Russia e Cina nel mondo globale. Due potenze fra dinamiche interne e internazionali 8843092839, 9788843092833

Russia e Cina sono le due grandi potenze emergenti del XXI secolo. Gelose delle proprie tradizioni e peculiarità, esse t

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Russia e Cina nel mondo globale. Due potenze fra dinamiche interne e internazionali
 8843092839, 9788843092833

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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI

STUDI POLITICI

/

1217

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Russia e Cina nel mondo globale Due potenze fra dinamiche interne e internazionali

A cura di Stefano Bianchini e Antonio Fiori

Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo di

FONDAZIONE

�SA 00 RIS�I Cl fURL.

1' edizione, novembre 2018 ©copyright 2018 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Studio Agostini, Roma Finito di stampare nel novembre 2018 da Grafiche VD srl, Città di Castello ( PG )

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. è

Indice

Introduzione di

Stefano Bianchini e Antonio Fiori

II

Parte prima Russia e Cina: Stato, società e valori I.

Dalla disgregazione dell'uRss alla crisi ucraina: autodeterminazione e sovranità nello spazio pose-sovietico

di Francesco Privitera I. I.

1.2.. 1.3 1.4. 1.5. 1.6. 1.7·

Introduzione: l'agonia dell'Unione Sovietica L'Ucraina verso l'autodeterminazione L'Ucraina indipendente La costruzione dello Stato ucraino e la questione nazionale L'Ucraina in crisi:

dall'Euromaidan alla perdita della Crimea

L'Ucraina: uno Stato fragile Conclusioni: la "balcanizzazione" dell'Ucraina Letture consigliate

2.

Origini ed evoluzione del nazionalismo cinese: dal "secolo delle

2.3.

15 16 19 2.0 24 26 27 2.8

umiliazioni" alla "grande rinascità' di XiJinping

29

Introduzione

29

di Andrea Passeri

2.1. 2.2..

15

Umiliazione, difesa e riscatto: genesi e diffusione degli ideali nazionalisti cinesi

(x839-1919)

La "quinta modernizzazione"? Il nazionalismo di Stato di Jiang Zemin

(1989-2002)

5

31 33

INDICE

2.4.

Verso la grande rinascita: il "sogno cinese" promesso daXiJinping 37

(2007-17) 2.s.



Conclusioni

40

Letture consigliate

41

L'"idea russa": neoconservatorismo, patriottismo e sistemi valoriali 43

ai tempi di Putin di Marco Puleri 3.1.

Il consolidamento politico e ideologico (2000-07): la nascita di un percorso nazionale "unico e irripetibile"

3.2.

In difesa dei confini patri (2007-14): nuove dinamiche di "proiezione esterna" per la nascita di una potenza internazionale

3·3· 3+



44 47

Neoconservatorismo e patriottismo (2014-18): verso una nuova cristallizzazione ideologica sulla scena globale

S2

Conclusioni

s6

Letture consigliate

ss

I diritti umani in Russia e in Cina: proposte concettuali e rapporti tra ordinamenti

S9

di Marco Balboni e Carmelo Danisi 4.1.

Introduzione

S9

4.2.

Approccio di Russia e Cina al diritto internazionale 4.2.1. La Russia l 4.2.2. La Cina

61

4·3·

4+



Il dialogo con i meccanismi internazionali di tutela dei ou: difesa dell'identità nazionale e obiettivi strategici 4.3.1. La difesa dei valori tradizionali in Russia l 4·3-2· Dimensione collettiva e obiettivi strategici: la "proposta" cinese

6s

Conclusioni

71

Letture consigliate

71

La riconfigurazione del welfare state in Russia e Cina: la nuova politica/ economy della partecipazione femminile al mercato del lavoro

73

diRosaMulé s.I.

Introduzione

73

s.2.

Il timing del mutamento del welfare state in Russia e Cina

77

S·3·

La riconfìgurazione di genere del welfare state in Russia

79

S-4-

La riconfìgurazione di genere del welfare state in Cina

81

6

INDICE

S·S·

L'avvento di un modello di welfare state neo-familistico in Russia e Cina?

s.6.

Conclusioni Letture consigliate

6.

La mobilità delle persone tra Unione Europea, Russia e Cina

87

di Marco Borraccetti e Federico Ferri

6.1. 6.2. 6.3.

Introduzione La relazione Unione Europea-Russia La relazione Unione Europea-Cina Letture consigliate

87 94 97 100

Parte seconda Proiezioni esterne e interessi geopolitici



Le turbolente relazioni tra Unione Sovietica e Comunità europea

(1950-91)

103

di Giuliana Laschi

7·1. 7.2. 7·3· 7·4· 7·5·

8.

Il continente diviso: reazioni e fratture Gli anni dello scontro Le aperture e le visite di Stato

103 106 109

La distensione europea e internazionale

IlO

Conclusioni Letture consigliate

113 115

L'ascesa cinese e il regionalismo in Asia

117

di Matteo Dian

8.1. 8.2. 8.3. 8+ s.s. 8.6. 8.7. 8.8.

Introduzione La Cina e l'Asia prima della crisi economica del 1997 -98 La Cina e il regionalismo in Asia dopo la crisi asiatica Il grande progetto regionale sinocentrico di Xi Jinping La Nuova via della seta La Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture La Regional Comprehensive Economie Partnership Conclusioni Letture consigliate

7

117 117 119 123 125 126 127 129 130

INDICE



I rapporti tra Alleanza atlantica e Russia dalla fine della guerra fredda

I33

di Nicolo Fasola e Sonia Lucarelli Introduzione

I33

9.2..

L'altalena della collaborazione

I34

9·3·

Le principali aree di tensione

I36

9.1.

9·3·1· Allargamenti e interventismo: la percezione dello spazio vitale l 9·3-2-· La

sicurezza cibernetica: divergenze nelle interpretazioni strategiche l 9·3·3· La sicurezza energetica: tra interdipendenza e frammentazione l 9·3·4· Terrorismo e Medio Oriente: l' intersezione di scdte strategiche e interpretazioni concettuali 9·4·

IO.

Conclusioni e prospettive

I46

Letture consigliate

I47

Cina e Russia nel nuovo contesto globale: sostenibilità interna, vincoli relazionali e implicazioni sistemiche

I49

di Eugenia Baroncelli IO.I.

Introduzione

10.2..

Crescita, commercio e investimenti: l'ascesa cinese e l'instabi-

10.3.

lità russa Cina, Russia e il futuro del capitalismo illiberale

I0-4-

Dalle unità al sistema: ambizioni e risultati delle politiche estere

10.5.

russa e cinese Dal sistema alle unità: i vincoli esterni alle politiche estere di Cina e

11.

I49 ISO IS6 I6o

Russia

I63

Letture consigliate

I66

Tra Occidente ed Eurasia: il pendolo russo nelle relazioni internazionali

I69

di Stefono Bianchini II.I.

La Russia, le delusioni dell'Occidente e la ricerca di un profilo autonomo

11.2.. I1.3.

Cooperazione eurasiatica e "Grande Eurasia" Conclusioni Letture consigliate

I2..

I rapporti sino-russi dopo la crisi ucraina di Antonio Fiori

I2..I.

Introduzione

I2..2..

L'abbraccio russo alla Cina

8

I8S

INDICE

12.3.

Il settore energetico

190

12.4.

Il settore militare

192

12.5.

Competizione e collaborazione in Asia centrale

194

12.6.

Una relazione asimmetrica

13.

199

Letture consigliate

200

Vicini e distanti. Cina e Russia in Medio Oriente e Nord Africa

203

di Massimiliano Trentin 13.1. 13.2.

Introduzione

203

Economia: le differenze che fanno la differenza

203

13.2.1. La Cina nelle economie del Medio Oriente e del Nord Africa l 1p.2. La Rus-

sia nelle economie del Medio Oriente e del Nord Africa

13·3·

La politica internazionale: diplomazia e istituzioni il "lusso" della distanza l 13·3-2· La Russia, dal ritiro al nuovo

208

13·3·1· La Cina e

interventismo

13·4·

14.

Conclusioni

214

Letture consigliate

216

Africa, sviluppo e sicurezza: il ruolo della Cina

217

di Arrigo Pallotti 14.1.

Indipendenze e guerra fredda

218

14.2.

Il sostegno alle guerre di liberazione nazionale

222

14·3·

Commercio, investimenti, sviluppo

224

14-f.

Non interferenza, democrazia, sicurezza

227

14·5·

Conclusioni

230

Letture consigliate

231

Roma e la via eurasiatica: continuità, limiti e prospettive di una direttrice della politica estera italiana di Paolo Soave 15.1.

Introduzione

15.2.

Il ponte europeo: continuità e limiti delle relazioni italo-russe

15·3·

Un cavallo di Troia cinese in Europa: l'Italia vista da Pechino

15-f.

Conclusioni Letture consigliate

9

233

Introduzione di Stefano Bianchini

e

Antonio Fiori

Il volume prende forma dal progetto di ricerca "Russia e Cina nel mondo globale. Stato e società fra dinamiche interne e proiezioni esterne", realiz­ zato nel triennio 2015-I8 dal Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Bologna con sede a Forlì. È importante sottolineare co­ me tale progetto sia stato reso possibile grazie al sostegno della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Nell'ambito degli studi sulla Russia e sulla Cina tanto la proiezione esterna quanto la politica interna sono, per tradizione storico-culturale e politica, fortemente integrate e si condizionano reciprocamente nel solco delle caratteristiche precipue dei due paesi. Tale interdipendenza acquisi­ sce un rilievo del tutto specifico, richiedendo, quindi, una particolare at­ tenzione sia da parte degli studiosi sia degli operatori economici e com­ merciali che siano interessati ad operare all'interno delle due aree, nonché di quanti si appassionano ai grandi temi delle relazioni internazionali. Uno dei principali obiettivi del progetto di ricerca è consistito nella realizzazione di un testo che possa fungere da punto di riferimento per stu­ denti, operatori economici italiani e per il più vasto campo di lettori desi­ derosi di approfondire alcune dinamiche cruciali del mondo in cui vivia­ mo. I ricercatori del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Uni­ versità di Bologna a Forlì si sono quindi impegnati a offrire una panorami­ ca d'insieme delle complesse dinamiche socio-politiche che riguardano le due potenze prese in esame. Il volume si sofferma sulle implicazioni deri­ vanti dall'intensa interazione fra proiezione esterna e politiche interne di Russia e Cina, dedicando l'attenzione ad alcuni filoni di studio "trasversa­ li': in grado cioè di agevolare la comprensione dei mutamenti profondi in atto in questi paesi e le loro potenziali ripercussioni nel mondo sempre più globale. Tale impostazione consente non solo una più dettagliata disamina di potenze tornate a esercitare un'incisiva influenza internazionale, ma ha anche permesso di offrire strumenti interpretativi utili alle strategie politi-

I I

STEFANO BIANCHINI, ANTONIO FIORI

che ed economico-sociali, sia da parte dell'Italia sia da parte dell'Unione Europea nel suo insieme, tenuto conto dei profondi mutamenti intervenuti in Russia e in Cina sotto il profilo degli indirizzi politici e dei riferimenti valoriali, in particolare nell'ultimo decennio. Resta poi sempre evidente come, sia pure nel quadro di accresciute ten­ sioni e rivalità anche commerciali con l'Unione Europea e gli Stati Uniti, la Russia e la Cina rappresentino due mercati molto attraenti, che vanno considerati alla luce delle condizioni cui si riferiscono i processi di stabiliz­ zazione dei loro sistemi politico-istituzionali nonché delle rispettive diret­ trici di sviluppo future, specie in ambito sociale e giuridico. Il libro, quindi, presentandosi con un taglio divulgativo e arricchito da riquadri esplicativi, muove da una duplice convinzione: da un lato la neces­ sità di approfondire la conoscenza di realtà con le quali l'Italia è oggi chia­ mata a intessere un dialogo più assiduo che in passato; dall'altro, il bisogno di indagare i riflessi che le dinamiche interne di Russia e Cina proiettano sulla politica internazionale dei due paesi, e le loro implicazioni per l'Italia e l'Europa.

12.

Parte prima Russia e Cina: Stato, società e valori

I

Dalla disgregazione dell'uRss alla crisi ucraina: autodeterminazione e sovranità nello spazio post-sovietico di Francesco Privitera*

Sebbene noi guardiamo al futuro, riusciamo a pensare solo al passato'.

I. I

Introduzione: l'agonia dell'Unione Sovietica Sin dal primo momento dopo la fine dell'Unione Sovietica, nel 1991, le pre­ carie relazioni fra la Russia e l'Ucraina hanno rappresentato la cartina di tor­ nasole della complessità dei processi che hanno caratterizzato la transizione post-sovietica in entrambi gli Stati successori. Ciò nonostante, i tragici eventi che hanno segnato la crisi del 2013-14 e i successivi sviluppi sono stati deter­ minati prevalentemente dall'intervento di attori esterni. Sebbene Gorbacev avesse tentato sino all'ultimo di bilanciare le pressio­ ni esercitate dai radicali da un lato e dai conservatori dali'altro, alla fine il fallimento delle riforme da lui promosse fu dovuto principalmente alla "que­ stione nazionale': ossia all'insorgere di un profondo sentimento antisovietico fra le popolazioni dell'uRSS che alla fine coinvolse anche gli stessi russi. Nel tentativo di contenere le élite conservatrici, infatti, Gorbacev perse l'opportunità di trovare un serio compromesso con le aspirazioni delle Re­ pubbliche sovietiche che chiedevano un'organizzazione decentrata (o meno centralizzata) della Federazione sovietica. Sfortunatamente, Gorbacev non seppe offrire alcuna concessione alle Repubbliche nel periodo cruciale com­ preso fra il 1989 e il 1990, quando ormai era evidente l'urgenza di dare ri­ sposte concrete alle rivendicazioni nazionali. Quando finalmente Gorbacev prese la decisione, nella primavera del 1990, di predisporre una riforma costi-



r.

Professore associato di Storia dell'Europa orientale all'Università di Bologna. John Lukacs, A t the End oJan Age, Yale University Press, New Have n

trad. mia.

IS

2002,

p. s 3,

FRANCESCO PRIVITERA

tuzionale della Federazione sovietica e pose la questione al voto del

XXVIII

Congresso del Partito nel luglio del 1990, era ormai troppo tardi. Non per niente, quello fu l'ultimo congresso del Partito. L' URSS era dunque già finita. Tuttavia, l'inerzia degli eventi politici portò a una nuova proposta, nel marzo del 1991, per la fondazione di una "Unione degli Stati sovrani". Al go­ verno centrale sarebbe rimasta la responsabilità della politica estera, della di­ fesa, dell'indirizzo legislativo e alcune materie fiscali. Ciò che restava oscuro, nella proposta, era la modalità con la quale si sarebbe svolto il processo de­ cisionale all'interno dell'Unione. Tutte le Repubbliche, ad eccezione di sei (Lituania, Lettonia, Estonia, Georgia, Armenia e Moldavia), approvarono e, sebbene l'attenzione fosse principalmente catalizzata dal rifiuto della Litua­ nia e della Georgia e dalle rispettive dichiarazioni di indipendenza, fu quello

il momento in cui si posero le premesse della futura disputa Russia-Ucraina. L'Unione degli Stati sovrani nacque ufficialmente nel luglio 1991 sotto cat­ tivi auspici, in quanto fin da subito Russia e Ucraina pretesero il controllo esclusivo delle proprie risorse economiche. La riforma della Federazione sovietica fu l'ultimo dei tentativi di riforma promossi da Gorbacev. I conservatori, dopo il fallimento delle riforme eco­ nomiche, la perdita del blocco orientale e la fine del ruolo guida del Partito, ritennero fosse troppo assistere anche alla "distruzione" dell'Unione Sovieti­ ca, pertanto organizzarono un colpo di Stato nell'agosto del 1991, per desti­ tuire Gorbacev di ogni potere. Contrariamente alle loro aspettative, invece di preservare l'unità della Federazione sovietica, il colpo di Stato ne accelerò la fine, concludendo anche l'era gorbaceviana.

1.2

L' Ucraina verso l'autodeterminazione «Senza l'Ucraina, la Russia cessa di essere un impero euroasiatico». Questa tagliente definizione di Zbigniew Brzezinski spiega chiaramente il dilemma di Mosca nel frangente della dissoluzione dell'Unione Sovietica in atto. Kiev aveva già dichiarato la propria autodeterminazione, di fronte al colpo di Sta­ to d'agosto e così fecero, definitivamente, anche le Repubbliche baltiche e la Georgia. El'cin, in qualità di presidente della Federazione Russa, si impegnò immediatamente nel tentativo di preservare un solido legame fra Russia e Ucraina. Già mentre l'Unione Sovietica era oramai moribonda, El'cin, all'a­ pice del suo potere, aveva raggiunto un accordo con i presidenti di Bielorus­ sia e Ucraina per la costruzione di una nuova entità: la Comunità degli Stati r6

I.

' DALLA DISGREGAZIONE DELL URSS ALLA CRISI UCRAINA

indipendenti

(esi). I tre presidenti dichiararono pertanto la fine dell'uRSS

1'8 dicembre del I99 I , il2I le altre Repubbliche rimaste ancora nell'Unione Sovietica aderirono alla CSI e il25 Gorbacev rassegnò le proprie dimissioni da presidente dell'uRSS: quella notte, a mezzanotte, fu ammainata la bandiera rossa dal Cremlino. L'esperienza della CSI fu subito problematica. Sebbene gli Stati mem­ bri riconoscessero i confini esistenti all'interno dell' URSS e si accordassero su di una moneta unica, sul controllo della forza nucleare e sulla costruzio­ ne di una zona economica comune, defocto ognuno si mosse verso direzioni opposte agli altri. Certamente i trattati e gli obblighi internazionali furono ereditati, nella loro validità, dalla Federazione Russa, quale Stato successore dell'uRSS, che mantenne lo stesso seggio all' ONU e nel Consiglio di sicurez­ za. Allo stesso modo, l' ONU riconobbe tutti gli Stati successori assegnando a ciascuno il proprio seggio (tranne Ucraina e Bielorussia che già lo avevano all'atto della fondazione dell' ONU) . A partire dal I992, dispute territoriali, spesso legate alla presenza di mi­

noranze, e litigi su questioni economiche e finanziarie resero l'esistenza del­ la

esi molto problematica. Nel gennaio del I993, il summit della Comunità organizzato per dare soluzione ai vari problemi emersi fallì, lasciando la esi priva di un reale coordinamento. Gradualmente la Russia cominciò a riaffer­ mare il proprio controllo sugli Stati membri della CSI, utilizzando principal­ mente lo strumento economico e avvantaggiandosi delle dispute interne che travagliavano la sopravvivenza di molti di essi ( in primis il Tagikistan) . Seb­ bene la esi non riuscisse a decollare pienamente e ad assumere un ruolo e un prestigio internazionale pari a quello dell' URSS, tuttavia in questa prima fase garantì una certa cooperazione fra Russia e Ucraina. Nei primi anni Novanta, sia El'cin sia il presidente ucraino Kravchuk riuscirono a gestire positivamente una delle questioni più spinose, ossia la presenza di I2 milioni di russi, cittadini dell'Ucraina. Entrambi i leader con­ vennero sulla necessità di evitare qualunque forma di tensione nazionalistica e di preservare, comunque, una larga autonomia per la Crimea. El'cin si di­ mostrò coerente con questo approccio, respingendo ogni richiesta dei nazio­ nalisti russi, sia in Russia sia in Crimea, relativamente all' ipotesi di una pos­ sibile indipendenza della penisola e riunificazione con la Russia. Per questa ragione El'cin fu accusato dai suoi oppositori di essere troppo moderato e di non proteggere a sufficienza gli interessi delle minoranze russe nei nuovi Sta­ ti successori. Tutto ciò ebbe un effetto positivo sulle relazioni russo-ucraine in Ucraina e, se si pensa alla situazione successiva al20I4, le due comunità si dimostrarono particolarmente tranquille e cooperative nei primi anni No-

17

FRANCESCO PRIVITERA

vanta. Anche la partecipazione massiccia dei russi al referendum per l'indi­ pendenza dell'Ucraina, con un voto prevalentemente a favore, soprese co­ munque Mosca. In realtà si trattava, innanzitutto di una manifestazione di scontento e frustrazione verso il centralismo sovietico, specie dopo i lunghi e difficili anni della crisi economica, ma certamente la lealtà della maggioran­ za dei russi verso Kiev fu per molti versi del tutto inaspettata a Mosca, specie quando riguardò, per esempio, i militari, oppure i minatori del Donetsk, do­ ve i russi sono tuttora la maggioranza, o le province russe di Odessa e Harkov dove le percentuali favorevoli ali' indipendenza superarono l' 8 o%. Leonid Kravchuk si rivelò un leader abile nel governare il processo di au­ todeterminazione dell'Ucraina, mobilitando non sentimenti nazionalistici, bensì la frustrazione antisovietica (al contrario di quanto avvenne per esem­ pio fra serbi e croati durante il processo di dissoluzione della Jugoslavia). Sia la vecchia élite del Partito, sia la nascente élite nazionale ucraina seppero pre­ venire la divisione della società sulla base di linee di demarcazione etniche, mantenendo le due comunità ucraina e russa in una pacifica convivenza. Le prime forme di nazionalismo ucraino, se comparate a quelle balti­ che o caucasiche, erano emerse (o riemersero) lentamente durante gli anni gorbaceviani. Inizialmente, furono rappresentate attraverso manifestazioni ecologiste a protezione dell'ambiente, una reazione alquanto naturale, specie dopo il disastro alla centrale nucleare di Chernobyl del 1986. La ricerca delle responsabilità politiche per la tragedia di Chernobyl mobilitò dapprima gli in­ tellettuali in forme di protesta organizzata, per la necessità di effettuare quan­ to prima la bonifica dell'area interessata dalle radiazioni. Nacque quindi Ze­ lenyj Svit (Mondo verde), quale primo movimento politico che, partendo da un messaggio ambientalista, andò rapidamente verso una dimensione di pro­ tezione del patrimonio ambientale e monumentale, quindi estesa a quello cul­ turale e linguistico. Le basi del nazionalismo ucraino erano ormai poste, si trat­ tava ora di farle diventare i pilastri della costruzione del nuovo Stato ucraino. Ben presto, buona parte della dirigenza comunista ucraina saltò sul carro dell'autodeterminazione promuovendo l'idea di una sovranità per Kiev, mi­ tigata dali' appartenenza alla rinnovata Federazione promossa da Gorbacev. Del resto, per questi comunisti ideologicamente educati a considerare i con­ cetti di autodeterminazione e sovranità secondo l'approccio leninista alla questione nazionale (sebbene poi sostanzialmente modificato da Stalin negli anni Trenta), la distanza teorica con il nuovo progetto federativo non era così rilevante e la proposta di decentramento da parte di Gorbacev rientrava an­

cora ali' interno di questi canoni ideologici (cfr. riquadro 1.1 ) . Pertanto, quan­ do nella primavera del 1991, Gorbacev chiamò i sovietici al voto referendario 18

I.

' DALLA DISGREGAZIONE DELL URSS ALLA CRISI UCRAINA

RIQUADRO 1.1

Autodeterminazione

L'autodeterminazione, secondo il principio leninista, è un atto volontario da parte di un popolo che liberamente sceglie l'eventuale adesione a una entità statale. Nel fuoco della Rivoluzione d'ottobre, la dichiarazione per l'autodeterminazione dei popoli indicava la via da seguire: la liberazione dal giogo imperialista zarista (ma non solo, in quanto acquisiva una valenza universale di liberazione da qualunque forma di imperialismo). Successivamente, ogni popolo sarebbe giunto, sulla base della propria maturazione politica, al riconoscimento del superamento della na­ zione come concetto politico identitaria fondamentale, per sostituirlo con quello politico (e sociale) di classe. Così facendo si sarebbero costruite le premesse per l'adesione (universale) dei popoli all'Unione Sovietica (ossia l'Unione delle rap­ presentanze dei lavoratori: i Soviet).

sulla sua proposta di riforma della Federazione, Kravchuk abilmente aggiun­ se un secondo quesito (costruito in modo da ottenere una risposta positiva) :

«È d'accordo che l'Ucraina possa divenire parte dell'Unione degli Stati so­ vrani, secondo il principio della dichiarazione di sovranità dell'Ucraina?». Il 70,2% votò a favore dell'Unione di Gorbacev, ma l'8o2 , % votò anche in favore del quesito posto da Kravchuk. Nonostante i risultati della campagna referendaria fossero stati estrema­ mente positivi per Kravchuk, il quale peraltro competeva alle elezioni presi­ 0

denziali del I settembre, egli preferì non firmare l'accordo sull'Unione pri­ ma di quella data. Gorbacev fu obbligato ad accettare la decisione ucraina e, pertanto, organizzò la firma per il2o agosto solo con El'cin e Nazarbayev. Il giorno prima però scattò il colpo di Stato orchestrato dal gruppo conservato­ re del Partito, la firma non avvenne e l'Unione fu stroncata sul nascere. Eletto democraticamente, primo presidente ucraino, Kravchuk dichiarò l' indipen­ 0

denza dell'Ucraina il I dicembre I99I.

1.3

L' Ucraina indipendente Come Gorbacev, anche El'cin era consapevole della necessità di preservare solidi legami con l'Ucraina, per diverse ragioni: il controllo sulle armi nude­ ari, l' interdipendenza economica ( Mosca dipende da Kiev per la fornitura di

19

FRANCESCO PRIVITERA

RIQUADRO

1.2.

Ucraina L'Ucraina è il secondo paese più grande d'Europa dopo la Russia, si estende per

603.700 km\ dalla Russia a Oriente alla Bielorussia a Nord, dalla Polonia, Slovac­ chia, Ungheria, Romania e Moldavia a Occidente al Mar Nero a Sud. L'etimologia

del termine Ucraina significa "terra di confine': Nelle lingue slave i termini kraj! krajina, indicano regioni/aree di confine, così come nel tedesco mark o l' italiano marca/marche.

motori per i vettori missilistici, mentre Kiev dipende da Mosca per le risorse energetiche), ma anche per i legami storico-culturali, ricchi di significato sim­ bolico, che uniscono i due Stati. Alla fine, la realtà delle cose era che nessuna Unione, Confederazione o Comunità di Stati successori avrebbe avuto credi­ bilità politica se non vi avesse partecipato anche l' Ucraina (cfr. riquadro

1.2).

Tuttavia, ogni tentativo di El'cin di salvare la proposta della Comunità fallì quasi subito, perché l'accordo di Budapest sulle armi nucleari mediato dagli

USA,

offrì piena sovranità a Bielorussia, Ucraina e Kazakhstan, in cam­

bio della cessione dell'arsenale nucleare alla Russia. Senza l'elemento condi­ zionante del nucleare, il livello di cooperazione fra i quattro Stati successori diminuì immediatamente e ciascuno cominciò a perseguire proprie vie na­ zionali. La Russia, poi, pressata dalla crisi economica generata dali' ingresso nell'economia di mercato attraverso "la terapia shock': e senza ancora un si­ stema di equilibri istituzionali definito, precipitò in una fase d' instabilità in­ terna che durò più di due anni. Il bombardamento della Casa Bianca (il Parla­ mento, che era ancora controllato da una maggioranza di deputati comunisti) da parte di El'cin chiuse questi anni tumultuosi e portò a un accentramento di poteri (anche personali), che caratterizzò gli anni a venire della presidenza El'cin.

1.4

La costruzione dello Stato ucraino e la questione nazionale Anche in Ucraina, i primi anni Novanta furono caratterizzati da un anda­ mento caotico del processo politico-economico. Uscito di scena Kravchuk, nel

1994 il nuovo presidente

Kuchma avvio una riforma costituzionale che

portò alla nuova Costituzione del

1996.

Tecnicamente, il sistema politico

ucraino restava di tipo semipresidenziale, sebbene durante le due presidenze

2.0

'

I. DALLA DISGREGAZIONE DELL URSS ALLA CRISI UCRAINA

Kuchma (I994-2005 ) l'asse dei poteri fosse spostato sulla presidenza, mentre nel periodo 2006 -10 e dopo il20I4 fu basato su di un premierato forte. L'U­ craina restava uno Stato unitario, con una unità federale, la Crimea, almeno fino al 20I4. Per la Costituzione delI996 , la lingua ufficiale dello Stato diviene l'ucrai­ no, sebbene il russo rimanga ampiamente parlato non solo a Kiev, ma anche in tutta la parte orientale e meridionale dell'Ucraina. Secondo il censimento del2ooi, il67,5% della popolazione dichiara l'ucraino come la propria lingua madre, mentre il russo lo è per il29 ,6%. La maggior parte degli Ucraini, però, parla e usa il russo come seconda lingua, poiché questa era la lingua ufficiale dell'uRSS. In Ucraina, comunque, anche durante l'epoca sovietica, l'ucraino era riconosciuto lingua ufficiale al pari del russo ed era studiato nelle scuole. Nel 20I2 , una nuova legge ha ulteriormente declassato il russo a lingua re­ gionale, quindi ufficiale solo nelle aree del paese dove è parlato da almeno il 10% della popolazione locale. Il 23 febbraio 20I4, durante le giornate della Rivoluzione ucraina, era al voto in Parlamento la legge che fa dell'ucraino l'unica lingua ufficiale da usarsi anche a livello regionale negli affari pubblici. Tuttavia, la legge non è mai stata firmata dall'attuale presidente Poroshenko. L'ucraino è parlato prevalentemente nelle regioni occidentali e centra­ li. In quelle occidentali è la lingua più parlata nei centri urbani, mentre in quelle centrali le due lingue si equivalgono, sebbene a Kiev prevalga il russo e l'ucraino sia più utilizzato nelle aree rurali. Anche nelle regioni orientali e meridionali il russo è parlato prevalentemente nei centri urbani e l'ucraino nelle zone rurali. Durante l'epoca sovietica, di generazione in generazione, la lingua ucraina era entrata in una fase di declino, soppiantata dal russo, ora­ mai dominante negli anni Ottanta. Dopo l'indipendenza, l'ucraino riprese vigore, grazie a una forte politica di "ucrainizzazione': Oggi la maggior parte dei programmi televisivi sono trasmessi in ucraino e il russo viene sottotito­ lato o doppiato. Secondo la Costituzione della Repubblica autonoma di Crimea, l'ucrai­ no era la lingua ufficiale, sebbene fosse riconosciuto il diritto di utilizzare il russo in ogni aspetto pubblico, poiché parlato dalla maggioranza della po­ polazione. Similmente, anche i tatari di Crimea (il I2% della popolazione) godevano di una protezione linguistica. Con l'unificazione della Crimea al­ la Russia, oggi il russo è la lingua ufficiale e gli spazi di utilizzo del tataro o dell'ucraino (parlato dal IO,I% della popolazione) si sono ridotti, sebbene nella vita di tutti i giorni prevalga l'uso del russo anche in queste comunità. È stata, probabilmente, la questione della lingua, ossia l"'ucrainizzazione" im-

21

FRANCESCO PRIVITERA

posta da Kuchma, che ha portato gradualmente l'Ucraina all'etnicizzazione delle sue politiche, così come avvenuto nei Balcani nei primi anni Novanta. Comparando il processo di dissoluzione della Jugoslavia con quello dell'Unione Sovietica si possono individuare diverse somiglianze, ma anche alcune differenze significative. El'cin ha utilizzato il nazionalismo in una modalità politica fortemente pragmatica, così come è stato nel caso di Milosevié in Serbia. Per entrambi i leader, l'obiettivo principale era rappresentato dalla distruzione delle federa­ zioni comuniste, non per ragioni ideologiche, ma semplicemente perché non erano funzionali ai rispettivi progetti politici. Nel caso di Milosevié, tuttavia, l'uso della violenza era comunque contemplato fra le possibili opzioni, men­ tre nel caso di El'cin questi ha agito solo per via politica. Nel caso sovietico, infatti, El'cin ha utilizzato il nazionalismo per inde­ bolire Gorbacev. Il supporto fornito dal leader russo ai processi di autode­ terminazione delle Repubbliche baltiche o della Georgia è stato in funzione del rafforzamento della legittimità russa alla propria sovranità. Similmente, il sostegno di Milosevié al secessionismo sloveno e, indirettamente a quello croato, è servito per dare legittimità al nazionalismo serbo. Secondo la prospettiva di El'cin, il nazionalismo avrebbe agevolato il rag­ giungimento delle riforme, come ad esempio quella dei "soo giorni" (la tera­ pia shock), al fine di introdurre un'economia di mercato pienamente funzio­ nante. Come i bolscevichi (Lenin) rispetto all'Impero, così El'cin non è stato capace di promuovere un processo di riforme che includesse l' intera Unio­ ne Sovietica. Pertanto, la questione nazionale è stata utilizzata per separare la Russia dal contesto sovietico e sperimentarvi le riforme. Poiché l' identità russa era percepita all' interno di quella sovietica, la mobilitazione politica, sulla base di un meccanismo di vittimizzazione della componente russa, che diveniva così la prima vittima dell'uRSS, fu uno strumento politico potente. El'cin, tuttavia, sebbene promuovesse la fine dell'Unione Sovietica, al con­ tempo ne auspicava la trasformazione secondo il progetto di Gorbacev, pri­ ma, o di Comunità da lui elaborato, dopo. Ciò avrebbe permesso, comunque, alla Russia di preservare i propri legami con gli Stati successori dell'uRSS, ri­ manendone il centro di gravità. La taglia della Russia, i legami storico-cultu­ rali, l' interdipendenza economica e, non ultimo, il fatto che le élite politiche provenivano tutte dallo stesso ambito del Partito avrebbero dovuto garantire la cooperazione e un comune sentire. Ciò potrebbe spiegare perché El'cin non abbia utilizzato metodi assertivi (ad eccezione dei paesi baltici fra il

1992 e il 1993)

nelle relazioni con i vicini

post-sovietici. Nel caso dei paesi baltici, tuttavia, va ricordato che l' indipen-

22

I.

' DALLA DISGREGAZIONE DELL URSS ALLA CRISI UCRAINA

denza fu acquisita non solo attraverso un approccio politico fortemente anti­ sovietico, ma anche antirusso. Il nazionalismo di El'cin non era costruito su base etnica, ma sul ruolo e la percezione imperiale/sovietica della Russia, che poneva i russi in un ruolo su­ periore e di potere verso le altre comunità, intese comunque come subordinate. La novità della crisi ucraina contemporanea è rappresentata dal fatto che per la prima volta anche l'identità russa va progressivamente trasformandosi verso un processo di etnicizzazione, mentre nel caso di quella ucraina, ciò è già avvenuto. Il fiume Dnepr divide, grosso modo, l'Ucraina in due aree geografiche principali: la Riva destra e la Riva sinistra (secondo la direzione della corren­ te del fiume). La Riva sinistra corrisponde all'Ucraina orientale, che include le regioni della Crimea, Dnipropetrovsk, Donetsk, Harkov, Kherson, Lugansk, Odes­ sa, Nikolaev e Zaporoze, le aree più omogenee culturalmente e dove è evi­ dente una forte influenza della cultura russa, anche quando la maggior parte della popolazione si definisce ucraina. La Riva destra, ossia l'Ucraina occidentale, include la Galizia e l' Etmana­ to cosacco e rappresenta un'area relativamente omogenea di lingua ucraina e di maggiori sentimenti nazionali. La divisione dell'Ucraina in queste due aree si ritrova anche sul piano della geografia elettorale. Sin dal I994· il voto ha mostrato una certa stabilità fra i due gruppi elettorali, che di solito votavano per candidati di orientamen­ to opposto e per partiti di orientamento filorusso o fìloucraino. La questione politica dirimente per l'Ucraina è stata, fin dall'inizio, quel­ la della sua collocazione internazionale, che si è ovviamente riflessa all' inter­ no del panorama politico domestico. Secondo la prospettiva della Riva si­ nistra, i legami con la Russia sono prioritari e vanno preservati, se non con­ solidati anche attraverso meccanismi federativi con la Russia stessa ed even­ tualmente con gli altri Stati successori dell'uRSS. Al contrario, secondo la prospettiva della Riva destra, l'Ucraina dovrebbe costruire solidi legami con l'Occidente, fino a entrare a far parte della UE e della NATO. Queste due differenti prospettive sono rimaste contenute, fino alla cri­ si del 20I4, all'interno dell'alternanza dei governi e alla presidenza che ha caratterizzato la scena politica ucraina, producendo un equilibrio basato su meccanismi consociativi di redistribuzione del potere e delle risorse fra gli oligarchi rappresentanti delle due comunità e su una corruzione dilagante. Il percorso elettorale ucraino ben rappresenta, nel periodo I994-20I4, l'equilibrio fra le due visioni e i condizionamenti sull'elettorato esercitati da-

FRANCESCO PRIVITERA RIQUADRO 1.3

Euromaidan Con il termine Euromaidan si intende il movimento di protesta ucraino, scoppia­ to a causa della sospensione dell'accordo di associazione e libero scambio con la UE.

La notte del21 novembre hanno avuto inizio i disordini nella piazza (maidan)

principale di Kiev, dando quindi nome al movimento politico che rivendicava l'ingresso nelle istituzioni comunitarie (euromaidan). Il21 febbraio 2014 il presi­ dente Janukovyc ha lasciato il paese rifugiandosi a Mosca.

gli attori esterni. Tuttavia, il tentativo di procedere a una "ucrainizzazione" del paese, negando il diritto alla comunità russofona a una propria identità linguistico-culturale, ha avviato un processo di polarizzazione interno fra i due gruppi linguistici ucraino e russo. Da ciò è derivato che la lealtà verso le istituzioni ucraine garantita alla na­ scita dell' Ucraina indipendente da parte dei russofoni sia andata a diminuire gradualmente nel corso dei due decenni, a mano a mano che la componente ucraina acquisiva atteggiamenti sempre più assertivi nella dimensione cultu­ rale, prima, e poi in quella istituzionale. Dal momento che la Costituzione del 1996 istituì l'ucraino come lingua ufficiale del paese e fu negata l' istruzio­ ne in lingua russa nelle scuole, ciò ha finito per marginalizzare la lingua russa solo alla sfera privata (sebbene la maggior parte della popolazione ancora og­ gi preferisca parlare in russo negli affari della vita quotidiana). La questione della lingua divenne, perciò, la principale sfida all'unità e ali' integrità del paese. I due gruppi linguistici hanno cominciato a dividersi in due società parallele con obiettivi sempre più divergenti. L'apice di questo processo si è raggiunto durante il cosiddetto Euromaidan (cfr. riquadro

1.3),

quando i manifestanti nelle piazze di Kiev erano di lingua ucraina, in una città russofona.

I.S

L'Ucraina in crisi: dall'Euromaidan alla perdita della Crimea Secondo il punto di vista occidentale, la crisi ucraina è stata originata dal ten­ tativo degli ucraini di liberarsi dal centenario giogo coloniale russo, mentre Mosca, al contrario, cercava di opporsi in ogni modo: pertanto solo nel mo­ mento in cui l' Ucraina sarà libera, i valori europei trionferanno a Kiev. Un

24

I.

' DALLA DISGREGAZIONE DELL URSS ALLA CRISI UCRAINA

equivoco simile ha caratterizzato le politiche europee occidentali verso la Ju­ goslavia, nella fase della sua dissoluzione, quando i movimenti secessionisti sloveno e croato erano visti come il tentativo delle due comunità di liberarsi dal dispotismo orientalista serbo. Non appena la Slovenia e la Croazia si fos­ sero autodeterminate, queste sarebbero rientrate nell'alveo della civiltà euro­ pea. È pur vero, in effetti, che entrambi i paesi, oggi facenti parte dell'uE, si sono pienamente inseriti nella scia delle politiche scioviniste, xenofobe e raz­ ziste che caratterizzano le società europee contemporanee. L'equivoco maggiore da parte degli occidentali rispetto alla questione dell'autodeterminazione avanzata nelle società post-comuniste europeo­ orientali risiede nell'idea che tali processi possano essere veicoli di promo­ zione della democrazia e dei diritti civili (o umani), sebbene il nazionalismo che caratterizza i movimenti secessionisti non possa essere portatore di alcun valore democratico, essendo per definizione il nazionalismo una categoria escludente e assertiva/omologante. Durante l'Euromaidan, l'atteggiamento occidentale ha contribuito a in­ coraggiare Kiev nell'assunzione di posizioni inflessibili che hanno cavalcato l'onda delle proteste e ha contribuito, in definitiva, alla perdita della Crimea e all'avvento della guerra civile nel Sud-Est dell'Ucraina. In maniera simile, quando la Croazia dichiarò la propria indipendenza nel I99I, il sostegno oc­ cidentale accentuò la rigidità delle posizioni croate verso la minoranza serba, contribuendo alla guerra civile in Krajina e Slavonia. Russi e ucraini non rappresentano due gruppi con caratteristiche distin­ tive così definite, come può essere per le altre minoranze del paese. Infatti, russi e ucraini contemporanei (perlomeno gli abitanti dei territori dell'Im­ pero zarista, comunque la maggioranza dell'Ucraina odierna) sono originati da comunità con le stesse identità (ortodossi), dove le differenze fra Grandi russi (russi) e Piccoli russi (ucraini) sono presenti a livello locale e non defini­ scono le due comunità su base etnica. Pertanto, sarebbe più corretto definire quella russa, al pari di quella ucraina, come nazione costituente dell'Ucraina (nei confini del20I3), anziché come minoranza (cosa peraltro percepita dai russi nella fase di costruzione dell'Ucraina indipendente). Dal canto suo, il governo ucraino ha legittimato le organizzazioni rus­ sofobe anche attraverso la loro cooptazione nelle strutture istituzionali. Ad esempio, il comando della polizia del distretto di Kiev è stato affidato al vi­ cecomandante del battaglione "Azov", noto per l'uso di una simbologia nazi­ sta (lo stesso accadde in Croazia, con l'uso della simbologia fascista di Ante Pavelié, da parte dei militanti nazionalisti). Diversi estremisti nazionalisti so­ no stati eletti in Parlamento o sono divenuti membri importanti del Gabi-

FRANCESCO PRIVITERA

netto, come lo stesso primo ministro Jacenjuk, il quale ha contribuito a isti­ gare un'isteria antirussa nel paese. Fra l'altro, l'istigazione ad atteggiamenti etna-nazionalisti è stata promossa attraverso regolari processioni notturne, in diverse città del paese, incluse Kiev e Odessa, illuminate dalle torce (con l'assoluta tolleranza del governo), i cui slogan «gloria alla nazione, morte ai nemici», «l'Ucraina al disopra di tutto» si rifanno a quelli usati dai nazio­ nalisti ucraini durante l'occupazione nazista. A ogni modo, è evidente che la polarizzazione in Ucraina è stata origina­ ta dalla manipolazione politica delle due principali questioni: lo status della lingua russa e la collocazione geopolitica (a Ovest o a Est). Non a caso, il pre­ testo per l'avvio delle manifestazioni di massa dell'autunno2013 è stato la de­ cisione diJanukovyc di rinviare la firma dell'accordo di associazione e libero scambio con la UE. Coerentemente, la prima questione discussa in Parlamen­ to il giorno della defenestrazione diJanukovyc, il22 febbraio2014, è stata l'a­ brogazione della legge liberale Kolesnichenko-Kivalov sulla lingua, che cer­ cava di ridare dignità linguistico-culturale ai russi, e la conseguente protesta delle regioni sud-orientali, poi chiamata "la primavera russa". Infine, un'altra questione divisiva si è aggiunta alle due precedenti nella società ucraina, ossia la riforma della struttura dello Stato o in senso unitario o in senso federale.

1.6

L' Ucraina: uno Stato fragile Dal momento della sua indipendenza, l'Ucraina è stato uno dei paesi peggio governanti in Europa, soggetta a oligarchie rapaci organizzate in un precario equilibrio di potere dal presidente Kuchma. Tuttavia, come spiega corretta­ mente Andrew Wilson, l'Ucraina non è uno Stato autosufficiente, bensì uno "Stato redditiere': cioè basato sulla rendita delle proprie esportazioni, ma pri­ vo delle risorse energetiche di cui dispone la Russia, ad esempio. È un paese di transito di materie prime ed energia e dispone di una propria industria chi­ mica e dell'acciaio fortemente sovvenzionata dallo Stato. Ciò significa che l'Ucraina ha sufficienti rendite per una élite corrotta, ma non abbastanza per definire un patto sociale con l'insieme della società, come ad esempio in Rus­ sia o, anche grazie alle sovvenzioni russe, in Bielorussia. Durante l'epoca sovietica, l'economia dell'Ucraina era la seconda più grande dell'uRSS, essendo la Repubblica un importante produttore agricolo e industriale nel sistema pianificato. Con la dissoluzione dell'uRSS, l'Ucrai­ na passò all'economia di mercato: la transizione fu piuttosto difficile per la

I.

' DALLA DISGREGAZIONE DELL URSS ALLA CRISI UCRAINA

maggior parte della popolazione, che si trovò in uno stato di povertà a causa della contrazione dell'economia ucraina che caratterizzò gli anni immedia­ tamente successivi. In questo contesto, è stato facile per gli oligarchi, orga­ nizzati su base regionale, costruire dei sistemi di patronato, esacerbando le questioni nazionali per controllare i rispettivi elettorati, rimanendo però in un precario equilibrio garantito attraverso la redistribuzione delle risorse me­ diata dalla Presidenza. Tuttavia, il presidente Janukovyc non è stato in grado di mantenere e preservare questa situazione a causa degli effetti della crisi fi­ nanziaria che ha investito l'Europa nelwo8 e che ha diminuito le rendite di­ sponibili per gli oligarchi accentuandone la competizione. Ciò ha finito per produrre un aumento della corruzione e della frode politica, in una lotta sen­ za quartiere che ha ulteriormente predato le limitate risorse del paese. Poiché nel2007 erano stati avviati, durante la presidenza Yuschenko, i negoziati per l'accordo di associazione con la

UE,

questi dopo un iter piuttosto travagliato

erano, infine, giunti alla firma nel2012.

1.7

Conclusioni: la "balcanizzazione" dell' Ucraina La prospettiva dell'accordo con la UE offriva l'opportunità agli oligarchi del­ la Riva destra di candidarsi a essere la nuova élite occidentale, a cui sarebbe stata garantita una posizione di predominio con l'eventuale ingresso nella UE e nella

NATO.

Al contrario, gli oligarchi russofoni della Riva sinistra, consa­

pevoli della loro sconfitta politica ed economica, si appellarono alla prote­ zione della Russia. Putin ha spesso descritto l' Ucraina come uno "Stato artificiale': i cui con­ fini sono mutati diverse volte durante il xx secolo, tuttavia russi e ucraini so­ no, sempre secondo Putin, lo stesso popolo, con radici comuni e un comune destino. Ciò significa che, nella percezione ufficiale russa, non può esistere un destino ucraino al di fuori di un rapporto stretto con la Russia, la quale assurge (sempre nella visione di Putin) a luogo di civilizzazione di fronte ai costumi decadenti dell'Occidente. Il controllo sull'Ucraina è quindi fonda­ mentale per Mosca per riaffermare il proprio status di potenza, perlomeno regionale, ma è anche una componente importante dell' identità nazionale (garantita dalla Chiesa ortodossa) quale simbolo dell'esperienza storica uni­ taria delle tre popolazioni slave, cominciando dalla Rus' di Kiev, attraverso la Russia zarista e l'uRSS, fino all'Unione economica eurasiatica, quale ultima "casa" naturale.

2.7

FRANCESCO PRIVITERA

Putin è giunto al potere subito dopo i bombardamenti della

NATO

in

Serbia (1999 ) e l'intervento militare occidentale deciso per garantire la futu­ ra indipendenza del Kosovo ( wo8 ) . Subito dopo, la prima delle "Rivoluzio­ ni colorate o arancioni" ( sostenute dagli occidentali ) avrebbe disarcionato definitivamente Milosevié dal potere. Putin ha costantemente sostenuto la mancanza di un principio internazionale per il riconoscimento dell' indipen­ denza del Kosovo e di conseguenza ha giustificato l'annessione della Crimea con gli stessi parametri utilizzati dall'Occidente nel caso kosovaro. Allo stesso modo, le Rivoluzioni arancioni sono state percepite da Mosca come "orchestrate" dall'Occidente (così come le proteste di massa in Russia nel2o11, contro il regime di Putin) per penetrare la sfera di influenza russa e ribaltare la situazione politica interna a sfavore di Putin. Anche la crisi ucrai­ na e l'Euromaidan sono stati perciò percepiti da Mosca come il tentativo di estromettere la Russia dalla regione e aprire una crisi interna alla stessa Russia. Ciò che appare una novità nell'ambito della crisi ucraina è, tuttavia, l'et­ nicizzazione del conflitto, la quale rappresenta, però, dal punto di vista del na­ zionalismo ucraino, la "naturale" conclusione del percorso di "ucrainizzazione" avviato circa venti anni fa. Dal punto di vista russo, la necessità di rafforzare il principio identitaria, così come avvenuto nel caso dei serbi e dei croati nelle aree miste della Croazia o della Bosnia-Erzegovina ha comportato una radicalizza­ zione nazionalista, i cui effetti comportano inevitabilmente l'uso della violenza, anche nelle forme più estreme ( il genocidio, come nel caso di Srebrenica ). Indipendentemente, quindi, dal fatto che il presidente Poroshenko abbia firmato gli Accordi di associazione con la

UE

e la Russia sia stata posta sotto

embargo commerciale a causa dell'annessione della Crimea ( peraltro succes­ siva a un referendum ampiamente filorusso) , tale etnicizzazione non può che produrre una crisi di lunga durata. Difficilmente ricomponibile e capace di produrre una divisione fra le due comunità non più risanabile, tale crisi sta già lasciando l'Ucraina nelle condizioni di non poter più esercitare alcuna sovranità reale nelle regioni del Donbass, ora controllate dai russi.

Letture consigliate BIANCHINI

s.

(2017 ), Liquid Nationalism and State Partitions in Europe, Edward

Elgar Publishing, Cheltenham.

(1996), A History ofUkraine, University ofToronto Press, Taranto. (1999), The Ukrainian Resurgence, Hurst, London. P IKULICKA-WILCZEWSKA A., SAKWA R. (2015), Ukraine and Russia: Peop/e,

MAGOCSI P. R. NAHAYLO B.

Politics, Propaganda and Perspective, E-International Relations Publishing, Bristol.

2

Origini ed evoluzione del nazionalismo cinese: dal "secolo delle umiliazioni" alla "grande rinascita" di XiJinping di Andrea Passeri*

2.1

Introduzione

Se l'accidentata storia del genere umano può essere descritta a partire dalle maggiori trasformazioni - tanto tangibili quanto immateriali - che hanno segnato una data epoca, allora non vi è dubbio che il concetto di nazio­ nalismo rientri a pieno titolo in quella cerchia ristretta di idee capaci di riscrivere le regole dell'agire collettivo, identificando un rinnovato rappor­ to fra individuo e società e propagandosi a macchia d'olio su scala globale grazie alla potenza dirompente dei propri assiomi. Sorta in Europa sulla scia dell'affermazione dello Stato post-vestfaliano, l'ideologia nazionalista incarna infatti una forza motrice di primaria importanza utile non solo a comprendere il cammino storico e politico del vecchio continente, ma an­ che il percorso di sviluppo e le contraddizioni emerse nel corso del

xx

se­

colo in aree molto lontane rispetto alla sua culla originaria, come nel caso dell'Asia orientale. A tali latitudini, non a caso, la potente affermazione di un paradigma così rivoluzionario, che si pone a difesa dell'identità comu­ ne, dell'unità e dell'autonomia di una data popolazione quale nucleo cen­ trale e primigenio dell'idea stessa di nazione, innesca una serie di impetuosi stravolgimenti, destinati ad abbracciare il corso di tutto il Novecento. Gli ideali nazionalisti, pertanto, lasciano la propria impronta su fenomeni di primaria importanza quali il crollo dell'Impero Celeste, la successiva tran­ sizione in senso statuale della Cina, l'ascesa di un Giappone fortemente Research Fellow e professore a contratto di Democrazie e autoritarismi in Asia all'U­ niversità di Bologna. •

ANDREA PASSERI

militarista a cavallo delle due guerre mondiali e l'avvio del processo di de­ colonizzazione, destinato a ridisegnare totalmente la mappa della regione. Il caso cinese, più in dettaglio, non può che confermare l'impatto dirompente sprigionato dalla diffusione di tale sistema di credenze pres­ so civiltà che, sino a quel momento, avevano scarsissima familiarità con concetti d'estrazione occidentale come quelli di nazione, Stato, razza e cittadinanza. Sin dallo scoppio delle Guerre dell'oppio

6o ) ,

(1839-42

e

x8s6-

che certificano il traumatico contatto fra le popolazioni dell'Asia

orientale e le grandi potenze europee, la traiettoria del nazionalismo ci­ nese diviene quindi una fondamentale cartina di tornasole per svelare i profondissimi mutamenti occorsi nel paese sia durante la breve paren­ tesi repubblicana

(1912-49 ) ,

sia a seguito della vittoria dei comunisti e

dell'affermazione della leadership maoista. Relegato in una condizione di temporaneo oblio negli anni di dominio incontrastato del marxismo­ leninismo e della dialettica basata sulla lotta di classe quali unici ancorag­ gi filosofici della neonata Repubblica popolare cinese

( RPC ) , il filo rosso

nazionalista torna poi a dipanarsi con chiarezza alla scomparsa di Mao Zedong, marchiando pagine epocali della storia della Cina contempora­ nea quali le travolgenti riforme di Deng, i sollevamenti di Tienanmen e la spettacolare rinascita economica e geostrategica sperimentata da Pechino al volgere del nuovo millennio. In virtù della rilevanza e attualità della tematica, le pagine che seguo­ no offrono dunque un breve excursus riguardo la genesi, l'articolazione e la successiva evoluzione della narrativa nazionalista cinese, volto a valuta­ re l'impatto e le ripercussioni più eminentemente politiche del fenome­ no, riguardanti le scelte e le condotte delle autorità locali all'interno di dimensioni di grande importanza come quella della politica estera e della promozione degli interessi nazionali. La trattazione, in particolare, si fo­ calizzerà su tre periodi di grande splendore nel quadro dell'accidentato incedere storico degli ideali nazionalisti locali, rappresentati dalla fase embrionale

(1839-1919)

che sfocia nel collasso di un impero millenario;

dalla stagione del post-Tienanmen

(1989-2002)

che conduce alla siste­

matica revisione delle basi di legittimazione della

RPC

e all'affermazio­

ne di un nazionalismo di Stato generalmente pragmatico e reattivo; ed, infine, dalla congiuntura attuale segnata dalla presidenza di Xi Jinping e dal lancio del manifesto patriottico ed eccezionalista centrato attorno all'idea del "sogno cinese", orientato a rinverdire i fasti e il prestigio di un tempo e a riproiettare la Cina in una posizione di assoluta centralità all'interno della comunità internazionale.

30

2.

ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL NAZIONALISMO CINESE

2.2

Umiliazione, difesa e riscatto: genesi e diffusione degli ideali nazionalisti cinesi (1839-1919) Come già accennato, gli anni a cavallo fra la prima e la seconda metà dell'Ottocento incarnano un momento spartiacque per la storia dell'in­ tera Asia orientale, segnando la definitiva integrazione della regione in un sistema internazionale dominato dalle grandi potenze europee e dai pre­ cetti politici e filosofici sviluppatisi a Occidente. Si tratta dell'incontro, o per meglio dire dello scontro, fra due mondi estremamente diversi fra loro, che sino a quel punto avevano intrattenuto relazioni essenzialmente spo­ radiche ed episodiche. Come conseguenza dell'avvio della cosiddetta "di­ plomazia delle cannoniere': che mira all'apertura forzosa dei porti asiatici al commercio internazionale, le civiltà indigene vengono quindi esposte per la prima volta a un contatto sistematico e continuativo con i costumi, la cultura e la filosofia dei colonizzatori stranieri, assorbendo gradualmen­ te le nozioni di Stato, nazionalismo e democrazia, come pure i cardini del metodo scientifico affermatosi in Europa. In quest'ottica, lo scacco subito dall'Impero Celeste durante le Guerre dell'oppio sancisce la netta superio­ rità delle potenze europee sia sul piano militare e tecnologico sia sul fronte ideologico, organizzativo e amministrativo, inaugurando un periodo estre­ mamente buio e doloroso che è ancora oggi ricordato nella storiografia ci­ nese con l'appellativo di "secolo delle umiliazioni". Relegati in uno stato di cocente subalternità rispetto ai diktat e ai "trattati ineguali" imposti dalle potenze occidentali, sia il Giappone Mei­ ji che la Cina dei Qing si spendono perciò in questa fase - seppur con gradazioni ed esiti differenti - per mutuare le epocali innovazioni prove­ nienti dall'esterno, adattandole alle specificità locali al fine di costruire degli ordinamenti nazionali più solidi e moderni, fondati su paradigmi per molti versi alieni alla tradizione asiatica quali quelli di nazione, razza e cittadinanza. Nel caso cinese, tuttavia, l'ambizione di forgiare tali isti­ tuzioni si scontra con la necessità di stringere un nuovo patto collettivo fra governanti e governati, fondato su basi di legittimazione del tutto ine­ dite. L'obbedienza e il senso di appartenenza dei cittadini all'interno di un gruppo regolato da precisi diritti e doveri, che in epoca imperiale veni­ vano assicurati sulla base del profondo primato culturale detenuto dalla civiltà sinica, iniziano dunque a essere declinati in termini di nazionalità, mentre l'obiettivo ultimo diviene la creazione di un organismo statuale in grado di proteggere la propria popolazione e il proprio territorio. In

31

ANDREA PASSERI

molti, all'interno di un impero che fino ad allora si era configurato come una comunità culturale alquanto inclusiva verso popolazioni esterne de­ cise a riconoscere la superiorità della civiltà autoctona, anelano con sem­ pre maggior forza a fare della Cina una vera comunità politica, o, in altri termini, una nazione. Durante la parabola terminale dell'Impero Celeste, i governanti Qing si trovano quindi stretti nella duplice morsa incarnata, da un lato, dalla divisione del territorio nazionale in svariate sfere d' influenza asse­ gnate alle maggiori potenze straniere, e, dall'altro, dalle spinte popolari volte a emulare esempi e modelli provenienti da Occidente. Una sfida ulteriore si staglia, peraltro, all'orizzonte, rappresentata dall'emersione senza precedenti di un antagonista pronto a contendere la palma di pri­ mo attore della regione. Con la vittoriosa condotta nel corso della Pri­ ma guerra sino-giapponese

(1894-95),

infatti, il Giappone Meiji sottrae

la penisola coreana a un plurisecolare rapporto di vassallaggio a beneficio della Cina, dando dimostrazione di aver assorbito le trasformazioni e le innovazioni dell'epoca con maggiore prontezza e pragmatismo rispetto alla corte imperiale. Al volgere del secolo, le disfatte militari subite a ri­ petizione dall'esercito cinese acuiscono la rabbia e lo sdegno della popo­ lazione sia verso i colonizzatori stranieri sia verso una forma di governo che appare ormai fin troppo immobile e anacronistica. In un rapido suc­ cedersi di eventi, si registra dapprima lo scoppio della "rivolta dei Boxer "

(1900), un'ondata di sollevazioni violente contro la presenza occidentale nel paese che presenta chiari tratti sciovinisti, al quale succede il definiti­ vo collasso della dinastia imperiale e la creazione, nel blica di Cina

( RDC ) ,

1912,

della Repub­

guidata dai nazionalisti del Kuomintang

( KMT ) .

Il

territorio cinese, tuttavia, scivola in uno stato di totale caos e frammen­ tazione caratterizzato dalla nascita di numerosi potentati locali dominati da vari "signori della guerra", prestando il fianco alla definitiva discesa nel baratro della guerra civile e di un'invasione su larga scala della madrepa­ tria cinese, che si concretizzeranno in modo contestuale durante il perio­ do della Seconda guerra sino-giapponese

(1937-45).

Formalmente sdoganati dai dirigenti del

KMT

come Sun Yat-sen e

Chiang Kai-shek, gli ideali nazionalisti conoscono in questa fase un perio­ do di significativa fioritura, testimoniata dall'emergere di due fenomeni ul­ teriori. Il primo riguarda il movimento della "Nuova Cultura': che a cavallo delle prime due decadi del Novecento unisce una fetta importante degli intellettuali cinesi facendosi promotore di una più convinta emulazione dei modelli di Stato-nazione incarnati dalle potenze europee. Grazie alla

32

2.

ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL NAZIONALISMO CINESE

proliferazione di nuovi giornali e pubblicazioni pensate per una diffusio­ ne di massa, come il periodico "Nuova Gioventù': slogan e parole d'ordine a forti tinte patriottiche possono quindi raggiungere un pubblico sempre più ampio, gettando le basi per il vero apogeo di questa prima fase dell'oro nella storia del nazionalismo cinese, rappresentato dalle sollevazioni occor­ se a Pechino il 4 maggio I9I9, e poi propagatesi a macchia d'olio in molti altri centri del paese. Il cosiddetto "Movimento del 4 maggio': infatti, in­ carna la più sistematica e compiuta denuncia della società locale rispetto al trattamento iniquo riservato alla Cina dagli attori occidentali lungo tutto il "secolo delle umiliazioni': ed emerso nuovamente in occasione della sti­ pula del trattato di Versailles, volta a ridisegnare la mappa globale dopo gli sconvolgimenti della Grande Guerra. Nell'occasione, la RDC vede frustrate le proprie ambizioni di rimpossessarsi dello Shandong, che passa dai te­ deschi ai nipponici, ma gli eventi di piazza che si propagano sul territorio dimostrano che il germe di una coscienza nazionale è stato ormai seminato presso una folta schiera di giovani cinesi.

2.3 La "quinta modernizzazione"? Il nazionalismo di Stato diJiang Zemin (1989-2002) Il trentennio che intercorre fra gli eventi innescati dal "Movimento del 4 maggio" e l' instaurazione della

RPC

nell'ottobre del I949 segna, per mol­

ti versi, la fase più buia e dolorosa della storia moderna cinese. Dopo aver patito il trauma e il senso di smarrimento derivanti dal rapido collasso di un impero antichissimo e dal sostanziale fallimento della breve esperien­ za repubblicana, la popolazione locale deve infatti fronteggiare una nuo­ va e duplice minaccia, rappresentata dall'invasione su larga scala del paese scatenata dai nipponici a partire dal I937, a cui si assomma poco dopo lo scoppio di una drammatica guerra civile combattuta fra comunisti e nazio­ nalisti. Si tratta di un momento di crisi fondamentale, tanto per forgiare e temprare ulteriormente l' ideale di una nazione cinese in cerca di riscatto, quanto per incamminarsi verso la definitiva archiviazione del "secolo delle umiliazioni". La vittoria di Mao, in questo senso, conduce al deciso abban­ dono della mentalità vittimistica che aveva caratterizzato i governi locali sin dalla metà dell'Ottocento, a cui si sostituisce un messaggio molto espli­ cito: il popolo è pronto a risollevarsi, guidato dal Partito comunista cinese

33

ANDREA PASSERI

( Pcc ) quale avanguardia verso l' instaurazione di un socialismo finalmente compiuto. Come conseguenza dell'adozione di una variante autoctona del marxismo-leninismo in qualità di unico ancoraggio filosofico del nuovo corso, la stagione maoista

(1949-76) registra perciò

una netta presa di di­

stanze degli organi ufficiali dalle parole d'ordine nazionaliste, sebbene lo stesso "timoniere" conserverà, durante tutta la sua lunga parabola politica, diversi tratti associabili a questa ideologia. Con la scomparsa di Mao, tuttavia, si apre un periodo di colossali trasformazioni, sia in Cina sia in ambito internazionale, a cui fanno pre­ vedibilmente seguito forti tensioni politiche e sociali, capaci di riportare in auge gli slogan nazionalisti dopo una lunga parentesi di clandestinità. Il fattore scatenante di tale processo è senz' altro rappresentato dal dispie­ garsi della storica politica di "riforma e apertura" voluta Deng Xiaoping e dalla nuova generazione di quadri cinesi. In ossequio al manifesto delle "Quattro modernizzazioni", Pechino apre la porta al mondo esterno, fa­ vorendo gli scambi economici e gettando le basi per l'ascesa dei decenni successivi. Al contempo, l'ideologia ufficiale inizia a mostrarsi sempre più inadatta a interpretare i grandi cambiamenti occorsi tanto al di fuo­ ri del paese quanto nella società cinese, che anela a una liberalizzazione degli spazi politici commisurata alle riforme realizzate nella sfera econo­ mica. Di lì a poco, il crollo sovietico, la fine dell'era bipolare e gli scontri di piazza Tienanmen mettono violentemente a nudo la profonda crisi di legittimazione del potere centrale, ormai incapace di assicurarsi il soste­ gno, l'obbedienza e la fedeltà della popolazione. La risposta di Pechino in questo momento di pericolo imminente per l'ordine e le istituzioni eret­ te nel

1949,

pertanto, mette in moto quella che può essere definita come

una "quinta modernizzazione", destinata a riplasmare l'apparato ideolo­ gico e l' identità stessa della

RPC.

Diversamente da quanto auspicato da

ampie porzioni della società civile, che vi vedevano un'opportunità per un'evoluzione in senso democratico dell'ordinamento interno, il manife­ sto filosofico introdotto dal regime nel post-Tienanmen identifica infatti nel nazionalismo, e nella sua variante "di Stato': la nuova stella polare che guiderà la Cina verso una piena riaffermazione. Sotto la leadership di]iang Zemin

(1989-2002), il partito cessa dun­

que di presentarsi alle platee domestiche come la mera avanguardia del proletariato locale, cominciando a dipingersi come il "più fermo e infles­ sibile patriota", in grado di difendere e promuovere gli interessi dell'in­ tera nazione cinese: è la cosiddetta "teoria delle tre rappresentanze", che assurgerà al rango di lascito principale della terza generazione di quadri

34

2.

ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL NAZIONALISMO CINESE

del Partito. Anche la storia viene perciò piegata ai fini politici delle au­ torità centrali: parte della strategia, non a caso, risiede nella riscoperta e celebrazione del ruolo salvifico giocato dal PCC nel condurre alla caccia­ ta tanto dell'invasore nipponico quanto della corrotta classe dirigente del Kuomintang, restituendo una dignità ormai perduta a tutta la popo­ lazione. In linea con una simile visione, il fulcro operativo del progetto di nazionalismo di Stato firmato da Jiang viene identificato nelle scuole cinesi, e, più in dettaglio, nell'attuazione delle "campagne di rieducazio­ ne patriottica", volte a rinsaldare il fervore nazionalista delle generazioni più giovani e il legame fra popolo e istituzioni (cfr. riquadro 2.I ) . In ag­

giunta, un corollario centrale della rinnovata narrativa sposata dai vertici della Repubblica popolare vede nel Partito il solo veicolo per riportare la Cina al rango che le spetta, così da chiudere definitivamente con i trau­ mi e le ferite del passato. Di conseguenza, il concetto di rinascita della nazione sinica acquisisce, all'alba del nuovo millennio, un'enfasi e uno spazio sempre maggiore nei programmi e nelle dottrine implementate dai quadri apicali del regime, mentre i ritmi di crescita esibiti dal paese sembrano corroborare la fiducia e il senso di missione dei leader cinesi. Ciò nonostante, quella del nazionalismo di Stato è - almeno in que­ sta fase - una scelta sostanzialmente pragmatica e agnostica, adottata in una congiuntura di ricerca disperata di un inedito collante ideologico e che non scalfisce il carattere reattivo e generalmente conciliante del­ la politica estera di Pechino. Fra il maggio del I999 e l'aprile del 200I, infatti, la

RPC

deve far fronte a due insidiose crisi diplomatiche con gli

Stati Uniti - ossia un bersaglio preminente del nazionalismo cinese -, determinate, nel primo caso, dal bombardamento accidentale dell'am­ basciata cinese a Belgrado durante le operazioni militari

NATO

nell'ex

Jugoslavia, e, nel secondo, dalla collisione fra un velivolo cinese e un ae­ reo-spia statunitense sopra i cieli dell'isola di Hainan. In ambo le circo­ stanze, le autorità di Pechino si spendono per contenere e disperdere le manifestazioni popolari di protesta a chiare tinte scioviniste e antiocci­ dentali che prendono piede in varie città, attivate da una società civile che dimostrava così di aver fortemente interiorizzato le campagne pa­ triottiche dei primi anni Novanta. Con Washington, pertanto, si giunge a una composizione negoziata di entrambe le crisi, sebbene il crescente attivismo di costituencies e gruppi sociali a chiara vocazione nazionalista, nel tentare di influenzare le condotte del governo, incarni un importan­ te campanello d'allarme destinato a materializzarsi con accresciuto vigo­ re negli anni a venire.

35

ANDREA PASSERI

RIQ_UADRO 2..1

Le campagne di educazione patriottica Le "campagne di educazione patriottica': che incarnano il tentativo più sofistica­ to della leadership cinese di arginare la crisi dell'ideologia ufficiale del post-T ie­ nanmen, fanno la loro prima comparsa nell'agosto del 1991 e si pongono come obiettivo finale quello di favorire e alimentare un nuovo senso di identificazione fra governanti e governati. Si tratta, pertanto, della manifestazione più esplicita dell'adozione del nazionalismo di Stato come architrave principale delle strate­ gie di costruzione del consenso pubblico implementate dal PCC in una fase di tu­ multuosi cambiamenti sia all'interno del paese che nello scenario internazionale, mediante il dispiegamento di un'agenda d'iniziative assai composita e concepita per presentare il regime al comando quale unico salvatore e protettore della nazio­ ne cinese dopo i traumi del "secolo delle umiliazioni". A tale scopo, le campagne identificano un bersaglio principale - rappresentato dalla gioventù locale - e una metodologia di riferimento, votata a riscrivere e reinterpretare la storia recente della Cina in chiave politica e propagandistica. Nell'estate del 1991, infatti, vengono adottate su impulso dello stesso Jiang Zemin due circolari concernenti, da un lato, la valorizzazione di monumenti e siti storici per finalità di "educazione patriottica': e, dall'altro, il rafforzamento dei curriculum scolastici dedicati allo studio della storia moderna e contempora­ nea cinese, con un'enfasi particolare sull'evoluzione delle "condizioni nazionali" sperimentate dalla popolazione locale nel corso di un travagliatissimo Novecento. Da un punto di vista concreto, la riforma nell'insegnamento delle materie storiche investe rapidamente tutti i livelli dell'architettura scolastica domestica, dalle scuole materne ai gradi più avanzati della carriera universitaria. Secondo il piano d'azione redatto dal Comitato centrale del Partito nel 1994 sotto il nome di "Programma d'implementazione dell'educazione patriottica': simili sforzi devono dunque servire da tonico e collante per una coesione nazionale che appare sempre più fragile, ma anche per risvegliare un senso di orgoglio e riscatto in un popolo che percepiva di essere stato lungamente vilipeso e tenuto in scacco da forze ester­ ne. La retorica antimperialista e antioccidentale torna perciò prepotentemente d'attualità, anche per veicolare verso l'esterno una serie di tensioni sociali innesca­ te con l'avvio delle Quattro modernizzazioni. Di conseguenza, i nuovi programmi e testi storici adottati dal ministero dell'Educazione cinese sostituiscono la tradi­ zionale narrativa marxista che si focalizzava sul trionfo del PCC nel quadro della lotta di classe che lo oppone, negli anni Trenta e Quaranta, alle forze borghesi e reazionarie del Kuomintang, con un accento crescente dedicato al suo ruolo di avanguardia per la difesa della nazione durante l'invasione giapponese, rimarcan­ do ancora una volta le responsabilità straniere nei parimenti subiti dalla Cina e i meriti del Partito nel porre fine a questa condizione di subalternità. Accanto alla revisione dei manuali di storia e al potenziamento dei piani di studio, le campagne

2. ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL NAZIONALISMO CINESE

innescano anche un processo di riscoperta di siti e monumenti dedicati al passato, per mezzo di visite guidate a cui si prestano decine di migliaia di interlocutori fra istituti scolastici, aziende e altri enti pubblici locali. Ad esse, infine, si accompa­ gna un'ambiziosa strategia che strizza l'occhio ai nuovi media e alle generazioni più giovani, mediante forme di sovvenzionamento pubblico per lungometraggi, canzoni e libri atti a celebrare il tema del patriottismo. Al netto di simili sforzi, le "campagne di educazione patriottica" possono dunque essere inquadrate come un esperimento sin troppo riuscito in termini di creazione di nuovi gruppi e segmenti demografici imbevuti di una forte retorica nazionalista, e capaci di influenzare con sempre maggiore efficacia le scelte e la pastura dei successori di Jiang al vertice della macchina statuale cinese.

