Ricerche lessicali sul dialetto del’Alto-Vicentino [Reprint 2017 ed.] 9783110933918, 3484522402, 9783484522404

The study centres on the lexical investigation of the 'alto-vicentino' dialect, that is traditionally subsumed

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Ricerche lessicali sul dialetto del’Alto-Vicentino [Reprint 2017 ed.]
 9783110933918, 3484522402, 9783484522404

Table of contents :
Indice
Premessa
Il territorio alto-vicentino
Note sul vicentino e alto-vicentino in età preromana
La posizione del dialetto alto-vicentino
Alcune particolarità fonetico-morfologiche
Il Lessico
Gli stanziamenti «cimbri» nell’alto – vicentino
Glossario. Criteri di trascrizione fonetica
Conclusione
Abbreviazioni
Bibliografia

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BEIHEFTE ZUR ZEITSCHRIFT FÜR ROMANISCHE PHILOLOGIE BEGRÜNDET VON GUSTAV GRÖBER FORTGEFÜHRT VON WALTHER VON WARTBURG UND KURT BALDINGER HERAUSGEGEBEN VON MAX PFISTER

Band 240

MARIA TERESA VIGOLO

Ricerche lessicali sul dialetto dell'Alto Vicentino

MAX NIEMEYER VERLAG TÜBINGEN 1992

Con il contributo del Centro di Studio per la Dialettologia Italiana del C.N.R.

Die Deutsche Bibliothek - CIP-Einheitsaufhahme Vigolo, Maria Teresa: Ricerche lessicali sul dialetto dell' Alto Vicentino / Maria Teresa Vigolo. - Tübingen: Niemeyer, 1992 (Beihefte zur Zeitschrift für Romanische Philologie ; Bd. 240) NE: Zeitschrift für Romanische Philologie / Beihefte ISBN 3-484-52240-2

ISSN 0084-5396

© Max Niemeyer Verlag GmbH & Co. KG, Tübingen 1992 Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany. Satz und Druck: Guide-Druck, Tübingen Einband: Heinr. Koch, Tübingen

Indice

Premessa

1

Il territorio alto-vicentino

2

Note sul vicentino e alto vicentino in età preromana

4

La posizione del dialetto alto-vicentino

7

Alcune particolarità fonetico-morfologiche

15

Il Lessico

19

Gli stanziamenti «cimbri» nell'alto-vicentino

23

Glossario. Criteri di trascrizione fonetica

44

Conclusione

112

Abbreviazioni

115

Bibliografia

117

V

Premessa*

L'indagine lessicale riguardante il territorio alto-vicentino che costituisce la parte montuosa e pedemontana della provincia di Vicenza, la cui varietà dialettale è tradizionalmente assegnata al gruppo veneto-centrale (vicentino-padovano-polesano), è stata condotta in modo contrastivo rispetto ai dialetti veneti centrali e meridionali, compreso il veneziano, privilegiando invece i rapporti con le varietà venete settentrionali (feltrino-bellunese), il trentino, il valsuganotto, verso i quali il nostro territorio sembra gravitare a differenza del vicentino di città e del basso vicentino, che come aveva avvertito l'Ascoli, formano un nucleo unitario col padovano (AGI, 1,416 e 420). La particolare posizione linguistica dell'alto-vicentino è determinata inoltre da vicende storiche che l'hanno caratterizzato a partire dell'età Medievale. Mi riferisco agli insediamenti dei lavoratori tedeschi che si sono stanziati, sia pure a nuclei sparsi, su una gran parte del territorio compreso fra i XIII Comuni del veronese e i VII Comuni vicentini, istituendo una situazione di bilinguismo che si è protratta fino a tempi molto recenti (cfr. le inchieste per l'Atlante Linguistico Italiano, inedite, nelle località di Roana e Mezzaselva sull'Altopiano di Asiago). Per quanto riguarda i materiali della presente ricerca dialettale, oltre ad aver preso in considerazione i tradizionali strumenti: Dizionari dialettali, Atlanti linguistici, repertori lessicali locali, per i quali rimandiamo alla bibliografia, dobbiamo osservare che sono state utilizzate le registrazioni effettuate in 50 località dell'alto-vicentino per l'Archivio Sonoro dei Dialetti Veneti, promosso dal prof. M. Cortelazzo e le inchieste personali attraverso le quali abbiamo rilevato nuovi elementi lessicali o controllato e verificato l'esistente, con lo scopo di evitare i facili equivoci che possono derivare della sola audizione del parlato.

* Ringrazio il prof. G. B. Pellegrini per avermi dato utili suggerimenti e preziose indicazioni etimologiche e per aver rivisto puntualmente il lavoro. Ringrazio inoltre il prof. M. Cortelazzo per avermi messo a disposizione l'Archivio sonoro dei Dialetti Veneti, i proff. A. Zamboni, A. L. Prosdocimi, la dott. P. Mura e L. Corrà. Sono grata a tutti gli informatori dell'alto-vicentino che hanno callaborato alle inchieste e che sarebbe troppo lungo citare personalmente, agli autori delle registrazioni, al bibliotecario della Biblioteca Civica di Valdagno A. Cornale.

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Il territorio alto-vicentino

Il territorio alto-vicentino, pur non costituendo all'interno della provincia di Vicenza una unità geopolitica, ha assunto sia per vicende storiche, sia per posizione geografica una particolare fisionomia che lo contraddistingue e dalla città di Vicenza, e dal basso vicentino che condivide con il padovano e il basso padovano molti dei suoi tratti caratteristici, a partire dalla stessa configurazione morfologica del terreno, che è di natura collinare e si sussegue senza soluzione di continuità dai «Colli Berici ai Colli Euganei». L'alto-vicentino presenta un aspetto assai più accidentato, data al conformazione rocciosa tipica della fascia prealpina delimitata ad Ovest dai Lessini veronesi e ad Est dalla Valsugana in territorio trentino. Con il Trentino o meglio con il roveretano confina quasi tutta la parte superiore delle vallate vicentine fra le quali: la Valle del Chiampo, la Valle dell'Agno, la Val Leogra, la Val d'Astico, solcate dagli omonimi torrenti e infine si situa a ridosso delle aree trentine l'Altopiano dei VII Comuni, compreso tra l'Astico e il Brenta. Ora trattando un po' più particolareggiatamente dei limiti del nostro territorio che attraverso la fascia pedemontana in cui si sono sviluppati i maggiori centri di Arzignano, Chiampo, Valdagno, Recoaro, Schio, Thiene, Breganze, Marostica, Arsiero, degrada verso la città di Vicenza, c'è da osservare che la Valle del Chiampo è posta al confine con il veronese da cui è separata attraverso la Val d'Alpone e la Val d'Illasi, mentre la Catena dei Lessini occupa entrambe le province di Vicenza e di Verona 1 . Ad Est la Valle del Chiampo è in comunica1

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La Valle del Chiampo comprende 10 Comuni in provincia di Vicenza: Altissimo, Arzignano, Chiampo, Crespadoro, Gambellara, Montebello, Montorso, S. Pietro Mussolino, Nogarole, Zermeghedo e 3 in provincia di Verona: Roncà, S. Bonifacio, Vestenanuova. Ad occidente è possibile entrare nel territorio veronese verso la Valle d'Alpone per i valichi di Calvarina, di Madarosa, della Vignaga, dei Mistrorighi, dei Cracchi e nella Valle dell'Illasi attraverso il passo dei Campilgeri sulle tracce della «Gassa», l'antica strada vicentina che, segnando il confine fra i distretti di Verona e di Vicenza fino al passo delle Tre Croci (ora della Lora), andava ad Ala e di qui in territorio trentino. Più numerose e relativamente più facili erano le comunicazioni in direzione del veronese, rispetto all'adiacente Valle dell'Agno nel vicentino. (AA. W , Valle del Chiampo, Vicenza, 1973, pp. 13 e p. 122). L'assetto del territorio vicentino risale agli anni che seguirono la dedizione della provincia a Venezia (1404), epoca in cui oltre al distretto bassanese ad Est, vennero tolti al vicentino i distretti di Cologna, S. Bonifacio e Montecchia ad Ovest; restando i termini a Nord, lungo la Valsugana, motivo di continui conflitti con gli Imperiali. Per le questioni riguardanti i confini cfr. Mantese, Memorie storiche della Chiesa Vicentina, III, Vicenza 1958, p. 414 e III, parte II, Vicenza 1964, pp. 5 1 7 - 5 1 8 , 5 1 5 - 5 3 2 ) .

zione con la Valle dell'Agno per i valichi di S. Caterina e Brazzavalda, percorsi un tempo da sentieri. La Valle dell'Agno si collega attraverso il passo di Campogrosso alla testata meridionale della Vallarsa in territorio roveretano. Attualmente il passo è diventato un nodo viario vero e proprio, parallelamente a quello del vicino Pian delle Fugazze che collega la Val Leogra con la Vallarsa e si situa fra i comuni di Valli di Pasubio nel vicentino e di Vallarsa in Trentino. Il Pian delle Fugazze è considerato dal punto di vista storico il più importante nodo viario, a partire almeno dal 1600, in quanto è collocato sulla strada maestra che da Vicenza porta a Rovereto. Una terza via di collegamento tra le due province di Vicenza e di Trento, è il passo della Borcola, (già ricordato negli Statuti vicentini del 1264) che segna il confine comunale fra Posina in territorio vicentino e Terragnolo nel roveretano2. Per quanto riguarda la Valdastico, questa confina con il Trentino nella sua parte più alta, mentre più a sud separa Tonezza nel vicentino dall'AltoPiano dei VII Comuni. Quest'ultimo è l'area montuosa di gran lunga più importante nell'alto-vic., già nota non solo per le vicende storiche anche recenti riguardanti i confini territoriali fra Italia ed Austria, ma soprattutto, da un punto di vista linguistico, per l'immissione massiccia in età medievale di coloni bavarotirolesi la cui presenza ha determinato una situazione di bilinguismo durata almeno per alcuni secoli. Anche le aree più a sud dei Setti Comuni tuttavia sono state interessate dalle immigrazioni di lavoratori tedeschi, tra cui la Valstagna3 posta a sinistra del Brenta, con le frazioni di Collicello, Costa, Oliera, Roncobello; il Tretto, presso Schio e tutta una vasta area pedemontana del territorio alto-vicentino che prenderemo in considerazione particolareggiatamente nel capitolo sugli «insediamenti cimbri dell'alto-vicentino». 2

Dopo che Roma si fu insediata a Trento, e soprattutto dopo la conquista romana della Rezia del 15 a . C h . , diventò naturale il precisarsi di tracciati viari che collegassero le diramazioni che dalla Via Postumia, si protendevano verso l'alto-vic., con la Claudia Augusta Padana che muovendo da Verona raggiungeva Trento e con la Claudia Augusta Altinate che giungeva a Trento dalla Valsugana. Tra l'alto-vicentino e il Trentino sono pressoché certe due vie romane di collegamento, una attraverso la Val Leogra e la Vallarsa, l'altra attraverso la Valdastico e Caldonazzo. (De Bon, Storia e leggende della terra veneta. Le strade del diavolo, Schio, 1941, pp.65—69 e 5 2 - 5 4 ) ; ma perii problema aperto di questi percorsi cfr. Bosio 1976, 69—73). E ' in questa logica che si spiega la presenza del castrum romano di Santorso, qui stabilito per controllare le possibili discese di popolazioni ostili lungo le più facili vie d'accesso e per servire come base di pronto intervento per raggiungere lungo le stesse vie il Trentino e la Rezia. (M. De Ruitz, A. Kozlovic, T. Pirocca, Appunti su Santorso romana Santorso, 1978, pp. 103—106). E ' significativo, - aggiunge Sartore, Termini di confine, p. 276, che quell'eccezionale conoscitore dei nostri monti e valentissimo Ispettore dei confini della Repubblica veneta, il conte Francesco di Caldogno, nella sua famosa relazione al doge Grimani del 1598, riproponesse di utilizzare la stessa località del castrum romano di Santorso come base per le milizie atte a difendere le due valli del Leogra e dell'Astico.

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La Valstagna si trova allo sbocco del torrente omonimo, che attraversando il paese lo divide in due parti. E ' ricordata in un documento del 1205 sotto il nome di Vallis Stagne (iCod. Ecel. 147, cit. in Frescura, 1894,38), formava parte delle contrade annesse ai Sette Comuni, ed era lo sfogo naturale del commercio dell'Altopiano verso la vallata del Brenta.

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Note sul vicentino e alto-vicentino in età preromana

Il territorio dell'alto vicentino non è stato oggetto di indagine in sè e per sè, in quanto come abbiamo detto non presenta né ha presentato una propria autonomia rispetto al vicentino della città di Vicenza o al basso vicentino in cui senza soluzione di continuità vengono a confluire da una parte i colli Berici e dall'altra, al confine con il Padovano, i colli Euganei che con l'antica città di Ateste (Este) hanno irradiato la civiltà paloeveneta. Sull'incidenza e sulla cultura dei paleoveneti e della loro lingua «venetica», anche nell'area vicentina, rimando ai contributi di G. B. Pellegrini e di A. L. Prosdocimi 4 , specialisti di lingue dell' Italia antica ed in particolare della lingua venetica, che essi hanno interpretato e studiato, attraverso la conoscenza approfondita dei testi, ormai assai numerosi (si aggirano sulle 350 unità) compresi quelli misti latino-venetici), cfr. al riguardo i due volumi de La Lingua venetica (LV) e per i successivi aggiornamenti l'opera di sintesi su I Veneti antichi (1987) di G. Fogolari e A. L. Prosdocimi. Per quanto riguarda il territorio vicentino Prosdocimi LV 376 scrive che 'la documentazione relativa a Vicenza paleoveneta è scarsa ed ambigua: corrisponde alla scarsità di reperti preromani' e più oltre nota che scarsissimi erano i ritrovamenti paleo-veneti fino al 1959, anno in cui fu scoperta una stipe votiva, formata da un gruppo notevole di laminette in bronzo, che furono ben presto attribuite alla civiltà paleoveneta, in quanto assai simili a quelle del fondo Baratela di Este. Il Prosdocimi tuttavia aggiunge che il materiale è culturalmente e cronologicamente poco omogeneo e resta l'impressione che il territorio vicentino costituisse un'area periferica, in cui la pressione da Vicenza, decisamente paleoveneta, irradiava culturalmente, con tracce linguistiche nelle zone finitime, resistenti al processo di indoeuropeizzazione. Diversamente per quanto riguarda l'alto-vicentino è stato notato che esso è collegato, sia per la morfologia del territorio, sia per tradizioni culturali, radicate in epoca antica, a quella fascia prealpina che si estende dalla Lessinia veronese alla Valsugana; tra queste aree si identifica una omogeneità nella tipologia dei

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Numerosi sono gli studi dedicati al venefico da Pellegrini e da Prosdocimi, sia anteriormente che posteriormente alla Lingua Venetica (1967). Per una bibliografia aggiornata sugli studi venetici e su tutta la problematica riguardante l'argomento da diverse prospettive v. ora Fogolari-Prosdocimi 1987 specie al cap. La documentazione linguistica, pp. 234—244. In particolare per le iscrizioni fornite da Vicenza e per la discussione sul nome della città cfr. pp. 2 9 9 - 3 0 1 e p . 4 0 1 .

reperti archeologici ed anche nella produzione linguistica, marginale rispetto a quella venetica (alla quale tuttavia si richiama) e assimilabile piuttosto ai reperti materiali e linguistici dell'area alpina immediatamente soprastante (Trentino Alto Adige). In questa fascia di territorio sono stati rinvenuti manufatti ed iscrizioni appartenenti ad un areale (per altri meglio «allo-venetico») tra i quali hanno assunto una grande importanza dal punto di vista linguistico e della tradizione scrittoria le iscrizioni su corno di Magrè, in Val Leogra. Queste sono state confrontate puntualmente con le stipi votive costituite da palchi di cervo e di daino, ritrovate a Serso di Valsugana (interpretate da Pellegrini-Sebesta 1965, pp.3—33), con i reperti di S. Briccio di Lavagno sui Lessini veronesi e con le iscrizioni nordetrusche di Sanzeno (in Val di Non) edite da Pellegrini in «AAA» XLIV (1951, pp.303—329). Rimando comunque per la consistenza delle iscrizioni retiche e in generale per la stessa discussione sul termine «retico» ai contributi di Mancini 1973, Tibiletti Bruno 1978, Prosdocimi 1972, Pellegrini 1984 (2). Limitandoci per ora al territorio dell'alto-vicentino c'è da osservare che le iscrizioni di Magrè (su ex voto ricavati da corna di cervo) edite per la prima volta e commentate dall'archeologo Giuseppe Pellegrini, Corna di cervo iscritte ed altre reliquie di una stipe preromana scoperta presso Magrè in provincia di Vicenza, in «Notizie degli Scavi» 1918, pp. 169-209 sono state illustrate successivamente dal Thurneysen (1932) e da Whatmough in PIDII pp. 33-48. A queste si aggiungono le osservazioni di Kretschmer Wem waren die ràtischen Tàfelchen von Magrè geweiht? in «Die Sprache» 11949 pp. 30—36 e per l'interpretazione di alcuni segni cfr. Pellegrini 1951 cit. e Pellegrini 1985 107. In quest'ultimo recente contributo intitolato Reti e Retico, lo studioso precisa che «con i reperti cospicui di Magrè vicentino, già J. Whatmough fu costretto ad integrare la precedente classificazione appunto con il tipo di Magrè che offre nuovi segni e varie particolarità secondo noi in qualche caso ancora sub-judice». Da ultimo una comparazione tra diversi testi attribuiti al retico e le diverse lezioni interpretative è stata fatta da A. Mancini nel 1975 in «Rivista di epigrafia italica» degli «Studi etruschi», XLIII (1975), pp. 249-306. Ancora al «retico» sono state assegnate le iscrizioni rinvenute in località Bostel a Rotzo sull'altipiano dei VII Comuni, stazione abitata nello stesso periodo e della stessa consistenza etnica di Magrè, e a Piovene in Val d'Astico. Anche qui ritornano puntuali i confronti con i rinvenimenti di Sanzeno, per i quali cfr. l'analisi di Tibiletti Bruno 1978, 236. Ora pur consapevole, di operare un 'salto storico', per alcuni aspetti metodologicamente non giustificabile, dirò che l'alto-vic. si differenzia e dal basso-vie. e dal padovano in un altro periodo fondamentale nella formazione delle lingue e dei dialetti neolatini e cioè nell'età medievale, durante la quale tutto il territorio che va dall'Adige al Brenta è stato interessato agli insediamenti di lavoratori bavaro-tirolesi, stanziatisi stabilmente in quest'area, sia pure a nuclei sparsi, la cui consistenza non doveva essere affatto irrilevante, se, come vedremo, hanno determinato per secoli una situazione di bilinguismo. Per questo argomento, 5

compresi i riferimenti bibliografici rimando al capitolo sui «cimbri» nell'alto-vic. Sia il periodo della dominazione romana, sia quello della presenza dei Longobardi, che hanno lasciato vaste tracce in Vicenza e nella sua provincia, sono ai nostri fini meno interessanti in quanto queste due 'culture' hanno esercitato come per altre aree dell'Italia Settentrionale una funzione unificante e livellatrice dei particolarismi locali (cfr. L. Bosio, Veneto Romano, in Storia della cultura veneta dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp.63—81 e Itinerari e strade della Venetia romana, Padova 1970, pp. 129—143. Per il ducato longobardo di Vicenza cfr. A. Previtali, Longobardi a Vicenza. Una conquista, un ducato, una cultura. Vicenza 1983.

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La posizione del dialetto alto-vicentino

Gli studi sul dialetto alto-vicentino 1. Già l'Ascoli, in due passi dei Saggi Ladini del 1873, nella descrizione che riguarda le varietà dialettali del Veneto, accenna brevemente alla posizione del dialetto vicentino, introducendo, sia pure con cautela, per mancanza di indagini dirette sul territorio e quindi di dati significativi, una suddivisione tra il vicentino settentrionale e il vicentino meridionale, distinzione che alla luce degli studi più recenti e con l'apporto di indagini più capillari, tende sempre più ad essere comprovata. L'intuizione dell'Ascoli viene esplicitata dunque in un primo passo, quando egli colloca il dialetto vicentino nella sezione dedicata ai territori fra l'alto Bacchiglione e l'alta Livenza (pp. 415 e sgg.), avvertendo tuttavia che qui prenderà in considerazione quei fenomeni vicentini «i quali rappresentassero la immediata continuazione della zona dialettale cui spettano i territori tridentini, feltrini e trevigiani . . . fenomeni che si potrebbero perciò dire su per giù, di vicentino settentrionale, laddove saranno di vicentino meridionale quelli che specialmente si colleghino o anzi si confondano col rustico padovano» (p. 416 nota 2). Più oltre, l'A. riprende a trattare di vicentino nella stessa sezione dedicata a Padova e a Verona (p.420) ma, attraverso considerazioni di ordine letterario, piuttosto che linguistico. Egli si riferisce in particolare alla funzione unificante che ha avuto la letteratura pavana «i campioni della quale parte son padovani e parte vicentini», da cui inferisce che «veramente le attigue zone dei contadi di Vicenza e di Padova, dovevano formare uno stesso territorio dialettale». E sul piano letterario, Ascoli aggiunge che «antichi paralleli cittadineschi del pavan o . . . li rintracceremo per buona parte nei monumenti veronesi». Questa comune lingua letteraria tuttavia così come ci è stata tramandata dai testi di letteratura pavana non può essere considerata alla stessa stregua di testimonianza diretta del parlato in quanto, alludendo agli scrittori pavani, Ascoli afferma che «nei loro componimenti si può sempre sospettare che v'abbia qualche artifizio, qualche caricatura, delle tendenze originali; può anzi temersi che una specie di tradizione accademica usurpi le sembianze della vena popolare» (p.420). Di qui il sospetto che scrittori di Vicenza, quali il Da Schio, sua 7

fonte documentaria, rispecchiasse una varietà cittadina piuttosto che il parlato rustico del contado. 2.

Delle fasi arcaiche del dialetto alto-vicentino si è occupato, sia pure indirettamente anche C. Battisti 5 in un lavoro del 1936, La posizione dialettale del Trentino, ora discusso ed integrato da G. B. Pellegrini6 in La posizione del veronese antico (1966). Il punto di vista dei due studiosi è particolarmente interessante in primo luogo perchè si cambia la prospettiva di indagine rispetto a questa varietà dialettale alto-vie., che viene presa in considerazione non più secondo un'ottica veneto-centrica, ma per una serie di particolarità linguistiche che la differenziano dal veneto centro-meridionale ed in particolare dal veneziano. Inoltre sono state studiate le fasi arcaiche del vicentino, attraverso la ricostruzione del neolatino preesistente agli insediamenti «cimbri» nei Sette e Tredici Comuni vicentini e veronesi. Questa scelta di campo è risultata come vedremo densa di conseguenze significative sul piano linguistico, relative non solo a queste due aree che tradizionalmente vengono indicate come sedi di stanziamenti «cimbri» ma ad un territorio molto più vasto che in età medievale è stato massicciamente occupato da coloni bavaro-tirolesi, i quali devono aver lasciato tracce rilevanti nelle attività lavorative e nelle pratiche della vita quotidiana, se qualche informatore dell'Altopiano di Asiago ricorda che, la conoscenza del veneto non era sufficiente per poter lavorare nelle botteghe di falegname della zona, in quanto lì si parlava correntemente cimbro. C. Battisti, attraverso l'analisi dei prestiti romanzi in tedesco ha ipotizzato che probabilmente, prima della penetrazione commerciale e culturale del dominio veneziano (nel sec.XV), il veronese e il vicentino della montagna, formavano un nucleo linguistico comune nel Trentino con caratteristiche italiano settentrionali non identiche a quelle del veneto-meridionale e lagunare. E la sua formulazione si spinge ancora oltre quando aggiunge che «io non considero geneticamente come venete le originarie parlate veronesi e vicentine ma le intuisco invece come fondamentalmente affini col trentino centrale in fasi precedenti, cioè come parti integrali di un vecchio sistema «atesino» da cui furono avulse dall'incontrastato trionfo della Serenissima». Ma mentre nel veronese è molto più facile riscontrare quei caratteri fonetico-morfologici che Battisti enumerava in contrasto con il veneto centrale o lagunare, in particolare la presenza

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C. Battisti si è occupato sempre indirettamente di dialetto alto-vie. cioè attraverso lo studio dei dialetti alpini e prealpini o, in particolare, in riferimento alle isole alloglotte tedesche del Veneto e del Trentino. Cfr. Battisti, 1922, pp. 147-194; Battisti 1931; Battisti 1936. G. B. Pellegrini, La posizione del veronese antico, in Atti del Convegno di Studi su Dante e la cultura veneta, Firenze, 1966, pp. 9 5 - 1 0 7 .

delle vocali arrotondate /ti/ ed lól, conservatesi anche in alcune varietà rustiche e marginali del dialetto attuale; per l'alto vie. il grado di conservazione è molto minore (anche per i maggiori contatti che il territorio ha avuto storicamente con il padovano 7 ) e di conseguenza i prestiti neolatini in cimbro diventano una fonte documentaria di primo piano alla quale potremmo aggiungere soltanto pochissime ed isolate spie, emerse da inchieste dirette nelle località più conservative e negli strati sociali più bassi del territorio o dai pochi (e purtroppo infidi) documenti antichi. Tali sono: assenza di dittongazione di lèi in vén 'viene' < vénit (Posina, Recoaro, S. Vito di Leguzzano), cfr. la vén su 'viene su'; mèle 'miele' < mèle (Recoaro); pé'piede' (Lessinia vicent.) fenomeno comune anche al veron. : mèi, vén, fél, méder ecc... in concordanza col trentino e lombardo (Bonfadini, 1983,42); il mantenimento di /l/ come laterale scempia (1) di tipo toscano: Kavalo, sole ecc... (Posina, Valli di Pasubio) ; in altre località si presenta leggermente palatalizzata (l'AIS la trascrive come una palatale (1), P.362 Crespadoro nell'alta Valle del Chiampo) e, come tratto rustico nelle contrade alte di Recoaro si ha una l\l lievemente velarizzata Al. Il fonema, pur presentando una notevole variabilità, raggiunge solo sporadicamente la fase della cosidetta III evanescente del venez. [e] identificata come approssimante dorsopalatale rilassata da Canepari, ma v. ora tutta la discussione sull'origine storica del fono e sulla sua diffusione nei maggiori centri urbani del Veneto (per influsso di prestigio del venez.) ad esclusione di Belluno e di Verona in Zamboni, 1988, 525; la sincope die lei postonica in denévre 'ginepro' kàmbra 'camera', gàmbri 'gamberi', déndro 'genero'. Ciò è confermato anche da testi antichi, cfr. Statuti 1429:rovre 'rovere' (118), essre 'essere' (134), zendre 'genero'; la restituzione del participo in làtusl, cfr. ndàdo, magnàdo in luogo di /à/, (tipico della koiné veneta), come in veron. e in triest. ; e ancora registro per l'alto vie. vissuda 'vissuta', cressuda 'cresciuta', vudo 'avuto', vegnudi 'venuti'; le forme verbali del congiuntivo, con terminazione in /e/ invece di lai: Ice vàe 'che io vada', kél me cópe 'che mi ammazzi', Ice le bestie le tóme 'che le bestie tornino', ke no ciapefogo el bosco 'che non prenda fuoco il bosco'; queste forme si estendono per una vasta zona (Arsiero, Santorso, S. Vito di Leguzzano, Valli del Pasubio, Collicello di Valstagna) e attraverso il bassanese toccano l'alta padovana che subisce gli influssi anche dal trevigiano. La desinenza è propria del feltr. beli, e del trevig.

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Per le relazioni tra Padova e Vicenza in età medievale, cfr. I. Cabianca, F. Lampertico, Vicenza e Usuo territorio, Milano 1861; S. Castellini, Storia della città di Vicenza, ove si vedono i fatti e le guerre de' Vicentini, così esterne come civili, dall'origine di essa città sino all'anno 1630,1, Vicenza, 1783. E' da sottolineare inoltre dal punto di vista della storia religiosa, che attualmente tutto l'Altopiano di Asiago dipende dalla Diocesi di Padova.

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3.

Pellegrini riprendendo ed integrando i lavori di Battisti sulle oasi linguistiche alloglotte in ormai numerosi articoli8 (nei quali presta particolare attenzione alla toponomastica) osserva che non bisogna disconoscere anche a Padova un ruolo non secondario, prima di Venezia in ordine di tempo, nell'irradiare a Nord e ad Ovest elaborazioni dialettali tipicamente patavine. Ciò è facilmente dimostrabile per quanto riguarda l'area vicentina ed alto-vie. che conserva ancora oggi dei tratti che sono stati riconosciuti come tipici del pavano, quali l'esito di -atu > ao > oo > ò di cui rimangono tracce oltre che nella toponomastica in alcuni relitti lessicali, fra i quali il noto filò Veglia nelle stalle', tabiò 'fienile> < tabulatimi, in alto vie. ant. cugnò 'cognato' (Statuti 1429) e di -ate, -ati > è: sbaketè 'bacchettate', sciopetè 'schioppettate', l'uscita in -è si riscontra in molti participi passati m. e f. pi. 9 specialmente da parte di parlanti il dialetto rustico dell'alta valle dell'Agno e dell'alta Valdastico. Analogamente sono conservati nel veron.: magnè, porte, male, robe (Bondardo, 1972,161 e Zamboni, 1988, 532). Sono inoltre noti alla letteratura pavana e vitali in alto vie. i tipi lessicali: burlare 'muggire dei buoi', tronàre 'bisticciare, provocarsi, rimproverarsi', arfiàre 'respirare' e àrfio 'respiro', sbima 'schiuma', alcuni gerundi in -andò: fagàndo 'facendo', stogando 'stando' ecc... o congiunt. pres. sipia 'sia', sipiàmo 'siamo'. Pellegrini fa inoltre notare, a differenza di Battisti che si limita a tracciare dei rapporti tra il vie., il veron., il trentino e il lombardo, che la ricostruzione di fasi arcaiche delle varietà venete parlate nei territori occupati dai «cimbri» permette di ricostruire un lessico che trova corrispondenza con voci alpine, definite tradizionalmente ladine, o «retoromanze». Rimando al Glossario l'esame di queste particolarità e la conferma di queste ipotesi. Prima dunque di passare ed enumerare una serie di caratteristiche fonetiche, proprie dei prestiti romanzi in «cimbro» già discusse da Battisti e Pellegrini; da E. Kranzmayer, 1981, 1985 (opere postume) per i VII e XIII Comuni; da Gamillscheg, 1912, per Luserna e da Zamboni, 1979, per l'area mochena; vorrei soffermarmi alla luce dei dati che ne derivano a considerare un passo del De Vulgari eloquentia (I, 14) di Dante dove si parla esplicitamente dei rapporti linguistici tra Bresciani, Veronesi e Vicentini. «Hos omnes qui magara dicunt, Brixianos videlicet Veronenses et Vigentinos habet» mentre i padovani sono 8

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G. B. Pellegrini, Ancora alcune considerazioni sulla toponomastica cimbra, in Atti del Convegno Interdisciplinare sulle isole linguistiche tedesche delle Alpi Meridionali, (a cura di G. Marcuzzi, G. B. Pellegrini) in «Terra Cimbra», XIV, 1983, pp. 105-115; e Sulla storia degli insediamenti umani in area «cimbra», nel voi. miscellaneo Le isole linguistiche di origine germanica nell'Italia Settentrionale, «Atti del Convegno» (a cura di G. B. Pellegrini, S. Bonato, A. Fabris), Roana, 1981 pubblicati nel 1984; G. B. Pellegrini, Contatti linguistici cimbro-neolatini, in Atti del Convegno di Studi Cimbri, Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto (Trento) 1988. I participi passati in /-è/ m. e f. pi., sono regolarmente usati nelle località di Posina, Recoaro, Valli di Pasubio, Tonezza. Es. sbreghè 'strappati', bituè 'abituati, -e', stè 'stati, -e' ecc...

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classificati a parte e la loro parlata è esemplificata nelle ben note forme sincopate: merco e bonté. Non è da escludere che le annotazioni di Dante, del resto estremamente precise per i dialetti settentrionali, rispecchiassero effettivamente una situazione dialettale dell'età medioevale diversa rispetto alle conoscenze di cui oggi disponiamo; posizione che è tanto più credibile quanto più possiamo presupporre che la sua permanenza presso Cangrande della Scala a Verona lo avesse reso edotto anche per esperienza diretta del veronese, e quindi che la sua testimonianza possa essere affidabile sul piano delle associazioni linguistiche. Le stesse vicende storiche, depongono a favore di questa tesi. E' noto infatti come durante la dominazione degli Scaligeri, Vicenza gravitasse su Verona da cui proveniva il centro di irradiazione linguistica, almeno così si può arguire dai documenti che ci sono stati trasmessi dal Bortolan, relativamente al XIV secolo 10 . 4. Caratteristiche dei prestiti neolatini in cimbro - Presenza delle vocali arrotondate lòl ed /u/. Battisti 1936, 69, cita: bòra, bròde, buia, ruga, dormuten (p.69), Pellegrini 1966, 105, da uno spoglio del Glossario di A. Dal Pozzo aggiunge plótscha 'pioggia dirotta', flim < fliXm 'fiume', minili 'minuto', varóln, vròln 'vaiolo', posòl 'poggiolo', wròde 'brodo', miill 'mulo', pettiizz 'pettirosso'. Siffatti esempi si possono trovare anche in raccolte lessicali più recenti, come nel Dizionario della lingua cimbra dei VII Comuni vicentini di Martello Martalar (1985): guidami (145); alto-vie. guciarólo 'custodia degli aghi' < gucia 'ago'; fazòola (133) 'fagiolo' usato al femm. come nell'odierno alto-vie. faÉóla, per indicare le varietà più grandi di fagioli, muffa (180) 'muffa', mussa 'braccio o sostegno girevole che regge il paiolo'; kaputza (155) Ietterai, 'cappuccia', 'cavolo', rabut 'virgulto' (201), liiuna 'luna' (174) ecc... - palatalizzazione di lai > lèi, come evoluzione condizionata da palatale (o é per analogia con la metafonia germanica?). Gli esempi citati da Gamillscheg per i prestiti romanzi nel lusernate sono Kalnètsch 'Caldonazzo', Manètsch 'Manazzo', Glietze 'Giazza' e come appellativi stàz 'regolo', cfr. trent. staza, mentre sembrano più incerti gli esempi dove lo sviluppo di lai > Ibi sarebbe spontaneo, si noti comunque gelbar 'Holzschuh', trent. gàlmera, cimbro gèlmera < dalmata (Pellegrini, Contatti linguistici, 1988,19.). Si noti che ghelmara 'scarpa di legno' (Dal Pozzo 240), è attestata per i VII Comuni, cfr. ven. sgalmara, lomb. galmara.

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Si tratta di 17 documenti pubblicati da D. Bortolan, Dialetto vicentino. Documenti e illustrazioni, Vicenza 1888, e riferentisi all'epoca della dominazione Scaligera; più precisamente si situano tra il 5 Luglio 1368 e il 13 Ottobre 1387. Qui si osservano: le desinenze degli infiniti in l-ol tegniro 'tenere', mandaro 'mandare', vegnero a staro e habitaro 'venire a stare e abitare' (p. 12) ; la sincope delle vocali atone: letra 'lettera'; lombro 'numero'; povro 'povero' e c c . . .

