Scritti teologici giovanili [3 ed.]
 8878351695, 9788878351691

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Questa celebre raccolta di testi giovanili inediti di Hegel, curata nel 1907 da Herman Nohl, ha esercitato la sua influenza sulle principali correnti del pensiero contemporaneo: dalla Lebensphi­ losophie all'esistenzialismo e alla fenomenologia. Il rapporto tra fede e scienza, religione e filosofia, e la ricerca della loro conciliazione costituiscono l'argomento fondamentale di questi scritti. In essi parla� anziché il filosofo sistematico, il Magister di teologia che privilegia concetti come «vita», «amo­ re» e «destino,, e che nella coscienza storica della relatività di ogni esistenza scorge la necessità del bisogno metafisica, dell'as­ soluzione della vita da ogni finitezza e ristrettezza. Come ha scritto Dilthey, questi testi sono «un documento unico di un pensiero filosofico in formazione».

La pubblicazione di questo volume si avvale di

un

contributo del Ministero

della Pubblica Istruzione (Fondi per la ricerca scientifica)

G.W.F. HEGEL

SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

a cura di Edoardo Mirri

Guida editori

Traduzione di Nicola Vaccaro e Edoardo Mirri

Copyright 1972 (l• ed.) Guida editori Napoli Copyright 1977 (2• ed.) Guida editori Napoli

Copyright 1989 (3• ed.) Guida editori Napoli Grafica di Sergio Prozzillo

Presentazione

F. M einecke ha rilevato, in una lucida pagina delle sue memorie, il nesso tra visione macroscopica e visione microscopica dello svi· luppo storico, sottolineando, con implicito suggerimento metodo­ logico, il momento « attraente » in cui con « l' indagine microsco­ pica si giunge, quasi d'un tratto alla visione macroscopica » . Convinti � ell' importanza d e l suggerimento, che riassume tanta parte dello storicismo come vichiana scienza filologica della storia, i curatori della collana « M icromegas », che vuole sottolineare fin dal titolo la fiducia nella libera· navigazione di idee non assolutizzate nel grande né ridotte nel piccolo, riten­ gono che l' iniziativa non poteva trovare avvio più promettente e qualificante di quello della p rima edizione italiana integrale del corpus degli scritti giovanili di Hegel. Ciò non solo per l' impe­ gno culturale costituito dalla presentazione dei testi hegeliani cui si deve la nuova fortuna novecentesca di Hegel, a partire dalla lettura diltheyana che trovò in H. Nohl il sagace editore; non solo per la perizia che i curatori hanno dedicato all' importante volume, corredandolo, in ogni sua parte, di analitici commenti. La bontà dell'avvio (in cui si vorrebbe poter vedere un auspicio per il lavoro futuro) sta anche ed essenzialmente nella possibilità di offrire l'ultima fatica di un'illuminata figura di studioso, cui già tanto devono gli studi hegeliani. Nella curva degli interessi scientifici di Nicola Vaccaro (1922-1964) l'approdo ai testi del filosofo tedesco è significativo in sé, o che si riferisca alle Lezioni sull'estetica (curate ottima­ mente, nel 1963, insieme con N. Merker), o che affronti gli inizi di Hegel. Infatti queste scelte (cui potrebbe essere avvicinata l'i­ nedita traduzione del Pierre B ayle, Ein Beitrag zur Geschichte der Philosophie und Menscheit d i Feuerbach) sono coerenti con l' attenzione rivolta dal Vacearo ai problemi della storicità come affermazione dell'identità del tempo e dell'essere uomo e con l' interesse verso il problema del passato da riguadagnare di

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PRESENTAZIONE

fronte ad ogni possibile negazione, a partire da quella ideali­ stica. Questi temi il Vaccaro ha avvertito nel profondo o quando discuteva con A. Massolo sulla Storicità della metafisica (cfr. « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa », s. Il, XVII, 1948, pp. 146-154), o quando affrontava l' apparizione dell'idea­ lità trascendentale del tempo e dello spazio in rapporto con la possibilità della metafisica nei fondamenti del pensiero kantiano (cfr. _I motivi metafisici della dissertazione del '70 di E. Kant, ibid., s. XIII e XIV, 1946, pp. 9-23; 1-17), in u n pregevole lavoro dove l'analisi si svolge, per esplicita dichiarazione dell'Autore, sul terreno filologico più che su quello decisamente teoretico. L'edizione italiana integrale degli scritti del gioyane H e gel vuole essere, per tutto questo, un atto di omaggio alla memoria dello studioso il cui lavoro di traduzione ne iscrive il nome tra quelli dei maggiori e spesso più trascurati collaboratori della cir­ colazione europea delle idee (e pensiamo, per far solo un esem­ pio, con riferimento alla cultura tedesca dell' Otto-Novecento, a Layinia Mazzucchetti), che non si affida solo alle grandi illumi.. nazioni delle potenti menti creative, ma anche, e indispensabil­ mente, a chi sceglie, con umiltà, il ruolo del suggeritore esperto di necessarie letture. Fulvio Tessitore

Intro duzione

A più di sessant'anni dalla sua comparsa ( 1907), la celebre rac­ colta di testi giovanili di Hegel, curata da Herman Nohl, esce in edizione italiana. È appena il caso di ricordare, tanto è nota agli studiosi, l' importanza determinante avuta da questi testi nel rinnova­ mento degli studi hegeliani, cui dischiusero una fase nuova, la cosiddetta Hegelrenaissance che, nel periodo fra le due guerre mondiali, estese la sua influenza anche ad alcune delle principali correnti del pensiero contemporaneo, come la Lebenphilosophie, la fenomenologia, l'esistenzialismo e, per tal uni aspetti non se­ condari, lo stesso marxismo. Ai profondi mutamenti seguiti nell 'ambito del pensiero filo­ sofico europeo, a partire dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni, ha corrisposto, per quanto riguarda gli studi hegeliani, una più equilibrata considerazione delle ]ugendschriften e del loro posto nella formazione del pensiero hegeliano. Sembrano in­ fatti cadute certe unilateralità o, se si vuole, certe infatuazioni che avevano accompagnato la Hegelrenaissance, tesa a valoriz­ zare il 'giovane ' Hegel, quale appariva appunto dai testi messi insieme dal Nohl, tutto cose e interessi concreti, « storico pen­ sante » - com'egli stesso si definì in un testo di Berna - più che filosofo, a discapito dello H e gel ' maturo ' , quello del 'si­ stema ' cioè, il cui pensiero appariva come oppresso dalla « co­ strizione del metodo dialettico » . Contrapposizioni di questo ge­ nere, che rinnovano la classica distinzione tra ' metodo ' e 'si­ stema ', avanzata, tra gli altri, da Engels, e condivisa dal nostro De Sanctis, vengono guardate ancor più con sospetto; il metodo di lettura e d'analisi delle ·]ugendschriften nel loro complesso sembra, oggi, più interessato a cogliere i nessi che corrono tra gli spunti e abbozzi di pensiero giovanili e le più mature formu­ lazioni del pensiero hegeliano - di qui il rinnovato interesse per i corsi di J ena, con speciale riguardo alla logica e alla 'filo·

INTRODUZIONE

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sofia dello spirito ' - in modo da ricostruire il ' sistema ' non dall'esterno, quasi spoglia morta, ma nella sua sostanza vivente e articolata. ' Se s'è rinuncia to alla tentazione, caratteristica della H egel· renaissance, d' isolare il corpus delle ]ugendschriften in modo da privilegiare categorie-chiave come « vita», « amore » , « destino », fino, talvolta, a precludersene l'ulteriore sviluppo in più completi contesti - tipico, a questo riguardo, il giudizio sul periodo di Francoforte, a proposito del quale D ilthey parlò di « panteismo mistico » di Hegel - non è da dire che l'attuale tendenza sia di tornare ad escludere le ]ugendschriften dalla storia viva d�l pen­ siero di Hegel. Sotto questo aspetto più generale, può dirsi in­ vece che la valorizzazione delle ]ugendschriften ai fini d'una co­ noscenza storica del pensiero hegeliano e della sua formazione, istanza ch'è alla base del movimento della Hegelrenaissance, e che fu formulata per la prima volta da Dilthey, appare definitiva­ mente acquisita agli studi hegeliani. Se il clima filosofico e cultu­ rale in cui essa nacque appar' e , o ggi, molto lontano dal nostro, se alcune delle sue tesi caratteristiche, come quella del presunto « panteismo mistico » di H e gel a Francoforte, prima ricordata, sono cadute, restano tuttavia i risultati dell' imponente lavoro esegetico svolto intorno alle ]ugendschriften e alle opere di He­ gel che più direttamente ad esse si ricollegano, come la Fenome­ nologia dello spirito. La riprova di ciò è data dal fatto che, con­ trariamente a quanto avvenne con 'l'edizione degli Hegels Werke (1832 e sgg.), curata dagli amici e discepoli del filosofo, appena dopo la sua morte e ristampata da Hermann Glockner, che aveva inizio con gli scritti dell'epoca di J ena, escludendo del tutto quelli giovanili, il piano della nuova, in via di preparazione per incarico della Deutschen Forschungsgemeinschaft (1968 e sgg.), reca al primo posto l' attesa edizione, completa, delle ]ugendsch· riften. * * *

Sono note le discussioni sorte a proposito del titolo Scritti teologici giovanili apposto dal Nohl ai testi da lui raccolti e pub .. blicati per la prima volta. Effettivamente, se si ha riguardo al loro contenuto, occorre riconoscere ch' esso suona riduttivo e li­ mitativo, anche sulla base dello stesso materiale raccolto dal

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Nohl, che dichiaratamente, com'è noto, esclude dalla sua scelta gli scritti d'argomento politico. O gni lettore può vedere che que­ sti scritti, definiti 'teologici ' , che si riferiscono, secondo la data­ zione proposta dal Nohl, al decennio 1790-1800, ossia alla prima, importante, fase della formazione del pensiero hegeliano, rive­ lano interessi storici profondi per problemi come il tramonto delle religioni classiche, greca e romana, l' avvento di quella cri­ stiana, la sua propagazione nel mondo antico, lo sviluppo del giudaismo, che appaiono collegati intrinsecamente alla posizione assunta dal giovane Hegel di fronte al suo tempo, inserendosi in un suo disegno che potremmo dire di ' pedagogia ' civile, che ha illustri precedenti in seno all'Illuminismo tedesco. Il riferimento al progetto d'una ' religione nazionale ' è qui d'obbligo; progetto eh' è politico-religioso, come politico-religioso è il dispotismo che ha tolto agli individui e ai popoli moderni libertà e senso dell'o­ nore umano, e contro il quale il giovane Hegel, insieme ai condi­ scepoli dello Stift tubinghese, Shelling e Holderlin, intendeva reagire. Del pari inadeguato è il titolo proposto dal Nohl, se si con­ sidera il metodo ·prevalentemente seguito da Hegel nella stesura di questi suoi manoscritti, non destinati ad essere pubblicati. Metodo tutt'altro che ' teologico ', com'è stato variamente notato, anzi vivacemente polemico nei riguardi della teologia e del me­ todo 'teologico ', almeno nel suo senso tradizionale. La stessa evoluzione seguita da Hegel nel prospettarsi il problema della 'positività ' della religione cristiana dal periodo di Berna a quello di Francoforte, mostra l'impossibilità di definire come ' teologico ' un metodo che, a proposito del rapporto tra ' posi­ tivo ' e ' naturale ', uno dei problemi originari, « forse il fonda· mentale », del pensiero di H e gel, assume che esso, se dovesse es­ sere esposto concettualmente, trapasserebbe « in una considera­ zione metafisica del rapporto tra il finito e l'infinito ». D'altra parte la scelta del titolo da parte del Nohl non è stata casuale. Per sua esplicita dichiarazione, la sua raccolta si ricollega direttamente alla Storia della giovinezza di Hegel che Wilhelm Dilthey aveva scritto nel 1905, sulla base d'una sistema­ tica ricognizione di quanto restava del Nachlass manoscritto di Hegel, conservato nella Biblioteca reale di Berlino. Lo stesso Dii .. they, nel preannunciare l'opera del suo scolaro e collaboratore No hl, la considera come « la più pregevole integrazione del suo

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lavoro » . Il lettore odierno, che dispone ormai d'una mole di ma· teriale riferibile alle ]ugendschriften assai maggiore di quella resa disponibile dal N oh l - si pensi soprattutto al contributo arrecato da Johannes Hoffmeister con i suoi Dokumente zu He­ gels Entwicklung (1936) ha a portata di mano la possibilità di constatare nella raccolta di Nohl, nel suo caratteristico 'taglio ', il peso e l' influenza delle tesi di Dilthey a proposito della storia dello sviluppo del pensiero hegeliano. Tuttavia, D ilthey non è stato il primo a parlare di studi e interessi 'teologici ' di H e gel, anche se l'uso ch'egli fa del termine ' teologico' assume un senso assai lato, proprio come la sua nozione di ' religione ', alla cui base si trova la caratteristica Stimmung vitalistica, neo·roman­ tica, che alimenta il suo impegno di teorico. Che tale Stimmung vagamente 'rivoluzionari a ' , che funge da compensazione alle ' disillusioni ' della scienza e della filosofia di fine secolo, ami esprimersi nella 'teologia ', può essere considerata una curiosa inversione, ma essa non è rara nel clima della nascente Leben­ sphilosophie. Abbiamo a questo proposito una testimonianza pre­ ziosa di Ernst Troeltsch, che rivoltosi, fin dalla prima giovinezza, del tutto come D ilthey, al mondo storico, non solo non rimpian­ geva gli anni dedicati allo studio della teologia, ma proclamava questa, come 'teologia storica ', « una delle scienze più interes­ santi, più attraenti, più rivoluzionarie » d'allora. In questa atmo­ sfera particolare, di cui s'è cercato di dare una prima idea, ma che certo avrebbe bisogno d'una puntuale ricostruzione, il titolo scelto dal Nohl può essere spiegato, se non giustificato. Del re­ sto, restando nello stesso ordine di considerazioni, D ilthey non ebbe alcuna remora nel sostenere che il giovanile disegno hege­ liano di trasformazione della comunità religioso-politica del suo tempo, non sarebbe stato possibile senza l' influsso esercitato su di lui dalla Rivoluzione francese, cui « già da studente s' era dato con entusiasmo�, concludendo che « precisamente in questo senso » H e gel avrebbe scritto « anche i suoi lavori te � logici » . H e­ gel sarebbe stato dunque, ad u n tempo, ' rivoluzionario ' e 'teo­ logo ', in una sorta di osmosi, che certo stravolge in modo equi­ voco i termini del problema; rinviando, per una possibile spiega­ zione, a quella vaga ' teologia ', animata da Stimmung o disposi­ zione d'animo 'rivoluzionari a ' , di cui prima s'è fatto cenno, ma ch'è assai lontana dallo spirito, oltre che dalla lettera, delle ]u­ gendschriften, come, d'altronde, altre e diverse considerazioni -

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dello stesso Dilthey ci aiutano a intendere. Si pensi, ad es., al rapporto tra He gel e Schleiermacher, al quale Dilthey è p artico: larmente sensibile, che riceve molto spesso da lui precisazioni calzanti, come quella a proposito della religione, che sarebbe rappresentata da He gel come « la forza interna che unifica la co­ munità politica, mentre Schleiermacher pretende il dispiega­ mento della stessa in formazioni individuali al di là dello Stato ». Se questo è vero, allora il termine ' teologico ', per potersi adat· tare al pensiero di He gel, deve assumere tutt' altro significato e riferirsi a tutt' altre matrici. Rosenkranz, che nel suo Hegels Leben (1844) prende in esame il periodo giovanile di Hegel, pubblicando altresì, in ap­ pendice, alcuni testi che gli sembrarono più importanti, collega esplicitamente gli studi 'teologici ' del giovane H e gel al compito « di raggiungere l'unità del pensiero nella fede e nel sapere » . In altri termini, egli pone il rapporto tra fede e scienza, religione e filosofia, e la ricerca della loro 'conciliazione ' , alla base delle stesse indagini giovanili di He gel sulla religione ' positiva ', in fattispecie quella cristiana, e delle considerazioni, che da esse scaturiscono, a proposito della Chiesa e dello Stato. In questo contesto, il termine ' teolo gico ', 'studi teologici ', riassume la sua originaria pregnanza e il suo vero significato in rapporto al pen­ siero di Hegel nel suo insieme, e non solo a quello giovanile. Le riflessioni dogmatiche di Hegel - il corsivo è dello stesso Ro­ senkranz - avevano per oggetto sia il concetto di fede 'posi­ tiva ' in genere che quello di 'conciliazione ' in particolare. Le coppie di concetti: colpa e punizione, legge e destino, peccato e remissione dei peccati, occuparono il giovane Hegel molto seria· mente, sotto tutti gli aspetti. In queste ricerche, prosegue Ro­ senkranz, « si rivelò a se stesso in modo non del tutto cosciente il genio filosofico di Hegel. Il giovane, che si considerava un Magi­ ster di teologia, trattò sempre questa materia, almeno per questo periodo, come l 'elemento essenziale dei suoi studi, mentre pro· prio da questo terreno era già spuntato il fiore della filosofia » . Sui rapporti tra religione e sapere riflessivo e sui loro complessi, intricati, nessi, quali risultano dal cosiddetto Frammento siste­ matico, che conclude, assieme alla rielaborazione de i le pagine in­ troduttive dell'originario scritto sulla Positività della religione cristiana, il periodo di Francoforte, la Hegelrenaissance ha eser-

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citato in modo particolare, com'è noto, la sua influenza esege­ tica. E questo non a caso. Nel clima d'incertezze e di crisi, che caratterizza il suo for­ marsi, tra la fine del secolo e gli inizi d i quello nuovo, la messa in mora dell'astratta ' riflessione ' e del sapere riflessivo poté sembrare una via d 'uscita. Ma quello che è certb è che H egei non avrebbe potuto in nessun modo avallarla, neppure tramite i suoi ' frammentari ' p ensieri giovanili. Sotto tale aspetto, le nota­ zioni a riguardo di Rosenkranz, pur prive, come sono, di qual­ siasi approfondimento, conservano tuttavia un indubbio pregio di vicinanza all'originale. Effettivamente, Hegel nel Frammento sistematico s' arresta ad un concetto dell'Assoluto, il cui organo specifico è la religione piuttosto che la filosofia, il cui compito appare ancora eminentemente negativo e consistente « special­ mente nel riconoscere, attraverso l'infinito di sua competenza, le illusioni e ponendo così il vero infinito fuori della sua sfera » . Ma questo non può essere inteso in senso ' mistico ' , almeno nel senso del 'panteismo mistico ' di cui parla Dilthey, a proposito non soltanto di Hegel ma dell'intero idealismo classico tedesco. A parte il fatto che alla filosofia, e al suo organo proprio, il pen­ siero, viene contestualmente riconosciuto il compito di « mostrare in ogni finito la finità, promuovendone a mezzo della ragione il compimento », ciò che è da escludere è la possibilità d'intendere il nesso tra religione e filosofia, qu al e risulta dal Frammento si­ stematico, a senso unico, vale a dire che la filosofia « termini » poi effettivamente con la religione, secondo quanto da H egel as­ serito. La questione, come si sa, è grossa e coinvolge, fra l' altro, il problema della ' continuità ' del pensiero hegeliano dal fram­ mento di Francoforte al 'sistema ' di J ena, posteriore di circa due anni. • * *

Rudolf Haym, nel suo Hegel und seine Zeit ( 1 857), è stato il primo a parlare di un « salto » tra il frammento francofortese e il sistema jenense; un « salto » - confermò lo Ehrenberg, primo editore col Link, dell' Hegels Erstes System (1915) « dal pen­ siero storico e teologico a quello sistematico e logico » , accen­ tuando così la stessa tesi, più sfumata, di Haym. Ma il >. Gaetano Calabrò

Seri t ti teologici giovanili

E. Mirri ha tradotto La vità di Gesù, i frammenti aggiunti alla Po· sitività della religione cristiana e l'Appendice. La traduzione di tutte le

altre parti è di N. Vaccaro, con la revisione, per ragioni di uniformità, di E. Mirri. La numerazione delle pagine dell'edizione Nohl è qui se­ gnata a margine di ciascun foglio.

