Scritti minori di letteratura greca
 8888018433, 9788888018430

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.. ricostrnin:,indagandl.1 in profondità co11spirita aperto alla bellezza e imenio ai piU alti problemi, l'opera dei/ 'autoreantico intesa ,:urnepoe!.ia, o ('Omestoria o comepensiero. (Dwm~o Xl. 19411,fl. 70.,. p. 480)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE Dipartimento di Scienze dell'Antichità

"Leonardo Ferrero" 5.

Scritti minori di letteratura greca di Luigia Achillea Stella

a cura di Ezio Pellizer

Tricstc 2006

4.4

INDICE :OEditn:g .~rl

ViaUgoFoscolo26 3412iTriestc, halia 1el.,Ta"...J9/0401J(121!79

p.

Presentazione (Stefanode Martino) ..••...•.....

VII

e•mail: cdi1reg{!!'lihem.i1

IX

Ricordo di Luigia Achillea Stella (Gino Randelli).. ISBN iss.1nio18-43-3

Premessa (Ezio Pellizer)...............................................................

XV >) XYUI

Nota editoriale (EzioPellizer). Bibliografia di Luigia Achillea Stella ........

xx

Tabulagrawlatoria ................................. ..

» XXVI

lmp1tginivìonc e s.upponi infonnatici Fabio Prenc

ITESTI La letteratura greca nella lomlazionc spiri1ualc dei giovani

(prolusionedi Cagliari.a.a. 1937).............

f: vielala la riproduzione, 11nch,,:p11r.t.111k. effdtualll con qualsiasi meao. compresa anche la fQtOCor•a. a WIO intcm0 o didanioo. scJIZarauwri,nu.irnw :.,;riuadell'.:dilOf'l:.

.............. »

Leggende lebane e preistoria egea ..

13

.............. » F.raclilo. Efesoe l'Oriente..........................................

43

Intornoai nuovi frammentidi Erinna.....

69

L'Atlantide di Platone e la preistoria egea .

81

L'ideale della morte eroica nella Grecia del V secolo....

89

Romanità di Marco Aurelio nei "Colloqui con se stesso" in

linguagreca..........................................

Il volume è slalo stampato con un firtanziamcnto di Ateneo destinato al

99

ErodotoedAtene(I).

123

Erodoto cd Atene (Il)

131

Dipartimentodi Scienzedell'Antichità·•LeonardoFem:ro"

V

De Uxyrhynchio fragmento ascribitur ..

quod Aeschyli

Stefano de Martino

1\-tyrmidonihus p.

157

Euripide lirico (I) ..

165

Euripide lirico (Il e Ili)

199

Arislofane lirico ..

253

Studi simonidei. I. Per la cronologia di Simonide

319

Studi omerici e poesia dell'Iliade ..

337

Della poesia csiodea ..

349

Esiodo poeta georgico?

363

La cronologia della guerra di Troia nelle ultime discussioni storiche~archeologiche ...................... .

377

La leggenda epica troiana in Magna Grecia ... .

31-il

Miti greci dallo Ionio ali' Alto Adriatico ..

391

Elementi micenei nell'Odis!'>ca:il racconto di Ulisse ad Alcinoo ...

401

Strumenti musicalì della lirica greca ..

411

Note archilochee (in margine alle nuove scoperte arcltco!ogiehc).

427

Ugo Foscolo e la poesia ellenica ...

447

Ettore Romagnoli e la filologia ..

479

Ettore Romagnoli umanista nel centenario della sua nascita .....

489

Letteratura greca ìeri I! oggi: metodi e signiiicati ...

501

VI

PRESENTAZIONE

Luigia Achillea Stella ha iniziato la sua attività didattica all'Università di Trieste nel novembre del 1945 come docente dì Letteratura greca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Nei suoi oltre trenta anni di attività la professoressa Stella ha insegnato non solo Letteratura greca, ma anche Storia romana. Storia greca e Storia delle religioni; Ella infatti apparteneva a quella generazione di studiosi che erano in grado di muoversi con piena competenza in settori diversi dell'antichità, spaziando dalla filologia, alla lcttcraturn, alla storia, all'archeologia. in una visìonc unitaria del sapere. Anche solo un rapido sguardo all'elenco delle pubblicaziom di Luigia Achillea Stella dà conferma della mollcplicità dei suoi interessi, sempre sostenuti non solo da una grande passione, ma anche da un 'attività continua di studio, approfondimento, aggiornamento. Le scoperte archeologiche e i risultati della ricerca più recenti e stimolanti, come ad CM:mpiogli !:>cavinel sito sìriano di Ras Shamra Ugarit, oppure l'interpretazione del Miceneo, hanno destato di volta in volta l'attenzione della profoo;sorcs;saStella portandola ad ampliare progressivamente l'uriuonle dei suoi interessi lino a comprendere temi sempre diversi. La civiltà micenea e il rapporto lrn cultura greca e Vicino Oriente sono divenuti, cosi, alcuni dei temi centrali delle sue ricerche. A mio parere, tra i meriti più. significativi di Luigia Achillea Stella va menzionato il suo costante impegno nell'ampliare l'ori77ontc degli studi del mondo classico fino a comprender), VIII, 1938, pp. 72-86), i Suoi giudizi e le Sue scelte non appaiono del tutto conformi all'"ora che batte[vaJ sul quadrante della nostra storia" (qui, p. l ). La prospettiva 'italica' e non 'romana' della monografia pubblicata nel 1930, che mostra evidenti affinità con quella 'mediterranea orientale' degli sc~tti coevi e posteriori sul mondo greco, riconosce all'Urbe una "potenza assi• m1!atrice cd accenl.nttrice" piuttosto che "crca[triceJ" (Italia antica, p. 305). Quanto ad Augusto, non era tra le figure da Lei predilette; La commuo-veva ben di pili lo sfortunato Druso, cui dedicò un ampio saggio {«Archivio per l'Alto Adige». XXIX, 1934, pp. 5-52, tavv.1-IV), accompagnato da ricerche minori, di taglio iconografico, in particolare dal secondo intervento (20 otlobre 1935) al IV Congresso Nazionale di Studi Romani (in Alti, Bologna 1938, Il. pp. 47-50). Ma il Suo ideale fu rappresentato da Marco Aurelio, che, oggetto di una breve comunica7ione (23 aprile 1933) nel Ili Congresso li/azionale (Romanità di Marco Aurelio nei Colloqui con se stesso in lingua greca, in Atti, Bologna 1935, IV, pp, 66•70) - sviluppato successivamente (1935) nel contributo linceo dal medesimo titolo (qui, pp. 99-122) e in un volumetto della serie intitolata Gli imperatori romani {Marco Aurelio, Roma 1943) -, continuò ad occupare sempre una posizione di forte rilievo trd i Suoi auctore.s, come possono testimoniare coloro ch'ebbero la ventura di seguirne i corsi universitari negli Anni Sessanta, Dei tratti caratteristici attribuiti al Principe

dalla Studiosa quello che interessa il nostro discorso è la volontà di "tenersi lontano dalla tirannide e dal cesarismo" (qui, p. 108), di "mantenersi immu· ne dall'assolutismo e dalla tirannide l---1,sentendosi [ ... ] capo di uomini liberi [ ... ]" (Mclreo Aurelio, p. 35). Come interpretare questi giudizi? La condanna del "cesarismo" sarà forse da collegare alla fedeltà verso la dinastia dei Savoia; ma la deprecazione della "tirannide" pare ancor meno sintonizzata con lo 'spirito dei tempi'. Le radici non fasciste ma rostovzeviane di questa interpretazione in chiave di conservatorismo liberale- rintracciabili anche in lavori come L'orazione A Roma di Elio Aristide, primo Suo intervento (19 ottobre 1935) al IV Congresso Nazionale di Studi Romani (in Alti, Bologna 1938, I, pp. 564~572), e come l'Introduzione, traduzione e commento di Etç "Pul quale scrisse \ihri molto importanti. e che le faceva dire. celiando un po· su se stessa, di essere "innamorata di Ulisse" (1).

(') Il lettore interes~ato può nrmvare qui lo spmlu >,18, pp.5-18. esiodea, «La Parola del Passato», 1, pp. 149-167.

1948

Ettore Romagnoli e la.filologia, «1Jionis0>>,11. pp. 69-78. Contributo a una bibliografia di E. Romagnoli, «Dionìsm), li, pp. 136-144. 1949

Cinque poeti dell'Antologia Palatina, Bologna 1949.

* Esiodo poeta georgico?, «La

Parola del Passato», I, pp. 149-167.

La religione greca nei testi micenei, «Numen», 5, pp. 18-57. La scopert~ del greco miceneo e la preistoria della Sicilia, {>,1925, l O fcbhra10, I, pp. 88-94: V. CosTA.i-.:.c,, Sulla pre1esamenzione di Atreo, «Atene e

Roma►>,

ottobre-dic1m1bre 1924, p. 267

13

p. 3

p. 4

«Allme e RQmu»,n. s., on,u, VIII. Jtl,vr. /-}, JIJ}7, f'I'· .1-.IJ

legg)III, 1917. ('')[']Il.

S 36; cfr. Ro,;011•11.'s, Lexic·o11. nell'articolo Europa, l, 14IO.

(") ['I F.vAN'1>r.• V, 58-59; 0101,. Sw., V. 57. 5; di'. E1•11u1< apd. Cu,M. Strom. I, p. 362.

("') ['] H. G. Lowr,,o, Da:, Kuppelgrab bei Me11idi.Atene 1880.

(") ['] A11~nUui:.1917; «JAb), 37, 1922: ((ATIL.Cigen,, 1922. p. 267.

(")[']Vedi

Fah. 274. (") ['] f>11r,,., Nat. hisr., 7, 57. (") ['] CRUs1us. art. cit., p. 804: cfr. SM1111.r1vi~lo dal Cla.1Yiwl Dicliunary, p. 178. voce Cadmm. ('') ['l HE-;1on.,Theog. 937, 15; P1ND. Pyth. 111,90. (") ['] Hw

18

KFRAMOPIJLLOS,

loc. cit., tav. Vlll, nn. 4, 6-10.

(") ['] À400.

,tN,,

(") MARINDTN,

Londra 1919, .11

[']

Kr.RAMOPI.JLLos,

art. cit.; molti frammenti, scoperti negli ultimi scavi, sono anco•

ra inL-diti (") l"J Cfr. per la leggenda d'lno «An•xoOicm, Bntomartis, cfr. C:ALLIM., Hymn Dian., v. 190 sgg.

19

Ar.1LL00.,

3, 4; 3, 5: per quella di

p. IO

«Atenf'r Romu».n. s.• unnu Yl/1.fww. 1-1. 1917.pp. 3.35

1~7«,:ndc tchtinc e prei1rorUJ egea

p. 11

p. 12

nel culto religioso è nella Grecia centrale un'importazione minoica: con gli affreschi di Tebe, ne segnano l'arrivo i sigilli di Tisbe, ove appaiono figure di dee, di sacerdotesse, di regine ("'). Infine fra le numerosissime leggende che s'intrecciano intorno alla figuradi Cadmo e della sua progenie, ve n'è una che ha un sin//golare sapore di barbarie: Dirce, legata aJlc coma di un toro furente per le balze del Citerone Ci). In qucsla leggenda, cerco antichissima, eppure senza eco nell'arte e nella poesia greca fino ad huripide, possiamo vedere forse il r:iOesso di quei pericolosi giuochi acrobatici sul toro selvaggio che tanto entusiasmo suscitavano in Creta, ma sul continente non ebbero forse mai favore fuori dalle corti principesche. Gli affreschi di Tirinto e dì Cnos.«>C'') mostrano che alla Tauromachia si cimentavano anche le donne. Davanti alle agi!i figure muliebri librate in un folle salto sopra le corna del toro infuriato si comprende come fra gli indigeni di Beozia. nuovi a questo genere di spettacoli, abbia porulo sorgere la leggenda di Dirce. Narravano gli Aedi che un giorno il palazzo di Cadmo era stato bruciato dal fulmine della Divinità irata, non lasciando al posto della sua mole imponente altro che cenere. Raccogliendo sugli stilobati di pietra le ceneri ed i carboni delle arse colonne minoiche dell' J\nactoron preellenico. noi risuscitiamo oggi dal lontano passato i fantasmi della leggenda cadmea; e al bagliore del rogo si leva gigante la figura dell'Eroe che i poeti cantavano mpito fra i vortici delle fiamme ai beati Campi Elisi. Figura che dovette essere ancor più grande nel primitivo Epos popolare: gli aedi che dopo morto esaltavano Cadmo beato. avevano narrato delle sue noac con Annoni a, cui, come alle noue di Peleo, erano intervenuti gli Dei. Se scomparse sono le canzoni di gesta, a dimostrare l'eco lasciato da questo nome resta una collana di leggende fiorite non solo in Beozia, ma per le isole egee, per le ooste del Peloponneso, d'Africa, d'Asia Minore(''). Come Ulisse navigante instancabile, Cadmo forse balza a noi dalla stessa fioritura epica marinaresca donde scaturirono le epopee caldaiehc e l'Odis.tea e, ultima e più tarda derivazione, i racconti di Sindbatl il Marinaio nelle Mille ed una notle. Se poi consideriamo la raggera del leggendario viaggio dell'eroe tebano. che va dalla Troade e la Caria ad orienlc fino al paese degli Illiri ad occidente, ed ha come grandi tappe Rodi, Tera, Milo e le// altre isole egee ('lk).