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Per i XIII Comuni Battisti, 1931, 125, cita: tèta per tata 'padre' mècan 'ammaccare', vésce 'fascia'. Un altro esempio di sviluppo condizionato si trova in Martello: gnàgnera 'febbretta' (143), cfr. il ven. gnàgnara, id. (Prati, EV. 76). Si può notare ancora che in documenti antichi di Marano Vicentino si ha erboli, herbori, erbole, (Statuti 1429, 90, 106, 118) 'alberi' accanto agli esempi veneti citati da Ascoli, 1873,256, e Wendriner, 6: elto, erbore. In sillaba atona l'alto vie. presenta qualche es. di sviluppo di /a/ > /e/, condizionato da palatale: skenèla 'slittino da bambini' (Valli del Pasubio) < un lat. *scamnium per scamnum da cui il ven. scagno, scagnèlo 'scanno' e altri significati figurati (Prati, EV, 154). Esempi di questa evoluzione fonetica sono citati anche dalla Corti, Emiliano e Veneto, 46, dal codice Laurenziano Gaddiano del «Fiore di Virtù» che rispecchierebbe la situazione linguistica del padovano del Trecento, sovrappostasi alla originaria veste emiliana: cavello 'cavallo', cheqe 'cade' e, se non vi è errore, breaqo 'braccio'. La Corti tuttavia, ritiene troppo scarse e, non del tutto convincenti le testimonianze per ipotizzare la presenza del fenomeno nel pad. - prestiti che presentano la lui lombarda invece che la lo/ veneto-trentina riportati da Zamboni, 1979, 86, per il mocheno: tùrt 'torta', spus 'sposo', si ritrovano anche nei VII Comuni, cfr. in Martello: luura 'imbuto' (174), ven. lóra, e in Dal Pozzo kappuun 'cappone' (43), scorpiuum 'scorpione' (244). - presenza del dittongo discendente lèi/ < lat. volgare /e/ ( < /il, /è/) nel lusernate, cfr. in Gamillscheg: Rovrdit'Rovereto' < roburètum\ Folgràit 'Folgaria' < fìlicarètum; Schlait 'Schio' < esculètum; cain 'cena' < caena-, negli altipiani veneti, cfr. in Kranzmayer, 1981, 15 Kornait 'Comedo' < cornètum; Nait 'Agnedo' < alnètum, sàinà 'cena', voce che ritorna anche nel mocheno tsaè (Zamboni, 1979, 86 e per lo studio di queste voci cfr. Pellegrini, 1988,19). Tale dittongo /éi/, (diventato in tedesco /ai/) tipico ora del ladino, doveva estendersi in passato anche all'area di Vicenza, Verona e Trento cfr. Battisti 1947,11, che ne studia la diffusione e osserva come il tipo compare nelbergamasco e in zone delle Alpi lombarde orientali: p. es. sira < *seira < lat. tardo séra. Per il consonantismo è nota ed assai diffusa la conservazione dei nessi con /l/, su cui è già stato scritto, d'altra parte questo è un fatto provato anche dai testi veneti antichi. Mi limiterò a citare soltanto alcuni esempi che Pellegrini ha commentato a partire dalle attestazioni di Kranzmayer, 1981, 80-81: per /pi/plona 'pialla'; plàdoma 'catino', cfr. ven. piadena; per /fi/ flap 'fiacco' che resiste intatto anche in Val di Cembra (Aneggi 80, flap)-, flim clampu (Prati, EV) ma dal lat. campus, analogamente a Chiamp di San Lorenzo di Vittorio Veneto, con palatalizzazione della velare. Si possono dunque leggere allo stesso modo anche l'idronimo Chiavón e Caón, torrente presso Breganze, che parallelamente ad altri tipi alpini e prealpini indicanti corsi di acqua: gava, gavón, giàu, giàf, ecc... risale a od una base prelat. *GAB- *GAV- (Bertoldi 1929, 296) o a cavus, diffuso nelle lingue romanze come appellativo di nomi di fiumi; e nel caso specifico ad un lat. mediev. cavane che ha dato il poles. gavona, gaona (Prati, EV13; Hubschmid, 1950, n°43); il toponimo Ponte del Chiastèl d'Isòpo, o Ponte del Chiastèlo d'Isòpo, situato nelle contrade alte di Recoaro Terme, dove scorre il torrente Agno. La dizione ufficiale e conosciuta è Ponte del Costèi d'Isòpo, ma tra gli 11

Cfr. Pellegrini 1983, 111 e Pellegrini, Prefazione a G. Tornasi, Dizionario del bellunese arcaico, 1983,8. 13

informatori più anziani si nota l'intacco palatale di ka > kja in chiastèl, chiastèlo riconosciuta dagli stessi parlanti come voce arcaica. Fra i relitti lessicali presentano palatalizzazione alcune voci: scapussàrse, incàpussàre 'inciampare' detto propriamente del cavallo che ha consumato i ferri dello zoccolo (Zugliano) in luogo del ven. skapussàre, voce diffusa in molti dialetti settentrionali sempre con la velare /k/. Per la discussione etimologica rimando al Glossario; scòto 'porcile' oppure 'annesso rustico dove riparano gli animali da cortile, luogo dove ci si nasconde' (Collicello di Valstagna). Se la voce, come pare probabile è assimilabile al friul. k'ot, cót, còut 'porcile' e ad altre forme analoghe che si riscontrano in alcuni dialetti dolomitici cadorini, bisognerà presupporre una base cautum 'luogo chiuso' (Pellegrini, 1978, 653—664), che sembra sovrapporsi, almeno per alcune forme ladine, con i derivati da càlàthus che hanno assunto il significato di 'scomparto della cassapanca, cassetto d'armadio' e simili (Salvioni, 1914, 576-578). Per le diverse attestazioni e la discussione etimologica cfr. il Glossario.

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Alcune particolarità fonetico-morfologiche

Non è nostro scopo presentare una descrizione della fonetica e della morfologia della varietà dialettale alto-vie., ma daremo soltanto qualche indicazione che possa essere illustrativa della parte lessicale. Per quanto riguarda i principali fenomeni comuni ai dialetti veneti centrali, rimando agli studi di A. Zamboni 1974 ed ora per una sintesi cfr. Zamboni 1988 dove l'autore segnala sia i processi di coinizzazione secondo il modello veneziano, sia le differenze storicamente determinatesi fra i vari sottogruppi veneti. Sono rilevabili nelle località più periferiche e rurali del ven. centr. tratti linguistici arcaici, molto comuni anche nell'alto-vic. tra i quali: - la metafonia di lèi, lól > rispettivamente IH, lui per effetto di lil finale. Espiri 'pere', siki 'secchi' (agg.), pissi, sing. pésso 'abete', siuri 'signori', fiuri 'fiori', tuii, sing. tóso 'ragazzo' ecc..., il fenomeno compare regolarmente anche nella flessione verbale, ma solo nella varietà rustica: sélo vegnésto vial 'è venuto via?' ma voialtri a si vignisti via 'voi siete venuti via', elsé coresto so dale scale 'lui è corso giù dalle scale', ma i sé curìsti so dale scale 'essi sono corsi giù dalle scale'. E ' da notare che in questi esempi la tendenza all'innalzamento vocalico si estende anche alla vocale pretonica. Come nel ven. centr. anche l'alto vie. presenta la tendenza all'apertura delle vocali per effetto di /r/, cfr. Zamboni 1988 531, più o meno accentuata a seconda delle località, ma particolarmente generalizzata nelle città di Vicenza e nei comuni limitrofi oltre che a Thiene, a Pievebelvicino, a San Ulderico del Tretto, a Chiampo, a Gambellara (al confine con il veron.), sui colli Berici: ad Arcugnano e Grancona. Gli esempi con lèi sono numerosi: poarèto 'poveretto', carèto 'carretto', péro 'pera', frèdo 'freddo', crèdo 'credo', negrèto 'negretto' ecc... ed anche al plur. : poarèti, carèti, péri, calièri, mestièri ecc... in questi contesti dunque non si verifica più il plur. di tipo metafonetico, e si ha sia per il sing. sia per il plur. lo stesso grado di apertura. Altro fenomeno conservativo e condiviso dai dialetti ven. settentr. è lo sviluppo di lièi < lil davanti ad /r/: liéra 'libbra', butiéro 'burro', cfr. in Bortolan 1893 sospiero, butiero. Analoga evoluzione è presente nei dialetti agord. ed è stata discussa da Pellegrini, Schizzo 326-327, che pensa all'effetto dell'azione di Irl su HI, cfr. a Gosaldo sentyér 'sentire' dormyér 'dormire', fenyér 'finire', partyér 'partire' e nel muggese s'ier, durmier, qualier, rustier, dier, patier, servier, sentier. Che Ivi abbia in alcune località del territorio un'articolazione debole, lo prova il fatto che in qualche relitto lessicale è avvenuta la caduta, cfr. a Recoaro e in 15

qualche località della Lessinia vie. la denominazione della 'zangola' detta bàcio invece di búrcio, (venez. burchiétó), oppure tòi (alto-ven. e friul. tròi), ven. centr. tròsi 'sentieri' < *trogiu. Nel consonantismo è da rilevare l'uso, da parte dei parlanti delle località più periferiche rispetto ai centri urbani, delle interdentali /•&!, Ibi ( > /d/), ora analizzate, per quanto riguarda i dialetti veneti all'interno del sistema delle coronali da Trumper 1977,276-282 e da Zamboni 1988,525-527. Tra i numerosi esempi citiamo: Hinque 'cinque' ven. sinque; fìima 'cima' ven. sima; límese 'cimice' ven. símese; sórde 'sorcio' ven. sórse; sfròdo 'sentiero' ven. (s)tròso < *trogiu ecc... Per una trattazione sistematica delle interdentali venete nella storia delle sibilanti romanze occidentali v. Tuttle, 1985, 7—44, dove vengono descritti e spiegati anche i processi di scambio tra / 0 . Ne costituiscono relitti storici i casi di betacismo: bólpe 'volpe', bio 'avuto', olándo' 'maturo', in grado di fare da sè < volándo, olèga < volàtica ecc... (cfr. Zamboni, 1988, 525) Sempre nell'ambito del consonantismo, sono frequenti gli esiti palatali, specie nei casi di cons. + /j/, come in alto-ven.: /tj/ > lei criscan 'cristiano', Bascán 'Bastiano'; anche nei prestiti cibari < ingl. tilbory 'calessino' ecc... Il fenomeno è stato notato per il vie. rust. anche dal Salvioni, Illustrazioni, 288 nota 2; /dj/ > /£/ calgéra per caldiéra 'caldaia', girèa per dirèa 'diarrea'; /Ij/ > /g, j/ bugio, bujio 'bollito'; mogére, mojére 'moglie' ecc... (tale alternanza è diffusa in molte aree del Veneto) /vj/ > l]l > Igl tanavièni > tanjèni ~ tanagèni; jétol 'vieni tu?'; cfr. feltr. gén 'viene'. Ini > Inignéve 'neve', gnessún 'nessuno' ecc... Comune al feltr. è inoltre l'ipercorrezione Igul per Iwl: guiare per voiáre 'versare'; sguèlto per 'svèlto' (anche in pad.rust.), e ancora in feltr. Sguizera 'Svizzera', ciguil 'civile' (Pellegrini 1976, 533, Salvioni, Illustrazioni 305). Per quanto riguarda la morfologia, alcune particolarità della flessione verbale distinguono l'alto vie. dalla koinè ven. Si veda ad es. l'esito della I pers. pi. del presente indicai, dei verbi in /-are/ che esce in /-imo/ invece di /-emo/ (che 16

sostituisce /-amo/): fimo 'facciamo', simo 'siamo', stimo 'stiamo', ttimo 'andiamo', ghimo 'abbiamo' accanto a fémo, sémo, stèrno, némo, ghémo o gavémo ecc... A queste si aggiungano forme verbali con la caduta della vocale finale e con la riduzione di /m/ > /n/: l'arlita, la ghinfata, la ghin doparà, 'la slitta, l'abbiamo fatta, l'abbiamo adoperata' (Piana di Valdagno), oppure a fin da magnare nàltri oncó 'facciamo da mangiare noi oggi' (Comedo), accanto a :désso, a fén ridare 'adesso, facciamo ridere' (Comedo). A sua volta l'alto vie. è distinto dall'alto ven. il quale presenta la desinenza /-ón/ < */óml:fón, stón, ndón ecc... (già nota in Ruzzante). L'imperfetto alterna la vocale finale /-e/ con /-il, rispetto al ven. di koinè /-o/: tirarne 'tiravamo', passàine 'passavamo', frenàine 'frenavamo', magnàvini e magnàini 'mangiavamo', portàvini 'portavamo', katavini 'trovavamo', nasiini 'andavamo', fasivini 'facevamo' ecc... Forme analoghe sussistono anche per la I pers. pi. dei verbi in /-ere/ e in /-ire/, come ridivini 'ridevamo', curivini 'correvamo', partivini 'partivamo', finivini 'finivamo' accanto al ven. di koinè: tiràvimo, passàvimo, frenàvimo ecc... e ridévimo, corévimo, partivimo ecc... Secondo Pellegrini si può ipotizzare che il vocalismo finale l-il, /-e/ sia stato restituito e che, in assenza di voc. finale, /-g/ provenga da un precedente /-mi, come del resto avviene per i dialetti altoven. sopra citati. Altre particolarità morfologiche conservative riguardano l'uso - dei participi in /-ésto/, /-isto/: vedésto < vedere, ridésto < ridere piandésto < piàndare 'piangere', sentésto e sentisto < sentire, cognossésto e conossésto < conóssare 'conoscere' ecc... accanto a visto, ridù, sentù, conossù ecc... ; - il participio presente con funzione di sostantivo: nassènte 'sorgente', brazènti 'braccianti' (Valle del Chiampo), farinènte, senerènte 'qualità d'uva', fridènte, fredènte, rassènte, agg. riferiti al vino; forme molto note in pavano e ancora in uso sono: broènte 'bollente', brazènte 'bracciante' (Bortolàn 53 e Salvioni, Illustrazioni, 285, n.2); - il gerundio in -andò: sapiàndo 'sapendo' (anche in pavano, cfr. Bortolan, 57); piovàndo in frasi del tipo: no sta ossàrio narfóra, piovando 'non lasciarlo uscire mentre piove', e ancora fagàndo, stagàndo. Per queste e altre forme del ven. ant., cfr. Ambrosini, Tristano Corsiniano, in «ID», 20 (1956) p.57 n.3 con la bibliografia connessa; - il cosiddetto passé surcomposé, frequente nel registro rustico, ma noto storicamente anche in padov. e veron., nei dialetti alto veneti (ladino e ladinoveneto), di cui ha dato molte esemplificazioni Marcato 1986,45—60, mentre per il friul. ne ha attestato l'uso ed interpretato la funzione Benincà 1989, 577-578. Tali forme verbali sono proprie inoltre del francese e dei dialetti tedeschi meridionali per cui, quando compaiono in cimbro, possono essere indifferentemente attribuite o al bavarese o al vicentino/trentino di adstrato. La costruzione tipo che più comunemente viene citata è formata da due ausiliari, di cui il secondo è il part. pass, del verbo avere: 17

alto-vie. cimbro (Luserna) friul.

a go bio sbarà on cólpo (lett.) 'ho avuto sparato un colpo' hai gehat get sim stick in an grisatn khnot (lett.) 'ha avuto dato sette coltellate ad un masso grigio' (Bertoldi, 1990,51). o aj bu: t vjodu: t (lett.) 'ho avuto visto'.

In friul., ma anche in alto vie. i tempi bicomposti si possono avere con i modi finiti e infiniti dei verbi: mah.. .s'eléé sparlo ighelogarà biosegnà (detto di un porro) (lett.) 'mah... se è sparito, gliel'avranno avuto«segnato»' (qui il parlante si riferisce all'atto di incidere, accompagnato da formule magiche, porri, verruche ecc...). biiognàva vérghele bie dà par tempo, no desso [le bòtte] (lett.) •bisognava avergliele avute date per tempo, non adesso'; si può avere sistematicamente con i verbi intransitivi: ghi n'è bio stà che i sé stà morsegà dai serpe (lett.): 'ce ne sono avuti stati che sono stati morsi dai serpenti', a so bia stà via servissio tanti ani (lett.): 'sono avuta stata via a servizio tanti anni'. me récordo ca semo bio nà inpristio anca naltri (lett.): 'mi ricordo che siamo avuto andati in prestito anche noi'. Il secondo ausiliare (che può essere formato anche dal verbo essere) concorda con il soggetto in: le Se bie sta katàre so marna in ospedale (lett. ) : sono avute state a trovare la loro mamma in ospedale, noialtri semo sté rivé secondi (lett.): 'noi siamo stati arrivati secondi'. Nella costruzione del passivo si può dire: l'è bio stà ciapàprigioniero a Creta (lett.): 'è avuto stato preso prigioniero a Creta'. Quanto alle interpretazioni sulla funzione di questo tempo verbale, è un'ipotesi generalmente accettata che il passé surcomposé esprima in qualche modo un'azione che si configura come perfettiva e traduca quindi un aspetto del verbo. In particolare la Benincà, cit. esemplificando i vari tipi di passé surcomposé in friul., ne sottolinea la componente aspettuale specificando: «il valore primo di questi tempi è quello di un passato anteriore, quindi di un passato necessariamente anaforico, passato cioè in rapporto a un tempo di riferimento, che si oppone ai passati necessariamente o facoltativamente deittici (pass, prossimo e pass, remoto), che sono in relazione col tempo dell'enunciazione».

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Il Lessico

Le indagini lessicali condotte sia attraverso inchieste dirette, sia attraverso lo spoglio di Dizionari dialettali e Atlanti linguistici, sul territorio alto-vie. hanno rivelato la presenza di materiali assai compositi per i quali abbiamo operato una prima grande distinzione: da una parte le voci di origine germanica (in prevalenza bavaro-tirolesi) ancora vitali in quelle aree in cui si sono avuti in età medievale gli insediamenti dei lavoratori tedeschi (per questa parte rimandiamo al capitolo «Gli insediamenti cimbri nell'alto-vicentino»), dall'altra abbiamo analizzato il lessico dialettale romanzo che poteva presentare caratteristiche 'peculiari' a questo territorio, tradizionalmente assegnato al veneto centrale e quindi considerato affine al gruppo padovano-polesano 1 2 e secondariamente anche al veneziano che storicamente, per effetto della sua forza di prestigio si è imposto non solo sulle altre varietà venete, ma anche sul roveretano, sul trentino, che secondo Battisti, 1936, sono andati perdendo le loro caratteristiche lombardeggianti. Abbiamo dunque individuato, attraverso ricerche lessicali che riguardano i settori più arcaici e conservativi della vita quotidiana e delle attività lavorative 13 notevoli convergenze con il lessico delle confinanti aree veronese,

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Di proposito abbiamo omesso tutta quella parte lessicale comune ai dialetti veneti centro-meridionali, per la quale rimandiamo alle Etimologie Venete di A. Prati (1968) e alla rassegna di C. Marcato, Ricerche etimologiche sul lessico veneto, Padova, Cleup, 1982. Sopravvive nel territorio alto-vie. una terminologia arcaica legata soprattutto ad attività lavorative e a tecniche di mestieri praticati da un numero assai esiguo di persone. Si tratta in genere del disboscamento del terreno, del taglio e del trasporto del legname con mezzi rudimentali, dell'alpeggio e lavori annessi, dello sfruttamento del terreno in quelle zone impervie dove il rinnovamento dei modi di produzione è stato solo parziale e i mezzi meccanici hanno modificato marginalmente i vecchi sistemi produttivi. Conservazione ed innovazione sono tuttavia documentabili nei processi di sostituzione di parole legate all'introduzione di strumenti nuovi o modificati. Per fare un esempio che ha coinvolto non solo l'alto-vic. ma tutto l'arco alpino si vedano i sinonimi recenti usati per indicare il 'frangicagliata' che non è più un ramo di abete, munito di rametti laterali più fini: alto vie. triso, trent. e lomb. triisaór, ma un oggetto più complesso e resistente chiamato per la sua forma arpa, chitara o lira (Scheuermeier, I, 42); in altre località dove non si è passati ad una produzione industrializzata ma la pastorizia si esercita a tempo parziale la sostituzione è avvenuta con una perdita di specificità 'tecnica', infatti il frangicagliata si chiama semplicemente mestolo come altri arnesi da cucina. Gli esempi sono numerosi, si veda l'uso di teleferica per filo a Sbàlso o marinèle per vèrle 'qualitè di ciliege' ed è da sottolineare che la sostituzione avviene o con termini 19

trentino e feltrino-bellunese e più in generale con i dialetti alto-ven., comprese quelle varietà definite ladino-venete o semiladine, come si osserverà dalle voci riportate nel Glossario, nel quale abbiamo incluso alcune forme 'pavane' che abbiamo ritenuto storicamente interessanti al fine di individuare la stratificazione del lessico e per le quali si potrà dimostrare che non erano di ambito strettamente letterario 14 , se sono ancora molto vitali nei dialetti. A titolo esemplificativo citerò trognàre 'bisticciare' < gali, trugna 'muso', diffuso con varie accezioni dal francese, al friul. a molti dialetti settentrionali (cfr. Glossario); burlàre 'muggire', di etimologia discussa, attestato in francese, in alcuni dialetti ladini, ladino-ven. e in friul.; fruskàre 'cozzare con le corna da parte degli animali', vitale nell'alto vie. (e nel parlato e negli scritti letterari più recenti), a cui si oppongono nei territori limitrofi il valsug., trent., feltr., trevis. rust. tussàr o trussàr (ma in bellun. rust. di Bazolle 472, truskano 'cozzano') ecc... Ciò a dimostrazione che l'alto-vic. è un'area estremamente conservativa in cui permangono voci che dovevano avere in passato una maggiore estensione. Ci sono inoltre altri settori del lessico che si differenziano dal veneziano e per certi aspetti anche dal padovano, in quanto hanno assunto una specializzazione a seconda degli ambiti d'uso relativi a due diversi tipi di attività l'una agricola (ma di un'agricoltura delle zone montane o semimontane), l'altra marinarescocommerciale. Tali sono p. es. alto-vie. batarèla f. 'frangicagliata'; venez. batarèlo m. 'frugatoio, bastone dei pescatori, col quale essi frugano e percuotono l'acqua per pigliare pesce' (Boerio); alto vie. fòssina 'forca fienaia' a Crespadoro (AIS, VII, K. 1412, p. 362) e a Comedo 'forca a due branchi', venez. fòssena ofossina 'fiocina', strumento di ferro ad otto branche barbute, notissimo, con cui si feriscono e si prendono le anguille. (Boerio, 284); alto vie. retràta f. 'specie di paretaio', venez. trevis. irata 'sciabica, specie di rete' (pese.), nel trevis. anche 'sorta di paretaio' (Prati, EV, 193); alto-vie. bùrcio, con le varianti bucio e buci 'zangola', venez. burchio 'barca forte da carico, con un coperchio nel mezzo ecc...' mentre burchieto è termine dei lattai 'zangola' (Boerio 107); di etimologia sconosciuta, secondo il Prati, EV, 29, per altri (Gamillscheg) dal long. *burgi 'recipiente per tenervi i pesci', per cui v. ora DESF, I, 283; Mastrelli 1974, 269, nota 80. Lurati 1983, 147-157 ipotizza un'origine prelatina. Di particolare importanza inoltre al fine della caratterizzazione del territorio e quindi dell'individuazione di una propria specificità rispetto al ven. centro-merid. sono le denominazioni riguardanti i mezzi di trasporto, specie quelli adatti alle zone

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conosciuti anche in italiano o con altre voci dialettali che costituiscono dei 'tipi' concorrenziali sullo stesso territorio. Sulla vitalità e sulla fortuna della letteratura pavana nel vicentino cfr. il saggio di F. Bandini, introduttivo a La politica dei villani di D. Pittarmi (Vicenza, Neri Pozza, 1960), dove si potrà notare il gran numero di poeti che a partire dal Cinquecento componevano in 'pavano' e soprattutto si osserverà che questa «moda» perdura fino a tutto l'Ottocento. Per quest'ultimo secolo il maggior rappresentante è appunto D. Pittarmi, nativo di Sandrigo nell'alto-vic., autore di 'satire politiche' di grande effetto nella cultura locale se alcuni contadini, ancora ne ricordano i versi.

montane come la slitta o la treggia, la cui tipologia trova notevoli corrispondenze con le slitte usate nella fascia prealpina ed alpina, per cui cfr. Rossi 1982, per l'agord.; Tornasi 1986, per l'alto-trevis. ; Zanini-Avesani 1984, per la Lessinia veron. e vie. e inoltre, per un lavoro di sintesi, cfr. Scheuermeier, 1,1980, pp. 124 e sgg. C'è da aggiungere che questo settore del lessico mostra una straordinaria varietà di tipi, in molti casi di difficile soluzione etimologica in quanto nella formazione dei nomi della slitta concorrono: voci infantili, termini figurati, forme che si sovrappongono e si incrociano con le denominazioni del carro (di parti del carro), del truogolo, della doccia, dello scivolo per lo scorrimento del legname ecc... Indicativi a questo proposito sono i lavori di Huber 1916 per l'area della Svizzera romanza e di Tagliavini 1926, per le connessioni tra i nomi della slitta in area alpina in rapporto con i termini indicanti il ghiaccio. Esaminando ora il lessico dialettale alto-vie. in relazione con i dialetti alpini e prealpini si può notare come nel nostro territorio sopravvivano forme già ampiamente documentate e studiate negli ormai classici lavori di Elwert 1943; Battisti 1922; Stampa 1937; e più recentemente da Hubschmid, Praeromanica, (1949); Hubschmid 1950; Alpenwòrter (1951) e Problèmes d'etymologie (1986). Tra queste non sono state segnalate dal Prati, EV, come venete: karòta 'ciotola di legno bucherellata per scolare la ricotta', dosa 'rami di conifera' che viene citata per il valsug., il rover., il trent., il cornei. (Prati, EV, 186), in realtà è molto diffusa nell'alto-vic. insieme a dasón 'fascina posta dietro al carretto, usata come freno', gànda 'ammasso di rocce, marogna', molto nota nella forma gànna nella toponomastica dell'Altopiano dei VII Comuni. A queste voci ne aggiungeremo alcune che sembravano tipiche dei dialetti ladini 15 e che invece sono documen-

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Sulla «questione ladina» non mi dilungo se non citando alcuni lavori più recenti dove è ampiamente dimostrato che quelle caratteristiche ritenute tipiche del ladino, sono in larga misura presenti anche in altri dialetti dell'Italia settentrionale. Per le analogie fra il ladino e i dialetti alto-veneti rimando a G. B. Pellegrini, Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano, Bari 1972; Il ladino bellunese, Atti del Convegno Internazionale Belluno giugno 1983, a cura di G. B. Pellegrini e S. Sacco, Belluno, 1984. Nelle ultime discussioni intorno al ladino, dal punto di vista strettamente scientifico, e negli ambienti specializzati, cioè fra gli studiosi che hanno approfondito direttamente il problema, pare che questa «unità ladina», spesso nettamente contrapposta all'italiano settentrionale, stia perdendo sempre più credito. Mi basterà rinviare ai contributi della Miscellanea Elwert, Raetia Antiqua et Moderna, Tübingen, 1986 e al volume dedicato a G. I. Ascoli, Attualità del suo pensiero a 150 anni dalla nascita, Atti del XIII Incontro Culturale Mitteleuropeo, (Gorizia 2 4 - 2 5 . Nov. 1979) Firenze 1986. In quest'ultimo volume quasi tutti gli interventi in materia linguistica (G. Francescato, J. Hubschmid, N. Denison) confermano l'orientamento secondo il quale la supposta «unità» ladina appare oggi inaccettabile cfr. «Sotla Nape», 1 , 1 9 8 7 , 9 1 - 9 2 . Solo a livello di divulgazione, specie nella stampa quotidiana a diffusione locale o nelle tradizionali produzioni di cultura popolare (calendari, manifesti e c c . . . ) si danno versioni romanzate delle origini etniche e linguistiche dei «ladini», parallelamente a quanto ancora avviene per altre comunità o minoranze linguistiche, v. ora G. B. Pellegrini, La genesi del retoromanzo (o ladino), Beiheft der ZRPh. 238, Tübingen 1991.

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tate ampiamente nei territori alto veneti ed ora anche nell'alto vicentino, in un'area posta a ridosso della pianura veneta. Si veda ad esempio dràdo 'setaccio', scòto 'annesso rustico dove riparano gli animali, luogo dove ci si nasconde', réza 'porta principale della chiesa', lardèla 'lardo', paissàr 'spostare la legna con una leva'. Riscontri nei dialetti ladini hanno alcune denominazioni della 'slitta, slittino', come sgaruja, skarìbolo, skarìblo ecc... per le quali rimando al Glossario. Accennerò infine, per completare il quadro lessicale anche a quelle forme che mi sembrano di uso limitato, o perché, sono accezioni locali di termini molto noti, cfr. ad es. cailéto 'cataletto' usato ad Altissimo e Molino di Altissimo come 'cassetta posta sopra ad una barella, con due aperture di legno ai lati, adoperata esclusivamente per portar terra'; oppure perché nonostante le indagini, rivelano una scarsa documentazione e di conseguenza mancano riscontri sufficienti a chiarirci l'origine.

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Gli stanziamenti «cimbri» nell'alto - vicentino

1. D o c u m e n t i storici Documenti storici, relitti lessicali e toponomastica attestano la presenza di insediamenti cimbri in una vasta zona dell'alto-vicentino, compresa fra l'Altopiano dei VII Comuni in provincia di Vicenza e quello dei XIII Comuni nel veronese e precisamente: l'Alta valle del Chiampo, l'Alta valle dell'Agno, alcune località limitrofe al corso del Posina, del Leogra e dell'Astico fino ad interessare con Enego il corso del Brenta e la vicina Valsugana, amministrativamente trentina, ma linguisticamente in prevalenza veneta nella sua parte inferiore. Non si tratta, secondo Battisti, 1931, di una vera e propria colonizzazione tedesca come è avvenuto in Alto Adige, quanto di insediamenti sporadici formati da famiglie più o meno nomadi di pastori che finirono poi per stanziarsi definitivamente come dissodatori. Quanto all'epoca di questi stanziamenti, che sembrano essere avvenuti a più riprese, non si può risalire prima del XII—XIII sec. se si prendono in considerazione i primi documenti attestanti la presenza di lavoratori tedeschi stanziati nel vicentino e nel veronese, raccolti e studiati da C. Cipolla i cui dati hanno trovato conferma anche negli studi linguistici, iniziati nei primi decenni dell'800 da J. A. Schmeller e quindi approfonditi anche recentemente da C. Battisti, E. Kranzmayer, G. B. Pellegrini, G. Mastrelli Anzilotti arrivati concordemente ad analoghe conclusioni sia per la cronologia sia per la provenienza degli stanziamenti. Si tratta di una colonizzazione proveniente dal Tirolo occidentale, dalla Baviera meridionale, dall'Oberinntal, dall'Oetztal ecc.... che può essere fissata secondo il Kranzmayer intorno al 1150. Rimando per le argomentazioni storiche e linguistiche alle opere di questi studiosi citate in bibliografia, e aggiungo in questa sede soltanto alcune notizie storiche che ci ha fornite il prof. G. Mantese, studioso di storia religiosa e civile dell'area vicentina, autore di numerose opere, tra le quali Memorie storiche della chiesa vicentina, Vicenza, 1952—1954; Scritti scelti di storia vicentina, Vicenza 1982 ed una serie di profili storici su alcuni Comuni dell'alto-vicentino tra cui: Storia di Schio, Vicenza, 1955; S. Vito di Leguzzano dalle orìgini ai nostri giorni, Vicenza, 1959; Storia di Valdagno, Vicenza, 1966; la sezione storica inserita nel volume Malo e il suo Monte, Vicenza 1979. Le ricerche del Mantese hanno ampiamente confermato la presenza di lavo23

ratori tedeschi in molte località del territorio alto-vicentino, in età medievale, fra le quali: Altissimo, con la frazione Molino di Altissimo, Castelvecchio, Crespadoro, Durlo, Maraña, Monte di Malo, Monte Magrè, Recoaro, Rovegliana, Schio, il Tretto, Tonezza, Valli del Pasubio oltre all'Altopiano dei VII Comuni. Ma le testimonianze non si situano anteriormente al 1200. La prima è del 1224 e attesta la presenza di un numero imprecisato di cittadini di origine tedesca nel territorio di Valdagno e ancora nel 1600 si ricordano le insistenti richieste per ottenere a Durlo un sacerdote di lingua tedesca perché potesse capire i parrochiani nell'esercizio della confessione. Il maggior numero di attestazioni comunque sulla vitalità delle comunità cimbre riguarda soprattutto i sec. XIV—XV—XVI, durante i quali è possibile pensare ad un momento di massima espansione. Gli argomenti che compaiono con maggiore insistenza nei documenti relativi alle comunità cimbre riguardano: - le richieste di concessioni e di privilegi formulati ai Signori o ai Comuni, per ottenere alcuni diritti (tagliar legna, far carbone, pascolare ecc...), in considerazione delle precarie condizioni di vita in cui tali comunità versavano; in cambio esse garantivano la custodia dei sentieri e la difesa del territorio 16 ; - la necessità che venissero inviati preti di origine tedesca perché potessero capire e farsi capire nell'esercizio del loro ministero; - notizie sulla vita civile e sul culto religioso, che rivelano una condizione di isolamento rispetto all'altra parte della popolazione (i cimbri costruiscono le loro chiese e i loro oratori dedicati a santi patroni tedeschi: 5. Vldrich «S. Ulderico» al Tretto; S. Wolfgang a Crespadoro ecc...). Di questi documenti ne citiamo alcuni in ordine cronologico, tralasciando quelli già noti e ampiamente citati nella «letteratura» cimbra. Per il Trecento è da ricordare un decreto emanato da Bailardino Nogarola (a. 1322) riguardante il territorio di Monte di Malo, in cui si parla di concessioni fatte dagli Scaligeri in qualità di Vicari Imperiali ad «... hominibus et singularibus personis theutonicis stantibus et habitantibus ultra aquam Livergonis super Montem Maladi» (Monte di Malo), e più avanti si specifica che viene data facoltà «dictis hominibus seu theutonicis habitantibus super dictum montem quod possint et eis licitum sit capulare et pasculare cum suis bestiis super dictum montem et lignamen accipere sine damno non obstante contradictione alicuis persone» (Mantese 1979:63). Nella seconda metà del '300 Bartolomeo e Antonio della Scala riconoscevano i privilegi dati dai loro predecessori alla gente di origine tedesca stanziatasi al 16

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Si veda il noto privilegio di Cangrande della Scala (a. 1327) che concedeva attraverso il Podestà di Vicenza Bailardino Nogarola agli abitanti di Rovegliana, Fongara e Recoaro, che formavano allora un unico Comune, il diritto di tagliar legna per fare carbone, di pascolare, l'uso e il godimento di tutte le selve e c c . . . in cambio della custodia del sentiero di Campogrosso, per il quale si va a Trento (Cornale 1980, 31). Analoghi privilegi vengono concessi nel 1329 agli abitanti delle ville di Chiampo, Nogarole, S. Pietro Mussolino, Crespadoro e Durlo in cambio della custodia della strada che va a Trento.

Tretto ai tempi dei conti Maltraversi, signori di Schio. Ed è pure noto che nel secolo XIV, Cerealto, nella valle dell'Agno fu «svegrata» «per Teotonicos» e che il dialetto tedesco era ancora parlato almeno fino alla fine del '500 nelle contrade più alte di Valdagno. Lo testimonia un documento del 1575 in cui si legge che il sacerdote G. M. Santolin, allora in servizio religioso tra gli abitanti di Piana di Valdagno scriveva alla curia vicentina che «sopra della chiesa di Piana si ritrovano delle case distante doa miglia in circa et sono persone rozze Tedesche che assai non sanno parlare italiano» (Cornale, 1980:53). In un documento del 1407 pubblicato integralmente da G. Mantese, in Malo e il suo Monte, Vicenza 1979, ma citato per l'aspetto che ci interessa anche da Battisti, 1931:75, viene ricordato che il vescovo di Vicenza, nell'ordinare la separazione della chiesa di Monte di Malo dalla pieve di Malo, atto che non interessò soltanto l'organizzazione religiosa ma anche quella civile, parla esplicitamente di «habitatores diete ville (Montis Maladi) qui tune parochiani diete plebis existebant pro maiori parte loquebantur prout locuuntur theutonicum idioma. ..»e poco più oltre, parlando ancora degli abitanti di Monte di Malo si afferma che sono «quasi omnes totaliter natione teotonici ab antiquo ibidem habitantes, qui pro maiori parte idioma latinum ignorant percipere in vulgari...». Fra queste testimonianze la più nota è certamente quella che riguarda la relazione del conte Francesco di Caldogno al doge Grimani nel 1598, sul numero degli uomini capaci di portar armi nelle valli e sulle montagne del Vicentino, nel cui territorio vi sono tedeschi non solo nei sette Comuni ma anche nelle Valli dei Signori, ad Enna e Torrebelvicino, nonché a Recoaro, nel corso superiore dell'Agno e, senza precisare, nella valle del Chiampo. Sempre nell'ambito dei documenti pubblicati dal Mantese e riguardanti argomenti di storia religiosa può essere utile ricordare che nella «villa» di Durlo, si svolse negli anni 1624—25 una questione linguistica che coinvolse il parroco, il Comune e la curia Vicentina. Si trattava di una pressante richiesta della popolazione per avere un sacerdote che parlasse la lingua tedesca in modo da poter essere compresa nella confessione. L'istanza pur essendo stata accolta dalla Curia non ebbe buon esito per gli ostacoli opposti dal parroco, ma è importante sottolineare che il problema era stato sollevato più volte anche in anni precedenti. Dalla fine del sec.XVII le testimonianze sul «cimbro» diventano sempre più rade 17 ad esclusione della 17

A Recoaro nella tradizionale cerimonia della «chiamata di Marzo» per l'inizio della primavera, si ripetevano almeno fino al 1929 come è testimoniato da F. Meneghello 1929:35, nella descrizione delle tradizioni popolari della Vallata versi in cui si riconosce un «pastiche» linguistico italiano-veneto-tedesco: Marzo, marzo, du pist da; schella, schella Kumè, de Kaputschen saint garivet. (Marzo, marzo tu sei là; suona, suona Cornino, i «capucci» sono terminati). Schella, Schella Marzo, snea de hia, gras de her, alle de dillen lèr.

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toponomastica che dimostra ancora oggi una notevole «resistenza», nonostante le reinterpretazioni cui è sottoposta.

2. Relitti lessicali "cimbri" nell'alto vicentino E' noto che gli insediamenti cimbri più consistenti dell'alto vie. o almeno quelli che hanno avuto maggiore vitalità, riguardano l'Altopiano di Asiago e precisamente: Asiago, Rotzo, Roana, Gallio, Foza, Enego e Lusiana, le cui varietà dialettali sono state raccolte in repertori lessicali e studiate, specialmente in questi due ultimi secoli da germanisti e romanisti. Per questa breve raccolta di voci cimbre ho fatto riferimento ad opere ormai «classiche» sull'argomento quali: A. Dal Pozzo, Memorie istoriche dei Sette Comuni Vicentini, opera pubblicata postuma nel 1820 ed ora ristampata a Vicenza 1980; J. A. Schmeller, Cimbrisches Wörterbuch oder Wörterbuch der deutschen Sprache wie sie sich in einigen der VII und der XIII Gemeinden auf den Alpen von Vicenza und von Verona erhalten hat, in Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften, 15 B. Wien, 1855; U. Martello Martalar, Dizionario della lingua Cimbra dei Sette Comuni Vicentini, Roana, 1974; E. Kranzmayer, Glossar zur Laut- und Flexionslehre der deutschen zimbrischen Mundart, Wien, 1985, opera postuma. Di notevole interesse inoltre, anche se ancora inedite, le inchieste condotte per l'Atlante Linguistico Italiano (A.L.I.) a Roana e nella frazione di Mezzaselva, (ora conservate a Torino), perché presentano un gran numero di voci tedesche con sinonimo veneto. Oggi, la situazione linguistica appare notevolmente modificata: il veneto è finito per prevalere, i parlanti cimbro sono un numero assai ridotto, e usano il cimbro non più come lingua di comunicazione, ma quasi come lingua della «memoria». Ricordano infatti preghiere imparate da bambini, filastrocche, sentenze, massime sull'andamento delle stagioni, sul lavoro dei contadini, sulle previsioni del tempo ecc. Fra i parlanti veneti non è raro notare come singole voci lessicali cimbre compaiano nella conversazione, in molti casi, senza che gli stessi parlanti ne abbiano coscienza. Il cimbro parlato sull'Altipiano di Asiago, mantiene alcune particolarità fonetiche, quali l'aspirata iniziale /h/; le vocali anteriori arrotondate /ö/ e /ü/ per effetto della metafonesi; la /s/ palatalizzata III, continuazione del mat. /sch/; la realizzazione tipica alto-tedesca /kx/ o /kh/ per /k/ iniziale.

