Possibilità e fondamento della fede

In un'epoca caratterizzata da secolarlzzazione, ateismo, «morte di Dio», con conseguente crisi o negazione del sacr

401 85 5MB

Italian Pages 318/321 [321] Year 1988

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Possibilità e fondamento della fede

Citation preview

Finito di stampare 1988 Editrice - Grafiche Messaggero di S. Antonio , Padova

CARLO SCILIRONI

POSSIBILITÀ E FONDAMENTO DELLA FEDE

e1JP

-

edizioni messaggero padova

Alla pubblicazione del presente volume ha contribuito l'Istituto «Barbariga» di Padova.

ISBN 88 - 7026 - 828 - 4

© 1 988 Prov . Pad . F . M . C. Editrice

Grafiche Messaggero di S. Antonio

PREFAZIONE

SECOLARIZZAZIONE E FEDE FILOSOFICO -TEOLOGICA

l. CoNoscERE E NON-CONOSCERE La definizione classica che l'uomo è un animale razio­ nale viene posta sotto problema da Nietzsche. Nell'introdu­ zione a Così parlò Zarathustra l, Zarathustra dice: «lo vi insegno il superuomo. L'uomo è qualche cosa che deve es­ sere superato». Senza la dimensione esistenziale del supera­ mento l'uomo decade a livello di animale. Questo non ha coscienza dell'atto di superamento. Il continuo superare de­ nota lo stesso ambito della possibilità dell'uomo che rappre­ senta la stessa dimensione di trascendenza. Tale possibilità è ovviamente equivocata poiché può essere considerata o a livello gnoseologico o a livello antologico. In quest'ultimo caso la trascendenza si chiarisce in senso negativo come ciò che si sottrae di essenza al conoscere. Solo questo può dirsi trascendenza in senso proprio. La possibilità a livello di puro conoscere non può mai essere considerata come trascendenza in senso proprio, poi­ ché si trova circoscritta dallo stesso oggetto che conosce. La possibilità a livello del non-conoscere può essere considera­ ta come trascendenza in senso stretto, poiché non può mai essere né definita, né circoscritta dall'oggetto. La prima è ti­ pica della scienza, mentre la seconda è tipica di quel filoso­ fare ermeneutico che non si lascia mai definire, dato che ha di fronte soltanto il non-oggetto. Di più, il conoscere tipico della scienza e il non-cono1 F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, a cura di G. Penzo, Mur­ sia, Milano 1985 .

5

scere tipico della filosofia ermeneutica sono due momenti esistenziali che si rimandano a vicenda. Il pensare ermeneu­ tico come non-conoscere non è quindi mai possibile senza il conoscere scientifico. In altre parole, il non del non cono­ scere in tanto può essere messo a fuoco in quanto c'è il co­ noscere. Di qui il superamento di ogni dimensione mistica del non-conoscere. In fondo, la realtà del non-conoscere come trascendenza si apre soltanto all'uomo, anche se l'uo­ mo non può mai esaurirla. Questo non-poter-esaurire rivela appunto la natura di tale trascendenza a livello fenomenolo­ gico-ontologico. Si tratta di una trascendenza che non può mai essere staccata dal conoscere oggettivo. Essa viene messa a fuoco proprio nell'atto in cui vengono riconosciuti i limiti dell'og­ getto conosciuto. Solo dopo la presa di coscienza di tali li­ miti si apre l'orizzonte di ciò che non è oggetto, di ciò che non può essere rappresentato dall'intelletto conoscente. L 'atto di avvertire i limiti ci porta di fronte a una realtà che non è limitata e quindi alla realtà della differenza. Il non­ essere-limitato, o meglio il non-poter-essere-limitato apre la riflessione sulla trascendenza come ciò che sfugge al potere dell'uomo. Di qui il rapporto tra potere (momento del co­ noscere) e non-potere (momento del non-conoscere) che apre la problematica della libertà. Si è così di fronte a due ambiti della libertà: uno sorge dal rapporto con l'oggetto, mentre l'altro sorge dal rapporto con il non-oggetto. Nel primo caso si può parlare di libertà in senso improprio, che si può definire come autonomia. Nel secondo caso si può parlare di libertà in senso proprio. La libertà come autonomia sorge dalla coscienza di poter conoscere con le proprie forze l'oggetto e di poter quindi conoscere tutti gli oggetti che circondano l'uomo nel suo rapporto con il mondo. Di qui la consapevolezza che ri­ spetto all'oggetto che può essere conosciuto l'uomo può go­ dere di una «libertà» senza limiti. In certo modo egli si sente quasi il creatore dell'oggetto. Si forma così nel soggetto co6

noscente la coscienza di essere il padrone assoluto. Di qui la dimensione di libertà come autonomia assoluta. L'uomo pensa in tal modo che tutta la realtà si risolva nel suo essere­ conosciuto. Così, se tutto il reale si risolve nel suo essere­ conosciuto, il soggetto conoscente diventa non solo il pa­ drone ma pure il creatore. Ciò implica la sostituzione del concetto di responsabili­ tà con il concetto di tirannia che, come si vede, trova la sua giustificazione ultima proprio in un determinato concetto di razionalità che si può definire come razionalità illuministi­ ca. In questo contesto si è di fronte a quella concezione di razionalismo in cui l'io staccato dal suo fondamento rico­ nosce se stesso come unico fondamento. L'io, inteso a livel­ lo di puro soggetto che conosce, ha coscienza di essere la radice ultima della propria libertà. In questo ambito l'uomo diventa simile a Dio: di qui il mito o la cifra del serpente. La libertà autentica invece può aver luogo soltanto nell'o­ rizzonte del non-conoscere e quindi del nulla, che è inteso in questo contesto in senso fenomenologico-ontologico e non mistico. Se nell'ambito del conoscere scientifico la radice è sol­ tanto nell'io come soggetto conoscente, nell'ambito del non­ conoscere come filosofare ermeneutico la radice ultima è nell'io di fronte al suo fondamento. Questo cade nell' oriz­ zonte del nulla appunto perché rivela quella dimensione che sfugge alle prese del conoscere scientifico. In questo oriz­ zonte del nulla a livello positivo la responsabilità dell'uomo si apre come essere-aperti-a e di conseguenza come sentirsi­ rimandati-a, cioè alla dimensione del nulla come mistero. Tale mistero non è ovviamente a livello gnoseologico che può dopo l'atto del conoscere venir meno, ma è a livello del non-conoscere. Per definizione esso è ciò che deve rimanere mistero, dato che esso è ciò che si sottrae a ogni possibilità di rappresentazione. In questo contesto l'autentica presenza è ciò che non può essere presente. 7

2. IL NON-CONOSCERE E LA FEDE COME CRISI L'assenza come autentica presenza apre il problema del sacro. Questo può essere chiarito in un primo momento co­ me ciò che si sottrae a un sapere illuministico, inteso univo­ camente come conoscere. Ciò dimostra che la dimensione di «razionalità» e quindi di realtà è più complessa di quella tematizzata dal razionalismo illuministico. Questo, chiu­ dendosi nel ristretto ambito del conoscere l'oggetto, limita la dimensione del reale soltanto a ciò che può essere cono­ sciuto. Però, il fatto che ciò che può essere conosciuto sia reale, non implica che tutto il reale si riduca all'atto d'esser conosciuto. In altre parole, non tutta la realtà cade nell' am­ bito del potere della conoscenza scientifica. Anzi, l'intelletto conoscitivo trova la sua radice proprio in quello spazio pre­ comprensivo inteso come ciò che si sottrae al potere di co­ noscere. In tal modo, l'io non ha più coscienza di essere la radice ultima della sua libertà ma si sente nello stato di po­ tenza come un non-essere-potente, in quanto rimandato-a. Ora, proprio in questa coscienza di trascendenza intesa come potenza di non essere-potente si può a mio avviso aprire un colloquio sul sacro autentico e quindi un discorso sul Dio del cristianesimo. Di conseguenza, si può aprire in questo ambito un discorso sulla fede «cristiana». Si tratta di vedere se è possibile parlare di umanesimo «cristiano» nel­ l' ambito degli umanesimi contemporanei. A riguardo, preci­ so che non apro una discussione a livello storico ma riman­ go sul terreno ermeneutico. In questo contesto non si può parlare di umanesimo cristiano o di cultura cristiana da op­ porsi ad altri umanesimi o ad altre culture, perché ciò signi­ ficherebbe considerare il cristianesimo come una concezio­ ne del mondo da porsi di fronte o da opporsi ad altre conce­ zioni del mondo. Il cristianesimo non può essere ricondotto a pura cultura «cristiana» nel senso di una determinata cul­ tura, perché allora sarebbe legato ad un determinato tempo. Questo fenomeno «mondano» del cristianesimo è votato a 8

rimanere sempre il suo momento inautentico, perché è lega­ to alla tirannia del conoscere rappresentativo che viene deli­ mitato dall'oggetto. L'Anticristo di Nietzsche deve essere letto sotto questo angolo visivo 2• Il sacro non può essere quindi legato all'oggetto, dominio del conoscere scientifico, ma è ciò che per definizione sfugge a tale dominio. Il sacro determinato decade a cosa, con la conseguenza che la fonte del sacro non è più Dio ma l'uomo. Il mito o la cifra del serpente ci parla del sacro che da divino diventa demonia­ co. Il momento demoniaco del sacro non rimanda ad un mondo mitico, tipico dei démoni, come nuovo orizzonte del divino, ma è soltanto la cifra del conoscere scientifico a livello totalizzante. La cifra del serpente ci dice che il miste­ ro del sacro cade nell'ambito della sapienza umana intesa in senso totalizzante. Il limitarsi solo a tale livello significa so­ stituire Dio all'uomo e quindi significa rimanere chiusi in un gretto ateismo. Tale ateismo si rivela come superstizione scientifica. Un primo passo per aprirsi al sacro a livello ermeneuti­ co è quindi quello di considerare la dimensione di razionali­ tà come ciò che abbraccia e nello stesso tempo supera il pu­ ro conoscere scientifico. In questo orizzonte del non-ogget­ to e quindi del nulla quale dimensione di trascendenza, la ragione può aprirsi come ragione «cristiana». La ragione intesa come ciò che abbraccia e supera il puro conoscere si rivela proprio nell'atto di chiarire i limiti dell'intelletto rap­ presentativo. Di qui il rapporto intrinseco tra questo tipo di ragione non-illuministica e la ragione «cristiana». Se questa coscienza de/ limite che segna il passaggio tra ragione e ragione cristiana si chiama fede, si può vedere co­ me questo primo approccio alla dimensione della fede a li­ vello filosofico prepari il terreno per un ulteriore approfon­ dimento del fenomeno esistenziale della fede come grazia. 2 F. NrETZSCHE, L'Anticristo, a cura di G. Penzo , Mursia, Milano

1982 .

9

Si può in tal modo vedere come questo passaggio sia a livel­ lo intrinseco e non estrinseco. Di qui la conclusione che il rapporto tra ragione e ragione cristiana è in questo contesto a livello intrinseco. Si vede quindi come non sia oggettivo considerare tale fede come irrazionale solo per il fatto che non si dispiega nel solco di un razionalismo inteso come puro conoscere scientifico. Anzi, se si rimane chiusi in que­ sto terreno, la fede si muta in superstizione, come fede defi­ nita dall'oggetto. Si può quindi parlare di ragione cristiana solo là dove si mette a fuoco il limite della ragione non in forza di una concezione del mondo e quindi in forza di una determinata cultura, ma solo in forza di un atto esistenziale che è intrinseco alla ragione stessa. Ciò importa che la fede cristiana può quindi essere po­ sta in luce solo come crisi della ragione illuministica. La di­ mensione di crisi rende così possibile l'incontro dell'uomo con il suo fondamento. Questo non può essere messo in luce nel puro conoscere scientifico, dato che è ciò che è sempre al di là di un tale conoscere. In questo terreno di trascendenza si può avere l'incontro dell'uomo con il divino, che avviene al di fuori di ogni linguaggio culturale e quindi al di fuori del tempo cosmico. Nella fede-superstizione invece si ha l'incontro dell'uomo con il divino che si risolve in dimensio­ ne demoniaca in quanto l'uomo stesso diventa Dio. Con ciò non si vuole dire che non si debba parlare di fede come contenuto, così come viene custodita dalla chie­ sa. Però, se si pensa che ogni contenuto non può essere espresso se non in una determinata cultura legata al tempo, è ovvio che si deve operare rispetto a questo contenuto un continuo atto di secolarizzazione per mettere in luce la di­ mensione meta-culturale di questo contenuto. L'atto di se­ colarizzazione viene inteso per lo più in senso equivoco. Esso può denotare l'eliminazione progressiva del sacro, di­ mensione negativa della secolarizzazione, o può denotare la continua purificazione del sacro, dimensione positiva della secolarizzazione. Purtroppo nella cultura moderna il termilO

ne secolarizzazione viene usato per lo più in senso negativo. La stessa equivoca sorte è stata riservata al termine nichili­ smo. La concezione della fede come crisi permette l'atto di secolarizzazione in senso positivo, mentre la concezione della fede come superstizione permette l'atto di secolarizza­ zione in senso negativo. La secolarizzazione positiva significa una continua pu­ rificazione del sacro che avviene però come continua mon­ danizzazione del mondo. In altre parole, la fede come crisi si sottrae sempre alle varie riflessioni del conoscere scientifi­ co, il cui compito è solo quello di spiegare la natura delle cose del mondo. In questo ambito la ragione come puro co­ noscere è sovrana appunto perché il sacro non può mai es­ sere oggettivato e quindi non può mai prendere il posto del­ le riflessioni scientifiche. Perciò la mondanizzazione del mondo a livello scientifico è il momento necessario per la purificazione del sacro. Cioè, essa è necessaria perché la fe­ de-superstizione si muti in fede-crisi. Sotto questo aspetto si vede come sia giustificato quell'ateismo scientifico che affer­ ma che il sacro non può cadere nell'ambito delle leggi mate­ matico-fisiche della natura. Perciò tale ateismo apre l' oriz­ zonte di una secolarizzazione positiva. In tal modo, pure il grave problema del rapporto tra autorità divina e autorità umana, che è legato intrinseca­ mente al problema della fede-crisi intesa come rapporto tra ragione e ragione cristiana trova in questo ambito un auten­ tico terreno di discussione. Nella fede come crisi ci si sottrae al pericolo che la dimensione di autorità decada a dimensio­ ne di autoritarismo. Si tratta in fondo, anche se sotto un aspetto diverso, del rapporto tra legge e vangelo, che è a fondamento di una filosofia cristiana. Questo rapporto non può mai essere messo in luce una volta per sempre, perché la sua possibile «risposta» è sempre al di là del tempo deter­ minato. Nello stesso modo non si può mai parlare di una fi­ losofia cristiana in senso ben determinato, ma sempre solo 11

di un filosofare aperto alla fede come crisi3• Su tale problematica della fede che si apre soprattutto in un terreno di filosofia esistenziale-esistentiva, scava Carlo Scilironi con originali riflessioni nel presente scritto dal tito­ lo: Possibilità e fondamento della fede. Si tratta di saggi su Barth, Heidegger, Jaspers, Wittgenstein e Severino che tro­ vano la loro unità di fondo appunto nello sforzo di mettere in luce il carattere ermeneutico della fede. Più precisamente Scilironi cerca di mettere a fuoco il terreno in cui può aprir­ si la possibilità di un discorso tra fede filosofica e rivelazio­ ne. Queste riflessioni ci mostrano in fondo come il proble­ ma della secolarizzazione sia imprescindibile per chiarire la tematica esistenziale della fede. Esse chiariscono pure di conseguenza come il rapporto tra secolarizzazione e fede sia dialettico. GIORGIO PENZO

3 Si può confrontare a riguardo: G. PENZO, F. Gogarten . Il proble­ ma di Dio tra storicismo ed esistenzialismo , Città Nuova, Roma 1981; IDEM , Il comprendere in K. Jaspers e il problema dell'ermeneutica, Ar­ mando, Roma 1985 ; Karl Jaspers e la critica , a cura di G. Penzo , Mor­ celliana, Brescia 1985 .

12

INTRODUZIONE

«Dell'utilità di una fatica qual è la presente , io non ho concetto così alto , come se , senza l'aiuto di profonde inda­ gini metafisiche , vacillasse e fosse in pericolo la più impor­ tante di tutte le nostre conoscenze : Vi è un Dio. La prov­ videnza non ha voluto che cognizioni sommamente neces­ sarie per la felicità, poggiassero su sottigliezza di fini ragio­ namenti , ma le ha immediatamente trasmesse alla naturale intelligenza comune che , se non è confusa da falsa arte , non manca di condurci proprio al vero ed all'utile in ciò in cui estremo ce n'è il bisogno» 1 • Questo celebre inizio kantiano ben si presta ad intro­ durre il volume , indicandone ad un tempo fondamentalità e limite : l'essenziale è il fatto della fede , non la dimostra­ zione della sua possibilità o del suo fondamento . Tuttavia , filosoficamente , anche tale dimostrazione è irrinunciabile ; la fede in atto , infatti , è risoluzione pratica, non teoretica, del se della fede . Sul fronte teoretico il problema resta aperto e reclama l'intervento dell'intelligenza. In questo senso i saggi che compongono i vari capitoli s'iscrivono nel contesto della fides quaerens intellectum. Nel suo sviluppo concreto il volume consta di due par­ ti : la prima, a carattere introduttivo , pone in termini stori­ ci positivi i problemi della non credenza e della secolariz­ zazione , e rintraccia sin dentro il pensiero di Tommaso 1 I. KANT, L 'unico argomento possibile per una dimostrazione del­ l'esistenza di Dio , tr. it. di P. Carabellese , in l. KANT, Scritti precritici, nuova edizione ampliata a cura di R. Assunto, R. Hohenernser e A. Pupi , Bari 1982 , p. 105 .

