Piano economico e composizione di classe. II dibattito sull'industrializzazione e lo scontro politico durante la NEP

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MASSIMO CACCIARI / PAOLO PERULLI

Piano economico e composlzione di classe II dibattito suirindustrializzazione e Io scontro político durante Ia NEP

Massirno C acclnrl, Paolo l ’ m u lll PIA N U I C D N n M IC O

E C O M PO SI/IO N E Dl CLASSE II dib attito su irin d u stria lizza zio n e e Io scontro político durante Ia NEP Le plú recenti acquislzioni storlogratiche sullo sviluppo dairUFISH hnnno reso evidente Ia necessità di superare gll approccl tradizionall alln atorla delia programmazione soviética: non solo gll approccl "damonologlcr stallnisti o antistallnisti “ kruscevlani'' — ma altresi quelll delia “ aclenza economica' occidentale che mistificano, dietro Ia falsa 'neutralllA'' dei proprio linguaggio, Ia pretesa dl comprendere I problemi delTInduatrlallzzazlone e delia programmazione sovietiche nelle categorle delTEconomlcs neo-classico o delTequIlibrlo generale. Tracciare Ia storla dei dibattito e dello scontro político che hanno portato alia definizione delle prime esperlenze dl piano In URSS significa, dl contro a tall Interpretazlonl, evidenziare le ‘ varlablli’' e le raglonl polltiche, gll oblettivl pollllcl. che ne stanno alia base, II nuovo nesso politica-economia che durante Ia NEP si cerca di comprendere e risolvere. In questo sforzo vanno maturando nuove teorie sullo sviluppo economico, un diverso approccio, un'orlginale ‘‘ rlattuallzzazlone' dello stesso discorso marxista, che troveranno eco In Occidente soltanto in segulto alia Grande Crisl e, soprattutto, neirambito dei dibattito sulla teoria keynesiana. Un elemento è fondamentale fin dalTinizio, fin dal discorso di Lenin sulla NEP, per comprendere 1’orlginalltà e Timportanza delTesperlenza soviética In que­ sto período: II rapporto che deve essere instaurato e costantemente "verlflcato” tra le strutture dl plano e i problemi e gll oblettivl delia trasformazlone delia composizione di classe. Su questo nodo, fondamentalmente, sl confrontano le diverse posizioni, i diversi gruppi politici; su questo nodo sl sviluppa II grande scontro politico durante Ia NEP che sta alia base dello “ stalinismo" successlvo. Masslmo Cacciari è nato nel 1944, ha diretto le rivlste ‘ Angelus Novua' a

"Contropiano,” scrivendo per quest ultima diversi articoli sul movimento operalo italiano. Ha pubbllcato vari saggl sulla storla dei movimento operalo europeo, soprattutto tedesco, tra Ia Seconda e Ia Terza Internazionale, e Riairulluraziona e anallsl dl classe (Padova 1973). Paolo Perulll è nato nel 1950. Ha collaborato con numerosi saggl e articoli a vari organi dei movimento operalo ("Política & Economia,” “ Rassegna sindacale," “ Rinnovamento Veneto,” ecc.). Dirige II Cantro Studi regionale veneto delia CGIL. Entrambi fanno parte dei Centro StudI a Documentazione sul Paesi SoclalistI delI’lstituto Gramsci dl Roma In prima dl copertina: Particolare dei manifesto emesso in URSS In occatlone dalla rllorma mn netaria dei 1924.

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1943: 25 lugUo -

M assim o C acciari e P aolo Perulli

Piano economico e composizione di classe II dibattito suirindustrializzazione e lo scontro político durante la N E P

Feltrinclli Editore

Milano

Vrima edizione: marzo 1975 Copyright hy Giangiacomo Feltrinelli Editore

In trodu zion e

Le ricerche che qui vengono presentate sono State condotte nelPambito di quel rinnovato interesse per la esperienza soviética “pre-stalinista” che nel nostro paese ha fatto seguito alie traduzioni degli importanti volumi dello Spulber, dei Carr, delPErlich e ai lavori di Procacci e delia Foa. Queste ricerche si sono svolte congiuntamente a quelle di Tafuri, Dal Co e altri sui problemi del1’urbanistica soviética e delle esperienze di localizzazione, e, soprattutto nella loro prima fase, hanno tratto forte stimolo dal volume delia Di Leo. Inoltre, questo volume non avrebbe potuto neppure essere pensato senza la collaborazione di Cláudio Motta, che ha raccolto per noi moltissimo materiale e di cui è imminente 1’edizione degli Scritti di Preobraèenskij presso gli Editori Riuniti. Ma il contesto nel quale piú direttamente è maturata questa ricerca sono State le discussioni che, a partire dalPautunno dei 7 3 , hanno avuto luogo alPinterno dei Gruppo di studio sui paesi socialisti delPIstituto Gramsci, diretto da A. Guerra. Una prima stesura di alcune parti dei presente lavoro è stata pubblicata appunto nel "Bollettino" dei Gruppo di studio. Queste discussioni (che hanno avuto luogo sia sulle pagine dei "Bollettino,” sia in apposite riunioni) si sono centrate sul nodo dei rapporti politica-economia durante la N EP e sullo sviluppo del­ lo "stalinismo" in questo periodo. Giustamente, G . Procacci, in c|ucllo che è forse il saggio piú importante sulla storia delPURSS apparso negli ultimi anni, e non solo nel nostro paese, II partito nel sistema soviético 1917-1945 ("Critica marxista,” nn. 1 e 2, 1974), mette in evidenza il significato attuale che deve essere attiihuito alia scelta dei "taglio” con cui viene analizzato lo sviluppo socio-politico delPURSS degli anni Venti. Qui tocchiamo appunto il problema dei rapporto politica-economia. La stessa centralità di tgicsto nodo, va detto súbito, è in gran parte conseguenza delPat-

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Introduzione

tuale crisi degli strumenti tradizionali di programmazione neH’Occidente capitalistico e delia crisi dei rapporti intercapitalistici. Da questo punto di vista, il "put Politics in Command!" da tanti economisti in crisi oggi reclamato sembra trovare una sua prima realizzazione negli sforzi dello Stato soviético, uscito dal comunismo di guerra, tesi alia definizione di un modello vincolante di pro­ grammazione. In modo piú specifico ed articolato, Procacci conduce la sua indagine suíle origini dello stalinismo sottolineando il ruolo centrale che in esso svolge l ’organizzazione politica, le sue trasformazioni, la lotta nel partito e sul partito che ha luogo durante gli anni Venti. Suirimportanza fondamentale dei partito — e, quindi, deli’ analisi sul partito — nel corso di questo periodo, al fine di definire esattamente la stessa strategia di piano che ne deriverà, siamo ovviamente d’accordo. Ciò che non ci sentiamo di condividere è un’immediata estrapolazione da questo livello di analisi deli’ aííermazione generica e politicam ente pericolosa dei "primato delia politica.” Generica, poiché in efíetti questo “primato” è incontestabile non solo per la “economia classica" (per la political economy), ma anche per 1’analisi neo-classica (per VEconomics) una volta che quest’ultima sia efficacemente “criticata” — e quindi il problema è qui, semmai, di vedere bene come oggi si ponga la crisi dell’analisi economica e degli strumenti tradizionali di programmazione, rifuggendo da definizioni nelle quali non solo le vacche sono tutte buie ma finiscono con lo sparire tout-court; politicamente pericolosa, infine, poiché non chiarisce come qualsiasi strategia politica e qualsiasi forma di organizzazione politica debbano realizzarsi in gestione e organizzazione economica, e come questa realizzazione non sia mai, a dispetto di logiche meccanicistiche volgari, semplicemente un problema di “calcolo,” di “traduzione” delle compatibilità politiche in compatibilità economiche. II rapporto politicaeconomia è dunque complesso, “variabile" — ed è tale complessità che, a nostro avviso, si è rivelata in modo esemplare nell’esperienza soviética degli anni Venti. In sintesi: se è vero che lo sviluppo deUa strategia di piano (nella forma storica determinata che essa assume in URSS) ha luogo sulla base di una rottura politica precisa — e se è vero che tale rottura ha come obiettivo fondamentale non un problema “téc­ nico” di collocazione-distribuzione di risorse, ma un problema poli tico di trasformazione di classe, trasformazione dei rapporti po­ li tici trn le classi — è altrettanto indubbio che questa strategia deve

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Inlroduzione

articolarsi (e si articola di fatto) in strumenti nuovi di analisi e di intervento economico, i quali sono, essi stessi, elementi di contraddizione e di conflitto, di accelerazione o di ritardo dei processi di trasformazione, mai, insomma, calcoli "neutrali.” Ed è suirincidenza che la strategia politica riesce poi ad avere ejfettivam ente sulla realtà economica e di classe, anche attraverso tali strumenti, anche e necessariamente attraverso la loro mediazione, che si sviluppa la lotta a liveUo di organizzazione politica e a livello istituzionale complessivo. Anche il significa to dei "taglio” da noi proposto è perciò molto evidente. L ’esperienza soviética esprime la rottura deli’ "universo” politico-economico clássico e neoclassico, la crisi delia "funzione di dominio” che concretamente Tanalisi economica era andata esprimendo nei processi di sviluppo dei capitalismo. II dibattito che in questa esperienza matura, lo scontro politico che la caratterizza, le stesse teorie economiche che vi vengono abbozzate, comprendono in sé variabili nuove per il discorso sullo svi­ luppo economico: il problema delia composizione e trasformazio­ ne di classe, il problema dei piano come formulazione politica, il problema delia funzionalità degli squilibri intersettoriaíi. Non si tratta piú di “primati” — ma di un com plesso nuovo di variabili, sul quale, fin da aUora, la "scienza economica” aveva poco o nulla da dire. Su questo aspetto specifico, speriamo che il nostro volume possa rappresentare un utile contributo. In efietti, anche le ricerche storiche piú serie sull’URSS dei periodo che noi analizziamo, ma an­ che su periodi successivi, hanno preso le mosse da presupposti teorici pressoché indiscussi: in generale, dal presupposto di poter spiegare lo sviluppo socio-economico soviético usando schemi concettuali attinti in gran parte dalParsenale neo-classico. Ciò vale sia per chi ha criticato le forme dello sviluppo soviético (da destra e da sinistra), sia per chi ha cercato di limitarsi alia loro "descrizion e .” I punti di riferimento generali con i quali ci si è avvicinati a questa realtà non sono a tu tt’oggi molto diversi da quelli che venivano forniti da Lange, soprattutto nel corso dei dibattito degli anni Trenta suU’economia socialista (O. L a n g e , On the economic Theory o f Socialism, in "The Review of economic Studies,” ottobre 1936 e febbraio 1937, tr. it. in D o b b , L a n g e , L e r n e r , T eo­ ria economica e econom ia socialista, Milano 1972). Si è sempre cercato, cioè, di rendere conciliabili il dibattito e 1’esperienza sovié­ tica di sviluppo con i termini deU’analisi di derivazione neo-classica, comunque dei modelli di equilibrio generale, e con le pratiche

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Introduzione

di controllo ciclico che da essi derivavano. Da qui 1’invito che Lange rivolge ai "programmatori" sovietici a leggere Walras e Mar­ shall: il "socialismo" come “equilíbrio generale,” la "ra 2Íonalità” specifica dei "socialismo” come realizzazione delia "idea” própria dei marginalismo "progressista” (evidente ciò anche in Lerner). Non deriva forse da questo contesto teorico l ’uso non critico che si continua a fare, soprattutto in sede storica, parlando delPesperienza soviética, di termini come "produttività,” "fattori produttivi,” ecc.? La soluzione originale che si tenta di dare a questi nodi, la cri­ tica economica che su di essi si esprime, è parte integrante e fondamentale delia lotta política durante la N EP, delia formazione dei primo Piano, dello stesso scontro nel partito — ma è altresí parte integrante, ancora oggi, dei dibattito sulla "riform a” in URSS e, ancor piú, dei dibattito sul “decollo” economico in condizioni di sotto-sviluppo: queste erano anche, in eífetti, le due facce dei dibatti­ to suirindustrializzazione durante gli anni Venti. Ricostruirle analiticamente, e nel loro significato politico di classe, è contribuire alia storia delle origini di questa attuale problemática.

M. C , P. P. Venezia, novembre 1974.

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F reoh razen skij e il dibattito sull’industrializzazione durante la N EP Dl M A SSIM O CACCIARI

1. La NEP in Lenin “Noi ci siamo ritirati verso il capitalismo di Stato. Ma ci siamo ritirati con misura. Noi ci ritiriamo ora verso il commercio regolato daUo Stato. Ma ci ritireremo con misura. Ci sono già dei sintomi i quali indicano che questa ritirata sta per finire, che noi potremo fermarla in un futuro non troppo lontano.”' Cosí Lenin in un importante articolo dei novembre 1921, sul quale dovremo tornare. Pochi mesi piú tardi, nella Relazione politica alPXI congresso, egli ribadiva 1’imminente conclusione delia fase di “ripiegamento rivoluzionario ” deUa N EP ("ritirarsi è cosa diíficile, specialmente per dei rivoluzionari"); “Per un anno ci siamo ritirati. Ora a nome dei partito dobbiamo dire: basta! Lo scopo perseguito con la ri­ tirata è stato raggiunto. Questo periodo sta per finire o è già fi­ nito.”^ Cosa significa questo? che la politica delia N EP si è conclu­ sa? che la N EP, in quanto fase di ripiegamento, aveva, dopo un anno, realizzato i suoi obiettivi fondamentali? e che era possibile passare ad approntare un piano economico-politico complessivo in grado di superare il dualismo dell’appena sorto sistema soviético? È evidente come Lenin intendesse esattamente 1’opposto. La ritirata che, secondo Lenin, si va concludendo non coincide affatto con la fase storica segnata dal lancio delia N EP, bensí piuttosto rapprescnta il periodo in cui sono State gettate le condizioni per TeíEcacia c opcratività delia politica N EP. Dopo un anno, dice Lenin, siamo iicllc condizioni di iniziare a realizzare questa politica: i nuovi tncccanismi di sviluppo sono stati individuati e innescati, i limiti di ' L e n in , Vimportanza delVoro oggi e dopo la vittoria dei socialismo, in “Pravda,” 6-7 mivcmbre 1921, ora in Opere, vol. IDQQII, p. 99 (il riferimento è sempre all’ed. it. degli I mII i i i i I Kíiinill, Rnnin 1967). ' Lenin, Rapporlo político dei CC dei PCR (b), 21 marzo 1922, in Opere, vol. XXXIII, p. 254.

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Massimo Cacciari

direzione individuati e criticati, 1’analisi delia situazione reale è andata avanti, le drammatiche contraddizioni dei ’21, anche e soprattutto quelle interne al partito e al sindacato, sono State superate. Ciò non significa minimamente la realizzazione dell’obiettivo strategico delia N EP: il controllo dei meccanismi di sviluppo economico e di distribuzione borghesi e capitalistici nella direzione dei raíforzamento delia grande industria di Stato, delia cooperazione, delia coUettivizzazione nelle campagne. Questi obiettivi non costituiscono affatto, per Lenin, una ritirata, ma Telemento decisivo per consolidare e "diflondere" il potere soviético. È in questo sen­ so che Lenin aflEerma essersi conclusa già con l ’X I la fase di ripiegamento. La política generale delia N EP esula completamente da tale definizione: essa è un fatto strategico, e il dibattito politico-teorico al suo interno lo rivela in pieno. D ’altronde, i cardini delia po­ lítica N EP non aflEondano certo nella mera contingenza delia situa­ zione economica venutasi a creare dopo la fase dei comunismo di guerra.’ Nel discorso di Lenin la N EP non presenta alcun carattere meramente tattico-congiunturale — né mai in seguito verrà interpretata in questo senso dai maggiori rappresentanti dei "dibattito suU’industrializzazione.” La política N EP “viene da lontano” — precede addirittura la fase dei comunismo di guerra — essa fa tutt ’uno con il discorso leninista piú generale suUe trasformazioni economiche dei capitalismo e sul passaggio al socialismo. Non è certo a caso che SulVimposta in natura si apra con una lunghissima citazione tratta dalPopuscolo dei ’18, II com pito principde dei nostri giorni: qui, in piena fase post-rivoluzionaria, Lenin tracciava con eccezionale freddezza la linea strategica che sa­ ra delia NEP. Ma ancora prima, nell’ottobre dei 1917, in La ca­ tástrofe imminente e com e lottare contro di essa, il centro politico dei ragionamento di Lenin sulla N EP era già chiaramente formulato. L ’immediato compito dei governo rivoluzionario sarebbe sta ........ ill |iiittlii/ionc, mer•.imi ili Siuio. Non esiste |ltM|l|ll lll I .......... . iiii < iiiiiiili'...... r socialismo. Bisogna pasI lll I lll I* iiiiniiiic tra capitalismo di Stato e soim Ii. idm " Mii ....... mI itiiKii (li alcuna “transcrescen 2a” schumpeim h im i I |■l.llcnso d ic qui Lenin delinea si realizza sulla base •li "II |"i ‘ I ■" 1'iogramma di governo, di un determinato potere — liii, 1 (0 1 , come condizione la rottura dei precedente assetto istitu■ lo n a lc . Qui stava l ’anello debole delia catena, il punto corroso delPcquilibrio precedente. È uno Stato che ha trasformato il proprio carattere e la própria visione strategica ad "incanalare," pri­ ma, lo sviluppo capitalistico verso le sue forme piú avanzate e critiche insieme, per riuscire, poi, a porre concretamente il pro­ blema di un piano economico che superi il rapporto di produzione capitalistico in quanto tale. “La possibilità di far progredire il so­ cialismo per mezzo dei capitalismo privato (senza parlare poi di quello di Stato)”“ è comprensibile soltanto sulla base dell’avvenuta rottura istituzionale, e quindi delia differenza che viene a determinarsi tra Stato e forme dello sviluppo economico. Ma, abbiamo detto, tale diferenza non può essere intesa soltanto come "male necessário." Favorire la piccola industria, aumentare la produzione agricola privata, significa certamente dare nuovo slancio, sulla base delle condizioni economiche oggettive delia Rússia di quegli anni, alio sviluppo delle forze produttive, al prezzo di un rafforzamento anche politico delia piccola borghesia e dei capita­ lismo. Ma è impossibile fermarci alia constatazione di questo rap­ porto. II rafforzamento economico-politico degli strati borghesi e capitalistici incide per un altro verso, che Lenin mai dimentica, sugli equilibri politici dei nuovo Stato. Si viene ad instaurare un re­ gime di com petizione tra la strategia generale di questo Stato e le forze economiche che esso ha ereditato e che si pone esplicitamente il problema di trasformare. Si viene a determinare una situazione di conflitto, che va dai livelli deUa redditività e delia competitività economica, a quelli delia razionalizzazione delle forme di mercato, a quelli politico-istituzionali. È in questo conflitto sol­ tanto che lo Stato soviético potrà attrezzarsi durevolmente in quanto piano orgânico di sviluppo delle forze produttive e di trasformazione cosciente degli equilibri socio-politici. Senza passare per questa porta stretta si rimane fermi ad un’immagine di piano M lIfllM ll

Ihiá., p. 315. “ Lknin, SulVimposta in natura, cit. p. 334.

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l’rfí)hriiicn.\kii e il ãihiittilo suWinduslrializzaxione durante la NHP

ilii loiminismo cli guerra, clominato daH’assenza di parametri oggriiivi siii quali misurare potenzialità di sviluppo e verificare r e f­ luiu ia degli strumenti di intervento economico. I meccanismi economici delia N EP, proprio nella loro contradiliilorietà, sono quindi anche chiamati a verificare le capacità intrin■irthc di trasformazione, la vitalità delPapparato soviético di direzionc e programmazione. N EP, per Lenin, deve significare "controllo deIl’esecuzione, controllo dei risultati concreti,"” "instaurazionr delia responsabilità personale,” "non aver fiducia nei decreti, iK'lle istituzioni, nelle 'riorganizzazioni’ e negli alti funzionari, spel ie se comunisti; lottare contro la melma dei burocratismo e delle Itingaggini burocratiche mediante il controllo degli uomini e il controllo dei lavoro concreto; mettere alia porta senza riguardi i íimzionari superflui, ridurre gli organici, licenziare i comunisti che non vogliono imparare come si amministra sul serio.”'" Discorso analogo vale per i trust. La “sfida” sul piano dei processi di razionalizzazione, sul piano delia produttività e competitività, va inicsa integralmente. Ove il trust non sia in grado di rispondere a talí criteri occorre adottare anche misure di carattere legale contro i rcsponsabili. “Se noi, dopo aver creato i trust e le imprese sulla base dei rendimento economico, non sapremo tutelare pienamente i nostri interessi in modo fattivo, da uomini di aflari, da commercianti, daremo prova di imbecillità totale.”’" Tutte le energie politiche dei nuovo Stato vanno gettate in questa battaglia. C ’è da strappare concretamente alVavversario di classe la direzione dei settori economici decisivi — c ’è da conquistare concretamente, sulla base di parametri oggettivi, Tegemonia dei meccanismi di sviluppo dei paese. Le aziende che dormono ("rigidamente comuniste”) van­ no chiuse, "i comunisti virtuosi’"’ delia direzione di tante aziende vanno cacciati. Non c ’è vittoria politica, non c’è trasformazione istituzionale che possa tenere se non viene "verificata” sul piano delle sue capacità di programmare e sviluppare le forze produttive dcl paese. Quella vittoria perderebbe immediatamente ogni contatto con i rapporti di classe che si determinano a partire dal rapporto di produzione. Ma altrettanto non può tenere un rapporto di produzione “altro” rispetto ad un determinato assetto istituzio­ nale e ad una determinata strategia politica. Certo, nessun "piano “ L enin, Lettera a Tsiurupa, 24 gennaio 1922, L enin, Lettera a Tsiurupa, 27 gennaio 1922, “ L enin , Lettera al Commissariato dei Popolo Opere, vol. XXXV, p. 382. " L enin , Lettera al Commissariato dei Popolo in Opere, vol. XXXV, pp. 384-385.

in Opere, vol. XXXV, p. 374. in Opere, vol. XXXV, pp. 378-380. per le Tinanze, 1° febbraio 1922, in

per le Fittanze, 22-28 febbraio 1922,

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Massimo Cacciari

integralc” è ipotizzabile almeno nelle condizioni iniziali delia N EP: "un vero plano completo, integrale è oggi per noi 'utopia buro­ crática.’ Non corretele dietro.'"" Non si tratta di opporre “utopie burocratiche" a presunte "leggi obiettive” di sviluppo economico. "Esircmismo socialista,” volontarismo economico e socialdemocrazia si danno anche in questo la mano. II problema sta nel defi­ ni re un programma statale di conflitto con gli equilibri economicopolitici in parte dati e in parte destinati necessariamente a un relativo consolidamento in seguito alia piena adozione delia NEP. Ma la N EP non si riduce a tale consolidamento, né tantomeno al1’amministrazione di un nuovo equilibrio tra gli elementi dei siste­ ma. Essa è anzitutto quel conflitto e quel progetto di trasformazione. Essa è, in Lenin, un programma di lotta alia base strutturale delPeconomia borghese e capitalistica che si realizza anche e anzi­ tutto attraverso un periodo di "competizione” tra essa e le potenzialità di riorganizzazione e di sviluppo delle forze produttive dei nuovo Stato soviético. Nella N EP, dunque, dinamica economica e dinamica istituzionale appaiono, insieme, strutturalmente diversificate e, proprio per questo, attive Puna sulPaltra e reciprocamente funzionali. Qualsiasi "identificazione” spezzerebbe le potenzialità di sviluppo dei sistema. II discorso non verte su nessun ‘‘modello” — ma su una serie di operazioni politiche che è necessário compiere, a scadenze precise, e i cui eííetti conílittuali occorre non solo scontare ma provocare in modo consapevole. Queste operazioni non riguardano meramente i livelli di organizzazione e di interdipendenza econo­ mica, ma incidono direttamente sulla composizione di classe. Rompere Pisolamento tra i vari "strati” delPeconomia russa, stimolare in tutti i m odi lo scambio tra industria e agricoltura, favorire lo sviluppo industriale anche attraverso il potenziamento delia piccola industria privata, è tutt’altro che un programma di "ripresa.” Se cosí fosse Pinterpretazione "congiunturale” delia N EP (e le varie tesi sui "tralignamenti” o le "ritirate” non ne sono che varianti morali) sarebbe in qualche modo comprensibile. Ma Pobiettivo autentico di questa politica consiste nelle trasformazioni delia composizione di classe, a livello sociale, che la fase di rapportoconflitto tra assetto istituzionale soviético, suo intervento econo­ mico e strutture borghesi-capitalistiche può provocare. Lo sviluppo delle forze produttive, “incanalato” dallo Stato soviético verso '* L enin , Lettera a Krziianovskit, 19 febbraio 1921, in Opere, vol. XXXV, p. 333. Le­ nin polemizza qui con Miljutin. Cfr. L enin , II piano economico unico, in “Pravda," 22 febbraio 1921, ora in Opere, vol. XXXII, pp. 122 sgg.

