Scienza e politica nel mondo antico. Lavoro intellettuale e lavoro manuale nell'antica Grecia

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Scienza e politica nel mondo antico. Lavoro intellettuale e lavoro manuale nell'antica Grecia

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Nella stessa collana LUDOVICO GEYMONAT, Filosofia della scienza DOUGLAS GUTHRIE, Storia della medicina MAX JAMMER, Storia del concetto di spazio FRIEDRICH KLEMM, Storia della tecnica ALEXANDRE KOYRÉ, La rivoluzione astronomica. Copernico, Keplero,

Borelli

BRONISLAW MALINOWSKI, Teoria scientifica della cultura e altri saggi LEWIS HENRY MORGAN, La società antica. Le linee del progresso

umano dallo stato selvaggio alla civiltà

s.

SAMBURSKY, Il mondo fisico dei greci

CHARLES P. SNOW, Le due culture

Benjamin Farrington

Scienza e politica nel mondo antico Lavoro intellettuale e lavoro manuale nell'antica Grecia

Feltrinelli Economica

Titoli delle opere originali:

1. Science and Politics in the Ancient World (George Allen & ·Unwin Ltd., London 1946) 2. Head and Hand in Ancient Greece (C. A. Watts and Co. Ltd., London 1947)

Traduzione dall'inglese di:

1. Antonio Rotondò 2. Anna Omodeo

Prima edizione jtaliana:

1. 1960

2. 1953

Prima edizione nell'SC/10:

marzo 1976

Seconda edizìone nell'SC/10:

aprile 1977

Copyright by

© Feltrinelli Economica SpA Milano

Design:

Bob Noorda e Massimo Vignelli/Unimark

Indice

SCIENZA E POLITICA NEL MONDO ANTICO Pagina 11 Pagina

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Pagina 20 Pagina 24 Pagina 37

Pagina 40 Pagina 46 . Pagina 58 Pagina· 70

Introduzione

Un esempio moderno Capitolo primo

Da Anassimandro a Cosma Indicopleuste Capitola secondo

Il "Dio-geometra" Capitolo terzo

Da Empedocle a Prudenzio Capitolo quarto

Superstizione pagana e .superstizione cri­ stiana Capitolo quinto

Le due grandi conquiste della scienza presocratica Capitolo sesto

Prometeo incatenato. Il contrasto tra scienza e città-stato Capitolo settimo

Platone e la religione della città-stato Capitolo ottavo

La ribellione alla religione della città-stato

Pagina 77

Capitolo nono

Pagina 85

Capitola decimo

L'azione di Epicuro I>latone ed Epicuro 7

Pagina 96 Pagina 104 Pagina 112 Pagina 139 Pagina 149

Capitolo· undicesimo

La religione di Epicuro Capitolo dodicesimo

La penetrazione dell'epicureismo a Roma Capitolo tredicesimo

Lucrezio

Capitolo quattordicesimo

Dopo Lucrezio Note

LAVORO INTELLETTUALE E LA­ VORO MANUALE NELL'ANTICA GRECIA Pagina 159

Prefazione dell'Autore

Pagina 161

Introduzione

Pagina 163 Pagina 183

Pagina 203 Pagina 225

Capitolo primo

Carattere della scienza greca delle origini Capitolo secondo

La mano che guarisce: studio sulla medi­ cina greca da Ippocrate a Ramazzini Capitolo terzo

La storia universale: Diodoro Siculo Capitolo quarto

Gli dei di Epicuro e lo Stato romano

Pagina 244

Note

Pagina 249

Personaggi piu importanti di cui si fa menzione nel testo

Pagina 254

Cartina storica

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SCIENZA E POLITICA NEL MONDO ANTICO

Lo studio della natura non forma un tipo d'uo­ mo bravo a vantarsi e a straparlare e a scio­ rinare quella cultura che è tanto ricercata dai piu: anzi forma uomini gravi e indipenden­ tissimi, che fondano il loro orgoglio sulle qua­ lità personali, e non· sulle circostanze esterne. EPICURO

Introduzione

Un esempio moderno

Haeckèl, mettendo in rilievo la possibilità di ap­ plicare all'uomo la teoria di Darwin sull'origine delle specie, scopri di essersi trasformato da puro scienziato in uomo politico.

Argomento df questo libro sono gli ostacoli incontrati dalla .diffu­ sione di una concezione scientifica nel mondo antico. Generalmente si addita il maggiore di questi ostacoli nella superstizione popolare_. Noi ci chiediamo se "superstizione popolare" voglia dire "supersti­ zione che ha origine dal popolo" o "superstizione che è imposta al popolo." Plutarco,1 nel suo trattato Sulla superstizione, delle vitti­ me di questa malattia dice: "Disprezzano i filosofi e le alte autorità del governo e dello Stato, le quali insegnano e dimostrano come la maestà di Dio sia accompagnata da generosità, magnanimità, amore e sollecita preoccupazione del nostro bene." Invece vedremo che filosofi e austeri uomini di Stato inculcarono dottrine .altrettanto false, e anche meno discrete. Sulla natura di queste dottrine e sul motivo della loro diffusione ci diranno molte cose gli antichi scrit­ tori; le loro testimonianze ci aiuteranno a distinguere tra le due fonti dell'antica superstizione: l'ignoranza popolare e l'inganno delibe­ rato. A noi sembra che, se si stabilisce questa elementare distin­ zione, la prospettiva della storia della scienza nell'antichità si spo­ sti, e si risolvano molte questioni ancora oscure; e si faccia luce soprattutto sulla storia dell'epicureismo e sulla strana figura di Lucrezio, nella cui opera la lotta contro la superstizione del mondo antico raggiunge la piu alta espressione. Poi ci fermeremo sulle interferenze tra filosofia naturale e filosofia politica nel · mondo dell'antichità classica. Secondo noi, lo sviluppo della filosofia natu­ rale fu profondamente influenzato da considerazioni sorte in un campo a essa estraneo, cioè da considerazioni politiche. L'intrusione di princfpi politici nel campo della filosofia naturale è molto evi­ dente in Platone, mentre l'ultimo sforzo volto a liberare la filosofia naturale dalla politica fu compiuto da Luérezio. Perciò la nostra ricerca, sebbene cominci prima di Platone e prosegua oltre Lucre­ zio, si concentrerà principalmente su queste due �andi figure. Ma 11

