Poesie. Edite e inedite
 9788862277716, 9788862277723

Table of contents :
SOMMARIO
PRESENTAZIONE
L’ESPERIENZA POETICA DI ORAZIO COSTA
POESIE INEDITE
LE POESIE DI LUNA DI CASA
NOTA BIOGRAFICA
BIBLIOGRAFIA

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POESIE Edite e inedite O R A Z I O C O ST A

saggio critico e nota a i testi di lucilla bona v ita

stu di & test i · 3.

PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXV

S T U D I & T E STI Collana diretta da Rino Caputo 3.

POESIE Edite e inedite O R A Z I O C O ST A

saggio critico e nota a i testi di lucilla bona v ita

PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXV

A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included offprints,etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2015 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] * Stampato in Italia · Printed in Italy isb n 978-88-6227-771-6 e-isbn 978-88-6227-772-3

SOMMARIO Rino Caputo, Presentazione L’esperienza poetica di Orazio Costa Nota ai testi

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Poesie inedite Poesie di Luna di casa Nota biografica

37 81 161

Bibliografia

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Orazio Costa.

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PRESENTAZIONE

L

a pubblicazione pressoché integrale delle poesie di Orazio Costa costituisce, insieme, l’occasione inaspettata di riscontrare un Poeta e di una messa a punto di questioni storico-letterarie e critico-letterarie apparentemente già assestate. Se si eccettuano i componimenti ‘di guerra’, per così dire, iniziali e abbozzati nello stile e nei temi, sono raccolte nella presente edizione tutte le poesie composte da Orazio Costa dal 1944 in poi, quelle pubblicate e, soprattutto, quelle emergenti dalla documentazione custodita con affettuosa discrezione presso la Fondazione del Teatro La Pergola di Firenze. Tanto basterebbe a rendere scientificamente proficua l’operazione compiuta da Lucilla Bonavita, alla quale, in più, va il merito della cura del testo, tradottasi in funzionale quanto rispettosa attenzione ecdotica e critico-letteraria. Dalla lettura più integrale e integrata delle poesie di Costa vengono molteplici sollecitazioni, tutte volte, è bene dirlo, alla valorizzazione della specificità dell’operazione poetica che si evidenzia sotto i nostri occhi, forse troppo adusi, ormai, all’appiattimento delle figure sul più allontanato orizzonte novecentesco. Costa sodale di Luzi, è stato già notato. Ma prossimità non significa necessariamente dipendenza o, peggio, minorità imitativa. Condividere atmosfere o, persino, convincimenti, non solo artistici, può essere la premessa per un cammino poetico autonomo e, almeno nelle intenzioni implicite, autosufficiente. È perciò che occorre disporsi all’ascolto diretto della poesia di Costa, affettuosamente partecipe quanto attento a rilevare schemi corrivi e accenti di personale originalità. Costa traccia, nella sua produzione poetica, una riposta quanto esplicita autobiografia. È, leopardianamente, la ‘storia di un’anima’ ma, anche, petrarchescamente, il romanzo di una vita in cui l’amore è sentimento principe, verso gli altri, il mondo, il sé più tenero e pudicamente profondo di artista perché uomo e di uomo (anche) perché artista. Bene fa la Bonavita, nel suo saggio introduttivo, a valorizzare in modo preliminarmente esaustivo i temi precipui della poesia di Costa, tanto che, ora, può essere euristicamente opportuno indicare la costante poietica dell’Autore ovvero la sua idea di poesia propria e degli altri poeti. Conterà, pertanto, far risaltare l’individuazione del ‘pubblico’ della sua poesia (« Mi dedico a chi mi deride », p. 64) come le sue indicazioni di poetica, non aliene da appena compiaciute esibizioni di metalinguaggio colto, quasi iperraffinato, come nell’‘imitatio’ di « Phaselus ille » (p. 95) ; cosi come l’ammissione, ben riscontrata dalla Bonavita, di un rapporto diretto, anche qui forse leopardiano, tra una sorta di zibaldone di pensieri (quasi in forma di prosa poetica) e la più espressa poesia (come, ad es., risulta chiaramente da p. 165). Ma risalta soprattutto la dichiarazione esplicita del senso del suo far risuonare i versi :  











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presentazione 1 Dillo almeno in versi…mi viene di dire… Sbocciavano imperiosi fiori d’artificio, (credevo) pareva agevole (poterne) leggere (ne) i gorghi, i furori, lanciarmi per attimi aperti all’eterno, su labili lame 5 in ghirigori e fughe di spirali di petali di ciclàmi, di vortici di vilucchi di avvitati vitigni, galassie o girandole controvento impugnate da bimbi elementari… (Poi seppi e offrii quadrature) 10 tanto che colte le teorie dei segni offrii quadrature accettabili (molto approssimanti) d’insoluti circoli, molto simili a un vero ma la divina insolubilità aprì anditi e varchi e invitanti corsie 15 (alla infelice facilità) a sciagurate felicità. […] Non so più leggere, né, meno, se ciò che mi sfugge è un riflesso sfocato (sfumato) dei fiori d’un tempo 25 od abbagliato (annuncio) indizio (di visioni e concepimenti) (posseduti) di folgorate concezioni d’esplose meteore imminenti ma tanti miliardi di occhi a disegnarle attenti saranno prima spenti, se tanta voglia di soli 30 non sia proprio il loro pur lento spegnersi. (p. 76)

E, subito dopo, quasi a conclusione del suo itinerario poietico (siamo, ormai, agli inizi degli Anni Novanta), il poeta Costa assurge a una ben fabbricata visione dell’io e del mondo : originale, mentre tributa l’ineludibile omaggio alla archetipica matrice illustre, fiorentina e dantesca :  





Se il non essere non fosse sbocciato In essere non saremmo qui a parlarne. “Tu fosti prima ch’io disfatto fatto”. L’indiscutibilità di esistere di certe Espressioni è “verso” è poesia prima Della poesia. La poesia è questo tentare Di adeguare l’espressione a quella indiscutibilità. (p. 77)

Come si vede, certamente, con Luzi. Ma, anche senza e, forse, oltre Luzi. E questo perché la poesia di Costa risuona per la scena del mondo ovvero, come ha detto l’amato Pirandello, « sicut in theatro item in coelo ». Il Teatro, appunto, della cui poesia Costa è stato altissimo sacerdote per tutta la vita.  





Rino Caputo Professore Ordinario di Letteratura italiana Università di Roma “Tor Vergata”

L’ESPERIENZA POETICA DI ORAZIO COSTA

I

l nome di Orazio Costa è indiscutibilmente legato alla sua fama di padre della regia italiana che egli coltivò sempre con rispetto dei testi rappresentati, attitudine che esercitò con estrema fedeltà al testo, grazie alla sua formazione filologica, ma la poesia è sempre stata innegabilmente considerata dal Maestro come parte integrante dei testi da rappresentare, fino al punto da essere coltivata con passione esclusiva, riconosciuta da Mario Luzi. Al poeta si deve l’Introduzione del libro di poesie di Orazio Costa Luna di casa, edito dalla casa editrice Vallecchi nel 1992, oltre alla quale non vi sono scritti critici o teorici, neanche occasionali, ma i quarantasei Quaderni custoditi presso l’Archivio Costa a Firenze, conservano tutte le poesie scritte da Orazio Costa, edite ed inedite. Dalla loro lettura trapela l’immagine di un poeta dotto, consapevole della sua profondità ed ampiezza culturale. Uomo colto, dunque, il Maestro nutriva una profonda amicizia con Mario Luzi ma disinteresse per i poeti a lui contemporanei anche se presenti nella sua ricca biblioteca e non avvertiva affinità con nessuno di loro poiché gli echi e le suggestioni risalivano al secolo precedente. La sua poetica si poteva desumere esclusivamente dalla sua produzione in versi della quale, tra l’altro, era un geloso custode ; un poeta, dunque, da questo punto di vista, inattuale poiché estraneo a qualsiasi militanza e caratterizzato da una riservatezza criptica che era chiusura assoluta nei confronti di ciò che potesse incrinare la purezza adamantina della sua arte che coltivava con orgoglio solitario, chiuso ermeticamente nella sua torre eburnea, nel ‘logos’ della parola. Una riflessione sul connubio tra amore e poesia, conservata nella nota del 29.01.1955 nel Quaderno n° 4 presso l’Archivio Costa, rivela il significato che il Maestro attribuiva all’arte poetica : « L’amore ama la poesia. La poesia crea l’amore. Bruciare di poesia può volere bruciare d’amore ? Ma bruciare d’amore per le creature può essere un aiuto a vivere in quella vita che l’amore monotono per la creatura isolata ci dona a prova, ci toglie a prova per darci una sete d’amore che se non dissetata ci fa amari e aridi ». 1 La poesia diventa, allora, parallelamente alla pratica registica, un mezzo per arrivare al cuore delle creature e allora Costa ‘era’ la sua poesia, poiché la sua identità umana si sostanziava interamente in essa, veicolando in tal modo un messaggio etico che lo relegava ai margini degli ambienti allora di tendenza. La sua poesia non è mai stata vagliata dalla critica esperta degli accademici a causa della intima chiusura e discrezione di Costa che la sottopose soltanto alla lettura di Mario Luzi. L’attenzione del poeta verso la produzione poetica di Costa nacque quando Sauro Albisani gli consegnò, da parte di Orazio, un manoscritto già predisposto per una eventuale stampa. 2 Era una quantità voluminosa  













1

  Orazio Costa, Quaderno n° 4, nota del 29.01.1995. In A.C., Firenze.   Orazio Costa Giovangigli, Luna di casa, Firenze, Vallecchi, 1992, p. 6.

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lucilla bonavita

di testi, frutto di una selezione che già Costa aveva operato ; dall’esame di questi ultimi, Luzi si convinse sempre di più che « Orazio era stato davvero poeta : dunque non c’erano da parte sua cautele o pudori motivati a manifestare quella parte non certo oziosa di sé ». 1 Non tutti i componimenti di Costa sono stati pubblicati e scopo del presente lavoro è quello di rivelare la ricchezza e la potenzialità poetica della parola del Maestro. Per Luzi non c’era alcun dubbio sul valore poetico dell’« uomo di teatro » 2 e ne individuò le caratteristiche fondamentali nell’assenza « di quel linguaggio pratico, puramente dichiarativo ed espositivo che c’è nei versi di chi versifica la propria personale ventura e i pensieri che la commentano. Non erano dunque versi in margine a nient’altro, né paralleli ad altro lavoro o spiegabili con riferimenti ad altra attualità. Erano versi nascosti, fasciati dal loro silenzio e dalla loro segregazione ; ma erano autonomi, centro di loro stessi ». 3 La produzione poetica di Orazio Costa si dispiega lungo tutto l’arco della sua vita, ad iniziare dagli anni Quaranta con intensificazioni verso gli anni 1960 e 1970 4 e lascia affiorare l’evoluzione del suo pensiero : il dato estetico degli anni giovanili viene sostituito dal tema etico-religioso che « passando dai prodigi del creato a quelli dell’identità e della storia non manca di esaltare “l’altro maggiore”, di esigere un di più del puro esistere ». 5 La « passione espressiva » 6 accompagna indissolubilmente le sue produzioni in versi e rappresenta il tessuto connettivo di ogni parte dell’opera, una cesura tra i vari momenti della vita del Maestro, una sorta di ardore inebriante per le potenzialità della lingua e per la loro applicabilità. 7 Secondo il parere di Mario Luzi, Luna di casa « non è un libro di azione poetica ; ma certo non è un libro di fiancheggiamento ; è anzi un libro in cui la mente si tiene al centro del sistema dove la memoria è sovrana e affiora il progetto. Non già il commento e la chiosa a cose fatte. Fatte altrove. Per cui si possono come in un’officina infrasentire nel sottofondo i compagni di opera, vale a dire i poeti che hanno intrattenuto con la sua gioventù e con la sua maturità più intensa corrispondenza ideale o sintonia di stile » 8 e l’eco dei “compagni di opera” affiora, secondo modulazioni diverse, lungo tutto l’arco della produzione poetica di Costa. La poesia, per il Maestro, non è che il tentativo dell’uomo di parlare con Dio, perché anche quando i componimenti hanno un altro oggetto, l’amore, la guerra, o altro interlocutore o destinatario, il solipsistico ‘io’ o il celeberrimo ‘tu’, il loro discorso si dispiega al cospetto di Dio. 9 Oltre a definire la natura della poesia, Costa ne intuisce anche la funzione : la poesia e l’arte devono contribuire a sviluppare la fantasia e l’appassionata partecipazione alla vita, ma non devono intervenire ad abbassare con l’approssimazione il concetto di spirito allo sviluppo del  























































1

2   Ibidem.  Ivi, p. 5. 4  Ivi, p. 6.  Ivi, p. 7. 5 6   Ibidem.   Ibidem. 7 8   Ibidem.  Ivi, pp. 7-8. 9   Orazio Costa, Quaderno n° 43, nota del 02.06.1995 : « Io sospettai la sinopia d’una immemorabile lingua celeste dietro l’affresco delle nostre mortali, essendo la condizione ontologica dell’uomo al cospetto di Dio, quella edenica ». In A.C., Firenze. 3







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quale cooperano in sommo grado. In nome della funzione della poesia intesa a sviluppare la fantasia, il poeta, talvolta, rinuncia alla precisione, per lasciare libero gioco, secondo una affermazione di Leo Spitzer, « alla fantasia del lettore » 2 e se ne avverte lo scopo volontaristico, deliberato, come lo stesso Spitzer individua nei versi di Régnier, 3 e non lo stato d’animo, l’intenzione più propriamente ermetica che contraddistingue i versi di Mario Luzi. La profonda responsabilità etica attribuita e riconosciuta alla poesia comporta l’assunzione di un livello stilistico che ne esalti la dimensione ontologica : nella produzione lirica si avverte un’esigenza di suono, si ascoltano parole veramente vive, viventi, palpitanti di viventi e si ha l’impressione, secondo quanto sostenuto da Debenedetti, di una compresenza non realistica di elementi i quali pure potrebbero coesistere nella realtà, grazie all’utilizzo di quegli usi sintattici ereditati dal simbolismo francese. 4 La riflessione speculativa, portava Orazio Costa a cercare di capire se tutto ciò potesse trovare una traduzione nella scrittura, nel disegno oppure, al di fuori del testo, nel teatro. La parola, come voce di persona, infatti, secondo Costa, rischia « l’inutilità, l’assenza, il fruscio appena di qualcosa maggiore, la scia scomparente di un battello, o d’un uccello acquatico, come l’odore (nemmeno il profumo) della vita vivente, fermentante e fiorente. La parola va colta, raccolta dalla emozione, rituffata nel tino o nel crogiuolo di nascita e di fermentazione e di fusione. Questo fa l’attore ricevendola e cogliendola dal poeta ». 5 È evidente il profondo rapporto e processo osmotico che esiste tra il poeta e l’attore – e da qui tra la poesia e il teatro 6 – che « deve rifarsi poeta, deve farsi inventore di un canto e di una polifonica musica e riversare nell’aria e nel suo vento un risultato vibrante, non finito ». 7 La poesia Sento ferirsi e far sangue, 8 nata in margine, come il Maestro afferma nella nota del 13-14 marzo 1993 conservata nel Quaderno n° 46, ad una riflessione ispirata agli ultimi versi della poesia La foglia serafina, è il risultato di una meditazione sulla mimesi e del suo rapporto con la poesia ; Orazio Costa, infatti, parte 1

































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  Orazio Costa, Quaderno n° 44, nota del 09.10.1995. In A.C., Firenze.   Leo Spitzer, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna, Torino, Einaudi, 1959, pp. 30-31. 3   Giacomo Debenedetti, Poesia italiana del Novecento, Milano, Garzanti, 1998, p. 113. 4   Ibidem. 5   Orazio Costa, Quaderno n° 39, nota del mese del 01.12.1993. In A.C., Firenze. 6  « La parola come evento è già una dimensione drammaturgica. Teatro è già l’insorgere di un rapporto di alterità ». Cfr. Alfredo Luzi, Parola e fede nel libro di Ipazia, « Italian Poetry Review », iii, 2008. Mario Luzi delineava il rapporto profondo tra la poesia e il teatro in tal modo : « Il discorso poetico stabilisce una presenza che ne evoca un’altra ; l’affermare una parola, dare vigore, dare consistenza e autorità a una parola significa creare intorno ad essa uno spazio di risonanza in cui c’è una risposta nella nostra coscienza. Nella nostra consapevolezza quindi è già un teatro interiore il linguaggio poetico in sé. […]. Già questo è il teatro moderno : un accadimento che ha le sue ripercussioni, ha le sue contrapposizioni, il suo silenzio, il suo consenso, il suo dissenso. Direi che la sostanza della parola apoetica è già in nuce un evento teatrale, che anzi è prima di tutto questo, teatro interiore ». Ivi, p. 398. ; Mario Luzi, inoltre, dichiara : « Dall’interno dei testi lirici sempre più decisamente veniva reclamato il diritto alla parola e alla voce da parte dell’alterità. La genesi è dunque una endogenesi. Ma il teatro a sua volta è un rito, orfico, credo, e senza relazione con la proposta o la risposta. È un luogo della mente. È il luogo dove la parola viene detta, offerta ad un’altra parola eventuale o al silenzio che le ritorna – ma il silenzio è anch’esso parola, nel teatro più che mai ». Cfr. Mario Luzi, Le voci, il teatro, in Il silenzio, 7 la voce, Firenze, Sansoni, 1984, p. 51.   Ibidem. 8   Orazio Costa, Quaderno n° 43, nota del 13-14 marzo 1993. In A. C., Firenze. 2



























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lucilla bonavita

dall’assunto che l’aspetto più accessibile all’anima sia quello del volto […] ed intuisce che forse si può trasformare la realtà in volto attraverso la mimesi :  

L’aspetto più accessibile all’anima è quello del volto. Il modo di avvicinare all’anima al cuore, all’intelligenza, qualunque più difficile cosa è trovarle la sua somiglianza col volto. E forse (ma bisogna dirlo efficacemente per via mimesica) attraverso la mimesi trasformiamo la realtà in volto ! Quale volto. Senza forse quello ond’era ossessionato anche Dante… soprattutto Dante : “la nostra effige”. 1  





Nei versi si aggrumano assonanze ed armonie forse anche troppo evidenti ; 2 si susseguono metafore ed analogie e le parole sono cesellate, scolpite, incastonate nel tessuto connettivo della memoria storica del poeta, frutto di un lungo e paziente lavoro di revisione e correzione al quale Costa sottoponeva la sua opera. 3 La poesia è costituita, secondo il Maestro, da un insieme di immagini atte a circoscrivere la ‘temperie’ 4 che nasce, appare, si personalizza e personifica persino dentro di noi, tanto più ci si sia educati a riconoscerla e sentirla premere, ma potrebbe anche chiedere di essere riconosciuta, conosciuta e rivelata ad altri. La sua presenza può fecondare ed irrorare tutta una moltitudine di rappresentazioni iconiche che la definiscono. 5 Nel componimento La foglia serafina, 6 Orazio Costa tenta di spiegare (i componimenti, infatti, per la maggior parte sono accompagnati da un commento dell’autore) quella temperie di cui tanto avvertiva la presenza sin dal 2.10.1993 e cerca di cogliere, di sorprendere e anche di inseguire il percorso dell’intelletto mentre si sforza di farsi strada fra le emozioni liriche per poter distinguere la nascita d’un suo trasformarsi, rinnovarsi o diversificarsi. In tal modo, il Maestro porta a maturazione un pensiero elaborato il 27.1.1990 : la poesia è sentita « come un fattore organico della mente e del pensiero, del quale si danno diversissime definizioni spesso troppo insistenti sull’apporto essenzialmente creativo “ex nihilo” del poeta o peggio della così detta musa. La quale musa, se si vuol fare esistere, può essere la somma della tradizione poetica e meglio ancora la somma delle condizioni temperiali che si accumula nelle menti per studio, per amore della “condizione poetica” per raccolta di memorie e, per costi   













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  Ibidem.   Orazio Costa, Quaderno n° 41, nota del mese di febbraio del 1993. In A.C., Firenze. 3   Orazio Costa, Quaderno n° 5, nota del 14.11.1955 : « Avrei voluto scrivere una poesia come se le correzioni e le varianti facessero corpo con tutta la stesura e ne risultasse un’aspirazione al dire che, dicendo e definendo, tenta di circoscriversi non tanto nell’interno della composizione quanto all’esterno di essa ». 4  Orazio Costa, nella nota del 13.03.1994, afferma di dover ritornare su quella ‘temperie’ del 2.10.1993 subito rientrata e ripresa il 04.03.1994 e della quale parla in maniera più diffusa nella nota del 13.03.1994 : « C’è da capire se lieve temperie possa esser sorpresa efficacemente o se rischi di dileguarsi a volerla rintracciare e quasi scovare ; e se ritrovarla sia coltivato e quasi concimato inganno ; e se il prostrarsi della ricerca con la lusinga del faticato diletto, rechi semplici e nemmeno pure nullaggini, o possa per avventura attingere a una originaria contingenza della stessa temperie o per il sentiero pur coscienziosamente battuto far toccare qualche condizione verace di contatto con la zona fantasticatrice del cerebro. Che potrebbe provarsi, se non metodo, almeno modo per addentrarsi in quell’agitato “Lago del cuore e della mente” di cui siamo così impreparati esploratori ; ed è già troppo dire, se ben altri diceva : “vago già di cercar dentro e dintorno… forse presentando o addirittura volendo intendere che… la divina foresta spessa e viva…fosse immagini per l’indefinibile organica vastità della fantasia, spalancata ad offrirgli l’immensa favola che vi avrebbe colto”. 5   Orazio Costa, Quaderno n° 43, nota del 13-14 marzo del 1994. In A.C., Firenze. 6   Ivi, nota del 20.03.1994. In A.C., Firenze. 2



















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tuirsi d’un personaggio in suggeritore ideale…A me piace pensare che “poesia” è l’avvertire la presenza di una o più “temperie” relative ad una serie di impulsi mimici, tanto più pressanti quanto più vicine all’ineffabilità (e cioè quanto più sui limiti del non ancora espresso o del normalmente inespresso) ». 1 Per questo, la poesia fu per Costa « “stato di temperie” ineffabile, quasi continuo in condizione di “affioramento di coscienza” “d’invenzione di parole” con sensazione continuata di rivelazione. Tornarci… è il verso dell’uomo ». 2 L’intima e profonda relazione tra la poesia e la mimesi 3 viene avvalorata da queste riflessioni che accompagneranno la produzione poetica e teatrale di Orazio Costa, trovando nella ‘mimesi’, la loro ideale cesura che permette di manifestare la vera essenza della « Teatralità cosmica, panica ». 4 I temi della lirica di Orazio Costa si articolano intorno a dei nuclei fondamentali : poesia del ricordo e poesia esistenziale, nelle quali la memoria del passato e lo scavo interiore si alternano e talvolta si intrecciano ; la poesia di ispirazione religiosa trova posto accanto alla poesia d’amore, presente con una sostanziale incidenza qualitativa. La produzione poetica si estende, dunque, ad ampio raggio, perciò, per descriverla, risulta più adeguato seguire uno alla volta lo sviluppo di ciascuna linea tematica. Si ritiene conveniente iniziare l’analisi tematica dalla poesia del ricordo presente nel componimento Dicevo ai fratelli : facciamo, 5 per la quale la continuità tematica con In tutti i luoghi dove sono stato 6 e con Dillo almeno in versi…mi viene da dire… 7 è sostenuta da un approfondimento ed ampliamento del discorso poetico che segue armonicamente lo sviluppo di una riflessione esistenziale che giunge ad attingere « attimi aperti all’eterno » 8 in seguito ai quali la versificazione esplode in una ricerca preziosa e positivistica della terminologia che sembra quasi voler fissare il mondo fenomenico per appropriarsene, ma amara è la constatazione del poeta che non sa se ciò che gli « sfugge è un riflesso sfocato / dei fiori d’un tempo » 9 che sancisce l’impossibilità « di spiegare l’apparire lampeggiante di ‘significati’ così brevi e già evanescenti nel loro istantaneo affiorare da renderli del tutto illeggibili », 10 secondo quanto affermato dal poeta nella brevissima nota di spiegazione al componimento. La poesia dell’assenza, il « non so più leggere », 11 conclude la parabola iniziata con i versi della poesia Dicevo ai fratelli : facciamo nei quali il senso di solitudine si intensifica fino al punto in cui il poeta afferma che i nomi della memoria vengono  























































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2   Orazio Costa, Quaderno n° 39, nota del 27.01.1990. In A.C., Firenze.   Ibidem.  « La virtù mimesica, secondo Orazio Costa, è una virtù che l’uomo possiede innata e grazie alla quale tende a trasformare i propri atti e ritmi in analogia coi fenomeni della realtà dei quali s’investe fisso ad immedesimarvisi. Questa attitudine accetta e manifesta in quasi tutta l’attività infantile (specie nel giuoco spontaneo) viene repressa dalla educazione famigliare e scolastica, ma rimane latente lungo tutta l’esistenza, pronta a manifestare nuove e saltuarie manifestazioni in occasione di particolari stati emotivi, soprattutto in personalità a forte componente creativa sia d’artisti che di scienziati ». Cfr. Quaderno n° 41, nota del 04.02.1991. In A.C., Firenze. 4   Orazio Costa, Quaderno n° 39, nota del 27.04.1990. In A.C., Firenze. 5   Orazio Costa, Quaderno n° 1, nota del 03.09.1945. In A.C., Firenze. 6   Orazio Costa, Quaderno n° 20, nota del 17.10.1968. In A.C., Firenze. 7   Orazio Costa, Quaderno n° 33, nota del 28-29.02.1984, v. 4. In A.C., Firenze. 8 9   Ivi, v. 4.   Ivi, vv. 23-24. 10   Orazio Costa, Quaderno n° 33, nota del 28-29.02.1984. In A.C., Firenze. 11   Ivi, v. 22. In A.C., Firenze. 3





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lucilla bonavita

trascorsi invano poiché si accorge di non avere più amici, constatazione che lo immobilizza sino ad ammettere, usando la potenzialità ritmica insita nell’asindeto, che « io non faccio non parto mi guardo / dentro, non rido e sono solo », 1 in questo caso l’uso dell’ enjambement sottolinea ancora di più la frattura creatasi nell’interiorità del poeta. Nel componimento In tutti i luoghi, la poesia dell’assenza ha ancora un accento predominante, ma i luoghi perdono la loro dimensione di spazio fisico per diventare luogo dell’anima e allora la poesia del ricordo si intreccia alla poesia esistenziale, tematica che costituisce il nucleo centrale della produzione poetica di Orazio Costa, rappresentata da alcune poesie in modo specifico, ma che affiora ogni qualvolta il poeta effettua una analisi interiore. I luoghi delle poesie diventano, allora, pretesto per rappresentare la condizione sofferente dell’animo e la conseguente ansia di ricomposizione. Tutta la poesia di Orazio Costa presenta uno spiccato carattere introspettivo : Giù in fondo agli occhi 2 e Mi avvio a tacere anche con me 3 appaiono come i risultati più alti di questa ricerca per la profondità del discorso lirico e per l’omogeneità stilistica che nel caso di Mi avvio a tacere mette a frutto le risorse linguistiche di Orazio Costa per creare una texture verbale che rifletta a livello morfo-sintattico la condizione di rinuncia e di silenzio non solo del poeta, ma dell’uomo contemporaneo, libero di scegliere tra il vivere nascosto e l’immergersi nel frastuono caleidoscopico della vita. 4 Orazio Costa sembra, in tal modo, intraprendere la strada della poesia come cammino iniziatico tipico di colui che si nutre del silenzio, che tenta di « cancellare la banale psicologia quotidiana, evitare la lingua della “tribù” umana », 5 elementi che caratterizzano la fisionomia del poeta moderno. 6 A tale scopo, infatti, grazie all’uso che il Maestro ne fa, gli elementi fenomenologici costituiscono una raccolta di emblemi atti a rendere lo stato esistenziale dell’uomo secondo termini espressionistici : « Bianco d’occhi in ansia di accecarsi / in liquida morte, / stravolto in ogni direzione / per non vedere che se stesso », 7 così recitano i versi centrali della poesia Giardini nordici, costituita da una elevata concentrazione fonico-simbolica, realizzata attraverso un complesso sistema retorico-linguistico, caratterizzato generalmente, dall’uso frequente di analogie, dall’anastrofe e da un veloce susseguirsi delle immagini (Se mi dicessero finalmente : / finalmente devi morire, / canterei senza tristezza / e una buona volta senza sbagliare / e mi verrebbe tanto amore, / tutto quello che non voglio sprecare, / e mi verrebbe tanta saggezza / tutta quella che rimando, Se mi dicessero finalmente, vv. 1-8). 8  

































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  Orazio Costa, Quaderno n° 1, nota del 03.09.1945, vv. 20-21. In A.C., Firenze.   Orazio Costa, Quaderno n° 5, nota del 04.09.1955. In A.C., Firenze. 3   Orazio Costa, Quaderno n° 12, nota del 27.09.1961. In A.C., Firenze. 4   Orazio Costa, nel commento alla poesia, a proposito del silenzio così afferma : « Parlare per lodare il silenzio è come rompere uno specchio per magnificarlo o spegnere la luce per guardare una pittura. Per questo, il colloquio (la più silenziosa parola usata per dire parole) vorrebbe tentare d’essere il più silenzioso possibile. Una specie di rete ai cui nodi appendere una frase e lanciare una meditata pausa fra questa e le altre… ». Orazio Costa, Quaderno n° 12, nota del 27.09.1961. In A.C., Firenze. 5   Giacomo Debenedetti, Poesia italiana del Novecento, Milano, Garzanti, 2000, p. vii. 6   Ibidem. 7   Orazio Costa, Quaderno n° 13, nota del 17.02.1963. In A.C., Firenze. 8   Orazio Costa, Quaderno n° 1, nota 123. In A.C., Firenze. 2







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La struttura oppositiva costituisce l’architrave della maggior parte della poesia : il passato al presente, l’io agli altri ed è sostenuta dalla profonda cultura poetica di Orazio Costa. Nelle sue poesie, infatti, è facilmente riconoscibile la presenza della tradizione poetica italiana otto-novecentesca, soprattutto Leopardi e Pascoli : un accenno specifico merita il prediletto Leopardi, in modo particolare per il dialogo con la luna (Giù in fondo agli occhi, Mi avvio a tacere anche con me). Il riferimento alla luna è presente anche nei componimenti che affrontano la tematica religiosa come in Da questo conflitto pregare che significativamente nella raccolta Luna di casa assume il titolo di Magnificat : 1 dalla preghiera può nascere una rosa che si specchia « nell’argento lunare » 2 e nella conflittualità della tensione religiosa, davanti alla luna, il poeta percepisce la divina sapienza e da questo sentire nasce spontaneo un inno che ricalca stilemi e modi propri del testo biblico del Magnificat : « L’anima mia magnifica il Signore / e lo spirito giubila danzando / in Dio liberazione e salvazione, / che di nostra miseria ebbe pietà ». 3 Sul modello di questa poesia, Costa riesce a conciliare la soggettività dell’io con la dimensione corale dell’umanità ed inserisce altre modulazioni della poesia religiosa, soprattutto mistica, come risulta dalle metafore relative alla contrapposizione della luce e del buio 4 o dalla tensione all’annichilimento : 5 anche se utilizzato in un contesto laico, il linguaggio religioso conserva ben visibile l’archetipo originario. 6 Nelle poesie di intonazione religiosa, urge un concetto attivo e infinito del divino che si manifesta in tutte le forme determinate, così che francescanamente non manca la trepida gioia per la natura, realisticamente annotata, ma insieme prevale una visione dell’essere che si attua altrove, in una dimensione eterna e sovrumana. In particolar modo, gli echi della poesia francescana 7 sono evidenti sin dall’incipit del primo Quaderno che con l’epigrafe “Deus meus et omnia”, espressione tipica di San Francesco che si può tradurre con “Mio Dio e mio tutto”, sembra consacrare all’umile frate tutta o la maggior parte della poesia del Maestro. La vasta  































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  Orazio Costa, Quaderno n° 6, nota del 03.11.1958. In A.C., Firenze. 3   Orazio Costa Giovangigli, op. cit., p. 91, v. 3.   Ivi, vv. 31-35. 4   La poesia Ci siamo disposti con la fronte al Nulla, conservata nel Quaderno n° 4 e scritta in data 14.01.1955 è esemplificativa della contrapposizione : « Siamo pronti alla luce e al buio / al mare e al cielo / al monte e al deserto / all’atrio e al tugurio ». Nel Quaderno n°16, la poesia, datata 26.12.1965, sin dal titolo Conchiglia di buio e di luce manifesta la dualità esistenziale. Così nel componimento Essere e insieme non essere, conservata nel Quaderno n°21 e datata 07.03.1969, il poeta indaga in forma oppositiva la condizione esistenziale « Essere e insieme non essere ; / non c’è scelta, / provvisorio immortale : vivere e insieme morire. / Ma è un altro contrario […] ». 5  « Arido e memore come un filo d’orizzonte / arcanamente svuotato di paesi e di terre », in Orazio Costa, Quaderno n° 8, nota del 25.01.1959, vv. 1-2. In A.C., Firenze. 6  « Dalla vite l’uva, dall’uva il vino, dal vino, lo Spirito, dallo Spirito il Fuoco, dal Fuoco la Luce. E questa Luce, anche spento il fuoco, consumato lo spirito, finito il vino, seccata l’uva, morta la vite, continuerà a scintillare in Eterno, anima e vita di tutta quella fatica » : la dimensione religiosa è testimoniata anche da questa riflessione di Orazio Costa conservata nel Quaderno n° 1, nota del 10. 03.1958. Il Quaderno n° 4, inoltre, riporta dei riferimenti espliciti all’archetipo originario tratte, come riportato in calce dall’autore, da modelli della letteratura religiosa e biblica : « Amor meus, pondus meus ; incendimur et perimur ; ardescimus et cantamus. S. Agostino- Confessioni » ; « Dio vive nella solitudine e coltiva il silenzio. Pseudo Dionigi » ; « A te, o Dio, è lode nel silenzio. Un salmo di Davide ». 7   La presenza delle modalità tipiche della poesia di San Francesco nella produzione poetica di Orazio Costa è stata da me esaminata nel seguente saggio : Lucilla Bonavita, Il francescanesimo nella poesia di Orazio Costa, « Sinestesieonline », 10, 2014, pp. 7-21. 2





















