Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale. Il caso di Antonio Rinaldeschi 8859601193, 9788859601197

A Firenze, nell'estate del 1501, un uomo chiamato Antonio Rinaldeschi fu arrestato e impiccato per aver tirato ster

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale. Il caso di Antonio Rinaldeschi
 8859601193, 9788859601197

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William J. Connell

Giles Constable

Sacrilegio e Redenzione nella Firenze rinascimentale Il caso di Antonio Rinaldeschi

Edizioni Polistampa

Traduzione di Simona Calvani. Edizione italiana, aumentata e rivista dagli autori, del volume Sacrilege and redemption in Renaissance Florence: the case of Antonio Rinaldeschi, pubblicata nel 2005 dal Centre for Reformation and Renaissance Studies, University of Toronto, Ontario M5S 1K7, Canada.Tutti i diritti sono riservati.

In copertina: Storia di Antonio Rinaldeschi, Firenze, Museo Stibbert.

© 2006 Edizioni Polistampa Sede legale:Via Santa Maria, 27/r - 50125 Firenze - Tel. 055.233.7702 Stabilimento:Via Livorno, 8/31 - 50142 Firenze Tel. 055.7326.272 - Fax 055.7377.428 http://www.polistampa.com ISBN 88-596-0119-3

Indice Indice delle illustrazioni

7

Abbreviazioni archivistiche

8

Introduzione

9

Nota di cronometria

13

Nota sulle monete

14

Capitolo I: L’imputato e i suoi reati

15

Capitolo II: La natura del reato

33

Capitolo III: Il contesto della storia fiorentina

51

Illustrazioni (figure 1-28)

73

Appendice di documenti (I-XII) I. Sentenza degli Otto di Guardia contro Antonio Rinaldeschi, 21 luglio 1501 (Archivio di Stato di Firenze, Otto di Guardia e Balìa. Periodo repubblicano, 120, c. 128r-v).

101

II. “Narratione dello excesso del Rinaldesco” contenuto nel libro di “Entrata, uscita, debitori, creditori e ricordanze” dell’Opera della Madonna de’ Ricci (Berkeley, University of California, Bancroft Library, Manuscripts, 54, c. 131r).

103

III. Annotazione tratta dai registri della Compagnia dei Neri (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo nazionale, II.I.138, c. 81r).

105

IV. Seconda annotazione tratta dai registri della Compagnia dei Neri (Archivio della Provincia Toscana dei Padri Scolopi, Firenze, Reg. Dom., 505, S.M.R., 15, c. 4r-v).

106

V. Da Luca Landucci, Diario, a cura di I. Del Badia, Firenze, 1883, pp. 233-234.

107

VI. Da una miscellanea compilata nel ’600 da Carlo Strozzi (Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, ser. III, 233, c. 130v).

108

VII. Annotazione copiata da un priorista in possesso di Matteo Segaloni nel 1630 (Archivio della Provincia Toscana dei Padri Scolopi, Firenze, Reg. Dom., 505, S.M.R., 15, c. 5r-v).

109

VIII. Pagamenti al pittore Filippo Dolciati registrati nel libro di “Entrata, uscita, debitori, creditori e ricordanze” dell’Opera della Madonna de’ Ricci, 24 febbraio e 24 marzo 1502 (Berkeley, University of California, Bancroft Library, Manuscripts, 54, cc. 21r, 22r).

110

IX. Decisione dell’Opera della Madonna de’ Ricci di assumere l’architetto Baccio d’Agnolo per la costruzione di un nuovo oratorio, 2 settembre 1507 (ASF, Notarile antecosimiano, 7981, no. 195).

111

X. Da Ferdinando Leopoldo Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1684, pp. 392-393.

113

XI. Testamento di Giovanni Rinaldeschi, padre di Antonio, 5 dicembre 1499 (ASF, Notarile antecosimiano, 16795, no. 165, cc. 431r-432r).

115

Indice dei nomi di persona

121

Indice dei luoghi

125

Indice degli autori moderni

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Indice delle illustrazioni Figura 1.

Filippo Dolciati, Rinaldeschi perde al gioco.

Figura 2.

Rinaldeschi raccoglie lo sterco.

Figura 3.

Rinaldeschi getta lo sterco in faccia alla Madonna.

Figura 4.

L’arresto di Rinaldeschi.

Figura 5.

Rinaldeschi condotto a Firenze.

Figura 6.

Rinaldeschi condotto dalla prigione.

Figura 7.

Rinaldeschi esaminato dagli Otto di Guardia.

Figura 8.

La confessione di Rinaldeschi.

Figura 9.

L’esecuzione di Rinaldeschi.

Figura 10. Filippo Dolciati, Storia di Antonio Rinaldeschi. Firenze, Museo Stibbert.Visione generale. Figura 11. La sentenza degli Otto di Guardia contro Antonio Rinaldeschi. Archivio di Stato di Firenze, Otto di Guardia e Balìa. Periodo repubblicano, 120, c. 128r-v. Figura 12. Pittura infamante sul Palazzo del Podestà. Incisione di Vincenzo Cavini su disegno di Giuseppe Manni. In Angelo Poliziano, Conjurationis Pactianae anni MCCCCLXXVIII commentarium, a cura di G.Adimari, Napoli 1769, p. 139. Figura 13. Filippino Lippi, San Pietro visitato in carcere da San Paolo. Firenze, Chiesa di S. Maria del Carmine, Cappella Brancacci. Figura 14. Duccio di Buoninsegna, Cattura di Cristo. Siena, Museo dell’Opera del Duomo. Figura 15. Il patibolo e la cappella chiamata “Il Tempio”. Dettaglio della Pianta della catena, circa 1470. Firenze, Museo di Firenze com’era. Figura 16. Copertina del “Liber condemnationum” di messer Monaldo de’ Fascioli da Orvieto, Podestà di Firenze nel 1501, con lo stemma del Fascioli. Archivio di Stato di Firenze, Atti del Podestà, 5547. Figura 17. Foglio miniato del Codice Escoriale delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso il Saggio. Biblioteca de San Lorenzo el Real de el Escorial, codice T.I.1, Cantiga 136, c. 192r. Figura 18. Foglio miniato del Codice Fiorentino delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso il Saggio. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Banco Rari, 20, Cantiga 294, c. 20r.

Figura 19. Foglio miniato del Codice Escoriale delle Cantigas de Santa Maria. Biblioteca de San Lorenzo el Real de el Escorial, codice T.I.1, Cantiga 154, c. 209r. Figura 20. Fra Bartolomeo, Ritratto di Girolamo Savonarola. Firenze, Museo di San Marco. Figura 21. Pittore ignoto, Esecuzione di Savonarola e due seguaci in piazza della Signoria, 23 maggio 1498. Firenze, Museo di San Marco. Figura 22. Veduta della Chiesa di S. Maria degli Alberighi circa 1447. Firenze, Biblioteca del Seminario Arcivescovile Maggiore di Cestello, codice di Marco di Bartolommeo Rustici. Figura 23. Chiesa di S. Maria degli Alberighi con l’annesso Oratorio della Madonna de’ Ricci costruito da Baccio d’Angelo. Dettaglio di una pianta di Firenze: Stefano Buonsignori, Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata, Firenze 1584. Figura 24. Chiesa della Madonna de’ Ricci. Facciata su via del Corso.Archivio Alinari. Figura 25. Filippo Dolciati, Tabernacolo della Madonna de’ Ricci. Dettaglio di Figura 3. Figura 26. Madonna de’ Ricci, affresco, prima del restauro. Illustrazione in frontespizio di C.Torricelli, La Chiesa della Madonna de’ Ricci, Firenze [1926]. Figura 27. Madonna de’ Ricci, affresco. Firenze, Chiesa della Madonna de’ Ricci. Fotografia del 1995. Figura 28. Annunziata. Firenze, Chiesa della SS.Annunziata.

Abbreviazioni archivistiche Sono state usate le seguenti abbreviazioni: ASF = Archivio di Stato di Firenze APTPS = Archivio della Provincia Toscana dei Padri Scolopi, Firenze BANC. = Bancroft Library, University of California, Berkeley BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze CS = Carte strozziane NA = Notarile antecosimiano OGB = Otto di Guardia e Balìa. Periodo repubblicano PR = Provvisioni. Registri

Introduzione Il nostro racconto del crimine di Antonio Rinaldeschi e della sua punizione è stato pubblicato in un primo tempo, in una più breve versione, dal “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes” nel 19981. Da allora, l’articolo ha attirato più interesse di quanto usualmente accade per un saggio pubblicato su un periodico scientifico. Ne ha parlato il “New Yorker Magazine” in un articolo sulla storia dei dadi e del gioco d’azzardo2. Uno scrittore della Californa ci ha scritto per dire che riprendeva l’episodio del Rinaldeschi in un romanzo per un grande editore di New York. Persino uno studente di arte drammatica dell’Arizona ha inviato una e-mail chiedendo se avevamo delle obiezioni (e non le abbiamo avute) al fatto che stesse scrivendo un testo teatrale sul Rinaldeschi. Anche gli storici si sono interessati al nostro saggio. Nicholas Eckstein dell’Università di Sidney ha recentemente parlato del racconto in un articolo introduttivo per un numero speciale del “Journal of Religious History”3. Siamo particolarmente grati al collega Oleg F. Kudriavtsev che ha scritto una lunga e accurata recensione in russo dell’articolo4, un saggio che non siamo stati capaci di leggere direttamente, ma che amici che conoscono quella lingua ci hanno riassunto. Nel 2005 eravamo lieti di poter pubblicare il saggio in una versione integrale nella collana “Essays and Studies” del Centre for Reformation and Renaissance Studies (CRRS) di Toronto, primo perché al momento della prima pubblicazione per ragioni di spazio dovemmo eliminare del materiale e, secondo, perché abbiamo voluto aggiornare parte dei con1 W. J. Connell e G. Constable, Sacrilege and redemption in Renaissance Florence: the case of Antonio Rinaldeschi, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, LXI, 1998, pp. 5392. 2 R. Jay, The story of dice, in “The New Yorker Magazine”, LXXII, 11 dicembre 2000, pp. 91-95. 3 N.A. Eckstein, Words and deeds, stasis and change: new directions in Florentine devotion around 1500, in “Journal of Religious History”, XXVIII, 2004, pp. 1-18. Si veda anche E.S. Cohen e T.V. Cohen, Daily life in Renaissance Italy,Westport 2001, p. 281. 4 O.F. Kudriavtsev, Renessansnaia Florentsiia v neprivychnom aspekte: prestuplenie i nakazanie Antonio Rinaldeski, in “Dialog so vremenem: almanakh intellektualnoi istorii”,VI, 2001, pp. 371-378.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

tenuti. Ora, con l’aiuto degli amici e colleghi italiani, e grazie anche ad un restauro del dipinto di Dolciati, fatto recentamente per il Museo Stibbert, che ha reso possibile la pubblicazione di una serie di foto più chiare ed esatte, siamo grati di poter pubblicare una edizione italiana, nuovamente corretta e aggiornata, del nostro studio. Come esempio di quel che Robert Darnton recentemente ha chiamato “incident analysis” (cioè l’analisi di un episodio particolare)5, crediamo che il caso di Antonio Rinaldeschi offra l’eccezionale possibilità di gettare uno sguardo rivelatore sulle forze culturali, politiche e religiose in atto a Firenze intorno al 1500. Sebbene ci siamo basati su un’ampia gamma di fonti e tradizioni europee, abbiamo teso a enfatizzare i documenti dei periodi precedenti al caso Rinaldeschi perché con maggiore probabilità questi avevano permeato e influenzato le procedure, le tradizioni e i sentimenti in gioco in questo episodio. Un argomento su cui non ci siamo particolarmente soffermati è stato il controverso legame fra pietà religiosa e immagini devote nella Riforma protestante. L’iconoclastia protestante è stata l’argomento di numerosi studi svolti negli ultimi decenni6. Gli studiosi che si occupano del quindicesimo (fino al diciassettesimo) secolo continuano ad indagare la questione se gli attacchi protestanti alle immagini religiose e l’aumentato numero di devozioni incentrate sulle immagini nell’Europa cattolica fossero i segni di una completa diversificazione dei costumi, o fossero invece il sintomo di una profonda ansietà condivisa nella cultura europea sui nuovi modi della rappresentazione e di quello che qualche volta è stato rozzamente chiamato “cultural reproduction” (la riproduzione culturale), termine teso a comprendere fenomeni come la riproduzione visiva della realtà attraverso la prospettiva lineare e lo sviluppo della

5 R. Darnton, It happened one night, in “New York Review of Books”, LI:11, 24 giugno 2004, pp. 60-64, trad. it. in Id., La storia scritta in piccolo, in “Rivista dei libri”, XV:2, febbraio 2005, pp. 4-9. 6 P. Mack Crew, Calvinist preaching and iconoclasm in the Netherlands, 1544-1569, Cambridge 1978; C. Eire, War against the idols: the reformation of worship from Erasmus to Calvin, Cambridge 1986; M. Warnke, Durchbrochene Geschichte? Die Bilderstürme der Widertäufer in Münster 1534/35, in Bildersturm. Die Zerstörung des Kunstwerks, a cura dello stesso, Frankfurt a.M. 1988, pp. 65-98; L.P. Wandel, Iconoclasm in Reformation Zurich, Strasbourg and Basel, Cambridge 1995; e i contributi in Macht und Ohnmacht der Bilder. Reformatorischer Bildersturm im Kontext der europäischen Geschichte, a cura di P. Blickle, A. Holenstein, H.R. Schmidt e F.J. Sladeczek, München 2002.

Introduzione

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stampa7. Certamente la storia del crimine di Antonio Rinaldeschi con il relativo dipinto offre spunti rilevanti su questo tema. Come argomenteremo in seguito, ciò che è più inusuale in questo caso, dall’esecuzione di Rinaldeschi alle qualità miracolose del dipinto da lui oltraggiato, è stato condizionato da una accresciuta ansia nei confronti delle immagini religiose a Firenze nel periodo dopo la morte di Savonarola.Tuttavia il nostro scopo principale in questo studio non è stato tanto generalizzare dal contesto fiorentino ad altri contesti storici, ma piuttosto esaminare le fonti relative a Rinaldeschi per vedere se potevano ancora dire qualcosa sulle circostanze specifiche che portarono alla sua morte e sulla Firenze in cui Rinaldeschi visse e morì. È stato a un pranzo all’ Institute for Advanced Study di Princeton che questo progetto ha avuto inizio. In quell’occasione Connell raccontò a Constable di una curiosa storia trovata in un manoscritto in cui si era imbattuto nella biblioteca Bancroft a Berkeley, e Constable riferì a Connell di un dipinto particolare su un argomento simile che aveva trovato per caso nel magazzino del Museo Stibbert di Firenze. Sebbene entrambi gli autori abbiano contribuito a tutto il lavoro nel suo insieme, Connell, come storico di Firenze e del Rinascimento italiano, ha scritto principalmente i capitoli 1 e 3, e Constable, come medievista, invece il capitolo 2. Fra gli amici e colleghi che hanno contribuito a questo lavoro, che tocca vari argomenti, un ringraziamento speciale va, in aggiunta a quelli delle specifiche note, a Candace Adelson, Kirsten Aschengreen Piacenti (per il permesso di pubblicare le fotografie a colori del dipinto dello Stibbert dopo il restauro), la compianta Elizabeth Beatson, Amy Bloch,

7 Si veda per esempio, H. Belting, Likeness and presence: a history of the image before the era of art, Chicago 1994 (trad. ingl. di Id., Bild und Kult: eine Geschichte des Bildes vor dem Zeitalter der Kunst, München 1990, che esiste anche nella trad. it.: Id., Il culto delle immagini: storia dell’ icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Roma 2001); e anche L. Dupré, Passage to modernity: an essay in the hermeneutics of nature and culture, New Haven 1993. Si confronti la spiegazione del trattamento luterano delle opere religiose in J.L. Koerner, The reformation of the image, Chicago 2004. Sui nuovi santuari e luoghi di pellegrinaggio, molti dei quali creati per quadri o statue “miracolosi”, si veda L. Rothkrug, Popular religion and holy shrines, in Religion and the people, 800-1700, a cura di J. Obelkevich, Chapel Hill 1979, pp. 20-86; L. Rothkrug, Religious practices and collective perceptions: hidden homologies in the Renaissance and Reformation (= un numero monografico di “Historical Reflections / Reflexions historiques”, VII, n. 1, 1980), prendendo in considerazione anche S.D. Sargent, A critique of Lionel Rothkrug’s list of Bavarian pilgrimage shrines, in “Archiv für Reformationsgeschichte”, LXXVIII, 1987, p. 358; e i dati preliminari riguardanti l’Italia raccolti in Per una storia dei santuari cristiani d’Italia: approcci regionali, a cura di G. Cracco, Bologna 2002.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Dwayne Carpenter, Olivia Constable, Gino Corti (per aver controllato alcune trascrizioni), Gregory Hanlon, Rab Hatfield, Richard Jackson, Christiane Klapisch-Zuber, Irving and Marilyn Lavin (per le utili osservazioni sul quadro), il compianto Hubert Mordek, John Najemy, Michael Rocke (per aver ottenuto fotografie della sentenza degli Otto di Guardia contro Rinaldeschi), Frederick Russell, i padri dell’ordine degli Scolopi di Firenze (per il permesso di consultare il loro archivio), Nikki Shepardson, Padre Roberto Tassi, Patricia Woolf (per il titolo e altri suggerimenti), e Andrea Zorzi. Siamo infine grati agli editori del “Journal of the Warburg and Courtauld Studies” per averci concesso di ripubblicare le parti del lavoro precedentemente stampate, e in particolare ringraziamo Konrad Eisenbichler e gli anonimi lettori del Centre for Reformation and Renaissance Studies. Qualche piccolo aggiornamento a parte, l’edizione italiana di questo libro differisce dall’originale pubblicato in lingua inglese nell’addizione, fra i documenti pubblicati nell’ Appendice, della descrizione dell’episodio pubblicata nel 1684 da F.L. Del Migliore (Documento X), e del testamento di Giovanni Rinaldeschi, il padre di Antonio (Documento XI). Inoltre, com’ è già stato detto, la pulitura e il restauro del quadro di Filippo Dolciati, intrapreso dal Museo Stibbert e ultimato solo nella primavera del 2006, rende possibile la pubblicazione di una nuova serie di fotografie di questi pannelli così illuminanti. Per i loro aiuti nella produzione dell’edizione italiana siamo grati, soprattutto, a Simona Calvani, che ha tradotto il testo con la sua solita cura, e anche a Simona Di Marco, Federico Gori e Gabriella Romani per la loro assistenza su molti punti.

Nota di cronometria Firenze nel Rinascimento seguiva il calendario giuliano consistente in 12 mesi e 365 giorni, con un anno bisestile ogni quattro. Comunque, come in molte altre parti d’Europa, a Firenze l’anno iniziava il 25 marzo, la festa dell’Annunciazione. Perciò i documenti fiorentini datati dal 1° gennaio al 24 marzo non riportano l’anno che avrebbero secondo gli usi moderni, ma piuttosto l’anno prima. In questo studio tutti gli anni sono numerati secondo la tradizione moderna, salvo le trascrizioni di documenti dove, se un anno non concorda con l’uso di oggi, sono date entrambe le modalità. Per esempio, se un documento riporta “10 gennaio 1497”, che secondo lo stile moderno sarebbe 1498, è stato scritto “10 gennaio1497/8”. Nella Firenze del Rinascimento si seguiva anche un secondo modo di datare gli anni, il sistema dell’indizione, come in gran parte dell’Europa, allo scopo di assicurare maggiore precisione nella datazione di documenti ufficiali. Secondo questo sistema ogni anno era numerato progressivamente da 1 a 15, allorché la numerazione ripartiva di nuovo da 1. Firenze seguiva quel che è noto come il sistema “cesariano” di indizione, in cui l’anno di indizione iniziava il 24 settembre. Perciò la data dell’arresto del Rinaldeschi e del processo, 21 luglio 1501, cadeva nel quarto anno di indizione e il quinto anno di indizione iniziava poco più di due mesi dopo, il 24 settembre 1501. Sulla divisione del tempo del giorno, si veda oltre a pp. 25-26.

Nota sulle monete Due sistemi di conio metallico erano in uso a Firenze nel Rinascimento. I fiorini d’oro erano usati dai mercanti, in particolare negli affari internazionali; mentre le monete d’argento e di rame, conosciute come monete “di piccioli”, venivano usate per le transazioni locali. Le unità con cui si registravano le transazioni in monete di piccioli erano la lira, il soldo e il denaro. La lira valeva 20 soldi e il soldo 12 denari. Intorno al 1500 lo stipendio medio giornaliero di un operaio manuale era di circa 9 soldi. In quegli anni il fiorino d’oro veniva convertito in monete di piccioli con un valore di circa 7 lire. I particolari fiorini d’oro che circolavano nella Firenze di Rinaldeschi, descritti come “fiorini larghi di oro in oro”, vennero introdotti nel 1471. Nel sedicesimo secolo divenne più comune un’altra moneta d’oro, il ducato.Valeva grosso modo come il fiorino e poteva essere convertito anch’esso in circa 7 lire di moneta di piccioli.

Capitolo I L’ IMPUTATO

E I SUOI REATI

Nell’estate del 1501, l’11 luglio, nella città di Firenze, un cittadino di nome Antonio Rinaldeschi perse al gioco denaro e vestiti in una taverna chiamata “Il Fico”. Lasciando la taverna, maledì il nome della Vergine. Poi, attraversando una piccola piazza di fronte alla chiesa di Santa Maria degli Alberighi, si fermò per raccogliere una manciata di sterco secco di cavallo. Sopra l’entrata su un muro laterale della chiesa, in un vicolo della piazza, c’era un tabernacolo con un affresco dell’Annunciazione della Vergine, nota come Madonna o Santa Maria de’ Ricci. Rinaldeschi lanciò la sua manciata di sterco sulla faccia della Vergine. Poi scappò in una residenza fuori città e non si fece vedere per diversi giorni. Probabilmente Rinaldeschi credeva che lo sterco secco sarebbe caduto e che così non si sarebbe scoperto il suo reato. Ma una parte di esso, simile a una rosetta di gesso (“quasi pareva una rosetta secha”) rimase attaccata al diadema della Vergine, dietro la nuca. L’immagine così sporcata attirò molta attenzione. L’arcivescovo venne a dare un’occhiata. Candele e immagini votive vennero portate davanti all’affresco che diventò rapidamente oggetto di devozione popolare. I magistrati noti come gli “Otto di Guardia e Balìa” si incaricarono di trovare il colpevole. Un ragazzo che aveva assistito al crimine disse che era stato compiuto da un uomo adulto. Forse fu dopo aver fatto domande a “Il Fico” che gli Otto di Guardia iniziarono a sospettare di Rinaldeschi. Chiesero a tutti quelli che lo conoscevano di farsi avanti, e diversi giorni dopo lo trovarono, alcuni dissero per miracolo, nel giardino del convento francescano a Monte alle Croci, sopra Firenze. Quando capì che veniva catturato, Rinaldeschi cercò di suicidarsi ficcandosi un coltello nel petto. La lama però colpì una costola che gli risparmiò la vita. Il prigioniero ferito venne condotto a Firenze per essere incarcerato, a quanto pare nel Palazzo del Podestà o “Bargello”, dove, il 21 luglio, probabilmente la sera, fu esaminato dagli Otto di Guardia. Davanti ai magistrati, l’accusato confessò e, secondo una delle fonti, chiese di essere giustiziato per evitare di essere linciato dal popolo. Rinaldeschi venne condannato alla forca ma non nell’usuale piazza delle esecuzioni fuori città, ma dalle finestre del Bargello, perché la folla avrebbe intralciato il corteo.

Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

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Gli Otto di Guardia confiscarono gli averi del Rinaldeschi. Il criminale si confessò a un prete e ricevette l’assoluzione. Più tardi, quella notte, i membri incappucciati della Compagnia dei Neri, la confraternita che accompagnava i condannati a morte alle esecuzioni, lo scortarono fino alla finestra del palazzo dalla quale venne impiccato. Il corpo rimase appeso fuori dell’edificio per tutta la mattina del giorno seguente, descritto a questo riguardo in una delle fonti come un doppio giorno solenne, in quanto il 22 luglio era la festa di Santa Maria Maddalena, celebrata a Firenze con iniziative promosse dal Podestà come processioni, scampanii e una corsa di cavalli. La stessa mattina, quando la prova del crimine non era più necessaria, il vicario dell’arcivescovo fece pulire l’immagine oltraggiata, ma evidentemente il lavoro non fu fatto a regola d’arte poiché, a quanto pare, la “rosetta” di sterco rimase o addirittura riaffiorò come “segno” dell’incidente. Più tardi il corpo del Rinaldeschi venne tirato giù e seppellito. Il racconto suddetto è stato ricostruito grazie ad una serie straordinariamente completa di fonti superstiti. La sentenza originale pronunciata contro Rinaldeschi dagli Otto di Guardia e che descriveva le sue azioni è conservata nell’Archivio di Stato di Firenze (Documento I)1. La grafia è frettolosa [Figura 11], cosa che probabilmente riflette l’urgenza con la quale gli Otto di Guardia proclamarono la sentenza nel cuore della notte. Un ulteriore registro degli Otto, che ricorda l’adempimento delle loro sentenze, conferma l’esecuzione Rinaldeschi. L’adempimento della sentenza di un condannato veniva usualmente indicato dalla parola “Paghò” a margine di questo registro.Accanto al nome di Rinaldeschi, comunque, lo scrivano mise “Paghò contanti”, evidentemente un modo sbrigativo per esprimere il proprio parere, ovvero che Rinaldeschi ebbe quel che si meritava2. Anche i confratelli della Compagnia dei Neri, che registravano le esecuzioni a Firenze in diversi libri manoscritti – ricopiati, sembra, per motivi di devozione – hanno ricordato Rinaldeschi. Un racconto del suo

1

ASF, OGB, 120, c. 128r-v, trascritto nell’appendice come Documento I. ASF, OGB, 229, “Libro delle condanne”, c. 10v: “Antonio di Giovanni Rinaldeschi, addì 22 di luglio 1501 fu condannato che sia impichato alla finestra del Podestà al libro 120 a carte 128. Finestra et forche”. Nota a margine: “Paghò contanti”. Cf. Charles Dickens, Martin Chuzzlewit, capitolo 51, su Jonas Chuzzlewit di Montague Tigg (altrimenti noto come Tigg Montague), quando venne ucciso: “He has given his receipt in full – or had it forced from him rather”. (“Ha dato la sua ricevuta in pieno – ovvero l’ha avuto forzatagli”.) 2

L’imputato e i suoi reati

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crimine e dell’esecuzione è incluso nel cosiddetto Codice Sanminiatese, che consiste in un elenco dei condannati a morte a Firenze dal 1423 al 17593. L’impiccagione e la sepoltura di Rinaldeschi furono ugualmente descritte in almeno due altre versioni negli altri registri tenuti dai membri della stessa Compagnia (Documenti III e IV)4. 3 Questo manoscritto del diciannovesimo secolo, secondo il suo proprietario (nel 1901) e curatore Giuseppe Rondini, è forse una copia di un manoscritto precedente appartenente alla Compagnia di Sant’ Urbano che era associata alla confraternita di San Giovanni Decollato in San Miniato (da qui il nome conferito da Rondini di “Codice Sanminiatese”) nell’assistenza dei condannati a morte e anche affiliata alla compagnia fiorentina dei Neri. I documenti sono stati pubblicati in G. Rondini, I “giustiziati” a Firenze (dal secolo XV al secolo XVIII), in “Archivio storico italiano”, ser.V, XXVIII, 1901, pp. 209-256, in particolare pp. 209 n. 2 (sul manoscritto), 222 n. 2 (sulle altre fonti), e 225-226 (su Rinaldeschi). Il rapporto sembra essere collegato alle iscrizioni del quadro dello Stibbert (sotto, pp. 19-23), al quale fa riferimento Rondini, ma include alcuni dettagli (come il fatto che Rindaldeschi sia stato trovato per miracolo della Vergine e giustiziato all’una di notte) non trovati in altre fonti. Rondini afferma anche che la faccenda di Rinaldeschi “fu data alla stampa”, forse in riferimento ai primissimi opuscoli che abbiamo visto, una Relazione della miracolosa immagine della SS. Annunziata, che si venera nella Chiesa della Madonna de’ Ricci de’ Cherici Regolari delle Scuole Pie, Firenze 1718 (ora ristampata in R. Tassi, Chiesa Madonna de’ Ricci (dedicata alla Vergine Annunziata). Dal Giubileo di Bonifacio VIII e di Dante al Giubileo d’inizio del Terzo millennio, Firenze 1998, pp. 365-368), in cui erano confluite diverse fonti contemporanee. A. Zorzi, Le esecuzioni delle condanne a morte a Firenze nel tardo medioevo tra repressione penale e cerimoniale pubblico, in Simbolo e realtà della vita urbana nel tardo medioevo, a cura di M. Miglio e G. Lombardi, Viterbo 1993, pp. 51-58, che abbiamo consultato in estratto, indica (a p. 6 n. 21 dell’estratto) la presenza attuale del Codice Sanminiatese nella Biblioteca Moreniana di Firenze, MS Palagi, 174. La narrazione nel Codice Sanminiatese pubblicata da Rondini è molto simile e forse dipende da quella pubblicata in C. Fabbri,“… E fece buona morte”: memorie sui condannati alla pena capitale a Firenze in due “libri neri” inediti del Settecento, Firenze 2004, p. 75 4 Si veda nell’appendice i Documenti III e IV. Il Documento III venne pubblicato con alcune variazioni in G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, 10 voll., Firenze 17541762, II, p. 133; C. Torricelli, La chiesa della Madonna de’ Ricci in Firenze. Note storiche e artistiche, 2a ed., a cura di L. Stefani, Firenze 1980, p. 13; e S.Y. Edgerton (Jr.), Pictures and punishment: art and criminal prosecution during the Florentine Renaissance, Ithaca 1985, p. 55 n. 40. Il Documento IV fu copiato nel 1637 da un libro che apparteneva alla Compagnia dei Neri. (La copia è in APTPS, Reg. Dom., 505, S.M.R., 15, “Documenti relativi a S. Maria de’ Ricci dalle origini”, c. 4r-v). La fotografia di un’altra più tarda e alquanto imprecisa copia manoscritta di quella del 1637 è pubblicata in Tassi, Chiesa Madonna de’ Ricci, cit. (n. 3 sopra), p. 373; mentre un’altra trascrizione seicentesca si trova in F.L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1684, p. 393 (Documento X). Secondo Del Migliore, quando il registro nel quale si trovava quest’annotazione fu alluvionato nel 1557, il fatto che solo il ricordo di Rinaldeschi rimase poi leggibile fu segno del dispiacere di Dio. Sulla Compagnia dei Neri, una sezione o “sotto-gruppo” della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, esistita dal 1423 al 1785, si veda F. Fineschi, La rappresentazione della morte

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Ancora un’altra descrizione delle azioni del Rinaldeschi e della sua punizione appare in un libro di conti (“Entrata, uscita, debitori, creditori e ricordanze”) tenuto da un certo Giovanni Landi per un’Opera formata dal parrocco e dai membri preminenti della parrocchia di Santa Maria degli Alberighi per promuovere la devozione all’affresco danneggiato5. Il libro dell’ Opera (si veda Documenti II e VIII) è stato iniziato il 26 luglio 1501, soltanto quattro giorni dopo l’impiccagione di Rinaldeschi, e fornisce un’importante testimonianza della velocità con la quale i parrocchiani si misero a considerare il fatto. Il registro, ora di appartenenza del Bancroft Library della University of California di Berkeley, contiene registrazioni fino al 1542, sebbene con qualche intervallo cronologico. Inoltre, passi di due altri libri manoscritti, già appartenuti alla stessa Opera e oggi persi, furono pubblicati nel Settecento dall’antiquario e storico delle chiese fiorentine Giuseppe Richa6. Ulteriori descrizioni dell’affare Rinaldeschi sono comprese in una serie di fonti diverse. Un “ricordo”, datato 21 luglio 1501, che è stato copiato nel 1630 da una cronaca familiare o “priorista” che allora apparteneva a Matteo Segaloni (Documento VII), aggiunge il dettaglio, non confermato altrove, che Rinaldeschi non poté fuggire lontano dalla città per-

sul patibolo nella liturgia fiorentina della congregazione dei Neri, in “Archivio storico italiano”, CL, 1992, pp. 805-846; Zorzi, Le esecuzioni, cit. (n. 3 sopra), pp. 51-58; e K. Eisenbichler, Lorenzo de’ Medici and the confraternity of the Blacks in Florence, in “Fides et Historia”, XXVI, 1994, pp. 85-98 (88-90). Si noti che Zorzi, Le esecuzioni, cit. (n. 3 sopra), pp. 5-7 (dell’estratto), ha trovato almeno 20 manoscritti ancora esistenti con elenchi, tutti derivati dai registri dei Neri, dei fiorentini giustiziati. 5 Berkeley, Banc., MSS, 54. Il libro è passato da mani tedesche alla collezione di Henry R. Hatfield, dove è stata descritta in S. de’ Ricci e W.J. Wilson, Census of medieval and Renaissance manuscripts in the United States and Canada, 3 voll., New York 1935-40, I, p.10.Venne acquisita dall’university of California a Berkeley verso il 1950; cf. C.U. Faye and W.H. Bond, Supplement to the census of medieval and Renaissance manuscripts in the United States and Canada, New York 1962, p. 2, dove l’acquisto è ricordato. Siamo grati per l’aiuto fornitoci da Anthony Bliss del Bancroft Library. La descrizione dell’atto compiuto da Rinaldeschi è pubblicato nell’appendice come Documento II. 6 Questi altri due manoscritti, ognuno chiaramente appartenente al sistema memoriale e contabile dell’opera, sono stati citati da Richa, Notizie, cit. (n. 4 sopra),VIII, p. 237 (“Lib. Segnato ‘A’, intitolato ‘Entrata, e Uscita dell’oratorio … Dal 1501 al 1540’ ”, dal quale egli citò c. 140), e pp. 249-250 (“Libro di Ricordi scripto dal 1508 al 1540”). Il brano citato dal secondo dei registri conosciuti da Richa (VIII, pp. 249-250) era chiaramente derivato dalla “Narratione” che si trova nel registro di Berkeley su c. 131r, dove un non identificato scrittore del sedicesimo secolo dichiarò (in fondo alla carta) che questo era il “primo richordo”, cioè la prima menzione scritta del crimine del Rinaldeschi. Giovanni Landi sembra essere padre di un amico di Benvenuto Cellini (cfr. Cellini, Opere, a cura di G.G. Ferrero,Torino 1971, p. 94).