2.4 Verso la grande rinascita: il "sogno cinese" promesso da XiJinping (2007-17) Se, come evidenziato nelle pagine precedenti, il nazionalismo cinese nasce sul finire dell'Ottocento come un processo "dal basso': che tenta di scar­ dinare un ordine fin troppo conservatore e si conquista progressivamente il mondo degli intellettuali e della politica, per poi conoscere una nuova età dell'oro quasi un secolo più tardi come esempio prettamente top-down di ristrutturazione delle basi di legittimazione del regime, vi è una terza e più recente fase nell'evoluzione storica del fenomeno portatrice di rile­ vanti novità, e di altrettanto significative ripercussioni per l' immagine do­ mestica e internazionale della Cina. Numerosi indizi, infatti, inducono a ritenere che la graduale deriva nazionalista intrapresa nel post-Tienanmen dal governo di Pechino, al fine di fornire una stampella per il traballante consenso del Partito, abbia attecchito fin troppo efficacemente, tanto fra i ranghi più giovani dell'establishment, che hanno nel frattempo guadagnato il proscenio con l'ascesa della quinta generazione di leader cinesi, quanto nell'opinione pubblica locale. Come conseguenza, gli organi ufficiali pro­ fessano una sempre più convinta adesione a slogan e dottrine dal carattere sempre più assertivo ed eccezionalista, anche per incanalare verso l'esterno una serie di tensioni sociali che covano all' interno del paese, mentre seg­ menti sempre più ampi della popolazione, indottrinati dalla retorica delle campagne patriottiche dei decenni precedenti, criticano con crescente ve­ emenza la presunta debolezza del governo nel promuovere gli interessi e le ambizioni di rivalsa della nazione cinese. Il collante sociale adottato con spirito pragmatico a metà degli anni Novanta, in altri termini, si è progres-

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ANDREA PASSERI

sivamente trasformato in un boomerang assai pericoloso per le autorità, che sentono il peso montante di doversi conformare alle aspettative popolari mediante lo sfoggio di una diplomazia unilaterale e aggressiva, volta a ripri­ stinare la centralità e il prestigio di un tempo. Le radici di questa ennesima metamorfosi del nazionalismo cinese sono essenzialmente due. La prima ha una matrice esterna e sistemica, e riguarda la violentissima crisi finanziaria che si abbatte fra il 2007 e il 2008 sui gangli vitali dell'economia mondiale. Gli Stati Uniti e il continente europeo rappre­ sentano l'epicentro del sisma, mentre la Cina riesce a schermarsi efficacemen­ te e a guadagnare frazioni consistenti di potere relativo ai danni delle gran­ di potenze occidentali. Molto rapidamente, la percezione dominante che si diffonde sia fra i politici cinesi sia nel grande pubblico è che l'equilibrio delle forze e delle capacità materiali in ambito internazionale stia finalmente arri­ dendo a Pechino, e che anche il sorpasso sugli Stati Uniti sia ormai a portata di mano. I tempi sono dunque maturi per mettere definitivamente da parte la "politica del basso profllo" che aveva caratterizzato la politica estera della RPC

sin dall'epoca di Deng, in virtù di un rinnovato senso di fiducia e pro­

tagonismo nel reclamare una maggiore leadership in ambito globale, e nel richiedere dalla stessa comunità internazionale un riconoscimento inequi­ vocabile dello status di faro della crescita e modello di sviluppo consolidato dalla Cina nell'ultimo quarto di secolo. In questo quadro, lo stesso dispiega­ mento della strategia obamiana del Pivot to Asia-volta riaffermare la presen­ za diplomatica, economica e militare degli Stati Uniti nella regione dopo an­ ni di colpevoli distrazioni-viene percepita dall'establishment e dal pubblico locale come una mera campagna di contenimento volta a ostruire o ritardare l' inevitabile ascesa del paese, fornendo argomenti ulteriori ai fautori di una diplomazia più muscolare. Simili sviluppi, inoltre, forniscono un terreno assai fertile per la com­ parsa del secondo fattore alla base dei mutamenti più recenti del nazio­ nalismo sinico, ossia l'elezione alla presidenza di Xi Jinping al principio del 2013 e la materializzazione del suo manifesto politico centrato attorno all' idea del "sogno cinese': a sua volta incarnata dalla succitata immagine di rinascita e rigenerazione di un intero popolo dopo gli sconvolgimenti del secolo delle umiliazioni. Con l'affermazione di una nuova classe dirigente che professa un'adesione più spontanea ed emozionale agli ideali naziona­ listi rispetto ai propri predecessori, pertanto, si certifica una compenetra­ zione senza precedenti nella storia moderna della Cina fra istanze top-down e bottom-up orientate ad alimentare la nuova pastura del governo, sempre meno votata al compromesso e alla conciliazione in virtù di un piglio più

2.

ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL NAZIONALISMO CINESE

deciso nel perseguire gli interessi nazionali di Pechino. Ancora una volta, la gestione delle relazioni con i bersagli più ricorrenti del risentimento a sfon­ do storico nutrito dai cinesi-ossia Stati Uniti e Giappone-ha prodotto le conseguenze più vistose che si celano dietro tale evoluzione. Con i primi, il rinnovato senso di fiducia della RPC ha indotto i vertici dell'amministra­ zione Xi a domandare l' instaurazione di un nuovo modello di relazione bilaterale fra le due superpotenze, finalmente fondato su una logica di as­ soluta parità ed eguaglianza. Le ripercussioni più nefaste, tuttavia, hanno riguardato l'andamento dei legami sempre più deteriorati sull'asse Tokyo­ Pechino, sulla scia dell'affermazione di due leadership esplicitamente na­ zionaliste come quella di Shinzo Abe e dello stesso Xi. Più nello specifico, l'influsso certamente controproducente di simili ideologie ha avuto modo di dispiegarsi lungo molteplici questioni e di­ rettrici, che spaziano dal dibattito sulla normalizzazione della politica di difesa nipponica al revisionismo storico che ha più volte caratterizzato l'azione di governo del premier Abe, abbracciando anche l'escalation di tensioni registratesi negli ultimi anni rispetto alla contesa di sovranità sino-giapponese per il controllo del mar Cinese orientale e dell'arcipela­ go delle Senkaku/Diaoyu. Questo clima, non a caso, ha fatto da sfondo alla recente impennata di incidenti, schermaglie e provocazioni recipro­ che che hanno pericolosamente frapposto i due giganti della regione, co­ me nel caso degli eventi che hanno fatto seguito, nell'aprile del2o12, alla decisione del Giappone di nazionalizzare alcuni fra gli isolotti al centro della disputa. Nell'occasione, e in netta controtendenza rispetto alle giù richiamate crisi del I999 e del 200I con gli

USA,

la risposta di Pechino è

apparsa infatti estremamente aspra e vigorosa, anche in virtù di un'on­ data di manifestazioni popolari senza precedenti che si è impadronita, al culmine della crisi, di numerose città cinesi, conducendo al danneg­ giamento di svariate proprietà nipponiche e a un'energica richiesta di ritorsioni nei confronti del governo. Condizionata dalle sollevazioni di piazza, l'amministrazione Xi ha quindi provveduto alla temporanea so­ spensione delle esportazioni verso il Giappone di terre rare, che rivestono un ruolo vitale per il mantenimento dell'industria nipponica, giungendo pochi mesi dopo sino ali' instaurazione di una zona di difesa e identifi­ cazione aerea (Air Defense Identification Zone,

ADIZ

)

sui cieli del mar

Cinese orientale. Tale reazione, che ha prodotto un visibile e pericoloso sfilacciamento dei legami e delle interazioni fra due paesi altamente in­ terdipendenti, testimonia quindi la rilevanza ormai assoluta del naziona­ lismo quale chiave di lettura primaria per interpretare e comprendere le

39

ANDREA PASSERI

scelte di Pechino, gettando un'ombra alquanto sinistra circa le prospetti­ ve future di pace e prosperità dell'Asia orientale.

2.S

Conclusioni Come già sottolineato nell'inaugurare e motivare la breve ricognizione sin qui condotta, quella del nazionalismo è una straordinaria lente d' ingran­ dimento che permette di osservare con grande nitidezza le epocali trasfor­ mazioni materiali e ideazionali sperimentate dalla Cina lungo un orizzonte temporale relativamente ristretto, che ha testimoniato il succedersi di quat­ tro forme assai diverse di Stato e di governo: quella imperiale, quella repub­ blicana, il regime socialista eretto a immagine e somiglianza di Mao fra il 1949 e il 1976, ed, infine, l'ordinamento ibrido e composito edificato a più

riprese alla morte del "Grande Timoniere" grazie a una commistione di ele­ menti dell'era precedente, di crescenti tratti capitalistici e di un altrettanto visibile riscoperta degli ideali di nazione. Attraverso il concetto di naziona­ lismo, come brillantemente ricordato dal sinologo Lucian Pye, una civiltà rinchiusasi fino a quel momento nello splendido isolamento che discende­ va dal suo stato di impareggiabile sviluppo e potere d'influenza su tutta la regione, impara infatti a ragionare e agire come Stato-nazione in compe­ tizione con altre entità statuali, all'interno di un'arena realmente globale. Si tratta di una lezione traumatica e dolorosa, che porta con sé un secolo intero di parimenti e sconfitte, fra cui si staglia il divorzio della "provincia ribelle" taiwanese e il progetto lungamente cullato da Pechino, e ancora incompiuto, di riunificazione del territorio cinese sotto un'unica bandiera. Ciò nonostante, gli slogan e le parole d'ordine di una narrativa nazio­ nalista che aveva tradizionalmente puntato su una rappresentazione vit­ timistica del paese quale bersaglio privilegiato dei tratti più deteriori del colonialismo occidentale vengono progressivamente interiorizzati e pa­ droneggiati dalla classe politica locale, al punto da guadagnare il massimo proscenio ali' indomani delle sollevazioni di Tienanmen. Con Jiang, come visto, la RPC, che tenta a tutti i costi di smarcarsi dal triste epilogo che ha se­ gnato il destino dei sovietici, si affida interamente a una nuova strategia di legittimazione e creazione del consenso, basata su un nazionalismo di Stato atto a celebrare il ruolo di guida del

PCC

nel condurre alla rinascita cinese.

Contestualmente, i ritmi di crescita travolgente toccati da Pechino a caval­ lo del nuovo millennio sembrano certificare che il momento del riscatto sia

40

2.

ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL NAZIONALISMO CINESE

finalmente alle porte, galvanizzando ulteriormente ampi strati della popo­ lazione che erano già stati esposti ai venti della nuova propaganda durante i primissimi anni Novanta. Su queste premesse, non a caso, si consuma l'ultima e più importante torsione del fenomeno in esame, incarnata dalla metamorfosi del naziona­ lismo cinese da stampella del regime d'ascendenza p rettamente verticistica, a spada di Damocle dei decisori politici locali alimentata da una conver­ genza di istanze top-down e bottom-up. Nell'era del "sogno cinese" di Xi Jinping, infatti, gli ideali di un patriottismo muscolare e militante taglia­ no trasversalmente tanto l'establishment della quinta generazione di leader quanto il grande pubblico, divenendo un fattore esplicativo non seconda­ rio per comprendere le scelte e le condotte del paese in chiave di proiezione esterna. In presenza di ferite storiche insolute, come nei rapporti con Stati Uniti e Giappone, questi sentimenti tendono a riemergere con particolare virulenza, spingendo le autorità centrali ad assumere approcci sempre più unilaterali anche a scopo di popolarità domestica, col risultato di danneg­ giare e limitare la proverbiale flessibilità che ha contraddistinto la diplo­ mazia cinese negli anni dell'ascesa pacifica e benigna. In tale contesto, il paradosso più pericoloso risiede nello scarto che divide oggi una larga fetta della comunità internazionale e un altrettanto consistente frazione dell'o­ pinione pubblica cinese circa la valutazione del primo quinquennio di po­ litica estera a firma Xi. Per la prima, ci troveremmo di fronte a un'indubbia svolta assertiva della pastura di Pechino, che necessita perciò di essere at­ tentamente monitorata, mentre gli esponenti della seconda paiono lamen­ tare l'esatto opposto, ossia un piglio ancora troppo debole e conciliante nei riguardi delle potenze occidentali, colpevole di non cavalcare fino in fondo il crescente strapotere politico, economico, militare e culturale consolida­ to dalla Cina negli ultimi anni. Il carattere e la traiettoria futura dell'ascesa cinese, infatti, dipendono largamente dalla soluzione a questa discrasia, da cui discendono rilevantissimi dilemmi per i vertici del

PCC.

Letture consigliate

(I983), Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spre­ ad oJNationalism, Verso, London. GELLNER E. (I983), Nations and Nationalism, Cornell University Press, Ithaca.

ANDERSON B.

41

ANDREA PASSERI

G RIES P. H., STEIGER D., WANG T.

(2016), PopufarNationafism and China'sjapan

Policy: The Diaoyu Islands protests, 20I2-20I3, in "Journal of Contemporary China': 25, 98, pp. 264-76. SMITH A. D. (2001), Nationalism: Theory, Ideology, History, Polity Press, Cam­ bridge.

(2012), ChineseNationalism and its Politica! and Social Origins, in "Journal ofContemporary China': 21, 77, pp. 8u-26.

TANG w., DARR B.

(2012),Never ForgetNationalHumiliation: Historica!Memory in Chine­ se Politics and Foreign Relations, Columbia University Press, New York. ZHAO s. (1998), A State-Led Nationalism: The Patriotic Education C ampaign in

WANG z.

ID.

Post-Tiananmen China, in "Communist and Post-Communist Studies': 31, 3, pp. 28?-302. (2013), Foreign Policy Implications ofChineseNationalism Revisited: The Stri­ dent Turn, in "Journal ofContemporary China': 22, 82, pp. S3S-S3·

3 L' "idea russa": neoconservatorismo,

patriottismo e sistemi valoriali ai tempi di Putin di Marco Puleri

*

Dopo il conseguimento della vittoria alle elezioni presidenziali del 1996, Bo­ ris El'cin constatava come nella storia russa del Novecento ogni epoca avesse potuto vantare un suo peculiareframework ideologico: la monarchia zarista,

il totalitarismo sovietico, la perestrojka. Osservando la Federazione Russa, al­

le soglie del nuovo secolo, lo statista giungeva invece a un'amara conclusione: «Noi non ne abbiamo uno. E questo è un male»'. La condizione di "afasia post-sovieticà' vissuta dalla società russa, sin dagli anni Novanta el'ciniani,

aveva dato vita fino ad allora a chiare manifestazioni di « regressione a forme simboliche del periodo storico precedente», causate dalla

«disintegrazione

dell'abilità delle forze sociali di creare significanti verbali» utili alla descri­ zione del nuovo regime socio-politico". In assenza di nuove forme culturali,

il discorso politico post-sovietico si trovava di fronte a due possibilità: l'uti­ lizzo dei vecchi simboli del passato, all'interno di modelli rielaborati di signi­ ficazione

(the paradigm ofremake); o in alternativa, una metamorfosi dell'at­

teggiamento, ovvero il cambiamento delle proprie posizioni in merito ai sim­ boli del passato

(the paradigm ofrevival). In entrambi i casi, il contesto russo

post-sovietico rimaneva comunque uno spazio vuoto, privo della possibilità di essere definito o descritto organicamente. Nel XXI secolo, è stato il consolidamento amministrativo ed economico raggiunto dalla Federazione Russa sotto la guida di Vladimir Putin a porre le basi per lo sviluppo di un nuovo discorso politico a sostegno della "rinascita nazionale". Nel corso degli ultimi anni si è potuto assistere all'affermazione di un nuovo corso in Russia: la giustapposizione di istituzioni democratiche e di pratiche autoritarie ha dato vita a un sistema politico ibrido, che ritrova le *Assegnista di ricerca e professore a contratto di Storia dell'Europa orientale all'U­ niversità di Bologna. r.

M. Urban, Remythologizing the Russian State, in "Europe-Asia Studies",

so, 6, 1998,

pp. 969-92, p. 969. Dove non diversamente indicato, le traduzioni sono dell'autore. 2. S. Oushakine, In The State oJPost-Soviet Aphasia: Symbolic Development in Con­ temporary Russia, in "Europe-Asia Studies", 52, 6, 2000, pp. 99r-ror6, p. 994·

43

MARCO PULERI

sue radici valoriali all'interno di un processo di storicizzazione del progetto politico russo, al confine tra Occidente e Oriente. Una nuova narrazione na­ zionale, alternativa al percorso democratico occidentale, prende vita proprio ali' interno di un sistema intermedio, al crocevia tra modernità e tradizione. Le basi del nuovo discorso politico elaborato nel corso dei tre mandati presidenziali di Vladimir Putin

(2000-04; 2004-08; 2012-18), inframmezza­ ti dalla presidenza di Dmitrij Medvedev (2008-12), possono essere ricostru­ ite attraverso una rilettura, in prospettiva diacronica, dei suoi legami con il complesso sistema culturale russo di età imperiale e sovietica.

È proprio in

quest'ultimo che il discorso politico contemporaneo cerca di ritrovare le ra­ dici dei propri riferimenti valoriali. Questo capitolo è così articolato, da una parte, sullo studio della configu­ razione ibrida, intermedia, dei simboli culturali privilegiati dalla narrazione della "rinascita nazionale': e dall'altra sull'analisi della sua proiezione esterna, in relazione alle nuove dinamiche relazionali con i sistemi politici e ideologi­ ci concorrenziali. Il linguaggio e le metafore utilizzate da Vladimir Putin in alcuni dei suoi interventi pubblici più significativi darà infine la possibilità di comprendere le nuove direzioni intraprese nel corso del

2014, un anno che

potremo considerare come vero e proprio momento di cesura: il culmine di una nuova cristallizzazione ideologica.

3·1

Il consolidamento politico e ideologico

( 2000-07):

la nascita di un percorso nazionale "unico e irripetibile" Da Pietro il Grande a Stalin, figure pubblicamente onorate per la fermezza di­ mostrata alla guida dello Stato, la linea ufficiale si è indirizzata, a costo di ingenti sacrifici umani e materiali, alla difesa dell'identità e dell'integrità del territorio nazionale... questo risultato assume il rilievo di testimonianza memorabile della grandezza della nazione3•

All' interno del nostro itinerario, ci concentreremo, in un primo mo­ mento, sulle pratiche discorsive che hanno caratterizzato l'affermarsi del nuovo corso politico russo agli albori del nuovo millennio. Alla base del primo mandato putiniano stava il raggiungimento di una condizione di 3· P. Calzini, Democrazia e sovranita nella Russia di Putin, in "Quaderni di Relazioni lnternazionali-ISPI", s, 2.007, pp. 66-75, p. 71.

44

3· L

"'

" IDEA RUSSA

crescita economica stabile per il paese, e il consolidamento dei suoi diver­ si filamenti socio-culturali. La coesione intorno al nuovo progetto nazio­ nale veniva così legata alla formulazione di un nuovo "percorso"

(put ')

politico e culturale, in contrapposizione con il passato recente del paese, fatto di "umiliazione" e "caos". Nella

Russia al volgere del millennio (Rossija na rubeie tysjaéeletij), te­

sto pubblicato su diverse testate giornalistiche nazionali il 30 dicembre del 1999, prima dell'insediamento di Putin in qualità di presidente ad interim,

il nuovo corso intendeva porsi in una condizione di continuità ideologica con il retaggio storico-culturale di marca imperiale e sovietica. All'interno del primo manifesto ideologico putiniano, possiamo, così, interpretare i riflessi del rinnovato percorso di "colonizzazione interna" cui è stato sotto­ posto il tessuto socio-culturale russo durante i primi anni del

XXI

secolo.

Secondo lo storico Alexander Etkind, l'attivazione di un continuo e ciclico meccanismo di

se/fcolonization rappresenta uno specifico aspetto del mo­

dello culturale russo: un processo in linea di continuità con l'esperienza traumatica iniziata dalle riforme petrine, che innescarono un processo di occidentalizzazione dei costumi russi, dando vita a pratiche consolidate da parte degli statisti succedutisi nel corso dei secoli- a capo delle diverse for­ me assunte dallo Stato russo- per prevenire un processo di colonizzazione di quest'ultimo da parte dell'Occidente. Si tratta di un processo prevalen­ temente autoreferenziale e interno. In origine, alla base della strategia di Pietro I, oggetto di continue riscritture da parte degli intellettuali dell'Im­ pero che ne glorificarono il ruolo nel corso dell'Ottocento, stava la legit­ timazione dell'idea che la sua opera agisse su un territorio che, come nella tradizione occidentale, potesse essere definito entro i termini di una

nullius4•

terra

A essere oggetto della trasformazione imperiale erano, secondo

Etkind, proprio la Russia e i russi. Così, oggi, all'interno del nuovo corso, possiamo osservare la formazio­ ne di nuovi referenti culturali e temporali per l'enunciazione del progetto politico putiniano. Se El'cin si era espresso a favore della nascita di una nuo­ va idea russa che potesse sostenere lo sviluppo democratico del paese, nella

Russia al volgere del millennio i riferimenti simbolici privilegiati si muovono ali'interno di una dimensione intermedia tra la continuità con la tradizione e una profonda rottura con gli anni Novanta vissuti sotto la guida del primo presidente della Federazione Russa: 4· A. Etkind, Interna! Colonization: Russia's Imperia! Experience, Polity Press, Cam­ bridge 2.011, p. 94·

45

MARCO PULERI

La nuova idea russa prenderà vita come una lega, come un'unificazione organica dei valori umanitari universali con quelli propri della tradizione russa, che han­ no retto alle prove cui sono stati sottoposti dali' imperversare del tempo5• I caratteri fondanti di questa "nuova idea russa" riuniscono al loro inter­

no differenti visioni ideologiche dell'identità nazionale, privandole al con­ tempo dei loro referenti culturali tradizionali. Siamo qui di fronte a un'im­ portante distinzione da tracciare tra le categorie culturali che vengono pre­ se come riferimento dal Cremlino e la loro normativizzazione nel discorso politico della Russia contemporanea. Si tratta di un percorso ambiguo che

conduce a una vera e propria appropriazione culturale di tradizioni spes­

so in contraddizione, al fine di rispondere alle diverse congiunture criti­ che della politica interna ed estera della Federazione Russa. Tuttora, que­ sto tipo di approccio consente

all'establishment politico di tradurre le po­

sizioni radicali, siano esse di marca nazionalista, ortodossa o imperialista, che emergono dal tessuto sociale russo, all'interno di un'ideologia "ibrida': funzionale al mantenimento del regime e del consenso degli elettori.

Seguendo questa linea interpretativa, in questa prima fase il consolida­

(konsolidacija rossijskogo obscestva) passa così per il raggiungimento della stabilità (ustojCivost') economica e sociale, legitti­ mata dall'unione dei valori della "tradizione" - ovvero patriottismo (pa­ triotizm), sovranità (deriavnost') e statualità (gosudarstvennicestvo)- con una rinnovata eterogeneità delle forme di proprietà (mnogoobrazie form sobstvennosti), la libertà d'impresa (svoboda predprinimatel'stva) e le nuove relazioni di mercato (rynocnye otnosenija). mento della società russa

Si tratta di un percorso dialettico di confronto con l'Occidente liberale, oltre che con le differenti visioni del percorso unico e irripetibile della Russia inscritte all'interno della tradizione del paese, che, nel primo mandato pu­ tiniano, sembra non assumere mai le sembianze di uno scontro aperto. Di contro, simmetricamente alla conformazione del nuovo ordine della Federa­ zione, questo impianto ideologico risulta funzionale all'affermazione di un sistema politico e amministrativo di carattere "ibrido': al crocevia tra demo­ crazia e sovranità, così descritto dalla formula di "democrazia sovranà' (suve­

rennaja demokratija) elaborata nel corso del2oos

dall'allora vicepresidente

dell'amministrazione presidenziale Vladislav Surkov. All'interno della nuo­ va "verticale del potere"

(vertikal' v/asti),

«i valori di riferimento ordine, Sta­

to, autorità e appunto nazione restano ambigui in quanto, pur richiamandosi s.

Cfr. http:/ /www.ng.ru/politicsh999-I2-30/ 4_millenium.html.

'"

3· L

" IDEA RUSSA

al pensiero conservatore tradizionale, possono essere utilizzati in funzione dei loro contenuti moderni»6• Lo stesso impianto retorico attraverso cui prende forma la nuova nar­ razione nazionale sembra essere il prodotto di un processo legato al para­

digm ofremake delle forme del discorso sovietico. Nel loro studio relativo a un corpus di discorsi pubblici pronunciati da Putin tra il2ooo e il2007, Nelya Koteyko e Lara Ryazanova-Clarke individuano proprio nel con­ tinuo rimando alle metafore del percorso (put ') e della sua edificazione (stroitel'stvo) il forte retaggio culturale d'eredità sovietica7• Meta del per­ corso in avanti (dvigat'sja vpered) verso un nuovo "radioso avvenire" so­ no ora la stabilità e lo sviluppo economico e democratico (ekonomiceskoe i demokraticeskoe razvitie) della Federazione Russa. Così, se il referente temporale che segna l'inizio dell'itinerario politico putiniano è rigorosamente interno, e vede nella Russia di El'cin la

terra nul­

lius su cui creare il nuovo ordine politico e sociale, sarà poi il deteriorarsi dei rapporti con l'Occidente, in merito alle rispettive sfere d'influenza, a deter­ minare la nascita di una nuova proiezione esterna del percorso unico della Russia. Proprio l'analisi di questo nuovo passaggio del discorso politico con­ temporaneo ci consentirà di interpretare il processo di cristallizzazione dei riferimenti valoriali, dei referenti culturali e del progetto sovranazionale che sta alla base del percorso intrapreso a cavallo del primo decennio del nuovo secolo dalle politiche putiniane.

3·2 In difesa dei confini patri (2007-14): nuove dinamiche di "proiezione esterna" per la nascita di una potenza internazionale Sebbene la Russia sia un impero, lo è nella forma di un Giano bifronte. Mentre una "faccia" è sempre rivolta agli imperi capitalistici occidentali (tanto ai tempi della Russia zarista, quanto in URSS, e a maggior ragione oggi), l'altra "faccia" guardava e guarda ancora adesso alle colonie russe, alle ex-colonie e ai numerosi satelliti8• 6.

P. Calzini, La guerra Russia-Georgia: il ritorno del nazionalismo russo, in "Quaderni

di Relazioni Internazionali-ISPI': 9, 2.009, pp. 4-16, p. 8. 7· N. Koteyko, L. Ryazanova-Clarke, The Path and Building Metaphors in the Speeches oJVladimir Putin: Back to the Future?, in "Slavonica", rs, 2., 2.009, pp. II2.-2.7. 8. M. Tlostanova, Postsovetskaja literatura i estetika transkul 'turacii. Zit' nikogda, pisat'

niotkuda, Editoria! URSS, Moskva 2.004, p. 40.

47

MARCO PULERI

Il risultato dei fenomeni di disgregazione del sistema sovietico viene de­ scritto da Madina Tlostanova come il culmine del processo evolutivo delle relazioni interetniche dell'impero. La Russia viene definita un impero bi­ fronte, per il suo specifico status coloniale di secondo grado, mai sicuro di sé in presenza dell'Occidente. Da questo modello derivano poi le sue carat­ teristiche forme di "impulso coloniale". Il suo complesso d'inferiorità viene compensato nelle relazioni con le "colonie" non occidentali, proteggendo l'immagine di "colonizzatore" russo/sovietico come vero campione di ci­ viltà, modernità, socialismo. Così, si determina l'affermarsi di un "doppio specchio" deformante: in primo luogo dell'Europa sulla Russia, e poi della Russia sulle proprie "colonie". In questa sezione, ci concentreremo sulle dinamiche relative ai riflessi di questo doppio specchio all'interno del discorso politico russo, in relazione alla nuova configurazione assunta dagli equilibri geopolitici internazionali nel corso del primo decennio del XXI secolo. La ridefinizione del ruolo della Russia in rapporto allo spazio pose-sovietico e alle potenze occidentali segue un percorso di cristallizzazione identitaria che, come viene suggerito dalla fe­ lice formula proposta da Dominique Arel e Blair A. Ruble, si configura entro i termini di un processo di continua transizione, di rinegoziazione: «Identi­ ties "rebound" rather than becoming "resolved" » 9• L'odierna Federazione Russa è, forse, il paese che più di tutti ha dovu­ to, deve e dovrà fare i conti con mutamenti di grandissimo rilievo: basti pensare che per la prima volta dalla nascita dell'Impero, lo "Stato russo" è costretto ad affrontare una riduzione dei confini. Sotto un profilo interno, all'indomani del crollo dell'Unione Sovietica l'affermazione di un'identi­ tà russa di marca etnico-nazionale

(russkaja) non poteva essere una strada

percorribile: di fronte alla struttura etna-federale ereditata dalla neonata Federazione Russa

(Rossijskaja Federacija) e all'eredità del discorso etna­

politico di marca sovietica, questo tipo di atteggiamento avrebbe rappre­ sentato un rischio non da poco per la sopravvivenza della nuova formazio­ ne statale - ne è una dimostrazione il caso ceceno, se pensiamo che a oggi circa il 20% della popolazione non si considera etnicamente russa e appar­ tiene a una minoranza nazionale. Non a caso, è lo stesso Putin, in un arti­ colo dal titolo Russia:

la questione nazionale (Rossija: nacional'nyj vopros)

- pubblicato nel 2012, poco prima della sua delezione al terzo mandato -, a definire la Federazione Russa come uno «Stato multinazionale»: 9·

D. Arei, B. A Ruble, Rebounding Identities: The Politics oJIdentity in Russia and

Ukraine, The John Hopkins University Press, Baltimore 2006, p. 336.

'"

3· L

" IDEA RUSSA

La Russia è emersa e si è sviluppata nel corso dei secoli come uno Stato multina­ zionale. Uno Stato caratterizzato da un processo continuo di mutuo adattamento, di comprensione reciproca e di unificazione delle persone tramite la famiglia, l'a­ micizia e il lavoro. Centinaia di ernie che vivono sulla stessa terra insieme e vicino ai russi. Lo sviluppo dell'immenso territorio che ha riempito l'intera storia russa è frutto dell'impresa comune di molti popoli'0•

Se nel mercato ideologico interno, il Cremlino è riuscito a promuovere con successo il carattere "multinazionale" del popolo russo e, al contempo, la "russità" dei simboli culturali e storici della Russia, è indubbio che nel ten­ tativo di definire i contorni dell'idea nazionale i suoi attori politici si siano trovati di frequente di fronte a un vero e proprio impasse ideologico, op­ tando di volta in volta per una dimensione etnica

(russkaja)

o civica

(ros­

sijskaja) dell'identità russa. È, invece, nella sua proiezione esterna, che la retorica adottata dal nuo­ vo corso politico, sin dal secondo mandato di Vladimir Putin, ha mirato a ritrovare una chiara demarcazione di quei confini andati perduti, prevalen­ temente in risposta all'allargamento della sfera d'influenza della

NATO

e

dell'Unione Europea all'interno dello spazio post-sovietico. La Rivoluzio­ ne "delle rose" in Georgia del2003 e quella "arancione" in Ucraina dell'an­ no successivo rappresentano il culmine di un percorso che conduce a un cambio di rotta nel processo di cristallizzazione della Federazione Russa come potenza regionale e internazionale. Non è un caso che già nell'apri­ le del 2005, in occasione del rituale discorso all'Assemblea federale, Putin giungeva a definire il collasso dell'Unione Sovietica come «la più grande catastrofe geopolitica del secolo»:

È necessario riconoscere, prima di tutto, che il crollo dell'Unione Sovietica è stata la più grande catastrofe geopolitica del secolo. Per il popolo russo si è trattato di un vero e proprio dramma. Decine di milioni di nostri concittadini e compatrioti si sono ritrovati fuori dal territorio russo e l'epidemia di disintegrazione si è estesa anche alla Russia stessa".

È, così, nel20o7 che si può osservare un vero e proprio cambio di rotta nel­ le direttrici del discorso politico interno, e nella loro proiezione esterna. La fase di "ricostruzione': il cui punto di partenza viene individuato nell'imer10.

Cfr. http://www. ng. ru/politics/ 2.0 I 2.-o I- 2. 3/I_national.html ?insidedoc= & id_user= Y.

II.

Cfr. http://kremlin .ru/ events/ presidenti transcripts/2.2.9 31.

49

MARCO PULERI

regno di Dmitrij Medvedev (wo8-12), trova nell'ultimo anno del secondo mandato putiniano le sue basi ideologiche. All'interno di questo processo intermedio di rinnovamento ideologico si guarderà alla definizione del ruolo cardine attribuito al russkij mir, letteral­ mente "il mondo russo" (cfr. riquadro 3.1). Si tratta di una concettualizzazio­ ne dell'identità russa, vista ora al centro di una comunità transnazionale che accoglie tutti coloro che sono uniti dai valori della lingua e dalla cultura rus­ sa. In occasione del discorso all'Assemblea federale dell'aprile del2007, sarà lo stesso Vladimir Putin a sottolineare l'importanza simbolica conferita alla lingua russa per la demarcazione dei confini di una nuova e più ampia sfera d'influenza: il russo è la lingua della storica fratellanza dei popoli, la lingua della comunicazio­ ne internazionale. Il russo non è soltanto depositario di un'intera serie di progressi a livello globale, ma è anche lo spazio vivo, abitato da milioni di persone, del mon­ do russo, che, certamente, è molto più grande della stessa Russia".

Si tratta della nascita di una nuova idea transnazionale, che affonda le sue radici nella tradizione ortodossa e che dal 2009 vede nel nuovo patriarca di Mosca Kirill uno dei suoi massimi sostenitori. Un'idea che acquista un nuovo significato nelle sue vesti attuali, ovvero riesce a legittimare la sfera d'influenza russa nei paesi dello spazio post-sovietico. Alla sua base stanno tre valori fondamentali: la lingua e la cultura russa; una memoria culturale condivisa; l'ortodossia. Lo stesso concetto di compatriota (sootdestvennik), regolato da una legge federale del 1999 - poi oggetto di sostanziali modi­ fiche nel 2010 e nel 2013 -, definisce come giuridicamente affini al russkij mir, quei «soggetti, in precedenza cittadini dell'uRSS, che vivono ora in paesi che facevano parte dell'uRSS, e hanno acquisito la cittadinanza di questi Stati o sono divenuti apolidi»'3• La creazione di un fondo governa­ tivo, Fond Russkij Mir, nel giugno del 2007 ha dato poi il via alla nascita di una serie di istituzioni per il sostegno e la diffusione della cultura russa nel mondo, al fine di rafforzare l'immagine di una "nuova civiltà" alternativa su scala regionale e internazionale. 12. Cfr. http:/ l archive.kremlin.ru/ text/appears/2007 l 04/125 339.shtml.

13. Si tratta della legge federale 24 maggio 1999, n. 99-FZ, Sulla politica statale della Federazione Russa in merito ai compatrioti all'estero. La legge, oggetto di sostanziali modifi­ che nelwro e nel 2013, è consultabile online al link http:/ /fadn.gov.ru/documents/8932federalnyy-zakon-ot-24-0S-1999-n-99-fz-red-ot-23-07-2013-o-gosudarstvennoy-politike­ rossiyskoy-federatsii-v-otnoshenii-sootechestvennikov-za -rubezhom.

so

3· L

"'

" IDEA RUSSA

RIQUADRO 3.1

Russkij mir Il concetto di

russkij mir,

letteralmente il "mondo russo': si è prestato nel corso

degli ultimi anni a molteplici indirizzi di promozione ideologica. Le origini del

revival del

termine in età pose-sovietica vanno trovate, innanzitutto, nella con­

cettualizzazione portata avanti, già negli anni Novanta, da Gleb Pavlovskij e Petr Scedrovickij per la definizione di una nuova linea politica volta a definire la stra­

tegia della Russia all'interno della Comunità degli Stati indipendenti

( csr ) .

Il

termine è stato poi adottato negli anni Duemila dai diversi attori statali, e isti­

tuzionalizzato all'interno delle agenzie governative, per perseguire diversi obiet­

tivi strategici: in primo luogo, per la definizione delle politiche della Russia nel

"vicino estero': poi per strutturare l'interazione della Federazione con la diaspora

russa nel mondo, e infine come modello per le pubbliche relazioni e per la promo­

zione ideologica su scala globale. Quando, all'interno del complesso equilibrio

tra un'accezione puramente culturale e un uso politico del termine, l'élite russa ha creato, nel giugno 2007, il fondo Russkij mir- sotto l'egida del ministero degli

Affari Esteri e del ministero dell'Istruzione e della Scienza, il "mondo russo" è

stato aperto a tutti coloro che sono interessati "a sostenere la posizione della Russia

nel mondo". A oggi questo contenitore ideologico funziona in parallelo con altre

linee di politica estera sostenute dalla Russia, come ad esempio il progetto relativo ai "compatrioti"

(sootechestvenniki)

volto alla promozione ideologica nel "vicino

estero': e il termine è stato emblematicamente usato da Vladimir Putin nel suo discorso al Cremlino sulla Crimea del 18 marzo 2014.

La direzione intrapresa verso la nascita di quello che verrà promosso come l'anelito verso un nuovo multipolarismo viene confermata nel discorso del presidente russo a Monaco in occasione della conferenza sulle politiche di sicurezza, svoltasi nel febbraio dello stesso anno: La Russia è un paese con una storia più che millenaria, e ha quasi sempre avuto il privilegio di condurre una politica estera indipendente. E non abbiamo intenzio­ ne di cambiare questa tradizione oggi'4•

Proprio osservando le dinamiche relative alla retorica che prende forma al­ la fine del secondo mandato putiniano, possiamo evidenziare la nascita di una vera e propria alternativa al modello ideologico occidentale, che trove14. Cfr. http :llen.kremlin. ruleventsl presidenti transcriptsl 24034.

SI

MARCO PULERI

rà infine la sua piena cristallizzazione solo nel corso del terzo mandato di Putin.

È ora che la leadership putiniana viene a identificarsi strettamente

con una "missione ideologica e di civiltà': che trova le sue basi in una rinno­ vata dialettica con l'Europa e con il suo sistema di valori.

3·3

Neoconservatorismo e patriottismo (2014-18): verso una nuova cristallizzazione ideologica sulla scena globale Seguendo le ambigue direttrici del percorso di autorappresentazione geopolitica che ha preso forma all' interno della narrazione dell' establi­

shment putiniano negli ultimi anni,

è possibile descrivere il discorso po­

litico russo come un processo intriso di letture contrastanti del passato. Nel quadro di una nascente ideologia di Stato, per così dire, "situaziona­ le': il discorso politico russo si è avvalso nel corso degli ultimi anni di un repertorio di riferimenti ideologici "oscillanti" -su tutti, uno Stato forte

(velikaja derzhava), una democrazia sovrana (suverennaja demokratija), (modernizacija) -utili a rispondere

e la strada verso la modernizzazione

alle diverse sfide emerse nei contesti nazionale, regionale e internaziona­ le.

È così che all' interno del processo di cristallizzazione del ruolo e del­ la missione della Russia sulla scena globale, anche i referenti culturali del­ la tradizione diventano, in modo rilevante, manifesti e chiari. L' irrigi­ dimento della verticale del potere russa è accompagnato da un processo di legittimazione delle spinte autoritarie e conservatrici, incarnando un modello per altre realtà , europee e non, alla ricerca di un'alternativa al paradigma delle democrazie liberali occidentali. Possiamo, così, osserva­ re la cristallizzazione di nuove posizioni esclusive, mirate a consolidare il consenso dell'elettorato russo sulla base del progetto politico-culturale della nazione. La stipula di un vero e proprio "contratto sociale" ha preso forma in Russia in seguito alle manifestazioni e agli scontri di piazza del

2011-12,

verificatisi -principalmente -a Mosca e San Pietroburgo. Oltre a essere state le più grandi proteste d'opposizione politica dell'età post-sovieti­ ca per numero di partecipanti, le manifestazioni contro i presunti brogli elettorali relativi alle elezioni della Duma di Stato del dicembre 2011 han­ no segnato un'importante svolta nel dibattito politico della Federazione, con l'emergere di una nuova distinzione interna tra i "veri patrioti" e gli

52

3· L

"'

" IDEA RUSSA

"altri russi". Se le proteste del 2011 -12 avevano segnato un avvicinamen­ to tra due gruppi d'opposizione ideologicamente agli antipodi- ovvero, tra etna-nazionalisti e liberali-, negli anni a seguire la risposta dell'élite russa è stata quella di cooptare alcuni elementi della retorica dei primi, proiettando significativamente lo scontro interno "al di fuori" dei confi­ ni della Federazione.

È in questa luce che vanno inquadrate le dinamiche

principali del terzo mandato putiniano, che vedono nella svolta neocon­ servatrice e nel coinvolgimento nella cosiddetta "crisi ucraina" i due mo­ menti più caratterizzanti. Sin dai primi mesi seguiti alla delezione di Putin nel maggio del2o12, si assiste così all'approvazione di una nuova serie di leggi che regolano i termini del discorso e del linguaggio nella sfera pubblica, segnalando una forte spinta verso l'affermazione di posizioni neoconservatrici: ad esempio, la legge federale sulle riunioni pubbliche del giugno 2012, la legge sugli "agenti stranieri"

(inostrannye agenty)

del luglio dello stesso

anno, la legge contro la blasfemia approvata nel luglio del 2013, o ancora la legge contro il turpiloquio sui media del maggio2014. Questi passaggi vengono legittimati all'interno di una simbolica "lotta tra civiltà", di un confronto con un "Occidente decadente" che trova spazio nel discorso portato avanti dal Cremlino nel corso degli ultimi anni: Nel mondo ci sono sempre più persone pronte a sostenere la nostra posizione in merito alla difesa dei valori tradizionali. Certamente si tratta di una posizione conservatrice. Ma, usando le parole di Nikolaj Berdjaev, l'idea di conservato­ rismo non impedisce il movimento in avanti e verso l'alto, ma blocca il movi­ mento all'indietro e verso il basso, verso il buio caotico, il ritorno allo stadio primitivo11•

Come osserva lucidamente Lucio Caracciolo, il confronto Russia-Occi­ dente che ha preso vita nel corso degli ultimi anni rappresenta «un con­ flitto di rappresentazioni geopolitiche, ossia di idee di sé, della propria nazione e dei propri diritti» 16• Si tratta di una dialettica che trova le pro­ prie radici nel dilemma identitaria storico della Russia, nel suo costante confronto con l'Occidente, e che si rivela essere funzionale per l'ambi­ zione di recuperare il suo ruolo di potenza globale. Significativamente, 15. Cfr. http://www.kremlin.ru/transcripts/r982.5.

16. L. Caracciolo, Uomini verdi, uomini neri, ominicchi e quaquaraqua, in "Limes", 12., 2.014, pp. 7-2.6, p.

u.

53

MARCO PULERI

in seguito alla paralisi diplomatica nei rapporti tra la Russia e l'Occi­ dente - sorta all'indomani della crisi ucraina, con la contestata annes­ sione della Crimea alla Federazione Russa e l'intensificarsi del conflitto nell' Ucraina orientale - la narrazione del Cremlino trova una propria cristallizzazione ideologica nel rinnovato "scontro di civiltà" con l'Oc­ cidente europeo. Non è un caso il fatto che Putin già nel suo discorso all'Assemblea federale del Berdjaev

12 dicembre 2013,

rimandi al filosofo Nikolaj

(1874-1948), e alle sue osservazioni sul decadimento della civil­

tà europea ali'inizio del xx secolo, per poi rivolgersi nuovamente alla sua controparte occidentale nel discorso sulla Crimea del

18

marzo

2014 al

Cremlino, comparando emblematicamente la riunificazione tedesca con le più recenti aspirazioni del "mondo russo": Credo che gli europei potranno capirmi, e prima di tutto i tedeschi. Permette­ temi di ricordarvi che nel corso delle consultazioni politiche sull'unificazione della

RFG

e della

RDT...

non tutti i rappresentanti dei paesi che erano e sono

alleati della Germania hanno sostenuto l'idea dell'unificazione. Mentre il no­ stro paese, al contrario, ha sostenuto inequivocabilmente l'aspirazione sincera e inarrestabile dei tedeschi all'unità nazionale. Sono fiducioso che non l'abbiate dimenticato, e mi aspetto che i cittadini tedeschi sostengano anche l'aspirazio­ ne del mondo russo, della Russia storica a ripristinare la sua unità'7•

La "campagna" di Crimea ha svolto il ruolo di formidabile catalizzatore di nuove proiezioni esterne dell'idea russa, al fine di rispondere alla ne­ cessità di promozione e di legittimazione ideologica della posizione del­ la Federazione sulla scena globale. Il discorso politico degli ultimi anni si è significativamente sviluppato intorno al nuovo contenitore ideologico

"eurasiatico", che vede la Russia come la portavoce di un nuovo modello di integrazione sulla base di "valori tradizionali", da contrapporre a quel­ lo liberale europeo oramai "in disfacimento". La ragione del recente suc­ cesso del termine Eurasia consiste proprio nella sua capacità di rispon­ dere, a seconda del suo utilizzo, alle diverse sfide che la Russia si trova ad affrontare tanto nel contesto interno quanto sulla scena internazionale. Come lucidamente evidenziato da Marlene Laurelle'8, l'etichetta eura17.

Cfr. http://kremlin.ru/events/presidem/newsho6o3.

M. Laruelle, Postjàce: The Paradoxical Legacy ofEurasianism in Contemporary Eu­ rasia", in M. Bassin, S. Glebov, M. Laruelle (eds.), Between Europe andAsia: The Origins, Theories, and Legacies oJ Russian Eurasianism, Pittsburgh University Press, Pittsburgh 18.

2.015,

pp. 187-94, p. 191.

54

"' " 3· L IDEA RU SSA

RIQUADRO 3.2.

Eurasia L'idea di una civiltà "unica", che unisce l'Europa e l'Asia, è profondamente radi­ cata nella tradizione intellettuale russa. Il revival pose-sovietico del termine, che è stato chiaramente sostenuto dall'élite russa all'interno di documenti ufficiali

come Le basi della politica culturale di Stato (2.015), va inquadrato però come un momento di recupero finalizzato a un suo uso puramente ideologico-politico, privato della sua valenza tradizionale. Come suggerito da Marlene Laruelle nei suoi studi relativi al linguaggio politico della contemporaneità, oggi possiamo parlare di Eurasia senza per forza parlare di "eurasismo" - corrente del pensiero russo che tra gli anni Venti e Trenta del Novecento strutturò un vero e proprio movimento intellettuale. Se il "mondo russo" si rivolgeva principalmente alla società, il contenitore ideologico eurasiatico si presta invece a un utilizzo volto a influenzare le strutture economiche e istituzionali. È il caso del progetto di inte­ grazione eurasiatica, che- sotto la forma istituzionale dell'Unione economica eurasiatica- è stato ufficialmente ratificato nel 2.014 dai leader di Bielorussia, Kazakhstan e Russia, con il successivo ingresso di Armenia e Kazakhstan; o, an­ cora, la grande strategia eurasiatica lanciata da Putin nel 2.016 come nuova piat­ taforma geopolitica del paese al fine di integrare l' intero continente eurasiatico, aprendo significativamente sia alla Cina che all'Unione Europea; ed è il caso, infine, del modello di modernizzazione economica eurasiatica, che viene soste­ nuto attraverso un processo di graduale integrazione della Russia nelle strutture dell'economia mondiale, combinando lo sviluppo dei rapporti con l'Occidente europeo con quelli relativi al mondo asiatico, al fine di agevolare la formazione di un vero e proprio multilateralismo nell'economia mondiale. Anche in questo caso, la creazione di piattaforme ideologiche come l'Izborskij Club, fondato nel

2.012. da Alexander Prokhanov, V icalij Aver' janov e Andrej Kobjakov, che è vol­ to al sostegno del "neo-eurasismo" come dottrina ideologica per il nuovo Stato russo, rivela l'esistenza di spazi di relativa autonomia nel discorso pubblico della Federazione, che talvolta vengono appropriati, talaltra marginalizzati, dall'élite politica.

siatica infatti racchiude in sé "un principio geopolitico" ovvero la pretesa della Russia a essere il motore del mondo post-sovietico; un "principio filosofico", ovvero la possibilità di esprimere lo status della Russia co­ me l' "altra Europa" ; e infine "una terza dimensione': ovvero quella della memoria imperiale e sovietica, utile per sanare la frattura storica vissuta dalla società russa (cfr. riquadro 3.2).

ss

MARCO PULERI

3·4

Conclusioni Oggi la frontiera dello scontro ideologico tra la Russia e l'Occidente è emble­ maticamente incarnata da una vera e propria guerra d'informazione. Non è un caso che tra i s principi guida fissati dai paesi membri dell'Unione Euro­ pea nel2o16 in merito alle relazioni con la Federazione Russa, la lotta alle mi­ nacce "ibride" russe, e in particolare alla disinformazione, abbia assunto un ruolo centrale. Se il presidente francese Emmanuel Macron ha accusato aper­ tamente la Russia di usare "organi di influenza e propaganda" per favorire il Front National di Le Pen in occasione delle elezioni presidenziali del2017arrivando a programmare nel luglio 2018 l'approvazione di una nuova legge nazionale per contrastare le cosiddetteJàke news-, è stata la stessa UE a creare la East StratCom Task Force in seno all' European External Action Service

(EEAS): come recita il sito della Task Force, si tratta di «un piano d'azione ri­ guardante la comunicazione strategica [dell' UE] » al fine di «rispondere alle campagne di disinformazione ancora oggi portate avanti dalla Russia», che interessano «l'intera scena mediatica del vicinato estero e degli Stati membri dell'Unione» (cfr. riquadro 3.3)19• Queste misure dimostrano come la natura reattiva e ibrida del reper­ torio ideologico russo riesca a rispondere incisivamente ai recenti svilup­ pi tanto nell'arena regionale quanto in quella internazionale- talvolta ar­ rivando addirittura a influenzarli. L'adattabilità degli strumenti retorici offerti dall'ideologia situazionale del Cremlino si rivela utile, inoltre, per trovare un punto di contatto tra i differenti attori sociali del contesto in­ terno alla Federazione. Nel momento in cui si scrive, questa è l'appendice delle elezioni presidenziali del 2018, laddove la vera sfida vinta da Putin è stata quella di rispondere alle aspettative dell'elettorato russo di fronte al raggiungimento di una rinnovata e forte presenza della Federazione Russa sulla scena globale- un risultato ampiamente conseguito nel corso del suo terzo mandato. Non a caso, solo nel dicembre 2017 Vladimir Putin ha con­ fermato la sua partecipazione alle elezioni come candidato indipendente: una scelta significativa, alla luce dell'alto livello di gradimento dell'elet­ torato russo verso il presidente - che ancora nel novembre 2017 si aggi­ rava intorno all'So%. Alla vigilia della prevedibile delezione di Putin al suo quarto mandato come presidente della Federazione sembrava così già 19. Cfr. https :Il eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/2u6/-ques­ tions-and-answers-about-the-east-.

s6

"' " 3· L IDEA RUSSA

RIQUADRO 3-3

Russia Today e Sputnik News Lo sviluppo di piattaforme internazionali d'informazione, grazie al sostegno di fondi statali russi, è strettamente connesso all'escalation della "guerra ibrida" con l'Occidente che ha preso vita nel corso degli anni Duemila. Le sue origini vengono individuate nel 2008, quando- come evidenziato da Anton Shekhovtsov- molti politici, esperti e ufficiali russi presero atto di un emblematico paradosso: «la Rus­ sia aveva facilmente vinto la guerra russo-georgiana, ma aveva al contempo perso la guerra d'informazione, ovvero non era riuscita a convincere la comunità interna­ zionale della legittimità dell'invasione della Georgia da parte di Mosca»*. Il canale Russia Today TV era stato già lanciato nel 2005- con scarsi risultati-, e nel 2009 viene riproposto sotto il nome di RT. Come dichiarato all'interno del sito del canale d'informazione televisiva,

RT

mira a diffondere quelle «storie che vengono ignorate

dal mainstream, fornendo prospettive alternative e garantendo all'audience interna­ zionale il punto di vista russo sui più importanti eventi globali» (cfr. https:/ /www. rt.com/about-us/).

RT

offre i propri contenuti in lingua inglese, araba, spagnola e

tedesca, e «gode del più vasto pubblico regionale in Europa, con oltre 36 milioni di persone che guardano i programmi di RT settimanalmente». La più recente agenzia d'informazione Rossija Segodnja è stata, invece, creata nel dicembre del 2013 in se­ guito al nuovo ordine esecutivo presidenziale Sulle misure per migliorare l'efficienza dei mass media statali, con l'obiettivo di fornire «informazioni sulle politiche di Stato, sulla vita e sulla società russe». Il principale progetto promosso dalla nuo­ va agenzia d'informazione internazionale è Sputnik News, che è stato lanciato nel novembre del 2014. Disponibile in oltre 40 lingue, la nuova piattaforma gode di un vasto apparato di emittenti locali: si tratta di una novità legata alla possibilità di diffondere capillarmente le informazioni, laddove, come sottolineato dal capo­ redattore Margarita Simonjan, in precedenza era stato «assolutamente chiaro che i tentativi di trasmettere in lingua straniera da Mosca per accattivarsi il pubblico stra­ niero non si erano rivelati essere proficui» (cfr. https://www.rt.com/newsho423I­ sputnik-news-agency-launched/). Conventional Bedftllows: The Russian propaganda machine and the westernfor right, in "Eurozi­ ( http://www.eurozine.com/convencional-bedfellows-the-russian-propaganda-machine-and­ the-western-far-right/ ) .

• A. Shekhovtsov,

ne",

27

ottobre

2017

emergere un nuovo- e imprevedibile- ritratto del leader russo: un Putin­ pacificatore capace di mettere fine alla guerra in Siria, annunciando il ritiro delle truppe russe, e di agevolare lo scambio di prigionieri tra le autorità ucraine e i ribelli delle Repubbliche popolari di Donec'k e Luhans'k. Se da una parte il Cremlino si ritrova oggi a dover affrontare le nuove sfi­ de legate al mantenimento del consenso interno per portare avanti il contro57

MARCO PULERI

verso e problematico processo di riforma economica del paese -come dimo­ strano le proteste del settembre 2018 nei confronti dell'annunciata riforma del sistema pensionistico -,dall'altra finora è stato proprio il successo della proiezione esterna della nuova "idea russa" a garantire la stabilità del regime. Le dinamiche del quarto mandato putiniano prenderanno forma, così, nel quadro di una fede rinnovata del popolo russo per il ruolo di grande potenza della Federazione,che in un sondaggio del Centro Levada -pubblicato nel gennaio 2018 - dimostra di aver emblematicamente raggiunto il suo massi­ mo storico.

Letture consigliate BASSIN M., KELLY c.

( eds. ) (2012),

Soviet and Post-Soviet Identities, Cambridge

University Press, Cambridge. FERRARI A.

(2012), La foresta

e la steppa. Il mito dell'Eurasia nella cultura russa,

Mimesis, Milano. LARUELLE M.

(2005), Russian Eurasianism: An Ideology ofEmpire,John Hopkins

University Press, Baltimore. SUSLOV M., BASSIN M.

( eds. ) (2016),

Eurasia 2.0: Russian Geopolitics in the Age of

New Media, Lexington Books, Lanham. TOLZ v. (2001), Russia: lnventing the Nation, Oxford University Press, New York. TSYGANKOV A. P. (2014), The Strong State in Russia: Development and Crisis, Ox­ ford University Press, Oxford.

ss

4 I diritti umani in Russia e in Cina: proposte

concettuali e rapporti tra ordinamenti di Marco Balboni e Carmelo Danisi*

4·1

Introduzione La posizione di Russia e Cina rispetto al tema dei diritti umani

(nu) ri­

sente della concezione che tali paesi hanno a un tempo del ruolo del di­ ritto internazionale

(n1) e della posizione dell'individuo nella società. Se

su alcuni di questi aspetti non mancano punti in comune, vi sono anche notevoli differenze che portano a configurare approcci diversi, propri a ciascuno dei due paesi. Per analizzare tale posizione, questo contributo presterà particolare at­ tenzione alle dinamiche relative alla partecipazione di Russia e Cina ai si­ stemi di tutela dei

DU istituiti a livello internazionale (cfr. riquadro 4.1) e

regionale. Entrambi i paesi sono caratterizzati da un diverso livello di in­ tegrazione, con notevoli implicazioni per la tutela dei

DU offerta dai loro

ordinamenti interni. Mentre la Russia é uno Stato membro del Consiglio d'Europa

(cnE) e ha ratificato la Convenzione europea dei diritti umani

( CEDU) nel 1998, partecipando così al sistema di controllo assicurato dalla

Corte europea dei diritti umani ( Corte EDU), la Cina non concorre diret­

tamente ai seppure embrionali sforzi regionali di integrazione in materia, ancorché questi siano largamente volti a tenere conto dei cosiddetti valori asiatici (cfr. riquadro

4.2). Anche per ragioni storiche, politiche e sociali,

la Cina limita la propria adesione a taluni meccanismi universali, ossia a quelli maggiormente in linea con propri obiettivi strategici. Proprio le in*Marco Balboni è professore di Diritto internazionale e dell'uE all'Università di Bo­ logna. Carmelo Danisi è Research Fellow all'Università del Sussex ( UK) e professore a con­ tratto di Diritto internazionale all'Università di Bologna. I PARR. 4.1 e 4·4 sono da attri­ buire a entrambi gli autori. Il PAR. 4.2 e il riquadro 4.1 sono da attribuire a Marco Balboni; il PAR. 4·3 e il riquadro 4.2 a Carmelo Danisi.

59

MARCO BALBONI, CARMELO DANISI

RIQ_UADRO 4.1

La partecipazione russo-cinese ai meccanismi universali di tutela In seno alle Nazioni Unite sono stati finora conclusi diciotto trattati in materia di diritti umani (cfr. United Nations High Commissioner for Human Rights,

www.

ohchr.org/EN /Professionallnterest/Pages/Corelnstruments.aspx). Alcuni trattati proteggono un ampio catalogo di diritti e libertà, come i due Patti internazionali del 1966. Altri sono dedicati alla tutela di specifici diritti, come la Convenzione contro la tortura del 1984, o di gruppi ritenuti vulnerabili, come la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. Tali trattati possono prevedere l'istituzione di appositi Comitati, competenti sia a effettuare un monitoraggio periodico sugli Stati parte al fine di verificare il rispetto dei diritti protetti sia a ricevere comunica­ zioni individuali nei confronti degli stessi Stati parte nel caso in cui questi ultimi abbiano accettato tale specifica competenza (cfr., ad esempio, l'art. 14 della Con­ venzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale o l'art. 22 della Convenzione contro la tortura). Attualmente, la Russia è parte di undici trattati e, in taluni casi, ha riconosciuto la competenza dei relativi Comitati a ri­ cevere comunicazioni da parte di individui che ritengono di essere vittime di una violazione di un diritto protetto (cfr. http://indicators.ohchr.org). Al contrario, la Cina è attualmente parte di un numero più limitato di trattati, il primo dei quali è stato ratificato nel 1980, per lo più dedicati alla tutela di gruppi minoritari o ri­

tenuti vulnerabili (minori, persone con disabilità, donne), senza tuttavia accettare in nessun caso la competenza dei relativi Comitati a ricevere comunicazioni indi­ viduali. Russia e Cina partecipano altresì ai lavori del Consiglio per i diritti umani

(Uni­ versa! Periodic Review, UPR ) , riguardante l'esame periodico delle azioni adottate a

delle Nazioni Unite e al relativo meccanismo di monitoraggio universale

livello statale per rispettare e dare attuazione ai diritti e alle libertà fondamentali (cfr. il Report ofthe Working Group on the Universal Periodic Review: Russian Fede­ ration, dell'8luglio 2013, e il Report ofthe Working Group on the Universal Periodic Review: China, del 4 dicembre 2013).

terazioni con tali sistemi di tutela hanno dato vita a sviluppi inediti. Nel caso russo, l'interazione con il meccanismo europeo ha fatto emergere la necessità di coniugare la protezione dei DU, così come sanciti a livello inter­ nazionale, con i propri valori nazionali. Nel caso cinese, invece, il relativo isolazionismo si coniuga a una proposta di reinterpretazione del diritto in­ ternazionale dei diritti umani alla luce di considerazioni più generali basate sul proprio modello di sviluppo. Il presente capitolo si suddivide come segue. Nel si concentrerà sull'approccio dei due paesi al

6o

DI.

Nel

PAR.

PAR.

4.2l'attenzione

4·3 si considererà

4· I DIRITTI UMANI IN RUSSIA E IN

CINA

4.2 La Dichiarazione sui diritti umani dell'ASEAN

RIQ_UADRO

A differenza di quanto accaduto negli altri continenti, in Asia non è (ancora) stato istituito un sistema regionale di protezione dei DU. Timidi tentativi in tale di­ rezione sono stati compiuti in seno all'ASEAN (Association of South-East Asian Nations), in particolare con l'adozione della Carta ASEAN, il cui art. 14 ha previsto l'istituzione di un human rights body nel 2008, e della successiva Dichiarazione ASEAN sui DU nel 2012. Elaborata dalla Commissione ASEAN in tema di DU, or­ gano privo di poteri vincolanti, la Dichiarazione sembra fornire nuovi elementi sull'approccio asiatico ai DU soprattutto in quanto tenta di coniugare tali diritti così come protetti e intesi a livello universale con i valori sentiti come comuni agli Stati ASEAN. In questa prospettiva, la Dichiarazione appare come un'evoluzione della Dichiarazione di Bangkok del 1993 con cui alcuni Stati asiatici, in occasione della Conferenza mondiale sui DU tenutasi lo stesso anno, hanno affermato la ne­ cessità di considerare i DU alla luce delle specificità regionali, nonché del contesto storico, culturale e religioso dell'area (si confronti il punto 8 della Dichiarazione del 1993 con il principio generale n. 7 della Dichiarazione ASEAN del 2012). Signi­ ficativamente, la Dichiarazione ASEAN propone un proprio catalogo in materia di diritti e libertà inserendo, accanto ai più tradizionali DU, il diritto allo sviluppo e il diritto alla pace (punti 35-38). Pur non essendo parte dell'ASEAN, la Cina non solo coopera con gli Stati di tale "Associazione" per dare attuazione alla Dichia­ razione (cfr. Pian oJAction to Implement the ]oint Declaration on ASEAN-China Strategie Partnership for Peace and Prosperity (2oi6-2o2o), punto 1.6), ma anche, quanto meno in via di principio, per difendere la visione posta alla base della Di­ chiarazione stessa e, cioè, per promuovere in ambito interno i DU tenendo conto del grado di sviluppo del paese.

la posizione assunta dai due paesi nell'ambito dei meccanismi di tutela dei DU

di cui sono parte. Il

PAR. 4.4,

infine, offrirà alcune considerazioni sugli

aspetti che accomunano o distinguono Russia e Cina nella materia in esame.

4·2

Approccio di Russia e Cina al diritto internazionale La posizione di Russia e Cina in merito al ruolo del DI presenta diversi aspet­ ti comuni, a partire dalla volontà condivisa di influenzarne lo sviluppo in una precisa direzione. Lo dimostra la]oint Declaration on the Promotion oflnter­

nationalLaw adottata, congiuntamente, da entrambi i paesi nel2oi6. 61

MARCO BALBONI, CARMELO DANISI

Con tale strumento, Russia e Cina hanno ribadito la necessità da parte di tutti i membri della comunità internazionale di una maggiore aderenza ai classici principi di DI come enunciati dalla Carta delle Nazioni Unite

(Nu), quali la

sovranità statale, l'eguaglianza tra Stati e il non intervento negli affari interni. I due paesi hanno anche sottolineato la loro volontà di integrare la pro­

pria "identità politicà' nello sviluppo del

DI,

con possibili conseguenze per­

tutti i settori di tale diritto, ivi compreso quello dei

DU.

A tal proposito, è

significativo che la Declaration non contenga alcun riferimento a tali diritti o alla necessità della loro tutela. Più che costituire una posizione di opposizio­ ne di per sé, tale silenzio sembra motivato dalla comune volontà di assicurare la prevalenza ai tradizionali principi di DI sopra menzionati in contrasto con la visione occidentale, tendenzialmente orientata, almeno dato l'orientamen­ to finora prevalente, ad attribuire alla protezione dei

DU

un ruolo rilevante

tra i valori fondanti l'assetto dell'intera comunità internazionale. Sotto questo profilo, Russia e Cina sembrano quindi config urarsi co­ me sostenitori di una visione tradizionale del DI, funzionale al manteni­ mento della coesistenza pacifica tra Stati. In questo quadro, la tutela dei DU non necessariamente non assume rilievo. Piuttosto, essa non può spingersi sino a compromettere l'equilibrio risultante dal rispetto dei tradizionali principi su cui si basa il diritto in questione. Essa quindi rimane possibile nella misura in cui sia compatibile con la stabilità internazionale e l'egua­ glianza tra Stati e, soprattutto, fino a che risulti compatibile con l' identità nazionale di ogni singolo paese. L'approccio comune sopra descritto non sembra infìciato dal fatto che, a causa di fattori diversi a carattere storico, politico, economico e culturale, i due paesi siano dotati di un assetto costituzionale in materia di rapporti tra DI

e diritto interno anche profondamente diverso. 4.2.1. LA RUSSIA

Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica

(uRss),

la nuova Federazio­

ne Russa sembrava destinata ad accogliere passivamente i valori promossi dall'Occidente. Se riaffermava i classici concetti di sovranità, integrità e inviolabilità del territorio che la Russia è chiamata a proteggere, la nuova Costituzione del 1993 non solo richiamava i classici principi di derivazione

liberale, quali il rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei ma manifestava anche una notevole apertura al

DI,

DU,

come dimostra il fatto

4· I DIRITTI UMANI IN RUSSIA E IN CINA

che le disposizioni ad esso relative erano inserite nello stesso capitolo

I

de­

dicato ai principi fondamentali. L'art. I5.4 primo alinea stabiliva che il diritto internazionale consue­ tudinario e i trattati ratificati dalla Russia fanno parte integrante dell'or­ dinamento interno, mentre il secondo alinea della medesima disposizione stabiliva che, in caso di contrasto tra trattati ratificati dalla Russia e la legge interna, i primi dovessero ricevere applicazione, consacrando così anche la prevalenza del DI (seppur limitata alle sole disposizioni di diritto pattizio). L'art.

2

della Costituzione, inoltre, qualificava i

DU

come valori supremi

dell'ordinamento, facendo del loro riconoscimento e protezione un obbli­ go dello Stato, mentre l'art. I7 della stessa precisava che nella Federazione i DU

sono riconosciuti e garantiti in accordo sia con i principi universalmen­

te riconosciuti e le norme di DI, sia con la stessa Costituzione russa. Infine, l'art. 79 prevedeva che la Federazione possa partecipare a organizzazioni internazionali e trasferire ad esse poteri sovrani, sempre che ciò non com­ porti limitazioni nei predetti diritti e non entri in conflitto con i principi del sistema costituzionale russo. La successiva legge federale 15 luglio 1995, n.

IOI-FZ

sui trattati interna­

zionali confermava questo approccio, attribuendo altresì alla Corte costitu­ zionale il potere di verificare in via preventiva la conformità con la Costi­ tuzione dei trattati internazionali non ancora in vigore (art.

34).

La stessa

giurisprudenza non si muoveva in modo diverso. La Corte costituzionale ri­ correva frequentemente al DI sia per rafforzare una specifica interpretazione delle disposizioni costituzionali (cfr., ad esempio, Corte costituzionale russa,

Collective Labor Disputes Case, I995; Case Concerning Art. 42 oJthe Law oJ the Chuvash Republic on the Election oJthe Deputies oJthe State Assembly oJ the Chuvash Republic, I995) sia per raggiungere una particolare conclusione (cfr. Corte costituzionale russa, sentenza del I9 novembre 2009 in materia di pena di morte; sentenza del 21 dicembre 2005 in tema di rappresentan­ za), mentre la Corte suprema provvedeva a riconoscere diretta applicabilità ai trattati internazionali nell'ordinamento interno, perlomeno in taluni casi, ritenendo così che da essi possano derivare diritti e obblighi per i singoli (cfr. Corte suprema, decisione n. 5 del

ro

ottobre

2003).

