Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna 9791254693216, 1254693211

Nei due millenni della storia delle Chiese cristiane, la predicazione ha rappresentato un momento fondamentale per la tr

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Table of contents :
Copertina
Collana
Titolo
Copyright
Indice
Introduzione. Da che pulpito viene la predica
Premessa
1. Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma
2. La predicazione tra primo e secondo millennio
3. La predicazione minoritica in Europa nei secoli XIII-XV
4. La predicazione: parole in chiesa, parole in piazza
5. Bernardino da Siena, la donna e la «roba»
6. Monte di denaro e Monte della Pietà. Predicazione, prestito a usura e antigiudaismo nell’Italia rinascimentale
7. Predicazione penitenziale, ascolto delle confessioni e prassi indulgenziale (1470ca-1520ca)
8. Le prediche di fra Girolamo da Ferrara: dai manoscritti al pulpito alle stampe
9. L’ultimo sermone. La predica dell’Anticristo alla fine del medioevo
10. Rhetorica ecclesiastica. La predicazione nell’età post-tridentina fra pulpito e biblioteca
Nota conclusiva
Indice dei nomi

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Roberto Rusconi

Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

VIELLA

La storia. Temi 111

Roberto Rusconi

Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

viella

Copyright © 2023 - Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: ottobre 2023 ISBN 979-12-5469-321-6 ISBN 979-12-5469-423-7 pdf

RUSCONI, Roberto Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna / Roberto Rusconi. - Roma : Viella, 2023. - 346 p. : ill. ; 21 cm. (La storia. Temi ; 111) Bibliografia: p. [329]-332 Indice dei nomi: p. [333]-346 ISBN 979-12-5469-321-6 1. Predicazione [e] Predicatori - Italia - Sec. 9.-16. 251.0094 (DDC 23.ed) Scheda bibliografica: Biblioteca Fondazione Bruno Kessler

viella

libreria editrice via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it

Indice

Introduzione. Da che pulpito viene la predica Premessa 1. Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma 2. La predicazione tra primo e secondo millennio 3. La predicazione minoritica in Europa nei secoli XIII-XV 4. La predicazione: parole in chiesa, parole in piazza 5. Bernardino da Siena, la donna e la «roba» 6. Monte di denaro e Monte della Pietà. Predicazione, prestito a usura e antigiudaismo nell’Italia rinascimentale 7. Predicazione penitenziale, ascolto delle confessioni e prassi indulgenziale (1470ca-1520ca) 8. Le prediche di fra Girolamo da Ferrara: dai manoscritti al pulpito alle stampe 9. L’ultimo sermone. La predica dell’Anticristo alla fine del medioevo 10. Rhetorica ecclesiastica. La predicazione nell’età post-tridentina fra pulpito e biblioteca

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Nota conclusiva 321 Nota bibliografica Indice dei nomi

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Novi opera tua et fidem et caritatem et ministerium et patientiam tuam et opera tua novissima plura prioribus (Apc. 2, 19). In memoria di Zelina Zafarana 11 febbraio 1983

Introduzione. Da che pulpito viene la predica

Questa frase proverbiale, in effetti alquanto banale, in realtà condensa le modalità di un approccio alla tematica della predicazione nel lunghissimo periodo che abbraccia i molti secoli dall’alto medioevo alla prima età moderna. In verità quell’espressione vorrebbe sin dall’inizio indicare che l’interesse di una ricerca è stato rivolto alla predicazione effettiva innanzitutto in lingua volgare, e non ai testi scritti di prediche e di sermoni latini, e che ai predicatori si è guardato come autori di testi nella misura in cui i loro scritti rappresentassero un lavoro intellettuale propedeutico alla proposizione da un pulpito a una audience di fedeli. Certamente si è predicato anche nel periodo che è andato dalla tarda antichità ai secoli centrali dell’età di mezzo: in verità, poco e male. A partire dagli ultimi secoli del medioevo, predicazione in volgare ai fedeli e ascolto delle loro confessioni individuali hanno costituito i pilastri portanti della pastorale ecclesiastica, in particolare dopo che il IV concilio del Laterano, radunato nel 1215 a Roma da Innocenzo III, aveva approvato il canone 21, Omnis utriusque sexus, che obbligava tutti i fedeli, non importa se uomini oppure donne, a confessarsi almeno una volta all’anno e a comunicarsi almeno a Pasqua.1 Agli inizi di un percorso di ricerca si colloca1. La ricorrenza centenaria ha richiamato l’attenzione degli studiosi su quell’impor­ tante assise: Il Lateranense IV: le ragioni di un Concilio. Atti del LIII Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 2016), Spoleto (Perugia), CISAM, 2017; The Fourth Lateran Council: Istitutional Reform and Spiritual Renewal. Proceedings of the conference marking the eight hundredth anniversary of the council (Roma, 15-17 ottobre 2015), organizzato dal Pontificio Comitato di scienze storiche, a cura di Gert Melville, Johannes Helm­rath, [Affalterbach, Baden-Württemberg], Didymos-Verlag, 2017 (si veda in particolare Nicole Bériou, Lateran IV and Preaching, pp. 163-173).

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

rono dunque alcuni studi sulla letteratura penitenziale (in seguito raccolti in volume).2 Negli anni ’80 un posto particolare ebbero gli studi di Carla Casagrande e Silvana Vecchio sui vizi capitali,3 che riflettevano gli orientamenti della storiografia parigina legata al gruppo delle Annales, mentre in una direzione più istituzionale si incamminarono gli organizzatori del colloquio Faire croire, che si tenne a Roma presso l’École française nel 1979,4 e il Groupe de la Bussière in Francia.5 Ancora più istituzionale fu un colloquio organizzato dall’Istituto storico italo-germanico in Trento sulle Strutture ecclesiastiche alla fine del medioevo.6 In Francia l’attenzione prevalente era piuttosto incentrata sull’exemplum, come elemento di una 2. Roberto Rusconi, L’ordine dei peccati. La confessione tra Medioevo ed Età mo‑ derna, Bologna, il Mulino, 2002. Oltre ai testi citati alle note 4 e 6, in quel volume sono stati ripubblicati: I francescani e la confessione nel secolo XIII, in Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel ’200 (Atti dell’VIII convegno internazionale di studi francescani. Assisi, 16‑18 ottobre 1980), Assisi, S.I.S.F., 1981, pp. 251-309; «Ordinate confiteri»: la confessione dei peccati nella ‘summae de casibus’ e nei manuali per i confessori (metà XII ‑ inizi XIV secolo), in L’Aveu. Antiquité et Moyen‑Age (Actes de la Table Ronde … Rome, 28‑38 mars 1984), Roma, École française de Rome, 1986, pp. 297‑313; «Con‑ fessio generalis». Opuscoli per la pratica penitenziale nei primi cinquanta anni dalla introduzione della stampa, in I Frati Minori tra ’400 e ’500 (Atti del XII Convegno inter­nazionale. Assisi, 18‑20 ottobre 1984), Assisi (Perugia), Società internazionale di Studi francescani, 1986, pp. 189‑227; Immagini della confessione sacramentale (secoli XII‑XVI), in Dalla penitenza all’ascolto delle confessioni: il ruolo dei frati mendicanti (Atti del XXIII convegno internazionale di studi francescani. Assisi, 12‑14 ottobre 1995), Spoleto, (Perugia), CISAM, 1996, pp. 263‑285. 3. Carla Casagrande, Silvana Vecchio, I peccati della lingua. Disciplina ed etica della parola nella cultura medievale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1987, poi I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, con un saggio di Jérôme Baschet, Torino, Einaudi, 2000. Si veda inoltre, oltre a numerosi studi, Prediche alle donne del secolo XIII. Testi di Umberto da Romans, Gilberto da Tournai, Stefano di Borbone, a cura di Carla Casagrande, Milano, Bompiani, 1978 (riedito nel 1987). 4. De la prédication à la confession: transmission et contrôle de modèles de com‑ portement au XIIIe siècle, in Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages religieux du XIIe au XVe siècle, Roma, École française de Rome, 1981 (Collection de l’École Française de Rome, 51), pp. 67-85. 5. Groupe de la Bussière, Pratiques de la confession des Pères du désert à Vatican II. Quinze études d’histoire, Paris, éditions du Cerf, 1983. 6. Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamento religioso in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, a cura di Paolo Prodi e Peter Johanek, Bologna, il Mulino, 1984 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderno 16), pp. 259-315.

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comunicazione nello stesso tempo culturale e religiosa7 (un settore che, con un approccio più storico e letterario, in Italia fu frequentato in particolare da Carlo Delcorno8). Andando dalla confessione sacramentale9 alla predicazione penitenziale, quel percorso conduceva rapidamente a un frate Minore dell’Osservanza, Bernardino da Siena:10 e anche ad alcuni maldestri approfondimenti sulla predicazione dei francescani dell’Osservanza nel secolo XV.11 Per fortuna – oggi lo si può dire – un testo su Antonio da Vercelli rimase inedito, respinto dalla Rivista di storia e letteratura religiosa di Torino, perché un anonimo lettore aveva criticato che si definisse la sua predicazione di carattere “mercatesco”: il problema risiedeva nel fatto che, in verità, si era scritto “mercantesco” – per sottolineare la contiguità fra predicazione e una cultura egemone –, e che proprio l’anonimo ne aveva corretto a penna tutte le occorrenze, trasformandole appunto in “mercatesco”…). La rilevazione di una fase iniziale di carattere escatologico-apocalittico nella predicazione in volgare di Bernardino da Siena12 deviò le ricerche in quella direzione,13 indirizzando alcune ricerche che da un lato si evol7. Presentazione generale in L’exemplum, di Claude Brémond, Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt, Turnhout, Brepols, 1982 (riedizione 1996). 8. Si vedano in particolare gli studi raccolti in Carlo Delcorno, Exemplum e letteratu‑ ra tra Medioevo e Rinascimento, Bologna, il Mulino, 1989. 9. Roberto Rusconi, Manuali milanesi di confessione editi tra il l474 ed il 1523, in «Archivum Franciscanum Historicum», LXV (1972), pp. 107-156. Prima pubblicazione di carattere storico, non è stata inclusa nel volume citato alla nota 2. 10. Roberto Rusconi, Il sacramento della penitenza nella predicazione di San Bernar‑ dino da Siena, in «Aevum», 47 (1973), pp. 235-286. 11. Si rivelarono una sorta di binario morto le indagini su alcuni suoi seguaci: Roberto Rusconi, Michele Carcano e le caratteristiche della sua predicazione, in «Picenum seraphicum», 10 (1973), pp. 196-218, e La predicazione francescana sulla penitenza alla fine del Quattrocento nel “Rosarium sermonum” di Bernardino Busti, in «Studia Patavina», 22 (1975), pp. 68-95. 12. Per il loro carattere di indagine testuale non sono stati ripubblicati Roberto Rusconi, Escatologia e povertà nella predicazione di Bernardino da Siena, in Bernardino predicatore nella società del suo tempo. Atti del XVI Convegno del Centro di Studi sulla spiritualità medievale, Todi (Perugia), Accademia Tudertina, 1976, pp. 211-250, e Apoca‑ littica ed escatologia nella predicazione di Bernardino da Siena, in «Studi Medievali», ser. III, 22 (1981), pp. 85-128. 13. Roberto Rusconi, L’attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occidente (1378 1417), Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1979 (Studi storici, 115-118). Su questo volume e sugli altri contributi affini vedi Sofia Boesch Gajano, Il potere del testo: la profezia alla fine del medioevo

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sero in un interesse per la profezia, protrattasi per molti anni,14 e dall’altro attirarono per la prima volta l’attenzione su un frate dell’Ordine dei Predicatori, l’aragonese Vicent Ferrer, e ancor prima sul suo confratello Manfredi da Vercelli: predicatore apocalittico postosi alla testa di un movimento millenarista, peraltro di breve durata.15 A conferma della contiguità dello studio della predicazione con altri settori della ricerca, un contesto dal quale ha preso le mosse l’itinerario che si sta ri/percorrendo in queste pagine, l’indagare sull’iconografia della predicazione tardomedievale ha ricondotto a un personaggio accostato ai primi passi di una scrittura della storia: proprio Vicent Ferrer (alias san Vincenzo Ferreri), predicatore della fine del mondo.16 Quando fu pubblicato nel 1968 non si prestò una particolare attenzione al saggio di Zelina Zafarana sul manoscritto di un devoto laico fiorentino, il quale aveva riportato a proprio uso annotazioni tratte dall’ascolto delle prediche pronunciate nella sua città:17 almeno sino a quando, alcuni anni nell’interpretazione di Roberto Rusconi, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 104 (2002), pp. 181-194 (nello stesso numero Roberto Rusconi, La fine e l’attesa, pp. 169-176). 14. Vedi la raccolta di studi in Roberto Rusconi, Profezia e profeti alla fine del Medio‑ evo, Roma, Viella, 1999 (ristampa 2011). 15. Roberto Rusconi, Fonti e documenti su Manfredi da Vercelli O.P. ed il suo movi‑ mento penitenziale, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 47 (1977), pp. 51-107, e Note sulla predicazione di Manfredi da Vercelli O.P. e il movimento penitenziale dei Terziari manfredini, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 48 (1978), pp. 93-135. 16. Nella Attesa della fine, cap. VI,1, pp. 219-233. Si vedano i diversi approcci metodologici in Roberto Rusconi, Vicent Ferrer e Pedro de Luna: sull’iconografia di un predi‑ catore fra due obbedienze, in Conciliarismo, stati nazionali, inizi dell’Umanesimo. XXV Convegno storico internazionale (Todi, 9‑12 ottobre 1988), Spoleto (Perugia), CISAM, 1990, pp. 213-234 e in Declinazioni iconografiche della santità: le rappresentazioni di Vicent Ferrer nel corso del secolo XV, in La comunicazione del sacro (secoli IX-XVIII), a cura di Agostino Paravicini Bagliani, Antonio Rigon, Roma, Herder, 2008, pp. 195-213. Nell’ultimo decennio del ’900 uscirono importanti contributi, in due versanti linguistici: il volume di Pedro M. Cátedra García, Sermón, sociedad y literatura en la Edad Media. San Vicente Ferrer en Castilla (1411-1412). Estudio bibliográfico, literario y edición de los tex‑ tos inéditos, Salamanca, Junta de Castilla y León - Consejería de Cultura y Turismo, 1994, e l’imponente raccolta di Josep Perarnau i Espelt, Estudis i inventari de sermons de sant Vicent Ferrer, Barcelona 1999 (Arxiu de Textos Catalans Antics, 18), pp. 9-811. 17. Zelina Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di prediche, in «Studi medievali», ser. III, 9 (1968), pp. 1017-1113 [Un cenno a quel manoscritto in Roberto Rusconi, Gerusalemme nella predicazione popolare quattro‑ centesca tra millennio, ricordo di viaggio e luogo sacro, in «Bullettino dell’Istituto storico

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dopo, con uno stupore misto a compiacimento da parte della studiosa, non venne citato nel 1975 nei Giochi di pazienza di Carlo Ginzburg e Adriano Prosperi.18 In quelle pagine eramo state messe a confronto due distinte re‑ portationes in volgare di una medesima predica di Girolamo Savonarola, a rimarcarne la differente ricezione da parte di ascoltatori diversamente interessati ad essa. Quando nel 1983 Zelina Zafarana scomparve prematuramente, stroncata da un male incurabile, parve doveroso ricordare il suo magistero, purtroppo fugace, non soltanto in un incontro che riunisse e ricordasse quanto aveva scritto,19 ma in particolare con un convegno che, sulla scia delle sue acquisizioni, mettesse a fuoco il rapporto tra un predicatore e il suo pubblico, nel percorso che andava Dal pulpito alla navata: un punto di partenza per la valutazione della predicazione effettiva fu quindi l’analisi della reportatio, vale dire gli appunti che ne prendevano gli ascoltatori, sia chierici sia laici.20 La tematica della predicazione abbraccia di per sé un periodo di tempo che corrisponde all’intera storia del cristianesimo e delle chiese – e si estende anche alle altre religioni monoteistiche, sia l’ebraismo sia l’islam italiano per il medio evo», 87 (1978), pp. 229-247 (anche in Toscana e Terrasanta nel Medioevo. Saggi, a cura di Franco Cardini, Firenze, Alinea, 1982, pp. 285-289)]. Si vedano anche Bernardino nella storia della predicazione popolare, in Bernardino predicatore nella società del suo tempo, pp. 39-70; La predicazione francescana, in Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel ’200. Atti dell’VIII Convegno internazionale (Assisi, 16-18 ottobre 1980), Assisi, Università degli studi di Perugia, 1981, pp. 203-250; Cura pastorale, predi‑ cazione, aspetti devozionali nella parrocchia del basso Medioevo, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso medioevo sec. XIII-XV. Atti del VI Convegno di storia della Chiesa in Italia (Firenze, 21-25 sett. 1981), Roma, Herder, 1984, pp. 493-539; Predicazione francescana ai laici, in I frati minori e il Terzo ordine. Problemi e discussioni storiografiche. Atti del convegno (Todi, 17-20 ottobre 1982), Todi (Perugia), Accademia Tudertina, 1985, pp. 171186 (contributi ripubblicati nel volume citato alla nota 20). 18. Carlo Ginzburg e Adriano Prosperi, Giochi di pazienza : un seminario sul Benefi‑ cio di Cristo, Torino, Einaudi, 1975 (ripubblicato nel 1977 e riedito nel 2020). 19. Zelina Zafarana, Da Gregorio VII a Bernardino da Siena. Saggi di storia medie‑ vale. Con scritti in ricordo di Zelina Zafarana, a cura di Ovidio Capitani, Claudio Leonardi, Enrico Menestò, Roberto Rusconi, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia» [dell’Università di Siena], V (1984) [ma 1987], tra cui Roberto Rusconi, Molta strada resta da percorrere, pp. 39-49. 20. Dal pulpito alla navata. La predicazione medievale nella sua recezione da parte degli ascoltatori (secoli XIII-XV), Convegno Internazionale di Storia religiosa in memoria di Zelina Zafarana (Firenze 5-7 giugno 1986), a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, Olschki, 1989 (= «Medioevo e Rinascimento», 3). L’intervento iniziale fu assegnato a Roberto Rusconi, Reportatio, in «Medioevo e Rinascimento», 3 (1989), pp. 7-36.

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(mentre non si limita affatto a quelle esperienze religiose). Naturalmente si è trattato di una prassi multiforme, che ha conosciuto significative trasformazioni nel corso dei secoli, in una connessione diretta vuoi con le trasformazioni della società vuoi con i mutamenti all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. A riprova della difficoltà a rappresentarne un articolato percorso intervenne un curioso (e alla fine deprecabile) incidente editoriale. Inizialmente era previsto che in un contributo agli Annali della Storia d’Italia Einaudi la storia della predicazione andasse dal IX al XVIII secolo.21 Quando il testo fu consegnato all’editore, Corrado Vivanti mi contattò, mi riferì di essere stato criticato perché in tal modo si arrestava la storia religiosa alla fine dell’età moderna e mi chiese di proseguire nella stesura sino a tutta l’età contemporanea – come in effetti feci, anche se, malauguratamente, al momento della stampa il titolo rimase Predicatori e predicazione (secoli IX-XVIII). Si era peraltro prospettata una questione non da poco: con grande rapidità, nel corso dell’età contemporanea, la predicazione aveva perso un proprio statuto retorico, al punto da divenire una pratica di cui è arduo ricostruire le esatte coordinate. Ciò divenne ancor più evidente quando si trattò di esporre l’argomento per il volume di una grande Storia della Chiesa relativo al cattolicesimo contemporaneo.22 In anni più recenti una più incisiva attenzione al ruolo della Chiesa cattolica nella società degli ultimi due secoli ha comportato la stesura di taluni contributi, nei quali però è una prospettiva di analisi politica a prevalere.23 21. Roberto Rusconi, Predicatori e predicazione [Secoli IX-XVIII], in Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981, pp. 951-1035 (Storia d’Italia. Annali, 4). 22. Si veda ad esempio Roberto Rusconi, La predicazione, in Storia della Chiesa, vol. XXIII: I cattolici nel mondo contemporaneo (1922 1958), a cura di Maurilio Guasco, Elio Guerriero e Francesco Traniello, Milano, Edizioni Paoline, 1991, pp. 421-433. 23. Per quanto riguarda l’epoca contemporanea l’attenzione è stata rivolta piuttosto ai risvolti politici della predicazione, in ben determinati periodi: Heinrich Missalla, “Gott mit uns”. Die deutsche katholische Kriegspredigt, 1914-1918, München, Kosel, 1968; di Ignazio Veca, Le printemps des prédicateurs. Discours et performance de la prise de parole ecclésiastique en temps de crise (Italie, 1848), in De la parole du prédicateur au discours politique. Jalons pour une histoire de la critique religieuse du politique (du Moyen Âge à l’époque contemporaine), a cura di Vincent Flauraud, Ludovic Viallet, Clermont-Ferrand, Presses universitaires Blaise Pascal, 2022; Preaching in Exile. Three Cases of Oratory as Political Practice in the Italian Diaspora, in Exile and the Circulation of Political Prac‑ tices in the 19th Century, a cura di Catherine Brice, Newcastle Upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2020, pp. 79-92 e Prêcher la croisade au XIXe siècle. L’art oratoire du “Printemps des peuples” en Lombardie, entre politique et religion, in Prêcher dans les

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Nel panorama degli studi italiani una innovazione, rispetto a una precedente prassi meramente erudita oppure agiografico-celebrativa, si ebbe con un piccolo ma prezioso volumetto di Carlo Delcorno, inserito nella sezione di “Lettere italiane” di una collana “Scuola aperta”, indirizzata alla didattica: La predicazione nell’età comunale24 (autore anche una monografia che raccoglieva i frutti della sua edizione critica di un predicatore domenicano degli inizi del ’300, Giordano da Pisa).25 Per la sua formazione filologica, unita a una acuta sensibilità storica, egli è divenuto il più autorevole studioso della predicazione in volgare italiano dei secoli XIII-XV26 (con ulteriori interventi che hanno avuto per oggetto anche i due secoli immediatamente successivi27). Agli inizi degli anni ’80 uscì un mio volume su Predicazione e vita re‑ ligiosa, che raccoglieva una serie di documenti, tradotti in italiano qualora non fossero stati in origine redatti in quella lingua, ad uso della didattica universitaria, cui era indirizzata una fortunata collana: «Documenti della storia».28 In considerazione dei lettori cui era destinata, la raccolta mirava a inquadrare il mutare della prassi della predicazione all’interno delle principali scansioni della storia ecclesiastica. La sua estensione cronologica, espaces lotharingiens, XIIIe-XIXe siècles, a cura di Stefano Simiz, Paris, Classiques Garnier («Rencontres 474 -série Histoire religieuse», 2020), pp. 191-207; Tommaso di Carpegna Falconieri, Il medievalismo e la grande guerra, in «Studi storici», 56 (2015), pp. 49-77; Giovanni Cavagnini, Les conférence de guerre du père Sertillanges (1914-1918), in «Vingtième siècle. Revue d’histoire», 129 (2016), pp. 95-107: si resta in attesa che egli pubblichi il Tacuino di predicazione di p. Reginaldo Giuliani. Per queste segnalazioni ringrazio Daniele Menozzi. 24. Carlo Delcorno, La predicazione nell’età comunale, Firenze, Sansoni, 1974 25. Carlo Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze, Olschki, 1975. 26. Si veda La bibliografia degli scritti di Carlo Delcorno, in Carlo Delcorno, «Quasi quidam cantus». Studi sulla predicazione medievale, a cura di Giovanni Baffetti, Giorgio Forni, Silvia Serventi, Oriana Visani, Firenze, Olschki, 2009 (Biblioteca di «Lettere Italiane». Studi e Testi, 71), pp. XI-XXII. Si veda inoltre Letteratura in forma di sermone: i rapporti tra predicazione e letteratura nei secoli XIII-XIV. Atti del Seminario di studi (Bologna 15-17 novembre 2001), a cura di Ginetta Auzzas, Giovanni Baffetti, Carlo Delcorno, Firenze, Olschki, 2003. 27. Vedi infra alla nota 81. 28. Diretta da Massimo L. Salvadori (era il numero 30): Roberto Rusconi, Predica‑ zione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher editore, 1981 (molti anni dopo resa disponibile on line in Reti medievali). Si veda il primo capitolo di questo volume e la nota finale.

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da Carlo Magno alla Controriforma, corrispondeva in effetti a quella del saggio di Giovanni Miccoli, La storia religiosa, pubblicato alcuni anni prima nel volume iniziale della Storia d’Italia.29 Avere condiviso con lui due anni di insegnamento all’Università di Trieste senza dubbio ha impresso al mio percorso di scrittore di storia una svolta decisiva.30 A mantenere un significativo aggancio con la storia della predicazione a sua volta ha contribuito l’insegnamento di Studi francescani presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia (1978-1986) e per alcuni anni l’impegno di direzione del Centro (interuniversitario) di Studi Francescani e di Vice Presidente della Società internazionale di Studi francescani in Assisi (Perugia), con l’organizzazione di convegni annuali e con la pubblicazione dei relativi atti. Ad esempio, il convegno del 1994 era dedicato a La predicazione dei frati dalla metà del ’200 alla fine del ’300.31 Ne derivarono alcuni interventi di carattere generale sulla predicazione dei francescani,32 con una particolare attenzione per le prediche su san Francesco d’Assisi33 e una più specifica per la predicazione quattrocentesca degli 29. Giovanni Miccoli, La storia religiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla caduta dell’Im‑ pero romano al secolo XVIII, a cura di Ruggiero Romano, Torino, Einaudi, 1974, pp. 4311079. 30. Si vedano anche Roberto Rusconi, Un profilo di storia della vita religiosa in Italia, in Una storiografia inattuale? Giovanni Miccoli e la funzione civile della ricerca storica, a cura di Giuseppe Battelli e Daniele Menozzi, Roma, Viella, 2005, pp. 103-132, e Il me‑ dievista di Trieste, ovvero la funzione civile della ricerca storica, in Le Fonti francescane: un’impresa editoriale completata. In memoriam di Giovanni Miccoli, a cura di Maria Pia Alberzoni, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2020, pp. 197-205. 31. Atti del XXII Convegno internazionale (Assisi, 13-15 ottobre 1994), Spoleto (Perugia), CISAM, 1995. 32. In questo volume si veda Roberto Rusconi, La predicazione minoritica in Euro‑ pa, in Francesco, il Francescanesimo e la cultura della nuova Europa, a cura di Ignazio Baldelli e Angiola Maria Romanini, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1986, pp. 141-165 [pp. 103-136]. 33. Roberto Rusconi, San Francesco nelle prediche volgari e nei sermoni latini di Bernardino da Siena, in Atti del simposio internazionale cateriniano-bernardiniano, a cura di Domenico Maffei e Paolo Nardi, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1982, pp. 793809; Francesco d’Assisi nella predicazione italiana del ’400 e del primo ’500, in L’imma‑ gine di Francesco nella storiografia dall’Umanesimo all’Ottocento. Atti del IX convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 15-17 ottobre 1981), Perugia, Università di Perugia - Assisi, Centro di studi francescani - Rimini, Maggioli, 1983, pp. 79-108 [ristampati in Roberto Rusconi, Studi francescani, Spoleto (Perugia), Fondazione Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2021], e dopo due decenni Francesco d’Assisi e la politica: il potere delle istituzioni e l’annuncio della pace evangelica, in «Franciscana», 6 (2004), pp.

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Osservanti, in particolare Giovanni da Capestrano e Bernardino da Feltre.34 Nel retroterra di quelle pagine si stagliava una fervida stagione storiografica di studi sul francescanesimo, in cui spiccavano i nomi di Giuseppina De Sandre Gasparini, Grado G. Merlo, Luigi Pellegrini, Antonio Rigon,35 ma anche di Attilio Bartoli Langeli, Franco A. Dal Pino, Giovanni Vitolo (per non parlare di Giovanni Miccoli36 e di André Vauchez). La ricchezza degli studi da loro pubblicati attesta un’ampiezza di prospettive storiografiche che è impossibile non valutare in maniera adeguata.37 1-22 [anche in I francescani e la politica. Atti del Convegno internazionale di studio (Palermo, 3-7 dicembre 2002), a cura di Alessandro Musco, Palermo, Biblioteca francescana -Officina di studi medievali, 2007, pp. 909-923]. Questa tematica era stata anticipata in Roberto Rusconi, Francesco d’Assisi, predicatore di pace, in I valori francescani. Simposio in occasione dell’VIII centenario della nascita di S. Francesco (L’Aia, 2-3 dicembre 1982), Amsterdam, Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi, 1985 (Quaderno dell’Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi), pp. 93-109. 34.  Roberto Rusconi, Giovanni da Capestrano: iconografia di un predicatore nell’Eu‑ ropa del ’400, in Predicazione francescana e società veneta nel Quattrocento: committenza, ascolto, recezione (Padova, 26-28 marzo 1987) = «Le Venezie Francescane», n.s., 6 (1989), pp. 31-60 [anche in Immagini dei predicatori e della predicazione: vedi nota 74] e Bernar‑ dino da Feltre predicatore nella società del suo tempo, in Bernardino da Feltre a Pavia. La predicazione e la fondazione del monte di pietà. Atti della giornata di studio (30 ottobre 1993), a cura di Renata Crotti Pasi, Como, Litografia New Press, 1994, pp. 1-15 [testo non inserito in una raccolta]. A predicatori dell’Osservanza quattrocentesca si fa riferimento anche in Roberto Rusconi, La verità dei segni ovvero i segni della verità, in Autorität und Wahrheit. Kirchliche Vorstellungen, Normen und Verfahren (XIII-XV Jahrhundert), a cura di Gian Luca Potestà, coll. Elisabeth Müller-Luckner, München (Bayern), R. Oldenbourg, 2012, pp. 45-64, e Il corpo sequestrato e la reinvenzione delle stimmate. Il sepolcro di san Francesco e i chiodi nelle ferite nell’iconografia quattrocentesca, in Paradoxien der Le‑ gitimation. Ergebnisse einer deutsch-italienisch-französischen Villa Vigoni-Konferenz zur Macht im Mittelalter, a cura di Annette Kehnel, Cristina Andenna, con Cécile Caby, Gert Melville, Firenze, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, 2010, pp. 161-178. 35. Importante al proposito Antonio Rigon, La vita che si fa storia. Studiosi e letture di storia medievale. Con un’intervista all’autore, a cura di Marco Bolzonella, Silvia Carraro, Maria Teresa Dolso, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2022. 36. Si vedano i testi citati alla nota 30. 37. Si veda Gli studi francescani e i convegni internazionali di Assisi (1973-2013). Incontro di studio in ricordo del p. Stanislao da Campagnola ofmcap (Assisi, 11-12 luglio 2014), Spoleto (Perugia), CISAM, 2016 (Figure e temi francescani, 3), in cui è compreso Roberto Rusconi, Stanislao da Campagnola, francescano e francescanista: un approccio storiografico, pp. 253-265. Alcuni cenni in Roberto Rusconi, L’esperienza dei convegni francescani, in Gli studi francescani dal dopoguerra ad oggi. Atti del Convegno di studio (Firenze, 5-7 novembre 1990), a cura di Francesco Santi, Spoleto (Perugia), CISAM, 1993,

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Oltre ad altri incontri con storici del medioevo e del rinascimento, le ricerche sulla predicazione tardomedievale mi misero in contatto con il gruppo internazionale di studiosi che ruotava in intorno ai Medieval Ser‑ mon Studies.38 Una studiosa di letteratura inglese, Gloria Cigman, che insegnava Medieval English Studies a Warwick e risiedeva a Oxford, nel 1977 aveva dato vita a un bollettino ciclostilato, che assumeva la forma di un colorato quadernino: una newsletter, come in quel periodo era in uso in varie discipline. Organizzato in distinte rubriche tematiche, aggiornava periodicamente sulle pubblicazioni di quanti si occupavano dello studio dei sermoni medievali, nei diversi paesi e nelle loro lingue (in realtà Gloria praticava soltanto l’inglese britannico, al punto che, dopo avere più volte telefonato a casa mia, si lamentò le rispondesse una voce che ripeteva sempre le stesse cose: in verità aveva ascoltato in svariate riprese la segreteria telefonica…). Non si può certamente sottovalutare l’importanza di quell’iniziativa, che fece emergere gli interessi concorrenti di un folto gruppo di studiosi europei e nordamericani e, in sostanza, diede loro una peculiare identità storiografica: a ciò concorse soprattutto il domenicano Louis Bataillon.39 Particolarmente interessata alla predicazione nell’Italia medievale è stata Nicole Bériou40 (vice presidente dell’IMSSS nel 20022004 e presidente nel 2004-2010). A un certo punto, tra 1988 e 1992, quel raggruppamento assunse una forma istituzionale nella International Medieval Sermon Studies Society e più tardi, a partire dal 1999, il bollettino si trasformò in un rivista annuapp. 325-328. Sia pure con un’angolatura del tutto particolare si veda la suggestione di Robert Brentano, Italian Ecclesiastical History: The Sambin Revolution, in Idem, Bishops, Saints, and Historians. Studies in the ecclesiastical history of medieval Britain and Italy, Aldershot (UK), Variorum, 2008, Pt. XXVI, pp. 189-197. 38. Si vedano le ampie informazioni disponibili nel sito web della International Me‑ dieval Sermon Studies Society. 39. Si vedano i contributi riuniti in Louis-Jacques Bataillon, La prédication au XIIIe siècle en France et Italie. Études et documents, Aldershot (UK), Variorum, 1993. 40. Si veda il monumentale volume Les sermons et la visite pastorale de Federico Visconti archevêque de Pise (1253-1277), édition critique par Nicole Bériou et Isabelle Le Masne de Chermont, avec la collaboration de Pascale Bourgain et Marina Innocenti. Avantpropos de André Vauchez et Emilio Cristiani, Roma, École française de Rome, 2001. Eccellente promotrice di iniziative collettive, aveva intrapreso le mosse iniziali di una feconda attività di ricerca a partire dalla documentazione parigina: Nicole Bériou, L’avènement des maîtres de la Parole. La prédication à Paris au XIIIe siècle, Paris, Institut d’études augustiniennes, 1998.

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le, a carattere più tradizionale, con contributi specialistici e meno dedito all’informazione. Uno dei primi incontri, che avevano allora un carattere piuttosto informale, ebbe luogo al Linacre College in Oxford nel 1984 e vi fu presentato il mio primo intervento sulla “immagine” dei predicatori.41 Era ancora fondato su fonti testuali, mentre un’apertura sostanziale allo studio dell’iconografia della predicazione ebbe luogo nel corso di un lungo soggiorno a Monaco di Baviera. Nel corso degli anni si mantennero frequenti rapporti con quel gruppo internazionale di studiosi, cui avvicinava la comune dedizione all’oggetto della ricerca, mentre nello stesso tempo distanziava un diverso approccio metodologico: tutti, o quasi, erano studiosi di “sermoni”, cioè innanzitutto del testo scritto, mentre il mio obiettivo di indagine era la predicazione, che ovviamente comprendeva come parte sostanziale i sermoni, ma non si esauriva in essi. Al punto che un’offerta di occuparmi di una sezione iconografica nella Newsletter venne in sostanza lasciata cadere. Per un contrattempo non potei essere presente di persona al Symposium che si tenne a Dijon nel 1988, su «Latin and Vernacular Sermons: Sources and Representations». Comunque inviai il testo e le immagini di un intervento sull’iconografia di Vicent Ferrer, che non fu pubblicato, ma aprì la strada a una serie di approfondimenti su una singolare figura di predicatore. Il frate domenicano aveva percorso la Catalogna, l’Italia settentrionale ed era morto in Bretagna nel 1419. La sua immagine ebbe un singolare rilievo nell’arte devozionale in Italia e in verità si prestava a un’analisi da diversi punti di vista, quindi di particolare interesse dal punto di vista metodologico per l’incrociarsi di storia, agiografia e iconografia.42 Consigliere per un biennio (1988-1990), organizzai ad Assisi il terzo Symposium nel 1990, su «Sacred and Secular Eloquence». Nel corso del tempo si sono a lungo impegnati nella International Medieval Sermon Studies Society sia Carlo Delcorno, consigliere per un quadriennio (1990-1994) sia soprattutto Laura Gaffuri, dapprima consigliere, poi Vi41. Rielaborato per la pubblicazione in Roberto Rusconi, Forma apostolorum: l’im‑ magine del predicatore nei movimenti religiosi francesi ed italiani dei secc. XII e XIII, in «Cristianesimo nella storia», 6 (1985), pp. 513-542. 42. In effetti il testo su Vicent Ferrer e Pedro de Luna: sull’iconografia di un predica‑ tore fra due obbedienze (vedi nota 15), fu ristampato in Modelli di lettura iconografica. Il panorama meridionale, a cura di Mario Alberto Pavone, Napoli, Liguori, 1999, pp. 49-68.

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cepresidente (2004-2006), e infine Presidente (2014-2020).43 Si cominciò a organizzare con regolarità Symposia ogni due anni, i cui atti venivano puntualmente stampati. Gli argomenti affrontati in quelle riunioni hanno rappresentato l’occasione per affrontare l’argomento dei sermoni medievali da molteplici punti di vista, ogni volta suggeriti dai titoli affidati alle stampe, iniziando con De l’homélie au sermon. Histoire de la prédica‑ tion médiévale44 (il ventiquattresimo appuntamento è previsto a Praga per il luglio del 2024). Altrimenti ci si poteva incontrare a Nizza: La paro‑ le du prédicateur (Ve-XVe siècle)45 oppure a partecipare a un volume sulla “audience” dei predicatori, una raccolta di studi in onore del p. Batailon: Preacher, Sermon and Audience in the Middle Ages,46 ovvero andare New Brunswick (New Jersey, USA): Women Preachers and Prophets through Two Millennia of Christianity.47 L’interesse di quelle giornate, indicato già 43. Ha organizzato in Italia i seguenti convegni: Predicazione e società nel Medioevo. Riflessione etica, valori e modelli di comportamento. Proceedings of the XII Medieval Sermon Studies Symposium (Padova, 14-18 luglio 2000), a cura di Laura Gaffuri e Riccardo Quinto, Padova, Centro studi antoniani, 2002, e Verbum e ius. Predicazione e sistemi giu‑ ridici nell’Occidente medievale (= Preaching and legal frameworks in the Middle Ages), a cura di Laura Gaffuri e Rosa Maria Parrinello, Firenze, Firenze University Press, 2018 [XVIII International Medieval Sermon Studies Society Symposium (Brescia, 20-24 luglio 2012)]. 44. Ricordo in particolare la prima pubblicazione: De l’homélie au sermon. Histoire de la prédication médiévale. Actes du Colloque international de Louvain-la-Neuve, 9-11 juillet 1992, a cura di Jacqueline Hamesse e Xavier Hermand, Louvain-la-Neuve, Université catholique de Louvain, Institut d’études médiévales, 1993. 45. Le pouvoir de la parole: représentation des prédicateurs dans l’art de la Re‑ naissance en Italie, in La parole du prédicateur (Ve-XVe siècle), a cura di Rosa Maria Dessì, Michel Lauwers, Nice, Centre d’Études Médiévales, 1997, in cui era compreso Roberto Rusconi, Le pouvoir de la parole. Représentation des prédicateurs dans l’art de la Re‑ naissance en Italie, pp. 445-456 [anche in Immagini]. Si veda anche Prêcher la paix et discipliner la société. Italie, France, Angleterre (XIIIe-XVe siècles), a cura di Rosa Maria Dessì, Turnhout, Brepols, 2005. 46. Roberto Rusconi, The Preacher Saint in Late Medieval Italian Art, in Preacher, Sermon and Audience in the Middle Ages, a cura di Carolyn Muessig, Leiden, Brill, 2002, pp. 181-200. 47. Per un impegno concomitante purtroppo non potei partecipare all’incontro che si tenne al Center for Historical analysis della Rutgers University, dove fu comunque inviato un PowerPoint del mio intervento: Women’s Sermons at the End of the Middle Ages: Texts from the Blessed and the Images of Saints, in Women Preachers and Prophets through Two Millennia of Christianity, a cura di Beverley M. Kienzle, Pamela J. Walker, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1998, pp. 173-195.

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dal titolo dei volumi che in seguito furono pubblicati, risiedeva soprattutto in un duplice ampiamento di prospettive: da un lato, con il coinvolgimento di studiosi di altri settori disciplinari e, dall’altro, con un incremento delle impostazioni metodologiche. Purtroppo non sono stati pubblicati gli atti di un incontro che ha avuto luogo ad Harvard (Mass., USA) il 21 settembre 2012,48 in onore di Beverley M. Kienzle, presidente dell’IMSS dal 1996 al 2002 e curatrice di um importante volume collettivo sui sermoni medievali:49 avrebbe rappresentato un punto di arrivo di notevole rilievo per un percorso durato un paio di decenni. Gran parte dell’anno 1986 fu trascorso presso i Monumenta Germaniae Historica a Monaco di Baviera, come Humboldt-Stipendiat, dopo un semestre passato a Londra presso il Warburg Institute – sia pure come Visiting Scholar presso lo University College di Londra. Allora trovava una realizzazione un’ipotesi che mi era stata amichevolmente prospettata da David L. D’Avray, raffinato studioso della predicazione medievale50 (in tempi recenti divenuto membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche). In quel periodo prese appunto concretezza il corposo filone di ricerca sull’iconografia dei predicatori e della predicazione, un altro percorso sulle tracce della predicazione effettiva, portato avanti per tre decenni, nella prospettiva di una monografia che, malgrado le amichevoli sollecitazioni di Hervé Martin, autore di importanti studi sulla predicazione tardomedievale in Francia (con cui dividevo l’interesse per Vicent Ferrer, morto proprio in Bretagna nel 141951), 48. Il mio intervento è stato pubblicato nella versione italiana: Roberto Rusconi, L’ul‑ timo sermone. La predica dell’Anticristo alla fine del Medioevo, in «Iconographica», XVI (2017), pp. 174-184 [in questo volume alle pp. 269-290]. 49. Vedi nota 59. 50. Ricordo soltanto David L. D’Avray, The Preaching of the Friars: Sermons Dif‑ fused from Paris before 1300, Oxford, Clarendon Press, 1985 [ristampa 1988]; Modern Questions about Medieval Sermons: Essays on Marriage, Death, History and Sanctity, di Nicole Bériou, David L. D’Avray, con Peter Cole, Jonathan Riley-Smith, Martin Tausche, Spoleto (Perugia), CISAM, 1994; Medieval Marriage Sermons. Mass Communication in a Culture without Print, Oxford-New York, Oxford University Press, 2001. 51. Hervé Martin, Les ordres mendiants en Bretagne vers 1230 - vers 1530. Pauvreté voluntaire et prédication á la fin du Moyen Âge, Paris, Librairie C. Klincksieck, 1975; Le métier de prédicateur en France septentrionale á la fin du Moyen Âge 1350-1520, Paris, éditions du Cerf, 1988; Pérégrin d’Opole (vers 1260 - vers 1330). Un prédicateur domi‑ nicain à l’apogée de la chrétienté médiévale, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2008.

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non sarà mai scritta: sino a quando tale constatazione ha indotto a raccogliere in volume contributi divenuti ormai numerosi.52 In quell’anno aveva luogo il passaggio all’Università di Salerno – divenuto effettivo all’inizio dell’anno seguente – come professore ordinario di Storia della Chiesa. Nel 1987 l’ingresso nel comitato scientifico del Centro internazionale di studi gioachimiti, con sede sulla Sila a San Giovanni in Fiore (Cosenza), per molto tempo ha reso prevalente l’impegno nelle ricerche su profezia, escatologia e apocalittica, nella organizzazione di convegni e nella pubblicazione dei relativi atti, oltre che nella cura editoriale di una collana di testi e di studi.53 Nel 1992 un ulteriore soggiorno di un anno, quella volta presso l’Institute for Advanced Study di Princeton (New Jersey, USA), avrebbe dovuto rappresentare il periodo ideale per coagulare in un volume la ricerca sull’iconografia della predicazione, in un ambiente reso particolarmente vivace da uno storico dell’arte del rango di Irving Lavin. Ancora una volta un’interferenza si intromise nei migliori propositi: il centenario della scoperta dell’America e l’edizione critica del Libro del las profecías di Cristoforo Colombo.54 Prendeva avvio una stagione di importanti contatti con la storiografia anglo-americana, che si concretizzava soprattutto nei panel di discussione 52. Sono i testi, pubblicati tra 1985 e 2008, raccolti in Roberto Rusconi, Immagini dei predicatori e della predicazione in Italia alla fine del Medioevo, Spoleto (Perugia), CISAM, 2016 (Collana della Società internazionale di studi francescani. Saggi 17) [si veda in questo volume la bibliografia finale]. 53. Alcuni studi sono stati raccolti in Profezia e profeti alla fine del Medioevo, Roma, Viella, 1999 (ristampa 2011), pubblicata nella collana Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti. 54. Cristoforo Colombo, Libro de las profecías, in Nuova raccolta colombiana, vol. III, tomo I (Comitato Nazionale per le celebrazioni del V Centenario della scoperta dell’America), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993. Una versione inglese fu predisposta nel periodo in cui insegnai Storia del Rinascimento a UCLA (Los Angeles, California): The Book of Prophecies edited by Christopher Columbus, edizione critica di Roberto Rusconi, traduzione di Blair Sullivan, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1997 (Repertorium Colombianum, III. The UCLA 1992 Quincentenary Program). Si vedano anche Roberto Rusconi, Il «Libro de las profecías» di Cristoforo Colombo: retroterra culturale e consapevolezza di uno scopritore, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», 29 (1993), pp. 269-303 [anche in Rusconi, Profezia e profeti], ed Escatologia e conversione al cristianesimo in Cristoforo Colombo e nei primi anni del‑ la colonizzazione europea nelle isole delle «Indie», in «Cristianesimo nella Storia», 14 (1993), pp. 263-302.

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durante le grandi adunanze dell’International Congress on Medieval Studies, che ogni anno vedeva la partecipazione di migliaia di studiosi provenienti da tutti gli USA presso il Medieval Institute della Western Michigan University a Kalamazoo:55 nel 1995 il plenary speech fu assegnato a Phyllis Roberts,56 importante riconoscimento alla studiosa, ma indirettamente anche alla IMSSS, al cui interno a lungo svolse un ruolo di primaria importanza. Poteva anche trattarsi della Renaissance Society of America, che alternava i propri incontri tra Nordamerica e Italia, ovvero dell’International Medieval Congress organizzato annualmente a Leeds (UK), a partire dal 1994. A quegli incontri non ci si presentava con un testo chiuso, anzi il più delle volte accadeva che la presentazione in un panel non conducesse direttamente a una pubblicazione. Importante era invece il confronto, molto aperto, con colleghi provenienti da molte parti del mondo, e la vivace discussione che ne sortiva. Questa narrazione, in cui auto/biografia e storiografia si mescolano in maniera inestricabile, e dove non è stato malauguratamente possibile richiamare tutte le studiose e tutti gli studiosi che, con profitto reciproco, si sono incrociati nel corso degli anni, può rappresentare una premessa utile a introdurre ai testi che vengono pubblicati nel volume, dove sono stati ordinati in base alla sequenza cronologica degli argomenti esposti, in maniera indipendente dalla data originaria della loro redazione.57 Nei diversi capitoli si susseguono le risposte date a differenti questioni di metodo, che costituiscono il nodo centrale di una riflessione sulla rilevanza della pre55. Tra le raccolte di studi che presero spunto dai panels presentati in quelle occasioni, a titolo di esempio ricordo soltanto De ore Domini. Preacher and word in the Middle Ages, a cura di Thomas L. Amos, Eugene A. Green, Beverly Mayne Kienzle, Kalamazoo (Michigan), Medieval Institute Publications, 1989, e Models of Holiness in Medieval Sermons. Proceedings of the International symposium (Kalamazoo, 4-7 maggio 1995), a cura di Beverly Mayne Kienzle, Louvain-La-Neuve, Fédération internationale des instituts d’études médiévales, 1996. 56. Tra le sue pubblicazioni si ricordino Phyllis B. Roberts, Studies in the Sermons of Stephen Langton, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1968; Selected Sermons of Stephen Langton, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1980; Thomas Becket in the Medieval Latin Preaching Tradition. An Inventory of Sermons about St Thomas Becket c. 1170 - c. 1400, Steenbrugge, in Abbatia S. Petri - Den Haag, M. Nijhoff, 1992 57. Per tale motivo si è giocoforza rinunciato a un puntuale aggiornamento bibliografico, che avrebbe falsato le caratteristiche di scritti redatti sulla base della storiografia e delle fonti disponibili al momento della loro stesura.

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dicazione effettiva e sulla sua rilevazione. Si inizia con la collocazione della predicazione all’interno della storia sociale e religiosa dell’Italia, nel lungo periodo che si è disteso dall’alto medioevo all’età moderna58 (nel corso degli anni mutava comunque la bibliografia di riferimento, peraltro incentrata sul sermone latino59). A un’indagine sulle fonti testuali oppure sulle raccolte manoscritte60 ci si doveva attenere forzatamente nel periodo che comprendeva l’alto medioevo e il medioevo centrale, un’epoca in cui le prediche si sono caratterizzate per una profonda dipendenza dai testi omiletici trasmessi a partire dai primi secoli del cristianesimo, mentre altre fonti erano alquanto avare di informazioni, in un contesto religioso caratterizzato dalla egemonia dei monaci e dalla prevalenza di un’appartenenza rituale dei fedeli al cristianesimo. Nei secoli che chiudevano l’età di mezzo, invece, si imponeva un’indagine complessiva sul ruolo dei nuovi Ordini religiosi, dei frati detti “mendicanti”, i quali si imposero in una sorta di quasi monopolio nell’ambito della predicazione ai fedeli nella loro lingua nativa (e anche nell’ascolto delle loro confessioni individuali). Peraltro si partiva da premesse che, per quanto riguardava Francesco d’Assisi e i frati Minori, non avrebbero di necessità condotto a un esito siffatto. L’edificio della chiesa e la piazza divennero i luoghi in cui le prediche erano pronunciate, trasformando la parola scritta dei sermoni – e la lingua latina – nella 58. Per l’estensione del rispettivo testo non sono stati inclusi in questo volume Roberto Rusconi, Predicatori e predicazione, e Gli Ordini religiosi maschili dalla Controriforma alle soppressioni settecentesche: cultura, predicazione, missioni, in Clero e società nell’Italia mo‑ derna, a cura di Mario Rosa, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 207-274 [2ª ed. 1995]. 59. Agli inizi si disponeva del grande repertorio di Johannes Baptist Schneyer, Re‑ pertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters für die Zeit von 1150-1350, Münster, Aschendorffsche Verlagsbuchhandlung, 1969-1990, e della sua sintesi di carattere manualistico: Geschichte der katholischen Predigt, Freiburg, Seelsorge Verlag, 1969. Dopo parecchi anni molto utile si rivelava una presentazione delle fonti, di grande respiro, che si caratterizzava per l’abbandono di un orientamento meramente erudito: Jean Longère, La prédication médiévale, Paris, Études Augustiniennes, 1983. Pur sempre ponendo al centro dell’interesse il testo scritto, assicurava il necessario respiro storico un volume collettivo, che rifletteva la rete di contatti generata dalla International Medieval Sermon Studies Society: The Sermon, a cura di Beverly Mayne Kienzle, Turnhout, Brepols, 2000 (Typologie des Sources du Moyen Âge Occidental, vol. 81-82-83). 60. Si veda l’ampio repertorio di Réginald Grégoire, Homéliaires liturgiques médiévaux. Analyse de manuscrits, Spoleto (Perugia), CISAM, 1980. Per il periodo successivo si veda ad esempio Letizia Pellegrini, I manoscritti dei Predicatori. I domenicani dell’Italia mediana e i codici della loro predicazione (secc. XIII-XV), Roma, Istituto storico domenicano, 1999.

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parola parlata delle prediche – in volgare:61 un passaggio dai molteplici risvolti (ma le ipotesi su un certo tipo di predicazione “macaronica”, vale a dire basata su una mescidamza linguistica di italiano e latino, sembrano basate su un fraintendimento della tradizione manoscritta della predicazione effettiva62). L’apogeo di quella predicazione si ebbe in verità nell’età del Rinascimento, tra ultimo medioevo e primissima età moderna, quando la predicazione si affermò come un fenomeno sociale, un evento religioso ma anche politico, e molti predicatori divennero veri e proprio divi, usufruendo ampiamente di tale reputazione.63 Quei predicatori proponevano all’uditorio radunato dalla loro fama un sistema di valori religiosi del tutto organico all’egemonia del ceto mercantile-borghese dell’epoca, come rivelava il lavorio sui propri testi di un personaggio, vero e proprio caposcuola, il frate Minore dell’Osservanza Bernardino da Siena.64 Il pulpito costituiva il supporto fisico della loro autorevolezza, e ne amplificava le valenze. L’intromettersi in tematiche economiche e sociali,65 portandole appunto sui pulpiti, di fatto rendeva la loro predicazione del tutto organica agli sviluppi 61. Sul problema dei rapporti tra latino e volgare, e non soltanto nella predicazione, nel periodo compreso tra l’età carolingia e l’età tridentina, aveva scritto Vittore Coletti, Parole dal pulpito. Chiesa e movimenti religiosi tra latino e volgare, Casale Monferrato (Alessandria), Marietti, 1983. 62. Diverso l’orientamento di Lucia Lazzerini, Per latinos grossos… : studio sui ser‑ moni mescidati, in «Studi di filologia italiana», 29 (1971), pp. 220-339, e Da quell’arzillo pulpito. «Sermo humilis» e sermoni macaronici nel Quaresimale autografo di Valeriano da Soncino, O.P., in Il testo trasgressivo. Testi marginali, provocatorî, irregolari dal Medioevo al Cinquecento, Milano, FrancoAngeli, 1988, pp. 79-126 (che riprendeva e ampliava un intervento al convegno di studi in memoria di Zelina Zafarana: vedi nota 20). 63. Piace qui ricordare il raffinato libro di un’antropologa: Ida Magli, Gli uomini della penitenza. Lineamenti antropologici del Medioevo italiano, Bologna, Cappelli, 1967 (ripubblicato: Milano, Garzanti, 1977; Padova, Muzzio, 1995), che di questo trattava. 64. Roberto Rusconi, S. Bernardino da Siena, la donna e la «roba», in Atti del conve‑ gno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario della nascita, L’Aquila, Comitato Aquilano del sesto centenario della nascita di S. Bernardino da Siena, 1982, pp. 97-110 [in questo volume, pp. 169-184]. Per un aggiornamento sul personaggio e sulla sua influenza si rinvia a un Companion in corso di stampa, a cura di Letizia Pellegrini (Brill, Leiden). 65. Gli innovativi studi di Giacomo Todeschini sono iniziati con ‘Oeconomica fran‑ ciscana’: proposte di una nuova lettura delle fonti dell’etica economica medievale, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 12 (1976), pp. 15-77, e ‘Oeconomica franciscana’ II: Pietro di Giovanni Olivi come fonte per la storia dell’etica-economica medievale, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 13 (1977), pp. 461-494, e hanno trovato un’acuta e argomentata sintesi in Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato, Bologna, il Mulino, 2004 [più di di recente si veda anche Il denaro, i mercanti,

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della società italiana dell’età comunale e signorile,66 ad esempio acquisendo una portata esplicita con la propaganda a favore dell’erezione dei Monti di Pietà, un’istituzione benefica fondata sul credito su pegno e rivolta a ridimensionare la pratica dell’usura:67 il che condusse peraltro a una virulenta deriva antigiudaica.68 La confessione individuali dei fedeli a un sacerdote non era soltanto l’usuale momento in cui verificare se essi si fossero conformati alla proposta religiosa enunciata dai pulpiti, ma si arricchiva della possibilità di lucrare quelle indulgenze che costituirono il punto di rottura con i Riformatori nel secondo decennio del secolo XVI.69 la chiesa: Le Goff, la storia economica dell’Occidente cristiano e il francescanesimo, in «Nuova rivista storica», 99 (2015), pp. 977-996]. 66. Roberto Rusconi, «Predicò in piazza»: politica e predicazione nell’Umbria del ’400, in Signorie in Umbria tra Medioevo e Rinascimento: l’esperienza dei Trinci (Foligno, 10-13 dicembre 1986), Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1989, pp. 113141 [anche in Immagini]. Su alcuni aspetti si veda in seguito Gábor Klaniczay, The “Bonfire of the Vanities” and the Mendicants, in Material Culture and Emotions in the Middles Ages, a cura di Gerhard Jaritz, Wien, Blackwell’s, 2003, pp. 31-60. 67. Roberto Rusconi, «Monte di denaro e Monte della Pietà». Predicazione, prestito a usura e antigiudaismo nell’Italia Rinascimentale, Milano, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa - Università Cattolica del S.C., 2008 [in questo volume, pp. 185-208], cui si possono aggiungere Francesca Lomastro Tognato, Legge di Dio e monti di Pietà: Marco da Montegallo (1425-1496), Vicenza, Fondazione Monte di Pietà di Vicenza, 1996; Marco da Montegallo (1425-1496). Il tempo, la vita, le opere. Atti del Convegno di studio (Ascoli Piceno, 12 ottobre 1996 e Montegallo, 23 agosto 1997), a cura di Silvano Bracci, Padova, Centro studi antoniani, 1999; Maria Giuseppina Muzzarelli, Il denaro e la salvezza. L’invenzione del Monte di pietà, Bologna, il Mulino, 2001. Sull’argomento si è tornati di recente: Credito e Monti di pietà tra Medioevo ed età moderna: un bilancio sto‑ riografico, a cura di Pietro Delcorno e Irene Zavattero, Bologna, il Mulino, 2020. 68. Si veda Roberto Rusconi, Bernardino da Feltre predicatore nella società del suo tempo [come a nota 34], e in particolare Anti Jewish Preaching in the Fifteenth Century and Images of Preachers in Italian Renaissance Art, in Friars and Jews in the Middle Ages and Renaissance, a cura di Steven J. McMichael, Susan E. Myers, Leiden, Brill, 2004, pp. 225237; versione italiana in Predicatori ed ebrei nell’arte italiana del Rinascimento, in «Iconographica», 3 (2004), pp. 148-161 [anche in Immagini]. Dalla predicazione di Bernardino da Feltre ha preso le mosse il volume di Maria Giuseppina Muzzarelli, Pescatori di uomini. Predicatori e piazze alla fine del Medioevo, Bologna, il Mulino, 2005. 69. Vedi Predicazione penitenziale, ascolto delle confessioni e prassi indulgenziale. Italia, 1470 ca.-1520 ca., in Ablasskampagnen des Spätmittelalters. Luthers Thesen von 1517 im Kontext, hrsg. von Andreas Rehberg, Berlin-Boston, De Gruyter, 2017, pp. 63-76 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts zu Rom. Band 132) [in questo volume, alle pp. 209-226].

Introduzione. Da che pulpito viene la predica

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Nello studio della predicazione in Italia nell’ultimo scorcio del medioevo un elemento alquanto rilevante è rappresentato dal passaggio del libro dal manoscritto alla stampa a caratteri mobili. Della ars artificialiter scribendi si avvalsero assai presto alcuni predicatori,70 e ad altri furono intestate numerose edizioni di sermonari, soprattutto latini, ma in qualche caso anche volgari: nei repertori spiccano i nomi di domenicani, come Leo­nardo da Udine, e soprattutto di francescani, come Michele Carcano da Milano, Roberto Caracciolo da Lecce, Bernardino Busti (e anche il servita Paolo Attavanti e altri), anche recuperando autori delle epoche più o meno immediatamente precedenti, fra gli altri i domenicani Johannes Nider71 e Giacomo da Varazze – per limitarsi al contesto italiano. Per tutti costoro, in ogni caso, non veniva intaccato il rapporto divenuto tradizionale tra un predicatore e i suoi strumenti di lavoro. Diversamente accadde per un frate dell’Ordine dei Predicatori, Girolamo Savonarola da Ferrara. Pur iniziando in maniera del tutto tradizionale la propria vita religiosa, di cui erano componenti sia un’intensa attività pastorale sia l’esercizio della predicazione, in maniera graduale il suo coinvolgimento nella convulsa vita politica fiorentina dell’ultimo decennio del secolo XV ha comportato da parte sua un’utilizzazione militante della stampa, in un circuito divenuto funzionale: il testo di un sermone latino transitava al pulpito della predicazione in volgare, per essere raccolto da un ascoltatore e venire trasmesso alla pubblicazione a stampa, in ogni caso con una supervisione da parte del frate, che a un certo punto alla stampa fece ricorso in maniera diretta.72 Anche dopo la sua tragica fine, nel 1498, 70. Alcune indicazioni in Rusconi, L’ordine dei peccati, pp. 193-198. 71. Si veda ad esempio Gábor Klaniczay, Entre visions angéliques et transes chama‑ niques: le sabbat des sorcières dans le Formicarius de Nider, in «Médiévales», 14 (2003), pp. 47-72; in italiano in Idem, Santità, miracoli, osservanze nel Medioevo. L’Ungheria nel contesto europeo, Spoleto (Perugia), CISAM, 2019, pp. 441-517: Apparizioni celesti e diaboliche nel Formicarius di Johannes Nider. 72. Roberto Rusconi, Le prediche di fra Girolamo da Ferrara: dai manoscritti al pulpito alle stampe, in Una città e il suo profeta. Firenze di fronte al Savonarola. Atti del convegno internazionale di studi (Firenze, 10 13 dicembre 1998), a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 201-234. Da questo punto di vista il rinnovamento metodologico degli studi aveva preso avvio dal volume di Giulio Cattin, Il primo Savonarola. Poesie e prediche autografe dal Codice Borromeo, Firenze, Olschki, 1973. La bibliografia su Savonarola è sterminata, ed è ulteriormente aumentata con la ricorrenza centenaria della sua morte nel 1994: si veda anche Roberto Rusconi, Immagini di predicatori e scene di predicazione nell’arte italiana all’epoca di fra Girola‑

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per alcuni decenni i seguaci andarono pubblicandone i testi delle prediche, in un filone editoriale al cui interno si inserirono altri personaggi, ad esempio il minorita Francesco da Montepulciano.73 Alla fine del medioevo, e nell’età del Rinascimento, nell’immaginario religioso, tramandato dapprima nei manoscritti e in seguito soprattutto a stampa, ma anche in un grande ciclo di affreschi a Orvieto (Perugia), sul pulpito non salgono soltanto i religiosi dei diversi Ordini, ma anche l’ultimo nemico della fede cristiana, l’Anticristo:74 in un intreccio vitale di fonti, che rimandano alle immagini dei predicatori e della predicazione – una tematica rilevante per mettere a fuoco i rapporti tra il predicatore e il suo pubblico; un aspetto più ampiamente indagato nella raccolta su Immagini dei predicatori e della predicazione.75 L’interesse per il ruolo della stampa nell’attività dei predicatori si è fortemente accentuato in relazione al primo secolo dell’età moderna, in modo particolare da quando ha avuto luogo la rottura dell’unità confessionale nell’Europa occidentale:76 in un’epoca in cui in Italia ai fermenti religiosi della Riforma provenienti d’Oltralpe si rispose dapprima con una Controriforma, che ebbe il suo punto di svolta con l’istituzione dell’Inquisizione romana nel 1542, e poi con la riunione di un Concilio a Trento (1545-1563), a sua volta punto di partenza per una riforma della Chiesa cattolica. Si tratta di un aspetto a cui aveva prestato attenzione in alcuni contributi Samuele Giombi77 e che è stato ampiamente indagato da Emily Michelson.78 Quanto alla predicazione nei primi due secoli dell’età moderna, nella storiografia italiana l’approccio degli studiosi è stato influenzato dall’impormo da Ferrara, in Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, Convegno internazionale (Ferrara, 30 marzo ‑ 3 aprile 1998), a cura di Gigliola Fragnito e Mario Miegge, Firenze, SISMEL, 2001, pp. 85‑97 [anche in Immagini]. 73. Si veda di recente Michele Lodone, I segni della fine. Storia di un predicatore nell’Italia del Rinascimento, Roma, Viella, 2021. 74. Vedi nota 48. 75. Si vedano i testi raccolti nel volume citato a nota 14. 76. Roberto Rusconi, «Rhetorica ecclesiastica». La predicazione nell’età post triden‑ tina fra pulpito e biblioteca, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cin‑ quecento e Settecento. Atti del X Convegno di Studio dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa (Napoli, 6-9 settembre 1994), a cura di Giacomo Martina e Ugo Dovere, Roma, Edizioni Dehoniane, 1996, pp. 15-46 [in questo volume, pp. 291-320]. 77. Raccolti in Samuele Giombi, Libri e pulpiti. Letteratura, sapienza e storia religio‑ sa nel Rinascimento, presentazione di Adriano Prosperi, Roma, Carocci, 2001. 78. Emily Michelson, The pulpit and the press in reformation Italy, Cambridge, Mass. - London, Harvard University Press, 2013.

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tanza delle ricerche sull’inquisizione, che hanno avuto negli studi di Adriano Prosperi un solido punto di riferimento:79 ad esempio nella monografia di Giorgio Caravale su Predicazione e inquisizione nell’Italia del Cinque‑ cento.80 Altrimenti l’interesse si rivolto verso alcune figure particolarmente significative, come il francescano conventuale Cornelio Musso e il francescano osservante Francesco Panigarola, mentre si è innnovata in maniera significativa una valutazione della figura del vicario generale dei Cappuccini, Bernardino da Siena detto Ochino, rifugiatosi Oltralpe nel 1542, anno in cui moriva il cardinale Gasparo Contarini e il papa Paolo III istituiva la Suprema sacra congregazione del S. Ufficio – cioè l’Inquisizione romana.81 A partire dalla fine del secolo XVI all’interno del cattolicesimo romano presero avvio strade diverse, seguendo un orientamento che allontanava il testo delle prediche – adesso regolarmente stampate in italiano – dal rapporto con la predicazione effettiva, a favore di un’evoluzione in letteratura, come indicò un pioneristico intervento dello studioso cappuccino Giovanni Pozzi da Locarno.82 Con il definitivo trasferimento sulla cattedra di Storia del Cristianesimo nella Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università degli Studi Roma Tre nell’a.a. 2002-2003 si è gradualmente imposto un differente impegno 79. Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996 (riedizione 2009). 80. Giorgio Caravale, Predicazione e Inquisizione nell’Italia del Cinquecento. Ippoli‑ to Chizzola tra eresia e controversia antiprotestante, Bologna, il Mulino, 2012. 81. Si vedano Francesco Panigarola. Predicazione, filosofia e teologia nel secondo Cinquecento, a cura di Francesco Ghia e Fabrizio Meroi, Firenze, Olschki, 2013; Luciano Bertazzo, Per una storia della predicazione francescana tridentina: una lettura attra‑ verso l’esemplarità di Cornelio Musso, in Storia della spiritualità francescana, a cura di Marco Bartoli, Wiesław Block, Alessandro Mastromatteo, II: Secoli XVI-XX, a cura di Alessandra Bartolomei Romagnoli, Wiesław Block, Alessandro Mastromatteo, Bologna, EDB, 2021; Michele Camaioni, Il Vangelo e l’anticristo. Bernardino Ochino tra france‑ scanesimo ed eresia (1487-1547), Bologna, il Mulino, 2018. 82. Dopo p. Giovanni [Pozzi] da Locarno, Saggio sullo stile dell’oratoria sacra nel Seicento esemplificata sul P. Emmanuele Orchi, Romae, Institutum Historicum Ord. Fr. Min. Cap, 1954, si veda Erminia Ardissino, Il barocco e il sacro. La predicazione del teatino Paolo Aresi tra letteratura, immagini e scienza, presentazione di Giovanni Pozzi, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2001. Interessanti i contributi raccolti in una serie di volumi collettivi: La predicazione nel Seicento, a cura di Maria Luisa Doglio e Carlo Delcorno, Bologna, il Mulino, 2009; Predicare nel Seicento, a cura di Maria Luisa Doglio e Carlo Delcorno, Bologna, il Mulino, 2011; Prediche e predicatori nel Seicento, a cura di Maria Luisa Doglio e Carlo Delcorno, Bologna, il Mulino, 2013.

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di ricerca di lunga durata, concernente le biblioteche degli Ordini regolari maschili in Italia alla fine del secolo XVI.83 Nel medesimo periodo sono diventati prioritari gli impegni nell’AISSCA (Associazione Internazionale per lo Studio dei Santi, dei Culti e dell’Agiografia)84 e nell’AIRS (Associazione Internazionale per le Ricerche sui Santuari).85 *** Al termine di queste pagine mi rammarico di avere trattato in sostanza delle mie pubblicazioni, menzionando quelle di altri studiosi soltanto di riflesso (innanzitutto senza alcuna pretesa di completezza bibliografica). Si tratta in verità di tessere che hanno cercato di trovare la propria collocazione in un disegno molto più ampio. Per questo si è rinunciato alla tentazione, peraltro legittima, di ricordare alcuni grandi studiosi di cui maggiormente si è tenuto conto, e della cui stima si rimane ancor oggi più che orgogliosi, e anche quelli tra loro da cui si è stati allontanati da banali vicende accademiche, e i molti compagni di strada, di cui talora si è stati reciprocamente molto amici, e anche quanti hanno voluto apprendere qualcosa. Nelle ricerche sulla predicazione, peraltro, non mi sono mai incrociato con due amici e colleghi, la cui diuturna frequentazione ha arricchito culturalmente la mia permanenza a Roma, Sofia Boesch Gajano e Francesco Scorza Barcellona: il mio debito intellettuale nei loro confronti non può essere misurato in maniera banale. Il libro esce presso la casa editrice Viella, dove sono stati ospitati due libri da me scritti (e altri curati) e per la quale mi sono occupato di due collane, Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti e la seconda serie di Sacro/santo. Quanto a Cecilia Palombelli, la nostra amicizia risale addittura alla metà degli anni ’80, quando venimmo ad abitare a Roma in maniera definitiva e mi rivelò che, nel periodo in cui aveva insegnato in una scuola di periferia, aveva molto apprezzato la raccolta di testi pubblicata in Predicazione e vita religiosa. Questo libro è stato curato da Andrea Settis Frugoni, con cui si era lavorato proprio per pubblicazioni uscite

83. In relazione al programma di Ricerca sull’Inchiesta della Congregazione dell’Indice [RICI], si veda (con Rosa Marisa Borraccini e Giovanna Granata), A proposito dell’in‑ chiesta della S. Congregazione dell’Indice dei libri proibiti alla fine del ’500, in «Il capitale culturale», 6 (2013), pp. 13-45 (on line). 84. Ricordo soltanto la partecipazione alla direzione scientifica della rivista Sancto‑ rum e il volume Storia della santità nel cristianesimo occidentale, scritto con Anna Benvenuti, Sofia Boesch Gajano, Simon Ditchfield, Francesco Scorza Barcellona, Gabriella Zarri (Roma, Viella, 2005), con il contributo: Una Chiesa a confronto con la società, pp. 331-386. 85. In particolare con la curatela della collana Santuari d’Italia, edita presso la casa editrice De Luca di Roma.

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presso la Viella molto tempo fa.86 Il volume sulla santità dei papi87 mise a dura prova la pazienza di Vira Lanciotti, la cui competenza consentì di non annegare in una montagna di pagine, e che purtroppo ci ha lasciato da non molto. La raccolta di studi sulla profezia88 fu “creata” con Marco Vendittelli, da cui imparai – magari non abbastanza – che i libri si fanno insieme (mentre nel loro “antro” Vittorio Rivosecchi – da troppo tempo non è più con noi – ci teneva d’occhio). Con Graziana Forlani è stato fatto un libro fuori commercio come non se ne stampavano da molto tempo.89 Negli ultimi due decenni sono tornato a occuparmi delle tematiche concernenti la storia della Chiesa cattolica in età contemporanea, da cui avevo preso le mosse negli anni ’60: in verità mi ero ripromesso di riprenderle nella seconda metà degli anni ’90. Mi auguro che adesso non sia diventato troppo tardi.90

86. Marjorie Reeves e Warwick Gould, con un saggio di Fulvio De Giorgi, Gioac‑ chino da Fiore e il mito dell’Evangelo eterno nella cultura europea, Roma, Viella, 2000 (edizioni originali: Marjorie Reeves, Warwick Gould, Joachim of Fiore and the Myth of the Eternal Evangel in the Nineteenth Century, Oxford, Clarendon, 1987, e Warwick Gould, Marjorie Reeves, Joachim of Fiore and the Myth of the Eternal Evangel in the Nineteenth and Twentieth Centuries, revised and enlarged edition, Oxford, Clarendon, 2001). 87. Roberto Rusconi, Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Roma, Viella, 2010. 88. Profezia e profeti (citato alla nota 53). 89. Per Sofia. Riflessioni davanti a un’immagine. Dagli amici di Sacro/santo, Roma, Viella, 2014. 90. Ricordo soltanto le pubblicazioni presso la casa editrice Morcelliana di Brescia: Il gran rifiuto. Perché un papa si dimette (2013; nuova ed. ampliata: 2023); Il governo della Chiesa. Cinque sfide per papa Francesco (2013); Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Teolo‑ go, cardinale, papa (2021).

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Nota ai testi I contributi inclusi in questa raccolta sono stati originariamente pubblicati in: Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher editore, 1981 [anche disponibile on line in Reti medievali]. La predicazione tra primo e secondo millennio, in La Penitenzieria tra I e II millennio. Per una comprensione delle origini della Penitenzieria Apostolica, a cura di Manlio Sodi, Renata Salvarani, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pp. 193-212. La predicazione minoritica in Europa, in Francesco, il Francescanesimo e la cultura della nuova Europa, a cura di Ignazio Baldelli, Angiola Maria Romanini, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1986, pp. 141‑165. La predicazione: parole in chiesa, parole in piazza, in Lo spazio letterario del Medioevo, 1: Il Medioevo latino, vol. II: La circolazione del testo, Roma, Salerno Editrice, 1994, pp. 571‑603. S. Bernardino da Siena, la donna e la «roba», in Atti del convegno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario della nascita di s. Bernardino da Siena, L’Aquila, 7-9 maggio 1980, Teramo, Comitato Aquilano del sesto centenario della nascita di S. Bernardino da Siena, 1982, pp. 97-110 [anche in Mistiche e devote nell’Italia tardomedie‑ vale, a cura di Daniel Bornstein, Roberto Rusconi, Napoli, Liguori, 1992, pp. 171-186; anche St. Bernardino of Siena, the wife, and possessions, in Women and Religion in Medieval and Renaissance Italy, a cura di Daniel Bonstein, Roberto Rusconi, Chicago, The University of Chicago Press, 1996, pp. 182-196] «Monte di denaro e Monte della Pietà». Predicazione, prestito a usura e antigiudaismo nell’Italia Rinascimentale (Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa, Università cattolica del Sacro Cuore, Seconda Facoltà di economia [Scienze bancarie finanziarie e assicurative]. Quaderno n. 26), Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008, pp. 15-42. Predicazione penitenziale, ascolto delle confessioni e prassi indulgenziale. Italia, 1470 ca.-1520 ca., in Ablasskampagnen des Spätmittelalters. Luthers Thesen von 1517 im Kontext, hrsg. von Andreas Rehberg (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts zu Rom. Band 132), Berlin-Boston, De Gruyter, 2017, pp. 63-76. Le prediche di fra Girolamo da Ferrara: dai manoscritti al pulpito alle stampe, in Una città e il suo profeta. Firenze di fronte al Savonarola. Atti del convegno internazionale di studi (Firenze, 10‑13 dicembre 1998), a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL ‑ Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 201-234. L’ultimo sermone. La predica dell’Anticristo alla fine del Medioevo, in «Iconographica», 16 (2017), pp. 174-184. «Rhetorica ecclesiastica». La predicazione nell’età post‑tridentina fra pulpito e biblioteca, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Sette­cento (Atti del X Convegno di Studio dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa. Napoli, 6‑9 settembre 1994), Roma, Edizioni Dehoniane, 1996, pp. 15‑46.

Premessa

Nella società medievale italiana, nelle campagne come nei centri urbani, in ogni luogo dove vi era una chiesa ed un chierico addetto al suo servizio, quando vi venivano amministrati i sacramenti e soprattutto quando vi veniva celebrata la messa nei giorni festivi o nei periodi più importanti dell’anno liturgico (quaresima e avvento), questo chierico era tenuto a predicare alla popolazione che gli era stata affidata in cura d’anime. In un arco di tempo ampio quanto quello che va dall’instaurazione dell’impero medievale dei carolingi, agli inizi del IX secolo, all’affermazione della Controriforma, nella seconda metà del secolo XVI, mutano però anche radicalmente i luoghi, le modalità, i tempi, le persone stesse che danno vita alla predicazione: per non parlare dei suoi contenuti. La predica è in primo luogo, di norma, parte integrante di un rito ecclesiastico. Di essa i chierici si servono per comunicare alla massa dei fedeli le dottrine religiose da credere e le forme di devozione e di pietà da praticare, soprattutto nel momento in cui tutta la liturgia – a cominciare dalla lettura delle Sacre Scritture durante la messa – si svolge in lingua latina, poco o nulla compresa da una popolazione che ormai si esprime in lingua volgare. Questo non significa, però, che la predicazione esaurisca la sua funzione in un ambito meramente ecclesiastico e religioso. Le istituzioni ecclesiastiche – diocesi, pievi, parrocchie, monasteri e conventi – ricoprono, ripartiscono, talora amministrano non solo religiosamente, l’intero territorio della penisola: e nei diversi ambiti esse svolgono un ruolo di mediazione culturale ed ideologica di massa che in questi secoli non viene svolta da nessun’altra istituzione. In altri termini, la predicazione nel medioevo e agli inizi dell’età moderna è un vero e proprio mezzo di comunicazione di

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

massa di primaria importanza. Essa, infatti, viene svolta in maniera capillare ed omogenea. In ogni festività in tutte le chiese vengono letti gli stessi brani biblici e vengono tradotti e spiegati al popolo in sostanza nello stesso modo. A fare questo provvede il clero, sia secolare (chierici parrocchiali) sia regolare (monaci e frati): istruito con uniformità, ma soprattutto fornito di una serie di strumenti per la predicazione, i quali mutano con il tempo, ma conservano la funzione di insegnare l’arte di comporre le prediche o di raccoglierne i testi già composti in ampie collezioni, che i chierici debbono semplicemente volgarizzare nella lingua che il popolo comprende. In questo modo si assicura l’adempimento del ruolo istituzionale che al clero si chiede di svolgere: apprendere una cultura religiosa e teologica, che l’élite ecclesiastica ha formalizzato in lingua latina, e riproporla come tale da credere ai fedeli nella loro lingua volgare. Da ciò consegue che questa attività di volgarizzamento è marcata da un preciso segno ideologico, che con termini attuali, si potrebbe definire di manipolazione del consenso. Se a predicare di fatto sono esclusivamente i chierici, non stupisce di ritrovare nella loro predicazione alle masse i riflessi della collocazione sociale, politica, culturale delle istituzioni ecclesiastiche. Nella predicazione ufficiale – quella che i chierici legittimamente ordinati svolgono nelle loro chiese – mancano certamente quelle tematiche, anche di origine biblica, che possano suonare come un invito ad un radicale sovvertimento dell’assetto di una determinata società. Nelle prediche, anzi, la proposizione delle verità di fede da credere, dei comportamenti individuali e collettivi da evitare (peccati) e delle azioni raccomandate (virtù), è profondamente segnata dalla fondamentale accettazione dei presupposti e delle implicazioni della cultura, della ideologia, della mentalità che sono espressione della classe dominante di una determinata epoca. Anche se ciò può apparire eccessivamente semplificato: ad esempio, nell’alto medioevo le prediche fanno riferimento ai valori religiosi ricorrendo a categorie culturali di stampo feudale, come allo stesso modo nei secoli XIV e XV si ricorre a categorie di impronta mercantile e borghese. Certo esiste anche, nel tempo, una predicazione non ufficiale, perché in opposizione alla linea della politica ecclesiastica del tempo o semplicemente al suo margine: predicatori itineranti, svincolati da ogni ordine religioso o addirittura laici; predicatori eretici; predicatori delle novità d’oltralpe, come è considerata all’inizio la Riforma protestante. Sono tutti fenomeni che, però, la gerarchia ecclesiastica, con la riconciliazione o la repressione, cerca di riassorbire all’interno delle istituzioni. Esiste anche,

Premessa

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soprattutto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, una vera e propria lotta di taluni ambienti e gruppi di laici per rivendicare anche a sé il diritto e il dovere di predicare, di contro alla riserva che l’istituzione ecclesiastica ha fatto della predicazione ai soli chierici. Una lotta che viene stroncata – né poteva essere diversamente, perché metteva in discussione il carattere fondamentale della predicazione nella società italiana dei secoli IX-XVI: un mezzo di comunicazione di massa, monopolizzato dalla istituzione ecclesiastica, che ne governa le modalità di esercizio, e nel quale viene svolta una ineliminabile funzione di mediazione culturale, ideologica e religiosa. La predicazione tra medioevo ed età moderna appare allora per quello che è, un grosso alveo in cui vengono incanalati apporti estremamente diversi e che, al di là di alcuni orientamenti basilari, i quali le danno il suo volto e la sua collocazione istituzionale, ne configurano i mutamenti e gli adattamenti nel tempo. Infatti, se a predicare sono sempre i chierici, non sono sempre gli stessi Ordini a gestire in prima linea questa attività: sono prevalentemente i monaci dei vari rami dell’Ordine benedettino sino al secolo XII, poi i frati degli Ordini mendicanti – francescani, domenicani, agostiniani, ecc. – nei secoli successivi, e più in ombra i chierici addetti alle parrocchie e alle pievi. Ognuno di questi gruppi ha una sua formazione culturale e religiosa specifica, che ne determina le modalità di intervento e di presenza nell’ambito pastorale: cioè, nella metafora del pastore e del gregge usualmente adottata per indicare il rapporto tra le masse dei fedeli e l’élite dei chierici, nell’inquadrare religiosamente le popolazioni. Per essi viene redatta una vasta letteratura, che ha specificatamente di mira la pratica della predicazione: raccolte di prediche, manuali per comporne di nuove, strumenti ausiliari, le cui caratteristiche specifiche cambiano con il progressivo adattamento delle funzioni della predicazione ad una società che cambia, sia pure con estrema lentezza. Mutano anche i luoghi della predicazione. Essa si svolge di norma nelle chiese, la cui collocazione nel territorio e la cui struttura si modifica a seconda delle forme di inquadramento religioso delle popolazioni e del tipo di predicazione che in esse viene svolta. Certo, nei momenti di passaggio da un periodo ad un altro – specie quando sono all’opera movimenti di riforma religiosa delle istituzioni ecclesiastiche – si predica nelle strade, nelle piazze, nei campi, sui greti dei fiumi: lo fanno i riformatori, prima di essere riassorbiti nel tessuto delle istituzioni tradizionali; lo fanno gli eretici, prima di doversi nascondere per la caccia che senza tregua dà loro

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

l’inquisizione; lo fanno i predicatori più popolari della fine del medioevo, quando il loro successo è tale da rendere gli edifici ecclesiastici insufficienti a contenere le folle accorse a sentire le prediche di personaggi per i quali non è assolutamente fuori luogo parlare di veri e propri fenomeni di divismo. Sorge peraltro spontanea una domanda, relativa agli atteggiamenti di accoglimento, di reazione, di resistenza da parte di coloro che queste pre­ diche ascoltavano. È una realtà questa molto difficile da cogliere: di fronte a intere biblioteche conventuali e monastiche ricolme di codici con manuali per comporre prediche, raccolte di omelie e sermoni, solo ogni tanto si rintracciano manoscritti di vario genere, in cui singoli ascoltatori hanno trascritto l’intero testo di una predicazione cui assistevano (reportatio) oppure hanno operato particolari scelte, nel caso di laici più interessati alle tematiche religiose e devote. Per il resto, bisogna affidarsi alle testimonianze sparse nelle cronache, nei diari, negli epistolari, alle ricostruzioni un po’ aspre della letteratura novellistica. Per quanto però si possa ulteriormente indagare in questa direzione, un limite invalicabile o quasi è costituito dalla funzione di mediazione che prediche e predicatori svolgono nel tempo: credenze folkloriche, forme spontanee di devozione, istanze sociali e politiche sono sempre riformulate all’interno di un messaggio che dal pulpito scende all’uditorio, e che viene proposto per acquisire un consenso nello stesso tempo religioso, culturale, ideologico, sociale, politico. Dai documenti appare l’ampiezza di una realtà come la predicazione, in cui confluisce un patrimonio di materiali assai ricchi, cui può attingere colui il quale sia interessato ad occuparsi di numerose tematiche: storia delle mentalità, tradizione del patrimonio folklorico, problemi economici e sociali, eccetera. Sempre, però, ricordandosi di utilizzare quanto nelle prediche viene tramandato, tenendo conto della specifica funzione della predicazione nella società.

1. Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma

1. L’inquadramento religioso delle popolazioni nell’alto medioevo Nel complesso della sua attività legislativa Carlo Magno dedica ampio spazio alle istituzioni ecclesiastiche. In particolare, mentre in Italia, nel corso della dominazione dei Longobardi, i vescovi erano rimasti del tutto estranei all’ordinamento statale, nell’impero carolingio essi assumono il ruolo di organi esecutivi del potere sovrano: essi debbono vigilare sul clero e sui monasteri, ma soprattutto sulla moralità del popolo cristiano. Nel programma politico di Carlo Magno e dei riformatori carolingi le istituzioni ecclesiastiche territoriali – diocesi e parrocchie – hanno la precisa funzione di assicurare la più ampia coesione ideologica del corpo sociale. Per ottenere questo risultato è necessario che i chierici a più stretto contatto con la popolazione – i sacerdoti in cura d’anime – posseggano una cultura religiosa almeno elementare, fatta di poche rudimentali conoscenze,1 e siano in grado di assicurare la celebrazione dei riti liturgici e l’amministrazione dei sacramenti.2 Quanto alla predicazione, essa è limitata ai giorni festivi e consiste nella ripetizione delle raccolte di sermoni e omelie dei secoli precedenti. In questi secoli, certo, non è la comunicazione di un messaggio reli­ gioso a prevalere nella vita religiosa di ogni giorno. Alle istituzioni ecclesia­ stiche compete di inquadrare le popolazioni al loro livello, quello religioso: in questo la predicazione al popolo resta un fatto sostanzialmente margi­ nale, rispetto ai riti sacramentali (soprattutto battesimo e sepoltura). 1. Ciò che i chierici debbono sapere: da MGH, Capit., I, p. 235. 2. Le domande che devono essere rivolte a coloro i quali vogliono diventare chierici: ivi, p. 234.

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Non bisogna, però, sottovalutare il fatto che la liturgia ecclesiastica veniva celebrata in latino, una lingua comprensibile solo in parte a popolazioni rurali presso le quali si stava affermando gradualmente l’uso delle varie lingue volgari. Di qui la necessità di assegnare un ruolo diverso alla predicazione: rendere intelligibile alla massa dei fedeli la dottrina religiosa che la élite chiericale si tramanda per iscritto in latino. E per fare questo occorre che la predicazione sia tenuta in maniera regolare, capillare e soprat­tutto in lingua volgare. A questo fine mirano le disposizioni emanate nell’813 da Carlo Magno,3 prima della convocazione dei concili provinciali di Tours4 e di Magonza, Reims, Arles, Chalons-sur-Saône.5 Mentre in questi ultimi emergono ampiamente le difficoltà pra­tiche che il programma carolingio incontra nell’assicurare una predicazione assidua in tutte le terre dell’impero, la diciassettesima disposizione del con­cilio di Tours indica con estrema chiarezza il segno ideologico di questa operazione: la predicazione viene svolta in una lingua intellegibile al volgo semplicemente perché la classe dirigente ecclesiastica possa farsi intendere da coloro la cui parlata corrente è ormai diventata una lingua auto­noma rispetto al latino. La elaborazione religiosa avviene in lingua colta, in latino: la traduzione in lingua volgare ha lo scopo di comunicare alla popolazione ciò che deve essere creduto, ed in questo modo assicurare, mediante l’instillazione di determinati principi di ordine morale, una integrazione della coscienza popolare nel consenso istituzionale. In un memoriale redatto dai vescovi dell’impero nel settembre 813 i principi della predicazione assidua e comprensibile e della traduzione dei testi latini in una lingua volgare divengono le direttrici dell’azione pastorale.6 Ma l’azione dei riformatori ecclesiastici carolingi è ancora più complessa. Per assicurare che in tutte le chiese dell’impero ci si uniformi alla prassi liturgica e cultuale della Chiesa di Roma, Carlo Magno ordina la revisione di tutti i libri di cui il clero si serve. Per questo motivo ordina a Paolo Diacono di compilare un nuovo lezionario, perché di esso ci si servisse nella liturgia e per la predicazione.7 In esso vengono rac­colti, di3. I criteri della predicazione per Carlo Magno: Karoli magni capitula e canonibus excerpta, in MGH, Conc., II/1, p. 296. 4. L’uso della lingua volgare nei rapporti pastorali tra chierici e laici: ivi, p. 286 sgg. 5. Un’organizzazione capillare della predicazione: ivi, pp. 268, 255, 251, 276. 6. La predicazione dei chierici nell’impero carolingio: ivi, p. 298. 7. Carlo Magno commissiona la nuova edizione delle letture per la predicazione: MGH, Capit., I, pp. 80-81.

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stribuiti lungo l’arco dell’anno liturgico, brani tratti dai sermoni (cioè commenti di tipo dottrinale) o dalle omelie (commenti di brani bi­blici) composti nei secoli precedenti da autorevoli personaggi indicati come i Padri della Chiesa.8 Essi debbono essere letti dai chierici – di qui la definizione di queste raccolte come lezionari –, ma devono an­che servire loro per spiegare al popolo i brani della Bibbia letti in latino durante la messa – di qui la definizione per le stesse raccolte di “omeliari”. In realtà, né Carlo né i suoi successori riuscirono a fare adottare l’omeliario di Paolo Diacono come testo ufficiale uniformemente diffuso in tutto il territorio dell’impero. In Italia la fervida attività riformatrice degli ecclesiastici che circon­ dano Carlo Magno giunge assai attenuata: nei canoni dei concili italiani del secolo IX si ripetono stancamente le disposizioni carolinge sul dovere dei vescovi di predicare, come a Roma nell’826,9 finché non co­mincia a filtrare la convinzione che il ruolo affidato ai vescovi nei capitolari carolingi non era in grado di trovare realizzazione, come appare dai capitoli del concilio di Pavia dell’876.10 In realtà, ciò che viene meno è il compatto tessuto istituzionale dell’impero, di cui facevano parte organica anche le istituzioni territoriali della Chiesa, diocesi e parrocchie. A partire dagli anni 845850 si moltiplicano i divieti rivolti ai signori laici, i quali fanno edificare presso le loro dimore delle proprie “chiese private”, av­viando in questo modo un processo di disgregazione delle circoscrizioni ecclesiastiche su cui si fondava l’intera politica ecclesiastica carolingia:11 ad essi addirittura si proibisce di farvi celebrare la messa nei giorni festivi per obbligare la popolazione a recarsi nelle chiese delle pievi per soddisfare il precetto. Nei distretti rurali, all’interno dei quali si era spostato il centro della vita sociale a partire dai secoli IX-X, sorgono sempre più numerose le pievi, destinate a svolgere nei confronti delle popolazioni delle campagne le stesse funzioni che le cattedrali svolgevano per le popolazioni dei centri urbani: attorno ad esse, per tutto il secolo IX e sino all’ultimo terzo del secolo X, si organizza la cura d’anime per le popolazioni rurali. La chiesa plebana

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8. L’omeliario di Paolo Diacono: PL 95, coll. 1159-1160. 9. La legislazione per il clero italiano nell’età carolingia: MGH, Conc., II/2, pp. 556-

10. La predicazione impossibile e la stanca ripetizione dei decreti: Johannes Dominicus Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, vol. XVII, Venezia, A. Zatta, 1772. coll. 326-327. 11. Solo i poveri vanno a sentire le prediche: Mansi, Sacrorum conciliorum collectio, vol. XV, Venezia, A. Zatta, 1770, col. 17.

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è governata da un arciprete, assistito da un clero talora assai numeroso, cui compete soprattutto di amministrare i sacramenti fondamentali del cristianesimo: battesimo, penitenza, eucaristia, sepoltura. Presso questa chiesa rurale sono celebrati tutti i riti religiosi e durante le domeniche e le festi­vità i chierici predicano alla popolazione, servendosi della loro biblioteca: un bene elencato accanto ai paramenti sacri ed alle proprietà terriere,12 la cui consistenza è fissata, ad esempio, nei decreti sinodali di Raterio di Verona, nell’anno 966, a livelli estremamente bassi, mutuati dalle disposizioni carolingie di un secolo e mezzo prima.13 Per la pre­dicazione ci si serve dei sermonari – raccolte del tutto indipendenti dal ciclo liturgico, risalenti all’età patristica14 – o di omeliari – in cui i testi patristici erano disposti in corrispondenza delle festività cui il com­pilatore li riteneva più adatti. Anzi, proprio nel IX secolo, nella predicazione parrocchiale arriva un nuovo tipo di omelia carolingia:15 nei monasteri, infatti, al cui interno si sta spostando l’asse portante della, cultura ecclesiastica, non ci si limita più a ricopiare passivamente e alla lettera i brani di età patristica, ma si parte da essi per abbozzare un’esposizione del testo della Sacra Scrittura brano per brano. Oppure ci si rifà alle precise indicazioni della Regula pastoralis di Gregorio Magno, il libro più letto dai chierici dell’alto medioevo e consigliato da tutta la legislazione ecclesia­stica.16 Nel microcosmo di una pieve si constata come vengano attuate, nel corso dei secoli IX e X, le direttive generali della politica ecclesiastica caro­lingia: intensificare e disciplinare la vita e le pratiche religiose, assicurare anche in questo modo la coesione complessiva della società. Ma all’eclisse dell’ordinamento politico carolingio, all’instaurazione del sistema feudale vero e proprio, corrisponde una sostanziale paralisi delle isti12. I libri di una pieve rurale nell’Italia padana: Andrea Castagnetti, La pieve rurale nell’Italia padana. Territorio, organizzazione patrimoniale e vicende della pieve veronese di San Pietro di Tillida dall’Alto Medioevo al secolo XIII, Roma, Herder, 1976, p. 180. 13. Un vescovo e la predicazione del suo clero parrocchiale: MGH, Briefe d. dt. Kai‑ serzeit, I, pp. 134-135. 14. Come si compone un sermone latino nel IX secolo: Gilles-Gérard Meersseman, Ministerio parrocchiale nel IX secolo secondo il codice XC della Capitolare di Verona, in «Zeitschrift für Schweizerische Kirchengeschichte», 71 (1977), pp. 3-19, alle pp. 11-15. 15. Come si predica in una parrocchia nel IX secolo: Paul Mercier, XIV homélies du IXe siècle d’un auteur inconnu de l’Italie du Nord, Paris, Éditions du Cerf, 1970, pp. 186195. 16. Gregorio Magno, l’autorità per eccellenza: San Gregorio Magno, La Regola Pa‑ storale, trad. a cura di Edamo Logi, Siena, Cantagalli, 1933, pp. 94-96.

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tuzioni ecclesiastiche, che tendono a scomparire nelle istituzioni feudali, identificandosi con esse. Ed anche la predicazione scompare dalle consegne ecclesiastiche: «È probabile che nella grande maggioranza dei casi si predicasse molto male e assai poco».17 Certo, nei monasteri benedettini si continua a predicare, ma i numerosi omeliari monastici di quel tempo arrivati sino a noi sono collezioni da ascrivere più che altro alla letteratura, con un rapporto molto mediato con la predicazione reale. Il loro carattere fondamentale non sta in ciò che viene predicato, ma in ciò che viene scritto: anche perché predicatori e pubblico si identificano sempre nelle stesse per­sone, i monaci chiusi nei loro chiostri. Per questo non è neppure il caso di riproporre un testo di Ambrogio Autperto (834-837), o di Bertario (856883), abati ai Montecassino, oppure di Attone, vescovo di Vercelli (934960 circa), oppure di Opero, abate di Lucedio (metà del secolo XII). In sintonia con la rinascita della società occidentale, iniziata nella seconda metà del secolo X e agli inizi del secolo XI, si assiste ad una ripresa di iniziative negli ambienti ecclesiastici. A Milano, alla metà del secolo XI, la predicazione viene assicurata con una certa regolarità nei più importanti periodi dell’anno liturgico.18 Questi fermenti, però, non si limitano solo ai centri urbani. Nelle campagne della Sabina compaiono monaci, che predicano passando da un villaggio all’altro.19 Ma i monaci escono dal chiuso dei loro chiostri soprattutto per appoggiare la lotta degli ambienti riformatori, volta a togliere di mezzo gli ecclesiastici, vescovi e chierici, che non osservano il celibato e che sono arrivati agli ordini sacri passando una trafila feudale, la quale ha reso un episcopato o un beneficio parrocchiale una vera e propria rendita. Monaci come lo sconosciuto personaggio che sfida a sostenere la prova del fuoco il vescovo di Lucca, Pietro Mezzabarba,20 riescono ad assicurare il sostegno popolare alla lotta per separare le istituzioni 17. Erich Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda Antichità latina e nel Medioevo, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 256 (Literatursprache und Publikum in der lateini‑ schen Spätantike und im Mittelalter, Bern, Francke Verlag, 1958). 18. La predicazione dei chierici a Milano alla metà del secolo XI: Landolfo Seniore, Mediolanensis Historiae libri quatuor, a cura di Alessandro Cutolo, in Rerum Italicarum Scriptores, IV/2, Bologna, Zanichelli, 1932, pp. 85-86. 19. La predicazione itinerante degli eremiti della Sabina: S. Dominici Sorani abbatis Vita et miracula a coaevis conscripta, in «Analecta Bollandiana», 1 (1882), pp. 279-322, alle pp. 288-289 e 294-296. 20. La predicazione dei monaci a favore della riforma gregoriana: Rangerius, Vita Anselmi episcopi Lucensis, in MGH, SS, XXX/2, p. 1264.

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ecclesiastiche da quelle feudali. Quando però la riforma gregoriana – così definita dal suo maggiore esponente, papa Gregorio VII – si impadronisce del vertice della Chiesa, i monaci predicatori itineranti sono costretti a rientrare nei loro chiostri,21 così come i movimenti popolari, che avevano dato un appoggio di primaria importanza all’affermazione della riforma stessa, vengono ricacciati ai margini e nell’eresia. I trattatisti monastici a più riprese cercano di riaffermare che i monaci debbono e possono entrare ad occuparsi della cura d’anime, per la lunga tradizione secolare che incarnano,22 a differenza dei canonici regolari. Questi ultimi sono chierici addetti al ministero parrocchiale, i quali, soprat­tutto a partire dagli anni 1020-1030, intraprendono forme di vita comune, assumendo una regola in base alla quale rinunciano alla proprietà indivi­duale dei beni per mettersi al servizio dei fedeli. La diffusione capillare delle canoniche regolari all’interno del tessuto ecclesiastico mette di fatto in discussione la preminenza dei monaci, sino ad allora indiscussa: ed i monaci rivendicano di continuare ad esercitare la predicazione, perché essi soli, e non i chierici regolari, incarnano l’ideale della vita vere apostolica, della imitazione degli apostoli che abilita alla predicazione e alla amministrazione dei sacramenti.23 In realtà, se quello dell’ideale apostolico è il centro ideologico della controversia tra chierici regolari e monaci, la loro contrapposizione è fatta anche di problemi molto più concreti, e talora meschini: assicurarsi l’uso di un campanile, la cura di una parrocchia e il godimento dei suoi benefici, raccogliere le offerte dei fedeli.24 Alla prova dei fatti, però, monaci e canonici si mostrano incapaci di mettere in atto sino in fondo gli ideali religiosi in nome dei quali combattono: nella pratica quotidiana non predicano più né gli uni né gli altri e l’ideale della vita religiosa 21. I monaci non devono più uscire a predicare fuori dai chiostri: Alexander papa II, Epistularum fragmenta, in Mansi, Sacrorum conciliorum collectio, vol. XIX, Venezia, A. Zatta, 1769, col. 979. 22. Pretese di superiorità tra monaci e canonici regolari: Raymonde Foreville et Jean Leclercq, Un débat sur le sacerdoce des moines au XIIe siécle, in «Analecta monastica», IV, Roma, Pontificia Università S. Anselmo, 1957, pp. 8-118, alle pp. 78-79. 23. I predicatori evangelici debbono essere poveri come gli apostoli: PL 145, coll. 489-490. 24. Una questione di campanile tra canonici e monaci: Giorgio Picasso, Origine e significato della pergamena ambrosiana “Sec. XII-73”, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale, 2 voll., Milano, Vita e Pensiero, 1972, vol. II, pp. 560-564.

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vissuta ad imitazione degli apostoli passa dagli ambienti chiericali ai movimenti laicali del secolo XII. A partire dagli anni 1070-1080 inizia l’affermazione della riforma detta gregoriana, che si svolge però quasi esclusivamente sul piano delle istituzioni: alla fine della lotta vittoriosa per ripristinare l’autorità dei vescovi sulle loro diocesi, minata alla base dalla diffusione dei privilegi di esenzione dalla giurisdizione episcopale rilasciati ai monasteri, e per riaffermare la validità dell’ordinamento plebano, disintegrato almeno in parte dalle spinte centri­fughe delle chiese private, non si assiste alla proposizione di nuove forme di cura d’anime, all’attuazione di nuove forme di predicazione e di vita religiosa. L’obiettivo dei riformatori gregoriani è di ricollocare ognuno degli ordines, in cui era divisa la società del tempo, al suo posto: i monaci nei chiostri, dediti alla contemplazione; i chierici nelle parrocchie e nelle pievi, ad amministrare i sacramenti; i laici nelle proprie case, o comunque nell’ambito delle istituzioni politiche. Le disposizioni del primo e del secondo concilio celebrati a Roma presso la chiesa del Laterano (1123 e 1139), una volta chiusa la controversia tra impero germanico e Chiesa di Roma – la lotta per le investiture – cercano di sanzionare la ricostituzione dell’ordinamento territoriale della Chiesa, soprattutto delle circoscrizioni pievane, ribadendo l’esclusione dei monaci dal­l’amministrazione dei sacramenti e dalla predicazione25 e la necessità di un adeguato reclutamento sacerdotale, sottratto alle maglie dei vincoli feudali, da cui sortiscono preti impreparati, ed anche sposati.26 In tutto questo non risulta assolutamente che la restaurazione ecclesiastica dell’età gregoriana e postgregoriana si sia posta il problema di un rinnovamento della vita religiosa, dalle forme della pietà e della devozione alla predicazione al popolo. Si può forse dire che, come per tutto il medio­ evo dei secoli IX-XII, il messaggio religioso è affidato più alle immagini, ai simboli, ai segni, che non alle parole: più che il contenuto delle prediche conta la figura di colui che predica e il luogo dove le prediche vengono tenute. Si pensi alle nuove chiese romaniche, dove il predicatore parla di fianco all’altare, che è sopraelevato rispetto alla navata della chiesa perché costruito sopra la cripta sottostante. Se già la collocazione in alto rispetto 25. L’esclusione dei monaci dalla pastorale al primo concilio del Laterano: Concilio‑ rum Oecumenicorum decreta, a cura di Giuseppe Alberigo, Perikles-P. Joannou, Claudio Leonardi, Paolo Prodi, Basileæ, Herder, 1962, p. 169. 26. Il tentativo di riformare una Chiesa feudalizzata: ivi, p. 175.

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alla massa dei fedeli rende il predicatore autorevole, dietro di lui si staglia l’abside, su cui domina un’immensa figura del Cristo dipinto alla moda bizantina del Pantocrator, il signore di ogni cosa. Quanto al contenuto delle prediche, però, ci si serve ancora delle raccolte delle omelie e dei sermoni che, attraverso i raccoglitori del periodo carolingio, sono giunte nelle biblio­teche ecclesiastiche dei secoli XI e XII: tenuto conto della mancata realizza­zione di strutture che assicurino un’adeguata preparazione culturale e teo­logica del clero, non si va lontano dal vero nel prospettare l’ipotesi che, nel migliore dei casi, il predicatore si limiti a volgarizzare un’omelia o un ser­mone patristico. Ancora agli inizi del secolo XIII un prelato di solida formazione intellettuale e famoso per l’eloquenza delle sue prediche, che su­scitano un vero e proprio entusiasmo tra le folle,27 papa Innocenzo III, quando vuole essere di esempio ai chierici che non predicano, prende ostentatamente tra le mani un’omelia latina di Gregorio Magno e la volgarizza per il popolo che assiste alla celebrazione della messa.28 Le esigenze della predicazione in volgare ai fedeli vanno però ben al di là di una pratica limitata alla proposizione, in una lingua comprensibile, di un testo complesso, redatto alcuni secoli prima avendo di mira un udi­ torio ben diverso e ben altra problematica religiosa: il risultato finale è che, a parte l’aspetto linguistico, essa risulta agli ascoltatori incomprensibile o almeno del tutto inattuale. Nelle aree in cui si cerca di dar vita ad una nuova forma di predicazione, maggiormente in sintonia con le esigenze spirituali del momento, questa si presenta decisamente come una forma di predicazione in volgare: in primo luogo nelle aree linguistiche in cui, nel corso dei secoli, la distanza del latino ecclesiastico dalla lingua parlata si è fatta incolmabile. In Italia è il caso del Piemonte, sensibile all’influenza dell’area culturale francese, e da cui provengono i Sermoni subalpini. Quando, un anno prima di morire, Innocenzo raduna a Roma, nel no­ vembre del 1215, il quarto concilio del Laterano, vi fa approvare una serie di provvedimenti con cui cerca di affrontare tutti i problemi della vita reli­giosa del tempo: la disciplina ecclesiastica, la riforma dei costumi del clero, l’elezione dei vescovi e l’amministrazione dei benefici ecclesiasti27. La predicazione della crociata agli inizi del XIII secolo: Michele Maccarrone, Studi su Innocenzo III, Padova, Antenore, 1972, pp. 8-9. 28. Come Innocenzo III si propone ad esempio per i predicatori: Umberto di Romans, De eruditione praedicatorum, in Id., Opera di vita regulari, a cura di Joachim Joseph Berthier, 2 voll., Torino, Marietti, 1956, vol. II, p. 397.

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ci, l’esazione dei tributi, le cause canoniche, le norme relative al matrimonio, alle decime, alla simonia ed ai rapporti con gli ebrei. Vi riprende, anzi, un canone del concilio lateranense del 1179, allo scopo di assicurare un’adeguata formazione del clero per quella predicazione generale della fede cristiana richiesta dalle nuove esigenze religiose dei laici e imposta dalla concorrenza della predicazione e della propaganda di gruppi e sette eretiche.29 Questo grande disegno riformatore si scontra con una realtà profondamente sclerotizzata: i monaci sono chiusi nei loro chiostri; i canonici regolari si sono con il tempo assimilati ai monaci, dediti più allo studio e all’insegnamento che alla cura delle anime; il clero delle parrocchie viene reclutato tra gli strati inferiori della società, di cui condivide l’ignoranza e la miseria, e dà vita ad un vero e proprio bracciantato ecclesiastico, quasi incapace di assicurare la stessa ordinaria amministrazione dei sacramenti. Sono i nuovi Ordini religiosi, sorti sia all’interno del movimento religioso laicale del secolo XII sia in contrapposizione alle sue spinte centrifughe verso l’eresia, che apriranno nei primi decenni del secolo XIII, grazie a nuove forme di reclutamento, una vera e propria età della predicazione ecclesiastica medievale. 2. Movimenti religiosi e sette ereticali: la lotta per la predicazione ai laici I primi fermenti in grado di scuotere la struttura fortemente sclerotizzata delle istituzioni ecclesiastiche, ormai del tutto inserite nell’organismo della società feudale, si manifestano verso la metà del secolo XI. Lo stesso movimento di riforma della Chiesa, noto con il termine complessivo di riforma gregoriana, deve gran parte del proprio successo, almeno nella sua fase iniziale, all’appoggio di vasti movimenti popolari di opinione: soprattutto nei centri urbani, come Milano e Firenze, si condividono gli ideali religiosi di lotta contro la simonia ed il concubinato del clero, diffusi dalla propaganda di monaci come Pier Damiani. A Milano questo movimento prende il nome di Pataria ed ha la sua data di nascita nella quaresima del 1057. In quell’anno un chierico del contado, Arialdo, dopo avere inutilmente cercato di convertire agli ideali della riforma del clero i chierici di Varese, scende a Milano a predicare al popolo. Le sue prediche ci sono 29. Il quarto concilio del Laterano (1215) e le strutture della pastorale tardomedioevale: Conciliorum Oecumenicorum decreta, pp. 205-206.

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rimaste nella rielaborazione letteraria di uno dei suoi seguaci, il quale non ne ha però alterato la natura sostanziale: la struttura delle prediche di Arialdo è un tessuto di versetti biblici, richiamati a provare, sull’autorità della Scrittura, la verità delle sue affermazioni. Non è questo il solo ponte che egli lancia per coinvolgere i laici nella lotta per la riforma della Chiesa, incitandoli a riflettere direttamente sul testo biblico, e sulla base di questa conoscenza vagliare la con­dotta e gli insegnamenti dei chierici. Nella seconda predica, che Arialdo tiene al popolo di Milano,30 egli prospetta un passo ulteriore: se coloro che, nella attuale struttura della Chiesa, sono tenuti a predicare la verità evangelica vengono meno al loro compito, per incapacità o per corruzione, può toccare ai laici di prendere la parola, per discutere ed anche insegnare su argomenti direttamente connessi con la fede cristiana e l’amministrazione dei sacramenti. È questa una apertura temporanea, per così dire tattica, destinata comunque ad essere chiusa nel momento in cui, sulla spinta decisiva del movimento popolare, gli ecclesiastici riformatori arrivano al vertice della Chiesa. Come mostra la lettera di Pier Damiani – uno dei teorici di questa riforma – al prefetto di Roma, Cencio,31 ai laici è riservato il ruolo po­litico di difendere i diritti della Chiesa, e solo occasionalmente di assumere una funzione simile alla predicazione: in tal caso, essi debbono però rimanere del tutto estranei alle dispute dottrinali, e limitarsi a proporre parole di esortazione (verba exhortationis), a carattere puramente morale. Questa fase si chiude nella seconda metà del secolo XI: i monaci usciti dai chiostri per predicare a favore della riforma sono costretti a rientrarvi, i movimenti popolari di laici sono richiamati a ritornare al loro posto. Chi non acconsente è ricacciato nell’eresia: da allora, in Italia, patarino diviene sinonimo appunto di eretico. La corrente riforma religiosa ed ecclesiastica, che noi comprendiamo nella dizione di riforma gregoriana, era pervenuta al successo, installandosi progressivamente ai vertici delle istituzioni della Chiesa, anche perché si era fatta portatrice di un’esigenza di rinnovamento religioso cui erano particolarmente sensibili i nuovi ceti emergenti della società medievale, in particolare nei centri urbani. Una volta arrivati alla gestione diretta delle 30. La predica di Arialdo del 1057: Andrea di Strumi, Vita sancti Arialdi, in MGH, SS, XXX/2, pp. 1055-1057. 31. Ai laici solo il «verbum exhortationis»: S. Petri Damiani, Epistolarum libri octo: liber octavus, epistola prima, in PL 144, coll. 461-464.

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istituzioni ecclesiastiche, i riformatori gregoriani incappano nei loro limiti e contraddizioni: soprattutto si mostrano incapaci di portare a realizzazione, sino in fondo, gli ideali di cui si erano fatti portatori, e in particolare quello dell’imitazione degli apostoli, intesa come povertà volontaria e predicazione itinerante del messaggio evangelico. La conseguente persistenza di fenomeni come la vita indegna del clero, la sua ignoranza, la sua radicale infedeltà al Vangelo – tutti problemi tangibili e cui i laici sono particolarmente sensibili – apre lo spazio a che siano i laici stessi ad aspirare a mettere direttamente a realizzazione l’ideale della vita apostolica. Nel nuovo clima culturale, prima ancora che spirituale, del secolo XII, la diffusione di versioni in lingua volgare della Scrittura e in particolare del Nuovo Testamento pone le basi di una cultura religiosa aperta ai laici e, ciò che più conta, sottratta alla mediazione dei chierici. Da tutto questo scaturisce la rivendicazione da parte dei laici del diritto a predicare, dal momento che i chierici vengono meno al loro dovere di annunciare l’Evangelo. Proprio negli stessi anni in cui un giurista bolognese raduna in un unico testo le leggi della chiesa (canoni), compresa la norma che sancisce il ruolo passivo assegnato ai laici nelle istituzioni ecclesiastiche e nella vita religiosa,32 compaiono in Occidente i primi missionari del bogomilismo balcanico. Sono gli esponenti di una vera e propria Chiesa, formatasi in Bulgaria nel corso del X secolo, dotata di una sua gerarchia ecclesiastica e di un complesso di dottrine religiose, le quali ruotano intorno ad un principio fondamentale: l’esistenza nella realtà di due principi diversi ed opposti, quello del bene e quello del male. Arrivati nella società medievale occidentale verso la metà del secolo XII, questi predicatori “càtari” (dal greco: i puri) cercano un elemento di contatto con la sensibilità religiosa delle popolazioni, per assicurare una presa immediata della loro azione di proselitismo: lo trovano, come mostra la lettera scritta nel 1144 da Evervino di Steinfeld a Bernardo di Clairvaux, nell’ideale della vita apostolica, di cui si presentano come i legittimi eredi ed i veri realizzatori.33 In realtà, essi abbandonano in breve tempo tale tematica, ma non cessano con questo di fare ricorso con insistenza, nella loro predicazione, al testo del Nuovo Testamento. L’unica predica catara, sopravvissuta alle distru­zioni da parte 32. Il diritto canonico rimette i laici al loro posto: Emil Friedberg, Corpus iuris cano‑ nici, 2 voll., I: Decretum magistri Gratiani, Leipzig, Tauchnitz, 1879, p. 86. 33. Imitazione degli apostoli e propaganda catara: Sancti Bernardi Claraevallensis Sermones de diversis: sermo LV, in PL 183, coll. 677-679.

