carente, di un processo di apprendimento mancato: ma eliminando sem­ plicemente il voto non si fa ancora niente per migliorare quella situazione che resta identica a se stessa. La vittoria sul voto può entusiasmare solo chi ha troppo creduto nei voti. Il voto deve sparire senza ap­ plausi, senza acclamazioni ed essere accantonato come uno strumento che non serve più a sostenere un processo che dovrà cercare altri e più robusti punti di appoggio. Gli alunni «abituati » ad ottenere buoni risultati, contrariamente ai loro compagni perennemente sconfitti, possono trovarsi senza l’abituale e dovuta « ricompen­ sa ». Possono anche sentirsi allo stesso livello di chi ot­ tiene risultati scadenti e veder cadere quel gratificante vantaggio rilevato e garantito dai buoni voti riportati. Ma forse per questi soggetti il disagio è solo superficiale e passeggero. Chi è ben adattato e inserito nei processi di apprendimento troverà ben presto nel proprio pro­ cedere culturale il senso e la gratificazione che i voti fanno giungere dall’esterno. Colui che si trova culturalmente in vantaggio sarà

ancora una volta meno svantaggiato; anzi, un maggior dima di libertà e la maggior possibilità di iniziativa ver­ ranno ben presto messi a frutto ed i più culturalmente maturi non tarderanno a trarre il massimo guadagno dal passaggio da un sistema di valutazione fiscale, ad un si­ stema di valutazione promozionale.

Capitolo II CHE COSA SONO VERAMENTE I VOTI: RISONANZE PERSONALI E SOCIALI

Prima di far procedere oltre la nostra analisi possia­ mo utilmente chiederci: che cosa sono veramente i voti? Soffermiamoci brevemente ad analizzarli da una di­ stanza sufficientemente ravvicinata per coglierne non tan­ to la loro dimensione statistico-quantitativa, quanto piut­ tosto le risonanze personali che essi fanno registrare in ciascun alunno e la loro influenza sulle relazioni sociali all’interno della classe.

1.

Voti e competizione

Quando un alunno riceve un voto, prima ancora di chiedersi che significato esso abbia, si preoccupa di ve­ rificare quale voto ha ottenuto il suo compagno di banco, poi l’altro compagno, poi l’altro ancora. Il voto costituisce di per sé un invito al confronto e, di conseguenza, alla competizione. Non si gioisce tan­ to per un buon voto riportato, quanto piuttosto per un voto che regge bene il confronto.

Anche le famiglie sono in genere orientate su questa linea. Non si accontentano di conoscere il voto ripor­ tato dal figlio: vogliono conoscere i voti ottenuti da quei compagni che ricorrono con più insistenza nei discorsi familiari e che, di conseguenza, costituiscono un punto di riferimento permanente. La gara fra gli alunni si allarga e diventa una gara fra le famiglie. E, come in ogni gara che si rispetta, l’im­ portante è vincere o piazzarsi nelle migliori posizioni. Che senso abbiano quelle posizioni e che cosa significhino veramente per ogni alunno, sono problemi che, in ge­ nere, pochi si pongono. In questo contesto di competizione permanente, solo il risultato finale conta: il voto, cronometro e insieme arbitro, decide con precisione le vittorie e le sconfitte riportate. Si fa credito al voto di oggettività, di validità, di confrontabilità. L’interesse generale, incentrato esclu­ sivamente sul voto, fa perdere di vista il processo del­ l’apprendimento e si finisce col non chiedersi nemmeno che valore abbia, per ciascun soggetto, quel processo, quel risultato, quella classificazione. La competizione assorbe ogni interrogativo e sembra annullare ogni altro problema. Come in ogni forma ago­ nistica, l’importante è aggiudicarsi la vittoria: poco conta se si poteva gareggiare meglio, se si ha avuto troppa fortuna, se lo stile poteva essere migliore. Quando le attese riguardano solo un punteggio finale positivo, e quando questo risultato è stato raggiunto, tutto il resto può essere concesso agli avversari per loro legittima sod­ disfazione. È così che l’esclusiva attenzione al voto da parte de­ gli alunni e da parte delle famiglie può far dimenticare gran parte del significato dell’esperienza scolastica. Alla scuola ed agli alunni si rivolgeranno sempre richieste sbagliate se i voti rimarranno un anonimo ed esteriore metodo di valutazione dell’esperienza, incapace di rico­ struire e di dare un significato a questa stessa esperienza che pretende di valutare.

Ma il voto come elemento comparativo può favorire, fra gli alunni di una stessa classe, un sistema competitivo assai deleterio. La competizione è motivo di ansietà per tutti: non solo per chi riesce a stento, ma anche per chi riesce bene. La preoccupazione di non essere il « pri­ mo », o di non conservare il proprio primato, può pe­ sare quanto la preoccupazione di rimanere ultimo per chi abitualmente non riesce a sufficienza. L’ansia, come è noto, diminuisce notevolmente la possibilità di riuscita. Ma ciò che maggiormente preoc­ cupa è il modo con cui la competizione fa percepire i compagni. Nella lotta per la supremazia sull’altro ogni concorrente è un avversario che viene percepito con tutti i caratteri negativi del nemico. I rapporti sociali carat­ terizzati dallo stile competitivo sono sempre tesi e la socializzazione è resa difficile proprio dalla percezione negativa di ogni altro soggetto con cui si è continuamente in gara. Va inoltre notato che la competizione nella scuola raggiunge punte massime nelle discipline così dette « im­ portanti » e punte minime in quelle che vengono rite­ nute di minor conto. Ciò aggrava spesso la situazione dal punto di vista dei rapporti sociali perché l’alunno finisce con l’identificare la collaborazione con il disimpegno e la socializzazione con le esperienze poco importanti. Ed è appena il caso di rilevare la pericolosità di questi mes­ saggi — non intenzionali ma ugualmente chiari — che la scuola continua ad emettere promuovendo esperienze di questo tipo. Nel clima competitivo, provocato e incentrato sui voti, diventa anche sempre più difficile riconoscere ed accettare le differenze individuali, la diversità dei ri­ sultati, le caratteristiche personali. E questa mancanza di riconoscimento e di accettazione delle differenze finisce col compromettere ulteriormente la possibilità di intesa e di socializzazione dei soggetti.

2. Selezione sulla base di livelli medi Una caratteristica del voto, come già si è accennato, è di orientarsi direttamente sul risultato ottenuto tra­ scurando il processo che ha consentito di conseguire quel risultato. E ciò che si chiede ai risultati è di raggiungere livelli standard anziché livelli possibili, cioè massimi, ri­ spetto alle risorse di ciascuno. Questa richiesta, ispirata ad apparenti criteri di og­ gettività e di giustizia, finisce col risultare troppo elevata per alcuni e troppo ridotta per altri. La scuola dell’obbligo, in definitiva, finisce col rinunciare ad essere pro­ mozionale in senso personale, per rimanere rigida su al­ cune posizioni e su alcuni risultati medi che valgono per l’alunno medio, e quindi per nessuno degli alunni fre­ quentanti la scuola. L’uso persistente del voto finisce per ingabbiare dei processi, dei talenti e dei risultati dentro una griglia sempre uguale (almeno in ipotesi) a se stessa e per sfa­ vorire quei processi di maturazione singolarmente sem­ pre diversi che in alcuni vanno ben al di là delle ri­ chieste e, in altri, sono altamente significativi anche se restano ad un livello inferiore. Qualche insegnante utilizza il cosiddetto « voto pe­ dagogico » che incoraggia il progresso al di là del ri­ sultato o tende ad incentivare risultati ancora migliori in chi dimostra capacità e talento. Ma se questo siste­ ma di voti « truccati » può essere adottato occasional­ mente — e con gli accorgimenti del caso per non creare legittimi sospetti — non può certo reggere fino in fondo al trimestre, fino alla consegna delle pagelle, fino al ter­ mine dell’anno scolastico... Il voto diventa allora ancora più equivoco, disorien­ tante, contraddittorio. Non si sa più dove collocarlo: quando cerca di cogliere il risultato dimentica il proces­ so, quando classifica il prodotto dimentica il produttore, quando vuole incoraggiare il processo confonde ulterior­ mente i punti di riferimenti ed aumenta le contraddizio­

ni, lasciando alla deriva i grandi problemi della persona­ lizzazione dell’insegnamento, del diritto allo studio, del­ la educazione integrale ed ogni altra questione di rile­ vanza educativa.

3. Dipendenza continuata I voti, oltre ai riflessi sociali e relazionali sopra ac­ cennati, fanno anche registrare una ben precisa risonanza individuale su ciascun soggetto. Attendere e ricevere un voto significa non solo sentirsi sotto giudizio, ma anche rimanere in uno stato di perenne dipendenza. Nella scuola si registrano fatti che non hanno ri­ scontro in nessuna esperienza, in nessun episodio di vi­ ta extrascolastica. Nessun apprendista, nessun meccani­ co, nessun idraulico, nessun impiegato delle poste, nes­ sun giocatore di calcio, nessuna categoria di persona che svolge un’attività si appella ad altri per conoscere il senso del lavoro che svolge ed il valore del prodotto che realizza. Chi apprende, chi lavora, chi esercita una professione si rende perfettamente conto di quello che fa e del valore di quanto produce. Anzi, il produttore più del cliente è generalmente in grado di meglio valuta­ re la bontà del prodotto o del lavoro svolto. Nella vita extrascolastica la conoscenza del signi­ ficato di ciò che si realizza e la consapevolezza del valore di ciò che si produce sono condizioni normali, perma­ nenti che, pur raggiungendo livelli diversi, non vengono mai a mancare. Nella scuola, anche a livello superiore, si attende invece l’esito di un compito in classe con la incertezza di chi può vedersi assegnare un giudizio alta­ mente positivo o un giudizio nettamente negativo: un otto oppure un quattro. Sembra davvero che chi produce a livello scolastico sia addirittura estraneo al processò di produzione. In ogni caso l’allievo ben difficilmente sa rendersi conto del­ la validità o meno di ciò che apprende o di ciò che pro-

duce. Di qui la incapacità di autovalutarsi, la delega tota­ le del giudizio, l’incertezza sulla sorte del problema ri­ solto, del tema svolto, dell’esercizio consegnato... Il fatto è davvero grave perché mantiene l’alunno in uno stato di estraneità dall’esperienza culturale e soprat­ tutto lo mantiene in una situazione di soggezione, di di­ pendenza permanente che lo limita psicologicamente, gli impedisce di maturare, di muoversi con sicurezza sul piano dell’apprendimento ed anche di diventare sicuro sul piano personale. La dipendenza dal giudizio degli altri è tipica del­ l’infanzia. I bambini, nei primi anni di vita, chiedono di rimanere dipendenti dagli adulti e dai loro giudizi perché non sanno ancora ricostruire con sicurezza le lo­ ro azioni, non sanno ancora compiere uno sforzo inter­ pretativo, non hanno ancora raggiunto sicurezza e au­ tonomia di giudizio. Ma se questi comportamenti dipendenti trovano giu­ stificazione a quattro-cinque anni, non hanno più senso quando si prolungano nella scuola, quando vengono in­ trodotti nell’apprendimento, quando vengono incorag­ giati dall’insegnante, soprattutto se l’insegnante rimane l’unico giudice degli alunni.

4.

Motivazioni sbagliate

I voti sono anche causa diretta di motivazioni sba­ gliate per le esperienze culturali scolastiche. Il voto non è di per sé un bisogno: la migliore riprova si può avere nel fatto che gli alunni, alla loro prima esperienza sco­ lastica, non chiedono mai i voti all’insegnante se in pre­ cedenza non sono stati abituati a questo sistema di va­ lutazione. Ma dal momento che i voti cominciano a cir­ colare, ci si accorge immediatamente del loro valore pu­ nitivo o premiativo. Tra profitto, alunni e voti si crea così una sorta di condizionamento circolare e reciproco

per cui gli sforzi e le aspettative vengono ben presto in­ centrate esclusivamente sui voti. Al buon voto si finalizza lo studio, il compito, lo sforzo, la fatica di apprendere. Il voto garantisce la bon­ tà del risultato: scompare sempre di più l’esigenza di sapere, di interrogarsi, di verificare il significato di quello che si apprende. La motivazione che si fa strada e supera ogni altra si incentra allora sul voto che, se è positivo, riconcilia l’insegnantè, addolcisce i genitori ed elimina ogni spia­ cevole inconveniente connesso con la carriera scolastica. Il voto come motivazione allo studio e all’apprendi­ mento sembra poi confermato e rafforzato da una serie di effetti collaterali di non poca rilevanza per il ragazzo. I buoni voti sono ricompensati con regali sulla base di contrattazioni opportunamente stipulate. I voti in pagel­ la, a loro volta, esigono ricompense più consistenti perché presentano un carattere più stabile e conclusivo. I risul­ tati di fine anno, con la relativa promozione, sono avve­ nimenti da celebrare addirittura a famiglia riunita con l’aggiunta, in alcuni casi, dei parenti più prossimi. Intorno al voto si crea così una sovrastruttura di effetti, di risonanze collaterali che lo confermano co­ me un dato motivante di primaria importanza proprio nella fase di realizzazione del processo di apprendimen­ to, e non solo nella fase finale della rilevazione dei risul­ tati. Ma incentrare l’apprendimento e l’attività scolasti­ ca ordinaria sul voto significa mettere in condizione il ragazzo di non scoprire mai il senso e la gioia di appren­ dere. Se ciò avviene è per puro caso, come è ancora ca­ suale che qualcuno desideri apprendere una volta che si è cessato di dare voti. Molti insegnanti hanno notato che, se smettono di dare voti, il livello di profitto si abbassa rapidamente. E non può che essere così. Viene meno infatti la moti­ vazione centrale e, finché non verrà sostituita da qual­ che altra motivazione di ugual forza, ogni impegno ad apprendere resterà privo di significato.

3) Scuola senza voti

£ appena il caso di rilevare come un apprendimento motivato dal voto non possa andare al di là dell’au­ la scolastica. Il voto conclude e chiude un’esperienza di apprendimento, e ripaga lo sforzo compiuto con quei risultati di cui si è detto: successo, complimenti, car­ riera... Continuare ad apprendere oltre la scuola non ha davvero alcun significato, e quella esperienza che « ap­ partiene » alla scuola è così definitivamente chiusa. Lo sforzo si è felicemente concluso, la tassa è stata intera­ mente pagata, il sacrificio, come ogni brutta esperienza va dimenticato: si tratta ora di godersi totalmente i ri­ sultati, pochi o molti che siano. Le motivazioni sbagliate vanificano ogni effettiva con­ quista e quanti della scuola hanno meno approfittato sem­ brano i più colpiti. Le motivazioni sbagliate, infatti, la­ sciano tutti allo scoperto, ma sembrano maggiormente colpire i più fragili, i meno dotati: quelli che dalla scuola dovrebbero non solo imparare, ma imparare ad appren­ dere.

5.