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Preobraienskij e il dibattito sulVindustrializzazione durante la NEP

forme sempre piú alte di organizzazione monopolistica, costituisce la base materiale dello sviluppo delia classe operaia, dei meccanismi di riproduzione di classe operaia. Senza grande industria, senza concentrazione e razionalizzazione dei settori-chiave, si va necessaria­ mente alia dispersione delle forze di classe, alia loro "corporativizzazione” in una miriade di aziende private marginali, sulle quali Tinfluenza política delPavversario risulterà imbattibile. La direzione che lo Stato deve saper garantire alia "ripresa" coincide pertanto con la costituzione delia base materiale delLunità, delia forza, anche contrattuale e sindacale, delia classe operaia. Ma non basta dire "grande industria.” Occorre che questa industria sia eílettivamente competitiva con 1’economia borghese. Una politica di “salvataggio” non può alia lunga reggersi: si risolverebbe in "elemosine” alia stessa classe operaia. La riattivazione delia grande industria deve essere fondata, reale. Ed è su tale riattivazione che può marciare lo stesso rapporto politico con la campagna e i contadini.” La politica di “alleanza” si definisce in questo contesto. Presentarla come equilibrio statico, come sommatoria di forze, sulle quali lo Stato agisce come "potere neutrale,” in base a interdipendenze economiche rigidamente íissate, è altrettanto suicida che "eliminare” il problema prospettando un mero attacco "politico” alia struttura mercantile delPagricoltura russa. L ’obiettivo rimane l ’accelerazione delia riproduzione di classe operaia industriale. Il pericolo da combattere è proprio quello di ridurre la classe operaia "alio stesso livello” dei contadini e dei piccolo-borghesi. Rimane indiscutibile quale sia la scelta ã i classe che lo Stato soviético deve operare. Sviluppare comunque la produzione agricola, in questa fa­ se delia N EP, è necessário per permettere i processi di ripresa e ricostruzione industriale e per determinare un mercato a questa in­ dustria. II problema è Vuso che dei meccanismi mercantili che la NEP incentiva lo Stato soviético è in grado di fare. Ma quest’uso, in favore delia riproduzione industriale, coincide con una politica di trasformazione delia struttura stessa delPeconomia agricola e, quindi, delia composizione di classe dei settore. Nelle Conclusioni alia X Conferenza, già citate, Lenin dice esplicitamente che 1’" alleanza” deve servire a trasformare i contadini. La riattivazione dei comtnercio e dello scambio, "il solo legame economico possibile fra tiecine di milioni di contadini e la grande in d u s t r ia ,n o n può Sono cini .sunlcKttintc le tcsi fondamentalí di L enin in Rapporto sulla imposta in ihitiira c Discorso conclusivo suWimposta in natura, due interventi alia X Conferenza daumento dei redditÕ e qmndl dei consumo. Un aumento di capitale produttivo [ S dcMminare una ridugone dei tasso di cresdta dei reddito in c S dl dimmuzione deli efficienza d’uso dei capitale."” D ’altra narm ^ utopico un modello che si prefigga il raggiungimento di uno stato dl equilíbrio attraverso Ia panficazione dei saggio di d° capitale (G), a S costante. II problema non è quello di rag^iun' gere una mítica eta dell oro ad armonia prestabilita, il problemf non è/negare" le differenze concrete riguardo I'efficienza d’uso dei r . pitale, e quindi, tantomeno, parificare il saggio di ítesso-ttale due’ Seaioni p X n f d S o t * siste nel manovrare articolatamente i sagei di crecnVa j funzionali i saggi di efficienza, nella loro reale diversità. Oues?”í ’'^ unzionalità è ottenuta se noi stabiliamo limiti prectsi riproduzione, "dominate" da «, limiti che r í C n o l a c r S a T k esigenze di p (inteso, Io ripetiamo, come consumo e come settore produttivo), cioe, se noi stabiliamo un equilíbrio tra le dne T zioni, e, in generale, tra processo di industrializzazione di consumo. - ^ _ Questa trattazione dinamica dei problema dell’equiIibrío noi 1. ritroviamo, in termini macro-economici, circa vent’anr,i ■ modelli di Hatrod e I^mat. La definiaiõne s t e s s í S m t r de” analisi dinamica e analoga: essa riguarda un’economia nella quale S pulder ,

Introduzione p. 26. cit pp.

G. A. F e l ’dman, arí. ” Ibid., p. 387. Ibid., pp. 393-394.

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,

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399-400.

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e degli interessi delia riproduzione industriale. Nelle condizioni sovietiche, industrializzazione non può significare che aumento delia quota deli'industria statale sul totale delia produzione e un tasso di incremento deUa forza-lavoro occupata nell’industria piú rápido di quello delPoccupazione in generale. La destra cita Taumento delia produzione statale. Ma ciò è ancora dovuto alia piena utilizzazione dei vecchio capitale fisso, non ad un sostenuto incremento delia quota di investimenti produttivi da parte dello Stato: per questo si rende necessária una politica fiscale e creditizia radical­ mente diversa. Anche il peso delPoccupazione nell’industria (che le "previsioni” delia destra insistono nel ritenere limitato e hanno comunque finora costantemente sottostimato) non potrà ulteriormente accrescersi senza una strategia ex novo di investimenti pro­ duttivi nei settori di beni capitale. Soltanto una tale strategia può permetterci, d’altra parte, di diminuire Tenorme difíerenza tra i nostri prezzi e quelli mondiali, difíerenza che potrebbe liquidare di colpo il sistema soviético se venissero accolte le richieste delia borghesia e degli strati agiati delle campagne per Tabolizione dei monopolio dei commercio estero. Ma il muro che abbiamo eretto tra la nostra industria e quella mondiale non può resistere indeíinitamente. È vitale aílrontare il problema delia ristrutturazione indu­ striale, deUa ricomposizione organica delPindustria soviética nei set­ tori decisivi controllati dallo Stato. E per realizzare quest’obiettivo, occorre una politica nuova nei confronti delia cooperazione e delle campagne. A passo di tartaruga non costruiremo nessun so­ cialismo. “Non ci possiamo permettere di prendere tranquillamente il tè in questa fase delia rivoluzione. Le previsioni dei Gosplan, che pure qualcuno giudica utopistiche, ci condannano ad accumulare ulteriori ritardi: il déficit di merci dovrebbe ulteriormente aumentare, il livello dei consumi raggiungerebbe quello pre-bellico solo tra cinque anni. E cosí avverrà, senza mutamento negli indirizzi di politica fiscale e creditizia e senza una diversa destinazione delle risorse. “I l bilancio deve essere redatto in modo tale che le esigenze di impieghi di capitale nell'industria costituiscano il primo paragrafo delle voei di spesa.””' Mutare il ritmo deli'industrializ­ zazione, liquidare il falso realismo delle teorie gradualiste, significa rilanciare 1'intervento programmatore dello Stato, sul lungo periodo, in funzione di rottura degli equilibri economici, e politici, dati: quindi, immediatamente: "Paumento delia tassazione degli eleIbid. Ibid.

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menti agiati delia campagna, in proporzione alPincremento dei loro redditi.” "Noi non possiamo per il momento eliminare 1’accumulazione capitalistica nelle campagne,” ma occorre in tutti i modi "integrare i nostri fondi a spese di tale accumulazione,"'^ "trasformarla" attraverso la politica fiscale e creditizia dello Stato in “accumulazione socialista.” Per i contadini medi occorre "incanalare” la loro accumulazione nella cooperazione e sostituire gradualmente in questo settore il capitale statale che vi viene impiegato con capitale contadino. Per quanto riguarda, infine, il capitale privato occorre aumentare quelle forme di tassazione che non sono facil­ mente scaricabili sul consumo. Lo Stato soviético dispone degli strumenti per impedire che ciò avvenga. E non può certo bastare il progetto in discussione, allora, che potrà dare 20-30 milioni di rubli, mentre " l ’anno passato il capitale privato ha raccolto una messe di 300-400 milioni.'”* È indubbio che avanzando queste proposte concrete P. si dimostra molto piú attento e "politico” che nel saggio suH’accumulazione socialista di due anni prima. Equivocare o fraintendere il senso di quest'ultimo lavoro sarebbe risultato molto piú difficile per la destra: non esisteva traccia di discorso in generale sullo "sfruttamento” delle economie pre-socialiste — la politica di "alleanza” veniva ribadita come asse centrale dei piano economico. D i fronte a tali posizioni, quelle delia destra appaiono già allora alie corde. E infatti il discorso di P. è assai abile nel prevenire, da una parte, qualsiasi accusa di "avventurismo,” e neU’attaccare, dalPaltra, sul piano strategico, sul piano delia concezione generale delia politica N EP e degli strumenti di piano fino ad allora utilizzati. II richiamo finale al fatto che “le iniziative che proponiamo richiedono una lotta, una lotta di classe, in primo luogo contro gli strati agiati delia campagna, che vogliamo tassare” e, poi, contro il capitale privato, rappresenta ormai ben piú che una critica ai provvedimenti indicati o realizzati dalla destra o una riserva di carattere “quantitativo” sulle previsioni dei Gosplan, costituisce un riíiuto in generale degli strumenti e delia concezione stessa dei piano soviético che fondavano quei provvedimenti e quelle previsioni. L ’ideologia che stava alia base delle Cifre di controllo veniva riassunta in termini chiari da economisti come Groman o anche Bazarov; occorreva definire una tavola empirica di interdipendenze economiche — ogni variazione nella grandezza o nel valore di un elemento andava giustificata in un’analoga variaíbid. '« íbid.

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zione nel complesso degli altri fenomeni. Non poteva darsi cre­ scí ta "eccezionale”: questa avrebbe necessariamente por tato a processi di crisi, sul lato deU’offerta di prodotti industriaH o sul lato delia domanda, acuendo le contraddizioni deU’economia soviética. Nel ’2 6, neUo stesso anno dei saggio di P ., Bazarov scriveva: "la política statale deve tendere a far sí che 1’industria si sviluppi in un quadro di sana, moderata ‘animazione,’ evitando sia 1’atmosfera oppressiva deUa depressione acuta, sia Tatmosfera corruttrice dei boom.”‘“ Le Cifre di controllo si muovevano in tale âmbito; le previsioni venivano fondate sulPosservazione di una serie di “regolarità” dello sviluppo precedente. Si partiva, cioè, dalPassunto dei permanere delia struttura economica precedente, se ne descriveva la dinamica e quindi si calcolavano gli effetti dei suoi fattori nel futuro. Questo método di estrapolazione veniva soltanto leggermente corretto dalle valutazioni di esperti in mérito agli sviluppi tecnicamente reaUzzabili dai singoli settori. Ma già nelle Cifre di controllo deli’econom ia nazionale per il 1926-27, questa metodo­ logia, le cui radiei politiche sono esplicite, appare chiaramente in crisi. Finita la fase di “piena utilizzazione” dei vecchio capitale fisso, iniziata la fase di ristrutturazione e ricomposizione delia base industriale, diventano “estremamente incerte le prognosi basate sui coeíHcienti dinamici, caratteristiche degli anni passati.”'” Dallo stesso punto di vista matemático, non ci è consentito “di estrapolare nel futuro le tendenze dinamiche dei passato." Esaurite le forze motrici dello sviluppo precedente, muta la stessa struttura di interdipendenze su cui si fondava 1’estrapolazione: "la natura stessa delia struttura di transizione esclude in larga misura la possi­ bilita di operare estrapolazioni delia dinamica economica dei pas­ sato, che è destinata a modificare nel suo corso ulteriore 1’inerzia delle connessioni e dei rapporti precostituiti.””' Il Piano quinquennale doveva appunto essere lo strumento per superare tale inerzia. Nel marzo dei ’2 7 , e cioè prima delia decisiva crisi degli ammassi nelPautunno, Strumilin attaccava frontalmente il método delle cifre di controllo e proponeva il Piano a lungo termine, inteso come trasformazione deU’ordine sociale. "Stiamo entrando in una fase nuova di sviluppo [ . .. ] . In questo periodo di ricostruzione di tutti i rapporti sociali, non possiamo certo basare i nostri piani di proV. A. B azarov, Sulla metodologia per la costruzione dei piani di prospettiva, in S pulber , op. cit., p. 458. . Cifre di controllo delVeconomia nazionale per il 1P26-27, a cura dei Gosplan, in

S pulber , op. cit., p. 483. Ibid., p. 483.

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spettiva su una sorta di oroscopi medievali, né possiamo avere il nostro futuro predeterminato dal corso delle stelle o dalla periodicità dei cicli capitalistici terrestri.'”” Quando lo Spulber parla, a proposito di queste tesi, di abbandono di ogni “coerenza” eco­ nômica e di furore quasi mistico dei programmatori comunisti, ripete pedissequamente le posizioni dei Kondratev e, in parte, dei Krèizanovskij durante la lotta politica che precedette il varo definitivo dei primo Piano. Questa interpretazione dei Piano come fatto volontaristico-teleologico non coglie né la situazione reale deirU RSS alia fine delia fase di ripristino — né la complessità teó­ rica delle tesi che P ., piú coerentemente di ogni altro, sosteneva in quel periodo. Era una concezione diversa dei meccanismi e delle possibilità di sviluppo, e una concezione politicamente diversa delia struttura e dei compiti di un’economia di piano. Pur con tutte le correzioni che la situazione, dopo il ’26, rendeva inevitabili, la concezione economica delia destra e dei menscevichi dei Gosplan, raffinata dalle analisi dei bilancio e sulle interdipendenze settoriali, applicava alia situazione soviética un modello "normale" di ciclo. I vincoli che tale modello prescriveva nascevano dalPesigenza di evitare i fenomeni di crisi impliciti nel meccanismo di quel modello — e quindi di mantenere 1’equilibrio intersettoriale al livello di produzione "ottim o,” dati tali vincoli e tali interdipendenze. L ’opposizione a questo modello non può essere ridotta ad istanze "tu tte politiche,” alia lotta contro la “burocrazia” nel partito. In particolare per P ., questa “riduzione” è impossibile. Il modello era economicamente scorretto e fallimentare per le condizioni e le necessità dello sviluppo soviético. Esso ripeteva schemi concettuali formatisi in esperienze economico-storiche, e alPinterno di assetti istituzionali, radicalmente diversi da quelli sovietici. Le proposte alternative di P. sono sostenute da una ana­ lisi dello sviluppo soviético, nelle sue "leggi,” e da una teoria generale dello sviluppo, opposte a quelle "buchariniane.” G li obiettivi che 1'economia soviética deve proporsi sono evidenti: una ristrutturazione delPindustria di Stato, che la porti al livello delia "técnica” capitalistica contemporânea, che permetta una crescita accelerata nella riproduzione di forza-lavoro industriale, che adegui a quelli mondiali i prezzi industriali sovietici in modo da ridurre progressivamente la forbice con quelli agricoli. Fissati gli obiettivi, si definiscono anche le priorità d’intervento. Definite taS. G . S t r u m il in , Orienlamenti di prospettiva per gli anni 1926-27/19X-31, Rapporto al II Congresso degli Enti di Pianificazione deirURSS, 25 marzo 1927, in S pu l b e r , op. cil., p. 509.

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li priorità, si stabilisce una partizione delle risorse. Occorre "formalizzare” in base a quali “regolarità” specifiche dello sviluppo soviético, e funzionali agli obiettivi suddetti, queste risorse vanno ottenute e, poi, ripartite. A questo scopo, è necessário rifarsi alia situazione concreta delia NEP. Per la destra e i menscevichi essa rappresenta tout-court un ritomo al meccanismo di mercato e alia “legge dei valore” come regolatore unico. L ’intervento statale "distorce” soltanto questo meccanismo, e le metodologie di piano adottate dal Gosplan intendono appunto mostrare come r"o ttim o ” sia raggiungibile mantenendo equilibri intersettoriali fondati sulle "leggi” di mercato. II piano dovrebbe restare uno strumento di controllo, ex post, non ostacolando con principi extra-economici r"eq u a ” distribuzione delle risorse che avviene attraverso il gioco di mercato. Questa posizione, come è ovvio, esclude di principio "pratiche monopolistiche” — e 1’accusa di estremismo monopolistico fu infatti tra le piú ricorrenti delle critiche buchariniane a P. La concezione leninista delia N EP ne veniva chiaramente liquidata. Da organizzazione delia lotta di classe da parte dei potere politico soviético sul terreno concreto delia direzione economica, essa diveniva un normale schema di riproduzione in base alie "leggi” di mercato — e 1’intervento deUo Stato soviético uno strumento di riequilibrio anti-cicHco. Lo Stato socialista doveva ridursi alia funzione di evitare o attutire le crisi implicite nel processo capitalistico di riproduzione. Cosí si traduceva, in schietto menscevismo, la contraddittorietà, la natura conflittuale che Lenin vedeva come caratteristica decisiva delia NEP. Ma nell'economia soviética non esiste, non può esistere un "regolatore” unico. "Noi abbiamo, da un lato, la riproduzione allargata dei rapporti socialisti, e, dalPaltro, uno sviluppo delPeconomia di mercato.”'” Concretamente: abbia­ mo, da una parte, strumenti di direzione e di calcolo economico fondati sugli obiettivi dei piano — dalPaltra, strumenti e calcoli che si adeguano ai processi e alie fluttuazioni dei mercato. In enirambi i settori deve avvenire una riproduzione allargata. Ma è chiaro che le rispettive strutture sono radicalmente in opposizione: 1’esistenza di settori programmati, e “protetti” dalPintervento di classe dello Stato, è in conflitto con quella dei settori che lavorano siilla base dei meccanismi di mercato. La riproduzione allargata in entrambi i settori non può avvenire che “sulla base di una lotta.” I/accelerazione dei tassi di sviluppo dei primo settore non è possiE. P., Conclusioni al Dibattito sulla Relazione La legge dei valore nelVeconomia wvietica (cap. I II di Novaja Ekonomika), in "VSA," 15/1926.

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bile che attraverso la riduzione relativa dei tassi di sviluppo dei secondo, e viceversa. "L e proporzioni nella ripartizione delle forze produttive si formano sulla base delia lotta di due form e economiche.""' Questa è anche la differenza di fondo rispetto agli schemi di riproduzione allargata di Marx. Nel Libro I I dei Capitale gli schemi intersettoriali si fondano sul regolatore unico delia “legge dei valore” analizzata dinamicamente, nelle sue trasformazioni — cioè sui meccanismi dei mercato concorrenziale. Quest’analisi non riflette in alcun modo la complessità delia situazione determinatasi con la NEP. Qui ritmo e struttura dello sviluppo sono dettati dal rapporto conflittuale tra economia statale e capitalismo privato. Questo rapporto forma le proporzioni e le interdipendenze tra i vari settori deireconomia soviética. La ripetizione dogmatica dei Libro I I , condita abbondantemente di marginalismo, è própria di Bogdanov'" — serve a rappresentare 1’economia soviética, alia Parvus, come borghese tout-court — ma non esaurisce neppure lontanamente il dibattito sulPindustrializzazione durante la N EP, e ancora meno è sufficiente per comprendere lo sviluppo, in quegli anni, del1’economia soviética o il "decollo” dei primo Piano. Due sistemi, dunque, due strategie politico-economiche, in lotta tra loro. Ma perché puntare sullo sviluppo rápido delle forme di produzione socialiste? sulla deíinizione di un piano di industrializzazione di base, fondato sui settori statali? Quale calcolo economico fonda tale prospettiva e tale scelta? Una eventuale "universalizzazione,” alia Bogdanov, dei meccanismi di mercato avrebbe comportato, anzitutto, 1’eliminazione delle barriere protettive intorno aU’industria pesante statale. Le risorse da investire in questo settore, la cui ristrutturazione abbisognava di spese di gran lunga superiori a quelle negli altri, non si sarebbero potute raccogliere in base ai meccanismi "norm ali” che determinano o indirizzano la riparti­ zione degli investimenti in un’economia di mercato. Nella Rússia delia N EP, infatti, i bisogni di ristrutturazione e la dimensione dei mercati che questi settori presentavano non potevano far prevedere saggi di proíitto neppure lontanamente vicini a quelli dei settori controllati o dominati dal capitale privato. II capitale privato non si sarebbe mai "naturalmente” indirizzato nei settori delPindustria di base, terminata la fase di ripristino ed iniziata la loro "ricomposizione organica.” L ’industrializzazione soviética avrebbe dovuto pun­ tare, aUora, sui settori a piú bassa composizione organica, suUe proihià. Cfr., E. P., Intervento al Dibattito Cos’è Veconorma política? (Relatore StepanovSkvortsov), in "VSA,” 11/1925.

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iluzioni di beni di consumo di massa. Era, tra l ’altro, la proposta di Sanin. Ma lo sviluppo di questi settori, attualmente dominati dal capitale privato, e strettamente collegati ai meccanismi di distribu/ione pure in mano al capitale privato e a forme economicbe piccoloborghesi, era impossibile senza un parallelo incentivo delia loro domanda. Senza crescita delia domanda, è impossibile che lo sviluppo di settori produttitvi capitalistici non incontri prima o poi momenti di recessione e di crisi. Qui doveva intervenire lo Stato garantendo r “armonia” tra oflEerta e domanda — e cioè garantendo, attraverso idonee misure di carattere creditizio e fiscale, congrue dimensioní di mercato all’offerta di beni di consumo di massa provenienti dai settori capitalistici deU’economia nazionale. Dal momento, però, che si era inizialmente esclusa, in base aUe "ferree leggi” deU’equilibrio economico, un’accelerazione dell’industria statale di base, queste dimensioni di mercato non potevano essere raggiunte attra­ verso un’espansione delia domanda di beni di consumo da parte dei proletariato industriale, i cui tassi di riproduzione non pote­ vano prevedersi che stazionari. L ’equilibrio tra domanda ed ofEerta era perciò raggiungibile soltanto attraverso la difesa delPaccumulazione nelle campagne e dei redditi che ne potevano derivare. Natu­ ralmente, la sua distribuzione avrebbe continuato a favorire quegli strati in grado di razionalizzare le colture, diminuire i costi, aumentare il plusprodotto — e cioè gli strati agiati, capitalistici delle campagne. Sulla base di questi vincoli soltanto, si poteva aílrontare, in un futuro imprecisato, il problema dell’industria di base. Ma la programmazione attuale poteva reggersi solo riconoscendo realisticamente questi rapporti, queste interdipendenze, queste priorità. Certo, questa impostazione negava alia radice il discorso di Lenin sulla N EP e faceva non solo dei settore statale ma dello Stato soviético stesso una “variabile dipendente” dei meccanismi capitalistici di mercato riattivati con la N EP. Si trattava, piú in generale, di una precisa concezione delia stessa rivoluzione russa e dei “período di transizione,” condivisa da larghissimi settori, in quel tempo, dei movimento operaio europeo. Ma non bastavano generiche denunce di questa impostazione e di questa concezione per esorcizzarle. Occorreva dimostrare che esse non erano inevitabili. Questa, delPinevitabilità, era in fondo la tesi di Bucharin e delia destra bolscevica — ancor piú chiaramente era la tesi di Stalin, fmo al ’2 6 -’27. Occorreva mostrare concretamente le possibilità di un’alternativa sul piano econom ico, sul piano delle strategie di svi­ luppo. II riconoscimento delPesistenza di due meccanismi, o di due regolatori, in lotta tra loro nel sistema soviético, costituiva certa-

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mente 1’inizio — ma non poteva risolvere la questione. Anche i menscevichi avrebbero potuto, in astratto, accettare un’analisi delia N EP come terreno di lotta tra opposti sistemi economici. Essi, in effetti, tenevano ad afíermare soltanto che, neUe condizioni di sottosviluppo” delia Rússia post-rivoluzionaria, il sistema economico maggiormente funzionale al "decollo,” maggiormente produttivo, era quello fondato, in ultima istanza, sui meccanismi d’equilibrio di mercato, e che puntare sulla grande industria statale di base avrebbe comportato non solo la rottura política con le campagne (auten­ tico pemo dei ragionamento di Bucharin), ma una serie irreversibile e micidiale di crisi di sovrapproduzione. E decenni di “scienza” eco­ nômica, anche “marxista,” testimoniavano a favore di tali previsioni. Non c’era pertanto altra scelta che passare dalPanalisi piú ri­ gorosa possibile delia natura conílittuale e di classe delia N E P , alia elaborazione delle linee generali di una strategia di piano, econo­ micamente fondata e non solo nobilmente mossa daU’orrore politico per le tesi delia destra, alternativa rispetto ad ogni modello di equilibrio; alia dimostrazione, infine, delia necessita e inevitabilità di tale strategia, in base ad un nuovo modello di sviluppo che sintetizzasse sul piano teorico l’esperienza soviética. Questo è 1’itinerario stesso di Nuova Economica, dai testi dei ’24-’26, raccolti poi nel I volume, a quelli dei ’26-27 che avrebbero dovuto formare il I I volume delPopera, e che vennero invece pubblicati solo come saggi sul "Notiziario." P. inizia liquidando in generale 1’immagine di un processo di accumulazione primitiva che awenga in termini "equ i.”'" Non esiste decollo industriale "autonomo.” L ’accumulazione primitiva capitalistica ha luogo attraverso 1’espropriazione vio­ lenta delle forme economiche pre-borghesi. L ’industria socialista dovrà altrettanto attingere dalle forme economiche piccolo-borghesi e dali'economia contadina. Descrivere altrimenti questi processi è utopia reazionaria. Una forma economica “eredita” una determinata base di rapporti e forme di produzione, sui quali non può immediatamente dimostrare la própria superiorità. Esiste necessaria­ mente un periodo di transizione, caratterizzato da uno scontro di classe violento tra i due sistemi, lungo il quale il nuovo sistema eco­ nomico cerca di attingere dal vecchio le risorse necessarie al suo raíforzamento e aUa sua generalizzazione. Soltanto verso la fine di tale periodo, esso sarà in grado di sviluppare tutti i vantaggi che gli sono organicamente propri. NeUa storia non si dà una sorta di Sono qui sunteggiate le tesi fondamentali dei cap. I I dei vol. I di Novaja Ekottomika, cit., La legge fonãamentale delVaccumulazione socialista primitiva.