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ché soffriva in maniera dolorosa di sifilide (“mal francioso”)7. L’affare del Rinaldeschi è anche descritto nel Diario di Luca Landucci (Documento V), da cui venne copiato più tardi, con poche differenze, da Agostino Lapini nel proprio Diario, e dal senatore Carlo Strozzi, il quale nel secolo XVII compilò un manoscritto miscellaneo riguardante le chiese, i monasteri, gli ospedali e le confraternite di Firenze (Documento VI). Secondo la narrazione di Landucci, in seguito alla testimonianza di un ragazzo che aveva assistito al crimine e lo aveva raccontato alle autorità, Rinaldeschi venne inseguito (“codiato”) prima del suo arresto. Poi, la descrizione della chiesa della Madonna de’ Ricci pubblicata nel 1684 da Ferdinando Leopoldo Del Migliore (Documento X), pur essendo da molto posteriore all’evento, offre alcuni dettagli (non tutti esatti) non riscontrati altrove, mentre dimostra come a Firenze l’esecuzione del Rinaldeschi rimanesse ancora materia di discussione pressoché due secoli dopo il fatto8. Certamente la più inusuale delle fonti relative a questo episodio, comunque, rimane un dipinto, ora al Museo Stibbert di Firenze, che ritrae gli eventi che portarono alla morte del Rinaldeschi attraverso nove singoli pannelli, ognuno accompagnato da un’iscrizione [Figure 10, 1-9]9. Questo dipinto notevole deve essere inteso non nella tradizione delle “pitture infamanti” – ritratti pubblici e quasi ufficiali di noti criminali dipinti sulle mura di palazzi civici [Figura 12]10 – ma, come vedremo, come il documento di una cause célèbre che dette origine a una devozio-

7 APTPS, Reg. Dom., 505, S.M.R., 15, c. 5r-v, pubblicato nell’appendice come Documento VII. Il “priorista” dal quale la notizia fu copiata è forse ASF, Manoscritti, 226, da noi non visto ma descritto nell’inventario come “Priorista fiorentino” già appartenuto a Francesco Segaloni, probabilmente un parente del “Matteo” ricordato qui. Purtroppo non abbiamo potuto consultare questo codice. Matteo Segaloni fu il nome di un architetto attivo a Firenze nella prima metà del secolo XVII. 8 Luca Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, pp. 233-234 (pubblicato nell’appendice come Documento V); Agostino Lapini, Diario fiorentino dal 252 al 1596, a cura di O. Corazzini, Firenze 1900, p. 44; Carlo Strozzi, “Raccolta di memorie, fondazioni e padronati di diverse chiese, monasteri, spedali, compagnie e simili,” in ASF, CS, ser. III, 233, c. 130v (pubblicato qui come Documento VI), citato anche in Eckstein, Words and deeds, cit. (sopra, Introduzione n. 3), p. 16 n. 61; Del Migliore, Firenze, cit. (n. 4 sopra), pp. 392-393, pubblicato anche in Fabbri, … E fece, cit. (n. 3 sopra), pp. 186-187, e qui nell’appendice come Documento X. 9 Su questo dipinto si veda Il museo Stibbert, 4 voll. in 7, Firenze 1972-1976 (vol. IV a cura di. L. G. Boccia, G. Cantelli, e F. Maraini), IV:1, p. 32. Il numero di inventario è 16719. 10 G. Ortalli, “…pingatur in Palatio…”: la pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma 1979; e Edgerton, Pictures, cit. (n. 4 sopra), pp. 71-73. L’incisione nella Figura 12 mostra uno di questi ritratti sul Palazzo del Podestà di Firenze.

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ne popolare. Così, l’ultimo pannello [Figura 9] mostra al centro non il corpo del Rinaldeschi ma la battaglia per la sua anima fra gli angeli e i diavoli, e un’iscrizione riporta le parole: “Signior mio giesv christo ab[b]i miserichordia de l’anima mia”11. Questa, secondo chi ha restaurato il dipinto nel 2005-2006, è l’unica iscrizione originale. Le altre furono aggiunte probabilmente nel tardo diciassettesimo o diciottesimo secolo, forse perché la memoria popolare svaniva e quindi si sentiva la necessità di imporre sul dipinto stesso un racconto dell’episodio12. Il dipinto, con il suo carattere quasi “da fumetto”, inusuale ma non nuovo all’epoca13, ha attirato grande attenzione in anni recenti, perfino sulla stampa popolare14.Talvolta lo si è notato per l’attenta descrizione degli aspetti della vita quotidiana come la cucina della taverna – infatti c’era una taverna chiamata “Il Fico” situata nelle vicinanze della chiesa15 – e per la rappresentazione degli edifici e delle strade. L’erudito fiorentino Iodoco

11 Si veda Edgerton, Pictures, cit. (n. 4 sopra), p. 58: “The real subject of the painting … is not the hanging of Rinaldeschi, but rather his redemption”. (Il vero soggetto del pannello … non è l’impiccagione di Rinaldeschi, ma la sua redenzione.) 12 Del Migliore, Firenze, cit. (n. 4 sopra), p. 393, (pubblicato nell’appendice come Documento X), sembra non badare alle iscrizioni nel suo resoconto, ed è possibile che nel 1689 ancora manchino. Sulla data del dipinto, si veda oltre pp. 22-23. 13 Si confronti per esempio la predella con sei scene della Profanazione dell’ostia di Paolo Uccello (dipinto nel 1467-1468) nella Galleria Nazionale delle Marche, Urbino, sul quale si veda J. Pope-Hennessy, Paolo Uccello, 2a ed., London 1969, pp. 156-157, figg. 87-92; e il ciclo di episodi dalla vita di Santa Francesca Romana attribuiti a Antoniazzo Romano nel monastero di Tor de’ Specchi a Roma, sul quale si veda G. Kaftal, Iconografia dei santi nelle scuole di pittura dell’italia centrale e settentrionale, Firenze 1965, coll. 447-451 n.154. Si veda più in generale D. Kunzle, The early comic strip: narrative strips and picture stories in European broadsheets from c. 1450 to 1825, Berkeley-Los Angeles 1973, e in particolare, pp. 26-27. 14 Si veda il catalogo della mostra di L. Collobi Ragghianti, La casa italiana nei secoli, Firenze 1948, p. 35, citato in Il museo Stibbert, cit. (n. 9 sopra), IV:1, p. 32; C. Ragghianti, Fumetti del Rinascimento, in “Sele arte”, I:5 (1953), pp. 62-63; La Nazione, 12 settembre 1984, p. 3; D. Gontard, Santa Maria del Sacrilegio, in “FMR”, edizione italiana, XVII: 9 (1991), pp. 117-132; G. Magherini e V. Biotti, L’Isola delle Stinche e i percorsi della follia a Firenze nei secoli XIV-XVIII, Firenze 1992, figg. 15-17. Ci sono anche citazioni in R. Trexler, Public life in Renaissance Florence, New York 1980, p. 22; e M. Boskovits, Immagini da meditare. Ricerche su dipinti di tema religioso nei secoli XII-XV, Milano 1994, p. 77 n.12. 15 BNCF, Nuovi acquisti, 987, che è una descrizione dei quattro quartieri della città dopo il 1520, contiene il seguente passo alla c. 133v:“L’hostaria del Fico. Fàlla Giovanni et El Moretto. Tengono garzoni otto, et alla cucina stàvi quattro garzoni”. (Per questo riferimento siamo grati a Elizabeth Pilliod). Secondo Del Migliore, Firenze, cit. (n. 4 sopra), un libro pubblicato nel 1689, a p. 392, la “Osteria del Fico … ancor’ oggi si mantiene sotto il medesimo nome”.

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Del Badia, nella sua edizione del 1883 del Diario del Landucci, presumibilmente si riferiva al dipinto dello Stibbert quando affermava che dell’incidente del Rinaldeschi “si è conservata la memoria fino ai moderni tempi, esponendosi tutti gli anni in quel giorno, sotto le logge della Chiesa della Madonna de’ Ricci, un’antica tavola rappresentante il fatto”16. Il dipinto racconta la storia di Rinaldeschi, ma in un modo speciale e con una propria enfasi evidente nell’organizzazione del quadro, poiché nelle tre scene della fila superiore l’azione si svolge da destra a sinistra, contrariamente alla direzione dei pannelli, mentre nel mezzo e più in basso procede da sinistra a destra insieme ai riquadri. Questo cambiamento corrisponde a un mutamento di attitudine verso il Rinaldeschi, che viene ritratto come un malvagio, tentato dal diavolo, nei pannelli superiori, e con maggiore simpatia in quelli centrali e inferiori, dove i diavoli vengono espulsi e sostituiti dagli angeli. È come se la prima fila mostrasse il peccato di Rinaldeschi, la seconda la redenzione, e la terza la sua salvezza. Passare dal crimine alla salvezza è proprio della tradizione relativa al “Buon Ladrone”: dei due ladroni crocifissi con Cristo, uno sarebbe pentito e fu ricompensato con la salvezza mentre l’altro fu dannato. Rappresentazioni del Buon Ladrone divennero comuni nel tardo medioevo, e il dipinto dello Stibbert, in particolare la scena con il richiamo che appare per assicurare la salvezza di Rinaldeschi [Figura 9], fu influenzato da questa tradizione nel raccontare l’episodio fiorentino17. Ma il pittore ha portato al quadro anche altri motivi iconografici che sicuramente facevano parte del vocabolario artistico coevo. Così, alcuni dei riquadri successivi assomigliano a rappresentazioni di scene della vita di Cristo stesso, e dei santi, come San Pietro in prigione [Figure 6 e 13]18. I paralleli cristologici includono non solo l’arresto di Rinaldeschi

16 I. Del Badia in Landucci, Diario, cit. (n. 8 sopra), pp. 233-234: “si è conservata la memoria fino ai moderni tempi, esponendosi tutti gli anni in quel giorno, sotto le loggie della Chiesa della Madonna de’ Ricci, un’antica tavola rappresentante il fatto”. Tassi, Chiesa Madonna de’ Ricci, cit. (n. 3 sopra), p. 127, afferma che il dipinto fu venduto verso la fine del diciottesimo secolo, ma il commento di Del Badia suggerisce che la vendita avvenne dopo il 1883. 17 Sulla tradizione del “Buon Ladrone” si veda M. B. Merback, The thief, the cross and the wheel: pain and the spectacle of punishment in medieval and Renaissance Europe, Chicago 1999, pp. 22-27 et passim. 18 Per l’affresco di Filippino Lippi di San Pietro visitato in carcere da San Paolo, si veda U. Baldini, The Brancacci Chapel Frescoes, New York 1992, p. 182.

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nel giardino [Figure 4 e 14] e la ferita sanguinante, che riappare (forse per miracolo) nella scena ultima [Figure 4 e 9], ma anche la corda che lui stesso porta [Figura 8], presumibilmente quella con cui viene impiccato nella scena seguente, dove la battaglia fra angeli e diavoli sembra far parte del Giudizio Universale [Figura 9]19. Fra le altre caratteristiche del dipinto, che abbonda di topoi iconografici, vi sono la posa contemplativa (che assomiglia ad alcune personificazioni della Filosofia) del giocatore destro [Figura 1]; le spade incrociate rovesciate dello stemma sullo scudo [Figura 4] e quelle tenute dagli angeli [Figura 9]; lo strano cappello nero del Rinaldeschi [Figura 5] che sembra lo stesso di quello rosso indossato da uno dei soldati; e infine l’angelo che scorta uno della Compagnia dei Neri [Figura 8]. In passato il dipinto è stato attribuito, in base allo stile, alla bottega del pittore Bartolomeo di Giovanni20. Tuttavia, con la scoperta del registro di Berkeley, ci sono validi motivi per attribuirlo ad un altro pittore, un Filippo di Lorenzo Dolciati, a cui vennero fatti diversi pagamenti nel 1502, quando fu costruito un oratorio per racchiudere e proteggere l’affresco della Vergine. L’oratorio fu intitolato a Santa Maria de’ Ricci, dall’immagine profanata dal Rinaldeschi. L’icona era posta in un tabernacolo commissionato nel Trecento da Rosso de’ Ricci per l’antica chiesa di Santa Maria degli Alberighi [Figura 3], e quell’angolo della strada divenne noto come “canto de’ Ricci”21. Con la veloce costruzione di un oratorio nel 1501-1502, la nuova Opera cercò di dotare la rinnovata devozione alla Madonna di una sistemazione più appropriata. Il pittore del progetto, Filippo Dolciati, il 24 febbraio 1502 ricevette 12 lire per pittura e colori per un “soprac[c]ielo”, una “spalliera”, e tre “Profeti”, e il 24 marzo ricevette 7 lire per una “predella” e 19 Per la Cattura di Cristo di Duccio di Buoninsegna si veda F. Deuchler, Duccio, Milano 1984, pp. 211-212 e anche 87-88, figg. 98, 100. Si veda inoltre A. Derbes, Picturing the Passion in late medieval Italy: narrative painting, Franciscan ideologies, and the Levant, New York, 1996, pp. 35-71, su “The betrayal of Christ” (il tradimento di Cristo). È interessante che nel corso del recente restauro del quadro di Dolciati fu determinato che un serpente, che già appariva assieme alla donna che abbraccia un fico [Figura 1], non fu originario e perciò fu tolto nella pulitura. In sostegno della decisione di toglierlo vada notato che mentre la mise en scène del serpente con donna e fico avrebbe dovuto simboleggiare il Peccato Originale, la donna del Dolciati, a differenza di Eva nel Giardino, sembra essere vestita. Non si tratta, allora, di una scena allegorica dipinta sulla parete della taverna, ma di una realtà della taverna stessa, che avrà tenuto in cortile il “Fico” dal quale prese il suo nome. 20 Ragghianti, Fumetti, cit. (n. 14 sopra), p. 62 21 Sulla chiesa si veda più avanti, p. 62 n. 39.

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per una Pietà in faccia all’altare, vari ornamenti come l’azzurro e le stelle dorate per il cielo, e anche 7 lire e 7 soldi come rimborso della fornitura22. Sembra probabile che la predella non fosse altro che la pittura dello Stibbert, che, sebbene più alta del solito, doveva occupare uno spazio inusualmente largo fra l’altare e la Madonna che rimaneva sopra la porta della chiesa23. Perciò la data “21 luglio 1501”, che appare sul primo pannello [Figura 1], si riferisce al fatto, e non al dipinto che dovrebbe quindi essere datato 1502. Non è chiaro quando, precisamente, il dipinto dello Stibbert fu separato dalla sua possibile posizione originale sotto la Madonna de’ Ricci, ma probabilmente questo avvenne conseguentemente alla serie di costruzioni successive con cui l’oratorio della Madonna assorbì completamente la chiesa vicina di Santa Maria degli Alberighi. Inoltre, sebbene questo non fosse specificato dal libro dell’Opera, Dolciati fu quasi certamente assunto per ridipingere la Madonna stessa, come dimostrano i verbali di una causa civile del 154524. Il pittore del pannello dello Stibbert, Filippo Dolciati, non era un artista importante. Fino ad ora non è stato possibile identificare sicuramente altre opere sopravvissute di Dolciati. Sulla sua carriera sappiamo molto poco, salvo il fatto che nacque nel 1443, che era figlio di un pittore, che entrò a far parte della Compagnia di San Luca nel 1460, e che morì nel 151925. Pare probabile che Dolciati fosse uno dei molti pittori di mestiere a Firenze chiamati “madonnieri”, specializzati in immagini sacre. Sembra anche aver avuto un legame familiare con la parrocchia di Santa Maria degli Alberighi, poiché i Dolciati possedevano una delle case distrutte per far posto all’oratorio26, e i documenti della Madonna de’ Ricci menzionano un monumento funebre recante il nome “Dolciati” datato 153327. 22 Berkeley, Banc., MSS, 54, cc. 21r (24 febbraio 1501/2) e 23r (24 marzo 1501/2), pubblicati nell’appendice come Documento VIII. 23 Le dimensioni del pannello dello Stibbert sono 102 x 115,5 cm. 24 Si veda più avanti, pp. 66-68 e le Figure 26 e 27. Il volto dell’angelo, in particolare, assomiglia ad alcune delle persone nel pannello dello Stibbert. 25 D.E. Colnaghi, Dictionary of Florentine painters from the 13th to the 17th centuries, 2a ed., a cura di C. Malvani, Firenze 1986, p. 89. ASF, Accademia del Disegno, 1, c. 8v, con la registrazione di ingresso nella Compagnia di San Luca nell’anno 1460 di “Filippo di Lorenzo di Filippo Dolciati, dipintore”. 26 Richa, Notizie, cit. (n. 4 sopra),VIII, p. 237. 27 ASF, Manoscritti, 628, “Sepoltuario”, n. 51 (Chiesa della Madonna de’ Ricci, anno 1609): “Tondo in marmo con suo chiusino e tassel’ simile anesso col d.to monumento. Simone di Piero di Lorenzo Dolciati e suorum, 1533”.

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I racconti del crimine giunti fino a noi narrano quasi la stessa storia. È possibile, infatti, che lo scrivano che registrò la sentenza ufficiale (Documento I), contemporanea all’evento, avesse udito la testimonianza del parroco o di altri parrocchiani perché le due versioni, cioè la sentenza in latino degli Otto e il racconto in volgare conservato nel libro di conti dell’Opera (Documento II), sono piuttosto simili. Molto convincente è la coincidenza che, laddove il libro dell’Opera afferma che lo sterco di cavallo “rimase un pocho apichata nella [sic] diadema”, la sentenza degli Otto riporta che “parte dicti sterchoris, ut vulgariter dicitur ‘rimase apichato nella [sic] diadema’”. Le fonti che testimoniano l’episodio differiscono solo per alcuni dettagli. Sebbene la sentenza degli Otto, il libro dell’Opera e il dipinto concordino nel nominare il criminale “Antonio”, Landucci lo ha chiamato “Rinaldo”, forma abbreviata del cognome “Rinaldeschi”, riflettendo le notizie del giorno così come circolavano nelle strade fiorentine. Un’altra discrepanza concerne il nome del padre di Antonio, che la sentenza degli Otto chiama “Giovanni” (“Antonius Iohannis”) mentre sul dipinto è detto “Giuseppe”. Ma le iscrizioni sui pannelli furono probabilmente aggiunte più tardi e non ci sono motivi per dar loro credito riguardo a questo particolare. Rinaldeschi appare in tutti i documenti come il figlio di un “Giovanni”, e un errore generalizzato di scrittura è molto improbabile. Infatti,“Giuseppe” era raro come nome di battesimo nel XV secolo, a Firenze e altrove, probabilmente a causa dell’ambiguità che circondava San Giuseppe nella tradizione popolare che lo vedeva come il marito “cornificato” da Dio28. Poi, con una sola eccezione, le fonti concordano sul fatto che Rinaldeschi sia stato processato e impiccato al Palazzo del Podestà. Tuttavia, uno dei resoconti provvenienti dalla confraternita dei Neri (Documento IV), conservato in una copia del diciassettesimo secolo, afferma che Rinaldeschi venne processato non nel Palazzo del Podestà ma in un luogo detto il “Tempio”, che egli chiese di essere impiccato là, e che dopo venne anche “sotterrato al Tempio”. Nelle fonti contemporanee, infatti, “Il

28 Su San Giuseppe si veda C. Klapisch-Zuber, Zacharie, ou Le père évincé. Les rites nuptiaux toscans entre Giotto et le concile de Trente, in Ead., La maison et le nom. Stratégies et rituels dans l’Italie de la Renaissance, Paris 1990, pp. 151-183, specialmente 166-180, dove si nota che la festa di San Giuseppe non era celebrata a Firenze fino al 1508; e C. C. Wilson, St. Joseph in Italian Renaissance society and art: new directions and interpretations, Philadelphia 2001. D. Herlihy, Tuscan names, 1200-1530, in “Renaissance Quarterly”, XLI, 1988, pp. 561-582, non menziona “Giuseppe”.

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Tempio” si riferiva alternativamente a una delle due chiese associate alla confraternita dei Neri: la chiesa detta “Santa Maria della Croce al Tempio”, dove i Neri tenevano i loro regolari incontri, che si trovava all’inizio di via de’ Malcontenti, via che traeva il proprio nome dal passaggio dei prigionieri condotti al patibolo29, oppure anche all’oratorio situato in un cimitero mantenuto dai Neri oltre le mura cittadine, vicino al patibolo, dove i condannati a morte potevano ricevere gli ultimi riti e, dopo l’esecuzione, la sepoltura cristiana [Figura 15]30. Ancora oggi il lungarno della zona si chiama “lungarno del Tempio”. Sebbene un errore di trascrizione possa aver condotto lo scrittore di questo “ricordo” a collocare “nel Tempio” la sentenza e l’esecuzione di Rinaldeschi, il resoconto probabilmente non sbaglia nel fornire il dettaglio, non attestato altrove, che Rinaldeschi venne seppellito “al Tempio”, riferendosi al cimitero e all’oratorio dei Neri fuori la città. Questa ipotesi è in parte sostenuta dall’iscrizione sull’ultimo pannello del dipinto dello Stibbert [Figura 9], che riporta che il Rinaldeschi venne “seppellito”, poiché il cimitero dei Neri sarebbe stato il luogo appropriato. Più difficile è conciliare la dichiarazione nel libro dell’Opera, ora a Berkeley, che l’atto di Rinaldeschi non fu visto da nessuno, e che il crimine avvenne l’ 11 luglio (Documento II), cioè 10 giorni prima del suo arresto, con il Diario di Landucci (Documento V) secondo cui un bambino aveva visto eseguire il crimine da un uomo che venne poi seguito, sorvegliato, arrestato e messo a morte nello stesso giorno, cioè il 21 luglio. Non è chiaro dai racconti giunti a noi come Rinaldeschi venne sospettato del misfatto.Tuttavia, la testimonianza del libro di Berkeley, proveniente dagli stessi parrocchiani di Santa Maria degli Alberighi, era più vicina al crimine che non quella di Landucci. E per quanto sia possibile che un bambino abbia consegnato Rinaldeschi alla giustizia, è facile immaginare, e anche più probabile, che gli agenti degli Otto, attraverso diverse indagini condotte nelle vicinanze, abbiano scoperto che la perdita al gioco di Rinaldeschi nella vicina taverna del “Fico” era avvenuta attorno o poco prima del momento della scoperta crimine. Il Codice Sanminiatese, comunque, riporta che Rinaldeschi fu scoperto grazie ad un miracolo della Vergine. Infine, ci sono alcune discrepanze riguardo all’ora dell’esecuzione del Rinaldeschi. Gli Otto di Guardia (Documento I) decretarono semplicemente che dovesse rimanere impiccato fino alla quattordicesima ora del

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Eisenbichler, Lorenzo de’ Medici, cit. (n. 4 sopra), p. 89 n.21. F. Fineschi, Cristo e Giuda: rituali di giustizia a Firenze in età moderna, Firenze 1995, p. 41.

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giorno seguente, e nel manoscritto di Berkeley, dove manca l’ora dell’esecuzione, si dice che Rinaldeschi era stato lasciato alla corda fino alla mattina seguente. Venne impiccato “all’ora una della notte” secondo il Codice Sanminiatese e un’altro “ricordo” dei Neri (Documento IV); alla “ora seconda della notte del 21 luglio 1501” secondo un’ulteriore notizia conservata dai Neri (Documento III); semplicemente durante “la notte” nel Diario di Landucci; e “alla settima ora della notte” nel dipinto dello Stibbert, che mostra un uomo con una torcia ad una finestra sopra il corpo [Figura 9], avendo già detto nel settimo pannello [Figura 7] che fu condannato “a 24 ore di notte”. Nell’Italia del quindicesimo secolo il giorno era comunemente diviso in ventiquattro ore ad iniziare dalla mezz’ora dopo il tramonto e qualche volta diviso in due frazioni di dodici ore fra giorno e notte31. Ricordando che le iscrizioni sul dipinto dello Stibbert sono probabilmente successive al fatto di molti anni, sembra probabile che Rinaldeschi sia stato processato sul finire del giorno del 21 luglio e impiccato quella notte, alle 11 o forse alle 4 secondo il computo di ore di oggi, e che rimase impiccato fino alle 11 della mattina del 22 luglio32. Sul personaggio di Rinaldeschi viene detto molto poco nei vari racconti della sua esecuzione. A questi, tuttavia, è possibile aggiungere diverse notizie su di lui e sulla sua famiglia conservate soprattutto negli archivi fiorentini. Sul dipinto Rinaldeschi è descritto come “nobile”, e infatti i suoi antenati appartenevano ad un illustre casato di magnati di Prato33. Nella seconda metà del XIV secolo alcuni membri del suo casato si tra-

31 Si veda F. Lehner, Die mittelalterliche Tageseinteilung in den österreichischen Ländern (Quellenstudien aus dem historischen Seminar der Universität Innsbruck 3), Innsbruck 1911, pp. 60-105, specialmente 70; e H. Grotefend, Taschenbuch der Zeitrechnung des deutschen Mittelalters und der Neuzeit, 8a-9a ed., Hannover-Leipzig 1948, p. 24. Si veda K. M. Setton, The Papacy and the Levant (1204-1571), 4 voll., Philadelphia 1976-1984, III, p. 7 n. 36, sull’ora della morte di Pio III nel 1503; M. Quinlan-McGrath, The astrological vault of the Villa Farnesina: Agostino Chigi’s rising sign, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XLVII, 1984, pp. 91-105 (100); e I. D. Rowland, The birth date of Agostino Chigi: documentary proof, ibid., pp. 192-193 (193). 32 Questo concorda anche con l’iscrizione del 21 luglio 1501 sul primo pannello del dipinto dello Stibbert. 33 S. Raveggi, Protagonisti e antagonisti nel libero Comune, in F. Braudel, Prato. Storia di una città, 4 voll., Firenze 1991-7, I: Ascesa e declina del centro medievale, a cura di G. Cherubini, parte 2, pp. 613-736 (709 n. 171), tratta la fortuna della famiglia Rinaldeschi nella prima metà del XIV secolo e menziona un “Giovanni di Arrigaccio”. Sui possibili significati del lignaggio

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sferirono a Firenze, dove eressero un monumento funebre in Santa Maria Novella e un ramo della famiglia cambiò il proprio nome nel più plebeo “Naldini”34. Un precedente Antonio Rinaldeschi, forse nipote di un Giovanni, visse a Bologna verso il 1400 e può darsi che questi due siano stati i diretti antenati del nostro Antonio, il cui padre, Giovanni, è testimoniato a Firenze solo dal 148135. Sappiamo dal testamento di Giovanni (Documento XI), redatto il 5 dicembre 1499 nell’infermeria della Badia Fiorentina, che questo ramo dei Rinaldeschi possedeva una casa in via dell’Alloro così come una tomba nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Il nostro Antonio, che doveva avere almeno 30 anni quando commise il suo crimine, era il figlio di Giovanni e della prima moglie Alessandra, e aveva anche delle sorel-

magnatizio nel periodo post-comunale, si veda C. Donati, L’idea di nobiltà in Italia, secoli XIVXVII, Roma-Bari 1988; e C. Klapisch-Zuber, Retour à la cité, Paris 2006. 34 Per informazioni sulla famiglia Rinaldeschi siamo grati a Christiane Klapisch-Zuber (che ha consultato le analisi dei catasti fiorentini redatte da lei assieme a David Herlihy) e Anthony Molho (che ha consultato il catasto del 1480 e i registri del Monte delle doti). Il solo Rinaldeschi che appare fra i cittadini eleggibili per i pubblici uffici nel catasto fiorentino del 1427 è stato Rinaldo di Dego (ASF, Catasto, 77, c. 324v), che nacque nel 1397, e il cui cugino Francesco di Domenico (ASF, Catasto, 80, c. 124r-v), insieme ai suoi discendenti, fino al 1517, compare invece sotto il nome “Naldini”. Il cambio di nome avvenne probabilmente per permettere ai membri della famiglia di intraprendere carriere commericali e qualificarsi per incarichi pubblici come populares, e ciò è confermato dal “Priorista Mariani”, conservato in ASF, Manoscritti, 252, V, cc. 1191r (Naldini) e 1199v1200r (Rinaldeschi), che documenta diversi dei Rinaldeschi in trasferimento da Prato a Firenze nel quattordicesimo secolo. La questione è complicata comunque dall’esistenza di una famiglia di nome “Naldini” (apparentemente) non imparentata, menzionata in E. Fiumi, Volterra e San Gimignano nel medioevo, a cura di G. Pinto, San Gimignano 1983, p. 226. Del Migliore, Firenze, cit. (n. 4 sopra), p. 392, offre anche la possibilità, a nostro parere meno probabile, che Antonio appartenesse alla “Casa de’ Soldanieri, da’ quali per agnazione, n’uscì un ramo, che si disse molto antico ‘de’ Rinaldeschi’ ”. Due uomini di nome Rinaldeschi compaiono nel catasto del 1480, Bartholomeo di Giovanni di Bindo (ASF, Catasto-Campione del Monte, 101, c. 314r) e Biagio di Giovanni di Biagio (ibid., 101, c. 225r), ma la loro parentela, se c’è, con il nostro Antonio di Giovanni di Antonio non è confermata. Secondo il “Priorista Mariani”, ASF, Manoscritti, 252, V, c. 1191r, “Per esser stata [la famiglia Rinaldeschi] poco numerosa in questo ramo, che venne in Firenze, si vedono in essa pochi godimenti di antichi magistrati”. 35 Si veda ASF, Carte del Bene, 49, dove le lettere nn. 139 (datata 1381/2) e 224 (in raccomandazione di un nipote) sono state scritte da un Giovanni Rinaldeschi; e le lettere nn. 297, 301, 304, 315, 319, e 320 (tutte non datate ma probabilmente del 1410 circa) sono state scritte da un Antonio Rinaldeschi allora a Bologna. Per la presenza a Firenze dal 1481 di Giovanni, il padre del nostro Antonio, si veda la nota successiva.