Un

primo bilancio

Il nostro incontro ravvicinato con i voti ci consente di giungere ad un primo sommario bilancio. Un dato ine­ quivocabile riguarda i voti all’origine: e precisamente il netto disaccordo dei correttori nell’assegnarli. Le cause di questo fenomeno sono molto complesse, ma il fatto rimane in tutta la sua portata e ci porta ad attribuire ai voti un valore decisamente relativo. Un secondo dato che possiamo registrare riguarda la difficoltà di un confronto fra i voti e la impossibilità di riconoscere ad essi un significato univoco. Vi è infatti un significato qualitativo diverso, ma vi è anche un valore quantitativo diverso che smentisce la oggettività e impe­ disce la confrontabilità dei voti. Osservati poi nei loro effetti psicologici, i voti non sembrano provocare risonanze molto confortanti. La com­

petizione che provocano fra gli alunni finisce per scorag­ giare i più sprovveduti e per rendere, in generale, più difficoltosi i rapporti sociali. La tensione per il risultato finale rischia di vanifi­ care quell’esperienza culturale significativa e quei pro­ cessi di maturazione che non solo conducono al risultato, ma valgono in sé e superano di gran lunga il valore e il senso del dato finale raggiunto. I voti si presentano pertanto come una sorta di « scorciatoria » nella valutazione che esclude la verifica del cammino individualmente percorso e la rilevazione del suo significato. In questo modo il voto non può ave­ re né valore descrittivo, né valore diagnostico attendibi­ le e non può andare oltre la semplice classificazione dei risultati. Il voto non ha nemmeno valore prognostico nel sen­ so che non ci dice assolutamente nulla del futuro scola­ stico e professionale dei ragazzi. Non essendo in grado di descrivere il processo di maturazione del soggetto non può perciò nemmeno essere in grado di fare alcuna pre­ visione attendibile e deve rinunciare ad ogni forma di orientamento che possa avere le sue premesse nel pas­ sato e nel presente del ragazzo. Se esaminiamo il voto in alcune sue più tipiche riso­ nanze psicologiche lo troviamo al centro di un sistema di dipendenza che prolunga l’immaturità, e al centro di un sistema di motivazioni che costringe i processi di ap­ prendimento a rimanere imprigionati nell’ambito stret­ tamente scolastico e a rimanere inesplorati come feno­ meni umani che hanno al loro interno una positiva forza di stimolo, di gran lunga più stimolante di un voto. Questa rapida analisi ci consente di rilevare come i voti non rappresentino, nel costume scolastico, un in­ granaggio autonomo, indipendente che si può facilmente smontare e sostituire con uno migliore. I voti hanno radici profonde e diramazioni così estese che è davvero ben poca cosa sopprimere solo la loro presenza esteriore. Per sopprimere davvero gli effetti negativi dei voti

non basta sopprimere i voti. È necessario ricostruire un nuovo sistema di valutazione che renda inutili e insigni­ ficanti i voti. Non ci sarà allora più bisogno di combat­ terli. Le risorse a disposizione possono essere riservate a fare della valutazione un momento importante per la facilitazione della crescita personale e culturale dei ra­ gazzi.

Capitolo III VERSO UNA SCUOLA SENZA VOTI: PROSPETTIVE PEDAGOGICHE DELLA VALUTAZIONE

La rilevazione degli effetti negativi dei voti, prece­ dentemente effettuata, ci stimola da un lato a rivedere e ad integrare il concetto di valutazione scolastica e, dal­ l’altro, a ricercare criteri di valutazione senza voti, ve­ ramente capaci di accompagnare utilmente la crescita cul­ turale dei ragazzi della scuola dell’obbligo.

1.

Dai prodotti ai processi: verso un concetto PIÙ esigente e funzionale

di valutazione

La valutazione non può tradursi o ridursi ai voti: ciò equivale a dire che deve essere qualcosa di più di un semplice adempimento classificatorio per entrare nel­ l’ambito dei processi promozionali e di facilitazione del­ l’apprendimento. Valutare non può nemmeno voler dire esprimere dei semplici giudizi di merito nelle forme più diverse. Valutare significa fondamentalmente cercare di vedere più chiaro nei processi di apprendimento e nella esperienza culturale che la scuola propone. Vedere più chiaro significa non solo insegnare, far

imparare, ma anche rendersi conto del senso di ciò che si fa. Significa, sia per chi apprende, sia per chi facilita l’apprendimento, conoscere gli obiettivi generali, ma an­ che specifici e intermedi, della esperienza che va guidan­ do o conducendo. La conoscenza chiara degli obiettivi da raggiungere, delle tappe importanti da superare, delle risorse perso­ nali che si possono utilizzare, dei metodi più adatti che si possono adottare, del significato soggettivo ed ogget­ tivo dei risultati che si ottengono, sembra veramente co­ stituire l’obiettivo primario e permanente della valuta­ zione in senso educativo. Una valutazione che non procede sempre in direzione unica nel senso che parte dall’insegnante, giunge all’alun­ no e provoca risonanze a vasto raggio nell’ambiente in cui il soggetto è inserito. Tutti sono protagonisti. Inse­ gnanti, alunni, gruppo classe, genitori: ciascuno ha una sua possibilità ed una sua esigenza di chiarezza. Ciascuno è protagonista e insieme destinatario di questo processo di chiarificazione. Ognuno, dal proprio ruolo e dalla pro­ pria condizione, offrirà contributi diversi di chiarifica­ zione ed utilizzerà in maniera diversa questa maggiore e più approfondita conoscenza. Ma, non vi è dubbio, ciascu­ no è promotore e facilitatore di questa chiarezza e nessuno può ritenersi né escluso, né esclusivo proprietario del risultato di questo processo conoscitivo. In questa prospettiva, la valutazione diventa un im­ pegno permanente di consapevolezza che non giunge a lavoro finito, a risultati conseguiti, ma accompagna e si realizza lungo tutto il processo di apprendimento, di maturazione e di crescita di ciascun soggetto. La valutazione, vista come ricerca di chiarézza e di consapevolezza, perde ogni carattere negativo di giudi­ zio, di punizione, di classificazione, di attesa dipendente per stimolare una corresponsabilità personale di ricerca, di impegno, di autonomia operativa. Partendo da questo concetto di valutazione, il discor­ so pedagogico sembra indirizzarsi verso alcune direzioni

obbligate e porre alcuni fondamentali problemi.. Innanzi tutto, in che modo si può vedere più chiaro nei processi di prendimento e di crescita di ciascun alunno? La richiesta di collaborazione dell’alunno nella valutazione della sua crescita e del suo apprendimento non è forse utopistica, anche se legittima e auspicabile? La valutazione come momento del processò educa­ tivo non può non chiamare in causa tutto il collegio dei docenti e coinvolgere anche le famiglie degli alunni. Ha senso questo spostamento di attenzione? Vi possono es­ sere punti di riferimento e criteri utili al riguardo?

Conoscenza degli itinerari di apprendimento Che cosa significa e che cosa implica la disposizione a conoscere i processi di apprendimento e di matura­ zione culturale che si realizzano nella scuola per ciascun alunno? L’interrogativo appare molto stimolante: in primo luogo perché nasce da una esigenza ormai verificata, in secondo luogo perché sembra mettere in discussione la stessa proposta culturale della scuola. Prima di scendere ai particolari metodologici sem­ bra necessario individuare alcuni criteri di carattere generalé volti appunto alla valutazione di tali processi. Va­ lutare non significa infatti rilevare semplicemente dei dati conoscitivi o comportamentali, ma interpretare ogni ele­ mento rilevato sulla base di alcuni fondamentali punti di riferimento. Cerchiamo di dare un significato concreto a queste affermazioni facendo alcuni esempi e interpretando alcu­ ni dati della realtà. Proviamo a chiederci, per esempio: che cosa significa, per un alunno, aver risolto bene un problema aritmetico? con quali criteri si può valutare questo risultato? La valutazione in voti non pone molti problemi: si assegna il voto massimo alla esecuzione ritenuta perfetta e il voto minimo a quella meno soddisfacente. Alle ri­

sposte intermedie si assegnano i voti intermedi adottan­ do alcuni personali criteri, generalmente noti anche agli alunni: per ogni errore si diminuisce un voto; lo stesso errore, se ripetuto, ha diritto ad un particolare sconto sul conteggio finale, e così via. Qui la fantasia dei correttori si sbizzarrisce in mille folcloristiche soluzioni. Gli errori segnati in rosso hanno un significato diverso da quelli segnati in blu; poi vi sono quelli sottolineati due volte che aggravano notevolmente la situazione. I punteggi, a loro volta, per rispettare questa varietà di rilevazioni ven­ gono perfezionati con i meno, i più, i meno-meno, i piùpiù, i mezzi punti... In questa alchimia di voti così elaborati e rifiniti, re­ sta tuttavia senza risposta il problema di fondo: che cosa significa aver raggiunto quel risultato, positivo o nega­ tivo che sia? La stessa prestazione scolastica che è stata richiesta, quale processo intendeva stimolare, quale obiet­ tivo si proponeva di raggiungere, quale significato le si può attribuire? Un significato da verificare rispetto alla disciplina, rispetto all’alunno che apprende, rispetto agli effetti che produce: un significato, tuttavia, che rimane totalmente assente dalla valutazione in voti. Un primo criterio da acquisire, anche se da rivedere e da integrare, può allora consistere nel cercare di verifi­ care non se il risultato scolastico è corretto o scorretto, soddisfacente o inadeguato, ma se gli obiettivi che si vo­ levano raggiungere attraverso una determinata presta­ zione scolastica sono stati acquistati e in che misura. Non si tratta di valutare il risultato in sé, quanto piuttosto gli obiettivi culturali e formativi impliciti in ogni pro­ cesso che conduce a quel risultato, le fasi di avanza­ mento, le risposte più critiche, le tappe più significative. Questo primo criterio presenta alcune esigenze im­ plicite: quella fondamentale sembra legata alla necessità di conoscere sempre il significato culturale e formativo delle prestazioni scolastiche che vengono proposte. Non basta, allora, per rimanere nell’esempio, « spiegare » la regola relativa alla spesa-guadagno-ricavo, assegnare un

problema che ne richieda l’aplicazione e verificare se la soluzione è esatta. L’obiettivo dell’apprendimento e della valutazione non può essere individuato nel semplice capire e appli­ care una nozione. Questa nozione deve avere un signifi­ cato sia nel quadro generale della struttura della mate­ matica sia nel quadro particolare della struttura psicolo­ gica del soggetto che apprende. Il problema aritmetico e la capacità di risolverlo non sono allora fini a se stessi, ma strumenti per raggiungere sia una più sicura capacità di orientamento matematico (si dovrà precisare quale), sia alcune capacità logiche e operative, a loro volta da precisare. Seguendo la logica di queste esigenze, i tradizionali contenuti di apprendimento, le discipline e gli stessi pro­ grammi didattici assumono un valore strumentale e la­ sciano aperta la ricerca dei fini educativi e formativi sen­ za i quali non solo non ha significato la valutazione, ma perde di significato anche l’apprendimento. La valutazione dei processi passa pertanto attraver­ so il continuo riferimento agli obiettivi formativi e cul­ turali. Ma se questo può essere un criterio valido, sem­ bra ancora generico e da precisare ulteriormente. La pri­ ma specificazione utile può riguardare i fini specifici del­ la prestazione richiesta ed i fini più generali di tutta la esperienza culturale scolastica di cui quella prestazione non rappresenta che un momento. L’analisi e la conoscenza della forza motivante che una limitata esperienza ha in sé, la consapevolezza della forza modificante implicita in una particolare prestazione e il continuo riferimento degli obiettivi particolari agli obiettivi generali consentono veramente di vedere più chiaro nei processi di apprendimento. Non basta allora far bene qualcosa, ma è necessario scoprire il senso di ciò che si fa; o, meglio ancora, ope­ rare affinché al di là del risultato che si ottiene, si pos­ sano conseguire livelli di maturazione — o di appren­ dimento in senso lato — utilmente programmati.

Si tratterà allora 3* rinunciare al semplice elenco del­ le cose da fare e dei contenuti da acquisire per program­ mare una serie di esper^enze culturali organizzate in un curriculo capace di p°rtare ad alcune destinazioni pre­ cise e volute. La valuta2ione diVenta allora il momento della rile­ vazione di questi itinerari culturali capace di far verifi­ care sia la correttezza delle ipotesi programmatiche, sia l’efficacia del cammino culturale intrapreso da ciascun soggetto. Valutazione e prografnmazione: criteri operativi Un primo bilancio delle esigenze finora rilevate in ordine alla chiarificazione e valutazione del processo di apprendimento cj porta a rilevare la necessità di cono­ scere sia il sigqificato del lavoro scolastico nei suoi fini formativi e culturali al di del risultato, sia il posto che questi fini particolari hanno nel quadro più ampio delle finalità generali dell’esperienza scolastica. Non è nostro compito entrare nel merito di tali fina­ lità e avviare un’analisi *n tal senso. Sembra tuttavia op­ portuno caratterizzare tali finalità riferendole da un lato alla competenza specifica della disciplina, dall’altro alla esperienza intellettuale, psicologica, personale che il sog­ getto può realÌ2Zare apPrendendo. La valutazione Jiventa allora conoscenza di un pro­ cesso finalizzato capace di rilevare i suoi effetti a breve e a lungo termine sul soggetto che apprende. E come la esigenza di una Valutazi°ne significativa ci ha spinti a passare dal prodotto al processo, la esigenza di conoscere più a fondo il processo sembra spingerci ad analizzare l’apprendimento e ]a sua programmazione, articolata nel­ le sue specifiche finalità. La prospettiva sopra indicata può risultare convin­ cente in linea teorica, &11 ^che sconcertante sul piano pratico. Non si tratta infatti di valutare adottando una nuova metodologia un nuovo strumento tecnico, un par­

ticolare espediente. Si tratta, in definitiva, di pensare in modo diverso la proposta scolastico-educativa e di en­ trare nel suo significato non una volta per sempre, ma ogni volta che un soggetto apprende. L’insegnante sembra trovarsi sempre allo scoperto do­ vendo orientare la sua attenzione in direzioni sempre di­ verse-per cercare di interpretare realtà non sempre chiare, esperienze non sempre decifrabili nel loro significato for­ mativo. Tutti, e non solo l’insegnante, avvertono questa inadeguatezza nella « lettura » approfondita della realtà: sembrano mancare gli strumenti di analisi, i punti di ri­ ferimento concettuali, i criteri per valutare le finalità educative. La richiesta che le discipline, il programma didattico, i contenuti culturali, le conoscenze vengano considerati mezzi e non fini, ci fa trovare improvvisamen­ te allo scoperto. Vien meno quella tradizionale sicurezza non solo nel valutare, ma anche nell’insegnare che po­ teva consentire di conoscere in ogni momento le coordi­ nate della situazione culturale della classe. Una sicurezza che si esprimeva con un linguaggio tipico e consueto: « Sono avanti nel programma...; i ragazzi sanno già...; sono arrivati fino a... ». Se il tradizionale punto di riferimento dell’appren­ dimento e dei traguardi programmatici perde di signi­ ficato, ci si trova costretti a dover stabilire dei punti di riferimento diversi, molti dei quali sono letteralmente da inventare, avendo il processo di apprendimento itine­ rari e significati diversi in ambienti e soggetti diversi. Vi sono degli obiettivi, e quindi dei punti di riferimento, che solo i soggetti di questo processo — cioè insegnanti e alunni — possono fissare e conoscere. Ma come giungere a questa sicurezza programmatica ed operativa? Dobbiamo subito rilevare che questa sicu­ rezza non può essere strumentale ma culturale. Non può cioè essere costruita su qualche espediente o retta da qualche sussidio. È piuttosto il risultato di una compe­ tenza professionale in continua evoluzione che è la sola

a poter veramente dar garanzia e reggere alle variazioni così differenziate delle situazioni e dei processi educativi. Il tema della competenza professionale ci spingereb­ be inevitabilmente verso il discorso dell’aggiornamento e della sperimentazione che non intendiamo qui affron­ tare \ Desideriamo solo sottolineare la possibilità con­ creta per ciascun insegnante di realizzare — individual­ mente o a gruppi — un tale itinerario, e la utilità con­ creta di orientarsi in due precise direzioni: da un lato la conoscenza strutturale e approfondita della disciplina e dei contenuti culturali che si vogliono proporre all’ap­ prendimento; dall’altro la conoscenza dell’alunno impe­ gnato nel processo di apprendimento, la conoscenza del rapporto che ogni soggetto stabilisce con la realtà e la

