Processo al liceo classico. Resoconto di un'azione teatrale. Torino, teatro Carignano. 14 novembre 2014
 9788815264886

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Collana della Fondazione per la Scuola della Com pagnia di San Paolo

Fondazione per la Scuola della Com pagnia di San Paolo

PROCESSO AL LICEO CLASSICO Resoconto di un’azione teatrale Torino, Teatro Carignano 14 novembre 2014

Presidente·. Anna M aria Poggi C onsiglio d i Amministrazione·. M aria C aterina Bertiglia, Sheila Bom bardi, D aniele C hecchi, A ntonella Ricci, Anita Tabacco, Stefano Zara

A CURA DI U g o C a r d in a le e A l b e r t o S in ig a g lia

S O C IE T À E D IT R IC E IL M U L IN O

PROCESSO AL LICEO CLASSICO Torino,Teatro Carignano 14 novembre 2014

Le opinioni espresse dagli autori dei saggi qui raccolti sono personali e non coinvolgono né i C uratori, né l’E ditore, né la Fondazione per la Scuola della Com pagnia di San Paolo.

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Interventi introduttivi: Anna Maria Poggi, Presidente della Fondazio- ·:. ne per la Scuola della Compagnia di San Paolo - Carmela Palumbo, MIUR - Direttore Generale per gli Ordinamenti Scolastici. li

Narratore: Alberto Sinigaglia, Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte.

I

La Corte

| i i ·; ; I 1

Armando Spataro (Presidente ), Procuratore della Repubblica del Tribunale di Torino - Marco Cantamessa, Presidente dell’Incubatore 13P, Politecnico di Torino - Gian Arturo Ferrari, Editorialista - Luca Remmert, Presidente della Compagnia di San Paolo - Sergio Roda, Università degli Studi di Torino - Letizia Tortello, giornalista de «La Stampa» ( Cancelliere).

Le Parti processuali

j L’accusa: Andrea Ichino, Economista, European University Institute. I La difesa: Umberto Eco, Semiologo, Filosofo, Scrittore.

I testimoni presenti in aula

I lettori che desiderano inform arsi sui libri e sull’insieme delle attività della Società editrice il M ulino possono consultare il sito Internet:

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Marco Malvaldi, Scrittore -StefanoMarmi, Matematico, Scuola i Normale Superiore di Pisa - Luciano Canfora, Filologo classico, Università di Bari «Aldo Moro» - Ivano Dionigi, Latinista, Università di Bologna - Gabriele Lolli, Logico e Filosofo della matematica, Scuola Normale Superiore di Pisa - Adolfo Scotto di Luzio, Studioso delle istituzioni scolastiche, Università diBergamo.

l 1 ~ p

www.mulino.it

I testimoni videointervistati

IS B N

Con la partecipazione dei licei: Alfieri di Torino, Botta di Ivrea (TO), » Carlo Alberto di Novara, Cattaneo, Cavour, Copernico e D’Azeglio di Torino, Des Ambrois di Oulx (TO), Galileo Ferraris, Gioberti, Giordano Bruno e Gobetti-Segré di Torino, Lagrangia di Vercelli, a Majorana di Moncalieri, Minghetti di Bologna, Monti di Chieri (TO), Murialdo di Rivoli, Newton di Chivasso (TO), Peano-Pellico di Cuneo, Plana di Alessandria, Porporato di Pinerolo (TO), Sociale di Torino.

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8 Massimo Cacciari, Filosofo - Tullio De Mauro, Linguista - Massimo Giletti, ex allievo del liceo classico «Massimo D ’Azeglio» di Torino i - Giulio Giorello, Filosofo della scienza.

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INDICE

Q uesto libro è dedicato a U m berto E co

Il grande scrittore ha scelto di affidare a queste pagine il testo originale inedito dell’intervento che aveva preparato per il Processo al liceo classico, poi in parte improvvisato durante il dibattito al Teatro Carignano di Torino.

Presentazione, di A nna M aria Poggi

p.

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Premessa, d i C arm ela Palum bo

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Introduzione. Storia del liceo classico e ragioni del processo, d i Ugo Cardinale

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A ccusa e d if e s a . O pin io n i a c o n fr o n to

G li argom enti dell’accusa, d i A ndrea Ichino

61

L e ragioni della difesa, d i U m berto E co

73

I testim oni N on si possono ignorare le statistiche, d i M arco

M alvaldi

79

L e cose com e sono. O ltre le due culture, d i

Stefano M arm i Sull’attualità del liceo classico, d i Luciano Canfora

85 99

Una causa giusta in cerca di avvocati giusti, d i

Ivano D ionigi

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Un m atem atico in difesa del liceo umanistico,

di G abriele L o lli

113

7

PRESENTAZIONE

La crisi del liceo classico com e crisi della tradi­ zione del Sessantotto, d i A d o lfo Scotto di

Luzio

p. 131

Perch é non dobbiam o recidere le nostre radici,

d i Tullio D e Mauro

151

F in a l e

La parola al narratore, d i A lberto Sinigaglia

157

La sentenza della C orte, d i A rm ando Spataro,

M arco Cantam essa, Gian A rturo F errari Luca R em m ert e Sergio R oda

161

N egli ultimi anni siamo stati letteralm ente inondati di dati, tabelle e classifiche elaborati dai cultori dell’econom ia dell’istruzione, finalizzati a dim ostrare quanto un liceo piut­ tosto che un altro, ovvero un istituto superiore o l’altro siano meglio rispondenti alla form azione del «capitale umano». N aturalm ente vengono utilizzati tutti gli strumenti tipici dell’econom ia dell’istruzione: dai dati dei test internazionali, alle iscrizioni, all’impiego nel m ondo del lavoro ecc. Tutte cose di cui tenere conto. Siam o tutti persuasi, senza che ci vengano m ostrate classifiche e tabelle a supporto, di quanto siano rilevanti determ inate com petenze o skills ai fini della crescita professionale, ovvero della possibilità di impiegare il proprio «capitale um ano» al di qua o al di là dell’O ce a n o .. L’idea del processo al liceo classico e di questo libro nascono da una «filosofia» diametralmente opposta. Una filosofia che, pur non disconoscendo l ’utilità di tutto quanto proviene dall’econom ia dell’istruzione, si interroga più a fondo circa il «posto» della scuola e in particolare del liceo nella form azione umana e personale. Potrem m o dire, senza pretese contrappositive, ma a soli fini chiarificatori, che il processo e il libro che ne è scaturito nascono da u n’idea «contem plativa» del sapere, al posto di una mera idea «professionalizzante». N ascono cioè dall’idea secondo cui la cultura classica e scientifica sono utili nella misura in cui costruiscono la persona, com e erede della memoria che l ’ha preceduta. I danni della cultura iperspecialistica, quella che, per dirla con U m berto E co , produce un esperto di malattie rare che non sa più curare un raffreddore, dobbiam o ancora vederli. O forse potrem m o non vederli se solo si invertisse in qualche m odo la rotta e se, secondo quanto sostenuto da Andrea Ichino, riuscissimo a trovare un nuovo equilibrio

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tra cultura umanistica e cultura scientifica. Q ualche segna­ le da O ltreoceano è già arrivato: il Presidente O bam a ha suggerito di utilizzare il m eno possibile i test nelle scuole americane, dopo che, tuttavia, essi erano stati introdotti in Europa proprio dagli U SA , arrivando in questi ultimi anni a «ingozzare» gli studenti. Q uesto libro vorrebbe essere un contributo alla ripre­ sa di una contam inazione profonda tra le due culture, la classica e la scientifica, nella consapevolezza di un’estrema necessità della completezza del sapere. Una completezza che certamente, com e sostenuto da Ichino, non è resa facile dalla variabile tem po, ma che secondo E c o è l ’unica in grado di dare u n’educazione che sappia fare i conti con la storia e con la mem oria. L a tecnologia senza la storia produce m o­ stri inform atici. La tecnocrazia senza i valori della classicità produce inciviltà. Alla fine di queste poche note il pensiero va inevitabil­ mente al M aestro che ci ha lasciati e che a noi ha lasciato il suo ultim o scritto, che, gelosam ente, conserviam o in questo libro, la cui uscita ha anche per noi tutti il significato di rendergli un omaggio in segno di gratitudine per quanto ci ha detto in vita e per quanto ancora ci dirà attraverso i suoi scritti e il suo pensiero. A n n a M aria P o g g i

Torino, 21 m arzo 2 0 1 6

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PREMESSA

M i accingo a scrivere queste brevi considerazioni sul presente volum e, che raccoglie gli interventi esposti da autorevoli studiosi di fronte a un pubblico qualificato nel corso del «P rocesso al L iceo classico», messo in scena al Teatro Carignano di Torino nel novem bre 2 0 1 4 , sull’onda dell’em ozione suscitata in queste ore dalla notizia della scomparsa di U m berto E co . Una perdita inestim abile per la cultura, l ’università, la ricerca, la scuola e più in generale per la società e la democrazia, com e attesta la com m ozione in tutto il mondo. L’ered ità del grande u m anista - italian o, eu rop eo, internazionale - nei m ultiform i am biti del sapere da lui affrontati con rigorosa acribia e ironica leggerezza rimarrà a testim oniare per le future generazioni che la conoscenza tutta ha valore e m erita di essere scandagliata, al di là di banali steccati ideologici tra cultura d ’élite e cultura p o ­ polare, studi accadem ici e fenom eni di massa, alto e basso del post-m oderno. E d è proprio a una visione unitaria del sapere e a u n’armonica form azione dell’individuo, nel segno più autentico del term ine hum anitas , che si riferiscono le parole dell’intellettuale piemontese a difesa del liceo classico, come si udì allora durante il dibattim ento e com e si legge ora nelle pagine successive. L e ragioni addotte da E co e da altri stimati testim o­ ni, per confutare gli argom enti sostenuti con dovizia di dati e sottili dim ostrazioni d all’accusa form ulata d all’e ­ conom ista Andrea Ichino e da ulteriori prestigiose voci, convinsero la C orte ad assolvere il liceo classico im putato dei seguenti reati: inganno, inefficienza, iniquità, vale a dire non preparare adeguatamente i nostri giovani né per studi universitari scientifici né per le sfide della società futura; contribuire al fallim ento della scuola italiana com e

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ascensore sociale e di conseguenza accrescere l ’iniquità nel nostro paese. D i certo, sia le argomentazioni a sostegno dell’attualità dell’educazione classica e umanistica per soddisfare le esigen­ ze formative avanzate oggi dalla società della conoscenza, sia le motivazioni per giustificare l ’inattualità di un curricolo di studi prevalentemente storico-filologici, addotte da scrittori, filologi, latinisti, m atem atici, linguisti, chiam ati a sostenere l ’una o l ’altra tesi; nonché l ’introduzione sulla storia del liceo classico e i contributi elaborati da dirigenti scolastici e insegnanti, alim enteranno il dibattito attorno alla crisi del liceo classico e, mi auguro, la fortuna del volume. In effetti, il carattere volutam ente teatrale del confronto tra le diverse opinioni, con tanto di difesa, accusa e sentenza finale, riscontrò un notevole successo anche nei media (come si evince dal num ero di articoli com parsi su im portanti quo­ tidiani e citati in alcuni dei saggi che com pongono il libro) provocando nei mesi successivi una più ampia discussione, non lim itata agli «specialisti» ma aperta alle diverse solle­ citazioni dell’opinione pubblica. Tuttavia, va rilevato che, m entre prosegue lo scam bio di vedute sull’attualità/inattualità, utilità/inutilità, efficacia/ inefficacia degli studi classici e umanistici, nonché sul supera­ m ento delle due o più culture a favore di una ricomposizione del sapere attraverso un «nuovo» umanesimo, tratteggiato di volta in volta com e «integrale», «scientifico», «planetario» a seconda dell’appartenenza culturale, diventa sempre più evidente la disaffezione di ragazzi, genitori, famiglie nei confronti del liceo classico. Da questo punto di vista ra ­ nalisi dei dati relativi alle iscrizioni al prim o anno del liceo classico negli anni scolastici 2 0 1 5 -2 0 1 6 e 2 0 1 6 -2 0 1 7 risulta chiara, nel senso che la percentuale è del 6 % con un forte tasso di fem minilizzazione (7 0 % fem m ine; 3 0 % maschi) e regionalizzazione (C entro e Sud d’Italia). La criticità di tale situazione sollecita tutti noi a p ro ­ spettare iniziative e azioni co n crete nella direzione del rinnovam ento dell’im pianto didattico e curricolare, anche prendendo spunto dalle risultanze presentate in questo libro, non solo per invertire la tendenza del calo di iscritti,

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ma soprattutto per riafferm are la validità di un indirizzo di studi che ha rappresentato in passato e spero rappresenti anche nel futuro la qualità dell’istruzione italiana. Infine, nel dare alle stampe il volume, a nome della D irezione generale per gli O rdinam enti scolastici, desidero ringraziare gli autori dei testi, i dirigenti e docenti delle scuole protagoniste, le istituzioni che sostennero l ’iniziativa a Torino e che ora si accingono a pubblicarne gli esiti. C armela P alumbo

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U go C ardinale IN T R O D U Z IO N E . S T O R IA D E L L IC E O C L A S S IC O E R A G IO N I D E L P R O C E S S O

1. B reve storia d el liceo N on è la prima volta che il liceo classico viene presen­ tato sull’orlo della fine e che da diverse parti si sollevano detrattori (non solo «m odernisti», sia concesso il term ine!) e difensori (non solo nostalgici). Il liceo classico è u n ’istituzione profondam ente radicata nella storia della società italiana e ne ha costituito nel bene e nel male un tratto caratterizzante. E red e della tradizione scolastica gesuitica, è stato, fin dal suo atto costitutivo nel Piem onte sabaudo, al centro di pulsioni ambivalenti: anno­ verato dai suoi avversari tra i baluardi della conservazione; difeso dai suoi sostenitori, quali che fossero i principi ispi­ ratori in m ateria sia politica che educativa, com e strumento insostituibile di form azione delle classi dirigenti. Asse portante della riform a gentiliana del 1923, questo corso liceale soppianta il precedente liceo m oderno, nato nel 1911, dalla vita breve e stentata, giudicato «un ramo secco del ginnasio-liceo». Punto qualificante di tale riforma è lo studio delle lingue classiche e della filosofia, m entre la percentuale oraria d ’insegnamento scientifico tocca il livel­ lo più basso nella storia della secondaria italiana (1 3 ,5 % ), confinato ad area periferica, fatto di «con cetti em pirici» e di «nozionism o acritico». P ur con continui ritocch i e revisioni di program m i, il liceo classico gentiliano permane anche dopo la con ci­ liazione con la Chiesa e «perpetua e ravviva la tradizione umanistica dei nostri studi, promuove nei giovani attitudine alla meditazione, rigore critico, preparazione m etodologica, coscienza delle tradizioni e della m odernità, conoscenza e pratica diretta del lavoro», secondo la dichiarazione X V della Carta della scuola, presentata dal ministro B ottai al

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G ran Consiglio del Fascism o il 19 gennaio del 1939. Con tali presupposti ideologici è sopravvissuto con poche m odi­ fiche anche alla fine del fascism o. Sua appendice ancillare è il liceo scientifico, un liceo um anistico senza il greco, con una maggior presenza delle discipline scientifiche. Solo il Sessantotto nella sua istanza di democratizzazione denuncia gli aspetti elitari del m odello gentiliano e degli studi filologico-classici che sembrano identificarsi con i valori borghesi e cerca di abbattere m olte icone di quell’impianto pedagogico. I tentativi di riform a che si sono avvicendati negli anni successivi tuttavia non hanno prodotto significative alternative a quegli studi e hanno anzi suscitato ricorrenti proposte di salvaguardare quella tradizione. Infatti il m ancato sbocco legislativo di un vagheggiato riordino della scuola secondaria in una direzione fortem ente unitaria sul m odello della com prehensive school ha consentito di conservare, in una lunga stagione di «riform a strisciante» attuata dalle sperim entazioni, il m odello di scuola a canne d’organo dell’im pianto gentiliano. H a salvato pertanto il percorso quinquennale dello studio del latino e del greco, unica condizione per m antenere la possibilità della tradu­ zione, e ha permesso di avviare dal basso nei licei la ricerca di u n ’integrazione e di indispensabili adeguamenti, senza azzeramento, del curricolo classico. L a via è stata quella delle m olteplici iniziative sperim entali, rese possibili dai decreti delegati del 1974, avviate autonom am ente dalle scuole o coordinate e assistite dal m inistero, per rispondere a istanze di tipo sia epistem ologico, sia didattico, sia professionale. Q uesto lungo lavoro di sperim entazione produsse, tra l ’altro, la prosecuzione nel liceo dello studio della lingua straniera, studiata prima solo nel biennio ginnasiale, l ’an­ ticipazione della storia dell’arte nel ginnasio, il rinforzo delle scienze m atem atiche e naturali nel liceo con o senza l ’anticipazione delle scienze naturali nel ginnasio, l ’adesione al Piano N azionale di Inform atica (P N I) per la matem atica e/o la fisica, l ’affidam ento a due docenti degli insegnamenti ginnasiali di italiano, latino, greco, storia e geografia. Tra le iniziative assistite dal m inistero nate in quegli anni si può ancora m enzionare il progetto predisposto dalla Commissio­

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ne B rocca (dal nom e del suo presidente, il sottosegretario Beniam ino B rocca), costituita nel febbraio 1988 dal ministro G alloni, e il liceo classico europeo. Il rischio che però sembrava correre questa lunga stagione di sperim entazione, pur m olto proficua, era, da una parte, quello della dilatazione eccessiva del quadro orario, dall’altra, quello della deregolamentazione selvaggia, apprezzata solo da chi invocava la fine del valore legale del titolo di studio. Il processo legislativo è intervenuto quindi con un disegno di riordino complessivo attraverso la riforma G elm ini che ha riform ulato nel corso dell’anno 2010 -2 0 1 1 il nuovo quadro dei sei licei, azzerando le sperimentazioni, accentuando le differenze tra il liceo classico e il liceo scientifico e ridando al liceo classico quella caratterizzazione prettamente umanistica che aveva contraddistinto il m odello gentiliano. Soluzione caldeggiata dai laudatores tem poris acti e dai classicisti più intransigenti, im pegnati nella difesa dell’umanesimo, ma paventata da chi aveva vissuto in prima persona le ragioni profonde delle scelte sperimentali. Il m odello del nuovo classico ordinam entale com pren­ de insegnamenti di lingua e letteratura italiana (132 ore annuali); lingua e cultura latina (165 ore nel biennio e 132 nel triennio); lingua e cultura greca (132 ore nel biennio e 99 nel triennio); lingua e cultura straniera (99 ore annuali); storia nel solo triennio (99 ore annuali); storia e geografia nel biennio (99 ore annuali); filosofia (99 ore annuali nel triennio); m atem atica con inform atica (99 ore nel biennio e 66 nel triennio); fisica (66 ore annuali nel triennio); scienze naturali (biologia, chim ica, scienze della terra) (66 ore an­ nuali); storia dell’arte (66 ore annuali nel triennio); scienze m otorie e sportive (66 ore annuali); religione cattolica o attività alternative (33 ore annuali). N on ci soffermiamo a com m entare questi dati. Basti rilevare l ’accentuata differenza nel m onte ore scientifico rispetto al liceo scientifico ordinamentale con latino (in cui il latino permane con 99 ore annuali in tutto il quinquennio): m atem atica (165 ore annuali nel biennio e 132 nel triennio), fisica (66 ore annuali nel biennio e 99 nel triennio), scienze naturali (66 ore nel biennio e 99 nel triennio).

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L’auspicio dei riform atori era certam ente una difesa del classico, ma il risultato evidente è stato l ’avvio di un suo inevitabile declino di cui è prova il lento decrem ento degli iscritti nel corso del quinquennio in cui il nuovo liceo è andato a regime. Q uesti i dati ministeriali: nel 2008 le m atricole del liceo classico erano 5 8 .4 1 5 , su un totale di 5 8 0.173 : circa il 1 0 % . N ell’anno scolastico 2 0 1 3 -2 0 1 4 la percentuale degli iscritti al liceo classico è scesa al 6 ,1 % e nell’anno 2 0 1 4 -2 0 1 5 , anche se di poco, è diminuita ancora al 6 % . D alle percentuali distribuite per regione si ricavano altre inform azioni sull’articolazione territoriale delle scelte dell’indirizzo: nell’anno 2 0 1 4 -2 0 1 5 le regioni che hanno la percentuale più alta di iscritti al liceo classico sono nell’ordine il Lazio (9 ,4 ), la C alabria (8,6), la Basilicata (8,4 ); le regioni con la percentuale m inore sono l ’Em ilia-Rom agna (3,5), il Friuli Venezia Giulia (3,7), la Toscana (4,3). I progetti di riform a che si erano proposti negli ulti­ mi anni e che tendevano a presentarsi com e alternativa più aggiornata avevano im boccato spesso la strada dello smantellam ento della cultura umanistica per inseguire esi­ genze professionalizzanti e la cultura tecnica sull’onda di un progressism o di m aniera. L a reazione dei classicisti è sempre stata pronta e vigile. M a la difesa della m odernità dello studio dell’antico da parte di alcuni intellettuali non è sempre stata efficace. Si veda, ad esem pio, la posizione di Loporcaro nel suo contributo al pam phlet collettivo Tre più due uguale zero1, che, pur focalizzando giustam ente l ’attenzione sull’elogio della filologia com e fo rm a m entis generale, che insegna la lentezza e l ’indugio, e sulla necessità della storia com e m em oria del passato, non ha saputo essere convincente nel difendere il classico, lim itandosi a ostentare 10 sdegno aristocratico dell’intellettuale per la pedagogia e 11 disinteresse dell’«anim a bella» per la realtà «in carne e ossa» dello studente odierno, immerso nella faglia scavata dall’era di internet e dei videogiochi. 1 M. L oporcaro, Una buona scuola o la società dello spettacolo: da che parte stanno i progressisti italiani?, in Tre più due uguale zero, a cura di G .L . Beccaria, M ilano, Garzand, 2004.

