Scritti teologici etiopici dei secoli XVI-XVII. La storia dei Quattro Concili ed altri opuscoli monofisiti [Vol. 2]
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E TESTI 204

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ENRICO CERULLI

SCRITTI TEOLOGICI ETIOPICI DEI SECOLI XVI-XVII La Storia d e i Q u a ttro C o n c ili ed altri opuscoli monofisiti

CITTÀ DEI/ VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA

I960

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STUDI ----------

E TESTI 204

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ENRICO CERULLI

SCRITTI TEOLOGICI ETIOPICI DEI SECOLI XVI-XVII II

La Storia d ei Q u attro C o n c ili ed altri opuscoli monofisiti

CITTÀ

d e i , v a t ic a n o

B IB L IO T E C A A P O STO LIC A V A T IC A N A

1960

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IM P R IM A T U R

f Fr. P etrus Canisius van L ierd e Vicarius Gen.lis

Vicariatu Civit. Vaticanae

die 18 februarii 1960

Ristampa anastatica Tipo-Litografia Dini s.n.c. - Modena 1996

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INTRODUZIONE

Quando iniziai, due anni or sono, la pubblicazione di questa rac­ colta, mi parve opportuno premettere i tre opuscoli sin allora inediti, i quali espongono la dottrina di quella singolare setta gnostica attardata che si è rivelata essere l’eresia dei Mikaeliti. Con questo secondo volume, invéce^ passiamo nel campo della Chiesa Etiòpica (monofisita) e delle sué discussioni teologiche particolarmente in tema di cristologia e quindi del Concilio di Calcedonia. Sono quattro opuscoli; e di essi soltanto il primo è giunto a noi in parecchi manoscritti. Gli altri tre, invece, si hanno tutti in codici unici. Ciò non deve certo méravigliàre, se si tiene conto dèi fatto che nel lungo periodo di interruzione dei contatti tra l’Etiopia e l’Europa, dalla partenza dei Missionari nel Ì632 sino al viaggio di Antoine e AmaUd d’Abbadie ed all’arrivo delle missioni De Jacobis e Massaja, per più di due secoli veniva a mancare la ragione stessa di continuare a far co­ piare negli scriptoria dei monasteri etiopici gli opuscoli relativi a quelle discussioni. I quattro opuscoli sono qui editi secondo il loro ordine cronolo­ gico. Per tre, almeno, di essi tale datazione può dirsi sicura. Il primo, infatti, il ‘ Tesoro della Fede ’ (che, per com odità delle bibliografie, ho indicato nel titolo come ‘ Storia dei Quattro Concili’), riferisce le discus­ sioni avvenute durante il regno del negus Claudio (*). Poiché Claudio fu ucciso in battaglia il 22 marzo 1559 ed il P. Gonzalo Rodriguez nella sua missione preparatoria giunse in Etiopia nel 1555 (e propriamente al campo del negus Claudio il 17 maggio di quell’anno) (2), mentre i Missionari condotti dal P. Andrea d’Oviedo arrivarono nel 1557, la composizione dell’opuscolo, quale qui è edito, va ricondotta entro ristretti lim iti: tra il 1555 ed il 1559. La data del 1559 come terminus (!) Cfr. appresso p. 89. Il ‘ Patriarca Gabriele, della Cattedra di S. Marco ’ , cui si fa riferimento nel passo citato (ib . p. 89), è Gabriele V II, Patriarca copto di Alessandria dal 1526 al 1569. (a) Rerum Aethiopicarum Scriptores Occidentales Inediti, ed. C. Beccari, vol. I l i , p. 27.

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IV

Introduzione

ante quem è sicura, perchè l’autore dell’opuscolo, se avesse scritto dopo la fine gloriosa di Claudio caduto in battaglia contro i Musulmani dell’Emiro Nür ibn Mugàhid e considerato santo martire in Etiopia, non avrebbe certo mancato di dare al Sovrano questo epiteto di venera­ zione che gli spettava; e ciò specialmente in un’opera di carattere stret­ tamente religioso i1). Il secondo opuscolo ‘ Consolazione dell’anima ’ è databile — e lo vedremo meglio a suo luogo — dal regno del negus Za-Dengel (settem­ bre 1603-ottobre 1604). I/ed itto contro la celebrazione del sabato è, infatti, di quel giovane Sovrano, poi tragicamente perito (a). E’ autore di questo opuscolo, che ha il titolo di ' Consolazione dell’anima ’ , è un ecclesiastico etiopico dimorante in Egitto, di nome Newaya Masqal. Eo ' Specchio dell’Intelligenza ’, terzo opuscolo di questa serie, reca nel suo testo la data di composizione: il 1614 etiopico, che corrisponde al 1621-1622 d. Cr. Non vi è perciò, in questo caso, alcun ragionevole dubbio sulla cronologia. Più difficile, invece, è l’assegnare una data precisa alle ‘ Dieci Questioni ’ , quarto opuscolo. Ma è possibile che i riferimenti agli argo­ menti delle discussioni sulla questione delle Due Nature con i Missionari valgano a giustificare una data non lontana da quella del terzo opuscolo, anche perchè il carattere popolareggiante delle ‘ Dieci Questioni’ , desti­ nate — come vedremo — non tanto all’ alto clero quanto a dare m otivi ed elementi alla propaganda presso il popolo, accenna piuttosto ad un secondo periodo dell’opera dei Missionari, quando appunto l’apostolato e le discussioni si andavano spostando dalla Corte del Negus e dai grandi personaggi ai ceti minori. f1) Si può dubitare se la discussione riferita in questa ' Storia dei Quattro Concili ’ vada piuttosto riportata alla missione del P. Rodriguez, il quale aveva anche com pilato a sua volta un opuscolo, tradotto poi a sua cura in etiopico, sulle verità della fede e particolarmente sul Concilio di Calcedonia (Rerum Aethio­ picarum Scriptores, d t., vol. I l i , p. 28-29); oppure alla successiva missione d d P. Andrea d ’Oviedo. Questa seconda ipotesi sembrami più verisimile, almeno comparando il passaggio d d nostro documento etiopico (vedi appresso, p. 89, dove ‘ i dotti ecdesiastid ’ etiopid parlano innanzi al Negus Claudio) con la testim onianza d d P. Antonio Fernandez: « Como as controversias sobre as causas da fe se começaram entre d ie (scilicet o Emperador) e o Bispo, lhe rogou o Bispo quisese ouvir corn seus letrados, e elle o fez assi, e em sua pre­ se n ta ouve m uytas veces disputas, e todos seus letrados diante dd le paredam boçaes» (Rerum Aethiopicarum Scriptores, d t ., vol. I l l , p. 47). Questo, comunque, restringerebbe ancora la datazione dell'opuscolo tra il 1557 ed il 1559. (*) Cfr. appresso p. 125, nota 2.