13

d'Aquino l'opposizione di fede e religione ; la seconda, centrale, mentre fa luce sulla concezione della fede di alcu­ ni tra gli autori più importanti del Novecento (Barth, Hei­ degger, Jaspers, Wittgenstein , Severino) , aggredisce teo­ reticamente il problema della possibilità e del fondamento della fede , e ne prospetta la fondazione ermeneutica. La conclusione riprende sinteticamente i motivi precedenti e tenta di dire una parola significativa sul futuro della fede . Esula dalla presente ricerca qualsiasi intento di com­ porre un capitolo della storia della filosofia del Novecento - il capitolo sulla fede - ricco di tutta la documentazione erudita , storiografica e bibliografica. Il lavoro obbedisce al diverso proposito di sondare alcuni tra i momenti più deci­ sivi della riflessione di questo secolo , onde trarne indica­ zioni per una riflessione teoretica sul problema del fonda­ mento della fede . Gli autori presi in considerazione si collocano tutti nel solco di una rinnovata esigenza di autenticità; li accomuna il «progetto puro» di una fede non idolatrica , librantesi o nello spazio incontaminabile delle esclusive possibilità di Dio (Barth) , o in quello di radure (Lichtungen) impratica­ te al di là dell'ente e dell'essere (Heidegger) , o nell'invio­ labile silenzio cui ogni mondana parola rinvia (Wittgen­ stein) , o , ancora , nello spazio di una coraggiosa perenn� sospensione problematica (Jaspers) . La stessa radicale ne­ gazione severiniana non obbedisce a diversa esigenza , sor­ gendo dal progetto della verità attuale . Da questo polifonico richiamo alla purezza della fede scaturisce la tesi fondamentale del volume : la ragione me­ tafisica garantisce lo spazio della fede , la sua possibilità , ma occorre la ragione ermeneutica per spiegarne la con­ creta assunzione. In questo modo il problema del fonda­ mento della fede trapassa immediatamente in quello dei dinamismi della sua acculturazione , delle condizioni pre­ vie di essa e delle sue conseguenze , sì che la questione del se della fede (se credere) viene ad investire inevitabil14

mente quella del come (come credere ) . I risultati acquisiti sono ben lungi dal pretendere com­ pletezza o definitività ; si ritiene comunque che essi costi­ tuiscano un esito sufficientemente organico per essere pro­ posti ad una più vasta attenzione 2•

2 Sotto il profilo propriamente teoretico della fondazione erme­ neutica ci si permette anche di rinviare al saggio Tra destino e simula­ cro. In cammino verso il pensiero , «Studia Patavina» , 32 (1985), pp. 29 1-329.

15

PARTE PRIMA

SECOLARITÀ RELIGIONE FEDE

I LA NON CREDENZA E IL VALORE DELLA SECOLARITÀ

INTRODUZIONE Il problema è ancor oggi quello indicato con estrema lucidità da Bonhoeffer nel carcere del Tegel : «Cristo e il mondo diventato adulto» 1 ; nel segno , sempre bonhoeffe­ riano , della rivendicazione di questo mondo adulto da par­ te di Gesù Cristo . Precedentemente ne aveva parlato Barth nel Romerbrief, distinguendo la fede dalla religio­ ne 2, e ne avevano trattato pure gli altri teologi dialettici collaboratori di Zwischen den Zeiten 3• Ma in verità il pro­ blema ha ascendenze più antiche : già Kant parla di «uscita dell'uomo dallo stato di minorità» 4, per concludere ad una religione nei limiti della semplice ragione 5, e sul versante opposto si possono ricordare le parole di Ivan ad Alesa nei Fratelli Karamazov , al termine della narrazione del Gran1

D. BoNHOEFFER, Resistenza e resa , tr. it . di S. Bologna, Milano 1969 , p. 247. 2 K . BARTH , L 'epistola ai Romani, tr. it . di G. Miegge , Milano 1962, nuova edizione 1974, c. VII . 3 Cf. i testi di K. BARTH , H. BARTH , E. BRUNNER, R . BuLT­ MANN , F . GOGARTEN ed E . THU RNEYSEN raccolti in Le origini del/a teologia dialettica , a cura di J. Moltmann, tr. it. di M . C. Laurenzi , Bre­ scia 1976. 4 I. KANT, Risposta alla domanda: Che cos'è l'Illuminismo? , tr. i t. in l. Kant , Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto , a cura di G. Solari , G. Vidari , N. Bobbio , L . Firpo e V. Mathieu, Torino 19652, pp. 141 ss. 5 l . KANT, La religione nei limiti della semplice ragione, tr. it. di G. Durante , Torino 1945 .

19

de Inquisitore : «Questa formula, "Tutto è permesso" , io non la rinnego- dice appunto Ivan ad Alesa - ebbene , sa­ rai tu , invece , a rinnegare me per questo , non è così?» 6• Negli ultimi decenni il problema si è radicalizzato , so­ prattutto per opera della cosiddetta teologia della morte di Dio, giungendo a porsi come il problema della ricostruzio­ ne di Dio stesso da parte del mondo diventato adulto . Al­ l'interrogativo se «è possibile parlare della fede e viverla nella realtà del nostro presente» , Th . Altizer risponde ap­ pellandosi ad una «scommessa» , alla cui base non vi è più apriori di sorta, neppure la Parola 7• Intanto , però , sul versante storico , cosa si è verificato? Quale la credibilità di fatto trovata dall'evangelo , e quale l'incontro dei cristiani con questo mondo? Vi è stata , e vi è , nel nome di Cristo, una rivendicazione del mondo di­ ventato adulto , oppure nelle svariate forme del rinnega­ mento presuntuoso e arrogante si può condensare l'esito di un incontro in parte mancato e in parte fallito? E ancora, volgendo lo sguardo in avanti , come conti­ nuare a credere ? 8• I problemi qui indicati - il rapporto tra credenti e non credenti , la secolarizzazione e il futuro - vengono conside­ rati in questo primo capitolo attraverso tre diverse indagi­ ni , specificamente determinate : la prima ripercorre i tempi dei rapporti storicamente realizzatisi tra credenti e non­ credenti nell'ambito del cattolicesimo occidentale , e italia­ no in particolare ; la seconda opera una deduzione del va­ lore della secolarità nel tentativo di costruire una risposta positiva al problema del futuro della fede ; la terza apre il discorso, che sarà ripreso nella conclusione del volume , 6

F.

DosTOEVSKIJ, l

7TH. ALTIZER, Il

Fratelli Karamazov, Firenze 19692 , p. 381 . vangelo dell'ateismo contemporaneo , tr. it. , Ro­

ma 1969, pp. 129 ss . 8 È questo il titolo di un recente bel volume di l. continuare a credere, Milano 1980.

20

MANCINI,

Come

sull'utopia profetica dell'incontro tra tutti gli uomini di buona volontà . l.

I RAPPORTI TRA CREDENTI E NON-CREDENTI

Nel libro X delle Leggi Platone distingue tre forme di ateismo : quello di coloro che non credono negli dèi ; quello di quanti ritengono che pur esistendo gli dèi non si interes­ sino degli uomini ; e infine l'ateismo di chi pensa che gli dei possano essere placati con sacrifici e preghiere 9• In questo modo Platone rifiuta la troppo facile eguaglianza di atei­ smo e non credenza : ateo non è solo chi esplicitamente ne­ ga Dio , ma anche chi crede in Dio in un certo modo . Il problema risulta così molto più articolato , complesso , ric­ co di sfumature . Ma la distinzione platonica è interessante anche e forse più per il giudizio che viene espresso sulle tre diverse forme di ateismo: la più grave per Platone non è la prima , quella dei non-credenti , ma la terza , quella dei cre­ denti . Questa lettura platonica risulta oggi straordinariamen­ te attuale perché non solo vi si ravvisano suggestioni e sti­ moli per una riflessione che voglia andare in profondità , ma anche perché gli elementi essenziali ivi indicati - la problematizzazione del concetto di ateismo e la considera­ zione della gravità dell'ateismo «credente» - sono quegli stessi fattori la cui acquisizione ha determinato l'evoluzio­ ne dei rapporti tra credenti e non-credenti in questi ultimi decenni . Allorché , infatti , negli anni precedenti il concilio , l'a­ teismo era relegato alla prima delle forme indicate da Pla­ tone , alla chiarezza legalistico-anagrafica della distinzione tra credenti e non-credenti non faceva seguito che l'oppo­ sizione assoluta degli uni con gli altri , opposizione aliena 9 PLATONE , Leggi X 885 b.

21

da ogni serio rapporto e alimentata per un verso da intolle­ rante presunzione e per l'altro da irriducibile senso critico . Solo allorquando il mondo cattolico ha riscoperto in modo genuino la fede , e si è venuto interrogando a proposito del proprio ateismo , solo allora è iniziata un'epoca nuova nei rapporti con i non-credenti. Purtroppo però al dialogo fati­ ca ancora a seguire la cooperazione reale . Ne viene così che il problema dei rapporti tra credenti e non-credenti in­ veste eminentemente il futuro . Il pericolo è la sua procra­ stinazione , la promessa è un mondo nuovo . Del cammino futuro si dirà più avanti , intanto si ripercorrano i tempi dei rapporti così come si sono storicamente realizzati . a) Il tempo della guerra fredda Il riferimento è agli anni precedenti il concilio . Cosa si­ gnificava allora essere credenti? Fondamentalmente una duplice appartenenza: alla schiera dei battezzati e alla cul­ tura cattolica . In altre parole non era sufficiente aver rice­ vuto il battesimo, bisognava essere parte di un certo modo di vita , di pensare e di agire , ovvero integrati in una cultura organica in cui è già tutto stabilito , definito , fatto ; in cui la verità è qualcosa di assoluto , non relativo alle possibilità dell'uomo , e in cui la conoscenza è oggettiva e la critica possibile solo all'interno. Ma bandita così ogni contestazio­ ne globale , non ne poteva emergere che un cozzare di Wel­ tanschauungen opposte , fortemente ideologizzate , incapaci di alcun rapporto costruttivo. Irriducibile opposizione dun­ que , ma più filosofica che altro, perché in gioco erano dif­ ferenti interpretazioni della realtà e non il dato di fede . A identificare quella Weltanschauung cattolica concor­ rono anche altri fattori . Anzitutto un senso della storia in cui prioritaria è la categoria del passato e il futuro della promessa è ridotto al tempo ultimo ultraterreno. Il presen­ te e il futuro storico sono relativizzati , la prassi svalutata, l'impegno politico visto con sospetto . 22

L'etica è un capolavoro di logica matematica: dalla ve­ rità assoluta si deducono valori assoluti , e questi si espri­ mono in una normativa precisa , cavillosa , in cui ogni caso è previsto e valutato . È il trionfo della pedagogia della legge . La fede è pura adeguazione al comportamento colletti­ vo , la Bibbia assente , la tradizione sacramentaria domina. Vi è in definitiva una dichiarata priorità del teorico sul pratico , del momento ideologico su quello politico , dei­ l'homo sapiens sull'homo artifex. Ovvio pertanto che non poteva essere possibile alcun serio rapporto tra questo mondo, totalmente autosufficien­ te , in cui tutto trovava una sua spiegazione organica , ga­ rantita dal crisma dell'autorità , e il mondo laico, proble­ matico , alquanto differenziato , diviso in aree culturali le più diverse . Non ne poteva venire che un dialogo tra sordi ; e ciò , bisogna ammetterlo , soprattutto per la presunzione cattolica d'essere sempre e comunque nel vero , e dunque per la sua impermeabilità ad ogni provocazione che pones­ se in forse alcunché . Il mondo laico , la cui mappa è difficile tracciare in po­ co spazio per la diversità delle varie posizioni , si sostanzia­ va già allora di una maggiore attenzione al tempo presen­ te , di una problematizzazione del senso dell'autorità , e di una messa in discussione delle verità assolute . Tra le varie forme che il mondo laico ha assunto quella che ha mag­ giormente coagulato attorno a sé consensi e speranze è certamente il marxismo. Ma cosa era esso per i cattolici se non l'anticristo che cercava di affossare la fede e di instau­ rare il regnum hominis? Per l'intellettualismo cattolico il marxismo non era altro che immanentismo ateo , distrutto­ re dello spazio di Dio , e nient'altro . L'opposizione non po­ teva allora che essere totale : ideologica , politica , perfino privata , perché anche solo un dialogo alla pari era già una contaminatio. Ma i tempi erano ormai maturi per il «disgelo» . 23

b) Il disgelo Nell'aprile del 1963 vede la luce un testo importante , la Pacem in terris di Giovanni XXIII . Vi si legge : Va tenuto presente che non si possono identificare false dot­ trine filosofiche sulla natura , l'origine e il destino dell'uni­ verso e dell'uomo , con movimenti storici a finalità economi­ che , sociali , culturali e politiche [ . . . ]. Giacché le dottrine , una volta elaborate e definite , rimangono sempre le stesse ; mentre i movimenti suddetti , agendo sulle situazioni stori­ che incessantemente evolventisi , non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a muta­ menti anche profondi . Inoltre chi può negare che in quei movimenti , nella misura in cui sono conformi ai dettami del­ la retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione? 10•

E al paragrafo successivo il testo prosegue: Pertanto può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico , ieri ritenuto non opportuno o non fecon­ do oggi invece lo sia o lo possa divenire domani 11•

In queste parole di Giovanni XXIII si può a diritto ve­ dere il segnale di una svolta storica, perché , pur nella pru­ denza della formulazione , il gran passo è compiuto : è pos­ sibile , dice in sostanza Giovanni XXIII , e anzi può essere opportuno, lavorare con quei movimenti che , per quanto non cattolici , operano di fatto per il bene dell'uomo. La referenza è all'uomo e alla prassi , indicati rispettivamente come il fine e il luogo dell'incontro tra credenti e non-cre­ denti . La profezia giovannea può pertanto essere così sin­ tetizzata: incontro per l'uomo nella prassi. Né si trascuri il fatto che non si parla di incontro con singoli non-credenti , ma con movimenti. Il seguito del paragrafo n. 85, pur nell'incertezza di ta10 11

24

GIOVANNI XXIII , Pacem in terris , lvi, n. 85 .

n.

84.

lune espressioni e nella durezza di altre , non manca di of­ frire nuove e preziose indicazioni. Il testo così continua: Decidere se il momento dell'incontro è arrivato , come pure stabilire i modi e i gradi dell'eventuale consonanza di attivi­ tà al raggiungimento di scopi economici , sociali , culturali , politici , onesti e utili al vero bene della comunità , sono pro­ blemi che si possono risolvere soltanto con la virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita mo­ rale , sia individuale che sociale . Perciò , da parte dei cattoli­ ci tale decisione spetta in primo luogo a coloro che vivono e operano nei settori specifici della convivenza , in cui quei problemi si pongono, sempre tuttavia in accordo con i prin­ cipi del diritto naturale , con la dottrina sociale della chiesa e con le direttive dell'autorità ecclesiastica .

Dei tre motivi qui indicati - la prudenza , l'autorità ec­ clesiastica e i cattolici direttamente impegnati nel sociale i primi due fanno da correttivi al terzo , che è quello vera­ mente nuovo: se l'incontro tra credenti e non-credenti dev'essere un incontro per l'uomo nella prassi , la decisio­ ne dei tempi e delle modalità spetta , afferma Giovanni XXIII , «in primo luogo a coloro che vivono ed operano nei settori specifici della convivenza , in cui quei problemi st pongono» . Come in uno sprazzo viene qui superato il verticalismo nella gestione del potere , e per quanto il testo venga tem­ perato dagli altri rilievi sull'autorità ecclesiastica, la pru­ denza e la legge di natura , intanto però quella parola è detta e il verticalismo , che espropria in definitiva dalle re­ sponsabilità, è irrimediabilmente intaccato . La seconda parola importante per il determinarsi delle condizioni di possibilità di un rapporto tra credenti e non­ credenti è venuta dal concilio. Già nel radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo dell'H settembre 1962 Giovanni XXIII sottolineava l'attenzione della chiesa per i problemi del mondo attuale , e Paolo VI nel discorso di apertura del secondo periodo , indicava , proprio come uno degli scopi principali del concilio , il colloquio col mondo contempora25

neo , sottolineando in modo particolare l'interesse della chiesa per tutta l'umanità. Ma è soprattutto nella Gau­ dium et spes che l'argomento trova la sua più completa e migliore trattazione . Vi si legge : La chiesa, pur respingendo in maniera assoluta l' ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, creden­ ti e non credenti , debbano contribuire alla retta edificazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire certamente senza un sincero e pru­ dente dialogo 12•

Si noti anzitutto come in questo testo sia già diventato sicuro ciò che nella Pacem in terris era ancora indicato solo come possibile e probabilmente opportuno . Ma lo svilup­ po più interessante che il problema viene ad assumere nel­ la Gaudium et spes non è tanto questo , quanto piuttosto il diverso significato di cultura che ivi trova spazio. Alla con­ cezione intellettualistica propria degli anni precedenti il concilio , di cui qualcosa si è detto nel paragrafo preceden­ te , succede una visione più antropologica 13 • Scrive il conci­ lio: Siamo testimoni della nascita di un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce anzitutto per le sue responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia 14•

E altrove si legge : La cultura deve mirare alla perfezione integrale della perso­ na umana, al bene della comunità e di tutta la società uma­ na ls.