poiché potrebbe non apparire di immediata evidenza che. la· filoso­ fia naturale e la politica possono interferire, come avviene in realtà, sarà bene dare uh primo esempio di tale interferenza nei tempi moderni. Fra i sostenitori della teoria biologica dell'evoluzione, che suscitò tante discussioni, non solo nei circoli scientifici ma nella società in generale, uno dei piu autorevoli e zelanti fu, sul cadere del XIX secolo, Ernst Haeckel. Intorno a lui scoppiò una violentissima tem­ pest� di polemiche. Haeckel era un aristocratico senza particolare interesse per i problemi sociali. Soltanto l'esperienza gli dimostrò - e ciò lo tenne un po' perplesso fino alla mor�e - come una rigorosa difesa, in pubblico, di questa sua posizione scientifica costi­ tuisse una forma di azione politica, origine delle piu feroci controversie: egli ne usciva eroe di un partito politico, e oggetto di sospetti per un altro. Darwin, quando pubblicò, nel 1859, la sua Origine delle specie, estese con molta cautela l'applicazione della sua teoria all'origine dell'uomo. Diede alla sua opera una conclusione deistica e si limitò ad indicare en passant, come uno fra i tanti possibili risultati della sua teoria della selezione naturale, che "sarebbero state chiarite l'origine e la storia dell'umanità." Il suo traduttore tedesco Bronn (tale traduzione fu pubblicata nel 1860) ancora piu timido di Dar­ win, ritenne opportuno non tradurre questo brano, e in tutta sem­ plicità lo saltò. Ma in un congresso scientifico, a Stettino, nel 1863, Haeckel, che era il primo oratore, sottolineò vigorosamente le con­ seguenze che si dovevano trarre logicamente, nel campo della storia naturale, dalla teoria di Darwin, riscuotendo l'approvazione unanime dei suoi colleghi: fra i quali il Virchow. Ora, il Virchow aveva un senso dei riflessi sociali della scienza che mancava del tutto a Haeckel. Nell'ultima fase di quello stesso congresso il Virchow limitò ancora di piu il campo di azione della scienza, in un senso il cui completo significato doveva risultare chiaro soltanto dopo molti anni. "È compito dello scienziato," diceva, "stabilire fatti, e non filosofare sui fatti... Nel campo dei fatti la scienza è dominatrice suprema... Se venisse accertato che l'uomo discende dalla scimmia, non vi sarebbe tradizione al mondo che valesse a eliminare questo fatto... Chiesa e Stato devono entrambi inchinarsi alla scienza nel campo dei fatti... Un governo previdente e una Chiesa tollerante assimileranno sempre questi principi avan­ zati ed evoluti, e se ne avvantaggeranno... Ma nello stesso tempo la scienza deve cercare di non oltrepassare i suoi limiti" e nel delimitare quei misteriosi confini, il Virchow mostrò di auspicare un com­ promesso, con le esigenze di un governo illuminato e una Chiesa

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tollerante, che provocò piu tardi un grave dissidio tra lui e Haeckel. Al congresso di Stettino il Virchow non indicò la natura. del com� promesso che cercava con lo Stato. Faceva una concessione alla Chiesa, ma la linea che tracciava tra le due sfere della scienza e della religione era molto strana. "La coscienza," diceva il Virchow, "e soprattutto quei fatti della coscienza che regolano le manifesta­ zioni piu alte della vita umana, non possono mai essere oggetto della scienza... È questo il punto su cui la scienza stabilisce un compromesso con le Chiese: nel riconoscere che la religione è un campo che ognuno può esplorare liberamente, o portandovi la propria interpretazione o accettando le idee tradizionali..." La posizione del Virchow non era completamente chiara, ma era abbastanza chiara da risultare inaccettabile per Haeckel. "Lo scien­ ziato può raccogliere fatti, ma non può trarre conclusioni, almeno nella sfera della coscienza...": imporre a Haeckel un compromesso del genere sarebbe stato come imporgli di non pensare. Essere libero di tracciare la evoluzione fisica dell'essere vivente dal protozoo all'uomo, ma non libero di trarne alcuna conclusione sull'evoluzione delle attività psichiche che dipendono dalla struttura fisica! ... Già trecento anni prima, Vesalio aveva protestato contro queste restri­ zioni; da parte sua Haeckel continuò a indagare, a teorizzare e a divulgare. Ora Virchow, affermando che l'utilità preme piu della verità, era passato all'opposizione piu accanita. Al congresso del 1877 egli non cercò piu di stabilire un compromesso con la Chiesa (la cui influenza frattanto era diminuita in Germania), ma con lo Stato, che in quel momento era il piu forte. Erano ormai gli inte­ ressi dello Stato, e non la conservazione della fede, che stabilivano i limiti delle attività dello scienziato: gli interessi dello Stato si opponevano al darwinismo perché questa teoria era stata fatta pro­ pria dalla socialdemocrazia. Bisognava porre dei limiti alla scienza perché il popolo si veniva interessando alle conclusioni che se ne potevano trarre. L'elemento"di controllo nello sviluppo della scienza doveva essere non la verità, ma l'opportunità politica. Haeckel si sentiva schiacciato fra due pesi. Aveva sempre temuto l'ignoranza delle masse; ora cominciava a temere che il suo peg­ giore nemico fosse, in Germania, l'alleanza della Chiesa col partito reazionario. L'ignoranza, pensava, si può guarire; quando si tocca l'interesse, invece, si parla ai sordi. Egli si era sempre preoccupato di far conoscere le sue conclusioni a persone colte non specializzate. Da quel momento avrebbe cercato un pubblico sempre piu vasto. Se avesse potuto, avrebbe illuminato la moltitudine. Solo in questa prospettiva nutriva una speranza per il futuro dell'umanità. Haeckel divenne uomo politico, ma senza abbandonare . la scienza; sempli-

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cemente scopri che essere scienziato vero e coraggioso era anche un'attività politica al massimo livello. Con la pubblicazione dei Weltriitsel [ Gli enigmi del mondo] si rivolse all'uomo della strada. Il libro, tradotto in quattordici lingue, fu venduto a centinaia di migliaia di copie. Il professore di Jena, la cui debole voce si udiva appena nell'aula delle lezioni, parlò al mondo. La sua decisione, non solo di indagare ma di divulgare i risultati delle sue ricerche, tra­ sformò la vera natura della sua attività. Le sue opinioni cessarono di essere un fatto semplicemente accademico. Queste opinioni, e il diritto di esprimerle, divennero il simbolo di una lotta del popolo per l'emancipazione. Con suo st upore, e forse non del tutto con soddisfazione, Haeckel si vide elevato, dalle democrazie di tutto il mondo, al gratlo di profeta. Le ripercussioni, sulla Chiesa e sullo Stato, della difesa del darwi­ nismo da parte di un uomo della fine del XIX secolo, furono que­ ste: si notò con preoccupazione che Haecke! era letto dagli operai e dai pescatori; nel suo paese le sue opere furono considerate come una "ondata di vergogna al prestigio della Gerinania," "un attacco ai fondamenti della religione e della moralità"; a Glasgow Haeckel, figura impeccabile, veniva diffamato, come "uoino dalla vita noto­ riamente licenziosa." Questi fenomeni, come vedremo, non mancano di analogie nella storia della scienza del mondo anticò.2

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Capitolo primo

Da Anassimandro a Cosma Indicopleuste

Anassimandro insegna nel VI secolo a.C. una teoria dell'evoluzione basata sull'osservazione. Co­ sma insegna nel VI secolo d.C una teoria, basata sullu Bibbia, secondo cui l'universo è stato creato a modello del tabernacolo di Mosè.