Reli gione popolare e cristianesimo Frammenti

Introduzione Il testo cui il Nohl ha dato il titolo di Religione popolare e cri­ stianesimo si compone di una serie di frammenti dal N ohi mede­ simo raggruppati in cinque: e all'ordinamento e alla numera· zione del N ohi qui ci si riferisce per evitare dannose confusioni e inutili spiegazioni; ad essi sarebbero da aggiungere, come ap· punti o schemi preparatori, i due primi abbozzi dell ' Appen dice . Il primo frammento fu quasi certamente composto dallo Hegel a Tubinga, nell'ultimo anno del suo soggiorno nell'università di questa città, il 1793, gli altri furono composti a Berna, dove Re­ gel fu per tre anni precettore privato in casa del signor Steiger von Tschugg, fra il 1794 e il 1795: nel 1794, con ogni probabi­ lità, quelli che nella raccolta del Nohl portano i numeri 2, 3, 4, nel 1795 il quinto. Tuttavia, malgrado la diversità dei tempi e dei luoghi di composizione, domina fra i cinque frammenti una fondamentale continuità: non di forma, certo, ché anzi da questo punto di vista sono numerosi i brancolamenti, le lacune, gli squilibri, i tentativi di definizione più volte ripresi, i mutamenti lessicali, le ripeti­ zioni; ma per quanto riguarda il contenuto è da affermarsi, d' ac· cordo con lo Haering 1 se pure con motivazioni assai diverse, come si vedrà, una continuità tematica che ben giustifica il rag­ gruppamento che il Nohl ha fatto di tutti i frammenti, salvo i due abbozzi sopra ricordati, sotto un medesimo titolo. Religione popolare e cristianesimo: per quanto da voce au1 Tu. HAERINC, Hegel, sein Wollen un> .

3 Composto nei prim� mesi del 1 795, come si deduce facilmente dalla parentela che, nel concetto, lo lega alla lettera inviata allo Schel­ ling il 16 aprile di quest'anno, l'ultimo frammento di Religione popo­ lare e cristianesim o merita un breve discorso a parte; tanto più che, malgrado la sua brevità e la sua incompletezza (della quale ultima è eloquente prova già la prima frase che si ricollega evidentemente ad una perduta argomentazione precedente), malgrado anche la varia in­ terpretazione che ne è stata data, è comunque apparso a tutti i critici un frammento rilevante per la problematica che vi si svolge. A tutti, almeno, salvo forse che allo Haering che gli dedica solo due pagine di commento (ben poca cosa in verità, se rapportate alla vastità dell'in­ terpretazione che lo Haering dà degli interi Scritti teologici giovanilt) e che sembra di proposito tralasciarne le principali argomentazioni. Ma se ne veda prima, sia pur brevemente, il contenuto. Come nota il Peperzak52, il frammento si presenta come l'ab· bozzo di una filosofia della storia svolgentesi in tre momenti, dove la condizione politica, e solo essa, sembra essere decisiva per la storia di 52 A.

PEPERZAK, op. cit. , p a g . 53.

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SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

un popolo, mentre la religione si limita ad esprimerne le tappe di svi­ luppo. I tempi di questa storia sono tre, l'antichità, l'era cristiana e l'era moderna. L'antichità era l'epoca della libera repubblica, o ve il cittadino si sacrificava con gioia per la sua patria: egli era permeato l della sua idea di « virtù civica » che gli bastava: e se anche attendeva da una vita ulteriore n eli' Elisio o nel Walhalla una felicità tra gli eroi, non da questa traeva motivo per la sua virtù, ma solo dalla virtù stessa; egli compiva insomma il suo dovere, kantianamente, solo per­ ché dovere. Ma l'eroe dell' antichità è scomparso: ne è causa il dispo­ tismo politico e la tirrania che si è sostituita alla libertà repubblicana: alla libera e gioiosa accettazione della necessità si è sostituita co_sì una religione che predica l'umiltà e la « cieca obbedienza ai cattivi umori di uomini malvagi », che insegna essere l'uomo incapace di fare il bene, che si rivolge al cielo implorando segni e miracoli e assi­ curazioni esteriori di una vita futura; una religione soprattutto che, non avendo più fede negli ideali della libertà e della moralità umane, trasferisce o meglio estrania questa fede in un individuo eccezionale, in un uomo divino (« quasi fosse disceso dal cielo » aveva scritto Kant). Ma una nuova epoca è già cominciata oggi che « l'umanità è di nuovo in grado di avere idee »: l'uomo torna a sentire rispetto per sé quanto nell'età cristiana si era sentito degno solo di disprezzo, e in tal modo si riappropria di ciò che il cristianesimo, come religione dei tempi di servitù, aveva estraniato nel Cristo, riconoscendo che quella bellezza è la bellezza della natura umana, che è « nostra propria opera » e « nostra proprietà ». Questa, in breve, l'argomentazione del frammento 5. E qui sor­ gono le interpretazioni: prima tra le altre che si vanno a considerare quella dello Haering, che volutamente, come si è accennato, sembra trascurarne i passaggi fondamentali per limitarsi a considerare il frammento solo come un « nuovo risvolto » e un « nuovo punto di vi­ sta » del « pensiero fondamentale » dello H e gel, individuato quest ' ul­ timo nel concreto « confluire insieme della religione, della libertà po­ litica e della moralità ». « Quando per esempio H egei, scrive lo Ha e· ring, solo da un miglioramento della virtù pubblica attende un mi· glioramento delle rappresentazioni religiose e spera che l'attuale si· stema della religione... avrà una propria vera e autonoma dignità, questo non è che un nuovo risvolto del fatto che Hegel veda la sal­ vezza solo in un organico necessario confluire insieme di moralità, stato e religione e in un libero elevarsi del singolo alla totalità del vi­ vente spirito popolare ». Oltre a ciò, lo Haering vede un solo altro mo-

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RELIGIONE POPOLARE E CRISTIANESIMO

tivo di riflessione nel frammento, lo svolgimento cioè di un secondo tema centrale del pensare hegeliano, la necessità, vale a dire, dello scomparire dell'individualismo inteso come un « aver di mira solo i propri piccoli interessi » ; nella frase in cui lo H egei delinea il processo di riappropriazione da parte dell'uomo dei valori estraniati nel Cri­ sto , lo Haering vede solo l'annunzio di un'epoca nella quale « la vera umanità torna a riaffermarsi nel singolo » 53• È chiaro che volutamente lo Haering ha solo sfiorato la tematica essenziale del frammento, trascurando di considerare sia che l'attesa di un progresso delle « rappresentazioni religiose » è chiaramente per Hegel l' annuncio della fine del cristianesimo e di tutto ciò che fa del cristianesimo un cristianesimo, anzitutto la fede in Gesù, sia che Re­ gel, proprio nella frase riportata dallo Haering (« quando dopo secoli l'umanità è di nuovo in grado di avere idee, l'interesse per l'indivi­ duale sparisce »), non polemizza, come lo Haering mostra di voler in­ tendere, contro l'« individualismo » in generale, bensì contro l' estra­ niazione cristiana dei valori umani nell'« individuo » Gesù; la riappro­ priazione di quei valori è perciò, ancora una volta, la fine del cristia­ nesimo. Diversamente dallo Haering, che mostra di non attribuirgli par­ ticolare importanza, il De Negri valuta il frammento come « un docu­ mento di raro interesse storico e culturale, una sorta di spia del se­ greto hegeliano »; e aggiunge: « e romantico ». La riappropriazione in­ fatti di ciò che l'uomo ha estraniato nel Cristo giustifica già in questo frammento giovanile, secondo il De Negri, « l'assunzione della reli­ gione cristiana, già respinta come religione privata, all a dignità di re· ligione assoluta ». Inoltre, continua l'interprete, « poiché l'idea che prende dalla persona di Cristo la sua trionfale ascesa è associata aUa bellezza, e poiché nel trionfo della civiltà che da Cristo s'inizia l'uomo riconoscerà la bellezza della maturità, qui lo Hegel concede alia civiltà cristiana attributi pensati in un primo momento come esclusivi della civiltà ellenica, e prepara il passaggio dal romantici­ smo ellenizzante al romanticismo cristiano e moderno » 54• Ove in ve­ rità si direbbe che il commentatore, pur così perspicuo, attribuisca a questo frammento concezioni che saranno argomentabili bensì a pro­ posito delle Lezioni di filosofia della religione non già di que�ta scrit­ tura giovanile. La nuova civiltà infatti non nasce qui dal cristianesimo TH. HAERING, 54 E. DE NEGRI,

53

op.

cit.,

pagg.

178- 1 79.

Interpretazione

di Hegel, Firenze 1969,

pag.

26.

SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

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ma solo dalla sua fine, non si pone in continuità con il cristianesimo ma in rottura, e il carattere della bellezza non è proprio del cristiane­ simo (qui, come per lungo tempo ancora, assimilato da Hegel alla « Erhabenheit » ebr � i�a, non già alla « Schonheit » greca), ma solo della sua fine e del mondo greco: di epoche comunque in cu i il cri­ stianesimo o non è più o non era ancora. Il cristianesimo insomma non è qui religione assoluta ma solo assoluta servitù. Assai più oggettiva è la valutazione che del frammento ha dato il Peperzak, che ben lo ricollega con la lettera a Schelling dell'aprile 1795 in cui sono presenti sia il tema dell'attesa di una « rivoluzione » che si attuerà in Germania nelle « rappresentazioni religiose » e nella vita politica tutta grazie al sistema kantiano e al primato in esso affer­ mato del dover essere sull'essere, sia il tema principale di questo frammento, quello della riappropriazione umana di ciò che è stato re­ ligiosamente estraniato nel Cristo: « Dal sistema kantiano e dal suo più alto compimento io attendo in Germania una rivoluzione che par­ tirà dai principi già esistenti ... lo credo che non ve ne sia miglior se­ gno che questo, che cioè l'umanità si presenta ora in se stessa come del tutto degna di rispetto: questo prova che l'aureola che circonda la testa degli oppressori e degli dèi della terra sta ormai scomparendo. I filosofi dimostrano questa dignità, i popoli impareranno a sperimen­ tarla, a recuperare e a riappropriarsi dei loro calpestati diritti. .. Con la diffusione delle idee indicanti come le cose devono essere sparirà l'indolenza dei più, che accettano sempre le cose così come sono » . Il Peperzak argomenta assai giustamente nel dire che questo fram­ mento può considerarsi come il primo esplicito apparire nella scrit­ tura dello Hegel del tema fondamentale della sua filosofia in gene· rale, del tema cioè dell'alienazione e riappropriazione. Quel che tut­ tavia nella giusta argomentazione del Peperzak non è condividibile è la collocazione del frammento in una « seconda via » di Berna, « se­ conda », naturalmente, rispetto alla « via » degli altri frammenti: si tratterebbe di una via « repubblicana e rivoluzionaria » diversa da quella dominante « kantiana » 55; non condividibile è una tale colloca­ zione, perché non è detto che le due vie debbano necessariamente es­ sere due, quasi che il kantismo debba chiudere entro l'ambito di una problematica limitatamente religiosa ed escludere, ad esempio, la problematica politica: radicalizzato, come di fatto lo è stato dallo He­ gel, Kant poteva ben apparire il patrocinatore di una « rivoluzione >> ss

Cfr. A.

PEPERZAK,

op. cit., pagg. 53 segg.

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che non avrebbe investito solo le « rappresentazioni religiose » ma avrebbe ben potuto estendersi alla vita tutta. Su questo punto sembra essere più oggettivo del Peperzak il Rossi 56 quando in questa formu­ lazione dei concetti di alienazione e riappropriazione mette in luce piuttosto i motivi di continuità che non quelli di frattura dello Hegel con la cultura illuministica e con il kantismo. In ultima analisi, quel che è da argomentare sul frammento è il fatto che la filosofia illuministica e kantiana è vista dallo Hegel come la protagonista della « rivoluzione » condotta contro le « rappresenta.� zioni religiose » cristiane, la protagonista della riappropriazione di ciò che nel cristianesimo è alienato, in una parola l'autrice della fine del cristianesimo: il che concorda profondamente, del resto, con quella maggiore coerenza nel kantismo di cui già si è accennato: Hegel sa che la religione depurata da tutti gli elementi > , d a una visibile comunità un iforme e d a l legame ad un determi· nato « ritus »? Le tristi controversie che L utero ebbe con Zuinglio, Ecolampadio ecc. mostrano quanto egli fosse lontano dall' idea della venerazione di Dio in spirito e verità. Egli considerava il clero la forza per dominare con la potenza e sulle borse; ma volle dominare anche sulle opinioni. I principi con i loro cappel· lani di corte, come tutori del popolo, davano ai loro figli dei pre­ cettori che dovevano insegnar loro a camminare, ammonirli, e in caso di necessità anche castigarli con la verga. Perciò furono conservate le punizioni ecclesiastiche, oltre quelle politiche, le penitenze, le confessioni (le confessioni auricolari, vere e proprie furono abolite ma furono mantenuti i preti come confessori) per venire in aiuto, appunto, alle coscienze inquiete la cui fantasia fu incessantemente presa d'assalto e fu in primo luogo resa

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piena di angoscia. Perché, se la religione fu ricondotta a miglio.. rare il cuore, a penitenza e ritorno a Dio, non ci si arrestò a que­ ste espressioni generali di uno stato d' animo, che sono propria. mente nel cuore di' ciascuno qualcosa di completamente diverso a seconda del temperamento, dell'inclinazione e della fantas ia, ma, sezionati così gli stati d'animo, ci si ingolfò in passatempi intorno a dei sentimenti. Infatti questi stati d'animo furono rap· presentati come qualcosa di tangibile e afferrabile coi sensi, e come qualcosa il cui futuro o presente può essere conosciuto così bene come si può vedere all' orologio se sono le dodici. Si fecero di questi stati � ' animo, come se fossero gli stessi in tutti gli uo­ mini, descrizioni psicologiche dettagliate, che furono del resto artificiosamente incasellate da una ridicola esegesi completa­ mente priva di conoscenze intorno all'uomo, non secondo una reale conoscenza del cuore umano, ma secondo pregiudizi teolo­ gici inerenti ad un' innata corruzione della natura umana. Poiché tutto questo fu ripetuto incessantemente e con strepito, quasi un trastullo, alla memoria e alla coscienza dell'uomo comune, una simi_le pasta agro-dolce non poteva non corromperne i sani suc­ chi forti ed attivi. Necessariamente ne derivarono innumerevoli incomprensioni delle inclinazioni ed e mozioni u mane; ne derivò una tale disorganizzata angosciosità della coscienza che, al posto di una pienezza di sentimenti, finì così con l' esserci un'insulsa smanceria e un' indigesta filastrocca, al posto della risolutezza, della sicurezza e del rispetto di sé, un'umiltà ipocrita, una vanità di spirito, che sempre è alle prese con se stessa e le proprie emo­ zioni, e sa chiacchierare e si occupa senza fine dei propri senti­ menti, delle proprie vittorie, delle proprie angosciose tentazioni. Ora il clero ebbe pieni poteri per sciogliere i dubbi, rafforzare contro le tentazioni, ammonire contro i segreti influssi del male, confortare nelle sofferenze prodotte dal mondo, dalle tentazioni di Satana, dai � propri ca�tivi piaceri e godimenti. Vi sono pa­ zienti che non possono sopportare l' aria pura e l'acqua fresca, ma vivono di scipiti intrugli e dei miscugli preparati in farmacia, tengono uri diario di ogni soffio che colpisca il proprio petto, di ogni starnuto e colpo di tosse e non si occupano più di nessuno eccetto che di se stessi, tutt'al più offrono a chi ne chiede le loro tisane e li raccomandano alla protezione di Dio: lo stesso accade coi compendi teologici, la cui parte fondamentale è formata non dalla conoscenza religiosa vera e propria, ma da ciò che può sol-

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tanto far conoscere la via psicologica o il genere di determinati stati d'animo, conformemente al principio che la cosa più importante sono sì espiazione e il ritorno a Dio ma ad esse si è condotti attraverso i giri più inaspettati. Nessuna meraviglia allora se ci si è troppo smarriti in questi nel tentativo di giungere alla meta fissata. Questo pensiero del miglioramento e della via per giungervi e così tirato per le lunghe, suddiviso in tante stazioni, con tanti nomi stranieri che esprimono un'unica cosa (ma che con la loro stranezza e diversità chi sa quali segreti e cose im­ portanti devono contenere in sé, dalla « gratia applicatrix » fino alla « unio mystica >>), che così acconciate nessuno vi riconosce le cose più semplici; e se uno considera le cose alla luce e con oc· chi sani, non pu ò non vergognarsi che tutta quest' arte ed erudi .. zione sia applicata per una cosa che un uomo di intelligenza comune comprende in un quarto d' ora. Oggi si è trovato che la re­ ligione soggettiva non si può ingurgitare sotto forma di dogmatica e che l'oggettivo ne occupa ora la parte principale (dottrine che mentre non sempre sono per la ragione, tuttavia intrattengono la memoria e l'intelletto). Questa educazione ecclesiastica dei cristiani non è qualcosa che sia stato introdotto ex-novo nello statuto della comunità cristiana dopo il suo sorgere, ma, come abbiamo visto, è già contenuta nel suo primo informe abbozzo ed è stata poi utilizzata ed estesa dall'ambizione e dall' ipocrisia. Per quanto le fonti del suo più gross.o abuso incomincino a per· dersi, · molto ne è tuttavia rimasto del suo spirito, dandoci un nuovo esempio fra i tanti che istituzioni e leggi di una piccola società, in cui o gni cittadino ha la libertà di parteciparvi o no, non sono più tramandabili e non possono coesistere con la libertà civile quando vengono estesi alla più ampia società civile. Così in uno stato in cui non tutti i cittadini sono difensori naturali della patria, pur dandosi abbastanza facoltà di assu­ mersi questo ufficio per una certa somma, i membri di una so­ cietà che in nessun caso si credono autorizzati ad arrecare morte ad altri uomini, contrapponendo ai singoli atti di violenza sol­ tanto sottomissione e pazienza, possono reciprocamente obhli· garsi a non prendere mai le armi, a non partecipare mai a guerre, di cui riconoscono più l'ingiustizia che i vantaggi che ne derivano, se lo stato in cui vivono risulta vincitore. M a se una so­ cietà di tal genere si amplia fino a divenire uno stato, essa non può più mantenere le sue massime nella loro universalità se non

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vuole porsi 1n pericolo e abbandonare alla sfrontatezza di una banda di ladri tutto il suo edificio della felicità dell'intero po­ polo · insieme con la soppressio�e di ogni sentimento naturale. Come la maggiore educazione dei fanciulli è il buon esempio che essi vedono quotidianamente intorno a sé, e come essi tendono alla disobbedienza e all' egoismo b rontolon e quanto più continuamente si comanda loro, così è anche l'educazione del­ l'uomo in generale. Gli uomini si sottraggono, sfuggono ( « ils ne se pretent pas, ils se refusent » ) una religione che vuole far loro eternamente da balia e che li riempie di chiacchiere intorno a un gran numero di virtù e di vizi che mai è capitato di vedere così « in abstracto » come sono loro descritti o che non convengono affatto con le situazioni umane. E nella misura in cui, senza che essi stessi lo sappiano, tale religione ha un segreto influsso su di loro, anche l'uomo più libero dipende dallo spirito di coloro che lo circondano; altrimenti egli insorgerebbe nella maniera p iù de­ cisa contro tale cavillosità. Quando dai pulpiti vengono in gene­ rale raccomandate virtù, penitenza e ritorno a Dio, ognuno ac­ cetta ciò, permette che gli sia detto, in quanto questo riguarda tutti non meno che lui; ma se della corruzione dominante viene fatto un quadro dettagliatamente fedele, se vengono descritti tratti individuali, questo provoca in colui che si sente toccato, che sente attaccata la sua proprietà e il suo modo di agire, sol­ tanto amarezza, ritenendo che nessuna autorità abbia il diritto di arrogarsi simili pretese. (l fanciulli vengono guidati semplice­ mente con la sensibilità, - con l' amore e la paura - l'uomo adulto è anche in grado di essere guidato dalla ragione; per lo meno egli fa difficilmente, come il bimbo, quel che è per il suo meglio solo per piacere ad altri, per amore di qualcuno, senza aver prima considerato che ciò è bene). O gnuno trova inaccetta­ bile che estranei si immischino nelle sue faccende, particolar· mente nel suo modo di agire, ed insopportabili al massimo sono coloro che si pongono a pubblici censori dei costumi. Colui che agisce con cuore puro, viene in primo luogo frainteso da quelli che vanno in giro con il regolo della morale e della religione. Differenti scene di morte