Lo stesso concetto ritorna, variamente espresso , a pro­ posito di ogni settore della vita che viene considerato . Così 12 Gaudium et spes , n. 2 1 . Si utilizza la raccolta I documenti del concilio Vaticano II (testo latino-italiano) , Paoline , Roma 1967. 13 lvi, n . 53. 1 4 lvi, n. 55 . 15 lvi, n . 59.

26

il cap . III sulla vita economico-sociale comincia con l'affer­ maziOne: Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massi­ mo rilievo e da promuovere la dignità ed integrale vocazio­ ne della persona umana come pure il bene dell'intera socie­ tà . L'uomo infatti è l'autore , il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale 16•

Non diverse sono le affermazioni contenute nel capito­ lo sulla politica . Il concetto guida è sempre lo stesso : la centralità dell'uomo. Ma è proprio in questa rinnovata e comune attenzione per l'uomo che credenti e non-credenti hanno trovato uno spazio di incontro . c ) Il dialogo Sono gli anni dopo il concilio , gli anni della contesta­ zione giovanile , dell'imporsi della lotta femminista , della fiducia nei grandi ideali , dei sogni utopici , dell'impegno nel politico , del rinnovamento ecclesiale . L'editoria molti­ plica la propria produzione ; anche alcune editrici cattoli­ che si rinnovano profondamente dando inizio alla pubbli­ cazione delle opere più significative e recenti della teologia riformata. Si preannuncia un nuova primavera. Nel vecchio continente , però , non tutto va per il verso giusto : l'attesa pian piano si affievolisce , il sogno diviene sempre meno credibile , la speranza pare volgersi in rasse­ gnazione . Che cosa sta succedendo? Il germe posto da Giovanni XXIII e dal concilio fatica a germogliare : le stesse ragioni che non hanno permesso in sede conciliare la proclamazione del radicalismo cristiano sono quelle che fanno sì , a concilio terminato , che al dialo­ go non segua l 'auspicata cooperazione pratica tra credenti e non-credenti. Si sottolinea molto il momento del dialo­ go, ma quasi - sembrerebbe - per fermarsi ad esso . Il dia16

lvi,

n.

63 . 27

logo assume così più il ruolo di massima apertura della tra­ dizionale cultura cattolica , che di primo momento di un reale processo di collaborazione : al centro sono sempre le differenze tra aree culturali diverse e non , come già Gio­ vanni XXIII aveva indicato , l'uomo e la prassi . Il plurali­ smo è riconosciuto a livello teorico, nella pratica però è ancora troppo largamente impedito . Credenti e non-cre­ denti possono così sperimentare l'incontro solo nell' ambito del privato , del matrimonio e della famiglia . Ben diversa è però la situazione in altre parti del mon­ do . Particolarmente significativo il caso dell'America lati­ na dove , essendo meno forte il freno della tradizione , la chiesa sta attuando una pastorale in cui la cooperazione pratica tra cattolici e marxisti da tempo trova spazio . Il problema della salvaguardia dell'uomo è comune , e comu­ ne è pure l'impegno per risolverlo. Quando questo diverrà reale anche in Europa, e se­ gnatamente in Italia , è difficile a dirsi . L'ipotesi che co­ munque qui si avanza è che solo l'assunzione seria della laicità del mondo possa costituire la base per un vero in­ contro tra credenti e non-credenti , e dunque anche tra cri­ stiani e marxisti . Ma perché ciò sia possibile è necessaria la riafferma­ zione del primato biblico del futuro : devono rinascere la promessa e la speranza. Nello stesso tempo la fede bisogna che appaia nella sua purezza , non compromessa con ideo­ logismi , espressione solo degli interessi di parte di aree culturali circoscritte . L'etica deve volgersi alla maturazio­ ne delle coscienze e alla legge della libertà. Solo allora la prassi diverrà veramente il luogo dell'incontro e credenti e non-credenti si ritroveranno incamminati lungo la via che conduce alla terra promessa .

28

2 . LA SECOLARIZZAZIONE

Quanto si è fin qui affermato presuppone non solo l'accettazione di fatto, ma pure la valorizzazione di diritto del processo di secolarizzazione . Peraltro , perché il giro di considerazioni che si sta svolgendo prenda consistenza, il valore della secolarità dev'essere fondato. Ciò appunto si cercherà di fare passando da alcune preliminari riflessioni storiche a riflessioni filosofico-teologiche . a ) La secolarizzazione: concetto e radici storiche In via preliminare si ponga mente a come H . Cox definisce la secolarizzazione : È la liberazione dell'uomo , egli dice , prima dal controllo re­ ligioso e poi da quello metafisica sulla sua ragione e sul suo linguaggio. È il sottrarsi del mondo alle interpretazioni reli­ giose e quasi-religiose , il dissolversi di tutte le concezioni chiuse del mondo, l'infrangersi di tutti i miti soprannaturali e di tutti i simboli sacri. Essa rappresenta [... ] la defatalizza­ zione della storia, la scoperta da parte dell'uomo che il mon­ do è stato lasciato nelle sue mani , e che egli non potrà più incolpare la sorte o le furie di ciò che egli stesso ne fa. Seco­ larizzazione è l'uomo che distoglie la sua attenzione dall'ol­ tremondo e la rivolge a questo mondo e a questo tempo (saeculum = questo tempo presente ) 17•

Ma già un paio di decenni prima di Cox , Bonhoeffer scriveva che «l'uomo ha imparato a cavarsela da solo in tutte le questioni importanti , senza ricorrere all'ipotesi di lavoro : Dio» 18• Ebbene , queste ed altre definizioni 19, pur nella diversi17

H. Cox, La città secolare , tr. it., Firenze 1968 , p. 2. Bo NHOEFFER , Resistenza e resa , cit . , p. 245 . 19 Sulla secolarizzazione si possono vedere : R. L . RrcHARD, Teolo­ gia della secolarizzazione , tr. it. , Brescia 1970 ; A.J. NIJK, Secolarizza­ zione , tr. it . , Brescia 1973 ; La secolarizzazione, a cura di S. S. AcQUA­ VIVA E G. GUIZZARDI , Bologna 1972 . 18 D .

29

tà di accenti e sottolineature , indicano le strutture mentali proprie dell'uomo contemporaneo , ossia l'atteggiamento generale e i criteri di giudizio che questi assume anche in­ consciamente nei confronti della realtà , del mondo che lo circonda e dei problemi che lo coinvolgono . L'insieme di questi motivi costituisce una specie di carta d'identità del­ l'uomo d'oggi , i cui tratti essenziali appaiono : un nuovo modo d'intendere la verità, un nuovo senso della storia, una nuova fede , una nuova prospettiva etica. Per comprendere il primo di questi motivi è opportuno riflettere sui significati fondamentali che il vero è venuto assumendo nel corso della storia. La matrice è duplice , greca ed ebraica , e l'occidente è appunto lo sviluppo della tensione tra l'una e l'altra di queste prospettive 20 • Dal mondo greco vengono fondamentalmente tre significati: l) la verità come non-nascondimento (alétheia) ; 2) la verità come corrispondenza con la realtà ; 3) la verità come esat­ tezza , o correttezza sintattica. Pure il concetto israelitico è multivoco: la parola emeth viene infatti tradotta dai Set­ tanta con tre termini diversi: alétheìa, pfstis e dìkaiosune , venendo così ad assumere un complesso significato com­ pendiabile nella circolarità di promessa e conferma sto­ rica 2 1 • Il tentativo maggiore di conciliazione di tutte queste diverse accezioni del vero è stato operato senz'altro dalla filosofia di Hegel , secondo la quale la verità è il farsi stesso della storia, che si pone così come storia della verità , e la storia della filosofia «scienza oggettiva della verità , scienza della necessità della verità» 22 • 2°

Cf. W. PANNENBERG, Che cos 'è la verità ?, in Questioni fonda­ mentali di teologia sistematica , tr. it. , Brescia 1975 , pp. 229 ss . 21 Cf. W. KAsPER, Il dogma sotto la parola di Dio, tr. it. , Brescia 1968 , pp. 78-98 . 22 G . W. F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia , tr. it. di E. Codignola e G. Sanna, vol . I , Firenze 1973 , p . 2 1 . Scrive Pannenberg: «Ogni assolutizzazione di una verità attuale misconoscerebbe a priori la

30

La prospettiva dell'uomo d'oggi consiste nel ribalta­ mento più radicale della prospettiva idealistica, mediante l'affermazione di un relativismo conoscitivo, in forza del quale , se tutto ciò che l'uomo fa e pensa è un suo prodotto e in quanto tale non può essere assoluto , la verità diviene non un possesso, ma un ideale regolativo, e il compito del­ l'uomo non la costruzione ma la distruzione degli assoluti . Di conseguenza la doxa risulta l'unica via praticabile per l'uomo, l'epistéme gli è preclusa. La crisi della ragione di cui tanto si parla e su cui molto si scrive 23, non è altro che la traduzione in termini etici , e quindi socio-politici , di questa riduzione doxastica del sapere e della verità. A ciò hanno peraltro collaborato i fattori più diversi : dallo svi­ luppo della scienza , con l'elaborazione delle geometrie non euclidee e la teoria della relatività , alle nuove acquisi­ zione dell'etnolinguistica ; dalla retrocessione della ricerca filosofica dal pensiero al linguaggio , con De Saussure pri­ ma e il secondo Wittgenstein poi , alle ontologie della pos­ sibilità e all'ermeneutica ; dalla tragicità dell'esperienza storica di due guerre mondiali al nichilismo esistenziale . I punti di riferimento essenziali rimangono comunque due: da una parte la critica radicale alle ideologie 24, e più geneverità storica delle diverse figure di verità. In questa situazione la verità può essere pensata soltanto come una storia della verità , dove cioè la verità stessa ha una sua storia e la sua essenza è il processo di tale storia. Lo stesso mutamento storico dev'essere pensato come essenza della ve­ rità , quando si vuoi conservare la sua unità e non confondere sciocca­ mente un singolo punto di vista con la verità nella sua interezza. Il tenta­ tivo , finora senz'altro il più importante , di risolvere il problema, do­ vrebbe essere quello di Hegel. Ciò che lo contraddistingue dalle altre filosofie della storia è il fatto che qui la verità non viene pensata come un risultato che in qualche luogo sarebbe stato ormai acquisito , bensì proprio come storia, come processo» (Che cos'è la verità? , cit . , p. 244) . 23 Cf. AA . VV. , Crisi della ragione, a cura di Aldo Gargani , Tori­ no 19192• 24 Sulle ideologie è opportuno vedere il saggio di O . BRUNNER , L 'epoca delle ideologie. Inizio e fine, in Per una nuova storia costitu-

31

ralmente ad ogni forma di assolutismo dogmatico, dall'al­ tra - e come conseguenza - la sostituzione della categoria del vero con quella dell'opportuno . Per il primo aspetto è in molti sensi esemplare la critica francofortese 25, e con es­ sa il razionalismo critico 26 , per il secondo si può ricordare la ripresa contemporanea della filosofia pratica 27• Ma questi riferimenti non sono che puramente indica­ tivi , a monte rimane l'ethos largamente diffuso dell'esten­ sione della topica dall'orizzonte dei mezzi a quello dei fini , e dunque il ribaltamento in senso pratico-utilitaristico di ciò che , se pratico è nell'essenza, dovrebbe nondimeno contemperare l'utile col gratuito. A parte comunque que­ sta considerazione assiologica, resta il fatto indubitabile , che qui si voleva rilevare , del nuovo modo , proprio del­ l'uomo d'oggi , d'intendere la verità rispetto ad altri perio­ di della storia od anche solo rispetto ad alcuni decenni fa. Il secondo dei motivi sopra indicati , il nuovo senso del­ la storia, è la traduzione nella dialettica della temporalità di quanto si è appena detto a proposito del vero . Nelle epoche in cui ha dominato il senso della verità assoluta , immutabile , le categorie storiche fondamentali sono appar­ se quella del passato , appunto perché vista come il luogo della manifestazione della verità , e quella del futuro esca­ tologico , intesa come la realizzazione definitiva, cioè stabi­ le , del dover essere delle cose . Non che in tali epoche man­ chi l'attenzione al presente , ma tale attenzione è vissuta col senso dell'essenzialità dei punti di riferimento estremi. zionalf' (' socialf'.

t r.

i t.. Milano 1 9 68 , pp. 217-239 .

25 Cf. U . GALEAZZI ( a cura di ) , La scuola di Francoforte, Roma 1978; ìl volume riporta testi di Adorno , Horkheimer e Marcuse ; per la

bibliografia pp . 149-165 . 26 Si ricordi per lo meno l'opera di K. PoPPER , riproposto in Italia in maniera anche suggestiva da D. Antiseri . 27 Cf. F. VoLPI, La rinascita della filosofia pratica in Germania , in AA. VV. , Filosofia pratica e scienza politica , a cura di C. Pacchiani, Francisci , Abano Terme ( Padova ) 1980 , pp. 1 1-97 .

32

Questo spiega i limiti che la considerazione dell'istoria trova nel pensiero greco , dove si può dire che vi è compre­ sa in analogia alla natura, ossia che «non è stata considera­ ta come un ambito di vita autonomo accanto alla natura» . Il che significa che presso i greci «è assente l'interrogativo sul senso della storia, e quindi anche l'idea di uno svilup­ po ; di conseguenza manca l'interesse per il futuro come qualcosa di cui gli uomini sono responsabili . Lo storico si interessa al passato, per cogliervi l'essenza sempre identica e i motivi sempre uguali del loro agire . Sostanzialmente nella storia non accade nulla di nuovo. Avviene qui come nella natura, nel cosmos : in nuove costellazioni accade sempre e solo il medesimo» 28• Diversa è la tradizione ebraica . In essa si intrecciano una prospettiva antica , propria dei profeti , e una successi­ va visione apocalittica . Nella prima l'idea dell'unità della storia e la convinzione che la storia ha un senso , si traduce in un appello alla responsabilità che «promuove la vigilan­ za per il presente e insieme la promessa per il futuro» 29, dove , si badi bene , questo futuro è inteso in senso intra­ mondano , e ha dunque tutto lo spessore storico dell'intra­ mondano 30. Ma proprio lo sviluppo continuo della storia 28

R. B ULTMANN , La concezìone della storìa nel mondo greco e nel crìstianesimo, in Credere e comprendere, ed. it. a cura di A. Rizzi , to­ mo IV, Queriniana, Brescia 1977, p. 970. Cf. anche : C. DIANO, Il con­ cetto della storia nella filosofia dei greci, in Grande antologia filosofica, diretta da U.A. Padovani e M . F. Sciacca , coord. da A . M. Moschetti , Il pensiero classìco , II , Milano 1954, pp . 247-404; B . SNELL, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , tr. it. , Torino 1 973 5 , pp . 210-225 . Su Aristotele si veda l'importante studio di E. RIONDATO , Storia e metafìsica nel pensiero dì Arìstotele, Padova 1961 . 29 B uLTMANN , o. c. , p. 971 . 30 Su questo punto si veda i l c . VIII del volume di E . Z. BoKsER , Il gìudaìsmo , tr. it . , Bologna 1969, dove si mostra che la fede giudaica è «fede in una redenzione storica» (p. 126) , cioè «nella convinzione che la storia muoveva verso un punto culminante». Ma «nella sua formula­ zione originale , ricevuta dai profeti, questo punto culminante viene col-

