Scienza e governo. L’intervento dei consiglieri scientifici nelle decisioni militari

569 70 5MB

Italian Pages 159 Year 1966

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Scienza e governo. L’intervento dei consiglieri scientifici nelle decisioni militari

Citation preview

C. P. SNOW

SCIENZA E GOVERNO L’intervento dei consiglieri scientifici nelle decisioni militari

Questo libro di Charles P. Snow, lo scienziato inglese ben noto anche da noi per i suoi romanzi e Formai celebre saggio Le due culture, è nato da una serie di conferenze tenute ad Harvard nel i960. Il tema è quello dei rapporti fra gli uomini politici cui so­ no affidate le decisioni fondamentali e gli scienziati chiamati a collaborare con loro. Le scelte decisive, oggi, sono esercitate da un gruppo ristretto di persone, in segreto, senza possibilità di di­ scussione e controllo: di qui l’importanza, e il rischio, di doversi basare sulla «preveggenza» dei consiglieri scientifici, come di­ mostrano taluni gravi errori del governo Churchill durante la guerra, su cui Fautore fa rivelazioni di estremo interesse. Snow ci dà poi una vivace rievocazione dell’ambiente scientifico di Cambridge tra il ’20 e il ’30, e insiste su un altro tema che gli è caro, la «non neutralità morale della scienza», rinnovando un appello appassionato alla responsabilità e alla preveggenza.

Nuovo Politecnico Ultimi volumi pubblicati (all’interno del volume l’elenco completo): 45.

Jan Myrdal e Gun Kessle, Un villaggio cinese nella rivolu­ zione culturale Nuovo rapporto da Liu Ling

46.

Robert Kalivoda, La realtà spirituale moderna e il marxismo Lo strutturalismo, Freud, il libertinismo

47.

Aldo Ricci e Giulio Salierno, Il carcere in Italia Inchiesta sui carcerati, i carcerieri e l’ideologia carceraria

Di prossima pubblicazione:

Gregorio Bermann, La salute mentale in Cina Lire 1000

Nuovo Politecnico 5

Copyright © 1966 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Seconda edizione

Traduzione di Luciano De Maria

C. P. Snow

SCIENZA E GOVERNO

Indice

p. 7

Nota

il

Scienza e governo

77

Appendice a Scienza e governo

119

Rutherford e il Cavendish

135

La non neutralità morale della scienza

Questo libro di Charles P. Snow, lo scienziato inglese ben noto anche al pubblico italiano come autore di nume­ rosi e fortunati romanzi e dell’ormai celebre saggio su Le due culture, è nato da una serie di conferenze tenute nel i960 all’Università di Harvard. Il tema è quello dei rap­ porti fra gli uomini politici e di stato cui sono affidate le decisioni e le scelte fondamentali («quelle per cui ne va, nel senso più crudo, della nostra vita e della nostra mor­ te ») e gli scienziati chiamati a collaborare con essi. «Una delle più singolari caratteristiche di ogni società industria­ le avanzata del nostro tempo - afferma Snow all’inizio del libro - è che le scelte fondamentali devono esser fatte da un gruppo ristretto di persone, in segreto e... da persone che non possono avere una conoscenza di prima mano di ciò da cui dipendono quelle scelte e di ciò che da esse po­ trà risultare ». È una situazione che, nei momenti di mag­ giore tensione politica e militare, può avere conseguenze tragiche: la prospettiva ideale, secondo Snow, sarebbe rappresentata dall’estinzione su scala mondiale degli stati nazionali e, in via subordinata, da una maggiore consape­ volezza tecnico-scientifica degli uomini di stato. Ma nel­ l’attuale contesto internazionale - dominato dalla strate­ gia di potenza dei grandi stati, dalla « politica chiusa » (in cui cioè le scelte fondamentali vengono fatte in segreto da poche persone e imposte alla società senza alcuna possibi­ lità di discussione, controllo, contestazione o verifica) e dalla minacciosa presenza delle armi di distruzione di mas­ sa - il problema è quello di utilizzare nel modo più effi­ cace, o meno rischioso, i consigli, le proposte, le previsio­ ni degli scienziati che collaborano con i ministri e con gli stati maggiori. Ma Snow non si limita a formulare il te­

8

NOTA

ma: preferisce illustrarlo con un caso esemplare per rica­ varne infine alcune generalizzazioni. L’interesse del libro è quindi accresciuto dalla vicenda finora del tutto inedita, che, sulla base di documenti privati o non pubblicati, l’au­ tore ci presenta. Si tratta della violenta rivalità, rivelatasi gravida di drammatiche conseguenze, che, prima e poi nel corso della seconda guerra mondiale, divise due eminenti scienziati inglesi che avevano importanti responsabilità consultive nel governo britannico: Sir Henry Tizard, l’uomo che riuscì prima di ogni altro a utilizzare il radar contro gli attacchi aerei (salvando cosi l’Inghilterra dalla massiccia offensiva tedesca), e il suo avversario F. A. Lin­ demann (Lord Cherwell), amico intimo di Churchill e suo consigliere scientifico nel 1940. Perché Tizard, « la piu al­ ta personalità scientifica che mai si sia dedicata — in In­ ghilterra - ai problemi bellici », venne esautorato nono­ stante i successi straordinari ottenuti col radar? E perché, contro le autorevoli valutazioni di Tizard e di Blackett, furono accettate e rese operative le fallaci proposte di Lin­ demann incentrate sul « bombardamento strategico » del­ le città tedesche? La risposta di Snow è molto chiara: le responsabilità soggettive non sono determinanti e la ra­ gione vera degli errori, dei pericoli e degli insuccessi risie­ de nel meccanismo insindacabile della « politica chiusa », delle decisioni segrete. Nel regno inaccessibile dei rappor­ ti fra « scienza e governo », è estremamente pericoloso che ci sia «un solo dominatore supremo in materia scientifi­ ca »; « a nessun singolo scienziato si dovrebbero concede­ re i poteri di scelta che aveva Lindemann ». « La frenesia della segretezza » e « la frenesia degli ordigni », afferma Snow, sono una specie di droga che riesce ad ottenebrare anche la mente più nobile e illuminata. Gli scienziati sono indispensabili nei governi, ma bisogna assolutamente evi­ tare (e tanto più in regime di « politica chiusa ») che ci sia uno scienziato «in posizione di potere isolato, il solo scienziato fra non scienziati » (e tanto più se il suo giudi­ zio è chiaramente errato). Se ci sarà uno scienziato in po­ sizione di potere isolato - conclude Snow - il solo scien­ ziato tra non scienziati, è pericoloso « chiunque egli sia ». « Questa è la lezione che si impresse indelebile in molte

NOTA

9

persone durante le controversie del 1939-45: chiunque egli sia, fosse pure lo scienziato più saggio del mondo, non si dovrà mai più tollerare che vi sia uno scienziato con po­ teri supremi ». Le conferenze di Harvard sono, come si è detto, del i960. Nel 1962, in seguito all’interesse e alle discussioni da esse suscitate, Snow pubblicò una nutrita appendice a Science and Government, nella quale sviluppò, argomen­ tò e precisò, anche alla luce di nuovi contributi sui rap­ porti Tizard-Lindemann, alcuni temi già affrontati nelle conferenze. Oltre a questa appendice, il presente volume offre al lettore italiano altri due scritti di C. P. Snow: il primo (Rutherford e il Cavendish} è una rievocazione vi­ vacissima dell’ambiente scientifico di Cambridge negli an­ ni ’20 e ’30, il periodo più splendido della fisica inglese ed europea. In poche pagine, Snow ci restituisce uno scor­ cio appassionante della vita intellettuale britannica, vista da un osservatorio quanto mai privilegiato e rivissuta dal­ l’interno con una vena di nostalgia.

Il secondo scritto (del 1961) - La non neutralità mo­ rale della scienza - ha il tono e il carattere di una dichia­ razione etico-politica. Snow riprende in esso alcuni temi a lui cari circa l’enorme responsabilità degli scienziati di fronte ai politici e, più in generale, alla società nel suo complesso, in un’epoca in cui certe applicazioni della scienza - e della fisica in particolare - possono comportare la distruzione totale del genere umano. Dopo alcune rapi­ de ma assai stimolanti osservazioni sulla « esteticità » del­ la ricerca e della scoperta scientifiche (osservazioni analo­ ghe circa la fecondità della « bellezza » e del fascino dei procedimenti scientifici ricorrono spesso nella letteratura specializzata, e anche Oppenheimer ne fa cenno in una re­ cente conferenza), Snow afferma che l’eticità della scien­ za non può limitarsi alla ricerca della verità scientifica. In un’epoca in cui le applicazioni militari della scienza costi­ tuiscono una minaccia permanente e micidiale per la vita

IO

NOTA

umana, lo scienziato non può più delegare al politico e allo statista (che spessissimo non è in grado di valutare le con­ seguenze pratiche delle sue scelte) l’uso corretto degli or­ digni. Non esistono più, ammesso che siano mai esistite, una scienza e una tecnologia neutre; né è ormai possibile delimitare la sfera di competenza etico-professionale dello scienziato e quella dell’uomo politico. Il discorso iniziato nelle conferenze su Scienza e governo ritrova qui la sua saldatura logica in un appello appassionato alla responsa­ bilità, alla preveggenza e alla moralità militante degli scienziati che operano nella moderna società industriale.

Scienza e governo

Titoli originali Science and Government

Appendix to Science and Government Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts © i960,1961,1962 by the President and Fellows of Harvard College

Prefazione

Vorrei esprimere la mia riconoscenza al presidente e ai membri dello Harvard College per l’onore concessomi di tenere queste conferenze. I paragrafi dal II all’VIII (pp. 17-53) riguardano un periodo della storia recente, per il quale le mie principali fonti scritte sono state le carte di Tizard. Come ho detto nel testo (p. 18) sono profondamente grato al dottor Pe­ ter Tizard, a Lady Tizard e a Mr R. H. Tizard per avermi dato la possibilità di esaminare e utilizzare queste fonti; le quali sono probabilmente le piu ricche dell’Inghilterra quanto a materiale concernente l’aspetto scientifico della seconda guerra mondiale. Ho avuto anche la fortuna di poter parlare con molte persone coinvolte in quegli eventi. La lista dei nomi oc­ cuperebbe qui troppo spazio; ma non posso fare a meno di riconoscere il mio debito speciale verso il dottor Noble Frankland, storico dell’Air Ministry e ora direttore dell’Imperial War Museum, il dottor A. V. Hill, il professor P. M. S. Blackett e il dottor A. P. Rowe. Durante il i960 mi accadde di passare un certo periodo di tempo in quattro delle piti grandi università del mon­ do: la Cambridge inglese, che naturalmente amo; l’Uni­ versità Lomonosov di Mosca; l’Università di California a Berkeley, che si dimostrò cosi gentile da invitarmi a pas­ sare l’autunno laggiù; e Harvard. Mi sento molto legato a tutte queste istituzioni e non mi piace lodarne una piu delle altre. E tuttavia, tornando a Harvard per la terza volta, sentii di nuovo che, per molti aspetti, questa era la piti bella università in cui io mai abbia messo piede. Dopo aver tenuto tre conferenze in tre serate successive, è al­ quanto sgarbato, da parte del conferenziere, non parlare

14

SCIENZA E GOVERNO

PREFAZIONE

del proprio pubblico. Ed è questo che, come conferenzie­ re Godkin, ho dovuto compiere or ora. L’impressione su­ scitata dallo splendore di Harvard è rimasta in me dopo l’esperienza, e per questo, mi sembra, essa mi accompa­ gnerà per sempre.

Leverett House, Cambridge, 2 dicembre i960.

Scienza e governo

I.

Una delle più singolari caratteristiche di ogni società industriale avanzata del nostro tempo è che le scelte fon­ damentali devono esser fatte da un gruppo ristretto di persone, in segreto e, almeno in forme legali, da persone che non possono avere una conoscenza di prima mano di ciò da cui dipendono quelle scelte e di ciò che da esse po­ trà risultare. Quando dico « società industriale avanzata » penso in primo luogo alle tre che maggiormente mi interessano: gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e il mio paese. E quan­ do dico « scelte fondamentali » intendo quelle per cui ne va, nel senso più crudo, della nostra vita e della nostra morte. Per esempio, la scelta compiuta in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 1940 e nel 1941, di procedere nei la­ vori per la bomba a fissione; la scelta fatta nel 1945 di im­ piegare detta bomba quando fu apprestata; la scelta degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, verso la fine degli anni quaranta, di fabbricare la bomba a fusione; la scelta, che condusse a risultati differenti negli Stati Uniti e nell’U­ nione Sovietica, circa i missili intercontinentali. È nella fabbricazione di armi per la distruzione assolu­ ta che si potrà cogliere il mio tema centrale nel suo aspet­ to più scottante e drammatico, o, se si vuole, più melodrammatico. Ma le stesse riflessioni si adatterebbero a tutto un insieme di decisioni il cui scopo non è di recar danno. Per esempio, alcune fra le più importanti scelte circa il benessere fisico di una nazione vengono fatte, o meno, da un gruppo d’uomini, in segreto, e anche in for­ me legali, da persone che normalmente non sono in grado di comprendere a fondo gli argomenti. Questo fenomeno del mondo moderno è, ripeto, singo-

ι6

SCIENZA E GOVERNO

lare. Vi ci siamo abituati, cosi come ci siamo abituati a tante conseguenze della mancanza di comunicazione fra scienziati e non scienziati, o a quelle della crescente dif­ ficoltà dei linguaggi della scienza stessa. Tuttavia ritengo che il fenomeno meriti d’essere esaminato. Buona parte del futuro può nascere di qui. Noi nel mondo occidentale non abbiamo dimostrato molta abilità, nell’osservare questo fenomeno con occhi nuovi e senza pregiudizi. Siamo troppo pronti a illuder­ ci con frasi come « il mondo libero » o « la libertà della scienza». Nessuna di quelle espressioni ha alcun senso quando si è impegnati in scelte del tipo che sto descriven­ do: frasi del genere non fanno che oscurare la verità. Ri­ tornerò più avanti su questo punto. Per il momento vo­ glio solo dire che tutte le società, indipendentemente dal­ la struttura politica e dalle formule giuridiche, dovranno affrontare questo stesso tipo di scelte finché esisteranno stati nazionali, e i risultati saranno fin troppo significativi. So bene che possiamo tracciare schemi di responsabili­ tà politica atti a farci sentire che si può conciliare tutto con i principi di governo parlamentare. Ma in questo mo­ do, non potremo nemmeno capire che cosa in realtà sta succedendo. Ci illuderemmo, come spesso ci capita, con quel particolare tipo di autocompiacimento e di mancan­ za di serietà, che è uno dei difetti dell’Occidente e che si sviluppa in noi via via che diventiamo « opulenti ». La prima cosa da fare, mi sembra, è cercare di capire quel che realmente succede. « Dobbiamo imparare a pen­ sare, - ha scritto Don K. Price, - senza far uso di schemi o modelli presi per buoni dalla maggior parte dei libri di testo » *. È più difficile di quanto sembri. Chi ha esaminato a fondo i rapporti tra scienza e gover­ no, e ancor meno chi ne ha diretta esperienza, tenderà a credere che conclusioni positive possano essere salde o fa­ cili da ottenersi. La maggior parte dei concetti usati dai 1 don K. price, Government and Science, New York University Press, New York 1954, p. 30. Di gran lunga il libro più interessante e più docu­ mentato che io abbia mai letto sull’argomento. Niente di quanto è stato scritto in Inghilterra su scienza e governo può lontanamente paragonarsi ad esso.

SCIENZA EGO/ERNO

17

teorici dell’amministrazione sono tutt’al più razionalizza­ zioni, non guide per riflessioni ulteriori; di regola sono irrealisticamente lontani dall’esperienza pratica. Nessuno di quelli che ho letto ha trovato le risposte giuste. Anzi, ben pochi hanno posto le domande giuste. Non trovo di meglio che raccontare una storia: in questa storia parlerò un po’ di una cosa che effettivamente av­ venne. Non farò finta che questa storia non abbia alcuna relazione con i nostri problemi attuali. Cercherò di dedur­ ne qualche generalizzazione, o, per essere più concreti, qualche regola operante. II.

Questa storia riguarda due uomini e due scelte. Il pri­ mo di essi è Sir Henry Tizard. Voglio dichiarare subito la mia partecipazione, come si suol dire nelle sale di consi­ glio inglesi. D’accordo con un certo numero d’inglesi che si interessano della recente storia scientifico-militare, pen­ so che Tizard fosse la più alta personalità scientifica che mai si sia dedicata — in Inghilterra — ai problemi bellici. Ritengo inoltre, benché in generale io assuma un atteggia­ mento alquanto tolstoiano riguardo all’influsso dei grandi uomini sulla storia, che fra tutti coloro i quali si adopera­ rono a che l’Inghilterra sopravvivesse alle battaglie aeree dal luglio al settembre del 1940, Tizard abbia fornito un contributo per lo meno pari a quello di chiunque altro. Ciò non è stato ancora debitamente riconosciuto. Come lui stesso scrisse nel suo diario, l’8 maggio 1945, quando viveva in quello che era per lui un esilio ad alto livello, quale presidente del Magdalen College di Oxford: «Mi chiedo se la parte che hanno svolto gli scienziati verrà mai lealmente e pienamente riconosciuta. Probabilmente no » È naturale che a un pubblico americano io debba pre­ sentarlo partendo da zero; ma dovrei far lo stesso anche 1 Carte Tizard (citate d’ora in poi con la sigla 1945·

ct),

diario, 8 maggio

18

SCIENZA E GOVERNO

se stessi parlando di lui alla maggior parte degli ascoltato­ ri inglesi. Di fatto, non ho mai parlato di lui prima, e sono molto felice di doverlo fare per la prima volta negli Stati Uniti. Egli si sentiva molto legato agli americani e alla scienza americana. Come vedremo, si deve a lui se, sedici mesi prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra, gli scienziati americani furono informati di tutto quel che gli inglesi stavano facendo e di tutto quel che sapevano. Quel gesto di balda fiducia, che egli ebbe il merito d’im­ porre, e cosi congeniale al suo temperamento, fece rispar­ miare a entrambi i nostri paesi un notevole periodo della guerra contro Hitler. Per caso so che egli avrebbe gradito ch’io parlassi di lui, perché una volta minacciai di farlo. Disse: « Almeno potrei essere certo che lei lo farebbe senza tanti riguar­ di ». Intendeva dire, naturalmente, come lui stesso disse scrivendo di Rutherford, che con persone d’un certo va­ lore non si dovrebbe essere troppo beneducati. Anche la sua famiglia è certa ch’egli avrebbe apprezzato d’essere trattato cosi, e m’è stato dato accesso senza riserve alle carte di Tizard. Scrisse moltissimo di sé. Cominciò un’au­ tobiografia e tenne numerosi diari frammentari. Verso la fine della vita, come molti uomini che hanno sostenuto una parte nella storia, volle che si perseguissero onesta­ mente gli scopi dei suoi scritti. Per quanto lo conoscessi bene, ho attinto a questo materiale documentario e ad al­ tre fonti scritte. C’è molto poco in quanto segue che sia opinione mia o impressione non documentata. Quando vi sia qualchecosa, cercherò di metterlo in chiaro. Che aspetto aveva? Fisicamente non mutò molto da quando lo vidi per la prima volta, uomo di mezza età, fino al giorno della sua morte nel 1959. Era il vero tipo del­ l’inglese. L’intero aspetto, la conformazione, il tratto era­ no quali raramente si possono incontrare fuori d’Inghil­ terra, o meglio fuori della classe dei professionisti inglesi da cui proveniva. Non era bello. In certi momenti assomif'iava a un ranocchio particolarmente intelligente e sensi­ bile. I capelli, almeno quelli rimastigli, erano di colore rossiccio. Il viso era insolitamente largo alle mascelle. Ma l’espressione gli veniva come trasfigurata dagli occhi, d’un

SCIENZA E GOVERNO

19

azzurro chiaro trasparente, scintillanti di brio e di inte­ resse. Era di statura media e come quasi tutti gli uomini che conseguono il successo negli affari era di forte musco­ latura. Ma quel fisico robusto, quel tratto sveglio, sicuro, autoritario, quella voce calda e rauca, celavano alcune di­ scordanze. Non era un uomo tutto d’un pezzo. Entrava in una stanza e aveva un’autorità, una combat­ tività tali che gli uomini dovevano prestargli ascolto per forza. Aveva una lingua vivace e satirica, d’un genere che appare lievemente stilizzato alla mia generazione. «An­ drade [che si occupava di invenzioni belliche] è come un Micawber1 all’incontrario sempre in attesa di qualche di­ sgrazia ». E dell’antagonismo personale di cui dovrò par­ lare tra breve diceva: « L’ascia è per il momento sotterra­ ta; ma il manico è a portata di mano appena sotto la su­ perficie». E cosi via. C’erano una quantità di «tizardismi » del genere, ma essi erano fino a un certo punto fuor­ viami. È vero, sapeva d’essere un uomo dotato, conosceva molto bene le proprie capacità, ma la fiducia che induceva gli uomini a seguirlo non era la fiducia facile, profonda­ mente radicata, di quelli che hanno i risultati della loro opera già sicuri dietro le spalle, la facile fiducia nella pro­ pria opera, ad esempio, del suo idolo Rutherford. Non era sempre comodo per Tizard convivere con se stesso. Quel volto sicuro che assumeva non riusciva a maschera­ re la tensione della sua vita interiore. Allo stesso modo, quel fisico robusto potente, non era incrollabile come pareva. Per tutta la vita sembra che sia stato disposto alle infezioni, prostrato improvvisamente da misteriose febbri. Fu fortunato nella vita familiare ed ebbe figli di grandi capacità ma aveva estremo bisogno di affetto, non solo in famiglia, ma anche tra gli amici. L’a­ micizia contava per lui più di quanto avrebbe dovuto se egli fosse stato l’uomo autosufficiente che sembrava. Per sua fortuna possedeva l’energia e il calore necessari per conquistarsi amici d’ogni età. Qualche volta ho pensato che si sentisse al colmo della felicità all’Athenaeum - avePersonaggio del David Copperfield [N. d. T.].

20

SCIENZA E GOVERNO

va la curiosa particolarità di saper rendere intimo l’Athenaeum - tra persone che non solo lo ammiravano, ma gli volevano bene. Era nato nel 1885. Il padre era ufficiale di marina - un ufficiale di marina con forti attitudini scientifiche che di­ venne idrografo aggiunto della marina militare e membro della Royal Society, ma in primo luogo e soprattutto uffi­ ciale di marina. Questo fatto doveva avere un’importanza diretta per Tizard: tanto nelle sue attitudini quanto in ciò che seppe portare a compimento. Per tutta la vita egli eb­ be il semplice, assoluto e cieco patriottismo d’un ufficiale di carriera; ed era in grado di capire perfettamente, in modo intuitivo, i soldati e i marinai. Se non fosse stato per un difetto fisico, infatti, avrebbe anche lui abbracciato quella carriera. E, cosa del tutto ovvia in tale famiglia, sa­ rebbe entrato in marina, se non gli avessero scoperto, pro­ prio prima dell’esame, una macchia cieca in un occhio. « Devo aver accettato filosoficamente questo verdetto al­ lora, - dice Tizard, — poiché non ricordo d’esserne rima­ sto deluso o sollevato; ma fu un duro colpo per mio pa­ dre. Andò da un amico aH’Ammiragliato e gli disse: “Che cosa ne faresti d’un ragazzo che non può entrare in ma­ rina? ” » *. Questo senso di lealtà tradizionale aveva radici profon­ de in Tizard. In campo scientifico e tecnico era di idee ra­ dicali, ma affettivamente, per tutta la vita, rimase fedele a una linea di onesto, intelligente, deferente conservato­ rismo. La sua famiglia fu sempre a corto di denaro. Con­ formandosi in tutto alle tipiche famiglie conservatrici dei funzionari statali inglesi, mostrava un certo disprezzo per il denaro, e nello stesso tempo era perennemente assillata dal problema di averne. Cosi fu anche per Tizard: ebbe sempre preoccupazioni economiche che lo angustiarono fi­ no al giorno della morte. Non guadagnò mai soldi, e quan­ do si ritirò dal servizio attivo non venne preso alcun prov­ vedimento atto a ovviare alle alterne vicende della sua carriera. In vecchiaia si lagnava unicamente per il fatto di non sapere come sarebbe riuscito a campare. 1 CT, autobiografia, ms, p. 17.

SCIENZA E GOVERNO

21

Invece di entrare in marina segui la tipica carriera sco­ lastica dei professionisti inglesi: Westminster e Oxford. Si dimostrava stupendamente dotato per qualunque cosa si mettesse a fare. In seguito pensò che sarebbe potuto di­ venire un buon professore universitario di matematica e rimpiangeva di non esservisi provato. Si specializzò in chimica, che a quel tempo rappresentava l’unica possibile facoltà scientifica di Oxford. Naturalmente oggi a Oxford sono altamente sviluppate le materie scientifiche, e scon­ certa un po’ rammentare che, nel 1908, il giovane Tizard, carico di titoli accademici e di promesse, ansioso di cimen­ tarsi nella ricerca, non potesse trovare nessuno con cui lavorare. Come altri brillanti giovani inglesi e americani di quel periodo decise che la Germania era l’unico paese in cui si potessero trovare buoni maestri per la ricerca, e si recò a Berlino per lavorare sotto la guida di Nernst. Cosi come andarono le cose, durante l’anno passato laggiù non fece nulla di scientificamente interessante. Ma realizzò qualcosa d’altro. Perché fu proprio nel laborato­ rio di Nernst che incontrò per la prima volta l’altro pro­ tagonista di questa storia, a proposito del quale sorge ora una difficoltà dovuta all’abitudine inglese di cambiare no­ mi e titoli. Circa trent’anni dopo, quale braccio destro ed eminenza grigia di Winston Churchill, divenne noto co­ me Lord Cherwell. Ma per quasi tutto il periodo in cui egli fu dapprima amico e poi nemico di Tizard venne chia­ mato F. A. Lindemann. Tizard, nelle sue carte, lo cita sempre con tale nome, e per amor di chiarezza mi atterrò alla stessa convenzione.

III.

I due giovani si conobbero a Berlino nell’autunno del 1908, ma non sappiamo esattamente come. Sarebbe bello esserne al corrente perché, anche se prescindiamo da quel che sarebbe accaduto, si trattava di due tra i più notevoli giovani di quel tempo, e di tali incontri non possono es­ serne avvenuti molti. Sotto tutti i punti di vista Linde-

22

SCIENZA E GOVERNO

mann era un uomo assai singolare e dotato, una vera per­ sonalità di primissimo piano. Non lo conobbi bene come Tizard, ma mi capitò di parlargli parecchie volte. Sicco­ me pensava ch’io fossi relativamente competente nel la­ voro che stavo facendo, mi diede qualche valido appoggio. Pronunciò perfino un discorso su di me alla Camera dei Lord1. Per quanto mi riguardava direttamente, era piu importante il fatto ch’egli appartenesse a quella sorta di persone che solleticano l’interesse d’un romanziere. Cosi, sebbene a mio parere non ci sia dubbio che egli avesse torto e Tizard ragione in merito ai due casi che esporrò a scopo analitico, nondimeno ho un debole per lui e un sen­ so di rispetto. Penso che i dissidi fra Tizard e Lindemann non mi interesserebbero tanto se non mi fossi sentito cosi attratto da entrambi. Ho detto che Tizard era il vero tipo dell’inglese. Lin­ demann, viceversa, non lo era affatto. Ho sempre pensato che se lo si fosse incontrato per la prima volta quand’era un uomo di mezza età, lo si sarebbe preso per un uomo d’affari centroeuropeo, pallido, con i lineamenti marcati, correttamente vestito, uno che in gioventù poteva essere stato un buon giocatore di tennis e che ora stava aumen­ tando di peso. Parlava il tedesco come l’inglese, e si av­ vertiva una lieve sfumatura teutonica nel suo inglese, in quel suo biascicare contratto e incomprensibile. Sembra che nessuno sappia ancora di che nazionalità fosse suo pa­ dre 2. Può darsi che fosse tedesco o alsaziano. Per quanto io ne dubiti, è anche possibile che fosse ebreo. Non v’è dubbio che su questo banale mistero farà luce la biogra­ fia ufficiale che Lord Birkenhead sta scrivendo. Ma è certo che il padre di Lindemann era notevolmente ricco e che lo stesso Lindemann, a differenza di Tizard, aveva verso 1 «House of Lords Hansard», 1957, settimanale η. 323, pp. 482-96. Egli faceva riferimento a un mio articolo nel « New Statesman » intitolato Nuo­ ve menti per il nuovo mondo (6 settembre 1936). Poiché allora ero ancora un funzionario governativo, i mìei amici di Whitehall preferirono che non firmassi l’articolo; ma la firma dell’autore era un segreto di Pulcinella. 2 R. F. Harrod, Tbe Prof, Macmillan, London 2959, pp. 15, 107. Il li­ bro di Sir Roy Harrod è un saggio biografico su Lindemann. Harrod cono­ sceva Ìntimamente l’argomento, ma non pretende di capire l’attività scien­ tifica di Lindemann.

SCIENZA E GOVERNO

23

il denaro l’atteggiamento di un ricco, non quello di un funzionario di carriera. Altrettanto radicalmente diversa era anche la natura del loro patriottismo. Quello di Tizard, ripeto, era il pa­ triottismo d’un ufficiale di marina, che del tutto natural­ mente e inconsciamente egli aveva respirato fin dalla na­ scita. Lindemann, il quale era inglese non di nascita ma d’adozione, aveva invece il patriottismo fanatico di chi si sceglie un paese che, tuttavia, non è, intimamente, il pro­ prio. Nessuno più di Lindemann, a suo modo, si preoccu­ pava per l’Inghilterra; ma era un modo che, con quel sa­ pore di patriottismo da esiliato convertito, colpiva le per­ sone come Tizard per la sua innaturalezza e forzatura. Ma molte altre cose potevano colpire in Lindemann, perché qualcosa di innaturale e di forzato era presente in tutta la sua personalità. Intorno a lui aleggiava un tal sen­ so di indefinibile disagio che per poco che uno si sentisse attratto verso di lui sentiva il desiderio d’attenuarlo. Era collerico e rude; e avrebbe definito umorismo, benché non si trattasse affatto di questo, una certa sua vena di ma­ levola e sadica diffidenza. Ma quando si veniva alle cose più importanti, sembrava che egli non fosse in grado di comprendere neppure la propria vita, e, malgrado l’intel­ ligenza e la volontà, che non riuscisse ad aderirvi comple­ tamente. Non prendeva gusto a nessun piacere dei sensi. Non beveva mai; era un assoluto e ostinato vegetariano e viveva quasi esclusivamente di bianchi d’uovo, formaggio di Port Salut e olio d’oliva. Per quanto se ne sa, non ebbe mai rapporti sessuali. Eppure era un uomo estremamente emotivo. Tizard, la cui sfera emotiva era altrettanto profonda e difficilmente controllabile, era espansivo di natura, il che, per sua fortuna, gli permise di crearsi una famiglia e di avere degli amici. Le passioni di Lindemann erano repres­ se e come ripiegate in se stesso. La diversità tra i due si percepiva anche dal loro modo di scherzare. Come ho già detto, Tizard aveva modi ruvidi, che potevano diventare sgarbati con le persone presuntuose, ma che alla lunga di­ mostravano una bonarietà di fondo. Quelli di Lindemann avevano il sapore amaro della repressione.

24

SCIENZA E GOVERNO

Mi ricordo d’una mattina a Oxford in cui era stata pub­ blicata la lista dei promossi con lode (mi pare che fosse durante la guerra). Parlando con Lindemann, notai per caso che il sistema inglese di assegnare i voti d’esame do­ veva procurare molto più dolore che gioia, e che ogni gennaio e giugno il piacere di coloro che avevano ricevuto la ricompensa non era nulla a paragone del dolore di quel­ li che non l’avevano ottenuta. Come per incanto, la faccia cupa e severa di Lindemann si illuminò. I suoi occhi scurì erano abitualmente tristi, ma ora brillavano. Con un alle­ gro sogghigno disse: « Per forza è cosi! Non servirebbe a niente meritare una ricompensa se non si pensasse a tutti quelli che sono infelici perché non l’hanno ottenuta». In quel modo d’essere velenoso, in quasi tutto ciò che faceva, egli era molto più accanito della maggior parte de­ gli uomini. Le sue passioni erano più grandi del normale e si trasformavano spesso nelle manie esagerate che sono le passioni nei romanzi di Balzac. Ma egli era in tutto più grande del normale. Come ho già detto, era un tipo che avrebbe solleticato l’interesse d’un romanziere. Eppure, ripensando a lui e a Tizard, non so proprio chi mi interes­ serebbe di più se fossi un romanziere. Quand’ero giovane, sicuramente Lindemann; ma ora che vedo come il mio interesse si sposti gradatamente da quelle che chiamiamo personalità « anormali » alle « normali » — naturalmente uso queste parole solo per farmi intendere meglio - penso che potrebbe essere Tizard. Esteriormente era di gran lun­ ga meno singolare di Lindemann, ma la struttura della sua personalità era forse più complessa. IV.

Sarebbe bello sapere di che cosa parlassero a Berlino in quell’inverno del 1908. Di scienza naturalmente: entram­ bi erano fermamente convinti che la scienza fosse la su­ prema manifestazione intellettuale dello spirito umano, e tale fede non venne mai meno in loro. Mentre Tizard si interessava profondamente di letteratura, Lindemann era sordo a qualsiasi forma d’arte. Forse parlavano di politica.

SCIENZA E GOVERNO

25

Erano tutti e due conservatori, ma Tizard lo era al modo aperto e tollerante del funzionario statale, mentre Linde mann era eccentricamente e spesso oltremodo reazionario Non credo che parlassero di donne o d’amore, come ci si sarebbe potuto aspettare da uomini della loro età. Circolava a Whitehall una storia romantica, cara a chi li conobbe al tempo della loro potenza e dei loro insanabi­ li dissidi, secondo la quale essi sarebbero stati un tempo inseparabili. Ma la citazione che segue, tratta dall'auto­ biografia di Tizard, e altre prove mi fanno credere che ciò sia esagerato. È bensì vero che Tizard scriveva molto tem­ po dopo il fatto, ma egli stava anche deliberatamente pre­ parando un’autobiografia in cui la contesa con Lindemann avrebbe costituito il principale conflitto drammatico; e possedeva troppe caratteristiche del narratore nato per porre in secondo piano la loro originale amicizia, se l’o­ nestà non lo avesse costretto ad agire in questo modo. F. A. Lindemann e io divenimmo buoni amici, ma non ami­ ci intimi. [Questo è il primo riferimento a Lindemann nel­ l’autobiografia]. C’era sempre qualcosa in lui che impediva l’intimità. Era uno degli uomini piu intelligenti che io abbia conosciuto. Aveva compiuto gli studi in Germania, parlava perfettamente il tedesco (tanto quanto l’inglese) e si esprime­ va correntemente in francese. Era un ottimo sperimentatore. Giocava anche bene a carte. Voleva che dividessi un apparta­ mento con lui [a Berlino], ma io rifiutai. Penso che fui in­ dotto a ciò soprattutto in considerazione del fatto che, finan­ ziariamente, egli stava molto meglio di me e che, perciò, ben difficilmente avrei potuto uguagliare il suo tenore di vita; inoltre avremmo parlato sempre inglese perché non si sareb­ be dato la pena di insegnarmi il tedesco. Fu una vera fortuna che rifiutassi, perché cosi il litigio che scoppiò tra noi in se­ guito fu di minore importanza. Avevo scoperto a Berlino una palestra diretta da un ex pugile, campione inglese dei pesi leg­ geri, e vi andavo per fare un po’ d’esercizio. Persuasi Lindemann di venire a fare un po’ di boxe con me. Ora, uno dei suoi più grandi difetti era che non sopportava che un suo coetaneo lo superasse in qualcosa. Era un pugile goffo e maldestro, e quando si avvide che io, molto più picco­ lo e leggero di lui, ero più svelto di mani e di gambe, perse completamente la calma, al punto da non farmi più incrociare

26

SCIENZA E GOVERNO

I guanti con lui. Penso che non mi abbia mai perdonato per questo. Tuttavia restammo buoni amici per piu di venticin­ que anni, ma dopo il 1936 divenne un mio fiero nemico ’.

Dopo quell’anno a Berlino, Lindemann rimase in Ger­ mania dove fece tutti i suoi studi: liceo, università e per­ fezionamento. Tizard tornò in Inghilterra e divenne do­ cente universitario di materie scientifiche a Oxford. Co­ me egli stesso annotò1 2, era strano che, considerata la sua carriera futura, non ricordasse d’aver preso, prima del 1914, il benché minimo interesse alle applicazioni belli­ che della scienza. A quel tempo, le sue ambizioni si ap­ puntavano tutte sulla scienza pura, e furono scosse sol­ tanto dall’inizio della guerra e da un’amicizia, un’amicizia che era come il culto d’un eroe: Rutherford. Questo può sembrare un paradosso, giacché Rutherford era quanto la massima espressione creativa della scienza pura, ma è chiaramente comprensibile da un punto di vista psicologi­ co e ne tratterò tra breve. Tanto Tizard che Lindemann, allora poco più che tren­ tenni, sostennero parti eccezionali nella guerra del 19141918. Una medesima sorte li condusse a dar prova di stra­ ordinario coraggio nel più completo senso fisico della pa­ rola e a partecipare ai primitivi esperimenti dell’aviazione di allora. Si offrirono volontari per questo compito perché non era stato loro concesso di combattere come mitraglie­ ri. A Tizard venne offerto di addestrarsi al volo, ma solo quando il tempo fosse troppo burrascoso per i normali allievi piloti. « Va bene », egli disse. Lindemann, a scopo sperimentale, spinse deliberatamente il suo apparecchio in una picchiata a vite. Era contro tutte le probabilità sta­ tistiche che uno dei due sopravvivesse, tanto meno en­ trambi. Dopo la guerra, le loro vite si intrecciarono nuovamen­ te. Tizard tornò a insegnare chimica a Oxford, e disse una buona parola agli elettori per la cattedra di filosofia speri­ mentale a favore di Lindemann3, il quale venne debita1 CT, autobiografia, ms, p. 52.

2 lbid., p. 66. 3 Ibid., p. 122.

SCIENZA E GOVERNO

27

mente eletto, con grande sorpresa dei fisici inglesi, poiché egli non aveva mai messo piede in un’università inglese. Lindemann divenne padrino di un figlio di Tizard. Per due o tre anni parve che essi potessero promuovere a Oxford una rinascita scientifica, la prima dopo il secolo XVII.