4 Sul tema aggiornamento e sperimentazione nella scuola, si ve­ da: AA.W., Esperienza, sperimentazione, aggiornamento, in « Scuo­ la di Base », n. 2-3, 1975; D. Grossi, L’aggiornamento degli inse­ gnanti, Roma, Abete, 1974; M. Reguzzoni - C. Scorati (a cura di), Innovazione e sperimentazione, Milano, (Comune di Milano), 1975. Sul tema particolare della sperimentazione in pedagogia, si veda: E. Claparède, Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale, Firenze, Universitaria, 1966; G. Mialaret, Introduzione itila pedago­ gia sperimentale, Torino, Loescher, 1965; M. Mencarelli La speri­ mentazione nella ricerca pedagogica e nella attività scolastica, Bre­ scia, La Scuola, 1968; M. Mencarelli - F. Montuschi, Educazione e sperimentazione, Brescia, La Scuola, 1970; E. Becchi, Problemi di sperimentalismo educativo, Roma, Armando, 1969; S. Baratto, Pedagogia sperimentale, Padova, Liviana, (2 voli.), 1970; H. Roehrs, Metodi di ricerca nella scienza dell'educazione, Brescia, La Scuola, 1974; J. Simon, La pedagogia sperimentale, Brescia, La Scuola, 1975; F. De Bartolomeis, La ricerca come antipedagogia, Milano, Fel­ trinelli, 1968; K. Lovell - K. S. Lawson, La ricerca nel campo educativo, Firenze, Giunti-Barbera, 1972; G. De Landsheere, In­ troduzione alla ricerca in educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1973; J. D. Nisbet - N. J. Entwistle, Metodologia della ricerca educativa e della sperimentazione, Roma, Armando, 1973; F. Inzodda, La ricerca pedagogica sperimentale. Fondamenti e metodologia, Brescia, La Scuo­ la, 1975; P. Scilligo, La sperimentazione nelle scienze dell'educa­ zione, Torino, SEI, 1975; M. Costa Corda - A. Visalberghi - B. Vertecchi, Orientamenti per la sperimentazione didattica, Torino, Loescher, 1975; F. Bertoldi, Sperimentazione, Brescia, La Scuola, 1976. Alcuni itinerari particolari di sperimentazione su la vita di gruppo degli insegnanti sono riportati in « Scuola di Base » n. 3-4, 1975, pp. 110-119.

cultura nel momento in cui realizza e vive l’esperienza di apprendimento. Un itinerario individuale di studio, di osservazioni e di ricerche in questa duplice direzione consente veramen­ te ad ogni insegnante di formulare risposte educative si­ gnificative, di facilitare processi stimolanti di appren­ dimento, di rendersi costantemente conto del senso di ogni prestazione scolastica e, pertanto, di valutare con sicurezza ogni processo di avanzamento e di crescita. Il conseguimento di questa competenza richiede si­ curamente un impegno individuale ma non può nem­ meno trascurare alcuni momenti di studio e di lavoro comunitario. « Siamo soddisfatti della formazione e della prepa­ razione culturale dei ragazzi che escono da questa scuo­ la? ». Questa domanda, rivolta al collegio dei docenti di ogni plesso, potrebbe portare ad approfondire gli obiet­ tivi ed i motivi di esistenza della stessa istituzione sco­ lastica mettendo in discussione anche il metodo di far scuola, il tipo di apprendimento che si realizza, il modo di socializzare degli alunni, il ruolo degli insegnanti e la loro funzione. Vi può essere un momento del lavoro di gruppo degli insegnanti che consente veramente l’acquisizione di una competenza e di una chiarezza operativa ormai irrinun­ ciabili. Da questo lavoro comune di approfondimento può nascere l’innovazione e possono utilmente maturare soluzioni organizzative veramente adeguate. Soluzioni che, se impersonalmente suggerite da estranei, non potrebbero invece che rivelarsi sterili e deludenti. Il tema della valutazione sembra spingerci sempre di più all’interno di un discorso pedagogico più generale e uscire dall’ambito dei problemi particolari per intac­ care l’intero sistema scolastico. I voti non sono che un sintomo e la semplice questione della loro presenza o della loro assenza sembra sempre meno centrale sia nella proble­ matica pedagogica della valutazione, sia in quella più ge­ nerale della pedagogia delle istituzioni scolastiche.

2.

Dalla valutazione alla autovalutazione

Il tema della autovalutazione sembra d’obbligo in ogni articolazione del problema della valutazione. Ma va subito rilevato come questo tema incoraggi con facilità la retorica, la demagogia, i luoghi comuni, le afferma­ zioni gratuite e mai verificate. Che cosa vuol dire introdurre l’autovalutazione nella scuola dell’obbligo? Abituati a ragionare con la menta­ lità dei voti saremmo immediatamente portati a temere che l’alunno approfitti della situazione favorevole per « valutarsi » nella maniera più vantaggiosa. Si tende cioè a considerare questa operazione come una sorta di tra­ sferimento di potere dalle mani dell’insegnante a quella degli alunni, con tutti, i rischi del caso. A questo riguardo sembra opportuno rilevare, in pri­ mo luogo, che gli alunni generalmente non tendono a giudicare i loro risultati in maniera più positiva di quan­ to facciano gli adulti, come molte ricerche tendono a di­ mostrare; in secondo luogo, che autovalutazione non si­ gnifica, ancora una volta, autovotazione. Non si tratta cioè di affidare agli alunni semplicemente un sistema classificatorio di tipo selettivo che giustamente stimo­ lerebbe il desiderio di utili guadagni sugli altri, o anche solo il diritto di sopravvivere con il minimo di votazione positiva richiesta. Il vero problema consiste nel chiamare in causa ogni alunno nella comprensione, e quindi nella valutazione, di ciò che sta apprendendo, esprimendo, realizzando. Si tratta cioè di rendere sempre più consapevoli i soggetti della esperienza che vanno conducendo nella vita scola­ stica strutturando, proprio all’interno di questa esperien­ za, un sistema di verifica e di controllo sempre più ge­ stito dagli interessati, dai protagonisti. Solo così sarà possibile superare quella situazione paradossale rilevata precedentemente, tipica ed esclusiva della scuola, secondo cui chi apprende o chi realizza un risultato sembra com­

pletamente all’oscuro di ciò che va facendo e della bontà o meno dei risultati che consegue. Abbandonando il concetto di semplice autovotazione ed accettando quello più ampio e complesso di autova­ lutazione, potremmo cercare di verificare che cosa avviene in una scolaresca sollecitata a procedere operativamente in questa direzione. Se introducessimo all’improvviso il criterio dell’auto­ valutazione in una classe abituata al sistema di valutazione dipendente, potremmo verificare come proprio i più svan­ taggiati, i più immaturi, i meno autonomi si verrebbero a trovare maggiormente in difficoltà. Lo svantaggio, ancora una volta, ricadrebbe su coloro che avrebbero più bisogno di sostegno e l’autovalutazione come liberazione dalla di­ pendenza, rimarrebbe pura illusione. Si intrawede così, con sufficiente chiarezza, la neces­ sità di considerare l’autovalutazione non come una situa­ zione di partenza ma come un punto d’arrivo: un obiet­ tivo educativo da raggiungere, non ima situazione orga­ nizzativa da introdurre acriticamente. Si tratta cioè di co­ struire in ciascuno la capacità di valutare se stesso ed i propri comportamenti in forma sempre più approfondita e autonoma. Siamo di fronte ad un vero e proprio itine­ rario educativo da percorrere, per il quale si possono fin d’ora prevedere alcuni livelli intermedi ed alcune tappe significative da raggiungere. Una tappa essenziale riguarda il raggiungimento della capacità di autonomia da parte degli alunni: la loro auto­ nomia di giudizio su se stessi e sulla realtà. La indipenden­ za dagli altri sul piano della interpretazione dei fatti e dei giudizi, infatti, crea una premessa fondamentale all’autovalutazione. Un altro importante passo in avanti riguarda i rap­ porti: in particolare il superamento del sistema di com­ petizione per avviare un costume di collaborazione sia nell’impegno operativo che in quello valutativo. L’autovalutazione richiede anche un sistema di ap­ prendimene diverso: centrato cioè su una motivazione in­

terna e non esterna, sorretto da una forza propria e non dalla gratificazione dei voti o di qualcosa di equivalente, Cercheremo di esaminare questi aspetti distintamente. a) Autonomia di giudizio

Una competenza fondamentale da acquisire, per poter passare da una situazione di dipendenza all’autonomia di giudizio, riguarda la capacità di analizzare la propria con­ dotta, i propri comportamenti, prima ancora di affrontare la elaborazione di un giudizio sulle proprie prestazioni sco­ lastiche. L’autovalutazione sul piano dell’apprendimento e dei processi di maturazione culturale non può risolversi in una semplice operazione tecnica e non richiede semplicemente ima competenza sui contenuti. Per valutare dei processi di cui si è protagonisti è necessario anche saper conoscere se stessi, particolarmente nel momento in cui si stabiliscono rapporti con la realtà e le persone, si vivono esperienze di apprendimento, si produce e ci si esprime secondo le proprie risorse e le diverse circostanze. L’autonomia di giudizio, per diventare un valido pre­ supposto all’autovalutazione, deve pertanto essere con­ quistata nella sua pienezza e in tutta la sua estensione. Per avvicinarsi a questo traguardo sembra necessario porre attenzione ad alcuni obiettivi particolari e strettamente collegati, quali: la autonomia operativa, la capacità di analisi della propria condotta e delle proprie azioni, la ca­ pacità di analizzare comportamenti osservati in altre per­ sone, la capacità di confrontare risultati scolastici e di va­ lutare criticamente processi di apprendimento propri e di altri. L’autonomia di giudizio si presenta come un obiet­ tivo impegnativo e solo in minima parte raggiungibile nel­ la scuola dell’obbligo. L’attenzione può tuttavia essere po­ sta sulle sue premesse che possono essere utilmente e più facilmente raggiunte.

Autonomia operativa. L’autonomia operativa rappre­ senta un obiettivo di fondamentale importanza non solo per l’autovalutazione, ma anche e soprattutto per lo svi­ luppo e la maturazione affettiva5. L’autonomia operativa viene infatti resa possibile dal­ la capacità di dominare le situazioni, padroneggiare le cir­ costanze, da una fondamentale sicurezza di base che rende veramente possibile al soggetto di agire produttivamente, liberamente. Da questa situazione di autonomia il soggetto potrà sempre più e sempre meglio muoversi nella realtà con iniziativa personale. L’iniziativa, sempre più ricca e creativa, conclude positivamente quella situazione di auto­ nomia operativa, maturata nel positivo rapporto col mon­ do e con la realtà sociale. L’autonomia, che si traduce in iniziativa, può real­ mente essere incoraggiata nella scuola quando si toglie il clima di timore, la paura di venir giudicati negativamente; quando si scoraggia la dipendenza in ogni sua forma, quan­ do si offre aiuto non secondo le richieste ma secondo i bisogni realmente esistenti nel soggetto, quando si inco­ raggia in tutte le forme e senza paura dei rischi il naturale bisogno di ogni persona di fare da sé, di risolvere con le proprie forze i propri problemi; quando — per usare una espressione di C. R. Rogers — si aiuta il soggetto utiliz-

5 A questo riguardo si indicano alcune letture orientative di diversa impostazione e di diversa modalità di approccio al problema: E. Erikson, Infanzia e società, Roma, Armando, 1972; B. Bettelheim, L’amore non basta. Trattamento psicoterapeutico dei bam­ bini che presentano disturbi affettivi, Milano, Ferro, Ì967; J. Bowlby, Assistenza all’infanzia e sviluppo affettivo, Roma, Armando, 1973; G. Calvi, Psicologia, bambino e scuola materna, Brescia, La Scuola, 1973; Ainsworth A. D. et Al., La carenza di cure materne, Roma, Armando, 1970; R. A. Spitz, Il primo anno di vita, Roma, Armando, 1973; F. Fornari, La vita affettiva originaria del bambino, Milano, Feltrinelli, 1970; S. Isaacs, Lo sviluppo sociale del bambino, Fi­ renze, La Nuova Italia, 1960; A. Ciangotti, I disturbi psicologici del bambino, Roma, Armando, 1965; F. Montuschi, L’intelligenza affettiva, Brescia, La Scuola, 1974; M. A. Bloch et Al., Lo sviluppo affettivo e morale, Roma, Armando, 1972.4

4) Scuola senza voti

zando le sue forze per metterlo in condizione di trovare in sé la forza e la gioia di diventare libero6. Analisi del proprio comportamento. L’autovalutazione può essere fortemente favorita dalla capacità di analizzare il proprio comportamento, di mantenere un’attenzione co­ stante alle proprie azioni, di valutare criticamente la pro­ pria attività ed i propri gesti non solo nella scuola, ma anche in ogni momento della giornata. Questa capacità di analisi e di autoanalisi non è facile per i bambini che non hanno ancora maturato una sicura capacità di introspezione. Sono rivelatrici di questa ca­ renza alcune tipiche domande che il bambino rivolge al­ l’adulto, specie ai genitori: « Oggi come mi sono com­ portato? Sono stato buono? ». Sono domande incompren­ sibili se non si riconosce la incapacità del bambino di ri­ costruire interiormente il proprio vissuto per darne una valutazione anche sommaria. Una bambina di quattro anni e mezzo, interrogata da un adulto sul suo stato di salute, si esprimeva in questo modo: « Non mi chiedere come sto: io sono piccola e non posso sapere quando sto bene e quando sto male! ». Nemmeno sul piano fisico il bambino sembra capace di giudizio autonomo: eppure lo star bene e lo star male si manifesta con segni ed effetti evidenti. La capacità di analizzare il proprio comportamento può tuttavia essere educata seguendo alcuni precisi cri­ teri. Si può innanzi tutto porre al ragazzo il problema di analizzarsi ed invitarlo ad avere attenzione per quel che sente e per quel che prova in particolari circostanze. Il bambino può essere invitato a valutarsi nel presente, men­ tre vive un’esperienza, assiste ad un avvenimento, osserva un fenomeno, si esprime mediante forme o linguaggi di­ versi. L’analisi di se stessi effettuata nel presente ha il duplice vantaggio di non richiedere uno sforzo introspet­ tivo e di strutturare una capacità di riflessione che diventa * Si veda particolarmente: C. R. Rogers, Liberti nell'apprendimento, Firenze, Giunti-Barbera, 1973.

interesse permanente per il proprio modo di vivere e di sentire gli stimoli della realtà7. Un secondo passo nella valutazione di se stessi può essere effettuato invitando i ragazzi ad esprimere un loro personale giudizio su azioni svolte in un arco di tempo più ampio: al termine di una giornata di lavoro, di una settimana di studio, di un mese, di un trimestre... L’invito a riflettere, ad analizzare, a valutare le pro­ prie azioni in un periodo di tempo sufficientemente esteso costringe a ripercorrere mentalmente il proprio vissuto, a ricostruire tutte le azioni svolte, a selezionare ciò che me­ rita attenzione da ciò che risulta occasionale, accessorio: in definitiva, costringe a verificare ed a valutare il proprio comportamento ed a giudicarlo con sempre maggiore com­ petenza 8. Valutazione della realtà. Un momento importante per la maturazione della autonomia di giudizio può essere in­ centrato sulla realtà esterna, oggettiva. Se è difficile la va­ lutazione di tipo autobiografico, incentrata su se stessi e le proprie azioni, non meno impegnativa risulta infatti la valutazione dei fatti e della realtà oggettiva. Quando si è protagonisti di una vicenda si può essere incerti nel rilevare e valutare i vari elementi; ma quando si è estra­ nei, il giudizio risulta ancor più impegnativo perché ri­ chiede una ricerca attenta di dati ed un lavoro di ricostru­ zione che parta dalle fondamenta. Valutare un avvenimento, un comportamento di altri, un risultato che non ci appartiene direttamente richiede che si vada alla ricerca di ogni elemento significativo e che ’ Alcuni insegnanti invitano gli alunni a verbalizzare le sensa zioni che provano nel dipingere, nel modellare, nell’assistere ad uno spettacolo... In questo modo, oltre al risultato oggettivo, i ragazzi possono valutare gli effetti collaterali e personali che questi feno­ meni hanno su di loro e che non sono certamente di secondaria im­ portanza. * Anche in questo caso può essere utile invitare i ragazzi ad esprimere individualmente un giudizio sul proprio comportamento al termine di una giornata di lavoro, o di periodi più ampi, per stimolare la loro capacità introspettiva e perfezionare i loro criteri di giudizio.