33

con le sue dilacerazioni viene in definitiva a contraddire la certezza della realizzazione di questo futuro : nasce così l'e­ scatologia dell'apocalittica giudaica, per la quale la reden­ zione perde i connotati storici per assumere la fisionomia di un dramma cosmico. Ma come è stato osservato si tratta più che altro di un «crollo di nervi» , determinato dalla vi­ sta della distruzione del mondo giudaico da parte dei gran­ di imperi, primo fra tutti l'impero romano 31 • Al fondo della prospettiva ebraica non agisce l'opposi­ zione greca in eternità e tempo 32 , ma l'uno risulta comple­ mentare all'altra. Lo stesso si deve dire per la storia neotestamentaria 33 , anche se è repentino nel cristianesimo delle origini il tra­ passo dal futuro intramondano a quello ultraterreno nel­ l'attesa dell'avvento del Regno. Già i Padri infatti insisto­ no puntualmente sulla «destinazione ultraterrena della sto­ ria» 34 , e il disegno generale che ne traccia Agostino costi­ tuisce lo schema interpretativo a cui sempre ci si rifà nel corso dei secoli successivi 35• Questa storia universale , che è storia universale teolo­ gica, viene secolarizzata dall'illuminismo 36; ma fintanto locato in questo mondo , cioè nella storia» (p. 135) . 3 1 lvi, p. 136. 32 PLATONE , Timeo 37c-38a. Si veda su questo testo A . E. TAYLOR , Platone. L 'uomo e l'opera , tr. it . , Firenze 1968, pp . 689-690, e G. REA­ LE , Storia della filosofia antica, vol . II: Platone e Aristotele , Milano 19762 , pp. 82-83 . Per un'analisi della prospettiva aristotelica si vedano: J . M . D usms , Le temps et l'instant selon Aristate, Paris 1967 , e L . Ruo­ GIU , Tempo, coscienza e essere nella filosofia di Aristotele, Brescia 1970. 33 Cf. O . C uL LMANN Cristo e il tempo, tr. it . , Bologna 1965 , so­ prattutto le pp. 59- 1 19. 34 P . CHIOCCHETTA , Teologia della storia. Saggi di sintesi patristi­ che, Roma 1953 , p. 180. 35 Sulla concezione della storia nel medioevo cf. E. GILSON , Lo spirito della filosofia medioevale, Brescia 19693, pp. 466-486. 36 Cf. G. M. Pozzo , La storia e il progresso nell'illuminismo fran­ cese, Padova 1971 2 • Va tenuta presente soprattutto l'opera di Condor,

34

che il suo orizzonte di comprensione resta circoscritto nel­ l'orbita di una certa metafisica - esemplare in tal senso è Hegel - il problema del futuro non emerge . Non si dice che non vi può emergere , ma che di fatto non vi emerge 37• Resta comunque indubitabile che in qualche modo , con Marx prima e le diverse riletture della sua opera poi , il fu­ turo storico riprende spessore. Questo avviene nell'intrec­ ciarsi dell'ideologia del progresso , di chiara matrice illumi­ nistica , con l'ideologia della rivoluzione , marxista. È di nuovo il primato del futuro . Ernst Bloch ne parla in termini suggestivi nella sua «ontologia del non-essere­ ancora» 38 , secondo la quale «nel marxismo è implicata come balzo mediato dal regno della necessità a quello del­ la libertà - tutta l'eredità sovversiva e non statica di cui è permeata l'intera Bibbia e che per troppo tempo è stata nascosta , ben diversa dal legame dell'indietro» 39 • La teolo­ gia più recente ha ripreso queste suggestioni blochiane incet , sulla quale Pozzo scrive : «Liberata definitivamente - oltre i limiti ancor presenti in Turgot - da qualsiasi dipendenza di carattere teologi­ co e metafisico , e dunque da ogni rapporto con un piano e con un dise­ gno provvidenziali , cui sono fatte risalire , secondo la concezione cri­ stiana della realtà storica, le cause e le motivazioni originarie, degli av­ venimenti umani , la storia è , per Condorcet, una successione e un intreccio di fatti , in cui si esplica e rende sempre più evidente l ' ordine meccanico della natura, che la ragione dell ' uomo è chiamata a regolare e a dirigere , subordinandola unicamente a quelle stesse leggi , che le so­ no intrinseche» ( Condorcet tra illuminismo e positivismo , Verona 1980 , p. 9 1 ) . 37 Il senso radicale dell'impossibilità è affermato da J. B . METZ, Sulla teologia del mondo , tr . it. , Brescia 19743 , pp . 93-95 , in senso con­ trario G. B oNTADINI , Metafisica e rivoluzione, in Tradizione e rivolu­ zione, Atti del XXVII convegno del Centro di studi filosofici di Galla­ rate , Brescia 1973 , pp. 275-277. 38 E. BLOCH, Ateismo nel cristianesimo, tr. it. , Milano 19763, p. 100. Su Bloch in rapporto a quanto si va dicendo , si vedano: J . MoLT­ MANN , Teologia della speranza , tr. it . , Brescia 1 9765 , pp. 35 1-373 ; l . MANCINI , Teologia, ideologia, utopia, Brescia, 1974 , pp. 541-65 1 . 39 BLOCH, o. c. , p . 102.

35

tessendo quella teologia che va sotto il nome di teologia della speranza 40• La pro-missio del Regno viene vista come il fondamento della missio dell'amore per il mondo 4 1 , e questa inissio si realizza nel costruire un futuro migliore anche nella sofferenza per gli altri 42 . Il recupero teologico più intenso della categoria storica del futuro si deve comunque alla teologia latinoamericana della liberazione , per la quale se «la fede deve intendersi come prassi storica nella linea della liberazione dell'uo­ mo» 43, e dunque «conoscere , cioè amare Jahvè è rendere giustizia al povero e all'umiliato» 44, allora il Regno non so­ lo non è negazione della storia 45, ma è inequivocabilmente primato biblico del futuro. Sintetizzando si può dire con Schille beeckx: L'identificazione più o meno esplicita fra «storia)) e passato che era predominante sin dagli inizi della storiografia moder­ na, deve ora cedere il posto a una concezione che considera la storia più come un susseguirsi di avvenimenti che stanno ini­ ziando e ancora svolgendosi ; un inizio nel quale noi stessi prendiamo parte attivamente . La categoria del «futuro)) ora ha di nuovo il primato in ciò che chiamiamo «Storia» 46 •

40 Per uno sguardo sintetico della teologia della speranza può esse­ re utile il volume di B . MoNDIN , I teologi della speranza , Bologna 19742 • 41 MoLTMANN , Teologia della speranza, cit. , p. 229. 42 Cf. E. SCHILLEBEECKX, Il Cristo. La storia di una nuova prassi, tr. i t. , Brescia 1980, pp. 248-335 , dove sono analizzate in questa pro­ spettiva la prima Lettera di Pietro e la Lettera agli Ebrei. 43 H . A ss M A NN , Teologia della prassi di liberazione, tr. it . , Assisi 1974, p. 18. 44 G . GuTIERREZ, Teologia della liberazione, tr. it . Brescia 19763 , p. 191 . Cf. anche: ID. , La forza storica dei poveri, tr. it . , Brescia 1981 . 45 Cf. J . M . B oN I N O , Fare teologia in una situazione rivoluzionaria , tr. it. , Brescia 1976 , p . 172. 46 E . ScHILLEBEECKX, Intelligenza della fede: interpretazione e cri­ tica , tr. it. , Roma 1975 , p. 16.

36

Con queste considerazioni di ordine teologico ci si è già introdotti al terzo motivo , il nuovo senso della fede . Che certi linguaggi siano andati in vacanza - è la pars de­ struens della secolarizzazione - è fuori dubbio . Oggi per molti versi appare un nonsenso parlare di Dio. Non c'è neppure più bisogno di arrovellarsi a dimostrarne la non esistenza, appunto perché la questione stessa risulta desti­ tuita di significato. È questo ciò che viene denominato ateismo semantico 47• Nel passato le cose stavano ben diversamente . Per Pla­ tone la pistis , se indicava un momento incipiente del pro­ cesso conoscitivo 48 , ne era nondimeno , in altro senso , an­ che l'esito finale 49. Con la tradizione cristiana poi la fede diviene definitivamente il luogo della verità , che dunque non resta consegnata al sapere incontrovertibile , sibbene alla testimonianza. Medioevo ed epoca moderna rimango­ no sostanzialmente in questa linea; soltanto con l'Illumini­ smo s'inizia quel movimento di radicale opposizione che trova accoglienza nell'Ottocento prima nella sinistra hege­ liana 50 e poi in Nietzsche 5 1 • Una ripresa di questi motivi , 47 Cf. D. ANTISERI , Filosofia analitica e semantica del linguaggio religioso , Brescia 19743 , pp. 27-32; IDEM , La filosofia del linguaggio. Metodi, problemi e teorie, Brescia 1973 , pp. 1 64- 1 66 ; M . MICHELETII , Il problema teologico nella filosofia analitica, vol . I , Padova 197 1 , pp. 227-228 .

48 PLATONE , Repubblica, VI, 5 1 0 a . 49 PLATONE, Gorgia , 52 3 a ss . Cf. i n proposito F . CHIEREGHIN , Im­

plicazioni etiche della storiografia filosofica di Platone,

Padova 1976,

pp . 103- 129.

50 Per l'interpretazione in senso decisamente ateistico (seppur «CO­

C. FABRO , Introduzio­ ne all'ateismo moderno , vol . 2, Roma 1969 , pp . 665-775 e Io . , Introdu­ zione a Feuerbach-Marx-Engels, Materialismo dialettico e materialismo storico , B rescia 19735 ; per un recupero si vedano invece ; K . B ARTH Ludwig Feuerbach , « Zwischen den Zeiten>) , V ( 1927) , pp. 1 0-24 (tr. i t . i n Antologia , a cura d i E. Riverso , Milano 1 964 , pp . 105-1 34) ; I. MAN­ CINI, Teologia, ideologia, utopia , Brescia 1974, pp. 329-362 ; T. LA struttivo ») della sinistra hegeliana cf. gli studi di

,

37

prattutto nella versione nietzscheana, si è avuta recente­ mente ad opera della teologia della morte di Dio 52 • Per es­ sa «Dio è morto nel nostro tempo , nella nostra storia, nella nostra esistenza . L'uomo che sceglie di vivere il nostro de­ stino non può conoscere la realtà della presenza di Dio né considerare il mondo come sua creazione ; o, per lo meno , non può essere sensibile , nella sua coscienza come a livello conoscitivo , alle immagini cristiane classiche del Creatore e della creazione»53 • In altri termini , lo spazio di Dio è sta­ to vieppiù espropriato 54 dal crescere delle capacità delRoccA, La critica marxista della religione, Bologna 1985 . 51 Cf. F. NIETZSCHE , La gaia scienza , in Opere , V/2 , Milano 1967 , pp. 1 29-130. Su questo testo nietzscheano è fondamentale il saggio di M . HEIDEGGER, La sentenza di Nietzsche «Dio è morto», in Sentieri in­ terrotti, tr. it. di P. Chiodi, Firenze 1968 (rist. 1973) , pp. 191-246. 52 W. HAMILTON, La teologia della morte di Dio oggi, in TH. J . J . ALTIZER - W. HAMILTON, La teologia radicale e la morte di Dio , tr. it. , Milano 19812, pp. 37 ss. Sulla teologia della morte di Dio sono utili : P . RICCA, L a «morte di Dio»: una nuova teologia? , Torino 1967 ; B . MoN­ DIN , I teologi della morte di Dio , Torino 1968; VED METHA , Teologi senza Dio , tr. it. , Torino 1969 , VAN A. HARVEY - CH. N . BENT, Il problema di Dio nella teologia americana contemporanea , tr. it. , Bre­ scia 1970; TH . W. 0GLETREE , La controversia sulla morte di Dio , tr. it. , Brescia 1 9742 (questo testo riporta un'utile rassegna bibliografica al­ le pp . 209-220 , opera di P. Vanzan) . 53 TH. ALTIZER, La teologia e la morte di Dio , in ALTIZER-HAMIL­ TON , O . C. , pp. 1 12- 1 1 3 . 54 I l senso progressivo dell'espropriazione è ben rappresentato nel­ la filosofia analitica da questa celebre parabola di A. Flew che riprende un racconto di J. Wisdom: «Una volta due esploratori giunsero in una radura nella giungla. Nella radura crescevano molti fiori e molte er­ bacce. Uno degli esploratori dice : "Ci dev'essere un giardiniere che ha cura di questa radura". L'altro dissente : "Non c'è nessun giardiniere" . Allora alzano l e tende e organizzano turni di sorveglianza. Non si vede mai nessun giardiniere . "Ma forse si tratta di un giardiniere invisibile" . Drizzano allora un recinto di filo spinato , vi fanno passare l a corrente elettrica , perlustrano il recinto con i segugi [ . . . ] . Ma nessuno grida mai per aver ricevuto la scarica elettrica. Nessun movimento del reticolato rivela qualcuno che tenta di oltrepassarlo . I segugi non abbaiano mai .

38

l'uomo , cioè «l'uomo ha imparato a cavarsela da solo in tutte le questioni importanti senza ricorrere all'ipotesi di lavoro: Dio» 55 • In questo senso l'èra attuale è senz'altro l'era posi-cristiana 56 • Ma non vi è solo questo aspetto : se da una parte biso­ gna effettivamente registrare la «morte di Dio» , dall'altra si deve nondimeno cogliere , dialetticamente , la morte del­ la morte di Dio, cioè la risurrezione . È la pars construens della secolarizzazione. L'uomo d'oggi ha bisogno di una nuova immagine di Dio e la sta costruendo 57• Non si tratta però di un compito facile , perché occorre da un lato man­ tenere la purezza del dato di fede e dall'altro esprimerlo secondo quelle che sono le categorie proprie della cultura odierna. Dio non può apparire significativo per l'uomo d'oggi se non nella linea di quel futuro su cui si è insistito più sopra , e se non risulta in qualche modo verificabile . In questa prospettiva si comprende come il Dio «completa­ mente diverso» del passato si stia oggi trasformando nel «completamente nuovo»: Dio è colui che fa nuova ogni co­ sa . Ma perché anche questa immagine di Dio non risulti priva di senso occorre previamente che essa venga collocaEppure il credente non è ancora convinto . "C'è un giardiniere, invisi­ bile , impalpabile , insensibile alle scariche elettriche , un giardiniere che non ha odore e non fa rumore , un giardiniere che viene di nascosto per aver cura del giardino che ama" . Lo scettico alla fine dispera : "Ma che cosa rimane della tua asserzione originaria? Vuoi dirmi in che cosa il tuo giardiniere invisibile , impalpabile, eternamente sfuggente differi­ sce da un giardiniere immaginario o anche da un giardiniere inesisten­ te?"» (A. FLEW, Teologia e confutazione , in A. FLEW A. Mc. IN­ TYRE , Nuovi saggi di teologia filosofica, tr. it. , Bologna 197 1 , pp . 131-132) . 55 D . BONHOEFFER, Resistenza e resa , cit. , p. 245 . 56 Cf. G . VAHANIAN , La morte di Dio. La cultura della nostra era post-cristiana, tr. it . , Roma 1966. 57 Fondamentale per questi aspetti il saggio di E. SCHILLEBEECKX , La nuova immagine di Dio, la secolarizzazione ed il futuro dell'uomo sulla terra , in Dio, il futuro dell'uomo , tr. it. , Roma 1970, pp . 183-225 . -

39

ta m un orizzonte di discorso «mondanamente intelligi­ bile» 58• È questo il problema del significato secolare dell'evangelo 59, o , nel linguaggio di Bonhoeffer, dell' «in­ terpretazione non religiosa dei concetti biblici» 60 , proble­ ma che si traduce immediatamente in quello della verifica del cristianesimo che , se non può di certo avvenire sotto il profilo dottrinale , non può peraltro mancare sotto quello della prassi storica . La significanza è legata al contesto se­ colare , la credibilità all'impegno dei cristiani . Quarto ed ultimo dei motivi sopra indicati è la nuova prospettiva etica secondo la quale vive l'uomo d'oggi . Si tratta dell'aspetto più rilevante , che condensa in sé tutti i motivi precedenti : l'ethos attuale è diverso da quello pas­ sato. Ciò non significa soltanto che le abitudini , il costu­ me , il modo di vita è cambiato profondamente rispetto an­ che solo a qualche decennio fa , ma vuol dire pure , e più radicalmente , che è venuta meno quella che si può indica­ re come la fondazione classica dell'etica. Bruno Snell nella sua analisi sulla cultura greca e le origini del pensiero eu­ ropeo, cercando di «vedere in che forma il senso morale è divenuto consapevole nell'uomo nei diversi tempi , quali siano state le riflessioni intorno alla virtù e come l'azione morale venga fondata e resa comprensibile nelle massime morali» 61 , per quanto affermi che «troviamo relativamente 58 E. ScHILLEBEECKX , Intelligenza della fede: interpretazione e cri­ tica , ci t . , p. 41 . 59 Cf. P. M . VAN BuREN , Il significato secolare dell'evangelo , tr. it. , Torino 1969. Su Van Buren, oltre i saggi già citati alla nota n. 52 , si veda : D. ANTISERI , Dal non-senso all'invocazione. L'itinerario specula­ tivo di Pau/ M. van Buren , Brescia 1976. 60 D . BoNHOEFFER, Resistenza e resa , cìt . , pp. 258 e 263 . Si veda in proposito il notevolissimo saggio di G. EBELIN G , L '> 64 • La conclusione che emerge d a questa triplice connota­ zione del pensare teologico conferma quanto si diceva al­ l'inizio : Bonhoeffer riprende la critica della religione svol­ ta da Barth e la cala dentro la storia , di cui rivendica insi­ stentemente l'al di qua , il tempo penultimo , la terra. Solo in questo modo il cristiano recupera il senso già veterote­ stamentario della salvezza: la soteriologia diviene reale , concreta , storica. È facile intravedere in queste considera­ zioni , anche se appena accennate , un chiaro ed esplicito precorrimento di quell'attenzione al futuro che troverà ne­ gli anni successivi i suoi maggiori interpreti 65 , e che , con­ fermata da Bonhoeffer con la compromissione personale giunta fino al martirio , prelude alla teologia politica e alla teologia della rivoluzione. La critica aspra contro la reli­ gione in nome dell'assolutezza di Dio e della maturità del­ l'uomo non è per Bonhoeffer che l'inizio di un cammino di cui non è dato cogliere con esattezza i contorni , né preve­ dere gli sviluppi , ma lungo il quale è pur chiaramente ri­ chiesta la fedeltà a «due cose: pregare e operare tra gli uo­ mini secondo giustizia» 66• L'eredità trasmessa dal martire

61 Resistenza e resa , ci t. , p. 252 .

62

lvi, p . 266.