Ma poi, a tutti e due, cominciò a succedere qualcosa, in modo chiaro a Tizard, più indistintamente a Lindemann, che possedeva minore capacità di introspezione. Quel che accadde è semplice: essi capirono che, in confronto ai massimi esempi non avrebbero mai brillato nella scienza pura. Tizard fu esplicito al riguardo, sia nella conversa­ zione (« Capii che non avrei mai fatto niente di veramen­ te buono»), sia nell’autobiografia: «Allora giunsi alla convinzione che non sarei mai riuscito a distinguermi co­ me scienziato puro. Stavano venendo su giovani di mag­ gior valore sotto questo rispetto » ’. Con questo voleva di­ re che non avrebbe potuto combattere ad armi pari con Rutherford e compagni. Rutherford, che aveva influito più di ogni altro sulla sua vita, gli aveva anche fornito un metro con cui valutare i risultati scientifici. Tizard non si aspettava di diventare un Rutherford. Uomini del genere capitano una volta ogni tre secoli; ma era orgoglioso, era conscio delle proprie possibilità, e voleva almeno essere il secondo dopo di lui. Ma si rese conto di non esserlo e que­ sto risolse il problema. Nel riferire queste cose - e tutto ciò che posso dire è che sono effettivamente successe - mi viene in mente quel che diceva Alfred Kazin a proposito degli inglesi, che pe­ sano se stessi e gli altri come se si trattasse di carne di ca­ vallo. Per Lindemann ci volle più tempo e non penetrò cosi a fondo. Ma egli era ancor più orgoglioso di Tizard, e ancor più convinto intimamente di possedere una grande intelligenza. Non poteva sopportare di non essere in gra­ do di competere, da una parte con Rutherford e la nuova generazione dei suoi allievi, Chadwick, Cockcroft. Kapitza, Blackett, e dall’altra con i fisici matematici come Bohr, Heisenberg, Dirac, e molti altri. Il fatto è che non era * CT, autobiografia, ms, p. 124.

28

SCIENZA E GOVERNO

alla loro altezza. Cosi entrambi, l’uno consciamente e l’al­ tro a tastoni, si incamminarono per vie diverse. E interessante chiedersi se fossero nel giusto. Se aves­ sero avuto più fiducia nelle loro possibilità creative — che invece mancavano a entrambi — avrebbero lasciato dietro di sé una reale impronta scientifica? Dopo tutto, essi era­ no incomparabilmente più intelligenti di molti scienziati che avevano effettuato importanti scoperte. Nei suoi ul­ timi anni - e qui non posso parlare di Lindemann - li­ zard avrebbe certamente abbandonato tutto il resto che era riuscito a realizzare se avesse potuto mettere al suo attivo solo un quarto di un’opera di Rutherford. Con mag­ gior fortuna, minor orgoglio, avrebbe egli, avrebbero po­ tuto entrambi, far questo? Pensandoci, odo, a vent’anni di distanza, la chiara voce di G. H. Hardy: « Per tutto ciò che è degno d’esser fatto, - (col che Hardy intendeva la­ voro creativo, come quello che egli dava per scontato es­ sere l’unica cosa che valesse la pena fare), — l’intelligenza è una dote di ben poco conto ». Si è indotti a credere che, probabilmente, la loro intel­ ligenza non sarebbe stata all’altezza e che essi fecero bene a cambiare strada. Tizard era fornito d’una larga com­ prensione scientifica. Apparteneva a quel tipo di scienzia­ ti, di cui Willard Gibbs era un esempio supremo, che co­ struiscono grandi sistemi; ma Tizard non possedeva quel particolare intuito che gli avrebbe permesso di vedere qual era il sistema che, nel suo tempo, doveva venir co­ struito. Lindemann era l’opposto. A prescindere dalla sua vena di critica distruttiva, era uno scienziato costruttore d’ordigni, un inventore sempre a caccia di ingegnosi ag­ geggi. Per far buon uso d’una tale disposizione a costruire ordigni, è necessario possedere quella forza ossessiva per cui una persona continua a riflettere per anni e anni sem­ pre sulla stessa trovata. Aston era in grado di farlo, allo stesso modo d’un C. T. R. Wilson o d’un Thomas Mer­ ton '. Ma Lindemann si stancava presto. Ecco perché ri1 F. W. Aston passò anni della sua vita a perfezionare lo spettrografo di massa, e altrettanto fece Wilson per la camera a nebbia; entrambi diven­ nero premio Nobel. Sir Thomas Merton è un eminente spettroscopista e, tra l’altro, un eccellente conoscitore e collezionista d’arte.

SCIENZA E GOVERNO

29

mase un dilettante tra i professionisti: e tale, infatti, egli fu sempre considerato da coloro che, come Rutherford, rappresentavano le punte avanzate della fisica. V.

Cosi, benché ambedue divenissero membri della Royal Society in giovane età — prima di quanto avrebbero potu­ to sperare nelle condizioni attuali - Tizard e Lindemann lasciarono il campo della scienza pura. E il modo in cui lo lasciarono fu la causa dei due grandi scontri. Tizard di­ venne un amministratore scientifico ad alto livello. Que­ sto accadeva meno di quarant’anni fa, ma l’Inghilterra co­ minciava appena allora a spendere denaro per la scienza applicata. Durante la guerra del 1914-18 era sorto il mi­ nistero della Ricerca scientifica e industriale. Tizard, che durante la guerra 1 s’era acquistata una grande reputazio­ ne nella scienza applicata, si meritò il posto di segretario permanente, cioè del principale funzionario responsabile verso un ministro. Questo tipo di alti funzionari in Inghil­ terra esplicano un maggiore potere, e hanno una maggio­ re influenza sulla politica, di quanta ne abbiano i loro pa­ ri negli Stati Uniti. In Inghilterra essi si trovano proprio al centro dell’organizzazione statale, e per molti aspetti sono, in modo saldo e costante, più importanti dei loro superiori politici. Sin dall’inizio Tizard si conformò a que­ sto mondo. Non era precisamente un vero amministrato­ re, ma fu amato e incontrò la fiducia degli alti funzionari. Questi, se tralasciamo la sua punta di radicalismo scienti­ fico, gli erano molto vicini per l’origine e per l’atteggia­ mento generale. Gli piaceva Whitehall, gli piacevano le anticamere del potere, gli piaceva l’Athenaeum, gli piace­ vano i colleghi, uomini, al pari di lui, schietti, devoti e ru­ di, sebbene non altrettanto franchi. Quando nel 1929 par1 Egli era diventato vicecomandante di Bertram Hopkinson, che era infatti capo della ricerca aerea. Hopkinson, il più eminente ingegnere ac­ cademico della sua generazione, fu ucciso mentre pilotava il proprio appa­ recchio nel 1918; più di chiunque altro egli insegnò a Tizard il significato della scienza militare.

30

SCIENZA E GOVERNO

ti per diventare rettore dell’Imperial College di Londra, non abbandonò questo mondo intimo dei funzionari in­ glesi. In quegli stessi anni, Lindemann stava facendosi stra­ da in un mondo inglese del tutto diverso: il mondo del­ l’alta società e della politica conservatrice, che a quell’e­ poca, in cui la « società » aveva una funzione pratica oggi in declino o estinta, ancora coincidevano. Può sembrare strano che fosse cosi facile per una persona senza relazioni sociali, per giunta non inglese di nascita e tanto poco un tipico rappresentante dell’aristocrazia inglese quanto si può immaginare, penetrare direttamente nei sacri reces­ si. Ma in realtà si tratta d’una cosa molto semplice. Rima­ ne un enigma solo se ci si accosta alla società inglese con illusioni proustiane. Lindemann era ricco e per giunta ri­ soluto. Per generazioni la società inglese ha spalancato le porte, senza opporre alcuna difesa, a uomini ricchi e riso­ luti. Tanto più quando essi, per avventura, sono anche intelligenti. Cosi, nel giro non di anni ma di mesi, Lin­ demann riuscì a consumare i suoi strani pasti vegetariani in molte delle grandi case inglesi. Divenne noto presso il bel mondo, per una forma d’infantilismo piuttosto infeli­ ce, come « il Prof. ». Fu presto intimo di Lord Birkenhead (F. E. Smith) e per il tramite di Birkenhead conobbe Win­ ston Churchill, con il quale strinse, quasi a prima vista, un’amicizia che determinò il futuro corso della sua vita. Fu per entrambi un’amicizia assolutamente leale e tale si mantenne fino alla morte di Lindemann. La carriera so­ ciale di Lindemann presentava molti tratti di snobismo, un’evasione dalle intime sconfitte. Ma la devozione a Churchill fu la cosa più pura della sua vita. Essa non ven­ ne affatto intaccata, o forse si rinsaldò anziché affievolir­ si, durante i dieci anni in cui Churchill non fu in carica (1929-39), quando pareva che egli fosse uno dei tanti uo­ mini manqués, uno di quelli con un brillante futuro die­ tro di sé. Anche la fedeltà di Churchill verso Lindemann fu assoluta. In seguito, come Churchill sapeva bene, Lin­ demann divenne una causa di attrito con altri amici intimi di Churchill, qualcosa riguardante le tendenze politiche. Ma Churchill non si spostò di un millimetro.

SCIENZA E GOVERNO

31

Perché quest’amicizia?, se lo sono chiesto molti. Sem­ bravano due persone quasi incompatibili. A prima vista è difficile scorgere in Churchill l’anima gemella d’un’asceta fanatico, d’un vegetariano astemio e non fumatore. Ma la domanda, come quella consimile riguardo a Roosevelt e Harry Hopkins, è priva di senso, a meno che non si cono­ scano ambedue gli uomini, non solo bene, ma bene come si conoscevano l’un l’altro. Perché, qualsiasi amicizia al­ lora, se le cose stanno cosi? *. VI.

Nel 1934 Tizard e Lindemann erano entrambi prossimi alla cinquantina. Dei due, Tizard era di gran lunga quello che aveva fatto piu strada, anche se, giudicato con il me­ tro che lui stesso s’era imposto, non era stato all’altezza delle sue promesse. Era un uomo d’aflari stimato, era sta­ to nominato cavaliere, era a capo d’un istituto universita­ rio, ma ai propri occhi non aveva concluso molto. Quanto a Lindemann, aveva concluso molto meno. I fisici professionisti non lo prendevano sul serio come scienziato e lo misero al bando considerandolo un eccen­ trico beniamino del bel mondo. Scientificamente il suo nome era ben poca cosa, ed era intimo amico d’un uomo politico il cui nome era quasi altrettanto insignificante. Ma ecco che improvvisamente si offri a Tizard l’occa­ sione per cui era nato. Dal punto di vista strategico l’In­ ghilterra si trovava in una situazione terribilmente vulne­ rabile per ragioni - l’esigua superficie del paese, la densi­ tà della popolazione - che si sentono ancora più acutamen­ te oggi. Nel 1934 Baldwin era la figura più eminente del governo, ed erano trascorsi solo due anni da quando ave­ va pronunciato queste lugubri parole: «I bombardieri giungeranno sempre a destinazione ». In pubblico, politici ribelli come Churchill attaccavano l’intera politica di difesa del governo. In segreto, gli scien1 Si possono naturalmente far congetture di tipo psicologico. Sarebbe piuttosto facile far congetture plausibili sulle coppie Roosevelt-Hopkins, Churchill-Lindemann.

32

SCIENZA E GOVERNO

ziati al servizio del governo, gli stati maggiori, gli alti fun­ zionari, si arrabattavano in cerca, di qualche tipo di difesa. Non v’era nulla di fortuito in tutto questo. Era previdibile che l’Inghilterra, più vulnerabile ad un attacco aereo di tutti gli altri grandi paesi, avrebbe puntato i suoi sforzi nel tentativo di tener lontani i bombardieri. Ma ci fu qual­ cosa di fortuito e imprevidibile nel fatto che Tizard vi dedicasse la sua intelligenza. Il ministero dell’Aeronautica, sotto l’influenza del con­ sigliere scientifico H. E. Wimperis, egli stesso stimolato da un giovane brillante scienziato del governo, di nome A. P. Rowe formò un comitato per lo studio scientifico della difesa aerea. I termini di competenza erano scialbi come al solito: «per studiare in che misura i progressi della conoscenza scientifica e tecnica possano venir impie­ gati per rafforzare gli attuali metodi di difesa contro l’a­ viazione nemica ». Il comitato non era affatto importante agli inizi. Nessuno prestò molta attenzione quando venne annunciata la sua composizione. Potè destare solo una lie­ ve curiosità la nomina, dovuta interamente a Wimperis1 2, di Tizard a presidente. Tale nomina non sarebbe mai av­ venuta, tuttavia, se Tizard non fosse stato cosi bene intro­ dotto nella vita ufficiale. Ebbene, quel comitato venne chiamato Comitato Ti­ zard quasi dalla prima seduta. È piuttosto commovente il fatto che, nel suo diario, Tizard, il quale non poteva usare quella denominazione, non sembrò mai molto sicuro del vero nome ufficiale del comitato. Fin dalla prima riunione, il 28 gennaio del 1935, egli si rese conto dei problemi. Era proprio nato per quel lavoro. Ben presto, nell’estate di quello stesso anno, piccole ven­ tate di fiducia cominciarono a spirare sotto le porte segre­ te e penetrarono a Whitehall, quasi gli unici segni di fidu1 R >we sostenne, durante la guerra scientifica dal 193J al 1945, una parte importante, facilmente sottovalutata perché si svolse completamente in segreto. Egli è meglio conosciuto come sovraintendente del Telecommu­ nication Research Establishment, il più brillante ed efficiente istituto in­ glese di ricerca del tempo di guerra. 2 È degno di menzione il fatto che Wimperis, che era un uomo mite, amante della pace e che rifuggiva dalle dispute violente, ottenne che si formasse il comitato e che Tizard venisse eletto.

SCIENZA E GOVERNO

33 eia che raggiungessero il mondo ufficiale durante quegli anni. Tizard insisté perché venisse formato un piccolissi­ mo comitato da lui stesso scelto. Wimperis doveva farne parte, Rowe fu introdotto in qualità di segretario, ma al­ l’inizio due soli erano i membri che godevano d’una po­ sizione autonoma, A. V. Hill e P. M. S. Blackett. Erano entrambi insigni scienziati, d’un livello totalmente diver­ so da Tizard o Lindemann. Hill era uno dei più illustri fisiologi del mondo e aveva vinto il premio Nobel nel 1922. Blackett, che aveva allora solo trentasette anni, era uno dei più brillanti allievi di Rutherford, e in seguito an­ ch’egli premio Nobel *, Dubito che Tizard li scegliesse soprattutto in conside­ razione dei loro meriti scientifici. Era un eccellente sco­ pritore di uomini, e come ogni buon scopritore non si la­ sciava distrarre da molte cose; egli badava a quel che gli uomini erano in grado di fare. Non gli importava che Hill fosse un conservatore non ortodosso, in fiero disaccordo con la politica di Baldwin e Chamberlain, la politica pro­ prio degli amici di Tizard funzionari statali, e nemmeno gli importava — come certamente sarebbe importato a uo­ mini più vili — che Blackett fosse un radicale, la più insi­ gne figura tra tutti quei giovani scienziati di tendenza pro­ gressista i quali erano ferocemente antifascisti e diffida­ vano di ogni mossa fatta dal nostro governo. Posso dirlo con sicurezza perché anch’io ero uno di loro. Tizard non si curò di tutto questo. Sapeva che Hill e Blackett erano uomini dotati non soltanto di penetrazio­ ne tecnica, ma anche di carattere forte e prontezza di de­ cisione. Ecco quel che gli occorreva. Non c’era tempo da perdere, e ho la sensazione, sebbene io non possa provar­ lo, che egli desiderasse ancora un’altra cosa: che i membri del suo comitato avessero un’innata simpatia e identità di vedute con i militari. Hill era stato un ottimo soldato du­ rante la prima guerra mondiale, e aveva pubblicato un’o­ pera classica sull’artiglieria antiaerea. Blackett, prima di dedicarsi alla fisica, era stato ufficiale di carriera in marina. Sono convinto che fu questa una delle ragioni del loro 1 Nel 1948.

2

34

SCIENZA E GOVERNO

successo. Perché il primo compito non fu soltanto una scelta scientifica, che essi operarono rapidamente, ma an­ che lo sforzo di istruire le forze armate (e un reciproco scambio tra gli ufficiali in servizio e gli scienziati) senza del quale la scelta sarebbe risultata inutile. La scelta stes­ sa si prospettava loro come un « aut-aut ». Si trattava o ai puntare tutto sull’invenzione che in seguito venne chia­ mata col nome americano di radar, ma che ai suoi primor­ di era nota come RDF; oppure non c’era proprio nulla su cui puntare. Il comitato prese la sua decisione al riguardo prima an­ cora che il congegno esistesse realmente. Watson Watt, che fu il pioniere nel campo del radar in Inghilterra, lavo­ rando nel Radio Research Laboratory del D.S.I.R., aveva eseguito qualche esperimento preliminare. Il congegno, avrebbe potuto funzionare, non di sicuro ma probabil­ mente, in una vera guerra di li a tre o quattro anni. Null’altro avrebbe forse potuto sostituirlo. Tizard, Hill, Blac­ kett avevano fiducia nel loro modo di ragionare. Senza chiasso, senza esitazioni, la scelta venne fatta Era solo una decisione presa sulla carta, ed essi dovevano renderla effettiva. Il meccanismo amministrativo attraverso il quale ven­ ne eseguito tutto ciò è interessante in sé. In apparenza, il ministro dell’Aeronautica, Lord Swinton1, 2predispose un nuovo comitato ad alto livello, il quale doveva operare quale sottocomitato del comitato della difesa imperiale. Egli stesso presiedeva questo nuovo organismo, in cui venne fatto entrare il principale critico militare del go­ verno, Winston Churchill. Di fatto, però, ci si deve im­ maginare una gran parte di tutto quell’andirivieni in ap­ parenza casuale attraverso il quale si concludono in In­ ghilterra i grandi affari. Non appena il Comitato Tizard ritenne che c’era qualcosa da fare nel campo del radar, si può essei sicuri che Tizard andò a colazione con Hankey * 1 La parte sostenuta da Lord Swinton in questi preparativi, come quel­ la sostenuta da Rowe, sebbene per motivi diversi, è stata costantemente sottovalutata. 2 A quel tempo Sir Maurice, in seguito Lord, Hankey. Una delle gran­ di presenze invisibili negli affari inglesi, soprattutto negli affari militari,

SCIENZA E GOVERNO

35

all’Athenaeum; Hankey, il segretario del gabinetto, avreb­ be trovato conveniente prendere una tazza di tè con Swin­ ton e Baldwin. Se i funzionari statali non avessero avuto fiducia in Tizard come in uno dei loro, sarebbero forse an­ dati sprecati mesi o anni. In realtà, tutto venne portato a termine con quella scorrevolezza, quella mancanza di at­ triti, quell’agevole rapidità che possono verificarsi in In­ ghilterra solo quando una persona ha dietro di sé lo stato. In men che non si dica, il Comitato Tizard faceva richie­ sta di milioni di sterline e li otteneva in un batter d’oc­ chio. Due successivi segretari del gabinetto, Hankey e Bridges ', fecero molto di più del loro dovere ufficiale nel portare avanti il progetto. Il secondo compito da svolgere era, in particolare, per­ suadere gli ufficiali dello stato maggiore aeronautico che nel radar risiedeva la loro unica speranza e, in generale, far si che gli scienziati e i militari giungessero a una mu­ tua comprensione. Anche questo poteva risultare impos­ sibile. In pratica, a eccezione di coloro che avevano a che fare con i bombardamenti strategici, gli ufficiali superiori furono inclini a lasciarsi convincere non appena Tizard iniziò a parlare2. Pensarono spesso di fargli indossare l’u­ niforme, ma questo gli avrebbe tolto il potere di fungere da mediatore tra i due campi. « Mi rifiuto assolutamente di portare il colbacco », diceva. Abbastanza presto aveva ottenuto che, in linea di massima, non solo venisse ac­ cettata e auspicata la realizzazione di stazioni radar, ma riuscì anche, con l’aiuto delle eccezionali doti d’intuito e di iniziativa di Blackett, nel primo tentativo di impar­ tire una lezione rispettivamente agli scienziati e ai milita­ ri, cosa che Tizard e Blackett continuarono a fare per ven­ ti anni. La lezione riservata ai militari era che le guerre non si combattono con impeti emotivo-sentimentali. Si deve ri­ flettere in modo scientifico sulle proprie azioni. Ciò dava per tutta una generazione. La parte da lui sostenuta non è stata ancora de­ bitamente descritta. 1 In seguito capo del Civil Service e ora Lord Bridges. 2 Cfr. p. M. s. Blackett, Tizard and the Science of War, «Nature», n. 185 (i960), pp. 647-53.

36

SCIENZA E GOVERNO

Pavvio a una ricerca operativa *, il cui sviluppo rappresen­ tò il maggior contributo personale di Blackett durante la seconda guerra mondiale2. La lezione riservata agli scien­ ziati era questa: requisito essenziale di una valida consu­ lenza ai militari è che chi la offre deve essere convinto che, se fosse responsabile dell’azione, agirebbe in quello stesso modo. È una lezione difficile da imparare: ove fos­ se appresa, il numero dei trattati teorici sul futuro della guerra diminuirebbe enormemente. Il comitato si riunì per la prima volta, ripeto, nel gen­ naio del 1935. Per la fine di quello stesso anno le decisio­ ni importanti erano praticamente già prese. Per la fine dell’anno seguente molte di quelle decisioni erano già po­ ste in atto. Fu uno dei più efficienti comitati ristretti della storia. Ma prima che esso confermasse le sue scelte, sorse un litigio tra i più pittoreschi. Il comitato, come abbiamo visto, era sorto all’interno del ministero dell’Aeronautica perché, in tal modo, si po­ tevano tra l’altro prevenire le critiche dall’esterno, le qua­ li venivano nella maniera più aperta ed efficace da Chur­ chill. Nel 1934 egli aveva contraddetto pubblicamente il governo per il modo con cui veniva sottovalutata la po­ tenza dell’aviazione hitleriana. Le sue cifre, prodotte at­ traverso Lindemann, erano molto più vicine alla verità di quelle del governo. Cosi, in pari tempo, procedevano da una parte le discussioni e le deliberazioni segrete del Co­ mitato Tizard, e dall’altra, in piena luce, un’aspra disputa militare alla Camera dei Comuni e sulla stampa, con Chur­ chill come principale oppositore del governo. È questo un caso classico di politica « chiusa » coesi­ stente con una politica « aperta ». Passando dall’una all’al­ tra, un osservatore non si sarebbe reso conto che stava trattando questioni del medesimo tipo. Verso la metà del 1933 Baldwin, che era appena divenuto di nome e di fat1 «Ricerca delle operazioni» («Operations research») negli Stati Uni­ ti. Ma gli inglesi la iniziarono e io preferisco di molto il nome inglese. Nel­ la prima guerra mondiale gli scienziati di A. V. Hill collaudavano l’arti­ glieria antiaerea e realizzavano quella che in seguito si sarebbe chiamata ricci''’'*· nnprntivfl ’ blackett, Operational Research, «Brassey’s Annual» (1933), pp. 88-

X06

37 to primo ministro, volle smorzare il tono della disputa mi­ litare «aperta». Si servi dello stratagemma ortodosso di invitare Churchill a far parte non del gabinetto - le be­ ghe personali erano troppo forti per questo - ma del nuo­ vo Comitato Swinton, il comitato politico al quale ho fat­ to or ora riferimento, a cui erano affidate funzioni di con­ trollo sulla difesa aerea. La storia è molto intricata a questo punto. Nessuna no­ ta è mai stata pubblicata, ma dato che conosco benissimo Hankey e i suoi colleghi - e ho avuto la fortuna di lavo­ rare sotto di loro poco tempo dopo - sono sicuro che, da una parte, essi si sentirono sicuri di poter dare un capo al Comitato Tizard (Tizard si insediò nel comitato politi­ co e a questo presentava le proprie richieste di denaro) e che, dall’altra, non avrebbe fatto alcun male, ma anzi solo del bene, se Churchill avesse ricevuto informazioni esat­ te (invece che inesatte) circa quello che si stava effettiva­ mente facendo. Grosso modo fu quanto avvenne, ma ne seguirono al­ tre conseguenze. Churchill entrò nel comitato politico, serbando il diritto di criticare in pubblico, e facendo pres­ sione affinché Lindemann, quale suo personale consigliere scientifico, ottenesse un posto nel Comitato Tizard. L’una e l’altra condizione erano assai ragionevoli, ma allora scoppiò la guerra interna. Quasi a partire dal momento in cui Lindemann occupò il proprio posto al comitato, non passava mezz’ora di riu­ nione senza che venissero disturbati la buona armonia e il lavoro. Dato il mio interesse per certi aspetti del compor­ tamento umano, devo dire che mi sarebbe proprio piaciu­ to essere li presente. I personaggi stessi avrebbero for­ mato un bel quadro. Lindemann, Hill e Blackett erano tutti alti e distinti: Blackett avvenente e scultoreo, il ru­ bicondo Hill, vero tipo dell’inglese, Lindemann pallido, pesante, mitteleuropeo. Blackett e Hill, come in genere gli universitari, sarebbero stati vestiti in modo trasanda­ to, mentre Tizard e Lindemann, entrambi tradizionalisti in queste cose, avrebbero indossato giacche nere e pan­ taloni a righe e si sarebbero recati alle riunioni in cap­ pello duro. Al tavolo, Blackett e Hill, nessuno dei due SCIENZA E GOVERNO

38

SCIENZA E GOVERNO

particolarmente paziente, né desideroso di prestare orec­ chio a sciocchezze, sedevano increduli alle tirate che Lin­ demann, sprezzante, insolente, e a mala pena udibile, fa­ ceva contro ogni decisione che Tizard avesse preso, pren­ desse o stesse per prendere. Tizard sopportò per un certo tempo; avrebbe anche potuto arrabbiarsi, ma il suo era un carattere ricco di risorse e capiva che il momento era troppo serio per lasciar divampare l’ira. Comprese anche, dal primo discorso pronunciato da Lindemann nel comi­ tato, che la loro amicizia durata per anni era ormai finita. Dovevano esserci stati profondi risentimenti e rancori, tenuti allo stato latente da gran tempo e che ormai non siamo più in grado di capire. Senza dubbio Lindemann, che era un passionale, ma con le passioni controllate dei tipi repressi, sentiva che avrebbe dovuto compiere lui il lavoro di Tizard. Senza dubbio egli sentiva, poiché nes­ suno ebbe mai una fiducia più assoluta nelle proprie opi­ nioni, che egli avrebbe assolto molto meglio il compito di Tizard, e che i suoi rimedi per la difesa aerea erano non solo giusti, ma i soli giusti. Senza dubbio egli sentiva, con quel suo fanatico patriottismo, che Tizard e i suoi acco­ liti, quei Blackett, quei Hills, costituivano una minaccia per il paese e dovevano venir spazzati via. Può darsi — taluni che erano molto addentro in queste faccende cosi m’hanno detto - che tutti i suoi giudizi a quelle riunioni scaturissero dal suo odio per Tizard, odio che era divampato irresistibile come l’amore. Vale a dire che qualunque cosa Tizard volesse e sostenesse, Lindemann l’avrebbe ostinatamente ritenuta errata e vi si sa­ rebbe opposto. L’altro punto di vista è che entrarono in gioco il temperamento scientifico di Lindemann unita­ mente al suo temperamento emotivo: non era solo il suo odio per Tizard a sospingerlo, c’entrava anche la sua abi­ tudine di stare pervicacemente attaccato alle proprie idee in fatto di ordigni. Qualunque fosse il motivo, egli con­ tinuò a difendere la propria causa davanti al comitato in quel suo caratteristico tono di implacabile certezza. La sua era una posizione insostenibile. La questione, in linea di principio, era estremamente semplice. Il radar non era stato ancora messo alla prova:

SCIENZA E GOVERNO

39

ma Tizard e gli altri, ripeto, erano certi che esso fosse l’u­ nica speranza. Nessuno di loro era legato a un particolare tipo di ordigno, non sarebbe stato consono alla loro forma mentis. Avevano un ristretto margine di tempo a loro di­ sposizione, poco denaro e poche persone. Perciò il primo posto nell’ordine di priorità doveva esser dato al radar, non solo per apprestarne l’attrezzatura, ma per preparar­ si, ancora prima dei necessari collaudi, al suo impiego ope­ rativo. (Fu infatti nell’impiego operativo del radar, piut­ tosto che nell’attrezzatura, che l’Inghilterra acquistò un lieve vantaggio tattico). Lindemann non voleva nulla di tutto questo. Il radar non era stato sperimentato, ed egli richiese che venisse posto molto in basso nella lista delle priorità e fosse inve­ ce data la precedenza assoluta ad altri ordigni, tra i quali due gli stavano particolarmente a cuore. Uno era l’impie­ go della rivelazione infrarossa; questa sembrava assolutamente irrealizzabile allora a tutti gli altri e a chiunque ne sentisse parlare, e sembra ancor più difficilmente rea­ lizzabile oggi. L’altra sua trovata consisteva nello sgan­ ciare contro l’aviazione nemica bombe e mine paracaduta­ te. Le mine, nelle loro varie forme, esercitavano un fasci­ no singolare su Lindemann. Troverete in tutte le minute di Churchill dal ’39 al ’42 disegni di mine aeree, mine flu­ viali, ecc., nello stile del caricaturista Rube Goldberg. Or­ digni del genere compaiono ancora, sfogo dell’irritazione d’un uomo oberato, negli appunti di Tizard sulle sue con­ versazioni con Churchill1. Tutti questi disegni di mine erano ispirati da Lindemann. Nessuno di quegli ordigni ebbe mai alcuna utilità pratica. Per dodici mesi Lindemann imperversò al comitato con il suo atteggiamento ostile. Era infaticabile, a ogni seduta era pronto a ricominciare sempre da capo. Era proprio im­ placabile, e assolutamente impermeabile al dubbio. Solo un uomo non comune e di eccezionale resistenza emotiva ed energia, avrebbe potuto sedere tra uomini cosi abili senza subirne minimamente l’influenza. 1 Cfr. w. s. Churchill, The Second World War, Cassell, London 1948, vol. I, pp. 399-401, 593-94 [trad, it., La seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1948-53].



SCIENZA E GOVERNO

Ma anche gli altri non ne subirono minimamente l’in­ fluenza quanto alla scelta fondamentale. Tizard andò avan­ ti risoluto con il radar, e lasciò che Lindemann esprimes­ se il proprio dissenso. Ma a poco a poco cominciarono a sentirsi sfiniti. Né Blackett né Hill erano tanto flemmatici da sopportare eternamente quella tensione ossessiva. Nel luglio del 1936 *, allorché il comitato stava preparando un rapporto, Lindemann, come al solito, insultò Tizard sull’invariabile argomento dell’eccessiva precedenza ac­ cordata al radar, ma lo fece in termini cosi brutali che si dovette far uscire le segretarie dalla stanza1 2. A questo punto Blackett e Hill ne ebbero abbastanza. Rassegnarono le dimissioni e non cercarono nemmeno di trovare una scusa plausibile per tale atteggiamento. Non è chiaro se agirono dopo aver discusso con Tizard; nes­ suna discussione era in realtà necessaria. Tutti credevano che tale attrito provocasse troppo danno, ed erano tanto avveduti da capire che, mentre Churchill non era in cari­ ca, avrebbero potuto porre le proprie condizioni. Di li a poco il comitato veniva ricostituito. Tizard ne fu ancora presidente e Blackett e Hill membri. Lindemann, però, no. Venne sostituito da E. V. Appleton, il più gran­ de esperto inglese vivente in materia di propagazione del­ le onde radio. Il radar stesso era un’applicazione del la­ voro fondamentale di Appleton. L’annuncio del suo no­ me segnò, nella contenuta eloquenza dei comunicati uffi­ ciali, una chiara vittoria per il radar e per Tizard. Le sta­ zioni radar e l’organizzazione per il radar furono pronte, non perfette ma funzionanti, in tempo per la battaglia d’Inghilterra. Ciò ebbe un effetto importantissimo e for­ se decisivo. Questa storia istruttiva del primo scontro tra Lindemann e Tizard contiene a mio parere una quantità di le­ zioni, alcune delle quali non del tutto ovvie. Ma ce n’è 1 Non nel 1937 cerne dice Churchill, op. cit., p. 120. Vi sono altre inesattezze nel capitolo (Problems of Sea and Air, 1935-1939, pp. 115-28). 2 Questo è quanto riferisce Blackett. Rowe è incline a pensare, senza però esserne certo, che questa disputa critica ebbe luogo prima di una riunione. Poiché tutti s’aspettavano una lite, può facilmente esser acca­ duto che alle segretarie venisse detto di non entrare all’inizio.

SCIENZA E GOVERNO

41

una, al tempo stesso cosi chiara e ironica, che debbo farne menzione subito. Si tratta semplicemente del fatto che i risultati della politica chiusa possono procedere in dire­ zione opposta a quelli della politica aperta. È questa una caratteristica professionale del modo in cui funziona la politica chiusa e in cui vengono operate le scelte segrete. Con tutta probabilità, non più di cento persone seppero qualcosa della prima decisione di Tizard riguardo al ra­ dar; non più di venti ebbero una parte attiva in questo, e al momento della scelta non più di cinque o sei. Mentre tutto ciò procedeva, altrettanto violenta era la politica aperta, la politica aperta degli anni trenta, la più feroce e profondamente sentita politica aperta della mia vita. Quasi tutti i miei coetanei che fossero politicamente impegnati, che avessero cioè deciso che il fascismo dove­ va venir fermato ad ogni costo, volevano che Churchill entrasse nel governo: in parte per le sue doti intrinseche, in parte quale simbolo d’un paese che non avrebbe lascia­ to vincere i nazisti per mancanza di opposizione. Firmam­ mo lettere collettive in favore di Churchill; impiegammo tutta l’influenza di cui potevamo disporre, che in quegli anni non era molta. Volevamo un governo che oppones­ se resistenza, quel tipo di governo che infine ottenemmo nel 1940. Questa, penso, era la posizione di Blackett e della maggior parte dei miei amici liberali. Era certamen­ te la mia: volgendomi indietro penso proprio che aveva­ mo ragione, e se dovessi tornare ancora a quegli anni ri­ farei quel che feci allora. I se della storia non servono a molto : ma se Churchill fosse stato richiamato in carica, se la politica aperta aves­ se proceduto lungo la via che i miei amici e io chiede­ vamo a gran voce? Senza dubbio saremmo stati meglio preparati moralmente alla guerra quando essa venne. Sa­ remmo stati meglio preparati all’importanza del materia­ le bellico. Ma esaminando la storia che ho appena narrato, trovo arduo respingere la possibilità che, per qualche aspetto tecnico essenziale avremmo potuto essere prepa­ rati peggio. Se Churchill fosse entrato in carica, Lindemann sarebbe stato con lui, come avvenne in seguito. È quindi molto difficile immaginare che Lindemann non

42

SCIENZA E GOVERNO

avrebbe preso il comando del Comitato Tizard. Come ho già detto, io assumo un atteggiamento alquanto tolstoia­ no nei confronti della storia in generale. In senso lato, non credo che questi piccoli casi personali possano inci­ dere sui massimi destini. Eppure... se non avessimo ap­ prestato il radar a tempo non avremmo avuto un’occasio­ ne di vittoria nella guerra che infine scoppiò. Con Lindemann al posto di Tizard sembra per lo meno probabile che si sarebbero operate scelte tecniche differenti. Se le cose fossero andate in questo modo, non riesco proprio a vedere come il sistema radar sarebbe stato pronto in tempo. Questi timori retrospettivi non servono. Ma non co­ nosco un caso più evidente in cui la politica aperta e quel­ la chiusa sembrino narrare storie e additare destini cosi differenti. VII.

Il primo round del duello tra Tizard e Lindemann fu cosi vinto da Tizard. Quando scoppiò la guerra, il suo si­ stema di difesa aerea era in funzione. Egli divenne per­ sonalmente consigliere scientifico del ministero dell’Aero­ nautica, e il suo diario tra il settembre del ’39 e il mag­ gio del ’40 è rapido, frettoloso, vivace, scritto di notte dopo le visite ai campi d’aviazione. Esso riguarda il lavo­ ro che Tizard eseguiva meglio di chiunque altro in qua­ lunque paese e che consisteva nel far entrare i metodi scientifici nella testa dei giovani ufficiali e nell’infondere loro il suo entusiasmo e il suo senso della verità scienti­ fica. Da un punto di vista scientifico, tutto procedeva piut­ tosto bene quell’inverno, ma egli si preoccupava di un’al­ tra cosa. Aveva predisposto che A. V. Hill fosse mandato in missione a Washington, ed entrambi erano giunti alla conclusione che vi erano ragioni schiaccianti per svelare agli scienziati americani tutto sul radar e gli altri nostri segreti militari. Quasi tutti gli scienziati inglesi furono d’accordo: Cockcroft, Oliphant, Blackett fecero pressioni

SCIENZA E GOVERNO

43

in questo senso. Quasi tutti gli altri dissentirono Il rap­ porto scritto è al tempo stesso comico e tetro, improntato a quella sorta di comica tetraggine in cui ci si imbatte sempre quando gli uomini vengono presi dalla frenesia della segretezza. Diversi pezzi grossi affermavano che in nessun caso si sarebbe potuto fare affidamento sulla pro­ tezione degli Stati Uniti. Molti altri, compresi alcuni che avrebbero dovuto saperla lunga, pensavano che gli Stati Uniti non avessero nulla da offrire. Tizard divenne palesemente irascibile, ma per il resto le cose stavano andando come egli voleva. Churchill era divenuto primo lord dell’Ammiragliato allo scoppio della guerra e Lindemann era a Whitehall come suo consiglie­ re personale. Ma per il momento sera instaurato un pre­ cario equilibrio di forze; Lindemann non poteva interve­ nire nelle questioni aeree. Dalle sue carte pare che Tizard fosse felice e occupato in quei mesi come in nessun altro momento della sua vita pubblica. Poi venne il io maggio, l’attacco tedesco alla Francia, Churchill al potere. Tizard conosceva i pericoli militari come chiunque altro. Probabilmente sapeva altresì che la sua autorità non sarebbe durata a lungo. Se cosi è, le note del diario per quel giorno e per l’n maggio stanno tra i capolavori della flemma inglese. Venerdì io maggio. Lasciata Oxford alle 9 di mattina per Farnborough in aereo. Visto de Burgh e discusso con lui di esperimenti di A.I. [intercettazione di aerei]. In particolare di qualche lavoro sulla modulazione di frequenza. Gli R.A.E. [ingegneri dell’arma aerea] hanno fatto progressi nel disegno dell’antenna, tanto da eliminare qualche effetto della rifles­ sione terrestre, e Mitchell è ottimista: troppo a mio parere. Nessuna prova evidente che il metodo della modulazione di frequenza sia migliore del metodo a impulso. Sabato ir maggio. Da Hill Head a Tangmere. Discusso di esperimenti di A.I. in volo. M’è stato detto che il sistema or­ dinario di intercettamento C.H. [intercettazione a catena] era cosi difettoso che c’erano poche speranze di ottenere un buon 1 Eccetto Hankey. Quest’uomo quanto mai discreto che durante tutta la vita non si lasciò sfuggire un segreto, pensò che ora fosse giunto il mo­ mento di farlo.

44

SCIENZA E GOVERNO

intercettamento A.I. di notte finché non venisse migliorato l’intercettamento di giorno. Ho detto loro che ritenevo fosse meglio pensare soprattutto all’intercettamento diurno con l’aiuto di A.I. piuttosto che operare intercettamenti notturni ora *.