   









   

   













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digressione filosofica contenuta nella nota numero 11 del secondo Quaderno testimonia, d’altronde, l’ammirazione che Orazio Costa nutriva nei confronti del Santo, animato da un forte ardore evangelico che nasceva grazie all’intima unione con Dio :  

S. Francesco cantava. Nessun italiano ha mai cantato tanto : in francese, in italiano, in latino. Cantava per tutto. S. Francesco aveva fatto il muratore (le maçon, le frèremaçon) non per il gusto di darsi (proletariamente) al lavoro faticoso ma per un bisogno suo innato che può spiegare e resuscitare ogni suo gesto, quello cioè di concretare nel fato ogni realtà spirituale, anzi addirittura la necessità di fare le cose che si dicono, qualcuno potrebbe dirla una zotica semplicità paesana di vedere sempre e solo il senso letterale delle parole ; la Chiesa cadeva (decadeva), quale chiesa ? Le chiese ! le chiesette, le cappelle, gli oratori dopo mill’anni di vita crollavano, e allora rifarli, ecco rifare la chiesa. E poi per un destino di imitazione di Cristo : Lui falegname, S. Francesco muratore. E ballava : sempre per la stessa ragione : perché essere contenti che significava ? che significa esultare se non saltare ? Il suo ballo che richiamava l’attenzione della folla non era fatto per richiamarla, era fatto perché bisognava mostrare la letizia e quel ballo continuava a essere il ritmo della predica, forse in versi, forse cantata. Si può sentire anche una predica quando chi la fa balla e sa cantare e improvvisa versi per prova di non essere affatto pazzo.Per questo egli inventò il presepio. Come in ogni momento inventava l’aderenza di tutti i suoi atti con i pensieri e le parole. Ma l’invenzione del presepio deve esser prova anche a lui così stupefacente a noi che ci siano voluti più di mille anni per avere quest’idea. Dovette tremare di emozione come quando si sogna di aver acchiappato senza altro aiuto che le proprie mani un meraviglioso uccello. Era lì nei Vangeli come un diamante coperto d’oro. Ma ai suoi occhi brillò attraverso l’oro. Far vedere agli uomini la realtà di Gesù nella realtà più giornaliera della stalla : del bue e dell’asino : della mangiatoia e della paglia. Gesù nacque nella stalla : ecco questa parola diventare sacra vicino al nome di Gesù e di Maria, queste bestie divenute di marmo, questa paglia diventata oro : no ! stalla, odore di strame, calore di orine e di sudori animali, fiato dei denti verdi degli animali viventi, mangiatoia di legno consumata dai denti degli animali, dagli anelli di ferro delle loro capezze, paglia cresciuta dalla terra venuta su con tutte le sue erbe coi suoi fiori seccati, col grano e con le vecce ; questa stalla era troppo sorella di stella (l’antro non più visto apparso ai magi) questo bue è troppo quello di S. Luca, questo asino non è più una cocciuta bestia da basto : ha gli occhi troppo soavi, questa paglia non punge più, non taglia. E invece ecco : stalla stallatica, bue imbecille, asino somaro, paglia crudele quella delle bestie dei soldati dei carcerati, per le carni molli di un feto delicato. Chissà cosa inventerebbe oggi il santo per ridirci l’eterna aderenza della vita di Gesù con la nostra di sempre ? Non sappiamo leggere il libro, ma se sapessimo leggere come lui sapremmo trovare. “Lascia tuo padre e tua madre” – “Smetti le tue vesti, dà tutto ai poveri” e, letteralmente, ciò diventa atto con una evidenza da quadro, da pittura, da scultura che ci pare evidente e facile ma che nessun artista o poeta saprebbe riinventare per altre parole. Con una evidenza che sola ci potrebbe guidare, a saperla intendere a fondo, a ritrovare l’immagine per (certe) parole che non riusciamo a “vedere”. Spogliarsi nudo in piazza, rendere al padre vesti e denari, fino alla catenina del battesimo, ad essere accolto fra le braccia della chiesa [...] : ed è certo che se si guardasse qual era la veste del vescovo e se ne prendesse il significato liturgico si leggerebbe un altro capitolo della rinuncia di S. Francesco e del suo abbracciare (anzi essere abbracciato) dalla colorata, ricamata adornata e dorata veste della chiesa. Parabolare è veramente il suo vivere, il suo vivere è un parlare per parabole. Scegliere una strada : la più profonda alla fine non potrebbe far più che perdervi la testa : ebbene non si tratta di giocare a testa e croce : si tratta di ridursi per la più breve all’effetto della filosofia : girare,  













































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girare e magari esultando e alleluiando e poi cadere sfiniti : l’uomo non può fare di più se Dio non interviene e perché esigere l’intervento di Dio ? 1  





Il testo documenta la forte tensione religiosa che spinse Orazio Costa a scrivere delle preghiere sui misteri della vita di Cristo come « nuclei » 2 rappresentativi della vita umana. L’ansia religiosa si avverte soprattutto in O Dio, ti cerco con ardore, 3 nella quale gli stilemi biblici sono evidenti sin dall’espressione salmistica dell’anima che ha sete di Dio. Il presente lavoro, nella prima sezione, raccoglie parte dei testi poetici inediti di Orazio Costa che non sono stati inclusi nella raccolta Luna di casa e che sono conservati nei quarantasei Quaderni. Nelle loro pagine il poeta, dal luglio del 1944 (è la data, senza indicazione del giorno, indicativa dell’inizio della stesura del primo Quaderno) al 1 gennaio 1998, annotò all’incirca trecentodieci poesie. A ogni componimento, tranne che per le poesie contenute nel primo Quaderno, è apposta la data di composizione. Il primo Quaderno copre poco meno di tre anni, fino al 24 ottobre 1947. Le poesie riportate nel secondo Quaderno, distribuite lungo un arco temporale compreso tra il 16 febbraio 1948 e il 17 febbraio 1951 sono le più cospicue, infatti, se ne contano settantacinque. Il terzo Quaderno, in un periodo di tempo compreso tra il 25 febbraio 1951 e il 30 dicembre 1951, contiene trenta poesie ; sulla pagina d’apertura sono trascritti i versi danteschi « Sempre con riguardo / di non uscir dove fosser entrati » tratti dal ventiseiesimo canto del Purgatorio e i versi del trentaduesimo canto del Paradiso « Baldanza e leggiadria / quant’esser puote in angelo ed in alma. / Tutta è in lui ; e sì volem che sia ». 4 Il quarto Quaderno, dal 2 gennaio 1952 al 29 gennaio 1955, riporta, unitamente al quinto Quaderno comprensivo di un periodo dal 27 febbraio 1955 al 01 febbraio 1958 e al settimo Quaderno che copre un arco temporale dal 23 settembre 1958 al 16 maggio del 1959, le poesie che affrontano la tematica esistenziale che talvolta si interseca a quella religiosa. Il sesto Quaderno, dal 4 febbraio 1958 al 28 dicembre 1958, contiene quattro poesie di intonazione esistenziale con spiegazione in prosa. La produzione poetica, continua, anche se rarefatta, fino al tredicesimo Quaderno che, dal 21 maggio 1962 all’11 giugno 1963, conserva cinque poesie di intonazione esistenziale, per arrestarsi in prossimità dei Quaderni quattordicesimo e quindicesimo che coprono gli anni rispettivamente dal 15 giugno 1963 al 16 aprile 1964 e dal 23 aprile 1964 al 15 agosto 1965, per riprendere nei successivi Quaderni, sempre in modo frammentario, fermarsi nel ventiduesimo Quaderno (dal 4 maggio 1969 al 30 luglio 1970), continuare nei Quaderni seguenti fino al trentunesimo Quaderno e fermarsi nei Quaderni trentaduesimo, trentatreesimo e trentaquattresimo. Quest’ultimi coprono un periodo letterario suddiviso rispettivamente dal 27 gennaio 1983 al 28 ottobre 1983, dal 1 novembre 1989 al 19 dicembre 1984 e dal 21 dicembre 1984 al 14 ottobre 1985, per riprendere in modo dilatato fino all’ultima poesia Fra i tratti del 10 gennaio 1998, conservata nel  

















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  Cfr. ivi, pp. 9-11.   Cfr. ivi, p. 18 e già in Orazio Costa, Quaderno n° 15, nota del 07.06.1964. In A.C. 3   Orazio Costa, Quaderno n° 15, nota del 07.06.1964. In A.C. 4   Orazio Costa, Quaderno n° 3. In A.C., Firenze. 2





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quarantatreesimo Quaderno, nella quale la frantumazione del verso riflette una dimensione ermetico-lirica 1 che solo difficilmente si apre all’alterità. Tutti i componimenti, tranne rare eccezioni, sono senza titolo e riflettono uno stato di elaborazione non sempre uniforme : nella maggior parte sono copie in pulito, per alcuni tratti sono presenti delle correzioni di riscrittura. Sebbene la produzione poetica vada dal 1944 al 1998, dal punto di vista della cronologia compositiva, il materiale dei Quaderni, soprattutto quello relativo agli anni dal 1948 al 1958, segna l’acme del periodo creativo. Nell’arco temporale compreso tra il 1948 e il 1951, la portata dell’ispirazione assume carattere torrenziale e il poeta attraversa una fase di sperimentalismo che lo conduce dalla produzione di haiku fino alla composizione di poesie liriche di ampio respiro : in entrambi i casi, il dato unificante è la mancanza di uniformità metrica, infatti, le poesie sono caratterizzate da una forma libera, dato che non sono presenti vincoli metrici. Nella seconda sezione, invece, vengono pubblicate le poesie di Luna di casa.  





* A conclusione del lavoro, esprimo un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di quest’opera. Per il reperimento del materiale inedito avrei avuto enorme difficoltà senza l’aiuto del Dott. Marco Giorgetti, Direttore Generale della Fondazione del Teatro della Pergola di Firenze. La maggiore gratitudine va comunque a Rino Caputo, Professore ordinario di Letteratura italiana presso l’Università di Roma “Tor Vergata” che ha seguito costantemente le ricerche che hanno permesso che si pubblicasse l’opera in versi di una delle voci poetiche nascoste, ma vive, del Novecento letterario italiano. 1   In tal modo viene definito il carattere delle sue composizioni da Orazio Costa nel trentasettesimo quaderno in una nota (s.d.) dei primi di luglio del 1987.

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Nota ai testi Nei quarantasei Quaderni, conservati nell’Archivio Costa presso la Biblioteca Teatrale Alfonso Spadoni, è presente una quantità considerevole di poesie inedite e già pubblicate. Il materiale inedito si presenta utile ai fini della ricostruzione della storia testuale delle singole poesie. In questa edizione si cercherà di rappresentare l’evoluzione di ogni poesia dalla prima stesura a quella definitiva. L’unico testimone di riferimento è rappresentato dalla raccolta Luna di casa che in seguito sarà citato in forma abbreviata con la sigla LC=O.C.G., Luna di casa, introduzione di Mario Luzi, Firenze, Vallecchi, 1992. 1 Si tratta di una edizione di 203 pagine, in piccolo formato.  

1. Apparato delle varianti La lezione definitiva è nella colonna di sinistra ; nella colonna di destra si riporta la lezione del manoscritto ; il numero del verso si riferisce ai testi definitivi pubblicati in Luna di casa.  



[19] Via degli Orti d’Alibert (LC) 7 deserta terrana 13 dal pavimento ornata di rose 24 nel 25 di lavanda 27 veniva di dietro una tenda. E una nenia, 28 interrotta al mio arrivo, più lugubre, [21] Bue (LC) 2 aridità celesti, fermo, il bue 3 che gli bava 5-9 I bianchi occhi gli cova fra le corna / un pazzo uccello ; semi, le pupille / i ricordi di idillî momentanei / mutano in carne : si fanno creatura / le immagini specchiate. E nasceranno.  



diventa terrazza dal pavimento, ornata di rose, il di polvere veniva di dietro una tenda e una nenia interrotta al mio arrivo, più lugubre aridità celesti fermo il bue che gli fila *Un uccello impazzito fra le corna / cova i suoi occhi bianchi, come semi / le feconde pupille nuove crescono arcane creature dai ricordi d’idillî momentanei. Nasceranno… *Un pazzo uccello cova fra le corna i suoi bianchi occhi, semi, la pupilla i ricordi di idillî momentanei mutano in carne, crescono in creature (oppure si fanno creature le immagini specchiate e nasceranno) *Opp. : i bianchi occhi gli cova fra la carne / un nuovo uccello, semi…  

[22] Latomie di Sicilia (LC) 1 alti crateri 2 di silenzi odorati, cerco il cielo 5 L’immagine di un subito si inverte 7 dalle sguarnite finestre. Vi pesa 10 immense e via s’annegano oltre i tetti

vacue cave di silenzi odorati cerco il cielo l’immagine d’un tratto si rinnega dalle sguarnite finestre Vi pesa immense s’annegano oltre i tetti

1   Le poesie degli anni 1940, 1941, 1942 non sono contenute nei quarantaquattro Quaderni, pertanto la presente edizione inizierà dalle poesie dell’anno 1944, data di inizio della stesura del primo Quaderno.

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[23] Limpidi idilli (LC) 3 della incorrotta bellezza 4 ove non alita 5 verun indizio

della incorrotta bellezza ove non alita veruna conoscenza

[24] Agonisti (LC) 4 gli agonisti che convoca il mistero 5 Qui giunti ai quattro canti del viale 6 sostano calmi a specchio del quadrivio 7 mutuando silenti conversari 8 I lenti bracci attenderanno sempre 9 senz’ansia allacciamenti e saluti 10 i corpi respireranno senza tentare 11 di strapparsi l’aria coi baci 12 Adeguatamente si specchieranno 13 negli occhi larghi senza configgere 14 punto contro punto le pupille 15 lasciando entrare insieme alla figura 16 il verdire superfluo delle fronde 17 Qui parleranno 18 le perenne fontane e gli astri assorti 19 Carichi d’antefatti inconfessati 20 subito non vedranno le ragioni 21 degli ordinati incontri e scaveranno 22 gli occhi con gli occhi i loro bianchi sguardi 23 Voce d’un alto pianto ora s’aduna 24 per le navate dei palati offrendo

personaggi e convergono ai quadrivi Qui parleranno ; taceranno attonite le continue fontane e gli otri a frotte assorti. Carichi di antefatti inconfinati subito non vedranno le ragioni degli ordinati incontri e scaveranno gli occhi con gli occhi i loro bianchi sguardi Qui di ripente sorge il messaggero Ombra di vino travagliosa, ignara del fatato conciglio e grida annose angosce e dentro le tese maree dei cuori agli astri compaterni piomberà la parola come l’astro stimato irraggiungibile ai loro ansiti E gli antefatti precipiteranno coaguli dogliosi agli occhi attoniti viscere aperte sugli altari arcani delle marmotte sanguinose mani Riprenderanno le fontane a scorrere i loro figurati pianti docili nei silenzi che si ampliano d’orrore

[26] Phaselus ille (LC) 1 Ospiti, e che fate ? 4 Potrei dire pur io : - Agile e lieve 6 ora qui, perso

Ospiti, e che ! potrei dire pur io agile e lieve or qui perduto

[27] I parchi di notte (LC) 1 I parchi di notte… 4 Voglio che dai chiusi 5 veloci abitacoli vedano 7 a lungo sospinto, fra gli occhi delle ghiaie 8 e l’ansito dei leoni

I parchi di notte : Voglio che dalle chiuse veloci macchine vedano a lungo sospinto fra gli occhi delle ghiaie

[28] Attimo (LC) 1 Tu puoi cògliere 3 tentarlo con trepide dita 4 come una sacra piaga 5 e vedere schiudersi 6 dissolto il serrame 8 di questo torrido muro d’impazienza 10 varca la soglia sognata 12 e inòltrati. Abbastanza felice 15 dove tu sia una pavida spersa bandiera bianca 17 offerte 21 pieno di gratitudine. 22 Che lieve sonno ! Ascolta 24 Ti accorrono intorno, angeli liberatori 25 svanita l’ansia delle tentazioni

Tu puoi trovare mettervi il tuo dito incredulo come in una sacra piaga e aprire, serratura arcana come un’agevole porta questo torrido muro di frastuono il varco della soglia sognata e inoltrati. O felice dove tu sia una pavida doni pieno di gratitudine, che lieve sonno ! Odi il profumo di questa pace silenziosa Io accorro intorno, invisibili angeli, Senza le tentazioni ansiose, le liberazioni















l ’ esperienza poetica di orazio costa 26 l’esultanza della carne 27 le modulazioni delle giunture 28 gli scintilli delle scorze 29 le ali dei precordi 30 le palpitazioni e i sogni 31degli occhi e delle mani 36 ognuna viva ed essa dicendo : io 38 ognuna mi canta e somiglia 40 e libero e vero, e uno, alfine.  

[29] Incubi (LC) 2 magre 4 ciechi occhi, alle voci 5 echi 6 dubitose, se più tronche 12 fra flagelli di canne e i gonfi labbri 13 gorgogliano di bolle, ombre di baci 14 fino al mattino livida riva al mare.

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della carne che lievita delle giunture che modulano dei crini che alitano, delle scorse che brillano dei precordi che ventilano delle fluenti interiora degli occhi che covano sogni Come dentro ognuna la vita è avvinta come sono migliaia e migliaia E uno, e libero, e vero – al fine. magie ciechi occhi alle voci occhi dubitose se più perché tronche [fino al mattino, livida al mare.] fino all’alba bagnata spiaggia… fra flagelli di canne, e i gonfi labbri / gorgogliano di bolle anche di baci.

[30] Dritto e rovescio (LC) 1 Nasco : 6 l’universo. Ora sono entro le scorze 7 e il cuore è il sole ; ora ne sono fuori 9 cielo oscuro rosso 10 arioso zodiachi 11 coi loro draghi palpitanti attorcono

Nasco ; l’universo. Ora (se) sono (essendo) entro le scorze e il cuore è il sole (m’è sole il cuore). Ora opaco folto intorno immenso interiora sono interiora e crini

[31] Trinità dei Monti (LC) 6 cesio 14 nuvole 16 trasparente

cereo cupole travolgente

[32] Sperdute foche (LC) 9 come se il loro canto

come se il loro canto latrassero sperdute foche





[33] La bocca (LC) 1 Piove oltre i vetri pallidi



Piove oltre i vetri pallidi. *Opp. : La mia bocca chiusa mi guarda  

[35] Indizi (LC) 3 casi 6 radi 10 pungono e disseccano 13 brividi nelle pozze [36] Dirigibili 2 sussurranti alveari d’argento 4 Così per me si ricompone in uno d’argento 5 per il dono di quei fatui pianeti 6 l’ultimo cielo al primo firmamento

mali caduti pungono e diradano (disseccano) (brividi) ruscelli nelle pozze sussurranti alveari d’argento a rifarci le nuvole infantili Così una ricompone in uno Anche per noi si congiungeranno per il dono di quei futili astri / gli ultimi cieli al primo firmamento. / Il cielo d’oggi, oggi il firmamento al cielo del bambino.

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[37] Compagna (LC) 2 lungo le strade...me le fa 3 giardini in fiore misteriosi...duplica 4 ogni ansioso gesto…preme 6 contro il mio cuore…i battiti ne forma 7 ed 9 fra cosa e cosa, e più forte m’inoltro 10 mutoli

lungo le strade, e me le fa futuri duplica giardini in fiore misteriosi e duplica ogni curioso gesto e preme contro il mio cuore e i battiti suoi forma e fra cosa e cosa (e mi sprofondo solo) taciti

[39] Altri visi (LC) 1 guardo 3 vecchiaia. 4 Ma nel tuo viso per quanto scruti 5 non so scoprire la porta 6 né la fessura né la minore resistenza 7 per cui apparirà la vecchiaia 8 Voglio forse in cuor io condannarti alla morte ? 9 No davvero, la temo e so che, ahimè, 10 non può non toccarci o l’una o l’altra 11 e che non c’è modo di fuggire le vecchie : 12 né odio né amore né fuga né vicinanza, 13 solo il non averti mai visto, 14 che non può esser più.  



quando vecchiaia: quella fronte alta annuncia calvizie quel largo riso una maschera di rughe quei tondi occhi, carnose bare quei generosi orecchi tumidi ingrossamenti ma nel tuo viso per quanto scruti non so scoprire la porta né la fessura né la minore resistenza per cui apparirà la vecchiaia Voglio forse in cuor mio condannarti alla morte ? No davvero, la temo, e so che, ahimè, non può non toccarci o l’una o l’altra / e che non c’è modo di fuggire le vecchie / né odio / né amore, né fuga, né vicinanza / solo il non averti mai visto, / che non può essere più.  

[40] Seconda persona (LC) 1 Credevo che fossimo soli,

Credevo che fossimo soli ;

[44] Carta da parati (LC) 4 figura 6 effige 10 accontenti

paesaggio figura che non osi voltare compiaci

[45] La voce (LC) 2 sommessi inviti, pavidi saluti 3 varchi a insperati paesi apriva 4 ove l’eco a lungo 5 assolava 6 fiduciose ; 7 corsi di misericordia fluiva 9 Intonò canzonette, cui seguirono inni 10 illuminati e segreti carmi 12 cure 13 adusò 14 E parlò d’altro : fra i verbi fra i motti 15 volò ancora a lungo una colomba sperduta, 17 Nel cielo azzurro, all’occhio della luna, 18 ancora a lungo cercarono direzioni nuove, 19 incerti se verso il sole se verso le nevi piegare ; 20 e la colomba nella viva rete di ali, 21 nell’andirivieni sospesa delle non fraterne ali, 22 si dibatté ancora a lungo. E d’un subito

pavidi saluti, sommessi inviti apriva varchi a insperati paesi ove l’eco cantava a lungo assolando fiduciose corsi di misericordia fluida Intonò canzonette e risposero cantici inni alti sempre più illuminatori aure adurò E parlò d’altro ; fra i verbi, fra i motti volò ancora a lungo una colomba sperduta Nel cielo azzurro all’occhio della luna palpebra ferma e bianca, ancora a lungo cercarono direzioni nuove, incerti se verso il sole varcare se verso le nevi e la colomba nella viva rete di ali, nell’andirivieni sospesa delle non fraterne ali











l ’ esperienza poetica di orazio costa 23 trovarono il viaggio ed ella sbigottita 24 della desolata libertà 25 affaticata volse al porto più prossimo suo, 26 alla straniera luna, sperdendosi in volo. 27 Varca ancora la voce e lontana 28 sotto la palpebra della luna la sua immagine vige ; 29 ma qui le parole sono sole 30 e citano frasi ribelli 31 punte di sassi fra le sabbie.  

palpitò ancora a lungo. E d’un subito (la palpebra della luna non si mosse) trovarono il viaggio ed ella sbigottita della desolata libertà si diresse affaticata al porto più prossimo suo alla straniera luna, perdendosi in volo. Ella varca ancora la voce e lontana sotto la palpebra della luna la sua immagine vige ma qui le parole sono sole / e citano estranee frasi discordi / punte di sassi fra le sabbie.

[46] Sempre con riguardo (LC) 1 arso 9 furente 12 Pei 13 strinano 14 ceneri biave che il fuoco non degna

arido presente Per tritano ceneri biada che il fuoco non degna

[47] La luna in mano (LC) 2 isola, o luna, sogno di strateghi, 3 ti contendono a noi calcoli e macchine.

isola, o luna, sogno di strateghi. Ti contendono a noi calcoli e macchine

[48] Montagne (LC) 3 braccia che torci e stendi e oscuri grembi ; 4 prole 10 vogliose e magre agli astri irraggiungibili 14 irto nocchio, frutto verde, 15 di notte 20 maturi polpe, grappoli, riviere, 21 cresci di rami, di radici e uccelli,

braccia che torci e stendi e oscuri grembi. Prole vogliose e magre, agli astri irraggiungibili, frutto verde, irto nocchio. Di notte di rami, di radici e uccelli, tutti parti, danzante immobilità.

[49] Nomadi (LC) 5 Parte ogni istante una freccia : 8 amare 9 persino di dire, persino di nascere... 10 fuochi 12 dischiudersi 13 una mano apparirvi garante 15 Campiamo attendati… 17 svolazza, aggrappata alla terra, la tenda. 18 Non 19 Attendiamo uno squillo : 20 rimbalzi 21 si 23 dentro di noi all’indietro 28 noi l’aspettiamo prima.

parte ogni istante una freccia nascere persino amare, persino di dire Fuochi Dischiudersi una mano apparirvi, garante Attendiamo campiamo svolazza aggrappata alla terra, la tenda non Attendiamo uno squillo Rimbalzi Si Dentro di noi, all’indietro noi aspettiamo prima.

[50] Tauromachia (LC) 4 su letti non più rifatti 8 Mosche intorpidite dal gelo 9 i tori bolsi 10 mancano fatalmente le pezze rosse 11 che porgono i toreri, 12 pasifaesse veroniche. 13 Solitarie orme qua e là 14 fra gocce di sangue affiorano,

su letti moribondi (non più rifatti) Mosche intorpidite dal gelo i tori bolsi mancano fatalmente le pezze rosse che i toreri porgono loro pasifaene veroniche Solitarie orme qua e là fra gocce di sangue si diradano, senza che alcuno passi,







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lucilla bonavita

15 senza che alcuno passi, 16 (uomini, fiere, cavalli) 17 negativi fiori di soste eluse. 18 Il toro colpito stenta così lungamente 19 come sul marmo del ristorante 20 la fulva aragosta 21 e senza ormai paura 22 gli eroi appendono corone alle sue corna.

uomini, fiere, cavalli, negativi fiori di passaggi mancati Il toro colpito così lungamente stenta come nel piatto d’argento del ristorante la pulita aragosta… e senza, ormai, paura gli eroi appendono corone alle sue corna.

[51] Cerveteri (LC) 1 Sentiamo cantare canzoni / nei bagni 2 nei bagni delle necropoli, 5 dalle tombe di riposo alzandosi 7 Il sangue sentiamo batterci 8 dai remi delle galere, 10 preciso pianeta ; 11 e respiriamo avvenire, 16 Non ci sarò : di nuovi fanciulli 17 entrati per gioco a rovescio 18 nel letto una sera 20 le lenzuola rimboccate, ci saremo inoltrati 21 verso una luce che appena

Noi sentiamo cantare canzoni Noi vediamo occhi sorriderci (come se) dalle tombe di riposo alzandosi il sangue sentiamo batterci (come) dai remi delle galere preciso (come un) e pianeta ma respiriamo avvenire Noi ci saremo : (come) di nuovi fanciulli (che) per giuoco entrati a rovescio nel loro letto, una sera ; le lenzuola rimboccate e s’inoltrino verso una luce, che, (cieca), appena

[52] Giocando con la sabbia (LC) 5 finchè non cada il culmine di paglia : 6 si perde sempre, tutto sta tardare. 9 lilla 12 E ricomincerò, cambierò modo : 15 lama 16 ma il monte al suo momento ricadrà 21 e 22 che frana tuttavia, resterà in bilico

finchè non cada il culmine di paglia ; si perde sempre : tutto sta tardare. viola E ricomincerò cambierò modo : corda ma il monte a un bel momento ricadrà o che frana tuttavia resterà in bilico

[54] Filiere (LC) 3 dipanando amarezze filiamo 5 Tigliose parole arsicce balbettiamo 8 per farle rinvenire, non sappiamo. 9 Non abbiamo più tempo di cantare: 11 sillaba per sillaba distilliamo, 12 ficcando le inesperte dita del cuore 13 fra le tigliose amarezze, arsicci fili 14 traendo di sgravate parole. 15 Fatica di parole interiori 16 duriamo senza saliva senza forbici

dipanando amarezze, filiamo tigliose parole, arsicce balbettiamo per farle rinvenire non sappiamo. Non abbiamo più tempo di cantare sillaba per sillaba distilliamo fra le tigliose amarezze, arsicci fili traendo di sfiancate parole. Fatica di parole interiori duriamo senza saliva senza lacrime senza forbici Mentre viviamo il filo ci attraversa senza forbici





















[55] Medusa (LC) 1 sanno 4 nuvolaglia m’infioro

sono nuvolaglia m’infioro (opp.) a mordenze di cupi infioro nubi (a morse rupi) rocce ghiaia sabbia, con gli sprazzi sparisce

6 rocce, ghiaia, sabbia con gli sprazzi 8 sparisco [56] Nottole (LC) 1 Fra le mie mani e me vien meno il sangue : 2 aria a branchiali polsi esse respirano  

Fra le mie mani e me vien meno il sangue, aria (dai vacui) a branchiali (svenati), (dai) polsi (esangue) come respirano.

l ’ esperienza poetica di orazio costa 3 nottole 4 dall’intravisto oro della bellezza 5 Lampade trasparenti 7 chiamano i desideri fitti effimeri, 9 Ed i miei calvi topi svolazzanti 11 denti inutili e tutti palpitando 12 lumi [57] Il campo (LC) 1 pendulo sull’abisso... 3 stadio ! 4 Qui piango ; 7 inutile 12 pavide talpe lo tentano, presentendo sfaceli  



13 Per ogni dove papaveri di segreto sbocciano 14 e a brucarli si sfogliano. 1

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nottate dalla intravista luce d’oro della bellezza (dall’intrav. oro d.) Lampada trasparente chiamano i desideri fitti effimeri Ed i miei calvi topi svolazzanti, denti inutili e, tutti palpitando, lumi (muri ?)  

perduto nell’abisso stadio, qui piango inutile (spento) sorde ansanti ansiose talpe lo tentano fiutando misteri 1 Per ogni dove papaveri di segreto sbocciano e si sfogliano a brucarli.

[58] Guardiani (LC) 2 corni ; 3 il 4 tra le labbra brucate ; 6 occhio ; 7 il

corni. Il tra le labbra brucate. occhio. Ma

[59] Galli (LC) 5 sperduti 6 ‘io’, ‘io’ declamano proclamano 7 reclamano conclamano ed implorano 8 La mia coscienza s’accende qua e là 11 radi 12 salzano gl’’io’ dei grilli innumerabili, 14 sono 15 ora di quella, ora d’infinite. 16 gridìo 18 perdutamente molteplice, con tutti quest’io 19 che respirano ‘io’ nella notte, uomini e grilli

speranti io’, ‘io’ declamano (proclamano reclamano, conclamano) ed implorano : la mia coscienza nebbia fredda s’accende qua e là radi (piccoli) salzano gl’’io’ dei grilli innumerabili sarò ora di quella ora d’infinite grillio perdutamente molteplice con tutti questi io che respirano ‘io’ nella notte, uomini e grilli







[60] Magnificat (LC) 5 Questa che s’arrovella nel boccio, 6 fra gli incubi di una genesi lunga, 7 non è ancora la rosa… 8 Ho visto il giardino della mia casa 11 verso mari oscuri e incerte stelle... 13 esperimento 14 di profeta, di eroe, di sacerdote… 15 Aperta, la rosa sarà tutto questo, 17 Il nero che si vena di rosso, 19 di un parto di gridi di gaudî di speranze 21 orla già i bordi dei petali,



Questa che si arrovella nel boccio fra gli incubi di una genesi lunga non è ancora la rosa. Ho visto il giardino della mia casa verso mari oscuri e nuove costellazioni (nuove stelle) sperimento di profeta di eroe di sacerdote. Aperta, la rosa sarà tutto questo Il nero che si vena di rosso di un parto di gridi di speranze orla già i bordi dei petali

1   In calce alla poesia nella nota del 31 agosto 1958, è riportato il verso « pavide talpe lo tentano presentendo sfaceli ». Orazio Costa, Quaderno n° 4, nota del 31 agosto 1958, in A.C.  



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lucilla bonavita

[61] Rosa (LC) 1-4 A quella che mi s’apre e abbraccia rosa, / occhio evaso, ove specchio ogni mio io, / acconsento filiale e torno seme / amatamente nel profumo ascoso. 5-8 Vólto di palpebre e labbra socchiuse / a sorridenti sguardi, amata rosa, / materne braccia / avvoltolati cieli / attorno al sole che speriamo splendere, 9-11 finchè le braccia reggono ed i cieli / appassiti non cadono. Si gonfia / allora il cuore e si fa rosso e solo : 12-14 rosa che fummo, profumo che fummo, forma che non si spiega per aprirsi, / e corona una stella spento sole.

A quella che mi s’apre e abbraccia, rosa / occhio evaso, ove specchio ogni mio cielo / acconsento filiale e torno seme / amatamente nel profumo ascoso. [opp. nascosto] Vólto di palpebre e labbra socchiuse / a sorridenti sguardi, amata rosa, / materne braccia / avvoltolati cieli / attorno al sole che speriamo splendere. [Difeso sole, visitato sole, da volanti smeraldi] finchè le braccia reggono ed i cieli / appassiti non cadono. Si gonfia / allora il cuore e si fa rosso e solo : rosa che fummo, profumo che fummo, / forma di braccio immobile inspiegabile / che non si spiega per aprirsi, / e corona una stella, spento sole.

[62] Sul filo (LC) 2-3 Attendo sul filo : lo spazio che s’apre / si trama di echi, di piccoli suoni ; 6 bambino da sempre, sospeso 8 a un’eco, a un piccolo suono 9 sul buio gremito di stelle 12-14 di ogni nuova parola, purchè sia, / a spiare, a cercare, a ricevere / l’ape celeste della novità.

Attendo sul filo : [il vano sonoro] lo spazio che s’apre. / Si trama di colori, di piccoli suoni ; eternamente bambino a un’eco a un piccolo suono sul cielo buio gremito di stelle stellato di ogni nuova parola purchessia / a spiare a / a cercare / a ricevere / l’ape celeste coro delle novità.