63 lvi , p. 278 .

lvi, p . 278 In filosofia : E . BLOCH , Das Prinzip Hoffn ung, Suhrkamp 1959 ; in teologia: J. MOLTMANN , Teologia della speranza , tr. it. , Brescia 19765 . Ma con essi ormai molti altri . 66 Resistenza e resa , ci t . , p. 237. 64

.

65

75

Bonhoeffer è l'esecuzione di questo compito al quale altri dopo di lui si sono accinti . In proposito si è già accennato alla teologia politica e alla teologia della rivoluzione ; è ap­ pena il caso di ricordare - in realtà se ne è implicitamente trattato .in tutte queste pagine - la teologia della secolariz­ zazione e della morte di Dio. Il prosieguo del capitolo non è però volto all' analisi di questi indirizzi , la cui fecondità consiste peraltro più nel­ l'esecuzione del compito lasciato in eredità da Barth e Bonhoeffer che in un ulteriore approfondimento teorico , ma dalla verifica del senso essenziale della critica della re­ ligione propugnata dai due di oscuri della teologia del N o­ vecento , attraverso la comparazione con uno dei capitoli più importanti della tradizione teologica , col pensiero di Tommaso d'Aquino che ancor oggi rimane punto di riferi­ mento centrale per la chiesa cattolica , di certo molto lonta­ na da un cristianesimo areligioso .

3. ToMMAso o'AouiNo E L ' «INESSENZIALITÀ» DELLA RELIGIONE

Si tratta di stabilire se quanto è emerso dall'analisi di Barth e Bonhoeffer è in continuità o in rottura rispetto alla posizione di Tommaso d'Aquino . Ossia : cristianesimo are­ ligioso contro cristianesimo religioso? Vangelo contro leg­ ge? Libertà contro istituzione? Oppure anche in Tommaso la religione è inessenziale rispetto alla fede , e la libertà del vangelo non necessariamente legata alla legge e all'istitu­ zione? In sostanza: Tommaso contro la teologia secolare , o Tommaso e la teologia secolare? Il problema è della massima attualità nella misura in cui si assiste oggi tanto ad un allargarsi del fenomeno della secolarizzazione , quanto ad un riflusso nel privato , nell'in­ timo , nel religioso . In questo contesto il richiamo a Tom­ maso d'Aquino non vuoi avere altro significato che quello 76

di un confronto diretto con il pensatore che , nel secolo for­ se più simile al nostro , il XIII , meglio dei suoi contempo­ ranei sintetizzò l'auditus Verbi con l'auditus mundi, con­ vinti che la sua pagina sia ancora straordinariamente ricca di intuizioni per l'oggi e feconda di suggestive anticipazioni per il futuro . Si tratta , quindi , in primo luogo di ripercor­ rere criticamente l'interpretazione tomista della religione , e poi , dopo averla confrontata con quanto emerso dall'a­ nalisi di Barth e Bonhoeffer, vedere se è possibile coglier­ ne un'indicazione per il nostro tempo . La trattazione di Tommaso ha buone probabilità di stupire il lettore contemporaneo in genere poco informato sui tratti specifici della religiosità medioevale e meno an­ cora sul pensiero teologico di quei secoli . Già la semplice collocazione della materia, che nella Summa theo/ogiae 61 appare all'interno del trattato sulla giustizia, non manca di sorprendere . Tommaso in effetti segue l'impostazione di Cicerone 68, ma i risultati a cui approda sopravanzano com­ pletamente sia Cicerone sia Aristotele . Dopo aver svolto nella prima secundae la morale gene­ rale , egli passa a considerare nella secunda secundae la morale particolare , la cui trattazione -è quasi interamente dedicata allo studio delle tre virtù teologali e delle quattro cardinali . L'analisi più ampia è dedicata proprio alla virtù 67 Sul tema della religione la trattazione contenuta nella Summa theologiae (11-II , qq. 80-100) costituisce non solo una sintesi , ma anche il miglior approfondimento svolto dall'Aquinate . 68 «lustitia est habitus animi, communi utilitate conservata, suam cuique tribuens dignitatem. Eius initium est ab natura profectum; deinde quaedam in consuetudinem ex utilitatis ratione venerunt; postea res et ab natura profectas et ab consuetudine probatas legum metus et religio san­ xii. Natura ius est quod non opinio genuit, sed quaedam innata vis in­ seruit, ut religionem, pietatem, gratiam vindicationem, observantiam, veritatem. Religio est quae superioris cuiusdam naturae quam divinam vocant curam caerimonìamque affert» (M . T. CICERO, De inventione, Il, c. 53) .

77

della giustizia , che viene così suddivisa : l) studio della giu­ stizia in se stessa ; 2) delle sue parti ; 3) del dono corrispon­ dente ; 4) dei precetti che la riguardano 69• La religione rientra tra le parti della giustizia, tra le virtù ad essa annes­ se , dette anche «parti potenziali» . La quaestio 80 fornisce uno status quaestionis di queste parti potenziali e conclude ad un loro elenco sistematico che vede enumerata in primo luogo proprio la virtù di religione , della quale nella quae­ stio successiva viene indicato lo schema di trattazione : 1) la religione in se stessa ; 2) i suoi atti ; 3) i vizi opposti . Della religione in se stessa Tommaso si occupa nella quaestio 81 70• Nel primo articolo, sulla base delle possibili etimologie del termine religio , egli dimostra che la virtù di religione dice propriamente ordine a Dio. Tale significato, che era peraltro già contenuto in una precedente citazione di Cicerone 71 , viene analiticamente approfondito negli ar­ ticoli successivi . Nel secondo , all'interrogativo se la reli­ gione sia una virtù , Tommaso risponde in maniera affer­ mativa ( «manifestum est quod religio virtus est») , perché essa , essendo un «reddere honorem debitum alicui, scilicet Deo», possiede quella «ratio boni» che è la condizione stessa della virtù 72 • Stabilito questo, resta ancora il problema di precisare a quale tipo di virtù appartiene la religione : se alle virtù 69 Lo schema è indicato dallo stesso Tornrnaso all'inizio del tratta­ to : 11-11, q. 57 in epigrafe . 70 Per un'analisi sistematica di questa fondamentale quaestio cf. E . HECK , Der Begriff Religio bei Thomas von Aquin , Paderbom 1971 , pp . 59-136. 7 1 Summa theol. , 11-11 , q, 80. a. l . 72 L'espressione che qui ricorre , «virtus est quae bonum facit ha­ bentem et opus eius bonum reddit» (11-11 , q. 81 , a. 2) , si ritrova sia nella 1-11 , q. 55, a . 3 , sia, pur leggermente modificata nell'espressione lettera­ le , in 11-11 , q . 58, a. 3 . Il concetto è per il vero aristotelico ; si ritrova in­ fatti nell 'Etica Nicomachea , II, 6 1 1 06 a 1 5-25 , e viene ripreso da Tom­ maso nel suo commentario In II Eth. , lect . 6.

78

teologali , intellettuali o moralF3 • Tommaso costruisce la sua risposta muovendo sempre dalla definizione di religio73 Nella Summa theologiae san Tommaso ha trattato delle virtù nella 1-11, qq . 55-67 , come specificazione degli «abiti». Egli stesso ha indicato , nell'introduzione alla q. 55, il piano del trattato , poi fedel­ mente rispettato nell'esecuzione : «Circa virtutes quinque consideranda sunt: primo, de essentia virtutis; secundo, de subiecto eius; tertio, de di­ visione virtutum; quarto, de causa virtutis; quinto, de quibusdam pro­ prietatibus virtutis» . Quanto all'essenza della virtù san Tommaso affer­ ma che «virtus est bona qualitas mentis, qua recte vivitur, qua nullus male utitur, quam Deus in nobis sine nobis operatur» (1-11, q . 55, a. 4) . L'ultima parte di questa definizione però ( «quam Deus in no bis sine nobis operatur») si riferisce solo alle virtù infuse e non a quelle acquisi­ te . Quanto alla distinzione delle virtù san Tommaso così argomenta: «Deinde considerandum est de distinctione virtutum. Et primo, quantum ad virtutes intellectuales; secundo, quantum ad mora/es; tertio, quantum ad theologicas» (q. 57 in epigrafe). Delle virtù intellettuali, distinte in intellectus, sapientia e scientia seguendo la divisione aristotelica (In VI Eth. lect. 3 ss. ) , viene detto : « Virtus intellectualis speculativa est per quam intellectus speculativus perficitur ad considerandum verum: hoc enim est bonum opus eius» (q. 57, a. 2) . Delle virtù morali si dice inve­ ce : «Non omnis virtus dicitur moralis, sed solum il/a quae est in vi appe­ titiva» (q. 58, a. 2) , infatti «sicut igitur appetitus distinguitur a ratione, ita virtus moralis distinguitur ab intellectuali» (q. 57, a. 3) , o ancora me­ glio: «Si quidem igitur sit perfectiva intellectus speculativi vel practici ad bonum hominis actum, erit virtus intellectualis: si autem si perfectiva ap­ petitivae partis, erit virtus moralis. Unde relinquitur quod omnis virtus h umana vel est intellectualis vel moralis» (q. 57 , a. 4) . E siccome «con­ venienter inter virtutes mora/es ponuntur illae dicuntur principales, seu cardinales» (q. 6 1 , a. 1 ) , Tommaso passa a enumerarle (a. 2) , e così compendia: «Dicuntur tamen principales respectu aliarum, propter prin­ cipalitatem materiae: puta quod prudentia dicatur quae praeceptiva est; iustitia, quae est circa actiones debitas inter aequales; temperantia, quae reprimit concupiscentias delectationum tactus; fortitudo, quae firmat contra pericula mortis» (a. 3) . Quanto infine alle virtù teologali , dopo aver affermato che «Oportet quod superaddantur homini divinitus aliqua principia, per quae ita ordinetur ad beatitudinem supernaturalem, sicut per principia naturalia ordinatur ad finem connaturalem, non tamen ab­ sque adiutoria divina. Et huismodi principia virtutes dicuntur theologi­ cae» (q . 62, a. l ) , così le distingue dalle virtù morali e intellettuali : «Habitus specie distinguuntur secundum formalem differentiam obiec-

79

ne : se essa è la virtù che offre a Dio il culto che gli è dovu­ to , si dovrà distinguere anzitutto ciò che si offre (il culto) , da colui al quale si offre (Dio): rispettivamente oggetto e fine della religione . Ma se Dio non è oggetto , sibbene fine della religione , allora «religio non est virtus theologica, cuius obiectum est ultimus finis: sed est virtus moralis, cuius est esse circa ea quae sunt ad finem» 74• Tommaso può argo­ mentare in questo modo perché precedentemente ha già chiarito sia che esistono virtù teologali 75 , sia che esse sono specificamente distinte da quelle intellettuali e morali . Queste ultime infatti hanno per oggetto qualcosa di com­ prensibile per la ragione umana, quelle teologali invece hanno per oggetto Dio stesso , che sorpassa la capacità del­ la conoscenza umana 76• D'altro canto però , se pure non è una virtù teologale , la religione resta comunque superiore a tutte le altre virtù morali , per il fatto di mutuare la pro­ pria bontà dal fine supremo , Dio stesso 77 • Tommaso continua la trattazione dell'essenza della re­ ligione precisando che la natura dell'uomo è tale che per appropinquarsi a Dio ha bisogno di segni , di cose materia­ li ; sicché la religione da un lato abbraccia atti interni , che sono quelli essenziali , e dall'altro atti esterni , ordinati ai primF8• La quaestio 81 si conclude con una precisazione relativa al problema della santità: viene chiarito che questa torum. Obiectum autem theologicarum virtutum est ipse Deus, qui est ul­ timus rerum finis, prout nostrae rationis cognitionem excedit. Obiectum autem virtutum intellectualium et moralìum est aliquid quod humana ra­ tione comprehendi potest. Unde virtutes theologicae specie distinguuntur a moralibus et intellectualibus» (a. 2) . 74 Summa theol. , 11-11 , q. 8 1 , a. 5 . Parallelamente si legge In Boeth. De Trin. (ed. Decker) , q . 3 , a . 2: «Religio non est virtus theolo­ gica. Habet enim per materia quasi omnes actus ve/ fidei ve/ alterius vir­ tutis, quos deo tamquam debitos affert. Sed deum habet pro fine» . 75 Summa theol. , 1-11, q . 62 , a . l . 76 Summa theol. , 1-11 , q . 62, a. 2. 77 Summa theol. , 11-11, q . 8 l a . 6 . 7 8 Summa theol. , 11-11 , q. 81 , a. 7. .

80

non si distingue sostanzialmente dalla religione , anche se possiede un significato più ampio , sì da comprendere pure altre virtù 79 • In sintesi , dall'indagine tomista dell'essenza della religione emerge che: l) la religione è una virtù ; 2) non è una virtù teologale , ma morale ; 3) è superiore a tut­ te le altre virtù morali. Con la quaestio 82 inizia la seconda parte del trattato relativo agli atti della religione 80: anzitutto quelli interni , che sono i principali , poi quelli esterni . Atti interni per Tommaso sono la devozione e la preghiera. Della devozio­ ne egli così precisa l'essenza: «Devotio nihil aliud esse vide­ tur quam voluntas quaedam prompte tradendi se ad ea quae pertinent ad Dei famulatum» 81 • La devozione è cioè la vo­ lontà di compiere ciò che riguarda il culto e il servizio di Dio: volontà che è prodotta dalla carità e che nel contem­ po eccita la carità 82 • Della preghiera Tommaso dice invece che ha la sua matrice psicologica nell'intelletto pratico , e poi , dopo averne chiarito l'essenza e giustificato razional­ mente la pratica, afferma che è un atto della virtù di reli­ gione , perché , se a questa appartiene il prestare onore e ri­ verenza a Dio , non altro è ciò che l'uomo fa pregando 83• La trattazione prosegue con un'analisi dettagliata del fine e dell'oggetto dell'orazione , quindi vengono presi in consi­ derazione il «Padre Nostro» e i diversi modi e le varie cir­ costanze della preghiera. Alla considerazione degli atti interni di religione fa se­ guito l'analisi di quelli esterni . Procedendo in maniera si­ stematica Tommaso distingue gli atti che avvengono me­ diante la partecipazione del corpo , quelli che consistono nell'offerta di beni materiali e quelli che comportano l'uso ·

79 80

81

82 83

Summa theol. , 11-11, q . 81 , a. 8 . Cf. HEcK , Der Begriff Religio, cit . , p p . 140-192. Summa theol. , 11-11 , q. 82, a. l . Summa theol. , 11-11 , q. 82, a. 2, ad 2um. Summa theol. , 11-11, q . 83, a. 3 .

81

di cose divine . Al primo gruppo appartiene l'adorazione , al secondo sia le offerte presentate a Dio dai fedeli , e cioè il sacrificio , le oblazioni , le primizie e le decime , sia i voti con i quali si fanno a Dio delle promesse ; al terzo i sacra­ menti , per i quali però l'autore rimanda alla tertia pars, e l'uso del nome di Dio tanto nel giuramento , quanto nello scongiuro e nell'invocazione . Nell'economia di questo stu­ dio non è necessario soffermarsi su ciascuna di codeste de­ terminazioni , è importante però averle presenti nel loro insieme , se si vuole comprendere qual è il vero oggetto della virtù di religione per Tommaso . Questi , dopo aver considerato la religione in se stessa e nei suoi atti interni ed esterni , dedica la terza parte del suo trattato ai «vizi opposti» . Anzitutto quelli contrari alla religione «per eccesso» , quindi quelli contrari «per difet­ to» : superstizione da una parte , irreligiosità dall'altra. Quanto alla superstizione Tommaso chiarisce che essa è un vizio per eccesso non perché offra a Dio più di ciò che gli è dovuto, il che è ovviamente impossibile , ma perché offre a chi non deve o quando non deve o come non de­ ve 84. Con la consueta precisione Tommaso distingue le specie di superstizione in base all'oggetto : da una parte il culto divino prestato al vero Dio, «modo tamen indebito»; dall'altra il culto prestato a chi non si deve , e cioè alle creature . Questo secondo genere di superstizione viene distinto a sua volta in altre specie, a seconda dei suoi di­ versi fini . All'interrogativo se nel culto del vero Dio possa esser­ ci qualcosa di condannabile , Tommaso risponde : «Si per cultum exteriorem aliquid falsum significetur, erit cultus perniciosus» . E continua: «Hoc autem contingit dupliciter. 84 «Superstitio est vitium religioni oppositum secundum excessum, non quia plus exhibeat in cultum divinum quam vera religio: sed quia exhibet cultum divinum ve[ cui non debet, vel eo modo quo non debet» (11-11 , q. 92 , a. 1 ) .