( ..) [']Ew,"--i,an.cit. ('') l'J At«,u.rn,., lii. 9; Et·t11r.. T, G. F. 410; dr. f. Lc1111;rR'sle.xìco1J, p. 72,301.

Wis11.NtKkt'.

20

Con le ultime scintille dell'incendio si spengono soprQaç~µfiç c:crto Edipo dovette essere, in un primo tempo, potenza temuta ma non aborrita: ai tempi d'Omero presso il suo venerato sepolcro lottavano i giovani Cadmei e pìU tardi ancora in epoca classica, ad Eteonc ove s'additava la sua tomba il Re tebano riceveva culto quasi divino e'). Spoglia degli elementi mitici, certo d'origine pili. antica degli elementi romanzeschi, forse di formazione pili.recente, tale appare nel suo schema più semplice la vicenda di Edipo. ln questo novello Signore che dopo aver conquistato i monti scende a dominare la rocca Cadmea, si può esser tcntuti di vedere il fondatore di una nuova dinastia. 11nome di Corinto. della cui csistcn:ta in epoca storica aveva dubitato piU di un filologo, oggi s'associa nella mente dell'archeologo a uno dei piU antichi e potenti centri preistorici della penisola greca >.I, 1906; Il, 1912.

at Eph1.:.vt1s,London

1908; •>.I RR7. ("''.) ['} A GLADIS,XJll. ! 910;WuN1) 1·, «Arch. f Gcsch.d. Phil.», XX,(1907), pp. 431-455; J. BuR'sFr, l'Aurorede la Phi!osophit• gn•,quc', I Monothéisme oupolythéi$me'

52

("') [•] D.,40. !") ['1 M. HAurakliM, in Enqfopcdy

59!-594,

57

ofEthics, (1913), pp.

p. 589

Reale Ace. Naz. Lincei. Rend. Cl. di Se mor, .w.e/ì!, 1927, Ser VI, voi. lii, Jii,c fl-12.1,p. 571-601

Eraclito. Efeso e l 'Onente

p. 590

p. 591

bisogno generale di elevazione e di// purificazione. Solo pili tardi, quanJo già il monoteismo iranico si è contemperato con il politeismo, ed ha accolto divinità minori accanto ad Ahura-Mazda, la coppia divina ellenica di Apollo ed Artemide si modifica sotto l'inflw,:m della coppia iranica di Mitra e d' Anahita C"). Questa forse è ancora una sopravvivenza di relazioni pi\l antiche, le quali dovevano essere a maggior ragione frequenti e notevoli in Efeso nell'ern pen.iana, sollo la signoria degli Achemenidi. Se si vuole comprendere a fondo la vita e le vicende delle colonie greche di Asia Minore, bisogna strappare i veli di molte pericolose illusioni, create dalla lettura dei classici. La sola storia delle guerre persiane giunta completa fino a noi fu meditata e scritta in Atene da Erodoto, mentre si pt..-rdevano lontano gli ultimi echi di peana e gli ultimi squilli delle trombe vittoriose di Salamina e di Micale, e risuonavano nel teatro di Dioniso i sacri canti dei Persiani di Eschilo, in faccia all'Egeo azzurro che aveva visto fuggire le navi della potente armata nemica. Grande era la gioia della vittoria perché tremendo era slato il pericolo: ìn quell'ambiente cd in quell'epoca di altissima idealità, ove fiori l'arte divina di Fidia e la sublime poesia di Eschilo, il conflitto fra le città confederate della piccola Grecia ed il grande impero asiatico si ingiganti agli occhi dei vincitori, ebbe la luce cd i colori di una epopea. Ma se i pensatori, i poeti, gli artisti, intuivano giusto vedendo nelle guerre persiane non un episodio effimero, ma il simbolo di una lotta pili vasta fra due mondi diversi e contrastanti. l'orientale e l'occidentale, meno giustamente la tradizione greca dipingeva gli Ateniesi come libcralori venuti a sciogliere, con eroica generosità, i fratelli oppressi delle colonie ioniche dal giogo aborrito dei barbari Persiani. In realtà, i grandi empori greci d'Asia minore avevano interessi troppo strettamente legati all'intemo d'Asia per non accettare docilmente la signoria persiana. Un porto non può vivere senza il suo "retroterra": rompere i rapporti di buona vicinanza con la Persia, dopo la fine della supremazia Lidia, equivaleva a correre il pericolo di vedere chiusi gli sbocchi alla propria// attività commerciale. In modo particolare Efeso, che univa gli interessi del porto alle foci del Caistro e della città t:on quelli del santuario, era doppiamente legata a quella potenza, qualunque essa fosse, che dominava le grandi vie di Anatolia. Per questo i sacerdoti dcli' Artemision, che pure aveva avuto fra i suoi costruttori e donatori pili munifil'.i Creso, nemico degli Achemcnidi, accolsero senza far resistenza, anzi con volto ostentatamente amico la protezione e la sovranità persiana. sorte sulla rovina della signoria di Lidia. Cosi Efeso non fu dislrulla né saccheggiata nelle campagne di Harpagos, e gli ambasciatori e gli eserciti mandati da Atene non poterono ottenere qui che

una passiva e molto tiepida neutralità; anzi, una volta, alle porte stesse della città, una spedizione ateniese subi una sanguinosa sconfitta C)-Né il sacerdozio del tempio dovette mostrarsi mai caldo fautore delle guerre d'indipendenza ed avversario implacabile della Persia se dopo la sconfitta Serse poneva sotto la protezione dell'Artemision nel nome del diritto d'asilo, i suoi figli profughi C~). In quest'ambiente, e proprio nel momento in cui la Persia aveva a capo un Re "mazdeista", le nuove idee religiose persiane, vivacemente combattute e discusse fra i magi fedeli all'antico politeismo e quelli seguaci della riforma, poterono giungere facilmente a conoscenza di Eraclito, amico del Re Dario, fautore del partito aristocratico che si appoggiava alla Persia contro la dcmocrnzia. In Efeso, Eraclito udi forse dalla bocca stessa dei magi predicare l'esposizione dei cadaveri, e condannare il culto delle immagini ed i sacrifici cruenti: vide celebrare i riti davanti alle are ove ardeva il fuoco sacro. Certo tutte 1e concordanze notate pili sopra, il tempo e il luogo ove è vissuto il filosofo fanno seriamente meditare sulla possibilità che egli, senza uscire dalla patria, sia venuto in contatto con il grande sistema monoteistico iramco. Monoteismo e non dualismo fu la religione di Zarathustra almeno nel periodo ptll antico: uno è il Dio adorato nella Gatha, Ahura-Mazda, da cui derivano lo spirito del bene e del male (1'1). // Questo occorre tener presente, se non si vuole vedere nella filosofia eraclitea un contrasto, e peggio ancora un'opposizione cosciente allo Zoroastrismo, che in realtà non esiste(!"'). Non si può conlrapporre il monoteismo di Eraclito al dualismo di Zarathustra: per entrambi uno è il mondo, unico Iddio, che ha voJuto il bene cd il male, la luce e le tenebre. In quest'unica divinità, il confliUo fra le opposte potenze si compone e si placa in quell"'invisibile annonia" di cui parla il pensatore di Efeso ("1). Pure, una differenza profonda e sostanziale permane sempre: il contrasto fra il bene ed il male. reale ed ineliminabile secondo la teologia iranica, perché voluto da Dio nell'ordine stesso dell'universo, appare invece tale, secondo Eraclito, solo alla nostra limitata conoscenza umana: aPer la divinità tutto è bello e buono e giusto; ma gli uomini stimano giuste alcune cose, ingiuste altre" (D. 102). "Sono una stessa ed unicà cosa vita e morte, veglia e sonno, g:ioventu e vecchiaia; queste cose mutandosi diventano quel-

("} ['] Hi,ROllOT.,V, 100-02; V. PwARn, p 606.

(') f'l Hl•RODO'I.,VIII,

C,11~Pl'l.l

('I') [ J P1, p. 129 csgg

58

103.

C') ['] P1.TT,\ZZ0N1, cap. I; BMffHOI m,ur-, op. cii LAio ~npi,.mlc.cfr. op. cit., cap. I; B,;.KIHOl-Cla forma ed il nome di Zervanismo, e si manifestò con l'adorazione di Zervan-Akarana, il tempo infinito. /i L'ipotes.i, sostenuta recentemente dal Levi (86), e corredata con gnmdc ricchcz:.!a di raffronti, è suggestiva; le affinità della filosofia eraclitea

(") r'] TH~.ICHMOLJ.IHN>. op. cit.. p.

159e n. 21; B,\IIIH()LOMA.I::, op. cit., p. 15.

e·i[']Wn,,,;,u~ "· op. cit .• 3;

PrrTA7ZONI,

C'l ['] \'. U111rSlexic-011s. v. Monno (3214).

{'") ['] Anth. Pal. VII 712: cfr. Wu "Mowrrz, Sappho u11dSimo11ides. p. 229. (") r'l Cfr.sl.àç nlv u n:EvtrivfutaµVVucu xat t~v acmr:oOlM]v(VII,

102). Ancora ne suona l'eco alla chiusa delle Storie, nella risposta di Ciro. Con quelle parole, il viaggiatore che conosce le mura di Ecbatana, la tomba del re Dario e gli splendori dei Mausolei egizi, si inchina riverente davanti alle colonne dell'austera Acropoli che solo l'arte e l'ingegno umano hanno fatto immortali. Or.t, se veramente il soggiorno di Atene ha saputo operare un mutamento cosi profondo sull'orientamento generale delle Storie, è logico cercare nell'opera crodotea pìil precise tracce positive dell'influsso che poterono esercitare su Erodoto i varii movimenti di pensiero e le correnti letterarie che mettevano capo alla capitale dell'Artica intorno al 440. Solo un'attenta e minuta analisi che indaghi se e dove nelle Storie si possono cogliere sensibili risonanze della sofistica. della retorica, della tragedia attica, ci potrà consentire di misurare l'importanza che ha avuto nella compiuta fonnaztone spirituale, intellettuale ed artistica di Erodoto l'ambiente di Atene.

130

«Atenl'P Rr,ma». \'. llf, anno/V,fa:;c

J, J9J6-)r.'U'.pp. 7J.96

ERODOTO ED ATENE Il

Quando arriva in Atene verso la metà del V secolo, Erodoto è già un uomo: alla luce di una vasta cultura e di una larga esperienza si è già formato una sua personalità di scrittore. Da tempo lavora al piano grandioso che porrà in atto nei nove libri delle Storie; molto materiale ormai raccolto, parecchi capitoli sono stati scritti prima della sua venuta in Attica. Ignoriamo se lo portarono ad Atene vicende politiche della sua patria o esigenze pratiche della sua vita; se lo attrasse la fama che raccoglieva intorno all'Acropoli di Pallade i migliori ingegni di Grecia, o non piuttosto lo chiamò il desiderio di conoscere il piccolo popolo che aveva osato far fronte al grande impero persiano, Certo ad ogni modo non apparteneva alla schiera entusiasta dei giovani accorsi soltanto ad ascoltare la parola ornata e dotta dei Maestri famosi di sofistica: Prodico c Protagora allora, come Gorgia pi6 tardi. Giunto in Atene, il viaggiatore instancabile arresta per qualche anno la sua irrequieta vita errabonda. Anche quando la passione del navigante e l'amor di avventura che la sua patria Jonia gli ha messo nel sangue lo spingono a prender parte alla colonizza:lionc di Turii, la partenza non e definitiva; ad Atene di quando in quando egli fa ancora ritorno, per periodi pili o meno lunghi, come richiamato dalla nostalgia dei suoi anni ateniesi. Non scolaro nelle aule dei sofisti, ma già noto e apprezzato studioso di storia e di etnografia, Erodoto in quegli anni teneva confe//renze pubbliche sulle stesse note, donde ha tratto capitoli per le storie; e fra la folla degli ascoltatori intenti era il volto sereno e grave di Sofocle, l'austero volto di Pericle, 1'irrequieta faccia dolorosa di Euripide. Ma con quel suo duttile ingegno versatile di greco d'Asia, curioso di ogni cosa nuova, avido di sapere, aperto alle influenze pili svariate, Erodoto non poteva vivere per anni in Atene senza che risvegliasse la sua attenzione quel fermento di idee nuove ed in certo senso rivoluzionarie che nella nostra terminologia storica porta il nome di sofistica. Questo movimento novatore, a metà del V secolo ancora agli inizi, suscitava animate discussioni non sempre favorevoli; era certo l'argomento di attualità negli ambienti intellettuali attici. Non soltanto Euripide, i cui rapporti con la sofistica sono anche troppo noti, ma lo stesso Sofocle non può sottrarsi del tutto alla corrente: come non sapranno sottrarvisi piU tardi i due pili mortali nemìci della sofistica in Atene, Aristofane e Platone.