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continuità organica indolore, per cui i nuovi sistemi economici sorgano una volta naturalmente esaurite le forme precedenti. Tra l ’altro, una símile concezione comporterebbe la liquidazione di qualsiasi carattere strutturale delia lotta di classe, davvero determi­ nante per le forme dello sviluppo delle forze produttive. II pro­ blema sta dunque nello stabilire secondo quale parametro deve avvenire r"alienazione” di una parte dei plusprodotto delle forme presocialiste di economia. Questo è il problema essenziale, beninteso, delPaccumulazione socialista primitiva. Occorrerà passare al piú presto ad una fase deU’accumulazione socialista fondata sulle risorse deWindustria stessa. Ma la rapidità dei periodo di transizione è direttamente proporzionale alia radicalità con cui verranno prese le misure necessarie perché 1’industria statale di base possa attingere alPaccumulazione delle forme economiche presocialiste. Questa "trasformazione” può avvenire soltanto grazie ad un preciso piano dello Stato, al monopolio dei commercio estero, ad una de­ terminara política dei prezzi, íissati in sede di programmazione, ad un sistema, altrettanto pianificato, di ta rife per 1’industria dei trasporti, alia política íiscale e creditizia. E l ’obiettivo di tale trasfor­ mazione è il raferzamento e la riorganizzazione dei settori deli'in­ dustria di base statali, 1’innesco delia riproduzione allargata socia­ lista. È "razionale” questa política? A seconda delPobietrivo. Se il line è 1’equilibrio con le forze di mercato date, essa non è “razio­ nale.” Se lo scopo dei regime soviético è accelerare Tindustrializzazione di base, raggiungere in breve tempo una própria auto­ nomia in questo settore, ridurre le sproporzioni con i prezzi mondiali — se lo scopo dei regime soviético è dimostrare la superiorità dei sistema socialista nel raggiungere questi obiettivi — allora lale política è necessária. È realizzabile questa política, senza produrre lacerazioni micidiali nel tessuto di classe dei potere sovielico? Soltanto questa política è tale da non portare alia catástrofe. 11 raferzamento degli strati capitalistici neirindustria e nelle campagne, e dei loro controllo sulla distribuzione, imporrebbe con Ircquenza sempre maggiore carestie di merci nelPattesa di processi inflazionistici o delia riduzione dei prezzi delPindustria di Stato. Ciò provocherebbe la liquidazione di gran parte dei settori di questa industria e, quindi, gravissimi problemi occupazionali. I.’unità alPinterno delia stessa classe operaia ne risulterebbe spezzala. D ’altra parte, le cooperative ed in genere ogni forma associa­ tiva tra i contadini nelle campagne sarebbero di nuovo attratte nelI'âmbito deIl’economia di mercato, essendo sempre meno in grado 1'inditstria di Stato di soddisfare la loro domanda. Avremmo cosí

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la rottura delPalleanza da entrambi i lati. Certamente, esistono pericoli nella realizzazione delia "legge” fondamentale deU’accumulazione socialista. Bisognerà evitare ogni forma di intervento che si risolva in un aggravio delle condizioni salariali o occupazionali delle masse operaie e contadine. Bisognerà puntare anzitutto su una stesura di bilancio che privilegi in modo nettissimo Tinvestimento produttivo. Questi pericoli possono essere evitati. È invece nella lógica delia strategia delia destra e menscevica la resa incondizionata al capitalismo privato. E questa resa va evitata a tutti i costi poiché significherebbe, anche e anzitutto, una catástrofe econôm i­ ca, stanti le condizioni e le esigenze obiettive delPURSS di allora: blocco deirindustrializzazione e "irruzione” dei prezzi mondiali, disoccupazione, aumento inílazionistico dei prezzi dei beni di con­ sumo e dei prodotti agricoli. Crisi economica, disoccupazione e injlazione: la ricetta ancora attuale dei sottosviluppo. Su questa base, P. formulerà in V equilibrio economico nel si­ stema deirURSS"' le condizioni per lo sviluppo deH’economia sovié­ tica. Sono in realtà condizioni di squilibrio: tra prezzi opera ti dal settore statale e prezzi mondiali — tra le proporzioni di accumulazione da realizzare nelPindustria statale a confronto con quelle deli'industria capitalistica privata — tra i tassi di investimento nei settori delPindustria pesante, nella produzione di beni capitale, e i settori di produzione di beni di consumo — tra la crescita deUa forza-lavoro industriale e Paumento complessivo delPoccupazione. È il ’27, e queste tesi cominciano a difíondersi, vedremo in che forme e perché, ai livelli piú alti dei partito e dello Stato. Ma ad una questione che la destra poneva al centro dei suo ragionamento occorreva ancora dare risposta. Ammesso il ritmo di industrializzazione proposto da P ., ammesso anche lo squilibrio in funzione dello sviluppo delPindustria pesante, come evitare crisi di sovrapproduzione, dato, inoltre, che la difesa dei prezzi industriali avrebbe bloccato, per un periodo indefinito, il mercato contadino? Dove finirà il plusprodotto? AlPinterno di un determinato modello economico, queste domande hanno certamente un senso. Ma soltanto se ne accettiamo i parametri. E questi riguardano essenzialmente il fatto che un processo di industriaÜzzazione debba avvenire sulla base di una determinara domanda che si forma in un contesto di mercato. Un settore potrà allora svilupparsi soltanto “in armonia” con que­ sta domanda — e un sistema economico si avvicinerà alPuso ottimale delle sue risorse nella misura in cui riuscirà a creare una tale siE P. L ’equilíbrio economico nel sistema deWURSS (Contributo ad una discussione), in "VSA,” 22/1927.

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liiazione di equilíbrio. Corollario di ciò è che un settore si sviluppcrà nella misura in cui riuscirà a realizzare con profitto il proprio plusprodotto. II profitto è dunque anche misura dei grado delPet|iiilibrio domanda-oflerta, è dunque “grandezza sociale,” parâme­ tro di "equo” funzionamento dei sistema economico nel suo complesso. Ma il compito di ristrutturare Tindustria di base statale non è limitabile ad un breve ciclo “aziendale.” Questa ristrutturazione, il salto tecnologico ed organizzativo che comporta, abbracciano un periodo praticamente illimitato. Per tutto questo periodo nulla vieta di considerarli anche sotto 1’aspetto delia domanda. Lo sviluppo deU’economia socialista richiede sempre nuovi investimenti per 1’espansione e la ricomposizione delia própria struttura di base. L’espansione delPindustria statale costituisce il mercato fondamentale deU’industria statale stessa. L ’investimento non è funzione di una domanda "estem a," ma delia disponibilità di capitale, che inizialmente si deve attingere anche dalle forme presocialiste di eco­ nomia, ma che in seguito verrà sempre piú tratto dai margini di accumulazione delia stessa industria statale. In questo schema non c ’è posto per crisi di sovrapproduzione. Stabiliti ripartizione tra i settori e ritmo dei processi di ristrutturazione in base a determinate risorse provenienti sempre piú dalPinterno delia stessa eco­ nomia socialista, 1’equilibrio è assicurato. II ritmo di industrializzazione produce la própria stessa domanda. Questo schema, sul quale torneremo, costituisce il raggiungimento ultimo delPanalisi di P. suUa NEP. Esso vuole indicare la possibilita di uno sforzo concentrato, massiccio sul fronte delPindustrializzazione di base. Ma, insieme, esso delinea una nuova teoria dello sviluppo — un approccio ai problemi dello sviluppo e, soprattutto, dei "decollo" economico, completamente alternativo rispetto a quelli tradizionali. Questo aspetto dei pensiero econo­ mico di P ., tuttora pressoché ignorato in sede storiografica, si collegava ad un’analisi precisa delle contraddizioni e delle tendenze delia N EP — dei suo inevitabile superamento. Intanto, la crisi tlella fine dei ’27 portava una serie formidabile di ragioni in favore di queste tesi e decretava la rottura definitiva dei “fronte” Bucharin-Stalin.

4. La lotta politica intorno al piano Non è certo di colpo che risultano evidenti e realizzabili tutte Ic implicazioni dei discorso di P. P. stesso, come abbiamo visto.

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era molto attento neirindicare le fasi che la strategia di industrializzazione avrebbe dovuto attraversare. Nel período dell’"accumulazione primitiva” lo sforzo massimo avrebbe dovuto concentrarsi nelia lotta alie forme pre-capitalistiche e nelPattingere, invece, quanto piú era possibile dai profitti capitalistici. Lo Stato sociali­ sta non avrebbe potuto intervenire direttamente nei settori controllati dal capitale privato. Doveva però disporre degli strumenti per "trasformarne” Taccumulazione. Soltanto sulla base creata da questo tipo di processi poteva radicarsi una strategia di "riproduzione allargata” delle forme economiche socialiste — uno schema di industrializzazione quale abbiamo appena ricordato. II rafforzamento degli strati agiati nelle campagne, dei meccanismi speculativi che essi sostenevano, grazie anche alia disastrosa situazione dei settori distributivi e ad una politica non selettiva dei credito alia cooperazione, rendeva sempre piú necessari provvedimenti che andassero in tale direzione. Già nel corso dei ’25 Zinov’ev si era distaccato nettamente daUe posizioni buchariniane, spezzando il relativo isolamento delle tesi delia sinistra. Il ’25 segnò infatti r"ann o critico” dei processo di rafforzamento dei Kulak.'" Al Comitato Centrale dei luglio dei ’26, Zinov’ev attacca Bucharin di concerto con Trockij sulPinsieme delia politica delia N EP nelle campagne.'" Bucharin ribadirà anche in quella occasione le sue vecchie tesi sulPallargamento dei mercato attraverso il sostegno deli’ industria privata e r “inevitabile” rafforzamento degli elementi Kulaki. Ma personalità come Miljutin, presidente delia Sezione agraria delPAccademia, passano ad una linea di "attacco indiretto” alie posizioni buchariniane, che pure godono ancora dei crisma delia uíEcialità. È nel corso dei ’27 che la situazione precipita. Di fronte alia crisi delPautunno, chiaramente prevista dalla sinistra, le posizioni delia destra, cosí come le "cifre” dei Gosplan, 1’assetto generale degli strumenti di programmazione, appaiono ormai insostenibili. Nel dicembre dei '21, un mese dopo 1’espulsione dal partito di Trockij e Zinov’ev, al XV congresso, Stalin inizia l ’attacco alia destra, esplicitamente appoggiato da Molotov, il quale, nelle Conclusioni, aífermò che il dilemma non consisteva piú se sferrare o meno 1’attacco, ma sul método migliore da adottare nel condurlo.'" Le ovvie considerazioni sulla situazione economica contingente non bastano a spiegarci la “svolta.” Negli anni precedenti si erano già M. D obb, Storia delVeconomia soviética, tr. it. Roma 1972, p. 207. Cfr. E. H. Carr e R. W. D avies , Le origini delia pianificazione soviética, vol. I, Agricoltura e industria 1926-1929, Torino 1972. M. D obb, op. cit., p. 227.

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avute crisi dai meccanismi analoghi — e analoghe erano State le critiche e le accuse delia sinistra. Eppure, ancora al X IV , in una situazione politica diíEcilissima, nella quale Bucharin si era troppo i-sposto, Stalin aveva ribadito il suo appoggio alie tesi sulle polenzialità di ripresa e di sviluppo dei modello N EP proposto dal suo vecchio avversario al X congresso. Erano, dunque, subentrati fenomeni nuovi e, ancora, alcuni processi si erano fatti irreversibili. A livello internazionale i movimenti rivoluzionari dei dopo-guerra avevano súbito pesanti sconfitte. II ciclo capitalistico sembrava consolidarsi, sulla sda di quello ormai "guida” americano. Questi processi di stabilizzazione dovevano incidere a piú livelli sulla politica so­ viética. Essi permettevano, anzitutto, il formarsi di un fronte ca­ pitalistico piú unito, sul piano sia politico sia economico-commerciale, nei confronti delPURSS. Le speranze riposte anche da Lenin, alI’inizio delia N EP, sugli investimenti stranieri e sulla crescita degli scambi commerciali, ne venivano in gran parte liquidate. È indubbio che uno dei presupposti, spesso taciti, delle tesi delia de­ stra sulPinevitabilità dei raíforzamento degli elementi capitalistici c dei meccanismi di mercato, fosse la costituzione di un "clim a” economico-istituzionale in grado di incentivare Tinvestimento estero. Nel ’27 queste “intenzioni” avevano fatto bancarotta. Ma anche i progetti, comuni sia alia destra che, come abbiamo visto, a P ., di "internazionalizzazione” delPeconomia soviética, si rivelavano irrealizzabili. L ’URSS poteva consentire sol tanto uno scambio unilaterale con le economie capitalistiche, ma questo era pensabile sollanto nelPipotesi di un’acutizzazione drammatica delia lotta di classe al loro interno. D ’altra parte, la "coerente” proposta delia destra per la liberalizzazione degli scambi venne accantonata imincdiatamente, dopo i violenti attacchi dello stesso Lenin. Non si poteva pagare la crescita degli scambi con la distruzione delPeconomia di base statale. "Internazionalizzazione” avrebbe di fatto significato "colonizzazione” delPeconomia soviética. Ma c’è un altro aspetto, meno evidente, forse, ma piú sostanziale, delia situazione capitalistica di allora, aspetto che minacciava l’intero sistema delia N EP. Non si trattava, infatti, di un periodo (li stabilizzazione "difensiva,” ma di ampi e violenti processi di risirutturazione e riorganizzazione, che spesso mutavano la compo'.izione di classe di interi paesi e distruggevano materialmente le l)nsi di forza dei movimenti operai. Ciò era evidente soprattutto ncgli USA — né i sintomi di crisi che già allora venivano osservati potevano mutare il quadro complessivo: boom degli investimenti, Niilto di produttività nelTintero sistema, trasformazioni tecnologiche

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e organizzative vastissime. L ’economia soviética non era piú chiamata a reggere il passo con i semplici processi dei ripristino postbellico delle economie capitalistiche. Se già al lancio delia N EP era enorme la forbice tra organizzazione industriale russa e quella capitalistica occidentale, tra prezzi delPindustria russa e i prezzi di mercato mondiali, questa forbice era sul punto di aprirsi in modo irreversibile con la crisi dei ’27. Per tenere il passo, occorreva non solo il reperimento di una massa enorme di capitali, ma un loro uso drasticamente vincolato alie esigenze dell’industrializzazione. Queste considerazioni suUa situazione internazionale si univano a quelle suUa fase interna dell’economia soviética. II processo di ripristino era terminato. Lo sviluppo successivo avrebbe potuto fondarsi soltanto sulla creazione di nuovo capitale íisso. La massa di investimenti necessari ad aw iare e a mantenere la piena utilizzazione degli impianti "ereditati” non è grandezza commisurabile agli investimenti necessari per procedere ad una ricomposizione organica delia base industriale. Pjatakov e P. fornivano a questo proposito calcoli economici incontrovertibili. O si abbandonava la strategia di industrializzazione di base, perdendo ogni contatto con i ritmi di sviluppo delle economie occidentali piú avanzate, limitandosi al rafforzamento delia piccola industria privata, pensando magari che ciò avrebbe prodotto un allargamento dei mercato, mentre invece si sarebbe andati alia liquidazione delia grande industria e a forme di disoccupazione di massa — oppure bisognava attaccare immediatamente ogni for­ ma di accumulazione borghese, "trasformarla” in riproduzione allargata delPindustria di base, attaccare ogni forma di “risparmio” e fare delPinvestimento una funzione unicamente deUa disponibilità di capitale. I rapporti di mercato e di equilibrio domandaofferta, finora dominanti neUa N EP, potevano valere soltanto nella prospettiva delia fase di ripristino — o nelPattesa di una internazionalizzazione favorevole deU’economia soviética — o di massicci investimenti stranieri, disposti a mantenersi sotto il controllo dei prezzi e dei mercato caratteristico dei sistema soviético. Queste condizioni erano ormai una ad una scomparse. II gradualismo delia destra, le sue concezioni di uno "sviluppo orgânico” delia NEP, erano potute sembrare realistiche finché Pavversario stesso aveva proceduto "a passo di tartaruga." Ma la fase di ripristino post-bellico era terminata per tutti, anche per quegli strati capitalistici e piccolo-borghesi delTeconomia soviética che ormai avrebbero potuto svilupparsi, secondo la própria lógica, soltanto rovesciando a proprio favore la duplicità e contraddittorietà delia NEP. Le for-

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me economiche di base controllate o dirette dallo Stato erano giunte ai limiti delle proprie possibilita di sviluppo alVinterno delia “democrazia" di mercato — ma anche gli elementi attivi di tale "democrazia” non potevano piú oltre svilupparsi airinterno dei limiti imposti dal potere soviético in matéria commerciale, finanziariocreditizia e fiscale. I risultati dello scontro potevano essere messi in dubbio, ma non la scelta che i dirigenti dei partito e dello Stato erano chiamati a fare. La base di classe dei loro potere consisteva nella crescita delia forza-lavoro industriale e nel rafíorzamento dei movimento di cooperazione. Questi processi erano comunque avanzati nel corso delia fase di ripristino. Ma avrebbero indubbiamente súbito un arresto se non si passava alia ristrutturazione delia base industriale e alia trasformazione radicale dei rapporti di produzione nelle campagne. Nella fase di ripristino si era potuto definire un “equilibrio instabile” tra riproduzione di forza-lavoro industriale, cooperazione e rapporti capitalistici di mercato. Ma se Ia nuova situazione si fosse dovuta affrontare secondo la lógica di tali rapporti, e cioè attaccando i settori meno competitivi sul piano dei prezzi mondiali e allargando le dimensioni delia domanda se­ condo le “regolarità” emerse nella fase precedente (cioè in direzione dei consumo "borghese” e degli strati agiati delia campagna), queH’equilibrio si sarebbe immediatamente rotto sul fronte deIl’occupazione industriale, e lo stesso movimento cooperativo sarebbe stato fagocitato dalla concorrenza delle forme capitalistiche di pro­ duzione. AlPinterno dei Gosplan e, con maggiore o minore coscienza, dello stesso partito, c ’era chi lavorava a questa "soluzione." Ma tesi simili avrebbero distrutto il rapporto difficile, indiretto, funzionale, ma pur sempre decisivo tra Stato soviético, partito e classe operaia — e tale rapporto era la base di classe dei potere soviético, la sua forza. Questa era la posta eííettivamente in gioco — non piú un’interpretazione delPalleanza — non piú nemmeno Palleanza in quanto tale, ma ciò che vi era rimasto implicito e sottaciuto: il rapporto Stato-partito, partito-classe. AlPepoca dei XV la destra cerca di accomodare le proprie posizioni di fronte alPesplodere evidente delia crisi. La crisi c ’è, ma può essere ancora superata con gli strumenti "classici” delia N EP. Kykov rispondeva in questi termini a P .’“ Ma le posizioni di Stalin scavalcavano già queste timide difese. II centro delia sua relazione al XV congresso era costituito dalPanalisi delia situazione in vista delia “* Cfr. M. Lewin, op. cit., capp. 6-8.

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ripresa deiroffensiva.'* E la risposta era afíermativa; la crescita dei settori socialisti era stata rapida, gli investimenti privati erano scesi dal 5 6 % dei totale nel '24-25 al 3 4 ,7 % nel '27-28, la "duplicità” delia N EP andava risolvendosi — anzi, il regime soviético non poteva piú a lungo mantenersi sulle basi eterogenee delia fase di ripristino.'” La fase di industrializzazione che si apriva compor­ tava un raíforzamento delPunità delia direzione, ma anche delia compattezza delia stessa struttura economica. Ogni idea di programmazione a lungo termine sarebbe stata altrimenti irrealizzabile. Nel Comitato centrale dei luglio 1928 avvenne il primo scontro frontale. La destra scese alio scoperto richiedendo la difesa dei prezzi agricoli. Bucharin critico le tesi dei “superindustrialisti" ancora in nome dell'“alleanza,” mentre ben altro (come abbiamo visto), alleanza compresa, stava andando a pezzi. Che l'“apparato” durante il dibattito si spostasse verso le tesi di Stalin, delegazione di Leningrado in testa, era, sí, “inevitabile.” Stalin ripeté in forma ancora piú radicale la necessita dello "scambio iniquo” con la campagna teorizzata da P. "P er aumentare il ritmo corrente dello sviluppo industriale," i contadini devono pagare troppo cari i manufatti e subire una perdita attraverso i prezzi dei prodotti agricoli. Per quanto ciò fosse “sgradevole,” lo sviluppo delPindustria socia­ lista non poteva avvenire altrimenti.'^' La destra lottò per tutto il '28 — ma gli argomenti che Bucharin portò nel novembre con le sue famose N ote di un economista non aggiungevano una virgola alie vecchie tesi. Ancora nella stretta dei primi mesi dei '29, la de­ stra, ora in rapporto con i resti delPopposizione trockista, chiedeva il ristabilimento dei rapporti economici “normali” delia N EP, l'eliminazione degli ostacoli al commercio per le aziende dei Kulaki e perfino il ricorso alPimportazione nel caso di crisi nelPapprovvigionamento di grano. Neanche un anno dopo il gruppo era espulso dalPUíEcio politico e costretto all'"autocrítica" sulle pa­ gine delia "Pravda.” Negli stessi giorni (novembre dei '29), in un articolo per il X II anniversario delia rivoluzione,'“ Stalin poteva aífermare che il “blocco” íinanziario-creditizio decretato dalPOccidente capitalistico era stato battuto: gli investimenti nelPindustria Stalin, Relazione Política al XV Congresso dei PCR (b ), 3 dicembre 1927, ín Opere, vol. X (ed. Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca), pp. 253-263. Lo sviluppo deH’ultima fase delia NEP, anche nelle sue linee precedenti il XV Congresso, è sunteggiato bene da A. Nove, Storia economica deWURSS, Torino 1970. Stalin, Opere, vol. XI, pp. 157-187. Stalin intervenne negli stessi termini anclie alla sessione di novembre dei CC, cfr. Opere, vol. XI, pp. 254-255. Questa fase deliu lotta politica è seguita bene dal Carr-Davies , op. cil., e dal 1.EWIN, op. cit. (vedrcmo sii bito i limiti di queste opere). Stalin , Uanno delia grande svolta, in Opere, vol. XII, pp. 105-120.



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pesante erano passati in un anno da 1300 milioni di rubli a 2500 — 1’aumento percentuale delia produzione deU’industria pesante dal 3 0 % al 4 6 % . Nelle campagne, entro il 1930, il 5 0 % deli’ intera produzione sarebbe stato fornito dalle aziende collettive, con dimensioni anche di 50.000 ettari. Questi dati liquidavano sia le tesi gradualistiche alia base delle veccbie “cifre” dei Gosplan per il Piano quinquennale che 1’opposizione di destra. Accelerare radi­ calmente, oltre ogni ipotesi di equilibrio di mercato, industrializzazione e collettivizzazione era dunque possibile. II sistema soviético nel suo complesso, il quadro politico-istituzionale che esso ofiriva, lo permetteva. Ma come si era sviluppata una tale linea? che cosa avrebbe compor tato? in che rapporti si collocava con le tesi delia sinistra? Da questo punto di vista, un’interpretazione complessiva delia “grande svolta” è ancora tutta da dare. La storiografia si limita a registrare ciò che pare essere il "dato di fatto”: Stalin si accosta "oggettivamente" alie tesi delia sinistra, ne fa propri gli argomenti, anzi: si spinge piú in là dei piú focosi superindustrialisti. Svolta radicale, completa. Come, poi, questa si accordi alia politica nei confronti delia sinistra, è semmai spiegato in base al permanere di divergenze "ideali.” E se ci siano ragioni piú profonde di quelle tattiche evidenti nei tentativi di alleanza tra buchariniani e trockisti, rimane aííatto misterioso. Cerchiamo di ricostruire situazione c posizioni, tenendo presente 1’analisi fin qui seguita. II primo mito in cui ci si imbatte riguarda la identità delle tesi di Stalin con r “economica” buchariniana nel corso delia N EP, fino al ’27. Tutte le argomentazioni di Stalin nella lotta contro 1’opposizione trockista sono politiche: esse riguardano le caratteristiche delia rivoluzione russa, la situazione di classe in rapporto al sistema di potere so­ viético, alio Stato. “La rivoluzione non si esaurisce con 1’ottobre. l.’ottobre è soltanto 1’inizio deUa rivoluzione proletária.”'” La parola d’ordine delPottobre è il governo operaio e contadino. "Scavalcare” il movimento contadino significa “giocare alia presa dei potere.” Ma “movimento contadino” indica una realtà di classe pii-cisa, determinati rapporti di produzione. II problema poli tico dclla N EP è la loro trasform azione. Nel pieno delia crisi dei ’24, di lionte alPinsurrezione georgiana, al crescere delle resistenze nelle nimpagne e nei villaggi, Stalin parla di raflíorzamento dei partito, dl 11’attivizzazione politica di vasti strati contadini, che vanno sotS t m .in , Trotskismo o Leninismo, Discorso alia Riunione Plenaria dei Gruppo &3.... . dei Consiglio Centrale dei Sindacati deU’URSS, 19 novembre 1924, in Opere, '■"I VI (cd. it., Rinnscita), p. 395.

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tratti alPinfluenza dei Kulaki, dei rilancio dei soviet e delia partecipazione contadina aWamministrazione. Ma alia richiesta precisa che stava alia base delle agitazioni nelle campagne — diminuzione dei prezzi dei prodotti industriali, aumento dei prezzo dei grano — Stalin non dà alcuna risposta. In tutti i suoi interventi dei periodo, 1’essenziale delle tesi buchariniane (la difesa dei prezzi agricoli, in quanto motore delia domanda, in funzione dello stesso sviluppo industriale) è taciuto o dei tutto in second’ordine nei confronti dei problemi politici dei raíforzamento e delia organizzazione dei potere soviético nei punti vitali dello scontro. Né questa linea può certo essere vista in funzione di una progressiva "liberalizzazione" del1’economia contadina. Nel ’25, le nuove elezioni dei soviet daranno, in numerosi distretti, drammatici risultati: "il contadino m edio si è schierato dalla parte dei kulak contro il contadino p o v e r o . Le tesi delia sinistra sulla necessita di "attizzare” la lotta di classe pare insensata in una tale situazione. Ma Stalin non propone certo Taccoglimento delle richieste economiche che stavano aUa radice deH’aííermazione degli strati agiati. Egli ripete gli obiettivi di riorganizzazione politica dei partito e dei soviet, e ribadisce la funzione essenziale delia cooperazione. Nello stesso dibattito al X IV , pur dicendosi con Bucharin, Stalin prospettava un quadro delia N EP sostanzialmente opposto: occorreva comprendere la duplicità delia N EP e come in questa duplicità le forme economiche socialiste lottassero per “impadronirsi” dei metodi e delle armi dei capitalismo. L ’essenziale era comprendere la contraddittorietà dei processi in atto. Ma la linea strategica era ribadita al di là di ogni dubbio: se certamente la N EP implica commercio, lavoro salariato, forme capitalistiche di produzione e di mercato, essa non è capitalismo, e lo Stato neUa N EP lavora per superare ogni forma politico-economica presocialista. Con ciò Stalin rifiutava le richieste di "offensive" delia sinistra. Ma allorché ribadiva la natura duplice e antagonistica delia N EP si dimostrava ancora piú lontano dalla destra e, soprattutto, dalle ideologie dominanti negli ambienti social-menscevichi dei Gosplan. E , d’altra parte, Talleanza stessa con Bucharin si fondava sempre piú chiaramente sulla necessità delia lotta alia sinistra piuttosto che sulPaccettazione dei programma economico che questi proponeva. Basti vedere come 1’attacco a Zinov’ev al X IV costituisca insieme un attacco indiretto a qualsiasi "deviazione” menS talin , Bilancio dei Lavori delia XIV Conferenxa, Rapporto aH’Attivo dcirOrganizzazione di Mosca dei PCR (b), 9 maggio 1925, in Opere, vol. V II, p. 143.