L’esercito tedesco si addentrava in Francia. Churchill e Lindemann insediati al numero io di Downing Street si accingevano ad assumere il controllo della guerra, com­ presa la guerra scientifica. Il diario di Tizard prosegue esattamente come nei due esempi citati, folto di azioni, consigli e appunti. Naturalmente c’è sempre una grande forza d’inerzia dietro chiunque conduca una vita attiva. È tipico degli uomini d’azione, e Tizard ne aveva molte caratteristiche, perseverare nella propria attività fino al momento in cui si viene fermati. Egli venne presto fermato e in un modo alquanto stra­ no. Il 4 giugno fu chiamato a incontrarsi con Lindemann al numero io di Downing Street. Malauguratamente, non c’è alcuna documentazione di quel colloquio; ma penso che nessuno dei due parlasse con franchezza. Il diario ri­ porta semplicemente: « 4 giugno. Di là a Downing Street per incontrare Lindemann. Evidentemente gli è stato det­ to dal primo ministro di “spicciarsi” con qualunque cosa di nuovo possa rivelarsi utile quest’estate, e vi è un tale sovrapporsi di responsabilità da impedire che si faccia qualcosa di utile »1 2. Tizard dovette aver capito d’essere spacciato. Ma il mo­ do particolare in cui ciò gli fu reso palese può essere stato una sorpresa per lui. Il 7 giugno presenziò a una riunione del suo ministero, del quale egli era ancora il consigliere scientifico ufficiale, presieduta dal suo ministro. Erano presenti i marescialli dell’aria e gli ufficiali di carriera. C’era anche Lindemann, e fu lui a fissare quale sarebbe stato il programma scientifico da seguire. Tizard quella notte scrisse: « Dubito che il segretario di stato mi aspet1 CT, diario, io, n maggio 1940. R.A.E. è il Royal Aircraft Establish­ ment; A.I. è «air interception» (intercettamento aereo); C.H. rappresenta il primo stadio della catena d’intercettamento. G.L. rappresenta l’esercita­ zione di riflettori combinati con cannoni antiaerei. 2 CT, diario, 4 giugno 1940.

SCIENZA E GOVERNO

45 tasse davvero. Ho cercato di evitare che usassero in modo sbagliato l’A.I. e il G.L. [sistema di ricerca degli apparec­ chi combinato con l’artiglieria antiaerea] per i fari, ma non so se ci sono riuscito. Lasciai la riunione prima che fosse finita perché, anche rimanendo, non sembrava che potesse venirne fuori qualcosa di buono » *. Nei giorni seguenti Tizard prosegui nel suo lavoro e qualche volta vide anche i suoi amici. Molti di loro sem­ bravano ritenere che non ci si potesse sbarazzare in mo­ do cosi oltraggioso d’un uomo che tante volte aveva di­ mostrato d’aver ragione. Venerdì 21 giugno. Riunione a Downing Street per esami­ nare i metodi di navigazione del nemico. Presiede il primo mi­ nistro, sono presenti Lindemann, il segretario di stato, il ca­ po di stato maggiore dell’aeronautica, il comandante in capo dei caccia e bombardieri, Watson Watt, R. V. Jones e io. Pre­ se varie decisioni, ma si sarebbe potuto prenderle per via ordi­ naria senza tutta quella confusione. Riunione del pomeriggio presieduta dal segretario di stato per discutere i nuovi svilup­ pi della situazione. Riunione insoddisfacente come la prece­ dente. Poi andato all’Athenaeum e scritto una lettera per ras­ segnare definitivamente le dimissioni. L’ho mostrata al capo di stato maggiore dell’aeronautica il quale era d’accordo che fosse inevitabile e mi chiese di suggerire una carica autorevole per me. Dissi che era meglio pensarci su due o tre settimane

Il Capo di stato maggiore dell’aeronautica, Sir Cyril Newell, era, come molti militari, un devoto sostenitore di Tizard. Ma quando parlarono d’un posto di comando, perfino Tizard, di solito cosi lucido, s’illuse. Doveva as­ solvere ancora un compito della massima importanza, quell’anno: doveva prendere parte alla classica contesa scientifico-militare del 1942; ma in quanto ad autorità, al­ meno nel senso in cui gli era stata familiare, non ne avreb­ be piu avuta per tutta la guerra. Nello spazio di poche settimane avevano escogitato qualcosa apposta per lui. Qualcuno, forse per allettarlo o blandirlo, aveva riesumato la sua vecchia idea d’uno scam­ bio scientifico con gli Stati Uniti. 1 CT, diario, 7 giugno 1940. 2 lbid., 21 giugno 1940.

46

SCIENZA E GOVERNO

30 luglio. Riunione con Fairey nella sala del ministero del­ la produzione aeronautica. Disse: « sto per diventare membro del vostro personale ». « Quale personale? », chiesi. Rispose che Beaverbrook gli aveva appena detto che io sarei stato a capo di una missione in America e che egli, Fairey, ne avrebbe fatto parte. Poiché Beaverbrook non poteva incontrarmi, Row­ lands, il segretario permanente del ministero dell’Aeronautica mi condusse nella sua stanza per spiegarmi che il primo mini­ stro voleva che guidassi una missione in America per lo scam­ bio di informazioni tecniche. Mi venne data una lista provvi­ soria dei « segreti » che potevo rivelare e delle informazioni da chiedere. Gli dissi che sicuramente non sarei andato, a meno che non mi fosse data piena libertà... A tutta prima mi sembrò un buon metodo per sbarazzarsi per un po’ di tempo d’una persona noiosa *.

Il che, naturalmente, corrispondeva almeno in parte alla verità. Se Tizard si fosse comportato da politico non sarebbe andato. In periodi di crisi, come uomini di tutti i tipi, da Trockij in poi, hanno messo in luce, il primo sba­ glio consiste nell’assentarsi. Ma Tizard aveva sempre avu­ to fede in quello che una tale missione avrebbe potuto conseguire. i° agosto. Visita al primo ministro alle 5,45. Dovuto aspet­ tare un po’ perché l’arcivescovo era da lui, cosa che, come spie­ gò il segretario privato, aveva scombinato tutto l’orario. Il primo ministro mi disse con enfasi che la missione era impor­ tante e che egli teneva in modo particolare a che fossi io a gui­ darla. Chiesi se mi avrebbe concesso piena libertà e se avreb­ be fatto affidamento sulla mia discrezione. « Naturalmente » - disse - e mettessi pure per iscritto esattamente quel che de­ sideravo. Cosi dissi che sarei partito e andai nel corridoio a tra­ scrivere un documento che lasciai al segretario. Poi telefonai a Rowlands per dirgli che avevo accettato e che il primo mini­ stro mi avrebbe concesso piena libertà di azione. Mi disse che questo era tutto diverso da quello che il primo ministro aveva detto in precedenza!2.

Trasvolare l’Atlantico nell’agosto del ’40 significava per un uomo metter ordine nei propri afiari. Prima di par­ * CT, diario, 30 luglio 1940. 2 Ibid., 1° agosto 1940.

47 tire Tizard dispose che, in caso di incidenti, i suoi diari del tempo di guerra andassero alla Royal Society. (Da que­ sti diari ho tratto le citazioni). Provava un legittimo orgo­ glio per quel che aveva compiuto, ed un giusto risenti­ mento per il modo in cui era stato trattato. Non aveva dubbi, che, qualora i fatti venissero presi in esame da per­ sone competenti - i diari e i taccuini sono folti di discus­ sioni scientifiche dal 1935 al 1939, che non sarebbe con­ veniente citare qui -, avrebbe ottenuto il debito ricono­ scimento. Ma non accadde nulla, e la missione di cui John Cock­ croft era il vicecapo fu per entrambi uno dei successi del­ la vita. Gli scienziati americani, tanto allora che in segui­ to, parlarono con estrema generosità dei risultati di tale visita. In realtà, soprattutto per il fatto di esser stati co­ stretti a studiare al fine di poter sopravvivere, gli inglesi erano all’avanguardia in molti campi scientifico-militari. Questo valeva soprattutto per il radar. Sebbene gli scien­ ziati inglesi, americani e tedeschi avessero incominciato a sviluppare il radar tutti pressappoco verso la stessa epo­ ca - il che, per inciso, ci dice qualcosa sulla natura delle scoperte « segrete » — nel 1940 gli inglesi erano più avan­ ti di tutti gli altri. Tizard e Cockcroft portarono con sé una valigia di pel­ le nera che miss Geary, la segretaria di Tizard, era costret­ ta a tenere sotto il letto. Non sapeva che conteneva quasi tutte le nuove importanti invenzioni belliche inglesi - e, un ordigno di portata superiore a tutto il resto, il recente « magnetron a cavità ». James Phinney Baxter, scriven­ do la storia della guerra scientifica americana ha definito quella valigia nera « il più prezioso carico mai po tato sui nostri lidi » e « l’unico articolo della massima importanza ottenuto in cambio degli affitti e prestiti ». Il magnetron, inventato da Randall e Boot nel laboratorio di Oliphant a Birmingham, fu probabilmente la più preziosa invenzione nella guerra contro Hitler '. Il prenderne visione mise gli scienziati americani nelle condizioni di studiarlo nei partiSCIENZA E GOVERNO

1 II megnetron è un ordigno per produrre raggi di onde radio ad alta frequenza. Tutti i progressi compiuti nel campo del radar dipendono da esso.

48

SCIENZA E GOVERNO

colari sedici mesi prima che gli Stati Uniti entrassero di fatto in guerra. Come ha detto Blackett: Questo lungimirante atto di fiducia, che Tizard e A. V. Hill dapprima prospettarono e infine imposero per il tramite di Whitehall, produsse enormi benefici sul lato scientifico dello sforzo bellico alleato. Cockcroft ci ricorda che la missione ven­ ne magnificamente organizzata da Tizard, il quale ebbe l’idea di condurre una squadra mista di ufficiali in servizio e di scien­ ziati. Per la prima volta i nostri amici americani sentirono de­ gli scienziati civili discutere con autorità di strumenti bellici e videro poi dei militari seguirli nelle esperienze pratiche '.

Di ritorno dalla missione, Tizard si rese conto d’essere ancora tagliato fuori. Non c’era alcun vero lavoro per lui. Fece per un po’ il consigliere scientifico indipendente, al ministero della Produzione aeronautica. Poi la Raf, che gli era sempre rimasta fedele, lo collocò all’Air Council. Ma nessuno di questi due incarichi gli dava modo di eser­ citare in pieno le sue capacità. Ed invero, nessun incarico avrebbe potuto, fintantoché era Lindemann a prendere le più importanti decisioni belliche da parte inglese. Capii qualcosa di Tizard in quei momenti. Era un uo­ mo fiero, troppo fiero per essere acido. Era anche quanto mai alieno dall’autocommiserazione. Si divertiva enorme­ mente al solenne armamentario della vita ufficiale inglese. I pranzi alla corporazione della città di Londra, i vari con­ sigli dei governatori di cui era membro: per molti di noi tutto ciò non sarebbe stato proprio consolante, ma per lui lo era. Eppure aveva solo cinquantasei anni, era nel pieno delle sue capacità e non sopportava d’esser tenuto al guin­ zaglio. Penso che accettasse di buon grado la baruffa fina­ le con Lindemann, non soltanto perché era certo d’aver ragione, ma anche perché essa gli diede qualcosa da fare. Vili.

La lite scoppiò nel 1942 a proposito dei bombardamen­ ti strategici. Occorre ricordare che era estremamente ar1

blackett,

Tizard and the Science of War cit.

49 duo per i paesi occidentali compiere quell’anno in Europa sforzi militari di un certo rilievo. Le grandi battaglie si combattevano in terra russa. Sicché era cosa naturale, e saggia dal punto di vista militare, che i capi occidentali fossero pronti ad accogliere qualunque concetto di azione. È anche vero - e questo non era militarmente tanto sag­ gio - che gli inglesi e gli americani avevano creduto per anni, più di tutti gli altri paesi nei bombardamenti stra­ tegici. Le nazioni che avevano studiato a fondo i problemi bellici, come la Germania e la Russia, non avendo fiducia in questo tipo di bombardamenti, non vi avevano investi­ to né grosse capacità produttive né numerose truppe scel­ te. Cosa che, viceversa, avevano fatto gli inglesi, alcuni anni prima che la guerra iniziasse. Alla strategia non si era ancora pensato. Era semplicemente un irragionevole atto di fede credere che il bombardamento strategico do­ vesse diventare il nostro strumento bellico decisivo. Ri­ tengo sia onesto dire che Lindemann aveva sempre nutri­ to questa fede con particolare intensità. Al principio del 1942 egli era ben deciso a tradurla in azione. A quel tempo egli era Lord Cherwell e membro del Consiglio dei ministri, e presentò un documento sul bombardamento strategico della Germania. Alcuni docu­ menti ministeriali sono riservati ai soli membri del Consi ■ glio dei ministri e Lindemann si valse talvolta di questo mezzo per mettere in circolazione una proposta scienti­ fica; poiché egli era il solo scienziato del gabinetto, la discussione era ridotta al minimo. Ma il documento sui bombardamenti giunse nelle mani dei più alti scienziati del governo. Esso descriveva in termini quantitativi gli effetti sulla Germania di un’offensiva aerea inglese per i diciotto mesi seguenti (approssimativamente dal marzo del 1942 al set­ tembre del 1943). Il documento prospettava una linea d’azione strategica. Il bombardamento doveva essere di­ retto essenzialmente contro le abitazioni della classe lavo­ ratrice tedesca. Le abitazioni del ceto medio, avendo trop­ po spazio intorno, fanno necessariamente sprecare bom­ be; le fabbriche e gli «obiettivi militari» erano stati da gran tempo dimenticati, tranne che nei bollettini ufficiali, SCIENZA E GOVERNO

50

SCIENZA E GOVERNO

perché era troppo difficile scovarli e colpirli. Il documen­ to sosteneva che - previa totale concentrazione degli sfor­ zi nella produzione e nell’impiego dei bombardieri - sa­ rebbe stato possibile distruggere il cinquanta per cento delle case in tutte le maggiori città tedesche (in quelle, cioè, con più di 50 000 abitanti). Lasciatemi interrompere il racconto per un istante e fare una supposizione. Può darsi che una volta o l’altra in futuro, uomini viventi in un’età più benigna della nostra, riesaminando i documenti ufficiali, osserveranno che per­ sone come noi, miti e beneducate secondo gli standard dell’epoca, e sovente dotate di sinceri sentimenti umani, si resero capaci del tipo di calcoli che ho or ora descritto. Tali calcoli, ma su scala molto più vasta, vengono fatti an­ che oggi nelle società più avanzate che conosciamo. Che penseranno di noi i posteri? Diranno, come Roger Wil­ liams disse di certi indiani del Massachusetts, che erava­ mo lupi con menti d’uomo? Penseranno che abdicavamo alla nostra umanità? Ne avranno tutto il diritto. A quel tempo sentii parlare di questo famoso documen­ to ministeriale. Circa la mia posizione e quella delle per­ sone che conoscevo meglio, devo dire quanto segue: noi non avevamo mai avuto la fiducia comune agli inglesi nei bombardamenti strategici, in parte per ragioni militari, in parte per ragioni umane. Ma ora il punto essenziale era questo: quel che ci preoccupava maggiormente non era tanto la spietatezza di Lindemann ', quanto i suoi calcoli. Il documento cadde nelle mani di Tizard. Egli studiò le statistiche e giunse all’inoppugnabile conclusione che la valutazione di Lindemann sul numero delle case che avrebbero potuto essere distrutte era cinque volte trop­ po alta. Lo stesso documento giunse a Blackett. Indipendente­ mente egli studiò le statistiche e pervenne alla conclusio­ ne, altrettanto inoppugnabile, che la valutazione di Lin­ demann era sei volte troppo alta. 1 HARROD, The Prof, pp. 74-75, non era chiaramente informato sulla natura della controversia, sia riguardo a questo episodio che per la dispu­ ta prebellica (pp. 176-78).

SCIENZA E GOVERNO

51

Tutti furono d’accordo che, se l’entità della eventuale distruzione era davvero cosi esigua come risultava dai cal­ coli di Tizard e Blackett, non metteva conto puntare tutto sull’offensiva aerea. Avremmo dovuto trovare un’altra strategia, sia nel campo della produzione sia in quello del­ l’impiego delle truppe scelte. Toccò a Tizard discutere questo problema ed esprimere l’opinione che il bombar­ damento strategico non sarebbe stato efficace. Penso di non aver mai visto, nell’ambito della politica segreta, l’opinione di una minoranza raggiungere un tal se­ gno di impopolarità. Il bombardamento era divenuto un articolo di fede. Mi chiedevo talvolta se i miei colleghi dell’amministrazione, in genere intelligenti e senza pre­ giudizi e che di norma costituivano il gruppo meno adat­ to ad esser trascinato da una fede qualsiasi, avrebbero aderito a questa, come nell’insieme essi fecero, qualora avessero avuto una conoscenza anche elementare della sta­ tistica. In privato si facevano scherzi amari come si fa nel partito perdente. « C’è la statistica di Fermi e Dirac, - dicevamo. - La statistica di Einstein e Bose, ed ora la nuova statistica non quantitativa di Cherwell ». E raccon­ tavamo la storiella d’un uomo che sommò due più due e ottenne quattro. « Non bisogna fidarsi di lui, - disse al­ lora il ministero dell’Aeronautica: — ha parlato con Tizard e Blackett ». Il ministero dell’Aeronautica si allineò dietro le posi­ zioni del documento di Lindemann. L’opinione della mi­ noranza fu non solo sconfitta ma stroncata. L’atmosfera era più isterica di quanto non lo sia di solito nella vita uf­ ficiale inglese; spirava lieve ma inconfondibile un’aria di caccia alle streghe. Tizard fu praticamente tacciato di di­ sfattismo. Il bombardamento strategico, secondo la stra­ tegia propugnata da Lindemann, fu messo in opera con tutto l’impegno di cui il paese era capace. Il risultato finale è ben noto. Tizard aveva calcolato che la stima di Lindemann era cinque volte troppo alta, per Blackett essa lo era sei volte. A guerra finita, la valu­ tazione ufficiale dei danni recati dai bombardamenti rive­ lò che essa lo era ben dieci volte. Dopo la guerra solo una volta Tizard disse: « Ve Lave-

52

SCIENZA E GOVERNO

vo detto». Pronunciò un’unica conferenza sulla teoria e la pratica dei bombardamenti aerei. « Oggi nessuno pensa che sarebbe stato possibile sconfiggere la Germania unica­ mente con i bombardamenti. Lo sforzo effettivo speso in potenziale umano e materiali per il bombardamento della Germania fu più ingente del valore in potenziale umano del danno recato ». Durante la guerra, tuttavia dopo che ebbe perduto il se­ condo conflitto con Lindemann, attraversò un periodo do­ loroso. Era arduo per un uomo della sua tempra, rude e coraggioso quanto basta, e per giunta orgogliosissimo, sopportare di venir chiamato disfattista. E ancor più ar­ duo era il vedersi escluso dalle deliberazioni scientifiche oppure essere invitato a patto, però, di non esprimere la propria opinione se non veniva richiesta. Retrospettiva­ mente è causa di sorpresa che gli venissero inflitte umi­ liazioni del genere. Penso che nell’Inghilterra di questo secolo non esista un altro esempio simile. Tuttavia l’apparato statale ha in Inghilterra la prero­ gativa di badare ai propri interessi. Verso la fine del 1942 egli venne eletto rettore del Magdalen College, a Oxford. Era una carica molto onorifica, che molti funzionari ingle­ si avrebbero accettato con gratitudine. E cosi fece Tizard. Nonostante avesse allora molto tempo a disposizione, du­ rante questo periodo egli non tenne il diario in modo con­ tinuato. Sembra proprio che questa volta la sua vitalità fosse venuta meno. Penso non ci sia dubbio che, standosene nel suo appar­ tamento del Magdalen College durante gli ultimi trenta mesi di guerra, il suo pensiero tornasse spesso a White­ hall con un sentimento di offesa e insieme di rimpianto. Si trovava li, a ricoprire una delle più ambite cariche ono­ rifiche, eppure sentiva le proprie capacità arrugginirsi, ca­ pacità che erano quanto mai adatte a venir impiegate nel­ la guerra. Era conscio delle proprie possibilità; molto più esattamente di quanto non lo siano in genere gli uomini. Era persuaso durante il dignitoso esilio di Oxford e fino alla fine della vita che, se gli fosse stata concessa una con­ grua parte della direzione scientifica negli anni fra il ’40 e il ’43, la guerra sarebbe potuta finire un po’ prima e con

S CIENZA E GOVERNO

53

minore spesa. Esaminate le prove di fatto, è difficile non essere d’accordo con lui. Dopo la guerra Tizard e Lindemann non giunsero mai a riconciliarsi. A Whitehall avevano rappresentato una farsa comico-sarcastica con due personaggi, di cui ce n’era sempre uno solo sulla scena. Nel 1945, con la sconfitta di Churchill, Lindemann tornò al suo posto di professore a Oxford. Tizard venne sollecitamente invitato dal gover­ no laburista ad assumere la carica di presidente dell’Advisory Council on Scientific Policy, e anche del Defence Research Policy Committee, vale a dire a diventare il principale consigliere scientifico del governo, in modo quasi identico a quello in cui vennero utilizzati negli Stati Uniti Killian e Kistiakowsky. Nel 1951 Churchill e Lin­ demann tornarono al potere. Tizard rassegnò immediata­ mente le dimissioni. Suscitò moltissimi commenti il fatto che egli non fosse mai ammesso alla Camera dei Lord, ma questo non lo tur­ bò affatto. Di una sola cosa risulta che si lagnasse: della pensione, la quale, come ho detto più sopra, era in effetti irrisoria. Nei suoi ultimissimi anni, quando lui e Lindemann stavano diventando vecchi, dovette assumere qual­ che carica di amministratore per mantenere sé e sua mo­ glie. Lindemann mori nel 1957. Tizard gli sopravvisse di due anni. IX.

E qui finisce la mia storia istruttiva. Vorrei ora sugge­ rire quale lezione si può fondatamente trarre da essa. In primo luogo dobbiamo tener conto di quelle caratteristi­ che del governo e dell’amministrazione inglese a noi pecu­ liari. Ci sono certe caratteristiche prettamente insulari, che risultano inspiegabili e noiose per gli americani e i russi, tutti presi dai loro problemi di scienza e governo. Tali caratteristiche sono, come gli editori americani usa­ vano dire con tono afflitto dei romanzi inglesi, troppo bri­ tanniche. La principale di esse, penso, consiste nella limi­ tata estensione, nella ristrettezza e nell’estrema omoge­

54

SCIENZA E GOVERNO

neità del mondo ufficiale inglese. I. I. Rabi mi disse una volta che, nel corso della sua prima visita in Inghilterra durante la guerra - credo nel 1942 - trovò Churchill, al numero xo di Downing Street, mentre stava maneggiando il primo modello d’un nuovo apparecchio radar. Rabi si chiese perché gli inglesi insistessero a far la guerra come se si trattasse di un piccolo affare di famiglia. È proprio vero che gli inglesi usano inconsciamente ogni sorta di stratagemmi per far si che la popolazione, già piccola di per sé, su scala mondiale, appaia molto più piccola di quanto non sia in realtà; mentre gli Stati Uniti, cosi almeno mi pare, fanno esattamente l’opposto. Ma, per quanto ciò sia vero, non credo abbia a che fare direttamente con i principali insegnamenti della mia sto­ ria. Per molti aspetti la politica chiusa è sostanzialmente identica in ogni paese e in ogni sistema. Se vogliamo co­ minciare a capire quel che succede, e con questo agire me­ glio, son sicuro che sarà bene partire dal presupposto che gli altri paesi non differiscono poi tanto dal nostro, e che anzi ci sono molto simili. A un osservatore benevolo spes­ so sembra che gli americani danneggino maggiormente se stessi quando si lasciano impossessare dal senso di essere eccezionali. In tutti i problemi che vado esaminando scienza di governo, politica chiusa, scelte segrete - tale eccezionalità non esiste. In questo campo, per la natura stessa delle attività, tut­ ti i paesi devono seguire leggi molto simili. La scienza di governo di un paese non è certo « più libera » di quella di un altro, e lo stesso può dirsi delle sue scelte segrete in campo scientifico. Vi prego di prestare attenzione a tut­ to ciò. Ve lo dice uno che vi conosce un po’, vi vuol bene molto, e desidera ardentemente vedere le vostre generose forze creatrici espandersi per il mondo. Voi non avete al­ cun vantaggio speciale in questo campo della scienza e del­ la decisione. Ascoltando gli scienziati americani e sovieti­ ci, cercando di studiare il modo in cui entrambi applicate la scienza di governo, sono colpito non dalle differenze, ma dalle somiglianze. E se c’è qualche differenza, forse è che, a causa dell’autonomia e degli speciali privilegi del­ l’Accademia sovietica, gli scienziati russi assumono un at-

SCIENZA E GOVERNO

55

teggiamento alquanto più orgoglioso; e inoltre, per quan­ to ciò possa essere solo un’impressione superficiale, im­ magino che le loro scelte più importanti, oltre a coinvol­ gere un maggior numero di personalità scientifiche, siano fondate su una base leggermente più vasta di quanto non succeda da voi o da noi. Credo di poter dire, pertanto, che siamo tutti sulla stes­ sa barca e che tutti i paesi possono imparare dalla con­ creta esperienza altrui. Tutti conosciamo le soluzioni idea­ li. Primo, si potranno abolire alcune, se non proprio tutte, le scelte segrete non appena verranno aboliti gli stati na­ zionali. Secondo, quella speciale atmosfera di difficoltà e mistero che grava intorno a tali scelte verrà per lo meno attenuata non appena tutti gli uomini politici e di governo saranno scientificamente preparati o almeno non saranno più cosi digiuni di scienza. Nessuna di queste due solu­ zioni ideali è in vista. Cosicché non sarà proprio una per­ dita di tempo se tenteremo di analizzare alcuni fenomeni di scelta scientifica in politica « chiusa ». Ho già impiegato il termine « politica chiusa ». Intendo con esso ogni tipo di politica in cui non si faccia appello a un’assemblea più ampia, come potrebbe essere un gruppo d’opinione o un elettorato, o, su ancora più vasta scala, quel che denominiamo vagamente « forze sociali ». Ad esempio, certe lotte all’interno di un Consiglio dei mini­ stri inglese possono essere considerate esempi di politica chiusa: ma questa non è politica chiusa allo stato puro, giacché il primo ministro o qualsivoglia membro del gabi­ netto può, se costretto, passare dall’opinione personale a quella di massa. D’altra parte, quasi tutte le scelte scienti­ fiche segrete sono molto simili alla politica chiusa allo sta­ to puro. Per tornare al mio esempio-tipo, per tutta la durata dei suoi conflitti con Lindemann, Tizard non aveva un più vasto organismo a cui appellarsi. Se gli fosse stato pos­ sibile sottoporre la controversia sui bombardamenti1 ai 1 La controversia avrebbe dovuto venir risolta alla luce di tutto un insieme di fattori pratici, come il modo in cui gli aerei sono effettivamente fatti funzionare in pratica. E fu proprio nella cattiva valutazione di questi fattori pratici che la statistica di Lindemann si dimostrò errata.

56

SCIENZA E GOVERNO

membri della Royal Society, o agli scienziati professioni­ sti in genere, Lindemann non sarebbe durato una setti­ mana. Ma naturalmente Tizard non poteva far ciò: e que­ sto vale per molti conflitti della scienza di governo e per tutte le scienze segrete. Eccoci a considerare le situazioni classiche della politi­ ca chiusa. Balza agli occhi il fatto molto ovvio che le per­ sonalità e le relazioni personali recano una massa di re­ sponsabilità, senza proporzione, più grande di quello che esse presentano nella politica aperta. Nonostante le ap­ parenze, ci si avvicina qui al potere e alla scelta perso­ nale molto più che nel governo ordinario. Ne consegue, come primo risultato, che in questo momento probabil­ mente tutti i paesi sono alla mercè di propagandisti scien­ tifici. Nella storia di Tizard e Lindemann abbiano incontra­ to tre delle forme caratteristiche della politica chiusa. Queste tre forme sovente non sono perfettamente separa­ bili, e di solito si confondono Luna con l’altra, ma gioverà forse tentare di definirle. La prima è la politica di comi­ tato. Esiste naturalmente una complessa morfologia della politica di comitato, e chiunque abbia mai fatto parte di una qualsivoglia società, di un tennis club, di una filodrammatica aziendale, d’una facoltà universitaria, si sarà reso personalmente conto di alcune sue caratteristiche. L’archetipo di tutte è rappresentato da quella sorta di co­ mitato in cui ogni membro parla individualmente in no­ me proprio e dipende, per quanto riguarda la sua influen­ za, unicamente dalla sua personalità, e a lungo andare vo­ ta con parità di voto. Il Comitato Tizard stesso ne costituiva un buon esem­ pio. I membri non rappresentavano che se stessi, e solo attraverso i loro « mani »ei loro argomenti essi riusci­ vano a influire sulle decisioni. Se si creava un disaccordo, allora la decisione finale, cosa che ogni comitato ufficiale farà di tutto per evitare, si otteneva « contando le teste ». Fu quel che accadde, nonostante le circostanze fossero drammatiche, quando Lindemann si oppose a Tizard sul­ la priorità del radar. Ciascuno, intorno al tavolo, sapeva

SCIENZA E GOVERNO

57 di essere tre contro uno a svantaggio di Lindemann '. In questo archetipo di comitato, con personalità di ostinazio­ ne quasi uguale, senza la possibilità di ricorrere all’ester­ no tranne che per un Churchill fuori carica e provvisto quindi del solo potere di creare dei fastidi, ciò significava che la sua partita era perduta. Ho appena detto che ogni comitato ufficiale, certo ogni comitato ufficiale inglese, è riluttante a eseguire una vo­ tazione palese. Penso che una votazione di questo genere non sia mai stata eseguita in effetti nel Consiglio dei mi­ nistri inglese; ma naturalmente la sostanza di una vota­ zione, il modo in cui le opinioni sono divise, è abbastanza chiaro. Se si vogliono votazioni palesi, in modo da vede­ re l’attività del comitato in tutto il suo splendore, biso­ gna andare presso società che non soffochino gli attriti tra personalità, come nei più piccoli college della mia Cam­ bridge, i quali procedono allegramente a votazioni aperte su ogni tipo di controversie, comprese le nomine perso­ nali. Penso che la più famosa votazione palese di questo secolo ebbe luogo quando, nell’ottobre del 19x7, intro­ dotto per ragioni di sicurezza nella casa d’un nemico poli­ tico, Lenin passò la sua risoluzione al comitato centrale del partito bolscevico: «Che... [parentesi lunghissima con la definizione delle condizioni] i bolscevichi prenda­ no ora il potere ». La votazione risultò dieci contro due a favore, con Kamenev e Zinov'ev che votarono contro. Peraltro non vi è nulla, nella politica di comitato, par­ ticolarmente legato alle istituzioni parlamentari america­ ne o inglesi. L’oligarchia veneziana fu maestra nel lavoro di comitato e con tale mezzo esercitò per lo più il suo go­ verno. Il Consiglio dei dieci (che di solito siedeva come un corpo di diciassette) e i capi dei dieci (che erano un comitato ristretto di tre) prendevano la maggior pane del­ le decisioni esecutive. Penso proprio che nessuno di noi avrebbe avuto molto da insegnar loro riguardc alla politi­ ca di comitato. Qualche anno fa, in un mio libro ho scrit1 Vale a dire che, tra i membri scientifici indipendenti, anche Wimperis e Rowe stavano dalla parte di Tizard.

58

SCIENZA E GOVERNO

to quanto segue a proposito di una riunione di alti fun­ zionari: Questi uomini erano più onesti, e molti di essi assai piu abili della media: eppure, sotto le parole, si sarebbe udito lo stesso mormorio di quando un qualsiasi gruppo di uomini sce­ glie qualcuno per un lavoro qualsiasi. Si presti orecchio a tali sedute e allora si udirà, anche tra gli uomini migliori, l’intri­ cata, labirintica, implacabile rapacità della brama di potere. Se la si è udita una volta, ad esempio durante l’elezione del presidente d’una minuscola compagnia drammatica, non im­ porta in quale parte del mondo, allora la si è udita ovunque, nei colleges, nei vescovadi, nei ministeri, nei consigli dei mi­ nistri: gli uomini non cambiano per il fatto che le questioni da decidere sono di più vasta portata '.

Non cambierei una parola di tutto ciò. Ritengo che gioverebbe denominare « politica gerarchi­ ca» il secondo tipo di politica chiusa: la politica d’una catena di comando, delle forze armate, della burocrazia, della grande industria. Λ prima vista tale politica sembra molto semplice in superficie. Basta afferrare l’uomo posto al vertice, e l’ordine sarà eseguito fino al gradino più bas­ so della gerarchia. Se hai il capo dalla tua, non c’è da preoccuparsi. Questo pensa la gente, soprattutto quelli che sono al tempo stesso cinici e privi di senso della real­ tà, cioè quel tipo di gente che meno mi va a genio. Non potrebbe esserci nulla di più ingenuo. Le organizzazioni del tipo catena di comando non fun­ zionano affatto in questo modo. Le organizzazioni inglesi, la nostra pubblica amministrazione, le nostre forze arma­ te sono disciplinate in modo soddisfacente dalle norme vi­ genti. Certo, i nostri funzionari in servizio non dimostra­ no, nell’esporre il proprio punto di vista - specie quando vanno contro un’autorità superiore -, lo stesso entusia­ smo che si trova in certi funzionari americani. Ma in real­ tà, per quanto non appaia in superficie, i nostri due paesi operano in gran parte nello stesso modo. Per attuare qualcosa in qualsivoglia organizzazione for­ temente articolata, è necessario convincere persone di tutIhe New Men, Macmillan, London 1954, pp. 278-79.

SCIENZA E GOVERNO

59 ti i livelli. Sono le loro decisioni, la loro acquiescenza o il loro entusiasmo (soprattutto l’assenza di resistenze passi­ ve) a far si che una strategia venga, o meno, attuata in tempo. Chiunque sia in grado di giudicare consentirà che questo fu il modo in cui Tizard impostò e portò avanti la questione della strategia del radar. Sin dall’inizio aveva i capi politici e amministrativi dietro di sé (Churchill e Lindemann non avevano allora alcuna voce in capitolo). Era sorretto anche dallo stato maggiore dell’aeronautica e dagli alti comandi. Ma egli spese molte energie nel per­ suadere e nell’esortare gli ufficiali di grado inferiore che avrebbero dovuto controllare i collegamenti radar non ap­ pena fossero apprestati. Allo stesso modo egli persuadeva ed esortava gli scien­ ziati che disegnavano gli strumenti e gli amministratori che dovevano curarne la fabbricazione. Come tutti coloro che conoscono le istituzioni, Tizard si poneva continuamente questa domanda: «Dove andare? Per quale com­ pito? » Spesso, per ottenere una decisione reale in con­ trapposizione a una decisione formale, il tizio che conta si trova molto in basso nella gerarchia. Amministratori come Hankey e Bridges erano maestri in questo tipo di conoscenza delle istituzioni, essi agivano sulle singole par­ ti dell’organismo inglese con incitamenti e lusinghe, ca­ rezze e colpi a tradimento, cosi che, per un verso o per l’altro, in modo che i diagrammi d’organizzazione riusci­ rono molto primitivi, la catena del radar venne attuata. Ricordo che, proprio all’inizio della guerra, venni man­ dato a chiamare da un alto funzionario, con grande sor­ presa e, temo, irritazione da parte dei miei superiori. Ero funzionario di grado inferiore, in servizio provvisorio so­ lo da pochi mesi: ma mi ero assunto il compito di forma­ re numerosi scienziati esperti nel radar. Come al solito, ognuno aveva dimenticato i puri e semplici bisogni uma­ ni, tutto veniva considerato in termini di quantità di men­ ti addestrate, di un congegno nuovo. Ricevetti la convo­ cazione e mi recai al ministero del Tesoro. Il mio interlo­ cutore si trovava tanto più in alto di me nella scala gerar­ chica che non era possibile una normale conversazione. Cionondimeno, in seguito saremmo diventati amici. Il

6o

SCIENZA E GOVERNO

colloquio, però, non durò più di cinque minuti. Lo sche­ ma procedeva senza difficoltà? Avremmo avuto abbastan­ za uomini? E al momento giusto? Le risposte a queste domande furono affermative. Avevo bisogno di aiuto? No, non in quel momento. E fu tutto. In tal modo funzio­ na a volte la politica gerarchica. Dato un obiettivo serio, dato un tacito rispetto a lunga scadenza, per certe regole, essa spesso funziona molto bene. È questa una forma di politica che non ha ancora rice­ vuto l’attenzione che meriterebbe qualora si avesse sensi­ bilità non per il modo in cui si presume debba funzionare un’organizzazione complessa, ma per il modo in cui essa funziona effettivamente1 : il quale modo va contro qual­ siasi romantico stereotipo del potere ufficiale. I pezzi grossi delle grandi società, come la General Motors o la General Electric, o le loro equivalenti inglesi, per l’intrin­ seca natura delle loro organizzazioni, non potrebbero an­ che volendo agire come i proprietari d’una piccola società cinematografica. Felici espressioni del potere, come assu­ mere e licenziare, tanto piti si allontanano dalla realtà quanto più complessa è l’organizzazione, e quanto più se ne sia vicini al vertice. Ilo il sospetto che le politiche ge­ rarchiche siano con tutta probabilità più interessanti e complesse negli Stati Uniti che in ogni altro paese del mondo, certo più interessanti che in qualsiasi paese occi­ dentale. La terza forma di politica nella storia di Tizard e Lin­ demann è la più semplice. La denominerò « politica di cor­ te ». Per politica di corte intendo tutti i tentativi di eser­ citare il potere attraverso un uomo nelle cui mani sia­ no concentrati molti poteri: il binomio Lindemann-Churchill costituisce l’esempio più puro di politica di corte. Nel 1940, come ho già narrato, Lindemann chiese a Tizard di andarlo a trovare al numero io di Downing Street. A quell’epoca Tizard era il decano dei consiglieri scien­ 1 Un interessante campo di ricerca sarebbe la British Broadcasting Corporation, che, nonostante l’aspetto kafkiano che essa assume agli occhi dei profani, potrebbe fornire alcuni esempi classici di politica gerarchica.