si selezionino accuratamente i dati raccolti. Il giudizio si formula infatti secondo alcuni criteri che devono essere gradualmente acquisiti attraverso una continua discussione e una loro costante verifica. È qui che l’insegnante può avere un compito educativo fondamentale. La discussione individuale e collettiva dei criteri per giudicare i fatti, gli avvenimenti e i comporta­ menti rilevati dalla realtà può veramente aiutare i ragazzi a passare da una fase di dipendenza ad una situazione di autonomia di giudizio. Una autonomia caratterizzata da crescente competenza e sicurezza, da desiderio di espri­ mersi e di vivere, sempre più profondamente, la propria libertà. L’autovalutazione, incentrata sull’autonomia di giudi­ zio, diventa una vera e propria conquista facilitata da un preciso impegno bilaterale: quello degli alunni volto a raggiungere questa meta, e quello degli insegnanti volto ad aiutare i ragazzi a maturare una capacità di giudizio che è, ancora una volta, un obiettivo di crescita e di libertà.

b) Collaborazione operativa e valutativa La introduzione di un clima collaborativo ed il supe­ ramento di ogni forma di competizione nel processo di ap­ prendimento possono essere considerati momenti impor­ tanti nella strutturazione di una scuola senza voti. I voti, come si è già notato, stimolano la competizione. L’innato istinto di competizione, a sua volta, richiede i voti e di essi si alimenta. Si struttura così un ciclo appa­ rentemente naturale: voti e rapporti competitivi chiudo­ no un circuito e creano un sistema di apprendimento e di relazioni che merita sempre maggior attenzione. Abbiamo già rilevato come l’ansietà e la difficoltà della relazione sociale siano gli effetti più improduttivi e nega­ tivi che si possono cogliere. Ma prima di procedere nel­ l’analisi delle possibilità e dei caratteri della collaborazione fra gli alunni sembra opportuno affrontare un interroga­

tivo noto e ricorrente: « Tutta la vita è competizione: proprio la scuola vuole ignorare questa realtà? Non sa­ rebbe meglio abituare i soggetti fin da piccoli ad affron­ tare la vita così come si presenta? ». L’interrogativo, che porta implicito l’invito a conser­ vare la competizione, l’emulazione, il confronto con gli altri, ha indubbiamente un suo peso. Possiamo allora ri­ flettere sul modo di prepararsi alla competizione richiesta, o imposta, dall’esistenza e discutere quali debbano essere le scelte educative più produttive. Preparazione e non abitudine. Una prima considerazio­ ne da cui possiamo partire riguarda l’equivoco e la confu­ sione fra preparazione e abitudine. Prepararsi non signi­ fica « abituarsi ». L’abitudine aiuta la persona ad assu­ mere quei comportamenti che le risolvono problemi, che le semplificano l’esistenza. L’abitudine rende più agile l’esistenza quando non vengono richieste risposte nuove e originali. Automatizzazione dei gesti significa risparmia­ re energie psichiche e mentali: ma gli automatismi si bloc­ cano inesorabilmente di fronte a situazioni diverse da af­ frontare, a questioni nuove da risolvere, a problemi mai incontrati o mai posti negli stessi termini. Prepararsi alla competizione non significa allora alle­ narsi a superare un ostacolo sempre uguale o ad attivare un automatismo. Competere significa affrontare global­ mente delle situazioni e reggere l’urto delle circostanze con competenza tecnica e con equilibrio psichico che non possono essere il frutto di un’abitudine ma sono la con­ clusione, sia pur provvisoria, di un processo di matura­ zione e di crescita. Il miglior modo per preparare alla competizione — per quanti ritengono che questo sia un obiettivo impor­ tante — non può allora consistere nell’esercitarsi a com­ petere, quanto piuttosto nel maturare al massimo le pro­ prie risorse. La miglior maturazione, allora, è quella che si realizza quando si è al riparo dall’ansia, quando si è for­ temente automotivati a conseguire determinati obiettivi, quando, in definitiva, non si è in competizione con gli al­

tri, ma lo si è solo con se stessi. Sia il risultato dell’ap­ prendimento che l’equilibrio psichico sono infatti compro­ messi dalla situazione competitiva sempre portatrice di ansia anche per chi riesce a primeggiare. La prospettiva di non mantenere la propria posizione di vantaggio può infatti preoccupare quanto il rischio di non raggiungere li­ velli medi o sufficienti. La mancanza di competizione sembra allora la con­ dizione migliore per prepararsi adeguatamente anche a fu­ ture e più impegnative competizioni. In fondo, anche gli atleti, prima della competizione agonistica, hanno bisogno di uno spazio e di un tempo « personale » in cui maturare le proprie sicurezze e sviluppare pienamente le proprie capacità in un clima di tutela, di protezione e di guida. Si tratta di una preparazione automotivata e di uno sforzo personale massimo che ha tuttavia dei punti di riferimento non esterni e minacciosi ma personali e interiori. La eliminazione della competizione fra gli alunni per raggiungere i migliori risultati consente non solo di far superare una situazione psicologica di disagio, ma anche e fondamentalmente di scoprire e di sperimentare la col­ laborazione. La collaborazione è un’esperienza fondamentale per la maturazione culturale e soprattutto per la scoperta dei rapporti sociali. Essa infatti non è solo un modo di ope­ rare, né una semplice variante organizzativa nel lavoro della classe. Collaborare significa scoprire, nella maniera più autentica e approfondita, le persone che ci vivono accanto; significa percepire gli altri in maniera del tutto nuova, significa solidarizzare con tutti, acquistare il senso del « noi », sperimentare la gioia della comunicazione e della comunione. Collaborare per raggiungere insieme risultati validi si­ gnifica vivere rapporti umani-sociali ricchi, che non soffo­ cano l’impegno né mortificano le risorse personali. La vi­ ta sociale, infatti, richiede e potenzia le individualità, of­ fre loro uno spazio adeguato e un clima adatto per valo­ rizzarle e farle realizzare totalmente.

Nella scuola dell’obbligo il diritto allo studio non si realizza « portando gli alunni alla sufficienza », ma dando loro la possibilità di vivere le esperienze culturali più ric­ che e le esperienze sociali più stimolanti. La collaborazione è un’esperienza veramente forte per l’apprendimento individuale e per la maturazione sociale: e non può pertanto venire esclusa o trascurata dalla scuo­ la dell’obbligo. La collaborazione consiste non tanto nel fare insieme qualcosa ma nel creare un clima di rapporti positivi fondati sull’accettazione, la stima, l’intesa ope­ rativa, la percezione positiva degli altri, la volontà di uti­ lizzare e di mettere le proprie risorse in rapporto alle risorse degli altri. La vita di gruppo è solo un momento, un’occasione per sperimentare la collaborazione, i rapporti sociali. L’inte­ sa operativa può vivere infatti anche al di là del gruppo, in forme diverse e in ogni situazione di rapporto inter­ personale opportunamente orientata. Facilitazione della collaborazione: la percezione posi­ tiva degli altri. Non basta eliminare la competizione per realizzare la collaborazione. La collaborazione si costruisce fondamentalmente in un clima non competitivo, ma ri­ chiede anche la maturazione e il raggiungimento di alcu­ ne tappe fondamentali: la percezione positiva degli altri e quindi la loro accettazione, la volontà di interazione, la disponibilità all’integrazione psicologica e operativa, il de­ siderio di comunicare e di coltivare la presenza degli altri, la volontà di vivere con gli altri un’esperienza « supe­ rindividuale », lo sforzo di costruire una unità composita in cui i singoli possano identificarsi ed attraverso la quale possano liberamente esprimersi e realizzarsi. In concreto, gli alunni possono essere aiutati a realiz­ zare uno stile collaborativo rendendo più positiva la per­ cezione che gli uni hanno degli altri. Alcuni insegnanti ri­ feriscono di aver raggiunto buoni risultati al riguardo dopo aver invitato gli alunni a ricercare e a descrivere i tratti e le caratteristiche positive di ciascuno dei loro com­ pagni.

I giudizi che si esprimono sulle persone e le sottoli­ neature che si fanno sui loro comportamenti sono gene­ ralmente negativi e riguardano per lo più aspetti non comuni, deviami. Si rileva cioè quello che non è con­ sueto, ciò che si distacca dai comuni modelli di compor­ tamento, ciò che in qualche modo colpisce o sorprende. Tutto ciò che è normale, positivo, specie nella valutazio­ ne dei ragazzi, tende a non venire sufficientemente rile­ vato. Con facilità si richiama un ragazzo che sbaglia, ma non con altrettanta facilità si rileva il suo comportamento corretto. Tutto questo porta inevitabilmente a creare delle di­ stanze fra le persone e delle riserve che inevitabilmente ostacolano la collaborazione, l’intesa, la socializzazione. La rilevazione dei tratti e dei comportamenti positivi dei compagni consente invece di scoprire e di far scoprire quel mondo di valori umani nascosto che ciascuno con­ serva e che, nelle sue manifestazioni esterne, sembra così poco evidente e. poco appariscente da rischiare di rimane­ re nascosto ai più. Nella ricerca degli elementi positivi si dovranno in ogni caso evitare gli eccessi, gli esibizionismi, le insince­ rità, gli elogi carichi di falsità. £ ancora una ricerca di verità condotta con sincerità e con il duplice scopo di acquisire tutto ciò che di positivo gli altri possiedono per migliorare il rapporto umano-sociale che con essi si può realizzare; e di migliorare la propria capacità e com­ petenza di giudizio sulla realtà umana, specie per quanto riguarda i propri quotidiani interlocutori. La percezione positiva degli altri porta anche come conseguenza una loro maggiore accettazione, un maggior desiderio di incontro e di socializzazione. La collaborazione può anche essere utilmente avviata promuovendo e guidando esperienze di integrazione psico­ logica e operativa. Integrarsi psicologicamente con gli al­ tri significa scoprire il senso del dialogo, il valore delle differenze individuali in positivo rapporto tra loro, la dimensione più vera della comunicazione umana.

La integrazione psicologica può essere favorita dalla integrazione operativa, dall’impegno comune a realizzare qualcosa, dallo sforzo unitario a raggiungere qualche obiet­ tivo concreto. Condurre una ricerca, scoprire o appren­ dere qualche dato, svolgere un compito, costruire un og­ getto, impegnarsi in un gioco... possono avere come ri­ sultato di far avvicinare psicologicamente le persone im­ pegnate e di far vivere loro un’esperienza veramente sin­ golare. Non è sufficiente stare insieme o fare insieme qual­ cosa per socializzare: ma quando l’impegno operativo è realizzato in un clima di solidarietà e di accettazione, il lavoro comune ed i positivi risultati raggiunti rafforzano i rapporti e creano una comunione chiaramente vissuta e avvertita da ciascuno. Il lavoro in comune, l’attività di gruppo non vanno allora promossi e misurati esclusivamente in rapporto ai risultati concreti o di apprendimento: vanno visti anche e soprattutto in rapporto alle relazioni interpersonali che consentono di realizzare e di solidificare l’intesa recipro­ ca dei soggetti. Da questo punto di vista il lavoro in comune e la po­ sitiva integrazione psicologica creano una fondamentale premessa alla collaborazione di classe e soprattutto con­ sentono di sperimentare il senso di appartenenza ad una realtà superindividuale costituita dal gruppo cui si ap­ partiene e col quale ci si identifica. Questa esperienza, che non intendiamo qui analizzare e approfondire ’, appare comunque di fondamentale im* Per un approfondimento della vita di gruppo, si veda: AA.W., Le tecniche di gruppo in Italia, Milano, A.IJ’.G., 1964; Amidon E. Hunter E., L'interazione verbale nella scuola, Milano, Angeli, 1971; Badin P., Psicologia dei gruppi, Roma, Armando, 1972; Bion W. R., Esperienze nei gruppi, Roma, Armando, 1972; De Grada E., Ele­ menti di psicologia di gruppo, Roma, Bulzoni, 1969; Dehò G., Psico­ sociologia dell'educazione per animatori di gruppo, Bologna, Zani­ chelli, 1974; Ferry G., Lavoro di gruppo. Una esperienza pratica per la formazione degli insegnanti, Roma, Armando, 1975; Flament C., Reti di comunicazione e strutture di gruppo, Milano, ISEDI, 1974;

portanza non solo per la maturazione sociale dei soggetti, ma anche per quella oggettività di giudizio capace di fa­ vorire veramente il passaggio dalla valutazione dipenden­ te alla autovalutazione. Collaborazione e autovalutazione. La collaborazione operativa e la integrazione psicologica possono portare gli alunni ad un impegno specifico anche nella valutazione dei loro processi di apprendimento e dei loro comporta­ menti. L’impegno a vedere più chiaro in ciò che ciascuno sta realizzando può cioè essere sostenuto dai compagni di classe, con la collaborazione e con la supervisione dell’in­ segnante. L’autovalutazione mediata dal gruppo-classe è non so­ lo una manifestazione di collaborazione, ma anche una tappa importante per raggiungere una chiarezza « com­ petente », una capacità di giudizio su se stessi veramente matura e gradualmente conquistata. In concreto, ciascuno può essere aiutato dagli altri a rendersi conto di quello che sta facendo e ad assumere criteri di valutazione più sicuri, dopo averli opportuna­ mente discussi. Se la preoccupazione di aiutare i compa­ gni di classe a valutarsi è espressione di collaborazione e

Guorgand P., Organizzazione e tecniche di gruppo, Roma, COINES, 1972; Hofstatter P., Dinamica di gruppo, Milano, Angeli, 1970; Lai G., Gruppi di apprendimento, Torino, Boringhieri, 1973; Luft Introduzione alla dinamica di gruppo, Firenze, La Nuova Italia, 1973; Loft J., Psicologia e comunicazione, Milano, ISEDI, 1975; Maccio C., L'animazione dei gruppi, Brescia, La Scuola, 1970; Machi A., Introduzione alla teoria dei gruppi, Milano, Feltrinelli, 1974; Miller, G. A., Psicologia della comunicazione, Milano, Bom­ piani, 1971; Montuschi F., Comunicazione e vita di gruppo, Bre­ scia, La Scuola - Roma, Antonianum, 1976; Ottaway A. K., L'ap­ prendimento attraverso l’esperienza di gruppo, Roma, Armando, 1970; Parry J., Psicologia della comunicazione umana, Roma, Annando, 1973; Richardson E., Studio di gruppo e formazione degli inse­ gnanti, Firenze, Giunti-Barbera, 1973; Scilligo P., Dinamica dei gruppi, Torino, SEI, 1973; Spaltro E., Gruppi e cambiamento, Mi­ lano, Etas Kompass, 1970; Watzlavich P., et Al., Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1971; Zavalloni R. - MonTUSCHl F., La personalità in prospettiva sociale, Brescia, La Scuola, 1973.

di solidarietà, non vi sarà il rischio né di mortificare con giudizi negativi, né di illudere con valutazioni consola­ torie. Gli alunni possono sostenersi e aiutarsi nella autova­ lutazione riunendosi in gruppi ristretti e seguendo alcuni criteri che possono essere concordati a livello di classe. L’autovalutazione nei piccoli gruppi sarà tanto più effi­ cace e valida quanto più il gruppo avrà lavorato insieme ed è a conoscenza dei vari stadi di avanzamento nell’atti­ vità svolta. Ma il lavoro di gruppo può risultare utile anche quando fosse incentrato sulla valutazione del lavoro dei singoli membri del gruppo per mettere ciascuno in condizione di percepire più chiaramente i propri successi e le proprie deficienze e per aiutare ad assumere dei cri­ teri di giudizio sempre più oggettivi e validi. In questo processo di valutazione nel gruppo e del gruppo, il ruolo dell’insegnante risulta di grande impor­ tanza e, si può dire, la capacità che egli ha di inserirsi aiu­ tando senza invadenze, determina veramente un orienta­ mento ed una tappa fondamentale nel passaggio dalla va­ lutazione all’autovalutazione. La capacità di autovalutazione, come si è rilevato, va costruita ed acquisita da ciascuno. È pertanto naturale che a questo livello di autonomia si giunga attraverso tappe intermedie e attraverso esperienze costruttive nelle quali convergono tutte le forze e tutte le risorse di cui dispone la classe. Non è lasciando solo il soggetto che si tutela la sua libertà di valutazione e di giudizio. Nella sua fase ini­ ziale e promozionale l’autovalutazione ha bisogno di garan­ zie e di protezione. Mano a mano che il soggetto trova in se stesso garanzie e risorse sufficienti per gestire questo processo in ma­ niera autonoma, perde di significato la preoccupazione di sostenerlo dall’esterno. In ogni caso il confronto, la colla­ borazione, la socializzazione sono un patrimonio educa­ tivo che resta acquisito anche al di là di ogni altro ri­ sultato particolare e specifico.