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scevica o di destra. O le distanze nette che Stalin prende immediatamente rispetto all’"arricchitevi” di Bucharin.”* Le profonde diversità tra la destra buchariniana e Stalin sono altresí testimoniate dai tentativi di awicinamento a Trockij da parte di Stalin — non certo comprensibili in base alie categorie demonologiche dei trockismo successivo. Stalin cercò un rapporto con Trockij nel ’25, alPepoca dei piú feroci attacchi a Trockij da parte dei futuri alleati Kamenev e Zinov’ev. Questo tentativo fu ripetuto ancora nelPaprile dei ’26, quando circolò addirittura la voce che la direzione delPeconomia venisse affidata a Trockij. Ad una riunione dei Politbjuro, Stalin si disse d’accordo con le tesi trockiste sulla situazione economica al 9 0 % ‘“. Andava cosí ma­ tutando la "svolta” — aUa quale, per motivi oggettivi e di linea strategica, anche sul terreno dei piano economico, come vedremo, la sinistra trockista non avrebbe potuto aderire. L ’alleanza con Zinov’ev e Kamenev, dopo il X IV , è il primo passo verso il suo riawidnamento a Bucharin — queste scelte politiche riflettono sviluppi e contraddizioni di Trockij sul piano concreto deUe scelte economiche e di programmazione. Lo sbocco logico di questa posizione si ha con la sessione dei Comitato centrale dell’aprile dei 1926. Nel suo discorso, e soprattutto in quello successivo che tenne alPorganizzazione di Leningrado pochi giorni dopo sui lavori dei CC, Stalin parla di un nuovo periodo delia N EP.'” La fase "agricola” è terminata — il centro di gravità si è spostato verso 1’industria. Non è piú possibile fondare lo sviluppo dei paese sullo sviluppo delia sola agricoltura. Anzi, lo sviluppo ulteriore di quest’ultima abbisogna delia rapida, immediata adozione di una politica di industrializzazione — non generica, ma altamente selettiva: fondata sulPindustria pesante metalmeccanica. Come reperire i capitali necessari? Gli stanziamenti finora decisi sono insufficienti. Crediti esteri non sono piú pensabili. La Rússia soviética non dispone di colonie da spogliare. “Resta una quarta via per 1’industrializzazione, quella di investire i propri risparmi nelPindustrializzazione, quella deli’ accumulazione socialista."'” Mi pare abbia scarsa importanza l ’analisi dettagliata dei provvedimenti che poi Stalin propone (ancora Cfr., soprattutto, S talin , Discorso di chiusura al XIV Congresso, 23 dicembre 1925, in Opere, vol. V II, pp. 399 sgg. V. S erge , Vita e morte di Trotskii, Bari 1973, p. 169; pp. 173-174. S talin , La situazione economica deWURSS e la politica dei Partito, Rapporto nU’Attivo deirOrganizzazione di Leningrado sui lavori delia Sessione Plenaria dei CC dcl PCR (b), 13 aprile 1926, in Opere, vol. V III, pp. 150 sgg. *“ Ibid., p. 159.

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estremamente "m ediati,” anche se è posta in evidenza la svolta necessária nel campo delia política fiscale). Ciò che conta è la scelta deirindustria pesante e 1’assunzione esplicita dei problema delFaccumulazione; ciò che conta è la dichiarata impossibilità di affrontare questi compiti con gli strumenti propri delia prima fase deUa N EP. Queste scelte innescano conseguenze irreversibili sul piano dei reperimento dei capitali e delia loro destinazione, conse­ guenze che verranno tratte, in tutto il loro peso político, nel dicembre dei ’27, al XV congresso. Non c ’è dubbio che le considerazioni che spingono Stalin ad assumere, tra il ’26 e il ’2 7 , le posizioni che abbiamo visto, riguardino anzitutto i rapporti internazionali e i rapporti di forza interni delPURSS. Ma non si tratta di "svolta,” semmai di una scelta definitiva da parte di Stalin sulla base di alternative che gli erano sempre State presenti.'® Si tratta di sciogliere, in base ad un’analisi delia situazione e delle sue tendenze, il nodo delle contraddizioni delia N EP. Ma queste contraddizioni erano sempre State riconosciute e il ruolo specifico dello Stato soviético in esse aífermato con forza. Mai era stata accettata senza riserve la linea di “equilíbrio" buchariniana, una strategia di industrializzazione a “bassa composizione organica,” fondata sulla produzione di beni di consumo. Mai erano State "teorizzate” le richieste degli strati borghesi e capitalistici, sia delPindustria che delia campagna, riguardo all’“iniqua” política dei prezzi operata dallo Stato soviéti­ co. Certo, le prospettive concrete deli'industrializzazione sovié­ tica rimangono incerte in Stalin fino al '26. Ma la scelta tra una forma e 1’altra di industrializzazione non dipendeva dalla "razionalità” o meno dei modello economico. Scegliere un programma fondato sull’industrializzazione pesante, significa disporre di enormi masse di capitali. E disporre di capitali significa poterli ottenere: disporre di un apparato istituzionale e di partito in grado davvero di reperirli. Ancora nel '26 le incertezze di Stalin sulle possibilità di reperimento dei capitali sono incertezze politiche: terrà a questa oííensiva il fronte con i contadini medi e poveri? terrà l ’organizzazione interna dei partito? È tra il '26 e il '27 che Stalin si chiarisce definitivamente sulla necessità delia "svolta.” Ma questo chiarimento, di carattere politico-economico generale, fa tu tt’ uno con un colossale sforzo di organizzazione, nel quale vengono stritolate le opposizioni di destra e di sinistra. Discorso opposto fanno lo Spulber, il Carr, il Lewin e anche A. Eriich, per non pmtnrc ilclla Ictteratura menscevica e trockista.

I‘rc()hriilcnskii e il Jihattiln sull'inJuslrialnzazio»c durante la NIÍP

Mii pcrché questo attacco su due fronti? Le ragioni dei di»iiuo) da Bucharin sono ormai chiare nelle loro lontane radiei; esse iilloiulano nella concezione stessa delia N EP. Gli avvenimenti dei Jí) 27 non faranno che evidenziarle drammaticamente. Anche i moiivi delia lotta contro la sinistra trockista sono chiari fino al La “duplicità” delia N EP non poteva essere "risolta": né III ttn senso, né neW dtro. E non per “maligna” volontà politica; 11 NEP costituiva oggettivamente un sistema di forze politicamente luiiirapposte, strategicamente alternative, ma, in una precisa fase '.lorica, impossibilitate entrambe a riportare una piena afíerma/lone. II potere soviético non poteva liquidare i meceanismi di incrcato che gli erano indispensabili per rilanciare lo sviluppo delle lorze produttive nel paese. I meceanismi di mercato non potevano iiKcire dai "lim iti” delia politica economica soviética. La sinistra, genericamente intesa, rifiutava di riconoscere questa funzionaUtà (Icl mercato alio sviluppo delPeconomia soviética, in una particoliire fase storica. Per Stalin, spezzare tale rapporto avrebbe signi(icato la lotta aperta all’economia borghese e capitalistica in una situazione sfavorevole sia economicamente sia politicamente. Oltre, cioè, al nuovo arresto che sarebbe stato imposto alio sviluppo, i rapporti di classe e di forza esprimevano ancora chiaramente 1’isolamento degli strati operai deUa grande industria. La crisi dei soviet, degli organismi decentrati di amministrazione e dei partito nelle campagne dimostrava, inoltre, che lo Stato soviético non era ancora riuscito a strutturarsi ed articolarsi sul piano delPiniziativa e delPintervento economico, sul piano delPindirizzo e delia direzione dei processi di sviluppo. Non che nel ’27 tutte queste incognite fossero State risolte. È però indubbio che, grazie anche aUa battaglia delia sinistra, la du­ plicità delia N EP era rimasta un fatto reale. Lo stesso dibattito al Gosplan, gli stessi interventi di P ., dimostrano che il problema delrindustrializzazione era alPordine dei giorno e che i tassi di inve­ stimento nell'industria pesante di Stato erano in crescita rispetto a quelli degli altri settori. La "svolta” non nasce dal vuoto, ma da una serie di provvedimenti, di interventi, di dibattiti che avevano comunque portato ad una conclusione abbastanza rapida delia fase di ripristino e premevano sistematicamente per 1’adozione di una politica d’industrializzazione piú radicale. Inoltre, come già abbiamo visto, la “conservazione” delia precedente politica NEP appariva ormai insostenibile per una serie di ragioni economiche oggettive, interne ed internazionali. La posizione di Stalin matura in questa situazione ed ha questo “passato." Certo, essa non poteva limitarsi

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a trarre le somme di un processo già concluso, ma interveniva su tendenze politico-economiche comunque già iniziate e poteva far leva su un’organizzazione istituzionale e di partito già sufficientemente in grado di recepire la nuova fase e rispondervi. II problema dei rapporto con la sinistra si colloca in questo contesto. Le ragioni delPattacco aUe tesi trockiste fino al ’26 sembrano perdere molto dei loro significato a partire da quelLanno. Stalin stesso ribadisce continuamente, dal ’27 al ’29, che ora final­ mente è possibile adottare una politica ofiensiva nei confronti degli strati borghesi e capitalistici, sul piano fiscale e degli investimenti — che ora finalmente lo Stato soviético ha suíEciente potere da imporre i meccanismi propri delPaccumulazione socialista. Co­ me alia storiografia successiva, anche a Bucharin, alia destra “contadina" e ai menscevichi, sembrava che Stalin avesse abbracciato quasi senza riserve le tesi trockiste e di P. sulPaccumulazione, l ’industrializzazione e il método di piano. Ora che abbiamo sgombrato il terreno dal mito delia "svolta,” possiamo affrontare con minor difficoltà anche il nodo dei rapporto Stalin-sinistra dopo il '26-27. Proprio nel periodo in cui Stalin adotta la linea di industrializzazione, inizia 1’attacco alia destra e 1’operazione di revisione delle cifre per il piano approntate dal Gosplan, aw iene la liquidazione delia sinistra fino alPesilio di Trockij. Per spiegare quest’ intreccio, non nei termini esclusivamente ideologici usati quasi unanimemente fino ad ora, occorre rifarsi alie posizioni reali di Trockij e degli esponenti maggiori delPopposizione in questo pe­ riodo. Per Deutscher, come è noto, Trockij sarebbe alPorigine delia "svolta" di Stalin.'“ Trockij stesso scriveva nel '30 che Stalin aveva attinto "goccia a goccia” dal programma delPopposizione le sue tesi sul piano.™ Per il "trio ” Tomskij, Bucharin e Rykov Sta­ lin era divenuto indubitabilmente il “portatore” dei pericolo trockista. L ’impressione era largamente condivisa anche tra gli elementi trockisti superstiti negli organismi dello Stato e dei partito. Essa si basava fondamentalmente sulla affinità tra le analisi delia situazione fornite dalla sinistra durante le crisi delia N EP e le ragioni che Stalin portava a sostegno delia nuova politica di piano. È indubbio che Stalin conoscesse "goccia a goccia" quelle analisi. Esse dimostravano ad abundantiam che, nelle condizioni delia Rússia soviética d’allora, una politica di difesa delia domanda o di industrializzazione "condotta” attraverso la semplice espansione delia I. D eutsch er , II profeta disarmato, Milano 1956. L. T r o t s k ij , Stalin tcorico, in Scrilti 1929-1936, Torino 1962, p. 22.

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produzione agrícola avrebbe aggravato la forbice dei prezzi, reso ussolutamente insostenibile la produttività delia industria pesante, portato alia “liberalizzazione” commerciale, distrutto cosí le basi cconomiche e di classe deUo Stato. E sappiamo che 1’eventualità tli una tale situazione non era mai stata aprioristicamente scartata da Stalin. D i fatto, essa esplose in tutto il suo significato solo ncl ’26-27 — e solo allora, per Stalin, il sistema soviético si era consolidato tanto da permettere r “offensiva.” Ma le affinità sul piano delPanalisi non spiegano la specificità delle linee politiche che da quella emergono — né il quadro teorico generale ad esse ine­ rente. N ell’imminenza deUa stretta finale, tra la destra e alcuni dei massimi rappresentanti dell’opposizione trockista intercorsero continui rapporti. Ciò significa che Bucharin distingueva tra trockismo e “portatori” dei pericolo trockista, o che, almeno, non confondeva tra affinità di analisi e convergenza política. Non solo: tra le due linee risultavano diversità sempre piú evidenti sul piano deUe stesse terapie economiche. Non è tattica per sopravvivere, dunque, il rapporto che Bucharin tenta di realizzare con 1’opposizione trockista. Esso si fonda su un’analisi approfondita delle posizioni in campo. Esisteva senza dubbio un abisso tra le analisi deUa destra e quelle trockiste sulle cause delia crisi — ma sui modi concreti dei suo superamento, soprattutto in rapporto aU’evolversi delia posizione di Stalin, le diíferenze perdevano d’intensità, fino quasi a scomparire sui problemi delBorganizzazione dello Stato e dei par ti to. Non che in Trockij si possano cogliere chiaramente le ragioni oggettive di diíferenza tra situazione soviética, lancio stalinista delia política di piano e posizioni economiche delia sinistra. A questo proposito, il discorso di Trockij rimase sempre confusissimo, incapace di aííerrare il significato strutturale dei processi di programmazione e di sviluppo industriale nelPURSS. Anche i suoi apologeti riconoscono, magari come suo mérito, 1’inconsistenza dei discorso di Trockij sul terreno economico.‘“ Ciò non significa, come vedremo, che non sia proprio su questo terreno da individuare la molla fondamentale delia rottura definitiva con il piano ili Stalin. Ancora nelPottobre dei '21, le ultime parole pronunciate da Trockij al CC, danno un’idea drammatica delia sua inca­ pacita di previsione: egli attacca ancora la política di Stalin, in quanto ambigua ("fatta di zig-zag"), impotente nei confronti dei D. Avenas , Economia e política di Trotskij, Roma 1972.

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Kulaki, favorevole alia borghesia.’" È ovvio che questa critica si trasformi negli anni successivi, soprattutto dopo 1’esilio. Mentre il discorso sulla "borghesia” subirá una trasformazione caratteristica, divenendo una categoria piú o meno sociologica, e perdendo Ia connotazione precisa di classe che aveva avuto per la sinistra durante la N EP, gli altri due elementi — ambiguità, opportunismo di Stalin, impotenza nei confronti dei Kulaki — verranno rovesciati: la critica suonerà condanna alia collettivizzazione forzata e quindi alia politica, comunque tu tt’altro che "ambigua” o "impo­ tente," di Stalin nelle campagne. Ma rifacciamoci alie posizioni di Trockij stesso. Egli vedeva nel Piano Quinquennale la ripresa di tutte le idee essenziali delPopposizione di sinistra, ma non dava molto credito alie sue possibilita di realizzazione: 1’apparato era per nove decimi piú a destra delia destra uíEciale — nelle campagne, la posizione dei Kulaki era ancora fortíssima. G li argomenti per la "superindustrializzazione" erano stati imposti a colpi di bastone. Insomma: non si trattava di un "corso verso sinistra meditato e piú o meno assicurato.”'" Queste affermazioni sono molto interessanti: da una parte, Trockij rivendicava la paternità dei piano — dalPaltra, ne criticava i limiti da un punto di vista sostanzialmente analogo a quello di Stalin e delia maggioranza dei partito di pochi anni prima soltanto: 1’adozione di un piano generale e vincolante avrebbe attentato a ir“alleanza” e alia stessa unità interna dei partito. L ’ambiguità è ancora piú evidente nel già citato Stalin teorico dei 1930. Per Trockij, se le tesi delia sinistra suirindustrializzazione e la lotta ai Kulaki fossero State adottate fin dal ’23, il bilancio delia rivoluzione sarebbe iníinitamente piú positivo. Ma, immediatamente dopo, egli critica la relazione di Stalin al X V I perché essa tace dei problema delle forbici, o lo dà falsamente per risolto. Dunque, 1’obiettivo prioritário avrebbe dovuto essere Tequilibrio tra prezzi agricoli e prezzi industriali. Ma era stata appunto la sinistra a spiegare in passato che la creazione di un tale equilibrio, nella situazione soviética, era un "pregiudizio borghese,” che avrebbe impedito il decollo delPindustria pesante statale. II fatto che permanessero le forbici era la lógica conseguenza delia fase iniziale deirindustrializzazione — né era possibile porre, come faceva Trockij, il problema dei coeíEcienti di produttività — e soprattutto di produttività dei lavoro! — alFepoca delia ricostituzione semV. S erge, op. cit., p. 191. L. T rotskij, Per il ãodicesimo anniversario delVOttobre, in ibid., p. 11.

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plice dei capitale fisso di base. Si era a un passo dalla riproposizione deir''alleanza” nei termini caratteristici delia "prim a” N EP. Nella sua critica alPeconomia soviética, alia vigilia dei secondo Piano, Trockij attacca le misure coercitive adottate per la collettivizzazione e, come già la Krupskaja in un articolo delPinizio dei ’29, ribadisce che i rapporti di scambio con la campagna devono avvenire sulla base di un libero accordo con i contadini.“^ Lo squilibrio esistente dei prezzi testimoniava, per Trockij, che il piano era stato esagerato e aveva prodotto una distribuzione delle risorse sfavorevole alie campagne e al consumo. Si giunge fino ad una vera e própria difesa póstuma delia N EP: Stalin ha liquidato le forze di mercato e Pinteresse "individuale” dei suoi principali agenti, invece che rifonderne e riattivarne i metodi. Con ciò "il sistema duttile ed elástico delia democrazia soviética,’"'* che era Punico in grado di garantire il successo delia costruzione dei socialismo, veniva sostituito da una macchina burocrática, che misurava il proprio successo sul semplice parametro quantitativo dei risultati delia pianificazione centralizzata, a priori. Non c’è dubbio che questa considerazione pesi in modo decisivo sulPatteggiamento di Trockij. Soprattutto nelle sue opere successive le accuse alPavventurismo economico di Stalin, alia sua politica di "sfruttam ento” dei contadini, sembrano tratte di peso dalParmamentario neo-classico delia destra N E P .‘" La caratteristica teoricopolitica delle tesi delPopposizione — la funzionalità dello scambio ineguale per il decollo soviético, la critica serrata dei modelli di equilibrio per Pinterpretazione e la programmazione dello sviluppo — è senz’altro scomparsa. E la ragione di fondo sta appunto nelPintreccio che Trockij denuncia tra “accumulazione socialista,” industrializzazione accelerata e centralizzazione burocrática, liquidazione delia "democrazia soviética.” Ma questa divergenza di fonL. T rotskij, Ueconomia soviética alia jine dei primo Piano Quinquennale, 22 otlobre 1932, in ibid., p. 58. Ibid., p. 64. L. T rotskij, La Rivoluzione tradita, Milano 1956, cfr., soprattutto, i capp. 2-4. I,a conclusione dei saggio Stalin e la rivoluzione cinese, composto a Prinkipo nelTestate ilcl ’30, dimostrava in modo ancor piú drammatico Timpotenza teórica trockista nei confronti delle trasformazioni strutturali sovietiche. La politica di Stalin veniva delinita "parossismo di sinistra” e tale interptetazione veniva fondata su una sorta di ciclo fatale dei processo storico: "il declino delia rivoluzione — come la sua ascesa — iion procede in linea retta.” I problemi connessi al lancio dei piano erano "farsificati” in uno "zig-zag a sinistra." Né poteva mancare Taccenno di prammatica al Termidoro. (Jiieste conclusioni erano tratte alia fine di un saggio sulla situazione dei Comintern alia luce, soprattutto, delle vicende cinesi, le cui contraddizioni erano analizzate in modo quasi esclusivamente soggettivo-organizzativo. (Cfr. L. T rotskij, I problemi delia rivoluzione cinese e aliri scritti su questioni internazionali 1924-1940, tr. it. Torino 1970). Non a caso sulla questione cinese vi furono parecchi e gravi contrasti in seno iillu Opposizione, soprattutto tra Zinov’ev e Trockij, ma anche tra Trockij e P.

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do, politico-ideologica, non può spiegare tutto. Se la strategia di sviluppo e il método concreto di programmazione, o, meglio, i suoi obiettivi, fossero stati alPorigine efíettivamente analoghi a quelli dei primo Piano, la stessa critica al "sistema burocrático” di Stalin non avrebbe potuto assumere un peso generale. È , in eííetti, fin dalPepoca delia definizione dei primo Piano cbe esistono divergenze strategiche, dalle quali maturano le successive critiche di Trockij. La battaglia sulla "democrazia" simboleggia uno scontro ben piú diretto e concreto sulle scelte di sviluppo — nel quale Trockij, pur "concedendo” senz’altro a nuove possibili alleanze con chi era ancora incerto sulla linea di Stalin o ne veniva direttamente attaccato, non per questo liquida i tratti fondamentali delia opposizione di sinistra in matéria economica e di piano. G li esponenti delia opposizione avevano sempre considerato la politica di industrializzazione, fondata necessariamente sull’" alienazione” massiccia dei "risparmio” degli strati borghesi e capitalistici, in funzione di un modello distributivo "equilibrato” tra processo di riproduzione e fondo di consumo. L ’industrializzazione doveva, sí, necessariamente, fondarsi sull’"accumulazione socialista primiti­ va” e, quindi, sullo scambio ineguale con il settore agricolo, ma la condizione per un corretto sviluppo successivo consisteva in una distribuzione dei plusprodotto tale da mantenere una stretta corrispondenza tra processo di capitalizzazione e allargamento dei con­ sumo. La compressione delia domanda "tradizionale” borghese e capitalistica corrispondeva ad un disegno di espansione delia do­ manda "di massa.” II processo di industrializzazione avrebbe dovuto operare questa trasformazione; in nessun modo esso poteva intendersi come semplice riproduzione accelerata di capitale fisso. L ’allargamento delia grande industria significava non solo riproduzione di classe ma tassi salariali crescenti. E questi processi, a loro volta, dovevano innescare gradualmente una "norm ale” espansione dello stesso settore dei beni di consumo. È chiaro, d’altra parte, cbe la crescita dei fondo di consumo non poteva derivare da un semplice aumento materiale delia massa salariale dei lavoratori delLindustria. Nello schema delia sinistra, i tassi di variazione dei salario dipendevano dal ritmo delia riproduzione e, quindi, in ultima istanza, dal ritmo dei processo di valorizzazione. L ’allargamento delia domanda attraverso la crescita salariale non era una funzione sem­ plice dei processo di capitalizzazione, ma dipendeva dalla produttività dei lavoro nelLindustria, dalla sua capacità di realizzare aumenti di produzione "eccedenti” quelli dei capitale e dei lavoro impiegati. Ma questa crescita deUa produttività dei lavoro non poteva fon-

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iliirsi semplicemente sul saggio di sfruttamento. Per la sinistra, il |)i'oblema si risolveva ipotizzando che lo stesso processo di induNirializzazione, e quindi la stessa "ricomposizione organica” delia Ixise industriale dei paese, “incarnavano” questo salto di produttività. In quanto aumento delia produttività à ^ in t e r o sistema, il processo di industrializzazione (che impediva il “risparmio” agli Hirati borghesi) significava allargamento delle potenzialità di in­ vestimento produttivo e insietne dei fondo di consumo — defini to iin certo equilibrio tra i due livelli, si poteva, infine, programmare II na graduale espansione anche nei settori di produzione dei beni di consumo. Da questo punto di vista si spiega anche tutta la attenzione che Trockij nelle sue critiche dedica al problema delia prodiittività. Questo è per lui il centro di una corretta strategia di programmazione — ma nella misura in cui il fine dei piano dovrebbe essere appunto una sostenuta dinamica salariale e un allargamento :li di una corretta strategia di piano. Era necessário, insomma, programmare il passaggio tra la fase "estensiva” dei piano e una fase in cui lo sviluppo dei sistemi di direzione e di organizzazione, l ’ini remento delia produttività dei lavoro, 1’adozione di tecnologie piú avanzate, avrebbero reso necessário un allargamento dei consumo attraverso una piú sostenuta dinamica salariale. C ’è nelFimposta-

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2Íone di P. 1’accenno acl una sistemazione diacronica delle variabili, che manca in Trockij. Ciò spiega il suo atteggiamento di attesa e, al solito, le accuse "m orali” che Trockij lancia alPex compagno contano men chc nulla.'*’ Esse sono utili solo nella misura in cui testimoniano che le incomprensioni e le divergenze tra il piú im­ portante politico e il piú importante economista delPopposizione degli anni ’20 datavano da tempo e avevano radiei profonde. D ’altra parte, mai P. avrebbe potuto condividere le posizioni che Trockij andava assumendo a partire dal ’30 — tantomeno le convergenze che Kamenev, soprattutto, tentava con Bucharin. E anche le ragioni “politiche” generali erano lungi dal poter avere una consistente presa su P ., tanto da determinarlo a scendere in campo contro il piano di Stalin. II rapporto tra "democrazia” e mercato era, per un "freddo” economista, tropppo ovvio per difenderne un ele­ mento quando si voleva liquidare 1’altro. E P. per primo aveva tacciato di utopismo piccolo-borghese qualsiasi idea che il processo di industrializzazione potesse volgersi in modo "pacifico," coinvolgendo "volontariamente” il settore agricolo. Le divergenze rispetto al piano stalinista erano soprattutto di prospettiva; riguardavano 1’esplicitazione degli obiettivi fondamentali di lungo periodo. II carattere “estensivo” dei piano doveva essere "corretto,” fin dal suo inizio, con una serie di provvedimenti tesi a innescare processi e tendenze, anche settoriali, di riorganizzazione e aumento di produttività che preparassero concretamente il passaggio ad una fase superiore di sviluppo. La mancanza di questa visione politica generale era la vera base dei pericoli di sclerotizzazione burocrática a livello di gestione e di indirizzi, che altri denunciavano sotto tu tt’altre bandiere. Ma anche questi pericoli si calcolavano concretamente in perdite di redditività e di produttività dei sistema. Queste sono le tesi che si possono ricavare dagli ultimi lavori di P.'™ Cresce la sua insistenza sulla riorganizzazione delia forza-lavoro a livelli tecnici superiori. II problema delia produttività diviene dominante. La crescita quantitativa dellfindustria di base si sarebbe trovata presto di fronte a crisi di "sovra-accumulazione” o a gravi limiti nella redditività degli investimenti, se questo pro­ blema non fosse stato afírontato in tutte le sue articolazioni. Cer­ tamente, le previsioni di P. peceavano di “fretta” eccessiva. Ma non si trattava, però, delia "coincidenza” di Trockij e tantomeno delia funzione che il consumo esercitava nello schema delia destra. L. T rockij, Contro la capitolazione, 21 luglio 1929, in Scritli, cit., pp. 87 A, E elich, op. cit., pp. 198-200.

