135 29 29MB
Italian Pages 384 [382] Year 2014
Table of contents :
Indice
C. Apprendere è cambiare
C. L'apprendimento è attivo
C. La voglia di apprendere
C. I meccanismi della memoria
C. La creatività
D. Imparare a imparare
Prove autentiche
A. Nascita della psicologia scientifica
B. Le prime relazioni affettive
B. La scuola: un ponte tra famiglia e società
B. La comunicazione: conflitti e collaborazioni
B. Capire le emozioni in classe
B. Violenza e bullismo a scuola
C. Percezione e attenzione
Indice
INDICE
La psicologia scientifica
SEZIONE A
INDICE eBook
A1 NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA A1.1 I precursori della psicologia scientifca A1.2 La psicologia del senso comune A1.3 Le quattro tappe del metodo scientifco A1.4 Il primo laboratorio di psicologia A1.5 Alcuni metodi di studio in psicologia Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Che cos’è la psicologia di D.S. Wright, A. Taylor
4 5 8 10 11 14
14
16
eBook
B1 LE PRIME RELAZIONI AFFETTIVE B1.1 Alla radice della socialità c’è l’empatia B1.2 Il legame di attaccamento B1.3 L’autostima necessaria B1.4 Stili educativi in famiglia • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Gli errori del genitore-educatore di P. Parent, C. Gonnet T2 – L’insegnante, l’allievo, il gruppo: un intreccio di relazioni in classe di J. Bowlby
Test interattivi
•
20 22 30 32 36 38 41
•
Video: l’autore racconta
•
Video esperimenti La strana situazione
•
28
Video esperimenti Gli stili educativi
43
18
32
45
•
Test interattivi
38
48 50 55 57 60 62 64
•
Test interattivi
62
•
Test interattivi
99
•
Test interattivi
136
B2 LA SCUOLA: UN PONTE TRA FAMIGLIA E SOCIETÀ B2.1 I diversi da sé B2.2 La scuola come luogo di vita B2.3 L’alleanza educativa tra scuola e famiglia B2.4 L’approccio umanista • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Il primo giorno di scuola di A. Oliverio Ferraris T2 – Il lavoro educativo di S. Kanizsa
67 69
La relazione educativa
SEZIONE B
B3 LA COMUNICAZIONE: CONFLITTI E COLLABORAZIONI B3.1 I due piani della comunicazione 72 B3.2 Le forme del linguaggio non verbale 74 B3.3 La teoria dei sistemi 84 B3.4 Affrontare i confitti 88 B3.5 La comunicazione all’interno dei gruppi 92 B3.6 “Voci” incontrollate 94 • RIASSUMIAMO 96 Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE 99 • APPLICHIAMO LE COMPETENZE 102 • LEGGIAMO T1 – Chi ha ragione? di P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson 106 T2 – La postura di M. Argyle 107
B4 CAPIRE LE EMOZIONI IN CLASSE B4.1 Un caso emblematico B4.2 La psicoanalisi
112 113
III
INDICE
B4.3 Gli sviluppi della psicoanalisi B4.4 Contenuti inconsci e rispecchiamenti B4.5 Il funzionamento della classe B4.6 L’intelligenza emotiva • RIASSUMIAMO • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE Test interattivi • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Introduzione alla psicoanalisi di S. Freud T2 – Un caso di talento emozionale di D. Goleman
119 120 124 130 134 136 139 141 144
La relazione educativa
SEZIONE B
B5 VIOLENZA E BULLISMO A SCUOLA B5.1 Aggressività e violenza B5.2 Aggressioni alla scuola dell’infanzia B5.3 Il fenomeno del bullismo B5.4 Quali interventi? • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – La forza del contesto di A. Oliverio Ferraris T2 – Il prepotente di I. McEwan
146 150 153 156 162 164 168
Video esperimenti Combattere il bullismo
153
Test interattivi
164
•
170 172
C1 PERCEZIONE E ATTENZIONE C1.1 Attenzione e selezione degli stimoli C1.2 Percezione e contesto C1.3 La teoria della Gestalt C1.4 L’occhio inganna • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Le percezioni come ipotesi di R. Gregory T2 – La ricerca sulla percezione infantile di K. Stassen Berger
•
eBook 178 183 186 192 196 198 202
• •
Video: l’autore racconta Video esperimenti Il gorilla invisibile
•
177
Test interattivi
181 198
204 206
C2 APPRENDERE È CAMBIARE
I processi mentali
SEZIONE C
C2.1 Gli studi sperimentali sul condizionamento classico C2.2 Gli studi sperimentali sul condizionamento operante C2.3 Dagli esperimenti di Skinner all’istruzione programmata C2.4 Apprendimento per osservazione C2.5 L’apprendimento secondo la psicologia della Gestalt • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Pavlov spiega i rifessi condizionati di I.P. Pavlov T2 – L’intelligenza nelle scimmie antropoidi di W. Köhler
208 211
•
215 219 221 224 226 229
•
Video esperimenti L’esperimento di Pavlov
210
Video esperimenti L’esperimento di Skinner
•
Test interattivi
•
Video esperimenti
213 226
230 232
C3 L’APPRENDIMENTO È ATTIVO C3.1 Apprendimento e sviluppo C3.2 Il modello cognitivista C3.3 Dal cognitivismo al costruttivismo: Bruner C3.4 La conoscenza nella prospettiva storico-culturale C3.5 L’orientamento costruttivista • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
IV
236 242 244 248 251 255 257
L’esperimento dei bicchieri
•
Test interattivi
239 257
INDICE
• APPLICHIAMO LE COMPETENZE 260 • LEGGIAMO T1 – Lo sviluppo psico-intellettivo del bambino di L. Vygotskij 262 T2 – I bambini come pensatori di J. Bruner 264
C4 LA VOGLIA DI APPRENDERE C4.1 Il dinamismo dell’apprendimento C4.2 Le cinque dimensioni esistenziali dell’apprendimento C4.3 La motivazione per il comportamentismo e il cognitivismo C4.4 Motivazione e gerarchia dei bisogni C4.5 La destabilizzazione cognitivo-affettiva C4.6 Disturbi di apprendimento • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – La diffcile arte dell’incoraggiamento di R. Dreikurs T2 – Cosa ci spinge a imparare? di A.Oliverio
266 268 270 273 275 280 285 287 290
•
Test interattivi
287
•
Test interattivi
313
292 294
C5 I MECCANISMI DELLA MEMORIA C5.1 Memoria e oblio C5.2 Memoria e neuroni C5.3 Amnesie e circuiti nervosi della memoria C5.4 Fedeltà e infedeltà della memoria • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Memoria e inconscio di M. Proust T2 – La guerra degli spettri di J.R. Anderson
298 301 305 307 311 313 315 317 319
I processi mentali
SEZIONE C
C6 LA CREATIVITÀ C6.1 Il cervello creativo C6.2 Creatività e personalità C6.3 La creatività tra emozione e cognizione C6.4 La creatività in età evolutiva • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • APPLICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO T1 – Immaginazione creativa di A. Oliverio T2 – Pensare col cappello verde di E. de Bono
322 325 329 331 335 337 340
Il metodo di studio
Video esperimenti La creatività
•
331
Test interattivi
337
Test interattivi
373
342 345
eBook
D1 IMPARARE A IMPARARE
SEZIONE D
•
D1.1 Un approccio metacognitivo D1.2 Illusioni o trappole cognitive D1.3 La capacità di generalizzare e “trasferire” D1.4 Quattro passi per imparare D1.5 Il metodo di studio D1.6 La motivazione: esercizi per svilupparla D1.7 Condizioni psicofsiche per studiare • RIASSUMIAMO Test interattivi • VERIFICHIAMO LE COMPETENZE • LEGGIAMO • T1 - La programmazione dello studio di M. Polito
350 356 358 361 363 367 368 371 373
Prove autentiche
377
•
375
V
SEZIONE
C
UNITÀ C2
Apprendere è CAmbiAre Quando impariamo qualcosa di nuovo avviene un cambiamento in noi, nei nostri circuiti cerebrali e nei nostri comportamenti. L’apprendimento è infatti un processo attraverso il quale l’individuo è modificato, in misura più o meno definitiva, da ciò che accade nell’ambiente circostante e da ciò che egli fa. L’esperienza sta dunque a fondamento dell’apprendimento. Gli studiosi hanno analizzato l’apprendimento da diverse angolature, evidenziando le varie modalità in cui esso si verifica. Si apprende infatti in modi diversi: per associazione, per condizionamento, per intuizione, attraverso la scoperta e la ricerca, attraverso l’interazione con gli altri.
C2.1
Gli studi sperimentali sul condizionamento classico
Raoul Hausmann, Tatli at Home, 1920, Stoccolma, Moderna Museet. Giraudon The Bridgeman Art Library
il comportamentismo o behaviourismo è una scuola psicologica che ha fornito contributi fondamentali allo studio dell’apprendimento. da dove deriva il nome? da comportamento, un concetto centrale per gli studiosi di questo orientamento. infatti costoro ritengono che bisogna superare l’impostazione di Wundt (unità A1), che si proponeva di analizzare gli stati mentali soggettivi attraverso l’introspezione, poiché tali stati, proprio perché soggettivi, sarebbero troppo legati all’esperienza individuale del soggetto. La psicologia invece deve studiare i comportamenti osservabili, in quanto essi possono essere analizzati attraverso il metodo sperimentale, in modo scientifco e oggettivo. per intenderci: è diffcile studiare l’intelligenza in astratto, ma, per comprendere meglio i processi intellettivi, si possono osservare e analizzare i comportamenti intelligenti.
Apprendere è cambiare
UNITÀ C2
COMPORTAMENTISMO STUDIA
▶
NO INTROSPEZIONE (WUNDT)
SÌ COMPORTAMENTI OSSERVABILI
Esperienza individuale
Metodo sperimentale
Conoscenza soggettiva
Conoscenza oggettiva
Dal cane di Pavlov al codice della strada Il fondatore della scuo-
la comportamentista fu lo statunitense John Watson (1878-1958) che utilizzò nei suoi studi il metodo sperimentale e le tecniche di condizionamento. Egli era stato colpito dagli esperimenti del fsiologo russo Ivan Pavlov (18491936) sui rifessi condizionati e su un particolare tipo di apprendimento per associazione, detto condizionamento classico. Secondo lo scienziato russo (che per avere scoperto il rifesso condizionato fu insignito del premio Nobel) molti degli apprendimenti, negli animali come negli esseri umani, possono essere spiegati con la formazione di rifessi e associazioni. Per esempio, quando siamo alla guida dell’auto, le nostre reazioni al trafco si basano su una vasta gamma di rifessi e di condizionamenti, che hanno il vantaggio di essere immediati, ossia più rapidi di quanto non potrebbe essere un ragionamento. ▶
Inara Prusakova, Shutterstock.
Salivare al suono di un campanello Pavlov era partito dall’osser-
vazione che la vista del cibo (stimolo incondizionato) provocava nell’animale una risposta rifessa* o “incondizionata” (la salivazione): associando più volte la presentazione del cibo a uno stimolo neutro (il suono di un campanello o stimolo condizionante) il solo stimolo neutro era in grado di produrre - anche in assenza del cibo - la salivazione (risposta condizionata) (fgura C2.1). I rifessi condizionati sono presenti in qualsiasi specie animale, esseri umani compresi, purché una risposta rifessa, che già esiste, venga associata a uno sti-
risposta rifessa risposta automatica, involontaria.
209
*
SEZIONE C
VIDEO: L’esperimento di Pavlov.
I processi mentali
molo neutro, venga cioè condizionata. Dal punto di vista fsiologico il rifesso condizionato dipende dal fatto che nel sistema nervoso vengono associati due tipi di connessioni sino a quel momento indipendenti l’una dall’altra: ad esempio, nel caso del cane di Pavlov, la connessione con un nuovo messaggio (il suono) si associa alla connessione che esiste tra un messaggio specifco (la vista del cibo) e un rifesso naturale (la salivazione): inserendosi in questo legame innato (cibo-salivazione), la nuova informazione (il suono del campanello) è in grado di scatenare il rifesso. CONDIZIONAMENTO
RISPOSTA RIFLESSA
STIMOLO NEUTRO
RISPOSTA CONDIZIONATA
I condizionamenti avvengono nostro malgrado, sono spesso inconsci e possono riguardare diversi aspetti della vita quotidiana. A scuola, ad esempio, il suono della campanella della ricreazione (stimolo condizionante) può fare venire l’acquolina in bocca (comportamento rifesso) perché è associato alla merenda (lo stimolo incondizionato che provoca il rifesso salivare).
1. PRIMA DEL CONDIZIONAMENTO
Cibo
Risposta
STIMOLO INCONDIZIONATO
2. PRIMA DEL CONDIZIONAMENTO
Salivazione
Campanellino
RIFLESSO INCONDIZIONATO
STIMOLO NEUTRO
3. DURANTE IL CONDIZIONAMENTO
Risposta
Salivazione NESSUN RIFLESSO INCONDIZIONATO
4. DOPO IL CONDIZIONAMENTO
+ Campanellino
Cibo
STIMOLO NEUTRO + STIMOLO INCONDIZIONATO
Figura C2.1
Risposta
Salivazione RIFLESSO INCONDIZIONATO
Campanellino STIMOLO CONDIZIONATO
Risposta
Salivazione RIFLESSO CONDIZIONATO
Nel condizionamento pavloviano uno stimolo incondizionato (cibo) provoca un riflesso incondizionato (salivazione). Se insieme al cibo l’animale ode il suono di un campanello si forma una associazione tra campanello e cibo, tale per cui il solo suono del campanello può provocare la salivazione.
210
Apprendere è cambiare
▶
UNITÀ C2
Condizionamenti per associazione di esperienze In altri casi
i condizionamenti non si basano su rifessi preesistenti come la salivazione alla vista del cibo. Ad esempio, si possono stabilire forme di associazione tra uno stimolo e una particolare risposta motoria appresa: se guidiamo l’automobile la vista del semaforo rosso ci porta, più o meno automaticamente, ad azionare il freno in quanto abbiamo appreso che questa risposta è necessaria e nella nostra mente si sono formate associazioni tra “rosso” e “frenata”. Quest’associazione può essere generalizzata ad altre situazioni, cosicché una luce rossa lampeggiante può diventare sinonimo di pericolo. Numerose risposte e pensieri si basano sulle associazioni: pensate, ad esempio, come parole-stimolo, “mare” o “profumo”, possano sollecitare associazioni più o meno casuali nella nostra mente. Lo stesso Watson in un esperimento famoso condizionò un bambino di 9 mesi ad avere paura degli animali pelosi, associando alla loro presenza un rumore molto forte, mentre prima del condizionamento il bambino non solo non temeva gli oggetti e gli animali pelosi ma ne era attratto. La portata e gli efetti del condizionamento sono oggetto di rifessione anche nel flm Arancia meccanica di Stanley Kubrick (fgura C2.2), in cui il protagonista, autore di numerose violenze, viene condizionato contro la violenza. In che modo? Gli viene somministrata una medicina che provoca la nausea e nello stesso tempo gli vengono mostrate scene di violenze varie. Dopo ripetute associazioni, la sola vista di una scena violenta indurrà la nausea, bloccando quindi gli istinti aggressivi del giovane protagonista.
Figura C2.2
Locandina e scena tratta dal film Arancia meccanica di Stanley Kubrick.
Gli studi sperimentali sul condizionamento operante
C2.2
A differenza del condizionamento “classico”, evidenziato da Pavlov, in cui le associazioni si formano in modo passivo, vi sono altre forme di apprendimento associativo in cui l’individuo è invece attivo e interagisce con l’ambiente per soddisfare i suoi desideri e bisogni, si tratti di bisogni in positivo (ricevere una ricompensa) o in negativo (sfuggire a un castigo o a una situazione potenzial-
211
sezione C
I processi mentali
mente dannosa). è questo il caso del condizionamento operante. in questa forma di apprendimento una determinata risposta è seguita da uno stimolo rinforzante. Ciò fa aumentare la probabilità di emissione di quella risposta, in quel contesto. mentre nel condizionamento classico viene condizionata una risposta rifessa, nel condizionamento operante si ottiene una risposta spontanea che produce un effetto sull’ambiente.
SOMMINISTRAZIONE
Rangizzz, Shutterstock.
RINFORZO
▶
Christin Gasner, Shutterstock.
212
PREMI (cibo, acqua)
PUNIZIONI (scossa elettrica)
Incentiva un comportamento
Disincentiva un comportamento
Tentativi ed errori Una delle più comuni forme di apprendimento
operante avviene per tentativi ed errori. Che cosa vuol dire? L’individuo, posto di fronte ad un ostacolo o ad una difcoltà, giunge ad adottare la soluzione corretta dopo una serie di tentativi attraverso i quali elimina progressivamente gli errori. I primi contributi in questa direzione arrivano dallo psicologo americano Edward Torndike (1874-1949) che studiò sperimentalmente questo tipo di apprendimento, utilizzando le cosiddette puzzle-box, delle gabbiette in cui egli richiudeva animali che dovevano trovare il modo per aprire uno sportello che dava accesso a del cibo appetitoso (fgura C2.3). Torndike misurò il numero di tentativi necessari e il tempo trascorso nella gabbia prima che l’animale imparasse a uscirne (per esempio tirando una cordicella che azionava una porticina a saliscendi): mentre all’inizio del test l’animale tirava la corda per caso, oppure esercitava una trazione insufciente ad aprire la porta, col passare del tempo i tentativi casuali e gli errori diminuivano fno a scomparire del tutto. Il principio alla base di queste forme di apprendimento per tentativi ed errori è che una risposta è prodotta in maggior misura se è premiata, oppure viene progressivamente abbandonata, se produce insoddisfazione.
Apprendere è cambiare
UNITÀ C2
Figura C2.3
In questa immagine è rappresentata la gabbia di Thorndike, in cui un animale (il gatto) deve imparare ad azionare il chiavistello per raggiungere il cibo.
APPRENDIMENTO OPERANTE
TENTATIVI ED ERRORI
Soluzione corretta
Mediante tentativi
Una risposta aumenta se è premiata oppure viene progressivamente abbandonata se produce insoddisfazione
▶
La gabbia di Skinner Il condizionamento operante è stato teorizzato
principalmente da Burrhus F. Skinner (1904-1990), il quale ha elaborato la tecnica del cosiddetto modellamento del comportamento per approssimazioni successive, che si basa su un opportuno dosaggio di premi - o punizioni - somministrati in modo tale che un animale (o un essere umano) risponda sempre più ad alcuni stimoli e manifesti sempre più il comportamento desiderato, cioè quello che lo sperimentatore desidera produrre. L’animale impara a rispondere perché ha soddisfazione: tanto più elevato è il numero delle sue risposte, tanto più viene premiato. Nella gabbia ideata da Skinner (Skinner box) gli animali ricevono una piccola ricompensa (cibo, acqua), che costituisce il rinforzo, se essi mettono in atto un determinato comportamento. In questo modo si può ottenere, per esempio, che un topo schiacci una leva per far entrare del cibo nella gabbia, oppure che un piccione colpisca con il becco un disco luminoso ogni volta che vuole ottenere un granello di cibo (fgura C2.4).
VIDEO: L’esperimento di Skinner.
Grusin, Shutterstock.
La classica gabbia di Skinner in cui l’animale (il piccione) deve compiere un’azione (battere il becco su un dispositivo) per ottenere il rinforzo (del cibo).
213
Figura C2.4
SEZIONE C
I processi mentali
Le associazioni si formano in modo passivo
CLASSICO Viene condizionata una risposta rifessa (la salivazione)
CONDIZIONAMENTO Il soggetto interagisce con l’ambiente
OPERANTE Risposta spontanea (premere la leva) che ha un effetto sull’ambiente
Delectus, Getty Images.
Il condizionamento operante nell’addestramento e nell’istruzione Gran parte degli addestramenti degli animali si basano su questa
▶
Alexander Raths, Shutterstock.
procedura; ne sono un esempio i cani antidroga, quelli anti-valanga o quelli per non vedenti che vengono premiati con uno zuccherino o più semplicemente con una carezza o con una parola di incoraggiamento man mano che manifestano il comportamento desiderato (avvicinarsi, utilizzando il loro futo, alla droga o a una persona nascosta in un buco del terreno, evitare gli ostacoli stradali, non attraversare che in determinate condizioni e via dicendo). Anche l’educazione e l’istruzione degli esseri umani può utilizzare forme di condizionamento operante. Per esempio, usando come ricompensa la lode e il sorriso, si può ottenere che un bambino di due o tre anni abbandoni la pronuncia storpiata di una parola a favore della pronuncia corretta. Finora abbiamo parlato di rinforzi positivi, ma il rinforzo può anche essere negativo: si può ottenere che un topo stia in una certa zona della gabbia, se gli viene somministrata una lieve scossa elettrica quando si avvicina nella zona “vietata”. La fne dello stimolo doloroso funge da rinforzo per il comportamento che si vuole ottenere.
Condizionamenti reciproci Questi tipi di condizionamenti e di gratifcazioni (rinforzi) sono alla base di molti comportamenti umani. È col metodo del condizionamento che i bambini imparano a sorridere e a chiedere “per piacere” per ottenere le caramelle, o a non infastidire il fratellino in presenza della madre. Esistono anche forme di condizionamento reciproco, come avviene quando il lattante impara a piangere per essere preso in braccio e la madre impara a intervenire sollecitamente per mettere fne al pianto del suo bambino.
▶
214
Apprendere è cambiare
UNITÀ C2
Il lattante impara che se piange giungerà la madre
Il lattante, gratifcato dalla presenza della madre, smette di piangere
IL LATTANTE PIANGE
LA MADRE INTERVIENE La madre è gratifcata dalla sospensione del pianto
La madre impara a intervenire per interrompere il pianto del lattante
Il condizionamento reciproco, una delle forme di apprendimento per associazioni, avviene in numerose situazioni della vita quotidiana. Ad esempio, uno studente può annuire e sorridere per comunicare la propria approvazione rispetto a quanto dice il docente; e questi, a sua volta, sarà indotto a rivolgersi sempre più a chi gli sta dimostrando la sua approvazione e tra i due si potrà creare una intesa maggiore rispetto a quella che esiste con il resto degli studenti. In diversi studi è stato dimostrato che è possibile “modellare” il comportamento di un oratore attraverso il sorriso, ogni volta che egli esprime un particolare tipo di giudizio, sottolinea un particolare argomento ecc. Con questa strategia si può fare in modo che l’oratore si spinga in una direzione piuttosto che in un’altra, ribadisca sempre più alcuni aspetti del suo pensiero e così via.
Jjustas, Shutterstock.
Dagli esperimenti di Skinner all’istruzione programmata
C2.3
L’istruzione programmata si basa sulle teorie e i metodi di B.F. Skinner. I contenuti da apprendere sono organizzati per sequenze di complessità crescente: si parte da nozioni semplici e si passa via via ad apprenderne di più complesse. Il rinforzo consiste nella conferma che lo studente riceve rispetto alla validità delle sue risposte. Gradualità e rinforzo sono dunque gli aspetti su cui si fonda l’istruzione programmata.
215
SEZIONE C
I processi mentali
RINFORZI SOLO PER LE RISPOSTE VALIDE
GRADUALITÀ
ISTRUZIONE PROGRAMMATA
Studente passa
da nozione semplice
a nozione complessa
Due diverse strategie Tale forma di apprendimento si avvale di due diverse strategie che siamo soliti utilizzare quando nella nostra mente formiamo delle associazioni tra esperienze, nozioni o informazioni diverse: una è di tipo lineare (a catena), l’altra è di tipo ramifcato (ad albero) (fgura C2.5).
▶
Ogni nuova esperienza parte da precedenti esperienze. Man mano vengono aggiunti mattoni a un edificio sempre più complesso. Poiché le nostre esperienze riguardano settori molto diversi è necessario ricorrere ad associazioni che traccino una specie di mappa del nostro sapere. Per esempio, il nome di una città può richiamare un viaggio che abbiamo fatto, un’antica civiltà, uno stile di vita o la presenza di amici che vi abitano. Le forme più semplici di associazioni sono formate da una catena di maglie disposte in una sequenza preordinata. Le associazioni più complesse, invece, sono basate su diramazioni: partendo da un tronco comune è possibile seguire i diversi rami o percorsi.
Figura C2.5
216
Apprendere è cambiare
Alla fne di un argomento
Unica risposta possibile
LINEARI (A CATENA)
Semplice
UNITÀ C2
Associazioni fra esperienze
STRATEGIE DELL’ISTRUZIONE PROGRAMMATA RAMIFICATE (AD ALBERO)
Complesso
Alla fne di un argomento
Più risposte alternative
Nella prima forma di apprendimento (a catena), ogni argomento viene programmato in unità o fame (il termine inglese sta qui ad indicare una “cornice” che racchiude un concetto o nozione) che prevedono una domanda fnale per valutare se chi impara ha capito. Se la risposta è giusta si procede al passo successivo, se è errata o incompleta si ritorna indietro per ripassare. Oggi, però, la forma più utilizzata nei sofware educativi è la seconda, quella ramifcata: alla fne di un argomento ci si deve confrontare con più risposte alternative ognuna delle quali contempla, a seconda che la risposta sia corretta o sbagliata, diversi percorsi di apprendimento (scheda C2.1: Esempio di istruzione programmata).
Alengo, Getty Images.
217
SEZIONE C
I processi mentali
sCHeDA C2.1 eseMPio Di istRUzione PRoGRAMMAtA
A una domanda vengono proposte tre alternative di risposta: una sola è corretta, le altre sono sbagliate. L’alunno deve scegliere fra più risposte già formulate. Con la risposta esatta si procede oltre. Con un’altra risposta l’alunno viene rinviato a un quadro con una spiegazione aggiuntiva. Può così procedere al passo successivo. Ad esempio: 1. La capitale della Francia è: Bordeaux? Marsiglia? Parigi? Se l’alunno sceglie Parigi, potrà passare a una seconda domanda più complessa, se sceglie le altre due città troverà spiegazioni che lo informano su Parigi, la sua storia ecc. 2. Parigi è situata nell’Ile de France? In Borgogna? In Bretagna? Se sceglie Ile de France potrà passare a una terza domanda, se invece sceglie Borgogna o Bretagna troverà degli approfondimenti che chiariscono la situazione
1. Il condizionamento classico è stato messo a punto da Skinner, Pavlov Se l’alunno sceglie Pavlov (risposta giusta) passa a una domanda più complessa: 2. Il rifesso condizionato dipende dal fatto che nel sistema nervoso sono associati due tipi di connessioni autonome oppure due tipi di connessioni interdipendenti? Se la risposta è giusta (connessioni autonome) passa alla domanda successiva.
Andriy BONDAREV, Shutterstock.
▶ Catene lineari Se si vogliono stabilire catene di associazioni “lineari”, è necessario connettere in successione un elemento all’altro. A scuola, ad esempio, l’insegnante cerca di far sì che nella mente degli alunni si stabilisca un collegamento tra il contenuto di A e quello di B, successivamente tra gli elementi A-B e C e via dicendo. In questo modo si costituiscono catene associative. Questa rete di collegamenti è impiegata prevalentemente nell’apprendimento linguistico: per imparare una serie di vocaboli inglesi nuovi si può procedere iniziando con un termine, ad esempio Travel e passare da Travel a Bus, da Bus a Station, da Station a Train, da Train a Seat e via dicendo. In questo caso si stabilisce una catena di associazioni lineari di tipo logico-temporale (i diversi passi che bisogna compiere per intraprendere un viaggio): ma si potrebbe anche produrre una catena associativa di tipo spaziale o di tipo causa-efetto (ciò che si verifca se si è in ritardo, se non si paga il biglietto ecc.). Stabilendo una catena di questo tipo in modo giocoso, un bambino impara (e memorizza) un buon numero di vocaboli: da child fare a ticket, da validation a already used ecc. L’apprendimento è ancora più efcace se il bambino gioca a fare il controllore, un suo amico a fare il viaggiatore ecc. ▶ Catene ramifcate Generalmente, però, non ci si limita a catene associative di tipo lineare ma si utilizzano catene ramifcate, in cui sono presenti gerarchie associative. Ad esempio, la voce Station potrebbe generare una ra-
218
Apprendere è cambiare
Unità C2
mifcazione che riguarda l’Air Terminal, il check-in, il boarding pass, il gate, boarding now e via dicendo. In ognuno di questi casi, se non si ricorda un vocabolo si può tornare indietro e ripercorrere la catena associativa: è evidente che questa funziona quanto più i suoi anelli sono concatenati, cioè quando esiste una coerenza interna (di tipo spaziale, temporale, logico-causale). Provate, ad esempio, a stabilirne una per l’operazione “parcheggiare l’automobile” e noterete che si può evidenziare una catena di eventi di tipo spazio-temporale oppure causale.
Apprendimento per osservazione
C2.4
Anche se molti comportamenti, relativamente complessi, possono essere spiegati alla luce dei principi del condizionamento operante e della sua tecnica di modellamento, spesso non è necessario, per apprendere, compiere effettivamente una risposta: in molti casi l’osservazione è una condizione suffciente. ▶ Osservare e imitare Nei bambini l’osservazione è alla base del comportamento imitativo: un buon numero dei comportamenti, delle abilità, dei pregiudizi e delle azioni corrette e scorrette che si apprendono a casa e a scuola derivano dall’apprendimento per osservazione e dall’imitazione del comportamento altrui. Per esempio, i bambini imparano a parlare imitando suoni e accenti di chi parla con loro, imparano a ballare osservando gli altri ballerini, imparano a evitare alcune situazioni imitando i genitori. Abilità
BAMBINI OSSERVAZIONE
COMPORTAMENTO IMITATIVO
Pregiudizi
Azioni
A volte l’imitazione è diferita. Questo accade, ad esempio, quando il bambino, ripensando a una scena che ha visto qualche ora prima, ripete a casa un certo comportamento che ha avuto modo di osservare a scuola, al parco o in televisione. BAMBINI IMITAZIONE DIFFERITA
IMITARE UN COMPORTAMENTO IN UN SECONDO MOMENTO
Fare a casa qualcosa che ha visto a scuola
219
SEZIONE C
I processi mentali
Lo psicologo canadese Albert Bandura (1925) efettuò un famoso esperimento per studiare l’apprendimento dei comportamenti aggressivi. Egli sottopose alcuni bambini alla visione di flmati in cui un modello adulto metteva in atto comportamenti aggressivi nei confronti di un pupazzo. Dopo la visione del video i bambini imitavano i comportamenti dell’adulto aggredendo a loro volta un pupazzo. Bandura dimostrò che numerosi fattori caratterizzano l’apprendimento per imitazione: per esempio, le persone tendono ad imitare di più coloro che sono celebri o che ammirano; l’imitazione è maggiore quando un determinato comportamento viene approvato o ricompensato, perciò un comportamento aggressivo che venga rinforzato (dal successo, dai comportamenti degli amici o dai messaggi di approvazione degli adulti) sarà più imitato rispetto a un comportamento aggressivo che invece viene punito.
BANDURA
DIMOSTRA CON L’ESPERIMENTO
Violenza si apprende
Persone imitano di più
Coloro che sono celebri (o fgura di riferimento per il bambino)
Se il comportamento viene approvato (cioè rinforzato)
Gli esperimenti di Albert Bandura indicarono che i bambini che osservano un comportamento aggressivo di un modello tendono a imitarlo, soprattutto se il modello è una figura per loro significativa (genitore, personaggio carismatico del mondo dello sport o dello spettacolo). In questa vignetta il bambino che vede il padre picchiare un personaggio mascherato è indotto a ripetere lo stesso comportamento, anche a distanza di tempo.
Figura C2.6
220
Apprendere è cambiare
▶
UNITÀ C2
Una traccia signifcativa È pur vero che il modello insegna, come
si è visto, ma il modo in cui utilizziamo questo insegnamento dipende anche dall’attenzione che gli dedichiamo e dalla motivazione che abbiamo in quel momento. In altre parole, queste esperienze lasciano in noi una traccia se in qualche modo le rielaboriamo nella nostra mente in rapporto al contesto, a valutazioni o esperienze precedenti, al senso e al signifcato che esse assumono nella nostra vita quotidiana. APPRENDIMENTO DIPENDE
MODELLO
ATTENZIONE
MOTIVAZIONE
Elaborazione in base
Contesto
Esperienze passate
Signifcato del quotidiano
L’apprendimento secondo la psicologia della Gestalt
C2.5
Una concezione diversa rispetto a quella basata sulle catene di associazioni è invece proposta dalla teoria della Gestalt (o psicologia della forma), elaborata negli anni Venti del Novecento da Kurt Koffka (1886-1941), Wolfgang Köhler (18871967) e Max Wertheimer (1880-1943). Questi teorici sottolineano come l’apprendimento non avvenga per combinazione di singole parti; occorre piuttosto considerare l’intero contesto (o campo) in cui esso si realizza. I singoli elementi si dispongono infatti in modo tale da formare una struttura globale, complessiva, che la nostra mente è in grado di cogliere nella sua interezza in quanto è portata a fare ordine e a individuare relazioni semplici e complesse.
▶
Valutazioni globali Per mettere alla prova questa teoria con un esem-
pio concreto pensiamo a un piccolo campo di granturco composto da diversi flari di piante: se volessi comprendere come è fatto questo campo potrei utilizzare una logica di tipo associazionista e passare in rassegna le diverse piante, 221
SEZIONE C
I processi mentali
una dopo l’altra, senza guardare al loro insieme. Utilizzando questa strategia, la mia esperienza del campo di granturco dipenderà dalla capacità di collegare tra loro le successive piante o i flari di granturco: ad esempio, dopo aver contato il primo flare di sette piante, passerò al secondo e così via, sino ad avere raggiunto l’informazione fnale secondo cui il piccolo campo è formato da sei flari di sette piante l’uno (oppure da sette flari di sei piante l’uno). I flari, tuttavia, potrebbero essere distanziati in modo variabile, oppure essere costituiti da granturco chiaro e granturco scuro… Per ricostruire mentalmente il campo di granturco dovrei quindi aggiungere la variabile “distanza” o “colore”. La nostra mente è in grado di fare questa valutazione in modo globale e di cogliere un insieme di segni sulla base delle cosiddette leggi dell’organizzazione percettiva (unità C1).
*
olistico deriva dal termine greco “olos” e letteralmente signifca “tutto”.
▶ Il metodo globale Fare esperienza e apprendere, secondo la teoria della Gestalt, non dipende soltanto dalla capacità di concatenare diversi elementi; nell’esperienza infatti utilizziamo un’ottica globale, guardiamo all’insieme e all’organizzazione complessiva dei vari elementi. Apprendere per insiemi signifca apprendere in modo olistico* anziché parziale, ossia individuare i rapporti che esistono tra diverse unità di informazione. È in questo modo che, nella lettura di una parola, i bambini che stanno imparando a leggere possono pronunciare una dopo l’altra le singole lettere e, concatenandole, arrivare a un certo punto a pronunciare l’intera parola (catena lineare); oppure, come spesso succede, possono riconoscere la parola dalla sua Gestalt, dal suo disegno, più che dalle singole lettere che la compongono (metodo globale). D’altro canto, è basandoci sulla Gestalt delle parole che noi leggiamo all’istante le numerose insegne che troviamo in strada, anche formate da più parole. In questo caso l’apprendimento, anziché dipendere da un processo passo-passo, come nella catena associativa, implica una rappresentazione di tipo globale.
GESTALT LA TOTALITÀ NON È LA SEMPLICE SOMMA DELLE SINGOLE PARTI Capacità di concatenare insieme
IMPARARE
Elementi diversi
In modo Olistico
No processo passo-passo
Apprendimento
222
Visione Globale
Apprendere per insiemi
Sì rappresentazione di tipo globale
Apprendere è cambiare
▶
UNITÀ C2
L’apprendimento per insight L’apprendimento avviene dunque
all’interno di un contesto signifcativo, cogliendo la globalità e individuando i nessi tra gli elementi dell’insieme. Wolfgang Köhler studiò un particolare tipo di apprendimento, quello per insight, che avviene attraverso un’illuminazione, un intuito improvviso. Egli realizzò alcuni esperimenti sull’intelligenza delle scimmie antropoidi e constatò che esse sono in grado di risolvere situazioni problematiche. Per esempio, una scimmia chiusa in una gabbia utilizza i diversi oggetti presenti nell’ambiente per prendere del cibo: aferra un bastone per portare a sé il cibo posto al di fuori della recinzione, o ancora sale sopra una cassetta per aferrare il cibo posto in alto, oppure incastra tra loro diversi tubi per ottenere un tubo più lungo che le permetta di arrivare al cibo. Secondo Köhler la soluzione del problema (come arrivare al cibo?) si presenta d’improvviso, attraverso un’intuizione che permette di cogliere i nessi tra i vari elementi dell’insieme e di utilizzare quindi in modo nuovo gli oggetti presenti nell’ambiente. Si tratta di una vera e propria ristrutturazione del campo percettivo che consente di scorgere soluzioni che non sono immediatamente evidenti. Per risolvere i problemi, sottolineano gli psicologi della Gestalt, occorrono quindi visione d’insieme, fantasia, inventiva e fessibilità.
KÖHLER APPRENDIMENTO STUDIO SCIMMIE ANTROPOIDI
ILLUMINAZIONE INTUIZIONE IMPROVVISA (INSIGHT)
Permette
RISTRUTTURAZIONE DEL CAMPO PERCETTIVO
NUOVI NESSI FRA GLI ELEMENTI
Lettura nuova di ciò che è presente
223
SOLUZIONE
SEZIONE
SEZIONE
C
C
RIASSUMIAMO
CHE COS’È L’APPRENDIMENTO? È un processo secondo il quale l’individuo è modifcato, in misura più o meno defnitiva, da ciò che accade nell’ambiente o da ciò che
CONDIZIONAMENTO CLASSICO Il comportamentismo, fondato da John Watson, ha come oggetto di studio i comportamenti osservabili che, in quanto tali, possono essere studiati in modo scientifco. L’interesse dei comportamentisti è rivolto all’apprendimento per condizionamento. Nel condizionamento classico (studiato da Pavlov) viene condi-
CONDIZIONAMENTO OPERANTE Nel condizionamento operante si ottiene invece, attraverso la presentazione di uno stimolo rinforzante, una risposta spontanea che produce un efetto sull’ambiente. L’individuo interagisce dunque con l’ambiente e non è passivo come nel condizionamento classico. Il primo a studiare questo tipo di condiziona-
224
egli fa. È possibile distinguere diverse modalità di apprendimento in base ai tipi di comportamento e di strutture nervose coinvolti. ZouZou, Shutterstock.
zionata una risposta rifessa: se a una risposta rifessa già esistente (ad esempio salivazione) associamo più volte uno stimolo neutro (suono del campanello), otterremo, dopo un certo tempo, quella risposta rifessa anche solo in presenza dello stimolo neutro.
MANDY GODBEHEAR, Shutterstock.
mento fu Torndike, ma il maggiore teorico fu Skinner. Quest’ultimo studiò, sulla base del condizionamento operante, l’apprendimento per modellamento: esso consiste nel portare gradualmente un individuo verso un comportamento desiderato attraverso un sistema di rinforzi. Nella gabbia ideata da Skinner
Apprendere è cambiare
(Skinner box) gli animali ricevono una piccola ricompensa (cibo, acqua), che costituisce il rinforzo, se essi mettono in atto un determinato
UNITÀ C2
comportamento. In questo modo si può ottenere, per esempio, che un topo prema una leva per far entrare del cibo nella gabbia. Meriel Jane Waissman, Getty Images.
L’ISTRUZIONE PROGRAMMATA Nell’istruzione programmata i contenuti da apprendere sono organizzati per sequenze di complessità crescente, in modo che si parta da nozioni semplici e si passi via via ad apprenderne di più complesse; le risposte corrette sono premiate da un rinforzo. Sono utilizzate due strategie: l’apprendimento a catena
lineare e l’apprendimento a catena ramifcata. La prima cerca di stabilire collegamenti tra elementi in successione (ad esempio travel > bus > station > train); la seconda presenta delle gerarchie associative “ad albero” (station potrà essere collegato a train e railways, ma anche a airport, air terminal, check in, ecc.) Andy Baker, Getty Images.
APPRENDIMENTO PER OSSERVAZIONE Bandura ha efettuato degli esperimenti che hanno evidenziato come la sola osservazione di comportamenti aggressivi possa produrre dei comportamenti imitativi. L’i-
mitazione è maggiore quando un determinato comportamento viene approvato o ricompensato e quando il modello osservato è celebre o ammirato. Scott Kleinman, Getty Images.
L’APPRENDIMENTO SECONDO LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT Secondo questi teorici l’apprendimento non avviene per associazione di singoli elementi; occorre piuttosto considerare l’intero contesto (o campo) in cui esso si realizza, poiché la nostra mente coglie l’insieme e individua relazioni
complesse tra gli elementi. L’apprendimento per insight consiste in una ristrutturazione del campo cognitivo che permette di scorgere soluzioni, attraverso un’intuizione, un’illuminazione improvvisa.
Andy Baker, Getty Images.
225
SEZIONE
SEZIONE
C
C
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
Competenza
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
Il fondatore della scuola comportamentista fu Pavlov
V
F
b
Mediante il condizionamento classico uno stimolo neutro diventa condizionato
V
F
c
I condizionamenti sono spesso inconsci e possono riguardare diversi aspetti della vita quotidiana
V
F
d
I riflessi condizionati riguardano gli animali e non gli esseri umani dotati di razionalità
V
F
e
Il condizionamento reciproco è una forma di apprendimento per associazioni
V
F
f
L’istruzione programmata si basa sulle teorie e i metodi di Wolfgang Köhler
V
F
g
Bandura ha dimostrato che la violenza si può apprendere
V
F
h
Secondo la Gestalt la nostra mente è in grado di individuare relazioni complesse fra le parti e coglierne la struttura globale
V
F
1 Chi è stato tra i seguenti lo studioso che ha dato forma al condizio-
Competenza
namento operante?
Acquisire le informazioni
□ Skinner □ Köhler □ Wundt
2 Secondo Pavlov i rifessi condizionati si verifcano quando: □ una risposta rifessa viene associata a uno stimolo neutro □ si giunge alla soluzione corretta, dopo una serie di tentativi attraverso i quali si eliminano gli errori □ si somministrano premi ad alcuni stimoli
3 L’apprendimento per insight avviene: □ mediante l’imitazione di un modello □ attraverso un intuito improvviso □ quando un determinato comportamento viene approvato o ricompensato 226
Apprendere è cambiare
UNITÀ C2
4 Nel condizionamento operante una determinata risposta: □ è seguita da uno stimolo rinforzante □ è prodotta da uno stimolo adeguato □ è il risultato di un rifesso automatico
1 Quali sono le diferenze fra il condizionamento classico e quello
Competenza
operante?
Acquisire e interpretare le informazioni
2 Quale forma di condizionamento può essere utilizzata nell’istruzione? Perché?
3 Spiega quale esperimento ha utilizzato Bandura e che cosa ha dimostrato.
4 Come si determina l’apprendimento secondo la scuola della Gestalt?
1 Completa il seguente schema con le informazioni mancanti. TEORIA
AUTORE
CARATTERISTICHE
Competenza Sapere analizzare la realtà
ESEMPIO
CONDIZIONAMENTO CLASSICO CONDIZIONAMENTO OPERANTE APPRENDIMENTO PER TENTATIVI ED ERRORI APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE APPRENDIMENTO PER INSIGHT
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: attenzione! Alcuni sono in più!
Competenza Sapere usare il lessico della disciplina
Anche l’educazione degli esseri umani può utilizzare forme di condizionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Per esempio, usando come ricompensa la lode e il sorriso, si può ottenere che un bambino di due o tre anni abbandoni la pronuncia storpiata di una parola a favore della pronuncia corretta. Finora abbiamo parlato di rinforzi positivi, ma il rinforzo può anche essere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . : si può ottenere che un topo stia in una certa zona della gabbia, se gli viene somministrata una lieve scossa elettrica quando si avvicina nella zona “vietata”. La fne dello stimolo doloroso funge da . . . . . . 227
SEZIONE C
I processi mentali
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . per il comportamento che si vuole ottenere. […]
Il condizionamento reciproco, una delle forme di apprendimento per . . . . . . . . . . . . . . . . avviene in numerose situazioni della . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ad esempio, uno studente può annuire e sorridere per comunicare la propria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . rispetto a quanto dice il docente e questi, a sua volta, sarà indotto a rivolgersi sempre più a chi gli sta dimostrando la sua approvazione e tra i due si potrà creare un legame più intenso rispetto a quello che ha con il resto degli studenti. In diversi studi è stato dimostrato che è possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il comportamento di un oratore attraverso il sorriso, ogni volta che egli esprime un particolare tipo di giudizi, sottolinea un particolare argomento ecc. . . . . . . . . . . ,
classico - operante - negativo - positivo - premio - rinforzo - vita quotidiana - imitazione - associazioni - disaccordo - approvazione - copiare - modellare
1 In molte loro opere, i due artisti Salvador Dalì e Maurits Escher
Competenza
hanno giocato abilmente con i principi percettivi della psicologia della Gestalt. Ricerca in rete alcune opere di questi artisti e commentale insieme ai tuoi compagni.
Acquisire e interpretare le informazioni
228
C
APPLICHIAMO LE COMPETENZE
sezione
sezione
C
Competenza
1 L’ESPERIMENto DI PAVLoV
Sapere interpretare la realtà
Defnizione
Nel condizionamento classico, messo a punto da Pavlov, uno stimolo neutro che solitamente non provoca nessun risultato, può provocare un rifesso condizionato se si verifcano determinate condizioni.
istruzioni
Dopo aver stampato le fgure, “ricomponi” l’esperimento di Pavlov senza l’aiuto del libro. Attenzione: la quantità di stampe potrebbe variare da fgura a fgura: alcune di esse potrebbero ripetersi nell’esperimento!
Cibo
Salivazione
STIMOLO INCONDIZIONATO
RIFLESSO INCONDIZIONATO
Nessuna salivazione NESSUN RIFLESSO INCONDIZIONATO
Campanellino STIMOLO NEUTRO
STIMOLO CONDIZIONATO
2 CoNDIzIoNA uN tuo CoMPAGNo Prendi una cannuccia da bibita e un campanello. Siediti di fronte a un compagno e tenendo la cannuccia a distanza di 10 cm dal suo occhio sofa nella cannuccia (senza eccessiva energia). Ogni volta che sof il tuo compagno avrà un rifesso di ammiccamento (chiuderà la palpebra). Ora utilizza un altro compagno: ogni volta che sof nella cannuccia fai precedere il sofo da un breve squillo del campanello, il suono del campanello deve precedere il sofo di almeno un secondo. Vedrai che dopo poche prove il tuo compagno ammiccherà quando ti limiti a suonare il campanello e non sof nella cannuccia: hai generato un condizionamento pavloviano.
Competenza Sapere interpretare la realtà
istruzioni
229
SEZIONE
SEZIONE
C
LEGGIAMO 1 PAVLOV SPIEGA I RIFLESSI CONDIZIONATI
L
o studio dei rifessi condizionati da parte di Pavlov rappresenta un punto di svolta nella psicologia sperimentale: il comportamento viene, anche se in parte, considerato come oggetto di studio scientifco, indagato attraverso i metodi della fsiologia. Questo approccio “riduzionistico” (ridurre il comportamento alle sue basi biologiche) ha incontrato forti resistenze da parte di quegli psicologi che privilegiavano il “vissuto”, cioè ciò che il soggetto prova dentro di sé.
Dalla fsiologia della digestione al rifesso condizionato Fin da quando studiavo l’attività delle ghiandole gastriche dovetti persuadermi che l’appetito agisce non solo come eccitante ghiandolare generale, ma stimola inoltre le ghiandole in grado maggiore o minore secondo le sostanze che lo provocano.
230
Per ciò che riguarda le ghiandole salivari vale la regola che tutte le variazioni della loro attività osservate negli esperimenti fsiologici si riproducono esattamente negli esperimenti psichici, cioè in quegli esperimenti nei quali un determinato agente eccitante non viene in immediato contatto con la mucosa orale ma a distanza richiama l’attenzione dell’animale. Eccone qualche esempio. La vista del pane secco provoca una salivazione molto più forte che la vista della carne, sebbene quest’ultima, a giudicare dai movimenti dell’animale, desti in esso un interesse assai più vivo del pane. Eccitando il cane con della carne o con un’altra sostanza commestibile qualunque, dalle ghiandole salivari mucose cola una saliva concentrata, a forte contenuto in muco (saliva lubrifcante); al contrario, la vista di sostanze sgradevoli all’animale conduce alla se-
C
Apprendere è cambiare
crezione da quelle stesse ghiandole di una saliva fuida, quasi priva di muco (saliva diluente). In altre parole, gli esperimenti con eccitamento psichico delle ghiandole riproducono esattamente, se pure in grado minore, gli esperimenti fsiologici efettuati per mezzo delle medesime sostanze. Così che la psicologia, nello studio della funzione delle ghiandole salivari, occupa un posto accanto alla fsiologia. Dirò di più. A prima vista il fattore psichico nel lavoro delle ghiandole salivari sembra anche più indiscutibile del fattore fsiologico. Se un oggetto qualunque che a distanza desta l’attenzione del cane provoca la secrezione di saliva, ciascuno potrà a buon diritto ammettere che si tratti di un fenomeno psichico, non fsiologico. Quando invece il cane ha mangiato, oppure gli è stato introdotto per forza alcunché nella bocca, e contemporaneamente è stata secreta saliva, resta ancora da dimostrare che questo sia in realtà un fenomeno fsiologico e non puramente e semplicemente psichico, soltanto esagerato in virtù delle particolari condizioni che l’accompagnano. […]
Rifessi: risposte agli stimoli esterni Basandoci sullo studio dei rappresentanti inferiori del mondo animale e non desiderando naturalmente trasformarci da fsiologi in psicologi (tanto meno dopo aver fatto un tentativo infelice in questo senso), decidemmo di assumere anche di fronte ai così detti fenomeni psichici, nelle nostre esperienze sugli animali, un atteggiamento rigidamente obiettivo. Abbiamo cercato anzitutto di disciplinare severamente il nostro modo di pensare e il nostro linguaggio, per non toccare afatto il supposto stato afettivo dell’animale, e abbiamo limitato il nostro lavoro esclusivamente all’attenta osservazione degli efetti prodotti a distanza dagli oggetti sulla funzione delle ghiandole salivari, e alla loro esatta classifcazione. Il risultato corrisponde alle nostre aspettative: i rapporti tra manifestazioni esteriori e variazioni del lavoro secretorio apparvero regolati da leggi fsse, tanto che
UNITÀ C2
poterono essere riprodotti un numero qualsiasi di volte a piacere, allo stesso modo dei fenomeni fsiologici. Tali rapporti poi si sistematizzarono in modo preciso. Con nostra grande gioia potemmo convincerci di essere sulla buona strada, quella che conduce al successo. […] Data la scarsità del tempo di cui dispongo, mi limiterò ai dati di fatto citati e passerò ora alla discussione teorica degli esperimenti riferiti. I fatti sopra esposti si inquadrano assai facilmente entro i confni della fsiologia. Le reazioni da noi prodotte a distanza sulle ghiandole salivari si possono a buon diritto considerare e interpretare come rifessi. Ponendovi precisa attenzione non si può non constatare che il lavoro delle ghiandole salivari è continuamente stimolato da eccitamenti esterni, e cioè che esso è provocato, così come il comune rifesso salivare, da stimoli esterni. La diferenza sta anzitutto nel fatto che quest’ultimo rifesso è provocato da un eccitamento che agisce sulla mucosa orale, mentre i nuovi rifessi sono determinati da eccitamenti che agiscono sull’orecchio, sull’occhio ecc. Una seconda e più sostanziale diferenza fra gli antichi e i nuovi rifessi consiste in ciò che l’antico rifesso è costante, incondizionato, mentre il nuovo è soggetto a oscillazioni dipendenti da molte condizioni e perciò merita il nome di condizionato. Studiando più attentamente questi fenomeni non si può non osservare il fatto seguente: nel rifesso incondizionato agiscono come stimoli quelle proprietà dell’oggetto alle quali è destinata la funzione fsiologica della saliva, cioè la durezza, la secchezza, una particolare composizione chimica e così via, nel rifesso condizionato invece appaiono come stimoli quelle proprietà dell’oggetto come il colore, la forma ecc. Queste ultime proprietà hanno evidentemente la funzione fsiologica di agire da segnale per le prime. ■ I.P. Pavlov, I rifessi condizionati, Bollati Boringhieri, Torino 1994 (Il testo fa parte della conferenza tenuta a Stoccolma in occasione del Premio Nobel nel 1904)
231
sezione C
I processi mentali
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
il comportamento viene, anche se in parte, considerato come oggetto di studio V scientifico
F
b
il lavoro delle ghiandole salivari è provocato da stimoli esterni
V
F
c
il riflesso incondizionato è sempre costante
V
F
▶ pavlov ha condotto i suoi studi attraverso i metodi della:
□ fsiologia □ vivisezione □ ricerca scientifca ▶ Che cos’è un rifesso? ▶ Alcuni comportamenti osservati sugli animali hanno valore per gli esseri umani? ▶ spiega che cosa si intende per riduzionismo.
LeGGiAmo 2 L’INTELLIGENZA NELLE SCIMMIE ANTROPOIDI
N
el brano che segue Köhler racconta alcuni esperimenti con gli scimpanzé. Gli animali devono raggiungere l’obiettivo, il cibo, che non si trova alla loro immediata portata. La risoluzione del problema consiste nell’utilizzo di strumenti che consentono di avvicinare a sé il cibo. Un ruolo fondamentale è svolto dalla percezione visiva e dalla considerazione del contesto globale.
Gli scimpanzé davanti a un problema L’obiettivo non è più in alcun modo collegato con il luogo in cui l’animale si trova; la situazione presenta, come unico oggetto utilizzabile, un
232
bastone, per mezzo del quale l’obiettivo potrebbe venire attirato. Fra i sette scimpanzé che appartenevano fn dall’inizio alla stazione, trovai Sultano già molto esercitato in questo uso del bastone; anche con Rana era già stata osservata un’azione di questo genere. [...]. Tre casi rientrano nel tipo di prove di cui stiamo trattando: quelli di Tschego, Nueva e Coco. La femmina adulta Tschego, della cui precedente vita nel Camerun non sapevamo, naturalmente nulla, fno al tempo di queste esperienze (26.2.14), era stata tenuta quasi completamente isolata dagli altri animali (ossia un anno e sei mesi), in un locale nel quale raramente le si offriva l’occasione di occuparsi di oggetti mobili che
Apprendere è cambiare
UNITÀ C2
tivo (banane) fno a portata di mano. In questa manovra essa colloca immediatamente il bastone in modo corretto dietro l’obiettivo. Usa dapprima il braccio sinistro, poi il destro, alternandoli spesso. Non tiene sempre il bastone come lo terrebbe un essere umano, ma molte volte lo aferra come ama fare col cibo, e cioè serrandolo fra il terzo ed il quarto dito, mentre il pollice è premuto su di esso lateralmente.
Organizzazione funzionale per la soluzione del problema
non fossero la paglia e le coperte; per contro, essa poteva liberamente osservare l’afaccendarsi dei giovani animali. La si fa passare, dal locale in cui dorme, nel recinto, delimitato da un’inferriata, che durante la giornata le serve da soggiorno; l’obiettivo si trova fuori della gabbia e oltre la portata delle sue braccia molto lunghe; nella gabbia, vicino alle sbarre, e un poco di lato, vi sono diversi bastoni. Tschego cerca subito invano di raggiungere con la mano i frutti; si corica allora sul dorso, e dopo un po’ di tempo compie un nuovo tentativo, l’abbandona, e così via, per più di mezz’ora. Infne resta del tutto immobile, senza più occuparsi dell’obiettivo. I bastoni, collocati proprio lì vicino, potrebbero attrarre la sua attenzione, ma per essa è come se non esistessero. Ma ecco che gli animali più giovani, che corrono qua e là all’esterno della gabbia, cominciano ad interessarsi sempre più all’obiettivo e ad avvicinarsi cautamente ad esso. All’improvviso Tschego salta in piedi, aferra uno dei bastoni e, non senza abilità, avvicina l’obiet-
Come ci si doveva attendere, variazioni nella natura o nella posizione dell’obiettivo non hanno in genere alcuna influenza, dopo che lo scimpanzé è ricorso una volta all’uso del bastone. In una giornata calda Coco cerca anche di tirare a sé con un bastone in ciascuna mano un secchio pieno d’acqua che è stato lasciato in prossimità del suo “cerchio”, naturalmente senza riuscirvi. Quando l’obiettivo viene appeso fuori di portata, ad una parete liscia, esso prende il gambo verde, poi una pietra, un bastone, un fuscello, la sua tazza per bere, e finalmente una scarpa rubata, e se ne serve per tentare di raggiungere l’esca; se non ha alla mano niente altro, prende anche un cappio della corda alla quale è legato e batte l’aria con questo nella direzione dell’obiettivo. Quando degli animali che hanno sviluppato un metodo pratico in una determinata situazione, usano lo stesso procedimento in una situazione che è solo simile alla prima, si suppone allora, spesso con ragione, che nella confusa percezione dell’animale la nuova situazione non sia per nulla diversa da quella precedente, e che dunque l’identità della condotta nelle due situazioni sia senz’altro comprensibile. Sarebbe un grave errore dare una spiegazione simile quando lo scimpanzé sostituisce il suo bastone con altri oggetti. Le funzioni visive dello scimpanzé, come si può facilmente provare per mezzo di esperimenti, sono troppo altamente sviluppate perché esso possa semplicemente “confondere” otticamente 233
SEZIONE C
I processi mentali
una manciata di paglia, la tesa di un cappello, una pietra o una scarpa, ecc., con il bastone già precedentemente utilizzato. Si può invece dire che il bastone ha acquistato, nel campo visivo, per certe situazioni, un determinato valore funzionale, e che questo valore s’incorpora in tutti gli altri oggetti che col bastone hanno in comune certe proprietà generali di forma e consistenza, quale che sia peraltro il loro aspetto; è la sola espressione che convenga esattamente al comportamento osservato presso questi animali. La falda di un cappello ed una scarpa non sono certo sempre, otticamente, dei “bastoni” per lo scimpanzé (e perciò, anche nel corso dell’esperienza, esso non li confonde), ma soltanto in certe circostanze si presentano “come bastoni” in senso funzionale, dopo che un oggetto in qualche modo simile ad un bastone per forma e consistenza, per esempio, una bacchetta, ha assunto una prima volta la funzione appunto di un bastone. Come mostra il resoconto del comportamento di Coco, in questo giovane animale non vi è pressoché nessuna limitazione per quanto riguarda il tipo di oggetti utilizzabili, e quasi ogni “oggetto spostabile” diviene, in circostanze adatte, un “bastone”. Un altro fattore sembra molto
234
più importante delle differenze esteriori fra un bastone, una tesa di cappello, una scarpa; esso è, nel caso di Tschego e di Coco (Nueva, per altre ragioni, non fu esaminata da questo punto di vista), la ubicazione, in rapporto all’animale e all’obiettivo, degli oggetti che assumeranno la funzione di strumenti. Per entrambi questi animali anche delle bacchette che essi hanno già molte volte usato perdono il loro carattere funzionale o strumentale per il solo fatto di trovarsi a qualche distanza dal punto critico. Più precisamente: se si fa in modo che il bastone non sia visibile quando lo sguardo è fisso sulla regione critica o si sposta di poco intorno a questa zona, e che, viceversa, un’occhiata nella direzione della bacchetta escluda dal campo di visione l’intera regione dell’obiettivo, allora, in generale si impedirà, o almeno si ritarderà in misura molto notevole, l’impiego dello strumento, anche quando esso è già stato ripetutamente usato in altre occasioni. Io ho usato ogni mezzo a mia disposizione per attirare l’attenzione di Tschego sulle bacchette collocate verso il fondo della sua gabbia, ed essa guardava bensì esattamente nella loro direzione, ma allora non poteva vedere la regione dell’obiettivo che stava dietro di lei, e così
Apprendere è cambiare
i bastoni restavano oggetti indifferenti. Anche quando l’avevamo indotta, al mattino, ad afferrare e ad usare uno dei bastoni, essa non sapeva più usarlo nel pomeriggio, benché i bastoni si trovassero esattamente nello stesso posto ed essa, girando qua e là per la gabbia, vi camminasse proprio sopra, e più volte guardasse esattamente nella loro direzione. Nello stesso tempo le bacchette e i loro diversi sostituti che essa vede nelle vicinanze della zona dell’obiettivo, vengono utilizzati senza esitazione alcuna, e l’animale mangia col più grande appetito ciò di cui riesce ad entrare in possesso*. ■
Unità C2
*La coperta è nel locale in cui lo scimpanzé dorme, dietro all’animale, e lontana quanto i bastoni, e tuttavia essa viene presa; ma la porta aperta si trova già presso l’inferriata, lateralmente e in primo piano, così che Tschego, con uno spostamento dello sguardo relativamente piccolo che lascia ancora l’inferriata (la regione dell’obiettivo) nel campo di visione, vede già la coperta attraverso la porta; per contro, quando essa volge la faccia verso i bastoni, tutta la regione dell’obiettivo scompare. Del resto la coperta, di cui l’animale si serve quotidianamente, costituisce per così dire un oggetto privilegiato in rapporto agli altri. W. Köhler, L’intelligenza nelle scimmie antropoidi, Giunti-Barbera, Firenze 1961
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
La soluzione per Köhler è data dalla somma meccanica delle informazioni esterne
V
F
b
La soluzione del problema si basa sull’intuizione
V
F
c
Lo scimpanzé arriva alla soluzione mediante un insight, cioè mediante la riscoperta V di rapporti tra gli elementi esistenti
F
▶ Lo scimpanzé tschego arriva alla soluzione (a prendere il cibo) grazie:
□ a vari tentativi ed errori □ a imitazione □ alla riorganizzazione delle informazioni disponibili ▶ A quale tipo di apprendimento si può ricondurre l’esperimento di Köhler. ▶ Qual è il ruolo dell’insight nell’apprendimento?
235
SEZIONE
C
UNITÀ C3
L’APPRENDIMENTO È ATTIVO Watson era convinto che attraverso l’educazione e l’apprendimento l’individuo avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa, pittore, medico, commerciante ecc., a prescindere dalle presunte inclinazioni personali. L’ambiente, secondo lui, può condizionare totalmente l’individuo e il suo sviluppo. Altri studiosi hanno messo in discussione questa concezione e hanno sottolineato come l’apprendimento sia un processo attivo, in cui il soggetto non è passivo, ma interagisce con l’ambiente circostante. Secondo tale prospettiva l’individuo non è più considerato come una tabula rasa su cui l’esperienza scrive i dati della realtà, ma svolge un ruolo attivo nel processo conoscitivo.
C3.1
Apprendimento e sviluppo Jean Piaget (1896-1980), psicologo, pedagogista e biologo svizzero, attraverso i suoi ampi e approfonditi studi sullo sviluppo mentale del bambino, mise in luce come elementi genetici ed elementi ambientali interagiscano nella crescita individuale: le funzioni cognitive si sviluppano parallelamente alla maturazione organica.
BAMBINO
▶
Tompet, Shutterstock.
Crescita individuale
ELEMENTI GENETICI
Elementi ambientali
L’epistemologia genetica Infuenzato dalle idee evoluzioniste, Pia-
get, di formazione naturalista, ipotizzò che le funzioni mentali - intese come capacità di risolvere problemi e di adattarsi all’ambiente - si sviluppassero nel corso degli anni dell’età evolutiva sotto la spinta della maturazione dell’organismo e in particolare del sistema nervoso: così come l’intelligenza dell’uomo occidentale era per Darwin l’ultimo stadio di un processo evolutivo durato milioni di anni (flogenesi), per Piaget l’intelligenza dell’a-
L’apprendimento è attivo
dulto era l’ultimo stadio di un processo evolutivo che si svolge dalla nascita fno all’adolescenza (ontogenesi). La psicologia di Piaget è genetica perché descrive gli stadi fondamentali dello sviluppo intellettivo ontogenetico e la loro successione, ed è epistemologica* perché si pone l’obiettivo di individuare le condizioni che consentono alla mente di riorganizzare cognitivamente la realtà esterna.
UNITÀ C3
epistemologia ramo della flosofa che studia le condizioni di validità della ricerca scientifca
PIAGET EPISTEMOLOGIA
GENETICA
Studia le condizioni di validità della ricerca scientifca
Descrive gli stadi fondamentali dello sviluppo
SCHEDA C3.1
La scuola strutturalista di Lipsia si era posta l’obiettivo di studiare e misurare gli elementi costitutivi della mente scomponendo in unità misurabili i fenomeni complessi. Nel 1890 J.M. Cattell, allievo di Wundt, aveva costruito un test che misurava una serie di funzioni quali la forza muscolare, la velocità di movimento, la sensibilità al dolore, l’acutezza visiva, la fnezza d’udito, i tempi di reazione, la memoria ecc. Ma se queste funzioni semplici potevano essere comprese e misurate, funzioni complesse quali il ragionamento, la soluzione di problemi, la capacità di fare ipotesi continuavano a sfuggire alla comprensione e alla misurazione. I primi test di intelligenza Dopo vari tentativi, negli anni compresi tra la fne dell’Ottocento e quelli precedenti la prima guerra mondiale, il tedesco Kraepelin, gli italiani Guicciardi e Ferrari e il francese Binet elaborarono dei test con cui misurare le funzioni psichiche superiori. Queste iniziative diffusero la speranza di poter trovare un metodo di studio che portasse alla comprensione dei processi mentali e avesse nello stesso tempo un valore scientifco. È in questo clima che all’Istituto J.J. Rousseau di Ginevra nacque, ad opera di Jean Piaget e dei suoi collaboratori, l’epistemologia genetica. Metodi e materiali Il lavoro svolto nell’istituto Rousseau di Ginevra ebbe grande risonanza nella seconda metà del Novecento, sia per i risultati ottenuti che per le metodologie utilizzate. Nelle sue ricerche Piaget utilizzò l’osservazione sistematica delle attività spontanee del bambino (gioco, dialogo, manipolazione), i colloqui clinici (guidati dal ricercatore) e una serie di test la cui soluzione non prevedeva dei limiti di tempo per le risposte. Osservazioni, colloqui e test non si svolgevano in laboratorio ma nell’ambiente di vita del bambino. A questi metodi di studio Piaget aggiunse il “metodo critico”, una particolare applicazione del metodo sperimentale che prevede l’impiego di materiale che attira l’attenzione del bambino e che è facilmente manipolabile (plastilina, asticelle, perline, modellini, recipienti, bamboline ecc.): oggetti che suscitano l’interesse e che consentono di tradurre, in termini concreti e semplici, concetti che richiederebbero, da parte del ricercatore, formulazioni verbali complesse e inadatte alla mente infantile. L’utilizzazione di questo materiale presenta delle fasi “critiche” che il bambino può superare, oppure no, utilizzando strategie più o meno evolute che rivelano il suo attuale livello di sviluppo mentale. È proprio il modo particolare di usare il materiale da parte dei bambini di età diversa che ha confermato l’ipotesi piagetiana di una intelligenza che si evolve “qualitativamente” durante l’età evolutiva sotto l’azione dei fattori maturativi. Successivamente altri studi scientifci ridimensioneranno talune interpretazioni della scuola di Ginevra soprattutto per quanto riguarda i primi due anni di vita.
LA RICERCA DI UN NUOVO METODO
Oksana Kuzmina, Shutterstock.
237
*
SEZIONE C
I processi mentali
▶
La teoria degli stadi Dai suoi numerosi
e originali esperimenti Piaget dedusse che lo sviluppo dell’intelligenza avviene per stadi, cioè attraverso fasi evolutive durante le quali i bambini ragionano ed agiscono secondo schemi mentali diversi da quelli dell’adulto. Il bambino recepisce, dell’ambiente e degli insegnamenti che gli vengono impartiti, soltanto ciò che gli è consentito in base al livello di sviluppo in cui si trova: è quindi tempo sprecato, spiega Piaget, insistere a insegnargli concetti in un periodo in cui non è ancora in grado di padroneggiarli. Nel considerare l’ontogenesi dello sviluppo mentale Piaget individua quattrograndi stadi o periodi (ognuno dei quali comprende dei sottostadi). Dan Lamont, Corbis.
1) Stadio dell’intelligenza sensomotoria (anteriore al linguaggio), fno ai 18 mesi circa. Età in cui il bambino acquisisce le prime abitudini motorie e incomincia a rappresentarsi le relazioni che esistono tra gli oggetti e le persone compresi i legami afettivi. Il bambino comincia a utilizzare anche rappresentazioni mentali degli oggetti e si rafgura anche gli spostamenti di oggetti non visibili. 2) Stadio dell’intelligenza intuitiva o pre-operatoria (unidirezionale e irreversibile) e dei rapporti sociali di subordinazione all’adulto (tra i due e i sei-sette anni). Compaiono il pensiero simbolico e il gioco simbolico (per esempio un bastone rappresenta una spada). 3) Stadio delle operazioni intellettuali concrete (logiche e “reversibili”) e dei sentimenti morali e sociali di cooperazione (tra i sei-sette e i dieci-undici anni). Il bambino è in grado di svolgere operazioni mentali più complesse, sviluppa la nozione della conservazione della quantità e nozioni sullo spazio, sul tempo, sul numero. 4) Stadio delle operazioni intellettuali astratte, della formazione della personalità e dell’inserimento nel mondo degli adulti (adolescenza). Dopo gli undici-dodici anni, il ragazzo utilizza il pensiero astratto, non parte necessariamente da un dato di esperienza per risolvere un problema; è in grado di formulare ipotesi e di verifcarle, riesce a risolvere problemi più complessi, prendendo in considerazione le diverse variabili. Utilizza nozioni come caso, probabilità, infnito.
Unilaterale e un po’ rigido Gli studi di Piaget sul modo di ragionare dei bambini in età prescolare hanno evidenziato le difcoltà che essi incontrano nel tenere presenti più relazioni contemporaneamente e i diversi passaggi di una trasformazione. Un esempio della prima difcoltà è illustrato nell’esperimento delle posate (Figura C3.1)dove i bambini di età prescolare hanno difcoltà ad ammettere che il cucchiaio sia contemporaneamente al centro di una duplice relazione, cioè a sinistra della forchetta e a ▶
Bloomua, Shutterstock.
238
L’apprendimento è attivo
destra del coltello (“se è a destra non può essere a sinistra”). Questa visione parziale delle cose è riscontrabile in molte delle valutazioni dei bambini di questa fascia d’età. Un altro esperimento classico di Piaget dimostra come i bambini di età prescolare si confondano facilmente sulla conservazione della quantità: per esempio quando si travasa una stessa quantità di liquido da un bicchiere stretto e lungo (A) a un bicchiere largo e basso (B) come illustrato nella Figura C3.2. I bambini piccoli si confondono perché sviati dalla diversa forma dei due bicchieri e perché prendono in considerazione una dimensione per volta (o l’altezza o la larghezza) senza considerare che ciò che si perde in verticale si guadagna in orizzontale. I bambini più grandi non si lasciano invece fuorviare dalle percezioni immediate delle forme e svolgono un ragionamento più complesso quindi comprendono che, nonostante le diverse forme dei bicchieri, la quantità di liquido è la stessa. (Piaget defnì il pensiero dei bambini di età scolare reversibile: a questa età si è in grado di immaginare una trasformazione in un senso e poi nel senso inverso).
UNITÀ C3
VIDEO: L’esperimento dei bicchieri.
Pressmaster, Shutterstock.
Il cucchiaio è al centro di un duplice rapporto: a destra (D) del coltello e a sinistra (S) della forchetta. Bambini al di sotto dei sei anni hanno difficoltà a pensare allo stesso oggetto da punti di vista opposti.
Figura C3.1
La quantità d’acqua varia a seconda della forma del bicchiere Secondo Piaget i soggetti che si trovano ancora nella fase dell’irreversibilità del pensiero ritengono che travasando dell’acqua dal bicchiere A al bicchiere B la quantità del liquido diminuisca, e ciò perché nel valutare la trasformazione si riferiscono al livello dell’acqua, più alto nel bicchiere stretto, più basso nel bicchiere largo. L’unidirezionalità del pensiero non consente infatti al bambino di considerare che una dimensione per volta, o l’altezza o la larghezza, vietandogli di rendersi conto che ciò che si perde in verticale si guadagna in orizzontale.
Figura C3.2
D S
A
B
239
SEZIONE C
I processi mentali
▶
L’intelligenza come adattamento all’ambiente Secondo Pia-
get l’intelligenza è una forma di adattamento, molto plastica ed elevata, dell’uomo al suo ambiente di vita. Ogni stadio evolve da quello precedente e la sequenza degli stadi è invariata; tuttavia può variare da un individuo all’altro la durata dei vari stadi. Il passaggio da uno stadio all’altro avviene a opera di due meccanismi psicologici: l’assimilazione e l’accomodamento, che permettono la costruzione delle conoscenze da parte del bambino. ▶
Assimilare e accomodare Assimilare signifca incorporare un ogget-
to, una frase, un’esperienza o un comportamento in uno schema mentale (o idea) preesistente. Per esempio, un bambino di un anno ha imparato che alcuni oggetti rimbalzano quando vengono lanciati in terra e pertanto tenderà - per assimilazione a uno schema che ha acquisito - a lanciare sul pavimento tutti gli oggetti che gli capitano tra le mani. Accomodare implica invece una modifca degli schemi mentali precedenti, ai fni di un miglior adattamento. Per esempio, se al bambino capita tra le mani un telefono, egli potrà in un primo tempo assimilarlo a schemi che già possiede e perciò potrà morderlo per vedere se è tenero, lanciarlo per vedere se rimbalza, scuoterlo per vedere se produce un suono. Ma soltanto quando avrà scoperto la peculiarità di quell’oggetto incomincerà a utilizzarlo correttamente portandolo all’orecchio.
Ritratto di Jean Piaget.
▶ Equilibrazione La crescita mentale comporta il superamento della tensione tra il tentativo di “assimilare” a schemi già noti e lo sforzo di “accomodare” il pensiero e l’azione a situazioni nuove: esiste una sorta di confittualità tra la tendenza a ricorrere a soluzioni già note e soluzioni non ancora sperimentate. Il bambino può apparire temporaneamente bloccato da questo confitto, ma ogni qual volta riesce, alla fne, a trovare una soluzione nuova ed efcace aumenta anche la sua capacità cognitiva. Piaget ha defnito equilibrazione questo processo adattivo che ingloba l’evento nuovo e ristruttura le vecchie strategie. Nel rapporto con la realtà, attraverso le esperienze che il bambino fa e parallelamente con l’evoluzione delle sue strutture biologiche, le strategie di interazione con l’ambiente circostante diventano sempre più complesse. ▶
Irina Schmidt, Shutterstock.
240
Oltre Piaget Gli studi di Piaget sullo sviluppo dell’intelligenza nel cor-
so dell’età evolutiva hanno avuto il merito “storico” di indicare che esistono delle diferenze nel modo di ragionare e di comprendere i rapporti - tra gli oggetti, tra le persone, nel tempo e nello spazio - nel corso della crescita. Tuttavia gli stadi che egli ha indicato nei suoi scritti si sono rivelati, alla luce di ricerche ed esperimenti successivi, non del tutto veritieri. Ulteriori studi condotti su bambini nei primi due anni di vita, hanno infatti dimostrato che a questa età i bambini hanno capacità intellettive superiori a quelle indicate da Piaget. Inoltre, come ha spiegato lo psicologo Robert Siegler, lo sviluppo cognitivo appare più simile a delle onde che si intersecano che a dei gradini che si susseguono. Per esempio, nel coniugare un verbo lo stesso bambino può usare indiferentemente diverse modalità o strategie (una delle quali giusta e le altre
L’apprendimento è attivo
UNITÀ C3
INTELLIGENZA ASSIMILAZIONE
ACCOMODAMENTO Confittualità
Incorporare un’esperienza in uno schema mentale preesistente
se si supera
Modifcare schemi mentali precedenti per un migliore adattamento
Equilibrazione t Nessuna modifca t Nessuna novità
t Modifcazione t Novità
Processo adattivo che ingloba l’evento nuovo e ristruttura le vecchie strategie
sbagliate) nell’arco della stessa giornata. Lo stesso accade quando si trova a dover afrontare un problema come quello dei gettoni riportato nella fgura C3.3: i bambini mettono in campo strategie diverse, per un po’ queste strategie si sovrappongono e si alternano, poi man mano essi selezionano quella corretta. Questo ondeggiare rientra in un processo naturale caratteristico della mente infantile che consente di passare in modo fuido da interpretazioni imprecise, sbagliate o parzialmente giuste e interpretazioni via via più corrette.
A B
Dove ci sono più bottoni, nella fila A o nella fila B? I bambini piccoli seguono per lo più la legge percettiva dei “confini”, cosicché se l’inizio e la fine della fila coincidono possono rispondere che c’è lo stesso numero di bottoni in entrambe le file, se però decidono di contarli - adottando cioè un’altra strategia - si rendono conto della differenza.
Figura C3.3
Pio3, Shutterstock.
Infne, il pensiero può svilupparsi anche oltre l’adolescenza. Studiosi post piagetiani, come ad esempio Klaus F. Riegel, hanno completato il quadro tracciato dal maestro, mostrando come esista un ulteriore stadio di sviluppo del pensiero che hanno chiamato “dialettico”, meno incline alle posizioni spesso radicali dell’adolescenza e più possibilista. Si incomincia ad accettare l’idea che l’ambivalenza sia frequente nei sentimenti umani e che la perfezione sia qualcosa a cui tendere piuttosto che una realtà raggiunta una volta per tutte. 241
SEZIONE C
C3.2
I processi mentali
Il modello cognitivista Il cognitivismo è un orientamento psicologico che si è diffuso verso gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento con l’apporto di studiosi provenienti da diversi indirizzi già diffusi, come il comportamentismo, la scuola della Gestalt, l’epistemologia genetica di Piaget. Il modello cognitivista è centrato sullo studio dei processi cognitivi e sulla mente intesa come sistema che elabora in modo attivo le informazioni provenienti dal mondo esterno.
*
cibernetica secondo la defnizione del suo fondatore, il matematico Norbert Wiener, la cibernetica è “lo studio del controllo e della comunicazione negli animali e nelle macchine”. Questo studio si fonda sull’ipotesi che vi sia una sostanziale analogia tra i “meccanismi di regolazione” delle macchine e quelli degli esseri viventi.
▶ La mente come un computer Negli anni Cinquanta-Sessanta l’interesse per la cibernetica* e gli studi sul funzionamento dei computer avevano stimolato un approccio allo studio dei processi cognitivi fondato sull’idea di un’analogia tra mente umana e computer, poiché entrambi ricevono ed elaborano informazioni che provengono dall’esterno. Allo schema classico del comportamentismo, stimoloArisposta, i cognitivisti sostituiscono lo schema inputAoutput, in cui l’output è frutto di una elaborazione attiva dei dati in entrata. Il modello SAR pur spiegando un certo numero di comportamenti, è ritenuto dai cognitivisti inadeguato per spiegare comportamenti complessi come il linguaggio, il ragionamento e alcuni tipi particolari di apprendimento. A diferenza dei comportamentisti che ritenevano impossibile studiare in modo diretto la mente (e concentravano la loro attenzione sui comportamenti e sul condizionamento), i cognitivisti si propongono di studiare i processi cognitivi, la mente e il pensiero umani.
COGNITIVISMO
STUDIO DELLA MENTE
242
COMPUTER
Ricezione di informazioni
Input
Elaborazione di informazioni
Output
La linguistica Una delle prime critiche al comportamentismo venne dal linguista statunitense Noam Chomsky (1928) secondo il quale, per spiegare la rapidità dell’apprendimento linguistico nei primi anni di vita, non ci si può basare sul modello SAR ma bisogna ipotizzare negli esseri umani l’esistenza di una specie di elaboratore del linguaggio, un sistema innato o LAD
▶
Neveshkin Nikolay, Shutterstock.
ANALOGIA
L’apprendimento è attivo
UNITÀ C3
(Language Acquisition Device) predisposto nel cervello per registrare ed elaborare i dati linguistici “in entrata”, comprendere e costruire delle regole e quindi produrre proposizioni. Il cervello svolge dunque un ruolo attivo e modellante. Esso è infatti, secondo Chomsky, fatto per parlare, tant’è che le modalità grammaticali e sintattiche con cui nelle diverse lingue vengono strutturate le frasi sono ricorrenti e in un numero limitato. CHOMSKY
LAD Language Acquisition Device
Elabora i dati linguistici
Capisce e costruisce le regole
Produce le proposizioni Sarah Holmlund, Shutterstock.
Poiché l’“elaboratore”, come un computer, ha delle sue specifche forme di organizzazione con cui elabora e memorizza le informazioni, compito specifco del ricercatore è pertanto quello di individuare queste forme. Si tratta cioè, utilizzando i contributi della cibernetica, della teoria dell’informazione e della fsiologia, di costruire dei modelli di funzionamento mentale che consentano di capire come lavora la mente. Scriveva Ulric Neisser (1928-2012), psicologo statunitense di origine tedesca: Il compito di uno psicologo che cerca di comprendere i processi cognitivi dell’uomo è analogo a quello di un tecnico che tenti di scoprire come è stato programmato il computer. Neisser fu il primo, nel 1967, a dare una formulazione teorico-organica ai contributi cognitivisti nell’opera Psicologia cognitivista. Egli elaborò una teoria, Human Information Processing (HIP) basata appunto sull’analogia mente/computer, che pone al centro l’analisi dei processi di raccolta e trattamento dell’informazione. Il confronto mente-computer ha prodotto numerosi studi sull’intelligenza artifciale nonché sulle valenze didattiche e formative dei computer, che possono essere usati anche per misurare e monitorare i risultati dello studente. L’ambito di studi dei cognitivisti è molto ampio e riguarda: memoria, pensiero, intelligenza, linguaggio, percezione, emozioni.
Ra2studio, Shutterstock.
243
sezione C
I processi mentali
NEISSER
HIP Human Information Processing
Raccolta informazioni
SCHEDA C3.2
Mente = Computer
Elaborazione informazioni
La psicologia cognitiva è un campo molto vasto che comprende vari ambiti di studio: percezione, attenzione, soluzione di problemi, memoria, apprendimento, sviluppo cognitivo e linguaggio. Essa indica anche un tipo di psicoterapia basata sul postulato che non sono tanto le pulsioni (come indicato dalla psicoanalisi) a determinare i comportamenti delle persone quanto i loro pensieri. Secondo lo psichiatra Aaron Beck, iniziatore negli anni Sessanta di questo tipo di terapia, il nevrotico, e in particolare il depresso, giudica se stesso e le proprie azioni partendo da premesse e interpretazioni errate. Compito della psicoterapia è quindi quello di correggere le concezioni errate e sradicare i pensieri negativi, divenuti compulsivi, promuovendo un nuovo modo di pensare.
PENSARE POSITIVO
Valua Vitaly, Shutterstock.
Dal cognitivismo al costruttivismo: Bruner
C3.3
Lo psicologo statunitense Jerome Bruner (1915) diede importanti contributi all’orientamento cognitivista. nel 1960 istituì ad Harvard un Centro di studi cognitivi che sancì il superamento del predominio scientifco del comportamentismo. tuttavia Bruner, ricercatore versatile e originale, è diffcile da “etichettare” in modo preciso, in quanto sebbene i suoi studi siano stati fondamentali per il cognitivismo essi hanno anche contribuito in maniera signifcativa allo sviluppo del costruttivismo. ▶ Apprendimento, cultura, interazione A fondamento della sua teoria sta l’idea che la cultura plasmi la mente che, a sua volta, crea la cultura. Secondo la psicologia culturale di Bruner, infatti, è la cultura che indica i modi e gli strumenti attraverso cui costruire le nostre conoscenze. Come Piaget, Bruner è convinto del ruolo attivo che l’individuo svolge nel processo di apprendimento ma, a diferenza dello psicologo ginevrino, sottolinea l’importanza del linguaggio come amplifcatore del pensiero. La conoscenza si costruisce attraverso l’interazione con l’ambiente circostante e con le persone che ne fanno parte.
Robynleigh, Shutterstock.
244
L’apprendimento è attivo
▶
UNITÀ C3
Le strategie di Bruner Bruner è un convinto assertore del ruolo del
linguaggio e dell’importanza dell’interazione e della didattica per lo sviluppo cognitivo. Secondo lui non esistono stadi di sviluppo ben delineati, come indicato da Piaget, ma una molteplicità di strategie che si sviluppano man mano e servono a interpretare ciò che si verifca nell’ambiente e in se stessi nel rapporto con l’ambiente. L’intelligenza afonda le sue radici - come per Piaget e Vygotskij - nella biologia, rifettendo istruzioni genetiche che appartengono alla specie. Bruner tuttavia rifuta l’estrema accentuazione dello sviluppo delle strutture interne/biologiche e dà uno spazio maggiore agli apprendimenti che via via si fanno e che consentono di sviluppare strategie sempre più complesse. ▶
Zorandim, Shutterstock.
il linguaggio come amplifcatore del pensiero In questo per-
corso, il linguaggio svolge un ruolo fondamentale. Con la sua ricchezza, i suoi concetti, le sue categorie, i verbi, le metafore, le similitudini ecc., esso rappresenta un amplifcatore del pensiero, così come la bicicletta o gli sci sono degli amplifcatori delle capacità motorie. In questa visione acquista grande importanza la didattica: per Bruner qualsiasi argomento può essere insegnato al bambino purché si rispettino le sue capacità di elaborare il messaggio a lui diretto. BRUNER
No stadi
LINGUAGGIO
CONOSCENZA Sì strategie
INDIVIDUO Amplifcatore del pensiero
Si costruisce
Ruolo attivo Interazione fra ambiente e persona
Come la bicicletta è amplifcatore del movimento
Per interpretare ciò che si verifca nell’ambiente
Processo di apprendimento
Viktor Gladkov, Shutterstock.
▶
il metodo della scoperta Bruner ha studiato in modo sperimentale
una particolare strategia di apprendimento, quella basata sulla scoperta. Si tratta di un metodo in cui chi insegna non travasa conoscenze o concetti già strutturati nella mente di chi sta imparando, ma agisce da facilitatore, lascia cioè al discente la libertà di esplorare e di individuare autonomamente un concetto, una soluzione, una procedura, una associazione o un signifcato. In questo modo è possibile scoprire relazioni e regolarità nell’ambiente che viene esplorato e s’impara a risolvere problemi attraverso l’esperienza e la ricerca. 245
SEZIONE C
I processi mentali
SCHEDA C3.3
I metodi che si basano sulla scoperta e l’indagine abituano ad abbandonare quella tendenza diffusa ad aspettare che siano gli altri a fornire le soluzioni. Ecco come un insegnante può applicare il metodo della scoperta con i propri allievi, un genitore con i propri fgli, un formatore con il suo gruppo: 1. Anzitutto bisogna sfruttare la propensione di chi impara, bambini e ragazzi in particolare, a trovare risposte a problemi o situazioni che hanno un signifcato personale. È utile, perciò, di tanto in tanto, far scegliere gli argomenti. Naturalmente occorre del tempo, soprattutto quando si agisce con bambini e ragazzi che devono avere modo di pensare, consultarsi, scrivere bozze di progetti, fare qualche ricerca preliminare. Al contempo bisogna essere preparati al fatto che alcuni non arrivino a esprimere alcuna idea e in questo caso bisogna intervenire con suggerimenti. 2. Per evitare che si imbocchi un vicolo cieco o che ci si concentri su dettagli insignifcanti, perdendo di vista gli aspetti rilevanti di un problema, è bene far sì che chi impara spieghi quello che sta facendo o il ragionamento che lo ha portato a una data scelta o soluzione. 3. È opportuno aiutare chi impara a cogliere i rapporti tra i vari aspetti di un problema, a seguire uno schema logico e a raccogliere ulteriori informazioni. Può essere necessario che il docente-formatore inquadri l’argomento che è stato scelto o fornisca informazioni o modelli interpretativi che consentano di non compiere errori di impostazione. 4. Perché questo metodo funzioni, è necessario che ognuno si senta libero di esprimere le proprie idee senza paura del ridicolo o dell’errore. Bisogna quindi stabilire un’atmosfera rilassata e far presente che si può “giocare” con le idee. Se sono gli stessi partecipanti a ridere o a sminuire ciò che è stato detto da un compagno è bene chiarire che non si possono produrre idee nuove se non si è “divergenti”, in quanto il pensiero divergente è alla base della creatività (unità C5). È anche utile incoraggiare la partecipazione, porre domande provocatorie, presentare dati contrastanti, essere paradossali... 5. Per affrontare un argomento controverso si può dividere il gruppo in gruppetti di quattro o cinque persone. Per evitare che qualcuno monopolizzi la parola può essere eletto nell’ambito di ogni gruppo un moderatore. Le conclusioni cui giungono i vari sottogruppi sono poi comunicate al gruppo intero. Il ruolo del “facilitatore” (insegnante, genitore, formatore) è quello di un osservatore benevolo, ma silenzioso, che interviene soltanto se è necessario riportare la discussione su binari costruttivi.
SCOPRIRE IN GRUPPO
▶
L’esperimento di Bruner Un esperimento illustra concretamente
i vantaggi del metodo della scoperta. A tre gruppi di bambini delle scuole medie furono sottoposte alcune coppie di parole. Al primo gruppo si chiese soltanto di memorizzarle; al secondo si disse di memorizzarle formulando un concetto - detto mediatore - che legasse la coppia e le desse un senso (per la coppia gatto-sedia un mediatore possibile è: “Il gatto dorme sulla sedia”); al terzo gruppo si disse infne di memorizzare le coppie di parole facendo uso dei “mediatori” scelti fra quelli proposti dai bambini del secondo gruppo. I bambini che idearono autonomamente i “mediatori” (quelli del 2° gruppo) riuscirono a ricordare fno al 95% di un elenco di 30 coppie, quelli che non erano stati istruiti a usarli ricordavano di rado più del 50%, mentre la percentuale di ricordo dei bambini che avevano usato dei mediatori proposti dagli altri era intermedia rispetto a quelle degli altri due gruppi.
Bloomua, Shutterstock.
246
L’apprendimento è attivo
▶
UNITÀ C3
Applicazioni scolastiche A scuola, il metodo della scoperta può es-
sere adottato in numerosi ambiti, ad esempio nello studio delle scienze naturali e della geografa. Nelle scienze naturali può essere più produttivo per un bambino comprendere lo sviluppo e il ciclo vitale di una pianta attraverso l’esperienza diretta, anziché leggerla su un libro di testo; se il bimbo semina, innafa, osserva la crescita di un fore, a poco a poco trarrà molte informazioni che gli permetteranno, con l’aiuto dell’adulto, di elaborare delle leggi generali che potrà applicare a situazioni simili, ad esempio sarà portato a riconoscere la terra, la luce e l’acqua come fondamentali per la vita di tutti i fori. In geografa invece di puntare sulla memoria per far ricordare nomi o fatti agli studenti si possono consegnare delle cartine mute per poi invitarli a collocare, attraverso domande che essi rivolgono all’insegnante, le città più importanti, le ferrovie, le montagne e le strade di grande comunicazione. Si potrebbe utilizzare la cartina della fgura C3.4 e chiedere agli studenti di localizzarvi le minoranze linguistiche (aiutandosi con il grafco sulle minoranze), le principali regioni eccetera.
Bikeriderlondon, Shutterstock.
Figura C3.4 Minoranze linguistiche in Italia (elaborazione Consorzio Universitario del Friuli su dati Presidenza del Consiglio dei Ministri). Lingua albanesi catalani croati francesi franco-provenzali friulani germanici greci ladini occitani sardi sloveni
NumElementi 46 1 3 6 32 176 36 10 43 108 210 32
Popolazione 103.266,00 19.202,00 2.001,00 6.982,00 49.587,00 734.335,00 40.800,00 69.597,00 67.288,00 160.388,00 858.751,00 316.603,00
Non nozioni ma incognite Altra possibilità è quella di far svolgere una ricerca che consenta di tracciare sulla stessa carta geografca le variazioni dei confni d’Italia nel tempo. In questo modo si impara che i confni sono una realtà variabile, frutto di guerre e trattative. L’obiettivo non è quello di presentare la geografa come un insieme di nozioni risapute, ma come un insieme di incognite che stimolano la curiosità e inducono gli studenti a cercare risposte e a stabilire collegamenti tra le informazioni che, via via, sono accumulate. Se questo metodo è applicato bene, non soltanto permette di sviluppare abilità utili a risolvere i problemi, ma stimola anche la fducia nelle proprie capacità. Inoltre, come abbiamo rilevato in precedenza, le soluzioni trovate in modo attivo hanno il vantaggio di essere ricordate più a lungo.
▶
Vladgrin, Shutterstock.
247
sezione C
I processi mentali
SCHEDA C3.4
L’addestramento all’indagine è un approccio analogo a quello della scoperta, particolarmente indicato per argomenti basati su dimostrazioni ed esperimenti come la fsica. Si presenta (eventualmente utilizzando un flmato) un fenomeno della fsica, ma non si fornisce alcuna spiegazione: spetta agli alunni scoprire il rapporto causa-effetto attraverso le domande che essi stessi pongono all’insegnante, il quale da parte sua può rispondere soltanto con un “sì” o con un “no”. Se l’alunno non formula domande utili, l’insegnante lo può instradare indicandogli l’ambito verso il quale volgere la rifessione. È un metodo divertente, che assomiglia in qualche modo alla soluzione di un giallo e all’interrogatorio di un testimone reticente. Utilizzato in un gruppo, trasforma l’esperienza di apprendimento in un gioco logico.
L’ADDESTRAMENTO ALL’INDAGINE
Dooder, Shutterstock.
La conoscenza nella prospettiva storico-culturale
C3.4
il costruttivismo è stato infuenzato dalla psicologia cognitiva di piaget e di Bruner e ha le sue radici nella prospettiva storico-culturale di vygotskij. possiamo infatti considerare lo psicologo russo Lev Sémenovitch Vygotskij (1896-1934), l’anticipatore del costruttivismo. Contemporaneo di piaget, ne recepì la metodologia ma ritenne che gli stadi indicati dal collega ginevrino fossero eccessivamente rigidi e legati alla maturazione biologica; secondo lui, invece, la crescita cognitiva è anche il prodotto di fattori culturali e linguistici.
Fattori culturali Fattori linguistici
248
VYGOTSKIJ
PIAGET
CRESCITA COGNITIVA conoscenza
SVILUPPO PER STADI
Interazione sociale
Stati legati alla maturazione biologica
L’apprendimento è attivo
▶
UNITÀ C3
L’importanza del contesto sociale La conoscenza si sviluppa nel
rapporto dialettico che c’è tra individuo e società. L’interazione sociale, il linguaggio, la cultura sono elementi imprescindibili nel processo di apprendimento. Le conoscenze infatti non sono solo il risultato di una trasmissione dal docente al discente, ma si strutturano attraverso le relazioni e lo scambio con gli altri nelle molteplici occasioni in cui facciamo esperienza. Tutto ciò avviene nel sistema culturale in cui cresciamo e i cui valori, credenze, signifcati attribuiti alla realtà infuenzano il modo di strutturare le nostre conoscenze. ▶ il linguaggio infuisce sul pensiero Vygotskij sottolinea come ogni funzione psichica si presenti due volte nello sviluppo del bambino; anzitutto a livello sociale, cioè nel rapporto con gli altri, e poi a livello individuale, attraverso l’interiorizzazione. Pensiamo al linguaggio, che per Vygotskij riveste un ruolo di primo piano nello sviluppo intellettivo. In un primo momento il linguaggio ha principalmente una funzione comunicativa, di contatto sociale. Con il tempo, pur mantenendo una valenza comunicativa, esso assume una funzione individuale, di supporto del pensiero. Il linguaggio serve così a formulare ragionamenti e rifessioni e apporta nuovi contenuti al pensiero, mentre a livello cerebrale si formano nuove connessioni tra i neuroni. Se nei primi tre-quattro anni dunque il linguaggio è prevalentemente socializzato, cioè serve per lo più a comunicare con gli altri, da un certo momento in poi una parte del linguaggio verbale diventa interiore, svolgendo, dapprima con parole udibili poi in silenzio, il ruolo di guida del pensiero: aiuta a tenere il flo di un ragionamento o di un discorso, consente di analizzare un problema nei suoi vari aspetti. Per esempio, un bambino di cinque-sei anni che disegna, accompagna con parole la fgura che sta tracciando e le parole che pronuncia lo aiutano nel proseguimento del lavoro. Insomma, il linguaggio non si limita ad esprimere il pensiero, ma lo guida.
Inara Prusakova, Shutterstock.
FUNZIONE PSICHICA NEL BAMBINO
1° livello sociale
SI PRESENTA DUE VOLTE
2° livello individuale
Esempio
Esempio
Linguaggio funzione psichica sociale
Linguaggio funzione psichica individuale
Funzione comunicativa di contatto sociale
Funzione di supporto al pensiero
249
SEZIONE C
I processi mentali
▶
Zona prossimale di sviluppo Interessante e produttiva sotto il
proflo didattico è la nozione di zona prossimale di sviluppo. Bisogna capire, spiega Vygotskij, quando un alunno è pronto per recepire un messaggio, un chiarimento, una nuova nozione. Si tratta, in altre parole, di creare le condizioni afnché l’alunno, dal livello attuale di conoscenza in cui si trova, possa acquisire le abilità che a livello potenziale potrà sviluppare. Tra i due livelli c’è la cosiddetta zona prossimale di sviluppo, uno spazio di sensibilità all’apprendimento, la zona di maggior interesse per l’educatore. È in questa fase che sono presenti conoscenze e abilità allo stato embrionale che l’interazione con gli altri può espandere; è qui che l’alunno può compiere un passo avanti nella conoscenza senza tuttavia forzare i tempi dello sviluppo. Se infatti i contenuti che l’insegnante intende fargli apprendere sono troppo vicini al suo livello attuale di sviluppo non ci sono progressi signifcativi; se invece sono troppo lontani, ugualmente non ci sarà progresso, tutt’al più si verifcheranno degli pseudo-apprendimenti che non lasciano traccia e qualche volta confondono.
INSEGNANTE
Troppo vicini al livello attuale di sviluppo
CONTENUTI DA FAR APPRENDERE ALL’ ALUNNO
No progresso dell’alunno Troppo lontani del livello attuale di sviluppo
Nella zona prossimale di sviluppo
Sì progresso e apprendimento
Figura C3.5 Zona prossimale di sviluppo: differenza fra il livello di conoscenza in cui si trova l’alunno e il livello dove potrebbe arrivare con l’aiuto dell’insegnante (o dell’insegnamento).
Q
Livello di diffcoltà
P
R
A
B
250
Livello di conoscenza
L’apprendimento è attivo
UNITÀ C3
L’orientamento costruttivista
C3.5
Piaget, Vygotskij e Bruner, pur nelle differenti prospettive, hanno concepito l’apprendimento come un processo attivo che avviene attraverso l’interazione con l’ambiente esterno. Questa concezione costituisce lo sfondo dell’orientamento costruttivista che ha visto moltiplicarsi le ricerche su nuovi modelli didattici improntati verso una maggiore partecipazione individuale e cooperazione con gli altri.
▶
La conoscenza come costruzione Il paradigma costruttivista vede
la conoscenza come un processo di costruzione attiva da parte del soggetto che conosce. L’apprendimento non consiste in una semplice registrazione dei dati della realtà esterna, bensì nell’organizzazione di sensazioni, percezioni, cognizioni, nella defnizione di caratteristiche e relazioni tra le cose, e nell’attribuzione di signifcati alla realtà esterna. Sono io, soggetto della conoscenza, che metto in relazione i dati dell’esperienza e li interpreto; non esiste una realtà assoluta, oggettiva, che si pone di fronte a me per essere conosciuta secondo modalità predefnite. ▶
La conoscenza è individuale Pensa alla tua classe, dove sei ora: ogni
studente percepisce l’aula, l’insegnante, i compagni, i rumori, gli odori ecc. Ma la costruzione nella mente di tale realtà esterna è diversa da studente a studente: ognuno darà importanza ad alcuni elementi anziché ad altri; ognuno, tornato a casa, riferirà sensazioni, momenti ed episodi diversi, o lo stesso episodio in modo diverso. Quello che sta succedendo in classe, in questo momento, non ha un valore assoluto e oggettivo, ossia uguale per tutti. Ogni conoscenza è individuale poiché è il singolo soggetto che attribuisce signifcati alle sue esperienze, nella realtà in cui opera. ▶
La conoscenza avviene in un contesto La conoscenza però av-
viene sempre all’interno di un contesto, perché utilizza gli strumenti e gli artefatti della cultura in cui l’individuo cresce, primo fra tutti il linguaggio. Quando un bambino impara che cosa è un mammifero, utilizza la lingua che ha appreso vivendo nella sua comunità parlante (la famiglia, gli amici, i conoscenti, la scuola); può conoscere i mammiferi andando a visitare una fattoria, oppure attraverso i libri o il computer, mediante l’interazione con l’adulto. Tuttavia, anche se elabora una conoscenza personale del mammifero, tale conoscenza viene adattata per essere compatibile con quella degli altri, utilizzando le stesse parole e gli stessi strumenti che usano gli altri.