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lastre dalle mogli successive del padre, Bartolommea e Angela. I suoi debiti furono la causa di una lite con il genitore, che nel suo testamento lo nominò “heredi inmerito” (“erede non meritevole” [nel dativo])36. Dopo la morte del padre, avvenuta il 29 marzo 150037, Antonio litigò con la matrigna Angela e le sorellastre riguardo al patrimonio; sembra poi aver trovato un accordo dopo aver fatto causa alla corte del Podestà contro le sue parenti, e dopo che queste fecero ricorso alla corte della Mercanzia38. Sebbene la sentenza degli Otto lo dichiari un “cittadino fiorentino” (“civis Florentinus”), e appaia nel dipinto, secondo Del Migliore (Docu36 ASF, NA, 16795, ser Piero di Andrea da Campi, n. 165, cc. 431r-432r (432r). Questo testamento è pubblicato nell’appendice come Documento XI. Poiché un’altra fonte (Documento IV) ha chiamato Antonio un “battitore di padre”, e il testamento non dichiarava nessun altro motivo per il fatto che Giovanni si trovava all’infermeria quando è stato scritto, una possibilità è che il testamento sia stato redatto dopo uno scontro fisico tra padre e figlio. Una figlia, Lucrezia, da una coniuge successiva, fu battezzata a Firenze il 1° maggio 1481 (Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi maschi [sic], fol. 124v: “Lucretia et Iacopa di Giovanni de Antonio Rinaldeschi nacque a dì primo, hore 15”), e una dote venne registrata presso il Monte delle doti, che alla maturità valse 364 fiorini, un ammontare ben al di sotto della media (nel periodo dopo il 1480) di 739 fiorini; si veda ASF, Monte, 3747, c. 163 (in cui è scritto che ella morì nel 1499), e si paragoni la dote media descritta in A. Molho, Marriage alliance in late medieval Florence, Cambridge, Mass. 1994, p. 157. 37 La morte è stata registratra in ASF, Ufficiali della Grascia,“Libro nero de’ morti” (14571506), c. 288v: “Giovanni d’Agnolo [sic] Rinaldeschi, riposto in Santa Maria maggiore. A’ dì 29 [di marzo, 1500]”. Le figlie di Giovanni erano invece in buoni rapporti col padre, a giudicare dalle disposizioni testamentarie. Sembra anche che Giovanni abbia provveduto al sostegno finanziario a favore di uno dei suoi generi (si veda ASF, NA, 16790, ser Piero di Andrea da Campi, c. 39v [30 dicembre 1498], che è un accordo fra Giovanni del Magno e Giovanni Rinaldeschi). 38 La vertenza è descritta in ASF, Mercanzia, 1577, cc. non numerate, il 7 settembre 1500. Nel suo testamento Giovanni si è fatto carico dei debiti di Antonio nella sua eredità, riservando gran parte del suo patrimonio alla terza moglie, Angela, e alle sue figlie. Antonio rinunciò all’eredità paterna e reclamò la proprietà come sua legittima eredità per la morte della propria madre, Alessandra. L’11 novembre 1500 Antonio sembra abbia incontrato uno dei suoi cognati, Giovanni del Magno, alla presenza di un notaio, poiché entrambi erano testimoni di un atto notarile indipendente, NA, 16790, c. 231r. Due giorni dopo, il 13 novembre 1500, venne redatto un accordo fra Antonio, le sorelle, e la matrigna che sembra aver calmato le sue proteste (ibid., cc. 232r-233v; si veda anche ibid., c. 272r-v [6 aprile 1501]); e nell’aprile del 1501 venne regolata anche la questione sul patrimonio della sorellastra di Antonio, Antonia (e i suoi parenti), attraverso la dote della seconda moglie di Giovanni, Bartolommea, (ibid., c. 272bisr [6 aprile 1501]). Non è chiaro se l’accordo di Antonia sia da collegare ad un altro atto in cui ella apparve subito dopo, ibid., c. 306v, redatto, per coincidenza, il 21 luglio 1501, il giorno dell’arresto del fratellastro Antonio.

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mento X), vestito da cittadino di prestigio, l’origine provinciale della famiglia di Antonio fu un fattore che probabilmente giocò contro di lui. Non soltanto i Rinaldeschi erano arrivati a Firenze da Prato da non molto, ma la nonna di Antonio era la figlia di un maniscalco di Empoli, dove la famiglia continuava ad avere delle proprietà. Documenti notarili dal 1500-1501 mostrano Antonio attivo a Firenze in funzione di procuratore per una serie di persone provenienti da luoghi lontani del dominio fiorentino: un soldato mercenario da Cortona, una coppia di Barga, e un uomo di Montepulciano39. Sembra abbia cercato di svolgere un non ben definito ruolo da intermediario per conto di soggetti provinciali, a cui forse falsamente si era presentato come persona autorevole se non addirittura appartenente al ceto dirigente fiorentino. Antonio era evidentemente un tipo di dubbia reputazione. Certamente nessun fiorentino venne ad assisterlo o ad intercedere in suo favore quando ne ebbe bisogno davanti agli Otto di Guardia. Uno dei documenti della Compagnia dei Neri (Documento IV) lo definisce “un gran bestemmiatore [e] battitore di Padre”; l’autore del priorista Segaloni (Documento VII) menzionò la sifilide di Rinaldeschi e lo chiamò “uomo bestiale”; Landucci disse che era un giocatore d’azzardo; e nessuna delle fonti dice qualcosa in suo favore, salvo il trattamento di compassione illustrato nei pannelli successivi del dipinto dello Stibbert.Vennero attribuiti al Rinaldeschi così tanti peccati, alcuni forse immaginari, che sembra ragionevole supporre che forse abbia assunto una funzione di capro espiatorio la cui esecuzione fu per la città un’espiazione generale40. Per quanto ne sappiamo, comunque, nessuno dei misfatti del Rinaldeschi fu del tipo che normalmente avrebbe giustificato la pena di morte, e le sue virtù (eccetto la sua apparente contrizione) non sembrano sufficienti per attirare l’intervento divino. Non è facile dunque rispondere alle domande sul motivo della sua esecuzione, neanche sulla natura del miracolo e sul culto associato all’immagine che egli dissacrò. 39 Sulla nonna di Antonio, Antonia, si veda ASF, NA, 16795, c. 431r. Riguardo alla proprietà di Empoli, si veda ASF, NA,19005, inserto 1, c. 55v [1 gennaio 1495/6]. Su Antonio in qualità di procuratore si veda ASF, NA, 19005, ser Piero del Serra, ins. 1, c. 86r-v (26 aprile 1500); ibid., c. 87 r-v (24 maggio 1500); ibid., c. 87r (2 giugno 1500); ibid., c. 90v (17 novembre 1500). Poco prima della sua morte Antonio testimoniò un atto notarile redatto nel popolo di S. Benedetto (NA, 9647, ser Giovanni di Marco da Romena, c. 232r [3 giugno 1501]). 40 ´ ς, su cui si veda J. Si paragoni, per esempio, la tradizione greca relativa al φαρµακο Bremmer, Scapegoat rituals in ancient Greece, in “Harvard Studies in Classical Philology”, LXXXVII, 1983, pp. 299-320.

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In questo contesto vale la pena sottolineare il ruolo degli Otto di Guardia, una magistratura creata nel 1378, immediatamente dopo la rivolta dei Ciompi, con giurisdizione sulle cospirazioni, sui crimini di stato, sulle minacce all’ordine pubblico e sui crimini commessi dagli ebrei41. Durante il quindicesimo secolo i loro poteri crebbero gradualmente a spese delle istituzioni regolari e già esistenti per l’amministrazione della giustizia, specialmente le corti dei “rettori”, i tre giudici forestieri invitati a Firenze per provvedere alla giustizia locale con una scadenza fissa, generalmente di sei mesi: cioè il Podestà, il Capitano del Popolo, e l’Esecutore degli Ordinamenti di Giustizia, quest’ultimo abolito nel 143542. Era forse prevedibile che gli Otto di Guardia, essendo tutti cittadini fiorentini, si sarebbero intromessi nei casi di importanza che riguardavano la comunità riducendo l’autorità dei rettori forestieri. Una legge fiorentina del 1478 descriveva e rinnovava la piena autorità degli Otto di Guardia in, “procedendo … et poi decidendo, sententiando et terminando in quel modo et forma che et chome liberamente vorranno et etiam sommariamente et de facto etiam senza exprimere in genere o in specie al delicto o cagione che gli muovessi a così fare et senza alcuna pruova di quello et sanza citatione et sanza observare alcuna altra solemnità di legge o statuti o ordini o consuetudine introdocta…”43.

Come magistratura autoritaria e accentratrice, gli Otto di Guardia erano naturalmente assai discussi: si levarono molte lamentele contro le loro attività arbitrarie nel tardo quindicesimo secolo, ma sotto il regime repubblicano e popolare del periodo post-1494 molti fiorentini, e anche Fra 41 Su gli Otto di Guardia, si veda G. Antonelli, La magistratura degli Otto di Guardia a Firenze, in “Archivio storico italiano”, CXII, 1954, pp. 3-39; A. Zorzi, L’amministrazione della giustizia penale nella Repubblica fiorentina, Firenze 1988, pp. 42-45, 50-53, 67-72, e 83-89; e J. K. Brackett, Criminal justice and crime in late Renaissance Florence, 1537-1609, Cambridge 1992, pp. 8-21. I suoi membri erano usualmente eletti ogni due mesi attraverso una complicata procedura di squittini e sortizione. 42 Sulle giurisdizioni concorrenti delle corti dei rettori stranieri si veda L. I. Stern, The criminal law system of medieval and Renaissance Florence, Baltimore 1994. 43 La legge fu pubblicata in V. Ricchioni, La costituzione politica di Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, Siena 1913, p. 153. La sentenza contro Rinaldeschi (Documento I) sembra riferirsi a quest’autorità. 44 Girolamo Savonarola, Prediche sopra Ezechiele, 2 voll., a cura di R. Ridolfi, Roma 1955, I, p. 53 (8 dicembre 1496):“Ognuno adunque facci orazione che si elegghino uomini terribili e rigido in questo magistrato degli Otto, che, se faranno la iustizia, è liberata la città…”.

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Girolamo Savonarola, pensavano che fosse più importante controllare i membri degli Otto che limitarne i poteri44. Una delle caratteristiche più rilevanti del dipinto dello Stibbert è la raffigurazione dell’autorità e dell’efficienza degli Otto nell’identificare e punire il colpevole. Sebbene il Rinaldeschi sia stato arrestato dagli uomini del Podestà e il suo processo e la sua esecuzione siano avvenuti nel palazzo di quell’ufficiale, e benché a sostenere le spese della festa pubblica del 22 luglio sia stato sempre il Podestà, quest’ultimo appare nell’episodio solo in un ruolo formale, mentre il compito di investigare e giudicare il caso fu eseguito completamente dagli Otto. A confermarlo c’è l’esame del registro delle sentenze del Podestà in questione, il “Liber condemnationum” di messer Monaldo de’ Fascioli di Orvieto, in carica a Firenze fra il 1° aprile e il 1° ottobre 150145. Lo stemma personale di Fascioli, spade bianche incrociate su un campo rosso, appare sia sulla copertina di questo verbale [Figura 16], sia nel dipinto dello Stibbert, dove è rappresentato su uno scudo nella scena dell’arresto [Figura 4] e di nuovo su un minuscolo stendardo nella corte del Bargello [Figura 9]. Tuttavia il registro non fa riferimento al caso Rinaldeschi (presumibilmente perché era tenuto dagli Otto), e ci informa che per lo più Fascioli si occupava di cause civili. Solo una volta durante il suo mandato semestrale pronunciò la sentenza in una causa capitale, il processo a un falsario. La minore importanza di questo magistrato era evidente, e meno di un anno dopo l’episodio del Rinaldeschi, nell’aprile del 1502, gli uffici del Podestà e del Capitano del Popolo vennero aboliti e sostituiti da un “Consiglio di Giustizia”, un comitato di giudici noto più tardi come la Ruota fiorentina, con competenza di diritto civile. La giurisdizione criminale invece passò così interamente agli Otto di Guardia46. Non sorprende dunque il fatto che furono gli Otto a prendere l’iniziativa nel caso di Rinaldeschi, sebbene le loro motivazioni nell’episodio richiedano 45 ASF, Atti del Podestà, 5547, “Liber condemnationum domini Monaldi de Fasciolis de Urbe veteri” (1 aprile 1501 - 1 ottobre 1501), cc. non numerate. Lo scrittore di un brano in una fonte del 1508 ora perduta, il “Libro di Ricordi scripto dal 1508 al 1540,” citato da Richa, Notizie, cit. (n. 4 sopra),VIII, 251, dichiarò Fascioli originario di Civitavecchia, fraintendo Civitavecchia (lat.: Civitas vetus) con Orvieto (Urbs vetus). Lo stesso stemma del Fascioli, evidente sia sul “Liber condemnationum” sia nel dipinto, è anche conservato scolpito in marmo al Bargello: si veda F. Fumi e C. Gado, Stemmi nel Museo nazionale del Bargello, Firenze 1993, pp. 106-7, fig. 133. 46 Con una legge del 15 aprile 1502 discussa da Zorzi, L’amministrazione, cit. (n. 41 sopra), p. 103; e trattata anche in Antonelli, La magistratura, cit. (n. 41 sopra), p. 29; e L. Martines, Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 137-42.

Capitolo II LA

NATURA DEL REATO

La storia del Rinaldeschi offre interesse storico oltre che umano, in quanto rappresenta un esempio eccezionalmente ben documentato di come le istituzioni legali abbiano interagito con le circostanze politiche e i sentimenti religiosi popolari. In tal senso, questo evento deve essere interpretato alla luce della storia fiorentina negli anni immediatamente seguenti la morte di Savonarola nel 1498. Ma per capire bene la situazione in cui Rinaldeschi si trovava a Firenze nell’estate del 1501 bisogna cominciare dall’analisi delle basi giuridiche della sua condanna a morte1. Secondo la sentenza emanata dagli Otto di Guardia alla conclusione del loro breve processo, le offese del Rinaldeschi furono “… contro la forma del diritto canonico, degli statuti e ordinanze del comune di Firenze, e contro il buon costume” (… contra formam iuris canonici, statutorum, ordinamentorum Comunis Florentie, et bonos mores). Volendo quindi “punire il suddetto Antonio per un crimine così grave, secondo le sue offese, poiché nessuno è padrone della propria vita, e perché la sua punizione possa essere un esempio per gli altri, e che possa essere reso onore al nome della Vergine…” (Et propterea volentes, eundem Antonium de tam gravi excessu, secundum eius demerita, punire, cum nemo sit dominus membrorum suorum, et vite proprie, et ad hoc ut pena eius in aliorum trahatur exemplum, et nomen beate gloriose verginis in honorem habeatur…), essi lo condannarono a morte. È difficile giudicare da questo se l’accusa principale fosse il gioco d’azzardo (“contra formam … statutorum … Florentie”), il tentato suicidio (“cum nemo sit dominus membrorum suorum et vite proprie”) o la bestemmia (“ut … nomen beate gloriose verginis in honorem habeatur”)2. Dobbiamo allora guardare più da vicino ognuna di queste imputazioni, imputazioni che venivano nella mente dei giudici certamente associate. 1 T. Kuehn, Law, family and women: toward a legal anthropology of Renaissance Italy, Chicago 1991, p. 7, sostiene la necessità “to bring law to bear in the reading of the generally legal sources for Florentine social history” (di prendere in considerazione la scienza giuridica nella lettura delle fonti generalmente legali per la storia sociale fiorentina). 2 Nell’appendice, Documento I.

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Di queste tre accuse – gioco d’azzardo, tentato suicidio e bestemmia – la meno grave era la prima, sebbene fosse la causa originale dei problemi del Rinaldeschi3. Il gioco d’azzardo era molto diffuso nella società medievale e, malgrado le molte proibizioni e restrizioni, era generalmente tollerato e quasi mai punito con la morte. Il decreto del Quarto Concilio lateranense del 1215, che proibiva al clero di scommettere o partecipare a giochi di fortuna, non diceva niente riguardo al gioco d’azzardo dei laici4. Più tardi, nel quattordicesimo secolo, secondo quanto gli studi negli archivi inquisitori di Bologna hanno dimostrato, la Chiesa considerava le scommesse meno gravi della bestemmia che spesso le accompagnava5. Gli scommettitori, nel momento del gioco, spesso invocavano il nome di Dio, e, quando perdevano, maledicevano la Vergine, che così assumeva il ruolo di “Dama della Fortuna” o “Signora Fortuna”. Bartolomeo da Trento nel suo Libro dei miracoli della beata Vergine Maria, datato al secondo quarto del tredicesimo secolo, includeva una sto3 Si vedano i tre articoli originariamente pubblicati nel 1886-93 e ristampati in L. Zdekauer, Il gioco d’azzardo nel medioevo italiano, Firenze 1993, la cui introduzione, di G. Ortalli, è intitolata “Fra interdizione e tolleranza”; R. Orioli, Bestemmie e gioco d’azzardo nel medioevo, in “Abstracta”, I:4, 1986, pp. 48-53;W. Tauber, Das Würfelspiel im Mittelalter und in der frühen Neuzeit. Eine kultur- und sprachgeschichtliche Darstellung, Frankfurt a. M. 1987, in particolare pp. 46-67 sulle condanne e proibizioni contro il gioco d’azzardo e il gioco dei dadi; J.M. Mehl, Les jeux au royaume de France du XIIIe au début du XVIe siècle, Paris 1990, pp. 7698 sul gioco dei dadi; A. Rizzi, Ludus/ludere. Giocare in Italia alla fine del medio evo (Ludica: collana di storia del gioco 3), Treviso-Roma 1995; e G. Mentgen, Alltagsgeschichte und Geschichte der Juden. Die Juden und das Glücksspiel im Mittelalter, in “Historische Zeitschrift”, CCLXXIV, 2002, pp. 25-60. Per gli statuti comunali sul gioco di azzardo, si veda Statuta civitatis Aquarum, Acqui 1618, p. 62; Gli statuti di Genola, a cura di R. Comba,Torino 1970, pp. 82-83; e Statuta Ferrariae, anno MCCLXXVII, a cura di W. Montorsi, Ferrara 1955, pp. 349355. (Dobbiamo questi due riferimenti a James Powell.) Per Firenze, si veda J. Kohler e G. Degli Azzi, Das Florentiner Strafrecht des XIV. Jahrhunderts, Mannheim-Leipzig 1909, pp. 1013 (anni 1322-1325), 86 (anno 1379), e 207; e U. Dorini, Il diritto penale e la delinquenza in Firenze nel sec. XIV, Lucca [senza data ma 1923], pp. 247-248. 4 IV Laterano 1215, cap. 16, in Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di G. Alberigo e altri, 3a ed., Bologna 1973, p. 243. 5 Orioli, Bestemmie, cit. (n. 3 sopra), pp. 52-3. Sul rapporto tra gioco d’azzardo e bestemmia si veda Corpus iuris civilis, II: Codex Iustinianus, III, 43.1, a cura di P. Krueger, Berlin 1954, p. 147; Index tractatum universi iuris, I,Venezia 1585, c. 129v; e, per il primo periodo moderno O. Christin, Matériaux pour servir à l’histoire du blasphème [II], in “Bulletin d’information de la Mission historique française en Allemagne”, XXXII, 1996, pp. 67, 70, e 73; e G. Schwerhoff, Zungen wie Schwerter. Blasphemie in alteuropäischen Gesellschaften 1200-1650, Konstanz 2005, pp. 266-278.

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ria su uno scommettitore di Trento che dopo aver perso al gioco si buttò su un’immagine della crocifissione con un coltello, infliggendo “più ferite dei crocifissori”, e che otto giorni dopo si uccise con lo stesso coltello a Bolzano6. A Firenze, prima del 1320, un giocatore deluso, che lanciò un pugnale su un’immagine della Vergine facendola sanguinare, venne poi impiccato in piazza Santa Maria Novella7. Nel 1413, vicino a Pisa, un giocatore, che aveva preso a coltellate per due volte le immagini della Vergine dicendole, “Non ti posso fare pegio, ché se io te llo potessi fare, io te lo farei!”, venne condannato al rogo in una gabbia di legno. Il motivo di questa punizione (commutata in decapitazione) si deve in parte ad altri suoi crimini, poiché fu anche condannato per due accuse di incesto8. Fra i paralleli più interessanti con la storia di Rinaldeschi ve ne sono alcuni che si trovano nelle Cantigas de Santa Maria di Alfonso il Saggio, scritte fra il 1257 e il 1283, di cui due dei quattro manoscritti conosciuti sono illustrati9. La cantiga 136 recita nelle parole del preambolo, “… come nella terra di Apulia, in una città chiamata Foggia, una donna giocava ai dadi con alcuni compagni davanti alla chiesa. Siccome perse, lanciò una pietra al Bambino Gesù nelle braccia della statua della Santa Vergine che alzò il braccio e parò il colpo”.

6 A. Dondaine, Barthélemy de Trente, O.P., in “Archivum Fratrum Praedicatorum”, XLV, 1975, pp. 79-105 (98). 7 J.W. Brown, The Dominican Church of Santa Maria Novella at Florence, Edinburgh 1902, p. 81, con riferimenti (n. 2) al manoscritto dei memoriali di Vincenzo Fineschi su Santa Maria Novella dal 1221 al 1320; e W. Hood, Fra Angelico at San Marco, New Haven 1993, pp. 158 e 314 n. 23. 8 La condanna originale venne pubblicata da G. Brucker, Firenze nel Rinascimento, Firenze 1980, pp. 325-329. 9 Cantigas de Santa Maria. Edición facsímil del Códice T. I. 1 de la Biblioteca de San Lorenzo el Real de El Escorial. Siglo XIII, 2 voll., Madrid 1979 (= il Codice Escoriale) e Cantigas de Santa Maria. Edición facsímil del Códice B. R. 20 de la Biblioteca Nazionale Centrale de Florencia. Siglo XIII, 2 voll., Madrid 1989 (= il Codice Fiorentino). Si veda D. Flory, Marian representations in the miracle tales of thirteenth-century Spain, Washington, D.C. 2000, pp. 110-129. Le Cantigas sono qui citate da Songs of holy Mary of Alfonso X, the Wise, trad. ingl. di K. KulpHill,Tempe 2000. Sul gioco d’azzardo in Spagna, dove era redditizio per il re e controllato dalla legge e non proibito (o perlomeno disapprovato), si veda D. E. Carpenter, Fickle Fortune: gambling in medieval Spain, in “Studies in Philology”, LXXXV, 1988, pp. 267-78, e Id., “Alea jacta est”: at the gaming table with Alfonso the Learned, in “Journal of Medieval History”, XXIV, 1998, pp. 333-345.

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Secondo il testo della cantiga, la statua era di marmo e molto adorata; il fatto avvenne durante il regno di Corrado IV (1250-54); la donna, una tedesca, giocava a dadi con alcuni dei soldati del re. Quando essa lanciò la pietra al Bambino, la Vergine alzò il braccio e “la pietra le scheggiò il gomito, in modo che potesse essere visto come esempio”. Quando venne riparato “il braccio non fu alterato in nessun modo o rimesso come prima, poiché Dio desiderava che esso rimanesse a titolo di esempio”10. L’illustrazione nel Codice Escoriale [Figura 17] è divisa in sei scene con all’inizio, in alto a sinistra, la statua della Vergine e il bambino sistemati in una nicchia nel muro della chiesa, davanti alla quale c’è un gruppo di giocatori, compresa una donna, dietro cui si nasconde un diavolo. La seconda scena mostra il lancio della pietra della donna; la terza, la Vergine con il braccio alzato a proteggere il Bambino Gesù e colpita dal sasso; la quarta, la donna arrestata davanti al re; la quinta, il suo corpo trascinato da un cavallo; la sesta, il restauro della statua. Una storia simile è raccontata nella cantiga 294, dove “una donna che gioca ai dadi in Apulia lanciò una pietra verso la statua della Santa Vergine perché aveva perso, e un angelo di pietra lì accanto allungò la mano e prese il colpo”. La donna venne presa e gettata nel fuoco. “L’angelo anche dopo tenne la mano distesa…. Per questa ragione quella statua venne stimata maggiormente da allora da tutte quelle persone rispetto a quanto accadeva prima”. L’illustrazione nel Codice Fiorentino [Figura 18], anche questa in sei scene, mostra prima la facciata della chiesa con la statua della Vergine e il Bambino fiancheggiata da due angeli sopra la porta e poi, successivamente, i giocatori, la donna che lancia la pietra, le rimostranze degli astanti, il suo arresto e il rogo funebre. Non c’è alcun diavolo, come nell’illustrazione dell’Escoriale della cantiga 136, e nessun cambiamento visibile nella posizione della mano dell’angelo. Un altro testo nelle Cantigas racconta “come un giocatore (in Catalogna) tirò arrabbiato una freccia con la sua balestra verso il cielo perché aveva perso. Pensava che avrebbe ferito Dio o Santa Maria”, ma dopo che la freccia tornò giù coperta di sangue, egli entrò in un ordine religioso [Figura 19]11.

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Songs of holy Mary, cit. (n. 9 sopra), p. 169. Ibid., pp. 354 e 188 (numero 154). Nel numero 238 (ibid., pp. 287-8) un menestrello in Portogallo giocò ai dadi e maledisse Dio e la Vergine, sputando quando un prete venne con il Corpus Christi. Fu schiacciato dal diavolo finché non venne deformato completamente. Sui giocatori in miracoli mariani, si veda E. Gulli Grigione, L’empio giocatore nelle legende dell’ “Atlante mariano”, in “Il santo”, XXIII, 1983, pp. 345-351; e Carpenter, “Alea”, cit. (n. 9 sopra), p. 335. 11

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Malgrado le somiglianze con quella di Rinaldeschi, queste storie sono indipendenti l’una dall’altra e mostrano il rapporto del gioco con la bestemmia e il sacrilegio12. Non sono tanto collegate con il gioco stesso, che danno per scontato, quanto lo siano con le sue conseguenze. Se d’altra parte l’atteggiamento in Italia era forse cambiato nel XV secolo a causa dell’influenza di Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze, e di San Bernardino da Siena, provocando a Firenze un’impennata di decreti contro il gioco e di arresti per scommesse13, non esiste però nessuna indicazione che si cercasse di imporre anche la pena di morte(!), e, ovviamente, il gioco sembra aver pesato meno su Rinaldeschi, che non sarà stato condannato alla forca per questo. Il tentato suicidio era una questione più seria14. La facoltà degli individui di togliersi la vita era riconosciuta nell’antichità e nel diritto romano. Solo in speciali circostanze, come evitare un meritato disonore, si proibiva ai soldati sotto pena di morte di ferirsi o di provare ad uccidersi15. Nel dogma

12 Altre storie in cui il gioco d’azzardo è associato alla bestemmia si trovano in The Exempla of Jacques de Vitry, a cura di T.F. Crane (Publications of the Folk-Lore Society 26), London 1890, p. 91 n. 218, e J. Major, Magnum speculum exemplorum, Douai 1624, pp. 90-92 nn. 4 e 7, e 602 n. 9. Si veda F. C. Tubach, Index exemplorum (Folklore Fellows Communications 204), Helsinki 1969, pp. 158, 179, e 219, nn. 1949, 2240, e 2789. Sul rapporto tra gioco d’azzardo e suicidio si veda C. Moore, A full inquiry into the subject of suicide, 2 voll., London 1790, I, pp. 24-25, II, pp. 286-292, che è più legato al primo periodo moderno. 13 Zdekauer, Gioco d’azzardo, cit. (n. 3 sopra), p. 71; A. Zorzi, Battagliole e giochi d’azzardo a Firenze nel tardo Medioevo: due pratiche sociali tra disciplinamento e repressione, in Gioco e giustizia nell’Italia di comune, a cura di G. Ortalli (Ludica: collana di storia del gioco 1),Treviso-Roma 1993, pp. 86-90; e Rizzi, Ludus, cit. (n. 3 sopra), pp. 87 e 110-113. Una legge fiorentina del 17 aprile 1454 (copia in ASF, OGB, 224, cc. 8v –9v) dette agli Otto la piena autorità sul gioco d’azzardo, anche nelle case private; comunque, secondo Brackett, Criminal justice, cit. (sopra, cap. 1 n. 41), p. 117, sul lungo periodo i registri delle sentenze degli Otto suggeriscono “that the authorities did not expect to eradicate, but only to control, this addiction” (che le autorità non previdero di sradicare, ma solo controllare questo vizio). 14 Sul suicidio nel Medioevo, si veda F. Bourquelot, Recherches sur les opinions et la législation en matière de mort volontaire pendant le moyen âge, in “Bibliothèque de l’École des chartes”, III, 1841-1842, pp. 539-60, e IV, 1842-1843, pp. 242-66 e 456-75, e A. Murray, Suicide in the Middle Ages, voll. I e II, Oxford 1998-2000, di cui abbiamo visto una versione preliminare del capitolo sul tentato suicidio (II, pp. 396-425) prima della pubblicazione del nostro articolo del 1998. J.C. Schmitt, Le suicide au moyen âge, in “Annales, E.S.C.”, XXXI, 1976, pp. 3-28; G. Minois, History of suicide: voluntary death in western culture, trad. ingl., Baltimore 1999; e i saggi in From sin to insanity: suicide in early modern Europe, a cura di J.R. Watt, Ithaca 2004, non trattano la punizione dei tentativi di suicidio come tema isolato. 15 Giustiniano, Digest, XLVIII, 19.38.12 e XLIX, 16.6.7, a cura di T. Mommsen, Berlin 1870 (ristampato nel 1963), pp. 854 e 895. Su queste leggi si veda Bourquelot, Recherches,

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cristiano, per contro, il suicidio è considerato un peccato mortale, e se vi si riesca o meno in linea di massima non ha alcuna importanza per quanto concerne il significato morale dell’atto stesso. Il tentato suicidio, comunque, è stato raramente trattato e mai severamente punito. Il quarto canone del sedicesimo consiglio di Toledo nel 693 prescriveva come punizione la scomunica per due mesi, e secondo il Penitenziale di Vigila di Avila, scritto in Spagna all’inizio del IX secolo, “chi vuole uccidersi impiccandosi o in qualche altro modo e Dio non glielo permette, dovrà fare penitenza di 5 anni”16. In pratica il tentato suicidio era trattato con comprensione piuttosto che con severità. Martino di Tours riportò in vita con le preghiere e il contatto corporeo un giovane schiavo (servulus) che cercò di uccidersi con un cappio e che sembra non aver poi subito alcuna punizione17. Ci sono molti riferimenti nella letteratura medievale ad eroi che in un tempo o in un altro contemplarono il suicidio, e anche, specialmente in racconti morali o exempla, a persone che cercavano di uccidersi18. Ghiberto di Nogent nella sua cronaca autobiografica ha incluso la storia di un monaco ispirato dal diavolo a tagliarsi la gola e riportato in vita grazie all’intervento di Sant’Jacopo che fu “consapevole delle sue intenzioni”. Disse più tardi che mentre era morto era stato portato al cospetto di Dio e perdonato dalla Vergine19. Questa e altre storie simili riflettono l’importanza attribuita all’intenzione nella teologia morale del dodicesimo e tredicesimo secolo. Anche Abelardo però, che dava grande importanza all’intencit. (n. 14 sopra), pp. 545-6; A. Berger, Encyclopedic dictionary of Roman law (Transactions of the American Philosophical Society, n.s. 43.2), Philadelphia 1953, p. 723; e A. J. Droge e J. D. Tabor, A noble death: suicide and martyrdom among Christians and Jews in antiquity, San Francisco 1992, specialmente pp. 167-83 su “The Augustinian reversal” (il rovescio agostiniano) della precedente visione positiva del suicidio. 16 XVI Toledo 693, cap. 4, in Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectione, a cura di G.D. Mansi, 31 voll., Firenze-Venezia 1759-98, XII, pp. 71-72; e Poenitentiale Vigilanum, in Die Bussordnungen der abendländischen Kirche, a cura di F.W. H. Wasserschleben, Halle 1851, p. 530, trad. ingl. in J.T. McNeill e H.M. Gamer, Medieval handbooks of penance (Records of civilization 29), New York 1938, p. 291. Si veda Bourquelot, Recherches, cit. (n. 14 sopra), p. 555, che ha detto che non c’era alcuna prescrizione contro il tentato suicidio nei canoni dei primi concili, e Murray, Suicide, cit. (n. 14 sopra), II, pp. 400-401, che ha anche indicato, come possibile fonte indiretta, l’antico norvegese Eidsivathinglaw, che negava la sepoltura cristiana ad un suicida “se muore”, ma non sembra se sopravviveva. 17 Si veda Sulpicius Severus, Vita S. Martini, 8.1, a cura di J. Fontaine, 3 voll. (Sources chrétiennes 133-135), Paris 1967-1969, I, p. 270. 18 M.N. Lefay-Toury, La tentation du suicide dans le roman français du XIIe siècle, Paris 1979. 19 Guibert de Nogent, De vita sua, III, 19, a cura di G. Bourgin (Collection de textes pour servir à l’étude et à l’enseignement de l’histoire 40), Paris 1907, p. 221. Altre cronache

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zione come responsabilità morale, sostenne in una lettera a Eloisa che Origene mutilandosi si era reso colpevole di omicidio20. Allo stesso tempo si riscontrò fra i giuristi un crescente interesse per il reato di tentato suicidio che fu assimilato a crimini come l’alto tradimento, il rapimento di una suora e vari tipi di omicidio. Rogerio, nel suo Summa codicis, datato intorno al 1160, sosteneva che chi cercava di uccidersi avrebbe dovuto essere punito “perché colui che non risparmia se stesso, ancor meno risparmierà un altro”21, e Pietro da Bellapertica, cancelliere del re Filippo IV di Francia, scrisse nel suo commentario al Codice che “… se qualcuno voleva uccidersi [ed] era osteggiato e fermato dal farlo, io dico che dovrebbe essere impiccato, perché la legge dice che chi vuole uccidere un altro, sebbene non vi riesca, dovrebbe essere punito come per omicidio, perciò [la stessa cosa vale] se vuole uccidersi”.