131

p. n

p, 74

Erodoto ed Atene. Il

p. 75

Erodoto non è spirito critico nel senso filosofico della parola: si inchina senza discutere al le grandi leggi etiche e religiose che erano state per tanto tempo il fondamento immutabile della vita dlenit.:a. Il sottile lavoro di revisione a cui i nuovi maestri della giovinezza ateniese sottopongono il problema umano nel campo religioso, gnoseologico, etico, lo lascia, in fondo, indifferente, Egli indulge, è vero, al gusto del tempo con qualche .spiegazione razionalistica di leggende, in aperto contrasto con la sua religione semplice e senza pretese filosofiche (1); perfino sceglie, lui di solito cosi fedele ad Omero, proprio quella versione del mito di Elena(!), che le scuole sofistiche hanno fatto tornare di moda, e donde, prima del dramma di Euripide, Gorgia ha preso l'argomento per uno dei suoi pezzi di brawra stilistica e di virtuosità oratoria. E pili della parte negativa e dei tentativi di interpretazione allegorica dei miti, sembra averlo interessato quella tendenza a ricondurre tutto ad una organizzatrice provvidenza divina che si attrihuisce generalmente a Prora.gora sulla base del famoso dialogo platonico. L"analogia di un passo del libro IlI con le teorie che Platone mette in bocca al famoso sofista è notevole, pur senza essere una ripetizione letterale; d'altra parte. conoscendo Erodoto, non si può pensare di attribuirgli la palernità di un concetto t.:heresta isolato e senza seguito nella sua opera. Prot.agora, come Erodoto, prese parte// nel 440 alla fondazione di Turii, anzi dettò per incarico di Pericle le leggi della nuova città; è impossibile quindi che Erodoto non l'abbia conosciuto personalmente in quell'occasione, se già non lo conosceva da Atene. Pure, negazioni e critiche, interpretazioni allegoriche e razionalistiche, costruzioni filosofiche passano davanti allo spirito attento di Erodoto scn:t.a la~ciarvi un segno profondo; non incrinano per nu11a la sua fede nel potere ineluttabile della divinità. Anche i dibattiti delle scuole sofistiche nel campo gnoseologico cd etico hanno lasciato scarse tracce nelle Storie. In questo campo, i passi ove la maggioranza dei critici (3) si trova d'accordo nel riconoscereun·eco di quei pochi sofisti di cui sappiamo qualche cosa di preciso, si riducono in sostanza a tre soli; e non pochi sono a tutt'oggi gli studiosi che non ammettono in nessun caso influenze sofistiche, in Erodoto. A me sembra che non si possa solleva-

re dubbio alcuno almeno in tre casi: la nota disquisizione di Otunc sulla necessità della bugia, che deriva da un modello certo noto anche ad Eschilo e a Sofocle (4) e due frasi di Mardonio nel VII libro, che rispecchiano unu senSi può aggiungere una serie di parole. foggiate dalla solitenza di Ippia stica o per essa piegate ad un nuovo significato; veri tennini tecnici, con cui si inaugura una terminologia filosofica; nella poetica lingua delle Storie crodotee, fondamentalmente ionica, questi neologismi attici colpiscono come una dissonanza ("). Maggiore interesse destavano in Erodoto le discussioni sul terreno pulìtico; e questa volta possiamo coglierne chiara eco nelle Storie. Se la dii1linzione del III libro fra nomos e physis, che dopo Erodoto ritoma con csprcH~ sionì molto aflìni nel (}orgia di Platone ed in un frammento// diAntifontc ('), richiama alle discussioni del tempo nel campo teoretico del diritto, altri pa!l!IÌ riecheggiano, con maggiore insistenza, i fervidi dibattiti, di carattere piU rl.!u~ lìstico ed attuale, intorno alla miglior fonna di governo. Qualunque sia Mtuttt la fonte a cui ha attinto nei singoli casi lo storico, la discussione dei Magi persiani intorno alla miglior fonna di governo, con il discorso di Otane intomu ai mali della tirannide, non avrebbero nelle Storie la forma che conosciarnu sem:a il soggiorno ateniese di Erodoto e). A piU di trent'anni di distanza, le gloriose guerre persiane, che avcvanu fatto di Atene, per un breve tempo indimenticabile, un cuore ed una volonl1\. sola, sono ormai lontane per le giovani gencra:t:ionì; menlre la politica ateniese si immiserisce nelle beghe interne, già serpeggiano i prodromi di qul.!1la inquietudine che porterà alla fatale dccaden7..a di Atene. Pensosi delle fortune patrie, presaghi di non lontane catastrofi. molti dei suoi figli migliori !li chiedono con ansia se il regime della repubblica democratica non porti in Hé i germi di mali insanabili. Cosi cominciano, a metà del V secolo, le discussioni intorno alle varie forme di governo, e s'inizia quella ricerca dello stato perfetto, di cui erano saggi notevoli le opere, perdute per noi, di Protagora e forse di Antifonte: ne suona una chiara eco nelle Supplici di Euripide e nelle parodie sarcastiche di Aristofane. Da quel movimento, di cui si potrebbe cogliere 1asatira in tutta la poesia comica del tempo. derivano ancora, in ulti-

n.

(') Cfr. I. \!O.

r)

(') Cfr.11, 112sgg.

(') Cfr.rr.17d.

( ') l'fr. W. N, ~ 1u , Herodots Verhiilt11isse zur Phiiowphie 1111d Sophistik. Stoccarda. 1908; W. Arv, Volksmarchen.Sage und Novelle bei li erodo/ u11dseimm Zei1ge11ossen. 1921, pp. 286, 105, 572. J. WFL1.~, Swdies in Herodotus, Cambridge, 1921, cap. X. p. I% sgg.; J. Gci-Ft.:KbN,Griech. Lii., 1926, p. 282. sgg., e bibliografia ncll'AppcnJicc; ScHMmr-STAHL.iN, Gn"ech. Lit., I, 2, 1935, pp. 570-577; E. MEYER, Forschungen, p. 196; H. D1ELS, «Herrncs», 1887, XXII. p 424; «Neue Jahrblich. f. K. A.>\ JYlU, p. 21; «Philol.>►, LVII, 1898. p. 45. NesTLr~ 1h1d.,LXXX. Il. 254.

132

Cfr. III, 72: vedi ALsui., fr 301: Sor11.. fr. 326; Phi/011.,I07;

PLA1.,

Rep., 11. 307 c.

(") Cfr. l'tx.étl;eoOm, btn'll.6.l;!'oOm; orn01ulumoOm; T!''K,talQwOm,uxµiK.lLOV, ompf1ç.mupfmç: ciJ..11fh'1ç; ornpò;, tJOtf,i1;,rn0w,oÒtJJ«Jftn;. 22. 1887. p. 4]]; cfr peralrroJ,.cnuv,R ELRm,410.

E, 5tH.p. 21 sgg:

('") Cfr. I, 31; cfr. Ni::s1u4 op. cit. ~cdipcra!Lro ALY, op. cii., p. 290, !~2.

134

periodo un colorito troppo particolare, perchè si possa pensare, come fo l'Aly (' 1), ad una pura coincidenza casuale. Basta mettere vicino ad nlcuni di questi studiati e complessi periodi, pieni di parole care alla sofistica, lu prrnrn colorita e poetica di altri che li precedono o li seguono, di tono schiettamente ionico ed omerico, per capire che nel primo caso Erodoto ha avuto di f'ron~ te e forse inconsciamente ha imitato, o forse volutamente una volta tanto cercato di emulare, i modelli della nuova prosa d'arte// che suscitavano in qucgli anni interesse ed ammirazione nella classe colta di Atene. Tale influenza si fa anche più sensibile nei discorsi che Erodoto ama mettere in bocca ai personaggi celebri. L'arte oratoria delle scuole di eloquenza era qualche cosa di nuovo, di diverso crtQmlp:similiter in exitu versus Euripidcsin Hec., 521, Troad., 236 'Axat'XoiiotQa.t:oti.Adiectivum 'Ax«lxoSa Sophocle a!ienum,in Aeschyli rarum, frequens in Euripidis tragoediis. 12.... Ò:ffE!vm t:OÙ.iroi;;: Homcricam hanc locutionemesse patet: quam Sophocles procul dubio secutus est in O. C 731 (apud Euripidem autem òq;,.qi0oyyi'rvvcl yM>ooovlegimus: Hippol., 419,991). oòx «illti>çµ' fx,n:e,m ms.: x pro)'. error: hanc locutionemEuripidcs saepe secutus est (Or .• 101. Hec., 970, Herc., 100,470). Versus igitur totus Homericum quodammod1?colo~cm praebet. Quam saepc Homcrum tragici puetac et formis ipsis et elocutioms hab1tu imitentur, vix est quod dicam; ita, ut cxcmplo utar, Adrasti scrmo in// Supplicibus, Tecmessae oratio in Aiace. (Aiacis fabula praesertim verbis enuntiatisque Homericis rcdundat). 13. f'Ù'yfvij;. Adicctivum in Acschyli fabulis haud rarum, in Sophoclis t:l Euripidis perfrequens. l4. t«[Qciyjputu ve! tolyct'.>]µura.Vitellius scribendum coniecit. tà{layµu in Euripidis fabulis semel (H. F. 907), sed pluralem numerum tragicos podas de industria vitassc apparct. Ne 1:t1yr.L11mrn quidem mco iudicio probandum; hoc enim vocabulum est a tragicis alienum. nìyyèÀµa.n1 scripsi (F.ur.. Or., 874, Jph. Taur., 1184, Troad.. 706, H. F., 660.' 789), quamvis nimium breve spatium interiectum videatur obstare. tÙYQt:UJlcmt ettam satis verisimile; singulare enim Aeschyli vt.-rhum(Ag., 1057, Eum.. 463, Coeph., 998) plurale in Eurip. (Andr.: Hesych. s. v.) "spo!ia" signilicatur (v. Baah., 1329). 15. Hacc dc Hcctorc dici Salzberger putavit; iure Vitellius de Agamemnonc. De Hectorc enim praesentis fonnam ui.x(ì,:etmpolius expectaremus. Praeterca v. 16sensum nullum praebcrct; nam si in Hcctorem essei Achil!is ira. Achivorum exercitum non. penlcrct sed r,otiui. scrvaret. dc; ùv,·1v:ab At.-schylosemel verba hac ratione comuncta adhibcntur, quac Sophocli admodum placuissc vidcntur(Aesch. Pers .• 237; Soph. O. R.• 281. 1380, Et., 1334. Trach.. 460; Curip. Heracl., 8. Suppi.• 405 etc.). 16. Jtl!tùournU'ii'-'VX1,11im µimv ù.µ..plJV.t:ll.Hv 14_>6.xv)cim.,ov/C-OÀnç[trad.Romagnoli] (") MllRRtù',Op.ciL,p.85

(") /phig Taur, 453; Helen.. 210. (") Phoen., 357: ò.vu~uWlçÈ;i:n I n:m!_!iòoç tQi'iV èmuvto.ç·oçb' {t),},rnç 1'.t)'f'I I il.oyouJ1,,ròv l'!t vOiiv 6' i:xfio' i:;i:tl [trad. RomagnohJ.

("J McLCAGR.,Anth. l'alai., VJJ, 417

('"') Tmiatl., 400.

206

207

p. 12

«Alt'11t',, lfomu», ,w.'rÌt·lii, unni! V/Il. /a.Yc.1-1, 1940, pp 3-1,J

EimjJideliri,:oll-lll

"tutta la Lerra è patria all'uomo superiore", non precorre il cos~?po1itismo degli stoici (14), ma con un gesto di_sfida vuol dire ai. concitt~m, del!~ sua Atene che gli fanno una cosi accamta guerra che eglt, come. 11suo ru~ico e

p. 13

maestro Prota//gora, non ha paura dell'esilio. Lo stesso atteggiamento dt sfida gli ha dettato i versi ddl'Antiope: "io per mio conto continuerò a po~re. e~ esprimere le idee che mi sembrano giuste, scnn prender parte alle ag1taz10m che travagliano la città" (1s). La sorte nemica lo strappa dal tranquillo rifugio della sua casa, dopo ave:\o tenuto per anni incatenato al turbine delle passioni politiche, in una partecipazione commossa che, senza far di lui un poeta civile, colora di un t~o tutt? attico il suo pessimismo c la irrequietudine, rendendo "sog_no di cose ~mposs1bili'' non solo l'acquisizione della ~pienza, ma la serena vita del saggio. Certo, il suo cuore resta ad Atene. Nell'ultimo dramma, l'ijìgenia _in AuUde, l'esule rivolge le sue critiche velate di sarcasmo contro le meschme ambizioni e la politica oscillante dei nuovi capi democratici saliti al governo; ma orgogliosamente riaffenna la superiorità dei ~reci s~i "Barbari"~- Asia; con parole a cui l'intervento persiano contro Atene da un vivo sapore d1 attuahtà. 11temperamento d'Curipi{.). La tragedia, che appartiene agli ultimi anni d'Euripide, non è drammaticamente una delle piU felici; il tentativo di fondervi elementi disparati ed eterogenei non è riuscito, e nella profusione degli episodi le figure perdono

1til\'ÙIITtl:tlJVyè/.mv:

f') Troia.I.. 749 e 1,gg.: ,;, m,i, hnitQllftç;ulu0traneo, che non si riesce a trovare un nesso neppure esteriore e fittizio, che lo leghi all'azione. La lirica curipidca qui frange le barriere chiuse del dramma; ed in un inquieto, insoddisfatto desiderio di perfezione cerca pili vasto campo al proprio volo.