Aleksandr hunta, Shutterstock.
251
SEZIONE C
I processi mentali
ORIENTAMENTO COSTRUTTIVISTA No registrazione passiva dei dati della realtà
Processo di costruzione
CONOSCENZA
Né assoluta né oggettiva
è relativa è soggettiva
Avviene sempre in un contesto
▶
Il soggetto mette in relazione i dati dell’esperienza e li interpreta
Il singolo dà signifcato alle sue esperienze
Costruttivismo radicale e socio-costruttivismo Il costruttivi-
smo è un orientamento in cui convergono teorie diverse, tutte accomunate dall’idea che la conoscenza derivi da un’opera di costruzione della realtà da parte dell’individuo. Possiamo però riconoscere nell’orientamento costruttivista due tendenze principali: il costruttivismo radicale e il socio-costruttivismo. Il primo pone l’accento soprattutto sull’individuo come costruttore di conoscenza, il secondo sottolinea invece come la costruzione della conoscenza avvenga sì in modo personale, ma sempre attraverso l’interazione con gli altri individui, ed evidenzia soprattutto l’infuenza degli aspetti culturali e sociali nei processi conoscitivi. Tra gli studiosi costruttivisti ricordiamo il tedesco Ernst von Glasersfeld (19172010), esponente di una visione costruttivista radicale, gli statunitensi George Kelly (1905-1967) e Kenneth Gergen (1934), il belga Willem Doise (1935). ORIENTAMENTO COSTRUTTIVISTA SOCIO-COSTRUTTIVISMO
RADICALI
Costruzione della conoscenza
Individuo
APPRENDIMENTO
= PROCESSO ATTIVO
Integrazione con gli altri
252
=
costruttore di conoscenza
L’apprendimento è attivo
▶
UNITÀ C3
Una didattica costruttivista Si apprende in qualsiasi contesto,
anche in modo informale, quando siamo in famiglia, con gli amici, a scuola. Dobbiamo dunque considerare la scuola come uno dei tanti contesti in cui avviene l’apprendimento, sebbene un contesto particolarmente rilevante al quale i costruttivisti hanno dedicato molte attenzioni. Essi propongono infatti una didattica rinnovata, che sia attiva e ponga al centro le esperienze dello studente. Le proposte più interessanti sono di tipo socio-costruttivista e partono dalla considerazione che l’apprendimento è un fatto sociale, che si verifca nell’interazione con gli altri. ▶
Imparare con gli altri La collaborazione con i compagni stimola le
potenzialità cognitive del soggetto: è attraverso il confronto, la discussione e anche il confitto che si mettono in discussione le proprie posizioni, le proprie “teorie ingenue” sul mondo e si cercano delle soluzioni che integrino le diverse prospettive. Si impara uno con l’altro e uno dall’altro. Imparare a collaborare con gli altri è una competenza da sviluppare fn dall’infanzia, poiché sta alla base della vita sociale e del mondo del lavoro: si lavora insieme agli altri e occorre sapersi relazionare, saper discutere senza prevaricazioni, saper individuare un punto di incontro tra posizioni diverse. Numerosi esperimenti hanno messo in luce i vantaggi dell’apprendimento cooperativo: la condivisione e il confronto di idee, ipotesi e conclusioni possono favorire una conoscenza più approfondita e facilitare la soluzione di problemi.
L’ambiente di apprendimento In particolare il socio-costruttivismo sottolinea l’importanza dell’ambiente di apprendimento, superando una concezione della didattica come mera trasmissione di nozioni: la conoscenza viene costruita, non riprodotta. L’insegnante che segue questo approccio deve dunque predisporre materiali e strumenti, nonché proporre temi e problemi da affrontare in collaborazione con e tra gli studenti, attraverso il riferimento a casi reali, cercando possibilmente di presentare compiti legati alla realtà, piuttosto che discorsi astratti, facendo infine emergere la varietà delle soluzioni e dei percorsi possibili. La didattica costruttivista privilegia la manipolazione e costruzione diretta di oggetti, materiali, testi.
▶
rifessione metacognitiva rifessione sul processo conoscitivo.
▶ Imparare un metodo per imparare L’apprendimento mira a interiorizzare un metodo di conoscenza che porti il discente a rendersi sempre più autonomo nel percorso conoscitivo. Il processo è infatti sociale, in quanto avviene “con gli altri”, ma al contempo è anche individuale, in quanto ognuno deve costruire il proprio percorso individuale. La rifessione metacognitiva* è parte integrante del processo. Nella metacognizione lo studente analizza le sue azioni e diventa consapevole di come sta imparando, acquisendo così gli strumenti per applicare il suo metodo di indagine anche in altri ambiti.
Angela Waye, Shutterstock.
253
*
SEZIONE C
I processi mentali
▶
Le nuove tecnologie Grande rilevanza è data alle nuove tecnologie
che possono ofrire un forte supporto all’apprendimento. Internet dà la possibilità di accedere a molto materiale e documentazione online, secondo i propri interessi. I computer e la lavagna elettronica sono strumenti che possono fornire un grande contributo per lezioni più vivaci, emotivamente stimolanti per l’alunno e la classe, e indurre così comportamenti più attivi (ricerca materiale, costruzione di presentazioni, ipertesti, partecipazione a forum di discussione ecc.). Le possibilità oferte dalle reti sono ormai evidenti: la cooperazione può avvenire anche tra soggetti distanti tra loro; una discussione su un tema può svolgersi secondo tempi e modalità fessibili (ognuno può partecipare a una discussione sulla rete quando vuole); anche i più timidi, che hanno difcoltà a prendere la parola in pubblico, possono esprimere la loro idea. Le nuove tecnologie rispondono dunque sia alla necessità di creare dei percorsi personalizzati di apprendimento, sia alla necessità di essere in relazione e condividere le conoscenze con gli altri. NUOVE TECNOLOGIE
Lezioni più stimolanti
Cooperazione Tempi e modalità fessibili
254
Condivisione conoscenze
APPRENDIMENTO
Percorsi personalizzati
C
SEZIONE
SEZIONE
CRIASSUMIAMO APPRENDIMENTO E SVILUPPO La teoria dello svizzero Jean Piaget si situa nell’ambito delle concezioni che vedono l’apprendimento come un processo attivo, in cui l’individuo interagisce con l’ambiente circostante. L’epistemologia genetica di Piaget sottolinea l’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali nella crescita del bambino, e individua diverse fasi nello sviluppo
dell’intelligenza. Egli utilizza, oltre ai test, il metodo dell’osservazione diretta e del colloquio. L’assimilazione (incorporare un oggetto in uno schema mentale preesistente) e l’accomodamento (modifcazione degli schemi mentali precedenti) sono i due meccanismi che permettono la costruzione delle conoscenze da parte del bambino. BrianWancho, Shutterstock.
IL MODELLO COGNITIVISTA Il cognitivismo si difonde a metà del Novecento come superamento del modello comportamentista che considera l’individuo passivo nel processo conoscitivo. I cognitivisti studiano la mente comparandola a un computer. Allo schema comportamentista stimolo/risposta sostituiscono lo schema input/output in cui l’output è frutto di una elaborazione attiva dei dati in entrata. Una delle prime critiche al comportamentismo venne dal linguista statunitense Noam Chomsky per il quale l’acquisizione del linguaggio non può essere spiegata solo come imitazione e sulla base dello sche-
ma stimolo-risposta. Egli ipotizza l’esistenza di un dispositivo innato (LAD) nel cervello, che permette di registrare ed elaborare i dati linguistici. Neisser dà una formulazione organica alla teoria cognitivista con l’opera Psicologia cognitivista. Egli elaborò una teoria, Human Information Processing (HIP) basata appunto sull’analogia mente/computer, che pone al centro l’analisi dei processi di raccolta e trattamento dell’informazione. I cognitivisti si sono occupati di vari ambiti: percezione, attenzione, soluzione di problemi, memoria, apprendimento, linguaggio ed emozioni. Johan Swanepoel, Shutterstock.
255
SEZIONE C
I processi mentali
LA PSICOLOGIA CULTURALE DI BRUNER Lo psicologo statunitense Jerome Bruner diede importanti contributi sia all’orientamento cognitivista sia a quello costruttivista. Egli sottolinea il ruolo centrale della cultura nel processo conoscitivo, poiché essa ofre gli strumenti e
i modi attraverso cui conoscere. Bruner ritiene che la conoscenza avvenga in modo attivo, attraverso l’interazione con l’ambiente circostante. L’apprendimento non è mera registrazione di dati esterni, bensì scoperta. Alphaspirit, Shutterstock.
LA PROSPETTIVA STORICO-CULTURALE DI VYGOTSKIJ Lev Sémenovitch Vygotskij è considerato l’anticipatore del costruttivismo per l’importanza che attribuisce al rapporto interattivo tra l’individuo che apprende e l’ambiente sociale e culturale. Il linguaggio dapprima ha una funzione comunicativa
e successivamente di supporto e potenziamento del pensiero. L’educatore deve porre attenzione alla zona prossimale di sviluppo, in cui sono presenti conoscenze e abilità allo stato embrionale che l’interazione con gli altri può far espandere. Pressmaster, Shutterstock.
IL COSTRUTTIVISMO Il paradigma costruttivista vede la conoscenza come un processo attivo, in cui il soggetto che conosce riorganizza sensazioni, percezioni, cognizioni; individua relazioni tra gli oggetti; attribuisce signifcati alla realtà esterna. La conoscenza è dunque individuale, in quanto è il
singolo soggetto che attribuisce signifcati alle sue esperienze, ma è al tempo stesso sociale poiché avviene sempre all’interno di un contesto in cui l’individuo utilizza gli strumenti e gli artefatti della cultura in cui cresce, primo fra tutti il linguaggio. In Green, Shutterstock.
LA DIDATTICA COSTRUTTIVISTA Pone l’accento sulla collaborazione e cooperazione tra i discenti; sull’importanza dell’ambiente di apprendimento (materiali e strumenti vari; costruzione diretta di oggetti, mate-
riali, testi), sul riferimento alla realtà piuttosto che a discorsi astratti; sulla rifessione metacognitiva rispetto ai propri processi di apprendimento; sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Panom Pensawang, Shutterstock.
256
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
C
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
SEZIONE
SEZIONE
C
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
Il pensiero simbolico, secondo Piaget, compare nello stadio pre-operatorio
V
F
b
Il bambino nello stadio pre-operatorio è egocentrico
V
F
c
La teoria dell’epistemologia genetica di Piaget si basa sull’idea di una analogia fra mente umana e computer
V
F
d
Secondo Piaget l’apprendimento è un fatto sociale
V
F
e
Vygotskij può essere considerato l’anticipatore del costruttivismo
V
F
f
La zona prossimale di sviluppo è uno spazio sensibile all’apprendimento
V
F
g
Secondo l’orientamento costruttivista la conoscenza equivale alla registrazione dei dati della realtà
V
F
h
Secondo i costruttivisti l’apprendimento cooperativo, oltre a favorire una conoscenza più approfondita, potenzia anche le capacità cognitive del soggetto
V
F
1 Secondo la teoria di Piaget, il bambino recepisce dall’ambiente:
Competenza Acquisire le informazioni
□ qualsiasi cosa; la sua mente è come una “spugna” che assorbe tutto □ soltanto ciò che gli è consentito in base al livello di sviluppo in cui si trova □ ciò che gli viene proposto sotto forma di gioco
2 Un bambino possiede il pensiero reversibile quando: □ riesce a interpretare la realtà in modo elastico e mostra capacità di adattamento □ è capace di rispondere delle proprie azioni in modo responsabile □ è in grado di immaginare una trasformazione in un senso e poi nel senso inverso
3 Secondo i cognitivisti vale lo schema: □ SAR □ input A output □ SI A SC
257
SEZIONE C
I processi mentali
4 Per Vygotskij le conoscenze si strutturano: □ attraverso le relazioni e lo scambio con gli altri □ attraverso lo studio individuale e i progressi nell’apprendimento □ attraverso le relazioni e lo scambio con gli altri in un sistema culturale
5 La zona prossimale di sviluppo: □ equivale alla diferenza fra il livello attuale di conoscenza di un individuo (in cui egli si trova) e il suo livello potenziale (dove può arrivare un individuo nell’apprendimento) □ coincide con la particolare situazione di sensibilità del bambino per l’acquisizione della propria sicurezza ed autonomia dagli adulti □ è la “zona di prova”, ovvero il momento in cui il bambino impara a fare le cose da solo, senza essere ripetutamente e prontamente corretto dagli adulti (educatori o genitori)
1 Che cosa si intende per assimilazione e accomodamento? 2 Come si costruisce la conoscenza per Bruner?
Competenza Acquisire e interpretare le informazioni
3 Perché la teoria Human Information Processing (HIP) si basa sull’analogia mente/computer?
4 Quali sono le diferenze fra il costruttivismo radicale e il socio-costruttivismo?
5 Prova a risolvere il seguente quesito: Giocando a dadi (con due dadi) è più probabile che esca il 2 o il 7?
1 Completa la seguente tabella con le informazioni mancanti
Competenza Sapere analizzare la realtà
APPRENDIMENTO
258
Teoria o riferimento teorico
Autore
Epistemologia genetica
Piaget
LAD (Language Acquisition Device)
Chomsky
HIP (Human Information Processing)
Neisser
Metodo della scoperta
Bruner
Zona prossimale di sviluppo
Vygotskij
Caratteristiche
L’apprendimento è attivo
UNITÀ C3
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: atten-
Competenza
zione! Alcuni sono in più!
Sapere usare il lessico della disciplina
IMPARARE CON GLI ALTRI. La collaborazione con i compagni stimola le potenzialità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . del soggetto. […] È imparare a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . con gli altri è una competenza da sviluppare fn dall’infanzia, poiché sta alla base della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e del mondo del lavoro. […] Numerosi esperimenti hanno messo in luce i vantaggi dell’apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . : la condivisione e il confronto di idee, ipotesi e conclusioni può favorire una conoscenza più approfondita e facilitare la soluzione di problemi. […] L’insegnante deve dunque predisporre materiali e strumenti, nonché proporre temi e problemi da afrontare in . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . con e tra gli studenti, attraverso il riferimento a casi reali. […] La didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . privilegia la manipolazione e costruzione diretta di oggetti, materiali, testi. cognitive - culturali - collaborare - studiare - sociale - scolastica - intensivo - cooperativo - collaborazione - competizione - cognitivista - costruttivista
1 Abbina con una freccia l’informazione di sinistra con quella di destra. 1. Intelligenza sensomotoria
a. Primo stadio
2. Operazioni intellettuali astratte
b. Secondo stadio
3. Operazioni intellettuali concrete
c. Terzo stadio
4. Intelligenza intuitiva o pre-operatoria
d. Quarto stadio
Competenza Individuare collegamenti e relazioni
259
sezione
sezione
C
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
L’obiettivo di questo laboratorio è verifcare se i bambini in età prescolare hanno acquisito la conservazione della quantità secondo la teoria di Piaget.
Nello stadio delle operazioni intellettuali concrete, secondo il modello di sviluppo di Piaget, il bambino sviluppa la nozione della conservazione della quantità. Ad esempio capisce che il numero degli oggetti non cambia anche se la disposizione viene modifcata.
istruzioni
Disporre le monetine come riportato nella fgura 1 e chiedere ad un bambino di 4 anni e ad uno di 6 se le monete riportate nelle due righe coincidono. Disporre le monete come in fgura 2 e chiedere ad un bambino in quale fla ci sono più monetine Disporre le monete come in fgura 3 e chiedere ad un bambino in quale fla ci sono più monetine n°
1
2
3
260
FiGURA
RisPostA BAMBino
C
L’apprendimento è attivo
UNITÀ C3
• Quali sono le caratteristiche dello stadio dello sviluppo in cui il bambino riesce ad acquisire la conservazione della quantità? Risposte date dal bambino 1. Nella fla 1 c’è lo stesso numero di monete nelle due fle 2. Nella fla 2 ci sono più monete nella riga di sotto 3. Nella fla 3 ci sono più monete nella riga sopra Le risposte seguenti, sono date da un bambino che: □ non possiede la conservazione della quantità □ possiede la conservazione della quantità □ è egocentrico
2 L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO L’obiettivo di questo laboratorio è verifcare quanto sia importante imparare insieme in modo cooperativo e sperimentando quanto la soluzione possa essere il prodotto delle diverse prospettive.
Competenza Sapere interpretare la realtà
L’apprendimento cooperativo può favorire una conoscenza più approfondita e facilitare la soluzione di problemi. Imparare a collaborare con gli altri è una competenza da sviluppare e stimola le potenzialità cognitive del soggetto.
Defnizione
Ruolo degli studenti 1. 2. 3. 4.
istruzioni
Uno studente legge a turno Un gruppo di studenti pone domande Un gruppo di studenti riscrive il contenuto Un gruppo presenta il lavoro alla classe
Attività 1. Gli studenti, dopo una breve discussione, selezionano una lettura dal proprio libro di testo, che sarà approfondita 2. Gli studenti si divideranno in piccoli gruppi e ogni studente avrà un ruolo determinato da svolgere 3. Dopo la lettura (se necessario si può rileggere) rispondere alle domande: Chi, Che cosa, Quando, Dove, Perché 4. Riscrivere il contenuto del brano con parole proprie 5. Presentazione all’intera classe del risultato 6. Chiedere all’insegnante una valutazione del contenuto (senza voto). 7. Ogni studente deve avere sul proprio foglio o quaderno il lavoro fnale • Quali sono le caratteristiche di questa forma di apprendimento? Sofermati principalmente sulla valenza sociale. • È stato interessante? Perché?
261
SEZIONE
SEZIONE
C
C
LEGGIAMO 1 LO SVILUPPO PSICO-INTELLETTIVO DEL BAMBINO
V
ygotskji elabora la teoria dell’area dello sviluppo potenziale. Nel brano che segue, egli spiega la diferenza tra il livello dello sviluppo efettivo del bambino e il livello potenziale di apprendimento. Viene così messa in discussione l’idea piagetiana di stadi di sviluppo ben defniti il cui raggiungimento è necessario per determinati apprendimenti.
Apprendimento adeguato al livello di sviluppo: efettivo o potenziale? È una constatazione empirica, frequentemente verifcata e indiscutibile, che l’apprendimento deve essere congruente col livello di sviluppo del bambino. Non è afatto necessario fornire delle prove per dimostrare che solo ad una certa età si può cominciare ad insegnare la grammatica, che solo ad una certa età l’alunno è in grado di apprendere l’algebra. Possiamo perciò tranquillamente prendere come punto di partenza il fatto fondamentale ed incontestabile che vi è una relazione tra un dato livello di sviluppo e la capacità potenziale di apprendimento. Tuttavia recentemente si è concentrata l’attenzione sul fatto che quando si tenta di defnire l’efettiva relazione fra processo di sviluppo e capacità potenziale di apprendimento, non ci si può limitare ad un solo livello di sviluppo. Bisogna determinare almeno due livelli di sviluppo di un bambino, altrimenti non si riuscirà a trovare la relazione tra sviluppo e capacità potenziale di apprendimento in ogni caso specifco. Il primo di questi livelli lo chiamiamo livello dello sviluppo efettivo del bambino. Intendiamo quel livello di sviluppo delle funzioni psico-intellettive del bambino che è stato raggiunto come risultato di uno specifco 262
processo di sviluppo, già compiuto. Quando si stabilisce l’età mentale del bambino con l’aiuto dei test, ci si riferisce quasi sempre al livello di sviluppo efettivo. Un semplice controllo dimostra però che questo livello di sviluppo efettivo non indica afatto in modo completo lo stato presente di sviluppo del bambino. Supponiamo di aver sottoposto a test due bambini, e di aver stabilito che entrambi hanno un’età mentale di sette anni. Quando però sottoponiamo i bambini a ulteriori prove, vengono alla luce diferenze sostanziali tra loro. Con l’aiuto di domande-guida, esempi e dimostrazioni, un bambino risolve facilmente i test, superando di due anni il suo livello di sviluppo efettivo. A questo punto entrano direttamente in gioco i concetti fondamentali per valutare l’area di sviluppo potenziale. Ciò è a sua volta collegato ad una rivalutazione del problema dell’imitazione nella psicologia contemporanea. Il punto di vista tradizionale considera scontato che la sola indicazione possibile del grado di sviluppo psico-intellettivo del bambino è la sua attività indipendente, e non l’imitazione comunque intesa. Tutti gli attuali metodi di misurazione rifettono questa concezione. Le sole prove prese in considerazione per indicare lo sviluppo psico-intellettivo sono quelle che il bambino supera da solo senza l’aiuto di altri e senza domande-guida o dimostrazioni. Varie ricerche hanno dimostrato che questo punto di vista è insostenibile.[…]
Area di sviluppo potenziale La diferenza sostanziale nel caso del bambino è che egli può imitare un gran numero se non addirittura un numero illimitato di azioni che oltrepassano i li-
L’apprendimento è attivo
miti della sua capacità attuale. Con l’aiuto dell’imitazione nell’attività collettiva sotto la guida degli adulti, il bambino può fare molto più di quanto possa fare con la sua capacità di comprensione in modo indipendente. La diferenza tra il livello dei compiti eseguibili con l’aiuto degli adulti e il livello dei compiti che possono essere svolti con una attività indipendente defnisce l’area di sviluppo potenziale del bambino. Rivediamo un momento l’esempio dato sopra. Abbiamo dinanzi due bambini con un’età mentale di sette anni, ma uno, con un po’ d’aiuto, può superare test fno ad un livello mentale di nove anni, l’altro solo fno ad un livello mentale di sette anni e mezzo. Lo sviluppo mentale di questi due bambini è equivalente? La loro attività indipendente è equivalente, ma dal punto di vista della potenzialità futura di sviluppo i due bambini sono radicalmente diversi. Ciò che il bambino è in grado di fare con l’aiuto degli adulti lo chiamiamo zona del suo sviluppo potenziale. Ciò signifca che con l’aiuto di questo metodo possiamo misurare
Unità C3
non solo il processo di sviluppo fno al momento presente ed i processi di maturazione che già hanno avuto luogo, ma anche i processi che stanno ancora avvenendo, che solo ora si stanno maturando e sviluppando. […] Sappiamo da una gran quantità di ricerche […] che lo sviluppo delle funzioni psico-intellettive superiori nel bambino, di quelle funzioni specificamente umane formatesi nel corso della storia del genere umano, è un processo assolutamente unico. Abbiamo altrove formulato la legge fondamentale dello sviluppo di queste funzioni nel modo seguente: Tutte le funzioni psico-intellettive superiori appaiono due volte nel corso dello sviluppo del bambino: la prima volta nelle attività collettive, nelle attività sociali, cioè come funzioni interpsichiche; la seconda nelle attività individuali, come proprietà interne del pensiero del bambino, cioè come funzioni intrapsichiche. ■ L. Vygotskij, Psicologia e pedagogia, Editori Riuniti, Roma 1978
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
L’area di sviluppo potenziale è data dalla differenza tra il livello dei compiti eseguibili v con l’aiuto degli adulti e il livello dei compiti che sono svolti in modo indipendente
F
b
Un bambino è in grado di imitare un numero illimitato di azioni che superano i limiti v della sua capacità attuale
F
c
Lo sviluppo delle funzioni psico-intellettive superiori del bambino è un processo unico v
F
▶ L’apprendimento di un bambino è sempre collegato:
□ allo stato presente di sviluppo del bambino, quello già raggiunto □ al livello dello sviluppo effettivo e a quello potenziale □ al livello potenziale, non ancora raggiunto ▶ spiega a parole tue cosa si intende per livello potenziale di apprendimento. ▶ potresti fare qualche esempio che provi l’esistenza di un nesso tra un livello di svi-
luppo e la capacità di apprendimento?
263
LEGGIAMO 2 I BAMBINI COME PENSATORI
È
dallo scambio di informazioni e dall’interazione con le opinioni degli altri che i bambini danno signifcato alle esperienze che fanno ed elaborano delle teorie sul mondo e sulla mente. Secondo l’approccio della pedagogia della reciprocità l’insegnante si preoccupa di capire che cosa pensi il bambino e come egli possa arrivare a convincersi di certe cose. I bambini, come gli adulti, vengono visti come persone che costruiscono un modello del mondo mediante il quale interpretare la propria esperienza. La pedagogia deve aiutare il bambino a capire meglio, in modo più efcace e meno unilaterale. La comprensione viene promossa tramite la discussione e la collaborazione. L’insegnante incoraggia il bambino a esprimere meglio le sue idee, per poter attuare un incontro con le menti di altri che possono avere dei punti di vista diversi.
La pedagogia della reciprocità Questa pedagogia della reciprocità presume che tutte le menti umane siano capaci di possedere credenze e idee che, attraverso la discussione e l’interazione, possono essere dirette verso un quadro di riferimento comune. Sia il bambino che l’adulto hanno un proprio punto di vista e ciascuno viene stimolato a riconoscere quello dell’altro, anche se i due modi di vedere possono essere discordanti. Devono arrivare a capire che le opinioni diverse possono essere basate su ragioni riconoscibili, e che queste ragioni forniscono la base per giudicare le convinzioni opposte alle nostre. A volte hai “torto”, a volte hanno torto gli altri - dipende da quanto le idee sono ben ponderate. A volte le due 264
visioni contrapposte sono entrambe giuste - o entrambe sbagliate. Il bambino non è soltanto ignorante, non è soltanto un recipiente vuoto, ma è qualcuno capace di ragionare, di fare senso, sia per conto proprio che attraverso il dialogo con gli altri. Il bambino viene considerato capace non meno dell’adulto di rifettere sul suo stesso pensiero, e di correggere le sue idee e le sue nozioni attraverso la rifessione - “andando a meta” come si dice a volte, passando cioè a livello metacognitivo. Il bambino e la bambina, in breve, vengono visti non solo come dei discenti, ma come degli epistemologi. Al pari dell’adulto, il bambino viene visto come qualcuno che possiede delle “teorie” più o meno coerenti non solo sul mondo, ma anche sulla sua stessa mente e sul modo in cui funziona. Queste teorie ingenue diventano congruenti con quelle dei genitori e degli insegnanti non attraverso l’imitazione, non attraverso la didattica, ma mediante il dialogo, la collaborazione e la negoziazione. La conoscenza è qualcosa che viene condiviso con il discorso, all’interno di una comunità “testuale”. Le verità non derivano da un’autorità, testuale o pedagogica, ma da dimostrazioni, argomentazioni e ricostruzioni. Questo modello di educazione è fondato sulla reciprocità e sulla dialettica, è più rivolto all’interpretazione e alla comprensione che al raggiungimento di una conoscenza fattuale o di una prestazione specializzata.
L’apprendimento è attivo
Unità C3
Costruire uno scambio fra insegnante scolare in cui fra la mente del bambino e quella di chi se ne prende cura si realizza un incontro grazie e bambino Questa visione interattiva non è semplicemente “centrata sul bambino”. Si sforza di costruire uno scambio, un’intesa tra l’insegnante e il bambino: di trovare nelle intuizioni del bambino le radici della conoscenza sistematica. […] Quattro recenti indirizzi di ricerca hanno arricchito questa prospettiva sull’apprendimento e sull’insegnamento. Pur trattandosi di concezioni strettamente collegate, vale la pena comunque di distinguerle. La prima ha a che fare con il modo in cui i bambini sviluppano la loro capacità di “leggere altre menti”, di arrivare a sapere cosa pensano o sentono gli altri. Solitamente viene descritta come una ricerca sull’intersoggettività. L’intersoggettività ha inizio con il piacere che provano il neonato e la madre nelle prime settimane di vita a stabilire un contatto con gli occhi, si trasforma presto nell’attenzione che i due prestano insieme a oggetti comuni, e culmina nella prima fase pre-
ai primi scambi di parole: una conquista che non fnisce mai di realizzarsi. Il secondo flone riguarda la comprensione da parte del bambino degli “stati intenzionali” dell’altro: le sue convinzioni, le sue promesse, le sue intenzioni, i suoi desideri, in breve le sue teorie della mente. […] Il terzo flone è rappresentato dallo studio della metacognizione, vale a dire cosa pensano i bambini dell’apprendere, del ricordare e del pensare (soprattutto del proprio) e come la rifessione sulle proprie operazioni cognitive infuenza i procedimenti mentali di un individuo. […] Gli studi sull’apprendimento collaborativo e sulla risoluzione di problemi costituiscono il quarto filone di ricerca, che si occupa del modo in cui i bambini esprimono e correggono le proprie credenze nel dialogo. ■ J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
il bambino viene considerato capace come l’adulto di riflettere sul suo stesso pensiero, v nonché di correggere le sue idee e le sue nozioni attraverso la riflessione
F
b
La metacognizione consente di misurare il buon funzionamento della memoria nel v bambino che apprende
F
c
i bambini sviluppano una capacità di “leggere altre menti”, arrivano a sapere che cosa v pensano o sentono gli altri
F
▶ secondo Bruner il bambino possiede delle “teorie” più o meno coerenti sul mondo.
Queste teorie ingenue diventano congruenti con quelle dei genitori e degli insegnanti attraverso: □ l’imitazione e l’apprendimento □ la didattica e lo studio □ il dialogo, la collaborazione e la negoziazione ▶ Che cosa s’intende con il termine “pedagogia della reciprocità”?
265
SEZIONE
C
UNITÀ C4
LA VOGLIA DI APPRENDERE Sin da piccoli abbiamo una tendenza naturale a fare esperienze, una sorta di “molla” che ci spinge a interessarci a quanto avviene intorno a noi. Ogni forma di apprendimento richiede una motivazione, una “spinta al fare” che dipende da numerosi fattori, interni ed esterni. Gli psicologi hanno formulato diverse teorie della motivazione e hanno messo in evidenza come le aspettative delle persone che ci circondano e quelle implicite nel nostro ambiente di vita possano favorire il raggiungimento dei nostri obiettivi ma anche smorzare i nostri entusiasmi.
C4.1
Il dinamismo dell’apprendimento Nei capitoli precedenti abbiamo affrontato varie teorie sull’apprendimento, sia quelle che sottolineano l’importanza del condizionamento, sia quelle che evidenziano gli aspetti più attivi, dinamici e complessi nei processi di apprendimento. ▶
Dooder, Shutterstock.
Usi diversi del termine apprendimento L’ap-
prendimento non è statico, ma è un processo che comporta continue trasformazioni. Con l’età, per esempio, cambiano i punti di vista, le aspettative e il modo di pensare. Apprendere signifca anche acquisire la padronanza di ciò che si sa su qualcosa, ossia signifca essere capaci di mettere alla prova esperienze e idee per risolvere problemi; ma anche, più ambiziosamente, essere in grado di rifettere e di mettere a fuoco il signifcato della propria esistenza. Esistono quindi diversi aspetti, signifcati e usi del termine apprendimento, come emerge dai tre seguenti esempi che illustrano come si possa guardare alle diverse esperienze in modo non statico, ma dinamico.
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
Primo esempio: un ragazzo intraprende un viaggio in India. Scopre aspetti ignoti dell’esistenza, dei rapporti personali, della spiritualità. Entra in contatto con una cultura diversa e si rende conto che esiste un’altra sfera del pensiero, sino a quel momento a lui sconosciuta. L’esperienza del viaggio rivela dimensioni nascoste: un mondo che può afascinare il viaggiatore perché rappresenta una concezione di vita alternativa a quella di un paese industriale occidentale o che, al contrario, può suscitare in lui una reazione negativa e consolidarlo nel suo abituale modo di pensare e di concepire la vita. Se rifettiamo su questo esempio e consideriamo l’apprendimento come un prodotto, prestiamo attenzione alle conseguenze dell’esperienza: fare esperienza signifca modifcare o consolidare i propri schemi mentali, adottarne di nuovi e respingere quelli al di fuori della nostra concezione del mondo. Secondo esempio: un bambino impara l’aritmetica e la sua logica. Gradualmente egli compie il passaggio da una concezione quasi magica, in cui esistono dimensioni quali “uno” e “tanti” o dove tutto è impreciso, a una concezione più rigorosa, in cui esistono quantità ben defnite, regole, modalità, strategie. Il bambino ha intrapreso un processo che lo porterà non soltanto a risolvere problemi sempre più complessi, ma anche a pensare in modo diferente. In questo esempio l’apprendimento non corrisponde tanto all’acquisizione di un’abilità specifca (fare addizioni, sottrazioni e via dicendo), ma più in generale rifette un cambiamento che avviene nel tempo. YuryImaging, Shutterstock.
Terzo esempio: un giovane ha studiato economia e si propone l’obiettivo di mettere alla prova le sue conoscenze nel campo della soluzione dei problemi e della presa di decisioni. A tale fne frequenta un master sulle strategie decisionali, basato sull’analisi di casi-tipo, sull’apprendimento di regole che derivano dall’economia, dalla psicologia cognitiva e sullo studio di molte altre materie. Il giovane ha una forte motivazione a imparare alcuni principi generali e ad applicarli a situazioni concrete, specialmente a quelle che dovrà fronteggiare. In questo caso l’apprendimento implica una motivazione a cambiare la realtà, a connettere cioè ciò che è noto a ciò che è nuovo.
APPRENDIMENTO 3. MOTIVAZIONE A CAMBIARE LA REALTÀ
1. FARE ESPERIENZA Consolidare e modifcare i propri schemi mentali Esempio: fare un viaggio
2. CAMBIAMENTO NEL TEMPO
Esempio: applicare le conoscenze alla soluzione dei problemi
Esempio: un bambino impara l’aritmetica
267
SEZIONE C
I processi mentali
▶
Cognizione ed emozione Questi tre esempi, nella loro diversità,
pongono l’accento su un aspetto comune alle varie dimensioni dell’apprendimento. In ogni processo di apprendimento c’è un confronto con situazioni nuove in cui entrano in gioco sia una dimensione cognitiva (dobbiamo adattarci, modifcarci, resistere ecc.) sia una dimensione emotiva. Ogni esperienza implica un cambiamento, piacevole o spiacevole che sia, e suscita quindi aspettative, trepidazioni, apprensione, volontà di confrontarsi e senso di inadeguatezza. Gli studi sull’apprendimento passano in rassegna in modo sistematico gli aspetti cognitivi ed emotivi. Ma prima di sofermarci su questo aspetto è opportuno prestare attenzione alla nozione di esperienza. Che cosa vuol dire fare esperienza di qualcosa? L’acquisizione di esperienze può essere considerata sotto cinque aspetti diferenti, collegati tra loro. C4.2
Le cinque dimensioni esistenziali dell’apprendimento L’apprendimento è parte integrante del processo esistenziale: ogni giorno attraverso le esperienze che facciamo, gli incontri, il modo in cui agiamo e ci comportiamo, apprendiamo qualcosa di nuovo. ▶
Fare e ristrutturare Per quanto possa apparire banale, vivere signif-
ca fare e ristrutturare esperienze. Noi apprendiamo in modo intenzionale o non intenzionale durante il corso di tutta la vita. Sin da quando veniamo al mondo, qualunque sia il modo in cui ci poniamo di fronte alla realtà che ci circonda, essa lascia una traccia nella nostra mente. Buona parte di questo apprendimento non è strutturato, diversamente dall’apprendimento che si verifca in ambito scolastico o all’interno di un corso di formazione. In numerose occasioni impariamo infatti per imitazione ad esempio osservando, giocando, attraverso le infuenze sociali, sul lavoro o attraverso i media. Queste esperienze di apprendimento sono mutevoli e comportano un processo di revisione dei nostri schemi mentali nonché delle nostre abitudini. Nel tempo le regole sociali, che abbiamo assimilato si modifcano, sia perché siamo cambiati noi (ad esempio, perché adottiamo un atteggiamento più paterno o materno nei confronti dei più giovani) sia perché si è trasformato l’ambiente in cui viviamo. Pensate alle persone mature e, a volte, anche anziane che oggi indossano vestiti che, un tempo, sarebbero stati giudicati inadatti per persone della loro età. ▶
Sally Anscombe, Getty Images.
268
Cambiare Il processo di apprendimento comporta cambiamenti sia in
positivo sia in negativo. Imparare, infatti, implica adottare nuove concezioni, ma anche abbandonare precedenti schemi mentali o modifcarli. Gran parte delle nostre esperienze richiedono una sorta di ri-orientamento, una continua trasformazione delle prospettive. Pensiamo, ad esempio, al rapporto tra genitori e fgli in cui, pur non cambiando la situazione di fatto - la condizione
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
di genitori e di fgli - si modifcano i rapporti, che devono adeguarsi ai contesti che via via si proflano con gli anni, in particolar modo legati alla crescita dei fgli: il rapporto dei genitori con un bambino di sette anni è diverso dal rapporto con un fglio di venti. Non è statico Continue trasformazioni
APPRENDIMENTO
Positivi Nuove concezioni
DIMENSIONE
Cognitiva
Cambiamenti
Intuitiva
Pensiero divergente
Emotiva
Preoccupazioni inadeguatezza
Negativi Abbandonare o modifcare schemi mentali precedenti
infuenze sullo sviluppo L’apprendimento è intrecciato con lo sviluppo umano, in tutti i suoi stadi. Crescere signifca passare attraverso diverse tappe caratterizzate da diferenti competenze cognitive, emotive e sociali. Taluni aspetti della crescita risentono delle esperienze che si fanno. Imparare a parlare e a leggere modifca la struttura del nostro cervello a livello dei centri del linguaggio. Analogamente, nel passare dall’infanzia all’adolescenza entrano in gioco i fattori maturativi, e tuttavia talune esperienze particolari hanno un ruolo rilevante nell’innescare il cambiamento: per esempio, i numerosi messaggi a carattere sessuale che oggi raggiungono molti bambini prepuberi, agiscono su una parte del cervello coinvolta nella motivazione e nei comportamenti sessuali, l’ipotalamo e possono accelerare lo sviluppo della pubertà, come, di fatto, avviene oggi rispetto al passato.
▶
▶
Conoscenze generali In un mondo tradizionale, qual era quello delle
società del passato, le esperienze rappresentavano una dote duratura e statica, spesso circoscritta a un ambito specifco. Per esempio, colui il quale apparteneva a una corporazione di artigiani aveva dei punti di riferimento, per il suo lavoro, che erano stabili nel tempo. Invece oggi le cose sono ben diverse. Le conoscenze specifche, che abbiamo accumulato attraverso l’esperienza, possono invecchiare rapidamente, come si può constatare nel caso delle tecnologie della comunicazione. Per far fronte alla rapidità dei cambiamenti odierni, è opportuno disporre di un bagaglio di conoscenze generali che consentano di riorientarsi in una realtà che cambia rapidamente. Per potenziare apprendimenti specifci in tempi brevi è utile imparare a imparare, un dispositivo di cui parleremo più difusamente in seguito (sezione D). ▶
intuizione L’apprendimento ha anche una dimensione intuitiva. Non
si apprende soltanto per condizionamento e attraverso l’accumulo lineare di informazioni ed esperienze, ma attraverso veri e propri salti mentali che derivano da associazioni improvvise, da scoperte che consentono risposte creative. Quanto più l’ambiente è stimolante e non conformista, tollerante della
AlexSmith, Shutterstock.
269
SEZIONE C
I processi mentali
diversità, tanto più la nostra mente è in grado di compiere associazioni originali e procedere per intuizioni. Il pensiero divergente (unità C6), ad esempio quello di un artista, di un “creativo” pubblicitario, di uno scienziato innovatore, è aperto alle associazioni e alle analogie, cioè alla capacità di visualizzare una particolare realtà in modo diverso, di cogliere i punti di contatto tra due situazioni apparentemente diferenti, di procedere attraverso “salti” del pensiero anziché attraverso una logica rigidamente sequenziale.
SCHEDA C4.1
Quando parliamo dell’acquisizione di nuove esperienze possiamo riferirci a queste situazioni:
LE DIMENSIONI DELL’ESPERIENZA
Conoscere se stessi, sperimentare le capacità della propria mente e del proprio corpo Attività che riguardano la conoscenza dei propri stati mentali, delle proprie emozioni, del controllo delle proprie capacità. Esplorare diversi settori e campi della conoscenza umana In genere è quanto si fa a scuola, nelle università, nei corsi, nei programmi di formazione, nelle università della terza età, attraverso la lettura ecc. Apprendere ad aiutare gli altri Esistono professioni e forme di volontariato rivolte ai servizi di comunità, all’aiuto alle minoranze, alle persone malate ecc. Esplorare la dimensione della religione e dello spirito È quanto fanno molti, anche giovani, magari attraverso l’esperienza di un viaggio che dischiude nuove dimensioni o attraverso la meditazione. Fare esperienza nel campo delle relazioni interpersonali Imparare a svolgere il compito di genitori, di amici, di partner. Imparare ad esprimersi, a vivere È il campo dell’espressione del proprio io, dello sviluppo di attività ludiche, culturali, giocose, della creatività nelle sue diverse dimensioni.
LeventeGyori, Shutterstock.
La motivazione per il comportamentismo e il cognitivismo
C4.3
Un bambino segue il lavoro del maestro con attenzione e impazienza, desideroso di inserirsi e di portare un suo contributo; un altro bambino invece è annoiato. Un ragazzo partecipa a un seminario, pone domande, mette in discussione quanto viene detto; mentre un altro scarabocchia svogliatamente sul suo blocco di appunti e guarda di tanto in tanto l’orologio nella speranza che il tempo trascorra più velocemente.
La motivazione Ognuno di noi si è trovato in alcune situazioni in cui si è sentito motivato a imparare e a impadronirsi di nuove informazioni e capacità, e in altre invece in cui la noia è stata la componente dominante
▶
270
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
dell’esperienza. Colpa di un docente poco abile e noioso o di un argomento “poco sentito”? Spesso si ritiene che il docente non sia capace di accendere l’interesse, ma in numerose occasioni il docente non è presente e noi stessi siamo i responsabili del nostro apprendimento. Se siamo motivati, ad esempio da una passione che riguarda un hobby o una cultura diversa dalla nostra, possiamo consultare libri, cercare di imparare una lingua straniera per approfttare pienamente di un viaggio in un paese lontano, rintracciare informazioni attraverso internet, chiedere aiuto ad amici ed esperti fno a sembrare addirittura un po’ ossessivi. Si può allora defnire la motivazione, come una molla interna? La “fase dei perché”, che caratterizza la prima infanzia non tramonta mai? Molto dipende dalle esperienze infantili, dal senso di fducia acquisito attraverso interazioni positive con genitori e insegnanti, dal clima di partecipazione ed interesse che questi, con il loro stile di interazione, i loro metodi e le loro specifche competenze, sono riusciti a trasmetterci. Tuttavia, esistono numerose altre facce della motivazione, uno degli aspetti del comportamento più studiati, dai flosof prima e dagli psicologi in seguito. MOTIVAZIONE
DIPENDE
Esperienze infantili Genitori Senso di sfducia
Acquisito
Interazioni positive con Insegnanti
▶
La motivazione per i comportamentisti Sui fattori che favori-
scono la motivazione a imparare esistono diverse teorie. Un primo approccio è quello teorizzato dal comportamentismo (unità C2). In particolare John Watson e Burrhus F. Skinner sostenevano che il comportamento animale e umano potesse essere descritto unicamente in termini di rapporto tra stimoli e risposte: gli esseri umani possono essere incentivati positivamente (premi) o negativamente (cessazione di una punizione). Un’immagine rappresentativa è quella che ritrae una persona a Las Vegas o a Montecarlo che, in presenza di uno stimolo appropriato, una slot machine, abbassa freneticamente la leva della macchinetta (risposta) nella speranza di ricevere il suo rinforzo (premio), ossia una cascata di monete o gettoni. L’approccio comportamentista alla motivazione ad apprendere si basa sul presupposto secondo cui chi impara deve essere incentivato da opportune ricompense. Secondo Skinner e i suoi seguaci, all’inizio la nostra mente non è altro che una “lavagna vuota” su cui, man mano, le esperienze signifcative lasciano una traccia. Noi veniamo modellati dalle esperienze, sia da quelle che comportano rinforzi positivi (lodi, premi, raggiungimenti), sia da quelle che comportano rinforzi negativi (critiche, punizioni, insuccessi). Le risposte del primo tipo hanno, ovviamente, molte più probabilità di successo di quanto ne abbiano le risposte del secondo.
Digital Zoo, Getty Images.
271
SEZIONE C
I processi mentali
▶
La motivazione per i cognitivisti A diferenza dei comportamen-
tisti, gli psicologi cognitivisti pongono l’accento sul fatto che il comportamento umano viene infuenzato dal modo in cui le persone percepiscono le cose e gli avvenimenti. Nel corso della loro vita, le persone entrano variamente in rapporto con la realtà che le circonda e sono continuamente sollecitate da numerose forze di diverso genere, da quelle fsiche a quelle psicologiche, che le spingono e attirano in varie direzioni. Quando gli individui percepiscono uno squilibrio tra la propria realtà interna e quella esterna, tra ciò che sanno e ciò che esiste, sentono il bisogno di superare tale divario, come avviene per il bambino piccolo che è spinto dalla sua curiosità a esplorare il mondo. Prendere una determinata direzione, rinunciando a un’altra, dipende dalla strategia che si decide di adottare per superare tale squilibrio. ▶ Un bilancio tra vecchio e nuovo L’approccio cognitivo si ricollega alle idee di Jean Piaget. Come abbiamo visto nell’unità precedente, lo psicologo svizzero nello sviluppo cognitivo individua tre meccanismi: l’equilibrazione, l’assimilazione e l’accomodamento. Secondo Piaget i bambini nascono con il desiderio di mantenere un senso di organizzazione e di equilibrio nelle proprie conoscenze e nella propria visione del mondo (equilibrazione). Quando si imbattono in un’esperienza simile a una già nota, essi si limitano ad “assimilare” la nuova esperienza alla vecchia. Quando, invece, si confrontano con una realtà o fanno un’esperienza che è anche parzialmente diversa rispetto a quelle precedenti, essi saranno motivati ad “accomodare”, ossia a modifcare le loro precedenti interpretazioni. La motivazione ad apprendere richiede quindi di operare un bilancio tra il vecchio e il nuovo, tra un modo ormai usuale di interpretare la realtà e un modo diverso, spesso in confitto con il primo.
Rus Limon, Shutterstock.
La metafora dei vasi comunicanti Imparare signifca saper notare
▶
le diferenze, essere insoddisfatti, essere disposti ad accettare il cambiamento. In qualche modo il nostro rapporto con la realtà assomiglia a quello che esiste tra due vasi comunicanti: se un vaso è colmo e l’altro (il nostro) è quasi vuoto, ci sentiamo spinti a colmare questo divario e a riempire il vaso. La motivazione si riferisce appunto a questo tipo di “spinta”: ad esempio, i bambini hanno un desiderio innato di mantenere un “equilibrio cognitivo” (aumentare il proprio livello di conoscenza) e il compito dell’insegnante consiste proprio nel predisporre le condizioni perché possa avere luogo la scoperta di qualcosa di nuovo.
272
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
MOTIVAZIONE SECONDO PIAGET
COMPORTAMENTISTI COGNITIVISTI
Equilibrazione assimilazione accomodamento
Incentivo ricompensa Percezione delle cose
Motivazione e gerarchia dei bisogni
C4.4
Anche gli psicologi umanisti hanno messo in evidenza l’esistenza negli esseri umani di un desiderio innato autodiretto a fare e a capire (unità B2). Abraham Maslow e Carl Rogers individuarono nel bisogno di crescita e di affermazione le principali spinte di ogni comportamento umano, mentre nel senso di autostima il presupposto fondamentale dell’equilibrio personale. La molla che spinge a colmare le proprie lacune sarebbe il desiderio di sentirsi adeguati e l’aspirazione a essere continuamente in linea con le diverse situazioni della vita. ▶ La scala dei bisogni Maslow pose l’accento su due aspetti fondamentali della motivazione: la motivazione alla crescita e la gerarchia di bisogni. Questi ultimi costituiscono il primo gradino di una scala motivazionale, fnalizzata alla crescita. Alla base della scala si trovano i bisogni fsiologici, poi procedendo verso l’alto i bisogni di sicurezza, di appartenenza, di amore, di stima, di autorealizzazione, di sapere, di capire, fno a raggiungere quelli estetici. Secondo Maslow, quando gli individui hanno soddisfatto i bisogni minimi da carenza (fsiologici, di sicurezza, di appartenenza, amore, stima) si sentiranno motivati a soddisfare i bisogni di crescita più elevati o di essenza: autorealizzazione, conoscenza, comprensione, estetica. Questa fase della motivazione non origina quindi da una mancanza ma da un desiderio di soddisfare bisogni più elevati, di “essere” in modo più pieno.
Mimagephotography, Shutterstock.
273
SEZIONE C
I processi mentali
moralità, creatività, spontaneità, problem solving, accettazione, assenza di pregiudizi
AUTOREALIZZAZIONE
autostima, autocontrollo, realizzazione, rispetto reciproco
STIMA
amicizia, affetto familiare, intimità sessuale
APPARTENENZA
sicurezza fsica, di occupazione, morale, familiare, di salute, di proprietà
SICUREZZA
respiro, alimentazione, sesso, sonno, omeostasi
FISIOLOGIA
Figura C4.1
La gerarchia dei bisogni secondo Maslow.
Motivazione alla crescita
MOTIVAZIONE
MASLOW
Gerarchia dei bisogni
Piramide soddisfare prima i bisogni primari e poi passare ai livelli più elevati
Il timore di crescere Per Maslow non si avanza automaticamente lungo i gradini di questa gerarchia. Anzitutto occorre soddisfare i bisogni meno elevati e primari, perché si possa avvertire la necessità di passare ai livelli più elevati. La mancata soddisfazione dei bisogni “da carenza” provoca, per Maslow, una sorta di blocco perché il richiamo della sicurezza, la protezione dal dolore, dalla paura, dalla perdita e dalla minaccia si oppongono al bisogno di crescere: “Ogni essere umano possiede entrambi i gruppi di forze dentro di lui. Un gruppo spinge verso la sicurezza e la difesa per paura, conduce alla regressione, sospinge verso il passato, fa sì che gli individui siano timorosi di crescere, [...] di rischiare, di compromettere ciò che già si possiede, che siano spaventati dall’indipendenza, dalla libertà e dalla separazione. Un
▶
DVARG, Shutterstock.
274
La voglia di apprendere
Unità C4
altro gruppo di forze spinge in avanti, verso la totalità e l’unicità del sé, verso il completo funzionamento di tutte le capacità, verso la fducia nei riguardi del mondo esterno, così come verso l’accettazione del sé più profondo, reale, inconscio” (Abraham Maslow, Toward a psychology of beeing, Van Nostrand, New York 1968).
Com’è noto, è molto più facile apprendere ciò che ci piace o scegliamo noi (le nozioni tecniche di un hobby, le formazioni e statistiche delle squadre di calcio, le regole di un videogioco ecc.) rispetto a ciò che siamo obbligati ad apprendere. In genere, si è motivati quando si sente di poter avere successo e quando si viene apprezzati per ciò che si fa. Bisogna perciò fare in modo che gli alunni vengano “rinforzati” quando hanno qualche successo, pur modesto che esso sia. Sviluppare una concezione positiva della vita, e quindi sentirsi “caricati”, dipende dai successi che si realizzano ma anche dai messaggi che si ricevono. Se si vive in un ambiente improntato a uno scetticismo totale, è diffcile porsi degli obiettivi e attivarsi per raggiungerli. In alcuni casi la mancanza di motivazione può derivare da uno stato di blanda depressione, che fa parte di una fase della crescita. Lo sviluppo, infatti, non procede in modo uniforme ed è caratterizzato da fasi di accelerazioni e pause. In molti casi si tratta pertanto di prendere tempo, di attendere, cercando di evitare il ripetersi di riscontri negativi che possano demoralizzare e demotivare. A fronte di una serie di insuccessi, è opportuno che ci sia almeno un ambito in cui ragazze e ragazzi possano sperimentare successi e ricevere approvazione per quanto hanno fatto. Infne, occorre tener presente che non tutti abbiamo le stesse inclinazioni; e le fgure di riferimento, sia genitori sia insegnanti, devono tenerne conto nelle scelte scolastiche, che spesso rispecchiano più i desideri degli adulti che le effettive tendenze dei ragazzi.
SCHEDA C4.2 RAGAZZI SVOGLIATI
Photomak, Shutterstock.
La destabilizzazione cognitivo-affettiva
C4.5
insieme agli altri apprendimenti anche quello scolastico è un processo che si compie, come ha rilevato piaget, in una serie di passaggi che implicano accomodamenti, ossia ampliamenti o trasformazioni delle acquisizioni precedenti, al fne di raggiungere un nuovo “equilibrio” cognitivo. ▶
Tre sistemi motivazionali Ciò che non è stato sufcientemente
messo in evidenza dagli psicologi cognitivisti, tuttavia, è che nel processo di apprendimento entrano in gioco oltre ai fattori cognitivi anche i fattori emotivi. Ogni nuovo apprendimento produce, infatti, una destabilizzazio-
275
SEZIONE C
I processi mentali
ne cognitivo-afettiva. Operando una sintesi tra i contributi della psicologia comportamentista, cognitiva, umanistica e psicoanalitica, l’esperto in scienze dell’educazione Daniel Favre (Transformer la violence des élèves. Cerveau, motivations et apprentissage, 2007) ha elaborato un modello più completo, secondo il quale in ogni individuo esistono tre sistemi motivazionali complementari e/o antagonisti che interagiscono. Questi tre sistemi partecipano all’economia interna dell’individuo, procurandogli ognuno un tipo specifco di piacere o di frustrazione.
DANIEL FAVRE
▶
APPRENDIMENTO NUOVO
Produce
Destabilizzazione cognitivo-affettiva
Rassicurazione Il primo sistema (rassicurazione) consente di soddi-
sfare i bisogni biologici e psicologici fondamentali. Il bambino sta bene e prova piacere quando sono soddisfatti tali bisogni; questo tipo di soddisfazione e rassicurazione gli permette di acquistare fducia in se stesso. Nel corso della crescita questo sistema diventa meno importante per la motivazione dell’individuo, che si indirizza via via verso una maggiore autonomia. Tuttavia permangono delle tracce di tale sistema anche nell’adulto, per esempio nella tendenza a trovare gratifcazione in situazioni già vissute come soddisfacenti, oppure a cercare sicurezza e stabilità o a volgersi ai valori che esse rappresentano. Talvolta la dinamica, caratteristica del primo sistema, può portare a posizioni dogmatiche: “Ho sempre pensato/fatto così e continuo a pensare/fare così”, “Non intendo ampliare i miei orizzonti”.
Innovazione Il secondo sistema (innovazione), al contrario, fa di noi degli esseri in divenire, desiderosi di indipendenza e di incontri con l’altro, in quanto veicoli di trasformazione. Questo desiderio ci induce a valorizzare tutto ciò che promuove l’autonomia, l’individuazione e la responsabilità. Nel sistema dell’innovazione prevale la mentalità non dogmatica che, associata alla destabilizzazione cognitiva, incentiva l’apprendimento. Tale sistema si sviluppa sulla base delle esperienze afettive positive vissute nella prima infanzia, ossia sull’autostima e sulla fducia nel mondo circostante. Il primo e il secondo sistema sono dunque opposti (rassicurazione/innovazione-autonomia) ma anche complementari, poiché è sulla base delle esperienze di gratifcazione della prima infanzia (le cure parentali) che il bambino sviluppa sempre maggiore autonomia e indipendenza. Tuttavia, l’individuo attraversa nel corso della crescita alcuni momenti di ▶
Auremar, Shutterstock.
276
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
crisi, per esempio durante l’adolescenza, che possono dare esiti diversi e in alcuni casi portare a un sistema motivazionale come quello che Favre chiama sistema di motivazione della rassicurazione parassitaria. ▶
Rassicurazione parassitaria Questo terzo sistema è una deviazione
del primo sistema di rassicurazione ed è caratterizzato da un atteggiamento di dipendenza eccessiva che porta l’individuo a ripetere atti o pensieri che limitano lo sviluppo dell’autonomia. Il suo motto è “tutto e subito, solo per me”, cioè individualismo e irresponsabilità. La persona è così divisa tra due motivazioni opposte: da una parte è attratta dal piacere di sentirsi responsabile e dall’altra nutre il desiderio di restare dipendente, sottomessa e irresponsabile (“mi piacerebbe cambiare, purché nulla si muova”). Se questo confitto si prolunga l’individuo diventa prigioniero di condotte ripetitive e adolescenziali. Un esempio di confitto: “mi sento prigioniero nella routine con il mio compagno” (frustrazione legata alla motivazione d’innovazione) “ma ho così paura di restare sola che non riesco a lasciarlo” (frustrazione legata alla motivazione di rassicurazione parassitaria).
Edyta Pawlowska, Shutterstock.
INDIVIDUO 1. Rassicurazione consente di soddisfare i bisogni
TRE SISTEMI MOTIVAZIONALI
2. Innovazione fa di noi degli esseri in divenire e favorisce l’apprendimento
La crescita è data dall’interazione tra questi due sistemi
3. Rassicurazione parassitaria dipendenza eccessiva che porta l’individuo a ripetere atti o pensieri che limitano lo sviluppo dell’autonomia
La destabilizzazione cognitiva Nell’apprendimento scolastico gli studenti non possono imparare nuovi contenuti se non passano attraverso una fase di destabilizzazione cognitivo-emotiva, che alcuni accettano senza problemi, ritenendolo un passaggio necessario, mentre altri percepiscono come lesiva della loro autostima. Nel confrontarsi con tematiche nuove l’alunno deve infatti riconoscere di non sapere, deve ammettere che quello che sa è insufciente, parziale o addirittura sbagliato, oppure che sa di meno (o riesce meno bene) di alcuni suoi compagni e questo può generare una frustrazione sul versante motivazionale della rassicurazione.
▶
277
SEZIONE C
I processi mentali
▶ Periodi di vulnerabilità Queste destabilizzazioni sono frequenti e normali nel corso dell’anno scolastico, e più in generale nel corso dello sviluppo, e danno luogo a periodi di “vulnerabilità” (l’alunno si trova spesso nella posizione “spiacevole” di colui che non sa). Durante questi periodi l’insegnante non deve aggredire o mettere a disagio (con paragoni, giudizi, canzonature, sanzioni o voti dati troppo in fretta, senza rispettare i tempi “lunghi” dell’apprendimento) altrimenti l’alunno (che ha difcoltà a tollerare di non sapere o a modifcare i suoi schemi di riferimento) si sente minacciato e come reazione può chiudersi in se stesso oppure diventare aggressivo, oppositivo, apatico e, in ultima analisi, demotivato. L’alunno non esplicita a parole la sua difcoltà, di cui spesso non ha una piena consapevolezza, ma questa emerge dal suo comportamento. Molti rifuti a impegnarsi in ambito scolastico, così come l’assenza di motivazione nei confronti dello studio, sono dovuti a questo tipo di frustrazione. È importante dunque concedere agli alunni il tempo necessario per superare l’inevitabile e produttiva fase di destabilizzazione, che è cognitiva ma ha dei contraccolpi sul piano emotivo. Va anche considerato che alcuni alunni, per il tipo di ambiente familiare, sociale o culturale da cui provengono, sono meno inclini ad ammettere di non sapere (ammissione che viene vissuta come una ferita narcisistica, a volte come un “tradimento” nei confronti della propria famiglia che ha riferimenti di tutt’altro genere) e quindi più propensi, di fronte alle richieste scolastiche, a opporsi nel tentavo di riacquistare la stima di sé e quel controllo messi in crisi dal processo di destabilizzazione.
Ambrophoto, Shutterstock.
▶
Coinvolgimento in 4 fasi In un apprendimento riuscito si susseguo-
no quattro fasi durante le quali l’alunno è coinvolto sia sul piano intellettuale sia sul piano emotivo: 1. non so ma non so di non sapere: tutto va bene quanto a rassicurazione; 2. non so e so di non sapere: ci riuscirò? rischio di fare degli errori? sto facendo una brutta fgura di fronte alla classe? è la fase della destabilizzazione: l’efcacia dell’apprendimento dipende dalla relazione che l’alunno ha con i suoi limiti, oltre al rapporto con l’insegnante e con i compagni; 3. so e so di sapere: ho risolto il problema, ne ricavo una grossa soddisfazione; 4. so, ma non so più di sapere, salvo quando incontro di nuovo lo stesso tipo di problema: mi trovo nuovamente nel registro motivazionale della rassicurazione e ci sto bene, e poiché i bisogni di rassicurazione sono diminuiti, temo di meno la destabilizzazione indotta dalla novità.
278
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
Di fronte a un nuovo apprendimento, un alunno può avere la sensazione che non ci sia il tempo per esplorare, saggiare soluzioni e ipotesi, fare degli errori (che aiutano a capire e a imparare in maniera non dogmatica o meccanicistica), soprattutto quando teme di essere immediatamente sanzionato con una insuffcienza o un giudizio senza appello; è quindi importante che nella fase di massima vulnerabilità gli venga concesso il tempo necessario alla destabilizzazione cognitiva, il che non signifca ovviamente optare per un lassismo che abolisce qualsiasi tipo di verifca. L’insegnante invierà dei feed-back, in modo che il ragazzo possa individuare ciò che ha capito e ciò che non ha capito. 4ª FASE SO MA NON SO PIÙ DI SAPERE
3ª FASE SO E SONO CONSAPEVOLE DI SAPERE
APPRENDIMENTO RIUSCITO
1ª FASE NON SO E NON SONO CONSAPEVOLE DI NON SAPERE
2ª FASE NON SO E SONO CONSAPEVOLE DI NON SAPERE Thomas Tolstrup, Getty Images.
▶ L’insegnante come modello È anche importante che l’insegnante fornisca l’esempio di un adulto non dogmatico, che esplicita il suo pensiero, lo precisa, sospende il giudizio, fa delle ipotesi e valorizza le domande e non soltanto i risultati; cerca altresì di evitare le generalizzazioni improprie e le proiezioni, tenendo conto dell’infuenza che i desideri e le paure esercitano sul modo di pensare. “Sotto questo aspetto” spiega Daniel Favre “l’insegnante teme meno i suoi stessi errori e diventa un modello di adulto col quale l’alunno può identifcarsi, così da capire che apprendere signifca poter navigare tra due registri: quello del pensiero stabilizzato, dogmatico, e quello del pensiero aperto, non dogmatico, che permette la destabilizzazione”.
279
sezione C
I processi mentali
Disturbi di apprendimento
C4.6
Quando c’è un disturbo di apprendimento i tempi e le modalità di insegnamento devono ovviamente adattarsi ai tempi di acquisizione dell’alunno e al suo tipo di disturbo. Questo è il motivo per cui in molte scuole ci sono gli insegnanti di sostegno che, affancati all’insegnante di classe, seguono individualmente l’alunno bisognoso di supporto. il tipo di didattica che questi insegnanti utilizzano deve essere ritagliata sulle esigenze dell’alunno, ossia aiutarlo a raggiungere gli obiettivi che le sue diffcoltà gli consentono di raggiungere. ▶
Disturbi Specifci di Apprendimento Dal 2010 lo Stato italiano
riconosce come disturbi specifci di apprendimento (DSA) la dislessia (difcoltà nella lettura), la disgrafa (disturbo nella riproduzione di segni alfabetici e numerici), la disortografa (difcoltà nello scrivere correttamente le parole) e la discalculia (disturbo delle abilità numeriche e matematiche). Tali disturbi sono riconosciuti anche dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Possono essere afetti da DSA bambini con caratteristiche fsiche e mentali nella norma: le loro difcoltà non sono dunque dovute a scarso impegno o pigrizia, ma a un problema di tipo neurologico. Per questo il diritto allo studio degli alunni con DSA è garantito attraverso diverse iniziative promosse dal Ministero dell’istruzione, e le scuole sono tenute a realizzare percorsi individualizzati di apprendimento per gli allievi che presentano tali disturbi. Infatti in questi casi lo studente è in grado di apprendere, ma l’acquisizione e la rielaborazione dei contenuti sono più difcoltose, dato che i nostri metodi scolastici si fondano in larga misura sul testo scritto. La collaborazione tra scuola e famiglia, l’attenzione nei confronti dell’alunno, l’utilizzo di strumenti tecnologici appropriati possono facilitare il percorso scolastico e consentire un apprendimento soddisfacente.
Alejandro dans neergaard, Shutterstock.
DISCALCULIA
DISLESSIA
Disturbo delle abilità numeriche e matematiche
Diffcoltà nella lettura
DSA DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO
280
DISORTOGRAFIA
DISGRAFIA
Diffcoltà nello scrivere correttamente le parole
Disturbo nella riproduzione di segni alfabetici e numerici
La voglia di apprendere
▶
UNITÀ C4
Aspettative realistiche Sui DSA sono stati efettuati molti studi e
sono state individuate delle strategie didattiche tese a sopperire alle difcoltà degli allievi con questi disturbi. Vi sono però altri tipi di disturbi che possono portare a un ritardo cognitivo più o meno grave. È importante che le aspettative degli insegnanti e dei genitori nei confronti di bambini che presentano problemi di apprendimento siano realistiche. Se infatti sono troppo elevate esse possono determinare un blocco dell’apprendimento e della motivazione. Quando, invece, sono consone alle capacità dell’alunno, questi, pur svolgendo compiti semplici e ripetitivi o procedendo lentamente, può ottenere dei risultati che gli procurano delle soddisfazioni. Per esempio, esprimersi attraverso un disegno, riempire un foglio con forme e colori, portare a termine un dipinto è una soddisfazione che i bambini con defcit cognitivi, se seguiti opportunamente, possono facilmente raggiungere (fgure C4.2, C4.3). A volte, quando si riesce a mobilitare le loro risorse, si ottengono risultati insperati.
Roberto, 10 anni, ha impiegato due mesi per portare a termine questo disegno su un grande cartellone, ma alla fine è molto orgoglioso della sua performance. (Collezione Oliverio Ferraris)
Figura C4.2
Alfonso, età 9 anni, paesaggio estivo. (Collezione Oliverio Ferraris)
Figura C4.3
281
SEZIONE C
I processi mentali
▶
Un successo: raggiungere l’autosuffcienza In presenza di def-
cit cognitivi rilevanti, familiari ed educatori devono aspettarsi progressi lenti, ma non per questo poco rilevanti o signifcativi. Raggiungere prestazioni anche molto semplici, come lavarsi o mangiare senza sporcarsi, può rappresentare una grande conquista che richiede notevoli sforzi da parte del bambino. Sarà un successo riuscire a far apprendere a questi bambini semplici abitudini che riguardano la cura della persona come vestirsi, mangiare, eseguire condotte di igiene personale e adeguarsi alle attività della routine quotidiana (scheda C4.3: Indossare un paio di calzoni). L’insegnamento di tali semplici attività va fatto per gradi, suddividendole in azioni più semplici: per esempio, all’inizio sarà sufciente che il bambino mangi da solo in qualunque modo, successivamente verrà insegnato l’uso del cucchiaio, della forchetta, del bicchiere ecc. Quanto più il bambino è giovane tanto minore è la sua possibilità di prestare attenzione; di conseguenza, gli insegnamenti dovranno essere impartiti per brevi periodi di tempo piuttosto frequenti, evitando di insistere sulla stessa attività per tempi lunghi. È anche opportuno che a una attività che ha richiesto concentrazione e pazienza, faccia seguito un esercizio fsico. E per quanto riguarda la ricompensa - ossia l’elogio e l’incoraggiamento - è bene che esso segua immediatamente il successo o l’azione che si desidera rinforzare. ▶
integrazione sociale La presenza di un bambino con defcit cogniti-
vo porta alcuni genitori a limitare drasticamente la vita sociale e a interrompere le relazioni sociali. È importante, invece, contrastare questa tendenza alla chiusura e trovare i modi per condurre una vita di relazione normale. L’integrazione di persone diversamente abili nel tessuto sociale e nelle classi aiuta i coetanei ad abituarsi alla diversità e ad accettarla. Si eviteranno quindi più facilmente, in seguito, episodi di rifuto e di intolleranza che possono ferire la sensibilità della persona disabile e dei suoi familiari. Famiglia e società devono anche preoccuparsi della vita extrascolastica di questi bambini e, in seguito, trovare forme di inserimento nella società, o in comunità protette, adatte al tipo e all’entità dell’handicap. Un discorso analogo, sia pure su un
Tina Stallard, Getty Images.
282
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
piano diverso, vale anche per portatori di handicap sensoriali (non vedenti, sordi) e motori (paralitici, spastici) per i quali, accanto a una rieducazione e a una istruzione adattata all’handicap specifco, è necessario curare gli aspetti sociali ed emotivi che, altrimenti, possono venire distorti e danneggiati. ▶ Il supporto alle famiglie La collaborazione tra gli insegnanti specializzati e i genitori dei bambini con problemi cognitivi è fondamentale per aiutare il bambino a sviluppare le sue potenzialità, in un clima positivo in cui il piccolo si senta accettato e apprezzato e invogliato a svolgere varie attività. È necessaria inoltre la presenza sul territorio di servizi adeguati che sostengano le famiglie e seguano in modo competente le persone con ritardo cognitivo. Può essere utile l’organizzazione di gruppi di incontro e discussione in cui le famiglie possano confrontarsi con persone esperte ma anche con altre famiglie che vivono le stesse problematiche. La presenza di una rete di supporto può aiutare a contrastare fenomeni involutivi come quello di Enrico, un ragazzo spastico che all’età di quattordici anni, quando ancora frequentava la scuola, aveva un quoziente di intelligenza intorno agli 80 centesimi (90-110 è la media); a vent’anni il suo QI si è assestato attorno ai 70-75. I genitori lamentano la mancanza di iniziativa e la progressiva involuzione del ragazzo e la sua chiusura verso il mondo esterno: se in età precedenti Enrico aveva acquisito una certa autonomia, ora egli preferisce restare sempre accanto alla madre, da cui si sente protetto, ed evitare così ogni altra compagnia. L’involuzione di Enrico è da imputarsi soprattutto all’improvviso venir meno - per raggiunti limiti di età - dell’ambiente scolastico che lo stimolava e di abitudini quotidiane che davano continuità alla sua esistenza.
SUPPORTO ALLE FAMIGLIE
AUTOSUFFICIENZA
collaborazione tra scuola e famiglia; rete di supporto; gruppi di incontro e discussione
semplici abitudini: cura della persona come vestirsi, mangiare, ecc.
Tina Stallard, Getty Images.
OBIETTIVI PER ALUNNI CON DISTURBI COGNITIVI RILEVANTI
INTEGRAZIONE SOCIALE condurre una vita di relazione normale anche extrascolastica che consenta l’integrazione nel tessuto sociale
283
SEZIONE C
SCHEDA C4.3 INDOSSARE UN PAIO DI CALZONI
Jessica Warren, Getty Images.
284
I processi mentali
Indossare un paio di calzoni può sembrare alla maggior parte delle persone un’azione molto semplice, ma per un bambino con un defcit cognitivo medio o grave può presentare alcune diffcoltà, tanto che egli potrà anche non imparare mai a farlo da solo. Tuttavia, per insegnare a svolgere questa attività il metodo adeguato da seguire prevede la scomposizione della medesima in una serie di fasi, che vengono eseguite e apprese separatamente e in modo graduale. Quello che segue è un esempio di procedura articolata in nove fasi: 1. Tirare su i calzoni fno alla coscia del bambino e guidare le sue mani fno ad afferrare l’estremità superiore dei calzoni e tirare le sue mani in su per il resto del percorso da effettuare. 2. La stessa procedura senza guidare le mani del bambino. Il bambino deve tirare su i calzoni da solo dopo che sono stati portati alle cosce. 3. Tirare su i calzoni solo fno alle caviglie. Guidare le mani del bambino in modo da fargli tirare su i calzoni per il rimanente percorso. 4. La stessa procedura senza guidare le mani del bambino. 5. Inflare una gamba nell’apertura appropriata. Guidare le mani del bambino in modo tale da fargli mettere l’altra gamba nell’apertura e infne lasciare che tiri su i calzoni da solo. 6. La stessa procedura senza guidare le mani del bambino. 7. Tenere i calzoni nella posizione adatta e guidare le mani ed i piedi del bambino per fare in modo che lo stesso infli entrambi i piedi nell’apertura appropriata. Quindi il bambino deve tirare su i calzoni da solo. 8. La stessa procedura senza guidare il bambino. 9. Porgere i calzoni al bambino e lasciare che li indossi da solo. I bambini che seguono questo programma eseguono ogni giorno diverse prove fno a che non arrivano a padroneggiare l’ultima fase. Come per ogni programma di questo tipo, si può rendere necessario apportare qualche variazione ad alcune fasi per rispondere alle esigenze individuali. Inoltre i diversi bambini possono progredire attraverso le varie fasi a ritmi differenti. Alcuni bambini possono avere bisogno di cinque o sei prove al giorno per una settimana o più in una determinata fase, mentre altri possono progredire attraverso parecchie fasi in un giorno solo. Di solito ai bambini si dà qualche rinforzo dopo ogni prova, come una lode, fno a quando non svolgono la prestazione nel migliore modo possibile. È importante notare che le fasi di apprendimento sono in ordine inverso: invece di partire dall’inizio dell’attività desiderata, la fase 1 rappresenta la fase fnale, e poi ogni susseguente fase procede all’indietro a partire da quel momento. Questa procedura è abbastanza comune in programmi del genere, e il vantaggio che ne deriva consiste nel fatto che i bambini sono sempre rinforzati per la stessa prestazione, cioè per aver tirato su i calzoni fno alla vita.
C
RIASSUMIAMO
SEZIONE
SEZIONE
C
DA COSA SCATURISCE LA MOTIVAZIONE AD APPRENDERE? L’apprendimento comporta un arricchimento della propria esperienza e, a un tempo, la modifcazione o l’abbandono di schemi mentali precedenti; è in stretta relazione con la maturazione biologica dell’individuo; avviene sia in modo formale (per esempio a scuola) sia informale (in ogni ambito di vita). Nell’apprendimento entrano in gioco elementi cognitivi ed elementi afettivi/emotivi. La motivazione è fondamentale perché si verifchi l’apprendimento. Secondo i comportamentisti la motivazione può essere indotta attraverso ricompense e punizioni. Secondo i cognitivisti la motivazione ad apprendere deriva dalla percezione di un disequilibrio in
campo cognitivo e dal bisogno di superarlo. Questo approccio si collega al principio piagetiano secondo il quale i bambini possiedono un desiderio innato di mantenere una coerenza e un equilibrio nelle proprie conoscenze e nella propria visione del mondo. Secondo Maslow la motivazione a soddisfare i bisogni di crescita più elevati (sapere, capire ecc.) si manifesta negli individui solo dopo che è stato garantito il soddisfacimento dei bisogni minimi da carenza (fsiologici, di sicurezza, di amore ecc.); i bisogni da mancanza insoddisfatti infatti possono spingere l’individuo verso la regressione a modalità di comportamento adottate in precedenza. Dooder, Shutterstock.
I SISTEMI MOTIVAZIONALI DI DANIEL FAVRE L’esperto in scienze dell’educazione Daniel Favre ha individuato tre sistemi motivazionali che interagiscono nelle motivazioni. Il primo sistema (rassicurazione) permette la soddisfazione dei biso-
gni biologici e psicologici fondamentali e pone le basi della sicurezza individuale. Il secondo sistema (innovazione) è alla base del cambiamento, della spinta all’autonomia e all’indipendenza; è opposto
285
SEZIONE C
I processi mentali
al primo, ma anche complementare ad esso poiché ogni innovazione presuppone lo sviluppo della sicurezza. Il terzo sistema (rassicurazione parassitaria) è una deviazione del primo ed è caratterizzato da un atteggiamento di dipendenza eccessiva che porta l’individuo a ripetere atti o pensieri che limitano lo sviluppo dell’autonomia. Il processo di crescita degli individui
è dato dall’interazione tra i due primi sistemi. La destabilizzazione cognitiva porta all’abbandono dei vecchi schemi per l’adozione di nuove modalità di comportamento: è ciò che permette l’apprendimento, anche se comporta dei momenti di insicurezza e vulnerabilità che alcuni superano meno facilmente di altri.
LilKar, Shutterstock.
DISTURBI DI APPRENDIMENTO I DSA, ossia i disturbi specifci di apprendimento, riguardano la dislessia (difcoltà nella lettura), la disgrafa (disturbo nella riproduzione di segni alfabetici e numerici), la disortografa (difcoltà nello scrivere correttamente le parole) e la discalculia (disturbo delle abilità numeriche e matematiche). Specifci progetti personalizzati possono aiutare i ragazzi con DSA a raggiungere i loro obiettivi di apprendimento. Alcuni bambini e ragazzi possono presentare altri tipi di defcit cognitivi dovuti a handicap. L’insegnante, di fronte ad alunni con difcoltà cognitive, deve evitare
che ripetute frustrazioni portino lo studente alla demotivazione e all’autosvalutazione. A tal fne occorre predisporre un insegnamento individualizzato. Si tratta di un piano di lavoro che prevede l’assegnazione all’alunno di compiti adatti alle sue capacità, che gli consente di riposarsi quando si mostra afaticato, che promuove il senso di autostima. È importante che i ragazzi con ritardi cognitivi o con disabilità abbiano la possibilità di una vita sociale e relazionale soddisfacente che stimoli l’apprendimento. È da evitare, al contrario, l’isolamento, perché porta a processi involutivi. Javier Delgado Esteban, Getty Images.
286
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
C
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
SEZIONE
SEZIONE
C
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
L’apprendimento è fondamentalmente statico, non comporta cioè continue trasformazioni
V
F
b
L’apprendimento riguarda solo la dimensione cognitiva, non quella emotiva
V
F
c
Si può apprendere solo in modo intenzionale
V
F
d
Secondo Maslow non è necessario soddisfare i bisogni primari prima di passare ai livelli più elevati
V
F
e
La rassicurazione parassitaria, secondo Daniel Favre, porta l’individuo a ripetere atti o pensieri che limitano lo sviluppo dell’autonomia
V
F
f
Gli studenti, per apprendere nuovi contenuti, secondo Daniel Favre devono passare attraverso una fase di destabilizzazione cognitivo-affettiva
V
F
g
I disturbi specifici di apprendimento (DSA) riguardano bambini con caratteristiche fisiche e mentali nella norma
V
F
h
La dislessia è un disturbo specifico di apprendimento e riguarda la difficoltà nella lettura
V
F
1 Fare esperienza signifca:
Competenza
□ fare tanto esercizio, anche ripetitivo, in un contesto preciso □ modifcare o consolidare i propri schemi mentali, adottarne di nuovi □ sperimentare, mettere alla prova qualcosa
Acquisire le informazioni
2 L’apprendimento comprende una dimensione intuitiva, che deriva: □ da associazioni improvvise ed originali, da scoperte che consentono risposte creative □ da criteri logici, applicati in modo rigoroso e con razionalità □ dalla conoscenza acquisita con l’osservazione e con la pratica
3 Secondo Maslow alla base della motivazione a soddisfare i bisogni di crescita più elevati c’è: □ una mancanza □ un desiderio di soddisfare bisogni più elevati □ un bisogno fsico
287
SEZIONE C
I processi mentali
4 Nel secondo sistema motivazionale (quello dell’innovazione) lo studioso Daniel Favre considera le persone caratterizzate da: □ un atteggiamento di dipendenza eccessiva che porta l’individuo a ripetere atti o pensieri che limitano lo sviluppo dell’autonomia □ dalla tendenza a trovare soddisfazione in situazioni già vissute come soddisfacenti e già note □ dall’inclinazione ad accettare come valore ciò che promuove l’autonomia, l’individuazione e la responsabilità
5 Fra i disturbi specifci di apprendimento (DSA) si possono includere: □ dislessia, disgrafa, balbuzie e discalculia □ dislessia, disgrafa, disortografa e discalculia □ dislessia, disortografa e discalculia
Competenza
1 Abbina con una freccia l’informazione di sinistra con quella di destra.
Individuare collegamenti e relazioni
1. Il comportamento è influenzato dal modo in cui le persone percepiscono le cose e gli avvenimenti
a. Comportamentisti
2. L’apprendimento è determinato dal sentirsi adeguati e dal bisogno di crescita
b. Cognitivisti
3. Chi impara deve essere incentivato da opportune ricompense
c. Epistemologia genetica
4. L’apprendimento comporta un bilancio tra il vecchio e il nuovo
d. Umanisti
1 Completa la seguente fgura con le informazioni mancanti:
Competenza Sapere usare il lessico della disciplina
AUTOREALIZZAZIONE
STIMA APPARTENENZA SICUREZZA FISIOLOGIA
288
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
2 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: attenzione! Alcuni sono in più. L’apprendimento non è statico, ma è un processo che comporta continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . […] Gli studi sull’apprendimento riguardano gli aspetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ed . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . […] Vivere signifca fare esperienze, apprendere; buona parte di questo apprendimento non è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., diversamente dall’apprendimento che si verifca in ambito scolastico o all’interno di un corso di formazione. […] A volte l’apprendimento comporta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . sia in positivo sia in negativo. Imparare, infatti, implica adottare nuove concezioni, ma anche abbandonare precedenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . o modifcarli. progressioni - trasformazioni - culturali - cognitivi - emotivi - strutturato - cambiamenti - sacrifci - schemi mentali - credenze
1 Dopo aver letto la scheda C4.2 “Ragazzi svogliati” rispondi alle se-
Competenza
guenti domande:
Acquisire e interpretare le informazioni
a
Apprendiamo molto più facilmente ciò che ci piace
V
F
b
La motivazione cresce quando si pensa di poter avere successo e quando si viene apprezzati per ciò che si fa
V
F
c
A volte la scarsa motivazione può derivare da uno stato di moderata depressione tipica della crescita
V
F
2 Descrivi un’esperienza della tua vita che ha cambiato il tuo modo di guardare alla realtà. All’origine di questo cambiamento c’è stata una motivazione precisa o è stato il tempo a produrre il cambiamento? Spiega in poche parole il motivo del cambiamento.
3 Ti è capitato di sentirti sminuito dal dover riconoscere di “non sapere”?
4 Sei d’accordo sulla scala motivazionale di Maslow? Ci sono degli aspetti che non ti convincono? In caso afermativo, illustrane i motivi.
5 Spiega quali supporti è opportuno fornire alle famiglie in cui c’è un bambino con defcit cognitivo o d’altro tipo.
289
SeziOne
SeziOne
C
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 INCHIESTA
Competenza Sapere interpretare la realtà
Chiedi a ragazzi tra i 14 e i 20 anni (almeno a dieci soggetti) che cosa intendono per autorealizzazione e annota le risposte, evitando di intervistare ragazzi che sono già stati intervistati da altri, dal momento che i tuoi compagni stanno svolgendo la stessa ricerca. Successivamente, classifca le risposte in base al triangolo di Maslow, collocandole in una delle cinque categorie da lui descritte. In questa fase presta particolare attenzione alla classifcazione, perché non è detto che l’intervistato intenda per autorealizzazione ciò che ritiene Maslow, ossia che si tratti del livello più elevato. Calcola il numero complessivo di risposte che fanno parte del primo, secondo, terzo, quarto e quinto livello. Infne, metti insieme i tuoi risultati con quelli ottenuti dai tuoi compagni e osserva se il fattore età incide sul tipo di risposta e in quale percentuale. Se non sai ancora calcolare le percentuali chiedi l’aiuto dell’insegnante.
2 LA MOTIVAZIONE NELLO STUDIO
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
Con questo laboratorio possiamo dimostrare a noi stessi quanto la motivazione sia un fattore importante e determinante nello studio. Ognuno di noi si è trovato in situazioni in cui si è sentito motivato a imparare e in altre in cui la noia è stata la componente dominante dell’esperienza. Senza una buona motivazione, una “spinta”, qualsiasi compito rischia di fallire.
Prova a studiare seguendo questi cinque punti e alla fne verifca se sei migliorato nello studio. 1. Obiettivi: che cosa devo fare? • prendi un foglio di carta e un matita • rifetti qualche minuto • poniti qualche obiettivo realizzabile • scrivi gli obiettivi sul foglio 2. Gradualità: un passo alla volta • Organizza il tuo studio in piccole tappe dandoti dei micro-obiettivi (esempio: studiare 4-5 pagine nei prossimi 30 minuti!) • Inizia! Potrebbe essere, a volte, il momento più difcile (L’appetito vien mangiando!)
290
C
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
• Quando fnisci premiati con qualcosa di piacevole (per esempio: ascolta 10 minuti di musica del tuo cantante o gruppo preferito; utilizza WhatsApp o un social network) • Registra i progressi e i miglioramenti (Esempio: Ho già studiato 5 pagine e conosco un po’ meglio l’argomento!) • Ritorna a studiare e poniti un altro micro-obiettivo (studiare altre 4-5 pagine) 3. Concentrazione: evitare distrazioni • Studia in una stanza dove non ci sono distrazioni (Esempio: presenza della Tv, videogiochi, ecc.) • Non utilizzare WhatsApp o un social network, spegni computer e cellulare 4. Osservazione: autocontrollo • Osservati! Bisogna “vedersi”, verifcare se quello che è stato fatto va bene • Ripeti a voce alta quello che hai studiato e pensa di essere davanti all’insegnante • Se tutto va bene puoi “lodarti”, puoi esprimere sul tuo lavoro un parere favorevole. Le emozioni positive contribuiscono per il senso di realizzazione • Se qualcosa non è andata bene, ritorna al punto 3 5. Confronto/condivisione • Incontrati con qualche tuo compagno • Confrontati sul livello di apprendimento raggiunto • Condivi con lei o con lui le difcoltà riscontrate
3 LEGGERE CON ATTENZIONE
Competenza Sapere interpretare la realtà
Fatevi consigliare dall’insegnante 3 romanzi. Leggetene uno. Dopo averlo letto indicate: 1. gli aspetti positivi e negativi del protagonista o dei protagonisti; 2. i punti più rilevanti della narrazione; 3. eventuali inconguenze o punti deboli.
Istruzioni
291
SEZIONE
SEZIONE
C
LEGGIAMO 1 LA DIFFICILE ARTE DELL’INCORAGGIAMENTO
L
a motivazione non emerge soltanto dall’interno, ma deve anche essere incentivata dall’esterno. Nel rapporto tra alunno e docente, quest’ultimo ha il compito di incoraggiare e dare fducia al bambino, riconoscendone i successi, in particolare nel caso in cui i bambini siano problematici, come indica in questo brano il pedagogista Rudolf Dreikurs.
Il bambino scoraggiato è problematico Tutti i bambini dal comportamento “difcile” o “in ritardo” sono dei bambini scoraggiati. Finché il bambino ha fducia nelle proprie capacità, infatti, non ha bisogno di ricorrere a metodi distruttivi per trovare il proprio inserimento nel gruppo. È lo scoraggiamento, l’avvilimento che si trova all’origine di un atteggiamento errato. Ogni bambino vorrebbe essere buono ed è “cattivo” solo se non trova il modo di aver successo. I bambini continueranno a presentare problemi fnché i nostri metodi educativi e didattici costituiranno solo una serie di esperienze scoraggianti. L’iperprotezione e l’indulgenza hanno il medesimo efetto scoraggiante che la severità, l’umiliazione e la punizione, poiché privano il bambino di fare la necessaria esperienza per provare la propria forza e la propria capacità di superare difcoltà e badare a se stesso. Il bambino, privato di tale esperienza, impara a dipendere dagli altri e non da se stesso. Le critiche e le umiliazioni non aumentano la fducia che il bambino deve avere in se stesso né il suo coraggio, e sono proprio queste due qualità, fducia e coraggio, la base fondamentale per l’adattamento sociale ed il progresso scolastico. Solo esse procurano il senso della sicurezza.
292
L’insegnante moderno si trova di fronte a bambini che troppo spesso hanno già subìto esperienze negative nell’educazione ricevuta a casa. Mentre dovrebbe cercare di combattere il loro scoraggiamento, egli si trova fn troppo facilmente spinto a persistere nei metodi usati dai genitori, provocato dal bambino stesso che si attende dall’insegnante il medesimo trattamento ricevuto dai familiari. È necessaria una buona dose di comprensione, forza e pazienza per resistere a tale pressione.
L’insegnante: fgura infuente L’insegnante occupa una posizione decisiva nella vita del bambino. È la prima persona dopo i genitori ad esercitare deliberatamente un’infuenza educativa. Ed è spesso la prima a sottolineare al bambino l’importanza del lavoro, del dovere e della responsabilità. Se la sua infuenza è negativa e scoraggia il bambino, può anche defnitivamente bloccare una parte dell’attività del fanciullo. Molti adulti sofrono di defcienze, non inevitabili, come risultato delle loro prime esperienze scolastiche, perché il loro insegnante li aveva inconsapevolmente convinti della loro incapacità, totale o parziale. Vi sono persone intelligenti, colte ed istruite, che non hanno un’ortografa corretta perché il loro insegnante non era riuscito a convincerle che avrebbero potuto imparare a scrivere. Altri hanno imparato ad odiare i libri, simbolo della loro “incapacità”; altri ancora possono continuare a considerare i problemi di matematica come una tortura. Un disgusto profondo e durevole per il sapere, nel suo aspetto più formale, può essere il risultato di esperienze scoraggianti durante gli
C
La voglia di apprendere
anni di scuola. Insegnanti con le migliori intenzioni di sviluppare il sapere e le capacità intellettuali dei bambini agiscono spesso partendo da premesse errate e non si rendono conto di quanto male possono causare. L’uso saggio ed esperto dell’incoraggiamento è requisito essenziale per esercitare un’infuenza che sia positiva e costruttiva. È dovere dell’insegnante non solo evitare di fare del male al suo scolaro, ma anche cercare di compensare le precedenti esperienze negative da lui vissute. Tutti sappiamo come scoraggiare, poiché è facile criticare gli altri; ma, quando ci troviamo di fronte alla necessità d’incoraggiare, ci troviamo impacciati e raggiungiamo spesso l’efetto opposto. Non sappiamo da dove incominciare. Di conseguenza, quando vogliamo aiutare qualcuno non sappiamo che sottolineare i suoi errori. Razionalizziamo questo fatto, dicendoci che lo facciamo per il suo bene, senza renderci conto che il maggior vantaggio lo trae il nostro io. È raro che il bambino modifchi un comportamento che è stato oggetto di critiche, e noi continuiamo ad usare questo metodo, molto spesso perché non sappiamo che cos’altro fare. Quando i nostri sforzi falliscono, siamo inclini a cercare un capro espiatorio, e quando l’insegnante non sa più come agire sul
UNITÀ C4
bambino è spinto a criticare i suoi difetti piuttosto che la propria incapacità. Anche tentando di assumere un atteggiamento incoraggiante, si può farlo in modo da ottenere un efetto scoraggiante. Dire ad un bambino che potrebbe fare così bene, che potrebbe essere così bravo “Se solo...”, signifca dirgli chiaramente che non è bravo, che è colpa sua se non riesce a far meglio. Questo non è incoraggiamento, ed è raramente un aiuto.
Incoraggiamento: azioni e atteggiamenti È difcile dare una defnizione del metodo dell’incoraggiamento, poiché tutto dipende dalle reazioni del bambino. Le medesime parole indirizzate a due bambini diversi possono incoraggiarne uno e scoraggiare l’altro. Per esempio, congratularsi col bambino per la sua buona riuscita, in certi casi, può aumentare la fducia ch’egli ha in se stesso ed agire da stimolo, in altri, può far pensare ad una riuscita casuale che non potrà più esser ripetuta in futuro. L’incoraggiamento richiede, perciò, un costante controllo dei suoi efetti. Non si può imparare questa tecnica in modo meccanico. Si tratta di qualcosa di più di una singola azione; è tutto il rapporto che si stabilisce tra due persone che viene messo in gioco. La diferenza tra l’incoraggiamento e lo scoraggiamento è sottile. Possiamo scoraggiare un bambino, sia non esigendo nulla da lui, sia esigendo troppo, e, ancora una volta, il “poco” o il “troppo” dipendono dal bambino, unicamente dalla sua reazione. Il tono e l’infessione di voce o delle interferenze fortuite possono mutare il signifcato di un’afermazione o di un’azione. Le intenzioni possono esser state buone ed aver raggiunto in molti casi un efetto positivo, ma, se il bambino ne interpreta il signifcato in modo errato, possono anche diventare dannose. L’incoraggiamento dipende non tanto dalle azioni concrete quanto dagli atteggiamenti che sottintende. È qualcosa di troppo sottile per poter essere definito da semplici parole ed azioni; non è ciò che 293
sezione C
I processi mentali
uno dice e fa, ma come lo fa. Voler aumentare la fiducia che il bambino ha in se stesso, presuppone, perciò, una valutazione positiva del bambino. Solo chi ha fiducia nel bambino, chi riesce a vedere il buono che è in lui, può riuscire ad incoraggiarlo. Troppo spesso, la frase “aver fede nel bambino” è
usata male, per dire che si ha fede nelle sue possibilità. Questo concetto è una violazione del rispetto dovuto al bambino. Dobbiamo aver fede in lui, ora, senza preoccuparci di ciò che potrà fare. ■ R. Dreikurs, Psicologia in classe, Giunti-Barbera, Firenze 1961
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
Un atteggiamento di rifiuto nei confronti del sapere può essere il risultato di esperien- v ze scoraggianti incontrate durante gli anni di scuola
F
b
L’incoraggiamento dipende soprattutto dai comportamenti, non tanto dalle azioni con- v crete
F
c
La lode e l’approvazione possono essere usate anche senza prudenza perché il loro v effetto è sempre incoraggiante e positivo
F
▶ L’insegnante deve spesso usare una buona dose di comprensione nei confronti dei
ragazzi scoraggiati perché: □ non hanno ricevuto un’educazione adeguata a casa □ la pazienza è indispensabile e deve essere usata sempre a scuola □ hanno già subìto esperienze negative nell’educazione ricevuta a casa ▶ perché, secondo dreikurs, l’iperprotezione, come la severità, può avere effetti sco-
raggianti? ▶ spiega, attraverso esempi concreti, perché alcuni interventi considerati incoraggian-
ti da chi li fa possono ottenere l’effetto contrario.
LeggiaMo 2 COSA CI SPINGE A IMPARARE?
I
l successo scolastico dipende da diversi fattori ed è strettamente legato alla motivazione. A volte i genitori, senza rendersene conto, anziché aiutare i fgli a crescere, li mantengono in uno stato di dipendenza che non aiuta né la crescita né l’apprendi-
294
mento. Inoltre alcuni fattori come la paura dell’insuccesso, la tendenza a porsi aspirazioni non realistiche, una bassa autostima, possono infuire negativamente sulla riuscita e sull’autorealizzazione.
La voglia di apprendere
UNITÀ C4
Gli efetti dell’iperprotezione sull’au- ca è fglio unico hanno deciso di dargli una stanza più grande in modo che possa studiare meglio. Il tostima [...] Prendiamo in considerazione un caso esemplare che indica come un atteggiamento sbagliato dei genitori possa favorire la regressione dei fgli, anziché la crescita. Gianluca frequenta il terzo anno del liceo scientifco: a scuola va discretamente ma è un po’ timido e non ha molte amicizie. I suoi genitori però sono contenti che il fglio esca poco o lo faccia soprattutto per andare a scuola perché temono le cattive amicizie, la droga, i pericoli del trafco. Sono benestanti e poiché Gianlu-
padre ha così ceduto il suo studio al fglio che ha ora un grande ambiente in cui trova “tutto ciò di cui ha bisogno”, come dicono i suoi genitori nel mostrare agli amici la stanza del ragazzo. Gianluca passa così gran parte del suo tempo libero al computer, a vedere la televisione, al telefono. Se qualche volta accenna a uscire, la madre chiede con tono afettuoso: “Di che ha bisogno il mio Luchino? C’è qualcosa che ti manca?” In altre occasioni, se Gianluca viene invitato da qualche amico, i genitori gli raccomandano di fare attenzione al trafco, a possibili malintenzionati, a quegli amici che potrebbero essere in un giro di droga e via dicendo. Malgrado abbia 16 anni, si ofrono di accompagnarlo ogni volta che si profla all’orizzonte un impegno fuori casa. Il ragazzo, così, è sempre meno invogliato a uscire mentre aumenta la sua dipendenza dai genitori: d’altronde i compagni cominciano a prenderlo in giro, lo chiamano “Luchino” e così Gianluca si sente sempre più a suo agio nella sua stanza, un’isola protetta e sicura: talmente protetta che ora, quando esce per andare a scuola, si sente ansioso e in un paio di occasioni è tornato indietro, talmente forte era il disagio. Lo psicologo consultato dai genitori ha parlato di “attacchi di panico” scatenati dallo stato di crescente insicurezza in cui si trova il ragazzo, dalla mancata “crescita” e autonomia di Gianluca. Questo caso indica chiaramente come lo sviluppo della personalità di un ragazzo può dipendere dall’atteggiamento dei genitori: allo stesso modo, anche l’apprendimento risente delle dinamiche familiari e dell’ambiente di vita domestica. Un bambino o un ragazzo si sente stimolato ad apprendere se viene incoraggiato a essere esplorativo, ad avere fiducia nelle proprie possibilità, ad adottare un proprio punto di vista anziché uniformarsi a quello dei genitori. Lo sviluppo cognitivo è strettamente intrecciato con lo sviluppo della personalità, con la crescita interna di un bambino o ragaz-
295
SEZIONE C
I processi mentali
zo. Genitori e insegnanti possono favorire questo processo di crescita interna (e i formatori quello degli adulti) facendo sì che le “scelte di crescita” siano più attraenti e vengano percepite meno pericolose e che invece le “scelte regressive” appaiano meno allettanti.
Aspirazioni: equilibro fra l’alto e il basso Se infatti le nuove esperienze e le situazioni di apprendimento ci appaiono minacciose, pericolose o poco attraenti, è probabile che un bambino che frequenta la scuola o un adulto che deve fronteggiare una nuova esperienza cerchino di stare al sicuro, facciano pochi sforzi per rispondere e partecipare o persino evitino di apprendere. Se invece le possibilità di insuccesso vengono minimizzate attraverso una riduzione della pressione, rendendo attraente l’esperienza, mostrandone i risvolti positivi per la propria autorealizzazione, il desiderio di imparare aumenta. Se si valuta il livello di aspirazione delle persone sulla base delle scelte di sicurezza o di crescita, si può mettere in evidenza come esista una tendenza a elevare le proprie mete dopo aver riportato successi e ad abbassarle dopo gli insuccessi. Questo meccanismo fornisce una sorta di paracadute nei confronti di ripetuti insuccessi ma anche di quei successi che, essendo troppo facili, non soddisfano. Il livello delle proprie aspirazioni è una sorta di compromesso tra tendenze opposte: il desiderio di evitare la delusione dell’insuccesso spinge le aspirazioni verso il basso, il desiderio di ottenere crescenti successi le spinge verso l’alto. A volte questo meccanismo non è in equilibrio: le persone che si pongono mete troppo elevate falliscono facilmente mentre quelle che si pongono mete troppo basse non traggono sufcienti gratifcazioni: l’atteggiamento migliore sarebbe quindi quello di mantenere un livello realistico di aspirazioni. Altri psicologi guardano alla motivazione e al successo attraverso un’ottica “rovesciata” secondo cui
296
la diferente spinta verso il successo che caratterizza persone diverse si spiegherebbe in termini di bisogno di evitare l’insuccesso: secondo quest’ipotesi, alcuni sono orientati verso il successo, altri temono molto l’insuccesso e ne sono angosciati. Questi ultimi, come indicano diverse ricerche, possono porsi o mete molto basse o mete altissime perché, se non hanno successo nei compiti difcili, nessuno potrà biasimarli, mentre si sentono invece sicuri di riuscire nei compiti facili. In generale il bisogno di evitare l’insuccesso sarebbe tanto più intenso quanto più le mete sono al di sopra delle proprie possibilità e gli insuccessi passati numerosi.
Il segreto del successo? È nel passato! Seppure diverse, queste teorie della motivazione indicano come sia importante tenere conto della paura dell’insuccesso in tutte le esperienze di apprendimento che caratterizzano la vita di un bambino, di un ragazzo o di un adulto. Le esperienze precedenti condizionano la nostra fducia di poter apprendere: per avere successo nella vita è perciò importante avere ottenuto in precedenza un qualche successo in un settore della propria esistenza, si tratti della scuola in generale, di una specifca materia, oppure di uno sport o anche della popolarità tra gli amici. Esiste insomma un circolo virtuoso del successo: per avere fducia nella possibilità di avere successo bisogna partire da un minimo di fducia in se stessi, cioè avere avuto successo. Genitori, educatori e formatori possono consolidare l’autostima sottolineando positivamente gli ambiti in cui un bambino, un ragazzo o un adulto sono competenti o hanno ottenuto risultati positivi. Spesso questo aspetto non viene tenuto nel dovuto conto: dal momento che gli adulti hanno in mente un particolare ambito in cui il successo dovrebbe essere raggiunto, sviliscono o minimizzano le afermazioni ottenute da fgli o allievi in altri settori. Perciò, se ad esempio le aspettative degli adulti
La voglia di apprendere
riguardano la cultura, i successi sportivi o sociali di un ragazzo possono essere considerati non significativi: ma questa non è una buona strategia
Unità C4
e può avere l’effetto di bloccare le iniziative di un giovane in qualsiasi ambito. ■ A. Oliverio, L’arte di imparare, RCS, Milano 2001
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
Lo sviluppo della personalità di un ragazzo può dipendere dall’atteggiamento dei genitori
v
F
b
L’apprendimento dipende dall’ambiente scolastico e non risente delle dinamiche familiari e dell’ambiente di vita domestica
v
F
c
per avere successo nella vita è importante avere avuto in passato un qualche successo in un settore della propria esistenza
v
F
▶ gianluca, il ragazzo che frequenta il terzo anno del liceo scientifco, si sente ansioso
e vive un forte disagio perché: □ ha “tutto ciò di cui ha bisogno” oltre misura ed è viziato □ i suoi genitori sono eccessivamente presenti □ ha problemi a scuola a causa del suo scarso rendimento ▶ Quali sono i fattori che maggiormente incidono negativamente sulla riuscita e
sull’autorealizzazione di ragazze e ragazzi? ▶ spiega perché lo sviluppo cognitivo è intrecciato con lo sviluppo della personalità. ▶ in quale modo gli adulti (genitori ed educatori) possono accrescere e consolidare
l’autostima di un bambino?