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Introduzione

V

* * * : Ua ‘ Storia dei Quattro Concili primo opuscolo, è formato di due parti distinti: la prima è un breve riassunto scolastico dei quattro con­ cili (Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia), secondo la tradizione della Chiesa Monofisita di Alessandria (e di Etiopia). Questo riassunto è stato probabilmente tradotto dall’arabo oppure compilato su fonti arabe. Da seconda parte, invece, divisa in cinque capitoli ed inserita dopo il riassunto del Concilio di Caledonia, è originale etiopica e consiste nella prima risposta della Chiesa Etiopica alle obbiezioni contro la sua dottrina, mossse dai Missionari nella discussione, di cui si è detto, in­ nanzi al negus Claudio. Come ho fatto nel primo volume, riassumo qui brevemente le ob­ biezioni e le risposte, per com odità del lettore: Prima obbiezione (l). Nei due passi di S. Giovanni ‘ Pater maior me est ’ (2) e ‘ Ego et Pater unum sumus ’ (3) come si può non ammettere le due nature in Cristo, sola distinzione che evita l’apparente contraddizione? Risponde il nostro autore monofisita: Gesù, secondo la parola di S. Pietro, fu ' mortificatus quidem carne, vivificatus autem spiritu ’ . Noi monofisiti ‘ non diciamo che la Carne soltanto ha sofferto non ammettendo noi che la Divinità sia rimasta estranea ed assente dalla sofferenza ’ dopo l’Unione, o meglio Unificazione delle Nature. M a-appunto, perciò, Gesù disse: ‘ Pater maior me e s t’ , in quanto il Padre, pur consustanziale al Verbo, non essendosi incarnato non ha sofferto nè dolore nè morte. In questo senso anche S. Giovanni disse nella sua prima epistola: ‘ Quod fuit ab initio, quod audivimus, quod vidimus oculis nostris, quod perspeximus et manus nostrae contrecta­ verunt de Verbo vitae ’ (4) . Chi è Colui che fu ‘ ab initio ’ se non il Verbo nella Sua Divinità? ‘ Eppure Giovanni ci attesta che lo ha toc­ cato con la sua mano e visto con i suoi occhi ’ ; dunque a prova — secondo l’ autore monofisita — dell’Unità delle Due Nature. Seconda obbiezione (6). Con l’asserzione delle Due Nature è colle­ gata, nelle dichiarazioni dei Missionari, la refutazione della dottrina (!) p. 80-87.

(2) J o h . X I V , 28. Cfr. nel primo volume di questa nostra raccolta p. 283285, dove viene discusso lo stesso passo di S. Giovanni ‘ Pater maior me est '. (3) J o h . X , 30. (4) I J oh . I, 1. (5) p. 87-88.

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Introduzione

VI

monotelita. Il nostro autore monofisita, da parte sua, si confessa se­ guace della ‘ unica volontà ’ in Cristo, perchè all’unica natura corrisponde ’unica volontà e viceversa. Egli ritiene, fra l’altro, essenziale, in pro­ posito, il passo di S. Giovanni: ‘ Descendi de coelo, non ut faciam vo­ luntatem meam, sed voluntatem ejus, qui misit me ’ i1), perchè — egli argomenta — Gesù ‘ ci spiegò così che non aveva una seconda volontà che si contrapponesse alla volontà del Padre Terza obbiezione (a). De teofanie, che la Scrittura ci attesta e nelle quali evidentemente là Trinità od una delle Persone si mostrò nella Sua Divinità, sono ben distinte dalla Incarnazione del Verbo, che è unica: appunto perchè in essa Incarnazione la Seconda Persona della Trinità non si lim itò ad apparire in veste sensibile agli uomini, come era accaduto nelle teofanie, ma assunse la natura umana insieme con quella Sua divina. A tale proposizione dei Missionari l’autore monofisita risponde ar­ gomentando che anzi nelle teofanie si ha la fusione completa della natura divina ultrasènsibile con quella umana, od altrimenti materiale, sensibile . Diversamente diventerebbe difficile spiegare il miracolo della Pentecoste, dove lo Spirito Santo apparve come lingua di fuoco, od il [prodigio del roveto ardente, dove ‘ il fuòco di Mosè è Dio in verità e non già una immagine ’ . Quarta obbiezione (3). Alla affermazione del primato di giurisdizione della Cattedra di S. Pietro l’autore monofisita risponde che il passo ‘ super hanc petram aedificabo ecclesiam meam ' (4*) andrebbe interpre­ tato come riferentesi all’unità della Chiesa erede della tradizione apo­ stolica rappresentata dal Principe degli Apostoli, senza che da tale unità vada separata — come egli sembra credere — una singola Chiesa privilegiata cui attribuire un primato (6). Quinta obbiezione (e). E quella che ha una più diffusa trattazione nel nostro opuscolo ed ancora una volta si riferisce al traducianesimo, quale esso è accolto nella Chiesa Etiopica. Tre argomenti contro il (1) (2) (*) (4) (6)

J o h . V I, 38. p. 89-91. p. 91-92. M a t t . X V i, 18. Cfr. analoga discussione del prim ato di S. Pietro nel mio art. ' I l Mistero

della Trinità ’ . Manuale di teologia della Chiesa monofisita tradotto dall’amarico, in Orientalia Christiana Periodica, X I I , 1946, p. 104-110. (*) p. 92-98.