c) Apprendimento automotivato

La prospettiva di una scuola senza voti e l’obiettivo dell’autovalutazione sembrano esigere che l’apprendimento diventi automotivato. Togliere il voto significa infatti to­ gliere anche un motivo all’impegno scolastico, a volte l’uni­ co o il più valido. Di qui la necessità di chiedersi su quali altre motivazioni l’apprendimento possa reggersi. I problemi che si presentano non sono di lieve por­ tata e forse è necessario riprendere in mano i termini ge­ nerali della questione per individuare qualche utile punto di orientamento. I voti hanno rappresentato una possibilità di rapporto fra il soggetto e l’apprendimento. Studiare, apprendere, impegnarsi per un voto significava e significa, in larga mi­ sura, puntare su risultati quantitativi, privilegiare una cul­ tura fatta di dati memorizzati. Una cultura che può anche far registrare momenti creativi ma che, di per sé, privi­ legia aspetti quantitativi, impersonali. Le critiche al ri­ guardo sono note e non è il caso di riproporle. Va tut­ tavia notato come il sistema di apprendimento fondato sui voti favorisca sempre un rapporto dell’alunno col sapere. Venendo meno il voto viene meno anche questo rap­ porto. Il rapporto alunno cultura va costruito su altri elementi e con altri motivi. La soluzione teorica più ovvia ci sembra debba consistere non nel sostituire il voto con un incentivo analogo, ma nel sopprimere ogni ele­ mento esterno di mediazione per prospettare un rap­ porto diretto, completo fra il soggetto e l’oggetto di ap­ prendimento. In altre parole, l’impegno allo studio dovrebbe essere motivato e ripagato non con un premio che giunge dal­ l’esterno, ma da una gratificazione che si ritrova all’interno dello stesso processo di apprendimento. Questo modo di procedere modifica in gran parte la proposta scolastica e apre ima serie di difficoltà sul piano pratico. La proposta scolastica va rivista in tutti i suoi contenuti culturali per verificarne la validità e la forza

motivante. Mentre con la mediazione del voto si può fare imparare tutto ad un ragazzo (almeno dove il mecca­ nismo funziona), senza questa mediazione può essere ap­ preso solo ciò che appare motivato, valido, significativo per chi apprende. Questa prospettiva, se da un lato può apparire entusia­ smante, dall’altro fa intrawedere difficoltà e rischi. Può infatti accadere che il soggetto, libero dai condizionamenti, stabilisca con la cultura un rapporto nuovo, sempre più ricco ed arricchente; ma può anche accadere che il rap­ porto risulti sempre più povero e non si raggiungano quei risultati quantitativi che in qualche modo, erano garantiti dalla presenza dei voti. La prospettiva di un apprendimento gratificante si pre­ senta impegnativa sia per chi apprende ma ancora di più per chi promuove l’apprendimento. Non si può infatti più sperare in risultati sicuri, automatici, garantiti dal tradizionale schema: insegnamento-comprensione-apprendi­ mento. L’apprendimento automotivato sembra mettere in cri­ si i tradizionali programmi didattici nella loro statica ar­ ticolazione e sembra richiedere la progettazione di curri­ coli capaci di garantire esperienze culturali significative differenziate per ogni alunno ed il raggiungimento di obiettivi educativi e formativi attentamente formulati. Venendo meno la mediazione del voto, l’apprendi­ mento scolastico sembra procedere allo scoperto: le pos­ sibilità di risultato sono massime, ma massimo sembra anche il rischio. La selezione dei contenuti e la verifica del­ la loro efficacia formativa, la individuazione di precisi obiettivi da raggiungere e l’articolazione del lavoro in curricoli anziché in programmi sembrano le esigenze più immediate e le soluzioni più urgenti da adottare a livello scolastico. Ma tutto questo non può essere realizzato se non si recuperano le motivazioni culturali all’interno del più ampio rapporto alunno-realtà, persona-ambiente. Le motivazioni nell’apprendimento hanno avuto una

storia singolare, non priva di fraintendimenti ed equivoci. L’avvio si è avuto con la pedagogia degli « interessi » vi­ sti legati ora ai bisogni, ora agli istinti, ora alle esigenze intellettuali e psicosociali. A seconda delle convinzioni teoriche si sono imboccate le più diverse strade pedago­ giche fino a giungere a veri e propri riduzionismi: intellet­ tualismo, funzionalismo, psicologismo... L’interesse, visto come una forza che spinge la per­ sona dall’interno, ha sollecitato pedagogisti ed educatori ad andare alla ricerca di una precisa identificazione di questa forza, mai pienamente colta e spiegata nella sua interezza. Si è allora cercato di cogliere nelle cose, nel mondo esterno l’origine dell’interesse e si è cercato di sco­ prire quali oggetti fossero veramente capaci di calamitare le persone e la loro attenzione. Anche questo sforzo non poteva che risultare disperato e senza risultati soddisfa­ centi proprio perché le risposte erano sempre diverse: ciò che costituiva motivo di interesse per un soggetto, per un altro risultava privo di significato. I riflessi di questa maniera di impostare il problema motivazionale si sono registrati anche nell’apprendimento. I « centri di interesse » e soprattutto lo « studio dell’am­ biente » sono le più note risposte che si possono regi­ strare. Ma non si è tardato ad accorgersi che l’interesse, come autentica forza motivante, non è nelle cose, né nella sola ragione, né nei soli bisogni biologici, siano essi esi­ stenziali o sociali. L’interesse vive nella persona totale impegnata in una relazione originale col mondo e con gli altri. È all’interno di questo circuito esistenziale che van­ no ricercate le spinte motivazionali. In questa prospettiva integrata d si è resi conto che non ha senso parlare di interessi isolati e isolabili, capad di funzionare con una carica propria, autonoma. Lo stesso concetto di interesse è apparso inadeguato a spiegare il comportamento totale della persona: si è così introdotto il concetto di motivazione nell’intento di richiamare l’at­ tenzione su forze derivanti dal rapporto della persona col

mondo ed emergenti dall’esistenza stessa della persona totale. La rapida rassegna di questi problemi e la sommaria ricognizione del loro evolversi ci consentono di giungere ad alcune indicazioni intorno all’apprendimento automo­ tivato. Dobbiamo subito rilevare che non vi sono, di per sé, contenuti culturali motivanti ed altri non motivanti, almeno entro certi limiti. Il problema sembra da porre in termini di esperienze significative da proporre, e cioè di esperienze innestate sul rapporto alunno-esistenza, alun­ no-ambiente, alunno-realtà. Non si tratta semplicemente di « descrivere » l’ambiente, di « parlare » della propria esperienza, di « scrivere » ciò che si è fatto. Il vero problema consiste nello stabilire nuovi rap­ porti con la realtà, nel vivere più integralmente questi rapporti per cogliere nuovi significati, nuovi problemi, nuove motivazioni per l’apprendimento. L’apprendimento non deve solo saccheggiare le occa­ sioni di esistenza, ma deve esso stesso essere un’occasione di esistenza, un momento forte dell’esperienza di esistere. Le difficoltà pratiche non sono evidentemente superate anche accogliendo questa prospettiva. Ma se i ragazzi an­ ziché apprendere semplicemente, « imparano ad appren­ dere », si troveranno già in una condizione di autonomia culturale che crea una premessa di grande valore all’ap­ prendimento automotivato. Se poi riescono a scoprire al­ cune direzioni verso cui muoversi e le individuano sulla linea del loro rapporto col mondo e delle loro motivazioni esistenziali, gran parte dei contenuti culturali possono es­ sere assicurati al loro apprendimento. Ma come garantire gli obiettivi culturali ed educativi ritenuti essenziali e come verificarne il loro raggiungi­ mento? Il problema si è posto da sempre e si continua a porre con tutta la sua urgenza e drammaticità. Il problema cessa di esistere solo per coloro che riescono a stabilire un rap­ porto positivo e autonomo con la cultura facilitato dalla scuola e dalla scuola reso sempre più ricco. Là dove la

scuola « piace », piace anche l’apprendimento; e dove l’ap­ prendimento è gratificante si chiede alla scuola di pro­ grammarlo e di facilitarlo. Questo processo circolare può far registrare itinerari ampi e ristretti, lineari o a singhiozzo: ma può essere proposto ad ogni alunno, e per ciascuno può avere un senso. Ciò che veramente importa è che ogni ragazzo si ap­ propri del senso del processo di apprendimento che staf realizzando, ne colga la direzione, i momenti significativi e si impegni a portarlo avanti con la forza delle motiva­ zioni che in esso agiscono. In questa prospettiva non viene meno il discorso del­ l’impegno che a molti, giustamente, preme in maniera particolare. Si tratta solo di chiedere non un impegno fine a se stesso, ma un impegno motivato, quindi umano e sempre possibile. L’argomento richiederebbe una trattazione ben più approfondita e articolata in chiave pedagogica e meto­ dologica. Ma a noi preme rimanere nell’ambito della pro­ blematica della valutazione e rilevare come solo in que­ sta nuova impostazione dell’apprendimento possa essere affrontato e risolto il problema dell’autovalutazione. Solo l’apprendimento che motiva se stesso, infatti, può essere percepito direttamente, e individualmente conosciuto e valutato. L’autovalutazione può allora uscire dalla utopia se viene proposta e richiesta a chi ha raggiunto una suffi­ ciente maturità e autonomia di giudizio, a chi conduce, senza preoccupazione, costanti verifiche sulla propria at­ tività, a chi sente la solidarietà degli altri nel condurre queste verifiche e a chi vive esperienze di apprendimento il cui senso gli è chiaro. L’autovalutazione appare così non come una opera­ zione in più o una semplice verifica finale, ma il risultato di un’esigenza permanente di consapevolezza intorno a ciò che si fa, di una chiarezza operativa costante che consente

non solo di giudicare ma anche di modificare il proprio comportamento e l’itinerario del proprio apprendimento sulla base di valori, di obiettivi e di criteri sempre veri­ ficati e perfezionati.

3.

Corresponsabilità

nella valutazione

La prospettiva di una scuola senza voti richiede che venga attentamente affrontato il tema della corresponsa­ bilità nella valutazione. Si tratta, ovviamente, non di una nuova forma di impegno ma di un aspetto particolare di quella corresponsabilità educativa di carattere generale, presente in ogni comunità educante e oggi istituzionaliz­ zata dai decreti delegati relativi al personale docente. Corresponsabilità nella valutazione significa fondamen­ talmente impegno congiunto di tutti gli operatori scola­ stici a verificare, in primo luogo, la consistenza della pro­ posta educativa e culturale che la scuola rivolge agli alun­ ni e, in secondo luogo, i risultati e le risposte degli alunni. La scuola, cioè, valuta se stessa, oltre che gli alunni per verificare alla fonte ogni progetto educativo e per poter seguire concretamente i risultati dei suoi interventi nei suoi primi destinatari: gli alunni. Una scuola senza voti è una scuola senza sicurezze, senza valvole di scarico, senza alibi. Il recupero della sua tradizionale e necessaria sicurezza può essere effettuato attraverso la scoperta di nuove risorse. La risorsa più ri­ levante, anche se di non facile utilizzazione, sembra legata alla vita di gruppo dei docenti, alla scoperta della loro in­ terazione e integrazione sul piano professionale e parti­ colarmente sul piano della programmazione educativa e del reciproco sostegno nell’impegno scolastico. Tutto questo significa scoprire la collegialità come forza operativa e come corresponsabilità educativa. Sul piano che più ci interessa, tale corresponsabilità potrebbe rendersi operante proprio nella traduzione dei programmi didattici in obiettivi specifici, in attività curricolari, in

5) Scuola senza voti

esperienze culturali significative, in unità didattiche, in progetti concreti di lavoro da proporre. La individuazione e la delineazione responsabile degli obiettivi da raggiungere può essere il primo e fondamen­ tale momento di una corresponsabilità educativa e la pre­ messa indispensabile per una corresponsabilità valutativa della proposta scolastica e dei suoi riflessi sugli alunni. La verifica periodica degli obiettivi didattici ed edu­ cativi da parte degli insegnanti di classi parallele, dello stesso ciclo, di un intero plesso' può diventare l’occa­ sione più propizia per una corresponsabilità nella valu­ tazione dei processi di crescita che la scuola intende pro­ muovere. Un ulteriore passo avanti può riguardare la corre­ sponsabilità nella valutazione finale degli alunni e la di­ scussione sul comportamento che la scuola deve assu­ mere nei loro confronti. Non si tratta qui di « spostare » le competenze giuridiche delle promozioni e delle boc­ ciature; si tratta piuttosto di verificare e di ricercare cor­ responsabilmente, da parte di tutta la scuola, il massi­ mo di aiuto che si può dare al ragazzo, soprattutto là dove la situazione appare incerta ed i motivi per le deci­ sioni sembrano orientati in direzioni opposte. In tema di corresponsabilità non si può poi ignorare il ruolo delle famiglie nella valutazione. La famiglia in­ fatti non solo può incoraggiare o ostacolare la matura­ zione di nuovi processi di valutazione degli alunni, ma può inserirsi attivamente e produttivamente in questi processi. Il consiglio di classe potrebbe diventare il luogo più proprio per l’impegno corresponsabile e congiunto della scuola e dei genitori per afirontare e discutere la valu­ tazione dei risultati scolastici generali e particolari. La strada per giungere a questi livelli non è breve. Esistono schemi mentali consolidati, percezioni distorte di ruoli, richieste non sempre corrette, rapporti ancora da sperimentare, possibilità di incontro non sempre uti­ lizzabili. L’intesa dei genitori con gli insegnanti è stata

per secoli un punto critico e motivo di' conflitto. Per di­ ventare il punto" di forza e di intesa molte cose dovran­ no, forse, ancora cambiare. Ma la scoperta della corre­ sponsabilità educativa fra tutti coloro che sono interes­ sati e in qualche modo impegnati nella educazione dei ragazzi potrà notevolmente affrettare il raggiungimento delle condizioni ottimali per un’intesa operativa anche sul tema della valutazione. Il tema della corresponsabilità educativa nella valu­ tazione scolastica sembra ampio e ancora in gran parte da esplorare. Non vorremmo qui dilungarci in una trat­ tazione che sarebbe puramente teorica e tutta da verifi­ care. Preferiamo integrare questa prospettiva presentan­ do alcune ipotesi operative ed alcuni itinerari di ricerca che possono consentire, a quanti si occupano del proble­ ma, di raccogliere direttamente dati, di effettuare verifi­ che, di formulare criteri e nuove ipotesi operative.

CAPITOLO

IV

IPOTESI E ITINERARI DI SPERIMENTAZIONE

1.