297
SEZIONE
C
UNITÀ C5
I meCCanIsmI della memorIa Apprendimento e memoria sono strettamente intrecciati, come abbiamo visto nei capitoli precedenti. A ben vedere più che di memoria bisogna parlare di memorie. Esistono infatti memorie legate a procedure che vengono eseguite “in automatico” e memorie legate a significati; memorie a breve termine, memorie relative agli episodi della nostra vita e memorie autobiografiche. Lo studio del fenomeno delle amnesie, la perdita della memoria, ha permesso di comprendere come sia possibile perdere i ricordi del passato oppure la capacità di fissarne nuovi. Esistono amnesie permanenti e amnesie temporanee in cui abbiamo difficoltà ad avere accesso ai nostri ricordi. Esistono, altresì, memorie eccezionali, come quella attribuita a Pico della Mirandola e studiate, più di recente, dai neurologi e dagli psicologi. Le ricerche sulle amnesie, sulle memorie eccezionali e sull’oblio hanno permesso di elaborare metodi per facilitare la memorizzazione.
C5.1
StockImageGroup, Shutterstock.
Memoria e oblio Il grande psicologo Jean Piaget affermò che la memoria non è l’intelligenza ma che senza memoria non esiste intelligenza. la memoria, infatti, è una delle facoltà fondamentali che danno forma alla mente umana. sebbene sia ritenuta da molti un archivio immutabile di esperienze e ricordi, ciò che vi è custodito non è scolpito sulla pietra. I ricordi tendono a sbiadire col tempo, si deformano, vanno incontro, anche in condizioni normali, a un lento decadimento, a un fsiologico oblio.
I meccanismi della memoria
UNITÀ C5
Ricordi
ARCHIVIO
MEMORIA
Esperienze Lento decadimento
OBLIO ▶
Gli esperimenti di Ebbinghaus I primi studi sperimentali sulla
memoria risalgono alla seconda metà dell’Ottocento, quando Hermann Ebbinghaus (1850-1909) compì su se stesso alcuni esperimenti sulla memoria e sull’oblio. Lo psicologo tedesco ricorse a un metodo - defnito del “risparmio” - che consisteva nel mandare a memoria diverse serie di liste di sillabe prive di senso (ARB, DRE, MIR, NOT e così via). Rappresentando i dati sperimentali su due assi cartesiani (nell’asse orizzontale il tempo trascorso dalla memorizzazione, e nell’asse verticale la percentuale di sillabe ricordate) si delinea la curva dell’oblio che indica un calo della prestazione mnestica superiore all’aumentare del tempo della ritenzione. Del tutto analoga ma speculare è la curva della ritenzione: essa mostra che con l’aumentare delle ripetizioni, aumenta anche la qualità della ritenzione, fno a raggiungere un livello tale per cui successive ripetizioni non implicano miglioramenti signifcativi della prestazione.
Brian A Jackson, Shutterstock.
Memoria
EBBINGHAUS
HA STUDIATO SU SE STESSO Oblio
METODO “DEL RISPARMIO”
Curva della ritenzione
Con l’aumentare delle ripetizioni, aumenta la qualità della ritenzione
Imparare a memoria liste di parole senza senso
Curva dell’oblio
Calo della prestazione mnestica con l’avanzare del tempo
299
SEZIONE C
I processi mentali
Ebbinghaus studiò inoltre il numero delle ripetizioni in rapporto al tempo richiesto per il ri-apprendimento: più le ripetizioni sono numerose nella fase di apprendimento tanto più è breve la fase di ri-apprendimento (ovviamente dopo un periodo di ritenzione). Figura C5.1 3 J D P S E P
La curva dell’oblio di Ebbinghaus.
20’
▶
30 gg.
La memoria autobiografca Mentre gli studi di Ebbinghaus si rife-
riscono all’oblio cui vanno incontro memorie non signifcative, gli studi di altri psicologi, come quelli di Marigold Linton (1936), afrontano la dimenticanza che riguarda ricordi e memorie che si legano al proprio passato, ovverosia la memoria autobiografca. Nel 1972 la psicologa americana cominciò ad annotare in modo conciso, utilizzando un “modulo” di diario lungo circa tre righe, diversi eventi quotidiani. Giorno per giorno, annotava gli avvenimenti uniformi per lunghezza, evitando di dare uno spazio diverso ai diferenti ricordi e quindi di favorire la registrazione di alcuni anziché di altri. Linton trascriveva almeno due eventi al giorno e, una volta al mese, estraeva a caso le schede relative a due fatti, le rileggeva, cercava di stabilirne la data e di rievocarli. Nel momento in cui gli eventi venivano annotati e riletti, essi venivano anche valutati rispetto alla loro rilevanza, alle emozioni coinvolte, ai signifcati ecc.
Imagezoo, Getty Images.
LINTON Ha studiato
Metodo “Modulo”
Diario su cui annotare eventi quotidiani
300
MEMORIA AUTOBIOGRAFICA
Memoria che riguarda il proprio passato
I meccanismi della memoria
▶
UnItà C5
Il passato che scompare Attraverso questa procedura un
po’ ossessiva, in cui la psicologa era, a un tempo, soggetto e oggetto sperimentale, Linton arrivò a stabilire che i ricordi vanno incontro all’oblio al ritmo di circa il 5-6% l’anno, un ritmo che comporterebbe la scomparsa di circa la metà dei ricordi di specifci eventi se questi non venissero incamerati nell’ambito del più vasto sistema della memoria autobiografca, ossia della memoria relativa a fatti di carattere generale o ai periodi della nostra vita. I singoli mattoni, di cui sono costruiti questi contenitori più vasti, possono disgregarsi, senza per questo pregiudicare la percezione del fusso delle memorie e del loro signifcato globale. Le ricerche della Linton chiariscono perché, col passare degli anni, alcune memorie siano incerte o dimenticate. Questo fenomeno riguarda in modo particolare gli anni della vecchiaia in cui la tendenza a dimenticare può dipendere anche da una minore efcienza cerebrale.
Dundanim, Shutterstock.
Memoria e neuroni
C5.2
In che modo i ricordi sono depositati nel cervello? a questa domanda ha dato una prima risposta, verso la fne degli anni Quaranta del novecento, il neurofsiologo canadese Donald O. Hebb (1904-1985) cui si deve la cosiddetta ipotesi della doppia traccia. successive ricerche, negli ultimi decenni, hanno poi apportato contributi signifcativi allo studio delle basi neurobiologiche della memoria. ▶
L’ipotesi della doppia traccia Secondo tale ipotesi, un’esperienza
altera un circuito nervoso, modifcando l’attività elettrica di alcuni neuroni in grado di codifcare l’informazione in forma precaria, instabile: questa è una codifcazione o memoria a breve termine (della durata di pochi secondi o minuti). A questo tipo di codifca ne subentra una stabile, la memoria a lungo termine (della durata di mesi o anni), legata a modifche strutturali durature dei neuroni o dei circuiti nervosi (consolidamento della memoria). Secondo Hebb, i due tipi di memoria corrispondono a modifche delle sinapsi nervose, i minuscoli punti di contatto tra neuroni (detti anche cellule nervose) che così formano catene o circuiti nervosi. Queste modifche delle sinapsi nervose possono essere funzionali (memoria a breve termine) oppure strutturali o permanenti (memoria a lungo termine). L’ipotesi postulata B C da Hebb circa mezzo secolo Sinapsi eccitatoria fa, sulla plasticità funzionale o strutturale neuronale A Sinapsi inibitoria e sinaptica - che comporta una ristrutturazione delle reti nervose - ha ricevuto oggi numerose conferme D sperimentali.
Figura C5.2 Le sinapsi nervose: da un neurone partono prolungamenti (dendriti) che formano sinapsi (unione) con un altro neurone. Le sinapsi possono trasmettere stimoli eccitatori o inibitori.
301
SEZIONE C
I processi mentali
ESPERIENZA modifca
ATTIVITÀ ELETTRICA DEI NEURONI in modo precario
Instabile
in modo permanente Stabile
dura pochi secondi o minuti
dura mesi o anni
Memoria a lungo termine
Memoria a breve termine Sinapsi nervose Funzionali
▶
Strutturali o permanenti
Le basi neurobiologiche della memoria Una delle più importanti
ricadute del modello proposto da Hebb riguarda le ricerche sulle basi neurobiologiche della memoria, in gran parte fondate sull’analisi delle alterazioni dell’attività elettrica dei neuroni e delle sinapsi. In seguito a uno stimolo particolarmente intenso o ripetuto nel tempo, una sinapsi potenzia il suo livello di risposta, accrescendo la sua efcienza anche fno a due volte e mezzo. Quest’incremento dell’attività elettrica sinaptica (potenziamento a lungo termine) si sviluppa entro pochi minuti dallo stimolo iniziale e rimane relativamente stabile per lungo tempo; in determinate condizioni, anche per varie settimane. In altre parole, quando uno stimolo di un qualche rilievo è recepito da un neurone, come nel caso degli stimoli che si susseguono ripetutamente nel corso del condizionamento o di altre forme di esperienza o apprendimento, si può verifcare un aumento dell’efcienza delle sue sinapsi. Col tempo poi, si possono formare nuove sinapsi che contribuiscono a connettere i neuroni in un nuovo circuito che codifca una specifca esperienza o memoria. Dunque, da un’iniziale alterazione funzionale (l’attività elettrica) i neuroni vanno incontro a modifche strutturali provocate da alterazioni di alcuni enzimi e dalla sintesi di proteine che alterano lo scheletro dei neuroni, stimolando la formazione di sinapsi che si saldano tra loro. Le variazioni del circuito nervoso permettono di registrare l’informazione all’interno di reti neurali. Negli esseri umani, il consolidamento di un’esperienza è basato su modifche bioelettriche che coinvolgono l’ippocampo, un nucleo nervoso situato nella profondità del cervello che si attiva quando facciamo una nuova esperienza o quando ricordiamo esperienze del passato.
Ana-Maria Tanasescu, Shutterstock.
302
I meccanismi della memoria
UNITÀ C5
SCHEDA C5.1
Si parla spesso di memoria al singolare, tuttavia bisognerebbe tenere conto che esistono molte forme o tipologie di memoria. Oltre alla cosiddetta memoria di lavoro, o a breve termine (della durata di pochi secondi o minuti), esistono memorie durature e codifcate in modo stabile, come le memorie a lungo termine. Si possono poi distinguere memorie procedurali (o implicite), legate a procedure apprese attraverso la pratica e prevalentemente motorie, come l’annodarsi i lacci delle scarpe o l’andare in bicicletta, e memorie di tipo dichiarativo o esplicite, quali sono le memorie dei fatti appresi attraverso le esperienze e lo studio. Nel far emergere i ricordi della nostra vita chiamiamo invece in causa un particolare tipo di memoria dichiarativa, la memoria autobiografca o, nel caso di fatti specifci, la memoria episodica, che consente di ricollegare una particolare informazione al contesto del tempo, dello spazio e della presenza di chi ricorda: “quella volta che” (il tempo) “nel corridoio della scuola” (lo spazio) “si è verifcato quel fatto” (la presenza di chi ricorda). La memoria episodica è in qualche modo intrecciata con quella semantica che, a sua volta, implica una conoscenza di fatti, concetti, elementi linguistici slegati da un contesto determinato. Ad esempio, quando si afferma che Milano è a nord di Roma e Venezia ad est di Torino, vengono richiamate conoscenze che non sono contestualizzate, come invece può avvenire per un particolare episodio della vita personale. Gran parte della vita si basa poi su memorie di tipo dichiarativo e costruite nel tempo che, mattone dopo mattone, servono per edifcare un edifcio di conoscenze complesso e stratifcato, che sarebbe diffcile, se non impossibile, scomporre e ricomporre nei suoi singoli elementi. Come, ad esempio, si verifca per la lingua che parliamo correntemente, frutto di complesse memorie linguistiche in cui s’intrecciano conoscenze di vocaboli, regole grammaticali e sintattiche.
LE VARIE FORME DELLA MEMORIA
Lightspring, Shutterstock.
MEMORIE
Fatti appresi con le esperienze e lo studio
DICHIARATIVE (ESPLICITE)
PROCEDURALI (IMPLICITE)
- Legate a procedure - Motorie es. andare in bicicletta
Semantica
Episodica
Riguarda le conoscenze
Riguarda fatti della vita personale
Memoria autobiografca
Non da ultimo occorre ricordare che la memoria dipende anche da una serie di supporti esterni, tanto che molti studiosi considerano che la mente abbia estensioni (mente estesa) al di fuori del cervello e che queste estensioni, col progredire delle tecnologie, facciano sempre più parte delle funzioni mentali, come indica la mappa concettuale alla pagina seguente:
303
SEZIONE C
I processi mentali
Studiare • scrivere appunti • scrivere informazioni Segnare • compiti • impegni • appuntamenti • date e ricorrenze
Quaderno
Appuntamenti giornalieri
Diario • Studiare • Esemplifcare • Chiarire
Annotazione sui libri
Insieme di fatti • numeri telefonici • indirizzi
Agenda
Rubrica • Promemoria • Lista spesa • Brevi informazioni
TRADIZIONALI
Post-it (foglietto)
SUPPORTI DELLA MEMORIA Macchina fotografca
Registratore registra
Registrazione audio
ELETTRONICI
Computer
Cellulare
elabora dati
dispositivo mobile
• Raccolte dati • Elaborazioni dati • Accesso internet
Ana-Maria Tanasescu, Shutterstock.
304
Immortala momenti • immagini • video
• Telefonate • Promemoria • Accesso internet • Rubrica
I meccanismi della memoria
UnItà C5
Amnesie e circuiti nervosi della memoria Quasi mezzo secolo fa, William scoville e Brenda milner (1965) descrissero il caso clinico di un paziente, Henry Gustav molaison, divenuto celebre con le sue iniziali Hm, che in seguito a un intervento chirurgico sul cervello, aveva perso la capacità di ricordare non solo gli eventi che si erano verifcati prima dell’operazione ma anche quelli successivi all’operazione chirurgica: Hm era affetto da una amnesia di tipo episodico sia retrograda* sia anterograda*. Se il settore delle amnesie è stato a lungo studiato da neuropsicologi e psicologi, oltre agli psicoanalisti, il settore legato alle ipermnesie è meno conosciuto e anche meno strutturato. Di questo fenomeno mancano chiare basi neurologiche, che sono note solo per alcuni casi soltanto, come avviene per le amnesie che dipendono da danni della corteccia cerebrale e dell’ippocampo (fgura C5.3). Esemplare è il caso descritto dal neuropsicologo russo Alexander Lurija, il caso di Serasevskij, un “mnemonista” dotato di una memoria prodigiosa che poteva ricordare interi brani di un libro, i particolari di una stanza affollata da oggetti, interminabili formule matematiche di cui, tra l’altro, ignorava il signifcato. Serasevskij non poteva essere considerato un idiot savant, non faceva parte di quegli stupefacenti casi clinici in cui la memoria è completamente dissociata dall’intelligenza. La sua memoria prodigiosa era piuttosto il segno di una mente particolare, che segue un vero e proprio metodo per fssare e memorizzare, come viene descritto da Lurija. Serasevskij, infatti, non era dotato di un’eccezionale memoria fotografca o eidetica, come dicono gli psicologi, egli era in grado di ricordare in quanto applicava un suo metodo al materiale da memorizzare, rivestendo persino i simboli matematici di un loro signifcato e concatenandoli insieme in una “storia” signifcativa, anche se intricatissima. La mente di Serasevskij era quindi caratterizzata da una quasi mostruosa intensifcazione della memoria, dovuta alla capacità di associare una formula, una frase, le pagine di un libro, a una serie di immagini concatenate tra loro in una sequenza logica, in una storia creata ad hoc. Così, se gli si mostrava una formula matematica artifciale e senza alcun senso, Serasevskij guardava attentamente la formula, la portava vicino agli
N
276 86x SV 1624 S d X 85 fVVVVVVVV fVVVVVVVV vx n b v264 32 2
2
3
2
C5.3 amnesia retrograda perdita di memoria relativa agli eventi precedenti l’inizio dell’amnesia. amnesia anterograda perdita di ricordi relativa a eventi che si sono verifcati dopo un trauma cranico o dopo una malattia, con incapacità di memorizzare nuove esperienze
SCHEDA C5.2 MEMORIE PRODIGIOSE
Ollyy, Shutterstock.
2
2
occhi, socchiudeva le palpebre e, dopo qualche secondo, la riproduceva con precisione. Se gli si chiedeva quale fosse il suo metodo, il “mnemonista” rispondeva che: “Neumann (N) uscì e batté in terra con la punta del bastone (.). Guardò un albero alto, che somigliava a una radice (inserire segno di radice), e pensò ch’era naturale e che le radici si fossero scoperte: c’era già infatti, fn da quando lui costruiva lì quelle due case [doma in russo] (d2): e qui di nuovo batté col bastone in terra (.). Sono case vecchie, egli pensa, bisognerà metterci sopra una croce (X), questo darà un grande aumento di capitale; e così, vi colloca un capitale di 85 migliaia di rubli (85). Il tetto lo tiene separato (__), e sotto c’è un uomo che suona un Fermenvox (vx)…” e così continua fno a giungere alla S2 che per lui corrisponde a “due studentesse (2) guardano ed esclamano, perché lui non se ne accorga: ‘ss… più piano!’ (S)”.
305
* *
SEZIONE C
I processi mentali
▶
Il caso HM La situazione di HM era però piuttosto singolare. Il vuo-
to di memoria, infatti, non riguardava l’intero arco della sua vita: gli “anni scomparsi” erano all’incirca una decina, quelli più recenti. L’amnesia di cui era afetto HM era infatti molto meno grave quando il giovane cercava di rievocare gli anni dell’infanzia o della prima adolescenza. Tali caratteristiche dell’amnesia di HM indussero i neuropsicologi, che studiarono questo e altri casi afni, a ritenere che una parte del lobo temporale collegata all’ippocampo (fgura C5.3), che era stata asportata dal cervello di HM, non dovesse essere la “sede” della memoria, altrimenti accanto al blocco della formazione di nuovi ricordi sarebbero dovuti scomparire anche tutti i ricordi del passato. Con una metafora si potrebbe attribuire alla corteccia cerebrale (quel tessuto nervoso che riveste tutto il cervello) la funzione di archivio dei ricordi, mentre al lobo temporale medio quella dell’archivista che iscrive le esperienze, trasformandole da fragili memorie di lavoro in memorie durature e le rimugina per ore, mesi o persino anni, svolgendo un minuzioso lavoro di classifca, paragone e generalizzazione. Una volta compiuto questo lungo lavoro che può durare anche anni, l’archivista dispone di una mappa e possiede la chiave per andare a ricercare nei posti “giusti” le diverse parti e componenti dei ricordi, per ricostituire da un insieme di tessere il puzzle della memoria. Se l’archivista è assente, come si è verifcato nel caso di HM, la mappa e le chiavi non sono più disponibili. Restano invece a disposizione della mente le memorie più antiche, quelle ormai catalogate in forma molto stabile nei circuiti corticali, memorie talmente evidenti che balzano agli occhi, o alla mente, anche senza l’intervento dell’archivista.
Ollyy, Getty Images.
Figura C5.3
Le principali aree del cervello coinvolte nella memoria
306
I meccanismi della memoria
UnItà C5
Fedeltà e infedeltà della memoria
C5.4
a distanza di qualche anno, ritorniamo nella città in cui abbiamo vissuto per qualche tempo: negli anni trascorsi, i nostri ricordi ci hanno ricondotto più volte nella strada in cui abbiamo abitato, nel bar che frequentavamo con gli amici, in quei giardini in cui abbiamo giocato da piccoli o in cui siamo andati a passeggio con il primo amore adolescenziale. nella vecchia strada di un tempo c’è ora un supermercato, il bar è molto diverso e ha perduto quell’aspetto intimo e cordiale che ricordavamo, i giardini ci appaiono ora poca cosa rispetto al ricordo che ne avevamo: gli alberi, i cespugli, il chiosco della musica ci sembrano ammassati in uno spazio esiguo. sono proprio quelli i luoghi dei nostri ricordi? Qualcosa è mutato nella realtà oppure sono cambiati gli occhi con cui guardiamo, la mente in cui sono depositati i ricordi di quegli anni trascorsi? ma che cos’è un ricordo? di ogni evento e di ogni esperienza della nostra vita conserviamo un’immagine fedele? oppure col tempo i ricordi si deteriorano? la memoria è infuenzata da altre esperienze e ricordi che non ci appartengono ma che derivano dall’immaginario in cui siamo sempre più immersi, dalla televisione alla rete? Ciò potrebbe signifcare, al limite, che le memorie possono ben essere ricostruzioni molto imprecise o addirittura immaginarie del passato? Il ricordo può essere completamente deformato o indotto artifcialmente?
▶
Quanto sono affdabili i ricordi? Per afrontare quest’aspetto del-
la memoria consideriamo un classico caso della realtà quotidiana: immagina di essere testimone di un crimine e di ascoltare un secondo testimone che fornisce una descrizione verbale di quell’avvenimento. Il secondo testimone è ascoltato dalla polizia per primo e chi stende il verbale ti enuncia alcuni dei punti-chiave della sua testimonianza, ritenendo di aiutarti a fssare la tua deposizione nell’ambito di una trama ben precisa: “Il colpevole era un ragazzo di media statura, capelli castani, occhi scuri, giubbotto jeans. Il ragazzo aveva un’espressione provocatoria e ha colpito con un pugno la vittima che è caduta a terra, battendo la fronte”. Il poliziotto, normalmente, non dovrebbe agire in questo modo in quanto, suggerendo una traccia verbale dell’accaduto, altera la tua memoria visiva: le parole che egli ha pronunciato hanno infatti il potere di generare un’immagine del colpevole e della scena del crimine che entra in competizione con l’immagine che ne avevi tu e la rimuove dalla tua memoria. Qualcosa di simile avviene quando la descrizione di un fatto specifco viene fltrata attraverso le conoscenze generali che abbiamo sui tipi di dinamiche in cui ricade quel fatto. Nell’ascoltare la descrizione, che ci viene fatta, siamo portati a “correggere” inconsciamente gli errori che cogliamo in quel racconto e a codifcare la descrizione di quel fatto in modo “riveduto e corretto”, alterandolo rispetto alla realtà.
Lightspring, Shutterstock.
307
SEZIONE C
I processi mentali
MEMORIE
Corregge automaticamente il ricordo
▶
t t t t
SI DETERIORANO SONO IMPRECISE IMMAGINARIE DEL PASSATO DEFORMATE
MENTE UMANA
Correzioni e inferenze Un amico, ad esempio, ti racconta in modo
dettagliato l’incidente che gli è capitato mentre usciva dai cancelli dello stadio insieme ai tifosi della squadra locale: “La partita era appena fnita e mentre i tifosi dell’altra squadra lanciavano mortaretti per festeggiare la vittoria, io e i soliti amici siamo usciti dai cancelli della curva nord. Appena usciti ci siamo imbattuti in un gruppo di tifosi dell’altra squadra…”. È probabile che nel visualizzare la descrizione fatta dall’amico tu abbia corretto, senza stare a farlo notare, la “curva nord” con “curva sud”, poiché è da quell’uscita che escono sempre i tifosi della tua squadra. La correzione non verrebbe invece apportata da un tifoso di un’altra città o da chi non conosce la situazione e le regole dello stadio che frequenti. È un esempio banale, ma in numerose situazioni la nostra mente “corregge” autonomamente le cronache parlate o scritte di un fatto particolare quando siamo esperti di quella realtà. In altre parole, la conoscenza della situazione induce inferenze sul modo in cui recepiamo l’informazione e la codifchiamo sotto forma di memorie.
Lightspring, Shutterstock.
Elzbieta Sekowska, Shutterstock.
308
▶ Manipolazione delle memorie visive Se la manipolazione verbale di un ricordo può alterare la memoria dell’ascoltatore, la manipolazione delle memorie visive ha un efetto notevolmente superiore, come indicano alcune recenti ricerche sugli efetti di contaminazioni e falsifcazioni di “documenti” fotografci, attuate attraverso semplici sofware. In particolare, come hanno indicato gli psicologi cognitivi, le false immagini che si riferiscono alla nostra infanzia possono generare false memorie, essere cioè incorporate nella memoria autobiografca e convincerci che un particolare evento si è realmente verifcato. Le immagini, infatti, possono ingannarci più delle parole, più di un racconto con cui si cerca di impiantare nella mente di una persona una falsa memoria. In un esperimento ormai classico, dei volontari dovevano leggere delle storie della loro infanzia scritte da membri della propria famiglia: una di queste, d’accordo coi parenti, era falsa e
I meccanismi della memoria
UNITÀ C5
narrava di quella volta in cui il volontario, da bambino, si era perso in un supermercato. Interrogati su questo “evento” della propria infanzia, circa 1/3 dei volontari “ricordava” numerosi particolari, ovviamente indotti dalla propria fantasia. ▶ Foto ricordo Ebbene, un esperimento simile è stato condotto di recente da un gruppo di psicologi neozelandesi utilizzando foto manipolate, fornite da parenti compiacenti, d’accordo cioè con lo sperimentatore. Una delle foto più utilizzate riguardava un’improbabile ascensione in un pallone aerostatico, compiuta nella prima infanzia dal gruppo familiare: in questo caso più della metà delle persone sottoposte al test si è convinta di aver efettuato quel viaggio ed ha aggiunto, nel “ricordarlo” diversi particolari, congrui con la situazione ma totalmente inventati…
Figura C5.4 Una foto manipolata ad arte può “impiantare” falsi ricordi.
Shutterstock.
L’oblio si riferisce al progressivo afevolirsi dei ricordi: non riguarda i casi dovuti a distrazione o a perdita temporanea di memoria, ma uno stato più o meno duraturo, come la scomparsa o la sospensione del ricordo. In tal senso l’oblio rimanda alla fragilità costitutiva della memoria, come testimoniano numerosi esperimenti sulle basi neurobiologiche della memoria, efettuati su organismi ben più semplici dell’uomo, come gli invertebrati o i topolini. I risultati di questi studi indicano che la traccia mnemonica è piuttosto fragile e che, dopo qualche tempo, si indebolisce fno a scomparire del tutto.
309
SEZIONE C
I processi mentali
SCHEDA C5.3 QUANTO È AFFIDABILE LA MEMORIA?
L’inaffdabilità, o la parzialità della memoria, è un aspetto che ricorre in numerosi romanzi polizieschi. Spesso un testimone ricorda solo una parte della verità o, addirittura, è in contrasto con altri testimoni perché non soltanto ha percepito un diverso aspetto della scena del delitto ma gli ha anche assegnato un signifcato diverso. Il ricordo non restituisce la realtà come in fotografa, ma ne è una sua rielaborazione. Questa selettività o parzialità dei ricordi non riguarda però unicamente la letteratura, essa è anche una caratteristica della vita quotidiana, come mostra un originale studio effettuato per conto del Museum of Modern Art di New York dal critico d’arte Robert Storr (1950). In questa ricerca venne chiesto a una parte del personale del museo di descrivere a mente alcuni quadri che erano stati a lungo esposti sulle pareti e che erano stati rimossi a causa di prestiti o restauri. I risultati dell’inchiesta indicarono che ogni persona, che pur aveva “visto” quel quadro quotidianamente per settimane o mesi (nella fattispecie “L’assassino minacciato” di René Magritte), ne ricordava un aspetto particolare soltanto e generalmente dissonante rispetto al ricordo degli altri colleghi. Chi ricordava un colore, chi una forma specifca, chi l’atmosfera, i personaggi o lo sfondo e così via... La ricostruzione verosimile del quadro non emergeva che dalle descrizioni di un esiguo numero di addetti al museo. Da questo studio emerge quanto la mente sia diversa da un computer o da una macchina fotografca, e possa incamerare e registrare dettagli molteplici, ma selezionarne soltanto alcuni nel suo lavoro di ricostruzione.
Figura C5.5 René Magritte, L’assassino minacciato, 1926, New York, Museum of Modern Art. Ognuno ricorda un particolare di un quadro.
310
C
RIASSUMIAMO
SEZIONE
SEZIONE
C
COME FUNZIONA LA MEMORIA Apprendimento e memoria sono strettamente intrecciati. L’amnesia è la perdita della memoria, mentre l’oblio consiste nel lento decadimento dei ricordi che tendono a svanire nel tempo. Esistono vari tipi di memoria (a breve termine, a lungo termine, procedurale, dichiarativa, episodica, autobiografca). Ebbinghaus è stato il primo a studiare in modo scientifco la memoria, attraverso esperimenti condotti su se stesso che riguardavano la memorizzazione di sillabe prive di signifcato. Egli riuscì a delineare la curva dell’oblio e scoprì che la ripetizione aiuta la memorizzazione, fno al momento in cui ulteriori ripetizioni non implicano miglioramenti signifcativi. Dopo un certo
periodo di tempo i dati memorizzati sono dimenticati, ma il processo di ri-apprendimento è molto più veloce, soprattutto se c’è stato un ampio numero di ripetizioni nella fase di apprendimento. Marigold Linton studiò invece la memoria autobiografca, ovvero la memoria che riguarda il proprio passato e scoprì che i ricordi vanno incontro all’oblio in misura rilevante. Ciò che ricordiamo è legato a fatti di carattere generale o ai periodi della nostra vita, che rappresentano dei contenitori più vasti e permettono la percezione del fusso delle memorie e del loro signifcato globale.
Dooder, Shutterstock.
MEMORIA E NEURONI Dal punto di vista biologico la registrazione dei ricordi è resa possibile dalla modifcazione delle trame nervose: una modifca temporanea dell’attività elettrica dei neuroni dà luogo a una memoria a breve termine, mentre una mo-
difca strutturale e permanente dei circuiti nervosi produce una memoria a lungo termine (teoria della doppia traccia). Gli studi di neurobiologia hanno analizzato le alterazioni dell’attività elettrica dei neuroni e delle
311
SEZIONE C
I processi mentali
sinapsi (i punti di contatto tra neuroni). In seguito a uno stimolo particolarmente intenso o ripetuto nel tempo, una sinapsi potenzia il suo livello di risposta, accrescendo la sua efcienza anche fno a due volte e mezzo. Quindi, da un’iniziale alterazione funzionale (l’attività
elettrica) i neuroni vanno incontro a modifche strutturali provocate da alterazioni di alcuni enzimi e dalla sintesi di proteine che alterano lo scheletro dei neuroni, stimolando la formazione di sinapsi che si saldano tra loro. Fotosearch, Getty Images.
AMNESIA L’amnesia può essere retrograda (riguardare gli eventi precedenti l’inizio dell’amnesia) o anterograda (riguardare gli eventi che si verifcano successivamente all’incidente o al trauma che dà luogo all’amnesia). Nel cervello, la corteccia cerebrale (il tessuto nervoso che riveste il cervello) è in un certo senso “l’archivio”, mentre il lobo
temporale insieme all’ippocampo può essere paragonato all’archivista che iscrive le esperienze, trasformandole da fragili memorie di lavoro in memorie durature. Se l’archivista è assente (lesioni al lobo temporale) la mappa e le chiavi dell’archivio non sono più disponibili. Laguna Design, Getty Images.
FEDELTÀ E INFEDELTÀ DELLA MEMORIA I nostri ricordi non sono una registrazione fotografca degli eventi. Spesso ciò che ricordiamo è soggetto a correzioni o a distorsioni. In alcuni casi, si possono verifcare
anche manipolazioni intenzionali delle memorie, particolarmente efcaci se visive, che inducono la produzione di falsi ricordi.
Tudor Catalin Gheorghe, Shutterstock.
312
LE COMPETENZE
C
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
SEZIONE
SEZIONE
CVERIFICHIAMO
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
L’amnesia equivale alla perdita della memoria
V
F
b
Hermann Ebbinghaus ha compiuto su se stesso alcuni esperimenti sulla memoria e sull’oblio
V
F
c
La memoria autobiografica riguarda i ricordi della propria vita
V
F
d
L’ipotesi della doppia traccia della memoria ipotizzata da Hebb oggi non trova conferme in ambito sperimentale
V
F
e
La memoria a lungo termine può contenere le informazioni per lungo tempo (mesi o addirittura anni)
V
F
f
L’oblio è una perdita temporanea di memoria
V
F
g
La memoria ha basi neurobiologiche
V
F
h
Una modifica temporanea dell’attività elettrica dei neuroni dà luogo alla memoria a breve termine
V
F
1 L’oblio è un decadimento dei ricordi:
Competenza Acquisire le informazioni
□ lento e fsiologico □ lento e patologico □ rapido e improvviso
2 Gli studi sulla memoria autobiografca sono stati condotti da: □ Ebbinghaus □ Linton □ Hebb
3 Un individuo può produrre: □ la manipolazione verbale di un ricordo □ la manipolazione delle memorie visive □ manipolazioni sia verbali sia visive
313
SEZIONE C
I processi mentali
4 La curva dell’oblio indica un calo della memoria: □ in presenza di un forte coinvolgimento emotivo □ in relazione allo scorrere del tempo □ in relazione all’avanzare dell’età
5 La memoria a lungo termine è determinata: □ dalla modifca temporanea dell’attività elettrica dei neuroni □ dalla modifca strutturale e permanente dell’attività elettrica dei neuroni □ dall’alterazione dell’attività elettrica dei neuroni e delle sinapsi (i punti di contatto tra neuroni)
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: attenzione! Alcuni sono in più!
Competenza Sapere usare il lessico della disciplina
Jean Piaget afermò che la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . non è l’intelligenza ma che senza memoria non esiste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La memoria, infatti, è una delle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . fondamentali che danno forma alla mente umana. Sebbene sia ritenuta da molti un archivio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di esperienze e ricordi, ciò che vi è custodito non è scolpito sulla pietra. I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . tendono a sbiadire col tempo, si deformano, vanno incontro, anche in condizioni normali, a un fsiologico . . . . . . . . . . ................. memoria - intelligenza - facoltà - capacità - mutabile - immutabile - ricordi - pensieri - ricordo - oblio
Competenza
1 Qual è il legame fra l’apprendimento e la memoria?
Acquisire e interpretare le informazioni
2 Quale metodo ha utilizzato Ebbinghaus per misurare l’oblio? 3 In che modo si può infuenzare la memoria di un testimone? 4 Quali sono le diferenze fra l’amnesia retrograda e quella anterograda? 5 Quali sono le caratteristiche della memoria a breve termine?
314
C
LE COMPETENZE 1 L’ESpErIEnzA InGAnnA
sezione
sezione
CAPPLICHIAMO
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
La conoscenza della situazione modifca il modo in cui recepiamo l’informazione e la codifchiamo sotto forma di memorie.
istruzioni
Per renderti conto di questo tipo di inferenza inconscia prova a eseguire un semplice test. Guarda attentamente le seguenti parole e poi non guardare più questa pagina: amaro, zucchero, mangiare, miele, buono, cuore, torta, cioccolata, crostata, gusto, marmellata, agrodolce, torrone. Adesso cerca di scrivere su un foglio di carta il maggior numero possibile delle parole che ricordi di aver letto in questa lista e poi, sempre senza guardare la lista delle parole elencate nel precedente paragrafo, tenta di ricordare quale di queste tre parole vi era inclusa: gusto, rigido, dolce. Rifetti bene, cercando di ricordare quale di queste tre parole hai visto nella lista che hai scorso un minuto fa: la maggior parte delle persone, e probabilmente anche tu, ricorda di aver visto la parola dolce e ne ha un ben chiaro ricordo visivo, anche se questa parola non era presente. In simili test e in situazioni analoghe la memoria ci inganna in quanto, se una particolare esperienza ha un evidente signifcato, essa incide sulla memoria che ne abbiamo. Ad esempio, nella lista sopracitata, la maggior parte delle parole era associata al signifcato “dolce” ed è questo signifcato che ha orientato il nostro ricordo.
Competenza
2 TEST: QUAnT’è bUonA LA TUA mEmorIA? La memoria può vacillare in modo più o meno serio. Qui di seguito vengono riportate 27 diverse situazioni in cui possiamo commettere errori. Per valutare la propria memoria bisogna attribuire un punteggio ad ogni situazione, utilizzando una scala che va dall’1 al 9: ad esempio, se un errore non si è verifcato nemmeno una volta negli ultimi mesi il punteggio è 1, se si verifca più di una volta al giorno il punteggio è 9. Scala dei punteggi: Nemmeno una volta negli ultimi sei mesi . . . . . . . . . . . . . . Una volta negli ultimi sei mesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Più di una volta negli ultimi sei mesi, meno di una volta al mese . Più o meno una volta al mese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Più di una volta al mese, meno di una volta a settimana . . . . . . Circa una volta a settimana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
Sapere interpretare la realtà
istruzioni
.1 .2 .3 .4 .5 .6 315
sezIone C
I processi mentali
Più di una volta a settimana, meno di una volta al giorno . . . . . . . . . . . . . . . 7 Circa una volta al giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Più di una volta al giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 E ora ecco il test: Situazione
Punteggio
1. 2. 3. 4.
dimentico dove ho messo qualcosa, perdo gli oggetti in casa. non mi ricordo posti dove sarei già stato. mi perdo nella trama dei teleflm. se cambio la mia routine quotidiana ho dei problemi, ad esempio, se cambio di posto a un oggetto usuale. 5. torno indietro a controllare se ho fatto qualcosa che dovevo fare. 6. dimentico quando è successo qualcosa, se il giorno o la settimana prima. 7. mi dimentico di portare dietro degli oggetti che mi servono. 8. dimentico quanto mi hanno detto uno o più giorni fa e devo farmelo ripetere. 9. Inizio a leggere un libro o un articolo senza rendermi conto di averlo già letto. 10. mi perdo e divago nel discorso. 11. Quando li incontro non riconosco amici o parenti. 12. Imparo diffcilmente qualcosa di nuovo, come un gioco o un nuovo congegno. 13. Ho delle parole sulla punta della lingua ma non riesco a trovarle e a pronunciarle. 14. dimentico di fare ciò che mi ero proposto o mi avevano richiesto. 15. dimentico aspetti importanti di ciò che è successo il giorno prima. 16. mi succede spesso di dire: “di che cosa stavo parlando?” 17. Quando leggo mi riesce diffcile seguire il flo della storia. 18. dimentico spesso di trasmettere messaggi importanti o di ricordare qualcosa a qualcuno. 19. dimentico particolari importanti di me stesso come la data di nascita, l’indirizzo di casa, il telefono. 20. Confondo quanto è avvenuto con quanto mi hanno raccontato. 21. racconto le stesse storie o barzellette alle stesse persone. 22. dimentico i particolari delle cose che faccio usualmente a casa o sul lavoro. 23. non riconosco la faccia dei personaggi televisivi o delle persone famose. 24. dimentico dove si trovano le cose o le cerco nel posto sbagliato. 25. mi perdo nei luoghi dove sono stato spesso in precedenza. 26. ripeto le stesse azioni di routine, ad es. zucchero due volte il caffè. 27. ripeto quanto ho appena detto o faccio la stessa domanda. Punteggio totale: Se in questo test, elaborato dall’Unità di Psicologia del Medical Research Council di Cambridge, il punteggio raggiunto è compreso tra 27 e 58 la memoria è buona: un punteggio compreso tra 58 e 116 indica una memoria media mentre tra 116 e 243 punti si è al di sotto della media.
316
C
1 MEMORIA E INCONSCIO
D
al 1908 sin quasi alla sua morte, nel 1922, Marcel Proust lavorò al suo capolavoro, A la recherche du temps perdu, otto volumi che racchiudono i suoi ricordi, dall’infanzia alla maturità. Proust non segue il fusso del tempo collettivo e i ricordi della sua vita riaforano alla memoria in modo casuale e improvviso. Uno dei primi, e fondamentali, ricordi dell’infanzia di Proust emerge in modo casuale assaggiando un dolce di mandorle, la madeleine. Il suo gusto evoca una lontana memoria. Proust, ci indica che un sapore o uno stimolo, può riattivare un nucleo di memorie infantili.
Lo stimolo alla base della rievocazione Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di “maddalena”. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva reso indiferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l’amore, colmandomi d’un’essenza preziosa: o meglio quest’essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch’era legata al sapore del tè e della focaccia, ma la sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che signifcava? Dove aferrarla? Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di
SEZIONE
SEZIONE
CLEGGIAMO
più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. È tempo ch’io mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. Essa l’ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefnitamente, con forza sempre minore, quella stessa testimonianza che io sono incapace d’interpretare e che voglio almeno poterle donare di nuovo e ritrovare a mia disposizione intatta, fra poco, per una spiegazione decisiva. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. […] Indietreggio col pensiero al momento in cui ho bevuto il primo sorso di tè. Ritrovo lo stesso stato, senza una nuova luce. Chiedo al mio animo ancora uno sforzo, gli chiedo di ricondurmi di nuovo la sensazione che fugge. E perché niente spezzi l’impeto con cui tenterà di riaferrarla, allontano ogni ostacolo, ogni pensiero estraneo, mi difendo l’udito e l’attenzione dai rumori della stanza accanto. Ma, sentendo come l’animo mio si stanchi senza successo, lo costringo a prendersi quella distrazione che gli rifutavo, a pensare ad altro, a ripigliar vigore prima d’un tentativo supremo. Poi, una seconda volta, gli faccio intorno il vuoto; di nuovo gli metto di fronte il sapore ancora recente di quel primo sorso, e sento in me trasalire qualcosa che si sposta e che vorrebbe alzarsi, qualcosa che si fosse come disancorata, a una grande profondità, non so che sia, ma sale adagio adagio; sento la resistenza, e odo il rumore delle distanze traversate. […] E ad un tratto il ricordo m’è apparso. Quel sapore era quello del pezzetto di “maddalena” che la domenica mattina a Combray (giacché quel giorno non uscivo prima della messa), quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi ofriva 317
sezIone C
I processi mentali
dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio. La vista della focaccia, prima d’assaggiarla, non m’aveva ricordato niente; forse perché, avendone viste spesso, senza mangiarle, sui vassoi dei pasticcieri, la loro immagine aveva lasciato quei giorni di Combray per unirsi ad altri giorni più recenti; forse perché di quei ricordi così a lungo abbandonati fuori della memoria, niente sopravviveva, tutto s’era disgregato; le forme ‒ anche quella della conchiglietta di pasta così grassamente sensuale sotto la sua veste a pieghe severa e devota ‒ erano abolite, o, sonnacchiose, avevano perduto la forza d’espansione che avrebbe loro permesso di raggiungere la coscienza. Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edifcio del ricordo. E, appena ebbi riconosciuto il sapore del pezzetto di “maddalena” inzuppato nel tiglio che mi dava la zia (pur ignorando sempre e dovendo rimanda-
re a molto più tardi la scoperta della ragione per cui questo ricordo mi rendesse così felice), subito la vecchia casa grigia sulla strada, nella quale era la sua stanza, si adattò come uno scenario di teatro al piccolo padiglione sul giardino, dietro di essa, costruito per i miei genitori (il lato tronco che solo avevo riveduto fin allora); e con la casa la città, la piazza dove mi mandavano prima di colazione, le vie dove andavo in escursione dalla mattina alla sera e con tutti i tempi, le passeggiate che si facevano se il tempo era bello. E come in quel gioco in cui i Giapponesi si divertono a immergere in una scodella di porcellana piena d’acqua dei pezzetti di carta fin allora indistinti, che, appena immersi, si distendono, prendono contorno, si colorano, si differenziano, diventano fiori, case, figure umane consistenti e riconoscibili, così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e i suoi dintorni, tutto quello che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di tè. ■ M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, trad. di Paolo Serini, Einaudi, Torino 1969
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
Un semplice stimolo sensoriale può richiamare alla memoria avvenimenti che sembravano ormai perduti
V
F
b
I ricordi del passato possono riaffiorare alla memoria solo grazie ad uno sforzo di rievocazione, mai in modo casuale
V
F
c
I ricordi non hanno nessuna valenza inconscia, qualsiasi individuo può gestirli razionalmente
V
F
▶ l’espressione “depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo”, signifca che l’autore:
□ deve posare la tazza nel tavolo perché il ricordo è molto forte e non riesce a gestirlo □ deve cercare “dentro”, nel proprio animo il signifcato di quel ricordo □ sta provando un intenso piacere ▶ ti è mai capitato che una sensazione fsica risvegli in te ricordi lontani nel tempo?
318
LEGGIAMO 2 LA GUERRA DEGLI SPETTRI
L
o psicologo cognitivista John Anderson (1947) riprende una ricerca efettuata da Frederic Bartlett (1886-1969) sulla memoria. Bartlett raccontò una storia, La guerra degli spettri, a dei soggetti sperimentali e verifcò a distanza di tempo che cosa essi ricordassero di quel racconto. Egli osservò e constatò che ciò che ricordiamo è legato alle nostre esperienze e ai nostri schemi culturali.
Distorsione del ricordo: fattore culturale Una sera due giovani di Egulac scesero al fume a caccia di foche. Mentre si trovavano là, scese la nebbia e l’aria si fece calma. Dopo un po’ i due udirono delle grida di guerra, al che pensarono: “Può darsi che sia una tribù di indiani sul sentiero di guerra”. Fuggirono verso la riva e si nascosero dietro un tronco d’albero. A quel punto videro arrivare delle canoe, udirono un rumore di pagaie, e videro una canoa dirigersi verso di loro. Nella canoa c’erano cinque uomini, i quali dissero loro: “Stateci a sentire. Vorremmo portarvi con noi. Intendiamo risalire il fume per muovere guerra a quella gente. Che cosa ne dite?” Uno dei due giovani disse: “Io non ho frecce con me”. “Abbiamo noi delle frecce nella canoa”, gli risposero gli altri. “No, non vengo con voi; potrebbero uccidermi. I miei famigliari non sanno dove sono andato. Ma tu” disse rivolgendosi all’altro giovane, “puoi andare con loro”. Così partì uno solo dei due giovani, mentre l’altro ritornò a casa.
I guerrieri risalirono il fume fnché giunsero a una città che si trovava dall’altro lato di Kalama. La gente del luogo scese in acqua; ebbe inizio una battaglia, e molti rimasero uccisi. Di lì a poco il giovane udì uno dei guerrieri che diceva: “Presto, andiamo a casa, quell’indiano è stato ferito”. Al che gli venne da pensare: “Oh, ma sono degli spettri. Non sentiva dolore, ma avevano detto di lui che era stato ferito. Così le canoe fecero ritorno a Egulac; il giovane raggiunse la riva, andò a casa sua e accese un fuoco. Raccontò a tutti quanti quel che era successo dicendo: “Sapete una cosa? Sono andato via con gli spettri, e insieme abbiamo combattuto una battaglia. Sono rimasti uccisi molti dei nostri compagni, ma sono rimasti uccisi anche molti di quegli altri che ci avevano attaccato. Hanno detto che mi avevano colpito, ma io non sentivo alcun dolore”. Dopo aver raccontato tutte queste cose cadde in silenzio. Quando il sole si levò il giovane stramaz-
319
SEZIONE C
I processi mentali
zò a terra. Dalla sua bocca uscì qualcosa di nerastro, e la sua faccia si contorse. Tutti trasalirono e si misero a piangere. Era morto. Probabilmente penserete che questa è una storia piuttosto bizzarra. Di certo apparve bizzarra ai soggetti di Bartlett, abituati com’erano al mondo delle classi alte dell’Inghilterra vittoriana. Questa storia, tuttavia, suonerebbe perfettamente plausibile ai membri della popolazione dalla cui cultura è stata tratta. Si tratta di un brano della tradizione letteraria orale degli indiani che un secolo fa abitavano la costa occidentale del Canada. Si inserisce benissimo negli schemi culturali con cui quegli indiani vedevano le vicende del mondo; ma non si inserisce afatto bene nei nostri schemi culturali, e altrettanto si può dire per quelli che erano i soggetti di Bartlett. Bartlett era interessato a scoprire in che modo i suoi soggetti avrebbero ricordato una storia che così male si adattava ai loro schemi culturali. Pertanto invitò i suoi soggetti a ricordare questa storia a distanza di vari intervalli, dall’immediato presente fno ad alcuni anni dopo. Per farvi un’idea di quello che era il loro compito, potreste chiudere questo libro e provare a mettere per iscritto tutto quello che ricordate della storia. Quello che dissero i soggetti di Bartlett quando si misero a raccontare ciò che ricordavano della sto-
320
ria conteneva chiare distorsioni; inoltre, queste distorsioni crescevano con il passare del tempo. Qui sotto riporto un esempio rappresentativo del tipo di ricordo mostrato dai soggetti dell’esperimento a distanza di 20 ore dall’ascolto della storia: Due uomini di Egulac andarono a pescare. Mentre erano al fume intenti a pescare, udirono un rumore in lontananza. “Sembrerebbe un grido”, disse uno dei due, e di lì a poco comparvero delle canoe con degli individui che li invitarono ad unirsi a loro e a partecipare alla loro avventura. Uno dei due giovani rifutò la proposta, accampando motivi legati ad impegni di famiglia; l’altro, invece, si oferse di andare. “Ma non ci sono frecce”, disse. “Abbiamo le frecce nella barca”, fu la risposta. A quel punto il giovane prese il suo posto, mentre l’amico ritornò a casa. Un gruppo attraversò il fume con le canoe fno a Kaloma, dove scesero sulle rive del fume. I nemici arrivarono in fretta e presero ad attaccarli. Ne seguì un aspro combattimento. In capo a poco tempo ci furono dei feriti, e qualcuno gridò che i nemici erano degli spettri. Il gruppo prese la via del ritorno lungo il corso d’acqua, e il giovane, arrivato a casa, pensò che mai aveva vissuto esperienza peggiore di quella. Il mattino dopo, all’alba, si sforzò di raccontare le sue
I meccanismi della memoria
avventure. Mentre stava parlando gli uscì qualcosa di nerastro dalla bocca. All’improvviso lanciò un grido e stramazzò a terra. I suoi amici gli si strinsero intorno. Ma era già morto. I soggetti omisero molti degli elementi della storia, cambiarono molti dei fatti che vi comparivano, e introdussero informazioni nuove. Non è che simili imprecisioni nel ricordo siano particolarmente interessanti di per se stesse. La cosa importante da osservare è che si trattava di imprecisioni sistematiche: i soggetti distorcevano la storia in modo che andasse d’accordo con i loro stereotipi culturali. Ad esempio, quello che nella storia originale era “Dalla sua bocca uscì qualcosa di nerastro” divenne, in alcuni dei loro racconti, “Gli ven-
UnItà C5
ne la schiuma alla bocca” o “vomitò”. Nel ricordo qui sopra riferito troviamo che “a caccia di foche” è diventato “a pescare”, e “canoa” è diventato “barca”. Gli aspetti difficili da interpretare vengono omessi, compresi il nascondersi dietro un tronco d’albero e il legame tra il ferimento dell’indiano e la conclusione della battaglia. Oltre tutto, sempre in questa particolare versione del racconto, il soggetto capovolge completamente il ruolo degli spettri. Insomma i soggetti, quando leggono una storia che non rientra nei loro schemi personali, presentano una forte tendenza a distorcere la storia in modo che possa rientrarvi. ■ J.R. Anderson, Psicologia cognitiva e sue implicazioni, Zanichelli, Bologna 1993
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
la storia ha influenzato negativamente i risultati dell’esperimento perché è poco V plausibile per i soggetti coinvolti
F
b
le distorsioni del ricordo non sono influenzate dal fattore tempo
V
F
c
Questa storia piuttosto bizzarra ha determinato le distorsioni del ricordo
V
F
▶ le persone sottoposte all’esperimento ricordavano male la storia perché:
□ si adattava male ai loro schemi culturali □ avevano defcit di tipo cognitivo □ durante l’esperimento si erano distratti e non avevano ascoltato parte del racconto ▶ Che legame c’è fra stereotipi culturali e il fenomeno della distorsione del ricordo?
321
SEZIONE
C
UNITÀ C6
LA CREATIVITÀ
La creatività, da quella di un artista a quella di uno scienziato o di un inventore, è la capacità di dar vita a qualcosa di nuovo, di scorgere nella realtà aspetti fino a quel momento ignorati. Essa è quel carattere del comportamento umano che consente di rapportarsi alla realtà in modo diverso. La creatività esiste sin dai tempi in cui gli esseri umani hanno raffigurato sulla roccia figure umane o animali; da quando hanno iniziato a lavorare la pietra, a tingersi il corpo con colori naturali, ad abbellirlo con ghirlande di fiori o collane di conchiglie; da quando hanno cercato di interpretare attraverso i miti i fenomeni naturali, la loro stessa esistenza, quella dell’universo. Quante sono le facce della creatività? La creatività ha molteplici dimensioni, irriducibili le une alle altre, ma accomunate tutte dalla capacità di produrre un’innovazione in ambito culturale o tecnologico, attraverso l’invenzione di una nuova strategia o la scoperta di un nuovo modo di guardare alla realtà.
C6.1
Il cervello creativo La creatività umana è anzitutto legata alle caratteristiche del nostro cervello, all’esistenza di due emisferi cerebrali dotati di proprietà e funzioni diverse e complementari. Grazie all’emisfero sinistro siamo in grado di svolgere attività di tipo logico-simboliche, che dipendono dalle strutture e dalle funzioni del linguaggio; grazie all’emisfero destro possiamo svolgere attività di tipo globale, legate all’emozione e alla creatività.
Esenkartal, Getty Images.
▶ I due emisferi e le loro funzioni Una parte del nostro cervello, l’emisfero sinistro, esercita un ruolo prevalente nelle forme di pensiero che potremmo defnire come logico-computazionali. L’altro emisfero, quello destro, si caratterizza per le sue capacità di guardare alla realtà nel suo insieme, per
La creatività
UNITÀ C6
la sua specifcità nel trattare informazioni di tipo visivo-spaziale, per il suo essere coinvolto in attività musicali, nell’emozione e infne nel pensiero di tipo analogico. Quest’ultimo è una forma di pensiero che si basa su generalizzazioni e analogie, grazie alle quali è possibile adeguare le proprie conoscenze e gli schemi mentali acquisiti per raggiungere ciò che prima di allora era ignoto. CREATIVITÀ
caratteristica
EMISFERI CERVELLO
Attività logicocomputazionali
Sinistro
Funzioni del linguaggio
▶
Pensiero analogico
Destro
Emozione
Creatività
Il pensiero analogico L’analogia è un aspetto importante della crea-
tività, in quanto attiva meccanismi mentali che consentono di combinare o ricombinare le idee in modo nuovo, di associare cioè aspetti della realtà che sino a un determinato momento apparivano non correlati - per esempio disegnare l’immagine di una farfalla per esprimere un senso di libertà. L’ambito in cui il pensiero analogico trova la sua applicazione non è ristretto al mondo dell’arte; anche nel settore scientifco il pensiero analogico ha portato a numerose scoperte e all’elaborazione di teorie originali. Ad esempio, se si paragonano le onde sonore a quelle formate dall’acqua, come fecero Crisippo (II secolo avanti Cristo) e Vitruvio (I secolo dell’era moderna), si individua un modello per sperimentare che cosa succede se le onde sonore colpiscono una superfcie solida (come uno scoglio su cui si infrangono onde marine) o se due onde di uguale lunghezza e altezza si scontrano tra loro. Ebbene questo modello è stato il punto di partenza per le teorie di Heinrich Hertz sulla natura delle onde sonore (fgura C6.1). Un’altra analogia è quella impiegata da Benjamin Franklin, quando ipotizzò che il fulmine fosse una forma di elettricità. Attraverso un esperimento che faceva uso di un aquilone legato con un flo di rame in grado di scaricare a terra l’energia elettrica dei fulmini, dimostrò che la sua analogia era fondata. Un ultimo esempio, altrettanto famoso, è quello del chi-
Yagi Studio, Getty Images.
323
SEZIONE C
I processi mentali
mico Antoine Lavoisier che sostenne - e giustamente - l’esistenza di un’analogia tra la combustione e la respirazione animale, in quanto entrambe comportano la produzione di anidride carbonica dall’ossigeno e reazioni caloriche. ▶
Complessità della creatività Ma il pen-
siero creativo non dipende soltanto dalla nostra capacità di sviluppare le caratteristiche dell’emisfero destro, dal saper osservare, fare esperienze divergenti, abbandonarsi ad attività giocose, fantasticare. Esso nasce anche dalle contaminazioni che provengono da esperienze diverse da quelle abituali. Si può quindi afermare che più vasta e frastagliata è la nostra cultura, più le nostre esperienze sono ricche e più siamo in grado di cogliere e accettare nuovi punti di vista e di costruire ipotesi e scenari che, a prima vista, appaiono insoliti e impossibili. Serhiy Kobyakov, Shutterstock.
Cogliere nuovi punti di vista
Accettare nuovi punti di vista
Accettare ipotesi insolite
Fantasticare
Attività giocose
Esperienze divergenti
CREATIVITÀ
Saper osservare
15 10 5 0
Ampiezza
-5 -10 -15
0
5
0
5
10
15
20
10
15
20
15 10 5 0 -5 -10 -15
Frequenza
Figura C6.1
Le onde prodotte da un sasso lanciato nell’acqua furono oggetto di studio da parte dei primi pensatori. Tale interesse fu poi ripreso da Hertz, che applicò l’analogia onde dell’acqua-onde sonore alle proprietà del suono.
324
La creatività
UNITÀ C6
SCHEDA C6.1
Le persone creative non sono tutte uguali tra loro e presentano modi differenti di approcciarsi alla conoscenza. Sono state individuate diverse tipologie di personalità creativa, che illustriamo qui di seguito. In modo schematico i quattro diversi tipi di creativi sono: 1. Il maestro: è una persona che conosce il proprio campo e rispetta i confni che lo caratterizzano, ma che, al contempo, cerca di realizzare il massimo in quel particolare settore. Il prototipo è Mozart che ha portato la musica del Settecento al livello più alto senza per questo produrre un taglio netto con la tradizione musicale dell’epoca. 2. L’innovatore: è una persona che, indipendentemente dalle sue competenze nel settore cui appartiene, vuole sfdare la prassi corrente, creare nuovi domini. Scienziati come Darwin, Einstein, Freud appartengono a questa categoria. Nelle arti vi sono fgure di “rottura” come Stravinsky, Schönberg o Nono che hanno rivoluzionato il loro settore di appartenenza. 3. L’introspettivo: una persona impegnata a esplorare la propria psiche come Marcel Proust o Virginia Woolf. Nelle scienze umane sono classici i nomi di Sigmund Freud o Gustav Jung. 4. Il persuasore: è una persona che può esplorare il proprio mondo interiore, ma che esercita le proprie capacità creative prevalentemente per infuenzare o modifcare gli altri. I grandi leader politici, come ad esempio Gandhi o Mandela, appartengono a questa categoria. Questi quattro tipi creativi sono categorie indicative e, certamente, un creativo può assumere più caratteristiche appartenenti a tipologie diverse. Tanto per fare un esempio, Freud è stato un innovatore ma le sue idee riguardavano l’area dell’introspezione.
TIPI CREATIVI
Tim Ellis, Getty Images.
Creatività e personalità
C6.2
Non tutti riescono a esprimere in modo pieno la creatività. Esistono fattori interni che possono favorire o bloccare la creatività individuale, per esempio caratteristiche personali, intuito, autonomia di giudizio, rigidità di pensiero, ansia; o fattori esterni, come l’accoglienza e il riconoscimento di un’idea o di un prodotto artistico da parte del contesto sociale in cui vive il creativo. ▶
Intuito, plasticità, ansia Quando ci si fssa su una rappresentazione
o la si considera in modo troppo rigido non vengono favoriti i “salti” mentali legati all’intuito. Ne è un esempio il problema dei 9 punti, disposti su tre linee da tre a formare un ipotetico quadrato.
Figura C6.2
Il problema dei 9 punti è un banale esempio di come la soluzione creativa si basi sull’adozione di un punto di vista nuovo, al di fuori delle regole. Senza sollevare la matita dalla carta bisogna tracciare 4 linee rette (connesse tra loro) in modo che passino per i 9 punti solo una volta. Per risolvere il problema bisogna rinunciare ai propri schemi spaziali… (La soluzione è nella pagina seguente)
325
SEZIONE C
I processi mentali
Ecco come si risolve il quesito del quadrato dei 9 punti di figura C6.2.
Nella risoluzione di questo e altri problemi gli stati d’ansia possono essere d’ostacolo. L’ansia interferisce con i processi cognitivi in quanto ha un efetto negativo, o bloccante, sulla rielaborazione dell’informazione e quindi sul processo di ideazione. ▶ Punti di svolta Howard Gardner, che ha studiato a lungo la creatività, sostiene che i bambini, che da adulti manifesteranno elevati livelli di creatività non sono necessariamente precoci. Fatta eccezione per Picasso, nessuno dei diversi casi studiati dallo psicologo era un bambino prodigio. Ma una volta che costoro si applicavano a un particolare dominio, la loro creatività emergeva rapidamente portandosi a livelli molto elevati. In numerosi casi Gardner ha notato la presenza di un punto di svolta, quella che lui defnisce “esperienza cristallizzante” tale da imprimere una nuova direzione al cammino di un giovane. ▶
Diffondere un’idea Gardner sottolinea come i creativi fossero molto
concentrati sulla loro attività e si impegnassero per veder riconoscere il loro lavoro, spesso ritenendo di essere emarginati o sottovalutati. Questo accade anche nei casi in cui la creatività prende forma in un progetto collettivo, dove in una sorta di micro-ambiente c’è comunque una fgura creativa prevalente e la maggior parte delle altre fgure sono di supporto per afermare il progetto o l’idea di un singolo. Un esempio di creatività in ambito scientifco è quello dei cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, il gruppo dei giovani fsici che, a Roma, sotto la guida di Enrico Fermi (premio Nobel nel 1938), compirono enormi progressi nel campo della fsica nucleare. Uno dei problemi più impegnativi cui devono far fronte i creativi-innovatori è riuscire ad afermare la propria idea, attraverso un’azione di convincimento su persone che appartengono al proprio campo. Senza quest’azione, senza abilità di mediazione, senza una pressione sulle persone infuenti in quell’ambito, un’idea può fare ben poca strada, così come il riconoscimento dell’opera del creativo.
Il caso Rembrandt Lo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi (1934), studiando l’evoluzione creativa di un gruppo di artisti, ha documentato l’attività frenetica con cui essi corteggiavano critici, galleristi, mecenati, possibili acquirenti, colleghi, per afermare la propria opera. Gran parte del lavoro era diretto a infuenzare gli altri, a vincere pregiudizi, a indurre cambiamenti del
▶
Rembrandt, Autoritratto, 1634, Oxford, Ashmolean Museum of Art.
326
La creatività
UNITÀ C6
gusto ecc. Senza questo tipo di attività, un “innovatore” può essere trascurato, per lo meno durante la sua vita. Ad esempio, i contemporanei di Rembrandt non lo consideravano creativo e preferivano pittori oggi quasi ignoti. La fama di Rembrandt è stata costruita dopo la sua morte dagli storici dell’arte che gli hanno riconosciuto un posto di rilievo nella storia della pittura europea. Anche nel caso di numerosi scienziati, il loro apporto creativo è stato riconosciuto a gran distanza di tempo. Un caso ben noto è quello di G. Mendel i cui esperimenti sui piselli, fondamentali per lo sviluppo della genetica, vennero riconosciuti soltanto in seguito all’afermazione dell’evoluzionismo. ▶
Caratteristiche dei creativi Lo psicologo Frank Barron (1922-
2002) è stato il primo a studiare in maniera sistematica i rapporti tra creatività e personalità, dopo aver convinto un vasto numero di persone creative, tra cui gli scrittori Truman Capote e Norman Mailer, a sottoporsi a un test di valutazione della personalità, il cosiddetto California Q Sort Test. I risultati del suo lavoro hanno mostrato che i creativi, indipendentemente dall’essere scrittori, pittori o scienziati, erano persone autonome, non conformiste, non convenzionali, spesso ribelli, caratteriali e fessibili. In genere erano portati a non dimostrare grande autocontrollo né senso di responsabilità e non brillavano per afdabilità, ma essi parevano sentirsi più a proprio agio e più soddisfatti di se stessi rispetto alle persone “normali” e non si curavano molto di fare “una buona impressione” (tabella C6.1). Ma questi aspetti della personalità e del carattere non riguardano tutti i creativi, infatti un’altra caratteristica delle personalità creative è proprio quella di non appartenere a una categoria ben defnita. Va anche ricordato che non esiste solo la creatività dei “grandi” ma anche una creatività del quotidiano che può esprimersi in tante forme e luoghi diversi: nella bottega dell’artigiano come in cucina, in fabbrica come nell’atelier di uno stilista, nello studio di un pubblicitario come in un’aula scolastica.
Maxx-Studio, Shutterstock.
FRANK BARRON ha studiato
CALIFORNIA Q SORT TEST
RAPPORTO TRA
Personalità
Creatività
Persone t autonome t non conformiste t non convenzionali t spesso ribelli t caratteriali t fessibili
327
SEZIONE C
Tabella C6.1
I processi mentali
Aspetto della personalità
Alcune delle caratteristiche della personalità dei creativi e la loro correlazione con il livello di creatività (il coefficiente di correlazione massima è 1 e corrisponde al 100%). I valori negativi indicano che un particolare tratto è poco presente.
SCHEDA C6.2 CREATIVI BORDERLINE
Ritratto di Robert Schumann.
328
Correlazione con la valutazione del livello di creatività
Pensa in modo non convenzionale, ha associazioni insolite
+0,64
Ha una personalità interessante, che cattura l’attenzione
+0,55
Tende alla ribellione, non è conformista
+0,51
Ha una notevole capacità intellettuale
+0,46
È spesso un istrione
+0,42
Ha frequenti sbalzi di umore
0,40
Giudica se stesso e gli altri in modo convenzionale per quanto riguarda la “popolarità”, ciò che è “giusto fare”, la pressione sociale ecc.
-0,62
È una persona affidabile e responsabile
-0,54
Si comporta in modo simpatico e ha buone maniere
-0,43
È conservatore in campi diversi
-0,40
È moralista
-0,40
Secondo alcuni studiosi esisterebbe una correlazione tra alcuni disturbi della personalità, l’immaginazione e la capacità creativa. Anche se non si può considerare una regola universale, parecchi artisti sono stati affetti da disturbi di tipo bipolare (alternanza di stati depressivi con stati di esaltazione maniacale). Il caso di Robert Schumann Uno dei casi più indicativi è probabilmente quello del celebre musicista Robert Schumann: il 1840 fu l’“Anno dei Lied”, un anno caratterizzato da una vera e propria tempesta creativa in cui il musicista scrisse ben centotrenta Lieder con una media di una composizione ogni due giorni e mezzo! Tra il 24 maggio e il primo giugno di quell’anno Schumann scrisse i venti Lieder del ciclo su Heine a una velocità pari a quella impiegata da un copista provetto per trascriverli. Nel 1841 compose un’intera sinfonia in appena quattro giorni. In queste fasi di straordinaria produttività il suo stato di esaltazione era alle stelle, come emerge in queste righe scritte di pugno dal compositore: “C’è una tale vitalità nella mia anima e nel mio spirito che la vita sgorga e zampilla intorno a me in migliaia di sorgenti”. Gli episodi maniacali, le fasi di intensa creatività e di continuo lavoro di Schumann erano intervallate da fasi ricorrenti di malinconia e depressione. Egli era perseguitato dall’ossessione di diventare pazzo. Questi cicli negativi punteggiarono la sua vita e nel 1854 venne internato in una clinica psichiatrica, dove si lasciò morire di fame nel 1856. La trance di Händel Non fu soltanto Schumann a comporre la sua musica in coincidenza coi suoi stati di esaltazione. Händel scrisse quello che probabilmente è il suo capolavoro, il Messia, in appena ventiquattro giorni, un tempo brevissimo. In una specie di trance, insonne e senza prestare attenzione al cibo, dopo aver scritto le ultime note scoppiò a piangere ritenendo “di aver visto il volto di Dio”. Anche Mozart andava incontro a episodi di esaltazione creativa, come testimoniano le sue lettere alla moglie. Altri artisti, come Michelangelo, scolpivano in uno stato maniacale o dipingevano, come Picasso che ha prodotto ben 14.000 opere nel corso della sua vita. Una personalità “borderline” sembra dunque essere un aspetto riscontrabile nelle personalità creative.
La creatività
Unità C6
La creatività tra emozione e cognizione
C6.3
studiosi della creatività come il matematico Jacques Hadamard (1865-1963), sostengono che esiste uno stretto intreccio tra emozione e cognizione, non solo nella creatività di tipo artistico ma anche in quella scientifca. nessuna verità può nascere dal genio di un archimede e di un newton senza un’emozione poetica o un brivido dell’intelligenza. La ricerca di Hadamard mostra come le attività cognitive più strutturate, anche quelle degli scienziati ritenuti logici per eccellenza, in realtà comportino anche una componente emotiva.
JACQUES HADAMARD studioso creatività
sia in campo artistico che scientifco RAPPORTO TRA Emozione
Creatività
Il fenomeno dell’insight Nel processo di scoperta scientifca si può verifcare quello che in inglese viene chiamato insight, un’appercezione improvvisa rivelatrice di qualcosa a lungo ricercato. Svariati scienziati sembrano confermare una simile possibilità. Tra questi Karl Friedrich Gauss, l’ideatore delle geometrie non euclidee, riferisce di avere avuto un vero e proprio colpo di fulmine, un momento di turbolenza in cui gli si rivelò l’esistenza di una geometria non tradizionale. Anche Friedrich August Kekulé afermò di avere sognato un serpentello che si mordeva la coda e che questa immagine gli suggerì la formula della struttura ciclica del benzene, un composto del carbonio, intorno a cui si era invano afannato per lungo tempo.
▶
▶
Bull’s Eye, Getty Images.
Una molteplicità di processi intelligenti Anche se si può dubi-
tare di alcune di queste testimonianze o se le si può attribuire a una mitizzazione della scoperta, realizzata a posteriori, vi sono però numerose indicazioni che portano a considerare l’intelligenza creativa come qualcosa che non procede in modo sequenziale e sistematico, ma a salti. La creatività procede per analogia e divergenza, anziché per strategie convergenti. Questo aspetto rimanda pertanto all’esistenza di una molteplicità di processi intelligenti, di logiche diverse rispetto a quella “istituzionale”, evidenti a partire dall’infanzia, esistenti prima che il pensiero venisse strutturato attraverso il linguaggio e le griglie del pensiero adulto, diretto alla realizzazione di un fne determi-
329
SEZIONE C
I processi mentali
nato. Considerata in questi termini, la creatività mostra un aspetto fondamentale, che l’accomuna ad altri processi della mente: quello di far capo a un più globale intreccio tra motivazioni interne e sollecitazioni esterne, bisogni e rinforzi, curiosità ed emozioni suscitate dall’aver scoperto o realizzato qualcosa di nuovo. Creare, giocare, innovare, dar corpo a una propria idea, tutto questo oltrepassa i limiti di una visione prettamente operazionale della mente e rimanda a una più ampia comprensione della mente, a partire da un complesso gioco tra visioni del mondo, emozioni e desideri. INTELLIGENZA CREATIVA NO
SÌ
Monzino, Getty Images.
PROCEDE PER STRATEGIE CONVERGENTI in modo sequenziale SCHEDA C6.3 CHE COS’È L’INTELLIGENZA
kraphix, Shutterstock.
330
PROCEDE PER ANALOGIA E DIVERGENZA a salti
Abbiamo visto, in questa sezione, come le diverse scuole di pensiero (comportamentismo, cognitivismo, scuola della Gestalt, Piaget, Bruner ecc.) abbiano affrontato l’apprendimento e si siano adoperate per la soluzione dei suoi problemi. Abbiamo utilizzato spesso la parola “intelligenza”. Che cosa intendiamo con questo termine? Nel linguaggio corrente si usa frequentemente tale parola: consideriamo l’intelligenza una facoltà preziosa, valida, che può aiutare nella vita quotidiana; ciascuno di noi vorrebbe essere molto intelligente e tuttavia non abbiamo ben chiaro che cosa sia l’intelligenza, anche se ci dicono addirittura che è misurabile attraverso test. In realtà il dibattito tra gli studiosi è molto acceso: ci sono posizioni molto diverse sul modo di intendere l’intelligenza. La defnizione più comune intende l’intelligenza come l’insieme di processi mentali che consentono di comprendere la realtà e di adattarsi ad essa. Proprio perché si fa riferimento a un insieme di capacità, molti studiosi ritengono che l’intelligenza sia un costrutto teorico poco rigoroso e sia dunque meglio, da un punto di vista scientifco, analizzare le diverse capacità che entrano in gioco nei comportamenti intelligenti che mettiamo in atto per adattarci all’ambiente in cui viviamo: per esempio i processi di pensiero, il ragionamento, la soluzione di problemi, la valutazione e il giudizio, il modo in cui ci poniamo e perseguiamo degli obiettivi. Lo psicologo statunitense Howard Gardner ha elaborato la teoria delle intelligenze multiple: in ogni individuo è possibile individuare non una sola intelligenza, ma una combinazione tra diversi tipi di intelligenza. Egli ne ha riconosciute nove: l’intelligenza linguistico-verbale, logico-matematica, spaziale, cinestetico-corporea, musicale, interpersonale, intrapersonale, naturalistica, esistenziale. Ognuna riguarda un ambito diverso e utilizza anche un sistema simbolico proprio; ad esempio l’intelligenza linguistico-verbale riguarda la capacità di utilizzare il linguaggio per esprimersi ed è particolarmente sviluppata in poeti e scrittori; l’intelligenza interpersonale riguarda la capacità di comprendere le altre persone, mentre quella intrapersonale consiste nel saper analizzare se stessi: gli psicologi dovrebbero possedere in particolare questi due tipi di intelligenza.
La creatività
UNITÀ C6
La creatività in età evolutiva
C6.4
In molteplici ambiti del comportamento infantile, dal linguaggio al disegno, dalle interpretazioni della realtà alle soluzioni escogitate, può emergere una notevole creatività. Quali sono le principali prospettive teoretiche sullo sviluppo del pensiero divergente? Attraverso quali strategie è possibile favorire lo sviluppo del comportamento creativo nei bambini?
Attività creative Uno dei fattori che fornisce un senso di benessere e di ottimismo alle persone sono le sensazioni di competenza e di controllo, che emergono quando si avverte di poter pianifcare o realizzare qualcosa, partecipare e condividere. Queste sensazioni sono parte integrante di molte attività creative svolte non solo dagli adulti, ma anche dai bambini: dai giochi all’aperto, al disegno, alla pittura, alla soluzione di problemi, attività cioè in cui i bambini si sentono protagonisti. Il fatto di essere protagonisti e di partecipare è un elemento molto importante, perché per essere creativi non è necessario dedicarsi ad attività tradizionalmente creativo-artistiche, lo si può essere anche svolgendo altre attività. Rilevante, infatti, non è tanto, o non soltanto, il tipo di attività quanto l’attitudine che il bambino può avere o non avere nel fare le cose, nel pensare, nell’intervenire. Inoltre, quando si considera la creatività in età evolutiva, non bisogna dimenticare che ciò che gli adulti non considerano creativo, ma scontato e routinario, può invece esserlo per un bambino che afronta per la prima volta quella particolare situazione o problema pratico. Individuare un uso non convenzionale di un oggetto, risolvere problemi meccanici, fare dei giochi di parole, trovare una rima, scoprire una similitudine, trovare una metafora sono tutti esempi di comportamenti creativi.
▶
VIDEO: La creatività.
▶ Contesti favorevoli Una base di conoscenze e di abilità è indispensabile alla creatività infantile, altrettanto importante è l’ambiente di vita, che può favorire o meno il pensiero creativo o divergente nei bambini e nei ragazzi. Per ambiente bisogna intendere un certo clima o “campo d’azione” o contesto che motiva, che consente di fare delle esperienze stimolanti e appaganti, e la presenza di persone preparate, in grado di rispondere in modo adeguato alle esigenze dei bambini o degli allievi, di fornire loro le informazioni necessarie, i materiali adatti e la tranquillità sufciente per poter operare. ▶
Predisporre un ambiente favorevole Per creare un clima favo-
revole, bisogna prima di tutto eliminare o ridurre i deterrenti del pensiero creativo (scheda C6.4: Deterrenti del pensiero creativo...). Questi blocchi si riscontrano prevalentemente negli adulti e nei ragazzi che sono cresciuti in un ambiente repressivo o dove veniva consentito soltanto il pensiero convergente. Nei bambini piccoli in genere questi blocchi non esistono ancora, ma possono incominciare a formarsi. Bisogna quindi prestare molta attenzione alle risposte che si danno ai primi tentativi dei bambini di far uso del pensiero
Joe Baran, Getty Images.
331
SEZIONE C
I processi mentali
divergente. Un bambino che riceve una critica dura ai primi tentativi, può rinunciare a impegnarsi nell’attività in cui ha subito l’insuccesso. Un’attenzione particolare bisogna avere con i bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, quando essi danno risposte a carattere animistico, magico o fnalistico - ossia consone al loro tipo di pensiero - a proposito di eventi scientifci o di fenomeni della vita comune. Se per un verso, dal nostro punto di vista di persone adulte, essi sono in errore per altro verso, se ci limitiamo a sanzionare l’errore o a ridicolizzarlo, rischiamo di trasmettere un messaggio negativo che ha l’efetto di smorzare lo spirito di iniziativa e la voglia di fare. I bambini provano vergogna dei loro errori e sbagli, e smettono di impegnarsi preferendo afdarsi all’adulto “che sa tutto”. CREATIVITÀ IN ETÀ EVOLUTIVA
Eliminare gli ostacoli scheda C6.4
AMBIENTE FAVOREVOLE
▶
Favorire il pensiero divergente
Strategie creative per i più piccoli È dunque
importante fornire un’ampia gamma di forme e di materiali per l’espressione. Fluidità, originalità, fessibilità ed elaborazione sono fondamentali nei processi produttivi che coinvolgono la creatività in diverse aree: quelle simboliche, semantiche, comportamentali e fgurative. Se vogliamo che i bambini abbiano l’opportunità di sviluppare la creatività dobbiamo fornire loro dei materiali e delle forme di incentivazione in ognuna delle varie forme espressive. I bambini della scuola dell’infanzia possono esprimersi a livello comportamentale nel gioco, simbolicamente nel canto o nella recita, e fgurativamente dipingendo con le dita o svolgendo altre attività analoghe. In seguito, nella scuola primaria, potranno produrre un racconto, una sceneggiatura per un video, una poesia o un dipinto. La scuola ha quindi il compito di ofrire un ambiente in cui sviluppare una attitudine all’espressione creativa. La creatività è correlata a vari tratti della personalità e ha delle componenti afettive (apertura mentale e recettività alle nuove idee, indipendenza, avventura, bisogno di provare varie ipotesi non preoccupandosi degli eventuali errori, ottimismo ecc.) pertanto se si vuole favorire l’espressività, occorre:
Geri Lavrov, Getty Images.
• rispettare le domande inusuali e le idee originali o divergenti • mostrare che le idee vengono prese in considerazione
332
La creatività
UNITÀ C6
• incoraggiare l’auto-espressione sia in attività spontanee (per es. i giochi) che pianifcate • non instillare la paura di fallire • non inibire fantasia, analogia, fabulazioni. Per i bambini più piccoli della scuola dell’infanzia e del primo ciclo delle scuole primarie essere spontanei è più facile perché, in genere, essi non hanno ancora fatto esperienze che li hanno inibiti. Ai bambini più grandi è opportuno ofrire spazi in cui allenarsi a “lasciar correre il pensiero”, in una situazione di rilassamento, di non direttività, e a far nascere un’idea dall’altra. A tal fne la programmazione didattica dovrà prevedere accanto a momenti in cui viene privilegiato il pensiero logico e convergente, altri momenti o spazi scolastici in cui i bambini devono sentirsi liberi di efettuare connessioni analogiche e di usare spazio e tempo in modo autonomo. Per incrementare il pensiero autonomo può essere utilizzato anche del materiale poco strutturato (macchie, fgure incomplete), in modo da stimolare i bambini a pensare che cosa potrebbero rappresentare e poi procedere con un confronto delle varie interpretazioni. ▶
Strategie creative per i più grandi Esistono inoltre tecniche di
potenziamento della creatività rivolte agli adulti. Occorre, infatti, considerare che non tutti i prodotti creativi richiedono tempi brevi di realizzazione e che molti necessitano di tempi piuttosto lunghi. Per comportarsi in maniera creativa i più grandi hanno spesso bisogno di applicazione e di una buona dose di impegno, e vanno incoraggiati in questa direzione anche con l’ausilio di sofsticate strategie che permettano di migliorare la produzione artistica o pratica. Per aiutare i più grandi a sviluppare la creatività, può essere utile fornire istruzioni, assistenza e feedback, mettere a disposizione fonti di idee o indicare come trovarle. Coltivare il pensiero divergente è comunque una fonte di benessere per l’equilibrio psichico complessivo degli individui, che compensa con i suoi benefci l’impegno versato. Incoraggiando le forme di auto-espressione è possibile liberare emozioni e tensioni e questo, da un punto di vista psico-terapeutico, può essere salutare. Un’attitudine divergente o creativa non si manifesta soltanto nell’esercizio della fantasia, ma è anche alla base della soluzione dei problemi di vario tipo: da quelli linguistici a quelli matematici, da quelli musicali a quelli sociali. Razionalità e fantasia svolgono ruoli complementari, come emerge ogni volta che ci troviamo di fronte a un problema e ci attiviamo per trovare una soluzione. Nel problem solving può essere utile seguire uno schema di questo tipo: • • • • • •
My Life Graphic, Shutterstock.
analizzare il problema individuare un piano per risolverlo andare alla ricerca di informazioni produrre una soluzione verifcare il processo di soluzione e la soluzione avvalersi dell’assistenza e dei feedback di chi ne sa di più.
333
SEZIONE C
I processi mentali
PER I PIÙ GRANDI
t t t t
STRATEGIE CREATIVE
t Rispettare le domande inusuali t Le idee originali o divergenti t Rispettare e mostrare che
Tempi più lunghi Incoraggiare l’impegno Fornire assistenza Fornire feedback
SCHEDA C6.4
PER I PIÙ PICCOLI
le idee vengono prese in considerazione t Incoraggiare l’auto-espressione
Blocchi emotivi
DETERRENTI DEL PENSIERO CREATIVO SECONDO A.L. SIMBERG IDENTIFICATI IN UNA SERIE DI “BLOCCHI”
Paura di sbagliare e del giudizio degli altri (superiori, colleghi ecc.) Arresto alla prima idea che viene in mente Rigidità di pensiero indotta da emotività Eccessiva ricerca di un facile successo Bisogno eccessivo di sicurezza e protezione Assenza delle motivazioni necessarie per intraprendere un’attività, un progetto, portarli avanti, sperimentare se funzionano Problemi personali che bloccano l’attenzione e la concentrazione Blocchi percettivi/intellettivi Diffcoltà nell’isolare un problema e nel defnirne i termini Disagio creato dall’eccessiva vicinanza al problema (mancanza di prospettiva, troppa emotività, stress…) Incapacità nell’assumere punti di osservazione diversi e nell’integrare informazioni diverse Sovraccarico di informazioni: troppe opzioni e soluzioni Scarse conoscenze e informazioni Diffcoltà nello scorgere relazioni remote e nel sorvolare sull’ovvio (viscosità)
Geri Lavrov, Getty Images.
Diffcoltà nel differenziare le cause dagli effetti
334
C
RIASSUMIAMO
SEZIONE
SEZIONE
C
LA CREATIVITÀ La creatività consiste nella capacità di dar vita a qualcosa di nuovo, di scorgere nella realtà aspetti ignorati fno a quel momento e di produrre
innovazione. Si esprime in diversi modi: nell’arte, nella musica, nella ricerca scientifca e nell’osservazione della realtà, nel gioco e nella fantasia. Victoria Kalinina, Shutterstock.
IL CERVELLO CREATIVO La creatività è collegata all’emisfero destro del cervello, nel quale troviamo le aree coinvolte nel trattamento delle informazioni visivo-spaziali, nelle attività musicali, nelle emozioni e nel pensiero ana-
logico. L’emisfero sinistro, invece, presiede alle funzioni logiche, analitiche e linguistiche. Ciò non signifca che l’impegno creativo possa fare a meno della logica.
Alfred Pasieka, Getty Images.
IL PENSIERO ANALOGICO L’analogia è un aspetto importante della creatività in quanto innesca meccanismi mentali che consentono di combinare o ricombinare le idee in modo nuovo o di associare aspetti della realtà che sino a un determinato momento apparivano non correlati. Il pensiero analogico è ritrovabile nell’arte, ma anche nell’ambito scientifco, e spesso ha
permesso agli scienziati di cogliere aspetti della realtà precedentemente ignoti, facilitando numerose scoperte. Ad esempio l’analogia con le onde che si formano nell’acqua ha consentito di conoscere la natura delle onde sonore. Il pensiero analogico non procede in modo sequenziale e sistematico ma a salti, per analogia e divergenza. Andrew Rich, Getty Images.
335
SEZIONE C
I processi mentali
CREATIVITÀ E PERSONALITÀ Ci possono essere fattori interni, legati a caratteristiche della personalità (rigidità di pensiero, ansia), che bloccano l’espressione creativa. Sono stati efettuati studi per analizzare le caratteristiche della personalità creativa (famoso è il test di valutazione della personalità Q Sort test) e si è evidenziato che i creativi sono perlopiù persone autonome, anticonformiste, non convenzionali, spesso ribelli, caratteriali, fessibili; talvolta con scarso
autocontrollo e senso di responsabilità. Inoltre, bisogna ricordare che la validità della produzione creativa non sempre viene riconosciuta a livello sociale, impedendo così l’alternativa della nuova idea. Occorre dunque che l’artista o lo scienziato siano determinati nel portare avanti la loro visione o la loro opera se vogliono difonderla facendola conoscere nel loro ambito anche a persone infuenti.
Alberto Ruggieri, Getty Images.
LA CREATIVITÀ TRA EMOZIONE E COGNIZIONE Studiosi della creatività, come il matematico Jacques Hadamard, sostengono che esiste uno stretto intreccio tra emozione e cognizione: nessuna verità può nascere dal genio di Archimede e di Newton senza un’emozione poetica o un brivido dell’intelligenza. Elementi cognitivi e
elementi afettivi procedono dunque insieme. Nel processo di scoperta scientifca si può verifcare quello che in inglese viene chiamato insight, un’appercezione improvvisa rivelatrice di qualcosa a lungo ricercato, un’intuizione che permette di cogliere la soluzione di un problema. Yagi Studio, Getty Images.
LA CREATIVITÀ NEI BAMBINI È possibile stimolare la creatività nei bambini ofrendo un ambiente nel quale efettuare esperienze e incoraggiare l’espressione del pensiero divergente. Per attivare lo sviluppo del comportamento creativo è opportuno permettere al bambi-
no di esprimere idee e pensieri, utilizzare in modo libero materiali e strumenti e mettere a disposizione conoscenze e dispositivi che consentano di migliorare la produzione creativa, artistica o pratica. Kokhanchikov, Shutterstock.
336
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
C
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
L’analogia trova spazio non solo nell’arte, ma anche nel settore scientifico
V
F
b
La creatività può essere favorita o bloccata da fattori interni ed esterni
V
F
c
L’intuito è un fattore interno alla persona che limita, a volte, la creatività
V
F
d
La soluzione creativa di un problema prevede l’introduzione di un punto di vista nuovo, all’interno delle regole logiche e razionali
V
F
Secondo Gardner i creativi sono persone abbastanza distratte nello svolgimento della loro attività
V
F
La creatività è collegata ai tratti della personalità, ma non è implicata nelle componenti affettive
V
F
Lo psicologo Frank Barron ha studiato la creatività mediante il cosiddetto California Q Sort Test
V
F
L’intelligenza creativa procede in modo sequenziale e sistematico per strategie convergenti
V
F
e
f
g
h
SEZIONE
SEZIONE
C
1 L’emisfero destro, esercita un ruolo:
Competenza Acquisire le informazioni
□ nel trattare informazioni di tipo visivo-spaziale, nelle attività musicali e nell’emozione, basandosi su generalizzazioni e analogie □ nelle attività logico-simboliche □ nelle funzioni del linguaggio
2 Gardner defnisce “esperienza cristallizzante”: □ la chiusura mentale in schemi rigidi, con la conseguente perdita della capacità creativa □ la presenza di un punto di svolta che fa emergere rapidamente la creatività □ la capacità di essere creativi in una determinata sfera della realtà nella quale si ha una buona esperienza
337
SEZIONE C
I processi mentali
3 Lo psicologo Frank Barron, studiando i rapporti tra creatività e personalità, ha notato che le persone creative: □ non dimostravano grande autocontrollo e senso di responsabilità □ erano molto precoci da bambini □ si applicavano laboriosamente nel proprio campo, cercando di realizzare il massimo
4 Per incoraggiare la creatività nei bambini bisogna: □ non porre nessun limite di tempo nella realizzazione di un lavoro □ creare un clima favorevole e far svolgere attività di tipo creativo-artistico □ creare un clima favorevole, fornire vari materiali per l’espressione, non porre vincoli di tempo ristretti
5 L’intelligenza è: □ la capacità che determina la curiosità a conoscere e apprendere cose nuove □ la facoltà intellettiva che è misurabile attraverso specifci test □ l’insieme di processi mentali che consentono di comprendere la realtà e di adattarsi ad essa
1 Completa la seguente tabella con le informazioni mancanti:
Competenza
I TIPI CREATIVI
Sapere analizzare la realtà
TIPO
DESCRIZIONI
IL MAESTRO L’INNOVATORE L’INTROSPETTIVO IL PERSUASORE
1 Abbina con una freccia l’informazione di sinistra con quella di de-
Competenza
stra:
Individuare collegamenti e relazioni
338
1. La creatività è il risultato di uno stretto intreccio tra emozione e cognizione
a. Howard Gardner
2. La presenza di un punto di svolta fa emergere rapidamente la creatività
b. Frank Barron
3. Fra la creatività e la personalità c’è un forte intreccio
c. Jacques Hadamard
La creatività
UNITÀ C6
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: atten-
Competenza
zione! Alcuni sono in più!
Sapere usare il lessico della disciplina
La creatività è la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di dar vita a qualcosa di nuovo, di produrre una . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . in qualche ambito. Ma il pensiero creativo non dipende soltanto dalla nostra capacità di sviluppare le caratteristiche dell’emisfero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esso nasce anche dalle contaminazioni che provengono da esperienze diverse da quelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esistono fattori interni che possono bloccare la creatività, come ad esempio: la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , l’ansia, ecc. caratteristica - capacità - innovazione - reazione - destro - sinistro - scolastiche - abituali - rigidità di pensiero - elasticità
1 Quali di questi aspetti della personalità caratterizzano un creativo: □ □ □ □ □ □ □ □
Competenza Acquisire e interpretare le informazioni
Bontà Rigidità Apertura mentale Paura del giudizio degli altri Conoscenze in diversi settori Dipendenza dagli altri Mancanza di conformismo Curiosità
2 Una delle caratteristiche del pensiero divergente è quella di individuare nella realtà aspetti insoliti. Prova ad immaginare in quanti modi diversi si può utilizzare un oggetto semplice come un mattone, oltre al suo utilizzo classico in ambito edilizio. Confronta poi le tue soluzioni con quelle dei compagni e stabilite quelle che secondo voi sono più originali.
3 Individua su un testo di storia dell’arte o in rete, tre Annunciazioni dipinte da pittori diversi in epoche diverse (dal Medioevo al Novecento); cerca di descrivere le soluzioni creative adottate da ciascun pittore/ artista.
4 Individua una tecnologia e spiega come essa ha innovato la vita delle persone e quali cambiamenti - nelle abitudini, nello stile di vita e nell’immaginario - ha introdotto rispetto al passato. 5 Formula una defnizione di pensiero divergente. 6 Come si può favorire la creatività nei bambini?
339
sezione
sezione
C
C
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 VALUtAre LA CAPACItà dI ProdUzIoNe dI IMMAGI-
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
NI MeNtALI dI 35 PAroLe La creatività è legata alla capacità di produrre immagini mentali. Vi sono parole che evocano facilmente immagini mentali e altre che non hanno la stessa capacità. Pensa, ad esempio, alla parola arancio e alla parola coerenza: la prima rimanda istantaneamente a un’immagine, la seconda con molta più difcoltà.
istruzioni
Nel questionario che segue devi indicare se le parole proposte suscitano facilmente e rapidamente un’immagine mentale visiva (ma anche sonora) utilizzando questa scala: la parola suscita un’immagine 1. molto difcilmente e lentamente 2. abbastanza difcilmente e lentamente 3. abbastanza facilmente e rapidamente 4. molto facilmente e rapidamente Questa parola evoca un’immagine mentale: Molto difficilmente e lentamente Aberrazione Arancio Assedio Automobile Bambino Banalità Bottiglia Causalità Cotone Deduzione Democrazia Fatalità Fiore Fisarmonica
340
Abbastanza difficilmente e lentamente
Abbastanza facilmente e rapidamente
Molto facilmente e rapidamente
La creatività
Molto difficilmente e lentamente
Abbastanza difficilmente e lentamente
Abbastanza facilmente e rapidamente
UNITÀ C6
Molto facilmente e rapidamente
Franchigia Gatto Giardino Giornale Golf Ipotesi Libro Limonata Madre Momento Musicista Opinione Oro Orologio Punteggio Ristorante Serpente Tavolo Temerarietà Teoria Veicolo
2 SVOLGERE LE SEGUENTI ATTIVITÀ SU UNA SCENA TRATTA DA: “LA PATENTE” DI PIRANDELLO:
Competenza Sapere interpretare la realtà
1. 2. 3. 4. 5. 6.
Leggere la scena prescelta o recitarla Scrivere una breve poesia sulla commedia Disegnare una scenografa per la scena prescelta (opzionale) Disegnare i costumi (opzionale) Realizzare un modellino del palcoscenico in cartoncino (opzionale) Scrivere un articolo di giornale di 50 righe (ogni riga 50 battute) sulla commedia 7. Realizzare uno schema di discussione sull’opera di Pirandello
341
SEZIONE
SEZIONE
C
C
LEGGIAMO 1 IMMAGINAZIONE CREATIVA
L
a creatività è associata alla capacità di immaginare, visualizzare la realtà in modo nuovo e insolito. Nella musica come nell’arte e nella scienza la capacità di immaginare qualcosa di nuovo rappresenta una caratteristica comune a tutte le persone creative.
“Le idee mi piacciono: le trattengo in memoria ed è mia abitudine, a quanto mi dicono, canticchiarle tra me e me. Se continuo su questa strada, mi capita presto di trarre vantaggio da qualche pezzetto di cibo, in modo da trasformarlo in un buon piatto e cioè, conforme alle regole del contrappunto, alle caratteristiche dei vari strumenti ecc. E non mi capita di sentire nella mia immaginazione le parti in successione, ma le sento come se fossero tutte insieme nello stesso momento”1. Le parole di Mozart possono fare da passerella per condurre dalle caratteristiche delle immagini mentali a quelle più generali dell’immaginazione.
Immaginazione e fantasia L’immaginazione è un’attività della mente che consente di trascendere gli aspetti concreti e immediati di una particolare esperienza per rivolgersi ad aspetti astratti o non immediati, plausibili o fantastici. I neuroscienziati includono questa facoltà tra quelle riconducibili alla attività dell’emisfero destro. L’uomo è infatti dotato di facoltà di tipo logico-simbolico che si riallacciano alle strutture e alle funzioni del linguaggio, tipiche dell’e-
misfero sinistro, dall’altro di facoltà “gestaltiche”, cioè della capacità di cogliere diversi aspetti della realtà anche per i loro risvolti emozionali, tipiche dell’emisfero destro. Questo emisfero è caratterizzato dalle sue capacità di elaborare visioni d’insieme, dalla sua specifcità nel trattare informazioni di tipo visivo-spaziale, dal suo coinvolgimento in attività musicali e da un pensiero divergente che è alla base dell’immaginario. Ma non si deve fare confusione tra immaginazione e fantasia: i due termini vengono spesso usati come sinonimi mentre essi indicano aspetti alquanto diversi. L’immaginazione, come puntualizzano Policastro e Gardner2, dovrebbe riferirsi alla generazione di signifcati che sono validi in un particolare contesto e che hanno una funzione di adattamento alla realtà; la fantasia dovrebbe invece caratterizzare l’espressione soggettiva di necessità, confitti e desideri, insomma essere in contatto con l’inconscio in senso classico. Mentre la fantasia si schiude su un mondo illusorio e virtuale, l’immaginazione genera idee potenzialmente creative.
Vedere con occhi nuovi L’immaginazione creativa è dunque quell’attività mentale attraverso cui osserviamo, ascoltiamo e percepiamo il mondo che ci circonda nel tentativo di evocare ciò che può essere scoperto o inventato e che, fno a quel momento, era nascosto. Ma che ruolo hanno le immagini mentali nella creatività di uno scienziato che fa una scoperta o in quella di
1 Lettera di Mozart in Holmes E., Life of Mozart, De Capo Press, New York 1980. 2 Policastro E. e Gardner H., From case studies to robust generalizations: An approach to the study of creativity. In R.J. Sternberg, Handbook of creativity, Cambridge University Press, Cambridge, MA 1999, pp. 213-225.
342
La creatività
un designer che è alla ricerca di una nuova forma o di un tecnico che si propone di innovare un processo di produzione industriale? Il campo della creatività scientifca è stato tra quelli più analizzati e spesso i risultati sono sorprendenti, diversi da quanto ci si attenderebbe. Francois Jacob, premio Nobel nel 1965 per i suoi studi sui meccanismi di controllo genetico, ha scritto nella sua autobiografa3: “Con mia sorpresa, coloro che raggiungevano risultati inattesi e inventavano il possibile non erano soltanto degli uomini metodici e di sapere. Erano soprattutto degli spiriti insoliti, amanti delle difcoltà, degli esseri caratterizzati da una visione stravagante”. E parlando del laboratorio dell’Istituto Pasteur dove aveva lavorato per anni lo descrive come “un universo fatto d’immaginazione senza limiti e di critica senza fne, dove il gioco consisteva nell’inventare incessantemente un mondo possibile, o un frammento di mondo possibile, per poterlo confrontare col mondo reale”. Secondo lo stesso Jacob, “I biologi hanno ripugnanza di ciò che è astratto. Se appare un fantasma o un essere razionale se ne fanno subito una rappresentazione visiva”… Gli studiosi della creatività, come ad esempio Jacques Hadamard4, indicano come nel processo di scoperta scientifca si può verifcare quello che gli anglosassoni defniscono un “insight”, un’appercezione improvvisa rivelatrice di qualcosa a lungo ricercato. E Marcel Proust sostiene che la vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel vederli con nuovi occhi. Questa afermazione vale per l’artista come per ogni altro creativo che, all’improvviso, può individuare una nuova dimensione della realtà. Quando invece ci si fssa su una rappresentazione o la si considera in modo troppo rigido non si favoriscono i “salti” mentali legati all’insight, vale a dire a un’improvvisa illuminazione o appercezione.
UNITÀ C6
I rapporti tra immaginazione e pensiero divergente o creativo sono ben evidenti nel racconto di quegli scienziati che descrivono il momento in cui l’immaginazione o l’associazione tra immagini mentali e processi logici li ha portati a una scoperta o alla defnizione di una teoria. Un esempio tipico è quello di Keplero che “vide” all’improvviso nella fgura dell’ellisse, in una sorta di illuminazione, una possibile spiegazione del problema delle orbite planetarie. L’astronomo nota nel suo diario: “A un certo punto ho visto in questa ellisse una soluzione ai miei problemi”: in altre parole la sua immaginazione aveva individuato in una realtà già descritta elementi che andavano al di là delle apparenze o dei signifcati immediati. In maniera simile, Karl Friedrich Gauss, l’ideatore delle geometrie non-euclidee, riferisce di aver avuto un vero e proprio colpo di fulmine che gli rivelò l’esistenza di una geometria non tradizionale; analogamente, Friedrich August Kekulé racconta come, mentre in uno stato di dormiveglia osservava le famme nel caminetto, percepì l’immagine di un serpentello che si morde la coda: questa immagine gli suggerì che il benzene potesse avere una struttura ciclica e, più in generale, che vi fossero dei composti del carbonio a struttura non lineare ma, appunto, ciclica. L’immagine del serpente che si morde la coda, tipica della tradizione degli alchimisti (ouroboros), si rivelò quindi fondamentale per risolvere un problema intorno a cui lo scienziato si era invano afannato per lungo tempo (fgura 1). Figura 1 L’immagine-icona di un serpentello suggerì al chimico Friedrich August Kekulé quale potesse essere la struttura del benzene.