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Introduzione

V II

traduciamesimo usati dai Missionari sono avversati dal nostro autore monofisita. Il primo era questo: Vi è certo unicità di natura delle anime: tutte hanno natura spirituale sovrasensibile, ed unicità di esistenza: eterna. Ma l’ anima è individuale, pur coincidendo nella sua natura con le altre anime. Pertanto l’uguaglianza di natura non va confusa con l’ am­ missione di una sostanza unica spirituale creata una volta tanto e dalla quale le singole anime sono successivamente, trasmesse per eredità. A ciò risponde il nostro autore: prima con l’argomento tratto dal passo del G e n e s i ‘ requievit [Deus] die septimo ab: universo opere quod .patrarat ’ (l) : questo escluderebbe l’atto creativo che viene invece richiesto dalla creazione volta per volta, alla nascita çü ogni uomo, della sua anima. D’anima umana fu creata, invece, secondo il nostro autore monofisita, un’unica volta dal Signore quando soffiò sul volto di Adamo al mo­ mento della creazione del primo uomo e ‘ noi tutti abbiamo tolto corpo ed anima dal corpo e dall’anima di Adamo ’ . Il secondo argomento dei Missionari, secondo quanto riferisce il nostro autore, era incidentale. Adamo, nel passo del Genesi, disse di Èva: ‘ os ex ossibus meis et caro de carne mea ’ .(2). Nessun cenno, dunque, alla presunta derivazione dell’anima di Èva da quella di Adamo. Ma l’autore monofisita risponde citando altri passi biblici nei quali ovvia­ mente l’enumerazione delle parti dell’individuo non è completa, e dove pure figurativamente, attraverso l’una Ò l’altra metafora, si allude al­ l’individuo com pleto di corpo ed, anima­ l i terzo argomento attribuito qui ai Missionari è quello della im­ possibilità che gli elementi materiali che producono il corpo dell’infante possano anche generare l’anima immateriale. Il nostro autore replica con l'esem pio dei due legnetti secchi che strofinati l’uno contro l’ altro produ­ cono la scintilla e cioè il fuoco; elementi) che era invisibile sino allora e che pure era in essi anche se non manifestabile senza il loro congiungimento. Aggiungerò che, in questa discussione sul tradudanesimo, l’autore afferma ancora energicamente la applicazione di tale proposizióne a Gesù il quale, ' Figlio del Padre, prese la Carne e l’Anima compietamente dalla Vergine Nostra Signora Maria che era figlia di Adamo ’ , ricevendo così anche egli l’anima che il Signore aveva creato col Suo soffio in Adamo (8). (!) g e n . II, 2 . (2) GEN. 11, 23 .

,

(3) Cfr. vol. I, p. x x -x x i e p. 292-293, dove anche viene spiegata con argo­ mentazione un po’ diversa la dottrina del traducianesimo accolta in Etiopia.

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Introduzione

Alla fine dell’opuscolo sui Quattro Concili si legge un riassunto mnemonico, chiaramente scolastico, sulle principali eresie, e due note: ima sulla cronologia dei Concili ed una sulla esenzione concessa a Gesù e Maria dalle miserie della carne. * * * A differenza degli altri opuscoli, i quali sono conservati soltanto in manoscritti unici, questo primo opuscolo (‘ Tesoro della Fede ' o ' Storia dei Quattro Concili ’) si legge in cinque codici dei quali I lo tenuto conto nella mia edizione: a) un manoscritto della mia collezione, del secolo X V II. Questo è stato fondamentale per la mia edizione. b) il codice di Parigi Bibliothèque Nationale Éthiopien 323, del secolo X IX (J). c) il codice del British Museum Or. 565 (== Wright 165), che il W right riteneva ‘ of the latter part of the X V Ith cent.’ (*). d) il codice del British Museum Or. 745 ( = Wright 327), del secolo X V III (8). e) il codice del British Museum Or. 797 (== Wright 363), che £t Wright giudicava un p o’ più tardo della prima parte del secolo X V III (4) : Be varianti di questi manoscritti sono date a seguito del testo. Èsse sono tutte di redazione o di scrittura. Questo è storicamente in­ teressante perchè conferma l’unità del testo nella sua trasmissione. %%H ì H secondo opuscolo (‘ Consolazione dell’anima ’) è una lettera aperta che Newàya Masqal, ecclesiastico etiopico dimorante in Egitto, scrive al Sovrano del suo paese. Essa ci è conservato nel codice parigino Bi­ bliothèque Nationale Éthiopien 119, dove è scritta dopo i tre opuscoli Mikaeliti da noi editi nel primo volume di questa raccolta (6). Si tratta, (!) Cfr. S. Gr Ébau T, Catalogue des manuscrits éthiopiens de la collection Griaule, I , Parigi 1938, p. 105-110. (2) W . W RIGH T, Catalogue of the Ethiopie Manuscripts in the British Museum,

landra

1877, p. 111. (®) W . W rtght, op. cit., p. 219. (4) W . WRrGHT, op. cit., p. 277. (8) Cfr. quanto ho dettò circa tale codice nel prim o volum e di questa rac­

colta, p. VII-IX.