È stato spesso sottolineato lo sviluppo "miracoloso" della scienza greca nella Ionia del VI secolo. Altrettanto sorprendente si presenta lo stato della sua decadenza nel VI secolo della nostra éra, dopo piu di un millennio di civiltà. È questo il fenomeno che cerche­ remo in qualche modo di spiegare, e sarà bene farne un esame pre­ liminare. Nel VI secolo, nella Ionia, nel corso della vita di due uomini, Talete e Anassimandro, la scienza ebbe un prodigioso sviluppo. È opinione comune che le osservazioni e le teorie di questi uomini e dei loro immediati successori sulla natura delle cose costituiscano il primo abbozzo di quei manuali scientifici sull'universo che oggi ci sono tanto familiari. Anassimandro sosteneva già che il sole, la luna e le stelle, la terra e il mare sono tutti composti di un'unica sostanza; occupano la loro posizione attuale nell'universo come effetto naturale del movimento di cui è dotata la materia origina­ ria; questo movimento provvede a spostare l'elemento caldo e ardente all'esterno dell'universo, quello freddo e pesante al centro, mentre mantiene nello spazio intermedio l'acqua e la nebbia; la terra, secondo Anassimandro, stava ancora subendo un grande pro­ cesso di trasformazione dovuto al fatto che il calore esterno pro­ sciuga di continuo l'umidità ptoveniente dal mare e dalla superficie della terra; questo processo era provato chiaramente dall'osserva­ zione del fenomeno delle terre emerse. Gli esseri viventi sono stati prodotti nel corso di un processo naturale e sono soggetti alla neces­ sità di adattarsi al loro ambiente o morire. I primi animali furono prodotti nell'umidità e furono coperti di un tegumento villoso; col passare del tempo si diffusero sulla terra; quando l'involucro si aprf, cambiarono subito il loro modo di vivere; le creature viventi nacquero

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dall'elemento umido fatto evaporare dal sole; dapprima l'uomo somigliava a un altro animale, cioè a un pesce.

Questa era per Anassimandro l'origine delle cose. Egli inoltre ben sapeva di essere giunto a questa conclusione mediante l'osservazione dell'universo considerato in se stesso, e attraverso la riflessione su ciò che osservava. La osserva2Jione e la riflessione lo portarono per­ ciò ad una concezione dell'universo che costituiva un genere nuovo di conoscenza, diversa da quella sostenuta dai poeti e dai sacerdoti. Anassimandro credeva che questa concezione nuova si sarebbe affer­ mata da sé in un popolo intelligente e sarebbe stata considerata utile all'umanità: cosi, da parte sua, cominciò ad applicare la sua scoperta al fine pratico di costruire una mappa del mondo allora conosciuto. Il mondo è rimasto giustamente stupito di fronte ai progressi scien­ tifici compiuti nel corso di una generazioJle nella Ionia del VI secolo. Ma non è forse piu sorprendente il fatto che questo promettente inizio sia poi completamente fallito? Nel VI secolo· della nostra éra uno scrittore di nome Cosma Indicopleuste (la cui opera è soprav­ vissuta, mentre soltanto brevissimi frammenti rimangono di quella di Anassimandro), cominciò ad affermare, nella sua Topografia Cri­ stiana, che la terra è una distesa uniforme chiusa da alte pareti da ciascuno dei suoi quattro lati. A questa convinzione egli era giunto non proprio attraverso l'osservazione del mondo, ma attraverso la convinzione che il mondo fosse fatto sul modello del taberna­ colo di Mosè descritto nella Sacra Scrittura. Con l'aiuto di questa guida soprannaturale Cosma scopri che il cielo è una volta semici­ lindrica che ,poggia sulle quattro pareti in modo da formare una copertura sul piano terrestre. Aveva anche un'altra convinzione: che cioè uno dei difetti della scienza greca fosse stato quello di aver fallito nello sviluppo di una teoria dell'energia e che grandi assur­ dità fossero state sostenute e scritte dai filosofi greci sul problema del potere che muove i corpi celesti. Egli escogitò una soluzione anche per questo problema: la forza motrice dei corpi celesti risie­ deva negli angeli. Erano gli angeli a produrre la notte, il giorno e ogni fenomeno celeste, spingendo i corpi celesti intorno a un'alta montagna posta a nord del piano terrestre. Cosi venivano colmate le deficienze della scienza greca. Ma piu significativo ancora è il fatto che Cosma respinse l'idea che l'universo racchiuda in se stesso la testimonianza della sua natura. Questa testimonianza bisognava ricavarla, per lui, non dallo studio della natura, ma dallo studio di un libro; e a questo libro si doveva credere non perché fosse nuovo, ma perché era antico, e non soltanto perché era antico, ma perché

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era soprannaturale. Quali cause provocarono il passaggio dal mondo di Anassimandro a quello di Cosma Indicopleuste? È questo il problema di cui ci occuperemo. Si potrebbe obiettare che se contrapponiamo Anassimandro a Cosma poniamo a confronto uno dei piu grandi pensatori greci e uno scrittore cristiano di pretese intellettuali non molto elevate. Questa obiezione non è valida perché il paragone non deve intendersi fra due scrittori presi individualmente, ma fra due uomini come rap­ presentanti del loro tempo; e sia Anassimandro che Cosma sono effettivamente due figure rappresentative. Se si trattasse di scegliere, nel VI secolo dell'éra cristiana, uno scienziato superiore a Cosma, l'uomo adatto sarebbe Giovanni Filofono, il famoso commentatore della Fisica di Aristotele, convertitosi verso il 529 d.C. dal neopla­ tonismo al cristianesimo. Ma Filofono non è una fjgura tipica, poi­ ché come scienziato rappresenta la sopravvivenza di una tradizione in declino. Cosma riteneva dunque che nella Bibbia si trovi la chiave per intendere la natura delle cose, e che questo appunto dovesse essere il fatto caratteristico dei tempi nuovi.1 Dobbiamo allora cercare una causa adeguata per spiegare il declino dell'attività scientifica nel mondo antico e la scomparsa dello spirito di ricerca sulla natura delle cose. Sono state proposte molte solu­ zioni. Anzitutto la colpa fu data al cristianesimo stesso; ma questa non è una soluzione del nostro problema, poiché, posto che il cristianesimo sia incompatibile con la scienta, rimarrebbe sempre da chiederci perché gli antichi abbandonarono la loro scienza per il cristianesimo. Anche le invasioni barbariche furono considerate causa della distru­ zione delle tradizioni di civiltà. Ma ciò solleva la grave questione delle cause per cui la parte civile del mondo perse la sua potenza e la parte incivile prevalse, e la sproporzione divenne cosf grande che i barbari sopraffecero l'Impero romano. Se la scienza avesse fatto tutto quanto poteva fare per il genere umano, l'Impero non avrebbe mai ceduto agli attacchi dei barbari. Si è anche detto che la scienza greca decadde perché i romani non seppero assimilarla; quando i romani conquistarono il predominio politico sui greci, lo slancio creativo era stato ormai conculcato e gli stessi romani non seppero piu ridestarlo. Ma l'innata incapacità dei romani per la scienza è un argomento molto discutibile, cos{ come discutibile è il presupposto razzistico dell'attitudine scienti­ fica dei greci. Non esisteva una razza greca, cos{ come non esisteva una razza romana. Dal punto di vista della razza, i pensatori greci erano elementi completamente misti. Allora ( come nel mondo nio-· derno) molti dei piu famosi scienziati "europei" avevano una buona 17