(Suona, suona Marzo, neve di quà, erba di là, tutti i fienili vuoti). Benne der Kucko Kucket, blühet der bald; bear lang lebet, sterbet alt. (Quando il cuculo «cucula», fiorisce il bosco; chi vive a lungo muore vecchio).

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Per la morfologia, nei VII Comuni sono mantenuti distinti gli esiti dell'aat. /o/, /-a/, /-e/ per il masch., femm. e neutro, a differenza delle altre isole linguistiche del Trentino e del Veronese (Battisti, 1931,94-95). Ne diamo alcuni esempi registrati sull'Altopiano di Asiago e nell-Alta Val d'Astico: barbusti m. plur. «parti poco pregiate del maiale, fegato, pezzi di testa, con cui si fanno cotechini, salsicce». Asiago. Composto attestato anche a Roana (ALI, 1039), alla domanda salsicce: i barbuti, cfr. anche in Dal Pozzo 35 i composti con -wurst: Pluut-wurst «sanguinaccio cotto in budello», Leber-wurst «mortadella di fegato in budello». Corrisponde al tirol. Pratwurst «salsicce die carne» (Schatz Finst. 103), ted.mod. Bratwurst. bòkene agg. 'molto maturo, semiappassito'. Lusiana. L'aggettivo è riferito alla frutta che ha raggiunto un alto grado di maturazione. In particolare nel racconto dell'informatrice si parla dei pirì bokene 'pere molto mature' che si mettevano a macerare nella pimpinèla 'vinello ottenuto dalle vinacce' (Candiago 138). La voce corrisponde al settecom. boach, boch, 'molle, tenero'; boache, boche, f.; boachen, inbochen 'weichen, einweichen, ammollire, inzuppare' (Schmeller 174). brédale m. brodo ottenuto dalla cottura di cotechini, salsicce, cotenne di maiale ecc.. che si mangiava insieme alla polenta. Si usa infatti dire magnare polenta e bredale per alludere a volte ironicamente alla povertà del passato e alle misere condizioni di vita in cui le popolazioni dell'Altipiano vivevano. Asiago. Da altre fonti questo cibo è chiamato pultabrodel e si mangiava nel periodo dell'anno in cui veniva ucciso il maiale (Dal Giornale di Vicenza del 19.10.1989 «A tavola con i cimbri»). Da Bròde 'brodo' già registrato dallo Schmeller 1975, prestito neolatino in cimbro, con il suffisso -le. drìstela f. 'mucchio di covoni accatastati l'uno sopra l'altro a mo' di casetta, la cui parte superiore ha le spighe disposte a rovescio in modo da non trattenere l'acqua'. Asiago, Roana. La voce è registrata da Schmeller, 178, Drista 'catasta, mucchio, bica', si usa anche come composto Drista-holz 'catasta gran mucchio di legna' (Dal Pozzo, 27

247), e corrisponde al tir. dristi., dristen, 'drizzare', (Schòpf, 91), driste, (Schatz Finst. 135 seguendo Hubschmied, riconduce la forma all'aat. *drischida).

éste m. pi. «rami degli alberi», qui in particolare «rami di pino o di abete», cfr. Martello 102: Ast ramo di conifera; ted. Ast. Asiago, Roana. Per altri informatori éstle, con il suffisso diminutivo ormai banalizzato.

ex, lex m. pi. robuste assi di legno che formano i traversi orizzontali della 'Slita Kufa\ Asiago. Cfr. ted. Achsel f. 'asse, assale'.

gratto m. 'carretta a due ruote'. Asiago, Roana. Voce registrata in Dal Pozzo 237 gratten, gratto 'carro a due ruote' e in Schmeller 188. Per Tagliavini, Cornei., 118 deve essere una forma considerevolmente antica data la sua estensione che va dai dialetti ladini-centrali al beli, e al friul., cfr. gard. grati, cornei, gratal e con suff. accresc. gard. gratón, bad. gratùn, cornei, gartón, beli, gratón, friul. gratón ecc... e risalirebbe al tir. gratt'n (Elwert 110, Schade 1511). Date le attestazioni in area dell'Altopiano dei VII Comuni è possibile che la terminazione in l-ol derivi dall'aat. Cratto 'Korb, Tragkorb', (cfr. anche Kramer E W G I V , 33).

gréndele m. pi. 'mirtilli' Asiago, Roana. Attestata da Schmeller 118 la voce Grendelen 'Preiselbeeren, mirtilli rossi' ha ridotto la desinenza del pi. germ. -eri in -e. E' di larga diffusione nei dialetti tirol.: grànten, krànten, krenten, in bav. granten, granken, (Schatz Finst. 250), in mocheno: grantn 'mirtilli rossi' (Zamboni, 1979,100) e in alcune vallate del Trentino: granteni, cfr. Pedrotti-Bertoldi, 421; Aneggi, 88; Ricci, 219). Si tratta di adattamenti del tipo lat. *granitta (REW 3846) che si è continuato anche nell'agord. gamète. Per ulteriori indicazioni bibliografiche cfr. G. Mastrelli Anzilotti 1990, 65-66.

hàko m. 'uncino di legno, munito di un foro attraverso cui passava una corda (sóga), che serviva a legare il carro del fieno'. L'uncino veniva fissato nella parte anteriore del carro e la corda si avvolgeva intorno al perticone. Asiago. 28

La voce è registrata dallo Schmeller, 190: Hako, m., 'Hachen, ganghero, amo'; < aat. hacco. Ted. Haken 'uncino, rampino'. kavrizza f. 'specie di poltiglia formata da latte bollito e farina gialla' Asiago, Roana. E' un tipico piatto cimbro di cui si hanno molte attestazioni, in quanto largamente usato dai montanari. Il Dal Pozzo 235 afferma che l'origine del nome è sconosciuta, ma ne dà un sinonimo: Muus, corrispondente al ven. mòsa 'specie di polenta tenera fatta con latte a acqua'. E' nota nei XIII Com., cfr. in Cappelletti Schweizer 98 ga-vriza 'il mangiare' e in «Taucias Gareida», 2, 1970, 1811: kovrizza 'Mus, poltiglia di farina'. Ancora per i VII Com. il Martello 155 riporta kabriza 'intruglio di farina e latte di cui i bambini sono ghiotti. E' voce riconducibile al mat. gevraeze ... das fressen, schlemmerei, das Fressen (Lexer 1964). Khfle f. plur. 'colchico, Colchicum autumnale'. Asiago. Le foglie della pianta venivano impiegate per colorare le uova di Pasqua, per quest'uso v. anche l'agord. èrba da inténzer 'erba da tingere' (Rossi, FPA 106). Le sementi venivano raccolte e adoperate per la produzione di etere nelle fabbriche della zona. Cfr. Dal Pozzo 248 Kua 'colchico'; Schmeller 201 kua 'vacca e colchico'. Khile è dunque un dimin. di Kua con /kh/ iniziale per /k/ secondo la fonetica alto-tedesca e con metafonesi di lui > /u/ in presenza del dimin. /-le/, ridotto successivamente ad HI. L'immagine figurata della 'vaccherella' per il 'colchico' trova corrispondenza in altri dialetti tedeschi in cui compaiono nomi composti il cui primo elemento è 'vacca', cfr. Marzell 11089—1090: Kueeyter, Kuheuter, Ku(h)uter, Kùhmamme, Koihmem(e) ecc... che alluderebbero al rapporto di somiglianza tra il frutto e i capezzoli o le mammelle della mucca; mentre per altri la voce potrebbe ricondursi ad una delle numerose denominazioni del colchico ispirate ai giochi infantili. Per altri riscontri semantici, cfr. il friul. vaóines 'vaccherelle', vacinte 'vaccherella', NP1254 e altre varianti o tipi affini citati in Pellegrini-Zamboni, 1982, 338. Klàmara f. 'ferro con due punte aguzze alle estremità, piegate ad angolo retto, usato per legare insieme travi, tronchi di legno ecc..., grappa'. Di qui anche il derivato inklamaràre, 'mettere le grappe'. Asiago, Roana, Marostica. Per l'Altopiano cfr. Martello 163. La voce è un tedeschismo di vasta diffusione, cfr. prim. clamera (Tissot 75) a Predazzo Klàmera (Boninsegna 284), bresc., com. cambra 'grappa' (Schneller 127), trent. Klòmper < tir. Klamper (Battisti, 1922, 220), < ted. Klammer 'graffa di ferro, molletta, pinza' e klammern 'fissare, fermare, attaccare con graffe, chiudere con grappette'. 29

Klèvara f. 1

Galium aparine L., erba infestante del frumento, i cui frutti maturi sono muniti di setole uncinate che si attaccano al vello degli animali o alle vesti delle persone'. Asiago, Roana. In Martello 159 è registrata la variante Khlèbara 'gramigna, zizzania' e anche lo Schmeller, 198, ha klebara, f., id., voce che trova numerosi riscontri nei dialetti tedeschi: Klieb, klaab, Klebgras, Klette ecc. (Marzeli, 563-566) oltre al tirol. Klebern pi. (Schöpf 323). lótera f. «scala», cfr. Schmeller 205 Loatera, lotterà «scala a mano», ted. Leiter, con riduzione del dittongo /ei/ > /öa/ > /ö/. Con significato tecnico si ha pure il cembrano lòtere 'stanghe che si agganciano al carro.. .e servono per caricare o scaricare botti' (Aneggi, 94). malpèr m. 'sorba, Sorbus aria'. Pedemonte. Nella Lessinia ver. malipèr 'sorbo montano' ('Lessinia' 1986, 167) e a Giazza meile-peir (Terra cimbra' 58, [1984], 69). Tedeschismo con molte varianti nei dialetti, cfr. tir. Mehlbeere, Malbör, bavar. Meelbeeri, svizz. Mel(w)beri ecc. citate in Marzell, 403 —404, ted. mod. Mehlbeere. mèrchese m. 'segnalegno', strumento per incidere la corteccia degli alberi ed identificarne la proprietà. Asiago. Per l'Altopiano è citato Mèrchaze in Martello, 177, e anche mèrchan 'marcare, segnare', e Mèrch 'segno, confine, termine'; bav. Mèrkeisen. Neutr. «Merkeisen» (Zur Kennzeichnung von Bäumen im Wald), in Hornung, 1972, 318. Anche in ted. mod. Merk 'marca, contrassegno'. Con lo stesso significato cfr. el nèkele (Asiago) e la snaréta. nèkele m. 'strumento di incisione, usato per indicare, attraverso le iniziali dei nomi personali impressi sugli alberi, o attraverso i numeri, la proprietà'. E' un oggetto di piccole dimensioni, fatto in modo da infilarci una mano, munito di una sgorbia la cui estremità sottile e tagliente incideva il legno. Asiago. Forse dimin. di Nagel 'chiodo', adoperato nell'incisione. Un parallelismo semantico viene citato da Tassoni in Civiltà Cimbra (a cura di Volpato), Verona 1983,192, dove si ricorda l'uso di fissare i confini con «segni» incisi negli alberi-detti perciò teclati- o mediante chiodi infissi nel tronco, come si legge in diverse carte longobarde, in 30

atti medivali di donazione, nonché in documenti bobbiesi dell'anno 860 resi da C. Cipolla, Cod. Dipl. Monastero S. Colombano di Bobbio I, p. 180. Quanto all'uso della sorda /k/ per la sonora Ig/, lo scambio è abbastanza frequente in quest'area, cfr. anche trakansána e tragansána 'portagerla'. rakm. 'muschio'. Asiago, Roana. La voce è riportata dallo Schmeller 220 Rack 'Moos Baummoos', ital. 'muschio, fegatella' ed è nota anche a Sappada: rók m. 'specie di muschio che è sugli alberi' (Bruniera 289), tirol. rak (Val Pusteria), carinz. ragk, < mat. Racken rasai, rássa m. 'freno del carretto a mano'. Asiago. E' formato da un'asta, munita di due ramponi, sistemata nella parte posteriore del carretto ed applicato in modo che alzando le stanghe, il freno si abbassa ed aderisce con pressione sul terreno. Per creare maggior attrito salivano sulla parte posteriore del carretto una o due persone. La forma potrebbe essere connessa a * rosicare (REW 7074) da cui l'ampezz. rasa con il significato di 'frenare' oltre al più comune 'raschiare' (Quartu, Kramer, Finke, 274) ed Elwert 82citailfass. rasa 'er schabt' < * rascat{*rosicai). C'è inoltre da sottolinerare il friul. ras 'martinicca' (a Cimolais), termine che allude alla frizione che i ceppi della martinicca provocano contro il cerchione delle ruote durante la frenatura, e ancora rasá 'frenare' (Claut), saré el rás 'frenare' in Valcellina, forme che Pellegrini-Marcato Term.agric.friul. I, 1988, 334 riconducono al ven. rassár(e) 'raschiare', spiegato dal Prati, EV 141 come termine di origine imitativa e riportato dal DEI, V, 3215, sia pure dubitativamente al long, razzjan da cui anche l'ital. razzolare. ratm. 'erba infestante del frumento che ha sementi di colore nero e che si sradicava a mano durante la falciatura, Nigella'. Asiago, Roana. Voce diffusa in tirol. rat, raten, m. (Pust.), 'der Raden, das Schwarze im Getreide, das Unkraut', (Schöpf, 537) e attestata dallo Schmeller, 158: rad, rat 'Unkraut, nigella'. réitata o rétata f. Vaglio, crivello' usato per separare la paglia dalla pula. Asiago. In Martello, 201 Ràitata 'Vaglio per legumi'; in Schmeller, 221 Raitara, raiterta, f. 'cribro, vaglio di vinchi, Sieb'. Dall'aat. ritra con conservazione della vocale finale /a/. 31

sbàrta f. 'fetta di lardo'. Asiago, Rotzo. Schmeller 225 sbarta, ted. Schwarte 'cotenna', 'pelle della testa', 'fetta'. sbòss m. 'sangue coagulato'. Qui ci si riferisce in particolare al sangue di maiale appena ammazzato, raccolto e poi utilizzato in cucina per far dolci. Asiago. Altri informatori riferiscono che el sboas coagulato veniva tagliato a fette e cotto con olio e cipolla. Cfr. Martello 221: Sboas 'sangue cotto, coagulato' e Schmeller 226 Sboaz, id. Dall'aat. sweiz. sissa f. 'pavimento fatto di ramaglie o di grosse tavole posto tra la stalla e il fienile'. Corrisponde all'alto vie. tabià o tabiò. Cfr. in Schmeller 15 Schiffa f. 'Holzspalte', 'legno spaccato, asse per cingere orti, prati, campo'. Lo scambio per affinità acustica tra /s/, /f/, attraverso /§/ è noto nei dialetti veneti dove sopravvivono le interdentali (Pellegrini, 1977: 273-286). La fase intermedia è sizza, attestata ad Asiago. Slita kufa f. particolare tipo di slitta, munita di due lunghi branchi rivolti verso l'alto, indicati in altre località anche come «corni», costruiti generalmente di rami di legno di faggio ricurvi. La voce manca ai vocabolari dialettali, ma corrisponde al ted. Schlittenkufen 'pattini della slitta'. slòfaf. voce largamente diffusa: a Rotzo, Cogollo del Cengio, Piovene, Velo d'Astico 'slitta'. Cfr. Dal Pozzo 238 Schloafa e Schmeller 232 sloafa, sloffa, ted. Schleife 'treggia, carretta senza ruote, benna'; con evoluzione regolare del mat. leil > lóal > lól. stórsa f. 'parte interrata dello stelo della spiga, radici'. Asiago, Roana. Anche in Martello, 232 stuurtza, stiiurtzen 'parte interrata del cavolo', Schmeller 238 Sturzo m. 'stoppia'. La voce corrisponde al tir. storz, storze, storzn m. 'ceppo, ceppaia, stoppia, moncherino'.

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tànna f. 'abete bianco'. Asiago, Roana. Qui la forma è conservata con la geminata e con la desinenza /a/ che continua l'aat. tanna (Schatz II 628). Queste particolarità differenziano la voce cimbra dell'Altopiano rispetto agli altri prestiti nei dialetti cimbri e ital. settentrionali. Cfr. a Luserna: tan, a Fersina ton, tir. tqnne e nei centri commerciali della pianura: vie. tana', a Bassano: davedin (dove dane si è incontrato forse con avedin come nel beli, danedin), dana nell'area carnica e friul. sett. (Pedrotti-Bertoldi, 2 - 3 ; Pellegrini-Zamboni, 1982, 5; Hubschmid, 1950, 83). trakansäna f. 'sostegno della gerla, treppiede'. Lusiana. Il Martello riporta: tragan de sòona 'portare la cesta' (riferito alla cerimonia battesimale, in occasione della quale la madrina portava alla puerpera un cestone di pane e burro sufficienti per la quarantena). Composto dal ted. tragen 'portare' e soona corrispondente al tir. zoane, zoan 'geflochtener Korb mit Grifflöchern, Handhaben', con le varianti zane (Oberpust.) zuende f. (Tannh.), zäne (Defr.), cfr. Schatz 718. A Lusiana è già sintagma lessicalizzato come a Sappada trögetssäne Tragkorb' che risale al bavar. Tragezéine (Hornung 1972, 442). La seconda parte del composto deriva dal mat. zeine, aat. zein(n)a 'Korb' (Kluge 875) che continua nel ted. mod. zaine, id., limitatamente ai dialetti ted. merid. e svizzeri, ed è la stessa base dell'it. zana 'cesta, culla'. Lo sviluppo del mat. /ei/ > /öa/ > lo/ è noto nel settecom., mentre la variante con /§/ è propria dell'oberpust. e di Sappada. Quanto a tragen-, traken-, c'è alternanza tra sonora /g/ e sorda /k/, comune per tutta l'area cimbra. trofie m. dim. di Troff a, truffa, 'goccia'. Asiago. Cfr. Schmeller 241 s.v.; ted. Tropfen 'goccia'. Usato metaforicamente per dire 'un poco'. On tröfle de komito, lett. 'un poco di liquore di cornino', parallelamente al ven. on gósso, na góssa, più suff. dimin. e metafonesi. Altre tracce della parlata cimbra sono state raccolte, per l'Archivio sonoro dei dialetti veneti, in alcune località dell'alto vie. ed in particolare a Recoaro, dove, a differenza dell'Altopiano di Asiago, la scomparsa di questo dialetto tedesco risale ad alcuni secoli orsono ed è documentato con maggiore trasparenza dalla toponomastica. Riportiamo comunque alcune voci che sia pure isolate e, a volte di dubbia interpretazione, trovano tuttavia corrispondenze nei repertori di lessico cimbro. Alcune di queste possono anche essere antichi prestiti neolatini in cimbro.

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bàgerla f. 'piccola carrozza, biroccino'. La voce è disusata ma attestata nel secolo scorso per Recoaro, Valli, Posina da Bologna 1876,44. Cfr. trent., fass., fiamm. bàgerle id., a Predazzo bàgerle. Dal ted. dial. Wagerle, Wagerl, ted. Wagen Vettura'. (REW 9476, Boninsegna 263, VEI89). fótele, s. m. 'capanna di frasche, riparo'. Recoaro. La voce è anche del cimbro veronese, cfr. Rapelli, 1983,368, hute 'capanna, tugurio', ed è attestata da Schmeller 194. Il cimbro: Hùtta, f. corrisponde al ted. Hiitte < aat. hutta. Qui compare come dimin. in /-le/ e con Iti iniziale, che realizza l'aspirata del ted. Ih/, secondo un processo di adattamento alla fonetica locale. Il tedeschismo compare anche nei dialetti ladini, cfr. gard. utja, gader. iitja, marebb. dèa, che mantengono tuttora la desinenza dell'ant.bav. -ja, semplificatasi in -e nell'VIII-IX sec. (cfr. Blasco Ferrer, in «AAA», 1985, 61). ghésele m. 'averla, Lanius auriculatus', in vie. rejèstola, ma la voce indica generalmente varie specie di lanidi. - Recoaro. Corrisponde a una indicazione sia pure assai generica data dal Cipolla 184 per i tredici Comuni: gesela n. 'nome di un uccello'. kókerle m. 'capinera'. A Recoaro. Nel cimbro dei VII Comuni invece lókarle, kàkarle è il 'beccafico' (Dal Pozzo 244). likastòsse m. 'salamandra'. A Recoaro. Voce registrata per l'alto vie. anche da Bologna 1876: 41 leichestosse 'salamandra'. Cfr. nei XIII Comuni éikestrurtze m. e a Luserna ekestorz (Cappelletti 1932,194) e nei VII Comuni hékestrazza 'piccola salamandra d'acqua' (Dal Pozzo 245). móséle m. 'cinciallegra' (in vie. botaseca, potaseca). A Recoaro. A Durlo moasela (Piazzola 1977, 55). Nei XIII Comuni moasela, moasela (Cipolla, 223).

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mòsse m. 'coltello usato appositamente per fare gli zoccoli di legno, formato da una lama dritta e dal lato opposto una sgorbia'. A Recoaro. Cfr. nei XIII Comuni laforma moazal 'raspa di ferro (Cipolla, 188) ed anche meizer, mezer 'coltello', corrispondenti al ted. Messer.

musso m. 'latte appena rappreso'. Arsiero, S. Ulderico del Tretto; 'residui del formaggio che rimangono nella caldaia'. Recoaro, Calvene. Usato anche al dimin. mussiti (pi.) 'piccoli formaggi che venivano dati all'aiutante caciaio, perché erano di qualità scadente' e mussatèlo 'formaggio che si mangiava tagliato a fette ed arrostito in padella'. Calvene. La voce è citata dal Prati, EV, 110 per la Val d'Astico: musso 'mozzarella' ed è noto anche in valsug. mussato id. Recentemente è stato registrato nel beli.: mùs con lo stesso significato, a Schievenin di Quero e a Fornesighe di Zoldo. (Archiv. son. dial. veti.). Secondo il Prati, cit. si tratterebbe di una denominazione di tinta scherzosa analogamente ad asino che indica lo stesso oggetto. Per questo parallelo semantico cfr. in Schweizer 1983,64 asini 'fondaccio e residuo della caseina' nelle aree cimbre dei VII e XIII Comuni, per le quali anche lo Schmeller 179 cita Esel 'asino' per i 'residui del formaggio'. E' preferibile tuttavia ipotizzare che alla base di queste forme possa esserci il tipo bavar. Mus\ mat. muos 'farinata, pappa' che ha dato a Sappada muiss che oltre a questi significati registra anche quello di Smarrn, dolce tipico austriaco, fatto di latte, farina uova, per cui v. Hornung 1972,327 e Manzelli, 1978,123. E' possibile di conseguenza che la voce del ted. dial., diventata oscura, sia stata reinterpretata in area ven. dapprima come mus, musso 'asino' e successivamente con un'ulteriore associazione semantica accostata ad 'asino'.

nàce f. 'slitta molto pesante per il trasporto dei tronchi d'albero', ora è anche 'slittino per bambini' Recoaro. E' formata da due pattini chi si continuano in due grandi corni; su di essi poggiano direttamente due traversi (bankéte) che formano il piano del carico. Ha una base di circa 2 metri sulla quale venivano caricati anche 3—4 ql. di legna. La voce trova riscontro a Sappada (Hornung 1972,334,339) dove sono attestate due forme, la prima nàusse che corrisponde al bav. Nausche < mat. nusche 'Spange' (Lexer, 2,122) che ha assunto il significato di 'scivolo pesante, munito di anelli ferrei alle due estremità che poteva essere inserito sotto le ruote del carro, per usare il carro come slitta'. Era impiegato nella Valle del Piave per il trasporto di olio, vino ecc... e l'altra forma nui]i]ie, cui corrisponde il bavar. 35

Nüsche risalirebbe al mat. nuosch 'abbeveratoio', 'gronda di legno' (cfr. anche Kranzmayer 1985, 125: Niisch) che ha assunto il significato di 'slitta trainata da buoi'. Ma la coincidenza di significato tra le due forme di Sappada e il recoarese nóce non contribuisce a chiarire le difficoltà fonetiche che sussitono a partire dai dittonghi del mat. e del bav. dai quali non è possibile spiegare la vocale /a/ centrale di nace se non attraverso interferenze o incroci con altre denominazioni. Del resto anche Battisti, Gl. 159 registrava per la top. ates. Niesche, Nuesch, Nuesche 'canale di legno per l'acqua, abbeveratorio', concetti cui può risalire senza difficoltà anche 'slitta', se originariamente era uno scivolo per la legna, formata quindi da un grosso tronco scavato. Queste forme sarebbero passate come prestiti nel lad. centr. cfr. gard. nùescia 'canale di scolo della cucina' (Schneller 242) fass. nàuts, cornei, naudlà, ampezz. nòutzo, zold. nàuts, mar. nàts 'truogolo' per le quali anche Tagliavini, Liv. 223 e NC, 60 ipotizza come base il tirol. nuesch, carinz. nuosch < mat. nuosch ma non senza difficoltà fonetiche, tanto che si rimanda probabilmente ad una preesistente voce preromana; per l'amp. invece Kramer, Quartu, Finke 214 ricorrono ad un derivato di navis: *naviteus, riprendendo Elwert p.39, n.157 che aveva presupposto una base navis attraverso un *naucem (cfr. *nauca, *naucus, REW 5859) o *naviteus.

polincinke m. 'orbettino, Cecilia Anguinis Fragilis'. Nei XIII Comuniplincink, pi. -ke id. Cfr. Cipolla, 203 anche s.v. plint 'cieco'. Corrisponde al ted. Blindschleiche orbettino, composto di blind 'cieco' e Schleiche 'lucertola'.

radamòke, raàamòke, f. pi. 'uccelli che nidificano sull'erba'. A Recoaro. Attestato per l'alto vie. anche da Bologna 1876, 41: rasamoche 'squaiardola', cioè, 'zigolo giallo'. Corrisponde al cimbro dei XIII Comuni: grasémòukala, plur.: graáéméukalar 'pispola'. (Cappelletti 1935,109). La voce è commentata da Battisti: composizione speciale che manca a Luserna e nei VII Comuni. Dal mat. gras 'erba' e mocken 'stare nascosto'. Ma per la prima parte del composto cfr. anche mat. róse 'zolla (erbosa)'. Non c'è comunque accordo nella identificazione di questo uccello: anche Cipolla, 185, riporta per i XIII Comuni grasémòukala n. con il significato di 'pispola', che viene corretto nelle Giunte e correzioni pag. 222 con 'verdone' (fringilla chloris). La trascrizione fonetica del Battisti evidenzia la presenza di foni piuttosto opachi: gra\emóukh"la.

ráitena f. 'slitta'. A Recoaro e Valdagno. A Recoaro anche 'altalena, dondolo'. Cfr. Schmeller 221: raiten 'fahren zu Wagen, zu Schiffe, reiten zu Pferde' e anche 36

'ciondolare, penzolare, altalenare, scivolare sul ghiacco, sdrucciolare'. La voce potrebbe dunque essere un deverbale di raiten (aat. rìtan)18. recubele m. strumento usato un tempo dai pastori per comunicare a distanza, ora viene impiegato per celebrare la chiamata di marzo. A Recoaro, Crespadoro, Val Leogra. E' formato da una botticella senza fondo, ad una estremità della quale un diaframma di pelle di capra veniva posto in vibrazione mediante una piccola corda, impeciata, fissata nella parte interna. La voce è riportate in Schmeller 201 Kiibel nel senso di Ruhrkiibel «vaso per fare il burro, battendo il latte». Dal mat. kùbel che nel dialetto di Giazza è attestato come khùb"f 'zangola' (Battisti 1931: 107) e nei VII Comuni kuwell, kùvel (Dal Pozzo 237). rindola f. 'corteccia d'albero dove veniva fatta scorrere l'acqua'. A Recoaro (Cornale 1980; 100) e in Val Leogra: 'canaletto scavato in mezzo a un tronco, non grosso ma lungo che serve a far scorrere l'acqua da una fonte fino ad un abbeveratoio o ad un altro punto al quale la si voglia convogliare'. Attestata anche nel 1876, da Bologna, cit. Cfr. ted. Rinde 'scorza, corteccia d'albero'. Lo Schmeller, 222 ha la voce Rinta f. 'Rinde'. skrición m. 'ricucitura mal eseguita, rammendo non riuscito' Valdagno (Menato 1980,558) e anche 'lavoro fatto male' sempre con riferimento al vestiario. Recoaro. Qui è usato anche il deriv. skricionàre 'eseguire male un lavoro sul vestiario'. La voce corrisponde al veron. della Valpolicella skrìcio 'rabbercio mal eseguito' e al veron. skriciàda 'rabbercio da ciabattino, lavoro eseguito approssimativamente (Beltr. Don. 215) che Bondardo 1986,44, accosta al veron. scricéto 'ciabattino', anche gerg. e ad altre voci dei lessici del XVII sec. (Oudin, Citolini, Garzoni) che tuttavia definisce oscure. Probabilmente si tratta di una variante delle forme alto-ven.: agord. skrìd 'apertura delle sottane del costume antico' (Pellegrini, Appunti, 48); livin. skritz (pi. ikrié) 'apertura, fessura in un vestito (p. es. l'apertura della sottana del costume antico; 'i buchi (in genere due) del saccone a pagliericcio, per i quali si introducono le mani e si muovono le foglie di granoturco ivi contenute', voci che Tagliavini, Livin 296 accosta al fass. skriz 'Schlitz am Weiberrok' e propende per la derivazione dal ted. Schlitz, molto diffuso in carinz. schlitz 'strappo, spacco, 18

Per le affinità tra i concetti di altalena, dondolare e slitta cfr. anche il prestito bob «slitta da corsa», riduzione dell'inglese bobsleigh letteralmente «slitta che dondola», riduzione già avvenuta in inglese (DELI 1,149).

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ma in un vestito' e al tir. schlitz di cui Schòpf 648 dà la variante schritz. A confermare l'evoluzione del significato potrebbe essere proprio il cimbro Schritz che vale sia 'fessura' sia 'frego, ghirigoro' (Schmeller 229) da cui le voci alto-vie. e veron. Il tedeschismo pare avere ampia diffusione specie nel senso fig., cfr. in Val Verzasca criscióm 'pane o torta mal riuscita' (Lurati-Pinana 207). slòfaf. è la stessa voce registrata per l'Altopiano di Asiago, ma a Recoaro con altro significato. In questa località è un mezzo di trasporto della foglia secca o del fieno, fatto di ramaglie intrecciate in modo da formare una specie di contenitore alto circa un metro a largo due metri. Cfr. Schmeller 232 s.v. Sloafa, stoffa f. 'Schleife'. Negli Statuti di Valdagno del 1490 c'è un passo in cui si citano mezzi di trasporto agricoli, tra cui «carro, cariola, groia, slossa o versore» (p.186). Potrebbe trattarsi della stessa voce: slossa e slofa, con lo scambio già notato di /-s-/-f-/. stàlma f. 'pezzo di legno che serviva per fare gli zoccoli o le partite della slitta'. Recoaro. Voce che si riscontra anche in Rapelli 1983, 384 stalma s.m. (plur. stàlme) 'modello, stampo' e in Schmeller 235 stalma e stalmarn 'modellare'. Anche in tirol. stàmm, stàmmen e dim. das stamml che tra gli altri significati registra quello di 'pezzo di legno' (Schòpf, 698, REW 8222). La voce compare con anticipazione di l\l del dimin. stékla, stékara f. 'pertica o bastone molto sottile usato come sostegno delle piante di fagioli, delle viti ecc...' Recoaro. La voce corrisponde al tirol. stècken, stècke m. 'verga, bastone', dim. das stèckele' a cui si rifà la forma recoarese, usata specificamente col significato di 'palo per costruzione e palo di sostegno delle viti' (Schòpf, 704). Il passagio di lèi > lèi, è un adattamento alla fonetica locale.

La toponomastica La toponomastica di origine cimbra è ampiamente documentata anche in quella zona intermedia fra l'Altopiano dei VII e quello dei XIII Comuni, (tutta compresa nell'alto-vic), come si può desumere dalla bibliografia cui abbiamo fatto riferimento e che qui elenchiamo. In particolare abbiamo fatto uno spoglio delle riviste che si interessano di cultura cimbra («Vita di Giazza e Roana»; «Taucias 38

Gareida»; «Terra Cimbra») o delle pubblicazioni riguardanti la toponomastica dei singoli paesi come Piazzola, 1977 per Durlo; Mecenero, 1979 per Crespadoro; Cornale, 1975 per Recoaro; la tesi di laurea inedita di G. D e Munari, 1965 - 6 6 per Valli dei Signori, in cui sono documentate forme d'archivio e le derivazioni etimologiche; Saccardo, 1984 per il Tretto e inoltre una parte dei toponimi citati più avanti sono stati riscontrati sulle carte militari o attraverso testimonianze orali utili a disambiguare certe grafie ipercorrette dello scritto 19 . Abbiamo di proposito tralasciato i casi più complessi dal punto di vista 19

Tra i contributi più rilevanti per lo studio della toponomastica tedesca dell'alto-vic. sono da considerare le tesi di laurea conservate nel Dipartimento di linguistica dell'Università di Padova e guidate da Tagliavini e Pellegrini. Ricorderò in particolare la tesi di G. De Munari, Toponomastica della Valle dei Signori (a. 1965-66); M. Gentile, Toponomastica tedesca dei sette Comuni (a. 1961-62); A. S. Fontana, L'altipiano di Tonezza sotto l'aspetto etnico, storico e linguistico (a. 1970—71). Nella prima si esaminano i nomi locali di una parte del Comune di Valle del Pasubio, che risulta dall'unione delle antiche Valles Dominorum (Valli dei Signori) e Valles Comitum (Valle dei Conti), divise in due parti dal torrente Leogra. Tra i 558 toponimi elencati, quasi una metà sono di origine tedesca, così anche dall'elenco dei parroci di provenienza germanica di S. Maria Vallisvigre 'Valleogra' (a. 1297) si possono avere informazioni circa il perdurare della lingua tedesca nella zona. L'ultimo parroco, proveniente appunto dalla Germania, Vicentius de Alemania, risale al 1470 e dopo tale data figurano sacerdoti unicamente con nomi italiani. Altri interessanti elenchi di parroci provenienti dalla Germania e insediatisi in territorio alto-vie., sono contenuti in Bologna, 1876 pp.51 e sgg. e riguardano le località di Recoaro e Rovegliana, le cui comunità nell'anno 1272 dipendevano dalla chiesa di S. Gertruda di Rotzo, sull'Altipiano dei VII Comuni; Marano (a. 1432), Magrè (a. 1388 e a. 1433), Arsiero (a. 1422, a. 1440), Selva di Trissino (a. 1444), Cerealto (a. 1444), Castelgomberto (a. 1432), Brogliano (a. 1426, a. 1439), Comedo (a. 1433), Quargnenta (a. 1432), Posina (a. 1403, a. 1410, a. 1428). Per la toponomastica tedesca dei VII Comuni non mi dilungherò perché l'Altopiano rimane ancora oggi una roccaforte dei relitti «cimbri» che sia pure in via di sparizione sono ampiamente documentati dalle stesse carte toponomastiche attuali. Per Tonezza, traggo le mie informazioni da Pellegrini, 1979, 374, non avendo direttamente consultato la tesi di Fontana, cit., secondo il quale su 304 toponimi elencati, circa un quinto sono di origine tedesca. Anche in questa località si notano parroci di provenienza tedesca per lo meno fino al XVI sec., epoca in cui si può presumere che la popolazione fosse già bilingue. Per la toponomastica 'cimbra' rimando, come ho già osservato a Pellegrini 1983 e 1984; ora anche a Contatti linguistici cimbro-neolatini, in Atti del Convegno di Studi Cimbri, Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto 1988. Aggiungerò, che molti toponimi sono di diffìcile soluzione e necessitano di forme d'Archivio per essere discussi. Si osservi a titolo esemplificativo una delle forme più discusse nelle raccolte di toponomastica locale e soggetta a diverse interpretazioni come la Val Leogra (denominazione anche del torrente: Leogra). L'Olivieri, TV, 148 riporta la pronuncia dial, liólgra, giólgra, giólgara, e le forme antiche a. 1264 vallis levogre, a. 1418 Valle vogra, a. 1350 Valle levogra, a. 1288 Valli levograda, a. 1544 gebo dela leolgra e rimanda al ven. liògora, corrispondente al tose, luògora scartando l'ipotesi di derivazione da un pers. germ. Leudgar (Fòrstemann, 1040), donde il cognome Leocari. Per Pellegrini, l'etimo germanico appare più probabile della derivazione da lòcora ma tenendo in considerazione tante altre varianti di documenti medievali, ed es. a. 1297 Vallivigre sembra possibile accennare a un vegro 'terreno lasciato incolto' < vetus, vetere (Pellegrini, 1979,374 nota 2). 39

etimologico, (che avrebbero richiesto uno spoglio di fonti antiche), in quanto ci è sembrato che anche le attestazioni più ricorrenti bastassero a documentare la presenza dei cimbri nelle zone considerate. Come testo base per la nostra ricerca, ci siamo costantemente riferiti al Glossario degli appellativi tedeschi di C. Battisti, Firenze, 1940, compresi i rinvìi bibliografici ivi contenuti e a due saggi di G. B. Pellegrini citati, 1984 e 1983. In questi interventi vengono corrette alcune interpretazioni di nomi locali del VII e XIII Comuni proposte da studiosi di germanistica e si prova come l'origine di quasi tutti i nomi locali di qualche importanza ed in particolare quelli che designano gli attuali comuni siano di origine romana o romanza, per cui la zona dell'Altipiano risulta già abitata con popolazione stabile sia pure a maglie rade assai prima della calata dei Bavaresi. Lo dimostrano alcuni toponimi quali Asiago che attraverso forme d'archivio viene ricostruito come prediale di epoca gallo-latina con -acum generalmente più antico di -anum, reinterpretato dai coloni tedeschi nella forma Slege, Schlege per accostamento paretimologico ad un loro appellativo Schlege '(Holzschlàge), cioè, taglio dei boschi'. (Prati, R.D.R., V, 1913, pp. 135-6 e VI, 1914, p. 148 e Pellegrini 1984,16-17). Assai probabilmente anche Lusiana rappresenta un fondo romano, derivato da Lucilius da cui Luciliana (Olivieri, TV, 20) che Pellegrini, cit. 18, integra con la possibile derivazione pure da Lusilius. Anteriori all'arrivo dei Bavaresi, perle stesse ragioni dovranno considerarsi Rozzo (Rotzo), Foza e Gallio, mentre più discutibile è l'etimologia di Roana. Per il resto del territorio alto-vie. occupato dai cimbri, ci sembra che le denominazioni tedesche interessino masi, vallate, contrade, strade vicinali ecc... Lo si può cogliere dalla toponomastica secondaria di Recoaro e di Monte di Malo cui è stato fatto un breve cenno in Malo e il suo Monte, ma che secondo le testimonianze di Mantese potrebbe riservare ulteriori documentazioni, specie la frazione di Faedo. Molto spesso negli estimi o nelle mappe catastali che registrano i toponimi quando ormai il significato delle voci tedesche non risultava più trasparente compaiono ambedue le forme romanza e tedesca (o viceversa). Nel caso specifico della toponomastica di Recoaro, l'accurata trascrizione delle voci d'Archivio riportate dal Cornale 1975 presenta il toponimo cimbro preceduto da altre indicazioni come: Valle di-; Strada vie.-; Passo-; Malga-; Contrà ecc... E' inoltre da sottolineare che a differenza dei comuni dell'Altopiano lo stesso Recoaro sembra derivato da un personale germ. mediev. Richwar (Fòrstemann 1270) cui rimanda l'Olivieri, TV, 35, pur conservando dei dubbi sull'etimo. Egli cita inoltre le seguenti attestazioni Recoario (a. 1418), Ricubario (a. 1774), mentre il Kranzmayer 1981, 13, ricostruisce un *Recubarju (forse da re-cubarel). Pellegrini 1984, 107, discutendo queste ipotesi propende per l'origine dall'onomastica medievale. Sempre all'onomastica potrebbero essere ricondotte anche le denominazioni di una località del Comune di Recoaro: la Valcalda il cui accostamento a Valfredda che pure indica un'altra zona di Recoaro, ci sembra fuorviante se ci si richiama ad analoghe denominazioni di masi trentini, di origine germanica, cfr. 40

Valcalda, Cornacalda, Ricaldo, Boccaldo (Lorenzi, Diz. Top. trid., in «AAA» (1924) derivati da nomi personali in -aldo, -walt.