Tale quadro costituzionale, di per sé non dissimile da quello di molti altri paesi, anche occidentali, è stato tuttavia progressivamente interpretato e uti­ lizzato per garantire prevalenza alla Costituzione e, più in generale, a valori interni considerati come fondamentali o distintivi dell'identità del paese, ri­ assegnando al contempo al DI il ruolo tradizionale di supremo garante della sovranità statale, intesa come indivisibile e illimitata. Nella visione russa, il

MARCO BALBONI, CARMELO DANISI

DI

rimane così essenzialmente, se non unicamente, connesso a questioni di

sicurezza nazionale e controllo territoriale. L'obiettivo ultimo della comuni­ tà internazionale non è tanto quello di rafforzare la cooperazione tra i suoi membri, quanto piuttosto quello di garantire condizioni di coesistenza tra Stati uguali e sovrani. Il consenso dello Stato interessato, quindi, rappresenta la base di ogni relazione che si instauri a livello internazionale. Tale approccio influenza inevitabilmente anche il ruolo assegnato al di­ ritto internazionale dei diritti umani. Il DI infatti non persegue il fine priori­ tario di garantire la protezione dei diritti individuali e/ o dei gruppi minori­ tari, specie se l'esito è quello di compromettere il principio di non intervento negli affari interni di un paese. Come si vedrà, ciò trova dimostrazione pro­ prio nella giurisprudenza interna, in particolare della Corte costituzionale, relativa ai trattati in materia di DU ratificati dal paese. 4.2.2. LA CINA

Il caso della Cina conferma a maggior ragione come fattori storici e ideologi­ ci siano determinanti per comprendere l'approccio al DI. Per quanto sembri intenzionata ad assumere un ruolo di norms shaper come (o con) la Russia in ambito internazionale, la Cina ha vissuto un'evoluzione caratterizzata da una profonda diffidenza verso il

DI

che ha influenzato probabilmente sia la

partecipazione del paese alla vita della comunità internazionale sia l'apertura dell'ordinamento interno allo stesso DI. Nelle più alte istituzioni cinesi é ancora dominante quella enduring men­

tality che vede la Cina come uno Stato da sempre vittima di tale diritto. Que­ sta idea trova origine nell'epoca in cui gli Stati occidentali, attraverso l' impo­ sizione dei cosiddetti trattati ineguali, hanno tratto vantaggio dai rapporti commerciali instaurati con il paese. Ciò si trova riflesso nella Costituzione cinese del

1982, che non effettua

alcun riferimento al DI, ivi compreso quello consuetudinario, facendo di tale Costituzione un caso quasi unico nel panorama delle costituzioni contem­ poranee. Le successive riforme costituzionali hanno sostanzialmente confer­ mato questo impianto. Gli unici riferimenti si ritrovano nel preambolo al­ la Costituzione, ove tuttavia si richiamano solo i tradizionali principi di

DI

quali il rispetto reciproco della sovranità e dell'integrità territoriale, la non aggressione, il non intervento negli affari interni, l'eguaglianza e la coesisten­ za pacifica, interinando così una visione classica e tradizionale del DI.

È anche vero che nella legislazione interna, come nella legge sui principi generali di diritto civile (art.

142), si ritrovano affermazioni relative agli ob-

4· I DIRITTI UMANI IN RUSSIA E IN CINA

blighi assunti dalla Cina sul piano internazionale e sulla loro prevalenza ri­ spetto a norme interne contrastanti. Non sembra, però, esserci accordo sulla portata di tali disposizioni proprio per l'assenza di riferimenti nella Costitu­ zione e alla luce del prevalente atteggiamento delle Corti interne, poco incli­ ni all'applicazione dei trattati internazionali (con esclusione forse dell'ambi­ to economico). Come si vedrà, questa impostazione influenza l'approccio del paese ver­ so il sistema internazionale di protezione dei

DU.

Se è vero che la Cina par­

tecipa ad alcuni sistemi di protezione e se è vero che, per la prima volta, con la riforma del 2004, abbia inserito a livello costituzionale un riferimento espresso ai nu secondo cui «lo Stato rispetta e tutela» tali diritti (art.

n), la

Cina rimane sostanzialmente caratterizzata da un proprio approccio e da una chiusura circa gli effetti che il diritto internazionale dei diritti umani possa eventualmente produrre in ambito interno.

4·3

Il dialogo con i meccanismi internazionali di tutela dei

DU:

difesa dell'identità nazionale e obiettivi strategici La posizione comune sul ruolo del DI non esclude che Russia e Cina si carat­ terizzino per approcci diversi sulla questione dei

DU

in quanto tale. Questa

diversità di approccio sembra incidere sul bilanciamento che viene operato tra posizioni individuali e interessi collettivi. Se in entrambi casi la dimensio­ ne collettiva tende a prevalere su quella individuale, almeno visto il bilancia­ mento effettuato comunemente in Occidente, tale prevalenza porta a risulta­ ti diversi che possono forse essere definiti in termini di national

identityfirst

per quanto riguarda la Russia e peoplefirst rispetto alla Cina. Tale dinamica emerge in modo significativo se si considera il dialogo che entrambi i paesi hanno instaurato all'interno dei sistemi di protezione di cui fanno parte. 4·3·I· LA DIFESA DEI VALORI TRADIZIONALI IN RUSSIA

La concezione russa non sembra avere difficoltà a riconoscere l'individuo co­ me titolare di posizioni soggettive esigibili direttamente in giudizio. Questo punto di partenza spiega probabilmente la relativa facilità con cui la Russia abbia accettato di far parte di sistemi internazionali di protezione all' indo6s

MARCO BALBONI, CARMELO DANISI

mani della caduta del comunismo, tra cui in particolare il sistema della CEDU. Ciò è riflesso anche nel testo costituzionale dove, all'art. 46, si riconosce un vero e proprio diritto individuale di ricorrere, in via sussidiaria, a meccanismi internazionali per la protezione dei DU. La posizione della Russia in seno a tali meccanismi si è scontrata tut­ tavia, sin dall'inizio, con una serie di problemi. Ne è un esempio la que­ stione della pena di morte. Benché la sua abolizione costituisca un requi­ sito per l'ammissione al

CDE,

la Russia si è limitata ad assumere l'impe­

gno di procedere in tal senso abrogando le disposizioni di legge in mate­ ria e ratificando il Protocollo n. 6 addizionale alla

CEDU

(sull'abolizione

della pena di morte in tempo di pace). Dopo venti anni, tuttavia, essa continua a garantire solo un'abolizione dejàcto. Questa ambivalenza tra ciò che potrebbe definirsi adesione "formale" e "sostanziale" si ritrova anche nel successivo dialogo instauratosi tra i giudici interni, in particolare la Corte costituzionale, e la Corte EDU. Dopo un periodo iniziale di mutua conoscenza, negli ultimi anni le au­ torità russe sembrano considerare le decisioni della Corte EDU come inter­ ferenze nella propria concezione in materia di diritti e libertà. Ciò ha por­ tato a una riforma interna, introdotta nel 2o rs, che mira sostanzialmente a subordinare l'esecuzione delle sentenze della Corte

EDU

alla loro confor­

mità con tale concezione "interna". Il percorso che ha portato a tale riforma appare significativo. La prima occasione in cui vi è stata una certa frizione è relativa al caso

Markin in tema di congedi per cura della prole a funzionari (maschi) dell'e­ sercito (Corte

EDU,

Grande Camera, 22 marzo 20r2, ricorso n. 30078/o6).

Alla base della decisione della Corte

EDU

vi era il rispetto del divieto di di­

scriminazione in base al sesso, letto secondo una prospettiva classica in ma­ teria di uguaglianza di genere che mira a superare pregiudizi e stereotipi in­ siti tanto nella società quanto nell'ambito familiare. A fronte di quella che é stata ritenuta un'imposizione esterna di uno specifico concetto di famiglia e di parità tra donna e uomo, le autorità russe hanno opposto la loro visione di tali concetti, mettendo così in discussione l'obbligo di conformarsi all'inter­ pretazione della Convenzione offerta dalla Corte EDU. Nonostante ciò, negli sviluppi interni relativi a questo caso, la Corte costituzionale rimaneva aperta al dialogo rilevando che i valori che definiscono l'identità russa sono conci­ liabili con l'interpretazione fornita dalla Corte

EDU,

essendo entrambi i si­

stemi di tutela, nazionale e regionale, basati sulla stessa idea di DU (cfr. Corte costituzionale russa, sentenza n. 27-P del6 dicembre 20r3). 66

4· I DIRITTI UMANI IN RUSSIA E IN CINA

Data la crescente insoddisfazione interna per le posizioni espresse dalla Corte

EDU,

la Corte costituzionale ha successivamente affermato che l' in­

terazione con il sistema europeo non é possibile se intesa come subordina­ zione allo stesso e se l' interpretazione dei diritti e delle libertà non rispetta l' «identità costituzionale nazionale» (cfr. Corte costituzionale russa, sen­

tenza n. 2I-TI del I4 luglio 20I5) . Richiamando il principio di eguaglianza sovrana tra Stati, considerato come

un

principio di

DI

cogente, la Corte co­

stituzionale ha affermato l' impossibilità per la Russia di accettare, senza pre­ vio consenso, obblighi convenzionali quando questi non siano conformi ai valori specifici che permeano la società russa. Non è casuale che, poco dopo,

il legislatore federale abbia introdotto una riforma legislativa ( legge federale IS

dicembre 20I5, n. 7-FKZ che modifica la legge federale 2I luglio I994, n.

I-FKZ

sulla Corte costituzionale) volta ad attribuire nuove competenze alla

stessa Corte per garantire come prioritaria la difesa dei valori russi sull'ese­ cuzione delle sentenze della Corte

EDU.

In sostanza, con tali modifiche, la

Corte costituzionale può oggi ricevere ricorsi da talune autorità federali nel caso in cui nutrano dubbi sulla possibilità di dare esecuzione a una decisio­ ne di un organo internazionale basata su un trattato che viene interpretato in modo difforme da quanto previsto dalla Costituzione della Federazione. Oltre a decidere sull'eventuale esecuzione, la Corte costituzionale può stabi­ lire tutti i mezzi con cui tale esecuzione debba avvenire nonché pronunciarsi sulla conformità al testo costituzionale di una decisione internazionale che preveda un'equa soddisfazione alla parte lesa. Nella prima sentenza adottata in seguito all'entrata in vigore di tale rifor­

ma ( Corte costituzionale russa, Anchugov e Gladkov, 20I6 ) , la Corte costitu­ zionale conferma e, al contempo, precisa la sua posizione in un caso relativo al riconoscimento del diritto di voto ai detenuti, negato dalla Costituzione russa (cfr. art. 32) ma tutelato dal sistema europeo (cfr. art. 3, Protocollo n.

I

addizionale alla

della

CEDU

)

CEDU .

Dopo aver ritenuto che al momento della ratifica

non esistesse alcuna divergenza con il sistema europeo, poichè il

riconoscimento del diritto in esame costituiva un prodotto dell'attività in­ terpretativa della Corte EDU, la Corte costituzionale ha affermato che, in si­ tuazioni di questo tipo, seppure in via eccezionale, la Russia può anteporre la propria lettura dei diritti, quale emerge dal testo costituzionale, all'obbligo di esecuzione delle sentenze della Corte EDU. In tale occasione, si è comunque dichiarata aperta alla ricerca di "legittimi compromessi" nei limiti permessi dalla Costituzione. Tuttavia, come dimostra il caso Yukos del 2017, la Corte ha dato nuovamente prevalenza alle esigenze interne pur ribadendo l'ecce­ zionalità della circostanza.

MARCO BALBONI, CARMELO DANISI

Se è vero che non sembra mettere in discussione di per sé l'universalità dei

DU,

la giurisprudenza in esame procede certamente a una loro rilettura

secondo principi e valori interni, anche di natura sociale, ritenuti primari. A sostegno della propria posizione, la Corte costituzionale si è richia­

mata all'operato di altre Corti costituzionali, in particolare italiana e tede­ sca che, in effetti, in alcuni casi, si sono ispirate a interpretazioni diverse dei diritti protetti o hanno escluso di dare esecuzione a obblighi di derivazione esterna al fine di assicurare la prevalenza alla tutela dei diritti così come rico­ nosciuti in ambito interno (cfr. , ad esempio, Corte costituzionale italiana, sentenza n. 238 del22 ottobre2014) . Tuttavia, le due situazioni non appaio­ no paragonabili. Mentre la Corte costituzionale italiana e tedesca si ispirano a una posizione di dialogo tra Corti volta a consentire una migliore compren­ sione reciproca e il raggiungimento di una sintesi comune, nel caso russo ap­ pare prevalere la difesa di concezioni sociali dominanti interne poste a tutela di supposti valori identitari collettivi. Pur mantenendo in via di principio l'adesione al sistema

CEDU,

la giuri­

sprudenza della Corte costituzionale sembra manifestare così due aspetti. Da un lato, afferma il proprio primato su questioni considerate sensibili per la so­ cietà nazionale poichè connesse con la sua identità ( ad esempio, la difesa dei ruoli di genere all'interno della società o della famiglia ) . Dall'altro, pur non negando la tutela dei diritti individuali, realizza un bilanciamento tra questi e gli interessi collettivi basati su valori identitari che porta, in concreto, a dare prevalenza ai secondi, finendo quindi con l'attribuire un diverso contenuto agli stessi diritti protetti. 4.3.2. DIMENSIONE COLLETTIVA E OBIETTIV I STRATEGICI: ' " LA PROPOST CINESE

A

Secondo la concezione cinese, i

DU

costituiscono obiettivi da promuo­

vere in via progressiva, piuttosto che diritti individuali immediatamente esigibili. Tale aspetto sembra all'origine non solo del fatto che, a differenza della Russia, la Cina abbia aderito solo ad alcuni meccanismi universali di tutela dei

DU

( cfr.

riquadro 4.2 ) , ma anche del fatto che, nell'ambito

di tali meccanismi, la Cina privilegi forme di soluzione dei conflitti ispi­ rate a tecniche di dialogo cooperativo, piuttosto che di tipo contenzioso, quali il riconoscimento di un diritto di ricorso individuale dinanzi un' i­ stanza internazionale. 68

4· I DIRITTI UMANI IN RUSSIA E IN CINA

L'aspetto più rilevante, ancorché meno evidente, è il fatto che, a dif­ ferenza della Russia, la Cina miri a proporre una propria visione dei

DU

senz'altro in linea con i propri interessi nazionali, come la stabilità politi­ ca e sociale per mantenere condizioni favorevoli alla crescita economica. La chiusura nei confronti dell'ordinamento internazionale, con le rela­ tive conseguenze sugli effetti dei trattati in materia di DU ratificati dal paese, appare funzionale proprio a proteggere l'ordinamento interno da

elementi che possano mettere in pericolo tale stabilità e crescita.

In effetti, se l'adesione della Cina a tali trattati coincide con il perio­ do di apertura internazionale alla fine degli anni Settanta, a partire dal periodo successivo ai noti eventi del I989la Cina elabora e promuove una propria proposta in materia di

DU.

Questa si concretizza, in particolare,

con l'adozione del primo White Paper sui DU del I99I seg uito da diversi Human Rights National Plans. Se né la ritrovata (relativa) apertura in­ ternazionale né questi documenti governativi hanno avuto conseg uenze sostanziali in ambito interno, essi comunque sono utili per identificare le caratteristiche della proposta cinese. Come anticipato, la posizione cinese ribadisce che i

DU

non sono da in­

tendersi quali diritti azionabili dinanzi a un giudice quanto piuttosto obiet­

tivi da promuovere in linea con lo sviluppo economico e sociale del paese. In quest'ottica, le caratteristiche sociali, culturali e storiche di quest'ultimo contribuiscono a definire quali siano i diritti da promuovere e quali, invece, da limitare per assicurare il progresso generale del sistema paese. Il Piano na­

zionale d'azione sui

Du

del

20

II fa così riferimento al concetto di pursuing

practicability che rimanda alla necessità di promuovere la "causa" dei

DU

in

modo pragmatico, date le condizioni progressivamente raggiunte dal paese. Ad esempio, la Cina considera che la pena di morte debba essere ammessa te­ nuto conto dello stato attuale di sviluppo socio-economico, il che costituisce comunque una posizione innovativa rispetto a certe posizioni del passato. I

DU

esistono poi prevalentemente nella loro dimensione collettiva,

come diritti afferenti ali' insieme della comunità in quanto tale, piuttosto che al singolo individuo. È la società o la comunità che deve crescere nel suo insieme, mentre il singolo può rimanere sacrificato per il raggiungi­

mento dell'obiettivo comune. Ciò è vero se si prende come termine di riferimento sia la comunità interna o nazionale, sia la comunità inter­

nazionale nel suo insieme. La garanzia della coesistenza della comunità, premessa per il suo sviluppo complessivo, può così richiedere sacrifici di posizioni individuali o anche di singoli gruppi minoritari. Per questo, può accadere che ciò che a gli occhi di un osservatore occidentale costitu-

MARCO BALBONI, CARMELO DANISI

isca una violazione dei diritti umani possa apparire, invece, se riguardato dal punto di vista cinese, come una condizione necessaria per garantire questi stessi diritti, in quanto strumento indispensabile per assicurare si­ curezza e stabilità sociale e, quindi, in prospettiva, standard più elevati di protezione. Ne derivano diverse conseguenze. La Cina privilegia indubbiamente diritti collettivi quali l'autodeter­ minazione dei popoli o il diritto allo sviluppo, più funzionali anche a ga­ rantire l'indipendenza e la sovranità statale. Inoltre, i diritti economico­ sociali risultano prioritari rispetto a quelli civili e politici, rimanendo co­ sì compromessa l' indivisibilità dei diritti umani, intesa come pari dignità di tutte le categorie di diritti. Ciò trova conferma nella posizione espressa dalla Cina in ambito in­ ternazionale. Non è un caso che la Cina abbia ratificato solamente il Pat­ to internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Resta una pro­ messa, invece, la ratifica del Patto internazionale sui diritti civili e politi­ ci, anche se l'eventuale adesione potrebbe non comportare significative conseguenze in ambito interno (tuttavia, rispetto ad alcuni trattati ratifi­ cati in materia, cfr. Corte popolare del Distretto diJing'an, F.D. c. Dong, n. r8r6hor2e Seconda Corte popolare intermedia di Shanghai, F.D. c.

Dong, n. r661/2013, che possono fare pensare a evoluzioni di tipo diver­ so). Al contempo, se già il White Paper del 1991 affermava che il diritto alla sopravvivenza costituisce l'obiettivo primario di uno Stato, in tutte le sedi internazionali rilevanti le autorità cinesi rivendicano il risultato di aver permesso a un sempre maggiore numero di persone di non vivere più in condizioni di povertà, proprio grazie al suo paradigma di svilup­ po. Tale posizione si ritrova riflessa anche nei rapporti nazionali con cui la Cina dà conto dell'adempimento dei propri obblighi, come nel quadro della supervisione effettuata dal Consiglio per i diritti umani delle Na­ zioni Unite nell'ambito della cosiddetta Universal Periodic Review

( uPR)

ove, nel corso della rendicontazione del2013, il paese ha posto l'accento sullo sviluppo di una moderately prosperous society e di un sistema di tu­ tele interno within theJramework ofsocialism with Chinese characteristics (cfr. anche il discorso pronunciato da XiJinping il r8ottobre2017 al XIX Congresso nazionale del Partito comunista cinese). Infine, si osserva un maggiore intervento cinese nel promuovere una discussione collettiva in materia di sicurezza internazionale e

DU

il cui obiettivo appare, non ca­

sualmente, la possibile limitazione di determinate libertà individuali al fine di garantire maggiore stabilità sociale.

70

4· I DIRITTI UMANI IN RUSSIA E IN CINA

4·4

Conclusioni L'analisi condotta dimostra come Russia e Cina siano importanti garanti del DI

inteso nella sua concezione tradizionale secondo i classici principi del ri­

spetto della sovranità statale e della non ingerenza negli affari interni, come confermano le recenti posizioni adottate congiuntamente. Tale approccio in­ fluenza inevitabilmente sia il grado di apertura degli ordinamenti di tali paesi al DI, sia, di conseguenza, la loro posizione nei confronti del diritto interna­ zionale dei diritti umani. Nondimeno, l'interazione con i sistemi regionali e universali di prote­ zione in materia di

DU

consente l'emersione di alcune differenze. Se, in en­

trambi i casi, la lettura dei diritti e delle libertà sanciti a livello internazionale appare dominata dall'attenzione alla dimensione collettiva, i risultati non ap­ paiono gli stessi. Mentre la Russia non sembra disconoscere una concezione più individuale e liberale dei diritti, seppure attutita dalla necessità di tenere conto dei valori fondamentali inerenti la propria identità nazionale, la Cina sembra offrire una concezione di DU che si stacca da quella di cui sopra anche per favorire la realizzazione di interessi collettivi alla luce del proprio model­ lo di sviluppo economico-sociale. In questa diversità di visioni e considerando la volontà di entrambi i paesi di essere parte del sistema internazionale di tutela, appare importante mante­ nere aperto un dialogo che consenta l'osmosi migliore possibile tra gli aspetti più proficui di ciascuna concezione.

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72

n

July.

s

La riconfigurazione del welfare state in Russia e Cina: la nuova politica! economy della partecipazione femminile al mercato del lavoro di Rosa Mulé*

s.I

Introduzione La letteratura recente sullo sviluppo dei welfare state ha superato i confi­ ni geografici tradizionali (i paesi dell'Europa occidentale e quelli anglo­ americani) fino a includere paesi emergenti dell'Est, del Sud, dell'Ame­ rica Latina e dell'Asia. I welfare state di questi paesi registrano marcate differenze per quanto riguarda la copertura e la generosità delle presta­ zioni, cioè l'ampiezza dei destinatari dei benefici, le condizioni di acces­ so, le fonti di finanziamento (pubbliche o private), la qualità dei servizi e la gestione delle prestazioni. Nonostante la ricchezza e l'ampiezza di respiro degli studi recenti, i sistemi politico-economici ibridi sono stati sistematicamente trattati in modo marginale nelle principali ricerche sul welfare state. Le ragioni di questa esclusione sono molteplici e complesse. In generale, gli studiosi di scienze sociali specialisti del welfare state lavorano principalmente nelle università europee o anglo-americane. Ma forse la ragione principale è che la letteratura si è concentrata troppo e solo su quei meccanismi de­ mocratici che spiegano le origini, lo sviluppo e il consolidamento dei welfare state nei paesi europei e anglo-americani. La tesi sostenuta nella maggior parte delle ricerche è che il processo di democratizzazione è la precondizione necessaria allo sviluppo del welfare state. Tuttavia, analizzare i meccanismi democratici significa considerare solo una parte del problema che riguarda i sistemi politico-economici *

Professoressa associata di Scienza politica all'Università di Bologna.

73

ROSA

MULÉ

dei regimi autoritari. Nei sistemi politico-economici ibridi, lo sviluppo del welfare state si trova di fronte a sfide e limiti di vario genere. Inoltre, gli storici sottolineano che il processo democratico non è sempre stato una precondizione per la genesi del welfare state. Se è vero che le dina­ miche della lotta e della competizione politica hanno contribuito alla nascita e all'evoluzione del welfare state, è anche vero che le prime inno­ vative misure di assistenza e di assicurazione sociale sono state introdot­ te dalle monarchie e dai governi conservatori. Storicamente, dunque, le fonti di ispirazione del welfare state sono state molteplici, e perciò la sua espansione non può essere considerata semplicemente una conseguenza della democrazia. Le condizioni poli­ tico-economiche alla base di tale sviluppo hanno avuto origine da una serie di circostanze particolari e variabili nel tempo e nello spazio. L'e­ sperienza delle due guerre mondiali, le gravi crisi economiche, le tenden­ ze demografiche e i nuovi rischi sociali sono stati altrettanto importanti del processo democratico nel determinare le opportunità per introdurre misure di assistenza sociale e assicurazioni obbligatorie. Infatti, la defi­ nizione stessa di welfare state non implica la presenza della democrazia: il welfare state è un insieme di politiche pubbliche volte alla protezione dei cittadini contro rischi e bisogni prestabiliti sotto forma di assistenza e previdenza.

È importante notare che le funzioni della previdenza sociale sod­ disfano obiettivi diversi in contesti di libero mercato o di un'economia pianificata dallo Stato. Nel secondo caso, introdurre benefici sociali può giovare alle élite politiche se ciò ha un impatto positivo sulla produtti­ vità e la crescita economica. I welfare state dei regimi autoritari sono ca­ ratterizzati da paternalismo; gli interessi dello Stato hanno la preceden­ za su quelli delle comunità; i benefici sociali sono volti a conquistare la fiducia dei cittadini verso le élite politiche. A parte il problema degli obiettivi diversi, le recenti evoluzioni del

welfare state sotto i regimi autoritari e nei paesi emergenti avvengono in un contesto profondamente mutato, caratterizzato da sfide e vincoli di altra natura rispetto a quelli presenti nel Novecento nei paesi europei. Questi ultimi in passato hanno sviluppato welfare state all' interno di confini nazionali relativamente ben definiti, mentre oggi la globalizza­ zione dei mercati e il commercio internazionale di beni, servizi e capitale erodono le barriere che proteggono l'economia e la politica dei singoli paesi. L' integrazione economica implica che i paesi emergenti siano in­ dotti a ridurre la spesa pubblica per le misure di assistenza e ad adottare

74

5· LA RICONFIGURAZIONE DEL WELFARE STATE IN RUSSIA E CINA

modelli di welfare neoliberali e conformi all'andamento del mercato. Di conseguenza, l'enorme trasformazione politico-economica dei paesi emergenti ha modificato il rapporto tra la società, lo Stato e il mercato. In particolare, la riconfigurazione dei rapporti tra Stato e imprese, che sostiene la transizione verso un nuovo modello di crescita economica, potrebbe creare nuovi rischi sociali. I rischi sociali più pressanti sono connessi alla necessità di entrambi i coniugi di lavorare per mantenere livelli di reddito soddisfacenti in famiglia e l'invecchiamento della po­ polazione che richiede politiche assistenziali di qualità. Il mercato del lavoro è indubbiamente uno dei settori più colpiti dalla diffusione dei nuovi rischi sociali. Il progresso tecnologico nella produzione riduce il tasso di manodopera non qualificata, mentre una competizione più forte, incoraggiata dall'integrazione economica inter­ nazionale e dalla globalizzazione, ha reso più flessibile il mercato del la­ varo. Queste tendenze hanno contribuito a cambiare profondamente lo scenario del mercato del lavoro nelle economie di transizione, con gravi conseguenze a lungo termine sulla parità di genere. La riconfigurazione dei rapporti tra lo Stato, le imprese e la società, compresa la privatizzazione delle imprese pubbliche e lo smantellamen­ to dei servizi sociali pubblici, ha messo fine all'era del posto fisso e a una retribuzione paritaria dei lavoratori. Nell'economia pianificata, invece, il posto fisso, le politiche salariali centralizzate e i servizi sociali di ampio respiro permettevano alle donne di gestire la doppia fatica del lavoro e degli impegni familiari senza subire riduzioni sostanziali nello stipendio a causa del loro ruolo di madri. Un altro rischio sociale che rende difficile conciliare gli impegni di lavoro e di famiglia è l'invecchiamento della popolazione. L'aumento del numero assoluto e relativo di anziani comporta inevitabili conse­ guenze sui servizi necessari alla loro assistenza. Il fatto che le donne se ne assumano la responsabilità limita l'occupazione femminile, e ciò a sua volta aumenta il rischio di povertà delle famiglie. Nell'economia pianificata il ruolo riproduttivo della donna era tu­ telato da meccanismi istituzionali che sono stati progressivamente erosi dal processo di transizione economica e politica. Lo smantellamento del sistema socialista di welfare ha portato a una riduzione sostanziale del­ le misure di assistenza, in particolare delle sovvenzioni per l'assistenza all'infanzia, addossando la responsabilità della cura dei figli soprattutto alle famiglie.

75

ROSA

MULÉ

Ci si può chiedere se la transizione dei paesi emergenti verso un nuo­ vo modello di crescita economica abbia influenzato positivamente o me­ no le opportunità per le donne nel mercato del lavoro. I casi che esa­ miniamo empiricamente sono la Russia e la Cina. Come si collega la questione del genere al welfare del regime pose-comunista nella Russia e nella Cina di oggi? La letteratura indica che sia in Russia sia in Cina le imprese sono sempre più restie a soddisfare le esigenze delle proprie di­ pendenti in questa direzione.

È indubbio che la partecipazione femminile al mercato del lavoro sia governata da una complessa serie di cause, tra cui una rete di rapporti familiari e sociali. Questi ultimi dipendono dalla relazione tra lo Stato, il mercato e la famiglia, in termini di distribuzione delle risorse e forni­ tura di assistenza sanitaria pubblica/privata. Alla luce di questi fattori, il nostro capitolo si concentra sul mutamento della politica! economy e, in particolare, verte sulle opportunità lavorative per le donne. Il contribu­ to mostra che la trasformazione nel welfare state, sia russo sia cinese, ha avuto origini differenti nei due paesi, ma entrambi sembrano oggi con­ vergere verso un nuovo modello neo-familistico, con un'erosione gra­ duale del sostegno statale ai servizi sociali, ali'assistenza per l'infanzia e agli anziani. Il welfare state autoritario russo e quello cinese evolvono gradualmente verso un nuovo tipo di famiglia incentrato sul modello dell'uomo-lavoratore e della donna-madre. Questo capitolo si propone di delineare le traiettorie dei cambia­ menti istituzionali nel welfare state russo e cinese alla luce delle sfide globali, concentrandosi sulla questione del genere e del mercato del la­ varo. Si propone inoltre di illustrare la trasformazione dei welfare state in termini legislativi, di servizi sociali e di benefici, esplorando la parte­ cipazione femminile al mercato del lavoro. Prima di proseguire, occorre sottolineare che questo capitolo non analizza nel dettaglio tutte le complessità della riconfigurazione del wel­ fare state in Russia e in Cina. Per esempio, le profonde differenze tra il mondo urbano e rurale costituiscono un tema interessante che non può essere affrontato in questa sede. È noto che esistono dislivelli significati­ vi tra le aree urbane e rurali russe e cinesi per quanto riguarda il tasso di occupazione, disparità di genere nella retribuzione e disuguaglianza di reddito. Si tratta di un importante tema d'indagine che lasciamo aperto per futuri progetti di ricerca. Il nostro lavoro si basa su un'analisi quali­ tativa e comparativa ed esamina paesi selezionati in modo mirato e non casuale.



LA RICONFIGURAZIONE DEL WELFARE STAT E IN RUSSIA E CINA S·2

Il timing del mutamento del welfare state in Russia e Cina La Russia e la Cina sono due paesi vasti e complessi in cui il sistema eco­ nomico veniva pianificato dal regime comunista e lo Stato era respon­ sabile dei servizi socio-sanitari. Il welfare state comunista era modellato sull'ideologia marxista e fondato sull'economia pianificata. Negli ultimi trent'anni entrambi i paesi si sono orientati verso l'introduzione di un regime democratico, accogliendo alcuni aspetti dell'economia di merca­ to. Inoltre, questi due paesi giocano un ruolo importante nell'economia mondiale e hanno sperimentato le pressioni e le sfide dell'integrazione economica internazionale. Le riforme pose-comuniste indirizzate all'economia di mercato han­ no influenzato la trasformazione del welfare state in Russia e Cina. Il wel­ fare state comunista era profondamente radicato nel modello economi­ co di pianificazione delle risorse umane e materiali da parte dello Stato. Tale modello si basava su un sistema politico-economico che prevedeva alti tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le politiche per la famiglia, tra cui il congedo di maternità e il sostegno statale ali'as­ sistenza per l'infanzia, sostenevano e incoraggiavano le donne a inserir­ si nel mercato del lavoro. Ciò comportava che il tasso di partecipazione femminile era simile a quello maschile. Nel sistema economico russo e cinese, i posti di lavoro venivano assegnati quasi esclusivamente dallo Sta­ to, e il Partito/lo Stato comunista si impegnava considerevolmente a pro­ muovere la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Come mostra la

TAB.

s.I, nei due paesi il tasso di partecipazione della

forza lavoro femminile è elevato, nonostante dal 2000 al 20I4 sia diminui­ to di 7 punti percentuali in Cina e aumentato di 3 nella Federazione Russa. Nella politica! economy comunista i servizi di assistenza erano integra­ ti nelle aziende, che fornivano asili per i bambini e alloggi per le famiglie. Il processo di transizione verso un'economia di mercato e l'integrazione economica internazionale hanno contribuito a ridurre la responsabilità statale in ambito sociale. I pesanti tagli ai servizi sociali hanno tolto alle donne il sostegno pubblico e istituzionale ali'assistenza familiare e infan­ tile. Inoltre, la privatizzazione delle imprese pubbliche prevedeva che i datori di lavoro privati finanziassero almeno in parte i servizi di assisten­ za all'infanzia nonché gli incentivi alla maternità. Tuttavia, oggi i datori di lavoro sono poco favorevoli a finanziare tali incentivi e ad assumere

77

ROSA MULÉ TABELLA S-I Percentuale di partecipazione femminile al mercato del lavoro in Cina e nel la Federa­ zione Russa (2.0oo e 20I4) Donne

Uomini 2.000

2.014

2.000

Cina

?I

Federazione Russa

54

2.014

57

Fonte: Organizzazione internazionale del lavoro, su stime demografiche della Banca Mondiale*. •

La forza lavoro complessiva comprende gli individui di età uguale o superiore ai 15 anni che rientrino nella

definizione di popolazione attiva dell'Organizzazione internazionale del lavoro (International Labour Or­ ganization, ILO): cioè tutti gli individui che svolgano un'attività lavorativa nella produzione di beni e servizi durante un determinato periodo. La definizione di forza lavoro comprende sia occupati che disoccupati.

Il trattamento di alcune categorie come l'esercito e i lavoratori stagionali o part-time varia a seconda delle prassi nazionali, ma in generale la forza lavoro comprende anche le forze armate, i disoccupati e gli inoccu­ pati, ma esclude le casalinghe, gli assistenti domiciliari non retribuiti e i lavoratori irregolari.

una donna. Di conseguenza, le donne in età fertile hanno più difficoltà a trovare un'occupazione e meno opportunità di crescita professionale. L'importante riorganizzazione del sistema economico in Russia e Ci­ na offre un'occasione unica di analizzare se e come tale cambiamento abbia influenzato i modelli di genere nel mercato di lavoro. I nuovi modelli sol­ levano due interrogativi cruciali sulla condizione femminile nel mercato del lavoro:

1.

che cosa determina la permanenza o l'uscita delle donne dal

mercato del lavoro ( lavoro part-time, riqualifìcazione, sussidio di disoccu­

pazione) ?;

2.

in quali condizioni possono le donne operare scelte nel rispet­

to del contratto di lavoro? In particolare, hanno diritto a giorni di assenza retribuiti ( malattia, congedo di maternità ecc. ) ? Le risposte a queste domande permettono di evidenziare le peculiarità della trasformazione del welfare state in Cina e in Russia. La differenza fon­ damentale tra le due modalità di rinnovamento risiede nel timing delle varia­ zioni istituzionali. In Russia è conseguenza di eventi improvvisi, concentrati in periodi di tempo brevi. In Cina, il cambiamento del welfare state avviene tramite processi lenti, continui e protratti nel tempo. Ciò non sorprende poi­ ché normalmente le istituzioni si modificano gradualmente piuttosto che in modo discontinuo. Un mutamento istituzionale graduale non è meno rile­ vante di un cambiamento improvviso e sconvolgente.



LA RICONFIGURAZIONE DEL WELFARE STAT E IN RUSSIA E CINA

Se l'origine delle riforme del welfare state è sicuramente diversa in Cina e in Russia (la prima graduale, la seconda improvvisa), la riorganizzazione del­ lo stesso rivela interessanti somiglianze nei modelli di genere dei due paesi. La nuova riconfigurazione dei rapporti tra Stato, mercato e famiglia eviden­ zia forti frizioni e tensioni. In particolare, si stanno ridefinendo i limiti tra la responsabilità pubblica e quella privata dell'assistenza alle famiglie. Alcuni servizi sociali essenziali, come l'assistenza, l'istruzione e la sanità, si trasfor­ mano da pubblici in privati.

5·3

La riconfìgurazione di genere del welfare state in Russia

È fuori dubbio che il collasso dell'Unione Sovietica nel I99I rappresenti un momento di trasformazione improvvisa e rapida, una "giuntura criticà' che cambia radicalmente lo status quo della politica! economy russa. Per compren­

dere il panorama politico ed economico russo dei primi anni Novanta del se­

colo scorso è importante sottolineare un aspetto della definizione di "giuntu­ ra critica": il fatto che provochi una riorganizzazione discontinua e radicale. Quando la Federazione Russa si apriva all'economia di mercato all'ini­ zio degli anni Novanta, i sistemi di assistenza sociale che aveva ereditato sono stati aspramente criticati. Lo sviluppo del welfare state post-sovietico in Russia si divide in tre di­ verse fasi di liberalizzazione. Nella prima ( I99I-93 ) la liberalizzazione non è stata negoziata; nella seconda (I994-99 ) è stata contestata; nella terza

( woo-

04 ) è stata negoziata tra le élite. I riformatori accoglievano un paradigma

liberale di riduzione di sovvenzioni e privilegi e di privatizzazione dell'assi­ stenza sociale. Lo Stato doveva diminuire le responsabilità sui servizi sociali e sulle politiche di assistenza per trasferirle ai privati. Tuttavia, le politiche del mercato del lavoro nella Russia contemporanea sono simili a quelle del regime sovietico sia in ambito familiare sia di genere. La legislazione russa protegge le madri lavoratrici dando loro diritto al con­ gedo di maternità retribuito e a un periodo parzialmente retribuito per ac­ cudire i neonati. Queste leggi regolamentano anche la relazione tra la madre e il datore di lavoro. Lo svantaggio è che tale legislazione può influire nega­ tivamente sulle opportunità di rientro al lavoro dopo la maternità nonché aumentare la discriminazione contro le donne nelle assunzioni e nella retri­ buzione. Tale discriminazione è diffusa tra i datori di lavoro.

79

ROSA

MULÉ

Il processo di riorganizzazione del welfare state nei suoi tratti distributivi e istituzionali in Russia è segnato da un ritorno ai ruoli tradizionali femmi­ nili/ maschili. La transizione ha esacerbato la discriminazione di genere, cre­ ato il dilemma di come conciliare famiglia e lavoro e aumentato il numero

di donne povere ( femminilizzazione della povertà ) . Durante la transizione post-comunista, i pesanti tagli ai servizi sociali hanno diminuito il sostegno pubblico e istituzionale alle donne perché si occupassero della famiglia e dei figli. Il sistema di assistenza all'infanzia, che durante il periodo sovietico era

ben integrato nelle aziende, è cambiato radicalmente. Le imprese che opera­ no nel libero mercato non hanno più potuto o voluto fornire servizi sociali, mentre lo Stato ha tagliato drasticamente molti servizi pubblici. La privatiz­ zazione dell'assistenza all'infanzia ha spinto le donne a uscire dal mercato del lavoro per tornare al ruolo più tradizionale di casalinga. Ciò spiega perché, in quanto consumatrici di servizi sociali, le donne siano state penalizzate a causa di un minor sostegno statale. Oggi è molto più facile licenziare le donne anche se, o forse proprio per­ ché, la durata del congedo di maternità è rimasta uguale a quella sotto il regi­

me sovietico ( 3 anni ) . Nel periodo tra il I99I e il I998l'economia russa conta­

va I2 milioni di disoccupati, di cui 8milioni (due terzi ) erano donne. All'ini­ zio del I998le donne disoccupate erano I milione e 30o.ooo, ovvero il 63,9% della popolazione disoccupata censita. Durante la transizione, all'inizio de­ gli anni Novanta, la disoccupazione era prevalentemente femminile, nono­ stante le donne fossero più istruite degli uomini: in quel periodo le laureate superavano i laureati ( il2o% contro il I?% ) , e le diplomate i diplomati in mi­

sura ancora maggiore ( il4o% contro il27,7% ) .

Dall'inizio degli anni Duemila il governo di Putin ha cercato di affron­ tare il problema demografico, causato dalla riduzione del tasso di fertilità e dall'invecchiamento della popolazione, adottando una serie di politiche vol­ te a incoraggiare le donne ad avere figli. Il governo ha introdotto finanzia­ menti per le giovani coppie e ha anche aumentato i sussidi per la maternità e l'assistenza all'infanzia, oltre a fornire finanziamenti per l'istruzione dei bambini in età prescolare. Nel 2006 la Federazione Russa ha avviato il pro­ gramma "Capitale di maternità': per cui le donne che partorivano o adotta­ vano due o più figli avevano diritto a un sussidio economico da parte dello Stato. La madre riceve tale somma sotto forma di assegno dopo il terzo anno di età del bambino. Tuttavia, il problema di come conciliare impegni di la­ voro e di famiglia persiste a tutt'oggi, e suggerisce che il welfare state russo debba essere ricalibrato, reimpostato e adattato per rispondere ai nuovi bi­ sogni sociali.

So



LA RICONFIGURAZIONE DEL WELFARE STAT E IN RUSSIA E CINA 5·4

La riconfigurazione di genere del welfare state in Cina Contrariamente all'esperienza della Federazione Russa, la trasformazione del welfare state cinese è stata graduale. La letteratura identifica quattro periodi principali: il primo va dal I949 alla fine degli anni Settanta, sotto il regime di Mao (economia pianificata dallo Stato); il secondo abbraccia gli anni Ottan­ ta, caratterizzati da una riforma iniziale del welfare sotto Deng Xiaoping; gli anni Novanta (terzo periodo) vedono riforme più decisive sotto Jiang; negli anni Duemila l'approccio al welfare è più inclusivo, con nuovi sforzi per rein­ trodurre un piano minimo di previdenza sociale nelle campagne e rafforzare la rete di protezione sociale per i disoccupati. La Cina vanta uno dei tassi più alti di inclusione femminile nel merca­ to del lavoro in Asia. Tali tassi elevati sono l'eredità dell'economia pianifica­ ta. Nel

I968 Mao Zedong aveva immaginato una Cina in cui «le donne sor­

reggono metà del cielo». Il principio di una paga equa per un lavoro equo è stato chiaramente sancito nella legge della Repubblica popolare cinese sulla protezione dei diritti e degli interessi delle donne del

I992.

Questi progetti

politici sono stati rivisti e ampliati negli anni seguenti. Anche il dodicesimo

(wn-Is) sostiene chiaramente il diritto alla parità di genere e i diritti delle donne in ambito economico e sociale. Le Regole spe­ ciali sulla protezione delle lavoratrici (2oi2) prorogano il congedo di maternità da 90 a 98 giorni; richiedono il pagamento del sussidio di maternità durante Piano quinquennale cinese

il congedo ed esentano le lavoratrici dagli straordinari o dai turni di notte a partire dal settimo mese di gravidanza o durante l'allattamento. Questo pas­ saggio verso un nuovo modello di crescita, conseguente alle riforme del I978, ha creato possibilità senza precedenti per le donne. Le nuove opportunità di lavoro derivano anche dal formidabile successo economico cinese, con una crescita annua di circa il Io%. Lo sviluppo di un'economia di mercato socialista che privatizza le picco­ le e medie imprese pubbliche ha messo fine all'era del posto fisso e dei servizi sociali forniti in ambito lavorativo. Le riforme economiche hanno trasforma­ to le imprese pubbliche in aziende private, e ciò implica che lo Stato non ha più la responsabilità di rimborsare le spese previdenziali delle imprese. Più in generale, le riforme economiche degli anni Settanta del secolo scorso hanno spinto verso una riduzione dei finanziamenti statali per il welfare e i servizi, una riduzione che è continuata in modo più accentuato negli anni Novanta a causa dell'aumento della privatizzazione delle imprese pubbliche. In partico-

81

ROSA

MULÉ

lare il governo ha privatizzato le pensioni e la sanità, spostando la responsabi­ lità finanziaria sugli individui e le imprese. Come in Russia, questa trasformazione ha avuto implicazioni enormi per le donne nel mercato del lavoro cinese. Nell'economia pianificata esse aveva­ no accesso a una vasta gamma di servizi sociali che erano o pubblici o forniti dalle imprese, come l'assistenza all'infanzia, quella sanitaria e l'assistenza ai pensionati. Tali servizi sociali aiutavano le donne a conciliare lavoro e fami­ glia. In base agli standard internazionali la disparità nella retribuzione tra uo­ mini e donne era notevolmente ridotta. A seguito dei cambiamenti nel siste­ ma economico, il governo cinese non è tuttavia stato capace di modernizzare la fornitura di servizi assistenziali, e ciò ha influenzato negativamente le op­ portunità per le donne nel mercato del lavoro. Il Report ofthe Working Group on the Issue ofDiscrimination against Wo­ men in Law and Practice (Mission to China) del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (12 giugno 2014) nota che la riduzione di fondi pubblici per l'assistenza all'infanzia e l'aumento dei costi degli asili privati sono la con­ seguenza della transizione da un'economia pianificata a un'economia di mer­ cato. Secondo le nuove regole, per gli asili dal 1989 i programmi pubblici di assistenza all'infanzia non includono più i bambini da zero a due anni. La riduzione dei servizi sociali ha ovviamente ripercussioni sfavorevo­ li sulla capacità delle donne di partecipare alla forza lavoro, in particolare se provengono da famiglie a basso e medio reddito. La scomparsa del sistema di welfare socialista in Cina, in cui i servizi sociali erano integrati nelle aziende, ha provocato un sostanziale calo nel sostegno statale e aziendale alle misure di assistenza (congedo di maternità retribuito, finanziamenti pubblici per l'assi­ stenza all'infanzia), per cui questa responsabilità è ricaduta prevalentemente sulla famiglia. La transizione verso un nuovo modello economico ha portato cambiamenti radicali insieme a un drammatico taglio ai finanziamenti statali per l'assistenza all'infanzia, la responsabilità della quale è stata trasferita alle imprese private. Il problema è che con l'accelerazione del ritmo delle riforme, le imprese private hanno ridotto i servizi di assistenza all'infanzia per i loro di­ pendenti. Nelwo6, meno del2o% delle imprese pubbliche forniva asili men­ tre la percentuale di quelli privati è passata dal 13,5% al 57%. Queste tendenze hanno chiare conseguenze per le donne, in quanto aumentano il peso della loro responsabilità familiare in un'economia socialista di mercato. Le ricerche empiriche evidenziano la crescente discriminazione e dispari­ tà di reddito tra uomini e donne (in particolare nella fase di selezione del per­ sonale e nelle attività di management e di alta specializzazione), a seguito della transizione cinese verso un sistema socialista di mercato iniziata nel 1978 . La

5· LA RICONFIGURAZIONE DEL WELFARE STAT E IN RUSSIA E CINA

letteratura si è concentrata sul legame tra parità di genere e riforma delle im­ prese pubbliche in Cina. Dall'inizio di questa riforma, la disparità di reddito tra uomini e donne è aumentata dal IS% dei primi anni Novanta al 25% del 2000. Tale disparità sembra essere ai massimi livelli nei settori più liberalizzati

e ai minimi in quelli controllati dallo Stato. Il

Report del

Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ( giugno

20I 4) individua un calo dell'occupazione femminile poiché le donne hanno

iniziato ad accettare impieghi meno retribuiti e meno specializzati oppure ir­ regolari. Inoltre, come in Russia, c'è stata una rinascita dei valori tradizionali che ha spinto le donne a ritirarsi dal mercato del lavoro se hanno una famiglia. La riduzione di opportunità di assistenza pubblica all'infanzia o finanziata dalle imprese costituisce un ostacolo per le lavoratrici. Inoltre, la legislazione stessa rafforza la discriminazione perché le donne devono andare in pensione prima degli uomini, a so o 55 anni (contro i 6o degli uomini) per accudire i familiari a carico ( bambini e anziani) , come si aspetta la società cinese. La rapida industrializzazione e urbanizzazione erode il sistema tradizio­ nale di sostegno da parte della famiglia allargata, tipico delle società agricole, aumentando la necessità di servizi assistenziali per le donne. Come in Russia e in molti altri paesi del mondo, in Cina la cura degli anziani è responsabilità innanzitutto della famiglia, e perciò l'invecchiamento della popolazione rap­ presenta un peso crescente per le donne. Le richieste al governo centrale di una maggiore protezione sociale derivano dalle tendenze demografiche, ma anche da forti disparità di reddito sia fra uomini e donne sia tra le aree urbane e rurali, e dall'aumento dei lavoratori migranti sprovvisti di una rete di assi­ stenza sociale.

S·S

L'avvento di un modello di welfare state neo-familistico in Russia e Cina? Nell'economia pianificata della Russia sovietica e della Cina, il modello co­ munista prevedeva che entrambi i coniugi contribuissero al bilancio econo­ mico familiare ( modello del dual breadwinner). Le pagine precedenti mostra­ no come la transizione verso un nuovo modello di crescita economica abbia avuto due importanti conseguenze sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro sia in Russia sia in Cina. In entrambi i paesi, a livello economico, le donne dipendono maggiormente dalle famiglie e dai redditi degli uomini. Inoltre, in Russia e Cina c'è stata un'erosione del sistema di sostegno sociale,

ROSA MULÉ TABELLA 5.2 Gender gap globale per la Federazione Russia e la Cina (2017) Indice del gender gap globale

Indice di partecipazione e di opportunità economica

71

41

IOO

86

Federazione Russa Cina

Fonte: World Economie Forum, Global Gender Gap Report 2.017, Table 3·

soprattutto nell'assistenza all'infanzia e agli anziani, la cui responsabilità è ri­ caduta sulle spalle delle donne. Queste politiche indicano un brusco ritorno ai ruoli tradizionali di genere. L'indice del divario di genere, elaborato nel Global Gender Gap Report del World Economie Forum del

2017, dimostra che la Federazione Russa occupa

posizioni più favorevoli alle donne rispetto alla Cina sia nell'indice globale sia nell'indice di partecipazione e di opportunità economiche (cfr. TAB.

5.2).

In termini di modelli di welfare state, in entrambi i paesi il passaggio dal modello del dual breadwinner a un modello neo-familistico di assistenza si fonda sul modello dell'uomo/lavoratore e della donna/madre. Come abbiamo osservato, il processo di riorganizzazione dei tratti distri­ butivi e istituzionali del welfare state in Russia e Cina è stato caratterizzato da un ritorno ai ruoli tradizionali uomo/donna. Tra i nuovi rischi sociali più pressanti di questa transizione vi sono la discriminazioni di genere, il dilemma di come conciliare lavoro e famiglia e l'alta percentuale di donne povere. Le riforme economiche in Russia e Cina sembrano aver fatto emergere nuove di­ suguaglianze, con un ritorno a un modello più tradizionale dei ruoli di gene­ re. Tale tendenza neo-familistica suggerisce una convergenza tra paesi anche molto diversi tra loro (Russia, Cina, Europa meridionale) in termini di diffu­ sione dei nuovi rischi sociali nelle società contemporanee.

s.6

Conclusioni La riconfìgurazione dei sistemi di welfare nei sistemi politici ibridi di Russia e Cina avviene durante una fase di rapida urbanizzazione e industrializzazione che crea nuovi rischi sociali. Essi derivano dall'enorme trasformazione politi­ co-economica degli ultimi trent'anni che ha modificato il rapporto tra Sta-

5· LA RICONFIGURAZIONE DEL WELFARE STAT E IN RUSSIA E CINA

to, mercato e società, influenzando profondamente le condizioni delle donne nel mercato del lavoro. La complessa interazione tra l' integrazione economica globale e i modelli tradizionali di assistenza sociale ha plasmato sistemi di wel­ fare neo-familistici. Nella fase di transizione verso un'economia di mercato, i sistemi di welfa­ re comunisti in Russia e Cina sono stati ridimensionati e liberalizzati, si sono maggiormente orientati al mercato, dando luogo a un'erosione del sistema di sostegno sociale. In tali circostanze, i governi dovrebbero impegnarsi a formu­ lare e attuare politiche che riconcilino lavoro e famiglia, con l'obiettivo di su­ perare i ruoli di genere. Uomini e donne dovrebbero essere considerati come "lavoratori con dei diritti" all' interno di un modello familiare fatto di "lavora­ tori adulti". Il dibattito si svolge attorno a una domanda: quali sono le politi­ che più adatte a promuovere la defamiliarizzazione? Tali politiche dovrebbero riconoscere l' impegno necessario ad assistere i familiari, i bambini, i genitori anziani: è un impegno che dà diritto a un sostegno finanziario, sotto forma di sussidi e permessi. Infine, queste politiche potrebbero sostenere e promuovere l'assistenza familiare da parte degli uomini, tramite congedi parentali. Il problema non riguarda soltanto la disparità di genere e il modo in cui es­ sa influenza le opportunità di lavoro. La questione è più profonda sotto molti aspetti. Tra le politiche più rilevanti vi sono i servizi sociali, i congedi parenta­ li, i sostegni al reddito, gli strumenti fiscali. Le politiche sociali che sollevano le famiglie dalla responsabilità di assistere i parenti a carico sono fondamentali per la riduzione del familismo. In conclusione, la trasformazione politico-economica degli ultimi trent'anni in Russia e Cina suggerisce che se la transizione da un'economia centralmente pianificata a un'economia di mercato avviene insieme a tagli al settore dei servizi pubblici e ali' assistenza pubblica, ciò potrebbe influenzare negativamente le opportunità lavorative delle donne e addirittura le loro capa­ cità e volontà di crescere dei figli. La riconfigurazione del welfare state russo e cinese indica che la riorganizzazione del mercato del lavoro plasma i modelli di genere, dando origine a nuovi rischi sociali con conseguenze imprevedibili sulla parità di genere.

Letture consigliate ALL-CHINA WOMEN's FEDERATION

(2011), Report on Major Results ofthe Third IVt:zve Survey on The Social Status oJWomen in China, ACWF-All-China Wo­

men's Federation, Beijing.

ss

ROSA

MULÉ

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of Development Economics': 12, 2, pp. 442-54.

86

6

La mobilità delle persone tra Unione Europea, Russia e Cina di Marco Borraccetti e Federico Ferri*

6.1

Introduzione Il tema della circolazione e della mobilità delle persone caratterizza l'U­ nione Europea

(UE) e, sin dagli albori, ha caratterizzato la Comunità eco­

nomica europea e la Comunità europea. Nel Trattato sull'Unione Europea

(TuE), sin dal preambolo si afferma la volontà di agevolare la circolazione

delle persone in uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia». Tale intento

viene reso concreto dall'art. 3.2 del TUE, in forza del quale «l'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima». Sin d'ora si può quindi affermare che la libertà di circolazione delle persone si manifesta in uno spazio senza frontiere interne, di pari passo a misure appropriate che riguardino i controlli alle frontiere esterne. Ne de­

riva, inevitabilmente, che l'attraversamento della frontiera esterna dell' UE avrà una valenza europea, soprattutto in quegli Stati che appartengono all'area Schengen: infatti, una volta attraversata la frontiera esterna ed en­ trati nello Stato in questione, anche i cittadini non europei potranno circo­ lare liberamente in tutto lo «spazio» senza frontiere interne. In tale contesto, la circolazione dei cittadini di Stati terzi, quindi privi della cittadinanza dell'Unione, è strettamente collegata alle disposizioni che ricadono nel quadro della politica migratoria, oltre che dell'asilo; se •

Il PAR. 6.1 è stato scritto da Marco Borraccetti (ricercatore confermato in Diritto

dell'Unione Europea all'Università di Bologna); i PARR. 6.2 e 6.3 sono stati scritti da Fe­ derico Ferri (professore a contratto di Diritto dell'Unione Europea all'Università di Bo­ logna).

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

si guarda alla mobilità delle persone tra

UE,

Cina e Russia, risulteranno di

notevole interesse quelle disposizioni che disciplinano gli ingressi nel terri­ torio degli Stati membri e, di conseguenza, nell'Unione. Diversamente dalle disposizioni sui respingimenti e i rimpatri di sog­ getti in posizione irregolare, il quadro giuridico europeo relativo agli in­ gressi irregolari è variegato e meno sviluppato: infatti, a tutt'oggi, sono an­ cora prevalenti le disposizioni statali. Il quadro giuridico europeo non è omogeneo e concerne alcune situazioni specifiche e ben definite. Guardando allo «spazio di libertà, sicurezza e giustizia», si ribadi­ sce che il primo elemento è dato dalla gestione dei controlli di frontiera.

77 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea ( TFUE) , le misure necessarie garantiranno l'assenza dei controlli alle fron­

Secondo l'art.

tiere interne, ciò grazie anche a una politica comune sui visti e relativa a cir­ colazione e soggiorno; mireranno a organizzare il controllo delle persone, in tal modo stabilendo anche condizioni e criteri per consentire la libera circolazione dei cittadini di Stati terzi per un breve periodo; infine, si guar­ derà alla sorveglianza e controllo sull'attraversamento delle frontiere ester­ ne e sull'istituzione di un sistema integrato di gestione delle stesse. L'abolizione dei controlli alle frontiere interne ha richiesto l'adozione, nel corso degli anni, di una disposizione all'uopo dedicata, che assume il nome di Codice frontiere Schengen ( Regolamento

9

marzo

( uE)

n.

20I6i399

del

2016) e che concerne le disposizioni relative all'attraversamento

delle frontiere esterne, oltre alla disciplina dei casi in cui gli Stati possono ripristinare i controlli a quelle interne. Se ne deduce che, tali controlli in­ terni, potranno avere luogo solo in quanto eccezioni e saranno in ogni caso soggetti a una durata temporalmente limitata (cfr. riquadro 6.1). Il divieto dei controlli alle frontiere interne non preclude, tuttavia, l'esercizio dei poteri di polizia da parte delle autorità nazionali, controlli di polizia che - tuttavia - non potranno avere effetto equivalente ai con­ trolli sistematici di frontiera (cfr. le sentenze della Corte di giustizia

( CG),

C-I88/w e c-189, Melki e Abdeli; c-278/12 PPU, Adil). L'abolizione delle frontiere interne, però, si accompagna all'integra­ zione dei controlli delle frontiere esterne, nonché dei documenti che con­ sentono gli ingressi e il soggiorno dei cittadini di Stati terzi nel territorio dell'Unione. Secondo il Codice frontiere Schengen, sono gli Stati a pre­ determinare i punti di transito attraverso i quali si possono attraversare le frontiere e garantirne la sorveglianza. La prassi ha comportato una verifi­ ca minima dell'identità dei cittadini europei, diversamente da coloro non in possesso di tale cittadinanza, che sono sempre soggetti alla verifica del

88

6. LA MOBILITÀ DELLE PERSONE TRA UNIONE EUROPEA, RUSSIA E CINA

RIQ_UADRO 6.1

Il ripristino dei controlli alle frontiere interne Le ipotesi che consentono il ripristino dei controlli alle frontiere interne dell'U­ nione previste dal Codice frontiere Schengen ( CF s) sono: r. l'esistenza di una minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato; 2. Il veri­ ficarsi di circostanze eccezionali tali da mettere a rischio l' intero funzionamento dello spazio senza frontiere interne. r.

Nella prima ipotesi (art.

25.1), lo Stato potrà ripristinare un controllo di fron­

tiera a condizione che la scelta costituisca extrema ratio. La misura resterà in vigore per un massimo di 30 giorni e sarà prorogabile per periodi massimi di pari durata, ma per non più di 6 mesi complessivi. Alla base della decisione dovrà esserci una duplice valutazione di impatto: della minaccia, verso l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale; dei controlli di frontiera, sulla libera circolazione delle persone. Qualora sia necessario un intervento immediato, lo Stato interessato informe­ rà la Commissione europea e gli Stati membri contestualmente al ripristino delle misure di controllo, che potranno però avere durata massima di ro giorni (art.

28 ) .

2.

Il ripristino del controllo di frontiera può anche derivare da eventi eccezionali di estrema gravità, tali da porre in discussione il funzionamento globale dello Spa­ zio Schengen. L'ipotesi (art.

29

CFS

)

riguarda «carenze gravi e persistenti» nel

controllo delle frontiere esterne, nella misura in cui ciò costituisca «una minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna». Vista la sua eccezionalità, il controllo potrà essere ripristinato per un massimo di 6 mesi e, se del caso, proroga­ to per un massimo di tre volte, se le circostanze perdureranno. Il controllo di frontiera potrebbe essere dunque ripristinato per complessivi due anni, previa verifica semestrale e sostanziale sulla sussistenza della minaccia e sulla presenza di carenze nuove o già individuate come tali. La gravità ed eccezionalità della situazione è confermata dalla natura politica della scelta, poiché la decisione di ripristino del controllo di frontiera sarà racco­ mandata dal Consiglio, su proposta della Commissione, che si fonda su assenza di alternative, adeguatezza rispetto alla minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza interna, valutazione di proporzionalità.

possesso delle condizioni richieste per l'ingresso. Solo in tempi recenti, in seguito al fenomeno dei cosiddettiforeign fighters (cittadini europei che decisero di combattere in Siria e poi tentarono di rientrare, costituendo anche un pericolo per i cittadini europei ) gli Stati membri hanno sottoline­ ato la necessità di tracciare sistematicamente e con maggiore rigidità anche i cittadini europei soprattutto al loro reingresso nel territorio dell'Unione.

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

In linea generale, i cittadini non europei dovranno giustificare scopo e condizioni del soggiorno e disporre di mezzi di sussistenza sufficienti per il periodo di permanenza; inoltre, non dovranno essere considerati una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica né essere segnalati nel Sistema informativo Schengen

(s1s) , vera e propria banca dati europea

che costituisce uno degli strumenti funzionali alla gestione integrata delle frontiere esterne. Come sottolineato dalla Corte di giustizia, il respingi­ mento andrà motivato e l'interessato potrà presentare ricorso per via giudi­ ziaria, conformemente alla legislazione dello Stato che ha adottato il prov­ vedimento

(cG, c-84/12, Koushkaki).

In ogni caso, ai sensi del diritto in­

ternazionale e del diritto dell'Unione Europea, tutti coloro che giungono sul territorio europeo devono poter essere posti in condizione di richiedere protezione internazionale; il controllo alle frontiere esterne, quindi, non potrà essere tale da ostacolare l'esercizio di tale diritto, riconosciuto anche dall'art. I8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. L'attraversamento delle frontiere esterne può avere luogo grazie al pos­ sesso di determinati documenti: oltre al passaporto, anche visti e altri titoli di soggiorno. Al fine di evitare confusioni, abusi e squilibri del sistema, an­ che in tal caso le disposizioni di base si fonderanno sull'art. 77 del

TFUE

e

sui relativi atti di diritto derivato. La permanenza dei cittadini non europei potrà distinguersi in breve e lungo periodo: nel primo caso si tratta dei cosiddetti soggiorni di breve du­ rata, che dovranno essere assoggettati al cosiddetto Codice Visti, ovvero il Regolamento

(cE)

n.

8w/2oo9 del I3luglio 2.009,

nella sua versione con­

solidata, viste le modifiche intervenute nel corso degli ultimi anni. L'ingresso nell'Unione sarà soggetto al rilascio di un visto, salvo che l'in­ teressato non provenga da uno Stato per i cui cittadini questo non è richiesto, sulla base di un'apposita lista predisposta dal Consiglio (Regolamento

(cE)

n. 539/2.001 del IS marzo 2.001, nelle versioni regolarmente aggiornate). Il visto potrà essere rilasciato dallo Stato che lo stesso Codice Visti in­ dividua come competente, in funzione delle modalità di entrata o transito; i dati relativi al soggetto interessato saranno conservati in un archivio elet­ tronico, il cosiddetto Sistema d'informazione visti (Visa Information Sy­ stem,

)

VIS ,

al quale possono accedere le autorità nazionali competenti per

il rilascio dei visti, oltre a Europol e alle autorità di Polizia. I casi di soggiorno di lunga durata, ovvero superiori ai tre mesi, sono invece generalmente soggetti alla disciplina legislativa nazionale, salvo per quelle categorie di persone per le quali l'Unione abbia esercitato la propria competenza a disciplinarne gli ingressi. In tal caso, rileverà l'art. 79.I del

90

6.

LA MOBILITÀ DELLE PERSONE TRA UNIONE EUROPEA, RUSSIA E CINA

TFUE, che impone all'Unione di sviluppare una politica comune dell'im­

migrazione «intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flus­ si migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani». Si può osser­ vare come vi siano due aspetti che concernono la politica migratoria: l'im­ migrazione regolare e quella irregolare. Per l'immigrazione regolare, è previsto che il legislatore europeo adotti misure specifiche relative alla definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condi­ zioni che ne disciplinano circolazione e soggiorno, oltre che le norme che riguardano le condizioni di ingresso e soggiorno e le norme sul rilascio dei visti e dei titoli di soggiorno di lunga durata, ivi compreso il ricongiungi­ mento familiare. In tale direzione va, dunque, la direttiva 20II/98 del 13 dicembre 2ou, che -sul piano generale -definisce una procedura unica per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro e individua i diritti riconosciuti ai cittadini di Stati terzi che svolgono un'attività lavorativa in uno Stato dell'Unione. Vi sono, tuttavia, anche disposizioni che riguardano le condizioni e le procedure per l'ammissione di persone le cui attività o il cui status rientri in particolari settori. Si pensi alla direttiva 2009/so del25 maggio 2009, la cosiddetta direttiva Carta blu, che fissa le condizioni di ingresso e soggior­ no di cittadini di paesi terzi che siano chiamati a svolgere lavori altamente qualificati; alla direttiva 20osf?I del I2 ottobre 2005, relativa all'ammis­ sione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica; alla successiva di­ rettiva 20I6/8oi dell'n maggio 20I6, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi nonché collocamento alla pari; infine, si pensi alla direttiva 2014/66 del IS mag­ gio 2014 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari. La direttiva 2ou/98/UE sul permesso unico riserva comunque agli Sta­ ti membri, e quindi alle loro scelte politiche, la determinazione delle con­ dizioni di ammissione di tali lavoratori, così come ad essi resta riservata -per disposizione dei Trattati, in particolare dell'art. 79·5 del TFUE -la determinazione del volume di ingressi, le cosiddette quote. La direttiva, in­ vece, assicura il principio della parità di trattamento con i cittadini europei sulle condizioni di lavoro, libertà di associazione, istruzione e formazione 91

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

professionale, riconoscimento di diplomi, sicurezza sociale, agevolazioni fiscali, accesso a servizi a disposizione del pubblico, oltre che servizi di con­ sulenza forniti dai centri per l'impiego. Per sostenere l'azione statale tesa a favorire l'integrazione, l'Unione potrà riferirsi all'art. 79·4 del

TFUE.

Qualora si trattengano legalmente e ininterrottamente sul territorio di uno Stato membro per più di cinque anni, i cittadini non europei potran­ no beneficiare dello status di soggiornanti di lungo periodo, con requisiti e diritti stabiliti dalla direttiva 2003/109 del 25 novembre 2003, tra i quali si contempla anche una maggiore libertà di circolazione e soggiorno: visto il principio di parità di trattamento fissato nella direttiva, in alcune situa­ zioni - quale ad esempio il sussidio per alloggio - gli Stati non potranno prevedere diversificazioni tra i propri cittadini o quelli europei e quelli di Stati terzi, che siano riconosciuti come soggiornanti di lungo periodo

( CG,

c-449/ I6, Martinez Si!va). Inoltre, lo straniero che risulta soggiornante di lungo periodo ha la pos­ sibilità di soggiornare liberamente, per un periodo maggiore a tre mesi, in uno Stato membro diverso da quello ove ha conseguito lo status di lun­ go periodo, anche al fine di svolgere un'attività lavorativa o di formazione professionale: tutte possibilità che - se privo dello status - gli sarebbero state precluse. Eccezione a tale sistema è costituita da coloro che sono titolari della già citata Carta blu

UE,

che potranno beneficiare di tali possibilità già dopo la

permanenza minima di I8 mesi sul territorio di uno Stato membro, invece che una volta trascorsi i cinque anni. Infine, uno status particolare riguarda coloro che beneficiano del ri­ congiungimento familiare. Una situazione che è disciplinata in modi diffe­ renti, in funzione del fatto che il coniuge cui ci si ricongiunge sia, o meno, un cittadino europeo. Nel caso di ricongiungimento tra cittadini di Stati terzi, si applica la direttiva 2003/86 del23 settembre 2003, che, per l'appunto, consente a un cittadino di uno Stato terzo il ricongiungimento con i suoi familiari, a con­ dizione che sia titolare di valido permesso di soggiorno rilasciato da uno Stato membro per periodi di validità pari o superiore a un anno e con la fondata prospettiva di soggiornare in modo stabile. La definizione di fami­ liare, oltre al rispetto di criteri tradizionali, consente anche l'inclusione di situazioni quali quella del partner coniugato, ma prevede anche delle limi­ tazioni, o-meglio- delle esclusioni, come ad esempio nel caso dei fratelli. Differente è, invece, il regime applicabile, quando si tratta di ricon­ giungimento che vede coinvolto anche un cittadino dell'Unione. In tal ca-

6.

LA MOBILITÀ DELLE PERSONE TRA UNIONE EUROPEA, RUSSIA E CINA

so, la norma applicabile è la direttiva

2004/38,

la cosiddetta direttiva cit­

tadini, che riguarda il diritto a circolare e soggiornare liberamente nel ter­ ritorio dell'Unione da parte dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari; disciplinando tale diritto in capo ai cittadini, esso viene riconosciuto anche ai familiari che li accompagnino o li raggiungano, proprio perché visto in funzione dell'esercizio del diritto da parte dei primi

(cc, c-457/I 2, S. e G.).

Per familiari si intendono coniuge, discendenti e ascendenti diretti nonché il partner con cui sia stata contratta un'unione registrata; in tempi molto recenti si è affermato che la definizione di coniuge può includere an­ che il coniuge dello stesso sesso, con il quale il cittadino dell' UE si è sposato sulla base della legge di uno Stato membro diverso da quello ospitante (CG,

c-673/r6, Coman). Inoltre, motivo per cui si può ulteriormente affermare che la definizio­ ne di familiare è in tal caso più ampia che nel caso di ricongiungimento fa­ miliare di cittadini di Stati terzi, la direttiva afferma che lo Stato dovrà age­ volare ingresso e soggiorno del partner del cittadino europeo con cui questi abbia una relazione stabile debitamente attestata; lo Stato non sarà quindi obbligato ad accordare ingresso e soggiorno, ma sarà tenuto a effettuare un esame approfondito della situazione personale e motivare adeguatamente l'eventuale rifiuto (arq.2 della direttiva). L'interpretazione da parte delle autorità degli Stati membri non potrà tuttavia essere tale da costituire osta­ colo alla libera circolazione delle persone e ciò, anche nel caso in cui un cit­ tadino europeo rientri nel proprio Stato

(cc, c-673/r6, Coman).

La politica migratoria dell'vE prevede anche disposizioni finalizza­ te al contrasto dell'immigrazione irregolare. Anzi, si può affermare che quest'ultima parte sia stata negli anni sviluppata maggiormente rispetto a quella relativa a un approccio omogeneo che riguardasse le vie d'acces­ so regolari. La direttiva

2008/riS

del

16 dicembre 2008, meglio nota come diret­

tiva rimpatri, introduce norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregola­ re; in particolare, stabilisce condizioni, modalità e procedure relative all'e­ spulsione di coloro che si trovano in posizione irregolare, al trattenimento in vista dell'allontanamento. Lo Stato, sulla base della direttiva, potrà trat­ tenere il soggetto in appositi centri di permanenza temporanea fino a un massimo di

I8 mesi; trattenimento, comunque, che potrà protrarsi solo al

fine delle modalità di rimpatrio e il cui limite non potrà essere superato, an­ dandosi a cumulare i diversi momenti in cui il soggetto interessato è stato trattenuto

(cc, c-357/o9 PPU,Kadzoev). 93

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

Il quadro sull'immigrazione irregolare va integrato, inoltre, con l'art. 79·3 del TFUE, che prevede la possibilità, per l'uE e/o gli Stati membri, di concludere accordi di riammissione, con Stati terzi, di stranieri che non posseggono più i requisiti per la permanenza regolare sul territorio statale. Si noti che tali accordi risultano fondamentali per rendere effettiva la di­ rettiva rimpatri che, tra l'altro, estende la definizione di rimpatrio non solo verso i paesi d'origine degli interessati, ma anche verso i paesi di transito, ovvero gli Stati non europei che sono stati attraversati da coloro che si tro­ vano poi in posizione irregolare, prima di entrare nel territorio degli Stati membri dell'Unione. Infine, l'art. 79.2 del TFUE prevede anche il contrasto alla tratta di per­ sone, in particolare donne e minori: in tal caso, le azioni contro questo reato sono da vedersi come strumento per il contrasto all'immigrazione irrego­ lare. La tratta tuttavia è oggetto anche dell'art. 83 del TFUE, quale grave forma di crimine di dimensione europea e rientrante nell'ambito della coo­ perazione penale. Proprio su tale base giuridica si fonda la direttiva 2011/36 del s aprile 2011, che oltre alla repressione della tratta di persone, al di là del fatto che abbiano o meno luogo fenomeni riconducibili a ingressi irregola­ ri sul territorio, si concentra sulla protezione delle vittime.