3 Jacob F., La statue intérieure, Odile Jacob, Paris 1997 (trad. it. La statua interiore, Il Saggiatore, Milano 1988). 4 Hadamard J., Te psychology of invention in the mathematical feld, Princeton University Press, Princeton 1945 (trad. it. La psicologia dell’invenzione, Rafaello Cortina, Milano 1993).
343
sezione C
I processi mentali
L’immaginazione permette dunque di estrarre dalla realtà le linee essenziali e di inquadrare i dati in modo nuovo, basandoci su quanto già conosciamo. Per Baudelaire, “l’immaginazione è la regina delle facoltà mentali… è qualcosa di diverso rispetto alla fantasia; né corrisponde alla sensibilità. L’immaginazione è una facoltà quasi divina che consente di percepire immediatamente, e senza ricorrere a metodi filosofici, la più profonda e segreta relazione tra le cose, i rapporti e le analogie”5. Per un pittore come Henri Matisse, l’immaginazione implica una capacità di trasformare la realtà, di conferirgli un nuovo aspetto: “Dopo aver osservato un paesaggio lo dipingo con l’immaginazione, lo riproduco in forma semplificata” e nota anche come “Per chi vuole vederli vi sono dei fiori dappertutto”6. ■ Alberto Oliverio, Come nasce un’idea, Rizzoli, Milano 2006
5 Hyslop L.B. e Hyslop F.E., Baudelaire on Poe: Critical Papers, Bald Eagle Press, State College, Pennsylvania 1952. 6 Matisse H., Ecrits et propos sur l’art (Dominique Fourcade cur.), Hermann, Paris 1972.
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
L’immaginazione è un’attività riconducibile all’emisfero destro
v
F
b
i termini immaginazione e fantasia possono essere usati come sinonimi
v
F
c
nelle scoperte o invenzioni di tutti i giorni si può verificare un insight, nell’ambito v di scoperte scientifiche ciò non è invece possibile
F
▶ Quale tra queste defnizioni è quella corretta? ▶ L’immaginazione è quell’attività mentale che consente di estrarre dalla realtà:
□ in modo logico ciò che è necessario per la soluzione di un problema □ la soluzione personale, anche se non largamente condivisa □ in modo immediato le novità, senza ricorrere alla razionalità ▶ Marcel Proust sosteneva che la vera scoperta non consiste nel trovare nuovi territori,
ma nel vederli con nuovi occhi. spiega con parole tue che cosa intendeva dire. ▶ Qual è il ruolo dell’immaginazione nella determinazione della creatività?
344
LEGGIAMO 2 PENSARE COL CAPPELLO VERDE
E
dward de Bono, famoso per i suoi studi sulla creatività, invita a indossare sei cappelli diversi per pensare e assumere punti di vista diversi, magari poco consoni alla nostra indole. Questo ci permette di non rimanere ancorati a un modo fsso di pensare, ma di sperimentare diversi abiti di pensiero quando ci troviamo a dover risolvere un problema. Il cappello bianco riguarda fatti e dati oggettivi; il cappello rosso fornisce il punto di vista emotivo; il cappello nero individua gli aspetti negativi; il cappello giallo comprende la speranza e i pensieri positivi; il cappello verde indica la creatività e il prodursi delle idee, il cappello blu, infne, è connesso all’organizzazione del processo di pensiero e quindi anche all’uso degli altri cappelli. Vediamo che cosa scrive De Bono a proposito del cappello verde.
ottimizzare? Niente soluzioni uniche e defnitive A scuola, quando si risolvono gli esercizi di matematica, basta fare un’addizione e se ne ottiene il risultato. Poi si passa all’addizione successiva. Sarebbe inutile spendere altro tempo sulla prima, poiché se il risultato è esatto, non se ne può ottenere uno migliore. Molti applicano lo stesso metodo al loro pensiero da adulti. Una volta trovata la risposta a un problema, smettono di pensarci. Si accontentano della prima risposta ottenuta. Ma la vita reale è molto diversa dagli esercizi scolastici. Nella vita, in genere, le soluzioni sono più di una. Alcune migliori di altre: meno dispendiose, più sicure, o più facili da mettere in atto. Non è afatto detto che la prima risposta debba essere la migliore. Accontentarsi
della prima soluzione trovata potrebbe essere ragionevole solo se il tempo è poco e i problemi da risolvere sono molti. Che cosa diremmo se il nostro medico si fermasse alla prima diagnosi che gli viene in mente, senza più preoccuparsi dei nostri disturbi? Prendiamo perciò nota della prima risposta, sapendo che potremo sempre tornarci. E poi mettiamoci in cerca di alternative, di nuove soluzioni. Quando ne avremo raccolte un certo numero, potremo scegliere la migliore in base alle nostre necessità e alle nostre risorse. Disporre di un metodo perfettamente adeguato alla soluzione di un problema non signifca che non ne esista uno migliore. Dobbiamo sempre cercare un modo alternativo. È questa la base per qualsiasi progresso che non sia una semplice correzione di errori o la soluzione contingente di un problema. Finora ho preso in esame solo situazioni dove si dispone già di una soluzione. La nostra ricerca di alternative è una ricerca del meglio. Ma ci sono casi in cui non si dispone afatto di un modo di procedere. Nel progettare un viaggio prendiamo in considerazione vari possibili itinerari. Analogamente, completata la mappa mentale di una situazione, cercheremo percorsi alternativi per giungere a destinazione. La nozione di alternativa sta a signifcare che di solito ci sono più modi di fare una cosa, più punti di vista da cui prenderla in esame. Riconoscere l’esistenza di alternative, e la loro ricerca, sono componenti essenziali del pensiero creativo. Di fatto, le diverse tecniche del pensiero laterale
345
SEZIONE C
I processi mentali
sono tutte dirette alla ricerca di alternative. La deliberata ricerca di alternative (alternative di percezione, di comprensione, di azione) costituisce l’elemento centrale del pensiero col cappello verde. “Il giornale concorrente ha appena aumentato il prezzo. Mettetevi il cappello verde ed elencate le nostre possibili alternative”. “Abbiamo appena ricevuto una lettera minatoria che dice che se non pagheremo una forte somma i nostri prodotti verranno avvelenati. Passiamo in rassegna le scelte più ovvie che abbiamo davanti e, poi, mettiamoci il cappello verde e cerchiamone altre”.
Via il cappello bianco! La ricerca di alternative implica un atteggiamento creativo: riconoscere che esistono soluzioni diverse. Se però ci si limita a individuare le alternative ovvie, non entra in gioco alcuna creatività. Si tratta semplicemente di concentrare l’attenzione sul problema e di elencare i modi già noti di afrontarlo. Questo non basta. Come per andare oltre la prima soluzione, anche per superare la soglia delle alternative ovvie occorre fare uno sforzo creativo.
346
Per compiere questa ricerca supplementare, è indispensabile ricorrere al pensiero col cappello verde. Per la parte iniziale della ricerca potrebbe bastare il pensiero con il cappello bianco: “Passate in rassegna gli approcci comunemente adottati in situazioni del genere”. Intraprendere l’intero processo di ricerca delle alternative servendosi del pensiero col cappello verde è più pratico e conveniente. […] Molti credono che basti un’indagine logica per individuare tutte le alternative possibili. Questo può esser vero nel caso di un sistema chiuso, ma difcilmente lo è nelle situazioni della vita reale. “Sono possibili tre sole alternative. Lasciare il prezzo com’è. Ridurlo. Aumentarlo. Non possiamo fare altro”. È vero che ogni manovra sui prezzi alla fne rientrerà necessariamente in una di queste tre scelte. Però c’è un numero altissimo di varianti possibili. Ridurre il prezzo più avanti nel tempo (quando?). Ridurlo solo per alcuni prodotti. Cambiare il prodotto e farne una versione a prezzo ridotto. Cambiare la pubblicità del prodotto in modo da giustifcarne il prezzo (mantenendolo uguale o
La creatività
aumentandolo). Ridurre il prezzo per un certo periodo e poi aumentarlo di nuovo. Lasciare il prezzo com’è e poi ofrire sconti speciali. Ridurre il prezzo ma introdurre supplementi per gli optional. Una volta esaminate queste possibilità (e ne esistono moltissime altre), le si potrà raggruppare nelle tre scelte di base. Ma indicare semplicemente
Unità C6
le tre scelte, di per sé, non genera nessuna di quelle possibili alternative. Le persone di mente rigida fanno spesso l’errore di delineare le categorie principali di alternative, senza procedere oltre. […] ■ E. de Bono, Sei cappelli per pensare, BUR, Rizzoli, Milano 2013
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
i problemi della vita reale sono diversi dagli esercizi scolastici, ma anche questi v prevedono un’unica soluzione
F
b
Le persone di mente rigida, impegnate nella soluzione di un problema, si limitano v semplicemente alla descrizione delle alternative, senza andare oltre
F
c
L’indagine logica è il metodo migliore per cercare e trovare soluzioni alternative ai v problemi
F
▶ Quale tra le defnizioni è quella giusta? ▶ Un atteggiamento creativo di fronte a un problema porta a:
□ individuare le alternative ovvie e più plausibili □ trovare l’unica soluzione possibile □ riconoscere che esistono più soluzioni ▶ spiega perché non è possibile applicare il metodo risolutivo tipico della matematica
ai problemi di tutti i giorni. ▶ argomenta in poche righe perché di fronte ad alcuni problemi è meglio “indossare il
cappello verde” rispetto al “cappello bianco”.
347
SEZIONE
D
IL METODO di studio
D1 Imparare a imparare
s ezione
D
Unità D1
Imparare a Imparare
Un tempo si riteneva che l’apprendimento fosse prevalentemente circoscritto agli anni dell’infanzia e della giovinezza, in seguito ci si è resi conto che esso è un processo continuo che dura tutta la vita. Ai giorni nostri la vita media si è allungata, maturità e vecchiaia sono diventate due condizioni quantitativamente e qualitativamente diverse rispetto al passato; oggi siamo sollecitati ad apprendere durante tutto l’arco della vita, la formazione è continua. Per questo motivo è ancor più necessario imparare ad imparare.
D1.1
Un approccio metacognitivo per imparare è anzitutto necessaria la capacità di rifettere e analizzare le proprie strategie e i propri processi cognitivi, ossia praticare un approccio metacognitivo. Trattandosi di un concetto relativamente nuovo, non tutti gli esperti dell’apprendimento attribuiscono lo stesso signifcato a questo tipo di approccio. per alcuni la metacognizione si riferisce prevalentemente alle pre-condizioni, vale a dire alla capacità di padroneggiare quelle abilità che sono fondamentali per la nostra educazione come la lettura, la scrittura, l’ascolto, la capacità di studiare. altri, invece, considerano l’approccio metacognitivo in chiave soprattutto sociale e quindi nei termini della capacità di apprendere e risolvere problemi in gruppo. altri ancora considerano che l’imparare a imparare - o approccio cognitivo - abbia prevalentemente a che vedere con la capacità, autonoma e autodiretta, di apprendere. altri, infne, si concentrano su un aspetto importante della nostra individualità: agli stili di apprendimento, al modo in cui ciascuno di noi memorizza, impara, applica le proprie conoscenze.
Graphixmania, Shutterstock.
Rifettere
PROPRI PROCESSI COGNITIVI Analizzare
IMPARARE
Imparare a imparare
UNITÀ D1
La metacognizione Dal punto di vista operativo potremmo però dire che l’imparare a imparare signifca acquisire efcacemente, a prescindere dalla situazione in cui ci troviamo, conoscenze e abilità applicabili, successivamente, a contesti diferenti. Nella maggior parte dei casi, infatti, imparare non è un processo automatico, ma può richiedere impegno e fatica. L’osservazione e la rifessione sui nostri processi di pensiero, ovvero la rifessione metacognitiva, sono fondamentali per il processo di apprendimento: per imparare infatti dobbiamo “pensare sul pensare” stesso.
▶
IMPARARE A IMPARARE Acquisire
CONOSCENZE E ABILITÀ Applicabili successivamente
CONTESTI DIFFERENTI ▶
Slavoljub Pantelic, Shutterstock.
Essere consapevoli Il concetto di metacognizione comporta due
aspetti: da un lato, la consapevolezza del soggetto rispetto al proprio modo di pensare e conoscere; dall’altro, la possibilità di controllare e dirigere questi processi. La rifessione sui propri processi conoscitivi aiuta a valutare le funzioni cognitive e permette di capire quali sono le strategie migliori per l’apprendimento. La conoscenza metacognitiva non è istintiva; spesso infatti non siamo consapevoli di come funziona la nostra mente quando apprende. Tuttavia ognuno di noi si crea delle idee sul proprio funzionamento mentale, su come afrontare le difcoltà nell’apprendere nuove informazioni, e cerca di trovare strategie adeguate per superare gli ostacoli e raggiungere i propri obiettivi.
Controllare i processi cognitivi Controllare i processi conoscitivi signifca valutare le difcoltà nell’apprendimento, graduarlo e concentrerà i propri sforzi sugli aspetti che permettono di raggiungere l’obiettivo. La metacognizione può infuire notevolmente sul nostro comportamento: se sappiamo di avere scarsa memoria e abbiamo anche uno stile di vita caotico cercheremo di ricorrere all’aiuto di agende e appunti; se abbiamo diffcoltà particolari in una disciplina le dedicheremo più tempo o gradueremo l’apprendimento secondo livelli di difcoltà. Esistono numerose situazioni in cui si può imparare a gestire i propri apprendimenti. Una persona che ha sviluppato questa capacità, ha maturato un in-
▶
351
SEZIONE D
Il metodo di studio
sieme di attitudini che hanno al loro centro l’abilità di saper regolare le proprie procedure cognitive, di scegliere le strategie più efcaci in rapporto alle proprie potenzialità, di variarle ecc. Il concetto di regolazione è al centro del cosiddetto apprendimento auto-regolato. La capacità di essere registi del proprio apprendimento, è una capacità che non soltanto richiede un ruolo attivo da parte di chi impara, ma soprattutto esige una buona conoscenza di se stessi, una consapevolezza dei propri limiti e risorse, delle proprie reazioni, anche emotive, di fronte alla difcoltà e via dicendo. RIFLESSIONE SUI PROPRI PROCESSI COGNITIVI
t Valutare le diffcoltà
nell’apprendimento
t Concentrare gli sforzi
per raggiungere l’obiettivo
METACOGNIZIONE CONTROLLO DEI PROPRI PROCESSI COGNITIVI
Seguire le strategie più effcaci
Apprendimento auto-regolato ▶ Una didattica metacognitiva Organizzare la didattica in senso metacognitivo signifca stimolare costantemente gli allievi alla rifessione su come stanno imparando, su quali strategie utilizzano, su che cosa stanno facendo e come lo stanno facendo. La maggiore consapevolezza sui propri processi cognitivi permette di ottenere risultati migliori. Le esperienze di didattica metacognitiva si sono dimostrate efcaci perché hanno permesso di migliorare l’attenzione, la memoria, il metodo di studio e, di conseguenza, varie abilità, tra cui la lettura e comprensione del testo, la matematica e la scrittura. Traggono giovamento da una didattica metacognitiva anche gli alunni con bisogni educativi speciali. ▶ Conoscenza ed emozioni Come si è osservato, elementi cognitivi ed elementi afettivo-emozionali sono strettamente intrecciati nell’apprendimento. Ognuno di noi può infatti privilegiare uno stile di pensiero o manifestare particolari caratteristiche e capacità, ma sappiamo, per esperienza, che impariamo più in fretta se abbiamo una motivazione e se siamo “tranquilli”, perché convinti di potercela fare. La percezione di autoefcacia e l’autostima sono due fattori che possono infuenzare fortemente l’apprendimento. Un altro aspetto da considerare riguarda poi il modo in cui il soggetto percepisce i propri successi e insuccessi, attribuendone le cause a se stesso o agli altri.
Pinkypills, Shutterstock.
352
Imparare a imparare
▶
UNITÀ D1
Gli stili di attribuzione Con l’espressione stile di attribuzione (o
locus of control) si indica proprio la tendenza del soggetto ad attribuire le cause dei propri successi e insuccessi a fattori interni, ad esempio allo sforzo elargito, oppure a fattori esterni, come alle caratteristiche dell’educatore (disponibilità, generosità nelle valutazioni ecc.) o alla fortuna. Secondo lo psicologo statunitense Bernard Weiner (1935) lo stile di attribuzione sta alla base dell’atteggiamento che un individuo assume di fronte ai compiti che deve svolgere. Essere convinto dell’importanza del proprio impegno (stile di attribuzione interno) ha degli efetti determinanti sui risultati dello studente, poiché per imparare non basta conoscere delle strategie, ma occorre impegnarsi per utilizzarle. Diversamente se lo stile di attribuzione sottolinea i fattori esterni come causa del successo, lo studente potrà nascondersi dietro una convinzione come “l’insegnante ce l’ha con me” per giustifcare il suo disimpegno. Interni
STILE DI ATTRIBUZIONE LOCUS OF CONTROL
SOGGETTO ATTRIBUISCE a SUCCESSI E INSUCCESSI
Fattori
Esterni infuenza Affrontare un compito
Utilizzo strategie per imparare
SOGGETTO
Stabilità e controllabilità Oltre ai fattori interni/esterni, Weiner considera gli elementi della stabilità/instabilità e della controllabilità/non controllabilità. Utilizzare uno stile attributivo di tipo stabile signifca, per esempio, attribuire grande importanza alle proprie capacità (“io sono intelligente e lo sarò per sempre”) ed essere convinti del fatto che si può contare principalmente su di esse nelle diverse situazioni. Una tale convinzione può portare l’individuo a impegnarsi di meno, poiché egli fa leva sulle sue abilità più che sull’impegno individuale. Al contrario, ritenere che i successi o gli insuccessi siano determinati principalmente dall’impegno personale, signifca utilizzare uno stile attributivo di tipo interno (“successi e insuccessi dipendono da me”), instabile (“se ho successo una volta, non è detto che sia per sempre, ciò dipende dal tipo di impegno che devo elargire”) e controllabile (“sono io che decido quanto sforzo dedicare ai diversi compiti”). Se invece attribuiamo il nostro successo alla fortuna (modalità attributiva di tipo esterno, instabile e incontrollabile) l’impegno e la determinazione nel portare avanti il compito saranno diferenti, e, a volte, non sufcienti.
▶
Jamie Wilson, Shutterstock.
353
SEZIONE D
Il metodo di studio
Lo stile di attribuzione infuenza, dunque, fortemente il modo in cui un soggetto afronta un compito e utilizza strategie per apprendere. Al tempo stesso anche i successi che lo studente può conseguire, utilizzando le strategie adeguate, infuenzano a loro volta uno stile corretto di attribuzione, che sosterrà sempre più la motivazione e l’impegno. Nella tabella che segue vediamo gli efetti delle attribuzioni sulle emozioni personali, secondo uno studio condotto dalle psicologhe Rossana De Beni e Claudia Zamperlin. Tabella D1.1 Emozioni conseguenti alle principali attribuzioni (da De Beni e Zamperlin, Differenze individuali nell’apprendimento: stili cognitivi, strategie e flessibilità nello studio, in “Difficoltà di apprendimento”, vol. 2, ed. Erikson, Trento 1997)
Attribuzioni
in situazione di successo in situazione di insuccesso
Impegno
Soddisfazione
Senso di colpa, vergogna
Abilità
Fiducia in sé
Depressione, apatia, vergogna
Difficoltà del compito
Sorpresa
Dispiacere
Caso
Sorpresa
Sorpresa, dispiacere
Aiuto degli altri
Gratitudine
Rabbia
▶
L’autoeffcacia Albert Bandura ha studiato il senso di autoefcacia,
ossia la fducia riposta dal soggetto nella propria capacità di raggiungere i livelli desiderati in una prestazione. La convinzione di riuscire è fondamentale per produrre comportamenti efcaci per il raggiungimento dei propri obiettivi. Spesso molti allievi non hanno la consapevolezza di saper gestire le situazioni che stanno afrontando. La sfducia nelle proprie possibilità produce efetti negativi sia sulla capacità di apprendimento sia sulla costruzione di un buon livello di autostima e della propria identità. Come sviluppare e aumentare la fducia nella propria efcacia? Le esperienze gratifcanti, i modelli adulti positivi, il sostegno e la stima degli altri sono elementi che contribuiscono a migliorare la convinzione nella propria capacità di esercitare un’infuenza sugli eventi. A questo proposito occorre sottolineare la funzione importante degli adulti, e in particolare degli insegnanti, che possono trasmettere fducia all’allievo, se lo incoraggiano e gli manifestano sostegno, oppure alimentare l’insorgere di una scarsa considerazione di sé.
ALBERT BANDURA
354
SENSO DI AUTOEFFICACIA
EFFETTI SULL’APPRENDIMENTO
Imparare a imparare
▶
UNITÀ D1
L’impotenza appresa Un concetto opposto alla percezione di autoef-
fcacia è quello di impotenza appresa, studiato alla fne degli anni Settanta, dagli psicologi statunitensi Lyn Abramson, Martin Seligman e John Teasdale. S’intende con tale termine un atteggiamento rinunciatario, poco fducioso nella possibilità di modifcare il corso degli eventi, che sfocia nella passività e nella rinuncia. Si tratta di un atteggiamento appreso, sviluppato cioè in seguito all’esposizione prolungata e ripetuta a situazioni di frustrazione, percepite come inevitabili e non governabili. Tale convinzione può avere degli efetti negativi sull’apprendimento a scuola, in quanto il soggetto che si sente impotente crede di non poter far nulla per cambiare la sua situazione scolastica e si arrende alle prime difcoltà. Soprattutto gli alunni meno abili rischiano di reagire all’insuccesso, sviluppando una scarsa autostima oppure spostando i propri interessi su aspetti esterni alla scuola, per ottenere maggiori gratifcazioni. In entrambi i casi ciò che ne consegue è una diminuzione della motivazione nell’apprendimento. Atteggiamento rinunciatario che sfocia nella passività
IMPOTENZA APPRESA
SENSO DI AUTOEFFICACIA
effetti negativi
APPRENDIMENTO
▶
Motivazione intrinseca ed estrinseca La motiva-
zione può dipendere da fattori interni (motivazione intrinseca) o da fattori esterni (motivazione estrinseca). Se la motivazione è intrinseca, il soggetto svolge un’attività perché essa gli dà piacere ed è gratifcante per se stessa (ad esempio studio perché in questo modo imparo a fare delle cose nuove); se la motivazione è estrinseca, invece, l’alunno o l’alunna si impegna in determinati compiti, perché spera di conseguire un premio o un riconoscimento che deriva dall’esterno (ad esempio studio perché voglio prendere un voto più alto del mio compagno o per far piacere ai miei genitori o per ricevere la mancia dalla nonna). Di solito, la motivazione intrinseca risulta essere più duratura ed efcace, anche se è spesso problematico stimolarla in allievi con difcoltà d’apprendimento.
Andersphoto, Shutterstock.
355
sezIone D
Il metodo di studio
Illusioni o trappole cognitive
D1.2
Le nostre convinzioni, le valutazioni e gli stili di attribuzione possono dunque illuderci rispetto alla nostra riuscita e talvolta crearci delle diffcoltà nel modo di affrontare i compiti di apprendimento. ▶ La soggettività nel valutare Immaginiamo di fare un esperimento in cui si presentano alcuni problemi a un gruppo di studenti: i problemi sono sempre gli stessi ma a una parte degli studenti sono presentati secondo una sequenza che porta a un ritmo di successo in continua ascesa e a un’altra secondo una sequenza in continua discesa. Se a questo punto si chiede ai due gruppi di stimare quale sarà la loro prestazione futura, il gruppo col successo in ascesa sarà, com’è ovvio, molto più fducioso nelle proprie possibilità rispetto al gruppo caratterizzato da un ritmo di successo in discesa. La situazione, tuttavia, cambia se si considera la prospettiva di un soggetto esterno ai due gruppi di studenti; in questo caso la capacità di far fronte ai problemi da parte degli alunni verrà percepita in maniera diversa se giudicate sulla base dei successi iniziali (e successivo decremento del tasso di successo) o dei successi fnali (cioè di un progressivo incremento del tasso di successo): l’osservatore ritiene più intelligente la persona che ha inizialmente successo (in quanto la prima impressione è più convincente) e non la persona che migliora man mano. Nel valutare i percorsi di apprendimento tendiamo ad applicare due misure diverse per noi stessi e per gli altri: la sensazione di migliorare ci rende più fduciosi sulle nostre possibilità future, mentre il successo iniziale (seguito da un peggioramento delle prestazioni) ci porta a valutare più positivamente gli altri. ▶
Sensazione di sapere Un altro tipo di illusione - o trappola cognitiva
- riguarda la “sensazione di sapere”, ad esempio di conoscere una particolare risposta, anche se al momento non si è in grado di ricordare quale essa sia. Ma questa sensazione è veramente fondata, vale a dire può predire la reale capacità di rispondere positivamente in un test successivo in cui la risposta giusta compare all’interno di una serie di risposte possibili? La risposta a questo quesito è negativa, in quanto generalmente pecchiamo per un eccesso di fducia in noi stessi e tendiamo a sopravvalutare le nostre capacità sulla base delle nostre sensazioni. Ad esempio in forza della nostra presunta familiarità con un qualche argomento riteniamo che il semplice appartenere a un ambiente di lavoro in cui gli altri sono esperti in un dato settore faccia di noi dei conoscitori di quel settore. Possono provocare illusioni anche la facilità con cui viene presentato un particolare argomento, o la “spolveratura” di informazioni che in qualche modo abbiamo ricevuto.
Peshkova, Shutterstock.
▶ Effetto Feynman Questo fenomeno, che è stato studiato dagli psicologi americani, prende il nome di “efetto Feynman” dal nome di un illustre e poliedrico professore di fsica, Richard Feynman (1918-1988) noto per le sue ricerche scientifche ma anche per il suo modo giocoso di afrontare e
356
Imparare a imparare
UNITÀ D1
presentare problemi seri e complessi. Gli studenti che seguivano le lezioni del professor Feynman, così come il pubblico che assisteva alle sue conferenze, erano deliziati dal suo stile colloquiale ed empatico: tuttavia Feynman, che era un fsico di gran valore, si limitava però a fare delle belle lezioni, basate su afascinanti metafore ed analogie, accessibili in termini di linguaggio ma scarsamente esplicative in termini reali, e quindi poco utili per promuovere un vero apprendimento. Il fatto che le sue lezioni fossero facili da ascoltare e spesso facessero apparire facili le cose difcili, non implicava necessariamente che gli studenti capissero e imparassero: agli esami andavano piuttosto male in quanto non avevano interpretato adeguamente la propria conoscenza reale. SCHEDA D1.1
La metacognizione, intesa come consapevolezza che un soggetto ha delle proprie capacità, dà una direzionalità all’investimento cognitivo, agli sforzi dedicati a imparare. Ne consegue che una persona che vuole imparare a imparare deve possedere una serie di abilità quali: • controllare il proprio apprendimento (se è veramente avvenuto o se ci illudiamo che sia avvenuto); • individuare le proprie risorse e punti di debolezza (per esempio ansia da prestazione, mancanza di alcuni apprendimenti di base); • superare i blocchi dell’apprendimento (per esempio timidezze, idee preconcette, ripetitività) e i diversi ostacoli che si incontrano; • sviluppare un piano d’apprendimento (per esempio per passi successivi); • individuare le situazioni in cui si impara meglio (per esempio a mente fresca, dopo aver fatto attività fsica); • imparare attraverso le diverse occasioni della vita quotidiana, trarre proftto dall’informazione; • imparare da chi ha maggiore esperienza (senza il timore di fare una brutta fgura o di essere mal giudicati); • aiutare gli altri - persone con cui vive, collaboratori, alunni - a imparare meglio (insegnare agli altri rafforza i nostri apprendimenti e ci obbliga a verifcare le nostre competenze); • utilizzare l’intuito. Questi diversi punti mostrano gli aspetti principali dell’imparare a imparare: in generale specifcano che per migliorare le proprie capacità è utile prestare attenzione al proprio modo di interagire con la realtà, di assimilare l’informazione, di controllare la propria esperienza soggettiva.
METACOGNIZIONE
AVAVA, Shutterstock.
357
sezIone D
Il metodo di studio
La capacità di generalizzare e “trasferire”
D1.3
La capacità di generalizzare e di trasferire un’esperienza a un’altra situazione, prescindendo dal contesto specifco, va sotto il nome di transfer. È un processo essenziale affnché le diverse acquisizioni non rimangano in un compartimento stagno, ma vengano applicate in contesti simili e siano utili per ulteriori apprendimenti.
TRANSFER
GENERALIZZARE, TRASFERIRE
Esperienze in un’altra situazione
Passare dalla teoria alla pratica
▶
Il poker: dalla teoria alla pratica Il transfer si riferisce prevalen-
temente alla capacità di generalizzare e di utilizzare un apprendimento nell’ambito di un compito applicativo: esso è quindi una misura delle nostre prestazioni quando si tratta di passare dalla teoria alla pratica, da un’esperienza simulata a una reale. L’apprendimento e la sua successiva applicazione possono presentare caratteristiche molto diverse, legate a vari aspetti della situazione, a fattori sociali, allo stress, a “fattori di disturbo ambientali” e via dicendo. Un conto è, per esempio, imparare le regole del poker e giocarlo attraverso il sofware di un computer che simuli quanto più da vicino la situazione del tavolo verde, delle giocate, delle vincite, ecc., ben altro conto è invece giocare per davvero in una situazione reale. In quest’ultimo caso è necessario saper interpretare le caratteristiche e i comportamenti degli altri giocatori, confrontarsi con dati esterni quali la rumorosità ambientale che disturba la concentrazione, o la presenza di qualcuno che fuma e ci dà fastidio. La fase iniziale dell’apprendimento non può anticipare, e nemmeno simulare pienamente, l’insieme delle circostanze che caratterizzeranno la situazione reale in cui l’apprendimento sarà infne applicato.
Dall’astratto al concreto passando per il linguaggio: la memoria dichiarativa Gli psicologi hanno studiato diversi aspetti del tran-
▶
sfer. Il primo riguarda la capacità di rappresentarci in modo astratto una nuova esperienza, anche se essa è concreta o legata a procedure e/o sequenze di azioni quali battere a macchina, guidare la bicicletta, manovrare una barca ecc. Immaginiamo per esempio di dover imparare per la prima volta a guidare l’automobile e a cambiare di marcia: queste esperienze, anche se molto concrete, coinvolgono la cosiddetta memoria dichiarativa attraverso cui una serie di concetti o eventi possono essere esplicitati o “dichiarati”. Nel caso specifco, la situazione del cambiare marcia può essere “dichiarata”, vale a dire esplicitata in forma linguistica: “Premi il pedale della frizione col piede sini-
Peshkova, Shutterstock.
358
Imparare a imparare
UNITÀ D1
stro, solleva il piede destro dal pedale dell’acceleratore e con la mano destra porta la leva del cambio nella posizione della marcia desiderata; a questo punto molla lentamente il pedale della frizione e premi di nuovo quello dell’acceleratore”. Man mano che impariamo, questa strategia diventa automatica e non ci si rende più conto dei propri movimenti, di ciò che fanno i propri piedi e la propria mano destra. Nell’acquisire nuove abilità e apprendimenti, il passaggio attraverso la memoria dichiarativa è una prima e importante fase del successivo transfer alla pratica. In molti casi è pertanto utile esplicitare i diversi passi di un’esperienza, ripassarli con la mente o addirittura annotarli nella loro sequenza in modo da favorire il successivo passaggio (transfer) alle situazioni in cui verrà applicato quell’apprendimento. TRANSFER
Rappresentare in modo astratto una nuova esperienza anche se è concreta Ad esempio guidare la macchina
Situare l’apprendimento, legarlo ad un contesto
Coinvolgimento della memoria dichiarativa Uso del linguaggio Lightspring, Shutterstock.
▶
L’importanza della contestualizzazione Un secondo aspetto
riguarda poi la capacità di situare l’apprendimento, vale a dire contestualizzarlo quanto più possibile e legarlo a una particolare situazione o contesto. Per esempio, posso sapere, a livello teorico, come usare la frizione, il freno e l’acceleratore perché l’ho visto fare o me l’hanno spiegato, ma dovrò tradurre questa conoscenza a livello pratico, quando guiderò efettivamente un’auto, e sarà diverso se guiderò l’auto in montagna, in città o in autostrada. Nell’apprendere bisogna quindi tenere presenti questi tre aspetti: 1. la conoscenza per efettuare un compito è legata soprattutto alla situazione in cui bisogna eseguirlo; 2. alcuni elementi di un particolare compito sono solo presenti nelle situazioni specifche, non nelle loro rappresentazioni, vale a dire sono concreti, non astratti; 3. l’apprendimento teorico e astratto è di scarso aiuto, il vero apprendimento è legato al fare ed esso è tanto più efcace quanto più si basa su un contesto sociale e ambientale che si avvicini a quello reale.
359
SEZIONE D
Il metodo di studio
1. La conoscenza per effettuare un compito è legata alla situazione in cui bisogna eseguirlo
CONTESTUALIZZAZIONE
2. Alcuni elementi del compito sono concreti, non astratti 3. Il vero apprendimento è legato al fare
▶
Esperienza e abilità di base Volendo riassumere questi punti in
un unico concetto si potrebbe dire che un’esperienza non è “qualcosa” che si possiede indipendentemente dalle situazioni: essa è piuttosto una proprietà relativa a un contesto, né più né meno come un oggetto non ha il movimento fnché non si muove. Ciò signifca che tutto deve essere contestualizzato? In realtà è necessario acquisire alcune abilità fondamentali prima di acquisire competenze più specifche. Ad esempio è indispensabile imparare ad acchiappare una palla prima di imparare a giocare qualsiasi sport basato sull’uso di una palla, ed è ovviamente necessario imparare a leggere e scrivere prima di proseguire in qualsiasi attività di apprendimento scolastico. È comunque possibile imparare un compito “a pezzi” anziché nella sua globalità, per essere facilitati nell’apprendimento globale: si può imparare a guidare un’automobile dopo un training limitato all’uso del cambio e del volante per poi passare alla situazione reale. ▶ Come facilitare il transfer Per facilitare il transfer bisogna fare in modo che la situazione di apprendimento non sia completamente astratta e teorica: a tal fne è opportuno simulare imprevisti o, comunque, introdurre variabili che rendano il percorso dell’apprendimento meno omogeneo, meno “tranquillo” e prevedibile. È pur vero che molti apprendimenti, come quelli prevalentemente motori (in cui la pratica è pressoché tutto) possono avvenire in assenza di principi generali: ad esempio, per imparare le quali non è necessario conoscere le leggi della fsica o, si pensi ad attività come andare sui pattini, in bicicletta, guidare un’automobile, utilizzare molti programmi del computer. Spesso, però, inserire alcuni principi generali e astratti può essere molto positivo perché aiuta chi apprende a rappresentarsi la situazione in termini più generali; termini che consentono di orientarsi più facilmente e più rapidamente in contesti analoghi o nuovi. Training e valutazione dell’apprendimento dovrebbero essere strettamente intrecciati, lasciando un adeguato spazio al collaudo di ogni singola esperienza dal punto di vista pratico o applicativo: soprattutto i bambini e i ragazzi hanno bisogno di avere un riscontro concreto e “sul campo” di quanto hanno imparato in teoria.
360
Imparare a imparare
UnITà D1
Quattro passi per imparare
D1.4
È utile sapere innanzitutto quali sono gli “ingranaggi” che entrano in funzione quando si studia, in modo da utilizzarli al meglio; per esempio, se imparassimo qualcosa senza memorizzare, dovremmo ripartire ogni volta da zero. Bisogna prima di tutto essere capaci di “captare” ciò che merita di essere preso in considerazione e tralasciare ciò che non è rilevante. osservando con attenzione e rifettendo si colgono i signifcati, si notano somiglianze e differenze e si stabiliscono delle relazioni con ciò che già si conosce. In un passaggio successivo occorre memorizzare per potere utilizzare in seguito ciò che si è imparato. I quattro passi fondamentali da compiere sono quattro: prestare attenzione, rifettere, capire e attivare la memoria. ognuna di queste attività mentali prepara quella successiva e consente di tornare alla precedente: l’attenzione apre alla comprensione, ma la memorizzazione consente di rintracciare la comprensione per applicarla a un nuovo contesto.
SELEZIONARE
Ciò che è importante
TRALASCIARE
Ciò che non è importante
Shawn Hempel, Shutterstock.
IMPARARE
▶ Prestare attenzione Poiché l’attenzione è il primo passo che bisogna compiere essa ha un ruolo decisivo, dal tipo di attenzione che si presta dipende tutto il resto. Focalizzare l’attenzione è fondamentale in ogni tipo di esperienza in quanto centinaia di stimoli e messaggi competono con la nostra attenzione e possono distrarci dall’argomento su cui dobbiamo concentrarci. L’attenzione infatti è una capacità limitata e selettiva ed è sufciente a volte un solo elemento di disturbo per far perdere la concentrazione. Consideriamo il caso di coloro che riescono a concentrarsi su un compito ascoltando una musica di sottofondo; anche per costoro è difcile inviare SMS e al tempo stesso concentrarsi su un problema di matematica. Prima di iniziare i compiti bisogna pertanto creare le condizioni afnché non ci siano fattori di disturbo. Quando un alunno è dispersivo e ha l’abitudine di passare da una cosa all’altra, si distrae facilmente, occorre, prima di ogni altra cosa, che impari a fermare l’attenzione. Non è sufciente che egli percepisca, ascolti, guardi o legga se non cerca di trattenere qualcosa di quelle esperienze “nella testa”. Ci deve essere da parte sua l’intenzione esplicita e consapevole di rappresentarsi nella mente ciò a cui si sta applicando. Per esempio, guardare un triangolo e fssare nella mente la sua caratteristica principale (isoscele? scaleno? rettangolo?). Questo lavoro mentale è preliminare a tutto il resto. Queste prime “tracce” interiori (una immagine, delle parole, uno schema…) consentono di passare alla fase immediatamente successiva.
361
SEZIONE D
Il metodo di studio
▶ Aprirsi alla comprensione Per apprendere qualcosa, bisogna comprendere ciò che si studia ossia bisogna dare senso all’argomento che si afronta. Può essere utile commentare, ripetere con parole proprie, chiarire il signifcato di termini sconosciuti, abbozzare uno schema, collegarsi ad apprendimenti precedenti ecc. Questa forma di “ruminazione” può richiedere, a seconda dei casi, qualche secondo o svariati minuti. Qualcuno traduce una regola, un pensiero, un calcolo, in termini verbali. Qualcun altro riformula quegli stessi contenuti in immagini. C’è chi si chiede il “perché” e chi invece cerca di intravedere dei risvolti applicativi. In ogni caso, la mente entra in azione. C’è uno sforzo interiore che nell’età evolutiva è funzionale allo sviluppo mentale. La genetica fornisce delle potenzialità intellettive, queste però si sviluppano attraverso l’impegno e il lavoro: il pensiero si muove dal noto all’ignoto, collega nozioni e concetti di varia natura e provenienza, individua gli elementi più signifcativi di un contesto... Mopic, Shutterstock.
▶ Rifettere Rifessione signifca concentrarsi su un problema per trovare una soluzione, oppure approfondire una questione cogliendone i nessi; signifca anche esprimere un pensiero rispettando le regole della grammatica e della sintassi, sforzarsi di capire se un meccanismo può funzionare oppure no, mettere a confronto punti di vista diversi o opposti, prevedere le mosse dell’altro ecc. I percorsi della rifessione sono infniti, cosicché di fronte allo stesso compito due persone possono seguire tragitti diferenti. Questa pluralità di possibilità rappresenta un punto di partenza per rendere più fessibili le proprie rifessioni, capire che esistono punti di osservazione diversi, che si possono fare varie ipotesi e che restare legati o “afezionarsi” a un unico procedimento non è sempre una buona strategia. ▶ Memorizzare Contrariamente a ciò che comunemente si dice, la memoria quando si studia non è rivolta al passato, bensì al futuro. Si memorizza per ricordare a distanza di tempo e in altri contesti. Nel momento in cui si fa lo sforzo di mettere a fuoco e fssare nella mente una nozione, un viso, una immagine o un numero telefonico, è verso l’avvenire che ci si rivolge: le conoscenze o i fatti che ci si sforza di ricordare devono essere disponibili più tardi. Per dare signifcatività agli apprendimenti, serve anche prefgurarsi il luogo o contesto in cui quegli apprendimenti dovranno essere rievocati o utilizzati; per un alunno il contesto è la classe, dove ci sono i compagni e l’insegnante. Se un bambino impara una lezione con il progetto di recitarla a sua madre può efettivamente incontrare difcoltà nel ripeterla oralmente davanti alla classe; se non immagina anche le domande che gli potrà fare l’insegnante, interrompendolo, o le possibili applicazioni che potranno venirgli richieste, quell’apprendimento potrà risultare rigido e non spendibile in situazioni diverse da quella iniziale.
362
Imparare a imparare
UNITÀ D1
4. MEMORIZZARE
3. RIFLETTERE
IMPARARE
1. PRESTARE ATTENZIONE
2. COMPRENDERE
▶ Due regole per la memorizzazione La prima regola della memorizzazione aferma che, per ricordare, bisogna proiettarsi nella situazione in cui quell’apprendimento dovrà essere utilizzato. La seconda regola, per quanto riguarda gli apprendimenti scolastici, è quella di ripassare ciò che si è imparato precedentemente. A tal fne, per esempio, può essere utile rivedere al mattino ciò che si è studiato il giorno prima. Due sono i fattori che aiutano la memorizzazione in questo caso: l’idea di ritornare su quell’apprendimento la mattina successiva, crea una tensione che è produttiva per il funzionamento della memoria; lo sforzo di rievocare e recitare nuovamente la lezione dopo un intervallo di tempo né troppo lungo né troppo breve, ha un efetto positivo per il consolidamento del ricordo.
Il metodo di studio
D1.5
Il metodo di lavoro, quando si studia, è importante quanto lo sono le conoscenze, se non di più. Le conoscenze possono invecchiare, trasformarsi, richiedere aggiornamenti; il metodo invece, una volta acquisito, consente di organizzare qualsiasi tipo di conoscenza. Se non si dispone di un buon metodo, gli apprendimenti risultano frammentati, disorganizzati e c’è il rischio che vengano rapidamente dimenticati. Proviamo ora a individuare qualche strategia utile per la costruzione di un buon metodo. Prenderemo in considerazione la concentrazione, il lavoro in classe, il lavoro a casa, la memorizzazione, il ripasso. ▶
La concentrazione: come esercitarla Per migliorare la concen-
trazione occorre creare le condizioni ambientali adatte: è meglio studiare in una stanza silenziosa, dove non si è disturbati in continuazione; è preferibile non lasciarsi distrarre in continuazione dagli SMS che arrivano sul cellulare o dai messaggi sul computer. Decidi di dedicarti pienamente a quello che stai facendo. Se sei stanco è più difcile rimanere concentrato: riposati un pochino distraendoti per qualche minuto e poi riprendi.
Ollirg, Shutterstock.
363
SEZIONE D
Il metodo di studio
Per aiutare la concentrazione puoi svolgere degli esercizi di visualizzazione. • Seduto comodamente o sdraiato prova a rilassarti, chiudi gli occhi e immagina un oggetto, una scena, concentrandoti su di esso. Per esempio puoi pensare al mare e concentrarti su questa immagine, cercando di “vederlo” con tutti i sensi, immaginandoti anche l’odore, le sensazioni dell’aria marina ecc. Questo esercizio lo puoi fare anche concentrandoti su altri oggetti o situazioni. Un altro esercizio può essere la numerazione all’indietro: • Parti da un numero a tua scelta e conta all’indietro, numerando per esempio per 4, arrivando a zero (o il più vicino possibile), senza interromperti. CONCENTRAZIONE SI ESERCITA
ESERCIZI DI VISUALIZZAZIONE Chiudere gli occhi e immaginarsi una scena o un oggetto ▶
CONTARE ALL’INDIETRO Partire da un numero e arrivare a zero
Il lavoro in classe Lo studio comincia già a
scuola, in classe. Conviene utilizzare al meglio le ore di scuola per “portarsi avanti” con il lavoro. Prova a rifettere sul tuo modo di stare in classe e ricordati che il tempo passa più in fretta e ci si annoia di meno se ci si sente coinvolti in quello che si sta facendo e ascoltare la lezione e partecipare alle discussioni è un primo mattone per la costruzione delle proprie conoscenze. È difcile stare concentrati a lungo ma prendere appunti o costruire mappe concettuali mentre l’insegnante spiega può aiutare a mantenere l’attenzione inoltre fare domande e intervenire (naturalmente sugli argomenti di cui si sta trattando!) è un buon modo per sfuggire alla noia. Le interrogazioni dei compagni non sono un momento di svago per te; ascoltandole attentamente puoi imparare molto dalle risposte date dai compagni, dalle reazioni dell’insegnante e da come vengono formulate le sue domande.
Tyler Olson, Shutterstock.
▶
Il lavoro a casa Anche se a scuola si fa già una parte importante di la-
voro, è fondamentale riprendere a casa gli argomenti svolti in classe, per “farli propri”, rielaborarli e memorizzarli. Quanto è necessario studiare? Non c’è una risposta valida per tutti, poiché dipende dalle caratteristiche personali e dal tipo di richieste a cui bisogna rispondere (quantità di materiale da studiare, esigenze dei professori, difcoltà dell’argomento…). Bisogna comunque predisporsi a studiare il tempo necessario per conseguire l’obiettivo.
364
Imparare a imparare
Fare domande, intervenire
UNITÀ D1
Prendere appunti
A SCUOLA
Partecipare
Sentirsi coinvolti
APPRENDERE
Memorizzare gli argomenti
A CASA
Rielaborare gli argomenti
Ovviamente ognuno deve trovare il suo metodo di studio, perché non ne esiste uno che vada bene per tutti gli stili cognitivi: c’è chi procede per dettagli, in modo analitico e chi invece in modo sintetico, privilegiando le visioni di insieme. Ecco alcuni suggerimenti relativi ai quattro passi per imparare del primo paragrafo: 1. Prestare attenzione • Predisporsi alla concentrazione (vedi sopra). 2. Aprirsi alla comprensione • Prima di iniziare un nuovo argomento essere sicuri di avere le conoscenze necessarie (prerequisiti) per comprendere le nuove acquisizioni; se non le abbiamo… fare un passo indietro e riprendere gli argomenti precedenti. • Si può organizzare il materiale da studiare, per esempio costruendo mappe concettuali, schemi, cercando di suddividere i contenuti in blocchi più piccoli, più semplici da trattare e memorizzare; in questo modo si può ridurre il lavoro da fare. • Gli appunti presi a scuola possono essere d’aiuto ma non sono sempre sufcienti per studiare approfonditamente un argomento: per questo occorre utilizzare il libro di testo e/o fare ricerche personali su altri testi o su internet. • Quando leggi può essere utile sottolineare o evidenziare i concetti più importanti; dopo la lettura fare schemi o riassunti.
Angela Wayea, Shutterstock.
3. Rifettere • Cerca di trovare dei collegamenti con le tue esperienze, i tuoi interessi e con il tuo modo di pensare: rifetti e rielabora i contenuti che stai studiando, rendili tuoi. • Collega le nuove acquisizioni con le cose che già sai, con argomenti già trattati, individua somiglianze e diferenze. • Metti a confronto punti di vista opposti.
365
SEZIONE D
Il metodo di studio
4. Memorizzare La memoria può essere facilitata nei seguenti modi: • • • •
Rielaborare in modo personale. Fare collegamenti e associazioni. Costruire mappe concettuali. Costruire un discorso personale sugli argomenti da studiare e ripeterlo ad alta voce. • Ripassare per consolidare le informazioni. t Rielaborare in modo personale t Ripetere ad alta voce t Consolidare le informazioni
4. MEMORIZZARE t Fare collegamenti t Individuare
somiglianze e differenze t Mettere a confronto punti di vista opposti
3. RIFLETTERE
IMPARARE
1. PRESTARE ATTENZIONE
2. COMPRENDERE t Organizzare il materiale da studiare t Sottolineare o evidenziare t Fare schemi o riassunti
366
t Predisporsi alla
concentrazione
t Eliminare
i fattori di disturbo
Imparare a imparare
UnITà D1
La motivazione: esercizi per svilupparla
D1.6
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la motivazione svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento. senza motivazione è più diffcile imparare. È possibile sviluppare la motivazione? Come?
Automotivarsi Occorre attivare la voglia di imparare per ottenere dei risultati. Il primo passo è rendersi consapevoli del perché impariamo.
▶
• Prova a pensare per quali motivi vai a scuola e studi. Fai un elenco distinguendo tra motivazioni intrinseche e estrinseche. Puoi aiutarti consultando l’elenco nella scheda D1.2. • Successivamente prova a pensare a che cosa può servire andare a scuola e scrivilo su un foglio. • Collega le rifessioni che hai fatto e prova a osservare se le tue motivazioni trovano riscontro in quello che la scuola può ofrire. Ricordati che se riesci a darti delle motivazioni in quello che fai, afronterai meglio il compito; le difcoltà ti sembreranno risolvibili e le fronteggerai come uno stimolo per migliorarti. ▶
Lisa F. Young, Shutterstock.
L’autostima: esercizi per svilupparla Fortemente legata alla mo-
tivazione è l’autostima. Se non si ha fducia in se stessi è difcile sostenere le proprie motivazioni. Prova a rifettere sulle tue convinzioni. In quali delle afermazioni proposte qui di seguito ti riconosci? • • • • • • • • • • •
Io non valgo niente, gli altri sono migliori di me Non sono tanto dotato Non sono capace Non ci riesco, non ce la posso fare Non merito la stima e l’attenzione degli altri Inutile che mi impegni, tanto non serve a niente Sono contento di me stesso, nonostante io non sia perfetto Ho i miei limiti, ma ho anche delle qualità Ce la posso fare, anche se raggiungere il risultato sarà impegnativo Posso trovare in me le risorse per afrontare le difcoltà I miei familiari, insegnanti e compagni mi stimano
Se ti riconosci maggiormente nelle ultime sei afermazioni hai un buon grado di autostima; se invece ti sei riconosciuto maggiormente nelle prime sei signifca che devi migliorare la considerazione che hai di te stesso. Liberati dalle immagini negative di te stesso, sostituiscile con immagini positive: sforzati di sottolineare le tue qualità, i piccoli successi, i passi in avanti. Accetta di poter sbagliare qualche volta, ricordati che succede a tutti!
367
sezIone D
Il metodo di studio
SCHEDA D1.2
I fattori che creano una forte motivazione verso lo studio sono numerosi. Qui di seguito proponiamo un elenco sintetico dei principali fattori motivanti: • Il desiderio di imparare e la conseguente considerazione positiva, o valorizzazione, dello studio come una grande opportunità per diventare più competenti e intelligenti, • Il desiderio di fare bella fgura e di impressionare gli altri, • Il desiderio di competere con se stessi (sono in gamba o no?), • Il desiderio di avere successo e di eccellere sugli altri, oppure il desiderio di dimostrare agli altri il proprio valore (“Vi farò vedere io di che cosa sono capace”) • Il desiderio di compensare le frustrazioni (“Non riesco in questo campo, ma riuscirò nello studio”), • Il desiderio di ricevere gratifcazioni dal proprio ambiente familiare e sociale, • Il “dover” sostenere un esame o un’interrogazione (talvolta, senza lo stimolo di un’interrogazione o di un esame, si studia di meno o molto poco), • Le buone abitudini di studio, • Il precedente successo (“Sono in gamba perché sono riuscito in questo esame molto diffcile”) o insuccesso scolastico (“È andata male, ma adesso rimedio studiando meglio”), • La consapevolezza delle proprie attitudini (“Riesco bene in quasi tutte le materie”), • L’interessamento della propria famiglia, • La personalità e capacità dell’insegnante (“È un insegnante che ti fa amare la materia che insegna”), • L’organizzazione didattica della scuola che si frequenta, • La motivazione degli insegnanti.
I FATTORI DELLA MOTIVAZIONE VERSO LO STUDIO
Mario Polito, Il metodo di studio, Editori Riuniti, Roma 2010 Andresr, Shutterstock.
Condizioni psicofisiche per studiare
D1.7
se impari a osservarti e a conoscerti, arriverai a comprendere quali sono le condizioni migliori in cui lavori e hai una resa maggiore. Il benessere psicofsico è fondamentale per riuscire a dedicarsi alle proprie attività con effcacia. Vi sono elementi psichici che infuenzano l’apprendimento (se siamo molto in ansia facciamo fatica a concentrarci e a imparare) ed elementi che riguardano il funzionamento biologico individuale (per esempio ore di sonno, salute fsica). ▶
Curare la propria salute
• Cerca di dormire un numero sufciente di ore per notte (circa 8). • Il benessere psicofsico si ottiene anche attraverso l’attività fsica: fare movimento, praticare uno sport permettono di scaricare le tensioni muscolari. L’attività fsica ossigena il cervello. • Una pausa ogni tanto permette di riprendersi e di tornare al lavoro con più energia. • Mangia cibi sani e variati per introdurre nel tuo organismo le sostanze di cui ha bisogno. Evita cibi grassi e fritture che possono appesantire la dige-
368
Imparare a imparare
UNITÀ D1
stione e indurre sonnolenza. • Evita cafè e sigarette: cafeina e nicotina non migliorano l’apprendimento. • Evita farmaci o sostanze che pensi possano essere miracolose per la memoria: è un’illusione! Puoi afrontare lo studio con le tue forze e le tue risorse. • Evita alcol e droghe poiché interferiscono negativamente sulle prestazioni intellettive. ▶
Saper gestire i tempi di studio Per studiare bene occorre saper
gestire i tempi: • Quando torni da scuola organizza il tuo pomeriggio, facendo un programma delle attività che devi svolgere (per esempio un’ora di matematica, una di inglese, una e mezza di storia, un’ora e mezza per lo sport…). • Rispetta il ritmo biologico di attività-riposo (occorre alternare all’attività e alla veglia delle ore di riposo). • Ricordati che sono necessarie delle pause, perché l’apprendimento sia più efcace. • Cerca di capire quali sono le ore della giornata in cui sei più concentrato e il tuo studio rende maggiormente. • Costruisci una programmazione dello studio secondo una scansione giornaliera e settimanale: “la settimana prossima ho la verifca di letteratura inglese, ogni giorno dedicherò almeno un’ora allo studio di un autore del programma”.
Ansia e stress Abbiamo ribadito ripetutamente che le componenti emotive esercitano una forte infuenza sull’apprendimento. Non si riesce a studiare se si è molto preoccupati per qualcosa. Alcuni alunni, in particolare, si fanno prendere dall’ansia di fronte a un’interrogazione o a un compito, pregiudicando i loro risultati scolastici. Le cause dell’ansia possono essere molteplici, spesso sono comunque legate alla paura del giudizio degli altri e a una bassa autostima. Le manifestazioni fsiche dell’ansia possono essere di diverso tipo e di diversa entità: sudorazione, tachicardia, respiro afannoso, tremori, incapacità di concentrazione… Lo stress riguarda invece il sovrafaticamento a cui lo studente può essere sottoposto, a causa delle richieste impegnative della scuola: lezioni da studiare, verifche e interrogazioni, rapporti (talvolta difcoltosi) con i compagni e gli insegnanti, orari e tempi da rispettare. Ogni studente deve fare ricorso alle sue risorse interiori per afrontare lo stress scolastico: buo-
▶
Ollyy, Shutterstock.
369
SEZIONE D
Il metodo di studio
ne motivazioni, un buon metodo di studio e una buona conoscenza di sé possono aiutare. COGNITIVE
APPRENDIMENTO COMPONENTI Stress
causato da
t Paura del giudizio degli altri t Bassa autostima
Ansia
causata da
t Sovraffaticamento t Richieste impegnative
EMOTIVE
▶
Come affrontare l’ansia e come superarla? L’ansia è spesso col-
legata a una bassa autostima o alla paura di non riuscire. Nei paragraf sulla motivazione e sull’autostima abbiamo sottolineato l’importanza delle convinzioni su cui ci basiamo. Esistono dunque diverse tecniche che aiutano a tenere sotto controllo l’ansia. • Lavorare sulle proprie convinzioni (vedi gli esercizi sull’autostima e sull’automotivazione nel paragrafo D1.6). • Le tecniche di rilassamento permettono di diminuire l’ansia attraverso il rilassamento muscolare e il controllo della respirazione. Quando siamo molto tesi tendiamo a contrarre i muscoli e a respirare poco o in modo superfciale, riducendo la tensione muscolare e regolarizzando la respirazione (con inspirazioni e espirazioni più profonde e a intervalli regolari) si può riprendere ad avere una visione più chiara dei propri obiettivi. • Le visualizzazioni positive hanno un efetto favorevole sulla riduzione dell’ansia. Si tratta di immaginare delle scene positive (soprattutto quando siamo in uno stato di rilassamento), quali il nostro successo all’interrogazione, la nostra gratifcazione, il premio che ne deriverà (una serata allegra con gli amici).
370
RIASSUMIAMO
D
SEZIONE
S EZIONE
D L’APPROCCIO METACOGNITIVO L’apprendimento è un processo che dura tutta la vita, per questo è fondamentale imparare a imparare. L’approccio metacognitivo consiste nella capacità di rifettere e analizzare le proprie strategie e i propri processi cognitivi. La didattica metacognitiva stimola costantemente gli allievi alla rifessione su come stanno imparando.
Il modo in cui il soggetto percepisce i propri successi e insuccessi, attribuendone le cause a se stesso o agli altri, infuenza notevolmente la motivazione ad apprendere. Le motivazioni possono essere intrinseche (relative a obiettivi di crescita personale) o estrinseche (dipendono da gratifcazioni esterne).
Artkamalov, Shutterstock.
ILLUSIONI E TRAPPOLE COGNITIVE Le illusioni cognitive spesso derivano da errori nella valutazione delle situazioni e, ancora una volta, dagli stili di attribuzione. Un altro tipo di illusione riguarda la “sensazione di sapere”, ovvero di conoscere una particolare risposta: questo succede perché tendiamo a soprav-
valutare le nostre capacità sulla base delle nostre sensazioni, ad esempio della nostra presunta familiarità con un qualche argomento, o per la facilità con cui ci è stato presentato un argomento. Questo fenomeno è ricordato come efetto Feynman.
LA CAPACITÀ DI GENERALIZZARE E “TRASFERIRE” Il transfer è fondamentale perché ogni acquisizione possa essere utilizzata anche in ambiti diversi da quello in cui è avvenuta. È possibi-
Stokkete, Shutterstock.
le rappresentarsi in astratto una nuova esperienza, attraverso il linguaggio, coinvolgendo la memoria dichiarativa (per imparare a guida-
371
SEZIONE D
Il metodo di studio
re, sapere in teoria come funzionano freno, frizione ecc.). Ma occorre contestualizzare l’apprendimento, poiché l’apprendimento è legato al
fare e alla situazione specifca in cui va applicato (per saper guidare non basta sapere come funzionano freni, frizione ecc.). Galina Barskaya, Shutterstock.
QUATTRO PASSI PER IMPARARE Quando si impara occorre innanzitutto: 1) Focalizzare l’attenzione 2) Comprendere ciò che si studia 3) Rifettere e concentrarsi su un
tema o problema 4) Memorizzare aiutandosi con la rielaborazione, i collegamenti, le associazioni, la ripetizione e il ripasso Kiselev Andrey Valerevich, Shutterstock.
IL METODO DI STUDIO Riguarda il lavoro personale che uno studente deve fare per organizzare i tempi e il modo dell’apprendimento. Lo studio comincia in classe con la concentrazione e partecipando attivamente alle lezioni e continua a casa con la ripresa e la rielaborazione degli argomenti trattati a scuola.
A casa bisogna sapersi organizzare il tempo: programmare, organizzare il materiale, rielaborarlo attraverso schemi, sottolineature, appunti. Per ricordare meglio e fare propri i contenuti, occorre collegarli ai propri interessi, esperienze e conoscenze precedenti.
MOTIVAZIONE AUTOSTIMA E CONDIZIONI PSICOFISICHE PER STUDIARE È possibile migliorare le proprie motivazioni e raforzare l’autostima attraverso la rifessione sulle proprie convinzioni e il cambiamento del proprio modo di pensare. Anche le nostre condizioni fsiche infuenzano il rendimento nei compiti dell’apprendimento. È quindi necessario curare la propria salute, alternando i cicli di veglia e
Angela Waye, Shutterstock.
riposo, facendo seguire all’attività dei momenti di pausa. L’ansia e lo stress non devono spaventare ma possono essere afrontati attraverso una maggior conoscenza del proprio corpo e delle sue reazioni, attraverso tecniche di respirazione e rilassamento e rinforzando l’autostima. vita khorzhevska, Shutterstock.
372
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
Test interattivi
D
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
SEZIONE
S EZIONE
D
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
L’apprendimento è limitato agli anni dell’infanzia
V
F
b
Tutti gli esperti dell’apprendimento attribuiscono lo stesso significato all’approccio metacognitivo
V
F
c
Lo stile di attribuzione influenza il modo in cui un soggetto affronta un compito e utilizza strategie per apprendere
V
F
d
La riflessione metacognitiva equivale a “pensare sul pensare”
V
F
e
La maggiore consapevolezza sui propri processi cognitivi permette di ottenere risultati migliori
V
F
f
Anche se gli studenti hanno caratteristiche cognitive differenti, un buon metodo di studio è applicabile a tutti
V
F
g
L’autostima e la motivazione sono due componenti essenziali per l’apprendimento, ma l’una è separata dall’altra
V
F
h
Una visione positiva delle proprie capacità riduce l’ansia
V
F
1 La rifessione sui propri processi conoscitivi consente:
Competenza
□ di eliminare le sensazioni spiacevoli e le emozioni negative per l’apprendimento □ di valutare le funzioni cognitive e permette di capire quali sono le strategie migliori per l’apprendimento □ di evitare alcune lacune nell’apprendimento, causate dalla distrazione
Acquisire le informazioni
2 Per stile di attribuzione interno si intende la tendenza del soggetto ad attribuire le cause dei propri successi o insuccessi: □ al proprio impegno □ alla cattiva sorte □ al grado di difcoltà del compito da afrontare
3 Per automotivarsi è importante: □ essere consapevoli che per evitare situazioni spiacevoli (esempio: brutti voti) bisogna impegnarsi □ essere consapevoli del perché impariamo □ sapere che con la svogliatezza non si ottengono buoni risultati, in nessun ambito 373
SEZIONE D
Il metodo di studio
4 L’ansia è spesso collegata: □ alla paura dell’insegnante □ una bassa autostima □ alla mancanza di stimoli per lo studio, in vista di un’interrogazione imminente
5 Per transfer si intende: □ la capacità di generalizzare e di trasferire un’esperienza a un’altra situazione □ la possibilità di riportare, con vari procedimenti, una situazione problematica ad una condizione di equilibrio □ un trasferimento di contenuti che determina l’acquisizione di conoscenza in un particolare contesto
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: attenzione! Alcuni sono in più!
Competenza Sapere usare il lessico della disciplina
Gli psicologi hanno studiato diversi aspetti del transfer. Il primo riguarda la capacità di rappresentarci in modo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . una nuova esperienza, anche se essa è concreta o legata a procedure e/o sequenze di azioni. […] Man mano che impariamo, le . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . utilizzate possono diventare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nell’acquisire nuove abilità e apprendimenti il passaggio attraverso la memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . è una prima e importante fase del successivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . alla pratica. […] In molti casi è perciò utile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i diversi passi di un’esperienza, ripassarli con la mente. astratto - concreto - strategie - conoscenze - automatiche - familiari - a lungo termine dichiarativa - ripetere - esplicitare.
1 Quali sono i diversi signifcati che gli esperti dell’apprendimento
Competenza
attribuiscono all’approccio metacognitivo?
Acquisire e interpretare le informazioni
2 Fai tre esmpi di situazioni in cui l’attenzione diminuisce e quindi ostacola la concentrazione: .............................................................................................................. ..............................................................................................................
3 In che modo è possibile migliorare la concentrazione nello studio? 4 Qual è il comportamento da tenere in classe per favorire l’apprendimento?
5 Cosa bisogna fare a casa per un buon apprendimento? 6 Quali sono gli efetti dell’ansia e dello stress sull’apprendimento? 374
LEGGIAMO 1 LA PROGRAMMAZIONE DELLO STUDIO
I
n questo brano lo psicologo e pedagogista Mario Polito dà dei suggerimenti sul metodo di studio; in particolare egli ritiene fondamentale porsi degli obiettivi molto concreti da raggiungere a breve, medio e lungo termine. All’individuazione degli obiettivi si accompagna la predisposizione delle strategie per il loro conseguimento.
Gli obiettivi Chi non sa dove andare, non fa, di solito, molta strada. Chi non sa defnire i propri obiettivi, non sa agire. Chi non sa defnire i propri obiettivi di studio studierà in modo confuso e disordinato. La rapidità e l’efcacia dello studio dipendono anche dalla chiarezza e concretezza degli obiettivi. Per costruire un buon obiettivo bisogna integrare tre elementi: un verbo operativo, più uno scopo specifco, più una proposizione fnale che esprima il vantaggio che si ottiene impegnandosi in quella direzione. […] Un esempio: “Prepara ed utilizza (verbo operativo) una scaletta degli argomenti che vuoi trattare (scopo concreto, specifco, pragmatico) così esprimi meglio il tuo pensiero con efcacia e chiarezza (proposizione fnale che descrive il vantaggio che si ottiene)”. Oppure: “Individua e sottolinea con l’evidenziatore giallo (verbo operativo) solo le informazioni essenziali distinguendole da quelle secondarie (scopo), così diventerai esperto nella comprensione di un testo e nella abilità di sintesi (proposizione fnale che indica il vantaggio formativo)”. Ma è necessario distinguere tra desideri ed obiettivi. […]Spesso gli studenti che sono poco consapevoli delle caratteristiche del metodo di studio
D
SEZIONE
S EZIONE
D
confondono i desideri con con gli obiettivi. Un desiderio non è un obiettivo. Un desiderio diventa un obiettivo quando, da un lato, si precisano i gradini da percorrere per raggiungere lo scopo, e, dall’altro, quando si mobilita la propria energia per conseguirlo. Un esempio di desiderio è il seguente: “Vorrei imparare l’inglese”. Un esempio di obiettivo è il seguente: “Per questa sera devo aver memorizzato questi 30 nuovi vocaboli di inglese”.
Obiettivi generali, a medio termine ed obiettivi specifci Gli obiettivi di studio possono essere generali o fnali (esami), a medio termine (interrogazioni mensili) e specifci e immediati (“Domani compito di verifca in classe”).[…] Gli obiettivi devono essere disposti in modo sequenziale e gerarchico, devono essere molto chiari, realizzabili e verifcabili. Per defnire un buon obiettivo di studio è utile porsi la seguente domanda: “Quale prestazione efettiva, o performance, dovrò dimostrare di possedere o di padroneggiare, dopo che ho studiato questo argomento? Devo decidere che cosa devo essere capace di fare, dopo aver studiato questo capitolo”. In altri termini, è necessario trasformare gli obiettivi di studio in termini di prestazioni efettive, di capacità, di competenze o di abilità misurabili (per quanto possibile). Ad esempio, obiettivi del tipo “studiare da pagina 123 a pagina 134”, “comprendere il signifcato centrale di questa poesia”, “rifettere sulle cause del375
sezIone D
Il metodo di studio
la seconda guerra mondiale”, sono indubbiamente degli obiettivi molto precisi, verifcabili e misurabili. Se uno studente si chiedesse: “Come faccio a sapere se ho studiato bene da pag. 123 a pag. 134?”, potrebbe rispondere con precisione nel modo seguente: “Io posso accertare di aver studiato bene, se riesco a fare un riassunto di queste pagine”. Un tale obiettivo può essere reso ancora più preciso, se è formulato nel seguente modo: “Io posso verifcare di aver studiato bene, se riesco a ripetere il riassunto di queste pagine, senza fermarmi, con proprietà di linguaggio e con qualche elaborazione personale”.
Predisporre una gerarchia degli obiettivi Dopo aver individuato e descritto con molta precisione i programmi di studio, è bene ordinarli in una successione gerarchica, dal più semplice al più complesso. È molto importante che ogni studente faccia una lista dei propri obiettivi di studio. Nel compilare tale lista si può utilizzare come criterio di scelta anche le aspettative dell’insegnante (“Su quali concetti l’insegnante ha insistito maggiormente? Di solito, cosa domanda quando
interroga gli altri? Cosa ritiene essenziale della sua materia? Quali domande potrebbe farmi in una eventuale interrogazione? Quali saranno le eventuali domande del test di verifca in classe?”). Tale lista di obiettivi faciliterà sia lo studio sia la valutazione dei risultati conseguiti. Quali vantaggi derivano dalla precisione degli obiettivi di studio? Innanzitutto, si sa cosa si deve fare. Quindi, è più facile individuare strategie più specifche ed efcaci. Inoltre, si ha una precisa ed immediata autovalutazione (auto-feedback) dei propri progressi o risultati. Ciò riduce notevolmente l’ansia e aumenta il grado di fducia in se stessi e nelle proprie possibilità. Se uno studente riesce a raggiungere un buon grado di padronanza, il suo livello di autostima aumenta notevolmente. Se, invece non riesce a raggiungere il grado di prestazione desiderato, ha pur sempre un’immediata possibilità di autocorrezione, che può stimolare un maggior impegno e condurre al successo, superando le difficoltà incontrate. ■ M. Polito, Il metodo di studio, Editori Riuniti, Roma 2010
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
anche se gli studenti sono scarsamente consapevoli del metodo di studio, sono in V grado di distinguere i desideri dagli obiettivi
F
b
La precisione degli obiettivi può ridurre l’ansia e aumentare l’autostima
V
F
c
L’espressione: “mi piacerebbe prendere 9 nel prossimo compito di matematica”, può V essere considerata un obiettivo
F
▶ Un obiettivo è più facilmente realizzabile se è:
□ semplice ed immediato □ elevato e verifcabile □ chiaro, concreto e verifcabile ▶ perché la defnizione degli obiettivi è una fase fondamentale per lo studio? ▶ spiega perché organizzare una gerarchia degli obiettivi è vantaggioso per lo studio.
376
Competenze di base
Competenze di cittadinanza
Asse storico-sociale
Competenze chiave di cittadinanza
Collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantititi dalla Costituzione a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente.
Collaborare e partecipare
1
Consegna Dividetevi in gruppi di quattro allievi e analizzate il seguente caso: “Lucia è una ragazza iscritta alla classe prima di un Liceo della città. In seguito ad alcuni comportamenti un po’ stravaganti ed originali i suoi compagni di classe l’hanno presa di mira e tendono ad escluderla e a prenderla in giro, a volte in modi abbastanza pesanti. Lucia vive con disagio la situazione che si è venuta a creare, molti indizi segnalano una sua difcoltà a frequentare con regolarità l’attività scolastica e a vivere con serenità i diversi momenti a scuola, in particolare quelli meno strutturati al di fuori delle lezioni.” Immaginate di essere l’insegnante di italiano della classe, con funzioni di coordinatore/trice del Consiglio di classe: come afrontereste il clima relazionale che si è venuto a creare e il disagio manifestato da Lucia? Dopo averne discusso in gruppo elaborate uno schema di sintesi sui quattro punti indicati (analisi critica della situazione, obiettivi dell’intervento, strategie proposte, riferimenti al lavoro svolto in classe). Sulla base dello schema prodotto dal gruppo ciascun allievo/a descriva in un testo di non più di quattro facciate la strategia d’azione ipotizzata e la giustifchi facendo riferimento al lavoro svolto in classe sul tema della relazione educativa.
Risorse a disposizione
▶ Libro di testo ▶ Lavoro svolto in classe
Vincoli da rispettare Struttura il tuo contributo sviluppando i seguenti punti: • Analisi critica della situazione • Obiettivi dell’intervento • Strategie di intervento proposte (tempi, azioni, soggetti, …) • Riferimenti al lavoro svolto in classe e agli autori studiati
Suggerimenti operativi Provate a ripensare alle situazioni che avete vissuto simili a quella presentata, nel ruolo di Lucia o in quello dei suoi compagni; quali dinamiche relazionali si sono innescate? che cosa le favoriva e che cosa le ostacolava? si sono modifcate nel tempo? in quale direzione?. A partire da questa rifessione provate a mettervi dal punto di vista dell’insegnante: in che misura può infuenzare queste dinamiche? attraverso quali comportamenti o azioni? come può analizzare meglio la dinamica che si è creata? su chi deve intervenire? Cercate di collegare alle vostre esperienze il lavoro fatto in classe sul tema della relazione educativa e le suggestioni fornite dagli autori che avete letto.
Criteri di valutazione Il tuo lavoro verrà valutato in base alla chiarezza delle tue proposte, alla pertinenza delle ragioni con cui le sosterrai e ai collegamenti con il lavoro già svolto in classe.
377
PROVE AUTENTICHE
La relazione educativa
PROVE AUTENTICHE
La percezione
2
Competenze di base
Competenze di cittadinanza
Asse linguistico
Competenze chiave di cittadinanza
Padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti.
Comunicare. Competenze di base a conclusione dell’obbligo di istruzione
Consegna Quale rapporto tra soggetto e oggetto nella percezione del mondo: sono due entità separabili o integrate tra loro? Il mondo reale esiste indipendentemente dalla nostra percezione o è una rappresentazione fltrata dai nostri sensi? Si tratta di interrogativi che hanno attraversato la storia del pensiero psicologico, trovando risposte diferenti da parte dei vari floni di pensiero e dei diversi autori. Devi partecipare ad un dibattito tra studenti di scuola superiore dal titolo “La realtà è oggettiva o soggettiva?”: elabora il testo del tuo contributo sulla base della traccia proposta, cercando di essere efcace nella comunicazione e rigoroso nell’argomentazione delle tue posizioni.
Risorse a disposizione
▶ Libro di testo ▶ Brani antologici proposti nel libro di testo ▶ Lavoro svolto in classe Vincoli da rispettare La lunghezza del tuo contributo non deve superare le quattro facciate e si deve strutturare sulla base dei seguenti punti: • Qual è la tua posizione sul quesito posto dal titolo? • Quali argomenti a favore della tua posizione? • Quali argomenti contrari a posizioni diverse? • Quali riferimenti ad autori e correnti di pensiero? • Quali conclusioni?
Suggerimenti operativi Per raccogliere le idee riprendi in mano le parti del testo che riguardano il tema della percezione, con particolare attenzione ai brani antologici di approfondimento, da cui puoi trarre qualche citazione o qualche riferimento ad autori e posizioni culturali. Ricordati che devi convincere e persuadere i tuoi interlocutori, non dimostrare che conosci l’argomento.
Criteri di valutazione Il tuo lavoro verrà valutato in base alla validità degli argomenti che supportano la tua posizione e all’efcacia comunicativa con cui la esporrai.
378
Competenze di base
Competenze di cittadinanza
Asse linguistico
Competenze chiave di cittadinanza
Produrre testi di vario tipo in relazione a diferenti scopi comunicativi.
Imparare ad imparare
3
Consegna Gli insegnanti e gli allievi della tua classe hanno deciso di approfondire il tema delle caratteristiche e del funzionamento della memoria umana. A te il compito di progettare un percorso di approfondimento che preveda: L’esplorazione di tre siti online utili all’approfondimento del tema; Una proposta di acquisto di tre libri essenziali sul tema prescelto; Una proposta di attività da proporre ai tuoi compagni/e per mettere alla prova il funzionamento della loro memoria e poterci rifettere insieme. Tra le diverse proposte di attività se ne sceglieranno alcune da realizzare in classe.
Risorse a disposizione
▶ Libro di testo ▶ Accesso ad internet (a casa o a scuola) Vincoli da rispettare Il progetto deve avere una lunghezza massima di due pagine (4000 battute, spazi inclusi). Per ciascuna delle tre proposte (siti, libri, proposta di attività) occorre: • Formulare la proposta • Spiegare perché l’hai scelta • Collegarla al lavoro svolto in classe o ai contenuti del libro
Suggerimenti operativi Per iniziare puoi consultare qualche motore di ricerca utilizzando come parole chiave “Memoria umana”, “Attività mnestica”, “Funzionamento della mente”, … A partire da questa prima esplorazione puoi afnare la tua ricerca aggiungendo altre parole chiave in relazione alle proposte che devi formulare: i siti (per questi ultimi potrebbe essere sufciente anche la prima ricerca, magari non fermandosi solo alle prime indicazioni fornite dal motore di ricerca), i libri (libri, testi, opere, studi, …), la proposta di attività (esercizi, esperimenti, attività, mettiti alla prova, …).
Criteri di valutazione Il tuo lavoro verrà valutato in base alla chiarezza delle tue proposte, alla pertinenza delle ragioni con cui le sosterrai e ai collegamenti con il lavoro già svolto in classe.
379
PROVE AUTENTICHE
La memoria
PROVE AUTENTICHE
Il metodo di studio
4
Competenze di base
Competenze di cittadinanza
Asse scientifco-tecnologico
Competenze chiave di cittadinanza
Osservare, descrivere e analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artifciale e riconoscere nelle sue varie forme i concetti di sistema e complessità.
Agire in modo autonomo e responsabile
Consegna In classe avete afrontato le diverse teorie sull’apprendimento e approfondito le metodologie e le tecniche di studio. Pensa alla tua esperienza nella scuola media e analizzala criticamente in rapporto alla metodologia di studio proposta dagli insegnanti e utilizzata da te nei tre anni di scuola media.
Risorse a disposizione
▶ Libro di testo ▶ Lavoro svolto in classe ▶ Documentazione lavoro scolastico scuola media Vincoli da rispettare Il testo richiesto deve avere una lunghezza massima di quattro facciate e strutturarsi sulla base delle seguenti domande: • Come mi chiedevano di studiare nella scuola media? Quali esempi? • Come studiavo nella scuola media? Quali esempi? • Quali forze e debolezze nel mio modo di studiare? • Quali consigli per uno studio più efcace? • Quali riferimenti ad autori e a proposte di lavoro afrontate quest’anno?
Suggerimenti operativi Prova innanzi tutto a ricostruire la tua esperienza nella scuola media; per farlo recupera la documentazione che hai a disposizione (libri di testo, quaderni, produzioni, …). Nel descrivere la tua esperienza fai esempi concreti di eventi o attività che ritieni signifcativi, non limitarti a fare osservazioni generali. Una volta ricostruita la tua esperienza mettila a confronto con quanto hai imparato quest’anno sulla metodologia di studio e prova ad evidenziare ciò che è comune con la tua esperienza (i punti di forza) e ciò che si allontana (i punti di debolezza). Alla luce di ciò richiama consigli e indicazioni per rendere più efcace il tuo studio, facendo riferimento a quanto studiato quest’anno.
Criteri di valutazione Il tuo lavoro verrà valutato in base alla chiarezza con cui hai ricostruito la tua esperienza nella scuola media, alla capacità di analisi critica che dimostri e ai collegamenti che evidenzi con il lavoro svolto quest’anno.
380
S EZIONE
A
LA psicoLogiA scientifca
A1 Nascita della psicologia scientifica
sezione
A
Unità A1
NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA La psicologia scientifica nasce a cavallo tra ottocento e novecento, quando lo studio del funzionamento della mente umana, da parte di scienziati e psichiatri, si volge alla metodologia empirico-sperimentale. L’interesse per i problemi psicologici però è molto più antico e risale agli albori della civiltà. Le tradizioni popolari conservano le credenze psicologiche con cui gli uomini cercano di spiegare i comportamenti umani. Dal punto di vista storico, una prima sistemazione delle conoscenze psicologiche ha trovato forma nella filosofia. Fino al settecento la psicologia era considerata la “scienza filosofica dell’anima”. Grazie allo sviluppo delle indagini biologiche e fisiologiche* la psicologia definì il suo assetto scientifico e si costituì come una scienza autonoma.
*
A1.1
i precursori della psicologia scientifica
fsiologiche relative alla fsiologia, ovvero allo studio delle funzioni vitali degli organismi viventi.
Gli studi di Charles Darwin (1809-1882) e la sua opera L’origine delle specie del 1859 misero in evidenza le trasformazioni degli esseri viventi nel corso del tempo, sottolinearono i nessi tra soma, esperienze e psiche e mostrarono l’importanza dell’osservazione nella ricerca.
Modello di psicologia, Nruboc, Bigstock.
▶ L’indagine scientifca Oltre agli studi di Darwin, nell’Ottocento ebbero grande rilevanza anche le indagini sui fenomeni sensoriali e percettivi e sull’anatomia del sistema nervoso e del cervello. Tali indagini dimostrarono che il sistema nervoso è regolato da leggi meccaniche che possono essere studiate e individuate attraverso l’osservazione e la sperimentazione. Soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento diversi studiosi, tra cui Gustav Fechner, Herman von Helmholtz e Wilhelm Wundt, indagarono il rapporto tra gli stimoli che riceviamo dal mondo esterno e le sensazioni che proviamo, dimostrando che anche i fenomeni individuali, e non solo quelli materiali, come le sensazioni, possono essere studiati in modo scientifco.
Nascita della psicologia scientifica
UNità A1
Sensoriali
FENOMENI Percettivi
Osservazione
INDAGINE SCIENTIFICA Sistema nervoso
ANATOMIA Cervello
Regolato da leggi meccaniche
Studiate attraverso
Esperimento
Da un punto di vista etimologico Psicologia (dal greco psyché anima e logos discorso) signifca studio dell’anima. Con una terminologia più moderna di quella impiegata dai flosof greci, si può dire che la psicologia è la scienza dello psichismo umano. Il termine psichismo consente di raggruppare i principali oggetti della psicologia: la cognizione e l’affettività. • La cognizione concerne la percezione, l’intelligenza, la memoria, il linguaggio, l’apprendimento, l’attenzione. • Il dominio dell’affettività concerne i bisogni, i desideri, le motivazioni, le emozioni, le pulsioni, i modi di relazionarsi agli altri ecc.
SCHEDA A1.1 DEFINIZIONE
PSI lettera greca.
La psicologia del senso comune
A1.2
Una volta isaac Asimov, scrittore di fantascienza, fece questa interessante osservazione: in discipline come la chimica, la fsica, la geologia o la paleontologia, l’oggetto di studio sembra lontano dalla vita di tutti i giorni, cosicché la stragrande maggioranza delle persone può andare avanti tranquillamente senza saperne nulla e senza provare particolare imbarazzo nell’ammettere: “paleontologo… che cosa? Mai sentito nominare!”. Nell’ambito della psicologia, invece, la situazione è ben diversa. dal momento che l’oggetto di studio è l’essere umano, le persone sono convinte di averne familiarità e di averne persino una conoscenza suffciente. d’altro canto ognuno di noi impara nel tempo a “tirarsi fuori dai guai” e ad adattarsi all’ambiente in cui vive, consolidando la convinzione di avere adeguate conoscenze anche sul funzionamento del comportamento umano. inoltre, vale la pena ricordare che oggi termini come “estroverso”, “introverso”, “nevrosi”, “fobia” o “complesso d’inferiorità” sono entrati a far parte del linguaggio comune, non solo di quello scientifco, suscitando in molti la presunzione di potersi considerare esperti di psicologia! tuttavia questa pseudo-conoscenza è molto lontana, come vedremo, dalla conoscenza.
Mirella Studio, Shutterstock.
5
SEZIONE A
La psicologia scientifica
▶
L’attitudine scientifca Per diventare esperti in psicologia ci vuole
ben altro e la strada da percorrere è senz’altro parallela a quella solcata dagli aspiranti chimici, geologi o paleontologi. È la strada che prende il nome di “metodo scientifco”. In estrema sintesi, seguire il metodo scientifco signifca che non ci si può lanciare in valutazioni sulla base di intuizioni o emozioni del momento e che bisogna, altresì, liberarsi dai preconcetti e dagli stereotipi. Intraprendere lo studio della psicologia signifca pertanto aprirsi a un nuovo e vasto ambito di conoscenze e, al tempo stesso, assumere il metodo di indagine proprio delle discipline scientifche. Certamente non si può diventare psicologi professionisti nel giro di due o tre anni, ma si può conseguire la formazione necessaria per comprendere la vera natura di questa disciplina.
Tim Platt, Getty Images.
Sippakorn, Shutterstock.
▶ oltre le apparenze Un dato ricorrente in psicologia è che spesso ciò che appare nasconde qualcos’altro, più profondo e signifcativo. In questa disciplina occorre imparare a cogliere ciò che sta dietro le apparenze. Prendiamo il caso di un ragazzo con forti difcoltà a scuola che, interrogato sul suo scarso rendimento, giustifca il suo comportamento dicendo che non ha il tempo per studiare. Anzitutto dovremmo chiederci se questo sia il vero motivo. Per scoprire la causa dello scarso proftto bisognerà approfondire la conoscenza del ragazzo, sapere che cosa fa quando esce da scuola; conoscere il suo stile di vita e i suoi interessi; sapere se è motivato allo studio, se riesce a concentrarsi, capire se in classe si trova bene con compagni e insegnanti; se per caso ha un problema in famiglia e così via. Rispondere a queste domande è ciò che
FPG, Getty Images.
6
Nascita della psicologia scientifica
UNITÀ A1
nella ricerca scientifca viene chiamato considerare le variabili, ovvero prendere in esame tutte quelle caratteristiche mutevoli che possono avere una rilevanza nel fenomeno oggetto di studio, e consentono di giungere a individuare in quali condizioni si verifca il fenomeno studiato.
Gli inganni della percezione Un esempio di come spesso ci facciamo ingannare dalle apparenze è riscontrabile nell’ambito percettivo. La percezione costituisce il primo contatto con la realtà fsica che ci circonda. Talvolta, nonostante siamo convinti di vedere le cose come realmente sono, facciamo errori di valutazione. A ingannarci, a volte, sono i nostri stessi occhi; occhi di cui pure ci fdiamo “ciecamente”, come accade nei tre casi riportati nella fgura A1.1.
▶
d a
b
c
Figura A1.1
L’occhio può ingannare. I dischi al centro delle figure a e b sono uguali, anche se quello di destra, circondato da cerchi più piccoli, sembra più grande. Quale delle due ellissi della figura c è maggiore? Sono identiche, ma quella bianca appare come la più grande. In d, infine, linee in realtà parallele sembrano convergere o divergere, per effetto dei segmenti che le tagliano obliquamente.
▶
Il principio della riprova sociale Nella vita di tutti i giorni il sen-
so comune può contrabbandare come certe alcune credenze o superstizioni che, difondendosi, fniscono poi per assumere il valore di verità proprio perché condivise da molti. È il principio della riprova sociale: “Siccome molti ci credono deve essere vero”. Un esempio noto di questo principio è il caso del numero 13. Poiché questo numero ha una reputazione particolare per una quantità enorme di persone, addirittura in alcuni alberghi “non esiste” la stanza numero 13 e in molti grattacieli americani il tredicesimo piano viene “saltato”: dal dodicesimo piano si passa direttamente al quattordicesimo. Anche chi non crede al cattivo infusso di questo numero cerca di evitare di far sedere 13 persone intorno a un tavolo per non creare tensione tra i convitati. Inutile dire che questa credenza e numerose altre (malocchio, tatuaggi portafortuna, lettura delle carte, oroscopo ecc.), per quanto difuse e radicate, non sono scientifcamente accettabili. Non da ultimo, teorie pseudo-scientifche o parapsicologiche possono risultare molto pericolose se vengono strumentalizzate da “maghi” o ciarlatani che sfruttano la vulnerabilità di coloro che sono alla ricerca di protezione e guida.
IgorXIII, Shutterstock.
Imagezoo, Getty Images
7
sezioNe A
La psicologia scientifica
Le quattro tappe del metodo scientifico
A1.3
che cosa si intende precisamente per metodo scientifco? il percorso scientifco mira a mettere in luce i fatti nel modo più obiettivo possibile, con lo scopo di esaminarli e di confrontarli, senza fermarsi alle prime impressioni o idee preconcette.
Le tappe Sono quattro le tappe che stanno alla base del procedimento scientifco, che è comune a tutte le discipline scientifche, sia che si tratti di fsica, di psicologia o di astronomia. La prima tappa consiste nell’identifcare e nel porre il problema che è al centro dell’interesse del ricercatore. Ciò signifca delimitare il problema e individuare le domande cui si vuole rispondere. La seconda tappa consiste nel formulare l’ipotesi. Si tratta cioè di formulare una risposta provvisoria al problema, sulla base dei dati esistenti. L’ipotesi si presenta sempre nella forma di un’enunciazione. La terza tappa mira a controllare l’ipotesi che è stata formulata. Si tratta, in altri termini, di mettere in luce, con l’aiuto di una procedura sperimentale appropriata, i fatti che possono confermare o contraddire l’ipotesi. Infne, la quarta tappa consiste nell’interpretare i dati risultanti dall’esperienza al fne di elaborare una teoria. Se una teoria esiste già, i dati ottenuti consentiranno di migliorarla o di rivederla, oppure di rifutarla o contestarla in quanto non sufcientemente probante, seria o rigorosa. L’intero procedimento scientifco mira a elaborare una legge generale capace di prevedere anche in quali situazioni quel fenomeno potrà verifcarsi. Spesso questa quarta tappa apre la ricerca a spazi inesplorati, portando a nuove ipotesi che consentono, a loro volta, di spingere oltre le indagini. ▶
Neil Leslie, Getty Images.
Delimitare il problema I TAPPA
Identifcare
Porsi domande
II TAPPA
METODO SCIENTIFICO
Formulare l’ipotesi III TAPPA
Controllare l’ipotesi
Risposta provvisoria al problema
Conferma dell’ipotesi Contraddizione dell’ipotesi
IV TAPPA
Elaborare una teoria
8
Formulare una legge generale
Nascita della psicologia scientifica
UNITÀ A1
CINEMA E LETTERATURA
THE MASTER Regia di Paul Thomas Anderson - USA 2013
T
alvolta può essere pericoloso lasciarsi guidare dall’irrazionalità, senza rifettere in modo approfondito su ciò che ci circonda, senza cioè verifcare la veridicità delle “verità” che altri vogliono proporci. Il flm The Master ci mette in guardia da questo rischio. In questo flm si narra di un leader carismatico (Lancaster Dodd) impegnato, negli Stati Uniti, nella fondazione di una organizzazione di stampo religioso. Il movimento spirituale è denominato la Causa, ma il riferimento è a Scientology, un movimento che ha nella realtà di oggi adepti anche tra personaggi famosi. Fin dall’inizio della narrazione risulta chiaro che il leader imbonitore è mosso dalla ricerca di affermazione personale. Tuttavia, la sua vitalità e il fortissimo magnetismo personale, la sicurezza nell’enunciare i principi della sua dottrina, le sue poliedriche iniziative per intrattenere i seguaci, l’appoggio incondizionato della moglie e lo sfoggio che egli fa di una cultura estremamente confusa e priva di fondamenta ma apparentemente vasta e poliedrica, riescono ad irretire gruppi di persone, tra cui Freddie, un giovane sbandato, solo e traumatizzato dalla guerra, che Dodd fa assurgere a suo braccio destro, affdandogli il ruolo di sorvegliante all’interno dalla comunità. Freddie viene così addestrato da Dodd, che per esercitare un potere psicologico su di lui sfrutta tutte le sue debolezze e i traumi che ha subito a causa della
Locandina del film The Master interpretato da Joaquin Phoenix.
guerra. La devozione di Freddie al suo capo è tale da farlo reagire con estrema violenza nei confronti di chi avanza dubbi sulla validità della dottrina del leader. Ma proprio quando il culto inizia a guadagnare credibilità tra la gente, il giovane si ritrova a mettere in discussione il maestro e il credo che ha abbracciato. Respinto, si ritrova solo con se stesso.
Per la discussione: • Indica due o più caratteristiche che il “discente” deve avere per farsi irretire da un guru. • Quali caratteristiche deve avere un guru per manipolare i suoi adepti?
Una scena tratta dal film The Master interpretato da Joaquin Phoenix.
9
sezioNe A
La psicologia scientifica
Il primo laboratorio di psicologia
A1.4
ciò che rende scientifca la psicologia è il modo in cui essa arriva alle sue conclusioni. gli psicologi respingono i dati che provengono da osservazioni ed esperienze soggettive e non controllate, mentre accolgono quelli obiettivi e ripetibili. per riuscire a ottenere dati obiettivi e ripetibili bisogna seguire una procedura che elimina tutti quei fattori che potrebbero portare fuori strada. Questa procedura assomiglia alla ricetta di una torta: si indicano con precisione gli ingredienti (gli elementi da prendere in considerazione), il metodo, i tempi, le operazioni da eseguire, e, infne, i risultati raggiunti. in questo modo chiunque volesse ripetere l’esperimento (o rifare la stessa torta) ha tutte le informazioni necessarie per farlo. e se il risultato dovesse risultare diverso vuol dire che non è stato seguito lo stesso procedimento oppure che c’era qualche errore nell’esperimento originario.
Ritratto di Wilhelm Wundt.
CONFRONTARE Scartare
SCOPO METODO SCIENTIFICO
Esperienze soggettive
OSSERVARE FATTI ED EVENTI
Obiettivi
Accettare
ESAMINARE
Esperienze oggettive
Dati
Ripetibili
▶ La scuola strutturalista e il metodo dell’introspezione Studiare la psiche non è cosa semplice. Il problema principale, che i primi ricercatori dovettero afrontare, fu proprio quello di trovare un approccio scientifco, tale da ofrire le garanzie di correttezza necessarie al procedimento di ricerca. Weber, Herbart, Fechner, Helmholtz, Wundt, sono alcuni nomi di coloro che contribuirono alla fondazione di questa scienza umana che è la psicologia. Nel 1860, Gustav Fechner (1801-1887) pubblicò gli Elementi di psicofsica, un trattato in cui per l’indagine della psiche veniva usato un metodo simile a quello adottato nelle scienze naturali. Wilhelm Wundt (1832-1920) fu invece il creatore del primo laboratorio di psicologia sperimentale e il maggiore esponente della scuola strutturalista di Lipsia, in Germania. Wundt centrò il suo studio sugli stati soggettivi (o stati di coscienza), cercando di osservarli con il metodo dell’introspezione. Egli domandava a persone - che si prestavano ad essere interrogate e ad autosservarsi - di descrivere a parole ciò che sentivano di fronte a determinati stimoli.
L’interno del laboratorio di Wilhelm Wundt.
10
Nascita della psicologia scientifica
UNità A1
Tuttavia il metodo wundtiano dell’introspezione rivelò ben presto due grossi inconvenienti che lo resero inadatto a raggiungere risultati certi nello studio delle componenti di base e universali della coscienza. Primo inconveniente: l’introspezione è un metodo molto soggettivo, poiché ciascun individuo fa riferimento alle proprie esperienze e quanto descrive muta da singolo a singolo. Secondo inconveniente: nello stesso individuo l’esperienza cosciente può variare nel tempo, da un giorno all’altro. Ad esempio un suono percepito come piacevole il lunedì e il martedì, può apparire monotono il mercoledì e persino noioso il giovedì. Studio stati di coscienza
WUNDT
PRIMO LABORATORIO DI PSICOLOGIA SPERIMENTALE Lipsia
Esperienze soggettive
Metodo dell’introspezione
Inconvenienti
Esperienze variabili nel tempo per lo stesso individuo
▶
Il ruolo storico dello strutturalismo Sebbene Wundt avesse de-
dicato molto impegno per fare della psicologia una disciplina fondata sull’osservazione rigorosa, già i suoi allievi avevano avanzato i primi dubbi sulla validità dell’introspezione come metodo di studio. Lo strutturalismo ebbe tuttavia un importante ruolo storico, perché: • impose all’attenzione degli studiosi un nuovo campo di studio; • sollevò dei problemi di metodo importanti; • diede luogo a un vasto dibattito da cui emersero riformulazioni, nuove ipotesi e sistematizzazioni concettuali.
Andrey Kuzmin, Bigstock.
Alcuni metodi di studio in psicologia
A1.5
le diffcoltà incontrate da Wundt indussero i ricercatori ad abbandonare il metodo introspettivo, ma non bloccarono la ricerca. Vennero percorse altre strade che portarono alla messa a punto di un metodo sperimentale di analisi, di cui avremo modo di parlare nelle prossime sezioni. Nelle pagine seguenti presentiamo altri metodi scientifci adottati in psicologia, quali l’osservazione sistematica, il metodo clinico e le inchieste.
11
SEZIONE A
La psicologia scientifica
Il metodo dell’osservazione sistematica L’osservazione sistema-
▶
tica richiede una buona attitudine a osservare e a capire il signifcato di ciò che si studia e può essere afnata con l’esercizio, ha fnalità descrittive, ed è utilizzata da etologi, antropologi, naturalisti e psicologi per lo studio del comportamento in ambiente naturale. Darwin per primo utilizzò questo metodo. Durante gli anni di viaggio che lo portarono a esplorare varie parti del mondo, il naturalista inglese osservò forme e comportamenti di animali esotici. Rielaborando il vasto materiale raccolto, egli fu poi in grado di mettere a punto la teoria dell’evoluzione, che resta un punto fermo in campo biologico. Successivamente, Darwin si dedicò alla specie umana e alla sua derivazione dalle specie inferiori. Annotando giorno per giorno su un diario tutti i comportamenti di suo fglio, Darwin utilizzò in psicologia lo stesso metodo impiegato nella ricerca biologica. Il metodo dell’osservazione sistematica è tuttora molto usato dagli psicologi dell’età evolutiva ed è particolarmente adatto allo studio dei bambini. Non rispondendo a domande dirette e avendo dei periodi di attenzione brevi, i bambini non sempre possono essere studiati con altri metodi. Attraverso l’osservazione sistematica, per esempio, si possono avere informazioni sui tempi di attività e di riposo di un neonato, sulle risposte del lattante alle stimolazioni della madre, sull’evoluzione della mimica o del gioco nei primi anni di vita e così via.
Akindo, Getty Images.
▶ Gli studi clinici Il metodo clinico, come l’osservazione sistematica, è descrittivo e può essere utilizzato per esplorare ambiti di cui si conosce ancora molto poco. Infatti, se per un verso, il metodo sperimentale è lo strumento proprio delle scienze esatte e tra tutti i metodi scientifci è quello che garantisce la maggior scientifcità, per altro verso, quando si lavora in un campo inesplorato - quale può essere la personalità di un paziente - o non si dispone di buone ipotesi su cui impostare una sperimentazione, è il metodo clinico, ossia lo studio dettagliato di un caso o di un fenomeno psichico, a consentire un primo inquadramento della realtà su cui si sta indagando. Inquadramento che non sarebbe possibile ottenere per altra via. Lo psicologo clinico studia per lo più i casi di persone afitte da qualche disturbo che si rivolgono a lui per ricevere un aiuto concreto. Proprio perché bisognose di aiuto costoro sono spesso più disposte di altre a rivelare, durante i colloqui, i meccanismi consci e inconsci che le spingono ad agire, sogna-
Alashi, Getty Images.
12
Nascita della psicologia scientifica
UNITÀ A1
re, desiderare, aggredire ecc. Grazie alle informazioni acquisite nel corso di questo rapporto interpersonale, lo psicologo/terapeuta è in grado di farsi un quadro via via più completo della personalità dei pazienti. Per approfondirne ulteriormente la conoscenza, egli può anche fare uso di test (o stimoli standardizzati discriminanti), che gli consentono di verifcare in che misura le prestazioni intellettuali, i gusti, le aspettative, le emozioni di quella determinata persona si discostino dai valori medi. Il metodo clinico è anche il metodo che gli psicoanalisti utilizzano per esplorare le dinamiche inconsce dei loro pazienti. ▶
Questionari e campioni Le inchieste sono molto usate in psicologia
sociale. Lo strumento dell’inchiesta è il questionario che viene applicato su un campione. Il questionario prevede una serie di domande espresse in forma comprensibile e prive di tendenziosità tali cioè da non suggerire, per il modo in cui sono state formulate, una particolare risposta. Il campione è formato da soggetti scelti secondo le regole di randomizzazione della statistica; ossia deve avere caratteri tali da poter essere considerato rappresentativo della popolazione che si vuole studiare. Per esempio, se si vogliono conoscere le opinioni che sul problema della droga hanno gli alunni di un liceo, si può sottoporre il questionario a tutti gli iscritti, oppure si può formare un campione rappresentativo della totalità degli alunni estraendo i nominativi di alcuni studenti da intervistare dallo schedario della segreteria (per es. una scheda ogni dieci). In questo modo si eviterà di intervistare soltanto gli studenti più disponibili o quelli presenti quel giorno.