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Introduzione

IX

dunque, del codice portato a Parigi dal noto Saga Krestos e passato poi nella biblioteca di Colbert e di là alla Nationale. Nella sua lettera, Newaya Masqal, nelTinvitare il Sovrano etiopico (identificabile, come ho già detto, col negus Za-Dengel) a mantenere la dottrina monofisita, discute le obbiezioni mosse a tale dottrina dai Missionari. Eccone un riassunto: Prima obbiezione. Gesù, domandando di Lazzaro a Marta e Maria: ‘ Ubi posuistis eum? ’ (*), manifestò la sua natura umana coesistente con la divina in Lui. Se la natura umana si fosse unificata totalmente con la divina, non avrebbe avuto ragione di chiedere quel che per divino intuito avrebbe saputo. Ma, risponde il nostro autore monofisita, Gesù aveva detto prima, quando era ancora in Galilea: ' Lazarus mortuus est ’ (*). La domanda ' Ubi posuistis eum ’ ? fu atto di umiltà e nello stesso tempo Egli volle evitare un’ulteriore possibile accusa dei Giudei di conoscere per arte magica il sepolcro di Lazzaro. Seconda obbiezione. La nascita di Gesù dalla Vergine, la Trasfigura­ zione e la Resurrezione sono prove della Sua natura divina. Ma i pro­ digi da soli non possono provare l’annullamento in Cristo della natura umana, perchè prodigi furono compiuti anche, ad esempio, da Mosè o dall’Apostolo Pietro, che pur ebbero al contrario soltanto la natura umana. A tale obbiezione dei Missionari risponde Newaya Masqal che Mosè e Pietro non compirono prodigi per loro propria taumaturgia, ma i prodigi furono compiuti dal Signore per loro mano; mentre Gesù agiva per la Sua Divinità. Così lo splendore del volto di Mosè alla sua discesa dal Sinai non era che un riflesso attenuato dello splendore divino, e poca veste bastava a coprirlo quando egli parlava agli Israeliti; mentre alla Trasfigurazione di Gesù ‘ resplenduit facies eius sicut sol ’, essendo Egli il creatore del sole. Terza obbiezione. Il passo di S. Paolo (I Cor . X V , 28): ' ipse Filius subiectus erit ei, qui subiecit sibi om nia’ (s), non sembra spiegabile con la dottrina monofisita (4). (1) J o h . X I , 34. (1 2) J o h . X I , 14. (») I Co r . X V , 28. (4) Cfr. vol. I (di questa raccolta), p. x v iii e 220-221, dove la stessa ob­ biezione è discussa, ina con argomenti soltanto di interpretazione lessicale.

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Introduzione

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H nostro autore spiega invece il passo paolino riferendolo all’ atto di umiltà compiuto dal Figlio quando volontariamente accettò Tlncarnazione ed a quello che compirà quando accetterà ‘ la Sua venuta no­ vissima ’ alla fine dei tempi. Elenca poi dal Vangelo i passi, nei quali il Padre glorifica il Figlio e quello: ‘ E t mea omnia tua sunt et tua mea sunt et clarificatus sum in eis ’ (*), passi che, letteralmente interpretati, possono addirittura far credere ad atti di subordinazione del Padre verso il Verbo; ed, invece, come il passo di S. Paolo cui si vuol dare il valore contrario di subordinazione del Verbo al Padre, vanno rettamente interpretati entro il dogma ' dell’unione e parità ’ delle Tre Persone. Quarta obbiezione. Gesù disse sulla Croce: ' Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? ’ (2). Tali parole appaiono prova della coesi­ stenza dell’umana natura in Eu i (3). Newàya Masqal risponde citando prima il passo della I Epistola a Tim oteo dove S. Paolo chiama il Cristo ‘ beatus et solus potens, Rèx regum et Dominus dominantium ’ e poi gli altri corrispondenti passi della Scrittura che (ovviamente) dichiarano la natura divina del Verbo Incarnato. Quinta obbiezione. Negata poi la distinzione in Cristo delle opere della Sua umanità dalle opere della Sua Divinità, il nostro autore ri­ sponde ad una ulteriore obbiezione dei Missionari; e cioè all’allusione che alla natura umana di Gesù è riscontrabile nel passo di S. Matteo sul giorno del Giudizio: ‘ De die autem illa et hora nemo scit, neque angeli coelorum, nisi solus Pater ’ (4) . A questa interpretazione Newâya Çrestos oppone principalmente il passo dello stesso Evangelo: ‘ Omnia mihi tradita sunt a Patre meo, et nemo novit Filium nisi Pater; neque Patrem quis novit nisi Filius ’ (5), passo che perciò esclude che la data conosciuta dal Padre sia ignota al Figlio. È necessario qui notare che l’obbiezione dei Missionari era più fòrte se riferita al testo del Vangelo di S. Matteo come è ricevuto in Etiòpia, dove in questo passo dopo il ‘ neque angeli coelorum ’ (et. wa-4-malffekta samày) si legge l’ aggiunta ' neque Filius ’ (et. w a -i(!) (2) (s) (4)

J o h . X V I I , 10. M a t t . X X V l l , 46. Cfr. per analoga discussione, vol. I , p. 289-292. M at t . X X I V , 36. (B) M a t t . X I , 27.

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Introduzione

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wold) (*). Questo vuol dire anche che nella discussione, cui il nostro Newaya Masqal si richiama, i Missionari erano in grado di utilizzare il testo etiopico della Scrittura. * ❖ * Abbiamo visto come la ‘ Consolazione dell’anima ’ di Newaya Masqal segua, nel codice unico di Parigi, i tre opuscoli dei Mikaeliti editi nel primo volume di questa mia raccolta. Può sorgere il dubbio che anche questa ‘ lettera aperta ’ al Negus sia opera di un Mikael ita; e ciò non solo per la sua inserzione in quel codice, ma per la simiglianza dello stile con quello degli opuscoli Mikaeliti, faticoso stile sovraccarico di figure rettoriche; ed infine, anche per il fatto che Newaya Masqal si presenta come esule in Egitto dove appunto erano esuli anche quelli del piccolo gruppo Mikaelita. Tuttavia è giusto segnalare che nella ‘ lettera aperta ’, a quanto sembra, non si riscontra alcun accenno alla dottrina dei Mikae­ liti, ma viene difesa soltanto la dottrina monofisita accolta dalla Chiesa Etiopica. Se quindi anche Newaya Masqal era Mikaelita, egli in questo suo scritto ha celato la sua particolare credenza, limitando ancor più la tattica già sperimentata nei tre opuscoli Mikaeliti, che precedono nel codice la sua ‘ Consolazione dell'anim a’ , alla collaborazione con la Chiesa Etiopica nella discussione con i Missionari sulle Due Nature. D ’ altronde non cJera da attendersi una più esplicita presa di posizione in una ‘ lettera, aperta ’ indirizzata al Sovrano etiopico, i cui prede­ cessori tradizionalmente si erano fieramente opposti all’eresia Mikaelita. ■