Ed egli cita la lex Cornelia sugli omicidi, che sosteneva che “l’intenzione è considerata il fatto”22. C’è qualcosa di illogico, comunque, nell’uccidere persone che hanno tentato senza successo di uccidersi, e alcuni giuristi non furono meno severi di Pietro da Bellapertica. Jean Boutillier, nel suo influente Somme rural, scritto verso il 1370, disse che colui che tenta di uccidere se stesso o un’altra persona merita di essere punito severamente, ma non con la morte, ammesso che si confessi e si penta. Concluse: “se avviene con un atto incompleto di disperazione e di cui l’uomo si pente, sappiate che la perso-

del trattamento compassionevole del tentato suicidio si trovano in Libellus Monasteriensis de miraculis s. Luidgeri, 16, in Westfälisches Urkunden-Buch: Addimenta, a cura di R. Wilmans, Münster 1877, p. 110, e Caesarius Heisterbacensis, Dialogus miraculorum, IV, 40 e 45, a cura di J. Strange, 2 voll., Köln-Bonn-Bruxelles 1851, I, pp. 209 e 212-13. Si veda Bourquelot, Recherches, cit. (n. 14 sopra), p. 252. 20 Abelardo, Ep. 4 a Eloisa, a cura di J.T. Muckle, The personal letters between Abelard and Heloise, in “Mediaeval Studies”, XV, 1953, p. 90. 21 Rogerius, Summa codicis, IX, 42, in Scripta anecdota glossatorum, a cura di G.B. Palmieri (Bibliotheca iuridica Medii Aevi 1), Bologna 1914, p. 227. 22 Pierre de Belleperche (Petrus de Bellapertica), Super IX libros codicis, Paris 1569 (ristampato nel 1968), c. 274v (sul Codice VI, 22), cfr. il suo commentario sul Codice IX, 16 (la lex Cornelia sugli omicidi) e IX, 50 (la proprietà dei suicidi), ibid., cc. 402r e 407r. Riguardo alla lex Cornelia, si veda Codice IX, 16, in Codex Iustinianus, cit. (n. 5 sopra), p. 379, e Digest, XXXXVIII, 8, 7, a cura di Mommsen, cit. (n. 15 sopra), p. 820, che fu citato da Rogerius, Summa codicis, IX, 13, a cura di Palmieri, cit. (n. 21 sopra), p. 217. Queste fonti sono citate da Murray, Suicide, cit. (n. 14 sopra), II, pp. 396-425.

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na dovrebbe essere mandata a confessione e contrizione secondo consiglio e penitenza spirituali”. Jean Feu d’Orléans (1477-1547) sosteneva che chi tenta di uccidersi per stanchezza della vita, rabbia, afflizione, malattia, vergogna, ubriachezza o dissolutezza non dovrebbe esser punito23. Gli archivi di casi effettivi di tentato suicidio mostrano che gli imputati venivano usualmente rilasciati con un’ammonizione o una multa o condannati a punizioni di vario genere, comunque tutte inferiori alla pena capitale24. Ci sono stati due casi di tentato suicidio nel quattordicesimo secolo a Firenze, uno nel 1300 e un altro nel 1379, quando, essendosi pugnalato al collo “con lo spirito e l’intento di uccidersi”, un pover’uomo venne multato di duecento lire e imprigionato, sembra per un breve periodo, poiché non in grado di pagare25. I giudici di Rinaldeschi possono essere stati a conoscenza dell’opinione di Savonarola per cui coloro che si erano sottoposti alla prova del fuoco nel 1498 erano “homicidi di se medesimi, poiché erano certi di morire”26. È anche possibile che includessero l’imputazione di tentato suicidio perché era stato visto da molti testimoni degni di fede che avevano così fornito una solida base le23

Jean Boutillier, Somme rural, 39, Paris 1611, p. 273, e Jean Feu (Joannes Igneus), Commentarii in titulum de Sillaniano et Claudiano senatus consulto, Lyons-Orléans 1539, c. 93v. Sul suicidio tentato, si veda Bourquelot, Recherches, cit. (n. 14 sopra), p. 262; e, generalmente, C. Calisse, A History of Italian law, trad. ingl., London 1928, p. 412 (originale ital. in Id., Storia del diritto italiano, Firenze 1891). Fra le imputazioni a carico di Giovanna d’Arco c’era la minaccia di uccidersi: P. Champion, Procès de condemnation de Jeanne d’Arc, 2 voll., Paris 1920-1921, II, pp. 163-164 e 263, cfr. 200-201. 24 Murray, Suicide, cit. (n. 14 sopra), II, pp. 418 e 412, ha messo in evidenza “this apparent indifference to attempted suicide” (quest’apparente indifferenza verso il tentato suicidio). Egli non ha trovato alcun tentato suicidio che sia stato condannato con la pena di morte, sebbene alcuni potessero essere stati condannati in corti secolari. Francesco Guicciardini non ha fatto alcun riferimento al tentato suicidio nel suo trattato Del suicidio per ragione di libertà o di servitù, in Opere inedite di Francesco Guicciardini, a cura di G. Canestrini, 10 voll., Firenze 1857-1867, X, pp. 382-8. Cf. O. Bernstein, Die Bestrafung des Selbstmords und ihr Ende (Strafrechtliche Abhandlung 78), Breslau 1907, pp. 8 e 15, sulle punizioni per il tentato suicidio in Prussia e Boemia in epoche successive. 25 Kohler e Degli Azzi, Florentiner Strafrecht, cit. (n. 3 sopra), pp. 88-89, e cf. 203. Si veda Murray, Suicide, cit. (n. 14 sopra), II, pp. 419-420; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, 4 voll. in 6, Berlin 1896-1927, IV:1, p. 312, e (generalmente sul suicidio a Firenze), IV:3, pp. 381-2; e Dorini, Diritto penale, cit. (n. 3 sopra), p. 135. Moore, Suicide, cit. (n. 12 sopra), II, pp. 167-169, ha citato un esempio di un caso in Inghilterra di tentato suicidio a causa della povertà. 26 Johannes Burckhard, Liber notarum, a cura di E. Celani, in Rerum italicarum scriptores, 2a ed., XXXII:1, Città di Castello 1907-42, II, p. 84. Si veda Bourquelot, Recherches, cit. (n. 14 sopra), p. 463. Siamo grati a Donald Weinstein per il suo aiuto su questo punto.

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gale per la condanna di Rinaldeschi, in quanto il tentato suicidio venne considerato una confessione implicita27. Non c’è alcun motivo serio per credere, comunque, che Rinaldeschi sia stato messo a morte perché cercò di uccidersi, sebbene indubbiamente ciò pesò contro di lui. Le più importanti accuse mosse al Rinaldeschi, e le probabili cause della sua esecuzione, furono la bestemmia e il sacrilegio28. Commentando il caso del Rinaldeschi nel tardo Seicento, l’erudito Del Migliore (Documento X) attribuì l’applicazione della pena di morte alla “Legge Imperiale” contro la bestemmia. L’autorità citata dal Del Migliore fu un giurista francese del primo Cinquecento, Nicolas de Bohier, detto “il Boerio” (m. 1539), il quale aveva trattato sia il sacrilegio che la bestemmia nelle sue Decisiones aureae, specificando sotto il capo di “bestemmia” il crimine di quelli che “offendono Dio de facto, … con la lancia di una pietra, di sputo o di fango nella figura del nostro Signore Gesù Cristo o della purissima Vergine o di alcuno santo…”. Secondo Del Migliore il Boerio avrebbe giustificato la pena di morte in un caso come quello del Rinaldeschi, ed è vero che il giurista offre molti precedenti a tale effetto.Tuttavia, la lettura attenta del testo del Boerio (la cui discussione della bestemmia era infatti molto sfumata) sembra portare cautamente in direzione opposta,

27 Se Rinaldeschi non avesse confessato, sarebbe stato presumibilmente torturato, poiché servivano due testimoni oculari per la condanna di un crimine capitale nella tradizione romana: si veda E. Peters, Inquisition, Berkeley-Los Angeles 1988, pp. 64-65, e Murray, Suicide, cit. (n. 14 sopra), II, p. 171. 28 Secondo D. Lawton, Blasphemy, Philadelphia 1993, p. 16,“the word is not stably differential from heresy, apostasy and sacrilege” (la parola non è stabilmente diversa dall’eresia, apostasia e sacrilegio), e “ ‘Blasphemy’ comprises swearing, gambling, drinking, impiety, slander, sexual deviance, heresy, preaching against the Gospel, sacrilege, and any hypocrisy, defamation or rebellion against God”. (‘Bestemmia’ comprende maledizione, gioco d’azzardo, bere, irriverenza, calunnia, vizio sessuale, eresia, predicazione contro il Vangelo, sacrilegio, e qualsiasi ipocrisia, diffamazione o ribellione contro Dio.) Si veda (sul periodo precristiano) R. Parker, Miasma: pollution and purification in early Greek religion, Oxford 1983, pp. 144-190; A. Molien nel Dictionnaire de droit canonique, 7 voll., a cura di R. Naz, Paris 1935-1965, II, col. 902, quando cita Origene e Agostino; C. Casagrande e S. Vecchio, I peccati della lingua. Disciplina ed etica della parola nella cultura medievale, Roma 1987, pp. 229-240, che si concentrano sulla bestemmia verbale ma riconoscono che nell’uso comune la bestemmia comprende “colpe di diversa natura” (229); e, sulla Francia, O. Christin, Sur la condamnation du blasphème (XVIe –XVIIe siècles), in “Revue d’histoire de l’église de France”, LXXX, 1994, pp. 43-64 (in particolare p. 45, su “la polysémie du terme de blasphème” nel tardo medioevo e inizi dell’età moderna), e C. Leveleux, La parole interdite. Le blasphème dans la France médiévale (XIIIe –XVIe siècles): du péché au crime, Paris 2001. Si veda anche Schwerhoff, Zungen wie Schwerter, cit. (n. 5 sopra).

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perché alla fine della discussione boeriana troviamo invece il caso, successo nel 1534, di uno che, nonostante “percosse con la spada l’ immagine di Cristo, e tagliò parte del suo viso e capelli”, fu scusato dalla pena di morte “sotto pretesto di ubriachezza” e condannato alla sola frusta29. In genere la giurisprudenza civile rimaneva aspra nei confronti della bestemmia, ma proprio per questo è interessante che nella sentenza della condanna del Rinaldeschi mancano degli accenni alla tradizione romanista. La sentenza (Documento I) riporta che dopo aver perso del denaro proprio, Rinaldeschi “maledì se stesso e il nome della gloriosa vergine madre Maria e usò parole che è meglio non ripetere” (“blasfemavit semet ipsum et nominem gloriose virginis matris Marie, et usus fuit verbis quae pro meliori tacentur”) e che “con lo spirito e l’intenzione dell’ulteriore crimine di insozzare e perpetrare un orribile offesa” (“animo et intentione in ceterum nefandum et orribile excessum commictendi et perpetrandi”), egli lanciò dello sterco all’immagine della Vergine “a suo grandissimo disonore e disgrazia e a vergogna della fede cristiana” (“in eius maximum obrobrium ac vilipendium, et in verecundiam cristiane fidei”).Venne condannato, continua poi la sentenza, affinché “il nome della Vergine potesse essere onorato” (“ut … nomen beate gloriose verginis in honorem habeatur”), e, secondo uno dei ricordi della Compagnia dei Neri,“Perché per disperazione inbrattò con sterco la figura di Nostra Donna agl’ Alberighi” (Documento III). Questi riferimenti al disonore della Vergine enfatizzano l’efferatezza del crimine di Rinaldeschi. Il suo impatto locale può essere giudicato paragonandolo al rito dello “scherno delle abitazioni”, per cui se si lanciavano mota, inchiostro, sangue o escrementi alla casa del nemico, questi, per difendere il proprio onore, doveva poi pulire tutto prima possibile30. Il termine “bestemmia”, sebbene spesso applicato al linguaggio parlato, in effetti copre un’ampia varietà di abusi verbali e fisici. Fu severa29

Del Migliore, Firenze, cit. (sopra, cap. 1 n. 4), p. 393, e qui sotto (Documento X), pp. 113-114. Cfr. Nicolas de Bohier, Decisiones aureae,Venezia 1568, pp. 615-618 (pars 2, quaestio 254), sul sacrilegio; pp. 749-755 (pars 2, quaestio 301), sulla bestemmia; p. 754: “… quando tales offendunt Deum de facto, ut per iactum lapidis, vel sputum aut lutum in figuram domini nostri Iesu Christi, vel purissime virginis vel alicuius sancti…”; p. 752: “Tamen sic factum non fuit in personam cuiusdam, qui in festo beatae Mariae Magdalenae & ex exitu vesperarum percussit ense imaginem Christi, & amputavit partem faciei cum crinibus, qui fuit a poena mortis praetextu ebrietatis, licet non bene probata fuisset, excusatus, & condemnatus ad ictus fustium, seu fustigandum esse…”. 30 Si veda E. Cohen, Honor and gender in the streets of early modern Rome, in “Journal of Interdisciplinary History”, XXII, 1992, pp. 597-625 (603), con altri riferimenti al lancio di escrementi a pp. 606 e 616, e p. 623 sulla fretta di pulire.

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mente condannata nel vecchio testamento e nell’antico diritto civile, dove bestemmia e sacrilegio erano molto legati al tradimento o al crimine di laesa maiestas, che più tardi venne equiparato a quello di laesa religio31. I teologi medievali e i giuristi presero in seria considerazione il comandamento del Leviticus 24.16, secondo il quale “Si lasci morire colui che bestemmia il nome del Signore in punto di morte”. Gregorio Magno nei Dialoghi racconta la storia di un ragazzino che, non controllato dal proprio padre, “si abituò alla bestemmia della maestà del Signore ogniqualvolta qualcosa era contraria ai suoi desideri” e che morendo con la bestemmia sulle labbra, andò all’inferno32. Pietro Comestore definì la bestemmia (in contrasto alla contumelia e all’iniquità) come peccato contro lo stesso Signore e la religione della fede, e per Tommaso d’Aquino era per sua natura un peccato mortale e il più serio di tutti33. L’assunto per cui i bestemmiatori dovessero essere puniti dal divino piuttosto che dagli uomini spiega la lacuna di qualsiasi distinzione specifica generalmente accettata fra bestemmia e sacrilegio, sia nel diritto canonico che in quello civile. La prima legge generale civile contro la bestemmia si trova nella Novella di Giustiniano, che decretò che coloro che bestemmiavano dovevano essere puniti prima rendendoli indegni della grazia di Dio e poi con le torture. Secondo la cosiddetta “Epitome” del giurista Giuliano, chiunque bestemmi contro Dio dovrebbe essere condannato a morte34. Nel tardo medioevo e gli inizi dell’epoca moderna, i giuristi general-

31 F. Lear, Blasphemy in the “Lex Romana Curiensis” (1931), ristampato nel suo, Treason in Roman and Germanic Law, Austin 1965, p. 175, ha detto che c’era “a broad highway running from sedition and treason against land and folk through high treason and related crimes of majesty … to sacrilege, impiety, blasphemy and heresy” (un’ampia via che va dalla sedizione al tradimento contro la patria e il popolo passando per l’alto tradimento e i relativi crimini di lesa maestà … fino ad arrivare al sacrilegio, l’empietà, la bestemmia e l’eresia). Si veda ibid., pp. 179-80, sulla bestemmia nella Bibbia Vulgata. 32 Gregorio Magno, Dialogi, IV, 19, a cura di A. de Vogüé, 3 voll. (Sources chrétiennes, 251, 260, 265), Paris 1978-80, III, pp. 72-74. 33 Pietro Comestore, Sermo in festo S. Magdalenae, fra le opere di Ildeberto di Lavardin, in Patrologia Latina, CLXXI, col. 675B; e Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, 2.2, Qu. 13, art. 2 e 3 (nell’edizione Marietti, 6 voll.,Torino 1938, III, p. 79). 34 Giustiniano, Novella, LXXVII, 1.1, in Corpus iuris civilis, III: Novellae, a cura di R. Schoell, Berlin 1954, p. 382; e Iuliani epitome latina Novellarum Iustiniani, a cura di G. Haenel, Osnabrück 1965, (Constitutio LXXI), p. 95, che continuò a decretare la stessa punizione per chiunque non denunciasse un bestemmiatore. Si veda anche Dictionnaire de droit canonique, cit. (n. 28 sopra), II, col. 912

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mente ritenevano che la giusta punizione per la bestemmia fosse la morte. Giovanni Bertachini da Fermo (m. 1497), nel suo Repertorium, pubblicato per prima nel 1490, concluse che “de jure communi il bestemmiatore è punito con la condanna capitale”35. Domenico Toschi (m. 1620) dedicò una sezione speciale del suo libro Practicae conclusiones iuris alla questione se la bestemmia fosse un reato ecclesiastico o secolare, e decise, citando Giulio Claro (m.1575), che era un tipo di crimine misto che poteva essere punito sia in una corte che nell’altra, ma non in tutte e due. Secondo entrambi i diritti, civile e divino, scrisse Toschi, la morte è la condanna per la bestemmia, e “il bestemmiatore è condannato con la pena capitale e l’estrema sofferenza”36. Queste opere mostrano l’influenza del Vecchio Testamento e del diritto romano, ma i loro autori non si attennero interamente alla teoria teologica e legale. Riconobbero che non tutti i bestemmiatori potevano essere condannati a morte e perciò fecero molte distinzioni nel definire questo reato. I teologi scolastici divisero la bestemmia fra quella attributiva, derogativa e usurpativa. E fra i giuristi Alessandro Tartagni (m. 1477) distinse una semplice bestemmia da quella abituale, che doveva essere ripetuta più di tre volte e provata da diversi testimoni.37 Il giurista Toschi, ancora citando Giulio Claro, scrisse che la punizione della morte era “non abitualmente osservata … perché se tutti i bestemmiatori fossero stati puniti con la morte, sarebbero rimaste poche persone”38. Altri giuristi sostenevano che la bestemmia per rabbia o ubriachezza non avrebbe dovuto essere punita affatto. Nel diciassettesimo secolo l’avvocato fiorentino Marcantonio Savelli da Modigliana, il cui Summa diversarum tractatuum era basato su fonti precedenti, disse che sebbene le sanzioni per la bestemmia includessero la morte “proprio

35 Giovanni Bertachini da Fermo, Repertorium iuris utriusque, I, Lyons 1539, c. 166r, che cita, in aggiunta a Bartolus e Baldus, i giureconsulti Jacopo Bottrigari da Bologna (m. 1347), Angelo Giambiglioni da Arezzo (m. 1461), e Alessandro Tartagni da Imola (m. 1477). Si veda anche Index tractatum, cit. (n. 5 sopra), c. 129v: “Blasphemans, consuetudine, potest ad mortem damnari, quando blasphemia est publica”. Dobbiamo a Domenico Maffei e Peter Weimar l’aiuto nell’identificare questi e altri autori. 36 Domenico Toschi, Practicae conclusiones iuris, 4a ed., 8 voll., Lyons 1661, I, p. 319. Si veda in modo generale Calisse, History, cit. (n. 23 sopra), p. 412; e Schwerhoff, Zungen wie Schwerter, cit. (n. 5 sopra), pp. 119-126. 37 Alessandro Tartagni, Consiliorum seu responsorum libri, 2 voll. in 3, Frankfurt a. M. 1610, I, cons. 72, e VI, cons. 233, adn. (I, p. 154, e II, p. 315). 38 Toschi, Practicae conclusiones, cit. (n. 36 sopra), I, p. 319.

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perché la pena capitale viene imposta dalla legge di Cesare”, si riscontravano diversi pareri ed eccezioni basati sul tipo di bestemmia e sullo stato del bestemmiatore39. Si sa molto poco sulla persecuzione civile della bestemmia nelle cittàstato italiane. Nessun caso del genere è stato portato davanti alla corte del Podestà di Bologna fra il 1385 e il 1400. Nel XV secolo la bestemmia, come il gioco d’azzardo, era sempre più punita con sanzioni pecuniarie piuttosto che corporali, “una sorta di tassa”, come l’ha chiamata Zorzi, sui tipi di comportamenti devianti ma ampiamente tollerati40. A Firenze lo statuto civile del 1415 stabiliva che “chiunque bestemmiasse il nome di nostro signore Gesù Cristo o di un qualsiasi santo, uomo o donna, sarà multato di 100 lire di piccioli, e se questi non potesse pagare la multa, dovrebbe essere frustato nudo alla luce del sole e picchiato per la città di Firenze”41. Nel 1542 le multe vennero fissate a 200 lire per la prima offesa, a 300 per la seconda e 500 per la terza, a cui potrebbe essere stato aggiunto, progressivamente, la foratura della lingua insieme all’esilio per un periodo tra i 6 e i 12 mesi e infine la sfilata su un asino e due anni nelle galee42.A nord delle Alpi nel sedicesimo e diciassettesimo secolo la bestemmia veniva punita con

39 Marcantonio Savelli da Modigliana, Summa diversorum tractatuum, 4 voll., Parma 1717, I, pp. 172-173, che cita Pietro Caballo, Resolutiones criminales, cas. 296, n. 32,Venezia 1644, p. 260a. Caballo era un magistrato a Firenze che morì nel 1616. 40 Zorzi, Esecuzioni, cit. (sopra, cap. 1 n. 3), p. 14. 41 Statuta populi et communis Florentiae, 3 voll., Freiburg [ma Firenze] 1771-81, I, pp. 256-257 (III, rub. 38). Si noti che lo stesso statuto del 1415 (I, p. 371 [III, rub. 166]) classificò il lancio di pietre alle chiese importanti e le loro sacre immagini come un crimine minore da punire con una multa di 25 lire e con la riparazione del danno causato. Si veda anche Brackett, Criminal justice, cit. (sopra, cap. 1 n. 41), p. 129; e, per gli statuti fiorentini antecedenti sulla bestemmia, Dorini, Diritto penale, cit. (n. 3 sopra), pp. 129-30. Per altri statuti comunali sulla bestemmia, si vedano Gli statuti del comune di Treviso, sec. XIII-XIV, a cura di B. Detto, Roma 1984, pp. 571-572; e Statuta … Aquarum, cit. (n. 3 sopra), p. 62. Per una zona rurale cfr. anche Statuti del Ponte a Sieve, a cura di P. Benigni e F. Berti, Pontassieve 1982, p. 55 (del 1402) e p. 105 (del 1523). Sull’inasprimento degli statuti riguardo alla bestemmia, e la loro applicazione a Venezia e in Europa agli inizi del XVI secolo, si veda R. Derosas, Moralità e giustizia a Venezia del ’500-’600. Gli esecutori contro la bestemmia, in Stato, società e giustizia nella Repubblica veneta (sec. XV-XVIII), a cura di G. Cozzi, 2 voll., Milano 1980-1985, I, pp. 431-528. 42 Brackett, Criminal justice, cit. (sopra, cap. 1 n. 41), p. 129. Secondo N. Terpstra, Confraternities and public charity: modes of civic welfare in early modern Italy, in Confraternities and catholic reform in Italy, France and Spain (Sixteenth Century Essays and Studies 44), Kirksville 1999, pp. 113-114, a cominciare dal 1542 a Firenze un terzo delle multe per la bestemmia fu indirizzato all’assistenza dei poveri.

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una gradazione di sanzioni a partire da quelle pecuniarie a quelle corporali, ma allo stesso tempo la legge prendeva in considerazione le circostanze attenuanti, come l’alcol e la rabbia43. Non erano sconosciute, comunque, anche punizioni più severe e spesso dipendevano dalle circostanze individuali, come nel caso del giocatore decapitato a Pisa nel 1413 (si veda p. 35 sopra). Uno statuto del XV secolo di Badia Tedalda, un feudo sotto la protezione di Firenze, puniva i bestemmiatori di Dio e della Vergine con una multa di 10 lire di piccioli, mentre i bestemmiatori dei “Santi di Dio” venivano multati con la cifra minore di 100 soldi, uguali a 5 lire44. Ma un bestemmiatore a Firenze nel 1512 venne bandito per tre anni dopo essere stato portato per le strade della città con un chiodo nella lingua45. Secondo una lettera del 1543, il duca Cosimo I de’ Medici qualche volta risparmiava ai bestemmiatori le punizioni corporali ed esigeva il pagamento di una multa stabilita, a condizione che non avessero bestemmiato il nome di un santo in particolare, e così la duchessa Eleonora intercedé con il marito per conto di un certo Piero del Quadro che era stato sanzionato con una multa di duecento lire e punito con la foratura della lingua per aver detto “potta di Cristo”, ma che era “vecchio, povero, e charico di famiglia”46. La sua condanna venne ridotta perché era stato offeso solo Cristo e nessun santo. Il diritto ecclesiastico tendeva ad essere più indulgente, o forse più realistico, di quello civile riguardo alla bestemmia. Per il secondo concilio di Ravenna del 1311, chi bestemmiava per la prima volta doveva essere escluso dalla chiesa per un mese, e ai recidivi doveva essere nega43 Riguardo alla legislazione sulla bestemmia nel XVI e XVII secolo, si veda Christin, Sur la condamnation, cit. (n. 28 sopra), p. 49, e, in generale, i suoi articoli in Matériaux [I-II], cit. (n. 5 sopra), XXIX, 1994, pp. 56-67, e XXXII,1996, pp. 67-85. 44 Gli statuti quattrocenteschi di Badia Tedalda e di Pratieghi, a cura di M. Laurenti e P. Mariani Biagini, Firenze 1992, p. 61, dove 100 soldi = 5 lire. 45 ASF, OGB, 230, c. 23r (8 aprile 1511). 46 Lettera di Bastiano Bindi a Lorenzo Pagni, ASF, Mediceo del Principato, 1176b, c. 658r (6 giugno 1543): “Per una di vostra S.ria di Pietrasanta de’ iiii del presente, ho visto quanto quella mi comanda, per parte della Ex.tia della duchessa, circa a Piero del Quadro, condemnato in lire 200 et perforatione della lingua per havere detto ‘potta di Christo’, come si contiene nella sua querela et confessione: di che la ex.tia del ducha, quando e’ fussi bestemmia d’alcuno santo, qualche volta ha levato la pena corporale et fatto pagare la pecuniaria […]. Et di questo caso propriio se n’è scripto a sua ex.tia et narrato a pieno la qualità della bestemmia, et come Piero è vecchio, povero, et charicho di famiglia, et tuttavia si aspecta quella ne aviserà sua ex.tia Ill.ma”.

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to il funerale cristiano47. Gli archivi processuali di Bologna già citati precedentemente mostrano che le punizioni imposte per la bestemmia includevano il digiuno, la preghiera del pater noster, la frequenza della messa in chiese particolari, e, per i casi più seri, pellegrinaggi di penitenza. La bestemmia di questo tipo era spesso associata al gioco48. Nel 1514 il quinto Concilio Lateranense stabilì vari gradi di punizione, a seconda del numero di offese e in aggiunta a qualsiasi sanzione imposta in foro conscientiae, per bestemmiatori che rivestivano cariche pubbliche, per gli ecclesiastici e i preti, per i nobili, e per i non nobili ed i plebei, che venivano puniti per più di due offese trascorrendo un giorno davanti alla chiesa principale con indosso il cappello dell’infamia (mitra infamiae), presumibilmente una sorta di berretto d’asino. I bestemmiatori incalliti potevano essere messi in prigione o inviati nelle galee. I giudici, i governanti che applicavano queste sanzioni e gli informatori erano ricompensati con un terzo delle multe e con un’indulgenza di dieci anni49. Tre anni dopo, il sinodo provinciale tenutosi a Firenze riconfermò il decreto del quinto Concilio Lateranense e vi aggiunse due capitoli. Uno sosteneva che la divina maestà veniva offesa da quel che veniva fatto alle immagini come se fosse fatto direttamente a “colui che è rappresentato nelle immagini stesse” e un altro decretava che “Chiunque istigato da diabolica rabbia, colpisce o fa altra offesa a un’immagine del Crocifisso o della Madre Vergine, se laico o nobile, deve [pagare] 200 ducati, dei quali un quarto è per gli Otto [di Guardia], un quarto per l’accusa, un quarto per il giudice e un quarto per i poveri di Cristo; se non nobile, si ordina che debba essere legato con le catene, disonorato per tre anni con il cappello [dell’infa-

47 II Ravenna 1311, cap. 27, in Mansi, Collectio, cit. (n. 16 sopra), XXV, coll. 471-472. Il concilio di Parigi del 1429, capp. 22 e 26, puniva le prime offese con una settimana di prigione a pane e acqua, la seconda con due settimane e la terza con la gogna: ibid., XXVIII, coll. 1106-7 e 1109. 48 Si veda pp. 34-37 e n. 3 sopra. 49 V Laterano, 1512-17, Sessio X, 9, in Conciliorum … decreta, cit. (n. 4 sopra), pp. 621-2. Si veda Dictionnaire de droit canonique, cit. (n. 28 sopra), II, pp. 914-915, e Leveleux, Parole interdite, cit. (n. 28 sopra), pp. 82-84. 50 Mansi, Collectio, cit. (n. 16 sopra), XXXV, coll. 232-235. Si veda R. Trexler, Synodal law in Florence and Fiesole, 1307-1518 (Studi e testi 268), Città del Vaticano 1971, pp. 128131; e Id., Florentine religious experience: the sacred image (1972), rist. nel suo Church and community, 1200-1600: studies in the history of Florence and New Spain, Roma 1987, p. 51.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale mia]; e se del clero, si chiede che venga privato dei suoi benefici, se ne ha, e sospeso dall’esecuzione dei suoi ordini, e se non ha benefici, che venga multato a discrezione del vescovo, sospeso e portato fuori con le catene”50.