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L a generazione del 2000 è ben diversa da quella degli anni Settanta e ancor più da quella degli anni Venti del se­ colo scorso. L e ricette di ieri non possono essere riproposte tout court oggi. Soprattutto le ricette che hanno fallito. H a ragione chi contesta il funzionalismo imperante. E fallito il sapere appiattito sul presente. M a non si può ignorare che la mente dei giovani è cam biata sotto la spinta della videocrazia e dell ’esopaideia e che la scuola oggi si inserisce in una realtà com pletam ente mutata rispetto a cinquanta, cento anni fa. M a quale umanesimo può ancora essere attuale? U ltim am ente gli studi um anistici sono al centro di un dibattito che rischia di avere esiti m olto dannosi per il nostro sistema formativo. Il paradosso è che entram be le soluzioni che sono state avanzate, pur nella loro antiteticità, avreb­ b ero lo stesso effetto: ne determ inerebbero la marginalità e di fatto la fine. D a una parte ricordiam o che Andrea Ichino, nel presen­ tare un disegno strategico per il futuro della scuola italiana, indica la necessità di sostituire alla cultura classica, in cen ­ trata su oggetti ritenuti obsoleti, com e l ’aoristo passivo, un increm ento quantitativo di studi tecnico-scientifici, di cui gli italiani risulterebbero carenti2. D all’altra abbiam o l ’appello di A lberto A sor Rosa, R oberto Esposito e Ernesto G alli della Loggia p er una rivalutazione della cultura umanistica che sarebbe messa da parte dalla crescente tecnicizzazione3. D u e punti di vista che, nella loro polarizzazione ideologi­ ca, riproducono i term ini di una vecchia spaccatura tra le cosiddette «due culture», alim entando un equivoco che da tem po il dibattito epistem ologico aveva liquidato com e falso problem a. G li scienziati, i filologi, i filosofi che negli ultimi anni hanno affrontato seriam ente la tradizione classica infatti hanno riconosciuto ch e in essa non ci sono i presupposti per contrapporre antagonisticam ente m aterie umanistiche 2 A. Ichino, Riscoprire il talento p er salvare la scuola, in «Corriere della Sera», 21 ottobre 2013. 3 A. Asor Rosa, Roberto Esposito e E . Galli della Loggia, Un appello p er le scienze umane, in «il M ulino», 6, 2013.

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e m aterie scientifiche, ma anzi per ritrovare in essa i fon ­ damenti di quell’umanesimo scientifico che i classici hanno espresso e che rinvia ad un’unica cultura (non indistinta, com e la cosiddetta «pappa del classico», ma un «albero dalle folte radici», non abitato dal pensiero unico) e ad un analogo m etodo com une, fatto di congetture e confu­ tazioni. La contrapposizione tra scienza e non-sensi m etafisici, tra tecnica disumanizzante e scienze umane è un «falso ideologico», eco di opposti pregiudizi: quello scientista di stampo positivistico (che denunciava anche uno scienziato come il fisico Franco Bassani)4, e quello di alcuni settori della filosofia del N ovecento (da C roce a H eidegger), accom unati da una visione puram ente inform ativa e applicativa della scienza. A nche se si può parlare di diversi statuti disciplinari e di differenza di paradigmi5 (paradigma sostitutivo, quello scientifico, che si incrementa con le scoperte, ma non rinnega, contro il rischio di dogmatismo, il «m etodo delle spiegazioni m olteplici»6; paradigma cumulativo, che si increm enta con la memoria storica, quello letterario), ciò che rende però alleati e non rivali i due cam pi è il rigore m etodologico. Entram be le form e di sapere contribuiscono a ridestare lo spirito critico in un m ondo in cui la vera contrapposizione non è tra sapere scientifico e cultura umanistica, ma, come ricordava G iuseppe Cam biano, tra «saperi difficili, faticosi, e saperi facili, di superficie, saperi di form ule»7. E questo è anche il punto di vista espresso da Arm ando M assarenti nell’adesione all’appello Ripartire dalla filosofia p er ricostruire 4 F. Bassani, Due culture o una sola cultura, in E ssere e divenire del classico. A tti d el convegno internazionale, Torino-lvrea, 21-23 ottobre 2003, a cura di U. Cardinale, Torino, U T E T , 2006, pp. 48-51. 5 I. Dionigi, Classici perché, classici p er chi, in E ssere e divenire del classico, cit., pp. 32-38. 6 Cfr. G . Giorello, I segreti dell’invenzione e dell’innovazione scientifica. Una riflessione su Epicuro, Lucrezio e Lucano, in Disegnare il futuro con

intelligenza antica. Linsegnam ento d el latino e del greco antico in Italia e nel m ondo, a cura di L. Canfora e U. Cardinale, Bologna, Il M ulino, 2012, pp. 501-511. 7 G . Cam biano, Sapere u m anistico/sapere scien tifico: uno pseudo conflitto?, in Essere e divenire del classico, cit., pp. 41-43.

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l’Italia, che auspica, attraverso gli strumenti critici della m i­ gliore filosofia, una riforma alla radice di quella particolare tradizione umanistica, che «per com e essa si autodefinisce, si contrappone al sapere tecnologico e assai spesso, ahinoi, persino a quello scientifico»8. L’im possibilità di form are Yhom o universalis, data l ’alta specializzazione assunta oggi, non giustifica la soluzione di voler creare Yhom o dimidiatus, privo di una delle dimensioni della cultura umana. G ià gli antichi filosofi si ponevano il problem a di distinguere tra: a) la polym athia, l ’aver imparato m olte cose, senza però averne intelligenza, b) la specializ­ zazione tecnica in un solo ramo, e c) una terza soluzione, la form azione del pepaideum ertos, delineato da A ristotele (P olitica , I I I , 11), colui che ha ricevuto un’educazione (c’è nel term ine infatti la radice di paideia, educazione) e che sa form ulare giudizi corretti sui discorsi e sulle attività dello specialista, non meno di quest’ultim o9. È quest’ultima p ro ­ prio la form azione che sembrava scaturire nel passato dallo studio liceale e che ben ha rappresentato U m berto E co in una sua Bustina di M inerva dal titolo E logio d e l classico 10, in cui ricordava, tra l ’altro, la curiosa modalità con cui A dria­ no O livetti attuava la selezione del personale: «assumeva certam ente bravi ingegneri, altrimenti i com puter non li avrebbe mai costruiti, ma non aveva esitazione ad assumere un laureato che avesse fatto una tesi eccellente sui dialetti om erici». E così continuava: Prepararsi al domani vuol dire non solo capire come funziona oggi un programma elettronico ma concepire nuovi programmi. E accade che gli studi classici (compreso sapere che cosa aveva detto Omero, ma soprattutto la capacità di lavorare filologicamente su un testo omerico - e aver fatto bene filosofia e un poco di logica) sono quelli che ancora possono preparare a concepire i mestieri di domani. 8 A. M assarenti, Una scuola p er tornare a pensare, in «Il Sole 24 O re», inserto dom enicale del 23 febbraio 2014. 9 Cfr. G . Cam biano, I l problem a delle due culture, in Disegnare il futuro con intelligenza antica, cit., pp. 497-498. 10 U. E co , E logio d el classico, in «L’Espresso», 3 ottobre 2013.

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Un elogio di quella form azione oggi però non può e s­ sere tout court la difesa di un m odello astorico; deve fare i conti con il presente, con le spinte all’om ologazione verso il modello form ativo europeo, che orm ai in quasi tutti i paesi ha lim itato gli studi classici a scelte opzionali di nicchia per futuri filologi, e deve fare i conti con i nuovi bisogni form ativi che prem ono verso l ’increm ento della cultura tecnico-scientifica. La domanda, quindi, è: il classico può ancora rappre­ sentare una buona palestra form ativa generale o costituisce, come sostengono alcuni econom isti, un «freno allo sviluppo» per la nostra società ingessata? L a risposta non è scontata, per cui, visto il grande successo dei processi immaginari ai personaggi storici, non sem brerà strano che anche il liceo classico, storico m odello form ativo italiano, sia entrato in tribunale, con tanto di accusatori e difensori, sia pure nel contesto di una sem plice pièce teatrale. Sul banco degli im putati il liceo classico, cioè il liceo umanistico, ancorato alla classicità greco-latina, in cui si continuano a studiare, non solo la cultura, ma anche le lingue classiche. Il liceo classico è stato la scuola per eccellenza: insieme al liceo scientifico, che nel suo im pianto tradizionale era un liceo umanistico, è stato la scuola che ha finora favorito l ’accesso all’università con m inori esiti di dispersione. M a si può ritenere ancora valido? Presenta solo carenze da colmare o deve lasciare il passo a nuovi m odelli formativi? A ccusa e difesa com unque non sono apparse su posi­ zioni m anichee inconciliabili, anche se il processo ha avuto m omenti di grande vivacità dialettica.

2.

P erché un processo? L e qu estion i p oste agli attori

Perché in epoche diverse il tema della sopravvivenza del liceo classico ha sempre suscitato una dialettica così accesa? «G li antichi ci riguardano», ricorda Luciano Canfora in un suo recentissim o libello, «perché i loro problem i insoluti e i loro conflitti sono anche i nostri...». « Il liceo classico ce lo invidiano all’estero», sottolinea M aurizio B ettini. P er­

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ché allora siamo così autodistruttivi da ritenerlo noi stessi obsoleto? Ma altri, com e Luigi Berlinguer, denunciano i gravi danni arrecati, com e «la più grave ferita in cam po artistico, prodotta da un impianto solo gnoseologico e deduttivo che cancellerebbe la pratica artistica nella scuola e alim enterebbe una m atem atica astratta...». Altri ancora, com e Luca Serianni, constatano la «marginalizzazione» e la perdita di prestigio del liceo classico rispetto al liceo scientifico, provate dalla «femminilizzazione e meridionalizzazione» del classico, frutto presunto (secondo Rosario Drago, da lui citato) di una «ritirata strategica dei maschi da un territorio form ativo “inattuale”» , che avrebbe lasciato alle ragazze, «naturalm ente» - secondo lo stereoti­ po - propense alle lettere e non alle materie scientifiche, «un percorso formativo privo di efficacia e soprattutto lontano da un m ercato del lavoro di pregio»11. Lo stesso Serianni considera verosimile che, con l ’atti­ vazione dell’opzione di scienze applicate nei licei scientifici, la quota di studenti che rinunceranno del tutto al latino sia destinata ad aumentare in m odo m olto significativo, specie nell’Italia settentrionale. A nche Andrea Ichino invita a «dedi­ care più tem po ed energie alle materie scientifiche», «invece di dedicare il massimo di energie a studiare latino, greco e m aterie um anistiche». N on c ’è niente dunque da salvare in quella tradizione di studi o c ’è un «n occiolo duro» che ancora resiste anche nel secolo della rivoluzione tecnologica? Così risponde U m berto E co: Certamente vorrei un classico concepito in modo più moderno di quello ideato nel secolo scorso da Gentile (che poco aveva compreso delle scienze), dove ci fosse un poco più di matema­ tica, e naturalmente di lingue contemporanee oltre al greco (e forse si potrebbe superare la distinzione artificiosa tra classico e scientifico), ma chi ha avuto una buona educazione classica ha sempre trovato qualcosa da fare, anche se non era quello che tutti si aspettavano in quel momento [...]12. 11 L. Serianni, L’ora d ’italiano, Rom a-Bari, Laterza, 2010. 12 U. E co , Elogio del classico, cit.

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L a form azione in Italia, che è un unicum in Europa, è stata ancorata alla classicità greco-latina, di cui si è alim en­ tata anche la maggior parte della nostra storia letteraria. L a formazione classica, o, più in generale, umanistica, è ancorata alla storicità e si alim enta della m em oria del passato. L iq u i­ dare il liceo classico significa anche incidere direttam ente, com e sostiene ancora M aurizio B ettini, sull’«enciclopedia culturale» dei futuri cittadini e sul «nostro rapporto con fasi e strati assai più recenti» della nostra letteratura, con quell’ossatura che ha costituito un filo rosso della nostra cultura e della nostra mem oria. P er non parlare delle radici del pensiero filosofico e politico. E se sarebbe m assim alistico oggi proporre a tutti lo studio delle lingue classiche o anche del solo latino, ci sono ancora delle ragioni forti per non abbandonare il lavoro espressam ente linguistico? «L a traduzione è l ’operazione più esaltante dal punto di vista della m obilitazione delle forze intellettuali», dichiarava nel 2002 Luciano Canfora. A nche oggi si può dire con lui che «la perdita sarebbe troppo grande»? E , se la riform a G elm ini ha di nuovo accentuato la diffe­ renza tra i due licei (classico e scientifico), c ’è ancora spazio oggi per non liquidare com e obsoleta la tradizione che ci d i­ stingue e per valorizzare un modello liceale flessibile, fondato su quel m etodo scientifico che è unico, com e ha spesso ricor­ dato D ario A ntiseri? U n m etodo ch e ragiona per problem i da risolvere con congetture e confutazioni e non si qualifica per l ’increm ento della quantità delle nozioni, siano esse m itocondri o aoristi passivi. Pro e contro non sono scontati.

3.

I l questionario p er le scuole

Il processo che si è nuovam ente voluto intentare, non trascurando la prim a sentenza, form ulata a Rom a al liceo V isconti13: 13 Dove Γ11 aprile 2014 si era già processato il liceo classico, accusato di «in-attualità».

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Assolto con formula piena dalla giuria popolare di presidi, professori e studenti che affollavano l’Aula Magna del «Visconti», il «liceo classico», accusato di «in-attualità» per il vertiginoso calo di iscrizioni, e non solo, è stato «condannato» dalla Corte Suprema a «ri-crearsi» attraverso un nuovo e più saldo legame tra la conoscenza umanistica e la cultura scientifica senza più escludere quelle scintille di emozione e creatività rappresentate dalla musica e dall’arte applicata14 è stato un processo pu bblico, che ha chiam ato a raccolta m olti testim oni per l ’accusa e per la difesa, in modo da poter em ettere un pubblico verdetto, ben motivato e argo­ m entato, in grado di dare ulteriori utili indicazioni per chi è chiamato, senza ricorrere al taglio di un nodo gordiano, a ridisegnare il quadro della formazione per il rinnovamento del paese. La celebrazione del processo è stata inoltre preceduta da un seminario di confronto e di discussione tra docenti e presidi dei licei prom otori dell’iniziativa sulle questioni prospettate da questionari proposti ai docenti di lingue classiche e di altre discipline all’interno delle scuole.

3 .1 . P ream bolo d el questionario La scuola secondaria superiore è stata recentem ente riform ata. Si può già fare un sommario bilancio. Un prim o risultato da osservare è la riduzione in per­ centuale, sia pur lieve, degli iscritti al liceo classico e un interesse crescente per il liceo di scienze applicate, senza latino. Si può quindi arguire che gli studi classici non siano più ritenuti indispensabili nella formazione attuale? Intanto, però, da più parti, per contro, si preparano appelli per la salvaguardia degli studi umanistici. Siamo di fronte ad una possibile «svolta» che potrebbe produrre esiti irreversibili.

14 F. Fiorentino, Liceo classico in crisi? Berlinguer rilancia studi uma­ nistici per tutti, in «Corriere della Sera», 12 aprile 2014.

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L’Italia aveva sempre avuto da tem po im m em orabile una tradizione di studi um anistici che si concretizzava soprattutto nei licei classico e scientifico, in cui venivano studiate, non solo la cultura, ma anche le lingue classiche. E ran o le scuole da cui si accedeva, per lo più con m inori esiti di dispersione rispetto ad altre, al percorso universi­ tario. Tale form azione aveva sicuram ente dato nel passato esiti di eccellenza. M a tali scuole possono ancora essere valide? Azzerare quella tradizione potrebbe essere necessario oggi per affron tare nuovi obiettivi form ativi, ma non è provato che le m aterie alternative con cui il greco e il lati­ no potrebbero essere sostituiti continuerebbero a garantire quegli esiti che anche altri paesi ci invidiano. Abbiam o bisogno di capire la direzione strategica da seguire per il futuro del nostro paese e di saper prendere la decisione giusta, vista la centralità del sistem a educativo per lo svi­ luppo e il m iglioram ento. G li Stati generali della cultura, organizzati dal «Sole 24 O re», hanno visto l ’impegno dei m inistri della Cultura e dell’Istruzione per il potenziamento dell’insegnamento di storia d ell’arte. A ltre istanze per la scuola di domani focalizzano l ’attenzione sulla nuova materia Educazione e cittadinanza e su quel m ix «d i logica, retorica e teoria dell’argomentazione, che gli anglosassoni chiamano “pensiero critico ”. “Senza una cultura um anistico-filosofica di questo tip o ”, ha sostenuto la filosofa am ericana M artha Nussbaum, “una dem ocrazia non può funzionare”» 15. M a su questo i pareri non convergono. Ripensare le scuole che hanno form ato i talenti che spesso emigrano con successo è utile per evitare di allinearsi su obiettivi che potrebbero essere deboli e deficitari.

15 Si veda A. M assarenti, in « Il Sole 24 O re», inserto domenicale del 22 giugno 2014. Si veda anche E . D e Caro, Una scuola italiana modello, n ell’inserto dom enicale del «S o le 24 O re » del 3 0 ottobre 201 5 : la D e Caro ribadisce che M assarenti ha più volte sottolineato « l’importanza di inserire nella scuola l’idea del pensiero critico, cioè della capacità di ragionare e analizzare le questioni, legandola alla nozione di cittadinanza».

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3.2.

L e dom an de

Q ualche domanda agli insegnanti per poter capire la loro percezione dall’interno della situazione attuale (in rapporto al passato e al futuro). a) R itenete che il liceo classico, nella sua configurazione attuale, possa ancora garantire esiti formativi adeguati alle esigenze odierne? E il liceo scientifico? b) C om e vi spiegate la «fuga» dagli indirizzi che preve­ dono lo studio delle lingue classiche? c) Pensate sia cambiata la percezione della loro «utilità»? O che ci sia una cattiva politica dell’orientam ento? O siete oggettivamente convinti che non sia più pensabile dedicare troppo tem po a studi relativi a lingue non più in uso? d) Se insegnate in un liceo classico, avete la sensazione che la scuola in cui insegnate abbia tutte le qualità per rispondere a un obiettivo di form azione com pleta per un accesso qualificante agli studi universitari? O avvertite qual­ che carenza da colm are, senza necessariam ente annullare lo spazio dedicato agli studi umanistico-classici? Se avete avuto u n ’esperienza d ’insegnamento in più scuole, quali pregi e quali lim iti vi sembra abbiano le scuole che si ancorano alla tradizione classica? Q uali vi sembrano più adeguate alle nuove esigenze formative? e) Intervistando anche i vostri allievi, quale percezione vi sembra abbiano della funzione degli studi classico-umanistici oggi? Ci sono delle proposte di miglioramento?

3.3.

L e scuole protagoniste

Q ueste le scuole protagoniste: liceo Alfieri, Torino; liceo Botta, Ivrea; liceo Carlo A lberto, Novara; liceo Cattaneo, Torino; liceo Cavour, Torino; liceo C opernico, Torino; liceo D ’Azeglio, Torino; liceo Des Am brois, O ulx; liceo G alileo Ferraris, Torino; liceo G iob erti, Torino; liceo G iordano Bruno, Torino; liceo G obetti-Segré, Torino; liceo Lagrangia, Vercelli; liceo M ajorana, M oncalieri; liceo M inghetti, Bologna; liceo M onti, Chieri; liceo M urialdo, Rivoli; liceo

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Newton, Chivasso; liceo P eano-Pellico, C uneo; liceo Plana, A lessandria; liceo P orp o rato , P in erolo; Istitu to Sociale, Torino. H anno risposto al questionario m olte scuole del Piem on­ te e anche scuole di altre regioni, com e il liceo M inghetti di Bologna e il liceo Telesio di Cosenza.

segnanti che hanno risposto al questionario, ovviamente un cam pione non significativo dell’intera classe docente, ma rappresentativo della classe docente dei licei classici e scientifici, si è pronunciata favorevolmente sulla validità attuale del classico, con ampie motivazioni, da cui si può evincere anche la forte identificazione con il proprio ruolo e il forte convincim ento che sostiene il loro lavoro, segreto insostituibile del successo formativo.

3.4. I l coro d elle scuole testim oni Non è possibile qui dar conto di tutte le risposte date, m a si cerch erà - con inevitabili, anche se involontarie, omissioni di cui si chiede venia, e com unque in sintesi per ovvie ragioni di spazio - di farne em ergere il panorama variegato, scegliendo i contributi che con maggiore effi­ cacia e sintesi riassumono i tem i più significativi emersi nel dibattito. Si precisa, a scanso di equivoci, che le scelte selettive fatte non hanno inteso assolutam ente riconoscere gerarchie di valore tra le scuole, dal m om ento che tutte le scuole hanno aderito con serietà e im pegno al progetto e hanno risposto con grande senso di responsabilità e p ro ­ fessionalità.