[64] Luna di casa (LC) 1-7 Luna di casa, palla di neve, / lampada acetilene agganciata / al trave della stalla / mentre nasce l’agnello : / le mosche le farfalle / ci svolano intorno, si sentono stridere / al tuo soffio bianco. 21-27 Luna di casa, chioccia di pollaio, / aureola d’argento del santo della pieve, / che sta più quaggiù fra i fedeli / che comodo in cielo. / Azzimo che porge alle labbra / la mano di Dio e che gustiamo / nel nostro palato di stelle.  

32 sulla 45 al quale asciugherò quelle altre lacrime 46-55 Luna di casa : culla dondolante / che la mano sollecita. Luna di casa, / picchiotto della porta, / serratura del cielo, / mano amica, / finestrella dell’andito, / bocca del pozzo, / secchia grondante / che cresci dal fondo / e ti rilanci al tonfo.  

56-86 Luna di casa, quieta testimone / delle cose, dei casi, d’ogni avvento, / certa memoria, coscienza senz’ombra, / occhio d’ognuno







Luna di casa, [lepre nell’orto], palla di neve, / lampada acetilene agganciata / al trave della stalla / mentre nasce il vitello ; / l’Agnello. / Le mosche e le farfalle / ci svolano intorno : si sentono stridere / al tuo soffio bianco. Luna di casa, chioccia di pollaio, / aureola d’argento del santo della parrocchia / che sta qui giù tra i fedeli / che comodo in cielo ; / [disco del telefono che la mano avvia] giornalistico perché / [per tutte le chiamate del cuore] momentaneo / Azzimo che sporge alle labbra / la mano di Dio e che gustiamo / nel nostro palato di stelle. nella nel quale (piangerò) asciugherò (le mie ultime) quelle altre lagrime Luna di casa : culla dondolante / che la mano sollecita ; / Orlo del bicchiere ; [cialdino, conforto, pastiglia della salute] [cucchiaio della medicina] / luna di casa, picchiotto della porta, / serratura del cielo, / mano amica, / finestrella del corridoio, / bocca del pozzo, / secchia sgrondante (di stelle) / che la corda riconduce dal fondo, / e il manico suona sul fianco / e si rilancia al tonfo. Luna di casa, accorta testimone / delle vecchie cose che spariscono / vigile memoria, onesta coscienza, / occhio d’ognuno, nel cuore d’ognu 











l ’ esperienza poetica di orazio costa nell’occhio d’ognuno ; / uno per uno siamo con te a veglia, / e con le stelle tutta una famiglia. / Tu c’eri coi padri dei padri, / ci sarai con i figli dei figli : / tu sei per tutti noi arco di luce, / giogo di luce che tutti ci unisce. / Visibile profezia, / memoriale di quello ch’è stato, / sai quello che abbiamo in cuore, / occhio d’ognuno nel cuore d’ognuno. / Per te la gola del pomo che assempri / c’invoglia ancora dall’orto celeste / che sempre sei stata / che sempre ci resti. / Sei stata e resti la manna del deserto, / la stella di Betlemme, / il fastigio del tempio. / Sei il pane dei pani moltiplicati, / il calice di Getsemani e la corona di spine. / Sei la mola del sepolcro / rotolata fin qui, ad un tiro di schioppo, / vicina al cuore, vicina ; / nostra sorella, viso di madonna, / sapienza eterna, esultanza / gioconda al cospetto di Dio, / nell’universo, felice / di stare coi figli degli uomini. 87-90 Luna di casa, lira della vedova, ultimo soldo, / girato nella tasca a lungo prima di spenderlo, / e poi tenuto in pugno per augurio, / per talismano, piccola lira del povero. 91 dramma 96 per credere, serratura del di là  



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no. A commemorare la vicinanza degli astri / la dolcezza del pomo / il cancello del paradiso, / la manna del deserto, / la stella di Betlemme, / la giara di Cana, / la cima del tempio, / i pani moltiplicati / il calice di Getsemani / la corona di spine / la mola del sepolcro, / rotolata fin qui / ad un tiro di schioppo. / Vicina al cuore, vicina ; / nostra sorella, viso di Madonna, / sapienza eterna, esultanza / gioconda al cospetto di Dio / la nell’universo, felice / di stare coi figli degli uomini.  



[65] Agnus Dei (LC) 6 il pastore quel volo seduto : 8 fangosa lana 11 sostituire 42 inebetita stanchezza… inebetito dolore

Luna di casa ; ultimo soldo [lira della vedova] / girato nella tasca a lungo prima di spenderlo / e poi tenuto in pugno per augurio / portafortuna piccola lira del povero. moneta [dramma] per credere, serratura [del paradiso] dell’al di là  

i volanti sedili [quel volo seduto] fangose lane solitudine inebetita stanchezza



[66] Verbo (LC) 1-5 Fuggevoli fiere pei ronchi, / guizzo d’ère : / non interiora squadernate / sui marmi dei beccai / il verbo invendibile.

[lampo] guizzo, d’ère : [revolute]. / Non interiora / squadrate sui rami beccai. / Così [le parole dei pensieri] il verbo invendibile.

[68] In isto tempore (LC) 1-4 Il tempo è quello. Ingemma l’avvilito oro / delle antiche scorze che m’avviluppano / d’opaco splendore, un firmamento d’aculei, / un gridìo di spini che feriscono e allietano. 10-11 e la bestia s’acquatta nell’oro della paglia, / ma la calpesta trebbiata infangata messe 15 (ov’è tepida luce, carezzevole fiato, odorante fomento) 18-25 l’orfana vana vecchiezza contava le sue rughe / con mani cieche, sorelle delle talpe dei labirinti ; / l’eternità mostruosa s’avvoltolava per infinite volte, / me ne fa strazio un istante di grazia. Quello. / Bocca, io, sul cielo, del labirinto di grotte / dove da sempre nottola sbattevo già per sempre ; / ora in me scocca, in me brilla, in me s’avviva / la favilla di grazia degnatasi di me : quella ; 34 bramiti

Il tempo è quello. Ingemma d’aculei (l’avvilito oro)/ (del)le antiche scorze che m’avviluppano / d’opaco splendore, un firmamento d’aculei, un gridio di spinni che feriscono e allietano. e s’acquatta la lontra (calda) nell’oro della foglia, / ora la calpesta, infangata mène, ov’è tepida luce, carezzevole fiato, odorante fomento l’(orfana vana) vecchiezza contava le sue rughe, / con mani (cieche sorelle) delle talpe (dei labirinti) ; / l’eternità mostruosa s’avvoltolava (echeggiava) per infinite volte / ma ne fa strazio un istante di grazia. Quello. / Bocca, io sul cielo, del labirinto di grotte (foce) / dove da sempre, nottola, sbattuto giù per sempre, / ora in me scocca, in me brilla, in me s’avviva / la favilla di grazia, degnatasi di me. Quella. barriti















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lucilla bonavita

51 e non c’era più posto per nessuno.

e non c’era più posto per nessuno. Chi aspettava Dio ? gemetti una bavosa solenne infanzia (e di genere ?) che prima erano dritti (retti) come sapevano i saggi (gli spazi) un ritorno di voli che fa nascere il nido, / un precipitare di petali che crea il fiore, un accorrere di raggi che rinviene il diamante, un convergere in me di tutto me intorno alla Nascita (dal cerchio al centro e sì dal centro al cerchio) ingorgavano morte vigilie vini né sapevo bene di che si parlasse che ognuno può scegliersi nel suo momento giusto madri d’agnelli in pianto, cuccioli freddolosi, / fiori e stelle, / conchiglie scelte fra le rocce, / verghe di ginepro e trecce di salici, / sale e olio, vino e pane e lievito e presame. dal silenzio di Dio (premuto) all’umano frastuono bizzose caritativa promessa, certezza (garanzia) consanguinea d’una vita di paradiso  

62 e gemetti una bavosa solenne infanzia



68 che prima erano retti come sapevano i saggi. 75-78 un ritorno di voli che fa nascere il nido, / un precipitare di petali che crea il fiore, / un accorrere di raggi che rinviene il diamante, / un convergere in me di tutto me intorno alla nascita. 81 dal cerchio al centro e sì dal centro al cerchio 94 ingombravano 98 mondo 100 veglie 102 vizi 105 non sapevo dirmi di che re si parlasse 112 e ognuno può scegliere il suo nel suo momento giusto, 124 madri d’agnelli in pianto, cuccioli freddolosi, / fiori e stelle, conchiglie scelte fra le rocce, / verghe di ginepro e trecce di salici, / sale e olio, vino e pane e lievito e presame. 132 dal silenzio di Dio premuto all’umano frastuono 142 brinose 146 caritativa promessa, certezza consanguinea 147 del paradiso trovato [69] A Nina mia madre (LC) 5 ritorno 6 per te, angelo a me di troppa gioia, 7 che quasi scomparivi, a furia di esserci.

[rinnovato] per te, angelo tu a me di troppa gioia che ti sbiadiva di ricchezza esserci

[70] Albero (LC) 1-5 Ho visto albero in cielo : foglie, rami / tronchi radici fiori frutti uccelli / nidi disfatti cespugli di vischio / processionarie cortei di formiche / che il vento fruga preda asciuga spoglia. 6 Ho scritto albero in me, più intero cielo : 14 consaputo

Ho visto albero in cielo / foglie, rami / tronchi, radici, fiori, frutti, uccelli, / nidi disfatti, cespugli di vischio / processionarie, cortei di formiche, / che il vento fruga, preda, asciuga, spoglia. Ho scritto albero in me, più (vasto) cielo, [intero] conosciuto (consaputo)

[71] A… 1-6 Straniero attendo caritativo / all’ala che va / alla ruota che va / al bimbo che va / all’uomo alla donna / che vanno a…

Straniero [mi volgo] caritativo [attendo] / [all’uccello che va ] / al treno che va / al bambino che va / all’operaio, alla donna. / Che vanno a…

[74] Partenti (LC) 1 Disperato eppure sereno / vi posso amare, inquieti partenti / dietro i vetri del treno. 4 densa 5-7 e vi trapianta volonterosi / vi abbraccio e v’incoraggio / rubando il saluto che non mi spetta. 12 amore 13 sofferma 15-30 su di voi mi riposo senza peso. // Voi non

Disperatamente ma sereno / posso amarvi timidi partenti / dietro i vetri del treno. intensa e vi trapianta (disposti volonterosi e vogliosi) / rubando il saluto che non mi dedicate. amare rafferma Sui capelli della fanciulla / e sulla spalla del ra-





l ’ esperienza poetica di orazio costa

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31-37 Sulla banchina sempre a separarci / c’è questo treno fra noi ; / quasi temiamo che non parta / e i legami si annodino / che i nostri voti augurarono. / Ma sempre prima, sempre improvvisa, poi, / ci strappa la partenza, insaziati.

gazzo, / sulla gota della madre / sulle ginocchia del nonno. / Mi riposo su di voi senza peso. Voi non sapete di sorreggermi / e io vi attraverso e vi chiamo / come l’amico che è sceso / a riempire la bottiglia / come la sposa che vi abbraccia / come la sorella che vi piange. // Ditemi addio col derisorio / occhio che si stupisce d’uno sguardo troppo lungo / con la voce che spera avventure / mentre chiede conferma della destinazione / sollevatemi nella vostra valigia / e continuate a guardarmi (fissarmi) / mentre mossosi il convoglio, / guardate (l’occhio vi si diversa) nelle stanze della periferia. Eppure sull’eterna banchina a separarci / c’è sempre questo treno tra noi / e temiamo che non parta / e i legami si annodino / che i vostri voti augurarono. / a poi sempre pria, improvvisa sempre / ci lascerà la partenza insaziati.

[75] Giardini nordici (LC) 1 lagune 5 Piccole api di ghiaccio ronzano 9 al 11 ai vetri, opachi di brina 15 spazza 18 pettine 20 riconducono agli ordinari quadranti 27 e per un attimo fanno pace in noi / quanta può farne appena un po’ di sangue

lagrime Queste piccole api di ghiaccio che ronzano a a vetri opachi di brina spara pittore riconducono (riordinano) agli quadranti e rifanno pace per un momento in noi di quella che può fare un po’ di sangue

[76] Convalescenza (LC) 4 querula 8 mentre della madre operosa 10 Riconosco le ore, i suoni, i pensieri 14 tenore 16 ma tutto germinante di aprili 17 sempre più interiora ed incorporea 20 I chicchi e le gocce, la carne e i lenzuoli 24 e già luccicano del prossimo ritorno 25 -in quale stanza, presso quale mano ? 31 diversa essenza 33 lei 44 come dicevi, caro Raffaele.

famigliare mentre della padre occupata Riconosco le ore i suoni i pensieri terrore ma tutto germinante (di futuro) di aprili sempre più nuova ed incorporea I chicchi e le gocce ; la carne e i lenzuoli e già luccicano (al) prossimo ritorno (del) (-in quale stanza, presso quale mano ?) diverso essere che (vero, Raffaele ?)

sapete di sorreggermi / e io vi attraverso e vi chiamo, come l’amico che è sceso / a riempire la bottiglia, / come la sposa che vi abbraccia / e la sorella che vi piange. Ditemi addio con occhio derisorio, / stupiti del mio lungo sguardo, / e la voce che spera avventure / mentre si accerta della destinazione. // Sollevatemi nella vostra valigia / e continuate a fissarmi / mentre, avviato il convoglio, / l’occhio già vi richiamano / le stanze della periferia.





[77] Finestre (LC) 3 appassiscono 4-8 Troppi rumori, colori, odori /schiantano la docile essenza / di suoni, di toni, di aromi / che non giungono ai sensi / offesi prima, trapanati, schiacciati.







s’appannano S’aprono finestre : appaiono / visi nuovi guardano / e subito s’appassiscono / troppi rumori, colori, odori, / schiantano la dolce essenza / di suoni, di toni, di aromi / che non giungono / ai sensi offesi prima / trapanati schiacciati. / In rughe s’accartocciano / prima di sbocciare gli occhi. / In ghigni si tendono / prima di baciare le bocche. / E le mani, ah le mani / s’affannano  

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lucilla bonavita

9-15 Fiere, mercati, carnevali / di mugghi girandole e trombe / assillano ormai ogni ora / di quei perduti giorni feriali, / dolci, pacati, muti, severi, tra le campagnole domeniche / dei balli delle gite e dei riposi. 16-33 Almeno dietro l’impannata / che mi faccio dentro il cuore, / raddoppiando tende di silenzio, / potessi continuare a mirarti, / nostalgia della grazia, / tu che fiorivi / dorati licheni e pazienti fili di miglio / fra i lastricati azzurri di strade accarezzate / dalle palme calde di piedi nudi ; / tu che porgevi dal ramo o dalla gronda / bisbigli di pennuti nel nido / e ripide ombre vivide sui muri delle madri rondini ; / tu che schioccavi la frusta del carrettiere / e l’unghia del ciuco e sorridevi al canto / del gallo nelle stie dei terrazzi, all’eco nasale / della fontana con la sua tinozza, / all’incanto di mosca estiva sulla bocca del pozzo.  



a spianare / ma da troppi manubri attrappite / sanno appena graffiare. / Sotto gli stridi acidi di tutto / ciò che vuole arrivare prima / agli occhi agli orecchi al cuore / si appanna più d’un tenue colore / sfuma più d’un garbato odore / s’affoga in oltraggiosa musica / ogni più caro rumore. Fiere, mercati, carnevali / di mugghie, (di) girandole e (di) trombe / assillano ormai ogni giorno, / ogni giorno Signore, e ogni ora/ di quei perduti giorni feriali, / dolci, pacati, muti, severi, / tra le campagnole domeniche / dei balli, delle gite e dei riposi. O Terra, divinamente ancora incinta / di sommovimenti e di acque / capace di erompere viva per camini di monti, / in te, nelle tue cave, nelle tue grotte / distillanti quiete muffe e capelveneri, / ciechi tritoni e nottole, offrirmi materna la silenziosa pace che dalle strade / lucide dei cieli infestati e nei campi disertati / cacciarono i rombi in mercati notturni, in fiere continuate / spazzando le pacate (lievi) orme della grazia./ Almeno dietro la impannata / che mi faccio dentro il cuore o (raddoppiando) approfondendo tenebre opache di silenzio mio / potessi commemorarti inesprimibile / nostalgia della grazia. Tu che fiorivi / dorati licheni e pazienti fili di miglio / fra i lastricati azzurri di strade imbattute / accarezzate dalle palme calde di piedi nudi. Tu che porgevi dal ramo o dalla gronda / un sussurrio di pennuti bisbigliante nei nidi, / e ripide le ombre vivide pei muri delle madri rondini. In prosa : Tu che ai cantori lasciavi dentro fermentare il canto d’un pio accattone e il rammarico del suo violino ; tu che scioglievi nei cortili i richiami desolati e confortanti dello impagliatore di sedie, del vetraio e il suo odore di olio di lino cotto, del compratore di stracci e di melodiose bottiglie, scampanio gocciole di vino aceto e d’acque salse, e dell’ombrellaio aggiustatore di brocche e conche per vari bagni di acqua piovana. Grazia che schioccavi la frusta del carrettiere e l’unghia del cavallo, e sorridevi al canto del gallo nella stia dei terrazzi. (L’eco nasale…) Rombo segreto della fontana con la sua tinozza, lucciola del fanale nell’ombra lunga e verde delle sere ; porta aperta delle chiese occhiute di fiammelle, canto di civetta, stridio di pipistrello e persino, oh ! persino incanto di marea estiva sulla bocca del pozzo, sbircio di cartocci sotto il riposo. Ventaglio di penne di tacchino a far vento al fuoco torpido del carbone che non vuole prendere, arruffio di scintille sui fornelli sgargianti di crisoprazi – carbone acceso, e il mesto tizzo grigio che fuma e fa piangere…  







l ’ esperienza poetica di orazio costa [98] Registrando in ‘esterni’ (LC) 1-2 Ti ho sentito parlare e non in te / e non a me. Parlavi a Simone 14 Spremevo lungo la scorza lontana, 40 mancati tentativi d’armonia 47 tradiva la notte e il suo mistero 48 di una 51 le stesse parole aiutandole a nascere 52 (mi carezza il tuo gesto la memoria)

33

67 tingono 70 sai

Ti ho sentito parlare, e non c’eri ; ( e non in te) / e non a me. (Ma) Parlavi a Simone Spremevo lungo la scorza lontana tentativi di armonia mancati tradiva la notte e il buio mistero della le stesse parole perfezionandole (aiutandole a nascere) (mi ricordo il tuo gesto) ( mi carezza il tuo gesto la memoria) piangono sapevi

[100] Pensiero dominante 1 Non è che ci devo pensare,

Non ho da pensarti

[101] La nevicata 1-19 Che tu non mi abbia chiamato / per parlarmi della nevicata / mi prova che non ami la neve, / meridionale adusato ai fanghi del nord ; / ma sai ch’io l’amo / l’effimera abbellitrice, / sai che credo mi porti bene / perché mi fa sperare / in celesti purificazioni / per quanto aggrazia / di minimi fiori, per quanto / seccume dirada, per quanto / di doni aggrava, per quanto / fa nitida l’aria e la torna al suo profumo d’acqua, / per quanto netta su ogni foglia, / per quell’offrirsi all’occhio, alla mano, all’orma, brevissimamente intatta e tutta pronta / a non essere più se stessa, umilmente altra.



24 come quella non voluta partecipare, 28 più calde ed odorose laggiù 29 fra le valli dei templi, lontane, lontani 32 disfacevo 40 attendere 53 forse ormai solo per te, ma senza te 57 che ventila e l’impolvera – gli artigli 59-60 di lievi nuvolette, fioche, fredde, / di spume e piume…sento quel ridente 65 restata 73 chicco 81 Non più che neve al Dio l’anima nostra

Che tu non mi abbia chiamato / per parlarmi della nevicata / mi prova che non mi consideri tuo amico / forse non ami la neve / meridionale adusato ai fanghi del nord. / Ma sai ch’io l’amo / la momentanea abbellatrice / sai che credo che mi porti bene / perché mi dà speranza / nell’opera celeste di purificazione / per quanto ingentilisce / di minimi fiori, per quanto / stronca di vecchi rami, per quanto / appesantisce i doni, per quanto / la torna al suo profumo d’acqua, / per tutto ciò che netta su ogni foglia, / per quell’offrirsi all’occhio alla mano all’orma, brevissimamente intatta e tutta pronta / a non essere più se stessa, umilmente altra. come quella non voluta partecipare (con me) di fiori più caldi e odorosi laggiù fra le valli dei tempi, lontane lontane disfaccio ottenere forse ormai (sento) solo per te ; ma senza te che ventila e l’impolvera, ove appigli gli artigli di nuvolette vuote fioche fredde / di spuma e piume… (Senza) sento quel ridente restata (sospesa) gocciolo Non più neve al Dio, l’anima nostra.

[102] Cicale (LC) 1-4 Assiduo idolo di eternità, / ripetizione non ossessiva, / dolcissima risacca / alla riva dell’oceano silenzio 37 quasi 39 in firmamenti transumanti

Insistente idolo di eternità / ripetizione instancabile / ma non ossessiva / anzi dolcissima come una risacca / alla riva dell’oceano silenzio come in firmamenti emigranti, esulanti (transumanti)





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lucilla bonavita

[106] A mia madre Nina (LC) 8 nei quali ci rinascevi 23-26 e se tento di rinfrancarlo / sento una pena quasi mi provassi / a cancellare e non voler udire / il tuo sparire che mi viene incontro. [108] Al merlo che canta qui fuori (LC) 21-24 affiori eterno e raggi eterni accendi / duraturi fra stelle ardenti o spente / anche quando sarai sfatto e dissolto / minimo grumo di assoluto, merlo. 25-32 Gualcisci con garbo divino / l’aria e magari il cielo / vi frastagli petali piume iridi / e ne fai gale serti monili. / Giocoli con quei lembi turchini / risolvendoti in loro, trasparente giubilo : / il tuo flauto nero, merlo, / è l’ombra della tua luce. 39-60 (…questo silenzio desolato invano / prova a dissolvere l’urgere dei motori, / con l’aiuto appena di qualche flauto / che offre cauto il merlo, di qualche voce / che stona fra gli ulivi e i cipressi ; / gli manca il rassegnato / mugghio dei buoi, il tremulo lamento / degli agnelli, e dell’oche il clamore festoso ; / gli manca, a quando a quando, il rotolìo del barroccio, il canto fondo / della secchia che vola dentro al pozzo, / lo scherno del somaro e l’inquietante / ‘chi-chi’ del gallo, e chissà quanto ancora / di più sottile…ruglio, frùscio, scrocchio, / morso d’ascia, frustata…e canto umano ; / che pure c’è…ma viene di lontano / e apporta echi di muri duri, accenti / di ostici strumenti, la certezza / di non essere qui, dove il silenzio / pur desolato lo rifiuta…Meglio / questa certezza d’impotenza acuta / che solo sfida col suo flauto il merlo…) 61-75 Mi raggiungi qui, mi trafiggi con raggi di canto e sfiori in me / imbevute note, allentate corde / di cetre riarse ; / t’insinui a stento / nei fori accecati / di flauti spaccati mai più sonori, / e in me tenti il rinnovo / di chissà quali melanconici inni / mai intonati e solo in questo non essere / illusi di spirare rinati : / lucenti ululi, memorie di cose / solo sperate, ma così acute / che non è più la fitta di bisturi / del tuo spietato imperterrito / filo di canto.  











[109] Nostalgia (LC) 2 valga 7faranno 8 per impedirti 9 accada 11 rumori

(dai) quali (sei rinato) rinascevi e se mi attento (tento) provo di rinfrancarlo / mi par sento la (una) pena, quasi mi provo / quell’affiorare perduto / a conciliare e non voler udire / il tuo ritorno che mi viene incontro. eternità nascente (affiorante) ; scagli raggi / che dureranno fra stelle accese e spente / anche quando sarai dissolto / minimo chicco di assoluto, merlo. Gualcisci con garbo divino, / l’aria e magari il cielo / ne fai gale, serti, monili, / frastagli di petali, di piume, d’iridi. / Giochi con quei lembi turchini / dissolvendoli in loro, trasparente giubilo / anche il flauto nero del merlo / è la visibile ombra. Questo silenzio desolato invano / prova a dissolvere l’urgere dei mostri / con l’aiuto appena di qualche flauto / che offre canto il merlo, / di qualche voce / che stona fra gli ulivi e i cipressi : / gli manca a quando a quando / il rotolio del barrocciaio, il canto fondo / della secchia che vola dentro al pozzo, / lo scherzo del somaro e l’inquietante / chi chi del gallo, e chi sa quanto ancora / di più sottile ruglio ( schianto) (fruscio, scrocchio) / morso d’ascia, frustata, canto umano. / E c’è, ma viene di lontano e apporta / echi duri di muri, oscuri accenti / di ostici strumenti, la certezza / di non essere qui dove il silenzio / pur desolato e solo le rifiuta, preferendo / questa certezza d’impotenza acuta / che solo aiuta (sfida) col suo flauto il merlo…  



Al merlo che canta qui fuori : /mi raggiungi, mi trafiggi (mi perfori) / con raggi di canto, e sfiori (appena) / imbevute (memori) di note (allentate) corde (lente) / di riarse cetre (mute lire) t’insinui a fatica a stento / nei fori assordati (cecati turati) ma ronzanti (sussurranti) di ricordi / di flauti spaccati (schiattati, tronchi) mai più sonori / ein me tenti il richiamo (rinnovo) / di che sa quali melanconici inni / mai cantati (intessuti) e, solo in questo non essere, / illusi di spirare, rinati / lucenti ululi, memorie di cose / solo sperate ma così acute / che non è più la fitta (del bisturi) di bisturi / del tuo spietato, imperterrito / filo di canto, di pianto.  

basti fanno e ti impediscono accade romori

l ’ esperienza poetica di orazio costa [110] Fra la rosa e la rosa (LC) 1-6 Tra i petali abbracciucchiati della rosa / corre un dedaleo sentiero, / tra la rosa e il suo profumo / sfiora un colorito sentiero / e fra la rosa e il suo colore / s’insinua ancora il pensiero. 7-17 Ma fra la rosa e la rosa medesima / resto solo, solo io, / cuore del cuore della rosa, / a scoprirmi del suo colore, / a confessarmi del suo profumo, / a studiarmi di pronunciare / coi petali che oso slacciare / primizie odorate di sillabe urgenti, / incantesimi prima che parole, / per deprecare il fatale dischiudersi / indizio e inizio di disfacimenti. [111] Destino (LC) 1-7 Resta il cómpito inverso : / restiturti la sfera di zaffìro…/…ridotte a rena l’opere caduche / piramidi acquedotti cattedrali ; / invetriate le margini alle piaghe / di depredate mine grotte cave ; / rinselvati i deserti e i cimiteri ;  







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Tra i petali abbracciati della rosa abbracciucchiati…c’è un profumato sentiero ; percorro un…odorato. / Tra la rosa e il suo profumo / c’è un colorito sentiero ; invento – immagino…sfumo / persino tra la rosa e il suo colore / passa ancora il pensiero riesce ad insinuarsi. Ma fra la rosa e la stessa rosa e la medesima / resto solo, soltanto io /cuore della rosa / a confortarmi del suo colore, a (riconoscermi) scoprirmi / a confessarmi del suo profumo, / ad affrettarmi a pronunciare / coi petali che mi rassegno a slacciare, (che mi slaccino primizie odorate di sillabe urgenti)/ /preghiere prima che parole, / per scongiurare il fatale dischiudersi per deprecare / indizio ed inizio di disfacimenti.  



Restituirti piramidi acquedotti pari stadi / la sfera di zaffiro cattedrali / ridotte arena l’opere caduche / (rese polvere) / porti, ponti, città. Villaggi, ville ; (piramidi acquedotti) / invetriate le margini alle piaghe (fari, circhi) / di depredate mine, grotte, cave ; / rinselvate i deserti i campi i parchi ; (i cimiteri) di esalare in memorie figurali (in figure di memorie) / i percorsi del nostro immaginare (gl’itinerari del nostro teatrare)  



11-12 di esalare in figure di memoria / gl’itinerari del nostro teatrare

[112] Trappola (LC) 4 vette [113] Assetate stagioni (LC) 1-2 Piove meravigliosa e generosa, / avvolgente, sonora, sconfinata…. / 5 vuotano 12 guazze 17-20 Così è promesso pure alle seccure / degli anni (scorze vizze, grinze palpebre, / dure vene, giunture enfie) ristoro / d’umori e linfe non amari e chiare.



volte Piove meravigliosamente, generosamente e ormai pulitamente. versano guazzi Ormai si può sperare in lunghi laghi, / in larghi fiumi in pozzi inesauriti (in cisterne inesauste) : ora anche la vecchiaia avrà le sue lagrime / tra le palpebre vizze, avrà sue bave / non infette, fra gli ultimi belati.  

[114] A me stesso (LC) 13 fioco

strano

[116] Grazia (LC) 3-4 mi contento delle margherite / alte sul praticello

mi contento (d’una zolla) delle margherite / posate alte sul praticello (snelle ?)  

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POESIE INEDITE [I.] POESIE QUADERNO I luglio 1944-24 ottobre 1947 [1] Il cielo è di sopra ai tetti Il cielo è, di sopra ai tetti 1 così azzurro, così calmo, un albero, di sopra ai tetti dondola il capo, culla le sue fronde una campana, nel cielo visibile 5 (dolce tintinna) pian piano squilla un uccello, sull’albero visibile canta il suo pianto, Dio mio Dio mio questa è la vita (semplice) [piana], tranquilla, Ne viene placido il rumore 10 della città E tu che hai fatto, tu che sei qui sempre piangendo, ma tu che hai fatto, tu che sei qui della tua gioventù ? 15 Il cielo disopra ai tetti è così puro è così calmo un albero, di sopra ai tetti.  

[2] Se mi dicessero finalmente Se mi dicessero finalmente : 1 finalmente devi morire, canterei senza tristezza e una buona volta senza sbagliare. e mi verrebbe tanto amore, 5 tutto quello che non voglio sprecare, e mi verrebbe tanta saggezza tutta quella che rimando. Mi vedrebbero per le strade correre illuminato 10 con le tasche piene di fiori e la bocca di evangeli. Perché non avrei tempo di udire le parole che ridono e che ti tengono legato 15 col timore ai marciapiedi.  

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lucilla bonavita Amore, direi, amore a tante persone segrete potrei camminare sull’acqua 20 e senza sete per i deserti. E direi tante volte perdono per quello che ho fatto di male e forse lo chiederei anche per qualche cosa che non ho fatto. 25 Se mi dicessero : Dio mio ! Finalmente, finalmente devi morire : perderei poco perderei me : sarei nuovo. Sarei altro, sarei tutto ; 30 perché pensare più a questo Orazio Costa che doveva vivere ? Questo nuovo Orazio morrà. Morrà libero, morrà lieto, morrà senza aver fatto nulla 35 e ancora potendo far tutto e quasi senza rimorsi. Brucerei come un foglio di carta tutto scritto di parole e mi sentirei un sole 40 per chi mi guarda. Basterebbe che sui vetri opachi pei naturali sentieri si affondasse con la sua minaccia un insolito nero.  











[3] Dicevo ai fratelli 1 Dicevo ai fratelli : Facciamo. e giocavamo insieme (1) 1 Ora son chiusi i fratelli nelle case loro 5 non ho più fratelli Dicevo agli amici : Andiamo e partivamo insieme ora scorro invano i nomi nella memoria non ho più amici. 10 Ma lei mi ha detto guardami le ho appena sorriso, mi ha detto baciami le ho sorriso ancora  





1   La nota numero (1) riporta in calce alla poesia la variante : « ora nelle case loro / giocano coi loro figli ».  





poesie inedite

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ora mi guardo intorno e nessuna che mi sorrida e mi guardi Se dicessi a mia madre facciamo risponderebbe Sì ! cosa ? se le dicessi Andiamo risponderebbe sì ! dove (2) 1 e mi guarda e mi bacia ogni sera. Ma io non faccio non parto mi guardo dentro, non rido e sono solo.  



15





20

1   La nota numero (2) segnala la variante apportata in data 03.09.1985 : « direbbe sì / senza chiedere cosa / direbbe sì / senza chiedere dove ».  





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lucilla bonavita [II.] POESIE QUADERNO II 16 febbraio 1948-17 febbraio 1951 [1] Veglia il sonno degli uomini mio dio 1 5

Veglia il sonno degli uomini mio Dio quando ignari di fame e di disgusto giacciono disarmati in braccio a te Negli spazi che lasciano le dita dimentiche di pugni e di carezze meritamente danzino i suoi angeli.

[2] Irti nitriti rizzano sull’aspre 1

Irti nitriti rizzano sull’aspre scorze gli erti pelami alla carezza di bruschi venti, si stremisce all’osso la carne e i suoi languidi gridi strilla. [3] In cima al colle

1 5 10 15 20 25

In cima al colle la siepe da tanto tempo mi piace che l’orizzonte nasconde ma non la sua pace. Lì dietro non c’è più termine agli spazi fatti di cielo dove camminano placidi angeli di silenzio più giù della quiete. Non tiene terra ; il cuore trema. Ma basta appena che il vento faccia tremare le foglie ecco che quei silenzi parlano con queste voci : perché un tremore nel nulla è un attimo dell’eterno, e ce ne furono altri, e altri ce ne saranno. E ce ne sono ; e tremo anch’io nel nulla come un attimo che si perde. Sfioro la rosa foglia a foglia che la fiamma dell’alito ha seccata.  





poesie inedite

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Una farfalla ala per ala che il cuore della rosa aveva attratto. [4] Con nessuno degli altri ti comparo Con nessuno degli altri ti comparo giorno della mia vita germogliato bisestile improvviso fra le grate dei giorni uguali, salvatrice mano d’angelo, filo d’erba fra le pietre, granello d’oro fra le sabbie, bocca, occhio che fa d’un muto sonno un viso [in rosso : o morto] Ma io non ero pronto, non mi avevano detto : può sempre fendersi una roccia e cadere acqua [aggiunto : dare sempre], farsi porta un muro, farsi balcone ed insperatamente apparirvi può sempre un salvatore. Oggi era già trascorso, era già noto domani ed improvviso [in rosso : e non sperata] ecco mi chiama di là una voce, qualcuno, e tutto oggi rinasce dall’alba del mattino e si dimostra fatto d’ore accorrenti a quest’aurora tardiva e forte che rovescia il tempo sì che da questa sera il dì rinasce... [in rosso : questa sì]

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[5] Viene iltempo che tacciano le acque Viene il tempo che tacciono le acque e non parlano più con le radici le foglie estreme prima di cadere. Allora il loro muoversi è un ignaro affannarsi pauroso e il sole e l’aria e l’acqua più non possono allietarle di vivaci conforti, altro non sono che prodigiosi doni di più pronta morte : il sole le asciuga, l’acqua pesa e l’aria è vento che le staccherà.