SCIENZA E GOVERNO

6l

tifici a servizio del governo. Lindemann non aveva nessu­ na posizione ufficiale; era solo amico intimo di Churchill. Prima che la conversazione finisse, Tizard capi che la sua autorità era finita. Nel giro di tre settimane aveva già rassegnato le dimissioni. Per altri diciotto mesi, fino alla fine del 1941, Lindemann non occupò alcuna posizione ufficiale: ma egli eser­ citò un potere più diretto di qualsiasi altro scienziato nel­ la storia. Anche Roosevelt aveva la sua corte, e deve es­ ser stata molto sviluppata la politica di corte durante le sue amministrazioni; ma, a quanto mi consta, nessuno scienziato pervenne mai a diventare suo intimo, e Vannevar Bush e colleghi operavano mediante i soliti metodi ufciali mantenendo le solite distanze ufficiali. Anche Hitler aveva una corte, ma — fatto senza precedenti — deteneva lui solo il potere. Fra l’altro, pare che nonostante il suo interesse per le armi, nessuno scienziato riuscisse mai ad assicurarsi un posto vicino a lui. La sua mancanza totale di cultura scientifica fu una grande fortuna per l’uma­ nità. Churchill e Lindemann, viceversa, per le decisioni scien­ tifiche e molte altre, lavoravano insieme come se fosse­ ro davvero una mente sola. Agli inizi, quando era l’emi­ nenza grigia del primo ministro, Lindemann lo dimostrò chiaramente fissando gli abboccamenti a Downing Street o minacciando di far intervenire Churchill. Ben presto ciò non fu più necessario. Alcune persone coraggiose pro­ testarono presso Churchill per l’influenza di Lindemann *, ma furono messe alla porta. Di li a poco, nei circoli uf­ ficiali inglesi, tutti sapevano che tale amicizia era indi­ struttibile e che Lindemann esercitava un potere reale, e in breve tutti si erano assuefatti a quel grado di pote­ re e balzavano in piedi al suo cospetto; perché una enor­ me quantità di persone rimangono come affascinate dal potere esercitato con sicurezza e autorità. E non del tutto per egoismo, sebbene c’entri anche questo. 1 Si racconta che una piccola deputazione di membri della Royal So­ ciety andò a trovare Churchill per avvertirlo che essi non avevano fiducia nei pareri scientifici di Lindemann. Sarebbe stata proprio una scena di­ vertente; ma purtroppo mi sono persuaso che questa storia non è vera.

62

SCIENZA E GOVERNO

Il fatto che la strategia di bombardamento venisse im­ posta con una cosi scarsa opposizione costituisce un tipico esempio di ipnosi del potere. Molte persone lessero i do­ cumenti di Tizard e di Blackett. Un certo numero, dal mo­ mento che gli uomini sono uomini, si resero conto che se un’alta personalità scientifica come Tizard poteva ignominiosamente venir messa da parte, sarebbe stato meglio per persone di minor conto starsene quie e. È molto fa­ cile che, in un’atmosfera di crisi, nel bel mezzo di decisio­ ni segrete, gli uomini abdichino alla propria ragione e alla propria volontà. Odo ancora qualcuno, un uomo di solito forte e intelligente, dirmi in una notte oscura: « Il primo ministro e il Prof, hanno deciso, e chi siamo noi per op­ porci? » Quando lo si giudichi in base al semplice criterio di ot­ tenere quel che voleva, Lindemann fu l’uomo più adatto del suo tempo a seguire una politica di corte. Si deve tor­ nare molto indietro, almeno fino a Père Joseph, per tro­ vare un’altra eminenza grigia efficiente anche solo la me­ tà di lui. Per inciso, c’è una romantica immagine stereoti­ pata della figura del cortigiano duttile, privo di principi, il cui unico pensiero è di mantenere il proprio posto a corte. Ora Lindemann, da un punto di vista pratico, era un cor­ tigiano eccezionale; eppure nessuno potrebbe essere più lontano di lui da questo stereotipo. La vita non è cosi semplice, e neppure corrotta a tal segno. Durante la sua amicizia con Churchill, Lindemann gli rimase compietamente fedele. Buona parte delle idee venivano da lui. Era un’amicizia reciproca. C’era ammirazione da parte di Lin­ demann, è ovvio, ma ce n’era anche da parte di Churchill. Si trattava d’una specie singolare d’amicizia, certo la cosa più disinteressata e ammirevole nella vita di Lindemann; ma anche per Churchill, molto più ricco di relazioni per­ sonali, essa contava moltissimo. È proprio un’ironia che un’amicizia del genere, che era improntata a una grande nobiltà che in privato metteva in luce quel che di umana­ mente più alto v’era nei due uomini, dovesse in pubblico farli giudicare male. In tutte le politiche chiuse, le tre forme che ho isolato - politica di comitato, politica gerarchica e politica di cor­

SCIENZA E GOVERNO

63

te - si intrecciano, interagiscono e trapassano l’una nel­ l’altra '. Ciò non dipende dagli obiettivi perseguiti, i qua­ li possono essere più o meno buoni; si tratta solo del mo­ do in cui gli uomini devono operare per giungere a com­ piere qualcosa. Non intendo con questo far dell’ironia. L’ironia è sfrontatezza1 2. 3Essa rappresenta la rivalsa di chi non è realmente in grado di capire il mondo o di tenergli testa. No, desidero che la mia descrizione della politica venga accolta come un’esposizione imparziale. Nella mi­ sura in cui sono stato capace di osservare alcunché, que­ sto è il modo in cui procede il mondo : non soltanto il no­ stro mondo, ma anche il mondo avvenire come si può im­ maginarlo, più giusto e sensato del nostro. Sembra a me di grande importanza che gli uomini di buona volontà debbano sforzarsi di capire come procede il mondo; è il solo modo per far si che esso proceda meglio. X

Dopo aver considerato la storia di Tizard e Lindemann, e aver un po’ riflettuto sui vari tipi di politica, è possibile reperire una qualche guida all’azione? C’è un qualche modo, nel dominio sotterraneo della scienza e del governo, di far si che le scelte vengano operate un po’ più ragionevolmente ? Devo dire subito che non ho affatto risposte pronte. Se esistessero risposte pronte, esse sarebbero già state tro­ vate. L’intero problema si presenta estremamente irto di difficoltà, uno dei più difficili problemi che la società or­ ganizzata abbia mai presentato. Esso costituisce in parte l’espressione, in termini politici e amministrativi, di quel­ l’abisso esistente tra le due culture di cui altrove ho già detto qualcosa 1 Alcuni esempi di questi processi politici compaiono nei miei romanzi. Cfr. The Masters, The New Men, Homecomings, The Afîair. 2 Devo questa osservazione, che mi sembra tanto più vera quanto più ci penso, a Pamela Hansford Johnson. 3 The Two Cultures and the Scientific Revolution (Cambridge Univer­ sity Press, Cambridge 1959). Questa fu la conferenza Rede per il 19.59·

64

SCIENZA E GOVERNO

Ma benché le risposte non si siano ancora presentate, ritengo che si sia già fatto tanto cammino da poter indivi­ duare certe cose da evitare. Conosciamo oggi talune delle fonti di scelte e giudizi errati. Penso che la maggior parte di noi consentirebbe che è pericoloso avere un solo domi­ natore supremo in materia scientifica; e che ciò diviene particolarmente pericoloso quando costui detiene il pote­ re senza nessuno scienziato accanto, attorniato da uomini politici i quali vedono in lui, come alcuni colleghi di Chur­ chill vedevano in Lindemann, il saggissimo, l’onnisciente Prof. Conosciamo troppo bene queste cose e non vor­ remmo che si ripetessero ancora. E tuttavia, mentre vado dicendo tutto questo, mi chie­ do s’io non stia diventando troppo cauto, troppo attacca­ to alla predilezione propria d’un vecchio paese per i pesi e le misure. Lindemann operò qualche scelta errata, ma egli afferrò anche alcune cose che un non scienziato non avrebbe potuto intuire. S’immagini un istante che nella stessa posizione di unica potenza scientifica vi fosse Tizard; o che Vanncvar Rush fosse stato cosi intimo di Roosevelt come Lindemann di Churchill. In entrambi i casi ne sarebbe derivato un bene inimmaginabile. Eppure, penso non sia un eccesso di cautela rammentare che ciò non si verificò mai. Le possibilità di avere un Tizard o un Bush come giudici supremi in materia scientifica sono piuttosto remote. Nell’insieme io sono tuttora incline a credere che gli ovvi pericoli superino le residue possibili­ tà di vantaggio. Una cosa è abbastanza chiara: a nessun singolo scien­ ziato si dovrebbero concedere i poteri di scelta che aveva Lindemann. Ed è ancor più chiaro, almeno a mio giudizio, che esiste un tipo di scienziato al quale non si dovrebbe dare proprio nessun potere di scelta. Abbiamo visto qual­ che esempio del modo in cui i giudizi vengono distorti, sufficiente per poter ora indicare alcuni di quegli uomini da cui conviene tenersi alla larga. Paure di vario genere distorcono i giudizi scientifici, come avviene anche per altri giudizi; ma il più delle volte la causa dell’abbaglio sembra consistere in una tendenza alla frenesia: la frene­ sia degli ordigni, la frenesia del segreto. Esse sono di so-

SCIENZA E GOVERNO

65

lito, se non sempre, combinate e stanno all’origine del 90 per cento di tutte le scelte scientifiche avventate. A ogni scienziato che soggiaccia a questo tipo di frenesia dovreb­ be esser preclusa a tutti i costi la possibilità di prendere decisioni di governo e di operare delle scelte. Non impor­ ta quanto egli sia bravo nel suo campo, e nemmeno conta che gli ordigni1 siano efficaci, come la bomba atomica, o assurdi, come le mine paracadutate di Lindemann da la­ sciar cadere sulle eliche2. Non importa quanto egli sia si­ curo di sé; infatti se mostra tanta fiducia per il fatto d’esser invasato dalla frenesia degli ordigni, egli è doppiamen­ te pericoloso. Questo è il punto: chiunque si lasci inebriare dagli or­ digni costituisce una minaccia. Qualunque scelta egli com­ pia — specie se essa comporta paragoni con altri paesi riuscirà molto più probabilmente sbagliata che giusta. Quanto più egli sale, tanto più porterà fuori strada il pro­ prio paese. Quanto più vicino egli si trova alla presenza fisica del suo ordigno, tanto peggiore risulterà il suo giudizio. E ciò si capisce abbastanza bene. L’ordigno è li, è il suo. Egli sa, e nessuno può saperlo cosi bene, tutte le idee brillan­ ti che contiene, tutti gli ostacoli che si son dovuti supera­ re. Ho provato di riflesso qualcosa del genere per ordigni che ho visto compiuti. Vedendo il primo aviogetto volare nel 1942, non potevo credere che questo non fosse l’uni­ co esistente. Sarebbe stato come negare la luce del sole ammettere che ci fosse qualcos’altro di simile nel mondo. Di fatto, naturalmente, ne esistevano una quantità come quello. I tedeschi avevano già fatto volare un aviogetto e in modo ancora più solenne. A mente fredda possibilità di questo tipo si presentano di nuovo, cosi come apparve­ ro a tutti coloro che, avendo a che fare col radar, scopri1 Uso la parola «ordigno» per indicare ogni strumento pratico, dal frullino per le uova alla bomba a idrogeno. Il tipo di mentalità che si la­ scia affascinare dall’uno si lascerà probabilmente ammaliare dall’altra. 2 Rowe, che più di chiunque altro prese parte, tra il 1935 e il 1945, alle scelte scientifiche inglesi, è incline a pensare che tra tutti gli scienziati da lui conosciuti, Lindemann possedeva la peggiore facoltà di giudizio. Fa­ coltà di giudizio, cioè, riguardo alla scienza applicata alla guerra (lettera a C. P. S., 3 agosto i960). 3

66

SCIENZA E GOVERNO

rono che gli stessi apparecchi venivano apprestati con la stessa amorevole segretezza in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Germania e altrove. Quando si vive alla presenza fisica di ordigni e si spen­ de la propria forza creativa nell’approntarli, è desolante scoprire questa schiacciante verità: che le società che si trovano pressappoco allo stesso livello tecnologico presen­ teranno invenzioni simili. Nella tecnologia militare so­ prattutto, dove il livello raggiunto dagli Stati Uniti e dal­ l’Unione Sovietica e gli investimenti in scienziati e in de­ naro sono anche molto simili, sarebbe sorprendente se una delle due nazioni serbasse a lungo un vantaggio serio, tanto meno uno decisivo. C’è da scommettere che un paese starà alla testa in un campo per un breve tempo, e l’altro in un altro settore. Questa situazione, fluida nei particolari ma stabile nell’in­ sieme, durerà probabilmente per un tempo indetermina­ to. È del tutto fantastico, e per giunta pericoloso, imma­ ginare che l’Occidente nel suo insieme possa sperare di mantenere sull’Oriente nel suo insieme un vantaggio per­ manente e decisivo nell’ambito della tecnologia militare. Questa speranza è un tipico prodotto del modo di pensa­ re dei costruttori d’ordigni. Essa ha recato più danno al­ l’Occidente di qualsiasi altra forma di pensiero. La storia e la scienza non procedono in questo modo. Quando non si viva a stretto contatto con gli ordigni, risulta un po’ meno difficile conservare una sorta di rudi­ mentale buon senso. Nel 1943 giunse ad alcuni di noi in Inghilterra la notizia della prima pila atomica. Dal lin­ guaggio piuttosto goffo di quel tempo, capimmo che la bomba atomica era bell’e pronta. Sentimmo taluni, ebbri per la scoperta, predire che ciò avrebbe dato agli Stati Uniti un potere senza precedenti per un tempo del tutto imprevedibile. Noi non credevamo a questo. Non erava­ mo dotati di un particolare dono di preveggenza, ma ci trovavamo al di fuori dell’area della frenesia. Ci mettem­ mo a far congetture su quanto ci avrebbe impiegato un paese con le possibilità tecniche e scientifiche della Russia per riguadagnare il tempo perduto una volta che la sco­ perta fosse nota. Calcolammo un sei anni circa. E sbaglia-

S CIENZA E GOVERNO

67

vamo. Si è sempre portati a sopravvalutare questi perio­ di. Infatti ne bastarono quattro. È fermissima convinzione tra gli amministratori che gli scienziati, in genere, non sarebbero in grado di assol­ vere il loro compito. Esistono molte ragioni alla base di questa convinzione, incluse varie debolezze umane, torne­ rò su questo punto verso la fine. Ma ce n’è una veramente valida: molti amministratori devono aver prestato atten­ zione ai consigli degli scienziati costruttori d’ordigni. A Bridges e ai suoi colleghi, a molti alti funzionari che eb­ bero una parte nella storia di Tizard e Lindemann, dovet­ te sembrare ben poco umano che degli uomini mancasse­ ro a tal segno della facoltà di giudicare in modo spregiu­ dicato e distaccato1. Molti amministratori avrebbero in seguito continuato a credere che in ogni scienziato si na­ sconde un costruttore d’ordigni. Devo ammettere che c’è qualcosa di vero in questo, ma lo formulerei in modo alquanto diverso. Il temperamento del costruttore d’ordigni rappresenta un esempio estremo di un comune temperamento scientifico. Molti scienziati presentano qualcosa di ossessivo nella loro personalità; senza di che, sarebbe impossibile portare a termine molte ricerche di scienza creativa, anzi la maggior parte. Per riuscire, almeno in gioventù, uno scienziato deve pensare sempre a una cosa sola, profondamente e ossessivamente. Un amministratore, invece, deve pensare a tante cose in una volta, nelle loro connessioni reciproche e per un bre­ ve spazio di tempo. C’è una netta differenza nel loro tem­ peramento morale e intellettuale. Credo, e mi riservo di ribadire tutto ciò in seguito, che uomini di cultura scien­ tifica potrebbero diventare degli ottimi amministratori e fornire un elemento senza il quale andremmo avanti a ta­ stoni. Ma consento che gli scienziati durante i periodi creativi non potrebbero molto facilmente interessarsi a problemi amministrativi e che quindi, prevedibilmente, non si dimostrerebbero molto abili in questo genere di lavoro. 1 Naturalmente non la pensavano in questo modo a proposito di Ti­ zard.

68

SCIENZA E GOVERNO

La frenesia della segretezza dà alla testa in modo molto simile alla frenesia degli ordigni. Ho conosciuto uomini, prudenti sotto altri aspetti, che se ne lasciavano inebriare. Ciò conduce a un forsennato senso di potenza. E non ha importanza se uno gioisca di essere al corrente di un se­ greto degli uni oppure degli altri. Non è raro imbattersi in uomini, superficialmente banali ed anodini, i quali, per il fatto di custodire un segreto del campo avverso, si dànno sfrenatamente a sragionare, dimenticando che qualcu­ no nell’altro campo, proprio in modo identico, custodisce un segreto del tutto simile riguardo a loro. Occorre una testa molto solida per tenere a lungo dei segreti senza di­ ventare un po’ matti. E non è savio accettar consigli da chi è un po’ matto. XI.

Potrei proseguire ad accumulare precetti negativi e pre­ scrizioni empiriche. La sappiamo abbastanza lunga su quel che non si deve fare e su chi non si deve scegliere. Pos­ siamo ricavare alcuni utili suggerimenti dalla storia di Tizard e Lindemann. Per esempio, l’importanza fondamen­ tale che ha, in ogni crisi d’azione, il fatto d’esser precisi su quel che si vuole effettuare e di essere in grado di spie­ garlo. E non importa tanto che si abbia torto o ragione. Questo conta solo secondariamente. Ma è essenziale es­ sere precisi. Nella lotta per il radar, Tizard e il suo comi­ tato erano sicuri che la loro era l’unica speranza, e Lindemann poteva solo opporre giochi di parole e idee fram­ mentarie. Riguardo ai bombardamenti, Lindemann era sicuro di possedere la formula che avrebbe fatto vincere la guerra. Tizard era certo che egli aveva torto, ma non aveva nulla di cosi semplice ed univoco da mettere al po­ sto. Anche quando si tratta di decisioni ad altissimo livel­ lo, non è certo che le persone mostrino di gradire la com­ plessità della realtà nuda e cruda e si dànno a correre appresso a ogni concetto semplice non appena esso faccia capolino. Abbiamo visto anche che un comitato come quello di

SCIENZA E GOVERNO

69

Tizard, in condizioni adatte, rappresenta lo strumento esecutivo più valido che un governo possa trovare. Quali sono queste condizioni? Proviamoci a enumerarle a pri­ ma vista: I ) L’obiettivo deve essere chiaro e non troppo ampol­ losamente vasto. Un comitato scientifico il cui sco­ po fosse di occuparsi del benessere di tutto il gene­ re umano non farebbe probabilmente molta strada. L’obiettivo del Comitato Tizard - difendere l’In­ ghilterra contro gli attacchi aerei in un prossimo, prevedibile futuro — rappresenta all’incirca quello che si può sperare effettivamente di compiere. 2) Il comitato deve essere « situato » entro la struttura governativa. Il che in genere non è difficile da otte­ nersi purché si abbiano a disposizione uomini che conoscano la macchina governativa al tocco (o me­ glio l’organismo, giacché macchina è una brutta pa­ rola). Ogni macchina governativa richiede un tocco speciale, e in generale, uno straniero per quanto be­ ne conosca il paese, stenterà a trovare il punto mi­ gliore. Il Comitato Tizard, vuoi per la fortuna che lo assisté, vuoi per l’ottimo modo in cui era diretto, non poteva esser situato in condizioni migliori per inserirsi nella struttura inglese locale. Non era situa­ to troppo in alto si da rendere difficili i contatti con gli amministratori in carica e i funzionari in servizio e da suscitare troppa invidia (il che è di estrema im­ portanza in un paese compatto). Ma aveva i propri legami con i ministri e con gli alti funzionari. Se non vado errato, negli Stati Uniti non esiste il me­ desimo problema di inserirsi in un’amministrazione statale altamente organizzata ed estremamente po­ tente. D’altro canto, il comitato deve sopravvivere in mezzo a un groviglio di complicazioni costituzio­ nali e contrattuali, molto piu intricate di quanto non siano quelle inglesi. Quanto all’Unione Sovieti­ ca, mi sembra che un giusto inserimento presente­ rebbe un buon numero di problemi di carattere acca­ demico.



SCIENZA E GOVERNO

3) Per funzionare in modo realmente proficuo, il comi­ tato deve possedere (o assumersi, come fece il Comi­ tato Tizard) delle facoltà d’azione. Gli è indispensa­ bile almeno la facoltà d’ispezione e di azione sup­ plementare. In caso contrario, verrà a trovarsi trop­ po lontano e dalla realtà su cui tenta di prendere del­ le decisioni e dalle persone che dovranno mettere in pratica tali decisioni. I comitati consultivi, ove sia­ no mantenuti nei limiti ristretti della pura consulen­ za e non abbiano mai contatti con i centri d’azione, si vanificano in una torpida accidia.

Per la verità storica, è da dire che tali condizioni per un efficiente comitato sono state spesso soddisfatte. Do­ vrebbe essere abbastanza facile soddisfarle ancora in qual­ che caso speciale. Malauguratamente, ciò risulta partico­ larmente facile quando si tratti di obiettivi militari; i qua­ li si delineano quasi sempre in modo più netto e definito degli obiettivi pacifici: la qual cosa spiega come mai sia stato più facile per uomini abili far progredire la tecnolo­ gia militare. Sempre per nostra disgrazia, l’obbligo del segreto, per quanto sia di ostacolo al confronto dei giudizi, non distur­ ba il processo scientifico. In giorni più generosi, al tempo di Rutherford a Cambridge, di Bohr a Copenaghen, di Franck a Gottinga, gli scienziati erano portati a credere, come un ottimistico atto di fede, come cosa che avrebbe dovuto esser vera perché rendeva più dolce la vita, che la scienza potesse fiorire solo sotto liberi cieli. Magari fosse cosi. Penso che chiunque abbia mai avuto a che fare con la scienza segreta e con le scelte segrete si augurerebbe che ciò fosse vero. Ma quasi tutto sta a pro­ vare il contrario. La scienza abbisogna di discussione, sta bene; le occorre la critica degli altri scienziati; ma si può fare in modo che ciò avvenga, e naturalmente s’è fatto in modo che ciò avvenisse, perfino nei progetti più segreti. Gli scienziati hanno lavorato, apparentemente felici, e di certo efficacemente, in condizioni che sarebbero state con­ siderate la negazione della scienza dai grandi, spregiudica­ ti ricercatori. Ma quell’atmosfera di segretezza, di chiuso,

7» che sarebbero state moralmente intollerabili per gli seien ziati precedenti, ben presto divennero agevolmente sop portabili. Arrivo perfino a dubitare che, nel caso si paia gonasse Pentita dei progressi in una delle scienze segrete 1 con quelli compiuti in una di quelle tuttora aperte a tutti non ci sarebbero differenze di qualche rilievo. Ed è un peccato. C’è una differenza, però, nella velocità in cui le scienze aperte vengono tradotte in azione. Poiché tali scienze, per la loro stessa natura, non possono perseguire obiettivi mi­ litari, esse si traducono in azione più lentamente. Si può fare eccezione (per quanto si tratti solo di eccezioni par­ ziali) per i gruppi di scienze che possono venire applicate alla medicina: nella quale, spesso, gli obiettivi si delinea­ no nettamente quanto nella scienza militare2. E di fatto esiste tra le due una specie di sinistra aria di famiglia. Tut­ to ciò dà nerbo e incisività allo sviluppo della ricerca me­ dica. Perché non è tanto la natura dell’obiettivo a rendere rapida l’azione, si svolga essa nel senso della vita o della morte. Quel che solo conta è che esista un obiettivo defi­ nito. Parlo molto da profano in questo campo, ma anche se non lo fossi, sarebbe arduo essere ben sicuri di quel che si intende parlando di efficienza della ricerca e di svilup­ po. Ma se tale frase significa qualcosa, io avrei pensato che l’efficienza della ricerca medica, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra, fosse molto più elevata che quella della ricerca militare. Le scelte, spesso perché non si presenta­ no tanto come « o tutto o niente », sono state operate più sensatamente. Questo è vero anche se le tecniche ammi­ nistrative dei due paesi non sono eguali. Il nostro Medicai Research Council, il quale funziona con fondi che gli ame­ ricani riterrebbero irrisori, costituisce un raro esempio, ammiratissimo dalle persone che studiano l’arte di go­ verno, di un organo statale che agisce non tanto come SCIENZA E GOVERNO

1 Cioè quei settori della scienza direttamente applicabili alla guerra. 2 Naturalmente è altrettanto vero che la sensibilità sociale è profonda­ mente interessata alla scienza medica e militare e vi annette una grande importanza. Se un’importanza simile fosse attribuita ai problemi dei tra­ sporti, potremmo ottenere molto in fretta soluzioni scientifiche.

72

SCIENZA E GOVERNO

una forza di controllo quanto piuttosto come un impre­ sario. Cosi, nella scienza militare, e su scala minore nella scienza medica, il governo riesce a ottenere dei risultati. Ma tutto un immenso settore della vita non si identifica con il tentativo di affrettare la morte degli uomini o con quello di ritardarla. Nell’applicazione della scienza a que­ sto vasto spazio intermedio della vita umana, i problemi sono più vaghi, lo slancio è minore, le pressioni del gover­ no non incidono cosi profondamente. Moltissime iniziati­ ve pacifiche vanno perdute, ancorché il governo degli Sta­ ti Uniti, e con un po’ meno convinzione quello dell’In­ ghilterra, possano pensare in primo luogo che non era affar loro, in secondo luogo che le iniziative si faranno ugualmente strada altrove nella società. È discutibile che le cose stiano realmente in questi termini, e io non ne so­ no affatto persuaso. E nemmeno i governi devono esserne proprio convinti, perché hanno allestito una sorta di tram­ polino da cui tali iniziative possano prendere il primo slancio. Se non vado errato, negli Stati Uniti il trampoli­ no dovrebbe essere fornito dal National Research Council. In Inghilterra dall’Advisory Council on Scientific Policy. Nell’Unione Sovietica dall’Accademia delle scienze stes­ sa, un organismo più piccolo che l’Accademia nazionale delle scienze negli Stati Uniti o la Royal Society di Lon­ dra. L’Accademia delle scienze sovietica è formata a un dipresso da duecentocinquanta accademici e da circa cen­ tocinquanta membri corrispondenti. Ne fanno parte sto­ rici, economisti, letterati e scrittori. Circa il 70 per cento è costituito da scienziati, nello stretto senso occidentale. È arduo calcolare esattamente in quale misura essi contri­ buiscano al sorgere di iniziative scientifiche. Quanto a noi, penso che a nessuno salterà in mente di asserire che i nostri organismi sono adatti a tale compito. Ha importanza questo? Esiste un compito? Forse che l’Occidente non è già andato tanto avanti nella scienza applicata in tanti settori da non abbisognare di alcun in­ coraggiamento? A una persona assennata occorrono beni materiali in quantità maggiore che al comune professionista america-

73 no agiato? O almeno altrettanti? Provo comprensione per chiunque mi faccia domande del genere. Ma a pensarci bene non ho poi tanta comprensione a causa dell’atteggia­ mento che si nasconde dietro a tutto questo. Perché non lasciarli stare? Lei stesso ha detto che non molti scienziati sono buoni amministratori. Perché darsi tanto pensiero per la scienza e il governo? Perché non te­ nere gli scienziati al loro posto come si faceva una volta, e chiamarli soltanto a dare i propri consigli a uomini più saggi? Forse che il primo, l’unico problema serio del nostro tempo non è quello di salvare la pace? Che importa quel che facciamo degli scienziati? Non è compito dell’uomo di stato salvare la pace? Che importa degli scienziati? Conosco bene queste domande. Esse vengono poste da uomini intelligenti e c’è molta verità in alcune di esse. Eppure non sono valide. O meglio, esse scaturiscono dal­ la stessa fonte da cui nascono anche molti dei nostri peri­ coli e del nostro scoraggiamento. Uno di questi pericoli è che a poco a poco stiamo infischiandoci del nostro senso del futuro. Questo vale per tutto l’Occidente, ed anche per gli Sta­ ti Uniti, per quanto in misura minore delle vecchie socie­ tà dell’Europa occidentale. Stiamo diventando società esi­ stenziali e viviamo nello stesso modo in cui vivono le so­ cietà protese verso il futuro. Questo aroma esistenziale è palese nella nostra arte. E di fatto stiamo diventando in­ capaci di accettare ogni altro tipo di arte. Ma esso può venir colto in settori molto più prossimi al meccanismo della nostra società, nei nostri più profondi ordinamenti amministrativi, nel modo in cui compiamo le scelte segre­ te su cui mi soffermavo all’inizio, nella natura stessa di queste scelte. Sembriamo agili e flessibili, ma non abbia­ mo alcuna idea del futuro che ci sta dinanzi. Nel senso più profondo noi non possiamo cambiare, proprio quando cambiare diventa nostro compito essenziale. Ecco perché vorrei che degli scienziati operassero a tut­ ti i livelli di governo. Per scienziati intendo qui uomini competenti di scienze naturali, non solo gli ingegneri, seb­ bene anche questi dovrebbero esser presenti. Insisterei SCIENZA E GOVERNO

74

SCIENZA E GOVERNO

soprattutto sugli scienziati propriamente detti, perché sia per l’educazione sia per l’autoselezione, essi includono un buon numero di menti speculative e dotate di immagina­ zione dal punto di vista sociale. Mentre gli ingegneri - più uniformi nell’atteggiamento di quanto ci si aspetterebbe da una classe di professionisti — tendono ad essere tecni­ camente coraggiosi e progrediti, ma nel contempo sono inclini ad accettare globalmente qualsiasi tipo di società in cui il caso li abbia fatti nascere. Gli scienziati veri e propri non hanno affatto atteggiamenti cosi omogenei, e alcuni di essi fornirebbero una qualità di cui a mio parere abbiamo soprattutto bisogno. Non intendo semplicemente dire qui che, se ci fossero scienziati d’ogni genere sparsi nel governo, il numero del­ le persone in qualche modo artefici delle scelte segrete do­ vrebbe aumentare. Anche questo è vero. A mio parere, ed è uno dei punti da cui ha preso avvio il mio discorso, ciò costituirebbe una vera conquista. Rappresenta un eviden­ te vantaggio per l’Unione Sovietica possedere, proprio al sommo delle gerarchie politiche e amministrative, una percentuale abbastanza elevata di uomini provvisti di edu­ cazione scientifica o tecnica. La percentuale di tali uomini e di diplomatici d’alto rango negli organi esecutivi al ver­ tice sembra oscillare tra il 35 e il 45 per cento, di gran lunga più elevata, quindi, che negli Stati Uniti o in In­ ghilterra. Nei campi dove essi hanno operato scelte tecni­ che migliori di entrambi i nostri paesi, e non sono pochi, questo influsso collettivo ha costituito senza dubbio un aiuto. Ma per quanto si tratti di un vero progresso, ha so­ lo importanza secondaria rispetto a quel che mi sta parti­ colarmente a cuore. Credo che gli scienziati possano dare una cosa di cui il tipo di società esistenziale in cui vivia­ mo è disperatamente priva, a tal segno che essa non rie­ sce a riconoscere ciò che più le manca: la preveggenza. Non intendo dire, naturalmente, che tutti gli scienziati posseggono il dono della preveggenza e nessun altro. Si tratta d’una qualità estremamente rara. Il segretario di stato Stimson diede prova di possederne un po’, più degli altri personaggi politici del tempo, nel suo memorandum al presidente Truman redatto il 25 aprile del 1943, sulle

SCIENZA E GOVERNO

75

conseguenze della bomba atomica *. Ma si confronti il ti­ po di prescienza di questo memorandum con quella di Franck e degli altri scienziati di Chicago nella famosa let­ tera di dieci settimane dopo. Stimson si basava solo sul suo senso politico. Franck e i suoi colleghi erano sorretti dalla preparazione e da ciò che in modo un po’ vago potremmo denominare il sapere. Ma non si trattava propriamente di questo, si trattava piuttosto d’una speranza di un sapere futuro: qualcosa che uno scienziato, se ha già latente in sé questo tipo di sensibilità, apprende durante la sua esperienza scientifica. Penso si tratti d’una cosa grossolanamente sottovaluta­ ta: quasi fossimo dei trogloditi i quali, prima che venisse inventata l’aritmetica, sbeffeggiavano coloro che avevano l’abilità di contare sulle dita. Penso che molti scienziati non posseggano neanche l’ombra di questa preveggenza. Ma se hanno anche solo un germe di capacità, la loro espe­ rienza, più di qualunque esperienza oggi concessa, offre loro l’occasione di portarla alla luce. Perché la scienza, per la sua natura intrinseca, vive nella storia. Ogni scienziato si rende conto che la sua materia si muove nel tempo: si rende conto che, senza possibilità di confronti, egli ne sa di più oggi di quanto non ne sapessero gli uomini miglio­ ri, i più intelligenti e profondi, vent’anni fa. Sa che i suoi allievi, tra vent’anni, ne sapranno incomparabilmente piu di lui. Gli scienziati hanno questo insito in loro: sapere a che cosa miri una società protesa verso il futuro, perché la scienza stessa nel suo aspetto umano consiste proprio in questo. Questa è la più profonda ragione che mi spinge a desi­ derare che gli scienziati facciano parte del governo. Ho cercato di dimostrare come in gioventù essi spesso non siano adatti all’arte di governo. Ripensando al funziona­ mento del Comitato Tizard, gioverà ricordare che le de­ cisioni venivano eseguite da funzionari di professione. Se questi ultimi fossero stati sostituiti da scienziati, sarebbe stato quasi certamente per il peggio. 1 Cfr. la biografia di Stimson scritta da

elting e. morison, Turmoil

and Tradition (Houghton Mifflin, Boston i960), pp. 613-43.

76

SCIENZA E GOVERNO

Ma questa è solo una faccia della medaglia. Ho passato vent’anni della mia vita a contatto dei funzionari inglesi di professione. Ho il più grande rispetto per loro, piu ri­ spetto, penso, che per qualsiasi altro gruppo professiona­ le. Sono oltremodo intelligenti, degni di stima, tenaci, tol­ leranti e generosi. Entro limiti umani, sono scevri da al­ cune delle meno piacevoli caratteristiche di gruppo. Ma hanno un difetto. Non si scordi che i funzionari statali sono per tempera­ mento uomini d’azione. È loro tendenza, che viene raffor­ zata anche dalla natura del loro lavoro, vivere alla giorna­ ta, impadronirsi di soluzioni immediate. Spesso, quando li vedevo compiere il loro dovere senza scalpore, con for­ za dissimulata, con un pizzico d’intellettualismo sofistica­ to, alcune parole d’una antica saga islandese non cessava­ no di martellarmi dentro: « Snorri era l’uomo più saggio d’Islanda, che non aveva il dono della preveggenza » Preveggenza in questo contesto significava qualcosa di soprannaturale, ma ciononostante le parole rimasero in me. L’uomo più saggio che non aveva il dono della pre­ veggenza. Quanto più conosco le società occidentali, tanto piu mi martellano dentro, sia che mi trovi negli Stati Uni­ ti, sia che mi trovi nell’Europa occidentale. Siamo smisu­ ratamente competenti; conosciamo come il palmo delle nostre mani il nostro piano operativo. Ma questo non ba­ sta. Ecco perché vorrei che alcuni scienziati intervenisse­ ro nelle nostre faccende. Sarebbe triste che, quando sarà cessata la burrasca che sconvolge il mondo, il migliore epitaffio che si potesse scrivere per noi dovesse essere sol­ tanto questo: « Gli uomini piu saggi che non possedeva­ no il dono della preveggenza». 1 Saga of Burnt Niai, cap. 113. « Preveggenza » nelle traduzioni mo­ derne talvolta appare come «prescienza».

Appendice a Scienza e governo

I.

Le conferenze Godkin su Scienza e governo furono te­ nute nel dicembre i960 e pubblicate nell’aprile del 1961, in un volumetto di circa ventimila parole. Tuttavia un numero ben maggiore di parole corse sotto forma di di­ scussioni, recensioni, articoli e comunicazioni private, pro­ babilmente molte di piu che nel libro che diede loro ori­ gine. Infine, nell’ottobre del ’61, apparve in quattro volu­ mi la storia dell’offensiva dei bombardamenti strategici The Strategie Air Offensive against Germany 1939-1945 del defunto Sir Charles Webster e del dottor Noble Frank­ land. Questi volumi costituiscono una fonte essenziale per chiunque si interessi agli argomenti di cui io stesso ho trattato e naturalmente sono molto più di questo. A loro volta essi diedero adito a una quantità di commenti e con­ troversie, assai più — cosa giusta e naturale - di quanto non ne avesse provocato il mio libretto. Per finire, nel no­ vembre del 1961, Lord Birkenhead pubblicò la sua bio­ grafia ufficiale di Lord Cherwell (F. A. Lindemann) dal titolo The Professor and the Prime Minister. Sorsero ul­ teriori discussioni: a volte si ripeterono gli stessi argo­ menti, talvolta se ne trovarono di nuovi ora che il mate­ riale da esaminare era divenuto più ingente. Possiamo oggi studiare un numero molto maggiore di documenti di quelli che avevo a mia disposizione quando mi accinsi a preparare le conferenze. Ci vorranno forse de­ gli anni prima che ci vengano forniti nuovi documenti im­ portanti. Ci sono ancora due cassaforti ufficiali, che, una volta aperte, faranno luce su alcuni punti ancora oscuri. Farò cenno più avanti a queste eventuali fonti, ma è poco probabile che esse possano far qualcosa di più che perfe­ zionare le cognizioni di cui siamo già in possesso.



SCIENZA E GOVERNO

In questo momento si stanno esaminando altre fonti ufficiali (ad esempio la storia degli esperimenti inglesi per l’uso dell’energia atomica). Alcune di queste potranno da­ re altri risultati spettacolari; e lo stesso, forse, alcuni set­ tori della guerra scientifica, particolarmente quelli con­ nessi con l’esercito, che, per quanto mi è dato sapere, giac­ ciono ancora nella più completa oscurità. È sempre possi­ bile poi che vengano a soccorrerci le memorie o le autobiografie di alcuni dei maggiori scienziati della guerra, co­ me avremmo potuto avere quella di Tizard se egli fosse vissuto più a lungo. A ogni modo, per il momento, dobbiamo fare con quel­ lo che abbiamo. Dovrebbe essere sufficiente a condurci, nella maggior parte dei casi, a conclusioni ragionevoli. Qualche punto rimarrà controverso e qualche altro miste­ rioso; ma non sembreranno poi cosi numerosi, una volta che le acque si saranno calmate. Ad ogni nuovo gruppo di documenti ha fatto seguito finora uno scambio di parole molto astiose. Non ho alcuna intenzione di aggiungerne anch’io. Mi permetterò solo, per quel che mi riguarda, di lasciarmi sfuggire un sommesso brontolio, ma a parte questo — e non è molto importante comunque — non ho dubbi su quale sia la cosa più utile che io possa fare. Mi sono posto una semplice domanda. Possediamo ora un mucchio di informazioni non ancora pubblicate al tempo in cui tenni le conferenze Godkin. Se avessi avuto queste informazioni, che influenza avrebbero esercitato su quan­ to scrissi? IX.