Toponimi: Anghébeni < mat. lane 'lungo' (Battisti, Gl. 902) e mat. èben(e) 'piano', 'pianura', (Battisti, GÌ. 260). Toponimo attestato a Recoaro: Contrà Anghébeni ; in V dW&rsz Anghébeni, dove compare come Langhebeni nell'anno 1342 ed è oggi un cognome molto diffuso a Rovereto, Trento, Vallarsa e nel veronese. (Rapelli 1980). Presenta la caduta di l\l considerato articolo (Mastrelli-Anzilotti 1981,35). Bàlbese, composto < mat. walt 'bosco' e wise 'prato', dunque 'prato al bosco'; cfr. Battisti, Gl. 2006 e 2103. Diffuso a Valli del Pasubio: (a. 1802) Balpese\ Recoaro: La Vàlpese, Bàlpese, con apertura di HI > lei Bise > Bese in sillaba postonica. Bise e Bisele 'prato' e dim. 'praticello'. Dal mat. wise. Appellativo assai diffuso nei VII e XIII Comuni e nel Trentino, cfr. Battisti, Gl. 2103 e Schmeller 174. E' documentato a Durlo: Bisela, già nei primi estimi dei terreni del 1500, Crespadoro, Valli del Pasubio. A Recoaro è frequente anche in numerosi composti: Morghebise, Tornebise, Bolembise, Gambise, Fienile le RebiAe, Improbise, Fecchiembise. A Valli del Pasubio: Bisilóke, Bibiloke, Bombice. In un estimo del 1653: Bombise, Bone bise, Podembise, e nelle carte attuali si legge Polembise. AI Tretto (La) Barsebise\ a. 1769: Bacerbice e nel Catasto napoleonico Bazzarbise. Bassabise viene detto inoltre un prato fra la Costa e S. Ulderico al Tretto. La prima parte di questo composto è facilmente riconoscibile < mat. wazzer 'ruscello, acqua', con il noto passaggio di /w/ > Ibi. Ékele < mat. ecke, egge 'angolo' e anche 'costa', con il suffisso dim. Cfr. Battisti, Gl. 262; Schmeller, 260. Appellativo assai diffuso anche nei VII, nei XIII Comuni e nel Trentino. E' frequentemente attestato a Crespadoro, Recoaro, Valli del Pasubio.

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Gróbe < mat. gruobe 'concavità del terreno, fossa'. Toponimo diffuso nei VII, nei XIII Comuni e nel Trentino. Cfr. Battisti, Gl. 451 ; DTA13656. E' attestato a Durlo: Gròaba (a. 1721); Crespadoro: Gròbe, Recoaro: Casone delle Grobbe; Valli del Pasubio: Gróbe (a. 1635; Groben: a. 1725 alti Groab). Kláme < mat. klamme 'burrone torrentizio, gola, strettoia'. Nei VII Comuni klama < aat. damma. Cfr. Battisti, Gl. 754; Schmeller 198. Diffuso a Durlo: Chiame e in un estimo del 1721: Clame-, a Recoaro: Valle di Clame e Dosso Calarne. Quest'ultima forma dev'essere antica in quanto precede la palatalizzazione del nesso ci. Pódeme < mat. bodem 'piano, pianoro, fondo coltivato'. Cfr. Battisti, Gl. 155, DTA I 295; Schmeller, I, 210. Voce assai comune diffusa a Recoaro, Durlo, Crespadoro, Valli del Pasubio. In quest'ultima località anche Pode e in documenti del 1635 Pódeme. Al Tretto: Pódene; tra le forme d'archivio: il podelm, il podem (a. 1635); Podemene, Podene (a. 1769). Próveste < mat. bròbest, cimbro próst, forme tedeschizzate del latino praepositus 'prepósito, guardiano', in generale amministratore di un possesso fondiario. Diffuso al Tretto. Varianti antiche desunte dall'Archivio parrocchiale di San Ulderico: Probeste (a. 1593, 1595) i probest (a. 1635) Provest (a. 1809) Proveste (Catasto napoleonico). Cfr. in Battisti, Gl. 1238: Pràst, Probst, Prosi. Puble Voce diffusa a Valli del Pasubio, che compare anche nel catasto napoleonico come: Puble, Pubele. E' connessa al cimbro dei VII Comunipwfce/'monticello a cima arrotondata ed erbosa, elevato sopra la pianura' e al toponimo di Rotzo: Poggio Pùvel, spiegati da Pellegrini 1984, 14 come varianti, del ted. Biihel 'dosso, collina'. Cfr. anche Battisti, Gl. 198 s. v. Bühl, Bichl, Pil. Raute < mat. ge-riute 'novale'; voce assai diffusa, cfr. la bibliografia in Battisti, Gl. 1298. Nei VII Comuni: Raut 'luogo disboscato' (Schmeller, 221). A Recoaro Ráute, Laráute (con l'articolo concresciuto) e il composto Ampráute; per Valli 42

del Pasubio la voce è glossata in un documento del 1635: nel raot o ronco ed è conosciuto anche il dim. Ràutele-, a Crespadoro e a Durlo: Ràutela. Rèstele dim. di Rasi f. 'posto in una salita in cui uomini o animali riposano' < mat. roste. Nella toponomastica dei VII Comuni Rosta < aat. rosta (Battisti, Gl. 1290, DTA 11291). Diffuso a Recoaro: Valle Rèstele e a Valli del Pasubio. Stèdele < mat. stadel 'fienile' (Battisti, Gl. 1708), diffuso a Recoaro e a Valli del Pasubio. In documenti del 1635 appare come Stedile e nel Catasto napoleonico Stadele. Nel vicentino è cognome: Stedile (Rapelli 1980: 74), ed anche a Terragnolo: Stèdile (Mastrelli-Anzilotti 1981: 38). Ulbe < mat. hiilwe 'acquitrino' (Battisti, Gl. 615). Anche nei XIII Comuni culbe (Battisti, 1931,107). E' toponimo a Recoaro: Strada vie. delle Ulbe.

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Glossario. Criteri di trascrizione fonetica

Le voci riportate nel Glossario sono trascritte secondo la grafia dell'italiano ad eccezione di qualche segno, usato per necessità di non creare ambiguità di interpretazione, perciò Iti corrisponde alla palatale sorda dell'italiano lei + voc. palatale; Ikl corrisponde alla velare sorda dell'italiano lei + voc. lui, lol, lai lèi corrisponde alla sibilante sonora /ss/ corrisponde alla sibilante sorda. Quando sono state riportate voci o citazioni da altre opere, ho mantenuto la grafia del testo originale, (a cui si può far riferimento) senza adattare la trascrizione fonetica in quanto mi sono imbattuta in scritti assai diversi e non solo nel senso di diversità cronologica (testi antichi) ma anche trascrizioni del parlato dialettale incuranti della corrispondenza tra grafia e fonetica. Il solo intervento riguarda una fonte di primaria importanza per gli studi dialettali veneti e cioè le Etimologie Venete di A. Prati, rispetto al quale, ho adottato per la sibilante sonora il simbolo lèi invece di /{/. Tutte le voci sono state raccolte nel territorio alto-vie. da fonti scritte che ho citate o da fonti orali, per inchiesta diretta nelle località che di volta in volta sono riportate o attraverso le registrazioni condotte per l'Archivio sonoro dei Dialetti veneti, conservate presso il Dipartimento di Linguistica dell'Università di Padova. Si tratta di 90 nastri, che interessano tutti i comuni dell'alto-vic. Per alcune località, ritenute rilevanti dal punto di vista dialettologico sono state fatte un maggior numero di registrazioni. ai a w . 'sì', forma di affermazione. Locuzione disusata ma documentabile nella testimonianza di contadini anziani. Comedo, Faedo, Monte di Malo. La diffusione di questo tipo e di locuzioni analoghe sono ben documentate in LEI, 1,1389-1390 cfr. tic. prealp. ai (VDSI, 1, 37), lomb. alp. orient. (posch.) ai, lad.-ven. (agord.) aj, lad. cador. (amp.) ai, oltrechius. ai, friul. aj'si'DESF (Crevatin). Analoghe forme di affermazione si sono diffuse nelle zone alpine e prealpine: gard. è, livinall. fi, lomb. ei, lad. ates, hèi, fass. èi e inoltre un terzo gruppo si distingue per essere rafforzato da /è/, cfr. tic. prealp. aié, tic. merid. aé, tic. é, 44

borm. aè, lad. ates. (gard. ehé) bad. sup. aé. Tagliavini, Livin. 127 rinvia ad un ae (REW 228). Secondo Crevatin (DESF, 139) si tratta più propriamente forse di i voc. con forte valore deittico, con a-prostetico; formazione chiaramente elementare che può sorgere ovunque per Pfister (LEI 1390). ajéto m. 'cipolla canina, Muscari comosum Mill. Arsiero; Laghi agin; Cereda ajóle,, 'id'. La voce è conosciuta anche nel veron. ajéto (Penzig, II, 14) e si richiama a denominazioni del tipo erba ai (beli.); ai mat (Altivole TV), ALI; ài de kàn, (agord. efeltr.); aid'lu (piem).; aideluv (lomb.) e molte altre forme anche fuori dal territorio italiano come il fr. aillot, ted. svizz. Chnoblich, Làuchli (Marzell, III 234), che si richiamano al tipo 'aglio selvatico'; parallelamente in altre località sono vitali le denominazioni del tipo 'cipolla selvatica', 'porro', ecc... Rimando per una trattazione esaustiva riguardante l'Italia Settentrionale a Pellegrini-Zamboni, II pp.463 -465. L'informatrice di Arsiero aggiunge che l'uso di quest'erba da parte del bestiame rendeva sgradito il latte e il formaggio. Dell'agii? erano piene le malghe dell'alto vie. quando in primavera spariva la neve; l'erba provocava nel bestiame la diarrea (Laghi). alba in noi ga alba de Dio 'non ha niente, non possiede nulla'. Alto-vie. e pad. In quest'espressione alba è usata nell'accezione di 'moneta' e si potrebbe precisare che si tratta di moneta veneziana, attestata fin dal XIII sec. in lat. mediev. (Sella 11; DEI I 106) ed ancora viva in venez. noi m'ha da gnatica l'alba (Boerio27), dicuil'espress. altovie. è una variante (Cortelazzo, «Quad. ven.», 31; LEI 3, 2803,14). àlsia, àssia int. 'voce di comando per gli animali (buoi, cavalli) per farli muovere'. Valdagno (Menato, 1980,513); in Val Leogra àissia (drio)\'grido rivolto alle bestie per farle indietreggiare' (Val Leogra 107); vie. ossia 'termine dei bifolchi per fare andare indietro le bestie' (Capparozzo, Raccolta). La voce si richiama al lomb. alza, 'scacciare (le bestie)' in Val Verzasca (Lurati-Pinana 155). Derivato dal lat. *altiare, 'portare in alto, sollevare' REW 385 qui usato nella forma dell'imper. che vale 'alza' e quindi drio 'indietro', con assimilazione in ossia. Sono attestate in LEI, 332 e sgg. anche forme del lat. med. lig. alciare 'alzare, sollevare', lat. med. piem. auzare, lat. med. dalmata altiare, algare. E' inoltre documentata nel trevis. ant. la voce alciàre (sec. XVII, Tornasi 27) per alzare. 45

antéce f. pi. 'lentiggini'. Comedo, Malo, Faedo. La voce è largamente diffusa nei dialetti alto-ven. e ladini di cui dà numerose esemplificazioni Kramer, in EWD1114— 115. Deriva da lentìcula 'piccola lentiggine' ed ha già in lat. tale significato, che si è mantenuto in alcuni dialetti dell'Italia settentr. oltre che in parte delle lingue romanze (REW, REWS 4980). aprilanti m. pi. 'i primi tre giorni di aprile', Montecchio Maggiore (Brunello, Lessico, 121), Lonigo. Cfr. anche il veron. quatro aprilanti agg. pi. 'quarto giorno d'aprile' al quale si attribuisce valore climaterico (Patuzzi Bolognini, 6, aprilanti nelprover. Iprimi quatro aprilanti, quaranta someianti). Per altre forme dialett. corrispondenti cfr. LEI 19, (1987), 368-369 dove si nota che gli agg. aprilante!aprilanda, con le terminazioni del part. pres. e del gerundio sono nate per il bisogno di rima e si adoperano generalmente nei proverbi. Dal lat. aprile. arkonà f. 'semicerchio di alberi antistante alla torretta del roccolo, disposti in modo da formare una rete per catturare gli uccelli'. Valle dell'Agno (Tratzi, 1983, 52). Derivato di arcus (REW 618) attraverso una ben nota formazione veneta arkonàre v. che significa 'mettere l'arco', cioè 'mettere il giogo ai buoi'; infatti fra le denominazioni del giogo il pad. vie. venez. ha arkón (Pellegrini-Marcato, Termin. agric. friul., 1988 alla voce 'giogo'). Qui la voce vale semplicemente 'fatta ad arco' per la disposizione a semicerchio delle piante, con la regolare riduzione di /-àta/ > /-a/. arliévo agg. 'qualità di formaggio tipico, prodotto sull'Altopiano di Asiago. La voce è conosciuta con molte varianti: da ¿lévo a Comedo; darliévo ad Arsiero. Come termine tecnico per la promozione del prodotto viene usata la forma allievoAsiago (Marostica, Zugliano, Altopiano d'Asiago). Si tratta di un formaggio grasso che si presta ad essere conservato a lungo, cioè 'allevato', in contrapposizione al pressato, formaggio magro. Deverb. del ven. arlevàr 'allevare' (Boerio 43) che trova corrispondenza nei dialetti alto-ven. e ladini cfr. livinall. arlevé, cornei, arlvà, zold. arlevà, ampezz. arleà. Per altre attestazioni rimando a Tagliavini, Livin. 61 e NC18, che propone la derivazione dal lat. rélèvare (REW 7192). Per altre accezioni del ven. arlevàr cfr. Pellegrini, 1977, 414. Nel caso specifico, alcune varianti della voce rimandano al vie. àlévo < 46

¿levare 'allevare, crescere' che in alcune località dell'alto-vic. (S. Luca di Marostica, Zugliano) ha il valore tecnico di 'stagionare' (il formaggio)'. arpa s. f. 'frangicagliata'. Lusiana. Da confrontare con un altro sinonimo chitàra f. a Valdagno e nella Lessinia veron. («La Lessinia», 1981,31), denominazioni che si richiamano alla forma dell'oggetto. Lo Scheuermeier, 1,42 cita come termini più recenti per indicare il 'frangicagliata' nei dialetti settentr. i tipi lira, chitara, sitara formati da un bastone con fili metallici paralleli. Di ampia diffusione anche nei dialetti della Svizzera ital., cfr. arpa 'arnese per sminuzzare la cagliata' in VDSI, 1,281. arSimo m. 'grappolo d'uva'. Valdagno (Menato 1980, 514), Recoaro. La voce è citata dal Bondardo, 1986, 32 per il veron.: arélmo ed è a torto creduta assente dagli altri dialetti veneti, mentre si accorda col trent. rasim, genov. razimu, prov. razim, fr. raisin ecc... risalenti ad un tardo lat. *racimus per racemus 'grappolo'. E' attestato dal 1450 nel lat. mediev. veron. arzimus (Sella, 37); cfr. Prati, EV, 141; DEI s.v. racemo, racimolo-, REW 6984. asenàti m. pi. 'travi di sostegno del tetto'. Sono posti tra ipordonài e i murai, gli altri due ordini di travi. Valle dell'Agno. La voce è un deriv. del lt. asinus, che con diversi suffissi è attestato nei dialetti italiani col significato traslato di 'manufatti, utensili'. Per un'esaustiva trattazione dell'argomento cfr. LEI, 26 (1989) 1669-1670, da cui traiamo alcune esemplificazioni a partire dall'ital. asinelio che è una 'trave posta sul vertice del cavalletto, a congiunzione dei vari cavalietti', lucch. asinotto 'armatura triangolare di travi per sostenere la tettoia o il tetto', col suffisso -óne i termini indicanti 'travi del tetto' nei dialetti ital. settentr. sono molto numerosi, cfr. il gen. azenón m. 'trave orizzontale a base del cavalletto del tetto e a sostegno dei montanti', tic. prealp. aznùg 'trave', a Cimo asnón 'trave principale del tetto' (VDSI 1, 269a) lad. anaun. (Tuenno) aznón 'ciascuna delle quattro travi che nel tetto a quattro falde vanno dal colmo ai quattro cantoni della casa', emil. occ. (piac.) asnón 'travi per i tetti', veron. azenón 'trave principale del tetto' (PatuzziBolognini), trent. or. (rover.) asenom (Azzolini). E infine con il suff. -accio cfr. l'ital. asinaccio 'trave per reggere il tetto', romagn. (faent.) asnazz. Nell'alto vie. è prevalso il suff. -atto. Per altri parallelismi semantici di trasferimento dal nome di animali ad oggetti di sostegno cfr. l'ital. bordone, probabilmente dal lat. tardo burdóne Al

'mulo', da cui anche bordonale 'trave del tetto', vie. pordonài (pi.), citato qui sopra, cavalletto, putrella, per cui v. DELI 1156, vie. cantile 'trave del tetto' < canthérius 'cavallo da strapazzo', con cambio di suffisso. Cfr. inoltre béko, mussa, mula. àéeno m. 'mozzarella'. Val d'Astico. La voce è accostabile ad àéini 'fondaccio o residuo della caseina' documentata dal Baragiola per le colonie tedesche veneto tridentine ed entrata anche in cimbro, come confermano B. Schweizer in Le abitazioni dei coloni cimbri, Giazza 1983 (rist.) 64 e Schmeller 179 alle voce Esel 'residui del formaggio'. Secondo il Prati, EV 110 sia ààeno che musso indicante il 'latte rappreso, separato dal siero che resta in fondo alla caldaia' sono nomi d'origine scherzosa e tali potrebbero sembrare se diamo credito ad altre tradizioni popolari riportate per la Val Leventina nel Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana 1229, dove sotto la voce asino al quale si attribuiscono qualità negative o di poco valore vengono registrati molti modi di dire figurati ispirati a questo animale tra i quali la punizione cui è sottoposto il caciaio che dal latte produce la minor quantità di formaggio, cioè u i toca l'èsan 'gli tocca l'asino', scherzo consistente generalmente nell'invio di versi mordaci, del disegno di un asino o di un asinelio di stoffa ecc... Tuttavia la questione non è di facile risoluzione in quanto esistono in ambito ven. e friul. altre denominazioni di formaggi che possono avere connessioni con le precedenti. Si veda ad es. il vittoriese asin 'formaggio magro e molto salato', venez. asin che il Contarmi spiega"formaggio asino ch'è composto in parte di latte d'asina', definizione quest'ultima messa in dubbio da Pellegrini 1977, 210 che cita il friul. asin (formadi) 'cacio del monte Asio', ipotizzando quindi che si possa pure trattare di un derivato di acidus (REW105, FEW 121) 'acido' + -inus che ha molti continuatori nei dialetti alpini e prealpini indicanti latticini o prodotti caseari in generale. Per tale filone cfr. anche il LEI 1433-435.

bajardèlo m. 'saliscendi dell'uscio, nottolino'. Comedo, Valdagno, Val Leogra, a Crespadoro: bajardèla 'lamina di ferro che tiene chiuso l'uscio' (Mecenero 388), vie. bagiardelo, cit. in Pajello 11, dove si specifica che lo strumento, usato come chiusura di una porta può essere anche una «stanghetta» o un «paletto». Per il veron. Patuzzi Bolognini 11 attesta baiarda, baiardèla con lo stesso significato, confermato anche dal Beltramini-Donati 22. Nelle bassa-padov. bajardèla è una 'chiusura rudimentale per porte fabbricate quasi sempre in legno' (Battaglia 25). Secondo il Prati, EV8 la voce deve essere accostata a bagiare 'abbaiare' perii rumore fatto dal saliscendi quando viene aperta la porta + l'antissuffisso -ardo. Sarebbe quindi di origine imitativa. Diversamente il Bondardo, 1986,36 ipotizza una derivazione da boiardo 'treggia, torchio' dall'ant. frane, baiart, forse di 48

origine germanica, per cui rimanda a DEI s.v. baiardo. Ma tale forma che trova riscontro anche nei dialetti della Svizzera ital., cfr. VDSI, 1,62: baiarda 'carriola ad una ruota' e, nei territori limitrofi 'barella adoperata per il trasporto dei sassi' di discussa origine etimologica (cfr. FEW 1, 207b, Gamillscheg, ZRPh 43, 55) pone difficoltà semantiche, non facilmente superabili se non si accetta l'ipotesi di Hubschmid (RLiR, 217-218, 1991, p.33) di un b. lat. baiare 'stare aperto' + -ard (germ.) e che si tratti di una barella aperta. Anche il bajardèlo tiene aperta la porta. In ogni caso la voce non è di facile risoluzione in quanto si presta facilmente a soluzioni di tipo imitativo, che si connettono generalmente ai concetti di 'battere', 'picchiare', 'far rumore' ecc... Per questa ragione potrebbe essere accostato ad analoghe formazioni dei dialetti francesi citate in FEW 1281 e riportate al lat. bataculare 'gähnen', ma tra i derivati bâllou 'criard', bâillard; (Rémilly) böyäy 'crie, hurlement', havr. bailler 'faire basculer (un tombereau)', intens, di *batâre (Schallwort) REW 988 ' aprire la bocca', ma con molti significati secondari nelle lingue e nei dialetti romanzi, tra i quali lo Schneller 173 colloca anche sbaciâr 'tenere aperta un poco ad es. la porta' il venez, sbàcio in sarar la porta in sbacio 'lasciare aperta un pò la porta', lomb. sbagg, come anche sbadagg, a cui aggiunge significati particolari del venez, sbadagio e cioè 'sbadiglio', 'arnese per tener aperta la bocca ai cavalli', 'pezzo di legno per tener aperta qualcosa'. Gli stessi significati ha il franc, bâillon 'petite barre de bois ou de fer qu'on met entre les dents pour empecher de parler ou d'appeler', 'petite panier qu'on adapte au nez d'un animal pour l'empêcher de mordre' ecc... Un'altra denominazione del nottolino in alto-vie. è batibèlo, a Valdagno; a Carré: 'catenaccio della porta', che trova un parallelo in bativello per battocchio della campana, attestato in padov. del XVI sec. (Sella, Ven. 62), accostabili a denominazioni analoghe dei dialetti limitrofi, quali il trent. batedèl 'martello, picchiotto, battitoio dell'uscio (Ricci 34), primier. batedèl 'battente, picchiotto' (Tissot 41), anaun. e sol. baterdèl, batdèl 'saliscendi' (Quaresima 32), a Predazzo batedèl 'id' (Boninsegna 264), deverbali del lat. volg. battere (DEI 1462) < battuére 'battere' (REW 996). bajaréssa f. 'tordo, Turdus pilaris'. Lugo di Vicenza, Breganze. La voce corrisponde al vie. baiarèla con cambio di suffisso e si ricollega al verbo bajâre, bagiâre 'abbaiare' ma anche 'ciarlare' (Prati, EV, 8). Si richiamano allo stesso concetto anche altre denominazioni dell'uccello cfr. beli, tordo ciâk, bresc. gardéna baiaröla, ciâcola; Cuneo ciociara, Tort. Novi ciâk-ciâk. Cfr. anche i nomi francesi tiâtiâ, tsâtsâ, kiakiâ, chackchack (Bonelli, 32). Il suff. -essa è molto produttivo nel dialetto alto-vie., cfr. in Magagnò (a. 1560) bagiaréssa 'ciarlona' (Prati, «AGI», XXXIV 1942, 38 e «ID», XVIII, 115 n° 23).

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balarìna f. 'rigonfiamento delle mammelle del bestiame dopo il parto'. Questa malattia è curabile, secondo gli informatori, bagnando le mammelle del loro stesso latte. Comedo, Malo, Faedo. In ital. questa affezione non viene distinta dalla più generica 'mastite' che indica qualsiasi tipo di ingrossamento mammario. La voce non trova riscontro nei dizion. veneti ma è probabilmente da accostare al sol. balarìna 'acqua che certe bestie malate hanno sotto la pelle' (Quaresima 25) e al cembr. balarìna 'contusione aggravata da una sacca di umore ristagnante sotto la cute' (Aneggi 40). Letteralmente "ballerina' quindi deriv. < ballare 'ballare' (REW 809), con probabile allusione alle pulsazioni che il liquido fa sotto la cute. Cfr. per analogia sul piano semantico il ven. rust. skombàtare 'martellare che fa il dolore per una ferita, pulsare, palpitare febbrile'.

balìni m. pi. 'cerchi di ferro nei quali si infilavano i tronchi d'albero {bòre), che scorrevano lungo la teleferica chiamata fili a ¿bólso. Si diceva anche molare éo a balini'far scendere il legname grosso attraverso i cerchi di ferro suddetti', contrariamente al legname minuto: bruscaura che veniva fatto scendere direttamente. S. Pietro Valdastico, Laghi di Arsiero. Probabilmente uso tecnico di 'pallino' < 'palla' nel senso di 'oggetto rotondo'. Dal germ. *Balla (REW 908, DEI 1415). balustràto m. 'giovane scapestrato, considerato poco di buono, nullafacente'. Priabona, Malo, Monte di Malo, Comedo. A Valdagno: balaustrato. La voce è usata ironicamente nel dialetto alto-vie. e compare come tale anche nel Libera nos a Malo, 1975, 140 di L. Meneghello: «Abbiamo avuto recentemente conferma che il fratello di mio nonno andò balustrato. Abbiamo chiesto spiegazioni al papà: era una punizione per la gente stramba e viva come lo zio. Ma chi mandava balustrato? Il prete...» Attualmente sopravvive anche con valore traslato di minaccia ai ragazzi indisciplinati. Nel veron. è attestata un'espressione connessa alle precedenti: nare ìa perlustrato «andare via militare» (Coltro 1975, 427), con allusione, secondo il Peraro 1984, 191, 193, che ha interpretato la voce perlustrato nel senso di 'per un lustro', al tempo del servizio di leva cui alcuni giovani scapestrasti erano costretti durante la dominazione austriaca nel Veneto. Nella bassa padov. (ad Ospedaletto Euganeo) il Peraro, cit. aggiunge che il perlustrato è un «giovane male in arnese, disordinato nel vestire, trasandato in ogni cosa, con capelli e barba incolti, senza arte né parte, lazzerone». Della forma che sopravvive in alcune località del Veneto, ma sempre come lontano ricordo, così scrive G. Lepschy, 1968, 89, che, riferendosi al testo di 50

Meneghello la definiva «misteriosa» aggiungendo, sia pure dubitativamente che il balustrato «forse era stato sbalestrato lontano a fare il militare?» si è ampiamente occupato M. Cortelazzo 1990, 120. Lo studioso analizzando i «pochi e sparsi documenti riguardanti il vagabondaggio veneto in epoca austriaca», ne deduce che «il nome si deve all'operazione di polizia preventiva chiamata perlustrazione che consisteva nel cercare oziosi e vagabondi, privi di mezzi di sussistenza e di dubbia fama e condotta, trattenerli in carcere durante l'inverno e la primavera, prima dei lavori agricoli, che avrebbero offerto loro la possibilità di occuparsi come braccianti e nei casi più gravi, arruolarli forzatamente nell'esercito. Del resto già il Boerio 493 ci riporta, sia pure senza riferimenti storici particolari, a tali usanze; basta considerare uno dei significati di perlustrare: visitare cioè «il farsi dall'autorità politica o criminale una visita domiciliare o simile» e perlustrar uno... vale «visitare e guardar le saccocce di uno: il che si fa dalla guardia ad un arrestato o sospetto». A queste attestazioni si aggiunga anche il fri. pilustràt (t.mil.) 'arruolare per castigo, punire con l'arruolamento e pilustràt 'arruolamento dei discoli, discolato' (anche prelusimi) in Faggin 977. Per quanto riguarda specificamente balustrato, sembra che il termine possa ricondursi ad una diversa motivazione semantica che allude effettivamente a balaustra se come viene riportato in Beltramini Donati 23 l'agg. balaustrà indica un 'pitocco, miserabile, poco di buono' che deriva il nome, proprio da un fatto storico e cioè dall'ordine che i sacerdoti avevano da parte dell'I.R.G. austriaco di denunciare dall'altar maggiore i misfatti ed il nome dei peccatori contro la proprietà e la morale. batú m. 'tipo di pavimento in terra battuta'. S. Pietro Valdastico, Valdagno; batúe f. pi. 'davanzali delle finestre', Cartigliano. Si allude a case molto povere che avevano alcune stanze prive di pavimentazione. Deverb. di battere < lat. battuére (REW 996). béko m. 'slitta da trasporto e slittino da gioco', Valli di Pasubio, Val Leogra, Lusiana; a Calvene e a Valdagno béko indica anche 'battipalo, compressore a mano composto da una grossa trave con due manici per comprimere i ciottoli sul selciato, sassifraga' (Menato 1981,516). Con il significato di 'slitta' la voce trova riscontro in friul. bikína dim. (ASLEF 643, 22 a Vico) e a Garessio (Cuneo) bòkku (ALI 4922 'slitta'). In Val Leogra 161 il béko viene descritto in tutte le sue parti: 'slitta da traino molto solida formata da due pattini, rivestiti nella parte inferiore di consistenti lamine di ferro, dette ràje, sulle quali si incastrano quattro strutture lignee verticali: le colonéte. Sulle colonéte alte 30—40cm. si regge un piano di carico 51

costituito da traversi in legno. Serve al trasporto del letame o di altri materiali. Per costruire il béko si usa legno di faggio, i cui tronchi ricurvi dovevano servire da branchi che si impugnavano per trascinare il carico. Questo tipo di slitta con i pattini che si prolungano come corna era usato anche in altre località dell'Ital. Sett., cfr. Scheuermeier II 127 e sembra che le denominazioni siano ispirate all'animale con corna: bécco, stambecco ecc... o alle corna stesse, cfr. Huber 1916,22, che attesta per la Svizzera romanza le forme: kpne, Iq&na, kqrn ecc... 'estremità rialzate dei pattini della slitta' e Scheuermeier II, 127, cita il grig. sliusa da man, -da corns', p. 27 il curni; gard (p. 312) lùosa da corni. Per altri paralleli semantici v. ALI 4921 'slitta per il fieno': a S. Leonardo in Passiria (BZ) pokh, da confrontare con il tir. pok, pók, 'camoscio, corna del camoscio' e come traslati 'Kurzenschlitten, Anhàngeschlitten' (Schatz-Finst. 95) e inoltre l'ampezz., fass., bad., pok che secondo Tagliavini 1933, 88 è un tedeschismo < Bock 'caprone, becco' indicante tra i diversi significati anche 'Schlittenkufen' cioè 'pattini della slitta a forma ricurva' passati a designare poi la 'slitta' stessa. La forma, oltre ad avere una larga diffusione nei dialetti bavaresi e tirolesi, cfr. BÒW 511 e sgg. trova riscontro nel mat. come è segnalato nel Wòrterbuch der Mittelhochdeutschen Urkundensprache, Berlin 1988: hoc 'Ziegenbock, Schleife (schlittenahnliches Transportmittel)'; alem. boc 'Schleife: und sol man das korne geben zwischent den messen, das son wir mit unseren bocken holen'. Dallo Schweiz. Id. IV 1124. Sempre per affinità semantiche è da prendere in considerazione la voce bady^ 'parte di una slitta o slitta doppia' nella Svizzera romanza che secondo Huber, cit., 41 corrisponde al frane, biquet 'piccolo della capra', denominazione giustificata dalle piccole dimensioni dei pattini e soprattutto dei corni'. Del resto l'impiego di nomi di animali per designare mezzi di trasporto o arnesi da lavoro è molto diffuso nei dialetti alto-ital, cfr. a tale proposito Marcato 1975—76, pp. 494-530. Per rimanere soltanto all'ambito della slitta cfr. il tipo mussa: in friul. a Barcis 'carriuola per il trasporto delle bore, ad Erto 'slitta, traino', (NP 636-7); feltr., beli., trev., 'slitta per il fieno' (DFR 65; Rossi, 1982,302; Tornasi 1986, 14); valsug. 'specie di slitta o treggia, veicolo rustico senza ruote per trasportare fieno e strame dalla montagna' (Prati, Valsug. 108), forma da mettere in relazione con 'asino, asina', usati in senso figurato, parallelamente amiila 'mula' a Leysin nella Svizzera romanza (Huber, cit. 42). Quanto all'etimologia di becco 'caprone', le diverse proposte sono ancora sub iudice, cfr. FEW, I, 358 e Bertoni, 1914, 84.

béna f. 'specie di slitta, carro a due ruote e anche gerla senza imbracciature'. Altopiano d'Asiago. A Recoaro, Valli e Posina nel sec. XIX béna 'slitta o carro a due ruote con un cesto che serve a trasportare il letame' (Bologna, 1876,42). A Valdagno 52

bena o bina 'voluminosa cesta a barca per il trasporto di letame su carro o slitta' (Menato, 1980,516-17). Nella Valle dei Signori le bène servivano a portare concimi nei campi, legna dai boschi, il fieno e i raccolti. Anche i ragazzi adoperavano la loro benèla o il loro fascietto (Marcolungo 1889, 1). Dal gali, benna 'Korb, Korbwagen, Korbschlitten' (REW1035). Notissima voce gallica che si estende in tutta l'Italia Sett. fino alla Toscana e in tutto il dominio galloromanzo ed è passata anche nel ted. atesino cfr. a Bolzano die Pènn cfr. FEW, 1325; Bertoni, «ID», 8; Stampa 123-125; Tagliavini, Livin. 77. Secondo il DEI, 1,487 il significato più antico di 'cesto' si è evoluto a 'cesto posto sopra un carro' da cui bènna 'treggia'. Già in lat. tardo benna 'carro gallico a quattro ruote'. Per le attestazioni antiche in Lombardia (a. 1204) e a Verona (a. 1313) cfr. Bondardo, 1986,42. benèla f. 'rustica branda delle cascine di montagna'. Valli del Pasubio, Staro. Anche nel veron. di montagna binèla 'rustico giaciglio costituito di tavole di legno entro il quale, poggiando su frasche o su erbe secche, i pastori o i malghesi si adattano a dormire vestiti, durante la stagione dei pascoli in montagna' (Bondardo, 1986,42); nel cimbro veron. binéilje f. pi. -en (Cipolla, «AGI», Vili, 175), trent. benèl(Prati, EV, 14), rover. bennella (Azzolini, 179), valvest. benèla 'giaciglio nella capanna dei carbonai'. Secondo Battisti, 1922, 61, si tratta di neoformazioni speciali del gali, benna (REW 1035) indicante 'cesta di vimini in uso nelle regioni montane' e anche 'misura per volumi'. Cfr. béna.

bèro m. 'verro'. La voce è panveneta cfr. Prati, EV, 200 ed è nota alla Ietterai, pavana, cfr. Pellegrini 1977, 474 dove cita come deriv. di vérres 'porco non castrato' la forma pav. veregagia e il ver. verin 'astio, stizza, collera'. A queste aggiungo per l'alto-vic. ndàre, nàre al véro detto della femmina del maiale che viene portata ad essere fecondata (Comedo, Faedo, Monte di Malo) e a Recoaro si distingue fra il bero radàn 'maiale da ingrasso', bero da erbàdego 'maiale da carne magra' e bero cubjón 'maiale da monta'. L'alternaza lb-1 /v-/ è fenomeno fonetico panveneto. Non è del tutto chiara invece la presenza in località vicine di lèi, lèi per la stessa voce, se non per influsso di Irl.