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[6] È come voltare la pagina È come voltare la pagina e leggere la parola, come girare l’angolo e trovare la strada, come aprire la porta e salutare la persona.

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lucilla bonavita [7] Dirò con voce già roca 1 5 10 15

Dirò con voce già roca : Io devo bordare di gridi [in rosso : orlare] la vostra noia la devo orlare di canti la vostra gioia con l’argento e il getto delle fontane con l’oro e la fretta delle campane scorticherò la mia anima come una cotenna [corretto : scaglia a scaglia] d’ogni altra voglia che non sia questa, uscirò da ogni porta dimenticando il passato certo d’inoltrarmi in un mondo appena nato.  





[8] Ancora brevi stagioni 1

Ancora brevi stagioni ti attendo ; già accorri ? o già s’affila in silenzio la lama che ti sostituirà ?  





[9] E tutto è per un verso 1 5 15

E tutto è per un verso che ho rotolato di notte, pei parchi, pei varchi, per gli archi, dopo le vie e i conversari, come un ciottolo, e che ho perduto a un calcio più vivace nell’ombra d’un albero E tutto è per una non segreta sete che attende di bagnare 10 le sue labbra in un’altra tazza che non siano le tue mani. Le mani come preghiere curvano una tazza da bere, ma io mi fermo a guardare dentro il naturale bicchiere, la mia faccia che si consuma senza bere.

poesie inedite

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[10] Eppure ci sono rose Eppure ci sono rose che nessun occhio discopre nessuna mano coglie nessun sospiro respira eppure ci sono rose che nessun tempo disfiora...

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lucilla bonavita [III.] POESIE QUADERNO III 25 febbraio 1951-30 dicembre 1951 Sempre con riguardo di non uscir dove non fosser arsi. Dante, ii, xxvi Baldanza e leggiadria quant’esser puote in angelo ed in alma Tutta è in lui ; e sì volem che sia. Dante, iii, xxxii  

[1] Piove ancora da allora 1 5

Piove ancora da allora, chiusi i tempi, tentano invano di apparire brevi nella perseverante intemperie. Ma tu rinnovi i tempi e i corti giorni grigi e bagnati riduci in ghirlande di primavera presaghe d’estati e di violetti, men lieti autunni, così questo insolente inverno adorni. [2] Così tira nel giorno l’aria ardendo

1 5

Così tira nel giorno l’aria ardendo d’un canto muto quando il sole intona, così un campo d’avena trema al vento... La notte è un gridolare interminato una rincorsa di tintinni e stelle... Fuma dai cupi bui una schiarente rada marca d’incerta acque sonore... [3] Foglie : piccoli angeli cresciuti  

1 Foglie : piccoli angeli cresciuti lungo i destini d’un ramo col gesto che il sole v’impose indici di migliaia di angoli. 5 Piccoli specchi stancati dalla vita che ci si rimira venti, cieli, pioggie, e soli di giorni e lune...  

[4] Limpidità snellisce iridate nubi 1

Limpidità snellisce iridate nubi Aridità smorza gli argentati rami Le foglie si danno le mani e girotondano al vento

poesie inedite rosazzurra virtù dilaga frigida solitudine infeconda tacciono i semi, i profumi dormono dentro i cristalli lunari dell’inverno.

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[5] Soprammobile antico Una capanna di fragile silenzio illude d’eternità gli aridi rami dei coralli iridati, le dure corolle d’infeconde valve. Un inverno dorme senza profumo e senza semi assorti nel cristallo lunare a cui son nubi le volteggianti parvenze dei nostri anni.

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[6] Se non è vero ! se solo m’ammalo  

Se non è vero ! se solo m’ammalo di non sapere la carne e le parole rimorse che negli altrui silenzi le mie invocano, alla mutua salvazione.  

1

[7] Dialogo del caldo e del freddo Dialogo del caldo e del freddo : 1 I rosei diti dei salci filano nebbie e azzurri cieli dorati ove la luna di gelo non si discioglie. Il cielo rosso azzurro tuffa il viso 5 nelle fronde dei salci e non si tempra il ronzio del sole. Nevi come da sempre, selci di ghiaccio gridano iridescenti canzoni che mordono il cuore. 10 Le rocce, le sabbie le terre sudate intonano folti canti che sfanno le maturate carni. ecc.. ecc..  

[8] Gridi rigano incrinano il cielo Gridi rigano incrinano il cielo (gelato) di gelo 1 fumi di nebbie, aliti di nubi si acquattano attorno alle cose e agli alberi, i radi fiori illuminano come girandole e soli.... I tremiti dell’ardore germinano ronzii e cicale 5 e bifidi fanno i limiti delle cose intronate s’aprono crateri di nuvole che il sole brucia tutti i colori distrugge la porpora dell’ora.

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lucilla bonavita [9] Mare, sulle tue braccia

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Mare, sulle tue braccia gravano invocazioni che mordono le rive come su noi il peso di ghirlande rubate. Mi rivedranno, mare, le tue rive di vetro a un eclissi di luna ; taceranno i gabbiani, brividirà il mattino io, tu un silenzio solo. Pesarono le mani il fremito nudo dei gabbiani e il nostro silenzio senza sogni.  

[10] Per esser solo 1 5 10 15 20 25

Un giorno, così, d’improvviso, ci portano via il nostro cuore. Sparisce, d’intorno, la cara presenza del suo silenzioso profumo. La sua volontà era chiara e ferma. Le sue speranze andavano sicure attraverso il mare con tutte le loro vele. Solo, la notte, per gli occhiuti cieli qualche timore l’incantava ma per che il sonno le quietasse appena il capo sul cuscino rinascevano con visi nuovi e splendidi, del giorno le speranze, annunzianti parchi e templi. E viaggi. “Tu vedrai – volevo dirle – quelle che sogni aurore boreali” Il mare prometteva d’eroismi d’alti timoni, di città scoperte l’incontro vero. Caddero pacati, come al mattino i sogni, quegli incontri, non in un giorno vivo. Non partì. Franati i leggendari sacrifici musicali, rimase sola ancora fonda pietà di tenui miserie e s’appenò sui lidi della scialba laguna vicino a me d’un volo di gabbiano che taglia in due il cielo e il mare languido. E s’avvilì dell’esistente bellezza d’insperati baleni sorgenti sulle torpide acque migliori,

poesie inedite e già veri, dei sogni lontani da cogliere dopo viaggi lunghi e pianti e partenze che fanno più grandi. E tutta la pavida vita che all’imminente distacco sotto i viali degli ultimi passaggi di preziosi miracoli era piena ora, continuata, si fa solita e forse pur nella memoria amara.

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[11] Sotto le statue, ai piedi dei cipressi Sotto le statue, ai piedi dei cipressi e degli olivi limpidi di stelle parlavamo di cose inconcluse sparsi fiori per strade incalpestate. Gli orti vicini aprivano i cancelli a tondi passi ma le voci care tornando sole dai graniti beni ci portavano i sonni delle case. Alcun’acqua scorreva chissà dove addolandosi di tenui indugi verso la nostra anima distante che nell’alba lunare s’incantava languidamente libera, fiorita d’insperate ninfee di fine piume testimoni di voli unici amici. Vaghi, oltre noi, camminavamo lenti quasi contando i passi, fiduciosi di misurare una fatale ora non per noi soli : ma qualcuno, allora, – la memoria degli uomini dirà – udì, primo, concludersi lontano. Sentì il suo corpo umano essere il nocciolo d’oro d’un vasto frutto che stelle appena limitano arcano. Lei non seppe condotta alle sue case, il mio sonno vegliato dalle statue ai piedi dei cipressi e degli olivi nel giardino dei morti, e il (fiore nero) rosolaccio che mi s’aprì vicino al mio risveglio. Bagnato di cielo, come erba, con gli occhi dentro l’ultime stelle, non mi mossi. Temevo di muovere il mondo e far disparire sorgendo, ingenuo sole, una notte qualunque d’amore che poteva durare.

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lucilla bonavita [12] Graffiano desolate foglie 1 5 10 15 20 25 30 35 40

Graffiano desolate foglie le nostre strade in cerca d’un appiglio che valga a fermare un momento la furia del vento. Non buona stagione ebbe inizio da quando strappandosi all’albero pezze di sole cederono, *** e *** i voli che avevano intorno. La misera sabbia le insegue che anch’essa si sogna i voli dei temporali che cadono appena si chieda nelle immemori furie di contemplare. Nemmeno cantare il vento ci lascia ci spinge dentro l’inverno a forza e ci ride dietro, con le risate sulla sabbia. Tu attendi : e domani forse disferemo insieme le nostre ingenue speranze trovandoci brevi campi alle infinite ansie. Tu attendi. Domani forse distruggeremo insieme le rimandate speranze Ma tu sei. Immobile non attendi : mai raggiungibile estranea somiglianza, infeconda invidia. Che nascere potrà mai se non desolazione da te consumata ? Intatta, cielo lontano che un giorno vogliamo raggiungere per non maledire. M’inchioda a te, cielo, delle campane la furibonda cupezza e riversa su me i fiumi della notte recanti gorgogli d’anime non sopite. Sono solo. Inchiodato al cielo  





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per quattro ripide stelle mi dolgo d’essere appena un piccolo pezzo di cielo. Nulla Chi guarda se soffro ? Versano le campane, su me la notte e tremo e attendo invano una mano che tocchi la mia un passo vicino, un’aria che si faccia creatura e mi parli d’un nuovo amore, povero inchiodato senza nessuna grandezza ; senz’altra aquila a rodermi che l’invidia, senz’altra corona che mai carezzati capelli ormai bianchi. Dell’angoscia che m’ha impazzito già ringrazio Dio. Vuol dire che passa. Anzi la trattengo e l’accarezzo, mi pare un segno di misera grandezza. Ma so che il tempo la cancella e domani sarò di nuovo chiaro e incredulo ; avrò ancora perduto un’occasione di entrare nel regno dei (grandi) morti di restare in compagnia della loro solitudine con la pena mia, fattrice d’opere e di rivolte. Gl’inganni mi tacciono gli anni non più – t’invecchi – gli specchi mi dicono e di nuovo son pronto ad altri dolori brevi. In me s’abbracciano ignare estranee creature sole dentro di me trovano l’ombra per lagrimare. E si toccano con l’estreme dita le dolenti scorze che velano traditi amori, speranze nere solitudini amare. Io luogo di miseri incontri raccolgo i loro vizi stanchi e li compongo in dolce ebetudine : lascio fra i loro capelli e fra l’iridi delle ciglia un’eco di canti rimpianti. E porto così chiusa un’altra furia ed attendo

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che dentro mi scoppi un clamore di novissimo amore e un canto si levi e consoli gli amori traditi, le nere speranze le solitudini amare.

[13] Nemmeno affondare lontane 1 5 10 15 20 25 30 35

Nemmeno affondare lontane le mani in fruttuose vendemmie, nemmeno distendere il riso a gara cogli orizzonti, nemmeno sentirmi travolto attaccato alla terra, nel cielo perdutamente rapido, nemmeno quell’ira sublime che sogno, (magari potessi strappare con gesto straumano la coltre trapuntata di stelle dal cielo e scoprire e vera e vicina la casa la faccia, le grida, la mano che aspetta tremenda e nascosta !) nemmeno incantarmi sereno in un bacio in un lago, che tocchi le sponde lontane contento di miti tempeste sentendosi un mare felice un occhio di cielo, nemmeno impossibile amore, di cose traudite sull’alba nei tenui bisbigli sospesi sul cuore di nuovo, ancor nuovo, parlarne, impossibile amore, con l’altro mio io che non c’è. nemmeno, né nulla, mi muove mi desta una voglia modesta di vivere ancora, se forse non sia la (divina) forza tua, Dio, di chiamare, col canto degli angeli ingenuo stormire di amori fiorenti, garrire di azzurri stendardi dai campi corrotti, ai tuoi santi giardini, i nomi dei monti così che rispondano e guardino ancora si tocchino i lunghi  

poesie inedite capelli cresciuti, le scorze dorate ascoltino dentro le vene infinitamente suonare un (pallido) limpido vento d’argento non più rosso fiele mortale.

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[14] Così lentamente Così lentamente che (alcuno) niuno potrà mai raccontare la storia avverranno stupendi miracoli davanti allo sguardo degli angeli, estatico – (il cuore appena batte loro ogni cento anni) – Con tempo più lungo di quello che mise a disperdersi in sabbie e in fulvo vento ed infine in aria d’argento, la roccia che quasi toccava le stelle. Un vento nuovissimo secco da oltre più su delle stelle farà prima un’alba dorata poi un vasto deserto poi vacue selci, infine un greto di scheletri all’onde d’un fiume lento che abbia raccolto ogni mare e trascini nel vasto suo letto un raro limo di crete disciolte (un limo di crete rare disciolte) e (straripi) ; più lento di quanto era lento per l’ira d’un uomo il cauto ritrarsi d’un mare da vergini sponde di mondi nuovi all’ansia del suo navigare – straripi. E quindi allora per ore più lunghe di quelle che vide la luna specchiare nei mari vaporanti futuri campi di sale, navigherà la luna sul mare dal raro limo placido. Il fiume cresciuto imparerà con tempo più lungo che attore, a spegnersi una pallida stella, a sentirsi mare *** e venti ardenti l’agiteranno

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fino nel fondo con gridi di partorienti, finché appaiano fra le schiume ombre di arcani naufraghi. Allora ritorna al suo letto il fiume cresciuto, un ruscello, una tenera vera e nomade la sua strada sulla terra. E crescono intorno e stormiscono su dalla rara creta sottili erbe e fiori portano di candide fronti di occhi stupiti di carnose bocche. Cauti saremo al vento dei *** di sotto i riflessi dell’ultime onde si levano ali di mani che in alto sollevano lidi e la (gioia) pace dei corpi rinati. E gli angeli ancora stupiti accoglieranno i felici fratelli e canteranno un solo canto che rinnovi in ognuno la certa serenità dei nuovi amori e via di stella in stella tramonti di gioia li porteranno al trono del Ricreatore. Calpeste, più su d’ogni umano miracolo, *** le stelle ai loro *** e non giungerà ai loro uditi ormai straumani il grido dei sanguinosi infanti che nasceranno di nuovo dai fianchi bui delle madri. [15] Solo così, se da solo

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Solo così, se da solo un velo respiri e si levi e traspaia nell’aria l’aspetto della sua pallida trama, e un soffio lo colga e ad un ramo fiorito s’affidi e solfeggi col moto di vaghi pensieri il lento sorriso del tempo – e resti del velo sull’erba appena il ricordo d’un’ombra

poesie inedite che il sole invano cancelli ; e anzi fra gli umidi steli già pesi di viola quell’orma e anch’essa (respiri) vapori, celata ancora dall’essere incerta, ma poi d’una rosa al rossore sorrida l’idea d’una bocca (socchiudono gli occhi due limpide foglie) E sospiri, sull’erba si intenda il sospiro, richiami l’onda dei fragili steli e trascorra… al lento solfeggio del velo d’un passo e ritorni e tessa invisibile il senso d’una carezza di vento nel desiderio d’un grembo.

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[16] I morti si vogliono bene Io sento entro di me 1 condensarsi amorose nubi venti sento accorrere di lontano gioiosi, appoggiare i loro occhi vasti ai miei fianchi. E li sento esultare di una fraterna voce 5 che in me sorge di fuoco verso la cima pronta a lanciare in cielo le sue *** Tra i flutti interiori e l’esterno accavallarsi di forze io sono una montagna pronta a scoppiare 10 di fuoco mentre intorno s’incroceranno uragani. Io sono il limite delle tempeste future che domino già attraversate da lampi che spaventano i miei boschi 15 e le greggi ed arrossano le acque nati entro me o fuori di me chiamati dall’incubo delle nubi i loro fratelli interiori Di quali piogge, se ci ami, laverai le nostre miserie ? 20 Noi siamo stanchi di essere illusi dalle stese primavere, dacci una nuova stagione che ci stupisca. Toglici delle memorie il peso 25  

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non il profumo, dacci freddi pensieri, e voglia di avvicinarci maggiore. Anche se molte cose avessi goduto e sofferto anche se molte cose conoscessi e sperassi sarei egualmente stanco. Perché non sono anni ma generazioni ma secoli interi, ch’io sono stanco di guerre perdute, di amori traditi, di sogni caduti, di marmi spezzati, di colori scialbi, di languide note, di non intime rime, di fallimenti perenni. I morti si vogliono bene caduti nei giochi infantili, o nei più futili giochi di ire, di guerre, di affanni, non vedono più, decaduta la vita, i visi nemici diversi, si specchiano l’uno nell’altro, sorridono a pena (hanno) delle reciproche ire svanite – ricordi infantili, e si parlano miti tranquilli. (E se ancora le mani) ché s’anche le mani stringono contro alla gola, ai capelli, si sciolgono teneramente, come carezze pietose chi mai fece questo ? non io. Si chiedono appena notizia dei loro nomi delle loro terre e delle loro speranze futili anch’esse e di tutto sorridono persino dei loro amori di donne cuori di fiori, di oro, di allori, e guardano le palme scavate da strade fangose, dai carri di tutte le tentazioni e sorridono vedendole chiare tornare, i polsi azzurri e le unghie uguali.  

[17] Ad un personaggio 1 5

Dio non vogliamo più sapere se un albero è un animale, se l’uomo è fatto di sassi, e d’onde la luce e i sassi e le stelle e tutto di moto e il moto del moto del nulla. Dio facci ignorare tutto, e facci di nuovo più duro l’intendere,

poesie inedite sì che dobbiamo più arditamente avvicinare le cose per pensare. E dacci solo stelle per pensare alle foglie e acque per pensare ai suoni alle linfe al sangue, e aria per i venti per l’anima per la tua presenza. Dura rendici ogni volontà di unire le parole, faccele ribelli, allora sarà di nuovo la poesia. O Dio, se morire vuol dire sorrider d’ogni sapere, vedere le cose con noi, continue, spogliaci di ogni timore essere puro volere, riuscire ad amare e non essere mai più stanchi, anche prima, se vuoi, di tutti i capelli bianchi. Dio facci parlare tutti la medesima lingua facci amare meno noi stessi, facci concedere ad altri la stima intera, brucia la presunzione – e facci liberi e nuovi e miti desiderosi solo di conoscere gli altri di amarli, curarli, e giocare con loro alla vita sereni ma sii tu la legge del gioco, intoccabile e poi addormentaci con la tua mano sulla nostra fronte.

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lucilla bonavita [IV.] POESIE QUADERNO IV 2 gennaio 1952-30 ottobre 1954 [1] Offrono alberi, i prati, franche braccia 1 5 10

Offrono alberi, i prati, franche braccia, per le danze che seminano i voli e che i venti di nuvole rivestono di sparsi petali, ornandole e di fili e di piume di nido e di spoglie... crisalidi, giurerei ( ?), ormai pure esangui distaccate, fiorite ; o prima e vera fragilità, labile, non edule, cara agli occhi solo... incontaminato, vergine, autunno argenteo, di speranze, di fede, di attesa.  



[2] Parlano e cantano foglie 1 5 10 15

Parlano e cantano foglie, sorrisi e sguardi visibili cori che il vento conduce onnipresente carezza d’un grande corpo che nasce... ogni mobile e viva forma è parte della sua vasta spoglia che si dirada e trema del suo nascere consapevole... magnifico angelo è già tutto volo ogni zona del suo vasto palpitare è vario diverso volo ... e dal vario ondeggiare della universale crisalide tu indovini quale moto animante la tocchi : e l’aprirsi di palme, il battere di piumose palpebre o scorrere di lunghe chiome, o urgere di ginocchi o segrete confessioni di labbra, o i polsi diversi del cuore delle gole o dei fianchi.... e tempi e tempi fioriscono così negli incontri e tutto è moltiplicarsi visibile ed imperseguibile come in noi.  

[3] Ai grandi compagni 1 5

Ai grandi compagni, che estendevano all’aprirsi dei balconi nelle braccia cariche, doni e canti e promesse di arcane foreste d’invidiati nidi tetti di ricamate ombre e viaggi giù oltre le strade, oltre i viali,

poesie inedite oltre i cancelli stretti, sono arrivato dopo anni. E li ho riconosciuti alla forma del tuo viso, alla misura dei tuoi cigli all’ampia meraviglia del tuo pietoso sorriso. Somiglianti compagni, proteggono ancora la navicella sulla cresta del colle, che si trattiene attorno con reti di metallo arruffati giardini e memorie : antiche capanne si disfano e in silenziose uccelliere sotto le ruggini bionde una capra misticamente usurpa alle tortore il volo. Con la macchina che fissa (scopre) la tristezza sepolta nelle immagini innamorate, T’ho corso intorno casa del mio compagno già da lungi prima scoperta come una chiara fonte, al sole e al vento e ho udito insorgere memorie in me profonde ignorate e ho provato di folgorarle come una comune infanzia speranza di acute memorie per i domani. Vele d’argento e padiglioni di vento sollevano i cedri alla nave pel viaggio di un necessario incontro ..... Fin qui 1 Giugno - Asti 1 Alla figlia grande e maritata, dopo il riposo sul prato la madre con calma uguale con religiosa pazienza pettina la rozza capigliatura. Acconcia con serene carezze le ruvide ciocche con dita inesperte se non d’amore e cova con sorrisi e sguardi quel cresciuto volto puerilmente eternamente dei tempi. Nuovo colloquio angelico leale e carnale da paradiso. (Asti 1 giugno) - Roma 3 giugno Ma l’altra, incurvando le schiene, spinge fra i motori scalpitanti un lungo carretto e grida attraversando ardita le luci, i fari, le trombe, verso gli [Ö] fetidi la condanna della sua vita cieca all’antica mola, ancora, degli schiavi.

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1   Orazio Costa, nella nota in calce, riporta l’annotazione che la poesia è stata scritta nel giardino di un bar sotto la « casa dei cedri ».  



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lucilla bonavita [4] Fragorose porte sbattono le saette 1 5

Fragorose porte sbattono le saette E tetti impongono I tuoni a questo imprigionato mondo che sapevamo aperto, incatenati. Tutto è chiusa prigione e i vani gridi ci ripiombano addosso inascoltati. [5] Le nebbie

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Le nebbie ; preziose vernici, abbellivano il quadro lo lavano lacrime di delusione. La sorpresa dei nuovi paesaggi ti accora. Sai che sono più veri ma non sai di quanto. Non sai quante velature si dissolveranno ancora Non sai quello che troverai dopo gli ultimi affanni. Né sai se avrai almeno per grazia la certezza agli ultimi sguardi di toccare la verità.  

[6] Arido e memore 1 5

Arido e memore come un filo d’orizzonte arcanamente svuotato di paesi e di terre nell’assenza anche del cielo traccia equivoca, fra due nulla, d’un volo d’insetto o d’una bava di bue, “Sempre con riguardo”. 1  

[7] Tutto ciò che guardo grida 1 5

Tutto ciò che guardo grida, Tutto mi si strugge in lagrime Tutto diventa in un buio assoluto smarrito sventolio di vele, d’ali, di schiume spaventata testimonianza di tempeste distrutte... Tutto si stampa in memorie in rammarichi in rimpianti in rimorsi. Tutto mi dice addio scomparendo fra lagrime. [8] Ore

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Ore, a quando a quando revolute tornano. Oltre i presenti atti gli ambienti soverchiano.

1   Sono i versi che precedono la poesia Sempre con riguardo in Orazio Costa Giovangigli, Luna di casa, Firenze, Vallecchi, 1992.

poesie inedite Fra estranei paesi s’incrociano i colloqui, Assistono diversi orizzonti le grame cure Invadono sogni e miraggi concreti gridi... 5

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lucilla bonavita [V.] POESIE QUADERNO V 27 febbraio 1955-1° febbraio 1958 [1] Corta scintilla 1 5

Corta scintilla al fragoroso calpestio dei secoli, nel tuo buio t’isoli e in tremebondi palpiti ansiosi moltiplichi all’infinito l’istante concesso. Tu sai. Che nell’atomo incatenata è una misteriosa potenza pronta che così oppressa grida amore, voglia di espandersi. [2] Giù in fondo agli occhi

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Giù in fondo agli occhi ricorrendo all’indietro la luce che si rammarica, mi punge nel cuore una malinconia lunare (una voglia di luna) 5.iv.59 Qui profondamente, e profondamente lassù nei desolati crateri si riassorbono le lacrime innamorate ma poche (amorose ma...) Non pianti, non gridi non canti, non martiri né sacrifici fecondarono queste salse stille che non salgono alle ciglia. (esigue) Piccole punture tormentano (tentano) senza sospingerla a nulla questa vacca di pigrizia né mutano il peso della luna i (freddi) meteoriti. Tutto così nell’inerzia pende irrimediabilmente e il cuore appena si vela d’una macchia opaca se anche il sole si vela. 1  

[3] Stravaganza 1 Stravaganza : Solarità, come da solitudine  

1   Le varianti riportate tra le parentesi tonde, tranne la prima che riporta la data 05.04.59, non presentano datazione che presumibilmente deve riferirsi alla data indicata da Orazio Costa.

poesie inedite come Lucenza di salsi cristalli : stalagmiti di gocciole di pianti a una a una dall’eternità. Non io, ma questa cosa che io dico, si abbaglia, usura e trita per deserti come uno scalzo piede o un secco ciglio in una sabbia di solarità... 1

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1   I versi precedono la poesia Giocando sulla sabbia pubblicata in Orazio Costa Giovangigli, op. cit., p. 83.

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lucilla bonavita [VI.] POESIE QUADERNO VI 4 febbraio 1958-22 dicembre 1958 [1] Ho fatto i numeri : un gioco  

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Ho fatto i numeri : un gioco. Attendo sul filo : [il vano sonoro] lo spazio che s’apre Si trama di colori, di piccoli suoni, Attendo ansioso la voce. Ansioso perché ? Mi scopro [eternamente] bambino da sempre, sospeso ad un filo, a una voce, a un’eco a un piccolo suono sul [cielo] buoi crinito di stelle stellato. Bambino apprensivo, aperto E guardingo alla novità feconda Di ogni nuova parola purchessia, A spiare a cercare a ricevere L’ape celeste e oro delle novità...  





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[VII.] POESIE QUADERNO VII 23 dicembre 1958-16 maggio 1959 [1] Sugli asfalti Sugli asfalti, arrancando non più bianco, senza un gemito, ultimo del gregge, miseria d’ossi e di lana polverosa. Zoppo e piagato, continui a vivere continui a morire agnello senza pastore segno e silenzio. Arte loquace, querula, verbale, fatti silenzio, lode di Dio, pacato gesto, ombra placata. Bianco e nero silenzio, fraterne statue : non che di quanto era esalato ornamento. Un giorno di silenzio nei musei. Silenzio nelle chiese. Un Tempio al silenzio. Un’arte del silenzio. Un’ora di silenzio. Un’oasi, un’amicizia, un coro di silenzio. Una solitudine in Dio. Dio parla silenzio.

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lucilla bonavita [IX.] POESIE QUADERNO IX 28 dicembre 1959-07 novembre 1960 [1] Un breve silenzio 1 5 10 15

Un breve silenzio rispalanca antiche caverne, desolate aule scava negli ossi disperanti cunicoli vuota il vitale soffio ogni cupola. Un breve silenzio esemplifica solitudini duraturi esili, inauditi (incompresi) 1 linguaggi, incomincia dal nulla i viaggi inoltrati a piedi scalzi e piagati e ormai tremanti. Un breve silenzio strizza invano le lagrime finite, spegne lo sguardo assorda ogni speranza d’indovinare nel polso del cuore il passo atteso. Un breve silenzio condanna a morte ogni fioco spiraglio, ogni preparato sorriso ogni resto di forza di cui mi sorreggo e recide al futuro ogni germoglio.  

[2] Mi dedico a chi mi deride 1 5 10 15 1

Mi dedico a chi mi deride, con le mani scalze servo, con l’occhio blandisco e non indago. Cerco solo di riempire i vuoti che l’inettitudine spalanca e di lodare senza darmi in premio e di far premiare senza esserci. Eppure so che questo credervi che vi facilito non è tutta la gioia, che vi manca il paragone del contrario. Ma il contrario ch’è in voi non segnalo per non avvilirvi e mi dolgo e mi pento di non potervi amare come Dio. Lui solo monda lo strazio e la solitudine Perché il riposo sia gioia e sia gioia un misero incontro ; io non posso che curarvi e farvi da incontro e tacere tutte le volte che siete felici.  

  La variante posta tra parentesi tonde non riporta la datazione.

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[3] Un altro giorno in questo fulvo cielo Un altro giorno in questo fulvo cielo che azzurra i bruni ed inazzurra i bianchi avrei sentito l’anima atterrirsi sgominarmi di vaste delusioni incendiarsi e di ceneri imbianchirsi perché tento ferirmi della gioia trionfante di altri che pur amo e che da me con la gioia divido ; perché faccio spuntare io vele nuove sulle navi che a ma vorrei compagne mentre ammaino nel mezzo del mare. Ma si rischiara il cielo non più fulvo sopra una pace sudata e cancello tutte le vie perseguite e m’afferro con i pesi dell’ancore ai fondali dei disperati viaggi e mi faccio isola importuosa ai ritorni per vietarmi di attendere 1 le navi già rincorse.

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[4] Di lacche s’illude invano Di lacche s’illude invano 1 la bianca colonna di calce fra le urlanti bandiere delle scritte. Il venditore dell’angolo brucia legno di sandalo. Il giovinetto barbuto cerca riviste americane. 5 Famiglie migrano di merciaio in merciaio di mercante in mercante, esili giapponesi. Accatastate nei mille fondachi le manifatture sudate di mani e di piedi di saliva e di sangue attendono definitivi incendi mentre i neon annunciano 10 vittoriosi carghi di plastica e di nailon. Le spezie respirano ancora dalla nere pelle ma marciscono nei fondachi che l’igiene ignora. La loro testimonianza di contigua carne nei fiori, nelle radici, nei legni, nei sensi, 15 sarà lasciata a qualche sperduta chiesa a qualche sperduto salotto o lupanare…. 1

 A lapis Orazio Costa riporta la variante “attingere”.

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lucilla bonavita [XII.] POESIE QUADERNO XII 12 aprile 1961-21 maggio 1962 [1] Mi avvio a tacere anche con me 1 5 10 15

Mi avvio a tacere anche con me io stesso faccio in me troppo rumore. Quello che nessuno ci insegna, nemmeno Mamma, né Babbo né il sacerdote del battesimo. Saper tacere a fondo (saper tacere a volo saper tacere in superficie). Silenzio alla luna vorrei che si chiamasse il mio vivere Silenzio a Dio. E agli uomini anche silenzio. Tanto non abbisognano che di pane o di bende o di carene o di unite preghiere chi vuole altro ha già scelto il chiasso non è bisognoso è già incolonnato senza saperlo, ma battaglioni in catene che assorda una banda di clamori.

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[XV.]POESIE QUADERNO XV 23 aprile 1964-15 agosto 1965 [1] O Dio ti cerco con ardore O Dio, ti cerco con ardore, ha sete di te l’anima mia A te spasima il mio essere In una terra riarsa, languente, senz’acqua. Tu che voli sulle acque onde s’in[incom] il mio fango Tu, che siedi sul Diluvio Ove l’Arca galleggia Tu che levi mari d’acqua intorno alla liberazione del giusto Tu che disseti nei deserti Gli adoratori del Vitello d’oro degl’idoli Mandami almeno lagrime A [incom] la mia sete Manda o Dio dai cieli La tua grazia e la tua verità. Angeli. Stillate cieli dall’alto E scenda sulla terra come Una pioggia di fecondità la giustizia…

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lucilla bonavita [XVI.] POESIE QUADERNO XVI 25 agosto 1965-29 agosto 1966 [1] Da ragazzi si diceva 1 Da ragazzi si diceva : le officine, le fabbriche : si visitavano : fumose piene di detriti, di rifiuti, di macchine scure strepitose di odori acri, di polvere. 5 Erano un po’ cucine di streghe, stalle di macchine, tettoie di arnesi, aperte, il fumo usciva.... Ora stabilimenti, nitidi circondati di prati chiusi da cancelli, da vetri doppi, 10 da porte scorrevoli ; ritiri, conventi, cliniche psichiatricamente industri ; mutati i sorridenti operai nerbanti e canori, in silenziosi tristi infermieri, 15 gli acri odori, i gialli fumi in profumo di farmaci, i turbinanti strepiti in ronzii minuziosi Allora si entrava si usciva ora l’ingresso è vietato, 20 rigorosamente ; il misero stupido sterile angustia senza inquietare.  











[4] Mi aspettano alla stazione 1 5 10 15

Mi aspettano alla stazione Babbo e Mamma. Insieme dobbiamo partire. Ho tempo. Girovago per la nuova città di provincia. Non so bene l’ora della partenza. Ma ho tempo : mi attardo. Ne ho viste tante di città di provincia : le chiese, le porte, le piazze, la gente. Uno dei miei m’incontra : Ti aspettano – mi dice – alla stazione, tuo Padre e tua Madre. Ci sto andando – rispondo – e comincio ad avvicinarmi al quartiere della stazione. Ci sono molte cose ancora da vedere e da guardare. E poi non so l’ora. Mi muovo senza fretta, ma non più lento.  





poesie inedite Se mi aspettano, pensano a me – forse già si preoccupano a non vedermi. Ora comincio a sbagliare strada, mi accorgo di fare un giro vizioso. Forse ho perduto il tempo e sono giù un poco in ritardo. Affretto il passo. Il treno, mi pare parta alle sette e dieci.