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degli inquisitori,34 è tutta intessuta di citazioni neo­testamentarie, spiegate in apparenza alla lettera: i precetti evangelici ven­gono proposti come tali all’osservanza e alla pratica di vita, in una ade­renza al testo biblico che marca in maniera evidente il distacco dalla sofisti­cata dottrina dei monaci del tempo, tanto lontani dalla sensibilità religiosa delle masse. In realtà, però, il ricorso dei predicatori catari al Nuovo Testa­mento è solo un pretesto per arrivare ad illustrare il punto centrale della loro dottrina, il mito dualistico – presentato come una rivelazione che interpreta e chiarisce lo stesso Nuovo Testamento. I predicatori catari diffondono tra i laici versioni in lingua volgare del Nuovo Testamento. E proprio da una traduzione dei libri della Bibbia, fatta eseguire da due chierici, prende le mosse la conversione del ricco mercante lionese Valdo, tra 1174 e 1176.35 Dalla lettura diretta egli ricava l’ispirazione a imitare gli apostoli, nella vita condotta in povertà e nella predicazione itinerante. È una pretesa che non solo si scontra con il divieto esplicito contenuto nel Decretum di Graziano, ma appare poten­zialmente eversiva della stessa struttura della Chiesa. In primo luogo, perché la versione in volgare della Bibbia, che la rende accessibile ai laici che non conoscono il latino, fa venir meno la mediazione chiericale: anzi, la richiesta dei laici di poter predicare mina alla base la stessa distinzione chierici/laici. Valdo e i suoi seguaci, di fronte alla condanna del vescovo di Lione, si presentano a Roma, per far autorizzare la loro traduzione della Bibbia e la loro predicazione: senza esito, perché del tutto estranei alla teologia monopolizzata dai chierici.36 Essi testardamente insistono nella loro richiesta, nel momento in cui i chierici non predicano affatto l’Evangelo: e per evitare ogni malinteso si dirigono con energia a controbattere la propaganda catara, la vera, eresia, con la quale non vogliono essere confusi.37 In questa fase iniziale, 34. La predicazione catara e la manipolazione del testo del Nuovo Testamento: Rituel cathare, a cura di Christine Thouzellier, Paris, Éditions du Cerf, 1977, p. 226 sgg. 35. Il mercante lionese Valdo si fa tradurre in volgare la Bibbia per comprendere il Vangelo e per poterlo predicare: Étienne de Bourbon, Anecdotes historiques, légendes et apologues, a cura di Albert Lecoy de la Marche, Paris, Libraire Renouard, 1877, pp. 290293. 36. I Poveri di Lione all’esame della curia pontificia: Walter Map, De nugis curialium, a cura di Montague Rhodes James, Oxford, Clarendon Press, 1914, pp. 60-62 (anche in Giovanni Gonnet, Enchiridion fontium Valdensium, Torino, Claudiana, 1958, pp. 122-123). 37. La predicazione povera e itinerante dei primi Poveri di Lione: Gonnet, Enchridion fontium Valdensium, p. 37 sgg.

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tra i predicatori itineranti valdesi non vi è distinzione di sesso: lo sono uomini e donne. E la presenza delle donne non manca di attirare le accuse dei polemisti cattolici, per i quali è tanto facile insinuare che la predicazione itinerante femminile è un pretesto per il libertinaggio sessuale.38 Ben presto, però, anche per l’irrigidimento istituzionale provocato dalla condanna da parte della Chiesa cattolica e dalla caccia che gli inquisitori danno ai valdesi, anche in questo gruppo le donne ritornano nella posizione subordinata, silenziosa e passiva, che caratterizza il loro ruolo nella società medievale. Di fronte a questi fermenti la gerarchia ecclesiastica reagisce con una netta chiusura, accomunando in un’unica condanna, emanata nel 1184, i dissidenti religiosi di ogni genere: da un lato, infatti, vi sono coloro che, come i catari, si contrappongono radicalmente alle istituzioni e alle dottrine cattoliche, con le proprie gerarchie ecclesiastiche e con le proprie credenze; dall’altro, gruppi e personaggi i quali aspirano, all’interno del cristianesimo occidentale, ad una vita più fedele al Vangelo, e per questo ri­vendicano quel diritto dei laici a predicare, che induce invece la Chiesa a scomunicarli.39 Malgrado la condanna e la caccia degli inquisitori, nei decenni successivi40 e per tutto il secolo XIII41 i predicatori valdesi diffondono la loro esposizione letterale della Bibbia, spesso imparata a memoria – perché non sanno leggere – sulle versioni in lingua volgare – perché sono laici e non conoscono il latino. La repressione anti-ereticale della Chiesa cattolica si esercita però in primo luogo nei confronti delle Chiese catare e dei loro predicatori. Alla base vi è una preoccupazione legata direttamente agli equilibri politici, nella Francia meridionale come nell’Italia centrale. Approfittando delle con­troversie che oppongono la Chiesa di Roma ai Comuni, ad esempio ad Orvieto, i pro-

38. La predicazione femminile e le calunnie dei monaci: Jean Leclercq, Analecta mo‑ nastica, II, Roma, Pontificia Università S. Anselmo, 1953, p. 206. 39. La scomunica generale dei predicatori non autorizzati: Mansi, Sacrorum concilio‑ rum collectio, vol. XXII, Venezia, A. Zatta, 1774, col. 746 e sgg. 40. Ardicio, vescovo di Piacenza, e gli eretici italiani: Antoine Dondaine, Durand de Huesca et la polémique anti-cathare, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 29 (1959), pp. 228-276, alle pp. 273-274. 41. La predicazione evangelica dei valdesi secondo gli inquisitori: Bernard Gui, Ma‑ nuel de l’Inquisiteur, a cura di Guillaume Mollat, 2 voll., Paris, Les Belles Lettres, 1964, vol. I, pp. 58-62.

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pagandisti catari trovano ampio spazio alla loro attività di proseli­tismo,42 ed almeno nel caso di Orvieto riescono a saldare, a livello di élite dirigente, opposizione politica anti-papale e opposizione religiosa anti-cattolica.43 È una saldatura resa possibile anche dal fatto che la predicazione catara, nel tempo, aveva abbandonato ogni aggancio con i motivi di povertà evangelica, a favore di una morale rigida ed ossessiva: perdendo così ogni carattere potenzialmente sovversivo per i ceti emergenti nelle nuove istituzioni comunali, cui forniva invece una ideologia religiosa alternativa, nel momento della contrapposizione al predominio politico del papato in Italia centrale. Con l’ascesa al soglio pontificio di Lotario dei Conti di Segni, con il nome di Innocenzo III, la gerarchia ecclesiastica assume una strategia più articolata, per arginare il disgregamento delle istituzioni cattoliche e la per­ dita della loro presa sulla società. Innocenzo rafforza lo strumento repressivo dell’inquisizione: ma esso dovrà funzionare solo a danno di coloro i quali avranno rifiutato di riconciliarsi con la Chiesa di Roma. Questo non è possibile con i catari, ma lo è con alcune frange del movimento pauperisticoevangelico. Tra 1201 e 1210 egli riconduce in seno alla Chiesa catto­lica l’“ala destra” del movimento valdese, cioè i gruppi dei Poveri cattolici44 e dei Poveri riconciliati45 e le comunità italiane degli Umiliati.46 In materia di predicazione con ciascuno di questi gruppi si arriva ad un diverso compromesso. In particolare, scontato lo zelo della loro predicazione anti-ereticale, viene rielaborata la distinzione – che risale alle sistemazioni teoriche del secolo XI – tra la predicazione dottrinale, riservata ai chierici, e la predicazione morale, concessa anche ai laici, a determinate condizioni. Malgrado il successo iniziale di questa formula,47 come dimostrano le testimonianze dei contemporanei relative agli Umiliati,48 il compromesso è destinato a palesare 42. Eresia e politica: la propaganda catara a Orvieto: Vincenzo Natalini, S. Pietro Parenzo. La leggenda scritta dal maestro Giovanni canonico di Orvieto, Roma, Pontificio Ateneo Lateranense, 1936, pp. 153-154. 43. Eresia e politica – la pubblica predicazione catara a Orvieto: ivi, pp. 155-156. 44. La predicazione anti-ereticale dei Poveri cattolici: Gilles-Gérard Meersseman, Dossier de l’Ordre de la pénitence au XIIIe siècle, Fribourg (Suisse), Éditions universitaires, 1961, p. 282. 45. Da laici a chierici – la predicazione dei Poveri lombardi: ivi, p. 284. 46. La riconciliazione degli Umiliati – il «verbum exhortationis» ai laici: ivi, p. 282. 47. Predicazione e proselitismo degli Umiliati: John Frederick Hinnebusch, The Hi‑ storia Occidentalis of Jacques de Vitry. A Critical Edition, Fribourg (Switzerland), University Press, 1972, pp. 145-146. 48. La predicazione degli Umiliati agli occhi dei contemporanei: Lettres de Jacques de Vitry (1160/70-1240), évêque de Saint-Jean-d’Acre, a cura di Robert Burchard Constantijn Huygens, Leiden, Brill, 1960, pp. 72-73.

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tutti i suoi limiti: di una concessione, cioè, che non rico­nosce alla base le esigenze che hanno mosso i laici a rivendicare per sé il diritto a predicare liberamente l’Evangelo, e le riconduce nelle strettoie degli schemi chiericali. Le comunità dei Poveri cattolici e dei Poveri lom­bardi scompaiono rapidamente dalla scena, anche per l’ostilità che il clero non manca di manifestare nei loro confronti. E alla predicazione degli Umiliati mette un freno decisivo papa Gregorio IX nel 1228:49 con il sorgere degli Ordini dei frati Minori e dei frati Predicatori la riaffermazione dell’egemonia religiosa della Chiesa romana in Italia batte altre piste. Nella predicazione dei religiosi si ritroverà, a più riprese, nei secoli seguenti, la riaffermazione, variamente articolata, del principio che nella predicazione il ruolo dei laici è puramente passivo,50 anche perché esiste una parte della cultura religiosa loro inaccessibile.51 Le origini dell’Ordine dei frati Minori rientrano, in qualche modo, in questo contesto di movimenti religiosi laicali e di predicazione itinerante ad imitazione degli apostoli. Francesco d’Assisi, figlio del ricco mercante Pietro di Bernardone, come molti laici di quel tempo si converte silenziosamente a vita eremitica, finché non sente leggere durante la messa il brano del Vangelo in cui Cristo invia i suoi apostoli a predicare per il mondo.52 Da laico, Francesco scopre in questo brano una vocazione religiosa che richiede fedeltà assoluta. Cerca di ottenere nel 1209 o 1210, da Innocenzo III in persona, l’approvazione della sua “forma di vita”, consistente nella povertà volontaria e nella predicazione itinerante:53 e la ottiene, in un contesto non chiaro54 e con la riaffermazione del principio della esclusione dei laici dal49. Il divieto definitivo della predicazione ai laici: Rolf Zerfaß, Der Streit um die Laienpredigt. Eine pastoralgeschtliche Untersuchung zum Verständnis des Predigtamtes und zu seiner Entwicklung im 12. und 13. Jahrhundert, Freiburg-Basel-Wien, Herder, 1974, pp. 254-255. 50. Nelle prediche i laici sono tenuti solo ad ascoltare: Scrittori di religione del Tre‑ cento. Testi originali, a cura di Giuseppe De Luca, Torino, Einaudi, 1977, p. 23 (1a ed. Milano-Napoli, Ricciardi, 1954). 51. Gerardo Segarelli e gli “apostoli”: Salimbene de Adam, Cronica, a cura di Giuseppe Scalia, Bari, Laterza, 1966, pp. 369-370 e 372. 52. La vocazione apostolica di Francesco d’Assisi: Tommaso da Celano, Vita prima, in «Analecta Franciscana», X, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1926-1941, p. 19. 53. L’approvazione della predicazione itinerante dei primi francescani: ivi, pp. 26-27. 54. La predica agli uccelli e la deformazione oleografica: Ruggero di Wendover, Chronica, in MGH, SS, XXVIII, p. 42.

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la predicazione dottrinale.55 La predicazione di Francesco, comunque, resta negli anni seguenti a carattere marcatamente laicale: egli parla di pace, come un oratore politico,56 non utilizza le regole delle artes praedicandi, che rendono possibile ricordare a memoria le prediche,57 non è in grado di predicare in latino, ma solo in volgare umbro.58 Nel momento in cui il movimento suscitato dalla sua predicazione itinerante a cavallo dell’Appennino ha rag­giunto una tale estensione numerica da richiedere di essere governato con norme precise, e quando il suo stesso successo ne sta trasformando il carattere originario di fraternità laicale, Francesco è costretto ad accettare di redigere una regola religiosa per i frati Minori. Si mette all’opera nel 1221, ma il suo scritto non viene approvato dalla curia pontificia, perché esso non è una regola, giuridicamente rigorosa, come a Roma si voleva, ma un ripen­ samento dell’esperienza religiosa di Francesco e dei suoi primi compagni:59 l’invito ad una predicazione evangelica, fatta di esemplarità piuttosto che non di dottrina, come quello contenuto nel capitolo XVII, non può essere accettato come modello per il nuovo Ordine minoritico. 3. Ordini mendicanti e pastorale ecclesiastica nel basso medioevo Con il pontificato di Innocenzo III muta radicalmente la strategia complessiva della suprema gerarchia ecclesiastica nei confronti delle richieste di rinnovamento religioso provenienti dal mondo laico, e in parte anche da quello ecclesiastico. Il nuovo papa, eletto nel 1198, non rinuncia certo all’uso dello strumento della repressione inquisitoriale nei confronti degli eretici. Si rende però conto che questo modo di procedere, alla fine, può 55. Chierici o laici? La predicazione dei primi frati Minori: Bonaventura da Bagnoregio, Legenda maior, in «Analecta Franciscana», X, p. 371, e Théophile Desbonnets, Legen‑ da trium sociorum. Édition critique, in «Archivum Franciscanum Historicum», 67 (1974), pp. 38-144, alle pp. 127-128. 56. Le prediche di Francesco come discorsi politici: Tommaso da Spalato, Historia Pontificum Salonitanorum et Spalatensium, in MGH, SS, XXIX, p. 580. 57. Le prediche di Francesco nella testimonianza di un medico: Tommaso da Celano, Vita secunda, in «Analecta Franciscana», X, p. 640. 58. La predica di Francesco ai cardinali e il rifiuto del metodo chiericale: étienne de Bourbon, Anecdotes historiques, p. 215. 59. La predicazione nella regola non approvata dei frati minori: Kajetan Esser, Opu‑ scula sancti patris Francisci Assisiensis, Grottaferrata (Roma), Collegio S. Bonaventura, 1978, pp. 271-274.

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rivelarsi un vicolo cieco. Tenta allora di riassorbire le spinte del movimento religioso laicale all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. I primi provvedimenti presi in questa direzione si rivelano di poco respiro. La riconciliazione di piccoli gruppi, come i Poveri cattolici e i Poveri lombardi, e delle comunità degli Umiliati si fonda su una soluzione di compromesso, che non risponde affatto alle aspirazioni religiose poste alla base del movimento religioso laicale: in particolare, alla richiesta che la predicazione evangelica in forma itinerante ad imitazione degli apostoli venisse concessa anche ai laici. D’altro canto, come era stato dimostrato proprio dalla rapida espansione dell’eresia in contrasto con la gerarchia e la dottrina cattoliche, e dall’impossibilità di reprimere totalmente questi fenomeni con il solo uso della forza, alle richieste di nuove forme di vita religiosa era necessario dare una risposta: riassorbendo nel tradizionale tessuto delle istituzioni ecclesiastiche le spinte ad una trasformazione; soprattutto, però, riproponendo come forme di pietà approvate e come dottrine teologiche riconosciute – dopo una accurata e non imparziale revisione – le istanze di nuove forme di devozione e di nuove credenze che erano andate diffondendosi nei ceti urbani emergenti, al di fuori degli ambienti chiericali. Il maggiore ostacolo a questa poderosa virata, che consentisse una nuova riaffermazione dell’egemonia culturale e religiosa delle istituzioni ecclesiastiche, in una società in cui i quadri rigidi degli ordinamenti feudali cedevano di fronte ad una rinnovata mobilità sociale, era dato dall’essersi a loro volta profondamente feudalizzate nel secolo precedente le stesse istituzioni ecclesiastiche territoriali (diocesi, pievi, parrocchie) e monastiche. In un mondo – soprattutto nell’Italia centrale – in cui sono i ceti urbani, mercantili e borghesi (i burgenses sono coloro che abitano in città, in opposizione ai rustici, che stanno in campagna), ad incarnare la spinta ad un nuovo assetto politico-economico, ma nello stesso tempo socio-culturale, la Chiesa non può riproporre la sua egemonia e la sua funzione di mediazione servendosi di un personale ecclesiastico ereditato dai secoli precedenti: in pratica, l’alto clero e i monaci sono reclutati nella nobiltà feudale o tra i cavalieri, mentre il basso clero – nelle parrocchie e nelle pievi – costituisce una sorta di bracciantato ecclesiastico, in cui spesso condizione servile e condizione chiericale coincidono. Malgrado le istanze, le proteste, le querimonie dei concili del secolo XII, né il personale né le strutture della Chiesa sono in grado di far fronte ad una esigenza di egemonia religiosa che non si esprima più attraverso il semplice inquadramento religioso delle

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popolazioni rurali, e che, invece, si adegui a quella sorta di personalizzazione della società in atto a partire dalla seconda metà del secolo XII. A questo vuoto di reclutamento e di prospettive rimediano i nuovi Ordini mendicanti. La loro stessa denominazione è l’indice di una novità: sono, almeno all’origine e in linea di principio, Ordini religiosi che incarnano nella loro struttura il principio della povertà volontaria ad imitazione degli apostoli. Per questo, a differenza dei monaci che vivono delle loro rendite terriere, essi mendicano la loro sussistenza dalle elemosine. È questa una svolta istituzionale resa possibile dal graduale prevalere dell’economia monetaria sull’economia di scambio, nel più generale prevalere dei centri urbani sulla campagna. Questi nuovi Ordini sorgono in un rapporto complesso con il movimento religioso e le sette ereticali del periodo precedente. L’Ordine dei frati Predicatori – detto anche domenicano dal nome del suo fondatore – sorge nella Francia meridionale, con una specifica funzione anti-ereticale.60 La stessa scelta della povertà volontaria è dettata dalla necessità di rendere credibile la propria predicazione di fronte agli ambienti laici che portano avanti il modello della imitazione degli apostoli. L’Ordine domenicano, quindi, appare una forma di rinnovamento delle istituzioni tradizionali, e in particolare dei canonici regolari, di cui assume la regola.61 Proprio per­ché si propongono sin dall’inizio di svolgere un’azione di mediazione religiosa, i domenicani predispongono gli strumenti perché ai futuri predicatori sia assicurata la necessaria formazione.62 Nel corso del basso medioevo l’Ordine dei frati Predicatori non perde il suo carattere originario di ristretta élite intellettuale. Esso costituisce però il modello per la compiuta trasformazione dell’Ordine dei frati Minori. Già prima della morte di Francesco (1226) la trasformazione della primitiva comunità di penitenti laici in un Ordine religioso chiericale è in atto: ancora nel 1223, quando la curia romana approva la regola dell’Ordine, esso conserva un reclutamento composito, di chierici e di laici, come 60. La nascita dell’Ordine dei frati Predicatori: Costantino Medici, Leggenda di san Domenico, in Scrittori di religione del Trecento. Volgarizzamenti, a cura di Giuseppe De Luca, Torino, Einaudi, 1977, pp. 419-420 (1a ed. Milano-Napoli, Ricciardi, 1954). 61. I primi predicatori domenicani a Bologna: Hinnebusch, The Historia Occidenta‑ lis, pp. 142-144. 62. Le norme sulla predicazione nelle costituzioni domenicane: Heinrich Denifle, Die Constitutionen des Prediger-Ordens vom Jahre 1228, in «Archiv für Literatur- und Kichengeschichte des Mittelalters», 1 (1885), pp. 193-227, alle pp. 223-224.

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appare dalla prudente formulazione del capitolo relativo alla predicazione, che sembra riservare ai frati minori solo la predicazione morale.63 Nel corso dei decenni successivi anche i predicatori francescani si specializzano e varano un curriculum di studi ispirato al modello domenicano.64 All’inizio francescani e domenicani, che operano il loro reclutamento in primo luogo nei nuovi ceti urbani, pensano di svolgere una semplice azione di supplenza nel ministero pastorale, soprattutto nell’amministrazione del sacramento della penitenza (confessione) e nella predicazione in volgare. Il clero parrocchiale, del tutto impreparato per mancanza di formazione adeguata, è incapace di far fronte alle nuove esigenze religiose di un mondo laicale in fermento, ma non è disposto a cedere ai nuovi Ordini lo spazio delle istituzioni che gestisce. Intorno agli anni ’40 del ’200 i religiosi mendicanti rinunciano alla loro opzione primitiva di esercitare il loro mestiere di predicatori presso le chiese già esistenti. Facendo leva sulla fitta rete delle loro chiese e dei loro conventi, essi danno vita ad una sorta di organizzazione parallela, le cui maglie si sovrappongono e si incrociano con le dio­cesi, le pievi, le parrocchie. Le chiese conventuali – dapprima piccoli ora­tori, in ottemperanza all’originario orientamento pauperistico di questi gruppi – vengono ampliate progressivamente sino a trasformarle nei grandi auditori che possono ospitare le folle degli ascoltatori delle prediche. E quando neppure le chiese bastano più, allora si ampliano le piazze antistanti le chiese mendicanti, come a Firenze nel 1244.65 E nelle piazze predicano sant’Antonio da Padova già nel 1231,66 oppure i predica­ tori che a più riprese si mettono alla testa di movimenti popolari: la devo­ zione dell’Alleluja del 1233,67 il pellegrinaggio romano del 1335,68 il moto 63. La predicazione nella Regola dei frati Minori: Esser, Opuscula, p. 234. 64. L’organizzazione del curriculum dei predicatori nell’Ordine dei frati Minori: Michael Bihl, Statuta generalia ordinis edita in capitulis generalibus celebratis Narbonae an. 1260 atque Parisiis an. 1292 (editio critica et synoptica), in «Archivum Franciscanum Historicum», 34 (1941), pp. 13-94 e 284-358, alle pp. 71-73. 65. Predicazione e urbanistica: Meersseman, Dossier, pp. 191-192. 66. Predicazione sociale alle masse e fenomeni di divismo: Léon de Kerval, Sancti Antonii de Padua Vitae duo quarum altera hucusque inedita, Paris, Librairie Fischbacher, 1904, pp. 47-49. 67. Predicazione e artifici nella devozione dell’Alleluja: Salimbene de Adam, Croni‑ ca, p. 108. 68. Il domenicano Venturino da Bergamo e il pellegrinaggio romano del 1335: Giovanni Villani, Croniche, I, a cura di Antonio Racheli, Trieste, Lloyd Austriaco, 1857, pp. 357-358.

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dei Bianchi del 1399,69 il movimento penitenziale di Manfredi da Vercelli nel 1418.70 Non sempre, però, sono i reli­giosi predicatori a suscitare questi movimenti:71 essi però ne assi­curano comunque il controllo, anche se non senza frizioni con la gerarchia ecclesiastica. Gli Ordini mendicanti riescono ad esercitare per tutto il basso medioevo un sostanziale monopolio nell’ambito della predicazione. Grazie a loro la predicazione in volgare, nei centri urbani, grandi e piccoli, cessa di essere un fatto sporadico o una stereotipa ripetizione dei sermonari di età patri­stica. I frati predicano tutte le domeniche, più volte al giorno, perché in molti centri esiste più di un unico convento degli Ordini mendicanti. Diffondono, poi, anche la pratica della predicazione quotidiana nei periodi cen­trali dell’anno liturgico, per sei settimane in Quaresima, prima della Pasqua, e per quattro settimane in Avvento, prima del Natale. La predicazione quaresimale riesce spesso a mobilitare una intera cittadinanza,72 ed appare particolarmente importante perché diretta, nella sostanza, ad ottenere l’adempimento del precetto ecclesiastico della comunione pasquale e della confessione annuale, stabilito nel 1215 dal quarto concilio del Laterano:73 un provvedimento destinato a la­sciare una profonda impronta nella vita religiosa. Nel corso della predicazione quaresimale, infatti, si propongono le verità di fede da credere e le forme di pietà e di devozione da praticare, e, alla fine, prima che i fedeli si accostino all’eucaristia, mediante la confessione individuale dei peccati si verifica in che misura il singolo fedele abbia accettato il modello di com­portamento religioso propostogli tramite le prediche. 69. Il moto dei Bianchi del 1399 – devozione, predica, processione: Giovanni Sercambi, Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, a cura di Salvatore Bongi, 2 voll., Lucca, Tipografia Giusti, 1892, vol. II, pp. 319-321. 70. La predicazione apocalittica agli inizi del ’400: Pietro di Mattiolo, Cronaca bo‑ lognese, a cura di Corrado Ricci, Bologna, Romagnoli, 1885, pp. 296-297, e Domenico di Leonardo Boninsegni, Storia della città di Firenze dall’anno 1410 al 1460, Firenze, Landini, 1637, p. 14. 71. Frate Cornetta e il movimento popolare dell’Alleluja: Salimbene de Adam, Cro‑ nica, pp. 100-101. 72. La città e il predicatore: Ariodante Fabretti, Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491, nota come Diario del Graziani, in «Archivio storico italiano», s. I, 16/1 (1850), pp. 69-750, alle pp. 597-601. 73. Predicazione mendicante e mentalità mercantile: San Bernardino da Siena, Le pre‑ diche volgari, a cura di Ciro Cannarozzi, 2 voll., Pistoia, Pacinotti, 1934, vol. I, pp. 49-62.

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Non è solo questa capillarità ad assicurare il successo della predicazione in volgare alle masse da parte dei frati degli Ordini mendicanti: tale grande presa sulla società medievale dipende soprattutto da due fattori, la omo­geneità interna della predicazione e la sua assimilazione alla mentalità dei ceti dominanti della società. L’omogeneità della predicazione in volgare dei frati mendicanti, al di là delle caratteristiche specifiche dei singoli Ordini e delle trasformazioni che si operano al suo interno nel corso dei secoli, è assicurata dal rigoroso curriculum attraverso cui passano i religiosi destinati a predicare alle folle e ad amministrare le confessioni. La stessa élite chiericale-intellettuale, che nelle università medievali porta avanti la riflessione filosofica, teologica, giuridica, elabora per i religiosi una articolata serie di sussidi: artes praedicandi,74 raccolte di exempla,75 repertori agiografici.76 Il frate predicatore dei secoli XIII-XV, infatti, non è configurato come un sem­plice ripetitore di collezioni di sermoni, omelie, prediche, elaborate da altri. Almeno nella teoria, ogni frate che predica si compila da sé i propri sermo­ni: in latino, naturalmente, come in latino sono redatti i sussidi per la predicazione, anche se, per evidenti motivi di comprensione da parte dell’uditorio, le prediche sono pronunciate in volgare. In questa attività redazionale lo aiuta la tecnica del sermo modernus: così viene definito il nuovo genere di predicazione, per distinguerlo da sermoni ed omelie di età patristica ed altomedievale. Sino agli inizi del secolo XIII una predica consiste nell’esposizione del testo biblico letto durante la celebrazione liturgica del giorno. I sermoni moderni, invece, hanno un carattere maggiormente sistematico, ed il testo della Bibbia è solo lo spunto per esporre dottrine teologiche o morali elaborate dai chierici. Le artes praedicandi sono sostan­zialmente orientate a raffinare la tecnica adatta per assicurare il passaggio delle dottrine religiose dall’élite ecclesiastica, che le ha elaborate, al popolo dei fedeli, che le deve credere e mettere in pratica. Le divisioni e le suddivisioni simmetriche della materia della predica in parti che si richiamano a vicenda – questo assicurano i metodi del sermo modernus – costitui­scono 74. L’arte di comporre una predica: Umberto di Romans, De eruditione praedicato‑ rum, in Opera de vita regulari, vol. II, pp. 481-483. 75. Tra predicazione e narrazione – gli exempla: Scrittori di religione del Trecento. Testi, pp. 81-82 e 92-94 (da Arnoldo di Liegi, Alphabetum narrationum, e da Cesario di Heisterbach, Dialogus miraculorum). 76. Prediche e vite di santi: Iacopo da Varagine, Leggenda aurea, a cura di Arrigo Levasti, 3 voll., Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1924-1926, vol. I, pp. 399-400.

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in sostanza una precisa mnemotecnica: si facilita così l’apprendimento e la memorizzazione da parte degli ascoltatori delle prediche. Al di là di talune divergenze, di contrasti, di tensioni ampiamente documentati, e che spesso trovano il loro fondamento più in una sorta di orgoglio di bandiera che non nella realtà delle cose, la predicazione dei diversi Ordini mendicanti manifesta una sostanziale unità: «la sistematica finalizzazione della pratica religiosa e dell’osservanza dei precetti al conseguimento della propria salvezza individuale».77 Il riferimento alla salvezza eterna dell’anima del singolo, posto alla base della pratica religiosa dei laici, è a tal punto condiviso, che anche i predicatori eretici della fine del ’300 fanno riferimento a tale scala di valori.78 Questo è il denominatore comune che unisce tanto i predicatori del ’200, per i quali un anonimo domenicano redige una sorta di minuto vademecum79 – redazione spicciola degli avvertimenti contenuti nelle dotte artes praedicandi –, come quelli della fine del ’400, i quali annotano con cura il diario della propria attività.80 E questo al di là di una fenomenologia complessa, che una raccolta può documentare solo in maniera esemplificativa: mostrando come la predica divenga addirittura un modello di oratoria politica per gli ecclesiastici81 (ma alla fine del ’300 anche per umanisti come Francesco Petrarca), come il pulpito serva non solo per i messaggi religiosi, ma anche per comunicazioni molto prosaiche,82 come la predicazione anti-ereticale nella sostanza venga meno insieme agli eretici stessi.83

77. Giovanni Miccoli, La storia religiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla caduta dell’im‑ pero romano al secolo XVIII, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1974, p. 853. 78. La predicazione clandestina alla fine del ’300: Dal Supplizio di fra Michele da Calci, in Scrittori di religione del Trecento. Testi, p. 209 sgg. 79. Vademecum per il predicatore ordinario: Umberto di Romans, Opera de vita re‑ gulari, vol. II, pp. 369-371. 80. Dal diario di un predicatore: Mario Sensi, Predicazione itinerante a Foligno nel secolo XV, in «Picenum Seraphicum», 10 (1973), pp. 139-195, a p. 193. 81. Discorsi come prediche: Celestino Piana, I sermoni di Federico Visconti, arcive‑ scovo di Pisa († 1277), in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 6 (1952), pp. 231-248, alle pp. 241-242. 82. Il pulpito e il banditore: Meersseman, Dossier, pp. 239-240. 83. La predicazione anti-ereticale del domenicano Pietro da Verona: Stefano Orlandi, S. Pietro Martire da Verona. Leggenda di fra Tommaso Agni da Lentini nel volgare trecen‑ tesco, Firenze, Ed. Il Rosario, 1952, pp. 18-19.

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Meno esplicito a livello istituzionale, ma molto rilevante a livello di im­plicazioni globali, è il peso del secondo fattore che giustifica la grande presa sulla società italiana del ’200-’400 della predicazione in volgare degli Ordini mendicanti: la sua assimilazione alla mentalità dei ceti dominanti. Agli inizi del ’200, anche presso i rappresentanti dei nuovi Ordini religiosi mendicanti e i teorici del sermo modernus, come ad esempio Umberto di Romans, la predicazione rimane ancorata alla prospettiva del volgarizzamento del messaggio religioso contenuto nella Scrittura agli strati non letterati della popolazione. Eppure, lo stesso Umberto di Romans si inserisce nel filone dei sermones ad status – cioè delle raccolte di sermoni diretti a determinati gruppi sociali.84 Evidente è l’esigenza di adattarsi al polimorfismo di gruppi ormai esistente in una società che ha abbandonato l’assoluta immobilità dei secoli precedenti. Questo adattamento, però, si colloca soprattutto al livello della mentalità espressa dalla classe dominante mercantile-borghese. Agli inizi del ’300 le prediche di Giordano da Pisa mostrano, da parte del predicatore, lo sforzo di divulgare dal pulpito la dottrina morale elaborata dai teologi. Se ciò implica la riaffermazione del ruolo meramente passivo, di ascoltatori, dei laici nell’ambito della predicazione,85 nella scelta degli argomenti da parte di Gior­dano un ruolo condizionante è esercitato dagli interessi del pubblico urbano cui egli si rivolge:86 a mercanti e borghesi, infatti, non importano le tema­tiche religiose in senso astratto, bensì una legittimazione morale della “mercanzia”.87 Solo in questo modo un predicatore si garantisce un pubblico.88 Ma se le reazioni del pubblico, a noi note, in genere sono legate alla sfera dell’emotività,89 talora accade di poter regi­strare – sia pure attraverso la lente un po’ deformante della 84. Le prediche rivolte alle diverse categorie sociali: Humbertus de Romanis, De eru‑ ditione religiosorum praedicatorum libri duo, Romae, typis Antonii de Rubeis apud Pantheon, 1739, tradotto in Carla Casagrande, Prediche alle donne del secolo XIII, Bompiani, Milano, 1978, pp. 24-29. 85. Le prediche ai rozzi: Bartolomeo di San Concordio, Ammaestramenti degli anti‑ chi, da Scrittori di religione del Trecento. Testi, pp. 72-73. 86. Cose sottili e cose grosse: Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino 1305-1306, a cura di Carlo Delcorno, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 170-171. 87. Predicazione domenicana e creazione dell’ideologia capitalista: ivi, pp. 268-272. 88. Come attirare il pubblico alle prediche: Franco Sacchetti, Il Trecentonovelle, a cura di Vincenzo Pernicone, Firenze, Sansoni, 1946, pp. 73-76. 89. Le reazioni del pubblico: Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, pp. 410-411; San Bernardino da Siena, Le prediche, vol. II, p. 310; ivi, a cura di Ciro Cannarozzi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1940, vol. V, p. 381.

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letteratura novellistica – che una parte di esso, le classi subalterne, non gradiscono – in realtà, vi restano del tutto estranee – l’allineamento dei temi della predicazione ai problemi di legittimazione morale dell’attività professionale del ceto mercantile.90 L’attenzione dei predicatori alla problematica religiosa del laicato mercantile e borghese crea un intenso processo di circolazione di modelli culturali. I ricchi mercanti sottolineano l’utilità dell’andare a sentire le pre­diche,91 attendono con ansia i predicatori più famosi e se ne scam­ biano i detti.92 L’ascoltare le prediche è una pratica consigliata anche alle donne,93 anzi a tutta la famiglia.94 Nella letteratura delle ricordanze domestiche i mercanti ripetono l’impronta, sia pure in termini profani, di pratiche religiose come l’esame di coscienza, e taluni di loro spingono la loro devozione al punto di mettersi al tavolino e di scrivere delle prediche, certo pura esercitazione scrittoria, come, nella seconda metà del ’300, Franco Sacchetti.95 Ma questo rapporto si può rovesciare: in una linea di reciproca assimilazione nelle prediche viene proposta a modello una mentalità di calcolo, applicandola direttamente alle pratiche ascetiche, anzi, mutuando addirittura il linguaggio dei libri di conti dei mercanti. Esemplari sono, da questo punto di vista, le prediche di Bernardino da Siena, tanto più importanti in quanto, imitando il suo modello, a partire dai primi decenni del ’400 si assiste ad un progressivo intensificarsi di una predicazione capillare. Il grande successo di massa della predicazione itinerante, soprattutto dei francescani Osservanti – come Bernardino –, nella società italiana del secolo XV è incontestabile: essi mobilitano con le loro prediche inte90. Quando il predicatore sceglie un argomento non adatto al suo pubblico: Sacchetti, Trecentonovelle, pp. 223-224. 91. Utilità delle prediche: Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, a cura di Alfredo Schiaffini, Firenze, Le Monnier, 1945, num. 116, p. 100; num. 296, p. 169. 92. Lettere su un predicatore: Nicola Zucchelli, La B. Chiara Gambacorti, Pisa, Tip. editrice F. Mariotti, 1914, pp. 354-355; Lapo Mazzei, Lettere di un notaro a un mercante del secolo XIV, a cura di Cesare Guasti, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1880, vol. I, pp. 228, 316, 359. 93. Le donne alla predica: Girolamo da Siena, Il soccorso dei poveri, da Scrittori di religione del Trecento. Testi, pp. 312-313. 94. La famiglia alla predica: Cherubino da Siena, Regola della vita spirituale, a cura di Francesco Saverio Zambrini e Carlo Negroni, Bologna, Romagnoli, 1888, pp. 8-9. 95. Le prediche scritte di un mercante devoto: Franco Sacchetti, Opere, a cura di Aldo Borlenghi, Milano, Rizzoli, 1957, pp. 809-814.

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re città, ampliano la loro sfera di espressione, acquisendo anche moduli teatrali.96 Nelle pieghe del loro successo non esitano ad inserirsi piccoli truffatori, frati o furfanti che siano.97 Soprattutto, però, la predicazione itinerante nel ’400 ha un risvolto politico immediato, che mancava nei due secoli precedenti.98 Malgrado alcuni soprassalti apocalittici – l’attesa della fine del mondo come sbocco della destrutturazione sociale – agli inizi del ’400, la predicazione itinerante in questo secolo opera di fatto una saldatura tra tessuto ecclesiastico e trasformazione della società, con una presa immediata del discorso religioso sulla realtà economica e sociale del tempo. Il riconoscimento dell’autorità ecclesiastica – solo nel 1417 si pone fine allo scisma che nei quarant’anni precedenti aveva diviso la Chiesa in due e in tre parti – come l’unica dispensatrice autorizzata della salvezza eterna è riba­dito continuamente nelle prediche quattrocentesche: sulla base di questo presupposto la conversione etica personale diviene nello stesso tempo restaurazione sociale. Fino a che la crisi politica della fine del secolo XV non incrina la solidità di questo messaggio religioso ad una sola dimensione. 4. La predicazione evangelica e la Riforma protestante in Italia Nella seconda metà del ’400 il tessuto della società italiana comincia a mostrare crepe vistose: l’equilibrio nel sistema politico, assicurato faticosamente dalla pace di Lodi del 1454, è una effimera acquisizione. È il ruolo stesso della penisola nel sistema politico internazionale – in cui vanno cre­ scendo, con sempre maggiore rapidità, le fortune degli stati nazionali – e nella divisione internazionale del lavoro ad essere messo in discussione. Le guerre d’Italia, nei decenni a cavallo tra la fine del ’400 e gli inizi del ’500, e l’affermazione del predominio spagnolo sulla penisola non fanno altro che siglare un declino irreversibile. 96. La predica come sacra rappresentazione: Cesare De Lollis, Ricerche abruzzesi, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 3 (1887), pp. 53-100, alle pp. 81-83. 97. Predicazione e truffa: Masuccio Salernitano, Il Novellino, a cura di Giorgio Petrocchi, Firenze, Sansoni, pp. 53-60. 98. La predicazione al servizio della politica: Serafino Bastanzio, Fra Roberto Carac‑ ciolo. Predicatore del secolo XV. Vescovo di Aquino e Lecce († 1495), Isola Liri (Frosinone), Tipografia editrice M. Pisani, 1947, pp. 281-282.

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Questa situazione di forte instabilità sociale, economica, politica, ha certo i suoi riflessi sul piano della vita religiosa: a livello istituzionale, con il coinvolgimento della Chiesa nel sistema politico degli stati italiani. Per quanto riguarda, poi, in particolare la predicazione, essa continua più o meno stancamente o vivacemente nelle sue forme ormai consolidate. Se ne può trovare una riprova facendo scorrere i cataloghi delle prime opere uscite dai torchi della stampa a caratteri mobili, nell’ultimo quarto del ’400: in gran parte di soggetto religioso, vi si ripropongono raccolte di prediche latine (sermonari), che non si discostano in nulla dai modelli e dalle forme affermatisi alla fine del medioevo. Sintomo e nello stesso tempo rimedio alla crisi montante è il crescente interesse che nella predicazione quattrocentesca è riservato alle questioni sociali: il prestito a usura, il piccolo credito monopolizzato da banchieri giudaici (con ripetuti rigurgiti di anti-giudaismo, come valvola di sfogo per le tensioni esistenti), la promozione di un nuovo istituto di credito su pegno, il Monte di Pietà. In questa chiave si può anche leggere la propaganda a favore delle nuove confraternite laicali, o per il rinvigorimento delle anti­che: quasi che, anche in questa forma, promuovendo istituzioni di associa­zionismo religioso dei laici, si volesse cercare di mantenere la compattezza del tessuto sociale. Eppure, proprio in sintonia con la crisi che attanaglia la società italiana alla fine del medioevo, appaiono fermenti al margine del pesante corpo delle istituzioni ecclesiastiche: certo, però, tracce forse più di disgregazione che non di apertura di nuove prospettive alla vita religiosa italiana sulla soglia dell’età moderna. A partire dagli anni ’70 del secolo XV sciamano per la penisola predicatori itineranti di penitenza, tutti riconducibili certo non ad una determinata organizzazione, quanto ad un tipo preciso.99 Le fonti in genere li indicano come romiti (eremiti). Indifferentemente chie­rici o laici, essi perseguono volutamente una linea di azione non ufficiale, al di fuori delle istituzioni. Appellandosi ad una diretta ispirazione divina, percorrono le strade della penisola, predicando nelle chiese e nelle piazze che è necessario fare penitenza, perché si avvicina la fine del mondo profetata nell’Apocalisse di san Giovanni. A dare autorità alle loro parole è il loro stesso aspetto esteriore di eremiti: scalzi, vestiti di pelle o di sacco, con la barba irsuta, con una grande croce in mano. 99. Eremiti e predicatori itineranti della fine del mondo: Niccolò della Tuccia, Crona‑ ca di Viterbo, in Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di Ignazio Ciampi, Firenze, G. P. Viesseux, 1872, p. 106.

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L’ostilità degli ambienti religiosi ufficiali di fronte a questi fenomeni100 è destinata a crescere dopo la tempestosa vicenda che a Firenze ha per protagonista Girolamo Savonarola. Giunto, con il passare degli anni, alla convinzione di essere chiamato ad un destino profetico,101 il frate domenicano ferrarese sconvolge con le sue predicazioni apocalittiche e politiche Firenze: anche se, a dire il vero, taluni dei suoi ascoltatori sono at­tratti più dal messaggio religioso tradizionale delle sue prediche,102 che non dalle sue infiammate visioni, puntualmente annotate dai seguaci.103 Più che i risvolti della sua disgraziata utopia, a tal punto radicata nella realtà fiorentina del tempo che solo una distorsione polemica può far considerare la sua vicenda come pre-luterana, ne sono importanti le implicazioni: per la prima volta, infatti, in concomitanza con il fenomeno savonaroliano, si realizza un’alleanza dei mezzi di comunicazione di massa per assicurare la diffusione di nuove idee. Gli ascoltatori delle prediche del domenicano, infatti, le “riportano” con il metodo tachigrafico, e subito le affidano ai torchi della stampa, per consentire una più vasta e radicata diffusione del suo messaggio religioso e politico. Lo stesso Savonarola, ad un certo punto, ricorre direttamente alla stampa e le affida i propri scritti, redatti in volgare. Conclusasi tragicamente sul rogo la vicenda di Savonarola, nel 1498, nei due decenni successivi a più riprese compaiono a Firenze predicatori itineranti, appartenenti agli Ordini religiosi104 oppure semplici impostori,105 100. La predicazione ufficiale e la predicazione degli eremiti: Roberto da Lecce, Spec‑ chio della fede, Venezia, 1495, c. 40r, citato in Antonio Volpato, La predicazione peniten‑ ziale-apocalittica di due predicatori del 1473, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 82 (1970), pp. 113-128, alle pp. 116-117. 101. La coscienza del profeta: Girolamo Savonarola, Compendio di rivelazioni, a cura di Angela Crucitti, Roma, A. Belardetti, 1974, pp. 8-23. 102. Ascoltatori attenti e ascoltatori distratti – le prediche di Girolamo Savonarola secondo un anonimo: Zelina Zafarana, Per lo storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di prediche, in «Studi medievali», ser. III, 9/2 (1968), pp. 1017-1113, alle pp. 1058-1061. 103. Ascoltatori attenti e ascoltatori distratti – le prediche di Girolamo Savonarola secondo uno dei suoi seguaci: Prediche raccolte da Ser Lorenzo Violi da la viva voce del reverendo padre frate Hieronymo da Ferrara giorno per giorno mentre che e’ predicava, Firenze, 1497, da Zafarana, Per la storia religiosa, pp. 1029-1030. 104. La repressione della predicazione savonaroliana a Firenze: Giampaolo Tognetti, Un episodio inedito di repressione della predicazione savonaroliana, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 24 (1962), pp. 190-199, alle pp. 193-195. 105. Seguaci di Savonarola e predicatori d’impostura: Joseph Schnitzer, Quellen und Forschungen zur Geschichte Savonarolas, IV : Savonarola nach den Aufzeichnungen des

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i quali annunciano dal pulpito il compimento delle profezie del frate ferrarese e l’avvento della fine del mondo. Di fronte a questi fenomeni, che senza dubbio mettono in gran fermento la città, personaggi come Niccolò Machiavelli manifestano un profondo ed ironico scetticismo:106 d’altra parte sono ripetuti nella letteratura umanistica107 e nella narrativa di quei decenni108 lamenti e critiche nei confronti della decadenza della predicazione tardo-medievale. Diverso appare l’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica. Se nel 1513, quando a Roma è radunato il quinto concilio del Laterano, si progetta una riforma della Chiesa di ampio respiro, in cui il clero venga formato direttamente sulla Scrittura per assicurare una predicazione assidua e regolare al popolo,109 prevalgono in realtà le preoccupazioni di carattere disciplinare. Proprio il concilio, nel 1516, approva norme che limitano forte­ mente la libertà di stampa e altre che mirano ad arginare la predicazione apocalittica post-savonaroliana, senza con questo prevedere nuove forme di predicazione.110 I decreti del concilio provinciale fiorentino del 1517, nell’ottica di arginare i risvolti anti-medicei della predicazione itinerante in Toscana, fanno un passo ulteriore: cercano di sottoporre l’attività dei pre­dicatori, i quali non facciano parte del clero diocesano, al controllo dei vescovi.111 Florentiners Pietro Parenti, Leipzig, Dunken & Humblot, 1910, pp. 305-307, riprodotto in Adriano Prosperi, Il monaco Teodoro: note su un profeta fiorentino del 1515, in «Critica storica», 12 (1975), pp. 71-101, alle pp. 74-75. 106. Machiavelli non va alle prediche: Niccolò Machiavelli, Lettere, a cura di Franco Gaeta, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 308-309. 107. Letterati umanisti e predicatori ignoranti: Vincenzo Calmeta, Prose e lettere la‑ tine edite e inedite (Con due appendici di altri inediti), a cura di Cecil Grayson, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1959, p. 39. 108. Novellieri e decadenza della predicazione: Matteo Bandello, Le novelle, a cura di Gioacchino Brognoligo, 5 voll., Bari, Laterza, 1910-1912, vol. I, pp. 196-199. 109. L’ignoranza del clero e una proposta di riforma: Paolo Giustiniani e Vincenzo Quirini, Libellus ad Leonem X, in Giovanni Benedetto Mittarelli e Anselmo Costadoni, Annales Camaldulenses, 9 voll., Venezia, Giambattista Pasquali, 1773, dalla traduzione di Massimo Marcocchi, La riforma cattolica. Documenti e testimonianze, 2 voll., Brescia, Morcelliana, 1967-1970, vol. I, pp. 471-473. 110. Il decreto sulla predicazione del quinto concilio del Laterano (1516): Concilio‑ rum Oecumenicorum decreta, pp. 610-614. 111. Il concilio provinciale fiorentino del 1517 e la proibizione della predicazione apocalittica: Mansi, Sacrorum conciliorum collectio, vol. XXXV, Paris, H. Welter, 1902, coll. 272-273.

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Questi provvedimenti finirono con l’avere una portata assai limitata, proprio per il loro carattere meramente repressivo: le esigenze e le aspira­ zioni religiose, che nella predicazione itinerante di profeti e romiti trovavano espressione, erano più ampiamente radicate di quanto non credesse la classe dirigente ecclesiastica. Un esempio assai significativo di tale situazione variegata, che caratterizza la predicazione in Italia agli inizi del ’500, è il sorgere dell’Ordine dei Cappuccini. Alla fine del ’400 alcuni frati dell’Ordine dei Minori, i quali aspirano ad una sua riforma in senso rigoristico, si ritirano a condurre vita eremitica ed intraprendono la predicazione itinerante, non diversamente dagli altri romiti del tempo.112 Divenuti un vero e proprio Ordine religioso, forniscono uno sbocco istituzionale alla predicazione itinerante di penitenza. Nel frattempo, però, ha luogo un avvenimento destinato a modificare le coordinate della storia, e non solo di quella religiosa. A Wittenberg, in Germania, la vigilia di Ognissanti del 1517, un frate agostiniano, Martin Lutero, invia ad Alberto, marchese di Brandeburgo, una lunga lettera, in cui lo invita a procedere contro la predicazione delle indulgenze e la raccolta delle elemosine per la costruzione della basilica romana di S. Pietro da parte del domenicano Johannes Tetzel. La polemica di Lutero è condotta contro una delle pratiche più ambigue della predicazione tardo-medievale. Infatti, per quanto fossero sottili le distinzioni di teologi e canonisti al proposito, difficilmente i comuni fedeli non consideravano l’elemosina un prezzo pagato per acquistarsi un’indulgenza, e in questo modo scontare parte della pena che li attendeva in purgatorio, nell’altra vita. La “protesta” di Lutero fece esplodere una situazione politica già estre­mamente tesa. L’esito finale fu la spaccatura verticale della società cristiana europea in “cattolici” e “protestanti”. Nel corso del contrasto con Roma, Martin Lutero, accentuando alcuni motivi teologici derivanti dalle opere di sant’Agostino, formulò una serie di dottrine che portarono alla scomunica del 1520. La sostanza della «heresia lutherana» consiste, grosso modo, nel far venire meno la necessaria funzione mediatrice della istituzione ecclesiastica ai fini di conseguire la salvezza dell’anima dei singoli cristiani. Essi debbono, invece, avere libero accesso alle Scritture, tradotte in volgare perché 112. I primi predicatori cappuccini: Melchiorre da Pobladura, La «Severa riprensio‑ ne» di fra Matteo da Bascio, in «Archivio italiano per la storia della pietà», 3 (1962), pp. 279-310, alle pp. 303-309.

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le possano comprendere, e trarre direttamente dalla Bibbia le prescrizioni che regolino la loro vita religiosa. Per Lutero la salvezza dell’anima non è più assicurata dall’accumulazione di meriti su meriti, erogando elemosine e compiendo buone azioni: la giustificazione (il termine è di sapore forense) si ottiene solo per mezzo della fede in Cristo crocifisso, redentore del genere umano. Le implicazioni di queste asserzioni sono enormi: negazione del primato papale, di sacramenti come la confessione, eccetera. Indipendentemente dal diffondersi delle idee d’oltralpe in Italia, peraltro abbastanza lento e limitato, negli anni ’30 del secolo XVI prende corpo in taluni ambienti ecclesiastici un complesso di istanze di riforma religiosa, di solito indicate con il termine complessivo di Evangelismo italiano, per sottolineare il loro principale obiettivo: rinnovare il cattolicesimo mettendo al suo centro il testo dell’Evangelo e riformare la vita reli­giosa partendo da questo stretto contatto con la parola di Dio tramandata nella Bibbia. Quando i suoi esponenti principali giungono a responsabilità di governo di una diocesi, come Gian Matteo Giberti a Verona, sono estremamente attenti ai risvolti istituzionali di queste loro aspirazioni. Ed allora impostano un’articolazione della vita religiosa in cui la predicazione in volgare – di fatto monopolio degli Ordini religiosi – viene a perdere il suo carattere di eccezionalità, per divenire invece uno dei compiti fondamentali del clero parrocchiale, come semplice lettura e illustrazione del Vangelo.113 Per rendere possibile una predicazione, così lontana dai canoni ormai sclerotizzati del sermo modernus tardo-medievale, è necessario però fornire al clero diocesano strumenti di formazione, redatti in lingua volgare, perché questi chierici poco istruiti li possano comprendere.114 Questa apertura fa entrare nella predicazione ordinaria i temi più dibattuti delle controversie teologiche del tempo, come la predestinazione delle anime:115 più che non quello della giustificazione per mezzo della sola fede, più segnato in senso luterano. La predestinazione delle anime individuali alla salvezza eterna appare un argomento ripetutamente trattato 113. Il rinnovamento episcopale e la predicazione dei parroci: Adriano Prosperi, Tra evangelismo e controriforma. Gian Matteo Giberti (1495-1543), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1969, p. 240. 114. La predicazione evangelica dei parroci: Adriano Prosperi, Note in margine a un opuscolo di Gian Matteo Giberti, in «Critica storica», 3 (1965), pp. 367-402, a p. 394. 115. Un esempio di predicazione scritturale: Paola Pavignani, Tullio Crispoldi da Rieti e il suo sommario di prediche, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 28 (1974), pp. 526-562, alle pp. 557-562.

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nel decennio che precede il 1542, quando si assiste a una sorta di liberalizzazione della parola ai predicatori. I motivi sono principalmente due. Per la sensibilità religiosa del tempo, si tratta di una questione teologica particolarmente sentita anche a livello della massa degli ascoltatori delle prediche, dei comuni fedeli, in quanto tocca direttamente il piano delle preoccupazioni per la salvezza eterna di ciascuno, (prospettiva quest’ultima, è bene ricordarlo, che era stata alla base della predicazione morale tardo-medievale, sino ai limiti dell’ossessione). A rendere poi i predicatori particolarmente sensibili a questa tematica non era solo un’attenzione marcata alla nuova sensibilità religiosa dei fedeli oppure un orecchiare temi dibattuti dai «lutherani», ma soprattutto la loro tradizionale formazione teologica: in particolare, per i frati dell’Ordine degli Eremiti di sant’Agostino, per i quali la familiarità con le opere dell’antico vescovo di Ippona rendeva questi argomenti molto sentiti ed attuali. Per quanto astratte o inconsistenti possano sembrare oggi queste pre­ diche, esse attirano un grande concorso di folla, in particolare tra la nobiltà del tempo.116 Questo tipo di predicazione, certo non riconducibile ad una adesione alle idee «lutherane», genera immediatamente il sospetto negli ambienti curiali, ormai sino in fondo coinvolti nella contrapposizione con la rivolta protestante. Si moltiplicano i casi di coloro che, predicando dal pulpito sulla linea di un agostinismo radicalizzato, ma ancora ben all’interno dell’ortodossia cattolica, vengono denunciati come eretici. Succede ad Agostino Mainardi ad Asti nel 1532,117 ma nel 1535 egli riesce a far riconoscere la sua ortodossia, sia pure a determinate condizioni.118 Succede ad Agostino da Treviso, a Siena, nel 1537, ma a distanza di pochi anni la situazione si è notevolmente irrigidita: ad Agostino da Treviso viene imposto di tornare a Siena nel 1538 per predicarvi un preciso elenco di temi, che correggano le sue precedenti dichiarazioni.119 Di fronte a questi casi ripetuti – in cui, in sostanza, il singolo predicatore si limita a rivendicare la sua assoluta libertà nell’annuncio evange­ 116. La predicazione come avvenimento mondano: Edmondo Solmi, La fuga di Ber‑ nardino Ochino secondo i documenti dell’Archivio Gonzaga di Mantova, in «Bullettino senese di storia patria», 15 (1908), pp. 23-98, a p. 45. 117. Il moderatismo ecclesiastico e la predicazione di temi discussi: Bartolomeo Fontana, Documenti vaticani contro l’eresia luterana in Italia, in «Archivio della R. Società romana di storia patria», 15 (1892), pp. 71-165 e 365-474, alle pp. 132-134. 118. La predicazione condizionata: ivi, pp. 146-148. 119. Tra sant’Agostino e Lutero – libero arbitrio e predestinazione: ivi, p. 365.

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lico – prende corpo quel criterio della doppia verità, che costituisce la linea mae­stra su cui si attesta lo schieramento istituzionale: si tratti dei rappresentanti della curia, come Tommaso Badia, oppure degli ambienti dell’Evangelismo italiano, come nel caso del cardinal Contarini.120 Le materie più difficili della religione cristiana – la predestinazione, la giustificazione per fede, il libero arbitrio – non sono adatte per la predicazione al popolo, che nella sua gran parte è ignorante, ma solo alla discussione all’interno di una cerchia ristretta di dotti e di teologi. Questi anni ’30 del ’500 restano pur sempre un periodo di intensa predicazione. Il comune denominatore di molti episodi è il ruolo centrale assegnato alla Scrittura, che deve esser letta e illustrata in lingua volgare:121 su questa posizione si attestano anche i seguaci italiani dell’umanista olandese Erasmo da Rotterdam122 ed il predicatore più famoso della prima metà del secolo, il cappuccino Bernardino Ochino da Siena.123 L’esigenza della predicazione evangelica è addirittura considerata una norma nelle costituzioni dell’Ordine dei frati Minori Cappuccini del 1536.124 I tempi, però, stanno bruscamente cambiando, si stanno già manifestando segni di irrigidimento dottrinale e disciplinare, e nulla meglio della vicenda personale di Bernardino Ochino serve ad illustrarlo. Di formazione teologica molto tradizionale, nelle sue prediche anteriori al 1542 non è difficile individuare profonde influenze degli autori francescani più classici del medioevo, come Giovanni Duns Scoto e san Bonaven­tura. Dopo 1’incontro a Napoli con lo spagnolo Juan de Valdés, tra il 1536 e 1539, nelle sue prediche cominciano ad apparire argomenti che destano il sospetto nelle autorità ecclesiastiche, ormai ossessionate nella vigilanza a prevenire la diffusione in Italia dell’«heresia lutherana». Per questo motivo Ochino ritiene di dovere difendere la ortodossia delle 120. Le questioni che non devono essere predicate al popolo: Aldo Stella, La lettera del cardinale Contarini sulla predestinazione, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 15 (1961), pp. 411-441, alle pp. 420, 427-428, 441. 121. La Scrittura predicata in volgare: Fontana, Documenti vaticani, pp. 137-138. 122. Le prospettive senza esito di un rinnovamento umanistico nella predicazione: Marco Antonio Maioragio, De eloquentia, citato in Miccoli, La storia religiosa, p. 1004. 123. Bernardino Ochino – il più famoso predicatore italiano del ’500: Solmi, La fuga di Bernardino Ochino, p. 40. 124. I primi cappuccini come predicatori evangelici: Édouard d’Alençon, Primige‑ niae legislationis Ordinis Fratrum Minorum Cappuccinorum textus originales, seu consti‑ tutiones anno 1536 ordinatae et anno 1552 recognitae, in Liber memorialis, Roma, Curia Generale O.M.Cap., 1928, p. 404, num. 117.

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proprie prediche, alla fine della Quaresima del 1539, a Venezia.125 E certo, almeno a giudicare dal breve riassunto frammentario che ci è stato trasmesso di una predica pronunciata da Ochino a Siena nel 1540, un margine di ambiguità (o indecisione?) con il tempo cresce nelle sue parole: anche se non si è in presenza di affermazioni criptoprotestanti.126 Mentre gli avvenimenti precipitano, con l’istituzione del tribunale dell’Inquisizione nel 1542, si registrano le ultime manifestazioni della linea di rinnovamento della predicazione in senso evangelico: le istruzioni per i predicatori del cardinal Contarini (che però muore in quel fatidico 1542) e le costituzioni sinodali del vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti, approvate in quello stesso anno127 (ma nel 1543 il Giberti muore). Ormai, però, la questione dei predicatori è un affare riservato all’occhio attento degli inquisitori: uno di essi riferisce alla Curia romana sulle prediche quaresimali di Ochino a Firenze,128 ma questo è solo un esempio tra i tanti. Convocato a Roma davanti al Sant’Uffizio, Ochino prende la via della fuga e valica le Alpi nel 1542. Da questo momento diviene ovvio interpretare tutta la sua predicazione precedente in chiave di propaganda cripto­ protestante.129 In verità, quando si leggono le prediche di Ochino stampate proprio nel 1541-1542, ci si rende conto che non vi si trovano affatto affermazioni eretiche, in materie che erano oggetto della contrapposizione tra cattolici e protestanti: la trasformazione del pane e del vino nel corpo 125. Bernardino Ochino difende le sue prediche dalle prime accuse di eresia: Prediche predicate dal R. padre frate Bernardino da Siena dell’Ordine dei frati capuccini, Venezia, 1541, riportato in Philip McNair, New Light on Ochino, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 35 (1973), pp. 289-301, a p. 297. 126. Le prediche di Ochino: criptoprotestanti o evangeliche? Rita Belladonna, Alcune osservazioni intorno al sunto di una predica sconosciuta di Bernardino Ochino, in «Critica storica», 14 (1977), pp. 149-154, alle pp. 149-150. 127. La predicazione nelle costituzioni sinodali veronesi del 1542: Jo. Matthaei Giberti Opera, a cura di Pietro e Girolamo Ballerini, Hostiliae, apud Augustinum Carattonium, typographum seminarii Veronensis, 1740, tradotto in Marcocchi, La riforma cattoli‑ ca, vol. I, p. 424. 128. Il rapporto dell’inquisitore sulle prediche di Ochino: Gottfried Buschbell, Re‑ formation und Inquisition in Italien um die Mitte der XVI. Jahrhundert. Quellen und For‑ schungen aus dem Gebiet der Geschichte, Paderborn, Görresgesellschaft, 1910, pp. 239240, tradotto in Roland Herbert Bainton, Bernardino Ochino. Esule e riformatore senese del Cinquecento, Firenze, Sansoni, 1940, p. 50. 129. L’arte del dire e del non dire nelle prediche: Pietro Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, I/2: Documenti, Roma, Edizioni La civiltà cattolica, 19502, pp. 325-326 (prima edizione 1930).

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e nel sangue di Cristo, il purgatorio, il sacramento della confessione, l’obbedienza al papa, il digiuno, le buone opere. Eppure, bisogna doman­darsi se tutto fosse così lineare e semplice. I testi a stampa, infatti, non ci danno ragione delle prediche effettivamente pronunciate: i discorsi di Ochi­no, come quelli di molti altri predicatori, erano fatti anche di accenni, omis­ sioni, elusioni, che spesso sfuggono alla nostra attenzione e che, invece, la sensibilità religiosa dei contemporanei – filo-protestanti ed inquisitori allo stesso modo – coglieva immediatamente, specie quando venivano trattati argomenti come la predestinazione delle anime e la giustificazione per mezzo della fede e non delle opere. In realtà, alla base della predicazione di Bernardino Ochino vi era l’aspirazione dell’Evangelismo italiano a mettere al centro delle prediche la «dechiaratione de li evangelii». Costretto a darsi alla fuga, anche Ochino rileggerà in chiave «protestante» la propria attività di predicatore e cercherà, come gli inquisitori, di accreditare una sua immagine di predicatore cripto­riformato.130 La fuga e la rottura con la Chiesa di Roma inducono Ochino a rivedere, in senso nettamente calvinista, le sue posizioni teolo­ giche: impossibilitato a predicare in Italia, vi invia clandestinamente le sue prediche a stampa,131 abbondantemente corrette e riscritte sulla base delle dottrine riformate.132 A questo punto è necessario fare un’importante precisazione. Si è par­ lato di sensibilità religiosa, di ambiguità e di fluidità della predicazione, di ascoltatori attenti alle sfumature delle prediche, e così via. Questo non deve però portare a credere che la stagione della predicazione evangelica e dei tentativi di introdurre in Italia le idee d’oltralpe coincida con grandi mobilitazioni delle masse oppure con rivolgimenti sul piano politico. Questo si verifica in Francia e nei paesi di lingua tedesca: ed è estremamente im­portante che non abbia corrispettivo nella penisola. Resta pur sempre il fatto, allora, che siamo in presenza di un dibattito, di una contrapposizione, i cui protagonisti rimangono sempre all’interno del ceto dirigente ecclesiastico e di una parte ristrettissima del laicato devoto: in pratica, è solo un 130. Come ci si convince di essere stato un predicatore criptoriformato: Bernardino Ochino, Responsio ad Marcum Brixiensem, da Bainton, Bernardino Ochino, p. 50. 131. La predicazione protestante diffusa a mezzo stampa: Epistola di Bernardino Ochino ai signori della Balìa della città di Siena, da Vittorio Marchetti, Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze, La Nuova Italia, 1975, pp. 251-252. 132. Le prediche protestanti riscritte da Ochino in esilio: Belladonna, Alcune osser‑ vazioni, pp. 149-154.

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limitato nucleo della classe dirigente che entra nel dibattito religioso e che si schiera, facendo alla fine prevalere quella linea di restaurazione discipli­ nare che si indica con il termine di Controriforma. Negli anni ’50 e ’60 del XVI secolo l’inquisizione arriva a mettere gra­dualmente le mani su una serie di predicatori i quali effettivamente svolgono una attività di propaganda delle idee riformate. All’inizio si tratta soprattutto di religiosi133 e di chierici,134 e la clandestinità della loro predicazione non è esente da critiche da parte di coloro che hanno scelto la via dell’esilio oltralpe.135 Questi predicatori sono però troppo facilmente individuabili, e allora la diffusione delle dottrine riformate passa in mano a laici, come quell’artigiano veneziano che a Ginevra ha assistito alle prediche dei riformatori italiani,136 oppure una strana figura di mendicante,137 ovvero un valligiano della Carnia.138 Sono gli ultimi sussulti, legati ad aree geograficamente marginali e a membri delle classi subalterne, dei fermenti religiosi che la Controriforma ha spento implacabilmente.139 5. La Controriforma e il Concilio di Trento Nella prospettiva di rinnovamento della pastorale portata avanti nei primi decenni del ’500 dai rappresentanti dell’Evangelismo italiano più sensibili alla esigenza di trasformazioni concrete, che discendano da più ampie aspirazioni di riforma religiosa, come nel caso del vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti, la predicazione parrocchiale viene perseguita 133. La predicazione criptoriformata prima del concilio di Trento: Antonio Rotondò, Atteggiamenti della vita morale italiana del Cinquecento. La pratica nicodemitica, in «Rivista storica italiana», 79 (1967), pp. 991-1030, a p. 1019. 134. La predicazione degli anabattisti: Carlo Ginzburg, I costituti di don Pietro Ma‑ nelfi, Firenze-Chicago, Sansoni-Newberry Library, 1970, pp. 66-67. 135. La crisi della predicazione clandestina dei Riformati: Arturo Pascal, Una breve polemica tra il riformatore Celso Martinengo e fra Angelo Castiglioni da Genova, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi», 35 (settembre 1915), pp. 77-89, alle pp. 83-84. 136. Le prediche dei pastori italiani a Ginevra: Domenico Caccamo, Eretici italia‑ ni in Moravia, Polonia, Transilvania (1558-1611). Studi e documenti, Firenze-Chicago, Sansoni-Newberry Library, 1970, pp. 197-200. 137. Accattoni e predicazione clandestina: ivi, pp. 204-205. 138. Predicazione alternativa nelle montagne della Carnia: Miccoli, La storia religio‑ sa, p. 993. 139. Professione di fede di un predicatore riformato indipendente: ivi, pp. 993-995.

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perché è uno degli strumenti essenziali del rinnovamento evangelico della vita cristiana. Ben diversa è, proprio negli stessi anni ’30, la posizione di personaggi come il cardinale Gian Pietro Carafa (divenuto poi papa Paolo IV). Per lui già nel 1532 la repressione dell’«heresia lutherana» è la premessa della riforma ecclesiastica: meglio, la riforma ecclesiastica deve essere attuata nelle forme di un netto irrigidimento sul piano dottrinale e disciplinare, per difendersi dall’espansione del luteranesimo e per sconfiggerlo definitivamente. Di qui le proposte di un rigido controllo di predicatori e di confessori, e di una esemplare punizione di quanti vengono trovati in difetto.140 I provvedimenti disciplinari, già adottati dal concilio del Laterano del 1516 in materia di predicazione e di stampa, vengono richiamati contro i nuovi fermenti, ma si rivelano del tutto insufficienti.141 Vengono presi di mira soprattutto i religiosi, in primo luogo i frati degli Ordini mendicanti, perché la loro predicazione dai pulpiti è maggiormente sottoposta a control­lo: si infittiscono le denunce dei predicatori, dal pulpito,142 da parte dei nunzi papali, specie in città dove più facile è l’accesso ai filo-protestanti, come Venezia,143 e da parte delle autorità politiche spagnole, le quali anzi sollecitano una maggiore energia nella repressione.144 La svolta decisiva si ha nel 1542, quando, anche in seguito al fallimento dei colloqui di Ratisbona – ultimo tentativo di riportare all’unione catto­lici e protestanti –, viene istituito il Sant’Uffizio. Il controllo sui predica­tori diviene ferreo, anche perché si pone fine alla relativa libertà dei de­cenni precedenti e si considerano ormai sospetti atteggiamenti già tipici dell’Evangelismo italiano:145 e predicatori come Bernardino Ochino e molti altri non trovano altra scelta che la via dell’esilio oltralpe. Questo controllo diventa estremamente capillare, coinvolgendo anche i 140. Agli albori della Controriforma: Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, XII: Tractatuum pars prior, Freiburg im Breisgau, Görres­gesellschaft, 1961, p. 69. 141. Contro i predicatori che introducono in Italia l’eresia “luterana”: Fontana, Docu‑ menti vaticani, pp. 76-77. 142. I predicatori denunciano dal pulpito i sospetti di luteranesimo: Solmi, La fuga di Bernardino Ochino, pp. 60-61. 143. Alla caccia dei predicatori eretici: Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, pp. 122-124. 144. Repressione politica della predicazione riformata: ivi, pp. 127-129. 145. L’irrigidimento della predicazione cattolica: Benedetto da Mantova, Il Beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni-Newberry Library, 1972, p. 433.

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superiori dei diversi Ordini religiosi da cui escono i frati che si dedicano alla pre­dicazione.146 Il definitivo irrigidimento controriformistico della suprema gerarchia cattolica in materia di predicazione non deve però far ritenere che anche all’interno del ceto dirigente ecclesiastico tutti i problemi fossero già arrivati ad una soluzione univoca. Quando si raduna nel 1545 il concilio di Trento, allo scopo di ridare compattezza al corpo ecclesiastico, squassato dalla ribellione luterana, proprio in materia di predicazione vengono alla luce atteggiamenti ed ipotesi di soluzione molto diversi, e certo non del tutto riconducibili alla sola prospettiva controriformistica. Comune, tra i partecipanti al concilio, è la presa di coscienza della inadeguata formazione dottrinale e morale del clero in cura d’anime. E fin dall’inizio delle discussioni si im­pone il problema della formazione del clero e della predicazione. In questa prima fase le correnti dell’Evangelismo conservano ancora buona parte dell’influenza esercitata nei decenni precedenti: riuscendo ad ottenere che, nella sua ampia maggioranza, il concilio accetti l’idea che occorre procedere di pari passo all’esame di tutte le questioni relative alla Scrittura e alla predicazione. Infatti, nel decreto tridentino Super lectione et praedicatione, approvato nel 1546,147 insegnamento e lettura della Scrittura e predicazione al popolo cristiano vengono messi sullo stesso piano. In questo decreto tridentino, peraltro, sono evidenti i segni di un articolato compromesso tra due correnti di orientamento radicalmente differente.148 I rappresentanti della linea “episcopalista” – coloro cioè che, a partire dai primi decenni del ’500, mirano a ricondurre l’istituto della predicazione sotto il controllo dei vescovi delle singole diocesi e ad arginare di conseguenza il monopolio, o quasi, dei frati mendicanti in materia – cercano di spostare la discussione sulla predicazione nell’ambito del dibattito sulla cura d’anime. È questo l’orientamento della cosiddetta riforma cattolica, cui in un certo senso appartengono anche i maggiori rappresentanti della riforma tridentina, come i cardinali Paleotti e Borromeo. Per essi, se vescovi e parroci, interrompendo il corso di una prassi secolare, fossero 146. L’inquisizione e il controllo della predicazione: Fontana, Documenti vaticani, pp. 390-391. 147. Il decreto del concilio di Trento sulla predicazione: Conciliorum Oecumenico‑ rum decreta, p. 645. 148. Il dibattito conciliare sulla predicazione, secondo una ricostruzione politica: Paolo Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, a cura di Corrado Vivanti, 2 voll.,Torino, Einaudi, 1974, vol. I, pp. 284 e 287-259.

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stati tenuti a risiedere nelle località in cui dovevano esercitare il loro ministero pastorale, sarebbe spettato loro predicare ai fedeli. Come ogni proposta che toccava un problema spinoso, anche questa si arenò di fronte agli ostacoli frapposti dalla Curia romana. I rappresentanti della linea episcopalista furono di conseguenza costretti a rettificare il tiro delle loro richieste, puntando su un obiettivo minore, il cui conseguimento avrebbe però consentito loro di giungere con il tempo allo scopo che si erano prefissi sin dall’inizio: ottenere almeno che i religiosi degli Ordini mendicanti, addetti alla predicazione e alla confessione, fossero sottoposti al controllo dottrinale e disciplinare dei vescovi. I ministri generali degli Ordini mendicanti e i numerosi vescovi che da questi Ordini provenivano – forti del loro peso all’interno delle istituzioni ecclesiastiche – premevano invece perché la predicazione venisse affrontata come un capitolo della riforma degli Ordini religiosi, allo scopo di eliminare le deviazioni, che si manifestavano nella pratica, con una più accurata e severa formazione dei religiosi. L’esito delle loro pressioni, fortemente spal­leggiate dalla curia, perché rinforzavano la restaurazione del potere papale,149 fu un decreto che, nella sostanza, non scalfiva per nulla il tradizionale ruolo dei frati mendicanti nella predicazione al popolo. Nell’arco di tempo compreso tra l’apertura (1545) e la chiusura (1563) del Concilio di Trento molte cose cambiano. Si intensificano e si precisano le direttive controriformistiche anche nel campo della predicazione: nelle singole diocesi si esaminano i predicatori prima dell’inizio della Quaresima,150 ed anzi si fornisce loro un preciso e vincolante elenco degli argo­menti da trattare dal pulpito nella predicazione, non accontentandosi più che essi non tengano una posizione ambigua in materia di dottrina catto­lica, ma esigendo anzi da essi una esplicita professione di fede antiluterana.151 La storia religiosa italiana nel corso del ’500 non si esaurisce però solo nella Controriforma. Ad iniziativa dei nuovi Ordini, come Gesuiti e Cap149. Per il mantenimento dei privilegi dei religiosi mendicanti in materia di predicazione: Concilium Tridentinum, X: Epistolarum pars prima, Freiburg im Breisgau, Görresgesell­schaft, 1965, p. 458. 150. Contro i predicatori sospetti di eresia: Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, pp. 152-153. 151. La predicazione controriformistica: Paolo Guerrrini, L’opera riformatrice di un vicario generale di Verona nel biennio 1552-1553, in «Il Concilio di Trento», 2 (1943), pp. 192-200, alle pp. 198-199.

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puccini, ad esempio, si intensifica una predicazione con la quale vengono pro­poste nuove forme di devozione e di pietà, più sentite dalla popolazione: anche se, esse pure, scelte per il loro orientamento anti-protestante.152 Soprattutto ad opera dei gesuiti153 viene messo in opera un nuovo strumento di acquisizione del consenso religioso di massa, le missioni popolari, che iniziano verso la metà del secolo in funzione anti-protestante e poi si evolvono in strumento di conquista religiosa delle aree marginali, a cominciare dalle campagne del meridione.154 Nel corso dell’ultima sessione del concilio di Trento, nel 1563, si torna a prendere in esame la questione della predicazione, in un contesto radicalmente mutato. A prescindere dai mutati rapporti tra cattolici e protestanti, sono cambiati i protagonisti del dibattito, con la scomparsa fisica dei rappresentanti dell’Evangelismo italiano e dell’umanesimo cristiano: sostituiti da un’altra generazione di prelati che, se pure ad essi si richiamano nei principi e nelle scelte operative (come Carlo Borromeo si rifà a Gian Matteo Giberti) per portare avanti la riforma della Chiesa, a questa stessa espressione danno un contenuto molto diverso. Rivelatrice di tali mutate concezioni è la collocazione stessa delle norme relative alla predicazione, poste nel quadro dei provvedimenti riguardanti la cura d’anime, e in particolare tra il canone sulle visite pastorali dei vescovi e quello intorno alla giurisdizione penale nei confronti dei vescovi. Per importanti che possano essere le nor­me del Decretum de reformatione, che fissano una periodicità ed una inten­sità regolari per la predicazione,155 non sfugge che in questo canone non si fa più parola di una predicazione fondata sulla “dichiarazione” della Scrittura e in particolare del Vangelo: la predicazione è divenuta importante solo in quanto preciso obbligo del clero in cura d’anime. Rileggendo i due decreti del concilio di Trento in materia di predicazione, si nota che ciò che li accomuna è il sostanziale silenzio sulla questione del privilegio canonico dell’esenzione dei predicatori degli Ordini religiosi dall’autorità dei vescovi. Con il tempo, anche i più fervidi so152. La predicazione dei gesuiti e le nuove forme di devozione: Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, pp. 73-74. 153. La predicazione tridentina dei gesuiti: ivi, pp. 77-85. 154. Le missioni dei gesuiti: ivi, I/1: La vita religiosa in Italia durante la prima età della Compagnia di Gesù, Roma, Edizioni La civiltà cattolica, 19522, pp. 367-368 (1a ed. 1930). 155. La predicazione nelle parrocchie secondo il concilio di Trento: Conciliorum Oe‑ cumenicorum decreta, p. 739.

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stenitori della linea episcopalista valutano il rischio di far venire meno il monopolio nella predicazione degli Ordini religiosi: specie in un momento in cui, nella dichiarata opzione di rinsaldare l’organismo delle istituzioni ecclesiastiche cat­toliche, non si può ancora far leva su quella figura ideale di parroco che la riforma tridentina aveva delineato e che nella realtà non poteva nemmeno esistere, per il lento avvio dello strumento fondamentale che per la sua formazione a Trento era stato escogitato, il seminario diocesano. Per questo motivo strutturale – ma anche per la capacità di rinnovamento che i religiosi avevano saputo mostrare – la predicazione al popolo nel ’500 resta prevalentemente, se non esclusivamente, una attività dei religiosi dei diversi Ordini. Anche i vescovi della riforma tridentina, dunque, debbono elaborare istruzioni per i predicatori che operano nella loro diocesi.156 In taluni di essi, però, come nel caso di Carlo Borromeo, non viene mai meno l’aspirazione ad una forma di predicazione semplice, aderente al testo della Scrittura, affidata giorno per giorno ai parroci, con la quale sostituire la predicazione itinerante dei religiosi, brillante, ma più rispondente a criteri di forbitezza letteraria e ad ottenere effetti emozionali, che non a provocare tra­sformazioni religiose durature. Borromeo lo ribadisce in una lettera al car­dinal Paleotti del 1578,157 alla fine di un lungo scambio epistolare sull’argomento.158 Ma la preparazione religiosa dei parroci resta sem­pre elementare, anche nelle disposizioni dello stesso Borromeo del 1565.159 I chierici delle parrocchie sono in realtà tagliati fuori dalla predicazione, e non solo perché il confronto con i protestanti induce a servirsi delle forze già esistenti, senza doverne preparare di nuove. Accade anche, infatti, che nella ondata di repressione inquisitoriale scatenata sotto papa Paolo IV contro tutta la letteratura religiosa in volgare, vengano tolte dalla cir156. Avvertimenti per i predicatori: Gabriele Paleotti, Avvertimenti d’alcune cose che si desidera siano ricordate al popolo secondo l’occorrenza dalli Reverendi Padri Predi‑ catori (1569), in Paolo Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), 2 voll., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1967, vol. I, p. 79. 157. L’episcopato post-tridentino e la predicazione: Prodi, Il cardinale Gabriele Pa‑ leotti, pp. 91-92. 158. Sermoni latini e prediche volgari dei vescovi: Marcocchi, La riforma cattolica, vol. II, pp. 98-100. 159. La cultura del clero nel primo concilio provinciale milanese (1565): Acta Eccle‑ siae Mediolanensis, II, a cura di Achille Ratti, Milano, Raffaele Ferroni editore, 1890, col. 68, tradotto in Marcocchi, La riforma cattolica, vol. II, pp. 46-47.

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colazione numerose opere che erano state stampate proprio per consentire una sorta di autodidattismo pastorale del clero curato: scritti certamente di carattere del tutto eterogeneo, in parte derivati dalla letteratura medievale delle artes praedicandi e dei sussidi per i predicatori, in parte frutto dei nuovi fermenti religiosi, in particolare della riscoperta del ruolo della Scrittura nella vita religiosa di chierici e laici. Un nuovo ruolo emerge però anche per il clero parrocchiale. Nel progressivo consolidarsi di una linea di indottrinamento sistematico delle verità fondamentali della fede cristiana, fissate nella atemporalità del dogma dai decreti tridentini, prende forma un nuovo strumento pastorale: il Cate‑ chismo Romano. Per assicurare un insegnamento religioso elementare, che discende dal clero regolare e secolare ai fedeli, e che evita di immischiarsi in temi controversi, e per esporre positivamente la dottrina cattolica, due strumenti ormai si richiamano a vicenda: la predicazione e l’insegnamento della dottrina cristiana. Appare particolarmente significativo che, nel 1590, venga stampata a Venezia una edizione del Catechismo Romano arricchita da accurati indici analitici, in modo da consentirne l’uso per la predicazione domenicale da parte dei parroci.160 Nella seconda metà del ’500 la predicazione della Controriforma marca un periodo di grande floridezza: si ripetono i successi di massa dei predi­ catori più famosi, come ad esempio Francesco Panigarola.161 Com­pare una nuova ondata di manuali ad uso dei predicatori, che soppianta la letteratura tardo-medievale, inadeguata a rispondere alle esigenze di una normativa universale, ma soprattutto rigidamente uniformatrice, come quella formulata nei canoni tridentini sulla predicazione: i quali hanno introdotto una uniformità dall’alto in un ambito in cui, con il tempo, la prassi aveva creato una sostanziale piattaforma comune di metodi, argomenti, modi di predicare. Tra la metà del ’500 e gli inizi del ’600 si assiste anche al sorgere di un fenomeno del tutto nuovo: la predicazione sacra in Italia assurge ad un ruolo ufficialmente riconosciuto nel campo della letteratura. Nel lungo processo di uniformazione della lingua italiana, sotto la spinta di grammatici come Trissino e Dolce, alla pluralità di volgari regionali il ceto degli 160. Predicazione e catechismo: Mario Scaduto, Le «visite» di Antonio Possevino nei domini dei Gonzaga (Contributo alla storia religiosa del tardo Cinquecento), in «Archivio storico lombardo», 87 (1960), pp. 336-410, a p. 360. 161. Successi di un predicatore della Controriforma: Paolo Maria Sevesi, S. Carlo Borromeo e il P. Francesco Panigarola O.F.M., in «Archivum Franciscanum Historicum», 40 (1947), pp. 144-207, alle pp. 174-175.

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intellettuali italiani sostituisce un nuovo italiano sovraregionale, elemento di unificazione e di identificazione della classe dirigente. Per questa ragione i maggiori teorici della predicazione dopo il concilio di Trento, nel momento in cui si pongono le basi per riaffermare l’egemonia ideologica delle istituzioni ecclesiastiche nella cultura e nella vita italiana, postulano la necessità dell’uso della nuova lingua italiana nella predicazione.162 I più famosi predicatori post-tridentini, come Cornelio Musso e Francesco Panigarola, conseguono un successo anche letterario di vaste proporzioni. Anzi, le loro prediche sono divenute a tal punto esemplari di stile che il maggior poeta italiano degli inizi del ’600, Giambattista Marino, pubblica nel 1614 delle prediche fittizie, le sue Dicerie sacre: un abile gestore dei propri interessi, come Marino, aveva evidentemente scelto questo genere letterario tenendo conto della sua grande risonanza. A loro volta, poi, le Dicerie sacre, con il loro impianto letterario, offrono un modello ideale per i predicatori del ’600. Contro questa predicazione “a concetti”, che caratterizza la grande oratoria sacra del ’600 – ma ha le sue radici ben entro il secolo prece­ dente – e che è lo sbocco di un processo, nel corso del quale è cresciuta a dismisura la dimensione dottrinale nella predicazione della fede cristiana, prendono posizione i più fini letterati del tempo, come il gesuita Daniello Bartoli.163 Ma ormai la predicazione della Controriforma non può fare a meno del Barocco.

162. Lingua italiana e predicazione: Francesco Panigarola, Il predicatore, Venezia, B. Giunti, G.B. Ciotti & C., 1609: apparato per la seconda parte, pp. 14-16. 163. Contro i barocchismi nella predicazione: Daniello Bartoli, L’huomo di lettere, Roma, heredi di F. Corbettini, 1646, citato da Emilio Santini, Precisazioni e aggiunte sulla sacra predicazione nel secolo XVII, in «Studi seicenteschi», 1 (1960), pp. 1-14, alle pp. 4-5.

2. La predicazione tra primo e secondo millennio*

1. «In rusticam romanam linguam seu thiotiscam» All’interno dell’impero di Carlo Magno le istituzioni ecclesiastiche rivestirono un ruolo di primaria importanza nell’inquadramento delle popolazioni sottoposte. Per tale motivo i legislatori carolingi dettarono numerose disposizioni che le concernevano e, nella XVII deliberazione del concilio di Tours, nell’anno 813, si occuparono in particolare della lingua da utilizzare nella predicazione ai fedeli: Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus habeat omelias continentes necessarias admonitiones, quibus subiecti erudiantur: id est de fide catholica, prout capere possint, de perpetua retributione bonorum et aeterna damnatione malorum, de resurrectione quoque futura et ultimo iudicio, et quibus operibus possit promereri beata vita, quibusve excludi. Et ut easdem omelias quisque aperte transferre studeat in rusticam romanam linguam aut thiotiscam, quo facilius cuncti possint intelligere quae dicuntur.1 * Il testo presentato nel corso del convegno La Penitenzieria tra I e II millennio. Per una comprensione delle origini della Penitenzieria Apostolica, a cura di Manlio Sodi e Renata Salvarani, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, è stato corredato delle fonti originali e di una bibliografia essenziale. Nella prima parte si riprendono le valutazioni già esposte più ampiamente in Roberto Rusconi, Predicatori e predicazione, in Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981, pp. 951-977 (Storia d’Italia. Annali, 4). Per una messa a punto storiografica e bibliografica si rimanda ai contributi pubblicati in The Sermon, a cura di Beverly Mayne Kienzle, Turnhout, Brepols, 2000 (Typologie des sources du moyen âge occidental, 81-83). 1. «Abbiamo deliberato all’unanimità che ciascun vescovo possegga omelie contenenti le ammonizioni necessarie per istruire i sottoposti: vale a dire intorno alla fede cattolica, per quanto ne possono comprendere, alla retribuzione perpetua dei buoni e alla eterna dannazione dei cattivi, e ancora alla futura risurrezione e al giudizio finale, e con quali opere si possa

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Con l’insediamento delle popolazioni di origine germanica negli antichi territori dell’impero romano veniva meno gradualmente l’uso e la comprensione della lingua latina, in cui erano celebrati i riti liturgici della Chiesa, persino da parte dei chierici ai livelli inferiori della gerarchia sacerdotale. La predicazione nelle lingue volgari diveniva pertanto indispensabile strumento per trasmettere ai fedeli i principi elementari del cristianesimo e una conoscenza minimale delle sue dottrine, che ai livelli più elevati continuavano a essere elaborate e tramandate in latino. Se nella Chiesa dei primi secoli la predicazione era stata un’importante funzione inerente al ruolo del vescovo, l’affermazione di un regime di cristianità, insediato in maniera diffusa sul territorio, implicava di necessità un ricorso al clero dei ranghi inferiori della gerarchia, di cui si presupponeva una conoscenza alquanto elementare dei contenuti del cristianesimo che avrebbe dovuto trasmettere a fedeli ancor più ignoranti in materia. Nell’anno 797 il vescovo di Orléans indirizzava un capitolare Ad parochiae suae sacerdotes, dove si scriveva: Hortamur vos paratos esse ad docendas plebes. Qui Scripturas scit, praedicet Scripturas; qui vero nescit, saltem hoc quod notissimum est plebibus dicat. […]. Nullus ergo se excusare poterit quod non habeat linguam unde possit aliquem aedificare.2

Nella documentazione ecclesiastica non era per nulla difficile riscontrare, in quell’epoca, il reiterarsi di concetti analoghi e di indicazioni simili. L’uso delle lingue volgari svolgeva dunque un ruolo essenziale nelle relazioni tra i rappresentanti del clero e le diverse popolazioni e di conseguenza divenne indispensabile anche per l’ascolto delle confessioni dei peccati da parte dei fedeli, la cui funzione era una verifica minimale da parte dei sacerdoti dell’ortodossia delle credenze e della rettitudine nei comportamenti.3 meritare la vita beata, e con quali esserne esclusi. E abbiamo deliberato che ciascuno si sforzi di tradurre queste stesse omelie in maniera comprensibile nella lingua romana rustica o nella tedesca, di modo che con più facilità tutti possano comprendere ciò che viene detto» (salvo diverse indicazioni, le traduzioni sono dell’autore). MGH, Conc., II/1, p. 288. 2. «Vi incoraggiamo ad essere pronti ad insegnare alla gente. Chi conosce le Scritture, predicherà le Scritture; invece chi non lo sa, dica almeno al popolo ciò che è meglio conosciuto. […] Perciò nessuno potrà scusarsi di non avere una lingua con cui edificare qualcuno». Acta conciliorum et epistolae decretales ac constitutiones summorum pontificum, 12 voll., a cura di Jean Hardouin, Parisiis, ex Typographia regia, 1714-1715, vol. IV, col. 918. 3. Per una presentazione sintetica, con ampio rinvio alle fonti e alla letteratura precedente, si veda Roberto Rusconi, L’ordine dei peccati. La confessione tra Medioevo ed Età moderna, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 13-29.

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Nel corso del secolo X, in un codice di area cassinese, in un liber paenitentialis si poteva leggere una netta prescrizione in merito: «fiat confessio peccatorum rusticis verbis».4 Anteriormente all’anno 1089, sempre nell’Italia mediana e nel contesto di una radicata presenza monastica, nell’abbazia benedettina di S. Eutizio presso Norcia, in Umbria, in un manoscritto che conteneva le formule sacramentali per il rito della penitenza fu inserita anche una confessione generale dei peccati, in lingua volgare, che peraltro riprendeva in maniera puntuale il testo latino del Confiteor.5 Al di fuori delle regioni abitate da popolazioni di lingua romanza tale processo di adattamento fu più accentuato e spesso decisamente anteriore. L’inquadramento religioso delle popolazioni aveva il proprio epicentro nelle aree rurali, dove esse erano prevalentemente insediate. Nel secolo IX e per tutto il secolo X in Italia prevalse il sistema delle pievi rurali, cui era affidata la cura animarum delle campagne. Le loro chiese erano officiate da un gruppo di chierici, alla cui testa si collocava un arciprete. Essi si occupavano in primo luogo di amministrare i sacramenti, in particolare il battesimo e l’eucaristia, oltre che della penitenza e della sepoltura dei defunti. Nella chiesa pievana erano celebrate le funzioni per i fedeli di una vasta area circostante, nelle domeniche e nelle altre festività del calendario liturgico. In quelle occasioni si tenevano le prediche, che riprendevano e volgarizzavano le omelie dei Padri della Chiesa. Vi si trovava una dotazione libraria assai modesta, prevalentemente a fini liturgici, come mostrarono gli inventari di beni allora redatti. Nella pieve veronese di S. Pietro di Tillida, alla metà del secolo X, tra le sue pertinente patrimoniali in un latino rudimentale erano registrati anche: «In primis de ecclesiastica codicem I, in ipso est missalem leccionarium antifonarium de die et alium missalem et antifonarium de nocte, collectaneum unam partem de Adventu Domini usque ad sanctum Stephanum, et sunt in alias quaderniones omelias sancti Augustini et sancti Cesarii omelias X».6 4. Citata in Pietro Pirri, Una formula di confessione in volgare antico, in «La Civiltà Cattolica», 87 (1936), p. 34. 5. Arrigo Castellani, I più antichi testi italiani. Edizione e commento, Bologna, Pàtron, 1973, pp. 77-102. 6. «In primo luogo di beni ecclesiastici: un codice. In esso vi è un messale, un lezionario, un antifonario per il giorno e un altro messale ed antifonario per la notte, una raccolta sull’avvento del Signore fino a S. Stefano; e vi sono in altri fascicoli omelie di sant’Agostino e dieci omelie di san Cesario». Da Andrea Castagnetti, La pieve rurale nell’Italia pada‑

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La scarna indicazione non permette di determinare con plausibile certezza se si trattasse di un sermonario, vale a dire una raccolta a carattere tematico, ovvero di un omeliario, in cui i testi erano disposti in corrispondenza delle ricorrenze del calendario liturgico. Nello stesso volgere di anni, nel 966, il vescovo di Verona, Raterio, un prelato originario di Liegi, emanava una costituzione sinodale, in cui si diffondeva con una certa ampiezza sui libri di cui era tenuto a dotarsi e a servirsi il clero diocesano. Si trattava di indicazioni che riprendevano e compendiavano orientamenti diffusi: De ministerio etiam vobis commisso vos admonere curamus, ut unusquisque vestrum, si fieri potest, expositionem symboli et orationis Dominicę iuxta traditionem orthodoxorum penes se scriptam habeat et eam pleniter intelligat et inde, si novit, praedicando populum sibi commissum sedulo instruat, si non, saltem teneat vel credat. Orationes quoque missarum et canonem bene intelligat, et si non, saltem memoriter ac distinte proferre valeat. Epistolam et Evangelium bene legere possit et utinam saltem ad litteram eius sensum posset manifestare. Psalmorum verba et distinctiones regulariter ex corde cum canticis consuetudinariis pronuntiare sciat. Sermonem, ut superius dixi, Athanasii episcopi de fide trinitatis, cuius initium est «Quicumque vult», memoriter teneat. Exorcismos et orationes ad catecuminum faciendum, ad fontem quoque consecrandum et reliquas preces super masculum et feminam pluraliter ac singulariter distincteque proferre valeat. Similiter ordinem baptizandi ad succurendum infirmis, ordinem quoque reconciliandi iuxta modum sibi canonice reservatum atque unguendi infirmos, orationes quoque eidem necessitati competentes bene saltem sciat legere. Similiter ordinem et preces in exequiis agendis defunctorum, similiter exorcismos et benedictiones salis et aquae memoriter teneat. Canticum nocturnum atque diurnum noverit. Computum minorem, id est epactas, concurrentes, regulares, terminum paschalem et reliquos, si est possibile, sapiat, martyrologium et penitentialem habeat, et cetera.7 na. Territorio, organizzazione patrimoniale e vicende della pieve veronese di San Pietro di Tillida dall’alto Medioevo al secolo XIII, Roma, Herder, 1976, p. 180. 7. «Ci preoccupiamo di ammonirvi, anche in relazione al ministero a voi affidato, affinchè ciascuno di voi, se è possibile, tenga scritta presso di sé l’esposizione del Simbolo e della Preghiera del Signore secondo la tradizione ortodossa, e la comprenda pienamente, e di conseguenza, se la conosce, per mezzo della predicazione istruisca con sollecitudine il popolo a lui affidato; se non la conosce, almeno la impari e vi creda. Comprenda anche bene le preghiere e il canone della messa; se non li comprende, sia almeno in grado di proferirli a memoria e distintamente. Che possa ciascuno leggere bene l’Epistola e il Vangelo, e piacesse al cielo che potesse spiegare il suo significato almeno alla lettera. […] Impari a me-

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Il ruolo egemone del monachesimo latino all’interno della Chiesa occidentale, che andava crescendo con il trascorrere del tempo, ebbe modo di riflettersi anche nella predicazione. Al centro dell’esperienza monastica si collocava la lectio divina, che comportava una continua ruminatio della Bibbia, e portava a una trasformazione progressiva delle compilazioni omiletiche, in cui non ci si limitava semplicemente a trascrivere i testi patristici, e si abbozzava al contrario una forma di esposizione autonoma. Nelle raccolte dell’epoca carolingia le omelie venivano redatte seguendo, versetto dopo versetto, le letture bibliche che la liturgia prescriveva nelle diverse ricorrenze.8 2. «Ecce nunc tempus adest, in quo et peccata vestra confiteri» Dai monasteri il nuovo modello di omiletica si estendeva anche alla predicazione al popolo. A una pieve dell’Italia settentrionale appartenne una raccolta di quattordici omelie, risalenti alla metà del secolo IX. Si trattava di testi assai schematici, comunque redatti in maniera compiuta, in cui si spiegavano i brani letti durante la celebrazione liturgica, cercando di ricollegarne le enunciazioni alle indicazioni per il comportamento dei fedeli che ascoltavano. Vi erano contenute prescrizioni assai sommarie, ricollegabili in particolare al periodo quaresimale. In effetti il testo del Sermo in quadragesima iniziava con le parole: «Ecce nunc tempus adest, in quo et peccata vestra confiteri Deo et sacerdoti», e più oltre si precisava: moria, come dissi prima, il sermone del vescovo Atanasio sulla fede nella Trinità, che inizia così: Quicumque vult. Sia in grado di pronunciare distintamente esorcismi ed orazioni per i catecumeni, ed anche per consacrare un fonte battesimale e le altre preghiere da pronunciare sui maschi e sulle femmine, al plurale e al singolare. Allo stesso modo sia in grado di pronunciare la formula del battesimo e, per soccorrere gli infermi, anche la formula della riconciliazione, secondo le modalità che gli sono riservate dal diritto canonico, e di ungere gli infermi. Almeno sappia leggere bene anche le preghiere che si rendono necessarie in quelle circostanze. Allo stesso modo impari a memoria la formula delle preghiere per celebrare le esequie dei defunti, e allo stesso modo gli esorcismi e le benedizioni del sale e dell’acqua. Impari il cantico del giorno e della notte. Conosca, se è possibile, il calendario dell’anno liturgico, la determinazione e la concorrenza delle festività e del giorno di Pasqua, e tutto il resto. Abbia un martirologio ed un libro penitenziale». Die Briefe des Bischofs Rather von Verona, a cura di Fritz Weigle, in MGH, Briefe d. dt. Kaiserzeit, p. 131. 8. Per un aggiornamento della problematica si veda Thomas Nelson Hall, The Early Medieval Sermon, in The Sermon, pp. 203-269.

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Illa vero confessio vos liberat quae fit cum paenitentia. Paenitentia vera est dolor cordis et amaritudo animae pro malis quae quisque commisit. Paenitentia est mala praeterita plangere et plangendo iterum non committere. Et quamvis omnes dies quibus homines vivant apti sunt paenitentiae, tamen isti dies sunt plus apti et congrui ad confitendum peccata et ad ieiunandum atque elemosinas faciendas, quoniam peccata totius anni istis diebus potestis diluere.9

Per i singoli testi non era difficile riscontrare una determinata fonte negli scritti di autori come Cesario di Arles, il Venerabile Beda, papa Gregorio Magno, sant’Agostino e anche la lettera di Carlo Magno ad Alcuino di York, concernente il significato di alcuni termini ricorrenti nella liturgia. A tale documento si può accostare un libellus de assidua praedicatio‑ ne, conservato in un codice della biblioteca capitolare di Verona e risalente anch’esso al IX secolo. All’inizio di questo sermone latino erano stati infatti trascritti alcuni brani di Cesario di Arles, mentre la gran parte del testo derivava da un singolo sermone di sant’Agostino. Redatta per l’occasione era invece un’esortazione finale alla concordia fraterna: Concorda cum fratre tuo. Aut si forte tu vis, et ille non vult? Sufficit tibi. Si non habeas unde illum doleas: te solvisti. Dic, si vis concordare, et ille non vult, dic securus: «Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris». Si forte peccasti in illo, vis cum illo concordare, vis ei dicere: «Frater, ignosce mihi, quia peccavi in te», et ille non vult tibi ignoscere, ipse observet, quando habet orare. […] Aut si nullum peccatum habeas unde dicas: «Dimitte nobis debita nostra, noli dicere. Et ubi est illud quod idem apostolus dicit: Si dixeritis quia peccatum non habemus, nosmetipsos seducimus et veritas in nobis non est». Si vero mordet conscientia fragilitatis – et in hoc seculo ubique habundat iniquitas – dic ergo : «Dimitte nobis debita nostra». Sed quid sequitur, vide. Noluisti enim peccatum dimittere fratri, et dicturus es: «Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris». An non es dicturus? Et si dicturus es, nichil es accepturus. Dic ergo, et verum dic. Quomodo dicturus es verum, qui fratri tuo noluisti relaxari peccatum?10 9. «Vi libera invece quella confessione che è accompagnata dalla penitenza. La vera penitenza è il dolore del cuore e l’amarezza dell’anima per il male che ciascuno ha commesso. Penitenza è piangere il male compiuto in passato e non commettere nuovamente ciò che dovrebbe essere pianto. E benchè tutti i giorni nei quali gli uomini vivono siano adatti alla penitenza, tuttavia questi giorni sono più adatti e convenienti a confessare i peccati e a digiunare e a fare elemosine, perché in questi giorni potete lavare i peccati di tutto l’anno». Paul Mercier, XIV homélies du IXe siècle d’un auteur inconnu de l’Italie du Nord, Paris, Éditions du Cerf, p. 186. 10. Da Gilles-Gérard Meersseman, Ministerio parrocchiale nel IX secolo secondo il co‑

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L’esortazione finale mirava a instaurare tra i fedeli un comportamento cristiano, che scongiurasse la punizione divina per i loro peccati, e molto concretamente scongiurasse la siccità. Per quanto si può rilevare da una documentazione peraltro assai scarsa, si trattava di un orientamento diffuso. Anche nel primo frammento che documenta la predicazione in lingua romanza, parte di un sermone su Giona, pronunciato tra 937 e 952 in occasione di un digiuno propiziatorio di tre giorni presso l’abbazia di Saint-Amand, al centro delle Francia nel dipartimento del Cher, il tema della penitenza era di fatto al centro dell’argomentazione.11 Dal momento che ai fedeli si predicava nella loro lingua materna, si iniziò a tramandare sermoni anche in volgare: le raccolte di sermoni in volgare inglese di Aelfric, abate di St Albans, e di Wulfstan, vescovo di Worcester, risalivano peraltro alla fine del X e agli inizi dell’XI secolo,12 e ben presto raccolte simili furono attestate nei territori di lingua tedesca.13 Per il periodo compreso tra la metà del secolo IX e la fine del secolo XII rimane valida in ogni caso una valutazione di Erich Auerbach: «Del resto è probabile che nella grande maggioranza delle comunità per secoli si predicasse molto male e piuttosto poco».14 3. «Quadragesime diebus oportet nos humiliari» Il passaggio dalla redazione di scritti per la predicazione in lingua latina alla prassi del loro volgarizzamento nelle diverse lingue avviò un processo di registrazione di testi, accentuatosi nel corso del secolo XII in taluni ambienti monastici e canonicati.

dice XC della Capitolare di Verona, in «Zeitschrift für Schweizerische Kirchegeschichte», 71 (1977), pp. 3-19, a p. 13. 11. Edito in Guy De Poerck, Le sermon bilingue sur Jonas du manuscrit de Valencien‑ nes 521 (475), in «Romanica Gandensia», 4 (1956), pp. 31-66. 12. Cfr. James Edwin Cross, Vernacular Sermons in Old English, in The Sermon, pp. 561-596. 13. Cfr. Hans-Jochen Schiewer, German Sermons in the Middle Ages, in The Sermon, pp. 861-961. 14. Erich Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 256 (ed. orig. Bern, Francke Verlag, 1958).

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Quando in aerea subalpina un predicatore mise per iscritto una raccolta di prediche, in cui all’enunciazione iniziale in latino faceva seguito un testo redatto in un idioma piemontese con imprestiti linguistici dal francese, un apposito sermone fu dedicato a enunciare il significato penitenziale della Quaresima: «Quadragesime diebus, fratres karissimi, oportet nos humiliare et abstinere a vicijs […] E de tuit li pecai que noi faisem tut l’an, en aquesta sancta quarantena los devem manifestar e eser ben confes. Per receivre e per manger la carn e’l sanc del verais agnel, qui tollit peccata mundi […]».15 Una raccolta di sermoni limosini in lingua d’oc, che prevedevano un testo per le Ceneri e un altro sulla penitenza, su un totale di diciassette, documentava che anteriormente al 1150 i monaci assicurarono la diffusione di una raccolta modello di prediche al popolo in volgare.16 Tutti i testi si aprivano con una citazione scritturistica, erano brevi e immediatamente comprensibili, privi di elaborazioni dottrinali. L’esposizione procedeva per associazione di idee, che si sviluppavano in una catena di citazioni bibliche. Ad esempio, nel testo per la Pasqua, al passo dove si leggeva che l’Apostolo esorta a rinnovarsi per il tramite della confessione (1 Cor. 5, 7), dal momento che, come diceva il Salmista, colui che occulta il proprio peccato è vecchio (Ps. 31, 10), seguiva una giustapposizione di testi dei Salmi (Ps. 50, 7; 38, 10; 102, 5), non del tutto estranei all’argomento: anche se il nesso non era reso particolarmente esplicito e dava adito a digressioni. Nel sermone per il Mercoledì delle Ceneri il tema biblico desunto dalla liturgia costituiva il primo anello di una serie di citazioni scritturistiche. In questo modo si facilitava il compito del clero curato, che servendosi invece di una raccolta di sermoni latini non avrebbe dovuto soltanto tradurli, ma anche ricondurli alla portata dei propri ascoltatori. Siffatti mo15. «Nei giorni di Quaresima, fratelli carissimi, dobbiamo umiliarci e astenerci dai vizi. […] E di tutti i peccati che noi facciamo durante l’anno, in questa santa Quaresima li dobbiano manifestare ed esserci bene confessati. Per ricevere e per mangiare la carne e il sangue del vero agnello, che toglie i peccati dal mondo». Wolfgang Babilas, Unter‑ suchungen zu den Sermoni subalpini. Mit einem Exkurs über die Zehn-Engelchor-Lehre, München, Hüber, 1968: «XVII. Sermo in Quadragesima», pp. 268-269. 16. Per quanto segue cfr. Geneviève Hasenohr, La prédication aux fidèles dans la première moitié du XIIe siècle. L’enseignement des sermons « limousins », in «Romania», 116 (1998), pp. 34-71. Il testo è stato pubblicato da Camille Chabaneau, Sermons et pré‑ cepts religieux en langue d’oc du XIIe siècle, in «Revue des langues romanes», 18 (1880), pp. 105-147; 22 (1882), pp. 157-179; 23 (1883), pp. 53-70 e 157-169 (edizione rivista: Montpellier, Hamelin, 1885).

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delli di sermoni erano associati a una spiegazione della messa, costituendo dunque una sorta di manuale, che consentisse a sacerdoti di istruire i fedeli per mezzo di una predicazione incentrata sulla morale e sui sacramenti: battesimo e penitenza risultavano infatti strettamente connessi in parecchi sermoni. Una tale raccolta si presentava indubbiamente utile per quei sacerdoti che faticavano a comprendere il latino, ma anche per gli ecclesiastici scarsamente familiari con una predicazione in volgare. In verità assai poco è noto a proposito della predicazione domenicale e festiva nei secoli XI e XII, prima del rinnovamento che prese avvio alla fine del secolo: sino ad allora la predicazione nelle chiese parrocchiali appariva francamente aleatoria. In tale contesto la prescrizione del concilio provinciale di Limoges del 1031 sembrerebbe essere stata in pratica l’unica, nell’arco di due secoli, a preoccuparsi della predicazione parrocchiale: Cum quidam de praedicatione ad populum, et de indicendis jejuniis et litaniis pro opportunitate temporum dicerent, quod haec apud sedem dumtaxat debeant institui et edici, dixerunt episcopi: Praedicatio non solum apud sedem, sed etiam per omnes ecclesias assiduanda est […]. Nam omnes sacerdotes, quibus parochia commissa est, omnibus dominicis et festivis diebus admonere predicando populum debent […].17

4. «Quatenus que dicta sunt melius possint intelligi» La predicazione ordinaria, alla metà del secolo XII, sia che si svolgesse in latino sia che avesse luogo in volgare, in ogni caso desumeva la propria configurazione da un’elaborazione dotta, formalizzata in latino. Ancora in quell’epoca per la maggior parte dei chierici che dovessero predicare, di fatto culturalmente impreparati a tale scopo, si prospettava l’agevole soluzione di leggere ovvero di volgarizzare un’omelia o un sermone patristico desunto da uno dei manoscritti conservati nelle biblioteche di monasteri, 17. «Quando alcuni dissero di predicare al popolo, e di prescrivere digiuni e litanie secondo i tempi opportuni, che fossero istituiti e pubblicati nella [loro] sede, i vescovi dissero: La predicazione non si faccia solo nella sede [episcopale], ma anche in tutte le chiese con assiduità […]. Infatti tutti i sacerdoti, ai quali è affidata una parrocchia, devono ammonire il popolo con la predicazione in tutte le domeniche e nei giorni festivi». Da Johannes Dominicus Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, vol. XIX, Venezia, A. Zatta, 1744, col. 544.

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canoniche regolari e capitoli cattedrali, in cui furono ripetutamente copiate e ricopiate le compilazioni omiletiche a partire dall’età patristica.18 In una diversa categoria rientrava un altro genere di opere, come gli scritti latini di Geoffroy Babion, arcivescovo di Bordeaux, risalenti al 1136-1138. Magister, eremita e monaco, nella sua raccolta di sessantanove sermoni, verosimilmente in corrispondenza del Venerdì santo si trovava un sermone «in absolutione ad paenitentes», che iniziava citando un salmo: «Venite filii, audite me; timorem Domini docebo vos» (Ps. 33, 12). In un altro sermone i fedeli furono paragonati a pietre che i predicatori lavoravano per levigare, quando li esortavano a rinunciare ai loro peccati per essere in grado di trovare il proprio posto nell’edificio del Signore. In un ulteriore sermone egli paragonava pentimento e confessione alle torri di un edificio e presentava la purificazione dei fedeli come una precondizione essenziale per lo sposalizio del Cristo con la sua Chiesa.19 Alla metà del secolo XII risaliva anche lo Speculum Ecclesiae di un monaco di Regensburg, noto come Honorius Augustodunensis,20 e negli anni ’70 il vescovo di Parigi, Maurice Sully, elaborava una propria raccolta di sermoni per le domeniche e le feste principali, destinati al clero della sua diocesi.21 A sua volta Folco, membro del capitolo dei canonici regolari di S. Eufemia a Pavia, redigeva prima del 1208 una raccolta di Sermones de tempore et de sanctis, e probabilmente la riutilizzò quando divenne vescovo della città padana nel 1216. In uno dei due prologhi egli mise esplicitamente in evidenza la finalità di fornire agli utilizzatori dei suoi sermoni latini un testo che potesse essere facilmente riproposto in lingua volgare: «In scribendo autem talem tenui modum uidelicet quia plano et intellegibili et quasi uulgari 18. Per queste problematiche si veda più ampiamente Nicole Bériou, Aux sources d’une nouvelle pastorale. Les expériences de prédication du XIIe siècle, in La pastorale della Chiesa in occidente dall’età ottoniana al concilio lateranense IV. Atti della quindicesima Settimana internazionale di studio (Mendola, 27-31 agosto 2001), Milano, Vita e Pensiero, 2004, pp. 325-361. 19. Si veda sopratutto Jean-Paul Bonnes, Un des plus grands prédicateurs du XIIe siècle. Geoffroy du Loroux dit Geoffroy Babion, in «Revue Bénédictine», 56 (1945-1946), pp. 174-215. 20. Il testo è in PL 172, coll. 807-1108. 21. Cfr. Jean Longère, Les sermons latins de Maurice de Sully, évêque de Paris († 1196). Contribution à l’histoire de la tradition manuscrite, Dordrecht, Kluwer Academic - Steenbrugge, Sint Pieterabdij, 1988. Un adattamento in francese del testo latino è stato pubblicato in Charles A. Robson, Maurice de Sully and the Medieval Vernacular Homily, Oxford, Blackwell, 1952.

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et familiari dictatu usus sum quatenus que dicta sunt melius possint intelligi et facilius atque commodius uulgarizari. Uix enim aut numquam inueniuntur sermones qui perfecte ac seriatim vulgarizari possint».22 Si era ormai agli albori della predicazione in volgare alle masse, in particolare da parte dei frati dei nuovi Ordini mendicanti, e di lì a pochi anni il minorita lusitano Antonio di Padova avrebbe instaurato una predicazione quaresimale quotidiana come preparazione alla confessione sacramentale e alla comunione pasquale.23 5. «A penitentiis sese omnino abstineant» La predicazione di monaci24 e di canonici25 si era dispiegata a supporto della lotta per la libertas ecclesiae. Esemplare fu la vicenda del monaco vallombrosano Pietro Igneo e del vescovo di Firenze Pietro Mezzabarba.26 Alla fine i riformatori monastici riuscirono a prevalere nei confronti del potere imperiale, come sancito dal concordato di Worms del 1122. Negli anni immediatamente successivi furono convocati a Roma il primo e il secondo concilio del Laterano (nel 1123 e nel 1139), durante i quali si presero in considerazione alcuni provvedimenti volti a rinsaldare le istituzioni ecclesiastiche e a riorganizzare la cura animarum. Nel periodo precedente, grosso modo a partire dalla metà del secolo XI, si era proceduto a una ricostituzione dell’ordinamento pievano, anche per effetto di un’ampia diffusione della vita comune del clero. Di conseguenza si iniziò a mettere in discussione la pretesa dei monaci di esercitare il ministero della predicazione, e anche di intromettersi nell’amministrazione dei sacramenti. Inoltre all’interno dei monasteri l’accrescersi del numero dei conversi comportava un adattamento a un pubblico meno colto della tradizionale predicazione monastica. 22. Da Carlo Delcorno, La predicazione volgare in Italia (sec. XIII-XIV). Teoria, pro‑ duzione, ricezione, in «Revue Mabillon», n.s. 4, 65 (1993), pp. 83-107, a p. 101. 23. Si veda ancora Cesira Gasparotto, La grande missione antoniana a Padova nella Quaresima del 1231, in «Il Santo», 4 (1964), pp. 127-152. 24. Per un aggiornamento storiografico e bibliografico si veda Beverly Mayne Kienzle, The Twelfth-Century Monastic Sermon, in The Sermon, pp. 271-323. 25. Per un aggiornamento storiografico e bibliografico si veda Mark Zier, Sermons of the Twelfth Century. Schoolmasters and canons, in The Sermon, pp. 325-351. 26. Si veda ancora il saggio di Giovanni Miccoli, Pietro Igneo. Studi sull’età grego‑ riana, Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1960.