6.2

La relazione Unione Europea-Russia Le relazioni tra Comunità/Unione Europea e Federazione Russa si sono sviluppate già all'indomani dello smembramento dell'ex Unione Sovieti­ ca, che ha portato all'indipendenza di Stati originariamente facenti parte dell'uRSS e all'adesione all'uE di alcuni di essi: ciò è testimoniato anche dalle Conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen del giugno I993· In questo percorso di reciproco riavvicinamento si è discusso anche di questioni di mobilità e migrazione, arrivando addirittura a ipotizzare la graduale abolizione dei visti per la circolazione di cittadini europei e russi. Tuttavia, il processo tendente alla realizzazione di un simile regime comune ha subito sin dall'inizio un forte rallentamento, poiché subor­ dinato all'abolizione dei visti e al raggiungimento di un accordo di coo­ perazione con la Russia in materia penale e per il rimpatrio dei migranti irregolari. Pertanto, le novità nelle relazioni tra UE e Russia sulla libera circolazione delle persone vanno ricollegate all'evoluzione dei loro rap­ porti commerciali.

94

6. LA MOBILITÀ DELLE PERSONE TRA UNIONE EUROPEA, RUSSIA E CINA

Nel I994 Comunità europea e Federazione Russa hanno concluso un accordo di cooperazione e partenariato (d'ora in poi APC), in vigore dal I997= è lo strumento cui occorre fare riferimento in via generale, dal mo­

mento che contiene linee guida anche in relazione alla circolazione delle persone. Tra le priorità dell'APe vi è l'introduzione di un regime agevola­ to per la libera circolazione dei capitali e la protezione degli investimen­ ti, dunque anche per lo stabilimento di società di una parte nel territorio dell'altra. Dall'APe emerge l'esigenza di istituire una disciplina comune su visti e permessi di soggiorno, anche se all'epoca l'attenzione era concentra­ ta soprattutto su categorie di persone strettamente correlate all'esercizio di professioni strategiche ai fini dell'accordo. Considerando i trattati internazionali sulla circolazione delle persone nei rapporti tra

UE

e Federazione Russa vale la pena richiamare, da un lato,

i vari accordi bilaterali sul traffico di frontiera (in parte soggetti al Regola­ mento

( cE )

n. I93I/wo6 ) e, dall'altro, l'accordo tra Comunità europea e

Russia sulla facilitazione del rilascio dei visti (d'ora in poi AFV). L'AFV, concluso nelwo6 e la cui attuazione è sottoposta anche alla ge­ stione di un comitato misto formato da rappresentanti di Unione e Russia, è entrato in vigore l'anno seguente e si inserisce nel solco originariamente

tracciato dalle disposizioni pertinenti dell'ACP del I994; da segnalare che è stato il primo accordo di questo tipo che l'Unione ha cominciato a nego­ ziare con uno Stato terzo. A norma dell'art. I, le parti non hanno incentrato l'AFV anche sui per­

messi di soggiorno, ma hanno disciplinato solamente il rilascio di visti per soggiorni di massimo 90 giorni su un arco di I8o giorni, stante comunque la possibilità di prorogarne la durata per casi di forza maggiore che impe­ discano al rispettivo titolare di uscire dal territorio dello Stato ospitante

entro il temine previsto (art. 9 ) .

L'art. s dell'accordo enuncia ipotesi nelle quali è possibile ottenere vi­ sti per più ingressi. Quando ciò accade, il singolo periodo massimo di rife­ rimento di cui all'art. I resta invariato, ma una volta esauriti i 90 giorni, e dopo avere fatto rientro nello Stato di provenienza, è possibile esercitare nuovamente lo stesso diritto di entrata, circolazione e soggiorno (alle stesse condizioni) fino a uno o cinque anni, a seconda della fattispecie: ad esem­ pio, il coniuge e i figli dell'interessato possono ottenere un visto per più in­ gressi da massimo 90 giorni e valido fino a cinque anni; gli imprenditori e i rappresentanti delle organizzazioni di categoria che si recano regolarmente nel territorio della controparte possono chiedere il rilascio di visti per più ingressi da massimo 90 giorni alla volta e per la durata massima di un anno.

95

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

Un'ulteriore manifestazione dell'esigenza di facilitare il rilascio di que­ sti visti è l'indicazione di documenti giustificativi agevolati per talune cate­ gorie di persone, solitamente richieste scritte basate su inviti. Ovviamente, vi sono lavoratori autonomi e dipendenti che esercitano attività o impieghi che presuppongono necessariamente lo spostamento dal territorio di una parte all'altra, ma è utile precisare che il AFV non si applica solo ai cosid­ detti businessmen. A questa categoria "privilegiata" di persone si aggiungo­ no poi i "parenti stretti" in visita a cittadini europei in Russia o a cittadini russi in uno Stato

UE.

Inoltre, e sempre a titolo meramente esemplificativo,

l'AFV prevede procedure agevolate anche per studenti e docenti accompa­ gnatori di scuole inferiori/superiori, di università o corsi post-universitari, che effettuano viaggi di istruzione, studio e formazione o ancora, parteci­ panti ad attività scientifiche, culturali e artistiche. In aggiunta, l'accordo si distingue anche per la fissazione di un termi­ ne per il trattamento delle domande avanzate dagli interessati: le missioni diplomatiche e gli uffici consolari degli Stati membri e della Federazione Russa si devono pronunciare entro 10 giorni di calendario dalla data di ri­ cevimento della domanda e della documentazione necessaria per il rilascio del visto ( art.

7). Il termine pattuito può essere prorogato fino a 30 giorni

qualora si renda necessario riesaminare la domanda, ma è possibile ridurlo a 3 giorni in casi urgenti. Un altro aspetto di rilievo è l'ammontare dei di­ ritti applicabili al trattamento dei visti: si è convenuto un importo di base di 3 s euro, salvo poi elencare numerose deroghe. A margine di quanto appena rilevato, si precisa che l'art.

11

consente ai

cittadini della Federazione Russa o degli Stati membri, titolari di un passa­ porto diplomatico valido, di entrare, uscire e transitare nei territori dell'al­ tra parte senza che occorra procurarsi un visto. Come si vedrà di seguito, una simile esenzione non è automatica negli accordi tra UE e Stati terzi ine­ renti la circolazione delle persone.

L'AFV del 2006 è certamente significativo, ma non è esente da proble­ matiche in sede di attuazione e da carenze sotto più punti di vista: perché non è riuscito ad adeguarsi all'evoluzione tecnologica, o per via del relativo grado di armonizzazione delle normative interne in merito a taluni aspetti cruciali (si pensi alle norme che disciplinano il formato di alcuni documen­ ti da produrre per attivare le procedure agevolate ) , o alla luce del fatto che la gestione delle domande è stata spesso "appaltata" a centri che non sono inquadrati nelle rappresentanze diplomatiche delle parti. Anche per questi motivi, si ritiene che l'AFV dovrebbe essere modificato, tant'è che le parti avevano riaperto i negoziati per pervenire a una nuova versione dell'accor-

6.

LA MOBILITÀ DELLE PERSONE TRA UNIONE EUROPEA, RUSSIA E CINA

do. Tuttavia, il persistere di posizioni divergenti e l'acuirsi di tensioni di carattere geopolitico tra UE e Russia ( in occasione di quanto accaduto in Cecenia, in Ossezia del Sud, in Crimea, in Siria ) hanno impedito che ciò avesse luogo. Ne consegue che le principali novità in materia fuoriescono dalla di­ mensione giuridica tipica degli accordi internazionali, per essere ricondot­ te a forme di dialogo politico-strategico. Sul punto, rileva il documento

Common Steps Towards Visa Free Short-Term Tra vel on Russian and EU Ci­ tizens del wrr, privo di effetti vincolanti, ma comunque utile per provare a immaginare possibili traiettorie future. Il programma si regge su quattro pilastri, ciascuno dei quali implica l'adozione di determinate misure:

b) ( im) migrazione illegale; c) curezza e cooperazione giudiziaria; d) azione esterna. curezza dei documenti;

a) si­

ordine pubblico, si­

6.3

La relazione Unione Europea-Cina I primi esempi di relazioni assimilabili a forme embrionali di cooperazione

tra le allora Comunità europee e la Repubblica popolare cinese risalgono alla metà degli anni Sessanta e sin da quel momento si sono sviluppati a fasi alter­ ne, a seconda degli scenari politici globali. Le ragioni principali di ciò risiedo­ no nei complessi rapporti politici mondiali tra Est e Ovest, caratterizzate da una perdurante diffidenza tra ordinamenti capitalisti e comunisti. Nel I985 CEE e Cina hanno concluso un accordo di cooperazione eco­ nomica e commerciale, che tutt'ora costituisce il quadro giuridico di riferi­ mento delle relazioni tra le parti. Naturalmente, la crescita della Cina e la crisi economica che ha colpito l'Unione e i rispettivi Stati membri da ormai un decennio, hanno inciso profondamente sulla ridefinizione dei ruoli di ambedue le parti nelle loro relazioni, che continuano a essere incentrate prevalentemente sul commer­ cio. L'evoluzione del contesto che fa da sfondo alle relazioni UE-Cina ha indotto le parti dell'accordo del I985 a rivedere tale strumento. Nel 2007 sono stati dunque riaperti i negoziati per la conclusione di un accordo di più ampia portata, un accordo di partenariato e cooperazione che copra un'estesa gamma di settori, tra i quali anche le migrazioni e la circolazione di determinate categorie di persone che, perciò, non sono oggetto di un accordo mirato: vi è solo una base ( giuridica ) di partenza, ma col passare

97

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

del tempo si sono registrati alcuni progressi, dovuti all'aumento dei flussi migratori di cittadini cinesi verso taluni Stati membri UE. Partendo da osservazioni di carattere generale, UE e Cina si occupano della circolazione di cittadini cinesi ed europei soprattutto nell'ambito di iniziative di carattere politico, tappe del cosiddetto dialogo su migrazio­ ne e mobilità tra le parti, avviato nel 20I3 a Bruxelles. Dal punto di vista dell'uE, il dialogo si riallaccia alla strategia sulla Cina lanciata nel 20I6 e all'Agenda UE-Cina per il2o2o . Tale dialogo UE-Cina non si svolge in ma­ niera del tutto isolata, ma in un quadro più ampio, con il coinvolgimento di attori chiave quali l'Organizzazione mondiale delle migrazioni (Inter­ national Organization for Migration-IOM, diventata Agenzia collegata alle Nazioni Unite nel2oi6) e l'Organizzazione mondiale del lavoro (Interna­ tional Labour Organization-ILO, che invece delle Nazioni Unite è Agenzia specializzata). Un esempio dei progressi registrati fino a oggi è dato dal­ lo

Eu-China Dialogue on Migration and Mobility Support Project,

attivo

dall'aprile 20IS all'aprile 20I8. Con questa iniziativa le parti sviluppano obiettivi collocati su quattro assi: agevolare mobilità e migrazione regola­ re; prevenite e ridurre l'immigrazione irregolare; massimizzare l'impatto di migrazione e mobilità in termini di sviluppo; promuovere la protezione internazionale. Più nello specifico, si possono individuare alcuni accordi inerenti la circolazione delle persone, benché piuttosto specifici: innanzi tutto, l'ac­ cordo bilaterale tra Unione Europea e Cina sui visti e i lasciapassare dei diplomatici, che «prevale sulle disposizioni di qualsiasi accordo o intesa bilaterale conclusi tra i singoli Stati membri e la Cina, nella misura in cui tali disposizioni abbiano il medesimo oggetto del presente accordo» (art.

8). Questo strumento si inserisce in una rete più vasta di accordi analoghi che la Cina nel tempo ha concluso con molti altri Stati. Le parti hanno de­ ciso di garantire l'esenzione dal visto per i cittadini UE e cinesi titolari di un passaporto diplomatico incorso di validità o di lasciapassare dell' UE, che si recano nel territorio dell'altra parte contraente per un periodo massimo di 90 giorni su un periodo complessivo di I8o giorni (art.4). L'accordo è in vigore dal settembre2004, anche se ha ricevuto applica­ zione a titolo provvisorio subito dopo la firma (art. 10); non è stato previ­ sto un termine finale, quindi è a tempo indeterminato, salva la facoltà per ciascuna delle parti di denunciarlo o di invocare, se del caso, le cause di nul­ lità ed estinzione previste dal diritto internazionale, ma solo nei confronti di tutti gli Stati membri UE. Quanto all'applicazione spaziale dell'accordo,

6.

LA MOBILITÀ DELLE PERSONE TRA UNIONE EUROPEA, RUSSIA E CINA

invece, l'art. 6 precisa che non si estende ai territori non europei di Francia e Paesi Bassi. Per facilitarne l'attuazione, le parti hanno previsto l'istituzione di un comitato misto di esperti UE e cinesi ( art.

7),

i cui compiti sono in parte

simili a quelli che spettano al comitato misto dell'accordo di facilitazione del rilascio dei visti ai cittadini dell'Unione Europea e della Federazione Russa; resta però una differenza sostanziale tra i due comitati: solo quello previsto dall'accordo bilaterale tra Unione Europea e Cina sui visti e i la­ sciapassare dei diplomatici può dirimere eventuali controversie attinenti all'interpretazione o all'applicazione dell'accordo. Vi è poi un esempio di intesa tra Comunità europea e Cina ( più preci­ samente, l'Amministrazione nazionale del turismo della Repubblica popo­ lare cinese ) in materia di turismo, risalente al2004: si tratta del Memoran­ dum d'intesa sui visti per gruppi turistici di cittadini cinesi. Il Memoran­ dum è stato previsto come strumento a tempo indeterminato applicabile a gruppi di almeno s cittadini cinesi intenzionati a raggiungere uno o più Stati membri per fini turistici. Il sistema concordato tra le parti è stato in­ centrato sulla figura di agenzie di viaggio appositamente designate dalle au­ torità cinesi competenti; queste agenzie si occupano delle richieste dei visti per gruppi turistici presso ambasciate e consolati di Stati membri: si tratta di visti Schengen della durata di 30 giorni, che vengono rilasciati dalle am­ basciate o dai consolati dello Stato membro di unica o principale destina­ zione. Il turismo rappresenta uno dei principali ambiti di sviluppo delle relazioni UE-Cina sulla circolazione delle persone; anche per questo, si è deciso di proclamare il20I8 come "l'Anno del turismo UE-Cina". L'inizia­ tiva, coordinata dalla Commissione europea, ambisce a raggiungere mol­ teplici obiettivi in termini di mobilità, con evidenti ricadute economiche e commerciali: dall'aumento di turisti europei in Cina e cinesi negli Stati membri, alla definizione di procedure semplificate per il rilascio dei visti; dall'incentivazione delle opportunità di investimento per imprese UE e ci­ nesi alla progressione verso un turismo sostenibile. Esiste anche un altro settore di crescente interesse e suscettibile di in­ cidere sulla mobilità delle persone sull'asse UE-Cina: ricerca e sviluppo. In realtà, già nel 2000 Comunità europea e Repubblica popolare cinese ave­ vano concluso un accordo di cooperazione scientifica e tecnologica, nel quale si impegnavano, tra le altre cose, a intervenire sulle norme interne vigenti per facilitare la circolazione di persone coinvolte a vario titolo nelle attività oggetto dell'accordo stesso ( art. 8 ) . A oggi, l'esigenza per entrambe le parti di crescere attraverso l'aumento del livello interno di innovazione

99

MARCO BORRACCETTI, FEDERICO FERRI

giustifica un maggiore sostegno alla circolazione di personale qualificato, nonché di ricercatori e accademici. Ciò è testimoniato da iniziative apposi­ te come gli accordi di mobilità previsti dal programmaErasmus+, nell'am­ bito di percorsi di insegnamento e formazione per docenti e studenti tra istituti, atenei e centri di ricerca.

Letture consigliate ADAM R., TIZZANO A.

(2017 ), Manuale di diritto del/'uE, Giappichelli, Torino. (2012), Immigrazione, diritto e diritti:

CALAMIA A. M., DI FILIPPO M., GESTRI M.

profili internazionalistici ed europei, CEDAM, Padova. (2006), Cittadinanza dell'Unione e libera circolazione delle persone, Giuffrè, Milano.

CONDINANZI M., LANG A., NASCIMBENE B.

100

Parte seconda Proiezioni esterne e interessi geopolitici

7

Le turbolente relazioni tra Unione Sovietica e Comunità europea

(1950-91)

di Giuliana Laschi*

7·1

Il continente diviso: reazioni e fratture All'inizio del processo di integrazione europea l'Unione Sovietica espres­ se un'ostilità profonda, fondamentalmente guidata da motivi ideologici e relativi allo scontro bipolare e alla guerra fredda. L'opposizione non sor­ prende perché l'Unione Sovietica si era sempre dimostrata ostile a qual­ siasi forma di cooperazione e unità europea, a iniziare dal settembre 1914, quando Lev Trotskij pubblicò il suo La guerra e l'internazionale. L'uni­ tà europea andava contrastata perché avrebbe rafforzato il capitalismo occidentale e sostenuto le relazioni transatlantiche. Con il tempo però l'opposizione, dapprima netta, ha smussato i suoi angoli sino ad arrivare a un esplicito parere positivo durante l'era Gorbacev, in cui la coopera­ zione dell'Europa occidentale divenne quasi un modello da seguire. Con l' implosione dell'Unione Sovietica, però, nonostante le alte aspettative iniziali, le relazioni tra Russia e Unione Europea si sono fatte incerte. Questa relazione alterna si è naturalmente riprodotta in ambito geo­ politico, nel quale si è passati da una forte, comune, seppur difforme, iden­ tità europea, a una piena e manifesta alterità. Fino al crollo del muro di Ber­ lino la separazione e la contrapposizione erano nette, eppure spesso veniva richiamata una comune identità, ancorata alla collocazione geografica in Europa: essere parte dello stesso subcontinente creava una sostanziale vici­ nanza non solo geografica, ma anche politica. Alla comune identità euro­ pea e alla coabitazione nel subcontinente fece continuo riferimento soprat­ tutto Chruscev, nel tentativo di creare una frattura o almeno una divisione con gli Stati Uniti, ponendo invece una naturale convergenza di interessi, tra i quali soprattutto la pace e la coesistenza pacifica. Del resto la geografia •

Professoressa associata di Storia dell'integrazione europea all'Università di Bologna.

103

GIULIANA LASCHI

disegna una Russia europea, anche se solo a metà, divisa in due dagli Urali, confine naturale dell'Europa geografica. Ma la storia e soprattutto la cul­ tura, che sia letteratura, arti applicate, musica, hanno una indubbia radice comune. Ritengo particolarmente interessante notare quanto il senso di una co­ mune identità sia stato presente e vivo fino alla caduta del muro di Berlino. Il suo crollo sembra, però, aver creato un baratro, una profonda separazio­

ne. Uno degli obiettivi di questo capitolo è proprio cercare di capire quan­ to il processo di integrazione abbia alla fine accresciuto questa lontananza, in ambito diplomatico e a livello di relazioni bilaterali tra gli Stati membri e l'uRSS, tra quest'ultima e la Comunità nel suo insieme. Molti studiosi hanno affrontato il tema delle relazioni tra Comunità e URSS inserendolo soltanto nel contesto della guerra fredda, dando quindi per scontata l'esi­ stenza di una frattura perdurante e irresolubile. Inoltre, la gran parte degli storici della guerra fredda ha assegnato al processo di integrazione un ruo­ lo residuale e, di conseguenza, anche una visione geopolitica più atlanti­ ca che europea. Invece, se è vero che dal 1917 si è creata e accresciuta una frattura che ha prodotto la necessità di un cordone difensivo, le relazioni storiche e soprattutto l'appartenenza al medesimo continente hanno da­ to forma a una situazione complessa, ma di prossimità. Nelle pagine che seguono cercherò di comprendere come la Comunità e i suoi paesi mem­ bri abbiano interpretato e reagito all'opposizione sovietica al Mercato co­ mune, quanto abbiano utilizzato tale opposizione in modo ideologico e quanto abbiano tentato di superarla per raggiungere relazioni migliori. Tra gli Stati membri emerge la Francia che, nei primi venti anni, è stata la vera leader della Comunità, affiancata dai primi anni Sessanta e con sem­ pre maggior forza dalla Germania. Le relazioni tra URSS ed Europa occi­ dentale, sono state relazioni complesse, ma sempre presenti e importanti, molto più dirette alla distensione e al dialogo di quanto gli storici della guerra fredda abbiano messo in evidenza. Per motivi di sicurezza, ma an­ che di contiguità, identità ed economici, gli Stati membri hanno condivi­ so gli obiettivi di distensione e cooperazione nel continente europeo, nella costante presenza, allo stesso tempo, di un'immagine di totale opposizio­ ne e contrapposizione mediatica. L'inizio di una maggiore cooperazione tra i sei Stati dell'Europa oc­ cidentale, che prese forma a partire dalla Dichiarazione Schumann del 9 maggio 1950, non piacque assolutamente né a Stalin, né al suo entourage. Le reazioni di Stalin alla Dichiarazione Schumann e all'inizio del processo di integrazione furono però alquanto blande. In effetti egli ritenne che si

104

7· LE RELAZIONI TRA UNIONE SOVIETICA E COMUNITÀ EUROPEA

trattasse di meri tentativi infruttuosi di cooperazione economica, del resto impossibile per paesi capitalisti, ma certamente l'opposizione al progetto europeo fu, al momento della Comunità economica del carbone e dell'ac­ ciaio

(CECA) e della Comunità europea di difesa (CED ) , già netta e definiti­ va. Fu la CED a ricevere le critiche più aspre e non sorprende che fosse vista

come il tentativo occidentale di riarmare la Germania contro i paesi del blocco comunista. Per questo i sovietici tentarono un dialogo con la Fran­ cia, che maggiormente doveva temere il riarmo tedesco, affinché ci fosse una sponda occidentale sulla quale poter agire. Nei primi anni successivi alla morte di Stalin, nel discorso politico in­ ternazionale sovietico iniziò a diventare prevalente la questione della coe­ sistenza pacifica, della ricerca della pace e della necessità di interrompere il riarmo occidentale. La sicurezza era dunque al centro della politica europea dell' URSS e l'aggressività occidentale la base sulla quale il patto di Varsavia del 1955 fu presentato al mondo. La reazione sovietica alla firma dei trattati di Roma fu di netta con­ trapposizione, espressa nel documento Sulla creazione del Mercato comune

e dell'Euratom, conosciuto come Le I7 tesi sul Mercato comune. Le Comu­ nità furono definite come il prolungamento della volontà di controllo im­ perialista degli Stati Uniti sull'Europa, l'espressione pedissequa del capita­ lismo americano e in sostanza niente fu salvato del loro debutto. Il processo di integrazione non fu tanto interpretato come il tentativo di pacificazione almeno dell'Europa occidentale, quanto come lo strumento per permette­ re la ripresa economica e il riarmo della Germania federale. L'opposizione sovietica esprimeva non soltanto una chiusura di tipo ideologico, ma anche il profondo timore che il processo di integrazione avrebbe potuto rafforza­ re l'Occidente europeo. Gli esperti di politica europea sovietici, inoltre, ritennero che si trattas­ se di un esperimento che sarebbe presto fallito, tali e tante erano le opposi­ zioni e contrapposizioni tra gli Stati membri. Un progetto pacifista desti­ nato a durare poco. Tuttavia si trattava di un progetto nefasto perché pilo­ tato dagli Stati Uniti e come tale andava contrastato per quanto possibile. Negli anni Sessanta predominò nella Comunità la posizione gaullista riguardo al ruolo che l'Europa doveva avere in ambito internazionale. Tale posizione ebbe il sopravvento non tanto perché condivisa da tutti i partner europei, sicuramente non dai paesi del Benelux e comunque mai nella for­ ma della grandeur voluta da De Gaulle, ma perché la posizione della Fran­ cia del generale impedì lo sviluppo di altre forme di politica internazionale. Mentre la Francia guardava allo sviluppo della Comunità in una sorta di

105

GIULIANA LASCHI

confederazione, il Benelux guardava a una Comunità sempre più sovrana­ zionale; le posizioni erano dunque inconciliabili, sia a livello nazionale che internazionale. L'unica posizione comune di quegli anni fu quella relativa all'Est europeo: una maggiore apertura, una nuova distensione erano ne­ cessarie sia per motivi politici, che economici, ma soprattutto per la sicu­ rezza dell'Europa occidentale.

Al contempo l'uRSS considerava la Germania il centro della politica europea e l'azione sovietica andava principalmente in quella direzione, cer­

cando di portare la Repubblica federale tedesca ( RFT ) dalla sua parte, se­ parandola dagli altri occidentali della Comunità europea. L'obiettivo era quello di una Germania al centro di un sistema europeo pacificato e di un sistema internazionale basato sulla pace, la distensione e la coesistenza pa­ cifica, riprendendo gli elementi principali della dottrina leninista. Il contenuto fu molto meno innovativo della forma della comunica­ zione: secondo i sovietici gli occidentali non volevano disarmare perché i monopoli non rinunciano mai agli enormi profitti che la corsa agli ar­ mamenti produce per loro. Per l'Unione Sovietica era chiaro già nei primi anni Sessanta che la Comunità europea non aveva obiettivi economici, ma che, sotto la direzione del presidente della Commissione Hallstein, questa organizzazione era rapidamente apparsa come un collegamento diretto per l' integrazione politica dell'Europa. E questo era ritenuto il vero pericolo per la supremazia sovietica sul continente europeo.

7·2

Gli anni dello scontro I primi anni Sessanta furono marcati dalla reazione sovietica allo sviluppo

del Mercato comune e del processo di integrazione europea e dal tentativo dell'uRSS di dare forma razionale e inconfutabile alle distorsioni provo­ cate dalla

CEE.

La Comunità come strumento economico della NATO, la

sua politica neocolonialista; un mercato gestito dai monopoli, un blocco autarchico, con una politica agricola favorevole alla sola grande proprietà; un'economia imperialista che aveva prodotto maggiore disoccupazione e sfruttamento della manodopera: una critica a tutto tondo, dunque, che si sostanziò in vere e proprie campagne di stampa. Uno degli principali sferrati dall'uRSS fu compiuto con la impegna­ tiva campagna di stampa al momento della prima richiesta britannica di adesione alla Comunità. In tale occasione, dall'estate del 1961 e per tutto il

106

7· LE RELAZIONI TRA UNIONE SOVIETICA E COMUNITÀ EUROPEA

I962,

la stampa sovietica orchestrò una vasta campagna in cui si sosteneva

che il Regno Unito fosse soltanto uno strumento dell'imperialismo ameri­ cano. E in effetti vi fu una importante eco nell'opinione pubblica europea, alla quale fece vari riferimenti lo stesso De Gaulle. La richiesta britannica fu descritta come una sorta di capitolazione, sulla quale intervennero, sino a cancellarne la dignità, i negoziati degli Stati membri. Il difficile lavorio diplomatico e il cosiddetto metodo monnettiano vennero descritti dalla stampa sovietica come una lotta interna degli Stati imperialisti per la con­ quista del potere. La speranza sovietica che la

CEE

implodesse su sé stessa fu spazzata via

dai risultati dei primi anni Sessanta, che condussero la giovane Comunità a dare forma alle prime politiche comuni: la politica commerciale e la politi­ ca agricola, aspramente criticate da Mosca. Secondo la diplomazia europea le critiche sovietiche erano incontestabilmente ideologiche e inaccettabili. La crisi della Comunità fu sottolineata e ampliata dalla stampa sovie­ tica, soprattutto nel

I964.

Vennero ripresi i temi ormai conosciuti del ca­

rattere aggressivo del blocco atlantico, mentre invece l' URSS portava avanti una politica pacifica. Venne però introdotto un nuovo tema: quello della richiesta di adesione inglese al Mercato comune e, quindi, la possibilità di aprirlo ai monopoli americani. Il solo carattere positivo deli'analisi riguar­ da la politica attuata dal generale De Gaulle, il suo diniego alla richiesta bri­ tannica e il riaffermare quello che venne definito "euro-gaullismo" contro l'atlantismo degli altri cinque paesi membri. L'allargamento della Comu­ nità, e il successo che lo rendeva appetibile, fu naturalmente combattuto dall'Unione Sovietica per quanto possibile. Il pericolo era duplice: da una parte rafforzare l'Occidente europeo ampliando i confini della Comunità e del Mercato unico, dall'altro dare eco a una innegabile capacità della Co­ munità di fungere da motore di sviluppo economico degli Stati membri. Gli interventi della stampa, come dei leader politici e della diplomazia so­ vietica si moltiplicarono negli anni Sessanta, nel tentativo di screditare la politica di allargamento comune. Oltre alle reazioni passive all'allargamento, come nel caso del Regno Unito, l'Unione Sovietica tentò anche di dissuadere alcuni paesi europei dall'aderire o associarsi alla Comunità. È questo il caso dell'Austria che, tentato un avvicinamento alla Comunità nel

I964

per una possibile asso­

ciazione, decise di rinunciarvi per non mettere in discussione la sua neu­ tralità e le relazioni con l'Est europeo. La rinuncia assunse in alcuni casi toni apocalittici, tanto che un accordo di associazione tra la Comunità e l'Austria poteva essere interpretato dali' URSS addirittura come un passo

107

GIULIANA LASCHI

verso un nuovoAnschluss. Il timore sovietico si spingeva a ritenere che que­ sto fosse solo il primo passo di una ripresa tedesca di obiettivi aggressivi nei confronti dell'Europa centrale, a iniziare dalla Cecoslovacchia. La preoc­ cupazione sovietica creò evidentemente un contraccolpo sulla politica dei sei, che rallentarono i negoziati per non creare maggiori situazioni di ten­ sione con l'Unione Sovietica. Del resto l'attacco, anche mediatico, inferto dall' URSS fu molto forte. Sostanzialmente veniva considerato un atto con­ tro la neutralità dell'Austria, che l'Unione Sovietica intendeva invece ri­ spettare come previsto dal Trattato di pace con l'Austria. Sicuramente que­ sto comunicato è tra i più espliciti sulla posizione di Mosca nei confronti di Vienna. La pressione sovietica in questo caso fu risolutiva e spinse il gover­ no austriaco a desistere dall'associazione alla Comunità che, da parte sua, sembrava comunque poco incline ad aprire un contenzioso internazionale sul rispetto della neutralità austriaca. La mancata associazione austriaca, così come la decisione francese di impedire il primo allargamento della Comunità, furono salutati in Unio­ ne Sovietica come il fallimento della politica comune. Lo sviluppo della Comunità aveva prodotto uno scontro tra i monopoli imperialisti occi­ dentali: con il Regno Unito, ma anche con gli Stati Uniti, che non aveva­ no inizialmente compreso che la

CEE

avrebbe creato problemi assai gravi

per l'economia americana. E, come la dottrina comunista aveva previsto, dopo l'apice della potenza, il declino americano sarebbe iniziato nel 1961, fatto che effettivamente si stava sviluppando. Pur essendo gli Stati Uniti ancora la forza capitalista più potente, l'Europa non era affatto una sua semplice appendice come era alla fine della Seconda guerra mondiale. Nonostante questo, il processo di integrazione non era certo quello che gli "ideologi borghesi" volevano far credere e cioè che un'organizzazio­ ne internazionale di monopoli sarebbe stata in grado di infondere una nuova linfa a un sistema che i sovietici ritenevano decrepito e morente. In realtà era ormai evidente che il Mercato comune aggravava le contrad­ dizioni tra «i borghesi monopolisti dei paesi imperialisti e indeboliva la posizione del capitalismo nei confronti del socialismo»'. Posizioni ab­ bastanza difficili da sostenere in pieno boom economico dei sei membri della Comunità europea. r.

Articolo pubblicato 1'8 e il9 marzo 1963 dalla "Pravda", tradotto dall'Ambasciata a

Mosca (cfr. AHMAE-Nantes, Ambassade Moscou, 448P/B/314 , From the Ambassador in

Moscow De ]ean to Minister Couve de Murville, Artide de Arzoumanian sur le Marché commun, r6 Mars 1963).

ro8



LE RELAZIONI TRA UNIONE SOVIETICA E COMUNITÀ EUROPEA

Oltre a questi strumenti di dissuasione, i sovietici tentarono anche di imprimere una svolta positiva, creando un progetto alternativo sul quale chiesero all'Europa occidentale di convergere quando, a partire dal I96o, iniziarono a lavorare a un ideale paneuropeo.

7·3

Le aperture e le visite di Stato La Comunità aveva salutato con ottimismo - e con scetticismo - i cam­ biamenti impressi da Chruscev: l'importante svolta in politica estera, volta a tentare di instaurare maggiori relazioni con l'Occidente. Nei primi anni Sessanta questa esigenza contrastava con relazioni ancora molto deboli e tese, rese complesse soprattutto dalle ricadute della crisi di Berlino e dalla persistenza del problema tedesco. La divisione della Germania e di Berli­ no, in buona sostanza, erano la punta di un iceberg che però, sia da parte sovietica che da parte occidentale, iniziava a essere considerato troppo in­ gombrante e nefasto per l'Europa. Per questo anche la percezione sovieti­ ca della Comunità europea subì una radicale trasformazione. Del resto era oramai evidente che la Comunità si stava consolidando e, contrariamente alle previsioni sovietiche, l'integrazione economica si faceva sempre più dinamica e di successo. In effetti, proprio nel dicembre del I962 Chruscev decise un'importante evoluzione del suo pensiero riguardo alla CEE e pub­ blicò sul "Kommunist" un articolo nel quale riconobbe per la prima volta dal I9S7 la "vitalità" della Comunità. La svolta era anche il frutto di un maggior approfondimento dei rap­ porti effettivi con i leader dell'Europa occidentale. A tal riguardo è di gran­ de interesse la visita di Stato che Chruscev svolse in Francia dal 23 marzo al 3 aprile del 1960. Questa, come altre visite dei leader sovietici, secondo la

gran parte dei quotidiani europei, rafforzava i politici europei e i sovietici non facevano una gran figura. In questo caso, la stampa sottolineò la preva­ lenza della figura del generale De Gaulle, mentre Chruscev sembrava non aver avuto un'influenza evidente neanche sul partito comunista francese, a causa anche, si disse, della verbosità dei suoi interventi pubblici, soprat­ tutto quello radiotelevisivo che effettuò prima della partenza. Si trattò, in effetti, di un lungo e incolore comunicato, lontano dagli standard europeo­ occidentali. Da parte sovietica, ovviamente, l'influenza politica fu invece sottolineata in più occasioni.

109

GIULIANA LASCHI

Una battuta d'arresto all'apertura di un possibile dialogo tra

CEE

e

URSS fu prodotta dalla reazione sovietica alla Primavera di Praga del 1968, come lo era stata nel 1956la rivolta d'Ungheria. La stampa nel suo insieme sottolineò l'arretramento considerevole nella politica della distensione do­ vuto all'occupazione della Cecoslovacchia, che portò al fallimento di tutti gli sforzi verso un avvicinamento dei due blocchi. Gli Stati membri accusa­ rono il governo sovietico di aver tenuto un comportamento irresponsabile e sconsiderato, che era tornato a rafforzare i due blocchi militari, compro­ mettendo la coesistenza pacifica, sulla quale tanto l'uRSS aveva insistito dal 1956in poi, mettendo a rischio tutti i progressi fatti dalla cooperazione internazionale. In effetti, la reazione armata alla rivolta di Praga aveva cre­ ato un brusco arresto dei tanti prodotti delle diplomazie europee e sovieti­ che, che avevano condotto nel corso degli anni Sessanta alla stipula di mol­ ti accordi, di natura soprattutto culturale e scientifica. A Bruxelles le reazioni furono tutte fortemente negative, tanto da spin­

gere il consigliere dell'ambasciata sovietica a recarsi con urgenza dal con­ sigliere francese, affinché venisse chiarita la natura dell'intervento militare dell'uRSS, anche con gli altri alleati occidentali. Ma in realtà le motivazio­ ni addotte dal consigliere furono talmente realiste, e totalmente inaccet­ tabili, da lasciare l'ambasciata francese e l'opinione pubblica ancora più sconcertate di fronte alla repressione portata avanti con violenza inusitata. L'intervento di Mosca venne spiegato non attraverso quello che fu defini­ to lo ius gentium, bensì da un punto di vista ideologico e strategico, per il quale Mosca era la guardiana del socialismo e non poteva dunque permet­ tere che si installasse in Cecoslovacchia un regime liberale, foriero di una "contaminazione" inaccettabile. La decisione di intervenire repentinamen­ te aveva evitato che si potessero produrre rischi maggiori e soprattutto che ci fosse una propagazione dell'azione della Germania contro l'uRSS verso i paesi satelliti.

7·4

La distensione europea e internazionale Gli anni Settanta portano a rilevanti cambiamenti nelle relazioni tra la Co­ munità e l'Unione Sovietica, perché furono gli anni della distensione, sia globale, portata avanti dagli Stati Uniti di Nixon e Kissinger, che europea, voluta dalla gran parte dei paesi dell'Europa occidentale, e che conobbe il suo apice nella Ostpolitik del cancelliere tedesco Brandt. Per gli europei la

I IO

7· LE RELAZIONI TRA UNIONE SOVIETICA E COMUNITÀ EUROPEA

distensione era non soltanto auspicabile dal punto di vista politico e ideale ma molto più interessante per la Comunità di quanto fosse la netta con­ trapposizione della guerra fredda. Per gli Stati membri della CEE era anche fondamentale per la sicurezza perché a una eventuale minaccia militare da parte sovietica non avrebbero potuto resistere con i loro mezzi. Per quanto riguardava l'Est, gli Europei occidentali volevano la disten­ sione e lo sviluppo degli scambi, anche perché era evidente che in caso di minaccia da parte dell'area comunista, sarebbero stati incapaci di resistere con i propri mezzi alla potenza militare sovietica. La distensione, dunque, era parte integrante della politica di difesa attiva dei paesi membri della Comunità; un'esigenza strategica, il passo necessario per ritrovare una pie­ na autonomia dagli Stati Uniti. L'autonomia europea, soprattutto a livello di difesa, non implicava una contrapposizione verso gli Stati Uniti, bensì la necessità di riaffermare l'identità europea. In un sistema internazionale in movimento, occorreva quindi rafforzare la sicurezza sul continente, attra­ verso la distensione e lo sviluppo di relazioni sociali, intellettuali, economi­ che, scientifiche e politiche con l'Europa dell'Est. Gli Stati Uniti vennero rassicurati in più occasioni e Nixon, al contem­ po, aveva più volte riaffermato l'appoggio americano a una forte comunità dell'Europa occidentale, nonostante questa creasse problemi non indiffe­ renti agli scambi commerciali statunitensi. Nixon riaffermò anche l'impor­ tanza politica della cooperazione europea occidentale e della sua espansio­ ne grazie all'allargamento. Al contempo i sei sostenevano che la politica di integrazione europea fosse indispensabile alla distensione, nonostante questa non piacesse a Nixon e soprattutto a Kissinger, che rivendicavano la titolarità delle scelte politico-internazionali in ambito bipolare. Sulla scia degli accordi tedeschi, negli anni Settanta anche gli altri membri della

CEE

iniziarono un avvicinamento verso i paesi dell'Est e si

moltiplicano le visite e gli accordi commerciali e culturali. Nel 1973, inol­ tre, i paesi membri della

CEE

(che nel

I973

erano diventati nove con l'al­

largamento a Regno Unito, Danimarca e Irlanda) firmarono trattati di re­

ciproco riconoscimento con la Repubblica democratica tedesca e vennero aperte simultaneamente le rispettive ambasciate, segnando un cambiamen­ to epocale nelle relazioni tra le due Europe divise dalla cortina di ferro, a coronamento della distensione continentale. Nonostante non vi fosse stata una scelta strategica condivisa, vi furono frequenti riunioni tra gli amba­ sciatori dei nove a Bruxelles, sia per informarsi reciprocamente degli svi­ luppi delle singole relazioni, sia per tentare un approccio, se non comune, almeno concertato.

III

GIULIANA LASCHI

Se l'azione della Repubblica federale tedesca aveva aperto il campo alla ripresa di relazioni tra le due parti divise dalla cortina di ferro, la Conferen­ za di Helsinki aveva rinsaldato la volontà di coesistenza pacifica. La rile­ vanza della Conferenza per il processo di integrazione europea e anche per l'azione esterna della Comunità è stata sottolineata dagli storici, perché in tale occasione i nove furono in grado di agire con forte comunanza di idee e obiettivi politici e di parlare con un'unica voce, come quasi mai erano e saranno in grado di fare. Per la Comunità europea e per la sua concezione di politica estera e di sistema internazionale, la distensione era fondamen­ tale. Basata sull'equilibrio militare, doveva creare un'atmosfera di stabilità, necessaria per un dialogo politico costante tra i due blocchi in Europa. La distensione mirava a consolidare in Europa e nel mondo una situazione che escludesse la guerra come soluzione delle controversie internazionali e il suo successo dipendeva dal grado di coesistenza pacifica garantito da Stati appartenenti a sistemi politici diversi. I principi cardine della disten­ sione erano la pace e la sicurezza, e la cooperazione non poteva svilupparsi se queste non erano assicurate. L'Atto finale di Helsinki diventava quindi per la Comunità un insieme di regole da seguire per creare un sistema in­ ternazionale sulla base dei diritti e degli obiettivi politici perseguiti dalla Comunità stessa. La distensione, in effetti, benché abbia avuto una durata limitata, riuscì a creare uno spazio di relazioni interessanti tra le due parti euro­ pee della cortina di ferro e tra

CEE

e Unione Sovietica, ed ebbe, come

abbiamo detto, il suo coronamento nella Conferenza di Helsinki che si concluse nel 1975· La politica estera di Brandt, che mise in moto il processo vero e proprio di distensione in Europa, fu messa in discussione non soltanto dagli Stati Uniti, ma creò forti sospetti anche in Europa, soprattutto a causa della rea­ zione positiva dell'Unione Sovietica. Il timore era che la Germania, torna­ ta a essere una potenza internazionale, potesse scegliere per un'intesa stret­ ta con l'uRSS, che potesse addirittura avere l'obiettivo della riunificazio­ ne tedesca, da sempre sostenuta dal campo comunista, e che avrebbe però compromesso il successo della Comunità, in cui la Germania avrebbe gio­ cato un ruolo da egemone. Una via d'uscita da una situazione estremamen­ te rischiosa doveva essere l'adesione del Regno Unito nella Comunità eu­ ropea, in modo da controbilanciare il potere della Germania e impedirle di acquisire uno spazio economico e politico troppo ampio, che soprattutto i piccoli paesi del Benelux non sarebbero mai stati in grado di controllare.

112.



LE RELAZIONI TRA UNIONE SOVIETICA E COMUNITÀ EUROPEA

Nel I972, l'anno in cui la

CEE

decise per il suo primo allargamento e

mise in piedi il "serpente monetario" per rispondere in forma comunitaria al trauma finanziario creato dalla dichiarazione di Nixon dell'inconverti­ bilità del dollaro, Brdnev riconobbe alla

CEE,

pur essendo un insieme di

paesi capitalisti, di funzionare e di procedere in modo positivo. In effetti proprio negli anni Settanta, iniziano a cambiare anche le rela­ zioni diplomatiche tra la Comunità e l'uRSS. Se fino a quel momento erano state prevalentemente bilaterali, con la proposta nel 1970 del progetto di Co­ operazione politica europea

( CPE ) ,

conosciuto come Davignon Report, vie­

ne predisposta una prima azione comune della Comunità in politica estera. Vennero infatti previste riunioni periodiche dei ministri degli Esteri dei paesi membri, al fine di adottare linee politiche coerenti e comuni. L'Unione Sovietica non aveva neanche più interesse a disconoscere lo sviluppo economico della

CEE,

data l'aspirazione a uscire dalla stagnazio­

ne economica nella quale era entrata a metà anni Sessanta. L'uRSS era in cerca di scambi e trasferimenti di tecnologia e questo spiega l'accresciuto interesse nei confronti della

CEE

e perché gli scambi economici tra URSS e

Comunità conobbero una crescita molto importante. Negli anni 197I-74, la parte rappresentata dall'Unione Sovietica negli scambi con la

CEE

passò

dall'8,s% al I6%. Dunque, insieme all'ammorbidirsi delle chiusure ideolo­ giche, si crearono veri e propri interessi economici e commerciali affinché il dialogo stabilitosi durante la distensione si mantenesse, aldilà delle ten­ sioni internazionali.

7·5

Conclusioni Questo avvicinamento tra l'Europa occidentale e l'Unione Sovietica non resse, però, l'urto della ripresa della guerra fredda degli anni I979-8I e sol­ tanto con Gorbacev le relazioni si distenderanno pienamente. Con l'arrivo al potere di Gorbacev, infatti, iniziò una nuova fase della politica sovietica, che aveva il proposito di andare oltre la politica dei blocchi e di lavorare alle due parti d'Europa, con l'obiettivo di iniziare un processo che avreb­ be condotto, infine, alla costruzione della casa comune europea. In questo progetto, lo spazio della Comunità europea è ampio, in quanto il riavvici­ namento più naturale sarebbe stato quello tra gli Stati membri del CON

COME­

e quelli della Comunità europea. In questa direzione Gorbacev so­

stenne la dichiarazione comune del 25 giugno 1988, che stabiliva relazioni

II3

GIULIANA LASCHI

ufficiali tra i due organismi. Gorbacev incrementò la sua visione positiva del ruolo della

CEE

a partire dalla fine del 1988, e chiarì che il suo progetto

di avvicinamento non voleva basarsi solo sul rispetto delle differenze, ma sui valori che erano stati fino a quel momento i valori dell'Europa occi­ dentale, e cioè il rispetto dei diritti dell'uomo e della democrazia fondata sul pluralismo politico. Il cambiamento di posizione fu dunque radicale: dal rifiuto del processo di integrazione al riconoscimento della

CEE

come

portatrice di valori da condividere. In questa nuova prospettiva verranno firmati trattati importanti: nel dicembre del 1989 un primo accordo com­ merciale e di cooperazione economica e nel novembre del 1990 la firma del trattato di riduzione delle armi convenzionali in Europa e la Carta di Parigi per una nuova Europa. La posizione di Gorbacev venne portata avanti da Boris El'cin che più volte nei discorsi pubblici fece riferimento alle caratteristiche europee della Russia, fino all'entrata in vigore nel 1997 dell'accordo di partenariato e co­ operazione tra l' UE e la Russia. L'accordo, che fu firmato durante il Consi­ glio europeo di Corfù del giugno 1994, era di grande rilevanza strategico­ politica, dato che definì la Russia "partner strategico" ed entrò in vigore alla fine delle ostilità con la Cecenia, nel dicembre 1997. L'accordo riprendeva addirittura gli elementi di contiguità storica tra Europa e Russia. Sulla base del rispetto dei diritti umani stabiliti a Helsinki, si auspicavano un pieno dialogo politico, lo sviluppo commerciale, la previsione di investimenti e cooperazione economica. Sempre nel 1997, il trattato di Amsterdam intro­ dusse la strategia comune, il nuovo strumento di azione congiunta tra

UE

e Russia. Con l'arrivo alla presidenza della Russia di Putin nelwoo, la politica russa verso l'Unione Europea cambiò nuovamente, anche se non immedia­ tamente in modo diretto e formale. Il primo sintomo evidente fu il man­ cato rinnovo dell'accordo di partenariato, di durata decennale, perché Pu­ tin non mostrò alcun interesse in relazioni così strette con l'Unione. Così come non ha avuto un grande interesse per Mosca la politica di vicinato lanciata durante la Commissione Prodi, nel

2002,

proprio per avvicinare

l'Europa alla Russia e alle ex Repubbliche sovietiche. Le successive scelte di politica estera della Russia hanno allontanato ancora di più le due potenze del subcontinente europeo, soprattutto a causa delle tensioni nella ex area sovietica, che hanno avuto ripercussioni nelle relazioni russo-europee, in particolare a partire dalwo8, con il conflitto in Georgia, dopo che questa aveva invaso l'Ossezia, che era stata dichiarata indipendente.

114



LE RELAZIONI TRA UNIONE SOVIETICA E COMUNITÀ EUROPEA

Nel tentativo di impedire nuove guerre e tensioni internazionali nell'a­ rea, l'uE lanciò il partenariato orientale con Azerbaigian, Bielorussia, Ge­ orgia, Moldavia e Ucraina. Fu proprio la richiesta di ratifica di tale accordo a innescare la crisi ucraina del 20I3-I4. Le difficoltà incontrate anche in seguito alla Crimea hanno reso complessa la situazione tra Unione e Rus­ sia e l'uE non è in grado di proporre politiche particolarmente stringenti o strategie comuni, anche a causa delle divisioni interne e della posizione distaccata dei russi. Le relazioni tra Europa e Russia attraverso la CEE e la UE sono state dunque complesse e a fasi alterne, ma entrambe le parti le hanno ricercate ritenendole fondamentali per la propria politica estera. La Comunità euro­ pea, che ha subito la guerra fredda ma dalla quale ha tentato di emanciparsi per svilupparsi a livello politico ed economico, ha cercato nell'uRSS e nel­ la Russia l' interlocutore privilegiato, a partire dali'Europa orientale, dalla quale era stata divisa in modo drammatico dopo la Seconda guerra mon­ diale. Gli europei hanno utilizzato, così come i sovietici, lo scontro bipola­ re proprio nel tentativo di rendere indispensabile, o almeno molto impor­ tante, il processo di integrazione europeo, ma al contempo hanno ricercato relazioni più forti, che permettessero al continente europeo di svilupparsi a livello economico e iniziassero a creare spazi di autonomia rispetto agli Sta­ ti Uniti. Una relazione autonoma, dunque, tra Comunità e URSS, che va al di là dei semplici vincoli impressi dalla guerra fredda e dalle super potenze, in cui l'Europa ha giocato un ruolo di primo piano.

Letture consigliate BARANOVSKY v.

(I994),

The European Community as Seen from Moscow: Rival

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con Bruxelles, in "Studi urbinati di scienze giuridiche politiche ed economi­ che': 3, pp.

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GIULIANA LASCHI

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Le relazioni esterne della Comunita dalle

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II6

8

L'ascesa cinese e il regionalismo in Asia di Matteo Dian*

8.1

Introduzione Analizzare l'evoluzione dell'approccio cinese nei confronti dei proces­ si di regionalizzazione economica in Asia aiuta a comprendere l'enorme cambiamento del ruolo di Pechino a livello regionale e globale. Sono pas­ sati quasi quattro decenni da quando Deng Xiaoping te orizzò la necessi­ tà per la Repubblica popolare di concentrarsi sulle riforme economiche e sulla modernizzazione del paese, evitando qualsiasi iniziativa mirata a esercitare un ruolo di leadership a livello regionale. La Cina contempo­ ranea, in particolare dall'ascesa al potere di Xi Jinping, ha proposto un articolato progetto di integrazione regionale che include accordi com­ merciali multilaterali, progetti infrastrutturali su scala continentale, una serie di nuove istituzioni e forme digovernance regionale e globale. Que­ sto capitolo analizza l'evoluzione dalla strategia minimalista di Deng ai progetti che accompagnano il "sogno cinese" di Xi, sottolineando il cam­ biamento del ruolo di Pechino, da Stato in via di sviluppo a grande po­ tenza in grado di immaginare e provare a realizzare un vasto progetto di regionalizzazione basato sulla propria centralità, sui propri valori e le proprie norme.

8.2

La Cina e l'Asia prima della crisi economica del 1997-98 Durante la leadership di Deng Xiaoping e durante i primi anni di quella di Jiang Zemin, la partecipazione cinese nei processi di regionalizzazione in *Assegnista di ricerca all'Università di Bologna.

I I

7

MATTEO DIAN

Asia è stata molto limitata. Fino all'inizio degli anni Novanta il processo di apertura economica era stato associato principalmente alla rivitalizzazione dei legami economici e sociali tra la Cina continentale, e in particolare le provincie costiere e le zone economiche speciali ( zEs ) , e la diaspora cinese nelSud-Est asiatico. In questo periodo, la causa principale dello scetticismo cinese nei confronti della governanee regionale è identificabile con il timore che la partecipazione a istituzioni regionali potesse minacciare la sovranità e l'autodeterminazione cinesi. La repressione delle proteste di piazza Tienanmen ha determinato un primo punto di svolta significativo nell'approccio cinese alla governan­ ce regionale. L'isolamento imposto dall'Occidente dopo i fatti di Tie­

nanmen, ha imposto una rivalutazione dell'importanza di solidi legami bilaterali con i principali attori economici e politici della regione e in particolare con il Giappone. Il Giappone è stato il primoStato a ristabi­ lire normali relazioni diplomatiche, suggellate da una visita ufficiale nel dicembre del 1989. Negli anni successivi il ravvicinamento tra i due paesi ha comportato un afflusso rilevante di investimenti giapponesi nell'area del Guangdong e diShanghai, che risulterà poi decisivo per il processo di modernizzazione di queste provincie. Nel periodo successivo al 1989 la Cina ha anche cercato di migliora­ re i rapporti bilaterali con la Corea delSud. A causa delle divisioni della guerra fredda Seui e Pechino non hanno stabilito relazione diplomati­ che formali fino a 1992. Ciò nonostante i rapporti economici bilaterali si sono consolidati in modo molto rapido, portando la Cina a essere il primo partner commerciale della Corea delSud nel 2003. Nei primi anni Novanta la leadership cinese ha promosso anche un miglioramento delle relazioni bilaterali con gliStati delSud-Est asiatico. Nel 1990 la Cina ha ottenuto il riconoscimento diplomatico da parte diSingapore, che diven­ terà nei decenni seguenti, insieme con Hong Kong, il principale hub per gli investimenti esteri diretti verso la Cina continentale. La partnership economica conSingapore, inoltre, ha costituito il primo passo per la co­

struzione di rapporti economici e diplomatici con l'ASEAN ( Association ofSouth-East Asian Nations ) nel suo complesso.

La partecipazione all'ASEAN Regional Forum ( ARF ) nel 1995 ha rap­

presentato il primo risultato di questo cambiamento. L'ARF era stato istituito nel 1994 per promuovere il confronto su temi legati alla sicurez­ za e alle dispute territoriali, seguendo la cosiddetta ASEAN way, ovvero la preferenza per misure non vincolanti e decisioni prese all'unanimità, nel rispetto della sovranità dei membri. Ciò nonostante la leadership cinese

118

8.

L'ASCESA CINESE E IL REGIONALISMO IN ASIA

in questo periodo ha continuato a dimostrarsi scettica nei confronti di ogni iniziativa nell'ambito dellagovernance regionale. Oltre alla necessi­

tà di preservare la propria sovranità, Pechino temeva che la costruzione di istituzioni regionali potesse condurre alla formazione di un'egemo­ nia regionale giapponese in Asia orientale. Ciò ha generato la cosiddet­

tafoctory Asia, ovvero un processo di integrazione economica basato su legami commerciali informali, privo di una struttura istituzionale mul­ tilaterale.

8.3

La Cina e il regionalismo in Asia dopo la crisi asiatica La crisi finanziaria asiatica ha generato una svolta radicale nell'approccio cinese alla governance regionale. La prima determinante di questa svolta fu il cambiamento della percezione del ruolo degli Stati Uniti e delle isti­ tuzioni finanziarie globali. L'amministrazione Clinton e il Fondo mone­ tario internazionale (FMI) hanno reagito alla crisi imponendo una serie di ricette ispirate al Tf/ashingon Consensus, quali liberalizzazione dei flussi di capitali, riforme strutturali e austerità. Queste misure, almeno nel bre­

ve periodo, hanno contribuito a rendere più gravose le conseguenze della crisi e hanno suscitato un notevole risentimento verso gli Stati Uniti e le istituzioni di Bretton Woods in tutta l'Asia orientale e sud-orientale. Gli Stati Uniti sono stati percepiti come un egemone pronto a imporre i propri interessi e la propria ortodossia economica, senza considerare le

specificità e gli interessi locali (cfr riquadro 8.I ) .

La seconda causa di questa svolta fu la presa di coscienza da parte ci­ nese della necessità di consolidare la stabilità economica e politica della regione in quanto prerequisito essenziale per la strategia di modernizza­ zione e apertura. La crisi ha generato un'acuta sensazione di vulnerabilità nei confronti delle forze della globalizzazione economica. Ciò ha indot­ to gli Stati asiatici, inclusa la Cina, a considerare forme di cooperazione economica non più come una potenziale intrusione nella propria sovra­ nità ma come uno strumento per creare una barriera nei confronti degli shock esterni dovuti alla globalizzazione e dell' intrusività delle istituzio­ ni globali a guida occidentale. Di conseguenza, dopo la crisi asiatica, la Cina ha iniziato a considerare forme digovernance regionale come un fil­ tro verso la globalizzazione e una protezione nei confronti dell'egemonia americana. Da questo momento in poi, Pechino ha iniziato a ricoprire un

I I

9

MATTEO DIAN RIQ_UADRO

8.1

La crisi asiatica del 1997-98 La crisi finanziaria asiatica del 1997-98 ha avuto inizio in Thailandia e poi ha rapidamente contagiato le economie dell'Asia orientale e sud-orientale. Il primo segnale della crisi è stato lo sganciamento della valuta thailandese dal cambio fisso con il dollaro. Ciò ha indotto una serie di svalutazioni e di fughe di capitali, che hanno portato il bath e il won sud-coreano a perdere fino al so%, e la rupia indonesiana fino al So% del proprio valore nei sei mesi successivi. Economisti e leader politici hanno prodotto due principali spiegazioni dell'origine della crisi, alle quali sono legate altrettante proposte di rimedi po­ litici, economici e istituzionali. Il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale, con il sostegno degli Stati Uniti, hanno interpretato la crisi come un eccesso di regolazione, unito alla mancanza di trasparenza delle economie colpite. Questa analisi, largamente basata su una prospettiva neoliberale e sulle idee delJVashington Consensus, ha portato alla concessione di aiuti finanziari as­ sociati a una forte condizionalità. Il Fondo monetario, in particolare, ha chiesto agli Stati colpiti misure atte a ridurre il debito pubblico e a liberalizzare i settori bancari, finanziari, oltre ai flussi di capitali. Queste misure erano considerate necessarie per superare il crony capitalism asiatico e promuovere un modello di libero mercato simile a quello occidentale, in grado di ristabilire la fiducia degli investitori. Buona parte dei leader asiatici hanno fornito un'interpretazione opposta: la mancanza di regolamentazione, e non il suo eccesso, uniti alla volatilità finan­ ziaria generata dalla globalizzazione, hanno causato la crisi. Ciò ha portato a due conseguenze: le ricette basate sulJVashington Consensus hanno trovato forte resistenza in buona parte dei paesi destinatari; inoltre gli Stati asiatici hanno iniziato a considerare la creazione di nuovi meccanismi digovernance necessaria a evitare il ritorno di crisi simili, soprattutto nei settori monetario e finanziario. Nelle intenzioni dei leader asiatici questi nuovi meccanismi istituzionali dove­ vano privilegiare una membership asiatica, escludendo un ruolo di rilievo degli Stati Uniti o delle istituzioni finanziarie globali.

ruolo di sempre maggior rilievo nei processi di regionalizzazione, fino a proporre, dopo l'ascesa di Xi Jinping al potere, un vasto progetto regio­ nale con caratteristiche prettamente sinocentriche. La creazione dell'ASEAN+J è il risultato più evidente della momenta­ nea convergenza di interessi tra Cina, Giappone e Corea del Sud e della ricerca di forme di cooperazione mirate a isolare la regione dalla volatilità del capitalismo globale e del potere egemonico americano. Le forme di

120

8.

' L ASCESA CINESE E IL REGIONALISMO IN ASIA

RIQUADRO 8.2 La Chiang Mai Initiative La Chiang Mai Initiative ( CMI ) è

un

accordo multilaterale di currency swap, ovve­

ro un patto stipulato fra due o più Stati che si scambiano nel tempo

un

flusso di

pagamenti denominati in due diverse valute, allo scopo di evitare variazioni ecces­ sive del tasso di cambio. La CMI include gli Stati membri dell'ASEAN, la Repubbli­ ca popolare cinese, Giappone e Corea del Sud e dispone oggi di un capitale di

240

miliardi di dollari, costituiti da riserve monetarie dei diversi Stati partecipanti. Il suo obiettivo principale è evitare il nuovo insorgere di problemi economici quali fughe di capitali, rapide svalutazioni delle monete e crisi bancarie, che ave­ vano pesantemente colpito le economie asiatiche durante la crisi del 1997-98. Nel

1997 il governo giapponese aveva proposto la creazione di un Fondo monetario asiatico ( FMA ) , con il compito di fornire liquidità ai paesi asiatici colpiti da sva­ lutazione, crisi del debito e fughe di capitali. La proposta era stata bloccata dagli Stati Uniti, che consideravano la creazione del FMA come un danno per la capacità del Fondo monetario internazionale di condizionare i prestiti all'implementazio­ ne di programmi di aggiustamento e riforme strutturali. La CMI ha un compito simile, quello di fornire una rete di salvataggio per le economie in crisi, prevenendo così nuovi effetti contagio. A differenza della proposta giapponese, la CMI non è completamente svincolata dalla condizionalità del Fondo monetario, visto che per accedere i pacchetti di aiuti più significativi gli Stati devono rispettare le direttive del FMI.

cooperazione istituzionalizzata emerse dal Jramework ASEAN+3 sono la Chiang Mai Initiative e 1'Asian Bond Market Initiative, due accordi fun­ zionali a proteggere paesi sotto attacco speculativo, attraverso liquidità di emergenza e acquisto di bond dei paesi in crisi (cfr riquadro 8.2). È importante sottolineare la rilevanza politica dell'ASEAN+3 per i rap­ porti tra la Cina e gli altri paesi dell'Asia. L'approccio cinese alla gover­ nance finanziaria regionale, in questo periodo, riflette l'evoluzione degli equilibri di potere a livello globale e regionale, così come l'evoluzione de­ gli obiettivi di politica estera di Pechino. Negli anni Novanta, da parte ci­ nese, la principale preoccupazione era quella di evitare l'emergere di una leadership economica regionale giapponese. Inoltre, fino al 200I, quando è diventata un membro effettivo dell'Organizzazione mondiale del com­ mercio ( World Trade Organizarion, WTO ), la Cina doveva anche evitare di scontrarsi con gli Stati Uniti, che avevano potere di veto sulla membership. I

21

MATTEO DIAN

Dalla metà degli anni Duemila, si è dimostrata meno preoccupata dell'influenza di Tokyo e ha cercato di utilizzare la governance regionale per consolidare il proprio ruolo di potenza economica e politica, limitan­ do allo stesso tempo l'influenza americana. La crisi economica del 1997-98 ha determinato una svolta fondamen­ tale anche per quanto riguarda le politiche commerciali cinesi. Fino al 2001, l'ingresso del WTO era al centro degli sforzi della diplomazia eco­

nomica di Pechino. Dopo il 2001, la Repubblica popolare ha iniziato a utilizzare gli accordi commerciali come strumento per legittimare e so­ stenere la propria ascesa regionale. Il risultato più rilevante di questo pe­ riodo é sicuramente l'accordo di libero scambio tra Cina e ASEAN (ASE­ AN-China Free Trade Area o China-ASEAN FTA), proposto nel 2002 ed entrato in vigore nel 2010. Nello stesso periodo Pechino promosse una serie di altri accordi di libero scambio, tra i quali spiccano quelli con Au­ stralia, Corea del Sud, Peru, Nuova Zelanda e Singapore. La creazione di una vasta rete di accordi bilaterali contribuì ad ali­ mentare una delle tendenze fondamentali che caratterizzano l'Asia con­ temporanea: il fatto che la Cina sia il principale partner commerciale per quasi tutti gli Stati della regione. Ciò ha creato uno dei presupposti fondamentali per il progetto di leadership regionale che sta emergendo durante la presidenza di Xi Jinping. L'attivismo cinese nel settore della diplomazia commerciale ha dato luogo a due conseguenze non previste. Giappone e Stati Uniti hanno reagi­ to promuovendo la loro rete di accordi commerciali. Ciò ha dato vita al cosiddetto noodle bowl ovvero una intricata rete di relazioni bilaterali. Questo fenomeno ha generato un "eccesso di offerta" dal punto di vista istituzionale e normativa, con scarsi effetti sulla crescita dei volumi di scambio. Il periodo tra la crisi asiatica e la crisi finanziaria globale del 2008-09 è stato associato a un cambiamento di rotta decisivo per quanto riguar­

da il ruolo della Cina nella governance regionale. Dali'inizio degli anni Duemila, Pechino si è proposta in modo sempre più esplicito come co­ produttore di beni pubblici e garante della stabilità economica regionale. La Cina ha iniziato a considerare un ruolo attivo nella governance re­ gionale e globale come strumento essenziale per raggiungere lo status di grande potenza. Ciò, tuttavia, non è associato a un cambiamento a livello dei valori e norme fondamentali della politica estera cinese. La leadership cinese continua a farsi portatrice dei principali orientamenti normativi del periodo post-maoista, ispirati ai Cinque principi di coesistenza paci-

122

'

8. L ASCESA CINESE E IL REGIONALISMO IN ASIA

fica, tra i quali spiccano il rispetto della sovranità e la non interferenza. In questo periodo la governance regionale è diventata uno strumento per preservare e diffondere l'accettazione di queste regole e per proteggere il paese dalla volatilità delle forze della globalizzazione capitalistica. Inol­ tre, la centralità delle imprese di Stato nel modello cinese e la volontà di mantere un forte controllo politico sul sistema economico ha limitato, in questa fase, il livello di integrazione economica regionale.

8.4

Il grande progetto regionale sinocentrico di Xi Jinping L'ascesa al potere di Xi Jinping ha determinato un'ulteriore svolta nella strategia regionale cinese. Xi ha definitivamente abbandonato la strategia del basso profilo e ha promosso un approccio che pone la Cina esplicita­ mente al centro di un vasto programma di trasformazione degli assetti po­ litici, economici e istituzionali della regione. Le iniziative promosse dalla nuova leadership prevedono un ruolo gui­ da per Pechino, sia in termini materiali, attraverso una serie di forme con­ crete di cooperazione economica sia in termini normativi e istituzionali, attraverso norme e regole ispirate ai valori e alla visione del mondo cinesi. Uno degli aspetti più significativi è l'espansione in senso geografico delle iniziative regionali cinesi. La nuova leadership non considera solo l'A­ sia orientale come focus delle proprie iniziative in tema di governance eco­ nomica. Al contrario, le principali iniziative promosse da Xi considerano l'intera Asia, o addirittura l'Eurasia, come orizzonte spaziale di riferimen­ to. In questo periodo viene riaffermata e resa ancora più esplicita la strate­ gia atta a utilizzare la governance regionale come strumento per isolare la regione da influenze esterne e, in particolare, dagli Stati Uniti. Come soste­ nuto dallo stesso Xi nel 20I4: I popoli dell'Asia devono governare l'Asia, risolvere i problemi dell'Asia e man­ tenere la sicurezza in Asia. I popoli dell'Asia hanno le capacità e la saggezza per raggiungere pace e stabilità attraverso la cooperazione rafforzata'.

Di conseguenza, la trasformazione del ruolo cinese, da outsider scettico e prudente a leader del processo di regionalizzazione, non corrisponde a r.

Cfr. http://www.fmprc.gov.cn/mfa_englzxxx_6628os/ms99SI.shtml (trad. mia).

123

MATTEO DIAN

RIQ_UADRO

8.3

Il capitalismo di Stato cinese Gli studiosi di politica economica considerano il modello economico cinese una forma di "capitalismo di Stato". Questo modello non si riferisce tanto alla compre­ senza di forme di impresa pubblica e forme di impresa privata, che esistono, anche se con proporzioni diverse, in tutti i sistemi capitalisti. Nonostante le riforme radicali promosse negli ultimi tre decenni, il modello economico cinese rimane profondamente diverso dal capitalismo di libero mer­ cato, in particolare per il rapporto tra Stato e imprese pubbliche. Le principali imprese strategiche, soprattutto nei settori di energia, infrastrutture, trasporti e difesa, vengono gestite direttamente dallo Stato. Il sistema bancario, inoltre, è do­ minato dalle quattro grandi banche pubbliche (Banca delle Cina, Banca cinese delle costruzioni, Banca cinese dell'agricoltura, Banca commerciale e industriale cinese). Le imprese e le banche pubbliche rispondono a criteri politici, oltre che economici. Lo Stato e il Partito controllano una parte rilevante degli investimenti sia domestici sia verso l'estero. Di conseguenza le imprese cinesi che investono all'estero hanno spesso obiettivi diversi dal profitto di breve periodo. Al contrario, in genere mirano all'acquisizione di risorse strategiche, all'accesso a tecnologie o alla creazione di influenza politica.

un'evoluzione delle norme e dei valori che ispirano le proposte cinesi. Pe­ chino continua a proporre un'idea di ordine regionale basato sui principi di sovranità e non interferenza, uniti a ricette economiche che prevedo­ no la centralità dello Stato nell'orientare scelte economiche e industriali. Questo modello è basato sulla solidità del "triangolo di ferro" costituito da Partito comunista, imprese di Stato e banche pubbliche (cfr. riquadro 8.3). Xi ha adottato una posizione chiara anche rispetto al rapporto tra go­ vernance regionale e ordine globale e al ruolo globale della Cina. Quest'ul­ tima viene definita come una "grande potenza di nuovo tipo" (xinxing da­ guo) che cerca di integrare l'ordine economico globale. Di conseguenza l'obiettivo non è quello di sovvertire l'ordine globale a guida americana, basato sulle istituzioni di Bretton Woods, ma quello di dare luogo a nuove forme di cooperazione internazionale, disegnate per soddisfare i bisogni specifici dei paesi dell'Asia e offrire possibilità di cooperazione alternative a quelle associate all'egemonia americana. Il tentativo di promuovere forme alternative di cooperazione basate su principi e guida cinesi ha portato Pechino a promuovere tre nuove forme di cooperazione regionale: La Nuova via della seta (Belt and Road Initiati124

' 8. L ASCESA CINESE E IL REGIONALISMO IN ASIA

ve, BRI) ; la Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture (Asia Infra­ structure and Investment Bank, AIIB) e la Regional Comprehensive Eco­ nomie Partnership (RCEP) .