Non voglio far sorgere false aspettative. Se dovessi scri­ vere di nuovo direi, in sostanza, le stesse cose. Rileverei altri aspetti della questione, muterei il tono, farei un po’ più di riserve, ma alla fin fine perverrei alle stesse conclu­ sioni e forse con un senso di necessità anche maggiore. Dopo essermi occupato per quasi dodici mesi di storia scientifico-militare, soprattutto della storia dell’offensiva di bombardamenti strategici, mi sembra che le lezioni più

APPENDICE

79

importanti che volevo ricavare contino ora in senso più vitale che mai; e uso la parola « vitale » nel suo significato più crudo e originario. Mi spiace solo di non esser riusci­ to a rendere quelle lezioni più chiare: per mancanza di abilità letteraria, ho lasciato che l’aneddoto o La parabola su Tizard e Lindemann distraessero troppo l’attenzione dagli insegnamenti che avrebbero dovuto impartire. Se dovessi scrivere di nuovo la stessa cosa cercherei di con­ temperare meglio la parabola e la lezione; ma farei anco­ ra uso della parabola. Essa costituisce il migliore esempio dei nostri tempi di ciò che stavo cercando di spiegare, e di ciò che dovremmo sapere. Alla luce di quel che ho appre­ so, introdurrei qualche ritocco e qualche congettura: ma sempre alla luce di quel che ho appreso l’aneddoto non mi appare indebolito, bensì rafforzato, più triste, più duro, ma al tempo stesso più illuminante. Le conferenze originali, per convenienza, possono ve­ nir divise in cinque parti: a) l’esposizione del problema, cioè il problema delle scelte in politica « chiusa », in par­ ticolare le scelte su questioni scientifiche; b) il carattere, le qualità scientifiche e i risultati ottenuti da Tizard; c) il carattere, le qualità scientifiche e i risultati ottenuti da Lindemann; d) i conflitti tra Tizard e Lindemann; e) le lezioni ricavate, negative e positive, e il problema del giu­ dizio scientifico applicato alle operazioni militari. Cerche­ rò ora di dare un altro sguardo a ciascuna di queste cin­ que parti separatamente. III.

Le scelte in politica chiusa.

Vorrei aver detto molto di più, e averlo detto più chia­ ramente, alle pp. 75 e 76. Quanto più ripenso al modo in cui le decisioni sono state prese, vengono prese e conti­ nueranno a essere prese in futuro, tanto più mi sento spa­ ventato. Sono stato accusato da critici benevoli di amare troppo la politica chiusa e in un certo senso c’è qualcosa di vero in quel che dicono. Ho dedicato molto interesse e at­ tenzione alla politica chiusa: credo di comprenderla piut-

8o

SCIENZA E GOVERNO

tosto bene e qualche volta, durante la mia vita, mi ci sono trovato a mio agio. Il passo è piuttosto breve dal trovarsi a proprio agio con una cosa all·amarla più di quanto non si dovrebbe. La familiarità si corrompe, naturalmente. Tutto questo è vero. E tuttavia quanto più imparo cir­ ca questi metodi di prendere decisioni, tanto più i perico­ li mi sgomentano. E non solo i pericoli pratici, ma anche quelli morali. Penso che nessun uomo, normalmente do­ tato di consapevolezza e distacco, possa leggere le fosche pagine di The Strategie Air Offensive senza provare un senso di vertigine al pensiero che questo è il modo col quale vennero fatte delle scelte fondamentali. Il capo di stato maggiore dell’aeronautica, il 15 febbraio del 1942, scrive un appunto: In riferimento alle nuove direttive sul bombardamento: immagino sia chiaro che i punti da colpire devono essere le aree fabbricate, e non, ad esempio, gli arsenali o le fabbriche d’aerei, menzionate nell’Appendice A. Questo deve essere reso ben chiaro se ancora non è stato capito ’.

A titolo d’informazione, quale percentuale di americani e di inglesi si rese conto che queste erano le intenzioni dei loro rispettivi paesi? Si tratta di un esempio molto inte­ ressante di responsabilità morale collettiva. In futuro, forse, la storia del nostro tempo e dei nostri metodi di far la guerra verranno scritti da un Gibbon asiatico: se que­ sto avverrà, The Strategie Air Offensive gli permetterà di farsi un bel po’ di risate sardoniche. In che altro modo, tuttavia, possiamo prendere questo tipo di decisioni finché esisteranno degli stati nazionali? Sarebbe bello pensare che gli Stati Uniti e l’Unione Sovie­ tica potessero improvvisamente rinunciare a tutte le de­ cisioni scientifico-militari prese in segreto: sarebbe bello pensarlo ma non molto ragionevole. Prendiamo ad esem­ pio le decisioni sugli esperimenti nucleari. È chiaro che la parte scientifico-militare della discussione non verrà con1 Charles Webster e noble frankland, The Strategic Air Offensive Against Germany 1939-1945, H. M. Stationery Office, London 1961, vol. I, p. 324.

APPENDICE

8l

dotta in pubblico, né negli Stati Uniti né altrove. Ed è questo l’aspetto della discussione che, tra le pressioni e nelle condizioni tipiche della politica chiusa, dovrà neces­ sariamente prevalere. In quanto alla politica aperta, sarebbe facile per qual­ siasi governo, in qualsiasi democrazia parlamentare come in qualsiasi società comunista, una volta presa la decisio­ ne segreta, far si che essa venga non solo accettata ma an­ che approvata. Si verificherebbe questo, quale che sia la natura della decisione. Un governo deve solo enunciare una qualsiasi delle seguenti proposizioni: I ) Gli esperimenti nucleari sono essenziali per la forza militare del paese. 2) Gli esperimenti nucleari accresceranno considere­ volmente la forza militare del paese, abbastanza da far passare in secondo piano altre considerazioni. 3) Gli esperimenti nucleari accresceranno considere­ volmente la forza militare del paese ma non abba­ stanza da far passare in secondo piano altre consi­ derazioni. 4) Gli esperimenti nucleari accresceranno in modo tra­ scurabile la forza militare del paese.

Nessuna di queste proposizioni può venire esaminata, nemmeno da cittadini scientificamente preparati, a meno che essi non abbiano accesso, cosa che per definizione non possono fare, alle discussioni segrete; mentre per la mag­ gior parte dei cittadini, compresi i più intelligenti, tali proposizioni non potrebbero venire esaminate, nemmeno se i dibattiti segreti venissero spalancati a tutti. Perché se la segretezza rappresenta un grave ostacolo, quasi al­ trettanto insormontabile è la difficoltà di comunicare que­ stioni scientifiche. Attraverso tutte le discussioni dell’an­ no scorso, circa il bombardamento strategico, la priorità del radar, Tizard e Lindemann, sono stato più che mai colpito da questa lacuna del comunicare. Alcune delle per­ sone più intelligenti della terra non possono veramente capire la natura — e la fallibilità — del giudizio scientifico. Talché, per lo spinoso problema degli esperimenti nuclea­ ri, proprio come è successo per le più importanti questio-

82

SCIENZA E GOVERNO

ni scientifiche dell’ultima guerra, gli uomini politici, for­ malmente responsabili delle decisioni finali, devono alla lunga fidarsi dei loro scienziati. E naturalmente non sem­ pre è facile sapere di quali scienziati fidarsi. Questa è tuttora la nostra condizione. Ci sono dei pal­ liativi, ma per ora, e intendo i prossimi dieci o vent’anni, non ci sta dinanzi alcuna soluzione radicale. A lungo an­ dare si è obbligati a dipendere dal giudizio scientifico, molto più di quanto non sia salutare per una società: dal giudizio scientifico di un numero d’uomini relativamente ristretto. Per « giudizio scientifico » intendo qui il giudi­ zio scientifico in quanto applicato a questioni pratiche e specialmente a questioni militari. Non alludo al giudizio scientifico tout court, uno dei più grandi doni che uno scienziato puro possa avere, il dono che gli suggerisce i problemi da risolvere e quelli che « andranno bene ». Ru­ therford possedeva questo dono in modo superlativo, cosi pure Fermi, come la maggior parte, se non proprio tutte, delle grandi personalità scientifiche di questo secolo. Es­ so si associa talvolta, ma non necessariamente, al giudizio scientifico, nel senso più universale del termine. È questo secondo tipo di giudizio scientifico a guidare le nostre più importanti decisioni. Esso rappresenta, spesso senza che lo si sappia, il nocciolo del nostro problema. Nel resto di quest’appendice, quando impiegherò questa espressione, a meno ch’io non specifichi altrimenti la intenderò in que­ sto senso, come giudizio scientifico applicato a questioni pratiche (spesso militari). Il giudizio scientifico presenta molte delle proprietà del normale giudizio umano, il giudizio come lo intendiamo nel discorso comune. È un far congetture in modo sensato e sperimentato. Non è un processo « logico », o lo è solo in parte e nemmeno è necessariamente connesso con il più elevato talento scientifico creativo, o con le più brillanti doti scientifiche o intellettuali. Non si tratta d’un dono romantico, consiste in gran parte nell’avere il senso del limite, il senso di quel che la natura bruta farà o non farà, e nel saper fiutare quel che sta succedendo. Ripeto che, come per il comune giudizio umano, nessu­ no possiede completamente o costantemente questo dono.

APPENDICE

«3

Cioè tutti possiamo sbagliare, ma alcuni sbagliano molto più di altri. C’è però una differenza fra il giudizio scienti­ fico e il comune giudizio umano. Non è facile, in nessuno dei due casi, predire in anticipo se un uomo possiede tale qualità. Con il giudizio scientifico, comunque, è di solito possibile verificare il risultato dopo l’evento. Poiché tutti possono sbagliare, non si dovrebbe conta­ re, in modo esclusivo, sul giudizio scientifico di nessuno. Questa è una semplice lezione sulla quale ritornerò in se­ guito. Ma è altrettanto urgente identificare gli uomini do­ tati di buon giudizio scientifico e farli avvicinare alle de­ cisioni. Ormai abbiamo imparato almeno una cosa, a dif­ fidare del cattivo giudizio scientifico e, fino a un certo punto, dei tipi di personalità scientifiche che più probabil­ mente lo possiedono. Si tratta di una norma negativa, ma è sempre meglio di niente. Rendersi conto dei pericoli è di per se stesso molto meglio di niente. IV.

Tizard.

Il ritratto che ho tracciato di Tizard e che altri1 aveva tracciato prima di me non ha sollevato serie obiezioni. Persino coloro che si trovano in disaccordo con me su al­ tri punti2 hanno deviato dalla loro linea di condotta per i massimi omaggi a Tizard e alla sua opera. Sia nella stam­ pa che in lettere private si è levato tutto un coro di lodi. Lodi che hanno il tono e la qualità proprie di quando gli uomini le esprimono sinceramente. C’è stata una critica isolata, ma piuttosto sorprendente. Lord Birkenhead, nel­ la sua biografia ufficiale di Lord Cherwell, The Professor and the Prime Minister, ha insinuato3 che Tizard era con1 Cfr. p. M. s. Blackett, Tizard and the Science of War, «Nature», 185, 647-53 (i960). 2 Cfr. Charles Webster, «Sunday Times», 9 aprile 1961; «Times Li­ terary Supplement», 14 aprile 1961. 3 the earl of Birkenhead, The Professor and the Prime Minister, Houghton Mifflin, Boston 1962, p. 202. Questo libro fu pubblicato in In­ ghilterra col titolo The Prof in Two Worlds·, le citazioni sono fatte dal­ l’edizione americana.

84

SCIENZA E GOVERNO

trario a nuove idee, a meno che non si trattasse delle sue. Questo è proprio il contrario della verità, ed è stato con­ traddetto da coloro1 che occupavano i posti più alti nella scienza del governo inglese e che videro Tizard in azione per un periodo di vent’anni. In effetti Tizard non aveva una grande opinione delle proprie idee: non era affatto uno scienziato creativo in questo senso. La sua massima dote consisteva nel giudi­ care le idee degli altri, nel sapere quale appoggiare e qua­ le no, e soprattutto nell’essere in grado di introdurre le idee realizzabili nelle operazioni militari. Le idee scienti­ fiche non servono a niente in guerra, a meno che non pos­ sano venir tramutate in strumenti con cui si possa inse­ gnare ai soldati a combattere. Fu questa penetrazione, sia intellettuale sia intuitiva, nelle effettive operazioni mi­ litari, a rendere Tizard cosi prezioso per la scienza di guerra. Fortunatamente non v’è alcun dubbio sul suo valore. Esso è ormai registrato e nessuno può metterlo in discus­ sione. Si deve a lui, quanto a chiunque altro, se nel 1940 esisteva una difesa di combattimento adeguata, a malape­ na adeguata, ma tuttavia sufficiente a tirarci fuori. Di que­ sto sistema di difesa il radar fu solo un elemento, per quanto essenziale. La mente di Tizard fu la più forte men­ te scientifica a sostenere l’intero sistema. Egli era in com­ pleto accordo con gli ufficiali in servizio: questa mutua fiducia permise a lui e al suo comitato di introdurre giu­ sto in tempo l’impiego operativo del radar. L’introduzione del radar al Fighter Command tra il 1937 e il 1940 costituisce un esempio da manuale di come la scienza possa essere applicata con successo alla guerra. Dovrebbe venir studiato nei collegi militari e da tutti co­ loro che ancora credono che la guerra scientifica proceda a colpi di genio. Il radar fu inventato - cioè si dimostrò che le onde radio fungevano da eco degli aerei - quasi si­ multaneamente dagli scienziati del governo degli Stati 1 Cfr. Frederick brundrett, «Sunday Telegraph», 29 ottobre 1961. Cfr. anche r. v. jones (che era amico intimo di Lindemann stesso), «The Listener», 30 novembre 1961.

APPENDICE

85

Uniti, della Gran Bretagna e della Germania, assolutamente all’insaputa gli uni degli altri. Per la precisione sto­ rica, due americani del dipartimento della marina ci arri­ varono per primi. Ma gli inglesi avevano due vantaggi: primo, l’inventore britannico Watson Watt credeva con passione e fantasia a quel che stava facendo; secondo, Tizard si rese conto fin dall’inizio che questa era l’unica di­ fesa scientifica su cui valesse la pena di puntare, e aveva il potere e l’intuito militare necessari per inculcare questo all’arma aerea. Tizard in effetti persuase l’aviazione mili­ tare a basare il proprio piano di difesa sull’assunto che il radar avrebbe funzionato molto prima che le stazioni esi­ stessero come sistemi pratici. Questo fu un atto di straor­ dinario coraggio intellettuale: non spettano al solo Tizard le lodi più alte per ciò, ma anche agli ufficiali del Fighter Command. Verso il 1940 il radar tedesco era più a buon punto che quello inglese; ma l’azione combinata di Tizard e de­ gli ufficiali del Fighter Command aveva fatto in modo che gli inglesi sapessero impiegarlo meglio come arma di guerra. Questo fu il maggiore servizio che Tizard rese al suo paese. Ma ne rese anche un altro, quasi altrettanto impor­ tante e di tipo non dissimile. Watson Watt riferisce1 che già nel febbraio del 1936 egli (Watson Watt) faceva pres­ sione per lo sviluppo del radar a onde corte. Era ovvio che, se si fosse potuto produrre una potente fonte di onde centimetriche, l’efficacia del radar sarebbe aumentata, e in modo quasi incredibile rispetto ai livelli del 1936. Ma l’invenzione di siffatta fonte divenne uno dei problemi più difficili dell’intera guerra scientifica. Tizard, cosi ci ha detto Cockcroft2, indusse gli scienziati del Cavendish a riflettere su questo problema fin dal 1938. In una data in­ certa, ma all’inizio della guerra3 Lindemann stava indiriz­ zando il suo gruppo verso la stessa questione. Per questo sviluppo non vi furono disaccordi e quando Lindemann 1 BIRKENHEAD, Op. CÎt., p. 207.

* «Sunday Times», 5 novembre 1961. 3 Cfr. il resoconto di Derek Jackson in Birkenhead, op. cit., pp. 246247.

86

SCIENZA E GOVERNO

ebbe in pieno il potere mise i suoi uomini al lavoro sulle tecniche centimetriche. Quasi tutti, comunque, si stavano concentrando su un nuovo congegno chiamato klystron che, per quanto utile, non costituiva la risposta definitiva. A questa ci si stava avvicinando già da qualche tempo e senza che nessuno in realtà lo sapesse. Tizard non solo aveva parlato all’équipe del Cavendish, ma anche al laboratorio di Oliphant a Bir­ mingham. Nell’agosto del 1939, una parte del gruppo di Oliphant si trattenne per parecchie settimane alla stazio­ ne a catena di Ventnor. In un’intervista a un settimanale australiano, il « Meanjin Quarterly », Sir Mark Oliphant disse: Devo dire di essere completamente d’accordo con il giudi­ zio di Blackett riguardo alle controversie fra Tizard e Lindemann. Fui collega di Blackett a Cambridge dal 1927 al 1933 e siamo amici intimi da allora. Conobbi bene Tizard, dal 1932 circa fino al giorno della sua morte e considero una fortuna essere stato suo amico. Frequentai assiduamente Lindemann a partire dal 1937 sebbene lo conoscessi da molto prima. Tut­ tavia, nonostante fossi sempre stato in buoni rapporti con lui, non posso dire di essergli divenuto veramente amico e che egli fosse per me qualcosa di più che un collega di lavoro. Quando scoppiò la guerra ebbi l’occasione come scienziato nucleare, di esaminare le possibilità dell’impiego della fissio­ ne nucleare ai fini di produrre una potente arma militare, e cominciai a lavorare nel mio laboratorio. Tuttavia, per il tra­ mite delle idee di Tizard e Blackett, molti di noi fisici erano stati iniziati al concetto di radar e avevano trascorso alcune settimane alla catena di stazioni radar da poco create lungo le coste orientali e meridionali dell’Inghilterra. Io ero allora pro­ fessore di fisica a Birmingham e, data la situazione nazionale, convenni di lasciar perdere il lavoro sull’energia atomica e di concentrare gli sforzi del mio gruppo a sviluppare ulterior­ mente il radar. Ci impegnammo in particolare nel tentativo di mettere a punto generatori e rivelatori di onde radio a fre­ quenza ben più alta di quella allora disponibile.

Il resoconto di J. T. Randall in un documento compila­ to su richiesta del dipartimento S. R. E., Ammiragliato, 1943, Development of the Multi-Resenator Magnetron in

APPENDICE

87

the University of Birmingham, fornisce un numero mag­ giore di particolari. Gli scienziati di Birmingham si occuparono del proble­ ma delle onde centimetriche. Anche qui quasi tutti stava­ no cercando di recare miglioramenti al klystron. Randall e Boot, nelle parole dello stesso Randall « si trovavano sulle linee laterali », cioè non erano al centro del proble­ ma. Ma improvvisamente ebbero un lampo di genio. In uno spazio di tempo che sembra ancora straordinariamen­ te breve, Randall e Boot fecero funzionare un magnetron a cavità. L’idea del magnetron e il progetto relativo erano sulla carta nel novembre del 1939 e poteva funzionare in forma rudimentale (con giunture di ceralacca e cosi via) prima della fine del febbraio 1940. Era una trovata - se possono impiegarsi parole del ge­ nere — di genio. James Phinney Baxter parlava del ma­ gnetron a cavità, quando, descrivendo la missione di Ti­ zard e Cockcroft negli Stati Uniti nel 1940, disse che era il più prezioso carico mai trasportato sulle rive america­ ne 2. Di tutte le invenzioni scientifiche della seconda guer­ ra mondiale, il magnetron a cavità fu certamente la più preziosa. Il contributo di Tizard alla guerra scientifica è, come ho già detto, un fatto ormai acquisito. Non si tratta dun­ que d’una cosa dubbia e converrà smettere di parlarne. Vorrei ora, per parte mia, fare due riflessioni su que­ sto argomento. La prima è sorta implicitamente da qual­ cuna delle discussioni. La seconda, invece, è nata in me dopo aver ripensato all’intera storia. Nelle mie conferenze originali dissi che la mente di Ti­ zard era stata la migliore mente scientifica che in Inghil­ terra si fosse applicata alla guerra. Sapevo esattamente quel che volevo dire, ma forse il giro della frase vi ha inserito un accento leggermente diverso da quello che in­ tendevo. Dovrei impiegare ora invece di «migliore» lo stesso aggettivo che ho appena attribuito al magnetron a cavità. Dovrei scrivere dunque che la mente di Tizard è 1 Lettera di J. T. Randall a C. P. S., 9 gennaio 1962. 1 Cfr. sopra, p. 47.

88

SCIENZA E GOVERNO

stata « la più preziosa mente scientifica che in Inghilterra si sia mai applicata alla guerra ». Non intendevo, per quanto mi accorga ora che potevo anche dare l’impressione di voler dire proprio questo, che egli fosse il migliore scienziato cui, in quanto scienziato, fosse toccato di avere una parte nelle decisioni militari. Questo sarebbe del tutto falso. Tizard, che era molto mo­ desto riguardo ai suoi risultati scientifici, avrebbe detto recisamente che ciò non era vero. Prendiamo i fisici in­ glesi che erano in piena attività durante la seconda guer­ ra mondiale: Blackett, Chadwick, Cockcroft, Appleton, Thomson tutti premi Nobel e scienziati di primissimo piano. Tizard sapeva bene che non poteva competere con loro sul medesimo piano scientifico. E sapeva bene anche di non poter competere con Oliphant, Bullard, Dee, Ber­ nal e parecchi altri. Sono quasi sicuro, sebbene non ricor­ di di averne mai discusso con lui, che egli avrebbe consi­ derato Lindemann, come scienziato puro, di gran lunga superiore a lui. È vero che, proprio alla fine della guerra, il nome di Tizard fu preso in seria considerazione quale prossimo presidente della Royal Society, la più alta onorificenza uf­ ficiale che la scienza inglese possa dare. Ma egli pensò fos­ se giusto che in definitiva la carica andasse a Robert Ro­ binson, uno dei più insigni studiosi di chimica organica del mondo. Tizard non fu e probabilmente non sarebbe mai potuto essere uno dei grandi scienziati puri. Viceversa si dovreb­ be cercare un bel po’ prima di trovare un suo pari in quanto a giudizio scientifico applicato a questioni prati­ che. Era questo il suo dono, grazie al quale egli fu in gra­ do di fornire il suo più importante contributo. Il secondo punto che ho preso in considerazione è una qualità della natura stessa di Tizard. Il ritratto che ho delineato di lui credo sia, nei suoi limiti, esatto. Ma non sono potuto andare molto a fondo per i limiti impostimi da questo tipo di saggio; il carattere di Tizard, d’altra par­ te, è uno di quelli che diventano tanto più complessi e in­ tricati quanto più li si approfondisce. Ecco perché a p. 22 ho accennato al fatto che egli avrebbe potuto richiama-

APPENDICE

89

re l’attenzione di un bravo romanziere. Il contrasto tra il comportamento controllato e disciplinato del grande scienziato-funzionario e l’intima natura che egli doveva di­ sciplinare e controllare, costituirebbe un argomento affa­ scinante. Ma Tizard, cosi ora mi sembra, pagò un caro prezzo per quest’autodisciplina, un prezzo più caro di quel che non pensi la maggior parte di noi. Ho il dubbio che, a parte l’intima tensione, a volte egli ne soffrisse anche nelle sue possibilità di azione. Si era adattato a giocare secondo le regole, le regole del­ le classi amministrative e governative inglesi. Come molte nature profonde e turbolente che si adattano a questo, egli lo fece perfino un po’ troppo. Per la maggior parte della sua vita ufficiale questo non lo danneggiò; ma quando gli accadde di trovarsi in una situazione in cui non si rispetta­ vano le regole del gioco, come nella controversia per il bombardamento strategico, si senti perduto. Il risultato fu che si arrese un po’ troppo facilmente. Un carattere meno disciplinato avrebbe forse fatto sorge­ re qualcosa più di una lite, avrebbe messo sottosopra tutti i piani, riscbiato uno scandalo: per quanto diffìcile e pe­ noso fosse, c’era modo di far tutto questo, anche in tempo di guerra. Gli scienziati più giovani non avrebbero avuto possibilità di riuscita, ma Tizard forse si. Tuttavia, per lui, ciò era psicologicamente inconcepi­ bile. Aveva creato un rifugio per se stesso, e, fino un cer­ to punto, contro se stesso. Questo rifugio gli era prezio­ so. Era la buona opinione, la compagnia, il cameratismo e l’appoggio degli scienziati della Royal Society, degli uffi­ ciali in servizio, dei funzionari, dell’Athenaeum. A lungo andare non avrebbe più potuto staccarsene. Non avrebbe potuto compiere nessuna azione che, nonostante la sim­ patia che provavano per lui, essi avessero riprovato. Non avrebbe potuto far niente che essi non potessero fare.

90

SCIENZA E GOVERNO

V.

Lindemann.

Mi accingo ora a far sentire la mia unica, modesta la­ gnanza. Un buon numero di critici - la maggior parte dei quali per nulla addentro a questi avvenimenti e non im­ pegnati in nessuna di queste controversie - mi hanno rim­ proverato, bonariamente e caritatevolmente, di aver po­ sto la questione in termini troppo recisi: qui tutto il bian­ co, li tutto il nero. Essi concludono - e in molti casi que­ sto avrebbe dovuto essere una scusante per me - che la mia fantasia di romanziere era stata troppo forte. Io mi sarei lasciato vincere dall’ipnosi della mia stessa tecnica, dicono con benevolenza, e avrei scritto questo aneddoto come se fosse capitato in uno dei miei romanzi. Questo è stato detto da gente che conosce e capisce molto bene i miei romanzi Eppure, quando dicono questo, devono aver dimenti­ cato come sono realmente i miei romanzi. Prendiamo que­ sta situazione. A è un uomo quasi universalmente popo­ lare tra i suoi colleghi, B, al contrario, non gode general­ mente né del loro affetto né della loro fiducia. Essi si tro­ vano a dover prendere delle decisioni molto importanti. Risulta che A ha quasi invariabilmente ragione, e che B, al contrario, in modo curioso e sovente perverso, ha sem­ pre torto. Chiedo timidamente: vi sembra forse questa la situazione di un romanzo che io abbia scritto o che possa mai scrivere? In un romanzo, naturalmente, avrei usato ogni sorta di sottigliezze. Fino alla fine non si sarebbe sa­ puto chi era amato e chi non lo era: certo non si sarebbe saputo chi aveva torto e chi ragione. Lord Birkenhead12 si lagna che io mi sia dedicato al melodramma. Bene, diamo un’altra occhiata ad A e B. Essi erano un tempo amici intimi. Avevano corso insieme grossi rischi durante la guerra del 1914-18. Più tardi si erano aiutati l’un l’altro nelle rispettive carriere, s’era1 Cfr. A. j. p. Taylor, «The Observer», 9 aprile 1961. 2 BIRKENHEAD,

Op. tit., pp.

203-4.

APPENDICE

91

no appoggiati vicendevolmente all’università, erano uniti dalla vita familiare. Improvvisamente, senza che A lo sap­ pia, i sentimenti di B cambiano. Egli comincia a parlare di A come di « quel disgraziato ». Si trovano insieme membri di un comitato, in un compito da cui può dipen­ dere la salvezza del paese. B offende A in presenza del co­ mitato e lo fa in termini di violenza incontrollata. Altri membri obbligano B a uscire dal comitato. Segue per A un periodo di grande autorità. Nuovo giro alla ruota della fortuna: l’autorità vien data a B. Siamo all’estate del 1940, il paese è in pericolo, A manda un messaggio per mezzo d’un comune amico: non potrebbero smettere le loro liti e lavorare insieme? B risponde: «Ora che sono in posizione di comando, ecco che un mucchio di vecchi amici vengono a girarmi attorno». Melodramma? Certamente. Ma chi ne è l’autore? Que­ sta storia viene direttamente dalla biografia ufficiale di Lord Birkenhead. Non avrei mai potuto inventare nulla di simile. Ma tal­ volta la vita è più grottesca dell’arte. Non è ragionevole parlare di tentazioni di un romanziere, quando si tratta di tentazioni che nessun mediocre romanziere proverebbe e da cui tanto meno si lascerebbe prendere. Questa è la mia unica lagnanza personale. Fatta la qua­ le, non ho altre lamentele da esprimere. Torniamo quindi sul piano della ragione. Dovremmo sin dall’inizio ram­ mentare che, eccezion fatta per gli autori di The Strategie Air Offensive, nessuna delle persone che hanno preso par­ te a queste discussioni, sono, in alcun modo, per forma­ zione storici. Per quanto mi è dato conoscere, solo uno, ed eminente, tra gli storici di professione, il professor J. H. Plumb, ha esaminato le testimonianze più recenti. Egli ha rilevato1 l’inadeguatezza del metodo con cui Lord Bir­ kenhead ha trattato la materia e ha additato gli interroga­ tivi che porrebbe uno storico di professione. Sono certo che critiche di questo genere riguardano anche me. Non c’è dubbio che col tempo si faranno avanti gli storici. Ma intanto la cosa migliore da fare è proseguire con il nostro 1 «The Spectator», i° dicembre 1961.

92

SCIENZA E GOVERNO

metodo dilettantesco e vedere se è possibile avvicinarci un po’ di più alla verità. È probabile che la personalità di Lindemann riesca a mettere in imbarazzo gli storici quando vogliano esami­ nare questi avvenimenti. Sappiamo ormai moltissimo in­ torno al suo comportamento, non solo nella sua vita uffi­ ciale, ma anche in quella privata. A esempio, egli litigò con sua sorella perché aveva sposato un uomo che egli disapprovava e non le parlò per quarant’anni *. Nello stes­ so modo, cancellò interamente dalla propria vita il fratel­ lo minore2. Fin dall’adolescenza fu in cattivi rapporti con sua madre ’. In tutte queste relazioni private mostrò un sistema di vita che potrebbe benissimo figurare nello sche­ dario di uno psichiatra. Voglio andar cauto con spiegazio­ ni affrettate, ma penso che non sia fantasioso riscontrare lo stesso sistema di vita nel suo comportamento verso Tizard. E tuttavia, per quanto ci fossero tante cose nel suo comportamento che nessuna persona ragionevole potreb­ be difendere, quelli che gli vollero bene insistono - e in questo li rispetto - che vi era una specie di Lindemann «essenziale», un Lindemann assai differente da molte delle cose che diceva o faceva. Come ho scritto a p. 22, egli era una personalità di primissimo piano. Si dimostrò estremamente pericoloso e vendicativo nell’azione, senza possibilità di discussione, sopra la media degli altri uomi­ ni. Nel medesimo tempo egli ispirò in molti un forte sen­ so di protezione ‘, quasi egli fosse un uomo che anelasse alla felicità perché non riusciva a comprendere quel che nell’intimo non andava e chiedeva aiuto in modo indistin­ to. Colpiva gli amici con il pathos di chi è in preda alle passioni non conoscendo se stesso, e incessantemente in lotta contro repressioni e conflitti che non si possono né scacciare né risolvere. Un osservatore distaccato, nel leggere questi vari re’ BIRKENHEAD, Op. Cit., p. 3. 1 Ibid., p. 3. 3 Ibid., pp. 46, 130. 4 Cfr. R. e. harrod, The Prof, Macmillan, London 1959, pp. 29-30.

APPENDICE

93

soconti su di lui, si farà una propria idea, a seconda della interpretazione di questa personalità e dei suoi valori umani. Nella sua conclusione Lord Birkenhead1 parla del­ la « fondamentale semplicità della sua natura ». Parados­ salmente, questo mi sembra giusto. Il suo comportamen­ to era strano, ma può darsi che la conformazione della sua natura, a differenza di quella di Tizard, non fosse affatto complicata. Mia mira essenziale, nel narrare questo aneddoto o pa­ rabola, era di trarne una lezione pratica. Da questo punto di vista, non importa tanto se altri si formerà un’opinione diversa sulla vera personalità di Lindemann. Naturalmen­ te è affascinante meditare sul suo carattere, se si è inte­ ressati alla varietà della specie umana. È affascinante, ma non è questo il punto. Sarei felice se chiunque volesse seguire la mia argomen­ tazione pratica leggesse i due studi biografici su Lindemann2, si costruisse un suo proprio ritratto dell’uomo e poi lo vedesse scritto nella mia storia. Quanto a me, posso accettare molto dell’immagine psicologica delineata in en­ trambi questi libri. (In particolare Harrod possiede un profondo intuito psicologico di cui ogni romanziere po­ trebbe andare orgoglioso). Ma non è il personaggio di Lindemann quello essenziale a questa storia. Allo stesso modo non ci occorrerà spender molto tem­ po sulle sue imprese come scienziato puro. Esse sono, ad ogni modo, meno misteriose del carattere umano, e più facili a essere valutate oggettivamente. Gli scienziati non vengono giudicati da quel che i loro amici o i loro nemici dicono di loro, ma da quello che hanno fatto. Le pubbli­ cazioni di Lindemann sono stampate nelle riviste scienti­ fiche. Chiunque lo voglia può esaminarle, e ogni fisico può farsi un’idea di quanto importanti fossero i suoi risultati. Il linguaggio della scienza è internazionale. Le opinioni che potrebbero farsi, ad esempio, gli scienziati svedesi o giapponesi sarebbero quasi le stesse. Dirò tra breve quali sarebbero probabilmente queste opinioni. 1 BIRKENHEAD, Op. Ci?., p. 360. 2 BIRKENHEAD e HARROD, Op. Ci?.

SCIENZA E GOVERNO

94

Nel frattempo vorrei menzionare due contributi di Lin­ demann che nessuno ha mai messo, o avrebbe voluto met­ tere, in questione. Nessuno dei due fu scientifico in senso stretto, ma il secondo ebbe enormi conseguenze scientifi­ che. Non ho menzionato questi contributi nelle conferen­ ze Godkin, se non di passata con un breve riferimento a p. 36. E poi mi è rincresciuto. Nessuno dei due era stret­ tamente connesso con la mia narrazione, ma il tralasciarli ha reso il mio resoconto di tono più astioso di quanto avrebbe dovuto essere. Il primo fu che Lindemann riconobbe il pericolo di Hitler sin dal 1933. Naturalmente questa consapevolezza era abbastanza comune in circoli intellettuali radicali, ma era piuttosto rara tra i conservatori, e che questo fatto venisse proclamato con particolare insistenza da parte di Lindemann, uomo molto di destra, fu di grande utilità. Il secondo contributo derivò dal primo. Lindemann, essendo convinto che Hitler intendesse realmente com­ piere quel che diceva circa gli ebrei, andò in giro per la Germania per salvare alcuni dei migliori scienziati ebrei. Non ha importanza che Lindemann stesso professasse un antisemitismo piuttosto sciocco '. Egli portò a Oxford al­ cune delle migliori menti scientifiche d’Europa: Francis Simon, Kurti, i London, Mendelssohn e Kuhn. Lindemann, nel 1933, aveva già fatto qualcosa per accrescere la fama del laboratorio Clarendon, ma il livello era anco­ ra piuttosto basso. L’introduzione di Simon e dei suoi col­ leghi fece si che, nel giro di vent’anni, il Clarendon diven­ tasse uno dei tre o quattro migliori laboratori d’Inghilter­ ra e forse, per qualche aspetto, il migliore. E questo me­ rito dev’essere definitivamente ascritto a Lindemann. Altri avevano creato grandi laboratori di fisica. In qua­ si tutti i casi s’era trattato di uomini che erano essi stessi scienziati nel pieno splendore della loro opera creativa. Questo valeva per Rutherford al Cavendish, per Franck a Göttingen, per Bohr a Copenaghen, per Ernest Law­ rence a Berkeley. Mi ricordo solo di due eccezioni. Tra il 1922 e il 1938 Roma divenne improvvisamente uno dei 1 BIRKENHEAD, Op. Ctt., p. XI.

APPENDICE

95

grandi centri mondiali della fisica e dette maestri come Fermi, Segrè, Rasetti, Amaldi. Ma tutti costoro ci hanno raccontato che aU’origine di questa fioritura non c’era sta­ to nessuno di loro, ma la figura paterna di Orso Mario Corbino, senatore, banchiere, impresario e uomo d’affari che, quando non doveva pensare a far soldi, presiedeva al laboratorio, trovava i soldi, radunava giovani di talen­ to. Egli riuscì a creare un grande laboratorio, finché il fa­ scismo non lo distrusse. Il risultato di Lindemann al Cla­ rendon non fu dissimile. Quanto ai suoi risultati originali nel campo della scien­ za pura, se non fosse per il fatto che, per consenso gene­ rale, egli era al tempo stesso un uomo eccezionalmente intelligente, e una figura controversa, non danno adito ad un vero e proprio disaccordo. Studiando le sue pubblica­ zioni, al di fuori degli influssi della sua personalità, i no­ stri immaginari giudici svedesi e giapponesi dichiarereb­ bero che: a) Tra il 1910 e il 1914 egli scrisse quasi venti saggi. C’è qualche segno d’una eccessiva dispersione nei suoi sforzi, ma alcuni di questi studi sono originali e profondi. b) Dopo il 1919 scrisse un certo numero di note e let­ tere su vari argomenti, ma poco lavoro di sostanza; sebbene lavorasse in un periodo in cui il campo del­ la fisica, sia teorica che sperimentale, era aperto a nuove scoperte come forse non lo sarà più per gene­ razioni, egli non trovò la sua strada. Niente di tutto ciò sorprenderebbe molto i nostri giudici. Vi sono molti fisici e matematici che, dopo un brillante ini­ zio, si ritrovano con le forze creative ben presto ina­ ridite. Alcuni ne soffrono amaramente. Ma l’opera di Lindemann come scienziato puro non pesa molto sui problemi della sua carriera pubblica, non più della sua personalità. Se egli avesse avuto la persona­ lità di uno Schweitzer e l’opera scientifica di un Ruther­ ford o di un Bohr, i problemi rimarrebbero lo stesso. Il nocciolo della questione non riguarda la personalità o il lavoro creativo. Riguarda il giudizio scientifico.

96

SCIENZA E GOVERNO

VI.

Fu nelle lotte con Tizard che il giudizio scientifico di Lindemann fu messo in discussione con la massima acre­ dine: per quanto ci fossero state controversie del genere alle quali Tizard non aveva partecipato, di cui sapremo di più nei prossimi dieci anni, una volta scritta la storia. Ne menzionerò di passata una o due. Ma per il momento è sufficiente vedere quanto altro possiamo conoscere circa i conflitti con Tizard. La storia personale.

Non c’è molto da aggiungere e quel poco non tocca esattamente il problema centrale (cfr. l’ultimo paragrafo del capitolo precedente). Probabilmente nessuno saprà mai quando e perché scoppiò l’antagonismo personale. Non lo troviamo poi tanto sorprendente ora che sappiamo qualcosa delle rotture unilaterali di Lindemann con i suoi familiari. Ma certamente dove sembrare sorprendente a Tizard. Se tentato di raffigurarlo come una diretta lotta per il potere: ma ciò significa semplificare eccessivamen­ te. Da parte di Lindemann l’odio perdurò fino alla morte. Da parte di Tizard non vi fu nulla, dal punto di vista emo­ tivo, di assolutamente comparabile. Dire che egli si sen­ tisse particolarmente benevolo verso Lindemann equivar­ rebbe ad essere un po’ sentimentali, ma negli ultimi anni della sua vita egli parlava di Lindemann e di tutta la sto­ ria con una specie di sardonico e realistico distacco. E con­ tinuò a ripetere1 che Lindemann era uno degli uomini più intelligenti che avesse mai conosciuto. Il Comitato Tizard e il radar.