dose di sangue orientale nelle loro vene2; e se non esisteva Ul\a razza greca dotata di una speciale attitudine alla scienza, allo stesso modo non esisteva una razza romana dotata di un'incapacità costi­ tuzionale per la scienza. Gli antichi romani erano un gruppo misto quanto gli italiani moderni; e se gli italiani moderni hanno molto contribuito alla scienza, mentre gli antichi romani hanno dato ad essa scarsissimi contributi, la spiegazione non va cercata nella razza. Viste insufficienti le cause esterne a spiegare la decadenza della scienza antica, si cercarono delle cause interne. Cosf è stato osser­ vato molto giustamente che la base della scienza greca era troppo limitata. Si può dire, in breve, che i greci, pur avendo conseguito notevoli successi in matematica, fallirono nel campo della fisica. Si dedicarono molto alla speculazione fisica, ma non crearono una tradizione di esperimenti sistematici. Gli esperimenti che riuscirono a compiere avevano il carattere di esemplificazione delle conclu­ sioni teoriche piu che di una tecnica di ricerca chiaramente con­ sapevole. Questa spiegazione è valsa sinora. Ma rimane ancora da risolvere un'altra questione, quella delle cause per cdi lo sviluppo della scienza greca si arrestò. Anche a questo problema è stata data una risposta parziale da quanti guardano alla base schiavistica della società antica e vedono nel divorzio tra teoria e pratica, deri­ vante dall'istituto della schiavitu, una causa dello sviluppo del­ l'aspetto teorico e astratto della scienza da una parte e del falli­ mento delle sue applicazioni concrete dall'altra. Il metodo di spiegazione proposto da chi affronta il problema del fallimento della scienza antica dal punto di vista della struttura sociale sembra l'unico valido. Il problema è complesso e in questo saggio ne verrà trattato sol­ tanto un aspetto. Molti scrittori hanno espresso pieno consenso al punto di vista per cui la scienza è la creazione di una élite ed è messa in pericolo se la si porta a conoscenza del popolo ignorante. Non accade molto spesso che si cerchi un senso corrispondente di responsabilità da parte dei governi per l'esistenza di questa igno­ ranza e ancora meno la responsabilità loro nel promuoverla. Salomon Reinach3 spiega i regressi verso l'animismo e la magia, sia nel XIX secolo in Francia che nel IV secolo in Grecia, per mezzo della "mescolanza delle menti emancipate, ma poche di numero, con la moltitudine ignorante e superstiziosa." Però, sebbene muova un rimprovero alle "classi colte razionalistiche, che non fanno niente per illuminare il popolino," il Reinach mostra poi di non intrave­ dere le conseguenze implicite in ciò: non si rende conto della resi­ stenza opposta dalle oligarchie alla diffusione della cultura nel po­ polo. È questo un altro aspetto della verità senza il quale il lento

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progresso di educazione non può essere compreso né nel mondo antico né nel mondo moderno. Chi. leggerà la History of the Taxes on Knowledge [Storia delle imposte sull'educazione] del Collet4 capirà il problema che s'era· imposto in Inghilterra nel XIX secolo, e sarà in grado di porre nel suo contesto storico la famosa epigrafe del giornale "Examiner" nel 1830: "Carta e stampa 3 scellini e mezzo, tassa sulla istruzione 3 scellini e mezzo: prezzo 7 scellini." Tenendo presente che anche nell'Inghilterra moderna, secondo l'espressione di George Jacob Ho­ lyoake, "lo Stato fu per centoquarantatré anni attivo e deciso oppo­ sitore dell'istruzione pubblica," potremo affrontare lo studio della politica oligarchica della Grecia e di Roma con maggiore compren­ sione. Dal. mio punto di vista, il problema del governo nelle società divise in classi dell'antichità rivela la sua acutezza non solo nelle descrizioni dei periodi di totale rivolgimento o di lotta di classe, su cui abbondano le notizie degli storici antichi, ma negli sforzi siste­ matici da parte dei governi, del clero, e dei maggiori rappresentanti del pensiero dell'epoca in diversi campi della conquista umana, per dare alla mass_a del loro popolo idee non vere, ma "salutari."

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Capitoio secondo

Il "Dio-geometra"

In questo capitolo si dimostra che l'aritmetica è democratica, la geometria è oligarchica e che Dio preferisce quest'ultima.

Abbiamo accennato nel capitolo precedente che la scienza può pro­ gredire o regredire secondo due direzioni. Il progresso consiste anzi­ tutto in un reale avanzamento delle conoscenze e nell'affinamento delle idee, indipendentemente dal numero di chi vi partecipa; in secondo luogo nell'aumento della diffusione delle idee scientifiche in tutta la massa del popolo. Nel mondo moderno, in cui le applicazioni pratiche della scienza hanno trasformato e continuano a trasformare la società, la que­ stione della divulgazione delle conoscenze scientifiche fra il popolo assume, in genere, un aspetto diverso da quello che presentò nel­ l'antichità. Nelle democrazie occidentali, la scienza pura può essere ancora in una certa misura patrimonio di un'oligarchia, ma senza una larga diffusione delle cognizioni tecniche la società moderna non ., può funzionare. Alle società a struttura oligarchica si pone il problema di conciliare l'ignoranza politica con l'efficienza tecnica. Queste considerazioni dimostrano un altro fatto: che vi è una con­ nessione tra il carattere della scienza e la sua divulgazione. In questo campo le nostre democrazie si trovano a una svolta decisiva. O la nostra scienza si trasformerà rendendosi conto che non si può capire la storia del suo stesso sviluppo se non si calcolano le sue origini sociali; e che l'uomo non può avere adeguate cognizioni di scienza applicata senza un'adeguata educazione sulla funzione sociale della scienza; e che gli ostacoli al progresso della scienza possono sorgere dalla struttura della società non meno che dagli errori teo­ rici - o la nostra scienza si trasformerà o decadrà. Ma nel mondo dell'antichità classica, sebbene la situazione fosse ana­ loga, vi era una differenza evidente: non era ancora giunta l'età della macchina. Alla base della scala sociale c'era solo l'uomo, non l'uomo e la macchina; non si poneva quindi il problema di combi­ nare l'istruzione tecnica con l'ignoranza politica. Unico problema era quello di diffondere idee tali da presentare l'ingiusta distribu20