8.s

La Nuova via della seta La Nuova via della seta è probabilmente l'iniziativa più significativa. Que­ sta prevede la creazione di una serie di connessioni infrastrutturali e logisti­ che destinate a collegare via terra la Cina con l'Europa, attraversando l'Asia centrale e la Russia. Inoltre, la Via della seta marittima dovrebbe collegare il Sud della Cina con il Sud-Est asiatico, l'India, fino al Golfo Persico e il Me­ diterraneo. Questi progetti prevedono la costruzione di nuove infrastrut­ ture, quali collegamenti ferroviari transcontinentali ad alta velocità, nuovi porti e l'apertura di nuove linee di comunicazione marittima. La Nuova via della seta è un'iniziativa di notevole rilevanza politica ed economica, per una serie di motivi. In primo luogo, conferma che la Cina concepisce il proprio ruolo come promotore di nuove forme digovernance regionale su una scala geografica sempre più estesa, che trascende i confini dell'Asia orientale, per includere tutta l'Asia, fino a stabilire connessioni economiche, istituzionali e logistiche con l'Europa. La Nuova via della seta, inoltre, è funzionale agli interessi economici cinesi: potrebbe, infatti, contribuire in modo decisivo allo sviluppo delle provincie occidentali, fino a oggi escluse dal boom economico degli ultimi decenni, che ha avuto luogo soprattutto nelle provincie costiere meridio­ nali e orientali. La realizzazione delle infrastrutture è funzionale a un ul­ teriore consolidamento del ruolo guida delle imprese di Stato cinesi, che monopolizzano i settori dell'industria pesante, delle infrastrutture e della logistica. In questo modo, il governo cinese potrebbe risolvere il problema di eccesso di produttività nei settori delle infrastrutture emerso negli ulti­ mi anni. In questo senso la Nuova via della seta è coerente con il trend di "avanzamento dello Stato, ritiro del settore privato"

(guo)in min tui) emer­

so nell'ultimo decennio. Queste iniziative, tuttavia, comportano alcuni rischi per la Cina. La promozione di investimenti su vasta scala in zone soggette a instabilità po­ litica potrebbe mettere Pechino di fronte a un dilemma fondamentale. In caso di instabilità politica nei paesi che ricevono gli investimenti nell'am­ bito della Nuova via della seta, la Cina sarà costretta a scegliere tra rispetto

MATTEO DIAN

della sovranità e dell'autodeterminazione, anche in caso di notevoli danni economici, e difesa dei propri investimenti all'estero, violando i principi di non interferenza.

8.6

La Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture La seconda componente fondamentale per la strategia regionale cinese è la Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture, una banca multilaterale per lo sviluppo inaugurata nel 2.015. La AIIB ha un capitale iniziale di

100

miliardi di dollari, la metà dei quali provenienti dalla Cina. Lo statuto del­ la banca include tra le sue finalità «lo sviluppo sostenibile, la creazione di infrastrutture, investimenti in settori produttivi, la promozione di coope­ razione regionale mirata ad affrontare le sfide dello sviluppo con altre isti­ tuzioni multilaterali»'. La Cina detiene il2.6% del voting share della banca e il 30% delle quote. Ciò comporta un potere di veto di fatto, visto che i regolamenti della banca prevedono che le decisioni vengano prese con una soglia del 75% dei voting rights. La creazione dell'AIIB comporta una serie di conseguenze notevoli per l'ordine economico regionale e globale. Per la prima volta la Repubblica popolare si fa promotrice attiva di una nuova istituzione finanziaria multi­ laterale, basata sulla propria leadership e sui propri principi fondamentali. Un successo della AIIB rappresenterebbe un successo in termini di credi­ bilità del progetto regionale cinese e dimostrerebbe la capacità della Re­ pubblica popolare di ricoprire un ruolo di "produttore di ordine" in Asia e oltre. La seconda conseguenza fondamentale riguarda la membership della AIIB. Al momento della sua inaugurazione ufficiale la nuova banca aveva 57 membri fondatori. Anche se la AIIB rimane un'istituzione a vocazione regionale, visto che gli investimenti infrastrutturali saranno destinati so­ lo all'Asia, metà dei soci fondatori sono "non regionali". I maggiori Stati europei, tra i quali Germania, Regno Unito, Francia e Italia, così come i 2. Cfr. Asian lnfrastructure lnvestment Bank, Articles oJAgremeent, Asia lnfrastruc­ ture lnvestment Bank-AIIB, Beijing 2015, trad. mia (https://www.aiib.org/en/about-aiib/ basic-documents/_download/articles-of-agreement/basic_document_english -bank_arti­

cles_of_agreement.pdf).

126

' 8. L ASCESA CINESE E IL REGIONALISMO IN ASIA

principali partner degli Stati Uniti in Asia, con la notevole eccezione del Giappone, hanno aderito ali' iniziativa cinese. Ciò è ancora più significativo se si tiene conto dell'opposizione degli Stati Uniti, che hanno espresso dubbi sugli standard della banca in materia di trasparenza e processi di assegnazione degli appalti. Al di là delle moti­ vazioni ufficiali, la posizione americana riflette il timore che la Cina sia in grado di promuovere forme alternative di governance economica, indebo­ lendo le fondamenta dell'ordine economico globale e il ruolo delle istitu­ zioni di Bretton Woods. Dal punto di vista americano l'aspetto più pre­ occupante è probabilmente la volontà di alleati e partner europei e asiatici di cooperare con Pechino nonostante le riserve di Washington. Il successo della AIIB è un segnale di una crescente insoddisfazione, soprattutto tra gli Stati asiatici nei confronti di istituzioni finanziarie internazionali che non rispecchiano gli equilibri economici contemporanei, sovra-rappresentan­ do gli Stati Uniti e gli Stati europei. Il successo dell'AIIB testimonia anche la volontà di promuovere forme di governance che rifiutano l' invasività e la condizionalità praticate dalle istituzioni di Bretton Woods nel periodo successivo alla guerra fredda. La terza conseguenza fondamentale riguarda il contenuto normativa dell'ordine regionale. La AIIB costituisce uno strumento, da parte cinese, per promuovere i propri principi guida. Il rispetto della sovranità e della non interferenza sono infatti considerati come una precondizione per l'a­ desione alla Banca.

8.7

La Regional Comprehensive Economie Partnership La Regional Comprehensive Economie Partnership costituisce il terzo pi­ lastro del progetto regionale di Xi. La RCEP, proposta formalmente duran­ te il summit dell'ASEAN svoltosi in Cambogia nel20I2, è un accordo multi­ laterale di libero scambio che include i membri del gruppo ASEAN+6: oltre ai membri dell'ASEAN, Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Australia e Nuova Zelanda. La RCEP è generalmente considerata la risposta cinese alla Trans-Pa­ cific Partnership

(TPP),

accordo multilaterale promosso dall'amministra­

zione Obama, tra I2 Stati del bacino del Pacifico e firmata nel febbraio del 20I6. L'amministrazione Trump ha annunciato l'uscita degli Stati Uniti

127

MATTEO DIAN RIQ_UADRO 8.4 L'effetto noodle bowl Gli economisti hanno da tempo identificato l'effetto nood/e bowl ( o ciotola di spa­ ghetti ) come uno dei problemi più rilevanti per l' integrazione commerciale in Asia. Dalla crisi del 1997-98 in poi i principali Stati asiatici hanno iniziato a pro­ muovere una serie di trattati commerciali bilaterali e multilaterali, generando una vasta e intricata rete di relazioni commerciali preferenziali. L'approvazione e l' im­ plementazione di questi accordi ha permesso un sostanziale declino delle barriere tariffarie sui beni. Tuttavia, l'effetto sul volume complessivo dei flussi commerciali

è stato marginale. La causa principale è la presenza di barriere non tariffarie. I singoli accordi commerciali promuovono standard diversi in merito a regole di origine, diritti dei lavoratori, standard di qualità, libera circolazione dei servizi, accesso ai mercati esteri, ruolo delle imprese di Stato. La disparità di standard di fatto limita l' impatto concreto degli attuali accordi.

RCEP

e

TPP

due tentativi, molto diversi tra loro, di risolvere il problema. La

rappresentano

TPP

tenta di im­

porre standard elevanti in quasi tutti i settori associati alle barriere non tariffarie. La

RCEP

ammette un compromesso al ribasso basato sul mutuo riconoscimento

degli standard di altri Stati.

dal trattato. L'uscita degli Stati Uniti dalla

TPP,

rende la

RCEP

la più signi­

ficativa e avanzata forma digovernance commerciale in Asial. Sia la

TPP

sia la

RCEP

rispondono a una serie di esigenze politiche ed

economiche simili. Dal punto di vista economico entrambe mirano a supe­ rare l'effetto noodle bo wl generato dalla presenza di barriere non tariffarie (cfr. riquadro

8.4).

Dal punto di vista politico entrambe rappresentavano l'espressione di un tentativo di promuovere leadership, norme e interessi dello Stato gui­ da. La

TPP

disegna una forma di integrazione commerciale transpacifìca,

basata su forme di liberalismo avanzato congeniale agli interessi degli Stati Uniti. L'accodo transpacifìco limita il ruolo di banche pubbliche e imprese di Stato e imponeva standard elevati in materia di proprietà intellettuale, diritti dei lavoratori, ambiente, libera circolazione dei servizi, concorrenza. Tutte queste regole mirano a limitare l'influenza di imprese controllate dal governo cinese. 3· Gli undici membri firmatari della TPP hanno raggiunto un nuovo accrodo senza gli Stati Uniti, chiamato Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Part­

nership ( CPTPP) . Questo accorodo è stato firmato a Santiago del Cile nel marzo del2o18.

128

8.

L'ASCESA CINESE E IL REGIONALISMO IN ASIA

La RCEP al contrario definisce standard meno rigidi e promuove rego­ le diverse. Non ci sono limiti al ruolo delle imprese statali, c'è una minore attenzione alle barriere non tariffarie. Inoltre, coerentemente con i principi di non interferenza e nel rispetto dell'identità di "paesi in via di sviluppo" di parte dei partecipanti, non vengono imposti standard elevati in materia di ambiente, diritti dei lavoratori, tutela della proprietà intellettuale e altri aspetti che invece erano centrali nella TPP.

8.8

Conclusioni La prima considerazione conclusiva, come spesso succede osservando la Cina contemporanea, riguarda la velocità del cambiamento. Fino alla crisi asiatica la leadership cinese rimaneva espressamente scettica nei confronti della governance regionale. Dopo vent'anni Pechino ha avanzato un com­ plesso progetto di integrazione regionale, nella quale la Cina è proposta come leader, promotore di norme e, ancora, di stabilità in un periodo in cui l'Occidente sembra sempre di più una fonte di incertezza e instabilità. La seconda considerazione riguarda l'uso strategico della governance regionale. Dopo il I998, Pechino ha usato l'ASEAN+3 sia per promuovere stabilità economica e finanziaria, sia per giocare una partita su diversi ta­ voli, con l'obiettivo di limitare l'influenza giapponese e americana. Dopo l'ingresso nel WTO, il tentativo di creare un filtro alla globalizzazione basa­ ta sulla leadership americana è diventato sempre più centrale nella strategia cinese. In modo simile, la creazione di una rete di accordi di libero scambio ha contribuito a promuovere l' indispensabilità economica cinese e la legit­ timità della Repubblica popolare come grande potenza regionale. Un'altra conclusione importante riguarda il ruolo della Cina nell'or­ dine internazionale contemporaneo. Con l'ascesa di Xi Jinping la Cina ha iniziato a proporsi esplicitamente come leader nel campo dei processi di regionalizzazione e integrazione economica. È importante sottolineare co­ me le iniziative cinesi abbiano ottenuto un successo notevole in Asia, ma anche tra gli Stati europei. L'ultima e forse più importante conclusione riguarda il contenuto nor­ mativa dell'ordine regionale proposto da Pechino. L'ambizioso progetto regionale cinese prevede una regione relativamente chiusa alle influenze politiche e normative esterne, e un'idea dell'ordine internazionale e regio­ nale basato sulla precedenza dello Stato sull'individuo e i suoi diritti. L'af-

MATTEO DIAN

fermarsi di questo tipo di regionalismo renderebbe l'ordine internazionale contemporaneo molto più plurale e più distante da una forma di globaliz­ zazione basata sui valori occidentali e sulla centralità dell'individuo e dei suoi diritti economici e politici.

Letture consigliate ASIA INFRAST RUCTURE INVESTMENT BANK

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9 I rapporti tra Alleanza atlantica e Russia

dalla fine della guerra fredda di Nicolò Faso/a e Sonia Lucarelli*

9·1

Introduzione La nascita dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (North Atlantic Treaty Organization, NATO) , il 4 aprile 1949, rispondeva a moltepli­

ci necessità, efficacemente sintetizzate da una nota espressione di Lord Ismay, primo segretario generale della

NATO:

«tenere dentro gli americani, fuori i

russi e sotto i tedeschi». La proposta britannica di costituzione dell'Alleanza atlantica rispondeva infatti alla preoccupazione di mantenere gli Stati Uniti legati all'Europa, esercitare un effetto deterrente verso l'Unione Sovietica e sviluppare un contesto multilaterale che consentisse il riarmo della Germania Ovest senza che questo costituisse un pericolo per i vicini. Il cuore del Trattato di Washington, tuttavia, era costituito dalla difesa collettiva prevista all'art.

v,

pensato in funzione antisovietica. La risposta

del Cremlino non tardò ad arrivare, prima sotto forma di protesta e poi

con la creazione del formalmente speculare Patto di Varsavia ( 1955 ) . Date queste premesse, i rapporti tra NATO e Unione Sovietica non potevano che essere conflittuali. La fine del bipolarismo era destinata a mutare la natura delle relazioni tra

NATO

e Russia, ma non poté cancellare decenni di diffidenza reciproca,

né evolversi in modo lineare, al riparo dalle tensioni legate all'evoluzione dell'architettura di sicurezza europea, della trasformazione politica russa e dall'affermarsi di nuove minacce sullo scenario internazionale. In questo capitolo ripercorreremo i momenti principali del riassetto relazionale tra Alleanza atlantica e Russia a partire dagli anni Novanta, di­ scutendo le maggiori aree di frizione tra i due ex blocchi e offrendo una va­ lutazione delle prospettive future. •

Nicolò Fasola è dottorando all'University ofBirmingham. Sonia Lucarelli è professo­

ressa associata di Relazioni internazionali e Pan- European Security all'Università diBologna.

133

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI 9·2

L'altalena della collaborazione All'indomani della caduta del muro di Berlino zione dell'Unione Sovietica

(1991),

(1989)

e della dissolu­

l'Occidente usciva vincitore da una

guerra dura ancorché mai combattuta come fu la guerra fredda. Gli Stati Uniti si ponevano a paladini dell'ordine liberale internazionale assumen­ do la guida politica e militare della "transizione al mercato e alla demo­ crazia': e l'Europa occidentale lanciava un programma di rafforzamento delle istituzioni comunitarie che avrebbe dato vita all'Unione Europea

( uE ) .

Più a Est, l'ex blocco sovietico doveva fare i conti con una transi­

zione dal socialismo che non sempre aveva ben chiari punto di arrivo e percorso del proprio divenire- e che non era certo facilitata dall'atteg­ giamento autocentrato dell'Occidente. La

NATO

non poteva che risentire delle trasformazioni in atto. A un

iniziale dibattito sulla necessità di mantenere l'Alleanza atlantica ora che il pericolo sovietico era scomparso, successe rapidamente il rilancio dell'Organizzazione. Questo procedeva in una triplice direzione: per­ mettere all'Alleanza di contribuire alla stabilizzazione dello spazio post­ sovietico tramite espansione e partenariati; attrezzarsi per giocare un ruolo nella gestione dei conflitti; e ripensare la propria pastura di deter­ renza. Parallelamente, la Russia era impegnata in un difficile compito di consolidamento politico ed economico interno e nella ricostituzione di un ruolo internazionale che passava innanzitutto per la ridefinizione dei rapporti con l'Occidente. Sullo sfondo, la paura di rimanere esclusa dalla nuova architettura di sicurezza europea. Le prime relazioni formali fra

NATO

e Russia furono stabilite già nel

dicembre del 1991 nell'ambito del Consiglio di cooperazione dell'Atlan­ tico del Nord (North Atlantic Cooperation Council,

)

NACC ,

un forum

di dialogo tra Alleanza atlantica e paesi dell'ex blocco sovietico. In ag­ giunta al

NACC,

la

NATO

avviò anche un dialogo bilaterale con la Russia

- e uno con l'Ucraina- per la gestione del nucleare appartenuto all'U­ nione Sovietica. Nel

1994,

l'ingresso nel gruppo di contatto per la Bosnia-Erzegovi­

na e l'accesso al Partenariato per la pace (Partnership for Peace, programma di cooperazione bilaterale tra

NATO

PFP,

un

e paesi partner) costitu­

irono due momenti importanti per il rilancio internazionale della Rus­ sia. Nella PFP Mosca si vide riservato un trattamento privilegiato rispetto agli altri partner e così, due anni dopo, già supportava la missione NATO

134



I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

di peace-keeping in Bosnia-Erzegovina (IFOR, Implementation Force; poi SFOR, Stabilization Force)- a cui ne seguirono altre, come KFOR (Kosovo

Force) in Kosovo, e Ocean Shield nel Golfo di Aden. Capitalizzando questi intercorsi positivi, nel maggio I997 veniva si­ glato il NATo-Russia Founding Act on Mutua! Relations, Cooperation and

Security, il quale istituiva un Consiglio permanente congiunto (Perma­ nentJoint Council,

PJC) per le consultazioni e l'avanzamento della coo­

perazione tra NATO e Federazione Russa. Le sorti del

PJC

non furono però brillanti. Due motivi concorsero

alla sua rapida sospensione. Primo, proprio nel I997 la NATO invitò Re­ pubblica ceca, Polonia e Ungheria ad aderire all'Alleanza, con la prospet­ tiva - poi realizzata nel I999 - di estendere l'Organizzazione anche a territori precedentemente sotto influenza sovietica. Secondo, l'avvio dei bombardamenti NATO in Jugoslavia durante la guerra del Kosovo. Già innervosita dalla prospettiva di un ampliamento dell'Alleanza e decisa­ mente contraria all'intervento suddetto - peraltro non autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite - la Russia decise di ritirar­ si dal

PJC.

Si trattò tuttavia di un atto prettamente simbolico al quale

Mosca non poteva ancora dare seguito concreto; di lì a breve i lavori del Consiglio vennero ripresi. Gli attentati dell' 11 settembre 200I diedero nuovo stimolo alla col­ laborazione Est-Ovest, in funzione antiterrorismo. Non solo i servizi di

intelligence di Russia e Occidente cooperarono strettamente, ma Mosca addirittura concesse il diritto di sorvolo del proprio spazio aereo per la campagna in Afghanistan -alla quale tuttavia non partecipò. A suggello di questa esperienza positiva, nel 2002 venne firmato a Pratica di Mare l'accordo istitutivo del Consiglio NATo-Russia (NATO­ Russia Council,

NRC),

il cui formato intergovernativo superava la for­

mula "segretario generale NATO+alleati+Russia" del

PJC,

non gradita da

Mosca. Il Consiglio si proponeva l'adozione di azioni comuni in molte aree, tra le quali la lotta al terrorismo, la non proliferazione delle armi di distruzione di massa, la gestione delle crisi, e così via. Nonostante il

NRC abbia avuto maggior successo del PJC, problemi e

interruzioni dei lavori non sono mancati. Tra NATO e Russia permaneva­ no, infatti, motivi di tensione tali per cui nel2007 quest'ultima dichiara­ va di uscire dal Trattato sulle armi convenzionali in Europa ( Conventio­

nal Forces in Europe Treaty,

CFE,

I990 ) . La Georgia fu ulteriore motivo

di disputa. Da un lato, la possibilità -ventilata da George W. Bush -che la NATO concedesse alla Georgia lo status di paese candidato incorag-

135

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI

giò Tbilisi a intraprendere una politica risoluta verso le spinte separati­ ste di Abkhazia e Ossezia del Sud. Dall'altro lato e contemporaneamen­ te, Mosca vide materializzarsi nuovamente lo spettro di un'espansione dell'Alleanza entro un'area percepita di proprio dominio riservato. La Russia decise così di intervenire a sostegno delle Repubbliche secessioni­ ste

(2oo8), aprendo una grave crisi con l'Occidente. Ne seguiva l'interru­

zione dei lavori del NRC, i quali ripresero solo un anno più tardi. In apparente contraddizione con tali premesse, l'edizione di Lisbo­ na del NRC

(2010) lanciò il rafforzamento della cooperazione bilaterale

negli ambiti di antiterrorismo, antipirateria e difesa missilistica. La nuo­ va fase delle relazioni NATo-Russia portò a una nuova collaborazione in Afghanistan, alla conduzione di numerose esercitazioni congiunte e, so­ prattutto, al coordinamento per lo smaltimento delle armi chimiche in Siria nel

2013-14.

Questa fase positiva, tuttavia, si concluse nella primavera del

2014, a

seguito dell'annessione della Crimea da parte della Russia e del supporto fornito da quest'ultima ai separatisti del Donbass (entrambi territori della Repubblica ucraina). Le conseguenti sanzioni economiche imposte con­ tro la Russia dalle Nazioni Unite e dall'Occidente, nonché la sospensione del dialogo e della collaborazione civile e militare tra NATO e Russia, sono ancora in atto al giugno 2018. A oggi, lo stato delle relazioni Est-Ovest non pare trovare soluzione alla propria precarietà. Le frequenti violazioni russe dello spazio aereo NA­ TO, le interferenze di Mosca nella politica interna di vari paesi occidentali (si vedano il finanziamento ai partiti cosiddetti populisti europei e la per­

2016) e le misure alleate di deterrenza convenzionale lungo la faglia est-europea (Ba/tic Air Policing, Enhanced Forward Presence, Tailored Forward Presence) contribu­ turbazione delle elezioni presidenziali statunitensi nel

iscono al perdurare di un fragile contesto di ostilità reciproca.

9·3

Le principali aree di tensione L'altalena dei rapporti tra NATO e Russia durante l'ultimo ventennio ha subito l'influenza di numerosi fattori di natura sia strutturale sia percet­ tiva. All'interno del flusso storico degli eventi, alcuni aree tematiche sono risultate più cruciali di altre nell'imprimere una direzione alle relazioni bi-



I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

laterali. La loro discussione qui di seguito aiuterà a portare alla luce alcune delle incompatibilità chiave tra i due attorP. 9·3·1.

ALLARGAMENT I E INT ERVENTISMO:

LA P ERCEZIONE DELLO SPAZIO VITALE

Se nella percezione degli alleati l'allargamento e i partenariati NATO nel bloc­ co ex comunista (cfr. FIG. 9.I ) rappresentano strumenti per la stabilizzazione dell'area, la Russia li ha ritenuti fin da subito indebite intrusioni nel proprio spazio vitale. Il primo allargamento a Est dell'Alleanza ( I999 ) avveniva in un mo­ mento di sostanziale debolezza da parte russa e aveva cautamente esclu­ so le Repubbliche baltiche. Per quanto critico potesse essere di fronte a questo segno tangibile del proprio ridimensionamento politico nell'era post-bipolare, il Cremlino non poteva opporsi in modo significativo né in termini sostanziali, né in termini formali. La gestione del secondo al­ largamento a Est dell'Alleanza

(2004)

fu invece più travagliata poiché

spintasi ai confini della Russia con l'inclusione di Estonia, Lettonia e Li­ tuania. Agli occhi di Mosca ciò fu aggravato dal parallelo rafforzamento della

PFP

NATO,

e dalla trasformazione dell'area di competenza operativa della

stimolata dagli eventi dell' 11 settembre. Con la International Se­

curity Assistance Force

( ISAF,

Afghanistan), infatti, l'Alleanza conduceva

ora operazioni su scala globale. La realtà di una

NATO

geograficamente e

funzionalmente più estesa strideva con le rinnovate ambizioni della Rus­ sia, la cui politica estera si faceva sempre più indipendente e attenta alla salvaguardia della propria area di influenza. La questione dello spazio vitale ha sempre rivestito importanza tra­ sversale nel dibattito politico interno alla Russia. Particolarmente netta la posizione di Andranik Migranian, ancora oggi figura chiave dell' esta­

blishment russo, il quale sostenne la necessità di formulare una dottri­ na Monroe per lo spazio post-sovietico. Anche tra i liberali (come An­ drei Kozyrev), pur con toni sfumati, non è mancata l'attenzione verso quei territori che appartennero all'Unione Sovietica. Così è ancora oggi quando, contrariamente agli anni Novanta, Mosca è in grado di tradurre in pratica la propria visione del mondo. Come nel

2008

Dmitrij Medve-

r. In aggiunta ai temi trattati, quello della deterrenza sarebbe stato degno di discussione. Necessità editoriali impediscono di affrontare da sé l'argomento, che verrà però discusso tan­ genzialmente in relazione agli altri qui presentati, data la sua natura trasversale.

137

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI FIGURA 9.1 Mappa degli allargamenti

.1949 Cl 1952 .1955 llliii 1982 .1990 �1999 .200 4 �2009 [l20!7

dev comandò l'intervento armato in Georgia a seguito della prospettiva di un allargamento NATO in quel paese, così nel20I4 Putin rispose all'av­ vicinamento dell'Ucraina all'uE (e alla

NATO

) rimarcando coi fatti il di­

ritto assoluto della Russia di ingerenza nello spazio ex sovietico. Le ragioni che sostengono l'idea russa di una propria sfera d'influenza esclusiva sono sia di tipo strategico, derivanti dalla necessità di proteggere con delle zone cuscinetto la Federazione da eventuali invasioni, sia di tipo culturale, ossia relative alla preoccupazione per la tutela dello spazio culturale russo

(russkij mir). La difesa dell'ethos russo ( percepito come intrinsecamen­ te unico e superiore ) è questione di stabilità identitaria per Mosca, che si per­

cepisce come centro di un'unità culturale e spirituale distinta dall'Occidente. L'auto-assegnazione del ruolo di fulcro e origine del russkij mir da parte della Russia legittima culturalmente un differenza sostanziale tra le sovranità dei paesi post-sovietici. Mentre la Russia godrebbe di una sovranità piena, Ucrai­ na, Georgia ecc. avrebbero invece sovranità ridotte, esistenti solo nella misu-



I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

RIQUADRO 9.1 Il multilateralismo a guida russa Commonwealth oflndependent States

(cis)

Nascita: 1991. Membri: Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Molda­ via, Russia, Tajikistan, Uzbekistan (Tajikistan: Stato associato). Natura: confederazione finalizzata al coordinamento delle politiche tra le parti negli ambiti di economia, affari esteri, difesa, immigrazione, ambiente e law enforcement. In merito al settore difesa, l'accordo prevedeva lo sforzo di porre le

forze armate e nucleari presenti nel territorio dei membri sotto ficato; ciò non è avvenuto. Il CIS è precursore di

CSTO

un

comando uni­

ed EAEU.

Organi principali: Consiglio dei capi di Stato e di governo, Consigli ministe­ riali, Assemblea interparlamentare, segretario generale. Lingua ufficiale: russo. Sede: Minsk, Mosca. Collective Security Treaty Organization

(csro)

Nascita: 2002, istituzionalizzando il Trattato sulla sicurezza collettiva ( 1992 ) . Membri: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tajikistan. Osservatori: Afghanistan, Serbia. Natura: accordo di difesa collettiva- idealmente speculare alla NATO. Ha am­ pliato progressivamente le proprie aree di competenza, giungendo a collaborare con la

sco

nel contrasto a crimine organizzato e traffico di droga. A oggi la c sTo

si è dotata di una infrastruttura militare comune e una forza di intervento, ma nessuna reale operazione militare è ancora stata condotta sotto la sua bandiera. Organi principali: Consiglio sulla sicurezza collettiva (organo consensuale composto dai capi di Stato e di governo), Consiglio dei ministri degli Esteri, Con­ siglio dei ministri della Difesa, segretario generale. Lingua ufficiale: russo. Sede: Mosca. Shanghai Cooperation Organization

(sco)

Nascita: 2001, sostituendo e ampliando lo Shanghai Five (Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan). Membri: Cina, India, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan, Uzbekistan. Osservatori: Afghanistan, Bielorussia, Iran, Mongolia. Natura: accordo finalizzato all'incentivazione della cooperazione negli ambiti di sicurezza (in particolare, lotta al terrorismo, estremismo e separatismo), econo-

139

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI mia, energia e cultura. Con implicito riferimento alla NATO, proibisce ai membri l'adesione ad altra alleanza che sia indirizzata verso altri membri della sco. Organi principali: Consiglio dei capi di Stato, Consiglio dei capi di governo, Consiglio dei ministri degli Esteri, segretario generale. Lingua ufficiale: cinese, russo. Sede: Pechino.

Eurasian Economie Union (EAEU) Nascita: 2015, ultimo stadio dell'evoluzione dell'unione doganale già stabilita nell'immediato dopo-guerra fredda tra alcuni dei membri attuali. Membri: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia. Natura: accordo di libero movimento di persone, beni, capitali e servizi - ide­ almente speculare all'uE. L'EAEU è rivolta al superamento delle difficoltà dettate dalla transizione dal comunismo, con particolare attenzione allo sviluppo indu­ striale e tecnologico. Organi principali: Consiglio supremo dei capi di Stato e di governo, Consi­ glio intergovernativo, Commissione, Corte. Lingua ufficiale: russo. Sede: Minsk, Mosca.

ra in cui Mosca non decida - in nome della difesa della propria sicurezza e dell'ethos comune, spesso coincidenti- di intervenire nei loro affari interni. Oltre che in un crescente numero di ingerenze, il rilancio della politica estera russa si è anche tradotto nella creazione di nuove istituzioni internazionali, al­ ternative a quelle occidentali (cfr. riquadro

9.1): Commonwealth oflndepen­ ( CSTO), Shanghai Cooperation Organization ( sco ) , Eurasian Economie Union ( EAEU ) . dent States ( CIS) , Collective Security Treaty Organization

La stratificazione dei mandati di questi regimi pone la Russia al centro di una fitta rete contrattuale che, lungi dall'essere meramente cooperativa, è innanzitutto strumento di influenza su un'area percepita propria. La

sco

è un'eccezione solo parziale, poiché pur sempre la Russia mantiene, al suo

interno, un margine di intervento notevole sulle scelte degli altri membri, così potendo bilanciare le istanze occidentali su tavoli collaterali. 9.3.2. L A SICUREZZ A CIBERNETICA: DIVERGENZE NELLE INTERPRETAZIONI STR ATEGICHE

In linea con la crescente complessità delle relazioni internazionali, il pro­ gresso tecnologico ha aggiunto un nuovo terreno di scontro alle tradizio-

140

9· I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

nali aree di tensione tra

NATO

e Russia: lo spazio virtuale.

È stata l'azione

di Mosca, in particolare, ad avervi dato crescente rilievo. In termini generali, lo scontro nel dominio cibernetico consta di un'ampia categoria di operazioni non regolari che può ricomprendere

computer network operations,

guerra elettronica, operazioni psicologiche,

campagne di disinformazione per mezzo informatico e persino interferen­ za nelle elezioni in paesi terzi. La Russia contemporanea, attingendo dal­

spets operatsii ( "operazioni speciali" ) , ha (I999) , raffinando a ogni conflitto la propria efficacia. A ben vedere, la cyberwarjàre si inserisce nel

la ricca tradizione sovietica delle

operato in tale campo sin dalla guerra di Cecenia

quadro complessivo della dottrina di deterrenza russa, la quale armonizza leve convenzionali, nucleari e, in particolare, informativo-cibernetiche allo scopo di paralizzare la reattività dell'avversario e così promuovere forzo­ samente l'interesse nazionale senza incorrere nel rischio di guerra aperta'. Evento chiave nelle tensioni cibernetiche tra

NATO

e Russia fu l'attac­

co informatico subito dall'Estonia tra marzo e aprile 2007, seguito in ri­ torsione allo spostamento di un memoriale sovietico dal centro di Tallinn. Con questo attacco, svelando un punto debole della struttura di sicurezza occidentale, Mosca ha minato confidenza e percezione di superiorità degli alleati nei confronti di potenziali avversari pur globalmente svantaggiati in termini convenzionali - come la Federazione stessa. La

NATO

visse l'attacco informatico del2007 come uno shock strategi­

co e da allora ha dedicato numerose risorse alla prevenzione di simili epi­

Policy on Cyber Defence e dotandosi di dipartimenti specializzati. Durante i summit di Galles (20I4 ) e Varsavia (wi6) gli alleati sodi, formulando una

riconobbero ufficialmente lo spazio cibernetico come un dominio bellico al pari di terra, mare e aria, in egual misura sottoposto alle norme di diritto internazionale e soggetto alle garanzie di sicurezza collettiva di cui all'art. v

della Carta atlantica. Pur evolvendosi costantemente in risposta a nuove sfide, l'approccio NA­

TO

alla sicurezza cibernetica continua a soffrire di limiti notevoli. Innanzi­

tutto, la responsabilità per la protezione dei sistemi informatici ricade ancora primariamente sui singoli membri dell'Alleanza, i quali sono restii alla colla­ borazione in materia per via della delicatezza delle informazioni in quest'am­ bito. Inoltre non esistono linee guida comuni su quando e come rispondere a un attacco cibernetico. L'ambizioso progetto del

Tallinn Manual, oggi giun-

2. D. Adamsky, From Moscow With Coercion: Russian Deterrence Theory and Strategie

Culture, in "Journal ofStrategic Studies", 41, 1-2, 2018, pp. 33-60.

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI

to alla seconda edizione, rappresenta un progresso in tale senso, ma le 154 norme giuridiche ivi proposte non hanno valore cogente e sono pertanto su­ scettibili di diverse interpretazioni da parte degli Stati; ciò è particolarmente problematico in relazione all'attivazione dell'art.

v

(sicurezza collettiva). In­

fine, il fatto che il tema della sicurezza cibernetica sia affrontato dalla

NATO

soltanto in chiave difensiva, ne riduce il potenziale deterrente. 9·3-3·

LA SICUREZZA ENERGETICA:

TRA INTERDIPENDENZA E FRAMMENTAZIONE

La NATO come istituzione si occupa solo trasversalmente di sicurezza ener­ getica, ma la portata del tema per i singoli membri ha reso l'Alleanza sem­ pre più attenta (si vedano le decisioni del summit di Bucarest delwo8 e lo

Strategie Concept del2o10). Ancora una volta, le tensioni con il Cremlino sono state cruciali in tal senso, a partire dalla crisi del gas russo-ucraina delwos-o6, poi ripropostasi in termini analoghi nel2009 e2014. La NATO nel suo complesso si è dimo­ strata molto sensibile a questi eventi, data l'enorme dipendenza dagli idrocar­ buri russi sia dei paesi propriamente detti occidentali, sia dei nuovi alleati est­ europei- molti dei quali per di più storicamente ostili a Mosca (cfr.

FIG.

9.2).

La relazione di dipendenza è tuttavia biunivoca. Dati i limiti struttura­ li dell'economia russa e il ruolo sproporzionato che le rendite energetiche ricoprono nella formazione del reddito aggregato del paese, l'esportazione di idrocarburi e materiale fissile non conferisce alla Russia un vantaggio netto sugli importatori, ma instaura piuttosto un legame di interdipenden­ za. Come Mosca può fare leva su flussi e costi di gas e petrolio per imporre oneri politico-economici sull'Occidente, così quest'ultimo può idealmen­ te rivalersi sul Cremlino minacciando la diversificazione delle proprie fonti energetiche. Il tema della diversificazione svolge ruolo cruciale nella partita energe­ tica Est-Ovest, come dimostra il caso del gasdotto Nord Stream

II.

Si tratta

chiaramente non di una strategia di diversificazione dei fornitori, ma di un tentativo - europeo e russo - di assicurare la stabilità delle relazioni ener­ getiche anche a fronte di tensioni in aree di transito, come l'Ucraina. Se l' interesse russo fu fin da subito chiaro, la posizione della controparte occi­ dentale non fu altrettanto definita, a causa ancora una volta di divisioni in­ terne ali'Alleanza, che persistono. Da un lato vi sono Germania e Austria, che vedono nel Nord Stream un'opportunità economica e l'occasione di sottrarre la propria sicurezza energetica ai vortici conflittuali dello spazio

9· I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

FIGURA 9.2

Mappa dei gasdotti

--

Fonte:

Gasdotti esistenti

ETH

Zurich.

pose-sovietico. Dall'altro lato vi sono i paesi dell'Est Europa, i quali osteg­ giano con forza variabile il progetto russo-tedesco, che comporterebbe per loro criticità economiche ( perdita di introiti) e politiche ( perdita di leve), su più livelli. Il rapporto energetico esistente tra Russia e membri del regime occi­ dentale appare evidentemente complesso ed è legato a doppio fùo al con­ trapporsi della natura collettiva di quest'ultimo alla natura unitaria della Russia, nonché, in ultima analisi, alla loro diversa collocazione lungo la fi­ liera energetica (c.d. energy chain). Vestendo i panni dell'esportatore netto di energia, Mosca gode della naturale opportunità di stabilire un legame di subordinazione a svantaggio dei propri clienti. Lo strumento energetico appare allo stesso tempo come "il bastone e la carota" utile a influenzare le scelte dei paesi limitrofi, con un'efficacia proporzionale al grado di dipendenza energetica sussistente. La collocazione lungo l' energy

chain

della

143

NATO,

invece, varia al variare

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI

del paese considerato. Da un lato, vi sono Stati come Francia, Germania e Italia, tra i più industrializzati al mondo ma non autosufficienti dal pun­ to di vista energetico e quindi importatori netti di idrocarburi. Dali'altro lato, i paesi dell'Europa centro-orientale: complici un'industrializzazione ancora in divenire e una scarsa efficienza energetica, i membri della "nuova Europa" sono sottoposti contemporaneamente alle necessità dei consuma­ tori non autosufficienti e alle limitazioni dei paesi di transito. Inoltre, do­ tati di minore peso politico rispetto ai paesi dell'Europa occidentale, essi subiscono con maggior forza il potere contrattuale della Russia. Infine gli Stati Uniti rappresentano un terzo caso, a sé stante. Pur non del tutto disin­ teressati alle dinamiche energetiche del continente europeo - se non altro per questioni di sicurezza transatlantica - la collocazione geografica e la ricchezza di risorse naturali li rendono deJàcto estranei alle stesse. Stando così le cose, il maggiore ostacolo verso una comune politica energetica occidentale risiede nelle divergenze di interessi tra gli alleati. Al di là degli obiettivi minimi condivisibili, è scarsamente probabile che si ge­ neri un consenso interno tale per cui la sicurezza energetica diventi parte fondamentale della politica

NATO.

Ciò permette e permetterà alla Federa­

zione Russa di continuare a esercitare il proprio ascendente su molti degli alleati, tramite la leva energetica. 9·3·4·

' TERRORISMO E MEDIO ORIENTE: L INTERSEZIONE

DI SCELTE STR ATEGICHE E INTERPRETAZIONI CONCETTUA LI

Ali'indomani degli attentati terroristici dell'II settembre

2001,

la crociata

antiterrorismo di Washington in Medio Oriente trovò una Russia partico­ larmente sensibile, poiché preoccupata per la precaria situazione nel vicino Afghanistan e per la diffusione entro i propri confini del radicalismo isla­ mico - che la retorica pubblica russa menzionava come causa del conflit­ to in Cecenia. Il contesto offriva benefici reciproci: come agli Stati Uniti sarebbe servito il supporto russo per condurre a pieno regime la

Ttar on

Terror, così Mosca avrebbe goduto di maggiore visibilità, a vantaggio delle proprie aspirazioni internazionali. Ciò nonostante, la dedizione del Cremlino alla causa occidentale an­ dò presto scemando, nella misura in cui Mosca si percepiva come un me­ ro partner secondario dello sforzo congiunto. La subordinazione non solo alla primazia statunitense, ma anche agli altri partner occidentali, conflig­ geva sia con il palese obiettivo russo di ascendere nuovamente a grande po­ tenza, sia con la capacità di giustificare al proprio pubblico il sodalizio con

144

9· I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

Stati che fino a poco prima erano stati acerrimi nemici - tanto più dopo il 2003, quando questi avevano invaso l'Iraq, alleato della Russia.

A ben vedere, le divergenze tra Russia e Occidente in merito a terrori­ smo e Medio Oriente sono radicare in una serie di rilevanti inconciliabilità cognitive. La prima e più ampia tra queste ruota attorno al termine "ter­ rorista". I membri dell'Alleanza atlantica hanno vissuto diverse forme di terrorismo - politico prima, religioso poi. Oggi, tuttavia, con quel termine essi si riferiscono, prevalentemente se non esclusivamente, alla seconda ti­ pologia, cosicché gli alleati, quando riuniti per discutere del tema, muovo­ no da una comune base concettuale. Il Cremlino condivide la matrice politico-religiosa del terrorismo in­ ternazionale contemporaneo, ma attribuisce al termine "terrorismo" anche un significato più ampio, maggiormente presente nel dibattito pubblico e fondamentalmente diverso nelle proprie implicazioni. Esso si rifà pur sem­ pre al tentativo di sovversione di un ordine legittimo precostituito, ma lo riconduce entro un quadro di riferimento conservatore che etichetta come terroristica qualsiasi azione contestataria - violenta o non - compiuta ai danni del regime vigente. Non concependo l'eventualità di rivolte sponta­ nee, la cultura politica russa spiega qualsiasi sollevamento in base all'azione di forze esogene al dato sistema sociale. In tal senso, il supporto dell'Occi­ dente a forze politiche liberali in Russia, nel russkij miro altrove, costitui­ sce un atto di terrorismo e terroriste sono quelle forze che tentano di rom­ pere lo status quo facendo propri gli ideali politici occidentali. Muovendo da tali presupposti, la pur legittima lotta al terrorismo diventa difficilmente giustificabile al pubblico russo se condotta a fianco di coloro che, in ultima analisi, sono anch'essi considerati terroristi. Tale prima divergenza cognitiva si interseca a una seconda, riguar­ dante ciò che costituisce interferenza legittima negli affari altrui. Per de­ finizione, l'intervento militare ha un carattere eccezionale rispetto alla norma universale di non ingerenza ed è quindi da limitarsi nella frequen­ za, nello spazio e nel tempo. Tuttavia, a partire dagli anni Novanta gli interventi militari occidentali si sono distanziati da tale stato di cose, ac­ quisendo una maggiore durata e nuovi criteri di legittimità. Sotto la gui­ da militare ed etica di Washington, l' inviolabilità della sovranità altrui è stata subordinata spesso a un giudizio sulla natura del regime interno ossia al maggiore o minore rispetto, da parte di Stati terzi, dei valori e del­ le istituzioni liberai-democratiche. Lungi dali'essere m era giustificazione retorica, il mutamento dei criteri di legittimità per l'intervento è preci145

NICOLÒ FASOLA, SONIA LUCARELLI

pitato diretto della cultura politica occidentale, dunque parte integrante del processo decisionale di quegli Stati che la fanno propria. La concezione di intervento e legittimità della Russia è invece antite­ tica. Rigettando il modello ideologico occidentale, Mosca non ha preso parte alla trasformazione del concetto e della pratica di intervento milita­ re. Stabilità interna e preservazione di autonomia decisionale sono priorità per la Federazione; i diritti umani hanno valore ma la loro tutela è affidata all'autorità statale, senza ammissione di interventi esterni. Ne deriva una interpretazione tradizionale del concetto di sovranità, che diviene limite invalicabile dell'azione altrui e baluardo della norma di non ingerenza. Un intervento militare sul territorio di uno Stato terzo, pertanto, pare legitti­ marsi agli occhi della Russia solo in caso di sicurezza esistenziale, esplicita richiesta di quello Stato e/ o previa violazione della sovranità di quello da parte di altri attori; il giudizio etico e morale sulla natura del regime inter­ no, invece, è sconnessa dalla decisione di intervenire3•

Mutatis mutandis, la retorica e le scelte dispiegate da Russia e Occiden­ te non solo durante la Seconda guerra del Golfo contesti di Libia

(2003-u), ma anche nei (wu) e Siria (2013-), hanno confermato e ribadito le di­

vergenze cognitive descritte.

9·4

Conclusioni e prospettive Il perdurare di aspettative, timori e percezioni proprie della guerra fredda ha reso altalenanti i rapporti tra NATO e Russia nel periodo post-bipolare. La spinta espansiva delle istituzioni occidentali verso zone di storico interesse russo si è dimostrata inconciliabile con la rinnovata attenzione e presenza di Mosca nello spazio post-sovietico. Ciò ha costituito la base per un crescente deterioramento delle relazioni bilaterali, inasprito sem­ pre di più sia da divergenze ideali, sia da diversi interessi su numerosi ta­ voli - energia e Medio Oriente, tra gli altri. L'attuale difficoltà della

NATO

nel trovare equilibrio tra le proprie

diverse funzioni, unitamente alle divisioni tra i membri in merito a priorità geopolitiche e approccio alla Russia, rendono l'Alleanza un attore a trat3· Si noti però che la visione tradizionale di intervento militare fatta propria dalla Russia incontra un limite di tipo spaziale, relativo al russkij mir. Sul tema, si rimanda in particolare PAR. 9·3·1.

9· I RAPPORTI TRA ALLEANZA ATLANTICA E RUSSIA

ti troppo frammentato per esercitare un effetto deterrente efficace verso Mosca -la cui assertività è specchio di non minori problemi interni, eco­ nomici e socio-politici. Alla base degli ostacoli relazionali tra NATO e Russia giacciono anche rilevanti differenze cognitive, essendo i due attori diversi nella loro inter­ pretazione di principi internazionali fondamentali quali sovranità e legit­ timità. L'incomprensione del linguaggio dell"'altro" genera paure e perce­ zioni di minaccia esistenziale che influenzano negativamente sulle possibi­ lità di distensione. La natura radicata di questi problemi renderà tesi i rapporti NATO­ Russia del prossimo futuro. Cruciale per un miglioramento delle relazio­ ni sarà la capacità di mediare tra i propri e gli altrui interessi e percezioni.

Letture consigliate CLEMENTI M.

(2013), La NATO e la sicurezza collettiva, in R. Belloni, M. Moschel­

la, D. Sicurelli (a cura di), Le organizzazioni internazionali: struttura, funzio­

ni, impatto, il Mulino, Bologna, pp.

87-105.

The Social Construction ofRussia's Resurgence: Aspirations, Identity, an d Security Interests, Johns Hopkins University Press, Baitimore. GIUSTI s. (2012), La proiezione esterna della Federazione Russa, ETS, Pisa. NALBANDOV R. (2016), Not by BreadAlone: Russian Foreign Policy Under Putin, CLUNAN A. L.

(2009),

Potomac Books-University ofNebraska Press, Lincoln. (2010), International Security in Practice: The Politics ojNATo -Russia

POULIOT v.

Diplomacy, Cambridge University Press, Cambridge. WEBBER M., SPERLING

J.,

SMITH M. A.

(2012), NATO's Post-Cold

Decline or Regeneration?, Palgrave Macmillan, Basingstoke.

147

TtVtzr Trajectory:

IO

Cina e Russia nel nuovo contesto globale: sostenibilità interna, vincoli relazionali e implicazioni sistemiche di Eugenia Baroncelli*

IO. l

Introduzione Nel nuovo millennio molti Stati hanno sperimentato livelli di prosperità crescente, spesso perseguendo strategie di apertura economica associate al mantenimento di sistemi politici scarsamente rappresentativi. Cina e Rus­ sia non hanno fatto eccezione alla norma della correlazione tra migliora­ mento economico e mantenimento di ordini socio-politici repressivi. Numerosi sviluppi hanno influenzato quel peculiare equilibrio. Tut­ tavia, mentre la Cina ha agito da stabilizzatore per l'economia globale, l'e­ conomia russa ha subito un netto deterioramento, a seguito delle sanzioni imposte da USA e UE nel2014 e del calo dei prezzi del petrolio. L'assertività esibita da Mosca tramite l'intervento in Siria nel 2o16 ha determinato un peggioramento delle sue relazioni con gli Stati della compagine transadan­ tica. La svolta populista degli

USA

sotto la presidenza Trump e le incertez­

ze europee indotte dalla Brexit hanno a loro volta ampliato il margine di azione per Pechino e Mosca.

Collocando Cina e Russia nel quadro dell'economia globale (cfr.

PAR.

10.2 ) , il capitolo discute il nesso tra istituzioni interne e performance eco­ nomica dei due paesi, indagando la sostenibilità dei rispettivi modelli di

sviluppo (cfr.

PAR.

10.3 ) . Il capitolo esplora poi l' impatto delle principali

scelte di politica interna di Cina e Russia sulla costruzione dei rispettivi ruoli di politica estera, e sul più ampio sistema di politica! economy globa­

le (cfr.

PAR.

10. 4 ) . Ribaltando la prospettiva analitica, il capitolo esamina

successivamente gli effetti che alcuni sviluppi-chiave, occorsi entro il siste­ ma internazionale dal 2008 a oggi, hanno avuto sull'evoluzione dei ruoli



Professoressa associata di Scienza politica all'Università di Bologna.

149

EUGENIA BARONCELLI

di politica estera e sulla performance economica di Cina e Russia (cfr. PAR. ro.s). Con riferimento alla recente letteratura di Relazioni internazionali sul rapporto tra mutamento polare, cambiamento normativa e transizione degli ordini sistemici internazionali, il capitolo considera infine le implica­ zioni derivanti dall' interazione tra spinte esterne e scelte interne di Cina e Russia per il futuro della politica internazionale.

10.2

Crescita, commercio e investimenti: l'ascesa cinese e l'instabilità russa Seconda solo agli Stati Uniti per PIL, la Cina è un paese a reddito medio-al­ to, e copre da sola quasi il 12% del PIL mondiale. Maggiore economia entro il gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), la Cina è l'attore chiave entro questa compagine, tanto che grazie alla crescita cinese i BRICS coprivano nel2015 poco meno del PIL mondiale prodotto dall'Unione Eu­ ropea. Pur divenuta nel2oos un'economia a reddito medio-alto, la Russia si pone invece all'estremo inferiore del gruppo

BRICS

(World Bank, WDI

2016)', attestandosi all'undicesimo posto tra le principali economie mon­ diali per PIL,. Nonostante la spettacolare crescita demografica (da 6oo milioni negli anni Sessanta agli 1,3 miliardi del secondo decennio del nuovo millennio), la Cina ha visto aumentare sensibilmente anche il livello medio di reddito pro capite (pc), ciò che ha messo in evidenza la elevata capacità di questo sistema nel conciliare l'aumento demografico con la crescita. A confronto con i cittadini degli altri

BRICS,

il cittadino cinese me­

dio ha migliorato la propria sicurezza economica in misura consistente (cfr. FIG. ro.1). Rispetto alle economie avanzate, il salto appare ancor più mar­ cato. I dati della World Bank indicano che tra il 1991 e il 201 5, il tasso di crescita del PILpc cinese era pari al 8,87%. Nello stesso periodo, il tasso di

I. Tutti i dati wnr ( World Development Indicators) riportati nel capitolo sono stati ela­

borati a partire dalle serie annuali (I990-20IS) pubblicate online dalla World Bank, al I6 dicembre 20I6 (cfr. http:/ l databank.worldbank.orgl data/home.aspx). 2. I dati (PIL paese in dollari USA correnti, PIL mondiale in dollari USA correnti) ri­

guardano l'anno 20IS.

ISO

IO.

CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO G LOBALE

FIGURA 10.1

l BRICSe gli USA: crescita del PILe del PIL pro capite PIL,

tasso di crescita annuale %

PIL

pro capite, dollari

USA

correnti

6ooo�-----

. . .....

. . .

.

.

.

.

··· . · ...

· · ·

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Fonte: World Bank

Cina

Russia

Stati Uniti

Brasile

India

Sudafrica

(wDI 2016).

crescita del PILpc USA è cresciuto dell'I,39%, quello dell'uE nella misura dell'I,44%3• Diverso il caso dell'economia russa, che, nonostante un tasso di crescita del PILpc superiore all'S,s% nel2007, ha subito una caduta alla fine del de­ cennio, senza in effetti riprendersi in modo stabile. Nella seconda parte del 20I4, il paese è entrato in recessione, a seguito della caduta dei prezzi del greggio e degli effetti delle sanzioni UE e USA del luglio20I4. La ripresa si è avuta solo nel 20I6, anche grazie ai tagli nella spesa reale, a una maggior

flessibilità del rublo e alle politiche di ricapitalizzazione bancaria. La traiet­ toria compiuta del sistema economico russo è compatibile con quella di un paese a reddito medio-alto che tenta di raggiungere lo status di economia ad alto reddito tipica dei sistemi OCSE a economia industrializzata. Tutta­ via, la sua elevata dipendenza dalle esportazioni di petrolio, gas naturale e



Elaborazione

su

dati WDI.

151

EUGENIA BARONCELLI

derivati allontana notevolmente la chiusura del divario che separa l'econo­ mia russa dalle maggiori economie avanzate.

Nel lungo periodo, le performance commerciali di Cina e Russia ri­ producono dinamiche simili a quelle osservate nell'andamento dei livelli

di reddito: mentre la Cina sperimenta una crescita sostenuta, la Russia non appare in grado di colmare il gap che la separa dal gruppo delle eco­ nomie avanzate. Nel2005, la Cina ha infatti superato Stati Uniti e Germania nella clas­ sifica degli Stati con il maggior volume di esportazioni sul totale mondiale.

Nonostante la recente decelerazione, Pechino rimane saldamente in testa

alla classifica dei principali esportatori, coprendo quasi il 14% del totale delle esportazioni mondiali (World Bank, WDI 2016)\ La Russia- che pu­ re ha visto crescere il valore delle proprie esportazioni aggregate tra il2005

e il 20r5, è scesa nella classifica mondiale dei principali esportatori dal tre­ dicesimo al quindicesimo posto1•

La Cina è oggi il secondo importatore mondiale- e copre da sola quasi

il ro% della domanda di importazioni aggregata, un risultato che l'ha vi­ sta raddoppiare la sua performance tra il2005 e il 20r5 (World Bank, WDI

2016)6• Ci si attende che, grazie alla crescita nel potere di acquisto della sua

sempre più ampia classe media, la Cina sarà in grado di irrobustire ulte­ riormente la domanda mondiale, giocando un ruolo fondamentale come locomotiva dell'economia globale- un ruolo che gli Stati Uniti hanno vi­ sto declinare in maniera significativa (nel2005 coprivano quasi il 16% del­

la domanda di import globale, nel 20r5 erano scesi al IJ%). Per contro, nel 20r5 la Russia era il ventesimo importatore mondiale, con una domanda di importazioni pari all' 1,3 5% del totale. I dati sul commercio, come pure quelli sugli investimenti, discussi sot­

to, permettono di osservare le dinamiche di apertura seguite da Cina e Rus­ sia dopo il passaggio a sistemi di mercato. Essi forniscono informazioni sulla capacità dei decisori russi e cinesi di integrare i rispettivi paesi entro i mercati globali. Quei dati contengono anche indicazioni su come l'am­ biente internazionale si è adattato ai mutamenti impressi dalle scelte cinesi 4·

Il dato si riferisce al rapporto tra il valore delle esportazioni di beni della Cina sul va­

lore complessivo delle esportazioni di beni mondiali per il 2015 (dati in dollari USA correnti). s.

I dati sono relativi alle esportazioni di beni in dollari USA correnti sul totale delle

esportazioni mondiali di beni in dollari USA correnti, per gli anni di riferimento (World Bank, WDI 2016). 6. Il dato si riferisce alla domanda di importazioni di beni e servizi della Cina sulla domanda di importazioni per beni e servizi mondiale per l'anno 2ors.

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

e russe, in particolare il ribilanciamento interno dell'economia cinese e la risposta russa al surplus nei mercati dei carburanti. Il futuro del commercio mondiale in beni manufatti dipende infatti crucialmente anche dall'andamento della domanda cinese. La normalizza­ zione e il graduale rallentamento dei tassi di crescita dell'economia cinese proseguiranno, anche se lo spostamento da investimenti a consumi interni

genererà nuove opportunità per gli esportatori stranieri di beni di consu­ mo verso la Cina. La crescita del reddito pro capite e dei salari reali per i cittadini cinesi, e l'estensione di maggior potere di acquisto a un sempre più ampio numero di individui, aumenterà verosimilmente la domanda ci­ nese di importazioni. Tuttavia, gli aggiustamenti attesi nel mercato del la­ varo cinese ( ivi incluse le migrazioni da regioni dell'interno verso la costa, e lo spostamento di lavoratori cinesi in paesi limitrofi a più basso costo del

lavoro, ma a più alta possibilità di impiego) potrebbero avere effetti contra­ stanti su questi mutamenti.

Come Russia e Sudafrica, anche la Cina è stata tra i più convinti soste­ nitori della strategia di crescita trainata dalle esportazioni entro il gruppo BRICS (cfr. FIG. 10.2). Tuttavia, mentre la Cina si è attestata su un sentiero costantemente in crescita sin dai primi anni Novanta, la Russia ha seguito la traiettoria opposta. L'elevata apertura commerciale della Russia nei pri­ mi anni del suo ingresso nel sistema internazionale è stata interrotta da bat­ tute di arresto (1997), per poi risalire nel nuovo millennio. Peraltro, Mo­ sca ha seguito da allora una traiettoria particolarmente instabile (cfr. FIG. 10.2). La dipendenza della Russia dall'andamento dei prezzi del greggio e prodotti derivati, che costituiscono il punto di forza delle sue esportazioni,

è alla base di tale instabilità.

Al contrario, la Cina ha non solo aumentato i propri volumi di scam­ bio ma è stata in grado di diversificare le sue esportazioni e aumentarne il livello di sofisticazione tecnologica (cfr. FIGG. 10.3 e 10.4). Alla base di tale performance è il forte impulso dato da Pechino negli ultimi 15 anni agli in­ vestimenti mirati in ricerca e sviluppo. Nel nuovo millennio, il paese è di­

ventato il maggior investitore in Ricerca e sviluppo (R&s) entro il gruppo dei BRICS, e nel2015 la spesa cinese in R&s ha superato la soglia del2% del Studi recenti collegano la crescita del com­ mercio in beni ad alta tecnologia a scelte politiche strategicamente orienta­

PIL

(World Bank,

WDI 2016).

te al sostegno dei prodotti ad alta intensità di ricerca.

Seconda destinazione per investimenti diretti esteri (mE) in entrata,

nel 2015 la Cina copriva da sola oltre il 10% del totale mondiale, confer­ mando ulteriormente il suo elevato potenziale di traino dell'economia

153

EUGENIA BARONCELLI

FIGURA 10.2.

I BRICS e gli USA: esportazioni di beni e servizi su PIL



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WDI.

FIGURA 10.3

I BRICS e gli USA: spesa in ricerca e sviluppo su PIL

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Cina

Russia

Stati uniti

Brasile Sudafrica

-----India Fonte: World Bank,

2010

2005

2000

1995

1990

WDI.

154

2015

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IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

FIGURA 10.4

I

BRICS

401

e gli USA: esportazioni high-tech sul totale di esportazioni manufatte

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1995

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Stati Uniti

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2.015

Russia Brasile Sudafrica

Fonte: World Bank, WDI.

mondiale. La Russia ha sperimentato una crescita degli

IDE

in entrata tra il

2000 e il2015, scendendo però nel ranking mondiale dal ventesimo al tren­ tanovesimo posto. La Cina ha poi ampliato il raggio di azione dei propri

IDE

in uscita,

passando dal diciassettesimo posto nella classifica mondiale (20oo ), al ter­ zo posto nel 2015. Pur prossima alla Cina nel 2000, con oltre 3 miliardi di IDE

( dollari USA) in uscita, la Russia era al diciottesimo posto nella classifi­

ca mondiale nel20I5 -anche se la sua quota di IDE netti in uscita sul totale mondiale è cresciuta considerevolmente nel nuovo millennio. Questi dati indicano che la Russia pose-sovietica si è ben integrata nel sistema economico globale, rimanendo peraltro condizionata dalle flut­ tuazioni dei prezzi del greggio e del gas naturale. Nonostante l'assertivi­ tà in politica estera, Mosca subisce i mutamenti dell'ordine sistemico in atto

(order taker),

ed è vincolata fortemente al tenore delle sue relazioni

con la compagine transatlantica, secondo una dinamica in atto da tempo. Pur prodottasi in seguito a scelte interne, infatti, la transizione politica da URSS

a Russia è stata influenzata dagli sviluppi che parallelamente avveni-

155

EUGENIA BARONCELLI

vano entro il sistema internazionale. La competizione economico-milita­ re ingaggiata con gli

USA,

intensifìcatasi durante la prima metà degli anni

Ottanta, ha, secondo questa argomentazione, influito in maniera determi­ nante sulle sorti dell'Unione Sovietica. Di converso, negli stessi anni, le politiche dei leader cinesi hanno trasformato la Cina in un

order maker

economico. La chiave della straordinaria performance economica cinese sarebbe da ricercarsi quindi in determinanti di natura politica (non eco­ nomica) che sono state attivate entro il contesto cinese lungo quell'arco di tempo, a partire dalla transizione da economia centralizzata a sistema di mercato iniziata con le riforme promosse da Deng Xiaoping.

10.3

Cina, Russia e il futuro del capitalismo illiberale La Cina e la Russia contemporanee hanno perseguito strategicamente la crescita e la modernizzazione dei rispettivi sistemi. I leader cinesi, in par­ ticolare, hanno liberalizzato vasti settori del mercato interno, rendendo la Cina una locomotiva per la crescita regionale, e, dal 2008, anche globale. La letteratura di politica! economy ha indagato le conseguenze del particola­ re tipo di evoluzione istituzionale che ha accompagnato la transizione eco­ nomica di questo paese. Il basso livello di protezione di molti diritti eco­ nomici, la stagnazione delle riforme nell'area della regolazione economica - è stato notato -hanno reso difficile per la leadership cinese rispondere adeguatamente alle crescenti richieste della società civile, mettendo in crisi la capacità del sistema di mantenere l'ottima performance economica dei decenni passati. Plausibilmente, questi vincoli rischiano di compromettere in maniera sostanziale la capacità di questo paese di superare la condizione di potenziale "trappola del reddito medio"

(mid-income trap) .

Secondo il pensiero economico-istituzionalista, in assenza di istituzio­ ni inclusive, un paese difficilmente riesce a sostenere prospettive di cresci­ ta nel lungo periodo. Una volta superato lo stadio di innovazione iniziale -sostiene tale linea argomentativa -l'esclusione prolungata di vasti strati della popolazione dal godimento dei diritti politici e civili, e dalla fruizione equa dei benefici generati dalla crescita, aumenta la diseguaglianza a livelli che divengono proibitivi per la crescita futura. Così, invece di fungere da motore per la crescita, la diseguaglianza finisce per bloccare lo sviluppo. La Cina del terzo millennio è assai differente da alcuni regimi del contesto subsahariano, citati spesso come esempio del rapporto tra chiusura poli-

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

FIGURA 10.5

La povertà nei BRICS -70�_ _

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Cina

Russia

Stati Uniti

Brasile

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2.000

2.005

2.01o

2.015

Sudafrica

Fonte: World Bank, WDI.

tico-istituzionale da un lato, e difficoltà di crescita economica dall'altro. Tuttavia, permangono nella Cina rurale bassi livelli di accesso a beni pub­

blici di base ( sistema sanitario, ambiente salubre, educazione primaria e se­

condaria) , e scarsi tassi di godimento dei diritti politici fondamentali. Gli

effetti negativi di tali condizioni vengono attualmente compensati dalle massicce migrazioni di forza lavoro verso le città della costa, che hanno per­ messo buona parte del salto produttivo cinese nei passati venticinque anni.

La povertà è diminuita notevolmente ( meno del I?% della popolazione vi­

ve oggi sotto la soglia della povertà in Cina, contro oltre il 41% del periodo tra il I995 e il2010 (cfr.

FIG.

10.5 ) . La Cina, inoltre, è responsabile in larga

misura del calo nel numero totale di individui poveri al mondo, tra gli anni Ottanta e oggi. Tuttavia, all'interno del paese, la distanza tra ricchi e poveri è aumentata in maniera notevole.

In particolare, la diseguaglianza tra regioni rurali e zone urbane rischia di essere ulteriormente destabilizzante per la crescita futura del paese, anche a causa delle differenze nelle opportunità educative accessibili per i bambini residenti in zone rurali rispetto a quelli residenti nelle aree urbane. Il ribi­ lanciamento interno dell'economia cinese, che sta passando dalla concentra-

157

EUGENIA BARONCELLI

FIGURA

10.6

Cina e Russia: tra autocrazia e stasi illiberale

(r990-z.ors)

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2000

2005

2010

2015

-Russia

Fonte: V-Dern Dataset Versione 6.l. Cfr. M. Coppedge et al., V-Dem [Country-Year/Country-Date} Da­ taset vo.z, Varieties of Dernocracy (V-Dern) Project., lor6 (cfr. https://www.v-dern.net/en/data/data-ver­ sion-6-l/).

zione nel settore della manifattura industriale a quello del consumo, e dal manifatturiero ai servizi, avrà poi ulteriori implicazioni sulla diseguaglianza interna, sui livelli di povertà e sulla più ampia stabilità sociale e politica. Da un lato, la crescita del reddito pro capite aumenterà il potere di acquisto, raf­ forzando così la domanda di beni di consumo e servizi, e stimolando l'avan­ �----zamento tecnologico delle strutture produttive. Dall'altro, lo spostamento verso un'economia dei consumi aumenterà presumibilmente la disoccupa­ zione e abbasserà i salari interni. Ci si attende anche uno spostamento della forza lavoro più povera e meno qualificata verso mercati di paesi confinanti dove i costi del lavoro siano minori - e le opportunità di impiego migliori. Una classe media in crescita, un più elevato tasso di alfabetizzazione e una

maggior consapevolezza dei cittadini - anche grazie alle tecnologie digi tali -

potrebbero costituire un ostacolo al potere e al controllo pervasivo esercitato dai leader del Partito comunista cinese fino a oggi. Tuttavia, secondo l'indicatore Polity, che misura il livello di annuale di

democraticità (elettorale ) dei regimi politici dei diversi Stati, le istituzioni

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

politiche cinesi non hanno sperimentato alcuna apertura dal

1990 a oggi.

Classificato come autocrazia, il regime cinese ha un punteggio sempre in­ feriore alla soglia di

6, al di sopra della quale la Cina entrerebbe a far parte

della categoria intermedia dei regimi "anocratici': ossia né pienamente au­ tocratici né pienamente democratici (cfr.

FIG.

10.6). Risultati simili sono

indicati dall' indice Freedom House, che combina libertà politiche e civili, e codifica la Cina come paese "non libero': assegnandole lo stesso punteggio ( 6,s) dal 1998 a oggi. Anche il programma anticorruzione adottato dal presidente Xi Jinping è stato contraddistinto da pratiche antiliberali, quali l' incarcerazione e l'e­

secuzione sommaria di manager di imprese cinesi apparentemente colpe­ voli di condotta fraudolenta. Queste pratiche, estranee ai sistemi capitali­ stici occidentali, hanno sollevato il dubbio che la crescita delle sentenze di morte sia collegata al tentativo di coprire altri casi di corruzione sostenuta dalle autorità centrali. In proposito, si è aperto un dibattito sulla sosteni­ bilità del legame tra il capitalismo di Stato "alla cinese" e la virtuosità pro­ duttiva del paese. Anche la Russia era considerata paese "non libero" nel 2015 (Freedom House). Durante l'era Putin, i diritti politici e le libertà civili dei russi sono stati radicalmente ridotti. Se, diversamente, si guarda ai dati Polity (cfr. FIG. 10.6), la democrazia illiberale guidata da Vladimir Putin appare politicamen­ te più aperta a confronto con l'autocrazia a partito unico cinese. Tuttavia, la stabilità politica della Cina è stata finalizzata al perseguimento della fe­ nomenale crescita economica del paese a partire dagli anni del massacro di T ienanmen. Di contro, la Russia pose-sovietica è passata attraverso numero­ si rivolgimenti dagli anni della

Perestrojika di Gorbacev, segnati dagli erro­

ri compiuti sotto El'cin, con l'erosione dei magri risultati dei programmi di privatizzazione e le scelte collusive a vantaggio degli oligarchi. Inoltre, a con­ fronto con la stabilità della Cina, la Russia ha sperimentato crisi ricorrenti, in ragione della instabilità dei prezzi del greggio. Secondo alcuni, la svolta puti­ niana avrebbe riattivato alcuni tratti del regime zarista - in particolare il pa­ trimonialismo e il personalismo pre-rivoluzione - diluendo nella Russia con­ temporanea la dimensione impersonale dell'era sovietica. Il malcontento po­ polare ha aumentato il consenso a favore del presidente Putin, che ha potuto rappresentarsi all'opinione pubblica come ago della bilancia tra le burocrazie corrotte, gli oligarchi economici e i nuovi oppositori, ed è stato confermato nella carica di presidente alle elezioni della primavera

2018. Ciononostante,

la sostenibilità del modello di sviluppo istituzionale-economico della Russia 159

EUGENIA BARONCELLI

è legata all'abilità dei suoi leader di riformulare le scelte politiche-chiave in

contesti di maggior stabilità e prevedibilità. Oltre la scelta tra personalismo e governo delle regole, i leader russi e cine­ si dovranno prendere posizione rispetto all'alternativa tra rappresentatività e tutela dei diritti di proprietà privata, da un lato, e capitalismo illiberale dall'al­ tro. Secondo alcuni, questa scelta è connessa a una più profonda considerazio­ ne del rapporto tra crescita sostenibile nel lungo periodo e sviluppo capitali­ stico in un contesto liberal-democratico. Secondo altri, invece, il capitalismo di Stato senza democrazia liberale ha funzionato in passato e funzionerà an­ che per Cina e Russia. Prova ne sarebbe il ritorno a elevati livelli di intervento statale nell'economia anche da parte delle principali democrazie industriali, particolarmente dopo il fallimento delle prescrizioni del Washington Consen­

sus nella sua versione più ortodossa. Tuttavia, l'interventismo seguito alla crisi globale in molte democrazie liberali è cosa diversa dalla centralizzazione (o, nel caso russo, ri -centralizzazione) di un intero sistema economico nelle mani dello Stato. Nel primo caso le libertà fondamentali sono state in gran misura tutelate, mentre il capitalismo illiberale russo e cinese ha rafforzato la discre­ zionalità delle autorità centrali a discapito dei diritti individuali. Il punto nodale riguarda il ruolo che il capitalismo di Stato giocherà per il futuro, non solo economico, di Russia e Cina. Esso è, secondo alcuni, il fat­ tore principale che spiega il miracolo economico cinese e la resilienza russa ai diversi shock energetici che ne hanno punteggiato la storia recente. Altri ritengono che, al contrario, le vie cinese e russa al capitalismo di Stato siano il frutto di scelte precise, effettuate dalle élite di governo per garantire alti livelli di crescita in condizioni di chiusura politica. Quanto all'impatto esterno, gli esiti dei capitalismi illiberali cinese e russo saranno determinanti per il futuro dell'economia globale e per la definizione delle regole che la governeranno.