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Quello di P. poteva valere come modello di previsione in generale, fondato sulle tendenze oggettive dei sistema soviético. Da questo punto di vista, esso si sviluppa coerentemente con le premesse delPanalisi di P. e, anzi, ne completa il quadro teorico. A questo quadro dovremo ora rifarei.

5. Riproduzione e sviluppo II secondo volume di Nuova E con om ka avrebbe dovuto incentrarsi sul problema teorico dello sviluppo, a partire dagli schemi di riproduzione, per giungere ad aífrontare le "condizioni di equilibrio” delPeconomia soviética. Sappiamo che questo volume non poté avere la veste definitiva dei primo e che P. ne pubblicò i materiali in ordine sparso. Nel ’26 uscí sul "Notiziario" la parte teó­ rica centrale dei volume, riguardante gli schemi di riproduzione marxiani e la loro applicabilità ai problemi dello sviluppo nel capi­ talismo concreto."' Questa sintesi teórica è inscindibile dalla posizione di P. sulPeconomia soviética e la N EP. Si tratta di una analisi tlegli schemi marxiani alia luce dei problemi di sviluppo posti dalla esperienza soviética e dagli stessi obiettivi economici che P. propoiieva. Per quanto Pimpostazione dei saggio assuma poi un andamen­ to generale, esso si fonda su quest’intreccio storico-politico concreto. Iid è questo carattere a farne un documento fondamentale, non solo per la comprensione dei dibattito soviético sulla industrializzazioiic, ma per la storia delle teorie contemporanee sullo sviluppo. II centro delia ricerca è costituito dal problema delia riproduzione illargata in condizioni di crescita delia composizione organica. Tutli gli altri argomenti arricchiscono la fenomenologia dei saggio, ma non costituiscono alcun contributo originale. P. ne è ben consapevolc, poiché ritiene che essi siano già stati risolti da Marx. Il vero «'ontributo degli schemi marxiani risiede, per lui, nelPanalisi delle loiulizioni di equilibrio nella riproduzione semplice. Ma la ripro­ duzione capitalistica, in quanto espansione concreta dei processo di ■ ipilalizzazione, esclude la riproduzione semplice — esclude, cioè, 1'iiguaglianza tra (v + pv) delia prima Sezione e c delia seconda. La I iproduzione capitalistica, in altre parole, esclude che Tintero pv oticniiio nella prima Sezione venga "consumato come reddito." La Ipoicsi marxiana delia riproduzione semplice è teoricamente imporlí. I’., Il problema dcWequilíbrio economico nel capitalismo concreto e nel siste­ ma Mwlelica, in "V SA ,” \1IV)2(>.

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tante perché delinea la condizione-limite di equilíbrio dei sistema — ciò che equivale ad aííermare Tinevitabilità deU’andamento ciclico-squilibrato dei sistema. L ’ipotesi di equilíbrio, infatti, coin­ cide con la stasi perfetta deU’"età dell’oro,” esclude i processi di crescita e sviluppo che caratterizzano il capitalismo concreto. Bisogna ora veriíicare se gli schemi marxiani sono in grado di comprendere tali processi. Tutti gli schemi marxiani di riproduzione allargata partono dal presupposto delia "invariabilità delia composizione organica dei capitale nella prima e nella seconda Sezione, cioè di un livello técnico fisso."’” Questa seconda affermazione non è necessária, poiché un "salto ” tecnico-organizzativo non implica necessariamente una trasformazione delia composizione. È però evidente che in Marx qualsiasi trasformazione in uno dei fattori produttivi comporta mutamenti, secondo proporzioni date, negli altri. Piú specificamente, c e f sono linearmente correlati secondo rapporti statici. Non può darsi “sviluppo," negli schemi di riprodu­ zione allargata, i cui eífetti non si distribuiscano tra i fattori fondamentali di produzione in modo tale da evitare qualsiasi rottura rispetto alPequilibrio precedente. Questo schema che, allargato, è proprio delia “innovazione neutrale," vale per entrambe le Sezioni. Non solo, ma 1’equilibrio tra la prima e la seconda è garantito ulteriormente dalla identità delia composizione organica e dei saggio di plusvalore. P. osserva, invece, che 1’equilibrio si rom­ pe a proposito dei saggio di accumulazione. Alia fine dei ciclo, secondo lo schema marxiano, nella prima Sezione si è accumulata la metà dei plusvalore, mentre solo 1/5 nella seconda. Ma P. si riferisce qui al primo esempio di Marx, dove anche la composizione técnica (c : v) tra le due Sezioni è diversa. NelPesempio piú im­ portante e complesso questa diíEcoltà scompare. Anzi, essa viene rovesciata: è maggiore il saggio di accumulazione delia seconda Sezione: nella prima viene accumulata la metà dei plusvalore, nella seconda, alia fine dei ciclo, oltre il 6 0 % .'” Queste difficoltà derivano dairipotesi fondamentale che, comunque, P. afferra con chiarezza: la necessita di conservare le composizioni organiche di partenza. È in funzione di questo obiettivo che mutano i saggi di ac­ cumulazione. La tendenza dei sistema alPequilibrio intersettoriale e alia staticità delia composizione è implícita anche nelPanalisi marxiana delia trasformazione: i meccanismi di mercato operano, di fatto, per "occultare” la varietà concreta delle composizioni.'’^ La ihid. K. M arx , II Capitale, libro II, sezione III, cap. 21, Roma 1954, pp. 172-182. Ibid., libro III, sezione II, Roma 1954, pp. 258-261.

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stessa fissità dei saggio di plusvalore ostacola qualsiasi incidenza di mutamenti eventuali o diâerenze di composizione sul piano delia produttività generale dei sistema. AU’opposto, il problema di P. è proprio quello delia trasformazione deUa composizione organica, di uno schema di sviluppo contrassegnato dalla sua crescita, "in condizioni di sistemática sostituzione degli operai da parte delle macchine, in condizioni in cui, sebbene v cresca in assoluto, sia nella prima che nella seconda Sezione, il capitale costante di entrambe ha costantemente un ritmo di incremento piú veloce.”'” È chiaro che 1’ipotesi delia costanza delia composizione, dei suo equilibrio intersettoriale, accompagnata a quella delia costanza dei saggio di plusvalore, doveva valere come spiegazione di una equilibrata distribuzione delle forze produttive in un sistema concorrenziale puro di mercato. Tale sistema reagiva poi alie forze "eccentriche" secondo i processi descritti negli schemi di trasformazione. L ’abbandono di queste ipotesi ci avvicina alia comprensione delia riproduzione allargata nel capitalismo

concreto. È , d ’altra parte, perfettamente chiaro che il carattere riduttivo dello schema marxiano di riproduzione stricto sensu va analizzato secondo due punti di vista: le trasformazioni successive che esso subisce e lo studio delle condizioni di possibilità delle crisi.‘™L ’assetto teorico di base è funzionale proprio alia misurazione delle costanti sproporzioni che si realizzano nel processo di trasforma­ zione, sproporzioni assolutamente non programmabili ex ante per il meccanismo di un’economia capitalistica di mercato. Lo schema di riproduzione in sé non solo non esaurisce il funzionamento dei processo sociale capitalistico, ma neppure mette in evidenza il suo ruolo specifico: che è quello di parametro per misurare la entità ilella crisi, la dinamica delle variazioni e delle sproporzioni che si altuano nel rapporto capitalistico di produzione. Come in Marx, poi, il problema delia trasformazione non è as­ solutamente visto da P. come problema delia semplice determinazione dei prezzi di produzione.'” Si tratta anche qui di un mutamento nella form a dei rapporto sociale di produzione. La sua adelenza ai problemi concreti di piano in URSS serve moltissimo a P. per comprendere come il passaggio dagli schemi di riproduzione a qiiclli di trasformazione implichi nuove ipotesi storico-istituzionali, miove ipotesi sulla regolazione complessiva dello sviluppo capiK. P., l l problema deWequilibrio economico, cit. S. ViiCA, Marx e la critica deWeconomia politica, Milano 1973, pp. 132 sgg. Ihid., pp. 63 sgg.

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talistico. Ed è esattamente quanto risulta chiaro dal tentativo di P. di sintetiz 2are la form a dei processo di trasformazione alia for­ ma dei discorso sulla dinamica delia composizione e sul saggio di prolitto. L ’analisi di P. esplicita perciò la struttura dinamica complessiva delia critica marxiana. Le revisioni analitiche che egli vi apporta sono quindi importanti storicamente per due motivi essenziali: perché P. coglie in eflEetti limiti logici determinati nel di­ scorso di Marx, e perché supera largamente il dibattito intorno ad essi, sia correggendoli per alcuni aspetti, ma sia, soprattutto, ricollegandosi alie intenzioni di fondo delia critica marxiana (dinamica dei sistema di produzione, dei rapporti di produzione, analisi delle loro tt&ias-formaziom), per lo piú assolutamente ignorate nel di­ battito occidentale sul marxismo e tra marxismo e neo-classici.‘” Iniziamo, quindi, con 1’ipotesi delia crescita delia composizione organica (Q ) in una sola delle due Sezioni. Se ciò avviene nella pri­ ma, si contrarrà il processo di capitalizzazione delia seconda, a cau­ sa delia diminuzione dei fondo generale di consumo. Se Q aumen­ ta nella seconda, fermo restando nella prima, si determinerà una cre­ scita di c oltre le possibilità di uno scambio proporzionale con il fondo di consumo delia prima. Se Q aumenta simultaneamente in entrambe le Sezioni, 1’equilibrio verrà spezzato sui due fronti. La crescita dei fondo di consumo delia prima Sezione sarà sempre piú lenta che nello schema marxiano — viceversa, la crescita di c nella seconda sarà sempre piú rapida. Secondo gli schemi marxiani, se si determina una crescita delia composizione organica, a qualsiasi livello essa avvenga, la proporzionalità tra prima e seconda Sezione viene a cadere. Marx ha limitato la sua analisi delia riproduzione ad un caso-limite di equilibrio, ad un caso di capitalismo puro, contrassegnato da una forma di sviluppo quantitativo, le cui condizioni di equilibrio sono indefinitamente garantite. Sappiamo come questi schemi dei Libro I I siano lungi dalPesaurire 1’analisi marxiana, e P. stesso lo avverte. È perfettamente vero, comunque, che nei limiti delPanalisi delia riproduzione allargata, Marx poteva descrivere una situazione di equilibrio, di proporzionalità tra le due Sezioni, soltanto nell’ipotesi di Q fisso e di un saggio di plusvalore fisso. II variare dei saggio di accumulazione, a seconda delle condizioni di partenza dello schema, era funzionale al mantenimento di questo equilibrio. È intuitivo, dopo quanto abbiamo detto nei precedenti capitoli Basti pcnsaic alia querelle Bohm-Bawerk/Hilferding, ora leggibile in P. SwEiiZY (i\ cura ili), V.conomia borgbcsc ed economia marxista, Firenze 1971.

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cli questo saggio, l ’uso che la destra e i menscevichi potevano fare degli schemi marxiani di riproduzione, estrapolandoli dal loro con­ testo storico e applicandoli ai problemi dello sviluppo soviético. Marx descriveva le condizioni necessarie per uno sviluppo equilibrato. Queste obbligavano a trasformazioni delia base industriale tlel paese che non mutassero 1’equilibrio tra i fattori. In special modo, la composizione organica delia seconda Sezione doveva essere pari a quella delia prima: bisognava, cioè, accumulare-capitalizzare nei settori di produzione dei beni di consumo quanto nei settori di base. Inoltre, ad ogni variazione dei fondo di consumo nella prima Sezione doveva corrispondere una variazione dei sag­ gio di accumulazione nella seconda. II sistema soviético, a difíerenza tli quello capitalistico, aveva la forza per imporre questa proporzionalità, che avrebbe evitato ogni crisi. II sistema soviético come realizzazione dei capitalismo puro — delia ipotesi, dei parametro concettuale (non certo delPintero discorso!) di Marx per 1’analisi ilella riproduzione allargata: questo è senz’altro lo schema teorico delia destra. Ma ridurre ad esso il dibattito sulPindustrializzazione o, peggio, le scelte concrete di sviluppo nella stessa U RSS degli anni ’20, delia stessa N EP, è semplicemente una caricatura.'” Come raggiungere una spiegazione dei ciclo sulla base dei presupposto deiraumento di O, ma che ne permetta il funzionamento? Le prime ipotesi che P. ha avanzato (aumento di Q nella prima Se­ zione, oppure nella seconda, oppure in entrambe) sono spiegazioni dei fenomeni di crisi, non dei normale sviluppo dei sistema. L ’inI erpretazione corretta delia crisi deve, invece, nascere dalla comprensione dei meccanismi operanti nello sviluppo. Questa "avvericnza" è tanto piú importante per la critica “marxista” che da deccnni profetizza sull’"impossibilita” dei capitalismo, invece di deíinire le condizioni fondamentali dei suo esistere attuale. In e£Ictti, P. poteva benissimo limitarsi a scoprire come il capitalismo rcale, mosso dalla dinamica di Q, fosse un sistema di e in crisi, impossibilitato a definire proprie "proporzionalità.” La “revisione” di Marx sul terreno economico, operata da destra e da sinistra, nel movimento operaio europeo, è sempre approdata a simili concliisioni. P. non è invece soddisfatto delle condizioni di equilibi io e di sviluppo dei sistema proposte da Marx negli schemi di riproduzione — ed è per la stessa ragione che non risultano sostenibili neppure le prime ipotesi che egli stesso ha avanzato per la Qiii ci scnibrn consistcrc il limite fondíimcntnlc cicl libro di R. Di Lno, Operai c si\lnthi soviético, Uiiri 1970,

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definizione di un modello di sviluppo fondato sulla dinamica di Q. Si può pensare di uscire dalPimpasse che denunciano i primi tentativi di spiegazione dinamica dei ciclo, ponendo che [v + pv) delia prima Sezione diminuisce solo relativamente a c, ma che in assoluto aumenta proprio a causa delPespansione di c. Questo aumento, a sua volta, è proporzionale alia crescita di c delia seconda Sezione, dovuta appunto alia dinamica di Q. Questo aumento di {v + pv) è la condizione necessária per il mantenimento deH’equilibrio tra le due Sezioni, in presenza di un aumento in entrambe delia composizione organica. Ma anche questa spiegazione si risolve ben presto in interpretazione di un caso particolare di crisi, ed è lungi dal risolvere il problema delia proporzionalità intersettoriale in un trend normale di sviluppo capitalistico. Sulla sua base, infatti, si giunge inevitabilmente ad un aumento delia quota di pv destinata al consumo nella prima Sezione rispetto alia seconda. Cioè, il fondo di consumo nella prima Sezione cresce piú rapidamente che nella seconda. Nel giro di pochi anni, questo provoca un rallentamento delPaccumulazione nella prima Sezione e una conseguente diminuzione anche di v, che si ripercuoterebbe negativamente nel ritmo di accumulazione delia stessa seconda Sezione, bloccando 1’espansione ulteriore, infine, delia composizione organica, in entrambe le parti dei sistema. Pare cosí riconfermata la insostenibilità di un modello di sviluppo, fondato su un Q dinâmico. L ’ultimo esempio ci ha permesso, però, di intravvedere una possibile via d’uscita. II problema delia proporzionalità dei siste­ ma in una situazione di crescita "normale” delia composizione or­ ganica pare consistere nella crescita delPaccumulazione nella prima Sezione, fermo restando il suo rapporto con il fondo di consumo. Se, come nello schema marxiano è sempre ribadito (ma Marx ragiona, è bene ripeterlo ancora, a Q fisso), ogni Sezione trae da se stessa le risorse necessarie alia própria riproduzione, questa condi­ zione non è realizzabile: 1’aumento di Q comporta una crescita di c superiore in assoluto a quella di v, e questo aumento awiene grazie ad una relativa diminuzione di [v -\- pv) e delia sua quota che si scambia con la seconda Sezione. Rifacciamo il ragionamento “a rovescio”: se ogni Sezione deve trarre da se stessa le risorse per il processo di accumulazione, allora 1’unica possibilita di sviluppo "norm ale” dei sistema sta negli schemi di riproduzione allargata a Q fisso stabiliti da Marx. Ma se lo sviluppo dei capitalismo reale contraddice 1’ipotesi di Q fisso, allora 1’unica sua interpretazione valida deve partire dal presupposto di un sistemático trasferimento di capitale dalla seconda alla prima Sezione. Se questo risulta im-

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possibile, sarà impossibile il capitalismo come sviluppo, o dovremo iirrcnderci all’evidenza di non disporre di alcun critério generale per i sprimerlo. Ciò significa che lo schema marxiano può anche essere "logico,” ma parte da ipotesi inaccettabilmente restrittive — ipoicsi che non basta però “dilatare” per raggiungere una spiegazione coerente dei sistema. In efietti, qui P. giunge ad un’ipotesi delle condizioni di sviluppo che si muove in un quadro istituzionalmentc diverso da quello marxiano. L ’ipotesi di un trasferimento di capitale daUa seconda alia prima Sezione, tale da permettere in questa, contemporaneamente, la crescita di c senza diminuzione re­ lativa dei fondo di consumo, non è conciliabile con nessuno schema di mercato concorrenziale puro. Qui non si tratta, infatti, dei normale spostamento di capitali da un settore aH’altro a seconda delle variazioni dei saggio di profitto (spostamento che, in Marx, inconira i limiti esposti nello schema di trasformazione) — ma dei trasfcrimento massiccio e sistemático di capitale da un’intera Sezione alTaltra, al fine di mantenere un determinato saggio di accumulazione e uno sviluppo continuo delia composizione organica. È l ’aci'cnto político dei discorso ad essersi spostato. L ’obiettivo strategico diviene lo sviluppo di Q, in quanto tale, è esso la molla dei processo ili riproduzione allargata — la legge dello sviluppo dei capitalismo concreto. Ma allora le tendenze dei sistema esulano oggettivainente dai meccanismi concorrenziali di mercato. La teoria dello sviliippo esula dalle “leggi” delPequilibrio concorrenziale. P. non trae, come vedremo, queste conclusioni in generale, ma in rapporto alia Nituazione soviética. Egli vede, cioè, questa sua revisione sistematiI i degli schemi marxiani come eííettuale soltanto nella realtà deU’ economia soviética. Ciò non costituisce, d’altra parte, soltanto un limite delia sua analisi (la considerazione statica dei capitalismo conicmporaneo è comune a P. come a quasi tutta la "tradizione mar\ista”) ma permette, altresí, una maggiore attenzione ai problemi spccifici dei “decollo” e delia fase di "trapasso." E questo è il cam­ po, fuor di dubbio, dove il contributo di P. è stato maggiore. Ma vediamo come sia possibile il processo di “trasferimento.” ' liíl in base alPesempio di Marx, che abbiamo già citato, in cui le composizioni organiche delle due Sezioni sono uguali, abbiamo, alia linc dei terzo anno, un’eccedenza dei fondo di consumo delia prima Mil c delia seconda Sezione. L ’aumento di Q potrebbe risolvere tale ■•qiiilibrio, ma d riporterebbe poi immediatamente alia situazione di crisi che abbiamo appena analizzato (aumento delia quota di consumo delia prima Sezione relativamente alia seconda, ecc.). Nt)ii sarcbbc, invcce, possibile un trasferimento di capitale dalla

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prima alia seconcla Sezione? Nelle condizioni descritte dalla suddivisione marxiana delia produzione sociale, certamente no (sempre escludendo i periodi di crisi). Per operare tale trasferimento occorrerebbe intaccare il fondo di consumo delia prima Sezione cbe si scambia con il c delia seconda. A questo punto non si avrebbe un aumento, bensí una contrazione delPaccumulazione in questa Sezione. Si può pensare, iníine, cbe il fenomeno dei "trasferimen­ to ” sia impossibile o di troppo diíEcile realizzazione. In eííetti, " l ’economia capitalistica è sufficientemente elastica e, pur con certe perdite di valore, raggiunge la soluzione di tutti questi problemi.”'™ Naturalmente, non si parla qui di trasferimento fisico, ma dei tra­ sferimento di valore, cbe si realizza nella sfera delia circolazione mo­ netária. I meccanismi sono molto semplici e rappresentano tecniche economiche assai comuni. Ma occorre anche a questo proposito partire da determinati presupposti istituzionali assolutamente ignorati nelle analisi dei mercato concorrenziale: la possibilità di giocare sulPutilizzazione degli impianti, restringendola in certi periodi — la possibilità di costituire grosse scorte di merci e riserve di capitale — un sistema creditizio-finanziario cbe sappia "trasformare” la quantità di plusvalore delia seconda Sezione eccedente la riproduzione allargata, con aumento di Q, in capitale monetário delia prima Sezione. Ritorneremo su questo punto, cbe è centrale in P., a proposito delPeconomia piccolo-borghese. Se queste condizioni, cbe rispecchiano i meccanismi reali, sono fondate, dobbiamo trarne un’ultima conseguenza — e cioè cbe la distribuzione delle forze produttive tende a determinare una composizione organica piú alta nella prima cbe nella seconda Sezione. Possiamo, anzi, considerare questo fenomeno, cbe rispecchia le condizioni tecnologico-organizzative dei capitalismo moderno, come la molla delPintero processo. I I costante bisogno di aumentare la quota di c delia prima Se­ zione porterebbe alia distruzione dei fondo di consumo e quindi delia riproduzione allargata nella stessa seconda Sezione, se non intervenisse, attraverso tutti i meccanismi economico-finanziari disponibili, questo “trasferimento” di capitale dalla seconda alia prima Sezione. Se partiamo, dunque, da questo complesso di condizioni: crescita di Q in entrambe le Sezioni, Q maggiore nella prima cbe nella seconda, uguale saggio di consumo, trasferimento sistemático di capitale dalla seconda alia prima — il modello è immediatamente descritto. La quota di plusvalore rimasta delia seconda Sezione, E. P.. Il problema deli'equilíbrio economico, cit.

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dopo la prima parte dei ciclo, che equivale a quella descritta nello schema marxiano, viene usata per la crescita, secondo i rapporti stabiliti, delia composizione organica in entrambe le Sezioni, fermo restando il rapporto tra (v + pv) delia prima e c delia seconda Sezione. Rispetto alio schema marxiano, noi otterremo un aumen­ to delia produzione in entrambe le Sezioni, anche se esso, per le i'agioni tecniche già spiegate, sarà piú sostenuto nella prima. L ’analisi delle condizioni di riproduzione in presenza di due Sezioni di produzione piccolo-borghese, suddivise analogamente a quelle capitalistiche, costituisce un arricchimento (fondamentale per I'interpretazione che P. si riprometteva delle tendenze di sviluppo delPeconomia soviética) dello schema suesposto, ma non ne muta in nessun punto la struttura concettuale. Date le condizioni di sviluppo dei settore capitalistico, questo eserciterà un ruolo dom i­ nante nel sistema. L ’originalità delPimpostazione di P. sta nel non ipotizzare per nulla la "scomparsa” dei settore piccolo-borghese, ma, anzi, nel coglierne il duplice e inscindibile aspetto di settore strategicamente ãom inato dalle forme di produzione capitalistiche c insieme dei tutto funziom le ad esse. Se noi aggreghiamo le prime Sezioni di entrambi i Settori e le confrontiamo con le seconde e pensiamo alie diíEcoltà che gli schemi di riproduzione precedenti incontravano nelPaddivenire ad una ridistribuzione dei capitali e delle forze produttive in genere tra le due Sezioni, il ruolo che può giocare un settore piccolo-borghese diviene evidente. Quella ridi­ stribuzione può essere piú facilmente ottenuta proprio mutando Pcquilibrio al suo interno. II "trasferim ento” dalla seconda alia prima Sezione apparirà, allora, piú “mediato” e piú semplice in­ sieme, poiché avverrà, anzitutto, usando dei capitali delia seconda Sezione dei secondo Settore. U elasticità dei sistema in generale IIIImenta considerevolmente in presenza di due Settori, senza che si eontraddicano con ciò in alcun punto i precedenti schemi di ri­ produzione. II secondo Settore svolge un fondamentale ruolo anli ciclico, assolutamente controUato dallo sviluppo delle forme capiiiilistiche di produzione. E perciò il ruolo dei Settore piccoíoborgliese è capitalistico esso stesso. Ipotizzare la rapida sparizione ili-l Settore significa non comprendere i problemi e le articolazioni ildlo sviluppo capitalistico moderno. Viceversa, ipotizzare la presenI i!i tale settore come "alternativa" rispetto alie forme di questo Nviliippo è reazionario tout-court oppure ignoranza delia sua fun•ionalità Qggettiva e completa integrazione agli schemi complessivi dello sviluppo capitalistico oggi. Il contrasto "di principio" che comimqiie si ipotizza, da destra o sinistra, tra sviluppo capitalistico

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e forme di produzione piccolo-borghese, è una costruzione meta­ física, fondata su schemi "puri” di riproduzione. La stessa diminuzione delle forme economiche pre-capitalistiche non sta a signifícarc aíTatto una "lo tta" tra “principi” diversi. Per una lunga fase il Settore pre-capitalistico svolge funzioni essenziali di riequilibrio, è la sede principale dei processi di riaggregazione e ricomposizione che abbiamo descritto nello schema teorico generale come aventi luogo alPinterno delle sole Sezioni capitalistiche. Questa funzione si sposta da Settore a Settore di produzione, investe diverse sfere, a seconda delle esigenze storicamente fondate delia riproduzione capitalistica. II Settore piccolo-borghese può venire, cioè, in con­ trasto con le esigenze capitalistiche in determinati rami, in rapporto al grado di generalizzazione dei rapporti di produzione capitalistici. Allora, basterà una stretta, anche a costo di perdite iniziali di va­ lore, dello scambio tra i due Settori e il suo ridursi alPinterno dei primo, per determinare alia lunga il tracollo dei Settore pre-capi­ talistico in quelPambito specifíco. Oppure basterà agire sul mercato dei lavoro — oppure, ancora, in quello fínanziario-creditizio. Ciò comporta, ovviamente, la progressiva liquidazione dei Settore pre-capitalistico. Ma da questa linea di tendenza non deriva nessuna “opposizione" necessária tra i due Settori, bensí, alPopposto, la perfetta funzionalità dei secondo, Pimportanza dei suo ruolo anticiclico, la sua funzione nella realizzazione dello schema di ripro­ duzione aUargata, per tutto un periodo storico. Come questo discorso fornisse a P. il quadro teorico delia sua posizione política nel dibattito sulPindustrializzazione, è facilmen­ te intuibile. In base a tale quadro, il suo intervento assume una ve­ ste sistemática che lo distingue da tutte le altre posizioni delia si­ nistra e lo presenta come alternativa generale alia destra, ai menscevichi, aUa maggioranza dei Gosplan. Un piano di rapida industrializzazione comportava "trasferimenti” di capitale dalla seconda alia prima Sezione. P. indicava i metodi usati dal capitalismo per realizzarli. Ma il suo discorso sulPaccumulazione socialista primiti­ va e lo scambio ineguale non era, in fondo, che Papplicazione delia stessa tendenza e delia stessa strategia alie condizioni dello sviluppo soviético. II "trasferimento" con i metodi dei "normale" sviluppo capitalistico non sarebbe risultato suífíciente a soddisfare il bisogno di capitali delia prima Sezione in una situazione di ricostruzione in dustriale, in condizioni di "decollo” economico, per un sistema anco ra dominato da forme di produzione piccolo-borghesi, sia nelle cam pagne che nelPindustria. L ’accumulazione socialista radicalizzava lo schema di riproduzione aUargata che P. delineava sul piano teorico,