Passano gli anni; Euripide che aveva cantato l'eroica morte di Alcesti, che aveva sognato come Bcllerofonte di strappare un velo all'eterno mistero piega stanco sotto il peso della vita. Orn egli ha imparato come vivere rassegnatamente sia talvolta pili eroico, pili difficile che morire. Da questa amara, umanissima saggezza nasce la grande figura del suo Eracle, che risvegliatosi dall'accesso di follia dopo aver ucciso i figli, non si uccide come l'Aiace di Sofocle, ma si rassegna a vivere, ed accetta la sofferenza e la sventura. Illusioni, sogni, speranze sono caduti al contatto con la realtà della vita. Vana appare la ricerca filosofica, perchc non riesce a diradare neppure per poco l'oscuro mistero dell'universo. né riesce a dare saggezza agli uomini L'amore non addolcisce la vita, ma è febbre che sconvolge le anime; gli affetti familiari portano sollanto a soffrire di più: Se deve patire per due sola un'anima ... troppo grave è il tonncnto! (~)

(•') Helen., 1319sgg.: 60011o.i,f1lV l:," fue it0ì.t11Wlv~,:wv IµUTI}Q btovot 11'.Ù"\.11)V Iµmm:00\lou mwovç I 0uya,:(_)()ç à.Qnuyò.çboì,,[ovçI Xt.OVOflQ~µµ.ovtiç, l~ lm\mo· 'lòUW.vNq,.q:,o:vO"K01n«,;· Ql."'nu (:,' h mh•Ou I nhQivu xui:U 6QWcioÀVvt.q>fo ..,, 1349 sgg.: yéi-.uofvtf 0€>.'t, I òfS(m':,t:' d; xiQnç I [3uQU~oµov a.ùì.òv,I uQq,6tio' &Au:>.oyµ'¾J [tr.ad. Romagnoli]. Per il caram:rcdel com, cstram.·o al dramma, efr. KRAN7, op. cit., p. 254; HoFF"I-IANN, op.cit.

("') Hippolyt.• 258 sg,: ròb' iiitto Ou,o(Vvul.a.vÒJblvnvI W1JXÌJvx«ki;:-tOv ~Ul}uç.

225

p, 32

lfarlpM·/1rimll-llf

«Atene e Roma», serie/li. amw Vlll,fa~c. l-2, IWO,pp. 3-62

---(63).

E neppure la gloria, il potere, le ricchezze poss~n~ da:e la felic~tà Creata per le ore di gioia, la poesia, compagna d1 g1ovmezza e d1 amore, non vale a consolare il dolore umano: Nessuno trovò come i tristi cordogli degli uomini con la Musa e i multisoni canti p. 33

mitigare potesse ... ( 64) Il

Lontanissimo dalla concezione moderna della "poesia pt!ra'.', con~i~Lo non meno di Eschilo e di Aristofane di esercitare un'alta m1ss1one c1v1le, Euripide si è visto avversato, misconosciuto, incompreso: fini concetti al vulgo. un per; 1iv tbnu 11FM1 I X(l(~,wtu u;nnv· lì~Òt :i:a.or.1] l(IÒf. I of•wr Ò'ÒV(m't'ìv oixoO~:vì' ùn:111rv~,sI t~Q:tflVii.v (j),,),,ou~.[trnd Romagnoli}.

226

e

Ili

D'invidia a questi. d'acrimonia a quelli la mia sdenza è obhit:tto C'').

µf)

p. 34

Viven: io mai non vo' senza le Mu.c:;e, ma di ghirlande ognor le tempie cingere: gode la voce alzare per Mnemòsine il cantore ancor vecch10 8). Stanco e triste, il poeta cerca rifugio lontano dalla realtà della vita, in sogni di poesia e di bellezza. il

Se nuovi C!">primi

( .. ) Med., !95

chiezza, che egli greco aborre non meno di Mimnenno. di Anacreonlc e di Sofocle, con un orrore tutto fisico della decadenza umana che gli ispira il coro dell 'Brade e gli suggerisce tocchi di esagerato realismo nelle figure di Telefo, dì Ecuba, di Filottete. Un'infinita stanchezza lo assale di fronte alla vita. Ma sopra i contrasti, le amarezze, le sventure sempre arride an//cora aJ vecchio poeta. e mai non si offusca, la gran luce serenatrice della divina poesia:

Nel mondo poetico dì Euripide, è diffusa sempre piU spesso nei drammi dell'ultimo periodo una atmosfera fiabesca ed irreale. La fantasia vi profonde a piene mani il romanzesco, l'esotico, il pittoresco, il meraviglioso, lasciando libero estro ad un temperamento che oggi diremmo romantico. E mentre le figure perdono a poco a poco i contorni di personaggi drammatici, e sempre pili raramente destano l'interes.~e del poeta, balenano sempre pili spesso magiche, suggestive visioni del lontano passato favoloso tra sfolgorio di luci e suono di musiche, s'aprono miraggi di strane terre di incanto, prospettive di città mitiche, popolate di figure soprannaturali; c risplende, piU alta delle miserie umane, la divina bellezza. L'irrequieto spirito euripideo trova allora tregua: la realtà triste è dimenticata, un sorriso fuggevole sembra rischiarare il volto severo. Poiché, nel crollo di tanti ideali, nel capovolgersi di tanti valori, nel sommuoversi di tanti principi in quegli ullimi decenni in cui fatalmente declina la grandezza di Atene, un ideale ancora è rimasto, intangibile, ad illuminare gli spiriti ed a consolare la vita: la bellena. E davanti alla bellezza, ideale supremo del secolo di Fidia, che Platone trasfigurerà in filosofia sublime, s'inchina adorando, senza chiedere, anche il fiero. ribelle genio di Euripide. Svuotato di ogni contenuto etico, il mito diventa per lui come un fantastico mondo lontano, donde la fantasia può trarre fantasmi di bellezza, visioni di sogno; cosi resta \-ivo attraverso secoli per tutti gli artisti, i pittori, i poeti antichi. La lirica curipidea, sempre piU spesso estranea all'azione del dram-

(°') Herakl .• 673 sgg. où =l.!O'oµcu tàç XciQctac:I Mm'iaw; O'.l''(Mimµnyvtis I {lòlOl:uv U1J~uytav ... µT)~(niv 11e1'àµouoi.u;. aìd O' iv I ott:lpOr.. ..: 11bqlJlÀÒyU

irefaqç

I ...&{ooet I tQ\lq)P-QÒV

lU.Oxopov PÌc;«ìOil(,n Òl1t"t(UV; 453 sgg.: {n:Ggtò 11èvo&µ' oùx' ciµoQ(lloç d. ~tvE.I Wç!olçyuvuixuç ...; JU.6,eaµ6;tt y6.Q001) mvm\c; OùitCV'.1].u,Nn,/. 'imJn.'mlll1wk~,•. 1927, pp. 149.50;Cr.lJm,11N1. «Studi Ual.di Filo!. Class.>).1923, lii, p. 207, IV. pp. 260. Nel campo della critica estc:tica, bastt:rà cilllre B. C11(1(·F, I.a poesia, Bari 1936, p. S9, e speeinlm1..'fltCPmti/le, pp. 251•2S2. Ma lo stesso Croce aveva dato un giudizio diveiso, mi sembra. in una vivace erilica al Romagnoh, nel 1909, (v. Pmblemi di estetica, pp. 91·102 e spxialmcnte pp. 100.102 della li edizione, 1923). (') ('JCfi-.G. SFTT1,/.a fama di Aristofane pn>ssogli antichi. «Riv. di filologiM, 1882, X, pp. 13 l~l 82; W. Soss. Arl•,!R%, XXIV. p. 538

() l'J Nubes

547; cfr. Vesplll' 105.1.

256

P

Magistem de/fa R. Umvers11à di CuKli11n», 1~1/. Xl. /941, pp. /63-2511

ni, demoni e dei. di trasportare a piacimento la scena dall'Olimpo all'Averno. li poeta, a cui quella liberti appare sconfinata, non prevede quali limiti e quali ceppi imporrà proprio la scelta del genere commedia alla sua ispirazione, quali concessioni lo indurrà a fare al gusto del pubblico, entro quali strettoie di vecchie formule e di schemi irretirà e incanalerà la pura sorgente della sua ispirazione. Per lui. la commedia non è che Wl pretesto. Teatralmente, Aristofane non invenla e non rinnova nulla: tipi, caratteri, perfino certe !.ituazioni vengono dalla tradizione precedente. L'intreccio, la trama, ìl congegno del lavoro teatrale, la cosmizionc delle scene, tutto quello che, arte o pill umilmente mestiere di uomo di teatro, appassiona gli autori, gli sono, in fondo, indiffcn.mti: la sorte stessa dei protagonisti alla fine delle commedie sembra lasciarlo freddo. È quasi inutile ricordare, tante volte è già stata notata. la monotonia dei suoi intrecci, l'insipida volgarità degli scherzi comici, la ripetizione di schemi e di episodi, l'incoerenza dei personaggi, il nessun legame fra le varie scene di una commedia. Poeta dalla fervida e luminosa fantasia, non si perita di ripetersi, e si contenta di vecchie trame su falsariga conven7.ionale, accetta scnL.atroppo curarsi di rammodernarli vecchissimi motivi e tipi: e solo qualche volta rivela, quasi con noncuranza, le sue abilità tecniche. Anima intransigente e generosa, uomo di cultura e di gusto, si abbassa a scherzi grossolani, non ha ritegno a scagliare volgari ingiurie, a far leva sulle passioni pili basse per indulgere al gusto del pubblico ed ai suoi istinti peggiori. Co/ime scrittori teatrali forse il suo rivale Eupoli c certo Epicarmo e Cratino sono stati piU grandi di lui: e probabilmente, non soltanto per ragioni politiche spesso le sue commedie non hanno riportato la vittoria. Ma per opera di Aristofane nel regno di Dioniso s'accende d'un tratto la gran luce del la poesia. Al sotfio dell'alta fantasia creatrice, le vecchie impalcature del teatro attìco ondeggiano come investite da una folata di giovinezza, le vecchie maschere pulcinellesche vacìllano sul volto dei personaggi: si spalancano baratri infornali, s'aprono luminosi orizzonti, si dileguano Satiri e Titani dei cori mitici. Alla gran fiamma della poesia passa sulla scena, in una fantasmagorica fuggevole visione, tutta Atene degli ultimi decenni del V secolo. Atene è evocata nei suoi molteplici aspetti, dai raggianti fastigì dell'acropoli al porto popolato di triremi, dal tribunale al mercato, dalla Pnice ove si disculono i destini dell'impero ateniese ai bassifondi ove s'agita la plebe. dai colonnati severi agli angiporti; veduta in un rapido mutevole quadro, pieno di fervida vita, col suo popolo pittoresco e vario, ove in mezzo a contadini immigrati, marinai, mercanti, schiavi, soldati, artigiani, fra le strette strade e le piazze passano dall'acropoli al mare uomini politici e maestri di sofistica, artisti e poeti; è sentita nelle infinite gradazioni della sua multanime vita spirituale, dalle basse manifestazioni degli istinti della plebe fino agli alti problemi politici e sociali, filosofici e letterari delle classi intellettuali. Per virtll magica di

257

p. 171

RN,op. cit .. voi. "·

cap. x. pp. 266 e:,~.

309

«Annali dt>llaFricaltiidi lettere, Fi/cmJjiue Magisterodella R. U11i1"e1:ç/tà. di Cagliari,,, mf. Xl, 194/, pp. /63-250

Arbto/u11t: lmrn

poteva nascere quella strofe dei Cavalieri, che è il solo c~nto de!l~ poesia greca ispirato alla Dea protettrice d'Atene e l'ultimo grande mno rel1g1osodel mondo classico: Oh protettricePallade,

oh tu che il tuo favore \argiscialla città che ogni altraavanza in valore,in p~sanza, di poesianel fiore, qui vieni;e tecosia lei che in impreseo mischie semprealleataè mia: Nice,che ognors'accenta con le Caritì,e affronta ogni nemico mio (I"').

p. 240

Vibra in questi versi un'intonazione appassionatamente person.ale. Nel simulacro austero e sereno di Pallade annata che regge m pugno Nichc, segnacolo di potere e di vittoria, il poeta poco pili che vc1.1tenn.e vede, come tutti i suoi contemporanei. anche il simbolo dell'Atene d1 Pende~ cd inclina riverente la fronte alla Dea della patria, che deposto lo scudo do.pole vittorie a lui care ha protetto le sorti d'Atene, il fiorire della sua merav1glioM sa civiltà; l'invoca protettrice augusta sulla propria missione di lotta e di batM taglia per la gr,mde:u.adella patria e i sacri ideali del passato. . Nella parabasi dove il poela l'ha inserita, la preghiera~ Atena su~genM sce un'imagine pla.,;;tica:antistrofe simmetrica della preghiera a Pos1~one, erge la statuaria figura della Dea Protettrice dominante, a fianc~ del 010 d~I mare. al centro del mirdbile gruppo dei cavalieri. Ma considerata a se, po//trebbc essere il principio di un.~anlo li~ico r~ligi~s~~:4"r!stof~n~com7 Esiodo, Eschilo, Saffo, e come tutti I gnmdt poeti reilg1os1d1 tutti I tempi, davanti al Dio non perde, anzi accentua. il senso della propria responsabilità. Il particolare fascino di questa strofe ad Atene è in qucll'int~nazi~nc ad u~ tempo devota e affettuosa. rispettosa e famigliare. ove _la~p1da nv?r~n:zae temperata dal confidente abbandono, e auguste paro!~ ntu,ah~ se~p.hc1paro~ le della lingua parlata si incontrano senza contrasto, m m1rab.1I~ tu~1~ncJJ?~ tica. Nella strofe gemella a Posidone, che è tutto uno sfav1lho d1 1mag1m, balenanti in versi stupendi, il tono non è pill quello; il sentimento cede il posto a una pili esteriore emozione, tutta visiva e musicale.. . . . Ma la critica demolitrice dei sofisti che in quegh anni dominano la vita intellettuale d'Atene non può passare senza tracce sul duttile. sensibile spiriM to di Aristofane. ('"J['l Eq11it.S81-S90. Per il caraltcrc t: lu s1ru1turadi

p. 74.