Intervista, 1949. Keystone, Getty Images.
13
Competenza
SEZION
SEZIONE
A
A
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Giustifca le risposte che ritieni sbagliate.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
La percezione si basa sempre su interpretazioni attendibili
V
F
b
L’osservazione sistematica è descrittiva
V
F
c
Il metodo clinico è descrittivo
V
F
d
Il primo passo del metodo scientifico consiste nel formulare un’ipotesi
V
F
1 Secondo il principio della riprova sociale alcune credenze o super-
Competenza
stizioni:
Acquisire le informazioni
□ assumono il valore di verità perché sono condivise da molti □ sono difuse presso la gente comune, poco istruita □ non sono valide perché sono in contrasto con le teorie scientifche
2 Il metodo scientifco consiste nel mettere in luce i fatti: □ in modo obiettivo, con lo scopo di esaminarli e confrontarli □ con lo scopo di confermare sempre l’ipotesi di partenza con una procedura sperimentale □ per arrivare alla formulazione di una spiegazione dai dati esistenti
1 Completa la seguente tabella inserendo le informazioni mancanti:
Competenza Sapere analizzare la realtà
METODI SCIENTIFICI PER LO STUDIO DELLA PSICOLOGIA METODO
FINALITÀ
OSSERVAZIONE SISTEMATICA
CAMPO DI APPLICAZIONE
OGGETTO DI STUDIO
Psicologia, Etologia, Antropologia
METODO CLINICO INCHIESTA
14
Descrittive
Opinioni, Atteggiamenti
STRUMENTO
Nascita della psicologia scientifica
UNITÀ A1
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini sotto riportati: at-
Competenza
tenzione! Alcuni sono in più.
Sapere usare il lessico della disciplina
Nella vita di tutti i giorni il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . può contrabbandare come certe alcune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . o superstizioni che, difondendosi, fniscono per assumere il valore di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . proprio perché condivise da . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . : è il principio della riprova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . : “Siccome molti ci credono deve essere vero”. Inutile dire che le credenze (malocchio, tatuaggi portafortuna, lettura delle carte, oroscopo ecc.), per quanto difuse e radicate, non sono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . accettabili. sociale - credenze - giustizia - culturale - senso comune - tutti - molti - onestamente verità - scientifcamente - socialmente
1 Elenca qui di seguito tre o più superstizioni che ti vengono in mente
Competenza
e confrontale con quelle elencate dai tuoi compagni.
Acquisire e interpretare le informazioni
......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... ......................................................................... .........................................................................
2 Molte persone pensano che la posizione degli astri nell’ora della nascita determini la personalità. □ Le predizioni astrologiche sono attendibili? □ Immagina una metodologia che consenta di provare se questa ipotesi sia verosimile o meno e confrontala con quelle ideate dai tuoi compagni.
3 Per quale motivo il metodo introspettivo di Wundt è stato abbandonato?
15
S EZIO
S EZIONE
A
A
LEGGIAMO 1 CHE COS’È LA PSICOLOGIA
L
a lettura di questo testo ci permette di capire cosa si intende per “metodo scientifco”, di identifcarne gli scopi e di rifettere se e come possa essere applicato alla psicologia.
Scienza: Conoscenza mediante studio e metodo La scienza è ciò che gli scienziati fanno. L’accento è sul metodo piuttosto che su qualsiasi particolare insieme di fatti, e i metodi sono guidati da determinati scopi, elencati da G.W. Allport come “la comprensione, la previsione e il controllo di ciò che è stato raggiunto dal senso comune”. Prendiamo ora in considerazione in modo più analitico questi tre scopi del metodo scientifco: i primi due sono quasi inestricabilmente correlati da un punto di vista logico. Qualsiasi previsione di un determinato risultato che sia coronata da successo comporta una certa comprensione, di grado molto variabile, dei processi precedenti tale risultato. Facciamo per esempio un confronto tra l’uomo primitivo che prevede con successo che il Sole sorgerà all’indomani e un astronomo che, con altrettanto successo, prevede un’e-
16
clisse solare con vent’anni di anticipo. La prima è una semplice previsione basata su una successione invariabile, mentre la seconda si fonda su una teoria fsica di grande rigore e complessità da cui possono essere derivate molte altre previsioni di diverso genere. Il dio splendente dell’uomo primitivo che al mattino si alza a oriente non è un mezzo teorico molto utile; uno dei compiti dello scienziato è proprio l’identifcazione di cause adeguate per spiegare gli eventi osservati. Gli psicologi, spesso ipersensibili alla loro situazione di adepti di una scienza relativamente nuova, tendono a porre l’accento sulla previsione, tralasciando spesso l’aspetto della comprensione, cioè della presentazione di una base teorica adeguata. È questo il signifcato dell’afermazione di J.A. Deutsch: “In psicologia vi sono ormai sin troppi fatti, ma troppe poche prove”. Il “controllo” è il terzo degli scopi del metodo scientifco elencati da Allport. Per un fsico o un chimico si tratta di una necessità assoluta, poiché è proprio attraverso di esso che si raggiunge quel dominio sull’ambiente che costituisce lo scopo a cui tendono gli scienziati.
Nascita della psicologia scientifica
UNITà A1
È applicabile il metodo scientifco in ne della correlazione di certe variabili. Attualmente non è possibile verificare in modo scientifico se una modo rigoroso alla psicologia? In psicologia, parlare di controllo sul comportamento umano tende ad avere una spiacevole connotazione autoritaria, e, anche per quanto riguarda l’aspetto sperimentale, gravi sono i problemi etici che insorgono di fronte all’utilizzazione di soggetti umani. D’altra parte, gli psicologi del lavoro e i clinici con il termine “controllo del comportamento” intendono generalmente il miglioramento del rendimento lavorativo o della salute mentale dei soggetti. Nello studio scientifico della natura entrano in gioco anche altri elementi. Lo scienziato si deve interessare degli eventi che si ripetono: quelli singoli, infatti, non si prestano all’elaborazione scientifica. Gli esperimenti debbono essere ripetibili e, per essere validi, debbono dare risultati costanti a ogni successiva ripetizione. La conoscenza scientifica è pubblica e chiunque sia dotato di una certa cultura dovrebbe essere in grado di ripetere la dimostrazio-
persona abbia avuto un determinato pensiero in un dato momento: si tratta quindi di una conoscenza privata. I tempi di reazione di un soggetto a stimoli diversi sono invece misurabili e “pubblici”, e sono quindi dati scientifici adeguati. È a questo proposito che diviene evidente il valore del precetto di Francis Galton che dice “contate ogni volta che potete”, ed è questo il motivo dell’ampio uso dei metodi statistici nella psicologia contemporanea. Dobbiamo essere ragionevolmente sicuri che le reazioni prodotte in un esperimento non siano dovute semplicemente al caso (cioè a eventi al di fuori delle nostre possibilità di controllo sperimentale). Per essere sicuri di ciò, dobbiamo non semplicemente contare, ma anche eseguire confronti con ciò che si potrebbe verificare in base ai soli fattori casuali [...]. ■ D.S. Wright, A. Taylor, Introduzione alla psicologia sperimentale, Boringhieri, Torino 1977
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Giustifca le risposte che ritie-
ni sbagliate. a
Gli psicologi spesso tendono a porre l’accento sulla previsione piuttosto che sulla V comprensione dei fenomeni
F
b
Gli esperimenti per essere validi devono essere a volte ripetibili e dare risultati co- V stanti
F
c
Oggi è possibile verificare scientificamente quali pensieri potrebbe avere una persona V in un preciso momento
F
▶ Compito dello scienziato è:
□ identifcare le cause degli eventi osservati e dimostrarle con una teoria adeguata □ dare una spiegazione a tutti i fenomeni naturali e sociali □ occuparsi di ricerca all’interno di un laboratorio sperimentale ▶ Perché in psicologia non sempre si può applicare il “controllo” tipico delle scienze esatte? ▶ Quali sono le limitazioni nella sperimentazione sui comportamenti umani? ▶ Che cosa voleva intendere lo studioso Francis Galton con l’espressione “Contate ogni
volta che potete”?
17
SEZIONE
B
LA RELAZIONE educativa
B1 Le prime relazioni affettive
B2 La scuola: un ponte tra famiglia e società
B3 La comunicazione: conflitti e collaborazioni
B4 Capire le emozioni in classe
B5 Violenza e bullismo a scuola
Guarda i video e rispondi alle domande • Riporta alla memoria una situazione comunicativa diffcile nella quale il tuo interlocutore si trovava in qualche modo in imbarazzo. Da quali segnali extralinguistici lo hai capito? Raccogli in una tabella gesti, espressioni, posture. • Fai una piccola inchiesta nella tua famiglia: prevale uno stile educativo autoritario o autorevole? Permissivo o iperprotettivo? La tua valutazione coincide con quella dei tuoi genitori o dei tuoi fratelli? Discutetene in classe. • Fai una indagine in classe: quanti di voi, venuti a conoscenza di un pettegolezzo o di un “rumor” su una persona, hanno effettivamente cambiato il giudizio su di lei?
S EZIONE
B
UNITÀ B1
Le PRime ReLazioni aFFettive Ognuno di noi cresce e struttura la sua personalità all’interno dei contesti in cui vive, entrando in relazione con altri esseri umani. In questa sezione analizziamo i vari risvolti della relazione educativa nei due principali ambiti in cui si realizza il processo educativo*: la famiglia e la scuola. Le prime relazioni fondamentali si producono nella famiglia, che ha un ruolo basilare per la crescita equilibrata dell’individuo. Tuttavia, nel corso dello sviluppo di ogni essere umano acquisiscono sempre più importanza i legami con persone al di fuori dell’ambiente familiare. Qualsiasi adulto può essere infatti un educatore, attraverso il suo esempio, le sue parole e i suoi interventi. Si possono avere esperienze educative non solo a casa o a scuola, ma anche nei gruppi sportivi, in strada, nella visione di un film. Nella vita quotidiana, tuttavia, il ruolo educativo più rilevante è svolto di solito dai genitori e dagli insegnanti. I bambini e i ragazzi, che vanno a scuola, trascorrono gran parte del loro tempo nell’ambiente familiare e in quello scolastico, trovando elementi comuni ed elementi di discontinuità sui quali impareranno a costruire la propria visione del mondo.
*
B1.1
Alla radice della socialità c’è l’empatia
processo educativo processo di strutturazione complessiva e della personalità individuale che si compie anche attraverso la trasmissione di conoscenze, valori, modelli di comportamento.
Siamo una specie gregaria, vale a dire che ci attiviamo alla presenza di altre persone e cerchiamo di entrare in relazione con i nostri simili. Questa attitudine si chiama empatia. L’empatia - da non confondersi con la simpatia - è una forma di identifcazione con l’altro. Dapprima, nei bambini molto piccoli, assorbendo gesti, mimiche e comportamenti, in seguito immaginandosi cosa si può provare al posto dell’altro.
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
Si attiva
UOMO
SPECIE GREGARIA
Presenza altre persone
EMPATIA
Entra in relazione
▶
Entrare in risonanza Fin dai primi mesi di vita i bambini mostrano
interesse verso la voce e i volti umani, e rimangono colpiti dal pianto degli altri bambini che può suscitare in loro anche una reazione analoga di lacrime e gemiti. Questa tendenza innata a entrare in risonanza con l’altro è riscontrabile anche nello sforzo che i neonati compiono per imitare le smorfe e le espressioni del viso di chi sta innanzi a loro (fgura B1.1).
Serhiy Kobyakov, Shutterstock.
Voce umana
BAMBINO
Entrare in risonanza
INTERESSE
Attitudine innata
Volto umano
Tom Merton, Getty Images.
Figura B1.1
I bambini, sin dalle prime settimane di vita, si sforzano di ripetere smorfie e sorrisi degli adulti, anche dopo un intervallo di tempo, e di collegare ciò che vedono con i movimenti del proprio viso.
21
Sezione B
La relazione educativa
Intorno ai 18 mesi è visibile in molti bambini l’intenzione di prestare aiuto: un bambino o una bambina può ofrire il suo giocattolo a una persona che si sta lamentando. Dopo i 2 anni le forme di intervento sono più circostanziate e mirano a localizzare l’origine della difcoltà e a fornire un rimedio appropriato. È questo il caso di un bambino che ofre un cerotto a chi si è sbucciato un ginocchio. A 3-4 anni la capacità di porsi nella pelle dell’altro è ancora più sviluppata, grazie alla maturazione cognitiva. Tale capacità di lasciarsi coinvolgere dalla presenza e dalle emozioni degli altri è alla radice della socializzazione e dei legami che si creano tra le persone. Tale tendenza sociale è anche alla radice dell’imitazione, un’attitudine che porta gli esseri umani, ma soprattutto i bambini, a imitare i comportamenti altrui. L’imitazione rappresenta una forma molto potente di apprendimento durante l’intero ciclo di vita, che anche gli adulti devono saper utilizzare al meglio. Una forma di coinvolgimento è necessaria anche per comunicare. Quando per un qualche motivo viene a mancare questa motivazione fondamentale, potrebbe succedere che un individuo, che pure sa parlare, si rifuti di farlo. Il cosiddetto “mutismo elettivo” è una forma di inibizione a parlare (in ambienti estranei) che si riscontra in quei bambini che, a seguito di un trauma o per mancanza di fducia negli adulti o perché si sentono maltrattati o non presi in considerazione, oppongono il silenzio a ogni tentativo di comunicazione.
BAMBINO
INTERESSE PRESTARE AIUTO
Socializzazione Presenza altri
SI LASCIA COINVOLGERE DA
Radice Emozioni altri
Imitazione
Comunicazione
Il legame di attaccamento
B1.2
Lo psicologo britannico John Bowlby (1907-1990) è tra i primi insieme a René Spitz, Donald Winnicot e altri studiosi, ad aver indagato la tendenza alla socialità nel bambino evidenziando l’importanza dell’attaccamento. Secondo Bowlby l’essere umano presenta una tendenza innata a cercare la vicinanza e il contatto con un altro essere della propria specie. Con attaccamento si intende in psicologia il particolare legame che si realizza nell’infanzia con una o più fgure stabili che offrono al bambino amore, cure e protezione. il rapporto di attaccamento con la madre e/o il padre, oppure con un’altra persona (la nonna, un fratello o sorella maggiore, un adulto signifcativo), ha degli effetti importanti sia nel breve periodo sia nel lungo periodo.
22
Le prime relazioni affettive
▶
UNITÀ B1
Gli effetti dell’attaccamento Attraverso la vicinanza e il contatto
fsico con la fgura materna il bambino, fn dai primi giorni di vita, si sente protetto. Quando lo si tiene rannicchiato, lo si culla, gli si parla o gli si canta una canzoncina, il neonato sente di essere amato e accettato, favorendo così la formazione di un sentimento di fducia in se stesso. Gli efetti psicologici a lungo termine di un buon attaccamento possono essere così schematizzati: • aiuta il bambino a osservare il mondo e a prendere iniziative; • incoraggia lo sviluppo del pensiero logico (secondo l’ordine temporale progressivo e regressivo, si possono prevedere gli interventi altrui); • facilita la socializzazione; • promuove la formazione di una coscienza e di una identità separata (il neonato si diferenzia gradualmente dalla mamma con la quale inizialmente è in un rapporto simbiotico); • aiuta a reagire agli stress, a fronteggiare le frustrazioni, i dolori, le paure; • favorisce un giusto equilibrio tra dipendenza e indipendenza; • favorisce lo sviluppo di relazioni afettive sane negli anni a venire. In assenza di una valida fgura di attaccamento o “base sicura” nei primi anni di vita, il bambino può presentare ritardi nella crescita, cadere preda dell’apatia, ammalarsi facilmente perché le sue difese immunitarie sono indebolite, apprendere lentamente, non rispondere alle stimolazioni come i bambini che invece si sentono circondati dall’afetto, avere paura di tutto e non fdarsi di nessuno. Amato Accettato Breve termine
Sicuro Ottimista
ATTACCAMENTO
EFFETTI SUL BAMBINO Lungo termine
Incoraggia l’iniziativa Favorisce il pensiero logico Facilita la socializzazione Sostiene l’identità individuale Favorisce la coscienza autonoma Sviluppa le reazioni affettive Aiuta a reagire a: t stress t frustrazione t dolori t paure
Oksana Kuzmina, Shutterstock.
23
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Come altri mammiferi gli esseri umani possiedono un bagaglio innato di comportamenti che suscitasno protezione e favoriscono la sopravvivenza. Luca Cambiaso, Carità, Berlino Gemaldegalerie.
Una predisposizione innata L’attac-
camento è una predisposizione innata che si esplicita attraverso risposte istintuali che emergono precocemente, prefgurandosi come modelli di comportamento (succhiare, aggrapparsi, seguire, piangere, sorridere). Queste risposte sono utili alla sopravvivenza, in quanto sollecitano le cure parentali e rendono possibile la relazione tra il piccolo e le fgure di attaccamento che lo aiutano a crescere. Per esempio, il viso umano è una struttura signifcativa per il neonato che tende a rispondervi con un sorriso. Tale sorriso istintivo, suscita in risposta il sorriso materno, avviando uno scambio di messaggi tra i due. In modo analogo quando il neonato si aggrappa alla madre, la madre lo accoglie e lo contiene tra le sue braccia. Succhiare Aggrapparsi
PREDISPOSIZIONE INNATA
ATTACCAMENTO
Si esprime
Risposte istintuali = modelli di comportamento
Seguire
Piangere
Utili alla sopravvivenza
Sollecitano cure parentali
Sorridere
interiorizzare le fgure affettive Come ha spiegato Donald Winnicott (psicoanalista e pediatra, 1896-1971) è fondamentale che il piccolo senta di essere nella mente di qualcuno che tiene a lui. Quando il bambino in seguito si accorgerà che anche lui può “trattenere” nella sua mente l’immagine delle persone cui vuole bene, sarà anche in grado di tollerarne la separazione.
▶
Ritratto di Winnicott.
Si “sente nella mente” di qualcuno che lo accudisce
TOLLERA LA SEPARAZIONE QUANDO
BAMBINO
24
WINNICOTT Può “trattenere” nella sua mente qualcuno ben disposto nei suoi confronti
Le prime relazioni affettive
▶
UNITÀ B1
John Bowlby aferma che il bambino che a 2 anni tollera di separarsi
dalla mamma per andare al nido, non è un bambino poco afezionato, ma un bambino che ha interiorizzato, ossia fatto proprio, quel senso di sicurezza che la mamma, con la sua presenza e le sue cure, gli ha trasmesso nei mesi precedenti. Per quanto le prime esperienze non predeterminino del tutto le esperienze successive e i bambini reagiscano in modi diversi a seconda del loro temperamento, l’esperienza positiva nei primi anni di vita di un buon attaccamento è importante per creare un “clima” favorevole a uno sviluppo individuale e sociale equilibrato del bambino. Cure materne
BAMBINO
TOLLERA LA SEPARAZIONE
Perché ha interiorizzato
BOWLBY Sicurezza materna
▶
I tempi dell’attaccamento Il processo di attaccamento inizia dopo
la nascita e continua per tutti i primi tre anni (tabella B1.1). Nei primi 5 o 6 mesi i neonati accettano di stare con persone diverse perché il legame è in fase iniziale e non sono ancora in grado di distinguere una persona dall’altra. A partire da 6-7 mesi invece cominciano a voler stare con le persone che conoscono e di cui si fdano. A 8-11 mesi i bambini possono protestare energicamente se vengono separati dalle persone da cui si sentono protetti e quando vengono afdati a estranei; prima di passare nelle mani di un estraneo hanno bisogno di familiarizzare con lui in presenza di una fgura di attaccamento.
Poter disporre di varie figure di attaccamento è un vantaggio per un bambino. Aiduke2012, Getty Images.
25
Sezione B
TABELLA B1.1
La relazione educativa
FORMAZIONE DEL LEGAME DI ATTACCAMENTO NELLE PRIME FASI DELLA VITA
SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA (2008) (SS 11-14 ANNI)
FASE
ETÀ
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
i) Pre-attaccamento
0-2 mesi
risposte sociali indiscriminate
ii) attaccamento in formazione 2-7 mesi
riconoscimento dei familiari
iii) attaccamento rigido
7-24 mesi
protesta se separato dalle figure di attaccamento; diffidenza verso gli estranei; comunicazione intenzionale
iv) attaccamento basato sulla reciprocità*
da 24 mesi relazione a due vie: il bambino comprende sempre meglio le esigenze degli altri in poi
* Per reciprocità si intendono gli scambi comunicativi tra il bambino e chi lo accudisce: il sorriso in risposta al sorriso, parole in risposta al balbettio, sollevarlo quando dà segni di voler essere sollevato. Da parte sua il bambino vorrà sempre più ripetere quelle azioni che l’adulto fa su di lui e per lui (lavarlo, imboccarlo, accarezzarlo, vestirlo ecc.). nel corso di un processo graduale il bambino sviluppa la consapevolezza che le sue iniziative hanno degli effetti, e incomincia a esplorare e ad avventurarsi in spazi nuovi con curiosità e fducia. il grado di sicurezza, di cui dispone, dipende non soltanto da quelle competenze che la maturazione fa emergere e che gli consentono di controllare sempre meglio la realtà, ma anche dal modo in cui gli altri gli rispondono e interagiscono.
Un bambino può sviluppare un legame di attaccamento con diverse persone del suo ambiente (genitori, fratelli, sorelle, nonni, baby sitter, puericultrice ecc.). È comunque indispensabile, per il suo benessere, che abbia almeno un legame continuativo con una persona capace di fornire le cure e gli stimoli necessari.
Il contatto fisico con il corpo della madre rappresenta, per il neonato, la prima fonte di rassicurazione e di benessere. Michelangelo Madonna col bambino, 1525, Firenze, fondazione Casa Buonarroti.
26
▶ Gli effetti dell’abbandono Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale John Bowlby e gli psicoanalisti René Spitz (1887-1974) e Anna Freud (1895-1982) ebbero modo di osservare molti bambini orfani, abbandonati in istituti e scarsamente seguiti per carenza di personale. Molti di questi bambini avevano una crescita stentata, si ammalavano facilmente, non giocavano, non sorridevano, non parlavano, piangevano spesso e avevano delle stereotipie motorie. Nei casi più gravi di trascuratezza morivano in tenera età.
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
Genitori
IL BAMBINO SVILUPPA ATTACCAMENTO
VARIE PERSONE DEL SUO AMBIENTE INSUFFICIENTE OPPURE ASSENTE
Studi su bambini orfani abbandonati
Familiari Baby-sitter Puericultrice al nido
René Spitz
Anna Freud
Fratelli/Sorelle t scarsa crescita t apatia t difese immunitarie deboli
Tra gli psicoanalisti, che dopo la morte del fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, hanno elaborato le loro teorie, alcuni si sono dedicati allo studio dell’evoluzione del bambino. Anna Freud, fglia di Sigmund, continuò la linea già tracciata dal padre estendendone l’applicazione nella pratica clinica. Con Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, un ruolo di primo piano è rivestito dalla madre. Attraverso le cure e le attenzioni che la madre presta al fglio si crea un ambiente favorevole allo sviluppo psichico. Se le cure materne sono state suffcientemente buone e il fglio nutre un senso di fducia verso la madre e l’ambiente in cui cresce, a un certo punto del suo svi luppo “introietta”, fa proprio, quel senso di fducia/sicurezza, che diventerà un aspetto importante della sua personalità. Analogamente a Winnicott, René Spitz valorizzò il ruolo formativo della madre nella strutturazione psicologica del neonato. La ricerca di questo autore fu poi particolarmente attenta agli effetti negativi sullo sviluppo del bambino provocati dalla carenza di cure materne. Egli ha elaborato una te
Effetti dell’abbandono
SCHEDA B1.1 L’INFANZIA VISTA DALLA PSICOANALISI
evidenza durante lo sviluppo infantile se, dopo avere trascorso i primi sei mesi con la fgura materna, il bambino ne viene bruscamente privato.
▶
Carenze nella qualità del rapporto Anche quando la fgura o le
Jordi Elias, Getty Images.
fgure di attaccamento sono presenti, possono riscontrarsi delle carenze relative alla qualità del rapporto tra il bambino e l’adulto. Mary Ainsworth (1913-1999), allieva di John Bowlby, attraverso una serie di esperimenti ha osservato il comportamento dei bambini tra 0 e 3-4 anni nell’interazione con le proprie mamme e ha individuato diversi tipi di attaccamento. Il modo in cui le mamme si comportano nei confronti dei bambini ha un efetto sulla qualità della relazione. Ad esempio, la mamma che risponde alle richieste del piccolo e manifesta disponibilità nei suoi confronti svilupperà nel bambino un attaccamento sicuro: il piccolo non avrà paura di perdere il suo sostegno e sarà quindi più tranquillo anche di fronte ai momenti di separazione. Al contrario una mamma sempre distratta, poco attenta ai bisogni del fglio, o discontinua nei suoi interventi susciterà nel bambino ansia, insicurezza e paura di perdere la fgura di attaccamento. 27
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Quattro tipi di attaccamento A tre anni di vita, secondo i risultati
della Ainsworth, si possono individuare quattro grandi tipologie di attaccamento osservando il modo in cui bambini anni reagiscono alla separazione e alla presenza della loro fgura di riferimento principale, che generalmente è la mamma:
VIDEO: La strana situazione.
• Quando l’attaccamento è sicuro, nella grande maggioranza dei casi, i piccoli riescono a tollerare senza drammi i progressivi allontanamenti della mamma e non protestano quando vengono lasciati con altre persone che conoscono. Questa forma di attaccamento è quella ottimale. • Quando l’attaccamento è evitante i bambini, poco afettuosi, possono dare l’impressione di essere autonomi, anche se in realtà hanno bisogno della presenza continua della mamma. Quando dovranno dare realmente prova di autonomia, come nel momento dell’entrata a scuola e nell’adolescenza, questi bambini incontreranno molto probabilmente difcoltà. • Quando l’attaccamento è ambivalente, i bambini sono afettuosi ma ansiosi: non sopportano di non avere sempre accanto la mamma (di vederla e sentirla) e si allarmano non appena lei si allontana. • Quando l’attaccamento è confuso i bambini sono molto disturbati dall’assenza della mamma e impauriti dalla sua presenza. I bisogni di base - amore, afetto, calore, accettazione incondizionata - non sono stati soddisfatti. Le mamme di questi bambini sono generalmente depresse o disturbate al punto da maltrattarli e trascurarli. Per non sviluppare problemi psicologici e di adattamento è opportuno in questi casi che il bambino trovi un’altra fonte di attaccamento. ▶ Un buon attaccamento In sintesi, un buon attaccamento si ha quando sono presenti tre principi fondamentali: sintonia, equilibrio, coerenza: Sintonia vuol dire, dal punto di vista del bambino, sentirsi capito e accettato; dal punto di vista dell’adulto, signifca che questi è in grado di “allineare” i propri stati interiori con quelli del bambino. Equilibrio signifca che c’è un coinvolgimento emozionale, un clima generale di accettazione e serenità che consente al bambino di raggiungere un equilibrio tra le funzioni fsiologiche di base, le sue emozioni e gli stati della sua mente. Il contrario di equilibrio sono stress, freddezza, rifuto, distanza fsica ed emotiva e naturalmente anche maltrattamenti, che nei primi anni di vita possono disorganizzare la mente del bambino, rendere difcile il suo adattamento e compromettere la sua crescita. Coerenza corrisponde al senso di integrazione che si sviluppa nei bambini attraverso la relazione con le fgure di attaccamento. Si tratta di uno stato di equilibro interno che consente di rispondere in maniera fessibile (o adattiva) ai cambiamenti che si verifcano nell’ambiente. Ricerche su bambini trascurati e maltrattati rivelano una minore fessibilità e capacità di adattamento. Zurijeta, Shutterstock.
28
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
CINEMA E LETTERATURA
IL FENOMENO TANGUY Regia di Étienne Chatiliez - Francia 2001
L
a condizione del fglio che non vuole crescere è stata narrata con ironia in Tanguy, un flm del 2001 scritto e diretto da Étienne Chatiliez. Questo flm descrive in maniera accurata il fenomeno sociologico dei fgli adulti che non vogliono andare a vivere da soli. Tanguy, 28 anni, è ormai prossimo alla laurea, parla il cinese e il giapponese e ha una passione per la flosofa orientale. Vive con mamma e papà e non ha alcuna intenzione di andare via da casa prima di avere completato la tesi, che dovrebbe aprirgli le porte di un lavoro a Pechino. Quando manca un mese alla laurea, Tanguy comunica ai genitori di aver deciso di rinviare la consegna della tesi di un anno e mezzo per evitare di rovinare per la fretta il lavoro già svolto. Il padre prende la cosa con apparente tranquillità, la madre invece inizia ad essere infastidita: Tanguy viene percepito come una persona ingombrante che toglie loro qualunque possibile momento di intimità. Il fglio da parte sua non si decide a impegnarsi neanche con la propria ragazza e si diverte così a portare a casa conoscenze occasionali che ospita per la notte e presenta ai genitori la mattina dopo a colazione. Raggiunto il limite della sopportazione, Edith, la madre, decide che il fglio deve essere in qualche modo spinto ad andarsene. Insieme al marito comincia a fare a Tanguy una serie di dispetti, sperando di indurlo a uscire di casa ma i tentativi dei genitori si rivelano vani. Alla fne madre e padre decidono di affrontare il problema apertamente; dire a Tanguy che è giunta, per lui, l’ora di lasciare il nido familiare. Tanguy obbedisce ai genitori e trova un appartamentino a Chinatown. Vi resta pochissimo
Locandina del film Tanguy.
però perché non sa vivere solo. Non riesce a prender sonno, ha crisi di panico, in piena notte deve accorrere la Croce rossa a prelevarlo e così torna a casa. I genitori esasperati incominciano a trattarlo come un bambino, fnché Tanguy arriva a citarli in tribunale e Paul, il padre, su consiglio del giudice, pensa di assoldare due malviventi per far picchiare il fglio. Però, proprio prima che la situazione precipiti, Tanguy decide di partire per Pechino. Dopo qualche tempo i genitori si recano dal fglio che si è sposato con una cinese e sta per diventare padre e… vive con la famiglia di lei! Alla fne Tanguy si sposa e ha un fglio ma resta pur sempre una persona immatura che ha bisogno per la sua intrinseca sicurezza di genitori cui appoggiarsi e da cui dipendere. I suoi genitori vengono sostituiti da quelli della moglie.
Per la discussione: • Perché, secondo te, oggi molti ragazzi rimangono a vivere in famiglia anche se sono ormai diventati grandi? • Nel caso di Tanguy quali sono i motivi che lo spingono a rimanere a casa con i genitori? Tanguy è cresciuto sul piano intellettivo; è però immaturo su quello emotivo. Una scena del film Tanguy.
29
Sezione B
La relazione educativa
L’autostima necessaria
B1.3
Quando l’impulso naturale a relazionarsi trova una risposta positiva, ci si sente accolti e si è incoraggiati a interagire. Sentirsi riconosciuti e apprezzati in famiglia accresce l’autostima e la fducia nelle proprie possibilità. anche in ambito scolastico il riconoscimento del proprio valore è importante perché favorisce autostima e motivazione.
▶ Rifuti e disconferme L’autostima è un elemento essenziale per l’equilibrio individuale, a partire dall’infanzia. Tuttavia occorre tener presente che mentre un adulto sicuro di sé può mantenere intatta la propria autostima anche quando gli altri non si accorgono di lui, lo disapprovano o lo combattono, ciò può risultare difcile per un bambino o un ragazzo il cui “Io” è ancora in formazione. Riconosciuti
CRESCE
AUTOSTIMA
Se ci si sente
A scuola e in famiglia Apprezzati
NECESSARIA PER L’EQUILIBRIO INDIVIDUALE
Fattori che alimentano
Caratteristiche individuali Relazioni con gli altri
Le conferme (vai bene, puoi farcela), i rifuti (sbagli, non sono d’accordo, puoi fare meglio) o le disconferme (per me non esisti, non vali nulla) hanno un peso e incidono variamente sulla formazione dell’immagine di sé. Troppi rifuti ma soprattutto troppe disconferme possono incidere negativamente sulla considerazione che un individuo ha di sé e avere un efetto deprimente sull’autostima. CONFERME RIFIUTI DISCONFERME
30
CONDIZIONANO
Immagine di sé
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
Ma quali sono i fattori che aiutano ad avere un buon e realistico livello di autostima? Le caratteristiche individuali sono importanti, capita, però, che persone dotate o competenti abbiano scarsa fducia nelle proprie risorse; e al contrario, altre persone riescono a sfruttare al massimo il proprio potenziale per l’ottimismo che le contraddistingue. Evidentemente anche le reazioni degli altri, non solo le caratteristiche individuali, entrano in gioco nella formazione dell’autostima. ▶
Fattori che potenziano l’autostima Lo psicologo americano
Stanley Coopersmith (1926-1979), condusse un ampio studio sui preadolescenti e sulla formazione dell’autostima: vari fattori concorrono all’aumento dell’autostima nessuno dei quali, però, è esauriente di per sé, ma unitamente agli altri due o più di essi, crea un terreno favorevole. Vediamoli: Sentirsi accettati dagli adulti signifcativi (genitori, insegnanti). I bambini o ragazzi che si sentono accettati si identifcano più facilmente con gli adulti che li accettano e si rivolgono a loro con fducia. Esperienze di rispetto. Sentirsi rispettati favorisce lo sviluppo di una personalità equilibrata. I bambini sono più sicuri quando gli adulti che hanno cura di loro riescono a trovare un equilibrio tra protezione e incoraggiamento all’autonomia. Regole di comportamento. I bambini o ragazzi che si muovono in un ambito delimitato dalle regole fondamentali della convivenza civile, sono più liberi di quelli che, abbandonati a loro stessi, dispongono di una totale libertà. L’assenza di limiti infatti lascia questi ultimi privi di una linea di condotta e, quindi, più esposti a esperienze lesive. Autostima nei modelli adulti. Quando l’adulto ha stima di se stesso, indirettamente incrementa l’autostima del fglio o dell’alunno; e ciò per due motivi: sia perché fornisce un modello positivo e sia perché l’adulto non ha bisogno di gratifcazioni sostitutive o consolatorie attraverso i successi del fglio o dell’alunno. Ci sono studi che attestano che le madri con una scarsa stima di sé sono più propense a sminuire i propri fgli. Contribuisce inoltre alla formazione di un’autostima realistica anche la presenza di alcune condizioni negative che favoriscono una visione obiettiva dei rapporti sociali e delle difcoltà della vita e abituano all’uso di strategie utili ai fni della propria difesa e della propria realizzazione.
Bill Truslow, Getty Images.
31
Sezione B
La relazione educativa
Stili educativi in famiglia
B1.4
nel complesso processo di crescita entrano in gioco variabili diverse. alcune hanno però un peso superiore di altre. Una di queste è lo stile educativo. Questa variabile, quando è costante nel tempo, contribuisce a modellare la personalità dei fgli e infuisce sul loro sviluppo sociale ed emotivo.
▶
Stili educativi di base In trent’anni di studi, la psicologa Diana
Baumrind ha identifcato diversi stili educativi di base e gli efetti di ciascuno di essi sullo sviluppo di quello che ha defnito “il bambino competente”. Competente è il bambino o ragazzo che sa interagire con coetanei e adulti, che ha fducia in se stesso e ha una buona autostima. Gli stili fondamentali ofrono la base per la formazione di stili intermedi, che nascono da una mescolanza tra stili diferenti. Nel defnire lo stile educativo, non solo i genitori giocano un ruolo signifcativo, ma anche i fgli sono soggetti attivi perché possono indurre i genitori a cambiare attitudine nei loro confronti. Controllo (maggiore o minore severità o permissività) e sostegno (maggiore o minore afetto o ostilità) sono due elementi fondamentali, che si evidenziano in maniera diversa nei diversi stili. Nello schema sottostante vengono rappresentate diferenti combinazioni in cui appaiono questi due importanti fattori.
VIDEO: Gli stili educativi.
BAUMRIND E GLI STILI PARENTALI
AUTORITARIO scarsa accettazione elevato controllo
RESPINGENTE TRASCURANTE scarsa accettazione scarso controllo
PERMISSIVO elevata accettazione scarso controllo
IPERPROTETTIVO elevata accettazione elevato controllo
AUTOREVOLE elevato sostegno adeguato controllo
Lo stile autoritario Seguono questo stile i genitori severi, che stabiliscono le regole senza fornire spiegazioni e raramente tengono conto dell’opinione dei fgli. Le regole defnite sono restrittive, i “no” numerosi e le punizioni severe. I principali strumenti di controllo impiegati sono la coercizione e l’intimidazione. La disobbedienza viene interpretata come una grave minaccia
▶
Valua Vitaly, Shutterstock.
32
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
all’autorità e viene inibita facendo appello al senso di colpa e alla vergogna. I genitori si aspettano che i fgli obbediscano senza fare domande o avanzare obiezioni, non favorendo di conseguenza il dialogo. Quando si confgura questo tipo di relazione educativa alcuni fgli si ribellano, altri si adeguano alle aspettative e forniscono della loro famiglia un’immagine idealizzata schierandosi dalla parte dei genitori e giustifcandoli anche quando questi usano metodi ricattatori. “Quando io e mia sorella ne combinavamo una grossa i miei genitori dicevano che avrebbero divorziato per causa nostra, così noi capivamo che quella cosa non dovevamo più farla” spiega Claudio di 15 anni. Una variante di questo stile comporta una divisione netta dei ruoli tra padre e madre. Per comodità possiamo defnire questo stile “tradizionale”. La fgura autoritaria è generalmente identifcata (ma non sempre) nel padre: il capofamiglia che detta le regole e punisce. La madre invece, pur non dissociandosi dagli interventi paterni, che spesso sollecita o minaccia, assume nei confronti dei fgli atteggiamenti più indulgenti. È lei a fornire afetto e calore umano ed è con lei che i fgli stabiliscono un clima di confdenza e, a volte, di eccessive richieste. Il rapporto con il padre è vissuto invece con maggiore distacco e spesso sfocia nell’incomprensione. In genere la mamma tradizionale, che “si sacrifca” per i fgli, suscita un forte attaccamento, anche se la sua totale dedizione può trasformarsi in possessività. ▶ Lo stile permissivo È l’opposto del precedente e può sfociare nel disinteresse e nella trascuratezza. Proprio di questo stile è l’assenza di una linea di condotta coerente. I genitori cedono alle richieste dei fgli senza valutare pro e contro e non stabiliscono un sistema di regole strutturato. Papà e mamma possono lasciar ricadere sui bambini scelte e decisioni che spettano a loro. In altre parole, i genitori si aspettano che i fgli si educhino da soli e i messaggi che trasmettono sono incoerenti: a volte totalmente permissivi, altre volte trascuranti; qualche volta, nel tentativo di riprendere il controllo, possono diventare autoritari. Nell’insieme i genitori si considerano più come una risorsa che il fglio può utilizzare, che come degli agenti attivi responsabili di trasmettere delle abilità e di indirizzare l’operato del bambino. Mancando una guida e reagendo sull’onda del momento, la litigiosità intergenerazionale* può essere elevata. In questo clima i fgli spesso si allontanano ricercando all’esterno, magari nella banda del quartiere, quel senso di appartenenza e quelle regole di comportamento che la famiglia non è in grado di fornire. “Mio padre e mia madre mi strillano” spiega Maria di 13 anni “ma è tutta scena. Dicono che non devo fare una cosa, poi però me la lasciano fare”.
intergenerazionale tra le generazioni (in questo caso genitori e fgli).
▶ Lo stile respingente/trascurante I genitori che praticano questo stile non sono né esigenti né accoglienti, bensì distaccati e non coinvolti. Essi possono persino ignorare le necessità di base dei fgli. Se i bambini o ragazzi non danno fastidio li lasciano liberi di fare ciò che vogliono senza fornire loro strumenti di comprensione del mondo e regole del vivere sociale. Essi
Lo stile autoritario era molto diffuso in passato e le punizioni dure e frequenti. Suzanne Tucker, Shutterstock.
33
*
SEZIONE B
La relazione educativa
stessi possono vivere ai margini della società. Il messaggio che i fgli ricevono è fai quello che ti pare, ma stammi lontano, lasciami in pace. “Mio padre è impaziente. Se chiedo dice subito di no. Così faccio quello che mi pare senza dirglielo” spiega Tommaso (12 anni) trascurato negli abiti e nell’aspetto. Il rischio per i fgli che crescono in un ambiente educativo così connotato è di crescere immaturi, inesperti e anche ansiosi. Non sentendosi considerati possono avere una scarsa stima di sé e covare risentimenti. Condizione questa che può rendere difcile anche l’integrazione “alla pari” con i coetanei. SCHEDA B1.2
Come si è visto, lo stile respingente ha effetti demotivanti. Tuttavia, anche altri stili educativi possono avere conseguenze simili sullo sviluppo emotivo del bambino. Ne è un esempio lo stile demotivante non trascurante. In questo caso i genitori mostrano ai fgli il loro affetto, forniscono loro regole coerenti, prestano ascolto alle loro esigenze e li rendono partecipi delle decisioni familiari ma, al contempo, sono incapaci di spronarli a esprimere le loro potenzialità. In altre parole, i genitori che seguono questo stile educativo non insegnano ai fgli a sognare e a credere in se stessi, abituandoli piuttosto ad accontentarsi di un futuro già scritto. Nel lungo periodo i fgli possono, per così dire, venir contagiati dalla rassegnazione o dal pessimismo. “Mi dicono di non impegnarmi, che non ne vale la pena” spiega Luca (14 anni).
MOTIVARE E DEMOTIVARE
Dmitry Melnikov, Shutterstock.
▶ Lo stile iperprotettivo I genitori iperprotettivi mostrano atteggiamenti ancora diversi da quelli incontrati in precedenza. Essi non sono incoerenti o afettivamente distaccati e neppure demotivanti, piuttosto sono troppo ansiosi e preoccupati, tanto da non concedere ai fgli l’autonomia necessaria per imparare e crescere. I genitori continuano a svolgere per i fgli, anche quando sono diventati grandi, una serie di “servizi” che essi potrebbero svolgere da soli. La loro ingerenza fnisce per ostacolare la maturazione dei fgli, che tendono a mantenere atteggiamenti infantili. “Si comportano come se io non sapessi fare nulla da solo, il che mi dà ai nervi soprattutto quando ci sono i miei amici” dice Mario (13 anni). I fgli possono ribellarsi oppure adeguarsi portando avanti un legame simbiotico con i genitori e caricarsi delle loro stesse ansie e aspettative, rinunciando così all’autonomia (Cinema e Letteratura: Il fenomeno Tanguy). Nel tempo questo stile può trasformare i fgli in dittatori domestici: abituati a essere serviti in tutto pretendono che papà e mamma soddisfno ogni loro capriccio.
Lo stile autorevole La psicologa Baumrind ritiene che questo stile sia il migliore da adottare: just right (proprio giusto). A diferenza di quello autoritario, il genitore autorevole riconosce i desideri e i bisogni dei fgli e sollecita la loro opinione. Esige rispetto e stabilisce regole che hanno maggiori probabilità di essere accettate e seguite perché adatte all’età e alle caratteristiche dei fgli. Non è invadente, non si sostituisce ai fgli e fornisce dei feed-back coerenti. A diferenza del permissivo, sa dire “no” quando è necessario. Educa all’autonomia e a imparare dai propri errori. Ha un rapporto caldo e favorisce esperienze educative culturalmente ricche. Rispetta la personalità dei fgli: comunica e si pone in relazione con loro. Da parte loro,
▶
bbevren, Shutterstock.
34
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
i fgli di questi genitori sono, in media, più fduciosi e responsabili, contenti e cooperativi; sono, altresì, anche meno inclini, una volta diventati adolescenti, ad assumere sostanze stupefacenti. ▶
Limiti del costrutto di stile Alcuni studiosi hanno criticato il con-
cetto di stile educativo ritenendo che tale costrutto per quanto utile per rifettere su comportamenti e atteggiamenti ricorrenti nel rapporto tra genitori e fgli (e per migliorare tale rapporto), porta con sé il rischio di identifcare lo stile con una caratteristica individuale dei genitori, e di non dare il giusto peso a fattori signifcativi come il contesto, la provenienza socio-economica, le caratteristiche culturali nonché il temperamento dei fgli. Gli stessi genitori potrebbero per esempio comportarsi diversamente con i vari fgli, magari più severamente con il maggiore e in modo più morbido con il più piccolo. Inoltre i genitori possono essere infuenzati nel loro stile educativo dall’ambiente in cui abitano. Vivere in un quartiere con elevati tassi di criminalità, può portare a un atteggiamento di maggiore controllo sui fgli, rispetto a chi abita in un quartiere più tranquillo. SCHEDA B1.3
Per meglio comprendere le differenze tra i vari stili, considerate e discutete i seguenti scenari. Ciascuno illustra il modo in cui i genitori affrontano determinate situazioni, seguendo uno stile ora autoritario, ora permissivo, ora autorevole o respingente. Cinzia di 9 anni è stata invitata a una festa dopo la scuola. La festa avrà luogo nello stesso orario in cui si tiene la lezione di violino. Il genitore autoritario potrebbe rispondere in questo modo: “Ma come ti viene in mente di andare alla festa, lo sai che la lezione di violino è più importante della festa”, e quando Cinzia cerca di sostenere la propria causa, sempre che lo faccia, la risposta del genitore potrebbe essere questa “Non osare contraddirmi, ho detto di no ed è no! Ora vai nella tua stanza, signorina”. La risposta del genitore permissivo potrebbe essere: “Se vuoi andare vai, avviso io il maestro di violino”. La risposta del genitore autorevole potrebbe essere: “Hai una lezione di violino ed è importante rispettare gli impegni con il tuo insegnante. Capisco che vuoi andare alla festa, cerchiamo di risolvere il problema insieme nel migliore dei modi”. Il genitore respingente o non risponde o dà una risposta che comporta il minore coinvolgimento possibile per lui (per esempio rimandando la decisione all’altro genitore, dicendo “non mi seccare, ho altro da fare”…). Ora consideriamo uno scenario differente in cui c’è bisogno di disciplina. È stato detto a Massimo che può giocare fuori casa per un’ora dopo cena. Perde il conto del tempo e ritorna dopo due ore, un’ora dopo il suo coprifuoco. Il genitore autoritario reagirebbe in questo modo: “Massimo sei in ritardo e per questo non andrai più a giocare fuori la sera. Questo ti insegnerà a disobbedire”. Il genitore permissivo potrebbe notare che Massimo è arrivato in ritardo, ma potrebbe anche non dire nulla in proposito. La risposta del genitore autorevole potrebbe essere di questo tipo: “Massimo, ti ho detto di tornare alle 9, ora sono le 10: che cosa è successo?” Massimo potrebbe rispondere che ha perduto il senso del tempo e il genitore potrebbe obiettare “Domani dovrai tornare in tempo” ma anche suggerire delle soluzioni “Vedi di dare un’occhiata all’orologio oppure fatti avvisare da qualcuno”. I genitori trascuranti non si accorgerebbero nemmeno che Massimo è rientrato tardi in quanto il suo comportamento non interferisce con la loro routine.
SCENE DI VITA QUOTIDIANA
Suzanne Tucker, Shutterstock.
35
S EZIONE
S EZIONE
B
B
RIASSUMIAMO
LA TENDENZA ALLA SOCIALITÀ Ognuno di noi cresce e struttura la sua personalità all’interno dei contesti in cui vive, attraverso la relazione con gli altri. Fin dai primi momenti di vita i bambini mostra-
no la tendenza a entrare in risonanza con gli altri, a lasciarsi coinvolgere dalla loro presenza e dalle loro emozioni.
Alena Ozerova, Shutterstock.
L’ATTACCAMENTO John Bowlby ha elaborato la teoria dell’attaccamento, secondo la quale ogni individuo presenta una tendenza innata a ricercare vicinanza e contatto con un altro essere della propria specie. Il legame di attaccamento si realizza nell’infanzia con la madre e/o con le fgure stabili che ofrono cure, amore, protezione ed è fondamentale per lo sviluppo di una personalità equilibrata e sicura, in grado di interagire con gli
GLI EFFETTI DELL’ABBANDONO Bowlby, Spitz, Anna Freud e altri studiosi evidenziarono, nelle loro osservazioni e nelle loro ricerche, gli efetti dell’abbandono su bambini ospitati negli istituti, perché orfani
altri e di adattarsi all’ambiente. Mary Ainsworth ha descritto quattro tipologie di attaccamento: sicuro, evitante, ambivalente, confuso. Un buon attaccamento è caratterizzato da sintonia (sentirsi capiti e accettati), equilibrio (tra bisogni fsiologici, emozioni e stati psichici), coerenza (il senso di integrazione sia riguardo ai propri stati interiori, sia riguardo alle relazioni con gli altri). DrAfter123, Getty Images.
o abbandonati, e riscontrarono, in molti casi, depressione e uno sviluppo ritardato sia dal punto di vista cognitivo che motorio. Olesia Bilkei, Shutterstock.
36
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
L’AUTOSTIMA Un buon attaccamento ha degli effetti positivi anche sullo sviluppo dell’autostima, elemento essenziale per l’equilibrio individuale. Coopersmith ritiene che i fattori che contribuiscono a sviluppare autostima e fducia in se stessi sono riconducibili a esperienze infantili
in cui ci si sente accettati dagli adulti signifcativi; in cui ci si sente rispettati; in cui i comportamenti sono orientati da regole; in cui gli adulti mostrano un’adeguata stima di sé forniscono un modello positivo, e non hanno bisogno di realizzarsi attraverso i fgli. Sunny studio-Igor Yaruta, Shutterstock.
STILI EDUCATIVI A seconda delle caratteristiche e degli atteggiamenti dei genitori è possibile individuare diferenti stili educativi. Diana Baumrind ha descritto in particolare gli stili autoritario, permissivo, respingente/trascurante, iperprotettivo, autorevole. I genitori che adottano uno stile autoritario sono severi ed esigono il rispetto delle regole senza spiegare perché è necessario; inoltre utilizzano punizioni anche severe. Lo stile permissivo manca di un sistema di regole strutturato, i genitori permissivi non tengono una linea di condotta coerente. I genitori con uno stile respingente/trascurante sono distaccati e disinteressati, lasciano liberi i fgli di fare ciò che vo-
gliono, provocano come reazione risentimento e scarsa stima di sé. I genitori iperprotettivi sono ansiosi e timorosi e concedono scarsa autonomia ai fgli. Il migliore da adottare è lo stile autorevole: i genitori riconoscono desideri e bisogni dei fgli, li coinvolgono nelle decisioni, chiedono il rispetto delle regole, dicono di no quando è necessario, ma sono aperti al dialogo. Occorre comunque ricordare che lo stile educativo non emerge solo dalle caratteristiche individuali dei genitori, ma può anche essere infuenzato dal contesto, dalla provenienza socio-economica, dalla cultura e dal temperamento e la personalità dei fgli. Oksana Bratanova, Shutterstock.
37
S EZIO
S EZIONE
B
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
B
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
Nei primi mesi di vita il bambino non mostra interesse per la voce umana perché non la riconosce
V
F
b
Quando un bambino perde la sua figura di attaccamento e non trova un sostituto può diventare depresso e diffidente
V
F
c
Un bambino può sviluppare legami di attaccamento soltanto con i genitori
V
F
d
Per “reciprocità” si intendono gli scambi comunicativi tra il bambino e i coetanei
V
F
e
L’imitazione è la manifestazione del bambino che non riesce a fare autonomamente
V
F
f
“Ruolo”, nel linguaggio psicologico e sociologico, significa la posizione che un individuo occupa nel contesto sociale in rapporto agli altri
V
F
g
Il processo di attaccamento inizia dopo la nascita e continua per i primi tre anni
V
F
h
Nello stile educativo permissivo non c’è un sistema di regole strutturato
V
F
1 L’attaccamento è:
Competenza
□ una predisposizione innata □ una potente forma di imitazione □ il risultato di una buona educazione
Acquisire le informazioni
2 Il ruolo è: □ l’aspettativa di comportamento di chi occupa una certa posizione sociale □ la posizione che un individuo occupa nel contesto sociale □ il tempo trascorso in una determinata attività lavorativa nella società da parte di una persona
3 Qual è, tra i seguenti stili educativi, il migliore: □ tradizionale □ autorevole □ permissivo
38
Le prime relazioni affettive
UNITÀ B1
4 L’attaccamento si determina attraverso: □ risposte istintuali che si prefgurano come modelli di comportamento utili alla sopravvivenza □ mediante l’educazione e il rispetto di norme sociali e morali □ l’imitazione e l’apprendimento
5 La capacità del bambino di lasciarsi coinvolgere dalla presenza e dalle emozioni degli altri è alla radice di: □ socializzazione □ altruismo □ buona educazione
1 Fornisci una defnizione sintetica di “empatia”.
Competenza Acquisire e interpretare le informazioni
2 Elenca i fattori che favoriscono l’autostima in un preadolescente, secondo lo studio di Stanley Coopersmith: 1 2 3 4 5
…………………. …………………. …………………. …………………. ………………….
3 Illustra brevemente le caratteristiche dello stile respingente/trascurante.
4 M. Ainsworth ha descritto quattro tipi di attaccamento. Descrivine due.
1 Completa la seguente tabella con le informazioni mancanti.
Competenza Sapere analizzare la realtà
BUON ATTACCAMENTO
Coinvolgimento emozionale. Clima generale di accettazione e serenità. Equilibrio psico-fisico ed emotivo COERENZA
39
SEZIONE B
La relazione educativa
1 Abbina con una freccia l’informazione al proprio autore.
Competenza Individuare collegamenti e relazioni
1. Bowlby
a. Quattro forme di attaccamento
2. Winnicott
b. Il bambino che ha interiorizzato il senso di sicurezza tollera di separarsi dalla mamma
3. Ainsworth
c. È importante che il bambino “senta di essere nella mente” di qualcuno
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: atten-
Competenza
zione! Alcuni sono in più!
Sapere usare il lessico della disciplina
Mary Ainsworth attraverso una serie di esperimenti ha osservato il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dei bambini nell’interazione con le proprie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e ha individuato diversi tipi di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I comportamenti delle mamme nei confronti dei bambini hanno un efetto sulla qualità della . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ad esempio, la mamma che risponde alle richieste del piccolo e manifesta disponibilità nei suoi confronti svilupperà nel fglio un attaccamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . : il piccolo non avrà paura di perdere il suo sostegno e sarà quindi più tranquillo anche di fronte ai momenti di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . gioco - comportamento - maestre - mamme - attaccamento - bisticci - relazione - crescita - insicuro - sicuro - ambivalente - separazione - crisi
40
B
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 L’AttACCAMEnto
Competenza
Questo laboratorio ha l’obiettivo di riconoscere e distinguere i vari tipi di attaccamento descritti dalla Ainsworth (sicuro, evitante, ambivalente, confuso) mediante l’osservazione.
Sapere interpretare la realtà
Defnizione
L’attaccamento è il particolare legame che si instaura nell’infanzia tra il bambino e la persona che si prende cura di lui, infatti mediante il contatto fsico il bambino si sente protetto. Un bambino può sviluppare un legame di attaccamento con più persone del suo ambiente: genitori, fratelli, sorelle, nonni, baby sitter, educatrici. I comportamenti di attaccamento sono innati e in una situazione di minaccia si attivano per stimolare le cure parentali e aumentare la sicurezza.
istruzioni
Osserva un bambino di 3-4 anni all’interno di una scuola materna, quando viene accompagnato a scuola. Annota in una tabella simile a quella sottostante ma più ampia i comportamenti che il bambino mette in atto quando si separa dalla fgura di riferimento e a quale tipo di attaccamento questi comportamenti sono riconducibili. Infne, rispondi alle domande. Utilizza una tabella per ogni bambino osservato. Figura di riferimento
Comportamenti bambino
sezione
s ezio
B
Tipo di attaccamento
1. Quali sono le situazioni più critiche che determinano la reazione di attaccamento? 2. Come si risolve il momento critico? 3. Per la soluzione è stato necessario l’intervento delle educatrici?
2 StILI DI ALLEVAMEnto
Competenza
Questo laboratorio ha tre diversi obiettivi: afnare il tuo spirito di osservazione, indurti a distinguere tra diversi stili di allevamento, suscitare in te una valutazione del comportamento dell’adulto educante nei confronti del bambino.
Sapere interpretare la realtà
41
SEZIONE B
Defnizione
La relazione educativa
Stile autoritario: Non permissivo. Se il bambino è disobbediente, ribatte o grida nei confronti del genitore, se mostra rabbia verso di lui o resiste all’autorità, immediatamente viene ripreso. L’adulto non ignora e non permette i comportamenti indicati in nessuna circostanza. Può scappare una sculacciata o uno scappellotto. Stile autorevole: L’adulto scoraggia con fermezza i comportamenti indicati in precedenza, ma si aspetterà qualche reazione di rabbia da parte del bambino. Stile moderatamente permissivo: Può intervenire o reprimere qualche volta in rapporto alle circostanze. Stile permissivo: L’adulto non reprime e non sgrida mai il bambino a meno che non stia per colpire qualcuno o fare del male a se stesso.
istruzioni
Scegli un luogo di osservazione che può essere un ristorante, un grande magazzino, l’uscita da una scuola, i giardini pubblici, la strada ecc. Attendi fno a quando hai modo di osservare una situazione confittuale tra bambino e genitore. Dopo averla individuata raccogli tutte le informazioni che puoi avere. Registra su un foglio o su un registratore vocale i comportamenti del bambino e le reazioni dell’adulto. A registrazione avvenuta indica quale dei quattro stili di allevamento sopra riportati defnisce meglio ciò che hai osservato. Se ciò che hai osservato rientra in uno stile diverso da questi quattro, indicalo. Infne, prova a fornire una tua valutazione dei fatti, a esprimere cioè accordo o disapprovazione per l’intervento dell’adulto e motiva la tua scelta. Se ritieni che ciò che hai osservato non rientra in nessuno di questi quattro stili, indicalo e argomenta la tua risposta. Osservazioni e valutazione vanno messe per iscritto e poi consegnate all’insegnante.
42
B
LEGGIAMO 1 GLI ERRORI DEL GENITORE-EDUCATORE
N
on solo Diana Baumrind ma anche altri autori hanno posto al centro del loro interesse di studiosi gli stili educativi. Le analogie confermano la validità delle loro osservazioni. Molti genitori non sembrano adatti al loro ruolo a causa dell’organizzazione di vita della società contemporanea alla quale essi appartengono. Lungi dal poter assicurare al loro fglio un sentimento di sicurezza, essi lo condannano all’inquietudine lasciandogli percepire le proprie ansie e a volte il proprio disaccordo. Spesso essi, al limite della resistenza nervosa, cedono davanti a lui, se non addirittura contro di lui, ad impulsi aggressivi. Giungono allora talvolta a minacciarlo di abbandono, suscitando nel bambino una paura che ne struttura il successivo comportamento interpersonale e ne prepara il disadattamento sociale.
Il bambino “reuccio”
SEZIONE
S EZIONE
B
mente l’avvenire del loro fglio, in quanto non lo allenano a sopportare progressivamente frustrazioni proporzionate alle loro possibilità, né lo aiutano ad acquisire quella nozione di rispetto degli altri che costituisce in parte l’arte del vivere in società e la prima tappa della costruzione del sé. [...] A dire il vero, gli atteggiamenti educativi sono spesso determinati da tendenze personali piuttosto che da una scelta ideologica. Colui il quale ha subìto un’autorità paterna oppressiva decide sovente di lasciare ai propri fgli un’indipendenza totale. Altri, che furono bambini viziati, vorrebbero “raddrizzare” i loro fgli. Si chiede al bambino di vendicare i propri insuccessi, oppure lo si costringe a privazioni e costrizioni simili alle proprie di un tempo nella misura in cui si ritiene che queste abbiano avuto un valore formativo. Ma ognuno cerca sempre di giustifcare più o meno il proprio atteggiamento educativo anche quando questo è ispirato da oscure tendenze.
Contrasta con constatazioni pessimistiche di questo tipo l’afermazione che il bambino è un reuccio nella nostra civiltà. Le famiglie, anche le più povere, spendono infatti molto per il loro bambino: vestiti, giocattoli, vacanze, prolungamento degli studi, ecc. Abbiamo constatato che un tale comportamento rappresenta più spesso il risultato delle sollecitazioni ambientali e della debolezza dei genitori che di un amore oblativo. Il bambino “reuccio” è troppo spesso accontentato nei suoi capricci a qualsiasi costo. Gli adulti cedono ai suoi desideri nella speranza di una tranquillità personale immediata. Genitori che agiscono in questa maniera compromettono però pericolosa-
43
SEZIONE B
La relazione educativa
Quale stile educativo scegliere per i gere anche le piccole sfumature della vita quotidiana ed essi si assicurano l’autorità con i mezzi più propri fgli? Per quanto concerne gli atteggiamenti educativi spesso i genitori pensano di trovarsi di fronte al dilemma: esercitare sul bambino una disciplina autoritaria o, al contrario, lasciarlo il più indipendente possibile.
Atteggiamento autoritario. Può apparire come una sopravvivenza di uno stato di fatto che si tramanda nella famiglia patriarcale quale è esistita in Francia per molti secoli. È in nome di una tale tradizione che alcuni capifamiglia provano ad esercitare sui propri fgli un’autorità assoluta che si prolunga anche oltre l’adolescenza. Ma ai nostri giorni, le tendenze autoritarie dei genitori si manifestano generalmente in maniera molto più insidiosa. Gli adulti sono convinti della loro superiorità sul bambino e non hanno altro obiettivo se non di prendersi cura di lui e di impartirgli valori morali; essi si arrogano il diritto e il dovere di operare in luogo del bambino scelte essenziali per l’orientamento della sua esistenza. Il loro dispotismo può raggiun-
44
diversi, dai più tangibili ai più sottili: proibizioni, raccomandazioni, punizioni, rimproveri, minacce, appello ai buoni sentimenti, ricatti afettivi. Ma il dispotismo dei genitori impone penose frustrazioni al bambino, alle quali egli reagisce con comportamenti e atteggiamenti che strutturano il suo carattere. La stessa situazione impegna diferenti individui in modi essenziali di essere che tendono a forme estreme dissimili: chiusura in se stesso con rinuncia all’iniziativa, oppure tendenza all’afermazione, all’opposizione e all’aggressività. Atteggiamento troppo liberale. Un eccesso di liberalità sembra accordarsi con le strutture democratiche della nostra società. Ma l’atteggiamento sistematico del “lasciar fare” deriva spesso nei genitori dalla difcoltà personale di defnire i propri ruoli e di sostenerli coerentemente. I genitori cedono ad ogni capriccio del bambino per vivere “in pace” o per piacergli e ispirargli afetto perché essi non sono in grado di provare per lui un amore ablativo autentico. Altri vogliono essere liberali per principio, e quindi si sforzano di intervenire il meno possibile nel desiderio di lasciare al bambino una grande indipendenza e la possibilità di svilupparsi secondo la sua natura. Occorre riconoscere che una vera educazione si basa su un sentimento di rispetto per la personalità che si viene sviluppando nel bambino e anche di tolleranza per i suoi gusti individuali. Ma la personalità del bambino è solamente abbozzata, occorre quindi assicurargli delle condizioni di esistenza. Tra queste condizioni è essenziale educarlo a sopportare le frustrazioni. Sono queste esperienze a formare progressivamente il bambino, se sono accordate alle sue forze e vissute in un clima di affetto familiare; la loro assenza compromette permanentemente l’armonia dei rapporti interpersonali. ■ P. Parent, C. Gonnet, Problemi del disadattamento scolastico, Armando Ed., Roma 1973
Le prime relazioni affettive
Unità B1
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’affermazione
giustifca la risposta. a
a volte i genitori possono essere causa di disadattamento sociale dei bambini
v
F
b
Chi ha subito un’educazione paterna oppressiva solitamente è un genitore autoritario
v
F
c
i genitori, di solito, hanno le idee molto chiare su quale stile educativo adottare con v i propri figli
F
▶ Quale tra queste defnizioni è quella giusta? ▶ La scelta educativa autoritaria, ai giorni nostri, è determinata dalla:
□ convinzione degli adulti di essere superiori ai bambini e di operare al posto loro □ tendenza di seguire questo modello per “raddrizzare” i propri fgli □ scelta ideologica che consente la trasmissione dei valori morali tradizionali ▶ enuclea da questa lettura gli errori più frequenti dei genitori di oggi. ▶ Cerca di spiegare con parole tue per quale motivo genitori che furono bambini “vi-
ziati”, con i loro fgli sono invece duri ed esigenti.
LeGGiamo 2 L’INSEGNANTE, L’ALLIEVO, IL GRUPPO: UN INTRECCIO DI RELAZIONI IN CLASSE
I
l legame di attaccamento è stato studiato nei bambini piccoli e nelle loro madri, in realtà i legami di attaccamento riguardano tutte le età della nostra vita.
Il concetto di base sicura e la fducia in se stessi Abbiamo ampie prove del fatto che gli esseri umani di ogni età sono più sereni e in grado di afnare il proprio ingegno per trarne un maggior proftto
45
SEZIONE B
La relazione educativa
se possono confdare nel fatto che al loro fanco ci siano più persone fdate che verranno loro in aiuto in caso di difcoltà. La persona fdata, nota anche come fgura di attaccamento può essere considerata come quella che fornisce la sua compagnia assieme a una base sicura da cui operare. L’esigenza di una fgura di attaccamento come sicura base personale non è in alcun modo limitata ai bambini, anche se, a causa della sua urgenza nei primi anni di vita, è più evidente in quegli anni, e proprio in quegli anni è stata maggiormente studiata. Vi sono buoni motivi per credere, comunque che tale esigenza possa essere riferita anche ad adolescenti e adulti maturi. Certo in questi periodi l’esigenza è in genere meno evidente e probabilmente diferisce sia a seconda del sesso che delle varie fasi della vita.
L’attaccamento degli adulti e gli stereotipi culturali Per tali ragioni e anche per motivi derivanti dalla cultura occidentale, l’esigenza da parte degli adulti di una base sicura tende spesso ad essere trascurata, se non denigrata.[…] Vista in quest’ottica, una personalità sana, a qua-
46
lunque età, rifette per prima cosa la capacità individuale di riconoscere le fgure appropriate, volonterose e capaci di fornire una base sicura e, in secondo luogo, la capacità di collaborare con tali fgure in un rapporto reciprocamente gratifcante. Al contrario, molte forme di personalità disturbata rifettono una “capacità menomata” di individuare fgure appropriate e volonterose e/o una capacità menomata di collaborare in relazioni gratifcanti con tali fgure, una volta trovate. Questa “menomazione” può essere di vario grado ed assumere molte forme, come: l’aggrapparsi ansioso, richieste eccessive o sproporzionate ad età e situazioni, il distacco disimpegnato e l’indipendenza provocatoria. Paradossalmente la personalità sana, se considerata in quest’ottica, non si rivela assolutamente indipendente, come indicano invece gli stereotipi culturali. Gli elementi essenziali sono dati da una capacità di far fduciosamente conto sugli altri quando l’occasione lo richieda è di sapere su chi è giusto far conto. Una persona “sana” dunque è capace di cambiare ruolo se la situazione cambia. In un dato momento essa ofre una base sicura per
Le prime relazioni affettive
l’azione di un suo compagno o dei suoi compagni, mentre in un altro momento è contenta di poter far conto su uno dei suoi compagni che le ofra a sua volta un’analoga base.
Efetti dell’attaccamento […] [possiamo allora] capire perché un sostegno valido e consistente da parte dei genitori, unito a incoraggiamento e rispetto per l’autonomia del bambino, lungi dal distruggere la fducia in se stessi, fornisca le condizioni per un suo migliore sviluppo. E spiegare anche perché, al contrario, un’esperienza di separazione o di perdita, specialmente se usata dai genitori come sanzione disci-
Unità B1
plinare, possa minare la fducia del bambino negli altri e in se stesso e condurre così a una deviazione dallo sviluppo ottimale, alla mancanza di fducia in se stessi, ad angoscia o depressione cronica, a un distacco disimpegnato o a una indipendenza provocatoria che suona falsa. Una fiducia in se stessi ben fondata, possiamo concludere, è di solito il prodotto di una lenta e libera crescita dall’infanzia alla maturità in cui, attraverso l’interazione con persone fidate ed incoraggianti, un individuo impara a combinare la fiducia negli altri con la fiducia in se stesso. ■ J. Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi (cap.VI), Cortina, Milano 1982
Attività ▶ verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’affermazione
giustifca la risposta. a
La figura di attaccamento, come sicura base personale, può essere riferita anche ad v adolescenti e adulti
F
b
il bisogno da parte degli adulti di una figura di attaccamento è spesso trascurata per v gli stereotipi culturali
F
c
il bambino sviluppa fiducia negli altri e in se stesso grazie all’interazione con persone v fidate ed incoraggianti
F
▶ La fgura di attaccamento può essere considerata:
□ come la persona fdata che fornisce la sua compagnia e che dà aiuto in caso di diffcoltà □ un genitore, la mamma o il padre □ una qualsiasi persona che gratifca il bambino ▶ Quali sono gli elementi indispensabili che determinano le condizioni per un migliore
sviluppo del bambino? ▶ Quali potrebbero essere le conseguenze, per il bambino, di un’esperienza di separa-
zione o di perdita della fgura di attaccamento?
47
S EZIONE
B
UNITÀ B2
La scuoLa: un ponte tra famigLia e società La famiglia, come abbiamo visto, svolge un ruolo fondamentale nel favorire una crescita equilibrata, ma non è l’unico fattore che influenza o forma la personalità di un individuo. I “centri” educativi principali sono tre: famiglia, scuola e società. Rispetto alle altre due agenzie educative, la scuola si trova in una posizione strategica, perché fa da ponte tra la famiglia e la società. Per diversi anni, infatti, i ragazzi trascorrono gran parte del loro tempo tra le mura scolastiche. Tale partecipazione alle attività della scuola può consolidare e integrare gli apprendimenti familiari, laddove tra famiglia e scuola c’è un’alleanza sui principi di fondo, e fornire, altresì, una serie di competenze relazionali e sociali, indispensabili all’individuo per poter crescere e vivere in una comunità.
B2.1
Thomas M Perkins. Shutterstock.
I diversi da sé a scuola s’impara a vivere in una comunità, cioè in gruppi ampi, e si ha l’opportunità di incontrare persone diverse, di conoscerle e di interagire con loro. L’ambiente scolastico è il luogo ideale per imparare la tolleranza e il rispetto per chi pensa e agisce diversamente da noi. È il luogo ideale per imparare a confrontarsi con gli altri, esprimendo le proprie opinioni in maniera non violenta, e per sperimentare dal vivo il senso e il valore delle norme sociali e morali. in quei contesti in cui la scuola e la società sono deboli o poco presenti e dove esiste soltanto la famiglia, la vita sociale è diffcile e questo non aiuta i ragazzi a uscire dal bozzolo della famiglia, a muoversi nel mondo, a comprendere man mano la complessità e a padroneggiarla.
La scuola: un ponte tra famiglia e società
AGENZIE EDUCATIVE FONDAMENTALI
FAMIGLIA
Svolge un ruolo fondamentale per la crescita individuale
SOCIETÀ
UNITÀ B2
Ponte fra famiglia e società
Luogo di vita
SCUOLA
Definisce norme e ruoli
Confrontarsi
Si impara
Esprimersi
Si sviluppa un senso di appartenenza
I ragazzi trascorrono molto tempo
Tolleranza
Sperimentare
Senso e valore
Norme sociali e morali
▶ L’importanza della scuola Grazie all’esperienza scolastica i bambini imparano, fn da piccoli, a muoversi anche all’esterno del nucleo familiare. La scuola è preziosa, perché consente a bambini e ragazzi di intrecciare nuove relazioni, di conoscere persone diverse, di ampliare i propri orizzonti, aiutandoli in questo modo ad uscire dal bozzolo protettivo della famiglia e ad emanciparsi. Le scuole telematiche non sono in grado di sostituire la scuola tradizionale: proprio perché non possono ofrire un contesto in cui imparare a vivere insieme. L’esperienza scolastica rappresenta dunque un’opportunità fondamentale per acquisire quegli apprendimenti di base - sia in campo cognitivo sia sociale e relazionale - che si strutturano nel corso dell’età evolutiva. ▶ I bambini insieme alla scuola dell’infanzia L’esperienza della scuola dell’infanzia è fondamentale per il bambino; essa costituisce un microcosmo, immagine dell’universo reale e della vita sociale. Alla scuola dell’infanzia il bambino deve abituarsi a vivere in uno spazio e secondo tempi che non sono identici a quelli di casa sua, può ampliare i suoi orizzonti, imparare a gestire le emozioni in contesti diversi, e arricchirsi sia sul piano cognitivo sia sul terreno dei rapporti sociali. Ad esempio i bambini esuberanti, che a casa propria protestano e si sottraggono alle direttive dei genitori, imparano a seguire le regole comuni, a lavarsi le mani da soli, a rimettere a posto i giocattoli, ad aiutare spontaneamente qualcuno o a buttare la spazzatura negli appositi contenitori. La dimensione condivisa del gruppo dei pari favorisce l’acquisizione di queste e altre abilità, suscitando nei bambini la soddisfazione per quanto, passo dopo passo, s’impara di nuovo. Anche i bambini più restii a rispettare le regole e a partecipare trovano difcile sottrarsi alle attività che svolgono i loro compagni. Come emerge dal caso che segue.
Izabela Habur, Getty Images.
49
SEZIONE B
La relazione educativa
Diego, 4 anni e mezzo, spiega con orgoglio alla sua mamma come quel giorno a mensa abbia servito l’acqua nei bicchieri di tutti i bambini. E di fronte allo stupore della mamma, che non gli ha mai ancora lasciato versare l’acqua nel suo bicchiere per paura che la rovesci in terra e sulla tovaglia, egli racconta soddisfatto: “Era il mio turno. La maestra ci ha insegnato il passo della tartaruga per non versare l’acqua in terra e a contare fno a cinque nel versare l’acqua nel bicchiere”.
La scuola come luogo di vita
B2.2
I ragazzi trascorrono molto tempo tra le mura scolastiche, dove non imparano soltanto i contenuti delle varie materie. Grazie alla frequentazione continua, la scuola diventa per loro un luogo sentito come proprio, verso il quale nutrire un senso di appartenenza (scheda B2.2: Sentirsi bene a scuola). A scuola inoltre, come negli altri luoghi in cui si trascorre molto tempo, i ragazzi sono portati a familiarizzare con le persone che incontrano e a creare legami. Si tratta di un processo naturale che risponde alla tendenza spontanea in ognuno di noi a ricercare il benessere nei luoghi che si frequentano. Bambini e ragazzi generalmente si avvicinano alla scuola con un atteggiamento positivo, animati dalla curiosità e spinti dal desiderio di ampliare progressivamente le loro conoscenze, il loro campo di azione e i loro orizzonti. ▶ Attaccamento e appartenenza Sebbene l’esperienza di alcuni bambini o ragazzi nei confronti della scuola possa essere di rifuto, in linea di massima se l’ambiente scolastico è accogliente e risponde ai bisogni della crescita, rapidamente ciascuno studente tende ad adattarsi e a sviluppare anche un attaccamento nei confronti di quella che viene avvertita come “la propria scuola”. Quando la scuola riesce a ofrire ai ragazzi un ambiente accogliente, vivibile e signifcativo può anche sopperire a talune carenze familiari.
Relazioni orizzontali A scuola è molto importante la relazione con i compagni. I bambini e i ragazzi vanno a scuola anche per incontrarsi con i loro coetanei; a volte questo è il motivo principale, cosicché quando i rapporti sono difcili e confittuali si creano situazioni di disagio, ansia e talvol-
▶
Diego Cervo, Shutterstock.
50
UNITÀ B2
La scuola: un ponte tra famiglia e società
Disagio Diffcili e confittuali
Con i compagni
Ansia Depressione
Rapporti Orizzontali Buoni
SCUOLA
Socializzazione
Clima positivo favorisce
RELAZIONI
Appagamento Verticali
Rapporto asimmetrico
Con gli insegnanti
Valuta Insegnante
Scelte Orienta
Premia
Punisce
Alunni Comportamentali
ta depressione. Se invece le relazioni sono soddisfacenti si crea un clima di condivisione che può aiutare ad afrontare difcoltà e paure e può sostenere il lungo processo verso una sempre maggiore autonomia. Tale clima facilita non solo la socializzazione ma anche l’apprendimento. ▶ Relazioni verticali Tra insegnanti e alunni la relazione è di tipo verticale: il rapporto è asimmetrico in quanto il docente ha un ruolo preciso e deve guidare il processo di crescita, orientando le scelte e i comportamenti degli studenti, condividendo con loro le sue conoscenze, conducendo la classe verso il raggiungimento degli obiettivi formativi. Per quanto possa essere comprensivo e indulgente nei confronti degli alunni, è l’insegnante che valuta, premia e/o punisce, dunque il suo status* è di maggior potere e autorità. ▶
I ruoli A seconda della posizione che un individuo occupa nella so-
cietà, ci attendiamo da lui determinati comportamenti. Per esempio da un insegnante ci aspettiamo che sia in grado di gestire una classe, di guidare le attività formative, di spiegare, di relazionarsi con gli alunni in modo “umano” ed equilibrato. Ci aspettiamo che arrivi puntuale e che svolga tutte le adempienze che il suo status richiede (correggere le verifche, segnare le assenze ecc.). Per ruolo si intendono appunto le aspettative di comportamento nei riguardi di chi occupa una certa posizione sociale. Da parte sua anche l’insegnante ha delle aspettative nei confronti dei ragazzi. Gli alunni devono arrivare a scuola puntuali, rispettare le regole, seguire le attività, partecipare alle proposte formative… Pure gli studenti dunque hanno uno status e rivestono un ruolo ben preciso.
Momentimages, Getty Images.
status nel linguaggio psicologico e sociologico, la posizione che un individuo occupa nella società.
51
*
SEZIONE B
La relazione educativa
sCHeDA B2.1 VitA Con i CoetAnei
Nella fanciullezza il gruppo dei coetanei assolve a varie funzioni. L’appartenenza a un gruppo non offre soltanto amicizie e opportunità di divertimento, ma anche senso di orgoglio e status sociale. Coloro che fanno parte di gruppi o bande giovanili condividono sistemi morali e di comportamento che servono a dare coesione e identità. Il bambino nel gruppo dei pari si può confrontare con persone che hanno la sua età e quindi condividono con lui medesimi problemi, esperienze ed emozioni. Psicologi e psichiatri hanno fornito prove convincenti a favore della tesi secondo la quale il confronto sociale è necessario per lo sviluppo della propria identità. Frequentando i coetanei, il bambino entra in contatto con abitudini familiari diverse, assume una visione più realistica di sé ed elabora strategie sociali, rendendosi gradualmente sempre più autonomo dagli adulti. Il fatto di condividere problemi e diffcoltà con persone della stessa età, può risultare rassicurante. Ad esempio, scoprire che anche i compagni entrano in confitto di tanto in tanto con i genitori, può aiutare a diminuire le tensioni e i sensi di colpa. Inoltre i bambini “viziati”, abituati a veder soddisfatto ogni loro desiderio, nell’interazione con i coetanei trovano un limite alle loro pretese e imparano che anche gli altri hanno delle esigenze che vanno rispettate. Tuttavia la vita con i coetanei non è sempre facile. Nel gruppo si può anche sperimentare di non essere accettati o non trovare un clima amichevole. Tra coetanei ci possono essere anche scontri e discriminazioni, come accade nel fenomeno del bullismo (B5).
GRUPPO DEI PARI Problemi
APPARTENENZA STATUS SOCIALE
CONDIVISIONE ORGOGLIO
Speranze Emozioni
▶ i confitti di ruolo Poiché nella società ognuno di noi occupa più posizioni (può essere studente e, a un tempo amico, fratello, cittadino) talvolta si possono creare dei confitti di ruolo, poiché posizioni diverse possono richiedere comportamenti diferenti e persino opposti. Prendiamo il caso di Arianna: una compagna, di cui è molto amica, le chiede di poter copiare il compito di matematica. Arianna può essere combattuta tra il ruolo di studente, che le richiede onestà e rispetto delle regole, e il ruolo di amica, per il quale deve aiutare e sostenere la sua compagna. Nella vita degli adulti, una mamma che lavora potrà essere combattuta tra il desiderio e la necessità di stare vicino al fglio e i suoi doveri professionali che la tengono lontana da lui. Risolvere i confitti di ruolo non è sempre facile e può richiedere una mediazione tra diverse esigenze o può vedere prevalere il ruolo che ha maggiore rilevanza nell’immagine che la persona ha di sé.
Momentimages, Getty Images.
52
La scuola: un ponte tra famiglia e società
▶
UNITÀ B2
i ruoli fssi All’interno della classe e delle relazioni tra i compagni si
possono individuare inoltre diversi ruoli, basati sull’immagine che il gruppo si fa del singolo. Ci sarà allora chi impersona il simpaticone, chi il coraggioso o, al contrario, il pauroso, chi il secchione, chi il lavativo… Ciò comporta il rischio che il ragazzo si trovi imprigionato in un ruolo fsso, etichettato in modo rigido. In questo caso egli si sentirà allora in dovere di essere sempre sarcastico o bullo perché questo si aspettano gli altri da lui, oppure di ottenere sempre voti alti per dimostrare che è il più bravo, oppure si lascerà condizionare dall’idea che è pauroso perché gli altri così pensano di lui. L’insegnante ha una funzione importante nell’evitare che si creino tali ruoli fssi e immagini stereotipate, ofrendo allo studente diverse opportunità per esprimere anche altri aspetti della personalità e stimolando la collaborazione reciproca.
RUOLI SI DEFINISCONO
IN BASE ALL’IMMAGINE
Del singolo all’interno del gruppo
Si sente in dovere di fare ciò che gli altri si aspettano da lui
INSEGNANTE
DEVE EVITARE LA FORMAZIONE DI
Rischio
Essere etichettato in modo rigido
Ruoli fssi Immagini stereotipate
▶ imparare a collaborare La collaborazione favorisce la conoscenza reciproca e l’attitudine a lavorare con gli altri, elemento fondamentale per la vita sociale. Ci sono forme di didattica (ricerche di gruppo, giornalino di classe ecc.) che favoriscono la collaborazione. Sport di gruppo, teatro, gite, musica in orchestra sono altre attività “facilitatrici”. Ci sono studi che dimostrano come il suonare in gruppo riduca drasticamente gli episodi di bullismo. I musicisti devono coordinarsi per eseguire un pezzo, imparano così ad apprezzare i reciproci sforzi e a impegnarsi per un buon risultato. Quando l’attenzione è rivolta al risultato, gli egoismi personali e il bisogno di primeggiare si riducono notevolmente. Infne, un ulteriore fattore importante collegato ai precedenti è il sentimento di efcacia collettiva; esso emerge, per esempio quando tutti insieme gli alunni rifettono sui risultati raggiunti dalla classe nel corso dell’anno. L’aver fatto un buon lavoro non solo come singoli ma anche come gruppo è motivo di orgoglio e di soddisfazione.
SuperStock, Getty Images.
53
SEZIONE B
La relazione educativa
COLLABORAZIONE
Conoscenza reciproca
FAVORISCE
Attitudine a lavorare con gli altri
ATTENZIONE SI CONCENTRA
Sul risultato
Si riducono
Egoismi personali Bisogno di primeggiare
Sentimento di effcacia collettiva
Risultati raggiunti dalla classe
SCHEDA B2.2 Uno dei compiti della scuola è proprio quello di educare alla convivenza. Affnché ciò sia possibile è necessario che essa sia, per chi la frequenta, un luogo di vita anziché un non luogo, vissuto come una costrizione e percepito come estraneo, dove si va per obbligo. Quali caratteristiche dovrebbe avere la scuola per essere apprezzata come luogo di vita e per offrire uno spazio di reale condivisione? Vediamole in dettaglio qui di seguito:
SENTIRSI BENE A SCUOLA
Appartenenza Lo spazio scolastico è sentito come proprio. C’è un sentimento di appartenenza individuale e collettivo. In rapporto a questo luogo l’alunno, ragazza o ragazzo, sente di avere diritti e doveri. Totalità Vivere insieme signifca che la persona è considerata nella sua totalità. Se soltanto una parte di me è coinvolta, non sento di appartenere a un “luogo”. Se a scuola sono soltanto uno scolaro e non anche una persona con la sua individualità e la sua storia, la vita vera viene lasciata fuori dalle mura scolastiche. Conoscersi e riconoscersi Si possono provare dei sentimenti gli uni per gli altri, di affnità, di differenza, di collaborazione, di tolleranza; l’opposizione e/o il confitto non si trasformano in intolleranza. Vale a dire, che a scuola ci si conosce uno per uno e non ci si sente anonimi né Non è suffciente svolgere delle attività in gruppo, bisogna che questo stare insieme duri nel tempo. All’idea di luogo di vita è associata quella di un percorso di vita insieme, anche se non ci sono limiti di tempo precisi, l’unità di tempo di un tale percorso è l’anno scolastico. Qualcosa che dia senso all’esistenza La scuola diventa luogo di vita se, oltre a dare un’istruzione consente a tutti coloro che la frequentano di vivere insieme e di sentirsi parte attiva in una comunità.
Duane Rieder, Getty Images.
54
La scuola: un ponte tra famiglia e società
UNITÀ B2
L’alleanza educativa tra scuola e famiglia
B2.3
La scuola può sviluppare l’autostima degli studenti e rispondere al loro forte bisogno di riconoscimento. Spesso però chi va male a scuola non trova questo riconoscimento e deve cercarlo in altri ambiti. Talvolta l’insuccesso scolastico si esprime attraverso comportamenti trasgressivi e devianti.
▶
Interesse e collaborazione dei genitori A partire dagli anni Ses-
santa in poi sono state svolte molte ricerche sull’insuccesso scolastico e sulle cosiddette pedagogie di compensazione per il recupero degli alunni di famiglie e ambienti sociali svantaggiati. Esse hanno dimostrato che se i genitori si disinteressano e non partecipano ai programmi di sviluppo e di recupero dei loro fgli, l’azione formativa della scuola diventa difcile. I risultati di queste ricerche hanno evidenziato che per il bene degli alunni i genitori devono essere dei partner attivi e collaborativi degli insegnanti. Bisogna quindi trovare il modo per comunicare e collaborare, vincendo le resistenze e le difdenze che a volte esistono tra genitori e insegnanti.
Syda Productions, Shutterstock.
▶ Come la scuola può coinvolgere i genitori Oggi i genitori partecipano alla vita scolastica attraverso gli organi collegiali e hanno diverse occasioni di incontro con i docenti e con la scuola. Uno strumento a disposizione di tutti per conoscere le varie organizzazioni scolastiche è il POF, il piano dell’oferta formativa, in cui sono specifcati programmi, discipline, attività, fnalità educative e culturali della scuola. Molte scuole sono presenti in internet, consentendo un aggiornamento costante delle informazioni e una comunicazione più immediata con le famiglie. Spesso le istituzioni scolastiche organizzano per insegnanti e genitori conferenze-dibattiti tenute da esperti esterni su tematiche psicopedagogiche e su temi legati allo sviluppo. Inoltre feste, recite, pranzi e altre attività a carattere ricreativo hanno da sempre la funzione di far incontrare insegnanti, alunni e genitori in contesti gradevoli, che favoriscono la comunicazione e la conoscenza reciproca.
55
SEZIONE B
SCHEDA B2.3 ADOLESCENZA, IDENTITÀ DI GENERE E AMICIZIE
La relazione educativa
L’adolescenza è un’età di grandi trasformazioni. Durante questo periodo i ragazzi affrontano una serie di cambiamenti a diversi livelli - sessuale, cognitivo, emotivo, sentimentale. Si cambiano gusti e interessi; si potenzia il pensiero astratto e avvengono importanti trasformazioni sul piano fsico. Le trasformazioni fsiche in particolare incidono sulla percezione di sé e sul modo in cui ci si relaziona agli altri. Si prende consapevolezza di avere un aspetto sempre meno infantile, e ci si sente guardati diversamente. L’adolescente si guarda allo specchio proprio per capire verso quali forme il proprio corpo sta evolvendo; spesso non accetta il suo aspetto fsico, si sente brutto, grasso, magro, goffo, comunque non all’altezza dei requisiti propagandati dai media e attraverso la pubblicità. Maschi e femmine: due mondi separati? È sorprendente come nel giro di due/tre anni i gusti possano cambiare e gli adolescenti comincino a sviluppare nuovi interessi e ad abbandonare quelli precedenti. Si evidenziano anche delle differenze rispetto all’appartenenza di genere. Molte ragazzine sono attente ai messaggi che provengono dal mondo della moda, dalle star del cinema e della musica leggera, dalla tv e anche da giornali e giornaletti a loro indirizzati. Spinte dalle molte sollecitazioni che le circondano, possono truccarsi e indossare abiti che le fanno sembrare più adulte. Queste “lolite” stanno recitando una parte, in genere per se stesse e per le amiche. Per quanto riguarda i maschi - sia Milenko Bokan, Getty Images. pure con molte eccezioni - un grosso interesse, nel tempo libero, va ai videogiochi, alle attività sportive, alla musica e alle tecnologie. Diminuisce invece, sensibilmente, l’interesse per la tv da cui i ragazzi mostrano un distacco progressivo. A differenza delle loro coetanee, ai flm sentimentali i maschi preferiscono i flm d’azione. È bene sapere che i gusti e le preferenze, che maschi e femmine mostrano in questa prima fase dell’adolescenza, non sono affatto defnitivi. SI DISTACCA DAI GENITORI
Autonomia t t t t t t t
ADOLESCENTE SI AVVICINA AGLI AMICI
Condivisione
entusiasmi scoperte aspirazioni ideali problemi dubbi diffcoltà
Realizza attività comuni
Regole Per misurarsi
Trasgressioni Atti positivi
Divieti
“Riti”
Uscite notturne Danze collettive Piercing
56
La scuola: un ponte tra famiglia e società
unità B2
L’alter ego che aiuta a crescere Amici e coetanei sono molto importanti in anni in cui si deve dire addio all’infanzia, “svincolarsi” dai genitori, trovare se stessi e darsi una identità nuova, consona alle trasformazioni fsiche e psicologiche in corso. Gli amici sono il nuovo bozzolo protettivo nel momento in cui si incomincia a distanziarsi da mamma e papà. Nell’amico o nell’amica del cuore (dello stesso sesso), un adolescente di 12-16 anni trova un alter-ego: un altro se stesso con cui condividere entusiasmi, scoperte, aspirazioni, ideali ma anche problemi, dubbi e diffcoltà. In due ci sente più forti, si osa di più, è più facile affrontare il mondo. Nel gruppo dei pari allargato, ragazzi e ragazze si confrontano con gli altri attraverso la realizzazione di attività comuni. Queste attività sono anche l’occasione per misurarsi con i divieti e le regole sociali attraverso una serie di trasgressioni, di atti oppositivi e anche di “riti” che accomunano i giovani tra loro (abiti, piercing, uscite notturne, musiche ascoltate in gruppo, danze collettive ecc.), e così facendo preparano la ragazza o il ragazzo a uscire dall’infanzia.
L’approccio umanista
B2.4
L’approccio umanista, sviluppatosi agli inizi degli anni settanta del novecento sulla costa californiana degli stati uniti, ha dato un importante contributo alla rifessione sulla funzione della scuola per la crescita dell’individuo. Questo approccio è defnito umanista perché centrato sulla fducia nelle possibilità di sviluppo di tutti gli esseri umani, dal momento che essi hanno la libertà di scegliere il proprio destino. si tratta di un punto di vista ottimista della natura umana, che in psicologia si accompagna a una terapia centrata sulla persona e sulle sue potenzialità di autocomprensione e di realizzazione di sé.
Una spinta innata Secondo il caposcuola Carl Rogers (1902-1987) tutti gli individui possiedono una spinta innata a realizzarsi pienamente e dispongono di energie intrinseche per realizzare le proprie potenzialità. Tuttavia, l’educazione e le norme fssate dalla società obbligano, in modo più o meno costrittivo a seconda dell’ambiente in cui si cresce, a dimenticare i propri sentimenti o bisogni particolari per accettare i valori imposti dalla collettività.
▶
Image Source, Shutterstock.
57
La relazione educativa
SEZIONE B
FIDUCIA NELLO SVILUPPO APPROCCIO UMANISTA
CARL ROGERS
Persone
Visione ottimista della natura umana
Perché possano scegliere il loro destino
Tutti hanno una spinta umana
A realizzare le proprie potenzialità
Rogers sostiene che questa situazione forzi la personalità a svilupparsi in un modo del tutto diferente da quello che dovrebbe avvenire idealmente e proprio a partire da questo divario secondo lo psicologo hanno origine le insoddisfazioni, i problemi psicologici e i disturbi del comportamento che afiggono un gran numero di persone. Ognuno di noi è dunque impegnato a trovare una mediazione accettabile tra due opposte esigenze. EDUCAZIONE
NORME Insoddisfazioni
SOCIETÀ
Costringono le persone
CONSEGUENZE
A svilupparsi in base al loro ambiente
Problemi psicologici Disturbi comportamento
Abraham Maslow, uno psicologo umanista vissuto tra il 1908 e il 1970, avanza l’ipotesi secondo cui, per ragioni simili a quelle evocate da Rogers, le persone sono spesso talmente impegnate a soddisfare i bisogni primari (o di base) da non riuscire a soddisfare i bisogni superiori, come la stima o la realizzazione di sé. Impegnate a soddisfare i bisogni primari
ABRAHAM MASLOW
PERSONE Non riescono a soddisfare i bisogni superiori
Maksim Shmeljov, Shutterstock.
58
La scuola: un ponte tra famiglia e società
UNITÀ B2
SCHEDA B2.4
L’approccio umanista pone essenzialmente l’accento sull’esperienza personale. Secondo questo approccio l’individuo è infatti capace di autovalutarsi e di trovare da solo il cammino del proprio sviluppo. Sulla base di queste premesse è scaturito un approccio terapeutico centrato sulla persona. Esso parte dall’assunto che l’individuo che cerca un aiuto nella terapia non deve essere considerato “malato”; egli è semplicemente una persona che cerca di comprendere le proprie diffcoltà e di superarle mettendo in campo le proprie risorse. Dal canto suo il terapeuta non può essere considerato un esperto che formula diagnosi e interpretazioni, quanto piuttosto un partner del cliente (non “paziente”) nell’accompagnarlo alla scoperta delle proprie risorse, nell’impossessarsene e diventare autonomo. Compito del terapeuta è sollecitare il cliente a prendere coscienza della sua vera personalità.
L’APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA
Autovalutazione
APPROCCIO TEORICO
Esperienza personale
CENTRATO SULLA PERSONA APPROCCIO TERAPEUTICO
Individuo
▶
Cerca di comprendere proprie diffcoltà Supera le diffcoltà con le proprie risorse
Terapeuta
Aiuta il cliente a prendere coscienza di sé
Autonomia nello sviluppo
(autonomia) t no paziente t sì cliente (non è un malato)
La scuola centrata sullo studente Secondo Rogers, anche la scuo-
la deve essere centrata sulla persona, quindi sui bisogni e sulle caratteristiche dello studente. La scuola ha una funzione basilare che non consiste soltanto nella trasmissione di conoscenze, ma anche nell’aiutare gli studenti a realizzarsi (diventare persone), a diventare autonomi, a imparare a cooperare con gli altri e agire responsabilmente nel mondo. L’insegnante deve quindi aiutare i ragazzi a riconoscere le proprie capacità e a esprimere le proprie potenzialità.
ROGERS
SCUOLA
Centrata sulla persona (studente)
Aiuta lo studente a realizzare
59
Le proprie capacità Le proprie potenzialità
S EZIONE
S EZIONE
B
B
RIASSUMIAMO
VIVERE INSIEME AGLI ALTRI L’esperienza scolastica è importante perché permette ai bambini di confrontarsi con altri, diversi da sé, di intrecciare nuove relazioni, di uscire dal bozzolo protettivo della famiglia. Il bambino, a partire
dalla scuola dell’infanzia, impara, nel contesto scolastico, a seguire le regole comuni e acquisisce nuove competenze che lo arricchiscono sul piano cognitivo e dei rapporti sociali. Pressmaster, Shutterstock.
LA SCUOLA COME LUOGO DI VITA A scuola si trascorre molto tempo, si creano legami di simpatia e collaborazione con i compagni e con gli insegnanti; si sviluppa nel tempo un senso di appartenenza alla comunità scolastica. Tra i pari (i coetanei) le relazioni sono di tipo orizzontale, e possono portare a un clima positivo di condivisione o,
talvolta, a un clima di confittualità che genera disagio. Con i docenti le relazioni sono di tipo verticale: lo status del docente è di maggior potere e autorità. In tale contesto lo studente sviluppa strategie sociali e gradualmente impara a rendersi più autonomo dagli adulti. Vitalinka, Shutterstock.
I RUOLI Il ruolo riguarda le aspettative di comportamento nei confronti di chi occupa una certa posizione sociale. I confitti di ruolo si presen-
60
tano quando, occupando diverse posizioni sociali, bisogna scegliere tra due comportamenti opposti, richiesti da due ruoli diversi (es. la
La scuola: un ponte tra famiglia e società
donna casalinga e in carriera). Spesso all’interno della classe si creano dei ruoli fssi, per cui un ragazzo è etichettato in un certo modo (es. il secchione, il simpaticone, il timido…). L’insegnante deve aiutare la classe a superare le immagini stereotipate e stimolare
UNITÀ B2
gli studenti a esprimere i diversi aspetti del proprio sé. Il lavoro di gruppo e l’abitudine alla collaborazione favoriscono la conoscenza reciproca, lo sforzo comune verso un obiettivo e l’apprezzamento per i reciproci sforzi.
Jerome Tisne, Getty Images
L’ALLEANZA EDUCATIVA TRA SCUOLA E FAMIGLIA Famiglia e scuola devono collaborare per aiutare lo studente a sviluppare le sue potenzialità. Se i genitori si disinteressano e non partecipano ai programmi di sviluppo e di recupero dei loro fgli,
l’azione formativa della scuola diventa difcile. Oggi sono molteplici le forme di interazione tra genitori e docenti (partecipazione agli organi collegiali, colloqui, comunicazioni online, dibattiti, feste). Zoom Team, Shutterstock.
LA SCUOLA SECONDO LE TEORIE UMANISTE L’approccio umanista, nato negli anni Settanta del Novecento in California, sottolinea le possibilità di sviluppo per tutti gli esseri umani. Carl Rogers ritiene che sia ritrovabile in tutti gli individui una spinta innata verso la realizzazione delle proprie potenzialità, limitata però da ambiente e costrizioni sociali. Maslow sottolinea come spesso le persone siano così impegnate a svi-
luppare i bisogni primari da non riuscire a soddisfare quelli superiori, come la realizzazione di sé. L’idea di scuola che scaturisce da queste premesse si fonda sulla centralità dello studente, ovvero sull’attenzione verso i suoi bisogni e le sue caratteristiche: la fnalità è quella di aiutare gli alunni a realizzarsi come persone, a diventare autonomi e agire responsabilmente nel mondo. Paul Klee, Senecio, 1922.
61
S EZIONE
S EZIO
B
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
B
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
L’apprendimento che si acquisisce a scuola è soltanto di tipo cognitivo
V
F
b
Anche gli studenti, come gli insegnanti, hanno uno status e un ruolo
V
F
c
A scuola nel gruppo dei pari è più facile imparare a seguire le regole
V
F
d
Alcuni studi dimostrano come il suonare in gruppo riduca considerevolmente gli episodi di bullismo
V
F
e
Gli insuccessi scolastici possono essere causa di comportamenti trasgressivi e devianti da parte degli studenti perché l’autostima si riduce
V
F
f
Secondo Rogers tutte le persone hanno una spinta innata a realizzarsi pienamente
V
F
g
Secondo Maslow le persone spesso non riescono a soddisfare i bisogni superiori, perché impegnati a soddisfare i bisogni primari
V
F
1 Le scuole telematiche:
Competenza Acquisire le informazioni
□ non ofrono un contesto in cui si può imparare a vivere insieme □ possono sostituire le scuole tradizionali perché hanno sviluppato, grazie a internet, sistemi di apprendimento molto efcaci □ sono un valido sistema formativo/istruttivo tipico della società tecnologica
2 Quando si trascorre molto tempo in un luogo: □ si tende a sentirlo come proprio e a sviluppare un senso di appartenenza □ c’è il rischio di annoiarsi □ c’è il rischio di percepirlo come ostile
3 Il POF è un documento dove sono specifcati: □ il Prospetto Organizzativo e Formativo della scuola □ i programmi, le discipline, le attività, le fnalità educative e culturali della scuola □ la programmazione disciplinare della scuola e la formazione dei docenti
4 Le ricerche hanno dimostrato che la scuola è più efcace se i genitori: □ non interferiscono nell’azione del docente, perché non hanno le competenze
62
La scuola: un ponte tra famiglia e società
UNITÀ B2
□ si interessano e partecipano allo sviluppo dell’azione formativa della scuola □ contribuiscono economicamente con donazioni di denaro
5 Le insoddisfazioni, i problemi psicologici e i disturbi del comportamento secondo Rogers sopravvengono: □ perché la personalità degli individui si sviluppa in un modo del tutto diferente da quello che dovrebbe avvenire idealmente □ per un difetto di apprendimento e per le risposte errate dell’individuo nei confronti dell’ambiente circostante □ per le risposte emotive inappropriate rispetto agli stimoli esterni
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: atten-
Competenza
zione! Alcuni sono in più!