3.5 . Stralci d elle risposte Alle domande a (Ritenete che il liceo classico, nella sua configurazione attuale, possa ancora garantire esiti formativi adeguati alle esigenze odierne? E il liceo scientifico?) e d (Se insegnate in un liceo classico, avete la sensazione che la scuola in cui insegnate abbia tutte le qualità per rispon­ dere a un obiettivo di form azione com pleta per un accesso qualificante agli studi universitari? O avvertite qualche carenza da colm are, senza necessariam ente annullare lo spazio dedicato agli studi um anistico-classici? Se avete avuto u n ’esperienza d ’insegnamento in più scuole, quali pregi e quali lim iti vi sembra abbiano le scuole che si ancorano alla tradizione classica? Q uali vi sem brano più adeguate alle nuove esigenze form ative?) la maggioranza degli in ­

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Liceo D’Azeglio In sostanza il liceo classico è apprezzato in quanto fornisce una formazione alta e di qualità, tale da rendere i giovani pronti ad affrontare qualsiasi tipo di studio, anche molto complesso: in questo senso prepara alla difficoltà, alla complessità e alla novità; stimola a trovare un metodo di lavoro efficace e ad organizzare il proprio tempo (dare giusto spazio ai propri interessi, al proprio dovere e ai momenti di ricreazione e di riposo), stimolo che può venire solo da una scuola che richiede un forte impegno; aiuta a trovare i propri autentici interessi e a non disperdere inutilmente energie. In contrasto con la velocità del tempo delle nuove tecno­ logie, il liceo classico spinge alla lentezza e alla riflessione, destabilizzando in un primo tempo e dando forte input alla maturazione personale solo in un secondo tempo e formando così un giovane che si adatterà con flessibilità a svariate pro­ poste lavorative. Fornisce capacità critiche e di indagine che aiuteranno il giovane a saper cercare le informazioni e a non lasciarsi fagocitare da una superficiale cultura virtuale; porta ad una comprensione profonda anche dei testi; insegna a leg­ gere con consapevolezza, a scrivere, rielaborare, sintetizzare e comunicare in modo efficace. Prepara quindi i giovani a essere " flessibili, intuitivi, sintetici e comunicativi. ■? Liceo Cavour ; § ,5 > '.·

Bisogna tener conto anche dell’altissimo valore etico dello studio del mondo classico, specialmente in una società multiculturale come la nostra, dove urge educare ai valori della tolleranza e della convivenza civile. Le lingue del passato consentono di riflettere sulle lingue odierne e sul loro uso, sulle modalità di comunicazione. Il lavoro di traduzione affina la conoscenza della

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propria lingua, oltre alla capacità di comprendere il pensiero di un autore «altro» per la distanza nel tempo e di renderlo rispettandolo pienamente. La traduzione è quindi una scuola di tolleranza, di attenzione all’«altro» nel tempo, tolleranza trasferibile all’«altro» nello spazio.

Docente del liceo scientifico Galileo Ferraris Dedicare una parte del curricolo all’apprendimento delle materie umanistiche è secondo me centrale per la formazione di cittadini e professionisti che abbiano una cultura completa, che permetta loro una visione ampia di problemi e fenomeni. Quindi sicuramente prevedere un percorso di studi nel quale sia dato spazio a greco e latino è opportuno. Ciò che non condivido è la presenza del latino anche al liceo scientifico. In ogni caso lo studio di lettere, storia e soprattutto filosofia garantisce una cultura umanistica a tutto tondo, mentre le tre ore settimanali di latino, se confrontate con le due di scienze o le due di fisica (nel biennio) mi sembra abbiano troppo peso. Inoltre ritengo ci sia una sorta di strabismo nelle argomentazioni che spesso sono portate a favore dello studio del latino. Si sostiene che sia l’unica materia che sin dal primo anno può educare alla disciplina richiesta dallo studio costante e mnemonico, oppure che sia fondamentale per lo sviluppo delle capacità logiche. Lo studio della matematica, della fisica o della chimica richiede esattamente le stesse doti, è solo questione di fare delle scelte e di dare più o meno spazio alle diverse materie. Potenziare le materie scientifiche, la dimensione sperimentale e la riflessione sui grossi temi di attualità ad esse connessi (bioetica, biotecnologie e produzio­ ne alimentare, sfruttamento delle risorse e continua crescita economica, cambiamento climatico) fornirebbe agli studenti gli strumenti e la capacità critica necessari a fare di loro dei ' cittadini consapevoli, in generale.

Liceo Minghetti Il liceo classico può ancora garantire esiti formativi adeguati, in particolare se un indispensabile aggiornamento degli obiet­ tivi da raggiungere nei diversi ambiti disciplinari sarà volto all’acquisizione da parte degli studenti, oltre che di contenuti, soprattutto di una strumentazione critica in grado di mobilitarne le menti, educandole alla complessità dei fenomeni e al loro

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studio in ogni campo del sapere, contribuendo realmente alla loro formazione: il liceo classico, infatti, per come è oggi, non specializza, ma «forma» e oggi più che mai, tenuto conto delle modifiche ai programmi delle materie scientifiche apportate col nuovo ordinamento, modifiche che hanno attenuato lo squilibrio prima esistente con l’ambito letterario16. Discorso analogo va fatto per il liceo scientifico, in cui la drastica riduzione delle ore dedicate alle materie letterarie ha però causato un evidente impoverimento dell’offerta formativa e in cui dunque risulta imperativo un ripensamento degli obiettivi didattici e delle stesse modalità di insegnamento, che dovranno vieppiù mirare all’apprendimento di un metodo di lavoro di cui gli studenti, nella maggior parte dei casi, sembrano oggi sprovvisti quando giungono alle scuole superiori.

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Liceo Alfieri

I pregi del liceo classico sono stati riconosciuti dalla maggioran­ za dei docenti che notano nei loro allievi, spesso più motivati di altri nella loro scelta, una forma mentis che sviluppa capacità logiche, critiche, induttive, di astrazione e di sintesi; questo permette loro di acquisire competenze «spendibili» nei campi più diversi e in molti ambienti, anche internazionali. Lo studio delle lingue classiche, simile nei procedimenti a meccanismi logici e scientifici, garantisce quindi una solida formazione del metodo, nonostante, in alcuni settori, i contenuti possano non essere adeguati. All’ingresso delle facoltà scientifiche per esempio gli allievi del classico spesso incontrano difficoltà iniziali, ampiamente poi però superate nel profitto e nella regolarità degli esami. Lo scientifico con il latino fornirebbe una solida formazione umanistica, ma spesso disattende a tale vocazione: troppa teoria a scapito del laboratorio. Non così lo scientifico se 16 Q uesta opinione, che non è l’opinione dei più, com e si evince dalle risposte successive, è condivisa anche dai docenti del liceo Carlo A lberto di Novara: «con l ’introduzione dello studio delle scienze a partire dal ginnasio e l ’aggiunta di un’ora di m atem atica il liceo classico rappresenta ancora e forse a maggior ragione proprio oggi la scuola che coniugando sapere umanistico e sapere scientifico, senza cadere in un eccesso di frammentazione e dispersione oraria delle discipline, con ­ sente di raggiungere una visione unitaria e organica delle conoscenze e dei saperi che è l ’autentico patrimonio da spendere proficuam ente nel percorso universitario».

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privato dell’insegnamento del latino (post-riforma Gelmini), equiparabile più a un istituto tecnico che a un liceo.

Docente del liceo scientifico Galileo Ferraris Ritengo che le scuole che si ancorano alla tradizione classica riescano in qualche modo a formare degli allievi con una di­ screta capacità di argomentare, di interpretare testi complessi e di risolvere diverse tipologie di problemi anche distanti dalle discipline specificamente studiate. Il sapere che permettono di acquisire è di tipo trasversale e consente di collocare il pensiero scientifico anche all’interno di una dimensione umanistica. Ciò è dimostrato dalla frequenza, con successo, dei corsi univer­ sitari di tipo scientifico e dai risultati professionali, proprio perché le competenze possedute in uscita, pur non essendo professionali, sono professionalizzanti.

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Liceo Peano-Pellico

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L’obiettivo non è certo quello di creare filologi o glottologi di professione (che saranno una percentuale minima), ma che dopo il corso di studi rimanga qualcosa di ben più impor­ tante e duraturo: una form a mentis rigorosa, ma aperta, unita alla capacità di controllare i settori linguistici più tecnici ed esclusivi. [...] La grande sfida della nostra scuola è quella di promuoversi come uno spazio e una forma di socializzazione animata dal desiderio, come un luogo in cui pratiche concrete riescano ad avere la meglio sugli appetiti individualistici e sulle minacce che ne derivano. Educare alla cultura e alla civiltà significa creare legami so­ ciali e legami di pensiero. Se la nostra società fa l’apologià delle voglie, ombre impoverite di un desiderio formattato e normalizzato (tutti vogliono le stesse cose e gli stessi status Symbol), la scuola deve promuovere un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione che sviluppi dei legami e com­ ponga la vita in modo da produrre qualcosa di diverso dal disastroso futuro annunciato. Cercare di «armare» i giovani perché affrontino il mondo inquietante che li attende, non significa proteggerli, ma significa solo appoggiare e svilup­ pare quel mondo da cui si pretende di metterli al riparo. Più sviluppiamo la serialità e rindividualismo e più rendiamo pe­ ricoloso il mondo e lasciamo che l’emergenza, il non-pensiero

e la tristezza governino la nostra vita. Una scuola che sempli­ cemente si adegua alle peggiori volontà familiari, alle peggiori esigenze sociali, alle peggiori richieste del cosiddetto mondo del lavoro, una scuola connivente con la società, una scuola conformista, una scuola che vuole assomigliare a cose che per loro natura sono molto diverse da lei (l’impresa, il cen­ tro sociale, l’agenzia turistica) è una scuola che rinuncia alla propria specifica vocazione culturale, alla propria sostanza culturale e non ricava proprio da questa sua specifica sostan­ za culturale gli strumenti per proporre un modello diverso, un’alternativa al mondo.

Proposta del liceo Plana Quando parliamo di difesa della cultura classica - argomento al quale le istituzioni europee si sono già mostrate sensibili (basti pensare del resto ai valori su cui si fonda la Costituzione dell’Unione Europea) - dobbiamo tener presente che il liceo classico italiano è l’unica scuola, nel mondo, a farne il fonda­ mento e la garanzia di una formazione organica, non confinando le discipline classiche nel ruolo antiquario di materie marginali e opzionali (si può consultare in proposito il sito www.circe.be —> risorse CIRCE —> discipline classiche in Europa). Sulla base di questa consapevolezza, dopo aver consultato il regolamento dell’UNESCO, proponiamo di coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti interessati in una richiesta che non è solo una provocazione: di inserire, cioè, il liceo classico italiano tra i patrimoni non materiali dell’umanità. Tuttavia, la maggior parte dei docenti non si è limitata ad un atteggiam ento autocelebrativo e ha riconosciuto realisti­ cam ente la necessità di correttivi all’impianto previsto dalla riform a G elm ini e alla m etodologia didattica tradizionale. Si riportano quindi alcune testimonianze che riassumono i principali punti di vista emersi. ' Docente del liceo Botta ’l L’attuale configurazione del liceo classico presenta, a mio paàj rere, un oggettivo sbilanciamento del quadro orario a favore ! delle discipline classiche (basti pensare che, delle 27 ore del ϊ biennio, ben 9 - quindi un terzo - sono riservate a latino e

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greco): se è vero che un percorso liceale deve essere funzionale alla formazione globale dello studente e non può proporsi l’obiettivo di una preparazione specialistica, il «peso orario» di queste discipline deve essere in qualche modo ridotto. Una soluzione potrebbe essere unificare i due insegnamenti sotto un’unica dicitura (lingue e civiltà classiche) con 7 ore in bien­ nio e 6 in triennio: ciò garantirebbe la gestione del monte ore da parte di un unico docente, con un evidente vantaggio sul piano dell’efficacia didattica (molti temi - sia di lingua, sia di civiltà - possono essere affrontati in parallelo), e permetterebbe di ampliare lo spazio di altre discipline (matematica, fisica, scienze, lingue straniere moderne).

di esplorare, comprendere, potenziare la propria curiosità di fronte al mondo e la propria capacità di comprenderlo. In una società globale in così vertiginoso cambiamento sono destinate all’insuccesso tutte le discipline che puntano alla mera trasmis­ sione di nozioni, mentre avranno futuro quelle che «insegnano ad imparare» nell’ottica di un effettivo long life learning. In quest’ottica lo studio delle discipline classiche attraverso l’approccio alle lingue antiche e alla traduzione (e non solo attraverso un approccio culturale) ha un valore ineguagliabile nelPinsegnare il rigore scientifico, l ’attitudine di esaminare i fenomeni operando confronti, la competenza di problem solving, la capacità di saper giustificare criticamente ogni scelta operata.

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Docente del liceo Botta L’ultima riforma - tentando di porre un freno alle sperimen­ tazioni in atto nei licei - ha finito col cancellare o comunque ridimensionare fortemente molti dei tentativi di rendere il liceo classico maggiormente aperto alle esigenze del mondo d’oggi. I vincoli imposti dalla riforma al carico orario settimanale hanno di fatto costretto, pur nel rispetto delle quote orarie di competenza dell’autonomia scolastica, molti licei classici - che sperimentavano con successo sul campo da più di un trenten­ nio la sinergia tra la cultura classica e quella scientifica - ad un ridimensionamento dell’asse scientifico o, in alternativa, a dover tagliare le ore delle discipline umanistiche per riservare un po’ di spazio alle altre. A questo proposito vorrei rilevare come la presunta dicoto­ mia tra cultura scientifica e cultura umanistica non solo sia epistemologicamente infondata, ma rischi altresì di ingenerare l’equivoco di far ritenere «utile» solo ciò che è scientifico e di conseguenza «inutile» tutto il resto. Questo erroneo presupposto sta alla base della communis opinio che la matematica sia utile alla vita quotidiana assai più del greco antico, anche se è indubbio che chi si limitasse a studiare la matematica per verificare il conto della spesa o la percentuale di sconto sul prezzo dei saldi di fine stagione non avrebbe certo bisogno di una formazione liceale, essendo, queste, competenze che si acquisiscono già nella scuola primaria. Credo invece che in un percorso liceale (ugualmente di liceo classico o scientifico) tutte le discipline, ognuna con le proprie peculiarità e con la propria specifica angolatura, dovrebbero * mirare (e in gran parte già lo fanno) a mettere gli allievi in grado

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Liceo Lagrangia Il liceo classico risulta avere ancora una sua valenza formativa, anche se la riforma Gelmini per alcuni docenti ha depauperato l’offerta di licei come il nostro che avevano avviato sperimenta­ zioni altamente formative. Nel nostro liceo, pur di mantenere le curvature di indirizzo già sperimentate nel vecchio ordinamento (curvatura giuridico-economica con diritto ed economia quin­ quennali; letteraria, linguistica, storica ed artistica con francese come seconda lingua straniera e storia dell’arte quinquennale; scientifica con il potenziamento di matematica, disegno tecnico e storia dell’arte), per andare incontro alle richieste dell’utenza e per mantenere la nostra offerta formativa, si è utilizzata la quota del 20-30% del monte ore, ma questa operazione, utile per alcuni docenti, secondo altri ha «impoverito» il monte ore destinato ad altre discipline e, in particolare, quello delle discipline classiche, che hanno subito delle riduzioni. Altri docenti pensano che il liceo classico della riforma, con la prosecuzione della lingua straniera nell’intero quinquennio e l’introduzione nel biennio delle scienze, risponda efficacemente alle esigenze formative odierne. La maggior parte dei docenti, anche di discipline classiche, pensa sia opportuno, per rendere più appetibile il liceo classico, alleggerire la tensione posta sullo studio linguistico a favore dell’inserimento della cultura classica in un panorama più ampio e internazionale. In generale, il liceo scientifico appare meno staccato dalla realtà odierna e sembra offrire una formazione più adeguata alle richieste anche dei test di ingresso universitari, soprattutto nei corsi delle scienze applicate, dove è stato tolto il latino.

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Liceo Alfieri Si awerte la necessità di potenziare lo sviluppo di competenze, di team working e di progetti trasversali, di saper rendere attuali due lingue e due mondi, quello greco e quello latino, capaci di parlare ancora alle nuove generazioni, con una maggiore attenzione alla contemporaneità. Inoltre spesso manca un ambiente appassionante, che valorizzi le eccellènze, non frustrante, che utilizzi metodi di insegnamento innovativi, a parità di materie di studio. Apprezzatissimo è stato il potenziamento della storia dell’arte e, se possibile, è auspicabile quello della musica, grande assente.

Liceo Gioberti

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Il dipartimento di scienze, nonostante nel nostro liceo metta in atto un insegnamento della disciplina centrato sul laboratorio, rileva invece che a livello nazionale il liceo classico attuale può garantire esiti formativi anche ottimi, ma non comples­ sivamente: è poco formativo relativamente alle conoscenze e competenze scientifiche richieste dalla società attuale. Le poche ore di lezione settimanali e l’elevato numero di allievi per insegnante inducono sovente quest’ultimo a trattare le discipline scientifiche come studio di un testo, trascurando il loro metodo applicativo che è fondamentale per poterne assumere le competenze essenziali. Da questo punto di vista, il liceo scientifico di nuovo ordinamento può dare, secondo i docenti, una formazione più generale e completa nei diversi ambiti disciplinari. Nel liceo classico, invece, non c’è più una completa formazione di base nell’area scientifico-naturalistica poiché nel nuovo ordinamento le scienze sono state troppo parcellizzate e un insegnante non riesce più a seguire bene gli oltre 260 allievi (contrapposti ai 160 del vecchio ordinamento) delle sue classi odierne. Tuttavia, non è possibile pensare né che l’istruzione secondaria superiore sia uguale per tutti né che abbia una serie infinita - di differenziazioni. | Va trovato un equilibrio fra questi due opposti. Il recente rior*i dino ha fatto diminuire il numero dei percorsi e difficilmente si può auspicare, in un torno di tempo ravvicinato, di operare ' ulteriori riduzioni. Può essere pensabile una «riunificazione» i, fra liceo classico e liceo scientifico? E difficile sostenere questa ! ipotesi perché metterebbe capo a tre possibilità non accettabili: ! l’eliminazione degli insegnamenti di greco e latino a vantaggio

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dell’area scientifica, la riduzione dell’area scientifica a favore di insegnamenti classici che però inevitabilmente sarebbero compressi in un ridotto numero di ore settimanali, l’aumento delle ore di lezione degli studenti. Conviene muoversi nelle direzioni della verifica sull’attualità di alcune competenze ora considerate dall’ordinamento del liceo classico e dell’oppor­ tunità di introdurre, anche per questo liceo, linee guida per la costruzione del curricolo. Bisogna cioè evitare che il classico, che è spesso percepito come una scuola per pochi, o sempre di più per pochissimi, lo diventi davvero, perché non si può «aggiungere» soltanto, cercando di non «togliere»: questo può essere molto formativo, ma anche difficile da sostenere per gli studenti. D ’altra parte - osservano i docenti di storia e filosofia - qual­ siasi tipo di scuola deve essere formativo; questo non significa la liceizzazione di tutta l’istruzione: il classico è formativo con le sue specifiche discipline, altri tipi di scuola lo devono essere con le loro.

Liceo Botta Non meno decisivo, tuttavia, è un profondo rinnovamento metodologico dello studio delle lingue antiche, che punti più a competenze trasversali (comprensione del testo; problem solving, inteso come formulazione di ipotesi e verifica della loro legit­ timità) che a una formazione specialistica, che è compito - in questo come in ogni altro campo del sapere - dell’università. L’identificazione del latino e del greco con il «vecchio», oltre ad essere riconducibile alla resistenza di molti docenti a ripensare metodi e obiettivi di insegnamento, è oggettivamente certifi­ cata dal fatto che tali discipline siano pensate come immobili anche dai quadri ministeriali, che non hanno provveduto a modificarne l’impianto sostanziale nel momento dell’elabora­ zione delle Indicazioni Nazionali e nella determinazione della prova finale - la versione tout court - che continua a essere esattamente quella prevista al momento dell’istituzione del liceo classico, nell’ormai remoto 1923.

Docente del liceo Plana Ma il liceo classico non è e non deve essere solo traduzione. Da laureata in storia greca, ricordo che proprio la civiltà classica ha elaborato idee, concetti, valori come «persona»,

«politica», «libertà», «democrazia» e tanti altri che sono i mezzi di confronto interculturale capaci di ispirare le coscienze e che rendono il classico non una scuola di élite ma la più democratica delle scuole. E allora, contro la fuga, è necessario riformare le prove d’esa­ me. La seconda prova, nella quale, accanto alla traduzione, si proponga un corredo di domande che consentano al ragazzo di mostrare la propria personale assimilazione della cultura e della civiltà greca e latina e di contestualizzare il testo pro­ posto dal punto di vista storico, artistico o filosofico. Inoltre, per facilitare l’approccio al testo, pare ormai necessario cor­ redarlo di un ante-testo e di un post-testo (in traduzione con testo a fronte) che eviti il più possibile fraintendimenti, come da quattro anni si fa per le Olimpiadi delle Lingue e Civiltà Classiche. Da modificare anche la prima prova, dove l’analisi del testo letterario rischia di essere solo parafrasi e poco commento, dove il saggio, che pure in origine sembrava uno strumento valido e innovativo, ha rivelato qualche pecca, in quanto rischia di essere una mera collazione di porzioni del dossier, con assai pochi nessi logici. Un’alternativa da prendere in considerazione (o un’aggiunta), potrebbe essere la scrittura di sintesi di un testo culturalmente rilevante, sul quale compiere un’operazione cognitiva tutt’altro che banale, sulla scorta delle prove d’accesso alle grandes écoles francesi.