3IO

quci;tocomv. 01 F"ui1. op.cit.,

Al fondo delle sue grottesche parodie e delle scanzonate beffo ai miti vi è qualche cosa dì pili corrosivo della scherzosa buffoneria di Cratino. dell'allegria senza conseguenza dei drammi satireschi. Aristofane osa immaginare di togliere il regno a Zeus, e portare in scena i pietosi cd ingenui intrighi di Posidone o d'Ermete perché è i] contemporaneo pili giovane di Euripide, il compagno in intellettuali discussioni di Socrate e Platone. Scn?.arendersene conto, non può fare a meno di guardare i miti pii.iassurdi e infantili, che la generazione di Eschilo non si sarebbe sognata di discutere, con lo sguardo un po'imnico e spregiudicato di Euripide. Perfino la ~atira scanzonata delle Nuvole che vorrebbero essere una difeM sa di tutti gli antichi ideali, un attacco a fondo contro le critiche dei sofisti, rivela come quelle critiche avessero profondamente impressionato il suo spìM rito('""). Di scivolare in un atteggiamento irriverente verso la religione del pasM sato di cui pur si atteggia a difensore, Aristofane non si rendeva conto; l'inM fluenza trasfonnatrice e del/molitrice del suo tempo agiva su di lui senza che p. 241 se ne avvedesse. Nello speciale clima della commedia attica, alla quale per ormai secolare convenzione ogni eccesso ent permesso, ed ove entravano in scena sotto veste buffonesca da tempo immemorabile non solo Dioniso ma Erncle, Ermete ed altri dei, meno ancora poteva colpire la stridente contradM dizione di un simile atteggiamento, che del resto Aristofane ha in comune nel mondo classico con menti assai piUfilosofiche, non escluso lo stesso Platone. Non ha mai gravato sullo spirito del poeta, tutto preso da1larealtà della vita, il tonnento che dilania Euripide, il dissidio fra l'anelito alla religione e lo scettìcismo filosofico. In lui il dubbio non incide in profondità né arriva a scalzare, come in Euripide, le fondamenta della fede. Ironia, satira, sarcasmo nell'opera di Aristofane prendono di mira non la religione ma ]a superstizione: il poeta s'avventa soprattutto contro indovini, spacciatori d'oracoli, falsi profeti (a~),tulti gli sfruttatori, troppo spesso non in buona fede, della ingeM nua religiosità del popolo: la sua fede non è scossa. Certo non per un ossequio formale a schemi superati il poeta, cosi sdegnoso dei luoghi comuni, cosi ribelle alle consuetudini, riprende in molti suoi drammi le fonnu1c tradi.tioM nali delle preghiere agli dei, che non mancano quasi in n~suna commedia. Reffa e sarcasmo non arrivano a toccare mai Atena e neppure Demetra, le auguste divinità:della sua gente, che lo scherzo sfiora appena senza ofTenM dere. Oltre ad essere una feroce canzonatura di Euripide Le donne alla festa di Demetra, scritte sei anni prima delle Rane, esprimono l'ira e lo sdegno del

(,.')r•JPer i rapporti fra Anstofane ed i sofisti cfr. specialmente PoHt.Ei...Z. op.cit.;CrnMT, op.cit..cap.VIII,p.25S;MuRR"v. op.cit.; JAF.sa come un preannunzio del Fedro platonico, un'eco delle alte e serene discussìoni socratiche trasfigurate in luce bt0vçì:vixl]O'rvA011Vll(Jt... dQxov-i:oc: "A(hfl"!Ju~ ['AJbFq.i.«v-oov (cfr. il commento as. v.; Bow11.A,op. cit.; A. TAocoi,.F.,Le odi di Bacchibde. 1939. XX. 11 Scvcryns nel ~uo diligentissimo lavoro di cronologia bacchilidea non ritiene accettabile questa datazione perché non conciliabile con la cronologia simonidea 556---468(Bacchylidc. Essai btographique, 1933,pag. 27).

321

p. 4

p. 5

Sludi simanidei I Per la ironologia di S1mrmide

«Rivista di F'ilolo!(la Classica». n s,, XXIV 1946, pp. J-24

vittoria ottenuta ad Atene sotto il consolato di Adimanto, e cioè appunto nel 477-476 (''): ~QXCV'Abeiµo:vtoç µÈv 'Atlr1vafouJ', &r'èvbw. 'Avnoxì.ç 4ruÀ.ÌJ bm~6:Aeov tQbcobu.

3nvo►, 1896. 33; M. l3oAs, De ep. Simo11ideiç,1905, n. 88, pog. 134); la sua antenticità I: implicitamente ammessa anchl,, in I.G.,

I' 277. ('') [·] Plt1T,1J.nser1i3 pag. 785 a;SrnMr-i .• inHi.wmr,g,•n.86 R;T/1•T7. inAnecd. Ox.,ed. Cram. 3,353; v. "-f,.x. Pt_,.,..,m Walz Rhet .. V, 543.

(") [1 Loc. cit.: Wçt"mìn:iyQo.µµa Ol]Wt.

(") ['1Du·rn

sacrato(Ja

i~;~!:~•:~~fii~1uvm.,

(")[']

Il' pag. 113 csgg.

322

I, 132, 2; cfr. p.,.,.,~.. 3, 8, 2, J\.P. 6, 197): per un tripode con-

[78] Dn.11L';ARISTll).,Orat.28,60.

323

p. 8

St11disimonidd. I. A•r lo.,:;rnnologiadi Simonide

«Rivi.viadi Filolfl~111 ). 1934. pag. 204; 8ow1M. op. dt., pag. 356; «Rev. Archéol.», 1937, 11, pag. l 16; «Rev. ét. Orccqui;s,>, 1936. pag. 359; F f\B 1>1 """"' "• «Studi ital. di fil Classica», 19]8. 98). Qualche studioso ne abba~sa la dala fino al 46() (cfr. Lowv, Mo-,.,s,che forse apparteneva purea uncan1oinonorcd1 Sparta.

326

versi ove celebrava il suo illuminato mecenatismo artistico('"): i cordiali napporti personali fra il poeta ed il grande uomo dì stato hanno trovato eco in lutta una tradizione che non abbiamo ragione di negare ( 11). Quanto ai rapporti con la famiglia principesca degli Scopadi in lèssaglia, la romanzesca storia dei Dioscuri accorsi a salvare il pio poeta dal crollo della sala, con la morte del principe e del seguito, è certo una pittoresca invenzione posteriore, tessuta sopra versi simonidci. Vera può esser ad ogni modo la tragica morte del principe in quel crollo; cd è senz'altro sicuro che Simonide ha scritto per lui il compianto funebre, oltre i versi dello scolio citato da Platone ( .12).Ma, come ho avuto già occasione di notare, questo non può aiutarci, perché la cronologia di Scopa e la duut stessa della sua morte si basano, anche negli storici pi\J seri, sulla cronologia di Simonide (1')! Un appoggio in favore della cronologia corrente parrebbe invece offerto dalla notizia del canne scritto da Simonide JJper un altro principe tessalico: il threnos, oggi purtroppo perduto, in morte di Antioco, figlio di Echecrate (\4).Ma la data del 510 proposta dal Meyer e dal Beloch (' 5) per la mon:e di Antioco, cd accolta, per quanto io sappia, da tutti gli studiosi, a mio giudLào non è assolutamente accettabile. La sola notizia che ci è giunta di Antioco riguarda la sua relazione con una bellissima ed ambiziosa etera di Mileto, Targelia, rimasta celebre, oltre che per il suo fascino, per l'intelligente ed attiva sua partecipazione alla politica, potremmo dire, internazionale del tempo; tanto da destar l'ammirazione e l'emulazione della giovanissima Aspasia, che se la proponeva a modello (l"). La parte avuta da quest'etera negli intrighi del "gran re" Artaserse in Grecia permette di datare con sicurezza l'apogeo di questa fama e di questa potenza, certo effimera come quella di ogni etera, intorno al 470-460; e secondo la cronologia Meyer-Beloch avrebbe avuto allora una sessantina d'anni! Non c'è bisogno di insistere sull'assurdità di una tale ipotesi; dove si

("') {'] Fr. 122 !kitGK; 189EvMullcpareti del portico Pecile. Sono probabilmente di Simonide i versi sulla battaglia dell'Artcmisio che Plutarco cita come di Pindaro, con una delle sue non rare sviste: dove d'Atene i figli le fondamenta gettarono

splendidedi libertà('3). Il

p. 22

Sono certo di Simonide i versi fatti incidere dagli Ateniesi sulla base mannorea del cenotafio per i caduti di Maratona: (") (I) Pr. 76 D1uu.'. Recenti scoperte e studi cpigrafid hanno chiarito defini1ivamcmc che si tratta proprio dì un epigramma iscriuo sulla base della statua dei tirannicidi, probabilmmcnte del 477476 (v. U. MF11~ri-r. ((Ht.i~puria». V 1936, pag. 355; v. anche Ot1vM1..ibid., ll \933, pag. 490) non di uno scolio, come credevano Wilamow1tz(Suppho, pag. 211) e Geffcken (P. W.). Il Merriu contcsUI!"attribuzionea S. proprio per la ~ua amicizia con Ipparco. 11Rowra !"accetta.cercando di giustificare un tale voltafaccia (p. 338; v, anche F. I," ,mv. p. LVI, 7delvol. I). (') [') M.P. 239 A 23 fai 011'1' {cfr. commcnlo a p. 669) ~eguito da Castore (1207). f>1ceHJ'C(I. VeIleio Patercolo( 1200) e qualche altro. (•) [') Oltre le periodiche relazioni degli archeologi americani nelle ultime annate Jdl'Amcrican Joum1i.lof Archacology. cfr. il recen1h,simoarticolo di J. I. CAsK1:v, «AJA», 1948, p. 119. Nella grande pubblicazione degli scavi della Scuola Americana, tullora in corso. il volume finora uscito non giunge a Troia VI.

378

Alfi d,:I I CO/rgn:ssoInternazionale di f'rei,ftoria e ProtOS/Qf'Ì(l .... Firen:e-Nupoli-Roma 1950, pp. JJ(J.JJJ

con il regno di Micene, per quanto discussa, si può considerare esaurientemente provata daJlo // Schachenneyr O, la lettura delle tavolette ittite nei p. 332 passi riguardanti gli Achei presenta ancora non poche difficoltà e oseurìtà. Appare tuttavia chiaro che i rapporti fra Ittiti ed Achei, già iniziati non senza cordialità intorno al 1350 su un tono quasi di parità fra le due potenze, permangono abbastanza buoni per circa un secolo, pur con qualche periodo di tensione, dovuta ad interferenze e divergenze di interessi nelle reciproche zone di influen7.ain Asia Minore. In seguito, i rapporti acheo-ittiti peggiorano, fino a diventare decisamente ostili fra il 1240 e il 1225, con intervento annato di una flotta di cento navi achee sulla costa di Cilicia, nel conflitto fra il gran re ittita e un suo vassallo. Da questo momento il re degli Achei perde nei documenti ittiti gli osse• quiosi titoli di Re e di Fratellodi cui lo gratificavafino allora l'etichetta diplomatica della cnncelleria di Boghaz-KiOi,e vien chiamato semplicemente Allarissyo.s l'uomo di Ahjia, mentre la cancelleria segnala preoccupata le pericolose scorrerie a Cipro e a Lesbodel bellicoso capo acheo. La cronologia di queste imprese achee può considerarsi, con qualche approssimazione, sicura; per la scorreria contro Cipro, è certa la data del 1225. Data che come si vede non coincide con la grande espansione micenea in Siria, ed invece indica gli ultimi decenni del XIIJ secolo a.C. come un momento di particolare aggressività achea in Egeo nelle isole e sulla costa d'Asia Minore. Intorno alla stessa epoca (1230-1221 a,C.) i documenti egiziani segnalano la presenza di contingenti di Aqawasha nelle incursioni dei cosidetti "Popoli del mare.. contro l'Egitto durante il regno di Menephta.,;: incursioni che si ripeteranno un quarantennio dopo al tempo di Ramses Ili, con la partecipazione di Danuna, forse i Danai omerici. Circa in quest'epoca (in archeologia talora non è prudente fare date troppo precise) cade incendiatae distrutta dai nemici quella città fortificata di Hissarlik nota nella stratigrafia archeologica col nome di Troia VII. La guerra di Troia. che il Bérard ritiene di dover anticipare alla metà del XIV secolo circa, mi sembra invece si inquadri assai bene verso la fine del XJU,per quanto ci è dato sapere di questo burrascoso periodo delJa storia del Mediterraneo orientale; cd anzi riceve dai documenti orientali nuova luce. Nella tradizione ellenica,d'altra parte, la guerra di Troia appare, per unanime testimonianzadi tutte le fonti, l'ultima grande impresa degli Achei; quando la civiltà achea non solo è arrivata a Cipro, ma domina da Rodi e dalle isole

() f'] F. Sc1-1,w1-11>11M~v11, Hetiter und Achiier, Lipsia 1935. L'articolo pili receme sull'argomento è quello, mollo equilibrato, di E. CAvA1C1NAC,«BCH», 1948, Jl. 58. La lettura del nume di Af/JIAYA fra i nomi di popolo e di cillà ..achee" come Tirinto su unu iscrizione crete:.e del XIV secolo. avanzata dallo Hrozny,e finora accolta con scetticismo fra gli specialisti (cfr. B. H11~v, Ht.tf(Jirede l'Asie antf'rieure, 1941. p. 190 e sgg.). 379

p. 333

egee le rotte di // Asia Minore. Non coincide affatlo nella tradizione greca con l'èra di maggior splendore "acheo". Che la tradizione serbasse ricordo di eroi piU forti e pili potenti dei principi omerici, vissuti prima di Agamennonee di Achille, appare attestato senza possibilitàdi dubbio non solo dai racconti omerici di Nestore ma dalle leggende di Eracle e di Perseo, precedenti di qualche generazione la guerra di Troia. e anteriori alla dinac;tiarecente degli Atridi. Anche nelle leggende epiche greche la flotta dall' Atride era stata preceduta sulle rotte dell'Egeo dalla nave degli Argonauti; e prima che >,1948p. 530.