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Non senza contrasti e resistenze i monaci furono drasticamente esclusi dalla cura animarum sulla base del dettato delle prescrizioni del canone XVI del primo concilio del Laterano: Sanctorum etiam patrum vestigiis inhaerentes, generali decreto sancimus, ut monachi propriis episcopis cum omni humilitate subiecti exsistant et eis uti magistris et ecclesiae Dei pastoribus debitam oboedientiam et devotam in omnibus subiectionem exhibeant. Publicas missarum sollemnitates nus­ quam celebrent. A publicis etiam infirmorum visitationibis, iniunctionibus seu etiam poenitentiis, quod ad ad illorum nullatenus officium pertinet, sese omnino abstineant.27

Contestualmente, fra le deliberazioni di quel concilio fu inserito il canone XVIII, che aveva di mira un’ampia riorganizzazione delle istituzioni ecclesiastiche, in cui la cura animarum fosse invece affidata a un clero curato sottoposto all’ordinario diocesano: «In parochialibus ecclesiis presbiteri per episcopos constituantur, qui eis respondant de animarum cura et de iis quae ad episcopum pertinent».28 A quanto pare, a partire dal secolo XII apparvero inoltre i primi accostamenti espliciti tra predicazione ed eucaristia, sviluppati al punto di fare della predicazione una sorta di sacramento. Per il canonista Rufino, addirittura, se l’eucaristia cancellava soltanto i peccati veniali, la predicazione, non essendo altro che la Parola del Cristo, aveva il potere di liberare dai peccati mortali tutti coloro che credevano in essa: «Verbum Christi appellatur praedicatio evangelii Christi: quae licet corpore Christi sit minor dignitate, suscipientibus tamen eam maior est efficiendi protestate. Nam illorum qui digne suscipiunt corpus Christi remittuntur solummodo peccata venialia, illi autem qui evangelio credunt, etiam mortalia relaxantur».29 27. «Aderendo alle vestigia dei santi padri, stabiliamo con decreto generale che i monaci rimangano con tutta umiltà sottoposti ai propri vescovi e prestino l’obbedienza dovuta loro come a maestri e pastori della Chiesa di Dio, e una devota sottomissione in ogni cosa. In nessun luogo celebrino pubblicamente la solennità della messa. Essi si astengano anche sia dal visitare pubblicamente gli infermi, sia sia dall’imporre penitenze, perché questo non attiene nel modo più assoluto al loro ufficio». Conciliorum Oecumenicorum decreta, a cura di Giuseppe Alberigo, Perikles-P. Joannou, Claudio Leonardi, Paolo Prodi, Basileæ, Herder, 1962, p. 193. 28. Ibidem. 29. Citato in Michel Peuchmaurd, Le prêtre ministre de la parole dans la théologie du XIIe siècle, in «Revue de théologie ancienne et médiévale», 29 (1962), pp. 52-76, a p. 58.

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Nel corso del XII secolo si infittirono le diverse pratiche in materia di predicazione.30 Ad esempio fu l’itinerario di conversione degli eremiti a portarli a prendere la parola. Nelle vitae agiografiche, che a volte rappresentano l’unica fonte a nostra disposizione per conoscere le modalità con le quali gli eremiti trasmettevano alle popolazioni il proprio messaggio religioso, le indicazioni al proposito erano alquanto sommarie, per quanto vi si richiamassero spesso le figure di Giovanni il Battista e di Maria di Magdala. La sostanza del loro insegnamento, in ogni caso, era un invito alla conversione mediante la pratica della penitenza, vale a dire un cambiamento nei comportamenti in vista di una vita coerentemente cristiana.31 Si trattava di trasformazioni di ampia portata. Nei fatti esse non condussero peraltro a un rinnovamento davvero effettivo della cura animarum, che all’epoca non ebbe lo stesso sviluppo di un notevole rafforzamento delle istituzioni ecclesiastiche a tutti i livelli, esito peculiare della vittoriosa lotta dei riformatori romani nei confronti delle istanze imperiali. 6. «Quis, que dicturus sum, dolens non obstupescat?» Alla quaresima del 1037 può essere fatta risalire la predicazione di un diacono decumano, Arialdo, che dapprima era stata indirizzata al clero concubinario di Varese, senza peraltro grandi risultati. Trasferitosi a Milano egli trovò ampio appoggio nella popolazione, che condivideva gli ideali dei riformatori monastici, nell’opporsi alla simonia e al concubinato del clero: Per idem tempus Christi famuli cernentes omnem populum ad sequendum quicquid dicerent esse promptissimum, de symoniaca, quam eatenus reticuerant, palam loqui incipiunt. […] «Audistis, karissimi, dum legeretur liber Actuum apostolorum, venisse Symonem magum ad beatum apostolum Petrum et postulasse per pecuniam Spiritus sancti gratiam. Lucas evangelista, qui hoc scripsit, quid beatus ei Petrus responderit, protinus adiunxit:  “Pecunia”, in30. Importanti considerazioni sulla pratica della predicazione in Giles Constable, The Language of Preaching in the Twelfth Century, in «Viator», 25 (1994), pp. 131-152 (anche in Id., Culture and spirituality in Medieval Europe, Aldershot, Variorum Reprint, 1996, VI). 31. Cfr. Patrick Henriet, «Verbum Dei disseminando». La parole des ermites prédi‑ cateurs d’après les sources hagiographiques (XIe-XII e siècles), in La parole du prédica‑ teur, V e-XV e siècles, a cura di Rosa Maria Dessì, Michel Lauwers, Nice, Centre d’études médiévales, 1997, pp. 153-185.

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quit, “tua tecum sit in perditione, quia existimasti donum Dei pecunia possideri”. Quid est hoc? Nonne iste est ille Petrus, cui septuagies septies peccanti fratri dimittere iussit Dominus? Est utique. Sed hunc non prospexit in se nec in homine peccare solummodo, sed in Deo. Nam nimis isdem beatus Petrus peccasset, si auctorem tanti reatus silendo proficere sineret et estimationem tantae nequitiae in ipsa sua radice minime damnasset. Quod lacrimabiliter validoque dolore profero: ecce nefas, quod apostolorum princeps in ipsa estimatione eternae perditioni tradidit, per universum pene mundum sic optinet principatum, quatinus nullus ad regimen pontificale vel abbaticum sive ad officium qualecumque ecclesiasticum perveniat, nisi per ipsum. Quis, quae dicturus sum, audit, dolens non obstupescit?».32

L’intervento diretto dei laici nella lotta per la riforma religiosa fu assai presto drasticamente limitato dalle autorità ecclesiastiche e si fece strada una precisa distinzione tra una forma di predicazione a carattere edificante, un «verbum exhortationis» accessibile anche ai laici, e una predicazione istituzionale a essi preclusa, per una preoccupazione di ortodossia dottrinale, ma anche per una rivendicazione di esclusività chiericale. La questione si prospettò assai più controversa nel contesto dei fermenti di rinnovamento religioso che caratterizzarono il secolo XII, nel quale la negazione del ruolo dell’istituzione ecclesiastica e il conseguente rifiuto dei sacramenti, e in particolare del sacramento della penitenza, accomunava esperienze anche assai lontane tra loro. 32. «Nello stesso tempo i servi di Cristo, vedendo che tutto il popolo era prontissimo a seguirli qualunque cosa dicessero, iniziano a parlare apertamente della simonia, sulla quale sino ad allora erano stati reticenti. […] “Avete sentito, carissimi, quando si leggeva il libro degli Atti degli apostoli, che Simon Mago si recò dal beato apostolo Pietro e gli chiese la grazia dello Spirito Santo in cambio di denaro. L’evangelista Luca, il quale lo scrisse, aggiunge subito ciò che Pietro gli rispose: “Va’ in perdizione tu e il tuo danaro – disse – perchè hai creduto che il dono di Dio si possa acquistare con il denaro”. Che cosa significa ciò? Non è questo quel Pietro, cui il Signore ingiunse di perdonare settanta volte sette un fratello peccatore? Ed è così. Ma egli vide che costui non peccava solo verso se stesso, né verso un altro uomo, ma verso Dio. Infatti sarebbe stato lo stesso Pietro a peccare grandemente, se avesse permesso che l’autore di una così grave colpa se ne andasse in silenzio, e se non avesse condannato nella sua stessa radice il giudizio di tanta iniquità. E lo devo dire con le lacrime e con profondo dolore. Ecco quale scandalo: ciò che il principe degli apostoli nel suo giudizio condannò alla dannazione eterna, ottiene così il principato per quasi tutto il mondo, a tal punto che nessuno giunse ad ottenere la carica di pontefice, o quella di abate, o qualunque carica ecclesiastica, se non per mezzo di ciò. Chi, ascoltando quanto sto per dire, non resterà attonito per il dolore?». Vita sancti Arialdi autore Andrea abbate Strumensi, a cura di Friedrich Baethgen, in MGH, SS, XXX/2, p. 1055.

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Vi fu in effetti un certo numero di predicatori irregolari, da parte dei quali il problema della salvezza veniva declinato nella forma di una negazione della mediazione ecclesiastica e, di conseguenza, della pratica sacramentale, e che pertanto furono duramente combattuti dalle autorità ecclesiastiche, fino a porre termine alla loro vita. Prima di terminare la propria esistenza tra le fiamme di un rogo, fra 1132 e 1139, Pierre de Bruis, originario delle Hautes-Alpes, era stato chierico in cura d’anime. La sua predicazione ci è nota soltanto per il tramite di un trattato redatto in forma epistolare dall’abate dell’illustre monastero di Cluny, Pietro il Venerabile: Contra Petrobrusianos hereticos.33 Era destinato ai prelati dei territori al cui interno si era svolta la sua attività, dalle archidiocesi di Embrun e Arles alle diocesi di Die e Gap. Loro era affidato il compito di combatterne il messaggio, presentato in una forma radicale, di negazione dei sacramenti e dei riti sui quali si fondava la pastorale ecclesiastica e l’inquadramento religioso delle popolazioni: dal battesimo degli infanti al ruolo delle chiese, dall’orrore per i crocefissi alla negazione del valore salvifico dell’eucaristia, sino al rifiuto delle cerimonie di suffragio per i defunti.34 Pochi anni dopo Bernardo di Clairvaux, l’abate cistercense che tanta influenza esercitò sul vertice ecclesiastico in quei decenni del secolo XII, scriveva al conte di Saint-Gilles, cui comunicò di stare per recarsi a Toulouse, allo scopo di opporsi alle dottrine di un antico monaco, Enrico, da lui definito sarcasticamente «insignis praedicator».35 Il contenuto della sua predicazione, altrettanto radicale, è stato trasmesso da un testo, che la presentava nella forma di una disputa con un monaco di nome Guglielmo: tra le altre affermazioni, Enrico avrebbe sostenuto, nell’ambito di una negazione drastica del ruolo sacramentale della Chiesa, che «sacerdotes huius temporis non habent potestatem ligandi et solvendi», precisando subito dopo che comunque «non est preceptum evangelii ire ad sacerdotem pro penitentia».36 33. Edito a cura di James V. Fearns, Turnhout, Brepols, 1968. 34. Si veda Dominique Iogna-Prat, Ordonner et exclure. Cluny et la société chrétien‑ ne face à l’hérésie, au judaïsme et à l’islam, 1000-1150, Paris, Aubier, 1998, con riferimento alla bibliografia precedente. 35. Si veda Monique Zerner, Au temps de l’appel aux armes contre les hérétiques, in Inventer l’hérésie. Discours polémiques et pouvoirs avant l’Inquisition, a cura di Monique Zerner, Turnhout, Brepols, 1998, pp. 119-137. 36. Il testo del contraddittorio tra Enrico e Guglielmo è stato pubblicato in appendice a Raoul Manselli, Il monaco Enrico e la sua eresia, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 65 (1953), pp. 1-63, alle pp. 44-63.

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Gli strali del potente abate di Clairvaux si indirizzarono anche contro il canonico regolare Arnaldo da Brescia, che nel 1140 era stato a fianco di Pietro Abelardo nel concilio di Sens, e nel 1145 si era recato in pellegrinaggio a Roma, dove la sua infuocata predicazione fu diretta contro il potere del clero e la ricchezza della Chiesa. Si trattava di temi non estranei alle critiche di altri riformatori ecclesiastici, come il canonico regolare tedesco Gerhoh von Reichersberg o l’inglese John of Salisbury, almeno per quanto si può giudicare dalle testimonianze lasciate da molti contemporanei, prima e dopo la sua morte sul rogo.37 7. «Nos Pauperes Christi» All’incirca nell’anno 1144 l’abate Bernardo di Clairvaux riceveva una lettera da Evervino, preposito di Steinfeld (nella Bassa Sassonia). Questi gli riferiva dell’interrogatorio di due predicatori itineranti, definendoli «Pseudoapostoli adulterantes verbum Christi». Si trattava in realtà di due missionari càtari, i quali si riferivano agli scritti del Nuovo Testamento, proponendone una spiegazione apparentemente letterale: Dicunt apud se tantum Ecclesiam esse, eo quod ipsi soli vestigiis Christi inhaereant, et apostolicae vitae veri sectatores permaneant, ea quae mundi sunt non quaerentes […]. De se dicunt: Nos pauperes Christi, instabiles, de civitate in civitate fugientes, sicut oves in medio luporum, cum apostolis et martyribus persecutionem patimur; cum tamen sanctam et arctissimam vitam ducamus in jejunio et abstinentiis, in orationibus et laboribus die ac nocte persistentes, et tantum necessaria ex eis vitae quaerentes. Nos hoc sustinemus, quia de mundo non sumus.38

37. Sul personaggio si veda sempre Arsenio Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1954. 38. «Essi affermano che la Chiesa è soltanto presso di loro, al punto che solo loro sono aderenti alle vestigia di Cristo e restano i veri ricercatori della vita apostolica, perché non cercano le cose che sono di questo mondo[…]. Di sé dicono: “Noi, poveri di Cristo, senza una sede, fuggendo di città in città, come agnelli in mezzo ai lupi, soffriamo la persecuzione con gli apostoli ed i martiri: ma, tuttavia, conduciamo una vita santa e durissima nel digiuno e nell’astinenza, rimanendo il giorno e la notte tra preghiere e fatiche; e delle cose della vita cerchiamo solo lo stretto necessario. Noi sopportiamo questo perché non siamo di questo mondo”». PL 182, coll. 677D-678A.

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Se in tal modo si otteneva un ascolto da parte di quanti si trovassero a disagio nei confronti dell’elaborata esegesi monastica, che rifluiva nella predicazione in volgare, i càtari occultavano peraltro la complessità di un messaggio più radicale, che faceva leva sull’esistenza del male, anche per effetto di una crescente influenza da parte di una dottrina esoterica proveniente dai Balcani.39 Organizzatisi abbastanza rapidamente alla stregua di un’istituzione ecclesiastica alternativa, il principale rito amministrato al loro interno era il consolamentum, cui era affidata la remissione dei peccati dei semplici fedeli. In quella occasione da un perfetto era pronunciata una predica: Tunc ordinatus incipiat predicationem tali modo, si ei placet: O Iohannes! Vos debetis intelligere quod modo in hac secunda vice coram deo et Christo et spiritu sancto quando venistis coram ecclesia dei, sicut superius per scriptura est ostensum, et debetis intelligere, quod estis coram dei ecclesia causa recipiendi perdonum peccatorum propter deprecationem bonorum christianorum cum impositione manuum. Et hoc dicitur spirituale baptismum Ihesu Christi et baptismum spiritus sancti, sicut Iohannes Baptista ait […].40

Intorno al 1176 un mercante di Lione, di nome Valdesio, cui si unirono alcuni compagni, laici e chierici, aveva intrapreso una forma di vita basata sulla povertà volontaria a imitazione degli apostoli, da cui derivava anche la pratica di una predicazione itinerante di penitenza.41 Essi inutilmente si presentarono a Roma a papa Alessandro III, nel marzo del 1179, al tempo del III concilio del Laterano, per ottenerne il riconoscimento e la relativa autorizzazione a predicare. Nel loro caso lo spunto era dato dall’adesione 39. Per un aggiornamento nell’ambito di una storiografia estremamente vasta si veda Les Cathares devant l’histoire. Mélanges offerts à Jean Duvernoy, a cura di Martin Aurell, con la collaborazione di Anne Breton e Christine Dieulafait, Cahors, l’Hydre Éditions, 2005. 40. «Allora l’ordinato inizi la predicazione in questo modo, se gli aggrada: O Giovanni! Voi dovete comprendere come in questa seconda volta siete venuti al cospetto di Dio e di Cristo e dello Spirito Santo, quando siete venuti al cospetto della Chiesa di Dio, come prima è stato mostrato per mezzo della Scrittura, e dovete comprendere che siete qui al cospetto della Chiesa di Dio per ricevere il perdono dei vostri peccati per l’intercessione dei buoni cristiani, mediante l’imposizione delle mani. E questo è detto il battesimo spirituale di Cristo ed è il battesimo dello Spirito Santo, come dice Giovanni Battista». Rituel cathare, a cura di Christine Thouzellier, Paris, Éditions du Cerf, 1977, pp. 226-227. 41. Per un aggiornamento delle problematiche si veda Valdesi medievali, a cura di Marina Benedetti, Torino, Claudiana, 2009.

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all’ideale della vita vere apostolica, che essi intendevano condurre in tutti i suoi risvolti, a fronte sia delle carenze di chierici e di monaci sia della propaganda càtara, contro cui dirigevano la propria predicazione evangelica. Tali motivi furono ampiamente esposti nell’introduzione del Liber anti­haeresis, scritto tra 1179 e 1184 da un chierico, seguace di Valdesio, Durando di Huesca (una località dell’Aragona).42 A fronte della crescente diffusione di forme di predicazione non autorizzata, in particolare da parte di laici la cui ortodossia dottrinale era in ogni caso ritenuta perlomeno dubbia, al concilio di Verona, che sanciva una riconciliazione con l’imperatore Federico I detto il Barbarossa, il 4 novembre 1184 papa Lucio III promulgava la decretale Ad abolendam diversarum haeresum pravitatem, con la finalità di emanare una comune condanna di tutte le manifestazioni ritenute ereticali. Nella scomunica erano sanzionate deviazioni dottrinali e disciplinari, ma era soprattutto la predicazione non autorizzata a motivare il provvedimento: Et quoniam nonnulli, sub specie pietatis virtutum eius, iuxta quod ait Apostolus, denegantes, auctoritatem sibi vendicant praedicandi: quum idem Apostolus dicat: «Quomodo praedicabunt nisi mittantur?» [Rom. 10, 15], omnes, qui vel prohibiti, vel non missi, praeter auctoritatem ab apostolica sede vel ab episcopo loci susceptam, publice vel privatim praedicare praesumpserint, et universos, qui de sacramento corporis et sanguinis Domini nostri Iesu Christi, vel de baptismate, seu de peccatorum confessione, matrimonio vel reliquis ecclesiasticis sacramentis aliter sentire aut docere non metuunt, quam sacrosancta Romana ecclesia praedicat et observat […] pari vinculo perpetui anathematis innodamus.43 42. Edita in Kurt-Victor Selge, Die ersten Waldenser. Mit Edition des «Liber Antihe‑ resis» des Durandus von Osca, Berlin, De Gruyter, 1967, pp. 6-9. 43. «E poiché alcuni, sotto apparenza di pietà, ma essendo del tutto privi delle virtù che la caratterizzano, secondo quanto dice l’apostolo, rivendicano per sé l’autorità di esercitare la predicazione, mentre lo stesso apostolo dice: “In che modo ci saranno dei predicatori, se non saranno mandati?”, annodiamo con uguale vincolo di perpetua scomunica tutti coloro che avranno la presunzione di predicare sia in pubblico sia in privato, pur avendone ricevuto la proibizione oppure non essendo stati inviati, al di fuori di ogni autorizzazione ricevuta dalla Sede apostolica oppure dal vescovo del luogo; e tutti coloro che a proposito del corpo e del sangue di nostro signore Gesù Cristo, oppure a proposito del battesimo, oppure della confessione dei peccati, oppure del matrimonio o degli altri sacramenti della Chiesa, non hanno timore di pensare e di insegnare in maniera diversa da quello che la sacrosanta Chiesa romana predica e osserva». Da Texte zur Inquisition, a cura di Kurt-Victor Selge, Gütersloh, Mohn, 1967, p. 26.

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Se la documentazione diretta concernente i testi della predicazione valdese è alquanto tardiva,44 i resoconti degli inquisitori ne hanno lasciato testimonianze alquanto significative, per quanto condizionate da una loro precisa volontà di reprimerne la pratica. All’inquisitore domenicano Bernard Gui, attivo in particolare nella Francia meridionale, si dovette in verità una descrizione assai attenta delle modalità adottate dai predicatori valdesi: Quandoquidem praedicant de evangeliis et de epistolis vel de exemplis et auctoritatibus sanctorum, dicendo et allegando: «Istud dicitur in evangelio vel in epistola sancti Petri aut sancti Pauli aut sancti Jacobi», vel ita dicunt: «Talis sanctus aut talis doctor», ut magis dicta eorum ab auditoribus acceptentur. Habent autem evangelia et epistolas in vulgari communiter et etiam in latino, quia aliqui inter eos intelligunt. Et aliqui sciunt legere et interdum illa que dicunt aut predicant legunt in libro, aliquando autem sine libro, maxime illi qui nesciunt legere, set ea cordetenus didiscerunt.45

L’accenno alla lettera di san Giacomo rievocava inevitabilmente il versetto: «Confitemini ulterutrum peccata vestra» (Iac. 5, 16), invocato nel corso del medioevo centrale per giustificare la confessione ai laici,46 che nel caso dei valdesi rimandava alla loro negazione del ruolo intercessore della gerarchia ecclesiastica e quindi del sacramento della penitenza (oltre che del purgatorio e delle indulgenze). 44. Si veda lo stato della questione in Silvia Vigna Surìa, L’edizione dei sermoni val‑ desi. Preliminari, in Valdesi medievali, pp. 213-223. 45. «Talvolta predicano sui Vangeli e sulle Epistole oppure sugli exempla e i detti autorevoli dei santi. Affermano e portano a rirprova: “Questo è detto nell’Evangelo o nella lettera di san Pietro o di san Paolo o di san Giacomo”, oppure dicono così: “Il tal santo o il tal dottore lo dice”, di modo che le loro affermazioni siano più accette ai loro ascoltatori. Posseggono poi i Vangeli e le Epistole, di solito in volgare, e anche in latino, poiché alcuni di loro lo comprendono. E alcuni sanno leggere e a volte leggono in un libro quanto dicono o predicano; a volte invece predicano senza libro, in particolare quelli che non sanno leggere, ma hanno imparato quelle cose a memoria». Bernard Gui, Manuel de l’Inquisiteur, a cura di Guillaume Mollat, 2 voll., Paris, Les Belles Lettres, 1964, vol. I, p. 62. 46. Si veda ancora l’ampia documentazione raccolta da Amédée Teetaert, La confes‑ sion aux laïques dans l’Église latine depuis le VIIIe jusqu’au XIVe siecle. Étude de théologie positive, Wetteren, J. de Meester et fils - Paris, J. Gabalda, 1926, ovviamente da aggiornare, in particolare sulla base degli studi sulle raccolte di exempla a uso dei predicatori. Cfr. Les «exempla» médiévaux. Introduction à la recherche, suivie des tables critiques de l’«Index exemplorum» de Frederic C. Tubach, a cura di Jacques Berlioz, Marie Anne Polo de Beaulieu, Carcassonne, Garae Hésiode, 1992, e Les «exempla» médiévaux. Nouvelles perspec‑ tives. Études réunies et présentées par Jacques Berlioz et Marie-Anne Polo de Beaulieu, Paris, H. Champion - Genève, Slatkine, 1998.

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Nell’ambito della politica di riconciliazione con la Chiesa di Roma della porzione del movimento religioso del secolo XII, che ad essa non si oppose sino alla fine, come accadde per quanti furono di conseguenza ricacciati nell’eresia, nei primi anni del secolo XIII papa Innocenzo III provvide a riconoscere e a dare una diversa strutturazione istituzionale alle comunità degli Umiliati: diffuse in particolare in Italia settentrionale, vi praticavano la povertà volontaria e la predicazione, opponendosi in particolare alla diffusione delle dottrine càtare.47 Gli ambienti curiali romani rimasero comunque estremamente sospettosi nei loro confronti, come attestava un brano della cronaca di un monaco premostratense, Burchard von Ursperg, per cui intorno al 1210 ancora li si criticava perché predicavano senza autorizzazione e, a suo dire, si sostituivano ai sacerdoti nell’amministrazione dei sacramenti e in particolare nell’ascolto delle confessioni: Humiliati quippe nulla habita auctoritate aut licentia prelatorum, mittentes falcem in messem alienam, populis predicabant et vitam eorum plerumque regere satagebant et confessiones audire et ministeriis sacerdotum derogare.48

8. «Libri paenitentiales» È verosimile che i fedeli, almeno per un certo periodo, a proposito di pa‑ enitentia abbiano imparato molto più dalla pratica liturgica e sacramentale che non dalla predicazione, anche in virtù dell’innegabile impostazione didattica di molti ordines penitenziali. In tale contesto un ruolo catechetico era svolto persino dall’edificio ecclesiastico, in quanto luogo in cui il penitente adempiva ai riti penitenziali previsti e prescritti, in particolare il Mercoledì delle Ceneri all’inizio della Quaresima. Addirittura al IX secolo risaliva un primo esempio di Confiteor da recitare in occasione di tale ricorrenza liturgica, all’interno di una prassi che andò generalizzandosi a partire dal X secolo.49 47. Si veda almeno Sulle tracce degli Umiliati, a cura di Maria Pia Alberzoni, Annamaria Ambrosioni e Alfredo Lucioni, Milano, Vita e Pensiero, 1997. 48. «Gli Umiliati, non avendo ricevuto autorità o permesso dai prelati, hanno gettato la falce nel raccolto altrui, predicato al popolo, e in generale si sforzavano di governare la propria vita, e di ascoltare le confessioni e di derogare a quanto i sacerdoti amministrano». Die Chronik des Propstes Burchard von Ursperg, in MGH, SS rer. Germ., XVI, p. 108. 49. Karen Wagner, «Cum aliquis venerit ad sacerdotem»: Penitential Experience in the Central Middle Ages, in A New History of Penance, a cura di Abigail Firey, LeidenBoston, Brill, 2008, pp. 201-218.

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Nel secolo XII, nel rito di consacrazione della chiesa catalana di Sant Climent d’Orús e nel terzo sermone di Geoffroy Babion si fece esplicito riferimento alla indulgentia in rapporto con la consacrazione di una chiesa ovvero con il suo anniversario. La pratica si era estesa in maniera notevole nel corso dei secoli XI e XII, anche in relazione alla traslazione delle reliquie, e trovò un particolare incentivo nell’appello alla crociata da parte di Urbano II nel 1095.50 Alla fine del periodo carolingio, inoltre, era emerso un ulteriore concetto in materia di paenitentia, trovando peraltro ampio riscontro anche nella letteratura dei libri paenitentiales,51 vale a dire che le buone opere potessero fungere da riparazione da parte del peccatore. In tale contesto particolare importanza assunse la pratica del pellegrinaggio.52 Purtroppo la mancanza di una documentazione adeguata, anteriore al secolo XIII, non consente di valutare in maniera analitica in quale misura la proclamazione della crociata, a partire dalla prima, quando al Concilio di Clermont nel 1095 papa Urbano II indisse un pellegrinaggio armato a Gerusalemme, sino alla quinta crociata, sia rifluita nelle proposizione di una dimensione penitenziale in una predicazione di carattere affatto speciale e che senza dubbio ruotava intorno alle indulgenze concesse.53 9. «Penitentiam agite» Arrivati alla metà del secolo XIII, con la diffusione dell’Ordine dei frati Minori e dei frati Predicatori, e di altri ordini Mendicanti, la predicazione 50. Cfr. Dominique Iogna-Prat, Topographies of Penance in the Latin West (c. 800-c. 1200), in A New History, pp. 149-172, a p. 161. 51. Si vedano le seguenti edizioni: Paenitentialia minora Franciae et Italiae saeculi VIII-IX, a cura di Raymund Kottje, con la collaborazione di Ludger Körntgen e Ulrike Spengler-Reffgen, Turnhout, Brepols, 1994; Paenitentialia Hispaniae, a cura di Francis Bezler, con la collaborazione di Ludger Körntgen, Turnhout, Brepols, 1998; Paenitentialia Fran‑ ciae, Italiae et Hispaniae saeculi VIII-IX, t. III: Paenitentiale Pseudo-Theodori, a cura di Carine van Rhijn, Turnhout, Brepols, 2009. 52. Si veda il contributo di Giorgio Cracco, «Perché siano cancellati i vostri peccati»: Espe‑ rienze penitenziali tra pellegrinaggi e santuari (nei secoli attorno al Mille), in La penitenza tra I e II millennio. Per una comprensione delle origini della Penitenzieria Apostolica, a cura di Manlio Sodi e Renata Salvarani, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pp. 79-157. 53. Cfr. Penny J. Cole, The Preaching of the Crusades to the Holy Land, 1095-1270, Cambridge (MA), The Medieval Academy of America, 1991.

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divenne un’attività pastorale svolta in maniera regolare durante il corso dell’anno, durante le domeniche e le altre festività del calendario liturgico: intensificandosi in maniera particolare durante la quaresima, allo scopo di preparare i fedeli all’adempimento del precetto di confessarsi almeno una volta all’anno e di comunicarsi a Pasqua, come aveva stabilito il decreto De confessione facienda et non revelanda a sacerdote e saltem in Pascha communicando, del quarto concilio del Laterano nel 1215.54 Con il trascorrere dei decenni anche l’ingresso fra i frati era andato restringendosi, per effetto di una loro progressiva e crescente chiericalizzazione e sacerdotalizzazione.55 Divenne allora facile per un cronista parmense, il frate Salimbene de Adam, annotare in maniera sprezzante nella propria cronaca, attorno all’anno 1248, l’ingenuo tentativo da parte di un laico, Gherardo Segarelli, di imitare alla lettera il modello apostolico, dopo che il suo desiderio di entrare nell’Ordine non era stato accolto: Cum enim in Ordine fratrum Minorum habitarem, in Parmensi conventu sacerdos et predicator existens, venit quidam iuvenis natione Parmensis, de vili progenie ortus, illitteratus et laycus, ydiota et stultus, cui nomen Gerardinus Segalellus, et petiit ut a fratribus Minoribus reciperetur in Ordine. Qui cum non exaudiretur ab eis, tota die, quando poterat, morabatur in ecclesia fratrum, et cogitabat quod postea stultizando implevit. Nam super coopertorio lampadis societatis et fraternitatis beati Francisci depicti erant apostoli circumcirca cum soleis in pedibus et cum mantellis circa scapulas involuti, sicut traditio pictorum ab antiquis accepit et usque ad modernos deduxit. Ibi iste contemplabatur, et excogitato consilio, postquam capillos nutrivit et barbam, accepit soleas Ordinis fratrum Minorum et cordam; quia, ut superius dixi, quicumque volunt noviter congregationem aliquam facere, ab Ordine beati Francisci aliquid semper usurpant. Et fecit sibi fieri de bixetto vestitum et mantellum album de stagmine forti, quem circa collum et scapulas involutum portabat, credens per hoc apostolorum habitum demonstrare.56 54. Conciliorum Oecumenicorum decreta, p. 215 (canone 21). 55. Cfr. Maria Teresa Dolso, «Et sint Minores». Modelli di vocazione e reclutamento dei frati Minori nel primo secolo francescana, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2001. 56. «Quando infatti abitavo nel convento parmense dell’Ordine dei frati Minori, essendo sacerdote e predicatore, venne un giovane di origine parmense, nato da una vile progenie, incolto e laico, ignorante e stolto, che aveva per nome Gerardino Segalelli, e chiese di essere ricevuto nell’Ordine di frati Minori. Ma essi non lo esaudirono ed egli tutto il giorno, quando poteva, indugiava nella chiesa dei frati e pensava a ciò che poi da pazzo avrebbe realizzato. Infatti sul coperchio della lampada della confraternita del beato Fran-

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La sua adesione al pauperismo evangelico e la pratica della predicazione itinerante si fondavano su un’ingenua imitazione del modello apostolico, desunta addirittura dall’iconografia devozionale, e non più da una conoscenza più o meno diretta del testo del Nuovo Testamento, il cui dettato andava di fatto al di là delle sue possibilità di adeguata comprensione. Frate Salimbene non poteva trattenersi dal prenderne nota, con innegabile sarcasmo: Porro Ghirardinus Segalellus multis diebus solus ivit per Parmam, quia socium non habebat; et portabat mantellum suum circa scapulas involutum et nemini loquebatur nec quempiam salutabat, credens implere illud Dominicum verbum, Luc. X: Neminem per viam salutaveritis. Verumtamen verbum Domini frequenter dicebat: «Penitençagite» (nesciebat enim exprimere, ut diceret: «Penitentiam agite»). Et ita in processu temporis dixerunt multis diebus sui sequaces, cum homines rurales et ydiote existerent.57

La predicazione sulla penitenza e sull’ascolto delle confessioni aveva ormai preso da parecchio tempo una strada davvero del tutto diversa, assumendo un ruolo centrale nella pastorale ecclesiastica, travalicando i limiti temporali dell’età medievale e riaffermandosi anche dopo i contrasti dottrinali e disciplinari insorti nei primi decenni dell’età moderna.58

cesco erano dipinti tutto intorno gli apostoli, con i sandali ai piedi e con i mantelli avvolti intorno alle spalle, come la tradizione pittorica ricevette dall’antichità e tramandò sino ai pittori moderni. Qui egli stava in contemplazione e, trovata la soluzione, di conseguenza lasciò crescere i capelli e la barba, prese i sandali e il cordone dell’Ordine dei frati Minori: perché – come ho già detto prima – chiunque vuole creare una nuova Congregazione, sempre usurpa qualche cosa dell’Ordine del beato Francesco. Egli si fece fare un vestito di bigello e un mantello bianco di robusta stamigna, che portava avvolto al collo e alle spalle, credendo in questo modo di assumere esteriormente l’abito degli apostoli». Salimbene de Adam, Cronica, a cura di Giuseppe Scalia, Bari, Laterza, 1966, p. 388. 57. «In seguito Gerardino Segalelli se ne andò per molti giorni da solo per Parma, dal momento che non aveva un compagno; e portava il suo mantello avvolto intorno alle spalle e non parlava a nessuno né salutava alcuno, credendo di obbedire a quanto il Signore dice nel Vangelo di Luca, capitolo X: “In viaggio non salutate nessuno”. In verità diceva di frequente la parola del Signore: “Penitenzate”; infatti non si sapeva esprimere in latino al punto di dire: Penitentiam agite. E così con il passare del tempo si espressero per molti giorni i suoi seguaci, perché erano uomini dei campi e ignoranti». Ivi, p. 391. 58. Si veda più ampiamente in Rusconi, L’ordine dei peccati.

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Nel voluminoso repertorio che Johann Baptist Schneyer ha dedicato all’omiletica latina medievale dell’età scolastica (1150-1350) si possono rintracciare i nomi di ben 169 predicatori dell’Ordine dei frati Minori – cui sono attribuiti in complesso esattamente 13.933 sermoni latini. A questi autori, poi, si possono aggiungere altri 47 frati Minori, relativamente ai quali non ci è nota sinora alcuna testimonianza scritta della loro attività di predicatori.1 Se ad essi volessimo aggiungere i predicatori dell’Osservanza minoritica nel secolo XV, solo per la penisola italiana il loro numero si aggira intorno ai 150.2 Questa ostentazione di cifre, apparentemente solo pedante, serve per dare una idea immediata dell’ampiezza del fenomeno: la predicazione minoritica negli ultimi secoli del medioevo interessa l’intero Occidente e non è certo pensabile poterne dare conto in poche pagine, a meno che non ci si voglia ricondurre nei limiti di una voce per un repertorio enciclopedico.3 Per questo motivo l’unica scelta praticabile appare la indicazione di una serie di piste di ricerca, nel tentativo di procedere lungo alcuni fili sot1. Johannes Baptist Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters für die Zeit von 1130-1330, 9 voll., Münster, Aschendorff, 1969-1980. Per una puntuale segnalazione dei sermoni di frati Minori si vedano le recensioni di Balduinus Distelbrink, in «Collectanea Franciscana», 42 (1972), pp. 87-101; 44 (1974), pp. 403 sg.; e di Clément Schmitt, in «Archivum Franciscanum Historicum», 63 (1970), pp. 194-196; 64 (1971), pp. 206208 e 611-613; 66 (1973), pp. 460-461; 67 (1974), pp. 583-585. 2. A questo computo giunge Alberto Ghinato, La predicazione francescana nella vita religiosa e sociale del Quattrocento, in Predicazione francescana dagli inizi al Quattrocen‑ to. Atti del V Convegno di studi (Loreto, 25 aprile 1973), in «Picenum Seraphicum», 10 (1973), pp. 24-98. 3. Cfr. Francesco Costa, Predicazione francescana, in «Dizionario degli Istituti di Perfezione», VII (1983), coll. 553-563.

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tili: la diffusione della predicazione minoritica in Europa nel periodo che va dall’inizio del XIII alla fine del XV secolo dovrebbe essere seguita nei diversi spazi a mano a mano da essa occupati. In questo modo si dovrà accettare una duplice limitazione: da un lato, un’ottica interna all’argomento, non svolgendo il necessario confronto tra l’evoluzione della predicazione minoritica e la storia della predicazione tardo-medioevale; dall’altro, privilegiando due momenti storici, entrambi nello stesso tempo di genesi e di transizione, gli inizi del Duecento e la fine del Trecento. E questo sarà reso possibile dall’ampio numero di studi che, proprio in ambito italiano, sono stati dedicati alla storia della predicazione tardo-medioevale, ed ai quali è giocoforza rinviare.4 1. La predicazione nella primitiva fraternità minoritica Dopo avere trascorso alcuni anni come penitente ed eremita, in seguito alla sua conversione, la cui data risale agli anni intorno al 1205-1206,5 Francesco d’Assisi si volge all’imitazione del modello evangelico della

4. Ricordo in particolare solo quelli più vicini all’argomento: Giovanni Miccoli, La storia religiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla caduta dell’impero romano al secolo XVIII, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 734-875 (cap. VII: Francesco d’Assisi e l’ordine dei Minori; cap. VIII: Gli ordini Mendicanti e la vita religiosa dei laici); Carlo Delcorno, Origini della predicazione francescana, in Francesco d’Assisi e francescanesimo dal 1213 al 1226. Atti del IV Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 15-17 ottobre 1976), Assisi, Società internazionale di studi francescani, 1977, pp. 125-160 (oltre ai suoi numerosi studi dedicati a Giordano da Pisa, molto importanti dal punto di vista metodologico, ricordo La predicazione nell’età comunale, Firenze, Sansoni,1974); Zelina Zafarana, La predicazione francescana, in Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel ’200. Atti dell’VIII Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 16-18 ottobre 1980), Perugia, Università degli Studi di Perugia, 1982, pp. 203-250; Roberto Rusconi, Pre‑ dicatori e predicazione, in Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981, pp. 960-985 (Storia d’Italia. Annali, 4); Id., Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher, 1981, pp. 63-200. Per alcune consonanze con quanto si dirà in seguito sulla prima predicazione francescana, ricordo l’introduzione in Clara Gennaro, Francesco d’Assisi, Brescia, Queriniana, 1982. 5. Il testo era già ultimato quando è apparso il saggio di Lorenzo Di Fonzo, Per la cro‑ nologia di S. Francesco. Gli anni 1182-1212, in «Miscellanea francescana», 82 (1982), pp. 1-115. Delle riviste minoritiche, pubblicate come numeri unici a formare la serie De Franci‑ sco Assisiensi commentarii, 1182-1982 (voll. I-VI) non è stato possibile tenere conto.

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vita apostolica.6 Questo si verifica dopo che attorno a lui si è radunato un primo nucleo della fraternità minoritica, come egli stesso precisa in un passo del Testamentum: «Et postquam Dominus dedit mihi de fratribus, nemo ostendebat mihi, quid deberem facere, sed ipse Altissimus revelavit mihi, quod deberem vivere secundum formam sancti Evangelii».7 Le circostanze in cui Francesco prende coscienza di questa «revelatio» sono riferite, in maniera nella sostanza attendibile e con dovizia di particolari, dal racconto della Vita prima di Tommaso da Celano, databile alla festa liturgica dell’evangelista Luca (12 ottobre 1208) oppure dell’apostolo Mattia (24 febbraio 1209): Sed cum die quadam Evangelium, qualiter Dominus miserit discipulos suos ad praedicandum, in eadem ecclesia [Portiunculae] legeretur, et sanctus Dei assistens ibidem utcumque verba evangelica intellexisset, celebratis missarum solemniis, a sacerdote sibi exponi evangelium suppliciter postulavit. Qui cum ei cuncta per ordinem enarrasset, audiens sanctus Franciscus Christi discipulos non debere aurum sive argentum seu pecuniam possidere, non pe‑ ram, non sacculum, non panem, non virgam in via portare, non calceamenta, non duas tunicas habere, sed regnum Dei et poenitentiam praedicare, continuo exsultans in spiritu Dei: Hoc est, inquit, quod volo, hoc est quod quaero, hoc totis medullis cordis facere concupisco. Festinat proinde pater sanctus, superabundans gaudio, ad impletionem salutaris auditus, nec moram patitur aliquam praeterire quin operari devotus incipiat quod audivit.8

6. Cfr. i classici saggi di Marie-Dominique Chenu, Moines, clercs, laïcs. Au carrefour de la vie évangelique, e Le réveil évangelique, in Id., La théologie au douziéme siêcle, Paris, Vrin, 1957, pp. 244 sgg. e 252 sgg. (trad. ital. Milano, Jaca Book, 1972, pp. 245 sgg. e 273 sgg.). 7. Kajetan Esser, Opuscula sancti patris Francisci Assisiensis, Grottaferrata (Roma), Collegio S. Bonaventura, 1978, p. 310, num. 14. Per gli scritti di Francesco si veda anche Id., Die «Opuscula» des hl. Franziskus von Assisi. Neue Textkritische Edition, Grottaferrata (Roma), Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, 1976: in particolare per il Te‑ stamentum si vedano Id., Das Testament des hl. Franziskus von Assisi. Eine Untersucbung über seine Echtheit und seine Bedeutung, Münster, Aschendorff, 1949 [traduzione italiana parziale: Milano, Edizioni francescane Cammino, 1978]; Raoul Manselli, Dal Testamento ai testamenti di san Francesco, in «Collectanea Franciscana», 46 (1976), pp. 121-129. 8. «Analecta Franciscana», X, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1926-1941, cap. IX, p. 19, num. 22. Per alcuni cenni alla successione di momenti nella conversione di Francesco, cfr. Roberto Rusconi, Frate Francesco, in Francesco d’Assisi. Storia e arte. Catalogo della mostra. (Assisi, luglio-novembre 1982), a cura di Id., Milano, Electa, 1982, pp. 19 sgg.

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Da questo momento, in effetti, prende avvio la predicazione itinerante dei frati Minori.9 All’inizio essa sembra consistere in un semplice invito a fare penitenza – cioè a convertirsi –, invito che si conclude con un annuncio di pace, ricordato da Francesco anche nel Testamentum: «Salutationem mihi Dominus revelavit, ut diceremus: Dominus det tibi pacem».10 L’obiettivo di questa primitiva fraternità, però, sembra essere in prima istanza la messa in pratica esemplare della minoritas – e in tale contesto si deve parlare di predicazione minoritica, vale a dire senza forzare i termini nel senso di una pratica istituzionale della predicazione stessa. L’incontro di Francesco e dei suoi primi socii con papa Innocenzo III si colloca di conseguenza in una prospettiva del tutto particolare. «Et ego paucis verbis et simpliciter feci scribi et dominus papa confirmavit mihi»,11 scrive nel Testamentum a proposito della prima forma vitae dei frati Minori. È una indicazione ben scarna, in relazione a quel difficile viaggio a Roma del 1209 o 1210: e non è possibile sottovalutare, in sede storiografica, la imbarazzata reticenza delle legendae francescane al proposito,12 quando non si voglia invece ricordare l’esplicita affermazione di un rigetto curiale nei confronti dei fratres, almeno nel racconto dei cronisti benedettini inglesi Ruggero di Wendover e Matteo di Parigi.13 9. Per quanto segue si veda 1’interessante articolo di Jean-François Godet, Le rôle de la prédication dans l’évolution de 1’Ordre des Frères Mineurs d’après les écrits de saint François, in «Franziskanische Studien», 59 (1977), pp. 53-64. 10. Esser, Opuscula, pp. 311-312, num. 23. Sulla predicazione di pace di Francesco è in stampa un mio intervento al simposio italo-olandese tenuto ad Amsterdam e l’Aia il 2-3 dicembre 1982 [Roberto Rusconi, Francesco d’Assisi, predicatore di pace, in I valori fran‑ cescani. Simposio in occasione dell’VIII centenario della nascita di S. Francesco (L’Aia, 2-3 dicembre 1982), Amsterdam, Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi, 1985, pp. 93-109]. 11. Ivi, p. 310, num. 15. L’intricata questione della cosiddetta “protoregola” minoritica non è approdata ad alcuna soluzione definitiva: per alcuni cenni bibliografici essenziali, si vedano Esser, Die «Opuscula», pp. 373-376; Id., Textkritische Untersuchungen zur «Regula non bullata» der Minderbrüder, Grottaferrata (Roma), Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, 1974, e David E. Flood, Die «Regula non bullata» der Minderbrüder, Werl, Dietrich Coelde, 1967. 12. Cfr. Miccoli, La storia religiosa, p. 740. 13. I passi di Rogerus de Wendover, Chronica ovvero Flores historiarum, e Matthaeus Paris, Chronica maiora, sono riportati in Testimonia minora saeculi XIII de S. Francisco Assisiensi, a cura di Leonhard Lemmens, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1926, pp. 29-31. Per il viaggio romano e il sorgere del racconto relativo alla predica agli uccelli, cfr. Miccoli, La storia religiosa, pp. 741 sgg.; Francis D.

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È uno sfondo questo da non dimenticare, qualora si voglia valutare a pieno una autorizzazione a predicare la penitenza che Innocenzo III avrebbe concesso, dopo avere approvato oralmente la forma vitae minoritica: per alcuni, nella linea del verbum exhortationis concesso ai laici, vale a dire nell’orientamento di quella politica di riconciliazione con la sede romana dei gruppi religiosi laicali, portata avanti con particolare decisione da Innocenzo III proprio in quel periodo – negli anni che vanno dal 1208 al 1210 alcune lettere pontificie sanciscono il rientro nell’ortodossia romana di taluni gruppi di valdesi, denominati Poveri cattolici e Poveri 1ombardi.14 Quella concessione non si limita però al piano orale, se include anche un gesto rituale di estrema importanza, quale la tonsura, almeno secondo il racconto della Legenda trium sociorum: «Et sic amplexatus est eum et regulam quam scripserat approbavit. Dedit etiam sibi licentiam praedicandi ubique poenitentiam ac fratribus suis […]. Suscepta itaque benedictione a summo pontifice et visitatis apostolorum liminibus, datisque tonsuris beato Francisco et aliis undecim fratribus sicut dictus cardinalis procuraverat, volens omnes illos duodecim esse clericos».15 Alla Legenda maior bonaventuriana si deve inoltre la precisazione del motivo reale che stava alla base dell’imposizione della tonsura: «Approbavit regulam, dedit de poenitentia praedicanda mandatum et laicis fratribus omnibus, qui servum Dei fuerant comitati, fecit coronas parvulas fieri, ut verbum Dei libere praedicarent».16 A proposito di questo duplice racconto – preoccupato di ricondurre nell’alveo del chiericato Francesco già al momento del suo primo contatto con il papa – Giovanni Miccoli aveva osservato che «si riflettono in questa notizia preoccupazioni interne nettamente più tardive, che risentono appunto dell’ormai avvenuta clericalizzazione dell’ordine».17 In verità l’epiKlingender, St. Francis and the Birds of the Apocalypse, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 16 (1953), pp. 13-23. 14. Cfr. i testi pubblicati in Gilles-Gérard Meersseman, Dossier de l’Ordre de la pé‑ nitence au XIIIe siècle, Fribourg (Suisse), Éditions universitaires, 1961, pp. 282-286 (nuova edizione: 1982). I riferimenti più aggiornati sono in Rolf Zerfass, Der Streit um die Laien‑ predigt. Eine pastoralgeschitliche Untersuchung zum Verständnis des Predigtamtes und zu seiner Ent­wicklung im 12. und 13. Jahrhundert, Freiburg-Basel-Wien, Herder, 1974, pp. 211-229. 15. Théophile Desbonnets, Legenda trium sociorum. Édition critique, in «Archivum Franciscanum Historicum», 67 (1974), pp. 38-144, a p. 128, num. 51-52. 16. «Analecta franciscana», X, cap. III, p. 571, 10. 17. Miccoli, La storia religiosa, p. 743.

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sodio in sé potrebbe anche essere verosimile, se si tiene conto del fatto che il rifiuto di concedere anche ai laici il ministero della predicazione costitui­ sce il nodo centrale del conflitto tra sede romana e movimento religioso, a partire dalla seconda metà del secolo XII.18 A livello di ipotesi, comunque, si può anche pensare che in quella occasione non sia stato deciso nulla in materia di autorizzazione a predicare. Tutto quanto noi sappiamo della predicazione minoritica, prima della effettiva approvazione dell’Ordine, si riduce al cap. XIV della cosiddetta Regula non bullata, intitolato nella tradizione manoscritta successiva: «Quomodo fratres debeant ire per mundum». Si tratta di un testo che, nella complessa stratificazione della Regula non bullata, è ritenuto anteriore al 121519 e che assegna l’annuncio della pace evangelica a tutti i fratres: «Quando fratres vadunt per mundum, nihil portent per viam neque sac‑ culum neque peram neque panem neque pecuniam neque virgam. Et in quamcumque domum intraverint, dicant primum: Pax huic domui».20 In pratica doveva trattarsi di una esortazione, il cui tenore si conserva nel capitolo XXI, De laude et exhortatione, quam possunt omnes fratres facere, della stessa regola.21 Al di là delle prescrizioni di carattere giurisdizionale, infatti, il nucleo essenziale del capitolo XVII, De praedicatoribus, della Regula non bullata si riduce alla notissima affermazione: «Omnes tamen fratres operibus praedicent».22 Nella realtà all’interno della fraternità minoritica si instaura ad un certo punto una sostanziale differenza tra questa predicazione non istituzionale (per definirla in relazione alla pratica pastorale del tempo) e l’operato di quanti tra i frati si assumono un vero e proprio compito di predicatori specializzati. Si tratta di un fenomeno complesso, nello stesso tempo effetto del crescente accesso di chierici nel movimento minoritico – come è 18. Si veda il volume di Zerfaß, Der Streit. 19. Cfr. Flood, Die «Regula non bullata»; Esser, Textkritische Untersuchungen. Per i capitoli anteriori al 1215 si vedano anche Kajetan Esser, Zur Textgeschichte der «Regula non bullata» des Hl. Franziskus, in «Franziskanische Studien», 33 (1951), pp. 219-237, e Id., Ein Bedeutsames Fragment der «Regula non bullata» des hl. Franziskus, in «Franziskanische Studien», 52 (1970), pp. 92-119 (ristampati in Id., Studien zu den «Opuscula» des Hl. Franziskus von Assisi, a cura di Edmund Kurten e Isidoro de Villapadierna, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1973, pp. 59-77 e 195-224). 20. Esser, Opuscula, pp. 266-267. 21. Ivi, pp. 277-279. 22. Ivi, p. 271.

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testimoniato in maniera significativa dal brano di una lettera di Giacomo da Vitry, risalente al 122023 –, ma anche causa della progressiva chiericalizzazione dell’Ordine dei frati Minori.24 Seguendo il proprio impulso a diffondere la loro scelta di vita evangelica, i frati Minori, nel corso del capitolo generale celebrato alla Porziuncola il 26 maggio 1219, decidono di inviare alcuni di loro in Francia, in Germania, in Ungheria e in Spagna, oltre che nelle province italiane dove ancora non erano giunti.25 Il racconto delle disavventure verificatesi in quella occasione, in particolare in Germania e in Ungheria, a causa dell’ignoranza delle lingue locali, nella Chronica di Giordano da Giano è riferito con toni francamente esilaranti.26 Non dobbiamo dimenticare, però, che puntualmente a questa vicenda si ricollegano i primi documenti ufficiali della Curia romana relativi ai frati Minori: a cominciare dalla lettera Cum dilecti fìlii dell’11 giugno 1219, una sorta di salvacondotto ovvero patente attestante la fedeltà cattolica dei fratres (anche se in questo testo si parla ancora di «vita et religio», per designare la fraternità, e di «vite viam», in mancanza di una regola approvata – a conferma della coscienza che in Curia a Roma si aveva di essere di fronte ad una realtà dalla forma istituzionale ancora non ben determinata) .27 23. Lettres de Jacques de Vitry (1160/70-1240), évêque de Saint-Jean-d’Acre, a cura di Robert Burchard Constantijn Huygens, Leiden, Brill, 1960, pp. 131-132. 24. Si tratta di un argomento particolarmente dibattuto. Tra gli studi specifici ricordo Lawrence C. Landini, The Causes of the Clericalization of the Order of Friars Minors, 1209-1260, in the Light of Early Franciscan Sources, Chicago, [s.n.], 1968; Raoul Manselli, La clericalizzazione dei Minori e san Bonaventura, in S. Bonaventura francescano. Atti del XIV Convegno storico internazionale (Todi, 14-17 ottobre 1973), Todi, Accademia Tudertina, 1974, pp. 181-208; ma cfr. Miccoli, La storia religiosa, pp. 759 sgg. 25. Heinrich Böhmer, Chronica fratris Jordani, Paris, Librairie Fischbacher, 1908, pp. 3-4, num. 3. Sulle “missioni” francescane si veda l’intervento di Kaspar Elm, Franz von Assisi. Bußpredigt oder Heidenmission?, in Espansione del Francescanesimo tra Occi‑ dente e Oriente nel secolo XIII. Atti del VI Convegno della Società internazionale di studi francescani (Assisi, 12-14 ottobre 1978), Assisi, Società internazionale di studi francescani, 1979, pp. 69-103. 26. Böhmer, Chronica, pp. 4-7, num. 4-6. 27. Per il testo e la datazione, cfr. Bullarium franciscanum, 7 voll., Romae, typis Sacrae Congregationis de Propaganda fide, 1759-1804, vol. I, p. 2; Williell R. Thomson, Checklist of Papal Letters relating to the Three Orders of st. Francis. Innocent III-Alexan‑ der IV, in «Archivum Franciscanum Historicum», 64 (1971), pp. 367-580, a p. 379, num. 3 (e nota 1). Non appare accettabile la datazione all’11 giugno 1218 proposta da FerdinandMarie Delorme, La bonne date de la bulle «Cum dilecti» d’Honorius III, in «Archivum

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Neppure questo testo risulta sufficiente di fronte ai quesiti sollevati dai vescovi francesi – come appare ancora dalla Chronica di Giordano da Giano28 – e ad essi risponde Onorio III con la lettera Pro dilectis filiis, del 29 maggio 1220, loro specificamente indirizzata: l’«ordo fratrum minorum» rientra nel novero di quelli approvati dalla sede romana.29 Siamo senza dubbio di fronte ad un innegabile crescendo di interventi da parte di Onorio III a favore – per così dire – dei frati Minori, sino a giungere alla lettera Cum secundum consilium del 22 settembre 1220.30 Con la previsione di un anno di noviziato per coloro che desiderano diventare frati Minori – contenuta in questa lettera pontificia, che in tal modo li assimila ai tradizionali Ordini religiosi – viene posta la premessa della progressiva chiericalizzazione del movimento minoritico: un esito inevitabile, per certi versi, quando si ponga mente alla realtà della pratica pastorale di quei decenni, in cui sacerdozio e predicazione si richiamavano a vicenda, di necessità.31 Ai problemi suscitati da una predicazione istituzionale dei frati Minori cercano di far fronte le ineguali previsioni del capitolo XVII, De praedica‑ toribus, della Regula non bullata: «Nullus frater praedicet contra formam et institutionem sanctae Ecclesiae et nisi concessum fuerit a ministro suo. Et caveat sibi minister, ne alicui indiscrete concedat».32 La vera e propria Umbildung della predicazione minoritica33 si ha però con il cap. IX della Regula approvata da Onorio III mediante la Solet annuere del 29 novembre 1223, a marcare il passaggio da un’esortazione alla penitenza e da un annuncio di pace – quale era praticato da Francesco e dai primi compagni – a una forma di predicazione istituzionale: «Moneo quoque et exhortor eosdem fratres, ut in praedicatione, quam faciunt, sint examinata et casta eorum eloquia, ad utilitatem et aedificationem populi, annuntiando eis vitia Franciscanum Historicum», 12 (1919), pp. 591-593 (cfr. Gratien de Paris, La date de la bulle «Cum dilecti», in «Études franciscaines», 33 [1921], pp. 528 sgg.). 28. Böhmer, Chronica, p. 4, num. 4. 29. Per il testo e la datazione cfr. Bullarium franciscanum, vol. I, p. 5; Thomson, Checklist, p. 379, num. 5. 30. Per il testo e la datazione, cfr. Bullarium franciscanum, vol. I, p. 6; Thomson, Checklist, p. 379, num. 6. Si veda anche Rusconi, Frate Francesco, p. 27, num. 3.2. 31. Cfr. Marie-Humbert Vicaire, Sacerdoce et prédication aux origines de l’Ordre des Prêcheurs, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques», 64 (1980), pp. 241-254. 32. Esser, Opuscula, p. 271. 33. Zerfaß, Der Streit, pp. 284-286.

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et virtutes, poenam et gloriam cum brevitate sermonis; quia verbum abbreviatum fecit Dominus super terram».34 Certamente l’uso della Ich-Form – «moneo quoque et exhortor» – all’inizio di questo brano rimanda a un intervento diretto di Francesco,35 nello stesso momento in cui però «i contenuti della predicazione indicati nella Regula bul‑ lata, lungi dal presentare una loro tipica originalità francescana, sono piuttosto pienamente riconducibili […] a una lunga tradizione nell’ambito della predicazione ordinaria», come ha puntualizzato Zelina Zafarana:36 rimandando a quella «policy for the reform of preaching», che caratterizza il pontificato di Onorio, sulla linea cioè di una realizzazione degli obiettivi pastorali del Concilio lateranense del 121537 (piuttosto che come riproposta della distinzione operata a suo tempo da Innocenzo III tra praedicatio ed exhortatio). È questo un orientamento destinato a prevalere. I suoi primi esiti, anzi, si manifestano già negli ultimi anni di vita di Francesco d’Assisi, al punto da indurlo, secondo una ipotesi del tutto verosimile del p. Jean-François Godet, a mettere «en garde, de façon de plus en plus pressante, contre les dangers de la prédication».38 In tale chiave vanno rilette le recise indicazioni del Testamentum: Caveant sibi fratres, ut ecclesias, habitacula paupercula et omnia, quae pro ipsis construuntur, penitus non recipiant, nisi essent, sicut decet sanctam paupertatem. […] Praecipio firmiter per obedientiam fratribus universis, quod ubicumque sunt, non audeant petere aliquam litteram in curia Romana per se neque per interpositam personam, neque pro ecclesia neque pro alio loco neque sub specie praedicationis […] sed ubicumque non fuerint recepti fugiant in aliam terram.39

Non è certo il caso di drammatizzare divergenze e contrasti, come sottolineava pochi anni fa Carlo Delcorno.40 Appare peraltro innegabile che il 34. Esser, Opuscula, p. 234. 35. Cfr. Esser, Die «Opuscula», pp. 364-365. 36. Zafarana, La predicazione francescana, p. 209. 37. Cfr. James M. Powell, The Prefatory Letters to the Sermons of Pope Honorius III and the Reform of Preaching, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 33 (1979), pp. 95-104; e Id., The Papacy and the Early Franciscans, in «Franciscan Studies», 36 (1976), pp. 248-262; «Pastor Bonus». Some Evidence of Honorius III’s Use of the Sermons of Pope Innocent III, in «Speculum», 52 (1977), pp. 522-537. 38. Godet, Le rôle, p. 64. 39. Esser, Opuscula, pp. 312-313. 40. Delcorno, Origini della predicazione francescana, p. 160.

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crescente ingresso dei frati Minori nel ministero ecclesiastico della predicazione ufficiale – con la conseguente necessità di spazi propri (ecclesiae) e di norme (litterae) – conduce in un contesto istituzionale ben diverso da quello all’interno del quale si muovevano Francesco d’Assisi e i suoi primi compagni.41 Non ripetibile era, nella sostanza, il loro originale annuncio della pace evangelica e la esortazione alla penitenza, in quanto non nascevano dal loro status (e conseguentemente curriculum) chiericale, bensì da una conversione alla sequela Christi secondo il modello apostolico formulato negli scritti neotestamentari:42 né lo erano le modalità di comunicazione di questo messaggio religioso (il modum concionantis nella testimonianza di Tommaso da Spalato43 e la tecnica dello joculator Domini negli Specula postbonaventuriani),44 dal momento che si trattava di modalità troppo legate alla cultura laicale di Francesco ed ai moduli mentali da lui assimilati prima della conversione – oltre ad assumere come campo d’azione, non a caso, spazi non sacri per definizione, come le piazze e le strade. 41. Così Zerfaß, Der Streit, pp. 284 sgg. 42. Cfr. Giovanni Miccoli, La proposta cristiana di Francesco di Assisi, in «Studi medievali», ser. III, 24 (1983), pp. 17-73. 43. Thomas Spalatensis, Historia Pontificum Salonitanorum et Spalatinorum, in MGH, SS, XXIX, p. 580. A proposito di questo episodio si veda soprattutto Delcorno, Ori‑ gini della predicazione francescana, pp. 150-152. 44. Speculum perfectionis, a cura di Paul Sabatier, 2 voll., Manchester, University Press, 1928-1931, vol. I, p. 290. Cfr. i cenni in Carla Casagrande e Silvana Vecchio, Cler‑ cs et jongleurs dans la société médiévale (XIIe et XIIIe siècles), in «Annales. E.S.C.», 34 (1979), pp. 913-928: più ampiamente in L’interdizione del giullare nel vocabolario clerica‑ le del XII secolo, in Il contributo dei giullari alla drammaturgia italiana delle origini. Atti del II Convegno del Centro di studi sul teatro medioevale e rinascimentale (Viterbo, 17-19 giugno 1977), Roma, Bulzoni, 1978, pp. 207-258. La fonte dell’espressione – i Dialogi di Cesario di Heisterbach – era già stata segnalata da Nino Tamassia, S. Francesco d’Assisi e la sua leggenda, Padova-Verona, Fratelli Drucker, 1906, pp. 170-171. L’espressione si ricollega comunque alla funzione del Cantico delle creature e, per altri versi, agli elementi di cultura cortese e trobadorica del giovane Francesco, argomenti su cui vale la pena di tornare: comunque si veda almeno Franco Cardini, L’avventura di un cavaliere di Cristo. Appunti per uno studio della cavalleria nella spiritualità di S. Francesco, in «Studi francescani», 73 (1976), pp. 127-198. È bene ricordare che questo passo è richiamato da Carlo Ginzburg, Folklore, magia, religione, in Storia d’Italia, I: I caratteri originali, Torino, Einaudi, 1972, p. 615, per ricollegare positivamente Francesco al patrimonio folklorico (cioè laicale) medioevale. Non del tutto convincente appare il lavoro di Vittorio Dornetti, Sulla predicazione popolare francescana: la parodia di Zaffarino da Firenze, in «Cristianesimo nella storia», 3 (1982), pp. 83-102, soprattutto alle pp. 84-86.

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2. La prima predicazione ufficiale dei frati Minori Nel tentativo di seguire la complessa vicenda della transizione dal movimento minoritico a un Ordine regolare, elementi significativi possono essere ricavati dal resoconto che la Chronica di Giordano da Giano ha tramandato intorno al viaggio apostolico oltralpe, intrapreso in seguito alle decisioni del capitolo generale tenuto la Pentecoste del 1221.45 A prima vista, certo, non ci si può sottrarre all’impressione che il motore di questa impresa sia stato costituito da una sorta di spontaneismo religioso, quando si leggono i motivi addotti per il viaggio in Germania: «[…] est quedam regio Theutonia, in qua sunt homines christiani et devoti, qui, ut scitis, [per terram nostram cum] longis baculis et largis cereis laudes Deo et sanctis eius decantando in sudore et solis ardore transeunt et limina sanctorum visitant».46 In realtà l’esperienza compiuta due anni prima – cui si accennava poc’anzi – aveva indotto i frati Minori a tenere in maggiore considerazione i problemi linguistici della predicazione. Della spedizione fanno parte 12 clerici e 15 layci (a conferma – se mai ve ne fosse bisogno – della composizione mista dell’Ordine minoritico in questa fase) e si precisa, ad esempio, che Giovanni da Pian del Carpine sapeva predicare «in Latino et Lombardico», cioè anche in volgare italiano, e che Barnaba «Theutonicus» era un eccellente predicatore «in Lombardico et Theutonico», vale a dire in entrambi i volgari.47 Le puntualizzazioni relative alla lingua della predicazione confermano l’incipiente eclisse della predicazione esemplare caratteristica del periodo iniziale del movimento minoritico e la non ripetibilità di taluni moduli gestuali della predicazione di Francesco stesso. In Germania i rapporti con i vescovi e il clero diocesano rimangono cordiali per un lungo periodo di tempo, come appare dalla lettura della Chronica di Giordano da Giano, non contraddetta in alcun modo dalla documentazione archivistica coeva. Senza volere per questo riesaminare le vicende della diffusione del francescanesimo nella società germanica del 45. Böhmer, Chronica, pp. 17 sgg., num. 17. Per la trattazione che segue molti argomenti sono stati svolti, oltre che nella già menzionata relazione di Zafarana, La predica‑ zione francescana, in Roberto Rusconi, I francescani e la confessione nel secolo XIII, in Francescanesimo e vita religiosa, pp. 251-309, soprattutto alle pp. 259-268. 46. Böhmer, Chronica, p. 18, num. 17. 47. Ivi, pp. 21-22, num. 19.

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secolo XIII,48 è forse opportuno sottolineare alcuni episodi e momenti più significativi nel testimoniare la evoluzione nelle forme della predicazione minoritica. A Trento, nel 1222, il vescovo concede ai frati Minori che, recandosi oltralpe «successive» – vale a dire nell’arco di alcuni giorni –, arrivano nella propria diocesi, la «licentiam in sua dyocesi predicandi».49 Non si precisano però le forme ed i contenuti di questa prima predicazione in terra di lingua tedesca, anche se i riferimenti alle prediche tenute da chierici come Cesario da Spira al clero di talune altre località50 consente di avanzare l’ipotesi che si trattasse di sermones latini articolati secondo le modalità dettate nelle artes praedicandi, mentre, se questo non costituisce una forzatura, il diverso accenno a prediche tenute al popolo fa pensare ad una predicazione in volgare di carattere penitenziale – avendo come termine di riferimento il capitolo XXI della cosiddetta Regula non bullata.51 Nel quadro della pastorale ecclesiastica di quei decenni costituiva comunque una anomalia che i frati Minori si limitassero alla sola predicazione. Ed infatti ad Hildesheim, nel 1223, quando vengono accolti «gloriose» dal vescovo Corrado II (di cui era stato allievo Cesario da Spira), questi raduna il clero cittadino e fa predicare alla sua presenza Giovanni da Pian del Carpine, primo custode di Sassonia: «Sermone vero finito dominus episcopus fratrem Johannem et fratres ordinis sui clero et populo recommendans ipsis et predicandi et confessiones in sua dyocesi audiendi auctoritatem dedit».52 Negli anni successivi i frati Minori, anche per il ridotto numero di sacerdoti nei loro ranghi, svolgono un ministero pastorale limitato alla sola predicazione e, nei fatti, puramente ausiliario rispetto alle competenze del clero diocesano. Il presupposto di un mutamento in questo equilibrio è costituito dalla decisione del ministro generale, Giovanni Parenti, il quale nel 1228 istituisce lettore di teologia nello studium di Magdeburgo frate Simone d’Inghilterra.53 Ne deriva in breve tempo una trasformazione radicale nella fisionomia istituzionale dell’Ordine minoritico in Germania: i frati sono in 48. Cfr. John B. Freed, The Friars and German Society in the Thirteenth Century, Cambridge (MA), The Medieval Academy of America, 1977. 49. Böhmer, Chronica, p. 25, num. 21. 50. Ivi, p. 24, num. 20. 51. Esser, Opuscula, pp. 277-279. 52. Böhmer, Chronica, p. 34, num. 35. 53. Ivi, pp. 47-48, num. 54.

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prevalenza chierici, e tendono di conseguenza ad esercitare in forma sempre più ampia un ministero pastorale che diviene di fatto alternativo rispetto a quello del clero diocesano. E proprio le proteste sollevate a questo proposito dai prelati di lingua tedesca inducono Gregorio IX a pubblicare la Nimis iniqua e la Nimis prava, lettere con le quali a due riprese, nel 1231 e 1234,54 ben lungi dall’accogliere tali proteste, egli prende in maniera recisa le difese del ministero penitenziale dei frati mendicanti, Minori e Predicatori. Tra le conseguenze di quella svolta occorre registrare – come suggeriscono anche le annotazioni della Chronica di Giordano da Giano – le mutate modalità di insediamento sia per quanto riguarda la localizzazione rispetto al tessuto urbano delle città sia per quanto attiene alle caratteristiche del complesso edilizio costituito da una chiesa per gli offici ecclesiastici (e soprattutto per la predicazione) e da un convento per l’abitazione dei frati.55 Diverso appare il quadro della diffusione del francescanesimo al di là della Manica e della predicazione minoritica, quale emerge dal Tractatus de adventu fratrum Minorum in Angliam di Tommaso da Eccleston, ma non tanto, come ci si potrebbe aspettare, dalla Collatio VI, De promotione praedicatorum.56 Si tratta infatti di una galleria di personaggi non particolarmente significativa, ad eccezione di un episodio fatto risalire all’anno dell’ingresso nell’Ordine a Parigi, forse nel 1224, di Aimone di Faversham, il quale in seguito diverrà ministro provinciale di Inghilterra e poi ministro generale dell’intero Ordine, tra il 1240 e il 1244:57 In die vero Paschae, cum videret frater Haymo tam numerosum populum in parochia, in qua fratres audiebant divina, – non enim habebant adhuc cantariam – dixit custodi, qui erat laicus, Beneventus nomine, quod, si auderet, 54. Per le varie repliche, cfr. Thomson, Checklist, p. 387, num. 135-139. 55. Cfr. Bernhard E. J. Stüdeli, Minoritenniederlassungen und mittelalterliche Stadt. Beiträge zur Bedeutung von Minoriten- und anderen Mendikantenanlagen in öffentlichen Leben der mittelalterlichen Stadtgemeinde, inbesondere der deutschen Schweiz, Werl, Dietrich Coelde, 1969; Freed, The Friars. 56. Thomas de Eccleston, Tractatus de adventu Fratrum Minorum in Angliam, a cura di Andrew G. Little, Manchester, University Press, 1951, pp. 27-33. 57. Per la rilevanza dei suoi interventi in campo liturgico ricordo Aurelianus van Dijk, Il carattere della correzione liturgica di fra Aimone di Faversham, OFM (1243-1244), in «Ephemerides Liturgicae», 59 (1945), pp. 177-223; Stephen Joseph Peter van Dijk e Joan Hazelden Walker, The Origins of the Modern Roman Liturgy, Westminster, Newman press - London, Darton, Longman & Todd, 1960; Stephen Joseph Peter van Dijk, Sources of the Modern Roman Liturgy. The Ordinals by Haymo of Faversham and Related Documents, Leiden, Brill, 1963.

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libenter praedicaret populo, ne forte communicarent in mortali. Iniunxit ergo ei custos ex parte Spiritus Sancti, ut praedicaret. Praedicavit ergo ita motive, ut multi differrent communicare quousque fuissent ei confessi. Sedit itaque tribus diebus in ecclesia et audivit confessiones et confortavit non mediocriter populum.58

Quando si sfrondi il racconto di una sua indubbia venatura celebrativa per il più famoso frate Minore inglese del tempo, l’episodio mostra in modo quasi didascalico come i frati, i quali si recano nella chiesa parrocchiale per il servizio divino, si intromettano nel momento cardine della pastorale tardo-medievale, vale a dire l’adempimento del precetto ecclesiastico della confessione annuale e della comunione pasquale, prescritte dal IV Concilio del Laterano nel 1215.59 Se è vero che «tale solidarietà profonda tra predicazione e confessione sembra un dato acquisito stabilmente a tutta la tradizione successiva francescana»,60 non dimentichiamo che gli avvenimenti possono prendere la piega riferita nel Tractatus solo perché Aimone, che pure come frate Minore è ancora novizio, è già un sacerdote ordinato. Come la storia dell’Ordine dei frati Minori mostra ampiamente nei decenni successivi, non è possibile eludere l’importanza di questo ambiente franco-inglese (o forse sarebbe più esatto dire: parigino e universitario) per la sua evoluzione istituzionale, anche per quanto attiene al ministero della predicazione. L’argomento è già stato trattato con ampiezza,61 ma non è inutile ricordare almeno due episodi particolarmente significativi. Il manoscritto contenente le reportationes della predicazione universitaria a Parigi per l’anno accademico 1230-1231 ha conservato i sermoni di almeno quindici frati Minori, alcuni dei quali anonimi.62 In particolare, ne sono rimasti due attribuiti a Gregorio da Napoli, ministro provinciale di Francia dal 1223 al 1233, il quale accolse nell’Ordine i primi magistri parigini, già durante gli ultimi anni di vita di Francesco:63 «Siamo in presenza, 58. Thomas de Eccleston, Tractatus de adventu, p. 28. 59. Conciliorum Oecumenicorum decreta, a cura di Giuseppe Alberigo, Perikles-P. Joannou, Claudio Leonardi, Paolo Prodi, Basileae, Herder, 1962, p. 221. 60. Zafarana, La predicazione francescana, p. 213 61. Cfr. Landini, The Causes of the Clericalization, pp. 85-93. 62. Marie-Madeleine Davy, Les sermons universitaires parisiens de 1230-1231. Con‑ tribution à 1’histoire de la prédication médiévale, Paris, Vrin, 1931, pp. 351-407 (edizione dei testi); cfr. anche pp. 20 e 139-143. 63. Per Gregorio da Napoli si vedano soprattutto André Callebaut, Les Provinciaux de la Province de France au XIIIe siècle, in «Archivum Franciscanum Historicum», 10 (1917),

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sia nel caso di Gregorio che degli altri Minori, di sermoni ad clerum, costruiti «artificialiter» seguendo strettamente le regole del sermo modernus, quali cominciarono ad essere codificate nelle artes praedicandi, perfettamente omogenei allo stile degli altri predicatori, mendicanti e secolari, che appaiono riportati nel codice».64 Ed è annotazione solo in apparenza episodica – per quanto valgono gli indizi nel lavoro storico65 – il fatto che in questo stesso manoscritto un anonimo frate predicatore menzioni nel suo sermone del 31 luglio 1231 il testo della Admonitio VI (De imitatione Domini),66 attribuendone espressamente la paternità a Francesco d’Assisi.67 Allo stesso anno, il 1231, il racconto della Vita prima (legenda «As‑ sidua») di Antonio da Padova fa risalire il primo quaresimale della predicazione tardo-medioevale, vale a dire un ciclo di prediche in preparazione all’adempimento del precetto lateranense relativo a confessione e comunione, ma non più limitate, come in precedenza, alle domeniche e ai numerosi giorni festivi, e invece svolte in tutti i giorni che precedono la Pasqua.68 La predicazione quaresimale antoniana del 1231 a Padova ha un ulteriore risvolto, che è opportuno ricordare. Essa infatti si conclude con una pacificazione generale, accanto alla quale si colloca una prescrizione dello Statutum vetus del Comune di Padova, del 17 marzo 1231, redatta «ad postulationem» di frate Antonio.69 È la prima manifestazione, da parte minoritica, del crescente intervento dei frati mendicanti nella vita sociale, sia pure con modalità proprie: ne costituirà uno sviluppo su grande scala la pp. 289-356, alle pp. 295-312; Antonius de Sérent, Bulla inedita Gregorii IX contra Fr. Gregorium Neapolitanum, quondam Provinciae Franciae Ministrum, in «Archivum Franciscanum Historicum», 26 (1933), pp. 3-28. 64. Zafarana, La predicazione francescana, p. 213. 65. Cfr. Carlo Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Id., Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto fra sapere e attività umane, a cura di Aldo Gargani, Torino, Einaudi, 1979, pp. 57-106. 66. Esser, Opuscula, pp. 59-62. 67. Davy, Les sermons universitaires, p. 346; cfr. Esser, Die «Opuscula», p. 65 sgg. 68. Léon de Kerval, Sancti Antonii de Padua Vitae duo quarum altera hucusque ine‑ dita, Paris, Librairie Fischbacher, 1904, p. 45 sgg. (Assidua, parte I, cap. XI). Per questa predicazione cfr. Cesira Gasparotto, La grande missione antoniana a Padova nella Quare‑ sima del 1231, in «Il Santo», 4 (1964), pp. 127-152. Si veda anche Vergilio Gamboso, Vita prima o «Assidua», Padova, Messaggero, 1981, pp. 326-335. 69. I riferimenti sono in Gasparotto, La grande missione, pp. 151-152

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devozione dell’Alleluja nel 1233 – un movimento iniziato su basi spontanee e ben presto egemonizzato e indirizzato dai frati mendicanti.70 Dal punto di vista della struttura, i sermones antoniani mostrano una intrinseca consuetudine con l’omiletica altomedioevale, fondata in sostanza sull’eredità patristica.71 Non deve destare meraviglia questo fatto, che ancora una volta – sia pure in una fattispecie diversa da quella ricordata dianzi per Gregorio da Napoli – conferma come i chierici entrati a fare parte dell’Ordine minoritico rechino con sé il loro precedente bagaglio culturale, soprattutto per quanto riguarda le forme della predicazione: in questo caso, come per i sermones attribuiti ad Alessandro di Hales,72 in una struttura di transizione tra l’omelia altomedioevale e il sermo modernus, per la quale è stata coniata la definizione di sermone altoscolastico.73 Nel breve volgere di pochi anni i frati Minori si avviano così ad incarnare quel corpo ecclesiastico specializzato ai fini del ministero pastorale, a più riprese postulato dall’episcopato e dal papato riformatore verso la fine del XII e nei primi decenni del XIII secolo.74 In questo ricalcano, in una 70. Cfr. André Vauchez, Une campagne de pacification en Lombardie autour de 1233, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 78 (1966), pp. 503-549; Vito Fumagalli, In mar‑ gine all’“Alleluia” del 1233, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 80 (1968), pp. 257-272; Mariano d’Alatri, Predicazione e predicatori francescani nella Cronaca di fra Salimbene, in «Collectanea franciscana», 46 (1976), pp. 63-91. 71. Si vedano gli Atti del convegno di Padova del 5-10 ottobre 1981: Le fonti e la teo‑ logia dei sermoni antoniani, a cura di Antonino Poppi, Padova, Messaggero, 1982 (numero unico della rivista «Il Santo», 22), e in particolare Raoul Manselli, La coscienza minoritica di Antonio di Padova di fronte all’Europa del suo tempo, pp. 29-35, soprattutto pp. 30-35 (e dello stesso S. Antonio da Padova e la prima predicazione francescana, in «Il Santo», n.s., 8 [1968], pp. 2-19). Ricordo anche, nello stesso volume del convegno padovano: Jacques-Guy Bougerol, La struttura del “sermo” antoniano, pp. 93-108; Jean Châtillon, Saint Antoine de Padoue et les Victorins, pp. 171-202; Jean Leclercq, La spiritualità dei “sermo‑ nes” antoniani e la sua connessione e dipendenza dalla spiritualità monastico-canonicale, pp. 203-216; Francisco José da Gama Caeiro, Fonti portoghesi della formazione culturale di Sant’Antonio, pp. 145-169. 72. Johannes Baptist Schneyer, Eine Sermonesreihe des Magister Alexander von Hales in der Hs. Pavias, Univ. Aldini 479, in «Archivum Franciscanum Historicum», 58 (1965), pp. 537-551. 73. Cfr. Zafarana, La predicazione francescana, p. 221. 74. Alcuni cenni a questi orientamenti, con i relativi rinvii bibliografici, in Roberto Rusconi, De la prédication à la confession: transmission et contrôle de modèles de com‑ portement au XIIIe siècle, in Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages religieux du XIIe au XVe siècle (Rome, 22-23 juin 1979), Roma, École Française de Rome, 1981, pp. 67-85. Cfr. anche Vicaire, Sacerdoce et prédication.

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certa misura, una strada già percorsa dai frati Predicatori: sino a quando però – e ben presto – lo sviluppo dei nuovi Ordini mendicanti diviene nella sostanza parallelo.75 Siamo lontani dalla predicazione di Francesco d’Assisi e dei suoi primi socii. Non è comunque il caso di riproporre usurate opposizioni o dilemmi. Si tratta semplicemente di tenere conto del fatto che questa predicazione di frati dell’Ordine dei Minori è altra cosa. 3. La predicazione al centro delle città: il secolo XIII Con il crescente favore dei pontefici, e in particolare di Gregorio IX, come appare già dalle lettere Nimis iniqua e Nimis prava appena ricordate, i frati Minori con sempre maggiore intensità si inseriscono nell’esercizio diretto del ministero pastorale, predicando in volgare ed ascoltando le confessioni dei fedeli. Anche per questo motivo l’atteggiamento di iniziale favore del clero diocesano e dei vescovi viene meno, e con esso la disponibilità delle chiese parrocchiali ad un’attività che non appare più né occasionale né tantomeno ausiliaria.76 75. Per il ministero penitenziale si veda Rusconi, I francescani e la confessione, pp. 268-278, e inoltre Pierre-Marie Gy, Le statut ecclésiologique de l’apostolat des Prêcheurs et des Mineurs avant la querelle des Mendiants, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques», 59 (1975), pp. 79-88; Franco A. Dal Pino, Mendicanti, in «Dizionario degli istituti di perfezione», V (1978), coll. 1164-1172. 76. Non si sono considerate nel corso di questo lavoro le questioni relative alla disciplina canonistica della predicazione minoritica, per le quali si rinvia a Ernest Feyaerts, De Evolutie van het Predikatierecht der Religieuzen, in «Studia Catholica», 25 (1950), pp. 177-190 e 225-240; cfr. anche Gilles-Gérard Meersseman, Giovanni di Montenero O.P. difensore dei Mendicanti. Studi e documenti sui concili di Basilea e di Firenze, Roma, Istituto Storico Domenicano, 1938, pp. 1-22. Un esame della legislazione minoritica è in Bartolomeo Belluco, De sacra praedicatione in Ordine Fratrum Minorum, Romae, Pontificium Athenaeum Antonianum, 1956. Della predicazione minoritica e dei frati mendicanti in genere è questione anche nella querelle che li oppone al clero secolare, per la quale mi limito a rinviare a Yves Congar, Aspects ecclésiologiques de la querelle entre mendiants et séculiers dans la seconde moitié du XIIIe siècle et le début du XIVe, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 38 (1961), pp. 35-151; Die Auseinandersetzungen an der Pariser Universität im XIII. Jahrhundert, a cura di Albert Zimmermann, BerlinNew York, De Gruyter, 1976; e alla ristampa anastatica, con aggiornamento bibliografico a cura di Mariano d’Alatri e Servus Gieben, di Gratien de Paris, Histoire de la fondation

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In tale contesto matura un sostanziale mutamento di rotta nelle modalità di insediamento dei frati Minori – più volte sottolineato negli studi –, soprattutto per quanto riguarda il loro trasferimento a ridosso oppure all’interno delle città.77 È importante rilevare, oltre a questo, che, come avevano fatto sin dagli inizi i frati Predicatori – in linea con la loro specifica prospettiva di Ordine di chierici dediti al ministero pastorale, in una sorta di specializzazione – anche i frati Minori a partire dal quarto decennio del secolo XIII danno vita a quel caratteristico complesso edilizio urbano, o immediatamente extraurbano, in cui si ricollegano l’edificio ecclesiastico per l’esercizio delle funzioni liturgiche, e in particolare per la predicazione, e l’edificio di abitazione per i frati adibiti al ministero pastorale, il convento.78 Questo allineamento alle modalità insediative dei frati Predicatori et de l’évolution de 1’Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1982 (la edizione: 1926). 77. Si vedano, per l’Italia, i lavori di Luigi Pellegrini, L’espansione degli insediamenti francescani in Italia, in Francesco, il Francescanesimo e la cultura della nuova Europa, a cura di Ignazio Baldelli e Angiola Maria Romanini, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1986, pp. 91-102, e in particolare: L’espansione del francescanesimo nella società medievale umbra, in Francesco d’Assisi. Storia e arte, pp. 53-63. Anche se indirizzati a differenti obiettivi di ricerca si vedano gli articoli di Jacques Le Goff, Apostolat mendiant et fait urbain dans la France médiévale: l’implantation des ordres mendiants. Program‑ me-questionnaire pour une enquête, in «Annales. E.S.C.», 23 (1968), pp. 335-352; Or‑ dres mendiants et urbanisation dans la France médiévale. État de l’enquéte, in «Annales. E.S.C.», 25 (1970), pp. 924-946. 78. Per i frati Predicatori si vedano soprattutto gli studi di Gilles-Gérard Meersseman, L’architecture dominicaine au XIIIe siècle. Législation et pratique, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», XVI (1946), pp. 136-190, le cui conclusioni sono ribadite in Origini del tipo di chiesa umbro-toscano degli Ordini Mendicanti, in Il gotico a Pistoia nei suoi rapporti con 1’arte gotica italiana. Atti del II Convegno internazionale di studi (Pistoia, 24-30 aprile 1966), Pistoia, Centro italiano di studi di storia e d’arte, 1972, pp. 63-77. Per una diversa valutazione di un caso particolare si veda Gabriella Villetti, Descrizione delle fasi costruttive e dell’assetto architettonico interno della chiesa di S. Maria Novella in Firenze nei seco‑ li XIII e XIV, in «Bollettino della Biblioteca della Facoltà di Architettura dell’Università di Roma», 28 (1981), pp. 5-20 (cfr. anche Il fondo «Libri» dell’Archivio Generale dell’Ordine dei Predicatori. Prospettive di ricerca sull’edilizia degli Ordini Mendicanti, in «Architettura Archivi - fonti e storia», 1 [1982], pp. 10-24). Ricordo anche Venturino Alce, Il convento di san Domenico in Bologna nel secolo XIII, in «Culta Bononia. Rivista di studi bolognesi», 4 (1972), 2, pp. 127-174. Per i frati Minori nell’area umbra si veda Francesco d’Assisi. Chiese e conventi (Catalogo della mostra di Narni, luglio-novembre 1982), Perugia, Electa, 1982. Prima della pubblicazione degli Atti del convegno di studi sull’edilizia dei frati mendicanti: Lo spazio dell’umiltà (Fara Sabina, 3-6 novembre 1982), Fara Sabina, Centro francescano Santa Maria in Castello, 1984, e in particolare del testo delle relazioni di Gabriella Villetti, Quadro

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avviene peraltro nel momento in cui anche all’interno di quell’Ordine, in connessione ai mutati rapporti con il clero diocesano, si assiste al progressivo abbandono dei piccoli edifici ecclesiastici, legati all’ideale pauperistico dei primi decenni, a favore di chiese più adatte alle esigenze della predicazione: e neppure questo sarà sufficiente se, come accade a Firenze nel 1244, si dovrà intervenire addirittura sul tessuto urbanistico della città per creare una piazza sufficientemente grande da contenere i fedeli accorsi alle prediche di Pietro da Verona.79 Alla metà del secolo XIII, nel momento in cui si accende la prima vague del contrasto che oppone i frati mendicanti al clero secolare, i frati Minori hanno ormai una loro collocazione ben precisa all’interno della società medioevale – e non solo nella topografia urbana. A questo periodo sembra risalire (almeno per l’Italia centrale) una fase edilizia di ingrandimento degli edifici ecclesiastici preesistenti, le cui dimensioni appaiono inadeguate rispetto al crescente successo di massa del ministero pastorale minoritico.80 Le linee ispiratrici di queste trasformazioni appaiono con singolare chiarezza in un sermone pronunciato il 4 ottobre 1261 nella chiesa di San Francesco in Pisa dall’arcivescovo della città, Federigo Visconti, del quale è noto l’atteggiamento favorevole nei confronti dell’azione religiosa dei frati mendicanti all’interno della propria diocesi:81 generale dell’edilizia mendicante in Italia, pp. 225-274, e di Corrado Bozzoni, L’edilizia de‑ gli Ordini Mendicanti in Europa e nel bacino del Mediterraneo, pp. 275-326, ricordo soltanto La naissance et l’essor du gothique méridional au XIIIe siècle, Toulouse, Privat, 1974; Luciano Barbaglia, Mendicanti, Ordini (Architettura), in «Dizionario degli istituti di perfezione», V (1978), coll. 1189-1212. Si veda anche Prisca Giovannini e Sergio Vitolo, Il Convento del Carmine di Firenze: caratteri e documenti. Catalogo della mostra (Firenze, 23 settembre-10 ottobre 1981), Firenze, Tipografia nazionale, 1981. 79. Cfr. Meersseman, Dossier de l’Ordre de la pénitence, pp. 191-192; Villetti, De‑ scrizione, p. 6. 80. Per i problemi connessi con la discussa cronologia delle chiese dei frati mendicanti, rimando a quanto esposto in Renato Bonelli, Introduzione, in Francesco d’Assisi. Chiese e conventi, pp. 7-12. 81. Cfr. Mauro Ronzani, Gli Ordini Mendicanti e le istituzioni ecclesiastiche preesi‑ stenti a Pisa nel Duecento, in Les Ordres Mendiants et la Ville en Italie centrale (v. 1220-v. 1350) (Roma, 27-28 aprile 1977), in «Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Age - Temps Modernes», 89 (1977), pp. 674-677; Celestino Piana, I Sermoni di Federico Visconti, Arcivescovo di Pisa, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 6 (1952), pp. 231248; Robert Brentano, Due chiese. Italia e Inghilterra nel XIII secolo, Bologna, il Mulino, 1972 (ed. orig. Princeton, NJ, Princeton University Press, 1968), passim; Alexander Murray, Archbishop and Mendicants in Thirteenth Century Pisa, in Stellung und Wirksamkeit

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Et tales esse debent ecclesie tantorum sanctorum [cioè come la basilica assisana], ut scilicet delectetur in eam animus ire et stare et etiam frequenter reverti. Si enim sunt breves sicut ista, male libenter ibi morantur homines audire divina et predicationes et peius revertuntur alia vice dicentes ad invicem: nolo illuc venire, quoniam talem stricturam ibi alio die habui, quod adhuc doleo caput vel pedem et huiusmodi talia; et ideo nos sapienter cogitavimus, quod ista ecclesia augmentetur et venimus ponere primariam lapidem, cum non capit homines ad predicationem nostram et aliorum venientes, immo fuerint semper et estis modo, ut videtis, in maxima pressura.82

Durante il generalato di Bonaventura da Bagnoregio (1257-1274) si consolidano e si definiscono gli orientamenti che erano andati maturando all’interno dell’Ordine verso la metà del secolo XIII. Ne costituiscono una riprova – sempre che se ne voglia mantenere la prevalente attribuzione ad ambienti ufficiali dell’Ordine e a quegli anni83 – testi come le Determina‑ tiones quaestionum super regulam fratrum Minorum, che collocano predicazione e confessione all’interno di una linea di intervento nell’esercizio del ministero pastorale, con la quale si privilegia la società urbana84 oppure come l’opuscolo apologetico, dal significativo titolo: Quare fratres Mino‑ res praedicent et confessiones audiant.85 In questi decenni gli Ordini mendicanti, sia pure con differenze sfumate tra l’uno e l’altro,86 si attestano su una linea pastorale il cui fine è der Bettelorden in der städtischen Gesellschaft, a cura di Kaspar Elm, Berlin, Duncker und Humblot, 1981, pp. 19-75. 82. Da Michael Bihl, E sermonibus Friderici de Vicecomitibus, archiep. Pisani, de S. Francisco, in «Archivum Franciscanum Historicum», 1 (1908), pp. 652-655, a p. 653. 83. Lo ritiene proveniente dall’area germanica e redatto nel secolo XV: Ignatius Brady, The Writings of saint Bonaventure regarding the Franciscan Order, in «Miscellanea francescana», 75 (1975), pp. 89-112, a p. 107 sgg. Per i problemi di datazione e di attribuzione degli scritti bonaventuriani si veda Balduinus Distelbrink, Bonaventurae scripta authentica, dubia vel spuria critice recensita, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1975. 84. S. Bonaventura, Opera omnia, edita studio et cura PP. Collegii a S. Bonaventura, 10 voll., ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1882-1902, vol. VIII, pp. 337-374; cfr. Distelbrink, Bonaventurae scripta, pp. 34-35, num. 29. Ampia disamina di questo testo in Luigi Pellegrini, L’ordine francescano e la società cittadina in epoca bonaventuriana. Un’analisi del «Determinationes quaestionum super Regulam Fratrum Minorum», in «Laurentianum», 15 (1974), pp. 154-200. 85. S. Bonaventura, Opera omnia, vol. VIII, pp. 375-385; cfr. Distelbrink, Bonaventu‑ rae scripta, p. 51, num. 52. Esposizione sommaria in Bernhard Thiel, St. Bonaventura über außerordentliche Seelsorge, in «Theologie und Glaube», 45 (1955), pp. 49-52. 86. Cfr. Miccoli, La storia religiosa, p. 793 sgg.

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integrare ceti sociali e comportamenti individuali e collettivi all’interno di un modello totalizzante, di cui sono articolazione da un lato i sermones ad status87 e dall’altro le summae penitenziali articolate secondo le ripartizioni giuridiche dei casus.88 Alla fine del 1281 Martino IV, con la sua lettera Ad fructus uberes, sanziona in pratica un quasi monopolio dei frati Minori e degli altri frati Mendicanti non solo nell’ambito della predicazione in volgare, ma anche nell’ascolto delle confessioni dei fedeli, l’altro istituto portante della pastorale tardo medioevale89 – dal quale i vescovi ed il clero diocesano sono assai meno propensi a farsi estromettere. Anche se non lo si può forse indicare come un effetto immediato – stante i complessi tempi delle fabbriche conventuali90 – resta il fatto che, proprio negli ultimi due decenni del secolo XIII, nell’Italia centrale si avvia la costruzione delle grandi chiese gotiche dei frati:91 spazi in primo luogo per la predicazione, ma anche segni visi87. Cfr. David L. D’Avray, Sermons to the Upper Bourgeoisie by a Thirteenth-Centu‑ ry Franciscan, in The Church in Town and Countryside, Oxford, Blackwell, 1979, pp. 187199; e il quadernetto descritto da Servus [Gieben] of St. Anthonis, Preaching in Thirteenth Century. A Note on Ms. Gonville and Caius 439, in «Collectanea Franciscana», 32 (1962), pp. 310-324, in cui ben 117 themata scritturistici vengono indicati come utili per predicare a diverse categorie di persone. Sull’argomento, oltre ai cenni in Zafarana, La predicazione francescana, si veda della stessa La predicazione ai laici dal secolo XIII al XV, in I frati Minori ed il Terzo Ordine: problemi e discussioni storiografiche. Atti del convegno (Todi, 17-20 ottobre 1982), Todi (Perugia), Accademia Tudertina, 1985, pp. 171-186 [anche in «Studi medievali», ser. III, 24 (1983), pp. 265-275]. 88. Per i rapporti tra casus e status si veda Rusconi, I francescani e la confessione, pp. 302-309; Jacques Le Goff, Mestiere e professione secondo i manuali dei confessori nel Me‑ dioevo [1964], ora in Id., Tempo della Chiesa e tempo del mercante. E altri saggi sul lavoro e la cultura del Medioevo, Torino, Einaudi, 1977, pp. 143-152. Si vedano anche le tesi di Thomas N. Tentler, The «Summa» for Confessors as an Instrument of Social Control, in The Pursuit of Holiness in Late Medieval and Renaissance Religion, a cura di Charles Trinkaus e Heiko A. Oberman, Leiden, Brill, 1974, pp. 103-126 e 131-137, più ampiamente esposte in Sin and Confession on the Eve of Reformation, Princeton (NJ), University Press, 1977 (motivate critiche al proposito di Leonard. E. Boyle, The «Summa» for Confessors as a Genre and its Religious Intent, in The Pursuit of Holiness, pp. 126-130, e di John Bossy, Holiness and Society, in «Past & Present», 75 [1977], pp. 119-137, alle pp. 127-128). 89. Sintesi essenziale in Pierre Michaud-Quantin, Les méthodes de la pastorale du XIIIe au XVe siècle, in Methoden in Wissenschaft und Kunst des Mittelalters, a cura di Albert Zimmermann, Berlin, De Gruyter 1970, pp. 76-91. 90. Cfr. Bonelli, Introduzione. 91. Si vedano gli autori citati alla nota 78.

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bili di una centralità religiosa e sociale vissuta come tale.92 Basti ricordare al proposito le sarcastiche invettive lanciate nella Cronaca di Salimbene contro Saccati ed Apostolici: «Qui nec utiles sunt ad predicandum nec ad ecclesiasticum officium decantandum nec ad missas celebrandas nec ad confessiones audiendas. […] Ad quid ecclesie Dei deserviant et populo christiano utiles sint, videre non possum».93 La violenta reazione di taluni episcopati, per rimediare al sostanziale esautoramento da fondamentali prerogative pastorali, si infrange contro la Super Cathedram di Bonifacio VIII,94 con cui, agli inizi del 1300, la vicenda viene definita a favore dei frati mendicanti.95 Nell’ambito dell’ascolto delle confessioni i vescovi tenteranno di vanificare gli effetti dei privilegi concessi ai frati, moltiplicando il numero dei casus episcopales – vale a dire i comportamenti peccaminosi dai quali si può essere assolti solo dal proprio vescovo o da un penitenziere a ciò da lui delegato.96 Per quanto riguarda la predicazione, è un episodio rivelatore la tendenza dell’episcopato inglese – soprattutto dopo la inserzione della Super Cathedram nelle Clementine, all’inizio del 131897– ad unire alla prevista autorizzazione a confessare anche quella a predicare, andando quindi ben al di là del dettato della normativa canonica.98 Proprio nei primi decenni del secolo XIV, dal canto loro, i frati Minori portano ad un notevole livello di maturazione i procedimenti teorici del sermo modernus, in scritti come le artes predicandi di Giovanni di 92. Cfr. Jacques Le Goff, L’immaginario urbano nell’Italia medievale (secoli V-XV), in Il paesaggio, a cura di Cesare De Seta, Torino, Einaudi, 1982 (Storia d’Italia. Annali, 4), p. 31. 93. Salimbene de Adam, Cronica, a cura di Giuseppe Scalia, Bari, Laterza, 1966, p. 369. Sull’atteggiamento del cronista di fronte a questi gruppi cfr. Grado Giovanni Merlo, Controllo ed emarginazione della dissidenza religiosa, in Francescanesimo e vita religiosa, pp. 365-388. 94. 18 febbraio 1300, in Bullarium franciscanum, vol. IV, pp. 498-500. 95. Cfr. per le vicende successive Rusconi, I francescani e la confessione, pp. 288290, con i necessari rinvii bibliografici (oltre alle opere qui citate alla nota 76). 96. Alcuni cenni alla questione in Pierre Michaud-Quantin, La «Summa in foro poenitentiali» attribuée à Bérenger Frédol, in «Studia Gratiana», 11 (1967), pp. 145-167, e Id., Sommes de casuistique et manuels de confession au moyen âge (XIIe-XVIe siècles), Louvain-Lille-Montréal, Nauwelaerts, 1962, pp. 49-53. 97. Lib. III, tit. VII, c. 2, in Emil Friedberg, Corpus Iuris Canonici, 2 voll., Leipzig, Tauchnitz, 1879, vol. II, coll. 1161-1164. 98. Andrew G. Little, Franciscan Papers, Lists and Documents, Manchester, University Press, 1943, pp. 230-243 e 262; Alfred Brotherstone Emden, Dominican Confessors and Preachers Licensed by Medieval English Bishops, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 32 (1962), pp. 180-210.

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Galles99 e di Géraud du Pescher,100 e predispongono raccolte destinate a divenire esemplari, come i sermonari di Francesco de Mayronis:101 conservate e diffuse in tutte le biblioteche conventuali, questo genere di opere costituiranno il punto di riferimento per un aggiornamento delle tecniche del sermo modernus, nel momento della ripresa di una predicazione minoritica su larga scala, agli inizi del secolo XV.102 4. Un secolo di transizione? La controversia relativa al ministero pastorale degli Ordini mendicanti si chiude, almeno nell’ambito della normativa canonistica, entro il terzo decennio del secolo XIV, con la Dudum a Bonifacio di Clemente V nel 1312103 e con la Vas electionis di Giovanni XXII nel 1321:104 per quanto riguarda la 99. Cfr. Zafarana, La predicazione francescana, p. 245 sgg.; Ignatius Brady, Jean de Galles, in «Dictionnaire de spiritualité, ascétique et mystique», VIII (1974), coll. 532-533. 100. Ferdinand-Marie Delorme, L’“Ars faciendi sermones” de Géraud du Pescher, in «Antonianum», 19 (1944), pp. 169-198, alle pp. 180-198; Zafarana, La predicazione francescana, pp. 229-234. 101. Oltre alla trattazione generale di Bartholomäus Roth, Franz von Mayronis, sein Leben, seine Werke, seine Lehre von Formalunterschied in Gott, Werl, Franziskus-Druckerei, 1935, per un aspetto particolare si vedano Heribert Rossmann, Der hl. Franziskus von Assisi als Abbild Christi in der Sicht des Franz von Meyronnes, in «Franziskanische Studien», 60 (1978), pp. 168-185; Carlo Delcorno, Il racconto agiografico nella predica‑ zione dei secoli XIII-XV, in Agiografìa nell’Occidente cristiano (secoli XIII-XV), Atti dei Convegni Lincei (Roma, 1-2 marzo 1979), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1980, pp. 79-114, a p. 107 sgg.; Roberto Rusconi, San Francesco nelle prediche volgari e nei sermoni latini di Bernardino da Siena, in Atti del simposio internazionale caterinianobernardiniano (Siena, 17-20 aprile 1980), a cura di Domenico Maffei e Paolo Nardi, Siena, Accademia senese degli Intronati, 1982, pp. 793-809, a p. 803 sgg. 102. Carlo Delcorno, L’“ars praedicandi” di Bernardino da Siena, in «Lettere italiane», 32 (1980), pp. 441-475, in particolare alle pp. 453-454 (anche in Atti del Simposio internazionale cateriniano-bernardiniano, pp. 419-449). 103. 6 maggio 1312, in Bullarium franciscanum, vol. V, p. 87. Richiesta dal Concilio di Vienne (Conciliorum Oecumenicorum decreta, pp. 341-345), venne inserita nella raccolta delle Clementine, pubblicata da Giovanni XXII nell’ottobre 1317: Friedberg, Corpus Iuris Canonici, coll. 1161-1164. 104. 24 luglio 1321, in Bullarium franciscanum, vol. V, pp. 208-209. Per il contesto dottrinale di questo provvedimento cfr. Joseph Koch, Der Process gegen den Magister Johannes de Polliaco und seine Vorgeschichte, 1312-1321, in «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 5 (1933), pp. 391-422; Jeffrey Garrett Sikes, John de Pouilli and Peter de la Palu, in «English Historical Review», 49 (1934), pp. 219-240.

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pratica pastorale con la prima, per ciò che rientra nelle dottrine di teologia sacramentale con la seconda.105 A sancire, nella fissità simbolica di un’immagine, il fatto che i frati, i quali predicano in volgare ai fedeli ed ascoltano le confessioni individuali dei peccati, sono divenuti i protagonisti della pastorale ecclesiastica alla fine del medioevo, provvide una miniatura eseguita proprio in quegli anni per un esemplare del Decretum Gratiani. All’inizio del Tractatus de poeni‑ tentia, in una iconografia che a questo testo si ispira e che di conseguenza ricollega in una precisa sequenza predicazione, confessione e penitenza dei peccati, sono rappresentati un frate Minore che predica ai fedeli da un pulpito posto all’esterno di una chiesa, all’interno della quale un frate Predicatore ascolta la confessione di una penitente.106 Nel breve volgere di una generazione, la decimazione demografica prodotta dalla grande peste nera del 1348-1349107 congela – per così dire – la fisionomia dell’Ordine minoritico nei suoi lineamenti fondamentali, anche per quanto riguarda il ministero pastorale e la predicazione, in particolare. Né altrimenti poteva essere, se si avvicina alla realtà l’annotazione della Chronica XXIV Generalium Ordinis Minorum (attribuita al frate minore di Aquitania Arnaldo di Sarrant),108 in cui si legge: «Eodem autem anno fuit tanta epidimia et mortalitas per universum mundum, ut vix tertia pars fratrum Ordinis remaneret».109 105. Per i riflessi di lungo periodo di queste disposizioni si veda Hugolinus Lippens, Le droit nouveau des Mendiants en conflit avec le droit coutumier du clergé séculier, du Concile de Vienne à celui de Trente, in «Archivum Franciscanum Historicum», 47 (1954), pp. 241-292. 106. Anthony Melnikas, The Corpus of the Miniatures in the Manuscripts of Decre‑ tum Gratiani, 3 voll., Roma, Studia Gratiana, 1975, vol. III, pp. 1061-1084 e Tavv. I-IV: la miniatura in questione è riprodotta alla fig. 16. 107. Nella vasta bibliografia al proposito ricordo Yves Renouard, Conséquences et intérêt démographique de la peste noire de 1348, in «Population», 3 (1948), pp. 459-466, per le osservazioni relative ai mutamenti culturali ed al costume religioso: per un particolare aspetto si veda Millard Meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death, Princeton (NJ), University Press, 1951 (tr. it., Torino, Einaudi, 1982, con importante introduzione di Bruno Toscano). 108. Cfr. Stanislao da Campagnola, Le origini francescane come problema storio‑ grafico, Perugia, Università degli studi, 1979, pp. 62-64 (con bibliografia). In Francesco, il Francescanesimo e la cultura della nuova Europa si trovano numerosi cenni anche per taluni dei problemi trattati in seguito. 109. In «Analecta franciscana», III, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1897, p. 544.

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Ben poco è noto ovvero studiato di quanto riguarda la predicazione minoritica nella seconda metà del Trecento, anche perché il Repertorium di Johannes Baptist Schneyer si arresta al 1350.110 Per questo motivo è necessaria una notevole cautela nel valutare personaggi ed episodi sufficientemente noti e di lì ricavare gli elementi necessari a delineare linee di tendenza complessive: che si possono comunque individuare in una profonda omogeneità negli orientamenti dell’Ordine per ciò che attiene al ministero pastorale, e più precisamente alla predicazione. Referente corposo di tale tendenza possono essere considerate le grandi biblioteche minoritiche, che proprio nella ultima parte del secolo XIV trovano una loro sistemazione complessiva.111 A conferma di quanto detto, si esamini ad esempio l’anonimo e appassionato racconto, ripubblicato con il titolo Il supplizio di fra Michele da Calci, in cui all’inizio si narra che nel 1389 Michele Berti da Calci era stato mandato a Firenze per predicare la quaresima ai “fedeli” della città – come indicano sia la data dell’arrivo, il 26 gennaio, sia quella fissata per la partenza, il 19 aprile, vale a dire il lunedì in albis:112 sia pure con un’ispirazione delle sue prediche di carattere escatologico-apocalittico, nel filone del gioachimismo francescano,113 in realtà per esortare all’adempimento del precetto ecclesiastico della comunione pasquale e della confessione annuale. Ulteriore riprova del profondo amalgama tra le tendenze esistenti in seno al francescanesimo del tempo è l’opera di Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, approvata dal 110. Vedi nota 1. 111. Si veda Francesco d’Assisi. Codici e Biblioteche. Catalogo della mostra di Todi (luglio-novembre 1982), Perugia, Electa, 1982, e in particolare Gino Zanotti, L’antica li‑ breria del Sacro Convento di San Francesco ad Assisi, pp. 145-151 (ampia bibliografia alla fine del catalogo). L’inventario redatto da Giovanni di Iolo nel 1381 è stato il filo conduttore del catalogo di Cesare Cenci, Bibliotheca manuscripta ad Sacrum Conventum Assisiensem, 2 voll., Perugia, Regione dell’Umbria - Assisi, Sacro convento di Assisi, Casa editrice francescana, 1981. 112. Scrittori di religione del Trecento. Testi originali, a cura di Giuseppe De Luca, Torino, Einaudi, 1977, pp. 209-232, dal Codice Magl. XXXI, 65 della Biblioteca Nazionale di Firenze. 113. Cfr. Roberto Rusconi, L’attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apoca‑ lisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occidente (1378-1417), Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1979, pp. 73-76.

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capitolo generale dell’Ordine radunato ad Assisi nel 1390:114 ed infatti in quella sorta di enciclopedia del francescanesimo tardomedievale115 conflui­ sce una gran parte della letteratura proveniente dagli Spirituali francescani del secolo precedente.116 Peraltro, come è stato acutamente osservato, Bartolomeo sembra avere costituito anche un rilevante anello di giunzione tra la predicazione minoritica della prima metà del secolo XIV e la predicazione di Bernardino da Siena agli inizi del secolo XV,117 sul piano sia della struttura dei sermoni latini sia degli orientamenti di fondo della pastorale. Infatti, nel Quadragesimale de contemptu mundi sive de triplici mundo sensibili sci‑ licet microcosmo et archetypo,118 che prende le mosse da un corso di predicazione tenuto a Pisa nel 1397, si introducono distinzioni nel racconto biblico, da cui è tolto il thema del sermone, con una tecnica riscontrabile nell’Ars faciendi sermones di Géraud du Pescher da un lato, e nei sermoni bernardiniani dall’altro. Inoltre, nei Sermones lucidissimi et insignes dubiorum et casuum conscientialium conptemptivi et elucidativi super evangeliis quadragesimalibus,119 redatti per una quaresima predicata a Firenze nel 1390, vi è una connessione tra casus penitenziali e predicazione che sicuramente rimanda alla scolastica penitenziale del Duecento 114. Cfr. Stanislao da Campagnola, Le origini francescane, pp. 64-67; Raoul Manselli, Bartolomeo da Pisa (da Rinonico, de Rinonichi), in «Dizionario biografico degli italiani», 6 (1964), pp. 756-758 (con ampia bibliografia). 115. Per questa definizione cfr. Stanislao da Campagnola, Le prime biografie del san‑ to, in Francesco d’Assisi. Storia e arte, p. 48. 116. Carolly Erickson, Bartholomew of Pisa. Francis Exalted: De conformitate, in «Mediaeval Studies», 34 (1972), pp. 253-274. Per questo aspetto si veda la relazione di Mariano d’Alatri, L’immagine di san Francesco nel “De conformitate” di Bartolomeo da Pisa, in Francesco d’Assisi nella storia: secoli XIII-XV. Atti del primo convegno di studi per l’VIII centenario della nascità di S. Francesco (Roma, 29 settembre-2 ottobre 1981), a cura di Servus Gieben, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1983, pp. 227-237. 117. Delcorno, L’“ars praedicandi”, p. 446 sgg. 118. Bartholomaeus Pisanus, Quadragesimale de contemptu mundi, edidit Johannes Maria Mapellus, Mediolani, Uldericus Scinzenzeler, 1498. 119. Bartolomeo da Rinonico, Sermones lucidissimi & insignes dubiorum & casuum conscientialium contemptiui & elucidatiui super euangeliis quadragesimalibus: reuerendi patris fratris Bartholomei de Pisis ordinis minorum … (Lugduni : opera et industria probi viri Romani Morini calcographi et bibliopole, 1519 die 3 mensis Februarij). Per la diffusione dei manoscritti in Italia, cfr. Praefatio, in «Analecta Franciscana», V, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1912, pp. CXV-CXIX.