82

Uno quidem modo, ex parte rei significatae, a qua discordat significatio cultus [. . . ]. A/io modo potest contingere falsitas in exteriori cultu ex parte colentis» 85 • È importante soprat­ tutto il primo di questi due casi , la discrepanza cioè tra l'atto di culto e la realtà da esso significata, perché fa espli­ cito riferimento al problema della legge : « Tempore novae legis, peractis iam Christi mysteriis, perniciosum est uti cae­ rimoniis veteris legis, quibus Christi mysteria significaban­ tur futura» 86 • L'argomento , che è peraltro qui appena ac­ cennato , rimanda al trattato sulla legge 87 , dove viene ope­ rato invece il confronto della legge nuova con quella anti­ ca. In questo contesto Tommaso tende però ad attenuare l'opposizione dell'una legge all'altra 88, cercando di vedere la loro relazione come un rapporto di perfetto ad imperfet­ to 89 . Più radicale è invece l'interpretazione che si ritrova nei commentari biblici : a proposito di Rm 3 ,27 , in cui Pao­ lo distingue la «lex fidei» dalla «lex factorum», Tommaso scrive : «In promptu esse videtur quod per legem factorum intelligitur [ex vetus, et per legem fidei /ex nova» 90• E nel 85 Summa theol. , II-II , q . 93 , a. l . 86

lvi.

87 Summa theol, I-11, qq. 90-108.

!!l! PH . DELHAYE, La «loi nouvelle» dans l'enseignement de S. Tho­ mas, AA . VV. , San Tommaso e la filosofia del diritto oggi, Roma 1974 , pp . 73-103 , in particolare 84 ss. 89 «Lex nova comparatur ad veterem sicut perfectum ad imperfec­ tum» (I-II, q . 107 , a. 2) . 90 Super Epistolam ad Romanos lectura , cap. III , lect. 4, n. 3 1 5 . In riferimento al passo parallelo della 2 Cor 3 ,7 ss . , Tommaso scrive : «Quod autem Vetus Testamentum martis, istud vitae. Et quantum ad hoc dicit, quod si ministratio martis, id est vetus, quae est occasio mar­ tis. Et hoc respondet ei quo dicitur littera occidit, spiritus autem vivifi­ cat. Secundo quantum ad modum tradendi, quia vetus fuit tradita /itteris in tabulis lapideis, nova vero fuit impressa spiritu in cordibus carnalibus. Et hoc innuit, cum dicit litteris deformata, id est perfecte formata , in la­ pidibus, id est in tabulis lapideis. Et hoc ei respondet, quo dicitur: Non littera, sed spiritu . Tertio quantum ad perfectionem, quia gloria Veteris Testamenti sine fiducia est, quia neminem ad perfectum adduxit /ex. In

83

commento di Gal 3 , 1 1-12, sillogizzando , afferma: «lustitia est ex fide, sed lex ex fide non est; ergo lex iustificare non potest» 91 • Anche nella Summa theologiae non manca però una presa di posizione radicale in relazione alle cerimonie del culto. Tommaso , facendo propria la distinzione già di Agostino tra il tempo che precede la passione di Cristo , quello che da essa giunge sino alla divulgazione dell'evan­ gelo , e il tempo che segue questa divulgazione , afferma che in quest'ultimo tempo, e perciò anche nel presente , «legalia sunt et mortua et mortifera» 92• Tornando all'analisi diretta del trattato sulla religione si rammenti che in esso vengono considerate , dopo la su­ perstizione nel culto al vero Dio , le varie specie di super­ stizione prodotte dal culto prestato alle creature , e cioè: l'idolatria , la divinazione e le varie osservanze . Di questa parte ha importanza soprattutto l'analisi dell'idolatria che , da un punto di vista oggettivo , viene presentata come il peccato più grave 93 . L'ultima parte del trattato è dedicata ai vizi opposti al­ la virtù di religione «per difetto» , a quei vizi cioè che van­ no sotto il nome di irreligiosità . Con questo termine per il vero Tommaso intende qualcosa di diverso da ciò che la stessa parola esprime nel linguaggio contemporaneo ; egli si riferisce all'irriverenza , irriverenza verso Dio e verso le cose sante : verso Dio attraverso la tentazione di Dio e lo spergiuro , verso le cose sante con il sacrilegio e la simonia . Non è però necessario seguire Tommaso in queste analisi , Novo vero est gloria cum spe melioris gloriae, sciiicet sempiternae. fs LI , 6: Salus mea in sempiternum erit. Et hoc innuit, cum dicit quae evacua­ tur, Gal 5 ,2: Quod si circundamini , Christus nihil vobis proderit. Con­ clusio ponitus, cum dicit quomodo non magis , quod planum est» (Super secundam Epistolam ad Corinthios lectura , cap. III, lect . Il, n. 94) . 91 Super Epistolam ad Galatas lectura , cap. III, lect . 4, n. 140. 92 Summa theol. , I-Il, q. 103 , a . 4, ad 1um . Cf. anche Ad Galatas , cap . Il, lect . 3 , n . 86. 93 Summa theol. , Il-11 , q. 94 , a. 3 .

84

basti averne accennato , sì da aver presenti le linee essen­ ziali dell'intero trattato. Ciò che invece diviene determinante ai fini della pre­ sente ricerca è lo studio della relazione che Tommaso sta­ bilisce tra la religione e la fede da una parte , e le virtù mo­ rali e teologali dall'altra. È in questa prospettiva che si co­ glie la fecondità dell'analisi tomista , e insieme la possibili­ tà di un suo raffronto con le prospettive già indicate di Barth e Bonhoeffer. Due sono i punti di cardine da tenere ben saldi : l ) la religione è una virtù morale , e precisamen­ te una parte potenziale della giustizia ; 2 ) le virtù morali so­ no irriducibili a quelle teologali. Quanto al primo punto si sono già ricordate le affermazioni esplicite di Tommaso , quanto al secondo va rammentato che egli ritiene supe­ riore quella virtù che ha l'oggetto più alto 94 , di modo che resta determinata la priorità della fede rispetto alla reli­ gmne. È interessante osservare che il terreno dal quale nasce questa affermazione della priorità della fede è l'evangeli­ smo e il profetismo del XIII secolo . Nell'arco di quegli an­ ni , in cui si è verificato un cambiamento radicale del modo di pensare e di vivere , cambiamento del quale Tommaso è insieme artefice e testimone , si assiste ad un risveglio evangelico di straordinarie proporzioni . Ne sono investite la letteratura e l'arte non meno dell'intero sistema sociale e delle stesse strutture ecclesiastiche, ma il tutto si ricom­ pone ad unità proprio nella riscoperta della fede che è la vera molla di creatività di questo sorprendente processo. Non si tratta né di «restauratio , né di «reformatio» , ma di autentico ritorno alle sorgenti dell'evangelo. In questo contesto, che vede entrare nella società e nella chiesa la di­ mensione orizzontale , l'abolizione della rottura tra le arti speculative e tecniche , e la dignità del lavoro , è ancor più istruttiva la lezione di Tommaso che colloca la religione tra 94 Summa theol. , 1-11 , q. 66,

a.

3.

85

le parti potenziali della giustizia invece che ricondurre tut­ to ad essa. Ciò che resta saldo è la priorità assoluta dell'e­ vangelo , il resto reclama e ottiene una doverosa autono­ mia 95 • Da ciò emerge che la relazione istituita da Tomma­ so tra fede e religione va riletta nel più ampio contesto del rapporto tra la fe cie e la cultura. Anzi , si deve addirittura affermare che , essendo l'acculturazione della fede il pro­ blema al quale l' Aquinante si è totalmente dedicato nella sua vita , la discriminante per stabilire la relazione fede-re­ ligione sta nella differenza tra la cultura e la religione . E tale differenza è facilmente deducibile dalla specifica deli­ mitazione della «religio» all'interno della giustizia , come quella parte che riguarda i doveri verso Dio . Ben altro è invece il significato di cultura: un'idea concreta dell'am­ piezza che Tommaso attribuisce ad essa si può cogliere an­ che dalla semplice scorsa della straordinaria molteplicità di argomenti affrontati nella Summa theologiae. Intanto però si può già affermare che il problema di vivere la propria fe­ de non si risolve per Tommaso all'interno della religione , ma coinvolge tutte quelle dimensioni nelle quali l'intelli­ genza dell'uomo si esprime , e quindi la cultura nella sua accezione antropologica . Resta vero che Tommaso man­ tiene comunque un posto essenziale alla religione , giacché la considera la maggiore tra le virtù morali , ma è fuori di dubbio che la fede non è riducibile ad essa . Se per Tommaso il problema vero è l'incarnazione del­ la fede nel proprio tempo , bisogna verificare a quali condi95 Su san Tommaso e le profonde trasformazioni del XIII secolo si vedano soprattutto le opere di M. D. CHENU , Introduzione allo studio di S. Tommaso d'Aquino , tr. it . , Firenze 1953 , 1 1 -65 e San Tommaso d'Aquino e la teologia, tr. it . , Torino 1977 . Molto di quanto segue l'au­ tore lo deve alle lezioni tenute a Napoli dall'8 al 18 aprile del 1975 da M. D. Chenu , presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridio­ nale (sezione «San Tommaso d'Aquino») , in qualità di professore in­ vitato , sul tema «San Tommaso testimone del Vangelo in un mondo che muta» .

86

zioni si rende possibile tale incarnazione , e quale ne è il criterio di autenticità. Così sollecitato il testo tomistico è provocato ad una risposta essenziale e significativa , lonta­ na dagli schematismi propri del trattato . Ne emerge una straordinaria pregnanza prolettica e insieme una suggesti­ va capacità di incontro con le istanze più vive e feconde del Novecento. Nel medesimo contesto va collocato il re­ cupero del concetto di praxis. La stessa teologia viene rico­ nosciuta ad un tempo speculativa e pratica 96 : pratica è l'a­ zione in quanto tale , e l'azione è piena di intelligenza . Non viene più colto solo l'homo sapiens , ma anche l'homo arti­ fex: il lavoro assurge a nuova dignità. Il dinamismo interiore di questo rinnovamento genera­ le sta anzitutto nel primato della parola di Dio : si passa da una esegesi spiritualistica ad un'esegesi letterale della Bib­ bia , che resta sempre il testo principale della scuola di teo­ logia, e insieme il punto di riferimento del risveglio evan­ gelico. Tommaso è anch'egli magister in sacra pagina, e dedica parte del suo insegnamento alla spiegazione della Scrittura , nella quale , pur riconoscendo la presenza dei quattro sensi - letterale , allegorico , morale , anagogico ritiene che il fondamentale sia quello letterale , ossia stori­ co e razionale 97• La fedeltà alla lettera dell'evangelo si tra­ sforma in Tommaso nel primato del profetismo , cioè nel discernimento dei segni dei tempi , nel cui contesto va col­ locata la stessa analisi della relazione di fede e religione , con l'affermazione della priorità della fede . Ma priorità della fede significa che il culto non è più la regola , e che la «lex nova» è la «lex libertatis» : è il servo che «agit propter timorem /egis» 98, l'uomo libero non agisce per obbligazioSumma theol. , I, q. l , a. 5 . Summa theol. , I , q . l . a . 1 0, ad 1 um. 98 «Si consideretur actus voluntatis ut inclinatae in apparens bonum, libere agit quum sequitur passionem aut habitum corruptum, servi/iter autem agit si, tali voluntate manente, propter timorem legis in contra96

97

87

ne e autorità. È il primato della coscienza , anche se erro­ nea, sulla legge , e della libertà sull'autorità: autentica con­ testazione del potere . Con tutto questo agiscono in maniera determinante i segni della povertà e della fraternità . La povertà è l'ele­ mento più tipico e visibile del risveglio evangelico , l'esem­ pio è Cristo stesso che volle essere povero «primo quidem, quia hoc erat congruum praedicationis officio . . . Secundo quia, sicut mortem corporalem assumpsit ut novis vitam largiretur, ita corporalem paupertatem sustinuit ut nobis spirituales divitias largiretur. . . Tertio ne, si divitias haberet, cupiditati eius praedicatio adscriberetur . . . Quarto, ut tanto maior virtus divinitatis eius ostenderetur, quanto per pau­ pertatem videbatur abiectior» 99• I «pauperes Christi» rifiu­ tano il sistema dei benefici tipico del regime feudale su cui si basa la chiesa medievale , allo stesso modo di come oggi il rinnovamento cristiano si oppone al capitalismo col qua­ le la chiesa è compromessa . Storicamente la povertà è sta­ ta sempre un elemento rivoluzionario, cioè sospetta al po­ tere costituito , perché ne contesta l'azione . La virtù evan­ gelica trova vigore non nel potere , ma nella testimonianza: l'efficacia del vangelo inizia in una situazione di debolezza , quando i poveri trovano la speranza di vivere meglio . D 'altro canto è questa medesima trasformazione eco­ nomica a provocare la fraternità. Non più semplice rela­ zione di persona a persona, ma un entrare nella comunità , che è per sua essenza un regime democratico , in cui è po­ sto in rilievo il primato del bene comune sul bene privato . «Bonum universi est maius quam bonum particulare unius» 100, perché ha per fine il «bonum humanum» 101 • È la realizzazione di un'autentica vita apostolica . Il luogo del rium positae abstinet ab eo quod vult>> (Contra Gentiles , IV, cap. 22) . 99 Summa theol. III , q . 40, a. 3. 100 Summa theol. , I-II, q . 1 1 3 , a. 9, ad 2um . 101 In I Eth. , Iect . 2, n. 29 .

88

cristiano non è più la chiesa o il chiostro , ma il mondo ; e per converso il vangelo non è più prerogativa del clero ma del cristiano in quanto cristiano , e dunque , per la prima volta, anche del laico. In Tommaso la mediazione di fede e cultura è una rinnovata comprensione della vita apostolica pratica: theologia e praxis, dove la prassi sta ad indicare il terreno di fecondità della teologia. Tutti questi dinamismi - parola di Dio, profetismo , /ex nova , povertà , fraternità, vita apostolica - offrono un'idea delle enormi dimensioni del processo di acculturazione della fede , alla luce del quale si può ormai rispondere al­ l'interrogativo centrale del presente capitolo: in Tommaso l'acculturazione della fede si identifica o meno con la reli­ gio? E , in ogni caso , la religio è un'autentica acculturazio­ ne della fede o no? La risposta è già stata in parte guadagnata con la posi­ zione della differenza che Tommaso stabilisce tra la reli­ gione e la cultura . La fede ha come suo luogo di fecondità l'intero orizzonte della cultura , e la cultura è da Tommaso intesa nella più ampia accezione del termine ; la religio in­ vece occupa il ristretto ambito dei doveri dell'uomo verso Dio. A questa considerazione si può ora aggiungere con sorpresa che nessuno dei dinamismi interiori del processo di incarnazione della fede rientra nella religio: non il pri­ mato della parola di Dio , non il profetismo , non la /ex no­ va , non la povertà , non la fraternità , non la vita apostoli­ ca, e neppure la centralità della figura di Cristo . Se l'essere cristiano coinvolge l'uomo nella sua interezza, in tutte le forme attraverso le quali egli si coltiva, cioè a dire l'intera cultura; e se d'altro canto la religione abbraccia solo una porzione limitata di tale ambito , non pare azzardato affer­ mare che per Tommaso la religio non solo non si identifica con la fede , ma neppure con l'acculturazione della fede . Essa si specifica come un atto di giustizia dell'uomo nei confronti di Dio , ossia come un'espressione particolare della fede dell'uomo . Che poi Tommaso la ritenga un'e89

spressione importante lo si è già visto , come si è già visto anche in quali casi essa è autentica e in quali no , allorché , nell'analisi del trattato , si sono considerati i suoi atti e i vi­ zi opposti , ma resta fuori di dubbio che essa è per essenza un atto umano di giustizia e non altro. Volervi ricondurre tutta l'esperienza cristiana è dunque un travisamento tota­ le del pensiero di Tommaso . Resta ancora da verificare se Tommaso abbia inteso la religione come un'espressione necessaria del cristianesi­ mo , oppure no. La risposta non può essere affrettata per la ragione che nel XIII secolo tale problema non era posto e Tommaso non ne tratta direttamente . Un'indicazione preziosa è comunque la già menzionata distinzione tra gli atti interni e gli atti esterni della religione . Che i primi devozione e preghiera - siano necessari , pare fuori discus­ sione . Infatti «causa devotionis extrinseca et principalis Deus est. . . Causa autem intrinseca ex parte nostra, oportet quod sit meditatio, seu contemplatio» 102 , e parimenti: «Causa autem orationis est desiderium caritatis, ex quo pro­ cedere debet oratio. Quod quidem in nobis debet esse conti­ nuum ve/ actu ve/ virtute» 103 • Più complesso è il problema a proposito degli atti esterni ; dall'analisi di ciascuno dei qua­ li pare però di poter affermare che Tommaso non ne sotto­ linei la necessità , ma la convenienza secondo l'uso del tem­ po . Così, ad esempio , del sacrificio egli sostiene l'obbliga­ torietà solo se è inteso nel suo significato interiore , non in­ vece se inteso nelle sue determinazioni specifiche 1 04 ; delle ablazioni dice che sono per loro natura spontanee 105 , e lo stesso le primizie 106; non diversamente dei precetti cerimo­ niali e giudiziali dell'antica legge sostiene che «caerimonia102 Summa theol. , 11-11, q. 103 Summa theol. , 11-11 , q. 1 04 Summa theol. , 11-11, q . 105 Summa theol. , 11-11, q. 1 06 Summa theol. , 11-11 , q.