Il decreto venne attuato solo sedici anni dopo l’esecuzione del Rinaldeschi e da un gruppo di uomini di chiesa di cui molti devono aver avuto familiarità con il suo caso. Le punizioni che essi descrivono per aver colpito e offeso un’immagine della Vergine erano severe, ma ben lontane dall’impiccagione. Questo decreto riflette la crescente concezione della bestemmia nella forma dell’iconoclastia, cioè la distruzione e il danneggiamento di immagini. Due casi di Pisa e Mantova riguardavano degli ebrei che, sebbene con permessi ecclesiastici, avevano distrutto due immagini rispettivamente di San Cristoforo e della Vergine con il Bambino51. La punizione qualche volta era miracolosa, come quando un giocatore a Gaeta che attaccò una figura di Sant’Antonio dopo aver perso al gioco venne colpito nello stesso tempo con l’afflizione conosciuta come il fuoco di Sant’Antonio (l’ergotismo) e morì tre giorni dopo52. Le persone sospette di sacrilegio venivano occasionalmente linciate dal popolo che si arrogava il diritto di far giustizia da sé e distribuiva punizioni senza alcun riguardo per i dovuti processi secondo i canoni contemporanei. Un ebreo (chiamato un “marrano”) venne lapidato a Firenze nel 1493, secondo Landucci, perché, “… per dispetto de’ Cristiani, ma più tosto per pazzia, andava per Firenze guastando figure di Nostra Donna, e in fra l’altre cose, quella ch’è nel pilastro d’Orto San Michele, di marmo, di fuori. Graffiò

51 M. Luzzati, Ebrei, chiesa locale, “principe” e popolo: due episodi di distruzione di immagini sacre alla fine del Quattrocento, nel suo La casa dell’Ebreo, Pisa 1985, pp. 205-234. Sulla desacrazione di immagini sacre da ebrei e altri si veda G. Jaritz, The destruction of things in the late middle ages, in Emotions and material culture. International round table discussion. Krems an der Donau, October 7 and 8, 2002,Wien 2003, pp. 67 e 73, fig. 4. 52 Paolo di Tommaso Montauri, Cronica senese, in Croniche senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, in Rerum italicarum scriptores, 2 a ed., XV:6, Bologna 1939, p. 747. La rappresentazione dipinta della punizione di un uomo che gettò pietre contro una statua della Vergine si trova nei cicli paralleli dei miracoli della Vergine della Eton College Chapel a Windsor e della Lady Chapel a Winchester.

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l’occhio al banbino e a Santo Nofri; gittò sterco nel viso a Nostra Donna”.53

In un altro caso coevo, successo a Pistoia nel 1502, un giocatore che si era accanito su un crocifisso con un chiodo fu arrestato dal Capitano fiorentino. Il Capitano lo voleva processare regolarmente, ma alcuni pistoiesi si sono armati e sono intervenuti per impiccarlo subito54. L’anno seguente, a Firenze, Simone di Daniello del Pie venne impiccato con un processo, secondo i registri della Compagnia dei Neri, “per aver bruciato e lanciato vergognosamente in un recinto un’immagine del crocifisso e di Nostra Signora”55. La sentenza contro Rinaldeschi mostra quindi che, sebbene non ci fossero leggi specifiche che punivano la bestemmia con la morte, a parte quella tradizione del diritto romano che gli Otto non citarono nella condanna del Rinaldeschi, c’erano procedimenti molto meno formali per imporre la pena capitale. Rinaldeschi aveva offeso i “bonos mores”, e gli Otto decisero di condannarlo a morte “perché la sua punizione potesse essere un esempio per gli altri” (“ut pena eius in aliorum trahatur exemplum”). Considerata la varietà e la severità della accuse mosse contro Rinaldeschi, quel che colpisce più di tutto è che nel suo arresto e processo venne fatto uno sforzo per osservare la legge nella sua forma, e che le scene del dipinto dello Stibbert sembrano rappresentare il governo stesso come l’agente prescelto dalla giustizia divina che altrimenti avrebbe potuto agire per altre strade. Questo riguardo per la forma della legge, insieme alla severità della pena, deve essere interpretato alla luce delle speciali circostanze di Firenze alla fine del quindicesimo secolo e inizio del sedicesimo.

53 Landucci, Diario (sopra, cap. 1 n. 8), p. 66. L’episodio è raccontato con maggiori e più raccapriccianti dettagli da Tribaldo de’ Rossi, Ricordanze, in Delizie degli eruditi toscani, a cura di I. di San Luigi, 25 voll. in 26, Firenze 1770-1789, XXIII, pp. 283-285. Sul fatto e sulla statua offesa della Vergine si veda anche D. F. Zervas, Orsanmichele a Firenze, 2 voll., Modena 1996, I, pp. 220-221 e p. 460. 54 W. J. Connell, Un cronista sconosciuto del primo ’500: Bastiano Buoni e la sua cronica “De’ casi di Pistoia”, in “Bulletino storico pistoiese”, XCV, 1993, pp. 23-39 (35-6). 55 Edgerton, Pictures, cit. (sopra, cap.1 n. 4), p. 55 n. 40.

Capitolo III IL

CONTESTO DELLA STORIA

L’impiccagione di Rinaldeschi nell’estate del 1501 ebbe luogo in un delicato periodo di transizione per il ripristinato regime repubblicano che si era affermato sette anni prima a Firenze con l’esilio della famiglia Medici nel 1494. Un ruolo cruciale nel creare il regime lo ebbe il frate domenicano da Ferrara, Fra Girolamo Savonarola [Figura 20]1. Dalla metà degli anni ’80 del XV secolo, Savonarola aveva iniziato a predicare, nelle piccole e grandi città del nord Italia, un messaggio apocalittico secondo cui la chiesa sarebbe stata punita e riformata. Nel 1490, su invito di Lorenzo il Magnifico, primo cittadino e principe non ufficiale di Firenze, Savonarola venne insediato come lettore nel convento domenicano di San Marco, dove, dal 1493, con l’assistenza del governo controllato dai Medici, creò una congregazione osservante. L’osservanza, un movimento comune alla maggior parte degli ordini monastici nel XV secolo, prevedeva regole più rigide della disciplina e per un ritorno ai precetti del fondatore di ogni ordine. Savonarola si proclamava ispirato da una rivelazione secondo cui il castigo e la riforma dell’Italia e della Chiesa sarebbero state conseguenza dell’invasione di un re potente che avrebbe portato la punizione divina sulle città peccatrici d’Italia. L’invasione dell’Italia da parte di Carlo VIII di Francia nel 1494 sembrò confermare chiaramente questo messaggio. Con l’esilio di Piero dei Medici, figlio ed erede di Lorenzo il Magnifico, e degli altri membri della famiglia Medici, Firenze rinno-

1 Su Savonarola si veda L. Polizzotto, The elect nation: the Savonarolan movement in Florence, 1494-1545, Oxford 1994; D. Weinstein, Savonarola e Firenze: profezia e patriottismo nel Rinascimento, Bologna 1970; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, 5a ed., Firenze 1974; F. Cordero, Savonarola, 4 voll., Bari 1986-1988; Savonarole: enjeux, débats, questions: actes du colloque international (Paris, 25-26-27 janvier 1996), a cura di A. Fontes, J.-L. Fournel e M. Plaisance, Paris 1996. L’anniversario della morte di Savonarola nel 1998 ebbe come conseguenza un fiorire di pubblicazioni, incluso Girolamo Savonarola, l’uomo e il frate. Atti del XXXV Convegno storico internazionale, Todi, 11-14 ottobre 1998, Spoleto 1999; The world of Savonarola: Italian elites and perceptions of crisis, a cura di S. Fletcher e C. Shaw, Aldershot 2000; e i volumi della collana “Savonarola e la Toscana” pubblicata dalla Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino (SISMEL).

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vò il proprio governo repubblicano, e Savonarola, con le sue prediche, incoraggiò i fiorentini a stabilire un regime largamente popolare che dava autorità a un Consiglio Maggiore, composto da circa 3500 cittadini. Affascinante predicatore e oratore, che si proclamava illuminato dalla rivelazione divina, Savonarola dispose di un largo seguito. Firenze, diceva, avrebbe portato a una riforma della fede cristiana, azione da cui la città avrebbe beneficiato sia spiritualmente che materialmente. Per diversi anni successivi Savonarola e i suoi seguaci organizzarono campagne di rinnovamento morale. Prediche che richiamavano a leggi più rigide contro il gioco d’azzardo, la prostituzione, la bestemmia, l’omosessualità e per l’espulsione degli ebrei, erano accompagnate da preghiere pubbliche e falò delle vanità in cui quadri licenziosi e libri, specchi, abiti lussuosi e gioielli venivano ammucchiati nelle pubbliche piazze e bruciati. Perfino il Carnevale venne abolito a Firenze, poiché Savonarola proclamò un doppio periodo di Quaresima che includeva il Carnevale. Non tutti i fiorentini erano d’accordo con i programmi del Savonarola.Vi si opponevano molti patrizi ed ex medicei2. Le raccomandazioni di Savonarola non divennero sempre leggi e predicatori di altri ordini, in particolare i francescani e i serviti, contestavano i suoi discorsi. Fatto ancora più importante, Savonarola venne in conflitto con Papa Alessandro VI che lo convocò a Roma per un esame. Quando Savonarola rifiutò di obbedire e il governo fiorentino rifiutò di consegnarglielo, il Papa scomunicò il frate e minacciò la città di interdizione. Nella primavera del 1498, dopo che Savonarola aveva perduto l’appoggio del governo fiorentino, lui e due suoi seguaci domenicani vennero arrestati e messi sotto tortura per far loro confessare reati che includevano anche la falsa profezia. Il 23 maggio 1498 i tre uomini furono impiccati e i loro corpi bruciati in piazza della Signoria, prima luogo dei falò delle vanità del Savonarola [Figura 21]. L’esecuzione di Fra Girolamo Savonarola nel maggio del 1498 fu un trionfo per un gruppo di patrizi variamente conosciuti ai contemporanei come i “grandi” o gli “ottimati”. Ma la posizione dei grandi divenne progressivamente più debole in conseguenza delle maldestre relazioni che

2 Fra gli oppositori fu Niccolò Machiavelli, che seguiva alcune prediche di Savonarola e inviò in una lettera privata a Roma un resoconto molto critico. Si veda Niccolò Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, in Machiavelli, Opere, 4 voll. in 5,Torino 1984-1999, III, pp. 66-70 (Machiavelli a Ricciardo Becchi, 9 marzo 1498).

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intrattennero con la Francia e dei fallimenti nella guerra per riconquistare Pisa. Nell’inverno e nella primavera del 1501 i grandi sembrarono essere diventati ancora più accaniti nel loro tentativo di riformare la costituzione popolare, incentrata sul Consiglio Maggiore che loro speravano di abolire. Nel maggio del 1501, quando Cesare Borgia apparve con un esercito sul territorio fiorentino e si accampò a nord di Firenze, fra le sue richieste alla città vi fu la creazione di un governo oligarchico. Era opinione ampiamente accettata che Borgia fosse venuto su invito dei grandi. Quando il Borgia ricevette dal governo popolare un cospicuo pagamento per facilitare la sua partenza, e lasciò il dominio fiorentino nel giugno del 1501, i grandi furono screditati e molti di loro si ritirarono dagli affari di stato. Iniziò così un breve periodo di ritorno popolare e di spirito Savonaroliano che gli storici a Firenze hanno teso a trascurare: in verità, nell’anno fra il giugno del 1501 e il giugno del 1502 Firenze sperimentò il suo regime più democratico dalla rivolta dei Ciompi del 1378. Prendendosi carico degli affari fiorentini nel 1501, i popolari furono guidati da Pier Soderini3. Prima del 1500 Soderini sembra aver avuto una parte marginale nella politica cittadina, svolgendo invece frequenti missioni all’estero. Il fratello più vecchio di Soderini, Paolantonio, che si pensava propenso a favorire un regime più oligarchico, aveva determinato la direzione della famiglia Soderini nella politica fiorentina e sembra chiaro dai “ricordi” tenuti da un terzo fratello Soderini, Giovanvittorio, che in questi anni i Soderini agissero di concerto4. Con la morte di Paolantonio nel3 Qualche anno fa scoppiò una feroce polemica fra gli storici sulla carriera di Pier Soderini. Da un lato, Roslyn Pesman Cooper e Humfrey Butters hanno interpretato le azioni di Soderini come quelle di un onesto costituzionalista, mentre Sergio Bertelli ha ritratto Soderini come un politico ambizioso che voleva ristabilire una maniera di signoria a Firenze. Si veda R. Pesman Cooper, L’elezione di Pier Soderini a gonfaloniere a vita, in “Archivio storico italiano”, CXXV, 1967, pp. 145-85; S. Bertelli, Petrus Soderinus Patriae Parens, in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXXI, 1969, pp. 93-114; Id., Pier Soderini, “Vexillifer perpetuus reipublicae Florentinae”, in Renaissance studies in honor of Hans Baron, a cura di A. Molho e J.A. Tedeschi, DeKalb 1971, pp. 333-59; R. Pesman Cooper, Pier Soderini: aspiring prince or civic leader?, in “Studies in Medieval and Renaissance History”, n.s., I, 1978, pp. 71126; S. Bertelli, “Uno magistrato per a tempo lungho o uno dogie”, in Studi di storia medievale e moderna per Ernesto Sestan, 2 voll., Firenze 1980, II, pp. 451-94; H. Butters,Governors and government in early sixteenth-century Florence, 1502-1519, Oxford 1985; S. Bertelli, Di due profili mancati e di un bilancino con pesi truccati, in “Archivio storico italiano”, CXLV, 1987, pp. 579610. I saggi della Pesman Cooper sono ora raccolti in R. Pesman Cooper, Pier Soderini and the ruling class in Renaissance Florence (Bibliotheca Eruditorum 31), Goldbach 2002. 4 Sulle tendenze oligarchiche di Paolantonio Soderini, si veda Francesco Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, p. 183, che scrisse

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l’estate del 1499, la guida della famiglia passò a Piero, che nell’inverno del 1500-1501 si staccò dagli ottimati, o ne venne allontanato, e di conseguenza iniziò ad appoggiare le istituzioni del regime popolare. Nel gennaio e febbraio del 1501, quando i grandi tennero diversi incontri per discutere le proposte su come limitare il regime tenendo a freno il Consiglio Maggiore, Soderini rifiutò di parteciparvi. Cosa che, divenuta di dominio pubblico, gli valse il favore del popolo5. Soderini venne eletto gonfaloniere di giustizia per i due mesi di marzo-aprile 1501. Durante il suo mandato si preoccupò di escludere i grandi dalle “pratiche”, le riunioni deliberanti del regime. Poi, durante il periodo di respiro popolare che seguì la mancata invasione del Borgia, Soderini giocò un ruolo di guida nel governo6. Fu proprio lui a salvare il regime assicurandosi l’appoggio del re di Francia dopo la rivolta di Arezzo e della Valdichiana nel 15027. Nel 1501 vennero approvate leggi che sostenevano il carattere popolare del governo. Fu più facile eleggere ambasciatori e commissari, ora che i grandi rifiutavano tali posti8. Crebbe il numero delle cariche fiorentine da occupare tramite sorteggio9. Per rendere più efficace il Consiglio Maggiore e arrestare l’erosione di potere in atto nei confronti delle magistrature esecutive, un importante provvedimento ridusse la misura del quorum necessario per approvare le leggi a solo 600 uomini10. Il governo provò ottimisticamente anche a imporre un regime popolare a Pistoia, a di lui:“era tenuto ambizioso, e che disiderassi mutare el governo e ristrignere lo stato in pochi cittadini”. La concertata attività politica dei Soderini (Piero, cardinale Francesco, Giovanvittorio, e Tommaso il figlio di Paolantonio) è documentata in Bertelli, Uno magistrato, cit. (n. 3 sopra), pp. 475-78; Id., Di due profili, cit. (n. 3 sopra), pp. 582-589. 5 Niccolò Machiavelli, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, a cura di F. Chiappelli, 4 voll., Bari 1971-1985, I, p. 579; Guicciardini, Storie fiorentine, cit. (n. 4 sopra), p. 209. 6 Un’indicazione di questo evidente fatto fu l’elezione del 20 gennaio 1501 del nipote di Piero, Tommaso, come ambasciatore fiorentino alle nozze di Lucrezia Borgia e Alfonso d’Este a Ferrara, riportate in Biagio Buonaccorsi, Sunmario (sic), pubblicato in Machiavelli, Legazioni, cit. (n. 5 sopra), II, p. 570. 7 Che Piero Soderini fosse visto come un eroe è particolarmente chiaro in una lettera in latino, datata 14 settembre 1502, probabilmente di Antonio di Bartolomeo Scala, scritta ad un compagno fiorentino in viaggio nel Mediterraneo orientale, in cui si racconta la rivolta di Arezzo e la sua soppressione. La lettera è pubblicata in Annales Arretinorum maiores et minores, a cura di A. Bini e G. Grazzini, in Rerum italicarum scriptores, 2a ed., XXIV:1, Città di Castello 1909, pp. 210-211. 8 ASF, PR, 192, cc. 31r-32r (23 settembre 1501). 9 ASF, PR, 192, cc. 15v-16v (30 luglio 1501), ridusse i termini di uffici di diverse castellanie da uno a sei mesi “[per] fare parte d’alchuni vostri uffici a più numero di cittadini”. 10 Come riportato in Landucci, Diario (sopra, cap. 1 n. 8), p. 235 (4 agosto 1501).

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lungo controllata da grandi famiglie rivali11. E nel settembre del 1501 il Consiglio Maggiore lasciò decadere la magistratura fiorentina con pieni poteri di guerra, i Dieci di Libertà e Pace, in cui sedevano molti grandi, lasciando così gestire gli affari militari ai Priori scelti più democraticamente12. L’anno seguente, come abbiamo visto, le cariche del Podestà e del Capitano del Popolo vennero abolite e la giurisdizione criminale si concentrò negli Otto di Guardia. Soprattutto, mentre i popolari mostravano nuovo vigore, fu forse inevitabile che le ansie religiose del periodo savonaroliano trovassero pubblica espressione. Certo, alcuni fiorentini sembrano aver cercato di enfatizzare in particolar modo quei momenti del passato religioso della città non specificatamente legati al frate domenicano. Perciò nel dicembre del 1500 il Consiglio votò di celebrare la festa (il 12 luglio) del santo fiorentino dell’undicesimo secolo, Giovanni Gualberto, come festa annuale cittadina13. Nell’aprile del 1502 venne deciso di elevare l’importanza della festa di San Giovanni Gualberto, celebrandola nel medesimo modo della festa di San Francesco14.Anche San Francesco divenne il centro di una speciale attenzione, non solo perché i francescani si erano fortemente e alla fine trion11 Questo era lo scopo stabilito di due progetti (Sommarii) per Pistoia ideati nel marzo 1502. Erroneamente attribuiti a Machiavelli, che in verità scrisse in quel tempo un breve resoconto, De rebus pistoriensibus, essi vennero pubblicati in Niccolò Machiavelli, Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971, pp. 6-8. J.-J. Marchand, Niccolò Machiavelli. I primi scritti politici (1499-1512) (Medioevo e umanesimo 23), Padova 1975, pp. 45 n. 9 e 48 n. 18, rifiutò l’attribuzione. Si veda anche W.J. Connell, La città dei crucci: fazioni e clientele in uno stato repubblicano del ’400, Firenze 2000, p. 222. 12 Due volte il Consiglio Maggiore lasciò che la magistratura dei Dieci della Libertà e Pace fosse disfatta, prima per il periodo maggio 1499 - settembre 1500, e poi di nuovo per il periodo settembre 1501 - giugno 1502 (sul primo reinsediamento dei Dieci, si veda ASF, PR, 191, cc. 27r-28r [18 settembre 1500]; e sul secondo reinsediamento, nel 1502, si veda Annales Arretinorum, cit. [n. 7 sopra], p. 179). La debolezza e periodica mancanza di questa magistratura esecutiva fu uno dei punti principali della critica del Machiavelli al regime popolare fiorentino registrata nei suoi Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I.39, in Machiavelli, Tutte le opere, a cura di Martelli, cit. (n. 11 sopra), pp. 122-123. Felix Gilbert non si accorse della seconda dissoluzione dei Dieci e su questa base, e senza giustificazione, almeno in questo caso, accusò Machiavelli di “designing examples to fit his purposes” (fare esempi adatti ai suoi scopi). Si veda F. Gilbert, Machiavelli and Guicciardini: politics and history in sixteenth-century Florence, 2a ed., New York 1984, pp. 61-62 e 169 (trad. it. in Id., Machiavelli e Guicciardini: pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento,Torino 1983). 13 ASF, PR, 191, c. 59r-v (17-20 dicembre 1500), che recita in parte: “… essendo stato detto Giovanni Gualberto di natione fiorentina et molto divoto per la sua sanctità et frequentia de’ miracoli per lui in diversi tempi dimonstrati…”. 14 ASF, PR, 193, cc. 16v-17v (19 aprile 1502).

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falmente opposti ai domenicani di Savonarola nel 1498, ma anche perché la regola francescana offriva una tradizione alternativa della pietà popolare con valori antichi e irreprensibili. Pier Soderini fece un pellegrinaggio al monastero francescano de La Verna anche nel 1502, nel periodo fra la sua elezione a primo e unico gonfaloniere di giustizia a vita e la sua assunzione dell’incarico15. E nel 1503 il commissario generale Antonio Giacomini inviò il mantello portato da San Francesco quando ricevette le stimmate come trofeo di guerra da Citerna a Firenze, dove venne mostrato nel convento degli osservanti francescani a San Francesco al Monte alle Croci (oggi San Salvatore al Monte)16. Dal 1498 fino agli inizi del 1500 l’architetto Cronaca diresse un massiccio programma di edificazione in questo convento,“il commando della campagna nuovamente vittoriosa contro Savonarola”, secondo Lorenzo Polizzotto, lo stesso posto dove si rifugiò Rinaldeschi dopo il suo atto sacrilego17. Molti popolani, comunque, consideravano il frate di Ferrara un sant’uomo, martire per ragioni politiche. Si temeva che se Savonarola, che aveva fatto di Cristo il “Re di Firenze”, fosse stato veramente santo, allora l’intera città sarebbe stata complice della sua morte. Questo fu il messaggio di un contadino di Brozzi di nome Martino che nell’inverno del 1500-1501 parlò al popolo, proclamandosi successore del frate e profetizzando che Dio avrebbe punito l’Italia e le città di Roma e Firenze per aver ucciso Savonarola e i suoi due seguaci nel 149818. 15

Lettera dei Dieci della Libertà e Pace a Pier Soderini, copia in ASF, Dieci di balìa. Carteggi. Missive interne, 70, c. 139r (26 settembre 1502): “… perché tu mostri desiderare di intendere se e’ ci piacerebbe che ti trasferissi a La Vernia [sic], ti rispondiamo come e’ ci è grato ogni tua commodità”. 16 Lettera di Antonio Giacomini ai Dieci della Libertà e Pace, originale in ASF, Dieci di balìa. Carteggi. Responsive, 66, c. 230r (29 gennaio 1502/3): “Magnifici domini etc. Io mi serbai la chiave della cassa dove è l’abito di San Francesco et del forzerino dell’altre reliquie che è in decta cassa et suggellai in sulla serratura a fine che fussi prima vista costì che a nissun altra parte….” Sull’arrivo del mantello a Firenze, si veda Landucci, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), p. 253. Recentemente il mantello è stato trasferito dalla chiesa fiorentina di Ognissanti a La Verna. 17 Polizzotto, The elect nation, cit. (n. 1 sopra), pp. 170 e 208. La facciata della chiesa è visibile nel quarto pannello del quadro dipinto da Dolciati [Figura 4]. Non è da escludere la possibilità che Rinaldeschi chiedesse o intendesse chiedere asilo a questi francescani, anche se, secondo la giurisprudenza civile, tal diritto fu negato specificatamente ai bestemmiatori e sacrileghi. Si veda, per esempio, De Bohier, Decisiones aureae, cit. (sopra, cap. 2 n. 29), p. 235 (pars 1, quaestio 110):“Sed an consuetus blasphemator Dei & Virginis Mariae gaudere debeat immunitate ecclesiae, et quid de homicida & aliis ad ecclesiam fugientibus”. 18 Giovanni Cambi, Istorie, in Delizie, cit. (sopra, cap. 2 n. 53), XXI, p. 168.

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Certamente l’episodio del Rinaldeschi del 1501 merita di essere interpretato analizzandolo sullo sfondo del sentimento religioso. La condanna del gioco e della bestemmia era argomento importante delle prediche del Savonarola che conducevano a regole e applicazioni più rigide19. Uno studio quantitativo sulle condanne per sodomia a Firenze, crimine morale di cui Rinaldeschi non era accusato, ma che Savonarola prese in seria considerazione, ha mostrato che sebbene queste diminuissero per più di due anni dopo la morte del frate, crebbero di nuovo nei due anni successivi, dal novembre 1500 al novembre del 1502, testimoniando un nuovo rigorismo morale nei mesi quando accadde il fatto del Rinaldeschi20. Una delle caratteristiche più rilevanti del movimento di Savonarola fu cercare di controllare le strade e gli angoli o “canti” di Firenze, come quello della scena del crimine di Rinaldeschi. Lo storico Piero Parenti sostiene che durante il “Carnevale” savonaroliano del 1496, “altaruzzi con crocifissi e altre figure” vennero poste “su ogni canto delle strade”21. Il rapporto di Savonarola con la devozione locale si combinò con un messaggio forte e consistente relativo alle immagini. La sua campagna contro le rappresentazioni laiche sfociò in una più alta sensibilità fra i suoi seguaci per le immagini, sia religiose che profane22. Più specificatamente, predicò contro le costose raffigurazioni religiose contemporanee che “guastano il lume di Dio”, a favore di più antiche immagini come quella che Rinaldeschi offese23. La reazione al suo sacrilegio fu conseguenza di un senso di rabbia nei confronti di chi aveva disonorato la Vergine in una città che, attraverso misure come la riconsacrazione del Duomo alla Vergine nel 1412, aveva sviluppato la propria “Mariologia politica”24. Ma la risposta può anche essere stata provocata da un più

19 Si veda Rizzi, Ludus, cit. (sopra, cap. 2 n. 3), pp. 111 e 129-30, e anche i riferimenti sopra, cap. 2 n. 13. 20 M. Rocke, Forbidden friendships: homosexuality and male culture in Renaissance Florence, New York 1996, p. 224. 21 Piero di Marco Parenti, Storia fiorentina, voll. 1-2, a cura di A. Matucci, Firenze 1994-2005, I, p. 311. 22 H. Bredekamp, Renaissancekultur als “Hölle”: Savonarolas Verbrennungen der Eitelkeiten, in Bildersturm, cit. (sopra, Introduzione n. 6), pp. 41-64, lo collegò ad un feticismo. 23 Girolamo Savonarola, Prediche sopra i Psalmi, a cura di V. Romano, 2 voll., Roma 1969-1974, I, p. 189 (19 maggio 1495). 24 M. Bergstein, Marian politics in Quattrocento Florence: the renewed dedication of Santa Maria del Fiore in 1412, in “Renaissance Quarterly”, XLIV, 1991, pp. 673-719.

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immediato timore che, a causa dei suoi peccati, Firenze non godesse più il favore e la protezione divina25. Il fatto che Rinaldeschi fuggisse presso il convento dei francescani osservanti, contrario al Savonarola, dove probabilmente sperava di trovare protezione, poteva indicare che il criminale stesso fosse consapevole delle motivazioni “savonaroliane” alla base della caccia all’uomo che portò alla sua morte. Con la creazione e lo sviluppo della devozione alla Madonna de’ Ricci immediatamente dopo la morte di Rinaldeschi, i continui impulsi savonaroliani a Firenze trovarono uno specifico e duraturo scopo. L’elenco dei membri dell’“opera” che venne formata per proteggere e onorare l’immagine che Rinaldeschi aveva offeso rende tutto questo straordinariamente chiaro. Secondo un documento pubblicato da Richa nella sua storia della chiesa di Santa Maria degli Alberighi, i parrocchiani prima elessero cinque direttori (“hoperai [sic]”) il 26 luglio 1501, e fra questi c’era Piero di Bernardo Adimari, che non era solo un parente del vicario dell’arcivescovo, ma anche un firmatario di un’importante petizione della cittadinanza a favore di Savonarola26. Quando vennero eletti altri quattro rettori il 18 settembre, fra questi c’era un importante seguace del Savonarola, Bartolomeo Pandolfini, che era anche lui un firmatario della petizione del 1497 e che più tardi venne bandito dal pubblico ufficio per aver criticato la politica dei Medici27. Il 2 settembre 1507, quando un altro documento elencò gli “Operai”, che ora erano undici, due dei più importanti sostenitori di Savonarola si erano aggiunti al comitato: Francesco di Filippo del Pugliese e Girolamo Benivieni. Entrambi, dopo la morte del frate nel 1498, furono banditi dal pubblico ufficio per due anni e continuarono attivamente a mantenere vivo il suo ricordo28. Salvo questi quattro noti seguaci di Savonarola, quasi

25 Tali sentimenti sono particolarmente pronunciati in periodi di cambiamento radicale, quando vecchi valori e atteggiamenti sono messi in dubbio. Per un parallelo in circostanze molto diverse si veda J. M. Merriman, Incident at the statue of the Virgin Mary: the conflict of old and new in nineteenth-century Limoges, in Consciousness and class experience in nineteenth-century Europe, a cura dello stesso, New York-London 1979, pp. 129-148, che studiò in particolare l’accanita devozione dei macellai di Limoges nel tardo diciannovesimo secolo, inizi del ventesimo, alla “loro” statua della Vergine. 26 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, pp. 243-7; Polizzotto, Elect nation, cit. (n. 1 sopra), p. 446. Sull’elezione dei primi “Operai” si veda anche ASF, NA, 7981, ser Francesco da Romena, n. 149 (26 luglio 1501); e Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 131 [sinistro] (26 luglio 1501). 27 ASF, NA, 7981, ser Francesco da Romena, n. 152 (18 settembre 1501); Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 132v (18 Settembre 1501). Cfr. Polizzotto, Elect nation, cit. (n. 1 sopra), pp. 274, 456. 28 ASF, NA, 7981, ser Francesco da Romena, n. 195 (2 settembre 1507), che appare più avanti nell’appendice, Doc. V. Su Del Pugliese si veda Polizzotto, Elect nation, cit. (n. 1 sopra),

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tutti gli altri direttori dell’Opera servirono per ovvie ragioni pratiche, poiché vi erano compresi il rettore della chiesa, un rettore precedente, un parrocchiano la cui casa fu demolita a causa dell’oratorio, e due membri della famiglia dei Ricci, il cui antenato aveva originariamente commissionato il tabernacolo. La continua devozione alla Vergine offesa da Rinaldeschi offrì un’opportunità per far vivere ancora a Firenze molti dei sentimenti religiosi che caratterizzarono il movimento di Savonarola, mentre l’Opera di devozione e l’oratorio che fu costruito fornirono un mezzo ai molti seguaci di Savonarola per continuare a riunirsi dopo la sua morte, nonostante l’ufficiale condanna degli insegnamenti del frate e i tentativi da parte della famiglia dei Medici al potere, dopo il loro ritorno a Firenze nel 1512, di sradicare il movimento di Savonarola che persisteva in altri contesti religiosi, incluso il convento domenicano di San Marco29. Nel 1533 il patrizio Jacopo Salviati, un importante seguace del frate ferrarese, stabilì e finanziò, insieme a sua moglie Lucrezia (una figlia di Lorenzo il Magnifico), due cappelle nell’oratorio della Madonna de’ Ricci. Il savonaroliano Girolamo Benivieni continuò a giocare un ruolo attivo nell’amministrazione dell’oratorio della Madonna de’ Ricci fino alla sua morte nel 1542, quando gli succedette il nipote, Michele, figlio del famoso medico Antonio Benivieni che era stato anche lui un altro ben noto savonaroliano. Poi, a cominciare almeno da quello stesso 1542, la Compagnia di S. Michele Arcangelo, una confraternita rifondata da Savonarola stesso nel 1492, teneva le sue riunioni proprio nella chiesa della Madonna de’ Ricci, sotto la guida di un domenicano ammiratore di Savonarola,Alessandro Capocchi30. pp. 263-264. Su Benivieni si veda C. Re, Girolamo Benivieni fiorentino, Città di Castello 1906; Polizzotto, cit. (n. 1 sopra), pp. 141-146, 166-168 et passim; O. Zorzi Pugliese, Girolamo Benivieni seguace e difensore del Savonarola, in Studi savonaroliani.Verso il V centenario, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1996, pp. 309-318; e Girolamo Benivieni, Trattato in difesa di Girolamo Savonarola, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 2003. Il manoscritto di Berkeley documenta la partecipazione di Benivieni agli affari dell’opera della Madonna de’ Ricci fino ai tempi della sua morte: si veda Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 139r (12 agosto 1542), l’ultimo documento scritto del registro. 29 Sul persistente ruolo del ricordo di Savonarola nella politica e nella società fiorentina, e sulla condanna dei suoi insegnamenti da parte delle autorità fiorentine, si veda Polizzotto, Elect nation (n. 1 sopra), pp. 239-445; M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino 1997, pp. 341-344; e A. Matucci, L’abiura di don Teodoro: divertimento novellistico o calcolo politico, in Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di J.-J. Marchand e J.-C. Zancarini, Firenze 2003, pp. 197-207. 30 Sui Benivieni e la Madonna de’ Ricci si veda Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 139r. Sulla Compagnia di S. Michele Arcangelo, si veda Del Migliore, Firenze, cit. (sopra, cap. 1 n. 4), pp. 396-402; Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, pp. 268-269; Polizzotto, Elect nation, cit. (n. 1 sopra), p. 396.