biòda f. 'traliccio di pali che formavano il giaciglio dei pastori, branda', Arsiero, Posina, Lusiana, Asiago. Anche in cimbro biòda 'branda, giaciglio' (Martello 111), bioze id. in 53

Schweizer, 1983, 84, e sempre in cimbro dei VII Comuni bioden o bioze (pi.) 'cuccette'. bòga f. 'pista della slitta' e bogare 'slittare', 'scivolare sul ghiaccio'. Recoaro Probabilmente è da connettere con la voce di area alpina e subalpina che indica generalmente un 'canalone per avvallare i tronchi' ed ha come varianti bòva, bòa, con numerosi riflessi toponomastici. Di origine prelatina *bova trova riscontro nel lat. mediev. bova 'canale, acquedoccio, fossa' (DEI, 1,550). Per la diffusione della voce e la relativa bibliografia cfr. REW 1187 a, Battisti 1922,40 dove si dice che bo(v)a, nel senso di 'via del legname' va senza interruzione dal sopras. al friul.; Tagliavini, Cornei. 96. Il passaggio semantico da 'canalone, via del legname' ecc... a 'pista della slitta' è ancora più trasparente se si considera che è la stessa slitta il mezzo di trasporto privilegiato per condurre il legname. Per una sintesi delle proposte cfr. ora Kramer, E.W. D., I, 304—305. botaséka f. 'cinciallegra, Parus Maior'. Faedo, Comedo. Potaséka in vie., veron, beli, e lomb. (Bonelli 74, Giglioli 155). E' voce registrata per il cimbro da Schmeller 272: potasecka, Dal Pozzo 244:potasecca, Kranz. 1985,20 e 1981,35: Potaségge, Porta-, quest'ultima identificata (erroneamente?) con il pettirosso. Si contrappone alla denominazione comune nel ven. centr. : perussola, parussola (Prati EV 126) che viene fatta risalire a parra 'fringuello' (REW, REWS 6251). Ma quest'ultimo termine ha come significato metaforico 'conno, natura della donna', tratto comune con pòtta 'organo sessuale femminile' proprio del linguaggio triviale, di cui è composta la prima parte di potaséka. E' inoltre esclamazione frequente nel teatro pavano. bràko m. 'ragazzo, bambino'. Recoaro Qui si usano anche i dimin. brakéto e brakusso. A Valdagno e Comedo brakotèlo 'bambino paffutto e grassoccio'. La voce è conosciuta anche nella Lessinia veron. (a Selva di Progno: bràko 'giovane') e nel trent. (in Val Cembrana) bràko 'ragazzo' (Aneggi 47). Nel cimbro veron. Bracke 'ragazzetto' cfr. Schweizer, 1982, 60. Bondardo, 1986, 133 s.v. salabraco ne testimonia la presenza in tutta la Lessinia orient. e sostiene che in cimbro prake e brake 'ragazzo' sono prestiti recenti, in quanto mancano dal Vocab. di cimbro antico del Cipolla. Riconduce quindi la voce asalabràco 'manigoldo, brutto ceffo', pure presente nel veron. ma oggi estinta, connettendolo al pav. falabràch, lad. scalabràcco 'individuo temerario; milan. del XVII sec. scalabrach 'sgherro, bravo' (Maggi); ma le connes54

sioni non rispettano né la fonetica né la semantica; sembra invece che la forma abbia un'area più vasta, come risulta dalle attestazioni del VDSI, 864 s. v. bracch agg. 'basso, vigoroso e tracagnotto' che può essere riferito a piante, animali e persone'. Con questo significato si riscontra anche nell'alto-vic. dove si contrappone ad es. 'legna brakòta' a 'legna minuta' (Faedo) o 'persona brakòta' a 'persona esile e longilinea'. La forma bracch, secondo Spiess (VDSI, 864), è di origine incerta e la diffusione, va dalle zone della Svizzera, alla Baviera, al Piemonte e compare anche nell'Italia merid., cfr. nap. calabr. bràccu, vràccu che Rohlfs, Diz. Calabr. fa risalire al gr. fìga/ug, mentre per il DEI, I, 582 la voce sarebbe entrata nell'Ital. Merid. solo secondariamente, come prestitio dal provenz. L'etimologia rimane per ora sub iudice, ulteriori indicazioni bibliografiche sono date in VDSI, 864, dove tra l'altro si tengono opportunamente distinti i termini bracch agg. cit. da bracch 'bracco' < germ. *brakko 'cane da caccia', passato anche al francese braque (FEW 15,236-238). brèra f. 'pillola purgativa' Comedo, Valdagno, Castelgomberto. E' voce metonimica per pillola di Brera, dall'antica farmacia milanese dove era prodotta fino a tempi assai recenti. Era amara, piena di aloe, con effetti purgativi. E' citata in Cherubini 3,354 per il mil. pinol de Brera, ed è diffusa anche nel ticin. pinol de Brera (VDSI, 932). brombiólo, brombólo m. 'maggiolino'. Marostica. A Thiene brombegiólo, in Val Leogra (126) brombólo e brombajólo, analogamente al vie. (Candiago 27). La denominazione brombólo è riportata in AIS III 471 P 352 (Tonezza) ed è ritenuta di origine oscura da Garbini II 1433, che tenta tuttavia una spiegazione non accettabile, connettendola con brombiolàr 'pruno', pianta appetita dal maggiolino. Non sembra possibile inoltre che dalle forme vie. sia derivato il pad. brególo (ad Este). Potrebbe anche essere di origine imitativa ed avere connessione con la famiglia di voci che si rifanno a bómbus 'ronzio', 'rumore sordo', per cui cfr. REW, REWS 1199. In altre località dell'alto vie. sono attestate altre forme di etimologia non chiara, cfr. a Crespadoro brigóio (AIS II 471 P 362), ad Asiago bruiamolo, brusamulo, a Roana der boromul. brustolina s. f. 'dolce il cui ingrediente principale sono i ciccioli di maiale'. Comedo Vicentino. Connessa probabilmente con il ven. brustolare 'abbrustolire' forse per l'usanza di cuocere questo dolce sulle braci. 55

bujía f. 'poltiglia ottenuta facendo bollire il latte con la polenta, fatta giorni prima' S. Luca di Marostica, Zugliano. La forma corrisponde a denominazioni di vivande a base di polenta che si riscontrano nella Svizzera ita!., cfr. il tic. biiida, biiìida, valmagg. buida di cui si danno le seguenti descrizioni: vivanda di farina spenta e cotta nell'acqua, a Someo biiglida: polentina molto molle fatta con acqua e farina di granoturco e condita, poco prima di toglierla dal fuoco, con burro e formaggio tagliato a fette sottili: cibo ormai già fuori uso negli anni attorno al 1920 (VDSI1160). Letter. 'bollita' 'deverb. di bollire < bullire'. bulèo in far el bulèo 'avere la faccia corrucciata in procinto di piangere'. Detto soprattutto dei bambini. Comedo, Valdagno. Uso figurato del ven. boléo 'boleto' < lat. bolétum 'specie di fungo'. Anche nella letteratura pavana è molto diffuso tale uso, ma con significato osceno, cfr. in Lovarini, 5, II, i primi due versi di un sonetto anteriore al 1470: «Frelo, el me vien tal-volta si avitò ch'el me par un boleo piantò in le cosse». L'espressione vie. si differenzia dal padov. e beli, far la skàfa 'atteggiamento del viso che precede lo scoppio in pianto' e dal veron. barciól 'groppo del bambino che sta per piangere' (Bondardo 1986, 38). burlare v. 'muggire' e anche 'gridare e piangere disperatamente'. Voce diffusa in molte località dell'alto-vic. e nel vie.: Recoaro, Valdagno, Valli di Pasubio, Comedo, Malo; e in AIS, VI, 1060 a Crespadoro (p.362) borlàre, a Romano (p.354) burlar, a Montebello di Lonigo (373) le burla (le mucche) 'muggiscono'. Il Prati, EV, 29 s.v. burlin cita la forma burlare 'muggire' soltanto come letteraria, dal vie. Magagnò, per cui v. anche Bortolan 55. Per il vie. il Pajello 31 riporta burlare 'muggire'. Sono noti inoltre nell'alto-vic. i derivati burlaménto 'muggiti prolungati del bestiame' e per estensione anche 'pianto delle persone' e burlàda f. 'muggito'. Voce di larga diffusione e di etimo molto discusso. E' documentata con numerose attestazioni in friul. cfr. burla con significato più generale di 'rombare, rumoreggiare, ronzare' in NP 84 ma invece in ASLEF, V, 647 'i buoi mugghiano, muggiscono' viene attestata al p. 19 i burlin! i butuli; p.20 a burlati, p.20 i burle/i butulin, p.30 burla (inf.), forme che vengono ricondotte in D E S F I 285, ad un'origine onomatopeica, come borigià 'muggire' nella Svizzera ital. (cfr. VDSI, 25, 736); mentre Elwert 176 vede una connessione tra il friul. burla, ampezz. buyrà nel senso di 'muggire' e i continuatori di burrus 'rosso' (REW1416) che ha dato il beli, burlàm 'bestiame giovane', trent. 56

burliti 'roter Pustertaler Ochs', fass. burlames 'Jungvieh') con il suff. collett. -amen a cui si può aggiungere il ven. burlino 'specie di vacca di color giallognolo rosseggiante' (Boerio) che Prati, EV, 29 deriva da *burrùla (< burra) 'vacca col muso rossiccio'. Ma Pellegrini, Appunti, 8, s.v. berlàm, cit., considera inesatta la connessione dell'Elwert ed è infatti improbabile che una razza di mucche possa aver dato le denominazioni al concetto di 'muggire' per un'area molto vasta; rientrano infatti probabilmente nella stessa famiglia anche il bad. buré, marebb. biiré 'mormorare, emettere un verso inarticolato, muggire', 'far le fusa' (Martini, Bad., 27, Pizzinini, Parores lad. 22), valdost boralé 'muggire' (Nigra, Valdost. 18) e una lunga serie di voci dei dialetti frane, riportate dal FEW, 1,491 col significato principale di 'muggire' e con quello secondario di 'gridare reclamando qualcosa, urlare ecc...'. Tra queste broulà 'mugir', sav. borlà 'hurler', lyonn. borioni 'qui pleure souvent', wall. beurlante 'vache toujours en chaleur et stèrile' e inoltre i derivati borlement 'hurlement prolongé' e burlement 'crie de taureau' ecc... Per l'etimologia proposta dal FEW, cit. *bragullare che è ritenuta anticamente assai vicino a *braulare cfr. anche Tagliavini, Livin. 85, che da una base *bragulare spiega non tanto le forme citate quanto il livinall. bragie 'piangere dei bambini', 'muggire, nitrire', il gard. bradlé 'piangere', bad. bradlé 'weinen, briillen' e inoltre altri riscontri, secondo Tagliavini, si hanno in dialetti alto-ital. e galloromanzi come il piem. bragalé 'schiamazzare', vogh. bragalà 'vociare' ecc... Allo stesso etimo, Pellegrini, Appunti, riconduce l'agord. beregà, bragé 'belare, muggire, piangere' e sottolinea come il Prati, AGI, XXXIV, 61, raccolga molte voci derivate da *beg, *berg, *beri, varianti di be verso imitativo della pecora. La questione etimologica rimane dunque senza prospettive, anche se è notevole sottolineare la completa convergenza delle forme alto vic.-friul. e frane. cèke f. pi. 'palline di terracotta o di vetro, variegato o in tinta unita che i ragazzi usavano per i loro giochi'. Cereda, Valdagno (Menato 1980,522). A Cereda si dice sugare a cèke: si costruivano dei castelletti formati ciascuno da tre palline e posti ad una stessa distanza l'uno dall'altro. I giocatori a turno tentavano di colpirli con una pallina cèka, e vinceva chi ne abbatteva di più. Cfr. il primierotto s-cèch in sugar a s-cèch (Tissot 237) che indica tuttavia un gioco un pò diverso. Qui il giocatore lancia la sua pallina (cogolo) cercando di colpire quella dell'avversario e se ci riesce, la vince. Per le denominazioni delle palline da gioco di questo genere nell'alto-vie. cfr. anche màrmore, ramini, sborète\ quest'ultima voce, insieme alla variante borèla èpanveneta, cfr. Prati, EV, 22, s.v. bòro.

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cèpola f. 'scodella molto grande, ciotola', Comedo, Malo, Thiene; per il vie. cfr. cèpola id. in Giuriato, Glossario 1919 s.v. e Andreis, 1968,25. La voce concorda con i dial. ticin. e lomb. cfr. a Bellinzona ciapa 'scodella', in Val Verzasca ciap 'vaso da latte', com. ciap 'coccio, frammento di tegola, stoviglie, pietra e simili', forme che vengono ricondotte dal FEW, II, 738 ad una base preromana klappa, mentre l'agord. cèpola, cepatola, capola, dàpola è noto col significato di 'piccola roccia, non interamente nuda, ma spesso ricoperta in parte da cespugli' (Pellegrini, Appunti, 11) e nella toponomastica Cèpole 'roccette' (Pellegrini, Cord., 29). Con questo significato principale la voce interferisce con altre forme conosciute nei dialetti alto-ven., cfr. cornei, krqpu, krep 'grepo, dirupo roccioso, cima dirupata' (Tagliavini, Cornei. 130), livinall. kràp, krép 'greppo, roccia scoscesa, cima sassosa e ripida' (Tagliavini, Livin. 176), ed ha attestazioni in tutto l'arco alpino, dal Piemonte al Cadore, con connessioni extraalpine, per cui vedi Hubschmid, Alpenwórter, 12—13 e Pyranaenwòrter, 28; Gerola, Correnti, 53—54; Elwert, 221; Battisti, 1922,39 e sgg. ; ricondotta ai tipi preromani con alternanze radicali *krepp-, *krapp-, *grepp-. Rimanendo comunque in ambito veneto è da sottolineare che anche il significato di 'coccio, stoviglia, ciotola' è ben noto a partire dai tipi citati, cfr. il feltr. krép 'crepatura, coccio, balza, eroda' e krépa f. 'stoviglia rotta, scodelle, zuppiere e bicchieri' (DFR 50); l'alto-vic. (a Carré) grèpa 'piatto di legno, grande scodella, il valsug. crepa 'masso, roccia, coccio, cranio' e scherz. testa, zucca, al plur. le crepe 'i cocci' (Prati, Valsug. 47). E' dunque possibile ammettere oltre all'alternanza *krepp-, *krapp, *grepp- anche possibili collisioni con *klapp, *klepp per cui cfr. la bibliografia citata.

cèr, cére m. 'averla', indica varie specie di lanidi, oppure lo 'scricciolo'. Recoaro. Da alcuni è identificato con la rejèstola, 'averla', da altri con la redéta (cfr. padov. rézéto 'scricciolo' in Bonelli 62). In particolare lo scricciolo si presta a denominazioni immaginose e metaforiche tra le quali il Bonelli, cit. p. 32 e p. 65 considera il bergam. c$rr, ossol. re-re, gen. recécq, beli, tre-tre, da confrontare anche con il francese cretcret, tutte di origine onomatopeica. Cfr. trecé.

Chiavon e Caón è il nome di un torrente presso Breganze in provincia di Vicenza, che secondo Olivieri, 1961,9, risale a Sclavus (Slavus) ma con qualche incertezza in quanto il Chiavon che si getta nel Laverda a più di due chilometri ad O. del paese Schiavon, «sembra essere stato anche il nome antico del paese». Confermerebbe tale base, sempre per l'Olivieri, anche il ver. gaón, il parm. sgavón pure da slavus (v. REW 8003 a: sklavenos) oltre a numerosi altri topo58

nimi veneti. Ma l'ipotesi dell'Olivieri non risulta attendibile almeno per quanto riguarda l'accostamento al ver. gaon, che significa sia 'panicastrella' sia 'grosso foruncolo' (Beltr. Don., 93) cfr. anche Andrioli, 1945—46, che distingue fra gaón 'panicastrella', p. 108; e caón 'gavocciolo' p.50). Ambedue queste voci hanno un'origine diversa da slavus e nel primo caso si tratta di una forma diffusa in tutto il veneto, cfr. Prati, EV, 75 giaón, giaóni 'gramigna d'una specie infesta ai prati' che Pellegrini-Zamboni, 1982, 659 fanno risalire al lat. clava+óne, mentre caón per foruncolo trova corrispondenza nei derivati del lat. tardo clavellus, (DEI II 896) > chiavello 'chiodo', e anche 'verruca' (con cambio di suffisso). La base slavus proposta dall'Olivieri non giustifica inoltre specificamente la denominazione di «torrente», indicata con Chiavon, per la quale si sono avanzate altre ipotesi che interessano in particolare l'idronimia alpina e prealpina caratterizzata da un'ampia diffusione dei tipi: gava, gavón, giau, giafecc. diventati anche appellativi indicanti generalmente «corso d'acqua». Questi sono stati spiegati seguendo le indicazioni di Bertoldi, 1929, 296 che ha ipotizzato una radice prelat. *GAB-, *GAV-, o quelle di Hubschmid, 1950, n. 43, che rimanda al romanzo cavus già diffuso come appellativo di nomi di fiumi, di cui porta numerose attestazioni: Cavo Fossona, Cavo Nina a Sud di Vicenza ecc...; gli stessi gavón, gaón ecc... corrisponderebbero al lat. mediev. covóne, cfr. anche con diverso suffisso l'italiano antico cavina, gavina e in Prati, EV, l'i, il venez. gavin, poles. gavóna, gaóna. Nel nostro caso specifico dunque, se chiavón e éaón, con la sorda (ma le numerose attestazioni alternano senza difficoltà sorda e sonora) è connesso con una base etimologica CA- o GA-, allora potrebbe essere ulteriore testimonianza della presenza della palatalizzazione anche nel vicentino. cibri, cibari m. 'calessino, biroccio', Altissimo, Cereda, Molino di Altissimo. A Cereda alcuni informatori lo descrivono come una slitta trainata dalle bestie. A Montecchio Maggiore e a Vicenza tibori id. (Andreis 77). Dall'ingl. tilbury 'tipo di carrozza a due ruote assai in voga nel XIX sec. cipete m. denominazione generica di un oggetto di cui al momento non si individua il nome. Corrispondente ad un'altra voce alto-vie. usata con la stessa funzione: còsso, còssa. A Monte di Malo cipete vale 'interruttore della luce' (Candiago, 41), in valsug. tipete, forma sostitutiva di denominazioni specifiche, cfr. Prati, EV, 189 dove vengono elencati termini ven. e trent. di origine imitativa che si richiamano all'ital. tipete, tàppete, tòppete, tàffete ecc... E' da sottolineare nel vie. la palatalizzazione molte diffusa di /tj/ > lei.

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dosa 'ramo di abete', Altopiano di Asiago; dasón 'fascina usata come freno nel carretto a mano' da cui 'freno del carretto', S. Pietro Valdastico. Di ampia diffusione in tutto l'arco alpino e prealpino, compresi i dialetti altoven. Le forme attestate presentano sia la sonora intervocalica /z/ (nell'alto-vic. /s/ sia la sorda III, per cui si sono ipotizzare rispettivamente una base *dasia ed una *daxia (Elwert 209; REW 2481; FEW III 19). Diversamente Hubschmid, Praeromanica, 59—66, ricostruisce una forma gallica *dàgisja sviluppatasi in *dagsia e *dàisja da cui rispettivamente la sorda /s/ e la sonora /z/. desmóje f. pi. 'liquido preparato con cenere e acqua e usato per lavare' Cartigliano; a Valdagno smóje, 'residuo della cenerata, della lisciva dopo il bucato' (Menato, 1980, 562). La voce è anche del trent. cfr. desmoiàr 'mettere in ammollo o lavare con acqua e sapone' e fase del bucato' (Pedrotti, 85), del primier. smóia 'l'ammollare', smoiàr 'inzuppare, intingere, bagnare', smóio 'l'intingere pane e biscotti o altro nel vino, caffé, latte, brodo, prima di mangiarli' (Tissot 258). Altre forme come il rover. rnoja (dei fiumi) 'stagno', istr. mojàr, smojàr, 'inzuppare, mettere a mollo', ¿mojàr, imòje 'rannata' sono cit in Prati, EV, 105. Deverb. derivati dal lat. pop. *molliàre 'ammollire' < móllis 'molle', con il prefisso dis- o ex-, diàvolo m. 'erpice snodato' E' formato da terne di corni, congiunti da anelli ed ha la funzione di uguagliare il terreno dopo la semina per favorire il sotterrarsi del seme, oppure è usato anche per sminuzzare il letame sparso sul terreno. Comedo, Valdagno, Malo, Priabona, S. Vito di Leguzzano, Schio. Si usava comunemente l'espressione tirare el diàvolo in quanto lo strumento era trascinato dai buoi o dai cavalli o dagli asini. Si distingue d&\Yarpega 'erpice', forma ampiamente attestata nel Veneto e nei dialetti settentrionali (cfr. Pellegrini, 1975, 309) perché quest'ultima non è snodata e dallo stirpatore che viene usato per estirpare le erbe infestanti. Più antico del diavolo è, secondo alcuni informatori el strassino, che fa le stesse funzioni ma è formato da rami e fasci di legna, legati con vincastri o fili di ferro. La voce trova corrispondenza nei dialetti lombardi, cfr. il berg. i diawli (pi.) in AIS VII Cp P. 254, di cui viene data la seguente spiegazione «sottile erpice in ferro, munito di molti piccoli spuntoni per estirpare le erbacce dei prati e spargere letame». Tale denominazione è pure usata nei dialetti ven. e lomb. come traslato generalmente per indicare oggetti appuntiti o spinosi, cfr. sempre in berg. diaolèt «presso i lanaiuoli è un cilindro munito di punte, il quale girando assai velocemente serve a sciogliere quei gruppetti che possono essere nella lana, 60

o a cavare quei bruscoli che vi possono essere rimasti intricati» (Tiraboschi 454). Nel Veneto ha assunto il significato di 'cardo', o 'spini del cardo' (AIS III 623, P 365, P 362) o di 'tirabrace' (AIS II 240 P 364, 365). E' evidente dunque che il diavolo è un'espressione metaforica che associa l'immagine dei corni o meglio degli spuntoni dello strumento con le rappresentazioni popolari dei corni o dei denti del diavolo. Non è infatti da trascurare il fatto che la stessa denominazione erpice sia stata messa in rapporto con il nome sannita del lupo, hirpus, lat. herpex, ice (REW 4141,2), forse per l'analogia con i denti dello stesso. disligàre v. 'slegare, slacciare, sciogliere'. Comedo, Faedo, Monte di Malo. Dal lat. *disligàre da cui l'italiano slegare, ma il mantenimento del prefisso dis- des- si ha in friul. dizleà, gard., bad. deslié, cornei, disljé, fass. desleàr (REW 2672, REWS, cuirimandoper altri riscontri nelle lingue romanze). doléta f. 'capra senza corna'. Montebello di Lonigo (AIS, VI, K. 1082, p. 373), Tezze di Arzignano'. Per il vie., il Da Schio, 1855, dava zola già estinta; è attestata anche nella letter. pavana, cfr. Prati, EV, 210 che cita zola (Magagnò). La voce è nota a molte varietà dialett. settentr. cfr. veron. agióla 'capra che non ha ancora figliato', a. beli, zola, agord. dqla, cornei. frola, bad. aiòra, fass. Éòla, oltrech. andòla, rover. gioia, trent. zoléto e per altri riscontri nei dialetti sopras. e ticin. cfr. Pellegrini 1985 (2), 204-205, REW 3973. Dal lat. *haediola 'capretta, dimin. di haedus che si continua con diversi suffissi nelle aree romanze e che sopravvive nei dialetti alpini e prealpini contro le innovazioni lessicali partite dalla pianura (Gerola, Correnti, 180). dónkola f. 'capestro con cui si legano i buoi per le corna' Comedo, Malo, Val Leogra (108). E' voce diffusa nel veron. rust. dónkola, rover. zóncola, trent. gónéa, zoncia, borm. jóngola 'correggia'. Dal lat. delle Glosse jungula 'tigne del giogo ' (Prati, EV, 58 e «AGI», XVIII, 268). dràdo m. 'grosso setaccio per il grano, in legno a maglia larga, utilizzato dopo la trebbiatura per una prima pulitura del grano' e dradàre 'setacciare'. Arsiero, Laghi di Arsiero, S. Pietro Valdastico. La voce è largamente diffusa, nei dialetti alpini e prealpini e non solo per «un'area che va dalla Francia Orientale» e dalla Provenza (prov. ant. e mod. drai) attraverso i Grigioni fino alla Ladinia centrale' come ha sostenuto Stampa 61

122, ma anche nel lombardo, trentino e veneto, di cui Tagliavini, Livin. 125 e NC 110 dà numerose attestazioni, e ora cfr. anche Pellegrini, Marcato, Term. agric. friul 1,1988 alla voce 'vaglio da grano', in cui vengono citate le seguenti forme: dall'AIS VII, k. 1482, p. 305 S. Vig. Mar. le dra; p. 312 Selva Gard. I drac; p. 313 Penia dré\ p.314 Colfosco l dra\ p.315 Arabba l dre(i) ecc... nel cador. p.307 Padola drèy ; p. 316 Zuel di Cortina dréj; p. 317 Pozzale dréy ; a Vodo dréi; Laggio dréi; fass. dre, (Elwert 27, 35, 215). Si deve osservare inoltre che la voce è nota nei dialetti agord.: a Cencenighe, p. 315, dray\ nell'agord. centrale e nelle Valle del Biois; per i dialetti trent. il tipo draz, drazar compare ai punti 332 Faver, 330 Mortaso, 331 Stenico ecc... ed è confermato dal Pedrotti 60—61 per la Val d'Adige draz, a Riva sdraz, nelle Giudicane drac-, il Prati, EV, 59 riporta drado (drazo) per il valsug. e Azzolini 398 ha draz oltre a crivel, nel trent. rover. Per le attestazioni nel lad. occidentale e nel lomb. alpino cfr. Salvioni, in «ID», I, 221; Stampa, cit. e Pellegrini cit. La presenza della forma nell'alto-vic. conferma che non si tratta di una voce tipicamente «retoromanza» come recentemente è stato ribadito da Rohlfs 1981, 20 e da altri, ma è di larga diffusione in tutta la fascia prealpina, arrivando con il vie. a ridosso della pianura veneta. Da una base celtica *dragiu (REW 2762; FEW III, 153); *dragia secondo Jud (BDR, 3, 66). duka f. 'colostro', alto-vie. e vie. (Candiago, 61). La forma concorda con altre voci registrate de Tagliavini, NC, 37—38 per l'alto-ven. e per i dialetti ladini: ampezz. ¿usa 'colostro', cornei, dusà, a Lorenzago duisa, a Valle di Cadore [usa, a Pozzale la dusa (AIS VI, 1200 p.317), e il punto più a Sud registrato nell'AIS (336) compare nel bellunese a Ponte delle Alpi: duka come in Nazari 84 duca 'primo latte (delle vacche)'. E' da sottolineare dunque che la forma non è ristretta ai margini fra ladino e ven. ma è conosciuta nel trevis. duka (Tornasi 54) e nel vie. Di dubbia provenienza pur essendoci una varietà di proposte: lo Stampa 189 pensa che il duca del beli, possa derivare da un prerom. *cadolca, pur con qualche difficoltà; Tagliavini cit. propone un latino tardo *iussa < ius 'brodaglia' REW 4633 e discute su altre ipotesi poco convincenti. Per fare il punto sulle diverse argomentazioni v. ora Bracchi in RLiR, 217-218, 1991, pp. 8—10. èrba da kólo 'licopodio. Lycopodium Annotinum L.'. Recoaro, Valli di Pasubio. Altissimo. Trae il suo nome dall'uso della pianta come filtro per «colare» il latte. Denominazioni analoghe sono diffuse nella Lessinia veron., erba da kolo, id. («Lessinia», 1986, 166), nell'agord. kol, kolln (Rossi, FPA, 117), in cador. kolina, koline, in friul. coladora, còle, colàt (Gortani, II 50). Derivati di colare REW 2035, Pellegrini-Zamboni 1982, 654. 62

fiotèke, siotèke f. pi. 'specie di «tordine» che nidificano sui prati'. Per alcuni informatori siotèke è sost. masch. e corrisponde al ven. tordina, 'prispolone Anthus trivialis'. Recoaro, Valli di Pasubio. E' voce ormai disusata, conosciuta da pochi parlanti. fotón m 'rabbia, stizza'. Comedo, Malo, Thiene. Con questo significato viene usata anche da Meneghello, Libera nos a Malo, 1970, p. 46, in un passo in cui riferendosi al carattere litigioso di Dio dice: «i suoi fotoni ciechi» e a p. 212, parlando di diversi tipi di arrabbiature afferma: «la cana è muta e solitaria, col fotone si strepita». E'voce attestata nella bassa pad.: foia 'stizza, ira, rabbia mal repressa' (Battaglia 1989, 67), e nel ven. settentr., cfr. agord. foia 'stizza' che secondo Pellegrini 1972,368 sta forse con cifutti, cifotti 'stizza, rabbia, malumore' (DEI II 934) < turco cifut (dall'ar. jahùd) 'infedele'. Diversamente il Rohlfs 1979, 133 pensa ad un deverbale di fottere per il tose. dial. fótta (elb. pis.), fóta (sarz.) f. 'ira, stizza' e corso futta 'collera'.

fruskàre v. 'cozzare con le corna da parte degli animali', da cui più generalmente 'cozzare con la testa'. Recoaro, Valdagno, Comedo, Val Leogra 744; Crespadoro, cfr. AIS, VI, k. 1084 p.362 (le capre) le se fruska. Per il vie., Pajello 93 riporta fruscàre 'id.' e inoltre la voce compare nella letteratura pav. frusca (fruscare) 'cozzano' (a. 1560, Bortolan 127) e nell'800, Pittarmi, Laude, 72, fruscare 'cozzare con le corna'; in opere contemporanee Meneghello, Libera nos a Malo, 84 fruscare 'cozzare con la testa'. Neil-alto vie. è noto anche il deriv. fruscàda 'cornata, colpo di corno'. La forma sembra attualmente circoscritta al vie. e altovic. in quanto nelle località limitrofe prevalgono altri tipi, cfr. il trent. tussàr 'cozzare, urtare' (Ricci 487) e in AIS, 1084 P 333 (le capre) lese trtiska; il valsug. tussàr 'id.' (Prati, Valsug. 198); feltr. tusàrse 'colpirsi delle pecore' e tusàda 'urto violento' (DFR, 117); trevis. (a Revine) tusàda 'cozzo', tusàr 'cozzare' (Tornasi, 202), voce che è nota anche in friul.: trus, trussà, trusse (NP. 1221) per cui v. il Prati, «ID», VI, 269 che propende per un'origine imitativa e REW, REWS 8957 lga-1 (poi anche lgi-1 è un fenomeno dialettale della «Cisalpina» arcaica che ora compare sporadicamente soltanto come relitto. gánda f. 'ammasso di rocce, marogna'. Altopiano d'Asiago, e nella toponomastica dei VII Comuni: Ganna di Foza 'costa di un monte che forma la parete settentr. di Val di Piana, ora in gran parte denudata dalle acque. (Hubschmid, Alpenwòrter, 53) e inoltre Ganna compare nella toponomastica di Rotzo, di Tonezza, nella Val di Posina, nella Valle dei Conti e a Giazza (nei XIII Comuni veron.) cfr. De Munari 1965—66. Anche nei dialetti tirol. è noto il tipo ganna per cui v. Schòpf, 172 e Battisti, Gl, 354. Da una base prelat. *ganda, *ganna, *kanna (Hubschmid, cit. 29). garzignóla agg. 'qualità di pere' molto diffuse un tempo nel vie. e nell'alto-vic. come è documentato da due fonti vicentine relative al XVI sec., la prima è del 1574 e riguarda il testamento di don Marco Scarsi dove si cita «pirus garzignóla» per il territorio di Malo e Monte di Malo (cfr. Mantese, 1979, 156) e la seconda è del vie. F. Pigafetta, databile circa al 1590, che cita: «per li boschi delle Pera Garzignuole» riferendosi al paese di S. Giovanni Ilarione, (nel 1500 in territorio vie., ora veron.) cfr. Pigafetta, 60; ancora in uso nel veron. pero garzignól (Monti, 1817, 72) nel sec. XIX, fino a cui sembra sopravissuto anche nel vie. La voce, ha una lunga serie di attestazioni, cfr. venez. garzignól (Boerio, 300) ital. garzignuola, garziagnuola 'di una sorta di pera. Pera padovana' (Zingarelli), friul garzignul (NP, 370) che Cortelazzo, 1986, 397, riconduce a pera di Galzignano (PD), in accordo con il DEI s.v. garzignole, in quanto il territorio dei colli padovani era un tempo importante per la produzione di frutta rinomata. Tale denominazione ha avuto larga fortuna anche in francese, cfr. garzignole nei lessici del 1600 (Cotgrave, Oudin), di cui dà ampia documentazione Vidos, 1965, pp. 12-13. La attestazioni dell'alto-vic. e vie. riportano la datazione al sec. XVI rispetto alle fonti precedentemente citate che rimandano unitariamente al sec. XVII. 64

gavàsso m. 'cespo, cespuglio, intrico'. Di larga diffusione in tutto il vie. e l'alto-vic., come si riscontra dai vocabolari dialettali (Da Schio, Nazari, Candiago). Pajello, 48 riporta cavasso d'erba 'cespuglio o ciuffo d'erba" ecc... E' d'uso l'espressione gavàsso de salata 'cespo d'insalata' (Valdagno) e ingavassàrse 'mettere radici, diventar rigoglioso'. Si dice per es. del frumento che sotto la neve s'ingavàssa. In altre località dell'alto-vie. è nota la variante con la velare sorda iniziale: kavàsso (a Calvene, a Roana), cavasso (Val Leogra 741). Nel veron. orient. a ridosso della provincia di Vicenza gavàsso, alterna con cavàsso con il significato di 'cespuglio'; ma la voce è anche del padov. sia pure con diverso significato, a Cittadella gavàsso è il 'ramo principale della famiglia', a Tremignon è usato per 'capofamiglia'. Quest'accezione può essere posta in relazione con altre attestazioni della voce nei dialetti ital. settentrionali, cfr. il mant. gavàsa 'forconatura, forcatura, forcella'. Parte dell'albero dove il fusto si divide in rami e gavassàr t. d'agricoltura 'scapitozzare, tagliare a corona'. Tagliare tutti i rami degli alberi fin sul tronco (Arrivabene 341-342), tipi accostati da Heilmann 1963,172 al pav. gabà 'filare di salici o di altre piante capitozzate', gabaria 'piante scapezzate, diversi salici presi insieme' e ricondotti ad una base gali. *gabh- (cfr. anche in FEW IV i derivati del gali. * gabèlla nel senso di 'sarmenti' o 'fascio di sarmenti'). Diversamente in RE WS 1668 altre forme dialettali, difficilmente separabili dalle precedenti come il ferr. cavaza, imol. cavasa 'estremità superiore del tronco', bologn. cavaz e faent. cavas 'troncone' sono considerate derivate da caput (REW 1668). A queste sarebbero facilmente accostabili anche il vicentino kavassini, skavassini 'stoppie' (Campiglia dei Berici, Dueville), i kavasuni, el kavasón 'id.' (AIS VII 1461 P 352) con diversi suffissi. E' inoltre probabile che altri termini citati dal Bondardo 1986,135 per il veron. merid. giavàsco 'cespuglio' e in fasi più antiche zavasco 'ceppo', mzavascór accestire1, zavascàr 'id', ant. vie. zavascàro 'rivendugliolo', accanto al poles. giavàsco 'volume (parlandosi d'un vegetale qualunque che si allarga in rami e foglie)' (Mazzucchi 98), siano in relazione con clava 'clava' che ha fornito molte immagini metonimiche alla fitonimia. Ancora per il poles. il Mazzucchi cit. riporta giava 'fastellone' (grosso e oblungo). giandin m. 'scalpello robusto e corto adoperato nella lavorazione della pietra'. Ha la forma triangolare e si usa specie per fare la «bugna» alle pietre, che così lavorate venivano chiamate bolognini. Rotzo, Roana. E' voce conosciuta anche in trent. (Val di Cembra) sgiandin'id.' (Aneggi 144). Da glande, v. FEW, IV, 148.