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e del Trecento,120 ma in una certa misura pare anticipare la predicazione catechetica e morale dell’Osservanza minoritica quattrocentesca.121 In realtà la decimazione dell’Ordine minoritico in conseguenza della grande mortalità alla metà del secolo XIV aveva avuto un importante effetto collaterale, dalle imprevedibili conseguenze.122 I frati Minori, infatti, si erano concentrati nei grandi conventi urbani, lasciando sguarniti, se non abbandonati del tutto, i piccoli conventi (soprattutto quelli collocati in corrispondenza dei romitori minoritici) che, in Umbria e nelle aree immediatamente circostanti, tradizioni di diversa datazione, rafforzatesi soprattutto in questo periodo, volevano ricondurre addirittura al movimento francescano delle origini.123 In essi si insediano con facilità i primi fratres Mino‑ res de observantia, ennesima coagulazione dell’orientamento rigoristico esistente all’interno dell’Ordine.124 Le piccole biblioteche di questi eremi, per quanto sono sopravvissute e sono state studiate, rivelano un reclutamento in parte laicale – si pensi ai numerosi testi in volgare –, un rifiuto dei curricula scolastici ed un orientamento marcatamente eremitico; non si pensa affatto, quindi, ad una predicazione capillare quale era stata praticata dai frati Minori in precedenza.125 D’altra parte, quando, come vedremo tra breve, anche i primi Osservanti si volgeranno alla predicazione in ambito urbano, avranno a loro disposizione le grandi biblioteche conventuali, 120. La definizione è di Michaud-Quantin, Sommes de casuistique, p. 64 sgg. 121. Oltre ai testi citati alla nota 4, e più oltre alla nota 128, ricordo Roberto Rusconi, Michele Carcano da Milano e le caratteristiche della sua predicazione, in «Picenum Seraphicum», 10 (1973), pp. 196-218. 122. Cfr. Stanislao da Campagnola, Le origini francescane, pp. 81-82; Roberto Rusconi, «Provincia Sancti Francisci»: le istituzioni minoritiche nella società umbra, in Fran‑ cesco d’Assisi. Storia e arte, pp. 64-82, a p. 67. 123. Alcuni cenni, in altra prospettiva, di Marcello Salvatori, Le prime sedi francesca‑ ne, in Lo spazio dell’umiltà, pp. 77-106. 124. Cfr. Lodovico Brengio, L’Osservanza francescana in Italia nel secolo XIV, Roma, 1963; aggiornamento della problematica in Osservanti e Cappuccini in rapporto soprattutto ai loro luoghi di origine. Atti del VII Convegno di studi (Brogliano e Camerino, 1-2 giugno 1975), in «Picenum Seraphicum», 12 (1975). 125. Per queste biblioteche si veda Roberto Rusconi, La tradizione manoscritta delle opere degli Spirituali nelle biblioteche dei predicatori e dei conventi dell’Osservanza, in «Picenum Seraphicum», 12 (1975), pp. 63-137. È annunciato un lavoro di Stefano Zamponi sulla biblioteca quattrocentesca del convento osservante di Giaccherino presso Pistoia, che si presenta molto importante dal punto di vista metodologico. [La biblioteca del Convento di Giaccherino: una nuova acquisizione della Biblioteca comunale Forteguerriana, di Stefano Zamponi e Teresa Dolfi, in «Storia locale», n. 6 (2005)]

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neppure tanto lontane topograficamente dai loro eremi: le frequenteranno spesso126 e in seguito talora le erediteranno addirittura.127 5. Dai romitori dell’Osservanza alla predicazione itinerante nelle città La predicazione itinerante dei frati Minori, soprattutto nell’Italia del secolo XV, ha come termine di riferimento ovvio e imprescindibile Bernardino degli Albizzeschi da Siena.128 Entrato nell’Ordine dei frati Minori in un romitorio dell’Osser­vanza, il Colombaio, presso Siena, pur partendo da un’ispirazione escatologico-apocalittica che ha il suo immediato riferimento nelle opere degli Spirituali francescani129 – anche se è tutt’altro che da sottovalutare l’influenza esercitata su di lui da un commento apocalittico tradizionale come l’Expositio super Apocalypsim di Mattia di Svezia130 – Bernardino è indotto a riprendere la pratica della predicazione itinerante. È appena il caso di precisare, comunque, che questa predicazione ha un 126. Ricordo solo la lettera che Bernardino da Siena indirizza il 27 settembre 1440 a frate Giacomo della Biada del convento fiorentino di Santa Croce: Opera omnia, vol. VIII, p. 321 (v. infra, nota 135). 127. Cesare Cenci, Biblioteche e bibliofìli francescani a tutto il secolo XV, in «Picenum Seraphicum», 8 (1971), pp. 66-80 (con bibliografia). 128. Una notevole importanza nello svecchiamento degli studi bernardiniani hanno avuto gli Atti del convegno Bernardino predicatore nella società del suo tempo. XVI Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale (Todi, 9-12 ottobre 1975), Todi (Perugia), Accademia Tudertina, 1976. La ricorrenza del centenario della nascita a sua volta ha dato occasione a molti convegni di studio, di diverso valore. Se ne veda la notizia di Marino Bertagna, Breve cronaca di manifestazioni culturali, in «Studi francescani», 77 (1980), pp. 327-336. Questo testo era già stato impostato quando sono apparsi a stampa gli Atti del Convegno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario dalla nascita di s. Bernardino da Siena (L’Aquila, 7-8-9 maggio 1980), L’Aquila, Comitato aquilano del sesto centenario della nascita di san Bernardino da Siena, 1982, e gli Atti del Simposio internazio‑ nale cateriniano-bernardiniano. Per quanto segue si terranno presenti in particolare Zelina Zafarana, Bernardino nella storia della predicazione popolare, in Bernardino predicatore, pp. 39-70, e Delcorno, L’“ars praedicandi”. 129. Per quanto segue, cfr. Roberto Rusconi, Apocalittica ed escatologia nella predi‑ cazione di Bernardino da Siena, in «Studi medievali», ser. III, 21 (1981), pp. 85-128 (cfr. anche Escatologia e povertà nella predicazione di Bernardino da Siena, in Bernardino predicatore, pp. 213-235, e L’attesa della fine, cap. VI, 4). 130. Cfr. Dionisio Pacetti, L’“Expositio super Apocalypsim” di Mattia di Svezia pre‑ cipua fonte dottrinale di S. Bernardino da Siena, in «Archivum Franciscanum Historicum», 54 (1961), pp. 237-302.

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segno ben diverso da quella di Francesco d’Assisi e dei primi frati Minori. Per costoro, infatti, la predicazione nelle piazze e nelle strade costituiva un ministero della parola non chiericale, che si svolgeva – nella volontà di imitazione letterale del modello evangelico – negli spazi usuali per la comunicazione dei laici. Per Bernardino e per gli Osservanti, invece, si trattava sin dal principio di dilatare al di fuori dell’edificio ecclesiastico uno spazio per la predicazione chiericale. Appare evidente questo dalla testimonianza dell’agostiniano milanese Andrea Biglia, relativa alla predicazione padovana del 1413: «non ut ceteri, in ecclesiis, sed in ipso praetorio signum praedicationis proposuisti».131 Si tratterà, anche negli anni successivi, di un ambito di comunicazione segnato dalla ufficialità, come indica ad esempio la iconografia delle predicazioni senesi di Bernardino.132 Non si dimentichi, infine, che in questo contesto si colloca anche il consolidarsi di una pratica abbastanza recente, la predicazione quotidiana non limitata alla sola Quaresima, ma estesa anche all’Avvento, vale a dire alle quattro settimane che precedono il Natale.133 Il momento della svolta nella predicazione bernardiniana sembra collocarsi grosso modo tra 1412 e 1413, come egli racconta in una predica del famoso corso senese del 1427: «Già fu tempo ch’io nol predicavo [il Van131. Baudouin de Gaiffier, Le mémoire d’Andre Biglia sur la prédication de Saint Bernardin de Sienne, in «Analecta Bollandiana», 53 (1935), pp. 308-358, alle pp. 319321. 132. Cfr. George Kaftal, Iconography of the Saints in Tuscan Painting, Firenze, Sansoni, 1952, coll. 195-202. Altri elementi relativi all’iconografia bernardiniana in Id., Ico‑ nography of the Saints in Central and South Italian Schools of Painting, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1956, coll. 195-217; Fabio Bisogni e George Kaftal, Iconography of the Saints in the Painting of North East Italy, Firenze, Sansoni, 1978, coll. 149-152; Fabio Bisogni, Per un census delle rappresentazioni di S. Bernardino da Siena nella pittura in Lombar‑ dia, Piemonte e Liguria fino agli inizi del Cinquecento, in Atti del Simposio internazionale cateriniano-bernardiniano, pp. 373-392 (con la bibliografia ivi citata a nota 2). 133. Si veda l’accenno di Andrea Biglia, in De Gaiffier, Le mémoire, p. 321: «Perductus tamen Mediolanum morem tuum cottidianae praedicationis suscepisti, in qua ferme civitate nichil difficile erat multitudinem excitare». A Milano Bernardino predica l’Avvento del 1418: cfr. Dionisio Pacetti, Cronologia bernardiniana, in S. Bernardino da Siena. Saggi e ricerche pubblicati nel quinto centenario della morte (1444-1944), Milano, Vita e Pensiero, 1945, p. 449. Per la predicazione durante l’Avvento cfr. ancora Anscar Zawart, The History of Franciscan Preaching and of Franciscan Preachers (1209-1927). A Biobi‑ bliographical Study, in «The Franciscan Educational Conference», 9 (1927), pp. 243-587, a p. 247; Johann Baptist Schneyer, Geschichte der katholischen Predigt, Freiburg im Breisgau, Seelsorge Verlag, 1969, all’indice analitico: «Adventspredigten».

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gelo], ora so ch’io el predico; tempo fu ch’io lo spremevo come sapevo, e non vedevo mai niuno frutto; ora, da XV anni in qua, ho veduto che questo è meglio che quello ch’io facevo».134 Per illustrare puntualmente come alle spalle di tale affermazione sì possano rintracciare motivazioni di carattere escatologico-apocalittico, è necessario richiamare uno schizzo di predica sul thema: «Et cum ape­ ruisset sigillum septimum, factum est silentium in celo» (Apoc. 8, 1), conservato dall’Itinerarium anni, un brogliaccio di appunti steso tra 1417 e 1424.135 Rifacendosi ampiamente all’esegesi contenuta nell’Expositio su‑ per Apocalypsim di Mattia di Svezia, Bernardino pone al centro del proprio interesse e cerca di spiegare il significato storico di tale silentium: «la corruzione ecclesiastica porta ad un triplice silenzio, quello predicationis, perché nessuno annuncia più la parola di Dio, quello devotionis, perché di conseguenza la pietà religiosa dei fedeli si affievolisce, quello timoratio‑ nis, infine, perché nessuno più teme Dio. Il rimedio è costituito dai predicatori che restaurano la predicazione evangelica, rinnovando la devozione e incutendo nuovamente il timore del giudizio, della fine del mondo e delle pene infernali. Questi sono i cardini della ripresa della vita cristiana».136 Negli anni successivi il modello e la prassi della predicazione bernardiniana si avviano ad una formulazione di carattere sostanzialmente definitivo, con una singolare coincidenza nei tempi tra il progressivo restringimento della sua ispirazione escatologica137 e la instancabile sperimentazione della sua ars praedicandi: «L’innovazione più audace si attua tra 1424 e 1425, quando Bernardino si decide a scegliere liberamente il thema, senza curarsi dei testi proposti dalla liturgia, e parallelamente abbandona, nonostante la resistenza degli uditori, il sermone “storiale”, basato sull’esposizione letterale del Vangelo. […] sono le condizioni preliminari per attuare un programma di catechesi».138 134. San Bernardino da Siena, Le prediche volgari dette nella piazza del Campo l’an‑ no 1427, a cura di Luciano Banchi, 3 voll., Siena, Tip. Arciv. S. Bernardino, 1888, vol. III, p. 456. 135. San Bernardino da Siena, Opera omnia, 9 voll., Quaracchi (Firenze), Typographia Collegii s. Bonaventurae, 1950-1965, vol. VIII, p. 300, num. 211. 136. Rusconi, Apocalittica ed escatologia, pp. 96-97. 137. Ivi, p. 108: «la prospettiva etica della predicazione bernardiniana si distacca dai suoi presup­posti escatologici e si dilata a tal punto da offuscarli e farli retrocedere sullo sfondo». 138. Delcorno, L’“ars praedicandi”, pp. 444-445.

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E riprova di questo itinerario è data dall’utilizzare Bernardino, nella prima fase della sua predicazione, il repertorio di immagini dell’Apocalisse, allo scopo di imprimere con maggiore efficacia i contenuti della sua predicazione nella memoria degli ascoltatori, affidando cioè ad esse la funzione di imagines agentes – come potrebbe essergli stato suggerito sia dall’Ars fa‑ ciendi sermones di Géraud du Pescher sia dai Sermones de laudibus sancto‑ rum di Francesco de Mayronis.139 In una fase più matura, invece, egli «ordina con grande chiarezza i punti della trattazione, li enumera scrupolosamente, ripetendo spesso il numero d’ordine, richiamando l’attenzione degli uditori sul canovaccio delle idee mediante l’uso di formule fisse, veri segnali di demarcazione delle parti nella predica».140 Un modo di procedere questo che richiama alla mente le tecniche della ars memorativa: e proprio agli anni della svolta nella predicazione bernardiniana risale la redazione della Regulae memoriae artificialis (ca. 1415) del frate Minore conventuale Ludovico da Pirano, «una delle più originali esposizioni di quella disciplina».141 Appare dunque molto significativo, nel definirsi dei moduli nella predicazione di Bernardino – destinati poi a perpetuarsi nel corso del secolo con la cosiddetta scuola bernardiniana142 –, questo organico collegamento tra mnemotecnica e catechesi. Un ulteriore elemento deve essere però ricordato, come già proponeva dal pulpito Giacomo della Marca a Padova nel 1460: «Così questo San Bernardino fo uno vero lume che dilucidò e fue lo primo inventore de ornare le prediche […]. Così questo sancto Bernardino volse esser in tuto tondo, […] e non andar su per le frasche, che in conscientia tante e tante sotigeze son più tosto nocivo che utile».143 139. Ivi, p. 474. 140. Ivi, p. 461. 141. Ivi, p. 454, con rinvio a Baccio Ziliotto, Frate Lodovico da Pirano (1390?-1450) e le sue “Regulae memoriae artificialis”, in «Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria», 49 (1937), pp. 189-226; Cesare Cenci, Lodovico da Pirano e la sua attività letteraria, in Storia e cultura al Santo, a cura di Antonino Poppi, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 265-278; Frances A. Yates, Lodovico da Pirano’s Memory Treatise, in Cultural Aspects of the Italian Renaissance. Essays in Honour of Paul Oskar Kristeller, a cura di Cecil H. Clough, Manchester-New York, Manchester University Press-Zambelli, 1976, pp. 111-122. 142. Cfr. Zafarana, Bernardino nella storia della predicazione, e il farraginoso Ghinato, La predicazione francescana; Delcorno, L’“ars praedicandi”, pp. 474-475. 143. Carlo Delcorno, Due prediche volgari di Jacopo della Marca recitate a Padova nel 1460, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di scienze morali,

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Accanto all’influenza sul piano della ars praedicandi, cioè della struttura for­male dei sermoni, è dunque da porre – nell’indispensabile passaggio «dalla lettera [= littera] al volgare» – la proposizione di un sistema di norme relative al compor­tamento morale, in quanto calato in un ambito di «linguaggio quotidiano»,144 allo scopo di consentire una più ampia intellegibilità del messaggio religioso proposto: di fatto pienamente inserito però negli schemi della mentalità caratteristica del ceto dominante, quello mercantile-borghese.145 Il che si coniuga assai bene con la ridu­zione dell’annuncio evangelico a pura precettistica morale, una linea tradizionale nella pastorale ecclesiastica: «E in effetti si può cogliere qui uno dei connotati caratterizzanti le preoccupazioni costanti e prevalenti nell’attività predicatoria di Bernardino, volta a discutere, illustrare, inculcare una precisa precettistica morale che può arrivare a toccare la casistica».146 Se fino a questo punto ci siamo mantenuti nell’ambito di considerazioni in qualche modo interne allo sviluppo della predicazione dei frati Minori dell’Osser­vanza nella prima metà del secolo XV, non ci si può comunque sottrarre a conside­razioni di carattere più generale. La svolta nella predicazione di Bernardino da Siena, l’orientamento degli Osservanti verso la predicazione itinerante nei grandi (e meno grandi) centri urbani si inserisce in quel processo di saldatura tra ricostituzione del tessuto ecclesiastico – dopo che quaranta anni di scisma ne avevano messo in questione la credibilità religiosa e la funzione sociale147 – e trasforma­zione della società, garantendo nella sostanza una presa immediata del discorso religioso nella lettere ed arti», 128 (1969-1970), pp. 135-205: la citazione alle pp. 178 sgg. Già edite in Dionisio Pacetti, Predica in onore di S. Bernardino recitata a Padova nel 1460 da S. Gia‑ como della Marca, in «Le Venezie Francescane», 20 (1953), pp. 18-50. 144. Cfr. soprattutto Carlo Delcorno, L’“exemplum” nella predicazione di Bernardi‑ no da Siena, in Ber­nardino predicatore, pp. 71-107; Zafarana, Bernardino nella storia della predicazione, pp. 63-65. 145. Cfr. Giovanni Miccoli, Bernardino predicatore: problemi e ipotesi per un’inter‑ pretazione complessiva, in Bernardino predicatore, pp. 9-37; cfr. anche, in altra prospettiva, molto specifica, Roberto Rusconi, S. Bernardino da Siena, la donna e la “roba” (cfr. infra). 146. Zafarana, Bernardino nella storia della predicazione, p. 57. 147. Per i risvolti in un particolare ambito, cfr. Rusconi, L’attesa della fine. Cfr. anche Franco Gaeta, San Bernardino e l’Europa, in Atti del Convegno storico bernardiniano, pp. 17-31 (in particolare p. 21).

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realtà economica e sociale del tempo.148 Lo scopo primario di questa predicazione, dunque, vale a dire la restaurazione etica personale, diviene, nello stesso tempo, restaurazione etica sociale.149 Senza addentrarci nella considerazione degli altri predicatori dell’Osservanza minoritica che, sia pure con peculiarità marcatamente personali, si pongono sulla scia di tale predicazione bernardiniana, si può indicare come termine finale per questa esposizione la lettera Regimini Universalis Ecclesiae del 31 agosto 1474, dovuta al papa francescano Sisto IV (Francesco Della Rovere da Savona), conosciuta an­che con la indicativa denominazione di Mare magnum dei privilegi dei religiosi.150 Siamo sulla soglia di un periodo particolarmente significativo non solo per la storia della predicazione, anche minoritica, ma per la storia religiosa in generale. Ad indicare le tensioni e le contraddizioni che in quegli anni cominciano ad emergere, ricordo che poco più di un anno prima, agli inizi del 1473, le cronache registrano il primo episodio di quella predicazione itinerante a carattere apocalittico-penitenziale che caratterizza l’ultimo quarto del secolo.151 Con «una gran barba» giunge a Siena nel mese di gennaio il sacerdote padovano Antonio.152 Di lì passa a Viterbo, alla metà di febbraio, e dopo un breve soggiorno romano raggiunge Napoli, dove la sua predicazione registra un grande successo di massa, ma suscita anche la decisa avversione del più famoso predicatore del tempo, il frate minore Roberto Caracciolo da

148. Tra i contributi ricordo soltanto Ovidio Capitani, S. Bernardino e l’etica eco‑ nomica, in Atti del Convegno storico bernardiniano, pp. 47-68 (con ampia bibliografia); Julius Kirshner, Reading Bernardin’s Sermon on the Public Debt, ivi, pp. 547-622; John T. Noonan jr., The Monkey and the Bear, in ivi, pp. 657-663; Amleto Spicciani, La povertà ‘involontaria’ e le sue cause economi­che nel pensiero e nella predicazione di Bernardino da Siena, ivi, pp. 811-834. 149. Rusconi, Apocalittica ed escatologia, pp. 124-125. 150. Bullarium franciscanum, n.s., 4 voll., ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1929-1949, vol. III, pp. 266-276; cfr. i cenni di Belluco, De sacra praedicatione, pp. 19-20. 151. Si veda l’accurato lavoro di Antonio Volpato, La predicazione penitenzialeapocalittica nell’attività di due predicatori del 1473, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 82 (1970), pp. 113-128. Una fonte ignota a Volpato è esaminata in Ottavia Niccoli, Profezie in piazza. Note sul profetismo popolare nell’Italia del primo Cinquecento, in «Quaderni storici», 41 (1979), pp. 500-539, alle pp. 512-513. 152. Volpato, La predicazione, soprattutto p. 122; Niccoli, Profezie, pp. 514-515.

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Lecce.153 La loro contrapposizione, peraltro, non si riduce ad un fatto episodico e riconducibile ad inclinazioni personali, ma tradisce la divergenza tra due veri e propri “tipi” di predicazione: A Napoli Roberto da Lecce predica nell’arcivescovado, mentre don Antonio predica «al cortiglio dello hospitale»: il motivo non è certo da ricercare «nel grandissimo concurso» di folla ottenuto da quest’ultimo, ma nella opposizione che si stabilisce fra il predicatore ufficiale, munito di una licen‑ tia praedicandi […], e il predicatore itinerante che predica alle folle sulle piazze, svincolato da ogni controllo e sine licentia […]. Un altro elemento di diversità […] è che Roberto predica soprattutto nel periodo della Quaresima, con un ciclo che culmina nella predica del Venerdì santo, mentre la predicazione degli «eremiti» non è subordinata ad esigenze liturgiche o strettamente pastorali.154

Molteplici, dunque, le differenze: l’immagine simbolica del predicatore, il suo status ecclesiastico, i luoghi, i tempi, le modalità della predicazione. Elementi questi che sono un preciso indice di mutate circostanze: il che significa, nel nostro tema, essere tempo di voltare pagina.155

153. Cfr. Zelina Zafarana, Caracciolo, Roberto, in «Dizionario biografico degli italiani», 19 (1976), pp. 446-452; Laura Gasparri, Sulla tradizione manoscritta delle prediche di Roberto da Lecce. Con due sermoni inediti, in «Archivum Franciscanum Historicum», 73 (1980), pp. 173-225; e gli studi di Oriana Visani, Il codice Borgiano Latino 394 e una predica inedita di Roberto da Lecce, in «Lettere italiane», 29 (1977), pp. 427-446; Pubblico e temi del quaresimale padovano del 1455 di Roberto Caracciolo da Lecce, in «Giornale storico della letteratura italiana», 157 (1980), pp. 541-556; Roberto Caracciolo, un imitato‑ re di Bernardino da Siena, in Atti del Simposio internazionale cateriniano-bernardiniano, pp. 845-861. 154. Volpato, La predicazione, pp. 120-121. 155. Non avendo trattato della predicazione minoritica quattrocentesca fuori d’Italia, voglio segnalare, comunque, due lavori particolarmente interessanti di Hervé Martin, Les procédés didactiques en usage dans la prédication en France au XVe siècle, in La religion populaire, Paris, Centre national de la recherche scientifique, 1979, pp. 65-75, e La prédi‑ cation et les masses au XVe siècle. Facteurs et limite d’une réussite, in Histoire vécue du peuple chrétien, a cura di Jean Delumeau, 2 voll., Toulouse, Privat, 1979, vol. II, pp. 9-41.

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1. Scritto-non scritto: una circolazione molteplice La predicazione ecclesiastica rappresenta un sistema di comunicazione non scritta con caratteristiche specifiche che, al di là di inevitabili trasformazioni, connesse con le varie stagioni della storia delle istituzioni della Chiesa, manifesta invece determinate modalità costanti nel tempo: legate al fatto che la predica è, per definizione, un mezzo di comunicazione orale, con intrinseci legami però con uno o più testi scritti.1 In primo luogo, la predicazione dei chierici ha un legame organico con la letteratura in lingua latina, in quanto la predica, anche se pronunciata in volgare, presuppone un sermone redatto in latino, sia pure in forma schematica. Inoltre, al di là dell’ovvio riferi­mento ai testi della Sacra Scrittura ed a quelli della liturgia eccle­siastica, la formazione dei predicatori ufficiali avviene su scritti i quali sono stati originariamente redatti e circolano in lingua latina, dalle raccolte di omelie dei Padri della Chiesa, a partire dalla tarda antichità, sino agli strumenti di lavoro ed ai testi elaborati negli ultimi secoli del medioevo. Se la predicazione in volgare prende le mosse da un testo latino, letto, manipolato o redatto dal predicatore, gli esiti della predicazione effettiva spesso comportano, a loro volta, la produzione di uno scritto, a partire dalla reportatio delle parole pronunciate. Tali esiti si articolano in modi 1. Per una sintesi di carattere manualistico si veda Jean Longère, La prédication médiévale, Paris, Études Augustiniennes, 1983. Cfr. anche Roberto Rusconi, Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher, 1981.

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variegati, in particolare a seconda dell’e­poca e dell’area linguistica, anche se nella sostanza rispondono ad un criterio basilare: il sistema per prendere appunti, dalla riutiliz­zazione delle note tironiane all’adozione di una forma di tachigrafìa connessa con la pratica delle scuole e dell’università ovvero con la prassi notarile e cancelleresca, ha formalizzato i suoi segni grafici in relazione alla lingua latina nella quale avrebbero dovuto essere redatti i documenti frutto delle rispettive attività.2 Lo stretto legame che si instaura fra lectio, disputatio e praedicatio nell’insegnamento scolastico3 e la prassi della reportatio emerge nel racconto tramandato da Giacomo di Vitry, dove si narra in qual modo, alla fine del secolo XII, Folco de Neuilly († 1198) si re­casse ad ascoltare a Parigi gli insegnamenti di Pietro il Cantore: De cuius fonte limpidissimo predictus Fulcus sacerdos potare desiderans, cum tabulis et stylo seu grafo scolas eius humiliter est ingressus, quedam verba moralia et vulgaria, que secundum capacitatem ingenii recipere et colligere ore magistri sui po­tuit, frequenter ruminando et firmiter memorie commendando. Diebus autem festivis ad ecclesiam suam rediens, quod per totam septimanam collegerat ovibus suis diligenter distribuebat.4

A pochi decenni di distanza, negli anni 1230-1231, a Parigi si avrà la prima raccolta organica di sermoni riportati in latino, in ambiente universitario.5 2. Cfr. Dal pulpito alla navata. La predicazione medievale nella sua recezione da parte degli ascoltatori (secoli XIII-XV), Convegno Internazionale di Storia religiosa in memoria di Zelina Zafarana (Firenze 5-7 giugno 1986), a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, L. S. Olschki, 1989 (= «Medioevo e Rinascimento», 3). 3. Cfr. Jean-Louis Bataillon, De la “lectio” à la “praedicatio”: Commentaires bi‑ bliques et sermons au XIIIe siècle, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques», 70 (1986), pp. 559-574. 4. « Il predetto sacerdote, Folco, desiderando attingere alla sua limpidissima sorgente, umilmente entrò alla sua scuola con le tavolette e con lo stilo, talune parole morali e in volgare, che in proporzione alle capacità del proprio ingegno aveva potuto cogliere e raccogliere dalla bocca del suo maestro, ruminando di frequente e affidandole con decisione alla memoria. Nei giorni festivi, poi, ritornando alla propria chiesa, distribuiva con cura alle proprie pecorelle quanto aveva raccolto durante la settimana». John Frederick Hinnebusch, The Historia Occidentalis of Jacques de Vitry. A Critical Edition, Fribourg (Switzerland), University Press, 1972, pp. 94 sgg. 5. Marie-Madeleine Davy, Les sermons universitaires parisiens de 1230-1231. Con‑ tribution à 1’histoire de la prédication médiévale, Paris, Vrin, 1931.

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L’adozione di tecniche siffatte per trasformare una predica orale in un sermone scritto importa un metodo di retroversione in lingua latina: le repor‑ tationes di prediche effettivamente pronunciate sono, in ogni caso, redatte in lingua latina e le lingue volgari, utilizzate nella realtà, entrano nel testo solo sotto forma di incisi, in particolare quando si sia in presenza di espressioni pregnanti, la cui efficacia è legata all’intangibilità del dettato verbale (come i modi di dire ed i proverbi ovvero la denominazione degli oggetti di uso comune).6 Ne deriva, dunque, che numerose raccolte di prediche riportate in lingua latina corrispondano a predicazioni tenute invece in una lingua volgare e che, addirittura, talune raccolte di prediche in volgare altro non siano se non un’ulteriore retroversione, a partire da una reportatio in latino: questo genere di volgarizzamenti, a comin­ciare dai sermoni di Bernardo di Clairvaux, dà piuttosto vita a dei ser­mons à lire, destinati in primo luogo a conversi, a monaci che non co­noscono il latino, e poi alle monache ed alla lettura dei laici devoti.7 Con il passare del tempo, la progressiva divaricazione dei registri linguistici fra il latino ecclesiastico e i volgari nazionali, ed anche il progredire delle tecniche scrittorie, modifica il procedimento di trasmissione dei testi delle prediche, in quanto le reportationes vengono prodotte direttamente nella medesima lingua nella quale il predicatore si era rivolto ai propri ascoltatori. Da alcuni casi specifici, peraltro, si ricavano indizi inequivoci a favore dell’e­ventualità che la trasmissione del testo in volgare avvenga saltando il tramite della reportatio scritta e facendo, invece, ricorso alla capacità di memorizzazione del singolo ascoltatore. Una simile prassi diviene possibile, in particolare, nel momento in cui l’arti­colazione del sermone latino, preliminare alla predica pronun­ciata in volgare, si fonda sulle nuove tecniche elaborate nelle scuo­le e nelle università, a partire dalla fine del secolo XII: per tale motivo, di fronte ad una struttura retorica risulta essere 6. Cfr. ad es. Siegfried Wenzel, Verses in Sermons. “Fasciculus morum” and its Middle English Poems, Cambridge (MA), The Medieval Academy of America, 1978, e Nicole Bériou, Latin and the Vernacular. Some Remarks about Sermons Delivered on Good Friday during the Thirteenth Century, in Die deutsche Predigt im Mittelalter, a cura di Volker Mertens e Hans-Jochen Schiewer, Tübingen, Niemeyer, 1992, soprattutto alle pp. 269 e 275-279. 7. Michel Zink, Les destinataires des recueils de sermons en langue vulgaire aux XIIe et XIIIe siècles. Prédication effective et prédication dans un fauteuil, in La piété populaire au Moyen Age. Actes du 99e congrès national des sociétés savantes (Besançon 1974), Paris, Bibliothèque Nationale, 1977, pp. 59-74.

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più agevole conservare in primo luogo la struttura essenziale della predica, ed anche le argomentazioni attraverso le quali essa si sviluppa.8 Il rapporto fra sermone latino e predica volgare, infine, configura una circolarità anche nel comportamento di alcuni predica­tori, i quali producono la redazione finale dei loro sermonari latini non a partire dai propri schemi, bensì servendosi di appunti, presi da ascoltatori o da collaboratori, e ne redigono un testo definitivo sulla loro base. Non mancano, inoltre, i casi nei quali sono gli stessi reportatores a produrre una sorta di “edizione” delle prediche da essi riportate in latino (secondo una gamma di possibilità che va dalla semplice trascrizione degli appunti presi durante la predica ad una revisione puramente formale del testo, magari anche con un’integrazione delle auctoritates annotate in modo sommario, si­no a giungere ad una rielaborazione pressoché integrale).9 Tra 1250 e 1255, il frate francescano Bertoldo di Regensburg, il più famoso predicatore in lingua tedesca di quel tempo, si risolse a mettere per iscritto la raccolta latina dei propri Sermones rusticani, allo scopo di arrestarne le versioni non autorizzate che circolavano ad opera dei riportatori delle sue prediche – delle quali, si badi bene, non è rimasta traccia in lingua volgare, in quanto a quel tempo faceva difetto un sistema abbreviativo per riportare il medio alto tedesco: «Istos sermones ea necessitate coactus sum notare, cum tamen invitissime hoc fecerim, quod, cum predicarem eos in populo, quidam simplices clerici et religiosi, non intelligentes, in quibus verbis et sententiis veritas penderet, voluerunt notare illa, que poterant capere; et sic multa falsa notaverunt».10

8. Cfr. Hervé Martin, Les procédés didactiques en usage dans la prédication en Fran‑ ce au XVe siècle, in La religion populaire, Paris, Centre national de la recherche scientifique, 1979, pp. 65-75. 9. Cfr. Jacques-Guy Bougerol, De la “reportatio” à la “redactio”, in Les genres lit‑ téraires dans les sources théologiques et philosophiques médiévales. Actes du colloque international de Louvain-la-Neuve (25-27 mai 1981), a cura di Robert Bultot, Turnhout, Brepols, 1982, pp. 51-65; Jacqueline Hamesse, “Reportatio” et transmission de textes, in The Editing of Theological and Philosophical Texts from the Middle Ages. Acts of the conference arranged by the Department of classical languages (University of Stockholm, 29-31 august 1984), a cura di Monika Asztalos, Stockholm, Almqvist & Wiksell, 1986, pp. 11-34. 10. «Sono stato costretto a mettere per iscritto questi sermoni, sia pure del tutto controvoglia, perché, predicandoli io al popolo, alcuni chierici e religiosi incolti, che non comprendevano in quali parole ed in quali frasi risiedesse la verità, vollero prendere nota di quanto erano in grado di capire; e cosi annotarono molte falsità». Dietrich Sepp, Die

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Per avere dei sermoni riportati in volgare tedesco sarà peraltro necessario arrivare agli inizi del secolo XV, ed in lingua nederlan­dese alla fine dello stesso secolo. Esisteva però anche una forma di predicazione durante la quale si faceva ricorso, in maniera quasi esclusiva, all’uso della lingua latina: innanzitutto allorquando dei chierici si rivolgevano ad un’adunanza chiericale, dal sermone sinodale alla collatio pomeridiana nei conventi dei frati mendicanti:11 ma anche in altre circostanze di carattere ufficiale, come avveniva, ad esempio, nel caso di ser­moni pronunciati davanti ad autorità secolari (per influsso evidente dell’uso cancelleresco del latino), ovvero in contesti istituzionali dove l’utilizzazione della lingua latina era implicata dalla prassi, ad esempio dell’insegnamento nelle università.12 2. La tradizione manoscritta delle omelie dei Padri ed il sermo antiquus Nel processo di riorganizzazione delle istituzioni territoriali della Chiesa, caratteristico della politica imperiale in età carolingia, la funzione del vescovo in quanto tenuto a docere et instruere la popolazione a lui affidata implicava una particolare attenzione ai procedimenti di trasmissione delle nozioni elementari della fede cristiana: in una forma fortemente ritualizzata di cristianesimo i termini di riferimento dell’identità religiosa erano rappresentati in primo luogo dal battesimo e dalla sepoltura, piuttosto che dal­l’insegnamento sul Credo, sulla Trinità, sull’Incarnazione, sulla Resurrezione e sul Giudizio Finale, pur previsto dalla Admonitio generalis di Carlo Magno del 789.13 deutsche Predigten Bertholds von Regensburg, in «Zeitschrift für schweizerische Kirchengeschichte», 57 (1973), pp. 169-257, a p. 229. 11. Cfr. Jacques-Guy Bougerol, Les sermons dans les “Studia” des Mendiants, in Le scuole degli ordini mendicanti (secoli XIII-XIV). Convegno internazionale del Centro di studi sulla spiritualità medievale (Todi, 11-14 ottobre 1976), Todi (Perugia), Accademia Tudertina, 1978, pp. 249-80; Jacqueline Hamesse, “Collatio”et “reportatio”: deux vocables spécifiques de la vie intellectuelle au moyen âge, in Terminologie de la vie intellectuelle au moyen âge. Actes du colloque (Leyde/ La Haye, 20-21 septembre 1985), a cura di Olga Weijers, Turnhout, Brepols, 1988, pp. 78-83. 12. Cfr. Jacqueline Hamesse, La prédication universitaire: éloquence sacrée, élo‑ quence profane?, in «Ephemerides Liturgicae», 105 (1991), pp. 283-300. 13. MGH, LL, I, pp. 61-62: cano­ne 82.

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Per quanto limitata potesse risultare l’attività di predicazione da parte del vescovo e dei suoi collaboratori, ed in particolare dei sacerdoti, per i fedeli che vivevano al di fuori delle aree urbane – anche ogni due o tre settimane, la domenica o in altro giorno festivo –, la predica doveva essere comunque tenuta in una delle lingue volgari utilizzate dalle popolazioni rurali, le quali, progressivamente, non erano più in grado di comprendere il latino eccle­siastico.14 Tra le disposizioni adottate dai concili ecclesiastici con­vocati da Carlo Magno nel maggio dell’anno 813 ad Arles, Chalons-sur-Sâone, Mainz, Reims15 e Tours, spicca il dettato della XVII deliberazione adottata in quest’ultima adunanza: Visum est unanimitati nostrae, ut quilibet episcopus habeat omelias continentes necessarias admonitiones, quibus subiecti erudiantur: id est de fide catholica, prout capere possint, de perpetua retributione bonorum et aeterna damnatione malorum, de resurrectione quoque futura et de ultimo iudicio, et quibus operibus possit promereri beata vita, quibusve excludi. Et ut easdem omelias quisque aperte transferre studeat in rusticam romanam linguam aut thiotiscam, quo facilius cuncti possint intelligere quae dicunt.16

In particolare, nella XV deliberazione adottata dal concilio di Reims si precisa che tali raccolte comprendono testi omiletici di età patristica, ovviamente sempre nella prospettiva di un loro volgarizzamento ai fedeli: «Ut episcopi sermones et omelias sanctorum patrum, prout omnes intelligere possent, secundum proprietatem linguae praedicare studeant».17 Allo 14. Cfr. Gabriel María Verd Conradi, La predicación carolingia (715-910), in «Miscellanea Comillas», 35 (1977), pp. 297-344; Thomas Leslie Amos, Preaching and the Sermon in the Carolingian World, in “De Ore Domini”: Preacher and Word in the Middle Ages, a cura di Thomas Leslie Amos, Eugene A. Green e Beverly Mayne Kienzle, Kalamazoo (MI), Medieval Institute Publications, 1989, pp. 41-60. 15. Cfr. MGH, Conc., II/1, pp. 251, 255, 268, 276. 16. «Abbiamo deliberato all’unanimità che ciascun vescovo possegga omelie contenenti le ammonizioni necessarie per istruire i sottoposti: vale a dire intorno alla fede cattolica, per quanto ne possono comprendere, alla retribuzione perpetua dei buoni e alla eterna dannazione dei cattivi, e ancora alla futura risurrezione e al giudizio finale, e con quali opere si possa meritare la vita beata, e con quali esserne esclusi. E abbiamo deliberato che ciascuno si sforzi di tradurre queste stesse omelie in maniera comprensibile nella lingua romana rustica o nella tedesca, di modo che con più facilità tutti possano comprendere ciò che viene detto». Ivi, pp. 286 sg. 17. «Che i vescovi cerchino di predicare i sermoni e le omelie dei santi Padri, secondo le proprietà della lingua, in modo che tutti li possano comprendere». Ivi, p. 255.

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stesso modo, nelle domande da rivolgere ai sacerdoti prima di procedere alla consacrazione, era previsto che si effettuasse una verifica della loro comprensione dei testi, facen­do ricorso ai quali avrebbero dovuto predicare: «Homilias orthodoxorum patrum quomodo intelligitis vel alios instruere sciatis».18 Tali indicazioni trovano una corrispondenza nella larga circolazione di raccolte del genere dei XL Homiliarum in Evangelia libri duo di Gregorio Magno († 604)19 e, in misura minore, ad esempio dei Sermones ad populum di Cesario di Arles († 542)20 e di traduzioni latine di Padri greci, come Giovanni Crisostomo e Origene.21 In età carolingia gli scribi ricopiarono in larga parte le compilazioni risalenti all’età patristica, ad esempio dei sermoni agostinia­ni, ma anche crearono essi stessi raccolte di sermoni di Agostino d’Ippona, Massimo di Torino, Cesario di Arles e Gregorio Magno, in una rilevante quantità di manoscritti che, assai spesso, assicura­rono la preservazione dei testi omiletici di età patristica, la cui uti­lizzazione era prescritta dalla legislazione episcopale.22 Anche se nel prologo delle Homiliae di Rabano Mauro († 856) si scrive che esse possono essere utilizzate «ad praedicandum populo», ma anche «ad legendum vel ad praedicandum»,23 in realtà nella maggior parte dei casi si trattava di florilegi destinati all’uso personale o li­turgico da parte dei monaci – e lo stesso si può dire ad esempio delle raccolte di 18. «In che modo comprendete le omelie dei Padri ortodossi e sapete insegnarle ad altri». MGH, Conc., II/1, p. 283, num. 116, Interrogationes examinationis, par. 6. 19. PL 76, coll. 1075-312. 20. Césaire d’Arles, Sermons au peuple, 3 voll., a cura di Marie-José Delage, Paris, Éditions du Cerf, 1971-1986, p. 243 e 330. Cfr. S. Caesarius Arelatensis, Sermones, a cura di Germain Morin, Turnhout, Brepols, 1953. 21. Patricia Allwin Deleeuw, Gregory the Great’s “Homelies on the Gospels”, in «Studi medievali», ser. III, 26 (1985), pp. 855-869. 22. Si vedano ad esempio i Capitula Florentina, dove si precisa trattarsi delle «omelias beati Augustini vel sancti Gregorii» (MGH, Capit. episc., I, p. 223), oppure i Capitula synodica di Incmaro, arcivescovo di Reims, in cui si legge: «Homilias quadraginta Gregorii quisque presbyter studiose legat, et intelligat» (PL 125, col. 773). Cfr. anche le prescrizioni di Gualtiero di Orléans, in MGH, Capit. episc., p. 189. 23. Homiliae, in PL 110, coll. 9-468. Cfr. Raymond Étaix, L’homeliaire composé par Raban Maur pour l’empereur Lothaire, in «Recherches Augustiniennes», 19 (1984), pp. 211-240, e Le recueil des sermons composé par Raban Maur pour Haistulfe de Mayence, in «Revue des Études Augu­stiniennes», 32 (1986), pp. 124-137.

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Smaragdo di Saint-Mihiel († 825 ca.)24 oppure di Giovanni Scoto Eriugena († 877 ca.).25 I legislatori carolingi, in verità, avevano pensato addirittura a un omeliario da diffondere in maniera uniforme nei territori dell’impero, la cui redazione venne affidata da Carlo Magno al mona­co longobardo Paolo Varnefrido detto Diacono (morto dopo il 792).26 Diviso in due sezioni, una pars hiemalis ed una pars aestivalis, cui faceva seguito un commune sanc­ torum, disponeva i «catholicorum Patrum dicta» in corrispondenza delle singole ricorrenze dell’intero calendario liturgico, adottando il metodo della catena esegetica.27 Si trattava, nella sostanza, di un lezionario, da utilizzare sia nelle celebrazioni liturgiche sia per la predicazione: gli stessi testi patri­stici dovevano essere letti in latino dai chierici e ripetuti ai fedeli nella loro lingua. Come dimostra la redazione e la diffusione di altre raccolte, l’omeliario di Paolo Diacono, per quanto ampia sia stata la sua tradi­zione manoscritta, assurse piuttosto alla funzione di modello. Pe­raltro la prescrizione di un omeliario-modello appariva in contra­sto con un’altra finalità espressa in quel medesimo volgere di anni, ad esempio nel concilio romano radunato nel mese di novembre dell’anno 826 da papa Eugenio II. Nei suoi canoni veniva esplici­tamente richiamato l’insegnamento della Regula pastoralis di Gre­gorio Magno, concernente la necessità di adattare la predicazione alle caratteristiche dell’uditorio, e non solo sul mero piano lingui­stico: «Pro qualitate igitur audientium firmari debet sermo doctorum, ut et ad sua singulis congruat et tamen a communis aedificationis arte numquam recedat».28 Anche se le dure espressioni di Alcuino († 804) in una sua lettera, «legere licet et interpretari non licet»,29 hanno di mira problemi esege­tici 24. Collectiones epistolarum et evangeliorum de tempore et de sanctis, in PL 102, coll. 13-552. 25. Jean Scot, Homélie sur le prologue de Jean, a cura di Édouard Jeauneau, Paris, Éditions du Cerf, 1969. 26. Capit., I, pp. 80-81. 27. Homiliarius, in PL 95, coll. 1159-1566. 28. «Pertanto il sermone dei dotti deve essere formulato tenendo conto delle carat­ teristiche dell’uditorio, affinché sia conforme per ciascuno ai suoi problemi e non si allontani mai dall’arte della edificazione comune». MGH, Conc., II/2, Canones Concilii Romani, p. 558. La citazione è tratta alla lettera dal prologo al libro III della Regula pastoralis gregoriana. 29. «Leggere è lecito ma interpretare non è lecito». Epistolae Karolini aevi (II), in MGH, Epp., IV/2, lett. 136, pp. 209 sg.

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e teologici di natura più generale, vi si delinea una prospettiva di rapporti con i testi utilizzati a fini pastorali. Al suo interno si in­quadrano le prescrizioni che, un secolo e mezzo dopo, il monaco benedettino originario di Liegi, Raterio, divenuto vescovo di Ve­rona, inserisce nella lettera che invia ai chierici della propria dio­cesi in occasione della Pasqua dell’anno 966, esortando ognuno af­fi nché «sermonem, ut superius dixi, Athanasii episcopi de fide trinitatis, cuius initium est “Quicumque vult”, memoriter teneat».30 Nella diocesi veronese, in effetti, sempre alla metà del secolo X, nell’inventario dei beni ecclesiastici di una pieve rurale viene inserito anche uno scarno patrimonio di libri, che comprendeva appunto codici litur­gici ed omeliari, e “fascicoli” con omelie di sant’Agostino e di san Cesario.31 Non mancano peraltro indicazioni della coesistenza di prassi alquanto diverse, attestate per esempio da un codice della biblio­teca capitolare di Verona, del secolo IX, dove ad un testo denomi­nato libellus de assidua praedicatione corrispondeva in realtà un ser­mone latino: una sorta di pa‑ stiche derivato grazie alla riunione di brani tratti dai sermoni di Cesario di Arles con una lunga porzione ricavata dal sermone 211 di sant’Agostino.32 Anche in una piccola raccolta omiletica, a quanto pare redatta intorno alla metà del secolo IX in Italia settentrionale, si cerca di dare una spiegazione del testo biblico letto durante la liturgia del giorno grazie al rima­ neggiamento di brani tolti da sermoni patristici.33 Pur trattandosi di omelie assai brevi, poco piu che schemi, in ognuna è dato di ri­scontrare una fonte ben precisa, da Cesario di Arles a Beda, da Gregorio Magno ad Agostino. La struttura appare caratteristica dell’omiletica carolingia, ed infatti risulta essere in sostanza analo­ga tanto in quella raccolta quanto nell’omeliario di Rabano Mauro: una pericope tratta dalla Sacra Scrittura, di solito trascritta all’i­nizio dell’omelia, vi viene spiegata in un modo assai semplice e si 30. «Impari a memoria, come ho detto prima, il sermone del vescovo Atanasio sulla fede della Trinità, il cui inizio è “quicumque vult”». Synodica ad presbyteros, in Die Briefe des Bischofs Rather von Verona (MGH, Briefe d. dt. Kaiserzeit, I), pp. 134-135. 31. Andrea Castagnetti, La pieve rurale nell’Italia padana. Territorio, organizzazione patrimoniale e vicen­de della pieve veronese di San Pietro di Tillida dall’alto medioevo al secolo XIII, Roma, Herder, 1976, p. 180. 32. Gilles-Gérard Meersseman, Ministerio parrocchiale nel IX secolo secondo il co‑ dice XC della Capitolare di Verona, in «Zeitschrift für schweizerische Kirchengeschichte», 71 (1977), pp. 3-19. 33. Paul Mercier, XIV homélies du IXe siècle d’un auteur inconnu de l’Italie du Nord, Paris, Éditions du Cerf, 1970, pp. 186-195.

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cerca, nel prosieguo, di applicarla ad una situazione concreta, esortando a compiere opere buone, alla carità ed alla misericordia. Nell’ambito delle istituzioni territoriali della Chiesa, nelle diocesi e nelle articolazioni interne ad esse, in un periodo di tempo che giunge sino alle soglie del secolo XIII, non sembrano esservi state modificazioni di rilievo, in una prassi di predicazione al popolo intesa come semplice volgarizzamento di testi di origine pa­tristica, tramandati attraverso i secoli. Anche papa Innocenzo III († 1216), in maniera assai significativa, considera esemplare un metodo di predicazione fondato sulla semplice riproposizione di omelie e di sermoni dei Padri, nel momento in cui vuole additare una prassi a modello per il ministero pastorale dei chierici: Audivi quod Innocentius papa, sub quo celebratum est Concilium Lateranense, vir magnae litteraturae, cum semel praedicaret in festo Magdalenae, habuit juxta se quemdam tenentem homiliam Gregorii de festo illo, ex verbo ad verbum dicebat in vulgari quod scriptum erat ibi in latino, quaerens, cum non recordabatur, ab illo qui librum tenebat, sequentia. Cum autem post sermonem quareretur ab eo quare sic fecisset, cum sufficiens esset ad alia multa dicendo, respondit quod hoc fecerat ad reprehensionem et instructionem illorum qui dicta ab aliis dicere dedignantur.34

Nelle aree linguistiche in cui la distanza della lingua parlata dal latino ecclesiastico è divenuta incolmabile, con il trascorrere del tempo la necessità di dare vita a nuove forme di predicazione spo­sta nettamente in direzione di un’espressione nelle lingue volga­ri.35 Questo accade con notevole precocità in Inghilterra, con Aelfric, abate di Eynsham nel secolo X († 1020 ca.), e con Wulfstan, arcivescovo di York († 1095),36 34. «Ho saputo che papa Innocenzo, sotto cui venne celebrato il concilio del Laterano, uomo di grande cultura, una volta, mentre predicava il giorno della festa della Maddalena, tenne presso di sé un diacono che reggeva un’omelia di Gregorio su quella festa, e parola per parola traduceva in volgare ciò che vi era scritto in latino, domandando come proseguisse a colui che reggeva il volume, quando non si ricordava. Quando poi, dopo la predica, gli domandarono per quale ragione si era comportato in quel modo, dal momento che era perfettamente in grado di dire molte altre cose, rispose che lo aveva fatto per rimproverare e istruire coloro i quali disdegnano di ripetere quanto è già stato detto da altri». Umberto di Romans, De eruditione praedicatorum, in Id., Opera di vita regulari, a cura di Joachim Joseph Berthier, 2 voll., Torino, Marietti, 1956, vol. II, p. 397. 35. Cfr. Michel Banniard, “Viva voce” Communication écrite et communication orale du IVe au IXe siècle en Occident latin, Paris, Études Augustiniennes, 1992. 36. Cfr. Milton McCormick Gatch, Preaching and Theology in Anglo-Saxon England: Aelfric and Wulfstan, Toronto-Buffalo, Univ. of Toronto Press, 1976, ed anche Cyril Law-

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ma anche nell’area romanza, dove già intorno alla metà del secolo X un predicatore si appunta il vol­garizzamento di un sermone di san Girolamo,37 mentre al volgere del secolo XII si mettono per iscritto raccolte di prediche in una lingua volgare con notevoli imprestiti: ad opera di un predicatore nei Sermones subalpini, i quali riflettono, in maniera assai fedele, i contenuti e la terminologia della cultura chiericale.38 La tradizio­ne manoscritta dei sermoni latini di Maurizio di Sully, vescovo di Parigi (1160-1196), a sua volta si articolava in un filone assai limita­to, la collezione di sermoni al clero; al contrario, la collezione di sermoni al popolo, scritta fra 1161 e 1171, affinché se ne servissero i chierici per predicare, ha circolato più largamente, anche se il più delle volte anonima – e al clero più incolto ne era destinata una versione in volgare, forse dovuta allo stesso Maurizio.39 All’interno delle istituzioni monastiche, la Regula sancti Benedicti prescriveva la lettura di materiale omiletico come parte integrante della liturgia comunitaria: «Codices autem legantur in vigiliis divinae auctoritatis tam veteris quam novi; sed et expositiones earum, quae a nominatis et orthodoxis catholicis patribus factae sunt».40 Le letture per i notturni di Mattutino includevano dunque sermoni, e sermoni e commenti sulla regola venivano pronunciati dall’abate, da un altro monaco designato allo scopo, ed in taluni casi anche dalla badessa rence Smetana, Ael­fric and the Early Medieval Homiliary, in «Traditio», 15 (1959), pp. 163-204; Mary Clayton, Homiliaries and Preaching in Anglo-Saxon England, in «Peritia», 3 (1985, ma 1988), pp. 207-242. 37. Cfr. Guy de Poerck, Le sermon bilingue sur Jonas du manuscrit de Valenciennes 521 (475), in «Romanica Gandensia», 4 (1956), pp. 31-66. 38. Wolfgang Babilas, Untersuchungen zu den Sermoni Subalpini. Mit einem Exkurs über die Zehn-Engelchor-Lehre, München, Hüber, 1968. Si veda anche il volgarizzamento in lin­gua d’oc di una ventina di omelie, effettuato agli inizi del secolo XIII: Antoine Thomas, Homélies provençales tirées d’un manuscrit de Tortosa, in «Annales du midi», 9 (1897), pp. 369-418. 39. Charles A. Robson, Maurice of Sully and the Medieval Vernacular Homily. With the Text of Maurice’s French Homilies from a Sens Cathedral Chapter Manuscript, Oxford, Blackwell, 1952; cfr. Jean Longère, Les Sermons latins de Maurice de Sully, évêque de Paris († 1196). Contribution à l’histoire de la tradition manuscrite, Steenbrugge, Kluwer Academic, 1988. 40. «Nelle veglie notturne si leggano i manoscritti che contengono le parole autorevoli di Dio, tanto nel Nuovo come nel Vecchio [Testamento]; ma anche le esposizioni che ne vennero fatte dai predetti padri, cattolici ed ortodossi». Benedicti Regula, a cura di Rudolf Hanslik, Wien, Hölder-Pichler-Tempsky, 1977, p. 61 (VIII 8).

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o da una monaca incaricata di ciò.41 Il te­sto di un sermone latino veniva utilizzato anche per la meditazione privata e per la lettura pubblica in refettorio, e poteva essere trasmesso persino in forma epistolare.42 Mentre continuavano ad essere ricopiati negli scriptoria e conservati nelle biblioteche dei monasteri anche testi redatti in una forma omiletica, il sermone monastico vero e proprio assumeva ben presto caratteristiche specifiche: anch’esso iniziava, di norma, con un brano biblico o liturgico, da cui venivano poi estrapolate alcune parole, usate come chiave di riferimento per sviluppare un determinato argomento. I metodi di ampliamento del sermone riflettevano, ovviamente, il livello culturale degli autori, ed anche il grado di elaborazione letteraria del testo: in effetti, negli ambienti monastici sono stati tramandati sermoni completi, sermoni ripor­tati ed anche semplici sententiae, che ne raccoglievano i punti principali. Poteva anche accadere che una vasta raccolta di sermoni, in origine redatti per la predicazione al popolo, scritti nella prima metà del secolo IX per le necessità crescenti connesse con la riforma ec­clesiastica carolingia (ricorrendo in larga misura a fonti patristi­che), venisse trasformata, alla metà del secolo X, in un omeliario liturgico, utile anche per la lettura e lo studio da parte dei monaci: era stato sufficiente, infatti, aggiungervi altri materiali di carattere teologico e di rilevanza omiletica.43 Esistevano però omeliari li­turgici destinati sin dall’inizio ad essere utilizzati dai monaci per la lettura privata e per la meditazione, e questo era appunto il caso degli omeliari prodotti dalla scuola di Auxerre.44 Nel lessico monastico del secolo XII gli scrittori benedettini o cistercensi utilizzano la medesima terminologia, ed in particolare il termine sermo, tanto per indicare i sermoni pronunciati in capi­tolo quanto i testi 41. Si veda un caso cronologicamente posteriore in Adele Simonetti, I sermoni di Umil­tà da Faenza, in «Studi medievali», ser. III, 32 (1991), pp. 302-308. 42. Cfr. Beverly Mayne Kienzle, The Typology of the Medieval Sermon and its De‑ velopment in the Middle Ages: Report on Work in Progress, in De l’homélie au sermon. Histoire de la prédication médiévale, a cura di Jacqueline Hamesse e Xavier Hermand, Louvain-la-Neuve, Institut d’Études médiévales, 1993, p. 90. 43. Thomas Leslie Amos, The Italian Homiliary: From Sermon Collection to Mona‑ stic Homiliary, in «Medieval Sermon Studies Newsletter», 29 (1992), pp. 47-48. 44. Henri Barre, Les homéliaires carolingiens de l’École d’Auxerre, Città del Vaticano, Bi­blioteca Apostolica, 1962. Più ampie informazioni in Réginald Grégoire, Homéliaires liturgiques médiévaux. Analyse des manuscrits, Spoleto (Perugia), CISAM, 1980.

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destinati invece ad essere letti, come i Sermones super Cantica canticorum di Bernardo di Clairvaux († 1153).45 La predicazione a favore della riforma gregoriana aveva portato i monaci fuori dai chiostri, ma la suprema autorità della Chiesa, una volta chiusa la lotta per le investiture, li aveva voluti escludere dal ministero pastorale, con le deliberazioni del primo concilio del Laterano, nel 1123.46 Nel momento in cui nascerà una nuova forma di predicazione, e di redazione di testi ad essa connessi, tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, la produzione del periodo precedente verrà indicata, nel suo complesso, con la denominazione di sermo antiquus, saldamente ancorato alla tradizione omiletica di origine patristica e tuttora diffuso all’interno dei monasteri benedettini, in partico­lare dei cistercensi. 3. L’apparente negazione del testo: le prediche degli eretici e l’oratoria dei laici Alla fine del secolo XII i modelli per i sermoni prevedevano che, basandosi sulla liturgia del giorno, si facesse riferimento alla Sacra Scrittura, in particolare ai Vangeli ed alle Epistole, e rara­mente a esempi tratti dal Vecchio Testamento. In quel modo gli ascoltatori laici delle prediche acquisivano una certa familiarità con una serie di storie bibliche: soprattutto con la vita e la passio­ne del Cristo, ma anche con le vicende riguardanti, ad esempio, Giacobbe ed Esaù, Davide e Golia, ed altre ancora. Attorno alla metà di quel secolo appaiono le prime testimonianze relative ad una presenza nei territori dell’Occidente latino di missionari càtari, appartenenti cioè ad una chiesa di origine bal­canica, la quale propugnava la credenza in un radicale dualismo cosmologico, tra un principio del bene (Dio) ed un principio del male (Satana). Non sono stati conservati documenti che derivas­sero in maniera diretta dalla loro predicazione effettiva. L’unico testo sopravvissuto all’opera di distruzione da parte degli inquisi­tori papali, la cosiddetta “predicazione dell’ordinato”, è redatto in lingua latina ed è stato formato sulla base di un tessuto di citazioni tratte 45. Sancti Bernardi, Opera, a cura di Jean Leclercq, Charles Hugh Talbot e HenriMarie Rochais, 8 voll., Romae, Editiones Cistercienses, 1957-1977, voll. I-II. 46. Can. XVI, in Conciliorum Oecumenicorum decreta, a cura di Giuseppe Alberigo, Perikles-P. Joannou, Claudio Leonardi, Paolo Prodi, Basileae, Herder, 1962, p. 169.

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dal Nuovo Testamento.47 Da queste i predicatori càtari prendevano le mosse per una spiegazione letterale, che risultava essere in forte contrasto con la sofisticata esegesi dei monaci, fon­damentalmente di carattere allegorico: peraltro, talune forzature del tenore e del senso del testo scritturistico, mediante manipola­zioni grammaticali, sintattiche e lessicali, erano rese possibili a quei «perversores Scripturarum»48 da notevoli incertezze nella trasmis­sione del testo biblico49 (anteriormente alla revisione operata a Parigi dai frati domenicani negli anni ’30 del secolo XIII). La decretale Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem, approvata da papa Lucio III alla dieta di Verona, il 4 novembre 1184, proibì in modo drastico qualsiasi genere di predicazione che non fosse autorizzata da parte delle autorità ecclesiastiche.50 A tale di­vieto rifiutarono di sottostare i Poveri di Lione (o Valdesi), appar­tenenti ad un movimento religioso suscitato da Valdesio, un ricco mercante, il quale tra 1174 e 1176 si era convertito all’imitazione del modello degli apostoli. Non essendo in grado di avere accesso in maniera diretta alla Bibbia ed alla letteratura teologica, in quan­to redatte e diffuse in lingua latina, Valdesio commissionò a due ecclesiastici alcune traduzioni che si fece mettere per iscritto: Quidam dives rebus in dicta urbe, dictus Waldensis, audiens evangelia, cum non esset multum litteratus, curiosus intelligere quid dicerent, fecit pactum cum dictis sacerdotibus, alter ut transferret ei in vulgari, alter ut scriberet que ille dictaret, quod fecerunt; similiter multos libros Biblie et auctoritates sanctorum multas per titulos congregatas, quas sentencias appellabant. Que cum dictus civis sepe legeret et cordetenus firmaret, proposuit servare perfectionem evangelicam […] evangelia et ea que corde retinuerat per vicos et plateas predicando.51 47. Pubblicata in Rituel cathare, a cura di Christine Thouzellier, Paris, Éditions du Cerf, 1977, pp. 226-246. 48. Cfr. Kurt-Victor Selge, Die ersten Waldenser. Mit Edition des «Liber Antiheresis» des Durandus von Osca, Berlin, De Gruyter, 1967, p. 116. 49. Cfr. Christine Thouzellier, La Bible des cathares languedociens et son usage dans la contro­verse au début du XIIIe siècle, in Cathares en Languedoc, Toulouse, Privat, 1968, pp. 42-58. 50. Cfr. Rolf Zerfaß, Der Streit um die Laienpredigt. Eine pastoralgeschtliche Untersu‑ chung zum Verständnis des Predigtamtes und zu seiner Entwicklung im 12. und 13. Jahrhun‑ dert, Freiburg-Basel-Wien, Herder, 1974, e Vittorio Coletti, Parole dal pulpito. Chiesa e mo‑ vimenti religiosi tra latino e volgare, Casale Monferrato (Alessandria), Marietti, 1983. 51. «Un uomo molto ricco della suddetta città, di nome Valdesio, ascoltando i Vangeli, poiché non era molto colto, ma desiderava capire ciò che volevano dire, fece un patto con i

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In effetti i Poveri di Lione nel 1179 si erano presentati a Roma, a papa Alessandro III, in occasione del III concilio del Laterano e gli avevano sottoposto, perché ne venisse approvato il contenu­to, un manoscritto che accoglieva parecchi libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, e in particolare il libro dei Salmi con un commento.52 Costretti alla clandestinità dalla repressione inquisitoriale, i Poveri di Lione ancora agli inizi del secolo XIV si avvalevano di tra­duzioni in volgare, pur possedendo scritti biblici e teologici anche in lingua latina, e dovendo in ogni caso fare ampio ricorso, per predicare, alla memoria, in particolare quanti fra loro fossero anal­fabeti.53 Le vicende di cui fu protagonista Valdesio di Lione non appaiono molto diverse, per certi versi, da taluni episodi della vita di Francesco d’Assisi, verificatisi a distanza di un quarto di secolo. Mentre ancora conduceva una forma di vita eremitica, secondo la prima biografia agiografica, redatta a ridosso della canonizzazione da parte di papa Gregorio IX nel 1228, un giorno, durante la celebrazione della messa, egli aveva sentito leggere in latino il passo di un vangelo in cui si narrava della missione degli apostoli: ne aveva intuito il senso, ma solo in maniera generica, e allora si era rivolto al sacerdote per farselo tradurre in volgare e sommariamente spie­gare.54 Con il passare degli anni, per il tramite della consuetudine con la liturgia e delle conoscenze apprese nel contatto con i chierici che si erano fatti frati minori, Francesco d’Assisi acquistò una no­tevole familiarità con il latino biblico e con la cultura ecclesiastica: anche se non usò mai, in pratica, i metodi della retorica sacra. Lo dimostra l’episodio del medico che, per tale motivo, non era in grado di mandare a memoria i contenuti delle suddetti sacerdoti, con l’uno perché glieli traducesse in volgare, con l’altro perché mettesse per iscritto ciò che il primo dettava: cosa che essi fecero. E lo stesso venne fatto per molti libri della Bibbia e per molte auctoritates di santi, radunate per argomenti, che chiamavano “sentenze”. E quest’uomo, leggendo spesso quei testi e mandandoli a memoria, si propose di osservare la perfezione evangelica […] predicando per i vicoli e le piazze i vangeli e quanto aveva appreso a memoria». Étienne de Bourbon, Anecdotes historiques, légendes et apologues, a cura di Albert Lecoy de la Marche, Paris, Libraire Renouard, 1877, p. 291. 52. Cfr. Walter Map, De nugis curialium, a cura di Montague Rhodes James, revisione di Christopher Nugent Lawrence Brooke e Roger A. B. Mynors, Oxford, Clarendon Press, 1983: dist. I, cap. XXXI, pp. 124-129. 53. Bernard Gui, Manuel de l’Inquisiteur, a cura di Guillaume Mollat, 2 voll., Paris, Les Belles Lettres, 1964, vol. I, pp. 58-62. 54. Tommaso da Celano, Vita prima, in «Analecta Franciscana», X, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1926-1941, p. 19.

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sue prediche: «Non distinctionum clavibus utebatur, quia quos ipse non inveniebat, non ordinabat sermones».55 Ad ulteriore riprova del fatto che, nel periodo delle origini, la predicazione francescana non si rifaceva ai moduli tradizionali dell’omiletica ecclesiastica,56 basta riandare alla testimonianza di un chierico, Tommaso da Spalato. Egli ebbe occasione di assistere ad una predica che Francesco d’Assisi tenne a Bologna, sulla piazza antistante il palazzo comunale, il giorno della festa dell’Assun­zione della Vergine, nell’anno 1222, e cosi la descrisse: «ita bene et di­screte proposuit, ut multis literatis, qui aderant, fieret admirationi non modicae hominis idiotae; nec tamen ipse modum praedicantis tenuit, sed quasi concionantis».57 In altri termini Francesco gli era sembrato più un oratore politico che non un predicatore ecclesiastico. A pochi anni di distanza, il 3 ottobre 1228, una lettera indirizzata da papa Gregorio IX all’arcivescovo di Milano, Enrico Settala, conteneva l’ordine di mettere fine alla predicazione, al di fuori delle loro riunioni, ad opera degli Umiliati (appartenenti ad uno dei gruppi religiosi che erano incorsi nei divieti del 1184 e che, nei primi anni del secolo XIII, si erano poi riconciliati con la Chiesa romana). Il testo di quella lettera in seguito venne inserito nella raccolta delle Decretales, promossa dal pontefice nel 1234, ed assur­se al valore di divieto assoluto a predicare per i laici, anche se ap­partenenti in qualche modo ad un Ordine religioso.58 Ancora nell’ultimo quarto del secolo XIII si riscontreranno, al­meno nell’Italia padana, fenomeni di apostolato itinerante ad ope­ra di laici, ai quali era stato rifiutato l’ingresso negli ordini religiosi esistenti, come avvenne per i cosiddetti “Apostoli”. Quanto il cronista francescano Salimbene 55. Tommaso da Celano, Vita secunda S. Francisci, LXXIII, 107, ivi, pp. 193-194. 56. Carlo Delcorno, Origini della predicazione francescana, in Francesco d’Assisi e francescanesimo dal 1213 al 1226. Atti del IV Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 15-17 ottobre 1976), Assisi, Società internazionale di studi francescani, 1977, pp. 125-160, alle pp. 125 sgg.; Zelina Zafarana, La predicazione francescana, in Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel ’200. Atti dell’VIII Convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 16-18 ottobre 1980), Perugia, Università degli Studi di Perugia, 1982, pp. 203-250. 57. «Predicò cosi bene e con tanto discernimento, da riempire molti dotti presenti di ammirazione per il sermone di un uomo incolto; né peraltro egli seguiva le regole di chi predicasse, ma quasi quelle di chi tenesse un discorso». Thomas Spalatensis, Historia pontificum Salonitanorum et Spalatinorum, a cura di Lothar von Heinemann, in MGH, SS, XXIX, p. 580. 58. Cfr. Zerfaß, Der Streit um die Laienpredigt, pp. 254-255. Il testo è in Emil Friedberg, Corpus iuris canonici, 2 voll., Leipzig, Tauchnitz, 1879-1881.

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de Adam scrive, con pesante ironia, del loro principale esponente, Gerardo Segarelli da Parma, illustra comunque i limiti di un letteralismo scritturistico che si scontrava con un’inadeguata conoscenza del testo biblico in latino: «Verumtamen verbum Domini frequenter dicebat: “Penitençagite!” – Nesciebat enim exprimere, ut diceret: “Penitentiam agite”».59 Malgrado la proibizione generale di una predicazione ad opera di laici, prevista dal diritto canonico e da tutta la trattatistica omiletica, l’uso dei moduli della retorica sacra a fini espositivi non venne mai del tutto meno: ancora nella prima metà del secolo XIII un giudice, Albertano da Brescia, aveva pronunciato davanti ad un uditorio di giuristi e di religiosi alcuni sermoni in latino, nei quali aveva illustrato ai propri ascoltatori i principi fondamentali della giurisprudenza.60 Alla corte di Napoli, già a partire dal tem­po di Pier delle Vigne, ma soprattutto con re Roberto d’Angiò (13091343), si pronunciarono discorsi politici seguendo le norme del sermone ecclesiastico.61 Lo stesso avvenne nel regno di Arago­na, nei secoli XIV e XV, quando il modello del sermone sacro fu adottato nell’oratoria politica da parte dei sovrani, ma anche dell’élite legata alla corte regia.62 Se l’uso delle tecniche del sermo modernus nell’oratoria politica è già attestato nel secolo XIII ad opera di giuristi in veste di ambasciatori presso la corte papale, ovvero di ecclesiastici nel corso del­la loro azione in qualità di legati pontifici,63 per Francesco Petrar­ca assurgeva al livello di modello di scrittura, anche questa volta a fini diplomatici, a Parigi nel 1361.64 59. «In verità diceva di frequente la parola del Signore: “Penitenzate!”. Infatti non si sapeva esprimere in latino al punto di dire: Poenitentiam agite». Salimbene de Adam, Cronica, in MGH, SS, XXXII, p. 258. 60. Sermones quattuor. Edizione curata sui codici bresciani, a cura di Marta Ferrari, Lonato, Fondazione Ugo da Como, 1955. 61. Cfr. August Nitschke, Die Reden des Logotheten Bartholomäus von Capua, in «Quellen und Forschungen», 35 (1955), pp. 226-274, e Darleen N. Pryds, “Rex Praedi‑ cans”: Robert of Anjou and the Politics of Preaching, in De l’homélie au sermon, pp. 239-262. 62. Pedro M. Cátedra, Acerca del sermón político en la España medieval, in «Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona», 40 (1985-1986), pp. 419-447. 63. Si vedano rispettivamente George Lee Haskins e Ernst Hartwig Kantorowicz, A diplomatic Mission of Francis Accursius and his Oration before Pope Nicholas III, in «English Historical Review», 58 (1943), pp. 424-447, e Celestino Piana, I sermoni di Federico Visconti, arcivescovo di Pi­sa († 1277), in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 6 (1952), pp. 231-248, soprattutto alle pp. 241-242. 64. Carlo Godi, L’orazione del Petrarca per Giovanni il Buono, in «Italia medievale e umanistica», 8 (1965), pp. 45-83.

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Se ancora nella seconda metà del secolo XIII i moduli espressi­vi e i materiali omiletici erano in grado di influenzare in maniera cospicua testi cronistici redatti da frati mendicanti, del genere dei Chronica del francescano Salimbene da Parma e dei Chronica civitatis Ianuensis del domenicano Jacopo da Varazze,65 a riprova del gra­do di elaborazione formale cui era arrivata la retorica ecclesiastica in lingua latina il sermone assurse a modello di scrittura in lingua volgare: come accadde per una sorta di quaresimale che, nel 1381, venne scritto dal novelliere Franco Sacchetti, a commentare i van­geli della messa del giorno.66 Di vere e proprie prediche, scritte e pronunciate in latino da parte di laici, si può parlare invece per le confraternite devozionali di Firenze, nella seconda metà del secolo XV: se dapprima un personaggio come Giovanni Nesi (†1522), seguace della filosofia di Marsilio Ficino e in seguito rappresentante alquanto tipico dei Piagnoni sostenitori di Girolamo Savonarola, adotta nei testi delle proprie prediche il metodo della divisio, mutuato dalla tecnica del sermo modernus, secondo la «antiqua consuetudine di tutti gli oratori», gli ultimi sermoni da lui scritti riflettono una chiara influen­za della retorica degli umanisti fiorentini.67 A tale influsso furono in larga misura sensibili anche i predicatori ecclesiastici, i quali pronunciarono presso la corte papale a Roma numerose orazioni latine, che assai spesso vennero imme­diatamente diffuse anche a stampa. Se pure in questi testi il distac­co dalle forme della retorica omiletica, affermatasi a partire dagli inizi del secolo XIII, non era certo assoluto, anche in virtù della formazione ricevuta dai singoli predicatori presso i rispettivi Ordi­ni religiosi di appartenenza, «coram papa inter Missarum sollemnia» si affermò un genere di sermone latino di tipo umanistico: in esso i tratti specifici, quali furono teorizzati dal francescano Lorenzo Guglielmo Traversagni († 1505) nella Margarita eloquentiae castigatae (ovvero Rhe‑ 65. Cfr. Carla Casagrande e Silvana Vecchio, Cronache, morale, predicazione: Sa‑ limbene da Parma e Jacopo da Varagine, in «Studi medievali», ser. III, 30 (1989), pp. 749-788. 66. Franco Sacchetti, La battaglia delle belle donne. Le lettere. Le Sposizioni di Van‑ geli, a cu­ra di Alberto Chiari, Bari, Laterza, 1938. 67. Cesare Vasoli, Giovanni Nesi tra Donato Acciainoli e Girolamo Savonarola. Testi editi e inediti, in «Memorie Domenicane», n.s., 4 (1973), pp. 103-179 (la citazione è a p. 134); Olga Zorzi Pugliese, Two Sermons by Giovanni Nesi and the Language of Spirituality in Late Fifteenth-Century Florence, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 42 (1980), pp. 641-656.

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torica nova), erano costituiti dalla presenza del proemio e di una sezione narrativa a precedere la perorazione finale.68 4. Il sermo modernus e gli Ordini mendicanti Nel corso del secolo XII i sermoni dei maestri parigini e dei teologi di S. Vittore non apparivano poi tanto diversi da quelli redatti e predicati da monaci e da canonici regolari, in ispecie nel sovrabbondare delle suddivisioni interne al testo, farcito di dotte elucubrazioni di carattere allegorico.69 A distinguere dai sermoni e dalle omelie di età patristica e medievale, tramandati sino ad allora soprattutto in quegli ambienti, le forme di predicazione che si affermarono a partire dai primi decenni del secolo XIII, venne coniata l’espressione di sermo moder­nus.70 La gestazione delle nuove modalità di redazione dei testi latini delle prediche ebbe luogo in particolare nell’ultima parte del secolo XII, negli ambienti dei chierici interessati a promuovere la ri­forma della Chiesa anche sul piano del governo pastorale dei laici.71 Esse si diffusero però, in maniera omogenea, in tutta l’Europa degli ultimi secoli del medioevo, in quanto vennero fatte proprie dai nuovi Ordini religiosi sorti con l’appoggio del papato, i frati mendicanti: i Minori, detti comunemente francescani, ed i Predi­catori, denominati usualmente domenicani. 68. John W. O’Malley, Praise and Blame in Renaissance Rome. Rhetoric, Doctrine and Reform in the Sacred Orators of the Papal Court, c. 1450-1521, Durham (NC), Duke University Press, 1979, e Id., Form, Content and Influence of Works about Preaching before Trent: The Franciscan Contribution, in I frati Minori tra ’400 e ’500. Atti del XII convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 18-20 ottobre 1984), Perugia, Università - Assisi, Centro di studi francescani, 1986, pp. 25-50. 69. Cfr. Jean Châtillon, Sermons et prédicateurs victorins de la seconde moitié du XIIe siècle, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 32 (1966), pp. 7-60; Jean Longère, Oeuvres oratoires des maîtres parisiens au XIIe siècle. Étude historique et doctrinale, Paris, Études Augustiniennes, 1975. 70. Cfr. Carlo Delcorno, La predicazione nell’età comunale, Firenze, Sansoni, 1974; David L. D’Avray, The Preaching of the Friars, Oxford, University Press, 1985 (19882); Louis-Jacques Bataillon, La prédication au XIIIe siècle en France et Italie, a cura di David L. D’Avray e Nicole Bériou, Aldershot, Variorum Reprint, 1993. 71. Cfr. Thomas de Chobham, Summa de arte praedicandi, a cura di Franco Morenzoni, Turnhout, Brepols, 1988.

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Fin dagli inizi Domenico di Caleruega e i suoi primi compagni, allo scopo di fronteggiare l’espansione dei gruppi ereticali, avevano predisposto nelle costituzioni del proprio Ordine una precisa organizzazione degli studi, che venne progressivamente mutuata anche dai frati Minori, per i religiosi destinati alla predicazione.72 Agli studia generalia, eretti presso le maggiori università (a Parigi nel 1229 ed a Bologna nel 1248), erano indirizzati i religiosi più promettenti, mentre ogni provincia dell’Ordine aveva uno studium provinciale ed anche ogni singolo insediamento mendicante uno studium conventuale.73 Una struttura siffatta comportava un’ininterrotta circolazione di uomini fra i conventi e di testi nelle biblioteche. Gli intellettuali ecclesiastici, che nelle università svolgevano al massimo livello la riflessione filosofica, teologica e canonistica, erano l’espressione di un’élite chiericale, la quale si prefiggeva anche lo scopo di elabo­rare un’articolata serie di sussidi per i religiosi addetti al ministero pastorale della predicazione e dell’ascolto delle confessioni. In ef­fetti, a differenza di quanto era accaduto nei secoli centrali del medioevo, a cagione dei fermenti pauperistici ed evangelici e del­la sfida dei movimenti ereticali, a partire dal secolo XIII si impose una pastorale della parola in cui era centrale la trasmissione, dal clero ai fedeli, delle verità da credere, dei comportamenti da tene­re, delle devozioni da praticare.74 Il predicatore dei secoli XIII-XV, non importa se francescano o domenicano, in linea di principio non era ritenuto un semplice ripetitore dal pulpito, un volgarizzatore dei testi di sermoni, di omelie, di prediche, tramandati in lingua latina nel corso dei seco­li. Ci si aspettava, anzi, che il singolo frate da sé redigesse in latino i propri sermoni, prima di rivolgersi in lingua volgare al pubblico dei fedeli (in realtà, a fronte di un’enorme massa di 72. Marie-Humbert Vicaire, La prédication nouvelle des prêcheurs méridionaux au XIIIe siècle, in Le Credo, la Morale et l’Inquisition, Toulouse, Privat, 1971, pp. 21-64; Jean-Pierre Renard, La formation et la désignation des prédicateurs au début de l’Ordre des Prêcheurs (1215-1237), Fribourg (Suisse), Impr. St. Canisius, 1977. 73. Giulia Barone, La legislazione sugli “studia” dei predicatori e dei minori, in Le scuole degli ordini mendicanti, pp. 205-247. 74. Pierre Michaud-Quantin, Les méthodes de la pastorale du XIIIe au XVe siècle, in Methoden in Wissenschaft und Kunst des Mittelalters, a cura di Albert Zimmermann, Berlin, De Gruyter 1970, pp. 76-91, e Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt, Nel XIII secolo. Una pa­rola nuova, in Storia vissuta del popolo cristiano, a cura di Jean Delumeau (1979), ediz. it. a cura di Franco Bolgiani, Torino, Società editrice internazionale, 1986, pp. 307-330.

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sermoni latini tramandati nei manoscritti, il numero dei loro autori, anche anonimi, appare assai ridotto, al paragone di quello dei predicatori che ne fecero uso).75 Naturalmente nella lingua latina, in cui veniva impartito l’insegnamento negli studia dei religiosi, erano redatti anche i diversi sussidi predisposti per agevolare la redazione dei sermoni:76 se fi­no agli inizi del secolo XIII una predica consisteva, di norma, nel­l’illustrazione del brano biblico letto nel corso della liturgia di quel giorno, caratteristico del sermo moder‑ nus è il fatto di prendere le mosse da un passo della Scrittura per esporre i fondamenti delle dottrine teologiche e religiose. Allo scopo di raggiungere la propria finalità espositiva, era necessario che, già a livello della predica scritta in latino, si assicuras­se al testo un tipo di organizzazione assai più sistematico, rispetto a quanto si era verificato in precedenza. A partire dagli inizi del se­colo XIII, ed arrivando ai primordi del secolo XVI, vennero com­posti oltre trecento trattati di retorica sacra, denominati artes prae­dicandi.77 In esse veniva teorizzata, ed elaborata in dettaglio, una tecnica di articolazione nella materia delle prediche, in divisioni ed in suddivisioni che si richiamavano a vicenda, applicando dun­que al linguaggio della predicazione i precetti della dialettica. Il metodo adottato dal sermo modernus consentiva la redazione di una serrata struttura testuale, con uno scopo di natura mnemonica: fa­cilitare l’apprendimento di una predica, in primo luogo ad opera del religioso che la doveva pronunciare, ed inoltre da parte dei fe­deli i quali potevano memorizzare l’insegnamento religioso rice­vuto dai pulpiti. 75. Per le raccolte di prediche redatte in lingua latina si veda Johannes Baptist Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters für die Zeit von 11301330, 9 voll., Münster, Aschendorff, 1969-1980; Index der Textanfänge, X-XI, a cura di Charles Lohr et alii, Münster, Aschendorff, 1989-1990. 76. Cfr. Louis-Jacques Bataillon, Les instruments de travail des prédicateurs au XIIIe siècle, in Culture et travail intellectuel dans l’Occident médiéval, a cura di Geneviève Hasenohr e Jean Longère, Paris, Centre national de la recherche scientifique, 1981, pp. 197-209. 77. Thomas-Marie Charland, “Artes praedicandi”. Contribution à l’histoire de la rhétorique au Moyen Age, Paris-Ottawa, Vrin-Institut d’Études médiévales, 1936; James Jerome Murphy, Rhetoric in the Middle Ages. A History of Rhetorical Theory from St. Au‑ gustine to the Renaissance, Berkeley, University of California Press, 1974 (trad. it. Napoli, Liguori, 1983), e Id., Medieval Rhetoric: A Select Bibliography, Toronto, University of Toronto Press, 1989 (1a ed. 1971); Marianne G. Briscoe e Barbara H. Jaye, Artes praedicandi. Artes orandi, Turnhout, Brepols, 1992.

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Ad assicurare questo risultato nella predicazione effettiva intervenne anche l’inserzione, nella struttura del sermo modernus, degli exempla. Si trattava di veri e propri racconti, la cui funzione consi­steva principalmente nel fissare, nella mente dei fedeli che ascol­tavano le prediche, il contenuto degli elementi principali dell’in­segnamento religioso loro impartito: per mezzo di un aneddoto edificante, che assumeva dunque le caratteristiche di un «récit ef­fi cace»78 (analogo uso veniva fatto anche delle similitudines).79 Fu­rono allora compilate specifiche raccolte di exempla, in un reperto­rio di natura antologica il cui contenuto ebbe la tendenza a stabi­lizzarsi assai presto, salvo essere riformulato, ad esempio per il tra­mite di svariati metodi di indicizzazione, in modi cioè che ne con­sentissero una consultazione più agevole.80 Con il trascorrere del tempo, peraltro, l’iniziale orientamento religioso dell’exemplum finì con l’indebolirsi a favore del suo carattere intrinsecamente narrativo: in una certa misura, legenda agiografica, exem‑ plum omi­letico e novellistica volgare appaiono essere settori testuali forte­ mente collegati fra loro.81 Le ricorrenze delle festività dei santi si infittirono nei calendari liturgici e civili, negli ultimi secoli del medioevo, e per le numerose prediche d’occasione che vi dovevano essere tenute si fece am­pio ricorso al materiale tramandato nelle legendae agiografìche: al­la lettera, “scritti da leggere”, indirizzati primariamente all’edifica­zione degli ascoltatori, sia chierici sia 78. Jean-Thiébaut Welter, L’“exemplum”dans la littérature religieuse et didactique du Moyen Age, Paris-Toulouse, Occitania, 1927; Frederic C. Tubach, “Index exemplorum”. A Handbook of Medieval Religious Tales, Helsinki, Academia Scientiarum Fennica, 1969; Jacques Berlioz, Le récit efficace: l’“exemplum” au service de la prédication (XIIIe-XVe siècles), in Rhétorique et histoire. L’ “exemplum” et le modèle de comportement dans le di‑ scours antique et médiéval, in «Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Age-Temps Modernes», 92 (1980), pp. 113-146; Claude Brémond, Jacques Le Goff, Jean-Claude Schmitt, L’“exemplum”, Turnhout, Brepols, 1982; Les “Exempla” médiévaux. Introduc‑ tion à la recherche, suivie des tables critique de l’“Index exemplorum” de Frederic C. Tubach, a cura di Jacques Berlioz e Marie-Anne Polo de Beaulieu, Carcassonne, GaraeHésiode, 1992. 79. Cfr. Louis-Jacques Bataillon, “Similitudines” et “exempla” dans les sermons du XIIIe siècle, in The Bible in the Medieval World. Essays in Memory of Beryl Smalley, a cura di Katherine J. Walsh e Diana S. Wood, Oxford, Blackwell, 1985, pp. 191-205. 80. Cfr. Richard H. Rouse, “Statim invenire”: Schools, Preachers and New Attitudes to the Page, in Renaissance and Renewal in the Twelfth Century, a cura di Robert L. Benson e Giles Consta­ble, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1982, pp. 201-225. 81. Carlo Delcorno, Exemplum e letteratura. Tra Medioevo e Rinascimento, Bologna, il Mulino, 1989.

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laici. Ben presto esse venne­ro raccolte in collezioni, ordinate secondo il susseguirsi delle feste nel calendario, sulla base di un modello che raggiunse la massima affermazione con la cosiddetta Legenda aurea del frate domenicano Jacopo da Varazze, scritta tra 1260 e 1270.82 La parte più rilevante fra gli strumenti predisposti per la redazione di un sermone latino era però costituita dai sussidi biblici, dal momento che l’elemento caratterizzante del sermo modernus era rappresentato dal the‑ ma, vale a dire da un versetto scritturistico posto all’inizio della predica, scelto nelle letture previste dalla li­turgia del giorno. Se il thema era dunque ricavato, in pratica senza eccezioni, dalla Sacra Scrittura, ogni predicatore doveva avere ac­cesso non solo ad una Bibbia manoscritta, ma anche ad un nuovo strumento, elaborato a Parigi, fra 1230 e 1235, da un’équipe di frati Predicatori diretti da Ugo di Saint-Cher: la concordantia biblica, che consentiva di individuare, rapidamente, tutti i passi paralleli della Scrittura, ricorrendo ai quali era possibile strutturare l’im­pianto complessivo di una predica.83 Le parole del thema iniziale di una predica, infatti, venivano in genere ripartite in tre o quattro parti, sulla cui base si articolava poi il testo. Sin dalla fine del secolo XII erano già entrate in circolazione, nelle scuole di Parigi, altre raccolte, denominate distinctiones, come la Summa Abel di Pietro il Cantore († 1197) o le Distinctiones monasticae dei cistercensi, in cui per una serie di parole della Bibbia, or­dinate alfabeticamente, venivano forniti i quattro sensi dell’inter­pretazione (letterale, allegorico, morale, anagogico). A partire dal­la metà del secolo XIII i frati mendicanti iniziarono a collocare, in corrispondenza di un singolo lemma, addirittura lo schema di una predica, con le proprie divisioni e suddivisioni.84 Il ricorso 82. Cfr. Carlo Delcorno, Il racconto agiografico nella predicazione dei secoli XIII-XV, in Agiografìa nell’Occidente cristiano (secoli XIII-XV), Atti dei Convegni Lincei (Roma, 1-2 marzo 1979), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1980, pp. 79-114; “Legenda au‑ rea”. Sept siècles de diffusion, a cura di Brenda Dunn-Lardeau, Montréal-Paris, Bellarmin -Vrin, 1986; Jacopo da Voragine. Atti del I Convegno di studi (Varazze, 13-14 apri­le 1985), Cogoleto (Genova), Ed. Sma-Centro Studi Jacopo da Varagine, 1987. 83. Richard H. Rouse and Mary A. Rouse, The Verbal Concordances to the Scriptures, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 44 (1974), pp. 5-30. 84. Richard H. Rouse and Mary A. Rouse, Biblical Distinctions in the Thirteenth Century, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 41 (1974), pp. 27-37; Louis-Jacques Bataillon, Intermédiaires entre les traités de morale pratique et les sermons: les “Distinctiones” bibliques alphabétiques, in Les genres littéraires dans les sources théologiques, pp. 213-226. Si veda anche Mark Zier, Preaching by Distinction:

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a cita­zioni tratte dalla Sacra Scrittura, concatenate fra loro, venne ulteriormente agevolato dalla redazione definitiva della concordantia biblica, avvenuta intorno al 1286. Non si deve sottovalutare, peral­tro, l’influenza di compilazioni del genere della Glossa continua su­per quatuor evangelia di Tommaso d’Aquino, meglio nota come Ca­tena aurea.85 Il sermone latino, frutto del ricorso a quei sussidi, si inquadrava nel contesto di una cultura del florilegio. Ignoti alla cultura monastica, ed invece in stretto rapporto con le caratteristiche e le esi­genze dell’insegnamento universitario, si erano in verità moltipli­cati gli strumenti di facile consultazione: ordinati in base all’alfa­beto, con una serie di rimandi interni che esigevano una riparti­zione dei testi in libri, capitoli e pagine. Basti pensare al Manipulus florum, terminato da Tommaso d’Irlanda intorno al 1306, nel cui prologo vengono citate ben 366 opere (anche se, in realtà, l’autore fece principalmente ricorso a florilegi anteriori, in particolare ci­ stercensi, al commento biblico detto Glossa ed alla raccolta nor­mativa del Decretum Gratiani). Il risultato fu la raccolta di circa 6.000 brani estratti dai Padri e dai Dottori della Chiesa, ed anche dagli autori classici, ripartiti in lemmi secondo l’ordine alfabetico e dotati di efficaci rimandi.86 I metodi di lavoro delle scuole pari­gine erano dunque entrati al servizio della pastorale ecclesiastica. Lo studio della tradizione manoscritta attesta al contrario in quale limitata misura le artes praedicandi venissero utilizzate in mo­do diretto ad opera dei singoli predicatori, allo scopo di costituire una propria raccolta di sermoni: presso di loro si oscillava, in effet­ti, fra la collezione di «readymade sermons» e quella di «model sermons».87 L’affermarsi della predicazione secondo le tecniche del sermo mo‑ dernus implicò anche una fondamentale riorganizzazione nei metodi della Peter Comestor and the Communication of the Gospel, in «Ephemerides Liturgicae», 105 (1991), pp. 301-329. 85. Cfr. Louis-Jacques Bataillon, Les sermons de saint Thomas et la “Catena Aurea”, in St. Thomas Aquinas 1274-1974. Commemorative Studies, 2 voll., a cura di Armand Augustine Maurer et alii, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1974, vol. I, pp. 64-75. 86. Preachers, Florilegia and Sermons: Studies on the “Manipulus florum” of Tho‑ mas of Ireland, a cura di Richard H. Rouse e Mary A. Rouse, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1979. 87. Cfr. David L. D’Avray, “Collectiones fratrum” et “collationes fratrum”, in «Archivum Franciscanum Historicum», 70 (1977), pp. 152-156.

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trasmissione dei sermoni latini, che vennero innanzitutto messi in circolazione in raccolte tematiche, ispirate all’ordi­namento dell’anno liturgico: si ebbero in primo luogo sermonari quadragesimales, ed in seguito anche ad‑ ventuales, e furono assai dif­fusi quelli de sanctis e pure quelli de tempore. Ad un ulteriore livello di ordinamento corrispondevano, invece, raccolte a soggetto, ad esempio di sermones ad status, indirizzati cioè alle diverse condizio­ni sociali,88 oppure redatti per i riti della celebrazione del matri­ monio89 e delle esequie funebri.90 Quanto alla legislazione sinodale, in particolare in Francia e in Inghilterra a partire dagli inizi del secolo XIII, non vi si prescriveva al clero curato l’utilizzazione di particolari strumenti omiletici: di conseguenza, con il passare del tempo, anche per i chierici seco­lari vennero redatte raccolte di sermoni formulati secondo i pre­cetti della nuova retorica sacra.91 5. I divi della parola e le forme della scrittura Nel periodo di transizione, che caratterizzò la chiusura del grande scisma d’Occidente (1378-1417) ed i decenni della crisi con­ciliare sino al 1449, si affermarono le figure carismatiche di alcuni predicatori itineranti, i cui rappresentanti più significativi furono il frate domenicano Vincenzo Ferrer († 1419) ed il frate minore dell’Osservanza Bernardino degli Albizzeschi da Siena († 1444). A partire dal 1398 il domenicano percorse, nel ventennio che lo separava dalla morte a Vannes, in Bretagna, un’area che abbracciava i regni di Castiglia e di Aragona nella penisola iberica, l’Italia nord-occidentale, la Germania meridionale e la Svizzera, il mez­zogiorno della Francia e la 88. David L. D’Avray, Sermons to the Upper Bourgeoisie by a Thirteenth-Century Franciscan, in The Church in Town and Countryside, Oxford, Blackwell, 1979, pp. 187199, e Carla Casagrande, Prediche alle donne del secolo XIII, Bompiani, Milano, 1978. 89. David L. D’Avray and Martin Tausche, Marriage Sermons in “ad status” collec‑ tions of the Central Middle Ages, in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age», 47 (1980), pp. 71-119. 90. David L. D’Avray, Sermons on the Dead before 1350, in «Studi medievali», s. III, 31 (1990), pp. 207-223. 91. Cfr. Longère, La prédication médiévale, pp. 82-84, ed Enzo Petrucci, Vescovi e cura d’anime nel Lazio (sec. XIII-XV), in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI seco­lo, a cura di Giuseppina De Sandre Gasparini et alii, Roma, Herder, 1990, soprattutto pp. 499-524.

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Bretagna. La lingua utilizzata per rivol­gersi alle folle dei fedeli era, in ogni caso, il cathalonicum ovvero catholonicum,92 come è dimostrato anche dall’esistenza di riportazioni, in quella lingua, di diversi cicli di predicazione da lui tenuti. In occasione delle prediche pronunciate a Tolosa nel 1416, le pa­role di Vincenzo Ferrer vennero riportate dagli ascoltatori sia nel­l’idioma da lui usato sia in lingua latina. Come rammentava anche il tenore delle affermazioni contenute nelle prime edizioni a stampa dei Sermones vicentini (pubblicate a partire dal 1475), il te­sto latino dipendeva da reportationes effettuate dagli ascoltatori, in circostanze sulle quali ci si diffondeva ampiamente anche nelle deposizioni al processo di canonizzazione del frate: Plures valentes viri, theologi et juristae, […] promptam manum habentes ad scribendum sermonem, quem ipse magister Vincentius pronunciabat, de verbo ad verbum tam in latino quam in vulgari integraliter scripserunt. Et dictae reportationes sive collectae sermonum […] fuerunt ex post per multos scientificos transumptati sive scripti et ad diversas mundi partes transportati.93

Di tale prassi scrittoria la memoria ebbe modo di riflettersi an­che nell’iconografia, in rappresentazioni artistiche di Vincenzo Ferrer eseguite in Italia a partire dal 1429-1430 circa, in Germania intorno al 1494-1495 ed in Spagna nei primi decenni del secolo XVI.94 In ogni caso, tanto i sermoni latini quanto le prediche catalane attribuite al frate domenicano erano, nella sostanza, rielaborazioni effettuate a partire da note prese nel corso delle sue prediche. L’esito linguistico di un siffatto processo redazionale era peraltro connesso alle finalità del testo 92. Pierre-Henri Fages, Procès de la canonisation de saint Vincent Ferrier, ParisLouvain, Picard-Uystpruyst, 1904, p. 9 e 31: tenuto nel 1454, si riferiva in particolare alla predica­zione tolosana del 1416. 93. «Molti uomini di valore, teologi e giuristi, […] potendo scrivere prontamente il sermone, che lo stesso maestro Vincenzo pronunciava, lo scrissero integralmente, parola per parola, sia in latino sia in volgare. E dette riportazioni ovvero raccolte di sermoni […] furono poi traslate ovvero scritte da molti esperti e trasportate nelle diverse parti del mondo». Dalla testimonianza dell’arcivescovo Bertran de Roserge, ivi, p. 279. Cfr. p. 345: «multi viri periti et litterati eius sermones scribentes tam in latino quam in vulgari sive romantio». 94. Roberto Rusconi, Vicent Ferrer e Pedro de Luna: sull’iconografia di un predi‑ catore fra due ob­bedienze, in Conciliarismo, stati nazionali, inizi dell’Umanesimo. XXV Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 1988), Spoleto (Perugia), CISAM, 1990, pp. 213-233.

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che ne sortiva, concepito come prodotto di letteratura devozionale ovvero come strumento omileti­co per altri predicatori: chierici, laici e monaci, nel riportare e nel ricopiare le prediche venivano comunque guidati da un’idea di utilitas. Analoga situazione si può riscontrare, in verità, nelle vicende del francescano osservante Bernardino da Siena:95 per il quale, anzi, è possibile effettuare una comparazione fra il testo latino del sermone, da lui redatto di persona, e la predica in volgare riportata dagli ascoltatori. Nel suo caso, poi, i livelli di ricezione della predicazione effettiva si moltiplicarono ulteriormente, nel senso che, nelle medesime circostanze, talune prediche vennero riportate sia in volgare sia in latino. La misura del concreto livello di ricezione del testo della predica, allora, era data in primo luogo da manipolazioni e da fraintendimenti, dovuti a riportatori, a redattori, a co­pisti.96 Alla fine, ad essere messe in circolazione furono soprattutto le raccolte di sermoni latini redatti dallo stesso Bernardino, il quaresimale De christiana religione (1429-1436) ed il quaresimale De Evan­gelio aeterno (1436-1440): anche perché concepite e strutturate allo scopo di servire da modello per gli altri predicatori dell’Osservan­za minoritica ed a tal punto diffuse in copie manoscritte da venire messe a stampa solo negli ultimi due decenni del secolo XV ed es­sere pubblicate al di fuori dell’Italia. In tale contesto venne ad es­sere assai condizionata la produzione di ulteriori raccolte di ser­moni latini da parte dei predicatori che al modello bernardiniano si rifacevano, in quanto sulle raccolte del predicatore senese si svolgeva la loro formazione oratoria iniziale. Lo dichiarava, in modo aperto, in un panegirico del santo, un altro francescano, Ro­berto Caracciolo da Lecce († 1495): Omnes fratres minores in hoc genere dicendi famosissimi et quicumque alii etiam de aliis ordinibus mendicantium pro maiori parte conati sunt imitari modum et regulam atque stilum ipsius sancti Bernardini. Adhuc et multi ex his sermones illius populis pronuntiarunt […]. Ego etiam […] Bernardinum illum habui in stilo pronunciandi necnon scribendi patrem et preceptorem. Et 95. Bernardino predicatore nella società del suo tempo. XVI Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale (Todi, 9-12 ottobre 1975), Todi (Perugia), Accademia Tudertina, 1976. 96. Carlo Delcorno, La diffrazione del testo omiletico. Osservazioni sulle doppie “re‑ portationes” delle prediche bernardiniane, in «Lettere italiane», 38 (1986), pp. 457-477.

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licet illum non viderim legi tamen sermones amenissimos quos compilavit. Predicavi et illos quinque annis licet postmodum alios ego confecerim.97

Caratteristica specifica dei sermoni latini di Bernardino da Siena, come della maggior parte delle raccolte redatte da predicatori popolari nel corso del secolo XV, in Italia e anche nella Francia di Giovanni Gerson,98 era una drastica semplificazione della struttu­ra retorica del sermo modernus, nel testo del quale veniva esasperato il «didactisme énumeratif».99 Negli ultimi decenni del secolo XV la produzione omiletica messa a stampa in latino, a prescindere da una circolazione su scala continentale agevolata dall’adozione della lingua della Bibbia e della liturgia ecclesiastica, rifletteva in una certa misura le caratteristiche della prassi pastorale, alquanto diverse da paese a paese. Le raccolte pubblicate da predicatori italiani, per lo più frati dell’Os­servanza minoritica, e di solito durante la loro vita, assunsero con sempre maggiore frequenza l’assetto di un trattato tematico redat­to in forma di sermone (ad esempio il Quadragesimale seu sermonarium duplicatum, scilicet per Adventum et Quadragesimam de penitentia et eius partibus, di Michele Carcano da Milano, stampato nel 1487), mentre conobbero una notevole fortuna editoriale le raccolte di sermones de sanctis. Ad una ripresa delle prediche rivolte alle diverse categorie della società (ad status) facevano riscontro raccolte tematiche come i Sermones funebres et nuptiales, pubblicati nel 1495 dal frate domenicano Gregorio Britannico.100 97. «Tutti i frati Minori piu famosi in questo genere di oratoria, e tutti gli altri, anche degli altri Ordini mendicanti, per la maggior parte si sono sforzati di imitare i modi e le norme e lo stile dello stesso san Bernardino. Ed ancora, molti di questi hanno predicato al popolo i suoi sermoni […]. Anche io […] ebbi proprio Bernardino per padre e per precettore, nello stile oratorio e nella scrittura. E benché non lo abbia conosciuto, lessi i suoi bellissimi sermoni, che compilò. Li predicai anche per cinque anni, e in seguito ne redassi degli altri». Roberto da Lecce, Sermones de laudibus sanctorum, Venezia, B. Benagli, 1490, f. 215a. 98. Cfr. Hervé Martin, Le métier de prédicateur en France septentrionale à la fin du Moyen Age (1350-1520), Paris, Éditions du Cerf, 1988. 99. Martin, Les procédés didactiques en usage dans la prédication, p. 72; cfr. Id., La predicazione e le masse del XV secolo. Fattori e limiti di un successo, in Storia vissuta, pp. 455-489. Si veda anche Carlo Delcorno, L’“ars praedicandi” di Bernardino da Siena, in «Lettere italiane», 32 (1980), pp. 441-475. 100. Roberto Rusconi, Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamento religio‑ so in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Rifor­ma, a cura di Paolo Prodi e Peter Johanek, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 259-315.

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Nei paesi di lingua tedesca, invece, prevalse la pubblicazione di raccolte omiletiche redatte da frati degli ordini mendicanti, ma indirizzate in primo luogo al clero secolare in cura d’anime, come i Sermones discipuli de tempore et de sanctis per circulum anni cum promptuario exemplorum, del domenicano Giovanni Herolt († 1486), stampati a Norimberga nel 1481,101 oppure i Sermones “Dormi secure” dominicales, e de sanctis, del francescano Giovanni di Werden (†1437), editi nella medesima città nel 1486 e nel 1489. Il rapporto fra raccolte latine di sermoni e predicazione effetti­va, negli ultimi decenni del secolo XV, appare ben indicato dal Rosarium sermonum predicabilium, pubblicato nel 1498 da un altro francescano osservante, Bernardino Busti da Milano, e ristampato in Francia a Lione nel 1502: «Duo magna volumina edidit», commentò un cronista del suo Ordine, «que tot sermones et materias predicabiles complectentur, ut cum ipsis pluribus annis in una eadem civitate quis predi­care potest».102 Una serie di indici consentivano di utilizzare quella raccolta, usufruendo in effetti anche di accorgimenti tipografici che rimandavano agli specifici paragrafi del testo, quasi si trattasse di una sorta di enciclopedia di materiale predicabile, cui si accede­va attraverso una Tabula rubricarum et continentie sermonum, una Ta­bula alphabetica, ed una Tabula per totum annum. Arrivati a quel pun­to di elaborazione, grazie all’ausilio della stampa, era divenuto inutile per il singolo predicatore redigere una propria raccolta di sermoni, vuoi ricopiandoli e scegliendoli da altre sillogi vuoi redi­gendone di propri. Il prodotto finale era costituito, però, da prediche del genere di quella descritta da Teofìlo Folengo, in maniera del tutto sarcastica, con i versi del Baldus, pubblicato nel 1517: Durabat grossam iam praedica Cingaris horam, quem cuncti fratrem pensassent esse Robertum: allegat enim Sextum, Decretale, Decretum, Angelicam, Glosam, Bibiam sanctumque Tomasum. Non fuit in fratrum studiis bacalarius unquam, 101. Richard G. Newhauser, From Treatise to Sermon: Johannes Herolt on the “novem peccata alie­na”, in “De Ore Domini”, pp. 185-209. 102. «Pubblicò due grandi volumi, i quali comprendono un tal numero di sermoni ed argomenti per la predicazione, che ognuno con il loro ausilio può predicare nella stessa città per parecchi anni». Marianus Florentinus, Compendium Chronicarum Fratrum Minorum, in «Ar­chivum Franciscanum Historicum», 4 (1911), pp. 318-339, a p. 324.

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atque catedrantus scotistaque doctior alter. Totas utrorum voltat sotosora baianas, argumenta facit, negat hinc, probat inde medemum.103

In verità, al volgere del secolo XV, il processo di redazione dei sermoni latini era sottoposto ad una forte pressione da parte della prassi di predicare ai fedeli nella loro lingua. Si davano, certo, casi particolari: se nel corso della propria missione itinerante, agli inizi del secolo, il domenicano Vincenzo Ferrer aveva potuto ricorrere alla contiguità linguistica dei vari idiomi romanzi per predicare in catalano, nel suo viaggio nei paesi di lingua tedesca a metà del secolo (1451-1453) il francescano Giovanni da Capestrano pronunciò le proprie prediche in latino (lingua nella quale vennero riportate dagli ascoltatori) e dovette invece fare ricorso ad un traduttore, af­fi nché contestualmente le volgarizzasse dal pulpito ai fedeli.104 Quanto poi alla mescidanza di latino e di volgare nella predicazione effettiva, indicata con il termine “macaronismo”,105 in parti­colare nella predicazione italiana della fine del secolo XV, deve essere considerata in prima istanza un fenomeno di carattere edi­toriale: la configurazione linguistica mista del testo era frutto piuttosto del passaggio dalla predica in volgare, attraverso una reportatio, ad un successivo rimaneggiamento del testo ad opera dei trascrittori, come nel caso dei sermoni manoscritti del francesca­no dell’Osservanza Bernardino Tomitano da Feltre († 1494),106 103. «Durava già la predica di Cingar un’ora abbondante, / e tutti pensavano che egli fosse frate Roberto [da Lecce]: / allega infatti il Sesto, la Decretale, il Decreto, / la [Summa] Angelica, la Glossa, la Bibbia e San Tommaso. / Non vi fu mai negli studi dei frati un baccelliere, / o un altro cattedratico e scotista più dotto. / Volta e rivolta ogni baggianata, / presenta argomenti, e la stessa cosa che nega qui, la afferma là». Baldus, lib. IX, vv. 242249, in Opere di Teofilo Folengo. Appendice: I maccheronici pre-folenghiani, a cura di Carlo Cordié, Milano-Napoli, Ricciardi, 1977, pp. 287 sg. 104. Łucjan Łuszczki, De sermonibus S. Joannis a Capistrano. Studium historicocriticum, Romae, Pontificium Athenaeum Antonianum, 1961; cfr. Kaspar Elm, Johannes Kapistrans Predigtreise diesseits der Alpen (1451-1456), in Lebenslehren und Welt­entwürfe im Übergang vom Mittelalter zur Neuzeit, a cura di Hartmut Boockmann, Bernd Möller, Karl Stackmann, Ludger Grenzmann, Göttingen, Vandenhoek & Ruprecht, 1988, pp. 500-519. 105. Per due aree diverse si vedano Pedro Manuel Cátedra García, Dos estudios sobre el sermón en la España medieval, Barcelona, Universitat Autònoma de Barcelona, 1981, e Siegfried Wenzel, Preachers, Poets, and the Early English Lyric, Princeton (NJ), University Press, 1986. 106. Sermoni del Beato Bernardino Tomitano da Feltre, a cura di Carlo Varischi, 3 voll., Milano, Renon, 1964.

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oppure una conseguenza del procedimento editoriale, che venne attuato per i Sermones quadragesimales di Cherubino da Spoleto, pubblicati dopo la sua morte (Venezia, G. Arrivabene, 1502), e per le prediche del bretone Olivier Maillard e di Michel Menot in Francia.107 Al termine di questo itinerario, e non solo dal punto di vista cronologico, si colloca il frate domenicano Girolamo Savonarola († 1498), il quale compilava gli abbozzi dei propri sermoni in latino e li pronunciava in volgare. Le sue prediche venivano riportate dagli ascoltatori, ed egli stesso ne rivedeva il testo prima che fosse rapidamente messo a stampa. Per scritti di maggiore rilevanza, quale una sorta di autobiografia profetica che porta il titolo Com­pendio di rivelazioni, fu il frate in persona, però, a curarne il testo in una duplice redazione, dapprima in volgare ed in seguito in latino: scritte tra la primavera e l’estate del 1495, vennero messe a stampa in due differenti edizioni, in quello stesso anno.108

107. Per una diversa ipotesi si veda Lucia Lazzerini, “Per latinos grossos…”. Studi sui ser­moni mescidati, in «Studi di Filologia Italiana», 29 (1971), pp. 219-339. 108. Girolamo Savonarola, Compendio di rivelazioni e “Dialogus de veritate prophe‑ tica”, a cura di Angela Crucitti, Roma, A. Belardetti, 1974; Vincenzo Romano, Predicazio‑ ni savonaroliane e attività redattrice dei primi editori, in «La Bibliofilia», 69 (1967), pp. 277-308; Gian Carlo Garfagnini, Ser Lorenzo Violi e le prediche del Savonarola, in «Lettere italiane», 38 (1986), pp, 312-337.

5. Bernardino da Siena, la donna e la «roba»*

Che è una casa che non vi sia donna? È casa di rovina e di porcineria. La donna è cagione di farti e figliuoli, e allevargli, e governargli, e aiutarli nelle infermità. Tutta la fatica de’ figliuoli è della donna. E se infermi tu, ella ti governa con fede, e amore, e carità, e inverso el corpo e in verso l’anima […]. Ancora ti dico più ch’ella è guardia e massaia della tua roba. Tu stai fuora e guadagni ed ella in casa e conserva la roba. È così buono alcuna volta el conservare el guadagnato, che non è el guadagnare. Se tu, marito, guadagni e non ài chi conservi, la casa va male. Non avendo donna, la roba tua va male.1 * Questo testo riproduce, salvo lievi modifiche di scrittura, la relazione pronunciata durante il Convegno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario dalla nascita di s. Bernardino da Siena (L’Aquila, 7-8-9 maggio 1980): sono state aggiunte le parti più analitiche e l’apparato delle note. Malgrado – o proprio – per l’assunto di questo contributo si omette la menzione dei numerosi scritti annoverati nella bibliografia bernardiniana, ispirati ad una malintesa “sociologia cristiana”, come Pierbattista Nardini, La famiglia cristia‑ na nel pensiero di S. Bernardino, in «Bullettino di studi bernardiniani», 10 (1944-1950), pp. 22-54 (riassunto di una tesi di laurea discussa presso il Pontificio Ateneo Antoniano di Roma nel 1945: De christiana familia ex operibus S. Bernardini Senensis); Candido Mesini, La sociologia di San Bernardino da Siena, in S. Bernardino da Siena. Saggi e ri‑ cerche pubblicati nel quinto centenario della morte (1444-1944), Milano, Vita e Pensiero, 1945, pp. 341-377; Fredegando [Callaey] d’Anversa, S. Bernardino da Siena e la famiglia, in «L’Italia francescana», 21 (1946), pp. 69-83. Nelle note sono state adottate le seguenti abbreviazioni per le opere bernardiniane: a) per l’opus latino: Opera omnia, I-II, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii s. Bonaventurae, 1950; III-IV-V, ivi, 1956; VIVII, ivi, 1959; VIII, ivi, 1963; IX, ivi, 1965. b) per le prediche riportate: Padova 1423: Ope‑ ra omnia, III, Venetiis, in aedibus Andreae Poletti, 1745; Firenze 1424: Le prediche volgari, a cura di Ciro Cannarozzi, Pistoia, Pacinotti, 1934; Firenze 1423: Id., Pistoia, Pacinotti, 1940; Siena 1423: Id., Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1958; Siena 1427: Le prediche volgari dette nella piazza del Campo l’anno 1427, a cura di Luciano Banchi, Siena, Tip. arciv. S. Bernardino, 1880-1888 (i rinvii saranno alla ristampa curata da Piero Bargellini, Milano, Rizzoli & c., 1936). 1. Firenze 1424, vol. I, p. 419.