Molta gente è rimasta interdetta e perplessa a quello che è sembrato un conflitto di prove. Sir Robert Watson Watt2 ha testimoniato che Lindemann aveva incoraggia1 Cfr. sopra, p. 25. 2 BIRKENHEAD, Op. Ctl.,

pp. 2O5-7.

APPENDICE

97

to il suo lavoro sul radar e gli aveva dato un valido ap­ poggio nel 1936, periodo in cui Lindemann faceva parte del Comitato Tizard. Il professor R. V. Jones dice1 di ri­ cordarsi di aver discusso con lui nel 1935 sulle possibi­ lità del radar. Entrambi sono uomini assolutamente inte­ gerrimi. D’altra parte, c’erano cinque persone testimoni di tut­ to quel che accadde nel Comitato Tizard durante tutta la sua esistenza: lo stesso Tizard, Wimperis, Blackett, Hill e Rowe. Di questi cinque Tizard e Wimperis sono morti. Prima di morire, Tizard forni un ragguaglio del compor­ tamento di Tizard nel comitato che, in sostanza, è identi­ co al mio (pp. 37-41). Il resoconto di Tizard non fu dato in una normale conversazione, per quanto egli abbia fatto anche questo, ma in risposta alle domande di uno storico ufficiale2. Wimperis, parlando, disse le stesse cose. E cosi fece Blackett sulla stampa, un anno prima che io tenessi la mia conferenza, e poi, di nuovo, per confermare quel che avevo detto3. 4Rowe, che per tutto il tempo fu segre­ tario del comitato, ha pubblicamente confermato quello che avevo detto io ’. Hill fece questo privatamente men­ tre il mio testo era ancora in manoscritto5, 6e ha egli stesso pubblicato, benché la cosa sia passata quasi inosservata, l’unica descrizione di prima mano delle sedute effettiva­ mente scritta al momento *. L’integrità di tutti questi uomini, proprio come nel ca­ so di Watson Watt e di Jones, è assoluta. Sembrerebbe proprio che lo scontro sia frontale. Chi ha torto? Chi ha memoria meno precisa? Dov’è la con­ traddizione? La risposta non è drammatica ed in certo modo delu­ dente. Nessuno ha torto. Nessuno ha la memoria labile. Non c’è contraddizione. 1 BIRKENHEAD, Op. dt., p. 209. 2 Cfr. Charles Webster, «Sunday Times», 9 aprile 1961. 3 Blackett, Tizard and tbe Science of War cit., e «Scientific Ameri­ can», aprile 1961. 4 «Time & Tide», 6 aprile 1961. 3 In una lettera a C. P. S. 6 A. V. hill, Tbe Ethical Dilemma of Science, Rockefeller Institute Press, New York i960, pp. 265-71.

4

98

SCIENZA E GOVERNO

La confusione è sorta in gran parte perché la stragran­ de maggioranza degli uomini non hanno familiarità con le questioni di natura scientifico-militare. La disputa tecnica del Comitato Tizard, come otto su dieci discussioni scientifico-militari, verteva sull’ordine di priorità. Priorità, co­ me Ìndica il nome, significa disposizione in ordine d’im­ portanza. In una guerra scientifica, ove siano presenti infi­ nite possibilità, si vorrebbe spesso provare quasi tutto, come fecero gli americani fabbricando la bomba a fusio­ ne. Ma di solito questo non è possibile, nemmeno in Ame­ rica. Si devono fissare delle priorità, per cercare di non perdere l’occasione migliore, anche se questo significa sa­ crificare possibilità meno importanti. Sfrondato dalle violente passioni personali, il proble­ ma che si poneva al comitato appare come un giudizio di priorità, il disaccordo tecnico sorse a questo proposito e non su altre questioni. È quasi certo ora che, anche prima che il comitato si riunisse, Tizard aveva deciso che al ra­ dar si dovesse dare la precedenza assoluta. Sir Philip Joubert1 ricorda che Tizard alla fine del 1934 scartava una dopo l’altra le possibilità di difesa aerea, — « Gli infraros­ si non servono veramente », e cosi via - e poi diceva agli ufficiali di essere quasi sicuro di aver trovato la soluzione: e già in quel periodo ne parlava in termini di impiego mi­ litare. Non si mosse mai dalla sua posizione. Voleva ot­ tenere per il radar una priorità quanto piu possibile vici­ na all’assoluto, non solo nello sviluppo tecnico, ma al­ trettanto perentoriamente nell’addottrinamento delle for­ ze armate. Naturalmente è molto raro che un qualsiasi schema scientifico-militare riesca a ottenere, alla lettera, una priorità assoluta. Tizard e il suo comitato erano pre­ parati a compiere qualche piccolo sforzo per altri schemi (vale a dire dare loro una priorità secondaria ma limitata); come nel caso della rivelazione a mezzo raggi infrarossi, per quanto sembrasse assai improbabile poterla usare in tempo per una guerra nel ’39 o nel ’40. Ma per quanto riguardava la priorità non erano disposti a scendere a mol­ ti compromessi, e infatti non vi scesero mai. «Daily Telegraph», 7 aprile 1961, e in conversazione con C. P. S.

APPENDICE

99 Non appena Lindemann prese il suo posto nel comi­ tato, volle subito mutare l’ordine delle priorità di Tizard. Egli era vivamente interessato al lavoro di Watson Watt, ma non era preparato a dare al radar quella priorità quasi assoluta che il comitato aveva già stabilito. L’esclusiva preoccupazione del comitato per l’uso operativo dal ra­ dar, non significava niente per lui. Aveva già in mente un suo ordine di priorità. Sembra che quest’ordine di tanto in tanto venisse mutato. Egli aveva un certo numero di sistemi suoi: granate legate a cavi, mine aeree paracadu­ tate, bombe portate da cavi nonché la rivelazione median­ te raggi infrarossi, che era deciso a imporre al comitato. Sembra che le sue trovate preferite fossero le bombe pen­ zolanti da cavi davanti all’aviazione nemica e le mine ae­ ree paracadutate. Qualche volta sostenne che le mine pa­ racadutate meritavano la priorità rispetto al radar. Non fu mai disposto ad ammettere che fossero meno impor­ tanti o che non meritassero almeno la stessa priorità. L’idea generale di Lindemann riguardo alle priorità op­ portune - sulla qual cosa la testimonianza dei presenti è unanime — può essere fortunatamente confermata sulla base di due documenti scritti in quel periodo. Conosce­ remo i dettagli precisi solo quando i verbali del comitato saranno resi pubblici. È un vero peccato che questi ver­ bali, che venivano redatti da Rowe, non siano ancora di­ sponibili. Direbbero l’ultima parola su un periodo inte­ ressante di storia scientifico-militare. Comunque abbiamo due documenti scritti nel 1936. Il primo era stato com­ posto in versi da A. V. Hill, poco prima che il comitato giungesse alle discussioni finali. È pubblicato nel suo li­ bro The Ethical Dilemma of Science (1959), con la se­ guente nota introduttiva: Il seguente poema nello stile della traduzione dell’Iliade del conte di Derby (1864) mira a rappresentare i verbali di seduta di un comitato del ministero dell’Aviazione nel 1936, insieme a una convocazione a quello successivo. Queste sedute erano segrete e persino oggi, a distanza di ventitré anni, con­ siderazioni di convenienza, se non di sicurezza, richiedono l’uso di pseudonimi: questo spiegherà forse come una deità norvegese e un Geheimrat si trovino in qualche modo mesco-

100

SCIENZA E GOVERNO

lati a una quantità di personaggi greci in un consesso troiano *. Gli anziani della città siedono | prestando attenzione al vec­ chio Sigma: | Omega e Theta, von Alpha-plus e Phi. | Tutti co­ storo erano radunati ad Adastral House, | esentati dalla guerra a causa dell’età, ma abbondanti nel discorso | come il grillo che dal ramo più alto di un albero della foresta, | eleva il suo can­ to: cosi essi mandarono i loro verbali, | e tutti gli uomini me­ ravigliarono, persino Odino pianse ] con lacrime di gioia, che Ilio era salva. Von Alpha-plus si alzò e cominciò cosi: | « O vecchio Sig­ ma, forte nella guerra | e nel consiglio saggio: le tue parole at­ tuali I nessun troiano può contraddire, eppure tu | non hai rag­ giunto il fine, l’oggetto del dibattito. | Questa città non potrà essere salva dalla guerra | finché una pioggia di mine paracadu­ tate I non scenderà incessantemente presso la porta orientale. | Cosi i greci dalla lunga chioma resteranno a casa | e non ver­ ranno a deporre le loro uova infernali nelle nostre strade ». Cosi disse, adirato e avvolse attorno al corpo | il mantello e sulla testa pose una bombetta, | passando, poi, fece maramao a Lambda-Mu, | infine chiamò la sua lucente Rolls da ottanta destrieri | e ben presto fu alla soglia della tenda di Odino. | Cercò di svegliare il dio dal suo sonno | chiamando a voce alta: e presto la sua voce raggiunse i sensi dell’altro: | balzò fuori in abbigliamento notturno, simile a un orso | e parlò ad Alphaplus dal multiforme ingegno: | « Quale causa si urgente ti con­ duce attraverso il campo | a vagabondare solo, nell’oscurità della notte? » A cui von Alpha-plus dal multiforme ingegno rispose: | « Odino, figlio del destino in forma di Dio, svegliati: | perché la ciurma professorale del vecchio Sigma, | con Hermes dalle rapide ali e Rho | che tiene le minute ma perde le ore, | non • Personaggi del poema in ordine di comparsa:

Sigma Omega Theta von Alpha-plus Phi Odin Lambda-Mu Hermes Rho Hopskipjump

Tizard Wimperis Blackett Lindemann A. V. Hill Sir Winston Churchill

Roxbee Cox l che hanno assistito a qualche seduta Joubert > del comitato A. P. Rowe Lord Caldecote (a quel tempo Sir Thomas Inskip)

APPENDICE

ΙΟΙ

sarà felice finché i greci dalla lunga chioma | deporranno le loro uova infernali su questa città. | Essi non hanno nessuna intenzione di riempire il cielo di mine | attaccate a paracaduti: e sprecano giorni preziosi | in vani esperimenti col radar. | Se, o figlio del destino in forma di Dio, noi due | fossimo al posto di Hopskipjump e Sigma, | dal cielo scenderebbe una pioggia di mine paracadutate | incessantemente e la terra sarebbe sal­ va ». Cosi parlò | von Alpha-plus dal vasto e profondo ingegno | e a lui rispose Odino, figlio del destino: | « Molte, difatti, e feroci bombe io ho fatto cadere, | ma mai mine da due once at­ taccate I a paracadute, di giorno e di notte ugualmente, | a mi­ liardi, sulla nostra porta orientale. Niente di simile | è mai stato prima. Noi due porteremo | le notizie al ministro di Stato. « Con Odino, signore Onnipotente della terra, del cielo e dell’aria | e con Alpha-plus ad aiutarlo, saremo tutti felici! » Cosi il vecchio Sigma e la sua ciurma dall’occhio indaga­ tore, I Theta con grandi idee, Phi con nessuna, | Rho con le minute e lo stanco Omega | sedettero a lungo e in silenzio nel­ l’oscurità che avanzava, | mentre Lambda-Mu andò fuori e si impiccò, I sbeffeggiato da Alpha-plus dal multiforme inge­ gno. I Alla fine con volto abbattuto Sigma parlò: | « Il gioco è finito, senza von Alpha-plus | dall’astuto consiglio e dal mul­ tiforme ingegno, | che parla con i politicanti e con la stam­ pa, I e ben presto forse sarà deputato per Oxenbridge, | ogni speranza è svanita e la Morte sterminatrice | darà la caccia alle sue vittime nelle nostre strade ». Al che | Theta con grandi idee, Phi con nessuna, | Rho delle minute e lo stanco Ome­ ga I non aggiunsero nulla che si possa stampare. Ma stabiliro­ no I un giorno per incontrare il Geheimrat Alpha-plus, | e chie­ sero perdono ai suoi amici potenti, | a Odino, figlio del desti­ no, I e a lui stesso, l’uomo dal multiforme ingegno. | Poi l’an­ tico Sigma e la sua ciurma dall’occhio indagatore | faranno atto di sottomissione a von Alpha-plus | (tranne Lambda-Mu che si impiccò). | La vostra presenza è richiesta alle ir, | il nu­ mero della stanza è 008.

Il secondo documento - e questo è la testimonianza del tipo più soddisfacente - fu scritto da Lindemann stesso. In una lettera a Churchill, in data 27 febbraio 1936, egli diceva: L’unica parte del lavoro del comitato che finora sia riusci­ ta è quella dello sviluppo dei sistemi di rivelazione e indivi-

102

SCIENZA E GOVERNO

dilazione. Sembra che la ragione ne sia il fatto che il lavoro è stato affidato a un uomo che ne suggerì il metodo e ci crede e poteva e voleva portarlo avanti, con tutti gli esperimenti che riteneva necessari. Io suggerisco, comunque, che l’unico mez­ zo per fare dei progressi nello sviluppo altrettanto importante delle mine aeree e la relativa questione delle esplosioni il cui effetto si protrae per un certo tempo è di affidarli a qualcuno che ci creda entusiasticamente e non sia obbligato a rifarsi al comitato ogni volta che desideri compiere un nuovo esperi­ mento.

Era proprio con «l’altrettanto importante sviluppo delle mine aeree» che egli aveva abbattuto il comitato. Chiunque suggerisse di dare a questa idea la stessa prio­ rità del radar, sembrava loro talmente privo di discerni­ mento in campo scientifico da essere un pericolo. Gli scienziati hanno l’abitudine di aspre discussioni, ma essi non erano preparati a discutere indefinitamente di mine aeree e di bombe rette da cavi. Queste idee non avevano un significato tecnico. Si stava perdendo tempo e lo si perdeva in un’atmosfera di estrema ostilità. L’unica solu­ zione equilibrata era di tornare alla priorità suprema per il radar e per il suo uso in operazioni militari. C’è stata qualche congettura circa cosa effettivamente volesse Lindemann sul piano di uno scopo ragionevole. Un’opinione che Rowe tende ad appoggiare1 è che egli avesse deciso di distruggere il comitato a ogni costo, usan­ do un’idea scientifica qualsiasi senza badare al suo valore, in modo da ottenere lui stesso il potere, a lungo andare. Questo comportamento sarebbe, naturalmente, irrespon­ sabile da ogni punto di vista perché il comitato era l’unica organizzazione del paese che lavorasse alla difesa aerea scientifica, e la guerra era molto vicina. La seconda opinione è che, per il solo fatto di avanzare questi progetti fantastici e di perorarne la causa davanti al comitato, egli credesse realmente quel che diceva. Que­ sta ipotesi corrisponde con il suo comportamento succes­ sivo. E corrisponde anche al fatto che, dopo essere stato eliminato dal comitato, insisteva ancora per le granate 1 «Time & Tide», 6 aprile 1961.

APPENDICE

103

con i fili e le mine aeree paracadutate presso vari dipar­ timenti governativi '. Se dovessi scrivere di nuovo il mio resoconto sul Co­ mitato Tizard, aggiungerei qualcosa di quel che ho appe­ na detto, ma del resto non cambierei nulla. Sottolineerei la questione delle priorità, per quanto nella mia relazione originale avessi già scelto le parole con cura (cfr. le pp. 38-39 dove è stata stabilita con precisione la questione delle priorità). Includerei i due documenti che ho appena citati. Essi chiariscono l’intera disputa. C’è un’omissione che ora dovrei fare. Dovrei tralascia­ re i due ultimi capoversi del paragrafo VI, pp. 41-42. Non avrei dovuto permettermi di addentrarmi in una tale ipo­ tesi. Ora dovrei finire la mia storia del Comitato Tizard dicendo qualcosa di semplice e prosaico. È chiaro ormai che qualsiasi persona incaricata di organizzare una difesa aerea scientifica in Gran Bretagna nel 1935 doveva fare tre cose: 1) dare una grande priorità al radar; 2) farne un atto di fede e persuadere gli ufficiali in servizio dell’utilità del radar prima che ne esistessero le apparecchiature non­ ché continuare a insistere sull’uso del radar in operazioni militari; 3) ammettere al segreto i fisici universitari in mo­ do da indurli a pensare al radar centimetrico. Nessun’altra politica ci avrebbe dato molte possibilità di sopravviven­ za. Fortunatamente per noi questa fu la politica di Tizard e del suo comitato. Bombardamento strategico.

Circa la controversia del 1942 sugli effetti del bombar­ damento strategico, i fatti sono più eloquenti di qualsiasi elucubrazione in proposito. Questi fatti, ora conosciuti dettagliatamente, stanno quasi esattamente come avevo affermato io. Il giudizio scientifico di Lindemann era sba­ gliato. Aveva sopravvalutato gli effetti del bombardamen­ to di almeno dieci volte. Il giudizio di Tizard fu di gran lunga più preciso. Quello di Blackett ancora migliore. I 1 BIRKENHEAD, Op. CÌI., P 217.

IO4

SCIENZA E GOVERNO

soli documenti importanti che ancora non siano stati esa­ minati sono i memoranda di Blackett, ancora nascosti ne­ gli schedari dell’Ammiragliato. Dal momento che Blac­ kett, in parte per motivi interdipartimentali, approfondi gli argomenti molto più di Tizard, i suoi documenti sono necessari per completare la storia. Abbiamo comunque i suoi ricordi di questi avvenimenti pubblicati. I fatti sono cosi eloquenti che, se avessi avuto i docu­ menti di Tizard e di Lindemann dinanzi a me, li avrei sol­ la storia ufficiale (le note a piè di pagina fanno parte della tanto stampati, senza alcun commento. Vorrei ora citare citazione): Fu a questo punto della crisi del bombardamento strategico che Lord Cherwell intervenne. Il 30 marzo 1942 egli indirizzò una nota al primo ministro in cui diceva:

Quanto segue sembra un metodo semplice per valutare quello che potremmo fare bombardando la Germania: Un’analisi accurata degli effetti delle incursioni aeree su Birmingham, Hull e altre località hanno dimostrato che, in media, una tonnellata di bombe sganciate su un’area abitata distrugge da 20 a 40 edifici, lasciando senza tetto da 100 a 200 persone. Sappiamo per esperienza che possiamo contare su circa quattordici sortite operative per ogni bombardiere fabbricato. La portata media dei bombardieri che fabbricheremo nei pros­ simi 15 mesi sarà di circa 3 tonnellate. Ne deriva che ciascuno di questi bombardieri, finché sarà in uso, sgancerà circa 40 ton­ nellate di bombe. Se queste verranno sganciate su aree fabbri­ cate lasceranno senza tetto da 4000 a 8000 persone. Nel 1938, più di 22 milioni di tedeschi vivevano in 58 città di più di 100 000 abitanti che, con apparecchi moderni, do­ vrebbe essere facile individuare e colpire. La produzione in programma di bombardieri pesanti (inclusi i Wellington) da adesso alla metà del 1943 è di circa io 000. Se solo la metà del carico totale di io 000 bombardieri fosse sganciato sulle aree fabbricate di queste 58 città tedesche la grande maggioranza dei loro abitanti (circa un terzo della popolazione tedesca) ri­ marrebbe senza abitazione. Un’inchiesta sembra dimostrare che l’avere la propria casa distrutta è cosa estremamente dannosa per il morale. Sembra che alla gente importi di più che non l’uccisione di amici e per­

APPENDICE

IO?

sino di parenti. A Hull erano evidenti i segni di tensione, per quanto solo un decimo delle case fosse andato distrutto. Sulla base delle cifre citate, noi saremmo in grado di recare un dan­ no dieci volte maggiore in ciascuna delle 58 principali città te­ desche. Sembra quasi certo che questo abbatterebbe lo spirito della popolazione. I nostri calcoli, naturalmente, presumono che si riesca effet­ tivamente a sganciare una metà delle bombe su aree fabbrica­ te. D’altra parte non si è tenuto conto della vasta produzione americana promessaci (6000 bombardieri pesanti nel periodo in questione). Né si è fatto un calcolo dell’inevitabile danno arrecato a fabbriche, vie di comunicazione ecc. in queste città né dei danni da incendio, probabilmente accentuati dallo sfa­ celo dei servizi di pubblica utilità *.

... Quindi la nota di Cherwell implicava alcune questioni di alta politica come il programma di produzione di bombar­ dieri pesanti e la concentrazione dell’offensiva di bombarda­ mento su alcuni obiettivi strategici. Implicava anche calcoli di probabilità come la durata media di un bombardiere per ope­ razioni nel 1942 e ’43 e l’effetto di un certo quantitativo di bombe su un dato numero di città tedesche. Evidentemente i risultati previsti da Lord Cherwell in seguito ai suoi calcoli delle probabilità non sarebbero stati raggiunti se le decisioni politiche non fossero state prese nel senso, secondo la sua nota, necessario. D’altra parte queste decisioni politiche non potevano venir giustificate dal calcolo delle probabilità in sé, perché questi calcoli sembravano probabili solo a coloro che, ad ogni modo, credevano nella politica. A quelli che non ci credevano sembravano altamente improbabili e, in quanto a questo, uno scienziato può facilmente venir contraddetto o, perlomeno, contestato da un altro. Sir Henry Tizard, ad esem­ pio, osservò che « il rischio implicito in questa politica è cosi grande che per esserne convinti non basta credere che abbia una probabilità di successo, ma che la probabilità di successo sia molto grande » b. A Sir Henry Tizard sembrava che i calcoli di Lord Cherwell contenessero alcuni importanti errori. Egli fece notare che il programma di produzione del ministero della Produzione aea Nota di Cherwell a Churchill, 30 marzo 1942. Passata dal primo mini­ stro al comitato per la difesa il 9 aprile 1942. Il testo della nota è trascritto per intero. b Memoriale di Tizard, 20 aprile 1942.

106

SCIENZA E GOVERNO

ronautica prevedeva la costruzione di 3585 Wellington e 5219 bombardieri pesanti tra l’inizio dell’aprile 1942 e la fine del giugno 1943. 689 Wellington erano designati per il comando costiero. Cosicché il programma della produzione di bombar­ dieri prevedeva 8115 pezzi. L’esperienza aveva insegnato a Sir Henry Tizard che « non possiamo basarci su più dell’83 per cento del programma prestabilito » e perciò calcolava che il comando dei bombardieri avrebbe ricevuto 7000 e non io 000 pezzi nel periodo preso in esame da Lord Cherwell. Anche se questa difficoltà si fosse potuta superare, Sir Hen­ ry Tizard ne vide un’altra nel presupposto che ciascuno di que­ sti pezzi avrebbe compiuto in media quattordici sortite com­ plete per operazioni. Questo voleva dire che sarebbero stati tutti distrutti e che « rimarremmo alla fine di questo periodo con una forza in prima linea non più grande di quella che è al momento, cosa certamente non pensabile ». Queste due diffi­ coltà portarono Sir Henry Tizard alla conclusione che il co­ mando dei bombardieri sarebbe riuscito a sganciare sulla Ger­ mania solo la metà del tonnellaggio calcolato da Lord Cher­ well. L’altro punto che colpi Sir Henry Tizard come «di gran lunga troppo ottimistico » era il presupposto che sarebbe stato facile individuare e colpire le «58 città con più di 100000 abitanti ». Egli pensava che Lord Cherwell avesse sottovalu­ tato le difficoltà che gli equipaggi dei bombardieri dovevano affrontare di notte e davanti a una dura opposizione. Il Gee, egli fece notare, aveva un raggio d’azione limitato e avrebbe avuto una vita limitata. Egli non riteneva che i nuovi aiuti del radar entrassero in funzione fino all’aprile del 1943 '. Perciò pensava pericoloso supporre che più del 23 per cento delle bombe caricate potessero colpire i bersagli. Pertanto egli cal­ colò che, nel periodo considerato da Lord Cherwell, e pre­ supponendo che tutti i bombardieri pesanti venissero concen­ trati esclusivamente a questo scopod, non più di 30 000 ton­ nellate di bombe avrebbero colpito aree costruite. Se l’effetto fosse andato disperso nelle 38 città, sarebbe stato in media tre o quattro volte maggiore di quello prodotto dai tedeschi a Hull e Birmingham. Sir Henry Tizard pensava che questo « sa­ rebbe stato certamente dannosissimo, ma non decisivo, a me­ no che nel frattempo la Germania non fosse sconfitta sul camc In questa ipotesi non si sbagliava di molto. d Sir Henry Tizard pensava che questa concentrazione non fosse né sag­ gia né possibile.

APPENDICE

IO7

po dalla Russia o perlomeno non le fosse impedito un’ulteriore avanzata verso i campi petroliferi russi o iraniani ». Cosicché, per quanto Sir Henry Tizard non si fosse assolu­ tamente reso conto della straordinaria capacità di ripresa e decisione con cui i tedeschi avrebbero resistito al bombarda­ mento delle loro città e alla sconfitta dei loro eserciti in Rus­ sia, egli aveva lanciato un ammonimento contro i presuppo­ sti su cui era basata la nota di Cherwell e di conseguenza con­ tro la politica in cui procedeva il Comando dei bombardieri. Vale la pena di riportare per intero l’ultimo paragrafo del suo memorandum:

Io quindi concludo, - egli scriveva: - a) Che una politica di bombardamento globale delle città tedesche, allo scopo di di­ struggere abitazioni non può avere un effetto decisivo alla me­ tà del 1943, anche se tutti i bombardieri pesanti e la gran mag­ gioranza di Wellington prodotti fossero usati in primo luogo a questo scopo, b) Che una tale politica può avere un effetto decisivo solo se effettuata su scala molto più vasta di quella considerata [nella nota di Cherwell] ’. ... Tuttavia, come fece notare anche il primo ministro, « ci deve essere un piano e un tema per portare la guerra a una fine vittoriosa in un periodo ragionevole. Tanto più è necessa­ rio quando in base alle condizioni moderne non è possibile lanciare un’offensiva su vasta scala senza la preparazione di un elaborato apparato tecnico ». La nota di Lord Cherwell, nono­ stante le sue « previsioni » abbondantemente e inevitabilmen­ te errate', non aveva fatto né più né meno che ammettere « un piano e un tema » per l’offensiva aerea, e Lord Cherwell esercitava sul primo ministro un’influenza ben più grande di Sir Henry Tizard. Lo stato maggiore dell’aeronautica, come si è dimostrato, aveva già immaginato questo tema verso la fine del 1941 e Lord Cherwell aveva aggiunto poco di nuovo. Ciononostante, a causa della posizione che occupava e del momento in cui in­ viò la nota, l’intervento di Lord Cherwell fu di grande impor• Memorandum di Tizard, 20 aprile 1942. Sir Henry Tizard mandò questa nota a Sir Archibald Sinclair e a Lord Cherwell. ' Vi erano, naturalmente, molti errori, alcuni meno inevitabili di altri, oltre a quelli notati da Sir Henry Tizard. Per esempio, Lord Cherwell ave­ va supposto che se una tonnellata di bombe sganciate su un’area costruita avrebbe privato di abitazione da 100 a 200 persone, quaranta tonnellate ne avrebbero private da 4000 a 8000. Ma questa non era una conseguenza necessaria.

108

SCIENZA E GOVERNO

tanza. Fece molto per rafforzare l’idea del bombardamento strategico nel suo momento di crisi

A questa superba relazione io avrei desiderato aggiun­ gere solo un commento. L’uso della parola «inevitabil­ mente » sembra, dal punto di vista semantico un po’ stra­ no. Naturalmente, come ho detto prima, tutti i giudizi scientifici non sono che congetture espresse da uomini in­ formati. Ma alcune si rivelano più vicine alla verità di altre. La discussione circa il giudizio scientifico è abbastanza chiara. Ma, strettamente connessa con questa, c’era anche una discussione circa il giudizio strategico. Certamente Blackett e, credo, Tizard (per quanto nel suo caso io deb­ ba basarmi su ricordi di conversazioni di quel periodo, il che non è una buona prova), avevano importanti obiezio­ ni strategiche alla politica di bombardamento nel com­ plesso. Essi avevano anche, e questo è documentato in­ controvertibilmente, una precisa obiezione strategica alla politica di bombardamento nel 1942-43. Essi, come lo stato maggiore della marina, credevano che gli aeroplani a grande autonomia dovessero venir usati contro i sotto­ marini, su vasta scala anche se non esclusivamente, nella battaglia dell’Atlantico. Se si perdeva questa battaglia, si perdeva la guerra. D’altra parte una vittoria contro i sotto­ marini nel 1942 avrebbe trasformato l’aspetto della guer­ ra. A Tizard e a Blackett una tale vittoria sembrava tec­ nicamente possibile perché bastava riservare un numero relativamente piccolo di bombardieri e di apparecchi ra­ dar - secondo la dottrina del bombardamento di Lindemann e dello stato maggiore dell’aeronautica - per bom­ bardamenti di massa. La storia ufficiale della guerra na­ vale dice: La decisione fondamentale che doveva prendere il Consi­ glio dei ministri era quindi se, tenendo presente la prevalente mancanza di aeroplani si poteva ottenere un equilibrio tra la politica degli Alleati, che era stata accettata, di bombardare l’Italia e la Germania il più pesantemente possibile e il biso­ 1 WEBSTER e FRANKLAND, Op. Cil., Vol. I, pp. 33I-36.

109

APPENDICE

gno urgente di migliorare la protezione dei nostri convogli. L’esigenza fondamentale era di calcolare esattamente l’effi­ cacia dei bombardamenti già fatti in Germania e la possibile efficacia in seguito. Lord Cherwell prevedeva che nel 1943 il bombardamento di aree costruite avrebbe privato di abitazio­ ne un terzo della popolazione tedesca e che questo avrebbe potuto essere decisivo... Al principio dell’estate la preoccupazione del ministero del­ la Marina crebbe. Gli affondamenti da parte dei sottomarini tedeschi erano molto numerosi, nel Mediterraneo « la situa­ zione era precaria », l’Estremo Oriente era « in istato di di­ sintegrazione » e la nostra capacità di tenere l’Oceano Indiano « era in pericolo ». « Le navi, da sole, - si diceva, - non erano in grado di mantenere il dominio del mare... una parte perma­ nente e sempre maggiore nel controllo delle comunicazioni marittime, dovevano sostenerla le forze aeree ». Si analizzò nuovamente ciò di cui si aveva bisogno e si arrivò alla conclu­ sione che mancavano 800 apparecchi. Ma il ministero dell’Ae­ ronautica riteneva ancora «che sperperare la potenza della Royal Air Force » per rafforzare il comando costiero sarebbe stato un errore strategico. Essi erano convinti che, dal momen­ to che il bombardamento della Germania diveniva sempre più importante, la minaccia alle comunicazioni navali doveva ne­ cessariamente diminuire. Riducendo la forza del nostro bom­ bardamento, avremmo soltanto rimandato il giorno in cui la curva ascendente della produzione alleata di navi mercantili avrebbe sorpassato le nostre perdite. A questo argomento la risposta dell’Ammiragliato fu che, a parte il grande valore del­ le navi perdute, ciascuno dei loro carichi era di enorme impor­ tanza per lo sforzo bellico della nazione; che esisteva un peri­ colo reale che la nostra produzione bellica e trasporti fossero rallentati o addirittura arrestati per l’impossibilità di impor­ tare le quantità essenziali di vettovaglie e di materie prime, che perdite su scala cosi vasta non potevano continuare senza che venisse a soffrirne il morale della marina mercantile; e in­ fine che, se non si provvedevano piu forti scorte aeree, la po­ tenza sempre crescente dei sottomarini tedeschi avrebbe so­ praffatto i difensori dei nostri convogli *.

* s. w. roskill, The War at Sea, 1939-194}, London 1954-61, vol. II, pp. 83-85.

H. M.

Stationery Office,

no

SCIENZA E GOVERNO

È a questo punto che Blackett riprende la storia: Dalle mie conversazioni con Lindemann in questo periodo [estate del 1942] mi resi conto di quel tratto del suo carattere che Snow mette cosi bene in evidenza: era la sua fiducia quasi fanatica in qualche operazione o trovata particolare, si da escludere quasi totalmente considerazioni più ampie. A lui il bombardamento sembrava allora l’unica operazione di tutta la guerra, e l’unica utile. Egli mi disse (sfortunatamente non ho testimonianze di questa conversazione, ma probabilmente egli disse le stesse cose anche ad altri) che considerava qual­ siasi programma diverso da questo - la produzione aerea e gli aiuti alla guerra contro i sottomarini, la cooperazione con l’e­ sercito e persino la difesa contro i caccia, insomma qualsiasi cosa tranne il bombardamento - un errore disastroso. Lindemann suggerì persino che la costituzione di forti eserciti ter­ restri per la progettata invasione della Francia sarebbe stato un errore. Non ho mai incontrato una fiducia cosi fanatica nell’efficacia dei bombardamenti. L’assoluta priorità data da allora in poi a tutto ciò che con­ cerneva l’offensiva aerea rese molto diffìcile procurarsi forze aeree adeguate per la vitale battaglia dell’Atlantico. Se questa fosse andata peggio, non ci sarebbe più stata nessuna offensiva aerea per mancanza di carburante e di bombe e nessuna inva­ sione della Francia nel 1944. Ricordo che, durante l’inverno del 1942 e 1943, l’Ammiragliato dovette ricorrere all’influen­ za personale del presidente Roosevelt per assicurarsi che una squadriglia di quegli ammirevoli aerei anti-sottomarini, i B-24, fosse assegnata al comando costiero (dove ebbe un brillante successo) e non fosse mandata, come voleva lo stato maggiore dell’aeronautica a bombardare Berlino, operazione per cui era­ no poco adatti. Comunque, alla Conferenza di Casablanca, nel gennaio del 1943, si adottò formalmente, come la parte più importante della strategia bellica britannica un’offensiva ae­ rea combinata angloamericana. Nessun settore dello sforzo bellico fu documentato cosi be­ ne come questa campagna, che aveva come obiettivo ufficiale « distruggere e sconvolgere l’apparato militare, industriale ed economico tedesco e minare il morale del popolo tedesco fino al punto in cui fosse fatalmente indebolita la sua capacità di resistenza armata ». Immediatamente dopo la guerra, la U. S. Strategie Bombing Survey fu inviata in Germania per esami­ nare quali erano stati i risultati. Un gruppo di persone molto in gamba (che includeva due uomini che sono ora consiglieri

III

APPENDICE

del presidente Kennedy, J. K. Galbraith e Paul Nitze) presen­ tò una relazione molto brillante che fu pubblicata nel settem­ bre del 1945. Senza alcun dubbio l’offensiva aerea costituì un fallimento pagato a caro prezzo. Circa 500 000 uomini, donne e bambini tedeschi erano stati uccisi, ma durante Tintera of­ fensiva 160 000 aviatori americani e inglesi, la migliore gio­ ventù di entrambi i paesi, avevano perso la vita. La produ­ zione bellica tedesca continuò ad aumentare incessantemente finché raggiunse il suo apice nell’agosto del 1944. In questo periodo gli alleati erano già a Parigi e gli eserciti russi si erano già ben addentrati in Polonia. Il morale dei civili tedeschi non aveva ceduto. Forse non è sorprendente che la relazione degli osservatori del bombardamento strategico sembri aver avuto una diffusio­ ne piuttosto limitata; si può trovarla in poche biblioteche e pare non sia stata direttamente consultata, neanche da alcuni storici della guerra. Se lo sforzo aereo degli Alleati fosse stato impiegato piu in­ telligentemente, se fossero stati forniti più aeroplani per la battaglia dell’Atlantico e per appoggiare i combattimenti ter­ restri in Africa e poi in Francia, se il bombardamento della Germania fosse stato eseguito allo scopo di logorare le difese nemiche più che di radere al suolo le città, io credo che la guer­ ra sarebbe stata vinta sei mesi o addirittura un anno prima. L’unica campagna importante della storia moderna, in cui la dottrina tradizionale del muover guerra contro le forze armate del nemico fu abbandonata per un attacco pianificato alla vita civile, si rivelò un errore disastroso. Lo confesso con un senti­ mento ossessivo di fallimento personale e sono sicuro che Ti­ zard ebbe le stesse reazioni. Se solo fossimo stati più persuasi­ vi e avessimo obbligato la gente a credere alla nostra semplice aritmetica, se avessimo combattuto con più abilità gli ambien­ ti ufficiali, e con piu vigore i ministri in carica, non avremmo forse potuto cambiare questa decisione? '.

Non ho nulla da aggiungere, tranne le cupe parole del­ lo storico della marina: Per quel che vale, il punto di vista di questo scrittore è che, all’inizio della primavera del 1943, evitammo per poco una sconfitta nell’Atlantico, e che, se avessimo riportato questa sconfitta, la storia avrebbe giudicato che la causa principale ne blackett,

«Scientific American», aprile 1961.

1X2

SCIENZA E GOVERNO

era stata la mancanza di due squadriglie in più di aerei a gran­ dissima autonomia adibiti a scortare i convogli *.

WzWoma

Ci fu una terza e ultima discussione durante la gxierra tra Lindemann e Tizard. Non ne sapevo ancora abbastan­ za per ricordarla nelle mie prime conferenze. L’argomen­ to non era dell’importanza degli altri due. La storia uffi­ ciale dell’offensiva aerea, comunque, tratta di questa con­ troversia in termini molto critici verso Lindemann. L’intero episodio (che la storia ufficiale non dà) mostra come Lindemann meritasse credito in un primo periodo, sebbene nel momento decisivo il suo giudizio scientifico delle operazioni militari fosse ancora una volta errato. Già nel 1937 era stato suggerito che si poteva interfe­ rire nei sistemi difensivi del radar con la semplicissima trovata di lasciare cadere dagli aerei strisce di carta rive­ stite di metallo. Lindemann aveva avuto quest’idea da R. V. Jones2 e nel 1942 diede a un altro dei suoi amici, Derek Jackson, la facoltà di farne esperimenti pratici3. Cosic­ ché egli fu il responsabile dell’inizio di una trovata vera­ mente preziosa. È a questo punto che la storia ufficiale ri­ prende il racconto: Gli esperimenti avevano dimostrato che la caduta di strisce di carta metallizzate in quantità produceva una reazione sugli schermi radar, producendo mutamenti su certe frequenze e im­ pedendo che si facessero su di esse misurazioni accurate. Que­ ste strisce metallizzate, che successivamente furono conosciu­ te con il nome di Window, avevano il grande vantaggio di es­ sere economiche, facili e veloci da produrre e sembrava che la loro immediata introduzione avrebbe conferito al comando dei bombardieri un vantaggio importante nella battaglia aerea che iniziava allora. Per queste ragioni lo stato maggiore dell’avia­ zione suggerì nell’aprile del 1942 che l’uso di Window fosse subito autorizzato e i capi di stato maggiore furono facilmente d’accordo... Fu a questo punto, tuttavia, che intervenne Lord Cherwell * ROSKILL, op. cit., voi. II, p. 371. 2 BIRKENHEAD, Op. cit., p. 210. 3 lbid., pp. 232 sgg.