Premesse

metodologiche e ambiti di ricerca

L’attenzione degli insegnanti e degli operatori scola­ stici, ogni volta che si propone di affrontare il tema del­ la valutazione in chiave sperimentale, sembra prevalente­ mente orientarsi verso ciò che sostituisce, o sostituirà, la pagella, e cioè la scheda personale da compilare per ciascun alunno. A questo riguardo si chiedono indica­ zioni, si cercano modelli e si tenta di far convergere su uno strumento concreto ogni sforzo di apprendimento, ogni apparente divagazione teorica e astratta. Questa preoccupazione è indubbiamente legittima ma, se risultasse esclusiva, potrebbe diventare limitan­ te, riduttiva e, in definitiva, deviarne. La scheda è, si, lo strumento concreto capace di tradurre in dati oggettivi ogni « discorso », ma è anche vero che la scheda, nella sua utile compilazione, non può che essere un risultato finale e non un punto di partenza. La scheda più utile per iniziare la registrazione dei momenti e dei dati essenziali per la valutazione è molto più simile ad un foglio bianco che non ad una serie nu­ merosa di voci da compilare o da completare: voci che

spesso procurano più preoccupazione che aiuto a quanti si accingono a valutare. La scheda potrà pertanto essere strutturata e gradualmente perfezionata da ciascun inse­ gnante sulla base della sua attuale capacità percettiva e interpretativa di quei processi che vuole valutare. Tutto questo non significa incoraggiare lo spontanei­ smo, l’individualismo e rinunciare all'oggettività: signi­ fica piuttosto proporsi di costruire l’oggettività attra­ verso la competenza e di fare incontrare le valutazioni espresse dai diversi insegnanti in alcune aree comuni per­ sonalmente conquistate. Prima ancora di utilizzare dei vocaboli e di adottare un linguaggio sembra necessario che ci si impadronisca di alcuni contenuti fondamentali, di alcune competenze specifiche, di alcune essenziali ca­ pacità di interpretazione e di analisi. Non si può, allora, approdare utilmente alla scheda se non si sono prima toccati tutti i punti centrali e ob­ bligati della valutazione. La preoccupazione per la scheda e la esclusiva ricerca di un utile modello da adottare può addirittura ' impedire che il problema della valutazione venga adeguatamente impostato e che la stessa compi­ lazione della scheda abbia un significato. Nel progettare qualche itinerario di ricerca sulla va­ lutazione terremo presente anche questa esigenza: ci preoccuperemo tuttavia di collocarla in un contesto più ampio di problemi e di ipotesi per darle non solo una giusta proporzione, ma anche una adeguata risposta. Le indicazioni che seguono, più che itinerari di spe­ rimentazione definiti e strutturati, vogliono essere una serie di spunti, di problemi e di ipotesi utilizzabili da quanti intendono condurre, nell’ambito scolastico, sia esperienze che sperimentazioni sulla valutazione. Nella esposizione terremo infatti presente sia l’esi­ genza di progettare un’esperienza significativa e control­ lata partendo dai livelli tecnici e metodologici più ele­ mentari, sia l’esigenza di trasformare l’esperienza ristret­ ta e particolare in una sperimentazione scientifica che pos­ sa essere in qualche modo estendibile e riproducibile.

Nell’uno e nell’altro caso sembra si debba tener presente che ciò che può aiutare a progredire non è solo il dato finale raggiunto, ma soprattutto l’esperienza ed il proces­ so di ricerca che si riesce a realizzare. Il procedere in ma­ niera metodologicamente corretta nel fare ipotesi, nell’interpretare i dati, nel condurre verifiche, consente agli operatori scolastici di vedere più chiaro nella realtà e, pertanto, di intervenire in essa con sempre maggiore com­ petenza. Da questo punto di vista, l’itinerario di ricerca è sempre un itinerario culturale e non un procedimento puramente tecnico-organizzativo. Un itinerario che ri­ chiede una visione d’insieme dei problemi e, nello stesso tempo, una scelta specifica di campo e di metodo. Una regola elementare della sperimentazione sugge­ risce la necessità di delimitare il campo, di focalizzare l’obiettivo da raggiungere, di formulare una ipotesi chiara e precisa da verificare. A questa delimitazione di campo e di obiettivi si potrà tuttavia giungere più produttiva­ mente partendo da una ricognizione globale dei possibili ambiti operativi. Per essere concreti cercheremo di individuare alcuni di questi ambiti e di precisare, per ciascuno, le possibi­ lità di movimento e di ricerca. Un primo ambito può riguardare l’insegnante e la sua classe. È la situazione più tipica e normale; ci si può chiedere se in questa realtà l’insegnante possa, in qual­ che modo, affrontare il problema e condurre qualche uti­ le verifica. Una seconda situazione può riguardare gli insegnanti in gruppo: insegnanti di classi parallele, collegio dei do­ centi o anche solo gruppi spontanei di maestri che inten­ dono approfondire e ricercare su questo campo. Un terzo ambito, per qualche aspetto collegato al pri­ mo, potrebbe riguardare gli alunni e particolarmente la possibilità di passare dalla valutazione alla autovaluta­ zione. Un quarto ambito significativo potrebbe- essere indi­

viduato nel campo di relazioni e di aspettative, struttu­ rato da insegnanti e genitori. Si potrebbe cioè analiz­ zare come il problema della valutazione possa essere con­ giuntamente e utilmente affrontato da insegnanti e geni­ tori in rapporto tra loro. Un ulteriore campo di ricerca può riguardare la con­ tinuità di valutazione nel passaggio dalla scuola elemen­ tare alla scuola media. Per ciascuno di questi ambiti cercheremo di chiarire i problemi di carattere generale e metodologico, di pre­ sentare possibili ipotesi e itinerari di ricerca10.

2.

L’insegnante e la « sua » classe

Una situazione critica, ma ineliminabile, riguarda l’in­ segnante di fronte alla valutazione dei suoi alunni. Assu­ mere come punto di partenza questa realtà può apparire una scelta poco felice per affrontare il problema della va­ lutazione che sembra assumere sempre più un carattere generale ed esigere una soluzione « sociale » più che tec­ nico-didattica. Le varie « conquiste » intorno al sistema di valuta­ zione scolastica (riduzione o eliminazione delle bocciatu­ re, progetti di eliminazione del voto nella scuola dell’obbligo, ecc.) hanno avuto origine prevalentemente da ima coscienza educativo-sociale del problema, più che da una spinta di carattere tecnico-didattico. Con questo non si vuole sostenere che la riforma dei sistemi di valutazione sia nata fuori dalla scuola o sia stata imposta dall’ester­ no agli operatori scolastici. Gli educatori interpretando la realtà, non possono non rendersi conto della necessità di correggere o di sostituire certi sistemi di valutazione correnti traducendo in concreto aspettative e sensibilità ormai presenti e generalizzate. ” Gli itinerari che vengono di seguito presentati sono stati in parte pubblicati su «Scuola di Base», n. 1-2 (1975), pp. 119-130.

Ma non interessa qui stabilire a chi spetti l’iniziati­ va, né a chi aspetti il merito dei progressi in campo edu­ cativo. Un fatto sembra certo: ed è che la valutazione non è un problema che riguarda solo qualcuno e, pertan­ to, non può essere risolto solo nella scuola né, tanto me­ no, contro la scuola. L’insegnante, dal canto suo, non potrà da solo sciogliere questo grosso nodo: potrà tutta­ via creare alcune fondamentali premesse perché quanto di più valido può essere adottato in proposito trovi spa­ zio e collocazione nella sua classe. Se la partenza da questa posizione può risultare de­ cisamente inadeguata sotto il profilo di una soluzione glo­ bale del problema, risulta anche inesorabilmente concre­ ta e irrinunciabile perché l’insegnante — con voti o sen­ za voti — sarà sempre tenuto a rendersi conto dei pro­ cessi di avanzamento degli alunni e del significato che l’esperienza scolastica può avere sulla loro maturazione personale e culturale. L’insegnante potrà essere chiamato a non classificare, ad eliminare ogni graduatoria di merito, a non dare più giudizi negativi, ma non potrà esimersi dal vedere più chiaro nei processi di apprendimento che egli stimola e dal rilevare le varie reazioni di ogni alunno. Da questo punto di vista il valutare non è un pro­ cesso che si aggiunge, ma un elemento strutturale e de­ terminante che deve accompagnare ogni autentico pro­ cesso educativo e di apprendimento. È un procedimento che non solo conclude ma che innanzitutto accompagna ogni momento di crescita; così come non è una semplice ricognizione di errori o di carenze, ma una verifica so­ prattutto di risorse, di possibilità, di conquiste e di ele­ menti positivi raggiunti la cui conoscenza potrà costi­ tuire, per ogni alunno, ed anche per ogni insegnante, un punto di appoggio e di riferimento per procedere oltre con sempre maggiore sicurezza.

Itinerari di ricerca Nell’ambito della problematica sopra enucleata, si po­ trebbero individuare alcuni itinerari concreti di ricerca adottando sia una metodologia di tipo clinico, sia anche una metodologia di tipo statistico quando i dati della real­ tà si prestino ad una quantificazione significativa. Itinerari interessanti potrebbero riguardare: a) individuazione e specificazione degli obiettivi didattico-pedagogici in vista di una loro più approfondita rilevazione e valutazione; b) analisi dei processi di crescita degli alimi e ricerca di comportamenti tipici; c) sperimentazione di una scheda di rilevazione dì dati che possa gradualmente sostituire o integrare i dati della attuale pagella e del libretto scolastico. Un primo itinerario utile potrebbe essere incentrato sulla individuazione e sulla specificazione degli obiettivi didattico-pedagogici che l’insegnante intende raggiungere nell’esperienza scolastica e che, di conseguenza, verran­ no costantemente tenuti sotto controllo. Non si tratta di avviare un lavoro astratto, di formu­ lare ipotesi generiche, ma di enucleare delle finalità tra­ ducibili in comportamenti operativi specifici, in abiti mentali e metodologici chiaramente individuati e preci­ sati. Per far ciò è necessario rifarsi, da un lato alla lette­ ratura specializzata e, dall’altro, alla osservazione del com­ portamento degli alunni in continua evoluzione. Sarà così possibile precisare « sul campo », e in concreto, gli obiet­ tivi specifici che si vogliono raggiungere sia sul piano culturale che educativo. Gli obiettivi così precisati saranno un punto di rife­ rimento sia per ogni forma di intervento, sia per ogni forma di valutazione. Nel procedere in questa ricerca si potranno tener pre­ senti e descrivere gli obiettivi specifici che si intendono raggiungere attraverso le varie discipline di studio (ad esempio, obiettivi specifici dell’insegnamento della geo­

grafia: processi e abiti mentali che si intendono stimo­ lare; che cosa si intende e come si acquista la nozione di spazio geografico; quando posso essere certo che un alunno ha acquisito questo concetto e come posso rile­ vare questo tipo di apprendimento...). Per quanto ri­ guarda le mete educative specifiche ci si può chiedere che cosa significa, ad esempio, mentalità critica o come essa si manifesta; come si esprime e si rileva la matu­ rità affettiva, l’adattamento sociale... Una raccolta di dati in questo senso sarebbe preziosa per scoprire una dimensione nuova dell’esperienza sco­ lastica, ed anche per descrivere il cammino culturale e la maturazione personale di ciascun alunno. Ci sembra an­ che che questa ricerca possa costituire la migliore pre­ messa per valutare senza voti, per valutare senza classi­ ficare e avvilire, con lo scopo fondamentale di vedere più chiaro e di aiutare gli alunni a prendere coscienza dei pro­ cessi di maturazione di cui sono protagonisti, eliminando gli effetti negativi delle valutazioni puramente fiscali. Procedere in questa direzione significa anche disporsi a superare gli abituali strumenti di valutazione (pagella e libretto scolastico), operando una sintesi veramente va­ lida e stimolante sul piano educativo. In concreto, si potrebbero tener presenti questi mo­ menti della ricerca: a) individuazione e descrizione in termini operativi di obiettivi specifici per ogni disciplina di studio; b) individuazione e descrizione in termini operativi degli obiettivi specifici per ogni attività di tipo scolastico (ricerche, studio dell’ambiente, ecc.); c) individuazione e descrizione in termini operativi degli obiettivi specifici relativi alla maturazione dell’alum no, con particolare riferimento alla socialità, affettività, intelligenza, capacità espressiva; d) descrizione dei processi di crescita riguardanti gli obiettivi sopra indicati (culturali ed educativi) con la rile­ vazione delle tappe e dei momenti più significativi di tali processi. Rilevazione ulteriore di comportamenti par­

ticolari caratteristici che, per qualche aspetto, si disco­ stano dalla media e che richiedono interventi specifici; e) sperimentazione di una scheda di valutazione che raccolga, in maniera essenziale e funzionale, i dati prece­ dentemente raccolti. Da un punto di vista metodologico si potrebbe pro­ cedere annotando le osservazioni condotte su ciascun alun­ no. Analizzando questi dati ci si potrebbe accorgere di essere in grado di descrivere dei processi che presentano caratteristiche diverse, ma anche comuni ai vari soggetti. Si tratta di una ricerca da realizzare sul campo, utiliz­ zando l’osservazione sistematica ed opportuni confronti, e che avrà tanto maggior significato e valore quanto più sarà accompagnata da letture specializzate capaci di of­ frire modelli e strumenti interpretativi delle realtà.

3.

Insegnanti

in gruppo

Il valore della valutazione collegiale sembra legato ad alcuni particolari motivi. Dal punto di vista tecnico la valutazione di gruppo consente di introdurre correttivi di notevole portata e, dal punto di vista pedagogico, com sente di realizzare, almeno in parte, quel concetto di corresponsabilità fra tutti gli operatori scolastici che sem­ bra sempre più indispensabile nelle decisioni e negli in­ terventi educativi. Una ricerca sulla valutazione in gruppo ha senso sia che si tratti di un gruppo libero e informale di insegnanti, sia che si tratti del gruppo di tutti gli insegnanti di clas­ si parallele, sia ancora che si tratti del gruppo formato da tutti gli insegnanti di un plesso o di un Circolo di­ dattico. In ogni caso il gruppo può costituire motivo di con­ fronto e motivo di integrazione. Per essere più concreti, possiamo indicare alcuni itinerari che, con opportune do­ cumentazioni e controlli, potrebbero risultare non solo utili, ma anche estendibili ad altre situazioni. L’oppor-

trinità di impostare la ricerca in un modo piuttosto che in un pitto verrà comunque suggerita anche dalle aspet­ tative e dalla composizione del gruppo che intende ope­ rare in questa direzione.

a)

Valutazione di elaborati in gruppo

Un primo elementare e introduttivo impegno di grup­ po potrebbe riguardare la valutazione di elaborati di alun­ ni e la discussione dei criteri di giudizio da adottare. Questo tipo di iniziativa può dare inizio ad una ricerca e ad una verifica intorno ai criteri di giudizio degli inse­ gnanti avviando un dialogo di grande utilità per mettere in discussione quanto da sempre si è fatto senza troppe analisi critiche. Una esperienza di questo tipo potrebbe consentire non solo di verificare opinioni, ma anche di effettuare rilevazioni interessanti sui processi psicologici e sulle mo­ tivazioni dei correttori, sulla dinamica di gruppo degli insegnanti. Si potrebbero così evidenziare comportamen­ ti tipici con evidente e notevole vantaggio soprattutto de­ gli insegnanti interessati. Esperienze condotte in questo senso dal Centro didattico della scuola elementare sono risultate di grande interesse.

b) Confronto di rilevazioni e valutazioni effettuate singolarmente Un secondo itinerario di ricerca potrebbe riguardare il confronto di dati rilevati singolarmente da ciascun in­ segnante. Ogni docente può raccogliere un notevole ma­ teriale che, in ima visione globale, potrebbe assumere un nuovo significato ed offrire un panorama descrittivo e interpretativo di notevole interesse. Il gruppo costituito da insegnanti di classi parallele, o anche di classi succes­ sive, potrebbe coordinare, confrontare e sintetizzare le

rilevazioni effettuate per ciascuno degli obiettivi assunti e condurre uno studio approfondito dei criteri e delle modalità della valutazione scolastica.

c)