Liceo Newton

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Siamo un liceo di provincia: godiamo dunque in un certo senso di un osservatorio privilegiato su un vasto bacino di utenza, che sceglie gli studi classico-scientifici non per perpetuare una tradizione di famiglia o per il prestigio di un istituto storico. [...] Premesso che le scelte del collegio docenti in campo pedagogico-didattico si sono orientate a cercare di colmare il gap tra la trasmissione dei saperi codificata e la possibilità di ricezione da parte delle giovani generazioni, attraverso esperienze di didattica laboratoriale, progetti e idee per superare il limite angusto delle aule attraverso il coinvolgimento di famiglie ed ex allievi, reti di scuole, infine un uso più incisivo delle nuove tecnologie, [...] crediamo comunque che il liceo debba restare fedele a se stesso, non solo potenziando lo studio della lingua latina e greca, ma dedicando spazio - ad esempio un’ora alla settimana - per studiare cultura e società, monumenti, arte e lasciti di queste antiche civiltà, istituendo

laboratori di confronto e di attualizzazione, in modo che il passato dell’Europa possa essere fonte di ispirazione e non di mera memorizzazione. Questo perché riteniamo che la soluzione alla disaffezione generale verso gli studi classici non sia un’operazione di maquillage su un volto segnato dal tempo, ma consista nella tutela di un patrimonio culturale che appartiene alla tradizione occidentale. Quale futuro può avere una società di soli tecnici? L’humanitas che connota il liceo classico fornisce una visione del mondo molto più ampia ed esso dovrebbe essere presentato come una scelta in contro­ tendenza, orientata alle lingue, all’arte e alla storia perché la nostra società ha bisogno di nuove idee e di quadri sintetici, di logos e di bellezza. [...] Per quanto sia formativo lo studio dell’aspetto linguistico delle civiltà greca e latina, non è certo questo l’apporto fondamentale che tali civiltà possono garantire oggi a chi si accosta ad esse. Ci sembra anzi che sia in atto un vistoso tentativo di screditare l’importanza di tali studi, lasciando intendere che un’eventuale minore abilità degli alunni nella traduzione sia di per sé motivo sufficiente per decretare la morte del liceo classico. Come non ricordare, in ultimo, Nadia Urbinati, docente presso la Columbia University, la quale, in un intervento apparso su «La Repubblica» del 14/9/2014, riferisce che le maggiori uni­ versità statunitensi (Harvard, Yale, Chicago e Columbus, ovvero la «meta privilegiata per la formazione delle élite globali») da diversi decenni prevedono «corsi obbligatori per matricole sui grandi autori e temi del pensiero politico a partire dal mondo classico fino ai giorni nostri»; tali corsi, parte integrante del Core, ovvero il curriculum formativo di base, prendono il nome di Contemporary Civilization, nella convinzione che il presente sia del tutto indecifrabile senza una conoscenza profonda del passato.

Liceo Sociale Penso che il liceo classico nella sua configurazione attuale non garantisca a pieno esiti formativi adeguati alle esigenze odierne, non tanto per le discipline in se stesse quanto per la necessità di rivisitarle in chiave più moderna e opportuna rispetto alle richieste dell’università e al sentire degli studenti. Il liceo scientifico sotto certi aspetti, pur nelle sue contraddi­ zioni e talvolta nelle sue carenze, sembra essere più adeguato alle richieste formative attuali.

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Il liceo classico, a mio awiso, può garantire esiti formativi adeguati ai giovani che scelgono indirizzi universitari di tipo umanistico (giurisprudenza, lettere, storia e filosofia, scienze politiche...) e professioni che necessariamente derivano da questi. Il liceo scientifico, invece, offre un ventaglio più ampio di scelta, poiché garantisce una solida preparazione sia nel I settore umanistico sia in quello scientifico. La domanda b (Com e vi spiegate la «fuga» dagli indirizzi che prevedono lo studio delle lingue classiche?) ha avuto prevalentem ente le seguenti risposte.

Liceo Carlo Alberto Forse la scarsa considerazione in cui è tenuto lo studio non più sentito come momento di crescita personale, culturale e civile; o la altrettanto scarsa credibilità della scuola, che non rappresenta più neU’immaginario collettivo una leva per l’emancipazione sociale ed economica; o la tendenza diffusa dei ragazzi di oggi - sostenuti dalle loro famiglie - a scegliere percorsi meno impegnativi che sembrano offrire sbocchi im­ mediati nel mondo del lavoro; o ancora la difficoltà figlia della crisi economica in atto che distoglie molte famiglie dall’investire negli studi universitari, lunghi e incerti per la collocazione nel mondo del lavoro? A questo elenco possiamo aggiungere il radicamento di alcuni pregiudizi fondati su una parziale conoscenza del percorso del liceo classico percepito come la sede dove si formano pochi eletti - la vecchia classe dirigente della riforma Gentile - e un manipolo di retori e filologi fuori dal tempo in quanto privi di una form a mentis «scientifica» adeguata allo sviluppo tecnologico galoppante e inesorabile.

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Liceo Alfieri

5 II timore di un impegno eccessivo, l’abitudine a ottenere ri-

ì sultati immediati, tangibili e pratici, l’esercizio della pazienza | I | f »

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e dell’attesa (si pensi al processo di traduzione di un brano), oltre all’insistenza dei media su specializzazione e spendibilità del titolo di studio scoraggiano chi non sia spinto da genitori che hanno a loro volta fatto il liceo classico o chi non abbia forti motivazioni proprie.

Secondo alcuni docenti non si tratta di una «fuga», ma di un «riflusso», dopo anni in cui l’orientamento verso istituti tecnici e professionali era scarso e i licei erano scelti per posticipare una specializzazione. Ora si sarebbe tornati a un livello di iscritti fisiologico per una scuola che richiede un certo tipo di impegno.

Docente del liceo Botta La stragrande maggioranza dei docenti di latino e greco, anche di quelli giovani, ha tuttora un’idea vecchia e superata di tali discipline, e non ha mai cessato di intenderle come necessaria­ mente preponderanti - spesso esorbitanti - costringendo quindi gli studenti a concentrare su di esse una parte eccessiva delle energie loro richieste. Questo mi pare un elemento determinante che causa la «fuga» dagli indirizzi classici.

Liceo Porporato Nell’attuale sistema dell’istruzione secondaria di secondo grado, le lingue classiche non sono più fondamentali per connotare una formazione generalista di tipo liceale, come accadeva in regime di egemonia culturale umanistica, tant’è vero che i licei economicosociale, linguistico o delle scienze applicate non comprendono nei loro piani di studio il latino (o lo limitano al primo biennio). Fra i licei storici (classico e scientifico), il primo soffre per rim ­ pianto storico-filologico oggi percepito come poco «utile», a fronte di un liceo scientifico più coerente con la cultura moderna e tecnologica. L’assunzione del PNI e il conseguente incremento dello studio della matematica al classico avevano consentito un buon compromesso; ma la riforma Gelmini, che specializza i percorsi formativi, rischia di rendere desueto un corso di studi tradizionalmente capace di garantire l’accesso a tutte le facoltà. Ciò detto, nella sofferenza del liceo classico - e delle discipline umanistiche - si riflette soprattutto un dato culturale. Volendo, si potrebbe parlare di inattualità - in senso nietzscheano o leo­ pardiano - del «classico» in sé. Infatti l’inattualità del greco e del latino pone, ci pare, una domanda più di fondo e che - nella sua generalità - riguarda la finalità del sistema di istruzione di secon­ do grado: se alla società di oggi interessi ancora una scuola che si faccia carico, con l’angelo della storia di benjaminiana memoria, di interrogare le rovine del passato e di mostrare alle giovani generazioni che in esse è scritto, in qualche modo, anche il loro destino. Il dubbio è legittimo, se una materia come filosofia non

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è considerata caratterizzante nemmeno nell’indirizzo classico e se neppure lì si sente la necessità di sottolineare l ’im p o rta n z a della storia (quando si nominano i commissari esterni all’esame di Stato storia non è mai citata, considerata come una specie di appendice, o di italiano o di filosofia). Dunque il problema principale dei giovani che si trovano a scegliere se studiare il greco o il latino non è solo quello di dedicare tempo, energie, impegno a lingue non più in uso, bensì di orientare il loro investimento motivazionale verso studi la cui portata è avvertita come irrilevante nella comunicazione pubblica o nella nostra cultura ipermoderna. [...] Fra i licei il classico, in vano affanno per salvaguardare un enciclopedismo d’antan, sembra essere il più conservativo, cioè il meno disposto alla modularizzazione dei percorsi didattici. In questo affanno si può leggere un doppio sintomo, di resistenza consapevole e ostinata o di chiusura passiva e mortifera. Come finirà lo si vedrà a breve. L’utenza, alcuni docenti e la società tutta parrebbero da un lato indicare nel liceo scientifico un liceo moderno, capace di dare la formazione richiesta dall’attuale mondo della scienza e della tecnica, dall’altro incoraggiare la sostituzione del classico con il liceo linguistico, assegnando a quest’ultimo il compito di traghettare la tradizione umanistica dalla filologia alle TIC e di europeizzare la formazione classica.

Docenti di latino del liceo scientifico Giordano Bruno Ma se è vero che spesso un interesse può essere indotto, è altresì vero che può anche essere soffocato, e noi siamo ferma­ mente convinti (sono gli studenti stessi del nostro istituto che ce lo confermano) che la lingua e la cultura classica possono continuare a suscitare interesse, se ripensate soprattutto come strumenti utili: - per avvicinarsi allo studio della letteratura, italiana e non solo; - per coltivare possibili progetti lessicografici anche derivanti dallo studio comparato delle lingue moderne; - per stabilire i nessi tra lingua e letteratura italiana, sia al biennio che al triennio; - per acquisire una buona conoscenza lessicale e morfosintattica non solo della lingua italiana, ma anche di molte lingue dell’Unione Europea, che hanno nel latino le loro radici; - per risolvere quelle problematiche traduttive, riguardanti tutte le lingue moderne soprattutto di area romanza, che sti­ molano le competenze in situazione;

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- per cogliere i nessi intrinseci tra scienza e logos (si vedano a questo proposito gli studi di Paolo Zellini che afferma come «occorra ripensare e recuperare nel calcolo moderno la sintesi di scienza e umanesimo che vive nel significato smarrito del

logos»); - per ribadire come ogni insegnamento, compreso quello scientifico, non possa prescindere da un inquadramento storico e quindi anche linguistico e culturale. L a domanda c (Pensate sia cam biata la percezione della loro «u tilità»? O che ci sia una cattiva politica dell’o rien ­ tam ento? O siete oggettivamente convinti che non sia più pensabile dedicare troppo tempo a studi relativi a lingue non più in uso?) ha ricevuto risposte articolate e differenziate.

Liceo Peano-Pellico Alla luce di un quadro sociale ed economico mutato, è sicu­ ramente impegnativo optare per il liceo classico; la scelta di una scuola più facile e che implichi un minor numero di anni di studio diventa quasi ovvia in un contesto di incertezza. Il problema è che oggi l’opinione pubblica italiana non è ancora consapevole delle trasformazioni in atto a causa del mondo iperconnesso e piatto creato dalla globalizzazione; non è ancora pienamente consapevole della competizione sulla conoscenza che è già in atto e che sarà sempre più feroce. Se si partisse dai dati (superamento test, laureati, tempi di laurea ecc.) e non dai pregiudizi, si vedrebbe che chi ha fatto il classico ha una reale mentalità scientifica, quella che parte dall’osservazione attenta e rigorosa dei particolari, ne astrae delle conclusioni, sa distinguere variabili e costanti, per giun­ gere ad una soluzione, e sa infine applicare questo metodo a 9 problemi di ogni tipo, una volta acquisite le specifiche nozioni | tecniche. Il fatto è che nel mondo di oggi si fa una grande | confusione fra scienza e tecnologia e si tende a ridurre la prima alla seconda; in realtà la società in cui viviamo è ipertecnologica, ma pochissimo scientifica.

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È probabile poi che un po’ più di entusiasmo (reale) per la cultura aiuterebbe: se io, docente, faccio passare l’idea che sono l’unica fonte di cultura e che solo le ore mattutine sono 43 formative; se faccio passare il messaggio che altre iniziative

provenienti da altra istituzione) possano essere meno importanti di quanto lo sia studiare per il giorno dopo; se si vede lontano un miglio che il mio orizzonte non va oltre la materia che insegno (nel senso più ristretto)... beh, è difficile che gli alunni, a loro volta, trasmettano all’esterno una vera passione per la cultura.

scoraggiamento alla scelta di tale indirizzo imposto ad allievi meno brillanti ma magari genuinamente interessati. Anche da parte di alcuni docenti emerge la difficoltà ad accettare che il contenuto delle discipline classiche possa essere interiorizzato a livelli diversi, seppur fragili nell’aspetto meramente linguistico, ma positivi in quello culturale, storico, letterario e antropologico.

Liceo Botta La «fuga» dal liceo classico è certo da mettere in relazione anche con una cattiva politica dell’orientamento, che, in relazione al tema dell’«utilità», insiste sulla spendibilità delle conoscenze specialistiche (che solo all’università, invece, possono essere affrontate con un adeguato grado di approfondimento) assai più che sull’efficacia delle competenze di metodo, indispensabili per qualunque percorso universitario. In questo senso lo studio delle discipline classiche può essere un’eccellente palestra, poiché consente di affrontare situazioni straordinariamente complesse con una strumentazione di base piuttosto semplice, opportunità che le altre discipline, comprese quelle scientifiche studiate a livello liceale, raramente riescono ad offrire. La validità del percorso formativo offerto dal classico non può essere descritta in termini di utilità: sono i docenti che devono smontare questa impostazione, smettendo di ostinarsi a ripetere che le discipline classiche sono «utili». Per il problem solving e il ragionamento ipotetico-deduttivo esistono molte alternative altrettanto valide dello studio del greco e del latino; per la co­ noscenza di sé e del mondo, l’attitudine critica, la percezione (e gli strumenti di analisi) della complessità e della profondità della prospettiva storica ne esistono davvero poche. In altri te rm in i, la scuola non può e forse non deve semplicemente inseguire il mon­ do del lavoro: la sua funzione è quella di educare e di formare. Più che una «politica dell’orientamento» sarebbe opportuno attuare una politica dell’avvicinamento degli studenti alla di­ mensione del mondo classico, familiarizzandoli con le relative testimonianze (linguistiche, letterarie e materiali) fin dalla scuola primaria, affinché i ragazzi pervengano ad incuriosirsene, ma soprattutto a sentirne la conoscenza come necessaria alla comprensione della realtà in cui sono immersi (a cominciare dal proprio stesso territorio, l’Italia, l’Europa, il Mediterraneo, l ’Occidente). ! Spesso, specialmente nella scuola secondaria inferiore, si tende f a identificare il liceo classico come la sede elitaria in cui trovino : spazio esclusivamente alunni d’eccellenza, con il conseguente

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Docente dell’Istituto di istruzione superiore statale Des Ambrois Pur riconoscendo ancora un ruolo fondamentale alla cono­ scenza del pensiero, dell’arte e della letteratura antica nella formazione culturale dei giovani, per tutti i motivi che in modo più o meno convinto esponiamo negli incontri di orien­ tamento, è necessario prendere coscienza e ammettere con obiettività che l’impianto tradizionale del liceo classico non funziona più sotto il profilo dell’utilità (criterio preminente nelle scelte scolastiche) perché, con gli accessi programmati, non apre più a qualsiasi scelta universitaria, e perché, come sostengono spesso gli studenti, lo studio delle lingue classiche richiede troppo tempo e troppe energie per acquisire compe­ tenze non facilmente spendibili in futuro. Certo noi sappiamo che serve a «saper essere», ma queste per i ragazzi non sono che formule vuote che presuppongono un investimento su un arco temporale troppo lungo. Una riflessione particolare merita la prova di traduzione dal latino e dal greco. Non c’è dubbio che la traduzione abbia una valenza formativa in sé, come operazione «scientifica», che richiede e potenzia abilità di logica, sollecitando la continua tessitura di trame semantiche e sintattiche, e come verifica delle conoscenze linguistiche acquisite; ma quanti studenti, fra quelli che seguono le nostre lezioni, riescono a produrre esiti soddisfacenti? Gli insuccessi spesso pesanti nelle prove scritte demotivano gli studenti presenti e spaventano gli studenti futuri. L’esperienza ci ha dimostrato che non è sufficiente lo studio della grammatica per saper tradurre, ma occorre tanto esercizio, meglio se sotto la guida dell’insegnante. Ma non è possibile ipotizzare una quota oraria maggiore nelle lezioni mattutine e inoltre le risorse economiche per i corsi di recupero pomeri­ diani non ci sono. E allora? Si devono trovare forme di verifica scritta alternative, come la traduzione contrastiva o il commento per lemmi del testo, che almeno valorizzino lo studio. Certo si deve anche prevedere un livello di valutazione superiore per i pochi che alla traduzione arrivano senza problemi.

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Docente del liceo Botta

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Il liceo classico tradizionale deve accettare la sfida e dimostra­ re capacità di adattamento ai tempi, una sorta di omeostasi, senza deroghe al rigore epistemologico e alla dignità culturale, ma con una maggiore attenzione alle esigenze formative dei giovani e alle attitudini di una generazione che vive di fretta, attaccata al joy stick o allo smartphone, e che, per informarsi, non legge, ma digita in rete.

Liceo Minghetti E sicuramente cambiata la percezione dell’utilità delle lingue classiche, ma pensiamo che sia rimasto immutato il valore del loro studio in ambito liceale, capace di preparare gli studenti alla molteplicità e complessità della realtà odierna, a partire, per fare solo un esempio, dall’indispensabile capacità di analizzare problemi e comunicare contenuti con chiarezza e precisione, abituandosi a riflettere criticamente, ad approfondire e valutare in prospettiva i fenomeni, urgenze tanto più avvertite oggi quanto più è diffusa una modalità di conoscenza frammentata, superficiale, acritica e approssimativa. In tal senso la capacità metalinguistica di riflettere sui meccanismi profondi delle lingue, la consapevolezza del rapporto che esiste tra lingua e sistema di pensiero e di valori, una acquisita flessibilità ad imparare a comunicare in altre lingue diverse dalla propria sono i risultati più significativi prodotti dallo studio di discipline come il latino e il greco antico. Quanto a dialettica e retorica, lo studio di società antiche che hanno posto questi ambiti al centro della loro speculazione e dei loro sistemi educativi, la lettura di documenti di quella speculazione e di come le diverse società l ’hanno trasformata in pratica di vita civile e politica sono esperienze conoscitive in sé fondamentali, ma soprattutto modello speculativo formativo, esercizio intellettuale allo svi­ luppo del proprio pensiero e al conflitto col pensiero altrui, alla costruzione efficace del proprio discorso e alla capacità di % riconoscere nel discorso altrui sostanza e artifici. AH’ultim a dom anda relativa al punto di vista degli studenti, la domanda e (Intervistando anche i vostri allievi, quale percezione vi sem bra abbiano della funzione degli studi classico-um anistici oggi? Ci sono delle proposte di m iglioram ento?), alcune risposte possono essere utilm ente riportate.

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Quanto riportato qui di seguito è il frutto di un confronto con allievi dell’ultimo anno di liceo classico, prossimi quindi ad una scelta universitaria. I ragazzi sono, nel complesso, soddisfatti della loro scelta e del loro percorso scolastico; sono consapevoli di essersi arricchiti nei cinque anni di liceo e di aver maturato competenze qualitativamente importanti, che garantiranno loro un buon percorso universitario in ambito sia umanistico, sia scientifico. Essi disegnerebbero tuttavia un curricolo di liceo classico più articolato, comprendente lo studio dell’economia e mag­ giori approfondimenti relativi alle lingue straniere moderne. Sarebbero disposti a fermarsi a scuola anche più a lungo, in orario pomeridiano, qualora però i carichi di lavoro domestico venissero rimodulati, ridimensionati e redistribuiti. Ritengono inoltre che il percorso liceale di cinque anni sia troppo lungo e segnalano la ridondanza che inevitabilmente si crea intorno ad alcuni argomenti (la storia e le letterature) nell’arco di un insegnamento quinquennale. Venendo infine a questioni di didattica, segnalano la necessità, in primo luogo da parte delle discipline storico-filosofiche, che sempre più intensi e frequenti siano i richiami alle questioni attuali, che caratterizzano fortemente la contemporaneità, così da poter concretamente acquisire strumenti per leggere il presente ed essere consapevoli del proprio tempo.

Docenti del liceo Gobetti-Segré Secondo gli allievi lo studio delle lingue e civiltà classiche: - è utile per porsi in modo migliore nel rapporto quotidiano con gli altri e rende più sensibili; - aiuta ad affrontare le difficoltà quotidiane «in maniera attiva, ovvero reagendo positivamente», grazie agli insegnamenti dei grandi autori del passato; - affina la padronanza linguistica; [...] - permette una miglior fruizione del patrimonio artistico; - permette «di comprendere il percorso storico, sociale e culturale che l’umanità ha compiuto negli anni e quindi ci permette di avere una visione d’insieme di quello che accade nella nostra epoca». : Per contro i ragazzi sono quasi tutti d’accordo nell’awertire

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come una carenza grave la mancanza dello studio del diritto, dell’economia e di una seconda lingua e sentono l’esigenza di una maggior interdisciplinarità e di un maggior raccordo con il mondo del lavoro attraverso stage.