380

cin altro frammento trovato nello stesso fiume, ora al c:istello d1 l>uino (Non mi pronunc10sulla complessa -Am>215,284: PuN., N.H. lii I0:1-4; templidi Atena edi Aneinil>, PsE111x1I\R1sro,.,Demirahll. auscultai., 104, 109. 117, 120. P\.-ril "piano di Diomeili!" v. STttAno 284, 124, 215, LI\~ XXV 12 (a proposito (kj "cannina marciuna"').

per leoffcneai

{'") Di potere marittimo (cly,:a.~teia)parlaespmsamcnte Strabone (215): per la tomba alle Tremiti v. IaYc., fr. 11 Page (294); LvK◊PIIRN 594; STiv.uo 284(124. 215); P1.1N., N.H. lii 151, X 127; SuP11. BYz. s.v.niomedeia, nelle fontiantichesi parladi una"isola Diom~dca", lapili grande, S. Uomenico); poi il nomeinetà roma. al pili di due: (quella dellatombasarebbe navieneestesoatuttoilgruppo.

395

p. 31

p. 32

«Anttchiui Al/Q(1di-iatiche». Xli. 19?7, pp. 25-38

A/111 X"" i ,"11/11 l1mfo ull'Alto Adriatico

ra: buttate a mare dal re Dauno dopo scacciato e ucciso Diomede, erano mira colosamente tornate al loro posto, riemergendo dai flutti dello Ionio (2°)(forse antichi menhir, o forse stele daunie figurate come quelle che Silvio ferri ha mirabilmente riproposto dopo la scoperta all'aUcnzione degli archeologi?). E le procellarie delle Tremiti, i tristi uccelli di tempesta che volavano intorno all'isola "Diomedea" altro non erano, nella leggenda dei Greci d'Italia. se non le anime dei compagni d'arme a guardia del tumulo ove era sepolto l'eme; benigne ai Greci, ostili alle genti straniere ('I). Ed è proprio qui, nell'ambicnle religioso della Magna Grecia, fortemente impregnato di clementi ancllenici, che il figlio di Tideo etolo, umanissimo eroe epico senza ascendenti divini, non solo riceve solenni onori di culto eroico, ma addirittura ascende a immortalità, ricevendo il culto riservato agli dei. Una tale divinizzazione risale per lo meno oltre la metà del VI secolo a.e. Del culto di Diomede assimilato ad un ùio nell'isola ·'Diomedea" fa menzione lbico, molto prima che Pindaro, dopo i suoi viaggi in Italia, accolga la leggenda del trapasso dell'eroe a io siracusano dalle teste di ponte di Numana e di Ancona muove con una forte Hotta alla conqub1a delle isole dalmate, arrivando a stabilire colonie greche a Corcyra Melaina, Pharia e Issa (Curzola, Lesina, Lissa). forse anche a Tragurion sulla costa dalmata (TraU) Cl), Risalgono alla conquista siracusana, unico tentativo di stabilire una coloni:1.zazìone greca sul versante adriatico orientale, le piUantiche iscrizioni greche a noi note per qucst' area; come quella di Lesina, per la vittoria dei Farii contro gli Jaderiti di Zara (nel 384 a.C.). Forse si può fare risalire a quest'epoca la localizzazione in Adriatico del mito di Absyrtos fratello di Medea; e la identificazione delle isole Absirtìdi, teatro della sua morte, in questo mare. E forse allora ha luogo anche la pretesa identificazione degli lslri con i Colchidi, giunti inseguendo Medea fin sulle // sponde adriatiche dove avrebbero fondato Pola; e il collegamento semantico fra gli rstri e il fiume Istro (2"'). Ma la leggenda adriatica diomedea non include nessuna delle isole entrate in area greca con la conquista sir.tcusana; né si ha notizia per quest' epoca dell'arrivo di navi siracusane nel golfo di Trieste. E tanto meno Diomede appare in qualche modo legalo al mondo siceliota in leggende mitiche o cultuali di Siracusa o di altre città isolane. La seconda ipotesi, in apparenza pili ragionevole, è che il mito di Diomede abbia raggiunto l'Adriatico fra il Vll e il VI secolo, nel momento dei primi frequenti rapporti commerciali e culturali greci con le coste italiane nord-orientali. Per le sicure testimonianze archeologiche di Spina, di Adria e di altri centri padani, questi rapporti sono già intensi e frequenti nel VI secolo a.C., anche se naturalmente non ha alcun fondamento valido la tradizione che fa di Adria "città greca'' come di Spina a Diomede condita (si può essere trattato al pili di insediamenti di gruppi ristretli di mercanti artigiani e uomini di mare, come a Cere sul versante tirreno). E mentre andrebbe antidatata la prima esplorazione greca dell'Adriatico, che Erodoto attribuisce ai Focesi e') è possibile che risalgano a quel tempo o a poco dopo quegli insediamenti di Parii nell'isola dì Lesina, e di Cnidii a Curzola, di cui incidentalmente si parla a proposito della conquista siracusana. Nell'ambito del mito. risale indubbiamente a quest'epoca l'identificazione del favoloso fiume Eridano con il Po, e la localizzazione al delta (") Cfr. D10DOR. XV 13. V. LA. STEu.A. Italia antica1,u/ mare, Milano 1930, ('•) Per k isole Ab.~yrtìde~(Lussino e Cherso?) e il mito d1 Absyrtos, cfr. Am1.1..0N. Knelfi, come J'nltrondc di Cere la idcntifica;,ionccon il ("I H1s1,,1,.. fr, 162. 209 Wc:;t; cfr. 11-.,.1"··ftlhu/a,, 152-4: J'X.'f Po. v. P11111.1 ,.,.,, •• /-'//G fr. 33; 1!011.,..in., 1/ippa(rt., v. 733ss.: Dun">R,V 2J. Più incerta la identificazione dclii: mi~1criosc isole Eleltrìdi [F.ie(tridt'.~.cfr. A,«n.1,,~. R11.Medea !342, L-YKOPHR Ale:i..45-6. 649; THL~·vr,. IV, 24, 5; Af'OLl... Ruon. IV 790; PA1..s.34, 7: STRA!! l 24; Pi"''° l'pisl., VII 345; Ov.,,. Mel. XIV 73; Arg(maut. Orph. 1225;Lv(Rl>l, I 72!; cfr. G. V"-LLET, Rhé,;ion et Zancie, Parigi 1958, p. 266 sgg. La localizzazione forse era già in Stesicoro, nella Gerwneide o nel poemettoSet/la (cfr. LYK0Pu1- l.brA, Sidlia prehlstarim, Madrid 1954, 134 sgg.; La Sicilia prima dei Greci, Milano 1958, p. 146 sgg.; VMNr.n1 art. cit., p. 37; cfr.ancheS1 i..1.1A, la civiltà micim~u. Roma 1%5, 215 ~gg. (") Cfr. fra le pili recenti messe a punto L. y,....;r-.1,111, PdP. 1970, p. 369 sgg .. M. MAR,v71 e S. Tus,,,, «Sicilia archeologica», IX. 1978, 48 sgg.; v. anche K. B11AN1t:AN,BPJ, 1966, p. 97 sgg.

(") Cfr. pi.:r i rilrovamcnti micenei nelle isole di r .ipari, Salina, Panarea, filicudi. L. 143~gg.; M. CAvAur.11, RCH 1960, p. 379 sgg.; cfr. anche VAtòNL, ,1, loc. cit.. p. 368. Da notare come la liparite, esclusi\-adelle Lipuri. è stata rrovataad Il. Tnada(cfr.A. Mosso, La civilt«meditemmea, Milano 1912, p. 215, tig. Br,RN'laò DREA, M. CAvAur-R,BPI, 1951, 91 sgg.; 1966,

glianza che già prima del mitico Enea i Greci avessero approdato alle coste del Lazio, risalendo dal golfo di Salerno anche oltre le foci del Tevere. E dunque non erano plaghe sconosciute quelle dove i coloni Greci venivano a cercare nuove sedi nel VII e VTTIsecolo a. C. Per centinaia di anni navi greche erano passate sulla rotta che dal basso Jonio porta al Tirreno, costeggiando in vista dell'"Etna eccelsa" i golfi di Siracusa e di Catania. proseguendo lungo le coste calabre verso la Campania e il Lazio, anche oltre il Circeo, o dirottando dopo lo stretto verso le Lipari. Venivano senza dubbio dall'Egeo, ma forse ancora pili di frequente dai porti del regno di Pilo. sulle coste occidentali del Peloponneso. facendo scalo in Puglia, soprattutto nel golfo di Taranto ('~); percorrendo, almeno dalla mclà del I) Il millennio a.C., la rotta invano cercata da Ulisse per il difficile ritorno. Nell'ottavo secolo non poteva essere pili un mondo misterioso per il Poeta dell'Odìssetl, e neppure per ìl suo pubblico, anche se (ma non è certo) gli ascoltatori 1.-ranogreci di Chio o di Asia minore. Non mi pare quindi pili accettabile oggi neppure l'altra tesi che si tratti di episodi fantastici inventati dal Poeta per esaltare in figura di mito le imprese colonizzatrici del proprio tempo. A popolare di mostri marini, di esseri soprannaturali e ostili e di genti misteriose Tirreno e basso Ionio devono essere stati aedi pill antichi del Poeta odisseico, forse phi antichi dei pili antichi canti del\ 'epos troiano. I primi racconti 1.-picisaranno sorti sulla scia degli audaci navigatori micenei che primi avevano volto la prora verso mari a loro sconosciuti, di là dai confini della civile koine mediterranea: quando ogni approdo costituiva una incognita paurosa, e ogni braccio di mare pareva celare l'insidia di quei mostri marini di cui favoleggiano tutti i marinai del mondo. Le meravigliose avventure del racconto odisseico ad Alcinoo derivano a mio avi,iso da una tradizione poetica preodisscica, che ri:sale all'età micenea anche per l'ambientazione di episodi mitici nel Mediterraneo occidentale. Allo stato attuale degli studi mi pare questa la ipotesi pill accettabile. Tanto pili che il carattere preodisseico e l'ascendenza micenea di singoli miti risultano conformati in alcuni casi da indizi significativi. Per le Sirene, una fortuita ma sicura testimonianza ci è giunta dagli archivi di Pilo. Un inventario di fastosi mobili destinati al palazzo annovera alcuni seggi, thronoi, nella cui ricca decorazione figurano "due teste di Sirene'' in oro e in avorio (se-re-mo-ka-ra-o-i) (1'1).

180). ('') Pt--rIschia G. Rt mNF.R, BPl. 1936-7 p. 765 sgg. LJdA 1969, 96-7: W. TAvwvi) V, 1957, I.

('°) ,e-re-mo-ka-ra-o-i. l'Y 'là 707. 2; 74, 2 duale; di-. se-ro-mo-ka-ra-a-pi, PY Ta 708,

405

p. 2054

Elementi micenei ne!IDdissea: d racrnnto di Ulisse ad Alcmoo

p. 2055

È verosimile che già allora in Grecia queste Sirene fossero rappresenta~ te come figure femminili alate, con busto umano e coda di uccello, secondo uno schema figurativo poi costante dall'età submicenea alla età e11enistica (''). Forse si potrebbero interpretare come Sirene le due simmetriche figure tèmminili alate dipinte ai lati di una porta in un affresco del "Propylon" dì Pilo, e restaurate dagli scopritori sui frammenti Il come Sfingi (22), Per quanto di origine forse anellenica, le Sirene facevano dunque parte del repertorio figurativo mitico favoloso famigliare non solo agli artisti, ma agli scribi micenei nel XIII secolo a.C. (TE III B). Sarebbe forse pill arbitrario volere ravvisare una allusione alle metamorfosi operate da Circe nelle curiose figure di cinghiali dai piedi umani rapprcscntatì in posizione eretta, in atto di tendere le zampe (o le braccia?) verso una coppa nella pittura di un singolare rhyton miceneo rinvenuto a Rodi quarant'anni fa dalla Missione italiana (potrebbe essere anche il ricordo di un rituale mimato con maschere bestiali, o I 'immagine di insoliti demoni terioantropi) (2-1). Ma anche se la pili antica figurazione di Circe risale alla metà del secolo Vlll (1•), iJ racconto della incantatnce che imbestia gli uomini è un antico racconto mitico di va~ta risonanza, La figura pili. affine è la 1963 s. v.