Sapere usare il lessico della disciplina
La famiglia, come abbiamo visto, svolge un ruolo fondamentale nel favorire una crescita equilibrata, ma non è l’unico fattore che infuenza o forma la personalità di un individuo. I “centri” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . principali sono tre: famiglia, scuola e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rispetto alle altre due agenzie educative, la scuola si trova in una posizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., perché fa da ponte tra la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e la società. Per diversi anni, infatti, i ragazzi trascorrono gran parte del loro tempo tra le mura scolastiche. Tale partecipazione alle attività della scuola può contribuire a consolidare e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . gli apprendimenti familiari, laddove tra famiglia e scuola c’è un’alleanza sui principi di fondo; e fornire, altresì, una serie di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . relazionali e sociali, indispensabili all’individuo per poter crescere e vivere in una . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dinamica - strategica - famiglia - scuola - società - comunità - generosità - competenze integrare - confontarsi - educativi - sperimentare
1 Elenca le caratteristiche che deve avere la scuola per essere percepi-
Competenza
ta come “luogo di vita” dagli alunni: 1 2 3
Acquisire e interpretare le informazioni
............................................................................... ............................................................................... ...............................................................................
2 Per quali motivi è importante che scuola e famiglia siano “alleate”? 3 Qual è il ruolo della scuola per la crescita individuale? 4 L’approccio umanista è un orientamento terapeutico centrato sulla persona. Che cosa signifca?
63
S EZIONE
B
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 ChE CLIMA REgnA In CLASSE?
Competenza
Per valutare il clima che regna in una classe scolastica, puoi invitare tutti gli alunni a riempire il questionario che segue e che tu (insieme ai tuoi compagni) puoi riprodurre e fotocopiare nelle copie necessarie. Naturalmente, d’accordo con l’insegnante, puoi somministrare il questionario anche nella tua classe.
Sapere interpretare la realtà
Questionario
Istruzioni
Sei invitato a riempire questo questionario molto liberamente. Valuta ognuna delle frasi che seguono da 0 a 4 (0 = per nulla; 4 = molto); • ( ) Mi sento bene nella mia classe • ( ) Ho la sensazione che formiamo un gruppo afatato • ( ) Nella nostra classe c’è molta solidarietà • ( ) Ci sappiamo ascoltare a vicenda • ( ) Nella nostra classe regna un clima di tolleranza • ( ) C’è una buona intesa con gli insegnanti • ( ) Siamo in molti in questa classe a pensare con ansia all’avvenire Ciò che mi piace della mia classe è
............................................................
Ciò che non mi piace della mia classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Perché una classe funzioni bene ci vogliono alcune regole: Si ( ) . . . . . . . . . . . . No ( )
............
Non so ( )
................
Se hai risposto “sì”, indica le regole che per te sono essenziali per il buon funzionamento della classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ......................................................................................................... .........................................................................................................
Quali caratteristiche deve avere per te un buon insegnante? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sesso M ( ) . . . . . . . . . . . . F ( ) . . . . . . . . . . . . Scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (di colui o colei che ha risposto al questionario) Firma di chi ha somministrato il questionario
64
La scuola: un ponte tra famiglia e società
UNITÀ B2
Dopo avere applicato e raccolto i questionari elabora, con l’insegnante e i compagni, alcune tabelle riassuntive. Quindi partecipa alla discussione in gruppo sui risultati, nella loro globalità e su alcune risposte signifcative in particolare.
Importante: L’applicazione dei questionari deve avvenire in un ambiente tranquillo. Coloro che rispondono devono essere un po’ distanziati gli uni dagli altri. La grafa di chi scrive deve essere comprensibile. È opportuno che rispondano ai quesiti soltanto coloro che prendono il compito sul serio.
Competenza
2 AnSIA SOCIALE
Sapere interpretare la realtà
Temiamo eventi fsici come le malattie, il terremoto, le alluvioni ecc. ma temiamo anche il giudizio e le valutazioni dei nostri simili. Quest’ultimo tipo di timore è defnito “ansia sociale”. Negli anni della preadolescenza e dell’adolescenza si vivono spesso stati di intensa timidezza o imbarazzo soprattutto in situazioni sociali come parlare in pubblico, sentirsi guardati, ricevere apprezzamenti sul fsico o lodi, essere al centro dell’attenzione, non sapere che cosa dire o come comportarsi in situazioni ufciali e non ufciali, essere interrogati, sentirsi a disagio per come si è vestiti, fare una brutta fgura, parlare di questioni sessuali o sentimentali ecc.
Defnizione
1. Organizza un’inchiesta nella tua classe o in altre classi, sottoponendo questa scheda ai ragazzi e alle ragazze che accettano di rispondere alle domande:
istruzioni
Questionario anonimo Ci sono delle situazioni particolari o delle persone che hanno su di te un efetto inibente? Sì ( ) . . . . . . . . . . . . No ( )
............
• Se hai risposto “Sì”, indicane fno a 3, tra le più inibenti per te: 1° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3° . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Ogni ragazzo deve avere una scheda con il questionario. 3. Chiedi di riempire la scheda senza consultare nessuno. Lascia a ognuno il tempo necessario per rispondere. 4. Dopo che hai raccolto le schede compilate, forma due gruppi separati tra chi ha risposto “Sì” alla prima domanda e chi ha risposto “No” 5. Calcola le percentuali dei “Sì” e dei “No”. 6. Prendi le schede dei “Sì” ed esamina le risposte.
65
SEZIONE B
La relazione educativa
7. Inserisci le risposte in categorie che avrai formato dopo uno sguardo attento a tutte le risposte. 8. Calcola quante risposte sono state date per ogni categoria. 9. Terminato il conteggio e fatte le percentuali avrai un’idea delle situazioni più inibenti. Età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . Classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sesso M ( ) . . . . . . . . . . . . F ( ) . . . . . . . . . . . .
...........................
Nota: Meglio se questo lavoro lo svolgete in gruppo dopo aver suddiviso i compiti. Lavorando in gruppo potete raccogliere un maggior numero di schede e quindi ottenere dei valori più signifcativi. Le categorie (punto 7) vengono stabilite insieme valutando quali risposte inserire nella stessa categoria.
66
B
LEGGIAMO 1 IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA
S
i è soliti dire che dopo le vacanze estive non è facile riprendere la scuola, ma si tratta più di uno stereotipo che della realtà Per un insegnante “anziano” il primo giorno di scuola può rappresentare una routine. Non è così per gli alunni. Anche quando non si tratta del primo in assoluto - cioè quello mitico della prima elementare! -, il primo giorno di scuola, alla ripresa dopo le vacanze estive, è per i bambini un giorno speciale, con una sua connotazione molto particolare e in linea di massima positiva. Essi sentono che è fnito un periodo dell’anno, quello delle vacanze, e che sta iniziando un altro periodo completamente diverso dal punto di vista degli orari e dell’impegno. Possono lamentarsi con i genitori e con i compagni, non sentirsi ancora pronti per entrare a pieno ritmo negli orari della scuola, ciò però non signifca che non provino anche piacere nel ritrovare gli amici, i vecchi insegnanti e molta curiosità nei confronti delle novità che ofre la riapertura della scuola. In ogni caso, per aspetti più o meno rilevanti, la classe è diversa da quella dell’anno precedente. Loro, gli alunni, sono più grandi. Dovranno misurarsi con tematiche nuove e qualche volta anche nuovi insegnanti.
Curiosità e clima favorevole Questo insieme di novità genera curiosità e la curiosità crea, per sua natura, un clima favorevole. Che posto occuperanno nei banchi, quest’anno? Che cosa verrà loro detto e proposto di fare? Bisogna saper sfruttare al meglio il clima favorevole creato dal primo giorno di scuola. È importante che l’in-
SEZIONE
S EZIONE
B
segnante (o il gruppo degli insegnanti) mostri di essere contento/a di ritrovare i propri alunni. Nel caso in cui invece sia la prima volta che li incontra, esordirà scrivendo il proprio nome sulla lavagna, si presenterà e mostrerà nel tono di voce e negli atteggiamenti di essere interessato a fare la loro conoscenza. Uno per uno, a loro volta, i bambini si presenteranno col loro nome. Nome che l’insegnante farà bene ad apprendere rapidamente.
La prima impressione è quella che conta! Questo passaggio è importante perché, sebbene amino sentirsi parte del gruppo classe e anche mimetizzarsi in esso, i bambini hanno al tempo stesso l’esigenza, come d’altro canto anche noi adulti, di essere riconosciuti come entità separate e trattati come persone individuali e diverse. Quando l’insegnante è del tutto nuovo per la classe e viceversa, la prima impressione è cruciale nel disporre favorevolmente gli alunni. Bisogna quindi stare attenti a non sprecare questa opportunità. Nella prima impressione rientrano tante cose: il linguaggio, il tono della voce, l’aspetto fsico, la mimica, la buona o la cattiva disposizione nei confronti degli alunni e del proprio lavoro, gli atteggiamenti, la partecipazione, l’entusiasmo. I bambini sono molto sensibili agli umori dei loro insegnanti e si sentono istintivamente attratti da quelli che percepiscono come gentili, ottimisti, attivi. I rapporti in classe non si verifcano soltanto nella direzione insegnanti-alunni e viceversa, ma anche tra gli alunni stessi. 67
SEZIONE B
La relazione educativa
I bambini vanno a scuola non solo per apprendere e studiare ma anche per incontrarsi tra loro, conoscersi, fare amicizia, coltivare delle relazioni sociali. Se non si conoscono ancora o in classe c’è qualche bambino nuovo che non c’era l’anno precedente, uno dei compiti dell’insegnante sarà quello di creare le condizioni afnché i bambini facciano conoscenza presentandosi a vicenda. Bisogna evitare che qualcuno si senta “estraneo” o marginale al gruppo classe. Un metodo collaudato ed efcace per raggiungere questo obiettivo consiste nel formare un grande cerchio e poi chiedere a ogni bambino di dire il proprio nome, di indicare i propri amici, di raccontare qualcosa di divertente che può avere fatto nei mesi estivi, di parlare di un libro che ha letto e così via. Non ci sono regole fsse, ogni insegnante (o più insegnanti insieme) deve trovare il modo di realizzare questo scambio iniziale tenendo conto delle esigenze specifche e del contesto. L’importante è che i “vecchi” riprendano i rapporti, i “nuovi” si sentano accolti e tutti quanti siano raggiunti dal messaggio che la classe è una comunità dove si hanno pari diritti e pari collocazione, dove si è riconosciuti e accettati anche se si è diversi dagli altri per lingua, abitudini di vita e provenienza geografca.
I bambini sono molto sensibili all’attenzione e al trattamento che gli insegnanti riservano ai nuovi arrivati: più sono piccoli più sono inclini a specchiarsi nei loro atteggiamenti e a farli propri.
Progettare l’attività didattica Dopo aver creato un clima accogliente e amichevole, l’insegnante può, fn dal primo giorno, parlare di ciò che la classe farà nei giorni successivi o nelle settimane seguenti. Questo serve agli alunni per introdursi nelle attività scolastiche, ma non solo. Apprendere che l’insegnante ha un piano di lavoro trasmette un senso di sicurezza e di fducia, anche se qualcuno potrà magari dare segni di impazienza. I ragazzi fanno la loro parte (spesso “devono” recitare per i compagni...). L’insegnante fa la sua, di parte. L’improvvisazione può andar bene qualche volta, in linea di massima però gli interventi del docente devono essere strutturati e pianifcati in anticipo. A seconda della classe in cui si trova - se per esempio gli alunni sono gli stessi dell’anno passato - l’insegnante può, prima ancora di parlare di ciò che si farà nel prossimo futuro, organizzare una sorta di ripasso collettivo sulle nozioni fondamentali dell’anno precedente. È un modo animato ed efcace per verifcare che cosa ricordano i ragazzi, che cosa hanno dimenticato, su quali nozioni sarà bene ritornare prima di iniziare con il nuovo programma. Questa attività può essere organizzata (dipende ovviamente dal tipo di classe) sotto forma di gioco, con domande che piovono qua e là all’improvviso. Altre attività potranno essere organizzate già nel primo giorno. Così come gli insegnanti potranno, se credono, comunicare ai bambini le regole di comportamento indispensabili per vivere e lavorare in una comunità come la loro. Ma la cosa più importante è che il primo giorno di scuola i bambini tornino a casa con un’immagine positiva della loro classe e dei loro insegnanti. ■ A. Oliverio Ferraris, Conta su di me. Relazioni per crescere, Giunti, Firenze 2014
68
La scuola: un ponte tra famiglia e società
unità B2
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazione
giustifca la risposta. a
i bambini sono molto sensibili agli umori dei loro insegnanti e si sentono attratti da quelli che percepiscono come gentili
V
f
b
La classe può essere considerata una comunità dove si hanno medesimi diritti e si occupa una posizione di parità
V
f
c
L’insegnante che pianifica le attività scolastiche riduce la creatività dei bambini
V
f
▶ Quale tra queste defnizioni è quella giusta?
in una classe dove gli alunni non si conoscono, l’insegnante deve: □ lasciare molta libertà ai bambini per la conoscenza reciproca □ chiedere ai genitori informazioni sui bambini □ creare le condizioni affnché i bambini si conoscano presentandosi a vicenda ▶ argomenta perché la scuola non è un luogo dove esclusivamente si apprende e si
studia, ma è anche un importante luogo di socializzazione. ▶ Quali strategie può utilizzare l’insegnante per favorire l’inserimento dei “nuovi arri-
vati” in una classe?
Leggiamo 2 IL LAVORO EDUCATIVO
dell’insegnante è un lavoro che richiede Q uello diverse competenze, non solo la conoscenza di ciò che si insegna, ma anche una buona didattica, competenze relazionali e psicologiche. Il concetto di gruppo permea la vita dell’insegnante e dell’allievo, se non altro per il fatto che entrambi sono riconosciuti come tali sempre e solo in un’ampia e densa rete di rapporti che coinvolge diverse persone. L’insegnante è costantemente in relazione con un gruppo di alunni e con le loro famiglie, con i colleghi, con diversi professionisti
(psicologi, pedagogisti, educatori...), con il personale ausiliario e con la dirigenza scolastica, nell’ambito di un sistema educativo complesso di cui fanno parte anche le istituzioni: anche l’allievo, fn dal primo giorno di scuola, è chiamato a relazionarsi, a comunicare, a svolgere lavori, progetti giochi e attività con adulti e coetanei per consentire lo sviluppo del suo percorso di crescita e apprendimento. Il gruppo, al pari dell’individualizzazione, costituisce quindi un elemento fondamentale nel processo di insegnamento-apprendimento. In efetti una delle più difcili competenze 69
SEZIONE B
La relazione educativa
dell’insegnante è proprio quella di entrare in relazione sia con il gruppo classe che con i singoli allievi, garantendo sia il raggiungimento degli obiettivi cognitivi che l’attenzione alla sfera afettiva, sociale e relazionale. Se da un lato appare fondamentale comprendere e valorizzare, nella relazione educativa, ciascun soggetto e la sua particolare storia, il suo tipo di intelligenza, le sue diversità e la sua unicità, ma anche ciò che lo accomuna agli altri allievi, favorendo percorsi di apprendimento individualizzato, dall’altro risulta altrettanto importante considerare che all’interno della classe ogni allievo desidera appartenere al gruppo e sentirsi accettato e stimato dai suoi membri, ma prova certamente anche il bisogno di distinguersi positivamente da esso, guidato dal sentimento di autorealizzazione.
Insegnamento: valorizzare i singoli e le relazioni di gruppo Risulta quindi chiaro che riconoscere nella scuola le potenzialità del gruppo non signifca certo sminuire né negare la dimensione individuale dell’apprendimento, bensì potenziarla, come elemento sinergicamente connesso ai processi e di condivisione della conoscenza. A tal proposito, risulta
70
interessante rifettere su chi e su che cosa si orienti maggiormente l’attenzione dell’insegnante nel momento in cui entra in una classe: il suo sguardo si concentra su singole persone, isolate e separate dalle altre, o forse riesce a osservare e a percepire anche la rete delle loro reciproche relazioni? È fondamentale che l’insegnante riesca ad assumere un’ampia percezione del gruppo classe, considerando cioè non soltanto i singoli individui ma anche le loro reciproche relazioni, i loro legami afettivi, le loro molteplici interazioni, i loro variegati percorsi, le storie di ciascuno e la ricchezza di un pensiero costruito da tante menti. Il gruppo classe è infatti costituito da molte persone che, portando diverse esperienze di apprendimento e costruendo diferenti relazioni afettive con i compagni, con gli insegnanti e con le materie di studio, creano un sistema, cioè la classe, che ha caratteristiche superiori e diverse rispetto a quelle di ogni singolo individuo.
Apprendimento: costruire, non trasferire la conoscenza È chiaro che ciò risulta possibile e leggibile se lo sguardo dell’insegnante non si rifà a un modello trasmissivo di apprendimento, che tratteggia
La scuola: un ponte tra famiglia e società
l’alunno come una tabula rasa verso cui vengono travasati saperi oggettivi e statici, ma se identifca la conoscenza come il risultato di una costruzione di signifcato che avviene nelle interazioni tra individui, nell’ambito di un processo attivo di elaborazione degli stimoli ambientali provenienti dal mondo fsico e sociale, come conoscenza distribuita nelle reti sociali e negli strumenti culturali (computer, libri...) e rinegoziata in base ai diversi soggetti, contesti e scopi, come mente collettiva che continuamente costruisce saperi e conoscenze. L’insegnante deve imparare a considerare il gruppo classe nella sua complessità e interezza e osservarlo come una totalità dinamica, mai definitivamente fissa o inalterata, ma sempre in movimento,
unità B2
grazie alle forze che circolano tra i suoi membri. Se l’insegnante coglie nel gruppo classe un sistema che agisce in base alla fitta e complessa rete di relazioni personali che si costruiscono e si muovono al suo interno, allora egli potrà riconoscere e attivare le risorse del gruppo, impegnando gli allievi in percorsi di apprendimento cooperativo nell’ambito di esperienze comunitarie dove ciascuno può esprimere se stesso e sentirsi valorizzato nel pieno delle proprie potenzialità, favorendo così sia il proprio sviluppo individuale e la propria autorealizzazione che la crescita e la maturazione della collettività. ■ S. Kanizsa, Il lavoro educativo, Mondadori, Milano 2007
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
Lavorare in gruppo è una condizione fondamentale nel processo di insegnamento-apprendimento
V
f
b
L’insegnante che in classe lavora sul gruppo tralascia inevitabilmente l’apprendimento individuale
V
f
c
nel lavoro di gruppo non c’è spazio per l’espressione del singolo, perché è importante la visione globale del gruppo
V
f
▶ un buon sistema di apprendimento considera l’alunno:
□ come una tabula rasa verso cui vengono trasferiti saperi oggettivi □ protagonista nella costruzione della conoscenza □ il destinatario fnale dell’apprendere, teorico o pratico ▶ cerca di spiegare con parole tue l’importanza della relazione nel processo di inse-
gnamento-apprendimento ▶ come valorizzeresti le potenzialità dell’insegnamento individuale e di gruppo?
71
S EZIONE
B
UNITÀ B3
La comunicazione: confLitti e coLLaBorazioni Un aspetto importante in ogni tipo di convivenza è la capacità di comunicare, evitando toni violenti e offensivi. Il marito con la moglie. I genitori con i figli. Gli insegnanti con gli alunni. Gli alunni tra loro. Compito piuttosto agevole per coloro che sono stati educati a una buona comunicazione fin dall’infanzia. Apprendimento da realizzare, invece, se non si ha avuto la fortuna di ricevere questo tipo di formazione nel corso dell’età evolutiva. Molte incomprensioni - in famiglia come a scuola e nei luoghi di lavoro - sono in realtà riconducibili a una cattiva comunicazione.
B3.1
I due piani della comunicazione La comunicazione è un processo complesso in cui convergono componenti consce e inconsce, verbali e non verbali. un risvolto di tale complessità è il carattere ambiguo dei messaggi che inviamo. Si può dire una cosa ma esprimerne un’altra. Se, per esempio, un marito dice alla moglie “Sai che ci tengo al tuo parere” accompagnando queste parole con un sorriso sarcastico, la frase assume un signifcato opposto a quello che assumerebbe se le stesse parole fossero pronunciate con un tono convinto e gentile. Consci
COMUNICAZIONE
PROCESSO COMPLESSO
Elementi
Verbali Sunny studio-Igor Yaruta, Shutterstock.
Inconsci
Non verbali
UNITÀ B3
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
▶
Metacomunicare Nell’inviare un messaggio comunichiamo anche il
modo in cui quel messaggio deve essere assunto e interpretato. Gli studiosi del linguaggio dicono che “metacomunichiamo”*, ossia che comunichiamo sulla comunicazione anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Nell’esempio appena riportato, il tono gentile e convinto ha l’efetto di raforzare il signifcato letterale delle parole, il sorriso sarcastico invece lo contraddice. Molte incomprensioni e confitti dipendono proprio da questo doppio livello che consente di inviare messaggi espliciti e messaggi impliciti che entrano in contraddizione tra loro. QUALCOSA
metacomunicazione comunicazione sulla comunicazione. In questo tipo di comunicazione oltre al messaggio che viene comunicato (sai che ci tengo al tuo parere) viene espresso un altro messaggio (sorriso sarcastico) che pone la comunicazione su un differente livello, e modifca il signifcato del messaggio verbale.
Messaggio
COMUNICHIAMO
Accolto
IN UN MODO
Come il messaggio deve essere
Metacomunicazione
Interpretato
Comunicazione numerica e analogica Il doppio livello della comunicazione può originare alcuni problemi, ma presenta anche dei pregi. Ad esempio consente di modulare il linguaggio, di “colorarlo” di emozioni, di renderlo convincente, divertente e umoristico. L’intreccio continuo di comunicazione verbale e non verbale consente una gamma molto ricca di espressioni. Il linguaggio verbale (comunicazione numerica), più complesso e astratto, è particolarmente efcace nel trasmettere contenuti, conoscenze e nel ragionamento logico. Ma assolve anche ad altre funzioni come a quella di socializzare e defnire la relazione che esiste tra le persone (per esempio amichevole, afettuosa, distante). Anche il linguaggio non verbale (comunicazione analogica) è importante nel socializzare, nel dare il tono alla relazione e nell’esprimere le emozioni. Nei bambini piccoli, che ancora non sono in grado di parlare e non comprendono la lingua, l’espressione non verbale è l’unica forma di comunicazione. La dimensione non verbale è talmente importante che nel linguaggio delle tecnologie digitali si fa ricorso a esso con emoticon o “faccine”, per renderlo più espressivo. Nel suo insieme la comunicazione non verbale (analogica) può:
▶
Halfpoint, Shutterstock.
73
*
SEZIONE B
La relazione educativa
1. assecondare (con gesti, mimiche, tono della voce) ciò che viene espresso a livello verbale; 2. fornire indicazioni parallele all’espressione verbale, quando per esempio colui che parla mostra disagio per la posizione in cui è seduto, oppure manifesta un forte interesse per l’interlocutore al di là di ciò che questi sta dicendo; 3. comunicare informazioni che contrastano con ciò che si sta dicendo, per esempio quando un conferenziere dice: “Fatemi delle domande” ma lo dice con un tono e una mimica che scoraggiano dal chiedere (schema B3.1).
Davooda, Shutterstock.
DUE MODALITÀ DI COMUNICAZIONE VERBALE
NON VERBALE
Numerica
Analogica
Socializzazione Trasmissione di contenuti Defnizione della realizzazione Sviluppo del pensiero astratto
Funzioni
Socializzazione Trasmissione di contenuti Defnizione della realizzazione Sviluppo del pensiero
Possibilità di comunicare contemporaneamente su due canali
A - Stesso tipo di informazione - Accentuare B - Informazioni parallele C - Informazioni contrastanti
Schema B3.1
Lo schema evidenzia i due moduli della comunicazione e le rispettive funzioni.
Le forme del linguaggio non verbale
B3.2
Sebbene la comunicazione non verbale sia utilizzata continuamente, tendiamo a dare più valore alla comunicazione linguistica, di cui ci sentiamo responsabili. In realtà, i messaggi non verbali, seppur inconsapevoli, hanno una forte portata comunicativa. Movimenti delle mani, dei piedi o delle gambe possono in alcuni momenti indicare un elevato livello di tensione e nervosismo che non riusciamo a controllare, anche se ci proviamo. Quali sono le modalità espressive non verbali, consapevoli o inconsapevoli? Vediamole in dettaglio.
74
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
▶
UNITÀ B3
Mimiche Con le espressioni del viso possiamo inviare una grande quan-
tità di messaggi diversi: simpatia, antipatia, disgusto, approvazione, interesse, spavalderia, afetto, ecc. Centrale nel viso è lo sguardo. Lo scambio reciproco di occhiate, quando due persone si parlano, aiuta a capire le intenzioni e il signifcato da attribuire alle parole. Quando però lo sguardo dell’altro si fa insistente si preferisce distogliere il proprio. Anche la bocca consente una gamma molto ricca di espressioni: dalla disapprovazione alla paura, dall’ironia all’afetto, dalla gioia alla noia. Il suo coinvolgimento nel sorriso è determinante (scheda B3.1: Quanti sorrisi conosci?). ▶
Gesti e movimenti I gesti e i movimenti con signifcato di messaggio
sono numerosissimi. Alcuni hanno signifcati universali (come l’applauso e il saluto), altri sono legati alla cultura e vogliono dire cose diverse a seconda del contesto culturale. Se, per esempio, per esprimere il diniego noi scuotiamo il capo, in altre culture il diniego si esprime sollevando il capo. Alcuni gesti sono poi più pregnanti delle parole, come il pollice verso l’alto o verso il basso, l’inchino, l’abbraccio, i gesti di approvazione e di insulto. Infne ci sono i gesti automanipolativi - come grattarsi, tamburellare con le dita o tirarsi i capelli che in genere indicano stati di disagio o di noia e servono a scaricare la tensione. ▶ Posture Sono le posizioni che può assumere il corpo. Le principali posture dell’essere umano sono: eretta, seduta, distesa. Da queste nascono molte posizioni intermedie che esprimono stati psichici e intenzioni diverse come: sicurezza, disponibilità, timidezza, minaccia ecc. Si pensi alla postura strafottente del bullo che cerca di suscitare rispetto e paura sollevando il capo e quella opposta del melanconico che tiene il capo abbassato (lettura 2: La postura). Durante una conversazione il busto leggermente inclinato in avanti indica disponibilità. Se però è eccessiva, l’inclinazione può essere interpretata come invadenza o aggressività. Il busto inclinato all’indietro può indicare che si è rilassati, oppure increduli o distaccati.
Pio3, Shutterstock.
75
La relazione educativa
SEZIONE B
Nelle situazioni d’esame ci si siede uno di fronte all’altro; se non si desidera guardarsi continuamente in faccia ci si siede ad angolo; sedendosi uno a fanco dell’altro si può stare vicini senza guardarsi, ma si può anche parlare a voce bassa, e così via. Le posizioni che si assumono esprimono qualcosa sia sulla singola persona, sia sul tipo di relazione che esiste tra le persone. t Simpatia t Antipatia
Espressioni del viso
t Interesse t Affetto
Comunichiamo
t Disgusto t Approvazione
MIMICHE
COMUNICAZIONE NON VERBALE
GESTI E MOVIMENTI
Es. applauso, saluto
Culturali
Espressione diniego
Indicatori di disagio
Grattarsi Tirarsi i capelli
POSTURA
Eretta Distesa
Più pregnanti delle parole
Seduta
Minaccia
Timidezza
Inchino Abbraccio
Esprime
Disponibilità
▶
Universali
Sicurezza
Elementi extralinguistici Abbigliamento e acconciature comunica-
no sempre qualcosa sulla persona che le indossa: i gusti, l’appartenenza, le aspirazioni. ▶ Tatuaggi e piercing sono portatori di messaggi consci e inconsci. A volte rispecchiano soltanto la moda e hanno una valenza estetica, altre volte hanno invece esplicite valenze sessuali, ideologiche o di appartenenza poiché indicano legami sentimentali, convinzioni politiche, credo religiosi. ▶
Andrey Arkusha, Shutterstock.
76
Elementi paralinguistici Ci sono poi componenti non verbali del
linguaggio, come pause, interruzioni, balbettii, intonazione, rapidità, intensità, modulazione. Anch’essi sono forme di comunicazione, volontarie e involontarie, che trasmettono qualcosa dello stato d’animo, delle intenzioni e anche della personalità di colui che parla, al di là di ciò che dice. Le componenti non verbali del linguaggio possono accentuare e confermare oppure fornire informazioni contrastanti.
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
Gusti Abbigliamento Comunicano
Appartenenza
Acconciature
EXTRALINGUISTICI
Aspirazioni Tatuaggi e piercing Messaggi consci e inconsci
ELEMENTI
Modulazione
Pause
Religiose
Componenti non verbali
PARALINGUISTICI Intensità
Politiche Convinzioni
Caratteristiche della personalità
Interruzioni Intonazione
Comunicano
Intenzioni Stati d’animo
SCHEDA B3.1 Chissà quante volte nello scattare una fotografa hai detto (o ti è stato detto): “Non fare quella faccia seria… sorridi!”. Ma i sorrisi non sono tutti uguali: alcuni sono spontanei e sinceri, altri forzati e di convenienza. Il sorriso consente una vasta gamma di espressioni e di signifcati. Sorridiamo negli incontri casuali e in quelli di lavoro, quando giochiamo e quando vogliamo sedurre, quando siamo soddisfatti, divertiti o vogliamo creare un clima positivo intorno a noi. Sorridiamo quando siamo felici, ma anche per “fare buon viso a cattivo gioco”. Chi ha spirito di osservazione, si accorge che cosa c’è “dietro” ad un sorriso e lo fa osservando il movimento dei muscoli del viso. Per esempio, quando il sorriso è genuino si attivano sia il muscolo risorio (che circonda la bocca) che i muscoli zigomatici maggiori che favoriscono lo spostamento verso l’alto del labbro superiore e delle guance, che quelli orbicolari (intorno agli occhi) che determinano un lieve abbassamento delle sopracciglia e producono delle piccole rughe ai lati degli occhi simili a “zampe di gallina”. L’entrata in gioco dei muscoli orbicolari ha l’effetto di dare luminosità allo sguardo perché la loro contrazione comporta un maggiore affusso di sangue e ne accelera la circolazione. La sola attivazione dei muscoli zigomatici e del risorio non è suffciente a dare l’impressione di un sorriso sentito in quanto il volto mantiene una certa rigidità nella parte superiore. La sola attivazione dei muscoli orbicolari dà, invece, l’impressione
QUANTI SORRISI CONOSCI?
Leonardo da Vinci, La gioconda, 1503-1514 ca., Parigi, Museo del Louvre.
77
SEZIONE B
La relazione educativa
che la persona stia “sorridendo con gli occhi”, tra sé e sé. L’attivazione di tutti i muscoli toglie al volto ogni rigidità espressiva e comunica all’osservatore che il sorriso è sentito e che la persona sta esternando le proprie emozioni.
SORRISO GENUINO
NO RIGIDITÀ NEL VOLTO
ATTIVAZIONE
Muscoli zigomatici maggiori
ESTERNAZIONE EMOZIONI
Muscolo risorio (intorno alla bocca)
(spostamento verso l’alto guance e labbro)
Muscoli orbicolari (intorno agli occhi)
t lieve abbassamento sopracciglia t luminosità allo sguardo
Un sorriso può esprimere da solo molto più di una frase, come evidenziano gli studi di Paul Ekman e Pio Ricci Bitti. Molti sorrisi sono “autentici”, alcuni sono “strategici”, tutti quanti hanno una loro precisa origine psicologica. Ognuno di noi pratica alcuni sorrisi più di altri. Gli attori, che invece devono praticarli tutti, tanto più sono bravi quanto più riescono a esprimerne le sfumature e a passare rapidamente dall’uno all’altro. Ma ognuno di noi, se si impegna, può ampliare il Ecco un gioco che puoi fare con i compagni: ispirandovi ai sorrisi della fgura B3.1 e affrontando un sorriso per volta stabilite chi, del gruppo, è capace di rappresentarlo meglio. Se siete in parecchi potete dare un punteggio a ognuno per ogni sorriso interpretato. Altri sorrisi su cui esercitarsi, oltre a quelli indicati nella fgura sono il sorriso di suffcienza, d’intesa nonché il sorriso crudele,
Erika Cross, Shutterstock.
78
KidStock, Getty Images.
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
Figura B3.1
Il volto specchio dell’anima. Qui di seguito sono riportati 12 sorrisi diversi.
Sorriso di disprezzo. Inconfondibile: ride soltanto la bocca, chiusa, i cui angoli appaiono ristretti. Non ci sono rassicuranti “zampe di gallina” intorno agli occhi. La fronte è distesa.
Sorriso autoironico. È un sorriso che Charlie Chaplin sapeva fare molto bene: è costituito da un movimento delle labbra che formano un angolo molto più acuto rispetto ad un normale sorriso. Si attivano il risorio, lo zigomatico e l’orbicolare. Anche la fronte è implicata.
Sorriso falso. Si mente fngendo un’emozione che non c’è, oppure si cerca di mascherare il disaccordo, la collera, la delusione, un’emozione negativa. La parte superiore del viso non ride. Generalmente, un istante prima di indossare la maschera del sorriso, sul volto compare una microespressione della reale emozione provata e che si vuole tenere nascosta.
Sorriso smorzato. Chi sorride prova delle emozioni positive (divertimento, allegria, compartecipazione), cerca però di far credere che siano meno intense di quanto sono in realtà: entrano in funzione il risorio, lo zigomatico e l’orbicolare. Gli occhi ridono, ma le labbra sono contratte e il mento sollevato.
Sorriso sentito. Esprime contentezza, buon umore, disponibilità. Il muscolo zigomatico si attiva all’unisono con i muscoli orbicolari degli occhi, il volto è rilassato, gli occhi luminosi, la bocca socchiusa.
Sorriso di esultanza. Viene usato quando si apprende una buona notizia. Sono implicati il risorio (ai lati della bocca) che apre la bocca, il muscolo zigomatico maggiore e l’orbicolare. Le palpebre si sollevano. La fronte è coinvolta. Gli occhi sono molto aperti.
Sorriso di soddisfazione. Indica benessere fsico e psichico. Si attivano tutti i muscoli del sorriso. La bocca può essere aperta o chiusa. La fronte è rilassata. Gli occhi sono chiusi o socchiusi.
Sorriso di cortesia formale. Entrano in funzione solo il muscolo risorio e il muscolo zigomatico ma non gli orbicolari. A volte è appena accennato. Indica accordo con quanto una persona sta dicendo, oppure che si è disposti ad ascoltarla.
Sorriso di corteggiamento. È lo sguardo ad avere il ruolo principale: il corteggiatore, prima distoglie il viso dalla persona corteggiata e poi gli lancia uno sguardo furtivo e sorridente simile al “sorriso sentito“.
Sorriso di imbarazzo. Lo sguardo è abbassato o laterale per non incontrare gli occhi dell’interlocutore. Si attivano il muscolo zigomatico e quello risorio, ma le labbra possono avere diffcoltà a restare sollevate.
Sorriso di paura. Si attiva il muscolo risorio (ai lati della bocca) ma non quello zigomatico maggiore e l’orbicolare. Può entrare invece in funzione il corrugatore del sopracciglio. Lo sguardo è impaurito.
Sorriso di tristezza. Più che un sorriso è spesso una smorfa in cui gli angoli della bocca - a seconda dell’anatomia della persona - possono volgere verso il basso. Le labbra sono contratte, il mento sollevato e i muscoli intorno agli occhi scarsamente attivati. Le sopracciglia possono essere un po’ corrugate.
79
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Contatto fsico Nei bambini piccoli il contatto fsico è un mezzo di comu-
nicazione e di rassicurazione molto importante. Fino a 11-12 anni i bambini continuano a toccare i loro genitori, fratelli e amici con grande spontaneità: danno o prendono la mano, abbracciano, si stringono. Nell’adolescenza il contatto fsico con i familiari si riduce, mentre con gli estranei è sempre più limitato al saluto. Negli adulti il contatto fsico è regolato da norme che variano in base alla cultura e alle situazioni. Se, ad esempio, si tollera il contatto fsico su un autobus afollato, lo stesso contatto non è ammesso quando l’autobus è semivuoto. Comunicazione Mezzo Rassicurazione Racorn, Shutterstock.
BAMBINI
CONTATTO FISICO
ADOLESCENTI
ADULTI
Limitato al saluto con gli estranei
Culturali Regolato da norme
sCHeDA B3.2
Si riduce con i familiari
In base alle situazioni
Comprendere le norme che regolano il comportamento dell’individuo nelle sue relazioni con gli altri è fondamentale per il bambino: egli osserva la comunicazione all’interno della famiglia, vede come si comportano gli adulti o gli altri bambini e capisce molto presto che cosa gli adulti si attendono da lui. Il bambino gradualmente interiorizza così modi di comportarsi, norme e valori della famiglia in cui cresce. L’età tra i 3 e i 6 anni è il periodo in cui si pongono le basi di quella che viene denointelligenza sociale, ossia la capacità di relazionarsi con gli altri in tante situazioni diverse, di capire le loro intenzioni, di imparare a coordinarsi, a solidarizzare e anche a difendersi. Bambini di questa età passano da atteggiamenti egocentrici (“questo è mio e non te lo do!”) ad atteggiamenti concilianti (“ora è il
CoMUniCAzione e inteLLiGenzA soCiALe
Adulti e bambini Perché l’intelligenza sociale si sviluppi al meglio occorre che i bambini abbiano ampie opportunità di contatti sociali, sia con gli adulti sia con L’antropologa russa Marina Butovskaya, che ha studiato i comportamenti spontanei di bambini di diverse culture, ha rilevato che i bambini facevano più facilmente la pace se l’adulto non interveniva in modo pressante per rappacifcarli. Quando infatti l’adulto si dà troppo da fare, i bambini pensano che la situazione sia diffcile da gestire e non si impegnano per trovare una via d’uscita fnendo per delegare a lui la soluzione. Reciprocità simmetrica Il tratto che caratterizza i rapporti tra bambini è la reciprocità simmetrica, secondo la quale tutti sono ugualmente liberi di contribuire con le proprie idee e iniziative. È auspicabile che i grandi fornisca-
2xSamara.com, Shutterstock.
80
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
no indicazioni, soprattutto offrendo l’esempio su come comportarsi con gli altri e che di tanto in tanto diano dei suggerimenti su come affrontare una situazione. Tuttavia è altrettanto opportuno che i genitori non siano assillanti o invadenti, che non si sovrappongano continuamente a fgli, nipoti o alunni, privandoli del piacere di provare, di prendere l’iniziativa e di riuscire da soli. È opportuno che ci siano dei momenti e degli spazi in cui i bambini possano muoversi in autonomia con i loro amici. In questo modo essi possono scoprire i modi per aggirare gli ostacoli, fare amicizia, farsi accettare da un gruppo, difendersi e creare alleanze.
▶ La collocazione nello spazio Lo statunitense Edward T. Hall (1914-2009) ha analizzato il modo in cui le persone si collocano in uno spazio scoprendo che esso non è casuale, ma dipende dal tipo di relazione che esiste tra loro. Ha chiamato prossemica l’organizzazione delle distanze tra gli individui. Egli ha individuato:
• una distanza intima (meno di mezzo metro) dove è facile il contatto tra le persone, si può parlare sottovoce, cogliere l’intensità delle emozioni, sentire l’odore dell’altra persona; 81
SEZIONE B
La relazione educativa
• una distanza personale (da mezzo metro a 120 cm circa) un’area aperta alle relazioni a breve distanza in cui si può toccare l’altro. È la distanza abituale che si tiene con familiari o amici; • una distanza sociale (da metri 1,20 a 3,60 metri) tipica delle relazioni più impersonali ad esempio quando uno è dietro ad uno scrittoio, oppure quando si tiene a distanza l’interlocutore (in questo caso il tono di voce deve essere più alto per poter essere recepito); • una distanza pubblica (superiore ai 3 metri e mezzo) tipica delle apparizioni in pubblico, dei pubblici avvenimenti come teatri, concerti, lezioni. Il parlante interpone tra sé e gli estranei una distanza maggiore di quella che interpone tra sé e gli amici; e, in un certo senso, si colloca in una situazione di maggiore sicurezza (può scappare se si sente minacciato). Ridurre la distanza signifca dunque accordare fducia, creare un clima amichevole e informale. Si pensi ad autorità come il papa o il re o il Presidente di una nazione, nessuno può avvicinarsi a loro senza averne il permesso. Diversamente costoro possono accostarsi a noi, rivolgerci la parola e stringerci la mano ad esempio, concedendoci un grandissimo onore.
Figura B3.2
Distanza personale, sociale e pubblica dell’insegnante che si muove nella classe. Il suo comportamento avrà un effetto maggiore sul singolo bambino a una distanza “personale o intima”.
Dave and Lest Jacobs, Getty Images.
82
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
CINEMA E LETTERATURA
MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO Romanzo di Jonathan Safran Foer, Guanda, Parma 2007
“A
nche” fu la seconda parola che persi, probabilmente perché era così simile al suo nome, che parola semplice da dire, e che parola profonda da perdere, dovevo dire “eziandio”, che suonava ridicolo, ma era proprio così, “vorrei un caffè ed eziandio un dolce”, a nessuno sarebbe piaciuto sentirsi in questo modo. “Volere” è il verbo che persi poco dopo, non perché avevo smesso di volere le cose - le volevo più di prima - solo che non riuscivo più a esprimere il volere, quindi al suo posto dicevo “desidero”: “Desidero due panini” dicevo al panettiere, ma non era esattamente così, il senso dei miei pensieri cominciava a futtuare via da me, come foglie che cadono da un albero nel fume, e io ero l’albero e il mondo il fume. […] Dopo un po’ mi restava soltanto un pugno di parole. Il giovane romanziere americano Jonathan Safran Foer con Molto forte, incredibilmente vicino ci racconta la storia di Oskar, newyorkese pieno di curiosità e immaginazione, alle prese con gravi problemi di socializzazione, che a soli nove anni perde l’adorato padre nell’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. Il bambino, che con il genitore condivideva un rapporto speciale improntato al dialogo e al comune amore per la scoperta, fatica inizialmente a elaborare il lutto, e fnisce per barricarsi in un mondo tutto suo. Dal giorno della tragedia, sogna di inventare un sistema di condutture che colleghi i cuscini dei letti degli abitanti di New York, per raccogliere le lacrime di tutti coloro che, come lui, si ritrovano a piangere prima di addormentarsi, riversarle nel laghetto del Central Park e misurare così il livello di sofferenza della città. Quotidianamente, il piccolo riascolta, in solitudine, gli ultimi messaggi lasciati dal padre sulla segreteria telefonica, quando, intrappolato in uno degli edifci destinati a crollare, cercava di mettersi in contatto con il fglio, invano. Il dolore e l’impotenza per la perdita riempiono Oskar di una rabbia sorda, che il più delle volte trova sfogo contro la madre, continuamente bersagliata da rimproveri e recriminazioni. Il rapporto tra madre e fglio si fa sempre più teso e carico di confittualità. La scoperta di una chiave misteriosa recante il nome Black, che Oskar trova per caso nascosta in un vaso
nella camera dei genitori, metterà fne a questa spirale di incomunicabilità. Chi è Black? E quale serratura apre la chiave? Convinto che l’oggetto rappresenti l’invito del padre a un’ultima missione da compiere, il bambino parte alla ricerca di tutti i Mr Black di New York, deciso a decifrare l’enigma. Bussando di porta in porta, Oskar imparerà a superare le proprie paure, a riacquistare fducia nel prossimo, grazie a una serie di straordinari incontri con i personaggi più diversi. Non ultimo, quello con un bizzarro anziano signore, coinquilino della nonna del ragazzo, che presto si unisce all’avventura. L’uomo rifuta di parlare e comunica scrivendo su un taccuino. Eppure, nonostante la differenza di età e l’impossibilità di stabilire un dialogo verbale, i due arrivano a stringere un legame di grande complicità. Anche l’adulto, come Oskar, sembra dover fare i conti con una ferita antica e mai rimarginata, che dilata la narrazione nel passato doloroso dell’Europa dilaniata dalla seconda guerra mondiale. Non sveliamo che cosa troverà Oskar al termine del suo viaggio. Certo, si sentirà più forte, più aperto verso gli altri, capace fnalmente di riannodare il flo di comunicazione che con la madre sembrava irrimediabilmente spezzato. Molto Forte, incredibilmente vicino è insomma la storia, divertente e commovente insieme, di un bambino che si avvia sul sentiero dell’adolescenza. Un inno al dialogo e alla solidarietà.
Per la discussione: • Nel brano Oskar racconta la sua graduale perdita delle parole. Tuttavia, non esiste soltanto la comunicazione verbale. Quali possono essere le altre modalità per comunicare con qualcuno? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dei diversi tipi di comunicazione? • Oskar fatica ad instaurare un dialogo con la madre, mentre stabilisce un rapporto di collaborazione e complicità con l’anziano coinquilino della nonna. Quali sono i comportamenti che, secondo te, favoriscono o, al contrario, inibiscono la comunicazione all’interno di una famiglia? Discutine con i compagni. Copertina del romanzo di Foer.
83
Sezione B
La relazione educativa
La teoria dei sistemi
B3.3
Per capire le dinamiche comunicative può essere utile fare riferimento alla teoria dei sistemi. col termine sistema si intende una realtà complessa composta da vari elementi che interagiscono reciprocamente, in modo tale che ogni elemento condiziona l’altro ed è a sua volta condizionato da esso. Se si vuole studiare uno di questi elementi bisogna quindi prendere in considerazione l’intero sistema, poiché ogni elemento acquista signifcato soltanto nell’insieme delle relazioni in cui è inserito. il fondatore di questa teoria è stato il biologo Ludwig Von Bertalanffy (1901-1972) il quale riteneva che potesse essere applicata in diverse discipline, dalla biologia alla fsica, alla psicologia, alla sociologia. Per esempio, in ambito psicologico, secondo questo approccio, il disagio di un ragazzo va analizzato prendendo in considerazione l’intero contesto in cui vive, a partire dalla famiglia. Luminaimages, Shutterstock.
▶
La teoria sistemico-relazionale In campo psicologico tale teoria
ha dato l’avvio a un indirizzo che ha avuto un grosso impatto sia teoretico che pratico-applicativo: si tratta dell’approccio sistemico-relazionale elaborato dalla Scuola di Palo Alto in California, i cui maggiori rappresentanti sono Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Janet H. Beavin e Don D. Jackson, (gli ultimi tre sono autori del libro Pragmatica della comunicazione umana). Questi studiosi si sono interessati, in particolare, agli scambi comunicativi che si verifcano tra gli individui, tra i gruppi e all’interno dei gruppi (per esempio, la famiglia, la scuola). Gli psicologi di questo indirizzo condividono con i comportamentisti il presupposto che è difcile studiare la mente; pensano tuttavia che sia possibile studiare i modi in cui le persone comunicano tra loro, ossia i dati in entrata e in uscita da quella “scatola nera” che è la mente umana. ▶
Un mondo di transazioni I rappresentanti della Scuola di Palo Alto
considerano l’uomo come un “sistema aperto” la cui caratteristica è la “relazione”, ossia la capacità di scambiare informazioni con l’ambiente e di sviluppare nuove forme di adattamento. Il loro interesse si volge, più che all’individuo in sé, ai rapporti che le persone stabiliscono con il contesto in cui vivono. Ogni persona, infatti, coesiste con altri individui e gruppi di individui, e condivide con essi il “sistema” di cui fanno parte in un determinato momento. Ne consegue che gli individui non possono essere studiati isolatamente e che i loro comportamenti assumono un signifcato più completo se vengono considerati delle transazioni tra le persone. Poiché è il contesto a dare signifcato ai comportamenti, anche le comunicazioni assumono signifcati diversi a
84
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
seconda del sistema in cui esse sono inserite. Per esempio, la stessa frase o lo stesso gesto può essere “letto” in un modo completamente diverso all’interno di un gruppo di amici o tra persone che non si conoscono. È difcile inoltre astrarsi completamente dalla presenza degli altri e dai segnali che questi inviano a livello verbale e non verbale. Signifcativa è l’analogia che è stata descritta nel volume Pragmatica della comunicazione umana tra un calcio dato a un sasso e un calcio dato a un cane: Se il piede di un uomo colpisce un sasso, l’energia viene trasferita dal piede al sasso. Il sasso verrà messo in movimento o spostato fnché non si fermerà in una posizione che è determinata esclusivamente da fattori come la quantità di energia trasmessa, la forma e il peso del sasso, la natura della superfcie su cui è rotolato. Se l’uomo dà un calcio a un cane anziché a un sasso, il cane può saltare su a morderlo. In questo caso il rapporto tra il calcio e il morso è di ordine assai diverso. Non si ha dunque trasmissione di energia ma di informazione. In altre parole, il calcio è un comportamento che comunica qualcosa al cane e a questa comunicazione il cane reagisce con un’altra comunicazione-comportamento. SCUOLA DI PALO ALTO PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE
Scambi comunicativi
Non in modo isolato
Studiare le persone
Sistema
Nel contesto in cui vivono
I rapporti che le persone stabiliscono
La comunicazione assume signifcato in base al sistema in cui è inserita
Dà signifcato ai comportamenti
Gli assiomi della comunicazione Watzlawick, Beavin e Jackson individuano cinque assiomi della comunicazione, ovvero proprietà indiscutibili della comunicazione. Li presentiamo di seguito.
▶
Igor kisselev, Shutterstock.
• Non si può non comunicare. Come spiegano gli esperti è impossibile non comunicare qualcosa, quando si è in presenza di qualcuno: anche il sonno e il silenzio hanno una valenza comunicativa, che il contesto aiuta a spiegare. Il messaggio che il sonno invia è molto diverso a seconda se ci si è addormentati nel proprio letto o sul banco di scuola. Le informazioni non arrivano soltanto attraverso messaggi consapevoli ma anche attraverso numerosi messaggi inconsapevoli.
85
SEZIONE B
La relazione educativa
• Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo tale che il secondo classifca il primo ed è quindi metacomunicazione. In ogni comunicazione possiamo individuare il messaggio che viene trasmesso (il contenuto, la notizia) ma anche la forma del messaggio che è inerente alla relazione. Una madre che dice al proprio fglio “Metti a posto la tua camera!” a seconda del tono di voce che usa può comunicare oltre che la necessità di riordinare la stanza, anche un giudizio di valore sull’ordine/disordine del fglio. • La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. Esiste una punteggiatura nella comunicazione. Gli interlocutori si alternano seguendo turni di parola; c’è chi prende l’iniziativa e chi risponde reagendo all’altro, stabilendo così un ordine di dipendenza. • Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. La comunicazione avviene sia attraverso il linguaggio verbale (modulo numerico), sia attraverso il linguaggio non verbale (modulo analogico). • Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sulla uguaglianza o sulla diferenza. L’interazione simmetrica è tra due persone che tendono a utilizzare modalità comunicative simili. L’esempio tipico è quello tra due coniugi che nella comunicazione tendono entrambi a dare la propria versione dei fatti e a stabilire la propria verità. Spesso questa modalità di interazione porta a un’interazione confittuale, poiché nessuno dei due è disposto ad accettare la posizione dell’altro, ma tende piuttosto ad afermare la propria. L’interazione complementare è basata invece su modalità comunicative diferenti. È questo il caso di una coppia in cui uno dei due prende sempre l’iniziativa e propone in modo assertivo le sue opinioni, mentre l’altro tende a lasciar fare al partner, a non intervenire, ad accettare le decisioni dell’altro. Si forma una sorta di equilibrio nella coppia, ma a scapito di uno dei due che è sempre in posizione di subordinazione (one down) rispetto all’altro. D’altro canto se una relazione si fondasse esclusivamente su un’interazione di tipo simmetrico rischierebbe una forte confittualità (entrambi i componenti della coppia cercano una posizione one-up). La forma migliore di comunicazione in una coppia vede dunque alternarsi momenti di interazione simmetrica e di interazione complementare. CSA Images/ Color Printstock Collection, Getty Images.
86
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
Uguaglianza simmetrici
UNITÀ B3
Differenza complementari
5. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sulla uguaglianza o sulla differenza
1. Non si può non comunicare
ASSIOMI COMUNICAZIONE 4. Gli esseri umani comunicano sia con il modello numerico che con quello analogico
Linguaggio verbale numerico
Linguaggio non verbale analogico
2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione
“Cosa” si comunica
“Come” si comunica
3. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti
Alternanza nei turni di parola di chi prende la parola
Nisian Hughes, Getty Images.
87
Sezione B
La relazione educativa
Affrontare i conflitti
B3.4
La psicologia ha svolto diverse indagini sul tema del confitto. Di per sé discutere quando c’è un confitto non è negativo, consente di esprimere il proprio parere, di ascoltare quello degli altri, di cercare delle soluzioni. Senza un confronto, non ci sono chiarimenti. Subentra il rancore e i fraintendimenti si moltiplicano. il confitto non deve spaventare, bisogna però che sia costruttivo. come è possibile imparare a gestire i confitti in maniera costruttiva?
▶
Confitti costruttivi e distruttivi Un confitto è costruttivo
quando ciascuna delle persone coinvolte è in grado di capire il problema anche dal punto di vista dell’altro. Questo tipo di confitto ofre la possibilità di trovare un’intesa, tra due o più persone, attraverso un confronto senza violenza. La situazione confittuale interpersonale diventa così un’occasione per apportare chiarimenti, allentare la tensione e individuare un terreno di confronto tra gli interlocutori. Certamente l’obiettivo delle persone coinvolte non può essere quello di ferire o di vincere a tutti costi, piuttosto quello di negoziare. Il confitto distruttivo, invece ha come obiettivo proprio quello di esercitare il proprio potere sull’“avversario”. Questo tipo di confitto non incentiva gli interlocutori né a un miglioramento dei rapporti né alla ricerca di soluzioni comuni. In un confitto distruttivo si cerca piuttosto di mettere l’interlocutore di fronte alle sue contraddizioni. Spesso la discussione si conclude con giudizi e valutazioni che non consentono vie d’uscita. La discussione può anche essere interrotta bruscamente da asserzioni intransigenti del tipo: “Basta così! Ho da fare cose più importanti”.
Apollofoto, Shutterstock.
PSICOLOGIA
HA INDAGATO Tema del confitto
Distruttivo
Discussioni senza vie d’uscita
Esercizio potere
Costruttivo
Discutere Capire
Soluzioni non valide per gli interlocutori
Negoziare
Confrontarsi
Deterioramento dei rapporti Il problema
88
Chiarire
Il punto di vista altrui
UNITÀ B3
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
▶
Una nuova lingua Chi per qualsivoglia motivo non ha imparato a co-
municare in modo adeguato deve fare uno sforzo per imparare a esprimersi meglio. È come studiare una nuova lingua: bisogna esercitarsi con regolarità per arrivare a usarla correttamente, sapendo che impegnandosi, ad un certo punto, si ottengono dei risultati. Nel corso di questo apprendimento ci sono alcuni aspetti che è bene tenere presenti. • Dietro a ogni confitto ci sono bisogni umani importanti, come il bisogno di stima e di rispetto, di autonomia e di comprensione; se il bisogno che è all’origine del confitto è riconosciuto e capito, è facile che le ostilità si risolvano in breve tempo. • Un altro aspetto importante è l’empatia, cioè la capacità di comprendere le emozioni dell’altro e di calarsi nei suoi panni; in alcuni momenti bisogna sapersi spingere al di là delle parole per comprendere lo stato d’animo e le reali esigenze del nostro interlocutore. • L’autocontrollo è una virtù che richiede esercizio e perseveranza ma che porta a risultati sempre positivi e alla fne premia; scattare alla prima contrarietà, attaccando, colpevolizzando e minacciando, provoca chiusura e irrigidimento nell’altro o, a volte, addirittura reazioni violente: meglio cercare di comunicare le proprie opinioni, emozioni e richieste usando toni pacati. COMUNICARE CON TONI PACATI
PER EVITARE CONFLITTI
Eva Vargyasi, Shutterstock.
Autocontrollo
COMPRENDERE L’INTERLOCUTORE
Empatia
RICONOSCERE E CAPIRE I BISOGNI
Comprensione
Autonomia
Rispetto
Stima
Ilike, Shutterstock.
89
SEZIONE B
La relazione educativa
SCHEDA B3.3 I rapporti con gli altri, si tratti di colleghi d’uffcio, familiari, partner o un amico, non sono sempre lineari: le relazioni umane sono spesso scosse da confitti di varia natura e gravità. Divergenze di interessi, bisogni, valori... ci sono mille e un motivo per essere in disaccordo. Come si reagisce ai confitti? Schematicamente si possono individuare quattro tipi di reazione: la negazione, l’abdicazione, la risposta violenta, l’approccio non violento. La negazione Quando non siamo direttamente coinvolti, ma soltanto testimoni, riusciamo con facilità a tenere un atteggiamento neutrale e distaccato (in fondo abbiamo tutti quanti abbastanza coraggio per sopportare le diffcoltà altrui...). Quando però usiamo lo stesso atteggiamento per i confitti che ci riguardano direttamente riveliamo timore o bisogno di quieto vivere. Alcune persone sono abituate a negare le diffcoltà, alcuni tendono addirittura a eludere ogni tipo di confronto. “Fare lo struzzo” in qualche caso può servire, ma in molti più casi è controproducente. Non è negandoli che i problemi scompaiono. Nella maggior parte dei casi essi riemergono tali e quali e in forma più radicale! Meglio perciò affrontarli sul nascere. L’abdicazione Minimizzare può essere una strategia sana nei confronti di quei confitti che emergono a volte con estranei (l’automobilista che non cede il passo pur avendo torto, lo spettatore che salta la fla...). In questi casi si preferisce lasciar perdere perché non si vuole stare sempre all’erta e si pensa che non si avrà più a che fare in futuro con quella persona. Una eccessiva arrendevolezza però, con le persone con cui si vive e si lavora, alla lunga non è raccomandabile. Gli altri potrebbero approfttarne e pensare che abbiamo paura di affermare le nostre opinioni e i nostri diritti. L’abdicazione diventa sottomissione quando è legata a un sentimento di inferiorità, a una scarsa autostima: “Non ho idee...”, “Gli altri sono più in gamba di me...”. Abdicazione o sottomissione permanente possono avere conseguenze dannose: si fnisce per covare frustrazioni e magari rispondere in modo eccessivo all’ennesima piccola provocazione dimostrando così un comportamento bizzarro e imprevedibile. Nella gamma delle risposte di abdicazione davanti al confitto c’è anche la pseudo-equità che consiste nel tenersi sempre, sistematicamente, nel mezzo tra due posizioni: si evita il confitto, ma si evita anche di affrontare ragionevolmente ogni questione. Col tempo questa strategia appare insoddisfacente perché artifciosa, priva di partecipazione. La fuga può servire qualche volta per mettere fuori gioco la violenza, lasciar sbollire la collera, per poi affrontare e risolvere il confitto; ma non deve essere un modo sistematico di agire. La risposta violenta Una reazione energica qualche volta ha la sua effcacia, bisogna però stare attenti alle degenerazioni. In un approccio esclusivamente “competitivo” il rapporto con l’altro non conta e il minimo incidente può provocare un bisticcio generalizzato. In linea di massima chi usa la violenza non è tanto interessato a risolvere i confitti quanto a mantenere la propria posizione e a uscirne vincitore. La violenza sposta il confitto dal suo oggetto alla rivalità tra gli antagonisti: non si risponde tanto al problema che si sta proflando quanto all’altra persona che viene spesso aggredita. In mancanza di regole del gioco, si fa ricorso a meccanismi di reazione arcaici, chiudendo le porte alla ragionevolezza e alle soluzioni originali. Il confronto violento fnisce, infatti, per bloccare ogni soluzione o può portare a confitti ancora più gravi, anche perché il desiderio di rivincita dell’altro e il suo rancore possono tradursi in vendetta. Si forma così una spirale che può compromettere i rapporti con gli altri in modo defnitivo. L’approccio non violento Consiste nel prendere in considerazione le cause del confitto senza paura né preconcetti e gestirlo per trovare una soluzione soddisfacente per entrambi. Si può ricorrere a una negoziazione che porti a un compromesso decoroso o, meglio ancora, si può arrivare a una soluzione cooperativa in cui le parti cercano di essere protagoniste e di immaginare una soluzione ideale per entrambi. Certamente, non si tratta di un processo facile in quanto ognuno tende consciamente o inconsciamente ad affermarsi e può essere necessario l’arbitrato di una terza persona che esercita la sua opera di media-
LA GESTIONE DEI CONFLITTI
Ostill, Shutterstock.
90
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
zione. Cooperare nella soluzione dei confitti signifca disinnescare una mina e seguire una strategia di confronto o di opposizione costruttiva. I confitti non sono necessariamente negativi, possono essere portatori di cambiamento, di crescita, di soluzioni creative. Non bisogna subirli o farsi spaventare ma padroneggiarli. L’approccio non violento è il contrario della negazione: i confitti non vengono ricercati né amplifcati ma neppure evitati. Bisogna essere combattivi, non violenti o dimissionari e questo, in parte, si può imparare.
Igor Zakowski, Shutterstock.
Ed ecco un decalogo per non incorrere in confitti senza sbocchi nell’ambito del rapporto con gli altri: 1) Non avere paura dei confitti. Quando si è più d’uno qualche confitto è inevitabile. Chi non tollera la minima divergenza evita qualsiasi chiarimento. I confitti vanno risolti, non subiti. 2) Non fuggire. Rifutare il dialogo, andarsene altrove o accendere il televisore quando lei/lui cerca di parlare o affrontare un problema in modo costruttivo, è una strategia che non aiuta a risolvere le situazioni. 3) Non cercare di vincere a tutti i costi. Colui che perde può avvelenare la relazione con il suo risentimento. 4) Non insistere in un litigio quando l’altro non riesce a reggere la tensione emotiva. Meglio riaffrontare la questione in un altro momento. 5) Rimanere sul presente e sull’argomento iniziale. Non scavare nel passato, rinfacciando vecchi “torti” rispetto ai quali non si può fare nulla. 6) Meglio non coinvolgere nel litigio parenti, amici o fgli. Questi potrebbero prendere le parti dell’uno o dell’altra, esprimere opinioni e pareri sgradevoli e trovarsi poi spiazzati quando la coppia si riappacifca. 7) Controllare i toni. Se si litiga di fronte ai fgli mantenere un tono civile e non alzare la voce: i toni minacciosi allarmano molto i bambini. 8) Evitare le repliche. Per esempio lasciar credere di essere infedeli o di poterlo essere alla prima occasione così come illustrare i difetti e le manie del partner in pubblico, può dar luogo ad un ciclone di aggressività. 9) Evitare la violenza. Il comportamento violento, oltre a essere grave sul piano etico e sociale, può creare fratture profonde nella relazione. 10) Umorismo. L’umorismo (non il sarcasmo) ha un effetto rilassante, riduce la pressione e può “smontare” un litigio che rischia di diventare ingestibile.
Ollyy, Shutterstock.
91
Sezione B
La relazione educativa
La comunicazione all’interno dei gruppi
B3.5
il modo di parlare e di esprimersi può essere infuenzato dal luogo in cui ci si trova e dal numero dei presenti. È diverso parlare a tu-per-tu con un’unica persona, a un gruppetto di cinque, a trenta oppure a una folla. ed è diverso avere dei testimoni o non averne, essere a casa propria o in classe, parlare di fronte ad una telecamera oppure di fronte a un pubblico che può intervenire e porre delle domande. il contesto infuisce sulla comunicazione.
CONTESTO
LUOGO
Infuenza
NUMERO DI PERSONE
COMUNICAZIONE ▶
Junial Enterprises, Shutterstock.
Gruppi troppo numerosi Con l’aumentare delle dimensioni, la comu-
nicazione da decentrata tende a diventare centralizzata: i membri del gruppo tendono a comunicare meno tra loro e più con il leader. Soprattutto in situazioni dove bisogna svolgere un compito in un tempo ristretto conviene la comunicazione centralizzata, per la quale il leader raccoglierà gli apporti dei singoli individui, elaborerà delle sintesi e prenderà delle rapide decisioni. In un gruppo esteso il leader tende a rivolgersi al gruppo nella sua globalità piuttosto che ai singoli membri, a scapito quindi del rapporto individualizzato. Un docente deve essere consapevole di questa eventualità per apportarvi correttivi. Se infatti il rapporto individualizzato con l’insegnante viene a mancare è facile che alcuni alunni si sentano isolati e scontenti e, come reazione, assumano atteggiamenti non collaborativi o anche critici nei confronti dell’insegnante e verso quegli alunni che considerano più seguiti. Meno fra loro
NUMEROSO
Comunicazione centralizzata
Componenti comunicano
GRUPPO Di più con il leader
RIDOTTO
92
Comunicazione decentrata
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
▶
UNITÀ B3
Squilibri all’interno dei gruppi Analoghe reazioni si possono ri-
scontrare quando, all’interno di un gruppo, a lavorare, a consultarsi e a decidere sono soltanto alcuni alunni, mentre altri, che si sentono marginali o non hanno voglia di impegnarsi, fanno poco o nulla: questo succede più facilmente quando i gruppi di lavoro sono troppo ampi (a meno che, preso atto del problema, siano gli stessi ragazzi ad organizzarsi dividendosi i compiti). Ma questo tipo di squilibrio può essere dovuto ai legami di amicizia o di afnità che esistono tra alcuni alunni e non con altri; legami che magari sfuggono all’insegnante o cui l’insegnante non dà importanza, ma che incidono sul modo in cui il gruppo lavora e si organizza. Ne consegue che per consentire a tutti gli alunni di lavorare, i gruppi numerosi devono essere suddivisi in sottogruppi. Questo però è soltanto un aspetto dell’organizzazione; un secondo aspetto, importante, consiste nell’organizzare il lavoro in modo che ognuno abbia un ruolo preciso e tutti siano ugualmente responsabili nel dare il loro contributo al lavoro comune. In questa direzione si muove un metodo ideato dallo psicologo Elliot Aronson illustrato in dettaglio nel “Metodo delle ruote dentate” (Applichiamo le competenze 2). IN UNA CLASSE A SCUOLA
GRUPPO AMPIO
Causa
Dividere la classe in sottogruppi
Squilibrio nel gruppo
Soluzioni
Contribuisce al risultato fnale
Vedi il Metodo delle ruote dentate
Organizzare il lavoro
Ogni Componente
Responsabilità equa
Ruolo e compito preciso
Echo, Getty Images.
93
Sezione B
La relazione educativa
“Voci” incontrollate
B3.6
La comunicazione è una grande e complessa ricchezza, ma se non è controllata può avere effetti nefasti. Per esempio, è diffcile fermare una voce calunniosa o una valutazione errata quando essa ha incominciato a circolare nell’ambito di un gruppo, di una comunità o sul web. Gli psicologi sociali hanno studiato come e perché si diffondono le voci infondate. uno dei primi fu quello descritto dal sociologo edgard morin in una pubblicazione del 1969 dal titolo, La rumeur d’Orléans.
▶
Le ragazze di Orléans Nella cittadina francese si era difusa una voce
secondo cui alcune ragazze, dopo essere state addormentate dentro delle boutiques (una novità per la città), erano rimaste vittime di una “tratta delle bianche”. Una équipe di sociologi si recò ad Orléans subito dopo il momento più critico della difusione della “notizia”, per raccogliere il maggior numero possibile di testimonianze di persone che occupavano le posizioni più diverse. Quei fatti, nati dalla fantasia (e dal desiderio inconscio di liberazione sessuale unito al senso di colpa) di alcune liceali, non erano mai accaduti; ma molti erano ormai convinti che fossero reali perché tutti ne parlavano, compresi i giornali. Anche quando furono ridicolizzati e smentiti molti continuarono a crederci perché ormai quella convinzione aveva preso forma ed era stata raccontata e condivisa. E poiché la polizia aveva sempre evitato di parlarne nella fase culminante del fenomeno, la rete di tratta delle bianche venne attribuita alla polizia e coinvolse l’amministrazione locale il cui silenzio divenne la “prova” di una colpevole complicità.
Karin Dreyer, Getty Images.
Il principio della riprova sociale Nell’Etica Nicomachea Aristotele spiega
▶
Stephen Swintek, Getty Images.
94
come gli uomini non esitino a far propria un’opinione non appena si convincono che essa è “universalmente accettata”. Ritrovarsi infatti da soli a sostenere un punto di vista provoca, in molti, un senso di sgomento e di vulnerabilità. Si può dunque aderire all’“opinione generale” non perché la si condivida ma per mettersi al riparo dalle cattive sorprese, dalle critiche e per il piacere/bisogno di sentirsi in sintonia con gli altri, parte di un insieme che avvolge e protegge.
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
SOSTENERE UN PUNTO DI VISTA
DA SOLI per molti provoca
UNITÀ B3
Sgomento Vulnerabilità
All’opposto
Si aderisce all’opinione generale
per Sentirsi in sintonia con gli altri
Sorprese Evitare Critiche
Sentirsi protetti dall’insieme
Il principio della riprova sociale, secondo lo psicologo Robert Cialdini nel volume Le armi della persuasione (Giunti, 1984) è uno dei mezzi che usiamo per decidere che cos’è giusto è cercare di scoprire che cosa gli altri considerano giusto: La tendenza a considerare più adeguata un’azione quando lo fanno anche gli altri normalmente funziona bene. Di regola, commetteremmo meno errori agendo in accordo con l’evidenza sociale che al contrario. Questo aspetto del principio della riprova sociale è il suo maggior punto di forza, ma anche la sua debolezza. Come altre armi di persuasione, ci ofre una comoda scappatoia, ma allo stesso tempo ci espone agli attacchi dei profttatori in agguato. Questo allinearsi al giudizio degli altri, senza preoccuparsi di appurare la verità, può portare ad errori di valutazione anche gravi come illustrato nel flm Il sospetto (Applichiamo le competenze 3). VANTAGGI
Si commettono meno errori per decidere ciò che è giusto
RIPROVA SOCIALE RISCHI
Ci si conforma al giudizio degli altri senza accertare la verità
Andy Roberts, Getty Images.
95
S EZIONE
S EZIONE
B
B
RIASSUMIAMO
COMUNICAZIONE E METACOMUNICAZIONE Saper comunicare è fondamentale per la creazione di buoni rapporti interpersonali. La comunicazione è un processo complesso in cui convergono componenti consce e inconsce, verbali e non verbali. Nell’inviare un messaggio comunichiamo anche il modo in cui quel
messaggio deve essere assunto e interpretato, ovvero metacomunichiamo. Non sempre ce ne rendiamo conto ma comunichiamo sulla comunicazione. La comunicazione si avvale di forme esplicite e implicite. C’è dunque un doppio livello della comunicazione. 2xSamara.com, Shutterstock.
LINGUAGGIO VERBALE E NON VERBALE Comunichiamo attraverso il linguaggio verbale (comunicazione numerica) per trasmettere contenuti, conoscenze, per esprimere passaggi logici, e attraverso il linguaggio non verbale (comunicazione analogica),
cioè con i gesti, la mimica, le posture, le pause, i toni, la prossemica, i tatuaggi. La comunicazione non verbale può rinforzare oppure contraddire il messaggio verbale, ma può anche essere autonoma. Stephen Swintek, Getty Images.
LA PROSSEMICA Edward Hall ha studiato l’organizzazione delle distanze tra le persone (prossemica), individuando la distanza intima (meno di mezzo metro), la distanza personale (fno a 120 cm), la distanza sociale (fno a 3,60 m), la distanza pubblica (supe-
riore ai tre metri e mezzo). La distanza che si frappone tra noi e gli altri o tra gli altri tra di loro indica il tipo di relazione tra gli individui (intima, confdenziale, impersonale, distaccata). Ridurre le distanze signifca accordare fducia. Kiselev Andrey Valerevich, Shutterstock.
96
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
LA TEORIA SISTEMICO-RELAZIONALE Gli studiosi della Scuola di Palo Alto (California), George Bateson Paul Watzlawick, Janet Beavin e Don Jackson, autori del libro Pragmatica della comunicazione umana, hanno elaborato l’approccio sistemico-relazionale e hanno studiato le reciproche infuenze tra comunicazione e relazione. Essi individuano cinque assiomi della comunicazione: 1) non si può non comunicare, 2)
ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, 3) la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti, 4) gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico (verbale) che con quello analogico (non verbale), 5) tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari.
Vitalinka, Shutterstock.
IL CONFLITTO I confitti fanno parte della realtà umana, occorre saperli afrontare e gestire, non negarli o fuggire. Un confitto è costruttivo quando ciascuno riesce a capire il problema anche dal punto di vista dell’altro; diventa facilmente distruttivo quando invece l’obiettivo è quello di esercitare il proprio potere sull’avversario. Elementi importanti per la riso-
luzione del confitto sono: il riconoscimento dei bisogni di stima e rispetto dell’altro; l’empatia, cioè la capacità di comprendere le emozioni le aspettative e gli stati d’animo dell’altro; l’autocontrollo, ovvero la capacità di comunicare le proprie opinioni, emozioni e richieste usando toni pacati e un linguaggio non ofensivo. Stephen Swintek, Getty Images.
LA COMUNICAZIONE NEI GRUPPI Il modo di parlare e di esprimersi può essere infuenzato dal luogo in cui ci si trova dalle persone presenti e dal loro numero. Il contesto infuisce sulla comunicazione. Più il gruppo è numeroso, più la comu-
nicazione tende a diventare centralizzata, ovvero si comunica più con il leader che con gli altri membri. All’interno del gruppo possono crearsi degli squilibri per cui alcuni membri si sentono isolati e di con-
97
SEZIONE B
La relazione educativa
seguenza sono meno attivi. In una classe questo squilibrio può essere superato dividendo il gruppo-clas-
se in sottogruppi meno numerosi, dove ciascuno può avere un ruolo preciso. Yamada Taro, Getty Images.
VOCI INCONTROLLATE Talvolta alcune comunicazioni costituiscono voci infondate che però si difondono rapidamente. Questo può succedere perché gli individui, per sentirsi in sintonia con gli altri, tendono ad aderire all’opinione generale. Per Cialdini quando dobbiamo decidere cosa è giusto o sbagliato, cerchiamo di
scoprire prima che cosa ne pensano gli altri: è il principio della riprova sociale; questo può facilitare una decisone più rapida, ma può anche portare a errori di valutazione molto gravi,come nel caso dellla città francese di Orléans descritto dal sociologo Edgar Morin nel 1969. David Sutherland, Getty Images.
98
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
B
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
SEZIONE
S EZIONE
B
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
Molte controversie sono dovute ad una cattiva comunicazione
V
F
b
Il linguaggio non verbale è di tipo digitale
V
F
c
La comunicazione non verbale non è mai in contrasto con la comunicazione verbale
V
F
d
La prossemica è la gestione delle distanze fra gli individui
V
F
e
Gli studiosi della teoria sistemico-relazionale, come i comportamentisti, considerano la mente umana una “scatola nera”
V
F
f
Secondo il primo assioma della comunicazione il silenzio ha un valore comunicativo
V
F
g
I conflitti fra le persone sono sempre distruttivi
V
F
h
In un gruppo esteso il leader tende a rivolgersi al gruppo nella sua globalità piuttosto che ai singoli componenti
V
F
1 Per metacomunicazione si intende:
Competenza
□ una comunicazione lacunosa □ una comunicazione che ha uno scopo defnito □ comunicare sulla comunicazione
Acquisire le informazioni
2 La comunicazione non verbale può: □ sostenere, equivalere o contraddire la comunicazione verbale □ assecondare e fornire indicazioni parallele alla comunicazione verbale □ corrispondere alla comunicazione verbale, ma mai contraddirla
3 Per risolvere gli squilibri all’interno della classe, l’insegnante dovrebbe: □ formare gruppi omogenei in base alle abilità e alle capacità, senza tener conto dell’origine sociale degli studenti □ non favorire i rapporti di amicizia fra gli studenti, cercando di dividerli nella formazione dei gruppi per incoraggiare la collaborazione □ dividere la classe in sottogruppi e assegnare un ruolo preciso ad ogni alunno, rendendo gli alunni equamente responsabili
99
SEZIONE B
La relazione educativa
4 Secondo il primo assioma della comunicazione: □ gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico □ il silenzio ha un valore comunicativo □ ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: atten-
Competenza
zione! Alcuni sono in più!
Sapere usare il lessico della disciplina
Il doppio livello della comunicazione non è soltanto all’origine di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , ma presenta anche dei pregi. Consente di modulare il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., di “colorarlo” di emozioni, di renderlo convincente, divertente, umoristico. L’intrecciarsi continuo della comunicazione verbale e non verbale, consente una gamma molto ricca di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (comunicazione numerica) più complesso e astratto è assai efcace nel trasmettere contenuti, conoscenze e nel ragionamento logico; ma assolve anche ad altre funzioni come quella di socializzare e defnire la relazione che esiste tra le persone (per esempio amichevole, afettuosa, distante). Il linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (comunicazione analogica) è importante nella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , nel dare il tono alla relazione e nell’espressione delle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . distorsioni - problemi - corpo - linguaggio - espressioni - non verbale - verbale - sociale comunicazione - socializzazione - emozioni - posture
1 Scrivi la defnizione di metacomunicazione e poi controlla nel testo
Competenza
(a pag. 73) se è corretta o esauriente.
Acquisire e interpretare le informazioni
……………………………………………….....................……………………………………. ……………………………………………….....................……………………………………. ……………………………………………….....................…………………………………….
2 Quali sono i fattori che aiutano a rendere un confitto costruttivo? □ □ □ □ □ □ □
100
Sorvolare Atteggiamento empatico Fare delle battute spiritose Porre fne rapidamente al colloquio Autocontrollo Riconoscimento bisogni umani di base Rimandare
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
3 Osserva una conversazione di gruppo in classe o anche al di fuori della classe e alla luce di quanto hai appreso nel paragrafo B3.5 indica le carenze che hai notato.
4 Spiega perché l’abbigliamento può rivelare molto di una persona e riporta due casi che hai potuto notare.
5 Che cosa rappresenta il Principio della riprova sociale? 6 Che cosa signifcano i seguenti termini riferiti alla comunicazione: • simmetrico e complementare; • analogico e digitale.
101
s ezione
s ezione
B
B
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 IMPARARE A DIALOGARE
Competenza Sapere interpretare la realtà
Dialogare signifca scambiare idee e pensieri con altre persone, al fne di trovare un accordo. Quante volte ti è capitato di svolgere questa attività? Sicuramente, innumerevoli. Dialogare è un’abilità che si apprende nella pratica di tutti i giorni. Tuttavia, è possibile renderla migliore e più efcace con esercizi mirati e applicazione. Esistono infatti tecniche specifche che facilitano l’apprendimento di quest’importante abilità. Tu stesso, assieme ai compagni e con la guida dell’insegnante, puoi sperimentare l’efcacia di tali regole, imparando non solo a partecipare a un gruppo di discussione in maniera ordinata e pertinente, ma a svolgere anche il ruolo del moderatore o conduttore.
Defnizione
istruzioni
Una volta individuato un tema di conversazione, si designa un moderatore (le prime volte sarà meglio che il moderatore sia l’insegnante, in seguito si potrà stabilire un ordine di turnazione tra i compagni di classe), poi si inizia a dialogare seguendo alcune regole. Per comodità si può adottare una sigla (che può essere scritta a caratteri grandi sulla lavagna). IAFRUS: ogni lettera di questa sigla ricorda un valore da rispettare. • Io - ognuno parla a titolo personale; il punto di vista e i sentimenti di ognuno sono importanti; si terrà conto di tutti i pareri. • Attivo - collaborazione attiva; ognuno collabora ascoltando attivamente; chi ritiene di poter portare un contributo lo fa, ogni apporto costruttivo viene preso in considerazione. • Fiducia - si può contare sugli altri; ciò che si dice resterà all’interno del gruppo. • Rispetto - bisogna sforzarsi di mantenere il rispetto reciproco; vanno evitati gli insulti, le parolacce e le minacce; ci può essere divergenza di opinioni, disaccordo, ma mai rifuto dell’altro come interlocutore. • Umorismo - un po’ di divertimento non solo è ammesso ma serve per allentare la tensione; si può sempre fare una battuta umoristica senza però ofendere. • Scelta - ognuno decide che cosa vuole dire nel gruppo; parlare è una scelta, non un obbligo. Il ruolo del moderatore è fondamentale per il buon andamento della conversazione. Ecco i punti che il moderatore deve tenere presenti: • La conversazione passa attraverso lui (è lui che dà e toglie la parola, che incana-
102
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
• • • • • • •
• • • •
UNITÀ B3
la il dialogo, che suggerisce di cambiare argomento o di proseguire) ed egli per svolgere il suo ruolo di mediatore deve quindi essere sufcientemente sicuro ed equilibrato. Il moderatore si distingue per l’imparzialità con cui dà la parola a tutti coloro che la chiedono seguendo l’ordine di richiesta. Il suo comportamento viene preso a esempio: se si vuole che tutti quanti siano chiari, espliciti e corretti è necessario che in primo luogo lo sia il moderatore. Non può essere distratto: deve lasciare trasparire che dà importanza a ciò che viene detto o accade nel gruppo. Deve saper stimolare quei comportamenti che ritiene positivi per il buon andamento della conversazione. Deve creare un clima favorevole: perché sono indispensabili calma e rispetto dei turni. Deve essere attento a non prendere la parola troppo spesso. I suoi interventi devono essere sintetici. Deve lasciare spazio a tutti. Deve adottare un’attitudine d’ascolto: prestare attenzione a chi sta parlando. Deve anche verifcare se ha capito (ripetendo con parole sue, ponendo domande, ripetendo ciò che è stato detto). Deve imparare a fare attenzione ai messaggi nascosti, può infatti capitare che qualcosa di importante venga detto tra le righe, o che sia appena accennato. Deve evitare di interrompere colui che parla e, pur invitando alla sintesi, lasciare ad ognuno la possibilità di esprimere compiutamente il proprio pensiero. Deve evitare di prendere “alla lettera” i messaggi che inviano gli altri o di banalizzarli; al contrario, deve cercare di coglierne il signifcato genuino. Deve cercare di tirare le fla della conversazione, evidenziando ciò che ne è emerso e sottolineando il contributo di tutti. La conversazione va conclusa con una nota positiva: una battuta spiritosa oppure un complimento al gruppo per come si è comportato, per aver chiarito un aspetto, raggiunto un accordo, o per come alcuni partecipanti hanno reagito sportivamente agli attacchi.
Competenza
2 IL METODO DELLE RUOTE DENTATE
Sapere interpretare la realtà
Il “metodo delle ruote dentate” deve il suo nome dalle ruote dentate utilizzate in meccanica per realizzare ingranaggi in grado di trasmettere il movimento. Come il movimento di una ruota attiva quello dell’altra grazie all’azione dei denti successivamente in contatto tra loro, in modo analogo, per portare a termine una ricerca su un argomento di studio, tutti gli alunni devono dare un contributo uguale per peso e importanza. Seguendo questo metodo, l’insegnante dopo aver delineato, insieme agli studenti, un argomento di studio defnisce i compiti da eseguire e li assegna a ciascun gruppo. I componenti dei vari gruppi si trovano così nella condizione di dover interagire tra loro, per esplicitare i diversi punti di vista e afrontare
Defnizione
103
SEZIONE B
La relazione educativa
le situazioni problematiche che via via si presentano. Tutti coloro che partecipano sono legati gli uni agli altri in una stretta relazione di co-dipendenza, poiché il contributo di ogni ricercatore favorisce lo svolgimento dell’indagine nel suo complesso. Alla fne della ricerca, ognuno sarà diventato “esperto” in qualcosa e gli altri, di volta in volta, saranno costretti ad ascoltarlo, in quanto esperto, e a tener conto del lavoro che ha svolto. Questo tipo di attività promuove un percorso di apprendimento basato sulla partecipazione attiva e sulla collaborazione reciproca.
Ogni alunno è un dente di una ruota. È l’insegnante che decide la composizione delle ruote e la divisione dei compiti all’interno di ognuna. Nell’esempio della fgura seguente, i ragazzi sono 21, divisi in tre gruppi da 7: A, B, C.
Istruzioni
7
1
2 3
GRUPPO
B
6 5 3
GRUPPO
1
7
2
6
A
GRU PPO
4 5
6
3
C
4
7
2
4
1
5
L’organizzazione e lo svolgimento del lavoro segue questi tempi: 1) 2) 3) 4) 5)
Divisione dei compiti ( fatta dall’insegnante) Ricerca e approfondimento Incontro tra gli esperti Ritorno nel gruppo: esposizione Eventuali altri approfondimenti
Ogni ruota fa un lavoro di squadra. All’interno di ogni ruota ogni alunno approfondisce un tema diverso. I temi da approfondire in questo caso sono 7, gli stessi in ogni ruota. Supponiamo che l’argomento da studiare sia la Seconda guerra mondiale, la divisione dei compiti sarà: • 1° dente: Marta (A), Carlo (B) e Maria (C) svolgono, ognuno per contro proprio, una ricerca sui fattori socio-economici che favorirono il confitto; • 2° dente: Fabrizio (A), Luigi (B) e Sonia (C) studiano l’ascesa di Hitler al potere; • 3° dente: Roberto (A), Paola (B) e Chiara (C) si concentrano sui rapporti Italia-Germania; • 4° dente: Michela (A), Fabio (B) e Alessandro (C) approfondiscono il tema del contributo dell’Unione Sovietica; • 5° dente: Luca (A), Cinzia (B) e Stella (C) si occupano dell’entrata in guerra del Giappone;
104
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
• 6° dente: Rita (A), Valentina (B) e Dario (C) fanno una ricerca sulla bomba atomica e sulla scelta di utilizzarla da parte del governo americano; • 7° dente: Nicola (A), Giuliano (B) e Rosy (C) approfondiscono il ruolo svolto dalle truppe alleate. Ciò che caratterizza questo lavoro di squadra è che: ogni alunno ha, all’interno del proprio gruppo, un compito specifco; il risultato fnale dipende dal contributo di ognuno; ognuno diventa esperto nel suo settore e si consulterà con gli “esperti” che, nelle altre due ruote, hanno svolto il suo stesso lavoro. Ogni alunno svolge la sua ricerca e prepara una relazione per gli altri membri del suo gruppo, prima però di riferire i risultati ottenuti - per non fare una brutta fgura di fronte ai compagni del proprio gruppo - si trova con gli alunni delle altre ruote che hanno svolto la stessa sua ricerca, ossia con gli “esperti” in quello specifco argomento: vengono scambiate informazioni e si completano le proprie nel caso in cui siano carenti (“Incontro tra esperti”: tutti i n. 1, tutti i n. 2, tutti i n. 3…). Dopo aver fatto questa verifca si torna alla propria ruota per riferire i risultati ai membri del proprio gruppo: ognuno deve esporre ma ognuno deve anche ascoltare attentamente gli altri, porre domande, chiedere chiarimenti.
nota
Questa fase può essere seguita da eventuali altri approfondimenti su richiesta degli alunni oppure dell’insegnante e alla fne i diversi contributi vengono messi insieme e vanno a costituire un’unica relazione.
Competenza
3 COME SI DIFFONDONO LE “VOCI”
Sapere interpretare la realtà
Defnizione
La difusione delle notizie non segue sempre canali razionali, ma si colora delle attese, delle emozioni e dei gusti di chi le invia e di chi le riceve. Uno studio condotto dall’università della Ohio State University nel 2011-12 ha dimostrato ciò che molti già sospettavano e cioè che la prima versione di un fatto resta impressa nella mente, nonostante venga poi corretta o confutata. Le voci false che si difondono, risentono di questo meccanismo. Ma non solo. Un altro fattore decisivo nell’orientare la credenza nei confronti di una notizia è legato alla disposizione soggettiva di chi l’ascolta, la legge o ne sente parlare in tv. Se la notizia “piace”, pur non avendo alcuna prova, si tende a considerarla plausibile per motivi di “contorno” che nulla però hanno a che fare con il fatto in sé. Procurati il flm Il sospetto di Tomas Vinterberg (Danimarca, 2012) e guardalo con attenzione, poi rispondi alle seguenti domande: Come mai la direttrice della scuola materna è pronta ad avallare la versione della bambina? Quali sono gli aspetti “di contorno” che inducono gli amici del protagonista a considerare credibile la notizia di molestie sessuali alla bambina della scuola materna? Per quale motivo, anche dopo la piena assoluzione del protagonista permane tra i compaesani un clima di sospetto?
istruzioni
Si tratta di una tematica importante, meglio quindi se a questo laboratorio partecipa tutta la classe.
nota
105
S EZIONE
S EZIONE
B
LEGGIAMO 1 CHI HA RAGIONE?
P
ur di avere ragione le persone possono distorcere i fatti e negare l’evidenza. A volte, come il coniglio di Alice, colui che detiene il comando cerca, attraverso il potere, di imporre la sua verità sugli altri.
Contrasto sul contenuto o difcoltà nella relazione? Il fenomeno del disaccordo ci ofre un ottimo schema di riferimento per studiare i disturbi di comunicazione provocati dalla confusione tra contenuto e relazione. Il disaccordo può manifestarsi a livello di contenuto o a livello di relazione; è chiaro però che le due forme dipendono l’una dall’altra. Se per esempio non si è d’accordo sull’asserzione “L’uranio ha 92 elettroni”, a quanto pare la verità si può stabilire solo ricorrendo a una prova oggettiva, per esempio un testo di chimica. Infatti tale prova non solo dimostra che un atomo di uranio ha 92 elettroni, ma che delle due persone che discutevano una aveva ragione e l’altra torto. Si hanno dunque due risultati: il primo elimina la causa del disaccordo a livello di contenuto; il secondo pone un problema di relazione. È evidente che per risolvere questo nuovo problema i due individui non possono continuare a parlare di atomi; debbono cominciare a parlare di se stessi e della loro relazione e quindi defnirla simmetrica o complementare. Per esempio, chi aveva torto può ammirare la superiorità che l’altro ha dimostrato oppure può legarsela al dito e meditare di assumere una posizione one-up alla prima occasione per ristabilire una situazione di parità. È anche possibile che non abbia la pazienza di aspettare una prossima occasione e ricorra al metodo di manda106
B
re “al diavolo la logica”: può cercare cioè di mettersi in una posizione one-up sostenendo che la cifra 92 deve essere un errore di stampa oppure che un suo amico scienziato ha dimostrato recentemente che il numero degli elettroni è proprio del tutto privo d’importanza [...].
Le parole per esprimere la supremazia In queste polemiche le parole possono perdere l’ultima traccia di signifcato e diventare esclusivamente gli strumenti di posizioni di supremazia (oneupmanship), un fatto che Humpty Dumpty ha ammesso con chiarezza ammirevole: “Non capisco che cosa volete intendere dicendo glo ria” disse Alice. Humpty Dumpty sorrise con aria di superiorità. “È naturale che tu non capisca... fnché non te lo spiegherò io. Volevo dire che questo è un ottimo argomento per darti torto!”. “Ma gloria non signifca un ottimo argomento per darti torto” obiettò Alice. “Quando io adopero una parola”, disse Humpty Dumpty con un tono piuttosto sdegnoso “essa ha esattamente il signifcato che io le voglio dare... né più né meno”. “Bisogna vedere” disse Alice “se voi potete fare in modo che le parole indichino cose diverse”. “Bisogna vedere” disse Humpty Dumpty “chi è che comanda... ecco tutto”2. (Nostro ultimo corsivo). Si tratta dunque di un altro modo per dire che, a dispetto del loro disaccordo, due individui debbono definire la loro relazione che può essere o complementare o simmetrica. ■ P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio ed., Roma 1971
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
unità B3
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
Le parole, a volte, in una discussione possono perdere il loro significato originario
V
f
b
in una discussione spesso capita che uno degli interlocutori voglia mantenere una V posizione di vantaggio e di imposizione
f
▶ all’interno di una discussione si possono manifestare:
□ disaccordi solo sul contenuto □ disaccordi solo sulla relazione □ disaccordi sul contenuto e sulla relazione ▶ in che senso il disaccordo sul contenuto è indicativo di un disaccordo sulla relazione? ▶ cosa emerge di importante nel colloquio tra alice e Humpty Dumpty?
LeGGiamo 2 LA POSTURA
C
osì come esiste un ricco repertorio di mimiche e di gesti, esistono anche numerose posture che noi percepiamo come naturali e spontanee. Ma non tutte le posture rispondono a meccanismi biologici e a esigenze biologiche; alcune vengono apprese, a partire dai primi anni di vita, attraverso l’osservazione dei comportamenti altrui, l’imitazione e il rinforzo. Le posture, come altre forme del linguaggio non verbale, esprimono stati d’animo, emozioni, sentimenti, desideri, intenzioni.
Posture funzionali I cani, i cavalli, le scimmie e altri animali hanno tutti un certo numero di posture caratteristiche. I
resi (tipi di scimmie), per esempio, si siedono in cinque posizioni diverse: eretta, rilassata, curva, da gatto e accovacciata. Hanno altre posture per esprimere minaccia, per il comportamento sessuale, per pulirsi, per defecare, per dormire e così via. La postura svolge una funzione importante per molti animali per segnalare dominanza, minaccia, sottomissione e altri atteggiamenti interpersonali. Vedremo che segnali molto simili sono usati anche dall’uomo. Le tre principali posture dell’uomo sono le seguenti: • eretta; • a sedere, rannicchiata e in ginocchio; • distesa.
107
SEZIONE B
La relazione educativa
Ognuna di queste presenta ulteriori variazioni che corrispondono alle diverse posizioni delle braccia, delle gambe e alle angolazioni del corpo. Nelle società primitive vi sono circa 100 posture comuni e la maggior parte di esse non sono usate afatto in società più sviluppate, come per esempio stare in piedi su una gamba, accovacciarsi, stare seduti con le gambe incrociate e inginocchiarsi su un ginocchio solo. Le posture usate in particolari comunità dipendono da fattori quali la natura del suolo, se esso è freddo o umido, e i vestiti indossati.
Posture: espressioni culturali Nelle nazioni occidentali abbiamo ritenuto insoddisfacente sederci o distenderci sul pavimento e siamo abituati a usare i mobili. I modi in cui si esprimono particolari atteggiamenti o emozioni variano da cultura a cultura, ma esistono caratteristiche comuni. Quasi tutte queste posture implicano movimenti come chinarsi, accovacciarsi o abbassare il corpo. All’interno di una cultura, per ogni situazione ci sono posture approvate. Ci sono posture adatte per mangiare, svolgere una lezione, essere intervistati, fare i bagni di sole e andare a cavallo. Una persona che ometta di assumere la giusta postura può essere oggetto di una violenta disapprovazione: è considerato indolente, immorale, barbaro o eccentrico.
samento, ma essa include anche altre componenti. Anche i pazienti in stato ansioso sono molto “attivati”, ma in questo caso l’emozione specifca è l’ansia più che l’euforia e questo lo si può notare nella tensione muscolare. La postura può esprimere emozioni specifche? Bull flmò dei soggetti che stavano ascoltando delle conversazioni videoregistrate e li classifcò in base alle emozioni. Essi assunsero determinate posture durante parti della registrazione valutate in base a certe emozioni: interessato: si sporge in avanti, tira indietro le gambe; annoiato: tiene il capo abbassato, sostiene il capo con una mano, si inclina indietro, allunga le gambe, si volta (suggerendo minori attivazione e attenzione). In uno studio sulla decodifcazione, che ha utilizzato dei disegni, si rilevò che i soggetti interpretavano correttamente le posture rappresentate (Figura B3.5). Nella ricerca di Sarbin e Hardyck (Figura B3.6), diverse fgure schematiche furono concordemente giudicate come espressione di specifche emozioni: indiferenza, timidezza, soddisfazione di sé, agitazione, commozione, violenza e rabbia. [...] 1
2
3
Le emozioni Ekman e Friesen suggeriscono che mentre il volto è il canale più efcace per esprimere emozioni specifche, il corpo esterna dimensioni più generali, come ad esempio il grado di tensione-rilassamento o di eccitazione. Nelle posture di certi malati si possono percepire emozioni spinte all’eccesso. I depressi assumono una postura accasciata, indiferente, siedono rannicchiati e fssano il pavimento. I maniaci sono vigili e stanno eretti, il loro corpo è in uno stato di notevole eccitazione. Questa è, in modo parziale, una diferenza lungo la dimensione tensione-rilas108
Figura B3.5 - Postura ed emozione: 1. e 2. noia; 3. interesse.
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
a
b
c
d
e
f
g
h
i
j
k
l
m
n
p
q
r
s
UNITÀ B3
o
t
Figura B3.6 - Il signifcato di alcune posture: a. curioso, b. perplesso, c. indiferente, d. rifuto, e. osservare, f. soddisfatto di se stesso, g. accogliente,
h. risoluto, i. furtivo, j. cercare, k. osservare, l. attento, m. violenta collera, n. agitato,
o. disteso, p. sorpreso, dominante, sospettoso, q. furtivo, r. timido, s. pensoso, t. afettuoso.
109
Sezione B
La relazione educativa
Postura ed eloquio I cambiamenti posturali si possono considerare una sorta di gesti supplementari consistenti in movimenti del corpo più ampi e più lenti. Schefen riferisce che un paziente durante una seduta terapeutica sceglie da due a quattro posizioni posturali. Una persona ripete le sue posture quando gli si presenta la stessa emozione o lo stesso argomento, ma il codice usato è individuale e non può essere decodifcato senza considerare l’esperienza di quell’individuo. La postura occupa un posto e una funzione che sta a metà tra i gesti e il comportamento spaziale. La postura struttura e defnisce un periodo di interazione più lungo di quello di un gesto, più corto di quello di una posizione spaziale. Solo quando si sceglie una postura adatta per il momento dell’incontro con un’altra persona si può parlare di comunicazione in termini di relazioni con gli altri; tuttavia, si suole ormai associare certe posture a particolari relazioni. I gesti accompagnano e sostengono il discorso in vari altri modi e in particolari occasioni possono trasformarsi in variazioni della postura, nel fornire illustrazioni, nella sincronizzazione, nel commen-
tare le espressioni verbali e nel fornire il feedback in risposta alle espressioni di altre persone, sotto forma di accordo e disaccordo. ■ M. Argyle, Il corpo e il suo linguaggio, Zanichelli, Bologna 1992
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
Le posture sono unicamente espressioni degli esseri umani
V
f
b
Le posture possono esprimere emozioni specifiche
V
f
c
in particolari comunità le posture sono influenzate dall’ambiente
V
f
d
La postura tenuta nel corso di una comunicazione può esprimere accordo o disaccordo V
f
▶ una persona che trascura di assumere la giusta postura in un particolare contesto
□ dimostra di essere molto distratta □ può essere oggetto di dissenso e critiche □ dimostra di non conoscere affatto il linguaggio della comunicazione non verbale ▶ Le posture possono essere un’espressione culturale? Quale ruolo riveste la postura
nella comunicazione?
110
CONFLITTI E COLLABORAZIONI
La comunicazione: conflitti e collaborazioni
UNITÀ B3
▶ Qual è la funzione della postura negli animali? ▶ Abbina con una freccia l’immagine di sinistra con l’informazione di destra
1
A. timido
2
B. rifiuto
3
C. curioso
4
D. affettuoso
5
E. cercare
6
F. disteso
7
G. violenta collera
111
s ezione
B
Unità B4
Capire le emozioni in Classe La scuola ha spesso privilegiato i fattori culturali e cognitivi, lasciando in ombra quelli emotivi e affettivi. Ma se in classe non regna un clima sereno e collaborativo anche l’apprendimento ne risente. ognuno può portare a scuola il proprio pacchetto di esperienze, emozioni, problemi irrisolti; e tutto ciò ha un effetto sulla relazione con le persone che stanno intorno ma incide anche sul rendimento e sulla motivazione. Le emozioni possono influenzare il clima della classe e il profitto di ciascuno in due modi opposti: possono essere di ostacolo all’apprendimento e inibire l’intelligenza, o, al contrario, collaborare con le capacità individuali favorendo la motivazione all’impegno e al buon esito scolastico. Quando tra intelligenza ed emozioni si crea un equilibrio armonico, entrambe si potenziano a vicenda. L’espressione intelligenza emotiva, coniata da Daniel Goleman, è entrata ormai a pieno titolo nel nostro vocabolario e indica efficacemente l’importanza della sinergia* tra emozioni e intelligenza.