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un doveroso rispetto verso quel passato da cui un classico non può prescindere. Se molti di noi sono diventati, o stanno diventando, quello che sono, lo devono in gran parte al liceo classico e a quei docenti che ci hanno formato con affetto e preparato alle avversità del lavoro nel miglior modo possibile».

Liceo Monti L’ultima domanda che abbiamo voluto fare a studenti ed ex allievi è relativa alla loro soddisfazione generale e dobbiamo dire che abbiamo avuto delle piacevoli sorprese perché non solo gli ex allievi (siamo riusciti a raggiungere una quota pari al 25% di quelli che abbiamo cercato di contattare) ma anche gli allievi che hanno compilato il questionario in percentuali altissime affermano di essere molto o abbastanza contenti della scelta fatta (ben 98 allievi su 111 e la totalità degli ex allievi). Vorrei citare l’unico ex allievo che ritiene di non aver avuto nessun particolare vantaggio dagli studi classici e tuttavia si ritiene abbastanza soddisfatto dell’esperienza vissuta (e del resto procede speditamente negli studi in una facoltà scientifica). Molto alti risultano la soddisfazione e il senso di appartenenza degli ex allievi che hanno risposto, parecchi dei quali hanno mandato delle proposte meditate e delle riflessioni che ci incoraggiano a proseguire sulla via di studi formativi, non specialistici ma rigorosi ed esigenti, che rappresentano un bagaglio prezioso per l’università, per il lavoro e per la vita in generale: in conclusione, proponiamo qui il commento che ci è sembrato più significativo. «L’esperienza del liceo classico è stata qualcosa che è andata al di là dell’essere una semplice esperienza scolastica. La complessità di materie come il greco e il latino (specie nella traduzione delle versioni) mi ha aiutato molto nella costruzione di un rigore nel metodo di studio che si è rivelato vitale all’università, dove mi sono scoperto completamente autonomo nell’organizzazione dello studio ed estremamente disciplinato nel “tenere il passo”; ma non solo, perché ho sviluppato un più generale approccio schematico alle diverse situazioni quotidiane che ho scoperto tornarmi molto utile oggi nel mondo del lavoro. Consiglio però il potenziamento di una lingua straniera oltre all’inglese (in quanto questo d e v e considerarsi una lingua madre da saper cantare come l’italiano, se non meglio). Ho apprezzato molto la “gestione” dello studente da parte di docenti che, non me ne vogliano, definirei “della vecchia guardia”: una giusta dose di umanità e severità, condita da

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Liceo Gioberti I questionari sulle scelte universitarie proposti negli anni precedenti agli studenti diplomati del nostro liceo dimostrano che essi si sono indirizzati in modo sostanzialmente uniforme verso tutte le macroaree; in particolare il numero degli iscritti a facoltà scientifiche risulta superiore a un quarto degli stu­ denti, al pari di quelli dell’area umanistica. Inoltre è cresciuto negli ultimi anni il numero degli studenti di liceo classico che frequentano parte o tutto il percorso universitario all’estero, a dimostrazione di come la formazione ricevuta consenta loro un agevole e rapido adattamento a sistemi formativi diversi. Questo sembra dimostrare che il «vecchio» liceo classico potenziato con il Piano Nazionale di Informatica e lo studio della lingua straniera per tutto il quinquennio aveva davvero una valenza formativa generale. E il nuovo, per quanto integrato nell’area matematico-scienti­ fica? Solo i prossimi anni potranno dircelo. Noi lo speriamo.

Docente del liceo Botta Gli studenti riconoscono senz’altro che, quanto al metodo, il loro percorso di studi fornisce una preparazione di base perfettamente funzionale all’istruzione superiore, e trovano che i contenuti latamente culturali - meno quelli «tecnici» - delle discipline che studiano siano ancora interessanti per loro. Sotto il profilo dell’informazione, tuttavia, considerano troppo limitati il programma scientifico (in cui includerebbero ί discipline come l’economia) e lo spazio destinato all’apprendi^ mento delle lingue moderne. Inoltre, lamentano che la scelta - di un indirizzo impegnativo dal punto di vista del tempo che è necessario dedicare allo studio impedisca spesso di coltivare interessi ed attività estranee all’offerta formativa della scuola. Anche in relazione a simili esigenze, ma comunque in gene­ rale, sarebbero favorevoli all’escogitazione e all’applicazione di metodologie didattiche capaci di alleggerire l’impegno (e il dispendio di tempo) richiesto agli studenti per lo studio.

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Liceo Lagrangia Gli studenti sono solitamente soddisfatti delle scelte operate, sono orgogliosi dell’acquisizione progressiva di una capacità critica solida e di competenze sicuramente spendibili nel mondo del lavoro o all’università. Molti lamentano, però, l’eccessivo nozionismo che spesso viene richiesto, il carico di lavoro spesso notevole e spesso, a loro dire, gratuito, perché mira più a fornire eruditi tecnicismi che solide conoscenze e competenze. Faticosissima e poco gratificante è per molti la traduzione fine a se stessa, puro gioco linguistico, scarsamente inserito in un contesto letterario e culturale più ampio. Qual­ che studente afferma di non essere interessato a potenziare discipline non umanistiche troppo lontane dai curricula scelti, spesso faticose e spiegate con un approccio puramente teorico, anche in questo caso eccessivamente nozionistico, avulso da ogni ricaduta nella vita pratica.

Liceo Alfieri In generale ci sono due tipologie di studenti: gli uni, soddi­ sfatti e consapevoli di riuscire «meglio di altri» ad affrontare situazioni di apprendimento diverse; gli altri, più confusi e meno certi del loro futuro nel mondo universitario. Molti chiedono uno studio meno mnemonico e più coinvolgen­ te, un ritorno al numero di ore di matematica pre-riforma, un potenziamento dello studio del Novecento e la reintroduzione dello studio del latino nella scuola media, che faciliterebbe il biennio di ginnasio. Concludiam o con la risposta di un ex docente del liceo classico, ora insegnante di un liceo di scienze umane, che può indurre a qualche riflessione.

Ex docente di matematica al liceo classico Insegno in un liceo delle scienze umane. Ho la sensazione che l’attrattiva principale per gli alunni (per questa tipologia di alunni, ma dirlo non è «politicamente corretto») sia proprio la mancanza di un taglio caratteristico. Di tutto un po’, in una miscellanea che richiama parecchio la scuola media inferiore, e che induce purtroppo negli studenti l’illusione di ricevere una preparazione completa e «liceale».

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4. I l processo. Introduzione e com m ento Com e in un vero dibattim ento n ell’aula di un tribunale, si sono affrontati davanti ai giudici l ’econom ista Andrea Ichino, dell’European University Institute, in veste di P M che accusa il classico di essere superato, e un difensore d ’eccezion e, U m berto E co. Tra i testim oni, lo scrittore M arco M alvaldi, il m atem atico Stefano M arm i della Scuola N orm ale Superiore di Pisa, il filologo Luciano Canfora, il filosofo della m atem atica G abriele Lolli, il latinista Ivano D ionigi, l ’esperto di sistemi scolastici Adolfo Scotto di Luzio. In video M assim o C acciari, Tullio D e M auro, G iulio G iorello, M assim o G iletti. L’oggetto dell’accusa e della difesa (il nostro liceo clas­ sico) è a volte apparso sfuggente; si sono sovrapposte infatti almeno tre diverse rappresentazioni del classico: il classico gentiliano, responsabile di una lim itata preparazione scien­ tifica; il classico della stagione delle minisperimentazioni, m odello di form azione generale polivalente adeguato alle m olteplici richieste dell’università, anche di am bito scien­ tifico; il classico della riforma G elm ini, costretto entro la coperta stretta di un m onte ore rigido di 31 ore e di un piano orario altrettanto rigido e m odificabile solo in parte per la lim itata quota di autonomia prevista. Q uesta natura proteiform e dell’oggetto è stata certo responsabile della polarizzazione delle posizioni, forse meno distanti tra loro rispetto all’apparenza. Sta di fatto però che la polarizzazio­ ne ha aiutato la rappresentazione scenica, rendendola più accattivante, e ha contribuito a fare chiarezza. L’im pianto accusatorio di Andrea Ichino si è basato sulla denuncia dell’inganno e dell’inefficienza alla base dell’offerta formativa del liceo classico, che si presenterebbe im propriamente come la scuola migliore per poter affrontare studi universitari di carattere scientifico, e sull’accusa di aver ridotto la m obilità sociale e favorito le famiglie culturalmente e socialm ente avvantaggiate. L’alternativa a questo m odello da lui ritenuto obsoleto non è sem brata però una scuola «senza C iceron e» che rincorra soltanto le nuove tecnologie, ma una scuola à la

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carte, non più a m enu fìsso, capace di attenuare il gap delle classi svantaggiate. E se la proposta di questo m odello flessibile si è rivelata m eritevole di attenzione anche da parte della difesa, sapien­ tem ente condotta da U m berto E co , la rappresentazione del liceo classico è apparsa invece un p o ’ troppo semplificata, priva della consapevolezza storica della sua trasform azione non più, se mai lo è stato, e non solo «figlio della riforma G entile, la più fascista delle riform e». In difesa della sua storia si è pronunciata con argom entazioni appassionate la testimonianza di A dolfo Scotto di Luzio. P er inciso, riguardo al presente, davvero si può ancora afferm are che il liceo classico abbia la presunzione di essere la scuola migliore per l ’accesso alle facoltà scientifiche? Sono state abbastanza perspicue le testim onianze degli insegnanti al riguardo: il liceo classico, nonostante la sua prestigiosa tra­ dizione, oggi rischia di essere una specie in via di estinzione, come provano i dati tendenziali riportati supra. L’inganno non c’è. Anzi, sarebbe proprio una cattiva politica di orienta­ mento a produrre quella perdita di prestigio e quella «ritirata strategica dei m aschi» di cui parlava Luca Serianni17. M a non è stato sempre così, com e ha dim ostrato il successo del liceo classico con sperim entazione m atem atico-scientifica nella stagione della cosiddetta «riform a strisciante». I dati forniti da Ichino e da M arm i (testim one dell’accusa) che provereb­ bero le difficoltà degli studenti del classico nel superamento dei test di medicina e dei test di accesso alla N orm ale di Pisa per gli indirizzi scientifici, da una parte, sfondano una porta aperta, ma, dall’altra, appaiono troppo parziali per l ’esiguità e l ’inattendibilità del campione. Tali dati provano al massimo una carenza nella configurazione del quadro orario del clas­ sico, soprattutto di quello tradizionale e di quello odierno, responsabile di una inform azione m atem atico-scientifica incom pleta, ma non la sua inattualità e inadeguatezza. Il fatto che altri paesi, com e la Francia e la Germ ania, abbiano abbandonato il m odello di liceo di cui parlava Ullman in L ’am ico ritrovato è una buona ragione per decretare 17 L. Serianni, L'ora d ’italiano, cit.

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la necessità di far sparire quell’ww/c»»* che ci riguarda, al fine di om ologare e modernizzare la nostra scuola, allineandola a quella del resto d ’Europa? N on c ’è il rischio anche di accogliere scelte legate a opzioni storico-culturali contingen­ ti? Liquidare i licei umanistici, sia classico ch e scientifico, assorbiti da «inattuali» studi filologici su lingue m orte, e sostituirli con licei tecnologici può essere una soluzione all’«analfabetismo funzionale» rilevato dalle indagini PIA A C O C S E sulle com petenze degli adulti? Può essere questa la soluzione all’incapacità di capire la realtà, all’ignoranza concettuale dei cittadini italiani in un mondo dom inato da una rivoluzione dettata dalla m ate­ m atica, com e ha sostenuto il testim one dell’accusa M arm i? L’assenza diffusa di alfabetizzazione quantitativa, l ’ignoranza diffusa in campo finanziario, più alta che in altri paesi (7 0 % contro il 5 2 % di altri paesi), è un motivo sufficiente per decretare l ’inutilità degli studi umanistici? E se è stata provata da secoli l’efficacia dell’abito mentale storico-filologico, riconosciuto con finezza argomentativa da C anfora com e uno strumento fondam entale p er orientarsi nella com prensione degli altri e delle altre culture, non è ancora invece abbastanza provato il risultato di studi tecnici solo specialistici, privi di immaginazione e creatività. O è già provato dall’allarme sociale, ironicam ente raccolto da U m berto E co , che ha detto scherzosamente che bisogna por­ tare l ’inventiva e la creatività anche nel mondo scientifico e tecnologico e contrastare quelle sacche di iperspecializzazione dove l ’esperto di m alattie rare non sa curare un raffreddore. Se la funzione della scuola liceale è quella di stimolare e lasciar crescere la personalità degli studenti, che non sono otri da riempire, com e ha sottolineato lo studioso di logica Lolli; se la funzione liceale è quella di dare una formazione non ancora professionalizzante, in vista di successive scelte universitarie specialistiche, il problem a è soprattutto quello di riconoscere realisticamente i punti forti metodologici della tradizione che hanno retto ai m olteplici sconvolgim enti e di individuare un mix di competenze indispensabili rispondenti a un m ondo che, com e ha detto M arm i, «sta subendo una m odificazione dettata dalla m atem atica, attraverso il suo

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braccio armato che è il com puter». In caso contrario, il liceo classico potrà diventare solo una scuola pre-professionale per chi in seguito vorrà indirizzarsi verso l ’insegnamento delle m aterie filologico-um anistiche o vorrà collocarsi nei quadri deH’industria culturale18. Se questa non è l ’intenzione, la separazione tra classico e scientifico non ha senso, com e ha sostenuto nella sua arringa E co , che provocatoriam ente ha proposto di abolire lo scientifico. N el corso del dibattim ento, paradossalm ente accusa e difesa hanno trovato un punto di convergenza: occorre una form azione integrata, che, prim a dell’università o di qualsiasi scelta, consenta agli studenti un am pliamento dei propri orizzonti di conoscenza che in seguito l ’università stessa prow ed erà a specializzare. E tale scuola non potrà prescindere dall’unità della cultura e dovrà com prendere la form azione storica, ancorata alla m em oria, la form azione linguistica della tradizione classica e la cultura m atem atico­ scientifica. Il dosaggio è indispensabile, senza creare p re­ sunzioni di superiorità, né svantaggi inaccettabili. Un m odello arm onico era esistito nel periodo delle m inisperim entazioni, non vincolato alla rigidità di un qua­ dro orario e favorito dalle ore ridotte a cinquanta minuti, com e hanno am piam ente sottolin eato gli insegnanti nel lavoro seminariale, di cui si è potuto riferire solo in parte nell’azione scenica guidata dal narratore A lberto Sinigaglia e di cui si è riferito supra. Tale m odello p otrebbe essere oggi rivisitato dalla «buona scuola», divenuta legge dello Stato, nello spazio di flessibilità e di potenziam ento reso possibile dall’autonom ia, che consente l ’integrazione dei curricoli e l ’innovazione. E così si p otrebbe rimediare alle lacune dell’im pianto m atem atico-scientifico del classico e della form azione umanistica dello scientifico e a quell’ibrido adisciplinare rappresentato dalla geo-storia. L o studio delle lingue classiche tuttavia non dovrà es­ sere riproposto entro un quadro orario massimalistico. L a

soluzione dell ’et-et, auspicata nel processo dall’allora rettore dell’Università di Bologna Ivano Dionigi, si scontra con i lim iti di capienza di «una testa ben fatta» e im plica la n eces­ sità di u n ’autocritica e di un rinnovamento m etodologico da parte dei docenti che le insegnano. Lo stesso U m berto E co ha sostenuto che ripensare un equilibrio vuol dire insegnare meglio il latino, dialogando in latino elem entare. A nche il greco si può cam biare, abbandonando lo studio dei dialetti om erici e aumentando la traduzione del greco della koin é. Il vecchio liceo era incentrato sul baricentro delle lingue classiche; ora quell’im pianto non può più essere riproposto. U na riorganizzazione richiede un chiarim ento sulla distri­ buzione dei pesi, per restare nella m etafora della statica. Bisogna avere infatti l ’onestà intellettuale di am m ettere che non si può fare tutto e che occorre fare una scelta prelim i­ nare dei nuovi o del nuovo baricentro. L’esperienza delle m inisperim entazioni può insegnare qualcosa sulla necessità di introdurre un equilibrio intorno a due assi: quello delle lingue classico-m oderne e quello della m atematica. La cul­ tura della complessità che fa da sfondo ai nuovi orizzonti epistem ologici non può giustificare però ibridi sperimentali com e la geo-storia, che, in mancanza di una form azione ad h o c , non possono che andare nella direzione della genericità, negando la specificità delle aree disciplinari. In un approccio cognitivo m aturo l ’unità del reale è un punto d ’arrivo, non un punto di partenza: il sincretism o è proprio del pensiero infantile preoperatorio, com e ricordava lo psicologo Piaget! Infatti più delle cose che si studiano conta il m etodo con cui le si studia.

18 Con qualche rischio di unilateralità, come denuncia A. Cavalli, Il siste­ ma «duale». Un m odello da im itare ?, in «il M ulino», 5 ,2 0 1 3 , pp. 834-840.

19 R. Abravanel, Il segreto della buona scuola nascosto n el m etodo di studio , in «Corriere della Sera», 23 febbraio 2015.

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Facendo crescere lo spirito critico e la capacità di risolvere problemi, non di imparare a memoria soluzioni. [...] Sapere a memoria l ’aoristo dei verbi irregolari o conoscere le varie teorie sull’origine dei mitocondri sono due cose che servono a poco. Scegliere delle materie, studiarle con passione e capirle davvero è quello che occorre ai nostri ragazzi, oggi più che mai19.

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Un discorso a parte merita la proposta di Ichino di scuole à la carte al posto di scuole a m enu fisso. La flessibilità e l ’autonomia previste dalla «buona scuola» potranno consentire l ’integrazione dei curricoli e rimediare alle carenze del profilo del classico e dello scientifico ordinam entale, ma il m odello à la carte contiene un rischio e muove da una fiducia troppo ottim istica nelle libere scelte degli allievi (e dei loro genitori). L asciare la decisione sul curricolo alle scelte degli allievi e delle fam iglie rischia di favorire scelte di com odo, dalle soluzioni più popolari, più facili, alle soluzioni apparentem ente più «utili», non n eces­ sariamente migliori. E questo un m odello di scuola più vicino alla tradizione anglosassone, lontano dalla nostra tradizione, più legata al riconoscim ento del valore legale del titolo di studio. Un problem a complesso non risolvibile in una battuta. L a soluzione più realistica è quella com unque di lasciare che le scuole nei loro diversi e variegati percorsi si inseriscano in una sia pur blanda cornice generale, indicata dallo Stato, se non si vuole cancellare del tutto il valore legale del titolo di studio e non si vuol cadere, tra l ’altro, negli errori della deregolamentazione, rilevati in altri paesi com e l ’Inghilterra. Q ueste però sono le nostre personali riflessioni. N el processo una C orte ben più autorevole, guidata dal p ro ­ curatore della R epubblica di Torino Arm ando Spataro, si è riunita al term ine del dibattim ento e, dopo un tem po di discussione ragionevole, ha emesso la sentenza. Ci conforta però sapere che proprio nei campi in cui il liceo classico è sem brato più carente, cioè negli am bi­ ti scien tifico e tecn ico , continuano ad esserci difensori autorevoli. Vorrei citare a questo proposito due esempi em blem atici tratti da due interviste recenti su Radio 24 di Giovanni M inoli: una a Fabiola G ian otti, direttore generale del C E R N di Ginevra, il laboratorio di fisica più im portante del m ondo (7 febbraio 2 0 1 4 ), e l ’altra a Fabio Vaccarono, country director di G oogle Italia (12 ottobre 2015). Se Fabiola G ianotti si è lim itata - e non è poco - a trasm ettere la sua passione per quella form azione m olto com pleta che le hanno dato gli studi classici della lettera­ tura e della storia dell’arte, uniti agli studi sulle domande

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fondam entali della filosofia e della fisica, Fab io Vaccarono si è sbilanciato in una difesa «perentoria» della form azione classica, sempre più necessaria, in particolare nel futuro, in un m ondo in cui la verticalità delle specializzazioni ri­ chiederà soprattutto di saper «im parare a im parare». E il m odello di classico che ha in m ente, che gli ha trasmesso la «folgorazione per la filosofia» e la passione per la lettura, è il classico da lui frequentato a Ivrea nella stagione storica delle minisperimentazioni matematico-scientifiche. Una realtà storica, non solo un idealtipo, a conferm a che il m odello indicato da U m berto E co nella sua arringa non esiste solo nelle categorizzazioni weberiane, ma esiste o almeno è vera­ mente esistito. L o conferm ano i m olti talenti che nelle più diverse realtà nazionali e internazionali ne sono testimoni.