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Quanto sia continuato il legame tra il movimento di Savonarola e la Madonna de’ Ricci, e quando sia stato dimenticato, è difficile saperlo. Forse fu dovuto a un persistente odore di eterodossia del movimento di Savonarola che la Madonna de’ Ricci venne omessa da un elenco autorevole delle immagini mariane nel mondo, l’Atlas marianus, pubblicato fra il 1655 e il 1657 dal gesuita tedesco Wilhelm Gumppenberg31. A questo riguardo non può certo aver aiutato il fatto che gli informatori fiorentini per l’indagine di Gumppenberg fossero i Serviti della vicina chiesa della Santissima Annunziata, sede sia di un culto mariano rivale che di una tradizione anti-Savonarola. Nel 1632, con la mediazione del Gran Duca Ferdinando II, gli Operai della Madonna de’ Ricci cedettero il controllo dell’oratorio ai padri Scolopi, un nuovo ordine con una missione educativa. Gli Scolopi amministrarono Santa Maria degli Alberighi come una chiesa parrocchiale fino al 1775 e forse fu in questo periodo che il culto savonaroliano che una volta circondava l’immagine svanì e venne dimenticato32. Tuttavia potrebbe essere un errore interpretare la devozione alla Madonna de’ Ricci come un fenomeno da ricondurre semplicemente a Savonarola. La concentrazione di un gruppo di cittadini a lui devoti in un nuovo oratorio che fu loro permesso di costruire nel cuore di Firenze non sarebbe potuta avvenire se le circostanze intorno al crimine di Rinaldeschi non fossero corrisposte eccezionalmente bene con le tradizioni relative alle immagini religiose e con le devozioni popolari ampiamente accettate. Poiché c’era una stretta relazione tra la pietà laica e le immagini nelle città italiane del quindicesimo secolo33, non sorprende che un culto popolare, accompagnato da segni e miracoli, abbia iniziato a svilupparsi intorno all’immagine profanata da Rinaldeschi quasi immediatamente dopo la sua esecuzione o forse addirittura prima.

31 Atlante Mariano, ossia origine delle immagini miracolose della B.V. Maria venerate in tutte le parti del mondo, compilato da W. Gumppenberg, a cura di A. Zanella, 12 voll. in 18,Verona 1839-1847. Su Gumppenberg, si veda G. Cracco, Prospettive sui santuari. Dal secolo delle devozioni al secolo delle religioni, in Per una storia, cit. (sopra, Introduzione n. 7), pp. 7-61 (11-25). I principali informatori di Gumppenberg a Firenze per il suo studio furono i Serviti della SS. Annunziata, che per tradizione erano in opposizione al Savonarola. 32 Del Migliore, Firenze, cit. (sopra, cap. 1 n. 4), p. 466. L’attuale parroco, Roberto Tassi, altrimenti informatissimo, ha scritto una storia della chiesa (sopra, cap. 1 n. 3) in cui la tradizione savonaroliana è del tutto assente. 33 E. Muir, The Virgin on the street corner: the place of the sacred in Italian cities, in Religion and culture in the Renaissance and Reformation, a cura di S. Ozment (Sixteenth Century Essays and Studies 11), Kirksville 1989, pp. 25-40, in particolare p. 30 sulle immagini, dove scrive che: “popular practice tended … to create sacred places” (la pratica popolare tendeva a creare dei luoghi sacri), e pp. 34-37 su Firenze.

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I resoconti contemporanei di pitture che lacrimavano, sanguinavano, sudavano, chiudevano gli occhi delle vergini dipinte o cambiavano i colori erano assai comuni nel nord Italia, e addirittura in tutta Europa, nel tardo quindicesimo secolo e inizio del sedicesimo34.“L’intrinseca efficacia della ‘tavola’ non si distinse chiaramente dall’efficacia del comportamento della folla”, ha scritto Richard Trexler, che ha studiato in particolar modo l’importanza delle immagini della Vergine.“Maria era il dinamico depositario del potere… Ella era là dove la sua immagine veniva venerata”35. E Edward Muir, in un saggio su La Vergine all’angolo di strada, ha detto che “gli intercessori con il divino permeavano gli spazi urbani… a tale livello che le rigide distinzioni fra sacro e profano…dovevano sembrare strane, perfino irreligiose a molti che vivevano nelle città, magicamente tenute insieme da tanti piccoli tabernacoli”36.Altri studiosi hanno sottolineato sia la cosiddetta ricerca di una “identità spirituale” da parte dei laici e anche del governo, dei patrizi e della chiesa a Firenze, sia “il trasferimento della scena del rito religioso dal riservato spazio monastico o ecclesiastico a quello pubblico della città”37. Come la Madonna de’ Ricci, molte delle immagini che dettero vita a devozioni popolari acquistarono notorietà dopo che furono danneggiate 34 Riguardo ad una Vergine a Firenze che nel 1470 si lamentò a voce alta, si veda Trexler, Public life, cit. (sopra, cap. 1 n. 14), p. 114. Per una che chiuse i propri occhi nel 1506, si veda Landucci, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), p. 279. Nel territorio fiorentino ci furono episodi miracolosi che coinvolsero dipinti della Madonna a Bibbona nel 1482, a Prato nel 1484, a Pistoia e Arezzo nel 1490, a Bagno di Romagna nel 1498, e Montepulciano nel 1514 e ancora nel 1518. Riguardo a Bibbona, si veda Landucci, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), p. 41; per Prato, L. Bandini, Il quinto centenario della “mirabilissima apparitione”, in “Archivio storico pratese”, LX, 1984, pp. 55-96, e Santa Maria delle Carceri a Prato. Miracoli e devozione in un santuario toscano del Rinascimento, Firenze 2005; per Pistoia, Centenario del miracolo della Madonna dell’Umiltà a Pistoia, Pistoia 1992; per Arezzo, D.A. Dragoni, Antichità e ragguardevolezza della venerabil’ Compagnia della Santissima Annunziata d’Arezzo e della sua chiesa altrimenti detta dipoi di Santa Maria delle lagrime, Firenze 1759; per Bagno di Romagna e Montepulciano, G. Batini e E. Guarnieri, Il pianto della Madonna, Firenze 1995, pp. 20 e 53-5. Per un episodio simile, fuori Napoli, si veda M. Miele, Le origini della Madonna dell’Arco. Il “Compendio” di Arcangelo Domenici, Napoli-Bari 1995. In generale su questi fenomeni, si veda M.P. Carroll, Madonnas that maim: popular Catholicism in Italy since the fifteenth century, Baltimore 1992, in particolare pp. 52-87 sul culto mariano, che tratta le immagini della Madonna come “dangerous” (pericolose) e i loro aggressori come vittime. Si veda anche W. A. Christian (Jr.), Apparitions in late medieval and Renaissance Spain, Princeton 1981; e Id., Moving crucifixes in modern Spain, Princeton 1992, che sottolinea l’importanza del contesto politico nell’interpretare tali episodi. 35 Trexler, Florentine religious experience, cit. (sopra, cap. 2 n. 50), pp. 47, 55-56. 36 Muir, The Virgin, cit. (n. 33 sopra), pp. 25-26. 37 M. Becker, Aspects of lay piety in early Renaissance Florence, in The pursuit of holiness in late medieval and Renaissance religion, a cura di C. Trinkaus e H.A. Oberman, Leiden 1974,

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o in altro modo offese. Gli attacchi a queste pitture rivelavano una vulnerabilità che portava i fedeli a dotare le immagini di poteri compensatori. La debolezza del dipinto in quanto delicata opera d’arte diveniva così una fonte di forza38. L’affresco profanato dal Rinaldeschi si trovava in un tabernacolo commissionato verso la metà del quattordicesimo secolo da Rosso de’Ricci. Originariamente, la nicchia si diceva avesse ospitato un dipinto di Giovanni da Milano, un allievo di Taddeo Gaddi39. Sebbene i resoconti contemporanei sottolineino che l’edicola fosse trascurata, nella seconda metà del quindicesimo secolo ci fu sufficiente interesse per il tabernacolo per far sì che il dipinto originale fosse sostituito dall’affresco dell’Annunciazione in stile rinascimentale che è chiaramente visibile nel pannello dello Stibbert [Figura 25]. È impossibile stabilire la data precisa dell’inizio del culto associato all’incidente del Rinaldeschi, ma il fatto che l’arcivescovo venisse a vedere l’immagine profanata e che il suo vicario ordinasse che fosse pulita la mattina stessa dell’esecuzione suggerisce che aveva già attirato considerevole attenzione40. In uno dei resoconti della Compagnia dei Neri del 22 p. 181; D. Weinstein, Critical issues in the study of civic religion in Renaissance Florence, ibid., p. 267; e D. Peterson, Religion, politics and the church in fifteenth-century Florence, in Girolamo Savonarola: piety, prophecy and politics, a cura di D. Weinstein e V.R. Hotchkiss, Dallas 1994, pp. 75-84. 38 D. Freedberg, The power of images: studies in the history and theory of response, Chicago 1991 (trad. it. in Id., Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico,Torino 1993); Macht und Ohnmacht, cit. (sopra, Introduzione n. 6); e The miraculous image in the late Middle Ages and Renaissance, a cura di E. Thunø e G. Wolf (Analecta Romana Instituti Danici, Supplementum 35), Roma 2004. 39 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, p. 252; W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbuch, 6 voll., Frankfurt a.M. 1940-1954, III, pp. 97, 104. Riguardo alla facciata principale della chiesa come esisteva nella metà del XV secolo (Fig. 15), si veda l’illustrazione nel “Libro intitolato dell’andata o viaggio al S. Sepolcro al Monte Sinai compilato da Marco di Bartolommeo Rustici orafo di Firenze l’anno 1425”, conservato nella Biblioteca del Seminario Arcivescovile Maggiore di Cestello e riprodotto in A. Sapori, Compagnie e mercanti di Firenze antica, Firenze 1955, p. LXXI, fig. 16. La porta laterale sotto al tabernacolo de’ Ricci non è visibile. In primo piano Maria, a cui la chiesa era dedicata, seduta vicino a un arcolaio, legge al Cristo bambino. Riproduzioni di questa e di altre illustrazioni dal manoscritto Rustici si trovano anche in G. Fanelli, Firenze architettura e città, 2 voll., Firenze 1973, II, pp. 64-66, figg. 350-384. Il manoscritto è del 1447 o poco dopo. 40 La data del 13 luglio 1508, quando un nuovo oratorio intorno all’immagine iniziò a essere costruito (si veda sotto, p. 65) può essere stato l’anniversario della prima apparizione del culto.

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luglio del 1501 (Documento III) si afferma che “… in detto dì, in quel luogo, la devozione e concorso delle persone cominciò e segue”. Landucci scrisse il 21 luglio 1501, il giorno del processo e della condanna del Rinaldeschi, che “Vi venne tutto Firenze a vedere, per modo che venendo el Vescovo a vedere questa Vergine Maria, levò detto sterco da lei, in modo che non fu sera che vi fu appiccato molte libbre di cera, e tutta volta crescendo la divozione. In pochi dì vi venne tante immagini [come offerte votive] come si vedrà col tempo”41.

La “Narratione dello excesso del Rinaldesco” nel libro delle “Entrate, uscite, debitori, creditori e ricordanze” dell’Opera della Madonna (Documento II) dice anche che la mattina dell’esecuzione il vicario dell’arcivescovo di Firenze ordinò che l’immagine fosse pulita e che presto divenne oggetto di venerazione popolare. Quattro giorni dopo l’esecuzione di Rinaldeschi, il 26 luglio 1501, fu accordato che tutte le elemosine, ceri e altri doni per l’immagine fossero usati dall’Opera per onorare e adorare l’immagine42. Piani per acquisire e demolire le case vicino alla chiesa sono evidenti in un documento notarile datato 15 agosto43; e il 23 agosto 1501 l’Opera ebbe il permesso dagli Ufficiali della Torre, che davano appunto autorizzazioni per costruire, di edificare quattro pilastri nella piccola piazza laterale per creare un portico lungo il lato della chiesa44. Gli Otto di Guardia assegnarono una parte della proprietà confiscata del Rinaldeschi a questo scopo45. Il 27 agosto, allo scopo di controllare l’accesso all’immagine della Madonna, l’Opera ebbe il permesso di costruire dei cancelli alle due entrate della piazza adiacente Santa Maria degli Alberighi46. Il 17 settembre venne eletto un cappellano; il giorno dopo furono nominati quattro nuovi membri dell’Opera con tutti gli Operai confermati per

41 Landucci, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), pp. 233-4; Lapini, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), p. 44. 42 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, p. 237; Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 1r (26 luglio 1501). 43 ASF, NA, 7981, ser Francesco da Romena, no. 151 (15 agosto 1501). 44 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, p. 237; Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 132r (23 agosto 1501). 45 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, pp. 251, 255. 46 Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 132r (27 agosto 1501).

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dieci anni e il cappellano per un anno47. Notazioni successive contenute nel libro dell’Opera conservato al Berkeley, assieme a diversi atti notarili che registrarono trasferimenti di terreni, riportano in dettaglio le attività degli Operai mentre procedevano con i loro progetti per l’oratorio. I registri di pagamento mostrano che il tetto fu terminato per il 24 febbraio 1502; e, poiché l’ultima entrata nel conto della costruzione è datata 22 maggio 1502, sembra ragionevole concludere che entro quella data l’edificio fosse ormai completato48. L’oratorio originale fu comunque costruito in fretta e furia e, per il continuo successo della nuova devozione, venne deciso nel 1507 di costruire un edificio ancora più bello per accogliere meglio il crescente culto. Secondo un atto notarile datato 2 settembre 1507, gli Operai affidarono questo compito all’importante architetto Baccio d’Agnolo, sulla base di un modello in legno che avevano precedentemente richiesto49. L’incarico a Baccio per l’oratorio della Madonna de’ Ricci non è noto agli storici dell’architettura, ma fu certamente di alto prestigio, poiché all’epoca l’architetto era all’apice della sua carriera. Dal 1499 Baccio era a capo dell’ufficio dei lavori per il Palazzo della Signoria, dove, fra molti progetti, disegnò un appartamento privato per Piero Soderini. Nel 1506, fu uno dei quattro architetti nominati a dirigere i lavori della Cattedrale e a disegnare l’ancora incompiuta galleria per unire il tamburo della cattedrale con la cupola del Brunelleschi50. I termini del contratto con cui l’Opera di Santa Maria degli Alberighi incaricò Baccio stabilivano che egli avrebbe ricevuto tre fiorini d’oro al mese per l’intero periodo della costruzione più due fiorini d’oro

47 Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 132r-v (17-18 settembre 1501); ASF, NA, 7981, no. 152 (18 settembre 1501). 48 Berkeley, Banc., MSS, 54, cc. 132r-137r, registra le attività dell’Opera durante questo periodo, mentre il conto delle spese nei documenti cc. 20v-23v (26 luglio 1501 a 22 maggio 1502) dettaglia il progredire nella costruzione dell’oratorio. Documenti ulteriori riguardo alle transazioni di proprietà dell’Opera si possono trovare in ASF, NA, 16791, ser Piero di Andrea da Campi, cc. 35v-36r (27 gennaio 1501/2); NA, 9648, ser Giovanni di Marco da Romena, cc. 144r-v, 145r, 152r-3v (tutti del 5 dicembre 1502); NA, 9649, ser Giovanni di Marco da Romena, cc. 128r-31v (28 novembre 1504). 49 ASF, NA, 7981, ser Francesco da Romena, no. 195 (2 settembre 1507), pubblicato nell’appendice come Documento IX. 50 A. Cecchi, Percorso di Baccio d’Agnolo legnaiuolo e architetto fiorentino, in “Antichità viva”, XXIX: 1, 1990, pp. 31-46, e XXIX: 2-3, 1990, pp. 40-55; C. Elam, Baccio d’Agnolo, in The dictionary of art, a cura di J. Turner, 34 voll., London 1996, III, pp. 15-17. La commissione è rimasta ignota per due ragioni: uno, non era menzionata nelle prime risorse pubblicate, incluso la vita di Baccio del Vasari, due, l’oratorio stesso non esiste più.

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come pagamento del suo modellino e che in sua assenza il suo associato Antonio da Sangallo (“il Vecchio”) avrebbe diretto i lavori. La costruzione iniziò il 13 luglio 1508, giorno in cui Landucci scrisse nel suo diario: “E in questi dì si cominciò e fondamenti della Nunziata de’ Ricci, che si dice Santa Maria Alberighi, quella che si cominciò da quello che gli gittò nel viso bruttura e fu inpiccato”51. Intorno al 1508 si scrissero delle regole per gli Operai che vivevano vicino alla chiesa52, e nel resoconto di una visita pastorale a Santa Maria degli Alberighi nel gennaio 1510 si affermò che la chiesa era unita (“coniuncta est”) “a quell’immagine dell’Annunciazione per cui c’è grandissima venerazione a causa di innumerevoli miracoli e grazie” e che c’erano dodici cappellani residenti, ognuno dei quali riceveva cinque lire prese dalle oblazioni raccolte dai quattro “operarii” responsabili dell’ingresso dei devoti53. Il 23 ottobre 1511 Landucci annotò “E in questi dì fu fornito di coprire la chiesa della Vergine Maria di Por San Piero, cioè ’l corpo della chiesa”54. È possibile individuare i contorni dell’oratorio di Baccio d’Agnolo lungo Santa Maria degli Alberighi nella cartina di Firenze di Stefano Buonsignori del 1585 [Figura 23]55. Come il primo oratorio del 1502, comunque, la sua struttura rimase vittima del suo stesso successo, poiché il luogo fu poi ulteriormente trasformato dato che la devozione per la Madonna de’ Ricci continuava a crescere. Un nuovo altare venne eretto nell’oratorio nel 152356; e fra il 1585 e il 1616, una nuova facciata venne costruita per Santa Maria degli Alberighi. Nel diciassettesimo secolo l’oratorio e la chiesa vennero amministrate congiuntamente come Chiesa della Madonna de’ Ricci. L’attuale facciata su via del Corso [Figura 24] fu costruita nel 1640-1641, e include nel suo 51 Landucci, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), p. 287. La data “1503” in Torricelli, Madonna de’ Ricci, cit. (sopra, cap. 1 n. 3), p. 11, è un errore tipografico, come è chiaro a pagina 15. 52 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, pp. 243-247. 53 Firenze,Archivio della Curia Arcivescovile, Visite pastorali,VP03, fasc. 6, cc. non numerate. 54 Landucci, Diario, cit. (sopra, cap. 1 n. 8), p. 311. 55 Stefano Buonsignori, Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata, Firenze 1584. Per una riproduzione dell’intera cartina, che fu redatta per il duca Francesco de’ Medici, si veda G. Fanelli, Firenze, cit. (n. 39 sopra), II, pp. 110-111, figg. 600-1. 56 Richa, Notizie, cit. (sopra, cap. 1 n. 4),VIII, p. 252. 57 L. Botteri, Novità sulla Madonna de’ Ricci: la facciata, in “Rivista d’arte”, XXXVIII, 1986, pp. 87-113; e [O. Tosti], Il portico di S. Maria de’ Ricci. Notizie storiche, in “Ricerche. Bollettino degli Scolopi italiani”, XIII, 1993, pp. 353-361.

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portico lo stemma degli Otto di Guardia57. Ci furono altre costruzioni nel 1709 e 176958, e l’8 maggio 1771, in una solenne cerimonia, l’affresco della Madonna de’Ricci venne tolto dalla sua antica sede, che era ora divenuto un muro laterale interno, e trasferito sopra l’altare principale, dove essa oggi fluttua circondata da cherubini dorati [Figure 26-27]59. Si possono dare tuttavia maggiori chiarimenti su questi sviluppi grazie ai documenti relativi a una causa della corte arcivescovile del 1545 fra Santa Maria degli Alberighi e un fabbro di nome Giovanni di Simone che tenne una bottega il cui rumore disturbava i servizi della chiesa. Il procuratore della chiesa affermò, con perifrasi tipiche di avvocato, che “… l’immagine della Santa Vergine che dà segni e fa miracoli, esistente nell’oratorio costruito vicino alla chiesa di Santa Maria degli Alberighi, era ed è molto vecchia; e sono trascorsi un centinaio di anni e più, per cui non c’era e non c’è ricordo delle sue origini; ed è sul vecchio muro della detta Santa Maria degli Alberighi, ed era così anche prima che venisse costruito in onore dell’immagine della santa Vergine l’oratorio oggi esistente”60.

Poi, andando alla storia dell’oratorio, il procuratore disse “Che quarant’anni e più erano passati da quando l’oratorio esistente in onore della detta immagine venne costruito, vicino e connesso alla detta vecchia chiesa e al suo muro dove la detta immagine è, a causa

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Paatz e Paatz, Die Kirchen, cit. (n. 39 sopra), III, p. 93. Il trasferimento dell’affresco è stato discusso in un opuscolo a stampa, Relazione della miracolosa immagine della SS. Annunziata che si venera in Firenze nella chiesa della Madonna de’ Ricci, Firenze 1773, p. 4, ristampato in Tassi, Chiesa Madonna de’ Ricci, cit. (sopra, cap. 1 n. 3), p. 372, che racconta nuovamente la storia di Rinaldeschi come apparve nel primo opuscolo del 1718 (sopra, cap 1. n. 3). 60 Firenze, Archivio della Curia Arcivescovile, Cause civili, Chiese determinate, CD364.3, inserto di “Acta in causa ecclesie S. Marie de Alberigis contra Ioannem Simonis Fabrum”, cc. non numerate (5 settembre 1545): “… quod imago dive Virginis faciens signa et miracula et existens in oratorio fabricato prope dictam veterem ecclesiam Sancte Marie de Alberigis fuit et est etiam antiquissima, et iam sunt centum anni elapsi et satis ultra et tanto tempore cuius initii non est memoria quod fuit et est et erat in muro veteri dicte Sancte Marie de Alberigis, et sic etiam antequam fieret oratorium ibi existens ad honorem dicte imaginis dive Virginis”. 59

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dei miracoli e dei segni che manifesta, e a causa della folla dei fedeli devoti”61.

Erano anche quarant’ anni che le messe quotidiane continuavano ad essere celebrate nell’oratorio sull’altare davanti all’immagine. Prima che esso fosse costruito – ancora secondo il procuratore della chiesa – c’era una strada senza botteghe, ma ora il rumore del martellare del fabbro Giovanni “impediva grandemente la celebrazione e l’ascolto delle messe e altri santi uffici”62. Il procuratore di Giovanni, presentando le sue argomentazioni, aggiunse qualche importante dettaglio, incluso che l’oratorio venne chiamato “Oratorio del Rinaldescho”, che nel 1501 “un’immagine della tanto gloriosa Vergine Maria decorava l’esterno della chiesa di Santa Maria degli Alberighi di Firenze e divenne un signum publicum” e che a lungo prima di quel tempo c’erano stati fabbri e altre botteghe nella strada63. La corte stabilì sette domande da porre ai residenti della zona circostante la chiesa. Fra queste c’era “se sapevano che Filippo Dolciati dipinse e realizzò l’immagine della Vergine Maria vicino alla detta chiesa e che decorò la Vergine in questo modo nell’anno 1501 [stile fiorentino – cioè nel 1502] e che passarono circa 30 anni dalla costruzione del detto oratorio”64. Negli interrogatori successivi Giovan Battista de’ Mini disse che non sapeva se Filippo Dolciati avesse dipinto l’immagine della Vergine e che “la verità è che nell’anno 1501 si diceva che l’immagine della Vergine Maria fece un miracolo, che era ben noto, e che la verità è che il cosiddetto nuovo oratorio non fu costruito che quattro anni dopo il detto miracolo”65. Un altro testimone disse anche che il miracolo associato all’im-

61 Ibid., “… quod iam sunt elapsi 40 anni et ultra quod fabricatum fuit oratorium ibi existens ad honorem dicte imaginis contiguum et connexum dicte ecclesie veteris et eius muro ubi est dicta imago propter miracula et signa que faciebat et propter concursum et devotionem fidelium”. 62 Ibid., “… propter magnum strepitum et fragorem immissum in dictam ecclesiam sive oratorium impedit summopere celebrationem et auditionem missarum et aliorum divinorum…”. 63 Ibid. (30 maggio 1545): “de anno 1501 … inmago gloriosissime Virginis Marie extra ecclesiam Sancte Marie de Alberigis de Florentia decoravit et signum publicum fecit”. 64 Ibid., “Item. Si sciunt quod Filippus Dolciati pinxit et fecit imaginem Virginis Marie iuxta dictam ecclesiam et quod de anno 1501 huiusmodi Virginem decoravit et quod iam sunt anni 30 in circa quod fuit fabbricatum oratorium predictum”. 65 Ibid., esame di Giovan Battista de’ Mini (10 ottobre 1545), “Interrogatus dixit se nescire an Philippus de Dolciatis pinxerit imaginem Virginis Marie … et quod veritas est quod

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magine avvenne intorno al 150166; e un altro, Niccolò di Baldo, disse che la chiesa fu decorata “a causa del miracolo che apparve verso il 1501 che certo… Rinaldeschi venne impiccato a causa delle sue offese”67. Nessuna delle fonti coeve, nemmeno quelle associate al caso di Rinaldeschi, specificò la natura del “miracolo”. I documenti provvenienti dall’Opera della Madonna de’ Ricci suggeriscono tre possibilità. La prima, e più esplicita, è che un po’ di sterco lanciato sull’immagine dal Rinaldeschi “miracholosamente … rimase appichata nella diadema sopra la cholottola, tanta che quasi pareva una rosetta secha”68. La versione di questa “Narratione” pubblicata da Richa aggiunse le parole “così come si vede ancora”, dopo il riferimento successivo alla pulizia dell’immagine per ordine del vicario dell’arcivescovo,“ma il segno rimane”. Questo suggerisce che il racconto è stato rivisto quando è stato copiato nell’archivio dell’Opera, probabilmente nel 1508, per enfatizzare la miracolosa rosetta rimasta, che fu risparmiata durante la pulizia, o successivamente ripristinata e dorata, forse come parte del lavoro fatto dal pittore Filippo Dolciati. Secondo il Del Migliore, nel 1684,“benissimo fino al giorno d’oggi, si scorge nel viso a quella SS. Immagine quell’immondizia, senza essersi mai staccata”. È possibile, perciò, che un po’ dello sterco originale gettato da Rinaldeschi sia rimasto sotto la doratura della rosetta ancora visibile sull’affresco (Figura 27), anche se più evidente in una fotografia degli anni ’20 del 1900, prima del suo restauro (Figura 26)69. de anno 1501 dicitur dictam imaginem Virginis Marie demonstrasse miraculum quod fuit notorium et quod veritas est quod dictum oratorium novum non fuit fabricatum per annos quatuor vel circa post dictum miraculum…”. 66 Ibid., esamina di Geri di Poldo de’ Pazzi (10 ottobre 1545), “… quod nescit quisnam pinxerit dictam imaginam Virginis Marie sed seu miraculum quod asseritur factum per dictam imaginem fuit factum de anno 1501 vel circa … hec scit”. (… che non sa chi dipinse detta immagine della Vergine Maria, ma che il miracolo che si dice fu fatto dalla detta immagine fu fatto nell’anno 1501 o intorno, … questo lo sa). 67 Ibid., esame di Niccolò di Baldo (1 luglio 1545),“…et recordatur quando dicta ecclesia fuit decorata propter miraculum quod apparuit anno 1501 vel circa propter quoddam [bianco] de Rinaldeschis fuit suspensus propter sua demerita”. Lo spazio bianco è stato lasciato perché chi parla non conosce il nome di battesimo di Rinaldeschi. 68 Si veda Appendice, Documento II. 69 Del Migliore, Firenze, cit. (sopra, cap. 1 n. 4), p. 393. Per una fotografia probabilmente da datare agli anni Venti del ’900, si veda l’edizione originale di C. Torricelli, La chiesa della Madonna de’ Ricci in Firenze. Note storiche e artistiche, Firenze [1926], frontespizio e p. 12. Nella copia conservata nella biblioteca del Kunsthistorisches Institut di Firenze è scritto sotto il frontespizio il commento, forse di mano di Ulrich Middeldorf, “Gänzlich übermalt”

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Una seconda, ma molto più probabile possibilità è che la Vergine in qualche modo identificò il Rinaldeschi come il colpevole, poiché la “Narratione” nel registro dell’Opera specificò: “chome piacque lei la chosa si scoperir” (nella versione pubblicata di Richa,“Dio” appare al posto di “lei”), e poiché il Codice Sanminiatese attribuisce il ritrovamento di Rinaldeschi a un miracolo della Vergine. Terza possibilità, il miracolo può darsi si riferisca al coltello con cui Rinaldeschi provò ad uccidersi quando venne arrestato: l’arma si fermò contro una costola e non penetrò il corpo, secondo la “Narratione” di Berkeley, “chome piacque a essa miserichordiosa Vergine, che non volle però che per tanto eccesso che quella anima si perdessi”. Quest’ultima ipotesi prende vita dal dipinto dello Stibbert, dove nella scena dell’arresto di Rinaldeschi sono stati rappresentati due angeli mentre mandano via i diavoli che prima avevano istigato Rinaldeschi e che non appaiono in nessuna scena successiva eccetto quella finale, dove perdono la lotta per la sua anima. D’altra parte, Rinaldeschi viene rappresentato accompagnato da un angelo sia quando viene condotto al processo sia dopo l’assoluzione, quando viene condotto alla sua esecuzione, e nella scena finale due angeli respingono i diavoli e portano via l’anima di Rinaldeschi70. Può darsi che si tratti di un errore insistere a cercare un solo miracolo identificabile. Nonostante il riferimento di Niccolò di Baldo a un “miraculum” verficatosi intorno al 1501, nel particolare, più di una fonte cita segni e miracoli al plurale e può darsi sia stato precisamente la pluralità dei miracoli a impressionare i contemporanei. È difficile giudicare dalle fonti se il culto che si è sviluppato intorno all’immagine sia stato il risultato di un movimento popolare o di un’iniziativa clericale, e distinguere i ruoli delle autorità ecclesiastiche, del governo secolare e del clero locale, che senza dubbio ha avuto la sua parte nella faccenda e ha incoraggiato la (totalmente ridipinto). Il frontespizio (e perciò l’illustrazione) non appare nella nuova edizione, apparsa nel 1980 a cura di L. Stefani, del volumetto del Torricelli, la quale abbiamo citata in precedenza (sopra, cap. 1 n. 4, e altrove). 70 Secondo il passo su Rinaldeschi nel Codice Sanminiatese pubblicato da Rondini, I “giustiziati”, cit. (sopra, cap. 1 n. 3), p. 226,“… per intercessione della SS.Vergine fu visto disputare l’anima sua da demoni e dagli Angeli, quali la portarono in Paradiso”, ma poiché una visione della lotta per la sua anima non è citata negli altri registri provvenienti della Compagnia dei Neri, né in qualsiasi altra fonte scritta, l’affermazione probabilmente riflette una interpretazione più tarda della scena finale del dipinto. Sulla lotta fra angeli e diavoli per le anime di persone in punto di morte si veda A. Gurevich, Historical anthropology of the middle ages, ed. ingl. a cura di J. Howlett, Cambridge 1992, p. 97, che contrasta questa “minore” escatologia di giudizio immediato con la “grande” escatologia del Giudizio Universale.