90

82 , a. 3 . 83 , a. 1 4 . 85 , a . 4 . 86, a. l . 86 , a. 4, ad 3um .

Zia illicitum est observare tempore legis novae: iudicialia ve­ ro, etsi non obbligent tempore gratiae, tamen possunt ob­ servari absque peccato» 1 07• Su tale base si può concludere che per Tommaso il culto esterno della religione , pur re­ stando importante e storicamente opportuno , è inessenzia­ le , essenziale essendo solo la disposizione interiore dell'a­ nimo umano.

A questo punto la solidarietà preannunciata all'inizio del capitolo tra Tommaso e quelle forme della teologia contemporanea che criticano anche radicalmente la reli­ gione , comincia a delinearsi nel suo significato . Si è visto che per Tommaso la religione è una virtù morale , e in quanto tale irriducibile alle virtù teologali : donde l'essen­ zialità della distinzione di fede e religione nella sua teolo­ gia. È pure emerso che egli non intende la religione come l'acculturazione simpliciter della fede , né come l'unico tra­ mite di tale acculturazione . In questo senso è risultata de­ terminante la distinzione tra religione e cultura . Da ultimo si è visto che la religione è essenziale solo nel suo aspetto interiore , non invece in quanto culto esteriore . Ebbene , la vicinanza di queste tesi con quelle di Barth e Bonhoeffer non è marginale . Come si è accennato nella prima parte , Barth distin­ gue la religione come estrema possibilità dell'uomo , la quale è ad un tempo ribellione a Dio e critica radicale del­ l'intera cultura , dalla religione come teofania di Dio. Ne­ gativa la prima, positiva la seconda . Analoga si è vista es­ sere la posizione di Bonhoeffer , il quale va però oltre Barth perché non solo contesta la religione umana in nome dell'apriori divino , ma la contesta anche e soprattutto in nome del mondo diventato adulto , e pone concretamente il problema dell'interpretazione non religiosa del cristiane­ simo , di Cristo e della Chiesa. 107 Summa theo/. , 11-11, q. 87 , a.

l. 91

Orbene , Barth e Bonhoeffer, nella loro diversità , han­ no compiuto nel nostro secolo un'operazione analoga a quella svolta da san Tommaso nel XIII secolo. La loro ri­ vendicazione di una religione autentica , in senso forte , che sia non un prodotto umano, ma rivelazione divina , non è nell'essenza diversa dalla priorità della fede sulla religione fatta valere da Tommaso . La distinzione tomista di fede e religione , delimitando la religione ad un ambito specifico e ristretto , è in realtà una forma non astiosa e polemica , ma non per questo meno radicale di critica della religione : cri­ tica della religione come «rigorosa delimitazione». In que­ sto senso forse neppure la teologia contemporanea è stata altrettanto radicale ; anch'essa infatti , se pure per criticar­ la, ha attribuito , diversamente da Tommaso , uno spazio considerevole alla religione. Dal punto di vista teoretico dunque non vi sono diffe­ renze essenziali tra la posizione di Tommaso e quelle di Barth e Bonhoeffer, perché dire che la religione è la mas­ sima tra le virtù morali , quando queste si sono accurata­ mente distinte da quelle teologali , o che la religione è l'e­ strema possibilità umana, quando l'umano è rinchiuso in se stesso e visto nel suo limite è sostanzialmente la stessa cosa. La differenza nasce più a monte , allorché l'umano viene concepito come preclusione assoluta ad ogni possibi­ lità vera di salvezza , o all'opposto come reale collaborato­ re in siffatto processo. La differenza in questo senso tra Tommaso e Barth resta , minore pare invece la distanza tra Tommaso e l'ultimo Bonhoeffer , per il quale l'uomo non è solo un problema ma anche una possibilità . Si può asserire che per questo aspetto Tommaso d'Aquino è più vicino a Bonhoeffer di quanto non lo sia Barth , o per converso che Bonhoeffer è più vicino a Tommaso d'Aquino che a Barth . In effetti Tommaso , facendo entrare la prassi nella teologia, sottolineando il primato della carità e afferman­ do l'autonomia della legge naturale , ha rivendicato , nei li­ miti del suo tempo , i diritti dell'uomo diventato adulto . 92

Ma tutto questo ha ancora semplicemente un valore stori­ co, dove invece emerge la pregnanza prolettica dell'opera tomistica è nell'indicazione dei criteri per portare a compi­ mento la missione !asciataci direttamente in eredità da Bonhoeffer: l'interpretazione non religiosa dei concetti bi­ blici . Tali criteri sono dati da quelli che più sopra si sono indicati come i dinamismi interiori del processo di accultu­ razione della fede , che sono risultati dinamismi «non reli­ giosi», e dunque bonhoefferianamente «mondani» . Per tutto questo si deve parlare di solidarietà tra Tom­ maso e la teologia contemporanea. Ma questa solidarietà non costituisce solo l'acquisizione di un parametro storio­ grafico più corretto, si tratta soprattutto di una nuova luce per mediare oggi , con altrettanto coraggio , la fede nel mondo secolare . Da un lato dunque la teologia contem­ poranea stimola con forza a ricercare una nuova significa­ tività al cristianesimo fuori dagli stereotipati schemi della religione istituzionale , dall' altro Tommaso , con sommo equilibrio , delimita accuratamente la religione nel suo ambito , e indica al di fuori di essa i luoghi e i dinamismi di acculturazione della fede . Non che Tommaso sia la rispo­ sta alla teologia contemporanea , ma un'indicazione prezio­ sa senz'altro .

93

p ARTE SECONDA

SPAZI O E FONDAMENTO DELLA FEDE

III POSSIBILITÀ E FONDAMENTO DELLA FEDE : K. BARTH ED E . SEVERINO

Quale incidenza ha la fede nel mondo di oggi? Per l'uomo abituato alla precisione scientifica ed esigente di ri­ gore logico conserva essa ancora un senso e uno spazio? In modo più radicale , Dio è davvero morto e resta morto , se­ condo l'annuncio di Nietzsche 1 , oppure ai limiti del lin­ guaggio si aprono orizzonti inediti? 2• L'8 giugno del ' 44 Dietrich Bonhoeffer in carcere scriveva che «l'uomo ha imparato a cavarsela da solo in tutte le questioni importan­ ti , senza ricorrere all'ipotesi di lavoro: Dio» 3, e aggiunge­ va che questo è il risultato di un movimento di autonomia iniziato sin nel XIII secolo. Tale movimento è stato recen­ temente indicato come la «conseguenza naturale della sco­ perta e del progressivo estendersi dell'orizzonte della co­ noscenza razionale» 4, le cui radici affondano fino al tempo in cui il verticalismo della teologia agostiniana è stato af­ fiancato da nuovi rapporti-orizzontali ; successivamente la «natura pura» del Bellarmino e soprattutto la Riforma hanno ulteriormente favorito questo processo che è sfocia­ to in maniera coerente nel sistema kantiano 5• Ma l'esito odierno della secolarizzazione è proprio che 1 F. NIETZSCHE , La gaia scienza , n. 125 , in Opere , V/2, Milano 1967 , pp . 129-130. 2 È la tesi ad esempio di P. M . VAN BuREN , Alle frontiere de/ lin­ guaggio , tr. it. di D. Antiseri, Roma 1977. 3 D . BoNHOEFFER, Resistenza e resa , tr. it. , Milano 1969, p. 245 . 4 E. ScHILLEBEECKX, Secolarizzazione e fede cristiana , in Dio, il futuro dell'uomo , tr. it. Roma 1970, p. 6 1 . 5 lvi, pp . 62-67.

97

«la fede nel senso biblico è morta» 6, e dunque noi siamo dei post-cristiani, oppure quel tanto di religiosità e di fede che hanno sempre continuato ad apparire , insieme al ri­ sveglio del religioso cui pure oggi si assiste 7 , non costitui­ scono il canto del cigno della religiosità morente ma i pro­ dromi di una nuova cristianità? È ancora Bonhoeffer ad indicarci i termini della situazione storica del cristianesi­ mo : «> (ivi, p. 100) . 79 «Il dovere è i l principio d i non contraddizione visto i n relazione alla possibilità di contraddirsi ; ossia la proposizione: "non ci si deve contraddire" (''non si deve stare nella contraddizione") non è altro che la proposizione : "l'essere è incontraddittorio" (che è appunto il princi­ pio di non contraddizione) considerata in relazione alla possibilità che l'essere venga riguardato come contraddittorio» (ivi, p. 1 10) . 78

122

realizza come situazione problematica , ossia come situa­ zione in cui la ragione non sa se la verità si realizzi assol­ vendo quanto indica l'imperativo che il dovere esprime . Per usare l'esempio di Severino , si può dire che , se è pro­ blematico l'amare , nel senso che non si sa se si esce dalla contraddizione amando , lo è pure il non amare , giacché l'accertamento della verità o falsità dell'uno dei contrad­ dittori è contemporaneamente accertamento della falsità o verità dell'altro . Ma allora questo significa che se il dovere è problema, sempre per restare all'esempio di Severino , si è nella fede sia amando sia non amando, e cioè si è neces­ sariamente nella fede. Non è possibile per l'uomo non prendere posizione rispetto alla problematicità del dovere : lo stesso non voler prendere posizione è scegliere «pratica­ mente» di non assolvere quanto il dovere comanda. Il do­ vere si presenta come problema, e cioè come situazione teoreticamente indecidibile , la quale però non può non es­ sere praticamente risolta . Tre sembrano i risultati finora emersi da questa inte­ ressante analisi di Severino: primo , se la verità è nel pro­ blema , la verità è necessariamente nella fede ; secondo , se è contraddittorio l'«aver fede» , non è di per sé contraddit­ torio l' «essere nella fede» ( che è peraltro una necessità ) ; terzo , in quanto la verità è nel problema , e il problema non può non essere risolto praticamente , la verità è neces­ sariamente nella prassi 80• Questi risultati non sono però definitivi , perché , dice Severino , esiste anche un caso , e un caso rilevante , in cui la fede non prescrive soltanto un comportamento pratico , ma anche un credere , e quindi si pone non o non solo co­ me un dover agire , ma pure come un dover credere . Stan­ do a quanto visto precedentemente , il nuovo caso prospet­ tato parrebbe di facile soluzione , giacché, se l'aver fede vuol dire essere in contraddizione , far diventare l'aver fe80

lvi,

pp.

109-121 .

1 23

de un dovere è immediatamente autocontraddittorio. Ma secondo Severino questa conclusione non è corretta , per­ ché trascura la «quantificazione» della contraddizione . È questa una proprietà essenziale dell'essere in contraddizio­ ne e consiste nella maggiore o minore implicazione di as­ serti contraddittori da parte di due asserti autocontraddit­ tori preliminarmente considerati . Ora , il dover credere , e cioè l'aver fede , non è immediatamente autocontradditto­ rio, se , dice Severino , assume questo significato : «L'aver fede (l'avere una certa fede) è un dovere , nel senso che la contraddizione , dalla quale ci si libera entrando in quella certa contraddizione in cui consiste l'aver fede , è maggiore della contraddizione da cui ci si libera evitando di aver fe­ de» 81 • L'aver fede non è pertanto sospensione della pro­ blematicità del credere 82 , ma è determinazione del modo di essere nella fede , in cui , come si è già visto , non si può non essere . La differenza tra l'essere nella fede avendo una certa o una cert'altra fede , oppure non avendo fede , sta allora nel diverso atteggiamento nei confronti della ve­ rità: chi sceglie di stare nella verità senza aver fede , opera una scelta prudenziale ; chi invece sceglie di aver fede , fa una scelta temeraria . Tra prudenza e rischio non vi è origi­ nariamente alcuna preferenza . Severino dedica l'ultima parte della sua indagine ad esaminare il caso del rischio. Muovendo dalla considera­ zione che la prassi distrae dalla verità 83 , e che pur tuttavia 81

lvi, p. 125 .

82 Il che significa che «in quanto ho fede nel paradigma, ho anche

fede che lo sviluppo della verità non potrà mai trovarsi in contraddizio­ ne con la mia fede ; ma in quanto mi pongo dal punto di vista della struttura originaria della verità , non posso escludere che lo sviluppo del sapere originario si determini in modo da rilevare la falsità del paradig­ ma - o della negazione del paradigma - cioè il suo trovarsi in contrad­ dizione con la verità: ho fede che ciò non avverrà mai, ma non posso escludere veritativamente che ciò possa avvenire)) (ivi, p. 135) . 83 «Se faccio riposare la mia mente , se mi occupo dei miei familia-

124

si tratta di una distrazione di fatto e non di diritto , egli mo­ stra che non è immediatamente autocontraddittorio il pro­ getto che la rinuncia alla verità sia la salvezza della verità. «Ciò significa , scrive Severino , che la verità può essere sa­ crificata e perduta solo nel tempo , che cioè la rinuncia alla verità non può essere che provvisoria . E cioè il progetto che per salvare la verità sia necessario perderla (perderla con quel rendere operante la fede , che provoca l'oblio del­ la verità) , tale progetto non è immediatamente autocon­ traddittorio solo in quanto la rinuncia alla verità sia intesa come provvisoria, e cioè come mezzo per la realizzazione integrale della verità» 84 • Si tratta pertanto di un rischio , ma in esso può essere nascosta la vera sapienza . «Nell'eco­ nomia di questo progetto , il non volersi distaccare dalla verità originaria è soltanto sapientia huius mundi, che è stultitia apud Deum» 85• b) La possibilità del Sacro Ma a quali condizioni la possibilità della salvezza può essere deferita al Sacro? O, in termini più propriamente severiniani , come può il Sacro costituire la salvezza della verità? Dell'argomento Severino si è interessato soprattut­ to nel saggio Il sentiero del Giorno 86, in cui egli , muovendo dalla considerazione che l'umanità si è di fatto incontrata col Sacro , ma che questo incontro è avvenuto lungo il senri , se mi interesso alle svariate cose e vicende del mondo che mi circon­ da, se cioè in generale, ho cura del mondo , non sono capace di avere nello stesso tempo cura della verità ; se invece ho cura della verità, è ben difficile che riesca insieme ad aver cura del mondo» ( ivi, p . 140) . 84 lvi, p. 147. 85 lvi, p. 148. 86 E . SEVERINO, Il sentiero del Giorno , «Giornale critico della filo­ sofia italiana» , 1967 , pp. 12-65 , ora in Essenza del nichilismo, Milano 1982 ( 1 " ed . 1972) , pp. 145-193 (da cui si cita) . Cf. in proposito : T. L A RoccA , Il sacro in Emanuele Severino, «Rivista di teologia morale» , n . 48 (1980) , p p . 626-637 .

1 25

tiero della Notte , ossia nel segno della non verità, scrive che «lungo il sentiero del Giorno può ripetersi l'incontro col Sacro» 87• Questa affermazione prende senso allorché si pone mente al fatto che nel linguaggio di Severino il «sen­ tiero del Giorno» indica l'orizzonte della verità . La frase dtata significa allora che nell'ambito della verità , non in quello della fede , è possibile che avvenga il vero incontro dell'umanità col Sacro . Il che presuppone sempre il motivo di fondo del pensiero severiniano, che la verità deve essere salvata, e lo deve perché essa è contraddizione 88• Ora, lungo il sentiero del Giorno, «l'accettazione del Sacro può essere la chiave che conduce al massimo disvela­ mento dell'essere consentito alla verità [ . . . ] . Ma l'accetta­ zione del Sacro può anche portare il deserto , l'occultamen­ to più profondo dell'essere»89• Il Sacro è cioè una possibili­ tà e proprio in quanto tale contemporaneamente la possi­ bilità dell'impossibilità. Ma l'incontro col Sacro non è solo una possibilità del sentiero del Giorno , esso «già avviene nell'atto in cui il pensiero invita l'Occidente a ritornare sui propri passi , al bivio» 90• Questo vuol dire che non si può identificare l'incontro storicamente avvenuto dell'umanità col Sacro , e cioè l'incontro avvenuto lungo il sentiero della Notte (della non verità) , col rapporto al Sacro del pensiero aurorale (della verità) . Anche questo è semplicemente un 87 lvi, p. 157.

88 Si comprende questo , oltre che in relazione a quanto già visto nel paragrafo precedente , considerando il fatto che la parte appare iso­ lata dal tutto , e che il tutto non appare nella sua pienezza. O ra , il non apparire totalmente del tutto è l'apparire soltanto della forma del tutto e non della sua compiuta ricchezza. La contraddizione è provocata dal fatto che il tutto non appare nella sua integralità , e pur resta significan­ te come il tutto . Cf. Il sentiero del Giorno , pp. 167-168 , ed E. SEVERI­ NO, La terra e l'essenza dell'uomo , «Giornale critico della filosofia ita­ liana» 1968 , ora in Essenza del nichilismo, ci t. , pp. 201 , 204-205 . 89 Il sentiero del Giorno , cit. , p. 168 . 90 lvi, pp. 157 e 168 .