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A CCUSA E D IF E S A . O P IN IO N I A C O N F R O N T O

A ndrea I chino G L I A R G O M E N T I D E L L ’A C C U SA

Nel processo svoltosi al Teatro Carignano di Torino, il liceo classico è stato assolto da tre capi d ’accusa: non preparare adeguatamente i giovani per studi universitari scientifici; non prepararli per le sfide che dovranno affron ­ tare nella società del futuro; aver contribuito a frenare la m obilità sociale nel nostro paese. Sotto processo, tuttavia, non era solo questo tipo di liceo, ma una caratteristica ben più profonda della società italiana: l ’idea che le conoscen­ ze storico-um anistiche, il latino e il greco siano essenziali, m entre le conoscenze tecnico-scientifiche e le lingue vive possano considerarsi un optional. I testim oni della difesa, guidati da U m berto E co nel ruolo di avvocato, hanno convinto la C orte argomentando che quello di cui i giovani hanno bisogno è, prima di tutto, conoscere la storia, l’arte e le lingue della loro civiltà. L u ­ ciano Canfora, uno di loro, lo ha ben spiegato nel processo. Q ueste m aterie sono un requisito indispensabile per dare ai giovani quella form azione mentale, quel m etodo e quei valori senza i quali non potranno essere buoni cittadini e nemmeno dedicarsi, in seguito, a studi scientifici e alle lingue vive se proprio vorranno farlo. Con le conoscenze storico­ um anistiche si può fare tutto, ma non è vero il converso per quelle scientifiche. Adriano Olivetti è stato citato ad esempio perché cerca­ va solo ingegneri che avessero studiato a fondo le m aterie classiche. A nulla è valso far notare che l ’azienda O livetti non esiste più, dopo aver trascinato nel baratro l ’intero settore hi-tech nel nostro paese, m entre Apple e M icrosoft sono ancora lì, sebbene Steve Jo b s e Bill G ates non abbia­ no, credo, frequentato il liceo classico. O ppure suggerire che i linguaggi cifrati dei nazisti siano stati decrittati grazie al lavoro determ inante del m atem atico Alan Turing, più

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che degli altri esperti linguisti assunti dai servizi segreti britannici. N eppure hanno convinto le prove portate dall’accusa riguardo alla peggiore performance degli studenti del classico che tentano il test di m edicina a Bologna. O ppure il dato secondo cui gli studenti del classico che fanno domanda per la classe di scienze della Scuola N orm ale di Pisa passano l ’esame con frequenza m olto inferiore a quella dei candidati dello scientifico. E questo nonostante l ’IST A T m ostri che i primi hanno fam iglie più avvantaggiate econom icam ente e culturalmente. L a C orte, sorprendentem ente, ha ritenuto che l ’evidenza statistica e i num eri non siano fatti rilevanti per il giudizio. Vediamo nei dettagli quali erano le stati­ stiche e i num eri che la C orte non ha voluto prendere in considerazione.

1.

I capi d'accusa

Nella sua arringa, l ’accusa si proponeva di presentare dati e testimonianze per conseguire tre obiettivi. In prim o luogo, sfatare il m ito secondo cui il liceo classico prepara meglio del liceo scientifico ad affrontare studi universitari in m ate­ rie scientifiche. In secondo luogo, denunciare u n ’iniquità: ossia che il liceo classico ha contribuito a ridurre la m obilità sociale e a favorire i figli delle famiglie culturalm ente ed econom icam ente avvantaggiate. In terzo luogo, evidenziare il rischio che gli studenti del liceo classico non ricevano strumenti analitici adeguati per affrontare i problem i di una società m oderna e per sfruttare pienam ente le opportunità che essa offre. D a questi obiettivi derivano tre capi d’accusa. 1. Inganno: il liceo classico inganna gli studenti che lo scelgono sperando in questo m odo di acquisire strumenti migliori per avere successo nelle professioni scientifiche. 2. Iniquità: il liceo classico è figlio di G entile e della co ­ siddetta «più fascista delle riform e». Una riform a che aveva uno scopo m olto chiaro e iniquo: creare una scuola d’élite che fosse in grado di ridurre la m obilità sociale e di impedire alle classi svantaggiate l ’accesso alle posizioni dominanti.

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3. Inefficienza: chi intraprende studi esclusivam ente um anistici (soprattutto lingue m orte) rischia di avere una cognizione parziale, e quindi distorta, della realtà e di non avere strum enti adeguati p er affrontarla. Idem , all’opposto, chi intraprende studi esclusivamente scientifici o tecnici. P er crescere, il paese ha bisogno di scuole à la carte, non a menu fisso.

Inganno. Siamo rimasti l ’unico paese al m ondo in cui l’élite degli studenti dedica il massimo delle energie a studiare latino e greco (senza peraltro imparare a dialogare in queste lingue), invece di m aterie tecnico-scientifiche e lingue vive. Si sente spesso dire che questo non è un problem a perché i diplom ati del classico non hanno difficoltà a laurearsi in m aterie scientifiche e anzi sono i migliori anche in questo tipo di studi: il liceo classico, si dice, apre tutte le porte, m entre lo scien tifico offre un ventaglio più ristretto di opportunità. È vera questa affermazione dal punto di vista statistico o è solo basata su aneddoti?

Tab.1. Ammissione alla Scuola Normale di Pisa

Candidati - classico - scientifico - altro

Ammessi orale - classico - scientifico - altro

Vincitori - classico - scientifico - altro

2012-13

2013-14

2014-15

Lettere Scienze

Lettere Scienze

Lettere Scienze

399 297 88 14

547 59 451 37

340 255 72 13

619 81 483 55

368 267 82 19

470 65 400 45

48 37 9 2

47 1 45 1

40 35 5 0

44 1 41 2

45 38 4 3

50 3 41 6

27 22 4 1

30 1 28 1

27 24 3 0

30 0 29 1

29 26 2 1

32 3 25 4

Fonte·. Dati fomiti a Stefano Marmi, testimone per l’accusa, dalla segreteria della Scuola Normale di Pisa. Nella testimonianza scritta di Stefano Marmi, in questo stesso volume, è ora possibile trovare una versione aggiornata e ampliata di questa tabella che conferma in modo ancor più solido quanto sostenuto dall’accusa al processo sulla base dei soli dati 2012-2015, allora disponibili.

63

I dati sulle amm issioni alla Scuola N orm ale di Pisa, illustrati nella tabella 1, dovrebbero indurre a sospettare che l ’afferm azione non sia vera. Q ualche porta im portante, com e quella che consente l ’ingresso alla classe di scienze della N orm ale, rimane sensibilm ente m eno aperta per gli studenti che provengono dal liceo classico. Ad esem pio, nel 2013 i candidati per la classe di scienze erano 5 4 7 m entre quelli per la classe di lettere erano 3 99. Tra i 5 9 candidati per la classe di scienze provenienti dal classico uno solo è risultato vincitore (1 ,7 % ) m entre fra i 451 candidati per la stessa classe provenienti dallo scientifico i vincitori sono stati 2 8 (6 ,2 % ). In altre parole, la probabilità di entrare nella classe di scienze della N orm ale è 3 ,6 volte più alta per chi proviene dallo scientifico rispetto a chi proviene dal classico. Per quel che riguarda la classe di lettere, tra i 297 candidati provenienti dal classico 22 sono risultati vincitori (7 ,4 % ) m entre tra gli 88 candidati provenienti dallo scienti­ fico ne sono risultati vincitori 4 (4 ,5 % ). N el caso della classe di lettere, quindi, la probabilità di entrare per chi viene dal classico è solo 1,6 volte superiore a quella di chi viene dallo scientifico. Il quadro che emerge dagli altri anni illustrati nella tabella è simile e indica quanto sia inesatto affermare che il liceo classico apre tutte le porte m entre il liceo scien­ tifico ne chiude qualcuna. Al contrario, lo svantaggio degli studenti del classico che cercano di entrare nella classe di scienze è m olto più m arcato dello svantaggio degli studenti dello scientifico che vogliano entrare nella classe di lettere. Un altro esempio di quanto sia ingannevole l’affermazio­ ne secondo cui il liceo classico apre tutte le porte al contrario del liceo scientifico è offerto dall’analisi dei dati relativi ai test di ammissione agli studi universitari in area medica. N on essendo disponibili inform azioni individualizzate sui test a livello nazionale, ho potuto accedere solo ai dati riguardanti circa 10.000 studenti che hanno tentato il test di m edicina all’Università di Bologna tra il 2 0 0 5 e il 2012. Nulla però induce a pensare che quanto em erge dall’analisi di questi dati non abbia validità generale. Tra gli studenti considerati, circa 8.000 hanno frequentato il classico e lo scientifico m entre i rim anenti provengono

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T

ab.

2. Gli studenti che tentano il test di medicina a Bologna, per scuola di provenienza

Anno

Classico

Scientifico

Altri licei

Tecnico

Profess.

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

188 195 253 260 317 363 343 295

510 565 630 622 757 896 928 865

40 68 75 73 91 86 144 114

45 46 69 55 64 72 90 62

5 16 14 16 19 20 21 16

194 181 27 32 51 58 59 58

982 1.071 1.068 1.058 1.299 1.495 1.585 1.410

2.214

5.773

691

503

127

660

9.968

Totale

Altro Totale

Fonte: Dati forniti dalla segreteria dell’Università di Bologna.

T ab. 3.

Voto di maturità degli studenti dei licei bolognesi che tentano il test di medicina a Bologna, rispetto alle scuole di origine Classico

Scientifico

Differenza tra voto di maturità individuale e voto di maturità medio nella scuola di origine

+ 0,46

-0 ,0 9

Differenza tra voto di maturità individuale e voto di maturità mediano nella scuola di origine

+ 1,04

+ 0,25

Nota: Gli studenti considerati in questa tabella sono 495 del classico e 1.212 dello scientifico. Fonte: Dati forniti dalla segreteria dell’Università di Bologna.

da altre scuole superiori (vedi tab. 2 ). Va osservato, innan­ zitutto, che quelli provenienti dal classico partono con un enorm e vantaggio. Consideriam o ad esempio i circa 1.700 studenti dei licei bolognesi che tentano il test e per i quali possiamo osservare l ’intera distribuzione dei voti di maturità nelle scuole di provenienza (cosa che non possiamo fare per gli altri, in m ancanza di dati adeguati a livello nazionale). L a tabella 3 m ostra che quelli del classico che vorrebbero diventare m edici hanno un voto di maturità maggiore di 0,46 punti rispetto al voto m edio della loro scuola e di 1,04 punti rispetto al voto mediano. Le cifre analoghe per quelli provenienti dallo scientifico sono —0,09 e + 0 ,2 5 . Q uindi m entre gli studenti del classico che vogliono studiare m e­ dicina sono m ediam ente tra i più bravi nelle loro scuole,

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T ab. 4.

Background familiare degli studenti del classico e dello scientifico nell'in­ dagine nazionale ISTAT sui laureati del 2001 Classico

T ab. 6.

Differenze di punteggio tra gli studenti dei licei classici e scientifici della sola città di Bologna e che hanno fatto domanda per studiare medicina a Bo­ logna, nell’esame di maturità e nelle diverse componenti del test d’ingresso

Scientifico Chimica

Fisica

Totale

Differenza classico meno scientifico

0,18 (0,66)

1,49* (0,27)

0,39 (0,20)

-0 ,2 2 (0,17)

-1 ,4 3 * (0,14)

0,23 (0,60)

Osservazioni

1.706

1.707

1.707

1.707

1.707

1.707

Maturità

Percentuale di studenti -

il cui padre ha un titolo universitario la cui madre ha un titolo universitario il cui padre ha un’occupazione privilegiata la cui madre ha un’occupazione privilegiata

Osservazioni

32 27 66 45

23 19 57 38

1.379

1.556

Cultura Biologia

Nota: Errori standard in parentesi; * indica l’effetto significativo al 5% . Fonte: Dati forniti dalla segreteria dell’Università di Bologna.

Nota·. Occupazione privilegiata = dirigenti, quadri, imprenditori, profes­ sionisti. Fonte: ISTAT.

quelli dello scientifico con lo stesso desiderio sono studenti con capacità simili a quelle m edie dei loro compagni. Inoltre, Pindagine nazionale dell’ISTA T sui laureati del 2001, illustrata nella tabella 4 , dice che, in generale, gli studenti del classico hanno un background fam iliare più favorevole di quello degli studenti dello scientifico, perché i loro genitori sono m ediam ente più istruiti e hanno o ccu ­ pazioni privilegiate (ossia dirigenti, quadri, im prenditori e professionisti). E ragionevole supporre che questi numeri, che si riferiscono all’intero paese, valgano in buona appros­ simazione anche per Bologna. G razie a questo considerevole vantaggio fam iliare e alla formazione um anistica ottenuta nei cinque anni di scuola superiore, gli studenti del classico che vorrebbero studiare

T

ab.

5.

Differenze di punteggio tra gli studenti dei licei classici e scientifici che hanno fatto domanda per studiare medicina a Bologna, nell’esame di maturità e nelle diverse componenti del test di ingresso Maturità

Cultura Biologia

Chimica

Fisica

Totale

Differenza classico meno scientifico

0,85* (0,31)

1,52* (0,13)

-0 ,0 4 (0,09)

-0 ,5 1 * (0,08)

-1 ,1 8 * (0,06)

-0 ,2 1 (0,27)

Osservazioni

7.332

7.987

7.987

7.987

7.987

7.987

Nota: Errori standard in parentesi; * indica l’effetto significativo al 5% . Fonte: Dati forniti dalla segreteria dell’Università di Bologna.

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m edicina a Bologna hanno mediamente un voto di m aturità di 0,85 punti superiore a quello degli studenti dello scientifi­ co nella stessa condizione e conseguono 1,52 punti in più alla prova di cultura generale del test di ingresso (vedi tab. 5). L a preparazione umanistica, però, nonostante il vantaggio familiare, non consente agli studenti del classico di fare meglio di quelli dello scientifico nelle prove di chim ica e fisica. In queste due prove, fondamentali per Γ ammissione, il loro punteggio è rispettivamente inferiore di 0,51 e 1,18 unità (vedi ancora tab. 5). L e differenze sopra illustrate, oltre ad essere statisticamente significative, sono calcolate a parità di sesso, provincia di nascita e anno di diploma. La tabella 6 migliora ulterior­ m ente la qualità del confronto ripetendolo per i soli studenti provenienti dai licei bolognesi (e sempre a parità di sesso e anno di diploma). Tra questi studenti, com e era lecito attendersi, quelli provenienti dal classico fanno meglio di quelli dello scientifico nella prova di cultura generale (1,49 unità) ma la loro perform ance nel test di fisica continua a rim anere peggiore (-1 ,4 3 unità). Anche per quel che riguarda le probabilità di ammissione agli studi universitari in area medica, quindi, è evidente che la preparazione umanistica offerta dal liceo classico non apre in modo uguale tutte le porte e in particolare non apre in m odo adeguato le porte che conducono a professioni in cam po scientifico. N on sorprende quindi che, una volta superato il test di ammissione, gli studenti del classico non abbiano una perform ance migliore di quelli dello scientifico,

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com e illustrato nella tabella 7. E a chi volesse obiettare che i test standardizzati non m isurano nulla di significativo, m e­ rita considerare la figura 1, dalla quale si desume una forte correlazione tra risultato nel test e perform ance nei primi due anni di studi universitari in term ini di crediti e voti. T

ab.

7.

Differenze nella performance universitaria in termini di voti e crediti, tra gli ammessi a studiare medicina a Bologna provenienti dal classico e dallo scientifico Media I anno

Crediti Media Crediti Indice Indice I anno II anno II anno I anno II anno

Differenza classico meno scientifico

-0 ,0 9 (0,05)

-0 ,0 6 (0,05)

-0 ,0 2 (0,06)

-0 ,0 4 (0,05)

-0 ,1 5 (0,08)

-0 ,0 8 (0,09)

Osservazioni

1.921

1.949

1.606

1.669

1.921

1.606

Fonte: Dati forniti dalla segreteria dell’Università di Bologna. Primo anno

Punteggio all’esame di ammissione

Secondo anno

Punteggio all’esame di ammissione

Fio. 1. Indice medio di performance (in termini di crediti e voti) degli studenti ammessi a studiare medicina a Bologna, in funzione del punteggio del test di ammissione. Nota: La linea tratteggiata e la linea continua più scura delimitano gli intervalli di confidenza al 95% . Fonte: Dati forniti dalla segreteria dell’Università di Bologna.

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L’inganno quindi è evidente: se agli studenti del classico interessati a materie scientifiche fosse permesso di modulare meglio il m ix di conoscenze acquisite, non sarebbero danneg­ giati nella com petizione con i loro coetanei dello scientifico. Su com e offrire questa possibilità di rimodulazione, tornerò nel paragrafo intitolato Inefficienza.

Iniquità. Nessuno, credo, può contestare il fatto che la riforma G entile avesse, tra gli altri, uno scopo m olto chiaro e iniquo: quello di creare una scuola d’élite che fosse in grado di ridurre la m obilità sociale e di im pedire alle classi svantaggiate l ’accesso alle posizioni dominanti. I dati illustrati nel paragrafo sul vantaggio familiare dei laureati italiani provenienti dal classico (vedi, in particolare, tab. 4) costitu i­ scono una conferm a evidente del ruolo di questo liceo com e scuola per i figli delle famiglie benestanti e meglio istruite, ossia quelle che maggiormente appoggiavano il fascism o e alle quali il fascismo offriva la possibilità incontestata di essere classe dirigente. Il risultato di questa riforma è paradossale se si con ­ frontano i dati sulla m obilità intergenerazionale in Italia e negli Stati Uniti, tenendo presente che nel prim o di questi due paesi il sistema scolastico è quasi interam ente pubblico m entre nel secondo è quasi interam ente privato1. Negli Stati Uniti il rapporto tra la probabilità di laurearsi e la probabilità di non laurearsi è 6 volte più alto avendo un padre laureato piuttosto che non laureato. In Italia l ’analogo rapporto è 24 volte più alto. Ossia, avere un padre laureato rende m olto più facile laurearsi in Italia che non negli Stati Uniti. N on solo, se fosse possibile scegliere tra avere un padre con la laurea oppure conseguire personalm ente la laurea al fine di aumentare il proprio benessere (definito in term ini di reddito superiore a quello mediano del proprio paese), negli

1 Inform azioni tratte dalla Indagine nazionale sulla mobilità sociale (Italia) e dal Panel Study o f Income Dynamics (USA), analizzati in D. C hecchi, A. Ichino e A. Rustichini, M ore Equal but Less Mobile: Education Financing and Intergenerational Mobility in Italy and thè USA, in «Journal o f P ublic Econom ics», 74, 1999.

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Stati U niti sarebbe meglio scegliere di laurearsi senza p reoc­ cuparsi degli studi fatti dai genitori, m entre in Italia sarebbe decisam ente meglio scegliere dei genitori laureati invece che fare la fatica necessaria per conseguire la propria laurea. Q uindi, il sistema scolastico italiano offre opportunità meno eguali di quello am ericano e il liceo classico ha la sua dose di responsabilità nel fallim ento della scuola italiana com e ascensore sociale.

Inefficienza2. Se la preparazione um anistica offerta dal liceo classico fosse il requisito più efficace per consentire ai giovani m aggiorm ente dotati di segnalare le loro capacità e di accedere alle occupazioni ad essi più adatte, com e mai nessun altro paese al m ondo investe su questo tipo di scuola per ottenere un simile risultato? Com e mai, fatto che ancor più dovrebbe far riflettere, paesi quali la Francia, la G e r­ mania e il Regno U nito, che in passato seguivano l ’esempio italiano, ormai lo hanno abbandonato? Q uesti paesi sono progressivamente passati da u n’offerta form ativa costituita da pacchetti di m aterie (umanistiche, scientifiche, tecniche) che lo studente deve accettare per intero, com e in un ristorante a menu fisso, ad un’offerta formativa flessibile e modulare che consente scelte à la carte m ediante le quali gli studenti possono costruire gradual­ m ente, con il consiglio dei docenti, il loro m ix preferito di studi. Q uesto sistema offre ai giovani un m odo m olto più efficiente per acquisire le conoscenze da cui sono m ag­ giorm ente attratti e per fare quello che preferiscono nella loro vita adulta. N on serve a m olto forzare un ragazzo o una ragazza a scegliere tra pacchetti di m aterie a 14 anni senza dare loro la possibilità di rim odulare con gradualità le proprie scelte in corso d ’opera. N on sorprende, ma preoccupa, che a seguito di questa struttura della scuola italiana, gli studenti dei licei, in par­ ticolare quelli del classico, non conoscano le lingue vive, almeno altrettanto im portanti quanto il greco e il latino. 2 Su questo punto vedi anche le argomentazioni contenute nell’in­ tervento di Stefano Marmi.