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[5] Non assomiglia Non assomiglia che poco questa statua che provo, a se stessa, ma niente all’altra che perseguo e non sorprendo, tanto imperversa nella propizia temperie terra veemente

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lucilla bonavita [XVII.] POESIE QUADERNO XVII 29 settembre 1966-16 aprile 1967 [1] Nato povero 1

Nato povero, povero, povero Fra la gente visse povero Salse in croce nudo e povero S’ebbe in prestito la tomba

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[XIX.] POESIE QUADERNO XIX 14 aprile 1968-14 luglio 1968 [1] Ormai si chiude una porta Ormai quando si chiude una porta, dovunque si chiuda, io resto in prigione nel mio tempo, e tu resti libero nel tuo. Davanti a me lo schianto buio e la fessura che si sigilla. dietro a te il tonfo passato che ti sospinge verso le corse (lancia) dei cieli che si spalancano delle strade che in loro sboccano (come) in foci sempre più larghe. Ognora questo tonfo ognora questo schianto ci divideranno : a me tomba di morto ancora vivo, a te (lontanamente) dissolto ricordo di mortale noia verso la libertà. Non chiudete ; no ! non chiudete lasciate lo spiraglio della speranza ch’io segua fino al punto invisibile l’immagine di ciò che era vicino e non ho voluto tenere e non ho voluto seguire, e nella importanza degli occhi continui a seguire credendo che un giorno a rovescio possa il tragitto compirsi di nuovo verso di me.

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lucilla bonavita [XX.] POESIE QUADERNO XX 10 novembre 1968-19 gennaio 1969 [1] In tutti i luoghi 1  

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In tutti i luoghi, dove sono stato, e anche in altri, in molti altri, anzi in tutti gli altri, dove non sono stato, tutto continua a essere, come io ho visto, come io non ho visto, e in tanti altri modi, che non so, e non sospetto nemmeno. Ma anche nei luoghi, da cui mi sono assentato, dove forse sarei dovuto restare, le cose, mentre sono altrove, continuano a essere come io non so, e come, anche ritornato, non saprò mai.

  La poesia è stata scritta in occasione di un soggiorno a Tokio il 17.10.1968.

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[XXIII.] POESIE QUADERNO XXIII 20 luglio 1967-9 aprile 1968 [1] Ti sento tornare Ti sento tornare, unica sostituta della morte, unica teste di Resurrezione, fede anche di chi crede di non credere, prova della speranza a chi non spera carità, pane offerto dal più povero. Soffio, cosciente di spirare, soffio che ti misuri e ti dividi, soffio che ti respiri e tutto in te respira per dispensare vita bocca a bocca. 1

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1   Come riferito dal poeta nella spiegazione in prosa alla poesia, i versi furono scritti in una riposata euforia domenicale ed egli pensava alla Poesia, naturalmente, e già si immaginava a scrivere e « addirittura a scrivere in versi la storia della mia cara mimica ». Cfr. Orazio Costa, Quaderno n° 23, nota del 05.04.1971, in A.C.  



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lucilla bonavita [XXV. BIS] POESIE QUADERNO XXV BIS 5 ottobre 1971-20 ottobre 1972 « Baldezza e leggiadria, Quant’esser puote in angelo e in alma, Tutt’è in lui e si’ volem che sia ». Dante, Paradiso xxxii  



[1] Finchè l’angelo 1 5 10

Finché l’angelo vive in te Io lo nutro di miglio e di speranza E l’angelo non dice : ho fame Continua a far cantare l’aria E non nasconde nemmeno Che non può durare così. Continua a far cantare l’aria Ad annunciare prodigi sicuri Che manterrà. Ma di speranza Non si vive …  

[2]Cercheremo ormai per sempre 1 5 10

Cercheremo oramai per sempre quel vuoto appena lavato di città deserte, abitato soltanto da qualche canto dietro le finestre cullato dall’incanto, incubo e sussurri dei colombi. Degne di piedi nudi le strade di selci azzurri ricordano lo schiocco sparito dei piccoli zoccoli degli asini miti, carichi di sacro come nulla più. Gli angeli, se mai di pietra, restano sospesi ai cornicioni… [3] Nel buio di pugno o di palato

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Nel buio di pugno o di palato affiorano boccioli di dita s’aprono in semplici vortici spiegano, spiegano, a stelle, a fiori che Dio si manifesta… e che aprirsi è vita

poesie inedite che l’essere è aprirsi e fiammeggiare e continuare ad aprire vie di luce nel buio per sempre… e che forse il contrario dell’essere non c’è, da quando il punto cominciò a sbocciare.

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lucilla bonavita [XXXIII.] POESIE QUADERNO XXXIII 1 novembre 1983-19 dicembre 1984 [1] Dillo almeno in versi 1 5 10 15 20 25 30

Dillo almeno in versi…mi viene di dire… Sbocciavano imperiosi fiori d’artificio, (credevo) pareva agevole (poterne) leggere (ne) i gorghi, i furori, lanciarmi per attimi aperti all’eterno, su labili lame in ghirigori e fughe di spirali di petali di ciclàmi, di vortici di vilucchi di avvitati vitigni, galassie o girandole controvento impugnate da bimbi elementari… (Poi seppi e offrii quadrature) tanto che colte le teorie dei segni offrii quadrature accettabili (molto approssimanti) d’insoluti circoli, molto simili a un vero ma la divina insolubilità aprì anditi e varchi e invitanti corsie (alla infelice facilità) a sciagurate felicità. Finalmente richiusi i cancelli (rialzati i cancelli riconfermate le clausure) son dentro, son fuori : a lampi di licopodio riappaiono a momenti (si riaccendono fiori) fiochi fiori fatui (gonfi) di sparenti speranze (imprendibili) (appena momentanei) Non so più leggere, né, meno, se ciò che mi sfugge è un riflesso sfocato (sfumato) dei fiori d’un tempo od abbagliato (annuncio) indizio (di visioni e concepimenti) (posseduti) di folgorate concezioni d’esplose meteore imminenti ma tanti miliardi di occhi a disegnarle attenti saranno prima spenti, se tanta voglia di soli non sia proprio il loro pur lento spegnersi.  

poesie inedite [XLI.] POESIE QUADERNO XLI 13 settembre 1991-21 gennaio 1993 [1] Se il non essere non fosse sbocciato Se il non essere non fosse sbocciato In essere non saremmo qui a parlarne. “Tu fosti prima ch’io disfatto fatto”. L’indiscutibilità di esistere di certe Espressioni è “verso” è poesia prima Della poesia. La poesia è questo tentare Di adeguare l’espressione a quella indiscutibiltà.

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lucilla bonavita [XLIII.] POESIE QUADERNO XLIII 13 marzo 1994-27 agosto 1995 [1] La foglia serafina Miravo a una foglia, a quell’una, che lei sguardato m’aveva, sbirciato, per la rima della sua palpebra richiamatomi di fra le mille.. … vedevo foglie, guardavo, miravo… quell’una fissai che, lei, mi aveva sbirciato dalla rima della sua palpebra di fra le mille fra cui sprofondata di fra le mille fra cui spersa tra fronda e fronda a guardarmi si ritrovò solo a guardarmi si trovò. E ci ritrovammo, io foglia, lei nel suo spiro foglia e figlia l’una nell’altro a trasmutarsi. Appena incoato colloquio non smesso colloquio.. Perdura, se voglio… se foglio… appena, talora, mi accade… … Appena foglio e mi accade ancora di rado pur nella quasi perduta valenza nella quasi impotenza. di cogliere non più fra fronde la foglia… ma sento ferirsi e far sangue ai vespri di verbi consunti il velo d’affabile carne sacratosi (a pareggiare) a frantumare le spine degl’ispidi greti per farli accessibili all’anima. [2] Sento ferirsi e far sangue Sento ferirsi e far sangue ai vespri di verbi inconsueti che inediti nodi pretendono d’indocili forme effrante dall’espressione, il velo d’effabile carne votatosi ad accarezzarli per fare, d’un ispido greto d’evasa eruzione immite un volto accessibile all’anima…

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[XLIV.] POESIE QUADERNO XLIV 29 agosto 1995-08 giugno 1998 [1] Fra i tratti Fra i tratti che d’intorno si sprecano a dirti presenze di paese d’esseri e macchine alcuni si risparmiano a richiamarti da poco più in là, a visitarti noti, altri, già stati con una loro storia.

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LE POESIE DI LUNA DI CASA [I] POESIE · 1940 [1] Paesaggio Qui si riposano le fiamme, qui gli alberi non mutano le foglie, qui s’incantano ai chiari lidi l’acque, qui ogni gesto dal suo moto si scioglie. Qui delle statue immemori s’adeguano i beati sorrisi agli orizzonti e, nuovi, non macchiati di pupille, vegliano bianchi i loro occhi rotondi.

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[2] Accattoni Sull’umide pietre viola dell’alba rinvengono fra erbacei stracci statue intirizzite di poveri. Erano larghe lavandaie rosse fra cui le ani grosse, nell’acqua appena disciolte dei ghiacci notturni, si meschiano le trine delle vesti con quelle delle schiume fra le rocce. Erano enormi accattoni dimenticati liberi sui monti nelle loro giornate vuote.

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[3] Insperati balconi Un giorno, così, d’improvviso, ci portano via il nostro cuore. Sparisce d’intorno la cara presenza del suo profumo giocondo. La sua volontà era chiara e ferma, le sue speranze andavano sicure sul mare con tutte le loro vele. Solo la notte per gli occhiuti cieli qualche timore l’incantava ; ma, pur che il sonno le quietasse appena i capelli sul viso, rinascevano coi volti nuovi e splendidi del giorno

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le speranze annunzianti parchi e templi e viaggi. – Tu vedrai – volevo dirle – quelle che sogni aurore boreali –. Il mare prometteva d’eroismi, d’alti sgomenti, di città sognate, l’incontro vero. Caddero pacati come al mattino i sogni quegli incontri non in un giorno vivo : non partì. Franati i leggiadri sacrifici musicali, rimase sola arcana fonda pietà di tenui miserie e s’appenò sui lidi della scialba laguna, vicino a me, d’un volo di gabbiani che taglia in due il cielo e il mare languido. E s’avvilì perch’erano già sorti sulle torpide acque gl’insperati balconi, migliori, e già veri, dei sogni lontani da cogliere oltre viaggi lunghi e pianti e partenze che ti smisurano. E tutta la vita promessa che all’imminente distacco lungo i viali degli ultimi passeggi di preziosi miracoli era piena, ora continuata si fa solita e scialba la memoria alla memoria.  

[4] Zingaro Chi ci negò, rondini dei mattini, il paradiso dei raggiunti cieli ? Ambiziosi angeli puniti, ci reclamano gridi ai nidi veri.  

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Triste sognai la notte che s’inalba In un opaco piovere del cielo ; zingaro senza terra e senza nome grido una merce che nessuno vuole e la certezza è dura come un urlo che ho da passare e rompere non so. O sirena che vuoi chi ti risponda, io non so più partire ed il tuo grido senz’eco fra le nubi naufragò.  

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[5] Fontane Di voglie mi litiga in cuore 1 un’esule folla : cercare vorrei fra peccati fra confessioni e propositi pochi amici e chiamarli ; 5 ma come li guardo : esangui, timidi, antichi si scoprono fuori dei vili gridi. E allora a vuotare di venti, di desolanti venti le piazze 10 e sorgere vi lascio alla luna solitarie fontane. Scialbi sono anch’esse, veleni le mie presuntuose acque ; gli uccelli che le bevono 15 non sanno più cantare, si chiudono nei loro occhi, nelle loro brucianti piume, e attendono tremando la morte, che tarda. 20  







[6] Campane Les cloches pondent des aigles qui crient… M’inchioda a te, cielo, delle campane la furibonda cupezza e riserva su me fiumi di notte…

Assorte suonano le campane intese a loro ricordi, precipitando addietro nel tempo, poi riaffiorando incredule all’ora presente del cielo. Io – suonano le campane – sento i loro colpi senza nascere come arie di vanto. Cadono foglie esangui i colpi smemorati a nessun altro vento che al necessario mutare. E mentre già volano in cielo, volo di molte ali che lasci la pianta,

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si credono di dondolare ancora al ramo pendule del loro celeste albero. Suonano in un tempo di ieri miti le campane per l’aria, distratti uccelli scordarsi di partire : è lontana è lontana la terra necessaria. Impensati spazi misura il suono delle campane assorto. Nascono vaghi cieli costellati di dolci richiami e dentro l’anima insieme si spiegano unanimi i ricordi e nuovi fiori nascono che dimenticò la primavera. Il cadere dei petali è inutile se tacciono i semi, si perde, si perde la nascita fuori del tempo. Il suono delle campane si perde, né alcuno ascolta i richiami se non il cuore. Nascono cose solo che morranno e il cielo di appena stasera avrà smarrito ogni eco : i petali cadono ancora né trovano dove posarsi. Soli come rinati s’affacciavano mesti agli orizzonti lacerati da squilli di campane. Così perduti e solitari come le aeronavi tragiche dei nostri cieli infantili, s’involavano lenti e desolati i rintocchi delle campane ; balzavano sui lembi delle nubi lacerate dagli ultimi riflessi dei soli tardi a morire, e sparivano assunti come muoiono le stelle dei mattini luccicanti. Nei rombi che inseguono i colpi maggiori gridi squarciano le nubi e le statue e le cupole s’ingolfano  





le poesie di luna di casa nere fra i nembi dove il sole náufraga moribondo fra gridi di campane. Si rifugiava l’inseguito cielo all’orizzonte chiaro e le campane urlanti lo ferivano sotto l’occhio dei soli già lontani. Schianta il peso dei gridi le ramaglie ove i nidi s’accolgono ; gli squilli delle campane ventilano foglie, annuvolando il sole che s’annega in un pantano oramai di vecchia luce. La sera teme di morire : il grido della campana la sospinge cieca all’unanime morte col sole che non vuol esser solo sul suo rogo. Le campane si vantano tremende d’aver ucciso il sole e sanno persino inventare un loro cielo splendido ed oscuro.

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[7] Palazzo Ducale Non di lontane storie m’affatica il conforto del sole sui tuoi rosei mattoni, solo la bellezza amica mi rimanda di una fronte che amai. Dolci monti sognai dolci orizzonti nel paese che mi riprometteva, arduo cerchiato di biondi soli, splendore eterno, gioia del mio viso, marmoreo sorriso non mortale. Così in me trovo, non in altrui memoria, ragioni umane nella tua fattura e di amori durevoli il dono.

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[8] Veneziana Il tuo passo abolisce le futili d’intorno cose sudice e stanche. Beve il tuo viso a una lucente acqua che gli si porge celeste, e non di voci il tuo sguardo si turba ma di musica amica. Svaniscono per te delle antiche case, piene di stridi e di pianti, i fumosi muri, i rifiuti oscuri ebbero divorato i piccoli mostri urlanti,

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dalle acque smemorate riemergendo gradi di pronte scale e colonne alle nubi di voli incoronandosi trionfali. E ti veniamo incontro noi coi nudi nostri animi, dismesse le tumidi carni a cantarti i veementi carmi che attendi. [9] Gabbiani

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Dai languidi gridi dei gabbiani mi giunge quest’unico volo, separa da un sereno mare il pallido cielo che vi posava tranquillo : l’anima s’arruffa di nubi non più distese ; qualcosa anche in me ha tagliato l’orizzonte : mi duole accanto un’altra vita amica e turba il liscio mare ove si culla il grido a me dei languidi gabbiani. Tempeste temo da questo sicuro volo che si allontana tranquillo, con l’estrema curva dell’ali, ignaro e spinto da una vasta mano.  





[10] I nidi di ieri Amara primavera, si stupiscono le rondini confuse e invano cercano dei nidi di ieri spariti le care sedi.

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Volevano un’opaca primavera silenziosa senza le rondini, com’era fra i chiusi orizzonti quest’agra giornata a vittorie ad arrivi inadatta. Ma in alto, varcati i confusi cumuli, apparvero mute nascendo dall’aria disfatta, e nevicarono lente, stupite d’insolite assenze fin sulla terra bagnata. E subito in pena si spinsero ai muri grigi a tentare nell’aria nuda di fiori le feste e i noti voli : a cercare le care sedi sparite dei nidi di ieri.  

le poesie di luna di casa E i duoli nostri ebbero i loro immiti aridi gridi per voce né muti più, né soli.

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[11] Marittimi Domani si parte. Le stelle crepitano sonore, la terra è ancora amore. Gridano nella notte i diti sui lamenti delle corde, sui fori dei flauti e i salti violenti ti abbracciano, o resistente amore. Via già partono i fumi delle caldaie, danzano le prue sveglie incerti suoli. Domani si parte. Danza, è ora. Qui già soli amiamo la terra vera, terra dura ove ti appoggi a sicuri cieli. Urta questo corpo azzurro, selciata riva. Ti getterà l’amore disteso sotto le stelle, fatto di terra, colmo di terra e di carne. Domani sangue azzurro sarai fatto pel mare, sarai inda sospinta senza peso. Oggi comandi ; domani si parte, carne.

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[12] Altri fiori Poiché infuriare nella carne è deserto 1 e nascono altri fiori che non cerco trovandomi soltanto rosso avorio e l’obbrobrio delle mie mani, mi arrendo all’incanto illusorio 5 d’un incruento mistero : misurando inerme suoni, parole, marmi. Guai cercare nell’oro delle scorze altri segreti che numeri ! 10 Più che l’amore distruzione ; e non c’è altro amore che ci arresti se azzardiamo di là dai numeri una sola carezza.  





[13] Novembre Dì di novembre, forse sulla luna sono le primavere così pallide,

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che tutto pare stranamente nuovo benchè già morto : e il cielo non è d’aria – s’è involata l’aria ad altri mondi – ma d’argento e la terra è cruda e nuda e la vita non è altro che un filo sospeso al sole bianco immobilmente.  

[14] Viale delle Milizie 1 5 10 15 20 25

Varia di trasparenze e d’ombre tra l’aria e l’alba la foglia dei platani chiari pel viale. Nel liquido gioco riappare il gusto d’un’ora già stata, che il fiume vicino pianamente incantava e il sole covava nascendo fra bianchi vapori. Accarezzando il tempo fumava il respiro di limpide bocche, di vergine erbe, di colme case, ai bianchi vapori che il sole nascendo sognava. Dal greto rampava un cavallo traendo un immobile carro ; presso i caparbi zoccoli becchettava un uccello. La frusta nell’aria era strappata ai giunchi, lo schiocco era stato esclamato ieri sull’altra riva. Parlavano nel silenzioso variare dell’ombre l’umide canne. Stupiti d’essere liberi e vivi scambiavano sguardi e antiche parole soldati al riposo già dopo la breve notte e una lunga marcia.  

[15] Segnali 1 5

Alte foglie di qualche invernale bufera ci parvero le rondini, poi confessammo che era primavera. Fra i boccoli delle bambine ci parvero grossi coralli le ciliege di giugno. Ma poi dietro chiari sonagli seguendo nel buio le orme

le poesie di luna di casa di silenziosi cavalli, lo zampillare dei grilli fermò il nostro passo sgomento : che anche la morte apparendo non sia per tacere il suo nome…

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[16] Frode Un baiser nous a bu l’âme…

Chi ci afferrò, che parve la promessa, finalmente, di qualche ultima lotta ? E ci bevve alla sua furente sete, senza l’inganno fingere d’un bacio ? Poi ci buttò, come bicchieri vuoti, a specchiare la nostra anima vacua, disabitati, inutili, riversi. Non empirà più mai nessuna lacrima pietosa il nostro utilizzato cuore né alcuna vita il cristallino nudo degnerà delle sue feconde nascite.

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[17] Ofelia Sulla bocca incantata ode l’aria il soffio ancora della vogliosa canzone. Il capo che il marmo guadagna rimpiange il conforto di calde vergogne. Ancora per poco ai crescioni misti gli sparsi capelli e l’onde, strane le inventano acconciature inutili. Ormai si chiude dell’acque il lento sguardo e un verde sonno l’accoglie e di sogni l’imbalsama. Affonda e d’acque si sposa. O sale sorgendo dalla veste che si gonfiò sull’onda, presa tutta da un maritale disumana stretta che la circonda.

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[18] A Liubov Andrieievna i. Intesa all’eco che in te si farà e nel trepido grembo del cembalo

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tu scopri gli avori consunti… sorridi alla gioia del bimbo trionfante sui tasti pestati… S’è aperto un profondo vano… lontano discende sospeso a non musicali corde un carice umano…tu guardi nel fondo d’un pozzo oscuri lampi balenare, i liquidi rimbombi ascolti profondi : cade lentamente il tuo bimbo…smuori dell’atto che ora si compie, con le mani sospese ad ascoltare desolate di non saper altro… E riemergi : sugli occhi ti si disfa un ricciolo e posi la mano sui tasti neri. Tu sai il suono che non nasce fra le stanche corde e odi in te rinsanguarsi ricordi e ritenti, e poi tieni levata la mano sul trepido grembo del cembalo… Solo ora che brilla sospeso il solitario gioiello al tuo dito nell’aria ritorna sonoro (di dove ?) l’accordo e s’effonde nell’aria, roseo versato vino nell’acqua della fontana, nebbiosamente stupito dal lontanante passato, ritorna con placide danze con baci… Repente nel grembo del cembalo trasale l’accordo tardato… Distante partì questo suono vicino… tu chiami alla finestra ogni sguardo… laggiù nelle buie miniere non musicali corde si ruppero e uomini, uomini cadono, per questo innamoramento vano.  





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Che fa se nei grembi amari dei violini e dei cembali si dolgono i sospesi silenzi da stagioni ? Che fa se la veste celeste  

le poesie di luna di casa sfiorisce dentro l’armadio ? Non tacque da un’ora il flauto del cauto treno attorno all’orizzonte… e svengono oramai di vecchia seta cenere i rosei fiori dei ciliegi 50 color dell’alba al tuo vago ritorno, Liuba…Alle mani…(quali aperte a cogliere gocciole azzurre e grani d’oro… ?) le tortore fraterne più non calano… Un’ombra lieve distrai 55 dagli occhi, il tuo velo, tu soffi una piuma caduta dal cielo, il tuo primo pensiero, Liuba. Tremano d’iridi gli spigoli dei muri, delle cose, cristalli 60 d’antichi lampadari, pel dono d’una incerta lacrima fra i cigli. Rispondono dietro le molli cortine, voci illese da anni 65 ai tuoi gesti prudenti : giocano d’intorno in ghirlande fanciulli morti, tintinnano bicchieri e risa e monete d’oro, che corrono rotonde e si nascondono…alle tue mani, 70 che restano desolatamente sospese come sull’onda dove sparì il bambino, ad ascoltare… Che fa se si addolorano i silenzi della pazienza delle corde tese ? 75 Si spezzano lontano nelle immense cave altre corde e uomini nei pozzi cadono urlando soffocatamente… E nel tuo cuore piange di cadere, Liuba, quel solo che di te s’ammala 80 e chiama nella voce che si stanca lungo la strada, chiama dentro il canto vittorioso del nuovo padrone, nella caparbia illusione del vecchio studente… Di mondi ti parlano nuovi e tu baci 85 su estranei labbri l’amico a cui torni. Che fa se la scure dà lampi sui tronchi d’argento ? Contenta di non averlo voluto, tu parti… a vani legami fedele. 90  









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lucilla bonavita [19] Via degli Orti d’Alibert 1 5 10 15 20 25 30

La via si chiamava dagli orti, la chiudeva un cancello altissimo e il monte Gianicolo è il faro. La notte girava intrepida con stelle per l’aria e canti e gridi e sussurri e richiami. La stanza deserta terrana ammattonata di rosso guardavano mute ululando bianche e accecate tre testo di gesso. Cresceva una palma dal pavimento ornata di rose e via se ne andava oltre il tetto a frastagliare il cielo. Archi d’intorno e porte azzurre, vasche e fontane ed ortaggi. Qui gli urli son muti : furenti ire attrappite conserva la mummia d’un gatto. E qui entro, portando gli aranci in casa tua, Sebastiano : la luce della candela richiama dal buio quadrati di carta, disegni nel misto odore di ragia di lino e limone, di lavanda, di aceto e di cicoria. Il saluto veniva di dietro una tenda. E una nenia, interrotta al mio arrivo, più lugubre, continuava ad aprire oltre i muri desolatissime lande ove fioco giungeva pallido il poco sole delle mie arance.  



[20] Viene il tempo 1 5

Non c’è dono che m’auguri. Non spero. Le pene di domani già mi dolgono. Né schivarle m’è dato : viene il tempo, non so se tardo o presto, che le porta e me le darà in braccio alla sua suora, come non cara sposa e dirà : – Tuo è questo male che t’ho fatto, e vivo – A me resta nutrirlo, parto sterile, dolore, figlio idiota che non cresce.  



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[21] Bue Erba non cresce : rumina sabbiose aridità celesti, fermo, il bue ; e si stanca del tempo che gli bava giù dalla bocca e lo lega alla terra. I bianchi occhi gli cova fra le corna un pazzo uccello ; semi, le pupille i ricordi di idillî momentanei mutano in carne : si fanno creatura le immagini specchiate. E nasceranno.  

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[22] Latomie di Sicilia i. Latomie di Sicilia, alti crateri 1 di silenzi odorati, cerco il cielo che sull’ali dei falchi a voi s’appoggia splendidissimo come amato viso. L’immagine d’un subito s’inverte : 5 cupo pozzo di case irto di voci dalle sguarnite finestre. Vi pesa il cielo perso fra gridi di rondini. Da un muro all’altro balzano le ombre immense e via s’annegano oltre i tetti 10 schiodati, passeggeri d’altre rive.  

ii. Rotonde valli, specchi di silenzio, circhi di cielo, laghi di sentore, ove l’aria s’impollina di bruma azzurra e si discosta come veli ai gesti delle rame, delle mani, delle voci, che sono altre persone… e viaggiano pei cavi antri con echi di lontani teatri in tentazione di personaggi segreti in risveglio.

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[23] Limpidi idilli Limpidi idillî coi marmorei ignari disumani paesaggi della incorrotta bellezza, ove non alita verun indizio di maturazione.

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A quei voti cui non piove che cielo canterai incomprensibili canzoni tutte di aritmetici metri onde rivestirai di specchianti cristalli le tue purpuree fiamme. [24] Agonisti

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Da diversi sepolcri di regioni per incompiuti tempi, inconsolati si muovono sgomenti come statue gli agonisti che convoca il mistero. Qui giunti ai quattro canti del viale sostano calmi a specchio del quadrivio mutuando silenti conversari. I lenti bracci attenderanno sempre senz’ansia allacciamenti e saluti, i corpi respireranno senza tentare di strapparsi l’aria coi baci. Adeguatamente si specchieranno negli occhi larghi senza configgere punto contro punto le pupille, lasciando entrare insieme alla figura il verdire superfluo delle fronde. Qui parleranno : taceranno attonite le perenni fontane e gli astri assorti. Carichi d’antefatti inconfessati subito non vedranno le ragioni degli ordinati incontri e scaveranno gli occhi con gli occhi i loro bianchi sguardi. Voce d’un alto pianto ora s’aduna per le navate dei palati offrendo celesti carmi agli astri, incomprensibili qui giù agli umani. Anche la gioia risonanze di lacrime disvela in altro tempo piante, in altra vita. Qui di repente insorge il messaggero, ombra di vivo travagliosa, ignara del fatato concilio e grida annose angosce e dentro le tese maree dei cuori agli astri confraterni piomberà la parola, meteorite stimato irraggiungibile ai loro ansiti. E gli antefatti precipiteranno coaguli dogliosi agli occhi attoniti,  

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viscere aperte sui violati altari delle marmoree sanguinose mani. Sorelle statue, vigili dormienti, cuori immaturi, grembi taciturni, che non cedete alle tentazioni, ai profumi, ai languori, continuate a crescer dentro, assodati ginocchi, denti serrati, stretti pugni ; perdurate di caparbia, difficile equità. Riprenderanno le fontane a sciogliere i loro figurati pianti docili nei silenzi che s’ampliano d’orrore. Della stessa acqua s’ameranno i corpi netti per sempre, nel profondo candidi, lieti e persuasi d’esser così poco così incantatamente semivivi.  

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[25] Riga quod est aridum Piovi sulle mie statue calcinate grazia di Dio che il sole ha rintronato in rimbombo di grida, gronda intorno alle stanche disfatte disperate ; spegni le forme d’ingessata luce che spandevano al sole desideri bramosi invano di contrasti, ardori urlanti muti oltre le carni ; inonda. Dona pianti alle labbra silenziosi ch’io non oda più musiche sedurmi, svuotarmi, abbandonarmi, cercar oltre incontri e disperarsi d’esser sole per il camino ch’è sempre partenza. Dimmi finito prossimo interiore, lava le scorze e i pollini disciogli, ch’io sia dentro la buia forma solo.

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[26] Phaselus ille Ospiti, e che fate ? fate confronto in voi 1 fra la stanca carcassa del naviglio che qui vedete e il mio fasciame antico ? Potrei dire pur io : - Agile e lieve corsi agitati mari in vetta all’onde ; 5 ora qui, perso nel mio tempo, affondo, e mi dedico agli astri, già mie guide.  







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lucilla bonavita [27] I parchi di notte 1 5 10

I parchi di notte… gli occhi delle ghiaie, e l’ansito dei leoni. Voglio che dai chiusi veloci abitacoli vedano qualcuno sorride a un ciottolo a lungo sospinto, fra gli occhi delle ghiaie, e l’ansito dei leoni che dormono e sognano le paure dei parchi di notte. [28] Attimo

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Tu puoi cògliere un attimo di silenzio, tentarlo con trepide dita come una sacra piaga e vedere schiudersi, dissolto il serrame, spontanea la porta di questo torrido muro d’impazienza. Bacia i battenti che s’aprono, varca la soglia sognata scàlzati il piede e l’anima e inòltrati. Abbastanza felice se troverai un difficile paese di silenzio incolore dove tu sia una pavida spersa bandiera bianca ; ma più felice se fioriranno qua e là offerte di colore e saprai coglierne ciocche per farne paesaggi più tuoi. Prima dormi, inoltrato ospite, pieno di gratitudine. Che lieve sonno ! Ascolta il profumo di questa pace silenziosa. Ti accorrono intorno, angeli liberatori, svanita l’ansia delle tentazioni : l’esultanza della carne le modulazioni delle giunture gli scintillii delle scorze le ali dei precordi le palpitazioni i sogni  





le poesie di luna di casa degli occhi delle mani delle palpebre musicali. E cominci a cantare e, meraviglia !, t’odi. Come infiniti insetti ronzano le loro minime immense fatiche le cellule contigue, ognuna viva ed essa e dicendo : io. Dentro ognuna la vita è avvinta, ognuna mi canta e somiglia, io sono migliaia e migliaia e libero e vero, e uno, alfine.

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[29] Incubi Umidi nodi ai crini il sonno stringe nei lisci bagni dei terrori, magre sorti ai ginocchi duri statue tenta tutte di vuoti ai ciechi occhi, alle voci che tornano vari echi di misure dubitose, se più tronche non osano avanzare le braccia vasti gridi. Quatriduani carnami angustiosi consumiamo invissuti giorni in brani bianchi di notte. Ci strascina pavida per la fanga, staffati, una cavalla fra flagelli di canne e i gonfi labbri gorgogliano di bolle, ombre di baci, fino al mattino livida riva al mare.

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[30] Dritto e rovescio Nasco : una scorza nuvolosa cede a una immane carezza e quella nuova intera si conosce come un cielo che insegnasse agli astronomi i suoi punti. Vivo : il mio firmamento in due divide l’universo. Ora sono entro le scorze e il cuore è il sole ; ora ne sono fuori e il sole è il cuore e tutto quanto è carne è il cielo oscuro che circonda rosso l’azzurro corpo arioso ove zodiachi coi loro draghi palpitanti attorcono i visceri prolissi e l’erte vertebre.  



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lucilla bonavita [31] Trinità dei Monti a V. C. 1 I travertini d’argento al calare d’un mite sole t’avevano nel loro chiarore più chiara. 5 Fra i tenui capelli nel cesio pallore del viso t’illuminava più chiara il roseo sorriso. È un’ora sorella 10 che in cima alla scala ti chiama. Il sole oltre l’argentea cupola dell’Osservatorio ama bianche nuvole lilla. 15 Sei nell’ora come talvolta una trasparente luna in un cielo uguale, che appare e si confonde, ed è più vera del vano colore 20 di cui si dissangua. Ho creduto di abbracciare un fiore invisibili agli altri, tanto eri pari alla luce. Io ti sapevo discernere 25 nella luce dei travertini come la sua luna nascosta l’uomo dell’argentea cupola. [32] Sperdute foche 1 5 10

Immoti crepuscoli irradia di luce rovescia, caparbia, la distesa dei fitti lenzuoli che la neve ha ricucito d’implacabili sopraggitti. Incerte scampanate il pianoforte galoppa trasalendo improvviso nella disperante calma ove il vento dilaga, come se il loro canto latrassero sperdute foche contro l’empia cappa del cielo, sferzandole il vento su su alla sorgente di gravidi fiumi.

le poesie di luna di casa

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[33] La bocca Piove oltre i vetri pallidi. Sotto la pioggia verdi alberi e rosei tetti e il cielo bianco. Sospesa nella grigia aria la mia bocca chiusa mi guarda.