zione del profitto e del lavoro come un aspetto necessario della costituzione eterna delle cose, e di reprimere ogni idea che potesse risolversi in una critica di questa. concezione dell'universo. Certo, altri negherà che simili considerazioni abbiano influito sulle opi­ nioni dei maggiori esponenti del pensiero e della cultura nell'anti­ chità classica: si suole affermare, o pensare senza affermarlo, che le opinioni dei pensatori antichi non si ispirano ad altro se non alla devozione alla verità. Gioverà quindi fare un esempio che spie­ ghi cosa si voglia intendere affermando che sia il carattere della scienza antica sia il problema della sua diffusione furono influenzati da interessi politici. Nell'VIII libro dei Dialoghi conviviali di Plutarco, il secondo .argo­ mento trattato è il significato dell'affermazione (fatta, se è vero, da Platone) che "Dio usa sempre la geometria." La questione viene sollevata da Diogeniano e dopo u_n assenso preliminare all'opinione di Plutarco che quell'affermazione, sebbene non si trovi in nessuno scritto di Platone, è tuttavia conforme· al suo spirito e al suo stile, comincia la discussione. Il primo interlocutore, Tindaro, si dice del parere che l'affermazione non presenta alcuna difficoltà. "Dobbiamo supporre," chiede, "che Platone volesse intendere qual­ cosa di piu insolito e oscuro del concetto da lui spesso ripetuto secondo cui la funzione della geometria è di elevarci dal sensibile e dal mortale verso l'intelligibile e l'eterno? Fine della filosofia, infatti, è la contemplazione dell'eterno, come fine dell'iniziazione è la contemplazione dei misteri. Dobbiamo ricordare che per questa ra­ gione Platone criticò i tentativf di Eudosso, Archita e Menecmo di risolvere i problemi geometrici con mezzi strumentali e mecca­ nici, poiché questi ci riconducono alle cose materiali allontanandoci da quelle forme eterne e incorporee che sono sempre pensiero di Dio, essendo esse stesse Dio." (Cosf parlava Tindaro, e io credo si possa considerare generalmente ammesso che questo rifuggire della scienza platonica dal contatto con le cose materiali non può non connettersi al disprezzo dell'ari­ stocrazia per il lavoro manuale. Se si desidera un'altra prova su questo punto si può trovarla in quei capitoli della Vita di Marcello in cui Plutarco ricorda e condivide il disprezzo che il grande fisico Archimede provò per le sue stesse invenzioni meccaniche.) Il secondo interlocutore, Floro, si dice però insoddisfatto di questa semplice spiegazione, e ritiene che quella frase racchiuda un signi­ ficato piu specifico. Sottolineando il fati:o che Tindaro era spartano, egli ricorda ai suoi interlocutori che Platone era solito unire il nome del suo maestro Socrate a quello di Licurgo legislatore di Sparta, perché in realtà egli riteneva che il fondatore della costi21

tuzione spartana avesse avuto su Socrate una influenza pari a quella dello stesso matematico Pitagora. Egli dà poi la seguente interpre­ tazione della concezione del Dio-geometra: Si dice che Licurgo abbia bandito da Sparta lo studio dell'aritmetica perché era popolare e democratico nelle sue conseguenze, e abbia introdotto la geo­ metria perché piu adatta a una oligarchia moderata e· a una monarchia costi­ tuzionale. La matematica, infatti, essendo fondata sui numeri, distribuisce ugualmente le cose; la geometria, basata com'è sulla proporzione, distribuisce le cose secondo il. merito. La geometria quindi non è fonte di confusione nello stato, ma anzi vi esercita un importante effetto di distinzione fra uomini buoni e cattivi che vengono cosi compensati non secondo l'importanza o secondo il caso, ma in base alla differenza fra vizio e virtu. Questo sistema geome­ trico è quello proporzionale applicato da Dio ·alle cose ed è quello, mio caro Tindaro, che viene chiamato col nome di Dike e di Némesis [Giustizia e Ven­ detta]. Esso ci insegna che dobbiamo considerare la giustizia come uguaglianza, ma non l'uguaglianza come giustizia; e perciò quello cui la maggioranza aspira è la piu. grande di tutte le giustizie e Dio l'ha allontanata dal mondo perché inattuabile; egli però protegge e mantiene la distribuzione dei beni secondo il merito, stabilendola geometricamente, cioè secondo la proporzione e la legge.

( Il confronto fra oligarchia spartana, geometria e legge divina, potrebbe sorprendere; purtroppo, prima che la nostra ricerca sia finita, tali opinioni ci saranno divenute familiari.1) Il terzo interlocutore, Autobulo, rimane insoddisfatto di quanto aveva detto Flora. A lui sembrava che Platone avesse voluto dire qualcosa di meno connesso con la politica e di significato piu uni­ versale. Quel che Platone intende inculcare è il principio che la materia sia fonte di disordine e di discordia cui la geometria im­ pone ordine e armonia, poiché "quando si introducono nella materia numero e proporzione, l'indeterminato viene limitato e drcoscritto prima da linee, poi da superfici e da profondità e dà luogo cosi alle prime forme e agli elementi corporei diversi che costituiscono il fondamento e la base per la formazione dell'aria e della terra, dell'acqua e del fuoco." Quando a Plutarco stesso, che parlò per ultimo, fu chiesto il suo parere, egli si disse dell'opinione che vi fosse qualcosa di giusto in ciò che ciascuno aveva detto. Non rifiutò né la concezione etica secondo cui la funzione della geometria è di elevare le nostre menti dalle cose terrene verso le celesti, né il punto di v.lsta politico secondo cui la geometria è oligarchica e l'aritmetica democratica, né la concezione cosmica secondo cui la comprensione dei prindpi della geometria è la chiave per comprendere l'universo, concezione questa che innalza a priori la matematica al di sopra della fisica 22

sperimentale. Egli non rige;ttò nessuna di queste opinioni, ma piut­ tosto le riunf in una sua propria interpretazione religiosa. Dio, secondo l'interpretazione che dà Plutarco della concezione pla­ tonica, essendo il supremo geometra, si era posto egli stesso, all'atto della creazione, il massimo problema geometrico. Questo problema non è, come si potrebbe credere, la dimostrazione che il quadrato dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti, ma piuttosto il problema molto piu delicato la cui soluzione spinse Pitagora a sacrificare a Dio e cioè: date due figure, costruirne una terza simile ad una delle due e della stessa dimensione dell'altra. L'universo, spiegò Plutarco, deve la sua origine a tre cose: Dio, la materia, la forma. La materia è di tutte le cose soggette la piu disordinata, la forma è il piu bello di tutti i modelli, Dio è la migliore di tutte le cause. Dio dunque si pose il problema di creare una terza cosa simile alla forma e della stessa estensione della materia: il risultato fu il cosmo, in cui la forma si impone a tutta la materia. Cosi si chiude questo singolare Dialogo conviviale. Naturalmente esso nasce da una ricca cultura e, se consideriamo che circa cinque­ cento anni separano Plutarco da Platone, ci rendiamo conto della vitalità di quella cultura. L'Accademia fondata da Platone era ancora in vita, e viva sarebbe rimasta ancora per quattro secoli. Non si può non rimanere impressionati dal vigore e dalla ricchezza intel­ lettuale della tradizione platonica; ma nello stesso tempo nessuno può sostenere che quel sistema non avesse avuto un aspetto poli­ tico. :È la filosofia di un'oligarchia: l'etica, la scienza, la religione vengono coscientemente sostenute come parte del credo di una oligarchia: o, se si preferisce muovere da altro punto di vista, la teoria politica dell'oligarchia è la conseguenza necessaria della sua concezione etica, scientifica, religiosa. Inoltre non si può non rimanere colpiti dall'entusiasmo per la scienza matematica e dal disinteresse per quella fisica. Ma anche nel campo della matematica, è possibile che una branca di essa sia stata intesa come oligarchica e un'altra come democratica. Non solo l'aritmetica viene condannata per le sue tendenze egualitarie, ma anche la meccanica è rifiutata perché costituisce un pericolo per l'anima. Una volta ammessi dei pregiudizi cosl'. gravi, non è possi­ bile o almeno probabile che il disprezzo per la fisica sia un altro esempio dell'influenza della politica sulla scienza? Le conseguenze di questo disprezzo non furono trascurabili, né vi si pose presto ripa­ ro: furono, secondo un'esp.ressione celebre che piu avanti ripren­ deremo, "vive ferite" e motivo di dolore e di lacrime per molte generazioni di uomini. 23

Capitolo terzo

Da Empedocle a Prudenzio

Nel V secolo a.C. il poeta pagano Empedocle sostiene la necessità di una conoscenza della natura delle cose. Nel V secolo d.C. il poeta cristiano Prudenzio rifiuta la conoscenza della natura delle cose.