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N on saper com u nicare perfettam en te in inglese è oggi un danno grave che i giovani italiani, i quali a mala pena balbettano questo fondam entale mezzo di com unicazione internazionale, pagano duramente nella com petizione con i loro coetanei di altri paesi. O ltre all’ignoranza linguistica, i nostri migliori studenti non sanno nulla di econom ia e diritto: l ’analfabetism o in queste materie contribuisce a rendere i cittadini italiani meno capaci di amministrare i loro risparmi, evitando truffe, e di interagire nei rapporti contrattuali necessari per vivere in una società moderna. Q uel che più preoccupa, tuttavia, riguardo alla capacità dei nostri giovani di com prendere e operare nella complessa realtà in cui vivono, è l ’allarme lanciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco riguardo al «grado evidente di an alfabetism o fun zionale» che caratterizza gli adulti italiani, ossia «una diffusa carenza di quelle com petenze - di lettura e com prensione, logiche e analitiche - che rispondono alle m oderne esigenze di vita e di lavoro». Q uesto allarme è stato lanciato dal governatore alla luce dei risultati dell’indagine P IA A C , resa pubblica dall’O C S E nell’autunno del 2013, che ha m isurato in m odo standardizzato le com petenze degli adulti (16-65 anni) in campo matematico3. Il 7 0 % circa degli adulti italiani, ad esem pio, non è in grado di utilizzare ed elaborare adeguatamente informazioni m atem atiche (contro il 5 2 % della media degli altri paesi). Si noti che trattandosi di adulti, quanto misurato da questa indagine non può essere l ’effetto dei tagli recenti alla spesa pubblica per la scuola. Serve quindi, urgentem ente, un nuovo equilibrio tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica in Italia. P ro ­ prio per questo motivo, l’accusa, da me rappresentata com e P u bblico M inistero, non aveva nessuna intenzione di negare im portanza alle conoscenze storico-um anistiche, ma solo di suggerire che quelle tecnico-scientifiche non siano meno im portanti e che non basti aver studiato la storia e la lingua dei greci e dei latini per poter scoprire la struttura elicoidale del D N A . I due m ondi non sono in una contrapposizione 3 Cfr. www.oecd.org/site/piaac/

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intrinseca. Se il tem po fosse dilatabile (com e per H erm ione nella saga di H arry P otter) potrem m o senza problem i im pa­ rare a leggere VO dissea in lingua originale per conoscere la culla della nostra civiltà, così com e studiare i m itocondri per conoscere l ’origine della vita su questo pianeta. Il tem po, però, non è dilatabile: le ore in una giornata sono lim itate. Così com e lim itate sono le risorse in term ini di spazi e di docenti, anche se potessim o, com e dovremmo, pagarli tanto per averne di davvero bravi. L’econom ia è la «scienza triste» perché una delle sue missioni è ricordare al m ondo che ci sono dei vincoli di bilancio: non si può avere la b otte piena e la m oglie ubriaca. P er questo motivo siamo costretti a fare delle scelte, a equilibrare esigenze opposte. E , sempre per lo stesso motivo, durante il processo ho proposto di offrire ai giovani scuole à la carte, non a menu fisso, che consentano a ciascuno studente di costruire gradualmente il proprio m ix ideale di conoscenze umanistiche, scientifiche e tecniche, com e oggi accade nei paesi più avanzati. La C orte, tuttavia, ha accolto la tesi contraria della difesa secondo cui avere tutto è perfettamente possibile (una visione et-et in contrapposizione alYaut-aut d ell’accusa, com e ha sostenuto Ivano D ionigi) e quindi non siamo condannati ad alcuna scelta im posta da limiti, fisici, di spazio e di tem po. 2

2.

Conclusioni

Rispetto, com e doveroso, le decisioni della C orte. Temo però che se continuerem o a cullarci nella «G rande Bellezza» delle nostre tradizioni, alla fine ci m ancheranno i soldi per com prarci gli antibiotici, gli antidolorifici, le m acchine non inquinanti, gli sm artphone e anche la tecnologia per la tutela del nostro meraviglioso patrim onio artistico. B en i che altri paesi avranno prodotto, com e m eschine form iche, ma che saranno disposti a vendere a noi, cicale erudite, solo se sare­ m o in grado di pagarle. P er non parlare del debito pubblico che già abbiam o e che sarà difficile restituire solo con le orazioni di Cicerone. Il quale, peraltro, credo ci ricorderebbe che onorare quel debito è in prim o luogo un dovere m orale.

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U

m berto

E

co

L E R A G IO N I D E L L A D IF E S A

Negli ultimi anni sono state tentate tante riform e degli studi e attivati tanti programmi sperimentali su cui ho scarse conoscenze. P ertanto mi atterrò a due m odelli ormai solo ideali di liceo classico e scientifico che sono quelli che ho conosciuto io sul finire degli anni Q uaranta. M a credo che fondam entalm ente pregi e difetti siano rimasti gli stessi, altrimenti non sarebbe venuta l ’idea di organizzare questo dibattito o dibattim ento, per cui chiedo venia se nella costru­ zione della mia arringa ho lavorato su Idealtypen piuttosto che su realtà in corso. C ’è una figura retorica che si chiama concessio e che consiste nel dar ragione all’inizio all’avversario, per poi contraddirlo. E questo faccio volentieri perché il mio o n o ­ revole avversario ha alcune ragioni che realmente condivido. Il liceo classico, così com e l ’ho seguito io, era nato dalla riform a G en tile e G entile era un idealista che aveva poca fiducia nelle scienze e riteneva che una classe dirigente d o­ vesse avere una cultura em inentem ente umanistica. P erciò il liceo classico ha m eno ore di materie scientifiche del liceo scientifico, riservato da G entile a una classe non dirigente ma esecutiva. E il classico era talm ente im portante che con una m aturità classica si poteva anche iscriversi a ingegneria, m entre con una m aturità scientifica era im pedito l ’accesso a facoltà nobili com e quella di filosofia, e per un lungo periodo a giurisprudenza, per non parlare della filologia greca. N on essendo dedicato a professionisti della pratica, il classico non aveva insegnamenti di lingue, salvo nei due anni di ginnasio. Infine, bizzarria apparentem ente inspiegabile, il classico dedicava pochissim o tem po alla storia dell’arte, forse perché né C roce né G entile, le due autorità nel campo dell’estetica, avevano dimestichezza con le arti visive. Se poi si considera che il m io manuale, il Pittaluga, non poteva

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avere che fotografie abbastanza sbiadite in bianco e nero, si capisce perché di tutta la storia dell’arte im partitam i al classico io abbia ritenuto solo osservazioni sull’eleganza del panneggio. N iente sul colore e sulle m aterie tecniche artisti­ ch e impiegate. E forse a questo si deve se la classe dirigente italiana ha permesso che il paese con il maggior numero di opere d’arte sia precipitato a livelli assai bassi di turismo: perché non ha saputo o voluto sfruttare adeguatamente il suo patrim onio artistico. E non parlo dell’attenzione, all’i­ nizio nulla e com unque scarsa, dedicata alla musica e alla cultura m usicale in genere. Com e si guadagnerebbero spazio e tem po per le scien­ ze, le lingue e, se volete, l ’arte, che oggi si può studiare su splendide riproduzioni disponibili on lin ei Riducendo per esem pio alcune ore di latino. I m aturandi dei miei tem pi uscivano dal classico senza essere capaci, in genere, di leggere O razio a prim a vista, e talora neppure un’epigrafe su un m onum ento antico, per non dire una enciclica. C ’è dunque qualcosa che non va nel m odo in cui il latino viene insegnato. P er esem pio si fanno esercizi certo indispensabili sui grandi autori della latinità, m a non si prova mai a dialo­ gare in un latino elem entare, com e facevano i dotti europei sino a pochissim o tem po fa. E maturando classico non deve necessariamente diventare latinista (a questo ci pensa l ’università), ma deve essere in grado di capire che cosa è stata la civiltà romana, identificare le etimologie, capire le radici latine (e greche) di m olti ter­ m ini scientifici; e questo lo si può ottenere evitando esercizi faticosi sui classici e magari abituandosi a leggere il latino ecclesiastico e medievale, m olto più facile e familiare. E , introducendo insegnam enti di alm eno una lingua straniera, si potrebbe m ostrare - faccio due esempi - com e e perché la lingua inglese ha, accanto ai term ini anglosassoni, tanti term ini di origine latina, o le differenze tra la sintassi del latino e la sintassi tedesca. H o conosciuto in una università am ericana una ragazza del Texas, nera (il particolare è im portante perché gli afroamericani continuano ad avere m eno possibilità di accedere a studi superiori). Siccom e voleva occuparsi di storia dell’arte

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aveva deciso di studiare l ’italiano (e lo parlava ormai ab b a­ stanza bene) e per sovramercato aveva deciso di seguire un corso rapido di latino. N on so com e fosse il corso, ma sta di fatto che dopo non m olti mesi sapeva più o m eno quello che sa un ragazzo della nostra vecchia terza media. Q uindi ci deve essere un m odo di insegnare un poco di latino a chi non ha deciso di diventare latinista. L o stesso si dica del greco. U n mio nipotino che studia ora il greco si entusiasma modestamente alla grammatica ed è però entusiasta del m odo in cui il suo professore passa dalla grammatica alla civiltà greca. E imparando che cosa accadeva n ell’agorà sarà incoraggiato anche a scoprire i m isteri dell’aoristo. P erch é impegnare lo studente sul greco om erico, ostico anche per gli specializzati, e non incoraggiarlo a fare tradu­ zioni sul greco della koin é, sui libri naturali di A ristotele o su altri autori ellenistici, lavorando sul greco che parlava anche C icerone e che ha circolato nel bacino del M editer­ raneo sino alla dissoluzione dell’im pero rom ano? Una volta riconosciute le mende dell’educazione classica (anche se uno studio delle varie riform e successive potrebbe ritenerle in parte attenuate), perm ettetem i ora di dimostrare com e essa sia fondam entale non solo per chi all’università vorrà occuparsi di filologia greca o di filosofia, ma anche per chi si dedichi a studi scientifici. Vorrei citare due episodi. N el 1843 il generale inglese Sir Charles N apier fu m andato in India per reprim ere una rivolta nella regione del Sind. Q uando eb be vinto, inviò al quartier generale di Londra un dispaccio che diceva « P e c ­ cavi». Al quartier generale furono pronti a tradurlo com e « I have sinned» - frase che pronunciata suonava com e « I have Sind». Q uesto significa che gli ufficiali dell’esercito che aveva sconfitto N apoleone e aveva conquistato un immenso im pero, evidentemente com petenti in artiglieria, strategia e altre tecnicalità, avevano però una profonda cultura um ani­ stica - ed è lecito chiederci se questa cultura non li avesse resi capaci, in parte, dei loro successi militari. A ltro esempio. Spostiam oci da Londra a Ivrea negli anni Cinquanta e Sessanta. Q uando Adriano O livetti, proprio

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m entre passava dalla produzione di m acchine da scrivere a quella dei com puter, assumeva ovviamente ingegneri e i primi geni d ell’inform atica. Q uesti ingegneri, dopo aver costruito il prim o com puter, l ’E lea (e il nom e, credo, era stato inventato da un poeta, Franco Fortini), avevano perso, racconta la leggenda, non so se settim ane o m esi per far sì che l ’Elea suonasse le note de II p on te sul fiu m e Kw ai: se­ gno che avevano una certa fantasia umanistica. M a O livetti faceva di più: assumeva anche brillanti laureati in materie umanistiche (che magari avevano fatto una tesi su Senofonte, ma da centodieci e lode), li mandava sei mesi a lavorare in fabbrica perché capissero che cos’era un’industria, e poi li immetteva in qualche attività aziendale. Specie pensando alla nascente inform atica O livetti aveva capito che sono indispensabili gli ingegneri per concepire l ’hardware, ma che per inventare il software occorreva una m ente educata sulle avventure della creatività, esercitatasi su letteratura e filosofia. Appena ho avuto in m ano un personal com puter (credo fosse ΓΜ 20, con il sistema operativo P icos, e solo dopo col D O S ) m i sono divertito a program m are in basic, che ho im parato in pochi giorni, un sistema per produrre tutti i sillogismi classici (Barbara, Celarent, D arii, F erio ecc.). E questo l ’ho potuto fare perché, trovandom i davanti a istruzioni com e «if... then», mi ricordavo della logica stoica («se... allora») e avevo studiato il sillogism o aristotelico. U na volta, m olti anni dopo, qualcuno dell’O livetti mi ha m ostrato com e si poteva far fare al com puter dei link ipertestuali e delle ricerche incrociate, ma non sapevano cosa m ettere dentro a quella m acchina prodigiosa. H o radunato cinque laureati in m aterie filosofiche che hanno costruito un software bellissimo per Cd-Rom , sulla storia delle civiltà, arti e scienze com prese. Penso che quello che è m ancato in tutte queste statistiche illustrate stam ane è il calcolo del numero dei giovani che hanno inventato un nuovo m estiere, e quanti di questi startupper sono usciti dal classico. N on dico che gli inform atici che pensano all’intertestualità debbano aver letto i form alisti russi o B achtin, ma hanno assorbito per via indiretta m olte di queste ricerche sulla testualità.

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Ma non penso solo all’inform atica. Com e si può p en ­ sare alla difesa del pianeta senza avere alle spalle nozioni sulla storia della Terra, sulla vicenda di tante inondazioni storiche, sulla m orte dei dinosauri, per non dire nozioni di etica? Q uando H itler ha deciso di invadere la Russia aveva presenti i risultati della storiografia sull’invasione napoleo­ nica? C ertam ente no, altrim enti avrebbe saputo che, per quanto la guerra fosse lam po, prima di arrivare a M osca avrebbe dovuto fare i conti con l ’inverno. E quando Bush ha deciso di invadere l’Afghanistan aveva letto la letteratura storica sul G rande G io co e sul modo in cui n ell’O ttocen to sia i russi che gli inglesi non avevano e non avrebbero mai potuto conquistare quel paese a causa della sua orografia e delle sue divisioni tribali? Avere un’educazione classica significa anche saper fare i conti con la storia e con la memoria. L a tecnologia sa vivere solo nel presente e dim entica sempre più la dimensione storica. Q uello che ci racconta Tucidide sulla vicenda degli Ateniesi e dei M eli serve ancora a capire m olte vicende della politica contem poranea. D ’altra parte i grandi scienziati - penso a Einstein o a H eisenberg - avevano una solida cultura filosofica alle spalle, e per sapere se si ha o no a che fare con un D io che gioca a dadi, bisogna non solo conoscere la fisica ma anche, persino, la teologia, o almeno i grandi dibattiti che hanno affannato la cultura occidentale per più di duemila anni. E vorrei ricordare lo scom parso ex rettore di Bologna, P ier U go Calzolari, che per qualche anno avevamo invitato a tenere corsi di inform atica per la laurea in scienze della com unicazione, e rendeva i suoi concetti accessibili con esempi tratti dalla poesia, collegando m irabilm ente D ante alla flou ) chart. C ertam ente un genio della fisica può farsi una cultura umanistica da solo, leggendo m olti libri, ma questa sarebbe una soluzione aristocratica. Chi può dare le informazioni giuste non al grande genio ma al modesto manovale della fisica? Com e accade oggi negli Stati Uniti e sta accadendo sempre più nel m ondo, ne nascono sacche di iperspecializzazione, dove l ’esperto di malattie rare non sa più curare

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un raffreddore e ha dim enticato la visione globale del corpo umano che ci aveva insegnato Vesalio. P ertan to una buona educazione classica è fondam entale per rendere inventivo e fecondo anche l ’universo della ricerca scientifica e te c ­ nologica. Riform iam o dunque, ma conserviamo il liceo classico perché consente di immaginare quello che non è stato ancora immaginato; e questo distingue il grande architetto dal più m odesto dei geom etri. Al quale peraltro una riflessione su Euclide p otreb b e rendere la sua attività più appassionante e creativa. Penso a un liceo um anistico-scientifico dove bisognerà sì insegnare il teorem a di Pitagora, ma anche le idee di Pitagora sulla teoria delle sfere e il suo terrore dell’infinito.

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N O N S I P O S S O N O IG N O R A R E L E S T A T IS T IC H E

H o iniziato la mia testim onianza come accusatore del liceo classico con una enorm e stronzata. H o com inciato infatti ricordando che all’ingresso della Scuola di Platone stava scritto: «N on entri qui chi ignora la geometria». N el dirlo, avrei dovuto ricordarm i di un altro principio fondam entale della ricerca, scientifica o umanistica che sia: «N on fare citazioni se non sei assolutam ente sicuro delle fonti». Tale frase, infatti, viene orm ai tradizionalm ente riportata in m olti validissimi testi di storia della cultura m atem atica1; purtuttavia, un altro dei testim oni, Luciano Canfora, ha fatto notare in seguito che essa è in realtà un falso storico, instauratosi nella tradizione ad opera dei neoplatonici. N on sono, com unque, l ’unico che si è m acchiato di tale peccato, veniale o terrificante che sia. In questa breve esposizione del mio intervento, tenterò di spiegare perché. Q uello che oggi chiamiamo «liceo classico» in molti casi, la stragrande maggioranza, è in realtà un liceo umanistico. L a cultura classica greca non è fatta solo di O m ero, Eschilo ed Euripide, ma anche di Pitagora, Euclide ed Eratostene. E i filosofi greci non si occupavano solo dell’uomo: A ri­ stotele e Platone si interessavano di fisica, di geometria e di matematica. U no dei pilastri del pensiero umano, la dimostrazione m atematica, nasce proprio nel periodo classico. La prim a dimostrazione che conosciamo è quella della quadratura della lunula di Ippocrate; non il noto m edico, un altro Ippocrate, e non un teorema notissim o a sua volta. M olto più noto è il suo successore, quello che m olti di noi incontrano com e primo teorem a della loro esistenza: il teorem a di Pitagora. 1 W. Dunham, Viaggio attraverso il genio, Bologna, Zanichelli, 1990; M. Kline, ha matematica nella cultura occidentale, M ilano, Feltrinelli, 1981.

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Q uesto teorem a, che tutti noi alle medie abbiam o im pa­ rato a odiare, non si chiama così perché Pitagora è stato il prim o omino sulla faccia della terra ad avere congetturato o scoperto che la somma dei quadrati costruiti sui due cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa. Tale curiosa uguaglianza era nota anche agli antichi egizi, i quali per costruire angoli retti usavano la seguente procedura: anno­ dati insieme dodici tratti di corda in un anello, stendevano sul terreno cinque tratti consecutivi (quella che Pitagora avrebbe chiam ato ipotenusa), fissando a terra gli estremi, dopodiché tiravano il resto della corda prendendolo nel nodo che distava tre tratti di corda da uno dei punti fissa­ ti. Si formava così un triangolo con i lati di tre, quattro e cinque pezzi di corda rispettivam ente: facendo il quadrato dei tre numeri, si può trovare facilm ente che esso rispetta le nostre pitagoriche aspettative. G li egiziani non conoscevano l ’astrazione, e non conoscevano nem m eno la dim ostrazione: tu tt’al più, quando si parla di m atem atica egiziana, si può parlare di ricette, com e quella che fornisce il m etodo per calcolare il volume di un tronco di piramide: Se ti viene detto: c’è una piramide tronca che ha 6 per altezza verticale, 4 per la base e 2 per la cima. Fai il quadrato di questo 4, risultato 16. Raddoppia 4, risultato 8. Fai il quadrato di 2, risultato 4. Addiziona il 16, Γ8 e il 4, risultato 28. Poi prendi un terzo di 6, risultato 2. Allora fai 2 volte 28, risultato 56. Ecco, è 56. Vedrai che il risultato è giusto. A l di là della presenza di m isure specifiche, e non di variabili, c ’è il fatto che m anca com pletam ente qualsiasi indicazione sul perché questo sistema fornisce la risposta corretta. Al posto del ragionam ento, c ’è un laco n ico e definitivo «Vedrai che il risultato è giusto»; che, vista la facilità con cui i sacerdoti egiziani condannavano a m orte chi li contraddiceva, toglieva ogni voglia di ragionarci sopra. L a grande conquista di Pitagora è la dim ostrazione: il mostrare, con un procedim ento verificabile, per quale m oti­ vo qualunque triangolo rettangolo soddisfa tale severissima e austera relazione. E un principio di causalità: la somma

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dei quadrati costruiti sui due cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa p er questo motivo. L a dim ostrazione m atem atica dà al teorem a la sua immortalità: abbiam o costruito un oggetto di pensiero in ­ distruttibile, indubitabile, eterno. Se non si sa dimostrare un teorema, si è costretti a credere per fede a questo oggetto del pensiero, con un atteggiamento religioso più adatto agli antichi egizi che al mondo classico. E se non si conosce il concetto di dim o­ strazione si possono tu tt’al più usare gli oggetti di pensiero come se fossero utensili, ma non si è in grado di costruirne di nuovi; non siamo H om o sapiens e nem m eno H om o fa b e r , ma al massimo H om o ITIS. La cultura non è cultura umanistica o cultura scien­ tifica: è cultura, punto e basta. E la capacità di costruire oggetti astratti, in term ini sia verbali sia m atem atici, e di tramandarli ai posteri. In uno degli interventi a difesa del liceo classico, ho sentito un testim one dire che la scuola non serve a form are un cittadino com petente, ma serve a form are un cittadino responsabile. Sono com pletam ente d ’accordo, però mi chiedo: quali conoscenze servono per essere un cittadino responsabile? P er esem pio, sapere qual è il m odo m igliore per curarsi, saper scegliere le corrette cure m ediche per sé e per i p ro ­ pri cari, è indice di responsabilità? Votare correttam ente, saper esercitare i propri diritti civili con adeguata certezza di quello che si sta facendo, è indice di responsabilità? P er esercitare correttam ente entram be queste scelte, bisogna saper leggere le statistiche: cosa che la maggior parte degli esseri umani non sa fare. Un esem pio? Q ualche anno fa il sindaco di New York, Rudolph Giuliani, per pubblicizzare lo screening dell’antigene prostato specifico - una tecnica che permette una diagnosi precoce del cancro alla prostata - disse le seguenti parole: «C inque o sei anni fa ho avuto il cancro alla prostata. La mia probabilità di sopravvivere al cancro alla prostata negli Stati U niti - e grazie a D io mi hanno guarito - era dell’8 9 % . Q uella di sopravvivere in Inghilterra? Solo il 4 4 % , con la m edicina socializzata».