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grassón m. 'beccabunga, Veronica Beccabunga L.\ Laghi di Arsiero, Arsiero. La voce è anche del trent. grassón, rover. grassóni e la denominazione è forse dovuta alle foglie carnose di queste pianta, se pure non è in rapporto con cressón 'crescione' che vive negli stessi luoghi (Pedrotti Bertoldi, 431—432). grója, gruja f. 'carretto a due ruote, lungo e stretto', Crespadoro (Mecenero, 1979, 402; AIS 1220 p. 362), Lusiana, Asiago ; a Valdagno gruiòto 'carro agricolo a quattro ruote piccole, adatto alle strette carraie nei campi' (Menato, 1980, 533). La voce è attestata anche negli Statuti di Valdagno del 1490 (Mantese-Motterle, 1973,186) «carro, cariola, groia, slossa o versoro», ed è precedente all'attestazione nel veron., riportata dal Bondardo, 1986, 149 s.v. sgròia 'slitta a ruote per carichi, carro agricolo pesante', documentata dal 1521 in una iscrizione della Lessinia, nella forma groia. Il termine, non è, come ritiene il Bondardo cit. senza equivalenze o corrispondenze vicine, perché seguendo lo Scheuermeier, I, 68, si può notare che la grója 'carretta lunga e stretta, trainata da un animale o anche da un uomo' è diffusa nelle Alpi Venete, in Trentino e nei Grigioni. Né è accettabile la proposta etimologica del Bondardo, cit., avanzata sia pur dubitativamente, di una derivazione dal lat. tardo corollium 'cercine', dimin. di corona (REW2244). Pur essendo una forma di non facile soluzione ci sembra accostabile, almeno dalle corrispondenze in area alto-vie. e veron. a (s)garuja < carrùca + suff. dim. con ulteriore sincope vocalica per cui si ha (s)g(a)ruja > gruja grója. In modo analogo, per ciò che concerne il vocalismo, si ha per l'alto vie. e veron. barussola 'carretto, carretta sgangherata e slitta' (nella Lessinia veron. sinonimo di grója) < long, bara 'carrettone' (Pfister 1986, 46), ridotto in alcune località dell'altovic. a sbrusula, sbrósola (qui fa difficoltà la /s/ prima sorda e poi sonora). impassàre v. 'frenare il carro'. Valdagno, Comedo, Crespadoro. Per quest'ultima località cfr. AIS, VI, 1246, p. 362 impasare l kàro. Per il vie., Pajello 109 riporta impassàre ma solo nel senso di 'impicciare, mettere un impedimento'. L'accezione di 'frenare (il carro)', secondo Pellegrini Marcato, Termin. agric. friul. 1,1988,335 non contrasterebbe con 'impacciare', dati anche altri parallelismi semantici del tipo 'imbranare (il carro)' per 'frenare (il carro)' di area lombarda, soprattutto berg. e bresc., cfr. in ALI 3614 a Selino (BG) mbranà; a Branzi (BG) mbranà l karét, a Mosniga (BS) nherà', a Pozzolengo (BS) embrenà l kar, voci connesse a bréna 'briglia' e corrispondenti quindi a 'imbrigliato'. Al ven. bréna risalirebbe anche l'italiano imbranato 'impacciato', voce propria del gergo degli alpini. L'etimo di brena non è chiaro, per l'incrocio di un *rétlna con briglia cfr. REW 7261. 66

Nell'alto vie. si usa imbrenà come agg. per indicare l'atteggiamento di una persona irrigidita nel portamento, in frasi del tipo el va via tuto inbrenà 'prosegue tutto rigido nei movimenti' o anche si dice di persona poco affabile. imperatóre m. 'scricciolo'. Valdagno, Tonezza. La voce è anche del veron. imperatore (cfr. AIS III, 487, p.360 Albisano) e del trent. (cfr. AIS, III, 487 p.331 Stenico) ed è sinonimo di una denominazione scherzosa molto diffusa attribuita allo scricciolo 'reuccio, piccolo re'; cfr. lat. rex avium, gr. basilèus 're' e basiliskos 'piccolo re', ted. Zaunkönig 're della siepe', fr. roi des oiseaux, petit roi ecc... Rimando per i riferimenti bibliografici riguardanti i nomi dello scricciolo al DELI, IV1039 s.v. re e per una sintesi dei tipi più diffusi nei dialetti italiani a C. Marcato, Omitonimiafriul. : lo scricciolo in «Ce fastu?» LVIII (1982), 253—262. insinighio agg. 'raggrinzito, appassito' detto generalmente della pelle rugosa, ma anche della frutta apppassita. Recoaro, Valli di Pasubio. La voce è anche del valsug. nseneghi 'intristito, imbozzacchito (anche di bestie), rover. enseneghir, seneghir 'intristire', e enseneghia 'imbozzacchimento', cfr. Prati, EV, 114, secondo il quale deriverebbe dal nome Seneca, cfr. il venez. elmeparnaSénegaÉvenàda (Migliorini, 1927,148—149e VEIs.v. Sèneca svenato. Diversamente, Tagliavini, NC, 196, accosta il trent. enseneghir 'appassire, avvizzire' al cornei rasino agg. e s.m. '(uomo) magro e malaticcio', gard. arsinà 'von Alter gebeucht' e li riconduce al lat. sénicus < senex 'vecchio' (REW 7819). Lo stesso FEW, XI, 447 riporta queste due diverse possibilità etimologiche e fornisce ulteriori attestazioni. isola, idula f. 'slitta da traino' e 'bassa slitta da gioco che usavano e che usano ancora i ragazzi', Val Leogra (Val Leogra 161, 521); a Tonezza idula (AIS VI 1220 p. 352) idoléta 'slittino da bambini' (AIS VI, 1221 p. 352); a Schio isola 'slitta da fieno'; a Piovene Rocchette isola 'carretto condotto a mano con due stanghe'. La voce non è di facile accostamento se non con il trevis. lisola 'slitta', isolar 'slittare, scivolare', con deglutinazione di /l/ considerato articolo, cfr. Tornasi, 1986,11. Anche il cornei, di a isa 'scivolare' e agord. far liso 'scivolare sul ghiaccio' (Tornasi, cit.) trovano riscontri nelle forme del Tretto (in Val Leogra): iéàre 'slittare' e isón 'scivolare' e ancora in Val di Sole lézulo, lizulo 'slitta', giudic. lézula 'slitta per trasportar legna'. Per altri parallelismi e soprattutto per la discussione di diverse proposte etimologiche rimando a Huber, 1916, 55.

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iufufù inter. 'grido dei contadini che volevano dimostrare allegrezza'. Term. disus., diffuso in passato a Malo, Faedo, Monte di Malo. E' voce attestata per l'800 da Pittarini, Laude 73: iufufù. Per il valsug. il Prati, Valsug. 39 cita ciufufài'grido di gioia il quale si fa seguire di solito alle canzoni'. kaiciàra s. f. 'attaccapanni'. Priabona; a Cereda kaeciàra 'attaccagiogo'; a Valdagno caeciàra 'appiccagnolo, tronchetto di legno, con pioli infissi a raggiera, a cui si appendevano corde, briglie ecc... (Menato, 1980, 520). Letteralmente «cavicchiaia» corrispondente all'ital. cavicchia 'legnetto che si conficca nel muro o altrove' < lat. tardo cavicla per clavicula 'chiavetta, viticcio' + il suff. -aria (VEI252, REW 1979). kajina agg. 'aspra, di sapore acidulo'. Riferito ad una qualità di uva chiamata anche rabiosa 'durella'. Comedo, Valdagno, Val Leogra. In altre località è agg. riferito all'asprezza delle more (AIS, III, 609, p.373 mqra kaina, ~ kagina, corr.kayna. A. Prati, EV, 192 cita il valsug. tosse caìna, il rover. tos caina e cagnina, 'pertosse'. La denominazione è anche dell'alto vie. tosse kanina e kajina. Dall'agg. lat. càninus 'canino, abbaiante, aggressivo', con probabile intrusione di Kain, Kain (verso del cane). Per un parallelo semantico cfr. anche tosse rabjósa 'pertosse'. La denominazione, riferita all'uva è usata anche in emil. romagn., cfr. a S. Stefano di Ravenna uva kanina (shed. Cortelazzo) e kanéna f. 'specie di uva nera e anche il vino che se ne ricava', forma che Schiirr, 1978, 231 interpreta a torto come derivato da canna cioè dal modo di piantare i vitigni nella pianura romagnola; si tratta di viti disposte in fila, legate insieme con pali e pertiche o, piuttosto canne. Cfr. anche in DEI, 1,711 canai(u)òlo m. 'sortadi uva nera appetita dai cani; il vitigno che la produce': lucch. cannaia, cannaglia, cannaiòla, pis. cannaiola, derivati con diversi suff. da cànis. kalakrésse f. 'lucciola'. Valdagno (Menato, 1980, 520). La voce è ripresa dalla filastrocca infantile «cala cala eresse, vien só ca te do on pésse...». Denominazioni analoghe sono citate da Ankersmit, 1934, 68-69 e diffuse in molte località italiane, cfr. i composti che si rifanno al tipo: «cala-abbassa»: kalabasa (Arzeno, Genova), karabaséta (Oneglia) a cui si aggiunge il veron. skalabicon la variante skalabrieskalabi-skalabó, quest'ultima forma è parte iniziale di una filastrocca.

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kantfle m. 'legno di castagno, usato dai falegnami', 'giovane piante di castagno'. Val Leogra, Valle del Chiampo, Valle dell'Agno. A Valdagno kantinèle 'assi trasversali del letto' (Tratzi, 1983,17). La voce è anche del veron. cfr. Bondardo 1986, 54 e per l'alta Val d'Alpone cantile, id. (Burati, 83), ed è citata dal Prati, EV, 35 cantile (da visèla) 'broncone' vie. ; cantinèle (pad. venez.) 'assi sottili che ricoprono le impalcature', insieme ad altre forme in -ér, -èro: cantiéro 'perticone, canteo'; cantér (rover.) 'corrente, travicello' ecc... Dal Prati, tali forme sono ricondotte al lat. canthèrius 'cavallo castrato, (fig.) travicello'. Già in lat. mediev. sussiste la distinzione tra cantellus, canterium, canterus (cfr. Sella, 115—116). karòta f. 'piccolo recipiente di legno bucherellato nel quale si versa la ricotta perché si scoli dalla scotta'. Valdagno, Recoaro (Tratzi 1983,41). La voce è diffusa anche nella Lessinia veron. carota («La Lessinia» 1981, 32), nell'agord. karòta, (Pellegrini, Appunti 22), nel primier, caròta, id. (Tissot 67) e nei dialetti lombardo alpini e romanci (Stampa, 1937, 105-106; Scheuermeier I, 44). Secondo lo Stampa, cit., 105, è una forma preromana; per il Bertoni, 1914, 103, il berg. carota 'vaso per il formaggio', mil. carotola id. risalgono all'aat. kar 'botte' (REW 4675; Battisti, 1922, 92). kasalina f. 'focaccia, i cui ingredienti sono farina, zucchero, uova latte e lievito'. Altissimo e Molino di Altissimo. In altre località (Cereda, Priabona) lo stesso dolce viene chiamato torta casalinga. L'uso di casalin per 'fatto in casa, casalingo' è anche del primier. (Tissot, 68) e del rover. casalim, -ina, agg. (Azzolini, 254). kaéàta f. 'cispa' Valdagno, Comedo Cereda. In vie. casata dei oci 'cispa'; caiàta de le rece 'cerume'; casata del naso 'caccole', casata de la ave 'fave'. (Pajello, 45); in Val Leogra 740 cacata 'piccola forma di formaggio appena prodotto'; in Valrovina (ALI, 451 'occhi cisposi') (occhi) inkaiatài e (ALI, 452 'la cispa') le kazàte. Il Prati, EV, 38 cita il vie. casatón 'cacio ordinario ed altre forme che fanno capo al ven. càso < lat. casèus 'cacio', di cui le voci precedenti sembrano impieghi figurati. Con quest'uso del vie. concorda anche il trevis. (ad Altivole) kazàte'cispe' (ALI, 452).

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kassèla f. 'pastone salato di crusca, granoturco ed orzo che si dà al bestiame'. Cereda, Breganze (Scapin, 1976, 119). E' probabile metonimia attraverso la quale si esprime il contenente per il contenuto; corrisponde infatti al ven. cassèla f. 'cassetta, parte di una cassa grande o sia di un cassettone' (Boerio 146), per altri riscontri figurati cfr. livin. kaséla 'cassetta in legno dove si tengono i fiori' (Tagliavini Livin. 163). Anche in lat. mediev. capsella 'cassetta' (Sella 122). kavantàcio m. 'vèlia, averla, Lanius', Recoaro, Valli di Pasubio. La voce concorda con il rover. scavalzàcio, trent, scavalcazza, rover. scavarzaceto 'capinera', cembr. scavalgagia 'averla, uccello carnivoro dei passeriformi', (Aneggi 136), fiamm. (a Cavalese) scavalcazzapalottóna 'averla maggiore', in Val di Ledro scavalcazza ocató, id. (Giglioli 171), in anaun. e sol. s-ciavalciacia, -azza, s-ciavalcjacia 'averla (minore?)' (Quaresima 394). Secondo il Prati, EV, 156, si tratterebbe di derivati da scavalcar 'scavalcare' e ancora meglio scavalzàr 'accavalciare' per l'uso delle velie e di altri uccelli di mettersi a cavalcioni delle vittime per strapparne le carni. Le velie ammazzano insetti e uccelletti come fanno i falchi' (St. M.V., II, 232). Nell'ant. sol. s-ciavalciar e trent. scavalcar significano anche 'scavalcare, passare per di sopra, saltar addosso, detto di buoi muli cavalli che saltano addosso alle femmine o anche ad altri maschi' (Quaresima 384). Ciò potrebbe confermare l'ipotesi di Prati, anche se dobbiamo ammettere per alcune varianti accostamenti paraetimologici. kóje f. pi. 'qualità di prugne rosso scure, oblunghe', Lusiana, Cartigliano; a Breganze 'prugne gialle'. Forse è una denominazione figur. che si richiama a coglia 'borsa dei testicoli' < lat. cólea n. plur. di cóleum, lat. class, còleus 'testicolo', (DEI, 1003 a cui rimando per ulteriori indagini etimologiche), il cui uso in senso botanico è molto frequente, cfr. coglia di prète (sec. XIX) nome volgare della ficaria verna; piem. cojón d preive 'orchidea', istr. cojoni de prete 'aristolochia' e m. fr. coullion de prestre (a. 1557), bourse deprestre (a. 1625) ecc... konsidara f. 'specie di polenta fatta di patate', Roana, Asiago; a Rotzo l'considera 'torta a base di patate'. «Venivano cotte la patate, schiacciate e a parte si faceva friggere nell'olio cipolla, o ancora meglio scalogna, alla quale si aggiungeva lentamente farina bianca finché il tutto era tostato; a questo punto si univano le patate schiacciate». 70

korbini m. pi. 'piccoli ramoscelli di legna minuta che vengono piantati in cerchio attorno alla 'carbonaia' per delimitarne l'area. Questi non venivano bruciati. Arsiero, Laghi di Arsiero. korgnólo m. 'chiocciola, lumaca', Crespadoro (Mecenero 395), Valdagno, Comedo, Val Leogra (742) e vie. (Pajello 58). E' attestato anche dal Prati («AGI», XVII, 432) per il valsug. e da Hòrz 1938, 39, corgnólo m. corgnóla f. per la prov. di Vicenza, corgnól m. veron. e beli. < cornu + -eolus, -eola; curnagióla (prov. di Novara) con il suff. -atica 4- -eola. Allo studio onomasiologico di Hòrz, cit., rimando per altri composti con 'corno' indicanti la 'chiocciola', nei dialetti ital. frane, e svizz. che si richiamano probabilmente a filastrocche infantili. krime m. 'indole, natura, inclinazione, carattere' Comedo, Valdagno, Recoaro. Molto spesso la voce assume connotazione negativa come nel vie. rust. crime (Andreis, 29). E ' voce diffusa anche in veron. crin (Bondardo 1986, 64), in valsug. clime f. 'clima, indole naturale' e clime de dente 'indole (di gente)'; piron. clime'clima, ambiente nel suo complesso' (Prati, EV, 44), E ' voce dotta, cfr. l'ital. scient. clima < lat. clima a sua volta < greco x/(.|xa 'inclinazione (fisica), regione celeste, paese' (REW e REWS, 1989), che ha come continuatori anche l'abruzz. klirrw, krima. kròta f. 'rana' e krotón m. 'rospo'. Comedo, Faedo. Per il territorio alto-vie. e vie. è voce ampiamente documentata nel XIX sec.: cròie m. a Schio e a Vicenza; cruoto nel territorio di Lonigo, col significato di 'rospo' (cfr. Pajello, 62; G. Da Schio, Dizionario vicentino, ms. presso la Bibl. Bert. di Vicenza). Tedeschismo ( < króte 'rospo') di larga diffusione nei dialetti trent., giul., veron. friul. ma non è attestato nel ven. centr. e venez. (Bondardo, 1986,64). In alcune località friul. la denominazione indica sia la 'rana verde' che il 'rospo', cfr. ASLEFIIK170,173. kukenàre v. 'spiare, origliare', Crosara, Lusiana. Variante della voce ven. e valsug. cucàr(e) (Prati, EV, 53) che fra gli altri significati registra anche quello di 'sogguardare, sbirciare, spiare', cfr. anche l'istr. cucàr 'sbirciare', triest. CKcada'sbirciata', cucadór 'spioncino', rover. cucàrfor 'spiare (da un buco)'. Secondo il Prati, cit., sono verbi di derivazione non chiara che hanno riscontri nei gerghi. 71

kunkétom. 'chiovolo, anello in legno che pendeva dalla parte centrale del giogo e nel quale si infilava il timone che poi veniva bloccato da un chiodo'. Arzignano, Campiglia dei Berici. La voce si è diffusa probabilmente dalla Lessinia veron. dove c'era la produzione dei konkéti, letter. 'ronchetti' (tipici di Giazza). Per ottenerli si piegava un ramo di olmo, finché era tenero, e quindi si tagliava quando aveva raggiunto la grossezza richiesta. I venditori di konkéti di Giazza esportavano il prodotto nel basso-veron. nel mantovano ad Adria e Rovigo (cfr. «Terra Cimbra», 58 [1984], 68; e «La Lessinia», n° 1 - 2 [1985] pp. 121-122). Una denominazione analoga per il 'chiovolo' si ha nei pressi di Rovereto e a Primiero: córte (Pedrotti, 52). Probabilmente è termine generico per indicare la forma rotondeggiante dell'oggetto, cfr. il trent. conchetta 'piccola tinozza di legno' (Pedrotti, 65). kusso m. 'traliccio di pali che si poneva alla base delle cataste di fieno (marèle), formate nei prati all'aperto. Aveva la funzione di preservare il fieno dall'umidità. Lugo Vie., Calvene. Uso tecnico del termine ven. ciiwo'cuccio, covo, letto'. Analogamente, a Recoaro, la stessa base per il fieno, ma costruita di sassi viene detta lèto (de la marèla). L' etimologia del Prati, EV, 54 che rimanda al francese couche 'letto' da cui l'ital. cuccia è riportata anche in DELI 1303-304. Diversamente in REW 4789 si riconduce la forma ad un'origine elementare kué, kos 'cane' da cui provengono diverse denominazioni del 'cane', ipotesi che appare più probabile. Per le denominazioni del 'canile' cfr. ora la Term. agric. friul. di Pellegrini Marcato, voi. II1992, n. 191. lama f. 'slitta corta, formata da tre tavolette, due per i pattini e una per il piano e munita di due manici ai quali attaccarsi'. Asiago. Voce diffusa a Predazzo lama (Boninsegna 287-288) e nei dialetti ladini, cfr. fass. lame (pi.) 'Knabenschlitten' (Schmeller 238). La denominazione deriva dal fatto che lo slittino aveva due lamine taglienti sotto i pattini, per evitarne l'usura. Dal lat. lamina, REW4869, lardèla f. 'pezzo di lardo' Comedo, Faedo, Malo, Val Leogra. Diffuso nell'agord. e feltr. lardèla, lardèl 'pezzo di lardo' (DFR 53), fass. ardèl 'Speck, lardo', voce che Elwert, 227, aveva ritenuto concordante con il friul; ma per i riscontri nei dialetti alto ven. cit., cfr. Pellegrini, Fass. 370. 72

late latèla loc. 'latte in polvere'. Denominazione che indica sia il latte liofilizzato, commestibile per le persone sia il latte per gli animali. Cartigliano. levaróla, -e f. 'catena del giogo che passa sulle corna dei buoi per costringerli a tener alta la testa' Valdagno (Menato, 1980, 536), Val Leogra, 1976, 108. La voce è in connessione con arvaròla (a Cassio, Parma), alvaròle (a Mantova) 'strisce di cuoio del giogo che legano le corna dei buoi al timone del carro' (Arrivabene 1882,35) ed è in rapporto con alvàr, ib. 35, 'levare'. La denominazione è dovuta alla funzione che hanno questi strumenti di tener alzata la testa degli animali, cfr. Morgéli, 1940, 72 e Marcato 1980, 92. Nel caso di nevaróla 'coreggia' a Crespadoro (Mecenero, 1979, 409) si tratterà di dissimilazione di /!/ - III > Ini - l\l. liéra f. 'libbra, misura per i cereali', Lusiana, Crosara. A Torrebelvicino lièra ha anche il significato di 'tabacchiera'. La voce è nota nel vie. ant. liera (Bortolan 161) ed è entrata nel cimbro dei VII Comuni, cfr. livera 'libbra' (Martello 230). Dal lat. libra, che nel ven. ha dato generalmente lira ma cfr. anche l'agord. lyéra che Pellegrini Schizzo, 326, ha spiegato secondo la seguente evoluzione fon. livra > livera > liera > lyéra. La spiegazione è convalidata dall'attestazione di una di queste fasi, corrispondente a livera prestito ven. in cimbro. Per la discussione sul passaggio di IH > lièi cfr. Pellegrini, cit. 326—7. lira f. 'frangicagliata'. Altissimo, Molino di Altissimo. E' sinonimo di kitàra (Lessinia veron.) e di arpa (Lusiana), denominazioni che si richiamano alla forma dell'oggetto, (cfr. Scheuermeier, 1,42). lósko m. ósko 'centinodia, Polygonum aviculare L. ' erba infestante, in particolare del grano e del frumento'. Crespadoro, Altissimo, Valle dell'Agno. La voce è di larga diffusione e designa varie graminacee infestanti, cfr. comelic. e cador. centr. lósku, ampezz. e Oltrechiusa losco 'erba grassa che cresce intorno alle cascine di montagna, centinodia; Cibiana losco 'terreno in alta montagna con magra vegetazione erbacea', agord. sett. lósk, lóc 'erba secca non falciata che resta sul prato', 'fieno scadente di alta montagna'; e, inoltre il fruii., losk, che designa l'Agrostis canina L., (Gortani, II, 62; Penzig, I, 14), 73

Secondo Rossi, FPA 186, s.v. lópa, il tipo lósk, si collega forse a lùscus (REW 5181), alludendo al significato negativo di quest'erba, (sono negativi in generale i significati che nei dialetti e in italiano ha assunto tale forma, che in origine aveva il valore di 'guercio, strabico'), mentre Zamboni, 1984, 67, non esclude la possibilità che si tratti di uno slavismo irradiato dal Friuli, cfr. slov. lùsk 'bacello', lùska 'scaglia, gluma del grano', sb. cr. Ijuska, luska 'buccia, guscio, squama'. ludrón m. 'catrame, bitume'. Comedo, Faedo, Malo. Nella Lessinia ver. ludron 'catrame e pece per le botti' («Lessinia», n° 1—2,1986,167). Probabilmente connesso al ven. ludro, slódro, slordón, 'sudicio, imbrattato, lordo', corrispondente all'ital. lordo 'sporco da fare schifo' (VEI593, Prati, EV, 90). lukiéro m. 'loppa' Comedo vie., Zugliano; Altavilla lukièro-, Laghi di Arsiero okiéri 'punta e bucce del grano di frumento'; a Tonezza lukyéro (AIS, VII, 1477, 352). La voce concorda con il veron. (Cerea) lukyéro 'id' (AIS, VII, 1477, 381). Dall'esame della K. 1477 dell'AIS il tipo trova riscontri in altri dialetti settentrionali come nel ligure u luké (P 189), lu ruké (P 184), nel lomb. : al Iqk (P 286) connesso all'emil. lók senza il suff. -ariu, analogamente al tose, lócco (vers.) 'pula del grano' (Rohlfs 1979), registrato come voce femm. in DEI III 2258: locca (Valdarno) e considerato di etimologia incerta. A Pontremoli (Massa Carrara) P 500 ricompare col suff.: al lùkért. Queste forme a cui bisognerà accostare anche il cuneese uluk (P 181) pur avendo una grande diffusione nei dialetti settentr. non hanno trovato per ora spiegazioni plausibili. maestà f. 'cornice della porta', Asiago, Roana. La voce è anche del vie., poles. valsug., veron. ; secondo il Prati, EV, 92, è un'applicazione figurata del titolo di maestà. màrmore f. pi. 'palline per i giochi infantili, in terracotta o in vetro', Altissimo, Molino di Altissimo. A Gambellara si usa il dimin. marmorèta. La voce è anche nel veron. dell'800, cfr. Angeli, 39 s.v. marmorina 'pallottola, marmorina' e nel trevis. (a Revine) màrmora 'biglia da giuoco in pietra o in cotto' (Tornasi 118). Dal lat. marmor, oris 'marmo ' e mormora pi. col significato di 'pietra'.

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masóla f. 'pannolino di tela abbastanza ruvida, che si metteva al neonato. Veniva posto tra la fascia esterna ed un pannolino più fine e delicato che gli ricopre la pelle. Cereda, Carré, Val Leogra. In Val Leogra 382 si precisa che la masóla è un pannolino più grosso e spugnoso rispetto a quello che avvolgeva il corpo del neonato.

massàngo m. 'grosso coltello a mezzaluna rigonfia usato per potare le piante o tagliare la legna pesante in genere'; in alcune località dell'alto-vic. e nel pad. viene detto anche corte'asso. Val Leogra, (142), Comedo, Valdagno, Recoaro; a Crespadoro massànga 'coltellaccio con lama dritta e schiena a mezzaluna' (Mecenero 1979, 407 a AIS III 542, 362). Voce molto diffusa ma di origine controversa. Viene registrata da Pizzati 1974,47 come termine del cimbro veron. meschange, ed è nota nell'alto-ven. e in lad. beli., cfr. marsàn marsàngo 'pennato' a Cortina d'Ampezzo (Pedrotti 14), marsàn 'mannaia da macellaio' a Vittorio Veneto (Zanette 344), marsàna 'pennato, coltellaccio da carne', a Revine (Tornasi 118); marsànk 'roncola per potare' nel feltrino (DRF 159). E' nota inoltre in friul. massànc (NP 579) che Pirona definisce 'pennato, strumento degli agricoltori di lama larghissima e un po' adunca, con manico corto di legno, per tagliare rami d'albero od altro acolpi ripetuti. Lo usano anche nelle case per spaccare la legna da ardere. Il massànc dei macellai è tutto di ferro, molto pesante e tagliente, con lama pressoché quadrata'; è noto in alcune località dell'Istria, a Rovigno maison, Piranomasàm, Antignana (Pola) masàn, Valdarsa (loc. istrorumena) mrsqnu, Albona marsàn, Veglia masàn, Dignano marsàn, Lussingrande marsàn e marsàn furlónski (friulano), Cherso mazàn, Arbe (Fiume) marsàn (ALI 3575; ASLEF 3227 c.432, AIS 542 Cp.). Per quanto riguarda l'etimo, Quartu, Kramer, Finke 191 s.v. marsàngo (-ghe) non prospettano alcuna soluzione, mentre C. Marcato, in Pellegrini Marcato, Term. agric. friul., 1 1988, 121-123 alla voce 'pennato' istituisce una lunga serie di raffronti con altri termini come l'ital. mazzeranga, mazzaranga, mazzànghera in DEI, III, 2398, ma soprattutto con voci dialettali italiane del tipo «marraccio», «marrancio» 'mannaia da macellaio e pennato' che sono derivati di marra propriamente 'strumento per radere superficialmente il terreno'; già nel lt. mediev. marracius 'coltellaccio' (Piacenza a. 1266, DEI cit.). Altre attestazioni risalenti a marra (FEW VI, 376) ci vengono da varietà dialettali galloromanze dove nella zona alpina troviamo il tipo marras ma anche marsan, marassan (attestato nell'ant. guascone del XVI sec.), indicanti 'coltellaccio'. Quanto alla formazione si dovrà dunque partire da un maràs, marasso (cfr. it. marraccio, lat. mediev. marracius) con successiva suffissazione in -ango, -anco (peraltro piuttosto raro come suffisso) quindi* marassango > marsango > 75

massango. Per una nuova ipotesi che rimanda l'origine della voce ad una base medio-tedesco-bavarese cfr. ora Zamboni in Per Giovati Battista Pellegrini. Scritti degli allievi padovani, in corso di stampa. matèrie in far matèrie 'giocare, baloccarsi di bambini' Quargnenta, Recoaro. La voce è anche del trent. far matérje 'baloccarsi, ruzzare dei bambini' (Prati, AGI, XVIII, 421, n. 1) anaun. e sol. matèria, matièria 'matteria, chiasso, giochi dei bambini e fanciulli' (Quaresima 259), forme che si connettono con l'ital. matteria, con spostamento d'accento come il tose, cattiveria per cattiveria-, venez. matèria ed antic. matièria 'matteria, pazzia, follia' (Boerio 405). Matio kópo nella locuz. passare sotto - 'essere colpito, bastonato o punito', minaccia che si fa a ql. con intento di vendetta. Comedo, Valdagno, Monte di Malo. In veron. è conosciuto nella locuz. ai tempi de Matio Copo 'in tempi andati, anticamente', come in valsug. (Prati, EV, 100). Il Bondardo 1986,100 ne attesta la diffusione in trent., dove l'espressione è tuttora corrente (Groff). Sulla sua etimologia Prati, cit. dichiara di non avere elementi di conoscenza, il Bondardo invece rifacendosi ad espressioni analoghe come il venez. Marco Càco e ai tempi de Marco Càco afferma che nella coscienza popolare Matio Copo è avvertito come una consecuzione nome-cognome e dimostra una sorprendente identità col nome tardo lat. Mattyócopus, soprannome di un personaggio di corte del basso impero romano, secondo il racconto dello storico lat. del IV sec. d. C. Ammiano Marcellino (XV,5,4). I caratteri tipologici di tale nome-aggiunge Bondardo- consentono di individuarvi un caratteristico'nome parlante'della Commedia greca. mèlo m. 'mozzo della ruota'. Si usa nelle espressioni: él mèlo de la carióla, èl melo de la gramola (attrezzo per spremere l'uva); 'grosso tronco di legno con dei fori a ciascuna delle estremità, nei quali vanno infilate due manovelle che, azionate da due boscaioli, fanno girare questo cilindro di legno avvolgendo il filo che serve per far scorrere i tronchi'. Recoaro. In quest'ultima accezione, la voce usata in senso tecnico nel lessico dei boscaioli, è diffusa anche nella Lessinia veron. melo 'ceppaia o tronco al quale viene assicurata la teleferica' («Terra Cimbra», 58 [1984], 66). In padov. è noto come 'mozzo della ruota', cfr. AIS VI 1231, P 364, 374. Di etimologia incerta. Mei compare ancora in friul. (a Pradielis) 'asse del carro' e viene riportato in NP 587 mèi 'asse o stile della ruota, nei molini, nei magli ad acqua ecc... '. Per il 76

friul. è stato confrontato con lo slov. mei 'una specie di quercia' (Pletersnik 1568) e secondo Pellegrini 1975, 153 n.50 indicante 'il legno (di quercia) dal quale si ricava tale asse', cfr. ora Pellegrini Marcato, Term. agric. friul. 1297-298. melóte m. 'aratro ad un'ala'. Castelvecchio, Arzignano. Ad Altissimo significa 'stegole dell'aratro'. Questo tipo di aratro è noto anche in Emilia (Scheuermeier 1102) dove viene detto: arh d far = melót 'aratro interamente di ferro, in disuso'. Secondo l'informatore di Altissimo si tratta di una marca di fabbrica. menaóro m. 'scivolo entro un borro per far scendere a valle il legname'. Valdagno (Menato, 1980, 359), Recoaro. La voce è comune all'alto ven., cfr. agord. menadòr, a Selva di Cadore menadói (su ghiaia) con -òriu > -oi; alla Lessinia ver. menaóro 'facile passaggio negli affioramenti rocciosi' («Lessinia», 1 - 2 , 1986, 167), al valsug. menaór 'viottolo per il quale si conduce la legna dal monte' e inoltre è noto a Predazzo: menadór (Boninsegna 292), in friul. menadór NP 589, ASLEF, VI, 671, p. 37,44 a. Dal lat. minare (REW 5585) 'condurre, guidare', minatóriu (Pellegrini 19841, 64; Prati, EV, 102). mòda f. 'fiocchetto, ricciolo'. Marostica. Lusiana. A Marostica si intende propriamente 'fiocchetto del grembiule dei bambini' e a Lusiana la denominazione si riferisce ai fiocchetti che completano la lavorazione delle trecce di paglia, attività un tempo molto praticata nelle zone di Marostica, Chiuppano, Caltrano, Lusiana, Cogollo del Cengio, per la costruzione di borse, cappelli ecc... mplessàro m. 'sorbo degli uccellatori, 'Sorbus aucuparia L.' Val Leogra; molessendro Altopiano d'Asiago. In Val Leogra molésse 'frutti del sorbo'. La voce si connette con il rover. molezza, valsug. molézzene, trent. molérsen (AIS III, 587, p.334), primier. molérzen (Tissot 160), feltr. rust. molèrden (DFR 63), riconducibili secondo il Prati, EV, 106 al lat. màlus 'melo'; per altri ad una radice preromana *mel, *mal, i cui riflessi vanno dal bergamasco e dal bresciano fino al Friuli. Per la discussione su diverse proposte etimologiche assai controverse cfr. Hubschmid, 1950, pp.19—20 e soprattutto Pellegrini-Zamboni 1982, pp. 154—155. Per quanto riguarda l'alto-vic. è da notare il suff. -aro, che caratterizza il ven. centr. 77

moneghèla f. 'slittino da bambini', Recoaro, Valli di Pasubio. La voce è connessa con il ven. mónega 'trabiccolo da letto 1 per la somiglianza formale dei due oggetti ed è uno dei numerosi usi figur. dell'ital. mònaca, ven. mónega < lat. mónàchu (Prati, EV, 107; V E I s.v. mònaco).

mòsa f. 'poltiglia tenera fatta per i bambini con pane bollito in acqua, cui si aggiungeva alle volte uovo sbattuto', Comedo, Cereda; 'farina di granoturco o semolino di riso bolliti in acqua o latte', Marostica; mòsè (pi.) 'poltiglia formata da fette di zucca bollite in acqua e poi schiacciate, cui viene aggiunta farina gialla; tutto l'impasto viene cotto', Val Leogra (309). La voce è di larga diffusione nei dialetti sett. Cfr. feltr. mòsa 'poltiglia, polenta troppo molle' (DFR 64); cornei, més, mués, mós 'polenta tenera fatta col latte che si mangia assieme al burro e formaggio' (Tagliavini, Cornei. 142) ver. mòsa 'pappa di latte e farina di granoturco, condita con burro e formaggio' (Beltr.-Don. 143), valsug. mòse (pi.); ma è soprattutto conosciuta nei dialetti trent. mòsa 'farinata, pappa dei bambini, vivanda fatta di farina di grano o di granoturco intrisa nell'acqua e latte e poi cotta' (Azzolini 247, Ricci 277, Corsini 133) e citate dal Prati, EV, 108 sono le forme del borm. mòsa 'farinata', del poschiav. musa 'pappa', il valsass, polenta mòsa 'polenta al burro'; cfr. inoltre l'engad. miesa, mòsa (Pallioppi 462) col significato di 'Mus, Brei, Puree'. Per altre particolarità sull'estensione della voce rimando a Manzelli, 1978, 123-124, che ha contribuito a far luce su diverse proposte etimologiche, attraverso un attento esame delle varianti fonetiche dei dialetti bavaro-tirolesi che potessero giustificare gli esiti dei dialetti ital. settentr. L'etimo dall'aat. muos, mós, proposto dallo Schneller, 157, contrasta, come è stato sottolineato dallo stesso Manzelli, cit., con l'/o/ del ven. trent. mòsa che si rifà piuttosto al dittongo tir. /ua/, cfr. muas ( < mat. muos) in cui /a/ è per lo più posteriore e labiale, simile quindi ad hi, mentre la lui è piuttosto aperta in alcune varietà del tir. Cfr. anche il cimbro veron. muas 'polenta cotta nel latte' (Cipolla 198) che si spiega attraverso il tir. come le forme cornei, citate da Tagliavini, Cornei. 142; diversamente nel ted. dei VII Comuni vie. si registra muus (Dal Pozzo 235; Martello 181) 'polenta o poltiglia tenera fatta di farina'. Per le altre forme lomb. ed engad. v. Manzelli, cit.

motèla f. 'formaggio magro e di scarso pregio fatto con gli avanzi che rimangono nel paiòlo, ha la forma rotondeggiante di una cacciottina', Recoaro, Valli di Pasubio. In Val Leogra moltièla 'piccola forma da formaggio appena prodotto' (Val Leogra 748). La voce è riconducibile ad un'ampia famiglia lessicale, studiata da 78

Hubschmid 1951, 24—25, che ha come base etimologica il prerom. *mutta, dialettale mota designante 'piccoli formaggi di forma rotondeggiante' in una vasta area comprendente i dintorni di Chamonix, Aosta, la Svizzera occidentale e la Valle Maggia in Ticino. Per altre attestazioni di significati affini e specie peri rapporti con il prerom. *tuma indicante allo stesso modo 'piccoli formaggi rotondeggianti' rimando ad Hubschmid, cit. La base etimologica comunque non è chiara. Il Meyer Liibke ricostruisce un *toma 'Art Kase' (REW 8770), da cui il sic., calabr., piem. tuma prov. ( > schweiz.) toma, di origine non chiara. Per quanto riguarda la diffusione di tuma nei dialetti meridionali cfr. Rohlfs, N Diz. Calabr. 735, e Supplemento ai vocabolari siciliani 105. mudolàre v. 'lamentarsi (detto degli animali) piangere'. Valdagno, Faedo, Monte di Malo. La voce compare anche nel valsug. mudolàr 'muggire', mùdolo 'mugghio' (Prati, Valsug. 107), nel feltr.-bell. mùdol'ululone (ranocchio col ventre giallo-rosso)', (Pellegrini 1977, 260) fass. muzolar «mùrren» (Rossi 128) fiamm. miizolar «muhen». Forme derivate da mugire (REW 5719). Per le diverse trafile fonetiche cfr. Tagliavini, Livin. 219. muféto m. mufiti m. pi. 'pane nero fatto di cruschello che veniva conservato a lungo e si usava mangiarlo con il caffelatte'. Arzignano, Chiampo. mùla f. 'il torno a mazza della zangola'. Montebello, Lonigo, cfr. AIS VII, 1211, p. 373 la mula. Corrisponde a mula con /l/ lievemente palatalizzata, che nell'AIS per l'alto vie. è resa con la palatale. Si tratta di una denominazione che analogamente ad 'asino', 'becco', 'capra', 'musso' (ven.) esprime il concetto di strumento di lavoro, base d'appoggio usata in diversi mestieri, sostegno, attrezzo ecc... Cfr. la voce mussa per cui v. Tagliavini, Cornei. 145. mussa f. 'grosso palo, reggente un traverso a mo' di forca piantato in basso su un perno girevole e sostenuto in alto da un ampio anello che gli permette di ruotare; costituisce il sostegno del paiolo dove si fa il formaggio'. Val Leogra (207), ma con questo significato è diffusa in tutto l'alto-vic.: Recoaro, Valdagno, Arsiero, 79