Tutta la vita del cristiano deve essere una preparazione a questo cambiamento; a ciò sono indirizzati i suoi desideri, la fa·

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miliarità quotidiana con le immagini della morte e le speranze dell'altra vita, di fronte a cui i godimenti e le gioie di questo mondo, al quale egli non è attaccato prerìdendovi una debole parte come un estraneo, non me�itano alcuna attenzione; tutto questo deve rendergli l'abbandono di questo teatro della sua o perosità non soltanto privo di timore ma anzi ben accetto. Ancor meno di quanto per lui è temibile il momento della morte, egli ha paura dell'annientamento, del cessare dell' armonia q u ando lo strumento è infranto, e del suo destino futuro; tutta la sua vita fu una « meditatio mortis » . Sembra che per lui solo il ti­ rocinio per il futuro abbia un qualche valore, non in sé ma solo in relazione al futuro. Che cosa sono i 50 o 80 anni a ciò dedicati, essi che pur sono l'intera d u rata della nostra esistenza, di fro n t e all' eternità senza limiti? Sono solo u n attimo. Chi po­ tr ebbe dimenticare in 60 anni per un solo attimo la terribile al­ ter n at iva: eterna beatitudine o eterna dannazione? Chi non do­ vrebbe, di fronte al timore sempre risorgente di non meritare la prima, cercar rifugio negli strumenti di grazia offerti proprio dalla dottrina che ci rende note queste paure? Nel momento di questa terribile catastrofe, in cui non solo prende commiato da tutto ciò che gli è stato caro, ma entro poche ore o minuti non vedrà più lo splendore di questo sole e vedrà rilucere il trono del giudice supremo dinan z i a cui si deciderà il s u o destino per l'e­ ternità, chi non dovrebbe riunire intorno a sé per questo mo· mento di paurosa aspetta z ione tutte le armi del c onforto? Chi non dovrebbe almeno in fretta, come uno che all' improvv iso vo· glia intraprendere un viaggio a cui non abbia avuto tempo di prepararsi, fare u n fascio degli strumenti spirituali, per come glielo permettono il tempo e la malattia? Perciò noi ve d iamo il letto degli ammalati circondato da preti e amici, che emettono i pro fondi e prescritti sospiri per l'anima angosciata del morente; perciò noi udiamo che ogni avvertimento e ammonimento si chiude con il refrain: « memento mori » . Fra tutti i motivi ad agire i più forti sono accattati dall'oltretomba, morire bene o pi a ment e, avere ancora abbastanza senno da ricordarsi le frasi e i ve rsetti imparati a scuola con sudore, e poterli dire insieme al res to. Gli eroi di tutte le nazioni muoiono alla stessa maniera, poi­ ché hanno vissuto ed hanno imparato nella loro vita a ricono-

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scere la forza della natura. Ma l'insofferenza verso di questa, verso il suo male limitato, rende anche inetti a sopportare i suoi effett i maggiori. Come potrebbe altrimenti avvenire che i pop oli nella cui religione è pl\nto fondamentale, pietra centrale dell'in­ tero edificio, la preparazione alla morte, muoiono, nell' insieme, così inumanamente, mentre altre nazioni vedono avvicinarsi con semplicità questo momento? Come per un banchetto uno inco­ mincia di buon mattino ad arricciare la capigliatura, indossa gli abiti della festa, fa attaccare i cavalli, trascorre l' intero tempo compreso dell' importanza della faccenda che gli sta dinanzi, pen­ sando a come comportarsi, a come condurre la conversazione, e come un giovane oratore è preoccupato perché non sa se le cose andranno bene ù ; un altro invece al mattino sta dietro ai suoi af­ fari e solo pochi minuti prima dell'ora del pranzo si ricorda del­ l' invito e vi va così con semplicità e senza pretese, come se fosse a casa sua. Come sono diverse le immagini che della morte si tramandano nella fantasia del nostro popolo ed in quello· dei greci! Presso di questi un genio bello, il fratello del sonno, eter­ nato nei monumenti funebri; da noi invece lo scheletro, il cui or­ rendo cranio fa mostra di sé su tutte le casse da morto. A quelli la morte ricordava il godimento della vita, a noi ricorda il nostro soffrire. Per loro era un invito alla vita, per noi alla morte. Come , noi in società non parliamo di determinati atti naturali, essi nemmeno ne scrivevano, così i greci parafrasavano la morte, ne addolcivano l' immagine che a noi invece oratori e predicatori, per incutere terrore, per distruggerci il godimento, dipingono con i colori più orribili.

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ex) Per religione oggettiva intendo tutto questo sistema della connessione dei nostri doveri e desideri con l' idea di Dio e del· l' immortalità dell' anima; essa va dunque chiamata anche teolo· gia, se questa non si occupa soltanto della conoscenza della esi· stenza e degli attributi di Dio, ma fa ciò in relazione agli uomini e ai bisogni della loro ragione. 13 Le persone pie affettano generalmente dis p rezzo per i beni vita.



Smorfie.

di questa

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�) N ella misura in cui questa teoria non resta solo nei libri, ma i concetti vengono concepiti, l' amore per il dovere e il ri­ spetto della legge morale vengono sentiti e rafforzati dall' idea, la reli gione è soggettiva. Ora poiché la legislazione civile ha come suo fine immediato non la moralità, ma solo la legalità, e poiché per promuovere il rispetto della legge morale e la disposizione ad eseguire l e leggi secondo lo spirito non vi sono istituzioni particolari che abbiano questo fine, ritenuto proprio anch' esso della religione, non vogliamo qui separare in due tale fine, ma vogliamo considerare come scopo delle istituzioni religiose sia il promuovere la moralità per mezzo dell'idea di Dio, sia il pro­ muovere la moralità in generale. y) Non tutti gli impulsi della natura umana, per esempio quello della propagazione della specie ecc., hanno come fine la moralità. Ma il fine supremo dell'uomp è la morale, e, fra le sue disposizioni a promuoverla, quella per la religion e è una delle più eccellenti. La conoscenza di Dio non può essere una cono­ scenza morta, per sua natura; essa ha origine nella natura mo­ rale dell'uomo, nel bisogno pratico, e da essa scaturisce a sua volta la morale. Altrimenti, se fine principale della religione fosse la diffusione del nome e della fama di Cristo o di Mao­ metto, in Grecia Orfeo ed Omero avrebbero meritato di essere celebrati e onorati quanto Giove e Minerva; allo stesso modo tale diffusione e glorificazione del nome di Dio dovrebbe essere stata causa di grande gloria per Carlo, convertitore dei sassoni, o per gl i spagnoli che hanno fatto proseliti in America, o per Schulz inquisitore di ebrei. N o n vi sarebbero allora migliori cristiani delle rondini canore, ed il papa nella messa grande in S. Pietro sarebbe oggetto più degno della benevolenza divina che il capo· rale che salvò tredici persone dal naufragio mettendo a repentaglio la vita e morendo per la quattordicesima al servizio dell'u· manità. o) Rendere soggettiva la religione o ggettiva deve essere il grande compito dello stato; le istituzioni si devono accordare con la libertà delle disposizioni individuali, non devono arrecare vio· lenza alla coscienza e alla libertà, m a operare indirettamente sui moventi della volontà. Quanto di questo può fare lo stato? Q uanto deve essere lasciato a ciascuno?

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t) Promozione della moralità; questo fine della religione si realizza mediante a) le sue dottrine; b) le sue cerimonie. Ogni re­ ligione si è certamente presa cura di tutte e due le cose e ne ac­ quista la disposizione, mentre lo stato se ne è curato co� la costi­ tuzione, con lo spirito del governo.

O Come si qualifica la religione cristiana in rapporto a ciò? La religione cristiana originariamente è una religione privata modificata secondo le esigenze delle circostanze della sua ori­ gine, degli uomini e dei pr � giudizi.

a) Le sue a) dottrine pratiche sono pure e devono esporre il bene per lo più con esempi. Infatti dove, come in Mt. 5, 6 segg., lo spirito della moralità è esposto in maniera universale e non si limita solo all' aspetto formale ma contiene anche prescrizioni materiali, ivi essa è soggetta ad essere fraintesa e lo ·è stata effet­ tivamente. �) Verità storiche su cui essa è stata costruita, in cui l' ele­ mento miracoloso è sempre soggetto all'incredulità. Finché è re­ ligione privata ognuno è libero di credervi o meno, ma divenuta religione pubblica devono sempre esserci degli increduli. r) Essa non si è curata della fantasia come invece accade ·presso i greci; è triste e malinconica, orientale; non cresciuta sul nostro suolo, non vi s i può mai assimilare.

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b) Le cerimonie appropriate ad una religione p rivata hanno perduto del tutto il loro senso e il loro spirito dacché essa è dive­ nuta religione pubblica; inoltre, come mezzi di grazia, non si af­ fratellarono con lo spirito della letizia, allorché divennero pubbli­ che; avrebbero potuto essere promotrici di tolleranza, se non si fossero legate con ipotesi violentemente esclusive. O ra purtroppo sono solo segni di riconoscimento di setta, mentre allora avreh· bero potuto essere il contrario. c) Altri comandi in rapporto al modo di vita: a) tenersi lontano dai pubblici incarichi; b) ripartizione delle elemosine. Il mettere insieme i propri beni è possibile in una religione privata, ma non è realizzabile in uno stato; e ciò che era del resto un atto di pietà è ora legato a pubblici onori.

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a) Dovrebbe apparire compito difficile presentare u n si­ di verità religiose e morali che possa avere il libero con­ a em st senso di tutti o almeno dei più, giacché noi consideriamo requi­ sito necessario di una religione popolare che essa non imponga le proprie dottrine,. che la coscienza di nessun uomo subisca vio­ lenza. Ma ciò dovrebbe sembrare difficile solo se si considera la infinita varietà dei sistemi e delle ipotesi che sono stati escogi­ tati da filosofi e teologi, dal momento in cui la ragione si è svi­ luppata in idee ed in speculazione su di esse. In verità, l' espe­ rienza che tanti diversi modi possibili di pensare, per quanto biz­ zarri ci sembrino, hanno pur sempre trovato i lqro sostenitori perché sono stati legati ad idee universali o a bisogni dell'uma­ nità, e al contempo l' esperienza che un determinato modo di p ensare, non appena ha acquistato importanza, per mezzo di un pubblico comando o divieto non solo può indebolire la libertà di coscienza dell'uomo, ma può anche facilmente accendere u n pe­ ricoloso fanatismo, queste esperienze ci danno, per quanto ri­ guarda i dogmi di una religione popolare, la regola che essi de­ vono essere i più semplici possibile e non devono contenere niente che la ragione umana universale non riconosca, niente che, affermando o determinando qualcosa dogmaticamente, tra­ scenda i limiti della ragione, anche se l'autorizzazione a ciò do­ vesse trarre origine dal cielo stesso. Queste dottrine si espongono al pericolo, che sicuramente presto o tardi sopravviene, di essere rivendicate o attaccate dalla ragione; ed allora i frutti prematuri possono forse essere soffo· cati, oppressi, abbattuti, ma con il loro maturarsi progre�sivo, né roghi per gli scrittori o anche solo per i loro scritti, né simboli giurati saranno di ostacolo al male, la cui semenza giace indi­ struttibile nella natura umana stessa. In modo incontrastabile in­ fatti la ragione conduce al grande principio dell' autosufficienza del dovere e della virtù; e voler promuovere questo con moventi più prolissi ed eterogenei che non semplicemente legandolo all'i· dea di Dio, è già profanazione. E se coloro che hanno questa fede considerano il ruolo della dottrina fondata sui miracoli non dannoso né pregiudizievole per la moralità, ma giovevole al di­ spotismo, essi ne apprezzano il compito solo per il fatto che sono un potente freno per la rozza plebe. Convinti dunque della identità della loro essenza con l a propria fede razionale ognuno cerca a suo modo di abbattere il proprio avversar�o; e l'uno combatte

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la religione positiva con argomenti tratti da questa o dai suoi do­ cumenti, un altro con le armi dell'arguzia, ad un altro ancora ba­ sta la propria convinzione secondo cui egli propriamente non tiene in nessun conto le dottrine positive, ma poiché esse sono qualcosa di santificato nella fede dei popoli, cerca di adattarle alle proprie idee. N o i troviamo ciò in molte persone che h a n no sviluppato dal proprio cuore in maniera pura le idee della mora­ lità, e vi hanno guardato come in uno specchio la sua bellezza restandone incantate, persone la cui anima fu al massimo piena della venerazione per la virtù e la grandezza morale, uno Spi­ noza, uno Shaftesbury, un Rousseau, un Kant. E quanto più in alto sale la loro venerazione per la morale e per la morale del­ l' insegnamento di Cristo, tanto più eterogeneo, superfluo appare loro tutto il resto. I mister i , i dogmi che non sono né concepibili né rappresen­ tabili per la r agione o per l' intelletto, proprio perché sono incon­ cepibili , lo sono altrettanto p oco per la fantasia, poiché per que­ sta essi sono interamente e affatto contraddittori 14• Quando si parla di simili dottrine, tutte e tre le facoltà devono sospendere le loro abituali attività e devono permettere che si possa anche rinunziare a loro per altrettanto tempo, poiché in tal caso le loro leggi sono così inutilizzabili come se io volessi misurare il vino a spanne, o volessi accordare una caricatura con la forma della te­ sta di un Apollo. Rimane dunque solo la memoria che accoglie in sé determ�nate connessioni di parole, che deve conservarle per sé, isolarle e far valere il meno possibile l' intelletto. Ci rimane ancora il loro uso fondamentale: che cioè in quanto queste dottrine i n comp r ensibili riguardano il cuore, con· tengono le esigenze pratiche che sorgono nell'uomo, gli stimoli che gli forniscono e le speranze intorno a ciò che gli promettono. Alcune di queste dottrine sono tali che non hanno alcun mo­ mento pratico in sé ma solo contengono questo momento asso· ciato ad altri. In generale la prima legge di tutte queste dottrine deve es· sere che esse non indichino all'uomo nessun' altra maniera di piacere a Dio S'e non mediante una buona condotta di vita, o 11

Q ui non si parla, in genere, della verità

e

validità oggettiva delle dot­

trine, ma di ciò che esse sono per la nostra ragione, la nostra fantasia ed il no· stro cuore, indipenden temente dal fatto che siano provate come vere.

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nessun altro impulso ad azioni moralmente buone se non un impulso puramente morale. La religione presenta il concetto di piacere a Dio in un senso più o meno puro: da quello di cercare di stare dinanzi a Dio come dinanzi all'ideale della santità, giù giù fino a quello di essergli vicino esclusivamente in vista d'una qualsiasi pratica sensibile e di starei particolarmente bene, vi è un gran numero di sfumature, che certamente non sono mai se· parate abbastanza l'una dall' altra e non sono mai puramente pensate. Di quanto il concetto di piacere a Dio, che la religione presenta come la meta più alta, è capace di proposizioni impure, altrettanto deve la religione impedire con o gni cura che nessuna rappresentazione praticamente nociva si propaghi con esse. Veramente è in sé contraddittoria la richiesta che delle dot­ trine che trascendono la nostra ragione e la nostra fantasia, non appena si trovano in una qualsiasi relazione con il pratico, non debbano mostrarci nessun'altra via che quella di una buona con­ dotta di vita, nessun altro modo di piacere a Dio che questo, poi­ ché se esse non ci mostrassero nessuna via nuova non sarebbero dottrine inconcepibili, misteri. Tali dottrine ora, che per piacere all' Essere Santo richiedono da noi solo determinate pratiche, siano esse della bocca e delle mani o dei piedi o siano ancora un viluppo di sensazioni, o certe privazioni e castighi del corpo o il credere a determinate cose, cosicché ci si possa sottrarre alla legge della moralità o esserne dispensati - un tessuto di simili dottrine, per quanto queste siano autenticate nella fede e nella storia dei popoli con i più sacri sigilli, deve essere respinto dalla ragione, che non può transigere nella sua· esigenza di essere mo· ralmente buona. Quanto abietto sia l'edificio di uno stato o solo di classi di uomini in cui sono in voga questi principi, e in cui i rapporti na· turali sono distorti da questa immorale filastrocca religiosa, ci viene insegnato dalla storia di tutti i tempi, e ce lo insegna an· cora oggi la triste immagine degli stati in cui questo sistema do· ' mi na tuttora, per esempio lo Stato della Chiesa o di Napoli. E solo la bontà mai interamente distruggibile della natura umana, che in tal caso certo è abbastanza bistrattata, solo la necessità delle leggi civili, che per rendere possibile che la società stia in· sieme alla meglio devono correggere in qualcosa quei principi, impediscono che i vizi e le cattive inclinazioni siano interamente conseguenti alle dottrine d i cui si nutrono e per cui divengono

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impuni t i ed autorizzati. Faccio qui rientrare la credenza pubbli­ camente autorizzata che con l'ascoltare messe e col traffico delle indulgenze non solo si possa comprare .l' assoluzione dei propri peccati, ma non si è in nulla inferiori ad un uomo buono, la cre­ denza che le punizioni corporali e quelle di altro genere possono essere di volta in volta stimate diversamente, che dei colpevoli vengano sottratti alle mani della giustizia con l'asilo e vengano difesi dagli interpreti della divinità, e che infine non solo sia più meritorio come atto di fede ma anche pubblicamente prep�rato il fatto che solo il mendicante venga favorito, mentre il lavora­ tore si trova male. Qui non si parla soltanto delle dottrine di qualche sofista o empirista, i quali forse con filosofico acume possono aver trovato non sufficientemente fondati i principi che stabiliscono la distinzione fra virtù e vizio, né si parla di disso­ luti che nella loro vita o non si son mai preoccupati di ciò o sono stati impediti dalle passioni dall' ascoltare la voce della virtù ; il discorso non è intorno a questi singoli individui, come general­ mente accade, ma è intorno al fatto che quei principi che sovver­ tono la moralità e che profanano l'umanità e la divinità non ven­ gono trattati soltanto a tavolino o dalla cattedra da cervelli oziosi, così come per esempio senza notevole danno della essenza comune un professore prende a principio della morale o del di­ ritto naturale la felicità, un altro un altro principio e così via, bensì vengono pubblicamente insegnati e non solo, ma, cosa ben più viva dell'insegnamento, vengono intessuti nel modo più in­ timo con l' intera struttura dello stato. In tali stati, coloro che sentono il bisogno di princip i migliori, come anche gli altri uo­ mini egualmente buoni, non possono procedere per la via mae­ stra - che pur vi è permessa - della degradazione e del vizio, onde uniscono il loro migliore sentire a quei principi in un le­ � game la cui d cholezza, se pur contenta il loro cuore, essi devono ::, nascondere al i ' intelletto. Tali dottrine devono dunque ess e re respinte in maniera as­ soluta dalla ragione sia che essa si scelga principi validi per sin­ goli individui, sia che scelga principi più universali che riguar­ dano l'economia di un i n te ro st at o . D 'altra p a rte le dottrine positive di una religione, quelle che la ragione umana nel suo sviluppo non potrebbe scoprire, of­ frono un fine migliore; particolarmente in tempi recenti ci si è

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sempre preoccupati con molto zelo di sviluppare e ricercare di ogni dottrina dogmatica il momento pratico. Si è rinunciato al tentativo di rendere accettabili i misteri della religione mediante la ragione, ed ora si insiste moltissimo sulla distinzione che quelle dottrine sono sì al disopra della ra· gione, ma non contro di essa; distinzione che indica tuttavia un certo timido riguardo per la ragione e un certo timore del suo tribunale. Ma alla fine non vi è di più, poiché, se la ragione è il giudice supremo della loro fede, essa non accetterà e non erederà a ciò a cui non ritiene 15 di poter giungere in tutto l' ambito del suo uso e della propria applicazione, allo stesso modo in cui, se dopo tutti i tentativi dei navigatori non è stato scoperto nessun passaggio a Nord-Ovest attraverso l'America, la geografia so­ stiene imperterrita che non ce n'è alcuno. Tali parole dunque (che per la ragione sono perdute poiché non può concepirle, per l'intelletto sono impensabili, per la fan­ tasia irrappresentabili, e sono utilizzabili solo per la memoria) possono aver importanza per gli uomini solo per il cuore ed esclusivamente in rapporto al loro influsso sulla determinazione della volontà. Innegabilmente alcuni lati delle dottrine ultraumane della religione cristiana non hanno come fine e conseguenza una vera e propria moralità, ma soltanto la legalità. Se esse hanno la pos· sibilità di raffinarsi e di tendere a divenire morali, si deve tener presente - cosa che prima d'ora non fu sufficientemente rile­ vata - che questi sforzi sono stati occasionati solo dalle obie- . zioni e dai rimproveri degli avversari e che per lunghissimo tempo sono stati propriamente usati solo « Per espugnare la fantasia del sognatore, dove arde cupamente la fiaccola della legge » (esse hanno occasionato o la speranza di aspettare moralità in una maniera sovrannaturale, oppure il timore di essere in questo modo resi peggiori). Non ho che da richiamarmi alle rappresen­ tazioni sia delle ricompense che delle punizioni. Le ricompense erano riposte in beatitudini mistiche, in un' albagia infantile, fri· 15 S i potrebbe dire che le dottrine non sono in sé contrarie alla ragione,

ma che sia contrario alla ragione il credervi.