Anche per chi studia la storia della scienza moderna è tutt'altro che facile . determinare con certezza in che misura la diffusione della cultura nel popolo ha proceduto di pari passo col progresso della cultura. Giungere a determinare ciò è ancora piu difficile per l'anti­ chità; parlando dell'alto livello di cultura scientifica raggiunto da Anassimandro a Mileto nel VI secolo, non abbiamo inteso assicurare che le sue idee avessero permeato ampiamente e profondamente la società. Nondimeno ci sono molte prove a sostegno dell'opinione che la rinascita ionica fosse un vero e proprio movimento di istruzione popolare. Un trattato di medicina sulla Natura dell'uomo, che risale alla seconda metà del V secolo, si apre con queste parole: "Chi è solito ascoltare quanti trattano della natura dell'uomo trascurandone la connessione con la scienza della medicina, non troverà nulla d'in­ teressante nel presente trattato." Poi, dopo alcuni rilievi polemici sulle confuse speculazioni di quei filosofi che si ocoupano della natura umana senza studiare la medicina, lo scrittore osserva che il fatto che essi si contraddicano a vicenda è la prova del fatto che essi sono in errore, e cosi prosegue: "Ci possiamo facilmente convincere di ciò ponendo mente alle loro dispute. Sebbene gli stessi interlocutori appaiano piu e piu volte di fronte ai medesimi uditori, nessuno vince tre volte di seguito. Ora vince l'uno ora l'altro, poiché il favore va aU'oratore che dispiega di fronte alla folla la piu abile eloquenza." Questa prova di un ampio interesse popolare per le speculazioni :fisiche del tempo sembra probante, e ciò stupisce soprattutto se si considera che lo scrittore e medico ionico autore della Natura del­ l'uomo combatte le concezioni filosofiche di un poeta-filosofo: Em­ pedocle di Agrigento. Probabilmente Empedocle viveva ancora quando fu scritto il trattato citato. Che le opinioni di un poeta siciliano 24

suscitassero interesse fra gli uditori popolari delle scuol� dell'Asia Minore e provocassero un'aspra confutazione da parte di un medico asiatico, è chiara testimonianza di quanto il mondo greco del V secolo fosse permeato di idee filosofiche e scientifiche. Un'altra testimonianza della polemica tra il pensiero scientifico del tempo e la società in generale, la troviamo in Grecia. Di fronte ai vasti uditori del teatro ·di Dioniso ad Atene, i cori cantavano già quei brani lirici in cui Euripide esponeva ai .suoi concittadini quelle concezioni dei pensatori ionici che egli aveva appreso da Anassagora, loro rappresentante ad Atene. E già prima di Empedocle erano apparsi due poeti-filosofi di notevole importanza, uno in Asia Minore e uno in Italia, cioè Senofane e Parmenide; e il fatto che essi scel­ sero il verso come mezzo d'espressione è prova certa che essi ritene­ vano le loro opere come scritti destinati a un vasto pubblico. Seno­ fane, com'è noto, teneva pubbliche letture delle sue poesie e, vec­ chio, poté vantarsi che il suo pensiero circolasse per il mondo greco già da sessantacinque anni. Quale fu la caratteristica propria di questa scienza cosi'. nuova e cosi viva? Tra i frammenti poetici di Senofane giunti fino a noi vi sono due versi in cui egli afferma che "gli dei .non harino rivelato ogni cosa all'uomo fin dall'origine, ma l'uomo con la sua ricerca paziente rie­ sce a scoprire ogni cosa." Ciò è consono allo spirito del tempo; ma quando gli uomini compresero che la conoscenza è un lento acquisto di esperienza per mezzo di una attiva ricerca, vollero comprendere anche la natura della conoscenza e il processo attraverso il quale essa si acquista. Si .apd cosf il grande dibattito sulla validità ·della conoscenza fornitaci dai sensi e sulla funzione della ragione nella formazione della conoscenza umana. Il secondo poeta di cui si è parlato, Parmenide, convinto da molte prove della fallacia dei sensi, fu dell'opinione che solo sulla ragione si potesse fare affidamento e si sforzò di costruire un sistema filosofico da cui fosse esclusa l'evidenza dei sensi. Empedocle, sebbene i medici intravedessero il pericolo che derivava alla scienza da un'applicazione troppo affrettata delle sue teorie, fu vero scienziato oltre che vero filosofo e vero poeta, e scelse una via di mezzo. Era troppo saggio per rifiutare la prova dei sensi; se non considerò la prova dei sensi come una scienza autonoma, com­ prese però che la prova dei sensi è il presupposto della scienza, e che il progresso delle conoscenze fisiche si compiè prç,prio per mezzo della riflessione sui dati sensoriali. Egli fu promotore di uno dei maggiori progressi della scienza primitiva: la dimostrazione speri­ mentale della natura corporea dell'aria invisibile. Non sorprende perciò che uno dei passi migliori del suo poema ( di cui restano 25

considerevoli frammenti) sia quello in cui, ammettendo la brevità della vita umana, gli stretti limiti della conoscenza umana e la scarsa attendibilità dei sensi, esorta gll uomini a fare ogni uso dei dati sensibili come unica fonte di conoscenza in loro possesso. Poi, risolta la questione fondamentale con questa disoussione sulla teoria della cortoscenza, espone un sistema di cui si hanno echi ancor oggi nel linguaggio popolare: tutte le cose sono costituite di quattro ele­ menti (terra, aria, fuoco e acqua) attratti l'uno verso l'altro o respinti l'uno verso l'altro dalla forza dell'Amore e dell'Odio. In questo nuovo appassionato interesse per la natura, cioè per la physis, la fisica, manifestatosi nei dibattiti delle scuole, nelle rap­ presentazioni tragiche di Atene, nei poemi didascalici letti in pub­ blico, tutti gli studiosi piu autorevoli vedono la testimonianza di una rivoluzione del pensiero. Queste idee nuove non erano sorte dal nulla né trovarono le menti "vuote" e sprovvedute, pronte ad accettare la nuova visione dell'universo senza discussione. Al con­ trario, la nuova concezione poteva farsi strada soltanto sostituendosi a un'altra visipne delle cose. La nuova concezione parlò di terra, fuoco, aria e acqùa, e delle forze dell'Amore e dell'Odio, e - ciò che fu ancor piu originale - non addusse altra autorità a sostegno di tali idee se non gli argomenti del suo ideatore e sostenitore, nessun incitamento a credervi se non l'amore della verità. La vec­ chia concezione aveva popolato il mondo di dei, di semidei e di esseri soprannaturali di varie specie, senza offrire alcuna prova a sostegno della fede nella loro esistenza, e adduceva, come incita­ mento a credervi, il favore che un dio, un semidio o un altro spirito soddisfatto poteva accordare a un mortale verso cui fosse ben dispo­ sto - o il male che poteva fargli qualora fosse stato offe.so. Inoltre la vecchia concezione era strettamente connessa alla struttura della società e dello Stato del quale in vari modi essa costituiva una sanzione e un sostegno. Le nuove idee non incontrarono quindi sol­ tanto un'opposizione di carattere teorico, ma urtarono contro il peso morto della tradizione, contro la disapprovazione della società, con­ tro la sorda e tenace ostilità di interessi costituiti. Nel capitolo seguente mostreremo come precisamente queste forze ebbero interesse a soffocare la speculazione fisica a cosf breve tempo dalla sua nascita. Ma prima vorremmo chiarire, con un confronto fra Empedocle e Prudenzio (come cercammo di fare col confronto fra Anassimandro e Cosma lndicopleuste), che cosa precisamente si debba intendére per soffocazione della speculazione fisica: cioè l'eliminazione dalla vita intellettuale dell'interesse per la conoscenza della natura delle cose. Prudenzio è una figura di straordinario interesse. Nato probabil26