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[34] Veronica Con un pietoso lino fra le mani t’apprestavi a sciugare sangue e lacrime : il tuo sorriso era la medicina. Ma io porsi le mani nel ricordo infantile : qualcuno raccoglieva nelle grandi sue mani le piccole nostre palme e studiosamente le nettava finché non tornassero chiare. Poi col lino più liso, più lindo di casa, prima l’una e poi l’altra ce le avvolgeva di tenerezza e ci andava contando le dita, considerandone i golfi, spianando il sorriso delle palme, aggirando i piccoli dossi dei colli. Allora sì, sentivamo cantare il nostro valore, adorato senza attesa di mercedi alcuna. Ora varcato l’amore, mesto equivoco di compensi, attendiamo con ferma speranza angeli alle ore mattutine dell’infinito giorno tornare pianamente a lavarci le mani. 1

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1   La poesia appare sotto forma di prosa poetica scritta nella notte del 16 maggio 1951 : « Ti ho veduto con un pietoso drappo fra le mani pronto ad asciugare lagrime e sangue : il tuo sorriso era come un fecondo balsamo. E d’improvviso pensai di porgere le mie mani, come in un ricordo sovranamente dolce di ore infantili, quando qualcuno accoglieva nelle sue grandi mani le nostre piccole stelle, e studiosamente le metteva come preziosi gioielli, finché non tornassero chiare. E poi col più tenero lino della casa ce le avvolgeva (una a una) prima l’una, poi l’altra in una tiepida nube (brutto !) e ci andava contando le dita, e considerando i piccoli golfi tra quei graziosi promontori, e spianava il sorriso delle palme e i piccoli colli dei dorsi. Noi sentivamo allora cantare il nostro valore, ci sentivamo adorati senza attesa di mercedi. E ora varcando l’amore, in cui tutto è desiderio di compensi, attendiamo con una feroce speranza che tornino gli angeli, nelle ore tutte mattutine dell’infinito giorno a lavarci misericordiosamente le mani » [Quando un pittore vide angeli accudire venerandi corpi, o santi baciare mani e piedi, dovette sentire, anche senza forse pensarvi consapevole, il ricordo delle attenzioni di cui fu fatto segno da piccolo, tanto simili a riti di adorazione]. Cfr. Orazio Costa, Quaderno n° 3, nota del 16 maggio 1951, in A. C.  









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lucilla bonavita [35] Indizi 1 Indizi non vaghi ti si rivelano ai margini dei tuoi poderi, di casi gravi : schiocchi di dita, 5 premuti ginocchi, capelli radi e gridi, per le scorze e le foglie, di uccelli tramortiti. Insetti acuti 10 pungono e disseccano le ore, occhi di mosca ; le motonette tessono brividi nelle pozze guaste delle lavandaie.  



[36] Dirigibili 1 5

Torneranno le pallide aeronavi, sussurranti alveari d’argento, a rifarci le nuvole infantili. Così per me si ricompone in uno per il dono di quei fatui pianeti l’ultimo cielo al primo firmamento. [37] Compagna

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Ma la morte davvero mi accompagna lungo le strade…me le fa giardini in fiore misteriosi…duplica di certezze ogni ansioso gesto…preme come una vera amata la sua mano contro il mio cuore…i battiti ne forma più solenni e i tempi ne dispiega sì che io vedo sempre neri soli fra cosa e cosa, e più forte m’inoltro fra gli amori che mutoli m’assalgono. [38] Piazzale San Lorenzo

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Quella piazza deserta di luce, io nero sole, tu eri ? Contro i fianchi della notturna latomia s’arrestano le fragorose cascate della luce ; filtrano appena dimezzate lampade,  



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radi lumi di tombe e, invano grande, una sanguigna luna d’alabastro. Qui si riposano le fiamme ; qui, per grazia, ogni gesto si scioglie dal suo moto ; 10 ogni scorza, scevra del suo colore, svela oscura immediate intimità. Fughe, abbandoni, profughe partenze han vuotato d’avvenimenti questa coppa di serenità. 15 Nulla più accade di umano ; tutto è divinamente arrestato fuori delle sue porte di utilità. Gementi scintillanti convogli bramiscono al suono di trombe 20 fra i binari predestinati. Alberi scendono dal cielo radicati alle stelle, si fanno cipressi di roccia e in cupa armonia cantano nuove case. 25 Eri tu mia sospesa pace ? Mia bastevole pace, animata e buia ? O durevole morte, gradito sogno, più dolce del sogno narrato dalla misericordiosa voce : 30 tutto è conosciuto e amico fino nel più lontano e senza luce : oltre i cancelli le tombe, oltre i cipressi la luna, oltre i convogli i felici deserti. 35 Così, solo e per sempre, Orfeo pei viali di violetti platani nell’infinito inferno era felice. Né mai e mai mi volgerò indietro : dovrà seguire amore, e canti solo 40 o pianga in compagnia io tengo fede che questo luogo sarà sempre eliso, pace di morte, nero sole, benda di memorie per tutte le ferite. 1  

















1   I versi nascono dalla prosa poetica scritta i 9 Aprile 1951 : « Eri in quella piazza deserta di luce, mio vero sole ? Inutilmente battono ai fianchi della notturna latomia le fragorose cascate di luce. Non filtrano che radi lumi di tombe, che dimezzate lampade, e una luna d’alabastro sanguigno invano grande. Qui si riparano le fiamme. Per grazia ogni gesto si scioglie al mio moto, ogni superficie dal suo calore e ricopre, misteriosa e oscura, autentiche (immediate) intimità. Una libertà di recenti abbandoni, di attraversanti fughe, di profughe avvenute partenze, chiama a respirare con mai vista serenità. Nulla  





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lucilla bonavita [39] Altri visi 1 5 10

Se guardo altri visi che il tuo capisco dove apparirà l’odiosa corruzione della vecchiaia. Ma nel tuo viso per quanto scruti non so scoprire la porta né la fessura né la minore resistenza per cui apparirà la vecchiaia. Voglio forse in cuor io condannarti alla morte ? No davvero, la temo e so che, ahimè, non può non toccarci o l’una o l’altra e che non c’è modo di fuggire le vecchie : né odio né amore né fuga né vicinanza, solo il non averti mai visto, che non può essere più.  



[40] Seconda persona 1 5 10

Credevo che fossimo soli, che gli altri fossero sassi intorno a noi e piante e girovaghe nubi. Ma tu guardi anche altrove e scopri in quelle apparenze, per me vuote, parlanti cuori avidi che ti festeggiano. A fatica perdóno di rinascere a tanta sperata morte, mentre a mia volta appassisco. [41] Tatuaggi

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Architetture antiche, rinnovate di lucenti colori, sul canale : una nave attraversa la strada,  

più accade di umano : tutto è ferinamente divino, tutto è divinamente arrestato fuori dalle sue porte di utilità. Ferventi, scintillanti convogli bramiscono con suono di trombe, fra predestinati binari, alberi discendono dal cielo già radicati alle stelle. Cipressi si fanno rocce cupe e in compatta armonia cantano nuove case. Eri tu mia sospesa pace ? Mia raccolta, mia bastevole pace, animata e buia ? O dolce e lunga morte, gradito sogno ; più dolce d’un sogno narrato dalla misericordiosa voce, ormai misericordiosa per altri ; ove tutto è conosciuto e amico, e fin nel più lontano, senza luce, senza bisogno di luce. Oltre i cancelli, le tombe ; oltre i cipressi, la luna ; oltre i convogli, gli abbandoni felici. Qui, solo, e per sempre, con tutta la gioia silente, cantante, e cara, prossima e intoccabile, ma posseduta perché ad altri muta. Orfeo camminando per i viali di violetti platani, nell’infinito inferno, era così felice. Né io mai e mai e mai, mi volterò indietro. Seguire dovrà ; e sia solo e canti, e sia in coppia e pianga, io ho fede che qui, su questa piazza, sarà sempre silenzioso eliso, pacifica morte, nero sole, misericordiosa memoria a tutte le ferite future ». Cfr. Orazio Costa, Quaderno n° 3, 09.04.1951, in A.C.  

















le poesie di luna di casa fumo di treni insorge dal grembo del viale… L’officina dei tatuaggi e i suoi almagesti. Là gli uomini dei viaggi ripetono sulle loro scorze gl’itinerari delle navi e degli astri pei mari ; amano incidere le costellazioni vegliate, i mostri rincorsi, le femmine appetite, i numeri, i pegni, le date, i talismani, imponendo celesti misure alle piagate carni. Testimonianza di cielo sulle rughe terrose, rivendicazione di eternità sull’avvizzire, fra tanto vociare di nomi, di colori, tanto imperversare di piogge e di folle, tanto precipitare di carne alla morte, prima d’essere orrenda invoca amore e i firmamenti della bellezza, sì che la morte non ingoi le facili deliquescenze della putredine, ma si sdenti mordendo cose eterne.

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[42] Lauro-Dafne Labbra propongono cari, pupille incantesimi, dita preghiere, ai marmi in me di deità prigioniere. Il tuo-mio grido disfronda in foglie gli abbracci, il fuoco delle voglie tramuta in roccia ; e tutto quel che faccio per raggiungerti ti fa buona pel vento e per la pietra.

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[43] Gita nel fiordo Maestoso balene ammantate di bosco con le fiocine infisse dei vessilli in silenzioso corteo per la finta foce le isole ci accompagnano e i gabbiani infingardi ci seguono, allungando d’una bianca coda d’aquilone il pavese festivo nel finto viaggio d’andata e ritorno. Così temo sia pure il nostro viaggio : solo ignoriamo l’ora in cui la nave

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volgerà il becco, forse l’ha già volto ; tanto che mentre invoco come pegno di verità la tua lontana assenza, temo anche più lontana ogni presenza : su un altro ponte tu festeggeresti il viaggio tuo di sorridente andata ; io già ritorno…E sulla stessa nave. 1  







[44] Carta da parati 1 5 10

Tu giochi irreparabilmente per le sale che ti fa l’universo e tutto il resto è carta da parati. Talora le decalcomanie di qualche figura isoli, distacchi ed ami. E t’ammali di quella effige che non osi voltare. Ti piace ignorare il suo cuore, le sue vene, il suo ventre. E ti accontenti di dipinti sguardi. [45] La voce Al mio orizzonte sempre che tu parli palle di giocolieri si rincorrono, allegri soli senza ordine giorni : ma il tuo silenzio annotta ogni splendore.  

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La voce si consuma. Sillabava sommessi inviti, pavidi saluti ; varchi a insperati paesi apriva, ove l’eco a lungo assolava di gioia le foglie. Mormorò sospese confessioni fiduciose ; corsi di misericordia fluiva fra le punte dei sassi e le sabbie. Intonò canzonette, cui seguirono inni illuminati e segreti carmi. Ridiscese agli effetti, ai saluti sicuri, ai ridenti inviti, alle giornaliere cure ;  





1   La poesia nasce da una prosa poetica scritta in data 3 Giugno 1950 in occasione di un viaggio ad Oslo : « Il corteo silenzioso delle isole, come maestose balene, ammantate di bosco, con le fiocine infisse delle antenne delle bandiere, ci accompagna per la finta foce del fiordo, gl’infingardi gabbiani ci accompagnano, allungando di fiamme bianche il pavese carnevalesco della nave, come una incerta coda di aquilone, nel finto viaggio di andata e ritorno. Così temo sia pure il nostro viaggio : solo ignoriamo l’ora in cui la nave volterà il suo becco : forse l’ha già voltato ; tanto che, mentre desidero, per unico segno di verità, la tua lontana presenza, temo che sarebbe altrettanto lontana la tua vicinanza. Saresti su un altro ponte a festeggiare il tuo viaggio di sorridente andata, mentre il mio è già di ritorno ; e nella stessa nave ». Cfr. : Orazio Costa, Quaderno n° 3, nota del 6 giugno 1951. In A.C.  















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s’adusò ai diari, mettendo fioretti fra le noie. E parlò d’altro : fra i verbi fra i motti volò ancora a lungo una colomba sperduta, come in una nuvola di storni cangiante. 1 Nel cielo azzurro, all’occhio della luna, ancora a lungo cercarono direzioni nuove, incerti se verso il sole se verso le nevi piegare ; e la colomba nella viva rete di ali, nell’andirivieni sospesa delle non fraterne ali, si dibatté ancora a lungo. E d’un subito trovarono il viaggio ed ella sbigottita della desolata libertà, affaticata volse al porto più prossimo suo, alla straniera luna, sperdendosi in volo. Varca ancora la voce e lontana ; sotto la palpebra della luna la sua immagine vige ; ma qui le parole sono sole e citano frasi ribelli, punte di sassi fra le sabbie.  

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[46] Sempre con riguardo Sì, sempre con riguardo il limine arso non varco, attendo che tutta combusta e torrefatta sia la mia scorza dal tempo, fuoco altramente tristo tutto stipole ardenti e grigie d’attimi imprevisti. Sui cigli bruschi ogni lacrima essicca, sui labbri vizzi ogni sorriso sguaia, pela ogni pelo la forfora calva. Si striminzisce il cuore già furente in risucchi di assenza e trita invano i sanguigni galoppi in abiti pallidi. Pei canneti degli ossi gli orifiammi illanguiditi della carne strinano ceneri biave che il fuoco non degna.

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[47] La luna in mano Approdo di domani, ormai raggiunta isola, o luna, sogno di strateghi,

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1   Nella nota in margine alla poesia, Orazio Costa rivela che « l’immagine dello stormo di storni che hanno impigliato un colombaccio è stata da me vista ieri a piazza Argentina alle 16 – io guardavo ; un signore che guardava anche lui e che s’intendeva di caccia, mi ha fatto vedere di che si trattava. Quando ho cominciato la poesia non me lo ricordavo più affatto ». Cfr. Orazio Costa, Quaderno n° 3, nota del 3 dicembre 1951, in A.C.  





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ti contendono a noi calcoli e macchine. Ancora per poche ore resti immune di logistiche offese, ancora assempri a lettere d’amore, amato viso. Non v’è più ignota terra che ci attenda nei sogni, senza frastuoni, se non fra gli astri irraggiungibilmente. [48] Montagne i.

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Alla luce del sole le agre vertebre indori e dagli oscuri fianchi spingi braccia che torci e stendi e oscuri grembi ; prole di dossi ti si gonfia intorno come giganti cuccioli che allatti dentro al largo meriggio, indi ti stringi sempre più presso gli sgomenti figli, li riassumi nel tuo buio materno e ad altri allattamenti ergi le cime vogliose e magre agli astri irraggiungibili, lama immersa nel fiume della notte.  

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Boccio, pugno segreto, chiuso bacio, fitto pensiero, consonante muta, erto seno, irto nocchio, frutto verde, di notte ti rifai vergine e una ; al mattino, montagna, splendi fiore, scoppi carezza, ridi bocca, stendi sereni prati, ti pronunzi chiara, allatti armenti, poggi, stelle, uomini, maturi polpe, grappoli, riviere, cresci di rami, di radici e uccelli, partoriente perpetua, danza immobile.  

[49] Nomadi i. 1 5

Accampati, attendiamo… e che fa se non tutto è compiuto ? Se l’ora, e potrebbe, non splende forbita corona, noi in mezzo seduti ? Parte ogni istante una freccia : nessun anello si chiuderà.  





le poesie di luna di casa Accampati, attendiamo persino di amare ancora, persino di dire, persino di nascere… fuochi sui monti e gli alberi involarsene e stelle discendere. Oh ! meno ! dischiudersi il cielo, una mano apparirvi garante, per continuare ad attendere.  

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ii. Campiamo attendati… 15 contro il vento e la pioggia svolazza, aggrappata alla terra, la tenda. Non costruiamo la casa, non annunciamo arrivi… Bivacco. Attendiamo uno squillo : rimbalzi il sole dall’occidente, 20 si apra la strada nel mare ; dentro di noi all’indietro riguardare più belle appassite facce, imparare davvero a sorridere, a cantare con gli angeli. E allora !... 25 Nulla avverrà, lo sappiamo, fino all’ultimo giorno. Ma come se Dio ce lo avesse giurato noi l’aspettiamo prima.  





[50] Tauromachia In memoria di Ugo Betti

Rotti i fili di tempo che legano gli atti da un dito possente, caracollano funebri corride su letti non più rifatti. Delusi spettatori volgono i dòrsi e guardano in su verso i cigli delle arene, ive ignari bambini rischiano il vuoto. Mosche intorpidite dal gelo i tori bolsi mancano fatalmente le pezze rosse che porgono i toreri, pasifaesse veroniche. Solitarie orme qua e là fra gocce di sangue affiorano, senza che alcuno passi (uomini, fiere, cavalli), negativi fiori di soste eluse.

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Il toro colpito stenta così lungamente come sul marmo del ristorante la fulva aragosta… e senza ormai paura gli eroi appendono corone alle sue corna. [51] Cerveteri Nei remoti recinti fra malinconiche erbe attendono le tombe la mano del pastore che apra il chiuso.

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Sentiamo cantare canzoni nei bagni delle necropoli, ronzando le anime dei morti. Vediamo occhi sorriderci, dalle tombe di riposo alzandosi le spose dei lucumoni. Il sangue sentiamo batterci dai remi delle galere, il cuore pesarci gravitando preciso pianeta ; e respiriamo avvenire, vortici d’avvenire, pronti alle canzoni imminenti, agl’imminenti sorrisi, alle ali ai viaggi di domani… Non ci saró : di nuovo fanciulli entrati per gioco a rovescio nel letto una sera, lasciato il noto cuscino le lenzuola rimboccate, ci saremo inoltrati verso una luce che appena balugina sotto il piumino.  



[52] Giocando con la sabbia 1 5

Dirò, non saprò dire, e farò il gioco che si fa con la sabbia ammonticchiata. Dirò, non saprò dire… piano piano leverò poca sabbia al monticello, finché non cada il culmine di paglia : si perde sempre, tutto sta tardare. Rifarò il monticello, stretto, acuto, ora d’umida rena e con la valva  

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lilla d’una tellina brevi plaghe risegherò finché non tremi il torsolo sopra il piede corroso, troppo stretto. E ricomincerò, cambierò modo : questa volta il coltello sarà d’onice o dell’osso che danno ai canarini, o sarà un filo d’alga teso a lama, ma il monte al suo momento ricadrà. Quel che dirò sarà la sabbia tolta, quel che non saprò dire il piccolo attimo che senza peso inutile quel pugno di rena molle reggerà incredibile, e la festuca in cima al monticello, che frana tuttavia, resterà in bilico prima di ritornare fra la sabbia.

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[53] Cimitero d’aironi Un labile greto di teneri ossami 1 epigrafi iscrive illeggibili se non Dio, che scende ad affratellare fra le sue mani le ali che volando lo pregarono. 5 Inette alla nuova opera esse balbettano i primi ultimi gesti d’un solitario duello : in questo Dio è così arduo alzarsi dal nido ove ti lega l’assente uovo di morte. L’antico indocile implume cerca la quiete 10 nella madreternità delle proprie ali, ma un vento le scompagina naufraghe. Fin qui aveva saputo nascere amare cantare covare volare ; ora nuova è la danza, né gl’insegnò natura come farla. 15 Ma Dio la coglie e ne fa dono agli angeli.  



[54] Filiere i. Non abbiamo più tempo di parlare : 1 unicamente inni solitari, dipanando amarezze filiamo con le inesperte dita del cuore. Tigliose parole arsicce balbettiamo 5 fra le pause degli utili discorsi, ma inumidirle di lacrime, per farle rinvenire, non sappiamo.  

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Non abbiamo più tempo di cantare : unicamente un inno solitario, sillaba per sillaba distilliamo, ficcando le inesperte dita del cuore fra le tigliose amarezze, arsicci fili traendo di sgravate parole. Fatica di parche interiori duriamo senza saliva senza lacrime senza forbici. Mentre viviamo il filo ci attraversa dell’inno solitario, vacue crune.  

[55] Medusa 1 5

Le vele dei palati sanno stelle scintillanti d’agrume ; in ogni canto dei volubili spazi punge ‘io sono’. Nuvolaglia m’infioro, mi spensiero di nebbie, mi lambisco, rocce ghiaia sabbia, con gli sprazzi delle bolle di spuma e, lido, assumo e immedesimo la medusa che sparisco.  

[56] Nottole 1 5 10

Fra le mie mani e me vien meno il sangue : aria a branchiali polsi esse respirano. Spaurite cieche nottole, tentate dall’intravisto oro della bellezza. Lampade trasparenti nella buia opacità d’ogni altro splendore chiamano i desideri fitti effimeri, fuchi d’innamorata impotenza. Ed i miei calvi topi svolazzanti nel polverio dei desideri affondano denti inutili e tutti palpitando per fato ai caldi lumi non attingono.  

[57] Il campo 1 5

Brevissimo giardino pendulo sull’abisso… o tutto il mio rifugio, o tutta la mia prigione, o tutto il mio dominio, o tutto il mio stadio ! Qui piango, qui soffoco, spadroneggio e corro, qui coltivo vizze margherite di piacere, qui sogno le verdi sorgenti, qui trito le rocce  

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concluso mistero, corto sorso, lievito spento. E dove di terse brine luccicò per un’ora il manto senza suture, ora si affossano sentieri di carri che non passarono, orme, impronte, tane. Opachi gridi lo attraversano che migreranno ; pavide talpe lo tentano, presentendo sfaceli. Per ogni dove papaveri di segreto sbocciano, e a brucarli si sfogliano.

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[58] Guardiani Nella pupilla del bovaro è l’irto terrore del mortal punto dei corni ; il pecoraio ha lo stupore strambo tra le labbra brucate ; il cavallante ha il riso, il porcaro il cieco occhio ; il leoniere avrà la zanna e l’urlo ; il delfinaio la rotante schiena… ma l’omaio aguzzino nulla d’uomo.

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[59] Galli Dormo ancora : nel piano il grido s’isola d’un gallo, dice ‘io’ laggiù sul fiume, ‘io’ contraddice un altro su dal monte, ‘io’ squallido un altro, ‘io’ un altro, ardito. Arroganti sperduti rassegnati ‘io’, ‘io’ declamano proclamano reclamano conclamano ed implorano. La mia coscienza s’accende qua e là di questi lampi momentanei d’io. Alla sera nel buio m’incammino e qui e lì radi e lontani galli s’alzano gl’’io’ dei grilli innumerabili, ma distinti, un intero firmamento. Io sono ora di questa costellazione, ora di quella, ora d’infinite. Mi cerco in cielo tra tutto quel gridìo, quello specchio di grilli, qua e là, perdutamente molteplice, con tutti quest’io che respirano ‘io’ nella notte, uomini e grilli.  

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[60] Magnificat Da questo conflitto pregare può scoppiare la rosa

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lucilla bonavita a specchiarsi nell’argento lunare e spirare lindore e speranza. 5 Questa che s’arrovella nel boccio, fra gl’incubi d’una genesi lunga, non è ancora la rosa… Ho visto il giardino della mia casa, intatte ghiaie, sigillate fonti, 10 ma lo traversò senza rammarichi verso mari oscuri e incerte stelle… Nei meandri delle generazioni fu esperimento di ire, di poeta, di profeta, di eroe, di sacerdote… 15 Aperta, la rosa sarà tutto questo, pronta a colloqui divini e quotidiani. Il nero che si vena di rosso, trasparenza di palpebre è l’annunzio di un parto di gridi di gaudî di speranze. 20 L’alba assai chiara e rosea orla già i bordi dei petali, ancor umido dispiegarsi dell’ ali di angeliche farfalle di speranze. Confitto nella preghiera 25 alle soglie della luna sento la divina sapienza incamminarsi danzando lungo gli argentei pendii ; sento in arcani seni da cielo a cielo 30 balzarsi incontro nascituri beati e pronunciarsi imminente il verginale inno : « L’anima mia magnifica il Signore e lo spirito giubila danzando in Dio liberazione e salvazione, 35 che di nostra miseria ebbe pietà ».  







[61] Rosa Ai triboli consoli punti i diti della farfalla l’ala che si sfiora indizio d’una rosa trapassata

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A quella che mi s’apre e abbraccia rosa, occhio evaso, ove specchio ogni mio io, acconsento filiale e torno seme amatamente nel profumo ascoso. Vólto di palpebre e labbra socchiuse a sorridenti sguardi, amata rosa,

le poesie di luna di casa materne braccia, avvoltolati cieli attorno al sole che speriamo splendere, finché le braccia reggono ed i cieli appassiti non cadono. Si gonfia allora il cuore e si fa rosso e solo : rosa che fummo, profumo che fummo, forma che non si spiega per aprirsi, e corona una stella spento sole.

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[62] Sul filo Ho fatto i numeri : un gioco. Attendo sul filo : lo spazio che s’apre si trama di echi, di piccoli suoni ; attendo ansioso la voce. Ansioso perché ? mi scopro bambino da sempre, sospeso ad un filo, a una voce, a un’eco, a un piccolo suono sul buio gremito di stelle. Bambino apprensivo, aperto e guardingo alla novità feconda di ogni nuova parola, purché sia, a spiare, a cercare, a ricevere l’ape celeste della novità.

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[63] A Nina ‘la giustizia’ Se ho bisogno d’un alibi mi accuso. 1 Per chiederti perdono non mi appiglio all’estro della musica che assilla, al vuoto della fatua compagnia, ai conforti insistiti, alla salute 5 che ritorna, alla luna, al nuoto, al tempo. Ma devo dire solo : per mia colpa, per mia colpa, per mia massima colpa. Proprio perché nel tempo non sentii la tua vita esser viva in nuove piogge ; 10 nel nuoto, calmo, non nuotai in te ; altra alla luna consentii misura che il ritorno del tuo ultimo giorno ; della salute non sorrisi a te ; già confortato ai conforti mi arresi ; 15 e concessi alla fatua compagnia ogni ora del mio giorno e non a te. E alla musica più non riconobbi  











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l’unico vanto di cantarti memore, ma quello ancora di buttarmi improvvido a rive d’illusorie non tue isole. Per tutto questo ed altro ancora, o giusta, ingiustamente ho ceduto alla noia, al vuoto della carne, all’arsa veglia. Oggi non mi perdono, né domani ; ma troppo presto, se tu non mi vegli, non chiederò nemmeno più perdono e risarà tutto quel che già fu. 1  



[64] Luna di casa 1 5 10 15 20

Luna di casa, palla di neve, lampada acetilene agganciata al trave della stalla mentre nasce l’agnello : le mosche le farfalle ci svolano intorno, si sentono stridere al tuo soffio bianco Fiore sull’acqua nella fontana dell’orto : la muovo appena al bordo e già ti tocco e ti colgo. Aquilone di vescica trasparente che un filo trattiene ; giuochi di tre quarti e ti nascondi e t’ingrandisci agli orizzonti ; ma poi scendi sul prato e i bambini ti misurano e odorano se sai di stelle. Lettera d’amore posata sul canterano, messa lì per essere letta più tardi, tutta promesse e la mano ti vuol sapere prossima e ti legge al buio. Luna di casa, chioccia di pollaio,  







1   I versi sono frutto di rielaborazione della seguente prosa poetica : « Se ho bisogno d’un alibi mi accuso ; per chiederti perdono non mi appiglio all’estro della musica che assilla, al vuoto della fatua compagnia, ai conforti insistiti, alla salute che ritorna, alla luna, al nuoto, al tempo. Ma devo dire solo : per mia colpa, la mia colpa, per mia massima colpa. Perché troppo peccai contro di te. Proprio perché nel tempo non sentii la tua vita esser viva in nuove piogge, nel nuoto, calmo non nuotai con te, alla luna consentii altra misura che il ritorno del tuo ultimo giorno, della salute non sorrisi a te già confortato ai conforti mi arresi e concessi alla fatua compagnia ogni ora del mio giorno e non a te. E alla musica più non riconobbi l’unico vanto di cantarti memore, ma quello ancora di buttarmi improvvido a rive d’illusorie non tue isole. Per tutto questo ed altro ancora, o Giusta, ingiustamente ho ceduto alla noia, al vuoto della carne, all’arsa veglia. Oggi non mi perdono, né domani ; ma troppo presto, se tu non mi vegli, non chiederò nemmeno più perdono. “E sarà tutto quello che già fu” ». Cfr. Orazio Costa, Quaderno n° 6, nota del 17 luglio 1958, in A.C.  











le poesie di luna di casa aureola d’argento del santo della pieve, che sta più quaggiù fra i fedeli che comodo in cielo. Azzimo che porge alle labbra la mano di Dio e che gustiamo nel nostro palato di stelle. Specchio d’ogni mattina, coscienza nostra, piatto comune sulla mensa quotidiana, tamburella che batte il tempo al ballo, acquasantiera consumata e aperta, mano calata sulla nostra fronte, pezzuola bagnata sulla fronte febbrosa. Luna di casa, vaso alla finestra, conchiglia di spiaggia vicina, barchetta legata, laghetto serale, gesso della lavagna, catino delle mani, viso di mamma, ritornello domestico : luna di casa, luna di casa, luna ! Non mi ti porteranno mai via, mai. Non potranno far altro che avvicinarti, e anche minacciata o minacciosa, a tiro di schioppo, qui fuori dell’uscio, sarai nella mia mano il fazzoletto al quale asciugherò quelle altre lacrime. Luna di casa : culla dondolante che la mano sollecita. Luna di casa, picchiotto della porta, serratura del cielo, mano amica, finestrella dell’andito, bocca del pozzo, secchia grondante che cresci dal fondo e ti rilanci al tonfo. Luna di casa, quieta testimone delle cose, dei casi, d’ogni avvento, certa memoria, coscienza senz’ombra, occhio d’ognuno nell’occhio d’ognuno ; uno per uno siamo con te a veglia, e con le stelle tutta una famiglia. Tu c’eri coi padri dei padri, ci sarai con i figli dei figli : tu sei per tutti noi arco di luce, giogo di luce che tutti ci unisce.

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Visibile profezia, memoriale di quello ch’è stato, sai quello che abbiamo in cuore, occhio d’ognuno nel cuore d’ognuno. Per te la gola del pomo che assempri c’invoglia ancora dall’orto celeste che sempre sei stata che sempre ci resti. Sei stata e resti la manna del deserto, la stella di Betlemme, il fastigio del tempio. Sei il pane dei pani moltiplicati, il calice di Getsemani e la corona di spine. Sei la mola del sepolcro rotolata fin qui, ad un tiro di scoppio, vicina al cuore, vicina ; nostra sorella, viso di madonna, sapienza eterna, esultanza gioconda al cospetto di Dio, nell’universo, felice di stare coi figli degli uomini. Luna di casa, lira della vedova, ultimo soldo, girato nella tasca a lungo prima di spenderlo, e poi tenuto in pugno in augurio per augurio, per talismano, piccola lira del povero. Luna di casa ; dramma non perduta, moneta del tributo non iscritta, sigillo della tomba di vita. Luna di casa, piaga del costato a cui porgiamo la mano tommasa per credere, serratura del di là, bocca della verità, bocca della vita. Luna di casa, specchio sul cassettone testimone del peccato, ogni mattina, viso del nostro viso… solitudine altra…  



le poesie di luna di casa

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[65] Agnus Dei Sugli asfalti arrancando, non più bianco, senza un gemito, ultimo del gregge, miseria d’ossi e di lana polverosa, zoppo e piagato, continui a vivere, continui a morire, agnello senza pastore, segno e silenzio.

Ancora greggi, benché disfatti, e cielo e terra. Manto ha la strada, nuvole l’aria e motori le rompono. L’erba invidia l’asfalto, il pastore quel volo seduto : lanoso cielo, fangosa lana… svanite similitudini ; geometrie si dispongono a sostituire. Natura ammaestrata prolifera : grasse erbe e pecore, laghi e correnti, gremite uccelliere, utili morti incruente. Agnelli scampati alla Pasqua arrancano stenti innutriti, meccanici di fatica e di dolore, con gli ossi già morti e torti, cenci di vita, piaghe nella vita ; una continuazione di vita fioca di morte. Trascinata rassegnazione volontaria, assetata via crucis. Lappole fanno spinosa la lana strinata ; zecche continuano le spine di siepi infide. Fra marci dentini la lingua bruca muco, mentre il latte s’inagra, seme di fermento. Ohi ! mi duole fra le unghie la piaga degli zoccoletti sanguinanti sull’asfalto nero, mi schiaccia il respiro la costola rotta dal bastone, mi punge il cuore il dente del cane, gli occhi mi si chiudono di vederti morire, mentre volenteroso ti affretti,

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lucilla bonavita magra creaturella, angustiato, sbilenco, con l’occhio pendulo sul filo di bava, a contare solo gli stenti neri lapilli 40 caduti alle pecore, cielo di strada nera. Ohi ! a chi sorridi dentro la tua museruola ? inebetita stanchezza…inebetito dolore… inebetito amore…  



[66] Verbo 1

Fuggevoli fiere pei ronchi, guizzo d’ère : non interiora squadernate sui marmi dei beccai, il verbo invendibile.  