1957-8, p, 52-6: J, CHAuv.,u,Suppi. 4. 191'!2[1983], pp. 88-90. t ") Ved. ad es. l'anfora da Paro al Museo di S1occolma,con l'elegantissima figura allw•" gata di un grande cervo pascente (470-460): cfr. E. R11~·1101t, Griecfrisd1e 1-'alenmalen:i, Monaco 1940, p. 69. fig. 51; P. PF1 ,.,,ATTI, in Em:,dopedia di:ll'arte antica. voi. Il. ~.v. Cidadici Vasi,5K9 ('")Perla floridezza delle Cicladi negli ultimi decenni del scc. vm e i rapporti con l'Attica. Creta e rEubca cfr. J. N. CowsTRl,AM, G11omf!tricGreece..., pp. 191 ~gg., 209 su •• )61 (e in particoh1reil cap. Vll).

431

p. 85

Nule archilnt.hei!(in murglnealle 11110•..:sco~,u art:lum/Qgit'he)

p. 86

in primo luogo l'epica omerica, Iliade e Odisset1, L'eco ne era cosi chiaramenteavvertibile in tutta la sua opera da meritargli nella critica antica la definizione di poeta "omericis.-.imo", tributato dopo di lui solo a Stesicoro, A ragion veduui ho parlato dì poemi omerici, e non di tradizione epica. Come è stato giustamente ribadito anche in saggi recenti, nella superstite opera dì Archiloco è riscontrabile infatti non solo la ripresa di tipiche "formule" epiche. e di versi formulari omerici, ma il deliberalo// richiamo di contenuto e di stile a singoli momenti e situuioni del poema, talvolta ironicamente intesi o stravolti. Non essendo Archiloco un aedo di professione, né un rapsodo, recitatore di canti epici, la sua familiarità con i due poemi non può ~he deri,vare dalla vasta risonanza di Iliade e Odissea, e di altri poemi epici, m tutto il mondo greco fra gli ultimi decenni del secolo Vlll e i primi del VII: risonanza sufficientemente attestata dall'arte figurata C"). Il grado di cultura poetica di Paro ci era d'altronde già indicato dalla notizia di agoni musicali che vi si tenevano in occasione di feste religiose, con esecuzioni di inni ed altri canti in onore delle divinità venerate nell'isola, cui in qualche occasione aveva partecipato anche Archiloco C-'). D'altra parte la larghezza e versatilità delta cultura cui ha potuto attingere Archiloco è dimostrc1tadall'inserimento della favola-apologo in giambi cd t.'JX)di:favola di evidente se pur lontana ascendenza orientale, del tutto estranea alla tradizione epica. Il ripetuto uso dell'apologo nella sua opera poetica implica familiarità con racconti favolistici, già noti allora nell'ambito delle Cicladi, forse venuti in Egeo dall'Asia minore: anche se resta dubbio quando e come siano giunti dal Vicino Oriente alla cultura greca cui restano 1 sempre ~tranei (2), È da notare che r epodo contro Licambc, dove è inserito il noto apologo della volpe e dell'aquila. non può essere stato scritto che a Paro, prima dcl1a partenza per il volontario esilio f 1). Da città greche d'Asia minore, forse da Mileto. i cui duraturi rapporti con Paro hanno inizio in epoca antc..Tiore(:.1).è giunto ad Archiloco qualche esempio di poesia elegiaca. È questo uno dei "generi" che si avviano a divcn-

(") Ved. r. Jo11,1,M~"I, Thc /lias in the r.reek .4n. Copenhugi:n 1967; L. A. Su,u,.. RiMkun.~t. Tn,dizione miamea e pot'.\Ìa dell'Iliade. Roma 1978, p. Z43 sgg.: F. C,..M1,..N1. .pp. ,'i/.[IJfJ

tare di moda nel VII secolo: sicché il distico elegiaco è uno dei metri prescelti dal giovane poeta, che però ne fa uso per i contenuti piU disparati. Ma l'importanza degli apporti culturali d'oltremare nella fonnazione poetica di Archiloco oggi si avverte anche nell'uso di quel metro che è stato il suo strumento prediletto e l'ha reso celebre. il giambo. Scoperte e rilcuurc di iscrizioni metriche trovate nelle isole egee e ionie, in Grecia e in Magna Grecia, hanno rivelato che il giambo era un metro già noto nel secolo VIII a.e. e nei primi decenni del VII in tutta l'area greca. Il E dopo i fondamentali e, a mio avviso, decisivi sludi di C. Gallavotti sul materiale epigrafico metrico vecchio e nuovo (2~)mi pare non sia da mettere in dubbio che l'uso di rami giambici (dimetro, trimetro) possa risalire a tempi anteriori al poeta di Paro. Ancora all'epoca di Archiloco. ed anche piU tardi. modesti compositori di iscrizioni metriche continuano a usare antichi ritmi giambici al di fuori di ogni influen7.a archilochea: ritmi da ricondurre, secondo Gallavotti, ad una tradizione popolare preletteraria (211). Con piU raffinata ane Archiloco adegua i metri giambici, modificandoli, alle esigenze della sua poesia: non è inventore ma innovatore (?1). Imbevuto di questa cultura poetica, tuttavia si distacca dalla tradizione. L'epos, la favola, l'elegia, il giambo non sono che punti di partenza per la sua poesia: Archiloco piega formule e ritmi antichi a modi nuovi. in cui si riflette la realtà viva del suo tempo e la propria forte persona-

lità. Un esempio interessante mi sembra l'epiteto no>..,•xo,,ooç, epiteto fisso di Micene nella tradizione epica per indicare lo splendore cd il fasto dell'antica capitale micenea, onnai solo un lontano ricordo. Usato da Archiloco in giambi famosi come attributo di Gige, signore assoluto di Lidia in quegli anni, diventa un epiteto attuale, che vividamente illumina la recente ricchezza del regno )idio, iniziata con lo sfruttamento delle miniere d'oro del

Pallolo ("). Le "rapide navi" della tradizione epica (,'T!f;itoni.) nella poesia archilochea diventano, al di fuori di ogni formula, le navi attrezzate per la guerra che portano alla battaglia oltre mare, e forse anche sul mare, i combattenti tra cui milita Archiloco: uomini del suo tempo, che di guardia a bordo in attesa della (") Ved, iiQuad. Urb.», 20, 1975, p. 165 sgg.; «Fesbchrifi SzemcJ'Cnyi».Am,1crdam 1979. pp. 55-56: la criricutesruolegroco.latilfa, oggi.Metodi e prob{emì(Atti Convegno In!«., Napoli 1979). p. IJ5 sgg.; Metri e ritmi nf!fle i,«:ri:ùmi gre('/Jtt.«Boll. Uau. Lincei», Suppi. 2• 1979. pp. 83 sgg., 94 sgg., 130 e passim. f") Ved. in La critica te.,tuole... , p. 143;cfr. G. P"''iQl'"1P, Pagine :;1ravag,:m1i...p. 107. e') Ved. in L, ,·riliL·utestuale.... p. 145. (:') Ved. fr. 22. I T. = 19, I W. Perlosfrutlamcnlodcllcminicrcd'orodel HA•oMANN,Sardi,f.

Har,;ard Univ. 1982, p. 7;A. R,.,,1,1,.,m., ibidem. pp. 37 e 57.

433

Pattolocfr.G.

p. 87

Note un:hi/oche,..(in mnry;mc u!le nuov,40, 1982,pp. 8-9: C Q,.,srARR1. ibidem, p. 33 sgg.: G11 ...1uM. loc. cii., p. 61 iigg.; non accolta invece da MAR.TIN. art. cil., p. 74 e P1M.u 1,.1t•x.«l•,ntretiensHardt». X. p. I sgg. La propostaavanzala da Gasparri di inlerpretarc un rilievo da P1:1ru 1:11 Museo di l~tamhul come rappresen1azionccroizzata d1Archiloco ecista non mi pare accettabile, in quanto il lcma della raffigura7.toneritorna per oltre un secolo. con varianti diverse in altri rilievi. ed è interpretata. corrcltamcntc,a mio av\oiso.come motivo di convìto funebre di un personaggio in vista accompafunéraire da,i.Yle f>mcheOrit•11l ~nwt1M. Geometrie Greece... , p. 127;comt: dea annata nd suntuariocrell;;'sedi Gortina nel Vll secolo ~ed. G. R1uA, V. ScR1Nt1R1, op. cit., p. 246 sgg.; cfr. Creta antica, 1984, p. 467.

445

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Noie ard1i/11che,.• fin margine alle nuove .~opi:r/t:arr:heologkhe}

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. ~ell'isola, il culto,di Aten~, non frequente per quanto sappiamo nelle ~1clad1~ q~cll epoca.,e prob~btlmentedi origine micenea, ed in ogni caso risale ali età geometnca; scavi ancora in corso nell'arca di Koukounaries ne fo~iscono interessanti testimonianze (14 ). Nella città di Paro il tempio della Poliouclws ~orgcvaal sommo della Acropoli nell'area del Castro veneziano, dove metodu.:hee laborioseindagini hanno consentito di individuare e ricostruire graficamente dallepossenti fondamentaancora in situ da erandi hloc~ chi murari, frammenti di capitelli e colonne e altri innumerev~lir~ateriali riutilizzati nel Castro e in varie chiese, il grande tempio arcaico di Atena, amfiprostilo, con un solenne portale: il maggiore edificio sacro entro la cerchia delle mura (7'). . Vigile custode della polis, garante della sua operosa vita civile, Atena Polwuchos è anche sempredea armata, a difesa della comune libertà dei cittadini contro ogni m.inacciadi nemici esterni. In difesa di Paro nella guerra contro Nasso la vediamo apparire nei carmi archilochei. Con la sola forza della sua divina presenza,senza spada né lancia, la dea Poliouchossemina il panico tra le file dei Nassii,respingendone l'assalto dai li bastioni a,;,wdiati: "ma fiaccò il loro con,ggioAtena figlia di Zeus·•("'). Nella fantasia evocatrice di Archiloco, scende in campo non per combattere a fianco di Achille o Diomede, ma a fianco dei cittadini di Paro in anni, schierati a difesa della patria in pericolo, per rincuorare i combattenti disanimati e rovesciare le sorti di una battaglia perduta C'): " ... ma propizia, nella mischia, stette loro a fiantonante Zeus la figUa, e infondeva nuovo ardire nella gente

:~~':!~}~I

(") Vcd. lhn..:N.~Ol1N, in RF. XVIII ( 1947),col. 1842; Snm "'""· M-TR,Wl'R~1.p. l"l

334.

{")r']Op .. lX.JlS. ("·J {'] Op.. Il, 203: IX. 329.

450

451

p. 7

ll!(tiFo.,n,/o('latxil!.stad!enu:a

p. 8

Studi .m I 'go Nm•f!lo ... net prinw cemenario della mone del poeta. Pavia 1927. pp 1-39

sono l'epigrafe dell'orazione a Bonaparte (2'l Eschilo, che Didimo Chierico paragonava a "un rovo infuocato su un monte deserto", gli fu meno famigliare. Certo conosceva il Prometeo C"), forse anche i Sene a Tehe, ma quasi certamente non la trilogia, che cita solo in note erudite (n). Meglio conobbe Euripide, di cui cita nella Chioma le Troiane. Re.\·o, Elettra, Ippolito e le Fenicie (1M).Quanto ad Aristo//fane, aveva letto le Rane, che cita pili volte (l'I); forse anche gli Uccelli di cui tradusse un pa~w ( '"); certo però il suo temperamento troppo serio ed appassionato non gli permetteva di apprezzare la sublime satira del calvo di Atene. Fra i poeti dell'età alessandrina, ebbe molta simpatia per Teocrito, che ricordò nelle Grazie e di cui voleva tradurre qualche egloga; lo avvicinava al bucolico greco quel sentimento profondo e vivo della campagna che gli dettò pagine mirabili ncll'Ortis e versi freschissimi nell'inno a Vesta. Pili singolare è l'ammirazione del Foscolo per Callimaco (' 1), di cui tradusse e commentò la Chioma, studiò con passione gli inni, e dai cui frammenti trasse ispirazione per l'episodio delle Grazie sui lavacri di Pallade. La spiegazione di questo entusiasmo, a nostro giudizio eccessivo, per una fredda poesia erudita sta forse in parte nel fatto che nell'elegia di Callimaco vi sono singolarissime affinità con la poesia romantica. Inoltre, il Foscolo conobbe e studiò anche i poeti dcll'Amologia; e ne tradusse e imitò parecchi epigrammi.

LA

PO!•SJ,\

ELLENICA

E L'ART!,

DEL FosCOLO

È ingiusto dunque il sospetto avanzato dal Donadoni ('") che l'ammirnzione del Foscolo per la poesia ellenica sia fondata su una conoscenza limitata. se non superficiale. Certo, questa conoscen7..a, sia pur vasta o mirabile, intere~sa l'erudito, ma lascia freddo il critico. che nell'opera di Ugo Foscolo cerca il poeta. Per poter sentire fino a che punto quell'antica poesia sia dive-

{")CJOp.. V. 35. ("') [']Vedile considerazioni della Chioma, pi:r i:s. p. 375; e lettere i Sette, v. Chioma,p. 364 (") f'] Chioma,Con~ideraz1one IV e V, e p. 300. (") ['1Chwma, Consid. VI, p. 372; XIL pp. 391-392; p. 330.