mente in Spagna a metà del IV secolo d.C., fece una brillante car­ riera come avvocato, giudice e governatore. Ma dopo aver salito la scala delle dignità al servizio dell'imperatore, quando era già al sommo della sua carriera, decise di dedicare la sua obbedienza a Cristo, e volle considerare tutti i fortunati servizi resi all'imperatore come una perdita di tempo. Quidvis utile tanti spatio temporis egimus?

[Ho fatto alcunché d'utile in tutto questo tempo?]

si chiede in una meravigliosa poesia guardando indietro ai suoi successi mondani dalla sua nuova condizione di cristiano. Fu · il cristianesimo a fare di Prudenzio un poeta. La sua vita di attivo funzionario era stata dedicata a Cesare; ora, ormai coi capelli grigi, poteva dedicare a Dio soltanto l'offerta del suo canto. Ma quale offerta! Raramente fu concesso ad un uomo di raggiungere tanta perfezione in due campi diversi; e chi altro cominciò a poetare cosi tardi giungendo a tali altezze? Quid generosa potest anima, lucis et aetberis indigena, solvere dignius obsequium, quam data munera si recinat artificem modulata suum?'

[La magicità di questi versi si perde nella traduzione. La traduzione letterale sarebbe: "Può una nobile anima, nata dalla luce e dall'aria, assolvere un ser­ vizio piu degno che cantare i doni che le sono stati concessi, prendendo come tema del suo canto il suo Creatore?" Ma non si può rendere cosf la sensazione del veloce e vivido movimento ritmico; e dell'unione di sempli­ cità e di proprietà nella scelta delle parole.]

Le sue opere poetiche si dividono in due grandi gruppi, gli inni e le poesie didascaliche. Negli inni è.. come se il debole suono della tradizione classica pagana fosse stato fecondato da innumerevoli ruscelli sgorganti dalle nuove sorgenti di speranza del Vangelo e mille fiori vi fossero sbocciati, proprio come nella sua visione del Paradiso, dove "il terreno era rosso di rose dal dolce profumo, e riversava a profusione grandi margherite, violette stillanti e cro­ chi sottili" : Illic purpureis tecta rosariis omnis flagrat humus caltaque pinguia et molles violas et tenues crocos fundit fonticulis uda fugacibus. 2

Per Prudenzio l'oracolo di Sian aveva preso il posto di quello di Delfo e dei Libri Sibillini e, al posto della mitologia greca che il 27

tempo aveva reso sterile se non incredibile, la storia d'lsl,'aele offriva uno splendido campo alla fede ed alla poesia, mentre i miti coman­ damenti del Sermone della Montagna prendevano il posto delle esor­ tazioni imperiali del poeta romano (parcere subiectis et debellare superbos ). Chi potrebbe non rimanere affascinato nel leggere gli insegnamenti degli Apostoli rivestiti dello stile delle favole di Fedro? Est' quippe et illud grande virtutis genus: operire nudos, indigentes pascere, opem benignam fe"e supplicantibus, unam paremque sortis humanae vicem inter_poter potentes atque egenos ducere.3

[Anche questa è una grande virtu: vestire gli ignudi, nutrire gli affamati, dare volentieri aiuto a chi lo chiede, considerare tutti ugualmente uomini, siano ricchi o sian poveri.]

O nel leggere il precetto di Gesu, secondo cui chi digiuna si puri­ fica, espresso in aggraziati versi saffici? Addit et, ne quis velit invenusto sordidus cultu lacerare frontem, sed decus vultus capitisque pexum comat honorem: «Terge ieiunans," ait, "omne corpus neve subducto faciem rubore luteus tinguat color aut notetur pallor in ore. " 4

[E aggiunge che nessuno sfiguri malamente la fronte con un'acconciatura sconveniente, ma il decoro del volto e l'ordine della capigliatura aggiunga dignità: "Purifica," disse, "digiunando, tutto il corpo perché il rossore non tinga il volto e non si noti sul viso il pallore."]

Né mai nella descrizione degli episodi miracolosi del Vecchio e del Nuovo Testamento vi è niente che possa turbare. Daniele nella fossa dei leoni può far sorridere: semper pietas fidesque tuta! lambunt indomiti virum leones. 5

O

[O fede e pietà sempre sicure! Feroci leoni leccano l'uomo.]

E chi non sarebbe indulgente verso la pia enfasi di qu@:sta allitte­ razione, lambunt leones? E quando Giacobbe lotta con l'angelo, la scena è presentata con una forza monumentale ed una sempli­ cità tali, e il signifiéato morale dell'episodio è espresso con tale vigore, che di buon grado si concede al poeta la lode di aver rag­ giunto il sublime: 28

Sub nocte Iacob caerula, luctator audax angeli, eo usque dum lux surgeret, sudavit impar proelium. 6 [La traduzione letterale è: "Nell'oscura notte Giacobbe, coraggioso lottatore contro l'angelo, s'a1Iaticò in impari battaglia sino al sorgere del giorno," ma il passo è intraducibile, tanta è la maestria con cui vi vengono sfruttate le risorse della lingua latina. Né in Catullo né in Orazio ci sono versi piu· belli di questi: alla loro forma monumentale si unisce una perfezione musi­ cale che ne fa un miracolo di armonia. La posizione di ]acob fra nocte e caerula pone l'eroe del quadro sullo sfondo del cielo; e si noti l'allitterazione audax angeli.]

Questa stessa felicità di ispirazione si esprime in quasi tutto il grande Inno nono, che canta i miracoli di Cristo. Si consideri per esempio la descrizione del miracolo della sua apparizione sulle acque: Ambulat per stagna ponti, summa calcai fluctuum mobilis liquor profundi pendulam praestat viam nec fatiscit unda sanctis pressa sub · vestigiis. 7 [Egli cammina .stille acque del mare, tocca la cima delle onde, e il mobile ondeggiare del profondo offre una via fluttuante, né s'apre l'onda premuta dai passi santi.]

Non si può fare a meno di notare la bellezza di quel pendulam e l'effetto della sua. giustapposizione con profundi, per non parlare della dolcezza e leggerezza del ritmo. Ma negli ultimi versi di questa poesia Prudenzio ottiene una delle sue vittorie piu alte: Fluminum lapsus et undae, litorum crepidines, imber, aestus, nix, pruina, silva et aura, nox, dies, omnibus te concelebrent saeculorum saeculis. [ I fiumi e le acque scorrenti, gli argini delle rive, la pioggia, il sole, la neve, il gelo, la selva e la brezza, la notte, il giorno, ti loderanno in eterno.]