10.4

Dalle unità al sistema: ambizioni e risultati delle politiche estere russa e cinese Quanto detto sopra qualifica la Russia putiniana come attore order taker nel quadro internazionale, e la Cina come order maker nell'economia globale. Tuttavia, i leader dei due paesi hanno proiettato all'esterno ambizioni poli­ tiche non sempre congruenti con quei ruoli. Membri permanenti del Con­ siglio di sicurezza dell' ONU, e principali componenti dei BRICS, Cina e Rus­ sia hanno premuto con qualche successo per accrescere l'influenza dei paesi 160

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

in via di sviluppo nelle principali organizzazioni economiche internazionali, scegliendo al contempo di compattare la loro influenza tramite la creazio­ ne di banche di finanziamento regionale, tra cui la New Development Bank

(NDB), detta BRICS Bank, attiva dal 2015, e la Asian Infrastructure and In­ vestment Bank (AnB), operativa dal 2oi6 (cfr. riquadro IO.I ) . La Cina è stata anche membro della Chiang Mai Initiative, un pacchetto di accordi per la conversione valutaria approntato dopo la crisi asiatica tra alcuni dei mem­ bri della Asian Development Bank

(ADB), per raccogliere riserve e sostenere

gli Stati membri in condizioni di squilibrio rilevante della bilancia dei paga­ menti, !imitandone il ricorso ai prestiti del

FMI.

La Chiang Mai Initiative è

stata in seguito ampliata su base multilaterale-anche se il suo successo nella gestione delle conseguenze della crisi 2008-10 si è rivelato piuttosto limitato. La Russia è stata membro del G8, ed entrambi i paesi hanno visto accre­ scere la propria influenza con l'ingresso nel G20, il consesso plurilaterale che ha assunto la guida della regolazione macroeconomica e finanziaria globale successivamente alla crisi del 2008. Eccettuata l'opposizione programmatica ali'influenza delle democrazie industrializzate occidentali, tuttavia, Cina e Russia hanno perseguito convintamente le rispettive priorità nazionali, se­ condo approcci di politica estera molto diversi tra di loro. I leader cinesi hanno costruito nel tempo un'immagine del paese come

potenza responsabile, ricalibrando le pretese geopolitiche nei confronti dei concorrenti esterni, in particolare fuori dalla regione est-asiatica. Shaun Bre­ slin7 collega esplicitamente il comportamento responsabile della Cina a livel­ lo globale al suo approccio aggressivo a livello regionale. John Mearsheimer8 fonda la sua teoria-che ipotizza l'impossibilità dell'ascesa pacifica della Ci­ na-proprio sulle dinamiche che legano egemonia regionale a egemonia glo­ bale, sostenendo che, per poter sfidare credibilmente gli Stati Uniti, la Cina si starebbe adoperando per consolidare la propria egemonia in Asia. La Russia ha seguito la via opposta. Dopo un inizio morbido, segnato dal fallimento delle riforme iniziate da Mikhail Gorbacev, e dal tentativo di Boris El'cin di transitare la neonata Russia verso un sistema a economia di mercato, il regime guidato da Putin ha scelto la strategia della "guerra come diversivo"

e della politica di sfruttamento delle rendite petrolifere a fini di controllo po­ litico interno. Ex agente del

KGB, Vladimir Putin ha sfruttato la convergenza

7· S. Breslin, China's Global Goals and Roles: Changing the Worldfrom Second Piace?, in '�sian Affairs", 47, 1, 2016, pp. 59-70. 8. J. Mearsheimer, The Tragedy oJGreat Power Politics, W. W. Norton & Company, New York 2014.

EUGENIA BARONCELLI

RIQUADRO

10.1

I BRICS: Continuità e mutamento nelle dinamiche di leadership entro l'economia globale Coniato da un esperto Goldman Sachs per indicare un gruppo di paesi a econo­ mia emergente, l'acronimo BRIC ( Brasile, Russia, India, Cina ) è stato in seguito trasformato in

BRICS,

includendo il Sudafrica, invitato a entrare nel 2010. Nel

2014, il 4o% della popolazione mondiale viveva entro il gruppo BRICS (25% del territorio mondiale ) , collettivamente responsabile del 30% del prodotto lordo

globale. Dal2oo6, il gruppo ha progressivamente istituzionalizzato le relazioni tra i suoi membri, tenendo il primo summit a Yekaterinburg ( Russia ) nel2009. Dal 2008, i

BRICS

hanno collaborato nella lotta alla crisi alimentare globale,

nella modernizzazione delle infrastrutture entro i paesi in via di sviluppo, per la riduzione degli impatti del mutamento climatico e per riformare le regole e le prassi delle istituzioni finanziare internazionali nate con gli accordi di Bretton Woods. Fedeli al principio dello Stato di diritto e richiamandosi al principio del non intervento e del rispetto della sovranità statale, i BRICS hanno adottato individualmente posizioni reciprocamente contrastanti. In particolare, hanno espresso posizioni differenti sull'intervento della Russia in Ucraina e in Siria, e sull'avventurismo della Cina nei mari dell'Est Asia. Internamente al gruppo, è cresciuta tensione tra India e Brasile in merito all'ottenimento di un seggio

permanente entro il Consiglio di sicurezza dell' ONU. Nonostante i richiami ufficiali alla necessità di aumentare i diritti di voice entro le istituzioni finan­ ziarie internazionali, sia la Cina che la Russia- paesi che hanno un Direttorato esecutivo esclusivo presso il Fondo monetario internazionale Mondiale

( BM ) -

( FMI )

e la Banca

hanno di fatto sostenuto il sistema di voto collegiale attual­

mente vigente in quelle sedi, senza di fatto alterarne l'attuale distribuzione di potere di voto. Il metodo di scelta dei leader di queste due istituzioni - tradi­ zionalmente affidata agli

USA

( BM )

e all'Europa

( FMI ) -

è stato confermato, e

ulteriormente cementato, dalla scelta di un vicedirettore cinese presso il Fondo monetario, nel 2016, e dalla inclusione della Siria nel Direttorato esecutivo a guida russa presso la Banca Mondiale. I

BRICS

hanno peraltro raggiunto risul­

tati degni di nota nell'attuazione di una loro agenda economica alternativa, tra­ mite la creazione della New Development Bank

( NDB ) nel2ors. Anche se poco

tempo è trascorso da allora, non sarà difficile in futuro valutare la rilevanza e l'efficacia della NDB nel raggiungere gli ampi obiettivi di sviluppo che i

BRICS

si sono posti, sia rispetto agli interessi nazionali di ciascuno di essi, che rispetto al loro differenziarsi nei confronti di modalità e scopi tradizionalmente attri­ buiti a quelli degli Stati fondatori delle istituzioni di Bretton Woods.

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

tra declino economico e transizione politica a proprio vantaggio, selezionan­ do strategicamente le minacce esterne per rappresentarle all'opinione pubbli­ ca russa come responsabili dei fallimenti economici del paese (in particolare

È così riuscito ad aggregare un necessità che, dopo la débdcle sovietica, la Russia otte­

durante le fasi di calo dei prezzi petroliferi). ampio consenso sulla

nesse a livello internazionale il riconoscimento e la statura politica che le spet­ tavano. La tattica della "guerra come diversivo" e la politica

flag sono così divenute la norma.

rally 'round the

Partito con una decisa propaganda nazio­

nalista durante la repressione dell'opposizione in Cecenia nel I999, Putin ha represso le aspirazioni democratiche della Georgia, nel 2008, spingendo per l'intervento militare in Ucraina nel20I4. Il coinvolgimento militare in Siria, nel2oi6, ha ulteriormente confermato la natura globale delle aspirazioni rus­ se. Non v'è dubbio, tuttavia, che il rilancio dell'azione militare russa in Medio Oriente ha contribuito a compattare il consenso interno attorno alla figura di Putin, che è salita ulteriormente nel gradimento popolare registrato dai son­ daggi di opinione condotti a ridosso delle elezioni presidenziali del2oi8. La politica cinese in Asia, e in particolare nel mar Cinese del Sud, nei confronti di Giappone e Taiwan, è stata improntata a una chiara assertività - con episodi marcatamente aggressivi -, senza mai peraltro arrivare a egua­ gliare la bellicosità degli interventi militari russi in Georgia, Ucraina e Siria. A livello ufficiale, la Cina reclama per sé il ruolo di potenza regionale, men­ tre la Russia punta decisamente a un'espansione globale. Gli eventi dell'ini­ zio 20I7, tuttavia, segnalano un'evoluzione nel senso di maggior proiezio­ ne globale anche da parte di Pechino: il presidente Xi Jinping ha reclamato per la Cina il ruolo di difensore della globalizzazione e dello sviluppo amico dell'ambiente, sottoscrivendo l'accordo di Parigi sul cambiamento climatico. L'iniziativa detta "Nuova via della seta': lanciata nel2013, proietta l'influenza cinese a livello globale, gettando le basi per un possibile futuro riposiziona­ mento strategico anche sul piano geopolitico. Recentemente, la Cina è dive­ nuta più assertiva anche sotto il profilo militare: ha aperto la sua prima base all'estero (Gibuti) e ha inviato navi per esercitazioni nel mar Baltico.

10.5

Dal sistema alle unità: i vincoli esterni alle politiche estere di Cina e Russia La Cina ha ben assorbito le ripercussioni della crisi 2008-Io, giocando un ruolo fondamentale per trainare l'economia mondiale fuori dalla re-

EUGENIA BARONCELLI

cessione che ne è seguita. Al contrario, il sistema russo è stato duramen­ te colpito dalla caduta dei prezzi del greggio. Le risposte internazionali

alla guerra in Ucraina dell'Est ( e in particolare le sanzioni antirusse ) , e alla militarizzazione dei conflitti in Medio Oriente, hanno spinto Mosca

a espandere il proprio ruolo di politica estera con ulteriore assertività. La rinnovata serie di minacce perpetrate dalla Corea del Nord ha pure modificato le alternative disponibili per i leader russi e cinesi. Tramite l' invio di bombardieri strategici nella regione alla fine del 20r7, Mosca ha allertato Cina e Stati Uniti sul potenziale di espansione della Russia verso est. Già oggetto di critiche in ra gione delle conseguenze della crisi economica del 2008, l'unipolarismo statunitense è stato poi attaccato a seguito della linea unilateralmente assertiva e non sempre coerente adot­ tata dalla nuova amministrazione Trump.

Le relazioni USA-Russia si sono ulteriormente deteriorate a seguito della supposta intromissione informatica di Mosca nelle elezioni presi­ denziali statunitensi del20r7. Simili accuse relativamente alle elezioni in Francia, Germania e Regno Unito hanno aperto ulteriori controversie bi­ laterali tra Mosca e alcuni governi dell'uE. L'opinione pubblica europea e quella statunitense si sono talvolta spaccate sul significato e l' attendibi­ lità di quelle accuse, evidenziando la crescente importanza delle campa­

gne di disinformazione nell'era della globalizzazione digitale. Nonostante i contraccolpi della caduta dei prezzi del greggio e delle sanzioni economiche, il governo russo ha mantenuto la linea dell'aumen­

to della spesa militare. La scelta di migliorare le dotazioni informatiche e di aumentare le capacità nucleari e convenzionali in via di moderniz­ zazione ha allertato la NATO sul rischio che le aspirazioni di ruolo nu­ trite dalla Russia putiniana non siano poi così lontane dall'essere messe in pratica - anche solo rispetto a qualche tempo fa. Gli accordi tra i due improbabili partner- Russia e Turchia-, sostanziati dal patto di vendita di missili per la difesa aerea russi S-400 ad Ankara, hanno aumentato i timori nei partner transatlantici. A loro volta, i mutamenti di direzione e tono impressi alla politica estera statunitense dal presidente Trump, la svolta nazionalista compiuta all'ombra dello slogan "America first", sia nei rapporti commerciali con l'uE che presso il FMI e la BM nel2or7, indicano che transizioni di ruolo e di potenza si sono prodotti anche su quel fronte. Le non-decisioni, e al­ cuni errori politico-diplomatici degli alleati transatlantici nell'affrontare l' instabilità in Medio Oriente, hanno circoscritto la portata della loro mediazione, rafforzando di contro l'operato russo in quelle aree.

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

Da un lato, l'approvazione espressa dal presidente

USA

confronti del presidente cinese Xi Jinping, e il sostegno

Trump nei

USA

all'inizia­

tiva "Nuova via della seta': suggeriscono che la vocazione asiatica degli USA

si irrobustirà, contribuendo ad accrescere i timori di abbandono nei

partner europei. L'accantonamento del

TTIP

(Transadantic Trade and

Investment Partnership), i toni critici sull'operato della

NATO

bilizzazione regionale e globale, l'aperto rintuzzare il ruolo

UE,

nella sta­ e il ritiro

dall'accordo di Parigi sul cambiamento climatico nel 2017 sono eviden­ ze di rilievo in quella direzione. D'altro canto, gli

USA

hanno scelto un

approccio parimenti unilaterale nei confronti di alcuni partner asiatici, interrompendo i negoziati per il TPP (Trans-Pacific Partnership), e di fat­ to rendendo prioritaria la loro cooperazione con la vicina Cina. Unito alle indecisioni

UE,

l'unilateralismo statunitense ha finito per aumentare

le chance di successo delle ambizioni militari russe e dell'espansionismo economico cinese. Lo scarso coordinamento tra i partner transatlantici apre inoltre nuove opportunità per la Cina, rendendo meno costosa per Pechino la proiezione di influenza ben oltre l'Asia dell'Est. A paragone con l'immediato pose-guerra fredda, la politica interna­ zionale del terzo millennio è contraddistinta da una maggior dipenden­ za degli ordini regionali e globali dalle evoluzioni di politica interna di Cina e Russia. Pur molto diverse nelle rispettive capacità di modificare l'ordine esistente, le leadership cinese e russa rivendicano oggi per i pro­ pri paesi ruoli assai più ampi di politica estera. Il loro successo nel dare contenuto concreto a tali aspirazioni dipende però anche dalla capacità che dimostreranno nel proiettare autorità in maniera credibile presso i propri cittadini. Nel caso cinese, molto dipenderà dali'abilità dei leader di contenere gli effetti negativi, a livello sociale, della decelerazione della crescita economica che il paese sta sperimentando, e di ridurre la disegua­ glianza. Nel caso russo, il punto chiave pare essere la capacità di conte­ nere i costi di audience legati alle fasi discendenti del ciclo dei prezzi del petrolio. Entrambi i paesi dovranno continuare a concentrarsi sullo svi­ luppo economico, valutandone la compatibilità con strategie non sempre stabilizzanti dal punto di vista regionale (come evidente nel caso dalla Russia di Putin, che continua a subordinare le priorità economiche alle ambizioni di politica estera). In secondo luogo, la capacità di Cina e Russia di realizzare compiu­ tamente le rispettive aspettative di ruolo in politica estera è vincolata alla risposta degli altri attori rilevanti entro il sistema internazionale: UE

USA,

- in particolare la Germania -, Giappone, India, Brasile, e, secondo 165

EUGENIA BARONCELLI

alcuni, anche Turchia e Israele. Il "momento unipolare" ha acquisito oggi maggior fluidità, e la transizione di potenza in atto ha ridotto l'asimme­ tria tra l'egemone statunitense ( in declino) e i paesi a questo prossimi, seguaci e sfidanti. Tuttavia, lo status formale degli Stati non è ancora mu­ tato in risposta alle modifiche sostanziali nella distribuzione del potere, ciò che ha spinto le maggiori potenze emergenti, Cina e Russia in testa, a premere per un ruolo più incisivo entro le attuali strutture della gover­ nance globale. Al momento, solo la Cina si è accollata qualche ulteriore

responsabilità, tradizionalmente connessa con un più elevato status tra le maggiori potenze. Ne sono esempi la sua politica degli aiuti - orientata ben oltre il continente asiatico -, il finanziamento di rilevanti istituzio­ ni finanziarie asiatiche e, da ultimo, la "Nuova via della seta". La Russia ha invece scansato molte di queste responsabilità - anche a causa della propria precarietà economica. Tuttavia, se le aspettative dei teorici della "stabilità egemonica" si rivelassero corrette, nel caso della Russia contem­ poranea un'ulteriore crescita del divario tra potere e status ridurrebbe senz'altro le opzioni di una transizione di potenza pacifica. Il ruolo che gli

USA

possono giocare in questo contesto resta fondamentale. In linea

di principio, un approccio accomodante - saggio ma vigile - da parte di Washington rispetto alla redistribuzione dell'autorità con i nuovi part­ ner emergenti aumenterebbe la longevità dei principi fondanti dell'ordi­ ne liberale decisi a Bretton Woods. In pratica, tuttavia, la volatilità della politica estera perseguita dall'amministrazione Trump, la deriva norma­ tiva, i mutamenti di ruolo e le dinamiche di redistribuzione del potere in atto sono sintomi dell'avvento di un sistema internazionale caratterizza­ to da una pluralità di ordini. Solo il tempo potrà dirci quanto liberale, ef­ ficace e concertato sarà tale nuovo assetto plurale, e la misura in cui i suoi principi cardine potranno essere effettivamente condivisi dai paesi che lo gestiranno in futuro.

Letture consigliate ÀSLUND

A.

(2.007 ),

How Capitalism �s Built: The Transjòrmation of Centra!

and Eastern Europe, Russia and Centra! Asia, Cambridge University Press,

Cambridge.

BRESLIN

s.

(2.or6),

China's Global Goals and Roles: Changing the Worldftom Se­

cond Place?, in "Asian Affairs':

47, I, pp. 59-70. r66

IO. CINA E RUSSIA NEL NUOVO CONTESTO GLOBALE

(2017), Diversity Management in World Politics: Reformist China and the Future ofthe (Libera!) Order, in "The lnternational Spectator': s2, 3, pp. 1-17. IKENBERRY G. J. (2017) , The Plot Against American Foreign Policy: Can the Libe­ ra! Order Survive?, in "Foreign Affairs': 96, 3, pp. 2-9. KURLANTZICKJ. (2016), State Capitalism: How the Return ofStatism fs Transfor­ ming the World, Oxford University Press, Oxford-New York. MEARSHEIMER J. (2014), The Tragedy ofGreat Power Politics, W. W. Norton & CAFFARENA A.

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(2007), The Russian Transformation: A New Form ofEtacrati­ sm?, in D. Lane (ed.), The Transformation o/State Socialism: System Change, Capitalism, or Something Else?, Palgrave Macmillan, Basingstoke, pp. 143-sS.

SHKARATAN

o.

II

Tra Occidente ed Eurasia: il pendolo russo nelle relazioni internazionali di

Stefano Bianchini*

Sin dal crollo dell'Unione Sovietica, ma per molti versi già ai tempi di Gorbacev, la Russia ha ripetutamente manifestato il desiderio di sviluppa­ re stretti rapporti con l'Occidente, aspettandosi di essere considerata dagli Stati Uniti un partner strategico e paritario. Per varie ragioni, che fra po­ co vedremo, tali speranze sono andate deluse e ciò ha indotto il Cremli­ no a cercare vie "alternative': riattivando la storica oscillazione fra fascino dell'Occidente, vissuto come prioritario, e riflusso verso Oriente (in Asia), considerato pur tuttavia un'opzione secondaria. Nei fatti, la Russia resta al­ la ricerca di una propria collocazione nel mondo e questa tendenza incide, ancora oggi, sulla sua proiezione esterna.

II. l

La Russia, le delusioni dell'Occidente e la ricerca di un profìlo autonomo Molte volte in passato, la Russia si è interrogata sulla sua civiltà, se compo­ nente a tutti gli effetti di quella euro-atlantica o se "altra': separata e origi­ nale. Il crollo dell'uRSS ha innestato in questa dinamica ulteriori fattori inediti, come il ruolo della diaspora russa, delle nuove minoranze russe nei paesi ex sovietici (con i quali i confini erano inesistenti, talvolta anche da centinaia di anni), delle emigrazioni d'oltreoceano o in Israele, non più percepite in chiave ideologicamente conflittuale. Tali novità hanno indot­ to il Cremlino a fare proprie alcune suggestioni di intellettuali e impren­ ditori che, combinando in forme eclettiche aspetti culturali ed esigenze di brand commerciali, hanno elaborato l' idea di "mondo russo"

(russkij mir).

Un mondo, questo, orientato a preservare le specificità della civiltà russa e •

Professore ordinario di Storia e politica dell'Europa orientale all'Università di Bologna.

STEFANO BIANCHINI

delle sue "tradizioni", benché queste non siano mai state chiaramente det­ tagliate, né siano stati definiti i parametri di appartenenza. Anche il riferi­ mento al criterio linguistico-culturale è apparso presto vago, perché rife­ ribile alle minoranze russe al di fuori della Russia, alla più vasta comunità della diaspora internazionale o, addirittura, a quanti desiderano conoscere il russo, la sua letteratura e il suo patrimonio artistico e culturale. Per parte sua, l'Asia centrale ex sovietica si è trovata impreparata all'in­ dipendenza! e i suoi Stati, pur in forme e modi differenti, hanno ritenuto necessario mantenere un legame per lo meno economico con Mosca. La proposta originaria, lanciata dal leader kazako Nazarbaev all'Università di Stato di Mosca nel 1994, di costituire un'Unione euroasiatica ne rappre­ senta, emblematicamente, l'aspetto più significativo. I suoi sviluppi hanno poi trovato in Putin un attivo sostenitore e innescato nuove dinamiche re­ lazionali rispetto agli incerti sviluppi dell'integrazione europea e all'ambi­ zioso progetto cinese di una "Cintura economica della Via della seta". All'interno di questo complesso quadro di riassestamento globale de­ gli interessi economici e sociali si è consolidata al Cremlino la critica all'u­ nipolarità decisionale degli Stati Uniti (e dell'Occidente in genere), ac­ compagnata alla ricerca di un profilo autonomo della Russia nel mondo. Il quadro che emerge resta però complesso e non privo di contrasti. Da una parte, la Russia opera all'interno delle politiche globali di merca­ to, confermate dall'adesione all'Organizzazione mondiale del commercio

( oMe )

nel 2012; dall'altra, per distanziarsi dall'Occidente, esalta valori

"tradizionali" di tipo conservatore (come lo Stato-potenza, il primato della Chiesa ortodossa, la famiglia eterosessuale, l'imprenditoria patriottica, il folklore, gli stili di vita locali) e ricorre a forme neo-autoritarie sul piano decisionale, giuridico, dei media e della società civile, pur senza intaccare i principi fondamentali del liberalismo per quanto concerne la rappresen­ tanza politica, secondo schemi che si stanno peraltro sperimentando tanto all'interno della

UE

(come nel caso di Polonia e Ungheria), quanto al suo

esterno (ad esempio in Turchia). Certo, alla base di tale costruzione identitaria, europea ma non occi­ dentale, e comunque orientata ad agire su vari scacchieri extraeuropei (dal Pacifico al Vicino Oriente), vi è la profonda delusione, sedimentatasi nei centri nevralgici del potere russo (e, quindi, non solo al Cremlino), verso r.

A. Bininasvili, L:A.sia centrale: un cammino verso l'indipendenza irto di s pine, in F.

Privitera (a cura di), L'Europ a Orientale e la rinascita dei nazionalismi, Guerini, Milano 1994·

pp.

203-2S.

170

II.

TRA OCCIDENTE ED EURASIA

UE e USA. Si tratta, in realtà, di una convinzione manifestatasi già con la presidenza El'cin, quando la politica estera neoatlantista promossa da An­ drej Kozyrev e le misure economiche liberiste del capo del governo Egor Gajdar furono adottate con la certezza che avrebbero assicurato un potente flusso di investimenti e scambi commerciali, grazie alla riconoscenza occi­ dentale per aver posto fine all'esperienza sovietica. Questo, però, non av­ venne. Al contrario, UE e NATO avviarono l'allargamento a Est, incontran­ do prima il disappunto e, poi, l'opposizione della diplomazia russa specie nei confronti dell'Alleanza atlantica. D'altra parte, Mosca fu messa sotto accusa per la brutalità delle azioni militari condotte in Cecenia, fra l'altro con risultati sconfortanti per l'efficacia delle forze armate russe. Furono, del resto, proprio la guerra in Cecenia negli anni Novanta, l'accentuato ne­ potismo interno, la diffusa corruzione e il crollo finanziario del I998 ad ac­ centuare l'isolamento politico della Russia, nonché la sfiducia occidentale sulle capacità di iniziativa internazionale di Mosca. Sicché, con il tramonto del neoatlantismo liberale di Kozyrev e Gajdar, si intensificarono nel paese le sollecitazioni a mantenere "almeno" l'in­ fluenza sulla Comunità degli Stati indipendenti

( esi)

(cfr. riquadro

II.I) .

In particolare, l'esclusione della Russia dai Balcani negli anni Novanta e, soprattutto, l'intervento militare NATO contro Serbia e Montenegro con­ tribuirono a rafforzare a Mosca l'opinione secondo cui fosse ormai in at­ to una politica occidentale antirussa. L'allargamento a Est delle istituzioni euro-atlantiche, e il sostegno offerto alle " Rivoluzioni colorate" di Georgia e Ucraina, fra il 2003 e il 2004, furono considerate un'ulteriore conferma di tale convinzione. Sicché i tentativi di dialogo, in particolare con gli Stati Uniti in nome della lotta al terrorismo dopo l' 11 settembre, la partnership NATO-Russia e la costituzione del G8, nonché la cooperazione con la UE sul piano ener­ getico lanciata a San Pietroburgo sono parsi, nel tempo, al Cremlino, delle operazioni occidentali "di cosmesi" che non modificavano la sostanziale ostilità verso la Russia. La guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein nel2003 senza il sostegno dell'ONU; la decisione USA di dispiegare nel2007 in Polonia e Repubbli­ ca ceca missili intercettori antibalistici

(anti-ballistic missile,

ABM), for­

malmente contro potenziali attacchi provenienti dali'Iran ma sospettati di essere diretti contro la Russia; nonché il fallito tentativo del presiden­ te Bush di includere nella NATO Ucraina e Georgia nel 2008; così come gli interventi militari in Nord Africa e Medio Oriente durante le rivolte arabe iniziate nel 2010: sono stati alcuni dei principali eventi che hanno

STEFANO BIANCHINI

RIQUADRO 11.1 Comunità degli Stati indipendenti ( csr ) Si tratta di una forma di cooperazione internazionale che ha sostituito l'uRss. Ad essa però non aderiscono tutte le ex Repubbliche sovietiche, in particolare i paesi baltici. Successivamente anche Georgia e Ucraina hanno abbandonato l'organizzazione, mentre il Turkmenistan non ha ratificato lo statuto ed è solo membro associato. In Russia, tuttavia, lo spazio geopolitico della

csr

include

mentalmente tutto lo spazio ex sovietico (con l'esclusione della regione baltica ormai entrata stabilmente nella

UE

e nella

)

NATo .

Quest'area è considerata da

numerose correnti di pensiero russe come sfera di influenza e area essenziale di sicurezza per Mosca.

convinto il Cremlino a ritenere gli Stati Uniti e i suoi alleati pronti ad operare al di fuori degli schemi difensivi della NATO, minando la stabilità costituzionale della Russia. Sotto questo profilo, anzi, Putin si sarebbe persuaso che proprio la guerra contro Milosevié fosse stata la prima sperimentazione di tale orientamento, visto che si era trattato di un'operazione eseguita al di fuo­ ri dell'area

NATO

e senza che alcun Stato membro fosse stato attaccato o

minacciato. Da qui a valutare con forte preoccupazione la penetrazione occiden­ tale nella

CSI,

specie nel Caucaso e in Ucraina, il passo è stato davvero

breve. Esso, anzi, è diventato palese con l'annessione della Crimea, ed è stato formulato politicamente dopo il fallito colpo di Stato in Turchia del 15 luglio 2016, fra le cui ripercussioni va annoverato il miglioramento delle relazioni con Ankara, fino a pochi giorni prima assai tese a causa delle divergenze sul futuro della Siria. Ricevendo, invece, inaspettatamente il presidente turco Erdogan a Mosca il9 agosto 2016, Putin ha colto l'occasione per ricordare al mondo che la Russia «è in via di principio contraria a ogni rovesciamento illega­ le dell'ordine costituzionale» (trad. mia)\ chiaramente riferendosi non 2. La dichiarazione di Putin suona «l would like to reiterate that this is a position of principle: we are against any illegal overturning of the constitutional order» (cfr. http:/ l .ansamed.info/ ansamed/ en/ news/ nations/ turkey l 2016/ o8/ 09 l russia-was-always­

www

against-coup-attempt-putin-tells-erdogan_4e3scc67-Ce33-4b9c-a04 4-dobiaoa48ab2. html). Significativamente, la frase è stata in larga misura ignorata dai media anglo-ame­ ricani.

172

II.

TRA OCCIDENTE ED EURASIA

solo alle supposte titubanze occidentali verso Ankara nelle ore del ten­ tato colpo, ma anche all'intervento euro-americano in Libia, al sostegno fornito alle "Rivoluzioni colorate" di T bilisi e Kiev, nonché all'Ucraina del dopo-Majdan, che la Russia ha interpretato come un'azione antico­ stituzionale di rovesciamento del legittimo presidente Yanukovich.

È, dunque, nel divenire di questo quadro interpretativo che il rappor­ to fra Russia e istituzioni euro-atlantiche è stato riletto da Putin in una chiave politicamente alternativa e culturalmente conservatrice. In parti­ colare, il presidente russo ha più volte fatto riferimento allo Stato-forte, all'identità e alla civiltà della Russia come fattori cruciali in grado di deli­ neare la proiezione esterna del paese. Analogamente- specie con l'avvio del terzo mandato presidenziale di Putin e l'accelerazione impressa alla cooperazione euroasiatica - è stata perseguita la ricollocazione geopoli­ tica russa fra Europa e Asia anche se, in verità, non sono mancati dubbi e ripensamenti sulla sua efficacia, nonché sulla costruzione identitaria rus­ sa e la sua strate gia anti-unipolare. Le speranze di un miglioramento delle relazioni bilaterali con gli USA, riposte nella vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, sono state presto ridimensionate dalla convergenza critica di repubbli­ cani e democratici al Congresso sui rapporti fra Stati Uniti e Russia nel corso del20I7. E se è vero che, in parte anche per reazione, si sono molti­ plicati i le gami di Mosca con la Cina e i BRICS, è altrettanto vero che l'a­ spra critica della UE alle nuove sanzioni americane ha riacceso l'interesse russo soprattutto verso la Germania. Sicché il pendolo russo continua a oscillare, in forme sempre meno prevedibili, fra Occidente e Oriente.

11.2

Cooperazione eurasiatica e "Grande Eurasia" L'Unione economica eurasiatica

(uEEA)3 è stata lanciata con grande enfasi

all'inizio del20I5 dopo anni di incontri bilaterali e multilaterali, cui hanno fatto seguito la costruzione di un'unione doganale, un rapido allargamen­ to da 3 a s paesi membri, nonché una governance che, per molti aspetti, si ispira al modello della

CEE.

3· Alla UEEA aderiscono Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Armenia. La sede dell'Unione è a Minsk.

173

STEFANO BIANCHINI

RIQUADRO

11.2

Questione ucraina Per "questione ucraina" qui intendiamo gli eventi che hanno segnato la storia re­ cente del paese. Iniziati con le proteste a Kiev contro la corruzione, essi si sono esacerbati in seguito alla decisione del presidente Yanukovich di non firmare un accordo di associazione con la

UE.

Il successivo rovesciamento del presidente ha

dato la stura a una serie di eventi inaspettati, come l'intervento russo in Crimea, il referendum con cui la penisola è stata annessa alla Russia e la rivolta delle regioni del Donbass contro le nuove autorità ucraine. Ne è seguito un conflitto militare a relativamente bassa intensità. Per riportare la pace, Francia, Germania, Russia e Ucraina hanno raggiunto due accordi (detti Minsk

I

e Minsk

n).

Fra le misure

previste, vi è la reintegrazione nell'Ucraina delle regioni orientali con una ricono­ sciuta larga autonomia. Tuttavia, tale condizione non si è realizzata e lo stato di guerra permane.

Essa rispecchia indubbiamente l'esigenza russa di sfuggire all'isolamento che

UE

e

USA

hanno cercato di imporle a causa della "questione ucrainà'4

(cfr. riquadro II.2 ) ; tuttavia, l'attuazione di tale strategia ha risentito della congiuntura negativa determinata dal basso prezzo dei combustibili fossili e dalla debolezza del rublo, nonché- in Russia- dall'impatto stesso delle reciproche sanzioni con la

UE

e gli

USA.

Inoltre, nonostante Mosca abbia

abbandonato l'idea di un'Unione politica (come era nei suoi piani origi­ nari), accettando la posizione di Kazakhstan e Bielorussia di non preve­ dere la cooperazione interparlamentare nella

UEEA,

ma di concentrare gli

sforzi sulla sola dimensione economica, gli scambi commerciali non sono decollati. Al contrario, si sono contratti, lasciando prevalere la relazione bi­ laterale con la Russia (pesando appena per il 6-7% del commercio estero di Mosca) rispetto a quella multilaterale fra Stati membri, in questo non di­ scostandosi dai tradizionali comportamenti dell'epoca sovietica. Inoltre, la competizione fra Mosca e Astana ha continuato a serpeg­ giare, sia pure in forme poco appariscenti, tanto sotto il profilo della lea­ dership (ossia fra Putin e Nazarbaev), quanto sotto quello delle strategie di sviluppo dell'Unione. Così il Kazakhstan si è fatto tenace sostenitore di un coinvolgimento della Turchia come membro a pieno titolo, al con4· B. Lo, Russia and the New World Disorder, Chatham House-Brookings lnstitution Press, London-Washington DC 2015.

174

II. TRA OCCIDENTE ED EURASIA

trario della Russia che avrebbe preferito puntare sull'India, almeno finché l'ingresso dell'Armenia nell'uEEA non ha posto fine, per il momento, alla questione1• In futuro, fra l'altro, le relazioni con Kazakhstan e Uzbekistan potrebbero risentire della transizione politica che si determinerà con l'u­ scita di scena degli attuali leader, aprendo un'opportunità di inserimento alla Cina (poco gradito in prospettiva a Mosca) e/o una penetrazione del fondamentalismo islamico, cui Mosca si opporrà fermamente6• Il progetto di UEEA non è altresì esente da sospetti egemonici di natu­ ra post-sovietica, giacché il suo spazio geopolitico corrisponde idealmente a quello della CSI, i cui paesi, di recente indipendenza, sono detentori di una sovranità fragile e giovane, a fronte di una Russia la cui tradizione imperiale e la dimensione geografica costituiscono fattori di rilevante sproporzione, ca­ paci di incoraggiare Mosca a sottovalutare la sensibilità dei suoi nuovi vicini. Ad esempio, la dichiarazione di El'cin del I99I sulla modificabilità dei con­ fini fra Repubbliche costituenti dell'uRSS non è stata mai dimenticata, visto che la UEEA è spesso citata, nelle dichiarazione ufficiali russe, come un'occa­ sione per "ristabilire" l'unità economica della

esi.

Anzi, il frequente ricorso

russo al termine "ristabilire': nel manifestare il proprio punto di vista, tanto formale quanto informale, sulla UEEA, viene percepito come equivoco dagli altri Stati membri. E anche se la loro reazione diplomatica non si manifesta in modo eclatante, è un fatto che la terminologia in uso a Mosca contribuisce a rinfocolare vecchi sospetti sulle tendenze espansioniste di Mosca e ad accre­ scere la cautela degli Stati membri verso le iniziative del Cremlino7• Tali sensazioni hanno trovato modo di rafforzarsi ulteriormente dopo l'annessione della Crimea. Non a caso, gli altri paesi aderenti all'uEEA non hanno seguito la Russia nelle sanzioni all'Occidente. Al contrario, Bielorus­ sia e Kazakhstan hanno cominciato a proporsi come potenziali "mediato­ ri" fra UEEA e UE, mentre Astana si è posta il problema di promuovere una rete di relazioni fra Russia, Cina e mondo musulmano. Intanto, permango­ no controverse le dinamiche nel Caucaso meridionale, specie fra Armenia e Azerbaigian (a causa della contesa relativa alla regione del Nagorno-Kara­ bakh, nuovamente incendiatasi nel2oi6), con ciò ponendo la Russia in una situazione diplomaticamente complessa, in quanto Mosca esercita un'ins. M. Lagutina, N. Vasileva, Geopolitica! Prospects oJ the Russian Project oJNeo Eura­ sian Integration, paper presented at the s6th ISA Convention, New Orleans 20IS, pp. 2I-2. 6. A. Gabuev, Friends with Benejìts? Russian-Chinese Relations After the Ukraine Cri­ sis, Carnegie Moscow Center, Moscow 20I6, pp. 27 -9. 7· l. Gretskiy, Russia's Troubled European Identity, in "New Eastern Europe", xx, I, 20I6, pp. 32-7.

I7S

STEFANO BIANCHINI

fluenza determinante sulla regione, sostenendo l'Armenia in quanto mem­ bro dell'uEEA, ma fornendo armamenti bellici all'Azerbaigian. Per altri versi, l'esistenza di pulsioni centrifughe nello spazio eurasia­ tico è compensata dalla convinzione, forte in Russia, ma anche nella altre capitali della regione, secondo cui la globalizzazione spinga inevitabilmen­ te a privilegiare la cooperazione macroregionale e ad operare in un quadro anche più ampio di quello "tradizionale" della CSI. Questo spiega perché l' UEEA abbia iniziato a sviluppare relazioni sia con singoli paesi asiatici (come Vietnam, India, e Cina), sia con organizzazioni internazionali come ASEAN, BRICS, G2o e SCO. In realtà, le relazioni con l'ASEAN risalgono al 1991 e dal2o10 la Russia è formalmente entrata nelle istituzioni di maggior rilievo di questa orga­

nizzazione, quali EAS (East Asia Summit) e AEM (Asia-Europe Meeting). Certo, i vantaggi reali di tale convergenza sono al momento di scarsa visi­ bilità, ma- soprattutto in seguito alla crisi con l' Ucraina- Mosca ha com­ piuto uno sforzo particolare di diversificazione della propria cooperazione con i paesi asiatici, inclusa la Cina, con la quale le relazioni restano segnate da una certa ambiguità, vuoi perché la Russia non ama dipendere troppo da Pechino per quanto concerne il rifornimento energetico (nonostante la crisi con l'Occidente), vuoi perché preoccupata per l'eccessivo scompenso demografico fra i due paesi e le differenze fra le due economie in termini di PIL, sviluppo industriale, occupazione, inflazione, bilancio, riserve e debito pubblico (giusto per citare le più rilevanti)8• Ciò nonostante, la partnership con la Cina rimane intensa e competiti­ va verso gli Stati Uniti. Essa si esprime non solo sul piano economico - ad esempio, con la cooperazione fra UEEA e "Nuova via della setà' - ma anche su quello politico, visto il parallelo (ancorché misurato) sostegno di Pechino a Mosca su Ucraina e Siria e quello di Mosca sul mar Cinese meridionale, e della sicurezza (anche militare) nell'ambito della cooperazione con il gruppo di Shanghai

( sco ) , allargatosi nel giugno2017 a India e Pakistan.

A questa convergenza con Pechino fanno da contraltare la coopera­ zione fra Russia e ASEAN, che ha acquisito gradualmente una valenza poli­ tica grazie all'assistenza fornita da Mosca nel settore delle infrastrutture e dell'energia, così come la creazione di una zona di libero scambio fra UEEA e Vietnam, la firma di un memorandum con la Corea del Sud, il dialogo 8. A. Gabuev, Post-Soviet States ]ostie for Analytical Digest", 183, 2.016, pp. 9-11.

Role in One Belt One Road, in "Russian

II.

aperto con

MERCOSUR

TRA OCCIDENTE ED EURASIA

(Mercado Comun del Sur) e

BRICS9•

Recenti evo­

luzioni hanno riguardato l'apertura dell'uEEA a mercati macroregionali e alle opportunità offerte da alleanze economiche fra network di organizza­ zioni subregionali collegate ai Development Community

BRICS,

(SADC,

come ad esempio la South African

tramite il Sudafrica) o la South Asian

Association for Regional Cooperation

(SAARC, tramite l'India). A ciò va

aggiunta la cooperazione militare ed economica della Russia con la Ser­ bia (contemporaneamente alle trattative di Belgrado con Bruxelles per di­

ventare membro della UE ) , cui Mosca attribuisce un particolare rilievo per mantenere una presenza politica nei Balcani e controbilanciare la

NATO,

specie dopo l'inclusione del Montenegro. Questa adesione, infatti, è stata molto contrastata dalla Russia, giacché essa ha posto l'intera costa setten­ trionale del Mediterraneo sotto controllo della NATO. Non è un caso, quin­ di, che Mosca abbia avviato trattative per un accordo di libero scambio fra UEEA

e Serbia, abbia operato un miglioramento delle sue relazioni con la

Turchia (anche se restano fragili) e abbia ottenuto la concessione per altri 49 anni della sue tre basi militari in Siria (di cui una sul mare).

Nel complesso, questo frastagliato quadro evidenzia come la Russia stia cercando di individuare, tramite politiche molto pragmatiche, quali stru­ menti le consentano di rafforzare il suo rapporto con architetture regionali già esistenti, così come di crearne delle nuove, attraverso la costituzione di tavoli paralleli, come espressione di leadership collettive e multilaterali, in cui si ritrovano non solo Cina, India e America Latina, ma anche il Giap­ pone, specialmente dopo la visita a Mosca del primo ministro Shinz6 Abe, per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale10•

È su questo piano che il Cremlino sta operando al fine di sfidare l'u­

nipolarità incentrata sugli Stati Uniti, stabilendo una fitta rete di relazio­ ni con diverse parti del mondo (e due direttrici privilegiate in Asia, una a Est e l'altra a Sud). A ciò si aggiunge la rilevanza diplomatica attribuita alle organizzazioni internazionali in cui la Russia esercita un ruolo de9· V. Kozyrev, Russia-Southeast Asia Relations: In China Shadow?, in "The Asan Fo­ rum", IV, 2., 2.016 (http://www.theasanforum.org/russia-southeast-asia-relations-in-chi­ nas-shadow-2./); C h. Hartwell, How to Cure the Woes oJthe Eurasian Economie Union, in

"Russia Direct': 2.7 January 2.016 (https://russia-direct.orglopinion/how-cure-woes-eura­ sian-economic-union); A. Stadnik, The Eurasian Economie Union Continues to Focus on Global Economie Integration, in "Russia Direct", 2.7 January 2.016 (https://russia-direct. org/opinion/eurasian-economic-union-continues-focus-global-economic-integration). 10. V isita, questa, che ha preoccupato notevolmente l'Occidente al punto che la can­ celliera tedesca Angela Merkel ha proposto pubblicamente al Giappone di entrare nella NATO

alla vigilia della visita di Abe a Mosca.

177

STEFANO BIANCHINI

cisivo, come l' ONU e l' OSCE, dove rivolge aspre critiche agli Stati Uniti ogni qual volta questi ultimi agiscono in campo internazionale senza, o contro, l'orientamento del Consiglio di sicurezza. A sua volta, però, anche Mosca applica i "doppi standard" che rimpro­ vera all'Occidente. Da un lato, infatti, critica la violazione da parte di Wa­ shington del "diritto internazionale" custodito in particolare dalle Nazioni Unite (come nel caso del Kosovo e della Guerra all'Iraq ) , dall'altro non rispetta accordi internazionali ( ancorché non vincolanti, come il Memo­ randum di Budapest, a garanzia dei confini di Stato ucraini ) e approva una legge (dicembre

2015) con la quale stabilisce la priorità del diritto naziona­

le russo rispetto alle Corti internazionali, entrando così in contrasto con il Consiglio d'Europa e la Corte europea dei diritti umani".

È,

quindi, attraverso questi comportamenti ambivalenti che la Russia

dimostra di non avere ancora trovato una collocazione geopolitica stabile, né un atteggiamento coerente sul piano delle relazioni internazionali, pur volendo presentarsi come paese chiave all'interno di un nuovo globalismo multilaterale'. In realtà, la mancata coerenza nei confronti del "diritto in­ ternazionale" (che Mosca spesso invoca ) è parte integrante di un pendolo storicamente presente nella politica russa. Si tratta di un pendolo che ve­ de oscillare i suoi interessi strategici fra Europa e Asia. Simile ambivalen­ za si riscontra altresì fra rivendicazioni di piena sovranità ( la "democrazia sovrana" teorizzata da Vladislav Surkov'3, ancorché rivolta principalmen­ te all'imprenditoria russa) e disponibilità a modificare, senza negoziati, i confini internazionali. Infine, analoghi "fluidi" atteggiamenti si avvertono fra desiderio di "risettaggio" dei rapporti con le istituzioni euro-atlantiche e accresciuta presenza geopolitica in Asia. Un comportamento, quest'ulti­ mo, che appare reminiscente più dell'eurasismo che non degli orientamen­ ti euro-illuministi degli zar del

XVIII

secolo o di quelli, successivi, euro­

rivoluzionari, dei bolscevichi (cfr. riquadro 11.3). Eppure, nonostante le tensioni dell'ultimo decennio, resta aperto il dialogo con gli

USA

( dall'Iran

alla Siria ) e con la

UE

( soprattutto sul­ n ) . In

la questione ucraina e l'attuazione degli accordi detti di Minsk

II. M. Newcity, Why Russia Withdraws from the International Criminal Court?, in "Russia Direct", 24 November 2016 (http://www.russia-direct.org/opinion/why-russia­ withdraws-international-criminal-court).

12. F. Loukianov, La piace de la Russie dans le monde est incertaine, in "Le Monde': 1° avril2o16. 13. V. Surkov, How Russia Should Fight International Conspirancies, MosNews, 12 July 2oos.

II.

TRA OCCIDENTE ED EURASIA

RIQUADRO II.3

Eurasismo (ideologia) L'eurasismo si è originariamente affermato fra gli esuli russi (bianchi) alla fine del­ la guerra civile come pensiero politico alternativo ai bolscevichi, giacché l'orien­ tamento marxista di questi ultimi li collocava idealmente nelle correnti di pensie­ ro occidentale. Al contrario, secondo gli eurasisti, l' invasione mongola avrebbe forgiato in modo determinante l' identità russa distinguendola da quella europea. La sua civiltà sarebbe quindi il risultato di una interazione fra Europa e Asia. Fra i suoi esponenti principali il linguista Nikolaj Sergeevic Trubeckoj

(1890-1938), l'economista Petr Savickij (1895-1965) e lo storico Georgij Vernadskij (1877-1973).

particolare, Mosca desidera convincere Francia e Germania che non è la Russia a ostacolare la realizzazione degli accordi raggiunti in Bielorussia: al momento, però, tale offensiva diplomatica non ha raggiunto gli scopi prefissi, ma la costanza con cui viene riproposta nel tempo lascia intende­ re quanto il Cremlino sia convinto di poter ottenere risultati concreti nel medio-lungo termine, nella evidente convinzione che l'accumularsi di divisioni nella UE, fra UE e Stati Uniti, e la permanente fragilità ucraina (nelle relazioni con i secessionisti del Donbass, in economia, nella lotta alla corruzione e nella tenuta istituzionale) agevolino il raggiungimento di un compromesso in grado di mantenere un legame fra Mosca e Ucrai­ na, nonché ricuperare un rapporto più collaborativo con la UE o, alme­ no, con alcuni dei suoi principali Stati membri (specialmente Germania, Francia e ltalia)'4• Quanto tali convinzioni abbiano effettivamente la possibilità di rea­ lizzarsi resta da vedere. E pur tuttavia, esse indicano chiaramente come la dimensione europea non sia stata soppiantata da quella eurasiatica, nono­ stante la costituzione dell'uEEA, il dinamismo di Putin su vari scacchieri internazionali e lo sforzo teorico di alcuni esponenti (pochi per la veri­ tà) della destra geopolitica neo-eurasista, come Alexander Dugin, peraltro molto citati dalla letteratura occidentale, forse più che in Russia'1•

I4. S. Tkachenko, The Eu-Russia Relations and their Rejlections in the Ba/tic Sea Re­ " gion, in BSR Policy Briefìng': 2, 20I6, pp. I-I4. I5.

D. Shlapentokh, Russia between East and West, Brill, Leiden

2007;

M. Lamel­

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Russia's Neo-Eurasianism, in "New Eastern Europe", xx, I, 20I6, pp. sS-64.

I7

9

STEFANO BIANCHINI

Insomma, nonostante le reciproche, irritanti, polemiche con i paesi baltici e la Polonia, i mutui comportamenti provocatori con la

NATO

sul

Baltico e nel mar Nero, in Russia non è mai venuto meno il desiderio di una collaborazione più stretta in Europa. Nel2003 un noto intellettuale russo, Dmitri Trenin, aveva lanciato l'i­ dea di un'identità russa "euro-pacifica". Significativamente, questa defini­ zione sostituiva il riferimento all'Asia con quello all'oceano Pacifico, pro­ prio a sottolineare tanto una concezione alternativa alle idee neoimperiali dell'eurasismo, quanto un ridispiegamento della Russia lungo uno spazio concepito come raccordo fra Europa occidentale e Giappone, nel quale ri­ entravano anche gli interessi americani nell'area16• Lo stesso Putin, a più riprese all'indomani dell' 11 settembre e in particolare nel suo discorso al Bundestag tedesco del 25 settembre 2001, ha affrontato la questione ripro­ ponendo l'idea di una "Grande Europa" già cara a De Gaulle, Mitterrand e Gorbacev17• Erano, quelli, tempi in cui la cooperazione fra Russia, USA

UE

e

sembrava poter svilupparsi con grandi, e inattese, potenzialità.

Come abbiamo visto, invece, gli eventi hanno poi preso una piega di­ versa. E pur tuttavia, come altre volte in passato, la diplomazia russa torna spesso a proporre un miglioramento delle relazioni con l'Occidente, vuoi attraverso convergenze fra

UE

e UEEA, vuoi includendo la Cina nell'ambi­

to del progetto di una "Grande Eurasia': che si protenda da Lisbona fino a Pechino e presentato da Putin al Forum economico di San Pietroburgo nel giugno2016. Si tratta di un progetto molto ambizioso, benché le sue prospettive di concretizzazione siano frenate per il momento dalle reciproche sanzioni collegate alla insoluta "questione ucraina". La sua proposta, tuttavia, è an­ che rivelatrice del desiderio russo di attenuare l'impatto del dinamismo cinese verso Mosca e l'Asia centrale, così come dei timori provocati da un possibile accordo di libero scambio euro-americano, i cui negoziati sono però poi falliti nell'estate 2016. E se è vero che la realizzazione della "Nuova via della seta" si fonda su una doppia direttrice di collegamenti, via terra e via mare, che dalla Cina si snoda attraverso l'Asia centrale e la 16. D. Trenin, The End oJEurasia, Carnegie Endowment for lnternational Peace, Mo­ scow 2002; anche Id. , Euro Paciflc Nation, in "Russia in Global Affairs", 24 March 2003 (http://eng.globalaffairs. ru/number/n_63 9); M. Klein, Russia: A Euro-Paciflc Power?, SWP Research Paper, Berlin 2014 (https://www.swp-berlin. org/fìleadmin/contents/pro­ ducts/research_papers/2014 RP o8 kle. pdf). 17. P resident Putin's address to the Bundestag, 25 September 2001 (cfr. http://en. krem­ _

_

lin. ru/events/presidenti news/40168)

.

180

II. TRA OCCIDENTE ED EURASIA

Russia per arrivare nel Centro Europa, creando un terreno propizio per l'avvicinamento fra UE e UEEA, è anche vero che Mosca si interroga già ora su chi potrebbe essere, alla lunga, il paese leader di tale operazione, e la prospettiva che possa essere la Cina non è vista con particolare entu­ siasmo. Nel frattempo, non è certo sorprendente che la Fondazione Ber­ telsmann abbia pubblicato nel2oi6 un Focus Paper dedicato al libero com­ mercio "da Lisbona a Vladivostok': in cui si suggerisce un'area di libero scambio proprio fra UE e UEEA allo scopo di ridurre le tensioni con la Rus­ sia e ristabilire condizioni di mutua fiducia'8• È, del resto, in questa prospet­ tiva che il Cremlino - pur in una fase di caduta del prezzo di petrolio e gas e quindi di restrizioni rilevanti del suo bilancio - ha avviato la costruzione di nuove infrastrutture in grado di collegare celermente la capitale con Ka­ zan e, in prospettiva, Ekaterinburg e l'Estremo Oriente, dopo aver realizza­ to l'alta velocità ferroviaria da Niznij Novgorod a Mosca, San Pietroburgo e Helsinki. Esistono naturalmente ulteriori, ambiziosi, piani di espansio­ ne delle reti di comunicazione lungo la direttrice Ovest-Est; piani, questi, che dicono molto in quanto a prospettive di collocazione geopolitica della Russia e alle possibilità di inserirsi con profitto nel progetto terrestre della "Nuova via della seta': anche se per ora essi restano, per lo più, solo interes­ santi ipotesi di sviluppo.

11.3

Conclusioni Nell'insieme, il quadro delle relazioni euroasiatiche di Mosca, su cui ci sia­ mo sinteticamente soffermati, soffre con evidenza di un'indeterminatezza che non è solo espressione della volatilità delle relazioni internazionali, ma anche di un incerto posizionamento geopolitico da parte della Russia. In­ somma, le prospettive legate all'uEEA, all'uE e agli USA, alla Cina e all'Asia centrale e sud-orientale sono intese al Cremlino come opportunità di svi­ luppo macroregionale cui la Russia può agganciarsi, ma anche come solu­ zioni fra loro in competizione, alternative, e alla lunga anche in potenziale conflitto, verso le quali Mosca potrebbe trovarsi nelle condizioni di pren18. C. Bluth, Free Trade from Lisbon to Vladivostok: A Tool Jor Peace and Prosperi­ ty: The E./Jects of a Free Trade Area between the EU and the Eurasian Region, Bertelsmann Stiftung, Giitersloh 2.016.

181

STEFANO BIANCHINI

dere decisioni che, in realtà, rischiano di trascinarla in trappola, schiaccian­ dola fra Est e Ovest, fra un'Asia dominata da Pechino e un Occidente, per quanto diviso, comunque solidale in funzione antirussa e sostanzialmente ad essa ostile. Questo spiega perché, nonostante suggestioni teoriche avanzate da di­ versi consulenti, il «pragmatismo neorealista temperato da una tradizio­ nale dose di idealismo»'9, individuato da Sakwa ancora nel2007, continui a costituire la bussola principale delle decisioni che informano la proie­ zione esterna della Russia, anche se questo non si traduce in un ancorag­ gio capace di porre fine al tradizionale pendolo tra Occidente e Oriente. Certo, la polemica contro l'unipolarismo nelle relazioni internazionali e la rivendicazione di una "democrazia sovrana" costituiscono due aspetti di una medesima medaglia se riferiti non solo alla Russia, ma se riconosciuti anche agli altri protagonisti macroregionali che operano a livello mondia­ le. Il che, tuttavia, non sembra del tutto assodato, visto che la stessa Russia si pone il problema della leadership nei vari tavoli o forme di cooperazione cui aderisce (basti solo pensare al comportamento multidirezionale di Mo­ sca in Asia, verso l'ASEAN e la Cina)'0• Ancora più fragile sembra poi il richiamo al neo-eurasismo ideologi­ co, che tante preoccupazioni solleva in Occidente". Benché la UEEA abbia iniziato a svolgere le proprie attività, la sua partnership soffre di notevoli diseguaglianze economiche, sociali e demografiche. Inoltre, i soggetti che vi partecipano hanno così deciso perché vi intravvedono opportunità non necessariamente fra loro collimanti, ma coerenti con specifici interessi lo­ cali. Putin" lo ha ben compreso e, infatti, ha accettato il principio «dell'in­ tegrazione a più velocità e multilivello» come componente essenziale in

19. R. Sakwa, Vladimir Putin and the New Realism in Russian Foreign Policy, in L. De­ riglazova, A. Skuhra, S. Fritsch (eds.), EU and Russia: Face to Face, Tomsk State University Publishing House, Tomsk 2.007, pp. 15-7, trad. mia. 2.0. V. Kozyrev, Russia-Southeast Asia Relations: In China Shadow?, in "T he Asan Fo­ rum", IV, 2., 2.016 (http://www.theasanforum.org/russia-southeast-asia-relations-in-chi­ nas-shadow-2./). 2.1. N. Vasilyeva, M. Lagutina, The Eurasian Idea ftom the Modern Politica/ Perspec­

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4

October 2.ou, trad. mia (http://archive.premier.gov.ru/englevents/

II. TRA OCCIDENTE ED EURASIA

grado di assicurare l'esistenza di una varietà di forme di adesione verso una prospettiva di «regionalismo aperto» nello spazio post-sovietico. Frasi, queste, sufficientemente ambigue da lasciare aperta la strada a ogni possibile evoluzione tanto nelle relazioni fra Stati membri, quanto verso potenziali allargamenti, ma che costituiscono altresì ulteriore con­ ferma di una Russia ancora alla ricerca di un suo ruolo nel mondo e di un profilo chiaramente riconoscibile.

Letture consigliate BEZNOSIUK M.

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(20I6), The Roots ofRussia's Neo-Eurasianism, in "New Eastern

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STEFANO BIANCHINI

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12

I rapporti sino-russi dopo la crisi ucraina di Antonio Fiori*

12.1

Introduzione All'inizio della crisi in Ucraina, nel2014, l'opinione comune era che il con­ fronto si sarebbe risolto velocemente. Non appena in Occidente si prese in considerazione la possibilità di adottare delle misure sanzionatorie contro Mosca, il governo russo diede inizio a una serie di consultazioni interne per valutare in che misura esse avrebbero colpito l'economia. La risposta apparve ben presto chiara in tutta la sua drammaticità: la quasi totale di­ pendenza dai mercati occidentali in ambiti cruciali, come le esportazioni di idrocarburi, avrebbe messo in ginocchio il paese. La sola via d'uscita, quindi, era quella di rivolgere la propria attenzione oltre l'Occidente e, in questo senso, il candidato ideale non poteva che essere la Repubblica po­ polare cinese, vale a dire l'unico gigante economico che non aveva alcuna intenzione di contribuire alle sanzioni che stavano per essere comminate nei confronti di Mosca. In questo contesto, nel maggio del 2014, ebbe inizio quello che è sta­ to da più parti definito come il pivot russo nei confronti della Cina\ il cui obiettivo strategico non era solo quello di rafforzare le relazioni politiche con Pechino- sfuggendo all'isolamento imposto dalla comunità interna­ zionale- ma anche e soprattutto riorientare l'economia verso est. La mal­ celata speranza era che la Cina sarebbe diventata un importante acquirente di idrocarburi, che le aziende cinesi avrebbero investito nel mercato russo - alla costante ricerca di capitali - e che Pechino avrebbe messo a dispo-



r.

Professore associato di Storia e istituzioni dell'Asia all'Università di Bologna.

L. Shevtsova, Russia's ''Pivot" to China: fs !t Rea! or Fake?, in "Global Asià:

March 2.013.

r8s

8,

r,

ANTONIO FIORI

sizione di un paese caratterizzato da infrastrutture sempre più obsolete la tecnologia necessaria a rinvigorirlo. Dal canto suo, la Cina - fedele al principio di "non interferenzà' negli affari interni di altri attori- non intervenne a sostegno dell'iniziativa russa in Ucraina né la criticò". Più semplicemente, essa vide nella rottura traMo­ sca e l'Occidente una grande occasione per soddisfare le proprie necessità commerciali e, soprattutto, accolse con sollievo la fine delle ambizioni rus­ se di maggiore integrazione con l'Europa. Questo ritorno di fiamma tra Mosca e Pechino venne, invece, da più parti accolto con profondo scetticismo: nell'opinione della maggior parte degli analisti, la diffidenza reciproca, le storiche dispute territoriali, lo sbi­ lanciamento commerciale, la competizione in Asia centrale e la crescente disuguaglianza avrebbero precluso qualunque tipo di collaborazione signi­ ficativa tra le due potenze. Ciò nonostante, la crisi ucraina e la reazione dell'Occidente potrebbero aver spinto Mosca a intervenire in alcuni am­ biti che avevano precedentemente impedito una più stretta collaborazione con Pechino: in particolare la reticenza a fornire dotazioni militari avanza­ te, l'esclusione da alcuni progetti infrastrutturali e la scarsa collaborazione in Asia centrale. Sebbene i frutti del nuovo atteggiamento russo non siano ancora com­ pletamente maturati in questi anni, è plausibile pensare che Mosca possa aver accettato di agire da comprimaria della Cina in un gioco crescente­ mente asimmetrico, finendo così per fornire a Pechino ciò di cui quest'ul­ tima ha bisogno- tecnologia militare, risorse naturali, accesso a nuovi mer­ cati - al fine di sostenerne l'ambizione di diventare la nuova superpotenza globale in cambio di un ritorno economico e finanziario. Uno dei fattori che ha maggiormente aiutato lo sviluppo di questa rela­ zione è rappresentato dal legame personale che lega i due leader, Vladimir Putin e Xi Jinping. Nonostante le relazioni tra i precedenti capi di Stato Boris El'cin e Jiang Zemin e lo stesso Putin e Hu Jintao - fossero state po­ sitive, di certo non hanno mai raggiunto il grado di "intimità" di quella che lega Putin e Xi. Il primo incontro al vertice tra i due ebbe luogo nel 20IO a Mosca, quando il russo era primo ministro e il cinese vicepresi­

dente. La svolta, però, si ebbe il 7 ottobre 20I3 - giorno del compleanno di Putin - allorché i due si incontrarono a margine del summit dell'APEC 2. D. H. Paal, How Does the Ukraine Crisis Impact China?, in "Carnegie Endowment for lnternational Peace': 24 March, 2014 (https://carnegieendowment.org/2014/03/24/ how-does-ukraine-crisis-impact-china-pub-sson ).

18 6

12. I RAPPORTI SINO-RUSSI DOPO LA CRISI UCRAINA

(Asia-Pacific

Economie Cooperation ) a Bali. L'incontro si trasformò in

una sorta di festa privata, che aiutò i due a cementare le reciproche relazio­ ni; data l'importanza che la diplomazia personale riveste per il leader russo, questo tipo di contatto si trasformò in un evento di particolare rilevanza nel cambiamento di atteggiamento da parte di Mosca\ Nel 20I4, a seguito di consultazioni interne, il Cremlino decise quin­ di di "agganciare" la Cina al fine di gestire una partnership economica in maniera più diretta rispetto al passato. Le barriere politiche informali che limitavano gli investimenti cinesi in Russia furono abbassate: al Fo­ rum sull'economia tenutosi a Krasnoyarsk nel febbraio del20I5, il vice pri­ mo ministro, Dvorkovich, annunciò che le società cinesi avrebbero potu­ to procedere all'acquisto di

assets

nel settore delle risorse naturali4• Esse

avrebbero anche potuto presentare delle offerte per la realizzazione di ope­ re infrastrutturali come strade e ferrovie; settori in cui il protezionismo delle lobby russe era assoluto solo fino a un decennio prima. Le istituzioni finanziarie cinesi, quindi, furono informalmente incoraggiate ad allargare la propria presenza nel mercato russo, al fine di riempire il vuoto lasciato dagli occidentali. Sulla scia di simili sviluppi, il passo successivo concertato da Mosca fu quello di potenziare i meccanismi di comunicazione con Pe­ chino: oltre alla commissione congiunta per gli incontri regolari dei primi ministri e a quella che presiede al dialogo strategico sulle questioni energe­ tiche, i due paesi hanno, infatti, dato il via libera al Fondo di cooperazio­ ne agli investimenti ( The Russia-China Investment Fund,

)

RCIF ,

un'altra

struttura intergovernativa divenuta centrale per la negoziazione di progetti bilaterali su ampia scala.

12.2

L'abbraccio russo alla Cina La crisi ucraina e la successiva annessione della Crimea colse Pechino di sorpresa, così come accadde per la maggior parte dei leader occidentali. La gestione della situazione da parte della Cina, tuttavia, non riservò alcuna sorpresa, dato che essa si limitò a ripetere il solito mantra in base al quale 3· A. Gabuev, China 's Pivot to Putin 's Friends, in "Foreign Policy", 25 June, 2016. 4· Cfr. "No Politica! Obstacles" to Grant China so% Stake in Russian Oil and Gas Fields - Deputy PM, in "RT Question More", 27 February, 2015 (https://www.rt.com/

business/2362r r -russia-china-oil-gas/).

ANTONIO FIORI

il diritto internazionale andava rispettato e il conflitto andava risolto in maniera pacifica. La fuga del presidente ucraino Janukovic, dopo che le di­ mostrazioni a Majdan Nezaléznosti, la piazza dell'Indipendenza di Kiev, cominciarono a diventare violente, allarmò Pechino, aumentando i sospet­ ti che potesse esserci un qualche tipo di coinvolgimento da parte degli Sta­ ti Uniti nel foraggiamento delle "Rivoluzioni colorate" in varie parti del mondo. La ferma risposta russa alla supposta intrusione occidentale con­ quistò la simpatia delle élite cinesi. Quando Mosca decise di procedere ali'annessione della Crimea, pe­ rò, le cose si fecero decisamente più complicate per Pechino. La Cina, infatti, considera molto negativamente l'idea di forze che dall'esterno so­ stengono il separatismo su basi etniche, alla luce dei complicati rappor­ ti che Pechino intrattiene con le province occidentali del T ibet e dello Xinjiang, senza parlare di Taiwan, guardata come una "provincia ribel­ le". Immediatamente, quindi, il Dipartimento della propaganda cinese ammonì i mezzi di informazione a non creare alcun parallelismo tra la questione della Crimea e le situazioni riguardanti Taiwan, il T ibet o lo Xinjiang, né sul piano politico né sotto forma di pericoloso precedente per la giurisprudenza internazionale1• La Cina, naturalmente, decise di astenersi, invocando il rifiuto dell'uso della forza, quando la risoluzio­ ne delle Nazioni Unite che dichiarava l'invalidità del referendum sullo status della Crimea- il cui risultato era stato quello di staccarsi da Kiev per annettersi alla Federazione Russa- fu discussa dal Consiglio di sicu­ rezza. Pechino fu particolarmente attenta a evitare qualunque critica nei confronti della Russia mentre, al contempo, continuò a esprimere forti dubbi sull'introduzione di sanzioni da parte dell'Occidente6• In Cina si aprirono anche delle profonde discussioni sulle conseguenze che la rottu­ ra russa con l'Occidente avrebbero provocato: la visione predominante era quella per cui la crisi ucraina avrebbe portato vantaggi e svantaggi. La decisione di annettere la Crimea sfidando apertamente il sistema inter­ nazionale guidato dagli Stati Uniti- anche a costo di pagare un enorme prezzo in termini economici- era, nell'opinione cinese, poco compren­ sibile e contro gli interessi russi di lungo periodo. I timori dell' impreve­ dibilità russa furono confermati dal suo coinvolgimento in Siria e dall'es.

J. R. Holmes, Taiwan: Why China Backs Russia on Ukraine, in "The Diplomat':

10 March, 2014 (https://thediplomat.com/2or4/03/taiwan-why-china-backs-russia-on­ ukraine/). 6. D. V. Kuznetsov, China and the Ukrainian Crisis: From ''Neutrality" to "Support''jor

Russia, in "China Report", 52, 2, 2or6, pp. 92-rrr.

r88

12. I RAPPORTI SINO-RUSSI DOPO LA CRISI UCRAINA

scalation nelle tensioni con la Turchia, situazioni che nessuno in Cina aveva predetto. Un altro concreto rischio era quello che la crisi tra la Rus­ sia e l'Occidente avrebbe potuto esacerbarsi, costringendo prima o poi la Cina a prendere posizione. La speranza cinese, tuttavia, era quella di giocare a proprio vantaggio l' incrinatura tra la Russia e l'Occidente e, significativamente, che gli Stati Uniti potessero cominciare a volgere nuovamente la propria attenzione verso Mosca, allentando così la presa sul continente asiatico determinata dal Pivot to Asia. Secondo le istruzioni del presidente Xi, gli attori eco­ nomici cinesi avrebbero dovuto cominciare a ricercare attivamente nuo­ ve opportunità in Russia, astenendosi però dallo sfruttare a proprio van­ taggio la difficile situazione che Mosca stava vivendo in quel momento7• Nella visione di Pechino, infatti, gli appetiti incontrollati degli investi­ tori cinesi avrebbero potuto intimorire la Russia, ed eventualmente farle decidere di spingersi nuovamente tra le braccia occidentali. Allo stesso tempo, fu suggerito alle imprese statali cinesi di stare lontane da progetti che non avessero un chiaro obiettivo economico. Tali indicazioni, prove­ nienti dalle massime sfere politiche, giunsero proprio quando tali impre­ se stavano cominciando ad avvertire l'effetto di alcuni shock. In primo luogo, la campagna anticorruzione, uno dei vessilli principali dell' ammi­ nistrazione Xi, stava mietendo numerose "vittime" tra i manager delle principali aziende in ambito energetico. Tale campagna ebbe l'effetto di eliminare qualunque iniziativa proattiva da parte dei manager e dei buro­ crati, che si rifugiarono dietro il comodo paravento dell' inoperosità. In secondo luogo, i nuovi requisiti adottati nel corso del Terzo plenum della Commissione centrale del Partito, nel

2.0I3,

volti a favorire l'efficienza

delle imprese statali attraverso una competizione diretta con quelle pri­ vate ed estere, rappresentarono un ulteriore ostacolo. Terzo, e forse più importante, shock fu rappresentato dal rallentamento nella crescita eco­ nomica di Pechino. Se nei primi mesi tali fattori non rappresentarono degli ostacoli reali al pivot russo, il calo nella richiesta di risorse naturali e il declino dei prezzi delle materie prime nei principali mercati globali misero in stalla qualunque discussione di potenziali progetti congiunti, persino nel settore energetico, tradizionalmente il più rilevante per la co­ operazione economica bilaterale. "

r

7· M. Eckel, China May Be the Biggest Winner From Ukraine Crisis, in voA News': September, 2014 (https://www.voanews.com/a/china-ukraine-russia-benefits/2432373·

html).

ANTONIO FIORI

12.3

Il settore energetico Il settore energetico costituisce il fattore di maggior importanza nel qua­ dro commerciale tra Russia e Cina, anche se i tentativi di aumentare in modo drastico il volume di scambio tra i due paesi non hanno sempre dato gli effetti sperati. I progressi in ambito gasifero, nonostante la ratifica di un accordo durante la visita di Putin a Shanghai alla metà del 20I4, hanno subito gravi rallentamenti: 38 miliardi di metri cubici di gas, proveniente dai giacimenti di Kovykta e Chayanda - nella Siberia orientale - avrebbero dovuto essere forniti attraverso il gasdotto Sila Sibiri ( conosciuto an­ che come

Power ofSiberia).