APPENDICE

II3

con il giusto suggerimento che Window avrebbe anche potuto ostacolare l’intercettamento a mezzo radar di caccia notturni e, dopo una riunione che egli tenne con Sir Archibald Sinclair e Sir Arthur Harris al principio del maggio 1942, si decise di rinviare l’introduzione di Window finché non fossero esami­ nate queste possibilità. Cosi, in un momento in cui l’offensiva del comando dei bombardieri stava rapidamente guadagnando importanza, mal­ grado le pesanti e sempre crescenti perdite, e in un momento in cui l’offensiva aerea tedesca stava diminuendo fino a propor­ zioni trascurabili, un’arma decisiva, che avrebbe favorito i bombardieri e indebolito le difese, era messa da parte ancora per più d’un anno. Fu solo la notte del 24 luglio 1943 che il comando dei bombardieri fu in grado di usare il Window per la prima volta e il successo sensazionale che ottenne nella fa­ mosa battaglia di Amburgo costituì veramente una grave con­ danna delle numerose decisioni di rinviarne l’introduzione ’.

E la narrazione continua nel secondo volume della sto­ ria ufficiale: Cosi, una delle principali ragioni per ritirare il Window, cioè il pericolo di rivelarlo al nemico, fu seriamente controbat­ tuta fin dall’inizio e pare fosse completamente annullata verso la fine dell’ottobre 1942, quando una relazione del servizio se­ greto della scienza aeronautica indicò come « certo » che i te­ deschi avevano capito perfettamente il principio su cui si ba­ sava il Window. La considerazione che il segreto era ormai scoperto sem­ brò, dal punto di vista di Henry Tizard, rafforzare la proposta di una immediata introduzione del Window, ma c’erano altri che continuavano a mantenere un’opinione diversa... Questo atteggiamento e l’assenza di Tizard a una riunione del mini­ stero dell’Aviazione il 4 novembre 1942 lasciò campo libero a coloro che si preoccupavano dei pericoli e non dei vantaggi del Window, la cui introduzione fu, di conseguenza, ulteriormen­ te ritardata. Verso la fine del marzo 1943, quando era già cominciata la battaglia della Ruhr, le argomentazioni contro il Window sta­ vano evidentemente crollando. Il fatto ovvio che la forza dei bombardieri tedeschi era un fattore quasi trascurabile, e che la forza dei caccia era invece d’importanza sempre più decisi­ 1 WEBSTER e FRANKLAND, Op. cit., vol. I, pp. 400-I.

114

SCIENZA E GOVERNO

va, cominciava ad avere qualche influenza sulla discussione. Infatti appariva ormai chiaro che le perdite inflitte da azioni nemiche al comando dei bombardieri si dovevano per almeno il 70 per cento all’azione notturna di caccia tedeschi. Quasi la metà di queste perdite, si calcolò, erano da attribuirsi a caccia con controllo radar che avrebbero potuto effettivamente esse­ re messi fuori combattimento mediante l’uso del Window. Del rimanente 30 per cento delle perdite che si attribuivano all’an­ tiaerea, si pensava che due terzi si dovevano a mitragliatrici con controllo radar che, allo stesso modo, potevano venire messe fuori uso dal Window. Cosi sembrava probabile allo stato maggiore che l’introduzione del Window avrebbe salvato dalla distruzione non meno del 35 per cento degli aerei che venivano allora colpiti da azioni nemiche. Questo ammontava all’1,7 per cento del totale delle sortite del comando dei bom­ bardieri. Naturalmente vi erano degli errori sorprendenti in questa ottimistica argomentazione: si dava per certo, ad esempio, che la messa fuori uso del radar avrebbe portato all’assoluta inuti­ lità dei caccia notturni forniti di G.C.I. e A.I. e delle mitra­ gliatrici antiaeree con controllo radar. Tuttavia gli argomenti in favore dell’introduzione del Window sembravano sover­ chiami, soprattutto in considerazione della grande debolezza delle forze da bombardamento che rimanevano alla Germania per fare ritorsioni. Neanche questa fu la fine di una storia già triste. I capi di stato maggiore ora decisero che si doveva ancora rimandare il Window fino a dopo la progettata invasione della Sicilia. Ver­ so la metà del giugno 1943, comunque, persino Lord Cherwell cominciava ad ammettere che « si avvicinava rapidamente il momento in cui si sarebbe dovuto permettere di usarlo [Win­ dow] ». Ma anche cosi egli consigliò il primo ministro di fare in modo che l’introduzione del Window non dovesse mettere in pericolo i piani degli Alleati nel Mediterraneo. Frattanto le perdite di bombardieri britannici, nell’offensiva aerea strate­ gica, ammontavano a 858 aerei. Le perdite di bombardieri te­ deschi allo stesso momento erano, sembrava, di 27. Sir Char­ les Portai giudicò che se il Window fosse stato usato in questi mesi, il comando dei bombardieri avrebbe potuto salvare 230 apparecchi con l’equipaggio, e i tedeschi ne avrebbero salva­ ti 16 '. ' WEBSTER e FRANKLAND, Op. cil., vol. Il, pp. 142-45.

APPENDICE

II5

VII.

Lord Birkenhead dice che, durante la guerra, Linde­ mann ebbe « un potere più grande di quello di qualsiasi altro scienziato nella storia » ’. Questo è assolutamente vero. È proprio per questa ragione che deve essere esami­ nata la storia delle sue prese di posizione se vogliamo trarne degli insegnamenti che sono necessari a noi tutti. Ci sono due lezioni principali. Non voglio attardarmi sul­ la prima. Sprecare energia non piace a nessuno, ma non voglio neanche che rimangano tracce di ambiguità. La pri­ ma lezione non ha nulla a che vedere con il grado di sim­ patia di un uomo come Lindemann, né con la sua abilità di scienziato. Ha invece a che fare, inevitabilmente, col suo giudizio scientifico nel senso che ho definito a p. 82, cioè giudizio scientifico applicato a questioni pratiche, in particolare a operazioni militari. Questo tipo di giudizio scientifico non è una cosa che si debba lasciare per sempre a valutazioni soggettive. Fino a un certo grado può essere verificato. Si può confrontare quello che un uomo rac­ comandò e predisse a ciò che effettivamente avvenne. I suoi suggerimenti e decisioni sono rimasti scritti e di so­ lito possiamo vedere cosa ne è derivato. La storia della tecnica, anche nella confusione della guerra, è più precisa e spietata di ogni altro tipo di storia. Da questi elementi risulta che il giudizio scientifico di Lindemann è stato ec­ cezionalmente cattivo. La frase « eccezionalmente cattivo » non è vaga e non vuol dire che noi si pensi a una ideale sicurezza di giudi­ zio che gli esseri umani non raggiungono mai. Vuol dire che, in confronto a numerosi altri scienziati sia negli Sta­ ti Uniti che in Inghilterra, che dettero giudizi sugli stessi argomenti nello stesso periodo, il livello di Lindemann è molto basso. In confronto, mettiamo, con Vannevar Bush, Conant, A. H. Compton, Lawrence, Fermi, Tizard, E. J. Williams, Cockcroft, Bullard, Blackett - per ricordare so­ lo alcuni dei nomi più ovvi - non c’è possibilità di discusBIRKENHEAD, Op. dt., p. 220.’

Il6

SCIENZA E GOVERNO

sione su chi commise più errori, sia positivi che negativi. Sarebbe un esercizio costruttivo e assolutamente possibi­ le ora che molti dei documenti sono disponibili, fare una lista delle decisioni in cui questi uomini si trovarono coin­ volti, e annotare i loro giudizi scientifici del momento. Nessuno di loro, penso, risulterebbe aver avuto ragione al cento per cento; ma una buona parte giudicò bene un numero notevole di volte. Lindemann fece molto peggio. Egli era implicato in tre importanti giudizi scientifici (la difesa aerea della Gran Bretagna, il bombardamento strategico e l’energia atomi­ ca). Abbiamo visto i suoi risultati circa i primi due. Del terzo si parlerà quando ne sarà pubblicata la storia. Inter­ venne anche in un buon numero di giudizi di minore im­ portanza. Mi limiterò a pochi esempi. Nella controversia del 1944 tra la continuazione del bombardamento di mas­ sa e la politica di Tedder-Zuckerman di bombardare le comunicazioni, egli fu dalla parte sbagliata. In uno o due casi, come quello del Window e del radar centimetrico, il suo giudizio iniziale fu corretto e poi danneggiò la sua reputazione errando completamente nel giudizio militare circa il loro impiego pratico. In altri interventi, i cui do­ cumenti devono stare ancora nascosti negli uffici gover­ nativi, specialmente al ministero dei Rifornimenti, si sba­ gliò completamente. Ci piacerebbe vedere, ad esempio, i documenti sul disegno dei carri armati. Ci si è chiesto spesso, con genuino stupore, perché il suo giudizio fosse cosi cattivo. Dopotutto, egli era un uomo eccezionalmente intelligente. La sua preparazione scientifica era vasta e abbastanza profonda, per le cose che si metteva a fare. Una spiegazione ovvia è che volle tare troppe cose. Aveva più possibilità di intervenire di qualsiasi altro scienziato al mondo, e ne approfittò. Già questo, di per sé, dimostrava un difetto di giudizio. Ma io credo che il vero difetto stesse più nel fondo. Egli credeva, come ogni uomo del suo tempo, di poter risolvere qualsiasi problema con un proprio ragionamen­ to aprioristico. Questa è Pillusione più comune a uomini intelligenti con cattiva facoltà di giudizio. Per qualsiasi giudizio ragionevole, un uomo deve sapere quando basar-

APPENDICE

HZ

si sugli altri e quando pensare da sé, solo e senza influen­ ze. È esattamente questo equilibrio che forma quello che chiamiamo giudizio. E senza questo equilibrio il più intel­ ligente degli uomini farà le previsioni più sbagliate. Vili.

La prima lezione importante, dunque, è banale. Se ci sarà uno scienziato in posizione di potere isolato, il solo scienziato tra non-scienziati, è pericoloso se ha un giudi­ zio sbagliato. Questa è una lezione che colpisce immediatamente. Ma c’è una seconda lezione importante che non è cosi eviden­ te come la prima, ma su cui molti di noi si sentono obbli­ gati a insistere. Se ci sarà uno scienziato in posizione di potere isolato, il solo scienziato tra non-scienziati, è peri­ coloso «chiunque egli sia». Questa è la lezione che si impresse indelebile in molte persone durante le contro­ versie del 1939-45: chiunque egli sia, fosse pure lo scien­ ziato più saggio del mondo, non si dovrà mai piu tollerare che vi sia uno scienziato con poteri supremi. In quello che ho scritto, ho fatto esempi di scienziati il cui giudizio era molto buono. Ma persino un Vannevar Bush, in posi­ zione dominante isolata tra non-scienziati, porta con sé un pericolo potenziale troppo grave per correrne il rischio. Tra l’altro Bush sarebbe stato il primo ad ammetterlo. Se dovessi scrivere di nuovo le mie conferenze, mette­ rei ancora più in evidenza la lezione di quanto abbia fatto allora. È lezione negativa fondamentale di quello che sto cercando di dire. Gli insegnamenti positivi rimangono quali li scrissi, o, perlomeno, non ho nulla di costruttivo da aggiungere. Ma quelli negativi, nelle nostre attuali am­ ministrazioni non scientifiche, devono essere scritti in let­ tere maiuscole cubitali. Voglio finire con un chiaro esempio ricavato dalla sto­ ria ufficiale del bombardamento strategico1. Nell’autun­ no del 1942 l’Ammiragliato era ancora seriamente preoc4 WEBSTER e FRANKLAND, Op. tit., Voi. I, p. 37I.

118

SCIENZA E GOVERNO

cupato circa l’uso dei bombardieri. Il 30 ottobre il pri­ mo Lord dell’Ammiragliato propose che « ci fosse un’a­ nalisi scientifica obiettiva degli effetti dell’offensiva di bombardamenti » e che quest’analisi venisse effettuata da « un comitato composto da Lord Cherwell (Lindemann), Sir Henry Tizard, il professor Bernal, il dottor Cuningham, Sir Charles Darwin e il professor Blackett ». Il capo dello stato maggiore dell’aeronautica reagì di­ cendo, in una nota senza data, che se si voleva un ulterio­ re consiglio scientifico « si poteva chiederlo a Lord Cher­ well e riceverne un’opinione autorevole». Queste sono parole terrificanti. Non terrificanti per­ ché Lindemann era Lindemann, per quanto questo ag­ giunga uno spavento in più. Ma sarebbero ugualmente terrificanti se, al posto di Lord Cherwell, come autore di un’opinione autorevole, si leggesse Bush o Compton o Tizard o qualsiasi altro scienziato il cui giudizio si sia ri­ velato insolitamente buono. Poiché la cosa terrificante non è da chi venga questa opinione autorevole, ma che non-scienziati intelligenti, in posizioni eminenti credesse­ ro che la si poteva dare. Questo è il pericolo di avere un solo scienziato in posizione di potere tra non-scienziati. Qualsiasi cosa facciamo, questo non deve più succedere.

Rutherford e il Cavendish

Titolo originale Rutherford and The Cavendish, in The Baldwing Age a cura di John Raymond © i960 Eyre and Spottiswood Ltd

Nel 1923 al raduno dell’Associazione britannica per il progresso della scienza, a Liverpool, Lord Rutherford di­ chiarò, alzando al massimo la sua voce tonante: « Noi vi­ viamo nell’età eroica della fisica ». Proclamò la stessa co­ sa, incessantemente e a gran voce, fino al giorno della sua morte, quattordici anni più tardi. Il fatto curioso è che tutto quello che diceva era asso­ lutamente vero. Non vi era mai stato un periodo simile. Il 1932 fu l’anno più spettacolare nella storia della scien­ za. Vivendo a Cambridge, non si poteva fare a meno di partecipare all’eccitazione umana insieme e intellettuale, che si sentiva nell’aria. Sir James Chadwick, con la faccia terrea dopo due settimane di lavoro con tre ore di sonno per notte, raccontava al Kapitza Club come aveva scoper­ to il neutrone; P. M. S. Blackett, l’uomo più bello di tut­ ti, ma non autorevole come al solito perché la cosa sem­ brava troppo bella per esser vera, mostrava lastre che di­ mostravano l’esistenza dell’elettrone positivo; Sir John Cockcroft, che normalmente era portato a ostentare le sue emozioni quasi come il duca di Wellington, si preci­ pitava per King’s Parade dicendo a tutti coloro che rico­ nosceva: «Abbiamo scisso l’atomo! Abbiamo scisso l’a­ tomo! » Tutto questo significava un clima intellettuale di un ge­ nere diverso da qualsiasi altra cosa nell’Inghilterra di quel tempo. Il tono della scienza era il tono di Rutherford: magniloquente e vanaglorioso - vanaglorioso perché si stavano facendo le scoperte più importanti - costruttiva­ mente fiducioso, generoso, prodigo, polemico e pieno di speranze. Un tono che differiva da quello dell’Inghilterra letteraria come la personalità di Rutherford differiva da quella di T. S. Eliot o F. R. Leavis. Durante gli anni venti

122

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

e trenta, Cambridge fu per il mondo intero la metropoli della fisica. Neanche alla fine dell’Ottocento, quando era­ no professori Clerk Maxwell e J. J. Thomson, era mai stata cosi: «Siete sempre sulla cresta dell’onda», disse qualcuno a Rutherford. « Ebbene, — Rutherford rispose, — dopotutto sono io che ho fatto l’onda, no? » Io ricordo di averlo visto numerose volte prima di avergli parlato. Lavoravo allora al limite della fisica e cosi non ero capitato direttamente sotto di lui. Sapevo già di voler scrivere romanzi, e che questa sarebbe stata la mia fine: ciò mi provocava una sorta di atteggiamento ambi­ valente verso il mondo scientifico, ma anche cosi non po­ tevo evitare un senso di agitazione o di accresciuto inte­ resse ogniqualvolta vedevo Rutherford camminare per Free School Lane. Era un uomo grosso, piuttosto goffo, con una notevole rotondità a partire dal centro del torace. Sarei propenso a credere che fosse meno muscoloso di quel che appariva a prima vista. Aveva grandi occhi azzurri spalancati e il lab­ bro inferiore penduto e umido. Non sembrava affatto un intellettuale. Le persone dedite ad attività creative del suo tipo non lo sembrano mai, è vero ma, tutte le chiac­ chiere sul fatto che Rutherford avesse l’aspetto di un con­ tadino non erano che sciocchezze di gente priva di intui­ to. Il suo volto e il suo fisico erano esattamente del tipo che spesso si accompagna a un grande carattere e a grandi doti. Avrebbe potuto essere il tipo fisico di un grande scrittore. Quando parlava ai suoi compagni, per strada, la sua voce era tre volte più forte di quella degli altri e il suo accento era strano. In effetti veniva da una famiglia poverissima: suo padre, figlio di uno scozzese emigrato in Nuova Zelanda, faceva lavori saltuari. Ma non c’era nulla di neozelandese o di scozzese nell’accento di Rutherford; sembrava più una mescolanza di dialetto occidentale e di Cockney.

Forse potrei essere scusato se non l’osservai attenta­ mente durante il mio primo vero incontro con lui. Si era all’inizio del 1930: io non ero stato ancora eletto mem­ bro del mio college e cosi avevo concorso per la borsa di studio Stokes a Pembroke. Un sabato pomeriggio fui con-

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

123

vocato per una intervista. Quando arrivai a Pembroke, trovai che la breve lista conteneva solo due nomi: Philip Dee e io. Dee fu chiamato per primo; mentre veniva esa­ minato, io pensavo senza alcuna gioia che egli era uno dei giovani più brillanti di Rutherford. Poi venne il mio turno. Quando entrai, la prima perso­ na che vidi, seduto alla destra del direttore, era Ruther­ ford in persona. Mentre il direttore m’interrogava sulla mia carriera, Rutherford tirava dalla sua pipa, senza mo­ strare un eccessivo interesse per quel che succedeva. Il direttore fini le sue domande e disse: « Professor Ruther­ ford? » Rutherford si tolse la pipa di bocca e volse verso di me un occhio azzurro, freddo e annoiato. Era un uomo estre­ mamente spontaneo, quando era annoiato lo faceva vede­ re: quel pomeriggio era chiaramente annoiato. Non c’era forse il suo uomo, un uomo per di più molto in gamba, candidato a questo posto? Cosa faceva li quell’altro tipo? Perché stavamo tutti perdendo il nostro tempo? Mi fece una o due domande indifferenti, con voce irri­ tata e impaziente. Qual era il mio lavoro attuale? Cosa poteva dirci lo spettroscopio comunque? Non si trattava solo di « mettere cose dentro scatole »? Io pensavo che ciò fosse un po’ approssimativo. Forse mi resi conto che non avevo niente da perdere. Comun­ que, più allegramente che potei, gli chiesi se non poteva rassegnarsi che qualcuno di noi non facesse fisica nuclea­ re. Continuai, facendo le mie ragioni in difesa del mio ar­ gomento. Quella sera portarono un biglietto a casa mia. Il posto era stato dato a Dee. La commissione desiderava dire che entrambi i candidati avrebbero potuto essere scelti a buon diritto. Suonava un po’ troppo cortese e mi sentii depres­ so. Ma mi rallegrai uno o due giorni dopo quando seppi che Rutherford andava strombazzando che io ero un gio­ vane intelligente. Pochi mesi dopo mi appoggiò per un’al­ tra borsa di studio. Incidentalmente, Dee era uno scien­ ziato di gran lunga migliore di quel che io fossi o che avrei potuto essere e né Rutherford né nessun altro era stato ingiusto.

124

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

Da quella volta, fino a quando mori, ebbi qualche occa­ sione di osservare Rutherford da vicino. Parecchi dei miei amici lo conoscevano intimamente, mentre io no. È un vero peccato che Tizard non abbia scritto su di lui per esteso. Ma io appartenevo a un dining club che egli fre­ quentava e penso che lui ed io assieme abbiamo fatto non più di tre volte una conversazione seria. La difficoltà consiste nel separare gli aspetti più intimi dell’uomo dal folklore rutherfordiano, di cui molto è ve­ ramente genuino. Un mio amico e io una volta, a Cam­ bridge, udimmo da dietro il paravento di un sarto riecheg­ giare una voce: « Questa camicia è troppo stretta di col­ lo. Ogni giorno cresco di circonferenza. E di intelligen­ za ». E tuttavia la sua complessione fisica era più nervosa di quel che sembrava. Allo stesso modo, il suo tempera­ mento che sembrava semplice in maniera esuberante, pos­ sente, massiccia, pronto a rallegrarsi con soddisfazione in­ fantile della creazione e della fama, non era affatto cosi semplice. La sua personalità era su scala johnsoniana. Co­ me in Johnson, la facciata era autoritaria e intatta. Ma al­ l’interno c’erano delle fessure. Nessuno avrebbe potuto rallegrarsi di più del suo la­ voro creativo o degli onori che gli procurava. Lavorava so­ do, ma con enorme gusto; gli davano piacere non solo i grandi momenti, ma anche le ore che per altri sarebbero state di lavoro faticoso e ingrato, seduto al buio a conta­ re le scintille di particelle alfa sullo schermo. La sua capa­ cità di osservazione era diretta, il suo intuito, a parte una singolare eccezione, infallibile. Nessuno scienziato ha fat­ to meno sbagli. Nel corpus delle sue opere pubblicate, uno dei più vasti nella storia della scienza, non c’era nulla ch’egli abbia dovuto correggere più tardi. A trent’anni, aveva già messo in moto la scienza della fisica nucleare: lui da solo, professore da 800 sterline l’anno, nell’isola­ mento della tardo-vittoriana Montreal. A quarant’anni, ora a Manchester, aveva scoperto la struttura dell’atomo, da cui dipende tutta la fisica nucleare moderna. Ciò non era avvenuto senza rumore, ma con rabbia e burrasche; e anche con profusione di energia creativa, con liberalità e generosità, come se la ricerca fosse l’occupa-

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

I25

zione più facile e naturale al mondo. Aveva una profonda simpatia per le arti creative, specialmente per la lettera­ tura, e leggeva più romanzi di quanto la maggior parte dei letterati riesca a fare. Non aveva bisogno di critici di al­ cun genere; provava sospetto e antipatia per quelle per­ sone che circondano la ricerca scientifica o qualsiasi altro ramo creativo di un’aura di difficoltà e che usano lunghe parole metodologiche per spiegare cose che egli faceva perfettamente per istinto. «Quella gente», usava chia­ marli. « Quella gente » erano i logici, i critici, i metafisici. Erano intelligenti, erano di solito più lucidi di lui: discu­ tendo con loro, spesso si sentiva in una situazione d’infe­ riorità. Eppure essi non producevano mai un lavoro serio, mentre lui era il più grande scienziato sperimentale del­ l’epoca. Ho sentito dire di lui cose ancora più grandi. Ricordo in particolare una discussione, alcuni anni dopo la sua morte, fatta da una mezza dozzina di uomini che avevano tutti una fama internazionale in campo scientifico. Era Rutherford il più grande scienziato sperimentale dopo Mi­ chael Faraday? Senza dubbio. Più grande di Faraday? Quasi certamente si. E allora - e questo è interessante perché dimostra l’anonima natura tolstoiana della scien­ za organizzata — quanti anni di differenza ci sarebbero stati se non fosse mai vissuto? Quanto più tempo ci sa­ rebbe voluto prima che il nucleo fosse capito come lo capiamo oggi? Forse dieci anni. Più probabilmente solo cinque. L’intelletto di Rutherford era cosi possente che, alla lunga, avrebbe accettato questo giudizio. Ma non gli sa­ rebbe piaciuto. Il concetto ch’egli aveva delle proprie ca­ pacità era realistico, ma se sbagliava, non sbagliava nel senso della modestia. Una volta lo sentii affermare davan­ ti a un vasto pubblico: «Non c’è posto per questa particella nell’atomo come l’ho disegnato io ». Faceva parte del­ la sua natura che, per quanto stupendo fosse il suo lavoro, egli dovesse considerarlo almeno un dieci per cento in più. Era anche parte della sua natura che, senza assolu­ tamente recitare, egli si comportasse continuamente come se fosse di un dieci per cento più grande della realtà. Sue-

I2Ó

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

cesso mondano? Ne amava ogni minuto: adulazioni, tito­ li, la compagnia del gran mondo ufficiale. Disse in un di­ scorso: « Ero li in piedi nel salotto del Trinity quando en­ tra un prete. Gli dico: “Sono Lord Rutherford”. E lui: “Sono l’arcivescovo di York”. Suppongo che nessuno dei due credesse all’altro». Era un grand’uomo, un uomo grandissimo sotto qual­ siasi punto di vista si possa considerarlo. Era intelligente e dotato di potere creativo, magnanimo (entro i limiti del­ la natura umana) e cordiale. Era anche superbamente e magnificamente vanitoso e nello stesso tempo saggio, una combinazione più comune di quel che si pensa quando si è giovani. Si godette una vita di mirabolante successo: in complesso si godette la propria personalità. Ma io sono si­ curo che anche negli anni tardi della sua vita egli provò fitte di penosa incertezza. Alle radici di questa natura cosi generosa e creativa c’e­ ra una fibra timida e dolorante. Per scoprirlo basta legge­ re le sue lettere giovanili. Ci sono dei passi nei quali du­ bita di se stesso che non si possono spiegare completamen­ te con le mortificazioni patite nella fanciullezza e nella gioventù trascorse in colonia. In segreto era incerto, in modo anormale per un uomo con le sue doti. Egli man­ tenne questo segreto mentre la sua personalità si svilup­ pava, e lo nascose. Ma dietro tutto questo c’era una mi­ steriosa diffidenza. Odiava il solo sospetto di venir com­ patito, anche quando era già una celebrità mondiale. Una volta l’arcivescovo Lang commise l’indelicatezza d’insi­ nuare che probabilmente uno scienziato famoso non ave­ va tempo per leggere. Immediatamente Rutherford si re­ se conto di venir considerato uno zoticone ignorante. Scio­ rinò un formidabile elenco delle sue letture del mese pre­ cedente. E poi, un po’ ingenuamente, un po’ con cattive­ ria: « E cosa riesce a leggere Vostra Eminenza? » « Temo, - disse l’arcivescovo, piuttosto imbarazzato, — che un uo­ mo nella mia posizione, in realtà non abbia il tempo... » « Ah! Si, Vostra Eminenza, — disse Rutherford trionfan­ te, - dev’essere una vita da cani. Una vita da cani! » Una volta ebbi occasione di notare di persona questa diffidenza. Nell’autunno del 1934 pubblicai il mio primo

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

127

romanzo, intitolato The Search, che aveva per sfondo Γambiente della scienza. Non molto dopo che il libro usci incontrai Rutherford sulla King’s Parade. « Cosa ci avete fatto, giovanotto? », mi chiese rumorosamente. Io iniziai a descrivere il romanzo, ma non era necessario: mi disse che l’aveva già letto attentamente. M’invitò poi, o meglio mi ordinò di fare una passeggiata con lui attorno ai Backs. Come la maggior parte dei miei amici scienziati, egli fu benevolo con il mio libro, il quale conteneva alcune de­ scrizioni di esperimenti scientifici, probabilmente abba­ stanza vicine al vero. Lodò il libro e io ne fui soddisfatto. Era un pomeriggio assolato d’ottobre. Improvvisamente disse: « Non mi sono piaciute le parti erotiche. Penso che sia perché apparteniamo a generazioni diverse ». Io pensavo che il libro fosse abbastanza pudico e non seppi cosa rispondere. Con assoluta serietà e semplicità, mi dette un altro sug­ gerimento. Sperava che io non avessi l’intenzione di scri­ vere tutti i miei romanzi sugli scienziati. Lo assicurai di no: certamente no almeno per lungo tempo. Egli assenti. Sembrava più amabile del solito, e pensie­ roso: «È un mondo piccolo, sa», fece. Intendeva dire il mondo della scienza. « Se ne tenga alla larga, per quanto può. La gente è obbligata a pensare che lei ce l’abbia con qualcuno di noi. E penso che tutti noi abbiamo qualcosa che non vogliamo far vedere a nessuno ». Ho accennato come la sua profetica intuizione si fosse sbagliata solo una volta. Di solito aveva completamente ragione sia riguardo alle applicazioni pratiche della scien­ za sia riguardo al nucleo. Ma il suo unico errore sembra ora un’ironia. Nel 1933 egli disse in un altro discorso al­ l’Associazione britannica: « Queste trasformazioni dell’a­ tomo sono di straordinario interesse per gli scienziati, ma non possiamo controllare l’energia atomica in misura che sia di qualche valore commerciale e ritengo improbabile che mai si riuscirà a farlo. Si sono dette un mucchio di sciocchezze sulle trasformazioni. Il nostro interesse per la questione è puramente scientifico ». Questa affermazione, fatta solo nove anni avanti che la prima pila funzionasse, non intendeva essere né ottimisti-

128

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

ca né pessimistica. Era solo una previsione e risultò sba­ gliata. A parte questo giudizio, le persone al di fuori del mon­ do scientifico avvertivano spesso che Rutherford e quelli come lui erano ottimisti: ottimisti in senso esattamente contrario alla corrente letterario-intellettuale del secolo XX, ottimisti in modo sfacciato e offensivo. Questa sensa­ zione non era del tutto ingiustificata, ma la differenza tra gli scienziati e i non-scienziati era ancora più sottile. Quan­ do gli scienziati parlavano della condizione umana indivi­ duale, non ne trattavano certo con più fiducia del resto di noi. Si può veramente pensare che Bertrand Russell, G. H. Hardy, Rutherford, Blackett e gli altri fossero pervasi dalla gioia quando affrontavano la loro condizione indivi­ duale? Pochissimi tra loro avevano la consolazione della religione: essi erano convinti, con la stessa sicurezza con cui credevano nell’atomo di Rutherford, che dopo la soli­ tudine di questa vita mortale, erano destinati all’annienta­ mento. Intellettualmente, avevano una comprensione as­ soluta, non alleviata da nulla, della tragica condizione del­ l’uomo singolo. Tuttavia è vero che tra i vari tipi di persone in mezzo a cui ho vissuto, gli scienziati erano di gran lunga i più felici. In qualche modo gli scienziati si tenevano a galla in momenti in cui gli altri intellettuali non potevano evi­ tare la disperazione. Le ragioni di ciò sono complesse. In parte la natura dell’attività scientifica, il successo comple­ to nel proprio campo, è di per sé una fonte di felicità; in parte le persone dedite alla ricerca scientifica tendono ad essere più felici per temperamento di altre persone intel­ ligenti. A causa della loro vocazione e anche a causa del loro carattere, gli scienziati non pensavano costantemen­ te alla condizione umana individuale. Dal momento che non potevano cambiarla, non se ne occupavano. Quando pensavano all’uomo, pensavano soprattutto a ciò che si poteva mutare, non a ciò che non si poteva. Cosi dedica­ vano la loro intelligenza non alla condizione individuale, ma a quella sociale. Insomma, la scienza stessa era la massima e unica forza atta a recare un cambiamento. Gli scienziati erano essi

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

129

stessi parte della più profonda rivoluzione nelle cose uma­ ne dalla scoperta dell’agricoltura in poi. Essi potevano ac­ cettare quel che succedeva mentre gli altri intellettuali indietreggiavano. Essi non solo l’accettavano, ma ne go­ devano. Era difficile trovare uno scienziato che non cre­ desse che la rivoluzione scientifico-tecnico-industriale, che avanzava rapidamente sotto i suoi occhi, non stesse fa­ cendo incomparabilmente più bene che male. Questo era il caratteristico ottimismo degli scienziati negli anni venti e trenta. E lo è ancora. In certo modo era un ottimismo troppo facile, ma l’atteggiamento opposto degli intellettuali non scientifici era un troppo facile pes­ simismo. Tra Rutherford e Blackett da una parte e, ad esempio, Wyndham Lewis e Ezra Pound dall’altra, chi stava dalla parte dei propri simili? Le sole persone che potrebbero avere dei dubbi sulla risposta sono i nemici della razza umana. Cosi, nel mondo scientifico di Rutherford, le convenien­ ze liberali erano date per scontate. Era questa una società stranamente libera da pregiudizi di classe, nazionali o raz­ ziali. Rutherford si diceva alternativamente conservatore o apolitico, ma gli uomini che voleva al lavoro erano quel­ li che sapevano la fisica. Niels Bohr, Otto Hahn, Georg von Hevesy, Hans Geiger erano uomini e fratelli, fossero essi ebrei, tedeschi o ungheresi; uomini e fratelli che pre­ feriva aver vicini assai più che l’arcivescovo di Canterbu­ ry o qualcuno di « quella gente » o qualsiasi maledetto fi­ losofo inglese. Fu Rutherford, dopo il 1933, a prendere l’iniziativa di aprire la carriera accademica inglese ai pro­ fughi ebrei. In effetti, la società scientifica era assolutamente aperta, come non lo sarà forse più per molti anni. C’era un continuo andirivieni fra i laboratori di tutto il mondo, Russia inclusa. Peter Kapitza, l’allievo preferito di Rutherford, riuscì a mantenersi nelle grazie delle auto­ rità sovietiche e a essere nello stesso tempo una stella del Cavendish. Con il tocco del genio e del buffone russo ispi­ rato egli riuscì a barcamenarsi per quindici anni, finché in uno dei suoi viaggi in Russia durante le vacanze, i padro­ ni sovietici dolcemente gli dissero che ora lo volevano a orario completo. 5

I30

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

Kapitza adulava Rutherford vergognosamente, cosa che a Rutherford piaceva moltissimo. Kapitza era impudente come Peter Lebedev: era molto audace e aveva un grande intuito scientifico. Chiese una volta a un mio amico se uno straniero poteva diventare pari d’Inghilterra; noi avevamo forti sospetti che il suo ideale di carriera fosse di sedere contemporaneamente all’Accademia sovietica delle scienze e alla Camera dei Lord come successore di Rutherford. Kapitza oscillava tra Cambridge e Leningrado. E tra Cambridge e Copenaghen c’era un flusso di viaggiatori, tutti i fisici nucleari del mondo. Copenaghen era diventa­ ta la seconda metropoli scientifica a causa dell’influenza personale di un solo uomo, Niels Bohr, che, come perso­ na, era il complementare di Rutherford: paziente, riflessi­ vo, ogni suo pensiero contornato da riserve proustiane; proprio come la sua fisica teoretica dei quanti di cui era il maestro, era complementare alla fisica sperimentale di Rutherford. Era stato un suo allievo e si amavano e sti­ mavano l’un l’altro come padre e figlio (Rutherford era un padre di famiglia nato e sembra che la morte della sua unica figlia sia stato il dolore più grave della sua vita pri­ vata. Nei suoi rapporti con Bohr, Kapitza e altri, c’era una forte vena di sentimento paterno, stornato dal figlio che non ebbe mai). Ma per quanto fosse l’amore di Ruther­ ford per Bohr, non bastava per farlo essere d’accordo con l’idea che Bohr aveva della giusta lunghezza di una confe­ renza. Nella sala delle conferenze del Cavendish, Bohr su­ perava l’ora e Rutherford cominciava ad agitarsi. Bohr arrivava all’ora e mezzo e Rutherford cominciava a tirarlo per la manica mormorando in modo da essere inteso « an­ cora cinque minuti». Soavemente, pazientemente, deciso a non tralasciare neanche un dettaglio, Bohr superava le due ore e Rutherford cominciava a vociferare qualcosa co­ me « far finire quella conferenza ». E subito erano tutti e due in piedi contemporaneamente. Per tutti gli anni venti e trenta la fisica dei quanti sem­ brò emozionante come gli esperimenti della scuola di Ru­ therford e talvolta anche di più. Guardando il giovane Paul Dirac, sui venticinque, pallido e coi baffi neri come

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

I3I

10 sposo in una fotografia di nozze italiana, mentre cam­ minava con le braccia dietro la schiena lungo i Backs, la gente si chiedeva se non avesse scritto le leggi basilari della fisica e della chimica per sempre. Trent’anni più tar­ di, la rivoluzione della teoria sembra ancora meravigliosa, ma non proprio cosi definitiva come sembrò allora. A quel tempo era una parte, e in un certo senso la parte più drammatica, dell’aura di trionfo intellettuale che si esten­ deva, naturalmente, molto al di là della fisica e toccava quasi tutte le scienze naturali. In fisica il trionfo era più evidente e più drammatico, ecco tutto. Cosi il clima in cui gli scienziati inglesi badavano al lo­ ro lavoro era assolutamente pieno di fiducia, socialmente bene indirizzato e, in senso strettamente di collaborazio­ ne, internazionale. Ma stavano per raggiungerli le preoc­ cupazioni degli anni trenta, il sorgere del nazismo, il peri­ colo di una guerra. Le persone al di fuori del mondo scientifico ebbero l’impressione che, non appena i guai cominciarono, gli scienziati si spostassero in blocco a sinistra. Questo non è vero e tuttavia l’impressione non è completamente fal­ sa. Gli scienziati erano antinazisti più unanimamente di ogni altro gruppo intellettuale. Non ci fu nessuno di que­ gli ambigui rapporti con il fascismo in cui si trovaro­ no Yeats o T. S. Eliot, nessuno di quei riferimenti al1’« ebreo » in lettere minuscole. Rutherford e i suoi coe­ tanei votavano per la maggior parte conservatore, ma con­ sideravano questa forma di espressione come moralmente e intellettualmente spregevole. In effetti i letterati neo­ classici, gli «uomini del ’14», fecero in modo che gli scienziati giudicassero il peggio possibile il mondo del­ l’estetica; per qualche verso ingiustamente. Gli atteggia­ menti sociali di Pound, Lewis e T. E. Hulme non sono, naturalmente, rappresentativi di tutti gli artisti. La loro importanza è simbolica, non numerica. Ma questo fu un avvilimento morale che gli scienziati non conobbero; mol­ ti di essi non hanno dimenticato e questo ha accentuato 11 distacco fra le due culture. Gli atteggiamenti politici di Rutherford furono tipici di una larga parte di scienziati. Egli accolse i profughi ebrei

I32

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

e si fece in quattro per aiutarli; probabilmente continuò a votare conservatore, ma cominciava a recalcitrare e a guardare con simpatia verso Churchill. Non gli dispiace­ va la Russia, pressappoco come non sarebbe dispiaciuta a un conservatore non-scienziato. Come tutti gli scienziati, conservatori o radicali che fossero, egli aveva, quasi senza sapere cosa ciò significasse, il futuro nel sangue. In tutto questo i rispettabili scienziati più vecchi sentivano e agi­ vano come lui. Alcuni di essi erano già attivi in prepa­ rativi per la guerra, come Tizard, forse lo scienziato più capace che mai si sia dedicato alle cose militari; più di chiunque altro egli fu responsabile del pensiero scientifico che sostenne la battaglia d’Inghilterra. Ma una stragrande maggioranza degli scienziati più gio­ vani si erano buttati a sinistra. Questo era in parte dovuto alla crisi sociale e in parte era la scienza stessa, in questa sua nuova fase trionfale, che influiva daU’interno sulle idee dei giovani. Come i più anziani, anche i giovani ave­ vano il futuro nel sangue; a differenza dei più anziani, trovavano naturale cercare una corrispondente posizione politica. Verso la metà degli anni trenta divenne molto raro trovare un fisico sotto i quarant’anni le cui simpatie non andassero alla sinistra. Questo processo di cristallizzazione politica era inizia­ to anni prima, quando erano già spuntati i capi dei gio­ vani scienziati radicali: J. D. Bernal, Blackett, J. B. S. Haldane. Tutti e tre erano uomini di carattere e di enormi capacità intellettuali. I due comunisti, Bernal e Haldane soffrivano per i capricci della linea del partito ed erano, nel 1935, a capo di un movimento pacifista tra scienziati a cui poco dopo fecero mutare rotta. Tuttavia Bernal, per via del suo fascino, coraggio e cultura maggiore di chiun­ que altro in Inghilterra, divenne la più potente forza in­ tellettuale di estrema sinistra; più di chiunque altro, egli rese il comuniSmo rispettabile da un punto di vista intel­ lettuale. Era comunque raro che gli scienziati, anche i più radicali, si iscrivessero al partito. Per la maggior parte di essi il simbolo prescelto era Blackett, decisamente a sini­ stra ma non comunista, e scienziato di ben più grande va­ lore che non Bernal o Haldane. Di fatto, egli era il por-

RUTHERFORD E IL CAVENDISH

I33

tavoce della giovane generazione degli anni trenta come Rutherford lo era per i più vecchi. Io credo che se nel 1936 si fosse fatta una votazione tra duecento dei più brillanti fisici sotto i quarant’anni, circa cinque sarebbero stati comunisti, dieci laburisti, cin­ quanta vicini alle posizioni di Blackett, e un centinaio pas­ sivamente simpatizzanti con la sinistra. Il resto sarebbe stato politicamente nullo con forse cinque (o sei) eccezio­ ni per la destra. Di questi duecento, buona parte ha occupato in seguito posizioni eminenti. È interessante che nessuno di loro ab­ bia cambiato drasticamente la propria opinione politica. C’è stata appena una leggera esitazione, un passetto verso destra, non di più. Gli scienziati che erano stati nell’or­ bita del partito comunista, ne sono usciti, ma sono rima­ sti (come Haldane) all’estrema sinistra. Alcuni che erano vagamente a sinistra negli anni trenta hanno ora una vaga simpatia per R. A. Butler. I cambiamenti non sono stati più decisivi che tanto. Non ci sono state rinunce o tenten­ namenti verso la religione, o come è successo a una parte di scrittori della stessa età, un tempo di sinistra. Il radica­ lismo degli scienziati aveva radici più profonde. Prima della morte di Rutherford, una parte degli scien­ ziati più giovani si preparava già alla guerra. Blackett, che come al solito ne era la guida, si era andato abituando a problemi militari già da alcuni anni. Era stato messo nell’Air Defence Council da Tizard che richiedeva talento senza occuparsi di politica e che sapeva giudicare il ta­ lento particolarmente bene quando lo incontrava. Fu per questo - e perché l’Inghilterra stava appunto attraversan­ do l’età aurea della fisica - che gli scienziati inglesi furono di gran lunga più efficienti che in tutte le altre nazioni du­ rante la guerra contro Hitler. Questa fu una delle eredità dell’età di Rutherford. L’al­ tra eredità fu che, dopo la guerra, alcuni degli stessi scien­ ziati condussero l’Inghilterra all’era atomica e le procura­ rono una posizione in questo campo che la manterrà per parecchio tempo tra le maggiori potenze, se qualcosa può mantenervela.