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vola o fondata su un orgoglio immorale; le punizioni descritte in maniera ancora più eloquente delle prime, per le loro immagini sensibili a tinte forti: pene dell'inferno, dove il diavolo torm enta le anime con espedienti sempre nuovi per sempre, in eterno, senza speranza di riscatto; fantasie che hanno portato, e non c' è da meravigliarsene, alla disperazione ed alla follia molti uomi ni sconvolti, abbattuti dal potere di queste rappresentazioni. Quando la fantasia delle baccanti greche si esaltava fino al­ l' illusione di veder presente la divinità stessa e fino al più sel­ vaggio irrompere di _un'ebbrezza senza regole, tutto questo era un delirio della gioia, del giubilo, un delirio che rientrava ben presto nella vita comune. Ma quelle religiose sregolatezze della fantasia sono invece l' irrompere della disperazione più triste e pi\) angosciosa, che sconvolge gli organi fin dalle fondamenta e di solito in maniera incurabile. I dati, gli stessi tratti più speci­ fici di questo quadro e non semplicemente la dottrina, sono of­ ferti dalla dogmatica, ed alla fantasia più o meno viva dell' inse­ gnante viene solo concesso che siano esposti in maniera più o meno terribile. L' aspettazione delle ricompense e delle punizioni in un al­ tro modo è così naturalmente fondata sul bisogno pratico della ragione di creare una connessione tra questa e l' altra vita, che tale dottrina è stata un punto capitale di ogni religione. Ma per­ ché essa divenga degna di una religione morale, si deve proce­ dere con cautela nel trattarla, perché si possa consolidare nella fede dei popoli. Noi trattiamo qui non ciò che è formazione dell' immagina­ zione, ma solo la dottrina in quanto si fonda sui principi sopra­ razionali dati dalla religione cristiana, sebbene nei prodotti del­ l'immaginazione ci sia richiesta la stessa fede che nei dogmi. La dottrina della resurrezione della carne non è di grande impor­ tanza morale, benché abbia avuto la conseguenza, in sé senza si­ gnificato, che per essa il concetto dell'anima umana come es­ senza spirituale ed incorporea non ha potuto divenire più univer­ sale; o meglio, la speranza in una continuazione dell'esistenza personale (mentre la sua dissoluzione, la morte, risuona in modo così naturale) non avendo avuto l' idea di un' essenza incorporea, incorruttibile, immortale, si è adoperata a far rivivere il corpo come suo se stesso, e non semplicemente come suo veicolo fi­ dato.

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III

La speranza d i u n risarcimento delle sofferenze subite è un confortante che noi pretendiamo dalla giustizia, m a noi siero n pe dobbiamo abituarci a non considerare come un torto tutto quel che p uò accadere contro la nostra aspettativa. D obbiamo invece abituarci sempre di più a considerarci dipendenti dalla natura. L' intreccio dei nostri rapporti politici e civili, la diseguaglianza nel tenore di vita e nei beni di fortuna hanno aumentato non solo ogni genere di miseria, ma anche la suscettibilità e la sensi­ bilità ad essa, ai dolori cui siamo esposti con la nostra natura e per il nostro tenore di vita che così spesso da questa si allontana. Vi si uniscono spesso anche l'insofferenza e l'impazienza, che nascono dalla pretesa che per noi tutto debba andare bene e se­ condo il nostro desiderio, e dal credere di soffrire a torto nelle disgrazie. Dietro il simulato disprezzo dei beni e degli onori di questo mondo si nasconde spesso un' invidia, che molto male si leva contro coloro che li possiedono. Il disprezzo è spesso piuttosto stizza; e la privazione di questi onori è allora considerata un torto, una sofferenza, per cui ci spetta certamente una ripartizione. Molti uomini, nella convinzione che le sofferenze di questo mondo nulla valgono di fronte alla magnificenza di quello futuro, credono di non poter partecipare a questo senza sofferenze, e, pur in un tranquillo godimento di questa vita legato al compi­ mento dei suoi doveri, vivono sempre non soltanto pieni di vigilanza verso la loro virtù ma anche pieni propriamente di angoscia, procurandosi una quantità di sofferenze reali o immaginarie, lamentandosi 16 di questo mondo come di una valle di la­ crime, mentre in effetti non avrebbero nulla di cui lamentarsi. Tutte le disposizioni di tal genere allontanano dallo spirito, dalla verità di una connessione morale, fondata sulla speranza, fra questa vita e quella futura. Una dottrina caratteristica del cristianesimo, sconosciuta alla ragione, è la temibile alternativa, senza via di mezzo, che il destino che attende gli uomini nell'altro mondo è o b eatitudine eterna o eterna dannazione. Se per gli uomini le rappresenta­ zioni del futuro che segue a questa via fossero così sicure e vere come la certezza con cui la medicina cura la febbre, questa alterdi

16 l dotti, quando le loro opere non sono criticate favorevolmente, parlano sofferenze , di strali infuocati.

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nativa non lascerebbe all'uomo in questa vita, dopo la quale ha fine il regno della grazia ed ha inizio il regno della giustizia in­ flessibile, un attimo di requie, precipitandolo nella condizione della più martoriante incertezza, che nel sentimento della pro­ pria imperfezione onde ggerebbe fra la paura del giudice del mondo e la speranza del padre clemente e misericordioso; situa­ zione tormentosa che è poco frequente solo perché la natura del­ l 'uomo è inconseguente rispetto a quelli fra i suoi principi che non sono fondati in lei stessa ma le sono cacciati in tes�a dall'e­ sterno. Ma la storia di Gesù, e non semplicemente le sue dottrine o quelle a lui attribuite, ha un' importanzà pratica molto grande. Vi si trovano. i principi di amare il bene, di agire giustamente, di non andare debitori all'apparenza della virtù di momentanee emozioni buone, di amare la virtù per libera scelta; vi si trova una prevalenza del nostro mondo metafisica sul nostro mondo fi­ sico, di idee astratte sul sensibile. 'tAllora il �genere umano giun­ gerà al punto che predominino principii più eh� sentimenti, leggi più che individui. Se la virtù, diceva Plato ne, �!pparisse fra gli uomini, tutti i mortali dovrebbero amarla. Platone credeva sì "in uomini virtuosi, ma ricercava la virtù stessa p�r ispirare negli uomini l' ammirazione appassionante. ,: La storia ..�di Gesù non cJ presenta soltanto un uomo che si è prima formato in solitudine e poi ha d.e dicato il suo tempo esclusivamente al IJliglio ramento degli uomini e che infine ha sacrificato la v�t�. stessa a questo scopo. Socrate, per citare l'esempio più noto, avrebbe potuto es­ sere presentato a noi altrettanto bene come specchio e modello: egli attinse la sua saggezza nel fragore dellà vita attiva, nelle battaglie, in cui salvò i suoi amici col pericolo della vita; dedicò la vita al miglioramento dei suoi cittadini, e la verità gli procurò alla fine la coppa del veleno che vuotò con sublime serenità. Che cosa ci manc� qui .pe r un prototipo della virtù? non fu Socrate un uomo di forze non superiori alle nostre? non possiamo noi imitarlo con la speranza di poter raggiungere nel nostro modo di vivere il medesimo grado di perfezione? C � sa costò a Cristo l' aiuto che e gli diede agli ammalati? Una parola. Il prevedere con facoltà divina, a cui né la sensibilità poteva contrapporre una qualsiasi debole inclinazione o sentimento, né la mancanza di mezzi o di forza poteva essere di ostacolo, dovrebbe farci ap· parire l' irreprensibile vita di Gesù, la sua c � stanza, la sua sere· .. ·

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nella sofferenza come non degne di ammirazione, né ci sti­ mol ere bbe alla imitazione, che noi non speriamo di poter realiz­ za re. Ma la fantasia non presta attenzione a questo ragiona­ mento del freddo intelletto e proprio la mescolanza, l' aggiunta del divino qualifica l' uomo virtuoso che fu Gesù come ideale de lla virtù. Senza il divino della sua persona noi avremmo sol­ tanto l'uomo, mentre qui abbiamo un vero ideale sovrumano che non è esterno all'anima umana, per quanto lontana da esso que­ sta possa essere pensata. Inoltre questo ideale ha anche il van­ taggio di non essere una fredda astrazione; la sua individualizza­ zione, per cui noi lo sentiamo parlare e lo vediamo agire, com­ porta che esso sia già affine al nostro spirito ed ancor più vicino al nostro sentire. Qui dunque, per il credente, non vi è più un uomo virtuoso ma è apparsa la virtù stessa. Nell'uomo virtuoso noi siamo sempre portati a presupporre ancora delle ombre se­ grete o almeno una battaglia precedente, come facciamo per So­ crate solo in base alla fisionomia, nel secondo caso invece vi è per il credente la virtù senza macchia ma non senza corpo. L' aggiunta del divino in Gesù invece di indebolire, secondo ogni apparenza, il nostro zelo nell' imitazione, perché dovrebbe scoraggiarci con la considerazione della impossibilità di avvici­ narci a lui, favorisce forse la nostra inclinazione ad ideali che sono più che umani. Còme un'imitazione, per essere buona, deve partecipare dell'originale (ancor più nel campo morale che per il resto), altrimenti essa è solo qualcosa di forzato, qualcosa di chiaramente innaturale che i n qualche punto non è a posto, non combacia bene, e per il resto si allontana dal modello, così la virtù, ed essa specialmente, deve essere qualcosa di effettivamente sperimen· tato, di effettivamente esercitato. La virtù mutuata da altri, im­ parata a memoria, ha qualcosa di goffo, è qualcosa che non può resistere ali' esperienza e alla pro gressiva familiarità con il mondo, qualcosa che non ha nessun ·valore e merito. Così dunque la massa, gl' innumerevoli uomini senza rilievo, privi cioè di nobili sentimenti, di delicate attitudini, di situazioni i n cui virtù e forza o pazienza si possono mostrare, i quali tuttavia, senza minimamente essere presi da simili attitudini o da simili attività, pretesero essere assolutamente uguali al loro prototipo, hanno imposto alle loro meschinità il nome di alte virtù. D a qui il gran. numero di coloro che si lamentano delle loro sofferenze ma a cui ni tà

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niente manca, il gran numero dei perseguitati che sono stati la.. sciati in pace o che piuttosto non hanno avuto pace finché n on furono perseguitati, il gran numero degli insegnanti la cui sag­ gezza non è servita a nessuno. Il modello di virtù, che gli uomini si formarono secondo il loro ideale, prese naturalmente anche il tono di quelle stesse virtù che principalmente colpiscono nell'i­ deale; ma l' imitazione ha poi fatto sì che abitualmente queste virtù fossero presentate in modo degenere ed inetto. D alla sma-. nia di insegnare è sorta la prepotenza, e da qui l'intolleranza. La dottrina della provvidenza, un concetto proprio della re­ ligione cristiana, è un concetto della ragione, di cui non do­ vremmo propriamente servirei per i easi singoli poiché non è un concetto dell'intelletto e quindi non spiega niente. Molti avversari di ciò che è peculiare al cristianesimo hanno invece mostrato il massimo rispetto per la morale della religione cristiana. E nella stessa misura in cui hanno preso la dottrina della trinità, della riconciliazione, del peccato originale a bersa­ glio dei loro motteggi o di altre loro armi, si sono entusiasmati della morale del cristianesimo, che hanno esaltata come un bene­ ficio fatto al genere umano. Ed in effetti il più puro sistema della morale, che esclude nel modo più assoluto ogni principio materiale, per nessun altro riguardo ha potuto aderire più spon­ taneamente alla religione cristiana che rispetto alla morale. Ed altri, come hanno trovato inconciliabili con una pura morale sin­ gole espressioni di Gesù o dei suoi apostoli, singoli comandi o estrinsecazioni di stati d'animo, così hanno trovato che l'intero spirito della morale di Cristo può essere accordato con ogni mo­ rale più sublime e che in esso è inculcata la più incondizionata ubbidienza alla legge. Ma la cosa principale non è vedere se si possano scoprire nell' insegnamento di Gesù le proposizioni di una morale pura, che possono _essere ugualmente trovate negli scritti di un Pla­ tone, di un Senofonte, di un Rousseau; né è da prendere in con· siderazione il fatto che i principi pratici non sono ordinati in si­ stemi o per lò meno che non sono specificati tutti i doveri e tutti i loro moventi: il punto principale è invece vedere sotto quale luce, in quali legami, con quale rango essi sono presentati. Giovanni predicava al popolo: « Battezzatevi » ; Cristo: « Bat­ tezzatevi e credete nel Vangelo! » ; gli apostoli: « Credete in Cri· sto » . È la via di quest'ultimi che si è conservata fino al giorno

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d ' o ggi in tutti i compendi, in tutte le prediche, in tutte le scuole. Anche oggi, quando lo spirito e le idee del tempo non· avvertono p i ù il bisogno di un'espiazione delle colpe, si incomincia, sia ri­ spetto all'epoca che all'importanza, a farci conoscere Cristo come colui che rimette i peccati, che è piaciuto all'offesa santità di Dio come vittima per l'umanità, ogni individuo della quale, non in casi singoli, ma per la sua esistenza e per l'intera sua vita avrebbe bisogno di un'espiazione. La gratitudine verso colui che per noi ha ottenuto questo e per noi è morto, - come se molti milioni di persone non si fossero sacrificati per scopi più mode­ sti, offrendosi sorridenti, senza sudare freddo e sangue, con gioia, per il loro re, la loro patria, i loro cari, come se fossero morti per tutto il genere umano - la gratitudine per questa morte, che è l' elemento più imp_ortante, il centro della nostra re­ ligion e, l'elemento più solenne per l'attività della nostra fantasia, deve condurre alla venerazione di Cristo e di Dio, alla quale ap­ partiene fra l'altro la diffusione del suo nome, ecc.. ed infine an· che la pietà, la carità, ecc. È per queste vie indirette che noi siamo portati alla morale, per linea discendente, non ascendente. Sarebbe dunque ingiusto il rimprovero che la religione cristiana in generale non promuova moralità; ma è a tutti chiaro quanto pregiudizio quelle vie hanno recato alla moralità, per essere state così facilmente considerate come gli unici fini essenziali .. Del re­ sto la meta della moralità è stata persa di vista, con il porre non essa, ma la beatitudine a fine ultimo di questa dottrina. La raccomandazione della fede ha avuto di solito come ef· fetto che ci si è contentati di una fede morta, di quella della me· moria, della bocca, dei sentimenti e si sono messi da parte la buona disposizione d' animo e le buone azioni. Già il modo come gli apostoli accoglievano nella loro comunità fu interamente diverso da quello seguito da Cristo verso coloro che egli accoglieva come suoi amici. Agli apostoli bastava che un certo numero di persone, per lo più ignoranti, con gli eloquenti discorsi di una o più ore fossero tanto toccati da stupore da credere alle loro parole e da farsi battezzare da loro; e con ciò queste persone d iventano cristiani. Tale modo di convertire è continuato per molti secoli, ed è tuttora usato tale e quale in special modo presso il Gange, l' Orinoco, il San Lorenzo .. La venerazione piena di gratitudine per Cristo, la diffusione del suo nome in tutta la terra, è presentata come fine e dovere

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principale; il che ha avuto come conseguenza che il rimprovero fatto da Sittah nel Nathan 17 non è certo sbagliato. Infatti ven. gono per quel fine inviati dei missionari, mentre vi sono ancora uomini moralmen te cattivi fra i cristiani. Non soltanto i cattolici, ma anche i protestanti e la chiesa anglicana hanno vasti e costosi istituti, la cui realizzazione è costata molto lavoro, molto sudore, molte fatiche e finanche sangue, per riempire con un nome e con una storia la fantasia di popoli che si erano già creati da sé i loro dèi, la loro religione, conformemente ai loro bisogni.

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Chi scrive intorno alla religione cristiana è costa�temente esposto al pericolo di essere incolpato di farsi una rappresenta· zio ne inesatta del fine e dell'essenza di questa religione; e a ciò che si trova esposto nella rappresentazione che egli se ne fa, è subito pronta la replica che questo non riguarda la religione cri­ stiana, ma solo una determinata rappresentazione di essa. Ma si indichi almeno la trattazione in cui uno possa con sicurezza in­ contrare il sistema puro della religione cristiana! Lor signori re­ plicheranno ad una voce: « M a allora non conoscete il mio com­ pendio » . Ma, signori, i compendi che voi stessi avete scritto o quelli che vi ponete a fondamento come vostro sistema di fede sono essi stessi così differenti che dovete cercare di mettervi d'accordo prima di far credere che qualcosa non rientri nella re­ ligione cristiana. Ciò che in conseguenza sarà considerato come proprio della religione cristiana o è scaturito immediatamente dal Nuovo Testamento, oppure è qualcosa di più che la dottrina di un sistema. Tolti infatti pochissimi manuali e le convinzioni di singoli uomini illuminati, si tratta pur sempre di dottrine popo· lari pubblicamente riconosciute dai concistori e dai concilii, della via presa dalla maggior parte delle cattedre e delle scuole, per lo meno del sistema in cui è stata educata ed istruita l'intera gene· razione ora divenuta adulta. Perciò è pur sempre importante de· lucidare tante cose in questo ordinamento di salvezza, finché · rappresentazioni più sane non abbiano preso un posto universale e quei sistemi siano di interesse solo per i curiosi ricercatori dello spirito dei tempi trascorsi. Non credo perciò di essere ca· duto nell'errore di quelli che attribuiscono agli altri la scabbia 1� Nathan, Il, l: « Non la sua virtù, ma il suo nome deve soprattutto essere diffuso » (nota del Nohl).