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senza mutarne la struttura concettuale. Anche il rapporto tra forme capitalistiche e pre-capitalistiche era decisivo nel dibattito sull’ industrializzazione. P. dimostrava come non si trattasse aííatto di programmare la “soluzione finale" per i settori di produzione piccolo-borghese — ma di definirne la funzionalità rispetto alie esigenze di sviluppo delia grande industria di base. Ma il centro degli argomenti delia destra si fondava, per P ., sulla paura reazionaria delia sovra-accumulazione. Lo schema delia riproduzione allargata doveva servire a dimostrare la possibilita di un trend "norm ale” di svi­ luppo dominato dalle esigenze di una sistemática crescita delia composizione organica in entrambe le Sezioni. Ne derivava, come sappiamo, il problema dei "trasferim ento." Ciò che poteva apparire sovra-accumulazione nelbindustria di base indicava, in effetti, una carenza storica di investimenti nel Settore. Non avrebbero potuto nascere problemi di mercato. La riorganizzazione generale delia base industriale necessária alio sviluppo soviético sarebbe stata, per molto tempo, il mercato stesso delia grande industria di base. Lo schema di riproduzione dimostrava che questo obiettivo era possibile senza con ciò diminuire lo sviluppo delia seconda Sezione, senzii, cioè, alterare il suo scambio con il fondo di consumo delia prima. Anzi, lo schema mostrava che proprio questo modello di sviluppo riusciva ad accelerare la crescita delia stessa seconda Se/ione (rispetto alio schema “clássico” dei Libro I I ) , nelPinteresse 1 ilale dtWüntero sistema. Ma questi collegamenti erano disposti sinI ronicamente nella teoria. In realtà, e P. lo sapeva benissimo, la loro 1'Mlizzazione avveniva in URSS sulla base delia lotta tra diversi si»u-mi economici. Lo schema di sviluppo proposto poteva aílermarsi •iiliiinto sulla base e a partire da determinate contraddizioni — qiiclle proprie delia N EP. Qui si conclude il saggio dei ’27 sulle '■■lulizioni di equilibrio nelPURSS. Ma Popposizione violenta delia destra alie tesi di P. aveva anche MM iiltro motivo, che coinvolgeva questioni teoriche piú generali. A (liflerenza di come la destra manipola gli schemi marxiani di Iipmduzione, P. non aíferma mai che il proprio schema sia valido M>ni court nelle condizioni dello sviluppo soviético, o ne costituisca il "ilover-essere." Certamente, gli schemi di riproduzione che i gji assume sono alia base delle sue stesse proposte di strategia •'( iiMuMiica, epperò ciò avviene in modo indiretto, comunque sulla h'i“i' di analogie concrete. II legame era invece assolutamente espliiMtt Mcl discorso delia destra: obiettivo dello sviluppo socialista ■!•! loMclurc la possibilità di un "equo” scambio intersettoriale, gaiiMiiiio dnlla "appiicazione” delia legge dei valore. Lo schema di ri-

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produ2Íone, sem a le distorsioni dei processo di trasformazione, descriveva uno sviluppo perfettamente equilibrato, impossibile nel capitalismo, realÍ2zabile soltanto nelle condizioni delia programma2Íone soviética. La parte I I dei saggio II problem a deli’equilíbrio econom ico, che segue a quella teórica e afíronta 1’analisi delia situa2Íone dei capitalismo europeo dopo la guerra e delia genesi delle crisi, mostra chiaramente come P. condividesse in generale le analisi sul capitalismo come "anarchia” di mercato e deformazione si­ stemática delia legge dei valore. Ma non sarebbe occorso, allora, rimediare queste distorsioni? e questa stessa operazione non avrebbe condotto ad un sistema economico "pianificatc"? Sotto questo aspetto, la posizione delia destra non presentava forse una maggiore coerenza interna? P. afíermava che scambiare nelPURSS di allora secondo la legge dei valore e strutturare sulla sua base il mercato, liberalizzandolo, avrebbe comportato la liquidazione di ogni pos­ sibilita di sviluppo delia grande industria di base. Realizzare la legge dei valore: ecco appunto ciò che andava evitato. E proprio per evitarlo, si affermava prioritária 1’esigenza di una struttura di piano eíEciente e centralizzata. Ma neUo stesso schema teorico di riproduzione che P. aveva tracciato, i rapporti di scambio non apparivano piú determinati dalla legge dei valore. Questa conseguenza era implicita nello schema di sviluppo in generale. II suo schema teorico era qui in palese contraddizione con la sua posi­ zione “di principio" nei confronti dei sistema capitalistico. Schema marxiano di riproduzione allargata e legge dei valore coesistono neutralmente. Ma lo schema di riproduzione di P. è in sé alternativo al funzionamento di tale "legge.” Eppure, esso non descrive certo una situazione di mera crisi — anzi, come abbiamo visto, esso vuole valere come interpretazione di uno sviluppo capitalistico "norm ale.” P. descriveva, di fatto, la possibilità di uno sviluppo capitalistico "norm ale,” come quello marxiano, senza ricorrere minimamente alPuso "corretto" delia legge dei valore. Ciò contraddiceva non solo, come è ovvio, le tesi delia destra — ma i presupposti “ideologici” di P. stesso. Queste diíEcoltà intrinseche alia sua posizione non permisero a P. di allargare la própria analisi agli schemi di trasformazione, e di avvicinarsi, per questa via, al Marx dei Libro I I I e dei Grundrisse, che pure in qualche modo egli "intuiva.” La destra vedeva nello schema di P. 1’abbandono di quals'asi possibilità di equilibrio. E a ragione. Ma P. tracciava uno schema di riproduzione allargata nel quale qualsiasi ipotesi di equilibrio fondata sulla legge dei valore risultava " anti-economica, ” perfetta-

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incnte inutile. La concezione dinamica dello sviluppo capitali‘•lico apriva queste prospettive, ma rimaneva ancora contraddittoI ia rispetto al discorso “di principio" sul sistema, da cui anche P. non I iusciva a districarsi. Se il problema fosse stato semplicemente quello dcl superamento d eir“anarchia" di mercato, allora anche la terapia delia destra poteva risultare accettabile: non c ’è contraddizione, iii teoria, tra linea di programmazione e realizzazione delia legge dei valore. È necessário porre la contraddizione ad un altro livello, dimostrando concretamente le conseguenze dello schema di­ nâmico di riproduzione sulle condizioni di equilibrio dei sistema, Niii processi di trasformazione — definire storicamente un nuovo livello dello sviluppo capitalistico e deUe teorie dello sviluppo. Tutto d ò è soltanto in nuce nel discorso di P. A questo proposito, il suo andamento è aífatto problemático, ben diverso dalla coercnza e compattezza delle tesi dei menscevichi dei Gosplan e degli "analisti” borghesi, che lavoravano a trasformare, mediare, articoliire nuclei teorici ben noti, da Marx, alia socialdemocrazia tedesca, iille stesse scuole neo-classiche. Ma sulla scarsa fortuna dei suo "modello" influí la scelta concreta di industrializzazione assunta con il XV congresso e definita con il primo Piano quinquennale. Analizzare questo elemento è essenziale anche per comprendere il l iipporto tra Stalin e la sinistra, di cui abbiamo già a lungo parlato. Sappiamo, infatti, quali profonde diíferenze intercorressero tra Stalin e la sinistra per quanto concerne il modello di programmayione, differenze fondate sulPanalisi storica delle condizioni di oviluppo in URSS. II primo Piano fa propri alcuni principi fonilamentali dello schema di riproduzione di P., ma ne abbandona le condizioni di equilibrio. In P. la concezione dinamica di Q e l’ohicttivo deUa sua sistemática espansione attraverso r “alienazione” ili capitale daUa seconda Sezione non corrispondono ad una genem I c dinamicizzazione dei modello marxiano. Due elementi rimangoiio íissi, íinendo con 1’apparire come parametri delPintero ra­ cionamento: il rapporto di scambio tra (v - f pv) delia prima Se•ionc e c delia seconda, da una parte, e il saggio dei plusvalore, dalPaltra. Le grandezze che compongono questi rapporti permanC.ono in un vincolo reciproco assolutamente statico. NeUo schema marxiano dei Libro I I tutti i rapporti sono fissi nel tempo. E tosf era in URSS negli schemi delia destra. In P ., invece, alcuni Io sono, altri no. Ciò conferisce un’immagine abbastanza illogica .il MIO modello. Epperò esso derivava da obiettivi e analisi politiche ben precise — i suoi limiti non erano certo casuali. II processo di industrializzazione non poteva in alcun modo intendersi a prezzo

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delia riduzione deiraccumulazione nella seconda Sezione. Ciò avrebbe comportato o la rottura delPequilibrio con il fondo di consumo delia prima, oppura la riduzione di questo fondo stesso. Ma il principio dei "trasferimento” era stato appunto introdotto per "evitare” che la crescita di Q neUa prima Sezione dovesse essere pagata dalla riduzione dei fondo di consumo, cioè dalla contrazione delia massa dei capitale variabile. Si sarebbe trattato, in questo caso, di un processo di industrializzazione non fondato su queUa sistemática crescita salariale che, anche per P ., era linearmente collegata ai meccanismi delia ristrutturazione. Corollario di tale impostazione era, poi, la rigidità dei saggio di plusvalore. Infatti, se lo facciamo crescere, possiamo ottenere un fondo "eccedente" da capitalizzare, pur mantenendo la dinamica di y — oppure rompiamo 1’equilibrio con la seconda Sezione. Ma 1’ipotesi di un au­ mento dei saggio di plusvalore non è neppure sfiorata da P. Il processo di industrializzazione deve avvenire senza mutare i rapporti di valorizzazione. La crescita delia massa di plusvalore deve corrispondere sempre alia crescita delia massa di capitale variabile. L ’aumento dei fondo di consumo che si ottiene deve trovare "soddisfazione” nelPallargamento delPofferta da parte delia seconda Sezione, determinato da processi di capitalizzazione analoghi a quelli delia prima Sezione. È abbastanza evidente, a questo punto, che anche P ., come la destra, parlando degli schemi capitdistici di riproduzione introduca concetti e obiettivi propri delia sua concezione dello sviluppo socialista. Esso deve significare: sistemática crescita salariale senza crescita corrispondente dei saggio di plus­ valore — sistemático ampliamento dei consumo (e quindi degli stessi settori di produzione di beni di consumo) — equilibrio costante tra i due livelli, pianificato in modo da liquidare la possi­ bilita di crisi. Si tratta di un autentico sistema di vincoli, di limiti dello sviluppo, che non troveranno posto in nessun modo nelPelaborazione definitiva dei primo Piano. Tradotto in obiettivi concreti, lo schema di P. si presenta estremamente cauto. C ’è, sí, prioritário, Tallargamento delia capitalizzazione nella prima Sezione — ma 1’i­ potesi di equilibrio suddetta fa corrispondere ad esso la crescita di Q anche nella seconda. Relativamente, il movimento di Q nella prima può anche non essere piú rápido: può trattarsi di un uso piú intensivo delle risorse, senza che la loro distribuzione trasformi la struttura dei sistema-industria nel suo complesso. L ’ipotesi delia crescita di v assolutamente proporzionale alia dinamica di Q si fonda %\d^iàea già discussa dei legame lineare e semplice tra au­ mento di Q e aumento delia produttività. Mantenendo fisso il

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saggio di plusvalore e 1’equilibrio nella crescita di Q tra le due Sezioni, equilíbrio corrispondente alia dinamica salariale nella pri­ ma, non si risponde alie esigenze di costruzione delia base industriale e di "decollo” dei sistema soviético. Anzitutto, come posso far dipendere la crescita di pv dalPaumento delia produttività dei lavoro, che andrebbe quindi "risarcita” allargando v, in una situazione dominata da massicci investimenti di base, dove cioè 1’uso dei "fattore capitale” assume importanza decisiva? E dopo aver scelto come centro 1’industrializzazione di base, cbe significato è possibile ascrivere al mantenimento di un equilíbrio nella crescita di Q nelle due Sezioni? II modello non è contraddittorio con le scelte cbe lo dovrebbero fondare? Certo, P. parla delia riproduzione allargata capitalistica — ma è fuor di dubbio che qui la sua attenzione è tutta rivolta alie condizioni dello sviluppo soviético. La differenza su cui insiste riguarda il funzionamento dei meccanismi di riequilibrio — concorrenziali e di merca to, per lui, nella riproiluzione capitalistica, pianificati centralmente, invece, nel "socia­ lismo.” Ci troviamo di fronte ad un’ambiguità ineliminabile dei discorso di P. G li obiettivi che egli stesso poneva alio sviluppo so­ viético sono solo in parte coerenti con i suoi schemi di riprodu­ zione. Se si aflEerma che questi schemi riguardano comunque, pur con tutte le evidenti incertezze, il sistema di produzione capitalistico, aUora manca qualsiasi analisi sui meccanismi sovietici di riproduzione. In realtà, P., e la sinistra in parte e con minor coerenza, intendevano analizzare secondo i parametri suddetti lo svi­ luppo soviético. Ma questi parametri rappresentavano assai palliciamente gli obiettivi di "decollo” e di industrializzazione. Epperò, proprio tali limiti potevano rovesciarsi in maggiore forza prospettica. Le prime esperienze di pianificazione, per quanto coniraddittorie rispetto alio schema di riproduzione adottato da P., si cvolvevano nella sua direzione, ponevano i suoi problemi. Ed è quanto P. cercherà, in fondo, di dimostrare nei suoi ultimi lavori. Non c ’è dubbio che il primo Piano abbandona i "vincoli” dello schema di P. Le necessita dei potenziamento dei processo di capilalizzazione nella prima Sezione non risultano equilibrabili con lo sviluppo di Q nella seconda. Posto questo squilibrio, è possibile "alienare” per 1’industrializzazione di base una quota maggiore di pv, stabilire un equilíbrio tra prima e seconda Sezione relativamcnte decrescente. L ’ipotesi di evitare ciò attraverso un aumento dei saggio di plusvalore non viene scartata per motivi "politici,” lome in P., ma per la sua irrealtà, date le condizioni di organizzazione, di produttività dei lavoro nella fase di "decollo” e l ’e-

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norme dispiego necessário di capitale. II modello di Piano si va perciò definendo intorno a questi assi: non solo trasferimento di capitale dalla seconda alia prima Sezione, non solo Q dinâmico — ma crescita di Q accelerata nella prima rispetto che nella seconda Sezione, con conseguente necessità di capitalizzare quote crescenti di pv, fermo restando il saggio di plusvalore. C ’è un’affinità teórica importante tra questa impostazione e quella di P. Se Q aumenta, fermo restando il saggio di plusva­ lore, noi otteniamo un modello a caduta dei saggio di profitto, a prescindere, poi, dalle modalità dei "trasferim ento,” dalla quantità e provenienza dei capitale necessário alia crescita di Q e dalPequilibrio che si viene a determinare tra le due Sezioni. In sintesi, la caduta tendenziale dei saggio di proíitto (s) aííerma che il tasso di capitalizzazione illustrato con gli schemi di riproduzione può aumentare “teoricamente" fino al punto in cui í = o, e che la distribuzione dei plusvalore cosí capitalizzato tra gli elementi dei capitale avviene in modo da aumentarne drasticamente la composizione. Ma questo nuovo rapporto tra composizione organica e formazione dei saggio di profitto, fondato ora su una visione di­ nâmica di Q, non è che la scoperta decisiva dei Libro I I I , dello stesso discorso marxiano sulla "caduta tendenziale. Determinati tassi di espansione delPinvestimento produttivo, e precisamente tassi tali da “rivoluzionare” sistematicamente Q, e quindi inconcepibili nello schema di riproduzione dei Libro I I , contraddicono la “naturale” espansione dei saggio di profitto, intesa come elemento strategico, fine dello sviluppo capitalistico. Ma 1’elemento di base dei meccanismo di riproduzione non viene per ciò aííatto spezzato; le potenzialità dei processo di capitalizzazione derivano sempre dal fondo di plusvalore precedentemente ottenuto. Ma esso non rein­ tegra Tequilibrio tra espansione delle forze produttive e fondo di consumo, né tra questo e la seconda Sezione. L ’uso che ne viene fatto è squilihrante. Un modello che superi 1’assunzione statica deli’ equilibrio capitalizzazione-fondo di consumo e delia rigidità dcl rapporto di Q tra le due Sezioni porta cosí a rivedere la fun zione strategica di s nel ciclo. E precisamente: tale modello scon ta al suo interno la caduta tendenziale di s: non solo esso è in grado di "assorbirla," ma la programma e la funzionalizza alio sviluppo rápido, di base, ad alto Q, delle capacita produttive dei sistema Se questo è 1’obiettivo prioritário, allora tutto il ciclo va riscrilio K. M arx, II Capitale, libro III, sezione I I I , cit., pp. 262 sgH-

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e reinterpretato alia luce dei fattori squilibranti che la caduta di s mette in azione. Questo modello provoca ovviamente una riduzione relativa deli’ espansione delia seconda Sezione, la contestazione radicale dei ruolo politico che essa svolgeva in tutti i modelli delia destra durante Ia NEP. Lo sviluppo delle forze produttive di base non è piú ne­ cessariamente vincolato alia domanda, alPespansione reale dei "reddito consumabile.” II tasso di accumulazione diviene funzione degli obiettivi di aumento delle capacita produttive. L ’equilibrio intersettoriale dei Libro I I è spezzato. E questa “rottura" teórica illustra assai efficacemente il carattere "innovativo” delle esperienze di piano e dei modelli di sviluppo adottati in URSS alia fine delia NEP. Storicamente e politicamente questo modello com­ porta: programmazione centralizzata e vincolante dei meccanismi di mcrcato — limitazione drastica dei fondo di consumo nello schema (li riproduzione — riduzione relativa dei tassi di sviluppo di Q del­ iu seconda Sezione — trasformazione delle funzioni di intervento cconomico da parte statale: da funzioni di mediazione ed equilibrio, a funzioni di rottura dei rapporti intersettoriali dati — da orgiino (come è implicito negli schemi anche marxiani di trasforma.■ione) che preme verso il realizzarsi di condizioni di "equo scamItio" fondate sulla legge dei valore (organo di correzione delle di'.Inrsioni “monopolistiche” di mercato, ma anche degli eííetti piú "distruttivi” dei meccanismi concorrenziali), ad organo che proHi iimma ed impone tassi di capitalizzazione, “trasferimenti” di capiiiile, condizioni di scambio "ineguale," tali da permettere un pmccsso di riproduzione fondato sulla "rivoluzione” sistemática dei iiipporti tra i suoi fattori, in funzione deU’industrializzazione acceI' nua di base. Questa prospettiva, lo ripetiamo, è già leggibile nell’ ■Miiilisi complessiva dello sviluppo capitalistico e delle sue tendeno il)c Marx compie. Sciogliendo i nodi statico-concorrenziali dei'li Mchemi di riproduzione dei Libro I I e sintetizzandoli alie ten•li iize dcscritte nel Libro I I I , “liberate” dalle tradizionali visioni "niiastrofiche” proprie sia delia socialdemocrazia che dei Linksl■|llnlmlnismus — noi giungiamo ad un’interpretazione delia caduta II iidcnziale di s, che è di fondamentale importanza nel comprendere Il h oiie contemporanee di sviluppo, i meccanismi attuali dei pro11 ii di iiidustrializzazione — ma anche, piú in generale, la crisi dei (iiiidclli di cquilibrio nella comprensione dei processi innovativi e di »vlliip|i(), II discorso di P. può esser posto alPorigine di questa prolil< iiialica. Kigiditíl dcl saggio di plusvalore, caduta di r, aumento di iL "viiu olo” pmgrammalo al rapporto tra fondo di consumo e capi-

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talizzazione nelia seconda Sezione, erano elementi espliciti nel modello di P. A questi, come abbiamo visto, si aggiungevano altre ipotesi e altri rapporti riguardanti 1’espansione equilibrata di Q in entrambe le Sezioni e, di conseguenza, una proporzionale espansione delia domanda derivante da una crescita dei fondo di consumo corrispondente alPaumento delia massa di pv. Date le condizioni sovietiche alia fine degli anni ’20 — e in base alio stesso discorso sul processo di industrializzazione che la sinistra aveva compiuto — era facile scoprire i limiti e le contraddizioni dello schema. Basterebbe rifarsi alia contraddizione piú macroscópica: se Taumento dei fondo di consumo deve essere rigidamente proporzionale a quello di c, noi non abbiamo soltanto la corrispondenza tra la crescita di Q in entrambe le Sezioni, ma annulliamo le condizioni di questa stessa crescita. Se la composizione delia prima Sezione au­ menta effettivamente (come è richiesto nelle ipotesi di base), la composizione deUa seconda Sezione, per mantenere 1’equilibrio con {v -t- pv) delia prima, dovrà crescere ad un tasso comunque inferiore. Oppure, bisogna ipotizzare un aumento dei saggio di plusvalore (cbe può benissimo coincidere con una diminuzione dei sag­ gio di profitto). Ma è una condizione che, realisticamente, P. scarta. A prescindere, però, da queste difScoltà dei suo schema, che derivano dai procedimenti aritmetici che adopera piú che dalla lógica intrínseca dei suo modello, P. poneva, attraverso queste stesse contraddizioni, una serie di problemi che fuoriuscivano dai limiti storíci delle prime esperienze di programmazione, e, piú in generale, dalle condizioni storicamente proprie di una situazione di "decollo” o ricostruzione industriale. I problemi che solleva il suo modello, la sua stessa sfasatura rispetto a certe situazioni sulle quali pretendeva indubitabilmente di potersi applicare, ci permettono di considerare in prospettiva gli sviluppi e le conseguenze di uno schema di riproduzione allargata come quello che abbiamo finora discusso. L ’ipotesi di una crescita dei fondo di consumo, tale da reinnescare un processo di sviluppo accelerato anche degli investimenti produttivi nelia seconda Sezione, senza però intaccare il ritmo di accumulazione nelia prima, si scontra con la rigidità dei saggio di plusvalore. Crescita di Q, rigidità dei saggio di plusvalore e, insiem e, mantenimento dei rapporti tra prima e seconda Sezione, come avviene nello schema di P., non sono elementi conciliabili. P. introduceva, d’altra parte, anche se piú a livello “discorsivo” che nel­ ia lógica dei modello, 1’ipotesi di un rapporto proporzionale tra au­ mento dei fondo di consumo e produttività dei lavoro. Ma ciò com-

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porta, ovviamente, abbandonare la tesi delia rigidità dei saggio di plusvalore e far dipendere la dinamica dei fondo di consumo dalla dinamica dei saggio di plusvalore. Posto il suo aumento, è naturalmente possibile mantenere i forti precedenti tassi di capitalizzazione e insieme conferire nuovo impulso aH’investimento nella seconda Sezione. La domanda non è soltanto funzione delPinvestimento nella prima Sezione, ma svolge cosí un ruolo fondamentale di accelerazione delPinvestimento anche nella seconda, cioè di generalizzazione dei meccanismi di riproduzione ad alta intensità di capitale presenti nei settori trainanti. Questi rapporti investimentodomanda erano, in fondo, desumibili dal modello marxiano — ma essi vi venivano “occultati” dalle ipotesi riduttive-astratte degli schemi di riproduzione. Soltanto una volta posta la centralità delia dinamica di Q delia prima Sezione, si presenta il problema dello sviluppo delia seconda, e cioè dello sviluppo complessivo dei si­ stema, come dipendente dal comportamento dei saggio di plusva­ lore (p). La crescita di Q non poteva non riflettersi sulla dinamica di p. Q non "incarna” soltanto processi estensivi di uso di capitale complessivamente inteso, ma nuove forme di organizzazione, nuovi livelli tecnologici, nuovi assetti delia composizione di classe. Sol­ tanto a questo punto, anzi, è corretto parlare di composizione organica. Cioè, il discorso sulla composizione íinisce con 1’essere un’analisi dei processi di aumento delia produttività delPintero si­ stema. L ’aumento delia produttività dei lavoro ne è parte fonda­ mentale. Lo schema acquista cosí una sua profondità temporale: la rigidità dei saggio di plusvalore entra, ad un certo punto, in conílitto con Pespansione di Q — Pespansione di Q (una volta scelta questa alternativa e scartata quella, anche possibile, di carattere "recessivo”) determina le condizioni per la crescita dei saggio di plusvalore. Questa crescita permette di allargare il fondo di consumo, pur mantenendo il precedente ritmo di accumulazione, e quindi di accelerare Pespansione delia stessa seconda Sezione. P. giungeva a queste conclusioni, ma senza mediarle storicamente attraverso la porta stretta delia fase di accumulazione rapida nella prima Sezione, non solo per mezzo dei "trasferimento” massiccio di capitali dalla seconda Sezione, ma anche a spese dei fondo di con­ sumo delia prima. Non era possibile, soprattutto, giungere alPallargamento dei fondi disponibili per lo sviluppo delia produzione dei beni di consumo, fermo restando il tasso di capitalizzazione delia prima Sezione, senza passare attraverso la crescita dei saggio di jiliisvalore. Tale crescita era, d’altra parte, implicita nella dinamica di