*
B4.1
Un caso emblematico
sinergia dal greco “sinergo”, “collaborare” e “cooperare”, indica l’azione coordinata di più elementi diversi nello svolgimento di un’attività o di un processo, allo scopo di operare più effcacemente.
stefano, 12 anni, diventa maleducato e aggressivo ogni qualvolta l’insegnante di inglese gli dice che cosa deve fare e per questo motivo viene inviato dallo psicologo. Quell’insegnante, unico professore maschio, ha un tono sbrigativo ma non al punto da giustifcare la reazione del ragazzo.
il rifuto e la rabbia Dai colloqui con l’alunno emerge che due anni prima, durante una lite, il padre aveva detto a Stefano che non voleva più avere niente a che fare con lui e da allora non gli aveva più rivolto la parola.
▶
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
“Ero incavolato, ma non ho fatto nulla di male!” spiega il ragazzo allo psicologo con un groppo in gola; poi con un lampo di rabbia negli occhi sibila che vorrebbe ammazzarlo. Dopo questa rivelazione lo psicologo lo incoraggia a “uccidere suo padre con le parole” e lo lascia libero di esprimere il suo risentimento. Lo ascolta con pazienza infne gli chiede se per caso il professore gli ricorda suo padre. Stefano ci pensa e annuisce. Questa ammissione costituisce un importante punto di svolta. Il professore non è suo padre e confonderlo con lui è stato un errore da parte del ragazzo. Lo psicologo tuttavia ha accettato i suoi sentimenti, e non si è lasciato spaventare dalla sua rabbia; si è comportato come Stefano si sarebbe atteso da suo padre. Dopo molto tempo il ragazzo si è sentito accettato per la prima volta. Ora sa che non tutti gli uomini sono dei “bastardi”, che non tutti gli uomini disprezzano i fgli e che, se un fglio è arrabbiato, non per questo è un fglio cattivo per sempre.
Capire e sentire È bene notare che in questo caso lo psicologo non ha individuato soltanto la causa del disagio di Stefano, ma ha anche favorito l’emergere delle emozioni del ragazzo: un momento importante dell’intervento terapeutico, che non si basa soltanto sulla comprensione dei fatti ma anche sulla possibilità di rivivere le emozioni che a quei fatti sono collegati. Non sempre è sufciente capire. Molte persone non riescono ad afrontare i loro disagi e liberarsene perché, per il timore di sofrire, esercitano un blocco sulle loro emozioni. ▶
Mandy Godbehear, Shutterstock.
B4.2
La psicoanalisi La descrizione dei meccanismi inconsci che stanno alla base dei nostri comportamenti ed emozioni è opera di Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi. Per meglio comprendere il tema delle emozioni in classe, occorre prima capire l’importanza delle sue teorie. Nel 1900 Sigmund Freud (1856-1939), un neurologo che viveva a Vienna, divenne famoso per il suo saggio, L’interpretazione dei sogni, che fece conoscere la sua teoria psicoanalitica della personalità e dell’inconscio. Jacobsen, Getty Images.
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Ritratto di Freud.
*
topografa rappresentazione grafca di luoghi, in questo caso i “luoghi della psiche”.
La psicoanalisi e i luoghi della psiche A diferenza di altre
teorie che si difusero nei primi decenni del Novecento, come il comportamentismo, la psicoanalisi considera fondamentale l’esperienza soggettiva e fa dell’inconscio l’oggetto privilegiato della propria indagine. Per conoscere la psiche Freud non si avvalse degli studi sperimentali di laboratorio sui “processi manifesti”, come facevano i comportamentisti, né del metodo introspettivo di Wundt che considerava troppo diretto e poco attendibile. Egli adottò invece il metodo delle associazioni libere, dell’analisi dei sogni e dei sintomi nevrotici, dell’analisi dei lapsus e di altri errori o “sviste” che si possono fare nella vita quotidiana. Per questa via Freud giunse a elaborare una topografa* della psiche in tre sistemi (conscio, preconscio, inconscio), in cui i processi inconsapevoli occupano una parte assai più rilevante di quelli consapevoli; tracciò un quadro dell’apparato psichico, distinguendo tre funzioni, Es, Io, Super-io (scheda B4.1: La seconda topica dell’apparato psichico). Secondo il fondatore della psicoanalisi nella vita di ogni individuo giocano un ruolo importante forze sconosciute e desideri inaccettabili, nascosti nella profondità della psiche. FREUD
Es
Conscio
Io
Strutturale
CRITERIO
Topografco
Super-io
Preconscio
Inconscio Seconda topica
Freud nel suo studio.
114
Prima topica
Capire le emozioni in classe
SCHEDA B4.1 LA SECONDA TOPICA DELL’APPARATO PSICHICO
ERIO SUP
La struttura della psiche secondo Freud conscio: idee, pensieri, è come un iceberg, di cui solo una parsentimenti conapevoli IO te emerge in superfcie. Es È presente alla nascita; corrisponde preconscio: contenuti alla sede degli istinti ed è inconscio. che possono essere Opera sulla base del “principio di piafacilmente evocati cere”, cerca cioè di trarre soddisfazioni immediate e di evitare la sofferenza. incoscio: contenuti ES inconsapevoli L’Es è la fonte dell’energia psichica sessuale, la libido. Io Si sviluppa nell’infanzia dall’Es, attraverso l’esperienza e il contatto con la realtà. Grazie all’Io il bambino impara che la gratifcazione immediata non è sempre possibile e che il dolore non può essere sempre evitato. Il principio in base al quale opera l’Io è il “principio di realtà”, che decide quali azioni sono appropriate, quali impulsi possono essere soddisfatti e il modo in cui farlo. L’Io cerca di trovare un equilibrio tra le esigenze dell’Es, la realtà della vita e le richieste del Super-Io. La maggior parte dei processi dell’Io sono consapevoli, ma alcuni sono inconsci, come le “difese dell’Io”. La linea di confne che separa l’io dalle altre due istanze psichiche è mutevole e non defnita una volta per tutte. Una delle fnalità del lavoro analitico è di estendere il campo delle funzioni dell’Io. Super-Io È una sorta di “coscienza morale” che indica i valori e i comportamenti da seguire. Incomincia a svilupparsi intorno ai cinque anni, quando i bambini fanno propri gli insegnamenti e le regole trasmessi dai genitori. Questa funzione psichica è alla base dell’“Io ideale”, un modello dell’Io a cui l’individuo tende e vorrebbe assomigliare. Al Super-Io sono riconducibili sia le regole di comportamento sia il senso di colpa che deriva dal mancato rispetto delle regole interiorizzate.
UNITÀ B4
Presente alla nascita Fonte libido
Agisce in base al principio di piacere Inconscio (inconsapevole)
ES Sede istinti
PSICHE UMANA
Conscio (consapevole) Si sviluppa nell’infanzia
Coscienza morale Si sviluppa intorno ai 5 anni
SUPER-IO
IO Equilibrio tra Es, Io e Super-io
Base per l’Io ideale
Agisce in base al principio di realtà
Difesa dell’Io
115
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Come si esprimono i contenuti inconsci? Secondo Sigmund
Freud le azioni umane dipendono, almeno in parte, da forze profonde e sconosciute, le pulsioni. Le pulsioni innate nell’essere umano sono di due tipi: quelle a carattere sessuale, ovvero le pulsioni libidiche (chiamate anche Eros), e quelle aggressive/distruttive (chiamate anche pulsioni di morte o Tanatos). Esse possono entrare in contrasto con le regole sociali e le norme morali e indurre, quindi, il soggetto in confitti che generano dei comportamenti disturbati o nevrotici. Alla base degli atteggiamenti nevrotici c’è sempre un problema emotivo, spesso rimasto irrisolto dall’infanzia, come una repressione o una deviazione della libido. Il confitto può essere superato ed eliminato attraverso la terapia analitica: un intervento curativo basato sulla parola, che consiste nell’analizzare i contenuti inconsci del paziente, quali emergono nei sogni, nelle libere associazioni, nelle dimenticanze, nei lapsus ecc. (scheda B4.3: Che cosa possono rivelare lapsus e dimenticanze). Il metodo utilizzato dalla psicoanalisi, che ha come oggetto di studio l’individuo nella sua totalità e come obiettivo applicativo la cura delle persone nevrotiche, viene chiamato metodo clinico.
Ambrophoto, Shutterstock.
DISTRUTTIVE
PULSIONI FORZE INNATE
LIBIDICHE
Thanatos
Se contrastano con
Eros
Regole sociali norme morali
Confitti nel soggetto
Matthew Dent, Getty Images.
116
Nevrosi
Preto Perola, Shutterstock.
Capire le emozioni in classe
▶
UNITÀ B4
La teoria sessuale Va a Sigmund Freud il merito di avere riconosciu-
to l’esistenza di una sessualità già nell’infanzia, prima della “rivoluzione ormonale” della pubertà. Egli individua diverse fasi dello sviluppo sessuale del bambino, nelle quali il piacere erotico è dapprima centrato nella zona della bocca (fase orale, 0-2 anni) poi in quella dell’ano (fase anale, 3 anni) quindi in quella dei genitali (fase fallica, 4-6 anni) per “congelarsi” poi nel periodo di latenza (6-12 anni). Nella fase genitale il bambino è portato a cercare nell’ambiente che lo circonda l’oggetto d’amore che può soddisfare il suo desiderio. Questa fase è l’ultimo stadio dello sviluppo psicosessuale, in cui emergono i bisogni sessuali, il desiderio della riproduzione e si arriva a instaurare relazioni mature. Sebbene tra gli studiosi della psiche infantile non tutti condividano, o lo facciano solo in parte, la rigida strutturazione in stadi indicata da Freud, è innegabile che i bambini possono provare forme di piacere fsico fn dai primi anni di vita. Gli innamoramenti infantili sono caratterizzati, più che da una forte carica erotica, da dimensioni psicologiche quali ammirazione e identifcazione. Il piacere fsico è presente, invece, nella masturbazione (sebbene non vi sia ancora la maturazione sessuale che porta all’eiaculazione) e in alcuni giochi. L’autoerotismo va considerato come un evento normale, anche se non presente in tutti i bambini. Esso diventa anomalo quando è compulsivo e/o si manifesta in luoghi e contesti non appropriati: in pubblico, in classe, ecc. Si tratta allora di bambini ipereccitabili, con qualche carenza affettiva o che sono stati precocemente esposti a scene erotiche. Anche i giochi che alludono alla sessualità vanno considerati normali, tra i 5 e i 12 anni, e sebbene siano fonte di disagio e di allarme per gli adulti, essi possono essere un’occasione per insegnare ai bambini il rispetto del proprio corpo e di quello degli altri. La sessualità nell’adolescenza Nei riguardi del sesso gli adolescenti si comportano in modo diverso, a seconda delle differenze individuali, della maturazione biologica e dei contesti culturali di riferimento. Le pulsioni sessuali, che si fanno sentire a partire dalla pubertà, creano turbamenti, imbarazzi e persino reazioni difensive. Nel corso dell’adolescenza però un giovane arriva - chi prima e chi dopo - ad accettare la propria sessualità e identità di genere (che non sono soltanto etero ma possono essere anche omo) e a fronteggiare la complessità delle relazioni sessuali e sentimentali. I modi e i tempi variano da singolo a singolo per innumerevoli motivi. Le prime storie d’amore possono essere intense ma brevi. Per quale motivo ci innamoriamo? Alla radice della cotta infatti ci possono essere fattori “epidermici” come una frase pronunciata al momento giusto, un’affnità, un atteggiamento sexy, il piacere di piacere. Negli amori adolescenziali non c’è solo attrazione fsica, ma anche un bisogno di conferma. Sentirsi desiderati, al centro dell’attenzione e dell’interesse dell’altro è uno dei fattori più importanti nell’innamoramento: “Se mi ama esisto”. Quando una storia fnisce può, a volte, subentrare una fase di insicurezza o di depressione da cui però è possibile uscire rafforzati. Essere lasciati o rifutati signifca anche fare i conti con il dolore e la perdita, inevitabili nella vita. Le sofferenze d’amore ci insegnano che i drammi, che sembrano irreparabili, si possono superare.
SCHEDA B4.2 LA SESSUALITÀ
Aleksandr Markin, Shutterstock.
Preto Perola, Shutterstock.
117
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
I meccanismi di difesa Freud indicò in una serie di meccanismi di
difesa, le strategie inconsapevoli con cui l’individuo cerca di difendersi dai propri timori o dai propri impulsi o desideri inaccettabili, per esempio: a) la negazione: si nega che una certa cosa sia avvenuta perché sgradevole, perché ci fa sofrire, perché ci fa sentire in colpa, perché ci obbligherebbe a cambiare atteggiamento; b) la proiezione: si attribuiscono i propri sentimenti ad altri; c) la rimozione: si rimuovono e allontanano dalla coscienza ricordi, emozioni e sentimenti ritenuti intollerabili, che tuttavia possono poi riaforare a distanza di tempo; d) lo spostamento: si spostano i sentimenti che si provano nei confronti di una persona, di un evento o di una condizione esistenziale su un “oggetto” sostitutivo; e) la formazione reattiva: si trasforma un desiderio nel suo contrario; “non la voglio, è acerba” dice dell’uva la volpe nella favola di Esopo; f ) la regressione: si adottano comportamenti infantili consolatori, di fronte a una frustrazione; g) l’ipocondria: si accusano malesseri fsici di fronte a una situazione sgradita o all’impossibilità di soddisfare i propri desideri o imporre la propria volontà; h) la sublimazione: si deviano su altre mete pulsioni e desideri, che non possono essere soddisfatti, perché contrari alla morale comune, mettendo in atto comportamenti accettati e apprezzati a livello sociale; ad esempio le pulsioni sessuali possono essere sublimate nel lavoro, nell’arte o nella produzione culturale.
TIMORI
DESIDERI INACCETTABILI
INDIVIDUO
Si difende inconsapevolmente
Attiva
Meccanismi di difesa PathDoc, Shutterstock.
118
IMPULSI
Capire le emozioni in classe
Ecco due esempi, tratti dal volume di Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, uno di lapsus verbale e uno di atto mancato. • Un professore nella sua prolusione inaugurale: “È per me una noia - (gioia) descrivere i meriti del mio stimato predecessore”. • Vi sono alcuni casi in cui l’atto mancato si ripete tenacemente, cambiando allo stesso tempo i mezzi di cui si serve: Jones, per motivi a lui ignoti, aveva lasciato sulla scrivania una lettera per alcuni giorni senza imbucarla. Infne si decise a spedirla, ma se la vide respingere perché aveva dimenticato di scrivere l’indirizzo. Dopo aver scritto l’indirizzo, portò la lettera di nuovo alla posta. Questa volta senza francobollo! Allora dovette capitolare e ammettere la propria riluttanza a spedire la lettera.
Unità B4
SCHEDA B4.3 CHE COSA POSSONO RIVELARE LAPSUS E DIMENTICANZE
Creatista, Shutterstock.
Esercizio: cerca di ricordare un lapsus o una dimenticanza tua, o di altri, e valuta se è casuale, dovuta cioè a semplice confusione creata da fattori esterni, oppure se è legata a un desiderio o a un’emozione inconscia. Stocksnapper, Shutterstock.
B4.3
Gli sviluppi della psicoanalisi il contributo della psicoanalisi alla comprensione delle dinamiche emotive non si ferma a Freud. numerosi studiosi hanno ripreso e rielaborato le teorie del fondatore, permettendo di migliorare la comprensione dei meccanismi che infuenzano le nostre emozioni e i nostri comportamenti. tra costoro ricordiamo Karen Horney e Harry sullivan, che operarono negli anni Quaranta del novecento, negli stati Uniti, in contesti sociali diversi dall’ambiente della Vienna dei primi anni del novecento in cui aveva operato Freud. essi sottolinearono il ruolo dei fattori sociali nello sviluppo della personalità. Un altro nome da ricordare è quello di John Bowlby psicoanalista inglese, che si impegnava ad operare una sintesi tra i principi della psicoanalisi e le nuove acquisizioni dell’etologia e della cibernetica*.
▶
Impulsi individuali e regole sociali La teoria freudiana della ses-
sualità ebbe una grande infuenza sul pensiero occidentale del Novecento e, attraverso pensatori come Herbert Marcuse e Erik Fromm, rappresentò una tematica centrale dei movimenti culturali giovanili degli anni Sessanta. Richiamandosi alla distinzione freudiana tra il principio del piacere (tendenza a scari-
cibernetica scienza che studia “la comunicazione e il controllo nell’animale e nella macchina” (defnizione di N. Wiener nel 1947), con l’idea che vi sia una sostanziale analogia tra meccanismi di funzionamento delle macchine e quelli degli esseri viventi.
119
*
SEZIONE B
La relazione educativa
care la tensione creata dai propri impulsi sessuali) e il principio di realtà (l’aggiustamento alle condizioni imposte dall’esterno), nel 1955 Marcuse, membro della prestigiosa Scuola di Francoforte, pubblicò un saggio, Eros e civiltà, in cui sosteneva che la società tecnologica tende a cancellare il principio del piacere a vantaggio quasi totale del principio di realtà, provocando disagi psicologici più o meno gravi con conseguenze, a volte, sull’intera comunità. A queste idee diedero luogo movimenti culturali che si proponevano di realizzare una società non repressiva, dove la dimensione estetica ed erotica e la fantasia avrebbero dovuto avere la meglio sull’efcienza e la produttività fni a se stesse, e favorire così lo sviluppo di una personalità umana in cui anche le componenti emotive, relazionali e creative trovassero uno spazio adeguato accanto alle componenti. In una direzione analoga Wilhelm Reich, medico austriaco e diretto collaboratore di Freud per un certo periodo di tempo, riteneva che la società del suo tempo fosse dominata da un’educazione sessuo-moralistica e sosteneva pertanto l’esistenza di uno stretto rapporto tra liberazione sociale e liberazione sessuale.
Contenuti inconsci e rispecchiamenti
B4.4
La psicoanalisi, che ha come oggetto di studio la dimensione inconscia della personalità, ci offre importanti strumenti per capire le reazioni e le dinamiche emotive che interessano la relazione educativa e, in particolare, la vita nella classe.
René Magritte, L’uomo con la bombetta, 1964, New York, Museum of Modern Art.
120
▶ Il ruolo dell’inconscio Uno degli assunti fondamentali della teoria psicoanalitica è che il nostro comportamento e la nostra vita cosciente sono infuenzati da sentimenti e fantasie inconsapevoli che risalgono a esperienze precedenti, spesso infantili, di cui abbiamo perduto il ricordo e la consapevolezza. Questi sentimenti e queste fantasie possono infuire, senza che ce ne rendiamo conto, su diversi aspetti della nostra vita individuale e relazionale. Nel caso degli studenti, desideri e forze nascosti possono incidere sulla motivazione allo studio, sul rendimento scolastico, nonché sulle relazioni con i compagni e con gli insegnanti. Per questo, quando il rapporto tra insegnanti e alunni è difcile, o quando alcuni ragazzi assumono comportamenti provocatori o violenti, occorre comprendere le cause di tali diffcoltà, afnché la classe possa riprendere a “funzionare” e a svolgere serenamente e profcuamente le proprie attività. Talvolta le cause possono essere chiare e facilmente comprensibili, in altri casi invece è necessaria un’analisi più approfondita dei motivi, non evidenti, di tale situazione problematica. Una situazione analoga può verifcarsi anche in famiglia. Per esempio, quando i bambini che tengono atteggiamenti provocatori reiterati, che attirano le punizioni dei loro genitori. Anche in questo caso
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
occorre chiedersi quale sia il motivo non evidente di quel tipo di interazione. Una spiegazione potrebbe essere la seguente: quei bambini si comportano in modo irritante, per attirare l’attenzione dei genitori poiché si sono accorti che papà e mamma prestano loro attenzione soltanto quando disturbano. Possono poi adottare lo stesso comportamento in classe, nei confronti degli insegnanti (le fgure di adulti che più ricordano quelle dei genitori), avviando un circolo vizioso dove non si sa più quale sia la causa e quale l’efetto. Ci possono poi essere bambini o ragazzi che, senza arrivare a comportamenti violenti, si mostrano poco impegnati e interessati allo studio e alle attività scolastiche, nonostante possiedano buone capacità cognitive. È semplicistico afermare che lo studente è un lazzarone o non ha buona volontà. Attraverso un’analisi più approfondita si possono scoprire i motivi complessi e oscuri che stanno alla base di tali comportamenti, di solito legati a problematiche familiari oppure a difcoltà relazionali all’interno della classe, con i compagni o con i docenti. Insuccessi
FANTASIE INCONSCE
COMPORTAMENTI
Influenzano
Scuola
Scarso impegno nello studio
Famiglia
Atteggiamenti provocatori
Sociale
VITA
Punizioni Individuale
SENTIMENTI INCONSCI
identifcazioni proiettive Le relazioni sono più complesse di quel che sembrano. In classe, come altrove, la comunicazione avviene non soltanto attraverso il linguaggio, ma anche in modo più velato (umore, emozioni inespresse). Questa complessità comporta una serie di conseguenze. Per esempio, come un alunno può inconsciamente essere infuenzato dalle tensioni dell’insegnante, allo stesso modo un insegnante può avvertire il disagio dell’alunno, la sua opposizione nei confronti delle attività scolastiche, la sua scarsa motivazione ed esserne a sua volta condizionato. L’identifcazione proiettiva è il processo inconscio in base al quale una persona assume i sentimenti o lo stato psicofsico di un’altra come se fossero propri. Quello
▶
121
SEZIONE B
La relazione educativa
che si verifca è per così dire un contagio emotivo, più frequente in famiglia, tra i membri di una coppia o tra amici, ma che può aver luogo anche in classe, grazie alla frequentazione quotidiana. Può dunque accadere che un insegnante “arrabbiato” trasmetta la propria collera inespressa agli alunni o, viceversa, che un alunno trasmetta la propria collera inespressa all’insegnante e/o ai compagni. Questo meccanismo inconscio può alimentare uno strano gioco degli specchi, in cui una persona prova un certo sollievo nel “contagiare” gli altri, ossia nel trasferire le proprie tensioni su di loro. Torniamo all’esempio dell’insegnante che inconsapevolmente cerca di liberarsi delle proprie tensioni trasferendole sulla classe: gli alunni entrano in contatto con il suo malumore e incominciano a disturbare, distrarsi, rispondere male. A questo punto l’insegnante è “autorizzato” a punirli e proprio nel prendere questo provvedimento incomincia a sentirsi meglio. Come “per magia” il suo malessere, materializzatosi negli alunni, è diventato esterno, non più interno, e può quindi venir meglio controllato e allontanato. PROCESSO INCONSAPEVOLE
Sentimenti
IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA
PERSONA FA PROPRI
Stato psico-fisico
Di un’altra persona
FORMA DI CONTAGIO ▶
Evitare il contagio Comunicare, com-
partecipare, comprendere, identifcarsi negli altri sono attitudini spontanee che hanno il pregio di creare coesione e condivisione; bisogna però evitare che si verifchi un contagio dei sentimenti e delle emozioni quando questi tendono a essere distruttivi o rischiano di infuenzare negativamente la classe. Carlo, 11 anni, prima media, ha ben chiaro il confne che deve esistere tra le emozioni dell’insegnante e quelle dell’alunno: “L’insegnante di scienze ha dei problemi familiari, tutti lo sanno” spiega “lei però non riversa le sue tensioni su di noi. Si vede a volte che è nervosa o stanca, ciononostante con noi è sempre gentile e attenta. E noi in cambio cerchiamo di non crearle altri problemi”.
Lightspring, Shutterstock.
122
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
CINEMA E LETTERATURA: un confronto
LA CLASSE ENTRE LES MURS
FREEDOM WRITERS
Regia di Laurent Cantet - Francia 2008
Regia di Richard LaGravenese - USA 2007
U
E
n affresco realistico della scuola contemporanea, delle sue qualità e delle sue debolezze. Il regista ci invita a sbirciare tra le mura di un istituto medio superiore alla periferia di Parigi. Qui insegna François, docente di francese alle prese con una classe multietnica turbolenta, le cui dinamiche interne hanno origine in una rete complessa di fattori emotivi e relazionali. Questi fattori infuenzano a loro volta l’atteggiamento di ciascuno verso lo studio: costruttivo e propositivo da parte di alcuni o svogliato e controproducente da parte di altri. Al centro del crocevia di fussi emotivi, l’insegnante è chiamato a regolare il “traffco” in modo da evitare incidenti, incoraggiando le dinamiche positive e stemperando le tensioni. François lascia spazio alle domande e opinioni degli studenti, anche quando queste non sono strettamente connesse al programma scolastico, nella convinzione che la didattica debba saper andare oltre ai libri, insegnando in primo luogo il rispetto reciproco e valorizzando la diversità come fonte di ricchezza. Il compito di François, tuttavia, si rivela più arduo del previsto. Lui che si è sempre rifutato, a differenza di altri colleghi, di inquadrare gli allievi entro facili etichette, a un certo punto, esasperato dai continui attacchi da parte di alcuni allievi, si rivolgerà a due studentesse chiamandole “sgallettate” (il termine originale francese, pétasses, signifca “prostitute”). Un episodio questo, che ci spinge a rifettere sul delicato ruolo dell’insegnante, che deve imparare a gestire, prima ancora che le emozioni altrui, le proprie.
ntra in aula per la prima volta con al collo una collana di perle, indizio di un’estrazione sociale benestante, la faccia pulita da ex prima della scuola e un flo di voce che fatica a mantenere la disciplina. Al primo incarico come docente in un istituto di Los Angeles, Erin Gruwell si sente come un pesce fuor d’acqua, catapultata di fronte a una classe dilaniata, i cui studenti sono costretti ogni giorno ad arruolarsi in una sanguinosa guerra che vede opposte bande etniche rivali. Un odio che dalla strada rimbalza nei corridoi scolastici, nell’indifferenza di chi, come la preside, giudica questi ragazzi condannati a una vita di violenza. A prima vista, la Gruwell sembra del tutto inadeguata. Ma la giovane professoressa, oltre alla collana di perle, presto sfodera uno sguardo combattivo e un sorriso che è una porta spalancata sulla speranza. Decisa a strappare i suoi adolescenti dalla spirale ineluttabile dello scontro tra clan, Erin non pretende che siano i ragazzi a interessarsi spontaneamente di libri che sentono lontani anni luce dalla durezza della loro realtà quotidiana, ma cerca invece di solleticare la loro curiosità avvicinandoli a tematiche che li riguardano in prima persona, come il razzismo e la tolleranza. Spiega loro che cosa signifchi la parola “genocidio” e che cosa sia stato l’orrore dell’Olocausto, ma soprattutto li incoraggia a tenere dei diari, proprio come a suo tempo fece Anna Frank, nella cui storia di discriminazione tutti fniscono col riconoscere sé e gli altri compagni di classe: all’improvviso, il vicino di banco non sembra più tanto diverso e il destino di ciascuno ancora tutto da scrivere.
Per la discussione: • Quali sono le dinamiche emotive “costruttive” all’interno di una classe, e quali sono quelle “distruttive”? Riconosci alcune di queste dinamiche all’interno della tua classe? Discutine con i compagni. • Quelle descritte nei flm sono due classi multietniche, come molte delle classi italiane di oggi. Qual è la tua esperienza in proposito? In che modo la presenza di studenti di origine straniera può servire da stimolo in una classe?
123
sezione B
La relazione educativa
il funzionamento della classe
B4.5
Quando il clima della classe è disordinato e inconcludente e i ragazzi sono indisciplinati e provocatori, bisogna andare alla ricerca delle cause di tale situazione, verifcando se l’origine dei problemi è legata a dinamiche individuali e relazionali oppure a problematiche didattiche o organizzative. ▶ Problemi nella scuola e nelle famiglie Ci possono essere problemi legati ai singoli alunni e alle loro famiglie, come abbiamo visto nel caso di Stefano (paragrafo B4.1 pag. 112), ma ci possono essere anche problemi imputabili alla scuola, come una cattiva organizzazione generale (per esempio, orari troppo pesanti o cattiva distribuzione delle ore), scarsa preparazione degli insegnanti o una didattica non efcace. In ambito scolastico possono suscitare situazioni problematiche anche la mancanza di un piano educativo, la difcoltà nei rapporti scuola-famiglia, una scarsa empatia nei confronti degli alunni, l’isolamento dei singoli docenti che non collaborano e non si sostengono nei momenti critici, l’adozione di testi di cattiva qualità. Come si è osservato in precedenza, non sempre però i problemi sono imputabili alla scuola. Talvolta le difcoltà cui devono far fronte gli alunni sono riconducibili al contesto familiare: i genitori non li seguono a sufcienza, oppure non sostengono il loro impegno scolastico, curando un’adeguata organizzazione domestica o stimolandoli a rispettare le regole della scuola. ▶
Classi diffcili È assai diverso gestire una classe formata da alunni che
riconoscono la competenza e l’autorità dell’insegnante e rispettano le regole della scuola, dal gestire una classe con alunni difcili che disturbano, ostacolano il lavoro e non rispettano le regole. Uno dei compiti primari dell’insegnante è quello di creare un ambiente vivibile in cui poter lavorare. In che modo? Innanzitutto l’insegnante deve osservare le dinamiche relazionali all’interno della classe e, in base alle sue analisi, individuare possibili soluzioni. Intelligenza e fermezza sono le risorse di cui egli dispone nell’assolvere alla
Scena tratta dal film L’attimo fuggente.
124
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
Caotico
CLIMA Individuali Insicuro
Dinamiche
PROBLEMI CLASSE
ORIGINE
Provocatori Relazionali
Problematiche
RAGAZZI Indisciplinati
Disorganizzative
Orari pesanti
Didattiche
Scarsa empatia verso gli alunni
Docenti non competenti
sua funzione di guida: aiutare la classe a costituirsi come gruppo, coinvolgendo anche gli alunni più riottosi a sentirsi parte dell’insieme e ad accettare le regole, come principi che aiutano il buon funzionamento della classe. Certamente perseguire un tale obiettivo richiede tempo, applicazione, calma e sicurezza negli interventi, oltre a una comunicazione adeguata e alla collaborazione con gli altri colleghi, che concorrono con il loro contributo a produrre un cambiamento. ▶
L’insegnante arbitro Come spiega Claude Richoz, insegnante e for-
matore, in un saggio sulle classi difcili, Gestion de classes et d’élèves difciles, se in alcune classi le regole della convivenza sociale necessarie per un buon funzionamento possono essere discusse e/o formulate dagli stessi alunni, in altre invece è opportuno che sia l’insegnante a enunciarle e applicarle con la stessa fermezza e la stessa calma di un arbitro sportivo. La fgura dell’arbitro di calcio, spiega Richoz, può essere un buon modello da seguire per quegli insegnanti che si trovano a lavorare in contesti problematici. L’arbitro di calcio incarna infatti, contemporaneamente, tutte quelle forme di autorevolezza che sono necessarie ad un insegnante per poter lavorare. Vediamole: 1. la posizione unica che occupa l’insegnante nella classe, come l’arbitro sul campo, lo rende responsabile e gli conferisce il diritto di far rispettare le regole: è lui/lei che conduce il lavoro in classe e ne ha la responsabilità (autorità di statuto); 2. senza un minimo di competenza nessuno riesce a tenere a lungo una classe, è dunque indispensabile che l’insegnante sia competente per quanto riguarda
Anna Omelchenko, Shutterstock.
125
SEZIONE B
La relazione educativa
i contenuti, impieghi metodi di insegnamento adeguati e sia capace di motivare, sappia trasmettere ai suoi alunni il gusto dell’impegno e del lavoro creando uno spazio propizio agli apprendimenti (autorità di competenza); 3. l’insegnante preparato sa imporre la propria presenza alla classe, ma con tatto e diplomazia. Entra in una relazione comprensiva e individualizzata con gli alunni contribuendo al loro sviluppo. Questo tipo di autorità è spesso la chiave di volta con cui si può incominciare a cambiare le cose (autorità di relazione); 4. l’insegnante ha fatto un lavoro su se stesso che gli consente di restare quanto più possibile calmo e padrone di sé in ogni circostanza; di fronte a provocazioni, disobbedienze, rifuti o insolenze, non si lascia trascinare dalle emozioni, non entra in una scalata simmetrica con gli alunni e alla fne riesce a prendere le misure necessarie per regolare i problemi; il lavoro su di sé (oggi sempre più necessario data la complessità della gestione delle classi) consente a poco a poco di controllare certi moti interiori come l’irritazione, la collera, la paura, il senso di colpa, il bisogno di potere, l’esigenza di piacere sempre e comunque (autorità interiore). Usare fermezza e calma Classe diffcile
Insegnante
Deve
Favorire la formazione del gruppo classe
Come arbitro
4. AUTORITÀ INTERIORE
1. AUTORITÀ DI STATUTO AUTOREVOLEZZA
Gestisce le proprie emozioni
3. AUTORITÀ DI RELAZIONE
Sa imporre la propria presenza alla classe ma con tatto e diplomazia
▶
2. AUTORITÀ DI COMPETENZA
Conduce il lavoro e ne ha la responsabilità
Capace di insegnare e di motivare
Il processo di categorizzazione Particolare attenzione, nella rela-
zione insegnante-alunno, va prestata alle immagini reciproche che vengono costruite gradualmente nel corso dell’interazione. Per semplicità, comodità o praticità molto spesso si tende a etichettare in modo defnito le persone, non appena siano state individuate alcune caratteristiche di fondo. A scuola, per esempio, può succedere che lo studente, che abbia risposto bene in un
126
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
paio di circostanze alle domande del docente, diventi “l’alunno diligente e preparato”; e quello che si sia trovato impreparato assuma il ruolo dell’“alunno pigro e svogliato”. In questi casi le informazioni che il docente ha tratto dalla sua esperienza vengono utilizzate per la formazione di categorie, entro le quali vengono assemblati i comportamenti simili, connotati da caratteristiche che vengono poi attribuite come etichette agli individui. Abbiamo appena fatto l’esempio dell’insegnante che etichetta i suoi alunni, ma il processo di categorizzazione avviene anche da parte degli alunni nei confronti dei docenti e dei compagni. Occorre tenere presente che tale processo riguarda non soltanto le relazioni scolastiche, ma in generale tutte le relazioni nei diversi ambiti in cui ci troviamo a vivere. SCHEDA B4.4 Uno studio condotto da due psicologi americani - David Aspy e Flora Roebuck - ha evidenziato il cosiddetto “effetto insegnante”, secondo il quale un insegnante effcace contribuisce in maniera sostanziale alla riuscita dei ragazzi, compensando anche un clima familiare carente o uno svantaggio sociale. Autenticità, considerazione per l’alunno, empatia sono le qualità fondamentali emerse dallo studio dei due psicologi. Quando in classe aleggiavano queste qualità gli alunni progredivano molto di più di quanto non avvenisse in altre classi. Sulla base delle loro ricerche i due autori misero a punto un programma per migliorare il livello degli insegnanti su queste tre qualità in una scuola situata in un ambiente socialmente diffcile. Dopo un anno ottennero i seguenti risultati: • un innalzamento sensibile dei risultati scolastici degli alunni; • un aumento del proftto medio in matematica da parte degli alunni tra i 7 e i 10 anni rispetto agli alunni di altre scuole della stessa zona; • una sensibile diminuzione del tasso di assenteismo; • una riduzione signifcativa del numero di scontri e confitti tra gli alunni; • una diminuzione degli atti di vandalismo, problema fno a quel momento avvertito come molto serio; • una diminuzione considerevole della percentuale di dimissione da parte degli insegnanti, che passò dall’80% allo 0%; • un aumento di richieste di trasferimento in quella scuola da parte di insegnanti di altre scuole. Il risultato ottenuto dimostrò che il ruolo dell’insegnante richiede, oltre a competenze specifche sulla materia di insegnamento, anche competenze di tipo relazionale che permettano di costruire in classe un clima emotivo armonico ed equilibrato.
EFFETTO INSEGNANTE
Alexander Raths, Shutterstock.
127
SEZIONE B
La relazione educativa
L’effetto Pigmalione La categorizzazione è un processo che infuenza il nostro modo di vedere la realtà e le previsioni rispetto al futuro. Quando l’insegnante etichetta come svogliato un alunno, non si aspetterà da lui grandi risultati e, in qualche modo, le sue aspettative infuenzeranno a loro volta il comportamento dello studente, che non si sentirà invogliato a impegnarsi per raggiungere buoni risultati. Al contrario, aspettative positive da parte del docente possono stimolare uno studente a lavorare con assiduità per rispondere adeguatamente alle attese del docente. Robert Rosenthal e Lenore Jacobson hanno studiato questo fenomeno attraverso un famoso esperimento, condotto in una scuola primaria californiana. Dopo aver sottoposto gli studenti a un test di intelligenza, fornirono ai docenti dei risultati falsati in modo casuale, segnalando alcuni alunni come particolarmente dotati. Dopo alcuni mesi, verifcarono con i docenti il proftto degli alunni e riproposero i test di intelligenza. Ne risultò che il gruppo di alunni che era stato segnalato casualmente come il più meritevole, rivelò miglioramenti nel test di intelligenza e venne descritto dagli insegnanti come il più brillante. La spiegazione che venne fornita dai due studiosi sottolineò il ruolo delle aspettative degli insegnanti nei confronti degli studenti: se un docente pensa che un alunno sia particolarmente capace e possa ottenere ottimi risultati sarà particolarmente attento e motivante nei suoi confronti, infuenzandone così comportamento e proftto. Un altro esempio dell’infuenza dell’insegnante lo abbiamo trovato nella scheda B4.4. ▶
L’alunno che non si sente seguito non è invogliato a impegnarsi. Ana gassent, Getty Images.
PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE
FORMARE CATEGORIE Visione realtà Etichettare qualcuno
Infuenza Previsione futuro
Effetto Pigmalione
Etichettamento insegnante
128
Infuenza
Comportamento e proftto alunni
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
CINEMA E LETTERATURA
COSE CHE NESSUNO SA Romanzo di Alessandro D’Avenia, Mondadori, Milano 2011
“Q
uattordici anni è volere tutto e niente nello stesso momento. Avere segreti inconfessabili e domande senza risposta. Odiare sé per odiare tutti. Avere tutte le paure e nasconderle tutte, pur volendole dire tutte insieme, con mille bocche. Avere centomila maschere senza mai cambiare la faccia che ti ritrovi. Avere un milione di sensi di colpa e dover scegliere a chi addossarli per non doverli portare tutti da sola. Vuoi amare e non sai come si fa. Vuoi essere amata e non sai come si fa. Vuoi stare da sola e non sai come si fa. Vuoi un corpo di donna e non ce l’hai, e se il corpo diventa di donna non lo vuoi più. Quattordici anni è fragilità e non sapere come si fa. Ci sono cose che nessuno spiega. Ci sono cose che nessuno sa.” Margherita ha quattordici anni e il cuore pieno di paure. Mancano pochi giorni all’inizio del liceo, quando dovrà muovere i primi, incerti passi su un flo che, attraverso le tempeste tipiche della sua età, la farà approdare alla maturità, umana e scolastica. La giovane funambola è alle prese con un percorso accidentato, nel quale a ogni passo rischia di perdere l’equilibrio e cadere. Tra le mura della scuola spera di stringere nuove amicizie, ma scopre anche il piacere della solitudine. Tra le pagine dei libri vorrebbe trovare la propria strada, ma al tempo stesso teme di smarrirsi lungo la via. In questo stare in bilico, che è proprio dell’adolescenza, risiede, secondo l’autore, la vera ricchezza: in questa tappa cruciale dell’esistenza, infatti, prende forma il futuro individuo nella sua unicità. Incubatrice di questa crescita è la scuola, che fnisce sotto la lente di ingrandimento dello scrittore che ha osservato quel mondo da vicino grazie alla sua professione di insegnante. Nel liceo che frequenta, Margherita troverà l’amicizia, sperimenterà i palpiti del cuore e riceverà stimoli nuovi. Campo di battaglia e nido rassicurante, la scuola rappresenta il flo che collega al futuro e il baratro che si spalanca al di sotto di esso. Quando Margherita apprende che suo padre non farà più ritorno a casa, troverà l’antidoto allo smarrimento suscitato dalla perdita del genitore. Di fronte allo sgretolarsi del nucleo familiare, fno a quel momen-
Copertina del romanzo Cose che nessuno sa.
to percepito come fonte di protezione, la Margherita adolescente troverà nuovi punti di riferimento; non ultimo un professore che le trasmetterà la passione per la lettura. In particolare, il viaggio intrapreso nell’Odissea di Omero da Telemaco, fglio di Ulisse, sulle orme paterne, sarà il punto di partenza per il viaggio interiore compiuto dalla ragazza alla ricerca del padre. La ferita provocata dall’assenza dell’uomo le permetterà di forgiare se stessa. In fondo, è solo dopo aver subito l’attacco traumatico di un predatore che le ostriche diventano perle. E ogni gioiello sarà diverso dagli altri, perché il flo della crescita conduce ciascuno verso un destino speciale. Un destino che “nessuno sa”.
Per la discussione: • Nel libro, la scuola non è soltanto il luogo dove si studia, bensì lo sfondo di una crescita che trasforma l’adolescente in adulto. Cosa dovrebbe insegnare la scuola ai ragazzi, al di là del programma strettamente didattico, per aiutare tale crescita? Discutine in classe. • La protagonista prova sentimenti d’angoscia per l’inizio del liceo. Quali emozioni hai provato il primo giorno di scuola superiore? Confronta la tua esperienza con quella dei tuoi compagni. • In che modo un insegnante potrebbe aiutare a superare le paure che alcuni studenti provano a scuola e in particolare in classe?
129
SEZIONE B
La relazione educativa
L’intelligenza emotiva
B4.6
L’emotività ha un ruolo importante in ogni aspetto della nostra vita di relazione, in famiglia, a scuola, sul lavoro, nella vita sociale e, ovviamente, nei rapporti sentimentali. Tale ruolo, come abbiamo visto, può avere degli effetti sia positivi che negativi. Quando l’intreccio tra intelligenza ed emozioni è felice gli psicologi parlano di “Intelligenza emotiva”. ▶
Defnizioni Questa espressione è di Daniel Goleman che, in un suo li-
bro intitolato appunto Intelligenza emotiva, ha distinto tra mente razionale e mente emozionale, spiegando come la prima sia una modalità di comprensione della quale siamo solitamente coscienti, mentre la seconda sia un sistema di conoscenza impulsiva e potente. Una delle defnizioni dell’intelligenza emotiva si riferisce all’abilità che l’individuo ha di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri, di distinguerle le une dalle altre e di usare tali informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni. In sintesi l’intelligenza emotiva, secondo Goleman, è la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratifcazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la soferenza impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare. Il riferimento all’intelligenza emotiva impedisce anche di ricondurre il successo scolastico totalmente al QI (quoziente di intelligenza), poiché può capitare che ragazzi intelligenti, ma con dei blocchi emotivi, diano in ambito scolastico o accademico risultati di gran lunga inferiori rispetto a ciò che consentirebbe loro il proprio QI. Il quoziente di intelligenza, riferito alle tradizionali capacità logico-matematiche, verbali e spaziali, mostra quindi i suoi limiti quando viene utilizzato come indice per prevedere il successo di un individuo.
Ritratto di Daniel Goleman.
Relazionale
GOLEMAN
MENTE Emozionale
INTELLIGENZA EMOTIVA
Motivare se stessi Controllare gli impulsi
130
Sistema di conoscenza impulsiva
Capacità
Rimandare la gratifcazione
Alashi, Getty Images.
Modalità di comprensione di cui siamo coscienti
Perseguire un obiettivo
Capire le emozioni in classe
▶
UNITÀ B4
Cinque abilità L’intelligenza emotiva è, per Goleman, l’insieme di
cinque abilità: 1. Conoscenza delle proprie emozioni Riguarda la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, una forma di autoconsapevolezza che si attua nel porre attenzione alla propria esperienza. Il monitoraggio dei sentimenti è ritenuto importante e fondamentale per giungere alla comprensione globale di se stessi, poiché grazie a questa presa di consapevolezza si riescono a gestire molto meglio le varie situazioni della vita (scheda B4.5: Efetti nel tempo dell’analfabetismo emotivo). Tuttavia i nostri sentimenti non sempre raggiungono l’autoconsapevolezza. Di conseguenza, in molti casi le nostre reazioni emotive sono condizionate dal fatto di aver prestato attenzione ad alcuni dati soltanto, trascurandone altri molto rilevanti. La capacità di allargare il centro della propria attenzione può comunque essere sviluppata ed esercitata. La strada dell’autoconsapevolezza viene perseguita ampliando il più possibile l’insieme delle informazioni che siamo in grado di analizzare. L’autoconsapevolezza emozionale implica lo sviluppo della capacità di riconoscere precocemente la propria emotività a livello fsiologico (avvertire le sensazioni), a livello verbale (sapere esplicitare che cosa si prova attraverso le parole appropriate per descrivere un evento), a livello cognitivo (sapere riconoscere ed elaborare i propri pensieri, emozioni e sentimenti) per favorire il monitoraggio e la gestione delle componenti emotive. 2. Controllo e regolazione delle proprie emozioni Si riferisce alla capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati alla situazione. Le emozioni sono importanti, fanno parte della vita e la colorano di mille e più sfumature. Tuttavia occorre che siano in equilibrio tra loro. Se non ci fossero emozioni le persone vivrebbero in condizione di indiferenza e distacco, ma se esse sono incontrollate possono risultare dannose, come accade nel caso della depressione o della collera furiosa. I sentimenti estremi, le emozioni che diventano troppo intense o durano troppo a lungo, minano la stabilità degli individui: per questo è importante monitorare le emozioni penose afnché non sfuggano al controllo e non compromettano il benessere psicologico. 3. Motivazione di se stessi La capacità di padroneggiare le emozioni è un requisito indispensabile per motivarsi al raggiungimento di un certo obiettivo e a perseverare nell’impegno, anche quando le situazioni si fanno altamente frustranti. La motivazione è il motore interno che attiva una serie di comportamenti che consentono il raggiungimento dello scopo. Quando le emozioni sono forti, e concentrano l’attenzione sulle proprie preoccupazioni, interferiscono negativamente con i tentativi di concentrarsi su qualcos’altro. Studi scientifci hanno mostrato che l’ansia può annientare la memoria di lavoro, ovvero la capacità di ricordare le informazioni importanti per concludere un
L’autoconsapevolezza emozionale richiede attenzione a più livelli. Westend61, Getty Images.
131
SEZIONE B
La relazione educativa
lavoro. I sentimenti di entusiasmo e di fducia in se stessi invece spingono a realizzare gli obiettivi e ad assumere un atteggiamento ottimista nella convinzione di avere il controllo sugli eventi. L’intelligenza emotiva è pertanto un’abilità che infuenza profondamente tutte le funzioni mentali e, di volta in volta, ne facilita l’espressione o interferisce con esse. 4. Riconoscimento delle emozioni degli altri: l’empatia L’empatia si riferisce a quella particolare condizione in cui gli individui provano dentro di sé le emozioni di un’altra persona. Questa capacità è di fondamentale importanza nelle relazioni con gli altri perché consente di sapere come si sente un altro essere umano ed è il presupposto dei comportamenti altruistici. L’empatia entra in gioco in moltissime situazioni, da quelle tipiche della vita privata (per esempio il rapporto sentimentale o il rapporto tra genitori e fgli) a quelle professionali. Per un bambino è di fondamentale importanza sapere che le sue emozioni suscitano l’empatia dell’altro e che sono accettate e ricambiate in un processo che lo psicoanalista Stern (1934-2012) defnisce di “sintonizzazione”. Mediante la sintonizzazione, il bambino, dopo gli otto mesi di vita, inizia a sviluppare la percezione che gli altri possono e vogliono condividere i suoi sentimenti. 5. Gestione delle relazioni È la capacità di gestire le emozioni altrui. Si tratta di un’abilità decisiva nell’arte di trattare le relazioni interpersonali. Una condizione fondamentale per gestire le emozioni degli altri e per entrare in sintonia, è aver sviluppato una buona padronanza di sé, un equilibrio interiore e una buona conoscenza dei propri sentimenti. ▶
Sette componenti per imparare Daniel Goleman sintetizza le set-
te componenti collegate all’intelligenza emotiva che, secondo un Rapporto del National Center for Clinical Infant Programs (negli Stati Uniti) ogni bambino deve aver sviluppato per poter apprendere in modo efcace. Esse sono: 1. Fiducia. Un senso di controllo e padronanza sul proprio corpo, sul proprio comportamento e sul proprio mondo; corrisponde alla sensazione, da parte del bambino, di avere maggiori probabilità di riuscire in ciò che intraprende di quante ne abbia invece di fallire. 2. Curiosità. La sensazione che la scoperta sia un’attività positiva e piacevole. 3. Intenzionalità. Il desiderio e la capacità di essere infuenti e perseveranti. Tale abilità è collegata al senso di competenza e alla sensazione di essere efcaci. 4. Autocontrollo. La capacità di modulare e controllare le proprie azioni in modo appropriato all’età, un senso di controllo interiore. 5. Connessione. La capacità di impegnarsi con gli altri, basata sulla sensazione di essere compresi e di comprendere gli altri. 6. Capacità di comunicare. Il desiderio e la capacità di scambiare idee, sentimenti e concetti con gli altri. Questa abilità è legata a una sensazione di fducia negli altri e di piacere nell’impegnarsi con loro, adulti compresi. 7. Capacità di cooperare. L’abilità di equilibrare le proprie esigenze con quelle degli altri in un’attività di gruppo.
Selimaksan, Getty Images.
132
UNITÀ B4
Capire le emozioni in classe
Il bambino inizia a sviluppare questi tratti nei primi anni di vita a contatto con le sue fgure di attaccamento. Nel corso dell’intera fase preverbale dello sviluppo, le emozioni costituiscono la trama del sistema di comunicazione relazionale con gli altri: permettono di farci capire e, successivamente, di capire gli altri. Se un bambino trova risposta alle sue paure e ai suoi bisogni, imparerà più facilmente a controllarli; diversamente se chi lo accudisce non è in grado di rassicurarlo, o addirittura è fonte di paure, il bambino cercherà da solo delle strategie di difesa che gli consentano di far fronte alle sue emozioni, anche se quelle che troverà potranno essere fragili e poco adattive. Attività di gruppo
Controllo padronanza
COOPERARE
Idee, sentimenti, concetti
Bplanet, Shutterstock.
FIDUCIA Piacere scoperta
COMUNICARE
7 COMPONENTI PER IMPARARE
CONNESSIONE
CURIOSITÀ
INTENZIONALITÀ AUTOCONTROLLO
Comprendere sé e gli altri
Competenza ed efficacia Controllo proprie azioni
L’alfabetizzazione emotiva è sempre auspicata, ma non sempre ha luogo. Alcuni bambini possono crescere analfabeti o semialfabeti in fatto di emozioni con effetti che si fanno sentire non solo nell’immediato, ma anche a distanza di tempo. Alcuni tratti distintivi di una scarsa alfabetizzazione affettiva negli adulti sono: 1) essere soggetti a scoppi di rabbia e aggressività incontrollabili; 2) reprimere le emozioni o non trovare modi adeguati per esprimerle compiere atti violenti verso altri a deprimersi e isolarsi; 3) incontrare diffcoltà nella vita di coppia a causa di incomprensioni e blocchi della comunicazione; 4) tollerare a fatica i segni di disagio altrui ed essere inclini a fuggire di fronte alla manifestazione delle emozioni, nonché lasciare irrisolti i problemi o demandare ad altri il compito di far fronte a essi.
SCHEDA B4.5 EFFETTI NEL TEMPO DELL’ANALFABETISMO AFFETTIVO
133
S EZIONE
S EZIONE
B
B
RIASSUMIAMO
LE EMOZIONI IN CLASSE Emozioni e afetti incidono sull’apprendimento: in una classe dove il clima è sereno e collaborativo si apprende più facilmente che in un contesto confittuale in cui gli stu-
denti sperimentano disagio e soferenza. Capire l’emozione o il disagio che sta dietro ai comportamenti di uno studente è il primo passo per aiutarlo a superare le sue difcoltà. Vita khorzhevska, Shutterstock.
LA PSICOANALISI La teoria psicoanalitica è stata elaborata da Sigmund Freud, che pone l’inconscio al centro della propria indagine. Freud individua nelle pulsioni le forze profonde e sconosciute che guidano le azioni umane. Sono presenti nell’essere umano due tipi di pulsioni originarie: le pulsioni libidiche e le pulsioni aggressivo/distruttive. Esse possono
essere in contrasto con le regole sociali e le norme morali e indurre, quindi, il soggetto in confitti che generano disturbi o nevrosi. Il metodo psicoanalitico, con le libere associazioni, l’analisi dei sogni, dei sintomi nevrotici, dei lapsus e delle dimenticanze, permette di riportare alla coscienza i contenuti inconsci e di superare il confitto.
Joan Miró, Figure di notte guidate da tracce fosforescenti di lumache, 1940.
GLI SVILUPPI DELLA PSICOANALISI La teoria di Freud fu ripresa e rielaborata da diversi studiosi, tra cui ricordiamo Karen Horney e Harry Sullivan, che sottolinearono il ruolo dei fattori sociali nello sviluppo del-
la personalità; John Bowlby che utilizzò le acquisizioni della cibernetica e dell’etologia; Herbert Marcuse ed Erik Fromm che svilupparono una critica alla società tecnologica. Alexander Raths, Shutterstock.
134
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
IL RUOLO DELL’INCONSCIO Elementi inconsci possono infuire sulla vita individuale e di relazione, quindi sui comportamenti in classe. Atteggiamenti provocatori o aggressivi o di disimpegno da parte degli studenti possono nascondere problemi non espressi, per esempio una richiesta di attenzioni. L’identifcazione proiettiva è un
processo inconscio in base al quale una persona assume i sentimenti o lo stato psicofsico di un’altra come se fossero i propri. In classe può succedere che le emozioni si trasmettano da insegnante ad alunno, creando un contagio che talvolta può avere ripercussioni negative sul clima della classe. René Magritte, Donatore felice.
PROBLEMI NELLA CLASSE Possono essere dovuti a una cattiva organizzazione della scuola oppure a difcoltà personali e familiari degli studenti e, a volte, degli insegnanti. Quando il clima nella classe è disordinato e poco collaborativo occorre analizzare le dinamiche re-
lazionali e individuare le soluzioni ai problemi, aiutando la classe a costituirsi come gruppo. Secondo Claude Richoz l’insegnante deve fungere da arbitro, cioè incarnare l’autorità di statuto, di competenza, di relazione e interiore. Markovka, Shutterstock.
PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE E INTELLIGENZA EMOTIVA Quando interagiamo con gli altri tendiamo a costruirci un’immagine delle persone costruendo delle categorie in cui inseriamo comportamenti e caratteristiche simili. È stato studiato l’efetto del processo di categorizzazione sul rendimento scolastico (Rosenthal e Jacobson): le aspettative positive degli insegnanti nei confronti di un alunno infuenzano i suoi risultati
che risultano più brillanti perché il docente è più attento e motivante nei suoi confronti. L’intelligenza emotiva è l’abilità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e degli altri: occorre imparare a conoscere le proprie emozioni, controllarle, riconoscerle anche negli altri (empatia), motivare se stessi e gestire le relazioni entrando in sintonia con gli altri. Jesper Elgaard, Getty Images.
135
S EZIO
S EZIONE
B
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
B
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Giustifca le
Competenza
risposte che ritieni sbagliate.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
La maggior parte dei processi dell’Io sono consapevoli
V
F
b
I meccanismi di difesa sono attivati dall’Io consapevolmente
V
F
c
Il Super-Io è il mediatore fra la psiche e il mondo esterno
V
F
d
Secondo Marcuse la società contemporanea favorisce la dimensione estetica ed erotica
V
F
e
La categorizzazione influenza il nostro modo di vedere la realtà, ma non ci dice nulla sulle previsioni rispetto al futuro
V
F
f
La teoria freudiana della sessualità influenza in modo negativo il pensiero occidentale del ‘900
V
F
g
Molte persone non riescono a esaminare i propri disagi per paura di soffrire
V
F
h
Secondo Freud le azioni umane dipendono interamente dalla volontà dell’individuo
V
F
1 Il principio di realtà:
Competenza Acquisire le informazioni
□ regola il comportamento adeguandolo alle condizioni imposte dal mondo esterno. Tale principio è difuso presso la gente comune e poco istruita □ detta le norme morali alle quali l’individuo deve adeguarsi □ innesca i meccanismi di difesa in modo inconsapevole
2 A scuola le emozioni possono: □ essere d’ostacolo all’apprendimento perché non sono razionali e gestibili facilmente □ essere d’ostacolo all’apprendimento oppure favorire la motivazione all’impegno □ essere causa di momenti d’ansia e di paura
3 Secondo l’efetto Pigmalione: □ l’individuo fa di se stesso il centro del proprio interesse □ le persone tendono ad adeguarsi all’immagine che altri individui hanno di loro □ un evento psichico complesso deriva dalla composizione di elementi psichici elementari
136
Capire le emozioni in classe
UNITÀ B4
4 L’intelligenza emotiva consente: □ di collegare il successo scolastico totalmente al Q.I. (quoziente d’intelligenza) □ di controllare i sentimenti e le emozioni propri e altrui □ di reagire adeguatamente alle sole circostanze piacevoli
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: atten-
Competenza
zione! Alcuni sono in più!
Sapere usare il lessico della disciplina
A diferenza di altre teorie allora difuse, come il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , la psicoanalisi considera fondamentale l’esperienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e fa del/dell’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l’oggetto privilegiato della propria indagine. Per conoscere la psiche Freud non si avvalse degli studi sperimentali di laboratorio sui processi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., come facevano i comportamentisti, né del metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di Wundt che considerava troppo diretto e poco attendibile. Si avvalse invece delle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , dell’analisi dei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e dei sintomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , dell’analisi dei lapsus e di altri errori o “sviste” che si possono fare nella vita quotidiana. comportamentismo - cognitivismo - oggettiva - soggettiva - nascosti - manifesti - diretti, introspettivo - analitico - inconscio - conscio - associazioni libere - discorsi - sogni - nevrotici.
1 Identifca a quali meccanismi di difesa fanno riferimento le descrizioni sotto riportate. Descrizione del meccanismo di difesa
Nome
1. Si eliminano dalla coscienza ricordi, emozioni e sentimenti perché intollerabili
a. Proiezione
2. Pulsioni e desideri che non possono essere soddisfatti, perché contrari alla morale comune, sono deviati mettendo in atto comportamenti accettati e apprezzati a livello sociale
b. Negazione
3. Si trasforma un desiderio nel suo contrario
c. Formazione reattiva
4. Si attribuiscono ad altre persone i propri sentimenti
d. Rimozione
5. Si accusano malesseri fisici di fronte a una situazione sgradita o all’impossibilità di soddisfare i propri desideri o imporre la propria volontà
e. Regressione
6. Si nega che una certa cosa sia avvenuta perché sgradevole
f. Sublimazione
7. Di fronte ad una frustrazione si adottano comportamenti infantili consolatori
g. Ipocondria
Competenza Individuare collegamenti e relazioni
137
SEZIONE B
La relazione educativa
1 Rileggi il caso di Stefano nel paragrafo B4.1 e aggiungi tue considerazioni personali.
Competenza Acquisire e interpretare l’informazione
2 “L’identifcazione proiettiva è un processo in base al quale una persona decide consapevolmente di identifcarsi in un’altra persona per cui prova della simpatia.” Questa defnizione di identifcazione proiettiva non è corretta, senza andare a consultare il testo, cerca di darne una defnizione corretta. 3 Sviluppa questo tema: “perché l’analfabetismo emotivo può rendere difcile la vita di coppia?”
4 Fornisci una defnizione sintetica del principio di piacere e del principio di realtà.
5 Qual è il ruolo dell’inconscio nella nostra vita individuale e sociale?
138
APPLICHIAMO LE COMPETENZE
B
1 IL LINGUAGGIO E LE EMOZIONI
sezione
s ezio
B Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
Così come la nostra intelligenza non è disgiunta dalle emozioni, anche il linguaggio non lo è. Ci sono parole che immediatamente evocano un’emozione, sia per il loro contenuto sia per la valutazione che ne diamo e per le esperienze ad esse collegate.
istruzioni
Questo è un esercizio basato sulle libere associazioni: 1. Chiedi ad un tuo compagno (o partner) di pronunciare venti parole, una dopo l’altra, lasciandoti però il tempo per inserirti e spiegare. Ecco a titolo esemplifcativo alcune parole possibili: ragazzo, compiti, politici, calcio, televisione, esame, casa. 2. Dopo ogni parola pronunciata dal partner associa la prima parola che ti viene in mente. 3. Dopo ogni associazione racconta al partner qual è l’emozione che ti viene in mente, associata a quella parola. Prova a rifettere sulle parole che hai pronunciato. Trovi una chiave di lettura nelle tue risposte? In che modo le parole si legano alle emozioni, sulla base del contenuto, di esperienze passate o di modelli generali di riferimento?
2 INTELLIGENZA EMOTIVA A SCUOLA Il laboratorio ha l’obiettivo di verifcare se possiedi competenze emotive, ossia se sei capace di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le tue e le altrui emozioni.
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
L’intelligenza emotiva è, per Goleman, l’insieme di cinque abilità: 1. Conoscenza delle proprie emozioni (riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta) 2. Controllo e regolazione delle proprie emozioni (controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati alla situazione) 3. Motivazione di se stessi (padroneggiare le emozioni per il raggiungimento di un certo obiettivo) 4. Riconoscimento delle emozioni degli altri: l’empatia (particolare condizione in cui gli individui provano dentro di sé le emozioni di un’altra persona)
139
SEZIONE B
La relazione educativa
5. Gestione delle relazioni (è fondamentale nell’arte di trattare le relazioni interpersonali)
Istruzioni
Annota nella tabella sottostante, come nei due esempi riportati qui sotto, quello che accade a te e ai tuoi compagni di classe, in presenza di un’emozione intensa.
Contesto
Emozione positiva o negativa
Segnali di preavviso
Cosa c’è dietro l’emozione Comportamento
Interrogazione
Paura
Agitazione
Poco studio
Rinuncio, postura rigida, faccio la vittima, ecc.
Ricreazione
Gioia
Aumento battito cardiaco
Ragazzo/a che mi piace
Mi avvicino a Lui/Lei, ecc.
1. Prova a osservare te stesso e rispondi alle seguenti domande: a) Che cosa c’è efettivamente dietro l’emozione che provi? Analizza per esempio la paura per l’interrogazione: hai paura dell’interrogazione perché non hai studiato abbastanza? Oppure perché non hai fducia nelle tue capacità? Oppure perché l’insegnante ti mette a disagio? O per quali altri motivi? b) In base alle risposte che hai dato, chiediti ancora perché: perché non hai studiato abbastanza? Oppure: perché non hai fducia nelle tue capacità o perché l’insegnante ti mette a disagio? Pensaci bene e cerca una strategia per controllare l’emozione in modo da non esserne travolto. Puoi discutere con il tuo insegnante e con i compagni; comunque nel modulo D potrai trovare alcuni suggerimenti utili per superare l’ansia a scuola. 2. Confronta con i compagni le varie risposte che sono state date. Vedrai che le emozioni che provi sono condivise da altri.
140
LEGGIAMO 1 INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISI
B
SEZIONE
S EZIONE
B ntroduzione alla psicoanalisi è un testo che raccoglie una serie di lezioni tenute da Freud a un pubblico di “medici e profani”, come lui scrive, negli inverni del 1915/1916 e 1916/1917. Nella lezione introduttiva riportata qui di seguito Freud illustra alcuni elementi fondamentali del trattamento psicoanalitico e spiega perché la psicoanalisi incontra tante resistenze nella società.
I
Medicina e psicoanalisi a confronto Comincerò con le difcoltà dell’insegnamento, dell’addestramento nella psicoanalisi. Nell’insegnamento della medicina siete abituati a vedere. Vedete il preparato anatomico, il precipitato nella reazione chimica, l’accorciamento del muscolo come risultato della stimolazione dei suoi nervi. Più tardi viene presentato ai vostri sensi l’ammalato, i sintomi del suo male, gli esiti del processo morboso, in molti casi persino gli agenti della malattia allo stato puro. […] Così il docente di medicina svolge prevalentemente la parte di una guida e di un commentatore che vi accompagna attraverso un museo, mentre voi ottenete il contatto immediato con gli oggetti e siete certi che la vostra convinzione dell’esistenza dei nuovi fatti sia frutto della vostra percezione. Purtroppo tutto va diversamente nella psicoanalisi. Nel trattamento analitico non si procede a nient’altro che a uno scambio di parole tra l’analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta di esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi emotivi. Il medico ascolta, cerca di dare un indirizzo ai processi di pensiero del paziente, lo esorta, sospin-
ge la sua attenzione verso determinate direzioni, gli fornisce alcuni schiarimenti e osserva le reazioni di comprensione o di rifuto che in tal modo suscita nel malato. […] Originariamente le parole erano magie e, ancor oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l’oratore trascina con sé l’uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano afetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si infuenzano tra loro. Non sottovaluteremo quindi l’uso delle parole nella psicoterapia e saremo soddisfatti se ci verrà data l’occasione di ascoltare le parole che si scambiano l’analista e il suo paziente. Ma nemmeno questo ci è possibile. Il colloquio nel quale consiste il trattamento psicoanalitico non ammette alcun ascoltatore, non si presta a dimostrazioni. È vero che anche un nevrastenico o un 141
SEZIONE B
La relazione educativa
isterico può essere presentato agli studenti, in una lezione di psichiatria, ma allora racconta le sue pene e i suoi sintomi, nient’altro. Le comunicazioni di cui l’analisi ha bisogno, egli le fa solo a condizione che esista un particolare legame emotivo con il medico; ammutolirebbe non appena notasse un solo testimone a lui indiferente. Queste comunicazioni riguardano infatti la parte più intima della sua vita psichica, tutto ciò che, come persona socialmente autonoma, egli deve nascondere di fronte ad altri, e inoltre tutto ciò che, come personalità unitaria, non vuole confessare a se stesso. Voi non potete dunque essere presenti come ascoltatori a un trattamento psicoanalitico. Potete soltanto sentirne parlare, e farete conoscenza con la psicoanalisi - in senso stretto - solo per sentito dire. Con questo insegnamento, per così dire di seconda mano, venite a trovarvi in condizioni del tutto insolite ai fni della formazione di un giudizio. Quest’ultimo dipenderà evidentemente, per la maggior parte, dalla fede che potete prestare all’informatore […].
Prima di tutto analizzare se stessi La psicoanalisi si impara innanzitutto su se stessi, mediante lo studio della propria personalità. […] Esiste tutta una serie di fenomeni psichici molto frequenti e universalmente noti che, dopo un certo addestramento tecnico, possono essere fatti oggetto di analisi in noi stessi. In tal modo ci si riesce a persuadere della realtà dei processi descritti dalla psicoanalisi e dell’esattezza delle sue concezioni. Comunque, al progredire su questa strada sono posti determinati limiti. Si progredisce molto di più se ci si fa analizzare da un analista esperto, se si sperimentano gli efetti dell’analisi sul proprio Io cogliendo simultaneamente l’opportunità di carpire al proprio analista le più sottili regole tecniche del procedimento. Quest’ottimo metodo, naturalmente, è accessibile sempre soltanto a una persona per volta, mai a un intero corso. […] Con due delle sue afermazioni la psicoanalisi of-
142
fende il mondo intero e se ne attira l’avversione; una di esse urta contro un pregiudizio intellettuale, l’altra contro un pregiudizio estetico-morale. […]
Avversioni della società contro la psicoanalisi La prima di queste sgradevoli afermazioni della psicoanalisi è che i processi psichici sono di per sé inconsci e che di tutta la vita psichica sono consce soltanto alcune parti e alcune azioni singole. Tenete presente che, al contrario, noi siamo abituati a identifcare lo psichico con il cosciente. La coscienza è da noi ritenuta addirittura la caratteristica che defnisce lo psichico, la psicologia la dottrina dei contenuti della coscienza. […] Non può non esservi altrettanto nascosta l’intima connessione che collega questa prima audacia della psicoanalisi alla seconda, di cui sto per parlarvi. Quest’altra proposizione, che la psicoanalisi rivendica come una delle proprie scoperte, aferma che alcuni moti pulsionali, i quali non possono essere chiamati che sessuali, sia in senso stretto che in senso più lato, hanno una grandissima parte, fnora non apprezzata a sufcienza, nella determinazione delle malattie nervose e mentali. Aferma
Capire le emozioni in classe
inoltre che questi stessi impulsi sessuali forniscono un contributo che non va sottovalutato alle più alte creazioni culturali, artistiche e sociali dello spirito umano. Stando alla mia esperienza, l’avversione per questo risultato della ricerca psicoanalitica è il più importante motivo della resistenza che essa ha incontrato. Volete sapere come ce lo spieghiamo? Noi riteniamo che la civiltà si sia formata sotto l’urgenza delle necessità vitali a spese del soddisfacimento delle pulsioni, e che essa venga in gran parte continuamente ricreata ex novo, quando il singolo, che fa il suo primo ingresso nella comunità umana, ripete il sacrificio del soddisfacimento delle pulsioni a favore della società. Tra le forze pulsionali così impiegate, quelle degli impulsi sessuali hanno un ruolo importante; in questo processo esse vengono sublimate, ossia distolte dalle loro mete sessuali e rivolte a mete socialmente superiori, non
Unità B4
più sessuali. Questa costruzione però è labile, le pulsioni sessuali sono domate a fatica, in ciascun individuo che debba associarsi all’opera di civilizzazione sussiste il pericolo che le sue pulsioni sessuali si rifiutino di essere impiegate in questo modo. La società crede che non vi sia minaccia più forte alla sua civiltà di quella che deriverebbe dalla liberazione delle pulsioni sessuali e dal loro ritorno alle mete originarie. La società non ama quindi che le si rammenti questa instabile componente del suo fondamento […]. Perciò essa non tollera il risultato della ricerca psicoanalitica che abbiamo testé menzionato, preferirebbe di gran lunga stigmatizzarlo come esteticamente ributtante e moralmente riprovevole o come qualcosa di pericoloso. […] ■ S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, in “Opere”, vol. 8, Boringhieri, Torino 1976
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la tua risposta. a
la comunicazione fra analista e paziente è possibile solo se fra questi c’è un parti- V colare legame affettivo
F
b
la maggior parte delle pulsioni sessuali, secondo Freud, vengono sublimate
V
F
c
la psicoanalisi si apprende soprattutto mediante lo studio della propria personalità
V
F
▶ secondo la psicoanalisi nella determinazione delle malattie nervose e mentali sono
responsabili: □ fattori ereditari □ moti pulsionali e sessuali □ alterazioni neurologiche ▶ in che cosa consiste essenzialmente il trattamento psicoanalitico? ▶ perché le sedute psicoanalitiche non prevedono la presenza di un ascoltatore oltre
al paziente/cliente e all’analista? ▶ se non si va dall’analista quale può essere un modo per verifcare la validità delle
teorie psicoanalitiche?
143
LEGGIAMO 2 UN CASO DI TALENTO EMOZIONALE
A
frontare uno sconosciuto grande e grosso in preda alla rabbia non è facile, si può riuscire se si cambia completamente approccio e si riesce a entrare in contatto con le sue emozioni profonde.
Comprendere il comportamento altrui Se il test per scoprire l’abilità sociale è la capacità di calmare le emozioni fonte di turbamento negli altri, allora riuscire a controllare qualcuno che si trovi al culmine della collera più violenta è forse una misura di autentica maestria. I dati sull’autoregolazione della collera e sul contagio emozionale indicano che una strategia efcace potrebbe essere quella di distrarre la persona in collera, empatizzare con i suoi sentimenti e la sua prospettiva, e poi attirare l’individuo in modo da fargli considerare la circostanza da un’angolatura diversa, che lo metta in sintonia con una serie di sentimenti più positivi - una specie di judo emotivo. Questa sofsticata abilità nella fne arte dell’infuenza emozionale è forse illustrata al meglio da una storia che mi raccontò un vecchio amico, il compianto Terry Dobson, che negli anni Cinquanta fu uno dei primi americani a studiare l’arte marziale dell’aikido in Giappone. Un pomeriggio stava tornandosene a casa su un treno della metropolitana di Tokyo quando salì sulla vettura un operaio enorme, aggressivo, sporco e ubriaco fradicio. L’uomo, barcollando, cominciò a terrorizzare i passeggeri: bestemmiando, diede uno spintone a una donna che teneva un bambino in braccio, mandandola a cadere lunga distesa addosso a una coppia di persone anziane, che saltarono in piedi e si unirono al fuggi fuggi generale verso l’estremità opposta della vettura. 144
[...] A quel punto, Terry, che era all’apice della condizione fsica grazie agli allenamenti quotidiani di otto ore di aikido, si sentì chiamato a intervenire, altrimenti qualcuno si sarebbe fatto male sul serio. Ma ricordò le parole del suo maestro: “L’aikido è l’arte della riconciliazione. Chiunque abbia in mente di combattere ha spezzato i propri legami con l’universo. Se cerchi di dominare gli altri sei già sconftto. Noi studiamo come risolvere il confitto, non come accenderlo”.
Il senso dell’equilibrio In verità, quando aveva cominciato a prendere le sue lezioni, Terry aveva promesso al suo maestro che non avrebbe mai provocato un combattimento, e che avrebbe usato le sue capacità nelle arti marziali solo a scopo di difesa. [...] Così, mentre tutti gli altri passeggeri se ne stavano paralizzati sui propri sedili, Terry si alzò in piedi, lentamente e con fare deciso. Vedendolo, l’ubriaco ruggì: “Aha! Uno straniero! Ti ci vuole una bella lezione alla maniera giapponese!” e cominciò a ricomporsi per afrontare Terry. Ma proprio quando l’ubriaco era sul punto di fare la sua mossa, qualcuno proruppe in un “Hey!” assordante e stranamente gioioso. Il suono aveva il tono allegro di qualcuno che si fosse improvvisamente imbattuto in un carissimo amico. L’ubriaco, sorpreso, si girò e vide un minuscolo ometto giapponese, probabilmente sulla settantina, lì seduto avvolto nel suo kimono. Il vecchio guardava l’ubriaco con piacere e lo chiamò con un cenno leggero della mano e un
Capire le emozioni in classe
allegro “Vieni qui”. L’ubriaco s’incamminò con un aggressivo “Perché diavolo dovrei parlare con te?”. Nel frattempo, Terry si teneva pronto ad atterrare l’uomo in un momento al minimo accenno di violenza. “Che cosa stai bevendo?” chiese il vecchio, con gli occhi fssi sull’uomo ubriaco. “Bevo sake, e non sono afari tuoi” grugnì in tutta risposta. “Oh, è fantastico, assolutamente fantastico” replicò il vecchio con tono cordiale. “Sai, anch’io amo il sake. Ogni sera, io e mia moglie (ha settantasei anni) scaldiamo una bottiglietta di sake e ce la portiamo fuori in giardino, e poi sediamo su una vecchia panca di legno...” E andò avanti parlando dell’albero di cachi che cresceva nel suo cortile, delle bellezze del suo giardino e del piacere di farsi un sake di sera.
Unità B4
La faccia dell’ubriaco cominciò a distendersi mentre ascoltava il vecchio; i pugni si aprirono. “Già... anche a me piacciono i cachi” disse, con la voce strascicata. “Sì,” replicò il vecchio, con tono brioso “e sono sicuro che hai una moglie meravigliosa”. “No” disse l’operaio. “Mia moglie è morta ...” Singhiozzando, si lanciò in un triste racconto spiegando come avesse perso la moglie, la casa e il lavoro, e di come si vergognasse di se stesso. Proprio in quel momento il treno arrivò alla fermata di Terry, e mentre scendeva dalla vettura, egli udì l’uomo con il kimono invitare l’ubriaco a unirsi a lui e a raccontargli tutta la storia, mentre quello crollava sul sedile, con la testa appoggiata nel grembo del vecchio. Questo è genio emozionale. ■ D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1996
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la tua risposta. a
l’empatia può essere considerata un “Judo” emotivo
V
F
b
Un individuo può calmare le proprie emozioni negative, ma non quelle di altre persone V
F
c
l’aikido è un’arte marziale che spesso viene indicata come un insieme di tecniche V finalizzate all’attacco
F
▶ per calmare le emozioni che sono fonti di turbamento e causa di rabbia in una per-
sona, si deve: □ distrarre la persona con qualche argomento che le può interessare per far placare la rabbia □ non contraddire, restare calmi e tranquilli, perché prima o poi lui o lei si renderà conto di quanto immotivato sia il suo attacco d’ira
□ distrarre la persona, empatizzare con i suoi sentimenti e farle vedere la situazione da un’altra prospettiva ▶ spiega perché l’intelligenza, di per sé, non è da sola una garanzia per una buona
interazione sociale. ▶ spiega, perché l’intervento dell’uomo in kimono risolve una situazione diffcile.
145
S EZIONE
B
UNITÀ B5
VIOLENZA E BULLISMO A SCUOLA Gli esseri umani possono essere empatici, protettivi, comprensivi e collaborativi, ciò non toglie che possano diventare anche violenti e distruttivi. Sin da piccoli si possono manifestare comportamenti aggressivi e/o violenti, più o meno evidenti a seconda degli individui e delle situazioni. Gli adulti hanno il compito di aiutare i più giovani, bambini e ragazzi, a canalizzare l’aggressività e a tenerla sotto controllo, a indicare regole e limiti. Non consentire che si verifichino episodi di bullismo a scuola, e altrove, è un obiettivo da perseguire con determinazione. Le nostre scuole, oggi, diventano sempre più spesso teatro di episodi di violenza fisica e/o psicologica da parte di alcuni ragazzi su altri. Quali strumenti di comprensione offre la psicologia nei confronti di tali fenomeni? E quali strategie suggerisce per prevenire l’insorgere di situazioni di violenza e, in particolare, del bullismo?
B5.1
Aggressività e violenza I termini violenza e aggressività vengono spesso considerati intercambiabili, ma non sempre violenza e aggressività coincidono. Ad esempio una persona può essere aggressiva ma non violenta. L’individuo di temperamento aggressivo e non violento è una persona che controlla i propri impulsi, ricorre alla violenza soltanto in casi estremi e canalizza la sua aggressività verso comportamenti socialmente accettabili. ▶ Due tipi di aggressività Esiste una forma di aggressività che potremmo defnire adattiva, ossia tale da contribuire alla stabilità fsica e psichica di una persona. Caratteristica di questo tipo di aggressività è che essa è funzio-
Lambert, Getty Images.
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
nale alla tutela della integrità propria e delle persone che proteggiamo, perché consente di difendersi, di rispondere alle minacce e di segnalare all’altro che il suo comportamento non è gradito. Fisica
ADATTIVA
Stabilità della persona Psichica
AGGRESSIVITÀ FUNZIONALE PERMETTE
Tutela della integrità
Propria Persone che proteggiamo
Difendersi Rispondere a minacce
Erich Fromm (1900-1980) chiama tale aggressività, comune a tutte le specie animali, benigno-difensiva, e la contrappone all’aggressività maligno-distruttiva, tipica della specie umana. Quest’ultima consiste in un impulso a uccidere e fare del male, a volte senza alcun vantaggio concreto. Secondo Fromm questo secondo tipo di aggressività è una passione umana come l’amore o l’ambizione e si esprime in particolare quando si verifcano determinate condizioni psico-sociali. BENIGNO-DIFENSIVA
Tipica delle specie animali
AGGRESSIVITÀ FROMM
Uccidere
MALIGNO-DISTRUTTIVA
Tipica della specie umana Fare del male
▶ Come si esprime l’aggressività La violenza o comportamento aggressivo è quindi solo uno degli esiti dell’aggressività. L’aggressività, come tratto innato, può anche esprimersi sotto forma di grinta, impegno o creatività (fgura B5.1). L’aggressività può anche essere orientata, come in molti sport e tenuta sotto controllo dalle regole del gioco. Indubbiamente il controllo dell’aggressività è più facile in una persona matura che non in un bam-
147
SEZIONE B
La relazione educativa
bino; ma uno degli obiettivi dell’educazione è proprio quello di insegnare a riconoscere e a controllare gli impulsi e le emozioni che alimentano la violenza, ossia l’odio, la collera, la paura, la vergogna. ▶
Cosa c’è dietro alla violenza Un primo passo per poter controllare i
sentimenti che alimentano la violenza è parlarne. Un secondo passo consiste nel capire che cosa esprimono veramente. Un bambino può urlare alla mamma “ti odio” non perché vuole il suo male, ma perché ha paura di non essere amato da lei. Se per qualche motivo questa paura non può essere espressa o raccontata (anche attraverso una favola) può manifestarsi sotto forma di violenza o aggressione. Qualcosa di analogo vale per il senso di vergogna avvertito in seguito a una ofesa subita o presunta. La vergogna può facilmente sfociare in comportamenti aggressivi come nel caso di Stefano, (paragrafo B4.1 p.112) il giovane studente che aveva orientato la sua rabbia contro l’insegnante deviandola da quello che sarebbe stato il vero obiettivo, ossia il padre.
PhotoAlto/Milena Boniek, Getty Images.
PER CONTROLLARE
Odio, collera, paura, vergogna
SENTIMENTI CHE ALIMENTANO LA VIOLENZA
Parlarne Capire cosa esprimono
Francis Bacon, Tre studi di autoritratto, 1972, New York, collezione privata.
Figura B5.1
Il pittore contemporaneo Francis Bacon (1909-1992) ha trovato il modo di manifestare i sentimenti di ansia, paura, minaccia e violenza attraverso la mediazione dell’arte, evitando la forma diretta e reattiva della violenza. Nelle sue tele si avverte l’esigenza di sperimentare nuove soluzioni figurative in grado di rappresentare la condizione umana, colta nei suoi aspetti più intensi e sofferenti. Il mezzo espressivo privilegiato dall’artista è la pittura. Come si vede nell’opera Tre studi di autoritratto, e negli altri ritratti del pittore, Bacon studia attentamente la figura umana. I corpi vengono deformati nella loro fisionomia naturale; spesso sono collocati in uno spazio chiuso, isolati e astratti da un qualsiasi contesto significativo; e si parano innanzi all’osservatore in tutta la loro nudità e drammaticità. Nei dipinti di Bacon l’arte figurativa diventa il veicolo per esprimere problematiche personali e, più in generale, le profonde tensioni che, in ogni tempo, accompagnano l’esistenza del genere umano.
148
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
SCHEDA B5.1 Nel campo della psicologia, l’aggressività comportamentale o violenza ha sviluppato numerose teorie. Vi elenchiamo le più importanti:
LE TEORIE
Sigmund Freud - Pulsione distruttiva • Nella psiche umana sono ugualmente radicati la tendenza alla vita (Eros) e l’impulso di morte o distruzione (Thanatos); • c’è un uso accettabile dell’aggressività, quando la si mette al servizio di una buona causa la si orienta verso espressioni socialmente accettabili; • l’istinto di autoconservazione s’appoggia sull’aggressività per raggiungere i suoi fni. Konrad Lorenz - Pulsione aggressiva • L’aggressività è insita nella natura umana; • nell’uomo, come negli animali, c’è un meccanismo interno di accumulazione dell’aggressività, che a un certo livello necessita di uno sfogo. Secondo la teoria idraulica la mancanza di sfoghi aggressivi fa crescere il bisogno di combattere, come la fame comporta l’esigenza di nutrirsi; • la pulsione aggressiva è pronta a liberarsi, se sollecitata da stimoli appropriati. • l’essere umano è l’unica specie che ha prodotto in breve tempo armi che ne mettono in serio pericolo l’esistenza, perché dotate di un enorme potere distruttivo, «il cui uso non è regolato da una corrispondente forza di inibizione». John Dollard - Frustrazione • All’origine di molti comportamenti aggressivi c’è la frustrazione, determinata da uno scarto tra ciò che una persona desidera e ciò che ottiene; • tuttavia, la reazione frustrazione-aggressività non è di tipo meccanico. L’impedimento o mortifcazione deve essere considerato pericoloso dal soggetto per dar luogo ad una reazione aggressiva.
Advent, Shutterstock.
Albert Bandura - Modelli • I comportamenti violenti si apprendono in un processo di identifcazione con i modelli che ognuno trova nel proprio ambiente di vita; • gli apprendimenti possono avvenire per osservazione di un soggetto che agisce, senza che l’osservatore debba agire lui stesso. Stanley Milgram - Contesto • Gli esseri umani sono infuenzati dalle situazioni sociali in cui vivono; il contesto ha un notevole potere nel modellare le loro azioni e convinzioni; • la condivisione di spazi quotidiani con coetanei aggressivi rende più aggressivi. John Bowlby - Esperienze infantili • Emozioni come la rabbia, la tristezza, la paura e la vergogna attivano facilmente i comportamenti violenti; • l’ostilità nei confronti delle fgure parentali è più elevata in seguito all’assenza della fgura di attaccamento; • l’attaccamento “confuso”, i maltrattamenti e un’eccessiva permissività favoriscono i comportamenti violenti. F. Alexander e H. Staub - Socializzazione familiare • La famiglia dovrebbe essere una “base sicura”; • se la famiglia non fornisce sicurezza, identità, connessioni sociali e comprensione della realtà, la famiglia promuove aggressività. D. Pepler e K. Rubin - Punizioni e maltrattamenti La famiglia può infuenzare il comportamento aggressivo infantile, offrendo un modello di comportamento che viene imitato, attraverso: • frequenti punizioni fsiche; • abuso verbale e fsico.
149
sezione B
La relazione educativa
▶
Campagna contro la Violenza Domestica.
B5.2
Violenza domestica Come abbiamo visto, i fenomeni di violenza, sia
psicologici sia fsici, sono realtà complesse che sorgono per combinazione di molti fattori e in seguito al coinvolgimento di più protagonisti. Un particolare tipo di violenza, che merita di essere ricordato, è la violenza perpetrata nei confronti delle donne e, in particolare, quella usata dal marito o compagno sulla sua consorte o compagna. Si tratta di un fenomeno conosciuto in tutto il mondo, che oltrepassa le frontiere delle nazioni e attraversa le diferenze tra classi sociali. Per “violenza domestica” s’intendono gli atti di violenza fsica, come maltrattamenti e percosse, e gli atti di violenza psicologica, come ofese e minacce, compiuti all’interno dell’ambito familiare da parte di una persona conosciuta e considerata di fducia; un esempio drammaticamente difuso è la violenza all’interno della coppia. Il Parlamento italiano con la Legge n. 77 del 2013 ha riconosciuto e fatto propria la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, stesa a Istanbul nel 2011. Un documento importante che vincola giuridicamente a livello internazionale tutti i cittadini al rispetto di un quadro normativo per la tutela delle donne nei confronti di qualsiasi forma di violenza e per l’adozione di strategie di prevenzione. La persistenza e l’invadenza di questo fenomeno, tuttavia, fanno pensare che l’intervento normativo non sia in grado di contrastare efcacemente i casi di violenza, senza l’attuazione di un incisivo intervento educativo e di sensibilizzazione sociale. Questo fenomeno, infatti, non può essere ricondotto esclusivamente alle caratteristiche personali e psicologiche dei soggetti coinvolti e va considerato anche alla luce delle rappresentazioni, afermate nelle diverse culture, sia dell’identità di genere maschile sia di quella femminile, sia delle posizioni sociali di uomini e donne, nonché dei rispettivi ruoli rivestiti da entrambi nella vita di coppia. Comportamenti violenti non appartengono “per natura” alle relazioni tra uomo e donna. Per contrastarne l’insorgenza occorre difondere una cultura fondata sul rispetto reciproco e sul riconoscimento della dignità della persona, cominciando anzitutto a individuare gli stereotipi e i luoghi comuni che ne ostacolano l’afermazione. Iniziamo a rifettere su quali siano i pregiudizi di genere che continuano a persistere nella nostra cultura e di cui abbiamo una qualche esperienza.
Aggressioni alla scuola dell’infanzia la violenza può esprimersi a qualsiasi età, e in forme diverse. anche al nido e alla scuola dell’infanzia si possono verifcare episodi di aggressività tra i bambini. Queste manifestazioni hanno comunque caratteristiche ben defnite. ▶
Aggressioni spontanee Al nido e alla scuola dell’infanzia, ad esempio,
non accade quasi mai che due bambini si coalizzino contro un compagno: gli Alvarez, Getty Images.
150
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
scontri, quando ci sono, sono uno contro uno. È il singolo bambino che prende l’iniziativa, anche se un altro può imitarlo nel vederlo in azione. In questo caso l’imitatore non sa “perché” lo fa, è però attratto dall’azione che crea eccitazione. Una prima caratteristica delle aggressioni tra bambini di età prescolare è che l’atto aggressivo non è premeditato ma improvviso. Fino a un momento prima i due bambini giocavano insieme, di punto in bianco uno colpisce l’altro e lo fa ruzzolare. È difcile notare nei bambini piccoli dei segni premonitori: improvvisamente uno scoppia a piangere, un altro si lamenta con la maestra, che non si è accorta di nulla, di avere ricevuto un pugno. ▶
Tra fantasia e realtà Una seconda caratteristica delle aggressioni al
nido e alla scuola d’infanzia è che i bambini non sono consapevoli del danno che causano: la fantasia si mescola alla realtà e manca la percezione delle conseguenze. È il caso di un bambino che fa cadere una compagna sul pavimento, poi con il piede le schiaccia la pancia e all’insegnante che esclama “Non vedi che le fai male!?” risponde: “Sto schiacciando i serpenti!”. Probabilmente imita una scena che ha visto, considerandola lecita. Nei bambini si registra anche una forte contraddizione tra parole e comportamenti: mentre a parole si sentono “buoni” e sono contrari alle “cattiverie”, nei fatti, invece, possono aggredire un compagno perché cerca di inserirsi nel loro gioco. Al contrario dei bambini più grandi, che per non passare per spie tendono a non denunciare i compagni, i bambini più piccoli si rivolgono immediatamente all’adulto per ottenere giustizia e si attendono un intervento riparatore. ▶
I bambini di età prescolare mescolano spesso la realtà con la fantasia. 2xSamara.com, Shutterstock.
Stadio premorale Le norme degli adulti sono tenute in considerazio-
ne: “la maestra non vuole…”, “il mio papà dice che…”. Non avendo ancora una chiara idea personale di ciò che è giusto o sbagliato i bambini si rimettono all’autorità dell’adulto. Occorre comunque accettare l’idea che anche i bambini, come molti adulti, subiscono il fascino della violenza e hanno fantasie aggressive. Pertanto è normale che simulino delle aggressioni nei loro giochi. Tuttavia è opportuno che gli adulti sottolineino la diferenza tra il gioco e la realtà, e insegnino a tracciare una chiara linea di demarcazione tra “ciò che è fnto” e “ciò che è reale”.
Ruolo ambiente familiare
I bambini si affdano all’autorità degli adulti
AGGRESSIVITÀ ETÀ PRESCOLARE
No percezione conseguenze
Spontanea improvvisa non premeditata La fantasia si fonde con la realtà
Stadio pre-morale
151
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Il ruolo degli impulsi Le circostanze esterne non sono afatto le
uniche responsabili dei comportamenti aggressivi. Un bambino che gioca alla guerra o si cala nei panni di un animale feroce non è necessariamente un bambino che vive in un ambiente familiare difcile o che è stato picchiato dai genitori. Se quel gioco diventa un’ossessione questa ipotesi è plausibile (ma va accertata), altrimenti il comportamento adottato può esprimere più semplicemente un lato della natura umana, il bisogno di dare forma a impulsi e fantasie che nascono dall’interno. SCHEDA B5.2
Gli esseri umani hanno dimostrato e dimostrano tuttora di poter compiere atti violenti e terribili, basti pensare alle atrocità commesse nei campi di sterminio nel periodo della seconda guerra mondiale. I criminali nazisti processati alla fne della guerra, di fronte alle accuse di avere compiuto terribili efferatezze, rispondevano di avere soltanto obbedito agli ordini. Ma fno a dove si può spingere l’obbedienza all’autorità? Negli anni ‘60 lo psicologo americano Stanley Milgram decise di studiare questo fenomeno effettuando un esperimento che ebbe esiti scioccanti. Il professor Milgram riuscì, sfruttando il proprio prestigio e la sede universitaria di Yale in cui si svolse l’esperimento, a convincere dei volontari (persone “normali”, senza particolari disturbi o predisposizioni alla violenza) a partecipare a un esperimento che veniva presentato come relativo all’apprendimento. I volontari facevano i “maestri” e sottoponevano alcuni “studenti” a un test di memorizzazione, somministrando scariche elettriche di intensità sempre più elevata nel caso in cui questi sbagliassero le risposte. In realtà si trattava di scosse simulate e gli “studenti” erano attori d’accordo con Milgram, ma i volontari non lo sapevano. Il 63% portò avanti l’esperimento fno alla fne, somministrando scosse di elevata intensità, nonostante le grida di dolore e i lamenti degli studenti. Un altro interessante e molto discusso esperimento fu realizzato nel 1971 dal professor Philip Zimbardo con alcuni studenti universitari. Zimbardo organizzò una fnta prigione presso l’Università di Stanford e formò due gruppi, uno di secondini e l’altro di carcerati. Gli studenti dovevano simulare la vita in prigione per 15 giorni. L’esperimento fu sospeso dopo soli 6 giorni perché i “carcerieri” stavano praticando ai loro “prigionieri” un trattamento estremamente duro e persecutorio. Anche in questo caso gli studenti-secondini non avevano dimostrato particolari propensioni alla violenza prima dell’esperimento. Come si spiega allora che persone che si sono sempre comportate in modo corretto verso gli altri, improvvisamente, diventino capaci di commettere atti orribili nei confronti dei loro simili? I due psicologi hanno messo in evidenza l’infuenza del contesto sul singolo individuo. Quando qualcuno è sottoposto a una forte pressione sociale, arriva ad attuare comportamenti che contrastano con la sua stessa morale. Nel caso dell’esperimento di Milgram, i volontari risentono dell’infuenza dell’autorità, del suo prestigio (anche se l’autorità non minaccia ma semplicemente incoraggia a fare) e vivono ciò che viene loro richiesto come un compito che va svolto nel migliore dei modi. Nella fnta prigione di Stanford, ideata da Zimbardo, gli studenti fniscono invece per identifcarsi totalmente nel ruolo che viene loro affdato, aiutati in questo da una serie di dispositivi: occhiali scuri, manganello e uniforme ai poliziotti, divise da carcerato ai prigionieri. L’individuo viene spersonalizzato, in quanto non è lui direttamente a compiere l’atto malvagio, ma la funzione che sta ricoprendo. La pressione del contesto può essere molto pesante, tuttavia esistono anche numerose testimonianze di casi in cui l’individuo riesce a resistere alle pressioni e a comportarsi in modo etico, secondo i suoi valori morali. Essere consapevoli di quanto il contesto possa infuenzarci è di grande utilità per non farci travolgere da spinte irrazionali e immorali.
L’INFLUENZA DEL CONTESTO
152
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
Il fenomeno del bullismo
B5.3
I bambini possono manifestare comportamenti aggressivi, come mordersi, tirarsi i capelli e picchiarsi, già al nido o alla scuola dell’infanzia; ma a partire dagli 8-9 anni, oltre ai normali scontri, più o meno sporadici, può fare la sua comparsa il bullismo, una forma particolare di violenza premeditata e persecutoria. Il termine deriva dall’inglese bullying e indica appunto l’uso della forza o della coercizione per prevaricare gli altri. Rispetto ad altre manifestazioni di aggressività, nel bullismo gli attacchi contro un compagno, un fratello o una sorella, sono organizzati e premeditati; qualche volta da un bambino da solo, altre volte da un gruppetto di due, tre o anche più. Qualche volta con modalità tradizionali altre volte nel web. ▶ Tipi di bulli I motivi per cui alcuni bambini o ragazzi si comportano da bulli e altri diventano vittime non sono sempre gli stessi: i bulli non sono tutti uguali e così pure le vittime, anche se qualche elemento comune esiste. Il bullo vuole mostrare ai suoi amici e a se stesso la sua superiorità e la sua forza fsica. Qualche volta è stato maltrattato in famiglia, ma molte altre volte non lo è stato afatto. Certamente si ispira a modelli di comportamento aggressivi, che possono anche esssere presenti in famiglia. Può suscitare paura e non essere amato dai compagni ma può anche divertirli e attirare la loro ammirazione, in quanto osa più di loro e le sue iniziative creano eccitazione. Alcuni bulli diventano impopolari, altri invece sono popolari e acquistano uno status elevato tra i coetanei grazie alle loro bravate e (contrariamente a ciò che spesso gli adulti pensano semplifcando il fenomeno) grazie anche alla loro abilità sociale che li rende vincenti in contesti competitivi. Qualche volta l’aspetto e gli atteggiamenti che il bullo assume ed esibisce tradiscono le sue intenzioni e lo rendono facilmente riconoscibile, altre volte invece è difcile distinguerlo dai compagni come nel caso di Barry Tamerlane descritto dallo scrittore Ian McEwan nella lettura in fondo all’unità. ▶ Le valutazioni dei ragazzi Se i prepotenti riescono a imporsi a scuola o in classe è per due diverse ragioni. Sia perché alcuni compagni li temono e non sanno come contrastarli, sia perché altri minimizzano le conseguenze degli atti di bullismo sulle vittime o non ne colgono la gravità, sia perché altri ancora ammirano nel prepotente la capacità di imporsi; infne per l’ulteriore ragione che altri si divertono nell’assistere alle aggressioni. Nella tabella B5.1 sono riportate le percentuali delle riposte fornite da circa 1300 ragazzi italiani della scuola media, nel corso di una ricerca sul bullismo, alla domanda “quali sono i motivi che secondo te spingono a fare il bullo?”.
VIDEO: Combattere il bullismo.
Creatista, Shutterstock.
American Images Inc, Getty Images.
153
SEZIONE B
La relazione educativa
TABELLA B5.1
Quali sono i motivi che secondo te spingono a fare il bullo?
SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA (2008) (SS 11-14 ANNI)
Essere ammirato all’interno del gruppo di amici
% 83,8
Diventare il leader del gruppo
79
Essere attraente per le ragazze
70
Non essere emarginato
61
Essere temuto
58,3
Solo per divertirsi un po’
45,2
Bullismo al femminile Quando ci sono risse e violenze fsiche i colpevoli risultano essere, nella maggior parte dei casi, di genere maschile. Le ragazze, invece, sono meno inclini alla violenza fsica e più propense a tirarsi indietro quando la situazione diventa pericolosa. Ciò però non signifca che il bullismo al femminile non esista. Spesso il bullismo femminile è di tipo verbale (insulti, critiche) o di tipo psicologico, e assume le forme dell’emarginazione, del disprezzo, della maldicenza e della calunnia. Un caso tipico di maldicenza è quello di Giorgia (paragrafo il cyberbullismo p.160), bersaglio degli attacchi di alcune sue compagne di scuola, che hanno difuso in rete una calunnia nei suoi confronti. La difamazione e l’emarginazione, che ne è seguita, sconvolgono la vita della giovane studentessa, che si chiude in se stessa e decide infne di cambiare scuola. ▶
▶
Tipi di vittime Anche le vittime non sono sempre uguali. Alcune
sono timide, incapaci di difendersi, isolate e introverse. Altre invece provocano consapevolmente o inconsapevolmente i compagni con i loro atteggiamenti e amerebbero essere bulli se trovassero sostegno in altri compagni o fossero fsicamente più forti. Altre ancora vengono prese di mira perché “diverse” (di razza, d’aspetto, di cultura, di provenienza sociale, di orientamento sessuale ecc.) e/o non hanno amici su cui poter contare. Come difendersi, come reagire alle provocazioni in modo efcace? Per esempio, non lasciandosi intimidire ma rispondendo all’attacco verbale o sminuendolo con espressioni laconiche (“ma va?”, “divertente davvero”, “eh già!”…), imparando a tenere sotto controllo alcuni aspetti della comunicazione non verbale che indicano paura, rilassandosi con un lungo respiro, facendosi amici in classe.
O Driscoll Imaging, Shutterstock.
154
Violenza e bullismo a scuola
▶
UNITÀ B5
I testimoni Sulla
scena degli atti di bullismo non ci sono solo i bulli e le vittime, ci sono pure i “testimoni”, ovvero tutti gli altri ragazzi che vi assistono, che sanno cosa accade ma non intervengono per i motivi detti in precedenza. In realtà, se intervenissero, in gruppo, in difesa del compagno preso di mira, nella maggior parte dei casi l’episodio di bullismo rientrerebbe. Una strategia per impedire tali fenomeni è la costituzione di gruppi di peer education*, in cui i ragazzi individuano insieme i modi per contrastare attivamente e pacifcamente il bullismo nella loro scuola. Certamente non tutti i casi si presentano nella stessa forma; qualche volta i bulli formano un gruppo organizzato, che soltanto interventi efcaci e pianifcati degli adulti possono bloccare.
Ferran Traite Soler, Getty Images.
peer education si tratta di un modello teorico che pone l’interazione tra pari alla base di un processo educativo in cui la trasmissione di conoscenze, emozioni ed esperienze avviene tra ragazzi di pari status.