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devozione. Il fatto che il vicario dell’arcivescovo abbia ordinato che l’immagine venisse pulita il giorno dell’esecuzione suggerisce che parte delle autorità ecclesiastiche probabilmente provò non solo a rimuovere un evidente segno di disonore per la Vergine, ma anche a prevenire lo sviluppo di un culto71. Se questo fu il caso, comunque, fu evidentemente troppo tardi, poiché soltanto quattro giorni dopo, il 26 luglio, erano giunti abbastanza doni per il rettore e i membri della parrocchia per formare un’Opera che si occupasse della devozione all’immagine. Perciò, chiaramente, il clero agì per controllare e approfittare di un movimento che non poteva facilmente prevenire. La devozione dimostrata alla Madonna de’ Ricci è probabilmente da associarsi al più importante dei culti fiorentini riguardo a un’immagine, cioè l’adorazione del dipinto della Vergine del tredicesimo secolo conservato nella chiesa della Santissima Annunziata, osannata dal Savonarola [Figura 28]72. Il dipinto venne circondato da così tante immagini in cera come ex voto di persone grate che fu necessario, nel 1401, limitare l’accesso all’immagine, in questo caso ammettendo solo gli ex voto dei cittadini che potevano rivestire le più alte cariche della repubblica73. Per i parrocchiani di Santa Maria degli Alberighi, e anche per gli altri cittadini comuni di Firenze, il miracolo al canto de’ Ricci, come era noto quell’angolo di strada, fu in sostanza un momento di scoperta. La Vergine dell’Annunziata, di solito inaccessibile nella chiesa omonima, divenne visibile e fece sentire la sua presenza fra di loro. La diffusa sensibilità per le immagini, a cui in parte contribuì Savonarola, aiuta a spiegare non solo la severità con cui Rinaldeschi venne punito, ma anche l’inusuale attenzione che suscitò e, in ultimo, la devozione religiosa che circondò quell’episodio. Il suo atto peccaminoso attirò l’attenzione, in modi che variarono da persona a persona, verso un’immagi71 Si veda Cohen, Honor, cit. (sopra, cap. 2 n. 30), sulla necessità, in casi di spregi alle case, di pulire rapidamente i segni del disonore. 72 E. Casalini, La Santissima Annunziata nella storia e nella civiltà fiorentina, in Tesori d’arte dell’Annunziata di Firenze, Firenze 1987, pp. 75-99. Siamo grati a P. H. Jolly per averci permesso di leggere il dattiloscritto di un suo saggio non pubblicato, “Jan Eyck’s Italian pilgrimage: a miraculous Florentine Annunciation and the Ghent Altarpiece”. L’Annunziata fu lodata in Girolamo Savonarola, Prediche sopra l’Esodo, a cura di P.G. Ricci, Roma 19551956, I, p. 52 (18 febbraio 1498). 73 Trexler, Public life, cit. (sopra, cap. 1 n. 15), pp. 98-99. La legge del 1401 è citata in A. Warburg, Bildniskunst und florentinisches Bürgertum (1902), rist. nei suoi Gesammelte Schriften, 2 voll., Leipzig-Berlin, 1932, I, p. 116 n. 4. Si veda pp. 116-19 sulle immagini votive in cera alla SS. Annunziata.

Il contesto della storia

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ne esistente della Vergine che immediatamente divenne il centro di un interesse popolare e di una venerazione. Questo a sua volta generò i segni e i miracoli a cui le fonti si riferiscono. Le autorità, comunque, portarono quell’interesse sotto il controllo ecclesiastico facendo recintare lo spazio e nominando dei guardiani che limitarono l’accesso e raccolsero le offerte portate dai fedeli.Vista da questo punto di vista, l’esecuzione del Rinaldeschi fu non tanto una punizione per un crimine specifico, quanto piuttosto un avallo a uno sviluppo cui lo stesso Rinaldeschi aveva fatto da catalizzatore. Arrestando e condannando Rinaldeschi e finanziando la costruzione dell’oratorio, gli Otto di Guardia misero i loro poteri di giustizia sommaria al servizio non solo del regime popolare ma anche del popolo stesso. La magistratura stava conquistando nuova legittimità nel momento in cui regolarizzava i suoi poteri straordinari74. La devozione popolare e i miracoli che apparvero nei dieci giorni fra l’offesa di Rinaldeschi e il suo processo possono a questo punto essere stati decisivi nel determinarne la condanna a morte. Risparmiarlo, a quel punto, avrebbe messo in dubbio sia l’onore che il potere della Vergine e la legittimità dell’adorazione della sua immagine.

74 Zorzi ha sostenuto nella conclusione al suo articolo su Esecuzioni, cit. (sopra, cap. 1 n. 3), pp. 58-60, che la trasformazione e sistematizzazione delle cerimonie di esecuzione erano aspetti importanti dell’emergere e dell’affermarsi dello stato di potere a Firenze e che come “l’archetipo della purificazione rituale” esso rinnovava la promessa di ordine e stabilità su cui la nuova autorità si basava. Si confronti anche Machiavelli, Discorsi, I.12, in Tutte le opere, cit. (n. 9 sopra), p. 95, il quale, commentando una statua miracolosa di Giunone citata da Livio (Ab urbe condita, 5.22), scrive che gli uomini di stato prudenti aumenteranno i miracoli religiosi per guadagnare fede o credito. Sebbene Machiavelli non citi l’episodio di Rinaldeschi nei suoi scritti, è interessante notare che il segretario fiorentino si trovava a Firenze in quei giorni. Egli partì per una missione a Pistoia il 23 luglio, cioè il giorno dopo l’impiccagione di Rinaldeschi.

73

Figura 1. Filippo Dolciati, Rinaldeschi perde al gioco. In alto:“[A] DI 21 DI LVGLIO MDI”. Sotto: “Ant.o di Giu:e Rinaldeschi nobile fiorentino nell’ Osteria del fico / Gioca e Persi i danari e i Panni accecato dall’ira […]”

74

Figura 2. Rinaldeschi raccoglie sterco. Sotto:“[…] Raccoglie lo sterco di cavallo stimolato dal / diavolo […]”

75

Figura 3. Rinaldeschi getta lo sterco in faccia alla Madonna. Sotto:“[…] Getta lo sterco in faccia della / Beata Vergine Bestemmiando e fugge in Villa”.

76

Figura 4. L’arresto di Rinaldeschi. Sotto:“Listesso di è preso / e pentitosi / si caccia un coltello / nel petto”.

77

Figura 5. Rinaldeschi condotto a Firenze. Sotto:“Lo conducono in fiorenza”.

78

Figura 6. Rinaldeschi condotto dalla prigione. Sotto:“Lo cavano di prigione e lo Conducono ad / Esaminarsi”.

79

Figura 7. Rinaldeschi esaminato dagli Otto di Guardia. Sotto: “Esaminato avanti i S:S: Otto / confessa et a 24 ore di notte / per sentenza […]”

80

Figura 8. La confessione di Rinaldeschi. Sotto:“[…] dal carnefice e condotto alla Morte”.

81

Figura 9. L’esecuzione di Rinaldeschi. A sinistra:“SIGNIOR•MIO / GIESV CHRIS / TO ABI MISE / RICHORDIA / DELANIMA / MIA•” Sotto:“A VII Ore di notte è impiccato a le finestre del / Potestà e in sepoltura il dì di S•Maria Maddalena”.

82

Figura 10. Filippo Dolciati, Storia di Antonio Rinaldeschi. Firenze, Museo Stibbert. Visione generale.

83

Figura 11. La sentenza degli Otto di Guardia contro Antonio Rinaldeschi. ASF, OGB, 120, c.128r-v. Per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

84

Figura 12. Pittura infamante sul Palazzo del Podestà. Incisione di Vincenzo Cavini su disegno di Giuseppe Manni. Da ANGELO POLIZIANO, Conjurationis Pactianae anni MCCCCLXXVIII commentarium, a cura di G. Adimari, Napoli 1769, p. 139. British Library shelfmark 1197.f.13. Per concessione della British Library.

85

Figura 13. Filippino Lippi, San Pietro visitato in carcere da San Paolo. Firenze, Chiesa di S. Maria del Carmine, Cappella Brancacci. Fotografia: Courtauld Institute.

86

Figura 14. Duccio di Buoninsegna, Cattura di Cristo. Siena, Museo dell’Opera del Duomo. Archivio Fotografico Electra.

Patibolo

“il Tempio”

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Figura 15. Il patibolo e la cappella chiamata “Il Tempio”. Dettaglio della Pianta della catena, circa 1470. Firenze, Museo di Firenze com’era. Foto: Scala/Art Resource NY.

88

Figura 16. Il “Liber condemnationum” di messer Monaldo de’ Fascioli, Podestà di Firenze. ASF, Atti del Podestà, 5547. Per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

89

Figura 17. Foglio miniato del Codice dell’Escorial delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso il Saggio. Biblioteca de San Lorenzo el Real de el Esccorial, codice T.I.1, Cantiga 136, c. 192r. Per concessione del Patrimonio Nacional.

90

Figura 18. Foglio miniato del Codice fiorentino delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso il Saggio. BNCF, Banco Rari, 20, Cantiga 294, c. 20r. Per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

91

Figura 19. Foglio miniato del Codice dell’Escorial delle Cantigas de Santa Maria di Alfonso il Saggio. Biblioteca de San Lorenzo el Real de el Esccorial, codice T.I.1, Cantiga 154, c. 209r. Per concessione del Patrimonio Nacional.

92

Figura 20. Fra Bartolomeo, Ritratto di Girolamo Savonarola. Firenze, Museo di San Marco. Fotografia: Scala/Art Resource NY.

93

Figura 21. Pittore ignoto, Esecuzione di Savonarola e due seguaci in piazza della Signoria, 23 maggio 1498. Firenze, Museo di San Marco. Fotografia: Scala/Art Resource NY.

94

Figura 22. S. Maria degli Alberighi, c. 1447. Illustrazione nel Codice di Marco di Bartolommeo Rustici. Firenze, Biblioteca del Seminario Arcivescovile Maggiore di Cestello. Fotografia tratta da A. Sapori, Compagnie e mercanti di Firenze antica, Firenze 1955, p. LXXI, fig. 16.

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Oratorio

Figura 23. S. Maria degli Alberighi e l’Oratorio della Madonna de’ Ricci costruito da Baccio d’Agnolo. Dettaglio di STEFANO BUONSIGNORI, Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata, Firenze 1584. Fotografia: Kunsthistorisches Institut, Max-Planck-Institut, Firenze.

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Figura 24. Chiesa della Madonna de’ Ricci, Firenze, facciata in via del Corso. Archivio Fotografico Alinari.

97

Figura 25. Filippo Dolciati, Tabernacolo della Madonna de’ Ricci, dettaglio di Figura 3.

98

Figura 26. Madonna de’ Ricci, Chiesa della Madonna de’ Ricci, Firenze, prima del restauro. Fotografia tratta da C. TORRICELLI, La Chiesa della Madonna de’ Ricci, Firenze [1926], frontespizio.

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Figure 27. Madonna de’ Ricci, Chiesa della Madonna de’ Ricci, Firenze, dopo il restauro. Fotografia del 1995.

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Figura 28. Annunziata, Chiesa della SS. Annunziata, Firenze. Archivio Fotografico Alinari.

Appendice di documenti Documento I. Sentenza degli Otto di Guardia contro Antonio Rinaldeschi. [ASF, OGB, 120, c. 128r-v (21 luglio 1501), con foto dell’originale in Figura 11] Item attendentes qualiter Antonius Iohannis de Rinaldeschis, civis Florentinus, de presenti anno et mense, cum ludisset in civitate Florentie, et in taberna qua dicitur “El Ficho,” et non nullos argenteos perdidisset, discessit, et per viam blasfemavit semet ipsum et nominem gloriose virginis matris Marie, et usus fuit verbis quae pro meliori tacentur, et cum transisset per quemdam viam quae dicitur “via di Sancta Maria Alberighi,” et in capite dicte vie existeret1 figura virginis matris Marie, animo et intentione in ceterum nefandum et orribile excessum commictendi et perpetrandi, accepit de terra sterchum equi, et diabolico impetu ductus, proiecit in faciem dicte fighure virginis2 matris Marie, et parte dicti3 sterchoris, ut vulghariter dicitur, “rimase apichato nella [sic] diadema” dicte fighure, in eius maximum obrobrium ac vilipendium, et in verecundiam cristiane fidei. Et qualiter volentes prefati Octo eum capi facere, videns eorum familiam, accepit quemdam gladium, et cum ipso se ferivit in pectore, cum cisura carnis et sanguinis effusione, volens semet ipsum, dicto diabolico impetu ductus, interficere, prout predicta [128v] omnia et singula constant et apparent per eius confessionem, et predicta et quodlibet predictorum, commissa, facta et perpetrata fuerunt per dictum Antonium, locis, modis, formis, et temporibus suprascriptis, contra4 formam iuris canonici, statutorum, ordinamentorum Comunis Florentie, et bonos mores. Et propterea volentes, eundem Antonium de tam gravi excessu, secundum eius demerita, punire, cum nemo sit dominus

1

ms:“existens” cambiato in “existeret”. cancellato:“ut”. 3 ms:“dictus”. 4 cancellato:“cons[uetudines?]…”. 2

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

membrorum suorum, et vite proprie, et ad hoc ut pena eius in aliorum trahatur exemplum, et nomen beate gloriose verginis in honorem habeatur, servatis servandis, obtento partito secundum ordinamento, vigore eorum auctoritatis, potestatis, balie eorum officio quandocunque concesse, dictum et infrascriptum Antonium Iohannis de Rinaldeschis condemnaverunt qualiter per ministrum iustitie ad fenestras palatii domini Potestatis civitatis Florentie laqueo subspendatur ita et taliter quod moriatur, eiusque anima a corpore separetur. Et quod ibidem subspensus5 permaneat usque ad horam 14 diei sequentis. Latum, datum, etc. in palatio dicti domini Potestatis sub anno indictione et die suprascriptis.

5

ms:“subspenso”.

Appendice: Documento 1i

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Documento II. “Narratione dello excesso del Rinaldesco” contenuto nel libro di “Entrata, uscita, debitori, creditori, e ricordanze” dell’Opera della Madonna de’ Ricci, mano di Giovanni Landi. [Berkeley, Banc., MSS, 54, c. 131r] + yhs. Maria. MD1o.//. Ricordo chome insino a’ dì 11 di luglio 1501, passando Antonio Rinaldeschi per la piazuola di Santa Maria Alberighi, richolse di terra una manata1 di stercho di chavallo overo d’asino, e quando e’ fu pasato la detta piazzuola e g[i]unto nel chiasolino che va nella via di Porzanpiero, si voltò alla fighura della Nostra Donna Nunziata che è dipinta sopra la porta di fiancho di detta chiesa, e gittogli quello stercho, el quale era alido, mediante l’essere stato per aventura qualche dì al sole, e miracholosamente gliene rimase un pocho apichata nella [sic] diademe sopra la cholottola, tanta che quasi pareva una rosetta secha. E anchora che ‘l detto Antonio non fussi da persona veduto gittare simile sporcizia nella detta Nunziata, e chome piacque a lei la chosa si schoperir, e’ venne a notizia a l’ufic[i]o degli Otto, e quali chonmetter bandi, sotto grave pene, chi sapessi el detto Antonio e no’ llo insengniassi, in modo ch’ egl’ ebono notizia che s’era fugito fuori di Firenze e in che luogho di che mandorono la loro famiglia a pigliarllo; di che, chome el detto Antonio si vide soprag[i]unto dalla detta famiglia da sse medesimo si dette di uno choltello nel petto. Et chome piacque a essa miserichordiosa Vergine, che non volle però che per tanto eccesso che quella anima si perdessi, el detto choltello trovò una chostola, in modo che non passò drento, di che e’ fu menatone preso a’ dì 21 di detto mese. E inmediate fu disaminato da’ detti Signori Otto, e quali lo trovorono cholpevole, e lui medesimo si g[i]udichò esser dengnio della morte per tanto eccesso quanto egli aveva fatto; di che e’ lo sentenziorono alla morte, e detto dì fu inpichato, circha a ore …2 alle finestre del Chapitano, e lasciato stare morto, e chosì inpichato insino alla mattina vengniente che fu a’ dì 22 di detto. E detta mattina messer Lodovico Adimari, vichario dello arci-

1 2

ms.:“menata”. spazio nel ms.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

vescovo di Firenze, mandò …3, prete, a spichare el detto stercho dalla detta Nostra Donna. [Nota, di mano diversa, forse del ’600] Primo richordo quando gittò Antonio Rinaldeschi la brutura alla nostra Nunziata.

3

spazio nel ms.

Appendice: Documento iii

105

Documento III. Annotazione tratta dai registri della Compagnia dei Neri. [BNCF, Fondo nazionale, II.I.138, cc. 67r-144r,“Notizzie … cavate da un libro della venerabile Compagnia di S. Maria della Croce al Tempio”, c. 81r] Antonio di Giovanni Rinaldeschi. Inpiccato alle finestre del Potestà all’ore 2 di notte, 22 luglio. E quinci stette insino all’altro dì, che ci è la festa di S. Maria Maddalena. Perché per disperazione inbrattò con sterco la figura di Nostra Donna agl’Alberighi. Et in detto dì, in quel luogo, la devozione e1 concorso delle persone cominciò e segue.

1

cancellato:“preg[hiere?]…”.

106

Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Documento IV. Seconda annotazione tratta dai registri della Compagnia dei Neri. [Copiato nel 1637 da Bernardo Giuliani, in APTPS, Reg. Dom., 505, S.M.R., 15,“Documenti relativi a S. Maria de’ Ricci dalle origini”, c. 4r-v] In un libro di Memorie della Compagnia1 di S.ta Maria della Croce a Tempio, detta la Compagnia grande del Tempio, appresso di me, Bernardo di messer Lelio di ser Bernardo Giuliani, Cancelliere di detta Compagnia, quale è coperto di cartapecora biancha, antico e consumato, di carta bambagina in quarto, nel quale vi è molte memorie di iustiziati nel 1356 alli 28 d’aprile e via2 seguendo, sì che a carte 61 vi si vede quanto appresso: 1501. 430–Antonio di Giovanni Rinaldeschi fu imo peso alle finestre del podestà a’ dì 21 di luglio la sera, a ore una di notte. Fu preso il medesimo dì. Ebbe dua ore di tempo. Costui era gran bestemmiatore, battitore di Padre, e haveva bruttato la nostra Donna di Santa Maria Alberighi. Dettesi di un coltello nella poppa manca quando si vedde la famiglia addosso. Giudicossi al Tempio. Per non essere dal popolo [4v] strascinato, chiedeva di gratia di essere impiccato ivi. Fugli fatta, e fu sotterrato al Tempio. Bernardo Giuliani, Cancelliere, questo dì 13 di Maggio 1637.

1 2

cancellato:“del”. ms.:“va”.

Appendice: Documento v

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Documento V. Dal Diario di Luca Landucci. [Pubblicato in Luca Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, pp. 233-234] E a dì 21 di luglio 1501, fu preso uno che à nome Rinaldo, fiorentino, ch’era giucatore; el quale, perchè aveva perduto, gittò sterco di cavallo a una Vergine Maria ch’è dal Canto de’ Ricci in uno chiassolino da quella Chiesa ch’è in su una piazzuola di dietro alle case; e dettegli nella [sic] diadema. E vedendolo un fanciullo disse come egli era stato un uomo; e fugli andato dietro e codiato, e fu preso all’Osservanza di San Miniato, e quando e famigli degli Otto gli furono pressi si dette d’un coltellino nella poppa manca, e loro lo presono e menoronlo al Podestà, e fu la mattina di Santa Maria Maddalena, che fu una festa doppia.Vi venne tutto Firenze a vedere, per modo che venendo el Vescovo a vedere questa Vergine Maria, levò detto sterco da lei, in modo che non fu sera che vi fu appiccato molte libbre di cera, e tutta volta crescendo la divozione. E in pochi dì vi venne tante immagini come si vedrà col tempo.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Documento VI. Da una miscellanea manoscritta compilata nel ’600 da Carlo Strozzi. [“Raccolta di memorie, fondazioni, e padronati di diverse chiese, monasteri, spedali, compagnie e simili fatta dal senatore Carlo di Tommaso Strozzi”, ms. in ASF, CS, ser. III, 233, c. 130v]

Madonna de’ Ricci o Nunziata de’ Ricci. La devozione della Madonna, che si chiama de’ [Ricci]1 per essere quivi intorno le case di quella famiglia, hebbe principio da questo caso l’anno 1501. Un Rinaldo…2, giocatore, haveva perso buona somma di danaro, e, passando da quel luogo, dove allhora era una stradella in sul canto della quale era un inmagine della Madonna, gettò sterco di cavallo alla detta inmagine, e colpilla nella diadema. Et essendo da un fanciullo stato visto, fu codiato e corsoli dreto e raggiunto all’Osservanza di San Miniato. Et egli, quando si vedde i3 famigli degl’ Otto vicini, si dette con un coltello nella poppa manca. E, fatto prigione, fu condotto al Palazzo del Podestà. E confessò haverlo fatto per passione, e la notte stessa fu impiccato alle finestre del detto Palazzo, e fu la mattina di Santa Maria Maddalena. Corse gran gente a vedere quella santa inmagine; e dal Vescovo fu levata quella bruttura; e non fu sera che quivi furono appese molte libbre di cera, et in pochi giorni gran quantità di voti. E, continuando la devozione, l’ anno 1508 fu fondata la chiesa dove di presente si trova la detta devota inmagine, nella quale chiesa Madonna Lucrezia Salviati Medici, l’anno 1530, fondò due cappelle.

1

mancante nel ms. spazio nel ms. 3 cancellato:“birri vicini”. 2

Appendice: Documento vii

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Documento VII. Annotazione copiata da un priorista in possesso di Matteo Segaloni nel 1630. [APTPS, Reg. Dom., 505, S.M.R. 15, “Documenti relativi a S. Maria de’ Ricci dalle origini”, c. 5r-v] Da uno Priorista, existente oggi, questo dì 10 di giugno 1630, nella casa et appresso il signore Matteo Segaloni. + A’ dì 21 di luglio 1501. Fu uno che si chiamava il Rinaldescho, havendo giucato e perduto, come huomo bestiale andò alla Vergine Maria, hoggi chiamata delli Alberighi1, e gettolli nel viso una manata di stercho di cavallo. E rimasele appiccato nell’volto, e per permessione de Dio, fu veduto, e gli Otto lo seppono. E saputo lui che gli Otto l’havevano presentito, si fugge in villa sua, e lassu fu trovato da’ famigli. E lui medesimo, ch[e]2 non poteva fuggire da loro, perché era attengiato e doglioso di mal francioso, si dette di uno coltello per ammazzarsi. Ma Iddio non volle, perché menato fu a Firenze, la notte medesima si confessò, et avvidesi haver fatto grande errore, e da sse si giudicò la morte, ma preghò che non fussi dato al popolo, perché era gran popolo per vederlo fuori. Fu impiccato, et stette tutto il dì impiccato di Santa Maria Maddalena, sì che tutto Firenze lo vedde. E per dimostrare la sua potenza, Iddio, [5v] in favore di quella Vergine del Cielo sua Madre, cominciò a fare di molti miracoli, di modo si cominciò a edificare e disfare assai botteghe per farvi una bella chiesa, che a Dio piaccia dare animo a chi può d’aiutare si seguiti, et insino al fine, di finire la chiesa come hanno cominciato.

1 2

ms.:“Aberighi”. carta danneggiata.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Documento VIII. Pagamenti al pittore Filippo Dolciati registrati nel libro di “Entrata, uscita, debitori, creditori, e ricordanze” dell’ Opera della Madonna de’ Ricci, 24 febbraio e 24 marzo 1502. [Un pagamento registrato in Berkley, Banc., MSS, 54, c. 21r (24 febbraio 1501/2)] Muraglia, lire dodici di piccioli per lei a Filippo Dolc[i]ati dipintore, avere al mio quaderno di cassa segnato “A,” a carte 6, per dipintura e cholori del sopracielo della chapella della Nunziata, e mettere le stella, e chosì dove si racconciò[?] l’usc[i]o in detta chapella fornire la spalliera in detta chapella, e per dipingnere 3 Profeti. Al libro, a carte 9: f.-, l. 12, [Due pagamenti registrati ibid., c. 22r (24 marzo 1501/2)] Muraglia, lire sette di piccioli per loro a Filippo di Lorenzo Dolc[i]ati dipintore, avere al quaderno di chassa segnato “A,” a carte 9. Sono per dipintura di una Piatà [sic] dipinse nella facc[i]a dinanzi della altare della Nunziata e per dipintura della predella per in su l’altare e de’ pilastri e bechategli e per mettere d’oro a detta predella e bechategli e per dipingnere d’azuro sopra l’altare e mettere di stella d’achordo. Al libro, a carte 15: f.-, l. 7,Muraglia, lire sette, soldi 7, di piccioli per loro a Filippo di Lorenzo Dolc[i]ati e per lui a maestro Andrea barbiere, avere al quaderno di chassa segnato “A,” a carte 9. Sono per tanti spese in 166 pezzi d’oro per dorare la sopradetta predella dello altare e cholonette e bechategli, e per azurro e gesso e cholla e chalcina, e a 1o scharpelino, e per mettere la p[…za?] dell’opera benedetta dirimpetto a l’altare, e altro d’achordo. Al libro, a carte 15: f.-, l.7, s.7,-

Appendice: Documento ix

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Documento IX. Decisione dell’Opera della Madonna de’ Ricci di assumere l’architetto Baccio d’Agnolo, “legnaiuolo”, per la costruzione di un nuovo oratorio. [ASF, NA 7981, ser Francesco da Romena, no. 195 (2 settembre 1507)]

Die secunda settembris 1507. Spettabiles viri Presbiter Batista, rector ecclesie Sancte Marie Alberighi de Florentia, et Iohannes Pieri de Landis, G[i]orgius Pieri de Riccis, Bernardus de Donatis, Bartolomeus de Pandolfinis, Ieronimus ser Pauli de Benivenis, et Franciscus Filippi del Pugl[i]ese, omnes operarii opere Sancte Marie Anunptiate predicte, in dicta ecclesia simul coadunati in eorum solita residentia, absentibus Francisco del Citadino, Ugutione de Ricis, Ieronimo de Adimaribus et Piero de Adimaribus eorum collegiis, et attendentes qualiter ad devotionem inmag[i]nis Sancte Marie Anunptiate predicte confluunt maxima mulitudo hominum et personarum tam masculum quam feminarum ad devotionem dicte inmaginis Anunptiate, et quod propterea fuit et est necessarium providere et hedificare unum oratorium sive ecclesiam, et propterea facere fecerunt modellum lignaminis pro confitiendo dictum oratorium magistro Bartolomeo Angeli legnaiuolo, in huiusmodi exercitio perito, qui dictum modellum perfecit et in dicta capella plures dies publice stetit ut si aliquid defettum in eo esset, deleretur. Et habito colloquio cum pluribus hominibus in dicto exercito peritis, qui approbaverunt dictum modellum fuisse et esse bene confettum et factum; et confidentes de prudentia et virtute ditti magistri Bartolomei, omni modo quo potuerunt, servatis servandis et obtento partito per omnes fabas nigras, deliberaverunt et ordinaverunt et eligerunt in capud magistrum ditte muraglie fiende per dictos operarios dictum magistrum Bartolomeum, reservando eisdem operariis autoritatem addendi et minuendi et mutandi omne id quod eisdem modellum videbitur esse opportunum et prout eis videbitur et placebit. [v] Et cum salario florenorum trium largorum de auro in auro quolibet mense, incipiendo ea die qua per dittos operarios incipiet facere fundamenta et dictum hedifitium faciendum cum hac conditione, quod quandocunque dictus Bartolomeus non posset presens esse ad huiusmodi exercendum et faciendum, quod ex nunc prout et ex tunc prout nunc, intelligatur elettus et institutus Antonio de

112

Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Sancto Gallo pro tempore quo dictus magister Bartolomeus non posset huiusmodi exercere et pro huiusmodi salario durante tempore ditti impedimenti, et cum autoritate posse apuntare magistros et operarios venientes ad laborandum pro dicto magisterio ditti hedifitii. Et quod floreni duo largi de auro in auro habiti per dictum magistrum Bartolomeum pro faciendo dicto modello sint pro omni eo quo posset petere usque in presentem diem, et casu quod dicti operarii firmarent dicta muramenta [non] fienda ut supra, quod ditti magistri Bartolomeus seu Antonius predicti non habeant dictum salarium dictorum trium florenorum in mense dicto tempore. […]

Appendice: Documento x

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Documento X. Da Ferdinando Leopoldo Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata. [Pubblicato in F. L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1684, pp. 392-393] Correva l’Anno 1501 e il dì 11 di Luglio, felice per la pace che suol così bene prosperare gl’ animi, quando chè un tale Antonio de’ Rinaldeschi [lo chiamammo un tale, parola che si deve alle persone sconosciute, e non a lui che fu nobile, perchè che giugne a lasciarsi trasportar dal vizio e dalle passioni atte a oscurar lo’ ntelletto, non merita d’esser conosciuto per quelchè gli è] uscito dell’Osteria del Fico di lì poco distante, che ancor’ oggi si mantiene sotto il medesimo nome, alterato per la perdita fattavi nel giuoco, raccolta di terra una menata1 di sterco di Cavallo, lo tirò nel viso di quella Nunziata; onde per sentenza del Magistrato degl’Otto fu condannato alla morte, con due ore solamente di difesa. Costui essendo nobile, anzi nobilissimo, secondo l’ordine de’ Cittadini di que’ tempi, o perché fosse disceso da M[esser] Rinieri sepolto in S. Maria Novella col titolo d’egregio Cavaliere, o pur dalla Casa de’ Soldanieri, da’ quali per agnazione, n’uscì un ramo, che si disse molto nell’antico de’ Rinaldeschi, si sospese alquanto l’animo de’ Padri, comparsa la sentenza in Consiglio2, per la quale si condannava ad essere impiccato alle finestre del Palazzo del Potestà: piaceva loro, che la giustizia si tenesse forte per sostegno del viver politico, con quella diferenza [sic] però, per la quale si destinguesse la nobiltà, dalla plebe, ma sentitasi l’atrocità del caso, non fu chi [non] crollasse il capo, e non l’approvasse per giusta, molto più venendo fortemente incalzata dalla Legge Imperiale, senza limitazione di pena, contro a chi tanto ardisce, con parole “Imaginem Dei,Virginis, & Sanctorum deturpans, percutiens, & frangens punitur poena mortis”, perchè se pena, dice il Boerio, si deve rigorosissima a chi oltraggiasse i Simulacri de’ Principi, quanto più grave quelle [sic] de’ Santi?3 Fu buttato giù da quelle finestre ne’ 20 di luglio colla Veste civile indosso lunga sino a’ piedi, soppannata di vaio la portavon quelli abili a gl’ Ufizj, e rossa i seduti di Magistrato, che fu segno di maggior rigore, considerato il rispetto avutole, a segno, che chi avesse 1

Il senso è “manata”. Cfr. anche Documento II. Il Del Migliore sembra descrivere un immaginario appello al Consiglio Maggiore della sentenza degli Otto—cosa che non avvenne secondo le fonti coeve. 3 Cfr. De Bohier, Decisiones aureae, cit. (sopra, cap. 2 n. 29), in particolare a p. 752 (pars 2, quaestio 301) citando l’Ostiense, e la nostra discussione sopra, pp. 41-42. 2

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vilipeso alcun Cittadino vestito di quell’abito, era punito gravemente, così intervenne ad un che disse, “Tu sei indegno della veste che tu porti”.4 Una cosa, per ben dilucidare le circustanze di questo caso, ci sospese l’animo, essendoci paruto, che a Dio più dispiacesse quest’oltraggio fatto alla sua Santissima Madre, che aveva in se viltà e disprezzo, che forse qualsivoglia altro misfatto grave, e questo per due ragioni fondate su l’evidenza, una è, perchè benissimo fino al giorno d’oggi, si scorge nel viso a quella SS. Immagine quell’immondizia, senza essersi mai staccata: l’altra, che nel libro della Compagnia del Tempio, dove sono scritti i morti per man della Giustizia, benchè scancellato dalla piena del 1557. Solamente di questo caso vi si leggon benissimo le seguenti parole,“Antonio di Giovanni Rinaldeschi fu impiccato alle finestre del Podestà adì 20 di Luglio 1501 la sera a ore una di notte, fu preso il medesimo dì, ebbe due ore di tempo. Costui era gran bestemmiatore e battitor di padre e aveva imbrattato la Donna di S. Maria Alberighi, dettesi d’un coltello nella poppa manca, quando si vedde la Famiglia addosso, giudicossi al Tempio, per non esser dal Popolo strascinato, diceva, di grazia d’essere impiccato ivi, fugli fatta, e fu sotterato al Tempio”5. E perchè è necessario, che le cose vivino e passino alla memoria de’ posteri, non solamente per mezzo de’ Libri per freno de’ maligni, e a edificazione de’ buoni, che tale è stata la nostra intenzione in darne questo prolisso avvertimento, ma anche per le pitture, come fu questo caso espresso in un quadro, che si mostra ogn’Anno il giorno di S. Maria Maddalena, per esser la pictura la carta, sulla quale leggon coloro, ne’ quali non è principio di lettere, che son per lo più quelli, ch’anno maggior bisogno d’essere avvertiti e corretti. De’ suoi beni incorporati dal Magistrato n’applicò egli parte alla Fabbrica dell’Oratorio, destinato farsi in onor di quella venerabile Immagine, vi contribuì anco il Popolo larghissime limosine, suscitata che venne in essa nuova devozione.