La lingua latina non è mai stata usata con migliore effetto. Il primo verso è un miracolo di suono: il fiume che scorre e la riva gorgogliante sono resi magicamente e fatti piu belli nel loro con­ trasto. Quando un uomo è riuscito a comporre un verso come que­ sto e· a risvegliare tutti i nostri sensi e la nostra sensibilità con l'acutezza dei suoi, egli allora può arrischiare una di quelle nude enumerazioni di nomi di cose naturali ( che la letteratura latina ostentò prima di Walt Whitman) con la fiduciosa· speranza che essa si trasformi in qualche cosa di piu che una enumerazione, e diventi un godimento dei vari aspetti della natura a cui partecipano 29

e il lettore e il poeta. Ma quanto piu di questo ha raggiunto Pru­ denzio! In primo luogo abbiamo un'associazione per contrasto (imber e aestus), come nel primo verso; poi, per non stancarci con questo schema espressivo, usa un'associazione per similitudine (nix, pruina). Queste associazioni sono date dalla semplice giustapposizione delle parole; ma la successiva (silva et aura) è espressa formalmente col visibile legame della congiunzione, e non senza ragione, sicché le due parole formano una sola idea, "il vent� fra gli alberi," cos{ come le due che seguono "notte, giorno" (nox, dies), non possono essere legate verbalmente dal momento che nella realtà non possono consistere ma devono alternarsi.8 Ma se questa è l'arte con cui Prudenzio riesce a ingannarci su quanto c'è di puerile nella sua intelligenza, vi sono momenti in cui il suo totale rispetto per il miracoloso. è un'offesa a chi desidera ren­ dergli l'omaggio di una lode piena. Quando egli giunge, ad esem­ pio, a Elia e al suo cocchio infuocato o alle avventure di Giona, non fa alcuna concessione a chi non sa condividere la sua fede e la sua credulità. Ecco la sua descrizione di Giona nel ventre della balena - e si noti la vivacità realistica della scena: Ternis dieru,:n ac noctium processibus mansit ferino devoratus gutture, errabat illic per latebras viscerum, ventris meandros circumibat tortiles anhelus extis intus aestuantibus. 9 [Per tre giorni e tre notti intere rimase dentro il mostro, dopo esserne stato inghiottito, e vagava per le nere cavità del corpo, attraverso i tortuosi meandri del ventre, anelando nell'afoso calore delle viscere.]

Quando infatti Prudenzio crede in un miracolo, sia esso· ebraico o cristiano, vi crede sempre ciecamente, senza riserve. Cosi nel suo poema didascalico·Hamartigenia [La nascita del peccato], egli narra la trasformazione della moglie di Lot in statua di sale e cosi descrive il prodigio: Traxerat Eva virum dirae ad consortia culpae, haec peccans sibi sola perii: solidata metallo diriguit fragili saxumque liquabile facta stat mulier, sicut steterat prius, omnia servans, caute sigillati longum salis effigiata, et decus et cultum frontemque oculosque comamquc et flexam in tergum faciem paulumque relata menta retro, antiquae monumenta rigentia noxae. Liquitur illa quidem salsis _sudoribus uda, sed nulla ex fluido plenae dispendia formae

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sentit deliquio, quantumque armen.ta saporum attenuant saxum, tantum lambentibus umor sufficit attritamque cutem per damna reformat. Hoc meruit titulo peccatrix femina sisti infirmum fluidumque animum per lubrica solvens consilia et fragilis iussa ad caelestia. 10 [Eva aveva trascinato il marito nel proprio peccato; la moglie di Lot provocò solo la propria distruzione. Pietrificata in una sostanza fragile, ella si irrigicli, e trasformata in una massa solubile rimase immobile cosi come si era fermata, plasmata in un'alta colonna di sale scolpito, conservando però ogni lineamento, gli ornamenti, le vesti, le ciglia, gli occhi, i capelli, lo sguardo rivolto mdie1 ro, il mento girato; ricordo pietrificato del suo peccato d'un tempo. In verità cssa suda e si scioglie in sudore salato, ma tutto quello scorrer di umore non reca mutamento alcuno alla sua forma perfetta; Le bestie leccano la sapida roccia di sale ma, mentre esse leccano, nuova umidità viene a riparare il danno portato alla .sua pelle consunta, poiché ella meritò di rimanere come monumento della donna peccatrice,_ troppo debole ai comandi del Cielo, scio­ gliendo nei suoi pensieri che si fondono la sua labile volontà.]

Il poeta è cosi serio che vien da pensare sarebbe stato un duro colpo per la sua fede se avesse visit11to quel luogo e non avesse trovato la moglie di Lot elencata nella guida locale fra i monu­ menti interessanti. Non c'è dubbio che proprio questa sua intatta credulità ha distolto i lettori moderni dallo studio di Pl.'udenzio e ha impedito loro di avvicinarsi a passi tanto espressivi e interessanti della sua poesia, come quelli in cui egli condanna il gioco, i culti di Stato (idolatrix religio ), la cupidigia dei ricchi proprietari e la vanità dell'ambizione. Prudenzio in genere non è né ignorante né privo di curiosità; al contrario, non soltanto ha profonde conoscenze .di diritto e di let­ teratura, ma è capace anche di parlare della teoria dei numeri in modo tale da far comprendere qual è la sua opinione sul dogma della Trinità.11 Però quando passa alla fisica il suo atteggiamento cambia. Appena prende a prestito qi.Iakhe elemento dalla filosofia naturale, sebbene non piu pericoloso di un esempio tratto dalle abitudini di un essere del mondo animale, subito sente il bisogno di giustifical.'Si: si licet ex ethnicis quidquam praesumere, vel si de physicis exempli aliquid ... 12 [se è lecito prendere qualcosa dai pagani, o trarre un esempio dalla filosofia naturale... ]

In questo atteggiamento di fronte alla conoscenza della natura si può vedere il cambiamento avvenuto da Empedocle a Prudenzio, 31

fra il poeta del V secolo a.C. e quello del V secolo d.C. Il cambia­ mento corrisponde a questo che abbiamo osservato nel passaggio da Anassimandro a Cosma Indicopleuste, ma in questo caso è piu che mai notevole, poiché, mentre Cosma come pensatore non può affatto sostenere il paragone con Anassimandro, Prudenzio è poeta grande almeno quanto Empedocle. Quello che è diverso è il clima mentale, non l'uomo singolo. E non si può certo dire che il cambiamento da Empedocle a Prudenzio sia completamente negativo: Prudenzio, l'erede di tre tradizioni, di Israele, della Grecia e di Roma, l'uomo nel cui spirito il sentimento dei Vangeli aveva lottato con la tradi­ zione politica romana e l'aveva sconfitta, il poeta lirico romano, che secondo un retto giudizio può formare una triade con Catullo e Orazio; il poeta satirico piu grande di Persio e che può stare a paragone con Giovenale; insomma Prudenzio sa offrirci una ric­ chezza. e complessità di cultura che fa sembrare i versi di Empe­