SCENA ATTO BULLISMO
BULLO
TESTIMONE VITTIMA
Agisce
Assiste Subisce
SCHEDA B5.3 Alla base del modello sta l’interazione tra pari: il processo educativo, la trasmissione di conoscenze, emozioni ed esperienze, avviene nel gruppo, tra ragazzi di pari status. Anziché svolgersi in senso verticale (l’adulto che trasmette al bambino/ragazzo) il processo formativo avviene in orizzontale perché sono i ragazzi a confrontarsi tra loro, a discutere e a trovare le soluzioni ai problemi, svolgendo quindi tutti un ruolo attivo. Alcuni membri del gruppo rivestono il ruolo di peer educator. Sono ragazzi dotati di particolari abilità sociali che seguono un breve percorso di formazione per svolgere tale ruolo. Nella realizzazione di questi gruppi la funzione dell’adulto è quindi marginale, ma il gruppo sa che per qualsiasi necessità, chiarimento, aiuto può contare su insegnanti e psicologi che fungono da supervisori.
PEER EDUCATION
Racorn, Shutterstock.
155
*
SEZIONE B
La relazione educativa
Quali interventi?
B5.4
I ragazzi riescono ad affrontare molte situazioni da soli o con l’aiuto degli amici e dei compagni di scuola; talvolta si tratta di scontri casuali, di modi di comunicare bruschi oppure di “scherzi” che fanno parte di una ritualità sociale non pericolosa né malevola. Se però la situazione diventa pesante è bene che la vittima si rivolga ad un adulto per chiedere aiuto.
Scherzo o aggressione? Lo schema che segue illustra le diferenze tra il semplice “stuzzicare” e il vero e proprio tormento persecutorio tipico del bullismo. Nel primo caso si tratta di una modalità normale e accettabile di interazione tra ragazzi che sconfna nello scherzo, anche se può diventare irritante e qualche volta ofensiva in quanto le intenzioni non sono del tutto chiare oppure vengono fraintese; nel secondo caso ci troviamo di fronte a veri e propri fenomeni di prevaricazione, che causano forte soferenza e ansia.
▶
Image Source, Getty Images.
STUZZICARE
TORMENTARE
è innocente, spontaneo, spesso scherzoso
è calcolato, deliberato, c’è l’intenzione di ferire
dura poco
è persistente, si ripete
avviene tra “uguali”
è una lotta ineguale
spiacevole ma sopportabile
si vuole annientare anche psicologicamente
uno contro uno
spesso vari contro uno
può essere reciproco
i ruoli di bullo e di vittima sono fissi CONSEGUENZE
156
disagio passeggero, che a volte si trasforma in scherzo
se si ripete, sofferenza che dura nel tempo
si torna amici rapidamente
difficile tornare amici come prima
si resta nel gruppo
ci si isola, ci si stacca dal gruppo
il gruppo ritrova rapidamente la sua coesione
nel gruppo c’è un clima di minaccia, di sfiducia, di insicurezza; scarsa amicizia e poca spontaneità
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
CINEMA E LETTERATURA
IL NASTRO BIANCO Regia di Michael Haneke - Germania 2009
D
a sempre la violenza è al centro del cinema del regista austriaco Michael Haneke. Una violenza insensata che può annidarsi ovunque e assumere i tratti di un bambino. Nel Nastro bianco, i giochi dell’infanzia sono chiazzati di sangue e il bianco del titolo, tradizionale simbolo di purezza, fnisce per confondersi con il nero più tenebroso. Bianco come il nastro che il pastore protestante, uno dei personaggi più controversi del flm, stringe attorno al braccio dei suoi fgli ogniqualvolta li giudica colpevoli di qualcosa: lo scopo è inculcare la disciplina attraverso le più brutali punizioni, mortifcando gli animi più vivaci, brandendo la frustra contro chi si presenta in ritardo a cena, legando al letto gli adolescenti che praticano l’autoerotismo. Nero come lo sguardo torvo di rabbia dei ragazzi, che di fronte al monito del padre fngono pentimento, ma intanto progettano il loro prossimo crimine. In bianco e nero è anche la fotografa del flm, che ci trasporta in un piccolo paese tedesco di inizio ’900, poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale. Da qualche tempo, nel villaggio si susseguono una serie di incidenti: il dottore cade da cavallo a causa di un flo teso lungo il prato, un ragazzo disabile viene torturato, una donna muore per un infortunio in segheria, un neonato viene esposto per un’intera notte alle intemperie, in pieno inverno. Sembra non si riescano però a individuare i responsabili. O, forse, non si vuole. Il giovane maestro della scuola locale sarà il solo a ricucire il flo di questi terribili eventi. Tuttavia, una volta scoperto che sono proprio i bambini ad aver architettato tutto, invece di denunciarli, il precettore si rivela incapace di affrontare la cappa di ipocrisia che permea l’intera comunità, e decide di insabbiare ogni cosa. Si macchia così della stessa, imperdonabile colpa dei genitori: quella di chiudere gli occhi di fronte a una verità troppo scomoda. Haneke lascia intendere allo spettatore che di lì a poco, con l’avvento del nazismo in Germania, una violenza di proporzioni infnitamente più grandi si abbatterà sull’intera Europa. I fatti narrati sono insomma il seme di una brutalità futura ancora più inquietante, in quanto “istituzionalizzata”: quella della Shoah e delle persecuzioni contro ebrei, omosessuali, oppositori politici e tanti altri. Ma Il nastro bianco
Scena tratta dal film Il nastro bianco.
è molto più di un’analisi sulle possibili radici, sociali e umane, della deriva nazista. I comportamenti violenti dei giovani nel flm, infatti, sono soprattutto gli “effetti collaterali” di un progetto educativo, familiare e scolastico, del tutto fallimentare. Gli adulti della storia dal padre pastore al medico, che instaura una relazione incestuosa con la fglia adolescente, passando per il barone, che pensa soltanto al proprio tornaconto economico - intrattengono con i più piccoli un rapporto freddo, che non sa che cosa siano il dialogo e la comprensione, schiavi delle convenzioni sociali. Un modello formativo malsano, che, lungi dall’insegnare ai giovani a riconoscere e a controllare le pulsioni aggressive, somma violenza alla violenza.
Per la discussione: • Prendendo in considerazione il periodo storico e l’ambiente sociale, culturale e familiare nel quale crescono i bambini protagonisti del flm, discuti in classe su quali possono essere le cause degli episodi di violenza descritti nella storia. • Il flm è ambientato in un villaggio della Germania di inizio ’900. Rispetto a questo periodo storico, come si affrontano oggi in famiglia e a scuola l’aggressività e la violenza giovanili? Fatti come quelli narrati potrebbero verifcarsi anche oggi? In quali circostanze? • Come giudichi la scelta del maestro di minimizzare le responsabilità dei ragazzi? Come dovrebbe comportarsi secondo te un insegnante di fronte ai comportamenti violenti di bambini e adolescenti?
157
SEZIONE B
La relazione educativa
▶
Wavebreakmedia, Shutterstock.
Zurijeta, Shutterstock.
Prevenire Come prevenire il bullismo a scuola? Lo si può contrastare in
diversi modi. La famiglia è fondamentale nel dare ai fgli una educazione orientata alla tolleranza e alla collaborazione. Lo stile di educazione preferibile non è né trascurante né iperprotettivo, e rifugge da maltrattamenti e violenze. Infatti un bambino che cresce in un ambiente respingente o eccessivamente protettivo, ha difcoltà a relazionarsi in modi “maturi” con i suoi coetanei. Alcune ricerche hanno evidenziato che spesso i genitori dei bulli dedicano poco tempo ai fgli e consapevolmente o inconsapevolmente li spingono a imporsi con la prepotenza, trascurando invece la soddisfazione dei bisogni più profondi. La scuola ha un ruolo fondamentale nella prevenzione, perché può ofrire dei modelli di comportamento basati sul rispetto reciproco, e può creare condizioni di collaborazione e partecipazione. Essa può difondere contenuti culturali validi e afrontare direttamente il tema del bullismo e della violenza in classe. Non è difcile spiegare ai ragazzi che dietro alla violenza si nasconde una debolezza e che la persona forte non ha bisogno di aggredire. Da ultimo le attività di gruppo e gli sport di squadra hanno il pregio di creare un clima di compartecipazione così come svolgere insieme attività espressive, dal teatro alla musica. Esperienze sul campo, sia in Italia che all’estero, hanno dimostrato che fare musica in orchestra è uno strumento concreto di prevenzione della violenza: per eseguire e portare a termine un pezzo i “musicisti” devono infatti accordarsi gli uni con gli altri e dipendere dal contributo di ognuno. In più la musica ha efetti benefci sulla concentrazione, la sensibilità, l’intelligenza e la creatività. I musicisti mentre imparano si divertono insieme, sono propensi a essere più socievoli e tolleranti. ▶
Interventi a posteriori Quando l’atto di bullismo si è verifcato si
può intervenire a posteriori in modi diversi, da valutare caso per caso. Per esempio il “metodo delle ruote” (Applichiamo le competenze 2, unità B3) può essere un ottimo ausilio quando in classe ci sono sia un bullo sia una vittima perché tutti gli alunni devono dare, svolgendo la ricerca, un contributo di uguale peso e importanza. Il contributo del bullo non sarà né superiore né inferiore a quello della vittima. L’alunno rifutato o marginale alla classe avrà un ruolo uguale a quello dell’alunno leader e i “ricercatori” saranno legati da una co-dipendenza. Alla fne della ricerca ognuno diventa “esperto” in qualcosa e, in quanto esperto, gli altri saranno costretti ad ascoltarlo, rispettarlo e tener conto del lavoro che ha svolto.
158
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
Un altro intervento è quello che può fare lo psicologo scolastico: a) capire i motivi che spingono alcuni alunni ad aggredire i loro compagni e b) pianifcare un programma di recupero. Far fnta di niente, lasciare gli alunni violenti a loro stessi non è certo il metodo migliore. I ragazzi attori di violenze e aggressioni hanno bisogno di sapere che ci si accorge di loro, che certi comportamenti non sono tollerati e, soprattutto, che qualcuno li sta aiutando a gestire i propri impulsi. In caso contrario rischiano di proseguire su una strada che li danneggia. Col tempo infatti i compagni si allontanano da loro ed essi non imparano modalità relazionali diverse da quelle che già conoscono. ▶
La sanzione Anche le sanzioni, se applicate in modo appropriato, posso-
no svolgere una funzione educativa. L’insegnante, così come il dirigente d’istituto, può minacciare una sanzione se il bullo non cambia atteggiamento. Si stipula una sorta di contratto: se cambia non succederà nulla, se invece continuerà a tormentare i compagni incorrerà nella sanzione che gli è stata preannunciata. La sanzione non ha carattere vendicativo, la sua fnalità è esclusivamente educativa. Essa è comunque un segno di attenzione, ed è preferibile al fngere che non sia accaduto nulla o che il ragazzo “non esiste”. I ragazzi, anche se non lo ammettono, si sentono sminuiti di fronte alla disattenzione e all’indiferenza; in questo senso, la punizione assume il valore di un segnale di attenzione, sia pure a un primo livello. Spesso i ragazzi fanno azioni provocatorie, proprio per vedere fno a dove possono spingersi. L’intervento dell’adulto è quindi fondamentale per garantire al ragazzo l’aiuto di cui ha bisogno. Nella scheda B5.4 riportiamo un altro tipo di intervento possibile che mira a un percorso di maturazione, alla fne del quale il bullo apprende un comportamento fondamentale per il superamento delle sue difcoltà: chiede scusa al compagno che ha danneggiato. No iperprotettiva Educazione
No trascurante
FAMIGLIA
No prevaricante
PREVENIRE IL BULLISMO
SPORT E ATTIVITÀ DI GRUPPO
Clima di cooperazione
Affrontare il problema bullismo in classe
SCUOLA Non emarginare bullo e vittima
Sanzione educativa non vendicativa
Capire motivi aggressività
Psicologo scolastico
Metodo delle ruote dentate
Pianifcare intervento di recupero
159
SEZIONE B
La relazione educativa
SCHEDA B5.4
Un modo per correggere e impedire atti di bullismo consiste nell’applicare una tecnica di dialogo e collaborazione tra le parti. Il tipo di intervento consiste nell’evitare accuse e minacce nei confronti dei bulli, a cui invece viene richiesto di fornire un apporto costruttivo, suggerendo strategie per migliorare la condizione dell’alunno vittima. Gli incontri possono essere gestiti da un insegnante oppure dallo psicologo scolastico, seguendo una procedura in quattro passi. Il 1º passo consiste nell’incontrare uno per volta gli alunni che hanno atteggiamenti bullistici partendo dal “capobanda” e condurre con ognuno di loro un dialogo pacato e sereno secondo un copione preciso (ogni colloquio può durare 7-10-12 minuti…): 1. Ho sentito che ti sei comportato male con X. Raccontami. Si ascolta, si lascia all’alunno il tempo per pensare, non gli si fa fretta, si è ben disposti, non si fanno accuse o rimproveri (l’alunno potrebbe considerare giustifcato il suo comportamento), si fa poi capire che X sta male per ciò che gli sta capitando. 2. Beh, sembra che X non si trovi molto bene a scuola. Lo si dice con enfasi. L’alunno dovrebbe concordare. Si continua dicendo: 3. Stavo pensando a che cosa potresti fare per aiutare X in questa situazione. Si ascolta la soluzione che l’alunno potrebbe proporre. Si incoraggia. Quando emerge una proposta pratica e importante, si dice: 4. Molto bene. Provaci per una settimana e poi ci vediamo e sentiamo come è andata. Arrivederci. Il 2º passo è rivolto alla vittima. Il colloquio individuale avviene subito dopo che si è parlato con i bulli. Serve per sentire l’altra campana e capire come sono andate realmente le cose: per esempio, se l’alunno bulleggiato ha provocato i compagni oppure no. Il 3º passo consiste in una serie di colloqui successivi volti a verifcare se l’obiettivo che gli alunni si erano prefssi nel primo incontro è stato raggiunto. Anche questi colloqui come quelli precedenti sono individuali. A volte succede che il bulleggiato venga lasciato in pace. Se invece i comportamenti bullistici persistono, si continua a lavorare con gli alunni a livello individuale. Se, al contrario, sono terminati ci si congratula con ognuno di loro e si chiede di continuare nello stesso modo. Ogni alunno viene poi informato che ci sarà un incontro di gruppo. Anche se la terza fase è riuscita e tutto ora fla liscio, è bene non saltare il 4º passo, quello conclusivo, che porta ad un accordo per il mantenimento dei cambiamenti che si sono ottenuti. L’educatore si incontra prima brevemente con i “bulli” e si accorda con loro per dire qualcosa di positivo al compagno. Successivamente si invita a entrare l’alunno vittima che siede accanto all’adulto (bisogna evitare che cammini in mezzo a tutto il gruppo per raggiungere il suo posto). Si parla insieme del cambiamento che si è verifcato e si chiede ai “bulli” come fare perché si consolidi nel tempo. Si rifette anche su ciò che si potrebbe fare se la stessa situazione o una analoga dovesse ripresentarsi, in modo tale che le soluzioni emergano dagli alunni. Si introduce nel discorso il concetto di tolleranza e di convivenza senza scontri sempre validi anche se non si è grandi amici, e se non si nutre una particolare simpatia reciproca. Si stringe quindi un accordo a lunga scadenza. I ragazzi si scusano con il compagno.
APPROCCIO SENZA ACCUSA
▶
Il cyberbullismo Raccontiamo un caso di cyberbullismo tra ado-
lescenti. Sandra ha cominciato a odiare Giorgia quando nello zainetto di quest’ultima ha trovato un bigliettino di Andrea, il ragazzo di cui è innamorata. In quel biglietto Andrea scriveva a Giorgia di volerla incontrare “da sola, senza le amiche”. Sandra comincia così a pensare a come vendicarsi... Giorgia non avrebbe mai immaginato che cosa stava per abbattersi su di lei. Tornata 160
Violenza e bullismo a scuola
a scuola dopo la settimana bianca, Giorgia ebbe l’impressione che si sparlasse alle sue spalle. Ben presto venne a sapere che circolava una maldicenza molto sgradevole, del tutto inventata, sulla sua salute fsica, e cioè che aveva contratto un’infezione venerea dovuta alla frequentazione di uomini. A diffondere la notizia era stata Sandra, che aveva spedito per mail un messaggio a un’amica, Claudia; la quale, a sua volta, lo aveva poi inviato a una lista di amici. Nel giro di pochissimo tempo molte persone vennero a conoscenza della falsa notizia. Giorgia si sentì umiliata e impotente. Non sapendo come difendersi, si chiuse in se stessa e non disse nulla ai genitori. Al mattino, però, quando arrivava il momento di andare a scuola, veniva colta da crampi allo stomaco. I genitori preoccupati dai dolori che accusava la fglia, la portarono dal medico. Quest’ultimo consigliò di efettuare una serie di esami. Le assenze da scuola per le visite mediche e i due giorni trascorsi in day hospital per gli esami clinici non fecero che raforzare le voci sulla “malattia venerea” della ragazza. Qualcuno incollò anche un “avviso” sulla bacheca della scuola in cui si avvertivano i ragazzi di stare lontani da Giorgia, afetta da una malattia contagiosa. Alla fne la madre di una studentessa telefonò ai genitori di Giorgia per avere spiegazioni… Venuti a conoscenza della situazione, i genitori si rivolsero al dirigente scolastico, che dopo una breve indagine scoprì i responsabili della difusione della calunnia. Il caso venne discusso in classe. Sandra e Claudia dovettero scusarsi pubblicamente. Tuttavia, il danno era stato fatto: la reputazione di Giorgia era stata ofuscata. Infatti, non tutte le ragazze e i ragazzi della scuola vennero a sapere dell’ammissione di colpevolezza di Sandra e Claudia, e molti continuavano a fare odiose battute. Giorgia si sentiva ormai a disagio a frequentare quella scuola e, terminato l’anno scolastico, si trasferì in un’altra. La storia di Giorgia mette in guardia sulla pericolosità della rete nel difondere notizie false o distorte, che danneggiano gravemente le persone vittime della calunnia. In rete il bullo, coperto dall’anonimato, può realizzare i suoi attacchi senza rendere conto a nessuno. Inoltre, pettegolezzi e maldicenze raggiungono un’ampia cerchia di persone molto rapidamente. Infne, la confessione e le scuse del bullo non hanno la stessa capacità di difusione della difamazione, e difcilmente riescono ad arrivare a tutte quelle persone che in precedenza erano venute a conoscenza dalla maldicenza. L’invio a una mailing list di foto imbarazzanti, sia veritiere sia lavorate con Photoshop, oppure di notizie che possono ledere una persona o i suoi familiari sono solo alcuni esempi di cyberbullismo. Un caso emblematico di cyberbullismo è la storia incresciosa di un ragazzo che minacciò una sua amica di rivelare su twitter, ad amici e conoscenti, i problemi fnanziari dei suoi genitori. Potete immaginare a quali conseguenze può andare incontro la vittima in casi simili? Non si possono chiudere gli occhi di fronte agli episodi di bullismo, per questo è molto importante che i ragazzi diventino consapevoli dei problemi a cui vanno incontro abusando della rete, e che gli adulti li guidino nell’acquisizione di tale consapevolezza.
UNITÀ B5
FineCollection, Getty Images.
161
S EZIONE
S EZIONE
B
B
RIASSUMIAMO
AGGRESSIVITÀ E VIOLENZA Un fenomeno presente nelle scuole è quello del bullismo che riguarda episodi di violenza fsica e/o psicologica da parte di alcuni ragazzi su altri. Occorre distinguere tra aggressività e violenza: la prima può essere adattiva, ovvero funzionale all’adattamento all’ambiente, alla difesa di sé e di altre persone. L’aggressività può essere canalizzata in
attività come lo sport e può essere controllata perché non degeneri in violenza. Quando l’aggressività diventa violenza è possibile individuare i motivi per cui questo succede (frustrazione, o modelli negativi, o pressione del contesto, o esperienze infantili e impossibilità di esprimere verbalmente i propri sentimenti, la vergogna, la rabbia). Advent, Shutterstock.
L’AGGRESSIVITÀ INFANTILE Alla scuola dell’infanzia le aggressioni avvengono uno contro uno e l’atto aggressivo è improvviso e non premeditato; spesso la fantasia si mescola alla realtà e manca la
percezione delle conseguenze. Inoltre i bambini non hanno ancora chiaro che cosa è bene e che cosa è male e si afdano ai giudizi e all’autorità degli adulti. Dimj, Shutterstock.
IL BULLISMO Il bullismo è una forma particolare di violenza premeditata e persecutoria. Il bullo vuole mostrare ai suoi amici e a se stesso la sua superiorità e la sua forza fsica. Qualche
162
bullo è stato maltrattato in famiglia, ma molti altri non lo sono stati afatto. Certamente i bulli si ispirano a modelli di comportamento aggressivi, qualche volta presenti
Violenza e bullismo a scuola
in famiglia. Alcuni sono popolari e acquistano uno status elevato tra i coetanei grazie alle loro “bravate”. Pur essendo molto difuso tra i maschi, il bullismo esiste anche come
UNITÀ B5
fenomeno femminile che si manifesta soprattutto a livello verbale (insulti, critiche) o psicologico (emarginazione, disprezzo, maldicenza, calunnia). Chris Whitehead, Getty Images.
LE VITTIME Le vittime a volte sono timide e incapaci di difendersi, altre volte invece provocano inconsapevolmente i compagni. Possono imparare a reagire sminuendo gli attacchi con l’iro-
nia, controllando l’espressione non verbale dei loro sentimenti (mimica, posture, gesti possono indicare paura), creando buoni rapporti in classe con gli altri compagni. Nick White, Getty Images.
PREVENZIONE Si può contrastare il bullismo con interventi preventivi. La famiglia è fondamentale per dare ai fgli una educazione orientata alla tolleranza e alla collaborazione. A volte i genitori dei bulli dedicano poco tempo ai fgli e consapevolmente o inconsapevolmente li spingono a imporsi con la prepotenza, trascurando invece la soddisfazione dei loro bisogni più profondi. La scuola deve
stimolare una buona collaborazione tra compagni, per esempio attraverso attività di gruppo, sport di squadra, attività espressive. Occorre poi rendere consapevoli i ragazzi che dietro alla violenza si nasconde una debolezza e che la persona forte non ha bisogno di aggredire. Anche la costituzione di gruppi di peer education può servire ad afrontare e superare questa problematica. Ampyang, Shutterstock.
INTERVENTI A POSTERIORI Quando l’atto di bullismo si è verifcato si può intervenire a posteriori in modi diversi, da valutare caso per caso. Lo psicologo scolastico può aiutare a capire i motivi della
violenza e pianifcare un programma di recupero. Anche le sanzioni hanno una loro validità, non per punire ma per educare.
Wavebreakmedia, Shutterstock.
163
S EZIONE
S EZIONE
B
B
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
Competenza
un’afermazione giustifca la tua risposta.
Acquisire informazioni e comunicare
a
La violenza può essere considerata un comportamento aggressivo
V
F
b
L’aggressività non è sempre violenta e, a volte, può esprimersi sotto forma di creatività
V
F
c
Secondo Freud l’aggressività è insita nella natura umana
V
F
d
Secondo Albert Bandura i comportamenti violenti si apprendono grazie a un processo di identificazione con i modelli di riferimento del proprio ambiente.
V
F
e
Per Konrad Lorenz la violenza è provocata dalla frustrazione
V
F
f
Alla scuola materna accade molto spesso che due bambini si alleano contro un compagno
V
F
g
Il bullismo è una forma di aggressione esclusivamente maschile
V
F
h
Il bullo, come la vittima, ha bisogno di aiuto
V
F
1 Secondo John Dollard la frustrazione è determinata da:
Competenza Acquisire le informazioni
□ una difcoltosa relazione fra i coetanei □ da uno scarto tra ciò che una persona desidera e ciò che ottiene □ non riuscire a capire la realtà e prendere la giusta decisione in un contesto preciso
2 Secondo John Bowlby i comportamenti aggressivi sono causati: □ dalle frequenti punizioni che un individuo riceve in famiglia □ da comportamenti istintivi dell’individuo non facilmente controllabili □ da forti emozioni come la rabbia e la paura
3 Per bullismo si intende: □ l’insieme di comportamenti diretti esclusivamente al raggiungimento dell’interesse del soggetto che ne è autore □ una forma particolare di violenza premeditata e persecutoria □ un’azione fsica o psichica esercitata da una persona su un’altra tipica degli adolescenti
164
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
4 La famiglia, secondo Pepler e Rubin, può infuenzare il comportamento aggressivo infantile: □ con un’eccessiva permissività □ con frequenti punizioni fsiche, abuso verbale e fsico □ in nessun modo, dato che l’aggressività è innata
5 Il bullismo si può contrastare a scuola: □ con percorsi informativi sul tema da parte di esperti esterni □ con percorsi rieducativi nella classe dove si sono verifcati casi di bullismo □ ofrendo modelli di comportamento corretti, di collaborazione
1 Completa il seguente schema con le informazioni mancanti.
Competenza Sapere usare il lessico della disciplina
teoRie sULL’AGGRessiVità AUtoRe
noMe teoRiA
teoRiA
sigmund Freud
Konrad Lorenz
Pulsione aggressiva
John Dollard
I comportamenti violenti si apprendono a seguito dell’identificazione con i modelli, attraverso l’osservazione.
Albert Bandura
stanley Milgram
John Bowlby
F. Alexander e H. staub
D. Pepler e K. Rubin
Punizioni e maltrattamenti
165
SEZIONE B
La relazione educativa
2 Completa il seguente schema con le informazioni mancanti. APPROCCIO SENZA ACCUSA PASSO
PROTAGONISTI
1° PASSO
Singoli alunni bulli Capobanda
MODALITÀ
2° PASSO
3° PASSO
Verificare se gli episodi di bullismo sono finiti, se è così ci si congratula con loro. Se gli episodi non sono finiti si continua a lavorare individualmente.
4° PASSO
1 Nell’intervento educativo “approccio senza accusa” i bulli sono invitati a trovare delle soluzioni per venire in aiuto della vittima? È un buon metodo, secondo te? SÌ NO
Competenza Acquisire e interpretare l’informazione
Perché?
.....................................................................
.................................................................................. .................................................................................. ..................................................................................
2 Chi è il sostenitore della teoria idraulica sull’aggressività? □ □ □ □ □ □ □
Freud Bandura Skinner Lorenz Milgram Dollard Rubin
Spiega perché è stata defnita “idraulica”
.....................
..................................................................................
166
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
3 In che cosa si diferenzia il bullismo da altre forme di violenza tra bambini e ragazzi?
4 Indica almeno 3 diferenze tra stuzzicare e tormentare: .................................................................................. .................................................................................. .................................................................................. ..................................................................................
5 Spiega che cosa si intende per aggressività adattiva. 6 Quali sono le valutazioni dei bulli date dai ragazzi a scuola? 7 Qual è l’intervento dello psicologo scolastico in una classe dove si è verifcato un episodio di bullismo?
167
s ezione
sezione
B
B
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 LA GESTIONE DELL’AGGRESSIVITÀ A SCUOLA
Competenze Sapere interpretare la realtà
Defnizione
Questo laboratorio si propone l’obiettivo di individuare la possibile presenza all’interno delle attività scolastiche di comportamenti aggressivi e di individuare possibili strategie per tenerli sotto controllo. Il comportamento aggressivo può essere defnito come un comportamento intenzionalmente rivolto a far male all’altro. L’aggressività può anche essere orientata e tenuta sotto controllo dalle regole del gioco. Indubbiamente il controllo dell’aggressività è più facile in una persona matura che non in un ragazzo; ma uno degli obiettivi dell’educazione è proprio quello di insegnare a riconoscere e a controllare gli impulsi e le emozioni che alimentano i comportamenti aggressivi.
istruzioni
Osserva i tuoi compagni durante l’ora di educazione fsica, mentre sono impegnati in un’attività sportiva (palla a volo, basket, calcio ecc.). Annota come i singoli ragazzi si comportano quando si trovano in situazioni critiche e confittuali, come reagiscono alle provocazioni, quanto sono tolleranti alla frustrazione, a che livelli arriva la competizione. Rispondi poi alle seguenti domande: 1. Qual è la relazione fra sentimenti e aggressività? 2. Nell’incontro/scontro in un’attività sportiva l’aggressività potrebbe avere un valore positivo? Si potrebbe canalizzare? 3. Spiega con parole tue se l’origine di un comportamento aggressivo può essere determinato da una caratteristica personale oppure essere indotto da una particolare situazione? 4. Quali soluzioni o suggerimenti potresti fornire per ridurre i comportamenti aggressivi?
2 BULLISMO A SCUOLA: ROLE PLAY
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
Questo laboratorio ha l’obiettivo di comprendere come viene percepito il problema bullismo mediante la sperimentazione dei ruoli: bullo, vittima e spettatore. Il bullismo è una forma particolare di violenza organizzata e persecutoria che prevede l’uso della forza per prevaricare gli altri. Se i prepotenti riescono ad imporsi a scuola è perché alcuni compagni li temono e non sanno come contrastarli. Bisogna riconoscere che a volte dietro la prepotenza si nasconde una debolezza.
168
Violenza e bullismo a scuola
UNITÀ B5
istruzioni
Si formano gruppi di studenti e ogni gruppo crea un testo che racconta un episodio di bullismo. I testi vengono letti in classe e valutati con l’aiuto dell’insegnante, successivamente ne viene selezionato uno per simulare una situazione di prepotenza. In particolare alcuni alunni saranno gli “attori” per i ruoli di bullo, vittima e spettatori. Rispondi poi alle seguenti domande: 1. Come mi sono sentito interpretando un ruolo particolare? E se succedesse davvero? 2. Quali potrebbero essere le conseguenze per una vittima di bullismo? 3. Quale soluzione suggeriresti?
Competenza
3 CYBERBULLISMO
Sapere interpretare la realtà
C’è una nuova forma di bullismo collegata allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, si chiama cyberbullismo e avviene attraverso la rete. Se si tratta di scherzi bonari, che tutti comprendono e interpretano come tali, non c’è motivo di preoccuparsi, a volte però qualcuno si spinge oltre e la persona che viene presa di mira può avere l’impressione di essere caduta in una trappola da cui non riesce più ad uscire. La notizia infatti si difonde rapidamente e non si riesce a fermarla. In casi gravi di difamazione o di grave lesione della dignità di una persona, possono occuparsene la polizia postale e la magistratura.
Defnizione
istruzioni
1. Descrivi uno o più casi, di cui sei venuto a conoscenza, di giovani intrappolati in questo tipo di aggressione. 2. Spiega, per ognuno, quali sono i motivi che hanno spinto il bullo (o i bulli) a fare questa azione. 3. Quali sono state secondo te le conseguenze sulla vittima?
169
S EZIONE
S EZIONE
B
LEGGIAMO 1 LA FORZA DEL CONTESTO
N
el 1961 lo psicologo Muzafer Sherif organizzò un esperimento che rappresenta una pietra miliare nel campo della psicologia sociale. Per verifcare se fosse possibile aumentare e ridurre il livello di ostilità tra gruppi di ragazzi mise in atto un piano diabolico nel corso di un campo estivo; “diabolico” perché fu proprio Sherif, lo psicologo, a fomentare l’ostilità tra i ragazzi attraverso esperienze dai risvolti etici discutibili.
Competizione, duplice valenza: unione e confitto All’inizio del soggiorno Sherif divise i ragazzi in due gruppi: “le aquile” e “i serpenti”. In seguito creò una serie di situazioni in cui i gruppi venivano messi l’uno contro l’altro in varie attività come
170
B
football, baseball, tiro alla fune. Questo clima di forte competizione ebbe l’efetto di aumentare la coesione all’interno di ogni gruppo e, in parallelo, di creare una distanza crescente tra aquile e serpenti. Facendo leva sull’ostilità che si era formata, Sherif creò ulteriori situazioni di tensione allo scopo di aumentare l’aggressività. Per esempio, organizzò un rinfresco in cui le aquile furono invitate ad arrivare in anticipo rispetto ai serpenti. Metà del cibo era fresco e appetitoso, mentre un’altra metà era vecchia e insipida. Quando i serpenti arrivarono, le aquile avevano mangiato tutti i piatti migliori e avevano lasciato quelli peggiori. Ciò provocò uno scambio di insulti tra i due gruppi di ragazzi che, ad un certo punto, incominciarono a lanciarsi i cibi rimasti e ad afrontarsi fsicamente.
Violenza e bullismo a scuola
unità B5
Cooperazione unica valenza: solida- Dopo aver fatto tentativi in varie direzioni, alla fine Sherif trovò la soluzione. Creò delle situaziorietà A seguito di questi e altri incidenti provocati ad arte, Sherif diede inizio alla seconda fase dell’esperimento: cercò di verifcare se, nonostante la forte ostilità che si era creata, fosse possibile invertire la rotta, ossia se ci fosse un modo per far solidarizzare i due gruppi. Incominciò con l’eliminare i giochi competitivi e a trattare alla pari in ogni occasione le aquile e i serpenti. Questo cambiamento però non fu sufciente, da solo, ad eliminare il livello di ostilità che si era creato: anche se non c’erano motivi concreti di contrasto i due gruppi continuavano a detestarsi. Il semplice fatto di ritrovarsi tutti insieme per guardare un flm generava scontri verbali e fsici tra i ragazzi ormai carichi di aggressività e risentimento.
ni in cui per raggiungere un obiettivo che interessava tutti quanti, i ragazzi erano costretti a unire le forze, ossia a cooperare. Per esempio, danneggiò di proposito il sistema che serviva ad erogare l’acqua potabile: il solo modo per ripararlo consisteva nel coordinarsi in un lavoro di squadra. In un’altra occasione, il pullman che trasportava i ragazzi da una località all’altra “si ruppe” e fu necessario spingerlo in salita per un lungo tratto: un compito impegnativo e faticoso che richiese il contributo di tutti, nessuno escluso. Dopo alcuni incidenti di questo tipo, l’ostilità tra aquile e serpenti incominciò progressivamente a diminuire. ■ A. Oliverio Ferraris, Piccoli bulli crescono, RCS, Milano 2007
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la tua risposta. a
la competizione fra i ragazzi favorisce lo sviluppo di un forte attaccamento nei con- V fronti del proprio gruppo
F
b
l’ostilità fra i gruppi viene annullata eliminando i giochi competitivi e trattando alla V pari i due gruppi
F
c
il raggiungimento di una meta comune consente ai due gruppi di superare le ostilità V mediante la cooperazione
F
▶ l’esperimento di muzafer sherif mostra come:
□ si può arrivare a odiare e combattere altre persone per la loro appartenenza a un gruppo diverso dal proprio
□ alcuni soggetti eseguono azioni ordinate da un’autorità, anche se queste contrastano con i loro valori etici
□ l’appartenenza ad un gruppo indebolisce il senso critico del singolo, conformandolo alle opinioni altrui ▶ Qual è stato il fattore che ha avuto il ruolo più importante, in questo esperimento,
nel porre fne alle ostilità e riportare un’atmosfera di collaborazione? eliminare i favoritismi o offrire un obiettivo comune?
171
LEGGIAMO 2 IL PREPOTENTE
L’
inventore di sogni (Te Daydreamer) è un romanzo di Ian McEwan del 1993, in cui la realtà viene descritta con gli occhi di un bambino. Il protagonista è Peter Fortune che, nel brano che segue, afronta, suo malgrado, il bullo della scuola. Il brano ci aiuta a rifettere sulle possibili strategie da utilizzare di fonte alla prevaricazione. C’era un prepotente nella classe di Peter; si chiamava Barry Tamerlane. Non aveva l’aria da prepotente. Non era di quelli sempre tutti sporchi; non aveva una faccia brutta, e neppure lo sguardo da far paura o le croste sopra le dita, e non girava armato. Non era poi tanto grosso. Ma nemmeno di quei tipi piccoli, ossuti e nervosi che quando fanno la lotta possono diventare cattivi. A casa non lo picchiavano, come spesso succede ai prepotenti, e neanche lo viziavano. Aveva genitori gentili ma fermi, che non sospettavano nulla. La voce non ce l’aveva né acuta né rauca; gli occhi, non particolarmente piccoli e cattivi, e non era neppure troppo cretino. Anzi, a guardarlo era bello morbido e tondo, pur senza essere grasso; portava gli occhiali e, sulla sua faccia sofce e rosa luccicava l’argento dell’apparecchio dei denti. Spesso metteva su un’aria triste e innocente che a certi grandi piaceva e che gli tornava comoda quando doveva togliersi dai guai. Come si spiega allora che Barry Tamerlane riuscisse tanto bene a fare il prepotente? Peter aveva dedicato a questa domanda un bel po’ di pensieri. Ed era giunto alla conclusione che il successo di Barry avesse due spiegazioni. La prima era che Barry sembrava capace di ridurre al minimo i tempi tra
172
il volere una cosa e l’ottenerla. Supponiamo ad esempio che gli andasse a genio il giocattolo che aveva un bambino in cortile: lui non faceva altro che strapparglielo di mano. Oppure se in classe gli serviva una matita, si voltava e “prendeva in prestito” quella di un compagno. Se c’era da fare una coda, lui si metteva per primo. Se ce l’aveva con qualcuno, glielo diceva in faccia e poi lo picchiava senza pietà. La seconda ragione del successo di Tamerlane era che di lui avevano tutti paura. Non si sapeva bene perché. Bastava sentirlo nominare per provare una specie di pugno gelato alla bocca dello stomaco. Uno aveva paura, perché ce l’avevano gli altri. Barry metteva paura, perché aveva la reputazione di uno che mette paura. Vedendolo arrivare, la gente se ne stava alla larga, e se chiedeva caramelle o un giocattolo, se le vedeva subito consegnare. Facevano tutti così, perciò sembrava logico non fare in modo diverso. […] Barry Tamerlane era un mistero. Quando compì undici anni, Barry invitò a casa una dozzina di compagni. Peter cercò di salvarsi, ma i suoi genitori furono irremovibili. Dal canto loro trovavano simpatici la mamma e il papà di Barry e perciò, in base a una logica adulta, Peter doveva trovare simpatico il fglio. Il festeggiato tutto sorridente accolse i bambini sulla porta di casa. ‒ Salve Peter! Grazie! Ehi, Mamma, guarda che cosa mi ha regalato il mio amico Peter! Quel pomeriggio, Barry fu cortese con tutti i suoi ospiti. Partecipava alle gare, senza pretendere di vincere sempre, soltanto perché era il suo compleanno. Rideva con i genitori e versava da bere, e aiutò addirittura a rimettere in ordine e a lavare i piatti. A un certo momen-
Violenza e bullismo a scuola
to della festa, Peter sbirciò nella stanza di Barry. C’erano libri dappertutto, una pista da trenino montata sul pavimento, un vecchio orso di pezza sul letto appoggiato al cuscino, una scatola del piccolo chimico, un gioco elettronico: una stanza identica in tutto e per tutto alla sua. Alla fne del pomeriggio, Barry salutò Peter con una pacca sul braccio e gli disse: “A domani Peter”. Allora Barry Tamerlane ha una doppia vita, pensava Peter tornando a casa. Ogni mattina in un determinato punto del tragitto tra casa e scuola, il bambino si trasforma in un mostro, e la sera, il mostro ritorna bambino. […]
Il bullo sembra forte ma in realtà è debole Un giorno durante la ricreazione, Peter si ritrovò da solo ai margini del cortile. […] Stava quasi per concedersi la ricompensa di un morso di mela, quando sollevò lo sguardo e si ritrovò gli occhi puntati sulla faccia rosa e tondetta di Barry Tamerlane, il prepotente della scuola. Sorrideva, ma non aveva l’aria contenta. Sorrideva, perché voleva qualcosa. Aveva attraversato il cortile in diagonale, senza badare agli altri che giocavano a pallone, a campana e a saltare la corda. Tese molto semplicemente la mano e disse: “Voglio quella mela”. Poi tornò a sorridere. Un raggio di sole illuminò l’argento del suo apparecchio. Dovete sapere che Peter non era un codardo. Una volta era sceso zoppicando da una montagna del Galles con una caviglia slogata, senza un solo lamento. E un’altra volta, si era gettato nel mare in burrasca tutto vestito, per andare a salvare il cane di una signora dalle onde. Ma non aveva coraggio per le risse. Era più forte di lui. Era un ragazzino abbastanza robusto per la sua età, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a vincere facendo la lotta, perché non ce l’avrebbe fatta a colpire un altro sul serio. Quando in cortile scoppiava una rissa, e tutti i bambini si facevano intorno a vedere, a Peter veniva la nausea e gli tremavano le ginocchia. “Avanti, ‒ disse Barry Tamerlane in tono ragionevole”. “Passami quella
UNITÀ B5
mela, se non vuoi che ti disf la faccia”. Peter sentì il gelo salirgli dai piedi e difondersi in tutto il corpo. La mela era gialla, striata di rosso. La buccia era un po’ vizza, perché se l’era portata a scuola una settimana prima ed era rimasta nel banco tutto quel tempo, emanando un profumo dolce di legno. Valeva la pena di farsi disfare la faccia per così poco? Certamente no. E d’altra parte, era giusto cederla, solo perché un prepotente la voleva? Rivolse lo sguardo su Barry Tamerlane. Si era fatto un po’ più vicino. […] Non era più grosso, e di sicuro, nemmeno più forte di Peter. “Dai Peter! Fagli vedere!” disse qualcuno inutilmente. Barry Tamerlane si voltò lanciando un’occhiata cattiva, e il ragazzino si rintanò in fondo alla folla. “Dai Barry! Tocca a te!” dicevano altre voci. A Barry Tamerlane non piaceva essere contrastato. Si stava preparando a menare le mani. Voltandosi di proflo, stava già tirando all’indietro un pugno. Teneva le ginocchia leggermente piegate e ondeggiava di qua e di là. Sembrava sapere il fatto suo. Altri bambini si radunavano in cerchio. Peter sentì l’annuncio difondersi in tutto il cortile: “ Si picchiano! Si picchiano!” Arrivava gente da tutte le direzioni. Peter si sentiva il cuore battere forte dentro le orecchie. […] Cercando di prendere tempo, si passò la mela da una mano all’altra e disse: “La vuoi davvero questa mela?” “Hai sentito benissimo,” replicò Tamerlane con voce monotona. “Quella mela è mia”. Peter osservò il bambino che si stava preparando a colpirlo e gli venne in mente la festa di compleanno di tre settimane prima, quando Barry era stato così afettuoso e cordiale. E adesso, eccolo lì a fare tutte le smorfe possibili per sembrare cattivo. Che cosa gli faceva credere che quando era a scuola aveva il diritto di fare e di prendersi tutto ciò che voleva? […] Che cosa rendeva tanto potente il roseo, il pafuto Barry? E all’improvviso, dal nulla, Peter trovò la risposta. Ma è ovvio, pen-
173
SEZIONE B
La relazione educativa
sò. Siamo noi. Siamo noi che lo abbiamo sognato come il prepotente della scuola. Non è più forte di nessuno di noi. Tutta la sua forza e il potere, ce la siamo sognata noi. Noi abbiamo fatto di lui quel che è. Quando va a casa e nessuno gli crede se fa il prepotente, allora torna se stesso. Barry tornò a parlare. “È la tua ultima occasione. Dammi quella mela o preparati a fare un volo che ti porterà diretto dentro la settimana che viene”. Per tutta risposta, Peter si portò la mela alla bocca e ne staccò un gran morso. “Vuoi sapere una cosa?” gli disse lentamente, senza smettere di masticare. “Io non ti credo. Anzi, se proprio vuoi saperlo, non credo nemmeno che tu esista.” La folla trattenne il fato, qualcuno azzardò una risatina. Peter sembrava talmente sicuro di sé. Magari era vero. Persino Barry aggrottò le ciglia e smise di ondeggiare. “Che cosa hai detto?” La paura di Peter era scomparsa del tutto. Se ne stava in piedi di fronte a Barry e gli rivolgeva un sorriso, come se avesse pietà del suo non esistere. […] Barry si era ripreso e si preparava a combattere. Peter staccò un altro morso di mela. Mise la faccia vicina a quella di Barry e lo squadrò come se avesse di fronte una vignetta bufa disegnata sul muro. “Tu non sei altro che un grasso budino rosa... coi denti di ferro.” Ci fu uno scroscio di risa tra la folla che si difuse, diferenziandosi in risolini, sghignazzi e grida. I bambini si davano di gomito, battendosi sulle ginocchia. Fingevano, naturalmente. Ciascuno voleva dimostrare agli altri che gli era passata la paura. Frammenti di quell’insulto rimbalzarono di bocca in bocca: “Budino rosa... denti di ferro... un budino coi denti !” Peter sapeva di aver detto una crudeltà. Ma che importanza poteva avere? Tanto Barry non era vero. Adesso appariva di un bel rosa acceso, più di qualunque budino mai visto. Chissà come odiava essere lì. Peter incalzò, prima che l’altro recuperasse la rabbia. “Sono stato a casa tua. Ti ricordi? Per il tuo compleanno. Tu sei un bambino
174
normale, tranquillo. Ti ho anche visto aiutare tua mamma a lavare i piatti...” “Aaaaaaah,” fece eco la folla accompagnando l’esclamazione con una nota di caloroso disprezzo. “Non è vero,” vomitò Barry. Aveva gli occhi lucidi. “E poi ho guardato in camera tua e ho visto l’orsacchiotto ben rincalzato sotto le coperte.” “Aaaaaaah,” gridò la folla, procedendo dalla sorpresa al più sincero sberlefo. “Uuuuuuuuh! Piccolino... pisciasotto... dorme soltanto con l’orsacchiotto... aaaaah.” Va da sé che non c’era uno solo tra i presenti che non nascondesse una segreta passione per qualche vecchio animale di pezza malconcio e che non se lo coccolasse tutte le notti. Ma che soddisfazione, scoprire che il prepotente non era da meno. […] E proprio a quel punto accadde una cosa terribile. Barry si mise a piangere. Inutile far fnta di niente. Le lacrime gli correvano ai lati del naso senza che lui riuscisse a controllarle. Sussultava con tutto il corpo e di tanto in tanto tirava su un po’ d’aria per respirare. Ma la folla non ebbe pietà. “Oh poverino, vuole la mamma...” “No, l’orsacchiotto...” “Uuuuuuuh. Che vergogna...”
Il bullo ha bisogno di aiuto Ormai il pianto era tanto dirotto che Barry non ebbe neppure la forza di allontanarsi. Rimase lì, in mezzo al cerchio degli altri bambini, a piangersi e a smoccolarsi dentro le mani. Erano tutti e tutto contro di lui. Nessuno gli credeva più. […] A poco a poco risa e battute si spensero in un silenzio imbarazzato che contagiò la folla. I bambini incominciarono ad allontanarsi per tornare a giocare. […] Per il resto di quella mattina in classe, Barry rimase muto. Si ingobbì sul quaderno senza più alzare gli occhi per non incontrare lo sguardo degli altri. Sembrava che stesse cercando di farsi più piccolo, di sparire magari. Peter, al contrario, si sentiva pieno di sé. Rientrò dal cortile e prese posto nel banco, proprio dietro a Barry, facendo finta di
Violenza e bullismo a scuola
ignorare le strizzatine d’occhi e i sorrisi riconoscenti che lo circondavano. Aveva messo al tappeto quel prepotente senza bisogno di alzare un dito, e quasi tutta la scuola lo aveva visto. Era diventato un eroe, un conquistatore, superman. Non c’era impresa impossibile per la sua intelligenza superiore e per la sua astuzia. Ma col passare delle ore, incominciò a sentirsi vagamente diverso. Le parole che aveva detto si misero a ossessionarlo. […] Cercò di concentrarsi sulla sua vittoria, ma non provava più alcuna soddisfazione. Si era preso gioco di Barry solo perché era grasso e portava l’apparecchio e aveva un orsacchiotto e aiutava sua mamma a lavare i piatti. Certo, aveva voluto difendersi e dare una buona lezione a Barry, ma aveva finito col trasformarlo in un oggetto di scherno per tutta la scuola. Le sue parole gli avevano fatto molto più male di qualsiasi pugno sul naso. Lo avevano umiliato. E adesso il prepotente
unità B5
chi era? Uscendo per l’intervallo del pranzo, Peter appoggiò un biglietto sul banco di Barry. C’era scritto, “Ti va di giocare a pallone? PS. Ce l’ho anch’io un orsacchiotto e devo sempre aiutare mia madre a lavare i piatti. Peter”. Barry era terrorizzato al pensiero di dover affrontare gli altri nell’intervallo, perciò accettò volentieri. I due ragazzini organizzarono una partita e vollero a tutti i costi essere messi nella stessa squadra. Si aiutarono a segnare, e uscirono dal campo tenendosi sottobraccio. Non aveva più senso continuare a prendere in giro Barry. Lui e Peter divennero amici, non proprio del cuore, ma amici, comunque. Barry appese in camera sua il biglietto che Peter gli aveva scritto, e del prepotente, come succede con i brutti sogni, ci si scordò presto. ■ I. McEwan, L’inventore di sogni, einaudi, milano 1993
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni in riferimento al bullismo sono vere o false. se
ritieni falsa un’affermazione giustifca la tua risposta.
spesso i prepotenti riescono ad imporsi a scuola perché alcuni compagni: a
Hanno paura e non sanno come contrastarli
V
F
V
F
c
Pensano che il bullismo sia un fenomeno che si verifichi soltanto nei luoghi degradati sdrammatizzano le conseguenze degli atti di bullismo sulle vittime
V
F
d
credono che il bullismo non esista
V
F
e
Ritengono che sia una questione tra maschi
V
F
b
f
non comprendono la gravità degli atti dei bulli
V
F
g
ammirano nel bullo la capacità di imporsi
V
F
h
si divertono nell’assistere alle aggressioni
V
F
▶ che tipo di bullo era Barry tamerlane? Perché non aveva l’aria del prepotente? Per-
ché gli altri ragazzi avevano paura di lui?
▶ in che modo si comportava con i compagni? ▶ come trova Peter il coraggio per affrontarlo? ▶ che signifcato ha l’espressione di Peter: “noi abbiamo fatto di lui quel che è”. ▶ che strategia utilizza per sconfggere la sua prepotenza? ▶ come si conclude la relazione tra Peter e Barry?
175
SEZIONE
C
I PROCESSI mentali
C1 Percezione e attenzione
C2 Apprendere è cambiare
C3 L'apprendimento è attivo
C4 La voglia di apprendere
C5 I meccanismi della memoria
C6 La creatività
Guarda i video e rispondi alle domande • Fai una ricerca sulle origini del cinema e il loro legame con i giochi e le illusioni ottiche. Trova qualche esempio in rete e spiega in che cosa consiste e come funziona il “gioco” percettivo. • In che senso, secondo te, la “piramide di Maslow” è utile come modello pubblicitario? Fai un’inchiesta in classe. Come agisce la pubblicità sui bisogni e i desideri degli esseri umani? • La memoria emotiva è il ricordo ricorrente di un fatto accaduto nel passato. Fai un’inchiesta tra i tuoi compagni: vi vengono in mente, al contrario, casi di oblio o “rimozione” di un fatto o di un periodo della vostra vita causato da una forte emozione passata?
SEZIONE
C
UNITÀ C1
PerCezIone e aTTenzIone Fin dai primi giorni di vita l’essere umano è sottoposto a una serie di stimoli tattili, visivi, acustici che gli forniscono informazioni sull’esistenza di una realtà circostante. Chiamiamo percezione il processo attraverso cui si entra in contatto con il mondo esterno e si organizzano e interpretano le informazioni sensoriali. Tuttavia gli stimoli sensoriali cui siamo sottoposti sono molto numerosi e l’individuo non riesce a elaborarli tutti; è necessario allora selezionare tra i molteplici elementi, focalizzando l’attenzione solo su alcuni di essi.
C1.1
Attenzione e selezione degli stimoli appena nato, il bambino è raggiunto da una serie di stimoli: luce, rumori, suoni, sapori, sollecitazioni tattili. Si tratta delle sue prime esperienze. a poco a poco diventerà più abile nel seguire con gli occhi un oggetto che si muove e nel cogliere la direzione da cui proviene un certo rumore. La capacità di attenzione con il tempo andrà affnandosi e il bambino imparerà a selezionare e a differenziare le diverse sensazioni e percezioni che provengono dall’esterno o che sono relative al suo organismo, come le sensazioni di fame, sete, sazietà, benessere e dolore. L’attenzione è dunque un aspetto fondamentale nel processo di conoscenza della realtà.
*
recettore in medicina e biologia: struttura che reagisce a uno stimolo, sviluppando una reazione caratteristica.
▶ Adattare i recettori Quando prestiamo attenzione a uno o più stimoli in particolare, il nostro organismo si adatta modifcando le strutture fsiche che reagiscono agli stimoli, ovvero i recettori*. Per esempio, di fronte a uno stimolo visivo nuovo, lo osserviamo con attenzione, lo isoliamo da altri, lo fssiamo a lungo e le nostre pupille, mentre facciamo questo, si dilatano. Più una fgura ha un signifcato per noi più la pupilla è dilatata per un rifesso che coinvolge il sistema nervoso autonomo: una fgura che risveglia il nostro
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
Luce Rumori
BAMBINO
STIMOLI
Sensazioni e percezioni
Suoni Sapori
Selezione e differenziazione
Sollecitazioni tattili
Conoscenza realtà
Stimolo esterno
Modifcazione recettore
Attenzione
Reazione
interesse (il ragazzo/la ragazza che ci piace, un oggetto che ci suscita piacere o desiderio) provocherà una modifcazione fsica come la maggiore dilatazione delle pupille. Questo adattamento dei recettori (lo scorrere con gli occhi un oggetto nuovo, il fssarlo per più tempo, la dilatazione delle pupille) è un meccanismo essenziale per l’attenzione visiva. Quando, in strada, sentiamo qualcuno che ci chiama, avviene qualcosa all’interno del nostro orecchio: i muscoli del timpano tendono la piccola membrana che trasmette i suoni agli ossicini dell’orecchio interno. Si sono così modifcati i recettori. In questo modo ci apprestiamo a concentrarci sullo stimolo, lo possiamo localizzare e isolare da altri rumori, individuando da dove proviene e identifcando la persona che ci sta chiamando. Figura C1.1
Neonato che “dialoga” con la madre (la guarda attentamente). Subbotina Anna, Shutterstock.
179
SEZIONE C
I processi mentali
sCHeDA C1.1 Il sogno rappresenta un particolare tipo di percezione. Quando sogniamo abbiamo l’impressione di vivere realmente la situazione che ci rappresentiamo, ma si tratta invece di una sorta di fenomeno allucinatorio. Sogniamo soprattutto durante la fase REM (Rapid Eye Movement) del sonno, così chiamata perché caratterizzata da rapidi movimenti degli occhi e da alterazioni nella frequenza cardiaca e nella respirazione. Ancora poco si sa, a livello scientifco, del sogno. Fin dall’antichità i flosof provavano curiosità per tale attività della mente: Platone riteneva che nei sogni si manifestassero desideri e paure nascoste; Aristotele pensava che essi aiutassero a far riposare l’organismo e talvolta a individuare precocemente le malattie. L’analisi più celebre del fenomeno dei sogni è quella di Freud ne L’interpretazione dei sogni, opera che lo rese famoso all’inizio del ventesimo secolo. Freud ritiene che il sogno sia sempre la soddisfazione allucinatoria di un desiderio inconscio, il sogno infatti è “la via regia per accedere all’inconscio”. Lo psicoanalista distingue tra contenuto manifesto (quello che sogniamo) e contenuto latente (il signifcato nascosto del sogno). Il lavoro onirico trasforma i contenuti inconsci mascherandoli e “costruendo” la scena del sogno. Per risalire al suo vero signifcato, occorre scomporre il sogno nei suoi vari elementi, ritrovando per ognuno di essi, attraverso le libere associazioni, il collegamento a desideri ed emozioni inconsci.
iL soGno
Mirò, Sogno.
▶
La fatica dell’attenzione Prestare attenzione comporta fatica. Se
misuriamo infatti la tensione muscolare vediamo che essa è maggiore quando la nostra attenzione è concentrata su qualche avvenimento specifco: se, per esempio, attendiamo una telefonata importante, in un ambiente rumoroso, tutti i nostri muscoli, dell’addome, degli arti, del collo sono in “tensione” e cioè in uno stato di eccitazione maggiore del solito; pensiamo anche alla stanchezza ed esaurimento muscolare che proviamo dopo un esame o dopo aver visto un flm con una forte suspense. La nostra attenzione in questi casi è stata fortemente esercitata e messa alla prova. E gli efetti si manifestano anche sul nostro organismo. ▶ Fattori che infuenzano l’attenzione Ci sono alcuni fattori
Philip Hypher, Getty Images.
180
esterni che infuenzano la nostra attenzione. L’intensità dello stimolo, per esempio: noteremo di più una parola scritta in neretto o in STAMPATELLO in mezzo a parole con carattere normale, perché risulta in contrasto con il resto dei caratteri che compongono il
Percezione e attenzione
FATTORI CHE INFLUENZANO L’ATTENZIONE
UNITÀ C1
ESTERNI
Intensità stimolo
Esempio: scritta in grassetto
INCONSCI
Pubblicità
Figure ambigue riferimenti sessuali
INTERNI soggettivi
Stato personale
testo. Oltre ai fattori esterni vi sono anche fattori interni e fattori inconsci che incidono sulla nostra attenzione. La pubblicità fa leva su elementi inconsci per attrarre la nostra attenzione visiva: si utilizzano allora fgure ambigue e stimoli che richiamino sensazioni emotive, elementi sessuali, desideri... Esistono poi fattori interni, più soggettivi, legati alla situazione personale: se siete sazi noterete meno i dolci esposti in una vetrina di pasticcere, li noterete di più se siete a digiuno; se siete impegnati in un compito vi concentrerete esclusivamente sugli elementi che ritenete utili per svolgerlo. Una dimostrazione di questo fenomeno la trovate nel video “Il gorilla invisibile”.
Se si è impegnati in un compito l’attenzione si focalizza sugli elementi utili per il compito
VIDEO: Il gorilla invisibile.
Frantisek Czanner, Shutterstock.
181
SEZIONE C
I processi mentali
CINEMA E LETTERATURA
INCEPTION Regia di Christopher Nolan - USA 2010
D
om Cobb (Leonardo Di Caprio) è un libero professionista un po’ particolare. Di mestiere fa il ladro, il ladro di idee. Sono molte le multinazionali che l’hanno ingaggiato per rubare i segreti dalla mente di potenti e temuti rivali. Grazie ad un apparecchio che permette di effettuare un’esperienza di sogno condiviso, egli è in grado di infltrarsi nel sonno della persona da “rapinare”, estraendo qualunque pensiero gli serva. Se gli scenari onirici che popolano la mente del dormiente sono costruzioni appositamente pianifcate da una squadra di autentici “architetti del sogno”, i contenuti sono frutto delle proiezioni personali dell’ignaro sognatore. “Quando dormiamo”, si spiega nel flm, “creiamo e percepiamo il nostro mondo simultaneamente”. L’industriale giapponese Saito, però, chiede a Cobb e al suo team di impegnarsi nell’impresa inversa: non prelevare, bensì impiantare un’idea nella mente dell’ereditiere milionario Robert Fischer, per spingerlo a decidersi a distruggere l’impero economico eretto dall’anziano e burbero genitore, a tutto vantaggio degli affari di Saito. Cobb e i suoi dovranno scendere per ben tre livelli nell’inconscio stratifcato di Fischer, percorrendo tre dimensioni progettate artifcialmente - ma ugualmente percepite come reali dal protagonista dell’esperienza onirica - nelle quali le logiche cognitive si sfaldano a suon di impercettibili illusioni ottiche e paradossi spazio-temporali. Il tutto sotto la minaccia dei fantasmi provenienti dal doloroso passato di Cobb che, chiuso a chiave negli abissi della memoria, lotterà con i denti
Scena tratta dal film Inception.
182
Locandina del film Inception.
e con le unghie per tornare a galla nelle vesti di una moglie dallo sguardo triste, per sempre imprigionata in un sogno nel quale, anni addietro, entrambi avevano scavato troppo in profondità per sperare di poter fare ritorno in superfcie. Rifessione sul funzionamento della psiche, thriller ad alto tasso d’adrenalina o malinconica storia d’amore? Con la sua struttura a matrioska, Inception conserva, sotto l’abito del flm d’azione, un cuore di melodramma. Come spesso accade in altre sue opere, da Memento a The Prestige, il regista Christopher Nolan mette anche qui a dura prova le certezze percettive dello spettatore, prima ancora che quelle dei personaggi, sfdandolo a districare il gomitolo di una trama nella quale, come in un sogno, si confondono realtà e irrealtà, presente e passato, visione e allucinazione.
Per la discussione: • Il fnale del flm per la sua ambiguità ha dato il via a una serie di interpretazioni e spiegazioni contrastanti. Cobb ha completato la sua missione? Si è davvero svegliato dal sogno di Fischer? L’intero flm potrebbe essere un lunghissimo sogno del protagonista? Secondo te, qual è il vero signifcato del fnale? Discutine in classe confrontandoti con i compagni. • Sono moltissimi i flm e le opere letterarie, soprattutto di fantascienza, che trattano il tema della percezione e dei processi cognitivi. Ne conosci qualcuno? In che modo l’argomento viene trattato? • La tesi suggerita dal flm è che la percezione che ognuno ha della realtà sia una questione soprattutto soggettiva: spazio e tempo sono dimensioni uguali per tutti, ma i nostri ricordi e le nostre sensazioni ce li fanno vivere in modo diverso. Cosa ne pensi? Prova a trovare degli esempi in cui la percezione può essere condizionata dalle emozioni di un individuo e dalla sua soggettività.
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
Percezione e contesto
C1.2
La percezione è un processo complesso che non consiste semplicemente nella registrazione passiva dei dati esterni, ma implica anche un’attività di elaborazione che prende in considerazione sia gli oggetti esterni sia il contesto nel quale essi sono inseriti. Infatti noi non percepiamo oggetti puri e semplici, bensì i rapporti che si creano tra gli oggetti e lo sfondo, tra un oggetto e l’altro, tra gli oggetti e il contesto in cui essi sono inseriti. ▶
Distorsioni nella percezione Come hanno evidenziato
gli psicologi della Scuola della Gestalt (paragrafo C1.3 p.186), noi percepiamo i singoli elementi sempre in relazione al contesto in cui si trovano. Nelle fgure C1.2, C1.3, C1.4 possiamo trovare alcuni esempi dell’importanza del contesto nella percezione. Nella fgura C1.2, la nostra mente può percepire una parte come immagine, evidenziandola rispetto allo sfondo; ma dal momento che la fgura è ambigua, l’immagine e lo sfondo possono variare. Se poi consideriamo i due cerchi della fgura C1.3, entrambi hanno lo stesso colore tuttavia quando osserviamo la fgura ci sembra più scura la circonferenza sullo sfondo bianco, perché maggiore è il contrasto cromatico. Gli efetti di contrasto si osservano anche nella fgura C1.4, in cui i due cerchi centrali sono di dimensioni identiche, ma quello circondato dai cerchietti piccoli sembra più grande di quello attorniato da cerchi più larghi. Henrik Sorensen, Getty Images.
Figura C1.3 Cerchi disposti rispettivamente su sfondi di colore diverso, benché riflettano la stessa quantità di luce, vengono percepiti in maniera diversa. Quello sopra sembra più scuro.
Figura C1.2 In questa figura ambigua possiamo percepire un vaso bianco su uno sfondo nero oppure due profili neri su uno sfondo bianco.
183
SEZIONE C
Figura C1.4
I processi mentali
Cerchi di dimensioni identiche vengono percepiti come differenti.
▶ La costanza percettiva Il fenomeno delle costanze percettive è un meccanismo che “aggiusta” le nostre percezioni, fornendo delle informazioni “false” ma utili, in quanto ci permettono un miglior adattamento alla realtà e all’ambiente in cui viviamo. In che cosa consiste questo meccanismo? Gli oggetti che percepiamo mantengono le stesse caratteristiche nella nostra mente, anche se cambiano le condizioni in cui li percepiamo. Se per esempio teniamo una penna a 10-20 centimetri dai nostri occhi e poi l’allontaniamo, la penna non ci sembrerà più piccola (anche se sulla retina dei nostri occhi lo è) per un fenomeno che viene defnito costanza di misura. Il principio della costanza ci consente di “aggiustare” le nostre percezioni, anche per quanto riguarda la luminosità o la forma di un oggetto. Ad esempio, anche se un particolare tipo di illuminazione può fare apparire come argentato sulla nostra retina un foglio nero, noi continuiamo a interpretarlo come nero. Analogamente una porta mantiene la sua forma indipendentemente dal fatto che sia aperta o chiusa o guardata da vari punti di osservazione e indipendentemente dall’immagine sulla retina. In tal modo per la nostra mente gli oggetti mantengono le loro caratteristiche e questo ci consente di orientarci più facilmente nell’ambiente in cui operiamo.
David Ryle, Getty Images.
184
Percezione e attenzione
COSTANZA PERCETTIVA
Nel tempo
UNITÀ C1
Nello spazio
OGGETTI
Variano le condizioni di percezione
La mente
La mente
Riconosce le stesse caratteristiche degli oggetti
“Aggiusta” la percezione
Questa è una sedia! L’occhio vede e percepisce profili diversi, ma i contenuti di volta in volta percepiti vengono riferiti a un’unica e medesima sedia. Le cose non cambiano anche se io le vedo in modo diverso.
L’angolo visuale non altera la mia percezione della sedia, anche se forma, dimensione e sfumature di colore sono diverse. Se non possedessimo questa capacità percettiva, ogni volta che - a causa della posizione, della distanza, della luminosità o del movimento - l’immagine di un oggetto si modifca sulla nostra retina, non saremmo più in grado di riconoscerlo e ci muoveremmo perduti e disorientati tra quella che ci sembrerebbe una selva di oggetti sempre nuovi e diversi. Per venire a capo di tanta complessità dovremmo fare afdamento su altre capacità come la rifessione o impegnarci in complessi calcoli matematici, ma questo rallenterebbe tutti i nostri comportamenti con conseguenze a dir poco disastrose! 185
SEZIONE C
I processi mentali
SCHEDA C1.2
Sono stati effettuati alcuni esperimenti sulla percezione della profondità nei bambini per comprendere se tale percezione risponda a meccanismi innati o venga acquisita con l’esperienza. Nel 1960 gli psicologi Eleanor Gibson e Richard Walk realizzarono un tavolo bordato il cui piano era costituito in parte da uno sfondo a scacchiera, in parte da uno sfondo di cristallo. Misero sul tavolo dei bambini dell’età di sei-dodici mesi, capaci di “gattonare” (fgura C1.5). I piccoli si spostavano sulla scacchiera ma non si avventuravano sulla parte di cristallo che dava l’impressione del vuoto. Ulteriori esperimenti hanno rilevato che già all’età di due-tre mesi nei bambini che vengono posti al limite della lastra di cristallo si registra un rallentamento del battito cardiaco che indica uno stato di attenzione. La paura del vuoto sembra dunque rispondere a meccanismi innati, tuttavia esperimenti condotti sugli animali hanno dimostrato che anche l’esperienza concorre allo sviluppo della percezione della profondità. Per esempio, alcuni gattini, dalla nascita privi di stimoli ottici che forniscano il “concetto di distanza”, non hanno sviluppato la percezione del vuoto e, sottoposti al medesimo esperimento, si sono avventurati nella parte di cristallo della lastra, dimostrando di non avere acquisito il senso della profondità, diversamente dai loro compagni allevati in condizioni normali.
LA PERCEZIONE DELLA PROFONDITÀ
Figura C1.5 I bambini che camminano a carponi non oltrepassano la prima metà della scacchiera, anche se vedono la madre dalla parte opposta.
La teoria della Gestalt
C1.3
I teorici che hanno offerto i maggiori contributi agli studi sulla percezione sono gli psicologi della Scuola della Gestalt (o della forma), che si sviluppò nella prima metà del Novecento in Austria e in Germania.
▶
La percezione è globale Il fondatore della scuola Wolfgang Köhler
e i suoi colleghi Kurt Kofa, Kurt Lewin e Karl Dunker condussero una serie di interessanti esperimenti tesi a dimostrare che una percezione non può 186
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
essere spiegata come la semplice somma di singole sensazioni. Ciò che l’individuo coglie nel percepire una melodia, per esempio, non sono i singoli suoni separati e distinti, ma una “forma melodica” dotata di una struttura unitaria che nasce dall’interdipendenza che lega i vari suoni tra loro. Il nostro cervello è, infatti, portato a organizzare le percezioni in unità coerenti tali per cui una confgurazione, sonora o visiva, è qualcosa di diverso dalla semplice somma delle sue parti (fgura C1.6). Una tale organizzazione è innata: per esempio, i neonati sono attratti dalla “buona forma” del viso umano, ossia dall’insieme formato dai singoli tratti.
Figura C1.6
Chiunque nel guardare questa figura vede una croce, non 7 punti. La configurazione della croce viene colta al primo sguardo, immediatamente: il tutto che essa costituisce è differente dalla somma delle parti.
GESTALT LA TOTALITÀ NON È LA SEMPLICE SOMMA DELLE PARTI
no
SEMPLICE SOMMA
Collezione di singoli stimoli e sensazioni
CERVELLO ORGANIZZA
Unità coerente o confgurazione Figura C1.6
PERCEZIONE
sì
Per i gestaltisti, nessuno stimolo possiede in sé un signifcato costante e immutabile; il signifcato che di volta in volta uno stimolo assume dipende dal contesto e dalla confgurazione in cui è inserito. Come abbiamo visto, nella fgura C1.4 il cerchio al centro sembra più grande o più piccolo a seconda 187
SEZIONE C
I processi mentali
delle dimensioni dei cerchi che lo circondano; analogamente, una stessa fgura può sembrare più larga o più stretta a seconda del colore: i colori chiari tendono ad allargare, mentre quelli scuri tendono a restringere. Si spiega così perché generalmente dipingiamo le pareti delle nostre case in colori chiari e non usiamo un colore scuro per un softto già basso. Immutabile e costante
Figura C1.4
no SIGNIFICATO
STIMOLO
Contesto
sì Variare in base Confgurazione
SCHEDA C1.3
I concetti enunciati dai gestaltisti hanno infuenzato vari ambiti della conoscenza psicologica, dallo studio della percezione alla dinamica dei gruppi. Un gruppo è tutt’altra cosa rispetto alla semplice somma degli individui che lo compongono. Per esempio, l’organizzazione di una ricerca scolastica può assumere connotazioni diverse in base al numero delle persone coinvolte: più il gruppo è numeroso più diventa necessario organizzare dei sottogruppi. Un altro esempio è quello della folla che di per sé crea una atmosfera ben diversa da quella creata da un piccolo gruppo: chi è stato ad un concerto tra centinaia o migliaia di persone sa qual è il clima che si crea e come le emozioni si diffondano rapidamente.
GESTALT E DINAMICHE DI GRUPPO
Wassiliy-architect, Shutterstock.
Le leggi della percezione visiva La percezione non è mai un processo casuale, ma implica una attività organizzativa del cervello. La scuola della Gestalt ha indicato una serie di principi o “leggi” in base alle quali le percezioni si organizzano in strutture coerenti e regolari (leggi dell’organizzazione percettiva).
▶
188
UNITÀ C1
Percezione e attenzione
Attività organizzativa del cervello
PERCEZIONE
Coerenti
LEGGI
Strutture Regolari
Uno di questi principi è la chiusura derivante dal fatto che tendiamo a completare le fgure, a dare a esse un contorno semplice e completo. Perciò quando un oggetto o una fgura presenta un aspetto di incompletezza o un contorno non sufcientemente rifnito, il cervello tende a regolarizzarlo o a completarlo (fgura C1.7). Se c’è un segno circolare aperto da un lato lo interpretiamo come un cerchio completo a meno che l’apertura sia così ampia da poterlo considerare una C o una mezzaluna, ossia altri segni portatori di signifcati. Questo anche a causa della legge della buona forma, per cui percepiamo più facilmente fgure regolari e simmetriche (fgura C1.8). Tendenza a raggruppare in una stessa struttura ciò che è simile Figura C1.11
Tendenza a completare la fgura Figura C1.7
SOMIGLIANZA
CHIUSURA LEGGI DELLA PERCEZIONE
PROSSIMITÀ
Tendenza a raffgurare in una stessa struttura ciò che è vicino Figura C1.10
BUONA FORMA
CONTINUITÀ DI DIREZIONE
Tendenza a percepire facilmente le fgure regolari e simmetriche Figura C1.8
Tendenza a percepire gli elementi continui Figura C1.9
189
SEZIONE C
Figura C1.7
I processi mentali
Per la legge della chiusura tendiamo a completare le immagini e vediamo dei rettangoli anziché dei segmenti.
A Figura C1.8
B
Nella figura B facciamo fatica a ritrovare i due elementi presenti nella figura A, perché tendiamo a individuare un quadrato e un cerchio per la legge della buona forma.
Il principio della continuità di direzione ci porta invece a percepire più facilmente gli elementi continui, piuttosto che quelli con interruzioni o contrasti.
t
x y z Figura C1.9
Individuiamo in questa immagine una linea xy e una linea tz piuttosto che due altre linee ty e xz.
190
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
Il principio della prossimità ci porta a raggruppare in una stessa confgurazione gli elementi che sono vicini. Nelle fgure sottostanti raggruppiamo gli elementi vicini e percepiamo delle colonnine o delle coppie di linee e non gli elementi separati che le compongono.
La tendenza è quella di vedere colonne o coppie di linee perché abbiniamo quelle più vicine.
Figura C1.10
Il principio della somiglianza ci porta a raggruppare insieme elementi che presentano caratteristiche simili.
Figura C1.11
Ove Jansson, Getty Images.
191
SEZIONE C
I processi mentali
L’occhio inganna
C1.4
Non sempre quello che percepiamo corrisponde alla realtà: chiamiamo illusioni visive quelle false percezioni che non corrispondono alle caratteristiche della realtà. Talvolta alcune illusioni sono legate a differenze individuali, tuttavia nella maggior parte dei casi sono comuni a tutti.
▶
Le illusioni ottiche Abbiamo già osservato come guardando le fgure
C1.2, C1.3, C1.4 si percepiscono in modo distorto l’intensità del colore o la dimensione degli elementi. Altri esempi di illusione percettiva li ritroviamo nelle seguenti fgure. L’illusione di Müller-Lyer (fgura C1.12) riguarda la percezione della lunghezza di due segmenti: a seconda della direzione delle lineette poste agli estremi, uno dei due segmenti viene percepito come più corto, anche se i due hanno la stessa lunghezza.
Figura C1.12
L’illusione di Müller-Lyer fa ritenere che la linea orizzontale B sia più lunga della A; in realtà esse sono di lunghezza identica.
A B
L’illusione della Luna è comune a tutti: la Luna sembra molto più grande quando è all’orizzonte rispetto a quando è allo Zenith, eppure la sua distanza e la sua immagine sulla retina sono uguali. Possiamo capire meglio questo fenomeno osservando la fgura C1.13: i due rettangoli hanno le stesse dimensioni, ma noi percepiamo come più grande quello in alto, perché lo vediamo in una prospettiva di distanza.
Triff, Shutterstock.
192
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
Figura C1.13
Le distanze apparenti possono modificare la percezione delle dimensioni.
▶
Contorni illusori Una fgura particolare dal punto di vista percettivo
è il triangolo di Kanizsa: ci dimostra che possiamo percepire anche oggetti che non esistono in realtà, come è possibile vedere nella fgura C1.14. È la nostra mente a costruire dei contorni che ci fanno percepire due triangoli sovrapposti. Tale fgura è opera di un famoso studioso italiano, Gaetano Kanizsa (1913-1993), appartenente all’orientamento gestaltista, da ricordare per gli studi nel campo della percezione visiva.
Figura C1.14
Nel triangolo di Kanizsa vediamo in primo piano un triangolo bianco che in realtà "non c'è"
▶
Le fgure ambigue Un altro esempio di percezione illusoria è rappre-
sentato dalle fgure ambigue. Esse non riproducono la realtà in modo defnito, ma sono soggette a interpretazioni diverse. Osserviamo la fgura C1.15: vediamo un cubo, ma potremmo anche vedere un insieme di triangoli e quadrilateri sullo stesso piano. Se la fssiamo ulteriormente, vediamo che, a seconda di come guardiamo, il lato colorato ci può apparire nella parte davanti del cubo oppure nella parte dietro.
Figura C1.15
La faccia colorata di questo cubo viene percepita come parete frontale o come quella retrostante?
193
SEZIONE C
I processi mentali
NON CHIARE
EQUIVOCHE FIGURE AMBIGUE Figura C1.15
INFLUENZATE DA FATTORI SOGGETTIVI Figure C1.16, C1.17
SOGGETTE AD INTERPRETAZIONI DIVERSE
Il nostro modo di percepire una fgura ambigua può essere infuenzato da alcuni fattori soggettivi. Per esempio nella fgura C1.16 saremo inclini a leggere una B se avremo appena letto una serie di lettere in maiuscolo, oppure un 13 se avremo appena letto una serie di numeri.
Figura C1.16
Leggiamo la lettera B o il numero 13?
Anche la figura di Leeper (figura C1.17) “mia moglie e mia suocera” è ambigua: la maggior parte degli osservatori, soprattutto giovani, tende a vedere una bella ragazza col cappellino; con più difcoltà vedrà il viso di una signora anziana. Se mostriamo a un soggetto la fgura A dopo avergli fatto vedere la fgura B, egli sarà più incline a vedere la giovane in quanto ha isolato dal contesto gli elementi contenuti nella fgura B. Mentre chi vede la “suocera” ha isolato gli elementi contenuti nella fgura C. Figura C1.17 La figura A è ambigua e viene percepita come una giovane o una vecchietta a seconda che uno identifichi prima gli elementi della figura B o C.
A
B
C
Alcuni test diagnostici come il T.A.T. (Test di appercezione tematica) o le macchie di Rorschach si basano sull’interpretazione di fgure ambigue per comprendere le dinamiche emotive del paziente. 194
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
SCHEDA C1.4
Negli anni Cinquanta del Novecento, Donald Hebb, William Heron e altri colleghi effettuarono uno studio sistematico sugli effetti della deprivazione sensoriale. Allestirono una stanza sperimentale sempre illuminata, dove i volontari che partecipavano all’esperimento venivano isolati singolarmente e fatti sdraiare su un lettino. I soggetti indossavano degli occhialini di plastica traslucida che lasciavano fltrare la luce ma impedivano la visione degli oggetti circostanti; i polsi e le mani erano circondati da un manicotto di cartone che limitava la percezione tattile del soggetto e un ronzio continuo mascherava ogni altro suono (fgura C1.18). I ricercatori analizzarono i resoconti verbali dei soggetti e li sottoposero a test logici e di abilità psicomotoria prima e dopo l’esperimento. L’esperienza di deprivazione sensoriale portava come effetto una diminuzione delle capacità cognitive e delle prestazioni individuali. I volontari raccontarono inoltre che avevano cercato delle strategie per tenere impegnata la mente: alcuni avevano tentato di ricordare nei minimi particolari un flm o un libro mentre altri erano arrivati a contare fno a diverse migliaia. Molti riferirono di avere avuto allucinazioni e di aver provato l’impressione di sognare a occhi aperti. Inoltre furono rilevate anche alterazioni nella percezione della dimensione e della forma degli oggetti. Esperimenti successivi, condotti da altri studiosi, confermarono i risultati degli studi precedenti. Molti ricercatori spiegano questi fenomeni con il fatto che il cervello non è in grado di resistere a una prolungata mancanza di stimolazione cosicché si “crea” forme di stimolazione endogena, simili a quelle che caratterizzano i sogni nella fase di sonno REM*. Queste allucinazioni sarebbero il frutto di un meccanismo di compensazione che permetterebbe ai circuiti cerebrali di essere stimolati e di “tenersi in esercizio”. Queste forme di allucinazioni compaiono frequentemente negli eremiti e negli individui che si isolano, anche volontariamente, da stimolazioni ambientali e sociali. L’isolamento prolungato può portare a comportamenti aggressivi e autoaggressivi (fno al suicidio): questi effetti sono simili a quelli che si verifcano negli animali tenuti in uno stato di isolamento sensoriale. La deprivazione sensoriale costituisce una forma di tortura che è stata e viene usata, in alcuni paesi, sui prigionieri per indurli a confessare; in forme meno estreme anche l’isolamento nelle istituzioni o quello che caratterizza la vita delle persone anziane può causare scompensi della personalità anche gravi.
LA DEPRIVAZIONE SENSORIALE
sonno REM (Rapid Eye Movement): fase del sonno caratterizzata da rapidi movimenti oculari, aumento della frequenza respiratoria e comparsa dei sogni.
Figura C1.18 L’esperimento di Hebb e Heron (copy “Scientific American Inc” Tutti i diritti riservati).
195
*
SEZIONE
SEZIONE
C
C
RIASSUMIAMO
PERCEZIONE E ATTENZIONE La percezione è il processo attraverso cui entriamo in contatto con il mondo esterno e organizziamo e interpretiamo le informazioni sensoriali. Attraverso l’attenzione, operiamo una selezione tra gli innumerevoli stimoli cui siamo sottoposti. Quando ci si sforza di prestare attenzione a uno stimolo si produce
tensione muscolare e un adattamento dei recettori provocato da meccanismi che coinvolgono il sistema nervoso autonomo (per esempio l’allargamento delle pupille). La nostra attenzione è stimolata sia da fattori esterni (intensità dello stimolo) sia da fattori interni (desideri inconsci, sensazioni corporee). Dimj, Shutterstock.
IL CONTRASTO E LA COSTANZA PERCETTIVA Noi non percepiamo gli oggetti puri e semplici, ma i rapporti che si creano tra gli oggetti e lo sfondo, tra un oggetto e l’altro, tra gli oggetti e il contesto in cui essi sono inseriti. Il contrasto percettivo consente di percepire come diverso un medesimo stimolo a seconda dei contesti. Per esempio, la stessa fgura può essere percepita come più scura o più chiara a seconda del colore dello sfondo. La costanza percettiva consiste nel
percepire allo stesso modo stimoli diferenti. Per esempio, una porta nella nostra mente mantiene la stessa forma anche se la percepiamo diversamente a seconda delle diverse angolature da cui la guardiamo. Il fenomeno della costanza percettiva produce informazioni false ma utili, in quanto garantisce una stabilità nella percezione degli oggetti e facilita il processo di adattamento all’ambiente.
Advent, Shutterstock.
196
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
LA SCUOLA DELLA GESTALT Tra i maggiori studiosi della percezione ricordiamo i teorici della Scuola della Gestalt che ritengono che la percezione non possa essere spiegata come la semplice somma di singole sensazioni e sottolineano
l’importanza del contesto in cui avviene la percezione. Essi hanno individuato le leggi della percezione visiva: somiglianza, vicinanza, chiusura, buona forma, continuità di direzione. Victor Vasarely, Gestalt.
LE ILLUSIONI OTTICHE Sono percezioni visive nelle quali ciò che si sperimenta non corrisponde alla realtà. Per esempio, la Luna appare più grande quando è all’orizzonte perché il contesto crea una prospettiva decrescente che manca quando la Luna si trova allo Zenith. Le illusioni ottiche producono percezioni distorte di forme e misure oppure riguardano
fgure ambigue che si prestano a essere interpretate in modi diversi. Molte illusioni ottiche sono legate a fattori individuali e alla mancanza di esercizio o esperienza; alcuni tipi di illusioni ottiche, tuttavia, rispondono a meccanismi congeniti e sono comuni a tutti gli esseri umani. Murales realistici.
ESPERIMENTI SULLA PROFONDITÀ E LA DEPRIVAZIONE SENSORIALE Un interessante esperimento ha dimostrato che tra i sei e i dodici mesi i bambini sviluppano la percezione della profondità. Gli studi sulla deprivazione sensoriale hanno comprovato che essa induce illusioni percettive e allucinazioni e può portare anche a
comportamenti aggressivi. Alcuni studiosi spiegano questi fenomeni con il fatto che il cervello necessita di continue stimolazioni e, laddove tali stimolazioni non arrivano dall’esterno, tende a crearsi forme di stimolazione interna.
Leonardo da Vinci, Ultima Cena.
197
SEZIONE
SEZIONE
C
VERIFICHIAMO LE COMPETENZE
C
Test interattivi
1 Verifca se le seguenti afermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa
Competenza
un’afermazione giustifca la risposta.
Acquisire e interpretare le informazioni
a
La percezione consiste nella registrazione dei dati esterni che non prevede, al momento, un’elaborazione
V
F
b
Secondo la Scuola della Gestalt la totalità è data dalla semplice somma delle sue parti
V
F
c
Secondo la Scuola della Gestalt il significato, che uno stimolo assume, dipende dal contesto e dalla configurazione in cui è inserito
V
F
d
I recettori sono strutture psichiche che reagiscono agli stimoli
V
F
e
La percezione della realtà corrisponde sempre alla realtà oggettiva
V
F
f
Tutto ciò che è presente nella realtà è percepito
V
F
g
Le illusioni ottiche sono tipiche delle persone con problemi psichici
V
F
h
Oltre ai fattori interni ed esterni, ci sono fattori inconsci che incidono sulla nostra attenzione
V
F
1 L’attenzione a uno stimolo è accompagnata da:
Competenza Acquisire le informazioni
□ aumento del battito cardiaco □ tensione muscolare e allargamento della pupilla □ alterazione dello stato emotivo
2 Le illusioni ottiche sono determinate da: □ false percezioni che non corrispondono alle caratteristiche della realtà □ interpretazioni soggettive della realtà variabili da persona a persona □ incapacità del soggetto a interpretare la realtà a causa di una patologia psichica
3 Il triangolo di Kanizsa dimostra che: □ il modo di percepire una fgura è infuenzato da fattori soggettivi □ le persone possono avere visioni diverse a seconda dal loro modo di guardare gli oggetti □ possiamo percepire anche oggetti che non esistono in realtà
4 La fgura di Leeper “Mia moglie e mia suocera” è: □ un esempio di illusione ottica
198
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
□ un esempio di fgura ambigua □ un esempio di come sia importante il contesto nella percezione
1 Spiega per quale motivo le seguenti fgure sono considerate ambigue:
Competenza Individuare collegamenti e relazioni
a
b
c
2 Commenta le seguenti fgure.
1 Cosa si intende per costanza percettiva? Fai qualche esempio.
Competenza Acquisire e interpretare le informazioni
2 Cosa sono le illusioni ottiche? 3
Spiega quali sono stati gli esperimenti di Hebb e Heron e a quali risultati sono giunti. 199
SEZIONE C
I processi mentali
1 Abbina con una freccia l’immagine di sinistra con l’informazione
Competenza
di destra (Leggi percettive):
Individuare collegamenti e relazioni
200
a
1. continuità
b
2. chiusura
c
3. somiglianza
d
4. buona forma
e
5. prossimità
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
1 Completa la seguente tabella in riferimento alle leggi percettive in-
Competenza
dividuate dalla scuola della Gestalt. LEGGI PERCETTIVE
Sapere analizzare la realtà
DESCRIZIONE
1. continuità 2. chiusura 3. somiglianza 4. buona forma 5. prossimità
1 Completa il testo facendo riferimento ai termini riportati: attenzione! Alcuni sono in più!
Competenza Sapere usare il lessico della disciplina
Prestare attenzione comporta fatica. Se misuriamo infatti la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vediamo che essa è maggiore quando la nostra attenzione è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . su qualche avvenimento specifco. Ci sono alcuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che infuenzano la nostra attenzione. Oltre ai fattori esterni vi sono anche fattori interni e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che incidono sulla nostra attenzione. [...] La percezione è un processo complesso che non consiste semplicemente nella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dei dati esterni, ma implica anche un’attività di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che prende in considerazione sia gli oggetti esterni che il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . nel quale essi sono inseriti. tensione muscolare - tensione psichica - distribuita - concentrata - fattori interni - fattori esterni - fattori inconsci - registrazione passiva - elaborazione - visione - contesto - gruppo
201
sezione
sezio
C
C
APPLICHIAMO LE COMPETENZE 1 ILLUSIONI OTTICHE
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
Accertare se ci si può fdare della vista è l’obiettivo di questo laboratorio: quello che percepiamo corrisponde alla realtà, oppure l’occhio inganna la mente? Quando vediamo un oggetto, la nostra mente non ritrae l’oggetto creando un’immagine come una macchina fotografca, ma è impegnata in un processo complesso che implica un’attività di elaborazione. Non sempre quello che percepiamo corrisponde alla realtà e a volte si possono verifcare illusioni ottiche.
istruzioni
1. Cerca su internet quattro immagini che riproducono illusioni ottiche. 2. Proponi le immagini, che hai scelto, ai tuoi familiari o a qualche amico di un’altra classe; e domanda loro che cosa vedono. 3. Confronta le descrizioni date dalle persone interrogate. Ciò che hanno visto corrisponde alla realtà o c’è stata una percezione erronea delle immagini?
2 ESERCITARE L’ATTENZIONE
Competenza Sapere interpretare la realtà
Defnizione
L’obiettivo di questo laboratorio è provare se l’attenzione può essere migliorata. L’attenzione è un aspetto importante nel processo di conoscenza della realtà. Quando prestiamo attenzione privilegiamo certi stimoli rispetto ad altri, li isoliamo da altri e su questi cerchiamo di fondare la nostra conoscenza del mondo che ci circonda.
istruzioni
1. Trova un’immagine con molti oggetti e ricca di particolari. 2. Osservala per un minuto e stai attento a coglierne tutte le particolarità. 3. Metti via l’immagine e scrivi su un foglio tutti gli oggetti che ricordi. 4. Controlla quanti oggetti e particolari sono sfuggiti alla tua attenzione. 5. Ripeti l’esperienza, ma questa volta aumenta l’osservazione, da uno a due minuti 6. Nota se aumentando l’attenzione hai colto più dettagli rispetto a prima, ovvero se la tua attenzione è migliorata. Rispondi alle seguenti domande: • Spiega perché l’attenzione è importante per conoscere la realtà?
202
Percezione e attenzione
UNITÀ C1
• Hai potuto verifcare se una fgura che ha destato il tuo interesse è stata percepita più facilmente? Perché? • Prestare attenzione comporta fatica. Hai notato, durante questa esperienza di laboratorio, qualche efetto sul tuo organismo?
Competenza
3 PERCEZIONE E SIGNIFICATI
Sapere interpretare la realtà
Defnizione
L’idea di questo test è di uno psicologo americano, Joseph R. Stroop, il quale ha voluto mostrare come si possano creare interferenze tra percezioni e signifcati.
istruzioni
Concentrati sulla prima lista di parole senza senso e pronuncia ad alta voce, e il più rapidamente possibile, i nomi dei colori con cui sono stati stampati i singoli gruppi di lettere (per es. azzurro per il gruppo RVLB) fai misurare ad un tuo compagno il tempo che impieghi per completare la lista. Passa poi alla seconda lista e ugualmente pronuncia ad alta voce, e il più rapidamente possibile, i nomi dei colori delle parole che questa volta però hanno un signifcato. Come per la lista precedente un tuo compagno misura il tempo che impieghi per portare a termine il compito.
RVLB STGXS ZRH VBFMS ZRH RVLB STGXS VBFMS VBFMS STGXS RVLB VBFMS ZHR ZRH RVLB VBMFS STGXS ZRH RVLB VBMFS
VIOLA BLU ROSSO VERDE BLU ROSSO VIOLA VERDE VERDE BLU ROSSO VIOLA ROSSO VERDE VIOLA BLU ROSSO VIOLA VERDE BLU
Dovresti aver impiegato più tempo nel pronunciare il nome dei colori delle parole della seconda lista rispetto alla prima. Che cosa è successo? Cerca di spiegarlo.
203
SEZIO
SEZIONE
C
C
LEGGIAMO 1 LE PERCEZIONI COME IPOTESI
lettura ci spiega cosa signifchi in pratica Q uesta l’agnosia, ossia la mancanza di abilità percettiva che può riguardare individui con determinati danni cerebrali.
Agnosie visive, uditive e tattili Vi sono persone che purtroppo dimenticano come si vede; e questo a causa delle cosiddette agnosie visive. La parola agnosia fu coniata da Freud, e signifca mancanza di abilità percettiva. Mancanza che si verifca in seguito al danneggiamento di regioni cerebrali interessate alla connessione tra i segnali sensoriali (i quali, peraltro, possono essere perfettamente normali) e il riconoscimento degli oggetti. L’agnosia può essere solamente visiva, oppure tattile o uditiva. Le agnosie presentano un grande interesse per la psicologia, in quanto si manifestano con l’impossibilità di riconoscere gli oggetti, malgrado occhi, orecchie e ogni altra parte del corpo funzionino normalmente. Ciò che è andato perduto è,
204
piuttosto, il signifcato dei segnali sensoriali. Le agnosie possono essere specifcamente visive, uditive o tattili (quando gli oggetti non possono essere riconosciuti con uno di questi sensi, mentre lo sono con gli altri); e sono associate con danneggiamenti cerebrali più o meno specifci (localizzati dietro il solco centrale). Pertanto, poiché la loro caratteristica principale è la perdita della capacità di formare le connessioni necessarie per il riconoscimento degli oggetti, può risultare piuttosto fuorviante defnire le agnosie visive con l’espressione “dimenticare come si vede”.
Due “casi pratici” di agnosia L’attacco può essere improvviso. Un caso classico fu descritto da Lissauer nel 1890, e riguarda un anziano di 80 anni (G.L.), il quale durante un uragano fu sbattuto contro un cancello di legno picchiando il capo: ogni cosa gli sembrava ora ignota, e non riusciva a riconoscere gli oggetti più familia-
Percezione e attenzione
ri - gli succedeva di vedere i quadri sui muri come fossero scatole, e di confondere la giacca coi calzoni. Era però in grado di copiare dei disegni, per cui la sua capacità visiva risultava normale; ciò che aveva perduto era la capacità di attribuire a quel che vedeva un normale signifcato. I resoconti più drammatici e approfonditi sono quelli forniti dal neurologo Oliver Sacks, in particolare nel libro L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Il suo paziente Dr. P era un bravo insegnante di musica, il quale, pur conservando le sue abilità musicali, gradualmente dimenticò come vedere. Dopo che il Dr. P giunse a confondere il piede con la scarpa, Sacks gli mostrò delle illustrazioni su un periodico. Le sue risposte furono curiosissime. I suoi occhi si spostavano rapidi da una cosa all’altra, cogliendo tratti minuscoli, isolati, come avevano fatto con la mia faccia. Una forte luminosità, un colore, una sagoma trattenevano la sua attenzione e suscitavano un commento, ma in nessun caso colse la scena nella sua totalità. Non riusciva a vedere l’insieme, vede-
UnITà C1
va solo dettagli, che individuava come puntini sullo schermo di un radar. Non entrò mai in relazione con l’immagine come un tutto, non afrontò mai, per così dire, la fsionomia dell’immagine. Non aveva il minimo senso di un paesaggio o di una scena. Accadeva anche che “vedesse” cose che non erano presenti nell’immagine: un fiume, una terrazza, e dei parasole colorati che non esistevano. E tuttavia era in grado di vedere e riconoscere senza difficoltà forme astratte. Per lui i volti erano confusi e le espressioni prive di significato, ma le voci identificavano immediatamente colui che parlava. Quindi […] pareva soddisfatto delle sue risposte e accennava un sorriso. Poi, evidentemente convinto che la visita fosse finita, si guardò intorno alla ricerca del cappello. Allungò la mano e afferrò la testa di sua moglie, cercando di sollevarla, di calzarla in capo. Aveva scambiato la moglie per un cappello! La donna reagì come fosse abituata a questo genere di cose. ■ R. Gregory, Occhio e cervello, Raffaello Cortina, Milano 1998
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
L’esperienza di un paziente del neurologo Sacks dimostra che la percezione della real- V tà è data da una visione dell’immagine come un tutto
F
b
La caratteristica principale dell’agnosia visiva è la perdita della capacità di vedere V nitidamente gli oggetti
F
c
Le agnosie si manifestano con l’impossibilità di riconoscere gli oggetti, malgrado i V sensi funzionino normalmente
F
▶ Le agnosie sono dovute a:
□ disturbi visivi, uditivi e tattili □ defcit della memoria □ danneggiamenti cerebrali ▶ Che cosa si intende per agnosia? ▶ Da che cosa è determinata un’agnosia? ▶ Quali sono le relazioni fra agnosia e sensi, agnosia e cervello?
205
LEGGIAMO 2 LA RICERCA SULLA PERCEZIONE INFANTILE
a lettura si concentra sulla percezione infantile e su come essa venga studiata dai ricercatori. In particolare, viene approfondito il tema dello sviluppo della percezione visiva.
L
della frequenza cardiaca, un restringimento delle pupille, una modifcazione della messa a fuoco dello sguardo) questo indica che la diferenza nello stimolo è stata percepita.
percezione e modifcazioni fsiologiche
La visione
Nel corso degli ultimi vent’anni vi è stata un’esplosione di ricerche sulla percezione infantile. Le conquiste tecnologiche - dalle tomografe cerebrali alle misurazioni computerizzate della capacità di messa a fuoco degli occhi - hanno consentito ai ricercatori di misurare le capacità sensoriali infantili e di giungere a una maggiore comprensione del rapporto tra percezione e fsiologia […] Queste ricerche si basano sul fatto che la percezione di uno stimolo non familiare sollecita reazioni fsiologiche, per esempio, un battito cardiaco più accelerato, uno sguardo più concentrato, e nel caso dei bambini che hanno un succhiotto in bocca, una suzione più intensa. Quando il nuovo stimolo diventa così familiare che queste reazioni non si verifcano più, si dice che il bambino si è assuefatto allo stimolo. Avvalendosi di questo fenomeno dell’assuefazione, i ricercatori sono stati in grado di valutare la capacità di percezione dei bambini mediante test che misurano la loro capacità di discriminare tra stimoli molto simili. […] Tipicamente, essi sottopongono al bambino uno stimolo - per esempio, un semplice cerchio - fnché non si verifca l’assuefazione. Poi lo sottopongono a un altro stimolo, simile al primo ma diverso per qualche dettaglio - per esempio un cerchio con un punto nel mezzo. Se il bambino reagisce in maniera misurabile al nuovo stimolo (un cambiamento
Alla nascita la vista è il meno sviluppato dei sensi. Il neonato mette a fuoco assai rapidamente oggetti che si trovano tra i 10 e i 75 cm di distanza. […] La visione a distanza si sviluppa rapidamente migliorando nei primi mesi […] Questo miglioramento deriva più da cambiamenti nel cervello che da cambiamenti nell’occhio. […] A mano a mano che la maturazione e la mielinizzazione* consentono un migliore coordinamento dei movimenti
206
Percezione e attenzione
dell’occhio e una più efciente trasmissione di informazioni tra gli occhi e il cervello, la messa a fuoco migliora. Durante lo stesso periodo di tempo [6 mesi] la crescente maturazione della corteccia visiva è all’origine dei miglioramenti nelle altre capacità visive. Quando il bambino di 1 mese guarda qualcosa, il suo sguardo spesso vaga e la sua capacità di esaminare l’oggetto sofermandosi sulle aree signifcative è imperfetta […]. Tuttavia, entro i 3 mesi, si verifca un miglioramento straordinario […] si sviluppa anche la visione binoculare, ossia la capacità di usare assieme entrambi gli occhi per mettere a fuoco un oggetto, la qual cosa si verifca in media attorno alla 14esima settimana di vita. Di conseguenza la percezione della profondità e del movimento migliorano in maniera cospicua. La prova di ciò è data dalla capacità del bambino di “inseguire” un oggetto in movimento, ossia di seguirne con lo sguardo i movimenti […]
UnITà C1
È interessante notare come entro i 6 mesi il bambino sia in grado di usare piuttosto bene entrambi gli occhi per seguire un oggetto in movimento ed entrambe le mani per afferrare saldamente oggetti fermi, ma devono passare ancora diversi mesi prima che possa esibire un coordinamento occhio-mano rivolto agli oggetti in movimento. A 8 o 9 mesi è in grado di regolare il movimento del braccio e della mano come se volesse afferrare anche quando un oggetto viene lanciato da un’angolatura inconsueta […]. Infine, durante il secondo anno, riuscirà ad afferrare con successo un oggetto in movimento. ■ K. Stassen Berger, Lo sviluppo della persona, Zanichelli, Bologna 1996
*mielinizzazione: processo di maturazione del sistema nervoso.
Attività ▶ Verifca se le seguenti affermazioni sono vere o false. Se ritieni falsa un’affermazio-
ne giustifca la risposta. a
La visione binoculare è la capacità di usare insieme entrambi gli occhi per mettere V a fuoco un oggetto
F
b
Un bambino per afferrare gli oggetti in movimento deve possedere un buon coordi- V namento occhio-mano
F
c
nella visione a distanza del bambino, il miglioramento è determinato da cambiamenti V nel cervello più che da cambiamenti nell’occhio
F
▶ La visione binoculare determina:
□ un miglioramento della percezione della profondità e del movimento □ un miglioramento nella percezione degli stimoli □ una doppia immagine di uno stesso oggetto ▶ Spiega, con parole tue, qual è il signifcato di questa ricerca sulla percezione infan-
tile. ▶ Che cosa si intende per assuefazione? ▶ Quale signifcato assume il termine assuefazione nel contesto della ricerca?
207