4 Ma nel quadro Stibbert, nella scena dell’impiccagione di Rinaldeschi (Figura 9), il criminale non porta più la gonna con cui era vestito nelle scene precedenti. 5 Cfr. sopra, p. 17 e Documento IV.

Appendice: Documento xi

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Documento XI. Il testamento di Giovanni Rinaldeschi, padre di Antonio, del 1499. [ASF, NA,16795, ser Piero di Andrea da Campi, no. 165, cc. 431r-432r (5 dicembre 1499)] [Nota in margine] Publicatum ut hic duabus filiabus. [Testo] In Dei nomine amen.Anno Domini ab eius salutifera incarnatione millesimo quadringentesimo nonagesimo nono, indictione iiia, et die quinta mensis decembris.Actum in civitate Florentie, in populo Sancti Stephani Abbatie Florentine, in infirmeria dicte abbatie, presentibus testibus ad infrascripta omnia et singula vocatis et habitis et ab infrascripto testatore proprio ore rogatis, videlicet dompno Andrea Dominici Iohannis, dompno Paulo Manni Marchionnis, dompno Paulo Francisci Pauli, dompno Mauro Dominici Bartholi, dompno Sebastiano Dionisii Clementis, dompno Ghuaspare Iohannis Borsi et dompno Raphaelle Georgii Iacobi, omnibus de Florentia, monacis professis Sancte Marie, Abbatie Florentine predicte, ordinis Sancti Benedicti et congregationis Sancte Iustine de Padua. Quoniam nichil est certius morte et nichil incertius eius hora, hinc est quod vir prudens Iohannes olim Antonii Iohannis de Rinaldeschis civis Florentinus de populo Sancte Marie Maioris de Florentia, sanus Dei gratia mente sensu visu intellectu et corpore, nolens intestatus decedere1 adeundo et acceptando primo et ante omnia hereditatem domine Antonie olim eius matris et filie olim Antonii [… spazio] malishcalchi de Empolis et uxoris olim dicti Antonii Iohannis Rinaldeschi, eidem in solidum ut dixit ab intestato delatam2 suum sine scriptus nuncupativum condidit testamentum per quod voluntatem suam disposuit et ordinavit in hunc modum et formam, videlicet: Imprimis namque animam suam omnipotenti Deo eiusque gloriose matri Virgini Marie et toti celesti curie paradisi humiliter et devote recom-

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cancellato:“suum sine scriptis nuncupativum condidit testamentum”. cancellato:“et omni meliori via, modo, via et iure quibus magis et melius potuit”.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

mendavit; sepulturam autem sui corporis, quando eum de hac vita migrari contigerit, elegit et esse voluit in ecclesia Sancte Marie Maioris de Florentia, in eius sepulcro. Item reliquit et legavit opere ecclesie Sancte Marie del Fiore de Florentia et nove sacrestie eiusdem ac etiam opere et constructioni murorum civitatis Florentie, in totum libras tres florenorum parvorum. Item reliquit et legavit domine Angele, eius dilecte uxori et filie olim Iuliani3 Benedicti, durante eius vita, reditum pro eius persona et etiam pro una famula et seu serva pro ei serviendo et seu famulando in domo habitationis dicti testatoris, sita in populo Sancte Marie Maioris de Florentia et in via dell’Alloro, infra eius confines. Item dixit et asseruit dictus testator re vera habuisse in dote et pro dote dicte4 domine Angele, eius uxoris predicte, et pro fundo dotali quoddam podere cum pertinentiis suis, situm in populo Sancti Ylarii, plebatus Septimi, comitatus Florentie, et ultra predicta florenos triginta de sigillo, quos florenos triginta de sigillo, si non fuisset confessus ex nunc confitetur habuisse et recepisse in dote et pro residuo dotis predicte, ultra dictum predium, quos eidem domine reliquit et legavit pro dote5 et occaxione dotis predicte. Item ultra predicta reliquit et legavit eidem domine omnes et quoscumque pannos lineos et laneos ad dorsum et per personalem usum dicte domine. [431v] Item iure institutionis reliquit et legavit Brigide, uxori Miliani aurificis, Smeralde, uxori olim Antonii Pieri Dominici righatterii, et Antonie, uxori Iohannis Dominici del Magno, filiabus legitimis et naturalibus dicti Iohannis et cuilibet earum, pro una tertia parte pro qualibet, domum habitationis ipsius testatoris, sitam in civitate Florentie in via dello Alloro6, cum habituris et pertinentiis suis, cum honere tamen permictendi dictam dominam Angelam et redire et habitare in dicta domo cum 3

cancellato:“Iuliani”. cancellato:“uxoris”. 5 cancellato:“predicta”. 6 segue, cancellato:“infra”. 4

Appendice: Documento xi

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famula et seu serva vel sine, ad libitum dicte domine donec domina Angela predicta vixerit. Et ultra predicta reliquit et legavit eisdem suis filiabus predictis omne id totum et quidquid eidem Iohanni debetur et seu debebitur pro capitale dotis Lucretie pro primo nomine et Iacobe pro secundo, filie defuncte ipsius Iohannis a Monte Communis Florentie7, de quo capitale et seu credito constare dixit in libro albo tertio dicti Montis, in cartis 163 et in cartis 184 vel aliis verioris libris et seu cartis. Constituens ex abundantia eas et quamlibet earum procuratrices duraturas post mortem, et sequuta morte dicti Iohannis ad petendum et exigendum omne id et totum et quicquid eidem Iohanni debetur vel in futurum debebitur occaxione capitalis predicti, et propterea omnem et quamcumque licentiam dandum et quamcumque finem faciendum camerario notario et scribano dicti Montis et tam presentibus quam futuris et alii [sic] et seu aliis quibuscumque. Item ultra predicta reliquit et legavit dictis Brigide, Smeralde et Antonie, eius filiabus predictis, omnes et singulas et quascumque masseritias et omnia et quecumque bona mobilia ipsius testatoris, posita et seu existentia in civitate Florentie ubicumque. Item reliquit et legavit dicte Antonie eius filie et uxori Iohannis Dominici del Magnio unum creditum ipsius testatoris florenorum centum octo et soldorum septem vel circa Montis di sette per cento, cum hoc tamen quod dicta Antonia teneatur amore Dei et pro remedio anime sue, dare illi et seu illis pauperibus personis et piis locis cui et seu quibus dixit eidem in secreto dixisse florenos decem largos constituens dictam Antoniam ex abundanti procuratricem duraturam post mortem, et sequuta morte dicti Iohannis, eius hereditate adita vel non adita, apprehensa incerte et seu repudiate et quomodocumque et ad permutandum huius modi nichil modus et seu ipsum permutari, sumi, relevari petendum et faciendum et de eo ad eius libitum disponendum et propterea etiam quandocumque pretium recipiendum et confitendum et omnem licentiam dandum et quamcumque finem faciendum notario, camerario et scribano tam presentibus quam pro tempore futuris dicti Montis, et ad omnia et singula faciendum in predictis oportuna. In omnibus autem aliis suis bonis mobilibus et inmobilibus, iuribus, nominibus et actis, presentibus et futuris, sibi heredem universalem instituit,

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cancellato:“prout constat”.

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

fecit et esse voluit Antonium, eius filium legitimum et naturalem, natum ex eo et domina Alexandra, eius prima uxore, declarando tamen ipsum Antonium habuisse ab eo summam florenorum ducentorum de sigillo, quos dictus Iohannes dixit eidem dedisse et seu pro eo soluisse, prout constare dixit in eius libro vocato “debitori e creditori”, signato “A”, in cartis 122 et in cartis123, et insuper quod plures, multas et diversas alias quantitates florenorum et pecuniarum, rerum et bonorum ipsum Antonium habuisse ab ipso testatore, de quibus ipse testator dixit et asseruit non habuisse nec habere ad presens computum vel notitiam, quas omnes et singulas quantitates et summas florenorum et pecuniarum, rerum et bonorum [432r] ipse testator declaravit voluisse et velle compensari et computari et quod compensantur et8 computare et compensare in presenti institutione et in portione et legitima dicti Antonii. Et dicens dictus testator se non fuisse nec esse ignarum de qualitate et quantitate sui patrimonii et bonorum et substantiarum, expresse voluit et mandavit atque prohibuit dicto Antonio eius heredi inmerito predicto detrahere et quod non detrahat vel detrahere possit aliquam Falcidiam seu Trebellianicam9 de legatis predictis vel de bonis et substantiis ipsius testatoris10. Et hanc etc., capsans etc. Et hanc dixit et asseruit dictus testator fuisse et esse suam ultimam voluntatem et ultimum testamentum, quam et quod valere voluit iure testamenti, et si iure testamenti non valet, non valeret et seu non valebit, valeat et valere voluit dictus testator iure codicillorum, et si iure codicillorum non valet, non valeret et seu non valebet, veleat et valere voluit iure donationis causa mortis vel cuiuscunque alterius ultime voluntatis quo, qua et quibus magis et melius de iure valere, subsistere et tenere potest et seu poterit. Capsans irritans et anullans dictus testator omne aliud testamentum, codicillum, donationem causa mortis et omnem aliam ultimam voluntatem, actenus per dictum testatorem conditam et factam manu cuiuscumque notarii, non obstante quod in eo, ea vel eis essent apposita aliqua verba derogatoria, penalia vel precisa, ut, puta, “Pater noster” etc., vel “Ave Maria” etc., vel aliis quibuscumque similibus etiam si talia forent de quibus in presenti testamento et clausula revocatoria expressa mentio fie8

cancellato:“et compensatur”. cancellato:“vel aliam quamcumque detractionem faciat”. 10 Giovanni proibisce ad Antonio di fare, come erede, le ordinarie detrazioni fatte ai beni del defunto in accordo con la lex Falcidia e la lex Trebellianica. Il provvedimento è molto severo. 9

Appendice: Documento xi

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ri debuisset et seu deberet, de quibus dixit se ad presens non recordari et omnino penituisse et penitere talia verba apposuisse. Et voluit presens testamentum et ultimam voluntatem omnibus aliis ipsius testatoris testimentis et ultimis voluntatibus et hactenus per eum factis prevalere et nullo modo vel per aliquam revocationem tantum vel expressam generalem vel spetialem infringere, revocari, capsari aut aliquot modo mutari, sed totians consumari et de novo fieri quotiens appareret modo aliquo, revocatum, irritatum vel viribus vacatum, nisi in tali revocatione continetur et inserta esset tota oratio dominicalis, videlicet “Pater noster” etc., et tota series presentis testamenti. Et taliter me Petrum notarium infrascriptum rogavit de predictis publice conficerem instrumentum.

Indice dei nomi di persona

Abelardo, Pietro, 38-39 Adimari (famiglia), 58 Girolamo, 111 Lodovico, 103 Piero di Bernardo, 58, 111 Agostino, santo, 38n, 41n Alessandro, papa, 52 Alfonso il Saggio (re di Castiglia e Leon), 35, 89-91 Andrea di Domenico di Giovanni (dompnus), 115 Antoniazzo Romano, 20n Antonino, santo, 37 Antonio, santo, 48 Baccio d’Agnolo, 64-65, 95, 111-112 Baldo degli Ubaldi, 44n Bartolomeo, Fra, 92 Bartolomeo di Trento, 34 Bartolomeo di Giovanni, 22 Bartolo da Sassoferrato, 44n Bastiano di Nigi di Clemente (dompnus), 115 Becchi, Ricciardo, 52n Benivieni (famiglia), 59 Antonio, 59 Girolamo, 58-59, 111 Michele, 59 Bernardino, santo, 37 Bertachini, Giovanni, 44 Bindi, Bastiano, 46n Bohier, Nicolas de, 41-42, 56n, 113 Borgia, Cesare, 53-54 Borgia, Lucrezia, 54n Bottrigari, Jacopo, 44n Boutillier, Jean, 39-40

Brunelleschi, Filippo, 64 Buonaccorsi, Biagio, 54n Buonsignori, Stefano, 65, 95 Burckhard, Johannes, 40n Caballo, Pietro, 45n Cambi, Giovanni, 56n Campi, ser Piero da, 28n, 64n, 115-119 Capocchi, Alessandro, 59 Carlo VIII, re di Francia, 51 Cavini,Vincenzo, 84 Cellini, Benvenuto, 18n Cesario di Heisterbach, 39n Cittadino, Francesco del, 111 Claro, Giulio, 44 Corrado IV (re germanico; re di Sicilia e Gerusalemme), 36 Cristoforo, santo, 48 Cronaca, Il, 56, 76 Del Migliore, F.L., 12, 17n, 19, 20n, 27n, 41, 42n, 59n, 60n, 68, 113-114 Dickens, Charles, 16n Dolciati (famiglia), 23 Filippo, 22-23, 67-68, 73-82, 97, 110 Simone di Piero di Lorenzo, 23n Donati, Bernardo, 111 Duccio di Buoninsegna, 22n, 86 Eleonora di Toledo (duchessa), 46 Eloisa, 39 Este,Alfonso I d’, (duca di Ferrara), 54n Eva, 22n Fascioli, Monaldo de’, 31, 88 Feu, Jean (Joannes Igneus), 40 Filippo IV (re di Francia), 39

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Fineschi,Vincenzo, 35n Francesca Romana, santa, 20n Francesco, santo, 55-56 Gaddi,Taddeo, 62 Gaspare di Giovanni di Borso (dompnus), 115 Gesù Cristo, 20, 21, 41-42, 45-47, 56, 62n, 86 Ghiberto di Nogent, 38 Giacomini, Antonio, 56 Giambiglioni, Angelo, 44n Giovanna d’Arco, santa, 40n Giovanni da Milano, 62 Giovanni di Simone, fabbro, 66-67 Giovanni Gualberto, santo, 55 Giuliani, Bernardo di messer Lelio, 106 Giuliano (giurista), 43 Giuliano di Benedetto, 116 Giuseppe, santo, 24 Giustiniano (imperatore), 37n, 39n, 43 Gregorio Magno, santo e papa, 43 Guicciardini, Francesco, 40n, 53n, 54n Gumppenberg,Wilhelm, 60 Hatfield, Henry R., 18n Ildeberto da Lavardin, 44n Jacopo, santo, 38 Landi, Giovanni di Piero, 18, 103, 111 Landucci, Luca, 19, 21, 24-25, 29, 48-49, 54n, 56n, 61n, 63, 65, 107 Lapini, Agostino, 19, 63n Leodegario, santo, 39n Lippi, Filippino, 21n, 85 Livio (Titus Livius), 71n Machiavelli, Niccolò, 52n, 54n, 55n, 71n Magno, Giovanni del, 28n, 116-117 Manni, Giuseppe, 84 Martino di Tours, santo, 38 Martino da Brozzi, 56

Maria, santa, 33-36, 42, 47-49, 57, 6162, 69-71 Maria Maddalena, santa, 16, 42n, 43n, 81, 105, 107, 108, 114 Mauro di Domenico di Bartolo (dompnus), 115 Medici (famiglia), 51-52, 59 Cosimo I (duca di Firenze; gran duca della Toscana), 46 Ferdinando II (gran duca della Toscana), 60 Francesco (gran duca della Toscana), 55 Lorenzo il Magnifico, 51, 59 Lucrezia, v. Salviati Medici Piero di Lorenzo, 52 Mini, Giovan Battista de’, 67 Montauri, Paolo, 48n Naldini (famiglia), 27 Francesco di Domenico, 27n Niccolò di Baldo, 68-69 Onofrio, santo, 49 Origene, 39, 41n Pagni, Lorenzo, 46n Pandolfini, Bartolomeo, 58 Paolo di Francesco di Paolo (dompnus), 115 Paolo di Manno di Marchionne (dompnus), 115 Parenti, Piero, 57 Pazzi, Geri di Poldo de’, 67 Pie, Simone di Daniello del, 49 Pietro Comestore, 43 Pietro, santo, 21, 85 Pietro da Bellapertica, 39 Pio III, papa, 26n Poliziano, Angelo, 84 Pugliese, Francesco di Filippo del, 58, 111 Quadro, Piero del, 46 Raphaelle di Giorgio di Jacopo (dompnus), 115

Indice dei nomi di persona Ricci (famiglia), 59 Giorgio di Piero, 111 Rosso de’, 22, 62 Uguccio de’, 111 Rinaldeschi (famiglia), 26-29 Alessandra (madre di Antonio), 27, 28n,118 Angela (matrigna di A.), 27-28, 116-117 Antonia (nonna di A.), 29, 115 Antonia (sorellastra di A.; moglie di Giovanni del Magno), 28n, 116-117 Antonio (circa 1400), 27 Antonio di Giovanni, giocatore, 1516, 18-19, 21-22, 24-29, 73-82, 101109, 113-114, 118 Antonio di Giovanni,(nonno di A.),115 Bartolomeo di Giovanni di Bindo, 27n Bartolommea (matrigna di A.), 28n Biagio di Giovanni di Biagio, 27n Brigida (sorellastra di A.; uxor Miliani aurifex), 116-117 Giovanni (circa 1400), 27 Giovanni di Antonio (padre di A.), 27-28,115-119 Giovanni di Arrigaccio, 26n Lucrezia (sorellastra di A.), 28n, 117 Rinaldo di Dego, 27n Rinieri, 113 Smeralda (sorellastra di A.; uxor Antonii Pieri Dominici righatterii), 116-117 Rogerio, 39 Romena, ser Francesco da, 58n, 63n, 64n, 111

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Romena, ser Giovanni da, 29n, 64n Rossi,Tribaldo de’, 49n Rustici, Marco di Bartolommeo, 62n, 94 Salviati, Jacopo, 59 Salviati Medici, Lucrezia, 59, 108 Sangallo, Antonio da, 65, 111-112 Savelli, Marco Antonio, 44, 45n Savonarola, Girolamo, 11, 30, 33, 40, 51-52, 55-60, 70, 92-93 Scala, Antonio di Bartolomeo, 54n Segaloni, Francesco, 19n Segaloni, Matteo, 18, 19n, 109 Serra, ser Piero del, 29n Soderini (famiglia), 53-54 Francesco, 54n Giovanvittorio, 53, 54n Paolantonio, 53, 54n Piero, 53-54, 56, 64 Tommaso, 54n Soldanieri (famiglia), 27n, 113 Strozzi, Carlo, 19, 108 Sulpicio Severo, 38n Tartagni, Alessandro, 44 Tommaso d’Aquino, santo, 43 Toschi, Domenico, 44 Uccello, Paolo, 20n Vasari, Giorgio, 64n Vitry, Jacques de, 37n

Indice dei luoghi

Acqui, 34n, 45n Apulia, 35-36 Arezzo, 44n, 54, 61n Avila, 38 Badia Tedalda, 46 Bagno di Romagna, 61n Barga, 29 Bibbona, 61n Boemia, 40n Bologna, 27, 34, 44n, 45, 47 Bolzano, 35 Brozzi, 56 Catalogna, 36 Citerna, 56 Civitavecchia, 31n Cortona, 29 Empoli, 29, 115 Eton College (Windsor), 48n Fermo, 44 Ferrara, 34n, 54n, 56 Firenze - chiese, conventi Badia Fiorentina, 27, 115 Duomo (S. Maria dei Fiori), 57, 64 Madonna dei Ricci (oratorio e chiesa), 19, 21-24, 58-60, 62-71, 9596, 98-99, 108-112 Ognissanti, 56n Orsanmichele, 48-49 S. Benedetto, popolo, 29n S. Francesco al Monte alle Croci (Osservanza di S. Miniato, S. Salvatore al Monte), 15, 56, 76, 107-108

S. Marco, 51, 59 S. Maria degli Alberighi, 15, 18, 2223, 58-71, 75, 94-95, 97, 101-109, 111-114 S. Maria della Croce al Tempio, 17n, 24-25, 105-106 S. Maria Maggiore, 27, 28n, 115-116 S. Maria Novella, 35, 113 S. Miniato, 107, 108 S. Salvatore al Monte, v. S. Francesco al Monte alle Croci S. Stefano, popolo, 115n SS. Annunziata, 60, 70-71, 100 “Tempio”, Il, 24-25, 87, 106 Firenze - piazze, vie “canto de’ Ricci,” 22, 70, 107 Lungarno del Tempio, 25 Piazza S. Maria Novella, 35 Piazza della Signoria, 52, 93 Via dell’Alloro, 27, 116 Via del Corso, 65, 96 Via de’ Malcontenti, 25 Via di Porta San Piero, 65, 103 Foggia, 35 Francia, 39, 41n, 51, 53 Gaeta, 48 Genola, 34n Germania, 36 Imola, 44n Inghilterra, 40n, 48n La Verna, 56 Limoges, 58n Mantova, 48

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Modigliana, 44, 45n Montepulciano, 29, 61n Napoli, 61n Norvegia, 38n Orléans, 40 Orvieto, 31n Parigi, 47n Pietrasanta, 46n Pisa, 35, 48, 53 Pistoia, 49, 54-55, 61n, 71n Pontassieve, 45n Portogallo, 36n Prato, 26, 27n, 29, 61n Prussia, 40n Ravenna, 46

Roma, 20n San Miniato, 17n Settimo, 116 Siena, 37 Spagna, 35-36, 38 Toledo, 38n Trento, 34-35 Treviso, 45n Urbino, 20n Valdichiana, 54 Venezia, 45n Winchester, 48n Windsor, 48n

Indice degli autori moderni

Adimari, G., 84 Alberigo, G., 34n Antonelli, G., 30n, 31n Baldini, U., 21n Bandini, L., 61n Batini, G., 61n Becker, M., 61n Belting, H., 11n Benigni, P., 45n Berger, A., 38n Bergstein, M., 57n Bernstein, O., 40n Bertelli, S., 53n, 54n Berti, F., 45n Bini, A., 54n Biotti,V., 20n Blickle, P., 10n Boccia, L., 19n Bond,W., 18n Boskovits, M., 20n Botteri, L., 65n Bourgin, G., 38n Bourquelot, F., 37n, 38n, 39n, 40n Brackett, J., 30n, 37n, 45n Braudel, F., 26n Bredekamp, H., 57n Bremmer, J., 29n Brown, J., 35n Brucker, G., 35n Butters, H., 53n Calisse, C., 40n, 44n Canestrini, G., 40n Cantelli, G., 19n Carpenter, D., 35n, 36n Carroll, M., 61n Casagrande, C., 41n

Casalini, E., 70n Cecchi, A., 64n Celani, E., 40n Champion, P., 40n Cherubini, G., 26n Chiappelli, F., 54n Christian,W., 61n Christin, O., 34n, 41n, 46n Cohen, E., 9n, 42n, 70n Cohen,T., 9n Collobi Ragghianti, L., 20n Colnaghi, D., 23n Comba, R., 34n Connell,W., 49n, 55n Corazzini, O., 19n Cordero, F., 51n Cozzi, G., 45n Cracco, G., 11n, 60n Crane,T., 37n Darnton, R., 10 Davidsohn, R., 40n Degli Azzi, G., 34n, 40n Del Badia, I., 19n, 20-21, 107 Derosas, R., 45n Detto, B., 45n Deuchler, F., 22n Donati, C., 27n Dondaine, A., 35n Dorini, U., 34n, 40n, 45n Dragoni, D., 61 Droge, A., 38n Dupre, L., 11n Eire, C., 10n Eckstein, N., 9, 19n Edgerton, S., 17n, 19n, 20n, 49n Eisenbichler, K., 18n, 25n

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Sacrilegio e redenzione nella Firenze rinascimentale

Elam, C., 64n Fabbri, C., 17n, 19n Fanelli, G., 62n, 65n Faye, C., 18n Ferrero, G., 18n Fineschi, F., 17n, 25n Firpo, M., 59n Fiumi, E., 27n Fletcher, S., 51n Flory, D., 35n Fontaine, J., 38n Fontes, A., 51n Fournel, J.-L., 51n Freedberg, D., 62n Fumi, F., 31n

Gado, C., 31n Gaeta, F., 52n Gamer, H., 38n Garfagnini, G. 59n Gilbert, F., 55n Gontard, D., 20n Grazzini, G., 54n Grotefend, H., 26n Guarnieri, E., 61n Gulli Grigione, 36n Gurevich, A., 69n Haenel, G., 43n Herlihy, D., 24n, 27n Holenstein, A., 10n Hotchkiss,V., 62n Hood,W., 35n Howlett, J., 69n Iacometti, F., 48n Jaritz, G., 48 Jay, R., 9n Jolly, P., 70n Kaftal, G., 20n Klapisch-Zuber, C., 24n, 27n

Koerner, J., 11n Kohler, J., 34n, 40n Krueger, P., 34n Kudriavtsev, O., 9 Kuehn,T., 33n Kulp-Hill, K., 35n Kunzle, D., 20n Laurenti, M., 46n Lawton, D., 41n Lear, F., 43n Lefay-Toury, M., 38n Lehner, F., 26n Leveleux, C., 41n, 47n Lisini, A., 48 Lombardi, G., 17n Luzzati, M., 48n Mack Crew, P., 10n Magherini, G., 20n Major, J., 37n Malvani, C., 23n Mansi, G., 38n, 47n Maraini, F., 19n Marchand, J.-J., 55n, 59n Mariani Biagini, P., 46n Martelli, M., 55n Martines, L., 31n Matucci, A., 57n, 59n McNeill, J., 38n Mehl, J., 34n Mentgen, G., 34n Merback, M., 21n Merriman, J., 58n Middeldorf, U., 68n Miele, M., 61n Miglio, M., 17n Minois, G., 37n Molho, A., 27n, 28n, 53n Molien, A., 41n Mommsen,T., 37n, 39n Montorsi,W., 34n Moore, C., 37n, 40n Muckle, J., 39n

The Nature of the Offence

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Obelkevich, J., 11n Oberman, H., 61n Orioli, R., 34n, 34n Ortalli, G., 19n, 34n, 37n Ozment, S., 60n

Schmidt, H., 10n Schmitt, J.-C., 37n Schoell, R., 43n Schwerhoff, G., 34n, 41n, 44n Setton, K., 26n Shaw, C., 51n Sladeczek, F. 10n Stefani, L., 17n, 69n Stern, L., 30n Strange, J., 39n

Paatz, E., 62n, 66n Paatz,W., 62n, 66n Palmarocchi, R., 53n Palmieri, G., 39n Parker, R., 41n Pesman Cooper, R., 53n Peters, E., 41n Peterson, D., 62n Pinto, G., 27n Plaisance, M., 51n Polizzotto, L. 51n, 56, 58n, 59n Pope-Hennessy, J., 20n

Tabor, J., 38n Tassi, R., 17n, 60n, 66n Tauber,W., 34n Tedeschi, J., 53n Terpstra, N., 45n Thunø, E., 62n Torricelli, C., 17n, 65n, 68n, 69n, 98 Tosti, O., 65n Trexler, R., 20n, 47n, 61, 70n Trinkaus, C., 61n Tubach, F., 37n Turner, J., 64n

Quinlan-McGrath, M., 26n

Vecchio, S., 41n Vogüé, A. de, 43n

Muir, E., 60n, 61 Murray, A., 37n, 38n, 39n, 40n, 41n Naz, R., 41n

Ragghianti, C., 20n, 22n Raveggi, S., 26n Re, C., 59n Ricci, P., 70n Ricci, S. de’, 18n Ricchioni,V., 30n Richa, G., 17n, 18, 23n, 31n, 58, 59n, 62n, 63n, 65n, 68, 69 Ridolfi, R., 30n, 51n Rizzi, A., 34n, 37n, 57n Rocke, 57n Romano,V., 57n Rondini, G., 17n, 69n Rothkrug, L., 11n Rowland, I., 26n San Luigi, I. di, 49n Sapori, A., 62n, 94 Sargent, S., 11n

Wandel, L., 10n Warburg, A., 70n Warnke, M., 10n Wasserschleben, F., 38n Watt, J., 37n Weinstein, D., 51n, 62n Wilmans, R., 39n Wilson, C., 24n Wilson,W., 18n Wolf, G., 62n Zancarini, J.-C., 59n Zanella, A., 60n Zdekauer, L., 34n, 37n Zervas, D., 49n Zorzi, A., 17n, 18n, 30n, 31n, 37n, 45n, 71n Zorzi Pugliese, O., 59n

Finito di stampare in Firenze presso la tipografia editrice Polistampa ottobre 2006