* * *

Questa ‘ lettera aperta ’ , che l’autore intitola ' Consolazione del­ l’anim a’, è anche il solo tra gli scritti di questa raccolta che sia stato già edito: da J. Dudolf nel Commentarius ad suam Historiam Aethio­ picam, pubblicata a Francoforte nel 1691. Il Eudolf aveva copiato il testo dal codice unico, di cui ho detto, che gli fu mostrato a Parigi nella Biblioteca di Colbert nel 1683 da Étienne Baluze, il noto erudito e bibliotecario. Sarebbe troppo facile ed ingeneroso gioco il voler qui sottolineare, quasi tre secoli dopo, come il nostro documento, considerato ed apprezzato non più isolatamente come allora poteva farsi, ma nel complesso dei numerosi scritti della discussione cristológica avutasi in fi) Wangél Qeddus, Addis Abeba 1916 etiop. [1923-1924], p. 169.

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Introduzione

Etiopia, non meriti affatto il giudizio negativo (*) che ne diede ai suoi tempi il Uudolf. * * * Il terzo opuscolo, che qui pubblichiamo, lo ‘ Specchio dell’intel­ ligenza ’ , ha davvero una particolare importanza. Anzitutto per la sua data, che è sicuramente indicata nel testo stesso: il 1621-1622. Siamo quindi nel pieno periodo dell’Unione dell’Etiopia con la Chiesa Cattolica e quando da anni ormai il negus Susneyos aveva riposto la sua motivata fiducia nel P. Paez, il quale poi doveva appunto morire allora il 20 mag­ gio 1622. Storicamente ha quindi un indubbio significato la redazione pro­ prio in quel periodo da parte degli Etiopi monofisiti di un’opera di discus­ sione della dottrina che pubblicamente il Sovrano etiopico aveva accettato. Tale valore è poi ancora maggiore, se si considera che lo ' Specchio dell’intelligenza ’ è opera di persona certamente assai esperta della teologia dei Monofisiti; si che forse questo opuscolo è la più sottile esposizione di quella dottrina tra i vari documenti da noi riuniti in questa raccolta. Uà discussione è impostata, secondo un uso corrente, del resto, in Etiopia, senza che l’altra parte venga espressamente de­ signata (' molti si sono levati a parlare’), anche se l’oggetto dell’ar­ gomentazione è la questione delle Due Nature. Ma non mi sembra che soltanto la questione delle Due Nature sia l’oggetto di questo opuscolo. E qui anzi il suo interesse si fa maggiore. Un lungo brano, infatti, espone la dottrina trinitaria della Chiesa Etiopica contro coloro che ‘ hanno detto che le Tre Persone si dipartono da· un’Unica Divinità ’ . Chi sono costoro? Facilmente si riscontra la vec­ chia accusa di quaternarismo che i Monofisiti rivolgono tradizionalmente ai Calcedoniani; e del resto l’ultima sezione del brano accenna esplicita­ mente a tale accusa. Per questa parte, dunque, il nostro autore mira nella sua discussione ai Missionari. Tuttavia, secondo l’uso etiopico del linguaggio coperto (il tipico ‘ cera ed oro ’ , della poesia religiosa dell’E ­ tiopia), un’altra dottrina — se non erro — viene discussa, in soggiacenza, per così dire; ed è quella dei Mikaeliti. I Mikaeliti, infatti, identificando le Tre Persone della Trinità del Cristianesimo con una delle emanazioni successive nella loro teogonia, ne fanno appunto Enti che si ‘ dipartono ’. P) Op. cit., p. 507: ‘ Incondita satis, multisque locis insulsa, qualem phi­ losophandi imperitus dare potest. Nullum enim quaestionis statum format. Adversariorum mentem non clare proponit, responsiones plerumque ironice reddit in tanta causa. Evagatur etiam quoties lubet et digressiones facit ina­ moenas m ultoties extra oleas

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Introduzione

SUI

dall’Essere Supremo. Ora, d’altra parte, per quanto si sia potuto fra­ intendere la dottrina del Concilio di Calcedonia, non appare verisimile che si sia ai Calcedoniani attribuita una qualsiasi interpretazione del Mi­ stero della Trinità che porti a considerare le Tre Persone come ‘ dipartentisi ’ da una Divinità unica. Siamo, dunque, mi pare, nel campo della polemica contro i Mikaeliti. Che tale supposizione sia accettabile è anche provato dal fatto che nello stesso brano il nostro autore dà una netta spiegazione del famoso passo di G e n . I, 26 sulla creazione dell’uomo ad immagine e simiglianza di Dio — spiegazione data anche riunendo i passi della Scrittura tac­ ciati di antropomorfismo (1). Ora, come abbiamo visto nel primo volume di quest’opera, la negazione della dottrina corrente sulla immagine e simiglianza di Dio nell’uomo è appunto uno dei cardini dell’eresia Mikaelita, mentre ovviamente la questione sulla corretta interpretazione di G e n . I, 26 non si poneva tra Monofisiti e Missionari. Abbiamo così ricostruito un èurioso episodio storico: i Mikaeliti, già fieramente perse­ guitati dalla Chiesa Etiopica, avevano abilmente cercato di inserirsi nella discussione tra i Missionari ed i Monofisiti, profittandone per riaffermare anche le loro dottrine. Da Chiesa-Etiopica discute, nel nostro opuscolo, con i Missionari e, come oggi si direbbe, ad alto livello di Cul­ tura teologica; e si limita ad inserire nella discussione un brano, nel quale, mentre si parlerà, come ‘ cera’, delle Due Nature come quaternismo, si respingerà copertamente, come ‘ oro ’, l’eresia Mikaelita sulla Trinità come emanazione e sulla dissimiglianza dell’uomo, creato sulla terra, da Dio. ❖ ❖ ❖ Inoltre in un breve passo in fine all’opuscolo — passo preannun­ ziato, però, all’inizio nella premessa — il nostro testo dà un cenno som­ mario della questione dell’Unzione. È noto come tale questione divise in aspre lotte la Chiesa Etiopica sino alla seconda metà del secolo X IX , attraverso varie vicende. D’inizio della polem ica, che ebbe poi — come è noto — anche sanguinose vicende e si concluse con la spedizione ar­ mata del negus Giovanni IV nel gennaio-febbraio 1878, sembra sia da porre nel secolo X V II; e già Ignazio Guidi aveva formulato l’ipotesi che questa lunga polemica interna della Chiesa Etiopica fosse, in qualche modo, in relazione con l’incremento degli studi teologici, conseguente alle discussioni con i Missionari (2). Ora dai documenti che sin adesso (l) p. 173-175.