Analisi e discussione di casi singoli

Gli insegnanti possono inoltre stabilire un piano di incontri di gruppo per l’analisi e la discussione dei pro­ blemi di singoli soggetti al fine di interpretare più fedel­ mente, di valutare più efficacemente e di risolvere più validamente quei casi che si presentano più complessi e delicati. La valutazione collegiale e corresponsabile può di­ ventare essenziale quando si tratta di decidere sulla pro­ mozione o l’orientamento di alcuni soggetti. In questo caso la valutazione non è solo un problema tecnico, ma acquista una dimensione sociale ed educativa molto più generale. Non si tratta solo di valutare con più oggetti­ vità il profitto ma di chiedersi che senso può avere una promozione o una bocciatura neW.'esistenza di quel ra­ gazzo: nel suo presente e nel suo futuro. Si può essere chiamati a guardare al di là di quello che sa fare sul piano scolastico per chiedersi che cosa può significare, per lui, frequentare un tipo di scuola al posto di un’al­ tra. Bocciare un alunno di 12-13 anni può avere il signi­ ficato di rilevare oggettivamente delle lacune di profitto; ma può anche, di fatto, avere il significato di impedire a quel ragazzo di fare un’esperienza scolastica diversa, im­ pedirgli di incontrare persone e docenti diversi, di usare magari un nuovo mezzo di trasporto per raggiungere la nuova scuola; può avere il significato di impedirgli di entrare nella scuola che, forse, domani sarà frequentata dai suoi figli, con tutto il rischio che questo « ignoto » può giocare in lui e nei suoi rapporti. I risvolti della valutazione sono ben più ampi se si considerano da un punto di vista non esclusivamente sco­ lastico e l’esempio di problematizzazione sopra indicato

può diventare legittimo e significativo, indipendentemen­ te dalla scelta e dalla decisione che si adotta. Ma tale scelta sarà tanto più valida ed attendibile, quanto più sarà raggiunta attraverso una discussione di gruppo. Questo tipo di ricerca può presentarsi con il carat­ tere iniziale della esperienza informale, ma può diventare sistematica e strutturata qualora venga precisata nei suoi obiettivi specifici, nei suoi aspetti metodologici, nei suoi momenti dinamici e psicosociali, nei suoi risultati finali. d) Valutazione dei risultati scolastici ed educativi raggiunti in un plesso o in una direzione didattica Del problema della valutazione si potrebbero util­ mente interessare il consiglio di classe, di interclasse, di istituto e di Circolo seguendo le linee operative sopra indicate e progettando, di volta in volta, gli itinerari di ricerca più rispondenti alla natura, alla finalità e compo­ sizione di questi organismi. Si potrà così giungere ad affrontare non solo il problema della valutazione di sin­ goli casi o di singole classi, ma anche a verificare l’anda­ mento e i risultati di un intero plesso e di un intero cir­ colo didattico, della cui efficienza tutti sono in qualche modo responsabili.

4.

Gli alunni: valutazione e

autovalutazione

L’ambito relativo agli alunni ripropone il tema della valutazione soprattutto in termini di autovalutazione. Si tratta cioè di verificare alcuni problemi quali, ad esempio: a) lo spazio e il ruolo che può avere l’alunno nel pro­ cesso di valutazione; b) i presupposti e le condizioni per passare dalla va­ lutazione all’autovalutazione; c) l’aiuto che può offrire l’insegnante per stimolare questo processo;

d) la possibile collaborazione che si può realizzare con le famiglie per raggiungere questo obiettivo. Ciascuno di questi problemi può costituire motivo di ricerca. Sembra comunque opportuno tener presente come l’autovalutazione si identifichi non in un semplice criterio metodologico-organizzativo, ma in un processo da realizzare a lungo termine e che impegna una radicale revisione del rapporto educativo, del clima della classe, delle tradizionali richieste che si rivolgono agli alunni. Il problema dell’autovalutazione diventa centrale se si considera il processo della valutazione come un modo di vedere più chiaro nei processi di apprendimento e di crescita dell’alunno. Da questo punto di vista la valuta­ zione impegna tutti coloro che sono in cammino: inse­ gnanti e alunni. Particolarmente questi ultimi hanno biso­ gno di rendersi conto dei progressi che vanno maturan­ do e di conoscere le mete che devono ancora raggiungere. L’autovalutazione non si traduce quindi in una mo­ dificazione degli aspetti puramente formali ed organiz­ zativi; né si può pretendere di giungere a questo risul­ tato senza aver raggiunto alcuni fondamentali traguardi intermedi. Un progetto di esperienza o di sperimentazione su questo aspetto non potrà pertanto pretendere o limitarsi a verificare che cosa succede in una classe quando si in­ vitano gli alunni a valutare da sé il loro profitto. Di fronte a questa possibilità senza precedenti e senza sto­ ria si avrebbero le reazioni più impensate perché tali rea­ zioni rimarrebbero condizionate non solo dalle nuove norme organizzative della valutazione, ma soprattutto dalla diversa capacità e maturità di ciascuno di gestire in proprio questo processo. Un progetto di ricerca potrebbe allora incentrarsi pro­ prio sugli aspetti e sulle tappe intermedie che consentono di educare la capacità di autovalutarsi. Ne indichiamo alcune, a titolo di esempio. a) Autonomia nella valutazione e nei giudizi su proble­ mi della realtà in generale.

b) Competenza e sicurezza nel comprendere e nell’esprimere pareri intorno a problemi scolastici (conte­ nuti di insegnamento, metodi di ricerca, livelli di pro­ fitto, ecc.).

c) Possibilità e desiderio, da parte dell'alunno, di ca­ pire e di giudicare da sé le proprie attività espressive e di apprendimento; ricerca di motivi e di elementi inter­ pretativi il più possibile oggettivi. d) Graduale cambiamento delle motivazioni relative allo studio e alla valutazione (non studiare per il voto; non legare al risultato scolastico premi o punizioni; risco­ prire il risultato positivo e liberante dell’esperienza cul­ turale e dell’apprendimento metodologicamente corret­ to, ecc.). e) Sperimentare la ricerca di criteri di giudizio (di un elaborato, di una ricerca, di una lettura, ecc.) in colla­ borazione con l’insegnante per acquistare una sempre maggiore autonomia di giudizio. /) Sperimentare una valutazione di gruppo fra alun­ ni dove, prima di giungere alla formulazione di un giudi­ zio su qualche aspetto della realtà e dell’apprendimento, si discuta e si cerchi di comprendere e di interpretare ogni elemento utile e ogni dato significativo. g) Introdurre la collaborazione al posto della com­ petizione, soprattutto per quanto riguarda il profitto e l’apprendimento. h) Utilizzare il gruppo-classe come fonte di sostegno per ciascun alunno e non come punto di confronto o co­ me giuria impersonale e inappellabile. i) Rinunciare decisamente al voto come minaccia o come punizione. Z) Stabilire rapporti con le famiglie per discutere e modificare attese, motivazioni, comportamenti in ordine alla valutazione scolastica. Questi obiettivi intermedi potrebbero essere intro­ dotti e raggiunti attraverso un cambiamento dell’atmosfe-

6) Scuola senza voti

ra della classe. Una documentazione di momenti tipici, di problemi caratteristici, di difficoltà incontrate e di ri­ sultati raggiunti risulterebbe di grande utilità per formu­ lare ulteriori ipotesi per ricerche e verifiche più appro­ fondite. Ciò che sembra essenziale, nel raggiungere questi obiettivi, è di costruire nel ragazzo la capacità di auto­ valutazione aiutandolo a padroneggiare non solo aspetti tecnici del giudizio, ma a maturare la capacità psicologica, a stabilire un nuovo rapporto con l’insegnante e la classe, a strutturare motivazioni all’apprendimento più signifi­ cative e mature. Il problema della valutazione, anche e soprattutto da questo punto di vista, appare in tutta la sua portata educativa e può veramente diventare un'occasione di rin­ novamento della scuola. Il problema dei voti viene supe­ rato dai fatti: i voti appaiono inutili non solo perché in­ capaci di far luce su un processo di crescita, ma perché incapaci di motivare correttamente e di coinvolgere per­ sonalmente i protagonisti di tali processi e cioè gh alunni. I voti, come giudizi o classificazioni esterne, impedi­ scono o limitano enormemente questa esperienza di li­ bertà costringendo gli alunni a stabilire tra di loro rap­ porti falsi, concorrenze deleterie, emarginazioni inammis­ sibili. Lo stesso insegnante è spesso costretto ad assu­ mere un ruolo ambiguo e contraddittorio: di amico e di giudice. Un’esperienza di autovalutazione potrebbe risolvere il problema alla radice superando la faciloneria delle so­ luzioni puramente organizzative e amministrative, e in­ troducendo una soluzione veramente educativa. Un itine­ rario in questa direzione sembra inevitabile anche se dif­ fìcile. Alle difficoltà che incontrano gli alunni si debbono aggiungere quelle che incontrano gli insegnanti i quali, ancora una volta, assistono ad un cambiamento del loro ruolo e della loro tradizionale funzione. La problematica relativa agli insegnanti è reale e non sembra da sottova­ lutare: l’analisi e la discussione dei loro atteggiamenti, dei loro interventi, delle loro posizioni al riguardo po­

trebbe costituire un tema di ricerca molto interessante che ciascuno potrebbe avviare cominciando proprio dal­ l’analisi del proprio comportamento.

5.

Insegnanti

e genitori

Nella valutazione, come è già più volte emerso, an­ che i genitori degli alunni hanno un posto notevole. Par­ ticolarmente su tre aspetti sembra die la loro presenza ed il loro impegno sia rilevante: a) le motivazioni, le attese e le reazioni alle valuta­ zioni scolastiche; b) gli elementi che possono offrire la interpretazione del comportamento dell’alunno e del suo rendimento sco­ lastico; c) il contributo che possono dare nella collegialità di una valutazione, sia per quanto riguarda i loro figli, sia anche per quanto riguarda tutti gli altri alunni fre­ quentanti la scuola. La problematica intorno a questi aspetti può risul­ tare sufficientemente individuata da quanto precedentemente esposto. Anche gli ambiti per condurre esperienze e sperimentazioni possono essere facilmente drcoscriti seguendo le tappe di maturazione del processo di autova­ lutazione e la graduale introduzione della corresponsabi­ lità di tutti gli educatori nella problematica educativa ed organizzativa della scuola. La maturazione di un più stretto e produttivo rap­ porto tra insegnanti e genitori in ordine al problema del­ la valutazione sembra condizionato da alcuni atteggia­ menti e da alcune aspettative di fondo, e soprattutto dal­ la strutturazione di un incontro « alla pari », pur rispet­ toso della diversità dei compiti e dei ruoli. Anche qui, come per gli alunni, si tratta di eliminare delle dipendenze ormai secolari che hanno condotto a stabilire solo rapporti a senso unico e che hanno fatto

assumere alla scuola un compito direttivo anche nei con­ fronti delle famiglie. La famiglia, dal canto suo, si è sentita controparte e, al più, ha imparato a « contrat­ tare » con la scuola. Il tema della valutazione, più di ogni altro, ha defor­ mato in passato tali rapporti e ha portato fuori strada il significato del dialogo fra insegnanti e genitori. Ma pro­ prio questo stesso tema può diventare il punto di parten­ za e di recupero di una intesa educativa giuridicamente possibile e sollecitata, anche se ancora tutta da inventare. Sul piano dell’impegno concreto si possono avviare esperienze a vari livelli: — insegnanti di classe e genitori degli alunni; — insegnanti di plesso e genitori interessati; — insegnanti, altri operatori scolastici e genitori. Un primo obiettivo potrebbe essere quello di creare le condizioni per strutturare rapporti stabili e perma­ nenti in vista dell’analisi di questo problema. Un secondo obiettivo potrebbe essere individuato riesame della problematica della valutazione: i vari aspetti individuali e sociali potrebbero costituire motivo di approfondimento, di confronto, di studio. Un terzo aspetto da considerare potrebbe riguardare il comportamento da assumere nei confronti degli aspetti centrali sopra indicati (si vedano i punti: a, b, c). La ricerca su questi aspetti potrebbe essere proposta e coinvolgere responsabilmente i genitori nella formu­ lazione di ipotesi, nella rilevazione di dati, nella ricerca di valide alternative e nel commento dei vari risultati parziali di volta in volta raggiunti. La documentazione al riguardo potrebbe risultare pre­ ziosa oltre che nuova, soprattutto se sottolineasse non solo gli aspetti organizzativi dell’esperienza, ma anche gli elementi qualitativi e le variabili significative che posso­ no aver determinato — in senso positivo o negativo — i risultati raggiunti.

6.

Scuola

elementare e scuola media:

CONTINUITÀ NELLA VALUTAZIONE

I docenti della scuola elementare e della scuola me­ dia affrontano e vivono spesso il problema della valuta­ zione in maniera molto differenziata. Questo fatto, a vol­ te, è sufficiente a mettere in crisi la continuità e la coeren­ za educativa della scuola dell’obbligo. Oltre alla discontinuità, si può anche registrare un altro fenomeno improduttivo: la interazione negativa fra scuola elementare e scuola media in fatto di valuta­ zione. I docenti della scuola elementare vivono ansiosa­ mente l’immagine della scuola media che non solo va­ luta diversamente gli alunni e sembra avere più « pre­ tese », ma che sembra voler valutare anche i maestri, cri­ ticando la loro ingenua — o colpevole — indulgenza nei confronti degli alunni che « passano » con una prepa­ razione culturale ritenuta a volte assolutamente inade­ guata. Gli insegnanti della scuola elementare sentono così pesare su di loro il giudizio severo ed esigente della scuola media, ed i docenti della scuola media sentono di essere in rapporto con una scuola elementare spesso di­ simpegnata e lassista che promuove senza adeguate ga­ ranzie e verifiche gli alunni di ogni livello culturale. Non entriamo nel merito di queste opinioni e di questi argomenti. Rileviamone semplicemente la esistenza e chiediamoci se vi sia qualche possibilità di operare per un loro superamento positivo. Un utile itinerario di ricerca sulla valutazione scola­ stica, da questo punto di vista, potrebbe riguardare la possibilità di una intesa fra scuola elementare e scuola media per creare tutte quelle premesse capaci di portare gradualmente ad adottare un sistema di valutazione coe­ rente e unitario in tutta la scuola dell’obbligo. Il primo obiettivo da raggiungere potrebbe consiste­ re nel superare un sistema di percezione attraverso cui i due ordini di scuole tendono a giudicarsi ed a sentirsi

reciprocamente condizionati. Vi sono delle diffidenze e degli stereotipi percettivi da modificare; vi è soprattutto uno stato emotivo da ridimensionare prima di proget­ tare una possibile intesa operativa volta a produrre risul­ tati concreti. In secondo luogo, si potrà cercare di stabilire un siste­ ma di dialogo continuato, permanente nel pieno rispetto delle istituzioni e dei singoli docenti. In questo clima modificato e psicologicamente più positivo si potrà più facilmente costruire e realizzare una collaborazione an­ che sul piano tecnico operativo, volta a raccordare il si­ stema di valutazione dei due ordini di scuola. In concreto, si potrebbe pensare ad una serie di in­ contri programmati, e opportunamente preparati, fra i docenti della scuola elementare e della scuola media. Per la utilità di queste iniziative sarebbe opportuno che il discorso non si articolasse semplicemente sui dettagli tecnico-metodologici, ma affrontasse tutta la problema­ tica pedagogica della valutazione per effettuare confronti ad un livello veramente significativo e approfondito. Gli incontri fra scuola elementare e scuola media potrebbero infatti essere assai produttivi se i docenti dei due ordini di scuola, in precedenza, si riunissero separa­ tamente per approfondire i problemi dal loro punto di vista e se gli incontri generali potessero essere condotti su una serie di dati e di proposte già articolate. a) Fase di ascolto. - Dopo una generica dichiarazione di disponibilità al dialogo, sarà necessario passare ad una fase di reciproco ascolto dei problemi e delle esi­ genze proprie delle due istituzioni scolastiche. Prima an­ cora di proporre o di adottare delle modifiche nel siste­ ma di valutazione si tratta infatti di comprendere a fon­ do le esigenze ed i problemi delle istituzioni con cui si è in rapporto di continuità. Questa fase di ascolto per comprendere il punto di vista dei docenti dell’altro or­ dine di scuola può già, di per sé, aprire un campo di ricerche e di esperienze sufficientemente ampio e di no­ tevole interesse.