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Con queste parole, verso la fine della 25a predica del quaresimale fiorentino del 1424, Bernardino delinea con enfasi oratoria, ma anche con estremo rigore, i criteri morali che stanno alla base del «torre donna», ricollegandosi nello stesso tempo ad una funzione sociale ed economica: a quella «masserizia della casa» che alla donna viene assegnata a partire dalla metà del secolo XIV nella cultura mercantile – da Paolo da Certaldo a Leon Battista Alberti.2 Nei grandi cicli di predicazione in volgare che Bernardino tiene tra 1424 e 1427 nelle due maggiori città della Toscana, Firenze e Siena, introduce la consuetudine di trattare dal pulpito, con grande ampiezza, temi di etica matrimoniale e familiare: si pensi a come si succedono, in maniera serrata, nel corso di Siena del 1427, le predi­che: «Come il marito dié amare la donna, così la donna il suo marito»; «Dell’ordinato amore che debba èssare infra la moglie e’l marito»; «Come el matrimonio debba èssare considerato»; «Come si debbano onorare le vedove».3 Colpisce particolarmente, poi, la trattazione esplicita e programmatica dei problemi etici connessi con le pratiche sessuali, nel matri­monio e al di fuori di esso: E dicono che sia vergogna negli atti e ne’ fatti predicarne o consigliarne. Parlasene in confessione a rilento perché non sia detto che i confessori insegnino a fare i peccati; in predicazioni quasi non se ne dice nulla per none entrare tra’ denti de’ popoli ignoranti […]. Che farai, frate Bernardino! Se per paura de’ morsi del mozzo o per vergogna o per altri rispetti el tacerai sarai dannato! Se’ tenuto di predicare, e ài a riprendere e’ popoli de’ vizi e peccati, e ridurl’a via di salvazione.4

In questa prospettiva è peraltro possibile far rientrare nello stesso filone anche la furibonda predica intorno a «l’abominabile peccato della maladetta sodomia».5 2. Leon Battista Alberti, I libri della famiglia, lib. IlI, in Opere volgari, a cura di Cecil Grayson, 3 voll., Bari, Laterza, 1960-1973, vol. I, p. 163: «santa cosa la masserizia». 3. Siena 1427, pred. 19a, pp. 391-420; pred. 20a, pp. 420-447; pred. 21a, pp. 447-462; pred. 22a, pp. 462-485. 4. Firenze 1424, vol. I, pp. 381 e 382. 5. Siena 1427, pred. 39a, pp. 893-919. Questo argomento non rientra direttamente nell’ambito della trattazione. Ricordo solo un abbozzo redatto al num. 213 dell’autografo budapestino: «Contra soddomiam» (cfr. Cesare Cenci, Un manoscritto autografo di San Bernardino a Budapest, in «Studi francescani», 61 [1964], pp. 371-372; è edito in Opera omnia, vol. IX, pp. 427-430). Di esso Bernardino sembra essersi servito per la 31a predica

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Sarebbe estremamente banale affermare che Bernardino decide di intraprendere a predicare di questi temi perché ne percepiva l’attualità. D’altra parte, però, non si può fare a meno di rilevare che la sua predicazione trova un proprio spazio utilizzando un patrimonio dottrinale preesistente e proponendolo ad una società in profonda trasformazione. Il poderoso lavoro di Christiane Klapisch e David Herlihy, Les To‑ scans et leur familles. Une étude du catasto florentin de 1427,6 presenta un esaustivo spaccato della società to­scana, e in particolare fiorentina, nei primi decenni del secolo XV: ed è estremamente importante, per meglio analizzare la predicazione bernardìniana e comprenderne origini, motivazioni, orientamenti, poter conoscere la stessa realtà familiare e matrimoniale che Bernardino af­frontava nelle sue prediche. Anche senza voler tentare di rias­ sumere in questa sede il lavoro di Klapisch ed Herlihy, può essere utile ricor­dare alcuni dati della loro ricchissima esposizione, che meglio possono servire all’inquadramento della predicazione bernardiniana. Verso la fine del secolo XIV e ancora nei primi decenni del secolo XV il venir meno della pressione demografica, per effetto del serrato succedersi di pestilenze e carestie, aumenta fortemente la propensione al matrimonio nella società toscana.7 Gli effetti sociali di questa ten­denza sono assai rilevanti, in quanto si abbassa in misura notevole l’età matrimoniale, che per le donne si colloca intorno ai 15-20 anni, mentre nella media l’età matrimoniale degli uomini appare molto più alta, all’incirca di sei anni nei del quaresimale fiorentino del 1424: in quella occasione, infatti, egli dedica ben tre prediche consecutive all’argomento (Firenze 1424, pred. 30a: «Del vizio dei sodomiti», vol. II, pp. 30-36; pred. 31a: «Della sodomia», vol. II, pp. 37-56; pred. 32a, «Della dannazione dei sodomiti», vol. II, pp. 57-71). Il tema viene da lui trattato a Firenze anche durante la quaresima dell’anno successivo (Firenze 1425, pred. 36a: «Del peccato contro natura», vol. II, pp. 270-290) e durante il corso di Assisi (cfr. Dionisio Pacetti, La predicazione di S. Bernardino da Siena a Perugia e ad Assisi nel 1425, in «Collectanea franciscana», 10 [1940], pp. 5-28, a p. 16, pred. 10a, «De sodomitis») e durante il corso di Siena dello stesso anno (Siena 1425, pred. 29a: «Questa è la predica dello vizio della sodomia», vol. II, pp. 98-112). La redazione definitiva del testo è nel s. XV, «De horrendo peccato contra naturam», del De Evangelio aeterno, in Opera omnia, vol. III, pp. 267-284 (le cui fonti sono soprattutto canonistiche). Dopo di allora ne predica nuovamente a Padova nel 1443 (pred. 25a, «Ad sodomitas»: cfr. Dionisio Pacetti, Nuovo codice di prediche inedite di S. Bernardino da Siena, in «Bullettino di studi bernardiniani», 1 (1935), pp. 191-204, a p. 201. 6. David Herlihy, Christiane Klapisch-Zuber, Les Toscans et leur familles. Une étude du catasto florentin de 1427, Paris, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques - Éditions de l’École des hautes études en sciences sociales, 1978. 7. Herlihy, Klapisch-Zuber, Les Toscans, chap. XIV, p. 393 sgg.

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centri rurali e di dodici anni nei maggiori centri urbani.8 La città, dunque, scoraggia gli uomini che vi abitano ad allacciare troppo presto legami matrimoniali, per gli oneri economici che ne derivano ai più giovani.9 La tendenza maschile a ritardare il matrimonio, peraltro, implica la presenza, soprattutto in città, di numerosi giovani, cui è negata qualsiasi attività sessuale legittima per una quindicina di anni a partire dalla pubertà: da ciò deriva la diffusione della prostituzione femminile – più o meno sotterranea – e della sodomia.10 Quanto alle vedove, la loro presenza nei centri urbani è particolarmente concentrata: a Firenze nel 1427 una donna su quattro è vedova. Questo dipende dal fatto che, mentre nel contado la struttura familiare e la sua stretta aderenza alle forme di conduzione agri­cola facilitano il nuovo matrimonio anche per le vedove, nei centri urbani le vedove si rimaritano con difficoltà, anzi la maggior parte di esse abbraccia lo stato vedovile in maniera definitiva alla morte del primo marito. Non si dimentichi, poi, che il centro urbano, per le possibilità di lavoro che offre, si presenta anche come polo di attrazione per le vedove del contado che non si siano affatto rimaritate.11 8. Cfr. anche Christiane Klapisch, Déclin démographique et structure du ménage. L’exemple de Prato, fin XIVe-fin XVe, in Famille et parenté dans l’Occident médiéval. Actes du colloque de Paris (6-8 juin 1974), Roma, École Française de Rome, 1977, pp. 255-268, a p. 259 sgg.; David Herlihy, Vieillir à Florence au Quattrocento, in «Annales. E.S.C.», 24 (1969), pp. 1338-1352. Christiane Klapisch insiste molto sul divario tra i dati demografici e la “rappresentazione” dell’età matrimoniale nella letteratura dei ricordi: per questi ultimi si veda anche Leonida Pandimiglio, Giovanni di Pagolo Morelli e la ragion di famiglia, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen, 2 voll., Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1974, vol. II, p. 574 sgg. (in esso ne vengono presi in esami i Ricordi, a cura di Vittore Branca, Firenze, Le Monnier, 1956 – redatti tra il 1393 e il 1411). 9. Cfr. Charles-Marie Bourel de La Roncière, Pauvres et pauvreté à Florence au XIVe siècle, in Études sur l’histoire de la pauvreté (Moyen Age - XVIe siècle), a cura di Michel Mollat, Paris, Publications de la Sorbonne, 1974, pp. 661-685. 10. Herlihy, Klapisch-Zuber, Les Toscans, p. 414. 11. Proprio nel caso delle vedove Bernardino appare tenere particolarmente in conto la situazione sociale delle località in cui si trova a predicare. Infatti, uno schizzo di sermone «Pro viduis» si trova solo nell’Itinerarium anni (Opera omnia, vol. VIII, p. 249, num. 116), evidentemente approntato per la predicazione in Toscana negli anni 1424-1427 (cfr. Firen‑ ze 1425, vol. II, pred. 28a, pp. 127-145; Siena 1427, pred. 22a, pp, 462-485). In seguito, a quanto pare, Bernardino non volle ritornare specificamente su questo argomento: difatti nell’opus latino non vi è traccia di un sermone in materia. Sulle vedove ed il loro ruolo nella famiglia e nella società tardomedievale si veda Paolo Cammarosano, Aspetti delle strutture

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Nel loro complesso i dati che emergono dalla ricerca di Klapisch ed Herlihy sulla famiglia toscana agli inizi del secolo XV convergono verso una importante linea di tendenza: la reintegrazione delle donne in un gruppo domestico a direzione maschile,12 unitamente ad una reazione giuridica antifemminile, che si manifesta nell’evoluzione delle norme relative ai rapporti patrimoniali tra i coniugi.13 In questa linea di tendenza si inseriscono la concezione della famiglia e l’atteggiamento nei confronti della donna sia dei trattatisti laici sia dei predicatori ecclesiastici del tempo di Bernardino. La predicazione sul matrimonio è una costante dell’attività bernardiniana, ampiamente documentata dalle prediche riportate dagli ascoltatori e accuratamente rivista dallo stesso Bernardino nella stesura del suo primo quaresimale latino, De christiana religione, redatto tra il 1429 e 1436.14 Anche in questo ambito, peraltro, appare assai importante seguire il processo di formazione delle prediche volgari e dei sermoni latini di Bernardino, un working in progress i cui fondamenti si pongono molto prima delle famosissime reportationes volgari e della redazione definitiva dell’opus latino. Molto importante per la formazione delle concezioni di Bernardino in materia di matrimonio è il ruolo esercitato dagli scritti e dalle dottrine di Pietro di Giovanni Olivi.15 Egli, infatti, in un codice autografo scritto tra 1420 e 1425 (conservato a Budapest) trascrive un gruppo di quaestiones familiari nelle città dell’Italia comunale (secoli XII-XIV), in «Studi medievali», ser. III, 16 (1975), pp. 417-435, alle pp. 434-435 (lo stesso testo è stato pubblicato in francese in Famille et parenté, pp. 181 sgg.). 12. Cfr. Klapisch, Déclin démographique, pp. 262-263. 13. Cfr. Manlio Bellomo, Ricerche sui rapporti patrimoniali tra coniugi. Contributo alla storia della famiglia medievale, Milano, Giuffrè, 1961. 14. I vari aspetti della predicazione di Bernardino in materia di etica matrimoniale trovano una loro sistemazione organica e definitiva nel s. XVII, «De coniugii honestate» (Opera omnia, vol. I, pp. 204-216), nel s. XVIII, «De pudicitia coniugali» (ivi, pp. 217-226) e nel s. XLVIII, «De domina honesta» (ivi, vol. II, pp. 100-108). 15. Per l’influenza di Pietro di Giovanni Olivi, si veda Roberto Rusconi, La tradizio‑ ne manoscritta delle opere degli Spirituali nelle biblioteche dei predicatori e dei conventi dell’Osservanza, in «Picenum Seraphicum», 12 (1975), pp. 63-137, alle pp. 25-28, 61-65. Per un aspetto particolare dei rapporti tra scritti oliviani e dottrine bernardiniane si veda Roberto Rusconi, Apocalittica ed escatologia nella predicazione di Bernardino da Siena, in «Studi medievali», ser. III, 22 (1981), pp. 85-128.

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circa matrimonium del teologo provenzale, per poi rielaborarle in un abbozzo di sermone. In questo testo, benché aggiunga qualche propria considerazione, inserisca altre, fonti o talune esemplificazioni, Bernardino cerca di conservare inalterate, nei lìmiti del possibile, le stesse parole di Olivi:16 senza recepirne, però, le teorie sulla superiorità della verginità rispetto al matrimonio e sulla concezione stessa del sacramento, che avevano causato al teologo pro­venzale le censure ecclesiastiche.17 Agli scritti di Pietro di Giovanni Olivi Bernardino si ispira ampiamente per tutta quella parte dell’etica matrimoniale che riguarda il debito coniugale e le sue circostanze18 e ne predica con assoluta regolarità: a Padova durante la quaresima del 1423 (predica 27a: «De amore santificativo»);19 a Firenze durante la quaresima del 1424 (predica 24a: «Del debito del matrimonio»);20 16. Cenci, Un manoscritto, pp. 345-346, num. 70-72; per un confronto si vedano i testi pubblicati in Victorin Doucet, De operibus manuscriptis Fr. Petri Ioannis Olivi in Bibliotheca Universitatis Patavinae asservatis, in «Archivum Franciscanum Historicum», 28 (1935), pp. 156-197 e 408-442, alle pp. 414 e 173-174. Il testo delle quaestiones oliviane viene da Bernardino riorganizzato in un abbozzo di sermone (Cenci, Un manoscritto, p. 347, num. 78), cui rinvia un altro schema di sermone, «Contra luxuriosos iudicia Dei», dell’Itinerarium anni (Opera omnia, vol. VIII, p. 258, num. 133) e di cui si serve per preparare le due prediche «De matrimonio» tenute a Perugia nel 1425 (Pacetti, La predicazione, p. 179, pred. 18a e 19a). 17. Per le reazioni alla dottrina oliviana in materia matrimoniale si veda Anneliese Maier, Per la storia del processo contro l’Olivi, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 5 (1951), pp. 326-339. La sesta quaestio del «De perfectione evangelica», intitolata: An virginitas sit simpliciter melior matrimonio, è pubblicata in Aquilin Emmen, Verginità e matrimonio nella valutazione dell’Olivi, in «Studi francescani», 64 (1967), fasc. 4, pp. 11-57 (il testo alle pp. 21 sgg.). Cfr. anche David Burr, Olivi on Marriage, in «Journal of Medieval and Renaissance Studies», 2 (1977), pp. 183-204. Ancora nel Tractatus de Spiritu Sancto et de inspirationibus, una delle sue opere più tarde, per trattare dell’onestà dell’atto coniugale Bernardino attinge al quinto capitolo del commento In Mattheum di Olivi (Opera omnia, vol. VI, p. 300). 18. Ad esempio, nel s. XVII del De christiana religione, al contrario di quanto si riscontra nella redazione dei sermoni bernardiniani, gli articoli sono redatti sub titulo quae­ stionis, per evidente influenza dei citati scritti oliviani (peraltro non segnalata negli Opera omnia). 19. Padova 1423, pp. 202-206. Tra le fonti di questa predica è anche l’abbozzo num. 86 dell’autografo budapestino (cfr. infra, nota 35). 20. Firenze 1424, vol. I, pp. 381-404. Tra le fonti di questa predica è anche il s. III dei Sermones imperfecti, in Opera omnia, vol. VIII, p. 17 (per la sua datazione, cfr. ivi, p. 18, note 1 e 2; Dionisio Pacetti, I codici autografi di S. Bernardino da Siena della Vaticana e della Comunale di Siena, in «Archivum Franciscanum Historicum», 28 [1935], pp. 253276 e 500-516, a p. 516).

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a Perugia nel 1425 (prediche 18a e 19a: «De matrimonio»);21 a Siena nel 1427 (pre­dica 20a: «Dell’ordinato amore che debba èssere infra la moglie e’1 marito»).22 Questa chiave di lettura delle quaestiones matrimoniali oliviane e l’uso da lui fattone nella predicazione effettiva confermano che l’interesse principale di Bernardino, in materia di matrimonio, non è rivolto, sin dall’inizio, agli aspetti dogmatici, bensì esclusivamente a quelli etici. Con questo orientamento pare aver predicato a Milano già nel 14191420, prendendo le mosse dal thema assegnatogli dalla liturgia del giorno: Qui diligit uxorem suam, seipsum diligit (Eph. V, 28). Così sembra di poter concludere da un accenno, in mancanza del codice che conteneva gli schemi di quella predicazione, andato perduto.23 Le stesse annotazioni che formano un abbozzo di sermone per la se­ conda domenica dopo l’Epifania, steso nell’Itinerarium anni – un codice auto­grafo contenente il brogliaccio dell’attività di Bernardino negli anni 1418-1424 –, sembrano avere carattere episodico: muovendo dal thema biblico, Nuptiae factae sunt in Chana Galileae (Io. II, 1-11), Bernardino si limita a rinviare al sesto capitolo del III libro dell’Arbor vitae di Ubertino da Casale.24 Lo spunto gli deve essere sembrato così poco interessante, che se ne serve solo per la 19a predica del corso di Siena del 1427.25 Non si può peraltro escludere che, negli ultimi anni della vita, egli pensasse di ritornare sull’argomento. Infatti, raccogliendo nuovo materiale teologico nelle Postillae in Epistolas et Evangelia – negli anni 1433-1434 –

21. Pacetti, La predicazione, p. 179. 22. Siena 1427, pp. 420-447. 23. L’accenno è nel s. XIII dei Sermones imperfecti, in Opera omnia, vol. VIII, p. 59. Per il codice in questione si veda l’Itinerarium anni, in Opera omnia, vol. VIII, p. 172; Dionisio Pacetti, De Sancti Bernardini Senensis operibus. Ratio criticae editionis, ad Claras Aquas (Florentiae), Typographia Collegii S. Bonaventurae, 1947, p. 83. 24. Opera omnia, vol. VIII, pp. 186-187, num. 9. I passi dell’Arbor vitae sono alle cc. 84d-87a dell’edizione veneziana del 1485 e alle cc. 141c-145 del codice autografo senese U.VI.l: cfr. Dionisio Pacetti, I codici autografi di S. Bernardino da Siena della Va‑ ticana e della Comunale di Siena, in «Archivum Franciscanum Historicum», 29 (1936), pp. 215-241 e 501-537, a p. 530. Per l’influenza di Ubertino da Casale su Bernardino da Siena, si veda Rusconi, La tradizione manoscritta delle opere degli Spirituali, in particolare pp. 84-86, 98-123; per quanto riguarda le dottrine escatologiche, si vedano i lavori citati alla nota 15. 25. Siena 1427, pp. 391-420.

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tra le linee ed a margine di Io. II, 1-11, raduna numerose annotazioni, e in particolare le ricava dagli scritti di Pietro di Giovanni Olivi.26 La complessa articolazione del working in progress bernardiniano non fa altro che ruotare intorno ad un baricentro preciso. La con­cezione che Bernardino ha della famiglia e del matrimonio è quella tipica dell’oligarchia mercantile, borghese e urbana, della Toscana tra la fine del ’300 e gli inizi del ’400 – la «roba» delle sue prediche si identifica totalmente con la «masserizia della casa» dei trattati di Leon Battista Alberti. D’altro canto, nella riproposizione dal pulpito di un modello sociale prodotto dal ceto dominante Bernardino si preoccupa di delimitare un’area etica, in cui la istituzione ecclesiastica possa svolgere la sua ineludibile funzione di mediatrice della salvezza individuale. Tra i sermoni latini di cui Bernardino non ultimò la stesura ne è giunto a noi uno intitolato: «De matrimonio regulato, inordinato et separato», la cui redazione – da taluni fatta risalire addirittura a prima del 1420 – si colloca sicuramente prima dei grandi cicli di predicazione degli anni 14241427.27 In questo testo egli riassume lar­gamente il punto di vista tradizionale dell’etica cristiana: è sufficiente scorrere l’apparato dell’edizione critica per constatare come il suo testo sia tutto un fitto tessuto di citazioni ricavate dal Decretum, dalle Decretales, dalla letteratura canonistico-penitenziale – come le Summae casuum dei domenicani Ramon de Penyafort e Bartolomeo di San Concordio –, da alcuni commenti ai libri delle Sentenze di Pier Lom­bardo – i trattati di teologia morale del tempo. Questo materiale dottrinale, peraltro, appare riordinato secondo un disegno specifico ed organico. Nella prima parte di questo sermone28 Bernardino appunta le tre obli‑ gationes del marito nei confronti della moglie, della moglie nei confronti 26. Opera omnia, vol. IX, pp. 100-105. 27. Opera omnia, vol. VIII, pp. 57-67, s. XIII. Per la datazione cfr. ivi, p. 60, nota 6; Pacetti, I codici autografi, in «Archivum Franciscanum Historicum», 28 (1935), p. 516. 28. Nel resto del sermone, ed. cit., pp. 62-67, Bernardino tratta del matrimonio clandestino e dell’adulterio (anche quest’ultimo è peraltro affrontato nell’ottica del debito coniugale). Materiale intorno al matrimonio clandestino, soprattutto alcune quaestiones di Riccardo da Mediavilla, è radunato anche in due abbozzi dell’autografo budapestino (Cenci, Un manoscritto, num. 185, p. 367; num. 166, p. 365: edito in Opera omnia, vol. IX, pp. 421-424). Quest’ultimo abbozzo, le cui fonti sono soprattutto canonistiche, venne utilizzato per la 37a predica del corso di Siena del 1427 (Siena 1427, pp. 835-860). Un accenno al matrimonio clandestino è anche nel De Evangelio aeterno, in Opera omnia, vol. III, p. 108.

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del marito e dell’uno nei confronti dell’altro. Le obligationes del marito – instruere, corrigere, cohabitare, substentare – rientrano nell’affermazione della potestà maritale che proprio nei primi decenni del secolo XV si va potentemente consolidando. In particolare, il mettere al primo posto l’obbligo del marito di instruere la moglie ha un preciso parallelo con la letteratura delle ricordanze domestiche, in cui si insiste sulla urgenza con cui la giovane sposa deve essere formata alle sue nuove responsabilità.29 La giovane età delle spose – ampiamente rilevata e quantificata per la Toscana da Klapisch ed Herlihy30 – è la premessa sociologica della priorità dell’in‑ struere sulle altre obli­gationes maritali. Si spiega in questo modo anche la insistenza con cui Bernardino nelle sue prediche invita ad istruire le fanciulle – si noti bene: Bernardino parla solo delle fanciulle…31 – prima delle nozze, anche se questa istruzione per il predicatore deve avere per oggetto in sostanza il lecito e l’illecito nel rapporto coniugale più stretto.32 Se le obligationes della moglie nei confronti del marito non fanno altro che ribadire il ruolo subordinato della donna – timere, servire, obedire, admonere –, nell’ambito degli obblighi reciproci – dilectio, fides, honor, debitum coniugale – appaiono due temi molto importanti: l’uno per la sua consonanza con la cultura umanistico-mercantile, l’altro per la riaffermazione, da parte di Bernardino, di una specificità della etica religiosa in materia matrimoniale. Quanto al primo, la dilectio, si è sottolineato come la rivaluta­zione del matrimonio e della famiglia nelle ricordanze domestiche abbia impli29. Per un’immagine complessiva del “funzionamento” della famiglia borghese nei secoli XIV-XV e dei rapporti tra i coniugi, quale emerge dalla letteratura mercantile, cfr. Alberto Tenenti, Famiglia borghese e ideologia nel Quattrocento, in Id., Credenze, ideolo‑ gie, libertinismi tra medioevo ed età moderna, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 121-135, in parti­colare pp. 128-129 (il testo originale: Famille bourgeoise et idéologie au Bas Moyen Age, è pubblicato in Famille et parenté, pp. 431-440). 30. Herlihy, Klapisch-Zuber, Les Toscans, pp. 394 sgg. 31. Cfr. Nardini, La famiglia, p. 30; cfr. anche infra, il testo corrispondente alla nota 49. 32. Si noti peraltro che Bernardino sconsiglia nelle sue prediche il divario di età tra i coniugi, mentre la tendenza del ceto mercantile urbano è di sfruttare la differenza addirittura di generazione tra i coniugi per rafforzare le politiche di alleanza tra i lignaggi familiari: Christiane Klapisch, «Parenti, amici e vicini». Il territorio urbano d’una famiglia mer‑ cantile nel XV secolo, in «Quaderni storici», 11 (1976), pp. 953-982, a p. 968 (l’articolo prende le mosse dal Libro degli affari proprii di casa, redatto tra 1379 e 1421 dal mercante fiorentino Lapo di Giovanni Niccolini de’ Sirigatti, edito da Christian Bec, Paris, SEVPEN, 1969).

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cato un apprezzamento in una nuova luce dell’importanza e della qualità dell’amore coniugale, presentato dai trattatisti laici coevi a Bernardino come il sentimento più naturale.33 Nelle prediche bernardiniane esso appare piuttosto un dovere, meglio, un affetto «ordinato», su cui ritorna a più riprese. Ad una prima stesura nell’«auto­grafo budapestino» di un abbozzo intitolato: «De çelotipia coniugum»34 corrisponde ad esempio la 30a predica del quaresimale fio­rentino del 1425: «Del matrimonio».35 È però al secondo tema, il debitum coniugale, che si riduce in sostanza l’etica matrimoniale bernardiniana, come appare dall’ampio spazio che ad esso riserva nella sua predicazione. Bernardino, infatti, si propone programmaticamente di togliere di mezzo «una ignoranza ne’ popoli grassa e pazza intorno a’ fatti del matrimonio» – come si esprime all’inizio della 24a predica del quaresimale fiorentino del 142436 –, concetto questo che ribadisce nel prologo del sermone XVII, «De coniugii honestate», del De christiana religione, motivando con particolare ampiezza il necessario impegno di ogni predicatore in questa materia.37 Nel passaggio dagli abbozzi e schemi di prediche alla redazione dei sermoni latini e alla predicazione effettiva in volgare – quest’ultima solo apparentemente diversa, per la grande vivacità oratoria di Bernardino, che maschera in questo modo la rigida struttura delle sue prediche — rimane costante una notevole aridità nell’esposizione della etica matrimoniale. Essa appare improntata al grigiore dell’approccio ai problemi della vita morale e della vita cristiana che caratterizza i manuali per i confessori: a preparare la confessione sacramentale sono nei fatti dirette le prediche volgari di Bernardino.38 È appena il caso, poi, di accennare alla singolare analisi sociale che Bernardino opera relativamente al matrimonio. Si prenda ad esempio il 33. Herlihy, Klapisch-Zuber, Les Toscans, p. 586 sgg. 34. Cenci, Un manoscritto, p. 349, num. 86: è edito in Opera omnia, vol. IX, pp. 389390. In questo abbozzo si rinvia al precedente num. 85 (ibidem), riutilizzato per il s. XIII dei Sermones imperfecti, ma soprattutto si rimanda alle quaestiones oliviane trascritte in precedenza nel codice. 35. Firenze 1425, vol. II, pp. 173-189. 36. Firenze 1424, vol. I, p. 381. Cfr. Sermones imperfecti, s. III, in Opera omnia, vol. VIII, p. 17: «Nullum nempe carnalitatìs et honestatis evidentius signum est quam aegre et moleste ferre vel congaudere cum contra abusiones matrimonii et carnis spurcitias praedicatur». 37. Opera omnia, vol. I, pp. 204-207. 38. Cfr. Roberto Rusconi, Il sacramento della penitenza nella predicazione di san Bernardino da Siena, in «Aevum», 47 (1973), pp. 235-286.

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sermone XLVI, «De multitudine malorum quae ex vanitatibus subsequuntur», all’articolo 3, capitolo 2, intitolato: «Quod propter superflua vanitatum cessat plurimum multiplicatio populorum». Oh quot filii nascerentur, quorum generationem et ortum impediunt vanitates! Nam multi propter maximas expensas quas in uxoribus requirit vanitatum abusus, uxores vel non capiunt, vel tardius suscipiunt eas, cum saepe quasi omnes dotes, et quandoque amplius, devorent tales expensae. Similiter multi parentes, qui non valent immensas dotes tradere filiabus, in domo steriles, non propter Deum, retinent illas, et utinam virgines et pudicas! Et quod crudelius est, si quando tres vel quatuor filias habent, ad vota non valentes dotare illas, unam vel duas formosiores cum dotibus maximis nuptui tradunt; reliquas vero, quandoque distortas, claudas seu caeeas sive quocumque modo deformes, quasi spumam vel vomitum saeculi, monasterio tradunt; illas, utinam Domino, non diabolo dedicantes! […]. Solutis iuvenibus atque viris nec, propter praedictas causas, coniugio copulatis puellisque grandaevis in domibus male servatis, quot enormia sequantur potius eligo operire silentio quam aperire sermone. Non solum puellae, sed nec relinquitur vidua neque nupta quin vexetur molestiis […]. Sed super omnia iam predicta, horrenda atque detestanda sodomia ex his generatur, nutritur atque suscipit terribile incrementum. Iuvenes enim lascivi et deliciis innutriti, fragiles, indisciplinati et immodesti nec Deum timentes, dum insimul conversantur, in quot impudicitias tuant […], quis exprimere posset? Cumque capti fuerint iuvenes hac pestifera labes, vix umquam curantur, vix et tarde vel numquam coniugio se copulari permittunt. Si casu uxorem suscipiant, vel illa abuntuntur vel non diligunt eam; propterea non generant filios […].39 39. «Oh, quanti figli nascerebbero, la cui generazione e nascita sono ostacolate dalle vanità! Molti, infatti, per le grandi spese che l’abuso della vanità esige dalle loro mogli, o non prendono mogli o le prendono più lentamente, perché tali spese spesso divorano quasi tutte le loro doti, e talvolta anche di più. Similmente molti genitori, che non possono dare immense doti alle loro figlie, sterili in casa, non per amor di Dio, le conservano, e vorrebbero che fossero vergini e caste! E ciò che è più crudele, se hanno tre o quattro figlie e non possono provvedere a loro secondo i propri desideri, ne danno in moglie una o due delle più belle con doti maggiori; ma le altre, a volte deformi, zoppe o cieche, o comunque sfigurate, come schiuma o il vomito del tempo, le consegnano a un monastero; che le dedicassero al Signore, non al diavolo! […] Dopo essermi occupato di giovani e di uomini e non, per le suddette ragioni, vincolato da un matrimonio, e di ragazze invecchiate malamente tenute nelle loro case, quante enormità ne derivivino, scelgo piuttosto di coprirle con il silenzio che di renderle note con parole. Non solo le ragazze, ma neanche una vedova o una donna sposata restano senza tormentate […]. Ma sopra tutto ciò che è già stato detto, l’orribile e detestabile vizio della sodomia è generato da queste cose, si nutre e ne riceve una terribile incentivo. Infatti i giovani lascivi e nutriti dai piaceri, fragili, indisciplinati e immodesti, e

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In questo lungo brano – ripreso anche con più vivacità qua e là nella predicazione volgare – predomina un approccio del tutto tradizionale: il fine del matrimonio è la procreazione dei figli. Soprattutto, però, la polemica intorno alla politica matrimoniale del ceto mercantile fiorentino (cospicuità delle doti e monacazione forzata) e contro il ritardo nell’età nuziale maschile e contro i vizi morali che ne derivano (sodomia) manca non tanto di un’analisi – in questo caso anacronistica –, quanto di una percezione delle radici istituzionali, sociali e economiche di questa situazione, legata alla politica matrimoniale del ceto mercantile da un lato ed alla struttura dei salari dall’altro.40 Non vi è dubbio che il grande spazio dedicato nelle sue prediche da Bernardino al tema del matrimonio e a quelli ad esso ricollegati – e giustamente si sottolinea che questa predicazione pubblica della morale è un fatto nuovo41 – sia correlato in maniera molto stretta al posto di rilievo che non timorati di Dio, mentre si frequentano tra loro, in quante indecenze ricadono […], chi potrebbe renderlo palese? E quando i giovani sono presi da questa marciume pestilenziale, quasi mai si prendono cura di se stessi e, a malapena e tardivamente, quasi si mai lasciano unire in matrimonio. Se per caso prendono moglie, o la abbandonano o non la amano; quindi non generano figli […]». Opera omnia, vol. II, pp. 82-83. 40. Un accenno polemico alla politica matrimoniale e alla connessa esosità delle doti è nella 19a predica del corso di Siena del 1427 (Siena 1427, p. 395 sgg.). Bernardino peraltro non arriva a una trattazione complessiva su questo argomento, che i suoi strumenti di analisi sociale ed il suo approccio etico non gli consentivano di mettere a fuoco. Nell’opus latino si trovano solo sporadici accenni. Nel sermone XXXV del De christiana religione Bernardino si occupa della restituzione della dote da parte della figlia di un usuraio, nel contesto del suo trattato sulle restituzioni (Opera omnia, vol. I, p. 437 sg.). Nel s. XLII del De Evangelio aeterno, invece, nel contesto del suo trattato sui contratti e sulle usure, dedica un intero capitolo a questo argomento: «Quod homo licite pacisci potest pro interesse damni emergentis de praesenti, ubi ostenditur quare pignus dotis uxoria marito non computatur in sortem» (ivi, vol. IV, pp. 352-356). Le fonti di questo capitolo sono sostanzialmente il Decretum, le Decretales, il Digestum, i cano­nisti, ma soprattutto il trattato di Pietro di Giovanni Olivi, De contractibus usurariis. 41. Herlihy, Klapisch-Zuber, Les Toscans, p. 441. Altrettanto importante è il fatto che i quaresimali latini di Bernardino sono destinati ad influenzare la predicazione dei francescani dell’Osservanza nei decenni successivi. Per quanto riguarda la predicazione dell’etica matrimoniale, appaiono particolarmente significative testimonianze come quella di Cherubino da Siena (rectius: da Spoleto), Regole della vita matrimoniale, a cura di Francesco Zambrini e Carlo Negroni, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1888, p. 79: «quella stella novella santo Bernardino, nostro padre, lo quale di queste cose ampiamente predicava, per

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la famiglia occupa nella trattatistica del primo ’400. A fondamento di tutto questo non vi è che il nuovo trend nuziale, dopo la catastrofe demografica del secolo XIV, e di conse­guenza un’oggettiva accentuazione dell’importanza dei temi del matri­monio e della famiglia nella società toscana dei primi decenni del secolo XV. In questa prospettiva, al di là delle differenze reali di temi e di ispirazioni, moralisti laici per i più ristretti ceti di coloro che comprano e leggono libri – si pensi a Leon Battista Alberti nei Libri della famiglia42 – e moralisti ecclesiastici per le più vaste masse dei centri urbani – vale a dire predicatori come Bernardino – contribuiscono in pari misura a diffondere una concezione del matrimonio tale da fornire una precisa coesione ideologica al processo di ristrutturazione in atto nella società. Se questa è, di fatto, la funzione della predicazione bernardiniana, si comprendono i motivi di fondo della sua aspra opposizione, a partire dalla predicazione quaresimale fiorentina del 1425, ai seguaci di Manfredi da Ver­celli.43 Se quel frate domenicano predicava l’imminente avvento dell’Anticristo, i manfredini da ciò facevano derivare un rifiuto radicale del legame matrimoniale nell’attesa degli ultimi tempi, «sotto ombra d’andare a pugnare contro a anticristo».44 Nel corso di questa controversia Bernardino predica esponendo pubblicamente la tradizionale disciplina canonica del matrimonio, ma soprattutto respinge le valenze potenzialmente sovvertitrici dell’assetto sociale, insite in questo movimento penitenziale: Ancora dicono che è nato anticristo, che dicono contro al santo evan­gelio, che dice che non è a noi nè al figliuolo della Vergine, in quanto uomo, sapere il tempo e’1 momento del dì del giudicio. Dicono ch’egli è nato, acciò che tu questo medesimo desiderio che aveva per addottrinare le anime»; cfr. anche Paolo Maria Sevesi, Il beato Michele Carcano da Milano O.F.M., in «Archivum Franciscanum Historicum», 4 (1911), pp. 24-49, 456-481, a p. 472. 42. Cfr. Pandimiglio, Giovanni di Pagolo Morelli, p. 557, nota 17, dove si traccia un parallelo tra il Morelli e Leon Battista Alberti: «Questo dimostra che nel ceto mercantile fiorentino circolava una serie di insegnamenti a carattere morale e pratico, dì cui taluni libri dovevano farsi veicolo». 43. Cfr. Roberto Rusconi, Fonti e documenti su Manfredi da Vercelli O. P. ed il suo movimento penitenziale, in «Archivum Fratrum Paedicatorum», 47 (1977), pp. 51-107; Note sulla predicazione di Manfredi da Vercelli O. P. e il movimento penitenziale dei Terzia‑ ri manfredini, in «Archivum Fratrum Paedicatorum», 48 (1978), pp. 93-135; L’attesa della fine. Crisi della società, profezia e Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occi‑ dente (1378-1417), Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1979, pp. 236-246. 44. Firenze 1425, vol. I, p. 227.

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non facci niuna opera, nè che ti mariti tu giovane, nè tu uomo tolghi donna, acciò il popolo manchi e che diventino eretichi come loro.45

Non ci si stupisce, dunque, di constatare che la concezione bernardiniana della famiglia coincide con l’ideale quattrocentesco della famiglia «populosa» e forte, in cui gli uomini si dedicano senza posa alla «merchatanzia» e alla donna spetta l’incombenza della «masserizia della casa», cioè di amministrare la casa, conservare i beni, edu­care e allevare i figli.46 Non si dimentichi che, mentre negli autori più tradizionali il confino domestico delle donne viene giustificato come conseguenza della loro debolezza d’ingegno e del loro carattere volubile, nella predicazione bernardiniana la donna svolge un ruolo essenziale nel mantenere la fortuna pazientemente accumulata dal marito: la «roba» di Bernardino è la «santa masserizia» dell’Alberti.47 Nei Libri della famiglia di Leon Battista Alberti, infatti, all’ordine nell’esercizio mercantile deve corrispondere l’ordine domestico, affinché la casa non distrugga ciò che l’attività esterna produce. Nella mentalità del ceto mercantile, dun45. Ivi, pp. 234-235. 46. L’espressione è in Franco Sacchetti, Il Trecentonovelle, a cura di Emilio Faccioli, Torino, Einaudi, 1970, nov. CXXIII, p. 322: «A voi s’appartiene andar facendo la masserizia della casa». Sull’argomento si veda Cammarosano, Aspetti delle strutture familiari, p. 434 in parti­colare; Ruggiero Romano e Alberto Tenenti, “I libri della famiglia” di Leon Battista Alberti, in Ruggiero Romano, Tra due crisi: l’Italia del Rinascimento, Torino, Einaudi, 1971 (pubblicato come introduzione ai Libri dell’Alberti: Torino, Einaudi, 1969), pp. 137-168, e soprattutto pp. 142 sgg., 162 (dove si rinvia anche a Christian Bec, Les marchands écrivains à Florence, 1375-1434, Paris-La Haye, Mouton, 1967). 47. Si vedano le celebri prediche bernardiniane «del torre moglie». Il primo rudi­ mentale abbozzo è nell’autografo budapestino (Cenci, Un manoscritto, p. 367, num. 183: è edito in Opera omnia, vol. IX, pp. 425-426). Da esso derivano la 46a predica, «Del pigliar moglie e del pericolo di restare senza», del quaresimale fiorentino del 1425 (Firenze 1425, vol. II, pp. 22-36), la 12a predica del corso di Perugia dello stesso anno, intitolata: «De amicitìa coniugali» (Cfr. Pacetti, La predicazione, p. 176), e la 19a predica, «Come il marito dié amare la donna, cosi la donna il suo marito» del corso di Siena del 1427 (Siena 1427, pp. 391-420). A questo filone, per delineare un’immagine funzionale di matrimonio, famiglia e donna, deve essere accostata la serie di prediche sulla «donna onesta», dalla 25a del quaresimale fiorentino del 1424 (Firenze 1424, vol. I, pp. 405-424), sino alla 30a predica del corso di Siena del 1427 (Siena 1427, pp. 633-688). La redazione definitiva coincide con il s. XLVIII, «De domina honesta», del De christiana religione (Opera omnia, vol. II, pp. 100-108): un’esposizione molto succinta, basata sulla gnomica biblica e sul Decretum, preceduta – non a caso – da due polemici sermoni sulle «vanità» femminili, il s. XLVI, «De multitudine malorum quae ex vanitatibus subsequuntur» (ivi, pp. 73-85), e il s. XLVII, «Contra se fardantes et capillos adulterinos portantes, atque contra feminas caudatas» (ivi, pp. 86-99).

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que, il ruolo della donna assume un suo risalto – se così si vuole dire –, ma in realtà in una funzione del tutto subalterna. Nel momento in cui Bernardino, con la sua predicazione alle masse di carattere etico-sociale (come solitamente la si definisce), vuole pro­porre alla società un modello totale di comportamento religioso, e in qualche modo favorisce così, o comunque si inserisce in un processo di ristrutturazione della società, acquistano una logica ed organica con­nessione i due versanti della sua predicazione morale, solo in apparenza non congruenti. Da un lato, la riproposizione, all’interno di un modello esplicitamente cristiano, degli elementi fondamentali della mentalità del ceto dominante, quello mercantileborghese urbano.48 Dall’altro, con un procedimento caratteristico della predicazione – ma, prima ancora, di quella che oggi si chiama teologia morale –, all’interno della proposizione dei modelli culturali dominanti la riaffermazione di una area tradizionalmente propria alla dottrina cristiana che, al di là delle affermazioni sapienziali di origine biblico-patristica (ormai proverbiali anche a livello popolare), si restringe nell’angusto campo riservato all’etica sessuale: un esito questo favorito certo da atteggiamenti personali e dalla formazione dottrinale di Bernardino. Questo restringimento appare peraltro perfettamente funzionale al ruolo della predicazione in volgare nella società italiana del ’400. Infatti, se essa vuole proporre modelli di comportamento religioso, dottrine da credere, forme di pietà da praticare, la verifica della ricezione, della penetrazione di questi modelli – e qui si viene al pro­blema della efficacia della predicazione bernardiniana – non deve essere ricercata a questa data storica in una puntuale coattività di compor­tamenti, quale sarà ad esempio l’obiettivo della Controriforma, ma nell’assicurare l’accettazione di un modello religioso come l’unico valido, perché capace di condurre alla salvezza. Si comprende allora perché la predicazione bernardiniana relativa al matrimonio ed alla famiglia si restringa alla sfera del privato: proprio perché l’unico mezzo di controllo è la confessione sacramentale, cui spinge tutta la predicazione bernardiniana, ed alla quale è finalizzata, nella sostanza, tutta la pre­dicazione di Bernardino sul sesso, il matrimonio, la famiglia: E però v’avviso che voi meniate le vostre fanciulle domane, che io vi pro­ metto che mai non credo che voi udiste la più utile predica. Io non dico che ci venghino le vostre fanciulle maritate; io dico maritate e a maritare; e nel mio 48. Zelina Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di prediche, in «Studi medievali», ser. III, 9 (1968), pp. 1017-1113.

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predicare io parlarò tanto onesto, ch’io non m’imbrattarò punto punto. Io ho uno grandissimo dubbio di voi, ch’io mi credo che se ne salvino tanti pochi di quegli che sono in istato di matrimonio, che de’ mille novecentonovantanove credo che sia matrimonio del diavolo.49

49. Siena 1427, pp. 399-400.

6. Monte di denaro e Monte della Pietà. Predicazione, prestito a usura e antigiudaismo nell’Italia rinascimentale*

A partire dall’ultimo quarto del ’300 sino ai primi decenni del ’400 l’Italia era stata dilacerata dagli effetti del grande scisma della Chiesa d’Occidente, che aveva portato addirittura alla contemporanea elezione di tre papi, ciascuno dei quali pretendeva di essere il legittimo pontefice. Con l’elezione di un unico romano pontefice, nella persona del cardinale Oddone Colonna, che prese il nome di Martino V, nel 1417 si ritornava all’unità ecclesiastica: destinata a durare ancora per un secolo esatto, sino all’insorgere in Germania della protesta del frate agostiniano Martin Lutero. Nell’arco di un secolo i frati Minori dell’Osservanza dispiegheranno un’intensa attività di predicazione, rivolta ai fedeli cristiani, allo scopo di instaurare una societas christiana, in cui l’ideale monastico dell’osservanza di una regula si riflettesse in una sorta di calcolata devozione da parte dei laici. 1. «La figura della vita eterna» A Venezia nel 1486 e a Firenze nel 1494 usciva dai torchi della stampa un singolare fascicolo di poche carte, che includeva al suo interno un Libro delli comandamenti di Dio del Testamento Vecchio et Nuovo et sacri canoni, insieme a una Tabula della salute.1 In esso spiccava un’incisione su legno, * Il testo riproduce la conferenza tenuta il 18 febbraio 2008 presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, con qualche aggiustamento e con riferimenti bibliografici indispensabili. 1. Si vedano le osservazioni di Francesca Lomastro Tognato, Legge di Dio e Monti di Pietà. Marco da Montegallo, 1425-1496, Vicenza, Fondazione Monte di Pietà, 1996, soprattutto alle pp. 131-160.

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intitolata La figura della vita eterna o vero del Paradiso et delli modi et vie di pervenire a quello (fig. 1). Definita giustamente «uno dei più singolari documenti figurativi della profonda influenza esercitata sul tessuto sociale dagli Osservanti nel Quattrocento, attraverso la predicazione e per mezzo di concrete iniziative», essa ruotava intorno alla figura centrale di un «Mons Pietatis», da cui diversi gruppi di persone attingevano.2 Si trattava, all’evidenza, della rappresentazione di un “monte di denari”, con il quale si alimentavano chiaramente sei fra le opere della misericordia corporale: alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; vestire gli ignudi; dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; visitare i carcerati. All’ultima, seppellire i morti, sulla destra alludeva a sua volta la celebrazione di una messa di intercessione per i defunti (la cosiddetta “messa di san Gregorio”, secondo una leggenda agiografica che aveva per protagonista san Gregorio Magno): su di essa svettava una rappresentazione della imago pietatis, vale a dire del Cristo morto ritto nella tomba. Sulla sinistra dell’immagine, un frate Minore dell’Osservanza, da un pulpito ligneo adoperato per la predicazione all’aperto, con il dito puntato indicava chiaramente ai fedeli, i quali gli si assiepavano intorno ad ascoltarlo, proprio il “monte” che si trovava al centro e che costituiva il nucleo del messaggio affidato alle parole della sua predica. In sostanza, il “monte della pietà” si collocava al centro delle buone opere, la cui pratica avrebbe consentito ai buoni cristiani di arrivare a quel paradiso che sormontava l’intera composizione. Giunti ormai quasi al volgere del ’400, negli anni in cui le guerre d’Italia si accingevano a far collassare il precario sistema degli equilibri degli stati italiani, e a sua volta Firenze era squassata dall’utopia profetica della predicazione di fra Girolamo Savonarola, quell’immagine voleva compendiare nella sintetica efficacia dell’iconografia la proposta che la religione dell’osservanza voleva imprimere nei fedeli.3 L’autore di quelle pagine, un frate Minore dell’Osservanza marchigiana, Marco da Montegallo,4 ne dedicava un’ampia parte a trattare in maniera 2. Bruno Toscano, Storia dell’arte e forme della vita religiosa, in Storia dell’arte italiana, III: L’esperienza dell’antico, dell’Europa, della religiosità, Torino, Einaudi, 1979, p. 284. 3. Per tutto questo si veda più ampiamente in Roberto Rusconi, Da Costanza al Late‑ rano: la «calcolata devozione» del ceto mercantile‑borghese nell’Italia del Quattrocento, in Storia dell’Italia religiosa, a cura di André Vauchez, Tullio Gregory, Gabriele De Rosa, I: L’Antichità e il Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 505‑536. 4. Sul personaggio si veda Marco da Montegallo (1425-1496). Il tempo, la vita, le opere, a cura di Silvano Bacci, Padova, Centro Studi Antoniani, 1999.

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puntuale dei precetti del decalogo mosaico, enfatizzando in quell’ottica la dimensione sociale della violazione al settimo comandamento, come appare anche dalla minuta elencazione da lui fatta. Come in una sorta di esame di coscienza, egli elenca una serie di interrogativi, il cui destinatario è in primo luogo un mercante – all’epoca non un semplice commerciante, ma anche finanziere e banchiere –, scrivendo nel Libro delli comandamenti: XIII. Se ha facta usura cioè guadagnato o desiderato di guadagnare d’alcuna cosa prestata numerabile come sono danari, etc., mensurabile come è grano, vino, olio, et di simili, ponderabile, che si presta a peso. XIIII. Se ha prestato sopra alcun pegno per haversene quello fructo finchè gli si renda quello ch’è prestato. XV. Se ha comperato cosa alcuna per minore pregio che quello che vale per averlo pagato innanzi tempo. XVI. Se ha venduto più caro per la credenza che gli ha facta o fa. XVII. Se ha facti cambi secchi et di simili non leciti. XVIII. Se ha dato pecunia in compagnia restando al guadagno et non alla perdita di alcuna cosa. XIX. Se ha dato animali in soccida volendo havere el capitale salvo. XX. Se ha tolto ad usura senza necessità o vero da quella persona che non era apparecchiata a dare ad usura.5

Da parecchio tempo i frati Minori avevano svolto ampie riflessioni dottrinali a proposito della nuova economia mercantile, nell’ambito dell’elaborazione di una teologia morale, in cui essi cercavano di determinare i comportamenti leciti per distinguerli dai comportamenti illeciti. Nel fare ciò si erano ampiamente occupati della variegata materia dei contratti, perché volevano determinare con precisione gli insegnamenti da impartire ai fedeli, quando predicavano loro dal pulpito oppure ne ascoltavano le confessioni. Il problema centrale, dunque, per loro non era in sé l’«usura», denominazione al di sotto della quale erano ad ogni modo fatte rientrare le diverse forme di prestito a interesse, quando comportassero una modalità di scorretto impiego della ricchezza, peraltro aspramente deplorato. A indicare le caratteristiche di un clima al cui interno avveniva la sua propaganda a favore dell’erezione di un Monte di Pietà, Marco da Montegallo, come tanti altri suoi confratelli dell’Osservanza minoritica, non 5. Citato in Lomastro Tognato, Legge di Dio e Monti di Pietà, p. 106.

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si peritava dal richiamare esplicitamente all’attenzione dei suoi lettori (e ascoltatori) la leggenda nera dell’omicidio rituale, una pratica efferata che, nell’Europa degli ultimi secoli del medioevo, sovente nel periodo pasquale veniva imputata alle comunità israelitiche: Imperochè gli giudei, li quali dimoravano in Parigi, ogni anno pigliavano uno christiano et in obbrobrio et manchamento et derisione alla christiana fede quasi per uno sacrificio, in nelle grotte, fosse et caverni o lochi secreti et sotto terra per non essere veduti né intesi, secretamente et naschostamente in nel dì della cena del Signore, id est el giovedì sancto o vero in quella sacra septimana, lo strangulavano, uccidevano, crucifigevano et stracciavano in forma del nostro Signore Giesù Christo o in representatione di tanta scelerità quanto li loro antiqui avevano facto et loro farebbono se potessono.6

In questa occasione, a dire il vero, il riferimento non era a una scottante attualità, bensì di natura dotta e libresca, dal momento che egli si rifaceva allo Speculum historiale del domenicano Vincent de Beauvais, un testo della metà del ’200 in cui, su quella base, si giustificava l’espulsione degli ebrei dal regno di Francia, avvenuta alla fine del secolo XII, ai tempi del re Filippo Augusto. Nella Tabula della salute, in cui si voleva compendiare una sorta di vademecum della vita spirituale nell’età della calcolata devozione dei fedeli cristiani, in una nutrita serie di capitoli, che andavano dal decimo al quattordicesimo, Marco da Montegallo inseriva appunto una serie di considerazioni indirizzate a promuovere l’erezione di un Monte di Pietà. Il ragionamento era introdotto con espressioni, che appunto inquadravano la sua proposta all’interno di una dimensione dichiaratamente etica (a prescindere, all’apparenza, dagli intrinseci risvolti economici e sociali che inevitabilmente comportava): Delli danni in summa della usura et delli mali et damni delli infelici usurai. Rascione et summa del guadagno ne la borsa, danno ne l’anima et nella fama delli danari dati ad usura. Et consequentemente del guadagno nell’anima, nel corpo, nella fama et nelli beni temporali de li danari posti nel sacratissimo Monte della Pietà al libro della entrata o vero a quello della intrata del prestito.7

6. Ivi, pp. 128-129. 7. Citato ivi, p. 141.

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Il frate marchigiano si spingeva addirittura a fare di conto, in materia di interesse sul prestito, sostenendo di avere persino fatto ricorso al parere di Paolo di Middelburg, matematico e astrologo tedesco al servizio del duca di Urbino. Così iniziava il suo ragionamento: «Et quanto al primo è da sapere che cento ducati dati ad usura a trenta per cento l’anno el primo anno fructano XXX ducati che sommano centotrenta tra prode et capitale per lo primo anno. El secondo anno li decti centotrenta ducati fructano XXXIX, che sommano in tutto tra usura et capitale cento sessantanove. El terzo anno»,8 e proseguiva con il medesimo criterio. Queste parole erano l’avvio di un ragionamento fondato sulla cosiddetta leggenda logaritmica, relativa ai frutti del capitale monetario investito usurariamente, di scarso fondamento economico-matematico, ma di grande portata emotiva nei confronti dei destinatari, i quali si convincevano in tal modo che l’«usura» li dissanguasse finanziariamente.9 Non è questo aspetto, apparentemente tecnico, a essere al centro dell’interesse, quanto le considerazioni di Marco da Montegallo, volte in primo a ricondurre il proprio ragionamento nell’ambito dell’insegnamenti da impartire ai fedeli: Nota bene adunche, povera creatura humana, come sì tristemente ti lassi disfare, et cum dampnatione del tuo proximo, dandogliene tu cagione efficace, ch’el prieghi et induci, et tu l’altro che ce lo assicuri ad fare tanto male, vedi adunche se così facendo tu l’ami in Dio, o vero per Dio, come te medesimo, che per divino comandamento ne sei obligato, et troverai chiaramente che non. Et ex consequenti stai in stato di dampnatione. Et tu similmente nota, infelice, povero e sventurato, infame et dampnato usuraro, quando tanti beni così tolti al proximo restituirai? Et non restituendoli, quando ti salverai? Certo, secondo la vera fede et la propria coscientia et la sacrosanta Scriptura giamai.10

Il senso minaccioso delle esortazioni non lasciava spazio a dubbi di sorta.

8. Ibidem. 9. Si veda in particolare Gino Barbieri, Intorno alla “leggenda logaritmica” sui frutti del capitale monetario investito usurariamente, in «Economia e storia», 18 (1971), pp. 94-95. 10. Tavola della salute, da Lomastro Tognato, Legge di Dio e Monti di Pietà, pp. 141-142.

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2. Il ruolo della pietà Ai frati Minori dell’Osservanza si dovette dunque un’intensa campagna di predicazione nell’Italia centro settentrionale, con la finalità di promuovere l’erezione dei Monti di Pietà, vale a dire per rendere possibile la creazione di istituzioni di credito su pegno. Tutto ebbe principio, di fatto, con la predicazione del frate milanese Michele Carcano a Perugia nel 1462, ma il maggiore e più strenuo propagatore dell’iniziativa fu senza dubbio un suo confratello veneto, Bernardino da Feltre († 1494).11 In effetti, nella sua iconografia devozionale, vale a dire nella serie di rappresentazioni volte a promuoverne il culto in vista di un auspicato riconoscimento della santità da parte della suprema gerarchia ecclesiastica, proprio la predicazione a favore del Monte di Pietà ne divenne l’attributo: vale a dire, l’elemento iconografico distintivo, che ne doveva consentire un’immediata identificazione (fig. 2). Si vedano al proposito alcune tavole della fine del ’400 e degli inizi del ’500, i cui elementi distintivi erano appunto rivolti a imprimere nei fedeli un messaggio inequivoco. Ai piedi del frate spiccavano gli zoccoli, che rimandavano alla denominazione corrente degli Osservanti francescani come zoccolanti, per distinguerli in maniera assai netta dai confratelli Conventuali. Intorno al capo normalmente si trovavano i raggi, a indicarne la condizione di beato, essendo riservato l’alone dell’aureola ai santi ufficialmente canonizzati (come si può vedere, però, una volta intervenuta la canonizzazione si aggiornavano i raggi in aureola con una devota ridipintura successiva). Due cartigli partivano dalle mani (fig. 3) e recavano scritti i temi evangelici delle prediche, con le quali il frate esortava gli ascoltatori a impegnarsi anche finanziariamente a favore dell’erigendo Monte di Pietà: «Nolite diligere mundum» (1 Io. 1, 15) e «Curam illius habe» (Lc. 10, 35). Con il dito di una mano, gesto peraltro caratteristico del predicatore sul pulpito, il beato Bernardino indicava l’altra mano, con la quale reggeva ostentatamente un monte, fatto di terra e di denari. Su tutti si stagliava uno stendardo con l’immagine dell’Uomo, la cui sofferenza ha redento l’umanità. In tal modo l’esortazione all’iniziativa caritatevole di supportare le esangui finanze dell’istituto di credito su pegno veniva fondata su uno dei temi maggiormente sentiti nella pietà dell’epoca. 11. Su questo argomento si veda il volume di Maria Giuseppina Muzzarelli, Il denaro e la salvezza. L’invenzione del Monte di Pietà, Bologna, il Mulino, 2001.

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La connessione di queste tematiche fra loro risulta maggiormente chiara nel testo delle prediche effettivamente tenute dal frate di Feltre e tramandate in un misto di latino e di italiano. Il versetto «Nolite dirigere mundum», tratto dalla prima lettera dell’apostolo Giovanni, aveva costituito l’incipit di una predica, tenuta a Pavia nel 1493, in occasione della prima domenica di Quaresima, a Pavia. L’argomento trattato, «De tarda paenitentia» – vale a dire sul pericolo corso da parte dei fedeli nel ritardare oltre modo la confessione sacramentale dei propri peccati – rimandava all’adempimento del precetto ecclesiastico, fortemente patrocinato dai frati.12 Quanto al versetto «Curam illius habe», fu utilizzato da frate Bernardino per predicare a Brescia in quel medesimo anno, il lunedì dopo la prima domenica di Quaresima, allorché parlò «De benefaciendo per seipsum et non comittendo aliis post mortem», vale a dire sulla necessità di fare il bene durante la propria vita e di non limitarsi ai lasciti testamentari per le pie opere. Egli ebbe modo di glossarlo con un’interpretazione difficilmente equivocabile: «Curam illius habe, dum sanus es, curam scilicet anime. O là, dum sanus es acunziati». Autorevolmente si suggeriva, dunque, che la beneficenza a favore del Monte di Pietà aprisse la strada a una remunerazione dell’anima del devoto nell’aldilà. Il valore propagandistico di siffatte affermazioni non sfuggiva affatto né a Bernardino da Feltre né ai suoi confratelli, i quali promuovevano, in diverse città dell’Italia centrosettentrionale, l’istituzione dei Monti di Pietà. Al principio, l’adozione dell’immagine del Christus patiens avvenne a Orvieto, nel 1463, assurta a simbolo di un’istituzione in quel frangente denominata Mons Christi, e ad opera di un altro francescano osservante, Bartolomeo da Colle. Allora essa aveva l’elementare finalità di suscitare la compassione dei fedeli: era stata collocata, infatti, a sormontare la cassetta delle elemosine a favore del Monte, posta nella chiesa di S. Andrea della città umbra. A un trentennio di distanza da quella data, nel momento in cui Bernardino da Feltre riuscì, nel dicembre 1494, a fare istituire nella città di Mantova un Monte di Pietà, «fu fatta solennissima processione» – si legge nella sua Vita, una biografia agiografica scritta da Bernardino Guslino – «dal convento de’ frati Osservanti fin alla casa del Monte, essendo guarnite tutte le strade de [a]razzi et tapezzarie, con trombe et varie sorti de musica, portando il stendardo della Pietà il padre Bernardino». E più oltre si legge: 12. Sermoni del Beato Bernardino Tomitano da Feltre, a cura di Carlo Varischi, 3 voll., Milano, Renon, 1964, vol. I, pp. 83-95.

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«Predicò in quel giorno, dopo il mangiar con una frequentissima udienza, et alzando lo sguardo sul pulpito, et intonando: Vexilla regis prodeunt».13 L’immagine della pietà, nel frattempo, era divenuta uno stendardo, che in determinate situazioni poteva non essere del tutto privo di valenze politiche. 3. Il problema dell’antigiudaismo La predicazione dei frati dell’Osservanza a favore dell’erezione del Monte di Pietà non fu per nulla disgiunta da pesanti attacchi ai banchi di prestito gestiti da ebrei. Di essi non si trova peraltro traccia nei sermoni latini pubblicati a stampa, nemmeno nei sermonari del milanese Michele Carcano. E anche nelle prediche tenute da Bernardino da Feltre, riportate in volgare da un confratello e rimaneggiate in latino da un altro confratello dell’Osservanza minoritica, le pesanti critiche avanzate nei confronti del credito ebraico non appaiono particolarmente esplicite. Molto più rivelatrice al proposito risulta un altro tipo di fonte, vale a dire il diario della sua attività di predicazione, tenuto da un altro frate dell’Osservanza, sulla cui documentazione si basò il devoto biografo nel 1523, a tre decenni dal morte del frate di Feltre. Tra i molti aneddoti che se ne potrebbero ricavare, e sono davvero parecchi, ricordo soltanto che in Abruzzo, all’Aquila, città che si trovava allora entro i confini del Regno di Napoli, il frate osservante tenne ben ottantadue prediche e vi si trattenne soprattutto per l’invito di quanti lo avevano esortato a restare «a fin che gl’hebrei non fosser dagl’Aquilani tagliati a pezzi».14 E una siffatta efferatezza non era per nulla semplice vezzo retorico dell’agiografo. La connessione fra predicazione in volgare e propaganda antigiudaica lascerà le proprie tracce dell’iconografia devozionale del Rinascimento italiano – al margine, per quanto nettamente rilevabili.15 È noto dalle fonti 13. Bernardino Guslino, Vita, XIV, 9, citato in Roberto Rusconi, Bernardino da Feltre predicatore nella società del suo tempo, in Bernardino da Feltre. La predicazione e la fon‑ dazione del Monte di Pietà. Atti della giornata di studi (Pavia, 30 ottobre 1993), a cura di Renata Crotti Pasi, Como, Litografica New Press, 1994, pp. 1-15: p. 5. 14. Guslino, Vita, XXI, 2, citato in Muzzarelli, Il denaro e la salvezza, p. 230. 15. Si veda al proposito Roberto Rusconi, Predicatori ed ebrei nell’arte italiana del

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che, anche in altri paesi come la Germania o la Spagna, gli ebrei potevano essere costretti ad ascoltare le prediche in piazza dei frati. Ne rimane l’immagine in un dipinto di Sebald Popp, che verso la fine del ’400 fissava su una tavola la scena della predicazione a Norimberga di un personaggio di spicco dell’Osservanza minoritica italiana, vale a dire il frate abruzzese Giovanni da Capestrano (fig. 4): si veda nella porzione in alto a sinistra un ebreo trascinato a forza da due giovani, come riferivano le cronache della città tedesca. Oppure si presti attenzione a un dettaglio apparentemente casuale nel polittico con le storie dell’aragonese Vicent Ferrer, dell’Ordine dei frati Predicatori, che la bottega degli Erri eseguì per la chiesa di S. Domenico di Modena a un decennio di distanza dalla sua canonizzazione, avvenuta nel 1455: nel riquadro che rappresentava la predica da lui tenuta a Perpignano nel 1415, nell’angolo inferiore destro si vedono chiaramente tre personaggi dalle barbe fluenti, con copricapo e abito orientaleggianti – a raffigurare gli ebrei che, secondo il processo di canonizzazione e le fonti agiografiche, erano stati costretti ad ascoltarne la predicazione (fig. 5). L’iconografia di questo santo, recentemente canonizzato, fu diffusa in maniera particolare nell’Italia della seconda metà del ’400 e consentì di fissare nell’iconografia devozionale una serie di tematiche antigiudaiche, che in un certo senso venivano autenticate dal riconoscimento ufficiale della sua santità. Per tornare a quanto si verificava nella penisola italiana, si legga il resoconto di una predicazione di Bernardino da Feltre, iniziata il 21 settembre, quando secondo il suo biografo cominciò dunque in Mantoa il giorno di S. Matteo proponerli il Monte di Pietà, ed il beneficio che n’haverebbero tratto di quello i poveri, et il danno che di presente havevano dalle usure de’ hebrei, et entrò in novi discorsi contro l’usure. Il giorno seguente predicò sopra la piazza grande con maggior polso dell’intera materia: Qui ascendit in montem Domini [Ps. 23, 3], e fece altissimo ufficio.16

Il ricorso a questo versetto del salmo era consueto nella predicazione del frate feltrino a favore del Monte di Pietà. Predicando qualche anno dopo a Pavia, al termine della sua predica «De monte pietatis Papie erigendo», Bernardino concludeva il discorso con queste parole, tramandate in Rinascimento, in «Iconographica. Rivista di iconografia medievale e moderna», 3 (2004), pp. 148-161. 16. Guslino, Vita, XIV, 7, citato in Rusconi, Bernardino da Feltre predicatore, p. 9.

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una versione alquanto macaronica: «Oportet invenire personas bonas, etc. Quis ascendet in montem Domini? Volo quod officiales Montis habeant manicas strictas et breves; et se tengano mozate le unghie etc.».17 Nella predica immediatamente successiva, «De monte pietatis Papie», a indicare l’innegabile disinvoltura di una certa esegesi strumentale, all’inizio il frate affermava: Hec est victoria etc., 1 Jo 5, 4. Etiam hoc mane etc., sum contentus aliquid dicere et tangere; questa è la terza volta che ne parlo, pur replicando thema et fundamentum: Hec est victoria etc., quanto al Monte pietatis verificatus sicut heri predicavi, et hoc mane alias rasonzella. A che sentimento dices hoc mane? Pilialo netto et non traversato – Heri audisti che fra tute le elemosyne che voi, homini e done, per salvarvi, ceteris paribus, questa tene la cima per alguni respetti. Mo’, quis ascendet in montem Domini? Se ne trova de dubbiosi, e anche de monte iniquitatis. Ma questo è mons pietatis.18

Al termine di quell’infiammato ciclo di predicazione a Mantova, che diede non pochi motivi di preoccupazione al marchese, l’ultimo giorno di dicembre questi obbligò tutti gli ebrei ad assistere alla predica: Nel giorno di san Silvestro il signor Marchese costrinse tutti li Giudei et Giudee a venir alla predica di questo spirito angelico. Vennero malvolentieri, come biscie all’incanto. Tutte le nobili donne et altre più basse si levavano dando da seder alle ebree, et esse sedevano in terra. Predicò con grandissimo fervore sempre sul Testamento Vecchio facendo conoscere chiaro in quanti errori vivessero, parlando con tanta pietà et amore, ch’ognun stupiva, ma fece poco profitto. Dicessi ch’alle donne avevan impedito l’udir, col mettere del bombace nell’orecchie.19

Se gli ebrei forzati ad ascoltare le prediche loro rivolte dai frati ricorrevano a un espediente per non essere costretti a sentirle, ben diverso era verosimilmente l’atteggiamento dei fedeli cristiani. Il messaggio del polittico con le storie di san Vincenzo Ferreri era indirizzato chiaramente ai modenesi: la facciata della chiesa sulla sfondo corrispondeva al S. Domenico, prima della sua demolizione nel corso dell’800, e proprio ad essi si rivolgevano i riquadri di una composizione fitta di exempla iconografici – tra i quali, all’interno di quel medesimo edificio ecclesiastico, si rappresen17. Sermoni, vol. II, p. 193. 18. Ivi, p. 205. 19. Guslino, Vita, XIV, 10, citato in Maria Giuseppina Muzzarelli, Pescatori di uomi‑ ni. Predicatori e piazze alla fine del Medioevo, Bologna, il Mulino, 2005, p. 251.

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tava la scena di un battesimo di adulti, senza dubbio ebrei convertiti, come suggerivano anche le vesti parimenti orientaleggianti di quanti assistevano all’amministrazione del sacramento (fig. 6). Nell’ultimo quarto del secolo XV i predicatori dell’Osservanza minoritica (ma anche altri frati, ad esempio i Servi di Maria) si impegnarono con grande zelo nel promuovere il culto per Simone da Trento, un bambino ritenuto vittima di un presunto omicidio rituale a Trento nel 1475: per il quale vennero incolpati gli ebrei della locale comunità nel corso di un processo fortemente inquinato per la volontà del vescovo-principe, Johannes Hinderbach, di arrivare comunque alla loro condanna ed esecuzione.20 Una riprova dell’associazione fra predicazione itinerante dei frati osservanti e propaganda antigiudaica, soltanto all’apparenza indiretta, si riscontra ad esempio in un affresco votivo, eseguito dalla bottega di Campilio da Spello nella cripta del monastero di S. Ponziano a Spoleto, in occasione di un ciclo di prediche tenuto appunto da Bernardino da Feltre nella cittadina umbra. Singolare vi appare in effetti l’associazione, nel medesimo riquadro, del santo dell’Osservanza minoritica, Bernardino da Siena, canonizzato nel 1450 (ma ovviamente vi si alludeva al suo omonimo seguace, Bernardino da Feltre) e il piccolo martire, rappresentato con un’iconografia di matrice decisamente settentrionale, verosimilmente desunta da qualche stampa devozionale che il predicatore aveva recato con sé (fig. 7). Alcuni studi di Giacomo Todeschini, davvero assai innovativi, hanno offerto una chiave di interpretazione più che plausibile per la dinamica che si instaurò all’epoca, nella dura contrapposizione dei frati Minori dell’Osservanza, propagandisti del Monte di Pietà, all’attività creditizia concessa agli ebrei.21 Le fonti dell’epoca attestavano, dunque, che attacchi agli ebrei e proposta di erezione di un Monte si svolgevano in parallelo. L’atteggiamento antigiudaico derivava dal fatto che le “usure” degli ebrei, vale a dire il ruolo da loro assunto nell’ambito del piccolo credito, rappresentava 20. Questa materia è stata oggetto di due volumi: il discusso libro di Ariel Toaff, Pa‑ sque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, Bologna, il Mulino, 2007, e la pregevole ricerca di Tommaso Caliò, La leggenda dell’ebreo assassino. Percorsi di un racconto an‑ tiebraico dal medioevo a oggi, Roma, Viella, 2007. 21. Si vedano Giacomo Todeschini, La ricchezza degli ebrei. Merci e denaro nella riflessione ebraica e nella definizione cristiana dell’usura alla fine del Medioevo, Spoleto (Perugia), CISAM, 1989, soprattutto pp. 155-180, e Id., Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria all’economia di mercato, Bologna, il Mulino, 2004, soprattutto pp. 172-186.

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un’eccezione inaccettabile, agli occhi dei frati, rispetto alla loro prospettiva di dare vita a una societas christiana, che non prevedeva nessuno spazio per forme di diversità, non importa se sul piano sociale, economico o religioso. 4. Il cuore dell’avaro In una biografia agiografica di Antonio, il santo di Padova, redatta nella prima metà del ’400 dall’umanista Bartolomeo Ricci, detto Sicco Polenton, fu raccontata una storia concernente un prodigio operato per inculcare nella mente dei fedeli la condanna per l’usura e per gli usurai: In Toscana, grande regione d’Italia, si stavano celebrando con solennità, come succede in questi casi, le esequie di uno straricco. Al funerale era presente il nostro s. Antonio, il quale, scosso da un’ispirazione subitanea, si mise a gridare che quel morto non andava sepolto in luogo consacrato, bensì lungo le mura della città, come un cane. E ciò perché la sua anima era dannata all’inferno, e quel cadavere era privo di cuore, secondo il detto dei Signore riportato dal santo evangelista Luca: Dov’è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore [Mt. 6, 21]. A questa intimazione, com’è naturale, tutti rimasero sconvolti, ed ebbe luogo un eccitato scambio di pareri. Furono alfine chiamati dei cerusici, che aprirono il petto al defunto. Ma non vi trovarono il cuore che, secondo la predizione del Santo, rinvennero nella cassaforte dov’era conservato il denaro. Per tale motivo, la cittadinanza lodò con entusiasmo Dio e il suo Santo. E quel morto non fu deposto nel mausoleo preparatogli, ma trascinato come un asino sul terrapieno e colà sotterrato.22

Tale exemplum antiusurario non si riscontrava peraltro nelle precedenti legendae agiografiche antoniane ed era destinato a una notevole fortuna iconografica, dal momento che nella basilica santuario del Santo di Padova fu rappresentato due volte, in un rilievo dell’altar maggiore di Donatello alla metà del ’400 e in una successiva opera di Tullio Lombardo (1455-1532), per poi trovare una replica nel dipinto di Tiziano, eseguita per l’adiacente oratorio di una confraternita padovana intitolata al santo.

22. Sicco Polentone, De Sancti vita, et miraculis commentarius, num. 35, in Santo Antonio da Padova, Sermones in psalmos, a cura di Antonio Maria Azzoguido, Bologna, Lelio Dalla Volpe, 1757.

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Nella chiesa francescana della piccola località umbra di Deruta, nei pressi di Perugia, incavata nella parete destra della navata si trova una piccola cappella, dove un anonimo pittore umbro del secolo XV eseguì le storie della vita e i prodigi di sant’Antonio di Padova. Rispetto agli illustri esempi padovani, che costituivano il modello di un’iconografia agiografica ufficiale, è interessante notare nell’affresco umbro una precisa associazione fra l’opera di predicazione del santo frate, rappresentato su un pulpito ligneo, mentre addita sullo sfondo un forziere semiaperto, nel quale si intravedono chiaramente i denari accatastati e il cuore dell’avaro, e la riprovazione etica dell’usura (fig. 8). Al di sotto del pulpito è stato collocato il cataletto, con l’avaro defunto, e nel pubblico della predica si mischiano i devoti ascoltatori e i parenti del defunto, vestiti a lutto. Era evidente lo sforzo, da parte dell’anonimo dipintore e, soprattutto, dell’auctor intellectualis di quell’iconografia peculiare, di adeguare il nuovo racconto agiografico all’orientamento dei predicatori dell’epoca in materia di economia e di morale. 5. Dopo l’ascolto delle prediche: «ordinate confiteri» All’interno di un’organizzazione della pastorale ecclesiastica, che ruotava intorno al rapporto fra la predicazione in volgare dai pulpiti, a opera dei frati, e l’ascolto delle confessioni dei fedeli nella loro lingua materna, spesso presso quei medesimi frati, non si deve sottovalutare il fatto che la religione dell’osservanza inscriveva una configurazione etica del cristianesimo fra la presentazione delle norme da osservare, nel corso della predicazione, e la verifica dell’adempimento delle prescrizioni, durante l’ascolto delle confessioni. A prescindere da un ristretto numero di devoti, tale verifica aveva luogo soprattutto in occasione della confessione individuale dei peccati, effettuata a ridosso della comunione pasquale, prescritta a partire dal IV concilio del Laterano nel 1215.23 A tale adempimento predisponeva appunto la predicazione quaresimale, che sin dai tempi di Antonio di Padova si teneva ogni giorno, nelle settimane che precedevano la Pasqua, e che soprattutto nel corso del secolo XV, sulla scia della predicazione di Bernardino da Siena, insisteva in 23. Si veda una presentazione generale in Roberto Rusconi, L’ordine dei peccati. La confessione tra Medioevo ed Età moderna, Bologna, il Mulino, 2002.

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maniera peculiare sulle tematiche etiche. Nella medesima epoca, inoltre, vennero riprese anche le prediche «ad status», vale a dire una forma predicazione rivolta in maniera specifica anche a particolari categorie di persone, soprattutto a quelle impegnate in attività economiche e mercantili: di essa il maggiore rappresentante fu un altro frate milanese, il francescano osservante Bernardino Busti. Non sarebbe stato facile ricordarsi i propri peccati e confessarli ordinatamente, come pretendevano le indicazioni ecclesiastiche, sin dagli inizi del secolo XIII. Tradizionalmente i comportamenti di carattere economico, nel corso dell’età medievale sarebbero stati inclusi nell’esame del vizio capitale dell’avarizia e delle sue ramificazioni.24 A tale schema di classificazione morale dei comportamenti umani si aggiunse, in particolare nel corso del secolo XV, un riferimento anche al settimo comandamento della legge mosaica (e anche al decimo precetto della serie: a dire il vero non mancavano margini di sovrapposizione fra le due prescrizioni). Chi avesse preso in mano un manuale per i confessori, che la redazione in lingua volgare rendesse accessibile anche ai laici, come il Confes‑ sionario utilissimo ad ogni persona del priore domenicano del convento milanese di S. Eustorgio, Teodoro da Sovico, stampato nel 1496, sarebbe stato rimandato alla classificazione tradizionale, iniziando con le seguenti parole: «Qui seguita el peccato de la avarizia: el è el quinto vicio capitale. Nota bene come l’avaritia se divide in tre parte». Immediatamente dopo si specificava trattarsi: «de la proditione; de la acceptione o vero inganamento che se fanno a le persone; de lo turpe e bruto guadagno; de lo zogo overo ludo; de la superflua solicitudine; de lo retenire l’avaritia circa le opere de la misericordia temporale; de lo amare l’avaritia inordinatamente; de la prodigalitate viziosa». Seguiva poi il riferimento al settimo comandamento del decalogo: «non furare o non rubare», e si continuava specificando: «De la usura; de li imprestiti de Venezia; de li falsarii; de le iniusticie facte ne li iudicii; de lo furto; de la rapina; del sacrilegio circa le cose sacre e sacrate». A questo punto si inseriva il riferimento pure al decimo precetto: «Non desiderare la roba d’altri». Si terminava, infine, con alcuni ammonimenti ed esortazioni: «Nota molti mali li quali procedeno da questo peccato de avarizia; Nota qui octo remedii contra questo peccato de 24. Di ciò ha parlato Carla Casagrande, Il peccato di avarizia nel Medioevo, Milano, Università cattolica del Sacro Cuore, 2007.

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avarizia; ultimamente è da vedere le punitione date da Dio a li homini avari in lo Testamento vecchio».25 E passando a un manuale in un latino elementare, destinato ai confessori, il Repertorium seu Interrogatorium sive Confessionale del francescano amadeita Mattia da Milano, stampato in città nel 1516 e ristampato lo stesso anno a Venezia, in una classificazione dei comportamenti morali che era affidata ormai in primo luogo al decalogo, e solo successivamente ai sette peccati capitali (al punto che, in rapporto all’avaritia, di fatto si rimandava al comandamento del decalogo mosaico), si ribadivano le medesime categorie, sempre nell’ottica di individuare i peccati commessi: «Sextum preceptum est de furto», specificandone la fattispecie. Tolta la prima: «De rapina que consistit in publica violentia», altrimenti ci si riferiva in modo quasi esclusivo all’attività finanziaria e mercantile: «De usura que est semper peccatum mortale. Et primo de usura mentali etc. De socidis animalium et primo quantum ad pecora etc. […] De proditione. De fraudulentia. De fallatia. De turpi lucro. De acceptione personarum. De impeditione alicuius boni. De inquietudine mentis. De immisericordia. De prodigalitate»,26 con un accenno finale ai comportamenti disdicevoli in quanto riconducibili al vizio della avaritia. Il riferimento a una sorta di questionario, su cui si strutturano i manuali per la confessione, serve per confermate in quale modo, quando si passasse dai livelli della riflessione dottrinale in materia di economia alla proposta morale rivolta alla generalità dei fedeli, alla fine tutto si stemperava nelle minuzie della precettistica. Nella lectio magistralis tenuta da Paolo Prodi all’Università di Bologna, il 29 ottobre 2007, in occasione della sua uscita dai ruoli dell’insegnamento universitario, e che aveva per oggetto «Non rubare: il VII comandamento nella storia dell’Occidente», verso la fine, a proposito di “Interesse, usura e rendite finanziarie”, così si osservava: La innovazione costituita dall’invenzione dei Monti di Pietà cittadini nella seconda metà del Quattrocento costituisce quindi la risposta a due esigenze di base che saranno poi alla base di tutte le banche pubbliche dei secoli dell’età moderna: garanzia di sicurezza per i capitali non investiti in ricchezza immobiliare, contenimento dei tassi di interesse per i soggetti (in particolare i 25. Citato in Roberto Rusconi, Manuali milanesi di confessione editi tra 1474 e 1523, in «Archivum Franciscanum Historicum», 65 (1972), pp. 107-156, alle pp. 140-141. 26. Ivi, p. 152.

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piccoli produttori e gli artigiani, ma anche nobili in difficoltà e tutti coloro che cercano di sopravvivere come soggetti economici attivi nelle nuove situazioni cittadine) che sono costretti ad agire in una economia monetaria in situazione di squilibrio.27

Volgendo lo sguardo alle spalle, è ovviamente necessario avere l’accortezza di non cadere nell’anacronismo di proiettare verso epoche passate categorie elaborate negli ultimi secoli, come il solidarismo cristiano o la pratica della beneficenza nella società industriale. All’epoca del Rinascimento italiano, tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, l’orientamento dei frati Minori dell’Osservanza era in realtà volto a dare vita a una societas christiana, attraverso l’elaborazione di una sorta di via mercantile alla salvezza eterna.

27. Paolo Prodi, Non rubare: il VII comandamento nella storia dell’Occidente, Bologna, San Giovanni in Monte, 29 ottobre 2007, p. 42.

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Fig. 1. Marco da Montegallo, La tabula della salute. Firenze, A. Miscomini, 1494.

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Fig. 2. Il beato Bernardino da Fel‑ tre. Piacenza, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Fig. 3. Luigi Anguissola (?), Il bea‑ to Bernardino da Feltre. Novellara, Museo Gonzaga.

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Fig. 4. Sebald Popp, Predica del beato Giovanni da Cape‑ strano a Norimberga. Bamberg, Historisches Museum.

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Fig. 5 (pagina a fianco). Bottega degli Erri, Storie di san Vicent Ferrer: il battesimo di due ebrei. Wien, Kunsthistorisches Museum. Fig. 6. Bottega degli Erri, Storie di san Vicent Ferrer: la predica di Perpignano. Oxford, Ashmolean Museum.

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Fig. 7. Bottega di Campilio da Spello, San Bernardino da Siena e il beato Simone da Trento. Spoleto (Perugia), monastero di S. Ponziano.

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Fig. 8. Storie di s. Antonio di Padova: il prodigio del cuore dell’avaro. Deruta (Perugia), chiesa di S. Francesco.

7. Predicazione penitenziale, ascolto delle confessioni e prassi indulgenziale (1470ca-1520ca)*

Nel mondo degli Ordini religiosi il maggiore evento dell’anno 1517 fu senza dubbio la decisione di Leone X di formalizzazione, con la bolla Ite vos (29 maggio 1517),1 l’ormai consolidata divisione dei frati Minori in Francescani osservanti e in Francescani conventuali. Si trattava dei maggiori protagonisti della pastorale ecclesiastica, alla fine del medioevo e agli inizi dell’età moderna, unitamente ai religiosi degli altri Ordini mendicanti, in primo luogo i domenicani, ma anche i carmelitani, i serviti e gli agostiniani. Quando il 31 ottobre 1517, alla vigilia della festività liturgica di tutti i santi, alle porte della cattedrale di Wittenberg furono affisse le 95 tesi formulate da un frate agostiniano della provincia di Sassonia, Martin Lutero, a essere messo drasticamente in discussione fu l’intero sistema penitenziale che all’interno della Chiesa latina era stato configurato negli ultimi tre secoli del medioevo. In effetti nel corso del secolo XV si era ulteriormente consolidata la metodologia della pastorale tardo-medievale, che ruotava intorno alla * Abbreviazioni utilizzate: CNCE = Censimento nazionale delle edizioni italiane del secolo XVI (Edit16), http://edit16.iccu.sbn.it; GW = Gesamtkatalog der Wiegendrucke, www.gesamtkatalogderwiegendrucke.de; ISTC = Incunabula Short Title Catalogue, http:// www.bl.uk/catalogues/istc/index.html; USTC = Universal Short Title Catalogue, http:// ustc.ac.uk/index.php; VD16 = Verzeichnis der im deutschen Sprachbereich erschienenen Drucke des 16. Jahrhunderts, https://opacplus.bib-bvb.de/. 1. Si veda Pacifico Sella, Leone X e la definitiva divisione dell’Ordine dei Minori (OMin): la bolla Ite vos (29 maggio 1517), Grottaferrata (Roma), Frati editori di Quaracchi, 2001 (Analecta Franciscana, 14. Nova series. Documenta et studia, 2).

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prescrizione della costituzione Omnis utriusque sexus del IV concilio del Laterano del 1215,2 con l’obbligo per tutti fedeli, uomini e donne, giovani e anziani, di confessarsi una volta all’anno e di comunicarsi almeno a Pasqua. La predicazione quotidiana durante il periodo liturgico della Quaresima – alla quale progressivamente si assimilò una predicazione quotidiana anche durante l’Avvento – con la finalità di condurre alla confessione a ridosso della prescritta comunione pasquale acquisì un’ampia funzione catechetica, prima che si affermassero catechismi veri e propri.3 Non esistono dati particolarmente attendibili sulla reale osservanza di quel precetto da parte dei fedeli. A dire il vero, qualora nel corso degli ultimi decenni del secolo XV sia stata indicata la data di stampa negli opuscoli destinati a penitenti e a confessori, se ne può ricavare la conclusione che essi venissero stampati a ridosso dell’obbligo della comunione pasquale, di necessità preceduta dalla confessione dei propri peccati a un sacerdote.4 A promuoverla si impegnarono soprattutto i religiosi degli Ordini mendicanti, che nel corso di tre secoli avevano acquisito una sorta di egemonia nell’ambito della predicazione in volgare e di ascolto delle confessioni dei fedeli. Al loro interno furono redatti e messi in circolazioni appositi manuali – nel senso letterale del termine: opere maneggevoli – la cui diffusione fu favorita in maniera particolare dall’avvento della stampa a caratteri mobili.5 2. Si vedano gli atti del convegno organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche: The Fourth Lateran Council: Istitutional Reform and Spiritual Renewal. Proceedings of the Conference Marking the Eight Hundredth Anniversary of the Council (Roma, 15-17 October 2015), a cura di Gert Melville, Johannes Helmrath, [Affalterbach], Didymos, 2017. 3. Si veda Carlo Delcorno, Apogeo e crisi della predicazione francescana tra Quattro e Cinquecento, in «Studi francescani», 112 (2015), pp. 431-471, alle pp. 439-443 (“La predicazione sulla penitenza del secondo Quattrocento”). Quanto agli argomenti effettivamente affrontati nella predicazione si veda Yoko Kimura, The Bildungsroman of an Anonymous Franciscan Preacher in Late Medieval Italy (Biblioteca Comunale di Foligno, MS C.85), in «Medieval Sermon Studies», 58 (2014), pp. 47-64, e della stessa studiosa Predicazione “di routine” di fine Quattrocento. Il diario di un predicatore anonimo francescano (Biblioteca Comunale di Foligno, Ms C 85), in «Archivum Franciscanum Historicum», 107 (2013), pp. 585-598. 4. Si veda Anne J. Schutte, Printing, Piety and the People in Italy: The first thirty years, in «Archiv für Reformationsgeschichte», 71 (1980), pp. 5-20. 5. Si veda Roberto Rusconi, Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamen‑ to religioso in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, a cura di Paolo Prodi e Peter Johanek, Bologna, il Mulino,

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Quando Martin Lutero bruciò pubblicamente la bolla papale di scomunica (Exsurge Domine, 15 giugno 1520), tra le fiamme furono gettati numerosi libri di teologia scolastica e di canonistica.6 Tra di essi era compresa la Summa Angelica de casibus conscientiae, un best seller internazionale di cui era autore un francescano dell’Osservanza italiana, Angelo Carletti da Chivasso.7 Nel De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium in quello stesso anno Lutero la stigmatizzava, con un facile gioco di parole suggerito dal titolo: Vagatur passim non paruae opinionis liber ex colluuie omnium humanarum traditionum ceu sentina quadam collectus et confusus, qui Summa Angelica inscribitur, cum uerius sit summa plus quam diabolica, in quo inter infinita portenta, quibus confessores instrui putantur, dum perniciosissime confunduntur, decem et octo matrimonii impedimenta numerantur.8

Nell’edizione a stampa del grande commento alla Epistola a Galati egli indicò di nuovo quella Summa come il maggiore – cioè il peggiore – esempio dello sterile legalismo contro cui si batteva. Ancora più esplicite furono le sue espressioni raccolte nei Tischreden: «Ego Martinus Lutherus volens cognoscere iura ecclesiastica legi Summam Angelicam. Dicebat doctor Henningus: Non Angelica, sed Diabolica esset appellanda propter argutias inextricabiles!».9 Angelo Carletti, ovvero Angelo da Chivasso, fu senza dubbio un personaggio di spicco all’interno del proprio Ordine. Negli anni 1480-1481 il frate fu il principale commissario della raccolta dei fondi per la crociata contro i turchi, per la difesa dell’isola di Rodi che stava per cadere nelle 1984, pp. 259-315 (anche in Id., L’ordine dei peccati. La confessione tra Medioevo ed Età moderna, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 183-240). 6. Per il rogo delle opere scolastiche si veda ancora Thomas N. Tentler, Sin and Confes‑ sion on the Eve of Reformation, Princeton (NJ), University Press, 1977, p. 35. 7. Si veda Frate Angelo Carletti osservante nel V centenario della morte (1495-1995). Atti del Convegno (Cuneo, 7 dicembre 1996 - Chivasso, 8 dicembre 1996), a cura di Ovidio Capitani et alii, in «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo», 118 (1998). 8. «Si aggira qua e là un libro di non scarsa reputazione, confuso e raccolto e da un profluvio di umane tradizioni, ovvero una sorta di sentina, che è intitolato “Summa Angelica”, quando è più vero che è “summa più che diabolica”, in cui, tra gli infiniti portenti di cui si suppone che i confessori siano istruiti, mentre sono perniciosamente confusi, si contano diciotto impedimenti matrimoniali». Questa citazione di Martin Lutero è tratta da Martin Ohst, Pflichtbeichte. Untersuchungen zum Bußwesen im hohen und späten Mittelalter, Tübingen, Mohr, 1995, p. 295, nota 142. 9. Ivi, p. 295, nota 141.

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loro mani.10 Lo attestavano una bolla di Sisto IV stampata a Milano,11 come pure le lettere indulgenziali fatte stampare in Germania da Rudolfus, Graf von Werdenberg.12 Sullo sfondo della campagna di predicazione in Italia si stagliava l’enorme emozione suscitata dal massacro della popolazione di Otranto, dopo che la cittadina pugliese fu espugnata dai Turchi l’11 agosto 1480 e rimase nelle loro mani per tredici mesi.13 Papa Sisto IV il 4 dicembre 1480 aveva dunque nominato Angelo da Chivasso nunzio e commissario apostolico per la crociata. Egli era autorizzato a concedere l’indulgenza plenaria a quei fedeli che avessero dato una somma uguale a quella che essi spendevano per mantenere la propria famiglia durante una settimana: ai medesimi era anche concesso di scegliersi un confessore che li assolvesse da qualsiasi peccato, inclusi i casi riservati al sommo pontefice.14 Il frate estese le proprie prerogative ad altri frati del suo Ordine, ai quali destinò un apposito opuscolo.15 In tale Declaratio seu inter‑ pretatio si fornivano indicazioni estremamente minuziose sulle modalità di riscossione e di gestione delle offerte dei fedeli e in relazione ai poteri dei predicatori della crociata. Si precisavano i criteri in base ai quali i fedeli potevano fare le proprie offerte, esattamente come indicato nella bolla papale: «Sciat quilibet quod qui vult infrascriptam gratiam solum pro se contribuat quantum ipsum expenderet in una hebdomada pro comuni victu suo: si vult pro duobus vel tribus, quantum duo vel tres. Si pro tota familia sua quantum ipse et sua familia communiter expenderent».16 Si determinavano anche in 10. Si veda ancora Mario Viora, Angelo Carletti da Chivasso e la Crociata contro i Turchi del 1480-81, in «Studi francescani», 22 (1925), pp. 319-340. 11. Sixtus IV, Indulgentia, Milano, s.n.t., 1481 – prima del mese di aprile (ISTC is00563400). 12. Rudolfus, Graf von Werdenberg, Indulgentia, Augsburg, Hermann Kästlin, 1481 – prima dell’11 aprile (ISTC iw00011800) e Indulgentia, Augsburg, Hermann Kästlin, 1481(?) (ISTC iw00011810). 13. Si veda Manfredi Merluzzi, Il culto dei SS. Martiri della città di Otranto, tra iden‑ tità locale e prospettiva internazionale, in Devozioni, pratiche e immaginario religioso. Espressioni del cattolicesimo tra 1400 e 1852, a cura di René Millar e Roberto Rusconi, Roma, Viella, 2011, pp. 361-381. 14. Viora, Angelo Carletti, p. 323, nota 2, rimanda alle bolle papali del 29 luglio e del 25 dicembre 1481, oltre che alla Declaratio di frate Angelo. 15. Angelo da Chivasso, Declaratio seu interpretatio super bullis Sixti IV, Firenze, Niccolò di Lorenzo della Magna, 1481 circa (ISTC ia00712900). L’unico esemplare noto si trova alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Il testo è riprodotto in Viora, Angelo Carletti, pp. 326-329. 16. Ivi, p. 326.

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maniera puntuale le modalità perché essi potessero lucrare quell’indulgenza: «talibus contribuentibus assignent aliquem terminum brevem, puta usque ad Pasca, in quo si confitebuntur de suis peccatis, et conterentur, habeant plenissimam indulgentiam omnium peccatorum suorum».17 Addirittura frate Angelo voleva che si sgombrasse il campo dall’erronea convinzione – verosimilmente diffusa – che, con l’offerta da parte di un fedele, si generasse una sorta di automatismo: «Et licet verba bulle videantur velle quod statim habeant indulgentiam predictam postquam contribuerunt pro se, vel aliis pro ipsis, tamen ita declaro, quod ex quo contribuerunt per se, vel alii pro ipsis, quod habeant aliquod tempus, in quo confiteri commode possint de peccatis suis et conteri: et tunc statim habeant praefatam indulgentiam». Vi era inoltre previsto che quei fedeli potessero scegliere un confessore, il quale li assolvesse da scomuniche e casi riservati «in vita ipsorum totiens quotiens voluerint».18 I frati avrebbero dovuto infine consegnare loro una lettera, in cui fossero indicate siffatte prerogative, alle quali si aggiungeva: «quod possint prefati contribuentes in mortis articulo se facere absolvi plenarie ab omnibus peccatis»19 (più oltre si precisava che a quell’assoluzione in articulo mortis si poteva anche ricorrere più volte, se si verificasse il caso). Purtroppo non esiste la possibilità di valutare l’impatto di quella predicazione in Italia, dal momento che non si dispone di un repertorio dei fogli volanti, analogo a quello allestito per i paesi di lingua tedesca20 e nemmeno un’indagine ad ampio spettro come quella condotta sull’Inghilterra tardomedievale.21 Oltre a ciò, la Declaratio di frate Angelo era piuttosto avara nell’indicare quali dovessero essere le modalità della predicazione della crociata, almeno rispetto alla Instructio che alcuni anni prima, nel 1463, il cardinale Bessarione aveva redatto per i religiosi di diversi Ordini i quali avrebbero dovuto predicare la crociata nel dominio veneziano, dopo la caduta di Costantinopoli nella mani dei Turchi nel 1453 e dopo la dieta convocata a Mantova da papa Pio II nel 1462.22 17. Ibidem. 18. Ibidem. 19. Ivi, p. 327. 20. Falk Eisermann, Verzeichnis der typographischen Einblattdrucke des 15. Jahrhun‑ derts im Heiligen Römischen Reich Deutscher Nation, Wiesbaden, Reichert, 2004. 21. Robert N. Swanson, Indulgences in Late Medieval England. Passports to paradi‑ se?, Cambridge (UK), University Press, 2007. 22. Si veda Ludwig Möhler, Bessarions Instruktion für die Kreuzzugspredigt in Venedig (1463), in «Römische Quartalschrift», 35 (1927), pp. 337-349: il testo è riprodotto alle pp. 338-349.

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Alcuni famosi predicatori dell’Osservanza francescana avevano ripetutamente predicato la crociata nel corso del secolo.23 Giacomo della Marca lo aveva fatto nel 1455, al tempo di Callisto III, e di nuovo nel 1463-1464, al tempo di Pio II. Addirittura, un suo quaderno di lavoro a uso personale conteneva una serie di sermoni, scritti fra 1456 e 1457, da utilizzare per le prediche in volgare al popolo.24 Quanto a Roberto Caracciolo da Lecce, il frate predicò a diverse riprese la crociata, iniziando durante il pontificato di Niccolò V (1447-1455) e continuando sino al pontificato di Alessandro VI (1492-1503).25 La prima edizione della Summa de casibus conscientiae di Angelo da Chivasso fu allestita nella sua città natale, in Piemonte, sin dall’anno 1486,26 e già l’anno seguente venne riprodotta, nel comodo formato in 4°, nel maggiore centro editoriale dell’epoca, a Venezia.27 Da quella data sino all’anno 1500 fu ristampata almeno 26 volte in tutta Europa, dal momento che la sua redazione in lingua latina ne consentiva una circolazione internazionale: a Venezia, Milano, Speyer, Nürnberg, Straßburg, Lyon, Aalst, Rouen, Köln.28 Apparve a Venezia anche nel 1511: per la restante parte del secolo XVI fu ripubblicata, con opportuni aggiornamenti, almeno tredici volte e soltanto in Italia. Negli anni ’90 ne apparvero tre edizioni tradotte in lingua italiana, opportunamente integrate con i debiti rinvii alle deliberazioni del Concilio di Trento: con ogni verosimiglianza destinate a confessori ignari della lingua latina.29 Non si trattava peraltro di un testo da utilizzare immediatamente per l’ascolto delle confessioni: malgrado fosse concepito come un manuale, man23. Per quanto segue si veda Delcorno, Aspetti, pp. 447-478. 24. Si tratta del codice Vat. Lat. 7780, per il quale si veda Iulian Mihai Damian, San Giacomo della Marca e la cristianità di rito greco, in Biografia e agiografia di San Gia‑ como della Marca. Atti del convegno internazionale di studi (Monteprandone, 29 novembre 2008), a cura di Fulvia Serpico, [Monteprandone] Comune di Tavarnuzze (Impruneta), SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2009, pp. 77-93, a p. 84. 25. Si veda più ampiamente Delcorno, Aspetti, p. 448 e note 53-54. 26. Angelo da Chivasso, Summa angelica de casibus conscientiae, Chivasso, Giacomo Suigo, 13 maggio 1486 (ISTC ia00713000). 27. Angelo da Chivasso, Summa angelica de casibus conscientiae, Venezia, Giorgio Arrivabene, 22 ottobre 1487 (ISTC ia00714000). 28. Si vedano le edizioni repertoriate in ISTC. 29. Si vedano le edizioni repertoriate in CNCE e in USTC.

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teneva la struttura di una summa.30 Vi si compendiava comunque la dottrina penitenziale elaborata sino a quella data, mischiando un approccio giuridico con un orientamento religioso.31 All’inizio era in effetti riportata un’ampia lista di nominativi, di teologi e di canonisti, la cui autorità era richiamata all’interno del testo. Il sistema dei rinvii interni era a tal punto elaborato, che l’autore fu indotto a inserire una «tabula pro simplicibus [quae] declarat modum allegandi». La materia vi era ordinata alfabeticamente ed era elencata in una Tabula iniziale.32 In fitte colonne di testo, la voce «Indulgentia» si dipanava in 27 sezioni,33 impostate alla stregua di quaestiones, cui l’autore rispondeva con un approccio decisamente casuistico. Quando si prendessero in esame invece edizioni destinate a essere effettivamente utilizzate nell’ascolto delle confessioni, era necessario arrivare al termine di ciascun manuale per imbattersi in una formula di assoluzione per chi esibiva una lettera indulgenziale. Particolarmente autorevoli furono i manuali per i confessori e per i penitenti redatti dal frate domenicano Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze, autore di un diffuso Chronicon e di una monumentale Summa theologica.34 La loro versione in volgare era accessibile sia ai laici devoti sia al clero ignorante di latino e circolò ampiamente in forma manoscritta,35 prima di essere diffusa in numerose 30. Su questo genere di pubblicazioni si veda Miriam Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima Età moderna, Bologna, il Mulino, 1991. 31. Si veda in particolare Ohst, Pflichtbeichte, pp. 221-294: «Die Pflichbeichte nach dem Zeugnis der Summa Angelica». Si veda anche Gian Savino Pene Vidari, Angelo Car‑ letti e la cultura giuridica del suo tempo, in Frate Angelo Carletti, pp. 185-198, che rimanda a Mario Viora, La Summa Angelica, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 38 (1936), pp. 443-451, e a Ernesto Bellone, Note su Angelo da Chivasso (1410-1495) e sulle fonti classiche, patristiche e bibliche della sua Somma per confessori, in «Studi francescani», 82 (1985), pp. 147-163 (peraltro non del tutto attendibile). 32. Si è consultato on line l’esemplare del 1490 (GW 1924) conservato preso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera (Ink. A-524). 33. Ivi, fol. 161ra-162vb. 34. Si veda Antonino Pierozzi. La figura e l’opera del santo arcivescovo nell’Europa del Quattrocento. Atti del Convegno internazionale di studi storici (Firenze, 25-28 novembre 2009), a cura di Luciano Cinelli e Maria Pia Paoli, in «Memorie Domenicane», n.s., 43 (2012), e in particolare Piero Scapecchi, Gli incunaboli delle opere di Antonino, pp. 403-407. 35. Si veda Thomas Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, 4 voll., Roma, Istituto Storico Domenicano, 1970-1993, vol. I, pp. 96-98.

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edizioni a stampa in tutta Europa.36 La editio princeps del manuale in latino, indicato spesso con la prima parola della citazione biblica che lo apriva: Defecerunt scrutantes scrutinio (Ps. LXIII, 6), nel 1468 apparve assai precocemente a Colonia, a opera di un clericus Maguntinus, Ulrich Zel.37 In quella «Instructio seu directio simplicium sacerdotum», ovvero «summa confessionum seu interrogatorium pro simplicibus confessoribus», si doveva in verità arrivare alla «quarta et ultima pars huius tractatus que tractat de absolutione et penitentie iniunctione». In effetti proprio alla fine, prima dell’explicit, si affacciava l’indulgenza plenaria, da utilizzare al momento del decesso: «Si autem infirmus habet indulgentiam in articulo mortis a papa, appropinquante morte tunc potest fieri absolucio», con le opportune cautele suggerite dalla formula.38 Nei manuali in volgare, anch’essi di solito individuati dalla loro prime parole: Curam illlius habe,39 e Omnis mortalium cura,40 destinati piuttosto a istruire i penitenti (e i sacerdoti incolti), con un’impostazione catechistica finalizzata all’individuazione dei peccati da confessare,41 non si riscontravano tracce di alcuna problemati36. Per le edizioni quattrocentesche si veda ISTC e per quelle cinquecentesche USTC (per le italiane CNCE). 37. Antonino da Firenze, Confessionale Defecerunt scrutantes scrutinio, Köln, Ulrich Zel, non dopo il 29 agosto 1468 (ISTC ia00786000). 38. Questo è il tenore della forma finale dell’assoluzione, con cui si conclude il manuale prima dell’explicit: «Item eadem auctoritate Dei et beatorum eius apostolorum Petri et Pauli et sancte Romane Ecclesie et domini nostri pape michi in hac parte commissa et tibi concessa in quantum claues Ecclesie se extendunt et in quantum debeo et possum si in ista vice morieris. Absoluo te ab omnibus peccatis tuis in purgatorio debitis propter culpas et offensas, quantas contra Deum et animam tuam et proximum tuum commisisti, si non pretextu istius indulgentie commisisti illa et in quantum michi permittitur, restituo te innocentie in qua eras quando baptisatus fuisti. Si vero ista vice non morieris, reseruo tibi plenariam auctoritatem et indulgentiam tibi concessam a domino papa pro ultimo articulo mortis tue». 39. Antonino da Firenze, Confessionale Curam illius habe, Mantova, Paul Butzbach, 21 febbraio 1475 (ISTC ia00783500). I testi raccolti in quella edizione, consultata on line, sono in italiano. La editio princeps apparve a Bologna nel 1472 (ISTC ia00782000). 40. Antonino da Firenze, Confessionale Omnis mortalium cura, Milano, s.n.t., circa 1477-1480 (ISTC ia00842300). I testi raccolti in quella edizione, consultata on line, sono in italiano. 41. Per il carattere di questo approccio, che risale ai secoli precedenti, si veda Roberto Rusconi, «Ordinate confiteri». La confessione dei peccati nelle «summae de casibus» e nei manuali per i confessori (metà XII-inizi XVI secolo), in L’Aveu. Antiquité et Moyen Age, Roma, École Française de Rome, 1986, pp. 297-313 (anche in Rusconi, L’ordine dei peccati, pp. 83-103).

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ca indulgenziale. Analoga «Formula absolutionis habentium indulgentiam plenariam» si trovava immediatamente prima della sua fine anche nel manuale per confessori di un altro francescano dell’Osservanza, il milanese Bartolomeo Caimi: il cui testo ebbe almeno 13 edizioni tra 1471 e 1500, e di esse ben 9 furono impresse in territori di lingua tedesca.42 Quanto a un altro domenicano, Teodoro da Sovico, priore del convento milanese di S. Eustorgio, autore di un Confessionario utilissimo a ogni persona, stampato per la prima volta a Milano nel 1496 e ripubblicato in quella città per sei volte fino al 1523, la «Formula plenarie absolutionis indulgentie» era fornita in un’ampia versione, in un certo senso attualizzata: Auctoritate Dei omnipotentis, beatorum apostolorum Petri et Pauli et sancte Romane Ecclesie mihi concesse, ego te absoluo ab omni sententia excomunicationis maioris et minoris, et restituo te unitati fidelium et sacramentis Ecclesie, et eadem auctoritate mihi concessa absoluo te ab omnibus peccatis tuis confessis et oblitis. Item auctoritate Dei omnipotentis et beatorum apostolorum Petri et Pauli et sancte Romane Ecclesie et auctoritate reuerendissimi in Christo patris et dd. Johannis de Aragonia, delegati summi pontificis nostri, sanctissimi dd. Sixti, mihi in hac parte concessa, in quantum possum et in quantum debeo te, si in hac vice morieris, absoluo ab omnibus peccatis tuis in purgatorio, debitis propter culpas et offensas quas contra Deum et animam tuam comisisti. Et in quantum mihi permettitur restituo te illi innocentie, in qua eras quando baptizatus es vel baptizata fuisti. Si vero in hac vice non morieris, reseruo tibi plenariam indulgentiam concessam a reuerendo dd. Johanne de Aragonia, legato nostro, in articulo mortis. In nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti. Amen.43 42. Si veda ISTC. Su questo testo cfr. Roberto Rusconi, Manuali milanesi di confes‑ sione editi tra il 1474 ed il 1523, in «Archivum Franciscanum Historicum», 65 (1972), pp. 107-156, soprattutto alle pp. 123-131. 43. «Per l’autorità di Dio Onnipotente, dei beati apostoli Pietro e Paolo e della santa Chiesa Romana a me concessa, ti assolvo da ogni sentenza di scomunica, maggiore e minore, e ti restituisco all’unione con i fedeli e i sacramenti della Chiesa, e con la stessa autorità a me concessa, ti assolvo da tutti i tuoi peccati confessati e dimenticati. Allo stesso modo, per l’autorità di Dio onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo e della santa Chiesa Romana e per l’autorità del reverendissimo in Cristo padre e signore Giovanni d’Aragona, delegato del nostro sommo pontefice, il santissimo signore Sisto, concessa a me in questa parte, per quanto posso e per quanto ti devo, se tu muori questa volta, ti assolvo da tutti i tuoi peccati [da espiare] in purgatorio, per le colpe e le offese che hai fatto a Dio e alla tua anima. E per quanto mi è permesso, ti restituisco a quell’innocenza in cui eri quando sei stato battezzato o sei stata battezzats. Ma se non muori questa volta, ti conservo la plenaria indulgenza concessa dal reverendo signore Giovanni d’Aragona, nostro legato, per il momento della morte. Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen». ISTC it00059500

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Peraltro, quando si sfogliasse uno dei tanti opuscoletti in volgare, destinati a una “confessione generale” da parte di un fedele,44 di solito a ridosso della comunione pasquale, non sarebbe per nulla inconsueto imbattersi in rubriche di questo genere: «Bonifatio papa ha concesso duecento anni de indulgentia a ogni persona la qual dice la infrascipta oratione». E poi: «El uenerabile Beda compose la infrascripta oratione. Chi ogni dì la dirà almancho una uolta in genochioni non porrà morire di mala morte né senza confesione & trenta dì inanzi ala morte li aparirà la Uergine Maria in suo adiutorio».45 In conclusione, le indulgenze si affacciavano in maniera molto contenuta nei manuali per i confessori e per i penitenti pubblicati nel mezzo secolo compreso all’incirca tra 1470 e 1520, redatti da frati francescani e domenicani in Italia, e ristampati a più riprese anche in Germania.46 Nel corso del secolo XV i frati Minori dell’Osservanza promossero con impegno l’indulgenza della Porziuncola, ovvero l’indulgenza plenaria che papa Onorio III avrebbe concesso nel 1216 a Francesco d’Assisi in persona, per quanti avessero visitato la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, detta comunemente la Porziuncola, il 2 agosto di ogni anno, in occasione della ricorrenza della sua dedicazione. Di quella indulgenza non esisteva peraltro nessun riscontro documentale, bensì un accumulo di tradizioni devote che furono condensate nel secolo XIV dal frate Francesco di Bartolo di Assisi.47 Nel 1470 a Trevi, in Umbria, lo stampatore tedesco Johann Reinhard pubblicava un estratto del Liber sacrae indulgentiae S. Mariae (edizione consultata on line). Per le edizioni cinquecentesche degli anni 1502, 1505, 1510, 1514 e 1523 si veda CNCE. Su questo testo cfr. Rusconi, Manuali milanesi, pp. 136-143. 44. Si veda Roberto Rusconi, «Confessio generalis». Opuscoli per la pratica peniten‑ ziale nei primi cinquanta anni dalla introduzione della stampa, in I frati Minori tra ’400 e ’500. Atti del XII convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 18-20 ottobre 1984), Perugia, Università - Assisi, Centro di studi francescani, 1986, pp. 189-227 (anche in Rusconi, L’ordine dei peccati, pp. 241-276). 45. CNCE 5479: Bernardino da Feltre, Confessione, Perugia, Girolamo Cartolari, 1524. Si cita da un esemplare conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, Stampe Ross. 6534 (2). 46. Si conferma in sostanza quanto scrisse già Nikolaus Paulus, Geschichte des Ablas‑ ses im Mittelalter, 3 voll., Darmstadt, Primus Verlag, 2000, vol. III, p. 126 (la prima edizione fu pubblicata a Paderborn nel 1922-1923). 47. Si veda Stefano Brufani, Francesco di Bartolo e il “Liber sacrae indulgentiae S. Mariae de Portiuncula”, in San Francesco e la Porziuncola: dalla chiesa piccola e povera alla basilica di Santa Maria degli Angeli, a cura di Pietro Messa, Santa Maria degli Angeli (Assisi), Edizioni Porziuncola, 2008, pp. 185-205.

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de Portiuncula vel de Angelis di quel minorita.48 I francescani promuovevano quell’indulgenza dal pulpito. Ad esempio,49 nelle Propositiones theo­ logicae pro festivitatibus tocius anni predicatae et compositae Venetiis, compilate tra 1404 e 1406 da fra Niccolò Ferragatti da Bettona, si trovava un «Sermo de indulgentia Portiunculae» (del quale comunque si precisava che poteva essere utilizzato anche per la festa liturgica di san Francesco d’Assisi e per la sua ottava). Il testo di un sermone «De indulgentia Portiun­cule» fu redatto da fra Pietro Arrivabene da Canneto, predicatore ufficiale designato per la ricorrenza del 2 agosto 1485. Alla Porziuncola il 2 agosto 1490 («in S. Maria de Angelis, tempore indulgentie») si trovava un predicatore itinerante dell’Osservanza francescana, come egli annotava in un proprio diario.50 Inoltre nei primi decenni del secolo XVI apparve a stampa un Sermo egregius de indulgentia Sancte Marie de Angelis apud Assisius compillatus per fratrem Franciscum de Venetiis, alias El Suriano prouintie sancti Francisci, un opuscolo di 8 carte non numerate in 4°: un testo fitto di aneddoti (exempla), riportati allo scopo di supportare l’autorevolezza e l’attendibilità del Perdono di Assisi.51 Un’ampia esposizione sull’indulgenza della Porziuncola si trovava anche nel Rosarium sermonum predicabilium, pubblicato nel 1498 da un francescano dell’Osservanza milanese, Bernardino Busti.52 Il suo testo si presentava ambiziosamente come una sorta di autorevole compendio della predicazione dell’epoca. Dopo l’editio princeps veneziana53 fu ripetuta48. Francesco di Bartolo, Quomodo beatus Franciscus petivit a Christo indulgentiam pro ecclesia Sanctae Mariae de Angelis, Trevi, Johann Reinhard, 1470 (ISTC if00290400). L’unica copia nota è conservata presso la Biblioteca Alessandrina dell’Università di Roma - La Sapienza. 49. Per quanto segue si veda Mario Sensi, Il perdono di Assisi, Santa Maria degli Angeli (Assisi), Edizioni Porziuncola, 2002: appendice VI, p. 293 sgg. 50. Si veda Kimura, The Bildungsroman of an Anonymous Franciscan Preacher, p. 50. 51. CNCE 77235. L’unico esemplare noto si trova presso la Biblioteca Augusta di Perugia. Per la sua datazione sono stati ipotizzati il 1512 circa oppure il 1526. 52. Sull’autore si veda la dissertazione di Fabrizio Conti, Preachers and Confessors Against “Superstitions”. The Rosarium Sermonum by Bernardino Busti and Its Milanese Context (Late Fifteenth Century), Budapest, Central European University, 2011, e il suo volume Witchcraft, Superstition and Observant Franciscan Preachers. Pastoral Approach and Intellectual Debate in Renaissance Milan, Turnhout, Brepols, 2015. 53. Bernardino Busti, Rosarium sermonum, Venezia, Giorgio Arrivabene, 1498 (ISTC ib01336000).