Posina, Calvene, Chiuppano, e si connette alle denominazioni che indicano i mezzi di sostegno (compresi i mezzi di trasporto), cfr. per lo stesso oggetto il cornei, musa (Tagliavini, Cornei. 145), friul. mùsse (NP 637) valsug. mussa che è sia l'arnese che sostiene la caldaia per fare il formaggio, sia una slitta o treggia (Prati, Vals. 108), il feltr. musa 'slitta per il fieno' (DFR 65), il trevis. (a Revine) musa 'treggia e sostegno della caldaia' (Tornasi 126-127), in Val di Fiemme miwse'grossi pali inclinati poggiati a due colonne di legno piantate nel terreno, servono per sostenere il mezzo carro anteriore per aggiungere le ruote posteriori' (Pedrotti 40) e al masch. il friul. mus 'sorta di scranno, sostenuto da tre pioli di conveniente altezza su cui s'appoggia la gerla per metterla agevolmente sul dorso quando è carica e pesante senza aiuto di altri'. Traslati della forma musso 'asino' (REW 5767) retroformazione < muscélla 'giovane mulo', per altri da un prelat. *mussus, cfr. Tagliavini, Livin., 221 e ora Pellegrini Marcato, Terni, agric. friul., 1,1988 p. 377. nassènte f. 'sorgente', Asiago, Roana. Part. pres. di nascere, 'nascente'con valore sostantivale. nicia e nicéta f. 'grande cuscino ricoperto di stoffa, adorna di ricami e pizzi, per portare il bambino al fonte battesimale' e 'cuscino su cui si porta il bambino'. Faedo, Monte di Malo, Vicenza. Accezione particolare del ven. nicia 'nicchia' che ha molti valori figurati (Prati, EV, 122). nòra f. 'piccoli appezzamenti di terra posti in zone collinari o montuose sostenuti da muri a secco (masiére). Sono sterili e sassosi e non vengono oggi più lavorati. Tortezza, Arsiero, Posina. Viene usato anche il dim. noratèla. A Tonezza vale anche 'cengia' cfr. AIS III 425 p.352. Nell'alta Val d'Astico nòra significa 'cengia' e anche 'stretto sentiero pericoloso tra due rocce o che attraversa una parete di roccia' (Carotta, 1968-69, 145). La voce è conosciuta anche nella toponomastica: in località Rotzo sull'Altopiano dei VII Comuni: Nora (dei larici) 'dirupi' (Gentile, 1961-62, 111), a Recoaro: Norenthal (Bologna 1876, 38). Difficilmente la voce può essere connessa con le attestazioni alpine e prealpine di nòra nel senso di 'ontano, alnus viridis' per cui v. flòre pi. in Val di Fiemme (Pedrotti-Bertoldi, 20) ; fass. nóres che Elwert, 206 dice di trattarsi forse di un relitto preromano, ma per le proposte etimologiche v. ora PellegriniZamboni, 1982, 45; né mi sembra proponibile il ricorso alla voce preromana 80

studiata da Hubschmid, Sardische Studien, 47 per il sardo nurra, spagn. nora ecc... olàndo.agg. 'maturo, in grado di far da solo'. Detto generalmente degli uccellini che hanno appena imparato a volare ed anche dei bambini' Crespadoro (Mecenero 410), Comedo, vie. (Candiago 123, Pajello 162 registra anche olandine 'reti da uccelli'). Dalla forma verbale volando < volare con caduta di /v/ inziale. ónare f. pi. 'varietà di castagne' Pievebelvicino; in Val Leogra ònere 'castagne assai piccole' (Val Leogra 234); a Recoaro bórnere e vòmere 'varietà di castagne'. Voci di origine controversa e con riscontri non chiari; da un lato sembrerebbero connettersi a voci lomb. tic. quali il com. bonéra 'sorta di castagno d'innesto (Monti 25), tic. bonèi 'castagne piccole, nerognole, rotonde ma assai facili a guastarsi', breg. bonèla, forme che nel VDSI, 678, si fanno risalire ad una base bonus > bon + il sujf. -ariu, frequente in denominazioni di varietà di frutta. Su questa qualità di castagne viene citata la descrizione di Schinz 678: «die Bonair (Castanie buonore) sind mit gutem Erfolg an hohe Orte zu pflanzen, sie werden in der Weinlese reiff» (VDSI, 678). Le voci alto-vie. non presenterebbero particolari difficoltà fonetiche in quanto è comune in quest'area sia il fenomeno del betacismo, compresa la retroformazione lb-1 > /v-/, bórnere > vòmere sia la caduta di /v-/ cfr. olàndo 'volando', olèga < volatica, ma è probabile che qui non si possa escludere l'intrusione di un'altra famiglia di voci che meglio spiegherebbe il bor-, vor- iniziale, cfr. in Prati, EV, 22, il valsug. bòro 'grossa castagna', e altre forme dei dialetti ticinesi quali boregna bérogna 'varietà di castagno', boregòtt 'castagne secche o appassite' (VDSI, 715). In ogni caso nel dial. alto-vie. rimane particolare lo spostamento d'accento, che presuppone la diffusione della voce attraverso il dialetto «cimbro».

paissàr(e) v. 'spostare, smuovere con una leva (i tronchi degli alberi)'. E' voce relativa al taglio e al trasporto del legname. E' in uso dire a pàisso 'sposto la legna con un colpo di leva'. Laghi di Arsiero, S. Pietro Valdastico. Forme analoghe sono diffuse in tutto l'alto-ven., cfr. ampezz. pàes s.m. 'colpo inferto con lo «zapin» per smuovere il tronco' (Quartu, Kramer, Finke, 223), cornei, paisà (pàisu, paisà) v. 'far leva, alzare con la leva' (Tobolo, Cornei. 254), cador. paisà v. 'far la posta, spostare un tronco d'albero o altro oggetto pesante a colpi di leva' ma anche 'assicurare la ruota al moggio introducendo l'acciarino' (Menegus 161), significato quest'ultimo che si connette con il cador., ampezz. paiséi 'chiodo che impedisce alla ruota di uscire dall'asse' (Menegus, 81

cit. ; Maioni 78) per il quale Tagliavini, Livin., 237 presuppone un *paxéllu (REW 6318), mentre il livin. pasàl 'acciarino, acciarino della ruota 1 deriverebbe da *paxillus. L'alternanza di queste forme si trova secondo Tagliavini, cit., in tutta la Ladinia occidentale, centrale e orientale; per il friul. cfr. passèl (NP 711) 'acciarino, pezzo di ferro o d'acciaio che si infila nelle due estremità della sala del carro o della carrozza, dalla parte di fuori perché le ruote girando non escano' (v. anche, Pellegrini-Marcato, Termin. agric.-friul., I, 1988 alla voce 'acciarino della ruota del carro'). Quanto alla forme verb. dell'alto-vic. corrispondenti a paisà dell'alto-ven. è possibile presupporre con Tagliavini, NC, 182, un *paxare che si sarebbe formato da pax- così come si ebbero *paxo, -one (REW 6320) e *paxittu > fass. pasét «Achsennagel» (Elwert, paragr. 143). E' da sottolineare inoltre come Tagliavini, al momento della sua ricerca considerasse la voce come propria dei dialetti ladini, mentre, come abbiamo visto, ha un'ampia diffusione e non soltanto nell'alto ven. ma anche in una varietà del dialetto ven. centrale. patatón m. 'specie di polenta di patate'; cibo molto povero composto di patate schiacciate, lardo e ciccioli di maiale. Altopiano di Asiago. Dalla componente principale di questo piatto 'patata' con suffisso accrescitivo. peretàre v. 'contare, scrutare, misurare', Crespadoro (Mecenero 412). Corrisponde all'it. peritare 'esaminare con perizia' dalla voce dotta peritus 'esperto, dotto' (DEI, IV, 2857). peudo m. 'musco da spazzole, Poly(s)strìchum commune. Romano (AIS, III, K.620 p. 354). E' voce isolata, interpretata da Pellegrini in Pellegrini-Zamboni 1982,46 come probabile derivato da pilu e corrispondente dunque a 'peluccio'. piàntola f. 'incudine per battere la falce', Val Leogra (Val Leogra 184); a Valdagnopiàntola 'ferro a T che infisso nei solchi serve da base per spianare con il martello le ammaccature che si verificano nella falce durante la falciatura (Menato, 1980, 547). E' voce diffusa anche in trent., cfr. in Pedrotti 12 piàntola, piàntola nelle Giudicane, pianta in primier., piantéla a Borgo Valsug., Val di Fiemme, Val di Fassa; il cador. ha più comunemente pianta, come il beli, e il ven. settentr.; è termine noto pure nel friul. orient. e nel bisiacco v. ASLEF 3307, c. 489. Per queste forme Pellegrini si richiama non tanto al lat. pianta (REW 6576), quanto 82

ad un deverb. da plantare (REW 6578) 'impiantare (l'incudine nel terreno)' come pare indiziare anche la forma in -ola, -ula, e cita come confronto formazioni analoghe: bàttola, méstola, spazzola (Pellegrini-Marcato, Term. agric. friul., 1,198 alla voce 'incudine per battere la falce'). pici m. s. 'b'iglia, pallina', con uso limitato ai giochi. Comedo, Cereda. La voce trova riscontro nel ver. picia f. 'pallina, biglia' (Bolognini-Patuzzi, 167) ritenuta dal Bondardo 1986, 117, senza diffusione nelle parlate vicine. Anche le etimologie proposte (deverb. di piciar 'picchiare, sbattere' oppure di origine onomatopeica) non sono sufficientemente provate. pigna f. 'zangola'. Laghi di Arsiero, Posina. Lo strumento è stato sostituito dal burcio. Anche in beli, pigna id. (Nazari), anaun. e sol. pigna (Quaresima 323). E' voce studiata dallo Stampa 103-104 ed accostata a numerose varianti fra le quali cito il com. penàgia 'zangola', levent. panaga, berg. penac, fass. pegna 'Butterkùbel', gard.pènia 'id.' marebb.pania, lad.pègna, cador.pegna, cornei.pégna (Tagliav. Cornei, 153). E' nota in friul. pigne (NP 754) 'zangola primitiva di doghe, leggermente conica a pistone...'. Per la diffusione di questo tipo lessicale basta vedere AIS VI 1206 'la zangola', in cui si nota un'area di pina e più spesso della variante péna dal Friuli alla Ladinia dolomitica, all'alto Veneto, al Trentino ecc... mentre i dialetti lombardi e ladini occid. presentano per lo più forme ampliate con suffisso e con /n/ non palatalizzato. Per quanto riguarda l'etimologia, le proposte sono state numerose e controverse, cfr. per una puntualizzazione critica Pellegrini, Pignatta «AGI» LXI (1976), pp. 165—172, che accetta l'ipotesi di Elwert, 1943, 47 di un *pinguea < pinguis e aggiunge che nella formazione della parola bisogna sottintendere olla o simile. Originariamente la *pinguia olla poteva dunque essere un recipiente particolare per conservare grasso, fosse esso strutto, sugna, burro cotto, oppure un arnese elementare per fare il burro. Di qui, Pellegrini deriva la stessa etimologia di pignatta < *pinguia + atta. pignorato, pegnoràto m. 'fustagno'. Anche nell'espressione l'è vestio de pegnoràto 'è vestito di fustagno' e fig. 'è vestito male, da poveraccio'. Recoaro, Valli di Pasubio. Forme affini sono registrate in trent. cfr. anaun. e sol. pignola 'sorta di tessuto che sembrava seminato di tanti pignòli' (Quaresima, 324) e nel lat. tardo, dal Sella 434, da cui cito: pignolatus 'tessuto di lino e canapa' e in un documento venez. (a. 1275) pignolati 'fustagnai' e veron. (a. 1450) bindapignolati alba. Nel DEI 2917 pignolato viene registrato come termine ant. e significa 'moda, tessuto 83

di lino a opera che sembra seminato con tanti 'pign(u)oW cfr. anche spagn. piñuela 'tessuto di seta'. Non è da escludere che questo tipo di lavorazione del tessuto sia dovuta allo strumento impiegato per la lavorazione cioè la pigna 'frutto del cardo usato per cardare la lana', cfr. pigna garzonum (sec. XIV a Vicenza). Dal lat. pinea (DEI IV 2916, Sella 434). pirákola f. 'capitombolo, piroetta, capriola'. Malo, Faedo, Comedo. A Valdagno birácole 'salti semiacrobatici' (Menato, 1980,517). La voce è registrata nel valsug. dal. Prati, Valsug. 133 piràcola, cfr. anche AIS IV, 749, p.344 (a Roncegno) piràkole, e in trent. (a Smarano) pirècola (Quaresima 325). pitantón in -de pitantón "atteggiamento di chi non fa niente, bighellonare, stare con le mani in mano, perdere tempo' Comedo, Faedo, Malo. La voce corrisponde al cornei, bitantón (solo nella frase: di a bitantón 'vagabondare, bighellonare, perdere tempo'), che Tagliavini, NC 867 definisce etimologicamente oscura. pláci agg. plur. 'qualità di pere che raggiunta la maturazione diventano scure all'interno e molto morbide'. Laghi di Arsiero, Collicello di Valstagna. poiáta f. 'carbonaia'. Arsiero, Collicello di Valstagna. E' voce diffusa in beli, poiát (Pellegrini, Appunti, 40—41); in trent., bresc., vaiteli., berg. poját, ampezz. e cornei, puiáta, dove ha assunto anche il significato metaforico di 'gran fumo'; gard. puiata, bad.poiata. Per l'etimo < p o d i u m + attu e la relativa diffusione cfr. REW 6627.2; Pellegrini, cit. 41 e Tagliavini, NC 192-3. pólga f. 'ramoscello, virgulto', Comedo, Valdagno, Monte di Malo; già nel vie. ottocentesco del Pajello 190 polga è dato come termine rust. E' voce conosciuta nel cimbro dei VII Comuni, cfr. pulga 'pollone' (Dal Pozzo, 247) e Pulge, -rge 'germoglio, borsa' (Kranzmayer 1985, 24). Per il Prati, EV, 134 deriva da *polega (cfr. VEI s.v. pollone), connessa al lat. pülláre 'germogliare'.

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pòssa del stómego 'forcella, bocca dello stomaco'. Comedo, Valdagno, Faedo. Voce da accostare al veron. e valsug. póÉa del stómego id. e per la semantica con l'agord. fqka del stómek 'infossatura dello stomaco sotto lo sterno' ( < *fódica, cfr. Pellegrini, Appunti 15). Per quanto riguarda il vie. la derivazione dal lat. puteus REW 6877 non pone difficoltà, mentre per le attestazioni con li/ sonora, cfr. Pellegrini, 1977, 218. I dialetti agord. presentano /s/ in pòsa 'pozzanghera, pozza'. Con significato analogo cfr. il ven. buia 'buca' usato anche nel senso di 'cavità' dal punto di vista anatomico. pregadio m. 'treppiede su cui appoggiava la gerla', Asiago, Lusiana; a Marostica 'scaletta usata per vendemmiare, potare ecc... '. Valore figur. dato alla formula «pregaDio», cfr. anche in ital. pregadio 'inginocchiatoio' e pop. 'mantide religiosa' (Zingarelli). pronta agg. 'detto di bestia che è in procinto di partorire'. Si dice anche la sé in prónto '(la bestia) è gravida', Faedo, Monte di Malo, Priabona, Tezze di Arzignano. La voce è diffusa anche nel valsug. (cfr. Prati, Valsug. 138) e nel feltr. (a Schievenin di Quero) pronta 'gravida' detto delle mucche. Nell'AIS I, 74 p.133 (Vico Canavese) prunta si riferisce alla donna in attesa del figlio. Accezione tecnica dell'agg. 'pronto'. prète m. 'sacco dello stomaco'. Val Leogra, dove sono note le varianti prève, prèvete (Val Leogra 751, 314), Malo, Comedo; vie. prève 'intestino degli animali grossi' (Candiago 144). La voce è diffusa in molte località: prète (poles. valsug.) 'stomaco del maiale', prèto (dignan., vali.) 'peritoneo del maiale' (Prati, EV, 137); nella Lessinia veron. prete («Terra Cimbra», n° 64, 1986, 69). Queste forme venete che per il Prati rimangono immotivate sembrano escludere i rapporti con i derivati di *petràrìu < pétra quali il lomb. predé, in Val Verzasca predee 'stomaco dei polli, che scioglie anche le pietruzze' cfr. l'espressione l'a el stomié come un predee 'digerisce tutto' (Lurati-Pinana 322), il piem. prè 'ventriglio dei polli' e per la diffusione nei dialetti della Svizzera, cfr. AIS1128 'stomaco delle galline': tic. (p.22) ul pradéir; (p.31) pardéy (p.42); el predé-, (p.52) *la prqda. La base *petràrìu proposta dal Nigra, AGI, XV, 120 e confermata dal Salvioni, 1899, 524 non spiega le voci venete che rimandano più probabilmente ad accostamenti paraetimologici.

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prosàk m.l 'zaino' Arsiero, Val d'Astico, Laghi di Arsiero. Tedeschismo molto diffuso specie nelle valli trent. cfr. in Val di Cembraprosàc (Aneggi, 123); a Predazzo prosàk e rusàk, il primo usato solo per portare il pane (Boninsegna 304); anaun. e sol. prosàch 'sacco da montagna 1 (Quaresima 346); e anche in giul. (a Pirano) prosàc 'tascapane' (Rosamani). Dal ted. Brotsack 'sacco per il pane'. Quanto a rusàk, è anch'esso un tedeschismo: Rucksack, tirol. ruggsqk 'zaino', che si ritrova in moltissime lingue, perché lo zaino era considerato tipico degli alpinisti e dei camminatori tedeschi, come sostiene Kramer, Voci tedesche a Cortina, in «AAA» (1985), 194, dove ne attesta la presenza in molti dialetti ladini. pruu... là bruu.. .la inter. voce di richiamo della scrofa, usata per farla rientrare nella stalla o nel porcile. Comedo, Valdagno, Faedo. E' interessante notare che le voci di richiamo, pur essendo onomatopeiche, trovano a volte riscontri in territori diversi, nè è sempre facile stabilire se siano creazioni indipendenti o indizino dei contatti. Si veda per es. in questo caso un'analoga forma di richiamo per le pecore usata in tirol. prr-là! Lockruf fiir Schafe, zum Salzen (Schnals), cfr. Finke 53. rabòto m. 'parte del rinforzo della scarpa sopra il tallone'. Arsiero, Thiene, Comedo. E' voce ben documentata da Prati, EV, 142 nei dialetti ven. con le varianti rebòto, rebòt, diffuso anche in Emilia e con qualche dubbio riportato a *rebottare e cioè re-bottare nel senso di 'ribattere'. E' conosciuto anche in trent. in non. e sol. rebot 'frinzello di un cucito, rabberciatura, bozzacchione, cicatrice deformante' (Quaresima 355) e in triest. riboto 'toppone, rinforzo interno della scarpa', segnalato da Doria nel G. Diz. Triest. 522 e considerato di etimo incerto. L'ipotesi del Prati è tuttavia da riprendere in considerazione in quanto si possono individuare corrispondenze in altri dialetti, come il frane, reboter 'remettre' con significati tecnici, dal francone *bótan 'battere, picchiare' (FEW I 455 segg. e FEW XV 226). In questo caso specifico avrebbe assunto il significato di 'ribattitura, rinforzo' che in alto-vie. viene detta anche rimessa, come in poles. rimessa 'impiallacciatura, intarsio' ecc... (Mazzucchi 204), dal lat. rémissa, rémittére (DEI V 3255).

rapàri m. pi. 'specie di argine formato da grossi pali incatramati e conficcati lungo le sponde del fiume Astico perché facessero da barriera contro la piena del fiume'. Erano 86

per lo più incrociati e ricoperti di sacchi a rete per apporre maggior resistenza all'acqua. Sarcedo, Zugliano, Carré. Nell'alta Val d'Astico repâro m. 'argine' (Carotta, 1968—69, p. 164). Uso tecnico della voce ital. riparo con assimilazione voc. in rapóro. rebòti m. pi. 'sassi' (Molino di Altissimo), rabotà 'sassata, sasso lanciato contro qualcuno' (Carré) e in AIS IV 844 P 362 (Crespadoro): la rebotà 'strada selciata' e Cp. rabòto 'runder Kieselstein'. La voce trova corrispondenza nel mfr. rabot 'pierre dure dont on se sert pour paver', nfr. id. e nell' apr. rebot 'caillou employé pour faire des murailles' e per quanto riguarda il significato di selciato cfr. ancora nei dialetti francesi: rabots 'rognons de silex noirs empâtés dans la marne', raibô 'inégalité de pavé, endroit raboteux dans un chemin' ecc..., come risulta dal FEW XVI731, dove queste voci sono messe in relazione con il fr. rabot 'pialla' attraverso un accostamento semantico che desta tuttavia qualche perplessità; infatti gli spigoli sporgenti della pietra da lastricare (che costituiscono un ostacolo per i pedoni e i mezzi di trasporto) sarebbero paragonati al ferro tagliente sporgente della pialla. A sua volta rabot con il significato di 'pialla' che è documentato anche in piem. (ma v. in DEI V 3189 rabottare 'piallare' e alla francese raboteuse 'piallatrice', denominazione usata dai meccanici in Italia settentr.) risalirebbe al mndl. robbe 'kanichen' attraverso diversi passaggi semantici. renare v. verso del gatto o del cane o di altri animali quando si trovano in situazione di presunto pericolo e nell'attesa emettono un rumore prolungato tipico, che non s'identifica propriamente con il 'ringhiare', anche se si tratta comunque di una forma onomatopeica. Valdagno, Faedo, Priabona. Anche in veron. renar 'mugolare del cane', in Valpolicella è usato con il significato di 'fare le fusa', attestato per il veron. da Patuzzi-Bolognini 182 renâr 'arrotare, scricchiolare, sgretolare, digrignare i denti e inoltre rifl. renârse bagnare, sfilarsi (dei tessuti o dei lavori a maglia), analoghe sono le definizioni in Beltramini-Donati 188. Altri riscontri nei dialetti settentr. si hanno in piem. cfr. in AIS VI P 160 (A Pontechianale prov. Cuneo) l'aze rènq; renar 'l'asino raglia', forme che corrispondono all'apr. renâr 'gronder, murmurer, coasser', vionn. rsnó 'gronder, grogner', Lyon renó éau > èo (Rosamani: ciotego, ciotega accanto a cotigo, cotega), mentre in friul. compare còtego (NP s.v.), probabile prestito dai dialetti veneti. Pur sembrandoci convincente l'ipotesi di Pellegrini accenneremo qui brevemente alle controverse posizioni sostenute dal alcuni studiosi in merito ai nomi friul. e cador. del 'porcile', anche se le diverse ipotesi, come vedremo non vengono ad escludere la presenza della palatalizzazione di ka-. Secondo Hubschmid, 1950,345—346 non è possibile dividere le forme sopra citate, friul. cidi, ciòut, còt, auronz. ciòto, dal fass. iutina 'der innereTeil des Schweinestalles,der Schweineschlafstàtte, gard. ciautin 'schlechte Schlafstelle', marebb. cialtin 'Strohlager fiir Schweine im Schweinestall' e nemmeno dall'ampezz. ciòuto 'reparto nella cassapanca del grano' e dal cornei, còtu 'divisione di un cassetto'. Tutta questa famiglia di voci sarebbe riconducibile al lat. calàthus 'Korb'. In realtà come ha fatto notare anche G. B. Pellegrini, 1978, cit., alcune di queste forme dialettali presentano delle sovrapposizioni di significato tali da non permettere una inequivocabile ricostruzione etimologica. Rimandiamo dunque per 95

i derivati dal lat. calàthus, oltre alla bibliografia già citata, anche a Salvioni, 1914, 576-578, il quale illustra alcune voci cisalpine indicanti lo scomparto della cassapanca o il cassetto dell'armadio, tra le quali, il berg. scandèl 'cassetto della tavola' ma anche il mesolc. koldéj 'porcile'; a Prati, EV, 23 per il veneto calto, cialto sia con il significato di 'cassetto' sia con quello di 'borro, luogo scosceso dove, quando che sia, scorre acqua' e a G. B. Pellegrini, Pref., 8, per la discussione sulla voce del trevis. rustico coldèl < *calathellus con la presenza della palatalazzazione di ka- e con au > ol. Ci sembra inoltre che, in ogni caso, l'alto vie. scòto sia un ulteriore esempio di palatalizzazione di ka- e che sia poco probabile l'ipotesi di una derivazione dal lat. *clauditu, *clauttu 'chiuso ' se, come ha messo in evidenza lo stesso Pellegrini, 1977, 185, si tiene conto dell'espressione del veronese: éugàr a còlo 'giocare a rimpiattino, giocare, fare a capanniscondersi ecc...' (BologniniPatuzzi 61) che alludendo al luogo buio e inaccessibile dove si cerca riparo nel giuoco 'a nascondino' potrebbe essere la conservazione diretta del lat. cautum. La conferma di questa ipotesi potrebbe venire da altre denominazioni del gioco a nascondino che si richiamano ai luoghi chiusi e protetti come il valsug. a tana (Prati, 1923, 125) o l'alto vie. a tana-vieni/a tanajèni, sia dalla stessa accezione con cui è usato nell'alto vie. sciòto che vale propriamente 'luogo dove nascondersi'. E' da notare infine che sempre nel veron. il derivato andar in cotego significa fra l'altro 'andar nelle buiose, essere carcerato, ecc... con una notevole affinità dunque tra la base cautum e il derivato *cauticu. ségref. pi. 'bucce di frumento che durante la trebbiatura si volatilizzano e sembrano piccole schegge appuntite'. Recoaro, Valli di Pasubio. La denominazione proviene probabilmente dalla particolarità dell'essere aguzzi di questi piccoli involucri. Si può supporre dunque una base *acicula per acicula 'piccola spina', variante attestata di acucùla 'spillo', attraverso una trafila fonetica che comporta la caduta di /a/, all'inizio di parola e il passaggio in epoca antica di IV > /r/, come del resto è attestato nel derivato italiano zigurella 'pesce', con la stessa base etimologica (cfr. LEI 1426). La forma trova notevoli riscontri semantici in alcuni dialetti lombardi come il bresc. (a Bagolino) zèi (s.m. sing. e pi.) 'pellicina che avvolge il frutto della castagna, della nocciola, della noce e dei frutti secchi in genere; buccia dei fagioli e degli altri legumi (Bazzani-Melzani 261), il bergam. zèi, gèi, géa 'pellicola assai sottile che è sotto la scorza grossa delle castagne. Gèi lo dicono anche alla pellicola delle noci. Com. Gea\ Val Sassina Gee (Tiraboschi). Tali forme risalgono ad una base *acileus per aculeus, da cui anche il venez. asego, bologn. azei 'pungiglione delle api' (REW127), sempre per la forma aguzza degli oggetti.

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senàra f. 'pezzo di tralcio che viene tagliato e gettato via durante la potatura' Comedo, Faedo; a Vicenza sanàra. sénga f. 'bighellone, fannullone, buono a nulla'. Comedo; a Crespadoro zénga 'fiacca' e tirar la zenga 'batter la fiacca' (Mecenero 428). La voce si accorda con il lusernate sengo m. 'uomo inattivo, bighellone' che Gamillscheg, Luserna 39, definisce oscura; anche l'accostamento al trent. parér en sèneca 'persona secca, allampanata, macilenta, pallida ecc...' non si spiega per la differenza tra sorda /s/ e sonora /s/ iniziali; forse attraverso mediazione cimbra? sèsto s. m. 'cesto per spaventare gli uccelli e farli impigliare nella rete', Val Leogra 427; sestón, -urti, id., a Recoaro. E' formato da un pezzo di ramo tagliato appena sotto ad una biforcazione e intrecciato di vimini. Uso tecnico della voce veneta sèsto 'cesto'. setàr la spòsa loc. 'accettare la sposa', riferito all'usanza di recarsi da parte della suocera nella casa della futura nuora la domenica prima del matrimonio per 'accettarla', offrendole in regalo di solito una spilla o un anello. Faedo, Monte di Malo, Cereda. Per setàre col significato di 'accettare' cfr. Pajello 248 e in vie. ant. cettàre (a. 1560 Bortolan) < lat. acceptare 'accettare'. Per affinità semantiche cfr. ital. accettare 'accogliere in matrimonio; riconoscere qualcuno come figlio, amico (dal sec.XVI) e l'abruzz. mol. coatta 'fare la prima promessa al municipio fra fidanzati' (LEI, 265-266). sgarèla f. 'scricciolo, reattino'. Il Prati, EV, 164 la considera voce del vie. e la riconduce all'ital. garrire 'stridere (degli uccelli)', < lat. garrire 'ciarlare', conformemente a molti nomi dello scricciolo che sono imitativi del verso. sgaruja f. 'slitta rustica e slittino per bambini'. Arzignano, Montorso, Cereda, Romano (AIS, VI, K. 1221, P.354 skaruyà)\ a Valdagno si distingue sgarùja 'slittino rustico ad un posto' e sgarujórt 'slittino rustico a più posti; a Recoaro skarugia; a Cartigliano karuja, skaruja. Nell'alto-vic. è noto anche sgarujàre 'slittare'. Per il 97

valsug. Prati, EV, 6, cita scarugia 'slittino ferrato' e scarugiàr 'slittare, sdrucciolare' e riconduce tali forme al gali, carruca 'Wagen' (REW 1720) da cui anche il logud. karruga 'traino, slitta', gard. t'aruja 'kleiner Leiterwagen' e altri derivati. Per quest'etimo cfr. anche DEI, I, 783; FEW, II 425 dove si nota che la voce carrùca con il significato di carro si conserva in zone periferiche della Romània come il sardo, l'engad. il friul. Ma la base gallica trova continuatori anche nei dialetti veneti, alto-ven. e ladini, cfr. livin. fass. gard. cardia 'carretto' (Pallabazzer, 1986, 342); il Battisti 1922,60, aveva creduto che il gard. t'aruja 'carro a rastrelliera' fosse in trent. una voce isolata che continuasse il gali, carruca-, per l'alto-agord., Pallabazzer, cit. 342, riporta un uso figurato di caruia 'donna sventata, sciocca e ciarliera'. Le forme alto-vie. e valsug. si riportano a quelle denominazioni della slitta che si identificano con quelle del carro o di parti del carro, cfr. skaliéra, skaribolo, nel veron. barussola dim. di bara 'carrettone' ecc... Trattandosi per égaruja della denominazione della 'slitta' e dello 'slittino' ci sembra plausibile rimandare ad una forma dimin. carrucula, carrùcla da cui anche l'engad. k'arriikla e con altro significato l'ital. carrucola (REW 1720). sgauje f. pi. 'bacelli di piselli, di fagioli, di vegetali in genere, resti di vegetali'. Comedo, Malo, Faedo, Valdagno. La voce è anche del veron. scauja, sgauja 'spazzatura'e con diverso suff. skauiàra zgauiàra 'cassetta delle spazzature', veron. ant. scaugiàra id. (Andrioli, 1945-46, 319; Bondardo 1986, 140). Tali forme, secondo il Bondardo trovano riscontro nel lat. mediev. veron. scoveugae (a. 1228), scovevie (a. 1276) e venez. scovaduga (a. 1278), col significato di 'spazzatura, rifiuto', ma sono di etimologia incerta. Si possono forse accostare al trent. (Val di Cembra) sgaus agg. 'vuoto, vano' (detto di guscio, bacello di legno, dente cariato), cfr. Aneggi 144 e sgaus 'incavato' (AIS III 534 P. 332, 333). sgiaoràre v. 'rovinare, fracassare, minacciare di colpire qualcuno (detto scherzosamente ai bambini)' e anche 'stancare, spossare'. Comedo, Valdagno, Recoaro. La voce è diffusa largamente nel rover. sgiaoràr 'rovinare, precipitare, fracassare', sgiaoraa sgiaorament 'rovina, fracassamento' (Azzolini 927), nel veron., cfr. veron. ant. (a. 1784) sgiaoràr 'esaurire le forze lavorando' (Bondardo, 1986, 147), valsug. sgiaoràrse 'ammazzarsi a lavorare'. Il Prati, EV, 65 che cita anche il trent. stralaoràr, seguendo il Salvioni, 1914, 574, ricostruisce un *slavorare > *skla- > *skja > *séa ~ *sga, allo stesso modo di séavo < slavo. sguaràre v. 'mettere in fuga, scacciare (specie degli animali), spaventare'. In alcuni casi è detto anche per frotte di bambini. Faedo, Comedo, Monte di Malo. 98

La voce ha ampia diffusione nei dialetti alto-ven., trentini e ladini. Cfr; in valsug. sgaràr 'id.', agord. skarà, skaré 'cacciare, mandare via' (Pallabazzer 1990,536), anaun. e sol. sgiaràr, sgaràr, s-ciaràr (Quaresima 415), cembr. scorar 'cacciare, allontanare' (Aneggi 137), fass. skarer 'vertreiben'. Dal lat. *exquadrare (Elwert 69,90,94) che tuttavia presenta qualche difficoltà semantica. sguassaròto m. 'ballerina, Motacilla alba'. E' chiamata anche boaróla. Recoaro, Staro. La voce è registrata come vicentina da Bonelli, 74, nota 2: sguazzaroto cioè 'uccello dello sguazzo' e invero tale motacilla frequenta le praterie irrigate, le marcite, i fossati, ogni luogo insomma ove sia dell'acqua. L'accostamento al ven. aquàsso 'rugiada' è confermato da altri parallelismi semantici ed è indipendente da altri nomi veneti della cutrettola, tra i quali è noto squassacoa letteralmente 'batticoda' da una base quassare (REW 6939) o meglio dal lat. pop. *exquassare (Prati, EV, 176). Interessante è la formazione dell'agord. kodakàsola 'cutrettola batticoda' (Pallabazzer 1990, 293), per cui cfr. Zamboni 1990,104.

sine f. pi. 'parti in cui venivano tagliati i castagni (kantili) che si usavano per fare il fondo delle ceste. Valdagno, Recoaro (Tratzi 1983, 53). Come termine tecnico dei cestai è usato anche nella Lessinia veron. sine 'striscia di corteccia che si leva da alcuni arbusti per fabbricare ceste' («La Lessinia», 1986, 168). Forse è un impiego particolare della voce sina 'rotaia', che pure è vitale nell'alto-vic. (Arsiero, Lusiana) ma diffuso in una vasta area, specie in Italia Nord-Orientale, cfr. Zolli, 1986, 72 che cita il friul. scine, primier. vitt. triest. sina, a Pola sine, a Capodistriai/na. A queste forme possiamo aggiungere l'agord. sina (Pellegrini, Appunti, 47), cornei, sini pi. Tagliavini, NC, 209, dove è documentata la presenza della voce in alcuni dialetti ladini e nella Val Cembra sina (Aneggi 146). Dal tirol. schim ted. Schiene (aus Holz, Blech, Eisen). Per ulteriori attestazioni di questa parola tedesca nei dialetti ladini e per la sua diffusione in altre lingue dell'Europa centrale e orientale, dove le ferrovie sono state costruite da ditte tedesche o austriache cfr. Kramer, Voci tedesche a Cortina, in «AAA» 1985, 196—7. Quanto alla corrispondenza tra 'rotaia' e 'parti del castagno' essa si spiega attraverso le modalità di taglio della pianta in strisce parallele.

siniquitàte agg. 'gracile, pallido, mal ridotto (riferito a persona) ; avere un viso da sepolcro. Valle dell'Agno, Comedo, dove è diffusa l'espressione: te si onpòro siniquitàte 'sei un pover'uomo'. E' voce nota al valsug. senequitate, al cembr. 'id.' dove ha anche il significato di 'colore o odore sgradevole, disastro' (Aneggi 146); anaun. e sol. 99

siniquitates (Quaresima 421). Dal terzo versetto del De Profundis (Salmo 129) «Si iniquitates observaveris Domine» (Prati 1960). skagnèla f. 'slitta per bambini'. Recoaro. A Valli del Pasubio: skeñéla (ALI, 4923 'slittino'). La voce è da accostare al vie. scagnela 'panchetto, sgabello' (Pajello 229) dimin. di scamnium (REW 7648, Prati, EV, 154) che ha come parallelo semantico il trent. (a Volano) karegim 'sediolina' indicante lo 'slittino' (AIS, VI, 1221, p.343). A Valli di Pasubio /a/ > lèi per influsso condizionato da palatale cfr. anche skeño. skaliéra f. 'piccola slitta da bambini, formata da due pattini (maúni), leggermente incurvati verso l'alto nella parte anteriore, rinforzati da due lamine di ferro e un piano fatto di assi su cui sedersi. Al piano si applicano due manici manèle nei quali si infilano le mani. Recoaro. La voce non trova riscontri con questo specifico significato ma si connette probabilmente ad una più ampia famiglia lessicale che è in rapporto con il concetto di 'scala', indicante il 'piano del carro'. Cfr. le denominazioni che designano il 'letto o piano del carro' triest. scaliéra de fién, friul. s'cialàr, s'celar (NP 964) agord. scale del càr, scalèr (Rossi 298) anaun. e sol. s-cialàr, trent. scalà (Quaresima 390), con allusione alla forma del supporto su cui veniva sistemato il carico (Pellegrini-Marcato, Term. agrie, friul., 1,1988, 280) inoltre cfr. il livinall. skaliéra 'greppia, rastrelliera' ed altre forme ladine citate da Tagliavini, Livin, 288. A Bagnarola (Bologna) scalón 'treggiarudimentale a traino animale su cui si caricava la tinozza che conteneva l'uva vendemmiata, di struttura molto simile ad una scala (Foresti 1985, 56). La denominazione è dunque derivata dalla forma del piano della slitta, fatto di assi di legno che in altre località dell'alto vie. (Altissimo, Crespadoro) sono detti skalini. Dal lat. scala REW 7637 col suff. -iéra (< aria). skaniéro m. 'cartella da scuola' Rosà, Bassano. Uso particolare del term. venatorio ital. carniere 'borsa o tasca del cacciatore' che in altre località dell'alto-vic. ha assunto diversi significati, cfr. in cimbro karnéar, karnéere (Martello 155) e carnieri (Schweizer 1983, 64) 'sacchetto di tela bianca, nel quale si pone la ricotta a scolare'. Per una analoga estensione del significato cfr. anche l'agord. karniér 'sacchetto di tela che usavano specie i mendicanti' (Rossi, 1982, 299); è anche voce gergale carnèr 'sacco per dormire' nel gergo degli arrotini e salumai della Val Rendena (Franchini, 1951,193).