(a) I gnazio G u id i , La Chiesa Abissina, in Oriente Moderno, II, 1922, p. 187.

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X IV

Introduzione

ho pubblicato in questa raccolta non risultava che il passo neotesta­ mentario, la cui interpretazione costituì l ’oggetto della polemica del­ l’Unzione (e cioè A c t . A p . X , 38), fosse stato citato nelle discussioni con i Missionari. Tuttavia i nostri documenti rendono probabile che rife­ rimenti a quel passo siano stati fatti nel corso delle contestazioni sul problema della κένωσις, problema centrale — come abbiamo ripetutamente visto in questi due volumi — delle discussioni coi Monofisiti. Questo terzo opuscolo qui edito darebbe ora la prova definitiva che già nel 1622 la questione dell’ Unzione era stata posta. Ed ho detto ‘ da­ rebbe '. perchè non è da escludere che altri possa pensare alla interpola­ zione del passo sull’Unzione nel manoscritto (unico) che d ha conser-. vato il terzo opuscolo. Ma contro l’ipotesi di una interpolazione sta non solo il fatto che il passo (finale) sull’Unzione è richiamato, come ho detto sopra, nella premessa dell’opuscolo, ma ancor più la drcostanza che il codice unico che contiene lo scritto, e d oè il D ’Abbadie 53, è del secolo X V II. Tale fu ritenuto dal Conti Rossini, nel suo catalogo dei mano­ scritti D ’Abbadie (x), particolarmente anche per l’uso del taSdïd arabo ad indicare le consonanti geminate, uso comune a questo codice ed a quello Bodleiano Etiopico 30, scritto alla corte del negus Susenyos (1607-1632). A tale argomento mi pare si aggiunga l’esame paleografico, che sembra escludere che il codice possa essere attribuito al secolo X V III od alla prima metà del X IX , periodi che hanno nella scrittura etiopica caratteristiche proprie che non si trovano nel nostro manoscritto. Per­ tanto è da ritenere verisimilmente dimostrato che già nel 1622 era com indata quella contestazione sull’interpretazione di A c t . A p . X , 38, che doveva poi avere tanta importanza storica in Etiopia. Converrà ora dare qui, come abbiamo fatto per gli altri opuscoli, un brevissimo riassunto preliminare degli argomenti trattati: 1. - Non si può riconoscere in Cristo una opposizione (e quindi una dualità) tra la ' debolezza ’ , che i Calcedoniani assumono rivelatrice della natura umana, e la ‘ potenza ’ che corrisponderebbe alla natura divina. Tale negazione del presunto prindpio che la ‘ potestà ’ è da identificare con la natura divina in Cristo è appoggiata dal nostro autore monofisita con passi della liturgia e dei Padri Greci ed Orientali e, vale la pena di notarlo, con un solo passo biblico (Cot. II, 8-9: «secundum Christum, quia in ipso habitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter»)

(x) C. CONTI R ossini , Notice sur les manuscrits éthiopiens de la collection d’Abbadie, in Journal Asiatique, 1.0» scr., X I X , 1912, p. 562 (p. 16 dell’estratto).

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Introduzione

XV

ed un riferimento generico a Ps. XD VI, 3: «Dom inus . . . . rex ma­ gnus super omnem térrain ». 2. - Incluso nel capitolo, che, come abbiamo accennato sopra, è diretto insieme contro l’emanatismo dei Mikaeliti ed insieme la dot­ trina delle Due Nature — entrambi casi di quaternarismo, secondo il nostro autore monofìsita — è ancora un brano nel quale il passo della Epistola agli Ebrei (IV, 15: «tentatum autem per omnia pro similitu­ dine absque peccato ») è indicato come prova dell’unione delle Due Nature dopo l’Incarnazione. 3. - D’Unione ineffabile delle Due Nature in Cristo fu mistero, all’Annunciazione, anche per la Vergine e l’Arcangelo Gabriele (in tal senso, secondo il nostro autore, va inteso Duc. I, 37: « non erit impossi­ bile apud Deum omne verbum »). Ora l’Unione delle Nature è provata dalla nascita di Gesù (‘ nascita ’ e quindi: natura umana), ma da una Vergine (‘ prodigio’ e quindi: natura divina). Del resto, l’autore af­ ferma l’impossibilità, per absurdum, dell’ ammissione delle Due Nature, che scinderebbero nella vita e nelle opere compiute durante l’Incarnazione il Verbo Incarnato. D’Unità di Cristo appare, all’autore, dichiarata nei due passi evangelici: Matt . X X III, 10 (« magister vester unus est, Christus») e J oh . X , 30 («E go et Pater unum sumus»). Sono poi ci­ tati alcuni passi delle Epistole paoline e della I Petri, che andrebbero interpretati in appoggio della asserita completa fusione della natura umana con la divina. Mentre negli opuscoli precedentemente da me editi si insiste piuttosto negativamente nella refutazione degli argomenti obbiettivi al monofisismo dai Missionari, in questo, invece, l’atteggiamento è piuttosto posi­ tivo e cioè di argomentare a prova della dottrina della Chiesa Etiopica. 4. - D’ultima parte dell’opuscolo concerne — lo ho già detto — il problema dell’Unzione. Da posizione che l'autore del nostro opuscolo prende sulla questione è questa: Associando al passo conteso degli Atti degli Apostoli (X , 38) altri analoghi passi neotestamentari (A c t . A p . II, 22 e IV, 27; Duc. IV , 18; I J o h . II, 20), il nostro autore sostanzialmente definisce l’Unzione — e cioè, secondo lui, la ricezione dello Spirito Santo da parte di Gesù — come un atto di ‘ povertà ’ (anzi la κένωσις per eccellenza). Gesù in quanto Verbo non aveva bisogno di ricevere per l’Unzione lo Spirito Santo a Dui consustanziale; ma volle riceverlo per farsi ' povero ’ come noi Uomini pur essendo ‘ ricco ’ (e qui soccorre la citazione paolina di II Cor . V ili, 9: « propter vos egenus factus est, cum esset dives »).