[67] Estraneo 1 5 10 15

Inerme, straniero, assisto ad un rito imparato non abbastanza. La lingua il gesto mi stupiscono quando non m’impaurano. Il sacrestano che esige il nolo dell’inginocchiatoio, domestico timido e subdolo, mi fa l’effetto dell’angelo che può scacciare Adamo dal paradiso infaticato, me dalla Chiesa difficile. Passa e mi lascia perfino un resto per molte altre sedute. Ma le parole che si sgolano dalla Cattedra di Verità non mi trovano fra i peccatori citati. Sono un altro. [68] In isto tempore

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Il tempo è quello. Ingemma l’avvilito oro delle antiche scorze che m’avviluppano d’opaco splendore, un firmamento d’aculei, un gridìo di spini che feriscono e allietano. Annunci insperati increspano la mia storia, abbrividisco e trepido d’angeli di speranza,

le poesie di luna di casa

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già stremata carne, scarnificata libertà. Quello. E nel morto cuore s’accende un fuoco crescente inconsumabile di cometa, e la bestia s’acquatta nell’oro della paglia, 10 ma la calpesta trebbiata infangata messe sarà la criniera dell’astro, miriade di raggi. L’assiderata notte s’impenna alle mie soglie, non invade più d’incubi l’antica spelonca di bestie, ov’è tepida luce, carezzevole fiato, odorante fomento. 15 Un buio di peccati s’incupiva di rammarichi, di pentimenti infecondi, sullo sterco delle illusioni ; l’orfana vana vecchiezza contava le sue rughe con mani cieche, sorelle delle talpe dei labirinti ; l’eternità mostruosa s’avvoltolava per infinite volte, 20 ma ne fa strazio un istante di grazia. Quello. Bocca, io, sul cielo, del labirinto di grotte, dove da sempre nottola sbattevo già per sempre ; ora in me scocca, in me brilla, in me s’avviva la favilla di grazia degnatasi di me : quella ; 25 quando più talpa, più bue, più asino mi strascino tra la paglia secca nello sterco buio. S’accoscia con la bestia castrata e bicorne, soffia col ciuco testardo e raglia la carne stremata. S’arrovellava d’impotenza masticando le cavezze, 30 mordendo e rodendo il legno delle greppie, leccando i fiori di nitro che sanno di sangue. Ma l’affannosa sega delle catene alle poste, il ruminare eternale, i bramiti informi dei mugli e dei ragli si contentavano dei gioghi 35 non osando sperare che le voglie fossero garanzia di gloria. Eppure ero io stesso il testimone della promessa ; ma come sperare che l’infecondità protratta, la caparbietà dei tempi e l’ammucchiarsi dello strame contenessero in me questa gioia inestratta ? 40 La disconosciuta presenza ha scelto il suo tempo, questo, per sciogliere la catena e condurmi fuori. Mia anche la mano, mia anche Maria, insita sapienza, incessata maternità, traguardo invisibile e premio d’ogni sconfitta gara. 45 Ero un albergo tutto grondante di suoni, di carni allacciate, di sonni ansimanti : il fumo le danze i sogni avevano assordato il limpido picchio delle sue nocche al portone, chiuso perché non s’attendeva più nessuno 50 e non c’era più posto per nessuno. D’aperto e vacante non avevo che la caverna,  















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la grotta la stalla l’ovile il porcile dove s’entrava e s’usciva tra la pula e lo strame. Non disdegnò Maria, in me l’anima Maria, il buio il fortore la stanza animale. Maria tralasciò il frastuono degli alberghi, scelse come migliore la stalla e la mangiatoia, appese la lucerna al trave delle nottole, sciolse l’asino e il bue, fece un giaciglio per terra. Cessai di ruminare taurini rimpianti e gemetti una bavosa solenne infanzia sotto la luna delle corna, e risi, presago di trionfi, orecchiuto cristoforo in Egitto e a Gerusalemme. Perché in questo tempo come in quello, come nel tuo e nel mio, nel vostro e nel loro, Dio piegò la giustizia in amore, incurvò i cieli che prima erano retti come sapevano i saggi. Allora le parallele d’Euclide cominciarono a convergere, da allora l’ultima speranza fu sapere che è vera. Gli angeli e gli atomi che eternalmente avrebbero continuato a rigare retti cosmi, con tutti i soli e le cellule, da quello istante mirarono in me, grandinarono in me : un ritorno di voli che fa nascere il nido, un precipitare di petali che crea il fiore, un accorgere di raggi che rinviene il diamante, un convergere in me di tutto me intorno alla nascita. In me riassunto in un punto Dio sfavilla, e vita è un perpetuale riandare d’angeli dal cerchio al centro e sì dal centro al cerchio, un ritessere e rinnovare attimo per attimo gli spazi, soffiare via pule e scaglie e perpetuamente nascere. Prima, consentire al fato dell’essere, vacare alle poste, consumare la catena, affollare gli alberghi, non comportava volere, sospinta gregge. Ora sciamare in giubilo e riaccorrere in gloria, imporre accenti di gaudio ad ogni attimo perché sia sempre nascita, è buona volontà. Occorre fiorirne e disseminarne e non stancarsene : ridersi il silenzio e il buio, risvegliarsi e pungolarsi, ritessersi, infaticati angeli a se stessi, firmamenti nuovi. Portinaio d’alberghi io rifiutavo Maria e grappoli di pipistrelli ingombravano la grotta ; affollavo gli atrii coi chiassosi signori ; non mi sapevo fra i pastori chiuso nei presepi, custode del fuoco, figlio della montagna, ignoravo d’essere altro dal fuoco e dal mondo.  







le poesie di luna di casa Ma gli angeli non irruppero fra le danze e i banchetti, mi andarono a cercare in quelle oscure veglie. 100 Duro ai richiami, credevo provenire i canti dai festeggianti alberghi ove di vizi m’incorono. Stentai a lungo nelle balugini della coscienza a capirmi chiamato e distolto dai tratturi, non sapevo dirmi di che re si parlasse 105 e ancora non so vedere il re di cui si parla. Ma questo re ad ognuno porta coscienza di sé e tutti diciamo ‘io’ dai più lontani bordi di me e del mondo e accorriamo intorno a questo nuovissimo io pronunciato da Dio ab aeterno, 110 e solo ora udito in questo natale d’ognuno, e ognuno può scegliere il suo nel suo momento giusto, perché continua da sempre da quel momento d’allora. Volenteroso accorrere della grazia, in me, d’angeli dagli ignoti deserti, dalle convalli sopite, 115 affiorare dell’essere all’arco della grotta, in me, di pastori increduli per esistere a farsi testimoni e custodi dell’infinito. I ginocchi e le mani che assistono i parti, ciottoli di greti, dimestichezza col sangue, 120 tesori di antica rozzezza appena ora rivelati, prima dei saggi e dei agi, le mie testimonianze mi portano ignoti doni per Lui che li conosce : madri d’agnelli in pianto, cuccioli freddolosi, fiori e stelle, conchiglie scelte fra le rocce, 125 verghe di ginepro e trecce di salici, sale e olio, vino e pane e lievito e presame. Ma più segreto dono al parto della Vergine porto il mio natale, quella nascita antica fra le mani di donne a questa fra gli angeli di Dio. 130 Ché nasco eterno e già resuscitato dal silenzio di Dio premuto all’umano frastuono, ai morbi impotenti, al dolore che spreme la speranza, alla paura ormai confortevole, alla volontà buona. Nascita tua, natale mio, reciproco dono : 135 graveolenti aliti, verginali dita, ruminate ombre di prati, filattéri scorsi, pascolati cieli, davidici salmi ci covano. Pianto del sangue, grido due volte dolente del trinitario cielo lasciato, della lasciata matrice, 140 rossa garanzia e figura di comunione perfetta, m’urto con le brinose intemperie, con silici d’oro dei fieni, già spine già lance ; ma attese e insperate  





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lucilla bonavita 145 m’accolgono a m’amano mani divine : caritativa promessa, certezza consanguinea del paradiso trovato, dopo un inferno di lontananza.  

[69] A Nina mia madre Ti voglio bene ma non ti so amare. Anche per dirti poche cose buone ti faccio ritornare a camminare e tolgo sonno alle tue poche ore.

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Angeli più non mèrito ; stancai misericordi intrepidi sorrisi, miracolose feste d’ogni giorno d’ogni ora, ad ogni atteso ed insperato ritorno, annunzio d’angelo ch’io ero per te, angelo a me di troppa gioia, che quasi scomparivi, a furia d’esserci.  

[70] Albero 1 5 10

Ho visto albero in cielo : foglie rami tronchi radici fiori frutti uccelli nidi disfatti cespugli di vischio processionarie cortei di formiche che il vento fruga preda asciuga spoglia. Ho scritto albero in me, più intero cielo : rade dita dispiego foglie e fiori, frutto sanguigno faccio del mio pugno, e in due rami disciolgo la foresta intricata di braccia innumerevoli ; nell’angolo del gomito indovino l’unica legge di tutti quei rami e coi piedi mi abbarbico alla terra, e sono albero vero, consaputo.  





[71] A… 1 5 10

Straniero attendo caritativo all’ala che va alla ruota che va al bimbo che va all’uomo alla donna che vanno a… Il termine che sconosco s’interna in boschi in paesi in case in amori, dove non entrerò, segreti,

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accomunati al mio, ignoto a me, volgere a… [72] Rilievi e stima Delimitato esistere giardino o cantina, stazzo o guado, fiume, oceano, cielo, universo magari, delimitato. Cimitero, teatro, ospedale, bordello, zappa o sestante, nuvola o nebulosa, infinito inchiodato di stelle. L’albero che fiorisce ignora la sega che l’ha ucciso e il taglialegna il ragno che lo ha morso e il ragno il fuoco che accenderà il taglialegna e che l’ucciderà… e le foglie accuseranno il fumo per non essere nate. Delimitato conoscere.

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[73] Srinagar Dai platani, immani foreste, cadono mani usate a riposarsi di terra.

Case sull’acqua Nei bucintori di miseria covano neri tuguri. Ingioiellate matrone lustrano le pignatte della fame ; gli uomini si passano l’un l’altro la pipa della pazienza.

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La manifattura dei tappeti L’orizzonte ha una pioggia di fili d’arpa ; con le dita sagaci ma ignare gli angeli tutt’occhi annodano i fili d’erba uno a uno milioni e milioni, mentre una preghiera canta di numeri e di colori : nascono fiori e farfalle, alberi e stelle.  



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Sorridono gli angeli, mirano l’algebra tramutarsi in bellezza, lodano le proprie dita e l’intelligenza di Dio. O dolcissimi schiavi, su queste aiuole, a cui le vostre dita sanguinano traendo all’arpe silenti musiche a Dio, calpesteremo la bellezza e l’amore la matematica e la musica ; non c’inginocchieremo a pregare, come voi contavate e Dio voleva. Le lune in mano agli angeli falciano i fili d’erba e misurano l’ordine dei fiori dettato dalla preghiera.  

Presagio 30 Che tutto questo aspettare nella polvere e sui lastricati, sulle spallette dei ponti, sui predellini dei treni, ai margini delle riviere, sulle plaie degli oceani, nei lebbrosari, nei ghetti, nei lazzaretti, 35 nelle giostre dei mercati, nei bazar delle stazioni, nelle poste dei templi, sui sagrati delle rocce, nei fondachi dei letamai, nei mausolei di latta, nei catafalchi di canna, sull’erba degli stracci, sui guanciali di selce, fra gli elefanti dei cementi, 40 e le tigri degli ingranaggi, e pavoni di fluorescenze, sotto le pance dei dromedari e degli aeroplani, nei deserti d’inondazione, negli uragani di sole, nelle piogge di terra… che tutto questo aspettare indulgente 45 imperterrito sorridente e protervo, esausto e inesauribile, derelitto e fedele, convinto ed esatto… non convenga in un punto non guardi ad un unico germe 50 non fiorisca in esaudimento, è impossibile. [74] Partenti 1 5

Disperato eppure sereno vi posso amare, inquieti partenti, dietro i vetri del treno. Nella densa pausa che vi diradica e vi trapianta volenterosi

le poesie di luna di casa vi abbraccio e v’incoraggio, rubando il saluto che non mi spetta. Vi vedo ora per la prima volta intensi attenti paurosi, non vi vedrò un’altra volta, né vi riconoscerei. Con che libertà il mio amore si sofferma sull’amabile calore della carità vostra ; su di voi mi riposo senza peso. Voi non sapete di sorreggermi e io vi attraverso e vi chiamo, come l’amico che è sceso a riempire la bottiglia, come la sposa che vi abbraccia e la sorella che vi piange. Ditemi addio con occhio derisorio, stupiti del mio lungo sguardo, e la voce che spera avventure mentre si accerta della destinazione. Sollevatemi nella vostra valigia e continuate a fissarmi mentre, avviato il convoglio, l’occhio già vi richiamano le stanze della periferia. Sulla banchina sempre a separarci c’è questo treno fra noi ; quasi teniamo che non parta e i legami si annodino che i nostri voti augurarono. Ma sempre prima, sempre improvvisa, poi, ci strappa la partenza, insaziati.

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[75] Giardini nordici Su lagune ghiacciate nevicano gabbiani ; una fila di cigni riapre il cielo. Piccole api di ghiaccio ronzano attorno a un alveare di muro piume strappate ai nidi o ali grandi affollate attorno al rado cibo o annaspare furioso ai vetri, opachi di brina,

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dei nostri agitati giorni dei nostri occhi spaventati. Ma il rastrello del giardiniere spazza nuvole e foglie, quello dell’uomo del sale separa acqua e neve. Invece i denti del grande pettine che fanno i cigni in volo riconducono agli ordinari quadranti le tempeste di pianto gli affanni nevicosi e confusi ; girano compassi diversi da quelli degli orologi. Dentro la gabbia delle gravitazioni i cigni si dirigono astralmente e per un attimo fanno pace in noi quanta può farne appena un po’ di sangue, sciamando dentro i cuori sicuri di universali meridiani.  

[76] Convalescenza 1 5 10 15 20

Confidenziale tripudia la pioggia sui regoli delle persiane in un crepuscolo meridiano di querula primavera. Scorrono da un bordo all’altro del piatto, mossi dalla mano indagatrice, i tintinnanti chicchi di riso che si mondano, mentre dalla madre operosa, ringiovanisco tremendamente. Riconosco le ore, i suoni, i pensieri. Nemmeno allora fu così presente questo ieri. Solo ora, nella perenne crescenza che non finisce di convalidarsi adulta, sento e intendo il diverso tenore di quel crepitare creduto invernale ma tutto germinante di aprili. Ore, già so, di agonia. Morire si fa nascita, e nuova nascita, sempre più interiore ed incorporea. I chicchi e le gocce, la carne e i lenzuoli si fanno suoni e sensi, ore e viaggi ; e si disfanno e rifanno riconoscimenti e desideri e confidenze e già luccicano del prossimo ritorno  

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– in quale stanza, presso quale mano ? – di avvisi di chiamate di parti nuovi, più opachi di coscienza, più larghi di fiducia e d’abbandoni, un affidarsi a quel modo di essere cui lentamente si fa somigliante ogni diversa essenza che ritorna alla disfacitrice maga memoria : lei sfoglia e sfoglia e sfoglia fiori rami conchiglie e cristalli e ritrova fra tante materie e colori l’indizio ultimo, il seme uguale, a cui ci riconosceremo, spoglie e avventure nel tempo e nell’incontro dei moti di questo meraviglioso dolersi e farsi luce che brillerà, che già brilla, di tutti questi io profondi, insopprimibili, eterni, gementi il loro grido nel grembo ‘pulito’ di Dio, come dicevi, caro Raffaele.  

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[77] Finestre Non che non s’aprano finestre…s’aprono ; 1 e visi nuovi guardano, ma subito appassiscono. Troppi rumori, colori, odori schiantano la docile essenza 5 di suoni, di toni, di aromi che non giungono ai sensi offesi prima, trapanati, schiacciati. Fiere, mercati, carnevali di mugghi girandole e trombe 10 assillano ormai ogni ora di quei perduti giorni feriali, dolci, pacati, muti, severi, tra le campagnole domeniche dei balli delle gite e dei riposi. 15 Almeno dietro l’impannata che mi faccio dentro il cuore, raddoppiando tende di silenzio, potessi continuare a mirarti, nostalgia della grazia, 20 tu che fiorivi dorati licheni e pazienti fili di miglio fra i lastricati azzurri di strade accarezzate  

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dalle palme calde di piedi nudi ; tu che porgevi dal ramo o dalla gronda bisbigli di pennuti nel nido e ripide ombre vivide sui muri delle madri rondini ; tu che schioccavi la frusta del carrettiere e l’unghia del ciuco e sorridevi al canto del gallo nelle stie dei terrazzi, all’eco nasale della fontana con la sua tinozza, all’incanto di mosca estiva sulla bocca del pozzo.  



[78] Astanteria 1 5 10 15

Discioglie le impennate di destriero in pacati deliri la bionda statua fra i drappi del giaciglio ove attende, ringemmate le carni, spogliate le bende, di risplendere nuova in nude armi… mentre di bronzo magro un fantino acconcia l’omero franto al triangolo acuto del dorso e danza accorto, stretto di cintura, fra le sonde che allieta… fuori, posando liberi sui bordi della fontana gonfia di tramonti, dissetati e lavato il salso sangue di riammagliate ferite, grandi dioscuri attendono clamorosi i fratelli rinchiusi… Le staffe dei motori s’impazientano. [79] L’aquilone

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Invisibile mano riavvolge il filo già concesso al poco volo, corto gioco di andata e ritorno, se giunto al culmine non strappi l’ormeggio a cadere da solo. Tu, prendi tu il filo e lascialo svolgersi tutto fino in fondo e appena fra pollice e indice avrai l’ultimo capo, tu lascialo sfuggire e resta attonito a incolparti dello sbandato volo ; tutta la memoria è l’impronta del filo fra le dita. Tu te ne disferai col gesto piccolo con cui si sparge il sale, per liberarti anche tu.  

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[80] Parola i. Parola, dici, e muovi prima in silenzio un bacio, apri una speranza di canto e subito rantoli e stupisci e impunti la lingua e chiudi, già muto, quello sperare. Dici : parola, dici, parabola, dici, breve storia, per una più lunga, più tanta. Dici. Che dici ? Sterili minimi stridi còlti qua e là fra gl’infiniti entro un secchiello di sassi che un bimbo su un greto di millenni sceglie (come viene) fra milioni…

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ii. Estremi rantoli, pietosi germogli non fioriti, 15 promesse escluse, lacci lisi, forme sfiancate, ritagli, scampoli, rotami, gretole, penne, ossicini, rimasugli, briciole di sanie, di carie, 20 esche, cenni, carnicci, echi scarsi, legni imporriti, carboni spenti !...Che impresa illusoria, contarvi, brandelli eterocliti, e tentare con voi altre arie ! 25  



[81] Dopo la prova Ora che predispongono vere feste ai vostri cuori fraterni e tento di rintracciare vene di zampilli in ogni più arido scoglio, appena risorto Lazzaro in un gridìo di nidiacei che giubilano vittoria, appena calato dal cielo un cestello di miracoli e rimisurato lo spazio in una Passione di bimbi, ora derubo alla vita

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lucilla bonavita quasi ogni sangue ; e persino la gioia 15 mi si smaglia e desòla, mi si essicca e sgretola in verosimili agonie. Ho scoperto e detratto i fili che serravano in collane, 20 in trame di reti, gli accidenti mirabili e ovvi che fanno insieme la vita ; li ho ritessuti in nodi, in frange, in corde, 25 brevi passamanerie da prestigiatore. Allietano. Ma le conterie svagate, ma le trae sfibrate, ma i punti sfiniti, non trattengono più al fondo 30 del canovaccio i propositi dei richiami designati. Sicché, inutilmente sbarrati a cogliere a collegare e fissare, 35 gli occhi, gli orecchi non vedono che un brulicare quasi sereno, un formicare ansiosamente pacato, un disfarsi e un rifarsi, uno sciamare al contrario, 40 un lento rientrare nel seme di tacite esplosioni, un franare che senza distruggere non ricompone, ma sfugge e sviene alla norma delle orme e forme di prima. 45 (Agonie : negli archi chiari di estatici zaffiri veglia dinarica e ossuta la paterna guardia di napoleonico sergente congelato alla Beresina, mentre 50 in una coperta di miseria il portiere attende nell’albergo di Benares.) Bolle di morenti asfissie salgono voci di campane 55 fra bugie d’annunci fluorescenti e gridi molto taciti premono minacce d’angeli e ricordi  





le poesie di luna di casa di vizi non consumati, cocci scoppiati ai tirassegni. Su questo tavolo i libri colano parole e numeri, e nessuna lingua conoscibile se ne può decifrare ; se non che ormai, vicino proprio alla morte, ogni inconoscibile aspetto s’incontra con la disposta e nuova maniera di sperare controluce ogni cosa e di vederci il tuo disfarsi, il tuo sciogliersi. Ancora, appena un poco ancora, e poi dissiperai ogni alfa e beta libero in eterno sull’unico filo che lega cuori e stelle in collane.

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[82] Flauto doppio i. Spaccata canna, 1 lisciata a furia di dita e di labbra pei balli e pei canti di gente morta, non sono nemmeno un osso 5 di qualche scheletro santo. Quello s’ebbe svaghi e feste di carne e inginocchiate preghiere, passò tra le folle di evviva battimani ; ora anche lui si scheggia 10 fra i cocci di cotto che gli si sgretolano intorno. Le cannette delle dita non sanno più fare collane ; altro che giocare agli ossi ! 15 Tutte le giunture e i rocchetti della spina e l’osso del collo, che girano più a fare, fra i rifiuti dei riporti, se appena le doghe sfasciate del tronco conservano memoria 20 del battere d’ali del cuore, e nei lunghi stinchi e negli omeri s’inceneriscono i gesti di balli e di pugilati ? Spaccata canna, lucida ancora, 25 già falso le note e mi apro in altri occhi d’inesistenti suoni e per più essere mi disfaccio.  







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lucilla bonavita ii. Esausto flauto 30 cui docili mani consunsero e assidue labbra in agili danze e canti che solo in memoria mi si librano intorno 35 defuntamente. Ora sono tibia appena di qualche aulico scheletro sacro. Ebbi giochi veraci e meraviglie di carni sculte 40 e di istrici carmi ; trascorsi affollate regioni in gloria di mani e di voci. Ora mi disfo fra i testi di creta cotta che addosso 45 mi si rompono nell’ipogeo schiantato. Delicate falangi non più ghirlande nemmeno interesserebbero nonché far saltellare astragali. Rotule vertebre atlanti 50 ogni ruotare persero fra gretole di sterni. Ancora per poco il segno d’una gabbia rinchiude la memoria d’un uccello cuore 55 e i flauti più lunghi disfano la pula di passi e abbracci in polvere di ceneri. Esausto flauto, ancora d’avorio già perdo le note e infiori 60 mi tramo d’ignoti modi disfacendomi a furia di voler più essere.  

[83] Conchiglie 1 5

Conchiglia di buio e di luce s’attorce a destra l’universo. Perché s’attorca, intorno a che, e perché a destra, come dicono, aspettiamo di sapere, noi stessi attorcendo atti gesti pensieri intorno alla corteccia della minore

le poesie di luna di casa conchiglia terrestre, dentro la roccia della nostra minore occhiuta conchiglia d’ossa rotonde. Il tenero mollusco che portiamo intorno si attorce anch’esso in pliche sempre più dense, certo anch’esso a destra, e specchia grumi di stelle, lampi lunghi, e si addentra, complicandosi, nel suo attorcersi e manda messaggi : figure, tracce, disegni, che poi lontanissimamente apparire immagino fra costellazioni e nebbie, tutte scritte e iscritte, come ben videro, di geroglifi distesi per perennità indefinite sulle invisibili spire della conchiglia che cresce.

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[84] Menomazione Lede ogni istante, il frutto eventuale che si strema senza toccare alcuna designata apparenza. La turgida splendenza risognata incautamente ma invano, sarebbe piombata un giorno sul formicaio impazzito. Invece, parte gli uccelli e parte i vermi spogliano, minano, diradano in sangue altrui le polpe mai state. Affiorano i semi caparbi, occhi ancora ; continueranno a pascere, senza distruggere, solo sperando altra eventuale pianta.

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[85] Clausura Stretto così nella camicia di forza del tempo cerco un’altra via per uscirne, ma nell’ieri è impossibile, e nel domani ; e l’oggi è tutto fitto di fibbie di chiodi di assilli che senza tregua mi prendono ogni istante, atto, respiro, mi esigono vivo, intero e insufficiente. Non basto a tutto ; così misurato in ogni particella di funzione e così sopraffatto da quanto non riesco nemmeno a toccare, cerco di moltiplicarmi e invece più acuti sento i tratti

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lucilla bonavita

del disegno che mi definisce, staccandomi da tutte le altre voglie. [86] Giardino a Kyoto

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Come tutto è stato pronto grado a grado ! La riva oltre il fiume, l’isola oltre la spiaggia, il continente dietro il continente, perché il mondo è rotondo. E in cielo, in alto, pria del continente difficile, l’isola, anzi il ciottolo nella corrente, dove puntare il piede per il salto.  

[87] Labili arrivi 1 5 10 15 20 25

Giungono forse a quella porta a quelle finestre, propositi, auguri di visite ; forse suona come da solo un richiamo ; non l’odo. Sono lontano, è chiusa la casa sola e si fermano, senza poter entrare, i labili arrivi che spero e si scantano. Così delusa la prova d’amore consuma il suo poco colore in attesa e finisce sulle soglie, assorta medusa, accorsa a spiagge desiderose. Io le mie voglie anche dirigo a case, a finestre, a porte e chiedono loro di vivere, di attendere, di testimoniare. Evase, libere vanno, cercano per poco, si stancano e si sfiniscono ; spare anche questo poco d’amore, prima del limitare assegnato : labili invii, alibi appena, di avidi lidi paurosi.  







le poesie di luna di casa

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[88] Cuccagna A questa forca siamo appesi insieme, amore, senza toccarci. Alle nostre miserevoli carni dà qualche mossa lo strappo di avidi oziosi rapaci che ci volano intorno latrando schernevoli carmi. Ora quanto pesi questo stillante marciume alfine sai, e che fingesse l’ansia degli squarci. Scava e fruga studiosamente la savia pazienza del corvo quanto non scova al corpo alcuna mano : snida la rota del ginocchio, apre la gabbia al cuore, rompe l’uovo dell’occhio, scioglie e rovescia i prolissi languidi serpi dei visceri. Che calchi più, che tremi più, che fissi ? che serri e premi più nel ventre, non più di voglie smagrito ? L’aria valida all’ali nere è roccia e ci ammanta d’immobilità ; l’urlo dritto che ci era freno muto è ora il fune che ci scapezza, inchiodandoci ai raggi d’una ruota. Lo stormo s’appollaia diligente tutto inteso agl’indizi di quel grido ; di repente n’è scosso e s’alza e ruota. Prima di carnovale si finisca la festa dei volatori ; sia libero ogni cappio della sua testa ; s’allontani la cagna cui osso non avanza ; il pescatore colga l’ultimo verme della sanie. Al posto dell’amore inconsumato stiano le regalie della cuccagna : secchi, sacchi, pignatte, otri, brocche, vesciche, caci, ventresche, lasche, e le risa e le grida e i fischi e i lazzi di chi a terra, sicuro della testa, aizza i salitori e intanto scorda quale altro peso pesava alla corda.

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lucilla bonavita [89] Un po’ di miele 1 5 10 15

Se di fiori da colme canestre, colme foreste, vallate ricolme, la folle scelta dell’api trae poco miele e resta disperso al vento l’odore, alla terra, cangiato in terra, il colore delle corelle, e pochi semi appena rinnoveranno memoria ; non ti stupire se cresca tutta scorie la congerie della vita, degli atti, per la storia, e solo qua e là esigui favi di dolceamaro miele distilli : odori colori e semi continua a sperarti, senza sapere di che cella, né dopo quanto tempo, sia per farsi, tardi per te ormai, una goccia di miele eventuale.  



[90] Antico collegio 1 5 10 15 20

Non sempre questo assedio ha crocifisso istante per istante, pioggia o vento, l’uomo all’irta rosa del tempo, assiduo agli stenti frutti che, non assistiti, non spuntano. Ma vi furono ampie ere di primavere durevoli e integre di pomi pronti e di mammelle offerte, senza l’ansia dei fuochi e delle punte. Le ore erano circhi di pensieri calmi, tondi, tornanti e ritornanti, onde di mare a prova di scogliere. Le ore erano archi, erano varchi per giornate di veglie e bianche notti meditate, auscultate, ritrovate nei cavi grembi arcani di foreste di montagne, d’ignudi firmamenti. Le ore altro non erano che piume rifiorenti sull’ala immobilmente d’un perenne presente controvento. Isolato da siepe di silenzio, lontano dalle arene ripercosse

le poesie di luna di casa dei gareggianti furibondi, i Savi, riuniti in collegi immortali a onde di generazioni tentavano 25 le scogliere della conoscenza. Quasi stati da sempre, iniziati da un fondatore a una promessa certissima di schiarimento, raccolti in gradi ascendenti di pazienza, 30 educati a far scala della scoperta e segnarne traccia, ampliavano di nuovi bordi il carme e la memoria, per continuare, anche oltre le morti in un presente perenne, a cercare ; 35 senza l’istanza, senza la pressura dell’urgenza affamata, del frenetico salvataggio dalla sùbita morte. S’ampliava di bordi sottili la conchiglia del carme verificato ad astri fissi nella meridiana del cuore. 40 Savi santi beati, accomunàti in un Respiro, in un battito, intonàti allo stesso canto, voce o silenzio, alla stessa luce, notte o giorno. Io sarei venuto, rallentata la corsa, 45 dietro la sfera smarrita, incantato, alle assise dei vostri silenzi, immobile per giorni e per notti, nutrendo di rovo la poca fame, finché scoperto dalle vostre palpebre 50 non dagli orecchi, mi avreste accolto fra i novizi, tenuti in difesa e a riparo dei silenzi dei sonni, dei digiuni interrotti, trattenuto, a prova di vocazione paziente, 55 di là dai cerchi della favella senza poterla udire, solo a vederla, per offrire la valva d’acqua prima, la ricetta di bacche nelle foglie còlte al largo nel bosco di silenzio ; 60 per far nitida l’aia dei conventi, per imparare la nota, sostenere il fiato lungo, misurare il polso : confarsi al palpito comunitario. E così, assolti i compiti pazienti, 65 col cuore vigilare ma con l’occhio calcolare sempre più sottilmente l’angolo delle variazioni : stelle  







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lucilla bonavita nel cielo, in terra foglie fili piume. 70 Finalmente imbevuto di silenzio più che frutto di succo, un coglio alzato mi designa al consesso ; m’alzo e siedo. Non parlo, ascolto. E odo la favella ora, ma il carme non intendo oscuro : 75 « Onda dopo onda l’indizio concreta il margine dell’unghia, della foglia, della conchiglia, della riva, della cima, della luna, del sole, della stella, e d’ogni più estremo di là 80 e d’ogni più estremo di qua ». « Onda su onda canta il canto e l’unghia tocca l’onda sul dente come orecchio e come unghia dente orecchio intende ; onda su onda, e occhio d’occhi, 85 onda su onda ogni scorza consente, onda su onda fatta d’unghia edente ». « Onda con onda vento suono luce vola di giorno in notte in giorno in notte di là d’ogni più estremo giorno 90 di qua d’ogni più estrema notte onda su onda giorno dopo notte torna la luce all’unghia delle scorze torna il pensiero ai denti della mente ». « Onda via onda luce dopo luce 95 il margine conferma il sasso e l’orma ; onda via onda notte dopo notte il sogno risognato non cancellino margini ritrovati quasi intatti ma inseguito frugato incatenato 100 coi denti e l’unghie della mente sveli i suoi nebbiosi margini, rifatti continuamente da più trepide onde continuamente da più torbide onde ; e ceda onda per onda i lievi indizi 105 del suo peso leggero intrasportabile e ceda al cuore della mente l’orma se non il sasso del suo continuare onda per onda e del suo stare incostante, ma essente uno, con márgini 110 trepidi e fatti d’imprendibili onde di onde quasi immisurabili, onde anch’esse in firmamento risolvibili fermamente nel cavo della roccia che porta il cuore della nostra mente 115 e specchia a mille e mille germi stelle ».  

























le poesie di luna di casa

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[91] Prima del mare Prima del mare : il cielo che traspare in una pozza presso la sorgente, i laghi della pioggia, della nebbia, lo sfociare del sole sulle piante… Prima del mare : l’ansia che si assiepa dentro la sete, il sogno delle crepe che rïaccende la voglia del sorso, fonte rovescio che ritorna al buio e lì cresce e dilaga in alba, in luce, cerca lontani lidi, dismisura e oltrepassa la forma delle cavità e prima di riempirsi interamente di sé, già fuma e brilla e ride freddo pei pori e copre lucido le scorze. Prima del mare verissimamente so tutto il mare e, mare, dilago sì che quando lo scopro lo ritrovo, lo confermo e rinnovo, già lo sono : è perché porto impressa la memoria di quell’oceano dentro il firmamento dell’otre eterno, ora che divenuto fauci e foce attingo alle fluenti di quel latte emerse in me a legarmi col seno primordiale, irrigando le rughe dei palati anche celesti, di strade di latte.  



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[92] Al gioco Schiavo accecato alla mola, condannato al giogo : – Oh, no ! – dicevo, – non sono il sole intorno alla granifera terra, piuttosto sono cieca terra frustata intorno al crudo sole che mi abbacinò.  

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[93] Approssimazioni Sulla nostra tomba 1 il frate nomina fiori alle suore che l’accompagnano. « Crisantemi » ripete l’una, e l’altra : « Crisantemi ». 5  









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lucilla bonavita 10 15 20

Lieve gioia sulla terrazza che domina i lumi, i fiori le croci le lastre, fra vele di nubi e di vento coglie quell’altra donna. Così io sulla tomba di non ripetibili ore, presso di te, fra i fiori e le vele del tuo bel domani, colgo care gioie quando ti mostro nodi di vita astri, sassi, cuori, e tu per ora consenti, già tentato da nomi altri, stelle, pietre, fiori… [94] Cestino di frutta

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Bimbo ero un frutto primaticcio, umido, acceso, ferito di risa. Mi caricai di grappoli, di pomi ammostati sul ramo o imbozzacchiti ; devastato frutteto ora ammonticchio malli, ossi rósi, gusci e qualche mora spinosa sempre viva.  

[95] Da parte i. 1 5 10

Sul terreno compatto dipinto di licheni e di muschi non si vede la pioggia ; la si vede, dentro questa tazza capace, sepolta fra globi di verdura scintillante in frecce di luce. Tu sei la mite pioggia che solo in me cade e persuade il mio tetro viso a sorridere.  

ii.

Antica pazienza ha tessuto il tappeto di muschio per velare di pace durevole la fatica troppo umana delle stagioni.

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Scalzo piedi e mente m’inoltro fuori delle vicissitudini. Ma se un riso schiamazza e una moltitudine incalza sento che tutto si strappa. Così se penso che ti vìola qualche disordinato pensiero mi ammalo d’un giardino perduto.

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iii. Mi siedo in un angolo quieto : mi sento in accordo con la beltà pulita del sasso liscio, dell’acqua lieta ; ma poi penso al mio aspetto di vecchio alla tua vera giovinezza. E ti metto al mio posto. Tutto così è più giusto ; ti lascio lì e mi allontano, contemplando l’ordine e continuando a guardarti dentro di me.  