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Q. Si trattava di seguirnc gli efletti e registrarli nel modello, trasformarulonc i rapporti. Ma queste trasformazioni corrispondevano a problcmi c a fasi determinate dei processi di industrializzazione e sviliipjio. Un nliro motivo era implicito nel ragionamento di P. La crescita di c ddla seconda Sezione proporzionale a quella delia prima tendcva, nel suo modello, ad evitare il pericolo di laceranti contraddizioni dei livelli di produttività, e quindi degli stessi livelli salariali. Anche a questo proposito, P. non comprendeva la complessità storico-politica di questi passaggi, ma indicava comunque le difficoltà strategiche presenti nel modello di industrializzazione. Nella misura in cui nella seconda Sezione prosperano ancora aziende piccolomedie private, questo ventaglio di produttività può essere inteso come specifica forma di lotta dei settori economici piú sviluppati (grande industria statale) nei confronti di quelli borghesi e capitalistici. Ma, sul tempo lungo, venuta meno questa fase “concorrenziale,” e cioè superata la N EP, 1’accentuarsi dei ventaglio di pro­ duttività diviene un elemento di squilibrio alPinterno dei piano economico statale, in quanto tale. Questa sperequazione cessa di essere funzionale, come lo era per gli obiettivi che lo Stato perseguiva nella N EP: essa diviene elemento non programmato di pres­ sione sul mercato dei capitali e dei lavoro — essa è destinata a trasformarsi rapidamente in motivo di conílitto, di divisione di classe. Queste variabili, questa prospettiva storica, non erano presenti nel modello dei primo Piano. Né, per i suoi limiti sia nelPanalisi delia situazione che a livello concettuale, quello di P. poteva rappresentarne un’alternativa effettuale. Tantomeno potevano esserlo i discorsi degli altri dirigenti delia sinistra, Trockij in testa. Eppure, il discorso di P. conduce ad aífrontare problemi irrisolti, di lungo periodo, ma impliciti nelParticolazione stessa dello sviluppo deli’ industrializzazione soviética. La crescita di Q diviene salto di produttività — quest’ultimo spinge inevitabilmente ad un allargamento delia domanda effettiva, attraverso pressioni sul mercato dei lavoro e sulla dinamica salariale — queste pressioni innescano accelerazioni dello sviluppo nella seconda Sezione. Se restassero ferme le condizioni di partenza, si avrebbe, alia fine, una diíferenza di produttività tra le due Sezioni, dipendente dai diversi ritmi di capitalizzazione. Se questo processo non viene in qualche modo programmato, noi avremmo, alia fine, il formarsi di una serie di ventagli intersettoriali, per quanto concerne costi, salari, produt­ tività, tali da riportare a meccanismi di mercato e da liquidarc

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qualsiasi política centrale dei lavoro e dei prezzi. È chiaro che questa prospettiva mancava nelle prime esperienze di piano in U RSS, e che neirindicare tali contraddizioni, anche se in forma intuitiva, nelle sue ultime opere, P. metteva in evidenza problemi for se allora “intempestivi." In sintesi, egli indicava la necessità di programmare il salto di produttività delPintero sistema, i meccanismi di generalizzazione delia riproduzione allargata dei settori trainanti. "Volano” di questi meccanismi avrebbe dovuto essere la dinamica salariale che, in una fase precedente, si realizzava nella prima Sezione. Ma per compiere questo passaggio, il suo stesso modello mancava delPessenziale: 1’abbandono delPipotesi delia íissità dei saggio di plusvalore e un discorso com plessivo sulla dinamica di Q. Se voglio rendere davvero "dinamica” la seconda Sezione, devo rendere dinâmico il saggio di plusvalore delia prima, intensificare la funzione valorizzante dei lavoro. Questo rapporto sfuggiva a P ., cosí come alie articolazioni dei primo Piano, dove le variabili si Ümitavano ai meccanismi di reperimento e "trasferimento” di capitale e alPuso estensivo dei fattori. P. ne intuiva i 1imiti e per questo vi si allontanava — proponendo, implicita­ mente, nel suo modello, i nodi dei rapporto produttività-dinamica salariale, investimento-consumo, per i quali il dibattito soviético degli anni ’20 non era ancora attrezzato. E non solo il "dibattito" — ma gli stessi organismi di Piano. IJn conto è la restrizione sistemática dei consumo corrente in funzione deU’accumulazione attraverso un rigido controllo dei prez­ zi e il sistemático "trasferimento" di capitale delia seconda Se­ zione, reso cosí eccedente, alia prima — un conto è la pianificazione dcl rapporto produttività-dinamica salariale e delia crescita delia ílomanda in funzione delle disponibilità per 1’accelerazione deli’ iiccumulazione nei settori di produzione dei beni di consumo. La "systematic incomes policy" stalinista minaccia qui di diventare alircttanto fragile deli’"equilíbrio” delPanalisi tradizionale. La piena " identificazione” tra crescita dei fondo di consumo ed esigenze Kiiategiche delPaccumulazione — ciò che costituisce il vero perno materiale dell’ideologia socialista dei lavoro — diviene aífatto |)i'oblcmatica. L ’accumulazione "si trasforma” in salto di produtlività, e questo a sua volta in pressione sulla dinamica salariale, e i|nesta infine in richiesta oggettiva di ridistribuzione delle risorse ridistribuzione che dovrà fare i conti con i ventagli intersettoiiali creatisi necessariamente in precedenza. Si dovrà allora riuNi ire a calcolare tali ventagli, disporre di un sistema di prezzi in gnulo di rapprcscntarli — di parametri e criteri di proporzionalità

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per la determinazione degli scambi in grado di comprendere questi nuovi elementi nella loro struttura dinamica. II dibattito sui modelli "pianometrici" degli anni ’60 parte dal postulato delia irriducibilità delle variabili a pochi rapporti rigidamente stabiliti — ciò significa che il controllo e 1’indirizzo di piano è esercitabile soltanto sulla base di una rete vastissima di informazione e di possi­ bilita d’intervento.‘“ L ’idea che questa esigenza possa convivere con criteri di proporzionalità fondati sulla "corretta” applicazione delia "legge dei valore" è primitiva.'" Non è certo per l ’ineííettualità delia “legge" al suo interno che il piano stalinista viene liquidato — né è certo in una situazione caratterizzata da ampi ventagli di costi e produttività, dove la pressione delia dinamica salariale obbliga, d’altra parte, ad incentivare Tapplicazione di criteri di competitività intersettoriale, che è possibile tornare alia definizione di parametri "essenziali.” Allorché, dunque, P. coglieva i limiti dei piano stalinista — e li coglieva per la lógica stessa dei suo modello, come abbiamo visto, piú che per chiara comprensione delle tendenze evolutive dei sistema soviético — egli "apriva" a questa problemática. Le tesi e i modelli di equilibrio delia destra non rientrano in questa periodizzazione. Certamente, alcune delle loro analisi ritornano nel dibattito piú recente, ma quasi unicamente per il contributo da esse dato nel campo delia técnica dei calcolo economico. II dibattito piú recente non è pensabile se non sulla base deH’accumulazione socialista dei primi Piani, delle sue conseguenze e deUe sue contraddizioni. Se queste risultavano assai "indeterminate” nel discorso di P ., non è possibile certo parlare neppure ora di una loro soluzione. Lo sviluppo avviene sotto la spinta di scarti di produttività e dinamiche di classe che non appaiono "coordinate" nel sistema di piano. Questo nesso contraddittorio, questa contraddittorietà dei piano di sviluppo, che esplode dopo il "socialismo" inteso come realizzazione di quel tipo di accumulazione e di “incomes policy” sistemática di lungo periodo, che abbiamo già visto nel suo schema essenziale, ebbene questa contraddittorietà può forse essere calcolata, ma non si intende ancora come possa essere prevista, organizzata, programmata. Per essere calcolata, sono possibili parametri e strumenti di un’analisi di mercato coerente con la specifica struttura istituzionale. Ma per divenire funzione di un piano vincolante, con caratteristiche deDa qui lo sviluppo delia programmazione lineare, dei calcolo matemático delle interdipendenze, dell’uso crescente dei sistemi di controllo cibernético, dal XX Con­ gresso in poi. Cfr. J. W iLC Z Y N SK i, Veconomia dei paesi socialisti, Bologna 1973. Questa ancora 1’idea di Strumilin in II calcolo economico e i problemi dei prezzi, in AA.vV., L í riforma economica nellVKSS, Roma 1969.

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cisionali? È qui che qualsiasi “legge dei valore,” comunque ritradotta, non può reggere. È certo che questa contraddizione pesava iinche sulle anaHsi delia sinistra aU’epoca dei primo Piano: i ineccanismi che questo metteva in moto spingevano ad una dinainicizzazione delle variabili-chiave dei sistema, che occorreva prevedere e programmare — ma come era possibile il loro controllo oltre i parametri "classici” delPanalisi di mercato? non sarebbe stato necessário reintrodurre proprio quegli elementi contro cui la sinistra aveva combattuto per tutti gli anni ’20? Su questa contrad­ dizione oggettiva jinisce la sinistra. Su questo terreno, sinistra e P., non hanno strategie da oífrire. Ma la risposta agli interrogalivi di fondo, impliciti nel discorso di P., non poteva giungere neppure dal Piano di Stalin. D ’altra parte, la stessa fase successiva, di intreccio tra dinamicizzazione delia domanda e generalizzazione delle forme organizzativo-produttive in grado di innalzare la competilività generale dei sistema, significa innescare meccanismi di risi>armio com plessivo di capitale: il relativo aumento di plusvalore per ogni unità di capitale complessivo impiegato. Cresce la protluttività delia composizione organica dei capitale. E ciò è altrettanto incompatibile dei criteri di programmazione stalinista con modclli di mercato classici o con calcoli d’dficienza "aziendali.” Né i problemi politici che questi nodi sollevano sul piano dell’occupazione, delia distribuzione degli investimenti, delia dinamica salariale potranno essere risolti semplicemente con Vuso delle nuove lecniche d’informazione e di calcolo. È assodata, però, 1’assurdità di cogliere in questi processi e in queste contraddizioni tendenze, piú o meno “represse,” alia reinstaurazione di calcoli neo-classici di efficienza e produttività. "Razionalità” o “irrazionalità” dei sistema non sono elementi misurabili sulla base delia formazione dei prezzi, deU’eíficacia delia legge dei valore o dei criteri di profitto aziendale.'” Le contraddi­ zioni strategiche che P. indicava, o che dal suo modello sono estrapolabili — ma, ancor piú, le diíficoltà concrete dello sviliippo dei sistema — stanno nella instaurazione di nuovi rapporti di produzione, non nella ridefinizione di parametri o semplici criteri (li misura. II problema dei rapporto produttività-dinamica salafiale, investimento-consumo, è un problema di trasformazione dei nipporti di produzione, e di trasformazione, quindi, delPassetto di programmazione — riguarda processi di "metamorfosi sociale.” Ci xifcriamo, ovviamente, a A. N ove , La política delia razionalità economica, in Slalinistno e anti stalinismo nelVeconomia soviética, Torino 1968.

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Non si tratta di “riconciliare” i livelli salariali ad una maggiore produttività dcl lavoro (di remunerare, perciò, “giustamente” il fattorc-lavoro), ma di ristrutturare complessivamente organizzazione dei lavoro e ílnalità di piano, in funzione di nuovi criteri di con­ sumo, anch’essi socialmente definiti. Un critério riduttivo-aziendale di produttività non significa nulla in questo schema — cosí come un critério individuale di consumo. I problemi di misurazione técnica non possono essere confusi con quelli politici sostanziali, senza ricadere in una sorta di feticismo per le teorie e la prassi deli’ economia borghese: strana vendetta póstuma dei sistema neoclassico! Ciò non rende piú facilmente individuabili e comprensibili le contraddizioni dello sviluppo soviético, anzi: vogliamo porre l ’accento su alcune peculiarità nella definizione delle priorità di piano e nel suo processo applicativo, peculiarità tali da rendere inutilizzabili i tradizionali criteri di "razionalità” o “irrazionalità,” e da contestare in genere la funzionalità, sul piano delPanalisi storica, di una simile ottica. II collegamento (e il conflitto) tra i vari livelli di “razionalità” delinea un sistema sempre piú complesso. Astrarre da esso il frammento dei calcolo manageriale, o delia pressione salariale-aziendale, o delia domanda effettiva in senso “clássico,” oppure anche delle semplici astratte priorità di piano, questa operazione ha poco senso — non coglie il funzionamento dei si­ stema e tende a riportarne 1’analisi a modelli già noti, scontati. La rinnovata attenzione alie forme dello sviluppo soviético, non soltanto sotto 1’aspetto empirico, ma anche riguardo a queste questioni teoriche generali, pare finalmente rimettere in discussione un simile approccio e ridefinire, nel contesto storico in cui si opera, i concetti usati.”' 6. Socialismo e teorie econom iche È sperabile che lo scontro ideologico condotto intorno ai grandi "modelli," il dialogo tra “massimi sistemi,” perda finalmente ogni Cfr. i lavori, anche tra loro diversi sotto importanti aspetti, di M. C acciari, T. F orcellini , 11 àihattito soviético sulVindusírializzazione, in "Contropiano,” 1/197Í; B. B ezza, Piaitificazione e rapporti sociali durante la N E P , in "Aut-Aut," Í28/Í972; G. F abiani, I problemi economici nelVavvio delia pianificazione socialista soviética, in "Studi Storici,” 4/1972; C. B o ffito , La formazione delia classe dirigente dellVRSS nella Storia delia Rússia soviética dei Carr, in "Rivista di Storin contemporânea,” 2/1974. Infine, per un’ampia rassegna delia letteratura socialista pii'i recente sui problemi trattati in questo capitolo (anche se riferita soprattutto alia DDK, ma con una ricca bibliografia generale), cfr. A A .W ., Grundfragen der sozialistischen Akkumulation, Berlino 1973.

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ragione di essere È resistito anche incredibilmente a lungo rispetto ai processi reali. Ciò che deve interessarei è ormai la comprensione strutturale dei tipi di sviluppo. Socialismo o Mercato, Legge dei Valore o Piano, sono termini che possono aequistare un significato solo in riferimento a contesti economici concreti e a scelte di svi­ luppo storicamente determinate. Far derivare da questi termini l ’analisi storica significa ipso facto trasformarla in ideologia pura. Sul piano economico e su quello critico eííettuale non si può dare altro discorso sul "socialismo” che quello sul socialismo realizzato, e cioè su determinati tipi di sviluppo, che subiscono certe trasformazioni e rivelano specifiche contraddizioni. E 1’uso dei termine può valere soltanto nella misura in cui è funzionale alia comprensione di queste forme di aceumulazione, di sviluppo e di piano. È perciò alirettanto assurdo voler anaÜzzare questi sistemi secondo autonome categorie delia Geistesgeschichte, che rifiutare in astratto qualsiasi loro caratterizzazione specifica. La reazione alie prime (in tutta Tinfinita gamma di variazioni storiografiche che esse presentano: dalPapologia stalinista, alPapologia-critica piú recente) è, in realtà, spesso approdata a questo risultato, opposto e perfettamente complementare. Per rifiutare r"ideologia dei modello," e la storiografia che ne deriva, queste tendenze non hanno saputo immaginarsi nuH’altro che negare drasticamente ogni difíerenza, “in ultima analisi” e "neH’essenza,” tra riproduzione capitalistica e "socialismo realizzato.” Con ciò la negazione di un modello diviene 1’assolutizzazione di un altro. Si nega ogni difíerenza non per riuscire nella genérica notte delle vacche nere, ma nella solare unicità dei “moilello” capitalistico, che rimane saldamente unico padrone dei campo. G li schemi capitalistici di riproduzione, di trasformazione tiel mercato, di programmazione sono r"essenza” alia quale, attraverso operazioni varie e piú o meno intelligenti, si tenta di ripoitare il “modello socialista,” liberandolo dalle superfetazioni ideologiche. È un altro dei terreni su cui verificare 1’unicità dei "grembo” dei movimento operaio europeo. Fin dallhnizio, socialtlcmocrazia e Linkskommunismus hanno fatto a gara nel misurare il "socialismo realizzato” con il metro dei propri "m odelli” e nel giiidicarlo sulla base di tale verifica. II movimento comunista delia 111 I nternazionale non ha trasformato di questo schema che il voto (tiiiile. II punto piú interessante riguarda il fatto che le posizioni ilflla socialdemocrazia e dei Linkskommunismus si intrecciano da >i'inpre con la sterminata bibliografia delia scienza economica uflii iiile tesa a dimostrare r"inesistenza” dei socialismo — o, meglio, ilie il socialismo realizzato non essendo "socialismo” non esisteva

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— , oppure che, se anche esisteva, tendeva motu proprio a scomparire, una specie di eutanasia schumpeteriana dei socialismo, oppu­ re ancora che se proprio non tendeva a morire, tendeva a convergere. Un esame che abbandoni tali flatus voeis e inizi 1’analisi dei si­ stema economico reale, storicamente definito, che è il "sociali­ smo," al di fuori di qualsiasi astratta assolutizzazione come di qualsiasi astratta “riduzione" — al di fuori di qualsiasi modellistica — comincia solo ora, e piú sul terreno storico che teorico-economico. Questa ricerca sulle "origini" dei dibattito non permette che 1’individuazione di alcuni punti e la definizione di una periodizzazione di massima. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare nella seconda parte di questo lavoro, nel dibattito soviético sulPindustrializzazione si riflettono esperienze di sviluppo e di intervento statale da una parte assolutamente irriducibili ai modelli europei di allora, dalbaltra destinate ad avere larga influenza, anche di carattere teorico generale, sull’"economia politica” occidentale, dopo la grande crisi. Certamente, come vedremo, quest’influenza, date le condizioni storiche dell’esperienza soviética, inciderà piú profondamente nell’ analisi dei problemi dei "decollo” economico e dei rapporti intersettoriali propri di questa fase, o dei cosiddetto período di "transizione.” Ma, anche a partire da questa base, emersero presto i nessi che collegano i problemi di sviluppo alie questioni generali delia politica di piano. L ’esperienza soviética diviene fondamentale, proprio in quanto tali nessi vennero esplicitamente analizzati al suo interno per la prima volta, e qui per la prima volta si tentò di dare risposta strategica alie questioni che essi sollevavano. L ’autocritica deir"econom ica,” la crisi delPanalisi di equilibrio neo-classica dopo il ’29, erano State in larga misura "scontate” nel dibattito soviético degli anni Venti. La loro insostenibilità teoricopratica era stata sostenuta non solo dagli autori delia sinistra, ma implicitamente o esplicitamente anche da autori come FeLdman, Groman, Leontiev, ecc. Erano soprattutto le pratiche concrete deUo sviluppo soviético a respingere costantemente gli strumenti delPanalisi economica neo-classica. Certo, la situazione soviética era radicalmente diversa da quella occidentale — ma il grado di generalizzazione proprio degli schemi degli autori suddetti era J . T inbergen , Do Communist and Free Economies show a Converging Fattern?, in "Soviet Studies," aprile 1961; H. L innemann, J. P . P rouk , J. T inbergen , Convergrni of Economic Systems in Eals and West, in M. B o rn stein , D. R. F useeld (a cura di), The soviet Economy, Homewood-Ill., 1970.

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tutt’altro che limitato ai problemi specifici delia riproduzione so­ viética. In effetti, essi descrivevano uno “spazio" diverso deli’ analisi economica, che tendeva a riportare semmai il dibattito an­ cora sul nodo Ricardo-Marx, saltando il periodo "volgare.” Da questo punto di vista è estremamente significativo che negli stessi anni, ad opera di sempre piú numerose "scuole,” si avvii un processo analogo, che dovrà poi sfociare nel com plesso dei di­ battito sulla teoria keynesiana. Soprattutto, il superamento delle tesi neo-classiche sul mercato concorrenziale, le analisi sul monopolio di Sraffa,"” descrivono realtà che abbisognano di strumenti interpretativi diversi, secondo schemi assai vicini a quelli che ritroviamo nel contemporâneo dibattito soviético. Da questo momento, c ’è uno "scam bio" costante tra esperienze sovietiche di programmazione dello sviluppo e metodologie e scelte di piano occidentali: dai modelli di calcolo intersettoriale, íin negli iinni ’30 — alia riscoperta in chiave marxiana degli schemi di riproiliizione, durante il dibattito sul sistema keynesiano — fino alie icorie recenti sullo squilihrio programmato, in funzione dei "decollo” economico. Certo, 1’incapacità política dimostrata daU’economia neo-classica nelhinterpretare la crisi e i suoi meccanismi è la causa immediata delPattenzione nei confronti dei sistema soviético. Prima 1'CTÒ di analizzare queste interrelazioni sul piano dei contributi qiccifici, è necessário tenere presente cbe essi derivano da una miitata collocazione politica delPanalisi economica stessa. E , cioè, 1'iima ancora di crisi di un modeUo analitico nei confronti dei jiiocessi reali, alia fine degli anni ’30 esplode una crisi di "idenlilicnzione politica” per 1’economia nel suo complesso. Questa crisi luiii risulta superabile mediante raggiustamenti interni dei vecchi iimmenti o con loro spostamenti indolori. II problema-chiave che lii sicssa esperienza soviética poneva non era semplicemente il Il I M|icro di diversi schemi interpretativi, ma il rapporto tra analisi niiiiomica e priorità politiche. Altrimenti detto: la crisi dei moili llo neo-classico di equilibrio significava direttamente problema dl ll.i jirogrammazione, e cioè delia determinazione delle priorità del­ iu Nviluppo e dei calcolo delle compatibilità necessário per reah//iulc. I .'iiidividuazione di questo problema-chiave avviene assai priiiiii di Kcynes, e con assai maggiore chiarezza logico-metodologica IV S«Ai'PA, Le leggi delia produttività in regime di concorrenza, edito in “The |mi«iiiilt huirnnl/’ ncl diccmbrc dei '26, poi nel vol. IV dclla “Nuova Collnna degli r« HiiHiiiUil," 'lorino 1937.

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che nella successiva "general theory.” Dal tipo di sviluppo in atto, dai meccanismi di crisi incomprensibili per la teoria neo-classica, non derivava soltanto una generica necessità di "prognosi,” di anticipazione meramente analitica delPandamento dei ciclo. Ciò che ne consegui va era invece la determinazione di un programma.'“ Anzi, questo programma influiva necessariamente suUa prognosi. Q uest’ultima non era piú meccanicamente deducibile da alcune operazioni di estrapolazione dagli elementi dati, bensí si costruiva secondo un intreccio dinâmico tra questi dati e un programma che tende va a trasformarli complessivamente. II programma influenzava direttamente sia la prognosi che la stessa lettura dei dati. L ’analisi economica non aveva altro spazio che questo nodo: programmaprognosi-lettura. Né in questo schema di Myrdal avevano esistenza autonoma i "mezzi” per la applicazione delle priorità politiche di piano — piuttosto, essi non sono che il processo di realizzazione dei fini, e quindi assolutamente interni al nodo suddetto. Conseguenza naturale di una simile impostazione era il riconoscimento dei conflitto airinterno delle interrelazioni economiche, e deUa sua configurazione come conflitto politico, e quindi 1’abbandono, in quan­ to pregiudizi o ideologie, dei concetti euritmici deH’economia neoclassica; armonia, equilibrio, equo scambio o equa distribuzione, utilità, benessere.'” Metodologicamente, una simile impostazione rispecchia quasi letteralmente il dibattito sulle funzioni e sulla lógica di piano in URSS alia fine degli anni ’20. Gli altri aspetti di interrelazione tra questo dibattito e le esperienze teorico-pratiche occidentali derivano da questo — sono fondamentalmente determinati dalPinsorgenza dei problema delia poUtica di piano. II fatto che 1’attenzione sia quasi sempre rivolta agli aspetti apparentemente tecnici delia que­ stione, al calcolo di compatibilità che realizza le priorità di piano — il fatto che si tenti costantemente di ridurre la questione ai problemi "applicativi” delia scelta di piano — non muta il dato storico di fondo. L ’iníluenza dei dibattito soviético, e il suo successivo e progressivo generalizzarsi, si origina da una crisi política, non analitica: essa riguarda gli strumenti di direzione politica complessiva dei meccanismi di sviluppo e di crisi dei sistema — non la loro "interpretazione." Non sempre è facile recuperare questo G . M yrdal , Velemento politico nella formazione delle dollrine deli’economia pura, Firenze 1949. L’ed. originale svedese è dei 1930. P Streeten , Introduzione a G. M yrdal , II valore nella teoria sociale, Torino 1966, p. XXXVI.

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aspetto fondamentale.'” Per questo, prima di passare alie analisi specifiche, abbiamo ricordato il problema che Myrdal poneva alia soglia degli anni ’3 0, e sul quale si era concluso, terminato il “ripristino," giunti di nuovo di fronte ai problemi dello sviluppocrisi, il dibattito soviético suirindustrializzazione. L ’analisi di bilancio e delle condizioni di interdipendenza elaborate nelPambito dei Gosplan durante gli anni ’20 fu alia base dei metodi per la raccolta delle informazioni e per alcuni dei primi interventi di "indirizzo" negli USA.'” Come sappiamo, Leontiev pubblicò nel ’25 il suo lavoro sulPanalisi di bilancio in URSS. Alia sua base stanno certamente gli schemi marxiani di riproduzione, e 1’obiettivo che vi si prefigge non è che il superamento delia “razionalità” economico-privata dei calcolo marginale.'” Ho già altrove cercato di spiegare che, come lo schema marxiano, in sé considerato, anche lo schema di interdipendenze che Leon­ tiev e alcuni settori dei Gosplan andavano delineando poteva basarsi soltanto sulPipotesi di un "equo" scambio.'” D aíe certe condizioni di mercato, che lo schema non discute, Leontiev forniva uno strumento formidabile, non solo per la comprensione dei meccanismi di "decollo” deli'economia soviética, ma per la descrizione dei rapporti intersettoriali e la formazione di bilanci su scala sociale. II fatto che 1’analisi di bilancio, connessa cosí da Leontiev alie condizioni di interdipendenza, si riveli uno strumento di calcolo per il coordinamento dei vari obiettivi settoriali e le loro condizioni di realizzabilità, data una certa distribuzione delle riNorse, non è certamente indice di un atteggiamento politicamente "neutrale.” Era qui implicita una determinata "filosofia di piano,” opposta a quella delia sinistra. G li strumenti di programmazione iion intervenivano nella definizione gerarchica delle priorità. II compito degli organismi di piano si doveva "scientificamente” ridurI(• alia rilevazione deUe regolarità dei sistema, alPestrapolazione da i|iicste serie storiche delle linee future di tendenza e alia elabora/i(me su questa base di flussi intersettoriali. I metodi deli'analisi ili Leontiev sono a priori nell'impossibilità di dire alcunché riguardo >illa definizione di strutture "gerarchiche” o di obiettivi tesi coiminque a trasformare 1'assetto dato dei sistema. Ciò significa che Il tentativo di E. H. C arr, Vinfluenza soviética suWOccidente, Firenze 1950, l“T quanto importante storicamente nelEindicate quest’esigenze, è oggi assolutamentc >ii)>rrato e inservibile. O. L ange, Economia Polifica, vol. I, Roma 1970, pp. 184-185: vol, II, Roma l''/0. p. 187. W. L eon tiep , II bilancio deWeconomia nazionale delVURSS, in S p u l b e r , op. cil., pp. 185 sgg. M. C acciari, Ristrulturazione e analisi di classe, Padova 1973.