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mente stampato da Heinrich Gran ad Hagenau e da Johann Rynmann ad Augsburg negli anni 1500,54 1503, 1508, 1513, 151855 (mentre per una seconda edizione italiana si dovette attendere addirittura il 1588)56 e anche a Lione da Jean Clein negli anni 1502, 1506, 1507, 1508, 1511, 1513.57 Ebbe una circolazione estremamente ampia, a giudicare almeno dal numero e dalla diffusione degli esemplari ancora esistenti. Bernardino Busti si servì della compilazione tardo trecentesca di un altro frate Minore, Bartolomeo da Rinonico (o da Pisa), De conformitate vitae beati Francisci ad vitam domini Jesu, che ebbe un’ampia circolazione manoscritta,58 prima di essere stampato in due diverse edizioni agli inizi del secolo XVI, a Milano, nel 1510 e nel 1513.59 A dire il vero si trattava dello stesso testo che a qualche decennio di distanza fu attaccato da Erasmus Alber, il quale lo etichettò duramente come «il Corano dei francescani»:60 in

54. Bernardino Busti, Rosarium sermonum, Hagenau, Heinrich Gran & Johannes Rynman, 1500 (ISTC ib01337000). 55. USTC 675126; 691512; 691504; 691503. 56. Rosarium sermonum per quadragesimam, ac in omnibus diebus tam dominicis quam festis per annum necnon de vnaquaq. materia praedicabilium. Auctore venerabili, et eruditissimo viro f. Bernardino De Busto Ord. min. s. Francisci de obseruantia. Quod quidem peregregium opus non modo verbi Dei concionatoribus, & parochis; sed & sa‑ crae theologiae studiosis summam afferet utilitatem. Nunc primum ex antiqua, in hanc emendatiorem ac luculentiorem formam restitutum; ac triplici locupletissimo indice or‑ natum. Tomus primus [-tertius], Brescia, Pietro Maria Marchetti, 1588 (CNCE 7999). 57. Rispettivamente 1502 (USTC 158745); 1506-1507 (USTC 154979, USTC 155002); 1508 (USTC 155033); 1511 (USTC 158774, USTC 155140); 1513 (USTC 144195). 58. Si veda Enrico Menestò, Dagli «Actus» al «De conformitate»: la compilazione come segno della coscienza del francescanesimo trecentesco, in I Francescani nel Tre‑ cento. Atti del XIV convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 16-18 ottobre 1986), Perugia, Università degli studi di Perugia - Assisi, Centro di studi francescani, 1988, pp. 41-68. 59. Bartolomeo da Rinonico, Liber conformitatum, Milano, Gottardo Da Ponte, 17 settembre 1510 (CNCE 4488); Bartolomeo da Rinonico, Opus auree & inexplicabilis boni‑ tatis et continentie. Conformitatum scilicet vite beati Fran. ad vitam D. nostri Iesu Christi, Milano, Giovanni Castiglione, 17 agosto 1513 (CNCE 4489). 60. Si veda Kurt-Victor Selge, Franz von Assisi in der protestantischen Geschichts‑ schreibung des 16. Jahrhunderts, in L’immagine di Francesco nella storiografia dall’Uma‑ nesimo all’Ottocento. Atti del IX convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 15-17 ottobre 1981), Perugia, Università di Perugia - Assisi, Centro di studi francescani - Rimini, Maggioli, 1983, pp. 169-198, in particolare pp. 191-193.

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una pubblicazione in tedesco del 1542,61 che ebbe una versione latina nel 154362 (il suo scritto fu tradotto anche in inglese63). Il racconto relativo all’indulgenza della Porziuncola era stato inserito in una porzione del sermonario dove erano accumulati i materiali per predicare sulle indulgenze, come si riassumeva al lemma «Indulgentia» nella Tabula alphabetica premessa ai due volumi del Rosarium sermonum: Indulgentia quid sit et unde procedat et quis eam concedere possit et quid requiratur ad hoc ut quis eam possit consequi et an ille qui concessit indulgentiam possit eam accipere pro seipso et utrum indulgentiam possit accipere pro alio. Et an accepta pro defunctis prosit eis. Et de indulgentia Portiuncule quo modo est excellentior indulgentia mundi multis respectibus. Et utrum ille qui accepit indulgentiam plenariam si tunc moreretur recto tramite volaret ad celum. Et an indulgentia semel accepta possit iterum accipi. Et de multis utilitatibus indulgentiarum.64

Da lì si rinviava in particolare al sermone XIII della prima parte: «Feria quinta post primam dominicam in XLa. De fidei diffinitione, declaratione atque impeditione». Nella sua seconda parte, «De declaratione articulorum fidei», si commentavano i singoli versetti del Credo, rifacendosi alla tradizione medievale secondo la quale essi erano stati composti ciascuno da uno dei dodici apostoli. L’undicesimo della serie «Remissionem peccatorum» era attribuito all’apostolo Taddeo. Subito 61. Erasmus Alberus, Der Barfuser muenche Eulenspiegel und Alcoran, Wittenberg, Hans Lufft, 1542 (USTC 632840, USTC 632839). Vi fu pubblicato nuovamente nel 1555 e nel 1560 a Strasburgo (USTC 632837 e USTC 632838), e ancora nel 1573 (USTC 632836). 62. Erasmus Alberus, Alcoranus Franciscanorum. Id est, blasphemiarum et nugarum lerna, de stigmatisato idolo, quod Franciscum vocant, ex libro conformitatum, Frankfurt am Main, Peter Braubach, 1543 (USTC 610660 e USTC 610661). 63. Erasmus Alber, The alcaron of the barefote friers, that is to say, an heape or numbre of the blasphemous and trifling doctrines of the wounded idole Saint Frances taken out of the boke of his rules, called in latin, Liber conformitatum, London, Richard Grafton, 1550 (USTC 504357). 64. «Che cos’è l’indulgenza e da dove viene e chi può concederla e che cosa si richiede perché qualcuno possa ottenerla e se chi ha concesso l’indulgenza può riceverla per sé e se può ricevere l’indulgenza per un altro. E se ne trarrebbero beneficio se fosse acquisita per i morti. E dell’indulgenza della Portunculus, in che modo è l’indulgenza più eccellente del mondo sotto molti aspetti. E se colui che ha ricevuto una indulgenza plenaria, se poi morisse, direttamente volerebbe in paradiso? E se l’indulgenza una volta acquisita può essere acquisita di nuovo. E sui tanti benefici delle indulgenze».

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dopo si apriva la trattazione della materia relativa alle indulgenze, al cui interno era appunto estesamente riportata la tradizionale legenda concernente l’indulgenza della Porziuncola.65 In qualche esemplare consultato questa parte era ampiamente sottolineata e annotata, come poche altre del volume. In margine si poteva leggere: «solus pontifex potest dare plenarias». Nell’ultimo quarto del secolo XV furono pubblicate a stampa, e più volte ristampate anche nei primi due decenni del secolo XVI, alcune raccolte di sermoni latini redatte da predicatori a volte scomparsi da qualche tempo. Nel caso del frate servita Ambrogio Spiera da Treviso († 1454), la sua raccolta ha annoverato a partire dal 1476 quattro edizioni incunabole a Venezia e due ristampe a Basilea nel 1510 e nel 1516.66 Nel suo Quadragesimale de floribus sapientie si trovava un intero sermone latino «De indulgentiis»: fitte colonne a stampa che difficilmente avrebbero potuto rifluire nella predicazione effettiva, dal momento che in esse era stata accumulata soprattutto la dottrina penitenziale elaborata da teologi e canonisti.67 La pubblicazione in effetti si presentava come una sorta di repertorio dottrinale, preceduta da una «Tabula conclusionum et veritatum», dove le «conclusiones de indulgentiis» rimandavano a quel sermone, e subito dopo da una «Tabula alphabetica contentorum in hoc opere», dove alla lettera «I» per le «indulgentie» si rinviava al medesimo sermone. Nella rubrica iniziale il frate servita indicava il senso generale delle argomentazioni particolarmente analitiche che si trovavano nelle colonne seguenti: Si quis sitit, veniat ad me et bibat. Johannes 7. Iam his verbis gloriosus Christus gratie sue plenitudinem, de qua antecedenti sermone diximus, ostendit. Iam nos ad cellarium sanctum eius inuitat, quod sacrosancta ecclesia catholica est, vt bibamus et sitim extinguamus. In hoc enim benedicto cellario indulgentiarum infinitam multitudinem posuit, vt qui in hac vita pro peccatis satisfacere non sufficimus, per indulgentias iuuaremur. Ait ergo: si quis sitit, scilicet habere 65. Nelle fitte colonne da p. 87vb a p. 94va. La citazione è a p. 88va. È stato consultato un esemplare della Biblioteca Apostolica Vaticana (Inc. IV.236). 66. Si vedano le indicazioni di ISTC e di USTC. Per il personaggio si veda Pacifico Maria Branchesi, Bibliografia dell’Ordine dei Servi, 3 voll., Bologna, Centro di Studi O.S.M., 1971-1973, vol. II, pp. 114-117. 67. «Feria II dominice de passione. De indulgentiis, Sermo XXXIIII», ff. 234rb238vb. È stata consultata online l’edizione di Basilea del 1516 (esemplare della Bayerische Staatsbibliothek, corrispondente a VD16 A2219).

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indulgentiam suarum culparum, veniat ad me, id est ad ecclesiam meam, corde contrito et confessione facta, et bibat, id est potet effectum indulgentiarum.68

In un’unica edizione furono comprese diverse raccolte del frate domenicano Pietro Geremia, dapprima a Brescia nel 1502 e in seguito a Lione nel 1514.69 Anche nel suo Quadragesimale de peccato si trovava un sermone XXVII «De indulgentiis»,70 repertorio di argomentazioni teologiche e soprattutto canonistiche di certo poco adeguate a una predicazione in volgare ai fedeli. Rifletteva al contrario la predicazione in volgare l’opuscoletto di un francescano dell’Osservanza, Antonio da Vercelli († 1483), una pubblicazione da lui personalmente curata e uscita per la prima volta a Parma nel 1479.71 Come recitava la rubrica, peraltro in latino, il «Septimus insuper confessionis fructus dicitur liberationis videlicet et a penis purgatoriis». Rimandando al Commentum super quartum librum Sententiarum Petri Lombardi di un teologo francescano del secolo XIII, Riccardo da Mediavilla (l’inglese Richard of Middleton), vi si scriveva:

68. « Se qualcuno ha sete, venga da me e beva. Giovanni 7. Ora, con queste parole il Cristo glorioso mostra la pienezza della sua grazia, di cui abbiamo parlato nella predica precedente. Ora ci invita nella sua santa dispensa, che è la santissima Chiesa cattolica, affinché possiamo bere e dissetarci. Perché in questa dispensa benedetta ha posto una moltitudine infinita di indulgenze, affinché noi che in questa vita non siamo in grado di espiare i nostri peccati, possiamo essere aiutati dalle indulgenze. Disse dunque: Se qualcuno ha sete, cioè di avere ndulgenza per i suoi peccati, venga a me, cioè alla mia Chiesa, con il cuore contrito e fatta la confessione, e beva, cioè possa ottenere l’effetto delle indulgenze». 69. Pietro Geremia, Diuinum Petri Hieremie opus. Sermones in aduentum Domini. Sermones de peccato. Sermones de fide. Sermones de penitentia. Sermones de oratione. Sermones dominicales per totum annum. Sermones de sanctis, Brescia, Giacomo Britannico, 8 ottobre 1502 (CNCE 20705, CNCE 20706). 70. Pietro Geremia, Sermones petri hieremie parnormitani ex sicilia: f.conuentus or‑ dinis predicatorum Bononiensium de adventu usque ad quadragesimam: quadragesimales de peccato: quadragesimales de penitentia. De expositione orationis dominice de decem preceptis una cum passione Jesu Christi. De fide: quadragesimales. De sanctis per anni circulum. Index, Haguenau - Augsburg, Heinrich Gran & Johann Rynmann, 1514 (USTC 693789). Si veda il sermo XVII, f. 95v-98v (è stato consultato on line l’esemplare della Bayerische Staatsbibliothek, che corrisponde a VD16 P 1883). 71. Antonio da Vercelli, Sermone dei dodici frutti della Confessione, Parma, Andrea Portilia, 29 gennaio 1479 (ISTC ia00917600). È stato consultato on line l’esemplare della Biblioteca Palatina di Parma. Si veda al proposito Rusconi, L’ordine dei peccati, pp. 219235.

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chi se ua a confessare cum uera contritione et caritade è capace de tutti le indulgentie che concedono li papa o uero summi pontifici. Unde si el papa mette in una chiesa la indulgentia de quaranta anni e uno sia confessato e intra in quella chiesa offerendo alchuna cosa secondo el tenore de la bolla, certo è che quello tale ha guadagnato quaranta anni de perdonanza. Unde se colui fusse obligato a stare quaranta anni nelle acerbissime pene del foco del purgatorio, è liberato da quelle pene mediante la confessione facta e la uisitatione di quella chiesa.

In sostanza, per il frate «Al presente basta a noi concludere che chi si confessa per amore di Dio è capace de tute li indulgentie del papa, ma chi non se uole confessare mai po’ participare di quelle indulgentie». Questa parte del sermone terminava dunque con un invito agli ascoltatori a confessarsi. Tutto ciò corrispondeva a una minima parte di quanto era accumulato e sviluppato nella sua raccolta latina, i Sermones quadragesimales de XII mirabilibus Christianae fidei excellentiis, dove nel settimo sermone, in corrispondenza del sabato dopo la domenica di Settuagesima, «De septem effectibus divine clementie», nella sezione «De sexto effectu diuine clementie quod dicitur concessionis», trattava de indulgentiis: come una mano anonima, coeva e tedesca, chiosava in margine, e ripeteva in corrispondenza dei titoli correnti, in un esemplare dell’edizione stampata ad Hagenau nel 1513 (che era stata preceduta dall’editio princeps veneziana del 1492-1493,72 da una ristampa nelle città lagunare nel 1505 e da un’edizione lionese del 1504).73 In verità, nei numerosi sermonari latini stampati in Italia, e più volte ristampati in Germania, non si riscontravano di frequente testi predisposti per una specifica predicazione sulle indulgenze.74 Indicativo da tale punto di vista era il caso del frate Minore dell’Osservanza milanese, Michele Carcano, principale fonte di ispirazione del Rosarium sermonum di Bernardino Busti: malgrado i suoi sermonari editi ed inediti fossero impostati in una chiave prettamente penitenziale, egli non ebbe modo di soffermarsi sulle indulgen72. Antonio da Vercelli, Sermones quadragesimales de XII mirabilibus Christianae fidei excellentiis, Venezia, Giovanni & Gregorio De Gregori, 16 febbraio 1492/93 (ISTC ia00918000). 73. Si vedano le indicazioni di ISTC, CNCE e USTC. 74. A conferma dei cenni generali di Paulus, Geschichte, vol. III, pp. 100-129: «Der Ablaß in den Predigten und Erbauungsbuchern».

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ze.75 Per altri versi è però alquanto significativo vedere dove si collocassero in singole raccolte alcune sezioni relative a quell’argomento. La raccolta di Sermones de sanctis del frate domenicano Leonardo Mattei da Udine76 fu riprodotta in ben 16 edizioni tra 1473 e 1495-1496:77 di esse ben nove furono stampate in paesi di lingua tedesca, solo due paia tra Venezia (tra cui l’editio princeps), Roma e Vicenza, altre a Parigi e Lione (dove le sue raccolte furono ristampate ripetutamente tra 1503 e fino al 1518, ma i Sermones de sanctis soltanto nel 150378). Una breve sezione vi era stata dedicata alle indulgenze in una delle suddivisioni del sermone «De beato Petro», il cui incipit era Tibi dabo claues (Mt. XVI, 19): «remissionis: id est indulgentiarum largitione». Se era di per sé eloquente la collocazione nell’ambito di un sermone dedicato a colui che era considerato il primo papa della storia cristiana, quanto il frate avrebbe potuto proferire dal pulpito era affidato a una breve considerazione preliminare, comunque all’interno del consueto approccio casuistico: Quid operatur indulgentia a pena et culpa. Respondetur quod talis indulgentia ualet ad hoc, quia talis anima sic decedens non tangit penas inferni nec purgatorii, sed subito uolat ad celum. Sic quando est annus iubilei uel indulgentia de passagio fiendo contra infideles pro recuperatione terre sancte.79

75. Sul personaggio si vedano almeno Roberto Rusconi, Michele Carcano da Milano e le caratteristiche della sua predicazione, in «Picenum Seraphicum», 10 (1973), pp. 196218; Rosa Maria Dessì, Entre prédication et réception. Les thèmes eschatologiques dans les «reportationes» des sermons de M. Carcano de Milano, in «Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Âge», 102/2 (1990), pp. 457-479, e Usura, Caritas e Monti di Pietà. Le prediche antiusurarie e antiebraiche di Marco da Bologna e di Michele Carcano, in I frati Osservanti e la società in Italia nel secolo XV. Atti del XL Convegno della Società Internazionale di Studi Francescani (Assisi-Perugia, 11-13 ottobre 2012), Spoleto (Perugia), CISAM, 2013, pp. 169-226. 76. Si veda Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum, vol. III, pp. 80-85. 77. Per le edizioni quattrocentesche stampate a Köln, Augsburg, Basel, Ulm, Nürn­ berg, Speyer e Straßburg si vedano le indicazioni di ISTC. 78. USTC 154927. 79. «Come funziona un’indulgenza a pena et culpa. La risposta è che una tale indulgenza serve a ciò, affinché perché a una siffatta anima – che trapassa in questo modo – non toccano le pene dell’inferno o del purgatorio, ma immmediatamente vola in paradiso. Così accade, quando è l’anno del giubileo o vi è un’indulgenza se si intraprende una crociata contro gli infedeli per il recupero della Terra Santa». ISTC il00152000: Leonardus de Utino, Sermones de sanctis, Venetiis, Franciscus Renner de Heilbronn, con Nicolaus de Frankfordia, 1473 (è stato consultato on line un esemplare della Bayerische Staatsbibliothek,

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Si trattava di una formulazione tanto sintetica quanto sbrigativa. Facendo ricorso ad essa non sarebbe stato difficile dare adito a fraintendimenti nell’ambito di una predicazione effettiva. Le raccolte di sermoni latini a uso dei predicatori, nei decenni compresi all’incirca fra 1470 e 1520, redatte da religiosi italiani di diversi Ordini mendicanti, vale a dire serviti, domenicani e francescani, avevano avuto la medesima circolazione nella penisola e nei territori di lingua tedesca (e anche in Francia). Al di là di dettagli minori, e della specifica scelta da parte dell’uno o dell’altro di particolari modalità nel trattare la tematica delle indulgenze, l’approccio teologico e canonistico era in sostanza comune e costituiva il retroterra di una predicazione ai fedeli nel corso della quale difficilmente sarebbero state riversate tutte le argomentazioni che riempivano fittamente le colonne a stampa. Soprattutto non sarebbero state trasmesse le sottigliezze giuridiche e dottrinali e di conseguenza sarebbe stato lasciato ampio spazio all’ambiguità. La presa di posizione di Martin Lutero non distolse dal ristampare, intorno al 1520, un manifesto, in formato atlantico, con il Summarium bul‑ le plenissime indulgentie pro Fabrica Basilice principis apostolorum de Urbe, a s.d.n. domino Leone X nouiter emanate […] confirmate, approbate ac de nouo concesse: con concessioni che furono ripetutamente ribadite dai diversi pontefici nel corso del secolo XVI.80 Almeno per i fedeli che mantennero la propria adesione alla Chiesa di Roma, e in particolare in Italia, le indulgenze continuarono a ricoprire un ruolo significativo nella prassi ecclesiastica e nella vita religiosa dei laici.81

Ink. L-106 = GW M 17908). Malgrado un indice iniziale si avvalga di una numerazione, le pagine non sono numerate. 80. CNCE 39967. Si veda in CNCE sub: “Fabbrica di S. Pietro”. 81. Cfr. Roberto Rusconi, «Celeste et divino tesoro»: le indulgenze e la vita religiosa dei laici agli inizi dell’età moderna, in «Chiesa e storia», 1 (2011), pp. 199-224.

8. Le prediche di fra Girolamo da Ferrara: dai manoscritti al pulpito alle stampe

Girolamo Savonarola entrò nel convento di S. Domenico di Bologna dell’Ordine dei Frati Predicatori nel 1475 e da quel momento ricevette l’istruzione impartita sulla base del curriculum degli studi: procedette nelle varie funzioni previste dagli ordinamenti interni, prima di accedere al pulpito per la predicazione ai fedeli, iniziando con la quaresima del 1484, nella chiesa di S. Lorenzo a Firenze.1 All’interno del quadro della formazione impartita ai frati del proprio Ordine, fra Girolamo si accostò alle letture tradizionalmente previste per lo studio, principalmente nell’ambito delle Sacre Scritture, del diritto canonico e della teologia. Nel corso degli anni egli continuò a leggere, e a prendere appunti dalle letture che a mano a mano faceva, in modo funzionale alla propria attività, dapprima di lector presso il convento di S. Marco a Firenze a partire dal 1482, e poi di predicatore in volgare. Appunti dalle letture, abbozzi e schemi di sermoni, facevano parte del metodo di lavoro dei predicatori della sua epoca, i quali rielaboravano il patrimonio dottrinale disponibile in modo da poterlo utilizzare per la predicazione dal pulpito.2 Nel caso di fra Girolamo sin dal principio appare assai rimarchevole l’influsso su di lui esercitato dagli scritti di san Tommaso d’Aquino, di cui ampiamente si avvalse per redigere gli abbozzi latini di 1. Per un’informazione fondamentale a carattere biografico è opportuno rifarsi ad Armando F. Verde, Savonarole (Jérôme), in «Dictionnaire de spiritualité», XIV (1990), coll. 370-388. 2. Per un esempio fra tutti si vedano i manoscritti di appunti di Bernardino da Siena: Dionisio Pacetti, De sancti Bernardini Senensis operibus ratio criticae editionis, Quaracchi (Firenze), [s.n], 1947, pp. 48-62 (per l’Itinerarium anni) e Cesare Cenci, Un manoscritto autografo di S. Bernardino a Budapest, in «Studi francescani», 61 (1964), pp. 326-381.

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interi cicli di sermoni3 (anche se questo non avvenne a discapito della conoscenza e della utilizzazione di altri autori). Caratteristiche analoghe, dal punto di vista intellettuale e redazionale, presentavano peraltro anche gli scritti filosofici di Girolamo Savonarola, il Compendium logicae,4 messo a stampa nel 1492 e nel 1497,5 da un lato, e il Compendium philosophiae naturalis e il Compendium philosophiae moralis, rimasti invece inediti durante la vita del frate.6 Con queste premesse, si può facilmente comprendere per quale motivo la ars predicandi di fra Girolamo da Ferrara non presentasse particolari innovazioni, a fronte del processo di semplificazione dell’oratoria ecclesiastica verificatosi nel corso del secolo XV, che aveva avuto un capofila nel frate Minore dell’Osservanza Bernardino da Siena e una fitta sequela nei numerosi predicatori del suo Ordine.7 Caratteristica fu invece la sua scelta personale 3. Cfr. Giulio Cattin, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Solatium itineris mei, Roma, A. Belardetti, 1978, p. 189. Cfr. infra, nota 58. 4. Un’opera legata «a una preparazione scolastica ancorata al tomismo, scarsamente sensibile agli inquieti richiami della nuova logica e degli ambienti più aggiornati della fisica, e poco aperta alle loro tecniche» (Eugenio Garin, Ricerche sugli scritti filosofici di Savonarola, in Id., La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 1961, p. 209). 5. Catalogo delle edizioni di Girolamo Savonarola (secc. XV-XVI) possedute dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di Piero Scapecchi, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 1998, num. 14 e 15. 6. Si veda Gian Carlo Garfagnini e Eugenio Garin, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Scritti filosofici, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1982-1988, vol. II, pp. 481-488: «Nessun dubbio sul carattere meramente scolastico dei compendi; […] elementari riassunti e compilazioni […]; l’impressione, frequente, di pure e semplici trascrizioni di brevi estratti, di citazioni, di elenchi da usare a lezione» (a p. 481). 7. Si veda l’importante studio di Carlo Delcorno, L’“ars praedicandi” di Bernardino da Siena, in «Lettere italiane», 32 (1980), pp. 441-475 (anche in Atti del simposio interna‑ zionale cateriniano-bernardiniano [Siena, 17-20 aprile 1980], a cura di Domenico Maffei e Paolo Nardi, Siena, Accademia senese degli Intronati, 1982, pp. 419-449) e Modelli retorici e narrativi da san Bernardino a san Giacomo della Marca, in San Giacomo della Marca nell’Europa del ’400. Atti del Convegno internazionale di studi (Monteprandone, 7-10 settembre 1994), a cura di Silvano Bracci, Padova, Centro Studi Antoniani, 1997, pp. 355-389; cfr. anche Diego Quaglioni, Un giurista sul pulpito. Giovanni da Capestrano predicatore e canonista, in S. Giovanni da Capestrano nella Chiesa e nella società del suo tempo. Atti del Convegno storico internazionale (Capestrano-L’Aquila, 8-12 ottobre 1986), a cura di Edith e Lajos Pásztor, L’Aquila, [s.n.], 1989, pp. 125-139, oltre a Predicazione francescana e società veneta nel Quattrocento. Committenza, ascolto, ricezione. Atti del II Convegno internazionale di studi francescani (Padova, 26-28 marzo 1987), Padova, Centro Studi Antoniani, 19972 (già in «Le Venezie Francescane», n.s., 6 [1989]). Per gli altri predicatori

Le prediche di fra Girolamo da Ferrara

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di redigere e tenere interi cicli di predicazione a commento dei testi della Sacra Scrittura, e in particolare dei libri profetici dell’Antico Testamento. La tragica conclusione della sua vicenda individuale, e i modi in cui ad essa si arrivò, non debbono far perdere di vista le caratteristiche di fondo del suo ministero di predicatore, che lo inseriva, da un lato, in pieno nel contesto della predicazione in volgare nell’Italia della seconda metà del secolo XV, al cui interno, d’altro canto, le circostanze della sua azione dal pulpito introdussero elementi peculiari. Allo stesso modo, è ben vero che la conservazione dei manoscritti delle memorie savonaroliane, e in particolare degli autografi del frate ferrarese, fu legata sin dall’inizio al culto della sua figura da parte dei seguaci. Nella lettera di fra Domenico Buonvicini da Pescia ai frati di S. Domenico di Fiesole, scritta alla vigilia della propria esecuzione, si leggeva in effetti, a proposito comunque di edizioni a stampa: «Fate racòrre di costì, della cella nostra, gli opuscoli di frate Ieronimo, e fateli legare e mettetene una copia in libreria e un’altra per leggere alla seconda mensa, in refettorio, pure con la catena; acciò che ancora i frati conversi possino qualche volta ivi e altrove leggere insieme».8 Quella devozione per le sue reliquie letterarie in nulla modificava, peraltro, il carattere originario del materiale legato alla predicazione di fra Girolamo. 1. I manoscritti del predicatore Il metodo di lavoro di fra Girolamo è apparso in tutte le sue pecularità non appena ci si è accostati ai materiali manoscritti che, in maniera più o meno diretta, gli erano serviti per predisporre le proprie prediche in volgare, e che forniscono un’immagine della sua predicazione assai più articolata di quella che emerge dalle edizioni a stampa.9 minoritici si rinvia alla consultazione dei repertori, ed in particolare della Bibliographia franciscana, pubblicata dall’Istituto storico dei Cappuccini di Roma, mentre per i predicatori del suo Ordine si può vedere la monografia di Peter Francis Howard, Beyond the Writ‑ ten Word. Preaching and Theology in the Florence of Archbishop Antoninus, 1427-1459, Firenze, L. S. Olschki, 1995. 8. Da Roberto Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Firenze, Sansoni, 1974 (5a ed.), p. 396. 9. Rispetto alle pur importanti considerazioni contenute nelle note critiche dei volumi della Edizione Nazionale delle Opere di Girolamo Savonarola (dei cui testi ci si avvarrà

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Agli anni 1479-1482, durante i quali egli fu maestro dei novizi nel convento del proprio Ordine a Ferrara, risalgono le postille esemplate nei margini di una Bibbia latina, stampata a Venezia da Nicolas Jenson nel 1476, mentre in un’altra Bibbia latina, stampata a Basilea da Johann Froben il 27 giugno 1491, le postille marginali furono annotate in corrispondenza del suo secondo soggiorno fiorentino, a partire dalla seconda metà dell’anno 1491 sino ai mesi successivi al maggio 1497. Dal confronto del metodo di utilizzazione da parte sua del primo strumento a disposizione di un predicatore, in due epoche assai diverse della propria attività, emergono alcuni elementi di rilievo: in primo luogo, per ciò che attiene i caratteri della sua formazione esegetica, il continuo ricorso che egli fece, nei margini di entrambe, alla Glossa ordinaria (e meno spesso alla glossa interlineare) e alle Postillae del frate Minore Niccolò di Lyra, vale a dire ai fondamentali testi di riferimento disponibili ai suoi tempi in materia di esegesi scritturistica.10 Di un manoscritto cartaceo di piccolo formato fra Girolamo si servì alla stregua di un taccuino di appunti, in un periodo verosimilmente compreso tra il gennaio 1483 e il luglio 1485, vale a dire in corrispondenza degli inizi del suo primo soggiorno a Firenze: egli vi prese appunti di lettura, tracciò abbozzi di sermoni latini, trascrisse propri componimenti. Su quegli orditi manoscritti egli talvolta ritornava dopo avere tenuto le prediche corrispondenti: «sotto il profilo redazionale e giudicando sempre dalle tracce schematiche le prediche risentono del metodo scolastico».11 per le citazioni), un’importante innovazione di metodo si è avuta innanzitutto con lo studio da parte di Giulio Cattin sul cosiddetto «Codice Borromeo» (Il primo Savonarola. Poesie e prediche autografe dal Codice Borromeo, Firenze, L. S. Olschki, 1973) e nel corso degli anni con i contributi di p. Armando Verde, che saranno citati nelle note successive, in particolare per i testi pubblicati negli Scritti vari dal manoscritto 480 del Museo di S. Marco (cfr. infra, nota 27). 10. Per quanto segue si veda in particolare Giulio Cattin, Nota sulla Bibbia dell’Am‑ brosiana postillata dal Savonarola, in Id., Il primo Savonarola, pp. 245-258 (e Armando F. Verde, Savonarola lettore e commentatore del testo sacro, in Una città e il suo profeta. Firenze di fronte al Savonarola, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 183-200). La prima è conservata presso la Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, la seconda presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Si veda ora anche Angela Ghinato, La “Bibbia latina” nel convento di Santa Maria degli Angeli, in Girolamo Savonarola: da Ferrara all’Europa. Atti del Convegno internazionale (Ferrara, 30 marzo-3 aprile 1998), a cura di Gigliola Fragnito e Mario Miegge, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 155-170. 11. Cattin, Il primo Savonarola, p. 156.

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Che tale approccio alle sue letture risultasse preponderante emerge anche dagli schemi del primo ciclo di predicazione di fra Girolamo adeguatamente documentato, e tratto da un altro manoscritto di appunti, composto da una serie di fascicoli sciolti, che contenevano abbozzi di sermoni, schemi di lezioni e appunti di varia natura.12 Per predicare sul Cantico dei cantici egli si rifece in particolare ai Sermones in Cantica canticorum di san Bernardo di Clairvaux, che vennero riformulati, e quindi riproposti agli ascoltatori delle prediche, riordinandone gli argomenti secondo il metodo scolastico del sermone tardomedievale: «una breve introduzione latina al tema e l’esplicitazione dei tre punti secondo i quali esso sarà trattato; l’esposizione dei tre punti annunciati».13 Quella predicazione quaresimale, tenuta nel 1484 nella chiesa di S. Lorenzo a Firenze, in ogni caso, non riscosse un grande successo: «nel fine della quaresima fra huomini et donne, piccoli et grandi, non vi rimase più che venticinque auditori».14 Nel corso dei due anni successivi si dovrebbe collocare quella svolta nella propria predicazione, che fra Girolamo stesso richiamò nel corso del processo intentatogli, ricordando come, trovandosi nella chiesa di S. Giorgio, a lui venneno alla mente molte ragione, furno circa a.VII., per le quale si mostrava che alla Chiesa era propinquo qualche flagello. E da quel puncto in qua cominciai a pensare molto simile cose et molto discorsi le Scripture. Et andando a san Gimignano a predicarvi cominciai a predicarne et in dui anni che io vi predicai proponendo questa conclusione che la Chiesa haveva a esser flagellata, rinovata et presto.15

A giudicare dagli orditi delle prediche tenute nella quaresima del 1485 a San Gimignano, Super lamentationes, in essi non appare che fra Girola12. Si tratta del codice noto come Memoriale (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, B. R. 309), per cui si rinvia alla Nota critica (pp. 183-241) nell’edizione curata da Silvia Cantelli Berarducci (Girolamo Savonarola, Sermoni sopra il principio della Cantica, Roma, A. Belardetti, 1996): «L’accesso agli schemi delle prime prediche apre infatti per la prima volta la possibilità di delineare un quadro completo dell’evoluzione dei contenuti e delle forme della predicazione del frate» (ivi, p. 192). 13. Cantelli Berarducci, Nota critica, p. 215. 14. La vita del beato Ieronimo Savonarola scritta da un anonimo del secolo XVI e già attribuita a fra Pacifico Burlamacchi, a cura di Piero Ginori Conti, Firenze, L. S. Olschki, 1937, p. 16. 15. Dall’«examina et processo» del 1498, pubblicati in Pasquale Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 19103, vol. II, doc. XXVI, citazione a p. cl.

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mo si andasse per nulla discostando dal metodo scolastico, caratteristico sin dall’inizio nella redazione dei propri abbozzi e schemi di sermoni latini.16 Emerge, al contrario, la maggiore attenzione da parte sua all’impatto sugli ascoltatori della predica da lui tenuta: «bona fuit in utraque parte, sed modus dicendi non mihi placuit».17 La “nuova maniera” di predicare introdotta da fra Girolamo a partire da quegli anni non sembra peraltro avere intaccato in maniera sostanziale la struttura del sermone latino tardomedievale, almeno a giudicare dagli abbozzi del successivo quaresimale, tenuto di nuovo a San Gimignano nel 1486, dai quali emerge ancora una volta il carattere alquanto tradizionale della ars praedicandi del frate Predicatore.18 Solo in maniera limitata quegli schemi riflettono la tendenza a uscirne con un differente metodo di predicare, come rilevava un contemporaneo ascoltatore di quelle prediche: «Introduxe quasi nuovo modo di pronuntiare il verbo d’iddio, cioè all’apostolescha sanza dividere el sermone, non proponendo quistione, fugendo el chantare, gl’ornamenti d’eloquentie, solo il suo fine era exporre qualchosa del vechio testamento et introdurre la semplicità della primitiva chiesa».19 Fra Girolamo era comunque attento anche alle novità librarie, dal momento che durante un soggiorno a Brescia dove forse predicò la quaresima del 1489, ebbe modo di consultare un’edizione a stampa dello Speculum exemplorum, che in seguitò utilizzo nella predica sull’arte del ben morire.20 Nei primi anni ’90 fra Girolamo continuò a tracciare abbozzi di prediche nei propri manoscritti. Gli schemi latini dei sermoni predisposti per la predicazione quaresimale tenuta a Genova nel 1490 vennero annotati nei margini del suo breviario.21 Alla sua intenzione «a dire cose nuove in 16. Si vedano i dettagliati commenti in Cattin, Il primo Savonarola, p. 80 e p. 112. 17. Ivi, p. 120. 18. Edizione in Armando F. Verde, Girolamo Savonarola: Il Quaresimale di S. Gimi‑ gnano (1486). “Rationes flagellorum” e “Rationes fidei”, in «Memorie Domenicane», n.s., 20 (1989), pp. 167-253. Si tratta del codice Gondi, ora conservato a Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Nuovi acquisti 1277. 19. Bartolomeo Cerretani, Storia fiorentina, a cura di Giuliana Berti, Firenze, L. S. Olschki, 1994, p. 192, che aggiungeva però: «sendo perfectissimo tomista et terminando et provando la sua positione bene». 20. Bonaventura Kruitwagen, Le “Speculum exemplorum” (Deventer 1484) entre les mains de Savonarole à Brescia, in Miscellanea Giovanni Mercati, 6 voll., Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1946-1973, vol. IV, pp. 208-244. 21. Cfr. Il Breviario di Frate Girolamo Savonarola. Riproduzione fototipica dell’incu‑ nabolo B.R. 310 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Firenze, SISMEL Edizioni

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modo nuovo» si indirizzarono le lezioni o sermoni sopra l’Apocalisse, tenuti durante l’avvento 1490 e proseguiti oltre l’Epifania del 1491, elaborati ancora allo stato di orditi e di annotazioni.22 Gradualmente fra Girolamo iniziò a redigere per esteso i propri cicli di sermoni, in maniera più completa e più diffusa, a cominciare dai Sermones supra epistolam Ioannis primam decem octo, tenuti in quel medesimo anno.23 Anche in quel caso, egli lavorava su fascicoli separati di carte, ordinandoli con lettere alfabetiche e senza rilegarli (come fecero invece i suoi seguaci che ne furono poi i possessori).24 Appena ebbe terminato di scrivere quei sermoni fra Girolamo predispose gli schemi autografi della predicazione quaresimale del 1491,25 e ancora allo stato di annotazioni autografe rimasero i materiali predisposti per la predicazione quaresimale del 1492 in uno dei manoscritti di appunti.26 In quel volgere di anni, al suo rientro a Firenze, fra Girolamo aveva intrapreso un’intensa attività editoriale, in larga misura derivata dai propri appunti manoscritti, e in tale contesto si collocava anche la redazione autodel Galluzzo, 1998; Il Breviario di Frate Girolamo Savonarola. Postille autografe trascritte e commentate, a cura di Armando F. Verde, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 1999. 22. Si veda Armando F. Verde, Le lezioni o i sermoni sull’Apocalisse di Girolamo Sa‑ vonarola (1490). “Nova dicere et novo modo”, in «Memorie Domenicane», n.s., 19 (1988), pp. 5-109. Cfr. Id., Il movimento spirituale savonaroliano fra Lucca-Bologna-Ferrara-Pi‑ stoia-Perugia-Prato-Firenze. Il volgarizzamento delle prediche sullo Spirito Santo di fra Girolamo Savonarola. Ricerche e documenti, in «Memorie Domenicane», n.s., 25 (1994), pp. 5-206, a p. 11. 23. Armando F. Verde, Il ritrovato autografo dei “Sermones in primam divi Ioannis epi‑ stolam” di Girolamo Savonarola, in «Memorie Domenicane», n.s., 28 (1997), pp. 237-253. Si veda anche Sermones in primam divi Ioannis epistolam secondo l’autografo. Testo latino con traduzione italiana a fronte, a cura di Armando F. Verde, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 1998, dal manoscritto conservato a Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, B.R. 398 (La Nota critica, alle pp. 445-495, è stata ripresa in Id., Il libro su Gesù di Girolamo Savo‑ narola. I “Sermones in primam divi Ioannis epistolam” secondo l’autografo, in «Savonarola. Quaderni del quinto centenario. 1498-1998», 1 [gennaio-marzo 1997], pp. 27-49). 24. Sulle caratteristiche materiali del codice si vedano le importanti osservazioni di Piero Scapecchi, Il manoscritto: storia e tipologia, in Sermones in primam divi Ioannis epistolam, pp. 229-235. 25. Girolamo Savonarola, Il Quaresimale del 1491. La certezza profetica di un mondo nuovo, a cura di Armando F. Verde ed Elettra Giaconi, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2001. 26. Conservati nel manoscritto 480 del Museo di S. Marco, di essi è stata pubblicata la prima parte: Armando F. Verde, Fra Girolamo Savonarola e Lorenzo de’ Medici: il Quaresi‑ male in S. Lorenzo del 1492, in «Archivio storico italiano», 150 (1992), pp. 493-605.

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grafa di un sermone In Domino confido, indirizzato ai confratelli dell’Ordine dei Predicatori, il 21 ottobre 1492, che peraltro rimase inedito.27 Anche l’ultimo ciclo di predicazioni di cui è conservato un abbozzo autografo, predisposto per l’avvento del 1493, attesta il passaggio dalla stesura di semplici schemi alla redazione più ampia di sermoni latini.28 A partire dalla quaresima del 1494 la predicazione di fra Girolamo, e in particolare le prediche da lui pronunciate dal pulpito, viene messa in circolazione facendo ricorso alla stampa a caratteri mobili.29 2. Dagli appunti alle stampe dei libri Se dal 1494 Girolamo Savonarola e i suoi seguaci fecero ricorso in maniera massiccia al nuovo strumento della stampa a caratteri mobili per diffondere il testo delle prediche del frate Predicatore, già da qualche anno egli ne aveva fatto ampio uso per una serie di pubblicazioni che rimandavano piuttosto al carattere pastorale del proprio ministero religioso.30 Non erano certo mancati in Italia, nei decenni successivi all’introduzione della stampa a caratteri mobili, esempi significativi di un collegamento tra predicazione effettiva e pubblicazione di testi:31 a cominciare da un Tractato utile e salutifero de li consigli de la salute del peccatore, del frate Minore dell’Osservanza Antonio da Vercelli, apparso intorno al 1470, che prendeva le mosse da una predicazione tenuta a Borgo San Sepolcro nel 1466, passando per i sermoni quaresimali in volgare del ben più 27. Edito in Girolamo Savonarola, Scritti vari, a cura di Armando F. Verde, Roma, A. Belardetti, 1992, pp. 83-94; 310-319. 28. Girolamo Savonarola, Sermoni sopra il salmo Quam bonus, a cura di Claudio Leonardi, Roma, A. Belardetti, 1999. Cfr. Verde, Il ritrovato autografo, p. 247. 29. Cfr. Roberto Ridolfi, Cronologia e bibliografia delle prediche, Firenze, Fondazione Ginori Conti, 1939, p. 40 sgg. 30. In altra prospettiva si veda il contributo di Gian Carlo Garfagnini, Savonarola e l’uso della stampa, in Girolamo Savonarola: l’uomo e il frate. Atti del XXXV Convegno storico internazionale (Todi, 11-14 ottobre 1998), Spoleto (Perugia), CISAM, 1999, pp. 307-330, che per la cortesia dell’Autore avevo potuto leggere prima che venisse stampato. Si veda anche Paolo Viti, Savonarola e i libri, in Una città e il suo profeta, pp. 159-182. 31. Per i riferimenti nel testo si veda più ampiamente Roberto Rusconi, Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamento religioso in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Rifor­ma, a cura di Paolo Prodi e Peter Johanek, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 259-315, soprattutto alle pp. 263-274.

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famoso minorita Roberto Caracciolo da Lecce, apparsi intorno al 1474 a Milano,32 per non parlare della sempre più frequente messa in circolazione a stampa di voluminosi sermonari in latino ad uso dei predicatori. Non diverse appaiono, nella sostanza, le caratteristiche dell’attività editoriale dei religiosi dei differenti Ordini nel settore della pubblicazione di libretti ad uso dei fedeli che si dovevano confessare.33 Se l’assai ampio ricorso alla riproduzione a stampa delle proprie opere da parte di fra Girolamo si collocava agli inizi nel contesto di una prassi divenuta alquanto consueta, da parte degli autori di opere della letteratura religiosa a carattere devozionale e catechetico, dapprima si trattò per lui semplicemente di trasferire i propri testi dallo scrittoio ai torchi. Il suo atteggiamento, invece, si modificò in maniera radicale nel momento in cui per lui si pose il problema di una fedele corrispondenza tra le parole pronunciate dal pulpito e il testo messo in circolazione a stampa. Nel suo caso era una relazione diversa del predicatore con una parte del pubblico dei suoi ascoltatori a dare un significato ben differente al rapporto fra la parola delle prediche e la tiratura delle edizioni.34 Al suo rientro nel convento di S. Marco a Firenze, nel mese di maggio del 1490, fra Girolamo intraprese la redazione di una serie di opere a carattere ascetico, devozionale e catechetico indirizzate alle cerchie di fedeli ai quali era diretto il suo ministero. In effetti, nelle diverse prefazioni egli ribadiva di pubblicarle «ad istanzia» di specifici destinatari: si trattava di un’attività editoriale che proseguirà, con una copiosa produzione di testi, almeno sino a tutto il 1494. La prima opera ad apparire a stampa nell’anno 1491, presso Francesco Bonaccorsi, fu il Libro della vita viduale, un opuscoletto di venti carte indirizzato a una categoria di fedeli ai quali i frati Predicatori prestavano una 32. Riedito in Roberto Caracciolo, Opere in volgare, a cura di Enzo Esposito. Introduzione di Raoul Mordenti, Galatina (Lecce), Congedo, 1993, pp. 81-275. 33. Cfr. Roberto Rusconi, “Confessio generalis”. Opuscoli per la pratica peniten‑ ziale nei primi cinquanta anni dalla introduzione della stampa, in I frati Minori tra ’400 e ’500. Atti del XII convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 18-20 ottobre 1984), Perugia, Università - Assisi, Centro di studi francescani, 1986, pp. 189-227. 34. Desidero ringraziare Letizia Pellegrini per avere attirato la mia attenzione su alcuni dei passi commentati nel testo (cfr. Ead., La predicazione come strumento di accusa, in Girolamo Savonarola: l’uomo e il frate, pp. 161-189, e Poteri profetici e poteri istituzionali nella predicazione del Savonarola, «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 25 (1999), pp. 433-456.

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specifica attenzione nella propria attività pastorale: è assai verosimile ritenere, a giudicare dalle caratteristiche ortografiche e dalla patina linguistica del testo, che uno scritto latino del frate sia stato volgarizzato in toscano.35 In seguito venne ristampato almeno due volte presso quel Bartolomeo de’ Libri, editore di letteratura religiosa in volgare, che negli anni successivi diverrà il principale stampatore degli scritti savonaroliani.36 Nella prima carta, sotto il titolo, appare una xilografia, che rappresenta il frate il quale, accompagnato da un confratello, all’interno di una chiesa, alla badessa di un monastero domenicano inginocchiata di fronte all’altare, come le consorelle dietro di lei, offre una copia del libro: l’illustrazione conferisce un particolare sapore di attualità alla pubblicazione, in quanto mette in evidenza il ruolo religioso di un autore contemporaneo (e per tale motivo venne evidentemente riutilizzata almeno due volte in stampe successive di opere savonaroliane).37 Le poche carte del Tractato del sacramento et de mysterii della Messa (unitamente alla versione volgare delle Regulae quaedam brevissimae ac valde utiles quae ad omnes religiosos pertinent38) uscirono a stampa per i tipi di Antonio Miscomini, forse dopo il 13 febbraio 1491 e comunque anteriormente al 26 giugno 1492: sempre Bartolomeo de’ Libri ne produsse 35. Cfr. Mario Ferrara, Note critiche, in Girolamo Savonarola, Operette spirituali, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1976, vol. I, pp. 301-308. Modeste osservazioni in Konrad Eisenbichler, Il trattato di Girolamo Savonarola sulla vita viduale, in Studi Savonaroliani. Verso il V centenario, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 1996, pp. 267-272. Per le edizioni si veda Scapecchi, Catalogo, num. 262-267. 36. Per le edizioni di scritti religiosi in volgare stampate da Bartolomeo de’ Libri si veda Anne J. Schutte, Printed Italian Vernacular Religious Books 1465-1550. A Finding List [d’ora in poi: PIVRB], Genève, Droz, 1983, pp. 421-424, ed in precedenza Liliana Poli, Contributi su Bartolomeo de’ Libri, in «La Bibliofilia», 51 (1949), pp. 9-27. 37. Per questa illustrazione si veda Elisabetta Turelli, Gli incunaboli con xilografie di Fra Girolamo Savonarola nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in Immagini e azione riformatrice: le xilografie degli incunaboli savonaroliani nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di Elisabetta Turelli, Firenze, Alinari, 1985, scheda 23 e fig. 44 (e in precedenza Ferrara, Note critiche, p. 313). Oltre che per un’edizione del Pungilingua del confratello Domenico Cavalca, venne in effetti riutilizzata da Bartolomeo de’ Libri nell’edizione del 5 settembre 1495 del Compendio di rivelazioni (Scapecchi, Catalogo, num. 7) e del 24 ottobre di quell’anno dell’Operetta sopra i dieci comandamenti (ivi, num. 148). 38. Sull’edizione del testo latino, pubblicata a Venezia nel 1495, si veda Ferrara, Note critiche, pp. 339-343. In essa era compresa anche l’unica edizione a stampa della Oratio vel psalmus Diligam te, Domine: cfr. ivi, pp. 429-430.

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altre due edizioni prima del settembre 1495.39 La pubblicazione derivava in maniera diretta da un’ampia digressione, rappresentata nell’autografo dai sermoni latini VIII-XI, che fra Girolamo aveva operato all’interno di un ciclo di diciotto prediche sulla Prima lettera di san Giovanni, i cui estesi abbozzi egli aveva redatto proprio in quel medesimo anno.40 Nelle edizioni riprodotte da Bartolomeo de’ Libri, Tractato del sacramento et de mysterii della messa et regola utile composta da frate Hieronymo da Ferrara, il frontespizio era occupato da una xilografia, che rappresentava il sacerdote mentre eleva l’ostia alla presenza di numerosi fedeli inginocchiati all’interno di una chiesa, a enfatizzare il momento successivo alla consacrazione, in cui l’ostia viene mostrata alla devozione dei fedeli.41 Nell’estate del 1492 fra Girolamo Savonarola inizia a mettere a fuoco un proprio programma di riforma religiosa, che non riguarda evidentemente soltanto i frati del proprio Ordine, ma che implica anche una riforma dei costumi, della fede e della devozione dei fedeli fiorentini.42 Ancora nel 1492, a pochi mesi di distanza, escono sempre a Firenze – e di nuovo per i tipi di Antonio Miscomini – due edizioni delle poche carte del Tractato dello amore di Iesu Christo, che nelle ristampe successive, a partire dal 1492-1493, verrà riprodotto insieme ad altre opere di Girolamo Savonarola.43 In questo caso il frate aveva fatto ricorso allo schema di una predica De passione Domini, da lui tenuta il venerdì santo del 1483, il giorno 28 marzo, conservato nel suo manoscritto autografo di molti anni prima.44 Il carattere ascetico del testo appariva alquanto accentuato dall’unione in una medesima edizione di diversi scritti.45 Nel frontespizio dell’edizione stampata da Antonio Miscomini è riprodotta una grande crocifissione, allo stesso modo in cui molte altre edizioni delle sue opere verranno illustrate 39. Scapecchi, Catalogo, num. 241-243; Ferrara, Note critiche, pp. 333-334. 40. Cfr. supra, nota 23. 41. Si veda Turelli, Gli incunaboli, scheda 13, pp. 91-93, e scheda 14, pp. 95-96. 42. A proposito del Sermo “In Domino confido”, si veda Armando F. Verde, Nota critica, in Savonarola, Scritti vari, pp. 310-311. 43. Cfr. Ferrara, Note critiche, pp. 351-360; Scapecchi, Catalogo, num. 140-145. 44. Cfr. Cattin, Il primo Savonarola, pp. 124-128 e 290-294. Si veda anche Verde, Nota critica, pp. 271-277, in cui si riprende l’osservazione sulla fonte «più vicina» del testo, le Meditationes de passione Christi dello pseudo Bonaventura. 45. Dall’edizione di Lorenzo Morgiani e Johann Petri, circa 1493: Scapecchi, Catalo‑ go, num. 145: Trattato dell’amore di Gesù; Contemplazione della grandezza della Passione di Gesù Cristo; Lauda della consolazione del Crocifisso; Orazione breve, devota e bella; Lauda al Crocifisso.

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con immagini del Cristo sofferente, a sottolineare la centralità del tema della Passione nella spiritualità che egli, per mezzo della stampa, vuole diffondere tra i devoti.46 In quegli anni di intensa produzione editoriale, fra i destinatari privilegiati degli opuscoli savonaroliani erano certamente le comunità di monache,47 come appare anche dall’edizione, apparsa il 30 giugno 1492 ad opera sempre di Antonio Miscomini, del Tractato dell’humilità, un opuscolo di due fascicoli a stampa, che recava nel frontespizio un’immagine del Christus patiens, e che fu ripubblicato numerose volte prima della sua morte:48 per essere redatto in forma di una lettera indirizzata alla superiora di un monastero, potrebbe anche essere stato redatto direttamente in lingua volgare.49 Sulla necessità di «scrivere in volgare» per rendersi pienamente comprensibile «agli insipienti e tardi di ingegno» Girolamo Savonarola si era espresso nella pagina iniziale del Trattato […] in defensione et commenda‑ tione dell’oratione mentale, un opuscolo in due fascicoli stampato un’altra volta da Antonio Miscomini nel 1492. A lasciare ancor meno dubbi nel frontespizio della riedizione pubblicata da Lorenzo Morgiani anteriormente al 31 ottobre 1496 si aggiungeva: composto ad instructione, confirmatione et consolatione delle anime devote.50 In realtà si trattava di testi di edificazione per i quali era praticabile una diffusione a diversi livelli: in quest’ultima edizione al centro del frontespizio risalta una xilografia che rappresenta un 46. Per quell’edizione si veda Turelli, Gli incunaboli, scheda 8, pp. 77-78, e fig. 22 (e per le altre passim). 47. Si veda la lettera indirizzata alle suore del Terzo Ordine di S. Domenico dette di Annalena il 17 ottobre 1497, in Girolamo Savonarola, Lettere e Scritti apologetici, a cura di Roberto Ridolfi, Vincenzo Romano e Armando F. Verde, Roma, A. Belardetti, 1984, lett. LXXIV, p. 209: «Avendo noi dunque scritto della simplicità della vita cristiana, della carità, dell’umiltà, della orazione, delli dieci comandamenti e regule di perfezione alli religiosi, e molte altre cose appartenente alla perfezione della vita spirituale, non mi pare più necessario scrivere altre esortazione in vulgare, anzi superfluo, essendo le predette opere poste in stampa e divulgate per tutto» (un testo stampato da Bartolomeo de’ Libri dopo quella data: Fra Hieronymo da Ferrara, servo inutile di Iesù Christo, alle suore del Tertio Ordine di San Domenico, decte vulgarmente di Annalena). 48. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 236-239, e Schutte, PIVRB, p. 350. Per l’illustrazione si veda Turelli, Gli incunaboli, scheda 7, pp. 75-76: ivi, scheda 12, pp. 87-89, per le illustrazioni dell’edizione stampata da Bartolomeo de’ Libri prima del settembre 1495 (Scapecchi, Catalogo, num. 237). 49. Cfr. Ferrara, Note critiche, pp. 371-378. 50. Scapecchi, Catalogo, num. 244-246; cfr. Ferrara, Note critiche, pp. 387-391.

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uomo e una donna, devotamente inginocchiati all’interno di una chiesa, ai due lati di un altare su cui campeggia un grande crocifisso.51 Nella stessa linea andava il Tractato overo sermone della oratione – cui si aggiungeva anche un testo a carattere programmatico, una Regola del vostro vivere –, un opuscolo di due fascicoli che Antonio Miscomini, evidentemente lo stampatore cui Girolamo Savonarola maggiormente si affidò nella pubblicazione di queste operette, finì di riprodurre il 20 ottobre 1492: nel frontespizio, al di sotto del titolo, una xilografia rappresentava Gesù in preghiera sul Monte degli Ulivi – un’immagine che fece la sua comparsa a più riprese negli opuscoli sulla “orazione” messi a stampa da fra Girolamo.52 Ad esso fecero seguito, prima della sua morte, altre quattro edizioni,53 caratterizzate da un processo di adeguamento del testo, dal punto di vista grafico e linguistico, rispetto alla editio princeps più vicina alla lingua scritta del frate ferrarese: il quale, peraltro, per stendere quello scritto si era avvalso ampiamente dello schema latino di una predica De oratione, da lui steso nei primi mesi del 1483,54 forse utilizzato anche per predicare alle monache delle Murate durante la quaresima di quello stesso anno.55 A quel medesimo anno di intensissima attività editoriale, che evidentemente aveva un retroterra nella formazione intellettuale di fra Girolamo, ma traeva anche spunto dal suo personale progetto di azione religiosa, apparve a stampa il 24 agosto 1492 a Pescia il Compendium logicae (che venne ristampato invece da Bartolomeo de’ Libri il 7 giugno 1497, vale a dire in un altro momento di particolare fervore nel ripubblicarne le opere).56 51. Turelli, Gli incunaboli, scheda 28, pp. 137-138, fig. 62. 52. Cfr. Turelli, Gli incunaboli, scheda 9, pp. 79-80, fig. 24. Lo stesso soggetto appariva nel frontespizio dell’edizione stampata da Bartolomeo de’ Libri prima del settembre 1495: ivi, scheda 15, pp. 98-100, fig. 34 (un legno che venne riutilizzato in altre pubblicazioni savonaroliane sulla preghiera apparse presso il medesimo stampatore). Su queste incisioni si vedano anche le schede di Piero Scapecchi e Nicoletta Pons, in Sandro Botticelli pittore della Divina Commedia, a cura di Sebastiano Gentile, Milano, Skira, 2000, p. 140 e pp. 160-161. 53. Cfr. Ferrara, Note critiche, pp. 397-402; Scapecchi, Catalogo, num. 218-222. 54. Cattin, Il primo Savonarola, pp. 97 e 301-302. 55. Ferrara, Note critiche, p. 398, rinviando a Nuovi documenti e studi intorno a Gi‑ rolamo Savonarola, a cura di Alessandro Gherardi, Firenze, Sansoni, 1887, p. 40 (dalle elemosine ricevute dal convento di S. Marco per le predicazioni del frate). 56. Scapecchi, Catalogo, num. 14-15; cfr. Garfagnini e Garin, Nota critica, in Savonarola, Scritti filosofici, vol. I, pp. 374-379.

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Sempre nello stesso anno presso il medesimo stampatore, venne stampato anche l’Apologeticus de ratione poeticae artis.57 Evidentemente intenzionato a riutilizzarli, per farne circolare i contenuti tra i fedeli maggiormente attenti al proprio ministero pastorale a Firenze, fra Girolamo Savonarola riprese anche gli schemi di un’esposizione sul Pater Noster, che aveva redatto nel corso del 1484 nel suo manoscritto autografo, rifacendosi al settimo degli Opuscula theologica del suo illustre confratello, san Tommaso d’Aquino, allora con lo scopo di tenere delle lectiones ad altri frati.58 L’occasione gli fu offerta dalle sollecitazioni di Filippo Valori, cui avrebbe donato una copia manoscritta della redazione latina della Expositio orationis dominicae, mentre a una più ampia circolazione provvide la stampa in volgare della Expositione del Pater noster composta in latino da fra Hie‑ ronymo da Ferrara dell’Ordine de’ frati Predicatori e traducta per li devoti contemplatori da uno suo amico in vulgare, un opuscolo in tre fascicoli ad opera del solito Antonio Miscomini apparso nel 1494: in una traduzione dal lessico decisamente fiorentino e popolare, cui venne allegata sin dalla prima edizione una Epistola di frate Hieronymo a una devota donna bolognese sulla comunione.59 Nel frontespizio dell’edizione ripubblicata a Firenze da Lorenzo Morgiani e Johann Petri intorno al 1495 compariva un’ulteriore xilografia a rappresentare Gesù che pregava sul Monte degli Ulivi, un’immagine che dunque ricorreva con frequenza nelle stampe di testi savonaroliani relativi alla “orazione”, e all’inizio della Epistola veniva invece ripresa l’immagine del frate che consegnava il suo libro alle monache delle Murate.60 La metodica raccolta di materiali da parte di fra Girolamo negli anni precedenti il ritorno a Firenze alla metà dell’anno 1490 gli aveva dunque consentito, nel periodo che arrivava al fatidico anno 1494, di perseguire un’incessante attività editoriale, in cui il passaggio dei testi dallo scrittoio conventuale ai torchi della stampa era avvenuto anche tenendo conto della pratica dal pulpito.61 Dell’organicità di tale rapporto offrono la riprova più 57. Scapecchi, Catalogo, num. 3; cfr. Garfagnini e Garin, Nota critica, pp. 395-398. 58. Cattin, Il primo Savonarola, pp. 147-149 e 310. 59. Cfr. Ferrara, Note critiche, pp. 411-414; Scapecchi, Catalogo, num. 82-84. Vedi anche Savonarola, Lettere, lett. XV, pp. 51-55. 60. Turelli, Gli incunaboli, scheda 24, pp. 123-128, fig. 48 (per gli altri esempi della preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi cfr. figure 24, 34, 63). 61. Ricordo anche le due edizioni a stampa del Sermone fatto ai suoi frati nella vigilia di Natale, vale a dire nel 1491, che per Scapecchi, Catalogo, num. 212-213, sono posteriori alla morte del frate, mentre Verde, Nota critica, pp. 292-300, le attribuisce all’anno 1495.

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significativa due altre opere del frate,62 intrinsecamente ricollegate al carattere penitenziale della predicazione in volgare alla fine del medioevo.63 Il Confessionale in latino, indirizzato ai sacerdoti i quali dovevano ascoltare le confessioni dei fedeli, ebbe un’unica edizione prima della morte del frate, fra 1495 e 1497, ad opera di Bartolomeo de’ Libri,64 e una rilevante fortuna editoriale nel secolo successivo sino agli inizi del ’600.65 L’Operetta sopra e’ dieci comandamenti, che ebbe due edizioni nel 1495,66 in origine era stata indirizzata alle monache,67 ma poteva essere destinata all’esame di coscienza da parte dei penitenti che si volevano confessare, come indicava il frontespizio: Operetta molto divota composta da fra Girolamo da Ferrara dell’ordine de frati predicatori sopra e’ dieci comandamenti di Dio diritta alla Madonna o vero badessa del munistero delle Murate di Firenze, nella quale si contiene la examina de’ peccati d’ogni et qualunche pecchatore, che è utile et perfecta confessione – mentre le illustrazioni del frontespizio e del verso dell’ultima carta sottolineavano il ruolo del frate nel consegnare il libro alle monache e la sua funzione sacerdotale.68 In particolare, per quanto riguarda quest’ultima opera, fra Girolamo si avvalse degli schemi latini, contenenti un abbozzo di quaresimale, dei Sermones de preceptis, redatti tra il 29 agosto e l’8 settembre 1484, e degli altri schemi di un ulteriore abbozzo di quaresimale, Sermones de peccatis, risalenti all’avvento di quello stesso anno:69 soprattutto, l’indice della Operetta era 62. Così già Cattin, Il primo Savonarola, p. 153. 63. Per un’ampia considerazione di questi problemi si veda Rusconi, Dal pulpito alla confessione, pp. 259-315. 64. Scapecchi, Catalogo, num. 19-20. 65. Cfr. Miriam Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la con‑ fessione della prima età moderna, Bologna, il Mulino, 1991, num. 1197-1232. Si veda anche Scapecchi, Catalogo, num. 21-42. 66. Scapecchi, Catalogo, num. 149-150. Cfr. Ferrara, Note critiche, vol. II, pp. 267271. 67. Nella lettera del 1497 alle monache domenicane di S. Vincenzo, dette dell’Annalena, egli rimandò in maniera esplicita a tale pubblicazione: Savonarola, Lettere, p. 184. 68. Firenze, Lorenzo Morgiani e Johann Petri, circa 1495: Scapecchi, Catalogo, num. 149. Cfr. Turelli, Gli incunaboli, scheda 21, pp. 117-118, fig. 44-45. Su questo testo si veda l’accenno di Gene A. Brucker, Monasteries, Friaries and Nunneries in Quattrocento Flo‑ rence, in Christianity and the Renaissance, a cura di Timothy Verdon e John Henderson, Syracuse (NY), University Press, 1990, pp. 41-62, a p. 43 (e anche Turrini, La coscienza e le leggi, pp. 9-12). 69. Rielaborate entrambe e trascritte nel Memoriale: Ferrara, Note critiche, vol. II, p. 269.

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puntualmente desunto da un Interrogatorium meum, che il frate aveva redatto avvalendosi delle opere dei suoi confratelli, san Tommaso d’Aquino e sant’Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze.70 Anche in questo caso il volgarizzamento avvenne ad opera di un traduttore piuttosto mediocre. Ancora dopo l’aprile del 1496 fra Girolamo Savonarola pubblicava presso Bartolomeo de’ Libri l’unica edizione di una Expositione […] sopra l’oratione della Vergine,71 composta a richiesta di talune monache di Ferrara, e per redigere la quale stranamente egli non si avvalse degli appunti stesi fra il gennaio-febbraio del 1483 e l’agosto settembre 1484, e conservati soltanto nel proprio manoscritto autografo, forse per il loro carattere accentuatamente teologico e assai poco devozionale.72 A una predicazione effettivamente tenuta alle monache benedettine delle Murate il giorno 8 maggio 1495 risaliva la pubblicazione, apparsa non prima del febbraio 1498, della Expositio in septem gradus Bonaventurae, nella forma di un’edizione bilingue, dal momento che il notaio Filippo Cioni73 la volgarizzò per l’utilità delle monache di S. Lucia, all’evidenza illetterate, definendola «una certa scaletta dal detto nostro Padre in lingua latina composta».74 A questo punto, però, anche se si è in presenza di una ripresa di materiali ascetici formulati da fra Girolamo Savonarola all’interno di una linea che rimontava ai primi anni della propria formazione religiosa, il passaggio dallo scrittoio alla stampa attraverso il pulpito arrivava a un esito editoriale nel contesto dell’ardente devozione dei Piagnoni per il frate e per effetto di un loro attivo interessamento. Anche nel caso nel trattato De simplicitate christianae vitae, da lui pubblicato il 18 agosto 1496, e apparso nella traduzione in volgare ad opera di un altro suo seguace, Girolamo Benivieni, il 31 ottobre di quel medesimo anno, il Libro di frate Hieronymo da Ferrara della semplicità della vita Christiana tradocto in volgare, il frate ribadiva lo stretto nesso 70. Cfr. Cattin, Il primo Savonarola, pp. 72-73 e 271. 71. Scapecchi, Catalogo, num. 75. Cfr. Ferrara, Note critiche, vol. II, pp. 293-294. 72. Per gli schemi di un De Virgine sermo, e relativi all’Ave Maria, desunti dall’ottavo fra gli Opuscula theologica di san Tommaso d’Aquino, si veda Cattin, Il primo Savonarola, rispettivamente pp. 116 e 277-279; 97 e 149. 73. Si ricordi che nell’estate del 1497 il notaio Filippo Cioni, fervido piagnone, aveva intrapreso un’intensa attività di volgarizzamento degli scritti polemici relativi alla scomunica del frate, allo scopo di assicurare loro una maggiore circolazione: Giuseppe Schnitzer, Savonarola, 2 voll., Milano, Treves, 1931, vol. I, pp. 487, 501, 503. 74. Scapecchi, Catalogo, num. 116; cfr. Ferrara, Note critiche, vol. II, pp. 323-326.

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fra il proprio ministero della parola dal pulpito e la finalità dell’opuscolo: «Ho voluto etiam in scritto brevemente raccorre e così raccolte presentarvi quelle cose le quale io ho pubblicamente predicate della verità e della semplicità della vita cristiana».75 Al centro del frontespizio il frate era rappresentato all’interno della propria cella, intento a scrivere il testo a uno scrittoio sormontato da un grande crocifisso: un’identificabile raffigurazione dell’autore del testo, che verrà ripresa l’anno successivo nella Epistola […] a tuti gli electi di Dio et fedeli christiani.76 Se tra 1497 e 1498 fra Girolamo pubblica presso Bartolomeo de’ Libri, in volgare, per assicurarne la massima diffusione, il Tractato contra gli Astrologi, non si esime dal precisare nel proemio che «pubblicamente già molti anni l’ho detestata predicando al popolo» e che di conseguenza ancor di più «mi sforzerò di abbassare quello che è alto e di farne capace ogni vulgare».77 Nell’illustrazione che occupa per intero il frontespizio, l’astrologo che consulta la sfera armillare è fronteggiato dal frate Predicatore che ostenta un libro aperto, su una pagina del quale spicca il disegno netto di una croce.78 75. Scapecchi, Catalogo, num. 43 e 50. Cfr. Pier Giorgio Ricci, Nota critica, in Girolamo Savonarola, De simplicitate christianae vitae, Roma, A. Belardetti, 1959, pp. 259264: la citazione dal testo è a p. 140. 76. Turelli, Gli incunaboli, scheda 22, pp. 119-120, fig. 46. Secondo Ludovica Sebregondi, Iconografia savonaroliana: prime indagini su ritratti veri, presunti, idealizzati, in Studi Savonaroliani, p. 150, il frate vi è rappresentato con «una certa attenzione ai dati fisionomici». 77. In Savonarola, Scritti filosofici, vol. I, pp. 273-370 (e pp. 401-408). Si veda anche Gian Carlo Garfagnini, La polemica antiastrologica del Savonarola ed i suoi precedenti tomistici, in Filosofia, scienza e astrologia nel Trecento europeo. Biagio Pelacani parmen‑ se. Atti del Ciclo di lezioni Astrologia, scienza, filosofia e società nel Trecento europeo (Parma, 5-6 ottobre 1990), a cura di Graziella Federici Vescovini e Francesco Barocelli, Padova, Il poligrafo, 1992, pp. 155-179. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 231; Garfagnini e Garin, Nota critica, pp. 401-405. La citazione integrale del passo, in cui ci si riferisce alle Disputationes di Giovanni Pico, uscite a stampa a Bologna il 16 luglio 1496, è la seguente: «mi sono acceso di fare quello io per li uomini vulgari che lui ha fatto per li dotti. E perché altrimenti bisogna parlare alli uomini dotti e altrimenti alli indotti, non intendo di tradurre el libro suo in volgare, né di scrivere tutto quello che lui ha scritto, né di servare l’ordine suo perché questo non saria forse utile alli uomini indotti. Ma mi sforzerò di abbassare quello che è alto e di farne capace ogni vulgare, aggiugnendo e minuendo a quello che lui ha scritto secondo che a me parrà che sia utile alli mediocri ingegni» (pp. 275 e 277). 78. Turelli, Gli incunaboli, scheda 5, pp. 69-71, fig. 18, dove si fa notare che l’innovazione iconografica è costituita in primo luogo appunto dall’inserzione della figura del frate.

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Nel ricorso alla riproduzione dei propri testi per mezzo dell’arte della stampa da parte di fra Girolamo Savonarola, in ogni caso, l’illustrazione delle edizioni non appare affatto casuale, e risulta in effetti funzionale allo scopo di sottolineare con immediatezza il carattere di un singolo opuscolo e le sue precipue finalità. Anche se della scelta di quelle immagini avrebbe potuto non essere responsabile il frate, bensì lo stampatore, emerge con estrema chiarezza dalla sua predicazione effettiva in qual misura la funzionalità dell’illustrazione inserita nella stampa non gli sfuggisse affatto. Nella stampa pubblicata a Firenze da Lorenzo Morgiani e Johann Petri nel 1495, che reca nel frontespizio l’intitolazione Operetta nuova com‑ posta da frate Girolamo da Ferrara, un opuscolo di tre fascicoli che in realtà contiene una serie di scritti ascetici e devozionali (Tractato dello amore di Iesu Christo; Della grandezza della passione del nostro Signore Iesu Christo; Lauda composta dal decto frate Hieronymo della consolatio‑ ne del Crocifixo; Oratione breve et devota et bella; [lauda] “Iesu sommo conforto”),79 in corrispondenza di una xilografia della crocifissione, infatti, si collocava questo testo di fra Girolamo: «Contemplatione circa Iesu già elevato in aria in su la croce. Ecco anima dilecta il tuo Iesu per amore in croce crudelmente disteso […]. Ecco il tuo creatore sopra quello alto legno conficto […]. Riguarda anima che crudele spettacolo, che spietata stampa, che forma da far diventare pietoso ogni cor duro».80 Si trattava di un elemento che si diffuse anche ad opera della cerchia dei suoi immediati seguaci, se nell’opuscolo di Domenico Benivieni, intitolato Tractato […] in defensione e probatione della doctrina et prophetie predicate da frate Hieronymo da Ferrara nella città di Firenze, stampato a Firenze per i tipi di Francesco Bonaccorsi il 28 maggio 1496 (fig. 1), è riprodotto un «trionfo della fede» opera del pittore Sandro Botticelli, e ispirato al racconto della visione che fra Girolamo rese pubblica nella predica del 10 aprile 1496, prima domenica dopo Pasqua: «Ricordomi già ch’io ti feci uno trionfo e sopra quello il Crucifisso mettemmolo in mezzo il mondo, e intorno al carro trionfale missi le opere sue», riferendosi alla sua predica del Venerdì santo immediatamente precedente.81 79. Scapecchi, Catalogo, num. 145. Cfr. Turelli, Gli incunaboli, scheda 26, pp. 131133. A sottolineare l’ispirazione complessiva della raccolta, nel mezzo del frontespizio campeggia una crocifissione (fig. 58). 80. A c. 17r: cfr. Turelli, Gli incunaboli, fig. 59. 81. Girolamo Savonarola, Prediche sopra Amos e Zaccaria, Roma, A. Belardetti, 1972, s. XLVIII, p. 376, con riferimento alla predica XLIV (cfr. infra, nota 114). Cfr. Armando F.

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3. Dagli autografi del frate alle reportationes degli ascoltatori È la copiosa documentazione a stupirci, in un certo senso, di fronte a «un attento supervisore e correttore delle sue opere, in bozza come nella preparazione del manoscritto da affidare alla tipografia».82 A quanto pare, se dobbiamo prestare fede alle affermazioni delle stampe uscite a Firenze, negli ultimi mesi del 1497, le prime reportationes delle prediche di fra Girolamo Savonarola potrebbero risalire alla quaresima del 1494, dal momento che, dalle prediche XXX e XXXI del quaresimale sull’Arca di Noè, vennero tolte le «dieci regole da observare al tempo delle grande tribolationi»: «raccolte dalla viva voce di Fra Hieronymo da Ferrara mentre che predicava in San Lorenzo».83 (Dei due cicli di Sermones super Archam Noe, predicati dal frate a Firenze durante la quaresima e l’avvento del 1494, erano rimasti gli appunti schematici, che vennero dati alle stampe a quattro decenni di distanza, nel 1536).84 In effetti, nell’avvento del 1494 fra Girolamo tenne le Prediche sopra Aggeo,85 abbandonando la sua esposizione continua del testo sacro – che era appunto arrivata all’Arca di Noè –, come egli stesso ricorderà di lì a pochi mesi nelle Prediche del quaresimale sopra Giobbe: avendo «cominciato a predicare sopra el Genesi nel 1491 e avendo continuato insino al 1494 per tutti gli aventi e le quadragesime […] e sempre ricominciando a quello punto del testo del Genesi dove io avevo lasciato o lo avvento o la quadragesima precedente».86 Verde, La conversione degli infedeli e dei giudei in ordine all’unione della Chiesa. Tra san Vincenzo e Savonarola: una traccia di studio da seguire, in Firenze e il Concilio del 1439, a cura di Paolo Viti, Firenze, L. S. Olschki, 1994, p. 267, nota 35, e per l’illustrazione Turelli, Gli incunaboli, scheda 1, pp. 39-43, fig. 2 (e ora anche le schede di Piero Scapecchi e Nicoletta Pons, in Sandro Botticelli, p. 142 e pp. 162-163). Il testo è stato studiato da Gian Carlo Garfagnini, Domenico Benivieni e l’“Epistola” in difesa del Savonarola, in Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia et alii, 5 voll., Lecce, Conte, 1995, vol. III, pp. 889-905. 82. Garfagnini, Savonarola e l’uso della stampa, p. 314. Si veda in precedenza Vincenzo Romano, Predicazioni savonaroliane e attività redattrice dei primi editori, in «La Bibliofilia», 69 (1967), pp. 277-308, alle pp. 293-295. 83. Scapecchi, Catalogo, num. 73-74. Cfr. Ferrara, Note critiche, vol. II, pp. 313-317. 84. Scapecchi, Catalogo, num. 159-160. Cfr. Verde, Il ritrovato autografo, p. 247. 85. Cfr. Luigi Firpo, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Prediche sopra Aggeo con il Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, Roma, A. Belardetti, 1965, pp. 496-499. 86. Girolamo Savonarola, Compendio di rivelazioni. Testo volgare e latino, e Dialo‑ gus de veritate prophetica, a cura di Angela Crucitti, Roma, A. Belardetti, 1974, p. 10.

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In quel momento di transizione, fra Girolamo si servì dello schema che aveva predisposto per il sermone XIII sull’Arca per svolgere la predica II del ciclo di Aggeo, e in qualche modo è possibile effettuare un riscontro tra gli abbozzi in latino e la sua predicazione effettiva.87 Secondo la tardiva asserzione delle stampe cinquecentesche, le prediche sopra Aggeo sarebbero state «raccolte dalla […] viva voce» del predicatore «da frate Stefano Codiponte suo discepolo»: come peraltro era accaduto, nel corso del secolo XV, ad esempio, a Bernardino da Siena, le cui prediche erano state a più riprese tachigrafate in latino da giuristi, religiosi e confratelli,88 e tra gli altri anche da Roberto Caracciolo da Lecce.89 Non era certo la prima volta che un religioso si annotava in latino, a proprio uso, allo scopo di raccogliere materiale per il suo ministero, le prediche che da altri venivano esposte dal pulpito.90 Nel 1495 fece la sua comparsa nell’uditorio degli ascoltatori del frate ferrarese un notaio fiorentino, ser Lorenzo Violi, che per la prima volta le raccolse dalla sua viva voce quando quegli tenne le Prediche sopra i Salmi:91 «che le furono le prime quando lui cominciò ad scrivere, e che non vi misse molta cura di pigliarle così ad puncto de verbo ad verbum, ma in substantia, più per un suo exercitio che per altro, né pensando che mai si havessino ad stampare e publicare, maxime che lui in quel principio non era tanto applicato ad queste cose del frate quanto fu poi», come commenterà l’ormai anziano piagnone nel manoscritto delle Giornate.92 Si trattava del primo dei cinque cicli che il notaio fiorentino, convertitosi in fervente piagnone, dichiarava che «furono per lui raccolti dalla viva voce del predicante»93 (anche se la pubblicazione dell’intero ciclo, a cura di fra87. Cfr. Roberto Ridolfi, Le predicazioni savonaroliane sull’Arca e le edizioni del 1536, in «La Bibliofilia», 52 (1950), pp. 17-37, cui rinvia Firpo, Nota critica, p. 498. 88. Cfr. Pacetti, De sancti Bernardini Senensis operibus, pp. 127-174. 89. Cfr. Roberto da Lecce, Quaresimale padovano 1455. Edizione critica, introduzione e note a cura di Oriana Visani, Padova, Centro Studi Antoniani, 1983. Si veda anche Mordenti, Introduzione. 90. Ridolfi, Le predicazioni savonaroliane sull’Arca, e sulle sue orme Firpo, Nota critica, sono di parere opposto. 91. Cfr. Vincenzo Romano, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Prediche sopra i Salmi, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1974, vol. II, pp. 317-338. 92. Lorenzo Violi, Le giornate, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, L. S. Olschki, 1986, p. 37. Si veda anche la nota di Armando F. Verde, Ser Lorenzo Violi “secreta‑ rio” del Savonarola, in «Memorie Domenicane», n.s., 18 (1987), pp. 381-399. 93. Violi, Le giornate, p. 37.

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te Luca Bettini, avvenuta a due decenni di distanza, a Bologna nel 1515, comportò taluni emendamenti ad opera del curatore).94 Anche la tiratura singola del testo di una predica di quel ciclo venne pubblicata a stampa con il titolo di Predica di frate Hieronymo da Ferrara della renovatione della Chiesa facta in Sancta Maria del Fiore in Firenze a dì XIII de Gen‑ naio MCCCCLXXXXIIII [1495],95 verosimilmente dopo la morte del frate e forse a cura dello stesso Violi,96 in una redazione a sé stante elaborata per l’occasione.97 Durante quel ciclo, quando fra Girolamo non teneva la prevista predica, veniva sostituito da fra Domenico da Pescia, ma non tutte le sue prediche furono riportate dagli ascoltatori: «Nota qui tu che leggi: In questo dì finì il Padre Fra Hieronymo di predicare e per due mesi in circa predicò Fra Dominico, e tra le altre sue prediche, che fece ditto Fra Dominico, fu la seguente, e perché è molto notabile però s’è stampata qui».98 Ovviamente anche di quel confratello esistevano schemi e abbozzi delle proprie prediche, appuntati in una Bibbia latina a lungo creduta dello stesso fra Girolamo (al punto da consentire anche nel suo caso un confronto tra gli appunti del predicatore e la predica effettivamente pronunciata sul pulpito).99 Il 18 agosto 1495, per i tipi di Francesco Bonaccorsi, apparve a stampa il Compendio di revelatione dello inutile servo di Iesu Christo frate Hieronymo da Ferrara dello ordine de frati Predicatori, ad opera dello stesso frate che volle in quel modo assicurare la massima circolazione al testo della predica XXIX – pronunciata nell’ottava dell’Annunciazione, il giorno 31 marzo100 – del ciclo di 94. Scapecchi, Catalogo, num. 165. Cfr. amplius Romano, Nota critica, p. 392. 95. Scapecchi, Catalogo, num. 162, la data al 1500 circa. 96. Cfr. al proposito Romano, Nota critica, pp. 355 e 390, in relazione alle ipotesi di Ridolfi, Cronologia, p. 54. 97. Romano, Nota critica, p. 363. 98. Dall’edizione di Luca Bettini del 1515, a c. 72r, citata in Romano, Nota critica, p. 317, nota 1. La predica da lui pronunciata il 28 ottobre 1495, festa degli apostoli Simone e Giuda, proviene da una copia del monaco della Badia fiorentina, don Dionisio (ivi, pp. 322323, nota 27). 99. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, B.R. 308. Per la predica del 28 ottobre riportata da don Dionisio Frescobaldi si veda Roberto Ridolfi, Opuscoli di storia letteraria e di erudizione, Firenze, Bibliopolis, 1942: alle pp. 42-45 e 46-51 la traccia autografa di fra Domenico e la «chopia» di don Dionisio. 100. Per dare un’idea dei tempi rapidi nella riproduzione di questi testi, si tenga conto del fatto che l’ambasciatore del Duca di Ferrara riferì che fra Girolamo aveva consegnato la propria opera al tipografo il giorno 26 luglio: in Antonio Cappelli, Fra Girolamo da Ferrara

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prediche su Giobbe:101 il quaresimale da lui tenuto a Firenze fra il 1° di marzo e il 24 aprile di quell’anno. Egli stesso lo precisava nel proemio in questi termini: Ora, constretto da necessità, mi sono mosso a scrivere le cose future, massime le più principale e di maggiore importanzia, le quale pubblicamente ho predicate, sì perché molti essendosi sforzati di scrivere predicando io attualmente, non hanno raccolta pienamente la verità ma molto interruttamente e etiam con molte falsità, non potendo loro correre tanto con la penna quanto io correvo con la lingua.102

Poco tempo dopo, nella seconda metà del mese di ottobre, usciva a stampa una Epistola di frate Hieronymo da Ferrara dell’ordine dei frati Predicatori a un amico, in cui egli invitava esplicitamente a leggerne il Compendio: nel frontespizio del fascicoletto un’immagine lo rappresentava al lavoro allo scrittoio, con voluta allusione iconografica suggerendone l’assimilazione a un Padre della Chiesa.103 Nello spazio di un anno ne apparvero ben cinque edizioni in volgare104 e tre in latino (di cui una a Parigi e una a Ulm):105 evidentemente fra Girolamo Savonarola aveva predisposto i consueti abbozzi delle proprie prediche, utilizzandoli dal pulpito, salvo risolversi a pubblicare il testo della «predica grande delle Rivelazioni» nel Compendio, promuovendone egli stesso l’edizione in latino nel Compendium. Di quel ciclo di prediche soltanto una è pervenuta nella reportatio di un ascoltatore, il monaco della Badia fiorentina don Dionisio, il quale raccolse la XXVIII del quaresimale, tenuta il 9 aprile 1495: e notizie intorno al suo tempo, in «Atti della Deputazione di Storia Patria per le province Modenesi e Parmensi», 4 (1868), nota 85. 101. Per il testo di quelle prediche si veda Roberto Ridolfi, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Prediche sopra Giobbe, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1957, vol. II, pp. 457469. Egli insiste sul carattere profondamente rielaborato da parte degli editori, verosimilmente a partire dalle tracce stese in latino dal frate e poi tradotte. 102. Savonarola, Compendio di rivelazioni, pp. 3-4. Si veda anche il commento inserito dall’editore cinquecentesco delle Prediche sopra Giobbe: «Seguita la predica vigesimanona, la quale fu quella predica grande delle Revelazioni, delle quali Fra Ieronimo vivente ne fece uno libretto, chiamato il Compendio delle Revelazioni, e fecelo lui stampare, e innestovvi dentro tutta questa predica» (Roberto Ridolfi, Nota critica, vol. II, p. 78). 103. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 64; Turelli, Gli incunaboli, scheda 25, pp. 129130, figg. 56-57. 104. Cfr. Crucitti, Nota critica, pp. 379-390. 105. Scapecchi, Catalogo, num. 10-11. Cfr. Crucitti, Nota critica, pp. 431-432.

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I due testi ora convergono e ora divergono nella sostanza, ora addirittura combaciano, pur restando sempre più o meno lontani quanto alla forma. Dove procedono paralleli è importante, anzi decisivo, notare che il testo a stampa è più diffuso e ordinato quanto all’ossatura esegetica e dottrinaria, mentre nelle cosiddette “pratiche”, nelle applicazioni morali o politiche, nelle tirate polemiche, è il testo a penna ad essere più diffuso ed anche di gran lunga più vivo, più vicino agli impeti oratori, ai modi del linguaggio parlato: in confronto, il testo a stampa sa piuttosto di lucerna e di calamaio.106

In effetti, anche se fra Girolamo scrisse di avere pubblicato quella predica «in questa forma come ella fu predicata»,107 egli intervenne sul testo, dal momento che ad esso annetteva una particolare importanza: da un lato, «massime essendomi detto che queste nostre cose così scorrette e piene d’errori sarebbon messe in stampa e pubblicate per tutto; e aciocché per nessun modo elle possino esser viziate e estorte, l’ho pubblicate così latine come vulgare, perché così saranno più comune a ciascheduno»,108 e quindi avrebbero avuto la più ampia circolazione in Firenze, ma dall’altro anche per mettere a disposizione una versione autentica delle proprie predizioni, come si desume anche da una sua lettera a papa Alessandro VI del 31 luglio di quell’anno.109 Quasi che, a quella data, egli volesse affidare alla moltiplicazione di un’immagine a stampa l’avvenuta saldatura fra il suo ministero della parola e la propria missione profetica, nella versione in volgare del Compendio di revelatione dello inutile servo di Iesu Christo frate Hieronymo da Fer‑ rara dell’ordine de frati Predicatori, stampato a Firenze il 23 aprile 1496 a cura di Piero Pacini da Pescia,110 era contenuta l’unica raffigurazione coeva del frate che predica, a noi pervenuta per il tramite dell’illustrazione di un libro, e a cagione del libro in questione di certo non sfuggita alla sua supervisione autorevole (fig. 2). Il frate era rappresentato sul pulpito, all’interno di una chiesa, che i contemporanei non avrebbero faticato molto a ricono106. Ridolfi, Nota critica, vol. II, p. 461. Sul manoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. II-II-394 (Magl. XXXV, 109), contenente prediche savonaroliane e non savonaroliane trascritte da don Dionisio, si veda anche Romano, Nota critica, soprattutto pp. 351, 353, 376, 384, 391, e passim: a p. 383 si mettono a confronto le caratteristiche delle sue reportationes e di quelle di ser Lorenzo Violi. 107. Savonarola, Compendio di rivelazioni, p. 23. 108. Ivi, pp. 3-4. 109. Savonarola, Lettere, lett. XXII, pp. 71-74. 110. Scapecchi, Catalogo, num. 9. Si veda in particolare Turelli, Gli incunaboli, scheda 4, pp. 61-68, fig. 12 (per il ripetersi delle illustrazioni in diverse edizioni).

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scere nel Duomo di Firenze: all’interno, uomini e donne erano separati da pesanti cortine, tese a dividere le navate, a sottolineare in maniera assai energica un modo di stare alla predica da lui voluto – non diversamente da altri predicatori di una riforma religiosa (nell’iconografia devozionale di santi e beati predicatori del secolo XV spesso il pubblico delle prediche era esplicitamente diviso in due parti ben separate).111 In questo caso, però, è la predicazione effettiva di un frate Predicatore a essere pressoché istantaneamente fissata nel frontespizio di un’edizione a stampa, con un effetto nello stesso tempo di sacralizzazione del personaggio e di secolarizzazione della sua condizione. Quanto alle altre immagini allegoriche presenti in quella edizione a stampa, in cui fra Girolamo è rappresentato in maniera perfettamente identificabile, «siamo di fronte ad una serie di illustrazioni che costituiscono un altro esempio di adesione puntuale delle immagini al testo»,112 al quale peraltro non rinviano in maniera puntuale. Anche del ciclo della quaresima del 1495, Le prediche sopra Iob, verosimilmente fra Girolamo predispose un abbozzo, o perlomeno uno schema in latino, per poi tenerle dal pulpito, e dalla predicazione effettiva dovrebbero essere derivati il tardivo estratto di una Esposizione della figura di Gedeone, stampata a Bologna nel 1538, e la successiva edizione veneziana del 1545.113 Il notaio ser Lorenzo Violi, mutatosi da occasionale riportatore delle prediche in fervido seguace del predicatore, si pose all’opera con maggiore cura in occasione della predicazione quaresimale del 1496, tenuta dal 17 febbraio al 10 aprile, le Prediche sopra Amos e Zaccaria: «nel 2° libro che lui scripse, che furno le prediche sopra Amos, deliberò scrivere el tucto più che e’ potè, e però vi si pose con più diligentia e più affectione».114 Ad attestare la singolare urgenza dell’impresa, che rappresentava la prima edizione integrale di un ciclo di predicazioni del frate a vedere la luce l’8 febbraio 1497, fu il 111. Cfr. Roberto Rusconi, Le pouvoir de la parole. Représentation des prédicateurs dans l’art de la Renaissance en Italie, in La parole du prédicateur, Ve-XVe siècle, a cura di Rosa Maria Dessì e Michel Lauwers, Nice, Centre d’Études Médiévales, 1997, pp. 445456; cfr. Id., Immagini di predicatori e scene di predicazione nell’arte italiana all’epoca di fra Girolamo da Ferrara, in Girolamo Savonarola: da Ferrara all’Europa, pp. 85‑97. 112. Turelli, Gli incunaboli, p. 87. 113. Si veda Ridolfi, Nota critica, pp. 457-469 (con osservazioni in parte diverse). 114. Violi, Le giornate, p. 37. Per altre dichiarazioni del riportatore sul proprio lavoro, si veda Paolo Ghiglieri, Nota critica, in Savonarola, Prediche sopra Amos, p. 424.

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ricorso a ben tre stampatori diversi, Bartolomeo de’ Libri, Lorenzo Morgiani e Vincenzo Buonaccorsi, che all’evidenza operarono contemporaneamente, e a spese del Violi stesso.115 In effetti, era stata la predicazione di fra Girolamo dal pulpito ad avere una più accesa fiammata, e comunque a implicare un maggiore coinvolgimento della popolazione fiorentina, traboccando cioè dal consueto uditorio delle prediche: dal momento che quel ciclo quaresimale si era aperto con la processione dei fanciulli il giorno di Carnevale116 e si concluse con una processione nella domenica delle Palme, nel corso della quale si raccolsero le offerte per la erezione del Monte di Pietà propugnato dai frati Minori del convento di S. Croce. Diversa era dunque la consapevolezza da parte del frate per la portata della parole da lui dette dal pulpito, nel momento in cui gli era consentito richiamare alle sue stesse parole messe in circolazione a stampa, come egli sottolineava all’inizio di quel ciclo di prediche: «Risguardavo poi se forse avessi errato nelle cose che io ho predette, e ancora qui non truovo errore, perché io ho predetto in voce e in scritto apunto quel che mi è stato detto da chi non falla, e dapoi che io ebbi scritto, pesai el libro con la vera bilancia ed essendo alla sua misura lo lassai andar fuori».117 In quella quaresima dell’anno 1496, nella folla che assisteva alla predica del frate, almeno due persone ne stavano comunque riportando le parole.118 Un anonimo devoto annotò in un proprio quadernetto la predica del Venerdì santo, il giorno 1° di aprile, nella cattedrale di Santa Reparata, conservandone con fedeltà la struttura e financo talune espressioni verbali. Certo non anonimo era il notaio ser Lorenzo Violi, il fedele riportatore dei sermoni savonaroliani, il quale invece li fece assai rapidamente mettere a stampa: «Prediche raccolte per Ser Lorenzo Violi da la viva voce del reverendo padre frate Hieronymo da Ferrara giorno per giorno mentre che e’ predicava» si legge all’inizio dell’edizione stampata 115. Scapecchi, Catalogo, num. 172. Cfr. Ghiglieri, Nota critica, pp. 413-423, soprattutto pp. 422-423. 116. Su questo argomento si vedano le pagine di Ottavia Niccoli, I bambini del Savo‑ narola, in Studi savonaroliani, pp. 279-288 (ed anche Giovanni Ciappelli, Il carnevale del Savonarola, ivi, pp. 47-60). 117. Savonarola, Prediche sopra Amos, sermo I, sul tema: Dixi: custodiam viam meam ut non delinquam in lingua mea (Ps. 38, 2). La citazione è nel vol. I, a p. 14. 118. Di certo la predica del Venerdì santo venne raccolta anche da altri ascoltatori, come attestò lo stesso Violi: Prediche sopra Amos, vol. III, s. XLIV, p. 285: «E nota anche che questa predica è stata raccolta per diversi scrittori».

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a Firenze l’8 febbraio 1497119 (il «colorito linguistico della predicazione» nella stampa ovviamente rifletteva «la lingua che parlava e scriveva il notaro ser Lorenzo Violi»120). Anche in quella occasione, furono le circostanze ad alterare gli sviluppi della prassi. Nella stessa misura in cui l’anonimo devoto aveva «segnato accuratamente il significato allegorico di ciascuno dei sette gradini della scala di Giacobbe», ben altro rilievo all’opposto aveva dato il notaio «agli impegnati richiami del frate alla situazione fiorentina».121 Nell’anno 1496 Girolamo Savonarola predicò, malgrado qualche interruzione, in tutti i giorni festivi compresi fra l’8 maggio ed il 27 novembre, e le sue prediche ser Lorenzo Violi «con quella medesima diligentia si misse poi interamente a scrivere».122 La sua reportatio venne però pubblicata a stampa a Firenze soltanto a breve distanza dalla scomparsa del frate, come Prediche del reverendo padre frate Hieronymo da Ferrara facte l’anno 1496 ne’ giorni delle feste finito che hebbe la quaresima.123 Di quel ciclo di Prediche sopra Ruth e Michea in ogni caso ne vennero stampate separatamente due, in particolare La predica dell’arte del bene morire facta dal reverendo frate Hieronymo da Ferrara a dì II di Novembre MCCCCLXXXXVI, riprodotta almeno tre volte prima della scomparsa del frate,124 ed anche la Predica del reverendo padre frate Hie‑ ronymo da Ferrara facta il dì di sancto Symone et Iuda a dì XXVIII di Octobre 1496 per commissione della Signoria di Firenze essendo la ciptà in timore grandissimo per la venuta dello Imperadore, come sembrerebbe suggerire la fretta attestata dal ricorso ai tipi di ben tre stampatori.125 119. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 172. 120. Cfr. Ghiglieri, Nota critica, p. 490; cfr. p. 508. 121. Come aveva sottolineato, in un suo lavoro profondamente innovativo, Zelina Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di pre‑ diche, in «Studi medievali», ser. III, 9 (1968), pp. 1017-1113: la citazione è a p. 1030 [anche in Ead., Da Gregorio VII a Bernardino da Siena. Saggi di storia medievale, a cura di Ovidio Capitani, Claudio Leonardi, Enrico Menestò e Roberto Rusconi, Perugia, Regione dell’Umbria - Firenze, La Nuova Italia, 1987, p. 292]. 122. Violi, Le giornate, p. 37. 123. Cfr. Vincenzo Romano, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Prediche sopra Ruth e Michea, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1962, vol. II, pp. 479-487. 124. Scapecchi, Catalogo, num. 183-185. Cfr. Romano, Nota critica, soprattutto pp. 488 e 500. 125. Scapecchi, Catalogo, num. 182. Cfr. Romano, Nota critica, p. 500: «L’edizione della predica singola si presenta come il risultato d’una revisione frettolosa, che il Violi

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Nel corso di quella predicazione fra Girolamo aveva avuto modo di ribadire che la propria parola dal pulpito trovava corrispondenza nella sua parola riprodotta a stampa: «Se adunque sono venute quelle due cose, credi che verranno ancora le altre due; va’, leggi quello che io t’ho scritto, Firenze, e vedrai che ogni cosa viene per ordine, come io t’ho detto».126 In effetti, il 9 dicembre 1496 fra Domenico Buonvicini, il confratello suo stretto seguace, scriveva in questi termini, in una lettera alle monache del monastero benedettino di S. Michele presso Pescia: «una predica fece el padre frate Hieronimo el dì de’ morti: leggietela et gustatela et mectetevela nella memoria e’ sua precepta».127 L’immediata circolarità fra l’ascolto della predica e la lettura devota a fini ascetici veniva ulteriormente rimarcata e favorita dal particolare ruolo svolto dalle illustrazioni rispetto al testo.128 Sul verso della carta che riporta la xilografia della morte (fig. 3), che con la destra indica il cielo («O quasu», si legge in un cartiglio) e con la sinistra l’inferno («O quagiu») si trova una frase con la quale fra Girolamo si rivolgeva in maniera diretta al suo ascoltatore/lettore: «Horsu io mi ricordo che altra volta facendoti simile predica ti dissi che volendoti tu preparare bene alla morte tu ti facessi dipingere tre carte. La prima fu che tu ti facessi dipingere in una carta il paradiso di sopra et lo inferno di sotto […]: guarda dove tu vuoi andare o quassù in paradiso o quaggiù in inferno».129 Più oltre la xilografia che rappresentava un malato nel proprio letto, mentre il diavolo lo tentava, era compresa fra altre significative indicazioni del frate: «Horsu questo basti quanto alla prima charta del libro che io ti ho decto che tu ti faccia dipingere. Vegnamo ora alla seconda charta». Dopo la dovette eseguire, per urgente richiesta dei devoti del Frate, subito dopo che fu pronunziata la predica, data l’importanza dell’argomento trattato in essa». 126. Savonarola, Prediche sopra Ruth e Michea, vol. I, s. XI, p. 336. 127. Citato in Verde, Nota critica, in Lettere. Appendice (in Savonarola, Scritti vari), p. 429. 128. Si veda Turelli, Gli incunaboli, scheda 2, pp. 45-53, fig. 4-6 (a proposito di un’edizione di Bartolomeo de’ Libri: Scapecchi, Catalogo, num. 185). Ad eccezione del frontespizio, gli stessi legni vengono ripetuti in altre edizioni della medesima predica. Cfr. ivi, scheda 3, pp. 55-59, fig. 9-11, a proposito di una successiva edizione: Scapecchi, Cata‑ logo, num. 186 (per queste illustrazioni si veda ora anche la scheda di Scapecchi, in Sandro Botticelli, pp. 140-141). Sul contesto di quelle edizioni, nei rapporti fra i frati e i loro devoti seguaci, si veda Lorenzo Polizzotto, “Dell’arte del ben morire”: The Piagnone Way of Death 1494-1495, in «I Tatti Studies. Essays in the Renaissance», 3 (1989), pp. 27-87. 129. C. 6r, in Turelli, Gli incunaboli, p. 46, dove si trova riportato l’intero passo (si veda la fig.4).

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«carta dipinta» prosegue con la descrizione e il commento dell’immagine stessa: «La secunda cartha che io ti dissi già altra volta è questa che tu ti facci dipingere».130 Infine, anche l’ultima xilografia, che rappresentava un morente mentre confessava i propri peccati a un frate seduto accanto al suo letto, è del pari ampiamente commentata, iniziando con le parole: «Horsu andiamo a l’ultima carta et faremo fine».131 Non fu certo frutto del caso che il volume delle Prediche di frate Hiero‑ nymo da Ferrara fosse terminato di stampare il giorno stesso in cui il frate iniziava a predicare il quaresimale sopra Ezechiele del 1497.132 All’esposizione del profeta Ezechiele fra Girolamo si dedicò nel corso dell’avvento 1496 e nella parte iniziale della quaresima 1497, e anche quelle prediche vennero riportate da ser Lorenzo Violi, anche se con meno cura, per essere egli impegnato nella edizione delle altre prediche: Ma perché allora in quello advento fra Hieronymo cominciò ad predicare sopra di Ezechiel, e el predetto scriptore essendo occupato ad fare […] stampare el quadragesimale di Amos, non poteva racorre così a disteso queste prediche sopra di Ezechiel, e però deliberò di pigliarle con più brevità e in substantia, non potendo satisfare in tucto ad l’una opera e l’altra; e non pensò mai che si havessino a stampare questo raccolto sopra Ezechiel, ma per tenersele così per sua satisfactione così con brevità lo scripse.133

Egli in effetti ne interruppe la registrazione il lunedì santo, 20 marzo 1497, senza dare di ciò particolari motivazioni134 (di tale ciclo delle predicazioni savonaroliane non sono noti né schemi oppure abbozzi del frate né reportationes degli ascoltatori). Appare invero interessante la constatazione che, proprio quando nel 1497 iniziavano a manifestarsi le prime iniziative editoriali ad attestare di un diverso rapporto fra le prediche del frate e la loro diffusione a stampa, il fedele riportatore di ciò non si desse particolarmente conto. 130. C. 12r, citata ampiamente in Turelli, Gli incunaboli, p. 48 (si veda la fig. 5). 131. C. 14r, il cui testo è largamente riportato in Turelli, Gli incunaboli, pp. 50-51 (si veda la fig. 6). 132. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 172. 133. Violi, Le giornate, p. 38. 134. Girolamo Savonarola, Prediche sopra Ezechiele, a cura di Roberto Ridolfi, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1955, vol. II, p. 324: «Nota, tu che leggi, che lo scrittore non seguitò di scrivere e raccorre queste prediche da questo giorno in là, e però non se ne è potuto dar copia alli devoti lettori», si legge nella prima edizione cinquecentesca (cfr. Ridolfi, Nota critica, p. 376).

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Non stupisce al contrario che, nel corso di quelle prediche, si infittissero da parte di fra Girolamo i ripetuti richiami a quanto allora circolava ormai nelle edizioni a stampa: «L’anno passato esponemmo questo Evangelio, e forse lo avete a stampa e l’avete letto; noi dicemmo allora circa la lettera, ora diremo una allegoria»,135 creando in questo modo un rapporto funzionale tra la parola detta dal pulpito e la medesima parola affidata alle stampe, anche con un attento controllo da parte sua: «non credere che io metta fuori un libro alla pazzeresca».136 Il presupposto era costituito a suo avviso dalla natura delle affermazioni da lui fatte sul pulpito: «Credi tu che io mettessi e lasciassi mettere queste cose in scritto, se io non sapessi certo el fondamento che io ho e che queste cose hanno ad essere ad ogni modo?»,137 in particolare perché egli temeva una distorsione del proprio pensiero da parte dei numerosi riportatori presenti alle prediche: altri vengono per appuntare qualche parola […]. Sono alcuni altri che sono cancellieri, che vengono qua per scrivere quello che odono e torcono le parole […]. Guarda pure di scrivere la verità […]; non ti andare beccando il cervello, ché tu sarai scoperto. Questi tali che vengono per questo conto aranno altra risposta dal Signore.138

Nel tentativo, di cui egli si fa in sostanza burla, di incriminarlo sulla base delle proprie parole: «Scrivete questo per tutto, che el frate, el quale e’ dicono che è eretico, dice che non sarà pace […] ma scrivi meglio e di’ che questo non lo dice il frate, ma Dio […]. Scrivi ancora che e’ dice che Firenze arà le sue promissione […]».139 In realtà fra Girolamo annuncia dal pulpito, riferendosi alla fatica editoriale di ser Lorenzo Violi, che egli si avvarrà ancora in seguito della possibilità di trasferire le proprie parole sulle pagine a stampa: «Egli ha preso questa fatica, lui, a farle stampare, e arete le predicazioni niente di meno quando mi parrà a me che sia bene e espediente».140 E in effetti, nella predica del 3 marzo 1497, tenuta il venerdì dopo la terza domenica di 135. Savonarola, Prediche sopra Ezechiele, vol. II, s. XXXI, p. 35. 136. Ivi, s. XXXIII, p. 50. Sull’ipotesi di una revisione diretta dei testi da parte del frate, prima che le prediche fossero definitivamente stampate, si è soffermato in particolare Romano, Predicazioni savonaroliane e attività redattrice. 137. Ivi, vol. I, s. XXII, p. 287 (22 febbraio 1497). 138. Ivi, vol. I, s. XXIV, pp. 315-316 (24 febbraio 1497). 139. Ivi, vol. II, s. LIII, p. 364 (4 maggio 1497). 140. Ivi, vol. I, s. IX, p. 136 (8 febbraio 1497).

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quaresima, il predicatore dal pulpito poteva rinviare i propri ascoltatori alle pagine a stampa delle prediche sopra Amos e Zaccaria: «L’anno passato esponemmo questo Evangelio, e forse lo avete a stampa e l’avete letto; noi dicemmo allora circa la lettera, ora diremo una allegoria»,141 con questo stesso comportamento modificando il ruolo del testo delle prediche a stampa in rapporto alle parole della predicazione effettiva. Anche se mancano, in verità, prove più dirette di una revisione dei testi messi a stampa da parte di fra Girolamo, il quale non poteva certo essere del tutto ignaro di quanto avveniva in particolare ad opera dei suoi più fedeli seguaci, nella lettera a papa Alessandro VI del 20 maggio 1497 è contenuto un sostanziale avallo del testo a stampa delle proprie opere allora in circolazione: «extant item de ore mei pronunciantis verba – ut reor – fideliter excerpta partimque librariorum et impressorum opera ubique vulgata».142 A qualche mese di distanza, nella Epistola di fra Girolamo da Ferrara contra la excomunicatione subreptitia nuovamente facta, pubblicata in due edizioni dopo il 19 giugno 1497,143 nel difendersi dalle accuse di disobbedienza a lui rivolte nel procedimento di scomunica, ebbe agio di riferirsi in maniera esplicita alle sue singole prediche messe in circolazione a stampa: «Leggete nella prima predica della Quaresima del MCCCCLXXXXV et nella predica del lunedì e del mercoledì dopo la quarta domenica, et troverrete la soluzione a tutte queste cose».144 Uscirono immediatamente a stampa, in effetti, due edizioni della Pre‑ dica […] facta la mattina della Ascensione 1497, il giorno 4 maggio, la cosiddetta predica «del rumore», curata da un altro piagnone, Girolamo Cinozzi, senza che ser Lorenzo Violi ne risultasse il riportatore.145 Nell’anno 1497, quindi, la strategia editoriale del frate e dei suoi collaboratori, e seguaci, ricevette un ulteriore impulso, e spinse anche alla ripresa di altri testi riportati dalla viva voce del predicatore, ma che a suo tempo non erano stati affatto messi a stampa, e che ora, al contrario, l’urgenza della situa141. Ivi, vol. II, s. XXXI, p. 35. 142. Savonarola, Lettere, p. 150. 143. Scapecchi, Catalogo, num. 71-71a. Nell’edizione che contiene il testo latino e il volgarizzamento della epistola, quest’ultimo è assegnato al notaio Filippo Cioni. 144. Savonarola, Lettere, lett. IV, pp. 271-276 (la citazione è a p. 274). 145. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 195-196. Sull’illustrazione dell’edizione stampata da Bartolomeo de’ Libri si veda Turelli, Gli incunaboli, scheda 18, pp. 107-108, fig. 39.

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zione induceva a riprendere e a diffondere. Si trattava della Predica fatta a dì VIII di giugnio MCCCCLXXXXV, e della Predica di fra Hieronymo da Ferrara facta a dì X d’octobre MCCCCLXXXXV,146 entrambe composte con i tipi di Bartolomeo de’ Libri: la prima riconducibile alle note di ser Lorenzo Violi, mentre la seconda – databile più esattamente all’11 ottobre 1495 – «deriva da una copia di don Dionisio […] e fu probabilmente preparata per le suore delle Murate».147 Nella Epistola alle suore del tertio ordine di san Domenico, riprodotta con le Dieci regole da observare al tempo delle grande tribolationi, in un’edizione stampata da Bartolomeo de’ Libri dopo il 17 ottobre 1497, vennero riprodotte le prediche “riportate” XXX e XXXI del quaresimale sull’Arca di Noè del 1494, già riproposte dopo il 14 agosto 1497 in una raccolta, che si apre con una lettera «a tutti gli electi di Dio et figluoli del padre eterno»:148 nel frontespizio, al di sopra della rubrica, un fedele appare devotamente inginocchiato di fronte a un crocefisso all’interno di una chiesa (e una crocifissione è riprodotta anche all’interno dell’opuscolo), mentre sull’esterno dell’ultimo foglio appare un’immagine mnemotecnica, che attraverso la scala delle virtù conduce al legno della croce.149 In questo caso, è evidente la ripresa di materiali, di “Epistole a diversi”, a distanza di anni: nel momento in cui vennero pronunciate per la prima volta quelle prediche, fra Girolamo e il suo entourage non avevano ancora posto in atto quel legame organico tra la parola dal pulpito e la sua circolazione a stampa. D’altra parte l’immagine del frate che scrive nel proprio studio veniva messa in circolazione anche da altre edizioni: mentre nella Copia d’una epistola la quale manda el venerabile padre frate Hieronymo da Ferra‑ ra dell’ordine de frati Predicatori a Madonna Magdalena Contessa della 146. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 163-164. 147. Cfr. Romano, Nota critica, p. 373. A p. 376 egli ritiene che il testo di questa predica «sia il frutto del primo esperimento di prediche savonaroliane tachigrafate da don Dionisio». Su queste prediche riportate dal monaco si veda anche Roberto Ridolfi, Studi savonaroliani, Firenze, L. S. Olschki, 1935, soprattutto pp. 169-172. 148. Scapecchi, Catalogo, num. 73-74. Cfr. Ferrara, Note critiche, vol. II, pp. 313317. Per le illustrazioni si veda Turelli, Gli incunaboli, scheda 19, pp. 109-112, fig. 40-42. 149. Per un’altra immagine della croce con funzione mnemotecnica si veda Girolamo Savonarola, Declaratione del Mysterio della Croce qui descripta, poche carte stampate a Firenze da Bartolomeo de’ Libri dopo il 1497: Scapecchi, Catalogo, num. 57; Turelli, Gli incunaboli, scheda 20, pp. 113-115, fig. 43 (p. 115: «una ulteriore conferma dell’importanza che Savonarola attribuiva alle figurazioni simboliche e quindi alla funzione principalmente morale ed educativa, in senso religioso e devozionale, della figura»).

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Mirandola la quale voleva intrare in monasterio, poche carte stampate da Bartolomeo de’ Libri intorno al 1495, la xilografia del frontespizio, al di sopra dell’incipit, riproduce in maniera generica un religioso allo scrittoio,150 un’immagine meno rozza di un frate all’opera al suo scrittoio appare nel frontespizio, al di sotto del titolo, delle poche carte della Epistola di frate Hieronymo da Ferrara dell’ordine de frati Predicatori a uno amico, stampata da Lorenzo Morgiani più o meno nello stesso periodo.151 L’immagine del frate Predicatore intento alla scrittura nella propria cella conventuale era assai più vicina alla sua fisionomia nel frontespizio del Libro di frate Hieronymo da Ferrara della semplicità della vita christiana, uscito sempre da Lorenzo Morgiani il 31 ottobre 1496.152 Nel Trattato circa el reggimento e governo della città di Firenze, scritto dopo il 7 gennaio e terminato il 14 marzo 1498, e pubblicato in due edizioni pressoché contemporanee,153 «Savonarola rivela come le tematiche della sua predicazione, dal 1490, data del suo ritorno a Firenze, al 1498, siano le stesse poste ad argomento dei suoi trattati».154 Da parte sua era evidente lo sforzo di ricondurre la propria predicazione e la propria attività editoriale a un programma organico e, in una qualche misura, preordinato: «Avendo io predicato molti anni per voluntà di Dio in questa vostra città, e sempre prosequitate quattro materie: cioè, sforzatomi con ogni mio ingegno di provare la fede essere vera», si premette alludendo al Triumphus crucis, pubblicato a Firenze negli ultimi mesi del 1497,155 in un momento in cui dovette fare ricorso alla collaborazione di fidati confratelli, almeno 150. Scapecchi, Catalogo, num. 62; Turelli, Gli incunaboli, scheda 11, pp. 85-86, fig. 28 (venne riutilizzata anche dal medesimo stampatore, intorno al 1498, nella Epistola a un amico: Scapecchi, Catalogo, num. 65; Turelli, Gli incunaboli, scheda 17, pp. 105-106). 151. Scapecchi, Catalogo, num. 64; Turelli, Gli incunaboli, pp. 129-130, fig. 56. 152. Cfr. supra, nota 76. 153. Scapecchi, Catalogo, num. 228-229; cfr. Firpo, Nota critica, pp. 519-524. 154. Claudio Leonardi, Savonarola e la politica nelle prediche sopra l’Esodo e nel Trattato circa el reggimento e governo della città di Firenze, in Savonarola e la politica, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 1997, p. 75. 155. Scapecchi, Catalogo, num. 247 e num. 255 (solo dopo il supplizio ne uscì il volgarizzamento, ad opera di Domenico Benivieni: Libro della verità della fede christiana sopra el Triompho della croce): cfr. Mario Ferrara, Nota critica, in Girolamo Savonarola, Triumphus crucis. Testo latino e volgare, Roma, A. Belardetti, 1961, pp. 553-557 e 578582. Sul materiale savonaroliano precedente alla stampa e riutilizzato, si veda Armando F. Verde, Nota critica al Triumphus fidei abbreviatus, in Savonarola, Scritti vari, pp. 344-348, 356-359.