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per potersi essi grattare .. Nessuna assicurazione mi darebbe mag­ giore soddisfazione, a proposito di alcuni modi di rappresenta­ zione che mi sono apparsi scandalosi, di quella che essi sono di­ venuti inutili, perché sono dimenticati da lungo tempo, se potessi p ren dere come u niversalmente vera questa assicurazione. Effetto della religione è il rafforzamento degli impulsi all' eticità me­ diante l' idea di Dio come legislatore morale e il soddisfacimento dei compiti della nostra ragione pratica in rapporto al fine ul­ timo che essa ci pone: il sommo bene.. Per questi effetti la reli­ gione può divenire lo scopo dei legislatori e reggitori di uno stato, il bisogno naturale degli uomini per essa può essere soddi­ sfatto da loro mediante particolari istituti. Di solito la volontà della nazione si è dichiarata per una religione determinata molto prima che i governi possano p orla come fine.. Un governo può porsi come fine soltanto la propagazione, il mantenimento e il costante rinnovamento della sua conoscenza. Ora, noi sappiamo qu a le grande influsso abbiano gli istituti pubblici volti alla con­ s ervazione di u n determinato sistema religioso presso le masse nazionali negli stati monarchici, in cui raramente il popolo è in condizioni di cercarlo e scegliere da sé u n sistema religioso, ma ci si limita in genere ad apprendere passivamente; ci sia allora permesso chiedere: « La religione che fu una volta appropriata per il popolo, che altrimenti non si sarebbe rivolto ad essa, ora che, pur avendo la stessa forma, si trova in circostanze del tutto mutate, è sempre appropriata? Fu la religione, nella sua prima origine, di tale natura da essere in grado in ogni mutamento d i forma d i governo e di illuminazione mentale, sia come religione ge nerale che come religione privata, di mantenere la propria di­ gnità e adeguatezza, e di esercitare egualmente la sua efficacia? Lo spirito dei popoli ha da se stesso via via respinto o mutato quel che in essa era ' temporale ' oppure i potenti hanno preso in loro potere il dispensare la religione e hanno posto u n interesse particolare nel conservare la forma ereditata dai loro antenati e nel tramandarla inalterata nelle mani dei loro discendenti come un caro bene loro affidato? ». Prima che i mutamenti diventassero bisogno di una intera nazione e non fosse perciò più possibile arrestarli, occorsero sempre dei secoli ed il popolo abitual­ mente si contentò di dare una spinta lasciandosi ben presto ri­ strappare dalle mani le redini, per cui di solito un ulteriore pro­ gresso ed anche maggiori migli o ramenti mediante l'attaccamento

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alla nuova scoperta ed il sospetto che si avesse intenzione di rito­ glierla loro dalle mani furono resi impossibili per secoli. Un a religione . può essere considerata: a) in rapporto alle sue dottrine; b) alle sue tradizioni; c) alle sue cerimonie; d) alla sua relazione con lo Stato o come religione ufficiale.

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Istituzioni. Quali che siano le esigenze di una religione popolare in rap­ porto a questi punti di vista, le incontriamo noi nella religione cristiana? a) ex) La ragion pratica pone all'uomo come fine supremo di ogni suo sforzo, come compito, la realizzazione del sommo bene nel mondo, moralità e felicità a questa adeguata. Io credo di poter considerare ciò come dottrina abbastanza universale del cristianesimo, credo cioè che la speranza di una beatitudine eterna è quel che presenta per il cristiano il maggior interesse, rispetto a cui ogni altra cosa ha solo un valore subordi­ nato. La benevolenza di Dio verso di lui è per lui importante proprio perché Dio è il dispensatore di quella beatitudine. Que­ sta idea della beatitudine, rispetto alla materia, si accorda abba­ stanza con ciò che la ragione pone. La condizione suprema della possibilità del sommo bene è, secondo la ragione, la congruenza della disposizione dell' animo con la legge morale; secondo la re­ ligione cristiana, la suprema condizione della beatitudine eterna è la fede in Cristo e nella forza della sua morte riconciliatrice, e questo, non perché tale fede può alla fine condurre alla moralità, che sarebbe in tal caso la condizione vera e propria mentre quella fede sarebbe solo un mezzo, ma perché è la fede in se stessa il fondamento della benevolenza divina, la quale dà perciò beatitudine eterna a coloro che credono in Cristo e che propria­ mente non potrebbero mai meritarla. Questa diversità rispetto a quel che deve essere per l'uomo il suo comando più alto comporta più conseguenze, o piuttosto è basata su alcuni importanti principi preliminari. In altri term ini, pur con ogni sforzo, con . ogni sincero zelo per il bene, l'uomo, per la sua completa incapacità alla moralità, non può mai giun-

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gere a meritare la felicità: a qualsiasi grado di essa egli parte­ cipi, questa gli è data dalla libera e immeritata grazia di Dio po ich é dalla sua giustizia egli non avrebbe da aspettarsi che in­ felicità e punizione. Qui vi è a fondamento, incontrovertibil· mente, il principio che l'uomo buono meriti felicità, che può ri­ chiederla come suo diritto, che ne è degno; solo che si presup­ pone l' impossibilità di divenire uomo buono. Sono stati opposti a questi principi fino alla noia quelli di Socrate, di tanti virtuosi pagani, di tante popolazioni del tutto prive di colpe. Ma si è avuta sempre la miserevole risposta, rivol­ tante per uno che sia pieno di sentimento e creda nella virtù, preparata da un padre della chiesa senza cuore, passivamente ri· petuta da scolari altrettanto vuoti fino alla noia: « Sono stati solo degli splendidi vizi » . Quel principio, così p�ofondamente fondato nell'universale natura morale dell'uomo, che colui che è buono è degno di felicità, principio che si estrinseca universalmente nel giudizio del sano senso comune, viene bensì posto dai teologi a fondamento delle loro dottrine intorno alla giustizia; pur tuttavia esso è un principio che dà loro fastidio, che cercano di tener ce­ lato e che travisano. Infatti esso è in contrasto in qualche modo · con la loro dottrina fondamentale della passione riparatrice e della morte di Cristo. Il principio della corruzione non solo degli uomini, ma an­ che della natura umana, è contraddetto dall' esperienza colà dove l'umanità non è stata umiliata da cattivi governi. Ed esso non sa­ rebbe stato sostenuto esclusivamente sulla base della debole ese­ gesi di alcuni passi discordanti delle Scritture, che sembravano dire questo, e quest'ultimi non sarebbero stati sviluppati in tal senso, se esso non avesse una così grande importanza nella con· nessione del tutto. Di questa corruzione ed avversione al bene, di fronte a cui la ragione deve sentire un' invincibile ripugnanza, hanno creduto di trovare nella S acra Scrittura la causa fisica. Ma non hanno pensato che con questa discendenza, su cui la volontà dell'uomo non può avere assolutamente influenza e secondo cui già i fan· ciulli risultano degni di punizione, l'uomo, che per di più do­ vrebbe essere sotto l'influsso di spiriti maligni, proprio per tutto questo risulta esente da ogni colpa: né assolutamente alcuna re.. sponsabilità può esserci, se non vi è nessuna libertà pratica, se all'uomo viene contestata la facoltà sia di riconoscere il bene

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come tale, sia di rispettarlo, sia di farlo prevalere sulla sensibi­ lità. Per questo con piena conseguenza sono stati dannati senza grazia e misericordia i pagani, e l 'atteggiamento umanitario di quei teologi che non hanno il coraggio di dare un giudizio defi­ nitivo su questa materia è in contraddizione col resto del loro si­ stema. Ora, poiché la moralità non può essere posta a condizi one suprema della beatitudine, non essendo gli uomini in grado di raggiungerla e non potendo quindi aver luogo la beatitudine, la grazia misericordiosa di Dio vi ha sostituito un altro ingrediente che rientra nelle possibilità degli uomini; cioè la fede in Cristo. Per quanto si richieda, come elemento tanto necessario alla fede, l'attività in opere buone, tuttavia secondo la pretesa dei teologi manca in questa proprio ciò che potrebbe essere per noi merito­ rio e che potrebbe darci un vero e proprio valore e attirarci la benevolenza divina. E allora se la fede in generale dipende da un convincimento dell'intelletto o dalla fantasia, devono essere ritenute per vere sia quelle cose che si fondano sulla credibilità storica, sia quelle che sono tali che l' intelletto non vi si può con­ formare. La fede in Cristo in quanto persona storica non è fondata su un bisogno della ragione pratica ma è una fede che si basa sulla testimonianza di altre persone. Ciò che ha interesse per la ragione, ciò che pone un fine supremo all'esistenza e all' attività umana, ciò che costituisce la pietra miliare di tutto il sistema della sua tranquillità e della soluzione delle questioni per lui im­ portanti, ha, secondo ciò che ci dice la ragione, il suo principio e il suo fondamento nella ragione stessa il cui sviluppo solo è ne­ cessario per dare ad ogni uomo la soluzione di quei problemi. La via dunque è sempre aperta a chiunque voglia ascoltare la voce della ragione. La fede storica, al contrario, è per sua natura limi­ tata, la sua diffusione dipende da circostanze casuali e costit ui.. sce una fonte da cui non tutti possono attingere, pur dovendone dipendere la condizione della b enevolenza divina per noi, del no· stro destino per l'eternità. Per quanto umili e modesti ci sen· tiarno nella nostra ignoranza in rapporto alle vie e alle intenzioni della provvidenza, di cui però in altri casi si è preteso di essere giunti fino alla radice, noi possiamo domandare: « Perché la na· tura ha negato agli animali i talenti degli uomini, la predisposi· zione alla ragione e alla moralità? >>. Ma se un misero orgoglio,

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che, pur accettando la corruzione della nostra natura, non potrebbe fondarsi che su questa, non ci vuoi porre nella gerarchia degli esseri ad un gradino più alto di innumerevoli altre nazioni, possiamo aspettarci che i mezzi, la scuola, che soli danno al­ l ' uomo valore, siano aperti a tutto il genere umano per perfezionarsi. Solo due casi sono possibili: o la maggior p arte del genere u m ano fu esclusa dalla benedizione che scende per mezzo di quella fede su di noi eletti, su di noi, la cui corruzione per nostra stessa confessione era per lo meno eguale a quella del resto del genere umano, e non meritava quindi nulla di meglio (in tal caso noi contestiamo alla nostra ragione e all'universale sentire umano il concetto tanto importante di essere degni di felicità sulla base dell' eticità, così come eliminiamo il rapporto morale della divinità con il mondo e con gli uomini, il concetto della sua giustizia, per cui soltanto la sua esistenza ha interesse per noi, e neghiamo che le proprietà morali di D io siano in una misura qualsiasi conoscibili e determinabili per noi cosicché ci si possa fare un concetto qualsiasi della sua natura morale, del suo modo di giudicare gli uomini, di ciò che è virtù ai suoi occhi; ciò nono­ stante, dalla religione cristiana noi dovremmo imparare a conoscere tante trascendentali e misteriosissime qualità di D io), oppure rinunziamo interamente a tutto ciò e ammettiamo che quella fede non ha quella enorme importanza che le si attribuisce, non è l'unica ed esclusiva condizione per cui gli uomini possano concepire al mondo qualcosa del loro fine ultimo e possano avere valore dinanzi a D io ed alla ragione. l motivi della fede in Cristo si fondano sulla storia. Se la semplicità dei costumi ha preservato un popolo dalla grande di­ seguaglianza delle classi, e la storia si è svolta sul terreno pro­ prio al popolo, i miti vi si tramandano di padre in figlio e sono in egual misura proprietà di ognuno. Ma appena in una nazione si formano classi particolari ed il padre di famiglia non è più il sacerdote, sorge ben presto una classe che è depositaria dei miti di cui diffonderà la conoscenza fra il popolo; questo particolar­ mente quando i miti sono nati in terra straniera, fra costumi stranieri e in lingua straniera. In tal caso il fondamento, il conte­ nuto dei miti nella sua forma originaria, non può essere più pro­ prietà di tutti, perché per apprendere quella forma sono neces­ sari molto tempo ed un molteplice apparato di conoscenze. In questo modo quella classe acquista ben presto sulla fede pub-

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blica un tale dominio che può giungere fino ad un potere molto esteso, o per lo meno ha sempre in mano le redini nei riguardi delle dottrine e della religione popolare. Credere 1 8 in ciò che ci dicono coloro che hanno la nostra fi­ ducia o dallo stato sono stati privilegiati a che si creda loro è una cosa infinitamente più comoda che abituarsi a riflettere; la fede storica è anche capace di dar luogo a ricerche, ma non rien­ tra immediatamente nella sua natura risvegliare lo spirito della riflessione. Rispetto a delle regole morali o di avvedutezza ognuno si crede autorizzato e si trova incoraggiato ad accordare quelle regole col suo sentimento e con la sua esperienza e a giu.. dicare sulla loro verità ed applicabilità. Rispetto alle verità stori­ che, il popolo è abituato a credere a quello che gli è stato rac. contato fin dalla giovinezza, a non cade.re mai in dubbi e .a con­ dannare l'ingolfarsi in ricerche sulla loro verità. Poiché il fonda­ mento della nostra beatitudine non deve mai poggiare su quello che la nostra ragione, la nostra attenta osservazione di noi stessi e degli altri, la nostra autonoma riflessione sarebbe in grado di provare, ma sulla autorità �i coloro a cui lo stato ha preminente­ mente affidato la cura di diffon�ere le verità s toriche, si può forse dire che è nella natura delle cose se l'uso e la maturazione dell'intelletto, il fidarsi delle proprie idee, l'autonomia nelle pro­ prie convinzioni siano tanto poco promossi da quella diffusione e siano così poco generali. Il credere - questa fede si distingue da quella storica per il suo più alto grado di vitalità - è tensione dell'anima, è infine e �posto ancora al destino. Per quanto possa circondarsi di auto· rità, per quanto possano l� circostanze essere tanto finemente e artificialmente combinate in u n sistema (a cui non ci si può acco­ stare, per rimuovere tutte le ipotesi e tutte le possibilità, se non avviluppandosi in dettagli senza fine) alla fine tuttavia la ragione si avventura a - provare da se stessa quella fede, ad attingere da sé i principi della possibilità e della verosimiglianza, non pren· dendo in considerazione, anzi mettendo da parte, quell'artifi­ cioso edificio storico che affer�a un primato sulle verità razio­ nali fondato su basi storiche. Se la ragione è cresciuta tanto da sentire questa sua autono· mia, allora il convincimento da sé attinto e in lei stessa fondato 18

Come questione di memoria.

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un a tale forza che essa o non rispetta affatto quella fede sto· rica e le sue prove, ed è perciò del tutto tranquilla, attirandosi il rim provero di colpevole leggerezza, oppure, se non cessa di te· nersi dinanzi quella fede e di incalzarla, pur non intendendo at­ tacca rla nella sua sostanza anche secondo argomenti storici se glien e mancano le cognizioni, rifiutando dunque ostinatamente la resa, viene accusata di cecità premeditata. Oppure, ancora, cerca di far crollare la fede storica con il motteggio, con la rap­ presentazione dell' assurdità di numerosi racconti, oppure con il considerare la storia sacra come qualsiasi altra opera umana, presupponendo nei suoi miti, come è accaduto per le tradizioni di altri" popoli, la possibilità che siano mutati o che abbiano avuto il loro fondamento solo in credenze popolari. Oppure, infine, assale la fede storica con le sue stesse armi, non trovando nei libri che ne costituiscono il fondamento ciò che la fede vi trae, e cercando di adattarseli in tutti i modi possibili. In questo ultimo caso viene incolpata di mancanza di rispetto per la parola divina, di malvagità e di slealtà. La fede in Cristo è una fede in un ideale personificato. Per­ ché, per rafforzarci nella lotta per la virtù, per sentire in noi la scintilla divina, la nostra forza di divenire padroni del mondo sensibile, non ci bastano esempi di uomini? Perché non ricono­ sciamo in uomini virtuosi che essi sono non solo carne della no­ stra carne, sangue del nostro sangue, ma sentono anche la sim­ patia morale, e sono spirito del nostro spirito e forza della nostra forza? Ahimè! Ci hanno convinto che queste facoltà sono a noi estranee, che l'uomo rientra solo nella serie degli esseri naturali, e dei più corrotti; l ' idea della santità .è stata del tutto isolata ed. attribuita solo ad un essere remoto, e si è ritenuto che essa non possa associarsi alla limitazione dipendente da una natura sensi­ bile; e se ad essa potesse attribuirsi una perfezione morale, non formereb b e una parte della nostra propria essenza, ma il suo operare in noi sarebbe possibile solo ad opera dell'unione di quella essenza di tutte le essenze con noi ad opera della sua pre­ senza innata in noi (« uni o mystica » ). Questa umiliazione della natura umana non ci permette dunque di riconoscerei in uomini virtuosi. Per tale ideale, che per noi sarebbe l' immagine della virtù, vi è stato bisogno di un Uomo-Dio. Ciò tuttavia va bene, se il vero divino in lui lo troviamo non nel fatto che egli è la se­ c ond � persona della divinità, che è generato dal padre ab aeha

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terno, ecc., ma nel fatto che .il suo spirit�, la sua disposizio ne d' animo, co n corda con la legge morale, la cui idea alla fine dobbiamo invero trarre da noi stessi, se ins � mma la sua lettera può esser data in segni e parole- Ma che questo vero divino sia stato spesso misconosciuto e messo da part� , lo indicano per un lato le controversie all'ultimo sangue de,i dotti e dei preti (cioè di coloro il cui dovere era di mantenere viva l' attenzione su quelle pro­ prietà morali) . intorno a dei predicati così infruttuosi per la mo­ rale, come per es. l' eterna generazione, la natura dell'unione del divino con l'umano, ecc. E su queste inessenziali proprietà si tro­ vano nei compendi scolastici le definizioni più esaurienti, che alla fine divengono così sottili che ti sfuggono fra le dita. Le di­ verse opinioni su questi argomenti sono divenute questioni es­ senziali della religione; e non sono state lasciate nel chiuso degli studi, ma sono stati esortati a parteciparvi il popolo e i governi, perché usassero del loro potere contro i partiti avversari, e faces­ sero fare loro penitenza degli errori nel s � gue o nel carcere. Per questa via è stato apertamente omesso e misconosciuto l'es­ senziale dell'ideale, la proprietà in basè a cui un ideale dovrebbe essere per noi ideale, divino. Ma altre e altrettante tri � ti esperienze ci mostrano che que­ sto non fu il solo modo possibile di misconoscerlo, e che gli uo­ mini si legano a proprietà ad esso inessenziali, per l e quali pote­ rono versare il proprio e l' altrui sangue, per il suo solo nome, per delle parole ad esso legate, o da lui provenienti. Ma per mezzo di quali istituzioni può avvenire. che in Cristo sia ricono­ sciuto ed amato non solo l'uomo, n9n solo il suo nome, ma la virtù stessa? La risposta a questa domanda dipende dalla solu­ zione del problema di come un popolo in gènerale possa· essere educato alla sensibilità per idee morali e alla moralità. La discus­ sione di questo problema _ci porterebbe troppo lontani; limitia­ moci qui a considerare solo la parte che incidentalmente vuoi prendervi la religione cristiana, con i rigiri della sua fede. Il car· dine intorno a cui si aggira l' intera ,speranza della nostra beati­ tudine è la fede in Cristo, come colui che ha riconciliato Dio con il mondo, che ha sopportato al nostro posto le punizioni che il genere umano aveva meritato sia per la sua naturale corruzione sia perché effettivamente colpevole. Queste sofferenze di un in­ nocente - infatti egli era Dio - devono essere detratte dall' in­ commensurabile colpa del genere umano, e d essere calcolate a noi come bene. D i fronte a questo che è il piano nobile dell'edi-

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RELI GIONE POPOLARE E C RISTIANESIMO

della religione cristiana, le altre dottrine sono da conside­ ra re come tanti pilastri di rincalzo. Infatti fu necessario affer­ mare l' indegnità degli uomini e la loro incapacità ad avere valor e in modo naturale - la dottrina della divinità di Cristo per cui solo il soffrire di un tale essere poteva compensare la colpa del gepere umano; fu necessario elaborare la dottrina della libera grazia di Dio, per spiegare perché quella storia, a cui è legata la nostra beatitudine, potesse restare sconosciuta a metà del mondo senza sua colpa; e così per tante altre teorie, che vi sono connesse. Ora, è vero che si respinge l' insulsa rappresentazione che Cristo avrebbe subìto in effetti, con la sua passione, la punizione dell' intero mondo, poiché solo in generale vien detto che Dio ha legato a questa sofferenze la remissione dei nostri peccati, e che esse sono state la condizione del ritorno della sua grazia, - il che certamente non è concepire l'uomo secondo il suo rapporto morale con la divinità, né è un grande rimedio alla pre cedente assurdità; resta tuttavia il pensiero fondamentale che agli uomini viene perdonata la loro colpa per meriti ad essi estranei, solo che lo vogliano credere. fi cio