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I dati num erici sono correttissim i. Purtroppo, danno una visione piuttosto distorta della realtà: la diagnosi precoce non perm ette di curare m eglio il cancro, ma solo di venirlo a sapere prim a. E la guarigione dal cancro non può essere mai asserita in via definitiva. Q uello che si fa, in m edicina, è contare la probabilità che una persona sia ancora viva a cinque anni dalla diagnosi. Prendiam o una persona a caso, che a 55 anni sviluppa la prima cellula della malattia: malattia che supponiamo incurabile, e che nel giro di quindici anni lo porterà alla tom ba. A 7 0 anni, quindi, il nostro uomo muore. Se avesse fatto il test PSA , che com e tipo di diagnosi è m olto p recoce, avrebbe scoperto di essere m alato intorno ai 6 0 anni: avendo ancora dieci anni di vita davanti, la p ro ­ babilità di sopravvivere a cinque anni dalla diagnosi è del 1 0 0 % . Se invece la diagnosi fosse stata eseguita attraverso i sintomi, e conferm ata con il test classico (il caro vecchio dito nel sedere) si sarebbe rivelata intorno ai 67 anni: ma, noi sappiamo, il nostro uom o m orirà tre anni dopo. La sua probabilità di sopravvivere, quindi, è dello 0 % . Eppure il decorso della m alattia è esattam ente lo stesso. Può essere definita responsabile una persona che fa afferm azioni com e quella di G iuliani? Afferm are la validità della sanità privata rispetto a quella pubblica sulla base della sua incapacità di leggere una statistica? E votarlo sulla base di questa affer­ mazione sarebbe da furbi, o da sprovveduti? L a libertà di pensiero consiste prima di tu tto nella cor­ retta com prensione di quello che ci sta intorno. Studiare solo le m aterie um anistiche, e trattare quelle scientifiche com e m eri tecnicism i, è un atteggiam ento non troppo dissimile da quello di una persona che decide di imparare solo le parole che contengono la prima m età d ell’alfabeto, e di ignorare le restanti. Risultato? Il nostro semistudioso capirà solo la metà delle frasi? Sbagliato. N e capirà m olto, m olto meno. Saper leggere i num eri nel contesto nel quale vengono calcolati ed utilizzati, nel m ondo in cui viviamo è fo n ­ damentale. L e inform azioni di cui abbiam o bisogno per prendere decisioni, oggi, ci vengono date attraverso numeri. Una storia, per quanto bella o agghiacciante sia, potrebbe essere solo un singolo cam pione, una fluttuazione casuale

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come una vincita al Totocalcio: una statistica, se fatta bene, può avere maggior significato di una storia. P er sapere se è fatta bene, bisogna sapere come viene fatta. Ma negare l ’importanza dei numeri com e enti che trasportano in for­ mazione è una presa di posizione di imbarazzante ottusità. Pure, nel corso del processo al liceo classico questa affer­ mazione è stata fatta. N el corso del processo è stato afferm ato che le decisioni giuridiche vanno prese «sulla base di fatti concreti e non di num eri». In poche parole, una decisione presa su u n ’i­ stituzione com e il liceo classico, che riguarda centinaia di migliaia di studenti, può essere fatta ignorando le statistiche. Cosa significa, che lo studio andrebbe fatto caso per caso? L a giustizia italiana non è già abbastanza lenta così com ’è? Q uando si giudica u n ’istituzione, un qualcosa che coin ­ volge centinaia di migliaia di persone, avere la presunzione di poterla giudicare ignorando le statistiche è un com por­ tam ento decisamente bislacco. Tale frase, forse pronunciata sovrappensiero, non com pare nel verbale disponibile in rete: forse per motivi di sintesi o forse perché ci si è resi conto in un secondo m om ento dell’assurda gravità di tale affermazione. V orrei sofferm arm i un m om en to sulle im plicazioni culturali di questa presa di posizione, le quali mi fanno letteralm ente rabbrividire. Sono infatti a m io avviso tali implicazioni, ovvero la supposta superiorità delle parole sui numeri, il retaggio preoccupante di un liceo classico fatto male. P reoccupante perché tali affermazioni vengono fatte con la protervia di chi le trova naturali e incontestabili: sintom o eloquente di quanto poco siano state ragionate. Un giudice di una C orte non è mai testim one di un fatto, dunque in un processo si giudica secondo la base di prove e testimonianze. Le testim onianze sono espresse m ediante sim boli (le lettere dell’alfabeto, le quali vanno a form are parole, le quali vanno a form are frasi e così via), in m odo tale che possano trasm ettere inform azione dalla sorgente (il testim one) al destinatario (la C orte). Q uello che mi preme qui sottolineare è il fatto che gran parte dell’analisi che in un giudizio si fa è frutto della ca­

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pacità di astrazione: la capacità di ricostruire significato dai sim boli astratti che ci vengono sottoposti. Significato che è tanto più incontestabile quanto m eno è ambiguo. Numeri e lettere, equazioni e frasi, esposizioni m atem ati­ che e racconti verbali so n o astrazio n i d e l n o stro c e r v e l l o . Entram be. Il problem a sta nell’estrarne un significato. L e parole e i num eri possono essere am bigui entrambi. Perch é mal esposti, o esposti in m odo truffaldino. O perché mal compresi. M a per essere in grado di capire l ’errore, è necessario conoscere bene l ’argomento di cui si parla, saperlo inquadrare e contestualizzare. D are alle parole, ai racconti di testim oni (che le neuroscienze ci inform ano essere sovente, e non sempre volontariam ente, inaffidabili), il valore di «fatti» e ai num eri nessun valore è sinceram ente assurdo. Spero con tutto il cervello, e con buona parte di fegato, che si sia verificata la seconda ipotesi. P erch é, se detta con sincera convinzione, c ’è un solo m odo per giudicare tale frase. P er sapere quale, basta andare all’inizio di questo intervento.

S t e fa n o M armi

L E C O S E C O M E S O N O . O L T R E L E D U E C U LTU R E

1.

Premessa

La mia partecipazione come testimone dell’accusa al p ro­ cesso al liceo classico è stata un’esperienza m olto istruttiva. M i ha infatti conferm ato quanto già sospettavo da tem po: ho la fortuna di vivere in un paese nel quale le cose sono molto più avanzate che altrove, e l ’annoso dibattito sulle due culture è definitivamente superato. N on ci sono due culture, ma c’è una sola cultura ed è la cultura classica, anzi la Cultura Classica. P er essere ancora più precisi, la Cultura è quella parte della classicità che si è deciso di enfatizzare, isolare dal resto e sacralizzare e che è più correttam ente descritta parlando di cultura umanistica. Infatti una larga parte della classicità è dedicata allo studio di geometria, aritm etica, astronomia, fisica, musica e altre form e di pensiero che non sono se non in minima parte illustrate nella form azione che oggi nei nostri licei si autoproclam a «classica». Al processo ho così scoperto l ’esistenza di un nuovo teorema: la cultura è una sola, ed è quella classica. S icco ­ me sono un m atem atico1, e i m atem atici si guadagnano da vivere facendo delle dimostrazioni, riporterò innanzitutto la dimostrazione che ho appreso in quella sede. La C ultu­ ra, com e l ’Essere di Parm enide, per sua natura, non può essere m olteplice. Pertanto essa è unica. P oich é la Cultura 1 II matematico è una strana specie di scienziato, per il quale la verità di un’asserzione è il risultato di un processo logico-deduttivo che chia­ miamo dimostrazione, e non di un esperimento o di una prova costruita a partire dall’osservazione del mondo fisico. Alcuni matematici traggono ispirazione nel loro lavoro dal mondo e dalle scienze naturali o sociali, ma per moltissimi altri il più alto valore della matematica è proprio la sua irriducibilità alle altre scienze e al mondo fisico e la sua capacità di generare spontaneamente domande e teorie tanto difficili quanto belle.

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Classica è in m odo evidente Cultura, la Cultura è Classica. Q .E .D A A dire il vero nessuno ha dato questa dim ostrazione, almeno in questi termini. M a chi ascolti il processo, ancora oggi disponibile in versione integrale sul w eb23, e non sia già aprioristicam ente convinto dell’unicità e del prim ato della C .C ., converrà che la mia sintesi non è troppo lontana dal vero. La forza di questa dim ostrazione è naturalm ente la sua apoditticità. U n ’apoditticità che percorre tutte le testim o­ nianze della difesa, e che invece è lontanissim a dallo stile di quelle dell’accusa. Una difesa che sapeva di p oter seminare su un terreno fertile, un teatro pieno di studenti, professori e cittadini che, da buoni italiani cultori della classicità, non tollererebbero uno scivolone sui verbi irregolari, e neppure sopporterebbero un anacronism o che attribuisse a Tasso4 un’influenza su Ariosto5, ma non hanno fiatato udendo un autorevole intellettuale liberam ente lanciarsi in una non richiesta analisi delle rivoluzioni scientifiche e sostenere che C opernico6 aveva rim osso K eplero7... Q uesto non per am ore di polem ica ma solam ente di verità: viviamo nel paese nel quale la cultura, se non è classica, ha alm eno due pesi e due misure e nel quale in m olti salotti «b u on i» ci si può ancor oggi vantare di non capire nulla di m atem atica o di non ricordare il teorem a di Pitagora se non per il fastidio che procurò a scuola. E com e dire che non sappiamo chi sia Alessandro M anzoni... e mi sembra un p o ’ grave.

2 Quod Erat Demonstrandum, a volte anche un m atem atico si rifa al latino... 3 https://www.youtube.com/watch?v=sAqDEA8FwAs 4 Torquato Tasso, Sorrento, 11 marzo 1544-Rom a, 25 aprile 1595. 5 Ludovico A riosto, Reggio nell’Em ilia, 8 settem bre 1474-Ferrara, 6 luglio 1533. 6 N iccolò C opernico, Tonni, 19 febbraio 1473-From bork, 24 maggio 1543. 7 Giovanni K eplero, W eil der Stadi, 27 dicem bre 1571-Ratisbona, 15 novembre 1630.

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2.

L a rivoluzione industriale d e l num ero

Al processo il P ubblico M inistero mi ha chiesto di com ­ mentare due fatti. U no è relativo alla frequenza con la quale studenti provenienti dal liceo classico riescono a vincere il con ­ corso di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Su questi dati e sulla discussione che ne è risultata tornerò dopo. L’altro com m ento partiva dall’osservazione che l ’Italia è tra i paesi econom icamente sviluppati quello che forse ha più faticato e più sta faticando a uscire da una crisi econom ica gravissima nata nei m ercati finanziari. Alcuni sostengono, con attendibili fonti statistiche, che parte del problem a sia la scarsa alfabetizzazione finanziaria degli italiani. P er questo tipo di alfabetizzazione le com petenze di tipo quantitativo sono indispensabili. La com prensione del m ondo attuale attraverso gli stru­ menti quantitativi è importante. L a matematica ci fornisce un linguaggio fondam entale per riuscirvi e innumerevoli analisi socioeconom iche hanno messo in evidenza una forte correla­ zione tra la preparazione in am bito logico-m atem atico degli studenti delle scuole superiori e la capacità e la resilienza dei sistemi econom ici e produttivi dei rispettivi paesi. La cosa più sconvolgentemente negativa dell’Italia è la capacità distruttiva del nostro sistema scolastico che fa sì che tutti odino la m a­ tem atica. O ra, che la m atem atica possa facilm ente diventare indigesta è un fatto. P erò la cosa singolare, il primato quasi assoluto delle nostre scuole, è che qui da noi riesce a diven­ tare indigesta quasi a tutti, perché viene spesso trasmessa in modo assolutamente innaturale, in m odo non ludico, com e lobotom izzata degli aspetti più belli e creativi, nascondendo la bellezza di certi teoremi che permettono di vedere il mondo in un m odo diverso. L’insegnamento della m atem atica (ma molte di queste considerazioni si applicano anche alle altre scienze, in prim is la fisica) dovrebbe non solo sviluppare la logica e il ragionam ento, ma anche puntare a catturare l ’immaginazione degli studenti, in un modo non dissimile da quanto si può fare con la musica, la poesia o le arti. N ei licei italiani viene insegnata la storia dell’arte. E una disciplina estremamente difficile, se studiata seriamente.

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allo spirito dei contemplanti, nella pace gioiosa dello spettacolo. Così la tradizione storica colorita di poesia ci riporta il sentimento che ispirò i primi passi della ricerca matematica. L’entusiasmo che si accompagna alle scoperte di quei poeti deve essere inteso nel senso etimologico della parola, come estasi mistica di chi partecipa ad una rivelazione divina. Essi comuni­ cavano colla divinità, al modo degli Orfici, non più nell’ebbrezza del culto di Dioniso, bensì nella bellezza delle proporzioni e delle forme simboleggiata da Apollo. A distanza di secoH la commozione di chi coglie una «nota del poema eterno» si sente ancora nel linguaggio dei grandi matema­ tici e fisico-matematici. Keplero (nell’Harmonices mundi) avendo riconosciuto la sua terza legge sul moto dei pianeti (i quadrati dei tempi periodici proporzionali agli assi maggiori delle orbite ellittiche) scioglie un inno alla propria scoperta: «Da otto mesi ho visto il primo raggio di luce, da tre mesi ho visto il giorno, e da qualche giorno il puro sole della più ammirabile contemplazione. Nulla mi trattiene, e mi lascio andare al mio entusiasmo. Io voglio confondere i mortali con l’ingenua confessione che ho rubato i vasi d’oro degli Egiziani per farne un tabernacolo al mio Dio, lungi dalle frontiere dell’Egitto... Il dado è tratto, e scrivo il mio libro: sarà letto oggi o domani dalla posterità, poco importa; esso potrà attendere il suo lettore cent’anni, poiché Dio ha aspettato seimil’anni un contemplatore della sua opera». Qui la commozione estetica si esprime come davanti alla bellezza di uno spettacolo della Natura. Ma la stessa commozio­ ne accompagna le più alte creazioni delle matematiche pure. W. Bolyai, comunicando al padre la sua scoperta della geometria non­ euclidea, gli scriveva: «Dal nulla ho tratto un nuovo mondo». Il matematico ha il sentimento che l’opera della sua immaginazione creatrice dia la vita ai fantasmi evocati, come accade similmente al poeta. Perciò Weierstrass poteva dire che «un matematico il quale non abbia in sé nulla di poetico non sarà mai un matema­ tico completo». Ed invero anche nelle espressioni più modeste dei loro autori, coloro che scoprono una verità matematica vedonsi contemplarla come l’artista guarda all’opera sua; la quale anche a chi la consideri di fuori appare sempre opera di bellezza, quando diversi concetti e proprietà vengono a fondersi meravigliosamente in un’armonia superiore di numeri o di forme9. 9 F. Enriques, L e matematiche nella storia e nella cultura, Bologna, Zanichelli, 1938.

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Venendo finalm ente al punto sollevato dal P ubblico M i­ nistero, della necessità di u n ’alfabetizzazione finanziaria per poter sperare di sfuggire dalle crisi econom iche e finanziarie prossim e venture, in occasione di conferenze pu bbliche spesso propongo un gioco: immaginate di fare un investi­ m ento che, a giorni alterni, rende o + 1 0 % o - 1 0 % , con regolarità. C he cosa succede al vostro investimento se voi non fate nulla e lasciate lì i soldi? La stragrande maggioranza delle persone risponde che non succede niente. Invece no, l ’investimento perde l ’I % ogni due giorni. L a risposta è elem entare, e si fonda sull’uso delle fra­ zioni la cui conoscenza operativa dovrebbe essere un fatto acquisito dopo la scuola dell’obbligo. Infatti se raggrup­ piamo i giorni a coppie il rendim ento su due giorni può essere calcolato facendo il prodotto 11/10 · 9/10 - 1 = = 99/100 - 1 = - 1 % . Q uesto tipo di riflesso è endem ico in Italia. N on ho un controllo sul fatto che il pu bblico che scivola su questa cosa provenga da studi classici, ma rimane un fatto inaccettabile. N on prepariam o le persone per capire in m odo adeguato la realtà che ci circonda. Forse com e pretende la difesa il modo corretto per rispondere a questa necessità è studiare l ’aoristo passivo. Ma l ’obiettivo non va perso di vista: l ’in ca­ pacità di leggere la realtà ha dei costi molto alti. D unque è anche il caso di considerare delle vie meno «indirette» per conseguirlo, e pensare a un potenziamento della formazione quantitativa e scientifica. Viviamo in un m ondo che sta affrontando una terza rivoluzione industriale, una rivoluzione dettata dal num ero, non più dalla chim ica e dalla fisica com e quelle del X V IIIX I X e X I X - X X secolo. E la rivoluzione industriale della m atematica, che si traduce in innovazione tecnologica e di processo attraverso il suo b raccio armato che è il computer. M oltissim i m eccanism i produttivi oggi impiegano algoritmi senza neppure che ne siamo consapevoli. L a matematica è ovunque, non solo nei luoghi dove è più immediato e scontato cercarla (telefonia, elettronica di consumo, internet, ecc.), ma anche dove tren t’anni fa sarebbe stato inconcepibile introdurla (industria tessile, arredam ento, ecc.). Se la svilia­

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m o e non la coltiviam o allora sm ettiam ola poi di lam entarci che non abbiam o abbastanza innovazione. L a cravatta che indossavo al processo è stata fatta usando la m atem atica. Ci può piacere o non piacere, m a è così. L e «non decisioni» ch e prende l’Italia, l ’incapacità di cam biare e di rinnovarsi, di integrare una conoscenza di tipo scientifico-tecnico nella form azione di tutti i cittadini ci porteranno a poter am bire al più a diventare il paradiso dei milionari cinesi, indiani e statunitensi che verranno qui a svernare. Ovviamente la realtà è m olto più com plessa e nessuno pensa che la form azione scientifica da sola sia sufficiente. Il mio è un grido d’allarme sulla tragica assenza in troppi contesti im portanti, contesti nei quali si decide l’agire, di questo tipo di form azione. P er quanto riguarda la crisi finanziaria, è stato am pia­ m ente m ostrato che un problem a im portante è venuto dal fatto che gli incentivi di chi aveva il potere di decisione nelle banche e quelli di chi forniva gli strum enti quantitativi ai decisori, i cosiddetti quants, si allineavano sull’unico terreno di incontro chiaro tra queste due com unità, e cioè quello dell’interesse particolare e non d ell’interesse collettivo. In altre parole si è assistito a un uso strum entale della co n o ­ scenza tecnico-scientifica in m odo da poter aumentare nel breve periodo la redditività delle banche, alimentando schemi compensativi per gli insiders senza valutare adeguatamente e correttam ente i rischi di m edio-lungo periodo, i cui costi sono stati pagati - e in gran parte sono ancora in corso di pagam ento - da parte della collettività. C ’è una barzelletta celebre tra i quants che rende bene l ’idea: una grande azienda multinazionale cerca il nuovo direttore finanziario. Si presentano dieci candidati prove­ nienti dalle m igliori business schools del m ondo, ai quali viene rivolta sempre la stessa domanda: quanto fa 2 + 2 ? Nove rispondono 4 e vengono congedati gentilmente, finché l ’ultimo sorride e risponde invece: «D unque, vediamo, a voi quanto interesserebbe che facesse?», ed è assunto. È un problem a di com unicazione tra due insiemi di per­ sone che hanno una forte capacità di cam biare la realtà, ma

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che non si incontrano sul terreno proprio della conoscenza scientifica che è quello del dubbio. Una delle lezioni principali della formazione scientifica è invece proprio quella di insegnare l ’esistenza di un lim ite allo scibile e di contrapporsi alla sicumera di chi crede di poter sempre uscirne in vantaggio con la manipolazione delle parole e dei fatti10.

3.

L a scienza nei num eri d e l concorso d i am m issione alla Scuola N orm ale

L’altro punto discusso nella mia testimonianza è u n ’a­ nalisi dei dati, forniti dalla segreteria studenti della Scuola N orm ale Superiore11, relativi alla frequenza con la quale gli studenti provenienti dal liceo classico o dal liceo scientifi­ co risultano vincitori del concorso di ammissione al corso ordinario della Normale. 10 N on che la manipolazione sia un’attività priva d ’interesse per gli scienziati. Al contrario! E cc o un illustre aneddoto che mostra quanto sensibili siano all’utilità di trovarsi in una posizione vantaggiosa in una discussione. Il mondo contemporaneo non sarebbe lo stesso senza la teoria dell’informazione, alla base della rivoluzione digitale in atto (telefonia m obile, internet, T V via cavo, ecc.). Essa si fonda sul concetto di entropia introdotto da Shannon nel 1948 (C. Shannon, A Mathematical Theory o f Communication, in «Bell System Technical Journal», 2 7 ,1 9 4 8 , pp. 379-423, 623-656). Si narra che Shannon avesse costruito la teoria interamente senza tuttavia avere ancora trovato un nom e che lo convincesse pienamente per la sua quantità fondamentale, che misura l’incertezza associata a un segnale o un esperim ento. Racconta Shannon: «la mia più grande preoccupazione era che nom e darle. Pensai di chiamarla “inform azione”, ma la parola era già abusata, così decisi di chiamarla “incertezza”. P o i ne discussi con Jo h n Von Neumann, che ebbe un’idea migliore. Von Neumann mi disse “Dovresti chiamarla entropia, per due ragioni. La prima è che la tua fun­ zione di incertezza è stata usata in m eccanica statistica e chiamata in quel modo, così ha già un nome. L a seconda, più im portante, è che nessuno sa cosa sia esattamente l ’entropia, così in una discussione sarai sempre avvantaggiato”» (trad. d ell’autore da M. Tribus e E.C . M clrvine, Energy and Information, in «Scientific Am erican», 2 25, 1971, pp. 179-188). 11 Sono in debito con Silvia Carresi, con M ario Landucci e soprattutto con Silvia Zappulla per l ’aiuto che mi hanno fornito, superando con stoica disinvoltura almeno un conflitto di interessi...

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