Il progetto, tuttavia, si è arenato per un paio

di anni, visto che i cinesi si sono rifiutati di concedere, come originaria­ mente pianificato, un prestito di 25 miliardi di dollari per la costruzione del gasdotto, mentre i russi si lagnavano del fatto che la partecipazione di società cinesi alla realizzazione infrastrutturale, come condizione prelimi­ nare per il raggiungimento dell'accordo, era irricevibile. Senza menzio­ nare le difficoltà legate ai costi che il progetto implicava e che lo rende­ va reciprocamente poco significativo dal punto di vista commerciale. Tali complicazioni sono state in seguito limate dali' intervento dei due governi, che ha portato, nel settembre 20I6, al raggiungimento di un accordo tra Gazprom e la China National Petroleum Corporation

( cNPC )

per la rea­

lizzazione del tratto di confine del gasdotto al di sotto del fiume Amun8• La visione russa è tale per cui il

Power of Siberia

costituisce solo il

primo passo verso la costruzione di una partnership strategica con la Ci­ na, analoga a quella esistente con l'Europa orientale, e potrebbe rappre­ sentare quel legame fisico tra i due paesi il cui valore commerciale sareb­ be destinato a decuplicarsi nei prossimi tre decenni. Per Mosca il settore energetico ha rappresentato la pietra angolare della politica economica e strategica nell'era post-sovietica: aver raggiunto un accordo così impor­ tante con la Cina immediatamente dopo la crisi ucraina è stato percepito come un successo importantissimo. Secondo la narrativa delle autorità russe, il

Power oJ Siberia segnala la naturale complementarietà

tra i due

paesi, oltre a dimostrare l'abilità di Mosca nello sviluppare nuovi mercati per le esportazioni al di fuori dell'Europa. 8. A. E. Kontorovich et al, Key Problems in the Development oJ the Power oJ Siberia Project, in "Regional Research ofRussia", 8, 1, 2018, pp. 92-100.

1 2. I RAPPORTI SINO-RUSSI DOPO LA CRISI UCRAINA

Il gasdotto, tuttavia, assume un significato diverso per Pechino, da­ to che essa non ha una necessità assoluta del gas russo- anche se alcuni analisti sottolineano come questo riduca la dipendenza, in termini rela­ tivi, dalle importazioni via mare9 - e non è disposta a giungere ad alcun compromesso relativamente ai suoi interessi politici o economici al fine di attenerlo. Le società energetiche a guida statale hanno ampiamente dimostrato la loro abilità nel soddisfare i bisogni del paese, ad inclusione del gas, creando una serie di connessioni con un numero amplissimo di paesi e godendo spesso di prezzi addirittura più bassi di quelli determi­ nati dal mercato10• A livello globale, quindi, moltissimi attori competono per guadagnarsi l'accesso al mercato cinese: la Russia è solo uno dei tanti. Peraltro, proprio mentre la realizzazione del gasdotto diventava una pri­ orità per la Russia, trovatasi isolata dall'Occidente e costretta a vedere nella Cina un'alternativa percorribile, esso assumeva una rilevanza sem­ pre più relativa per Pechino, a causa del calo della domanda e della con­ testuale apertura o rafforzamento delle forniture di gas da argille da paesi come il Turkmenistan o la Birmania. In ambito petrolifero la Russia ha riscosso i vantaggi più ampi nel mer­ cato cinese, malgrado il collasso del prezzo degli ultimi anni. Rosneft, so­ cietà petrolifera a controllo statale, ha potenziato la capacità dell'oleodotto Skovorodino-Mohe- anche per ripagare gli ingenti prestiti ricevuti dalla Cina- oltre a fornire a Pechino un'ampia quota del petrolio proveniente dal porto di Kozminou. In vari momenti, in questi ultimi anni, la Russia ha addirittura sorpassato l'Arabia Saudita in qualità di principale fornitore di petrolio alla Cina, nonostante nel 20IS, a causa dell'aumento del prezzo, si sia verificata una contrazione nel volume commerciale tra Pechino e Mo­ sca". Il declino, tuttavia, oltre che dal costo delle materie prime, è stato de­ terminato anche dal trend negativo dell'economia russa e dalla conseguen­ te minore capacità d'acquisto di Mosca. 9· Cfr. https://www.oxfordenergy.org/wpcms/wp-content/uploads/wl6/o8/Ener­ gy-Relations-between-Russia-and-China-Piaying-Chess-with-the-Dragon-W PM-67.pdf. ro. R. Weitz, T he Russia. China Gas Dea!: Implications and Ramifìcations, in "World Affairs", 177, 3, 2014, pp. 8o-6. II. Cfr. Rosneft, Transneft Agre e on China Oil Link Expansion Costs, Reuters, 14 Octo­ ber, 2013 (https://www. reuters.com/ artide/russia-china-oil/ rosneft-transneft-agree-on­ china-oil-link-expansion-costs-idUSL6Nol417 hor 31014).

12. C. Aizhu, M. Meng, Russia Beats Saudi Arabia as China's Top Crude Oil Sup­ plier in 2016, Reuters, 23 January, 2017 (https://www.reuters.com/article/us-china-eco­ nomy-trade-crude/ russia -beats-saudi-arabia-as-chinas-top-crude-oil-supp lier-in-201 6-i­ dUSKBN1s7oV]).

ANTONIO FIORI

12.4

Il settore militare

Lo scossone principale causato dalla crisi ucraina è stato quello avuto­ si nell'ambito più sensibile della cooperazione tecnologica tra Russia e

Cina, vale a dire il settore militare. Per un decennio, la Russia ha posto il

divieto assoluto-seppure in maniera informale-sulla vendita della pro­ pria tecnologia avanzata a Pechino. Le preoccupazioni di Mosca erano sia di ordine militare-un giorno Pechino avrebbe potuto rivolgere pro­ prio contro i russi le proprie armi-sia commerciale. Nella sfera militare russa, i cinesi sono sempre stati considerati come coloro che riproduce­ vano-anche piuttosto abilmente-i sistemi d'arma di Mosca, per poi competere in mercati come quello birmano o egiziano.

Successivamente alla crisi ucraina, il Cremlino ha riconsiderato il suo

atteggiamento in quest'ambito, e ciò potrebbe avere due spiegazioni prin­ cipali. In primis, l'analisi russa dell'industria bellica cinese può aver dimo­ strato come il settore avesse raggiunto un livello di avanzamento inatteso, convincendo le élite militari russe che prevenire il trasferimento di tecno­ logia, al fine di impedire che la Cina diventasse un competitore nel merca­ to globale delle armi, era ormai sostanzialmente inutile. In aggiunta, Mosca aveva appreso che molti dei sistemi che la Cina aveva presumibilmente sot­

tratto alla Russia erano stati sviluppati da ingegneri russi nel corso degli an­ ni Novanta ma realizzati da industrie militari cinesi. Il trasferimento tecno­ logico, in quel periodo, era scarsamente controllato e regolato, e Pechino, come molti altri, non fece altro se non trarre vantaggio da questa confusa situazione. I contratti offerti dai cinesi, infatti, aiutarono le imprese milita­

ri russe e le squadre di ingegneri a sopravvivere ai disagi degli anni Novanta. La seconda questione è relativa alla presenza demografica ed economi­

ca della Cina in Siberia e nell'Estremo Oriente russo. Analisi indipendenti hanno chiaramente mostrato come la migrazione cinese in queste zone sia

marginale, e non superi le 30o.ooo unità, comprensive di turisti, studenti e

lavoratori temporanei. Il fenomeno dell'immigrazione illegale è stato enor­ memente ridotto alcuni anni addietro e, date le attuali condizioni econo­

miche, i cinesi localizzati sulle zone di confine preferiscono decisamente migrare verso le province costiere della loro madrepatria piuttosto che ver­ so l'Estremo Oriente russo. Questo trend ha subito un'accelerazione con la svalutazione del rublo, dato che molti uomini d'affari cinesi in Russia, che precedentemente inviavano le rimesse alle famiglie, hanno cominciato a lasciare il paese per fare ritorno in Cina.

1 2. I RAPPORTI

SINO-RUSSI DOPO LA CRISI UCRAINA

Questi fattori hanno convinto Mosca a rovesciare le sue tradizionali politiche per riprendere a fornire tecnologia militare avanzata alla Cina. Nel 20I4, per esempio, è stato siglato un importante accordo per la forni­ tura del sistema d'arma antiaereo S-4001\ Questo sistema ha una gittata di circa 400 chilometri, e ciò significa un passo in avanti per Pechino, che po­ trebbe agevolmente porre sotto stringente controllo lo spazio aereo taiwa­ nese o le isole Diaoyu (Senkaku) direttamente dalle provincie del Fujian o dello Shandong; la Cina potrebbe persino arrivare a istituire una ADIZ (Air Defense Identification Zone) al di sopra del mar Cinese meridionale, così come già avvenuto nel20I3 nel mar Cinese orientale. I negoziati per la ven­ dita degli S-400, cominciati vari anni addietro, hanno subito una significa­ tiva accelerazione a seguito della crisi ucraina. Il confronto russo con l'Oc­ cidente e il riaggiustamento del contesto strategico delle relazioni con la Cina hanno perciò convinto il Cremlino a dare il suo assenso alla fornitura. Un'altra transazione influenzata dalla crisi ucraina è stata quella che ha portato la Cina ad acquistare 2 4 caccia Su-35, mediante un accordo da 2 miliardi di dollari siglato nel 20IS14• Pechino è stata il primo acquirente straniero per questo tipo di sistema, che, secondo alcuni, consentirà ai ci­ nesi di sviluppare efficacemente il jet]-11, imparando, grazie alla tecnologia russa, a risolvere i problemi tecnici finora verificatisi. Dal punto di vista mi­ litare, inoltre, questi velivoli potrebbero essere utili a rafforzare il dominio cinese nei cieli sopra Taiwan così come in altre situazioni calde. Sulla questione della fornitura di tali supporti alla Cina il giudizio de­ gli esperti è estremamente polarizzato. Ciononostante, il supporto russo nei riguardi del proprio vicino asiatico non si limita a questi due sistemi, dato che in molti ritengono che Mosca possa presto autorizzare la vendita del suo nuovo sottomarino Lada-class11• È interessante notare, infine, come si sia avviato anche un percorso in direzione inversa: dato che i paesi occi­ dentali hanno cominciato - per via delle sanzioni - a rifiutarsi di fornire materiale di assemblaggio ai russi, come accaduto quando la Germania ha declinato la fornitura di motori diesel che i russi avrebbero voluto montare sulle corvette Buyan-M, il Cremlino non ha avuto altra scelta se non quella 13. Z. Keck, Putin Approves Sale ojS-400 to China, in "The Diplomat", rr Aprii, 2014 ( https://thediplomat.com/ 2014/04/putin-approves-sale-of-s-400-to-china/).

14. J. Novak, China 's Black Friday Dea!: A New Russianjet, in "CNBc': r December, 2015 ( https://www.cnbc.com/2015/12/or/cash-strapped-russia-sells-top-fighter-to-china.html). 15. Cfr. https://thediplomat.com/ 2014/03/ russia-may-sell-china-new-advanced­ submarines/.

193

ANTONIO FIORI

di rivolgersi alla Cina'6• Un tale accordo sarebbe stato impossibile senza la rottura con l'Occidente, e tutto ciò potrebbe ripercuotersi in maniera rile­ vante sui delicati equilibri del Pacifico.

12.5

Competizione e collaborazione in Asia centrale La cooperazione regionale fra Mosca e Pechino in Asia centrale ha, di re­ cente, subito dei cambiamenti notevoli. Negli anni immediatamente suc­ cessivi alla caduta dell'Unione Sovietica, la Russia ha proseguito a conside­ rare le cinque Repubbliche centroasiatiche come appartenenti alla propria sfera di influenza. Non solo l'Asia centrale è un'area con cui il Cremlino in­ trattiene rapporti intensi da molti secoli, ma rappresenta anche l'epicentro di ingenti interessi economici e strategici. Per questo motivo la presidenza Putin ha mal sopportato la crescente intrusione economica e politica cine­ se nella regione, spesso proprio a spese della Russia. Pechino ha più volte confermato il proprio rispetto per gli interessi esclusivi di Mosca in Asia centrale, ma sicuramente percepisce tanto la necessità di assicurarsi buoni rapporti con i paesi che confinano con l'instabile Xinjiang quanto un forte incentivo all'accesso alle immense risorse energetiche della regione. Xi Jinping ha svelato per la prima volta il progetto della "Nuova via del­ la seta" (cfr. riquadro I2.I) nel20I3, in Kazak.hstan, presentando in Indone­ sia, meno di un mese dopo, la sua componente marittima: questi due pila­ stri compongono l'iniziativa della

One Belt, One Road (OBOR) , che rappre­

senta il primo tentativo multidimensionale cinese votato a trasformare i pa­ esi circostanti attraverso il ricorso a una combinazione di investimenti, soft power e strumenti militari. È lecito pensare che i cinesi si aspettassero una stizzita reazione da parte della Russia al disvelamento dell' OBOR, anche in considerazione del fatto che Mosca fosse particolarmente restia ad accet­ tare la coesistenza di questa iniziativa con quella dell'Unione economica eurasiatica (Eurasian Economie Union,

EEU

)

lanciata da Putin. Il timore

di Pechino derivava dal fatto che la Russia, ansiosa di riguadagnare il suo status nella regione, potesse guardare all' OBOR come a una forma di intru­ sione nella propria sfera di influenza e, di conseguenza, fare pressione sulle 16. P. Schwartz, Russia-China Dejènse Cooperation: New Developments, in "The Asan Forum", 9 February, 2017 (http://www.theasanforum.org/russia-china-defense-coopera­

tion-new-developments/).

194

12.

I RAPPORTI SINO-RUSSI DOPO LA CRISI

UCRAINA

RIQUADRO 12.1 La "Nuova via della setà' cinese A partire dalla sua elezione alla presidenza della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping ha dato inizio a una serie di iniziative che mirano ad assicurare stabilità politica e crescita economica all'interno del paese e a rafforzare la visione della Cina come nuovo grande attore nello scenario internazionale. Il principale di questi sforzi, tesi a creare un solido legame tra gli affari interni e quelli interna­ zionali, è rappresentato dalla cosidetta One Belt, One Road (oBoR). L'idea origi­ naria dell' OBOR è stata introdotta proprio da Xi Jinping nel 2.013, quando egli ha parlato di una "visione strategicà' tesa alla realizzazione di una "Nuova via della seta': riferendosi esplicitamente a quell'antico corridoio commerciale che pone­ va in comunicazione l'Asia con l'Europa attraverso l'Asia centrale. Poco tempo dopo, questa via di comunicazione terrestre è stata affiancata dalla cosidetta "Via della seta marittima': che dovrebbe connettere la Cina all'oceano Indiano e da lì all'Asia del Sud da una parte e all'Africa meridionale dall'altra. Questa duplice strada, quindi, costituisce la pietra angolare della "connettività" che pone la Cina al suo centro. L' OBOR dovrebbe rappresentare un enorme spazio diplomatico che permette di consolidare relazioni esistenti e creare occasioni per forgiarne di nuo­ ve, dando al contempo la possibilità ai produttori europei di avere accesso a un mercato sconfinato, nonostante questi siano impauriti dall'evidente disparità nel volume commerciale tra Europa e Cina. Al fine di garantire la sostenibilità necessaria alla realizzazione dell' OBOR, la Cina ha dato il via a una serie di iniziative -come la Banca asiatica d'investimento per le infrastrutture (Asian Infrastructure Investment Bank,

AIIB) -che dovreb­

bero permetterle di rappresentare un'alternativa appetibile al sistema americano­ centrico fondato sul Fondo monetario internazionale e sulla Banca Mondiale. È ovvio che la mole dell' OBOR è tale per cui la pur enorme capacità finanziaria della Cina non è assolutamente sufficiente: per questo motivo Pechino si aspetta che attori pubblici e privati dei paesi coinvolti possano contribuire. Nei casi in cui l'apporto finanziario dovesse rivelarsi minimo, il timore è che la Cina possa "riva­ lersi" acquisendo il controllo diretto sui progetti e sulle politiche legate all' OBOR. Una delle ragioni principali della scelta cinese di dare attuazione

all'oBOR

potrebbe essere quella di salvaguardare la propria crescita economica, in larga par­ te dipendente dalla conquista dei principali mercati energetici e dall'aperura di nuove opportunità commerciali. Un'altra possibilità è di rinvigorire la strategia, lanciata all'inizio del millennio, del Go West, in base alla quale si cercava una ma­ niera efficace per legare le province occidentali, meno sviluppate, a quelle orientali del "miracolo economico': Ciò dovrebbe, al contempo, alleviare le minacce alla sicurezza interna provenienti dallo Xinjiang.

195

ANTONIO FIORI

Repubbliche centroasiatiche affinché non prendessero parte all'iniziativa. La leadership cinese, quindi, è stata piacevolmente sorpresa dall'annuncio del vice primo ministro Shuvalov, in occasione del Boao Forum, nel marzo 20I5, secondo cui i membri dell'EEU erano pronti a collaborare all'oBOR,

imbarcandosi poi direttamente nella negoziazione di un accordo quadro con i cinesi, sostenuto dallo stesso Putin17•

È

probabile che tale scelta sia

scaturita da una discussione all'interno della leadership russa, agli occhi della quale gli eventuali benefici risultanti da un coordinamento tra OBOR ed EEU sono apparsi più convenienti dell'isolamento, soprattutto dal pun­ to di vista economico.

È

dato per assunto, quindi, che la Cina diventerà

inevitabilmente il maggiore investitore in Asia centrale e il mercato mag­ giore per le sue vaste risorse naturali, a causa della funzionalità reciproca in ambito economico. Secondo alcuni funzionari russi, Mosca e Pechino si sforzeranno di raggiungere un compromesso. La Cina, data la sua sete di risorse, sarà il principale driver dello sviluppo economico della regione attraverso l'attua­ zione dell'OBOR e di altri progetti simili, mentre la Russia rimarrà il princi­ pale interlocutore sul fronte della sicurezza attraverso l'Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva

( Collective

Security Treaty Organisation,

CSTO ) e, probabilmente, proverà a rafforzare il ruolo della EEU come fonte

normativa per l'implementazione dell'OBOR. Il Cremlino spera che questa formula possa soddisfare sia Pechino- che non è ancora particolarmente a suo agio nell'inviare le sue truppe al di fuori dei propri confini- sia gli Stati centroasiatici, timorosi dell'ascesa cinese e più abituati alla presenza militare russa nella regione. L'8 maggio 2.0I5 Putin e Xi hanno siglato un accordo di cooperazione per il coordinamento della EEu e della Nuova via della seta, auspicandosi di connettere i due progetti al fine di costruire uno spazio economico comune in Eurasia che abbia le caratteristiche di

un

accordo di libero scambio tra i

membri dell'EEU e la Cina'8• Anche se il linguaggio è ancora piuttosto am­ biguo, si tratta di un cambio di rotta da parte di Mosca rispetto al preceden­ te atteggiamento di sospetto e competizione. Pechino ha riconosciuto for­ malmente l'EEU in qualità di potenziale partner negoziale dal punto di vista commerciale e ha condiviso le regole per l'implementazione dei progetti in17. G. Shtraks, A

Co/d Summer Jor China and Russia?, in "The Diplomat", r Septem­

ber, 2015 (https://thediplomat.com/2015/09/a-cold-summer-for-china-and-russia/). r8. Cfr.

China, Russia Agree to Integrate Be/t lnitiative with EAEU Construction, in

"Xinhuanet", 9 May, 2015 (http://www.xinhuanet.com/english/20I5-05/09/C_I34222936. htm).

12. I RAPPORTI SINO-RUSSI DOPO LA CRISI UCRAINA

frastrutturali transnazionali. La Commissione economica euroasiatica, l'or­ ganismo sovranazionale dell'EEU, ha ricevuto il mandato dai propri membri di dare il via ai negoziati per un accordo commerciale con la Cina.

È ovvio che vi sono anche delle difficoltà. Con la ratifica della dichiara­ zione, infatti, Mosca ha indispettito i suoi partner nell'EEU, in particolare il Kazakhstan. Per questo motivo, Astana e altri in Asia centrale continua­ no ad avere le proprie buone ragioni per intrattenere rapporti diretti con Pechino al fine di gestire i propri investimenti, bypassando la burocrazia dell'EEU e il Cremlino. Anche la Cina, da parte sua, ha continuato a in­ trattenere rapporti con i leader centroasiatici su basi puramente bilaterali, senza coinvolgere Mosca. Nel corso della sua visita di settembre 20I5 aPe­ chino, il presidente Nazarbaev ha firmato una dichiarazione di coordina­ mento tra l' OBOR e l'ambizioso progetto statale di sviluppo infrastruttu­ rale Nurly Zhol'9• Il Kazakhstan è stato la prima nazione dell'Asia centrale a lavorare al fine di lanciare i propri progetti di investimento con la Cina, innescando delle tensioni con Mosca. Nell'ottobre 20I5 i leader dell'EEU si accordarono sulla necessità di maggiore coordinamento con la Cina sotto l'ombrello dell'Unione, ma nel frattempo gli sviluppi sono stati limitati. Solo nel marzo 20I6, nel corso del Boao Forum, il vice primo ministro rus­ so, Dvorkovich, promise al primo ministro cinese Li Keqiang che la Russia avrebbe fornito una lista di proposte di investimento a cura dell'EEU che avrebbe aiutato l' interazione tra le due iniziative'0• Nessuna novità sostan­ ziale, comunque, ha avuto luogo da quando la dichiarazione è stata firmata. Malgrado gli sforzi di coordinamento non abbiano impresso progressi sostanziali, gli interessi coincidenti delle due potenze potrebbero aiutare a scavalcare le differenze. Esse, infatti, condividono una visione comune del­ la regione guidata da leader autoritari e resiliente ai conflitti interstatali e al coinvolgimento esterno, specialmente da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. Dato lo scarso coinvolgimento attuale di Washington in Asia cen­ trale, anche a causa di una maggiore concentrazione sulla questione afgana, e il relativo declino russo dal punto di vista economico, nel lungo periodo Pechino e Mosca potrebbero trovare una strada che favorisca i reciproci interessi al di fuori del quadro della cooperazione EEU-OBOR, dato che il futuro di entrambe le iniziative, soprattutto quella russa, appare incerto. 19. C. Putz, China Pushes One Be/t, One Road in Centrai Asia, in "The Diplomat': 24 May, 2016 central-asia/ ) .

( https://thediplomat.com/2016/ os/china-pushes-one-belt-one-road-in­

20. Cfr. https:/l forumvostok. ru/en/news/china-is-prepared-to-develop-relations­ with-russia/.

197

ANTONIO FIORI

A ogni modo, la rivalità tra Russia e Cina in Asia centrale è ipotizzabile e potrebbe persino aumentare quando le transizioni nella leadership in Ka­ zakhstan e Uzbekistan, i due paesi più importanti nella regione, prenderan­ no forma. A Mosca e Pechino manca un meccanismo di coordinamento o un intenso dialogo diplomatico sull'Asia centrale: qualunque cambiamento politico, di conseguenza, potrebbe scatenare una lotta tra fazioni rivali che si rivolgerebbero alternativamente a Mosca o a Pechino per ottenere supporto. Se tali dinamiche non possono essere previste, sono comunque da tenere in considerazione, dato che sicuramente potrebbero condurre a un'incrinatura nei rapporti tra le due potenze. Allo stesso modo, le tensioni potrebbero acuirsi nel momento in cui la Cina dovesse sfidare il ruolo, autoproclamato, di garante della sicurezza nella regione da parte di Mosca. Fino a questo momento la Cina ha attentamente evitato qualunque mossa in tal senso, rifugiandosi sotto il cappello dell'Or­ ganizzazione per la cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Or­ ganization,

sco), che ha fornito una piattaforma per le esercitazioni militari

congiunte tra cinesi e russi. Tuttavia, la crescente presenza commerciale cine­ se in Asia centrale ha cominciato a prefigurare un'evoluzione nell'atteggia­ mento di Pechino. Le risorse naturali possedute dalle Repubbliche centro­ asiatiche sono particolarmente importanti per la sicurezza energetica della Cina, così come lo è la crescita potenziale dell'estremismo islamico. Pechino, quindi, potrebbe prendere in considerazione l'ipotesi di proteggere più in­ tensamente i propri interessi economici nella regione. Anche i progetti infra­ strutturali e gli investimenti legati allo sviluppo dell' OBOR contribuiscono a fornire un'altra ragione perché la Cina possa giocare un ruolo più attivo dal punto di vista della protezione dei propri interessi. Tradizionalmente, Pechino è sempre stata soddisfatta dalla divisione dei compiti che aveva stabilito con Mosca in riferimento alla regione cen­ troasiatica; il tentativo di forgiare legami bilaterali con quei paesi in ambi­ to di sicurezza è stato costantemente considerato come controproducente, visto che ciò avrebbe potuto minare i legami con il Cremlino o, alternati­ vamente, essere percepito con sospetto dalle capitali centroasiatiche. Ciò sta lentamente cambiando, dato che Pechino è diventata maggiormente sospettosa dell'imprevedibilità di Mosca, e la Russia, da parte sua, vuole mantenere inalterato il proprio livello di investimento e le sue installazioni militari nella regione. La discussione interna sul ruolo che la Cina potrebbe giocare in ambito di sicurezza non si è ancora pienamente sviluppata: nell'opinione di alcuni studiosi cinesi, comunque, alcune ipotesi si stanno facendo largo, come quel-

12. I RAPPORTI

SINO-RUSSI DOPO LA CRISI UCRAINA

la relativa al trasferimento di alcune organizzazioni militari private o all'al­ laccio di rapporti diretti con le forze armate regionali. In questo senso, degna di nota è la visita, nel marzo 20I6, di Fang Fenghui -l'allora capo dello staff generale dell'Esercito popolare di liberazione e membro della Commissione militare centrale -in Tajikistan e Afghanistan, alfine di discutere di possibi­ li legami militari bilaterali con ambedue le nazioni, così come del lancio del nuovo Meccanismo quadrilaterale di coordinamento e cooperazione contro il terrorismo con finalità di condivisione delle operazioni di intelligence e di consultazione tra Pechino, Dusanbe, Kabul e Islamabad2'. Questi sviluppi hanno provocato una certa ansia a Mosca: alcuni analisti hanno, infatti, sug­ gerito che queste mosse siano preparatorie di un tentativo di creare un qua­ dro di sicurezza alternativo nella regione, spingendo i russi in un angolo22• Sebbene Mosca si dichiari tranquilla, quanto meno nei suoi proclami uf­ ficiali, i passi graduali che Pechino sta compiendo verso una maggiore inte­ grazione con le Repubbliche centroasiatiche potrebbe contribuire a erodere la fragilefiducia che si è creata tra i due paesi.

12.6

Una relazione asimmetrica Nel periodo successivo alla visita di Putin a Shanghai del maggio 20I4, le speranze russe di trovare nella Cina una valida alternativa ai mercati euro­ pei sono state fortemente ridimensionate. Il commercio bilaterale, a causa del continuo declino dell'economia russa e della svalutazione del rublo, è diminuito sensibilmente negli ultimi anni. Molte delle iniziative sino-rus­ se, lanciate con estremo clamore, sono rimaste esclusivamente sulla carta, e i principali istituti bancari cinesi hanno sorpreso Mosca aderendo rigoro­ samente alle sanzioni occidentali. Una crescente disillusione nei confronti del pivot russo verso la Cina ha cominciato a emergere nell'opinione pubblica russa. La stessa cosa si può dire di quella cinese, dato che gli uomini d'affari di Pechino hanno preso a lamentarsi diffusamente dell'arroganza e dell'incapacità russa di cogliere l'opportunità di aprirsi alla Repubblica popolare. 21. Cfr. https :lleurasianet.orglafghanistan-china-pakistan-tajikistan-deepen-anti­ terror-ties. 22. Cfr. https :l ljamestown.orglprogramlbeijing-encroaching-moscows-military-do­ minance-tajikistanl.

199

MASSIMILIANO TRENTIN

Nonostante le difficoltà, comunque, Mosca e Pechino continuano a es­ sere prossimi. Le condizioni fondamentali favorenti l'avvicinamento erano presenti già precedentemente alla crisi ucraina. Queste includono la com­ plementarietà e la progressiva interdipendenza delle reciproche economie; l'impegno condiviso a mantenere inalterati i sistemi politici autoritari e a limitare qualunque influenza straniera, così come la difesa reciproca dei principi di sovranità e non interferenza. La biunivoca diffidenza tra le élite di entrambi i paesi, particolarmente dal lato russo, e l'atteggiamento ambi­ valente che molti nutrono nei confronti dell'Occidente in ambedue i paesi hanno però determinato per molti anni solo impercettibili miglioramen­ ti nelle relazioni, nonostante i molteplici interessi in comune. Allo stato attuale, comunque, l'ottimo rapporto personale che lega i due leader e le sanzioni occidentali, percepite come inique, hanno rafforzato le relazioni portandole a un livello più alto di quanto non fosse precedentemente. Ciononostante, è difficile non notare il livello di diseguaglianza tra i due partner. Il rapporto, infatti, sta spostandosi verso una sostanziale interdipendenza asimmetrica, in cui Pechino gioca un ruolo preponde­ rante. L'elemento di maggiore novità, tuttavia, è tale per cui questo sbi­ lanciamento in favore di Pechino non è più un elemento ostativo nella collaborazione. La Russia deve fronteggiare l'allontanamento dell'Occi­ dente, che impatta direttamente la possibilità che Mosca costruisca rela­ zioni continuative e stabili con gli alleati asiatici degli Stati Uniti come Giappone e Corea del Sud. Alla Russia manca la volontà politica di mo­ dernizzare la propria economia e le istituzioni, dato che ciò rischierebbe di minacciare i pilastri dell'attuale governance e i suoi interessi. In quel contesto, Mosca potrebbe trovarsi maggiormente a suo agio con la Cina come partner privilegiato, dal momento che questa non avrebbe proble­ mi ad accettare la Russia per quello che è: Pechino, infatti, difficilmente giungerebbe a criticare la Russia in materia di scarsa propensione alle ri­ forme economiche o di violare le regole basilari della democrazia. In cam­ bio, la Russia potrebbe diventare più accomodante sulla possibilità di una più intensa cooperazione commerciale con Pechino.

Letture consigliate J. 1., LO B. (eds.) (2018), Sino-Russian Relations in the 2ISt Century, Palgrave Macmillan, Cham.

BEKKEVOLD

200

12. I RAPPORTI SINO-RUSSI DOPO LA CRISI BELLACQUAJ.

( ed. ) (2010),

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TheFuture ofChina-RussiaRelations, The University

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201

13

Vicini e distanti. Cina e Russia in Medio Oriente e Nord Africa di Massimiliano Trentin*

13·1

Introduzione All'indomani della fine della guerra fredda, negli anni Novanta del xx seco­ lo, Cina e Russia si trovarono in posizioni nettamente differenti nei confronti della regione del Medio Oriente e Nord Africa (Middle East and North Afri­ ca,

) a causa della diversa disponibilità di risorse naturali, così come dei

MENA

diversi percorsi di sviluppo economico e di relazioni internazionali intrapresi in quel momento storico. Tuttavia, nel corso del primo decennio del XXI se­ colo, la crescita economica e l'integrazione sempre più accentuata nelle rela­ zioni internazionali portarono i due paesi a impegnarsi in modo sistematico nella regione MENA, tanto dal punto di vista economico, tramite commercio e investimenti, quanto dal punto di vista politico, tramite la diplomazia e, in al­ cuni casi, anche l'intervento militare. Dal canto loro, molti dei dirigenti locali hanno accolto con favore la rinnovata presenza cinese e russa perché questa permette loro di diversificare e bilanciare le rispettive relazioni internazionali a fronte dei partner e rivali europei, statunitensi o della stessa regione. Il capitolo analizza le trasformazioni delle relazioni internazionali, economiche e politiche, di Cina e Russia in Medio Oriente e Nord Africa, mettendone in evidenza i tratti comuni così come le differenze dalla fine della guerra fredda a oggi.

13.2

Economia: le differenze che fanno la differenza I fattori per cui la regione del Medio Oriente e Nord Africa ha svolto da

sempre un ruolo di grande importanza nelle relazioni economiche internaProfessore associato di Storia e istituzioni dell'Asia occidentale all'Università di Bologna. *

MASSIMILIANO TRENTIN

zionali sono la sua centralità nei flussi commerciali che legano le grandi aree economiche del mondo, Europa e Asia in particolare, e la presenza delle più grandi riserve al mondo di idrocarburi. Per secoli le merci prodotte rispetti­ vamente in Asia meridionale e orientale o in Europa vennero scambiate at­ traverso l' intermediazione commerciale e finanziaria di mercanti, istituzioni e governanti musulmani e, quando le potenze europee riuscirono a gestire direttamente i flussi di merci, capitali e persone, in epoca coloniale e contem­ poranea, dovettero comunque attraversare gli spazi fisici e sociali del Medio Oriente, e del Nord Africa per i flussi diretti in Mrica subsahariana. L'uti­ lizzo del petrolio come carburante dello sviluppo industriale del Novecento accentuò l'importanza strategica della regione, perché qui si trovano ancora le più grandi riserve di idrocarburi a oggi sfruttabili con le tecnologie a di­ sposizione. Il Medio Oriente e il Nord Africa sono un'area che si caratterizza per la profonda integrazione sociale e culturale senza però che si sia sviluppato un regionalismo, ossia un'integrazione delle istituzioni di governo e di parteci­ pazione politica. I processi di globalizzazione, in realtà, hanno approfondito le differenze regionali: poli di ricchezza e sviluppo come l'area del Golfo o le città costiere del Mediterraneo contrastano con la marginalizzazione econo­ mica e sociale di aree periferiche come le zone rurali o urbane dell'interno dei diversi paesi. Infine, sempre dal punto di vista economico, la regione si contraddistingue per essere una delle meno integrate al proprio interno e, vi­ ceversa, una delle più integrate con le reti economiche esterne all'area MENA, come l'Unione Europea

( uE) o i mercati globali dell'energia, finanza e armi'.

La Cina e la Russia sono intervenute in questo contesto, cogliendone tutte le opportunità economiche. In particolare, sono entrate nei merca­ ti del Medio Oriente e del Nord Africa a partire dalle rispettive posizioni di produttore ( Russia) e consumatore ( Cina) di idrocarburi, poiché il pe­ trolio greggio, e le industrie e servizi ad esso legati, sono la merce che ha rappresentato la base di lancio per nuovi investimenti in altri settori. Vi­ ceversa, i partner locali nei paesi arabi, Turchia, Iran e Israele, hanno col­ to a piene mani l'arrivo, o il ritorno, di nuovi partner per entrare in nuovi mercati e diversificare così le proprie relazioni economiche, da sempre con­ traddistinte dalla prevalenza dei rapporti con l'Europa e gli

USA.

Episodi

di concorrenza tra Cina e Russia si sono verificati in occasioni specifiche r.

(cfr.

Si veda la banca dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) .sipri.org).

www

13.

VICINI E DISTANTI

senza però trasformarsi in rivalità o conflitti che intaccassero la convergen­ za e collaborazione di base dei due paesi nella regione. I3.2.I. LA CINA NELLE ECONOMIE DEL MEDIO ORIENTE E DEL NORD AFRICA

Fino al 20I7 i dirigenti della Repubblica popolare cinese hanno concen­ trato i propri interventi nella regione sul campo economico, anzitutto sulla stabilità dei flussi energetici e sull'espansione degli investimenti,

(CA­

secondo i programmi del China-Arab States Cooperation Forum SCF

)

del 2004 e lo Strategie Dialogue tra Pechino e il Gulf Cooperati on

Council

( Gcc )

del 2o10. Dal I993, infatti, la Cina è un consumatore net­

to di idrocarburi ( petrolio e derivati, gas naturale ) e dal 2014 importa dalla regione il SI% del proprio fabbisogno, mentre dal 2013 è diventata il primo importatore per tutta l'area del Golfo. Non sorprende allora che la bilancia commerciale tra la Cina e la regione abbia registrato: un sur­ plus tra 1 e 2 miliardi

uso

negli anni Novanta, segnati dai prezzi bassi del

petrolio; un deficit di 3 miliardi

USD

nel periodo tra 200I e 2014, caratte­

rizzato dai prezzi alti; e un nuovo surplus di quasi 30 miliardi

uso

dopo

il crollo del prezzo del barile nel 2014,. I partner economici principali di Pechino sono tutti esportatori di idrocarburi, con Arabia Saudita e Iran al primo posto. In tutti i casi, si è registrata la moltiplicazione del valore totale dell'interscambio economi­ co dagli anni Novanta ai primi due decenni del

XXI

secolo. Ad esempio,

le esportazioni cinesi in Arabia Saudita sono passate da 1,7 miliardi

USD

nel 1992 a 2I,6 miliardi nel 2016, mentre le importazioni sono balzate da appena 127 milioni

uso

a 30 miliardi

uso

negli stessi anni. L'imer­

scambio con l'Iran ha seguito un andamento simile sebbene per circa la metà del valore. Tuttavia, l'Iran gode di una vantaggio strategico: ossia, essere un perno fondamentale della grande iniziativa cinese della New

Silk Road, che garantisce i flussi economici via terra tra Pechino, il Gol­ fo e il Mediterraneo, e dunque l'accesso cinese a tutti i mercati coinvolti. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono, invece, i principali partner energetici e logistici del GCC. Egitto e Turchia sono due paesi importanti in quanto grandi mercati di consumo in espansione e per gli investimenti nelle infrastrutture logistiche che danno sulla via marittima del Canale 2.

Si vedano le banche dati del IMF (International Monetary Fund-Direction ofTrade

Statistics) (cfr. https:// discover.ukdataservice.ac.uk/ doilimfdots).

205

MASS1M1LIANO TRENT1N

di Suez e quella terrestre della New Silk Road. Anche in questi casi il va­ lore delle esportazioni cinesi è decuplicato tra il 1992 e il 2015, da 174 e 69 milioni miliardi

USD

USD

nel 1992 rispettivamente per Egitto e Turchia, a 12 e 18,6

nel2016 .

Per bilanciare le grandi importazioni di idrocarburi dalla regione, la Cina ha dovuto sostenere e promuovere le proprie esportazione in Me­ dio Oriente e Nord Africa. Negli anni Novanta, la Cina ha venduto es­ senzialmente prodotti di consumo e manifatturieri, così come prodot­ ti intermedi dell'industria leggera, tessili, abbigliamento, macchinari e automobili. Negli anni Duemila, invece, le compagnie energetiche di Stato cinesi ( Sinopec, PetroChina, Chinese Offshore Overseas Oil Cor­

poration) hanno investito in modo sistematico nell'industria petrolife­

ra dell'Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti, dell'Iran e dell'Iraq. Molto rilevanti sono stati gli investimenti nelle infrastrutture logistiche della regione, che hanno contibuito per un terzo allo sviluppo dei porti nell'area del Mediterraneo tra ilwo8 e il2014: da Alessandria e Suez in Egitto a Tangeri in Marocco, che integrano la presenza cinese nei porti di Grecia e Italia, all'area del Golfo in Iran, Oman ed Emirati Arabi Uniti. Nel 2013, l'avvio dei grandi programmi di investimento della New

Silk Road e della 2ISt Century Maritime Silk Road, meglio conosciuti come One Belt, One Road, hanno consolidato ulteriormente la presenza economica cinese in tutti i mercati coinvolti, la cui crescita è diventata un obiettivo importante di per sé e non solo in funzione del transito verso i mercati europei. Il China's Arab Policy Paper del gennaio 2016 offre il quadro ufficiale della politica di Pechino nella regione secondo la formu­ la "1+2+3": la cooperazione nel settore energetico come base, infrastrut­ ture e commercio come le due ali, e i tre nuovi spazi di sviluppo dell'ener­ gia nucleare, dell'aeronautica spaziale e delle nuove energie. A fronte di questi processi, tanto i dirigenti quanto le popolazioni MENA

hanno sviluppato delle considerazioni positive nei confronti della

Cina. Da un lato, le élite economiche sono diventate diffidenti rispet­ to al nesso tra liberalizzazioni economiche e democratizzazione promos­ so da Unione Europea e

USA,

perché questo rischia di compromettere

le proprie posizioni di privilegio. Dali'altro, la popolazione a rischio di marginalità si è opposta alle politiche economiche neoliberiste promosse anch'esse dai paesi occidentali poiché ritenute una delle cause del proprio impoverimento materiale e sociale. Pechino, allora, ha cercato di presen­ tarsi come una parziale alternativa, capace di coniugare l'economia di mercato con l'intervento diretto dello Stato nei settori considerati stra206

13·

VICINI E DISTANTI

tegici per lo sviluppo e la stabilità sociale. Sebbene molto di questo sia frutto di percezioni superficiali e di propaganda, rimane il fatto che la Cina si presenta e viene considerata come un partner indipendente e col­ laborativo nella regione

MENA .

13.2.2. LA RUSSIA NELLE ECONOMIE DEL MEDIO ORIENTE E DEL NORD AFRICA

Dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel I99I, la Russia si ritirò dai mercati del Medio Oriente e Nord Africa, mantenendo una presenza minima solo in quei paesi con cui aveva rapporti politici più consolidati, come Algeria e Siria, o di diretta vicinanza come Turchia e Iran. Tuttavia, nel corso degli anni Duemila, la Russia è rientrata nei mercati regionali, in particolare nei quattro settori dell'energia, della tecnologia militare, del turismo e dell' in­ dustria alimentare. La Russia, infatti, è un importatore netto di prodotti alimentari, lavorati e non, mentre è un esportatore netto in tutti gli altri tre settori, registrando surplus notevoli nella bilancia commerciale: dai I47 milioni

USD

nel I992 ai I2 miliardi

uso

nel 2015. I partner economici più

importanti sono Turchia, Iran, Iraq, Israele, Emirati Arabi Uniti, seguiti poi da Siria, Egitto, Algeria e Arabia Saudita. In qualità di grande produttore ed esportatore di idrocarburi a livello mondiale, la Russia è presente nei mercati regionali tramite la fornitura di impianti e tecnologia per l'esplorazione, l'estrazione, la raffinazione e il tra­ sporto di petrolio greggio e gas naturale. In queste attività ha rinnovato ed espanso la presenza già consolidata ai tempi dell' URSS in Algeria, Siria e nella Libia di Gheddafi, mentre ha ripreso quota in Iraq, prima dell'occupazione USA

del 2003 e più recentemente dopo il 2015. Mosca ha sviluppato, invece,

nuove relazioni con le monarchie arabe del Golfo soprattutto dopo ilwoo. La Russia si trova, di principio, in una posizione di concorrenza rispetto ai partner della regione

MENA.

Tuttavia, ha cercato di costruire rapporti di

collaborazione basati sulla stabilità dei prezzi dell'energia e il libero accesso ai paesi consumatori, in modo da favorire uno sviluppo programmato delle rispettive economie. In questo quadro, collaborazione e rivalità si affiancano nelle politiche di Mosca. Nel caso dell'Iran, la Russia partecipa al dibattu­ to programma di sviluppo dell'energia nucleare per uso civile come segno dell' interesse strategico per le buone relazioni di "vicinato': mentre controlla con attenzione i tentativi di Teheran, come del Qatar, di incrementare l'ac­ cesso del proprio gas naturale all'Europa attraverso il Mediterraneo. Mosca cerca, infatti, di difendere la propria posizione predominante nei mercati

207

MASS1M1LIANO TRENT1N

dell'Unione Europea, che invece desidera una maggiore diversificazione del­ le importazioni. Tuttavia, le proposte russe di coordinamento permanente tra gli esportatori di gas naturale non hanno trovato finora riscontro positivo nei paesi MENA. Considerazioni simili valgono per il petrolio, dove i tentati­ vi di coordinamento con l'Arabia Saudita scontano le diversità di posizioni in merito a temi più prettamente politici come il conflitto in Siria o la riva­ lità con l'Iran. Ciononostante, le difficoltà economiche riscontrate dopo il crollo dei prezzi del greggio nel 2014 hanno portato Ryad a negoziare con Mosca politiche di maggiore stabilità dei prezzi: strategie che riconoscono nello Stato un attore fondamentale nel plasmare i "mercati" secondo le pro­ prie esigenze di sviluppo. Il ritorno della Russia nelle economie del Medio Oriente, e in minor quota del Nord Africa, è stato ben accolto dai dirigenti statali e privati del­ la regione in quanto ulteriore elemento di diversificazione delle relazioni economiche internazionali. Tuttavia, la centralità dell'energia e delle isti­ tuzioni statali hanno reso questi rapporti vulnerabili a fattori politici, co­ me le rivolte arabe del2011 , ed energetici, come il crollo del prezzo del pe­ trolio nel2014. A causa delle dispute sul conflitto in Siria, l' interscambio commerciale e finanziario tra Mosca e i membri del

GCC

è diminuito di

un terzo dal2013 al2o16, mentre il sostegno al governo a guida militare in Egitto ha portato a un boom delle relazioni economiche dopo il 2013. La divergenza tra Russia e Turchia in Siria ha fatto crollare l'interscambio tra il2012e il2o16 per poi riprendere quota a seguito della collaborazione nel teatro siriano. In tutti questi casi, la flessibilità e la spregiudicatezza di Mo­ sca nel combinare politica di potenza e mediazione diplomatica ha garan­ tito l'accesso ai mercati della regione e ha permesso di contenere l'impatto economico delle dispute politiche al breve periodo.

13·3

La politica internazionale: diplomazia e istituzioni Il Medio Oriente e il Nord Africa hanno offerto numerose opportunità di proiezione strategica per la Russia e la Cina in termini di risorse, partena­ riati e alleanze ma, al contempo, la

MENA

rappresenta una delle aree più

difficili in cui impegnarsi politicamente. La pluralità dei legami transna­ zionali rende quest'area "regione" integrata per culture, migrazioni e isti­ tuzioni politiche che, però, sconta l'inefficacia di meccanismi permanen­ ti di coordinamento, esacerbando così competizione e rivalità secondo i

208

13·

VICINI

E

DISTANTI

principi e le strategie del realismo: equilibrio di potenza e alleanze tattiche

a scopo ami-egemonico si combinano con la permeabilità della sovranità

statuale ad opera delle affiliazioni confessionali, linguistiche e "tribali". Sia Pechino che Mosca sono pienamente consapevoli della complessità della politica regionale e si sono mosse con estrema cautela, cercando il consenso multilaterale o almeno bilaterale per ogni singolo intervento. Le differenze principali nelle politiche di Cina e Russia nascono dalla

diversa prossimità geografica e storica rispetto al Medio Oriente e al Nord Africa. Per la Cina, nonostante la globalizzazione, la regione rimane rela­ tivamente distante, tanto da essere posta nel "terzo" circolo della politica

estera di Pechino. Per la Russia, invece, il Medio Oriente è un'area di "vici­ nato': ai confini del Mar Nero e del Caucaso, e legata ai propri cittadini da elementi transnazionali come l' islam, le Chiese cristiane ortodosse e le reti di conoscenze ereditate dall'epoca socialista e internazionalista. Cionono­ stante, nel corso degli anni Duemila i due paesi hanno convenuto su alcu­

ni principi e strategie: la promozione di un mondo multipolare in cui un ordine gerarchico di potenza governa la globalizzazione economica; il pri­ mato delle istituzioni statuali per la legittimità politica, interna ed estera; il primato delle relazioni bilaterali tra Stati sovrani per i temi della sicurez­ za e di quelle multilaterali per i temi economici. Ne sono derivati il rifiuto di qualsivoglia intervento di

regime change, e la diffidenza nei confronti di

"interventi umanitari" dopo le esperienze del Kosovo nel I999, dell'Iraq

nel 2003 e della Libia nel 2011; la repressione contro ogni forma di islam politico militante; la predilezione per i rapporti con le istituzioni militari nella regione, considerate come baluardi di stabilità politica. Tale conver­

genza venne testata dapprima in Asia centrale negli anni Novanta, e istitu­ zionalizzata nella Shangai Cooperation Organization (sco). Nel corso de­

gli anni Duemila, mano a mano che i dirigenti cinesi e russi considerarono gli interventi della NATO come ostili nei loro confronti, Pechino e Mosca

intrapresero una divisione del lavoro defacto: la Russia in prima linea nelle iniziative diplomatiche e di sicurezza e la Cina a suo sostegno nelle relazio­ ni bilaterali e nelle istituzioni intergovernative.

I dirigenti dei paesi MENA hanno sfruttato il ritorno politico della Cina e soprattutto della Russia nella regione con lo scopo di bilanciare, contene­

re o resistere alle politiche e agli interventi diretti dei paesi europei e degli Stati Uniti d'America. Tuttavia, a differenza dell'epoca della guerra fredda,

hanno scontato maggiori difficoltà nel trainare i due paesi all' interno del­

le rivalità regionali poiché sia Pechino sia Mosca hanno dimostrato finora un buon livello di autonomia decisionale rispetto ai propri partner locali.

209

MASSIMILIANO TRENTIN

A livello politico e strategico, molte delle azioni di Cina e Russia nella re­

gione dipendono dai rapporti con gli Stati Uniti d'America. Infatti, per mol­ ti versi, il Medio Oriente e il Nord Mrica costituiscono uno spazio di prova delle relazioni con Washington, tanto in senso di cooperazione quanto di ri­

valità. Mosca e Pechino si opposero agli interventi unilaterali in Iraq nel2013,

in Libia nel2o11 e in Siria dopo il2012, ossia ogni volta che i propri interessi strategici furono considerati a repentaglio. Per dimostrare la loro importan­

za, Pechino e Mosca offrirono comunque il proprio appoggio a Washington nelle fasi iniziali della Globalrfar on Terror in Afghanistan, contro le forma­ zioni j ihadiste transnazionali; la Cina offrì sostegno economico agli USA nel­ la fallimentare ricostruzione economica dell'Iraq post-2003, mentre la Rus­

sia aiutò gli USA nello smantellamento dell'arsenale chimico-biologico della

Siria nell'estate-autunno del2013. In generale, la cooperazione tra Pechino e Mosca si è sviluppata e approfondita in concomitanza con il disimpegno par­ ziale degli USA dalla regione, in modo da garantire i rispettivi interessi a fron­

te dell'incapacità di governo statunitense e delle crescenti rivalità tra potenze

regionali. I due paesi si presentano come agenti della stabilità politica, della legittimità dello Stato e del pragmatismo negoziale, scontrandosi certamente con le forze più liberali delle rivolte arabe del 2011 ma riscontrando i favori delle successive controffensive conservatrici del2013. 13·3.1.

LA CINA E IL

" " LUSSO DELLA DISTANZA

La Repubblica popolare cinese non è mai stata un soggetto politico di gran­

de rilevanza in Medio Oriente e Nord Africa e il suo impegno risponde alle priorità di politica interna stabilite dal Partito comunista cinese: ossia, lo svi­

luppo economico e la stabilità politica. Ciononostante, come dichiarato nel

China's Arab Policy Paper del2o16, l'eredità politica della prima epoca post­ coloniale, nella sua difesa della sovranità statuale e del non allineamento, ri­ mangono ancora oggi i principi delle relazioni sino-arabe, turche e iraniane. Al contempo, però, la crescita del ruolo di Pechino nelle relazioni internazio­ nali viene promossa, e accolta, facendo anche riferimenti alla grandezza delle "civiltà" cinesi, persiane, islamiche e arabe, di cui gli Stati attualmente esisten­ ti ne sarebbero gli eredi, nel tentativo di rafforzarne la legittimità.

Dagli anni Ottanta del xx secolo, Pechino avviò i primi rapporti con i paesi arabi del Golfo e nei confronti de gli altri partner nazionalisti-pro­ gressisti adottò una posizione di rigorosa neutralità e non intervento. Ne­ gli anni Novanta e Duemila, le preoccupazioni per la presenza di gruppi salafiti-j ihadisti nelle regioni occidentali dello Xinj iang e in Asia centrale

210

13·

VICINI E

DISTANTI

spinsero Pechino a collaborare con la Russia nella sco, a sostenere la Glo­ ball#zr on Terror degli USA nel w o I e più recentemente a impegnarsi nella lotta contro l'organizzazione dello Stato islamico. Nel corso degli anni Ot­ tanta e Novanta, Pechino fece affidamento sul ruolo militare e diplomati­ co degli USA per sviluppare i rapporti economici in Medio Oriente e Nord Africa, senza dunque doversi impegnare in costosi e rischiosi interventi di­ retti. Il parziale disimpegno statunitense con il Pivot to Asia (wu-12) e i conflitti nella regione portarono allora Pechino a cooperare con Mosca affidandogli gli interventi diretti a garanzia dei propri interessi economici. Per quanto riguarda il commercio di armi, la Cina svolge ancora un ruo­ lo minore. Tra il I950 e il20I5 il valore totale delle esportazioni cinesi di armi ammonta a I3 miliardi USD, ossia una percentuale assai più bassa di quella russa o dei paesiNATO. I principali acquirenti sonoIran e Algeria, mentre du­ rante gli anniNovanta, Pechino ha comprato tecnologia militare per dro ni da Israele per 350 milioni USD, provocando la reazione negativa diWashington. In merito ai numerosi conflitti nella regione, il governo cinese si è aste­ nuto dal prendere una chiara posizione. Se dagli anni Cinquanta sosteneva le formazioni palestinesi nel loro diritto all'autodeterminazione e statualità nei confini pre-I967, e ha invitato Hamas a Pechino nel 2006 dopo la sua vittoria elettorale, negli anni Novanta ha stretto ottimi rapporti con Israe­ le e fatto affidamento alle mediazioni statunitensi. Nella rivalità tra Arabia Saudita e Iran, Pechino ha sostenuto il diritto di Teheran allo sviluppo del nucleare civile e ha aperto un canale di cooperazione "di sicurezza e difesà' come deterrente agli attacchi unilaterali di USA o Israele; inoltre, siè opposta alle sanzioni internazionali in quanto lesive dei propri investimenti nel paese. Tuttavia, Pechino ha condannato ogni azione o dichiarazione a carattere ege­ monico o conflittuale intrapresa dalle parti in causa. Ciononostante, la me­ diazione offerta dal presidente cinese XiJinping nel 2016 venne rifiutata sia da Teheran sia da Ryad, che ritengono Pechino ancora un partner strategico per l'economia ma non per la sicurezza dell'area. Infine, ostile come la Russia ali' intervento dellaNATO inLibia nel2ou, Pechino sostiene risolutamente la politica di intervento e mediazione di Mosca in Siria, dunque di sostegno al governo del presidenteBashar al-Assad, con la garanzia di assumere un ruolo primario nella futura ricostruzione materiale del paese. I3·3·2·

LA RUSSIA, DAL RITIRO AL NUOVO INTERVENTISMO

In occasione della Security Conference del 2007 a Monaco di Baviera, il presidente russo Vladimir Putin non risparmiò aspre critiche alle politi21 I

MASS1M1LIANO TRENT1N

che di intervento dei paesi

NATO

e da allora le posizioni di Mosca in Me­

dio Oriente e Nord Africa si sono spesso scontrate con quelle statunitensi. Se la retorica da "nuova guerra fredda" è spesso utilizzata da tutte le parti in causa per costruire consenso politico, un'analisi più attenta delle azioni del Cremlino dimostra come Mosca adotti politiche di stampo neoreali­ sta dagli obiettivi ben più limitati rispetto all'Unione Sovietica. In Medio Oriente e Nord Africa questo approccio si è tradotto nella difesa della le­ gittimità e della sovranità statuale contro i movimenti transnazionali, nella conquista di posizioni di mercato in tutti i paesi della regione e nella pro­ mozione della Russia come partner più affidabile dal punto di vista politi­ co rispetto ai paesi della

NATO.

I dirigenti russi considerano il Medio Oriente, e in seconda battuta il Nord Africa, come un'area di vicinato i cui sviluppi politici hanno un im­ patto diretto all'interno della Russia: oltre un quarto della popolazione dell'allora Impero zarista, poi URSS e ora Federazione Russa è composta da cittadini musulmani, in maggior parte di confessione sunnita; Mosca si è sempre proclamata come protettrice delle Chiese cristiane ortodosse nella regione; dopo il 1991 gode di forti legami con la popolazione ebraica di ori­ gine russa in Israele. Se questi canali hanno permesso a Mosca di espandere le proprie reti di conoscenza e di affari, hanno anche permesso a forze po­ litiche ostili di muoversi agevolmente in Russia, come nel caso delle forze salafìte-jihadiste nelle guerre del Caucaso degli anni Novanta e Duemila. Al fine di contenere le critiche per le sue campagne militari, i dirigenti mo­ scoviti hanno cooptato le autorità islamiche della Federazione nel discorso patriottico, così come dal

2005 Mosca è riuscita a partecipare come mem­

bro osservatore all'Organizzazione della Conferenza islamica. Il livello di impegno russo nei diversi paesi della regione dipende essen­ zialmente dalla loro vicinanza geografica ai confini della Federazione. Le relazioni con i vicini della Turchia e dell'Iran seguono una lunga storia di cooperazione e conflitto: la vicinanza geografica e sociale si combina con l'autonomia politica per dare vita a partenariati tattici tra dirigenti di pae­ si che condividono un passato e una cultura imperiale, la predilezione per modernizzazioni top-down a guida statale ed esperienze rivoluzionarie nel caso russo e iraniano. Dopo la guerra fredda i rapporti migliorarono sulla base del rispetto della sovranità, del bilateralismo e dell' interdipendenza economica. Infatti, le relazioni di Mosca con i due paesi sono sopravvissute a diverse crisi, in particolare quella siriana

(20u-18):

il conflitto, infatti, ha

approfondito la collaborazione con Teheran senza però tradursi in un'allean­ za strategica, mentre le divergenze con Ankara non sono mai sfociate in un

212

13·

VICINI

E DISTANTI

conflitto armato a tutto campo. In ogni caso, le relazioni tra la Russia e i due paesi sono aumentate ogni qual volta Turchia e Iran hanno incontrato difficoltà nei rapporti con l'Europa e gli Stati Uniti d'America, dimostran­ do l'aspetto anche strumentale di queste relazioni. Nei confronti del mondo arabo, le origini del realismo politico e del pragmatismo di Mosca si possono rintracciare nella politica sovietica degli anni Settanta, in cui la disillusione per le prospettive socialiste e progressiste del nazionalismo arabo portò il Cremlino a dare priorità alle relazioni bilate­ rali e interstatali, in cui si privilegiarono i rapporti con le élites militari arabe, sia come interlocutori per l'export militare sovietico sia perché considerate come garanti ultime della legittimità e stabilità statuale. Il ritiro a seguito del crollo dell'uRSS negli anni Novanta fu mitigato da una presenza minima ma costante in Algeria e Siria, a cui seguì un rinnovato impegno nel corso degli anni Duemila in tutta la regione: Mosca si presenta, e viene considerata, co­ me una fonte alternativa di tecnologia militare ed energetica, così come un partner diplomatico e strategico nella politica internazionale a fronte delle pressioni o dei cambiamenti negli USA o nei paesi europei. L'esportazione di tecnologia militare è spesso descritta da Mosca come semplice scambio commerciale, secondo criteri di redditività e non politi­ ci. In effetti, a differenza dell'epoca sovietica, il commercio avviene su base monetaria e secondo chiari criteri di profitto. Tuttavia, la vendita di siste­ mi d'arma complessi per la difesa antiaerea, di missili, aerei, carri armati e mezzi di trasporto implica anche un livello minimo di convergenza po­ litica, che trova riscontro in quei paesi dal passato di non allineamento o dalla crescente autonomia politica, attestati dalla sincronia tra contratti di vendita e accordi diplomatici bilaterali, o dalle tensioni tra USA e partner regionali. Le vendite sono, infatti, aumentate notevolmente in concomi­ tanza con l'annuncio del Pivot to Asia dell'amministrazione USA. Dal 1992. al2.0I5, i principali acquirenti di armi russe sono: l'Algeria con un totale di 8,3 miliardi USD, l'Iran con 3,4, gli Emirati Arabi Uniti e l'Egitto con I,7, la

Siria con I,S e a seguire Iraq e Yemen con I,2. miliardi USD. Se forti sono gli elementi di continuità tra la Russia e l'Unione Sovieti­ ca, altrettanto chiari sono quelli di diversità. In primo luogo, la riapertura e il consolidamento delle relazioni con Israele dopo il I99I oppure l'astensione dal promuovere modelli di sviluppo sociale, economico e politico di portata universale. La centralità dello Stato come motore della vita politica rimane una costante per la Russia del XXI secolo, e la fine dell' internazionalismo so­ cialista ha permesso di superare le diffidenze di molti dirigenti conservatori nella regione. Altro elemento significativo è la promozione di immagini e va-

213

MASS1M1LIANO TRENT1N

lori afferenti alla maschilità, a un patriarcato benevolo e alla connessione tra nazionalismo e identità religiose, che dovrebbero trovare riscontro positivo presso popolazioni che Mosca ritiene essenzialmente conservatrici, sebbene non estremiste, e dunque ostili al liberalismo occidentale. Tuttavia, le crisi politiche seguite alle rivolte arabe del 2011 e soprattutto l'intervento diret­ to in Siria stanno portando Mosca a chiarire le proprie preferenze rispetto a modelli istituzionali e di governo nelle società mediorientali e nordafricane, specialmente arabe. In linea generale permane la preferenza per un governo centrale forte, secondo il modello presidenziale, poiché questo da un lato ga­ rantirebbe la coesione dei gruppi dirigenti che governano società complesse e frammentate e dall'altro offrirebbe un unico interlocutore legittimo per i partner esteri. Tale opzione ha riscontrato l'interesse delle élite del mondo arabo che sono strettamente legate alle forze armate, come in Egitto, Alge­ ria, Siria o Iraq, così come in Turchia. Ciononostante, le dure lezioni apprese in Afghanistan negli anni Ottanta e nel Caucaso negli anni Novanta hanno aumentato la consapevolezza della rilevanza politica della complessità socia­ le, e in particolare delle connessioni tra istituzioni come le comunità "triba­ li", cianiche e confessionali, e quelle più prettamente politiche come partiti, sindacati e Stato, nelle diverse configurazioni urbane e rurali. Da qui nasce l'attenzione della politica russa verso forme di governo decentrato per quan­ to riguarda le questioni di sviluppo economico e sociali, che siano funzionali alle aree post-conflitto. Se dunque l'integrità territoriale dei paesi rimane un punto fermo della politica russa, Mosca ha mostrato ampia flessibilità circa l'articolazione della sovranità e della statualità all'interno dei confini esisten­ ti. In tal modo, si ritiene che le forze più prettamente transnazionali, come l'islam politico radicale, possano essere, se non eliminate, quantomeno con­ tenute nel loro impatto locale.

13·4

Conclusioni A seguito del crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, la Russia perse ogni rilevanza politica ed economica in Medio Oriente e Nord Africa. Tut­ tavia, dagli anni Duemila, il Cremlino ha sostenuto la "ragione di Sta­ to" come principio-guida nelle relazioni con la regione MENA, il primato delle istituzioni statuali e, nel mondo arabo, il ruolo delle forze armate come garanti della stabilità politica e della lotta contro le forze dell'islam politico transnazionale. Questi sono gli elementi caratterizzanti della

214

13· VICINI E DISTANTI

Realpolitik russa, che affonda le proprie radici più recenti nella politica regionale dell'uRSS negli anni Settanta del

xx

secolo. Diversamente, la

Cina è stata la principale protagonista del processo di diversificazione delle economie del Medio Oriente e del Nord Africa verso l'Asia, e in particolare dei flussi di idrocarburi dall'area del Golfo. In cambio, Pechi­ no si è impegnata in una massica campagna di investimenti commerciali, infrastrutturali e finanziari con l'obiettivo di bilanciare le importazioni di energia e, in prospettiva, di prendere parte attiva ai processi di svilup­ po economico della regione. Il ruolo preponderante degli

USA

e della

Russia come re ferenti internazionali della regione ha permesso finora alla Cina di mantenere un basso profilo politico e diplomatico, tale da non compromettere gli interessi economici ed evitare rischiosi interventi di­ retti. A fronte delle trasformazioni sociali che contraddistinguono que­ sta regione, e delle relative crisi politiche, Cina e Russia condividono la diffidenza, se non l'aperta ostilità, nei confronti di molte delle politiche adottate dai paesi della

NATO

e hanno deciso di collaborare dal punto

di visto politico e diplomatico per garantire i propri interessi in Medio Oriente e nel Nord Africa, nel nome della "stabilità" e della "sovranità". In entrambi i casi, i dirigenti politici del Medio Oriente e del Nord Africa hanno accolto con favore il ritorno di Cina e Russia nella regione, poiché il loro impegno economico e politico ha contribuito alla diversifi­ cazione delle rispettive relazioni internazionali soprattutto a partire dagli anni Duemila, ossia da quando più forti sono le tensioni con i paesi europei e soprattutto con gli Stati Uniti d'America: non nascondono, infatti, l'at­ trazione per le diverse combinazioni tra monopolio politico ed economia di mercato di Cina e Russia, che permettonoloro di smarcarsi dal liberali­ smo e liberismo promossi da

USA

e Unione Europea.

Se finora i due paesi non costituiscono un'alternativa radicale alle po­ litiche dei paesi occidentali, offrono comunque una sponda rilevante per le forze politiche più autonome del Medio Oriente e del Nord Africa: motivo sufficiente per mettere in allerta Stati Uniti d'America e Unione Europea, con il rischio di coinvolgere la regione in rivalità di portata internazionale. Come nel caso della guerra fredda nel

xx

secolo, questo potrebbe deter­

minare un'escalation militare così come l'eventualità che siano i partner regionali a coinvolgere e trattenere Cina, Russia,

USA

e Unione Europea in

lunghi conflitti di logoramento. Ciò a dimostrazione che le relazioni inter­ nazionali del Medio Oriente e del Nord Africa non sono semplice espres­ sione di rapporti di potenza materiale ma bensì anche delle diverse capacità di analisi e azione politica. 2.15

MASSIMILIANO TRENTIN

Letture consigliate

( eds. ) (2014), The Middle East's Relations with Asia Roudedge, London. CHAR AP s. (2.014), fs Russia an Outside Power in the Gulf, in T. Dodge, E. Hoka­ yem (eds. ), Middle Eastern Security, the us Pivot and the Rise ojiSIS, Rouded­ ge-nss, London, pp. 185-204. DANNREUTHER R. (2012), Russia and the Middle East: A Cold Jfar Paradigm?, in "Europe-Asia Studies", 64, 3, pp. 543-60. DANNREUTHER R., M AR CH L. (eds. ) (2010), Russia and fslam: State, Society and Radicalism, Roudedge, London-New York. DAVIDSON c. (2.010 ), The Persian Gulfand Pacific Asia: From Indifjèrence to Inter­ dependence, Hurst & Company, London. EMILIANI M. (2012a), Il Medio Oriente. Una storia dal I!JI Sal I!J!JI, Laterza, Roma­ Bari. ID. (2012b), Il Medio Oriente. Una storia dal I!J!JI ad oggi, Laterza, Roma-Bari. HINNEBUSCH R. (2010), La politica internazionale del Medio Oriente, Il Ponte, Bologna. KHALIDI R. (2009 ), Sowing Crisis: The Cold Jfar and American Dominance in the Middle East, Beacon Press, Boston. NEILL A. (2014), China in the Middle East, in T. Dodge, E. Hokayem ( eds. ) , Middle Eastern Security, the us Pivot and the Rise oj iSIS, Roudedge-nss, London, pp. 205-24. SCOBELL A., NADER A. (2.016), China in the Middle East: The Jfary Dragon, Rand Corporation, Santa Monica ( CA ). CARTER H., EHTESHAMI A.

and Russia,

216

14

Africa, sviluppo e sicurezza: il ruolo della Cina di Arrigo Pallotti*

La rapida intensifìcazione dei rapporti politici ed economici tra i paesi dell'Africa subsahariana e "potenze emergenti" come il Brasile, la Russia, l'India e la Cina, che con il Sudafrica formano il gruppo dei BRICS, rappre­ senta una delle principali novità delle relazioni internazionali dell'Africa nella fase successiva alla fine della guerra fredda. L'attivismo delle potenze emergenti in Africa non è sfuggito a studiosi e osservatori, alcuni dei quali hanno parlato di un nuovo scramblejòr Afri­

ca, in analogia con la corsa alla spartizione coloniale del continente che eb­ be luogo tra le potenze europee negli ultimi decenni del XIX secolo. Gli studiosi hanno in particolare soffermato l'attenzione sulla forte crescita, nel corso degli ultimi due decenni, degli scambi commerciali e dei flussi di investimenti tra l'Africa e le potenze emergenti, alla cui base vi è la ricerca da parte di queste ultime sia delle materie prime necessarie a so­ stenere le loro produzioni industriali e a soddisfare l'aumento dei consumi interni, sia di nuovi mercati per le loro imprese di beni e servizi. Le sempre più strette relazioni economiche tra le potenze emergen­ ti e i paesi africani sono state per lo più considerate come un pericolo da parte dei governi occidentali. Quelle che Pedraig Carmody ha definito "vecchie potenze" hanno, infatti, visto non solo minacciate le loro stori­ che sfere di influenza e i loro investimenti in Africa, ma anche messi in discussione gli obiettivi e l'efficacia delle loro politiche di assistenza allo sviluppo a causa dell'intraprendenza commerciale e dei calcoli politici delle potenze emergentP. Questo saggio analizza l'evoluzione storica dei rapporti tra i paesi dell'Africa subsahariana e la Cina e il ruolo svolto da quest'ultima nel con*Professore associato di Storia e istituzioni dell'Africa all'Università di Bologna. r.

P. Carmody,

The New Scramblefor Aftica, Polity Press, Cambridge 2ou. 217

ARRIGO PALLOTTI

testo delle politiche di sviluppo economico e di sicurezza perseguite dai governi del continente alla luce di tre considerazioni. In primo luogo, la letteratura più recente sul tema delle relazioni tra Africa e potenze emergenti (come anche quella sui tentativi di coopera­ zione Sud-Sud ) ha enfatizzato la "novità'' di queste ultime, trascurando di collocarle nella necessaria prospettiva storica. In questo modo, un'atten­ zione insufficiente è stata prestata all'analisi delle continuità nei rapporti tra l'Africa e paesi quali la Cina durante il periodo della guerra fredda e nei decenni successivi, continuità cui fanno costantemente riferimento tanto i governi africani, quanto quelli delle potenze emergenti al fine di legittima­ re gli obiettivi e le pratiche delle loro attuali interazioni. In secondo luogo, come sopra osservato, la gran parte delle analisi si è concentrata a esaminare le relazioni economiche e commerciali tra l'Africa e le potenze emergenti, tralasciando di considerare le ricadute politiche di ta­ li relazioni e la cooperazione nel campo della sicurezza. In questo contesto, l'esame dei rapporti tra Africa e Cina consente di portare in luce una dimen­ sione spesso trascurata nella letteratura sulle relazioni tra Africa e potenze emergenti, dal momento che Pechino ha svolto durante la guerra fredda, e continua a svolgere oggi, un ruolo politico molto rilevante in Mrica. In terzo luogo, l'idea di un nuovo scramblejòr Africa tende a ridurre l'Africa a mera terra di conquista da parte delle nuove potenze emergenti e il ruolo dei governi africani a quello di spettatori passivi nella corsa allo sfruttamento delle risorse naturali del continente'. In realtà, un'analisi più articolata consente di mettere in luce come i governi africani perse­ guano una molteplicità di obiettivi legati a considerazioni politiche ed economiche nelle loro interazioni con le potenze emergenti e, in parti­ colare, con la Cina.