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Oggi la moltitudine che non ha più nessuna virtù pubblica, è precipitata in uno stato di soggezione, ha bisogno di altri sostegni e di un altro conforto per aver un compenso alla propria miseria che non ha il coraggio di diminuire. L' intima certezza della fede in Dio e nell'immortalità deve essere sostituita da rassicurazioni esterne, dalla fede in coloro che più sono con­ sapevoli · di essere in grado di produrre da sé il proprio modo di pensare. Il libero repubblicano che spendeva le sue forze e la sua vita nello spirito del suo popolo, per la patria, facendolo per dovere, non valutava tanto la sua fatica da domandarne risarci­ mento e compenso; egli aveva operato per la sua idea, per il suo dovere. Ciò che invece doveva richiedere e si aspettava, solo p e r: ché era valoroso, era di vivere in compagnia degli eroi nell' Elisio, o nel W alhalla, dove sarebbe stato più felice che qui, solo perché libero dalle pene dei mortali. Parimenti chi ha accolto come massima nella sua ragione l' ubbidienza alla natura e alla necessità ed onora questa legge come incomprensibile b ensì per noi � ma sacra, come potrebbe pretendere un compenso? Che cosa che

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poteva richiedere un Edipo a risarcimento del suo innocente sof­ frire poiché credeva di essere al servizio, sotto il dominio del fato? Ma solo un popolo massimamente corro�to e di estrema de­ bolezza morale po t è fare sua massima la cieca ubbidienza ai cat­ tivi umori di uomini malvagi. Solo il trascorrere del tempo, il completo oblio di uno stato migliore può portare a ciò. Un simile popolo che, abbandona t o da se stesso e da ogni Dio, conduce una vita privata, ha bisogno di segni e di miracoli, ha bisogno che la divinità gli assicuri che c'è una vita futura, perché non può avere più in se stesso questa fede. Ma non c'è bisogno di ar­ rivare a tanto per cogliere l'idea della moralità e fondare su que­ sta la propria fede. Ma se le idee sono inaridite e ridotte a chimere, la fede può aderire soltanto ad un individuo, può appog­ giarsi solo ad una persona, che è di esempio ed è oggetto di am­ mirazione. Di qui l' accoglienza aperta e cordiale della religione cristiana nei tempi in cui la virtù pubblica dei romani stava spa­ rendo ed era in decadenza la grandezza esterna. Perciò quando dopo secoli l'umanità è di nuovo in grado di avere idee, l' inte­ resse per l' individuale sparisce, e se pur rimane l' esperienza della corruzione degli uomini, la dottrina della abiezione del­ l'uomo va scomparendo, e ciò che ci rendeva interessante l' indi­ viduo affiora esso stesso come idea nella sua bellezza e, pensato da noi, diviene nostra proprietà. Ed il bello della natura umana, che noi stess i ponevamo nell' individuo a noi estraneo, in quanto trattenevamo di essa solo tutte le cose disgustose di cui è capace, viene di nuovo con gioia conosciuto da noi come nostra opera, ce ne appropriamo, imparando perciò a sentire rispetto per noi, mentre prima ci credevamo solo oggetto di disprezzo. N ella vita privata l'amore alla vita, i suoi agi, il suo abbelli­ mento doveva essere il nostro più alto interesse. (Il che, portato a sistema di saggia avvedutezza, formava la nostra moralità); ora invece che id e e morali pos �ono trovar posto nell'uomo, quei beni perdono valore; non sono più ritenute come ottime quelle costi· tuzioni che garantiscono solo vita e proprietà e superfluo diviene l'intero angoscioso apparato, l'artificioso sistema di impulsi e consolazioni, in cui tanti uomini deboli trovavano ristoro. Il si· stema della religione, che ha sempre assunto il colore dell'epoca e delle costitu zioni statali la cui più alta virtù fu l'umiltà, la co· scienza della propria impotenza, che aspetta tutto, e in parte perfino il male, dall'esterno, ora avrà una propria vera e auto· noma dignità.

La vita di Gesù

Introduzione Composta tra il 9 maggio e il 24 luglio 1 795, come si rileva da due annotazioni poste dallo Hegel stesso all' inizio del primo e alla fine dell'ultimo foglio manoscritto, a distanza quindi di solo qualche mese dall'ultimo frammento di Religione popolare e cri­ stianesim o, la Vit a di Gesù costituisce generalmente per la cri­ tica hegeliana un vero problema: non già per una qualche diffi­ coltà che la sua lettura possa presentare, ché anzi da questo punto di vista quest'unica opera completa del periodo bernese è anche la più facilmente leggibile, ma per il significato che essa può e deve ricevere nel panorama generale della scrittura giova, nile hegeliana. Così essa costituisce senz' altro un panorama per chi, come il Lukacs, impegnato in un' interpretazione in verità troppo poli­ tica del « giovane H e gel » , ritiene che il suo pensiero si riduca es­ senzialmente ad una riflessione sui problemi politici ed econo­ mici della società capitalistica, e da questo punto di vista con fin troppa facilità bolla di reazionarismo ogni interpretazione che si rivolga alla tematica teologica (e si noti: « teologica » non vuoi dire senz' altro « religiosa ») della scrittura hegeliana; la Vita di Gesù è apparsa evidentemente al Lukacs come un inco�odo corpo estraneo nel complesso del pensiero giovanile hegeliano, tanto che l'ortodosso interprete marxista si è finto che essa non esistesse: chi infatti intendesse informarsi sul pensiero del « gio­ vane H e gel » attraverso l'opera del Lukacs, peraltro per molti ri­ spetti stimolante e perspicua, se non per altro per aver messo chiaramente in luce l'essenza irreligiosa della problematica hege­ liana (che ciò nonostante resta fondamentalmente una problema­ tica teologica), non verrebbe nemmeno a conoscenza che Hegel abb ia mai scritto una Vita di Gesù. Ma non meno che per il Lukacs, la collocazione della Vita

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di Gesù nel contesto meditativo del giovane Hegel si presenta . come un problema, e questa volta non per l' assenza di temati che politiche ma per la sua tonalità decisamente kantiana, per chi, fin troppo preoccu'pato dell'originalità filosofica del giovane He­ gel, vi ha deliberatamente misconosciuto, come lo Haering, la de.. terminante presenza della filosofia kantiana. Del resto lo Hae.. ring non nasconde, come fa invece il Lukacs, il suo imbarazzo nell'accingersi a trattare di quest'opera: ; della vita e dell'inse­ gnamento di Gesù, Hegel si sarebbe rivolto proprio alla Reli­ gion e n e i limiti della pura ragione d i Kant, lascia intatto un pre­ supposto: che cioè nell' intraprendere un tale « lavoro preparato­ rio >> H e gel avrebbe ipotizzato una diversità tra il cristianesimo di Gesù e il cristianesimo storico, sì da rappresentarsi la possibi­ lità dell'assunzione nell'ambito della religione popolare del primo anziché del secondo; ma questo presupposto, si è visto, non sussiste per lo Hegel che coinvolge nel medesimo destino di positività il cristianesimo di Gesù e il cristianesimo storico. In realtà lo H aering si dimostra ancora una volta prigioniero della sua tesi di fondo, della presupposta d iversità cioè del giovane H e gel dalla problema tic a kantiana. Ma su un punto non si può non concordare, sia pure per 2

lvi, pagg. 1 86- 187.

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SCRITTI TEOLOGICI GIOVANI LI

motivi opposti, con lo Haering: nel respingere cioè l' interpreta.. zione che fa della Vita di Gesù una parentesi nello sviluppo della tematica hegeliana e per la quale « quasi si costruisce un periodo intermedio kantiano-fichtiano ». È questa un' interpretazione a cui non può non ricorrere chi, pur arrendendosi ali' evidenza del contenuto kantiano di questa Vita di Gesù, continua a frainten.. dere il frammento tubinghese esagerando la portata della valuta­ zione positiva che vi si dà della sensibilità e delle istituzioni e delle pratiche della « religione popolare » con essa connesse. Che è del resto un problema, come si è visto, che non si presenta solo per questa Vita di Gesù ma anche per i frammenti bernesi di Re. ligione popolare e cristianesimo. Il vero si è che, da quel primo frammento tubinghese a questa Vita di Gesù, la ·presenza della kantiana Religione nei limit i della pura ragione è dominante e _ determinante e costituisce il nesso di continuità di tutta questa produzione giovanile hegeliana. Dominante e determinante è la presenza kantiana in parti· colare nella Vita di Gesù ove, a parte certe precisazioni che oc­ correrà fare in seguito, si direbbe che lo Hegel abbia svolto vera­ mente il programma kantiano d i abolizione progressiva della sta· tutarietà delle chiese e delle loro dottrine positive, il programma del riconducimento della religione « entro i limiti della pura ra­ gione » , il programma insomma della riduzione della religione alla pura razionalità morale: come del resto già si è visto a pro­ posito dei precedenti frammenti bernesi e a proposito anche del frammento tubinghese di Religione popolare e cristianesimo. Così non potrà sfuggire al lettore la costante traduzione che lo Hegel fa qui delle parole di Gesù in espressioni rigidamente kan­ tiane. Non si starà qui a ripetere quanto già con ampia dottrina è stato fatto da altri, e soprattutto dallo Asveld 3 cui per questo proposito si rinvia; ma non si potrà non ricordare, ad unico ti­ tolo di eloque!lte esempio, come il « regno d i D io » annunciato da Gesù sia qui prospettato sempre, anche lessicalmente, come il kantiano « regno del bene » o « regno dei fini » inteso come una « signoria della legge della virtù su tutti gli uomini » 4, e soprat­ tutto come Hegel ponga ad un certo momento sulle labbra di 3

Cfr. P. AsvELD, La pensée réligieuse du jeune Hegel, Louva i n 1953,

pagg. 51 se gg . 4

Pa g . 1 1 4.

LA V I TA DI

GESÙ

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Gesù addirittura la precisa formula dell' imperativo categorico kantiano: « Agite secondo una massima tale che, ciò che voi vo­ le te che valga come legge universale tra gli uomini, valga anche per voi » 5• Ma il kantismo della Vita di Gesù non è solo verbale: anzi esso si manifesta soprattutto nel suo te�suto concettuale, nel senso che in essa sono chiaramente presenti le argomentazioni essenziali delle opere kantiane riguardanti la religione e la mora­ lità. E non si allude tanto al ripresentarsi di singoli corollati, di alcuni dei quali si dovrà tuttavia più tardi fare cenno, quanto al permanere dei principi fondamentali stessi della tematica kan· tiana, la riduzione vale a dire della religione a moralità e soprat­ tutto il concetto che della moralità Kant aveva dato. La rappre­ sentazione infatti della moralità come signoria della legge auto­ noma della pura ragione pratica trova perfetta corrispondenza in questa Vita di Gesù, corrispondenza poi tanto più notevole poi­ ché il concetto kantiano diverrà in seguito, a partire dallo Spirito del cristianesimo, il principale punto di attacco polemico dello Hegel discioltosi, allora veramente sì, dalla soggezione al pen· siero della Critica della ragion pratica e della Religione nei li­ miti della pura ragione. È questo un punto sul quale generalmente la critica non ha sufficientemente fermato la propria attenzione, e che merita in· vece di essere considerato poiché può veramente essere decisivo ai fini della determinazione del reale kantismo della scrittura he· geliana bernese. « Qualunque sia l' inclinazione, la più cara, la più naturale, dominatela, calpestatela addirittura... anche se nella soddisfazione delle vostre inclinazioni non avete violato la lettera della legge » 6, fa dire H e gel a Gesù nel discorso della montagna; l ancora: « Il pensiero rivolto a Dio vi ricordi la legge scolp�ita nel vostro cuore e vi riempia di rispetto per essa, inat· tacca bile da ogni stimolo delle inclinazioni » 7; e per portare in­ fine un solo altro esempio: « Così come non si può servire con uguale zelo a due padroni, così il servizio di Dio e della ragione è inconciliabile con il servizio dei sensi: l 'uno dei due esclude l' altro, oppure sorge un funesto ed impotente oscillare qua e là 5

Pa g . 87.

( Pa g. 83 . ,

; Pa g . 85.

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tra i due ». Inclinazioni sensibili, dunque, e legge morale sono kantianamente proposte dallo Hegel in una netta contraddizione, che trova esito, ancora kantianamente, nel dominare della ra­ gione sugli impulsi: nella risposta che Gesù dà al giovane ricco desideroso di perfezione, Hegel afferma decisamente: « La con­ traddizione di questi due impulsi (cioè delle inclinazioni sensi bili e della legge morale) viene tolta dal fatto che Dio ha con ferito ad uno di essi (alla ragion pratica) un vero e proprio potere legi­ slativo che comanda il dovere, gli ha concesso di pervenire ad una preminenza sugli altri, e gli ha dato anche la forza di poter fare ciò » 8• H e gel si muove dunque ancora sul piano della scis­ sione tra sensibilità e ragione o ve, invece che in una « concilia­ zione » , il toglimento della contraddizione si verifica solo nel pre­ dominare di uno dei due elementi scissi sull' altro: che non è poi un « toglimento » ma anzi un vero e proprio perpetuare la scis­ sione. Il piano su cui si muove la Vita di Gesù sarà più tardi aspramente criticato nello Spirito del cristianesimo ove il domi­ nio kantiano della ragione sugli impulsi sarà rifiutato come la forma « più ipocrita » della « lacerazione » (più ipocrita perché trasportata nell' interiorità dell'uomo e qui quasi celata); qui esso è dominante: il rapporto tra la legge morale razionale e l' im­ pulso sensibile è ancora un rapporto di mera contraddizione, il cui toglimento non è ricercato nella conciliazione ma solo nel do­ minare di uno dei termini antinomici sull' altro. In altre parole: la tema ti ca genuinamente hegeliana della « Aufhebung » della contraddizione e della « Versohnung » della lacerazione, questa tematica che, unica, rappresenta e testimonia l'effettivo distacco dello Hegel dall' impostazione kantiana, qui non compare ancora: Hegel ragiona ancora in termini kantiani, muovendosi all' interno della contraddizione fra autonomia ed eteronomia. Di tutto ciò è chiara riprova la posizione che, nel discorso della montagna, Hegel fa assumere a Gesù nei confronti della legge eteronoma ebraica: « Non crediate che io sia venuto a pre­ dicare la non validità delle leggi, a togliere la loro obbligato· rietà; io son venuto bensì a renderle perfette, a infondere spirito in questa morta carcassa ... Quel che io aggiungo, per compiere l' intero sistema delle leggi, è la condizione principale, che voi cioè non vi contentiate, come i farisei e i maestri del vostro po8

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LA VITA DI GESÙ

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polo, di un'osservanza della lettera delle leggi che può essere solo oggetto del giudizio umano, bensì agiate nello spirito della legge, per rispetto del dovere » 9• Qui il perfezionamento della legge, che nello Spirito del cristianesimo sarà dialetticamente in­ teso come un toglimento della stessa forma della legge e della dualità che tale forma necessariamente comporta, come la propo­ sizione di una più alta unità di ciò che nella legge (autonoma o eteronoma che sia) resta necessariamente scisso, qui è manifesta­ mente solo il passaggio kantiano dalla legge eteronoma alla legge autonoma, l' interiorizzazione della legge di cui più tardi si riconoscerà che non toglie ma anzi consolida la lacerazione. He­ gel si limita insomma, in questa Vita di Gesù, a contrapporre ka ntianamente l'autonomia della moralità all' eteronomia della le­ galità, l'interiorità all'esteriorità; né certo la moralità di cui parla è ancora l'eticità del più tardo sistema, come lo Haering si sforza di far credere, toglimento dialettico della moralità e della legalità a un tempo perché toglimento ed inessenzializzazione della legge come tale: per veder spuntare questa eticità biso­ gnerà attendere il sorgere in H egei della problematica sull'amore come toglimento della forma dualistica della legge come tale, di ogni legge, sia della civile che della morale. Così si è ricondotti a dover riaffermare ancora il sostanziale kantismo della Vita di Gesù, del tutto armonico del resto con il kantismo delle scritture precedenti. « La caratteristica globale della Vita di Gesù, scrive giustamente il Peperzak 10, prova una dipendenza indubitabile da Kant: dipendenza totale, si direbbe a prima vista, tanto per la terminologia che per il pensiero » ; c'è solo da lamentare che il Peperzak attenui subito notevolmente la portata di questa affermazione, sia coll' affermare che a Tubinga Hegel non era stato tanto severo con le inclinazioni sensibili (« Sembra addirittura che H e gel abbandoni il suo ideale primi­ tivo quando rifiuta il sentimento naturale in nome del dovere »), sia e soprattutto col notare, con sorpresa del lettore invero, che anche in questa Vita di Gesù la condanna delle inclinazioni ap­ pare una sol a volta, « a proposito delle tentazioni di adulterio »; piuttosto che l'opposizione kantiana tra dovere e inclinazione, 9 10

Pa gg.

A.

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PEPERZAK, Le jeune Hegel et la vision m orale du monde, La Haye

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. secondo il Peperzak nella Vita di Gesù è presente un tenta tivo di « gerarchizzazione >> dei due: dove resta in realtà da domandarsi se proprio questa gerarchizzazione, comportando di necessità la signoria della legge e la servitù dell'inclinazione, non sia per l'appunto proprio la codificazione di quella opposizione. L' unica differenza rispetto a Kant di cui sembra lecito argo­ mentare, una volta messi da parte tutti i generosi tentativi di re­ cuperare a qualsiasi costo l'originalità del giovane Hegel (ultimo fra questi in ordine di tempo e certo anche il più suggestivo quello di Antimo Negri, che nell' introduzione alla traduzione ita­ liana della Vita di Gesù 11 vede qui operante il « superamento del conflitto tra ragione e sensibilità » e il « tema della conciliazione che ·è anche quello cristiano del 1tÀiJpwf.La » e in grazia di questo superamento conclude che « la lezione quale esce fuori dal Le ben ]esu è bensì una lezione etica ma non moralistica, proprio per­ ché, contemporaneamente, è una lezione estetica » , invitando così a leggere l' operetta hegeliana piuttosto in chiave schilleriana che non kantiana, come un tendere al « miglioram-ento della sensibi­ lità », all' ideale schilleriano dell' « educazione della sensibilità » o « educazione estetica »), l' unica differenza da Kant di cui sia le­ cito argomentare è quella cui già si è avuto modo di accennare per i frammenti di Religione popolare e cristianesim o: che cioè Hegel si mostra, nel kantismo, più rigoroso di Kant stesso, nel senso che la Vita di Gesù non si prospetta tanto sulla linea kan­ tiana di una « purificazione » del cristianesimo dai suoi elementi positivi ai fini, ad esempio, di una sua assunzione nell' ambito della . Gesù spiegò allora questo concetto del regno di Dio con l' immagine di un principe 66 che volle festeggiare le nozze di suo figlio con un grande banchetto, e invitò molti ospiti; nel giorno della festa inviò i suoi servi dagli invitati a pre­ garli di venir presto poiché il banchetto li attendeva. Ma l'uno si scusò di non poter venire poiché aveva comprato dei campi che doveva ispezionare; un secondo poiché aveva da andare a vedere le cinque paia di buoi che aveva appena comprato; un terzo scusò la sua assenza con il matrimonio che aveva da poco con­ tratto; altri trattarono addirittura con disprezzo i servi, cosicché degli ospiti invitati nessuno si fece vedere. Il principe indignato di ciò, comandò ai suoi servi, poiché la spesa era già stata fatta, . di andare per le strade e per le piazze della città e di invitare i poveri, i ciechi, gli storpi e gli altri infermi. I servi fecero questo ma poiché rimanevano ancora dei posti, il signore inviò ancora una volta i suoi servi perché cercassero nelle strade e nei recinti di campagna e portassero chiunque trovassero: e così la sala fu piena. Così avviene anche del regno di Dio: per molti sono più importanti i loro piccoli interessi che la loro suprema destina­ zione, e molti, posti dalla natura o dalla fortuna in un più largo 66

Mt. 22.