Titolo originale The Moral Un-Neutrality of Science

© 1961 by the California Alumni Association

Gli scienziati rappresentano oggi il più importante gruppo professionale del mondo. In questo momento, quanto essi fanno è motivo di appassionato interesse per l’intera società umana. In questo momento, gli scienziati hanno scarsa influenza sulle conseguenze mondiali di ciò che fanno. Potenzialmente, tuttavia, possono esercitare una grande influenza. Il resto del mondo è spaventato sia da ciò che essi fanno - e cioè dalle scoperte intellettuali della scienza - sia dalle conseguenze che ne derivano. Il resto del mondo, trasferendo le proprie paure, prova spa­ vento degli stessi scienziati e tende a raffigurarli radical­ mente diversi dagli altri uomini. Come ex scienziato, se cosi posso chiamarmi, so che si tratta di un’assurdità. Ho già cercato di tratteggiare nei miei romanzi alcuni tipi dell’indole e dell’esperienza scien­ tifiche. So abbastanza bene che gli scienziati sono assai simili agli altri uomini: in fondo siamo tutti uomini, an­ che se qualcuno di noi non dà quest’impressione. Penso di essere in grado di azzardare una generalizzazione. Gli scienziati che ho conosciuto, e per causa della mia vita ufficiale ne ho conosciuti più d’ogni altra persona al mon­ do, per certi aspetti sono stati, da un punto di vista mo­ rale, sensibilmente più ammirevoli di molti altri gruppi di intellettuali. Si tratta di un’affermazione a carattere generale e le at­ tribuisco un significato solo statistico. Tuttavia penso che contenga un pizzico di verità. Le qualità morali che am­ miro negli scienziati sono davvero semplici, ma di una semplicità tutta particolare: diffido molto della tendenza ad eccedere nelle sottigliezze sofisticate. Cosi io ammiro negli scienziati virtù estremamente semplici, come il co­

138

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

raggio, la sincerità, la gentilezza: tutte qualità delle quali, in confronto ai bassi livelli che noi altri riusciamo a con­ seguire, essi non sono certo sprovvisti. Io credo che in complesso gli scienziati svolgano un po’ meglio della mag­ gior parte di noi le funzioni di marito e di padre, e perciò li ammiro. Non ho i dati e sarei curioso di vederli pub­ blicati, ma sono pronto a scommettere che la percentuale di divorzi fra gli scienziati è di poco, ma significativamen­ te, inferiore a quella di altri gruppi con pari educazione e reddito. Io mi permetto di considerarla una buona cosa. Ho un amico intimo che è scienziato molto insigne; ed è anche uno dei pochi scienziati che ha condotto la cosid­ detta vita da bohémien. Quando eravamo più giovani, egli pensò di compiere una ricerca storica per vedere quanti grandi scienziati erano stati sensibili al fascino femminile quanto lui. Penso che si sarebbe sentito un po’ confortato se avesse potuto trovare un precedente. Ricordo che poi mi disse che le sue ricerche non avevano avuto fortuna. Gli scienziati veramente grandi sembravano andare da pochi caratteri neutri a molti terribilmente « normali ». L’unico barlume di conforto si poteva trovare nella vita di Girolamo Cardano; ma Cardano non bastava assolutamente a controbilanciare tutti gli altri. Cosi gli scienziati non sono poi tanto diversi dagli altri uomini e certamente non sono peggiori. Ma differiscono dagli altri in una cosa. Questo è il punto dal quale sono partito. Che lo vogliano o no, il loro operato è di impor­ tanza decisiva per l’umanità. Dal punto di vista intellet­ tuale, esso ha trasformato il clima del nostro tempo. Dal punto di vista sociale, deciderà se vivremo o periremo, e come vivremo o periremo. Ciò comporta poteri determi­ nanti in bene e in male. Questa è la situazione in cui si trovano gli scienziati. Possono non averla voluta, o averla voluta solo in parte, ma non possono sfuggirvi. Essi pen­ sano — almeno i più sensibili - che non meritano di avere su di sé il peso di questa responsabilità. Tutto quanto de­ siderano fare è di proseguire il loro lavoro. Ma gli scien­ ziati non possono sottrarsi alla responsabilità, non più di quanto a loro, o al resto di noi, sia possibile sottrarsi alla gravità del momento in cui ci troviamo.

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

T39

C’è naturalmente un modo di trarsi d’impiccio. È stato il modo preferito da intellettuali venuti a trovarsi in ac­ que per loro troppo tempestose. Esso consiste nell’inventare categorie o, se preferite, nella divisione del lavoro morale. Cioè gli scienziati che vogliono trarsi d’impaccio, dicono: noi produciamo gli strumenti. Noi ci fermiamo qui. Spetta a voi, al resto del­ l’umanità, ai politici, dire come questi strumenti debbano essere usati. Essi possono essere impiegati per scopi, che i più di noi considererebbero cattivi. Se è cosi, ce ne di­ spiace. Ma come scienziati la cosa non ci riguarda. Questa è la dottrina della neutralità etica della scienza. Io non posso accettarla nemmeno per un istante e credo che nessuno scienziato serio e responsabile possa accettar­ la. È difficile - alcuni pensano - trovare precise argomen­ tazioni che dimostrino l’erroneità di tale teoria. Eppure quasi tutti noi sentiamo intuitivamente che la invenzione di categorie di comodo è una trappola morale. È uno dei migliori metodi per far arrugginire la coscienza. Ed è esat­ tamente ciò che fecero gli economisti del primo Ottocen­ to, come Ricardo, di fronte agli eventi della prima rivolu­ zione industriale. Adesso ci stupiamo che uomini, uomini intelligenti, abbiano potuto essere cosi ciechi moralmen­ te; e ci rendiamo conto di come la denuncia di tale cecità morale abbia conferito al marxismo la sua forza apocalit­ tica. Ci troviamo ora nel mezzo della rivoluzione scienti­ fica o seconda rivoluzione industriale, in una posizione al­ quanto simile a quella di Ricardo. Lasceremo arrugginire la nostra coscienza? Possiamo ignorare l’intima convin­ zione che quasi tutti noi sentiamo, secondo la quale gli scienziati hanno una responsabilità di tipo eccezionale? Possiamo credere che la scienza sia moralmente neutrale? Per me - sarebbe disonesto simulare un’altra cosa c’è solo una risposta a queste domande. Eppure, come la maggior parte degli scienziati occidentali, anch’io sono cresciuto nel clima delle stesse categorie intellettuali. Sa­ rebbe inoltre disonesto fingere che sia per me facile dare un fondamento logico alla mia attuale convinzione. Il me­ glio che possa augurarmi è di sparare alcuni colpi mirando

140

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELL A S CIENZA

bene, nella speranza che qualcuno con una visione più chiara della mia possa farsi avanti e sistemare tutta la fac­ cenda.

Cominciamo con un’osservazione che potrà sembrare in qualche modo estranea al punto in questione. Chiun­ que abbia mai praticato una scienza conosce il grande go­ dimento estetico che ne ha tratto. Cioè, nella concreta at­ tività scientifica, nel processo che conduce a una scoperta, per quanto modesta essa sia, non si può non provare un senso di vera bellezza. L’esperienza soggettiva, la soddi­ sfazione estetica, sembrano esattamente le stesse che si ricavano dallo scrivere una poesia o un romanzo o dal comporre un pezzo di musica. Non credo che qualcuno sia mai riuscito a stabilire una distinzione fra i due tipi di godimento. La letteratura delle scoperte scientifiche è piena di questa gioia estetica. L’esempio migliore che io conosco è il libro di G. H. Hardy, A Mathematician's Apology. Graham Greene disse una volta che questo, in­ sieme con le prefazioni di Henry James, era a suo parere il miglior rapporto che mai fosse stato scritto sull’espe­ rienza artistica. Ma si vede lo stesso fenomeno lungo tut­ ta la storia della scienza. Il grido trionfale di Bolyai quan­ do scopri che poteva costruire una geometria non-euclidea in sé coerente; la rivelazione di Rutherford ai colleghi che egli sapeva com’era fatto l’atomo; la lenta, paziente, timo­ rosa certezza di Darwin che alla fine ce l’aveva fatta: sono tutte voci, differenti voci di estasi estetica. Ma questo non è tutto. Il risultato dell’attività scienti­ fica, un vero lavoro scientifico portato a compimento ha un valore estetico in se stesso. I giudizi espressi al riguar­ do dagli altri scienziati saranno il più delle volte espressi in termini estetici. « Che bello! », o « Davvero molto ca­ rino! » (come dicono gli inglesi, con la solita tendenza a minimizzare). Il grado estetico delle costruzioni scientifi­ che, come quello delle opere d’arte, è assai vario. Alcune delle grandi sintesi, come ad esempio quella di Newton, ci appaiono belle per la loro classica semplicità, ma ravvi­ siamo un diverso tipo di bellezza nella estensione relati-

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELL A S CIENZA

141

vistica dell’equazione d’onda o nell’interpretazione della struttura del DNA, forse a causa di quel tanto di impre­ visto che presentano. Gli scienziati sanno riconoscere i lo­ ro tipi di bellezza. Sono diffidenti, e la storia della scien­ za dimostra che hanno sempre avuto ragione di esserlo, quando un soggetto si presenta in un « brutto » stato. Mol­ ti fisici, ad esempio, avranno di certo la netta sensazione che l’attuale bizzarro insieme delle particelle nucleari, al­ trettanto grottesco di una collezione di francobolli, non potrà assolutamente, alla lunga, rappresentare l’ultima pa­ rola in proposito. Non dovremmo annettere un valore estetico solo a ciò che denominiamo scienza « pura ». Anche la scienza appli­ cata ha le sue bellezze, che secondo me sono di natura identica. Il magnetron è stato un’invenzione meraviglio­ samente utile, ma fu al tempo stesso una bella invenzione, non solo per la sua utilità, ma perché faceva con la mas­ sima economia esattamente quanto era stato designato a fare. Perfino nel campo dello sviluppo produttivo l’esperien­ za estetica è altrettanto reale per gli ingegneri. Quando se ne dimenticano, quando cominciano a progettare un im­ pianto di grande potenza, pesante il doppio del necessario, gli ingegneri sono i primi a capire che mancano di abilità. Non ci sono dubbi, dunque, circa il contenuto estetico della scienza, sia nella pratica che nel risultato. Ma l’este­ tica non ha alcun rapporto con la morale, dicono gli in­ ventori di categorie. Non voglio perdere tempo in questio­ ni secondarie: ma ne siete proprio sicuri? O non può dar­ si che queste categorie siano invenzioni per farci evadere dalle condizioni umane e sociali in cui ora ci troviamo? Ma passiamo direttamente a un altro problema, qualcosa che è proprio al centro dell’attività della scienza e che è, al tempo stesso, la quintessenza della moralità. Alludo al desiderio di trovare la verità.

Per verità non intendo, neppure questa volta, alcunché di complicato. Uso la parola nella medesima accezione de­ gli scienziati. Tutti sappiamo che l’analisi filosofica del

142

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

concetto di verità empirica ci porta ad alcune singolari complicazioni, ma la maggior parte degli scienziati non ci fanno affatto caso. Essi sanno che la verità, nell’accezione in cui essi adoprano questo termine e in cui il resto di noi lo adopra nel linguaggio comune, è ciò che fa progre­ dire la scienza. È quanto basta per loro. Su ciò si fonda l’intero grande edificio della scienza moderna. Essi hanno una inconfessata simpatia per Rutherford, il quale, richie­ sto di esaminare le basi filosofiche della scienza, era in­ cline a rispondere, come fece con il metafisico Samuel Alexander: « Insomma, di che cosa ha parlato per tutta la vita, Alexander? Di aria fritta! Nient’altro che aria frit­ ta! » Ad ogni modo, la verità, intesa nel loro chiaro signifi­ cato, è ciò che gli scienziati tentano di trovare. Essi vo­ gliono trovare quello che c’è. Senza quel desiderio non si dà scienza. Esso è la forza motrice di tutta questa attività; costringe gli scienziati ad avere un supremo rispetto per la verità, in ogni momento. È come dire che se si deve trovare quel che c’è, non si deve ingannare se stessi né gli altri. Non si deve mentire a se stessi. Anche al livello più primitivo non si devono contraffare i propri esperi­ menti. Fatto abbastanza singolare, gli scienziati cercano dav­ vero di comportarsi in questo modo. Qualche tempo fa, scrissi un romanzo la cui trama riguardava un caso di fro­ de scientifica. Ma feci dire a uno dei miei personaggi, ec­ cellente scienziato, che, considerate le possibilità e le ten­ tazioni, è stupefacente quanto pochi siano i casi del gene­ re. Tutti abbiamo sentito parlare di una mezza dozzina di casi chiari e notori, e sui quali esistono documenti che tutti possono leggere: si va dalla « scoperta » della radia­ zione L al singolare episodio dell’uomo di Piltdown. Basta aver vissuto un po’ nel mondo scientifico per aver tutti sentito parlare di circa un’altra dozzina di casi che, per una ragione o per l’altra, non sono ancora di do­ minio pubblico. In alcuni di questi casi conosciamo i mo­ tivi della frode. Talvolta, ma non sempre, si è trattato del semplice tornaconto personale, come il procurarsi denaro o un posto. Ma non sempre. Una particolare sorta di vani-

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

I43

tà ha indotto più di una persona al falso scientifico. A un livello inferiore di ricerca, ci sarà probabilmente un mag­ gior numero di casi del genere. Ci sarà certamente stato qualche studente che se l’è cavata con l’aiuto di un pizzico di frode. Ma il numero complessivo di tutte queste persone è straordinariamente piccolo in confronto al numero com­ plessivo degli scienziati. Tra l’altro, l’effetto di frodi del genere sulla scienza è anch’esso quasi inesistente. La scien­ za è un sistema che si autocorregge. Cioè nessuna frode (o errore in buona fede) è destinata a restare nascosta per molto. Non c’è bisogno di una critica scientifica estrinse­ ca, perché la critica è inerente al processo stesso. Sicché tutto ciò che una frode può fare è di far perdere tempo agli scienziati che la devono scoprire. Il fatto notevole non è che un piccolo numero di scien­ ziati si allontana dalla ricerca della verità, ma che una schiacciante maggioranza la persegue. Questa è una dimo­ strazione, assolutamente manifesta a tutti, di comporta­ mento morale su larghissima scala. Noi diamo ciò per scontato. Eppure è un fatto molto importante. Esso differenzia la scienza nella sua accezione più vasta (compreso l’insegnamento) da tutte le altre atti­ vità intellettuali. C’è una componente morale inerente al­ l’essenza dell’attività scientifica. Il desiderio di trovare la verità è esso stesso un impulso morale, o perlomeno con­ tiene un impulso morale. Il modo in cui uno scienziato cerca di scoprire la verità gli impone una continua disci­ plina morale. Noi diciamo che un risultato scientifico come la scoperta della decadenza del principio di parità da parte di Lee e Yang - è « vera » nel senso limitato del­ la verità scientifica, proprio come diciamo che essa è « bel­ la » in base ai criteri dell’estetica scientifica. Sappiamo an­ che che il giungere a questa conclusione ha implicato una serie di azioni che sarebbero state inutili senza la nanna morale. Cioè, durante tutti i meravigliosi esperiment i del la dottoressa Wu e dei suoi colleghi, ci fu costantemente la pratica morale di vedere e di dire la verità. Per gli si ien ziati che sono cresciuti in questo clima ciò sembra natu­ rale come il respiro. Eppure è una cosa meravigliosa. An-

144

LA NON neutralità morale della scienza

che se l’attività scientifica contenesse quest’unica compo­ nente morale, ciò solo basterebbe a farci dire che essa non è moralmente neutrale.

Ma è questa l’unica componente morale? Tutti gli scienziati concorderebbero sulla bellezza e la verità. Nel mondo occidentale, essi non concorderebbero su molto di più. Qualcuno sarà d’accordo con me su quanto sto per dire. E qualcuno no. Ciò non mi tocca molto, salvo che sono preoccupato dal dilagare di un atteggiamento che ritengo molto pericoloso, un tipo di conformismo tecno­ logico mascherato di cinismo. Dirò qualcosa di più su que­ st’ultimo. Circa le obiezioni in proposito, G. H. Hardy soleva dire che una persona seria non dovrebbe perdere il tempo a ripetere una opinione di maggioranza: c’è una quantità d’altre persone per fare questo. Quella era la vo­ ce del classico non conformismo scientifico, e io desidere­ rei che la si sentisse più spesso. Consentitemi di riprendere alcuni motivi di speranza. Chiunque di noi abbia praticato la scienza prima del 1933 può ricordare com’era l’atmosfera. È una terribile secca­ tura quando i cinquantenni parlano delle cose belle della loro giovinezza. Tuttavia vi voglio irritare - proprio come Talleyrand irritava quelli più giovani di lui - dicendo che, se non si è stati sulla scena prima del 1933, non si è co­ nosciuto la dolcezza della vita scientifica, il mondo scien­ tifico degli anni venti non era certo più lontano da una comunità internazJbnale pienamente sviluppata di quanto lo sia oggi. Non pensiate che io voglia dire che gli uomini di allora fossero superuomini o persone immuni dalle de­ bolezze umane. Non suonerebbe bene detto da me, che ho speso una parte della mia vita di scrittore per dimo­ strare che gli scienziati sono anzitutto degli uomini. Ma nell’atmosfera scientifica degli anni venti spirava un’aura di benevolenza e di magnanimità che trascendeva le per­ sone che vivevano in essa. Chiunque avesse trascorso una settimana a Cambridge, a Gottinga o a Copenaghen vi si sentiva immerso. Ruther­ ford aveva difetti molto umani, ma era un grand’uomo

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

145

dotato di una enorme generosità. Per lui il mondo della scienza era un mondo che viveva su un piano superiore allo stato nazionale, e che ci viveva con entusiasmo. Que­ sto valeva anche per i due altri grandi uomini, Niels Bohr e Franck: e un po’ di quello spirito si trasmise ai loro al­ lievi. Lo stesso valeva per la scuola di fisica di Roma. I legami personali all’interno di questo mondo interna­ zionale erano strettissimi. Merita ricordare che Peter Kapitza, che era un leale cittadino sovietico, onorò il mio paese lavorando per parecchi anni nel laboratorio di Rut­ herford. Divenne membro della Royal Society, membro del Trinity College di Cambridge, fondatore e animatore del migliore club di fisici che Cambridge abbia mai avuto. Egli non rinunciò mai alla cittadinanza sovietica e ora è direttore dell’Istituto di ricerche fisiche di Mosca. Per il suo tramite, una generazione di scienziati inglesi potè avere una conoscenza personale dei colleghi russi. Questi scambi furono allora, e sono rimasti, più preziosi di tutti gli scambi diplomatici mai inventati. II fenomeno Kapitza non potrebbe verificarsi oggi. Spe­ ro di vivere abbastanza per vedere il giorno in cui un giovane Kapitza possa ancora una volta lavorare per sedi­ ci anni a Berkeley o a Cambridge e riprendere poi una posizione di primo piano nel suo paese. Se ciò accadrà, siamo a posto. Ma dopo gli anni idilliaci della scienza mondiale, siamo entrati in una tempesta della storia e, per una sfortunata coincidenza, siamo anche entrati in una tempesta tecnologica. La scoperta della fissione atomica ruppe l’unità della fisica internazionale. « Questo ha ucciso una bella cosa », disse nel 1945 Mark Oliphant, il « padre » della fisica au­ straliana, dopo il lancio delle bombe. In termini teorici egli non ebbe ragione. In termini spirituali e morali, pen­ so talvolta che l’abbia avuta. Una parte notevole della comunità internazionale della scienza resta in altri settori: nei grandi campi della bio­ logia, per esempio. Molti biologi sentono la stessa libera­ zione, la stessa gioia di prendere parte ad una impresa grandiosa che sentirono i fisici negli anni venti. Molto probabilmente la guida morale e intellettuale della seien-

146

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

za passerà ai biologi, ed è fra di loro che troveremo i Rut­ herford, i Bohr e i Franck della prossima generazione. I fisici hanno avuto un compito più amaro. Con la sco­ perta della fissione e con alcune invenzioni tecniche nel campo dell’elettronica, essi divennero, quasi dall’oggi al domani, la più importante risorsa militare su cui lo stato nazionale potesse contare. Un gran numero di fisici diven­ nero soldati senza uniforme. E da allora tali sono rimasti, nelle società avanzate. È molto difficile sapere che cos’altro avrebbero potuto fare. Tutto questo cominciò con la guerra di Hitler. La maggior parte degli scienziati ritennero allora che il nazi­ smo fosse quasi il male più assoluto che una società uma­ na potesse subire. Io stesso lo pensai. Lo penso ancora, senza riserve. Stando cosi le cose, il nazismo doveva esse­ re combattuto e poiché i nazisti potevano produrre bom­ be a fissione — cosa che si ritenne possibile fino al 1944 e che costituiva un incubo continuo per chi ne fosse, sia pure vagamente, a conoscenza - ebbene, allora dovemmo fabbricarle anche noi. A meno d’essere pacifisti a oltran­ za, non c’era altro da fare. E il pacifismo a oltranza è una posizione che la maggior parte di noi non può sostenere.

Perciò rispetto, e in larga misura condivido, gli atteg­ giamenti morali di quegli scienziati che si dedicarono alla costruzione della bomba. Ma la difficoltà, quando si è sa­ liti su una sorta di scala mobile morale, è di sapere se sa­ remo mai capaci di scenderne. Quando gli scienziati di­ vennero soldati, essi abbandonarono qualcosa della vita propriamente scientifica, ma cosi impercettibilmente che non se ne accorsero. Non dal punto di vista intellettuale. Non vedo alcuna prova che l’elaborazione scientifica delle armi di distruzione totale sia stato per qualche aspetto in­ tellettuale diverso dal resto del lavoro scientifico. Ma c’è una differenza morale. Può darsi - scienziati che sono uomini migliori di me hanno spesso assunto tale posizione e io ho cercato di rap­ presentarla fedelmente in uno dei miei libri - che questo sia un prezzo morale il quale, in determinate situazioni,

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

I47

va pagato. Tuttavia non serve fare come se non ci fosse un prezzo morale. I soldati devono ubbidire: questo è il fondamento della loro moralità. Ma non è il fondamento della moralità scientifica. Gli scienziati devono avere sem­ pre un atteggiamento critico e, se necessario, ribellarsi. Desidero non essere frainteso. Non sono un anarchico. Non voglio far credere che la lealtà non sia una virtù fon­ damentale. Non sto dicendo che ogni ribellione sia giusta; ma che la lealtà può facilmente diventare conformismo e che il conformismo può spesso essere una copertura per il pavido e l’egoista. Cosi pure l’obbedienza, portata al li­ mite. Se pensate alla lunga e oscura storia dell’uomo, tro­ verete che sono stati commessi crimini assai più numerosi e odiosi in nome dell’obbedienza che in nome della ribel­ lione. Se avete dei dubbi, leggete la Storia del Terzo Reich di William Shirer. Il corpo degli ufficiali tedeschi si era formato secondo il più rigoroso codice di obbedienza. Per loro non era concepibile che esistesse un gruppo di uomi­ ni più onorevole e timorato di Dio. Eppure, nel nome del­ l’obbedienza, essi parteciparono e collaborarono alle piu nefande azioni su larga scala nella storia del mondo.

Gli scienziati non devono prendere questa strada. Tut­ tavia il dovere di criticare non è di molto aiuto quando si vive in mezzo a una società organizzata. Parlo qui con co­ scienza di causa. Sono stato per vent’anni funzionario del governo. Entrai nella carriera statale all’inizio della guer­ ra per le ragioni per cui i miei amici scienziati comincia­ rono a costruire armi. Ho continuato quella vita fino a un anno fa, per la stessa ragione che indusse i miei amici scienziati a diventare soldati in borghese. La vita del fun­ zionario governativo in Inghilterra non è perfettamente disciplinata come quella del soldato, ma vi si avvicina mol­ to. Penso di conoscere le virtù, che sono grandissime, de­ gli uomini che vivono quella vita disciplinata. So anche qual era per me la trappola morale. Anch’io ero salito su una scala mobile. Posso riassumere il risultato in una fra­ se: stavo andando a nascondermi dietro l’istituzione, sta­ vo perdendo la facoltà di dire di no.

148

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

Quando si fa parte di una società organizzata, soltanto un uomo molto coraggioso può conservare la facoltà di dire di no. Ve lo posso dire io, che non sono un uomo molto coraggioso, né uno cui sia congeniale starsene solo, lontano dai suoi colleghi. Non possiamo certo aspettarci che molti scienziati lo siano. C’è forse un terreno piu so­ lido sul quale possano seguire la propria via? Vi dico che c’è. Credo che ci sia una molla di azione morale nell’atti­ vità scientifica, forte per lo meno quanto la ricerca della verità. Il nome di questa molla è conoscenza. Gli scienzia­ ti conoscono certe cose in un modo più immediato e più certo di coloro che non comprendono che cos’è la scienza. A meno che siamo straordinariamente deboli o straordina­ riamente perversi, questa conoscenza è destinata a model­ lare le nostre azioni. Noi siamo per la maggior parte dei pavidi, ma, in qualche misura, la conoscenza ci dà forza. Forse ce ne dà abbastanza per i compiti intrapresi. Ho preferito prendere l’esempio più ovvio. Tutti i fisici sanno che è relativamente facile produrre plutonio. E noi lo sappiamo non come una notizia giornalistica di seconda mano, ma come un fatto della nostra esperienza persona­ le. Possiamo stabilire il numero di scienziati e tecnici ne­ cessario a uno stato nazionale perché si armi di bombe a fissione e a fusione. Noi sappiamo che per una dozzina o più stati ciò richiederà soltanto sei anni circa, forse me­ no. Anche i meglio informati di noi esagerano sempre questi periodi. Questo noi lo sappiamo, con la certezza - come posso dire? - di una verità tecnica. Moltissimi di noi hanno pu­ re familiarità con le statistiche e con la natura dei pronostici. Sappiamo, con la certezza della verità statistica, che se si fabbrica una quantità abbastanza elevata di queste armi - da parte di un numero abbastanza elevato di stati alcune di esse finiranno per essere fatte scoppiare. Per incidente, irresponsabilità o pazzia, i motivi non contano. Ciò che conta è la natura del fatto statistico. Tutto ciò noi lo sappiamo. Lo sappiamo in un senso più diretto di qualunque uomo politico, poiché deriva dalla nostra diretta esperienza. Fa parte dei nostri pensieri. Vo­ gliamo lasciare che questo accada?

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELLA SCIENZA

I49

Tutto ciò noi lo sappiamo. Questo impone agli scien­ ziati una responsabilità diretta e personale. Non basta di­ re che gli scienziati hanno una responsabilità come citta­ dini. Ne hanno una molto maggiore, e di diverso tipo: infatti gli scienziati hanno il dovere morale di dire ciò che sanno. Ciò li renderà impopolari in patria; e forse anche peggio che renderli impopolari. Ma questo non conta. O per lo meno, conta per voi e per me, ma non deve contare di fronte ai rischi. Poiché noi riconosciamo lealmente il rischio. Siamo di fronte a un Aut-Aut e non abbiamo molto tempo. Aut noi accettiamo una limitazione degli armamenti nucleari. Questo sta per cominciare - magari come un simbolo con un accordo sulla sospensione degli esperimenti nu­ cleari. Gli Stati Uniti non arriveranno ad ottenere quella « sicurezza » al 99,9 per cento che chiedono. È quasi im­ possibile, benché ci siano altri accordi che gli Stati Uniti potrebbero eventualmente stipulare. Non voglio dirvi che questa linea non comporti certi rischi. Sono del tutto ov­ vi, e nessun uomo di coscienza potrà eluderli. Questo è il primo Aut. L’altro Aut non è un rischio, ma una certezza. E consiste in questo: non c’è alcun accordo sugli esperi­ menti. La corsa agli armamenti fra gli Usa e l’Urss non solo continua, ma aumenta. Altri paesi vi si aggiungono. Nel giro, al massimo, di sei anni la Cina e numerosi altri stati avranno una scorta di bombe nucleari. Nel giro, al massimo, di dieci anni alcune di queste bombe verranno sganciate. Dico questo nel modo più responsabile che pos­ so. Questa è la certezza. Da una parte, quindi, abbiamo un rischio limitato. Dall’altra, la certezza del disastro. Fra un rischio e una certezza, un uomo sano di mente non esita. È l’evidente dovere degli scienziati spiegare questo Aut-Aut. È un dovere che mi sembra scaturire dalla na­ tura morale della stessa attività scientifica. Lo stesso dovere, benché in una forma molto più gra­ devole, sorge riguardo ai poteri benefici della scienza. In­ fatti gli scienziati sanno, e anche qui con la certezza della

15 O

LA NON NEUTRALITÀ MORALE DELL A S CIENZA

conoscenza scientifica, che siamo in possesso di tutti i fat­ tori scientifici necessari a trasformare la vita materiale di una metà del mondo. E trasformarlo nell’arco di esistenza delle persone attualmente viventi. Voglio dire che abbia­ mo tutte le risorse per aiutare mezzo mondo a vivere quanto noi e a mangiare a sufficienza. L’unica cosa che manca è la volontà. Noi sappiamo questo. Proprio come sappiamo che voi nel vostro paese e, in misura un poco inferiore, noi nel nostro siamo stati fortunati in maniera quasi inverosimile. Siamo come persone sedute in un ri­ storante alla moda e confortevole: stiamo mangiando ma­ gnificamente e guardiamo fuori, nelle strade. Giù nel mar­ ciapiede c’è gente che guarda su verso di noi, gente che ha per caso il colore della pelle diverso dal nostro, e che è piuttosto affamata. Vi stupite forse che non ci vogliano tanto bene? Vi stupite se talvolta ci vergogniamo di noi stessi guardando fuori attraverso i vetri? Ebbene, abbiamo il potere di avviare a soluzione que­ sto problema. Ne siamo moralmente obbligati. Tutti noi sappiamo che se la razza umana lo risolve, ci saranno con­ seguenze che a loro volta faranno sorgere nuovi problemi. Per esempio, la popolazione mondiale aumenterà in misu­ ra terrificante. Ma questa è un’altra sfida. E ci saranno sempre sfide alla nostra intelligenza e alla nostra natura morale finché l’uomo resta uomo. Dopo tutto, una sfida non è - come l’uso corrente della parola suggerirebbe un pretesto per svignarsela e per non fare nulla. Una sfida è una cosa che dev’essere raccolta. Per tutte queste ragioni, credo che la comunità mon­ diale degli scienziati abbia al riguardo una responsabilità decisiva, una responsabilità maggiore di quella incomben­ te su qualsiasi altro gruppo di uomini. Non pretendo di sapere come essi sopporteranno tale responsabilità. Que­ ste potrebbero essere le ultime parole famose, ma io ho una speranza inesauribile. Poiché, come ho detto questa sera, non c’è dubbio che l’attività scientifica è al tempo stesso bella e verace. Non posso provarlo, ma sono con­ vinto che gli scienziati, per il semplice fatto che non pos­ sono sottrarsi alla loro conoscenza, non sapranno evitare di mostrarsi inchni al bene.

Finito di stampare in Torino il 15 gennaio 1972 per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a. presso l’Officina Grafica Artigiana U. Panelli

Ristampa identica alla precedente del 27 gennaio 1966 c. L. 0354-1

Nuovo Poütecnico

1. Jan Myrdal, Rapporto da un villaggio cinese Inchiesta in. una comune agricola dello Shensi

2. RobertHavernann, Dialettica senza dogma Marxismo e scienze naturali

3. Charles E. Silberman, Crisi in bianco e nero Il problema negro negli Stati Uniti

4. Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua ri­ producibilità tecnica Arte e società di massa

5. C. P. Snow, Scienza e governo L’intervento dei consiglieri scientifici nelle decisioni militari

6. Josué de Castro, Una zona esplosiva: Il Nordeste del Bra­ sile Un punto-chiave nella «geografia della fame»

7. Roland Barthes, Elementi di semiologia Linguistica e scienza delle significazioni

8. Jurij Davydov, Il lavoro e la libertà Una teoria della società comunista

9. Hal Draper, Là rivolta di Berkeley Il movimento studentesco negli Stati Uniti

xo. Alphonse Dupront, L’acculturazione Proposte per una nuova storiografia

ir. Herbert.Marcuse, L’uomo a una dimensione L’ideologia della società industriale avanzata

12. Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione Tecniche, strumenti e filosofia dal mondo classico alla rivoluzione scientifica

13. Claude Lévi-Strauss, Razza e storia e altri studi di antro­ pologia Le regole che condizionano il pensiero e la vita dell’iiomo

ΐ4· Ε. Η. Gombrich, Freud e la psicologia dell’artê Stile, forma e struttura alla luce della psicanalisi

15. Joan Robinson, L’economia a una svolta difficile I problemi di un sistema capitalistico avanzato

16. Lucien Goldmann, L’illuminismo e la società moderna Storia e funzione attuale dei valori di « libertà » « eguaglianza » « tolle­ ranza »

17. Giulio Preti, Retorica e logica Le due culture

18. Jean Chesneaux, Perché il Vietnam resiste Le radici storiche e ideologiche di una guerra rivoluzionaria

19. L’istituzione negata, a cura di Franco Basaglia Rapporto da un ospedale psichiatrico

20. Leo Apostel, Materialismo dialettico e metodo scientifico Cibernetica, logica, marxismo

21. Alexander Mitscherlich, Il feticcio urbano La città inabitabile, istigatrice di discordia

22. L’università del dissenso, a cura di Theodore Roszak Insegnamento e responsabilità politica: un «anti-textbook» di undici professori americani

23. Erving Goffman, Asylums Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza

24. Maxime Rodinson, Islam e capitalismo Saggio sui rapporti tra economia e religione

25. Robert Paul Wolff, Barrington Moore jr, Herbert Marcu­ se, Critica della tolleranza La forma attuale della tolleranza: un mascheramento della repressione

26. LeRoi Jones, Il popolo del blues Sociologia dei negri americani attraverso l’evoluzione del jazz

27. R. D. Laing, L’io diviso Studio di psichiatria esistenziale

28. Kenneth B. Clark, Ghetto negro L’universo della segregazione: il «ghetto nero» come riflesso del «ghetto bianco»

29. Karl R. Popper, Scienza e filosofia Problemi e scopi della scienza

30. Herbert Marcuse, Saggio sulla liberazione Dall’« uomo a una dimensione » all’utopia

51. Dialettica della liberazione, a cura di David Cooper Integrazione e rifiuto nella società opulenta

32. Rhys Carpenter, Clima e storia Una nuova interpretazione delle fratture storiche nella Grecia antica

33. Jean Piaget, Saggezza e illusioni della filosofia Caratteri e limiti del conoscere filosofico 34.

Noam Chomsky, I nuovi mandarini Gli intellettuali e il potere in America

35. Tomas Maldonado, La speranza progettuale Ambiente e società

36.

Maurice Godelier e Lucien Sève, Marxismo e strutturalismo Un dibattito a due voci sui fondamenti delle scienze sociali

37. Gyôrgy Lukâcs, Lenin Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario

18, Edward H. Carr, 1917 Illusioni e realtà della rivoluzione russa

39. Herbert Marcuse, L’autorità e la famiglia Introduzione storica al problema

40. Mario Lodi, Il paese sbagliato Diario di un’esperienza didattica

41. Jan Mukafovskÿ, La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali Semiologia e sociologia dell’arte

42. L’erba voglio, a cura di Elvio Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani e Giuseppe Sartori Pratica non autoritaria nella scuola

43. Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro, La maggioranza deviante L’ideologia del controllo sociale totale

44. Joan Robinson, Libertà e necessità Un’introduzione allo studio della società

45. Jan Myrdal e Gun Kessle, Un villaggio cinese nella rivolu­ zione culturale Nuovo rapporto da Liu Ling

46. Robert Kalivoda, La realtà spirituale moderna e il marxi­ smo Lo strutturalismo, Freud, il libertinismo

47. Aldo Ricci e Giulio Salierno, Il carcere in Italia Inchiesta sui carcerati, i carcerieri e l’ideologia carceraria