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XVI

Introduzione

Questa posizione appare anteriore alle formulazioni diverse che i teologi etiopici diedero nei secoli X V II e X V III all’Unzione; e pertanto mi pare che ciò costituisca un argomento in re che rinforza quanto ho detto sopra dal punto di vista esteriore (della paleografia e della dispo­ sizione del testo) circa la contemporaneità di questo passo sull’Unzione con il resto dell’opuscolo. Abbiamo così un dato notevole per la storia della Chiesa Etiopica. $* * Un carattere diverso ed un tono diverso ha, poi, il quarto opu­ scolo (‘ Uè Dieci Questioni ’), che quindi apporta una testimonianza storica di altro tipo. Al contrario delle discussioni teologiche di grado elevato dello ' Specchio dell’intelligenza ’ , con queste ' Dieci Questioni ’ siamo invece nel campo dell’apostolato popolare. Perciò, in un certo senso, le ‘ Dieci Questioni ’ completano bene il quadro generale delle discussioni, dimostrandoci per la loro parte la varietà degli ambienti in cui esse si svolsero e quindi dei m etodi che furono usati. La teologia è qui esposta in forma didascalica elementare; ed il libretto è un dia­ logo tra un discepolo, che pone le ‘ dieci questioni ’ , ed il maestro che gli risponde spiegandogli i problemi così presentati. E qui interviene un altro elemento, storicamente valevole. Ua reda­ zione dell’opuscolo è linguisticamente buona, anzi — direi — specialmente buona per lo scopo dello scrittore di rendere accessibili al popolo alcuni principi della sua fede. Chi scrive è, dunque, un Etiope. Ma, se anche il suo linguaggio non redolet l’arabo direttamente — come avviene per altre opere della letteratura etiopica — a me sembra che da vari indizi si possa dedurre che l’opuscolo è stato modellato, ad uso degli Etiopi, su qualche scritto arabo già redatto ad uso dei Copti in Egitto. E cco quelli che mi appaiono indizi: Anzitutto, il riferimento a credenze tipiche dei Copti e poco o nulla diffuse in Etiopia, come quella dei pe­ ricoli che l'anima del morente deve superare nel suo viaggio dall’ultimo respiro sino al cielo, per l’assalto degli spiriti maligni. Poi l’ordine e la materia delle questioni. Si parte dalla spiegazione dottrinale del mistero della Trinità in relazione a quanto i Musulmani ‘ sospettano e fantasti­ cano ’ (ed i Musulmani sono qui detti in etiopico Ifanâfâwyân·, una volta tanto qui, calco sull’arabo h u n a fà designazione consueta dei Musulmani nell’ arabo cristiano di Egitto). Ed in seguito vengono esaminate le questioni delle preghiere canoniche; del digiuno e dell’elemosina. Non è difficile riconoscere in questi argomenti quello della propedeutica mu­ sulmana: tawhïd (qui pei Cristiani: Unità nella Trinità) ; salât (preghiera) ;

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Introduzione

χνπ

sawm (digiuno); sadaqah (elemosina). Tale calco diventa più evidente ancora in un esame sostanziale: la ‘ questione terza’ sulla preghiera sem­ bra anche essa modellata in confronto delle obbiezioni dei Musulmani; qui in confronto dei minori obblighi dei Cristiani rispetto alle cinque preghiere canoniche dell’IsIàm. Abbiamo così l’indicazione di sette pre­ ghiere, di cui tre sono dette obbligatorie; e, se pure l’IsIàm non è no­ minato, è chiaro il m otivo polemico della precisazione per la preghiera: ' il loro viso sia rivolto dove vtìgliono; chè D io è in ogni luogo ed in ogni direzione’ (e non quindi solo direzione delle M ecca!). Così le prescri­ zioni sul digiuno, che implicano l’obbligo dell’astinenza dal contatto carnale e precisano le abluzioni necessarie per purificarsi dall’impurità dopo il contatto, sono state formulate in relazione alle note norme del diritto musulmano in tale argomento. In conclusione, l’opuscolo ‘ Dieci Questioni ’ si riferisce espressamente ad una coesistenza tra Cristiani Monofisiti e Musulmani; e precisa la posizione della dottrina cristiana nei punti essenziali che i Musulmani stessi hanno a base del loro sistema religioso. Esso quindi appare scritto da un ecclesiastico etiopico che si è ispirato ad un’opera della Chiesa Copta d’Egitto, anche se non l’ha forse direttamente tradotta, o per lo meno ha avuto, in una maniera o nell’altra, la collaborazione di un ecclesiastico Copto. A questa trattazione, nei limiti e nella forma di cui abbiamo ora detto, sono stati aggiunti in fine due capitoli, che invece si riferiscono direttamente alle questioni discusse con i Missionari. Uno è la ‘ questione nona’, nella quale si spiegala interpretazione monofisita di J oh . X X , 17: « ascendo ad Patrem meum et Patrem vestrum, ad Deum meum et Deum vestrum »; mentre la ‘ questione ottava ’ concerne in generale la κένωσις ed è centrata sul passo di M a t t . X X V II, 46: « Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? ». Ora in questo caso noi abbiamo una sicura testimonianza anche da parte occidentale; ed è il passo della lettera del P. Paez in data 2 luglio 1614 al Padre Generale della Com­ pagnia Claudio Acquaviva, nel quale il P. Paez riferisce della discussione svoltasi il 3 ottobre 1613 innanzi al negus Susenyos. Nel corso di tale discussione, il ras Sàhla Krestos, discutendo in favore della dottrina cattolica, disse: « Pues respondedme a lo que dice el sagrado Evangelio, ya que no dais credito a los santos, quando Christo Nuestro Senor tubo miedo en el huerto, corno dice S. Marco, quando rogo que passase del aquel caliz, quando sudo sangre, padecio y murio, q u a n d o d i x o e n l a C r u z : ‘ Dios mio, porque me desemparastes? ’ , y despues a sus discipulos: ‘ V o a m i P a d r e y a v u e s t r o P a d r e ,