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skaolàre v. 'sgranare la pannocchie, togliere la buccia ai piselli, ai fagioli, togliere le castagne dal riccio'. Valdagno (Menato, 1980, 556), Comedo, Faedo, Val Leogra. In quest'ultima area anche skaoléta f. 'sgranatrice la cui forma primitiva era una semplice lama ad arco fissata su una panca' (Val Leogra 225). Sono inoltre documentate altre forme quali: skàoli m. pi. 'prime castagne o prime noci che cadono, meno sane delle altre' in Val Leogra; 'castagne o marroni appena tolti dal riccio' a Valdagno, anche nel sec. XIX scauli di maroni' (Bocchese, 166); a Faedo, Cereda, Monte di Malo' resti di vegetali da gettar via, scarti'; nel vie. ant. (a. 1560) scàola < scaolàre v. 'frange' (Bortolan 245), vie. scaolàre 'sgranare' (Andreis 62). Denominale dal lt. scàpus 'fusto, gambo', bot., v. dotta, (DEI V 3372) da cui *scapolare che ha avuto un'evoluzione popolare in skaolàre, skàoli ecc... col significato di «togliere il fusto, le foglie, le scorie ecc...» Per il riscontro di continuatori dotti di scàpus col significato di «Stengel einer Pflanze» cfr. FEW XI287-288. Nel veron. oltre a scaolàre in Val d'Alpone (Burati 170), è citato da Bondardo 1986, 140 scaurlar 'potare' di cui egli dà la prima testimonianza volg. veron. (sec. XVII): scaorlàr che rimanda al lat. mediev. locale vineisscavorlaicis (Baldaria di Cologna Veneta) per cui cfr. anche Sella Ven. 513. Quest'ultime attestazioni presuppongono l'intrusione di /r/. skanbolo, skariblo m. 'slitta di legno adatta al trasporto dei tronchi o del fieno'. Laghi di Arsiero, Arsiero, Posina. Si tratta di una slitta pesante formata da due pattini che continuavano in due corni sul davanti e quattro traversi. La voce trova riscontro nel vie. scarivolo (Pajello 231) che ha tuttavia un'accezione diversa: 'dondolo, altalena, formata da un'asse bilanciato'. Per quanto riguarda il significato specifico di 'slitta' le cui denominazioni coincidono di frequente con quelle del carro o di parti del carro, cfr. igaruja, skaliéra ecc... è da confrontare con alcuni dialetti lad. e tren., cfr. fass. scaribia 'scannello del carro', a Cavalese scambio id. (Pedrotti, 29—30); cembr. scambia 'attrezzo innestato a prua del carro, per trattenere il palo pressatolo del fieno'. La scambia è alta circa 150cm., con la forma di una scala rastremata in basso' (Aneggi 137); a Varena (TN) scambia 'sorta di legno fatto a forca che si trova innestato sul davanti del carro; a Predazzo skaribia e skariibia f. 'scaletta sul davanti del piano del carro' (Boninsegna 310). Questo tipo di mezzo di trasporto, secondo il Pedrotti, 39, è in uso nell'Alto-Adige.

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skarivòltola f. 'capriola, ruzzolone'. Comedo, Faedo, Monte di Malo; vie. scarivòltola in far'rivoltarsi del cavallo o del carretto per davanti o per di dietro', 'tracollare' (Pajello, 231) rimanda ad analoga espress, dial. ven .far cao lèva 'rovesciarsi per effetto di non mantenersi più in bilico' (p.41). Nell'AIS IV 749 è riportata per alcune località del vie. e per il valsug., cfr. P 373 (Montebello): skarivòtuìa, P 352 (Tonezza): skarivòltola, P 344 (Roncegno): schiravòltule. La voce è anche del veron. sc(hi)ri(v)óltola 'capriola' (Bondardo, 1986,141); del trent. schiramella o schiravoltola (Azzolini, 338) e del tir. schiravóltola id. (Schneller 1979). Il Bondardo, cit., dà per la seconda parte della voce la derivazione dal lat. *volutulare, iter, di volvére(volutus) (cfr. DEI s.v. voltolare), ma mette in dubbio, per la prima parte schira-, il ricorso dello Schneller, cit., ad elementi germanici. skarpàssa f. 'maggiolino' Collicello di Valstagna. La voce concorda con il trevis. e feltr. scarpansa 'id.'; Mafera, 1972,92, trova una corrispondenza con 'scarpaccia', con la presenza di Ini anorganico; per Prati, EV, 155 è di origine sconosciuta. Per altre denominazioni analoghe che indicano invece il rospo cfr. skarpassón. skarpassón m. 'rospo grosso e nero' Posina, Val Leogra. Il Quaresima 94 attesta per il vie. scarpàzza 'rospo', Ietterai, 'scarpaccia', valsug. scarpàza, scarpazóna, id., (Prati, Valsug. 56). E' un tipo affine concettualmente al trent. savàt, zavattóm 'botta', cioè 'rospo, Bufo vulgaris' (Azzolini 418); zavat 'rospo, villanzone tanghero' (Ricci 509), ciavàt e zavàt 'id.' (da 'ciabatta', trent. zavàta). Cfr. ancora per il trent. AIS III 455 (p. 322,332,333,334) dove si possono tipizzare le forme 'ciabatta, ciabattone, ciabattacelo' indicanti il rospo. L'accostamento paretimologico a 'scarpaccia' ha valore dispregiativo, come ha sostenuto il Prati (AGI, 18, 443-444) in una lunga serie di raffronti con altre lingue e dialetti romanzi. La risoluzione definitiva dell'origine resta comunque incerta, nonostante i numerosi studi in proposito. Tra questi cfr. Nigra 1901, 109-111, Plomteux in «Linguistica» XII (1972) che considera il friul. zave 'rospo' un presunto slavismo e discute altre proposte dei romanisti come il tema prelatino *sappus (REW 7593) o *sappusl*sapus (FEW XI217).

skòta f. 'prodotto di scarto della lavorazione del latte' da cui skotón 'aiutante del caciaio, assistente addetto alla preparazione della ricotta'. Zugliano, Calvene, Posina, Arsiero. La voce è di larga diffusione nei dialetti alto ven., veron. trentini e 102

lombardi e in epoca antica si estese attraverso le Alpi alla Germania, cfr. aat. scotto e rimane conservata nel tirol. e bav. Schotte Schotten (Battisti, 1922,47; Tagliavini, Livin., 294-295; Bondardo, 1986, 42). Dal lat. *excócta (REW 2977), la voce è passata pure nello slov. skuta 'ricotta' (Pletersnik, II, 502). snaréta f. 'segnalegno' Asiago. Strumento di ferro usato per incidere la corteccia degli alberi e identificarne la proprietà. Per altri sinonimi cfr. le voci cimbre mèrkeset nèkele. snòia, sgnòla f. 'slitta, slittino per bambini', da cui anche snolàre, sgnolàre 'slittare, scivolare sul ghiaccio'. E' voce diffusa in molte località, dell'alto-vic.: Altavilla, Molino di Altissimo, Chiampo, Crespadoro per cui v. AIS VI 1221 p. 362 la znqla e K. 1221 P.362 inoltre 'slittare'; Valdagno, Recoaro, Castelvecchio di Valdagno, Cornedo, Cereda. Viene attestata dal Candiago 183 per la valle del Chiampo. Slittino molto semplice formato da due pattini a cui venivano direttamente fissati dei traversi chiamati scalini e due manèle 'maniglie' da impugnare per reggersi durante la corsa sulla neve o sul ghiaccio. Non abbiamo riscontrato altre attestazioni per la voce in questione, né l'accostamento al trent. sgnaala, sgnala 'arcuccio' (Lorenzi, Diz. Top. trid., «AAA», 1924,147 e Pedrotti, 81), ci sembra possibile; troppo diversa dal punto di vista semantico appare anche snòia 'piccolo chiavistello di legno, saliscendi, maniglia della porta' forma diffusa nei dialetti alto-ven. (Marcato 1982,159), in bad., in gard. (Pallabazzer, 1980, 112) in anaun. e sol. (Quaresima s.v. snol, snòi), che risale al tirol. Schnòlle 'fibbia, maniglia della porta', ted. Schnalle. somàsso m. 'pavimento' S. Pietro Valdastico, Arsiero. La voce è diffusa nell'alto-ven. cfr. beli, e trevis. ant. somassa, cornei, samasà, valsug. somasso\ in rover. samàs 'pavimento a smalto, di calcina, rena, ghiaia'; nei dialetti trent., cfr. anaun. e sol. somàs, gard. sumàs, bad. somas 'soffitta' (Quaresima 433—34); friul. salmàs 'palco delle stanze'. Dal lat. pop. *sùbmassàre 'assodare pestando' (Prati, EV, 172; Tagliavini, Livin., 204; Salvioni, AGI, XVI, 325; REW 8379). spilakàre v. 'piovere a dirotto' Comedo, Valdagno. La voce è anche del veron. rust. pilàka 'pioggia a catinelle' (a S. Giovanni Ilarione), ma poco convincente è l'accostamento fatto dal Bondardo 1986, 118 a forme centro-merid. come l'abruzz. pilline, calabr. pillaku 'fango' ecc... 103

stelarésse f. pi. 'stillicidio dal tetto, acqua che cade dalle grondaie', Valli di Pasubio, Comedo, Crespadoro (Mecenero, 1979, 423); a Marano vie. stearéza 'cornicione del tetto che sporge dalla casa' (sched. Cortelazzo). La voce potrebbe essere un deverbale di stillare 'gocciolare, stillare' ma altri riscontri nei dialetti alto-ven., trent. e friul. mostrano come le forme indicanti lo stillicidio, la grondaia, la doccia siano molto complesse e di non facile ricognizione. Cfr. Tagliavini, Livin. 310; Prati, EV, 180; per le forme connesse a stilliddium Nigra AGI, XIV, 1898, pp. 380—381; e per le varianti friul. v. ASLEF VI, 4395 'gocce che cadono dal tetto quando piove'. stornelón in nare de'camminare reggendosi male sulle gambe come gli ubriachi o i malati', 'girovagare, vagabondare'. S. Pietro Valdastico, Laghi di Arsiero. La voce è anche del feltr. rust. stornelón (de) 'di quà e di là (col capogiro)' e nar de- 'girovagare, vagabondare' (DFR 108). E' probabilmente connessa all'agg. storno, -intènto m. -ita f. 'soggetto al capogiro' la cui area di diffusione è friul., ven., trent., lomb., grig. e corrisponde a quella di sfornire < long, stornjan 'spaventare' accostato probabilmente all'it. stórno (stornello) DEI, V, 3643. stòrti m. pi. 'assi di faggio già piegati in natura che costituivano i traversi del carretto a due ruote, chiamato gruja\ Asiago, Roana. La voce trova riscontro nel trent. i stqrti 'quarti della ruota' (AIS, VI, 1230 Cp. p.334), valsug. e primier. storti, id. (Pedrotti, 34). In friul. stort 'traverso del baroccio' e tórtis pi., è da confrontare con tuàrt agg. 'torto, ritorto' (NP 1141). Dal lat. tórtus 'contorto, storto' REW 8809 e Pellegrini-Marcato, Term. agric. friul., 1988,377.

strambai m. pi. 'cenci e barattoli vuoti, legati a dei fili orizzontali all'interno delle reti, per spaventare gli uccelli posatisi a terra vicino agli zimbelli e spingerli ad incappare nelle reti tese fra i filari delle viti'. Valdagno, Comedo (Menato 1980,565). La voce è conosciuta anche nel veron. strambajo, nel trent. e rover. strambai 'spauracchio delle uccelliere' e nel valsug. trombai ma col signif. di 'catapecchia' (Prati, EV, 193). Lo stesso Prati inoltre (RDR, V, 104) cita dal vocabolarietto mant. che accompagna le opere del Folengo (1771) trambàj 'bastone grosso'; e ancora: 'impedimento pure che si mette ai cani, per impedire che non corrano nelle cacce riservate'. Rimando al Prati cit., per l'accostamento, del resto poco convincente, a trabacca, lomb. trabacola e per il suffisso in -ai (VEI, 87 s.v. 104

badami); sembra più probabile un rifacimento dell'agord. trovai 'congegno speciale fatto di travi dove si ferrano le mucche' < trabalis REW 8821, cfr. ital. travaglio-, l'ampezz. travàign (Majoni 131); nel beli, travài 'cestino da far camminare i bambini' (Pellegrini, Appunti, 54). stressare (el legname) v. 'trascinare il legname per trasportarlo dopo che è stato tagliato'. Si dice anche tirar só la legna a stròsso. Roana, Asiago, Val d'Astico, Recoaro. Ad Asiago sono noti anche i derivati strossadóre, strossin 'chi esercita il mestiere di trasportare il legname'. La voce è stata studiata da Kramer, Voci tedesche a Cortina in «AAA» (1985), 204, dove fornisce una lunga serie di attestazioni a partire dal dialetto di Cortina: strozà 'trascinare tronchi e ramaglie, sgobbare' < tir. struzn «Baumstàmme am Wege schleifen, hart arbeiten» e strózo «cuneo con anello per trascinare i tronchi» < tir. strouzn «Eisenkeil mit einem Ring zum Bàumeschleifen». Dalla trattazione del Kramer risulta che si tratta di parole tecniche tedesche che si ritrovano in molti dialetti alpini e prealpini, con varianti di significato (in alcune località la strossa è passata ad indicare la slitta). All'articolo di Kramer rimando inoltre per altre discusse proposte etimologiche e per tutta l'area di diffusione. suàlto m. 'camera, stanza al piano superiore'. Comedo, Zugliano. Voce disusata, rimasta solo nel detto ghèto el suàlto? domanda ironica rivolta a chi doveva sposarsi, ma era in condizioni tali da non potersi permettere una camera. La voce è registrata da Prati, EV, 182, per il valsug. suàlto, rover. suàlt, trent. siiàlt 'sopra, al piano di sopra'. E' forma corrente in Val di Non suàut 'piano superiore'. Da sus(um) ad altum. sugo m. 'anello rotondo in ferro, girevole, che costituisce l'estremità di una treggia chiamata stia, nel quale si infila una catena doppia (la cubia de sciòne) usata per legare la legna e trascinarla'. Asiago. Letteralmente significa 'gioco' ed ha il valore tecnico, proprio anche dell'ital. 'articolazione, movimento libero (di una macchina o altri congegni meccanici)'. svit agg. 'di bovino o bovina di razza bruno alpina'. Comedo, Faedo, Cereda. La voce concorda con l'agord. e cador. svit 'id.' (Pallabazzer 1980,119) e sta per 'svizzero, originario della Svizzera', verosimilmente da Schwytz che è il nome di uno dei Cantoni, infatti questa razza di bovini è importata prevalente105

mente dai Grigioni e dalle zone montuose della Confederazione (Marcato, 1982, 166), Forse svit è ricostruito come sing. da un -tz sentito come plur. tabièl m. 'tagliere'. Recoaro, Valli di Pasubio. La voce è diffusa anche in agord. tábio ma con il significato di 'tavola in pendenza, colatoio per il formaggio', friul. tabio, tabli 'Kàsebrett', in Val-levent. tabyela id. (Pellegrini, Appunti, 52, REW8514). Dal lat. tabulum + suff. -ellu. talòko agg. 'stupido, scemo' alto-vie. e vie. (Candiago 213). Voce dialettale diffusa anche in feltr. rust. taloco (DFR, 113), che originariamente secondo quanto è attestato dallo Stampa, 113—114, s.v. ta(r)lac doveva significare 'campanaccio di ferro'. Forma che si riscontra nei dialetti lombardo-alpini e romanci, di cui sono attestate le varianti: tarlák 'campanaccio da poco' tarlc/k 'campanaccio quadrato per le capre, scemo, persona da poco ecc... con immissione di /-r-/ dopo /a/ protonica. Quanto all'evoluzione semantica lo Stampa afferma che poiché i montanari paragonano volentieri le persone ai loro attrezzi e utensili agricoli, così la parola significò poi anche 'persona da poco'. Diversamente il Prati, EV, 184, accosta talòco (valsug., bellun.) a molte altre voci definite onomatopeiche. tanagéni in sugár a'nascondino' in 'giocare a nascondino'. Collicello di Valstagna, Costa. Sono note anche le varianti tanajéni e tanaviéni. Sintagma lessicalizzato che tuttavia lascia trasparire i due elementi del composto: tana'buco, nascondiglio' e viéni, imper. di venire. Per l'uso di tana indicante il gioco a nascondino cfr. oltre all'ital. toccare tana, il poles. tana skónta, il beli, bàtistana (a Cencenighe), il trent. tána, l'abruzz. a ttana tane (Chiarioni 1943 -44,74). Per quanto riguarda la palatalizzazione di /vj/ > 1)1 ~ /g/ è fenomeno noto nell'alto vie. rust. e comune nell'alto-ven. per cui v. Pellegrini 1976, 533. taradá agg. 'guasto, di cattivo gusto' (riferito al formaggio). Arsiero, Laghi di Arsiero. La voce è diffusa in cornei, taradó 'guasto' (specie palati taradádi); poco sano (di persona); secondo Tagliavini, NC, 224; < beli, tarizá 'cariato, tarlato, guastato' (Nazari 164); in prim. taredá agg. 'avariato, bacato, tarato' e tarédo 'cosa tarata, difettosa' ecc... (Tissot 285). Si tratta probabilmente di un termine gergale, cfr. Pellegrini, 1984 1 ,62, nota 25, che cita dal Prati, Voci digerganti: taron e tára col 106

significato di 'roba di scarto, di rifiuto' per spiegare la locuz. formài de tara cioè di «muffa».

tarsiéra f. 'trave di sostegno del tetto, situata in posizione intermedia fra la trave che corre parallela alla sommità e il bordo del tetto'. Per la riproduzione della disposizione cfr. AIS, V, 862. Altopiano d'Asiago. Voce largamente diffusa nei dialetti settentrionali, cfr. in AIS, V, 863 Cp. 'terzera', i tipi lombardo-tic. tersér, -éra\ trent. li tertséri (p. 341); agord. dredéra f. (p.325). Come termine tecnico è noto all'ital. terzèra (Less. Univ. It. 717) 'trave dell'orditura lignea del tetto, sinon. di arcareccio'. Dal lat. tértiarius 'der dritte' (REW 8677) con il suff. -ariu > ér. Questa base lat. ha assunto diversi significati nelle lingue romanze sempre riferentesi alla «terza parte».

tetaróla f. 'recipiente di latta (anticamente di legno) che serviva per allattare vitelli o capretti'. Malo, Faedo, S. Vito di Leguzzano. Corrisponde all'anaun. e sol. tetaról, -ruel, tetaról 'poppatoio' (Quaresima 477) e al comasco (a Premana) tetaróla 'poppatoio per animali' (cfr. Mondo popolare in Lombardia, 4, Como e il suo territorio, 312). E' dimin. del ven. téla 'tetta' per il succhiatoio di cui è provvisto il recipiente. tirodu in a tirodu avv. 'al seguito, in successione, uno dietro all'altro'. Carré. La voce compare nelI'alto-agord. con il significato di 'groviglio, intrico' (Pallabazzer, 1986, 352), < tirare + adum 'insieme') nel livin. tiradùm 'raccoglitrice', bad. tiradùm 'id.', 'così si chiamano le donne che sul prato seguono gli uomini che falciano il fieno e col rastrello lo raccolgono in mucchietti' (Tagliavini, Livin. 326), gard. tiradùm f. 'Recherin' (Lardschneider, 416). L'espressione alto-vie. si connette a quelle alto ven. per il concetto di 'tirare', qui probabilmente con influsso del sost. 'tiro' e adu con caduta della cons. finale < lat. ad unum che già nel lat. class, significava 'tutti fino ad uno', riduzione di omnes ad unum e ad unum (unam) omnes, usato nell'alto-vic. nell'accezione di 'uno dopo l'altro, uno di seguito all'altro', ma diffuso nelle lingue e nei dialetti romanzi col significato principale di 'insieme, unitamente', come è largamente documentato nel LEI, 883-885. Per quanto riguarda il ven. la forma è attestata dal Boerio 774 a un, a una 'insieme, unitamente' con la lenizione della Idi intervoc., mentre l'alto-vic. conserva (o ripristina?) /d/ intervoc. parallelamente alle forme ladine gard. adum, bad. 107

adùm, marebb. adò'm, fass. adum e trent., cfr. anaun. adun (LEI, REW 211, VDSII, 36). tirso m. 'tirchio, avaro'. Cereda, Comedo. Il Prati, EV, 189 ne documenta la presenza, in valsug. e nel gergo di Gosaldo: tirsa 'tirchio', e quindi spiega «forse dal nome Tirsi, titolo di un dramma di Apostolo Zeno (a. 1696) e nome di una canzone ricordata dal Rousseau nel I libro delle Confessioni. tò ki tò inter. voci di richiamo delle mucche quando si vuole farle girare a sinistra. Si usa invece vòlta fora per farle girare a destra. Comedo, Valdagno, Faedo. torissa f. 'vacca sterile' Comedo, Cereda, Faedo. Dal lat. taura 'vacca sterile' + suff. icea. Cfr. anche valt. torisa 'vacca che ha del toro', borm. torìéa e torùéa 'vacca sterile e sempre in caldo' (REWS 8602), mil. trent. turiéa mant. toritsa, sol. touriéa 'vacca sterile' (REW 8602). tosèlas. f. 'formaggio fresco'. Lusiana, Cogollo del Cengio; sull'altop. di Asiago tosèllen, con adattamento al cimbro. La forma è alto-ven. e valsug. cfr. agord. tozéla 'latte cagliato', beli, tosela 'cacio appena levato dalla caldaia', valsug. tozela 'ritagli di cacio appena levato dalla cascina per dargli la forma' (Prati, Valsug. 53). Dal lat. tonsus 'tagliato', in riferimento all'operazione di tagliare il cacio prima di essere messo nelle forme (REW 8785; Pellegrini, Appunti, 54; Prati, EV, 191). tràja f. 'trespolo, castelletto in legno, fatto ad X, su cui si appoggiano i tronchi per segare'. Valdagno (Menato 1980,569); Recoaro. Con significati affini cfr. anche il poles. tràgia 'martinicca' e il trevis. tragol 'alzaia' (Prati, EV, 192), evoluzione del lat. tràgula 'pietra per trebbiare, slitta, rete da tiro' (REW 8839,8840,8841) e in REWS 8839.2 si citano le voci agord. trògolo, trage 'fascina di ramaglia sulla quale si trascina legna o fieno, friul. traghie 'traino da legname, bresc. trol 'fastellone di legne trascinate giù dai monti a forza d'uomo' ecc... Per la diffusione della voce nei dialetti alpini e prealp. cfr. Stampa 1937, 128; Huber 1916, 76; Scheuermeyer II123-124. Fra i derivati nell'alto-vic. si riscontra anche trajón 'spazzaneve' < tràgula + òne. E' formato da due robuste assi, disposte a cuneo e tenute aperte da un 108

traverso che spesso regola l'apertura del cuneo. Sul davanti una catena o una corda servono per attaccarlo al traino, mentre nella parte posteriore c'è spesso una specie di stiva per guidarlo (Val Leogra 147; Menato 1980, 569). travèla da koàri locuz. 'trivella da portacoti'. Recoaro, Staro. Trivella usata originariamente per costruire la cote (ven. koàró) e quindi anche per molti altri lavori in legno. trecè, tracè, tricèr m. 'scricciolo, (Troglodytes troglodytes)', Molino di Altissimo. Altissimo. La voce corrisponde al veron. tre - tre 'scricciolo' (Giglioli 142), che il Bondardo 1986,58 registra come cercér attenendosi ai Dizionari veronesi, e che conosce una variante nella Val D'Alpone: cercè (Burati, 1982, 86). Poco probabile l'accostamento al padov. cercegna, ver. sarségna 'anitra selvatica' e alla relativa provenienza dal lat. querquedula < querquetula, come suggerisce il Bondardo, cit. 58. E' più verosimile l'origine onomatopeica cfr. cèr, cére. Per i riferimenti bibliografici sulle denominazioni dello scricciolo, cfr. DELI, IV, 1039 s.v. re e Marcato, in «Ce fastu?» LVIII (1982), 253-262. trìso m. 'frangicagliata', cioè specie di mestolo all'estremità del quale c'è un groviglio di filo metallico, oppure ramo di abete i cui ramoscelli minori sono lasciati ad una distanza di circa lOcm. l'uno dall'altro, e gli altri vengono tagliati. Recoaro, Valdagno, Arsiero, Val Leogra. La voce è largamente diffusa nei dialetti alpini e prealpini; per l'area veneta si riscontra nella Lessinia veron. friso o chitàra con cui si rompe la cagliata («La Lessinia», 1982, 31). Le attestazioni della voce nei dialetti trent. e lomb. e grig. sono numerose; cfr. rover. trisaór 'mestatoio, menatoio' e trisàr 'mestare, mescolare' (Azzolini, 1081); trent. trusèl (Val di Sole), la trisa (Giudic). in Pedrotti, 73; cembr. trìso e trisòt 'mestatoio con 3 - 4 rebbi, ricavato da un ramo, arnese da cucina' (Aneggi 169); lomb. triizà 'mescolare' sopras. e vallanz. trìso (Ascoli, AGI, VII, 582, anche nota 2); bellinz. comasc. triizà 'urtare, pestare', engad. trùscher 'id.'. Le forme seguendo il REW rimandano a due basi etimologiche diverse che tuttavia, giungono ad interferire in alcuni dialetti; si tratta di *tritiàre, variante volgare di *tritire 'triturare', iterativo di terere (REW 8923) e di *trùsàre 'stossen' (REW 8957) con valore anche di 'mescolare'. Per tali interferenze cfr. FEW, XIII, 342.

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trognàre v. 'bisticciare, stuzzicarsi, litigare', detto soprattutto dei bambini. Comedo, Faedo, Monte di Malo; in vie. ant. (Magagnò 1560): trognàr 'dar la berta' (Bortolan 289) e nel pav. trognàre, id. (Pellegrini, 1977, 475; veron. trognar 'bofonchiare', poles. 'nitrire, grugnire' (Prati, EV, 194). Fuori dall'area ven. cfr. piem. trugnu 'visaccio', trùnu 'musone', gen. trugno 'grasso, tarchiato' ( > kors. trugnu 'grosso'), gen. trùgnellotto 'feist im Gesicht', bergam. troen 'sornione', romagn. trqfi 'triste, ingrugnito' (FEW, XIII, 332; REW 8947) e friul. trugnà 'grugnire (del maiale)' (ASLEF, II, 1085), e 'brontolare' in NP 1221. E' voce gali, trugna 'muso' da cui a. fr. entroigner 'deridere' e per l'accezione di bisticciare, litigare, cfr. il fr. faire la trogne 'fare il broncio, tener il broncio' e reintrogner, rentrogner'reprendre, faire des reproches' (FEW). trùj m. 'maiale' Bosco di Tretto, Tretto. Sono note anche le espressioni: el stalòto del trùj, 'porcile' o te si come el trùj 'sei come un maiale' cioè 'trasandato, sciatto, sporco'. Probabilmente dal verso di richiamo del maiale, cfr. per analoghe forme il lomb. tru 'grugnito del porco (Monti)' in Rohlfs, 1985,667, oppure rifacimento del femm. tròia 'scrofa'. Per la storia dei nomi della scrofa: ital. tròja, fr. truie, catal. truja cfr. Rohlfs, 1971, p. 118 e Rohlfs, 1984, pp. 49-52. vàjom. 'borro, scoscendimento, vallone'. Recoaro, Comedo, Valdagno (cfr. Menato, 1980, 570). E' voce diffusa anche nel veron. vàjo 'borro' (Bondardo 1986,175) ed è nota soprattutto nella toponomastica: Vàjo dei Colóri; Vàjo Squarànto Vàjo de la Pelegata; Vàjo Scuro nel veron. e vie., cfr. Olivieri, TV, 300—1. Dal lat. *valléu < vallis 'valle' (Prati, EV, 196). véja f. 'ciocca di capelli' Comedo, Valdagno, Montebello (AIS, I, 96, p. 373). A Molino di Altissimo e Comedo ha anche il significato di 'striscia'. Per il vie. Andreis 79 riporta végia, végia(de cavéi) 'ciocca di capelli', e in REW 9392 è citato il vie. vega 'ciocca di capelli' erroneamente riportato a un viticula 'piccola vite, piccolo tralcio'. E' infatti indubbiamente più motivata l'ipotesi di Zamboni, 1973, 58—59 che propone di risalire a *villia < villus 'vello', in quanto trova convincenti riscontri semantici ad es. nel bellun.: ve/, con significato tecnico in Bazolle 464: «ve/ de lana - la lana di ogni pecora viene fatta su separatamente in un involto che è detto velo, an ve/ de lana, e che è legato in croce con poca paglia o con una sacca-». Ma ciò che è particolarmente interessante di questa voce è la sua ampia 110

diffusione, oltre che nel ven. centr. (si riscontra pure nella bassa padov. véja 'ciocca di capelli di colore bianco apparente in una chioma temporaneamente non controllata dalla tinta', cfr. Battaglia, Parole de jeri, 140) anche nei dialetti toscani e in corso. Per i vernacoli toscani basta vedere in Rohlfs, 1979,224 il pis. viglia 'ciocca di capelli', corso viglia, vidda, confermate da Bottiglioni in ALEIC, I, 63, dove accanto al tipo uil'a (P. 7, 9,10,14), compare anche uil'ata (P. 24,33), uillata (P. 35) da un *villeata. vèrla f. 'qualità di ciliege' Arzignano, Breganze; vie., valsug., veron. vèrla 'viscida'. Prati, EV, 199 cita anche altre forme come il valsug. verlèra 'viscido' e i nomi locali del piem. ant. inverula (a. 1252), in veroleto. La voce per l'alto-vic. ant. è attestata a Marano (Statuti a. 1429): «e oltra la festa de San Michele le noxe no sia in guiza, nè zerexe, osia marasche, osia verle de i buschi» (p. 90). Di etimologia oscura. Per le attestazioni nella toponomastica e la discussione circa le diverse ipotesi etimol. cfr. Bondardo, 1986,176. visèla f. 'vite'. Comedo, Valdagno e inoltre in AIS, VII, 1305 P.352 la vizéla,. P.362 la vizila, P. 373 na vizéla, forme in uso nell'alto e nel basso vie., mentre nel ven. di koinè è diffuso il termine vide 'viti'. Dal lat. viticella (REW 9390). vissiga f. 'scatola di tabacco'. Lusiana. Letteralmente 'vescica', con allusione probabilmente alla vescica del maiale che veniva usata normalmente come contenitore. Cfr. in Val Leogra 315 l'uso relativo alla vescica di maiale che veniva gonfiata e conservata per contenere il ghiaccio da mettere sulla testa in caso di malattia o veniva riempita di strutto. A Pievebelvicino vissigànte 'camera d'aria delle biciclette'.

Ili

Conclusione

Il lessico dialettale del territorio alto-vicentino, rivela, come abbiamo più volte osservato nel corso del presente lavoro, caratteri di arcaicità e conservatività che ci hanno permesso di individuare sia fatti che si riscontrano in fasi storiche precedenti dei dialetti veneti sia fatti che appartengono ai sistemi linguistici dell'area italiana settentrionale; in base a questo abbiamo potuto fare intrawedere i rapporti che intercorrono tra il veneto e gli altri dialetti settentrionali. Abbiamo ritenuto perciò fondamentale a questo scopo, documentare l'area di diffusione delle voci, fino a dove si potevano raccogliere attestazioni; alcuni elementi lessicali hanno posto problemi di 'categorizzazione' per quanto riguarda la loro formazione e cioè per quella serie di procedimenti quali gli incroci, le reinterpretazioni, gli accostamenti paraetimologici, i valori figurati cui è normalmente sottoposto il lessico; altri problemi derivano dal fatto che si è proceduto anche dalla raccolta diretta dei materiali dialettali, che richiede fasi di selezione e di elaborazione più complesse rispetto al documento scritto che costituisce in qualche modo un dato già «strutturato». Dalle inchieste condotte per l'Archivio Sonoro dei dialetti veneti e dalle attestazioni che ne abbiamo potuto ricavare risulta evidente che al territorio alto-vicentino era stata finora riservata un'attenzione marginale rispetto ad altre aree venete, per le quali si ha una grande richezza di documentazione e non solo per quanto riguarda il veneziano di cui fa fede il monumentale Dizionario Veneziano di G. Boerio, ma anche per i dialetti veneti settentrionali a cui hanno dedicato numerosi studi C. Tagliavini e G. B. Pellegrini, ed ora sono oggetto di raccolte lessicali da parte di studiosi e cultori locali. L'attività lessicografica riguardante il vicentino si è concentrata maggiormente nella seconda metà dell'800, ma prende in considerazione soprattutto il vicentino di città, si vedano per questo i lavori del Nazari, del Pajello, del Bortolan e del Da Schio, autore quest'ultimo di un Saggio del dialetto vicentino, Padova, 1855 (estratto da un manoscritto più ampio), su cui lo stesso Ascoli aveva espresso una sorta di diffidenza per il carattere urbano che in genere gli scrittori imprimono «alla favella degli uomini incolti o della campagna» (AGI, I, 420). In effetti più o meno tutte queste opere si rifanno piuttosto ad una generale koinè veneta che ha come modello di prestigio il veneziano e contemporaneamente la tradizione dello scritto. Soltanto le raccolte lessicali più recenti come i lavori locali sulla ValLeogra, Civiltà rurale di una Valle Veneta (Vicenza, 1976) o di O. Menato, 1980, autore di un Glossario sul dialetto di Valdagno o i punti 112

d'inchiesta dell' AIS (Crespadoro, Montebello Vicentino, Romano) e dell'ALI (Valli di Pasubio, Valrovina), offrono materiali di interesse notevole per l'analisi delle fasi più arcaiche del dialetto alto-vicentino, anche se il loro scopo e il metodo d'indagine è primariamente etnografico- culturale. In base a queste considerazioni e tenendo conto che una vasta parte delle voci che abbiamo utilizzato si basano su inchieste dirette, si può osservare che la specificità lessicale di questo territorio è data in primo luogo da un numero abbastanza consistente di tedeschismi, che come abbiamo detto sono di origine bavarotirolese; in secondo luogo dalla presenza di numerose voci che si riscontrano nei dialetti alpini e prealpini, alcune delle quali si ritenevano tipiche dei dialetti ladini e la cui area di estensione viene qui allargata ad un territorio considerato tradizionalmente del tutto estraneo all'area ladina; un terzo considerevole gruppo lessicale infine è dato dalle accezioni particolari che hanno assunto termini comuni al veneto, specializzandosi o in senso tecnico oppure in senso figurato.

113

Abbreviazioni

aat. abruzz. agord. alp. alto ven. alto-vie. anaun. sol. ant. bad. bellun. berg. bizant. bol. bresc. cador. calabr. catal. cembr. cornel. cremon. deriv. dimin. duecent. ebr. emil. engad. fass. ferrar. figurat. fiton. fr. friul. gall. garden. genov. gerg. germ. giudicar.

antico alto-tedesco abruzzese dialetto dell'agordino (BL) alpino alto-veneto alto-vicentino (VI) anaunico e solandro (TN) antico badiotto bellunese bergamasco bizantino bolognese bresciano cadorino calabrese catalano della Val Cembra (TN) dialetto del Comelico (BL) cremonese derivato diminutivo del XIII sec. ebraico emiliano dell'Engadina (Svizzera) della Val di Fassa ferrarese figuratamente, per traslato nome di vegetale francese friulano gallico dialetto della Val Gardena genovese gergale germanico dialetto delle Giudicarie

(TN)

giul. got. gringl. inter. istr. ital. lad. lat. lett. locuz. lomb. longob. lucch. maccher. mant. mat. mediev. merid. mil. mod. moden. ms napol. oland. orient. ottocent. padov. panven. parm. part. pass. pav. piem. plur. poles. pop. portogli.

giuliano gotico greco inglese intenzione istriano italiano ladino latino letteralmente locuzione lombardo longobardo lucchese maccheronico mantovano medio alto-tedesco medievale meridionale milanese moderno modenese manoscritto napoletano olandese orientale del XIX sec. padovano panveneto parmense participio passato pavese piemontese plurale polesano popolare portoghese

primier.

primierotto

trent.

trentino

provine.

provinciale

trevis.

trevisano

provenz.

provenzale

triest.

triestino

romagn.

romagnolo

valpolicell.

della Valpolicella (Verona)

roveret.

dialetto di Rovereto

valsug.

valsuganotto

rust.

rustico

valtellin.

dialetto

settentr.

settentrionale

sicil.

siciliano

var.

variante

slov.

sloveno

ven.

veneto

spagn.

spagnolo

venez.

veneziano

s.v.

sotto la voce

veron.

veronese

ted.

tedesco

vie.

vicentino

ticin.

ticinese

volg.

volgare

tirol.

tirolese

zold.

dialetto della Val di Zoldo

tose.

toscano

116

della

Valtellina

(Sondrio)

(BL)

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