b) Fase di confronto. - Dopo l’ascolto ai potrà pas­ sare ad un confronto sistematico dei sistemi di valuta­ zione nei loro aspetti tecnici e metodologici particolari. I confronti, oltre a mettere in evidenza elementi con­ vergenti e divergenti, potranno introdurre nuovi aspetti problematici ed inaugurare un’altra fase interessante, quella del dialogo continuato. c) Il dialogo continuato. - Il dialogo può essere con­ tinuato se verrà sempre più percepito come utile, serio, costruttivo. L’iniziativa episodica, anche se interessante, tende ad esaurirsi se non suscita l’esigenza del suo ripe­ tersi e se non stimola un’intesa permanente da realizzare in forme sempre nuove e diverse. Il dialogo fra scuola elementare e scuola media, in­ fatti, non ha come supporti organizzativi solo gli incon­ tri, i convegni ufficiali, ma può realizzarsi e continuare anche attraverso un sistema di comunicazione più diretto che utilizza i rapporti interpersonali o la forma scritta di comunicazione. Vi può essere un dialogo non solo sui criteri di carattere generale, ma proprio sui soggetti che passano dalla scuola elementare alla scuola media. In que­ sto caso il dialogo ha bisogno di diventare concreto, perso­ nale e può avere come interlocutori i docenti interessati e come oggetto di analisi dei casi concreti: la valutazione si traduce così in un effettivo impegno educativo. Una volta che il dialogo sia divenuto permanente, sa­ rà possibile alimentarlo anche in altre forme: per esem­ pio in forma scritte. Si potrebbe cioè pensare a realizzare quanto non è stato possibile realizzare con il libretto sco­ lastico che accompagna l’alunno per tutte la scuola dell’obbligo. Fra docenti in rapporto positivo, il dialogo può di­ ventare produttivo anche quando si articola in forma scritta e con messaggi sintetici. La volontà di dialogo aiuta a comprendere anche elementi incompleti ed aiuta gli interlocutori a trovare forme di comunicazione sempre più efficaci e oggettivamente valide. Il dialogo continuato fra scuola elementare e scuola

media relativo alla valutazione può essere oggetto di esperienze e di vere e proprie ricerche sperimentale. La sua utilità teorica e pratica risulta comunque evidente: in questo dialogo i due ordini di scuola potranno liberarsi da un inutile condizionamento, da un’ipoteca che li di­ stanzia, e potranno inoltre scoprire punti di convergenza, forse insperati, proprio perché rimasti sepolti dal sospet­ to, dalla sfiducia e da secoli di incomunicabilità.

La panoramica di questioni e le indicazioni che ab­ biamo formulate restano intenzionalmente ad uno stato di suggestione informale da strutturare e da orientare nella direzione che ciascuno riterrà più rispondente. Da quanto rilevato sembra tuttavia si possano rica­ vare alcune indicazioni conclusive. Innanzitutto la valu­ tazione non si presenta come un problema puramente tecnico che si risolve solo abolendo i voti, le pagelle o introducendo qualche nuovo e più raffinato strumento di misura. Il problema è fondamentalmente di carattere edu­ cativo e mette in crisi un sistema di intervento molto più generale. In secondo luogo, sembra chiara la possibilità di af­ frontare il problema, a livello di ricerca sperimentale, solo restringendo il campo e focalizzando aspetti particolari e definiti. Su questi aspetti è possibile condurre ricerche approfondite sulla base di ipotesi ben definite. La scelta del campo di indagine sarà determinata dalla situazione concreta nella quale ci si trova inseriti e dalla possibilità di azione e di collaborazione su cui si può contare. Una volta delineati gli obiettivi e il campo di inda­ gine, si potrà ancora esaminare la possibilità di avviare un’esperienza controllata o ima vera e propria sperimen­ tazione scientifica. Controllando e descrivendo in termi­ ni oggettivi la propria esperienza, ci si può già in qual­ che modo considerare inseriti in un itinerario sperimen­ tale. Si tratta a questo punto di rendersi conto, dall’inter-

no, della validità dei propri criteri di indagine e di analisi. Di qui, un’ultima indicazione: la necessità di stabilire costantemente un contatto con le fonti culturali, con la letteratura specifica sull’argomento, con ricerche condotte da altri. Il rischio di un empirismo inconsistente e incon-» eludente è sempre in agguato là dove si opera senza un adeguato impegno culturale. Anche da questo punto di vista, la ricerca e l’appro­ fondimento culturale in gruppo possono considerarsi mo­ menti necessari di una sperimentazione sul campo la cui validità oggettiva è garantita non solo dai fatti, ma so­ prattutto da una loro corretta lettura e interpretazione.

7) Scuola senza voti

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

1.

Problemi

pedagogici della valutazione

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2.

Aspetti

psicologici e docimologici

Andreani Dentici O., Abilità mentale e rendimento sco­ lastico, Firenze, La Nuova Italia, 1968. Andreani Dentici O., I tests « culturali » per la valu­ tazione delle abilità mentali, Milano, Ceschina, 1967. Calonghi L., Sussidi per la valutazione scolastica, Zurigo-Roma, PAS, 1961. Calonghi L., Tests ed esperimenti, Torino, PAS, 1956. Calonghi L., Valutazione, Brescia, La Scuola, 1976. Calonghi L., Valutazione delle composizioni scritte, Ro­ ma, Armando, 1972. Calonghi L., Valutazione e docimologia, in Peretti M. (Ed.), Questioni di metodologia didattica, Brescia, La Scuola, 1974, pp. 723-744. De Landsheere G., Evaluation continue et examens. Précis de docimologie, Bruxelles, Labor, 1971; trad. it.: Elementi di docimologia. Valutazione continua ed esami, Firenze, La Nuova Italia, 1973. Ferré A., Les tests à l’école, Paris, Bourellier, 1950. Flores D’Arcais G. B., Introduzione alla teoria dei tests, Firenze, Giunti, 1972. Gattullo M., Didattica e docimologia. Misurazione e valutazione nella scuola, Roma, Armando, 1971. Hudson B., Assesment Techniques. An Introduction, Lon­ don, 1973; trad. it.: Introduzione alle tecniche di va­ lutatone, Bologna, Zanichelli, 1975.

Pieron E., Examens et docimologie, Paris, PUF, 1963; trad. it.: Esami e docimologia, Roma, Armando, 1970.

3.

Strumenti

per la valutazione scolastica:

PROVE DI PROFITTO, SCALE DI VALUTAZIONE, RIFLESSIONE PARLATA

Una serie di prove oggettive per la scuola dell’obbligo è stata curata da L. Calonghi: Calonghi L., Prove oggettive di aritmetica per le cinque classi elementari, Roma, CDNSE (Archivio Didattico), 1970. Calonghi L. - Rosso I., Prove oggettive di storia, To­ rino, SEI, 1962. Calonghi L. - Rosso I., Didattica della geografia e prove di controllo per l’apprendimento, Brescia, La Scuola (in corso di stampa). Calonghi L. Rollerò P., Diagnosi e recupero in orto­ grafia, Torino, SEI, 1966. Calonghi L. - Boncori L., Prove oggettive riassuntive di italiano, Roma, LAS, 1970. Calonghi L. - Beltrami M. F., Prove oggettive di lingua francese, Roma, LAS, 1970. Calonghi L. - Moraro M., Prove oggettive di matematica nella scuola media, Roma, LAS, 1970. AA.W., Prove oggettive e diagnostiche di osservazioni scientifiche per la scuola media, Roma, LAS, 1970. L’editrice O.S. di Firenze ha pubblicato una serie di prove oggettive per la scuola elementare e media che se­ gnaliamo:

Per la scuola elementare

Serie di tests di livello per la scuola elementare. Italiano e aritmetica (E. Cimino), 1961.

Test di valutazione del linguaggio scritto (F. Paglioni B. Gatti - A. M. Paganoni - A. Robutti), 1970. Serie di prove oggettive di lettura (G. Grasso Magrin A. M. Tomai Vinciguerra), 1969.

Per la scuola media

Prova oggettiva di italiano (O. Andreani Dentici). Prova oggettiva di matematica (adattamento di A. Barba­ nera - E. Orlandini - L. Rosaria - M. Tomassini - L. Tornatore). Test obiettivo di profitto di lingua inglese (Ferencich Combatti - Luzzati - Pirona). Si veda inoltre: Luparia D., Prove iniziali e valutazione finale. Proposte di esperienze per l'insegnante di let­ tere nella scuola Media, Milano, Massimo, 1972. Per una scala di valutazioni dei temi, si veda: L. Calonghi, Valutazione delle composizioni scritte, Ro­ ma, Armando, 1972. Per quanto riguarda la riflessione parlata, si vedano i seguenti articoli di L. Calonghi, pubblicati su « Scuola di Base »: Le riflessioni degli alunni, n. 2-3, 1967, pp. 93-101; Ri­ flessioni di alunni nella rappresentazione simbolica di quan­ tità, n. 4-5, 1967, pp. 129-143. Riflessioni di alunni re­ lative al sistema metrico decimale, n. 6, 1967, pp. 79-92; Riflessioni parlate e problemi di aritmetica, n. 1, 1968, pp. 68-102. Si veda inoltre: Serafini G., La riflessione parlata nella scuola, in «Scuola di Base», n. 3, 1971, pp. 58-70.

4.

Conoscenza e valutazione dell'alunno

Bassi A., Psicologia scolastica, Firenze, Universitaria, 1961.

Calonghi L., Sussidi per la conoscenza dell'alunno, Ro­ ma, PAS, 1963 (2 voli.).

Dreikurs R., Psychology in thè classroom, New York, Harper and Row, 1957; trad. it.: Psicologia in clas­ se, Firenze, Universitaria, 1961. Esposito G., La formazione e la valutazione dell’alunno, Torino, SEI, 1967. Fabi A., La valutazione dell’alunno, Roma, Armando, 1966. Lorenzini G., Come controllare lo sviluppo giovanile. La carta biotipologica applicata all’educazione, Torino, SEI, 1962. Montuschi F., L’intelligenza affettiva, Brescia, La Scuo­ la, 1974. Petter G., Lo sviluppo mentale nelle ricerche di J. Pia­ get, Firenze, Universitaria, 1960. Zavalloni R., Conoscere per educare. Guida alla cono­ scenza dell’alunno, Brescia, La Scuola, 1971.

INDICE

INDICE

Introduzione............................................... pag.

5

L’eredità dei voti nella scuola dell’obBLIGO................................................................................. »

1. Gli insegnanti senza voti.... » 2. I genitori senza voti............................ » 3. Gli alunni senza voti............................ »

9 9 20 24

Che cosa sono veramente i voti: risonan­ » 27 Voti e competizioni............................» Selezione sulla base di livelli medi . . » Dipendenza continuata . . . » Motivazioni sbagliate . . . . » Un primo bilancio................................. »

ze PERSONALI E SOCIALI

1. 2. 3. 4. 5.

Verso

27 30 31 32 34

una scuola senza voti: prospettive

» 37 1. Dai prodotti ai processi: verso un con­ cetto più esigente e funzionale di valu­ tazione ......... 37 2. Dalla valutazione all’autovalutazione » 46 3. Corresponsabilità nella valutazione . » 65

PEDAGOGICHE DELLA VALUTAZIONE

Ipotesi

e itinerari di sperimentazione

.

»

69

1. Premesse metodologiche e ambiti di ri­ cerca ............................................................» 69 2. L’insegnante e la sua classe . » 72 3. Insegnanti in gruppo.................... » 76 4. Gli alunni: valutazione eautovalutazione » 79 5. Insegnanti e genitori.................... » 83 6. Scuola elementare e scuola media: conti­ nuità nella valutazione . ...» 85

Indicazioni

bibliografiche

»

51

MINIMA PEDAGOGICA brevi saggi su problemi di emergente attualità

A. Agazzi P. Calegari

Pedagogia, didattica, prepa­ razione dell'insegnante Percezione ed interazione DEL CONFORMISTA

G. Formizzi E. Giammancheri M. Grazzini L. M. Guarnacci F. V. Lombardi M. M.encarelli

M. Peretti

La pedagogia di Karl Marx Perchè la famiglia? Bibliografia Montessori Lineamenti di pedagogia del­ la CATECHESI AI FANCIULLI Idee pedagogiche di A. Gram­ sci Educazione permanente e ani­ mazione socio-culturale Introduzione alla teoria del METODO EDUCATIVO

M. Peretti

Riflessioni teoretiche sulla PEDAGOGIA DELL'INFANZIA

M. Peretti

Sessuologia, cultura ed eDUCAZIONE

G. Presa

La

pronunzia nella didattica

DELLA LINGUA ITALIANA

G. Santomauro C. Scurati E. Damiano R. Vacchino

R. Zavalloni R. Zavalloni M. L. Eertolini

Per una pedagogia in situa­ zione Interdisciplinarità e didat­ tica Dimensione ludica e svilup­ po DELLA PERSONALITÀ Valutare per educare La metodologia dei fumetti APPLICATA AI SUBNORMALI

EDITRICE LA SCUOLA - BRESCIA

SCUOLA D’OGGI per la formazione e la cultura professionale degli insegnanti

L. Corradi™

La difficile convivenza - dalla scuola di stato alla scuola della comunità [17]

E. Damiano M. L. Debesse Arviset V. Duse

Adro: Tempo

A. Frajese D. Grossi

M. Laeng M. e G. Laeng

pieno [18]

Ambiente ecologico e didattica Per un insegnamento moderno

[21]

del­ la matematica elementare [6] La matematica del maestro [5] Comunità Scolastica e comunità so­ ciale [4] Lineamenti di pedagogia [10] Guida alle esercitazioni didattiche DI TIROCINIO MAGISTRALE [7]

F. V. Lombardi

I PROGRAMMI PER LA SCUOLA ELEMEN­ TARE DAL 1860 AL 1955 [16]

C. Moccio M. Mencarelli

L’animazione Il discorso

M. Mencarelli

Scuola in prospettiva:

dei gruppi [14] pedagogico del nostro

SECOLO [2]

insegnare ad

apprendere [13]

F. Montuschi G. Petrocchi G. Petrocchi

Il direttore didattico: personalità di base e prospettive operative [1]

Educazione degli adulti, educazio­ ne POPOLARE, EDUCAZIONE PERMANEN­

G. Petracchi G. Petracchi G. Petracchi L. Porcher J. Repusseau P. Viotto Autori Vari

TE [9] IL MAESTRO NELLA SCUOLA E NELLA SO­

CIETÀ d'oggi [8] L’integrazione scolastica

[3] INTEGRAZIONE SCOLASTICA E TEMPO PIE­ NO [15]

La scuola parallela [19] L’azione educativa e la formazione dei maestri [20] Pedagogia e politica del tempo li­ bero [12] Educazione moderna e scuola di ba­ se [11]

■ EDITRICE LA SCUOLA - BRESCIA

6439

La legge 4 agosto 1977, n. 517, ha abolito nella scuo­ la dell’obbligo i voti e le pagelle, dando così legitti­ mazione a nuove forme di valutazione scolastica, la cui esigenza era da tempo largamente avvertita. Ma come verrà coperto il « vuoto » lasciato dalla scom­ parsa del voto? Non c’è il rischio di cambiare solo le parole o gli strumenti e di lasciare inalterata la mentalità che ispirava la valutazione tradizionale? Il rischio esiste, in effetti, e perciò agli insegnanti e ai genitori è oggi richiesto un ripensamento globale dei termini della questione. Chi, che cosa, perché si deve valutare? E come? Questo libro non ha la pretesa di condurre un’ana­ lisi approfondita di tutti gli aspetti del problema, ma intende suggerire delle piste di riflessione ed avviare pazienti e costruttive verifiche.

L. 2000