11{ Tre,•hi,p.

nuta sangue del suo sangue, e sia vicina alla sua anima, bisogna che la dolce Teresa dell'Orti:.- ridica ad Iacopo, in// un'ora d'intimità e d'abbandono, i versi divini di Saffo; bisogna che il poeta in persona. nelle ore pili amare della vita, dalle pagine dell'Epistolario, ove appare senza veli il suo gran cuore tempestoso di eterno e mal rassegnato ribelle, ci gridi il verso di qualche grande tragico, a suggellare il suo amore e i1suo dolore (1'). E poiché Ugo Foscolo fu prima di tutto un grande poeta. cerchiamo nel cuore del la sua poesia colo~ ri, profumi ed armonie delle lontane primavere elleniche.

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Fenniamoci solo per poco sulle poesie giovanili, giudicate unanimemente brutte, bruttissime dai critici. Il poeta giovanetto di Zacinto, a cui manca il completo dominio della lingua, si limita ad uno stile convenzionale, sulla falsariga dei poeti di moda; dovrà ancora studiare e medirare molto Parini, Alfieri e Monti, e poi Dante e Petrarca, prima di trovare se stesso. Pure, in questi mediocrissimi versi già appaiono amorosamente delineate le figure di Anacreonte che s'inghirlanda il capo di rose, e di Saffo al cui canto appassionato scende dal ciclo Venere('"). Accanto a queste reminiscenze classiche, è molto pill. interessante scoprire come già balenino nei versi ligure ed immagini care alla poesia foscoliana. Saffo che, dopo morte. sull'arpa eolia piange ancora la sua passione infelice prelude ad una strofe dolcissima dell'ode all'Amirn risanuta; Artemide. la cui figura mitica, amorosamente studiata nella Chioma, ispirerà al poeta similitudini bellissime, gli ha già dettato nell'adolescen7a un inno es) non indegno d'essere imitato dal Carducci giovane. A Venere, che sarà una figura prediletta del suo Pantheon li poetico, è dedicato un altro inno, in cui la fanciulla amata appare già sacerdotessa della Dea {16), come pili tardi nell'ode alla Fagnani. Ma soprattutto le Grazie bionde che schiudono le porte all'aprile, o intrecciano amabili danze, o vestite di un manto funereo piangono sopra una tomba, o vengono sulle ali di Zefiro ad ascoltare i versi del poeta, sono il preannuncio, sia pur vago e lontano, del Carme che sarà la gioia cd il tor-

Ml; per

("')f'lOp.,rv.78 ('")['1Chwma, p. 388.

(") ['] Lettere al Trech1,p. 68, lettera alla contessina Giovio del ;,cltcmbre IR!O in A,,,,.,,.A.TMAVL"'>I, 11,260; Op. V, 25

(") l'J Ed Mi:;rnc,,, voi. I, III, p. 8: A Sajfò; XVII, p. 31 La Rosa Tarda.

(") ['1 Vt:noqualche cosa di pili di un mero nome per molti italiani e stranieri, anche lontani dagli studi classici. Negli ultimi l(..'lllpi,tra noi hanno preso parte alle rappresentazioni attori di primo piano, con traduzioni affidate qualche volta a studiosi di ingegno e di cultura. Tuttavia non ho potuto ritrovare mai in questi spettacoli quella miracolosa fusione dì regia poesia redtaziu1'e drammatica musica danza che riusciva a tradurre nello spirito e nella lettera il dramma greco. Un teatro dove non possono avere posto né danzatori cubani a sostituire le annoniosc danze greche, né ritmici "tam-tam'' c~d.cnzati ~i trìbu africane al posto di flauti e di cetre, né gigantesche immagm1 totemiche con truci maschere giganti in funzione di quelle divinità ellc~~:~e di cui Fidia effigiava cosi serenatrici immagini da "lenire ogni affan-

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Dagli anni di fervido, continuo contatto con il mondo del teatro è sorto anche quel gruppo di composizioni originali che Romagnoli ha scritto per il teatro, in gr-.mparte ispirate al mito greco, in diverse luci. Accanto ai drammi ~Lires:hi, sorta di vividi personalissimi grotteschi che egli prediligeva, ricordiamo d Carro di Dioniso, e soprattutto il Mistero di Pers~fone, da lui stesso musicato e rappresentato con successo a Siracusa; incantevole, luminosa varia:.done sull'antico inno omerico a Demetra, che è forse la sua pili felice e perfetta composizione drammatica. Terza ma non secondaria parte della sua opera costruttrice è stata la critic~ della poesi~. Rispetto alle traduzioni, non rappresenta un lavoro preparatono.: co_nsacraI risultati raggiunti, suggella la sua valutazione critica sopra poeti e singole opere. Si tratta di un lavoro imponente, ma disperso. Per valut~mc il peso e l'importanza, non è sufficiente leggere i// suoi volumi pili noti, bisogna leggere e meditare le prefil7ioni e i commenti ai vari autori nei Poeti greci traduui (ad esempio nei volumi sui lirici i commenti su Saffo e Alceo travalicano di molto per la compiutezza e la novità dell'analisi il pili noto Regno di O,feo). , , . A dare a tutte ~e.pagine una stessa inconfondibile impronta di originalità v1e 11suo sempre vigile senso del rapporto poesia-musica; ma concorre anche la inluizione, nuova per quei tempi, che una poesia come quella greca, fatta per essere recitata e cantata, va giudicata su metri e schemi diversi da poesia c~mpo~ta solo per ~sere. letta: una intuizione da ricordare, oggi che si parla d, poesia orale negh studi sulla poesia antica, in ltalìa e fuori.

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«Siudi Roma11il>, a,moXX,

ir.

2, aprile.giugno 1971, pp, /69-180

Con particolare interesse, dovuto alle sue peculiari attitudini e inclinazioni, la critica romagnoliana si è volta a fissare quel momento essenziale nel divenire di un'opera poetica in cui la ispirazione del poeta per attuarsi trova espressione nella compagine musicale del verso, usando come strumento la parola in funzione non pratica ma poetica. Di qui 1a sua divergenza con Benedetto Croce, forse a lui pili vicino di quanto egli credesse; occasionalmente sfociata nella polemica carducciana, ma nata da un'antinomia teorica pili profonda, che Romagnoli, alieno da formulazioni teoretiche, rifuggiva dalresprimere in termini di una propria estetica come avrebbe potuto, D'altra pane, la sua spontanea contemplazione della poesia ellenica come momento della poesia universale non proclamata come assioma ma espressa in accostamenti mirabili (la Notte di Alcmane accostata alla Notte della famosa lirica di Goethe) non impedisce a Romagnoli di guardare il poeta, con lucido giudizio critico, sul suo sfondo storico e culturale. Fra le pagine di critica dedicate ai poeti greci e dentro i volumi maggiori risplendono le pagine su Euripide, ancor oggi fondamentali per la fine distin~ zionc fra i limiti del drammaturgo e l'altezza del poeta, e per la comprensione profonda di questo tormentato genio poetico, dilaniato, quasi da un ••sottile veleno", dal suo implacato razionalismo nell'anelito disperato verso l'alto. Ma dove forse nel teatro il critico ha con piU felice libertà spaziato e nessuna scoperta ha potulo scalzare la validità del vigoroso quadro è // regno di Dio1'iso, dedicato alla commedia auica antica; da Aristofane che gli ha ispirato pagine memorabili al rivale Eupoli, discendendo fino agli epigoni e risalendo con l'ausilio delle scene figurate sui vasi fino alla pili antica commedia d'arte, di cui ha offerto una ricostru:.-:ioneefficacissima. del rutto nuova. li segno pili profondo, tuttavia, egli lo ha lasciato nella critica pindarica. Dal primo memorabile libro del 191O fino ai suoi ultimi saggi Romagnoli ha veramente da novatore gettato le fondamenta di una valutazione Il critica nuova di questo ammirato ma in fondo poco compreso poeta. Ravvisando in Pindaro il felice cantore nostalgico del grande passato mitico cd eroico, Romagnoli ha liberato quella grande poesia dai vincoli di un'ammirnzione conven7ionale e fredda per fare sentire il valore perenne, la modernità di un modo di poetare che alla profonda sensibilità musicale congiunge un raffinato gusto pittorico. con risultali raramente raggiunti da poeti pili vicini a noi, Dopo di lui sul piano della valutazione estetica, dal saggio finissimo di Gennaro Perrotta fino alle pagine della critica pili recente, i temi e i modi della critica romagnoliana sono stati ripresi tante volte e diversamente svolli che han finito per diventare patrimonio comune del la nostro cultura. E non saprei vedere un riconoscimento maggiore per la loro validità. Nell'ultimo periodo della sua vita, senza mai abbandonare i prediletti poeti greci, Romagnoli aveva rivolto il suo interesse anche alta poesia latina. riprendendo, con maturo spirito e raffinato gusto, le care letture dei suoi gio-

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El/ore Romagnoli umanista nef ce11te11ar10 della sua nu.sdlu

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vani anni romani: Plauto e Lucrezio, Orazio e Virgilio. Da una meditata e approfondita valutazione della originalità di una poesia culturalmente tanlo legata alla matrice greca sono scaturiti i suoi grandi discorsi commemorativi nel centenario di Virgilio e di Orazio. Si tratta di veri e propri saggi, che per sincerità di accenti e intrinseco valore trascendono il carattere occasionale: sotto il velo di una forma liricamente sostenuta e nobilmente classica. racchiudono una pen,onalissima visione critica. · Quale somma di lavoro preceda e prepari ogni sua esegesi anche in questo campo risulta chiaro dalle sue vive traduzioni di tutta l'opera di Orazio (insolitamente in prosa poetica) antecedenti al discorso oraziano: il pill felice dei due discorsi, forse per l'istintiva simpatia che lo ravvicinava in quegli ultimi anni alla amara, disincantata saggezza, venata di sorriso del poeta venosino, temperata dalla non mai smarrita fede nei pili alti valori ideali. Anche le scintillanti traduzioni di qualche commedia plautina dovevano essere il preludio di un discorso critico su Plauto, che non è riuscito a scrivere. Resta, pili vivo, il rimpianto per il progettato libro di saggi critici sui poeti dell'Antologia palatina: un disegno in abbozzo, troncato dalla repentina morte. E pili ancora resta il rimpianto di un volume omerico, che da tanto aveva in animo di scrivere e di cui non sono rimasti che appunti e note sparse. Un libro polemico e costruttivo, tradizionalista e pure moderno, come solo lui avrebbe potuto scrivere per un poeta che egli tanto ammirava. Da poco tornato in quella Università di Roma che lo aveva visto studente, in pieno fervore di lavoro, stroncato da un male improwiso, Romagnoli lasciava quei fogli di appunti incompiuti alla nostra desolata, riverente malinconia. Scompariva con lui, prima che il turbine della guerra // travolgesse nel suo vortice la nostra Italia. la sua cara Italia, l'ultimo forse dei grandi umanisti. Ma io non potrei chiudere questa breve rievocazione sen7,a ricordare con cuore commosso il Maestro: il Maestro da cui generazioni di giovani, dal primo Novecento alla vigilia dell'ultima tragica guerra, hanno ascoltato la voce indimenticabile. Poiché nonostante contrastanti apparenze Ettore Romagnoli ha continuato a credere fino all'ultimo, con forma coerenza, al valore di quella che io chiamo ancora la "missione universitaria": intimamente convinto come era del valore insostituibile del Logos, l'efficacia della parola 'Viva, che nessun testo di dispense e nessun disco può sostituire. Per tutta la vita, dalle pagine polemiche dei suoi Paradossi universitari ai discorsi inaugurali a Pavia, al discorso ai caduti in guerra, ad articoli e discorsi degli ultimì anni, l'acuto interesse per il problema, purtroppo sempre attuale, dell'esigenza di riforme che ringiovanissero le vetuste strutture della Università italiana non faceva tacere in lui la preoccupata ansia di conservare intatto il prestigio della gloriosa istituzione. E veniva chiaramente individuato il pericolo che nella fretta del nuovo i giovani smarrissero il culto de1la lradi:,,;ione, che attraverso il mondo latino risale alla matrice greca, e volta-.-

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«Studi Romam». anno XX,

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2, aprile-i;mgm.11972.pp. 161}-J/j(/

sero le spalle indifferenti al passato: "arca santa del nostro patrimonio spirituale", come egli scriveva. Le sue pagine pili battagliere su questi temi nascono per contrappunto dal suo infinito rispetto della Università come istituzione: "il l'empio da cui si debbono scacciare i mercanti", Non erano parole. Fedele a quel rispetto, Romagnoli quando entrava dai solenni portici antichi nelle vecchie aule polverose delle nostre Facoltà di allora, lasciava dietro dì sé ogni polemica, ogni sarcasmo, ogni personalismo. ln piedi fra noi, leggeva e pill spesso diceva. nel suo modo inimitabile, i versi degli antichi poeti. Al suono della sua voce, magicamente si spalancavano le porte; si intravedevano luminose marine odissekhe, clisii prati pindarici flagranti di fiori d"oro. I fantasmi sereni disperati dolenti di Nausicaa,