14.1

Indipendenze e guerra fredda Dopo avere criticato le potenze coloniali europee per il rifiuto da esse oppo­ sto al riconoscimento del diritto all'autodeterminazione delle popolazioni africane, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta l'ondata di indipendenze in Africa consentì a Pechino di instaurare rapporti diplomatici con un nume2. M. Power, G. Mohan, M. Tan-Mullins, China 's Resource Diplomacy in Africa: Powe­ ring Development?, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2012, pp. s-6.

2.18

14. AFRICA, SVILUPPO E SICUREZZA: IL RUOLO DELLA CINA

ro crescente di governi africani. La Cina (come l'Unione Sovietica) strinse forti legami con la Guinea (Conakry) che, dopo la vittoria del "no" al refe­ rendum indetto da De Gaulle nel I958, aveva assistito alla brusca interruzio­ ne dei legami di cooperazione economica e militare con la Francia, e instaurò relazioni cordiali con il Ghana di Kwame Nkrumah3• Se da una parte considerazioni legate a quella che Westad ha definito la "guerra fredda globale"4 e alla competizione internazionale con l'Unione Sovietica e con Taiwan contribuirono ad alimentare l'interesse della Cina per gli Stati africaniS, dall'altra questi ultimi consideravano i rapporti con Pe­ chino vantaggiosi da molteplici punti di vista. In primo luogo, gli aiuti allo sviluppo offerti dalla Cina (per quanto, tranne poche eccezioni, di portata limitata rispetto a quelli forniti dai paesi occidentali) rispondevano all'esi­ genza dei governi africani di realizzare in tempi brevi un processo di moder­ nizzazione politica e sociale dei loro paesi6• In secondo luogo, le relazioni con la Cina consentivano ai governi africa­ ni di dare concreta espressione alla politica di non allineamento che la gran parte di essi aveva abbracciato al momento dell'indipendenza. Se, dunque, i processi di decolonizzazione offrirono alla Cina un'oppor­ tunità per estendere la propria influenza in Mrica a scapito delle ex potenze coloniali, la visione ideologica che caratterizzò l'approccio di Pechino al con­ tinente rese tuttavia incerto e difficoltoso durante gli anni Sessanta il con­ solidamento dei rapporti tra la Cina e i governi africani. Questi ultimi, alle prese con complessi processi di costruzione dello Stato e di promozione dello sviluppo economico, vedevano infatti con grande sospetto ogni tentativo di destabilizzarli internamente o di coinvolgerli nelle tensioni della guerra fred­ da. Così, l'affermazione del primo ministro cinese Chou En-Lai, al termine del suo lungo viaggio in Africa a cavallo tra il I963 e il I964, circa l'esistenza di "eccellenti" premesse per la realizzazione di vere e proprie rivoluzioni nel continente suscitò le reazioni negative di gran parte dei governi africani. Anche l'appoggio politico, finanziario e, a volte, militare fornito nei pri­ mi anni Sessanta a gruppi di dissidenti e oppositori interni (in contraddizio3· A. Hutchison, China's African Revolution, Hutchinson, London 1975, pp. 53-9. 4· O. A. Westad, The Global Co/d TVttr. Third World Interventions and the Making oJ

Our Times, Cambridge University Press, Cambridge 2.007. 5· Centrai lntelligence Agency, What the Chinese Communists Are up to in Black Af rica, Secret, CIA-Offìce ofNational Estimates, 2.3 March 1971 (National Archives and Re­ cords Administration, NARA ) . 6. A. Pallotti, Alla ricerca della democrazia. L/l.frica sub-sahariana tra autoritarismo e sviluppo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2.013, pp. 17-2.7.

2.19

ARRIGO PALLOTTI

ne con il principio del rispetto dell' inviolabilità della sovranità statuale cui Pechino aveva vincolato la sua politica estera) incrinò i rapporti tra la Cina e alcuni governi africani, come nei casi di Congo, Burundi e Kenya7• Se da una parte gli insuccessi diplomatici e le difficoltà registrate dalla Ci­ na in Africa (non ultimo a causa delle ripercussioni della Rivoluzione cultu­ rale sulla politica estera cinese) non impedirono ai governi africani di votare a favore del riconoscimento di Pechino come rappresentante della Cina alle Nazioni Unite8, dali' altra il consolidarsi della spaccatura tra Unione Sovietica e Cina ebbe inevitabili ripercussioni sulle relazioni tra quest'ultima e i paesi africani. Se da una parte Pechino enfatizzò la sua diversità politica e ideolo­ gica rispetto all'Unione Sovietica, rivendicando una maggiore affinità storica con i paesi africani e una più marcata convergenza di obiettivi e priorità di po­ litica internazionale con essi a motivo della comune arretratezza economica, dall'altra non esitò, pragmaticamente, a fornire sostegno finanziario e mili­ tare a governi (come quello dello Zaire, con cui dai primi anni Settanta Pe­ chino intensificò le relazioni) e movimenti di liberazione nazionale (come il Frente Nacional de Libertaçao de Angola-FNLA e l'Uniao Nacional para a In­ dependència Total de Angola-UNITA in Angola) sostenuti dagli Stati Uniti9• La politica degli aiuti allo sviluppo divenne, in particolare, terreno di ac­ cesa competizione tra la Cina e l'Unione Sovietica in Africa. Disponendo di scarse risorse finanziarie da trasferire ai paesi africani, durante gli anni Sessan­ ta e Settanta Pechino tentò di sostenere lo sviluppo di questi ultimi attraver­ so la realizzazione di progetti di dimensioni contenute ma di impatto molto significativo, non solo in termini materiali, ma anche, e soprattutto, politici. Così, il governo cinese s'impegnò nella realizzazione di aziende agricole di proprietà statale, in modo da contribuire alla sicurezza alimentare dei pae­ si africani, rimarcando la sua diversità dall'Unione Sovietica, più interessata a finanziare l'attuazione di imponenti progetti industriali e infrastrutturali. Anche la Cina investì alcune risorse nella costruzione di manifatture in Mri­ ca, ma si trattò per lo più di industrie leggere, destinate a produrre beni di consumo per il mercato interno10• 7· B. Larkin, China andA.frica 1949-1970: The Foreign Policy ojthe People's Republic of China, University ofCalifornia Press, Berkeley 1971, pp. 125-47. 8. T he Chinese in Tanzania, Diplomatic Report No. 2.54f7 2., Secret, r Aprilr970 ( The

National Archives-TNA, FCO 3I/r2.95, file IO ) . 9· P. Snow,

The Star Raft: China's Encounter with Africa, Cornell University

lthaca 1988, pp. 12.2.-3. ro.

Press,

Chapman to MacLean, Restricted, 6 February 1974 (TNA, FCO 31lr94I, fìle 2. ) . 2.2.0

14. AFRICA, SVILUPP O E SIC UREZZA: IL RU OLO D ELLA C INA

RIQUADRO 14.1

La Tanzania-Zambia Railway Privo di sbocco al mare, a causa della sua opposizione alla Dichiarazione unila­ terale di indipendenza della Rhodesia del Sud del novembre del

1965, lo Zambia

si trovò nella necessità di cambiare le sue rotte commerciali, così da ridurre la dipendenza dalle ferrovie rhodesiane. Nonostante le perplessità del presidente zambiano Kenneth Kaunda, il rifiuto opposto dai governi di Stati Uniti e Regno Unito alla richiesta di finanziare la costruzione di una ferrovia tra Zambia e Tanzania lasciò strada al governo cinese, la cui offerta di realizzare tale ferrovia godeva del sostegno del presidente tanzaniano Julius Nyerere. L'accordo per la costruzione della Tanzania-Zambia Railway venne siglato nel

1967. I lavori per 1970, coinvolsero tra i 20.ooo e i so.ooo lavoratori cinesi e terminarono nel 1975, due anni prima di quanto previ­ sto. La Cina fornì a Tanzania e Zambia un prestito senza interessi di 160 milioni

la costruzione della ferrovia iniziarono nel

di sterline (ridotto della metà nelwu), che i due paesi avrebbero ripagato in un arco di trent'anni (a partire dal

1983).

Negli ultimi decenni la Cina ha continua­

to a fornire prestiti e aiuti a Zambia e Tanzania per assicurare il funzionamento della ferrovia.

Un'importante eccezione in questo contesto fu rappresentata dalla deci­ sione del governo cinese di finanziare e realizzare la costruzione di una li­ nea ferroviaria della lunghezza di circa

1.8oo chilometri tra Dar es Salaam, sull'oceano Indiano, e lo Zambia (cfr. riquadro 14.1). La costruzione tra il 1970 e il 1975 della Freedom Railway ( irrisa come l"'Instant Railway" dalla stampa sudafricana e chiamata spregiativamente"Bamboo Railway" dagli osservatori statunitensi ) !! svolse un ruolo centrale nella strategia di Pechino volta non solo a vincere la competizione con l'Unione Sovietica in Africa orientalell, ma anche a estendere la sua influenza politica in Afri­

ca australe attraverso il sostegno ai governi di Tanzania e Zambia e, tramite questi, ai movimenti di liberazione nazionale che si contrapponevano ai regimi coloniali e razzisti nella regione3• 11. J. Monson, Aftica 's Freedom Railway: Ho w a Chinese Development Project Changed Lives and Livelihoods in Tanzania, Indiana University Press, Bloomington 2.009. 12.. Airgram ftom Embassy Dar es Salaam to Department oJState, Confìdential, 6 No­

vember 1973 (NARA, Generai Records of the Department of State, subject numeric fìles 1970-73, box 2.616, folder POL 2., 1/I/7o ). 13. Anglo-u.s. Talks on China: The Chinese in Tanzania, East African Department, Secret, November 1970 ( TNA, FCO 31/690, fìle 2.5).

2. 2.1

ARRIGO PALLOTTI

14.2

Il sostegno alle guerre di liberazione nazionale Per Pechino il sostegno politico e militare alle guerre di liberazione na­ zionale in Africa australe si configurò non solo come una sfida allo status

quo politico e all'influenza occidentale nella regione, ma anche come un terreno di competizione con l'Unione Sovietica. Di conseguenza, la Cina si dimostrò disposta a supportare gruppi e movimenti dagli incerti profili ideologici e politici e, in certi casi, dalle ambigue alleanze regionali e internazionali, sulla base di una loro più o meno strumentale identificazione con il modello rivoluzionario cinese. In questo modo, Cina e Unione Sovietica contribuirono a consolidare le divisioni tra i movimenti di liberazione nazionale che lottavano per l'in­ dipendenza di uno stesso paese o, nel caso del Sudafrica, per la fine del regime di apartheid. Così, in Zimbabwe, mentre l'Unione Sovietica fornì aiuti militari alla Zimbabwe African People's Union (ZAPU), la Cina divenne la principale fornitrice di armi e addestramento militare ai guerriglieri della Zimbab­ we African National Union (zANU). Nonostante i ripetuti tentativi dei governi degli Stati della "Linea del fronte" (i paesi dell'Africa australe che lottavano contro i regimi razzisti e coloniali della regione) finalizzati a promuovere l'unità dei movimenti di liberazione, le relazioni tra ZAPU e ZANU rimasero tese quando non apertamente conflittuali fino all'indi­ pendenza (e anche dopo)14• Nel caso del Sudafrica, invece, mentre la lotta armata dell'African National Congress (ANC) contro il regime dell'apartheid ottenne il so­ stegno dell'Unione Sovietica, la Cina scelse di appoggiare il Pan-African Congress. Quest'ultimo, tuttavia, già a metà degli anni Sessanta era en­ trato in una spirale di grave crisi, che lo relegò negli anni successivi a un ruolo marginale tanto a livello diplomatico, quanto sul piano militare. Mentre in Mozambico il Frente de libertaçao de Moçambique (FRE­ LIMO) riuscì a evitare di farsi trascinare nella competizione tra Cina e Unione Sovietica, ottenendo in questo modo aiuti economici e militari da entrambi i paesi tanto durante la guerra per l'indipendenza quanto dopo il conseguimento di quest'ultima, nella guerra di liberazione nazio­ nale dell'Angola la Cina, come sopra accennato, fornì sostegno all'FNLA 14. A. Pallotti, M. Zamponi,

L:Africa sub-sahariana nella politica internazionale, Le

Monnier-Mondadori, Firenze 2010, pp. 120-6.

222

1 4. AFRICA, SVILUPPO E SICUREZZA: IL RUOLO DELLA CINA

e all'uNITA, che si battevano contro il Movimento popularde libertaçao de Angola (MPLA), a sua volta sostenuto dall'Unione Sovietica. Quando però, nell'ottobre del I97S, l'esercito del Sudafrica lanciò un'invasione del territorio angolano per evitare che l'MPLA assumesse le redini del go­ verno nel frangente dell'indipendenza del paese ( fissata per l'n novem­ bre), l'esercito cubano intervenne massicciamente a sostegno dell'MPLA. In tale contesto, all'Unione Sovietica non rimase che supportare l'inter­ vento cubano, mentre la Cina, trovatasi pericolosamente esposta all'ac­ cusa di sostenere la causa sudafricana in Angola, interrompeva la fornitu­ ra di aiuti a FNLA e UNITA11. A dispetto dell'appoggio fornito alla ZANU e della vittoria di quest'ultima alle elezioni che precedettero l'indipendenza dello Zim­ babwe nell'aprile del I98o, non fu alla Cina, ma al Regno Unito e agli Stati Uniti che il governo, presieduto da Robert Mugabe, guardò per consolidare l' indipedenza del paese nel contesto di insicurezza che pre­ valse in Africa australe durante gli anni Ottanta, e per promuovere lo sviluppo del paese. Gli aiuti economici cinesi allo Zimbabwe rimasero modesti durante gli anni Ottanta•6, un segnale non solo della scarsità di risorse finanziarie che, più in generale, Pechino era in grado di destina­ re ali 'Africa, ma anche della riformulazione in atto degli obiettivi della politica cinese di cooperazione allo sviluppo nel contesto del processo di modernizzazione economica del paese, avviato da Deng Xiaoping alla fi­ ne degli anni Settanta. Come, infatti, spiegò nel I982. il primo ministro Zhao Ziyang nel cor­ so di una visita in Tanzania, da allora in avanti la cooperazione cinese con i paesi africani si sarebbe ispirata al principio del "mutuo beneficio". In concreto, ciò significava che gli interventi sostenuti da Pechino avrebbe­ ro dovuto promuovere la crescita economica non solo dei paesi africani, ma anche della stessa Cina•7• In realtà, si sarebbero dovuti attendere gli anni Novanta perché le relazioni economiche e politiche tra la Cina e i paesi africani si intensificassero al punto da spingere alcuni osservatori a parlare di una "offensiva cinese in Africa" •8• 15 . P. Gleijeses,

Conflicting Missions: Havana, TVashington, and Africa, I959-I976, Uni­

versity ofNorth Carolina Press, Cha pel Hill2002 , pp. 238-9 , 330-1 . 16 . I. Taylor,

China and Africa: Engagement and Compromise,

Routledge, London

2006 , p. 121 . 17 . D. Brautigam,

The Dragon 's Gift: The Rea! Story oJ China in Africa, Oxford Uni­

versity Press, Oxford 2009 , p. 54· 18 . P. Richer, L 'offensive chinoise en Afrique, Karthala, Parigi 2008 .

223

ARRIGO PALLOTTI

14·3

Commercio, investimenti, sviluppo La fine della guerra fredda si accompagnò a una relativa perdita di rilevan­ za strategica dell'Africa subsahariana sul piano internazionale. Nei primi anni Novanta fattori quali la scomparsa dell'Unione Sovietica, le difficol­ tà incontrate dai processi di democratizzazione e di riforma economica in Africa, la gravità dei conflitti armati nel continente e, di converso, la cresci­ ta economica registrata dai paesi dell'Asia e dell'America Latina spinsero i governi e gli investitori di Europa e Stati Uniti a rivolgere sempre più la lo­ ro attenzione verso i nuovi mercati emergenti. Così, mentre gli aiuti inter­ nazionali allo sviluppo destinati all'Africa diminuivano, il fallimento della missione di pace in Somalia nei primi anni Novanta e il genocidio in Rwan­ da nel 1994 aprirono un vuoto nella gestione della sicurezza in Africa, che Nazioni Unite e governi occidentali tentarono di colmare promuovendo un'assunzione diretta di responsabilità nella prevenzione e risoluzione dei conflitti armati da parte degli organismi regionali e continentali africanP9• Paradossalmente, mentre alcuni osservatori parlavano di un'Africa "senza speranza", dalla fine degli anni Ottanta alcuni paesi emergenti e, in particolare la Cina, intensificarono i rapporti politici ed economici con i paesi africaniw. Nel caso di Pechino, il rafforzamento delle relazioni con l'Africa si rivelò funzionale non solo a sfuggire all' isolamento inter­ nazionale che era seguito alla repressione delle manifestazioni di piazza Tienanmen nel 1989, ma anche ad assicurare sia la fornitura delle materie prime necessarie allo sviluppo industriale del paese, sia nuovi mercati per le produzioni manifatturiere. A un ulteriore livello di analisi, il governo cinese intravide nel consoli­ damento delle relazioni con i paesi africani, a loro volta alle prese dagli anni Ottanta con un vasto processo di riforma e apertura delle loro economie sotto le pressioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Interna­ zionale, un'occasione per promuovere la ristrutturazione e la crescita delle imprese cinesi a livello globale. Di conseguenza, dagli anni Novanta Pe­ chino ha sostenuto energicamente l'espansione delle attività economiche cinesi in Mrica, elargendo ( limitati ) aiuti allo sviluppo e, soprattutto, pre-

19. A. Pallotti,Regionalismo, sicurezza e sviluppo in Africa sub-sahariana. Storia e po­ litica della Southern African Development Community, Nuova Aiep Editore, San Marino wos, pp. ss-sr. 20. l. Taylor, China and Africa: Engagement and Compromise, Routledge, London

2006,p. 4·

14. AFRICA, SVILUPPO E SICUREZZA: IL RUOLO DELLA CINA

stiti agevolati ai governi africani. Di tali prestiti hanno, infatti, beneficiato in maniera diretta le imprese cinesi, vincendo appalti per la costruzione di

infrastrutture, acquisendo la gestione e/ o la proprietà di aziende, delocaliz­ zando in Africa alcune produzioni ormai obsolete in patria e consolidan­

do la loro presenza come fornitrici di servizi nei paesi del continente". Dal canto loro, i governi africani hanno spesso sollecitato le autorità e le impre­ se cinesi a investire all'interno dei loro paesi, così da rilanciare aziende in bancarotta o stimolare la produzione agricola.

Tra ilwo6 e il20I3 il valore delle importazioni cinesi dall'Africa è pas­

sato da circa 29 miliardi circa 100 miliardi

USD

USD

a circa I66 miliardi

invece aumentate da circa 36 miliardi USD

USD,

per poi scendere a

nel 20I5. Le importazioni africane dalla Cina sono USD

nel 2006 a circa I38 miliardi

nel 20I5,· L'Africa nel suo complesso ha dunque mantenuto un sur­

plus commerciale con la Cina. Tuttavia, mentre quest'ultima esporta prin­ cipalmente beni manufatti in Africa, i paesi africani esportano soprattutto materie prime, in particolare petrolio, nel mercato cinese. Secondo fonti cinesi, i flussi di investimenti cinesi in Africa sono cresciuti da I,4 miliardi USD

nel 2009 a 2, 5 miliardi

USD

nel 20I2 ( anno in cui lo stock di investi­

menti cinesi in Africa aveva un valore complessivo di 2I,2 miliardi

USD

),

per poi calare a I, 9 miliardi USD nel periodo da gennaio a ottobre del20I5'3•

L'espansione del commercio tra Cina e Africa e degli investimenti cinesi nel continente, così come i crescenti prestiti di Pechino ai governi africani, non hanno mancato di sollevare una serie di critiche e perplessi­

tà. In primo luogo, il fatto che i paesi africani esportino per lo più mate­ rie prime nel mercato cinese ( in alcuni casi per ripagare gli stessi prestiti elargiti da Pechino ) '\ e importino dalla Cina essenzialmente prodotti manufatti, ha spinto alcuni studiosi a evidenziare come, al di là della re­

torica della cooperazione Sud-Sud, l'interscambio commerciale tra Cina e Africa approfondisca la dipendenza di quest'ultima dalle esportazioni di materie prime, i cui prezzi rimangono altamente volatili sui mercati 21. D. Tull, China's Engagement in Aftica: Scope, Significance and Consequences, in "Journal ofModern and African Studies", 44, 3, 2006, pp. 459-79. 22. TRALAC, China-Aftica Trading Relationship, Trade Law Centre, 2016 (https:// .tralac.org/ resources/our-resources/9174-china-africa -trading-relationship.html). 23. People 's Republic of China, 20IS Business Review XII: China-Aftica Trade and Eco­ nomie Cooperation, Ministry of Commerce, 2015 (http :Il english.mofcom.gov.cn/artide/

www

zt_businessview2015/news/201602/2016o201261327.shtml). 24. S. Marysse, S. Geenen, Win-win or Unequal Exchange? The Case oJthe Sino-Con­ golese Cooperation Agreements, in "Journal of Modern African Studies", 47, 3, 2009, pp. 371-96.

225

ARRIGO PALLOTTI

internazionali, e aggravi la disarticolazione delle economie africane, per cui, come ha recentemente osservato Ian Taylor, «quello che viene pro­ dotto [in Africa] non è consumato in loco, mentre quello che viene con­ sumato non è prodotto nel continente» '1• In secondo luogo, è stato sottolineato il rischio che la fornitura di pre­ stiti agevolati da parte di Pechino aggravi il problema del debito contratto dai governi africani e, quindi, vanifichi i tentativi intrapresi dalla comuni­ tà internazionale (Cina compresa) nel corso degli ultimi due decenni per riportare a un livello gestibile l' indebitamento dei paesi africani. In terzo luogo, alcuni studiosi hanno messo in luce gli effetti negativi che gli inve­ stimenti cinesi hanno esercitato sull'accesso alle risorse (in primis la terra), sulla tutela dell'ambiente e sui diritti dei lavoratori in Africa, al punto che in alcuni paesi si sono registrati scioperi e proteste contro datori di lavoro di nazionalità cinese. Per quanto fondate, le critiche e le preoccupazioni che hanno accompa­ gnato l'intensificarsi delle relazioni economiche tra la Cina e i paesi africani dopo la fine della guerra fredda non devono far perdere di vista gli elementi che accomunano la strategia economica perseguita da Pechino in Africa e le politiche attuate dai paesi industrializzati e da altre potenze emergenti nel continente. Così, non solo tanto la Cina quanto gli altri paesi legittimano le attività economiche delle loro imprese in Africa ponendo l'accento sul fatto che il rilancio della crescita nel continente debba avere priorità rispetto a ogni intervento di riduzione della povertà'6, ma l'evidenza empirica mostra anche che danni ambientali, precarietà del lavoro e insicurezza nell'accesso alle ri­ sorse non costituiscono una conseguenza esclusiva degli investimenti cinesi'7• Al contrario, questi fenomeni hanno rappresentato una caratteristica più ge­

nerale di quel modello che Lewis ha definito di «crescita senza prosperità» che si è registrato in gran parte dei paesi africani negli ultimi due decenni, non ultimo per effetto del boom degli investimenti stranieri nel settore mi­ nerario e in quello delle risorse energetiche'8• 25. l. Taylor, Dependency Redux: WhyAftica fs Not Rising, in "Review of African Po­ litica! Economy", 43, 147, 2016, pp. 8-25, p. 14, trad. mia. 26. People's Republic ofChina, China's SecondAftican Policy Paper, Forum onChi­ na-Africa Cooperation,

4

December 2015 (http:/ /news.xinhuanet.com/englishho15-

12/ 04/c_134886545.htm). 27. F. Cheru, R. Modi (eds.), Agricultural Development and Food Security inAftica: The Impact oJ Chinese, Indian and Brazilian lnvestments, Zed Books, London 2013; P. Bond, A. Garcia (eds.), BRICS:AnAnti-Capitalist Critique,Jacana, Auckland Park 2015. 28. P. Lewis, Growth without Prosperity in Aftica, in "Journal of Democracy", 19, 4, 2008, pp. 95-109.

226

14. AFRICA, SVILUPPO E SICUREZZA: IL RUOLO DELLA CINA

14·4

Non interferenza, democrazia, sicurezza

È stata, però, senza dubbio la ritrosia di Pechino a esercitare pressioni sui go­ verni africani perché rispettino i principi democratici e i diritti umani a su­ scitare le critiche più forti nei confronti della politica cinese in Africa. I rap­ porti con paesi quali Sudan, Angola e Zimbabwe hanno rappresentato i casi più eclatanti del pragmatismo di Pechino, che ha fornito prestiti ai governi autoritari di tali paesi in cambio di concessioni petrolifere (nei primi due ca­ si) o minerarie (nel caso dello Zimbabwe, dove i cinesi hanno ottenuto anche l'accesso a vasti appezzamenti di terra). Dal canto loro, questi governi non hanno esitato a manipolare la competizione tra i paesi occidentali e la Cina (o le altre potenze emergenti) per l'accesso alle risorse naturali e ai mercati dell'Africa al fine di ottenere aiuti finanziari e investimenti'9• Il principio di non interferenza negli affari interni di un paese ha storica­ mente rappresentato uno dei capisaldi della politica cinese in Mrica, anche se, come osservato sopra, non sono mancate le eccezioni (cfr. riquadro I4.2). Tale principio è stato a più riprese ribadito da Pechino, tanto in occasione del Fo­ rum on China-Africa Cooperation, che dal2ooo riunisce ogni tre anni i go­ verni africani e quello cinese, quanto nei documenti ufficiali sulla politica del governo cinese verso l'Mrica. In questo modo Pechino ha corrisposto a una delle rivendicazioni storiche dei paesi africani, che hanno visto nel rispetto del principio di non interferenza negli affari interni di un paese un argine contro le pressioni internazionali finalizzate a promuovere cambiamenti di regime o l'attuazione di riforme politiche all'interno dei paesi del continente. Come nel caso dei rapporti economici tra Cina e Africa, anche l'appli­ cazione da parte di Pechino del principio di non interferenza negli affari interni dei paesi africani va analizzata nel più ampio contesto delle relazio­ ni internazionali dell'Africa. Se da una parte, infatti, il governo e gli investi­ tori cinesi non sono certo gli unici a dimostrare uno scarso interesse per la promozione della democrazia e del rispetto dei diritti umani nel continen­ te, dall'altra (anche) la cooperazione cinese con i paesi africani sembra pri­ vilegiare il mantenimento dello status quo a scapito di modelli alternativi (e più compiutamente democratici) di trasformazione politica. Storicamente, la ritrosia a sostenere la democrazia e il rispetto dei dirit­ ti umani all'interno dei paesi africani per non guastare i rapporti politici o 29. D. Large, China & the Contradictions of"Non-interference" in Sudan, in "Review of African Politica! Economy'', 35, us, 2008, pp. 93-106.

227

ARRIGO PALLOTTI

RIQUADRO 14.2 Cina, Zambia e il principio di non interferenza Il rispetto del principio di non interferenza negli affari interni di un paese ha sto­ ricamente costituito uno dei capisaldi della politica cinese in Africa. Forte scal­ pore suscitò quindi la dura presa di posizione dell'ambasciatore cinese durante le elezioni del20o6 in Zambia. Li Baodong affermò che, se Michael Sata, candidato alla presidenza, avesse vinto le elezioni, Pechino avrebbe interrotto le relazioni con lo Zambia. Facendo leva sul diffuso malumore popolare circa la presenza cinese nel paese, Sata aveva accusato il governo di avere svenduto le ricchezze del paese alla Cina e minacciato di riconoscere Taiwan in caso di vittoria. La presa di posi­ zione dell'ambasciatore cinese venne da più parti interpretata come una rottura del principio di non interferenza da parte cinese. In realtà questa vicenda non solo rivelò la determinazione di Pechino a vedersi riconosciuta come la legittima Cina, ma mise anche in luce la problematicità del modello di sviluppo perseguito dal governo dello Zambia. Divenuto presidente nel2oii, Sata, poi deceduto nel2014, si affrettò infatti a rassicurare gli investitori cinesi circa la sua determinazione a rafforzare i legami politici ed economici con la Cina.

mettere a repentaglio gli investimenti è stata uno dei tratti distintivi della po­ litica dei paesi occidentali in Mrica durame la guerra fredda. Venuta meno quest'ultima, priorità politiche a volte contraddittorie e interessi economici hanno minato il sostegno che, sulla carta, non solo i governi occidentali ma anche istituzioni multilaterali come l'Unione Europea intendevano fornire alle lotte per la democrazia in Mrica, un problema che negli anni più recenti la guerra al terrorismo internazionale ha reso ancora più acuto. Se, dunque, da una parte una condotta pragmatica nei rapporti poli­ tici con i governi africani non rappresenta certo un'esclusiva di Pechino, dall'altra l'influenza politica della Cina in Africa si articola attraverso pra­ tiche che convivono con il rispetto formale del principio di non interferen­ za negli affari interni di un paese. In primo luogo, con i suoi aiuti finanziari e prestiti agevolati la Cina contribuisce in maniera sostanziale alla realizzazione dei programmi di svi­ luppo di numerosi governi africani, consentendo loro di attuare interventi economici, sociali e infrastrutturali. In questo modo, Pechino - come an­ che gli altri donatori internazionali - contribuisce a rafforzare l'autorità dei governi africani e la loro capacità di indirizzare e controllare le dinami­ che di trasformazione sociale all'interno dei loro paesi. Alla luce di queste considerazioni, l'affermazione di Mohan e Lampert che «gli attori africa-

228

1 4. AFRICA, SVILUPPO E SICUREZZA: IL RUOLO DELLA CINA

ni che sembra tra ggano i ma ggiori benefici [della cooperazione economica

con la Cina] sono spesso le élite politiche ed economiche»30 assume un

significato politico prima ancora che economico. In secondo luogo, e strettamente collegato al punto precedente, per quanto in misura più limitata rispetto alla Russia e ai paesi occidentali, an­

che Pechino, attraverso la vendita di armi, svolge un ruolo diretto nella promozione della sicurezza dei governi africani. Il consolidamento degli apparati militari, per quanto avvenga attraverso accordi tra governi sovra­

ni, ha un impatto non trascurabile sulle dinamiche politiche interne ai paesi

africani. Non a caso, la Cina è stata accusata di aver sostenuto, attraverso la fornitura di armi all'esercito di Khartoum, la sanguinosa campa gna milita­

re intrapresa nei primi anni Duemila dal governo del Sudan contro opposi­

tori e ribelli nella regione del Darfur.

In terzo luogo, negli ultimi due decenni, parallelamente al venir meno della ritrosia della Cina a sostenere le operazioni di peace-keeping intraprese dalle Nazioni Unite, si è assistito a un graduale ma sempre più consistente

coinvolgimento di Pechino nelle attività di prevenzione e risoluzione dei

conflitti armati in Africa31• Così, oggi non solo contingenti civili o militari cinesi partecipano attivamente alle missioni di peace-keeping delle Nazioni Unite in Africa, ma Pechino sostiene anche finanziariamente le operazio­ ni di pace dell'Unione Africana (African Union, AU) e, più in generale, la realizzazione della Common African Defence and Security Policy dell'Au at­ traverso la China-Africa Cooperative Partnership for Peace and Security, creata nel2oi2 su iniziativa dell'ex presidente cinese HuJintao3'.

Se per alcuni studiosi il crescente ruolo militare della Cina in Africa risponde a considerazioni di carattere economico ed è quindi finalizzato a proteggere gli investimenti cinesi nel continente e i flussi commerciali tra Africa e Cina (si pensi alla partecipazione cinese alla missione navale inter­ nazionale contro la pirateria nel golfo di Aden), altri hanno invece sottoli­ neato l' importanza che, agli occhi di Pechino, la stabilità politica in Africa riveste per il consolidamento dei rapporti tra la Cina e il continente. Infine, per alcuni osservatori il sostegno di Pechino alle iniziative di pace africane 30. G. Mohan, B. Lampert, Negotiating China: Reinserting Aftican Agency into Chi­ na-Aftica Relations, in "African Affairs", 112., 446, 2.013, pp. 92.-110, p. 110, trad. mia. 31. W. Zhengyu, l. Taylor, From Refusal to Engagement: Chinese Contributions to Pe­

acekeeping in Aftica, in "Journal ofContemporary African Studies", 2.9, 2., 2.011, pp. 137-54. 32.. C. Alden, Seeking Security in Aftica: China's Evolving Approach to the Aftican Pea­ ce and Security Architecture, in E. Tj0nneland (ed.), Rising Powers and the Aftican Security Landscape, Chr. Michelsen lnisitute, Bergen 2.014, pp. 12.-2.5.

ARRIGO PALLOTTI

rappresenta un aspetto del più ampio tentativo cinese volto a sostenere il principio di non interferenza attraverso il potenziamento di risposte "afri­ cane" ai conflitti armati. Tuttavia, ancora una volta sarebbe sbagliato considerare la politica ci­ nese in Africa come statica o priva di contraddizioni. Il graduale coinvol­ gimento della Cina nella gestione della sicurezza nel continente, così come gli interessi economici e commerciali delle imprese cinesi in Africa hanno inevitabilmente costretto Pechino a intraprendere un ruolo più attivo di mediazione nelle dispute sia tra i governi africani e altri attori internazio­ nali (come nel caso del Sudan, dove nel 2007 la Cina svolse una funzio­ ne centrale nel persuadere il governo sudanese ad accettare l'invio di una missione di peace-keeping "ibrida" composta da contingenti dell'Au e delle Nazioni Unite), sia tra le parti in conflitto (come nel caso più recente del Sud Sudan).

14·5

Conclusioni Negli ultimi tre decenni i rapporti tra la Cina e l'Africa subsahariana hanno registrato una rapida trasformazione. L'attenzione di studiosi e osservatori si è prevalentemente soffermata ad analizzare gli aspetti più strettamente economici delle relazioni tra la Cina e i paesi africani. In questo modo, la letteratura non solo ha spesso trascurato di esaminare il ruolo di Pechino nella gestione della sicurezza in Africa, ma ha anche per lo più veicolato l'immagine di un continente ancora una volta "vittima" delle mire e stra­ tegie delle potenze mondiali, in questo caso la Cina, alla ricerca di materie prime per le proprie industrie. Questo saggio ha, in primo luogo, ricostruito l'evoluzione storica dei rapporti tra la Cina e i paesi dell'Africa subsahariana a partire dagli anni Sessanta, quando la gran parte di questi ultimi conseguì l'indipendenza. Pechino, alle prese con una sempre più accesa rivalità con l'Unione Sovie­ tica, tentò - non senza difficoltà e passi falsi - di stringere relazioni po­ litiche con i governi africani, promuovendo programmi di cooperazione economica e sostenendo le lotte di liberazione nazionale in Africa australe. In secondo luogo, questo saggio ha mostrato che gli attori politici africani (governi, ma anche movimenti di liberazione nazionale durante la guerra fredda) hanno storicamente considerato le relazioni con Pechi­ no funzionali alla realizzazione di obiettivi di natura tanto politica (non

14. AFRICA, SVILUPPO E SICUREZZA: IL RUOLO DELLA CINA

allineamento, decolonizzazione dell'Africa australe, consolidamento del­ la sovranità statuale, riforma dellagovernance globale), quanto economi­ ca (promozione della crescita e dello sviluppo). L'immagine, dunque, di un'Africa "vittima" di Pechino difficilmente trova riscontro nell'eviden­ za storica. Infine, questo saggio ha messo in luce come accanto alla cooperazione economica e alla promozione degli investimenti cinesi in Africa, Pechino svolga oggi anche un ruolo nel mantenimento della sicurezza nel continen­ te e, al di là di ogni formalismo, eserciti una certa influenza sulle dinamiche politiche interne ai paesi africani.

Letture consigliate

(201 4), Seeking Security inA.frica: China's EvolvingApproach to theA.fri­ can Peace and Security Architecture, in E. Tj0nneland (ed.), Rising Powers and theA.frican Security Landscape, Chr. Michelsen Inisitute, Bergen, pp. 12.-2.5. BOND P., GARCIA A. (eds.) (2.015), BRICS: An Anti-Capita/ist Critique, Jacana,

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29, 2, pp. 137-S4·

IS

Roma e la via eurasiatica: continuità, limiti e prospettive di una direttrice della politica estera italiana di Paolo Soave*

IS.I

Introduzione La proiezione verso Oriente, dalla Russia sino alla Cina, è storicamente la manifestazione di interesse culturale ed economico per il mondo eurasia­ tico, nonché ambito di attività diplomatica nello sviluppo della politica estera italiana. Non di rado essa è stata incoraggiata da corrispondenza di intenti da parte di Mosca e Pechino. L'analisi storica consente di rilevare le continuità e i limiti di queste relazioni, al fine di individuare le poten­ zialità offerte dal presente scenario internazionale. In prospettiva globale Russia e Cina non dovrebbero più essere visti come partner prometten­ ti ma remoti, ma snodi complementari di un'unica direttrice di politica estera eurasiatica finalmente sistemica. Sin dal 1861 l'Italia è stata sollecitata dalla sua condizione geopolitica, oltre che dal ritardo rispetto alle maggiori potenze europee, a proiettarsi non solo verso la massa continentale, area della stabilità, ma anche nel Mediterraneo, via di accesso a direttrici di sviluppo extraeuropeo. Pur di­ sponendo solo dei fattori di una media potenza, l'Italia ha sempre svolto una politica estera ad ampio spettro. Lo sguardo proteso verso gli scenari più remoti ha risposto a una vocazione culturale, spirituale e mercantili­ sta, espressione di un universalismo italiano nel mondo. In campo eco­ nomico sino a oggi l'Italia non è riuscita a conferire sistematicità agli scambi con questi due grandi paesi, cogliendo solo alcune occasioni. I maggiori ostacoli sono stati i condizionamenti internazionali, come le guerre o l'appartenenza ad alleanze contrapposte, nonché le differenze fra sistemi politici che hanno finito per enfatizzare la distanza geografica e culturale. Lo svilupparsi di questa discontinua trama orientale è stato •

Professore associato di Storia delle relazioni internazionali all'Università di Bologna.

233

PAOLO SOAVE

funzionale, soprattutto nel secondo dopoguerra, a precise necessità po­ litiche. Nel caso italiano si trattò di rafforzare la governabilità attraverso sentieri di politica estera almeno in parte autonomi da quelli consentiti dalla militanza nell'Alleanza atlantica. Questa apertura riscosse un cer­ to interesse a Mosca e a Pechino, portate a considerare l'Italia come una sorta di finestra aperta su un mondo occidentale distante ma non mono­ litico. Anche la politica estera italiana contribuì, in una certa misura, al lento superamento delle contrapposizioni che per decenni avevano fru­ strato la visione di un sistema internazionale inclusivo. Tuttavia, gli sce­ nari delineatisi dopo il 1989, oltre a far prospettare possibilità di coopera­ zione economica globali, hanno anche riproposto una forte complessità attraverso nuove competizioni e tensioni. Le difficoltà nel rapportarsi a mondi grandi e distanti si ripropongono alla media potenza italiana, confermando che la geopolitica non è stata rimossa dalla globalizzazione. Anche nel nuovo multipolarismo liquido l'Italia deve sottostare a vin­ coli strategici ripropostisi con la rinnovata contrapposizione fra UE

NATO

e

da un lato, Russia dall'altro. Dall'area dell'Occidente allargato resta

estromessa la Russia, per ataviche dispute geopolitiche che amplificano le differenze politiche, e la Cina, troppo grande e temibile come antago­ nista nel confronto globale. Per l'Italia la complessità consiste proprio nel coltivare questi ambiti cercando di inserirli in un quadro di politica estera autonomo e coerente che dischiuda prospettive di sviluppo econo­ mico mai colte.

IS.2

Il ponte europeo: continuità e limiti delle relazioni italo-russe Storicamente l'Italia non ha intrattenuto con la Russia rapporti economi­ ci o politici paragonabili per rilevanza a quelli dei maggiori paesi dell'Eu­ ropa occidentale. Nondimeno lo scambio culturale arricchisce da secoli le due comunità, basti pensare all'apporto italiano allo sviluppo archi­ tettonico di alcune delle maggiori città russe, o allo sguardo degli intel­ lettuali russi che contribuirono all'edificazione del mito del "Bel paese". La comprensione della Russia degli zar fu condizionata dal fuorviante dilemma relativo all'appartenenza di quella realtà all'Oriente piuttosto che all'Occidente. Si confidava che le riforme calate dall'alto potessero condurre la Russia nell'alveo europeo e si ignorò il crescente scollamen­ to fra la corte dei Romanov e le emergenti forze sociali di quel paese in

15. ROMA E LA VIA EURASIATICA

rapido mutamento. La reazione occidentale al panslavismo fu l'auspicio che la Russia potesse dirigere soprattutto a Oriente le proprie mire. Nel I894l'addetto all'ambasciata di Pietroburgo, Tomaso Cadetti, rilevò che in fondo Italia e Russia avrebbero potuto facilmente accordarsi sul piano diplomatico perseguendo ambiti di interesse geopolitico non concorren­ ziali. In realtà non fu così facile comporre gli obiettivi dei due paesi nei Balcani e nel Mediterraneo, tanto che sia l'accordo di Racconigi del I909 che l'adesione dell'Italia all'Intesa nel I9IS lasciarono diverse zone d'om­ bra. Non per nulla Sonnino, allora ministro degli Esteri, non auspicò la disgregazione dell'Impero asburgico, che avrebbe aperto a un temibile blocco panslavo ai confini dell'Italia. L'evento rivoluzionario, che gli eu­ ropei avevano fatalmente atteso a lungo immaginandolo erroneamente fedele al canovaccio francese, sfuggì alla comprensione dei più. Fra questi vi fu anche l'ambasciatore Carlotti, per il quale le tensioni sociali, a suo giudizio ancora riconducibili alla contrapposizione fra le forze liberali e lo zar, non sarebbero state in grado di minare l'impegno bellico del­ la Russia, vera preoccupazione dell'Intesa nel corso del primo conflitto mondiale. La Rivoluzione d'ottobre giunse pertanto inaspettata e il suc­ cesso di Lenin venne ritenuto del tutto passeggero. Mentre cominciava a scavarsi un profondo solco politico fra la Russia e l'Europa, nel I9I8 sorse a Mosca lo Studio italiano, istituto fortemente voluto da Odoardo Campa, appoggiato sino al I923 da Lunacarskij e forte delle collaborazio­ ni di Nikolaj Berdjaev e di Pavel Muratov. L'atteggiamento della politica estera fascista nei confronti di Mosca fu prevalentemente strumentale: se il regime fu fra i più pronti a riconoscere l' URSS, le successive inte­ se bilaterali furono indotte dai comuni timori suscitati dalla Germania di Hitler, confermati dalla ritardata adesione italiana all'Antikomintern. Simili tatticismi furono spazzati via dai tedeschi con l'accordo Ribben­ trop-Molotov, che gettò nello sconcerto fascisti e comunisti, con l'effetto di far precipitare i rapporti fra Roma e Mosca con il richiamo dei rispet­ tivi ambasciatori Rosso e Gorelkin. Per questo, durante la guerra, Ciano annotò nel suo diario come in Italia si gridasse «morte alla Russia» non potendo apertamente dire «morte alla Germania». Con la spartizione della Polonia Hitler aveva portato i russi alle porte dell'Europa e si era definitivamente frapposto al dialogo fra Roma e Mosca. Sul finire del conflitto, con il riconoscimento sovietico della cosiddetta "King's Italy" predisposto da Prunas e Vyshinsky e il successivo rientro in Italia di To­ gliatti che rese possibile la svolta di Salerno, le relazioni fra i due pae­ si entrarono in una nuova fase caratterizzata da distanza ideologica ma

235

PAOLO SOAVE

comune interesse alla stabilità, sia quella italiana quanto quella interna­ zionale. Stalin non intese mai mettere in discussione l'appartenenza ita­ liana alla sfera occidentale, cercando soprattutto di valorizzare il ruolo socio-politico del Partito comunista italiano

( PCI ) . Per lo stesso motivo,

come rilevò Pietro Quaroni, non ci si poteva attendere che l' URSS guar­ dasse con favore a un rapido ingresso nell' ONU dell'Italia, causa di barat­ to nei rapporti con l'Occidente. Nella lunga pagina della guerra fredda le relazioni privilegiate fra comunisti sovietici e italiani orientarono, ma certamente non esaurirono, la dimensione bilaterale. Dopo la scomparsa di Stalin al Cremlino trovò una certa corrispondenza l'interesse di mol­ te personalità del mondo politico, economico e culturale italiano ad ap­ profondire il corso dei rapporti fra i due paesi ben oltre gli stretti vincoli posti dalla guerra fredda. Questo fu evidente soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta con il cosiddetto neoatlantismo, ov­ vero il tentativo di conferire alla politica estera italiana una certa autono­ mia con l'apertura a paesi ostili al blocco occidentale come quelli arabi o quelli filosovietici, e che trovò nelle iniziative economiche di Mattei le più significative realizzazioni. L'Italia sostenne il piano settennale di svi­ luppo della produzione industriale varato dal PCUS (Partito comunista dell'Unione Sovietica) nel 1959; all'accordo commerciale con l'ENI del 1960 seguì quello del 1966 con la FIAT per lo stabilimento di Togliatti­

grad. Per l'Italia la ricerca di un più ampio consenso politico attraverso la politica estera si accentuò negli anni del centro-sinistra. Di questo cam­ biamento politico i sovietici apprezzarono, forse ancor più dei vantaggi commerciali, la possibilità di avere nell'Italia una sorta di ponte verso il mondo occidentale. L'ambasciatore Luca Pietromarchi annotò nel suo diario come l'Italia fosse l'unico paese occidentale in grado di svolge­ re, non avendo tensioni con Mosca, una funzione moderatrice fra i due blocchi. Gli effetti di lungo corso di questa Ostpolitik all'italiana furono la promozione della Democrazia cristiana (ne ) a forza politica attenta al dialogo con il Cremlino, la responsabilizzazione del Partito socialista italiano

( P si ) come partito di governo non più ostile alla NATO, e un cre­

scente isolamento del

PCI,

la cui evoluzione politica sarebbe avvenuta a

crescente distanza da Mosca. I risultati migliori maturarono con la for­ mula del pentapartito nel corso della seconda metà degli anni Ottanta, in corrispondenza dell'ultima disperata stagione del riformismo sovieti­ co. Il fondamentale dialogo avviato da Reagan e Gorbacev in ambito nu­ cleare, preludio al superamento della guerra fredda, si avvalse anche del

15. ROMA E LA VIA EURASIATICA

canale dell'ambasciata italiana di Mosca, retta a metà degli anni Ottanta da Sergio Romano.

Al termine della guerra fredda l'Italia fu tra i paesi occidentali più pronti a tentare un rilancio delle relazioni bilaterali non più condizionate,

con l'accordo del I998. Tuttavia la transizione che portò la Russia a racco­ gliere l'eredità sovietica si rivelò più lunga e penosa del previsto raffreddan­ do le nuove prospettive di cooperazione. È stato solo con Putin che sono state poste le basi di un modello socio-politico russo nuovamente compe­ titivo in campo internazionale. Traendo lezione dai fallimenti del passato e senza poter contare su una tradizione !iberista, il nuovo corso ha saputo imporsi sui poteri oligarchici liberatisi dopo la fine del monopolio comu­ nista e preservare il verticismo politico. Grandi prospettive sembrarono schiudersi nel 2002, quando a seguito degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti le distanze fra l'Occidente e la Russia si ridussero notevolmen­ te all'insegna della collaborazione strategica sancita a Pratica di Mare. In quella illusoria fase sembrò perfino plausibile, con gli auspici italiani, l'in­

gresso della Russia nell'uE. Fu questo il momento di massima crescita del­ le relazioni economiche bilaterali, incentrate sulle forniture energetiche,

individuate dall'Italia come alternativa a quelle libiche. La cooperazione

fra Gazprom ed ENI portò, nel 2005, alla realizzazione del gasdotto Blue Stream. Nel 2o11 l'interscambio commerciale superò i 27 miliardi di euro. Simili sviluppi, che fecero dell'Italia il secondo partner russo dopo la Ger­ mania, si caratterizzarono anche per un forte squilibrio fra le esportazioni italiane e il limitato volume di investimenti russi nella penisola, secondo un modello che è stato causticamente definito del "made in Italy per pagare la bolletta del gas". Questa prolifica stagione ha tuttavia avuto breve durata a

causa del riemergere di nuovi condizionamenti internazionali che hanno ancora una volta posto una barriera fra Occidente e Russia. L'estensione

strategica, entro la NATO, ed economica, entro l'uE, di ex aree a influenza sovietica, ha ancora una volta sollecitato la questione della sicurezza russa, che come in passato si basa su una concezione classicamente geopolitica, ovvero di continuità politico-territoriale. Le sanzioni adottate il 3I luglio

20I4 dall'uE in risposta alle ingerenze russe in Ucraina hanno causato una riduzione delle importazioni di Mosca dai paesi europei (cfr. riquadro IS.I ) . I governi italiani hanno sostenuto a più riprese l'opportunità di rivedere ta­

le decisione, mandando segnali concilianti alla Russia, in una sorta di eter­

no "vorrei ma non posso': a ben vedere tipico dei rapporti fra un paese me­

dio e uno di grande rilevanza internazionale, invariabilmente appartenenti ad ambiti geopolitici distinti quando non contrapposti. 237

PAOLO SOAVE

RIQ_UADRO 15.1

Rapporti economici Italia-Russia L'interscambio commerciale italo-russo si attesta sopra i 17 miliardi di euro e beneficia di un certo riequilibrio imputabile quasi del tutto al drastico calo dei prezzi delle forniture energetiche russe. Per questa ragione il valore complessivo delle importazioni italiane è calato rispetto al2.o16 del2.6o/o. Mentre si registra una riduzione delle vendite di macchinari, sono in crescita le esportazioni italiane di abbigliamento e prodotti chimici. Nel complesso la Russia, che non figura tra i dieci maggiori importatori di beni italiani, è al nono posto per quanto riguarda le esportazioni. Si tratta di dati non particolarmente soddisfacenti sui quali pesano negativamente le difficoltà economiche russe e le sanzioni comminate dall'uE a Mosca a seguito della grave crisi con l'Ucraina. Occorre quindi riconoscere come le potenzialità economiche rappresentate dalla Russia restino in larga parte ancora interdette all'Italia, basti pensare alle zone economiche speciali ( zEs ) , distretti

aperti agli investitori stranieri a condizioni fiscali particolarmente allettanti, e ai parchi industriali. La posizione complessivamente acquisita dall'Italia in questi ambiti appare nettamente inferiore a quella di altri paesi europei come Francia e Germania. In questo senso i limiti strutturali del sistema-paese italiano si aggiun­ gono alle nuove tensioni internazionali che stanno riproponendo, lungo linee di faglia geopolitica rese dinamiche dalla fine della guerra fredda, una contrapposi­ zione dal sapore antico. Anche per queste difficoltà i russi continuano a coltivare, pensando all'Italia, il mito del Bel paese, che ha poco a che fare con l'immagine di autorevole partner economico che Roma vorrebbe rappresentare per Mosca.

15·3

Un cavallo di Troia cinese in Europa: l'Italia vista da Pechino Dopo secoli di contatti sporadici affidati a missioni e iniziative personali, i rapporti diplomatici italo-cinesi vennero inaugurati con il trattato com­ merciale del 1866, attraverso il quale il Regno si accodò ad altri paesi eu­ ropei ben più avanzati nella penetrazione economica in Estremo Orien­ te. Ritardi e debolezze penalizzarono l'Italia di fronte all'apertura imposta dalle maggiori potenze all'Impero cinese, in particolare a seguito del rovi­ noso conflitto di fine Ottocento con il Giappone. Nel 1898 i tedeschi ne approfittarono per strappare una prima concessione territoriale cui fecero rapido seguito quelle a vantaggio di russi, francesi e inglesi. Percepita co­ me l'ultima delle potenze europee, l'Italia non fu in grado di intimorire la debole Cina, che nel marzo 1899 respinse seccamente la richiesta avanza-

15. ROMA E LA VIA EURASIATICA

ta dali'ambasciatore De Martino della concessione di una stazione navale nella rada di San Mun, nello Ce-Kiang. A rendere incerta l'azione italiana in Cina fu anche il ricordo ancora vivo della disfatta di Adua, divenuta la bandiera di tutti gli oppositori delle iniziative espansionistiche. L' inte­ resse culturale per il mondo cinese si accentuò a seguito della repressione dei fermenti nazionalistici dei Boxer, documentati per il "Corriere della Se­ ra" da Luigi Barzini. L'Italia ambiva a una propria sponda cinese ma non poteva fare a meno di cogliere qualche analogia tra la rivolta in corso e il Risorgimento. Fu solo in virtù del contributo fornito alla repressione dei Boxer che l'Italia potè finalmente guadagnare una concessione a T ientsin nel I902. Ancor più ardua risultò la valorizzazione di quanto ottenuto, a causa della carenza di risorse da investire e per l'esigua presenza di italiani. I modesti traffici commerciali con la Cina restarono affidati alle compa­ gnie di navigazione straniere per l'impossibilità di approntare una linea di collegamento italiana. La nascita della Repubblica cinese segnò nel I9I2 un punto di svolta: grazie alle prime missioni condotte in Italia, Pechino pre­ se a guardare al Regno non più come all'ultima delle potenze occidentali quanto a un paese che come la Cina stava cercando di recuperare terreno nel processo di modernizzazione. La Prima guerra mondiale fu percepita dalla Cina come l'attesa opportunità per elevare all'attenzione del mondo intero l'istanza della propria integrità territoriale e della piena sovranità. Nel I9I7 il segretario di Stato americano Lansing e l'inviato giapponese Ishii raggiunsero un compromesso in base al quale Tokyo avrebbe accetta­ to il principio statunitense della Open Door in Cina in cambio del ricono­ scimento dei propri interessi nel grande paese asiatico. In questa contesa si inserì la nuova Russia, che con la dichiarazione del commissario agli Esteri Karakhan rinunciò volontariamente ai privilegi acquisiti in epoca zarista e più tardi concesse alla Cina il primo trattato fra eguali. Fu nel I928, con l'avvento a Nanchino del governo nazionalista di Chiang Kai-shek, che il regime fascista dimostrò un marcato interesse per la Cina, fino alla stipula di un accordo bilaterale. Massimo promotore di questa svolta fu Galeazzo Ciano, che contribuì all'affidamento da parte della Società delle Nazioni di un incarico diplomatico a Lord Lytton in occasione della crisi mancese. Le blande conclusioni cui pervenne l'organo ginevrino, inadeguata risposta ali'aggressione nipponica, assecondarono pienamente gli interessi italiani, che in quel frangente prevedevano un moderato riconoscimento dei diritti cinesi senza causare l'isolamento del Giappone. Inoltre, nell'ottica fascista la Cina non doveva divenire un precedente vincolante nella gestione delle crisi internazionali. Nei cosiddetti anni d'oro delle relazioni bilaterali fu 239

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costituita una banca italiana per la Cina e venne realizzato l'atteso collega­ mento navale diretto fra i due paesi. Strenuo sostenitore dell'opportunità di un maggiore sviluppo dei rapporti italo-cinesi fu l'economista Alberto De' Stefani. Nel 1933 nacque l'ISMEO

( Istituto

italiano per il Medio ed

Estremo Oriente ) , presieduto da Giovanni Gentile e animato da Giuseppe

Tucci. Il fascismo tentò anche la carta della cooperazione militare con l'in­ sediamento in Cina di una missione navale e di una aeronautica. In visita in Italia, Song Ziwen, responsabile per la politica economica e finanziaria della Cina, sottolineò l'opportunità che il suo paese si dotasse di un appa­ rato bellico efficiente, sulla scorta delle realizzazioni dell'Italia fascista. Nel 1934 nacque un consorzio aeronautico per la Cina, che coinvolse Caproni e

FIAT. Tuttavia l'interesse tramontò repentinamente a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, sia a seguito della decisione di Chiang Kai-shek di aderire con convinzione alle sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni per l'aggressione italiana ali' Etiopia, considerata dai cinesi come una ripro­ posizione delle ingerenze da loro già subite, sia per l'avvicinamento ideolo­ gico fra Italia e Giappone, cui contribuì il riconoscimento da parte di Ro­ ma del Manciukuò e il ritiro delle missioni militari dalla Cina. In sostanza il regime aveva scelto un altro partner privilegiato in Estremo Oriente. Già nel gennaio 1945, a guerra non ancora conclusa, il governo italia­ no, su proposta del ministro degli Esteri De Gasperi, adottò una risoluzio­ ne di sconfessione della precedente politica fascista di appoggio all'espan­ sionismo nipponico in Cina, presupposto per la riattivazione dei rapporti bilaterali con una delle potenze con seggio permanente e diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il ravvedimento, analo­ gamente alla platonica dichiarazione di guerra contro il Giappone, avrebbe dovuto favorire una rapida riammissione dell'Italia nella comunità inter­ nazionale. L'affermazione della Cina popolare complicò questo ottimisti­ co disegno italiano. Le scelte americane a difesa del regime nazionalista, e in generale il proporsi delle tensioni da guerra fredda in Asia, posero seri ostacoli al lancio di relazioni fra l'Italia democratica e la Cina comunista di Mao. I rigori della guerra fredda sembrarono potersi attenuare solo con la frattura fra Pechino e Mosca. La dottrina della coesistenza pacifica, coniata dai cinesi a metà degli anni Cinquanta, fu una mano tesa ai paesi dotati di buona volontà per portare la pace in Asia. Sul terreno della decolonizza­ zione e del rispetto delle prerogative dei popoli emergenti, cinesi e italia­ ni sembrarono trovare punti comuni, come intuì Giorgio La Pira, che nel 1958 invitò a Firenze il sindaco di Pechino nell'ambito delle sue iniziative

per la pace mondiale. Tuttavia a risultare incisivo fu soprattutto il ruolo di

240

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Pietro Nenni, che, insofferente dei vincoli atlantici, nel I955 condusse una visita in Cina traendone il convincimento che la chiusura occidentale fosse sbagliata. Anche la nascita del Centro per lo sviluppo delle relazioni econo­ miche e culturali con la Cina, presieduto da Ferruccio Parri, sembrò andare nella stessa direzione con il tentativo di colmare il vuoto dovuto ali'assenza di relazioni diplomatiche fra Roma e Pechino. Fra le molteplici iniziative lanciate dal Centro furono soprattutto quelle di carattere culturale a ri­ scuotere successo nella società italiana, mentre sul piano economico pio­ nieri del lancio di una più significativa cooperazione furono l'imprendito­ re Dino Gentili ed Enrico Mattei, deciso a entrare nel mercato minerario e petrolifero cinese. Sul tema della valorizzazione dei rapporti con Pechino l'Italia non esitò a lasciar cadere le lusinghe provenienti da Taiwan. Negli anni Sessanta le maggioranze di centro-sinistra fecero del tema del rico­ noscimento

de jure della Cina popolare un elemento distintivo della loro

politica estera. Nel I964 fu stipulato un trattato commerciale che di fatto bypassò la mancanza di relazioni ufficiali, instaurando uffici commerciali nei due paesi. Evidente era, in particolare, l'interesse del mondo industria­ le italiano per le potenzialità del mercato cinese. La questione del ricono­ scimento, come rilevò Saragat, non fu pertanto se ma quando, ovvero in presenza di quali condizioni. Fra queste vi fu indubbiamente la maggior apertura all'Occidente, di cui il regime di Mao dette prova a seguito della rottura con Mosca, e che fece guardare a Pechino come a un nuovo pos­ sibile interlocutore per favorire la pace in Vietnam. Per questo Amintore Fanfani, in qualità di presidente dell'assemblea dell' ONU, ritenne che fosse possibile lanciare la proposta di una commissione di studio per l'ammis­ sione della Cina popolare all'interno delle Nazioni Unite senza estromet­ tere la Cina nazionalista. Si trattò del tentativo di rendere meno isolato e impegnativo il riconoscimento che Roma intendeva concedere a Pechino, ma il fallimento dell'iniziativa dimostrò come i tempi non fossero ancora maturi. La questione diplomatica si intrecciò, sul finire degli anni Sessan­ ta, con il dibattito stimolato dalla Rivoluzione culturale. Nell'immaginario collettivo della mobilitazione studentesca, essa divenne la nuova avanguar­ dia di un pensiero politico radicale. In realtà, gli effetti della Rivoluzione culturale furono tanto controversi in Cina quanto sul piano internazio­ nale, dato che in Occidente rafforzarono le diffidenze verso il maoismo In piena continuità da Nenni a Moro il 6 novembre I970 giunse l'atteso riconoscimento italiano della Cina popolare. Il politico pugliese portò co­ sì a compimento un lungo processo politico-diplomatico fondato sull'im­ possibilità di continuare a ignorare il grande paese asiatico. Moro si mosse

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con particolare prudenza: da un lato informò puntualmente gli americani, dali'altro eluse la richiesta di Pechino per una dichiarazione italiana a favo­ re della tesi dell'esistenza di un'unica Cina. L'ambasciatore a Washington E gidio Ortona se la cavò precisando che Roma aveva semplicemente preso atto che questa era la posizione sostenuta da Pechino. Fra gli effetti positivi del riconoscimento vi fu la costituzione, nel 1971, dell'Istituto italo-cinese. L'Italia anticipò la svolta voluta da Nixon e Kissinger, che fu giudicata con perplessità perchè volta a esercitare pressioni su Mosca, mentre la Farnesina aveva inteso promuovere una più armoniosa visione di cooperazione inter­ nazionale oltre la guerra fredda. Nel 1972 l'ambasciatore italiano a Mosca, Federico Sensi, rilevò come i sovietici risultassero infastiditi dalla mossa statunitense verso Pechino, che avrebbe prodotto un'ulteriore marginaliz­ zazione dell'Europa, con danno per gli interessi nazionali italiani.

Un punto di svolta si ebbe nel 1978 con l'avvento al potere di DengXiao­

ping , deciso a proiettare la Cina popolare verso una modernizzazione non più condizionata dal maoismo e legata alla capacità del partito unico di gesti­

re managerialmente il passaggio al capitalismo di Stato. Ne beneficiarono sia i rapporti politici, in particolare quelli con il

di Berlinguer, sempre più distante da Mosca, sia le iniziative economiche di ENI e FIAT. Il piano trien­ PCI

nale definito nel 1983 dalla Direzione generale per la cooperazione allo svi­ luppo della Farnesina fece dell'Italia il secondo partner commerciale, dopo la Germania, dell'impetuoso sviluppo cinese. Trasporti, energia, telecomu­ nicazioni e settore sanitario divennero gli ambiti di maggiore penetrazione

italiana. La repressione dei moti di piazza T ienanmen nel 1989 rappresentò il

drammatico collo di bottiglia in cui confluirono il cambiamento sociale e la centralizzazione politica. Proprio su impulso dell'Italia, presidente di turno delle istituzioni comunitarie, agli inizi degli anni Novanta i rapporti con Pe­ chino vennero rilanciati dopo l'inevitabile fase di sdegno internazionale per

la violenza usata contro i dimostranti. Giunto a Roma nel 1992, il premier cinese Li Peng riconobbe il ruolo tattico dell'Italia come modulatore dei rap­ porti fra la Cina e il mondo occidentale. Per ottimizzare tale funzione Roma si spinse a sostenere che la questione dei diritti umani dovesse restare sospesa finchè il sistema cinese non avesse raggiunto una stabilità tale da permettersi il ripristino di un certo pluralismo. Si trattò di una visione contrastata in Eu­ ropa e negli Stati Uniti ma certamente apprezzata dalla dirigenza di Pechino, che orientava la propria politica estera al rispetto della non ingerenza nella

domesticjurisdiction. Nel corso degli anni Novanta fu la crisi del sistema po­

litico italiano, che travolse anche la cooperazione allo sviluppo, a causare un raffreddamento delle prospettive di cooperazione economica bilaterale. Di

15.

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RIQ_UADRO 15.2. Rapporti economici Italia-Cina La Cina si conferma come il nono partner dell'Italia per le esportazioni e il terzo per le importazioni. L' interscambio complessivo è di poco inferiore ai 40

miliardi di euro, con qualche segnale di attenuazione del forte squilibrio

strutturale, ben 16,2 miliardi di euro, a vantaggio delle importazioni dalla Cina. Autoveicoli, meccanica, prodotti farmaceutici, chimici e tessili sono le voci che trainano l'export italiano nel grande paese asiatico, con allettanti prospettive di crescita anche nel settore alimentare cinese. Di grande rilievo sono divenuti in pochi anni gli investimenti cinesi in Italia, dall'acquisto della Pirelli da parte della China National Chemical Corp, alle partecipazioni della People's Bank of China nei capitali sociali di imprese di rilievo come ENI, ENEL, FIAT-Chrysler, Telecom, sino all'acquisto dei due club calcistici di Milano. Fra le più recenti e significative iniziative si segnala l'apertura del consolato italiano a Chongqing, centro municipale con un bacino di oltre 30 milioni di cinesi, e gli investimen­ ti nelle zone economiche esclusive (ZEE). Inoltre l'Italia ha manifestato forte interesse per la Nuova via della seta, un ambizioso progetto che si articolerà in ingenti investimenti infrastrutturali, occasione irripetibile di rilancio economi­ co per la penisola, che rappresenterà l'approdo europeo. Si tratta di prospettive allettanti e di impatto globale, come tali destinate a sollevare temi come quello della competizione con l'uE. Quella cinese, a causa di fenomeni quali il dum­ ping, è un'economia che non soddisfa ancora i criteri europei per poter essere considerata di mercato, un limite che condiziona anche l'Italia.

nuove se ne presentarono con l' ingresso della Cina nel WTO, anche su pres­ sioni italiane, alba di un'era economica globale. A partire dal nuovo millen­ nio la Cina tornò a essere il secondo partner commerciale asiatico dell'Italia dopo il Giappone. Anche in questo caso lo sviluppo nel volume degli scambi prese a strutturarsi in modo sbilanciato con un grave deficit nella bilancia dei pagamenti italiana, determinato da un'inarrestabile crescita delle esportazio­ ni cinesi nei settori dei beni elettronici, dei metalli e dei prodotti chimici. Se occorre rilevare come i rapporti culturali abbiano stentato a svilupparsi, re­ stando la nascita dell'Istituto italiano di cultura nel I986 il punto più alto, la presenza di un'omogenea comunità cinese in Italia costituisce un fattore non trascurabile sia in termini socio-demografici che di orientamento di strategie politico-economiche. I recenti investimenti cinesi in settori di particolare vi­ sibilità sembrerebbero riservare all'Italia il ruolo, non particolarmente attivo, di terra di sbarco in Europa (cfr. riquadro I5.2 ) .

2.43

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IS·4

Conclusioni Gli scenari pose-bipolari non hanno solo dischiuso all'Italia nuove pro­ spettive di collaborazione economico-culturale con grandi paesi come Russia e Cina, ma anche incognite legate all'emergere di nuovi condizio­ namenti internazionali. Fra questi, gravosi appaiono i nuovi vincoli oc­ cidentali che si frappongono ancora una volta a più intensi rapporti con la Russia e in parte con la Cina. In questo senso sono le posizioni assunte dall' UE in tema di garanzie democratiche, diritti e rispetto della concor­ renza economica a frustrare le relazioni bilaterali. La distanza politica fra l'Europa e la Russia tende a dilatarsi e l'Italia ne subisce un chiaro danno. I due paesi pertanto continuano a far parte di contesti geopolitici diversi e arduo appare ipotizzare una svolta positiva se anche la fine della guerra fredda ha riproposto linee di frattura. Divergenze di principi esi­ stono anche con la Cina, che offre le maggiori prospettive di cooperazio­ ne economica ma anche le incognite più difficili da decifrare per i futuri assetti internazionali. Il rischio di un crescente squilibrio a vantaggio di Pechino appare particolarmente concreto. I recenti cospicui investimenti cinesi nel calcio italiano sembrano destinati ad avere un impatto identica­ rio, favorendo la globalizzazione di storici marchi di successo. Si tratta di operazioni finanziarie finalizzate soprattutto a favorire lo sviluppo eco­ nomico e sociale dello sport in Cina, parte non trascurabile del processo in corso di conversione dell'economia cinese da formidabile forza espor­ tatrice ad acceleratrice di enormi consumi interni. Se i rapporti politico-diplomatici appaiono ancora poco significativi - con la Russia per il nuovo diaframma che si è costituito in luogo della vecchia cortina di ferro, con la Cina per l'oggettiva difficoltà nel rappor­ tarsi alla nuova potenza globale -, quelli economico-commerciali si ca­ ratterizzano per un forte squilibrio, causato dal prevalere del fattore ener­ getico con la Russia e per l'ampiezza degli investimenti cinesi in Italia. Allo stato attuale una direttrice di politica estera potrebbe coniugare eco­ nomicamente Russia e Cina solo in una prospettiva non particolarmente allettante, quella di una duplice dipendenza italiana, da Mosca sul piano energetico, da Pechino per gli investimenti cinesi. Tuttavia, la transizione della Cina a prima economia di consumi al mondo lascia intravedere svi­ luppi più incoraggianti nel caso gli attori italiani si rendano competitivi anche sui grandi numeri. La possibilità che l'Italia, media potenza, rie­ sca a giocare un ruolo più attivo ed equilibrato verso Oriente nel medio

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periodo non appare particolarmente plausibile. D'altra parte, quelli in esame non sono più gli scenari economici di Mattei né quelli diplomatici che portarono al riconoscimento della Cina popolare, anche se un po' di quella lungimiranza farebbero comodo anche oggi. La direttrice euroa­ siatica sarà invece concretamente realizzata dalla Cina attraverso la Nuo­ va via della seta, che implica anche un forte coinvolgimento finanziario russo, e ha proprio nell'Italia uno dei maggiori terminali. Responsabilità della politica nazionale sarà saper scindere i vantaggi dai rischi di una de­ finitiva e incondizionata assimilazione, che condannerebbe l'Italia a non andar mai oltre il mito del Bel paese.

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matiche tra la Repubblica italiana e la Repubblica Popolare Cinese. Atti e docu­ menti, con un saggio di E. Di Nolfo, Rubbettino, Soveria Mannelli.