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secondo la testimonianza di fra Roberto Ubaldini da Gagliano.156 Proseguiva immediatamente dopo: «e di dimostrare la simplicità della vita cristiana essere somma sapienza», riferendosi al De simplicitate christianae vitae, stampato a Firenze il 28 agosto 1496, e che uscì anche nel volgarizzamento di uno dei suoi seguaci a pochi mesi di distanza (E’ libri della semplicità … tradotti da Ieronimo Benivieni, pubblicato il 31 ottobre 1496).157 Il frate aggiungeva poi: «e denunziare le cose future, delle quali alcune sono venute e le altre di corto hanno a venire», rinviando a un De veritate prophetica dyalogus, apparso a Firenze nel 1498.158 Concludeva, infine, ricollegando alle precedenti edizioni questo suo ultimo lavoro appena diffuso a stampa: «e, ultimo, di questo nuovo governo della vostra città: e avendo già posto in scritto le tre prime, delle quali però non abbiamo ancora pubblicato il terzo libro, intitulato Della verità profetica, resta che noi scriviamo ancora della quarta materia, acciò che tutto el mondo veda che noi predichiamo scienza sana e concorde alla ragione naturale e alla dottrina della Chiesa».159 156. Nella «examina» pubblicata in Villari, La storia di Girolamo Savonarola, doc. XXIX, p. cclvii: «Ero […] suo adiutore a scrivere, maxime quando componeva alcuna cosa et opera o tractati della fede et De simplicitate christiane vite, et tucte le altre sue opere. E ne’ primi tempi scrivevo buona parte delle sue lettere che mandava a frati, a prelati, a monasterii o al Generale o al Conte della Mirandula, et cose di non molta importantia; perchè le cose de grande importantia lui le scriveva da sé o le faceva fare a Fra Domenico» Buonvicini da Pescia. Questi aveva lasciato memoria della propria collaborazione anche sul frontespizio di un esemplare della prima edizione del Triumphus crucis: «Liber convenctus Sancti Marci de Florentia ex fratre Ubaldino de Galliano habitus, qui scripsit originale propria manu, ipso fratre Hieronymo authore dictante dum composuit illum, et post impressionem habuit quattuor volumina eius» (citato in Scapecchi, Catalogo, p. 56, num. 547). Sulla costituzione di «un vero e proprio scrittorio redazionale nel convento di S. Marco» si vedano le considerazioni di Armando F. Verde, Nota critica, a Savonarola, Lettere: Appendice, p. 422. 157. Scapecchi, Catalogo, num. 43 e num. 50: cfr. Ricci, Nota critica, pp. 259-624 (di esso esiste un autografo): per calcolare i tempi del passaggio dallo scrittoio del frate alla vendita degli opuscoli, già il 10 gennaio 1496 se ne era potuta spedire una copia manoscritta al duca Ercole d’Este (cfr. supra, nota 100). 158. Scapecchi, Catalogo, num. 54; cfr. Crucitti, Nota critica, pp. 457-462. Nella ristampa avvenuta dopo la sua morte, nell’illustrazione del frontespizio, un frate domenicano è raffigurato mentre disputa con alcuni saggi in abiti orientali (Scapecchi, Catalogo, num. 56; Turelli, Gli incunaboli, pp. 74-75, fig. 20): a riconferma di un’organica concezione dell’uso della stampa che caratterizzava la politica editoriale anche degli immediati seguaci del frate. 159. Savonarola, Prediche sopra Aggeo e Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, p. 436.

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Con queste affermazioni, all’inizio dell’ultimo anno della propria esistenza terrena, fra Girolamo da Ferrara ribaltava in maniera sostanziale e definitiva il rapporto che aveva caratterizzato la sua attività di predicatore dal pulpito e la produzione a stampa che ne era derivata: in questo momento la parola dal pulpito non produceva in maniera diretta la stampa, bensì ne promuoveva la redazione. È proprio il Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze a darcene la riprova, nella misura in cui esso attesta una compiuta rielaborazione scrittoria delle argomentazioni svolte dal pulpito nel ciclo delle Prediche sopra Aggeo, tenute nell’avvento del 1494. Nel riprendere la parola dal pulpito, dopo il silenzio che era seguito alla scomunica papale comminata con il breve del 13 maggio 1497, per il proprio ultimo ciclo di prediche sull’Esodo, fra Girolamo intraprese anche una difesa delle modalità tecniche della sua predicazione, tracciandone una descrizione che diverrà un luogo comune della successiva apologetica savonaroliana:160 «Ognuno che mi cognosceva già dieci anni passati, el sa, che io non avevo né voce né petto né modo di predicare, anzi era in fastidio ad ogni uomo il mio predicare».161 Dall’11 febbraio al 18 marzo 1498 fra Girolamo Savonarola in effetti tenne le Prediche sopra l’Esodo,162 e ser Lorenzo Violi si rimise al lavoro per riportarne le parole: «L’altro libro, che fu l’ultimo sopra l’Exodo, lo scrisse poi interamente non essendo allora occupato in altro exercitio».163 L’intera raccolta vedrà in verità la luce a Firenze a qualche anno di distanza, fra 1505 e 1508.164 Nella fase finale dello scontro ormai mortale che opponeva il frate di S. Marco al romano pontefice vi era per lui un’immediata, e quasi strumentale, necessità di mettere immediatamente a stampa alcune delle sue prediche. Per tre di esse provvide sicuramente il fedele notaio piagnone: la Predica raccolta per ser Lorenzo Vivuoli dalla viva voce del Reverendo padre frate Hieronymo da Ferrara a’ dì XI di feb‑ 160. Si veda l’evidente ripresa di quelle affermazioni nello pseudo Burlamacchi, La vita, p. 13: «Nelli sua primi anni né voce nè gesti nè modo alcuno hebbe di predicare, in tal modo che non haveva gratia nè piaceva a persona». 161. Girolamo Savonarola, Prediche sopra l’Esodo, a cura di Pier Giorgio Ricci, 2 voll., Roma, A. Belardetti, 1956, vol. I, s. II, p. 50. 162. Cfr. Ricci, Nota critica, pp. 377-381. 163. Violi, Le giornate, p. 38. 164. Scapecchi, Catalogo, num. 209.

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braio MCCCCLXXXXVII,165 la Predica del Reverendo padre frate Hiero‑ nymo da Ferrara, racolta da ser Lorenzo Vivuoli a’ dì XVIII di febbraio MCCCCLXXXXVII,166 e la Predica del reverendo padre frate Hieronymo Savonarola da Ferrara facta adi XXV de febraio 1497.167 Apparvero immediatamente dopo essere state pronunciate anche la Predica del Reverendo padre frate Hieronymo da Ferrara: facta il sabbato dopo la seconda do‑ menica di Quaresima l’anno MCCCCLXXXXVII (cioè il 17 marzo 1498),168 e verosimilmente anche la Predica di fra Hieronymo da Ferrara facta la terza domenica di quaresima a’ dì XVIII di Marzo MCCCCLXXXXVII.169 Nella foga della predicazione, fra Girolamo richiamava, nella predica dell’11 febbraio, la funzione autorevole da lui affidata alla circolazione dei propri testi: «questa dottrina che io t’ho predicata ha in sé queste condizioni che la s’è sparsa già per tutto el mondo per iscritti che sono andati per tutto»170 – anche allo scopo dichiarato di difendersi dalle accuse dottrinali più pesanti: «Praeterea tu di’ che io ho predicato cose eretiche. Guarda un poco quello che io t’ho scritto e ho mandato fuora, guarda se quelle ti paiono eresie».171 Alla funzionalità immediata delle stampe, che riproducevano le sue prediche, egli rimandava in maniera energica ed accorata nello stesso tempo, nella predica tenuta a due settimane di distanza, il 25 febbraio 1498: «Aures habent et non audient. Hanno gli orecchi, e non vogliono udire le prediche, e non vogliono anche leggerle, e non vogliono che quelli che gli sono subietti le legghino, né le odino […]. Io ho lettere pure ieri da uno che è in una città d’Italia, che ha viste queste due prediche passate, e dice che chi non crede a questa opera, oramai non è cristiano; e insino di Alamannia abbiamo lettere di coloro che credono a questa cosa».172 La cattura, il processo e l’esecuzione di fra Girolamo da Ferrara posero bruscamente fine al flusso ormai circolare della sua parola, dallo scrittoio 165. Ivi, num. 203 [la data nei frontespizi è indicata secondo lo stile dell’Incarnazione, in uso a Firenze]. 166. Ivi, num. 205. 167. Ivi, num. 206. 168. Ivi, num. 207. 169. Ivi, num. 208, la dà invece per stampata dopo la morte del frate, come il Sermone fatto il 15 febbraio 1497: ivi, num. 204. 170. Savonarola, Prediche sopra l’Esodo, s. II, p. 57. 171. Ivi, s. I, p. 23. 172. Ivi, s. III, p. 89. Poco prima aveva detto anche: «abbiamo fatto tutte le escusazioni nostre, come appare per li libri e scritti nostri pubblicati fuori e per lettere mandate a Roma» (p. 69).

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al pulpito alla stampa, in un nesso organico che negli ultimi tempi andava ormai ben al di là della sequenza iniziale.173 4. Parole in fiamme174 La predicazione di fra Girolamo da Ferrara continuò a essere affidata alla stampe anche nel corso del secolo successivo, passando attraverso differenti chiavi interpretative, le cui coordinate sono marcate dal succedersi delle edizioni, dai rimaneggiamenti del testo, da riscoperte e da rifiuti, testimoniati anche dalle prefazioni, e in genere dai dettagli di una vicenda editoriale legata alle singole pubblicazioni: in sintonia, peraltro, con le stagioni della riforma della Chiesa e della vita religiosa nel lungo arco del secolo XVI.175 Altro fu invece il discorso legato alla loro diffusione e alla successiva censura.176 L’azione e l’opera del frate si erano collocate all’interno della pratica della predicazione del tempo, e di lì muovendo ne esasperarono taluni tratti: non dando peraltro vita a un modello che potesse essere oggetto di un’imitazione, che non fosse l’ennesima predicazione lunatica di taluni frati e chierici irregolari, che spesso surretiziamente da parte loro (e altrettanto occhiutamente dalle sospettose autorità ecclesiastiche) si volevano 173. In questa sede non ci si occupa, in quanto non connessi con la predicazione, dei testi “usciti” dal carcere nel 1498; La regola del ben vivere, la Expositio in Psalmum Mi‑ serere mei Deus, e la Expositio in Psalmum In te, Domine, speravi (Scapecchi, Catalogo, num. 86a, 92 e 217). 174. Non è oggetto di queste pagine un’analisi di merito dei contenuti della predicazione savonaroliana, per i quali si rinvia ai contributi di Paolo Prodi, Gli affanni della democrazia. La predicazione del Savonarola durante l’esperienza del governo popolare, e di Claudio Leonardi, Savonarola e la politica nelle prediche sopra l’Esodo, pp. 27-74 e pp. 75-89. Si vedano anche gli atti del seminario tenuto a Pistoia il 23-24 maggio 1997: Savonarola. Democrazia tirannide profezia, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 1998. 175. Oltre al contributo di Edoardo Barbieri, Episodi della fortuna editoriale di Gi‑ rolamo Savonarola (secc. XV-XVI), in Girolamo Savonarola: da Ferrara all’Europa, si vedano alcuni cenni in Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, il Mulino, 1997. 176. Si vedano i contributi di Antonella Barzazi, La memoria di Savonarola. Testi savonaroliani nelle librerie dei religiosi alla fine del Cinquecento, e di Ugo Rozzo, Sa‑ vonarola nell’Indice dei libri proibiti, in Girolamo Savonarola: da Ferrara all’Europa, pp. 269-284 e 239-268.

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richiamare al suo esempio: dall’amadeita Francesco da Montepulciano al truffaldino monaco Teodoro di Gregorio.177 Nel 1515, il 20 aprile escono a Bologna per i tipi di Benedetto d’Ettore le Prediche sopra i Salmi,178 ed il 2 maggio le Prediche sopra Ezechiel,179 ad opera di fra Luca Bettini, che si era rifatto agli appunti presi alle prediche da ser Lorenzo Violi,180 nel momento in cui si paventava che, da deliberazioni ecclesiastiche sul controllo della predicazione, si passasse a esplicite proibizioni anti-savonaroliane. In tale contesto acquista un più corposo significato il frontespizio delle Prediche de fra Hieronymo per quadragesima, vale a dire il ciclo delle prediche sopra Amos e Zaccaria, nell’edizione stampata a Venezia da Cesare Arrivabene, il 20 agosto 1519: all’indomani, cioè, del decreto sulla predicazione del quinto concilio del Laterano, del 1516, e della proibizione della predicazione apocalittica da parte del concilio provinciale fiorentino del 1517.181 Nel frontespizio di quell’edizione era rappresentato a sinistra il frate legato sul rogo, mentre reggeva un cartiglio che recava una scritta ben leggibile con il versetto paolino: Verbum Dei non est alligatum (con significativa variazione, peraltro, rispetto al testo della Vulgata, in cui il verbo recita: «non alligatur»). Sulla destra campeggiava un pulpito desolatamente vuoto, verso il quale si rivolgeva attonito lo sguardo di un gruppo di fedeli.182 A un differente messaggio, e in un mutato clima di rivalutazione dell’eredità savonaroliana, rimandava un altro frontespizio, nelle Prediche per tutto l’anno, vale a dire il ciclo delle prediche sopra Ruth e Michea, stampate sempre a Venezia da Brandino e Ottaviano Scoto, il 1° marzo 1539: in esso il carattere proprio del testo, di rimandare cioè a una predicazione effettiva svolta da fra Girolamo dal pulpito, era richiamato direttamente dalla presenza, al di sotto del pulpito, e altrettanto importante del 177. Si ricordi che la predica tenuta a Firenze il giorno 23 dicembre 1513 da Francesco da Montepulciano venne riportata dal notaio piagnone ser Lorenzo Violi «mentre ch’el frate prefato predicava». Per questi due personaggi si veda Garfagnini, Introduzione, pp. xiii-xvi. 178. Cfr. Scapecchi, Catalogo, num. 165. 179. Ivi, p. 197. 180. Cfr. Garfagnini, Introduzione, p. xxv. 181. Cfr. Roberto Rusconi, Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Car‑ lo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher, 1981, doc. 12 e 13, pp. 233-239. 182. Scapecchi, Catalogo, num. 176. Per l’illustrazione si veda Rusconi, Immagini di predicatori.

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frate, della figura del riportatore che scriveva sui propri fogli.183 A quegli stessi anni risaliva l’inizio della stesura delle Giornate da parte di ser Lorenzo Violi.184 Il rogo di fra Girolamo da Ferrara sulla piazza della Signoria di Firenze ha profondamente condizionato in seguito la percezione delle reali dimensioni storiche della sua figura di predicatore (fig. 4): un itinerario personale caratterizzato dalle modalità della sua formazione religiosa e teo­logica all’interno dell’Ordine dei frati Predicatori, dei quali era entrato a fare parte negli anni della propria gioventù. Al contrario, «attraverso il nuovo mezzo della stampa i suoi contemporanei lo conobbero altrettanto bene come maestro religioso che come predicatore apocalittico».185 Peraltro, al suo tempo il frate predicatore risultava organicamente inserito all’interno di una pratica della parola dal pulpito, che dal punto di vista sia religioso sia politico ricopriva un ruolo di grande importanza nell’Italia del secolo compreso fra la chiusura del concilio di Costanza nel 1418 e l’apertura del V concilio del Laterano nel 1512.186

183. Scapecchi, Catalogo, num. 192. Cfr. Rusconi, Immagini di predicatori. 184. Cfr. Garfagnini, Introduzione, pp. lv-lx. 185. Cfr. Donald Weinstein, Studi Savonaroliani: passato, presente e futuro, in Studi savonaroliani, pp. 1-11: la citazione a p. 10. 186. Si veda in sintesi Roberto Rusconi, Da Costanza al Laterano: la “calcolata de‑ vozione” del ceto mercantile‑borghese nell’Italia del Quattrocento, in Storia dell’Italia religiosa, a cura di André Vauchez, Tullio Gregory, Gabriele De Rosa, I: L’Antichità e il Medioevo, Laterza, Bari‑Roma, 1993, pp. 505‑536.

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Fig. 1. Tractato di maestro Domenico Beniuieni prete fiorentino in defensione et probatione della doctrina et prophetie predicate da frate Hieronymo da Ferrara nella citta di Firenze (Impresso in Firenze : per ser Francesco Bonaccorsi, 1496 adi. xxviii di maggio), c. 43v: L’adorazione del Crocifisso con Roma, Firenze, Gerusalemme suo fondo.

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Fig. 2. Compendio di reuelatione dello inutile seruo di Iesu Christo frate Hieronymo da Ferrara dellordine de Frati Predicatori (Impresso in Firenze : ad instantia di ser Piero pacini da Pescia, 1496, Adi. xxiii. Daprile), c. 1r: Savonarola predica da un pulpito alla folla nel Duomo di Firenze.

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Fig. 3. Predica dell’arte del bene morire [facta dal reuerendo padre frate Hieronymo da Ferrara adi. 2. di nouembre 1496. & racolta da ser Lorenzo Violi dalla uiua uoce del pre‑ decto padre mentre che predicaua] [Non dopo il 1497], c. 6v : La morte mostra con una mano il cielo e con l’altra l’inferno a un giovane uomo.

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Fig. 4. Prediche de fra Hieronymo sopra Amos propheta. Prediche utilissime per quadragesima del sacro theologo frate Hieronymo Sauonarola … sopra Amos propheta: & sopra Zacharia propheta: & parte etiam sopra li Euangelii occorrenti: & molti psalmi de Dauid. Nouissimamente reuiste: & con molti exemplari scontrade: & reposto ai suo lochi tutte le cose manchaua nelle impressione antique per altri impressori facte (Stampate in Venetia: con gran diligentia per Cæsaro Arriuabeno Venitiano, 1528 a di ultimo Aprile), frontespizio: il rogo di Girolamo Savonarola.

9. L’ultimo sermone. La predica dell’Anticristo alla fine del medioevo*

1. Vita, morte e miracoli dell’Anticristo alla fine del medioevo1 Tra 1499 e 1504 Luca Signorelli affrescava le pareti della Cappella Nova, intitolata a san Brizio, nella cattedrale di Orvieto, ai confini tra Umbria e Toscana. Il programma escatologico eseguito dal pittore appariva senza dubbio unico per la sua estensione, nel rappresentare gli ultimi avvenimenti della storia, tra la fine del mondo e il giudizio finale. Luca Signorelli raffigurò i quindici segni che precedono la fine del mondo, la resurrezione dei morti, l’ultimo giudizio e infine i gesta dell’Anticristo (fig. 1).2 Si trattava di un soggetto che, sino ad allora, era stato affidato esclusivamente alle miniature dei manoscritti e, in tempi più recenti, alle incisioni nei libri a stampa. * Una prima versione di questo testo fu presentata all’American Academy a Roma il 20 marzo 2003. Una redazione in lingua inglese è stata letta ad Harvard (Mass.) il 21 settembre 2012 in un simposio in onore di Beverly M. Kienzle. Abbreviazioni: CNCE = Edit16. Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo; GW = Gesamtkatalog der Wiegendrucke; ISTC = Incunabula Short Title Catalogue; USTC = Universal Short Title Catalogue. 1. Sulla figura dell’Anticristo negli ultimi secoli del medioevo i riferimenti fondamentali si trovano in Richard K. Emmerson, Antichrist in the Middle Ages. A Study of Medie‑ val Apocalypticism, Art and Literature, Manchester, University Press, 1981, e in Bernard McGinn, The Antichrist. Two Thousand Years of the Human Fascination with Evil, San Francisco, Harper, 1994. Si veda anche Roberto Rusconi, Antichrist and Antichrists, in The Encyclopedia of Apocalypticism, III: Apocalypticism in Western History and Culture, a cura di Bernard McGinn, New York, Continuum, 1998, pp. 287-321. 2. Un importante aggiornamento della problematica si trova in La Cappella Nova o di San Brizio nel Duomo di Orvieto, a cura di Giusi Testa, Milano, Rizzoli, 1996. Si veda anche Luca Signorelli, a cura di Fabio De Chirico et alii, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana, 2012.

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Se l’insieme dei gesta rimandava alla tradizione della leggenda dell’Anticristo, derivata dal De ortu et tempore Antichristi che l’abate Adso di Montier-en-Der aveva scritto nel secolo X,3 singolare rilevanza iconografica, oltre che alla sua predica, fu conferita al martirio di quanti non ne accettavano l’insegnamento. Al centro della lunetta l’Anticristo predicava dall’alto di un blocco monumentale di età romana.4 Ai suoi piedi giacevano le ricchezze promesse ai suoi seguaci e nella folla degli ascoltatori si contrapponevano quanti erano stati sedotti dalle sue parole a quanti vi resistevano. Nell’ampio spazio sulla parete alle spalle dell’Anticristo si assisteva alla falsa resurrezione dei morti, da lui operata, e alla sua falsa ascensione al cielo, stroncata da un angelo. Sullo sfondo di un immaginifico tempio rinascimentale, subivano il martirio i duo testes, di cui parla l’Apocalisse (11, 1-14), mentre alle spalle dell’Anticristo un gruppo di religiosi di diversi Ordini discuteva animatamente, computando gli argomenti sulle dita. Sono state avanzate nuove ipotesi sul possibile auctor intellectualis, vale a dire sul personaggio che possa avere indirizzato il pittore nell’esecuzione dell’intero ciclo figurativo.5 Di fronte a un programma iconografico tanto innovativo, allo scopo di comprenderne i motivi ispiratori, è necessario allora partire dalla figura centrale nella rappresentazione dei gesta dell’Anticristo, vale a dire dal sermone di un ingannatore, al quale le parole erano suggerite all’orecchio direttamente dal diavolo (fig. 2).6 L’immagine dell’Anticristo che predica, chiaramente modellata sull’iconografia del 3. Adso Dervensis, De ortu et tempore Antichristi, necnon tractatus qui ab eo depen‑ dent, a cura di Daniel Verhelst, Turnhout, Brepols, 1976. 4. Questo espediente fu utilizzato a volte per santi e sante dell’antichità cristiana, per evitare di collocarli anacronisticamente in pulpito. Per Maria Maddalena e Rosa da Viterbo si veda ad esempio Roberto Rusconi, Women’s Sermons at the End of the Middle Ages. Texts from the Blessed and Images of the Saints, in Women Preachers and Prophets through Two Millennia of Christianity, a cura di Beverly Mayne Kienzle e Paula J. Walker, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1998, pp. 173-195. 5. Si veda il contributo di Laura Teza, Intorno alla Cappella Nova di Orvieto: Giovan‑ ni Sulpizio e la corte dei Piccolomini, in Luca Signorelli, pp. 97-107. 6. Un caso abbastanza particolare è costituito dalle miniature che il pittore senese Sano di Pietro eseguì intorno al 1450 per un esemplare manoscritto della Comedía del poeta fiorentino Dante Alighieri (London, British Library, Yates Thompson 26, f. 182r). L’immagine è riprodotta on line nel sito della biblioteca. In calce alla pagina che riportava i versi di Paradiso XXIX, 109-111, dove si alludeva alla missio apostolorum, appariva un ecclesiastico che parlava a un gruppo di ascoltatori, mentre un piccolo demone gli suggeriva all’orecchio che cosa dire. Cfr. La Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, re di Napoli, a cura di Milvia Bollati, Modena, F.C. Panini, 2006, p. 130.

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Cristo, si ispirava a un diffuso parallelo iconografico tra i gesta del Cristo e i gesta dell’Anticristo, presente in alcune incisioni di opuscoli stampati in Germania. Nel dipinto di Luca Signorelli la figura dell’Anticristo costituiva una sconcertante replica dell’immagine del Cristo, apparentemente nuova, a meno di non avere appunto presente la loro rappresentazione assolutamente speculare in alcuni libri devozionali pubblicati in Germania: in particolare, lo Spiegel menschlicher Behaltnuss (volgarizzamento dello Speculum humanae salvationis), stampato a Basilea nel 1476 da Bernhard Richel7 e ristampato a Spira nel 1478 da Peter Drach, intorno al 1481 e intorno al 1495 (fig. 3).8 Nel 1493 a Norimberga fu stampata da Hartmann Schedel una cronaca universale, sia in latino, come Liber cronicarum cum figuris et ymaginibus,9 sia in volgare tedesco, come Das Buch der Croniken und Geschichten.10 In una delle incisioni, eseguite da Wilhelm Pleydenwurff, l’intera vita dell’Anticristo era stata condensata nello scontro tra la predicazione dei duo testes apocalittici, identificati in due profeti del Vecchio Testamento, Enoch ed Elia,11 e il suo falso insegnamento, con il diavolo alle sue spalle a fare da suggeritore. Il confronto era situato su due lati opposti del Monte degli Olivi a Gerusalemme, dove si riteneva avrebbe avuto luogo la seconda venuta del Messia, cioè Cristo, alla fine dei tempi 7. ISTC is00664000: Spiegel menschlicher behaltnuss, Basel, Bernhard Richel, 31 agosto 1476 (ora on line nei siti della Bayerische Staatsbibliothek e della Universitätsbibliothek Basel). Si vedano anche le riproduzioni in Albert Schramm, Der Bilderschmuck der Frühdrucke, XXI: Die Drucker in Basel, Leipzig, Hiersemann, 1984, Taf. 44-45. 8. ISTC is00665000: Spiegel menschlicher behaltnuss, [Speyer], Peter Drach, circa 1481 (on line nel sito della Bayerische Staatsbibliothek, München). Si vedano anche le riproduzioni in Albert Schramm, Der Bilderschmuck der Frühdrucke, XVI: Die Drucker in Speyer, Würzburg, Eichstätt, Passau, München, Ingolstadt, Zweibrücken, Freising, Mem‑ mingen, Leipzig, Hiersemann, 1933, Taf. 63-64. Per un’edizione successiva si veda ISTC is00668000: Spiegel menschlicher behaltnuss, [Speyer], Peter Drach, circa 1495. 9. ISTC is00307000: Hartmann Schedel, Liber Chronicarum, Nürnberg, Anton Koberger, per Sebald Schreyer e Sebastian Kammermeister, 12 luglio 1493 (on line nei siti di Bayerische Staatsbibliothek, München; Vědecká knihovna, Olomouc; Biblioteca de Andalucía). 10. ISTC is00309000: Hartmann Schedel, Das Buch der Croniken und Geschichten, Nürnberg, Anton Koberger, per Sebald Schreyer e Sebastian Kammermeister, 23 dicembre 1493 (on line nei siti di Bayerische Staatsbibliothek, München; Herzogin Anna Amalia Bibliothek, Weimar; Universitätsbibliothek Heidelberg). 11. Per la loro identificazione si veda ancora Emmerson, Antichrist, pp. 95-101.

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(fig. 4). L’Anticristo veniva abbattuto dalla spada dell’arcangelo Michele mentre tentava di ascendere al cielo, portato sulle ali dei demoni. Alla fine del secolo XV, dunque, la predica dell’Anticristo e la predica di Enoch ed Elia erano presentate come un preciso punto di riferimento cronologico nella storia del mondo.12 2. La “sacra rappresentazione” dell’Anticristo I gesta dell’Anticristo erano stati oggetto di alcune rappresentazioni teatrali, documentate agli inizi del secolo XVI, e di alcune stampe: anche se in genere vi prevaleva piuttosto l’interesse per il giudizio finale.13 In particolare a Orvieto, il 20 agosto 1508, proprio di fronte alla cattedrale dove si trovavano gli affreschi di Luca Signorelli, fu messa in scena «la representazione del Nante Christo», a spese della confraternita cittadina dei flagellanti.14 In effetti, i punti salienti della performance trovavano riscontro negli affreschi nella cappella di S. Brizio. La vita di Cristo e la vita dell’Anticristo avevano uno svolgimento speculare: «come Christo ebbe XII apostoli […], et sì li fe’ vestire all’apostolica». Alla sua predicazione si opponevano alcuni frati, che furono in seguito giustiziati: «lo decto Nante Christo incomenzò ad predicare al populo, come lui era lo vero figliolo de Dio […]. Et cussì predicando lo decto Nante Christo, usciro fuore due 12. L’incisione si trova all’inizio della «Septima etas mundi» (fol. CCLXIIv), di fronte al paragrafo «De antichristo» (fol. CCLIIIr). 13. Per il Chester Cycle si veda almeno Richard K. Emmerson, Enoch and Elias, Antichrist, and the Structure of the Chester Cycle, in Homo, memento finis. The Iconogra‑ phy of the Last Judgment in Medieval Art and Drama, a cura di David Bevington et alii, Kalamazoo (MI), Medieval Institute Publications, 1985, pp. 89-120. Non ho potuto vedere La representatione deli propheti, e de lo aduenimento de Christo. Con la visione de la beata Colomba; e la vita de san Domenico [non dopo il 1515], conservata a Sevilla, Biblioteca Capitular y Colombina (CNCE 62319: stampata a Firenze). Cfr. Catalogo dei libri a stampa in lingua italiana della Biblioteca Colombina di Siviglia, a cura di Klaus Wagner e Manuel Carrera, Modena, F. C. Panini, 1991, p. 367. 14. Ne prese nota ser Tommaso di Silvestro, canonico del Duomo: Diario di Ser Tom‑ maso di Silvestro (1482- 1514), a cura di Luigi Fumi, in Rerum Italicarum Scriptores, XV/V/II, Appendice 8, Bologna, Zanichelli, 1922-1929, pp. 372-373. Sulla sua sensibilità nei confronti delle tematiche escatologico-profetiche si vedano Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1987, ad indicem, e Jonathan B. Riess, La genesi degli affreschi del Signorelli per la Cappella Nova, in Il duomo di Orvieto, a cura di Lucio Riccetti, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 245-271.

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frate, uno dell’ordine de Sancto Domenico, et l’altro dell’ordine de Sancto Augustino: et incomenzaro a predicare, come uno falzo profeta andava predicando, et che lui era uno seductore». A lui si opponevano anche i duo testes apocalittici: «usciro fuori Henoc et Helia del paradiso terrestre scalze et vestite de pianzo, con barbe longhe, et incomenzaro ad predicare al populo». Essi venivano uccisi e alla fine interveniva un angelo ad abbattere l’Anticristo mentre egli tentava di replicare un’ascensione al cielo. Due anni dopo, nel 1510, a Mondovì (Cuneo) in Piemonte, Giacomo Berruerio, uno stampatore che tra 1508 e 1512 aveva accumulato nel proprio catalogo soprattutto numerosi testi devozionali, pubblicava un volumetto illustrato, Lo iudicio de la fine del mondo, il cui incipit chiariva immediatamente l’intento devoto assegnato alla pubblicazione: «Queste sono le auctoritate de li sacri doctori de lo aduento de Christo benedecto al finale Judicio com el preambulo horibil e malitia di questo pessimo sedutore homo de antechristo».15 Alla stregua di un libretto d’opera, il testo descriveva le gesta di un Anticristo, identificato quella volta con la figura di un imperatore malvagio degli ultimi tempi.16 All’inizio si trovava un’incisione, che rappresentava un monaco o un frate barbuto, forse un’eremita itinerante, che all’interno di una chiesa si rivolgeva dal pulpito ai propri ascoltatori17 (fig. 5): «Serano auante a lo aduento del Signore al Tremebundo Juditio molte cose spauentose per la malitia e falza doctrina del pessimo antechristo». Quindi egli li esortava a prepararsi a resistere all’ultima persecuzione, scatenata da quel potente nemico della fede e dei cristiani, che 15. CNCE 32724: Queste sono le auctoritate de li sacri doctori de lo aduento de xpo benedecto al finale judicio com el preambulo horibil. E malitia de questo pessimo sedutore homo de antechristo. (Impressum in Monteregalij in plano vallis, per Vincentium Berrue‑ rium, 1510 die XII Aprilis). On line vi è riprodotta la prima carta. 16. Si veda Luigi Berra, Una ignota rappresentazione sacra a Mondovì: “Lo iudicio de la fine del mondo”, in Miscellanea Giovanni Mercati, VI: Paleografia - Bibliografia - Varia, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1946, pp. 432-441. È stato descritto in Marina Bersano Begey e Giuseppe Dondi, Le cinquecentine piemontesi, 3 voll., Torino, Tipografia torinese, 1961-1966, vol. II, num. 40, pp. 473-484: vi sono riprodotte anche tutte le illustrazioni. 17. Un ruolo analogo fu assegnato a un predicatore all’inizio della danza macabra eseguita poco prima dell’anno 1500 dal pittore tedesco Bernd Notke nella chiesa di S. Nicola a Tallinn (Estonia): cfr. Elina Gertsman, The Dance of Death in Reval (Tallinn): the preacher and his audience, in «Gesta», 42, 2 (2003), pp. 143-159 (si veda anche Kerstin Petermann, Bernt Notke. Arbeitsweise und Werkstattorganisation im späten Mittelalter, Berlin, Reimer, 2000, pp. 30-41).

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avrebbero subito dopo visto apparire sulla scena. Al termine di quella sorta di sacra rappresentazione il medesimo predicatore tornava ad ammonire gli astanti, invitandoli a pentirsi dei propri peccati e a confessarli.18 3. La Vita Antichristi illustrata dai manoscritti alle stampe Intorno alla metà del secolo XIV nella Germania meridionale fecero la loro comparsa alcuni manoscritti, contenenti testi religiosi dalle finalità chiaramente didascaliche. La loro principale caratteristica comune era costituita dalla stretta associazione fra testo e immagine e dall’uso della lingua volgare. Il fatto che siano noti almeno otto manoscritti tedeschi di una Vita Antichristi attesta una sua significativa diffusione all’epoca.19 Nella prima metà del secolo XV, sempre nella Germania meridionale, un anonimo chierico fu responsabile dell’esecuzione di un manoscritto illustrato, in cui la vita dell’Anticristo era rappresentata attraverso coppie di vignette.20 Un breve testo in volgare tedesco forniva una spiegazione dell’argomento, assai succinta, collocata al di sopra dell’immagine, evidentemente allo scopo di evitare qualsiasi fraintendimento da parte di un lettore (di norma, al contrario, una scritta siffatta costituiva una didascalia in calce). Le fonti latine del testo erano citate traducendole liberamente dalla loro versione originaria in latino e avevano un carattere piuttosto didascalico che non apocalittico. Si trattava soprattutto del Compendium theologicae veritatis, scritto tra 1265 e 1273 dal frate domenicano Hugues Ripelin di Strasburg, il manuale di teologia scolastica più diffuso nel me18. «Vogliati misericordia pregare/ E così cognoscendo li nostri peccati/ E devotamente confessarne tutti quanti/ Vegneremo in questo mondo aver la gloria, la qualle ne voglia/ Mandare item Christo, lo qualle/ È benedicto in secula seculorum. Amen»: passo citato in Berra, Una ignota rappresentazione sacra, p. 439. 19. Cfr. Anneliese Schmitt, Der Bild-Text des “Antichrist” im 15. Jahrhundert. Zum Abhängigkeitsverhältnis der Handschriften, Blockdrucke und Drucke und zu einer mögli‑ chen antiburgundischen Tendenz, in E codicibus impressisque. Opstellen over het boek in de Lage Landen voor Elly Cockx-Indestege, 3 voll., I: Bio-bibliografie, handschriften, in‑ cunabelen, kalligrafie, a cura di Chris Coppens, Leuven, Peeters, 2004, pp. 405-430: in particolare alle pp. 408-418 per i rapporti tra codici manoscritti ed edizioni a stampa. 20. Dal Liber de Antichristo (Bayern ca. 1430-1440), Berlin, Staatsbibliothek, ms. germ. 733, riprodotto in Karin Boveland, Christoph Peter Burger e Ruth Steffen, Der An‑ tichrist und Die fünfzehn Zeichen vor dem Jüngsten Gericht, Hamburg, Friedrich Wittig Verlag, 1979, p. 98.

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dioevo.21 Si attingeva dall’ultimo capitolo, sull’escatologia, riordinandone gli argomenti allo scopo di delineare in ordine cronologico una sorta di storia illustrata delle gesta dell’Anticristo, cominciando con la nascita e terminando con la morte. Le altre fonti, cui l’anonimo redattore fece ricorso, furono la Legenda aurea, una raccolta di sermoni agiografici disposti lungo l’anno liturgico, compilata tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo XIII da un altro frate domenicano, Giacomo da Varazze,22 il Liber virtutum dell’eremita Albuinus,23 e la Glossa, vale a dire il commento standard ai libri biblici del profeta Daniele e dell’Apocalisse.24 Nell’arco di pochi decenni questo testo illustrato fu riprodotto passando attraverso tutte le fasi della stampa delle origini, dapprima come block-book,25 21. Si trattava del libro VII, De ultimis temporibus, capp. VII-XIV, incluso in B. Alberti Magni Opera omnia, vol. XXXIV, a cura di Auguste Borgnet, Paris, Louis Vivès, 1895, pp. 241-5. Cfr. Georg Steer, Hugo Ripelin von Straßburg. Zur Rezeptions- und Wir‑ kungsgeschichte des “Compendium theologicae veritatis” im deutschen Spätmittelalter, Tübingen, Niemeyer, 1981, p. 446. Ne attesta la massiccia diffusione un impressionante numero di manoscritti elencati in Thomas Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, 4 voll., Roma, Istituto Storico Domenicano, 1970-1993, vol. II, num. 1982, pp. 260-269, e nelle aggiunte (con E. Panella): ivi, vol. IV, 1993, pp. 123-124. A stampa l’editio princeps fu pubblicata a Norimberga, non dopo il 1469, da Johann Sensenschmidt (ISTC ia00229000). Per un facsimile elettronico si veda la Verteilte digitale Inkunabel‑ bibliothek. Vi fecero seguito almeno sedici edizioni in Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi (cfr. GW 596-611). 22. Si veda l’edizione critica di Giovanni Paolo Maggioni: Iacopo da Varazze, Legen‑ da aurea, Bottai [Impruneta] FIRENZE?, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 1998, e in particolare il primo sermone, «De adventu Domini», pp. 11-23, per l’esposizione dei Quindecim signa che precedono il Giudizio Finale. 23. Si veda la voce Albuinus, in Compendium auctorum Latinorum Medii Aevi, 5001500, 1.2: Agobardus Lugdunensis archiep.-Anastasius bibliothecarius, Tavarnuzze-Impruneta, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2000, p. 144. 24. Cfr. Lesley Smith, Glossa Ordinaria. The Making of a Medieval Bible Commentary, Leiden-Boston, Brill, 2009, pp. 51 e 53-54. Per alcuni aspetti particolari si vedano Mark Zier, The Manuscript Tradition of the Glossa Ordinaria for Daniel, and Hints at a Method for a Criti‑ cal Edition, in «Scriptorium», 47 (1993), pp. 3-25, e Guy Lobrichon, Conserver, réformer, trans­ former le monde? Les manipulations de l’Apocalypse au Moyen âge central, in The Role of the Book in Medieval Culture, a cura di Peter Ganz, Turnhout, Brepols, 1986, 2 voll., pp. 75-94. 25. Der “Antichrist” und die “Fünfzehn Zeichen”. Faksimile-Ausgabe des einzigen erhaltenen chiroxylographischen Blockbuches, München, Prestel, 1970. Si veda la puntuale descrizione di Helga Lengenfelder, in Bibel der Armen - […] Der Endkrist und die 15 Zei‑ chen […]. Farbmikrofiche-Edition der Blockbücher der Universitätsbibliothek München […], a cura di Heinrich Theodor Musper, München, Prestel, 2004, pp. 71-77.

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poi intorno al 1470 circa come woodcut-book,26 e infine, dopo il 1480, come libro riprodotto a caratteri mobili.27 All’inizio del testo una breve introduzione in volgare tedesco rendeva esplicita la funzione devozionale di quel libretto illustrato, vale a dire la preparazione morale della gente comune all’incombente fine del mondo. L’anonimo autore, verosimilmente un ecclesiastico, aveva in sostanza delineato una sorta di agiografia rovesciata, una Gegenheiligenge‑ schichte, vale a dire una anti-legenda agiografica, ovvero una vera e propria “anticristologia”.28 A differenza di altri tradizionali esempi del passato, in quella leggenda di un falso Messia l’Anticristo non era né un papa né un imperatore. Egli era invece un uomo giovane e affascinante, l’immagine vivente della seduzione e dell’inganno. In verità questi si proponeva di convertire il genere umano alla propria fede e alla propria dottrina, facendo ricorso alle prediche, dal momento che la sua missione iniziava proprio con la pubblica predicazione della sua nuova Legge e della sua nuova Fede. Il testo in volgare tedesco sottolineava questo punto: «Das ist die erste Weise, mit der er die Welt betrügt, nähmlich mit wohlgetzter Rede, deren er mächtig ist».29 Il tema della predicazione percorreva l’intera struttura e l’articolazione di questa anti-leggenda. In particolare, la sua missione consisteva nel convertire le genti tramite la diffusione della sua falsa dottrina. Adeguandosi a una convenzione iconografica tardomedievale relativa alla predicazione ufficiale, l’Anticristo fu rappresentato mentre parlava a differenti gruppi di ascoltatori da un pulpito eretto all’aperto. Egli inoltre inviava i propri messaggeri per il mondo intero, per annunciare a tutte le nazioni di essere il vero Dio e il vero Messia. Nel lessico del testo i verbi “predicare” e “annunciare” compaiono a più riprese. 26. Das puch von dem entkrist. Faksimile nach dem Exemplar der Bayerischen Staats­ bibliothek München, a cura di Kurt Pfister, Leipzig, Insel, 1925. 27. ISTC ia00767000: Entekrist leven. Die Fünfzehn Zeichen vor dem Jüngsten Ge‑ richt [Straßburg, stampatore di “Antichristus” (Heinrich Eggestein?), circa 1482]. Riproduzione anastatica, con introduzione, in Der Antichrist und Die fünfzehn Zeichen vor dem Jüngsten Gericht. Si veda anche ISTC ia00768000 (on line nel sito della Bayerische Staats­ bibliothek, München). 28. Per questo concetto si veda Richard K. Emmerson, Antichrist as Anti-Saint. The Significance of Abbot Adso’s “Libellus de Antichristo”, in «American Benedectine Review», 30 (1979), pp. 175-190. 29. Ed. cit., fol. 5r («Questo è il primo modo con cui inganna il mondo, innanzitutto per mezzo di un potente discorso»).

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Nondimeno, in nessun punto fu richiamata esplicitamente una fonte a proposito di una siffatta anti-evangelizzazione da parte dell’Anticristo e dei suoi seguaci. In verità, un breve passo del Compendium theologicae veritatis era stato adattato in modo tale da consentire la formulazione di una sequenza cronologica nelle sue gesta. Dapprima i Giudei erano sedotti dall’Anticristo, in seguito egli dava inizio alla propria anti-evangelizzazione, infine tre suoi seguaci predicavano ai pagani e un quarto ai cristiani.30 Nella edizione dell’Entekrist la anti-evangelizzazione dei pagani fu rappresentata con le medesime modalità iconografiche utilizzate per rappresentare a quel tempo la predicazione ecclesiastica (fig. 6). Ogni messaggero dell’Anticristo parlava di fronte a un sovrano, inteso come il rappresentante di tutto il proprio popolo: il re dell’Egitto, il re della Libia, il re dell’Etiopia, la regina delle Amazzoni. Tutte quelle immagini avevano alcune caratteristiche in comune. Ogni messaggero fu raffigurato come un chierico e parlava da un pulpito. In alcune vignette della sequenza sul leggio del pulpito era posata una lettera, da cui pendeva un sigillo, all’evidente scopo di suggerire l’idea di un carattere ufficiale assegnato alla loro comunicazione (Nell’iconografia tardo-medievale si trovavano immagini simili, ad esempio; in rapporto alla predicazione della crociata). Proprio all’inizio dell’opuscolo l’imminente avvento dell’Anticristo e il suo successivo trionfo erano annunciati da Enoch ed Elia, i personaggi biblici il cui ruolo apocalittico di duo testes e di martiri della vera fede aveva ricoperto un ruolo centrale nelle Apocalissi illustrate dei secoli precedenti.31 Essi riapparivano in un’immagine alla fine dell’opuscolo in volgare tedesco, Von dem Enchrist, pubblicato a Strasburgo intorno al 1482.32 Dopo la loro resurrezione, che seguiva la definitiva sconfitta dell’Anticristo, essi predicavano a una audience (fig. 7), che nelle intenzioni avrebbe dovuto comprendere tutte le nazioni ingannate dallo pseudo-Vangelo dell’Anticristo (La 30. Cfr. libro VII, cap. IX, De modis quibus decipiet: «Praedicabit enim legem novam pravam, et legem Christi pro posse destruet. Praedicatores enim sui discurrent per universas partes mundi. Impedient quoque apostoli Antichristi ne Scriptura secundum veritatem exponatur a catholicis doctoribus vel a fidelibus audiatur: ipis autem bonos se simulabunt et tamen mala suadebunt» (p. 242). 31. Si veda Maria Magdalena Witte, Elias und Henoch als Exempel, typologische Figuren und apocalyptische Zeugen. Zu Verbindungen von Literatur und Theologie im Mit‑ telalter, Frankfurt a.M.-Bern-New York, Lang, 1987. 32. ISTC ia00767000: Von dem Entkrist. Die fünfzehn Zeichen vor dem Jüngsten Tag [Straßburg, stampatore di “Antichristus” (Heinrich Eggestein?), circa 1482].

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rappresentazione di due personaggi, i quali parlano simultaneamente dallo stesso pulpito, era utilizzata anche per illustrare la predicazione del Vangelo a tutte le nazioni da parte di san Pietro e di san Paolo). Il lungo testo riprodotto nella parte superiore della pagina sottolineava due punti principali: tutto il genere umano era ormai in procinto di entrare a far parte della Chiesa e ciascuno degli ascoltatori (e lettori) era invitato ad attendere la fine del mondo – la cui data esatta non era peraltro ancora nota. In ogni caso, la scelta migliore era prepararsi in maniera adeguata all’evento, e comunque prestare attenzione ai Quindecim signa ante iudicium,33 riprodotti nella parte finale dell’opuscolo. Proprio la loro presenza metteva ulteriormente in evidenza che scopo dell’anonimo autore era promuovere da parte dei lettori una conversione di carattere morale, e certamente non era diffondere aspettative di tipo millenaristico. Le gesta dell’Anticristo e la predicazione del suo anti-evangelo in quella letteratura tedesca erano dunque rivolte a intimorire i laici devoti e a indurli per tale motivo a migliorare la propria condotta. Per il tramite di stampatori tedeschi le stesse immagini34 fecero la propria comparsa nella penisola iberica in altre due pubblicazioni, curate da Martín Martínez de Ampiés,35 uscite la prima a Zaragoza nell’anno 1496, 33. Quel testo fu stampato in Germania in diverse edizioni anche nei primi anni del secolo XVI. Si vedano ISTC is00500000: Signa quindecim horribilia de fine mundi [Köln, Martin von Werden, dopo il 1500] (riproduzione on line nel sito della Bayerische Staatsbibliothek, München); ISTC is00501000: Signa quindecim horribilia de fine mundi [Köln, Retro Minores (Martin von Werden?), dopo il 1500]; ISTC is00502000: Signa quindecim horribilia de fine mundi [Köln, Martin von Werden, 1505?]. E inoltre: Signa quindecim hor‑ ribilia de fine mundi et extremo judicio. Paulus Hieronymus ita dicunt Gregoriusque non mihi scribenti tu lector crede sed illis de vita sacerdotali et virginali, Köln, Retro Minores, 1501 (USTC 693950); De vita sacerdotali. Signa quindecim horribilia de fine mudi. Et extremo judicio. De vita sacerdotali et virginali, Köln, 1506 (USTC 694031). 34. Dall’edizione del 1482 secondo Regula Rohland de Langbehn, El Libro de Anti‑ christo en castellano, in Studia Hispanica Medievalia, II, a cura di Rosa E. Penna, María A. Rosarossa, Buenos Aires, Pontificia Universidad Católica Argentina, 1990, pp. 141142. Cfr. ISTC ia00768000: Von dem Entkrist. Die fünfzehn Zeichen vor dem Jüngsten Tag [Strassburg, stampatore di “Antichristus“ (Heinrich Eggestein?), circa 1482] (on line nel sito della Bayerische Staatsbibliothek, München). Esiste anche una riproduzione anastatica in Ramón Alba, Del Anticristo, Madrid, Editora Nacional, 1982, pp. 75-180. 35. Sull’autore e sull’opera, sulla scia di quanto scritto da Alain Milhou, Colón y su mentalidad mesiánica en el ambiente franciscanista español, Valladolid, Casa-Museo de Colón - Seminario americanista de la Universidad, 1983, pp. 13-29, si vedano Rohland de Langbehn, El Libro de Antichristo en castellano, pp. 137-45; José Guadalajara Medina, Las

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a opera di Paulus Hurus,36 e la seconda a Burgos nel 1497, a opera di Friedrich Biel37 (e ristampate nei decenni seguenti38). In quella circostanza la vita dell’Anticristo non era stata semplicemente tradotta in un Libro del An‑ ticristo, dal momento che, più che non di un semplice opuscolo, si trattava piuttosto di un’ampia raccolta di testi escatologici, dalle evidenti finalità devozionali: «moralisado para prouecho de las almas», si leggeva all’inizio del Libro del judicio postrimero, che di tale raccolta faceva parte.39 Vi si ritrovava l’immagine dell’Anticristo il quale affidava ai propri seguaci – in questo caso un laico, un chierico e un religioso – le lettere che conferivano loro l’incarico di predicare la sua falsa dottrina.40 4. Dall’immagine al testo Negli ultimi due decenni del secolo XV l’Anticristo fece la sua comparsa anche in alcune edizioni francesi, peraltro con caratteristiche del tutto profecías del Antichristo en la Edad Media, Madrid, Gredos, 1996, pp. 389-99; e infine la Introducción di Françoise Gilbert alla propria edizione, pp. 9-59 (vedi infra). 36. ISTC ia00770000: Libro del anticristo. Sermon de señor san vicente bienaventu‑ rado. Tr: Martin Martinez de Ampies. Martinez de Ampies, Martin: El Libro del Judicio postrimero. Rabbi Samuel: Epistola ad rabbi Isaac contra Judaeorum errores. Las epistolas de Rabbi Samuel embiadas a Rabbi ysaac. Zaragoza, Paul Hurus, 8 e 15 ottobre 1496. Si veda Martín Martínez de Ampiés, Libro del Anticristo. Declaración […] del sermón de san Vicente (1496), a cura di Françoise Gilbert, Pamplona, EUNSA, 1999. Vi sono state riprodotte anche le incisioni che precedono i singoli capitoli. 37. ISTC ia00770200: Antichristus. Libro del anticristo. Pseudo-Vincentius Ferrerius: De Fine mundi. Sermon de señor san vicente bienaventurado. Tr: Martin Martinez de Ampies. Martinez de Ampies, Martin: El Libro del Judicio postrimero. Rabbi Samuel: Epistola ad rabbi Isaac contra Judaeorum errores. Las epistolas de Rabbi Samuel embiadas a Rabbi ysaac. Burgos, Friedrich Biel, 1497. Riproduzione anastatica in Alba, Del Anticristo, pp. 75-180. 38. Secondo Gilbert, Introducción, p. 9, nota 2, esistono almeno altre due edizioni: Valencia, Juan Jofré, 1520 (cfr. USTC 344441), e Burgos, Juan de Junta, 1530, entrambe conservate nella University Library di Cambridge (UK). 39. Ed. 1497, f. XXXV, citato in Rohland de Langbehn, El Libro de Antichristo en castel‑ lano, p. 138. Si veda anche a p. 140: «fue ordenado en las mejores palabras que se pudo: y el estilo es todo llano, dexada qualquiera forma de oracion retorizada, porque los menores puedan percibir y aprovechar […] las tribulaciones del Antichristo y del juicio final postrimero seran generales a todo el mundo, porende el habla en estos libros deuio ser muy llana en lo que ser pudo, que los menores, medianos y grandes entenderla puedan y vivan armados para su defension». 40. Nell’edizione del 1496, in folio, le immagini occupano quasi metà della pagina, mentre nell’edizione del 1497 le medesime immagini sono state ridotte e semplificate.

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differenti e peculiari.41 Si trattava di opuscoletti, stampati negli anni ’80 e ’90 del secolo XV, ristampati a Parigi agli inizi del secolo successivo.42 Su di essi furono modellate altre due edizioni in quarto, uscite a Milano nel 1496 sia l’una43 sia l’altra.44 Erano prive di titolo e di frontespizio e all’inizio si leggeva: «Iste sunt auctoritates sanctorum doctorum de adventu Christi ad iudicium, cum horribili preambulo et malicia illius pessimi hominis Antichristi».45 La loro principale caratteristica comune era rappresentata dall’impaginazione: a sinistra, sul verso della pagina, si trovava il testo latino con la sua traduzione in lingua volgare, a destra l’immagine corrispondente, eseguita a piena pagina. Nella versione della vita dell’Anticristo riportata in quelle edizioni, l’Anticristo era un monarca che perseguitava i fedeli cristiani. Persino in quel caso il suo ruolo di ingannatore era stato però caratterizzato facendo riferimento a un insegnamento dottrinale erroneo (fig. 8). Egli era raffigurato in piedi in un pulpito eretto all’aperto, mentre indossava i simboli della regalità (la corona e l’ermellino) ed elargiva monete ai propri seguaci, al fine di sovvertire la vera fede. Non si tratteneva peraltro da fare ricorso alla bestemmia e alla violenza, cui alludevano chiaramente il crocefisso spezzato e le statue infrante di san Pietro e di san Paolo. 41. Un’analisi molto puntuale di queste edizioni è dovuta a Edoardo Barbieri, Tra storia e metastoria. Le “Auctoritates de Antichristo”, in Storia per parole e per immagini, a cura di Ugo Rozzo e Mino Gabriele, Udine, Forum, 2006, pp. 45-86. Si veda anche Edoardo Barbieri, Gli incunaboli milanesi delle “Auctoritates de Antichristo”: un’analisi bibliolo‑ gica, in La tipografia a Milano nel Quattrocento, a cura di Emanuele Colombo, Comazzo (Lodi), Comune, 2007, pp. 103-132. In precedenza di veda almeno Lamberto Donati, La Vita dell’Anticristo, in «La Bibliofilia», 78 (1976), pp. 37-65. 42. Barbieri, Gli incunaboli milanesi, p. 109: «si tratta, nella sostanza, di una redazione molto “conservatrice”, che tende a contraddire interpretazioni millenaristiche sull’argomento, e a riproporre ciò che, secondo l’anonimo autore, poteva essere ragionevolmente affermato sull’Anticristo basandosi sulla Bibbia, i Padri, i teologi cattolici. Ne nasce un racconto latino – suddiviso in venti capitoli che giungono sino al Giudizio finale – accompagnato da altrettante silografie che illustrano icasticamente i vari episodi della “vita Antichristi”». 43. ISTC ia00769400: Antichristus [Milano, Filippo Mantegazza, circa 1490]. Indicato anche come [Vicenza, prima del 1496?]. 44. ISTC ia00769500: Antichristus, Milano, Filippo Mantegazza e Alessandro Pellizzoni, 6 luglio 1496. 45. A fol. 1r dell’edizione del 1490. La versione in volgare italiano recitava: «Queste sono le auctoritate de li sancti doctori de lo aduento de Christo benedicto al finale Iuditio, con el preambulo horibile e malitia de quello pessimo seductore homo de anticristo».

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La stessa immagine si trovava inclusa in The Byrthe and Lyfe of the moost false and decytfull Antechryst, che fu pubblicata per la prima volta a Westminster nel 1505 da Wynkyn de Worde, come parte di una raccolta di testi ascetici di Andrew Chertsey: The Craft to Live Well and to Die Well. Ancora una volta si puntava a suscitare la timorata devozione del lettore, sia pure facendo ricorso alla paura di una fine incombente, e non a instillargli fervori apocalittici, nella prospettiva cioè di una sorta di arte del ben morire.46 Nella fortuna editoriale della Vita Antichristi si era dunque progressivamente modificata la presentazione offerta al lettore. Nella serie tedesca si era affermata una prevalenza delle immagini sul testo, di conseguenza ridotto soltanto a una breve didascalia in lingua volgare. Nella tradizione francese e italiana l’immagine a piena pagina e un testo in latino, tradotto in versi o in prosa volgari, si fronteggiavano. Nelle edizioni castigliane l’immagine era divenuta un sintetico corredo del testo. Nella compilazione in volgare inglese ormai si fece ricorso a una sola immagine. 5. Dalla devozione alla polemica confessionale A Wittenberg nel 1521 furono pubblicate l’edizione tedesca del Pas‑ sional Christi und Antichristi e la sua versione latina, Antithesis figurata vitae Christi et Antichristi, un testo di Martin Lutero, illustrato con le incisioni di Lucas Cranach.47 Sulla scia degli orientamenti dei riformatori religiosi, attivi in Boemia a partire dagli inizi del secolo precedente sulle orme di Jan Hus, il ruolo dell’Anticristo e le caratteristiche della sua predicazione furono profondamente modificate in sintonia con un reciso orientamento antipapale.48 46. USTC 500902. Si veda ancora Richard K. Emmerson, Wynkyn de Worde’s Byrthe and Lyfe of AnteChryst and Popular Eschatology on the Eve of the English Reformation, in «Mediaevalia. Journal of Medieval Studies», 14 (1988), pp. 281-311. 47. Si veda Martin Lutero, Replica ad Ambrogio Catarino sull’Anticristo […]. An‑ titesi illustrata della vita di Cristo e dell’Anticristo, a cura di Laura Ronchi De Michelis, Torino, Claudiana, 1989 (Cfr. Dr. Martin Luthers Werke Kritische Gesamtausgabe, VII: Schriften 1520/21, Weimar, H. Böhlau, 1897, pp. 705-778). Per l’edizione del Passional Christi cfr. USTC 683161 (on line nel sito della Bayerische Staatsbibliothek, München); per quella della Antithesis figurata cfr. USTC 611935 e 611936. 48. Sull’identificazione dell’Anticristo non più con un personaggio, bensì con l’intera istituzione papale, cui Martin Lutero giunse progressivamente, si veda soprattutto McGinn,

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L’impaginazione del volume mirava a contrapporre i comportamenti del Cristo, stampati sul verso di una pagina, a sinistra, e i misfatti dell’Anticristo, sul recto della pagina successiva, a destra, in modo tale da poterli abbracciare con un unico sguardo (fig. 9). Nella scritta sottostante l’immagine di sinistra, a un’intestazione a lettere maiuscole, CHRISTUS, faceva seguito una breve citazione tratta dal Vangelo di Luca (4, 43-44), un passo in cui il Cristo affermava di dover annunciare il vangelo di Dio e di essere stato mandato per questo scopo. Vi si aggiunse soltanto una breve frase: «Et erat predicans in synagogis Galilee».49 Ben diversamente, sotto l’immagine di destra, dopo l’intestazione ANTICHRISTUS, si poteva leggere una lunga reprimenda sui vescovi romani, incapaci di predicare il vangelo cristiano, in quanto dediti ai propri affari e intenti a bere vino. Al termine era riportata una citazione tratta dal profeta Isaia (56, 12): «Venite, sumamus vinum, & impleamur ebrietate, & erit sicut hodie sic & cras, & multo amplius».50 Questo genere di pubblicazioni ebbe una momentanea eclisse nel periodo immediatamente successivo.51

The Antichrist, pp. 201-208, e più brevemente Rusconi, Antichrist and Antichrists, pp. 311313. 49. «Et alijs ciuitatibus oportet me Euangelizare Regnum Dei, quia ideo missus sum. Et erat predicans in synagogis Galilee. Luce. IIII» (dalla riproduzione on line in Google Books) 50. «Sepe contigit quod Episcopi propter suas occupationes multiplices, vel inualetudines corporals, aut hostiles incursus, aut occasiones alias, ne dicamus defectum scientię, quod in eis reprobandum est omnino, per seipsos non sufficiunt ministrare verbum dei populo, maxime per amplas dioceses et diffusas. Generali constitutione sancimus vt Episcopi viros ad sanctę predicationis officium salubriter exequendum assumant. c. inter cętera de offi. ordina. Hi sunt Episcopi qui ordinarij officij sui obliti facti animalia ventris, dicentes: Venite sumamus vinum, & impleamur ebrietate, & erit sicut hodie sic & cras, & multo amplius. Esaie. LVI». 51. Si veda McGinn, The Antichrist, pp. 200-30: «Antichrist divided. Reformers, Catholics, and Puritans debate Antichristi (1500-1660)».

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Fig. 1. Luca Signorelli, Le gesta dell’Anticristo (ca. 1494-1504). Orvieto, Cattedrale, Cappella di San Brizio.

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Fig. 2. Luca Signorelli, La predica dell’Anticristo (part.).

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Fig. 3a-3b. Spiegel menschlicher Behaltnuss. [Speyer], Peter Drach, [ca. 1481], fol. 40va e fol. 163vb.

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Fig. 4. Hartmann Schedel, Liber Chronicarum. Nürnberg, Anton Koberger, 12 luglio 1493, fol. 262v.

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Fig. 5. Queste sono le auctoritate de li sacri doctori de lo aduento de xpo benedecto al finale judicio com el preambulo horibil. E malitia de questo pessimo sedutore homo de antechristo. (Impressum in Monteregalij in plano vallis, per Vincentium Berruerium, 1510 die XII Aprilis), fol. 1v.

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Fig. 6. Entekrist, Nürnberg, ca. 1450. Von dem Entchrist (chiro-xylographic)

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Fig. 7. Von dem Entkrist. [Straßburg, ca. 1482], fol. nn.: Predica di Elia ed Enoch da un pulpito.

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Fig. 8a-8b. Le livre du mauvais Antéchrist. (Lyons, ca. 1495?) Iste sunt auctoritates (Milano, 1496). Fig. 9. Martin Luther, Passional Christi und Antichristi, [Wittenberg, 1521], pp. nn.

10. Rhetorica ecclesiastica. La predicazione nell’età post-tridentina fra pulpito e biblioteca*

Nell’anno 1576 venivano ristampati a Roma dagli eredi di Francesco Tramezzino i De rhetorica ecclesiastica ad clericos libri tres, scritti da Agostino Valier, vescovo di Verona, ad istanza di Carlo Borromeo e destinati all’istruzione del clero nei seminari della diocesi di Milano (la prima edizione era stata pubblicata quasi contemporaneamente a Milano, ad opera di Pacifico da Ponte, e a Verona, per i tipi di Sebastiano e Giovanni Dalle Donne). Analoga intitolazione, vale a dire Ecclesiasticae rhetoricae * Non essendo opportuno fornire indicazioni bibliografiche esaustive su singoli personaggi o istituzioni, nominati nel testo, si rinvia alle informazioni contenute nei repertori specializzati: si citeranno, al contrario, solo i titoli strettamente pertinenti alle argomentazioni. Questi problemi erano già stati trattati, in un’ottica più generale, in Roberto Rusconi, Predicatori e predicazione, in Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981 (Storia d’Italia. Annali, 4), soprattutto alle pp. 995-1012; Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher, 1981, pp. 283-527; nella voce Predicazione, in «Dizionario degli istituti di perfezione», VII, Roma 1983, coll. 513-550 (redatta a più mani), e soprattutto in Gli Ordini religiosi maschili dalla Controriforma alle soppressioni settecentesche. Cultura, predicazione, missioni, in Clero e società nell’Italia moderna, a cura di Mario Rosa, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 207-274. Al proposito si vedano anche Lina Bolzoni, Oratoria e prediche, in Lettera­tura italiana, III: Le forme del testo, II: La prosa, dir. Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1984, pp. 1041-1074; Manuel Morán e José Andrés-Gallego, Il predicatore, in L’uomo barocco, a cura di Rosario Villari, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 139-177 (dove l’interesse è però concentrato piuttosto sulla Spagna), e le osservazioni di Silvano Cavazza, Predica­zione e propaganda religiosa, in Manuale di letteratura italiana. Storia per generi e per problemi, a cura di Franco Brioschi e Costanzo Di Girolamo, 4 voll., II: Dal Cinquecento alla metà del Settecento, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, pp. 735-748. Cfr. anche Rita Librandi, L’italiano nella comunicazione della Chiesa e nella diffusione della cultura religiosa, in Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, 3 voll., I: I luoghi della codificazione, Torino, Einaudi, 1993, soprattutto alle pp. 335-337.

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sive de ratione concionandi libri tres, recava sul frontespizio il volume del frate domenicano Luis de Granada, apparso a Lisbona nel 1576, e ripubblicato a Venezia da Francesco Ziletti nel 1578 (associandovi il precedente testo di Valier):1 sempre nel 1576 faceva la sua comparsa a Salamanca, in Spagna, la prima edizione del Modus concionandi del francescano Diego de Estella, anch’essa dedicata all’arcivescovo di Milano.2 Carlo Borromeo divenne dunque l’autorevole garante del­l’affermazione, nella Chiesa cattolica in età post-tridentina, del nuovo modello di retorica ecclesiastica che aveva preso forma nella penisola iberica nei decenni precedenti.3 A pochi anni di distanza dalla conclusione delle assise conciliari a Trento, nel 1563, era dunque sentita e diffusa l’esigenza di for­mulare le regole di un’ars praedicandi adeguata ai nuovi programmi di evangelizzazione e di istruzione religiosa formulati all’interno della Chiesa cattolica, una volta consumata in maniera definitiva la rottura dell’unità confessionale nell’Europa latino-germanica.4 1. Sul personaggio si veda Álvaro Huerga, Fray Luis de Granada y San Carlos Borro‑ meo. Una amistad al servicio de la restauración católica, in «Hispania Sacra», 11 (1958), pp. 299-341, e Id., Fray Luis de Granada. Una vida al servicio de la Iglesia, Ma­drid, Biblioteca de Autores Cristianos, 1988. 2. È disponibile un’edizione moderna di Diego de Estella, Modo de predi­car y modus concionandi. Estudio doctrinal y edición critica, a cura di Pío Sagűés Azcona, Madrid, Instituto Miguel de Cervantes, 1951. 3. Cfr. John O’Malley, Saint Charles Borromeo and the “Praecipuum episcoporum munus”: His Place in the History of Preaching, in San Carlo Borromeo: Catholic Reform and Ecclesiastical Politics in the Second Half of the Sixteenth Century, a cura di John M. Headley e John B. Tomaro, Washington (DC), Folger Books, 1988, pp. 139-157 (anche in Id., Religious Culture in the 16th Century. Preaching, Rhetoric, Spirituality, and Reform, Aldershot, Variorum Reprint, 1993). Su questi autori si vedano Antonio Larios Ramos, La reforma de la predicación en Trento (Historia y contenido de un decreto), in «Communio», 6 (1973), pp. 223-283; Antonio Cañivarez Llovera, La predicación española en el siglo XVI, in Repertorio de historia de las ciencias eclesiásticas en España (siglos III-XVI), VI, Salamanca, Instituto de Histo­ria de la Teología Española, 1977, pp. 189-266; Marc Fumaroli, L’âge de l’éloquence. Rhétorique et “res literaria” de la Renaissance au seuil de l’époque classique, Genève, Droz, 1980 (ad indicem). 4. Questo genere letterario è stato preso in esame da un accurato lavoro di Samuele Giombi, Precettistica e trattatistica sulla retorica sacra in età tridentina. Dottorato di ricerca presso l’Università della Repubblica di San Marino, Scuola Superiore di Studi Storici, anno accademico 1994-1995 (di cui segnalo il lavoro: Forme della predicazione cattolica fra Cinquecento e Seicento, in Cultura d’é­lite e cultura popolare nell’arco alpino fra Cin‑ que e Seicento, a cura di Ottavio Besomi e Carlo Caruso, Basel-Boston-Berlin, Birkhäuser Verlag, 1995, pp. 275-301).

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Scrittori di testi e loro dediche rimandavano in modo esplicito e diretto al più significativo rappresentante dell’episcopato riformatore cattolico nell’ultimo terzo del secolo XVI, assurto a modello della riforma religiosa e disciplinare propugnata dal concilio.5 Fra gli autori, peraltro, spiccavano in maniera indicativa non solo chierici secolari assurti al governo effettivo di una diocesi, ma anche religiosi appartenenti agli Ordini più impegnati nel ministero della predicazione durante gli ultimi secoli del medioevo. L’adozione della lingua latina da parte loro, infine, corrispondeva alla finalità di predisporre manuali esemplari di retorica omiletica, la cui circolazione non fosse limitata a singole aree nazionali del mondo cattolico. A misurare la distanza di quei testi dalle vicende religiose dei decenni precedenti è sufficiente il confronto della loro impostazione con un opuscolo, scritto e pubblicato nel 1535, da Desiderio Erasmo da Rotterdam, Ec‑ clesiastes sive de ratione concionandi libri quattuor: fortemente sarcastico nei confronti della pratica della predicazione da parte dei frati mendicanti, nei decenni a cavallo della fine del medioevo, e proteso invece a prospettare una restaurazione nell’ambito della predicazione, intesa a dare vita a un «concionator evangelicus», e i cui motivi ispiratori vennero travolti dalla controversia dottrinale e dalla frattura istituzionale che oppose e divise i cristiani delle diverse Chiese a partire dalla prima metà di quel secolo.6 In un quadro d’insieme dei problemi connessi con la predicazione in Italia, nel periodo compreso tra la conclusione del concilio di Trento e la fine del secolo XVIII, è comunque necessario adottare un criterio che indirizzi l’analisi, allo scopo innanzitutto di mettere in luce le prospettive di 5. Sull’azione pastorale di Carlo Borromeo, sia pure con un’angolatura assai specifica, ha portato un interessante contributo il lavoro di Wietse De Boer, Sinews of Discipline. The Uses of Confession in Counter-Reformation Milan. Disser­tazione di dottorato presso la Erasmus Universiteit Rotterdam, 1995 (con ampia bibliografia). 6. Il testo critico è in Desiderii Erasmi Roterodami Opera omnia, V/4 e V/5, a cura di Jacques Chomarat, Leiden, Brill, 1991 e 1994 (l’editio princeps apparve a Basilea presso Hieronymus Froben). Un’attenta analisi della struttura del testo si trova in James Michael Weiss, “Ecclesiastes” and Erasmus. The Mirror and the Image, in «Archiv für Reformationsgeschichte», 65 (1974), pp. 83-108, mentre di un aspetto particolare si occupava il modesto articolo di Emile V. Telle, En marge de l’éloquence sacrée aux XVe-XVIe siècles. Erasme et fra Roberto Caracciolo, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 43 (1981), pp. 449-470. Per un inquadramento più ge­nerale si vedano Marc Fumaroli, L’âge de l’éloquence, pp. 92-115, e John O’Malley, Era­smus and the History of Sacred Rhetoric: The «Ecclesiastes» of 1535, in «Erasmus of Rotterdam Society Yearbook», 5 (1985), pp. 1-29 (anche in Id., Religious Culture in the 16th Century).

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ricerca in un ambito sino ad ora toccato, in genere, da studi estremamente analitici ovvero da ampie sintesi: vale a dire, il rapporto instauratosi fra predicazione effettiva e testi delle prediche, anche allo scopo di orientarsi in direzione di un quadro della predicazione post-tridentina che si distacchi da un approccio ancora in larga misura dipendente da interessi di natura letteraria7 oppure da preoccupazioni di carattere teologico e dottrinale.8 1. «Praedicationis munus, quod episcoporum praecipuum est»9 All’ecclesiastico il quale, negli ultimi decenni del secolo XVI, avesse avuto fra le mani un’edizione a stampa dei decreti tridentini, sarebbe subito risultato evidente che i padri conciliari avevano deliberato in merito alla predicazione ai fedeli in due diverse circostanze, a ben diciassette anni di distanza l’una dall’altra.10 Nel corso della penultima sessione, celebrata a Trento l’11 novembre 1563, venne in effetti approvato un Decretum de reformatio­ne, in cui il quarto canone era dedicato alla disciplina della predicazione ecclesiastica. Sin dall’inizio vi si precisava che era stato redatto con uno scopo ben preciso, «aptius praesentium temporum usui accomodando» il decreto Super lectione et praedicatione, a sua volta approvato nel corso della Va sessione conciliare, il 17 giugno 1546 (a esso si rinviava, peraltro, con un’espres7. Si veda Domenico Ambrasi, Panegirici e panegiristi a Napo­li tra Seicento e Sette‑ cento, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento. Atti del X Convegno di studio dell’Associazione italiana dei professori di storia della Chiesa (Napoli, 6-9 settembre 1994), a cura di Giacomo Martina e Ugo Dovere, Roma, Edizioni Dehoniane, 1996, pp. 347-389. 8. Si vedano a titolo di esempio alcuni studi passati in rassegna da Carlo Delcorno, Dal “sermo modernus” alla retorica “borromea”, in «Lettere italiane», 29 (1987), pp. 465-483, oppure menzionati da Stanislao da Campagnola, La predicazio­ne quaresimale. Gestione, evoluzione, tipologie, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, pp. 243-280. 9. Si tratta delle parole iniziali del IV canone del Decretum de reformatione, approvato l’11 novembre 1563: Conciliorum Oecumenicorum decreta, a cura di Giuseppe Alberigo, Perikles-P. Joannou, Claudio Leonardi, Paolo Prodi, Basileæ, Herder, 1962, p. 763. 10. Lo sottolinea giustamente, al proposito, anche Stanislao da Campagnola, La pre‑ dicazione quaresimale. Ulteriori informazioni su quel mutato contesto si possono ricavare dai resoconti delle discussioni, nei diversi volumi a cura della Görresgesellschaft, in Conci‑ lium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistolarum, tractatuum nova collectio, pubblicati presso Herder, Freiburg im Breisgau, a partire dal 1911.

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sione sfuggente: «canones alias super hoc editos sub felicis recordationis Paulo III»).11 Nella fase iniziale del concilio ci si era formalmente richiamati al canone XI del IV concilio del Laterano del 1215,12 allo scopo di esortare il clero in cura d’anime a svolgere una predicazione limitata all’ambito morale, con l’esclusione dunque degli argomenti più squisitamente dottrinali (il che era peraltro comprensibile, nel contesto dell’azione inquisitoriale intrapresa a partire dal 1542 contro l’infiltrazione delle dottrine d’oltralpe e contro la loro diffusione anche ad opera di predicatori sospetti).13 In quella prima circostanza, la predicazione ecclesiastica era stata posta al medesimo livello della lettura dell’Evangelo: «Quia vero christianae reipublicae non minus necessaria est praedicatio evangelii quam lectio, et hoc est praecipuum episcoporum munus».14 Al momento della conclusione del concilio, invece, la predicazione veniva assai strettamente collegata all’insegnamento metodico dei «rudimenta fidei» (vale a dire della dottrina cristiana o, meglio, cattolica). In particolare, si insisteva sulla frequenza delle prediche, che dovevano essere tenute non solo la domenica e in occasione delle festività, ma anche – e almeno tre volte la settimana – nei periodi più importanti dell’anno liturgico, in ispecie durante l’avvento e la quaresima:15 «sacras scripturas divinamque legem annuntient», sintetizzava il decreto tridentino.16 Dopo la conclusione del concilio, gli esponenti più rappresentativi dell’episcopato riformatore prestarono dal canto loro grande attenzione ai problemi connessi con l’esercizio della predicazione, a cominciare dalle Instructiones praedicationis verbi Dei, che Carlo Borromeo fece emanare nel 1573 dal terzo concilio provinciale milanese (e inserire nel 1581 all’interno della prima raccolta degli Acta Ecclesiae Mediolanensis, stampata 11. Conciliorum Oecumenicorum decreta, pp. 667-670. 12. Ivi, rispettivamente p. 667 e p. 240. 13. Su questi problemi si veda ora il contributo di Giovanni Romeo, Predicazione e Inquisizione in Italia dal concilio di Trento alla prima metà del Seicento, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, pp. 207-242 (e la bibliografia ivi citata). 14. Conciliorum Oecumenicorum decreta, p. 669. In nota gli editori segnalano la corrispondenza del tenore di questo passo con un brano degli Statuta ecclesiae antiquae, a suo tempo ripreso già nel Decretum Gratiani. 15. Più ampiamente su tutto questo si veda ora Stanislao da Campagnola, La predi‑ cazione quaresimale. 16. Conciliorum Oecumenicorum decreta, p. 763.

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da Paolo, Gottardo e Pacifico da Ponte).17 Ad esse è giocoforza accostare, comunque, i numerosi trattati teorici, pubblicati dai suoi collaboratori, allo scopo di configurare i fondamenti di una nuova retorica ecclesiastica: dal trattato di Agostino Valier, menzionato all’inizio, ai De predicatore verbi Dei libri V di Giovanni Botero, pubblicati a Parigi da Guillaume Chaudière nel 1585.18 Anche per quanto attiene alle iniziative più rilevanti di altri vescovi, i quali si muovevano nella scia dell’esempio e del modello borromaico, è innegabile da parte loro un impegno altrettanto no­tevole nel mettere in atto le disposizioni tridentine in materia di predicazione, sia nel voler promuovere un ruolo anche ad opera del clero curato, in tale ambito, sia nel tentare di integrare la prassi pastorale degli Ordini religiosi all’interno della vita religiosa di una specifica diocesi:19 anche se, a mano a mano che ci si avvicinava al volgere del secolo XVI, la mancata istituzione dei seminari diocesani – e la conseguente assenza di un’adeguata formazione del clero secolare a svolgere talune mansioni pastorali previste dai decreti conciliari – fecero sì che, in particolare nell’ambito della predicazione, un ruolo di primaria importanza venisse di nuovo assunto dagli Ordini religiosi, sia da quelli sorti negli ultimi secoli del medioevo sia da quelli fondati nel corso del ’500. 17. Riedite in Acta Ecclesiae Mediolanensis, a cura di Achille Ratti, II, Milano, Tip. Pont. S. Giuseppe, 1890, coll. 1201-1248. 18. Cfr. Giombi, Precettistica e trattatistica. Per la complessa personalità dell’autore si veda Luigi Firpo, s.v., in «Dizionario biografico degli italiani», 13 (1971), pp. 352-362. 19. Si veda al proposito il contributo di Samuele Giombi, Dinamiche della predicazio­ ne cinquecentesca tra forma retorica e normativa religiosa: le istruzioni episcopali ai pre‑ dicatori, in «Cristianesimo nella storia», 13 (1992), pp. 73-102. Di particolare interesse appaiono i testi autografi di prediche in volgare, tenuti dai curati di alcune pievi della Brianza al tempo dell’episcopato di Carlo Borromeo, segnalati da Sandro Bianconi, Fonti per lo studio della diffusione della norma nell’italiano non lettera­rio tra fine ’500 e inizio ’600, in «Studi Linguistici Italiani», 17 (1991), pp. 39-54: soprattutto alle pp. 41-43. Probabilmente a questo clero si rivolgevano le ripetute edizioni, protrattesi dal 1480 alla metà del secolo XVII, del Vocabulista ecclesiastico latino e volgare uti­le e necessario a molti, del frate agostiniano Giovanni Bernardo Forte di Savona: cfr. Claudio Marazzini, Un vocabolario per il pulpito. Note sulla fortuna del “Vocabulista ec­clesiastico” nei secc. XV-XVI, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’U­niversità di Macerata», 20 (1987), pp. 327-337, e Il predicatore sciacqua i panni in Arno. Questione della lingua ed eloquenza sacra nel Cinquecento, in Lingua tradizio­ne rivelazione. La Chiesa e la comunicazione sociale, a cura di Lia Formigari e Donatella Di Cesare, Casale Monferrato (Alessandria), Marietti, 1987, pp. 12-20.

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Le grandi linee di svolgimento del fenomeno debbono però essere di necessità integrate con indicazioni alquanto più articolate, che al momento è possibile delineare, purtroppo, solo per sommi capi, in quanto non esiste una trattazione moderna, di carattere generale, sulla predicazione in Italia nel periodo post-tridentino.20 I numerosi elementi di informazione sull’argomento sono tuttora sparsi, in effetti, in contributi di diversa natura: dagli studi eruditi, di carattere locale oppure ristretti all’ambito di un singolo Ordine religioso, alle ricostruzioni della dinamica complessiva della vita religiosa, ad esempio all’interno di una diocesi specifica. In verità, non sembra avere molto senso in un siffatto contesto l’operare una distinzione troppo netta fra clero secolare e clero regolare. Appare infatti di notevole rilevanza il ruolo rivestito, tra i collaboratori dei vescovi della riforma tridentina, da predicatori di spicco appartenenti a diversi Ordini religiosi (un aspetto che è stato sottolineato con una certa ampiezza per quanto riguarda, in particolare, i rapporti di Carlo Borromeo con i francescani).21 Altrettanto importante, peraltro, fu l’assurgere a una cattedra episcopale di alcuni tra gli oratori sacri più famosi del tempo, come i minoriti Cornelio Musso, divenuto vescovo di Bitonto,22 e Francesco Panigarola, vescovo di Asti.23 20. L’unico titolo da citare resta ancora Emilio Santini, L’eloquenza italiana dal con‑ cilio tridentino ai nostri giorni, I: Gli oratori sacri, Milano, R. Sandron, 1923. 21. Cfr. Paolo Maria Sevesi, S. Carlo Borromeo ed il p. Francesco Panigarola, O.F.M., in «Archivum Franciscanum Historicum», 40 (1947), pp. 143-207, e Fedele Merelli, P. Francesco da Bormio e p. Angelo da Ferno, predicatori itineranti, all’ordine di S. Car­lo Borromeo nel 1567, in «L’Italia Francescana», 39 (1984), pp. 213-228; S. Carlo Borromeo e p. Mattia da Salò cappuccino. Epistolario, in «Collectanea Franciscana», 34 (1984), pp. 283-313; P. Alfonso Lupo cappuccino e San Carlo Borromeo, in «L’Ita­lia Francescana», 64 (1989), pp. 137-348 (si veda anche Carteggio di Mattia e Gio­vanni Bellintani da Salò con il cardinale Federico Borromeo, in «Collectanea Franci­scana», 36 [1986], pp. 37-108). 22. Cfr. Gustavo Cantini, Cornelio Musso dei frati minori conventuali (1511-1574), predicatore, scrittore e teologo al concilio di Trento, in «Miscellanea Francescana», 41 (1941), pp. 145-174 e 424-463; Gabriele De Rosa, Il francescano Cornelio Musso dal conci­lio di Trento alla diocesi di Bitonto, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 40 (1986), pp. 55-91. 23. Del rapporto fra Borromeo e Panigarola si era occupato Federico Barbieri, La riforma dell’eloquenza sacra in Lombardia operata da San Carlo Borromeo, in «Archivio storico lombardo», 30 (1911), pp. 231-262. Dopo il contributo di Giovanni Pozzi, Intorno alla predicazione del Panigarola, in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova, Antenore, 1960, pp. 315-322, occorre segnalare l’articolo di Laura Zanette, Tre predicatori per la peste: 1575-1577, in «Lettere italiane», 42 (1990), pp. 430-459.

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A livello del ministero pastorale ordinario, inoltre, è da porre in adeguato rilievo una sorta di articolazione nei compiti, intervenuta da tempo fra clero curato e religiosi dei diversi Ordini: con il primo maggiormente impegnato nell’ascolto delle confessioni e nell’insegnamento della dottrina cristiana, che non nell’attività di predicazione.24 Eppure una predicazione ordinaria, legata in particolare all’obbligo da parte dei fedeli di assistere alla celebrazione della messa almeno la domenica e le feste dei santi, era prevista come dovere del clero in cura d’anime:25 a essa era diretta la pubblicazione di testi del genere di quello redatto da Nicola Gallerio, già vicario generale di Carlo Borromeo a Milano e poi canonico della cattedrale di Padova, Modi di esplicare gli evangeli dominicali, et de’ santi di tutto l’anno, con l’applicazione del catechismo romano. Modo di insegnare la dottrina christiana. Ufficio del predicatore (apparso in latino a Colonia nel 1588, e fatto ristampare, ad esempio, nel 1592 dal vescovo di Ferrara, Giovanni Fontana, per l’uso nella propria diocesi).26 A meglio delineare la configurazione effettiva di tale settore del ministero pastorale del clero curato possono, con una notevole efficacia, intervenire le «liste delli libri» che, negli ultimi decenni del secolo XVI (e anche oltre), numerosi vescovi fecero redigere da «tutti li preti», nella scia delle disposizioni emanate da Carlo Borromeo in occasione del sinodo di 24. Per un quadro più ampio dei problemi connessi con l’ascolto delle confes­sioni si veda De Boer, Sinews of Discipline. Sulla nuova letteratura penitenziale cfr. Miriam Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, Bologna, il Mulino, 1991 (per un confronto con la situazione nel periodo pretridentino si può vedere anche Roberto Rusconi, Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamento religioso in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, a cura di Paolo Prodi e Peter Johanek, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 259-315). Sull’insegnamento della dottrina cristiana si veda Miriam Turrini, “Riformare il mondo a vera vita christiana”: le scuole di catechismo nell’Italia del Cinquecento, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», 7 (1982), pp. 407-489. 25. Nel sinodo piacentino del vescovo Rangoni, nell’anno 1600, ad esempio si «stabilisce che nel giorno festivo del santo titolare il parroco tenga il panegirico o, se non è in grado, legga al popolo qualche pagina riguardante il santo» (cit. in Franco Molinari, Pro‑ blemi di vita religiosa e mentalità episcopale nei sinodi piacentini del ’600, in «Archivio Storico per le Province Parmensi», s. 4, 35 [1983], p. 130). 26. Cfr. Lorenzo Paliotto, La biblioteca di un parroco ferrarese in età post­tridentina, in «Analecta Pomposiana», 13 (1988), pp. 93-119: p. 105, num. 9 (ove si rinvia ad Enrico Peverada, La predicazione nelle indicazioni pastorali del vescovo di Ferrara Giovanni Fontana. Saggio di ricerca, in «Analecta Pomposiana», 9 [1984], pp. 295-317).

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Nonantola del 1565:27 in tal modo diviene possibile verificare quale sia stato il reale grado di ricezione, da parte del clero curato, delle prescrizioni in materia di acquisizione dei libri funzionali all’esercizio dei propri compiti liturgici e pastorali. Da quegli elenchi, per quanto sommariamente redatti, emerge una fisionomia culturale, e un impegno anche nell’ambito della predicazione, da non doversi affatto sottovalutare.28 A quella categoria di ecclesiastici risultavano essere destinate, in effetti, come suggerisce inequivocabilmente la loro pubblicazione in lingua italiana, le opere di alcuni canonici regolari della Congregazione del SS.mo Salvatore, come i quattro volumi Delle homelie sopra le domeniche et feste prencipali de’ santi, di Onofrio Zarabini, stampati a Venezia da Giordano Ziletti nel 1575, oppure le Prediche […] sopra i quattro novissimi, edite sempre a Venezia nel 1593 da Domenico Farri, opera di Gabriele Inchino: che il frontespizio indica come «utilissime ad ogni stato, grado, e conditione di persone, ma principalmente a Parochi, a Curati, & a Predicatori, che ne potranno cavare molti sermoni, e prediche sopra diversi pas­si del sacro Evangelio».29 Ci si trova, dunque, all’interno di un contesto assai diverso da quello cui faceva riferimento una lettera del 28 aprile 1578, indirizzata dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, al vescovo di Bologna, Gabriele Paleotti, laddove si delineava l’obiettivo di sostituire una predicazione a carattere diocesano in luogo della predicazione itinerante dei religiosi mendicanti, anche perché questi ultimi «predicano con poco frutto, et fan27. Canone 18, in Giuseppe Pistoni, Il sinodo nonantolano di S. Carlo Borromeo del 1565, in «Atti e Memorie Accademia Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Mo­dena», 7/ II (1984-1985), p. 182. 28. Si vedano gli studi editi a cura di Nicola Raponi e Angelo Turchini, Stampa, libri e lettura a Milano nell’età di Carlo Borromeo, Milano, Vita e Pensiero, 1992 (e, in at­tesa della pubblicazione dei risultati della ricerca su «Biblioteche ecclesiastiche e cultura del clero nell’età di Carlo Borromeo», la tesi di laurea di M.C. Luciano, Sulla cultura del clero a Milano nell’età di San Carlo Borromeo, Università Cattolica di Milano, a.a. 1981-1982, rel. N. Raponi). In precedenza si segnalano, a titolo di esempio: Vigilio Zanolini, La biblioteca di un sacerdote trentino nel Cinquecento, in «Studi Trentini», 3 (1922), pp. 201-229; Tom Deutscher, La formazione dei parroci a Novara dopo il concilio di Trento, in «Novarien», 12 (1982), pp. 91-104; Paliotto, La biblioteca di un parroco ferrarese; Samuele Giombi, Le biblioteche di ecclesiastici nel Cinquecento italiano. Rassegna di studi recenti e prospettive di lettura, in «Lettere italiane», 43 (1991), pp. 291-307. 29. Cfr. Luigi Moranti, Le cinquecentine della Biblioteca Universitaria di Urbino, Firenze, L. S. Olschki, 1977, num. 1872.

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no sempre quelle prediche in stampa, che hanno fatte gli altri anni, senza haver di mira ai bisogni particolari di quel popolo».30 2. «Bibliotheca selecta»31 A dare ulteriori e più concrete indicazioni sulle caratteristiche fondamentali della predicazione in Italia, nell’ultima parte del secolo XVI e agli inizi del XVII, interviene il complesso degli inventari delle biblioteche conventuali degli Ordini religiosi maschili, redatti in occasione di un’inchiesta che la Congregazione dell’Indice fece svolgere, esclusivamente nella penisola, fra 1598 e 1603.32 L’indagine venne condotta con estrema accuratezza, dal momento che per la redazione di tali liste librarie furono dettate norme bibliografiche assai precise (che pure non impedirono, talora, una certa trasandatezza nell’esecuzione). I dati forniti dall’inchiesta consentono di tracciare nelle sue linee generali un quadro complessivo della cultura del clero regolare nell’Italia post-tridentina: andando, cioè, al di là dell’ovvia rilevazione di un’abbondante presenza di letteratura pastorale e del crescente afflusso di opere provenienti dalla penisola iberica, e questo anche nel settore dei testi connessi con l’esercizio della predicazione.33 Negli inventari appare attestata una situazione culturale assai complessa, dal momento che in essi si registra spesso un patrimonio librario frutto di un’accumulazione a volte plurisecolare. Diverso era, invece, il caso delle biblioteche degli Ordini sorti a partire dai primi decenni del secolo XVI, e in particolare dei frati minori cappuccini.34 In verità, proprio 30. Pubblicata in Paolo Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), 2 voll., Ro­ ma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1967, vol. II, pp. 91-92. 31. Cfr. infra, nota 68. 32. Cfr. Marc Dykmans, Les bibliothèques des religieux d’Italie en l’an 1600, in «Archivum Historiae Pontificiae», 24 (1986), pp. 385-404. Una descrizione essenziale dei manoscritti è in Marie-Madeleine Lebreton e Luigi Fiorani, Codices Vaticani Latini. Codices 11266-11326. Inventari di biblioteche religiose italiane alla fine del Cinquecento, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1985. 33. Si vedano le indicazioni generali fornite da Romeo De Maio, 1 modelli culturali della Controriforma. Le biblioteche dei conventi italiani alla fine del Cinque­cento, ora in Id., Riforma e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 1973 (19922), pp. 365381. 34. Da parte mia si era tentato di mettere in rapporto, in una sorta di analisi campionaria, i risultati dell’inchiesta della Congregazione dell’Indice, della fine del secolo XVI,

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nel 1596, vale a dire due anni prima che prendesse avvio l’inchiesta della Congregazione dell’Indice, il loro capitolo generale aveva approvato delle ordinazioni, in base alle quali veniva prescritta la fondazione di biblioteche nei conventi più importanti dell’Ordine, per le esigenze connesse con l’esistenza, al loro interno, di noviziati e di studi.35 In tal modo veniva introdotta un’innovazione di grande rilievo in una legislazione nella quale, in ossequio alla stretta osservanza dell’ideale della povertà francescana, a più riprese, nel 1536, nel 1552 e nel 1575, si era sino ad allora stabilito di limitare il possesso di libri.36 Si prenda in considerazione, a titolo di esempio, il convento dei cappuccini di Amalfi, fondato nel 1582: esaminandone l’inventario, i titoli dei libri, ma anche le date e i luoghi di stampa dei singoli volumi, vi si ritrova riflesso, in maniera pressoché immediata e diretta, l’orientamento culturale e religioso dei frati che ad esso appartenevano.37 Ne emergeva, inoltre, di con l’inchiesta promossa da Innocenzo X alla metà del secolo XVII, in un’inedita relazione al convegno Chiesa e società nel Mezzogiorno moderno e contemporaneo (Salerno, 12-13 novembre 1993): Biblioteche e conventi dei cap­puccini in Sicilia fra la fine del ’500 e la metà del ’600 (basandosi sugli inventari edi­ti in La circolazione libraria tra i francescani di Sicilia, a cura di Diego Ciccarelli, Pa­lermo, Officina di Studi Medievali - Biblioteca Francescana di Palermo, 1990, pp. 749-890, e sulle relazioni pubblicate in 1 conventi cappuc‑ cini nell’inchiesta del 1650, 3 voll., III: L’Italia meridionale e insulare, a cura di Mariano d’Alatri, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1985, pp. 263-412). Cfr. anche Giuseppe Lipari, Incunaboli e cinquecentine della provincia dei cappuccini di Messina, Messina, Sicania, 1995. 35. Cfr. Collectio authentica ordinationum ac decisionum capitulorum generalium, in «Analecta Ordinis Minorum Capuccinorum», 5 (1889), p. 135 sgg., num. 7: «Ricordi per li Padri Provintiali», dove è prescritto unicamente che «si facciano li­brarie in alcuni luoghi principali». 36. Si vedano i testi riediti anastaticamente in Constitutiones Ordinis Fratrum Mino‑ rum Capuccinorum saeculorum decursu promulgatae, 2 voll., I: Constitutiones antiquae (1529-1643), Romae, Curia Generalis OFM Cap., 1980-1986, in corrispondenza del ca­ pitolo IX della Regola minoritica. Interessanti elementi sulla predicazione dei frati dell’Ordine, negli anni 1573-1619, si ritrovano nei volumi curati da Vincenzo Criscuolo, 1 cap‑ puccini e la congregazione romana dei vescovi e regolari, I-VI, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1989-1995. 37. Accurata edizione in Vincenzo Criscuolo, La biblioteca dei cappuccini di Amalfi alla fine del Cinquecento (cod. Vat. lat. 11325), in «Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana», 6 (1986), pp. 65-104. Da essa sono desunti i dati bibliografici menzionati nel testo, spesso derivati dagli esemplari stessi, a suo tempo appartenuti alla biblioteca conventuale e rintracciati malgrado le intervenute dispersioni. Per un quadro di carattere generale si veda Stanislao da Campagnola, Le biblioteche dei cappuccini nel passaggio tra Cinque e

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quali strumenti quei frati avessero ritenuto opportuno dotarsi, per lo svolgimento della pro­pria attività di predicatori. Nel novero di 125 volumi a stampa, spiccava in primo luogo l’importanza della tradizione mendicante, soprattutto francescana, nell’ambito della predicazione negli ultimi secoli del medioevo, a partire dall’Opus de laudibus sanctorum del più famoso predicatore minorita della fine del ’400, Roberto Caracciolo da Lecce, stampato a Napoli nel 1489, e dall’Opus quadragesimale del medesimo frate, nell’edizione sempre napoletana del 1479.38 In un’edizione cinquecentesca i frati possedevano le raccolte dei sermones del domenicano Vincenzo Ferreri (canonizzato nel 1455),39 ma anche un’edizione veneziana del santo minorita Antonio di Padova, i Sermones super evangeliis totius anni (usciti nel 1576).40 Anche se è davvero difficile determinare i modi di accesso nella biblioteca conventuale di singole edizioni a stampa quattrocentesche, che potrebbero esservi giunte vuoi per acquisto librario vuoi, invece, per l’adesione di un singolo religioso alla riforma cappuccina,41 a ulteriormente sottolineare Seicento, in Biblioteche cappuc­cine italiane. Atti del congresso nazionale tenuto in Assisi (14-16 ottobre 1987), a cu­ra di Anselmo Mattioli, Perugia, Biblioteca Oasis, 1988, pp. 65-112 [e più brevemente Cataloghi manoscritti di biblioteche cappuccine italiane (secoli XVI-XIX), in I fondi manoscritti della biblioteca cappuccini di Trento per lo studio del territorio, a cura di Stanislao da Campagnola, Trento, Civis, 1993, pp. 19-21]. 38. Criscuolo, La biblioteca, num. 106 e 107. Sull’autore si veda la Introduzione di Raoul Mordenti a Roberto Caracciolo, Opere in volgare, a cura di Enzo Esposito, Galatina (Lecce), Congedo, 1993. 39. Criscuolo, La biblioteca, num. 121-123. 40. Cfr. ivi, num. 1. Sulle edizioni cinquecentesche si vedano le osservazioni degli editori di S. Antonii Patavini Sermones dominicales et festivi, ad fidem codicum recogniti, a cura di Beniamino Costa, Leonardo Frasson, Giovanni Luisetto, con il contributo di Paolo Marangon, I, Padova, Centro di Studi Antoniani, 1979: Introductio, pp. LXXIII, XCVI, CII-CIII, CXVIII. 41. Si veda l’episodio concernente frate Bernardino da Montolmo, esaminato da Roberto Rusconi, Francesco d’Assisi nella predicazione italiana del ’400 e del primo ’500, in L’immagine di Francesco nella storiografia dall’Umanesimo all’Ottocento. Atti del IX convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 15-17 ottobre 1981), Perugia, Università di Perugia - Assisi, Centro di studi francescani - Rimini, Maggioli, 1983, pp. 97-98 (divergenti le valutazioni al proposito di Giovanni Mic­coli, Problemi e aspetti della vita religiosa nell’Italia del primo Cinquecento e le ori­gini dei cappuccini, in Ludovico da Fos‑ sombrone e l’ordine dei cappuccini, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Istituto storico dei Cappuccini, 1994, p. 29 nt. 29). Ad esso si è riferito anche Stanislao da Campagnola, La predicazione quaresimale.

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il legame con la predicazione tardomedievale intervengono due raccolte anonime, i Sermones quadragesimales qui animae fideli inscribuntur, in un’edizione verosimilmente incunabola,42 e i Sermo­nes tam de tempore quam de sanctis inscripti “Thesaurus novus”, nel­le loro ristampe parigine del 1539 e del 154143 (e anche le edizione veneziane cinquecentesche dei Sermones de sanctis e dei Sermones quadragesimales di un benedettino cluniacense, il monaco francese Jean Raulin).44 Di rilievo era inoltre la presenza, all’interno della biblioteca del convento amalfitano dei frati cappuccini, di un notevole gruppo di volumi, i quali rappresentavano l’edizione a stampa cinquecente­sca di alcuni fra i più significativi strumenti elaborati negli ultimi secoli del medioevo per uso dei predicatori, perché servissero alla redazione del testo delle loro prediche latine. Curiosamente, gli autori erano tutti domenicani e si annoveravano un’edizione veneziana del 1582 del Legendario de santi di Jacopo da Varazze45 (e un’altra della Vita de santi Padri46 di Domenico Cavalca); i Flo‑ res omnium pene doctorum di Tommaso d’Irlanda, stampati a Lione nel 1575;47 la Summa de exemplis et rerum similitudinibus locupletissima verbi Dei concionatoribus cunctisque literarum studiosis maximo usui futura di Giovanni da San Gimignano, stampata a Venezia nel 1576;48 e anche due edizioni, stampate Venezia nel 1583 e 1584, dei Thesauri concionatorum libri sex del domenicano iberico Tommaso de Truxillo: un’edizione che si estendeva per ben 1883 colonne di testo «in quibus […] accurate traduntur omnia documenta, quae ad concionandi munus cum dignitate subeundum servare oporteat».49 42. Criscuolo, La biblioteca, num. 113. 43. Cfr. ivi, num. 112 e 117. 44. Cfr. ivi, num. 72, 73 e 77. 45. Cfr. ivi, num. 62. Per il ruolo delle compilazioni agiografiche in età moderna si veda Raccol­te di vite dei santi dal XIII al XVI secolo. Strutture, messaggi, fruizioni, a cura di Sofia Boesch Gajano, Fasano di Brindisi, Schena, 1990. 46. Cfr. Criscuolo, La biblioteca, num. 125. 47. Cfr. ivi, num. 119. Cfr. Preachers, Florilegia and Sermons: Studies on the “Ma‑ nipulus florum” of Thomas of Ireland, a cura di Richard H. Rouse e Mary A. Rouse, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1979, pp. 243-245, dove si segnalano due edizioni incunabole e almeno ventisei ristampe cinquecentesche. 48. Criscuolo, La biblioteca, num. 78. 49. Ivi, num. 115 e 116. Alcuni cenni al frate in Henry Kamen, The Phoenix and the Flame. Catalonia and the Counter Reformation, New Haven-London, Yale University Press, 1993, ad indicem.

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In effetti, l’andamento delle edizioni a stampa e le acquisizioni della biblioteca dimostrano in qual modo, per dare pratica attuazione ai dettami della riforma tridentina in materia di predicazione, si sia fatto largamente ricorso alla produzione tardomedievale: anche, però, alle opere redatte e pubblicate nella prima metà del secolo XVI, come un’edizione dei Ser‑ mones quadragesimales del francescano osservante iberico Francisco de Osuna (morto intorno al 1541)50 e dei Sermones quadragesimales del domenicano Guillaume Pepin (morto nel 1533).51 Si trattava dunque di una letteratura quasi esclusivamente in lingua latina, come pure in lingua latina erano i titoli di provenienza iberica (perché questo assicurava loro una circolazione su scala continentale nell’Europa cattolica). Nell’inventario della biblioteca del convento dei cappuccini di Amalfi, essi rappresentavano il filone della nuova «rhetorica ecclesiastica» post-tridentina, destinata a soppiantare il «sermo modernus» tardomedievale: le Conciones in epitomen del domenicano Luis de Granada, in un’edizione romana del 1578,52 oltre alla sua Silva locorum qui frequentar in concionibus occurrere solent, uscita a Venezia nel 1586;53 le Conciones de sanctis del gesuita Juan Osorio, stampate a Venezia nel 1595;54 i quattro volumi delle Conciones del francescano osservante portoghese Felipe Diez, stampati a Venezia tra 1586 e 1595.55 Le raccolte di prediche degli autori italiani del secolo XVI erano, anche in quella biblioteca, quasi esclusivamente nella loro lingua, a cominciare da tre diverse edizioni veneziane delle prediche del francescano conventuale Cornelio Musso56 e di altrettante edizioni delle prediche dell’osservante Francesco Panigarola,57 cui si aggiungevano anche un’edizione veneziana delle Prediche del conventuale Franceschino Visdomini da Ferrara,58 stampate a Venezia nel 1562, e dello stesso i Discorsi morali sopra gli Evangeli correnti dalla domenica di settuagesima fino alla otta‑

50. Cfr. Criscuolo, La biblioteca, num. 48. 51. Cfr. ivi, num. 57. 52. Cfr. ivi, num. 80. 53. Cfr. ivi, num. 81. 54. Cfr. ivi, num. 76. 55. Cfr. ivi, num. 51-54. 56. Cfr. ivi, num. 28, 31 e 32. 57. Cfr. ivi, num. 102-104. 58. Cfr. ivi, num. 49.

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va di Pasqua, stampati a Venezia nel 1566,59 oltre alla Oeconomica con‑ cionalis super Evangelia quadragesime del minorita Francesco Canofilo, apparsa nella stessa città nel 1551.60 Non si deve comunque ritenere che in questo ambito, almeno fra i cappuccini, finisse con il prevalere una sorta di corporativismo minoritico: anche se nella biblioteca dei frati amalfitani, ovviamente, era presente una copia de Le prediche dell’humil servo di Christo F. Girolamo da Pistoia, un cappuccino morto nel 1570, pubblicate a Bologna nel 1567.61 Tra i libri a uso dei predicatori, inventariati in quella occasione, si trovavano in effetti anche le raccolte di due canonici regolari lateranensi, vale a dire sia le Prediche e i Discorsi sopra gli evangeli et epistole dell’anno di Gabriele Fiamma, editi a Venezia nel 1570,62 sia Le prediche sopra i quattro novissimi di Gabriele Inchino, stampate nella stessa città nel 1593:63 e anche i Discorsi predicabili del frate agostiniano Sebastiano Ammiani da Fano, in un’edizione napoletana,64 mentre sempre a Napoli era stato stampato il volume Delle prediche quadragesimali del teologo Giulio Cesare Capaccio.65 È ovvio che si tratta di indicazioni relative a linee di tendenza, quali è possibile far derivare dal riscontro di una biblioteca conventuale di medie dimensioni (a titolo di confronto, si rammenti che le biblioteche dei conventi siciliani dell’Ordine dei cappuccini annoverano ben 1.131 volumi nell’intera provincia di Messina, 554 nel convento di Catania, ma solamente 14 in quello di Aci).66 Fra i libri dei cappuccini di Amalfi era compresa anche una copia della Bibliotheca sancta del domenicano Sisto da Siena:67 un testo concepito nella veste di guida alla formazione di una biblioteca conventuale, in un settore quale l’interpretazione della Bibbia, reso assai delicato dalla controversia 59. Cfr. ivi, num. 50. 60. Cfr. ivi, num. 46. 61. Cfr. ivi, num. 66. 62. Cfr. ivi, num. 63 e 64. Sull’autore si veda Carlo Ossola, Il “queto travaglio” di Gabriele Fiamma, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, a cura di Walter Binni et alii, 3 voll., Roma, Bulzoni, 1976, vol. III, pp. 239-286. 63. Cfr. Criscuolo, La biblioteca, num. 65. 64. Cfr. ivi, num. 111. 65. Cfr. ivi, num. 67. 66. Cfr. La circolazione libraria, pp. xxi-xxii. 67. Cfr. Criscuolo, La biblioteca, num. 109.

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con i teologi e le Chiese non cattolici. A porre ordine in un’incontrollata stratificazione di materiali, ripresi dalla produzione tardomedievale e pretridentina, in latino e in italiano, oppure freneticamente proposti da editori e curatori subito dopo la conclusione del concilio, ancor prima che fosse materialmente possibile redigere nuovi testi ispirati ai dettami dei decreti tridentini, ambiva dal canto suo il vasto progetto tracciato nel 1593 dal padre gesuita Antonio Possevino, la Bibliotheca selecta, stampata a Roma dalla Tipografia Vaticana e autorevolmente preceduta da un breve di papa Clemente VIII: una volta promulgata dal medesimo pontefice nel 1596 la versione definitiva dell’Index librorum prohibitorum, a Venezia il medesimo gesuita ne stampava nel 1603, oltre che una seconda edizione (Bibliotheca selecta de ratione studiorum ad disciplinas et salutem omnium gentium procurandam), il complemento bibliografico con il titolo di Apparatus sacer.68 All’interno di una proposta teologica e libraria assai analitica e volta a disciplinare tutto il sapere venivano ripresentati nella loro essenza anche i lineamenti della «rhetorica ecclesiastica» post-tridentina: esisteva un nuovo metodo di predicazione, caratteristico e specifico della riforma conciliare, formulato negli ultimi decenni del secolo XVI, e in riferimento a esso dovevano essere formati i predicatori, sia chierici secolari sia religiosi dei diversi Ordini. Nei confronti della Sacra Scrittura, essi si dovevano configurare come i novelli «homilistae» ovvero, per meglio dire, come gli «enarratores» della storia divina. L’istruzione cattolica, dal canto suo, si identificava per Antonio Possevino soprattutto con l’insegnamento della dottrina cristiana, e più precisamente con il Catechismo romano, a tal punto da influenzare le stesse forme della predicazione: «docendos esse clericos» scrive il gesuita «quae ad usum Catholici Catechismi Romani in explicandis evangeliis pertinent, ac sensim exercendos in concionibus recte habendis».69 68. Cfr. Albano Biondi, La “Bibliotheca selecta” di Antonio Possevino. Un progetto di egemonia culturale, in La “Ratio Studiorum”. Modelli culturali e prati­che educative dei gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, a cura di Gian Paolo Brizzi, Ro­ma, Bulzoni, 1981, pp. 43-75, e Vittorio Frajese, La revoca dell’“Index” sistino e la curia ro­mana (15881596), in «Nouvelles de la République des Lettres», 1 (1989), pp. 15-49, soprattutto p. 32 sgg. Su un piano più generale si veda ancora Antonio Rotondò, La censura ecclesiasti­ca e la cultura, in Storia d’Italia, V: I documenti, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1973, soprattutto p. 1435 sgg. 69. Dal cap. 17 della Bibliotheca selecta, citato in Genoveffa Palumbo, “Speculum peccatorum”. Frammenti di storia nello specchio delle immagini tra Cinque e Seicento, Napoli, Liguori, 1990, p. 20. A titolo di confronto, si veda il “ricordo” da lui lasciato al parroco di Cicognara, in diocesi di Cremona, il 17 giugno 1596: in Mario Scaduto, Le “visite”

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Dalla biblioteca, personale o conventuale, è per altri versi indispensabile passare al pulpito, e dalla letteratura omiletica alla predicazione effettiva. Di certo non tutti i predicatori si limitavano semplicemente a leggere ai fedeli prediche pubblicate nelle raccolte a stampa oppure a tradurle in italiano, nel caso di edizioni in lingua latina. Purtroppo siamo assai scarsamente ragguagliati sull’uso concreto che dei diversi generi di sermonari veniva fatto. Inoltre, la diffusione di libri a stampa per uso dei predicatori non inibiva per nulla la redazione di appunti e di raccolte manoscritte da parte dei singoli: ad esempio, nell’inventario dei libri del p. Camillo da Novara, del convento di S. Maria delle Grazie dei canonici regolari, alla fine sono elencati nove manoscritti, cinque dei quali contengono prediche, come «Uno libro de notandi diversi per predicare scritto a mano».70 Anche di un famoso predicatore e missionario della seconda metà del ’600, il frate cappuccino Marco d’Aviano, i sermoni rimasero manoscritti, dopo essere stati suddivisi in un quaresimale, un avventuale e una raccolta annuale.71 di Antonio Possevino nei domini dei Gonzaga (contributo alla storia religiosa del tardo Cinquecento), in «Archivio storico lombardo», 87 (1965), pp. 336-410, a p. 360. Anche nella Sabina, nel 1599, i missionari gesuiti osservavano: «presupposto che i curati habbino i catechismi romani […], il primo punto sarà di mostrar loro l’uso di essi» (da Luigi Fiorani, Missioni della compagnia di Gesù nell’agro ro­mano nel XVII secolo, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 [1994], pp. 216-234, a p. 222). 70. Si veda Emilia Dahnk Baroffio, Biblioteche religiose novaresi verso il 1600 nel censimento della Congregazione dell’Indice, II: La biblioteca degli eremiti di San Girolamo dell’Osservanza, in «Novarien», 20 (1990), pp. 185-189. Si vedano anche, a mero titolo di esempio, le indicazioni fornite da De Boer, Sinews of Discipline, in relazione a manoscritti di prediche di chierici curati; i numerosi manoscritti utilizzati ad esempio in I frati cappuccini. Documenti e testi­monianze del primo secolo, a cura di Costanzo Cargnoni, 4 voll., Perugia, Edizioni Frate Indovino, 1991, vol. III/1, pp. 2382-2411; ivi, vol. III/2, pp. 2758-2796); alcune raccolte manoscritte segnalate da Stanislao da Campagnola, La predicazione quaresimale; e, per un esempio illustre, Bonaventura von Mehr, Inventario dei manoscritti di S. Giuseppe da Leonessa, esistenti nell’archivio della postulazione generale dell’ordine dei frati minori cappuccini a Roma, in «Collectanea Franciscana», 18 (1948), pp. 259-272 [tra i vari contributi curati da Orante Elio D’Agostino, si veda Giuseppe da Leonessa, Discorsi (manoscritto n° 8 di San Giuseppe da Leonessa), Leonessa, Leonessa e il suo santo, 2015]. Sono ancora conservati, inoltre, i manoscritti latini delle prediche inedite di Diego Laínez e di Alfonso Salmerón: John O’Malley, The First Jesuits, Cam­bridge (MA)-London, Harvard University Press, 1993, pp. 396-397, nt. 51, e p. 398, nt. 104. Per un periodo successivo si veda Salvatore Palese, Predicazione parrocchiale in età moderna: don Alessandro Cardone (1708-1770) in Terra d’Otranto, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, pp. 303-331. 71. Dopo il modesto studio di Giancrisostomo da Cittadella, Il venerabile padre Mar‑ co d’Aviano nella sua predicazione, Padova, Tip. Antoniana, 1943, si veda l’accurata ana-

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3. «Sacre corone»72 «Chi può ripensare al Seicento senza rivedere in fantasia la figura del predicatore, nerovestito come gesuita, o biancovestito come domenicano, o col rozzo saio cappuccino, gesticolante in una chiesa barocca, dinanzi a un uditorio dai fastosi abbigliamenti?»: erano destinate davvero a colpire la fantasia queste taglienti annotazioni inserite da Benedetto Croce nei suoi Saggi sulla letteratura ita­liana del Seicento, pubblicati nel 1911,73 e sin da allora elevate a metro di giudizio da riproporre, a guisa di epigrafe, in numerose trattazioni concernenti la predicazione in Italia nel secolo XVII, con il nefasto risultato di rinchiudere l’approccio all’attività dei predicato­ri in quel secolo, e in parte anche nel successivo, all’interno di una griglia di considerazioni estetiche, di carattere prevalentemente letterario e a volte teatrale in maniera malintesa.74 Il rilevante numero di quasi duecento opere, in qualche modo dedicate alla «rhetorica ecclesiastica» e pubblicate nei paesi cattoli­ci d’Europa nell’arco di tre secoli, fra ’500 e ’700,75 costituiva al contrario la riprova obiettiva di un costante interesse prestato alle caratteristiche della predicazione, al fine di garantirne una maggiore efficacia nell’ascolto da parte dei fedeli.76 A tale lisi di Bernard Dompnier, L’apostolato di Marco d’Aviano e la tradizione missionaria dei cappuccini, in Marco d’Aviano e il suo tempo. Un cappuccino del Seicento, gli Ottomani e l’Impero. Atti del convegno storico internazionale (Pordenone, 12-13 novembre 1993), a cura di Ruggero Simonato, Pordenone, Edizioni Concordia Sette, 1993, pp. 247-277. 72. Cfr. infra, per il titolo completo della raccolta dei sermoni del teatino Vin­cenzo Giliberto. 73. Cfr. Benedetto Croce, I predicatori italiani del Seicento e il gusto spagnuolo, in «Flegrea», 1 (1899), poi in Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 19624, p. 170 (con un’appendice su Secentismo e spagnolismo, pp. 189-192). 74. Per una più complessa considerazione del problema, si vedano invece Cataldo Naro, Un predicatore gesuita nella Sicilia del Seicento: Lui­gi La Nuza, e Bernadette Majorana, Aspetti drammatici della predicazione missionaria. Os­servazioni su un caso gesuitico tra XVII e XVIII secolo, in La predicazione in Italia dopo il Con‑ cilio di Trento, pp. 333-345 e 127-152; della medesima si veda, in precedenza, soprattutto Lo Pseudo-Segneri e il Teatro celeste. Due tracce secentesche, in «Teatro e Storia», 9, Annali 1 (1994), pp. 357-388 (cfr. anche Marc Fuma­roli, Eroi ed orato‑ ri. Retorica e drammaturgia secentesche, Bologna, il Mulino, 1990, capp. V-VIII). 75. Cfr. James J. Murphy, Renaissance Rhetoric. A Short-Title Catalogue of Works on Rhetorical Theory from the Beginning of Printing to A.D. 1700, New York, Garland, 1981. 76. In tale ottica si può prendere in ulteriore considerazione l’articolo di Andrea Battistini, I manuali di retorica dei gesuiti, in La “Ratio studiorum”, pp. 77-120.