126

risolvimento pratico del problema , ma è insieme la prepa­ razione del luogo in cui il Sacro dovrà essere accettato o ri­ fiutato . Il problema della salvezza è anzitutto la salvezza della verità , sicché il Sacro si costituisce come questa possibilità (ma sempre anche come la possibilità dell'impossibilità) e quindi come problema autentico nella misura in cui è la verità a rapportarsi ad esso . Se la verità è essenzialmente il superamento della contraddizione , il rapportarsi della verità al Sacro è concepibile solo in quanto la verità vede in esso la probabilità di un maggior disvelamento dell'esse­ re . Ma , di nuovo , la verità non può negare l'altra possibili­ tà, che il Sacro non conduca a quel maggior disvelamento. È questa , come si è visto nel paragrafo precedente , la struttura teoretica del problema. Supporre che il Sacro conduca al maggior disvelamento dell'essere consentito dalla verità significa pensare «la possibilità di un nesso , tra il Sacro e la verità, tale che la negazione dell'esistenza di ciò che è annunciato dal Sacro implichi necessariamente la negazione della verità» 91 • Ma questo , ancora una volta, non vuoi dire vedere la fondatezza di quel nesso, sibbene risolvere praticamente il problema sulla base delle acquisi­ zioni attuali . Sia l'accettazione quanto il rifiuto del Sacro da parte della verità è cioè un fatto privo di fondamento , ma un fatto necessario , nel senso che non si può non pren­ dere posizione nei suoi confronti. L'accettazione del Sacro è la possibilità che la verità «si liberi dal peso totale delle contraddizioni da cui le è consentito liberarsi , passando at­ traverso il venerdì santo della contraddizione dell'aver fe­ de» 92. L'aver fede infatti è ad un tempo certezza e dubbio. Dicendo questo Severino non sostiene che la contraddizio­ ne salva la verità , e cioè che la verità è salvata dalla con­ traddizione in cui consiste l'aver fede , il che sarebbe ov91 92

lvi, lvi,

p. p.

170. 170.

127

viamente assurdo , bensì attribuisce questa possibilità di salvezza a quel contenuto che l'accettazione del Sacro por­ ta nell'apparire . Ora , se «il Sacro dice che Dio è vissuto tra gli uomini» , e che «omnia per ipsum facta sunt» 93, quanto esso annuncia è un vero problema, e quindi un'au­ tentica possibilità di salvezza , soltanto se è interpretato se­ condo la verità dell'essere . Nella lingua del Giorno il facta sunt non è il nichilistico concetto di creazione , ma significa «l'apparire di tutte le cose che appaiono : [ . . . ] il mantenersi e il trarsi fuori dal loro nascondimento» 94 ; la creazione è cioè la «teofania» dell'essere 95 • Così interpretato il facta sunt è il problema della libertà dell'apparire ; e dunque il Sacro è autentico problema per la verità. Allo stesso modo l'annuncio che Dio si è fatto uomo tra gli uomini non signi­ fica semplicemente che Dio ha abitato tra gli uomini , giac­ ché la verità sa che da sempre nell'uomo Dio si manifesta, ma «allude ad un soggiorno eccezionale , ad una diversa sintesi dell'umano e del divino» 96, e cioè a qualcosa che non essendo la verità attualmente in grado di confermare o smentire costituisce per essa un problema. La "parola di Dio" ha dunque in sé la possibilità di diventare problema solo se viene interpretata alla luce della verità dell'essere . Fuori di questo ascolto essa non è che il perpetrarsi di un'ennesima forma di alienazione , e quindi è impossibile che essa salvi. «Ma se la verità gli fa parlare la lingua del Giorno , allora il Sacro dice cose che la verità ignora» 97, e in questo annuncio può essere affidato il senso della sal­ vezza.

lvi, p . 161 . lvi, p . 164. 95 «L'apparire attuale dell'essere è teofania; e la parola "creazio­ ne" pronunciata nella lingua del Giorno, significa teofania» (ivi, p. 164) . 96 lvi, p. 166. 9 7 lvi, p. 160. 93 94

128

c) Fede e ragione (il fideismo della chiesa) L'impostazione generale della filosofia di Severino, che fino al '70 è stato professore all'Università cattolica di Milano , ha provocato una presa di posizione da parte di talune autorità della chiesa cattolica. Ad esse Severino ha risposto in un ampio saggio dal titolo Risposta alla chie­ sa 98 , in cui egli svolge tra l'altro una stringente analisi del rapporto fede-ragione . Lo stesso tema viene ripreso anche discutendo con G . Bontadini nello scritto La fede, il dub­ bio 99, e anche in Tèchne. Le radici della violenza 1 00 • Severino inizia osservando che la chiesa cattolica ha sempre sostenuto che fede e ragione sono unite e conver­ genti. L'impostazione è quella tomista: se fede e ragione godono entrambe della verità, non possono essere in con­ traddizione: il contrario del vero è solo il falso . Pertanto , qualora la ricerca umana risultasse in contrasto con la fe­ de , vuoi dire che la ragione è in errore per «difetto di ra­ gione» 101 • D'altra parte è però in dubitabile che la verità del contenuto della fede cristiana può essere affermata so­ lo in base ad un atto di fede . Ma «tutto ciò , dice Severino , 98 E . SEVERINO, Risposta alla chiesa, «Giornale critico della filoso­ fia italiana» , 197 1 , ora in Essenza del nichilismo , cit . , pp . 317-387. Si veda in proposito G. BoNTADINI , Fuochi incrociati sopra la chiesa, «Giornale critico della filosofia italiana», 1973 , pp. 121-130. Recente­ mente è apparso in ristampa anche il saggio di C. Fabro col quale so­ prattutto Severino discute nella sua Risposta alla chiesa. Cf. C. FABRO, L'alienazione dell'Occidente (Osservazioni sul pensiero di Emanuele Se­ verino) , «RenovatiO>> , 15 (1980) , pp. 170-230, 329-371 , 489-543 ; e in volume presso l'editrice Quadrivium , Genova 1981 . 99 E . SEVERINO , La fede, il dubbio , in AA . VV. , Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadini, Milano 1975 , vol . Il , pp. 500-521 , ora in E . SEVERINO , Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecni­ ca , Roma 1978 , pp. 152- 172 (da cui si cita) . 1 00 E . SEVERINO, Téchne. Le radici della violenza , Milano 1979 , pp . 97- 100 e 221 -227. 101 E. SEVERINO, Risposta alla chiesa , ci t. , pp . 327 ss.

129

significa che l'intera concezione tom1st1ca del rapporto fede-ragione - e quindi la posizione ufficiale della chiesa , relativa a questo rapporto è effettuata dal punto di vista della fede» 102: cosa questa che né Tommaso né la chiesa hanno mai riconosciuto , pur essendo chiaramente implicita nella loro impostazione del problema. Per essi infatti è fuori discussione che la fede non è razionalmente eviden­ te , ma poi essi operano un indebito baratto , per il quale razionalmente evidente dovrebbe essere > 18 allora , come un mutamento dell'occhio comporta una va­ riazione dell'intero campo visivo , così un cambiamento del soggetto comporta una trasformazione dell'intero mondo . Ecco perché Wittgenstein può dire che «il mondo allora deve perciò divenire un altro mondo» , ossia «cre­ scere o decrescere in toto . Come per aggiunta o caduta d'un senso». Cambiando il punto di osservazione , muta l'intera prospettiva di quanto viene osservato. La stessa morte «non è un fatto del mondo» 1 9, non quindi una sua alterazione , ma il suo cessare d'esistere , così come il ve­ nir meno dell'occhio non è una semplice modificazione del campo visivo , ma il suo cessare simpliciter. Dal che si deduce che la tesi della indipendenza del mondo , lungi dal costituire il fallimento delle possibilità dell'uomo, ne è invece strenua valorizzazione , giacché , seppure i fatti del mondo non dipendano dalla volontà del soggetto, è pur sempre il soggetto a custodire il senso del mondo . Un po' come per Heidegger, per il quale è l'essere che si dà (Es gibt Sein) 20 , ma ciò non toglie che l'uomo ne sia il pa­ store 21 . L'argomento , che è chiaramente centrale per l'inter­ pretazione complessiva del pensiero wittgensteiniano , vie­ ne ripreso nei Quaderni 1914-1916 anche in quest'altra nota , forse la più importante in ordine alle tematiche che si vanno considerando : L. WITIGENSTEIN , Quaderni 1 9/4-1916, cit. , p . 181 (4 .8. 16). lvi , p. 181 (7.8. 16) . 1 9 lvi , p . 175 (8.7. 16) . 2° Cf. M . HEIDEGGER , Tempo ed essere , in Zur Sache des Den­ kens , tr. it. di E. Mazzarella col titolo Tempo ed essere, Napoli 1980 , pp . 97- 126. 21 Cf. M. HEIDEGGER, Lettera sull'umanismo , tr. it . di A. Bixio e G. Vattimo , Torino 1975 , p. 95. 17

18

237

Credere in un Dio vuoi dire comprendere la questione del senso della vita. Credere in un Dio vuoi dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto . Credere in Dio vuoi dire vedere che la vita ha un senso . Il mondo mi è dato , vale a dire la mia volontà si volge al mondo completamente dal di fuori , come a un fatto com­ piuto. (Che cosa sia la mia volontà non so ancora) . Quindi abbiamo la sensazione d'essere dipendenti da una volontà estranea. Comunque sia , ad ogni modo noi siamo in un certo senso dipendenti , e ciò da cui siamo dipendenti possiamo chiamarlo Dio . In questo senso , Dio sarebbe semplicemente il fato o, il che è lo stesso , il mondo (indipendentemente dalla nostra volontà) . Dal fato posso rendermi indipendente . Vi sono due divinità: il mondo ed il mio Io indipendente . lo sono o felice o infelice , questo è tutto . Si può dire : bene o male non v'è. Chi è felice non deve aver timore . Neppure della morte . Solo chi vive non nel tempo , ma nel presente , è felice . Per la vita nel presente non v'è morte . La morte non è evento della vita. Non è un fatto del mon­ do . Se, per eternità , s'intende non una infinita durata nel tem­ po , ma intemporalità, si può dir che viva eterno colui che vive nel presente . Per vivere felice devo essere in armonia con il mondo . E questo vuoi dire «esser felice» . Allora i o sono , per così dire , i n armonia con quella volontà estranea dalla quale sembro dipendente . Ciò vuoi dire : «lo faccio la volontà di Dio» . Il timore della morte è il miglior segno d'una vita falsa , cioè cattiva. Se la mia coscienza turba il mio equilibrio , io non sono in armonia con qualcosa. Ma che cosa? IL mon­ do ? Certo è corretto dire : La coscienza è la voce di Dio . Ad esempio: mi rende infelice pensare d'aver offeso il tale e il tal altro . È la mia coscienza? ·

238

Si può dire: «Agisci secondo la tua coscienza comunque essa sia b) . Vivi felicemente ! 22 •

In questo passo compaiono espressioni molto ardue e complesse insieme con altre suggestive ed efficaci . Le cita­ tissime tre frasi iniziali , ad esempio , parrebbero di imme­ diata intelligenza, sennonché , accostate alle successive , na­ scono tanti e tali problemi , da far sorgere non pochi dubbi circa l'attendibilità della prima comprensione . Di qui l'ur­ genza di una particolare cautela nell'analisi dell'intero pas­ so , e la ragione della considerazione posticipata delle frasi introduttive , le quali , proprio per la loro incisività, si pre­ stano altrettanto bene a concludere che ad aprire la nota . Prescindendo , dunque , per il momento dai tre «Crede­ re in un Dio vuol dire . . . » , il resto dell'annotazione può es­ sere diviso in maniera abbastanza agevole in due parti , di­ stinte da una proposizione centrale che costituisce la chia­ ve di volta dell'intero passo. Tale proposizione recita: «Vi sono due divinità: il mondo ed il mio Io indipendente» 23• Le frasi che la precedono sottolineano la datità del mondo e la dipendenza dell'uomo , quelle che le fanno seguito la possibile indipendenza dell'uomo e alcuni problemi con­ nessi. Il riferimento alla duplice divinità compendia quan­ to già considerato nelle note precedenti , allorché si è visto per un verso che «il mondo è indipendente dalla mia vo­ lontà» , e per l'altro che vi è pure un modo con cui «posso rendermi indipendente dal mondo [ . ] : rinunziando ad in­ fluire sugli eventi>) . I due aspetti trovano ora il loro natura­ le approfondimento rispettivamente nella prima e nella se­ conda parte del nuovo passo . Quando infatti nella prima . .

22

L. WnTGENSTEIN , Quaderni 1 91 4 - 1916, cit . , pp. 174 - 176 (8 .7. 16). 23 Un'interessante analisi del pensiero religioso wittgensteiniano, orientata in larga misura proprio da questa proposizione , è quella di E. ZEMACH , Wittgenstein's Philosophy of the Mystical, «The Review of Metaphysics», 18 ( 1 964) , pp. 38-57.

239

parte si dice : « da un lato , e l' «lo indipendente» dall'altro . Ma l'universo del divino wittgensteiniano non è politeista : mondo ed Io indipendente rappresentano i due versanti di quell'unica divinità che l'esperienza restituisce all'uomo , sì che , se «come le cose tutte stanno , è Dio» 33 , ossia Dio è il mondo , peraltro «il mondo è il mio mondo» 34, e dunque Dio è insieme l'Io. Con la prospettiva delle due divinità Wittgenstein riprende i due diversi aspetti attestati l'uno dalla ragione e l'altro dall'esperienza , di cui si sostanzia l'intera storia del pensiero. Per il /6gos il mondo è indipen­ dente dalla volontà umana, perché , come si è visto , non è deducibile la connessione tra volontà e mondo ; per l' em­ peir{a invece all'Io resta consegnata la possibilità dell'indi­ pendenza . Il fato - il termine è wittgensteiniano - non an­ nulla la libertà : le reticenze rimarcate più sopra non sono vere reticenze , sono piuttosto il segno allusivo di un diver­ so rapporto tra destino e libertà, in cui non ne vada né del­ l'uno né dell'altra , ma entrambi restino compresi in una superiore unità. Peraltro tale unità è reclamata dal «senso» del mondo e dal «senso» dell'lo, che - lo si è visto - non si lasciano ricondurre al mondo e all'Io, ma li trascendono . Le suggestive espressioni «Credere in un Dio . . . » attelvi , p. 174 (7. 7 . 16). lvi, p. 180 ( 1 . 8 . 16) . 3� lvi , p . 1 82 ( 1 2 . 8 . 16) .

32

33

244

stano la necessità di questo esito di fede superiore e tra­ scendente , e insieme ne difendono la struttura . In altri ter­ mini , la trascendenza del senso fa sì che esso non si lasci formulare , cioè non possa essere consegnato al sapere og­ gettivante , ma rimanga custodito in un ambito diverso , che è propriamente l'ambito della fede . D'altro canto , se tale ambito è esigito dalla trascendenza del senso , e in quanto tale è necessariamente posto , nondimeno esso non può strutturalmente uscire dalla dimensione problematica , se non nell'ambito del vissuto personale . Per questo ogni baratto della fede wittgensteiniana - il «Credere in un Dio vuoi dire . . . » - con qualsivoglia fede determinata , con­ traddice sia alla lettera che allo spirito dei Notebooks 1 914-1 916.

b ) «Il mistico» Le annotazioni dei Quaderni 1 91 4-1 916 vengono ripre­ se e sistemate nel Tractatus attorno al motivo del «misti­ co» . Le proposizioni che interessano direttamente non so­ no molte , ma incisive e assolutamente fondamentali . Sono le seguenti : Non come il mondo è , è il mistico , ma che esso è 35 • Intuire il mondo sub specie aeterni è intuirlo quale tutto - li­ mitato . Sentire il mondo quale tutto limitato è il mistico 31' . V'è davvero dell'ineffabile . Esso mostra sé , è il mistico 37.

A queste proposizioni va aggiunta anche la 6.432: Come il mondo è , è affatto indifferente per ciò ch'è più alto . Dio non rivela sé nel mondo .

Per collocare adeguatamente queste proposizioni oc­ corre riflettere previamente sull'impianto generale del 35 36

37

L. WITIGENSTEIN, Tractatus , cit . , prop . 6.44. lvi, prop. 6.45 . lvi, prop. 6 . 522 . 245

Tractatus e sulla determinazione del «metafisico» in esso operata . Quanto all'impianto complessivo dell'opera è suffi­ ciente fare riferimento alle indicazioni che lo stesso Witt­ genstein vi premette . Vi si legge : «Il libro tratta i problemi filosofici e mostra - credo - che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del no­ stro linguaggio. Tutto il senso del libro si potrebbe riassu­ mere nelle parole : Quanto può dirsi , si può dir chiaro ; e su ciò, di cui non si può parlare , si deve tacere» 38• Si tratta, in altri termini , di distinguere il dicibile dal non-dicibile , ciò di cui si può parlare da ciò di cui non si può parlare , fermo restando che «noi sentiamo che , anche una volta che tutte le possi]?ili domande scientifiche hanno avuto risposta , i nostri problemi vitali non sono ancora n eppur toccati» 39 ; di modo che , se pure «su ciò di cui non si può parlare , si deve tacere» 40, non per questo il non-dicibile dev'essere negato 41• Anzi per Wittgenstein ciò che non può essere espresso è proprio l'essenziale : «