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ambito di attività, lasciano passare imperdonabilmente l' o cca­ sione di fare molto del bene; spesso la rettitudine è band ita in umili capanne o affidata a talenti limitati. Poter sacrificar e è u na delle qualità princ i pali di un cittadino del regno di Dio: a chi i suoi rapporti di figlio o di fratello o di sposo o di padre, a chi la sua felicità e la sua vita sono più care della virtù, costui non è destinato né a dischiudere a se stesso la perfezione né a guidarvi altri. Specialmente chi vuoi lavorare per gli altri, saggi be ne prima le su � forze per vedere se è in grado di farlo; come di­ venta oggetto di scherno per la gente un uomo che cominci a co­ struire una casa ma la deve }�sciare incompiuta perché non ha prima calcolato il costo del tutto, oppure corrie un principe sag­ gia le sue forze prima di cimentarsi con un altro che gli minac­ cia guerra, e se trova che le sue forze non sono uguali a quelle dell'altro cerca di far pace con lui, così ognuno che voglia dedi­ carsi al miglioramento dell'uomo veda se è capace di rinunciare, in questa battaglia, a tutto ciò che altrimenti lo potrebbe se· durre. I farisei 67 si scandalizzarono ancora una volta perché videro pubblicani e genti di malaffare tra gli ascoltatori di Gesù e per­ ché egli non li respingeva. Gesù disse a tal proposito: « Se dal gregge di un pastore si smarrisce una pecora, non gli dà gioia il ritrovarla? o se una donna smarrisce una somma di denaro, non la ricerca essa accuratamente e, se la ritrova, non è per lei di maggior gioia questa somma ritrovata che non le altre che non ha perduto? Non è così anche per l'uomo buono una gioia veder tornare alla virtù uno che si è smarrito? Voglio raccontarvi una storia. Un uomo aveva due figli. Alle preghiere del più giovane di dargli la sua parte di eredità, il padre fece le parti con i suoi figli. Dopo alcuni giorni, il più giovane raccolse le sue cose, e per paterne liberamente godere a suo piacimento se ne andò in una regione lontana, e là dilapidò tutte le sue sostanze. Egli si trovava già in miseria, quando questa fu accresciuta ancora da una grande carestia, onde salì al massimo grado; il giovane venne finalmente alle dipendenze di un uomo che lo inviò al campo a custodire i porci, con i quali il giovane dovette spartire il vitto di ghiande. Il suo infelice destino gli fece allora ricordare la casa di suo padre. ' Quanto stanno meglio di me, disse fra sé, 67

Le. 1 5.

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quelli che lavorano a giornata da mio padre, di me che la fame qui consuma! Voglio tornare d a mio padre e confessargli: Ahimè pa dre, ho peccato contro il cielo e contro di te e non son� più de gno di esser chiamato tuo figlio; prendimi solo come uno dei tuoi lavoranti a giornata! ' . Egli realizzò questo pensiero. Quando suo p adre lo vide venire da lontano, gli corse incontro, gli gettò le braccia al collo e lo baciò. ' Ahimè padre mio, disse l 'infelice ravveduto, i miei errori mi rendono indegno di chiamarmi ancora figlio tuo! ' . Ma il padre comandò ai servi di andare a prendere la veste più bella e di portargli delle scarpe: ' E ammazzate il vitello più grasso, disse; noi vogliamo tutti ralle· grarci poiché mio figlio, che per me era morto, è ritornato a vi· vere; egli era perduto ed è stato ritrovato ' . Tornava frattanto dai campi il figlio maggiore; e quando si avvicinò a casa e udì le grid a di gioia, domandò cosa accadesse. E poiché un servo glielo disse, si sdegnò di ciò e non volle entrare in casa. Uscì fuori il padre e gli rappresentò tutto l' accaduto, ma il figlio non lo volle ascoltare, e disse: ' Per lungo tempo io sono stato con te, ho lavorato per te, ho seguito soprattutto la tua volontà, e tu non mi hai ancora mai concesso di prendermi qualche divertimento con i miei amici; ora viene questo figlio che ha sperperato le sue sostanze con le donne dissolute, e tu fai festa per lui! '. ' Figlio mio, rispose il padre, tu sei sempre vicino a me, non ti viene tolto nulla, tutto ciò che è mio è tuo; tu dovresti rallegrarti e gioire che tuo fratello, che era perduto, si sia ripreso, che quello cui avevamo rinunciato sia di nuovo guarito ' » . In un'altra occasione68, che noi non conosciamo, Gesù rac· contò ai suoi discepoli la seguente storia. Un ricco uomo aveva un amministratore. Costui gli fu additato come uno scialacqua­ tore delle sostanze affidategli; il signore lo fece chiamare e gli disse: « Che cosa sento dire di te! Rendimi conto della tua aromi .. nistrazione; quindi non puoi più mantenere il tuo ufficio » . L' am­ ministratore pensò allora che cosa dovesse fare: perdendo il suo ufficio, non aveva la forza di andare a giornata, e di mendicare se ne vergognava; finalmente gli venne in mente un mezzo per trarsi d' impaccio, quello cioè di rendersi amici i debitori del pa­ drone così che, se avesse dovuto perdere il suo posto, essi lo avrebbero riassunto. Li fece chiamare uno dopo l' altro, e ad uno 68

Le. 16.

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SCRITTI TEOLOCJCI CIOVAN IU

che era debitore di cento barili di vino fece fare un'obbligazione diversa in cui si dichiarava un debito di soltanto cinquanta ba­ rili, ad un altro abbassò il debito da cento moggi di grano a ot­ tanta, e così fece ' per tutti gli altri. Il signore, quando più tardi lo venne a sapere, dovette almeno riconoscere l'accortezza del­ l' infedele amministratore, nella quale, per lo più, gli uomini buoni sono superati dai cattivi, poiché l' accortezza di questi ul­ timi non si fa scrupolo di violare l'onestà. « Dalla storia che vi ho raccontato, disse Gesù, ne traggo questo consiglio per voi, che la vostra accortezza nell'uso del denaro, che forse avete, con­ sista nel procurarvi degli amici tra gli uomini, specialmente tra gli infelici, ma non, come quell'amministratore, a spese dell'one­ stà; poiché chi è infedele nelle piccole cose lo sarà ancor più nelle grandi; e se voi non sapete essere onesti nelle faccende di denaro, come sarete sensibili all'interesse superiore dell'uma­ nità? Se a ciò che dovreste trattare come cosa a voi estranea siete tanto legati da dimenticare per essa la virtù, che cos' altro di grande si potrà aspettare da voi? porre come fine supremo della propria vita il proprio vantaggio o il servizio della virtù sono due cose inconciliabili ». Alcuni farisei che avevano udito ciò, e che amavano assai il denaro, derisero il fatto che Gesù sminuisse tanto il valore della ricchezza. Gesù si rivolse a loro e disse: « Voi mirate solo a darvi, agli occhi degli uomini, un'apparenza di santità, ma Dio conosce i vostri cuori. Ciò che $11 mqdo sensibile di giudicare ap­ pare come grande e come degno di stima, dinanzi alla divinità scompare nel suo nulla. C' era una volta un uomo ricco, che vestiva in porpora e $eta e che ogni giorno gozzovigliava a dovizia. Dinanzi ali a sua porta sostava spesso un povero di nome Lazzaro, al cui corpo malato (era infatti pieno di ulcere) nessuno dava sollievo, se non forse i cani co_n le loro leccate; egli aveva spesso e volentieri zit­ tito la sua fame solo con le briciole che restavano nella tavola di quel ricco. Il povero morì, ed andò ora ad abitare nei campi dei beati. Subito dopo morì anche il ricco e fu sepolto con gran pompa; ma la sua sorte non fu quella del povero. Quando alzò gli occhi e vide Lazzaro vicino ad Abramo, gridò a gran voce: ' Ahimè padre Abramo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a por­ tar sollievo al mio tormento con una sola lacrima come un feb· bricitante viene ristorato da una goccia d'acqua! '. Abramo ri-

LA VITA DI

GESÙ

181

spose: ' Ricordati, figlio mio, che tu hai goduto in quella vita quando Lazzaro al contrario era infelice; costui viene ora conso­ lato e tu soffri '. ' Allora io ti prego, o padre, che tu lo invii alla mia casa paterna: ho infatti_ ancora cinque fratelli, ed . egli li am­ monisca con il mio destino e li metta in guardia perché non ne meritino anch'essi uno simile '. ' Essi hanno una legge nella loro ragione e dei maestri che devono ascoltare '. ' M a non è suffi­ ciente per loro, disse l'infelice: se invece appare loro dalla tomba un morto, certamente si miglioreranno '. ' All'uomo, ribatté Abramo, è stata data la legge della sua ragion�, 'e non può giungergli altro insegnamento né dal cielo né dalla terra, poiché questo sarebbe contrario allo spirito di quella legge che esige una soggezione libera, non estorta con la paura, né servile » . I n un' altra occasione69 ugualmente sconosciuta i discepoli d i Gesù gli fecero la singolare preghiera di rafforzare il loro co­ raggio e la loro perseveranza. Gesù rispose loro: « Questo lo può fare soltanto il pensiero del vostro dovere e del grande scopo della destinazione che è stata data all' uomo; così non crederete mai di essere alla fine del vostro lavoro e di aver diritto ormai al godimento. Quando un servo torna dai campi a casa, il suo pa­ drone non gli dirà: ' Và ora e goditela ' , bensì gli dirà ' Prepa­ rami presto da mangiare, servimi, e dopo potrai mangiare anche tu '. E quando il servo ha fatto tutto ciò il padrone non crederà di essergli debitore di riconoscenza. Così anche voi, quando avete fatto quel che dovevate fare, non pensate di aver fatto più di quel che dovevate, che il tempo della fatica è passato e che ora deve venire il tempo del godimento; pensate piuttosto di non aver fatto niente altro se non ciò che era vostro compito fare » . Un' altra volta i farisei, che n o n potevano rinunciare alla loro rappresentazione sensibile del regno di Dio, domandarono a Gesù che aveva spesso sulle labbra questa idea: > i suoi troppo zelanti apologisti che, come lo Haering, hanno ne­ gato che il significato della sua scrittura giovanile, e in partico­ lare della Vita di Gesù, fosse la riduzione kantiana della reli­ gione a moralità! E ancora in perfetta continuità con le precedenti scritture bernesi, la positività è qui definita come il contrario dell' autono­ mia razionale e della libertà. Se ne considerino le seguenti due 2 W. DILTHEY, Die ]ugendgeschichte Hegels, in Gesammf!lte Schriften, Stuttgart , 192 1 , IV, pag. 22. 3 Pag. 1 76. " Pag. 153

SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

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definizioni: « Una fede pos1hva è quel sistema di principi reli­ giosi che per noi deve avere verità perché ci è imposto da un'au­ torità a cui non possiamo ricusare di sottoporre la nostra fede » ; e in secondo luogo:· carattere di una religione positiva è « di non essere postulata ad o pera della ragione e di essere persino in contrasto con questa, o se anche in accordo, di essere tale da esi­ gere di essere creduta solo sulla base dell' autorità » 5• La seconda definizione motiva l' avversione dello Hegel alla positività in nome dell'universalità della ragione, che è poi l' argomento kan­ tiano contro la statutarietà delle chiese, la prima la motiva in nome della libertà umana; il che è ancora un motivo kantiano (la positività è eteronomia che contraddice all' autonomia) ma che Hegel svolge fino alle sue ultime conseguenze, in ciò radicaliz­ zando Kant: la libertà non è infatti in Hegel solo libertà del­ l' uomo in generale, ma libertà del cittadino. Ben scrive a tal pro­ posito il Peperzak: « È sempre la libertà dell'uomo, la rivolta contro le catene, il rifiuto della tirannia ad ispirare Hegel, non una libertà morale nel senso kantiano della parola, sorgente e ri­ sultato di un dominio sulla sensibilità... La libertà hegeliana non è l' imperativo categorico di Kant, ma una libertà più psicologica e più sentita, la rivolta contro l'oppressione » 6; solo che i due lati dell'avversione hegeliana alla positività, quello più propriamente kantiano dell'esigenza dell'universalità razionale e quello in cui Kant risulta radicalizzato nella rivendicazione della libertà del cittadino, si integrano l'un l ' altro e non si oppongono, come . .si integrano e non si oppongono le due parti di questa stesura ori­ ginaria della Positività in cui i due motivi vengono singolar­ mente svolti. Anche qui insomma Hegel resta un radicalizzatore di Kant sulla linea di Kant; del resto già si è visto dalle espres­ sioni della lettera a Schelling del 1 6 aprile 1795 come la tema­ tica kantiana potesse essere piegata dallo Hegel alle esigenze di una rivolta pol!tica. Si è giunti con ciò al punto di dover esaminare più da vi· cino le due parti complementari di questa Positività, nella prima delle quali, si è detto, la positività del cristianesimo è denunciata in nome dell'universalità della ragione. s

Pag. 233 e pag. 1 57. 6 A. PEPERZAK, Le jeune Hegel et la vision morale du monde, La H aye , 1960, pagg. 81 -82.

LA POSITIVITA DELLA RELIGIONE CRISTIANA

215

« Quanto più grande era il suo amore per il Cristo storico, tanto più irritato era Hegel contro la dommatica del suo tempo e le contraddizioni fra la situazione della chiesa e dei religiosi e il dogma dell' amore » , scrive il Rosenkranz a proposito di quest'o­ pera 7; ma ancora una volta si direbbe che il giudizio dell' appas­ sionato biografo di Hegel non si dimostri del tutto pertinente, sia perché non si riesce a vedere, in quest'opera giovanile come nelle altre, dove Hegel avrebbe manifestato questo crescente amore per Gesù, sia e soprattutto perché il vero scopo di que­ st' opera, particolarmente nella sua prima parte, non è quello di porre una distinzione fra il cristianesimo di Gesù e la cristianità storica (Hegel, già si è detto, non si è mai posto di fronte al cri· stianesimo come un riformatore), bensì quello di provare che la religione cristiana era positiva già nel suo primo sorgere, nell'in· segnamento di Gesù e nella primitiva comunità apostolica. È vero, lo si deve concedere, che alcune frasi di questa opera sem­ brano contraddire ad una tale lettura, come là dove Hegel scrive che « non fu Gesù in persona ad elevare la sua dottrina religiosa a setta vera e propria, distinta per le sue pratiche peculiari: a ciò si giunse per lo zelo dei suoi discepoli » ; è vero, ancora, che la stessa dichiarazione pro grammatica dell'opera avverte che « la tesi sostenuta (è) che Gesù sarebbe stato il maestro di una pura religione morale e non positiva >> 8; eppure lo svolgimento del ra­ gionamento hegeliano è tale per cui la positività non viene fatta risalire solo ai fattori ambientali ebraici o all' interpretazione che gli apostoli dettero dell' insegnamento di Gesù, ma proprio allo stesso Gesù. Hegel argomenta infatti, senza che qui occorra più che tanto soffermarsi a considerare i punti di positività che l'au­ tore attribuisce direttamente a Gesù, che egli era un ebreo e come tale non poté fare a meno di sviluppare il suo vangelo mo­ rale a partire dalla volontà rivelata di Dio anzichè dalle esigenze della pura ragion pratica, che per avvicinare il suo popolo Gesù dovette molto parlare di sé e appoggiare sulla sua autorità di maestro anziché sulla pura razionalità la sua dottrina, poiché « volersi richiamare solo alla ragione avrebbe significato parlare ai pesci », che non poté e non volle contraddire alla positiva a t· tesa ebraica di un messia, che infine, per fondare la propria au7 K. RosENKRANZ, op. cit., pag. 74. 8 Pag. 1 62

e

p ag. 1 55.

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torità ed ottenere la fiducia degli ebrei, non esitò a ricorrere ai miracoli: e « niente ha contribuito più di questa fede nei miracoli a rendere positiva la religione di Gesù e a fondarla interamente sull' autorità ». Anche l'aver stabilito in un numero fisso, in do­ dici, i suoi discepoli, dando così ad intendere di attribuir loro una particolare autorità, e l ' aver impartito dopo la resurrezione il comando di diffondere il suo nome e di battezzare tutte le genti, imponendo così un segno esteriore « come segno di discri­ minazione » , sono altrettante prove, per lo H e gel, che il cristiane­ simo uscì già positivo dalla bocca di Gesù, il quale del resto « non aveva portato molto innanzi » sulla via dell'autonomia mo­ rale « i suoi più fedeli amici anche dopo lunghi anni di sforzi e di familiarità » 9• È d' altronde eloquente, come controprova dell' esattezza di questa lettura della Positività, il fatto che Hegel delinei le posi­ zioni dei due « partiti » che sostengono essere provenuto il cri­ stianesimo già positivo dall' insegnamento di Gesù, e che subito dopo intraprenda a confutare il secondo di questi due « partiti » , quello c h e ritiene la positività come cosa sacra, mentre n o n con­ futa il primo, quello cioè « che non vuole concedere neanche alla religione di Gesù il rango di religione fondata sulla virtù » ; e non lo confuta, ovviamente, perché è in fin dei conti il suo medesimo « partito » 10• La conclusione che da tutto ciò Hegel trae è che la dottrina di Gesù si sviluppò di necessità come fede positiva di una sett�, la quale non si limitò (come è proprio di una scuola filosofica) a trattare con indifferenza la fede ufficiale dell'epoca, bensì questa fede ufficiale, con le sue pratiche e i suoi precetti, considerò pec­ caminosa, ponendosi così nei suoi confronti in un atteggiamento di negativa opposizione. Insomma già nella sua originarietà apo­ stolica la chiesa cristiana presenta i tratti della setta positiva, tratti che sono bensì inapparenti e possono comunque non urtare con la vita civil e finché la setta positiva è una piccola setta, ma che col dilatarsi di essa « fino ad abbracciare tutti i cittadini dello stato » entrano in stridente contrasto con la loro libertà e con la libertà stessa dello stato. Vero si è, continua ad argomen­ tare Hegel in queste ultime pagine della prima parte della ste9 1°

Cfr. pa gg. 1 58- 1 64. Cfr. p a g. 1 55.

LA

POSITIV ITA D E LLA RELIGIONE CRISTIANA

217

sura originaria nelle quali sta preparando l' argomentazione della seconda parte, vero si è che la chiesa ha modificato molti tratti della sua originaria positività, come per esempio ha sostituito il precetto della comunanza dei beni con quello dell'offerta di ele­ mosine oppure ha furbescamente eluso il precetto dell'egua­ glianza trasferendo quest'ultima nella vita dell' al di là; ma ciò non toglie che, anche in queste modificazioni, la positività sia re­ stata tale, anzi si sia fatta sempre più evidente e sempre più con­ trastante con la libertà dell'individuo e dello stato. « La seconda metà del saggio, scrive giustamente il P e per· 11, zak è u n a lunga riflessione sulla statizzazione della chiesa pri­ mitiva e sui rapporti tra chiesa e stato che ne sono derivati. Re­ gel vi radicalizza la teoria kantiana della chiesa, che non può es­ sere che una società di amici in cui ciascuno è libero di entrare o di uscire quando vuole » . Ora, in che cosa consista ques�a radi­ calizzazione già si è avuto modo di accennarlo e qui si fa massi­ mamente evidente: generalmente parlando si deve dire che que­ sta seconda metà del saggio è tutta una rivendicazione dei diritti del cittadino e dello stato nei confronti della chiesa che li ha usurpati, o meglio in cui essi sono stati estraniati. E u na tale ri· vendicazione procede, si noti, come un progressivo riconduci­ mento della religione all' ambito che le è proprio, cioè all' ambito della privatezza dell'opinione: tanto lontano è ormai lo H e gel dell'ideale (se mai lo ha avuto) di una religione popolare! Tanto a�anti, si può aggiungere, si è spinto nel kantismo da cui a Tu­ binga lo separava, se mai, proprio questo concetto di religione popolare! L' argomentazione hegeliana s' incentra tutta, infatti, nella dimostrazione che quanto più la religione esce dall' ambito della privatezza che le è proprio e si fa religione pubblica, religione di uno stato, tanto più la sua positività, presente come si è visto fin nella sua stessa origine, si fa manifesta ed urta. con ciò contro la libertà del cittadino e dello stato. Nella sua originaria istituzione, argomenta lo Hegel, sono bensì già presenti i tratti della positività, nel costituirsi di una soggezione di tutti ad una medesima legge, ma la chiesa non en­ tra ancora per essi in conflitto con lo stato, dal momento che « la virtù che essa pregia o premia è di quel genere quale lo stato 11

A. PEPER�AK, op. cit. , pag. 79.

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SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

non può premiare, e parimenti le colpe che essa punisce sono og­ getto di punizione non in quanto in contrasto con le leggi civili, ma in quanto peccati contro i comandamenti divin i » . Insomma, nella sua essenza di associazione di' uomini che perseguono il fine del compimento del dovere morale, la chiesa non si sostitui­ sce allo stato, la sua giurisdizione resta interamente distinta dalla giurisdizione statuale: « Un a piccola società che abbia un tale scopo e mezzi, che persegua cioè la moralità con incoraggia­ menti, moniti e premi reciproci, può essere costituita senza detri­ mento dei diritti del singolo e dello stato )) 12 • Ma non appena essa esce da questo ambito di privatezza e si estende fino ad as­ sumere le dimensioni stesse dello stato, sorge di necessità il con­ trasto: la sua stessa essenza di associazione di amici si trasforma e i tratti che la costituiscono svelano tutta la loro positività ce­ lata e divengono palesemente ingiusti e contraddittori. N o n si starà qui a riassumere la molteplice argomentazione hegeliana mirante a lumeggiare una tale ingiustizia; basterà ri.. cardare l' esempio più eloquente, quello per cui l'esclusione dalla chiesa, quando questa abbia finito per confondersi con lo stato, diviene esclusione dallo stato, perdita da parte del cittadino dei suoi diritti politici per motivi estranei alla costituzione statuale. Non diversamente accade, secondo lo Hegel che qui affronta un problema di scottante attualità, nel rapporto dello stato con le corporazioni: anche queste formano una società nello stato; e nella misura in cui una corporazione « abbraccia in una città tutti quelli che esercitano il medesimo mestiere e possiede il di­ ritto, proprio di ogni società, di accettare chi vuole e di esclu­ dere colui che non si sottomette ai propri ordinamenti >) , in que­ sta . misura la corporazione entra in conflitto con lo stato che pure « ha il dovere di difendere ognuno che, non violando le leggi civili, voglia cercare nel modo che preferisce i mezzi del proprio sosten_tamento ». « Ma se la corporazione, conclude lo H e­ gel, non glielo permette e quindi lo esclude dal suo seno, lo esclude al contempo dall' intera comunità, defraudandolo di un diritto che gli è concesso dallo stato ed impedendogli di usu­ fruire di un diritto civile » 13• In questi casi, come in molti altri che lo Hegel enumera e che non si staranno qui a riportare, nei 12

Pagg. 1 77-1 78.