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Introduzione

a m i D i o s y a v u e s t r o D i o s ' ; como dixo y padecio todas estas cosas, en quanto liombre o en quanto Dios? » (l). Sono gli stessi argomenti, che abbiamo visto discussi in altre opere di questa raccolta: dal 'tim o r e ' neh’orto di Gethsemani (2) sino appunto al: «quare dereliquisti me? » (3) ed al passo « ad Deum meum et Deum vestrum » (4), In conclusione, è avvenuto per ' De Dieci Questioni ’ quel che abbiamo già notato per la ' Storia dei Concili ’ (o meglio ‘ Tesoro della Fede ’). Dì un compendio scolastico e qui un opuscolo di carattere popolare sono stati completati con la discussione della questione delle Due Nature. Ma vorrei ancora sottobneare un altro aspetto particolare di queste ‘ Dieci Questioni ’ . Nella ‘ prima questione ’, come dirò a suo luogo, è adoperata, a definire la relazione dello Spirito Santo con le altre due Persone della Trinità, una formida non comune: lo Spirito Santo è « procedente (‘ egrediens ’) dal Padre ed assumente (‘ oblator ’ od ‘ ac­ ceptor ’) (“) dal Figbo ». Noi sappiamo che proprio nelle stesse riunioni dell’ ottobre 1613 il P. Paez fu richiesto di parlare con gli ecclesiastici etiopici del problema del Filioque del Credo. Egli fu sorpreso da questa scelta di un nuovo soggetto insobto per le loro discussioni (e), che ov­ viamente vertevano specialmente sulla questione delle Due Nature. Ora un argomento prebminare della conversazione così ingaggiata fu « corno los libros de Ethyopia dicen que el Spiritu Santo procede del Padre y del H ijo ». Tale argomento si appoggiava a passi della nota raccolta patristica usata dalla Chiesa Etiopica, lo Hâymânota Abau (‘ Fides Patrum ’), dal cui testo in alcuni manoscritti, come mostrò il P. Paez, erano allora state raschiate alcune parole che potevano essere interpre­ tate nel senso del Filioque (7). Sembra adesso non sia da escludere il dubbio che il passo, cui la discussione allora si riferiva, contenesse una formula, sulla processione dello Spirito Santo, analoga a quella del nostro opuscolo. (4) Rerum Aethiopicarum Scriptores Occidentales Inediti, ed. C. Beccari, vol. X I , p. 326 (cfr. voi. V i l i , p. 103, dove per altro il Patriarca A . Mendez nella sua Expeditio Aethiopica ha per fonte il documento del P: Paez). (2) Vedi vol. I di quest’opera, p. 273-278. (3) Cfr. vol. I , p. 289-291. (4) Cfr. vol. I , p. 278-283. (5) Cfr. p. 216, nota 1. (*) Rerum Aethiopicarum Scriptores, cit., voi. V i l i , p. 327-330. (7) Per tale questione del testo del ‘ Fides Patrum ’ cfr. il mio art. I ma­ noscritti etiopici della Biblioteca Nazionale di Atene, in Rassegna di Studi Etio­ pici, II, 1942, p. 183-185.

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Introduzione

X IX

L,e ' Dieci Questioni ’ ci sono state conservate in un solo codice: quello della Bibliothèque Nationale di Parigi, D ’Abbadie 122 (= Conti Rossini 35). Il codice è del secolo X V III (*); ma le osservazioni storiche che ho ora esposte rendono indubbio che la composizione dell’opuscolo vada datata dal secolo X V II. Non vi sarebbe più stata ragione nel secolo X V III di discutere ancora le questioni specifiche dei passi neo­ testamentari sulla κένωσις. E, del resto, lo stesso codice contiene anche altri due opuscoli (in amarico) strettamente collegati con le discussioni con i Missionari: opuscoli che possibilmente verranno editi nei succes­ sivi volumi di questa raccolta (2). Compio qui il grato dovere di rinnovare il mio ringraziamento sincero a Sua Eminenza Reverendissima il sig. Cardinale Eugenio Tisserant che ha benevolmente voluto accettare la dedica di questa raccolta. Vada poi la mia espressione riconoscente toto corde a P. Jean Simon S. J., che ha ancora accettato di rivedere le bozze dell’italiano di questo volume. P) C. Co nti R ossini , Notice sur les manuscrits éthiopiens de la collection d'Abbadie, in Journal Asiatique, 10a ser., X X , 1913, p. 35 (p. 62 dell’estratto). (2) Meritano anche particolare attenzione, al di fuori della discussione sulle Due Nature, la ‘ questione decima ’ nella quale il Fiat della Creazione è spiegato con la volontà del Signore di ' mostrare la Sua regalità, la Sua sovra­ nità, il Sup potere, la Sua misericordia, la Sua giustizia, la Sua grazia ’ (p. 325) in quanto, ' se l’artefice è in riposo, non appare la bellezza della sua arte ’ , e la ' questione settim a ’ , sulla Redenzione, concessa dal Signore in quanto la fede senza prove di Abram o, Isacco e Giacobbe si era contrapposta alla certezza senza fede della disobbedienza di Adam o (p. 229-231).

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I. Storia dei quattro Concili

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3. Concilio di Efeso

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I. Storia dei quattro Concili

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4. Concilio di Calcedonia

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Discussione sul Concilio di Calcedonia. Cap. I.

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