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scopo mirava, in verità, anche l’elaborazione della dottrina retorica dei «concetti predicabili»:77 «il fine del predicatore è persuadere», scriveva, fra i tanti, il teatino Vincenzo Giliberto, in L’aureole di vari fiori sovrapposte alle sacre corone, un volume da lui stampato a Napoli nel 1638.78 Anche per quanto riguarda i secoli XVII e XVIII risulta essere foriera di notevoli fraintendimenti una ricostruzione della reale fisionomia della predicazione unicamente, o anche prevalentemente, fondata sulla lettura delle raccolte pubblicate a stampa in quel periodo,79 in Italia, e prescindendo innanzi tutto dall’utilizzazione che di quelle veniva fatta: a partire dall’acquisizione di libri all’interno delle biblioteche ecclesiastiche, anche individuali e sia pure di ridotte dimensioni.80 In effetti, si avrebbe la possibilità di verificare puntualmente in qual modo nelle librerie di religiosi accanto a libri e libretti di meditazione venivano schierati testi predicabili per tutte le domeniche dell’anno, nonché quaresimali utili a chi veniva chiamato come sacro oratore anche in centri abitati minori. Alla diminuzione proporzionale di quaresimali negli ultimi decenni del ’600 e per tutto il ’700 sarebbe corrisposto l’aumento di sussidi più adatti ai preti in cura d’anime; alla contrazione numerica dei quare­simali sarebbe corrisposto un aumento proporzionale di trattati pratici di teologia 77. Si vedano ancora V. Ricci, A proposito di oratoria sacra nel Seicento: “La predica a concetto”, in «Convivium», 34 (1966), pp. 624-632, ma soprattutto Giovanni [Pozzi] da Locarno, Saggio sullo stile dell’oratoria sacra nel Seicento esemplificata sul p. Emanuele Orchi, Roma, Istituto storico dei Capuccini, 1954 (e le considera­zioni di Bolzoni, Oratoria e prediche, pp. 1065-1066). Si vedano inoltre Claudio Sensi, La re‑ torica dell’apoteosi. Arte e artificio nei panegirici del Lubrano, in «Studi Secenteschi», 24 (1983), pp. 69-152 (sul gesuita Giacomo Lubrano); Donatella Di Cesare, La selva delle analogie. I canoni della predicazione nel­l’Italia del Seicento, in Lingua tradizione rivelazione, pp. 132-150. 78. La citazione è tratta da Marcella Campanelli, La biblioteca di un parroco meri­ dionale alla fine del Seicento, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», 103 (1985), p. 330. 79. Predomina l’interesse letterario anche nella raccolta di Scrittori salentini di pietà fra Cinque e Settecento, a cura di Mario Marti. Introduzione di Bruno Pel­legrino, Galatina (Lecce), Congedo, 1992: si vedano le sezioni dedicate al minorita Ber­nardo da Brindisi (1621-1679), al domenicano Alessandro Tomaso Arcudi di Gala­tina († 1718), al francescano Bonaventura da Lama (ca. 1650-1739) e all’agostiniano scalzo Ignazio della Croce di Castellaneta (1717-1784). 80. Dati assai generali in Luciano Allegra, Ricerche sulla cultura del clero in Pie­ monte. Le biblioteche parrocchiali nell’arcidiocesi di Torino, sec. XVII-XVIII, Tori­no, Deputazione Subalpina di Storia Patria, 1978 (sulla base di inventari redatti fra 1650 e 1850).

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morale; sarebbero aumentati inoltre i sussidi per la predicazione domenicale, e per le spiegazioni catechistiche.81

La lista dei libri lasciati per testamento nel 1686 dal sacerdote Giovanni Andrea Buffolino alla biblioteca della parrocchia di S. Nicola Magno, nella piccola diocesi campana di S. Agata dei Goti, in verità, era forse il risultato di una situazione abbastanza singolare, anche se non del tutto estemporanea.82 All’interno di un elenco di oltre duecento titoli, soltanto poco più di una dozzina rientravano nella categoria delle opere «per la predicazione»,83 ricoprendo peraltro una gamma di pubblicazioni assai variegata: spesso stampate assai prima della sua consacrazione, avvenuta nel 1648 (quando non addirittura risalenti alla prima metà del secolo XVI, o persino redatti nel corso del secolo XV, come i Sermones discipuli de tempore del domenicano Johannes Herolt:84 per non parlare di un’edizione di Evangeliorum quadragesimalium decas prima annotationibus morali‑ bus… di Tommaso d’Aquino). Fra quei libri erano annoverati dall’inventario, per lo più allineati nella terza e nella quarta scansia, repertori di carattere più generale, e dunque in latino, come la Summa praedicantium ex omnibus locis communibus locu‑ pletissima, del francescano osservante portoghese Felipe Diez e l’Appara‑ tus concionatorum, seu locos communes ad conciones ordine alphabetico 81. Pietro Stella, Produzione libraria religiosa e versioni della Bibbia in Italia tra età dei lumi e crisi modernista, in Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, a cura di Mario Rosa, Roma, Herder, 1981, p. 100: le sue considerazioni si basavano sulle Tables redatte da Pierre Bliard, per il vol. X di Carlos Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Paris, A. Picard et Fils, 1909, coll. 221-228 e 246-249. Si vedano an­che Morán e AndrésGallego, Il predicatore, p. 153: «la stampa aveva messo a disposizione degli ecclesiastici un buon materiale ausiliario sotto forma di manuali di eloquenza e di raccolte di prediche, ordinate per lo più secondo il ciclo li­turgico: ciò permetteva a molti di sopperire alle carenze della propria formazione dottrinale e oratoria». 82. 1 dati sono tratti dallo studio di Campanelli, La biblioteca di un parro­co, pp. 285-353. Si veda anche Ead., Clero e cultura ecclesiale a Sant’Agata dei Goti agli inizi del Settecento, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», 110 (1992), pp. 95-152: soprattutto pp. 107 e 123-125 (anche se in entrambi i lavori è abbastanza opinabile la suddivisione in categorie, effettuata fra i libri) e, per un inquadramento su un piano più generale, Luigi Fiorani, Identità e crisi del prete romano tra Sei e Sette­cento, in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988), pp. 135-212. 83. Cfr. Campanelli, La biblioteca di un parroco, pp. 298 sgg. e 347. 84. Si veda Thomas Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, 4 voll., Roma, Istituto Storico Domenicano, 1970-1993, vol. II, pp. 450-460 (cfr. anche ivi, vol. IV, pp. 154-155).

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digestos, del gesuita Francisco Labata (peraltro registrato dall’inventario tra i libri della prima scansia, vale a dire fra le opere di carattere prettamente teologico). Accanto a questi repertori teologici a carattere enciclopedico si allineavano le raccolte in lingua italiana, da essere utilizzate nei principali periodi dell’anno liturgico: tradotte dallo spagnolo, nel caso de Il Valderrama quadrage­simale, del frate agostiniano Pedro de Valderrama da Siviglia, e delle Prediche per le domeniche dell’avvento del gesuita spagnolo Manuel de Najera, mentre in italiano erano state scritte direttamente Le sacre corone dell’anno ecclesiastico del teatino Vincenzo Giliberto, stampate i due parti fra 1623 e 1632, a Venezia e a Napoli (una raccolta di sermoni avventuali e quaresimali). Pur se nella propria biblioteca personale erano inclusi anche due volumi degli ostici sermoni trinitari dell’oratoriano Antonio Glielmo (Le grandezze della Santissima Tri­nità e Li riflessi della Santissima Trinità), la predicazione parrocchiale di Giovanni Andrea Buffolino non poteva peraltro non caratterizzarsi anche per un deciso orientamento in senso devozionale: ecco allora comparire nella lista dei libri del parroco di Sant’Agata de’ Goti dei Ser­mones novi de Rosario Beatissimae Virginis Mariae, e la raccolta latina dei Sermones de sanctis del minorita portoghese Felipe Diez.85 In conclusione, volumi compilati e redatti da autori appartenenti a Ordini religiosi vecchi e nuovi, magari non destinati primariamente al clero curato, e però di certo ampiamente utilizzati da quanti al suo interno predicavano, suggeriscono che il mondo dei predicatori di fatto non fosse poi diviso tanto nettamente fra chierici secolari e religiosi regolari (l’intervento degli Ordini religiosi nella formazione del clero curato, prima che il sistema di insegnamento previsto dal concilio tridentino con l’istituzione dei seminari entrasse in funzione, da un lato, e l’ascolto delle confessioni dei fedeli da parte dei sacerdoti, dall’altro, indicano parimenti che talune distinzioni all’interno degli ecclesiastici addetti al ministero pastorale non debbano essere tracciate con eccessiva nettezza). L’indicazione discende in maniera pregnante da un altro volume incluso nella lista di quel parroco campano della seconda metà del secolo XVII: le Prediche […] intitolate Vie del Paradiso, perche l’osservan‑ za di quanto trattano è necessaria ad ogn’uno che vuole andarvi, del canonico regolare Gabriele Inchino. L’edizione dell’opera, pubblicata a Venezia da Evangelista Dehuchino nel 1607, era stata da lui programma­ticamente 85. Fra le nuove acquisizioni della biblioteca, annotate nel 1721, appaiono peraltro anche dei «Sermoni scritti» (cfr. Campanelli, La biblioteca di un par­roco, p. 353).

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diretta tanto ai predicatori religiosi quanto al clero curato, tenendo peraltro conto delle rispettive competenze: al punto da indicare con una lettera in margine ai sermoni – una P per i predicatori e una C per i curati – quale fosse la parte dei testi da utilizzarsi da ciascuno.86 In ogni caso, la predicazione ordinaria si svolgeva prevalentemente all’interno delle chiese. Non si è forse prestata un’attenzione adeguata ai risvolti della ristrutturazione degli edifici ecclesiastici, in ossequio alle disposizioni tridentine, e alla intensa attività di costruzione di nuove chiese, parrocchiali e non parrocchiali, e di istituzione di nuovi complessi conventuali e monastici, con un annesso edificio per il culto, a partire dagli ultimi decenni del secolo XVI. In altri termini, si erano moltiplicati, con il trascorrere del tempo, i luoghi deputati alla predicazione, con una collocazione funzionale del pulpito al loro interno (la piazza resterà, almeno in parte, un luogo disponibile per predicazioni di carattere eccezionale e innanzitutto per le missioni). Nelle chiese gli spazi interni vennero modificati allo scopo di dare maggiore rilevanza al culto eucaristico e, in primo luogo, alla presenza reale nel tabernacolo collocato sull’altare maggiore al centro dell’abside.87 Furono in tali circostanze eliminate tutte le strutture che ingombravano il centro della navata, sulle quali in età medievale spesso erano stati appoggiati i pulpiti: i quali da allora, invece, furono retrocessi sui pilastri del transetto, nell’angolo in cui si connette con l’abside. Ad ulteriormente rafforzare il nuovo contesto simbolico, in cui venivano pronunziate le prediche all’interno della chiesa, contribuiva senza dubbio anche la specifica iconografia che decorava il pulpito e le sue pareti.88 Colui il quale avesse voluto fissare, in una sorta di dipinto di genere, la prassi della predicazione nel corso del secolo XVIII, per esempio in una 86. Da Campanelli, La biblioteca di un parroco, p. 300. Si vedano anche Morán e Andrés-Gallego, Il predicatore: «La preparazione del sermone», pp. 163-165. 87. A titolo di esempio si veda in particolare lo studio di Marcia B. Hall, The “Ponte” in S. Maria Novella: the Problem of the Rood Screen in Italy, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 37 (1974), pp.157-173 (cfr. Ead., Renovation and Counterrefor‑ mation. Vasari and Duke Cosimo in S.ta Maria Novella and S.ta Cro­ce, 1565-1577, Oxford, Clarendon Press, 1979) e, più in generale, Costantino Gilardi, Le modèle borroméen de l’espace liturgique, in «La Maison-Dieu», 193 (1993), pp. 91-110. 88. In ambito cattolico manca uno studio corrispondente al documentato la­voro di Peter Poscharsky, Die Kanzel. Erscheinungsform in Protestantismus bis zum Ende des Ba‑ rocks, Gütersloh, G. Mohn, 1963.

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città come Milano, si sarebbe trovato di fronte a un quaresimalista cappuccino, alle missioni dei lazzaristi nelle campagne e alle missioni urbane dei gesuiti, e ad altre forme di predicazione straordinaria, come le quarantore e gli oratori del S. Sepolcro: ma anche, quasi nell’ombra, alla predicazione domenicale e festiva, nelle chiese parrocchiali e in quelle degli Ordini religiosi.89 Unicamente per mezzo della conduzione di ricerche specifiche a carattere territoriale, in necessaria e consapevole sintonia con le problematiche di più ampio respiro, diviene allora possibile dare un’adeguata rilevanza alla predicazione, nell’intero contesto dei servizi sacerdotali offerti ai fedeli da parte delle istituzioni ecclesiastiche, secondo l’assetto da queste assunto per effetto della riforma tridentina. Non è più questione, allora, di limitarsi a registrare esclusivamente le tracce dei passaggi di quaresimalisti famosi nell’una o nell’altra località della penisola italiana oppure di annotare in maniera accurata, e però settoriale, l’attività missionaria dell’uno o dell’altro Ordine religioso. Al di là di ogni valutazione di carattere storiografico sulla protratta inadeguatezza delle strutture diocesane e parrocchiali, da un lato, e sull’intromissione nella pastorale ecclesiastica da parte del clero regolare, dall’altro, risulta essere maggiormente opportuno e fruttuoso ricostruire sul piano storico in quale modo, nell’epoca successiva alla chiusura del concilio di Trento, l’intero territorio della penisola, vuoi nei centri urbani vuoi nelle aree rurali, sia stato saldamente ripartito in una serie di reticoli istituzionali, dalle parrocchie alle circoscrizioni dei diversi Ordini: all’interno di quel contesto si svolgeva un’attività di predicazione, la cui consistenza effettiva peraltro attende ancora di essere descritta in un modo adeguato alla sua complessità. 89. Cfr. Annarosa Dordoni, La polemica a Milano contro gli “spiriti forti” attra‑ verso la predicazione dotta e la predicazione apologetica, in Ricerche sulla Chiesa di Mila­no nel Settecento, a cura di Antonio Acerbi e Massimo Marcocchi, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 88-119, e anche Giuseppe Orlandi, Vera e falsa santità in alcuni predicatori popo­lari e direttori di spirito del Sei e Settecento, in Finzione e santità tra medioevo ed età moderna, a cura di Gabriella Zarri, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991, pp. 435-463. In un’analoga prospettiva si colloca anche Domenico Rocciolo, Al servizio della diocesi. Congregazioni religiose maschili a Roma nel Settecento, in Devozioni e pietà popo­lare fra Seicento e Settecento: il ruolo delle congregazioni e degli ordini re‑ ligiosi, a cura di Stefania Nanni (numero unico di «Dimensioni e problemi della ricerca stori­ca», 2 [1994]), pp. 188-201.

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4. «Le Indie dalla parte di qua»90 Nel 1579 a Perugia, presso Pietro Giacomo Petrucci, il frate minore dell’osservanza Diego Valadés, rientrato in Europa dalle Americhe, mandava a stampa una Rhetorica christiana ad concionandi et orandi usum ac‑ comodata utriusque facultatis exemplis suo loco insertis; quae quidem ex Indorum maxime deprompta sunt historiis, unde praeter doctrinam, sum‑ ma quoque delectatio comparabitur. A quella data, dunque, sembrava del tutto ragionevole presentare un manuale di retorica omiletica, in cui i frutti dell’esperienza pastorale maturata oltreoceano venissero riutilizzati per la pratica della predicazione nel vecchio continente: Quando Diego de Valadés dette alle stampe il suo manuale sull’oratoria sacra, trovò naturale ricavarne i suggerimenti dall’esperienza delle Indie e desti­narli in generale a tutti i predicatori. E le sue indicazioni sull’uso delle immagini nella Nuova Spagna concordano con le proposte che in quegli stessi anni avanzava il gesuita Gaspar Loarte per il miglior funzionamento dell’insegnamento del catechismo nell’Europa cattolica.91

La denominazione stessa di “missione” riferita a una serie di precise iniziative pastorali, in particolare a campagne straordinarie di predicazione svolte nell’età della Controriforma e sino a tutto il secolo XVIII, risaliva 90. Si vedano Luigi Mezzadri, Storiogra­fia delle missioni; Fabiano Giorgini, Le for‑ me penitenziali durante le missioni popolari; Giuseppe Orlandi, La missione popolare: struttura e contenuti, in La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, pp. 457-489, 491-502, 503-535. In precedenza ricordo solo la sintesi di Adriano Prosperi, Il missiona‑ rio, in L’uo­mo barocco, pp. 179-218, e la trattazione complessiva di Giuseppe Orlandi, La missione popolare in età moderna, in Storia dell’Italia religiosa, a cura di André Vauchez, Tullio Gregory, Gabriele De Rosa, II: L’età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 419452. Comunque si veda anche il volume collettivo Devozioni e pietà popolare fra Seicento e Settecento: il ruolo delle congregazioni e degli ordini religiosi. 91. Prosperi, Il missionario, p. 208. Su questo interessantissimo volume si ve­dano Pauline Moffitt Watts, Hieroglyphs of Conversion. Alien Discourses in Diego Valadés’ “Rhetorica Christiana”, in «Memorie Domenicane», n.s., 22 (1991), pp. 405-433; «Caeli novi et terra nova». La evangelización del Nuevo Mundo a través de libros y documentos anteriores al 1600 existentes en el Archivo y en la Biblioteca del Vaticano. Selección y catálogo a cargo de Isaac Vázquez Janeiro, Città del Vaticano, Bibliotheca Apostolica, 1992, pp. 158-167 (con ampia riproduzione delle incisioni e bibliogra­fìa); Lina Bolzoni, La stan‑ za della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995, pp. 225-227. Per il testo di Gaspar Loarte, Avisi di sacerdoti et confessori, Parma, Seth Viotti, 1579, si veda Palumbo, «Speculum peccatorum», p. 50 sgg.

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in effetti alla convinzione che la penisola italiana fosse altrettanto poco cristianizzata delle popolazioni indigene delle Americhe, diffusa soprattutto all’interno degli Ordini religiosi, e in primo luogo dei gesuiti, che delle missioni furono fra i promotori più attivi:92 Se la predicazione fosse stata limitata ai centri urbani, difficilmente la Riforma cattolica avrebbe potuto raggiungere la maggioranza degli europei del Seicento: nelle città vi erano infatti molte parrocchie e molti conventi, ma in fondo vi risiedeva solo una piccola parte della popolazione. Il problema sollevato dallo squilibrio tra la distribuzione degli abitanti e quello delle risorse pastorali fu affrontato con le missioni interne: uno strumento che, pur essendo in uso anche in altre epoche, conobbe uno straordinario sviluppo nell’età barocca.93

Malgrado le missioni siano state considerate, e a ragione, uno dei fenomeni maggiormente caratterizzanti la vita religiosa in Italia e in Europa fra ’500 e ’700,94 si trattava soprattutto di un’attività pastorale di peculiare pertinenza degli Ordini religiosi, in particolare di quelli la cui fondazione rientrava nelle trasformazioni delle istituzioni ecclesiastiche nell’età della Riforma e della Controriforma, come appunto i gesuiti e i cappuccini, e più oltre i lazzaristi, i passionisti e i redentoristi: esse peraltro non esaurirono certo in sé l’intera attività di predica­zione ai fedeli, nel corso di quei secoli, e sarebbe di estremo interesse, al contrario, indagare attentamente sul complesso di interazioni che si instaurò, al livello della teoria retorica e della letteratura omiletica, fra le forme e i metodi della predicazione missionaria e la predicazione ordinaria e straordinaria nelle parrocchie e nelle chiese conventuali. 92. Si vedano Carla Faralli, Le missioni dei gesuiti in Italia (sec. XVI-XVIII): proble‑ mi di una ricerca in corso, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi», 138, (1975), pp. 97-116, e Armando Guidetti, Le missioni popolari. I grandi gesuiti italiani, Milano, Rusconi, 1988: intende ridimensionare invece, nel tempo, il ruolo dell’Ordine in questo ambito uno studio di Giuseppe Orlandi, S. Alfonso Maria de Liguori e l’ambiente missionario na‑ poletano nel Settecento: la compagnia di Gesù, in «Spicilegium Historicum Congregationis SS.mi Redemptoris», 38 (1990), pp. 5-193. Sulla predicazione dei primi gesuiti è assai utile anche la sintesi di O’Malley, The First Jesuits, cap. III. 93. Morán e Andrés-Gallego, Il predicatore, p. 170. 94. Si veda Louis Châtellier, La religione dei poveri. Le missioni rura­li in Europa dal XVI al XIX secolo e la costruzione del cattolicesimo moderno [1993], trad. ital., Milano, Garzanti, 1994 (e in precedenza dello stesso L’Europa dei devoti [1987], trad. ital., Milano, Garzanti, 1988).

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Esisteva comunque una precisa differenza di linguaggio, a separare la predicazione ordinaria dalla predicazione missionaria, e non solo nel senso di un’impronta maggiormente emozionale caratterizzante lo svolgimento della missione.95 La storia delle missioni nell’Italia del ’600 e del 700 rappresenta anche la vicenda di un adeguamento del metodo pastorale alla mutata percezione delle esigenze religiose e alla diversa configurazione della vita devozionale. Anche nell’ambito delle missioni, in effetti, rimarchevole risulta essere stato il rapporto fra predicazione effettiva e produzione a stampa, in una serie di pubblicazioni che si estendevano dalla redazione di modelli per i predicatori – in una gamma che andava dalle cronache sul genere della Missione de’ padri della compagnia di Ge­sù nel Regno di Napoli di Scipione Paolucci (stampata a Napoli nel 1650) a prontuari come il Breve compendio delle cose più principali che devono insegnarsi nella dottrina cristiana raccolto […] per maggior utile delle sacre missioni di un altro gesuita, Giovanni Pietro Pinamonti (morto nel 1703) – sino ad arrivare agli opuscoli indirizzati all’élite alfabetizzata del laicato devoto, come ad esempio la Ventura di 16 prediche o devoti svegliarini del gesuita Paolo Segneri Seniore («sedici piccole prediche, distribuite in un foglio stampato in modo da poter essere tagliato e piegato, così che ne rimanesse visibile solo il titolo retrostampato, dovevano essere messe in borsa ed estratte a sorte una la settimana»).96 Arrivati alla prima metà del XVIII secolo, con l’affermazione di personaggi di grande influenza, come il francescano riformato Leonardo da Porto Maurizio († 1751)97 e il redentorista Alfonso Maria de Liguori († 1787),98 il ruolo delle pubblicazioni connesse con lo svolgimento delle mis95. Cfr. Roberto Colombo, Il linguaggio missionario nel Settecento italiano. Intorno al “Diario delle Missioni di S. Leonardo da Porto Maurizio”, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 20 (1984), pp. 369-428. 96. Indicazioni su questi testi in Rusconi, Gli Ordini religiosi maschili, p. 247 sgg. 97. Su cui si vedano ancora Gustavo Cantini, Uno scelto operaio nella messe. S. Leo‑ nardo da Porto Maurizio e la sua predicazione, Roma, Caggiani, 1936, e A. Pierotti, Alcuni aspetti della strategia religioso-apostolica di S. Leonardo da Porto Maurizio, in «Studi Francescani», 49 (1952), pp. 96-131. Cfr. anche Constantin Pohlmann, Léo­nard de PortMaurice (saint), in Dictionnaire de Spiritualité, IX, Paris 1976, coll. 646-649; Raimondo Sbardella, Leonardo da Porto Maurizio, santo, in «Dizionario degli istituti di perfezione», V (1978), coll. 589-593. 98. Cfr. Alfonso M. de Liguori e la società civile del suo tempo. Atti del Convegno in‑ ternazionale per il bicentenario della morte del santo (1787-1987), a cura di Pompeo Gian-

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sioni si ampliò facendo riferimento a una complessa articolazione di destinatari, fra i quali emergeva in maniera sempre più significativa il clero curato, a partire evidentemente dalla diffusa convinzione che anche per la predicazione missionaria gli effetti positivi si dovessero misurare alla fine nell’ascolto delle confessioni, all’interno delle istituzioni parrocchiali. A un ulteriore processo di integrazione fra missioni tenute da Ordini e Congregazioni regolari, da un lato, e ministero pastorale del clero curato, dall’altro, contribuì anche il progressivo sorgere di piccole congregazioni di sacerdoti diocesani, nelle aree più popolate, anche per effetto della restrizione negli accessi agli Ordini religiosi, parzialmente in vigore nella seconda metà del XVII secolo in Italia.99 Furono queste, in un certo senso, le premesse generali per una trasformazione dei metodi missionari nel corso del XVIII secolo. In sostanza, predicazione domenicale e predicazione festiva, predicazione quaresimale e predicazione avventuale, predicazione missionaria urbana e predicazione missionaria rurale, nel corso dei secoli XVII e XVIII assursero a forme largamente integrate di ministero pastorale, all’interno delle quali furono attive, a vario titolo, le diverse componenti del clero, curato e regolare. È alla luce di un siffatto intreccio che possono essere prese in con­siderazione le fonti sulla predicazione effettiva di quell’epoca, dalla legislazione diocesana sino alla normativa interna ai singoli Ordini (per non parlare di fonti di grande rilevanza, quali le annotazioni diaristiche di alcuni predicatori):100 e anche una vasta produzione libraria, specificatamente a destinazione omiletica,101 la quale non deve essere in verità vagliata solo sulla base di stanchi criteri letterari oppure compulsata prevanantonio, Firenze, L. S. Olschki, 1990. In precedenza si vedano Otto Weiss e Fabriciano Ferrero, Bibliografia alfonsiana (1978-1988), in «Spicilegium Historicum Congregationis SS.mi Redemptoris», 36-37 (1988-1989), pp. 565-647. 99. Su questo insieme di problemi si vedano le indicazioni generali fornite in Rusconi, Gli Ordini religiosi maschili, pp. 224-242. 100. Si veda ad esempio Benvenuto Bazzocchini, Un apostolo dell’Umbria, ossia il “Giornale della predicazione” del b. Leopoldo da Gaiche, Trevi, Tipografia Economica, 1919, citato da Sta­nislao da Campagnola, La predicazione quaresimale. 101. Giustamente Stanislao da Campagnola, Cataloghi manoscritti, pp. 41-47, ha attirato l’attenzione sull’interesse degli inventari delle biblioteche conventuali e monastiche, redatti in occasione delle soppressioni settecentesche e ottocentesche degli Ordini regolari, allo scopo di ricostruirne la fisionomia culturale e religiosa. In merito si vedano le brevi osservazioni di Alessandro Laporta, Ordini religiosi e patrimonio librario: la Biblioteca Provinciale “N. Bernardini” di Lecce, in Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno moder‑

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lentemente alla ricerca di informazioni su orientamenti dottrinali ovvero su atteggia­menti devozionali.102 *** «Mentre in questi ultimi anni la predicazione medievale è [stata] oggetto di studi numerosi, e metodologicamente scaltriti, non esiste una storia della predicazione del Quattro e Cinquecento, fatta con intendimenti moderni, che tenga conto dell’intreccio di problemi religiosi, sociali e letterari connessi con questo genere di di­scorsi»: con tali parole si apriva un’acuta rassegna degli studi sul passaggio dal sermo modernus tardomedievale alla retorica ecclesiastica della piena età moderna, in riferimento alle numerose pubblicazioni edite in occasione della celebrazione del centenario della morte di san Carlo Borromeo.103 In effetti, solo in tempi più recenti hanno preso consistenza elementi di indubbio progresso e di notevole maturazione, in particolare sul piano metodologico, nelle ricerche sulla predicazione in Italia per il periodo dei secoli che vanno dalla fine del ’500 al­la fine del ’700. Allo scopo di metterne maggiormente in evidenza la portata, è necessario peraltro sottolineare la rilevanza di talune prospettive di ricerca di ragguardevole interesse. In primo luogo, l’applicazione dei decreti tridentini nell’ambito del ministero pastorale, e dunque anche della predicazione, in una complessa interazione fra esercizio delle responsabilità episcopali e funzioni svolte dal clero curato e dagli Ordini religiosi, può essere indagata con molto frutto ben al di là del cinquantennio successivo alla chiusura delle sessioni conciliari; periodo sul quale, invece, si è concentrata in prevalenza l’attenno. Atti del seminario di studio (Lecce, 29-31 gennaio 1986), a cu­ra di Bruno Pellegrino e Francesco Gaudioso, 3 voll., Galatina (Lecce), Congedo, 1987, vol. III, pp. 467-473. 102. Si vedano, ad esempio, Costanza Longo Timossi, Il contributo dei chierici re‑ golari somaschi alla riforma cattolica nella repubblica di Genova nella pri­ma metà del secolo XVII, in «Somascha», 10 (1985), pp. 1-51; Annarosa Dordoni, La polemica a Mi‑ lano, e Gianfranco Barbieri, Esempi di predicazione popolare nel Settecento milanese at­ traverso alcuni documenti inediti, in Ricerche sulla Chiesa di Milano nel Settecento, pp. 120-149; Elisa Novi Chavarria, Ideologia e comportamenti familiari nei predicatori italiani fra Cinque e Settecento. Tematiche e modelli, in «Rivista storica italiana», 100 (1988), pp. 699-723 (e più ampiamente Penitenza e comportamenti nei predicatori italiani tra Cinque e Settecento. Tematiche e modelli. Tesi di dottorato, Università di Napoli “Federico II”, 1987); A. Fiori, La crisi religiosa in Italia nella pri­ma metà del ’700. Una testimonianza, in «Studium», 85 (1989), pp. 497-507. 103. Cfr. Delcorno, Dal “sermo modernus”, p. 465.

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zione della storiografia. Per i due secoli successivi, invece, è prevalsa piuttosto la tendenza a svolgere indagini e a elaborare ricostruzioni, concernenti però in particolare singole diocesi oppure specifici Ordini religiosi.104 A tale singolare dicotomia può essere fatta forse risalire, almeno in parte, anche una sostanziale povertà degli studi complessivi sulla vita religiosa e sulla storia ecclesiastica nell’Italia dei secoli XVII e XVIII.105 In secondo luogo, è ulteriormente necessario sottolineare l’importanza di un’indagine complessiva su un fenomeno articolato come la predicazione: si trattava, infatti, di un’attività pastorale nella quale le prediche scritte (ed eventualmente pubblicate) costituivano, alla fine, solo una peculiare emergenza, per quanto di particolare rilievo. Al contrario, l’enorme quantità di materiali omiletici messi a stampa fra ’500 e ’700 si rivelerebbe alquanto sterile, come fonte per lo studio della storia religiosa, se continuasse a essere sottoposta al vaglio della critica storica unicamente facendo ricorso a una strumentazione e a prospettive di carattere meramente linguistico e letterario.106 104. Diverso è stato in effetti l’approccio dei contributi di Michele Miele, Attese e direttive sulla predicazione in Italia tra Cinquecento e Settecento, e di Emanuele Boaga, Il frate predicatore in Italia tra Cinquecento e Settecento: il caso dei carmelitani, pub­blicati in La predicazione in Italia, pp. 83-109 e 281-301. In precedenza si vedano invece, ad esempio, studi come quelli di Pierre Péano, Domenico De Gubernatis e i suoi sermoni, in «Studi Francescani», 87 (1990), pp. 125-140, e di Costanzo Cargnoni, La predicazione dei frati cappuccini nell’opera di riforma promossa dal concilio di Trento, Roma, Conferenza Italiana Superiori Provinciali Cappuccini, 1984. 105. Una lacuna colmata in parte da Clero e società nell’Italia moderna, a cura di Mario Rosa, e anche, in maniera meno soddisfacente, dal secondo volume della Storia dell’Italia religiosa. 106. Si pensi al problema di una corretta valutazione dell’utilizzo di strumenti per la predicazione, in un arco di tempo anche plurisecolare, a partire dal momento della loro redazione – in particolare le raccolte di exempla: cfr. Giuseppe Cacciatore, Le maniere letterarie del Seicento religioso, e La letteratura degli “exempla”, in Oreste Gregorio, Giuseppe Cacciatore e Domenico Capone, Introduzione generale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1960, pp. 157-180 e 239-283 (S. Alfonso M. de Liguori, Opere ascetiche) e Giuseppe Orlandi, L’uso degli “exempla” in S. Alfonso Maria de Li­guori. Note di storia della letteratura religiosa dell’età moderna, in «Spicilegium Historicum Congregationis SS.mi Redemptoris», 39 (1991), pp. 3-39. Anche al di fuori dell’ambito cattolico si proponeva la stessa questione: cfr. Wolfgang Brückner et alii, Volkserzählung und Reformation. Ein Handbuch zur Tradierung und Funktion von Erzählstoffen und Erzählliteratur im Pro‑ testantismus, Berlin, E. Schmidt, 1974; Ernst Heinrich Rehermann, Das Predigtexempel bei protestantischen Theologen des XVI. und XVII. Jahrhunderts, Göttingen, O. Schwartz, 1977.

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Inoltre, la storia della predicazione può essere messa in ancor più adeguato rilievo, allorché la si collochi all’interno del funzionamento complessivo delle istituzioni ecclesiastiche e nel contesto delle loro iniziative pastorali, e anche in un’area geografica e in un periodo di tempo, i quali siano stati delimitati in maniera rigorosa:107 in tal modo, avendo accesso a un vasto insieme di fonti organiche, sarà davvero possibile uscire da un approccio allo studio della predicazione che è apparso, sino a ora, di carattere meramente giurisdizionale ovvero prevalentemente dottrinale e devozionale. Allora sarà finalmente possibile mettere in evidenza, anche nell’ambito di una storia della predicazione, accanto e al di sotto della vasta area di azione dei diversi Ordini religiosi, l’effettivo ruolo pastorale svolto dal clero curato in Italia nell’età moderna.108

107. Si vedano, ad esempio, il contributo di Callisto Urbanelli, La predicazione e la vita religiosa nelle Marche centrali del Settecento, in Cultura e società nel Settecento, I: La vita religiosa nelle Marche. Atti del X convegno del Centro di Studi Avellaniti (Fonte Avellana, 28-30 agosto 1986), Fonte Avellana (Pesaro e Urbino), Centro di Studi Avellaniti, 1987, pp. 51-90, oppure quello di Elisa Novi Chavarria, Pastorale e devozioni nel XVI e XVII secolo, in Storia del Mezzogiorno, a cura di Giuseppe Galasso e Rosario Romeo, IX/2: Aspetti e problemi del medioevo e dell’età moderna, Roma, Editalia, 1991, pp. 369-413. 108. Di particolare interesse i lavori di Carlo Delcorno, Forme della predicazione cattolica fra Cinque e Seicento, in Cultura d’élite e cultura popolare, pp. 247-272, e di Frederick J. McGinnes, Right Thinking and Sacred Oratory in Counter-Reformation Rome, Princeton (NJ), University Press, 1995 (usciti a stampa dopo lo svolgi­mento del convegno di Napoli). Per gli altri paesi europei si segnalano, in particolare, Hilary D. Smith, Prea‑ ching in the Spanish Golden Age, Oxford, University Press, 1978; Peter Bayley, French Pulpit Oratory, 1398-1630, Cambridge (UK), University Press, 1980; Debora K. Shuger, Sacred Rhetoric. The Christian Grand Style in the English Renaissance, Princeton (NJ), University Press, 1988; Larissa Taylor, Soldiers of Christ. Preaching in Late Medieval and Reformation France, Oxford-New York, Oxford University Press, 1992.

Nota conclusiva

Un approccio alla predicazione in Italia nel periodo che va dagli inizi dell’impero carolingio all’affermazione della Controriforma deve mirare a ricostruire una storia integrale della predicazione nel suo contesto specifico. È facile, infatti, che ai documenti che la riguardano ci si rivolga come a raccolte di materiali utili per altri argomenti specifici: atteggiamento favorito dalla realtà stessa della predicazione, la quale si pone, per definizione e per ruolo, al crocevia degli avvenimenti. Per fare alcuni esempi: le prediche – e la documentazione sulle prediche, come cronache, lettere, diari, ecc. – possono essere utilizzate, e lo sono di fatto, da coloro che studiano l’etica economica medievale, le forme di pietà e di devozione, la propaganda anti-giudaica, e così via. Alcune discipline si sono ampiamente occupate della predicazione, per tradizione e per interesse specifico: in particolare, la storia della letteratura italiana e la storia della lingua italiana. Per esse, infatti, le raccolte di prediche in volgare, stese dagli autori o riportate dagli ascoltatori, costituiscono un materiale estremamente ricco di contenuti: è certo fuor di dubbio l’importanza della predicazione nell’uso della lingua volgare, dal momento in cui il rapporto tra chierici e laici nell’ambito pastorale fa obbligatoriamente uso di questa lingua, almeno a partire dagli inizi del IX secolo. Peraltro, la riscoperta della predicazione in volgare, avvenuta nella seconda metà del XIX secolo, non solo in Italia, ma anche in Germania e in Francia, appare marcata da un interesse storiografico impregnato di nazionalismo culturale: si va alla ricerca, nel medioevo, dei “monumenti” di una specifica lingua e cultura nazionali, distinti dalla comune lingua e cul­tura latina dell’élite dominante. Questo approccio, legato al clima politico e culturale della seconda metà dell’800 e degli inizi del ’900, accantona il problema fondamentale

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della predicazione in volgare nel medioevo e agli inizi dell’età moderna: la predica al popolo è sempre volgarizzamento di un testo redatto in latino, o comunque di un testo predisposto da un chierico che in latino ha acquisito la sua formazione religiosa, teologica e culturale. Questo è vero in particolare agli inizi del IX secolo: Come nella Romània, anche nella Germania la lingua superiore della cultura e della Chiesa era il latino tradizionale; ma là, a differenza di quel che accadeva nei paesi romanici, la parlata corrente non era una modificazione del latino, non poteva in alcun modo essere sentita come un livello diverso della stessa lingua: era una lingua autonoma. Per rendere accessibile indistintamente a tutti gli strati della popolazione una qualsiasi manifestazione di pensiero o di volontà elaborata in sede colta – poniamo, per fare il più semplice tra gli esempi, una predica reli­giosa – occorreva in paese germanico, “tradurla” in tedesco. Perché dun­que in paese romanico non si sarebbe dovuto far ricorso, per il medesimo scopo, ad un’analoga “traduzione” in volgare?. Ed infatti, nella predicazione e nei giuramenti, il ricorso al volgare è dettato da necessità pratica: si tratta di rendere accessibili a tutto il popolo manifestazioni di pensiero e di volontà dei ceti dirigenti.1

Il presupposto indispensabile a una storia della predicazione, che sia in grado di abbracciare un periodo di otto secoli, è questa funzione di mediazione della predica, tra élite chiericale e massa dei fedeli. D’altra parte, non bisogna neppure perdere di vista il fatto che tale processo di “traduzione” muta le sue forme in relazione al mutare delle condizioni complessive della società e delle istituzioni ecclesiastiche, che in essa operano: La predicazione volgare, avviata nell’Alto Medioevo come semplice traduzione al popolo dei testi più usuali della Scrittura, si trasforma nell’età dei Mendicanti in un raffinato strumento pedagogico, che suscita nella coscienza degli uditori nuovi orizzonti di attesa, sia religiosa che culturale, dove trova pieno significato la febbrile operosità dei volgarizzatori. Proprio questa conver­genza di predicazione e traduzione rappresenta un caso tipico di quella dinamica di rinnovamento per trasmissione verticale di contenuti, che caratterizza la cultura medievale.2 1. Aurelio Roncaglia, Le origini, in Storia della letteratura italiana, I: Le origini e il Duecento, a cura di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Grazanti, 1965, p. 153 e sgg. 2. Carlo Delcorno, Predicazione volgare e volgarizzamenti, in Les Ordres mendiants et la ville en Italie centrale (v. 1220-v. 1350), in «Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Age - Temps Modernes», 89 (1977), pp. 679-689, a p. 689.

Nota conclusiva

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Predicazione come volgarizzamento, dunque, anche nell’età delle grandi raccolte di prediche volgari riportate dagli uditori, come nel caso del domenicano Giordano da Pisa e del francescano Bernardino da Siena: al di sotto di un’esposizione certo vivace e arguta, ed anche apparentemente spontanea, a malapena si cela, infatti, la pesante articolazione scolastica del sermone. E quando è possibile effettuare una verifica sugli appunti e sugli schemi latini usati da un singolo predicatore, si constata che la predica in volgare ne è davvero una semplice traduzione, sia pure con le digressioni che l’improvvisazione dell’oratore ed il suo senso del pubblico richiedono. Anche quando si arriva all’età moderna, a raccolte di prediche a stampa scritte direttamente in lingua italiana, non muta l’ottica dell’operazione. Francesco Panigarola, infatti, postula l’uso anche nella predicazione della lingua italiana «uniformata» dai grammatici, proprio per assicurare una più rigorosa «traduzione» delle dottrine religiose e teologiche stabilite dai decreti del Concilio di Trento e dalla trattatistica della Controriforma: che sono sempre rigidamente formulate in latino. È necessario insistere molto su questa precisazione, perché si tratta di quel denominatore comune che non viene mai meno, per quanto profonde possano essere le trasformazioni intervenute nelle istituzioni ecclesiastiche in un arco di tempo tanto vasto, quale quello che separa l’ordinamento signorile e feudale dall’affermazione dello stato moderno e delle monarchie assolute. Non interessa certo rivedere puntualmente in queste pagine in che modo e con quali ritmi le istituzioni ecclesiastiche si adeguino alle trasformazioni della società. Importa, però, tenere a mente che questo processo interviene direttamente nel modificare la pratica della predicazione, proprio perché ne modifica i due elementi essenziali, relativi alla figura del predicatore: il reclutamento sociale del clero, diocesano e degli Ordini reli­ giosi, e la sua formazione religiosa, culturale e teologica. Entrambi questi elementi sono infatti il filtro attraverso cui passa ogni iniziativa ecclesia­ stica, che dalla gerarchia debba arrivare alla massa dei fedeli. La predicazione è quindi un fatto di chierici, un’iniziativa delle istituzioni ecclesiastiche, le quali in questo ambito svolgono una funzione di me­diazione culturale e ideologica di massa che, in quell’arco cronologico (ma in pratica per tutta l’età pre-industriale, e nelle aree rurali ancora per tutto l’800), nessun’altra istituzione è in grado di assicurare. Non si tratta però di un processo indifferenziato, proprio perché si inserisce in contesti storici tutt’altro che statici ed assimilabili. Proviamo ad

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indicarne le linee più essenziali. Al tempo di Gregorio Magno (590-604), un libro come la Regola pastorale – non a caso il testo fondamentale del ministero pastorale e della predicazione per tutto l’alto medioevo – propone esplicitamente la funzione del clero come agente della mediazione ecclesiastica dei dislivelli culturali esistenti in una società in transizione: Conseguente e articolata visione della società cristiana, rigidamente distinta in categorie sociali e culturali, a ciascuna delle quali doveva corrispon­dere un diverso modo di intendere e di praticare il cristianesimo. L’insegna­mento non può essere uguale per tutti né nelle forme né nei contenuti, dovendo adattarsi non solo alla psicologia, ma anche allo stato sociale di ognuno.3

Il passo successivo è costituito dalle disposizioni carolinge in materia di “traduzione” delle prediche, allo scopo di assicurare un connettivo ideologico all’affermazione delle istituzioni imperiali: «Il volgare cui il concilio di Tours conferisce un crisma di ufficialità si definisce propriamente come “lingua intelligibile al volgo”».4 La funzione di mediazione nell’attività dei predicatori si ripropone in maniera prepotente con i nuovi ordini mendicanti a partire dagli inizi del ’200: Nel XIII secolo, la nuova predicazione destinata ai laici e sviluppata specialmente negli Ordini mendicanti, si colloca immediatamente in questa relazione tra livelli di cultura: i predicatori “volgarizzano” i concetti fondamentali della cultura clericale, ma prestano anche attenzione alle parole dei laici di cui sono i confessori, a cui spesso restituiscono dall’alto del pulpito, trasformati in exempla, i racconti ricevuti.5

E questo è uno dei modi in cui la mediazione diviene sostanzialmente manipolazione: «Si può supporre che proprio in ciò consistesse una delle condizioni del­l’efficacia dell’exemplum, che rinviava agli uditori della predica un racconto diventato altro pur rimanendo apparentemente lo stesso. Un vero e proprio “cerchio magico”, che ci fornisce un esempio evidente delle astuzie dell’ideologia».6 3. Sofia Boesch Gajano, Dislivelli culturali e mediazioni ecclesiastiche nei “Dialogi” di Gregorio Magno, in Religioni delle classi popolari = «Quaderni storici», 14, 41 (1979), pp. 398-415, a p. 408. 4. Roncaglia, Le origini, p. 161. 5. Jean-Claude Schmitt, La parola addomesticata. San Domenico, il gatto e le donne di Fanjeaux, ivi, pp. 416-439. 6. Ivi, p. 433.

Nota conclusiva

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Grazie al loro più ampio reclutamento di personale ecclesiastico, in particolare all’interno dei ceti emergenti nella nuova società urbana e mercantile, gli Ordini mendicanti assicurano una più agile funzione di mediazione ideologica alla predica. Certo, è possibile riscontrare nella predicazione rallentamenti non casuali nel corso del ’300 ed una altrettanto non casuale accelerazione a partire dagli inizi del ’400: non solo per una serie di intricate questioni legate alle vicende interne dei singoli Ordini e delle istituzioni ecclesiastiche, ma anche in stretta connessione con le modifiche che incontra la necessità di produrre una ideologia di massa in periodi di com­plesse trasformazioni, nel momento del passaggio all’età moderna. In un clima di più accentuata attività intellettuale, e ormai non solo negli ambienti ecclesiastici, appare più evidente la penetrazione nell’ambito del messaggio religioso di modelli culturali che si vanno elaborando nella società e nelle istituzioni. Tra ’200 e ’400 non vi è dubbio che l’ideale religioso proposto nelle prediche, pur sempre prodotte da chierici che studiano in latino sui loro manuali e le preparano di conseguenza in latino, è perfet­tamente omogeneo alla mentalità che il ceto dominante, mercantileborghese, ha elaborato ed esprime: Questo [una sorta di contabilità della vita spirituale] è quindi l’aspetto più macroscopico di un recepimento e modella­mento del fatto cristiano da parte di una mentalità mercantesca. Ma anche al di là di questa concezione in termini di scambio – di beni materiali (elemosine) o spirituali (atti di culto) contro altri beni, materiali o spirituali che siano: che gli spirituali sembrano configurarsi poi sostanzialmente in termini di “sicurezza”, nell’altra come in questa vita, senza che scatti quindi una precisa consapevolezza di alterità di piani. Il discorso potrebbe forse essere spinto più oltre […], molto più all’interno del fatto religioso, nel senso della proiezione di una mentalità di calcolo nell’ambito della vita ascetica, che viene mutuando il suo linguaggio dal linguaggio dei libri di conti.7

Peraltro, proprio nel momento in cui si accentua l’articolazione della società ed iniziano ad apparire centri culturali autonomi dalle istituzioni ecclesiastiche – ad esempio gli Studia o università – e nell’ambito dell’espressione scritta della cultura e dei suoi modelli appare una lette7. Zelina Zafarana, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di prediche, in «Studi medievali», ser. III, 9 (1968), pp. 1017-1113, a p. 1024 nt. 19.

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ratura laica, cioè non ecclesiastica, si consolida la «semantica della sottigliezza». È un problema che si connette direttamente con le regole che nella società medievale, definiscono la circolazione del discorso: La conoscenza religiosa è dunque diffusa universalmente, ma anche distribui­ ta secondo linee che non separano solo laici da chierici, ma più all’interno di queste due società. Un quadro di questo genere presuppone un forte controllo della circolazione del discorso religioso da parte della società ecclesiastica. […] Agisce anche la preoccupazione che i libri della Scrittura e dei dottori siano usati dai fedeli, ai quali […] si raccomandano piuttosto nozioni elementari, di tipo catechistico, che conoscenze religiose.8

Siamo in sostanza di fronte ad una vera e propria politica ecclesiastica, che dispiega in pieno i suoi effetti nel corso del secolo XVI, in| quell’irrigidimento delle istituzioni della Chiesa cattolica favorito dalla contrapposizione con la Riforma protestante. I nuovi fermenti che, agli inizi del secolo xvi, la predicazione dai pulpiti propone direttamente all’attenzione dei fedeli – si tratti dell’aspirazione ad una riforma religiosa fondata sulla «dechiaratione de l’Evangelio», oppure di una preoccupazione per le sorti dell’anima individuale maturata attraverso una lettura radicalizzata delle opere teologiche di sant’Agostino, oppure, infine, di una penetrazione in Italia delle idee «lutherane» prove­ nienti d’oltralpe –, questo fervore sospetto di frati e di predicatori mette in allarme la gerarchia ecclesiastica italiana. Al suo interno gli ambienti curiali romani imboccano senza esitazione la strada maestra del modera­tismo ecclesiastico, il criterio della duplice verità. E su questa linea si trovano concordi anche gli ambienti che aspirano a una riforma religiosa, i rappresentanti dell’Evangelismo italiano: Il limite che la sensibilità dell’Evangelismo avvertiva come invalicabile può essere, in via di ipotesi, tracciato qui, nel passaggio da una discussione teologica ampia e spregiudicata nell’ambito di una cerchia ristretta – che però non incideva nella pratica di un’azione di riforma morale e disciplinare saldamente ancorata a criteri tradizionali – alla traduzione in pratica di certe posizioni teologiche, come la negazione del libero arbitrio.9 8. Francesco Bruni, Semantica della sottigliezza. Note sulla distribuzione della cultu‑ ra nel Basso Medioevo, in «Studi medievali», ser. III, 19 (1978), pp. 1-36, a p.33. 9. Adriano Prosperi, Un processo per eresia a Verona verso la metà del Cinqucento, in «Quaderni storici», 5 (1970), pp. 773-794.

Nota conclusiva

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La vita religiosa ha quindi due volti: il dibattito religioso, riservato all’élite chiericale, la predicazione in volgare riservata al popolo cristiano, in una estrema semplificazione di dottrine e contenuti ascetici. Questa analisi conclusiva della predicazione nella società italiana, nei secoli che vanno dall’inizio del IX alla fine del XVI, potrebbe essere ripercorsa anche in senso inverso: vale a dire, non solo dal punto di vista dei predicatori e della predicazione – nella sostanza quella “ufficiale” –, ossia dei chierici, ma anche da quello degli ascoltatori delle prediche, ossia dei laici. Il rapporto tra queste due realtà è estremamente complesso, specie per quanto concerne il ruolo di mediazione ideologica che i chierici si assumono: La contaminazione dell’idea chiericale e della credenza popolare – essendo considerato “popolare”, in quest’epoca, press’a poco l’equi­valente di “laico” – lascia sussistere la differenza e anche l’opposizione tra due mentalità e due sensibilità. Da un lato quelle della cultura chiericale, abbastanza agguerrita per affermare il trionfo del bene sul male e imporre delle distinzioni nette. Dall’altro quelle della cultura folklorica tradizionalmente prudente al punto di preferire, di fronte a forze che non abbandonano la loro ambiguità, dei procedimenti primitivi ma anch’essi equivoci, astuti.10

Nell’arco dei secoli che ci interessano, il ruolo dei laici nell’istituzione ecclesiastica, nella pastorale, nella predica, resta per definizione un ruolo passivo, di ascoltatore, il quale è tenuto a recepire i modelli che gli ven­gono proposti: grosso modo, la vita religiosa della popolazione in questi secoli è compresa tra il pulpito e il confessionale. Dal primo vengono proposti i modelli di comportamento religioso – e anche sociale – cui adeguarsi, nel secondo si verifica l’interiorizzazione del modello e l’adesione ad esso. Questa staticità di ruoli può essere modificata solo sottraendo il testo della Scrittura al monopolio dei chierici e alla loro interpretazione. Il vol­garizzamento degli scritti biblici – la cui diffusione in latino ne limita ne­cessariamente la conoscenza all’élite chiericale – è una rivendicazione cen­trale dei gruppi che, tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, lottano per rivendicare il diritto dei laici a predicare. In realtà, in questo modo si pongono le premesse di un vero e proprio ribaltamento delle istituzioni ecclesiastiche, della fondamentale distinzio10. Jacques Le Goff, Cultura ecclesiastica e cultura folclorica nel Medioevo: san Marcello di Parigi e il drago, in Id., Tempo della Chiesa e tempo del mercante. E altri saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, Torino, Einaudi, 1977, p. 251.

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ne tra chierici e laici – su cui esse riposano –, della necessità di una media­ zione della Chiesa per la salvezza eterna. Per questa ragione tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo la gerarchia della Chiesa proibisce questi volgarizzamenti biblici: Il timore era che da quella lettura e da quello studio nascesse un’attività di discussione, di predicazione e di insegnamento al di fuori dei quadri gerarchici costituiti, secondo quella linea che già la decretale Ad abolendam [1184] aveva individuato come uno dei connotati dell’eresia. […] Le norme successive, pur senza proibire [formalmente] la traduzione e la lettura della Bibbia, si sforzarono di riportarne il pieno ed esclusivo controllo alla gerarchia, vietando categoricamente ai laici di discutere in pubblico o in privato intorno alla fede cattolica.11

Ancora agli inizi del secolo XVI, nella diffusione di traduzioni in vol­ gare della Bibbia le autorità ecclesiastiche in Italia non mancano di indivi­ duare una delle principali cause dell’«heresia»: Non si poteva perciò badare all’utilità dei pochi, che avrebbero potuto trarre profitto da quelle traduzioni, trascurando il grave danno per i molti. Quei decreti e quelle proibizioni, proprio perché miravano a privare le masse di uno strumento autonomo di crescita e di maturazione, costituirono anche un mezzo per mantenerle in una posizione socialmente ed intellettualmente subalterna e per rinsaldare la propria alleanza con i poteri costituiti, nonostante l’ondata anticlericale che sembrava dovesse tutto travolgere.12

Nel tentativo di gettare ponti che facciano comprendere quali legami intercorrano tra una attività ecclesiastica, quale è la predicazione, ed il com­plesso della società al cui interno essa viene esercitata, dovrebbe fare riflet­tere il fatto che i decenni tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo e quelli all’inizio del secolo XVI sono momenti di transizione, nel complesso passaggio, prima all’affermazione delle nuove istituzioni comunali urbane, dopo all’instaurazione dello stato territoriale moderno. Fermenti religiosi e chiusure istituzionali si inseriscono perfettamente in questa dinamica, sia pure nelle forme proprie della vita religiosa e della Chiesa.

11. Giovanni Miccoli, La storia religiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla caduta dell’im‑ pero romano al secolo XVIII, a cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1974, p. 662. 12. Ivi, p. 992.

Nota bibliografica

Sono qui elencati, in ordine cronologico, i contributi di Roberto Rusconi alla storia della predicazione. Il sacramento della penitenza nella predicazione di San Bernardino da Siena, in «Aevum», 47 (1973), pp. 235-286. Michele Carcano e le caratteristiche della sua predicazione, in «Picenum seraphicum», 10 (1973), pp. 196-218. La predicazione francescana sulla penitenza alla fine del Quattrocento nel “Rosarium ser‑ monum” di Bernardino Busti, in «Studia Patavina», 22 (1975), pp. 68-95. Escatologia e povertà nella predicazione di Bernardino da Siena, in Bernardino predicato‑ re nella società del suo tempo (XVI Convegno internazionale di studi. Todi, Accademia Tudertina, 9-12 ottobre 1975), Todi, Accademia Tudertina, 1976, pp. 211-250. Note sulla predicazione di Manfredi da Vercelli O.P. e il movimento penitenziale dei Terzia‑ ri manfredini, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 48 (1978), pp. 93-135. Gerusalemme nella predicazione popolare quattrocentesca tra millennio, ricordo di viag‑ gio e luogo sacro, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo», 87 (1978), pp. 229-247 [anche in Toscana e Terrasanta nel Medioevo. Saggi, a cura di Franco Cardini, Firenze, Alinea, 1982, pp. 285-289]. Predicatori e predicazione, in Intellettuali e potere, a cura di Corrado Vivanti, Torino, Einaudi, 1981, pp. 951-1035 (Storia d’Italia. Annali, 4). Predicazione e vita religiosa nella società italiana da Carlo Magno alla Controriforma, Torino, Loescher editore, 1981 [disponibile on line in Reti medievali] [ora in questo volume, pp. 33-78 e 321-328] De la prédication à la confession: transmission et contrôle de modèles de comportement au XIIIe siècle, in Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages religieux du XIIe au XVe siècle, Roma, École Française de Rome, 1981 (Collection de l’École Française de Rome, 51), pp. 67-85 [in italiano in L’ordine dei peccati. La confessione tra Medioevo ed età moderna, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 57-81]. Apocalittica ed escatologia nella predicazione di Bernardino da Siena, «Studi medievali», Ser. 3a, 22 (1981), pp. 85-128. San Francesco nelle prediche volgari e nei sermoni latini di Bernardino da Siena, in Atti del simposio internazionale cateriniano-bernardiniano, a cura di Domenico Maffei e Paolo Nardi, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1982, pp. 793-809 [poi in Studi france‑ scani, Spoleto (Perugia), Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2021 (Medioevo francescano. Saggi, 22), pp. 383-402]. S. Bernardino da Siena, la donna e la «roba», in Atti del convegno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario della nascita di s. Bernardino da Siena, L’Aquila, 7-9 maggio 1980, Teramo, Comitato Aquilano del sesto centenario della nascita di S. Bernardino da Siena, 1982, pp. 97-110 [anche in Mistiche e devote nell’Italia tardomedie‑

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vale, a cura di Daniel Bornstein, Roberto Rusconi, Napoli, Liguori, 1992, pp. 171-186; in inglese: St. Bernardino of Siena, the wife, and possessions, in Women and Religion in Medieval and Renaissance Italy, a cura di Daniel Bonstein, Roberto Rusconi, Chicago, The University of Chicago Press, 1996, pp. 182-196][ora in questo volume, pp. 169-184]. Francesco d’Assisi nella predicazione italiana del ’400 e del primo ’500, in L’immagine di Francesco nella storiografia dall’Umanesimo all’Ottocento. Atti del IX convegno internazionale di studi francescani (Assisi, 15-17 ottobre 1981), Perugia, Università di Perugia - Assisi, Centro di studi francescani - Rimini, Maggioli, 1983, pp. 79-108 [poi in Studi francescani, pp. 403-427]. (con altri) Predicazione, in «Dizionario degli istituti di perfezione», VII (1983), coll. 513550. Dal pulpito alla confessione. Modelli di comportamento religioso in Italia tra 1470 circa e 1520 circa, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, a cura di Paolo Prodi e Peter Johanek, Bologna, il Mulino, 1984 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderno 16), pp. 259-315 [poi in L’ordine dei pec‑ cati, pp. 105-160]. Francesco d’Assisi, predicatore di pace, in I valori francescani. Simposio in occasione dell’VIII centenario della nascita di S. Francesco (L’Aia, 2-3 dicembre 1982) (Quaderno dell’Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi), Amsterdam, Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi, 1985, pp. 93-109. Forma apostolorum: l’immagine del predicatore nei movimenti religiosi francesi ed italiani dei secc. XII e XIII, in «Cristianesimo nella storia», 6 (1985), pp. 513-542 [poi in Im‑ magini dei predicatori e della predicazione in Italia alla fine del Medioevo, Spoleto (Perugia), Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2016 (Medioevo francescano. Saggi, 17), pp. 3-32]. La predicazione minoritica in Europa, in Francesco, il Francescanesimo e la cultura della nuova Europa, a cura di Ignazio Baldelli, Angiola Maria Romanini, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1986, pp. 141‑165 [ora in questo volume, pp. 103-136]. «Predicò in piazza»: politica e predicazione nell’Umbria del ’400, in Signorie in Umbria tra Medioevo e Rinascimento: l’esperienza dei Trinci (Foligno, 10-13 dicembre 1986), Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1989, pp. 113-141 [poi in Immagi‑ ni dei predicatori, pp. 141-185]. Reportatio, in «Medioevo e Rinascimento», 3 (1989), pp. 7-36 [poi in Immagini dei predi‑ catori, pp. 33-62]. Vicent Ferrer e Pedro de Luna: sull’iconografia di un predicatore fra due obbedienze, in Conciliarismo, stati nazionali, inizi dell’Umanesimo (XXV Convegno storico interna‑ zionale. Todi, 9‑12 ottobre 1988), Spoleto (Perugia), CISAM, 1990, pp. 213‑234 [ristampato in Modelli di lettura iconografica. Il panorama meridionale, a cura di Mario Alberto Pavone, Napoli, Liguori, 1999, pp. 49-68][poi in Immagini dei predicatori, pp. 307-333]. La predicazione, in Storia della Chiesa, vol. XXIII: I cattolici nel mondo contemporaneo (1922-1958), a cura di Maurilio Guasco, Elio Guerriero e Francesco Traniello, Milano, Edizioni Paoline, 1991, pp. 421-433. Gli Ordini religiosi maschili dalla Controriforma alle soppressioni settecentesche: cultura, predicazione, missioni, in Clero e società nell’Italia moderna, a cura di Mario Rosa, Bari-Roma, Laterza, 1992, pp. 207-274 [ultima ed. 2006].

Nota bibliografica

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

nale. Ferrara, 30 marzo ‑ 3 aprile 1998), a cura di Gigliola Fragnito e Mario Miegge, Firenze, SISMEL, 2001, pp. 85‑97 [poi in Immagini dei predicatori, pp. 215-239]. Le prediche di fra Girolamo da Ferrara: dai manoscritti al pulpito alle stampe, in Una città e il suo profeta. Firenze di fronte al Savonarola. Atti del convegno internazionale di studi (Firenze, 10‑13 dicembre 1998), a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, SISMEL ‑ Edizioni del Galluzzo, 2001, pp. 201-234 [ora in questo volume, pp. 227-268]. The Preacher Saint in Late Medieval Italian Art, in Preacher, Sermon and Audience in the Middle Ages, a cura di Carolyn Muessig, Leiden, Brill, 2002, pp. 181‑200 [poi in Immagini dei predicatori, pp. 243-276]. Anti-Jewish Preaching in the Fifteenth Century and Images of Preachers in Italian Re‑ naissance Art, in Friars and Jews in the Middle Ages and Renaissance, a cura di Steven J. McMichael, Susan E. Myers, Brill, Leiden, 2004, pp. 225-237] [poi in Immagi‑ ni dei predicatori, pp. 491-516] [in italiano Predicatori ed ebrei nell’arte italiana del Rinascimento, in «Iconographica», III (2004), pp. 148-161]. Francesco d’Assisi e la politica: il potere delle istituzioni e l’annuncio della pace evangeli‑ ca, in «Franciscana», 6 (2004), pp. 1-22 [anche in I francescani e la politica (Atti del Convegno internazionale di studio. Palermo, 3-7 dicembre 2002), a cura di Alessandro Musco, Palermo, Biblioteca francescana - Officina di studi medievali, 2007, pp. 909923] [poi in Studi francescani, pp. 127-144]. Le parole e le nuvole: san Pietro (Martire) da Verona e l’iconografia di un prodigio, in Chiesa, vita religiosa, società nel Medioevo italiano. Studi offerti a Giuseppina De Sandre Gasparini, a cura di Mariaclara Rossi, Gian Maria Varanini, Roma, Herder, 2005, pp. 595-612 [poi in Immagini dei predicatori, pp. 373-392]. Declinazioni iconografiche della santità: le rappresentazioni di Vicent Ferrer nel corso del secolo XV, in La comunicazione del sacro (secoli IX-XVIII), a cura di Agostino Paravicini Bagliani, Antonio Rigon, Roma, Herder, 2008, pp. 195-213 [poi in Immagini dei predicatori, pp. 335-372]. «Monte di denaro e Monte della Pietà». Predicazione, prestito a usura e antigiudaismo nell’Italia Rinascimentale (Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa, Università cattolica del Sacro Cuore, Seconda Facoltà di economia [Scienze bancarie, finanziarie e assicurative]. Quaderno n. 26), Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2008, pp. 15-42 [ora in questo volume, pp. 185-208]. La predicazione tra primo e secondo millennio, in La Penitenzieria tra I e II millennio. Per una comprensione delle origini della Penitenzieria Apostolica, a cura di Manlio Sodi, Renata Salvarani, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pp. 193-212 [ora in questo volume, pp. 79-102]. Predicazione penitenziale, ascolto delle confessioni e prassi indulgenziale. Italia, 1470 ca.1520 ca., in Ablasskampagnen des Spätmittelalters. Luthers Thesen von 1517 im Kon‑ text, hrsg. von Andreas Rehberg (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts zu Rom. Band 132), Berlin-Boston, De Gruyter, 2017, pp. 63-76 [ora in questo volume, pp. 209-226]. L’ultimo sermone. La predica dell’Anticristo alla fine del Medioevo, in «Iconographica», 16 (2017), pp. 174-184 [ora in questo volume, pp. 209-290].

Indice dei nomi

Abelardo, vedi Pietro Abelardo Acerbi, Antonio, 313n Adso di Montier-en-Der, 270 e n Aelfric, abate di Eynsham, 146 Aelfric, vescovo di St. Albans, 85 Agostino d’Ippona, santo, 84, 143, 145, 326 Agostino da Treviso, 67 Aimone di Faversham, 115, 116 Alba, Ramón, 278n, 279n Alberigo, Giuseppe, 43n, 90n, 116n, 149n, 294n Albertano da Brescia, 153 Alberti, Leon Battista, 170 e n, 176, 181 e n, 182 Alberto, marchese di Brandeburgo, 65 Alberus, Erasmus, 221n Alberzoni, Maria Pia, 16n, 98n Albuinus, eremita, 275 Alce, Venturino, 120n Alcuino di York, 84, 144 Alessandro III, papa, 95, 151 Alessandro VI, papa, 214, 249, 256 Alessandro di Hales, 118 Alighieri, Dante, 270n Allegra, Luciano, 309n Ambrasi, Domenico, 294n Ambrogio Autperto, 41 Ambrogio Spiera da Treviso, 222 Ambrosioni, Annamaria, 98n Ammiani, Sebastiano, 305 Amos, Thomas Leslie, 23n, 142n, 148n Andenna, Cristina, 17n Andrea di Strumi, 46n

Andrés-Gallego, José, 291n, 310n, 312n, 315n Angelo da Chivasso, 211, 212 e n, 213, 214 en Antoine de Sérent, 117n Antonino Pierozzi da Firenze, 215, 216n, 242 Antonio da Padova, 55, 89, 117, 135, 136, 196, 197, 302 Antonio da Vercelli, 11, 223 e n, 224n, 234 Arcudi, Alessandro Tomaso, di Galatina, 309n Ardicio, vescovo di Piacenza, 49n Ardissino, Erminia, 29n Arialdo, chierico, 45, 46 e n, 91 Arnaldo da Brescia, 94 Arnaldo di Sarrant, 126 Arrivabene, Cesare, 263 Arrivabene, Giorgio, 219n Arrivabene, Pietro, da Canneto, 219 Asor Rosa, Alberto, 291n Asztalos, Monika, 140n Atanasio, vescovo di Alessandria, santo, 82, 83n, 145n Attavanti, Paolo, 27 Attone, vescovo di Vercelli, 41 Auerbach, Erich, 41n, 85 e n Aurell, Martin, 95n Auzzas, Ginetta, 15n Azzoguido, Antonio Maria, 196n Babilas, Wolfgang, 86n, 147n Babion, Geoffroy, 88, 99

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Bacci, Silvano, 186n Badia, Tommaso, 68 Baethgen, Friedrich, 92n Baffetti, Giovanni, 15n Bainton, Roland Herbert, 69n, 70n Baldelli, Ignazio, 16n, 120n Ballerini, Girolamo, 69n Ballerini, Pietro, 69n Banchi, Luciano, 132n Bandello, Matteo, 64n Banniard, Michel, 146n Barbaglia, Luciano, 121n Barbieri, Edoardo, 280n Barbieri, Federico, 297n Barbieri, Gianfranco, 318n Barbieri, Gino, 189n, 262n Barnaba “Thetonicus”, predicatore, 113 Barocelli, Francesco, 243n Barone, Giulia, 156n Barre, Henri, 148n Bartoli, Daniello, 78 e n Bartoli, Marco, 29n Bartoli Langeli, Attilio, 17 Bartolomei Romagnoli, Alessandra, 29n Bartolomeo da Colle, 191 Bartolomeo de’ Libri, 236 e n, 237, 238n, 239 e n, 241, 242, 243, 251, 253n, 256n, 257 e n, 258 Bartolomeo da Pisa (da Rinonico), 127, 128 e n, 220 e n Bartolomeo di San Concordio, 59n, 176 Barzazi, Antonella, 262n Bastanzio, Serafino, 61n Bataillon, Louis-Jacques, 18 e n, 138n, 155n, 157n, 158n, 159n, 160n Battelli, Giuseppe, 16n Battistini, Andrea, 308n Bayley, Peter, 320n Bazzocchini, Benvenuto, 317n Bec, Christian, 182n Beda, il Venerabile, 84, 145 Belladonna, Rita, 69n, 70n Bellomo, Manlio, 173n Bellone, Ernesto, 215n Belluco, Bartolomeo, 119n, 135n

Benedetti, Marina, 95n Benedetto da Mantova, 72n Benivieni, Domenico, 258n Benivieni, Girolamo, 242, 244 Benson, Robert, 158n Benvenuti, Anna, 30n Bériou, Nicole, 9n, 18 e n, 21n, 88n, 155n Berlioz, Jacques, 97n, 158n Bernardino (degli Albizzeschi) da Siena, 11, 25 e n, 56n, 59n, 60, 128, 130 e n, 131, 132 e n, 133, 134, 161, 163, 164 e n, 170 e n, 171, 172n, 173 e n, 174, 175 e n, 176 e n, 177 e n, 178, 180 e n, 181, 182, 183, 195, 197, 227n, 228, 323 Bernardino da Montolmo, 302n Bernardino da Siena detto Ochino, 29, 68 e n, 69 e n, 70 e n, 72 Bernardino (Tomitano) da Feltre, 17, 26n, 166, 190, 191, 192, 193, 195, 218n Bernardo da Brindisi, 309n Bernardo di Clairvaux, santo, 47, 93, 94, 139, 149 e n, 231 Berra, Luigi, 273n, 274n Berruerio, Giacomo, 273 Bersano Begey, Marina, 273n Bertagna, Marino, 130n Bertario, abate di Montecassino, 41 Bertazzo, Luciano, 29n Berthier, Joachim Joseph, 44n, 146n Berti, Giuliana, 232n Bertoldo di Regensburg, 140 Besomi, Ottavio, 292 Bessarione, cardinale, 213 Bettini, Luca, 247 e n, 263 Bevington, David, 272n Bezler, Francis, 99n Bianconi, Sandro, 296n Biel, Friedrich, 279 e n Biglia, Andrea, 131 e n Bihl, Michael, 55n, 122n Binni, Walter, 305n Biondi, Albano, 306n Bisogni, Fabio, 131n Bliard, Pierre, 310n Block, Wiesław, 29n

Indice dei nomi Boaga, Emanuele, 319n Boer, Wietse de, 293n, 298n, 307n Boesch Gajano, Sofia, 11n, 30 e n, 31n, 303n, 324n Böhmer, Heinrich, 109n, 110n, 113n, 114n Bolgiani, Franco, 156n Bollati, Milvia, 270n Bolzonella, Marco, 17n Bolzoni, Lina, 291n, 314n Bonaccorsi, Francesco, 235, 244, 247 Bonaventura da Bagnoregio, santo, 52n, 68, 122 e n Bonaventura da Lama, 309n Bonaventura von Mehr, 307n Bonelli, Renato, 121n, 123n Bongi, Salvatore, 56n Bonifacio VIII, papa, 124 Boninsegni, Domenico di Leonardo, 56n Bonnes, Jean-Paul, 88n Boockmann, Hartmut, 166n Borgia, Luigi, 245n Borgnet, Auguste, 275n Borlenghi, Aldo, 60n Borraccini, Rosa Marisa, 30n Borromeo, Carlo, cardinale, 73, 75, 76, 291, 292, 293, 295, 296n, 297 e n, 298, 299, 318 Bossy, John, 123n Botero, Giovanni, 296 Botticelli, Sandro, 244 Bougerol, Jacques-Guy, 118n, 140n, 141n Bourel de la Roncière, Charles-Marie, 172n Bourgain, Pascale, 18n Boveland, Karin, 274n Boyle, Leonard, 123n Bozzoni, Corrado, 121n Bracci, Silvano, 26n, 228n Brady, Ignatius, 122n, 125n Branca, Vittore, 172n Branchesi, Pacifico Maria, 222n Brémond, Claude, 11n, 158n Brengio, Lodovico, 129n Brentano, Robert, 18n, 121n Breton, Anne, 95n

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Brice, Catherine, 14n Brioschi, Franco, 291n Briscoe, Marianne, 157n Britannico, Gregorio, 164 Brizzi, Gian Paolo, 306n Brognoligo, Gioacchino, 64n Brooke, Christopher Nugent Lawrence, 151n Brucker, Gene, 241n Brückner, Wolfgang, 319n Brufani, Stefano, 218n Bruni, Francesco, 326n Buffolino, Giovanni Andrea, 310, 311 Bultot, Robert, 140n Buonaccorsi, Vincenzo, 251 Buonvicini, Domenico, 229, 247, 253, 259n Burchard von Ursperg, 98 Burger, Christoph Peter, 274n Burr, David, 174n Busti, Bernardino, 27, 165, 198, 219 e n, 220 e n, 224 Caby, Cécile, 17n Caccamo, Domenico, 71n Cacciatore, Giuseppe, 319n Caimi, Bartolomeo, 217 Caliò, Tommaso, 195n Callebaut, André, 116n Callisto III, papa, 214 Calmeta, Vincenzo, 64n Camaioni, Michele, 29n Camillo da Novara, 307 Cammarosano, Paolo, 172n, 182n Campanelli, Marcella, 309n, 310n, 311n, 312n Cannarozzi, Ciro, 56n, 59n Canofilo, Francesco, 305 Cantelli Berarducci, Silvia, 231n Cañivarez Llovera, Antonio, 292n Cantini, Gustavo, 297n, 316n Capaccio, Giulio Cesare, 305 Capitani, Ovidio, 13n, 135n, 252n Capone, Domenico, 319n Caponetto, Salvatore, 72n

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Cappelli, Antonio, 247n Caracciolo, Roberto, da Lecce, 27, 63n, 135, 136, 163, 214, 235 e n, 246 e n, 302 en Carafa, Gian Pietro, cardinale, vedi Paolo IV, papa Caravale, Giorgio, 29 e n Carcano, Michele, da Milano, 27, 164, 190, 192, 224 Cardini, Franco, 13n, 112n Cargnoni, Costanzo, 307n, 319n Carletti, Angelo, vedi Angelo da Chivasso Carlo Magno, imperatore, 37, 38 e n, 39, 79, 84, 141, 142, 144 Carraro, Silvia, 17n Carrera, Manuel, 272n Caruso, Carlo, 292n Casagrande, Carla, 10 e n, 59n, 112n, 154n, 161n, 198n Castagnetti, Andrea, 40n, 81n, 145n Castellani, Arrigo, 81n Cátedra García, Pedro Manuel, 12n, 153n, 166n Cattin, Giulio, 27n, 228n, 230n, 232n, 237n, 239n, 240n, 241n, 242n Cavagnini, Giovanni, 15n Cavalca, Domenico, 236n, 303 Cavazza, Silvano, 291n Cecchi, Emilio, 322n Cenci, Cesare, 127n, 130n, 133n, 170n, 174n, 178n, 182n, 227n Cencio, prefetto di Roma, 46 Cerretani, Bartolomeo, 232n Cesario di Arles, 84, 143 e n, 145 Cesario di Heisterbach, 57n, 112n Cesario da Spira, 114 Chabaneau, Camille, 86n Charland, Thomas-Marie, 157n Chȃtellier, Louis, 315n Chȃtillon, Jean, 118n, 155n Chaudière, Guillaume, 296 Chenu, Marie-Dominique, 105n Chertsey, Andrew, 281 Cherubino da Spoleto (da Siena), 60n, 167, 180n

Chiari, Alberto, 154n Chomarat, Jacques, 293n Ciampi, Ignazio, 62n Ciappelli, Giovanni, 251n Ciccarelli, Diego, 301n Cigman, Gloria, 18 Cinelli, Luciano, 215n Cinozzi, Girolamo, 256 Cioni, Filippo, 242 e n, 256n Clayton, Mary, 147n Clein, Jean, 220 Clemente V, papa, 125 Clemente VIII, papa, 306 Clough, Cecil, 133n Cole, Peter, 21n, 99n Coletti, Vittorio, 25n, 150n Colombo, Cristoforo, 22 e n Colombo, Emanuele, 280n Colombo, Roberto, 316n Colonna, Oddone, cardinale, vedi Martino V, papa Congar, Yves, 119n Constable, Giles, 91n, 158n Contarini, Gasparo, 29, 68, 69 Conti, Fabrizio, 219n Coppens, Chris, 274n Cordié, Carlo, 166n Cornetta, frate, 56n Corrado II, vescovo, 114 Costa, Beniamino, 302n Costa, Francesco, 103n Costadoni, Anselmo, 64n Cracco, Giorgio, 99n Cranach, Lucas, 281 Criscuolo, Vincenzo, 301n, 302n, 303n, 304n, 305n Cristiani, Emilio, 18n Croce, Benedetto, 308 e n Cross, James Edwin, 85n Crotti Pasi, Renata, 17n, 192n Crucitti, Angela, 63n, 167n, 245n, 248n, 259n Cutolo, Alessandro, 41n D’Agostino, Elio, 307n

Indice dei nomi D’Avray, David Louis, 21 e n, 123n, 155n, 160n, 161n D’Ettore, Benedetto, 263 Da Gama Caeiro, Francisco José, 118n Da Ponte, Gottardo, 296 Da Ponte, Pacifico, 291, 296 Da Ponte, Paolo, 296 Dahnk Baroffio, Emilia, 307n Dal Pino, Franco Andrea, 17, 119n Dalle Donne, Giovanni, 291 Dalle Donne, Sebastiano, 291 Damian, Iulian Mihai, 214n Davy, Marie-Madeleine, 116n, 117n, 138n De Chirico, Fabio, 269n De Giorgi, Fulvio, 31n De Langbehn, Rohland, 278n, 279n De Lollis, Cesare, 61n De Luca, Giuseppe, 51n, 54n, 127n De Maio, Romeo, 300n De Rosa, Gabriele, 186n, 264n, 297n, 314n De Sandre Gasparini, Giuseppina, 17, 161n De Seta, Cesare, 124n Dehuchino, Evangelista, 311 Delage, Marie-José, 143n Delcorno, Carlo, 11 e n, 15 e n, 19, 26n, 29n, 59n, 89n, 104n, 111 e n, 112n, 125n, 128n, 130n, 132n, 133n, 134n, 152n, 155n, 158n, 159n, 163n, 164n, 210n, 214n, 228n, 294n, 318n, 320n, 322n Deleeuw, Patricia Allwin, 143n Della Biada, Giacomo, 130n Della Rovere, Francesco, vedi Sisto IV, papa Delorme, Ferdinand Marie, 109n, 125n Delumeau, Jean, 136n, 156n Denifle, Heinrich, 54n Desbonnets, Théophile, 52n, 107n Dessì, Rosa Maria, 20n, 91n, 225n, 250n Di Carpegna Falconieri, Tommaso, 15n Di Cesare, Donatella, 296n, 309n Di Fonzo, Lorenzo, 104n Di Girolamo, Costanzo, 291n Dieulafait, Christine, 95n Diez, Felipe, 304, 310, 311 Dijk, Stephen Joseph Peter (Aurelian) van, 115n

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Distelbrinck, Balduin, 103n, 122n Ditchfield, Simon, 30n Doglio, Maria Luisa, 29n Dolce, Lodovico, 77 Dolfi, Teresa, 129n Dolso, Maria Teresa, 17n, 100n Domenico da Pescia, vedi Buonvicini, Domenico Domenico di Caleruega, santo, 156 Dompnier, Bernard, 308n Donatello, scultore, 196 Donati, Lamberto, 280n Dondaine, Antoine, 49n Dondi, Giuseppe, 273n Dordoni, Annarosa, 313n, 318n Dornetti, Vittorio, 112n Doucet, Victorin, 174n Dovere, Ugo, 28n, 294n Drach, Peter, 271 e n Dunn-Lardeau, Brenda, 159n Duns Scoto, Giovanni, 68 Durando di Huesca, 96 Dykmans, Marc, 300n Édouard d’Alençon, 68n Eisenblicher, Konrad, 236n Eisermann, Falk, 213n Elm, Kaspar, 109n, 122n, 166n Emden, Alfred Brotherstone, 124n Emmerson, Richard, 269n, 271n, 272n, 276n, 281n Enrico, monaco, 93 e n Erasmo da Rotterdam, 68, 293 e n Ercole d’Este, duca di Ferrara, 259n Erikson, Carolly, 128n Esposito, Enzo, 235n, 302n Esser, Kajetan, 52n, 55n, 105n, 106n, 108n, 110n, 111n, 114n, 117n Estella, Diego de, 292 e n Étaix, Raymond, 143n Étienne de Bourbon, 10n, 52n, 151n Eugenio II, papa, 144 Evervino di Stenfield, 47, 94 Fabretti, Ariodante, 56n

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Faccioli, Emilio, 182n Fages, Pierre-Henri, 162n Faralli, Carla, 315n Farri, Domenico, 299 Fearns, James, 93n Federici Vescovini, Graziella, 243n Federico I, imperatore, detto il Barbarossa, 96 Ferrara, Mario, 236n, 237n, 238n, 239n, 240n, 241n, 242n, 245n, 257n, 258n Ferrari, Marta, 153n Ferrer, Vicent (Ferreri, Vincenzo), 12, 19, 21, 161, 162 e n, 166, 193, 194, 302 Ferrero, Fabriciano, 317n Feyaerts, Ernest, 119n Fiamma, Gabriele, 305 Ficino, Marsilio, 154 Filippo Augusto, re di Francia, 188 Fiorani, Luigi, 300n, 307n, 310n Firey, Abigail, 98n Firpo, Luigi, 245n, 246n, 258n Flauraud, Vincent, 14n Folco de Neuilly, 138 Folco da Pavia, canonico regolare, 88 Folengo, Teofilo, 165 Fontana, Bartolomeo, 67n, 68n, 72n, 73n Fontana, Giovanni, 298 Foreville, Raymonde, 42n Forlani, Graziana, 31 Formigari, Lia, 296n Forni, Giorgio, 15n Fragnito, Gigliola, 28n, 230n, 262n Frajese, Vittorio, 306n Francesco d’Assisi, 24, 51 e n, 52 e n, 54, 101n, 104, 105 e n, 106 e n, 107, 110, 111, 112 e n, 113, 116, 117, 119, 128n, 131, 151, 152, 218, 219 Francesco di Bartolo di Assisi, 218, 219n Francesco de Mayronis, 125, 133 Francesco da Montepulciano, 28, 263 e n Francisco de Osuna, 304 Franco Sacchetti, 59n, 60 e n, 154 e n, 182n Frasson, Leonardo, 302n Freed, John, 114n, 115n

Frescobaldi, Dionisio, 247n, 248, 249n, 257 Friedberg, Emil, 47n, 124n, 152n Froben, Johann, 230 Frugoni, Arsenio, 94n Fumagalli, Vito, 118n Fumaroli, Marc, 293n, 308n Fumi, Luigi, 272n Gabriele, Mino, 280n Gaeta, Franco, 64n, 134n Gaffuri, Laura, 19, 20n Gaiffier, Baudouin de, 131n Galasso, Giuseppe, 320n Gallerio, Nicola, 298 Gamboso, Vergilio, 117n Ganz, Peter, 275n Garfagnini, Gian Carlo, 13n, 27n, 138n, 167n, 228n, 230n, 234n, 236n, 239n, 240n, 243n, 245n, 246n, 258n, 262n, 263n, 264n Gargani, Aldo, 117n Garin, Eugenio, 228n, 239n, 240n, 243n Gasparotto, Cesira, 89n, 117n Gasparri, Laura, 136n Gaudioso, Francesco, 318n Gennaro, Clara, 104n Gentile, Sebastiano, 239n Géraud du Pescher, 125, 128, 133 Geremia, Pietro, 223 e n Gerhoh von Reichersberg, 94 Gerson, Jean, 164 Gertsman, Elina, 273n Gherardi, Alessandro, 239n Ghia, Francesco, 29n Ghiglieri, Paolo, 250n, 251n, 252n Ghinato, Alberto, 103n, 230n Giacomo, apostolo, 97 e n Giacomo della Marca, 133, 214 Giacomo da Varazze, vedi Jacopo da Varazze Giancrisostomo da Cittadella, 307n Giannantonio, Pompeo, 316n Giberti, Gian Matteo, 66, 69 e n, 71, 75 Gieben, Servus, 119n, 123n, 128n

Indice dei nomi Gilardi, Costantino, 312n Gilbert, Françoise, 279n Gilberto da Tournai, 10n Giliberto, Vincenzo, 308n, 309, 311 Ginori Conti, Piero, 231n Ginzburg, Carlo, 13 e n, 71n, 112n, 117n Giombi, Samuele, 28 e n, 292n, 296n, 299n Giordano da Giano, 109, 110, 113, 115 Giordano da Pisa, 15, 59 e n, 104n, 323 Giorgini, Fabiano, 314n Giovanni, apostolo, 62, 191 Giovanni, il Battista, 91, 95 e n Giovanni XXII, papa, 125 e n Giovanni Bernardo Forte di Savona, 296n Giovanni Crisostomo, 143 Giovanni da Capestrano, 17, 166, 193 Giovanni di Iolo, 127n Giovanni da Pian del Carpine, 113, 114 Giovanni da San Gimignano, 303 Giovanni di Werden, 165 Giovanni Scoto Eriugena, 144 e n Giovannini, Prisca, 121n Girolamo, santo, 147 Girolamo da Ferrara, vedi Savonarola, Girolamo Girolamo da Siena, 60n Giuliani, Reginaldo, 15n Giuseppe da Leonessa, 307n Giustiniani, Paolo, 64n Glielmo, Antonio, 311 Godet, Jean-François, 106n, 111 e n Godi, Carlo, 153n Gonnet, Giovanni, 48n Gould, Warwick, 31n Gran, Heinrich, 220 Granata, Giovanna, 30n Grande, Carla, 10 Grayson, Cecil, 64n, 170n Graziano, monaco e canonista, 48 Green, Eugene, 23n, 142n Grégoire, Réginald, 24n, 148n Gregorio Magno, papa, 40 e n, 44, 84, 143, 144, 145, 146 e n, 186, 324 Gregorio VII, papa, 42 Gregorio IX, papa, 51, 115, 119, 151, 152

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Gregorio da Napoli, 116 e n, 117, 118 Gregorio, Oreste, 319n Gregory, Tullio, 186n, 264n, 314n Grenzmann, Ludger, 166n Guadalajara Medina, José, 278n Gualtiero di Orléans, 143n Guasco, Maurilio, 14n Guasti, Cesare, 60n Guerriero, Elio, 14n Guerrini, Paolo, 74n Guglielmo, monaco, 93 e n Gui, Bernard, 49n, 97 e n, 151n Guidetti, Armando, 315n Guslino, Bernardino, 191, 192n, 193n, 194n Gy, Pierre-Marie, 119n Hall, Marcia B., 312n Hall, Thomas Nelson, 83n Hamesse, Jacqueline, 20n, 140n, 141n, 148n Hanslik, Rudolf, 147n Hardouin, Jean, 80n Hasenohr, Geneviève, 86n, 157n Haskins, George Lee, 153n Headley, John, 292n Heinemann, Lothar von, 152n Helmrath, Johannes, 9n, 210n Henderson, John, 241n Henriet, Patrick, 91n Herlihy, David, 171 e n, 172n, 177 e n, 178n, 180n Hermand, Xavier, 20n, 148n Herolt, Giovanni, 165, 310 Hinderbach, Johannes, 195 Hinnebusch, John Frederick, 50n, 54n, 138n Honorius Augustodunensis, 88 Howard, Peter Francis, 229n Huerga, Álvaro, 292n Hugues Ripelin, 274 Humbertus de Romanis, vedi Umberto di Romans Hurus, Paulus, 279 e n Hus, Jan, 281

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Huygens, Robert Burchard Constantijn, 5051n, 109n Iacopo da Varagine, vedi Jacopo da Varazze Ignazio della Croce di Castellaneta, 309n Inchino, Gabriele, 299, 305, 311 Incmaro, arcivescovo di Reims, 143n Innocenti, Marina, 18n Innocenzo III, papa, 9, 44 e n, 50, 51, 52, 98, 106, 107, 111, 146 Iogna-Prat, Dominique, 93n, 99n Isidoro de Villapadierna, 108n Jacopo da Varazze, 27, 57n, 154, 159, 275 e n, 303 Jacques de Vitry, 109, 138 James, Montague Rhodes, 48n, 151n Jaritz, Gerhard, 26n Jaye, Barbara, 157n Jean de Galles, 124-125 Jeauneau, Édouard, 144n Jenson, Nicolas, 230 Joannou, Perikles-Petros, 43n, 90n, 116n, 149n, 294n Johanek, Peter, 10n, 164n, 210n, 234n, 298n John of Salisbury, 94 Juan de Valdés, 68 Kaeppeli, Thomas, 215n, 225n, 275n, 310n Kaftal, George, 131n Kamen, Henry, 303n Kammermeister, Sebastian, 271n Kantorowicz, Ernst Hartwig, 153n Kehnel, Annette, 17n Kerval, Léon de, 55n, 117n Kienzle, Beverley Mayne, 20n, 21, 23n, 24n, 89n, 142n, 148n, 270n Kimura, Yoko, 210n, 219n Kirshner, Julius, 135n Klaniczay, Gábor, 26n, 27n Klapisch, Christiane, 171 e n, 172n, 173 e n, 177 e n, 178n, 180n Klingender, Francis, 106-107n Koch, Joseph, 125n

Körntgen, Ludger, 99n Kottje, Raymund, 99n Kruitwagen, Bonaventura, 232n Kurten, Edmund, 108n Labata, Francisco, 311 Laínez, Diego, 307n Lanciotti, Vira, 31 Landini, Lawrence, 109n, 116n Landolfo Seniore, 41n Lapo di Giovanni Niccolini de’ Sirigatti, 177n Laporta, Alessandro, 317n Larios Ramos, Antonio, 292n Lauwers, Michel, 20n, 91n, 250n Lavin, Irving, 22 Lazzerini, Lucia, 25n, 167n Le Goff, Jacques, 11n, 120n, 123n, 124n, 156n, 158n, 327n Le Masne de Chermont, Isabelle, 18n Lebreton, Marie-Madeleine, 300n Leclercq, Jean, 42n, 49n, 118n, 149n Lecoy de la Marche, Albert, 48n, 151n Lemmens, Leonhard, 106n Lengenfelder, Helga, 275n Leonardi, Claudio, 13n, 43n, 90n, 116n, 149n, 234n, 252n, 258n, 262n, 294n Leonardo da Porto Maurizio, 316 Leonardo da Udine, 27, 225 Leone X, papa, 209 Levasti, Arrigo, 57n Librandi, Rita, 291n Liguori, Alfonso Maria de’, 316, 319n Lipari, Giuseppe, 301n Lippens, Hugolinus, 126n Little, Andrew, 115n, 124n Loarte, Gaspar, 314 e n Lobrichon, Guy, 275n Lodone, Michele, 28n Logi, Edamo, 40n Lohr, Charles, 157n Lomastro Tognato, Francesca, 26n, 185n, 187n, 189n Longère, Jean, 24n, 88n, 137n, 147n, 155n, 157n, 161n

Indice dei nomi Longo Timosso, Costanza, 318n Lotario dei Conti di Segni, vedi Innocenzo III, papa Lubrano, Giacomo, 309n Luca, evangelista, 92n, 105 Lucio III, papa, 96, 150 Lucioni, Alfredo, 98n Ludovico da Pirano, 133 Luis de Granada, 292, 304 Luisetto, Giovanni, 302n Łuszczki, Lucjan, 166n Lutero, Martin, 65, 66, 185, 209, 211 e n, 226, 281 e n Maccarrone, Michele, 44n Machiavelli, Niccolò, 64 e n Maffei, Domenico, 16n, 125n, 228n Maggioni, Giovanni Paolo, 275n Magli, Ida, 25n Maier, Anneliese, 174n Maillard, Olivier, 167 Mainardi, Agostino, 67 Maioragio, Marco Antonio, 68n Majorana, Bernadette, 308n Manfredi da Vercelli, 12, 56, 181 Manselli, Raoul, 93n, 105n, 109n, 118n, 128n Mansi, Giovanni Domenico, 39n, 42n, 49n, 64n, 68n, 87n Mantegazza, Filippo, 280n Map, Walter, 48n, 151n Marazzini, Claudio, 296n Marchetti, Vittorio, 70n Marco d’Aviano, 307 Marco da Montegallo, 186, 187, 188, 189 Marcocchi, Massimo, 64n, 76n, 313n Maria di Magdala (Maddalena), santa, 91, 270n Mariano d’ Alatri, 118n, 119n, 128n, 301n Marino, Giambattista, 78 Marti, Mario, 309n Martin, Hervé, 21 e n, 136n, 140n, 164n Martina, Giacomo, 28n, 294n Martínez de Ampiés, Martín, 278, 279n Martino IV, papa, 123

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Martino V, papa, 185 Massimo di Torino, 143 Mastromatteo, Alessandro, 29n Masuccio Salernitano, 61n Matteo di Parigi, 106 Mattia, apostolo, 105 Mattia da Milano, 199 Mattia di Svezia, 130, 132 Mattioli, Anselmo, 302n Maurer, Armand Augustine, 160n Maurizio di Sully, 147 Mazzei, Lapo, 60n McCormick, Milton Gatch, 146n McGinn, Bernard, 269n, 281n, 282n McGinnes, Frederick, 320n McMichael, Steven, 26n McNair, Philip, 68n Medici, Costantino, 54n Meersseman, Gilles-Gérard, 40n, 50n, 55n, 58n, 84n, 107n, 119n, 120n, 121n, 145n Meiss, Millard, 126n Melchiorre da Pobladura, 65n Melnikas, Anthony, 126n Melville, Gert, 9n, 17n, 210n Menestò, Enrico, 13n, 220n, 252n Menot, Michel, 167 Menozzi, Daniele, 15n, 16n Mercier, Paul, 40n, 84n, 145n Merelli, Fedele, 297n Merlo, Grado Giovanni, 17, 124n Merluzzi, Manfredi, 212n Meroi, Fabrizio, 29n Mertens, Volker, 139n Mezzadri, Luigi, 314n Miccoli, Giovanni, 16 e n, 17, 58n, 68n, 71n, 89n, 104n, 106n, 107 e n, 109n, 112n, 122n, 134n, 302n, 328n Michaud-Quantin, Pierre, 123n, 124n, 129n, 156n Michele Berti da Calci, 127 Michelson, Emily, 28 e n Miegge, Mario, 28n, 230n Miele, Michele, 319n Milhou, Alain, 278n Millar, René, 212n

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Miscomini, Antonio, 236, 237, 238, 239, 240 Missalla, Heinrich, 14n Mittarelli, Giovanni Benedetto, 64n Möhler, Ludwig, 213n Mӧller, Bernd, 166n Molinari, Franco, 298n Mollat, Guillaume, 49n, 97n, Mollat, Michel, 172n Morán, Manuel, 291n, 310n, 312n, 315n Moranti, Luigi, 299n Mordenti, Raoul, 235n, 302n Morenzoni, Franco, 155n Morgiani, Lorenzo, 237n, 238, 240, 241n, 244, 251, 258 Morin, Germain, 143n Muessig, Carolyn, 20n Murphy, James Jerome, 157n, 308n Murray, Alexander, 121n Musco, Alessandro, 17n Musper, Heinrich Theodor, 275n Musso, Cornelio, 29, 78, 297, 304 Muzzarelli, Maria Giuseppina, 26n, 190n, 192n, 194n Myers, Susan, 26n Mynors, Roger, 151n Najera, Manuel de, 311 Nanni, Stefania, 313n Nardi, Paolo, 16n, 125n, 228n Naro, Cataldo, 308n Natalini, Vincenzo, 50n Negroni, Carlo, 60n, 180n Nesi, Giovanni, 154 Newhauser, Richard, 165n Niccoli, Ottavia, 135n, 251n, 272n Niccolò di Lorenzo della Magna, 212n Niccolò di Lyra, 230 Niccolò della Tuccia, 62n Niccolò Ferragatti da Bettona, 219 Niccolò V, papa, 214 Nider, Johannes, 27 Nitschke, August, 153n Notke, Bernd, 273n Novi Chavarria, Elisa, 318n, 320n

O’Malley, John, 155n, 292n, 293n, 307n, 315n Oberman, Heiko, 123n Olivi, Pietro di Giovanni, 173 e n, 174, 176, 180n Onorio III, papa, 110, 111, 218 Opero, abate di Lucedio, 41 Origene, teologo greco, 143 Orlandi, Giuseppe, 313n, 314n, 315n Orlandi, Stefano, 58n, Osorio, Juan, 304 Ossola, Carlo, 305n Pacetti, Dionisio, 130n, 131n, 134n, 171n, 174n, 175n, 176n, 182n, 227n, 246n Pacini, Piero, 249 Paleotti, Gabriele, cardinale, 73, 76 e n, 299 Palese, Salvatore, 307n Paliotto, Lorenzo, 298n, 299n Palombelli, Cecilia, 30 Palumbo, Genoveffa, 306n, 314n Pandimiglio, Leonida, 172n, 181n Panigarola, Francesco, 29, 77, 78 e n, 297 e n, 304, 323 Paoli, Maria Pia, 215n Paolo, apostolo, 97 e n Paolo III, papa, 29 Paolo IV, papa, 72, 76 Paolo da Certaldo, 60n, 170 Paolo di Middelburg, 189 Paolo Varnefrido (Diacono), 38, 39 e n, 144 Paravicini Bagliani, Agostino, 12n Parenti, Giovanni, 114 Parrinello, Rosa Maria, 20n Pascal, Arturo, 71n Pasquali, Giambattista, 64n Pásztor, Edith, 228n Pásztor, Lajos, 228n Paulus, Nikolaus, 218n, 224n Pavignani, Paola, 66n Pavone, Mario Alberto, 19n Péano, Pierre, 319n Pedro de Valderrama da Siviglia, 311 Pellegrini, Letizia, 24n, 25n, 235n

Indice dei nomi Pellegrini, Luigi, 17, 120n, 122n Pellegrino, Bruno, 309n, 318n Pellizzoni, Alessandro, 280n Pene Vidari, Gian Savino, 215n Penna, Rosa, 278n Pepin, Guillaume, 304 Perarnau i Espelt, Josep, 12n Pernicone, Vincenzo, 59n Petermann, Kerstin, 273n Petrarca, Francesco, 58, 153 Petri, Johann, 237n, 240, 241n, 244 Petrocchi, Giorgio, 61n Petrucci, Enzo, 161n Petrucci, Pietro Giacomo, 314 Peuchmaurd, Michel, 90n Peverada, Enrico, 298n Pfister, Kurt, 276n Piana, Celestino, 58n, 121n, 153n Picasso, Giorgio, 42n Pico della Mirandola, Giovanni, 243n Pier Damiani, monaco, 45, 46 Pier Lombardo, teologo e vescovo, 176 Pier delle Vigne, 153 Pierre de Bruis, 93 Pietro, apostolo, 92n, 97 e n Pietro Abelardo, 94 Pietro Igneo, 89 Pietro Mezzabarba, 41, 89 Pietro il Cantore, 138, 159 Pietro di Mattiolo, 56n Pietro il Venerabile, 93 Pietro da Verona, 58n, 121n Pinamonti, Giovanni Pietro, 316 Pio II, papa, 213, 214 Pirri, Pietro, 81n Pistoni, Giuseppe, 299n Pleydenwurff, Wilhelm, 271 Poerck, Guy de, 85n, 147n Pohlmann, Constantin, 316n Polentone, Sicco, 196n Poli, Liliana, 236n Polizzotto, Lorenzo, 253n Polo de Beaulieu, Marie-Anne, 97n, 158n Pons, Nicoletta, 239n, 245n Popp, Sebald, 193 Poppi, Antonino, 118n, 133n

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Poscharsky, Peter, 312n Possevino, Antonio, 306 Potestà, Gian Luca, 17n Powell, James, 111n Pozzi, Giovanni, 29 e n, 297n, 309n Prodi, Paolo, 10n, 43n, 76n, 90n, 116n, 149n, 164n, 199, 200n, 210n, 234n, 262n, 294n, 298n, 300n Prosperi, Adriano, 13 e n, 28n, 29 e n, 64n, 66n, 314n, 326n Pryds, Darleen, 153n Quinto, Riccardo, 20n Quirini, Vincenzo, 64n Rabano Mauro, 143, 145 Racheli, Antonio, 55n Ramon de Penyafort, 176 Rangerio, vescovo di Lucca, 41n Rangoni, Claudio, vescovo di Piacenza, 298n Raponi, Nicola, 299n Raterio di Verona, 40, 82, 145 Ratti, Achille (poi papa Pio XI), 76n, 296n Raulin, Jean, 303 Reeves, Marjorie, 31n Rehberg, Andreas, 26n Rehermann, Ernst Heinrich, 319n Reinhard, Johann, 218, 219n Renard, Jean-Pierre, 156n Renouard, Yves, 126n Rhijn, Carine van, 99n Riccardo di Mediavilla, 176n, 223 Riccetti, Lucio, 272n Ricci, Bartolomeo, 196 Ricci, Corrado, 56n Ricci, Pier Giorgio, 243n, 259n, 260n Richel, Bernhard, 271 e n Ridolfi, Roberto, 229n, 234n, 238n, 246n, 247n, 248n, 249n, 250n, 254n, 257n Riess, Jonathan, 272n Rigon, Antonio, 12n, 17 e n Riley-Smith, Jonathan, 21n Rivosecchi, Vittorio, 31 Roberto d’Angiò, re, 153 Roberts, Phyllis, 23 e n

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Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Robson, Charles, 88n, 147n Rocciolo, Domenico, 313n Rochais, Henri-Marie, 149n Romanini, Angiola Maria, 16n, 120n Romano, Ruggiero, 16n, 58n, 104n, 182n, 306n Romano, Vincenzo, 167n, 238n, 245n, 246n, 247n, 249n, 252n, 255n, 257n Romeo, Giovanni, 295n Romeo, Rosario, 320n Roncaglia, Aurelio, 322n, 324n Ronchi De Michelis, Laura, 281n Ronzani, Mauro, 121n Rosa da Viterbo, 270n Rosa, Mario, 24n, 291n, 310n, 319n Rosarossa, María A., 278n Roserge, Bertran de, 162n Rossmann, Heribert, 125n Roth, Bartholomäus, 125n Rotondò, Antonio, 71n, 306n Rouse, Mary, 159n, 160n, 303n Rouse, Richard, 158n, 159n, 160n, 303n Rozzo, Ugo, 262n, 280n Rudolfus, Graf von Werdenberg, 212 e n Ruggero di Wendover, 51n, 106 Rusconi, Roberto, 10n, 11n, 12n, 13n, 14n, 15n, 16n, 17n, 19n, 20n, 21n, 22n, 24n, 25n, 26n, 27n, 28n, 31n, 80n, 101n, 104n, 105n, 106n, 110n, 113n, 118n, 119n, 123n, 124n, 125n, 127n, 129n, 130n, 132n, 134n, 135n, 137n, 162n, 164n, 173n, 175n, 178n, 181n, 186n, 192n, 193n, 197n, 199n, 210n, 212n, 216n, 217n, 218n, 223n, 225n, 226n, 234n, 235n, 241n, 250n, 252n, 254 e n, 263n, 264n, 269n, 270n, 282n, 291n, 298n, 302n, 314n, 316n, 317n Rynmann, Johann, 220 Sabatier, Paul, 112n Sagüés Azcona, Pío, 292n Salimbene de Adam, da Parma, 51n, 55n, 56n, 100, 101 e n, 124 e n, 152, 153n, 154 Salmerón, Alfonso, 307n Salvadori, Massimo Luigi, 15n

Salvarani, Renata, 99n Salvatori, Marcello, 129n Sano di Pietro, 270n Santi, Francesco, 17n Santini, Emilio, 78n, 297n Sapegno, Natalino, 322n Sarpi, Paolo, 73n Savonarola, Girolamo, 13, 27 e n, 63 e n, 154, 167 e n, 186, 227-268 Sbardella, Raimondo, 316n Scaduto, Mario, 77n, 306n Scalia, Giuseppe, 51n, 101n, 124n Scapecchi, Piero, 215n, 228n, 237n, 238n, 239n, 240n, 241n, 242n, 243n, 244n, 245n, 247n, 248n, 249n, 251n, 252n, 253n, 254n, 256n, 257n, 258n, 259n, 260n, 262n, 263n, 264n Schedel, Hartmann, 271 e n Schiaffini, Alfredo, 60n Schiewer, Hans-Jochen, 85n, 139n Schmitt, Jean-Claude, 11n, 103n, 156n, 158n, 324n Schneyer, Johannes Baptist, 24n, 103 e n, 118n, 127, 131n, 157n Schnitzer, Joseph, 63n, 242n Schramm, Albert, 271n Schreyer, Sebald, 271n Schutte, Anne, 210n, 236n Scorza Barcellona, Francesco, 30 e n Scoto, Brandino, 263 Scoto, Ottaviano, 263 Sebregondi, Ludovica, 243n Segarelli, Gerardo, 51n, 100 e n, 101 e n, 153 Segneri, Paolo, Seniore, 316 Selge, Kurt-Victor, 96n, 150n, 220n Sella, Pacifico, 209n Sensenschmidt, Johann, 275n Sensi, Mario, 58n, 219n, 309n Serianni, Luca, 291n Serpico, Fulvia, 214n Serventi, Silvia, 15n Settala, Enrico, 152 Settis Frugoni, Andrea, 31 Sevesi, Paolo Maria, 77n, 181n, 297n Shuger, Debora, 320n

Indice dei nomi Signorelli, Luca, 269, 271, 272 Sikes, Jeffrey Garrett, 125n Simiz, Stefano, 15n Simon Mago, 92n Simonato, Ruggero, 308n Simone d’Inghilterra, 114 Simone da Trento, 195 Simonetti, Adele, 148n Sisto IV, papa, 135, 212 e n Smaragdo di Saint-Michel, 144 Smith, Hilary, 320n Smith, Lesley, 275n Sodi, Manlio, 99n Solmi, Edmondo, 67n, 72n Spengler-Reffgen, Ulrike, 99n Spicciani, Amleto, 135n Stackmann, Karl, 166n Stanislao da Campagnola, 17n, 126n, 128n, 129n, 294n, 295n, 301n, 302n, 307n, 317n Steer, Georg, 275n Stefano di Borbone, vedi Étienne de Bourbon Steffen, Ruth, 274n Stella, Aldo, 68n Stella, Pietro, 310n Stüdeli, Bernhard, 115n Sullivan, Blair, 22n Sully, Maurice, 88 Swanson, Robert, 213n Tacchi Venturi, Pietro, 69n, 72n, 74n, 75n Taddeo, apostolo, 221 Talbot, Charles Hugh, 149n Tausche, Martin, 21n, 161n Taylor, Larissa, 320n Teetaert, Amédée, 97n Telle, Emile, 293n Tenenti, Alberto, 177n, 182n Tentler, Thomas, 123n, 211n Teodoro di Gregorio, 263 Teodoro da Sovico, 198, 217 Testa, Giusi, 269n Tetzel, Johannes, 65 Teza, Laura, 270n Thiel, Bernhard, 122n

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Thomas de Chobham, 155n Thomas, Antoine, 147n Thomson, Williell, 109n, 110n, 115n Thouzellier, Christine, 48n, 95n, 150n Tiziano Vecellio, pittore, 196 Toaff, Ariel, 195n Todeschini, Giacomo, 25n, 195 e n Tognetti, Giampaolo, 63n Tomaro, John, 292n Tommaso d’Aquino, 160, 227, 240, 242 e n Tommaso d’Irlanda, 160, 303 Tommaso da Celano, 51n, 52n, 105, 151n, 152n Tommaso da Eccleston, 115 e n, 116 Tommaso di Silvestro, 272n Tommaso da Spalato, 52n, 112 e n, 152 e n Toscano, Bruno, 186n Tramezzino, Francesco, 291 Traniello, Francesco, 14n Traversagni, Lorenzo Guglielmo, 154 Trifone, Pietro, 291n Trinkaus, Charles, 123n Trissino, Gian Giorgio, 77 Tubach, Frederic, 158n Tullio Lombardo, 196 Turchini, Angelo, 299n Turelli, Elisabetta, 236n, 237n, 238n, 239n, 240n, 241n, 243n, 244n, 245n, 248n, 249n, 250n, 253n, 254n, 256n, 257n, 258n, 259n Turrini, Miriam, 215n, 241n, 298n Ubaldini, Roberto, 259 Ubertino da Casale, 175 e n Ugo di Saint-Cher, 159 Umberto di Romans, 10n, 44n, 57n, 58n, 59 e n, 146n Urbanelli, Callisto, 320n Urbano II, papa, 99 Valadés, Diego, 314 Valdo (Valdesio) di Lione, 48, 95, 96, 150 e n, 151 Valier, Agostino, 291, 296 Valori, Filippo, 240 Varischi, Carlo, 166n, 191n

346

Predicazione e predicatori in Italia nel medioevo e in età moderna

Vasoli, Cesare, 154n Vauchez, André, 17, 18n, 118n, 186n, 264n, 314n Vázquez Janeiro, Isaac, 314n Veca, Ignazio, 14n Vecchio, Silvana, 10 e n, 112n, 154n Vendittelli, Marco, 31 Venturino da Bergamo, 55n Verd Conradi, Gabriel María, 142n Verde, Armando, 230n, 232n, 233n, 237n, 238n, 240n, 244n, 245n, 246n, 253n, 258n, 259n Verdon, Timothy, 241n Verhelst, Daniel, 270n Viallet, Ludovic, 14n Vicaire, Marie-Humbert, 110n, 118n, 156n Vigna Surìa, Silvia, 97n Villani, Giovanni, 55n Villari, Pasquale, 231n, 259n Villari, Rosario, 291n Villetti, Gabriella, 120n, 121n Vincent de Beauvais, 188 Violi, Lorenzo, 246 e n, 249n, 250 e n, 251 e n, 252 e n, 254 e n, 255, 256, 257, 260 e n, 263 e n, 264 Viora, Mario, 212n, 215n Visani, Oriana, 15n, 136n, 246n Visconti, Federigo, 121n Visdomini, Franceschino, 304 Viti, Paolo, 234n, 245n Vitolo, Giovanni, 17 Vitolo, Sergio, 121n Vivanti, Corrado, 14 e n, 58n, 73n, 104n, 291n, 306n Volpato, Antonio, 63n, 135n, 136n Wagner, Karen, 98n Wagner, Klaus, 272n Walker, Joan Hazelden, 115n Walker, Pamela, 20n Walker, Paula, 270n

Walsh, Katherine, 158n Weigle, Fritz, 83n Weijers, Olga, 141n Weinstein, Donald, 264n Weiss, James Michael, 293n Weiss, Otto, 317n Welter, Jean-Thiébaut, 158n Wenzel, Siegfried, 139n, 166n Witte, Maria Magdalena, 277n Wood, Diana, 158n Worde, Wynkyn de, 281 Wulfstan, arcivescovo di York, 146 Wulfstan, vescovo di Worcester, 85 Yates, Frances, 133n Zafarana, Zelina, 12 e n, 13 e n, 25n, 63n, 104n, 111 e n, 113n, 116n, 117n, 118n, 123n, 125n, 130n, 133n, 134n, 136n, 138n, 152n, 182n, 252n, 325n Zambrini, Francesco Saverio, 60n, 180n Zamponi, Stefano, 129n Zanette, Laura, 297n Zanolini, Vigilio, 299n Zanotti, Gino, 127n Zarabini, Onofrio, 299 Zarri, Gabriella, 30n, 313n Zavattero, Irene, 26n Zawart, Anscar, 131n Zel, Ulrich, 216 Zerfaß, Rolf, 51n, 107n, 108n, 110n, 112n, 150n, 152n Zerner, Monique, 93n Zier, Mark, 89n, 159n, 275n Ziletti, Francesco, 292 Ziletti, Giordano, 299 Ziliotto, Baccio, 133n Zimmermann, Albert, 119n, 123n, 156n Zink, Michel, 139n Zorzi Pugliese, Olga, 154n Zucchelli, Nicola, 60n

Finito di stampare nel mese di ottobre 2023 da The Factory s.r.l. Roma