13

Pag.

1 85.

LA POSITIVITA

D E LLA

RELIGIONE CRISTIANA

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confronti della chiesa come della corporazione, sorge un conflitto tra la società privata che ha cessato di essere privata e lo stato; ed in un tal conflitto Hegel vede realisticamente sempre soccom­ bente lo stato: « Nel caso in cui i diritti della chiesa e quelli dello stato vengano a conflitto, la maggior parte degli stati ha ceduto e ha dovuto sacrificare i propri diritti, alla chiesa protestante come a quella cattolica » 14• In questa analisi è evidente lo sforzo hegeliano di restituire allo stato i diritti alienati nella chiesa, che sono poi i d iritti di Ji. bertà del cittadino: e una tale rivendicazione, come si è accen­ nato, non può procedere altrimenti che col riconducimento della chiesa alla sua essenza di associazione privata. Ecco perché nel paragrafo intitolato Il patto con la chiesa Hegel si accinge ora a lumeggiare la genesi della società ecclesiale, di fatto tradita e misconosciuta nel corso di tutta la sua storia. I diritti che la chiesa ha avuto sin dall'inizio sui suoi aderenti, argomenta egli infatti, furono fondati esclusivamente sul libero consenso di tutti e di ciascuno di essi; è perciò inammissibile che la loro formula­ zione, e la formulazione soprattutto delle verità di fede da cui questi diritti procedono, sia determinata da una maggioranza, come invece nella storia della chiesa è accaduto con i suoi con­ cili; tanto più inammissibile poi se si pensa che, nel la storia della chiesa, questa maggioranza non è stata di fatto nemmeno rap­ presentativa del suo gregge, ma solo dell'apparato burocratico della chiesa che si è soprammesso all'universalità dei credenti. Anche se storicamente è accaduto che la chiesa si sia presentata come una repubblica democratica, essa non è tale per sua es­ senza, poiché essa non può sorgere, a meno di tradire la sua es­ senza, da un patto sociale per cui il singolo si assoggetta alla « volonté générale »; e non lo può perché la fede che ne costitui­ sce l'intima struttura appartiene all'ambito dell'opinione ed è perciò un fatto privato che riguarda il singolo come singolo e non tollera di essere sottoposto alla decisione di una maggio· ranza: « In rapporto alla fede non ha propriamente luogo nessun patto sociale » poiché « ogni patto è fondato sulla volontà, ma vo­ ler credere non è una cosa possibile, e la fede della chiesa deve

1"

Pa g. 1 83.

220

SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

essere nel modo più rigoroso la fed e universale di quella chiesa, cioè la fede di ogni singolo membro » 1 5 • Da qui (ed è ormai l'ultimo accenno che occorra fare al con­ tenuto tematico di ques t a stesura originaria della Positività an­ che l' illiceità di ogni patto tr� lo stato ed ogni società privata quale la chiesa è nella sua essenza, stante l'eterogeneità dei due contraenti: la fede di cui la chiesa si struttura rientra infatti nel­ l'ambito dell' opinione e dell' op inione mantiene la mutevolezza, così che il patto che lo stato contrae con la chiesa pone serie dif­ ficoltà per esso ad ogni mutarsi della fede: Hegel si attarda .. qui in un'ampia casistica tratta soprattutto dalle vicende degli stati tedeschi al mutarsi della fede dei loro cittadini da cattolica in p rotes tan te. Quel che soprattutto in questo saggio premeva notare può ora riassumersi in una breve elencazione conclusiva: l ' assenza anzitutto del concetto di religione popolare o nazionale, anzi l'e­ sclusione di ogni possibilità di parlare di questa, conseguente alla riduzione della religione a moralità; il permanere di un tale criterio decisamente .k antiano nella valutazione della positività della religione, e in particolare della religione cristiana dichia­ rata positiva fin nella sua originarietà apostolica; la conseguente concezione privatistica della chiesa concepita semplicemente come una società di amici. In tutto questo è facilmente riscontra­ bile una perfetta continuità con la Vita di Gesù, da cui del resto la Positività è separata da un solo mese di tempo e con il kanti.. smo dominante in questa opera ed in tutte l e scritture hegeliane fin qui seguite: una continuità soprattutto con quanto Kant ha argomentato nei paragrafi terzo, quarto e quinto del capitolo terzo della Religione nei limiti della pura ragione donde lo He­ gel, certamente, ha tratto il concetto della chiesa come una so­ cietà di amici retta solo da leggi morali; ma accanto a questo fondamentale l antismo si è rivelata sempre più chiara la ten­ denza hegeliana ad una radicalizzazione della problematica della Religione nei limiti della pura ragione, tendenza per la quale Hegel sarà presto indotto a coinvolgere Kant stesso nel destino della positività. 15

Pag. 1 96.

22 1

LA PO SITIVITÀ DELLA RELIGIONE CRISTIANA

2 Ma è tempo ora di passare ai tre frammenti aggiuntivi, con esclusione del breve brano sui miracoli e del frammento che il Nohl ha riportato in nota derivandolo dalla Vita di Hegel del Ro­ senkranz, considerandoli uno ad uno. E qui non si può non notare subito come, ad una prima let­ tura, il primo frammento aggiuntivo desti una certa sorpresa: per quanto infatti esso segua immediatamente, da un punto di vista cronologico, la stesura originaria e per quanto vi sia stretta­ mente connesso nello stesso manoscritto hegeliano, da un puno di vista tematico sembra non corrispondervi affatto. Anzi di più: il frammento sembra addirittura in contrasto con tutta la scrit­ tura bernese: sembra quasi saltare d'un balzo tutto ciò che He· gel è venuto fin qui componendo a Berna e ricongiungersi diret­ tamente al primo frammento tubinghese di Religione p opolare e cristianesimo. Vi tornano infatti in primo piano alcuni motivi di quel frammento, e proprio quelli stessi che hanno generalmente fatto argomentare di una sua singolare peculiarità: l'importanza, vale a dire, che in una religione assumono i fattori legati alla sensibilità o alla memoria assai più che alla ragione, le feste, le tradizioni, le leggende, i culti, la valutazione degli elementi sen­ sibili esclusa da una religione rigidamente razionale, la contrap­ posizione della religione « popolare » greca, come modello di tutto ciò che è grande, bello, nobile e libero, alla religione cri­ stiana. Finanche la terminologia, è stato notato dal Peperzak, in questo frammento come in quello che segue, « cede di nuovo il posto al vocabolario lirico, per celebrare i sentimenti santi, no­ bili, virtuosi, le passioni sublimi, la bellezza e la grandezza, il cuore, la gioia, ìl coraggio e il libero godimento » 1 6 • Ma soprat­ tutto quello che più strettamente sembra legare questo fram­ mento al frammento tubinghese e distinguerlo da tutte le scrit­ ture di Berna è il fatto che la condanna del cristianesimo che vi si pronuncia non pare procedere dal fatto che la religione cri­ stiana si dimostri in contrasto con i fondamenti della pura ra­ gion pratica, bensì da quello che, a prima vista, sembrava essere il criterio di fondo del frammento tubinghese, dal fatto cioè che 16

A. PEPERZAK, op. cit. , pag. 88.

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il cristianesimo appare come inadeguato alle esigenze di una re­ ligione « popolare >>. L' argomentazione principale mira infatti a mettere in luce che il cristianesimo non può essere una religione popolare, o me­ glio una religione nazionale, in particolare non può essere una religione nazionale germanica. Come ogni altro popolo, argo­ menta lo Hegel, anche il popolo germanico ha avuto la sua m ito­ logia nazionale, i suoi « dèi, angeli, diavoli o santi » , i suoi eroi; ma questi, diversamente da come accade in altri popoli ben altri­ menti radicali nella propria tradizione, non vivono più nella fan­ tasia dei tedeschi, non sono più legati alle istituzioni nazionali, non animano più le loro pubbliche feste o i loro giochi: ne è causa il cristianesimo che « ha spopolato il W alhalla, ha distrutto i boschi sacri, ha estirpato i miti del popolo come scandalosa su­ perstizione ». L'unico avvenimento veramente eroico e popolare dei tedeschi, la riforma e il diritto a farla conquistato con il san­ gue, vive Solo nella noiosa lettura annuale della confessione au­ gustana, « quasi che le autorità religiose e civili vedano volentieri sfumare in noi, non conservarsi vivo, il ricordo del senso che i nostri antenati ebbero di questo diritto, il ricordo del sacrificio della vita che a migliaia essi fecero per rivendicar lo ». Nessuna meraviglia perciò se fra la gente comune tedesca circolano solo, come poveri e tristi residui di mitologia nazionale, le storie di spettri e di streghe « estirpar le quali è considerato generalmente come dovere di tutta la classe illuminata della nazione » 17• In questa assenza di tradizione nazionale, continua lo Hegel, la classe colta si è rivolta, col diffondersi del gusto neoclassico, alla mitologia greca, contro la quale si leva tuttavia il grido dei cri­ stiani che con Klopstock obbiettano: « È forse l' Acaia la patria dei teutoni? ». Ma che cosa propongono essi in alternativa? Solo « i miti di un popolo, il cui clima, legislazione, cultura, interessi, sono a noi estranei, la cui storia non ha alcun legame con noi )), la storia biblica insomma, il cristianesimo, che non può trovare immediata risonanza nella fantasia tedesca, sì che a quanti rim· proverano il ricorso alla mitologia greca si potrebbe contrap· pprre: « È dunque la Giudea la patria dei teutoni? ». In verità, conclude lo Hegel, la fantasia popolare lega le sue rappresenta­ zioni a certi luoghi familiari, e la conoscenza del luogo è di so· 1 -;

Pagg. 2 1 4-2 1 6.

LA POSITIVITA DELLA RELIGIONE CRISTIANA

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lito per il popolo una prova in più, se non la più sicura, che la storia che di esso si racconta è vera; ma « quel che nei nostri li· bri sacri è propriamente storia ... è così estraneo ai nostri co· muni, alla nostra costituzione civile, allo sviluppo delle nostre fa· coltà fisiche e spirituali, che non vi è quasi nessun punto che ci tocchi da vicino » 18• Fin qui il contenuto del frammento, che potrebbe suggerire in verità vari motivi di riflessione: dalla velata ammissione che il ricorso neoclassico alla mitologia greca (di cui, si ricordi, Hegel ha fatto largo uso soprattutto a Tubinga) è solo un espediente imposto dalla « miseria » dei tempi, alla scoperta polemica contro il razionalismo illuministico che, limitandosi a denunciare la su­ perstiziosità delle credenze popolari sui fantasmi e sulle streghe, ha tolto definitivamente « la possibilità di nobilitare quel residuo di mitologia e con esso il modo di sentire della fantasia popo­ lare »; ma il rriotivo centrale di riflessione è necessariamente con­ nesso con l' argomentazione di fondo del frammento, con la di­ chiarazione cioè che il cristianesimo non può essere una reli­ gione popolare o, meglio ancora, una religione nazionale germa­ nica. Sembra in verità che qui torni in primo piano il criterio di valutazione del cristianesimo già usato nel frammento tubin­ ghese, e che abbia perciò ben ragione lo Haering a notare che il « pensiero fondamentale » dello H egei è sempre stato quello della « religione popolare » , mentre tutto il resto della scrittura ber­ nese, con il suo kantismo e con la sua valutazione del cristiane­ simo condotta col criterio della pura religione razionale, è solo parentetico 19• Tanto più acuto poi appare il contrasto di questo fram­ mento con gli altri scritti bernesi, se di questi si prende in parti­ colare la seconda parte della stesura originaria della Positività della religione cristiana con la sua argomentazione di una neces­ sità di riconducimento della religione alla privata soggettività dell' opinione individuale. Qui, in questo frammento aggiuntivo come nel frammento tubinghese, la religione non è presentata come un fatto privato, ma pubblico, anzi nazionale, e solo in

18 19

Pa gg . 2 1 7-2 1 8 .

Cfr. TH. HAERINC, Hegel sein Wollen und sein Werk, Leipzig

pa gg. 249-25 1 .

1 929, I ,

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224

quanto nazionale è valutata positivamente ai fini dell' affermarsi della libertà civica e statuale. Eppure, a ben guardare e tenendo conto che il frammento è con ogni probabilità lacunoso, la distanza di esso dalle altre scritture bernesi e la parentela esclusiva con il frammento di Tu­ binga (che supporrebbe poi un contrasto in verità inesistente tra quest' ultimo e quelle) non sono così nette come potrebbe sem­ brare a prima vista, anzi non sussistono affatto, come del resto non sussiste soluzione di continuità tra il primo e gli altri fram­ menti di Religione popolare e cristianesimo. Si legga attenta­ mente infatti la conclusione del frammento in cui si contiene, ov­ viamente, il suo più. profondo significato e che, nella presenta­ zione riassuntiva che se ne è data, è stata di proposito trascu­ rata. Il contenuto della storia sacra, ha fin qui argomentato lo Hegel, è estraneo al popolo tedesco e non può essere in nessun modo oggetto di una religione nazionale; ma, si aggiunge ora, qual è la motivazione di fondo di una tale impossibilità? « I greci avevano le loro saghe religiose quasi esclusivamente per avere dèi a cui poter dedicare la loro gratitudine, costruire altari e of.. frire sacrifici; a noi invece la storia sacra deve servire per tante cose e dobbiamo impararvi a vedere tante cose dal punto di vista morale. Ma un sano giudizio morale che si accosta ad essa con questo proposito, nella maggior parte delle storie la morale è spesso costretta a mettercela prima ancora di avercela potuta trovare; e in molti casi incontra diffi coltà ad accordare le storie con i suoi principi» 20• Dunque la motivazione dell'impossibilità del cristianesimo a presentarsi come religione popolare risiede nell'essere esso stesso in contrasto con le esigenze della moralità: siamo qui di fronte, è evidente, proprio a quel motivo di passag­ gio del frammento tubinghese alle scritture di Berna, a quel mo­ tivo che costituisce l'unità di tutta la scrittura hegeliana fin qui seguita. H e gel. procede bensì (lo si deve concedere allo Haering) sempre nel suo unico « pensiero fondamentale », ma (diversa· mente da quanto lo Haering ha creduto) questo è pur sempre il pensiero kantiano della religione « entro i limiti della pura ra­ gione » , il pensiero della religione ridotta a moralità. Solo la pura religione razionale come religione della libertà è suscettiva di divenire religione popolare, non il cristianesimo che è, nella 20

Pa g. 2 1 9. Il corsivo è mio.

LA POS ITIVITA DELLA R ELIGIONE CRISTIANA

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sua origine come nella sua storia, inevitabilmente positivo, e che perciò non serve allo stato, anzi allo stato e alla sua libertà è di necessità contrario. Il vantaggio che esso ha apportato è solo per il dispotismo, cioè per la negazione dello stato, appunto come si dice in una delle pagine finali della stesura originaria della Posi· tività, con la quale quindi il frammento aggiuntivo qui esaminato è in piena continuità. ... * *

Dopo quanto si è tentato di dire sulla collocazione del primo frammento aggiuntivo nel contesto della scrittura hege­ liana, dovrebbe risultare improblematica l'argomentazione della Distinzione tra la religione greca di fantasia e la religione cri­ stiana che a questo frammento fa immediato seguito. Come in­ fatti questo si richiama al frammento di Tubinga, la Distinzione si richiama evidentemente all'ultimo frammento di Religione po­ polare e cristianesimo, come del resto aveva già notato il Nohl nel pubblicarlo. Sembra inoltre indubitabile la sua derivazione e dipendenza d�lla Storia del declino e caduta dell 'impero romano del Gibbon, e particolarmente dal suo 1 5 ° capitolo. Al pari infatti dell'ultimo frammento di Religione popolare e cristianesimo, questa Distinzione si presenta come l' abbozzo di una filosofia della storia, dell'ultima parte della quale, tuttavia, quella che doveva trattare della fine del cristianesimo al mo­ mento in cui « l' umanità è di nuovo in grado di avere idee », la perdita delle ultime pagine manoscritte ci priva; e non è azzar­ dato pensare che proprio queste ultime pagine avrebbero potuto essere le più interessanti a chiarire il problema del rapporto di Hegel con l' illuminismo e col kantismo in particolare. Nelle pa­ gine che ce ne restano, così, la tematica della Distinzione si li­ mita a lumeggiare il passaggio dalla grecità all'età cristiana, ove, proprio come avveniva nel frammento su ricordato, le condizioni politiche sembrano essere decisive per la caduta della libera reli­ gione greca e per il subentrare ad essa della positiva religione cristiana: per quanto infatti Hegel dichiari che una rivoluzione come quella che ha visto « il soppiantamento della religione pa­ gana da parte della religione cristiana » deve fondarsi su una tra­ sformazione « intima e silenziosa dello spirito dell'epoca » , allor­ ché poi procede ad esplicare questa trasformazione « intima e si-

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SCRITTI TEOLOGICI GIOVANILI

lenziosa » non sa motivarla altrimenti che con ragioni politiche: le guerre vittoriose, l' accrescimento della ricchezza, la divisione delle classi sociali, il formarsi di un'aristocrazia del censo, il con­ seguente dispotismo. Allo stesso modo in cui il paganesimo greco e romano appare in questa Distinzione come la religione della li­ bertà, il cristianesimo, qui come nel frammento 5 di Religione popolare e cristianesimo, anche nelle sue dottrine più nobili, come quella del perdono o del non spargimento di sangue, ap­ pare come la religione dei tempi di scissione tra dispotismo e schiavitù. Né, a proposito del cristianesimo, viene operata alcuna distinzione tra la sua originarietà evangelica e la sua storia po­ steriore; il che può certo apparire « singolare » a chi 21 ha creduto di vedere operante questa distinzione nella precedente scrittura hegeliana e in particolare nella Vita di Gesù o a chi, come il Ro­ senkranz, ha parlato di un « crescente amore » dello H e gel per Gesù parallelo ad una crescente