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[96] Banyan C’è un albero a Calcutta, una matrice di draghi, un’aula di mille pilastri nel tempio del cielo, una mandria di agili elefanti, legati con le trombe prolisse, un esercito di giganti tenuti al cielo pei capelli radicati pei piedi alla terra…

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[97] Malepeggio Mentre corro e non rallento la corsa sulla strada di Fiano, la strada si ferma, non più così prossima alla città, chilometro quattro cinque sei… e si sospende (si aggrappa ?) alla memoria di una simile regione di sentimenti : agra, profumata, dolce, fitta di amore… Non c’è il séguito di parole per dire questo :  





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lucilla bonavita « nostalgia, malinconia, ricordo, cari perduti » ; no ! 10 so che non è questo, non è questo trascorso : è un presente ben acceso e verde in fondo a me. Ma le parole non ci sono perché… perché le parole sono tutte utili, commerciali, servono di scambio come monete e conchiglie. 15 Questo discorso può farlo la musica, ma allora… allora non ci sono più le cose, che pure sono loro, (non le parole) a far rinascere il fuoco… O la pittura, ma la pittura non riuscirebbe forse a fare risorgere tutti gli altri luoghi insieme… 20 Forse un’architettura-scultura, che ti reintroducesse per labirinti sicuri verso quella (quella e non altre) caverna cosiffatta. Come ? Come fatta ? Oddìo ! dovrei rispiegarti tutto, parola per parola, perché le tue parole non sono le mie. 25 Dovrei dirti il senso di albero, il senso di foglia, di polvere sulla foglia e sulla strada e sulle mani… e sul cuore. Dovrei dirti il senso del segno sparito, della ruota sulla strada e del filo di bava del bue. Dirti il consueto (allora !) profumo di ferro, 30 di paglia, di legittime e perfino di sterco, florido nella polvere, aggredito dai coleotteri scultori di piccoli pianeti, piccole sfere, perfezione… Dirti che significa quercia, che significa vigna. Dirti che significa (questo lo sai ?) morso 35 di un ‘malepeggio’ sui pàlmiti da potare. Io da potare, ramo, tu ‘malepeggio’ ignaro (nella mano di chi ?)  





















[98] Registrando in ‘esterni’ 1 5 10

Ti ho sentito parlare e non in te e non a me. Parlavi a Simone la Pietra : lo svegliavi, con fonde parole di suono ebraico, pur ieri pronunciate di notte nella foresta di Manziana. Un fitto gridìo d’uccelli accendeva stelle intorno agli alberi di buio e di silenzio. Tu chiamavi : « Scimeón… Scimeón ! hatisciàn ? » – Dormi ? – chiedevi – dormi ? –. Lo chiedevi a me. Io ascoltavo, dentro una notte più fonda, purpurea, da palpebra al sole, dove frondeggia un gridìo di sciami, di stori di « io » trafiggenti e trafitti. Sudavo. Spremevo lungo la scorza lontana,  



















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tutta forata di stelle, ansia dolore brama 15 in una calcarea conchiglia che mi rinserra. « Scimeón… Scimeón ! hatisciàn ? » – Dormi, amico ? dormi, fratello ? dormi, babbo ? – Non so se dormo. So che veglio ; ma se questa veglia sia sonno, 20 appeto a ciò che dovrei urlare per arrivare a rompere la conchiglia del mio dolore, che mi mura vivo, non saprò mai, se non…« comincerà a succedere qualcosa prima dell’alba ». 25 « Il Rabbì, dici, questa volta ha parlato molto più chiaro… – Io vi preparo un Regno – …e questo Regno so che c’è ; perché lo ha detto Lui e tu lo confermi… » 30 Con la voce apprensiva, tu lo confermi, di chi non può dormire, perché prima dell’alba deve succedere qualcosa. Ha parlato molto più chiaro 35 e io ho visto il Regno, l’altro giorno, là nell’auditorio (mentre suonavano per un ‘Sogno di mezz’estate’ ansie d’amore in affrettati mancati tentativi d’armonia). 40 Io mangiavo e bevevo alla Sua mensa con te « seduto accanto a Lui » ed ero dentro all’Amore ed eravamo insieme dentro all’Amore « Uno di noi lo tradirà ». 45 Il canto degli uccelli stormente tradiva la notte e il suo mistero, il ronzìo di una macchina la pace, il mio cuore sospettoso la fede. Tu torni a parlare, ripeti per volte e volte 50 le stesse parole aiutandole a nascere (mi carezza il tuo gesto la memoria) con una coscienziosa manipolazione da levatrice. Hai fede. Ma io ti sento ripetere : 55 « Uno di noi lo tradirà ». E la conchiglia s’indurisce intorno ai miei spasimi d’impazienza. « Quello che devi fare, fallo presto » 60  











































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lucilla bonavita « Tutti siamo cambiati ». « Ognuno diventa quello che è : spiga colma, spiga vuota ». « Sarà quando Lui vorrà ». 65 « E ci restano le spade… » Speranza bianca e speranza rossa tingono gli anelli della conchiglia che mi rinserra quanto più dolore, mentre ascolto in un altro modo 70 le parole che non sai di rivolgermi.  

















[99] Per il meglio 1 5

A te, per te, secondo la tua misura, poiché ci sei, cerco di alzare il valore di quello che penso e che faccio ; aggiungo un’attenzione , una tensione, un’ora di fatica, un passo, rubo al sonno divoratore un po’ di me, per salvarlo e conformarlo a te, a te – magariddio ! – altro migliore.  



[100] Pensiero dominante 1 5 10 15

Non è che ci devo pensare, mi basta non pensarci ; perché allora sento come il mio pesare sia in te, anche intruso ospite non invitato, mi stupisco di non essere scacciato da dove prendo stanza. Ti chiedo se non sia il luogo e tu il peso. È difficile definire questo antitetico esistere, dove consista e come convenga. C’è indubbiamente il convegno, da te ignorato, da me non voluto, ma solo da me avvertito, certo solo in me, eppure in un te che mi faccio, in un te che mi sei. Perché in verità non faccio. Non faccio nulla per averti in me, se non pensare e non pensare.  

[101] La nevicata 1

Che tu non mi abbia chiamato per parlarmi della nevicata

le poesie di luna di casa mi prova che non ami la neve, meridionale adusato ai fanghi del nord ; ma sai ch’io l’amo 5 l’effimera abbellitrice, sai che credo mi porti bene perché mi fa sperare in celesti purificazioni per quanto aggrazia 10 di minimi fiori, per quanto seccume dirada, per quanto di doni aggrava, per quanto fa nitida l’aria e la torna al suo profumo d’acqua, 15 per quanto netta su ogni foglia, per quell’offrirsi all’occhio, alla mano, all’orma, brevissimamente intatta e tutta pronta a non essere più se stessa, umilmente altra. Magari per un rimprovero 20 di predilezioni antiquate avrei voluto sentirti ridere di questa nevicata memorabile, che pure reciderai come quella non voluta partecipare, troppo intento a odiare in essa 25 grigie fanghiglie subìte negli anni di scuola, a recriminare in essa le fiorite più calde e odorose laggiù fra le valli dei templi, lontane, lontani dalle cineree eterne nevi del vulcano ; 30 o ad altro troppo intento che non so. Mentre pedoni disfacevo anch’io in rughe e in rotaie d’acqua il bel volto, già soffici carezze e sospirose gote, pensavo a un gridìo antico d’uccelli smarriti, 35 di bimbi agguerriti, allo sfavillìo tardivo d’indugiate cadute più bianche, pietose invano dell’orrore disciolto che s’impantana…qualcosa di me ove attendere canti e luci 40 inutilmente, anche se brevi segni, troppo brevi, di nuova temperie che stenta, ma cede, a disfarsi. Da te li attendevo che guidassero dentro il mio cuore l’ormai sicura impronta 45 di quest’ultima nevicata, a conservare, per quel tanto o poco che avanza, la fede certa di questa sovrumana possibile bellezza  



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lucilla bonavita 50 55 60 65 70 75 80

presto calpesta e spenta, ma ben dentro, sempre più bianca, sempre più lucente, indisfacibilmente posseduta ; ma senza te, seppure anche per te… forse ormai solo per te, ma senza te. Sento il gridìo dello smarrito uccello che non trova ove appigli – mentre sbatte le alucce arrovellate fra la neve che ventila e l’impolvera – gli artigli fra rami e foglie enfiati a meraviglia di lievi nuvolette, fioche, fredde, di spume e piume…sento quel ridente disseminìo di cristalli fioriti fra i solchi acquosi, un istante vincenti, vera traccia di mai stata carezza. Sacrificata a che ? Come una neve possibile, non mai caduta, restata sospesa su fra nembo e nembo e un alito ha destinato in pioggia ; senza il visibilio degli sciami ferventi giulivi stellanti, parvenze minimissime di tutto un paradiso d’angeli accorrenti intorno a noi, dentro di noi, a frugare a snidare, a chiamare, a coglier via quell’insetto quel chicco quel cristallo quell’atomo d’eternità, che sempre furoreggia solo, nel nostro immenso interno nulla… piccolo io di nevischio che si affaccia agli occhi, quando guardano la santa sarabanda degli idoli dell’anima e s’illude d’entrare nel vortice mentre l’assempra in sé inquietamente. Non più che neve al Dio l’anima nostra nel suo chicco di gelo, breve stella.  





[102] Cicale Insistente mi assilla la voglia quest’estate enorme di spiegarmi l’amore per il canto tremendo delle cicale

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Assiduo idolo d’eternità, ripetizione non ossessiva, dolcissima risacca alla riva dell’oceano silenzio, bordi di trina

le poesie di luna di casa al limitare d’un tuono che dilaga. Certissimamente il frinire, che cupole d’aghi di pino, di scaglie di tamerici, di scrosci di ghiaie, ripete e significa in me altri fitti aghi, scaglie e ghiaie, cellule a miriadi con il loro gridìo. Allora è dentro di me che sale questo mare di scintille, questo gracchiare, gracidare, stridere di minimi sistri d’innumerevoli io, accolti come un visibilio d’infaticabili minuscoli batraci, intenti attorno al lago che sono io. È un coro insopprimibile degl’io che fanno e sono il sangue, il nervo, il muscolo, fra il frascheggiare della molteplicità incredibile. Quest’orgia di vivenze è un frastuono che sento quando lo indovino riflesso nel pulsare frenetico di questa officina di cicale, poi piena di luce, come se lampi si assommassero riuscendo, di momentanei bagliori, a tessere una lunga nota bianca senza bui. Ma nel silenzio sento le cicale… lontani folti gridi di folle, schianti lontani di uragani, quasi pacificati in canti, in trenodie immense, in firmamenti transumanti, fattisi luce, a far voce di terra oltre gl’infiniti bui. Il cielo del silenzio che c’è, anche su questo magma di frastuoni, si soffolce sugli esili steli del canto, pari e piano e innumerevole, delle finali cicale, pilastri di silenzio.

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[103] Prima di esserci Pullula nel buio un albore quasi non c’è con che vederlo

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ma una pellicola ha voglia di farsi come quello opaca nel buio muoversi voglia di crescere di superare la pellicola che divide un buio più suo dall’altro e farsi di esso di questo brio muoversi esserlo senza saperlo così si lascia un capello al liquido aìre qualcosa resta indietro al voglioso procedere qualcosa si addensa davanti sulla pelle d’oceano già bavano schiume e brividiscono correnti giù nei bui lenti provano a sapersi incerti punti esserci più e meno palpebra sigillata in cui penetra buio quello che sarà chiarore nel buio insaputo penetra oscura una voglia e sollecita miche di buio a esserci e a saperla e le miche di buio si dividono dal buio per non riprendervisi si fanno quello che sarà tatto pelle conchiglia tutto un minimo velo tra l’infinito fuori e il non finito dentro la mica di buio esprime il suo vaso si chiude ma vuole continuare a sapere il buio che era la pelle del vaso espressa da dentro premuta da fuori

le poesie di luna di casa si tende di voglie che migrano in iridescenze la vivenza vibrante nel buio che sarà luce ha sollecitato la vita e ne ha tratto l’occhio non c’è l’occhio non serve nel sommerso c’è una voglia di distinguere nel continuo fluire diuturno smarrire di uguale così cima il sogno alba di buio che sarà luce pelle d’iridi affiorate che non vuol perdersi pullulare che non trova di che intendersi ed è solo pulsare di prendere e perdere immagine pancia radicata nel corpo e foglia di voglie le immagini sono parole già prima di essere cose il sogno si fa di parole semi di coscienza per un’altra coscienza che verrà ogni notte commemora il buio di prima il buio senza occhi a sapere ma già accorrevano cose come per vedere prima di essere in questo memoriale di tenebra ascoltare altrimenti delineato nel vibrare di oggi il primo cercarsi d’affinità segrete

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meraviglioso buio padre e madre di tenebre grembo di grembi seme di semi è dentro il buio la luce buia anch’essa se non è il buio una più invisibile luce per cui non sìano ancora fatti gli occhi nel buio triplice grembo di bui della notte degli occhi del cerebro la luce è apparsa scintillata nel sogno prima che nata la pietra sogna di sciogliersi l’acqua di vaporare l’albero di muoversi l’uomo di volare da sé il non essere ha sognato di essere il buio di essere visto e sono nati gli occhi e voleremo è certo da noi avveniva di continuo dentro un buio che sognava luce e colori respirava pesi e correnti brividiva di suoni pensava di odori di tutte le cose che c’erano non c’erano ancora le cose che le sapessero ma i sogni già l’esigevano

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E poi… diradare le foglie successive aprire un varco a ritroso rinvenire le gemme prime i semi primi

le poesie di luna di casa le spore i fermenti i fermenti quei tenui rigogli d’onde è sorta la vita coi suoi urli i fermenti sogni anch’essi il mio mondo interiore e il tuo e quello degli altri sembra dentro l’universo perché il mio fisico e il tuo e quello degli altri è avvolto dall’universo ma io vedo che qualunque misura supponga all’universo il mio mondo interiore e il tuo…eccetera… riesce a farsene maggiore e contenerlo il mio universo interiore ha un corpo sul quale più che reggersi si forma questo corpo è l’universo come lo conosciamo con tutti gli errori così era anche per il pensiero quando credevamo che il corpo fosse un’altra cosa il pensiero era quello ed è questo il mondo interiore non pare possa avere altra forma a se stesso che l’idea di un universo imperfettamente sconosciuto ciò non può proibire al nostro mondo interiore al mio al tuo…eccetera… di esistere anche se non potrà mai pensare il proprio corpo al di là delle misure insufficienti di un universo

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lucilla bonavita [104] Prima di parlare 1 5 10 15 20 25 30 35 40

Quanto ci eravamo parlati in gioia e spavento nel tormento dei sogni mentre si aprivano le bocche dei ventri partorienti (e uscivano lucide proposizioni di carne…) dei pronunciati silenzi dei bocci (e sgorgavano profumi…) dei gorgogli delle ferite (e trasudavano gridi…) Quanto ci eravamo parlati coi rantoli della fame e delle manducazioni ai limiti della morte, dentro lo strazio dei labirinti percorsi in ribellione di visceri dai morsi di creta e di cardi… nelle giunture consumate dalle fughe e dalle rincorse… nei gridi di carne erti nell’altra carne… Ma quanto ci eravamo parlati nei paesi dei sogni a furia di stelle gremite, di sabbie di ghiaie e conchiglie… nei sussurri e fruscii e ronzii di foglie d’insetti e d’uccelli stormi e foreste e brividi di crini… nei fuochi d’occhi e di piogge, nei laghi di latte, di sudore, di umori e di nebbie… Ma quanto e quanto e disperatamente avevamo appuntato mani e gridi, nel diradarsi delle tenebre, nel colorarsi delle nebbie al sole, parola pronta, urlo ricominciato, cercato parto nelle scosse della danza, inciso segno di artigli, palma di sangue sul cielo, azzurro tetto di grotta, balzo di terra respinta, volo formato e lanciato dalla sputata invettiva dei labbri.

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[105] Distanza Se non posso raggiungerti non è per un varco immenso di firmamenti o di oceani, e nemmeno di lande o di prati ; non ci divide uno slargo una strada un balcone una soglia o l’aria della stessa stanza. La crudele distanza è nel minimo scarto che divaria la forma dell’umore che ci appaia : è il tempuscolo di una sillaba, che ritarda il discorso, è una stilla di salso che fa specchio e non mi lascia guardarti. È un niente che c’è.

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[106] A mia madre nina i. Per fare un giglio il respiro del mare si colora di luna e si condensa e s’accoglie nella tua mano… E per far te ? Per fare te bel giglio… ? Per dar volo a un’allodola l’olivo…  

Io posso farti tornare e farti parlare e finalmente valere, anche per altri, quello che hai valso per noi. Coglierti a quei crepuscoli di smemoratezza nei quali ci rinascevi da un pianto di morte fra sorrisi scambiati di lavata felicità, come da insperati balconi, cara Jeia, appaiono orizzonti mai visti. E posso farti dire insieme alle vere dette, parole anche più vere del tuo mariale « che vi fa se v’amo ? »  







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lucilla bonavita ii. Morivi : attendevo vederti rinascere. Mi spengo : attendo giovinezza ancora. Feroce speranza a ritroso s’avanza.  



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Torno a sentire il tuo passo allentarsi e impuntarsi agli spigoli incerto nel rallentarsi e impuntarsi del mio che non c’è chi avverta e confronti e se tento di rinfrancarlo sento una pena quasi mi provassi a cancellare e non voler udire il tuo sparire che mi viene incontro. [107] Grilli

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Poiché ci sono non posso non cogliere fra tanti stridi quello che più alto si duole, quello che più da lontano supplica e implora, quello che più addentro s’inoltra, quello che più dappresso mi sfida a farmi io del suo essere. S’io qui, s’io lì, sia ; s’io mi scagli in scintille, in squame, s’io mi distingua dirima e immilli non qui solo, ma lì anche ; lì anche, da me sfidato a essere, anche lì giunga e riparta ; e al contempo, d’altr’indi sprizzi e zampilli e gridi, collegando lamenti e canti e laceranti indizi d’inni nel dilagare dei ciechi astri in cui, uno a uno, sono e risono io… qui qui, sempre, in ogni lì più lontano.  





[108] Al merlo che canta qui fuori 1. 1

Sentilo se non trafora l’aria col suo flauto il merlo ! senti se non dirama nel vetro del firmamento  

le poesie di luna di casa una trama corallina di lucidi flessili dedali, ove t’inoltri e ti irradi se l’attenzione i suoni tramuta in sedi che riconosce e visita, che adotta a dimora, quand’anche il flauto sia trasvolato a informare altra aria forse per niente, forse a distribuire moduli tempre toni o nient’altro che canto, incanto pur sempre.

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2. Tu canti, e se asserisci, se interroghi o titubi, sei sempre illimitata perentoria certezza, affiori eterno e raggi eterni accendi duraturi fra stelle ardenti o spente anche quando sarai sfatto e dissolto minimo grumo di assoluto, merlo.

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3. Gualcisci con garbo divino 25 l’aria e magari il cielo vi frastagli petali piume iridi e ne fai gale serti monili. Giocoli con quei lembi turchini risolvendoti in loro, trasparente giubilo : 30 il tuo flauto nero, merlo, è l’ombra della tua luce. Chiami chiedi rispondi picchi e ripicchi insisti invochi irridi ti trastulli ti sfidi ti deridi 35 ti nascondi e poi di nuovi gridi un fuoco trasparente accendi e avvivi : ivi in un rogo di silenzi affondi.  



4. (…questo silenzio desolato invano prova a dissolvere l’urgere dei motori, con l’aiuto appena di qualche flauto che offre cauto il merlo, di qualche vice

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che stona fra gli ulivi e i cipressi ; gli manca il rassegnato mugghio dei buoi, il tremulo lamento degli agnelli, e dell’oche il clamore festoso ; gli manca, a quando a quando, il rotolìo del barroccio, il canto fondo della secchia che vola dentro al pozzo, lo scherno del somaro e l’inquietante ‘chi-cchi’ del gallo, e chissà quanto ancora di più sottile…ruglio, frúscio, scrocchio, morso d’ascia, frustata…e canto umano ; che pure c’è…ma viene di lontano e apporta echi di muri duri, accenti di ostici strumenti, la certezza di non essere qui, dove il silenzio pur desolato lo rifuta…Meglio questa certezza d’impotenza acuta che solo sfida col suo flauto il merlo…)  





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Mi raggiungi qui, mi trafiggi con raggi di canto e sfiori in me imbevute note, allentate corde di cetre riarse ; t’insinui a stento nei fori accecati di flauti spaccati mai più sonori, e in me tenti il rinnovo di chissà quali melanconici inni mai intonati e solo in questo non essere illusi di spirare rinati : lucenti ululi, memorie così acute che non è più la fitta di bisturi del tuo spietato imperterrito filo di canto.  



[109] Nostalgia 1 5 10

Nostalgia non è itinerario che valga tentare a ritroso ; né puoi sperare d’incontrarla avviandoti verso un medesimo. È novità decantata, che si spoglia, prima di esistere, delle scorie che la faranno opaca per impedirti di riconoscerla quando ti accada d’attraversarla. Non le cercare incontri  

le poesie di luna di casa fiori rumori colori, ch’è lunga fatica disfare ; accontentati di perderla nella sua nebbia essenziale.  

[110] Fra la rosa e la rosa Tra i petali abbracciucchiati della rosa 1 corre un dedaleo sentiero, tra la rosa e il suo profumo sfiora un colorito sentiero e fra la rosa e il suo colore 5 s’insinua ancora il pensiero. Ma fra la rosa e la rosa medesima resto solo, solo io, cuore del cuore della rosa, a scoprirmi del suo colore, 10 a confessarmi del suo profumo, a studiarmi di pronunciare coi petali che oso slacciare primizie odorate di sillabe urgenti, incantesimi prima che parole, 15 per deprecare il fatale dischiudersi indizio e inizio di disfacimenti. [111] Destino Resta il cómpito inverso : 1 restituirti la sfera di zaffìro… … ridotte a rena l’opere caduche piramidi acquedotti cattedrali ; invetriate le margini alle piaghe 5 di depredate mine grotte cave ; rinselvati i deserti e i cimiteri ; tornate fiere le bestie asservite ; insegnato alle aurore boreali, ai tramonti, ai vulcani, 10 di esalare in figure di memoria gl’itinerari del nostro teatrare dagli averni agl’inferi ai paradisi ; già sazi di attinta purezza, liberi, più che alati, ingrati figli, 15 partiamo in cerca d’un altro zaffìro da sbramare di sangue da avvelenare da incenerire, periodici angeli esiziali.  











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lucilla bonavita [112] Trappola 1 « Trappola per i topi » chiamerai un rimpicciolito ‘Amleto’ familiare e casalingo, dopo tanti impotenti presuntuosi rigonfiamenti, che s’imponevano di scaraventarlo sulle vette, 5 sfiancando destrieri fatalmente bolsi. Riduci, riduci, finchè la poesia senza rinunce anzi condensandosi, si adatti alle misure trite di ronzini e di ciuchi pazienti e pur capaci di costeggiare i burrati 10 (e non li chiamerai abissi e precipizi e nemmeno burroni…ci si cade lo stesso) ; riduci, riduci, il vasto, il grande, l’immenso… rimane immensurabile se lo rechi alla tua misura e poi ancora lo riduci a quella d’una vertebra, 15 d’una rotula, d’un aliosso, e ne fai un minuscolo aggeggio che non perderà valore e prezzo se si fa un anello una borchia un chiodo un « cip » un gioiello da porgere su una palma o fra due dita…(ricordi l’insetto 20 rosso sul picco dell’indice ? giunto all’orlo dell’unghia volò via, aquila angelo amore). Le proporzioni sono libertà.  









[113] Assetate stagioni 1 5 10 15

Piove meravigliosa e generosa, avvolgente, sonora, sconfinata… Lava, lava, lava, polveri miasmi fumi ! si aprono in aria nitide vasche, limpide aiuole, si vuotano conche, brocche, giare ; grondano giù dalle docce ruscellando, rivoli di benedetta continuità canora, discorrendo in franche gorgoglianti veemenze, addolcendosi in intimi brividi di pìspini, per ricantare ampia materna storia d’irruenti rugiade, d’invadenti guazze, profumati umori, gioiosi annaffi, attesi da stagioni aride, secche, invecchiate, di stagni asciutti, di muschi rugginosi, di polverosi ossari e cinerari. Così è promesso pure alle seccure degli anni (scorze vizze, grinze palpebre,  





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dure vene, giunture enfie) ristoro d’umori e linfe non amari e chiare.

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[114] A me stesso Ti rincorro a fatica per trattenerti in questo sterile orto di steli e foglie secche che mi accanisco a sarchiare di tanto in tanto. Tu hai altri giardini da scoprire, altri semi da spargere che non vedrai germogliare e ti pare d’intravederne gl’indistinti colori senza nome, gli odori destinati ad altri sensi. Ti chiamo ormai e quasi più non ti vedo ; corri, come hai sempre voluto e sperato, forse mi lanci qualche saluto fioco con le corde della tua voce stremate, che pur tentano altre arpe sicure di suoni inauditi. Ora so che così ti ho chiamato da sempre, da sempre rincorso e perduto quando invocavo ritorni ai miei scovati, stanati ed evasi. Amare fughe : prime, ultime gare.

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[115] Aspettando la pioggia Trasvola, e increspa l’aria, quasi un riso, che ti fa speranza. È forse solo il desiderio dell’attesa pioggia. Forse è altro : ogni ansia che ad accogliere propende, anzi attende ricevere, diviene quasi disteso lago, quasi prato aperto, quasi vasto lino d’aria, quasi ideale rètina, che, immersa nel divenire, già si prefigura - in sogni, in moti, in vaghe iridiscenze di colori e di suoni – quella pagina che pelle e pietra e foglie in fogli cangia, e fogli in voglia candida di dire ; e ancor prima di udire ; se puoi perdere tante parole per un lieve moto che ti sfida l’udito a domandarti : « È vero ? » E tutto l’essere – pensiero

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e carne e ossa – si fa trasparenze di speranza e s’è messo a canticchiare mite e folle : « Trapela…trasparenza… trafila in perle incredule…traspare… in questo volitare, incerto ancora se involarsi o posarsi…il ticchettìo d’umidi diti, se asciugarsi o spargersi… il brusìo che ti allegra e fa danzare, così vario com’è d’ombre e di ticchi : uno or lieve si posa uno si adagia, uno si spande un altro s’evapora… » Così mani, sui tasti trascorrendo del piano silenzioso, par che pensino senza pesare, disfiorando appena ideali carezze disuguali… Piove, alfine, con strepito di crotali, un corto scroscio, e presto si rintana fra i coppi a contar gocce a una a una. 1  









[116] Grazia 1

Per una voglia di aironi su stagni d’argento mi contento delle margherite alte sul praticello.

1   La poesia è frutto della rielaborazione della seguente prosa poetica : « È tanto che si desidera la pioggia che il minimo accenno, quella specie di sorriso che si avverte trasvolare nell’aria, proprio come un incresparsi, ti si fa speranza, e vera figura di poesia. Poiché poesia è tutto, appena una pur vaga tensione del sentire si dispone a ricevere, meglio a desiderar di ricevere, si fa superficie placida di lago, di prato, di neve, di vasto lino d’aria… La fortuna della pagina che è già essa stessa, anche solo bianca, desiderio di dirci che siamo immersi nel divenire. Poco fa l’ho avvertito così bene e felicemente ; se si può usar tanta parola per un moto così lieve, che quasi sfida l’udito a chiedersi : è vero ? E tutto l’essere, pensiero e carne s’è fatto trasparenza di speranza e s’è messo a canticchiare miticamente e follemente… Trasparenza trafila incredula in questo volitare, incerto se involarsi o posarsi di umidi punti di dita, se asciugarsi o spargersi in un brusio che ti allegri a danzare, così vario com’è di ombre appena di tattili ticchi : uno ora si siede, ora un altro s’adagia, uno si sperde, un altro evapora : Così le mani sul piano più silenzioso pensano senza pesare, sfiorando idee di carezze infinitamente diverse…Poi, con una breve scossa di opachi sonagli, ha piovuto un corto croscio, che s’è presto rintanato fra i tegoli a contar gocciole. Cfr. Orazio Costa, Quaderno n° 40, nota del 7.10.1990.  













NOTA BIOGRAFICA

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ato a Roma il 6 agosto 1911, Orazio Costa ebbe una formazione culturale iniziale molto intensa, per merito dell’educazione ricevuta dai genitori. Verso il 1925, Costa si iscrive al Liceo scientifico Tasso e alla Scuola Eleonora Duse. Grazie a degli amici comuni, nel 1927 conosce Silvio D’Amico ed inizia il suo rapporto con la scena teatrale che lo portò ad essere considerato il fondatore della regia teatrale italiana. Durante gli anni dell’Università, Costa, in seguito all’incontro con Vittorio Rossi, critico letterario e docente universitario a Messina, Pavia, Padova e Roma, intraprenderà con scrupolo lo studio della letteratura italiana anche nella sua componente filologica. In questo periodo si dedicherà anche all’interpretazione della poesia analizzata da un punto di vista filologico : il gusto per la lingua, che risale agli anni del liceo ed in particolare alle lezioni del grecista Pedroli, costituisce la base fondamentale sulla quale costruirà le sue regie e le sue osservazioni, tutte incardinate intorno alla struttura linguistica da cui deriva la continua ricerca di fedeltà al testo :  



La possibilità di risalire al momento creativo del testo è uno dei fatti più importanti. Anche se il fatto creativo del testo può essere visto in tanti modi, io faccio una particolare distinzione : c’è un credo puramente idealista del testo, per cui si dà per scontato che nel poeta che non riesce ad esprimersi il testo ha raggiunto una forma non modificabile. Io mantengo questo fatto e non mi sogno di modificare i testi, ma sono sicuro che in molti casi il poeta – ove avesse potuto continuare la sua ricerca, le sue correzioni – avrebbe dato anche versioni diverse. E ci sono appunto le mie esperienze con Leopardi che mi fanno dire che per un certo tempo per Leopardi quell’espressione era quella. Tornato in seguito sulla sua espressione, egli ha creduto di constatare che il suo impulso interiore poteva essere manifestato più fedelmente in un altro modo. Esiste cioè questo testo interiore da parte del poeta che in qualche caso raggiunge la sua forma ideale, ma, come avviene in pittura, il fatto che Leonardo non abbia mai finito il ritratto della Gioconda è la prova che la forma ideale non esiste, quindi tutto potrebbe essere continuato dall’autore, e nei casi mediocri anche da altri autori : se un testo è mediocre ci può mettere mano uno scrittore migliore. 1  





Nel 1935, Costa si iscrive al corso di regia presso l’Accademia d’Arte Drammatica fondata da Silvio D’Amico e da qui, grazie all’apprendistato condotto da Costa al fianco di Jacques Copeau, iniziano gli impegni ad alto livello che lo coinvolgeranno nella messinscena dei maggiori testi teatrali. Le teorie registiche prenderanno forma nel suo saggio La regia teatrale nel quale viene codificato il concetto di regia che egli intenderà come ‘coscienza spirituale dello spettacolo’. Al di là della seconda guerra mondiale, periodo durante il quale continua l’impegno registico, fonda il Piccolo Teatro di Roma e nel 1965 intraprende una nuova avventura produttiva : il teatro romeo con il quale tocca, con molta probabilità, l’apice più altamente religioso del suo intendere il teatro. Durante gli anni Ot 

1   Gaetano Tramontana, Orazio Costa testimone della scena italiana, in Comunicazioni sociali, vol. 3, xx, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, luglio-settembre 1998, p. 351.

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tanta si trasferisce a Firenze, città in cui il Comune apre il Centro di Avviamento all’Espressione centrata sul metodo pedagogico di Orazio Costa. All’inizio degli anni Novanta si esaurisce l’attività del Centro, nonostante la rappresentazione di testi importanti tra i quali Rosales di Mario Luzi, la Vita Nova di Dante, Il divorzio di Alfieri e una serie di concerti di poesia, attività artistica che Orazio Costa cercherà sempre di coniugare con la sua praktikhv teatrale. Nel 1992, dopo una fase di rielaborazione profonda di una parte delle poesie conservate nei quarantasei quaderni, viene pubblicata la sua prima ed unica raccolta dal titolo Luna di casa. Il regista si spegnerà nel suo studio fiorentino in via della Pergola il 14 novembre 1999, in una solitudine artistica ed esistenziale della quale più volte si riscontra la presenza, talvolta anche fastidiosa ma inevitabile, nei suoi Quaderni.

BIBLIOGRAFIA Bo Carlo, Nuovi studi, Firenze, Vallecchi, 1946. Contini Gianfranco, Esercizi di lettura, Firenze, Le Monnier, 1939. Debenedetti Giacomo, Poesia italiana del Novecento, Milano, Garzanti, 1998. Fioravanti Marco, La critica e gli ermetici, Bologna, Cappelli, 1978. Fortini Franco, I poeti del Novecento, Bari, Laterza, 1977. Della Croce Giovanni, Opere, Roma, Postulazione generale ocd, 1963. Manacorda Giuliano, Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1996), Roma, Editori riuniti, 1996. Flora Francesco, La poesia ermetica, Bari, Laterza, 1936. Luzi Mario, L’opera poetica, Milano, Mondadori, 2001. Macrì Oreste, Esemplari del sentimento poetico contemporaneo, Firenze, Vallecchi, 1941. Macrì Oreste, Caratteri e figure della poesia italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1956. Petrucciani Mario, La poetica dell’Ermetismo italiano, Torino, Loescher, 1955.

composto in carattere old style serra dalla fabrizio serra editore, pisa

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roma.

impresso e rilegato in italia nella tipografia di agnano, agnano pisano

( p i s a ).

* Giugno 2015 (cz2/fg13)

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S T U D I & T E STI Collana diretta da Rino Caputo 1. Dante Della Terza, Saggi su Giacomo Leopardi, 2005. 2. Lucilla Bonavita, Luigi Pirandello e Orazio Costa. Gli inediti dell’Archivio Costa nell’esperienza del Piccolo Teatro di Roma (1948-1954), 2015. 3. Orazio Costa, Poesie. Edite e inedite, saggio critico e nota ai testi di Lucilla Bonavita, 2015.