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è implícita nel modello 1’ipotesi di uno strutturarsi "normale,” natiirale, delle forze economiche interagenti. Su tale meccanismo di mercato intervengono a posteriori i metodi di contabilità sociale proposti, che ne razionalizzano gli elementi dimostrando Toptimum ottenibile nei limiti, appunto, dei processi produttivi e distributivi propri di tale struttura. Su tali processi in sé, sulle loro tendenze evolutive, o sulle loro potenzialità di trasformazione, 1’analisi rifiuta il discorso. È appunto questo intreccio di funzionalità contabile e "neutralità” scientifica ad aver fatto dei método d’analisi proposto da Leontiev nelPURSS degli anni Venti uno strumento insostituibile per i primi tentativi di pianificazione in Occidente.“ E , d’altra parte, per la stessa ragione, il método è stato di fatto accettato, con correzioni marginali, anche nella elaborazione soviética dei bilanci nazionali, ancora a partire dagli anni ’50. Ma ancor prima, in URSS, i metodi di calcolo proposti durante la N EP erano stati generalizzati per i problemi di pianificazione, per la definizione delle relazioni ottimali tra mezzi e obiettivo. Le ricerche che si svolsero febbrilmente negli USA durante 1’ultima guerra, a scopi direttamente militari, da cui poi derivarono le analisi sulla programmazione lineare, erano già contenute nelPopera che Kantorovié pubblicò in URSS nel ’39, e che a sua volta dipendeva diret­ tamente dalle analisi di bilancio elaborate durante gli anni ’2 0 .’” D ’altra parte, i concetti basilari delia programmazione lineare in Occidente si richiamano esplicitamente a Leontiev, che di quelle analisi era stato forse il rappresentante piú qualificato.™ In diretta polemica con i neo-classici, anche O. Lange introduceva, negli anni ’30, le esperienze analitico-teoriche sovietiche nelPeconomics occidentale/” Nella sua indagine sono in nuce tutti gli sforzi successivi di "acclimatamento” e "convergenza” tra pro­ grammazione “socialista” e rapporto capitalistico di produzione. Come è noto, Leontiev stesso, trasfetitosi in USA, diffonde i metodi delLequilihrio intersettoriale, soprattutto con il suo "clássico,” The Structure of American Economy 1919-1930, che esce nel 1941. L. V. K antorovií, Metodi matematici di organiaazione delia produzione, Leningrado 1939. Dello stesso autore: The hest Use o f Economic Resources, CambridgeMass. 1965. Lo sviluppo di questi metodi è alia base delle proposte di "riforma” avanzate nel corso degli anni ’60. La perfetta “computation" permette, infatti, la sintesi tra formulazione centralizzata dei piano e preparazione di piani settoriali. Un contributo interessantíssimo a questo approccio econometrico è quello di J. K ornai, Mathematical Rrogramming as a Tool of Socialist Economic Planning (1965), ora in A. N ove e D. M. N u t i (a cura di), Socialist Economics, in "Penguin Modern Economics Readings,” 1972. D orfman , S am uelson , S olow , Linear Programming and Economic Analysis, New York 1955. O. L ange, F. T aylor, On the Economic Theory of Socialism, University of Minnesota 1938.

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Egli mantiene le condizioni di equilíbrio descritte nell’analisi pura dei mercato capitalistico e tenta di dimostrare come ad esse possano adattarsi i meccanismi specifici delia programmazione socia­ lista. II significato político deU’operazione è esplicito: nel lungo periodo, la determinazione a priori di una certa struttura dei con­ sumo e di una certa distribuzione degli investimenti risulta insostenibUe. Ritornano perciò strumenti anti-ciclici "classici,” come l ’intervento sul saggio di interesse. La polemica contro il piano stalinista era evidente e riprendeva le note tesi mensceviche. In quegli stessi anni, M. Dobb rispose efficacemente a Lange su alcuni aspetti dei suo "modello socialista.” In particolare, egli pose bene in risalto come la decentralizzazione dei sistema e 1’adozione di meccanismi regolatori tipicamente capitalistici avrebbero com[rortato, prima o poi, 1’esplodere di contraddizioni irrisolvibili sul piano dei mercato dei lavoro e delia occupazione. Da questo punto di vista, Dobb si avvicinava molto al discorso di Kalecki e alie preoccupazioni di fondo deUa teoria keynesiana, la cui claborazione portava alia luce non solo le stesse domande che stavano alia base dei primi tentativi sovietici di pianificazione, ma anche molte delle stesse risposte che allora si era creduto di poter icntare.™ Appunto il lavoro scientifico di Kalecki è la riprova “fisica” di questo rapporto. Già nel ’33, proprio partendo dagli schemi marxiani di riproduzione, egli aveva anticipato i tratti fondamentali delia teoria key­ nesiana: la rottura dei rapporto lineare risparmio-investimento, il rapporto tra investimento e domanda effettiva, la teoria dei salaI io che ne deriva.'” II rapporto investimento-occupazione-reddito che m Keynes rovescia le tesi neo-classiche, e che fa tu tt’uno con la liinzione acceleratrice dei déficit statale, equivaleva alia ripresa di­ nâmica dello schema marxiano di riproduzione tentato da vari aulori sovietici. La crescita delLinvestimento nella prima Sezione de­ termina un aumento dei reddito che genera investimenti nella se«onda. Tutto ciò nelLipotesi che 1’intero plusvalore fosse investito o consumato — e cioè che gli investimenti pareggiassero i risparnii. Ix) Stato poteva decidere ad ogni momento un’accelerazione delIti sua spesa in investimenti, poiché ciò avrehbe prodotto un alI(ligamento delia domanda effettiva, sempre che il reddito forma­ tos i fosse stato distribuito secondo i criteri impliciti nelPipotesi M. D obb , A Note on Saving and Investment in a Socialist Economy, (1939), ora lii M. Do bb , On Economic Theory and Socialism, London 1955. M. K a le c k i , Saggio sulla teoria ãel ciclo economico, Varsavia 1933. La parte MMUalc dcl saggio è stata pubblícata in it. in M. K alecki , Studi sulla teoria dei cicli rm m m ici 1933 J939, Milano 1972, con un’utile Introduzione delia Robinson.

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sudcletta. Questa ipotesi era molto realistica nelle condizioni sovietiche. I modclli di riproduzione degli anni Venti ne tengono sem­ pre conto, quasi implicitamente. Nel modello keynesiano, invece, essa spiegava una funzione-limite, e serviva piuttosto a dimostrare le origini degli squilibri ciclici dei sistema. Anche i limiti evidenti delia teoria di Keynes e di Kalecki li possiamo ritrovare nelle formulazioni sovietiche piú vicine agli schemi dei Libro I I : 1’assenza di un discorso sulLinnovazione, sul nesso innovazione-sviluppo in rapporto agli schemi fondamentali dei moltiplicatore e delLacceleratore. L ’obiettivo delPequilibrio tra investimento e domanda effettiva, mediato dalla dinamica delPoccupazione, obiettivo che sarà formalizzato poi nel "neutral advance" harrodiano, è al centro delle teorie dello sviluppo elaborate in U RSS negli ambienti di destra e menscevichi (e abbiamo visto quanto fosse presente anche nei tentativi piú innovatori, come in quelli di P.). Ma in P. 1’accento si sposta ormai su un’altra serie di fattori: la funzione squilibrante deli'aumento di Q, i processi deepening dei capitale, la rottura dei rapporto macrostatico tra prima e seconda Sezione (“trasferimento”). La considerazione delle esigenze di sviluppo proprie dei sistema soviético entrava inevitabilmente in conflitto con la "general theory.” Rimaneva centrale il problema delia dinamica salariale, delPallargamento dei fondo di consumo — ma questo non veniva fatto dipendere linearmente, come poi sarà nel sistema keynesiano, dall’investimento. Anzi, la dinamica di Q escludeva la possibilita di qualsiasi funzione lineare tra investimento e do­ manda effettiva. La crescita di quest’ultima dipendeva in ultima istanza da una ridistribuzione delle risorse, da meccanismi di “alienazione” da un Settore alPaltro, che implicavano considerazioni di carattere istituzionale sulla fine dei mercato neo-classico, sulla "concorrenza imperfetta,” che pure i keynesiani svilupparono ma senza riuscire a sintetizzarle al corpus delia Teoria — mentre esse non potevano che apparire scontate negli autori sovietici piú aw ertiti. E , in eífetti, tali sono anche per Kalecki. Da altri punti di vista, le teorie sovietiche desunte dagli schemi marxiani risultano piú ricche anche analiticamente di quelle keynesiane: concetti statici ed indifferenziati come quelli di occupazione, reddito, investimento, venivano articolati in funzione deli’ analisi delia struttura dei sistema. L ’investimento veniva coito in termini intersettoriali e i suoi eífetti stabiliti in base a tavole di interdipendenza. Ne derivavano necessariamente la considerazione analitica delLoccupazione stessa e 1’attenzione per determinate sue forme. Di conseguenza, la domanda effettiva cessa di presentarsi

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come grande aggregato in rapporto lineare con 1’investimento, ma si suddivide a seconda dei vari modelli occupazionali ai quali si riferisce e che ne determinano il comportamento. Ma, in generale, non c’è dubbio che il tratto “keynesiano” fondamentale dei di­ battito soviético suirindustrializzazione sta nel ruolo strategico delia funzione di consumo, dell’esistenza di una domanda effettiva adeguata alia realizzazione dei pv e al conseguente reinnesco dei ciclo di riproduzione allargata. Esattamente come in Keynes, lo Stato doveva assolvere un ruolo di riequilibrio in questo schema, garantendo livelli di investimento atti a determinare quel livello dei reddito per cui 1’investimento pareggi il risparmio. Esso doveva intervenire ex post sugli effetti dei meccanismi di mercato. II rapporto ira Pelaborazione dei sistema keynesiano (da Kahn, a Keynes, alia Robinson, ad Harrod) e queste teorie sovietiche stava, d’altra parte, nei fatti ben prima che nelle idee. II sistema soviético era la “critica delle armi” alie concezioni neo-classiche dei mercato. La grande crisi rendeva impellente sia realizzare in qualche modo tale "critica” che disarmarla. Idêntico era il filo logico dei ragionamenti menscevichi degli anni ’20 sulla necessária evoluzione "capilalistica” delLURSS. Eppure questi evidenti rapporti sul piano storico e teorico, già nel corso degli anni ’30, come abbiamo visto, fisicamente rappresentati da personaggi come Leontiev, Lange, Kalecki, non vennero esplicitamente affrontati che nel dopoguerra, sotto la spinta derivante dai problemi delPanalisi intersettorialo e delia programmazione lineare. Fu soprattutto il saggio che uno ira i piú importanti "revisori dinamici” di Keynes, E . D. Domar, ticdicò a FePdman, a richiamare 1’attenzione delia "scienza econô­ mica” sull'importanza teórica dei dibattito soviético sulPindustrializznzione. Già Kalecki aveva operato sullo schema marxiano di riprodurione per dedurvi le ipotesi fondamentali dei modello Harrod-Dom.ir.“‘ II saggio di Domar stabilisce che questa operazione era già "i.iia compiuta nelle sue linee fondamentali da FePdman. FePdman piiiiiva dal ruolo fondamentale che svolge nello schema di ripro■liizione la crescita dei consumo, sia come elemento di equilíbrio mirrsettoriale, sia in rapporto alPinvestimento.’“ Nello schema di '' II. D . D omar , A Soviet Model of Growlh (1957), cit. Cfr. Ia seconda parte di .... .. Invoro. Su Fel’dman, cfr. il recente lavcxro di H. C ham bre , Le modèle de FeVdman, I liiiiiomie Appliquíe," 2-3/1970. "" M. K ai.hcki, Le equazioni delia riproduzione di Marx e Veconomia moderna, In AA VV., Marx vivo, vol. II, Milano 1969. "" (i. A. F e l ’i)Man, Per una teoria dei tassl di crescita dei reddito nazionale, in ''iini III K, op cit., pp. 260 SRH.

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riproduzione, il tasso di crescita dei consumo íissa i limiti delPaumento delle capacità produttive. II modello reggeva suUe ipotesi delPuguaglianza tra investimento e risparmio e in assenza di qualsiasi positivo saggio di interesse. Ma, a differenza che nello schema menscevico “clássico,” e a differenza anche che in Marx, Pallargamento dei reddito non è funzione dei solo investimento, inteso come livello, bensí delia struttura produttiva e delPefEcienza d’uso dei capitale. La determinazione dei livelli d’investimento viene perciò a dipendere dalla struttura di certi rapporti intersettoriali, di una certa organizzazione dei lavoro, di determinati livelli dutilizzazione degli impianti e, infine, di determinate scelte sui tempi e modi di sostituzione. Da questo insieme di relazioni dipenderà il livello dei reddito e perciò la domanda effettiva che, come abbiamo detto, "lim ita” le potenzialità di espansione dei sistema. Va, dunque, riscritta la funzione che coUega investimento e reddi­ to. Quest’ultimo è funzione non dei livello semplice d’investimento, ma dei tasso di crescita delle capacità produttive. Da questo punto sarebbe possibile iniziare la revisione dinamica di tutto il "sistem a” keynesiano. E appunto da qui partí Domar.™ Eppure, anche concetti come “eíEcienza dei capitale” potevano essere desunti dallo schema marxiano, una volta allargato fino a comprendere la dina­ mica delia composizione. In FePdman non c ’è, invece, la ridiscussione delia riproduzione allargata da questo punto di vista, ciò che costituisce il núcleo centrale delia teoria di P. Per questo approccio assolutamente innovatore (sintesi tra riproduzione e dinamica di Q), P. poteva liberarsi da qualsiasi ipotesi di "neutral advance," e quindi dalla linearità dei rapporto investimento-domanda effetti­ va. FePdman, cosí come Domar, non possono, invece, che "ap profondire” il concetto di investimento — ma, comunque definito, il suo tasso di crescita continua ad essere correlato proporzionalmente alPespansione delia domanda effettiva, secondo i rapporti stabiliti dalPintreccio degli schemi dei moltiplicatore e delPacceleratore. È forse piú preciso affermare che anche P ., nel suo modello, tendeva ad uno schema analogo — ma che le condizioni, i prohlem i che egli aveva posto alPorigine contraddicevano un tale esito. Soprattutto, contraddiceva tale esito Papplicazione politica, alie concrete condizioni dello sviluppo soviético, che P. rivendicava per il suo modello. II rapporto tra P. e la teoria di FePdman, per molti versi la piú avanzata proposta delia "scienza economica” nelPURSS degli anni ’20, si può presentare, dunque, come "prefigurazione” E. A. D omar, Espansione e Occupazione, (1947) cit.

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dello scontro, soltanto oggi pienamente attuale nei pacsi oipiinli stici, tra teorie deirequilibrio dinâmico di derivazione kcyncsiumi e teorie dello sviluppo fondate sulPipotesi di un sistemnlio) squilibrio intersettoriale. Questa considerazione ci porta stil um reno decisivo per misurare 1’influenza storica esercitata dalle teorie sorte durante il dibattito soviético degli anni ’20. È indubbio, infatti, che questo terreno riguarda le condizioni e i meceanismi dei “decollo” economico. È partendo concretamente da qui che P. era giunto ad una revisione dinamica complessiva degli schemi di riproduzione. Ed è, alPopposto, proprio nella misura in cui prendevano 1’avvio dagli schemi capitalistici di riproduzione che le teorie di destra e mensceviche erano costrette ad ignorare la specificità delPesperienza soviética, sia sul piano economico che istituzionale, e a definire semplici condizioni di equilibrio. Non è un caso che alia base di alcuni tra i primi e piú decisi attacchi al sistema keynesiano vi sia stata la constatazione delia sua completa inoperatività in condizioni di sottosvÜuppo.™ Le posizioni attuali sul problema sembrano quasi completamente sovrapponibili a quelle sorte durante il dibattito sulPindustrializzazione in URSS. È interessante come alcuni tra i piú importanti “revisori dinamici” di Keynes tra il ’40 e il ’50 assumano a questo proposito le posizioni piú tipicamente "vittoriane.” Ignorando tutte le aequisizioni delia stessa storia economica sulle condizioni specifiche dei “decollo” in Europa Occidentale e negli USA, Kaldor, ad es., ha recentemente proposto una "strategia” per i paesi sottosviluppati centrata esclusivamente sul surplus agricolo e sulla domanda di manufatti che in tal modo si verrebbe a creare.“^ Ma manufatti da chi e a che prezzo? Kaldor parla di un necessário “protezionismo.” Ma allora lo sviluppo delPindustria dovrebbe svolgersi in modo parallelo e complementare alia ristrutturazione tecnologico-produttiva dei primário. Ma con quali priorità? e con quali risorse? L ’ipotesi che queste possano provenire dalPesportazione di prodotti iigricoli competitivi si basa su due condizioni: che la ristruttura­ zione dei primário sia avvenuta e che il costo dei lavoro si inantenga basso. Ma perché la ristrutturazione sia avvenuta oc corre che quei manufatti siano stati prodotti, e prodotti a prczzi competitivi. E se questa ristrutturazione è avvenuta, che cosa ne deriva sul piano delia dinamica salariale? Kaldor non si avvcde iiemmeno di questi problemi. Egli ripete meccanicamente, senza for Cfr. Ia discussionc contenuta in K. K. K uriiiara , The Keyneúan Theory i>f lienno mlc lievehpm enl, Iximlon 1959. N. K a u x ir , Strategic Facinrs in Economic Devclopment, Iiluica 1967,

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se minimamente sospettarlo, le tesi buchariniane "classiche”: tipica la sua critica a una linea di rapida industrializzazione, che porterebbe ad un aumento delia domanda di prodotti agricoli non compensata dalPofíerta e perciò ad un tasso galoppante d’inflazione. Kaldor, come Bucharin e la destra soviética, ragiona in termini esclusivamente di mercato. Si tratta delia ripetizione, di peso, delle condizioni di equilibrio dello schema di riproduzione marxiano airinterno di una situazione pre-capitalistica, di "decollo.” Per quanto a questo punto delia nostra analisi questi temi possano apparire scontati, il distacco dalPimmagine vittoriano-manchesteriana dei rapporto sottosviluppo-sviluppo è stato lento, faticoso e, tutto sommato, rimane ancora in parte incompiuto, per la "scienza economica” contemporânea. Fu, anzitutto, proprio la considerazione dei meccanismi inflazionistici e dei loro effetti a spingere verso la liquidazione dello schema kaldoriano (che noi abbiamo preso a titolo puramente esempliíicativo). La presenza di forti tassi di inflazione non interessa piú in s é ^ La inflazione non è (come non era per P.) un concetto "neutro." La dinamica inflazionistica assume direzioni precise. Se dipende da un allargamento semplice delia domanda eífettiva, in condizioni di sottosviluppo essa gratificherà necessariamente forme di consumo improduttivo. Se dipende invece dalFallargamento delLinvestimento, dalla creazione di nuovo capitale fisso, essa può determinare una ridistribuzione delle risorse e quindi dei reddito a favore dei settore-industria. Si tratta in questo caso, in fondo, di inflazione apparente: la crescita deirinvestimento determina un allargamento delia domanda effettiva che pareggia 1’aumento dei prezzi. Si tratta di una critica di evidente derivazione keynesiana aUe idee sulla “sana finanza.” Ma sfugge completamente a tale impostazione che se alia fine (e nel piú breve tempo possibile) la produzione deve raggiungere il mercato, questa produzione si caratterizzerà come settore dei beni di consumo, come seconda Sezione marxiana. II problema deli’ industrializzazione di base è assente nello schema “keynesiano” di "decollo," e ciò iníicia evidentemente 1’intero discorso. Se, invece, il problema è appunto quello deU'industrializzazione di base, il mercato di questo processo non può essere, per un lungo periodo, che questo processo stesso — e occorre che esso si accompagni a una vincolante programmazione dei consumo, esercitabile attraverso il controllo centralizzato delia dinamica dei prezzi. Qualsiasi spinta “ W. A. Lew is , Sviluppo economico con disponibilità illimitate di manodopera, tr. it. in B. JosSA (a cura di), Economia dei sottosviluppo, Bologna 1973.

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inflazionistica metterebbe in gioco il processo di industrial............... . obbligando ad una ridistribuzione delle risorse. Ma anche (-lui iu>i siamo cento miglia lontani dalle ipotesi di mercato ed anclic ili piano ex post ricavabili dai modelli di equilibrio dinâmico. P. Streeten ha fornito, già nel ’59, una critica per molti aspciii definitiva alia vaUdità di tali modelli per i problemi dei "decollo” economico.™ 11 suo discorso è tale da poter apparire come una com piuta sistemazione delle idee e delle intuizioni di P. a questo proposito. Un modello di sviluppo equilibrato si definisce in base alia simultaneità deli'investimento in varie industrie “secondo il modello delia domanda dei consumatori e delia domanda reciproca di prodotto delle varie industrie.””* Tale definizione è utilissima ai nostri fini poiché sintetizza la centralità delle funzioni di consumo e dello schema intersettoriale, elaborato sulla base delle analisi di bilancio, nelle ipotesi teoriche e di programmazione derivate dallo schema marxiano di riproduzione da parte di autori pur cosí diversi come Leontiev e FePdman. Streeten non pare avere neppure 1’idea di questi “antecedenti,” ma la critica che rivolge a Nurske potrebbe valere, con correzioni insignificanti, anche nel contesto che qui ci interessa. Lo “sviluppo equilibrato” implica correlazioni simultanee orizzontali (tra i vari settori di una stessa Sezione, per usare la terminologia marxiana) e verticali (tra le due Sezioni) — ed è in funzione delPottenimento di tale equilibrio che si muovono le "variabili” delPintervento statale, dei "piano" economico. C ’è un aspetto ovvio di questo discorso; “non ha senso avere una acciaieria senza combustibile, un impianto elettrico senza energia.””’ Infatti, reperimento delle fonti energetiche e industrializzazione di base erano, in tutti gli schemi sovietici di ripro­ duzione, contenuti nella prima Sezione. “Ma la dottrina erra tluando afferma che lo squilibrio deve ritardare o arrestare il [irocesso.”"” Ci ritroviamo qui di fronte alia formulazione dei pro­ blema decisivo, e direi unico, di P. In quali condizioni lo squi P. S treeten , Unbalanced Growth, in "Oxford Economic Papers," 11/1959, ti it. in B. JossA (a cura di), op. cit. Un tentativo di rifondare la teoria dcl lialamnl Ktowth versus Streeten e altri autori (Hirschman, Scitovsky in parte), venne conipliiio nel ’62 da S. K. Nath, The Theory of balanced growth, in "Oxford Economic l’ai«i«," 14/1962. La linea dei ragionamento dei Nath (balanced growth e laissez fairc non loiio un'unica cosa, ergo: il balanced growth è reallzzabile in una politica di progmnimu /ione attenta ai problemi delle priorità nello sviluppo economico) pare non iinrair 1'isscnza dei discorso di Streeten, e comunque rivolgersi a situazioni diverse dii qiicllr ilel vero e proprio "decollo." Comunque, per la discussione di queste tesi cír. 1 miggl e la bibliografia raccolti nella terza parte di I. L ivingstone (a cura di), T.cotiomie pollcy (levclopment, in "Penguin Modern Economies Readings," 1971. Ibid., p. 258. “ ■ /bid., p. 252. Ibid., p. 252.

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librio è atto ad aumentare il prodotto nazionale? per quali fini la scelta di tale sistema è necessária? P. rispondeva che tale scelta risulta neccssaria per una rapida industrializzazione di base, con pieno sfruttamento delle risorse disponibili e piena utilizzazione degli impianti. Ciò comporta che quei meccanismi di controllo “innati” nel ciclo capitalistico (sotto-utilizzazione, esercito di riserva, ecc.), e che anche P. aveva analizzato, perdono ogni funzione. II modello è interamente rivolto alPutilizzazione completa di ogni "economia," a prescindere da considerazioni sulla situazione di mercato, o, meglio, delia domanda, che verrà controllata con altri mezzi. Streeten generalizza 1’assunto di P ., evidenziando i vantaggi derivanti da questo tipo di sviluppo “in anticipo” rispetto alia domanda: esso permette un calcolo reale “di produttività” per le opere di infrastruttura e per le spese rivolte ad accrescere in generale la produttività dei sistema. AU’interno delle tesi delPequilibrio dinâmico, queste spese possono essere considerate soltanto come anti-cicliche, come un "male necessário.” Per un modello di sviluppo squilibrato, ogni "anticipo" sulla domanda viene consi­ dera to come una forza che aumenta la produttività dei sistema. G li esempi che Streeten porta si adattano forse a fasi di sviluppo successive a quelle sovietiche degli anni ’20, ma è certo che la lógica dei ragionamento di P. è idêntica: 1’accumulazione nella prima Sezione "in anticipo” rispetto alia domanda, anzi: ottenuta attraverso sistematici "prelievi” dalla seconda Sezione, aumenta non solo il prodotto ma la produttività dei sistema e crea, dunque, le condizioni per Finnesco di un ciclo piú allargato anche per la produzione di beni di consumo (abbiamo già visto i limiti storico-politici di questi passaggi e come essi vennero radicalmente rivisti ne^la elaborazione definitiva dei Piano quinquennale). II caso trattato da Domar, 1’esigenza di ottenere tassi di investimento eccedenti il risparmio, diviene un particolare delia teoria generale áéS\.'unbalanced growth. Naturalmente, a questa impostazione corrisponde un dilatarsi temporale delle strutture di piano: nel breve periodo, e neU’ottica aziendale, può ancora rimanere valido il calcolo deli’ equilibrio dinâmico — ma nella programmazione dello sviluppo, se dobbiamo programmare alti saggi secolari di sviluppo, come avviene per i paesi neUa fase di “decollo," la produzione "in anticipo" suUa domanda appare necessária. Ê necessária, infatti, una distri buzione delle risorse (di pv, nello schema che abbiamo fin qui ado perato) tale che le spese in investimenti produttivi eccedano quelle in beni di consumo; è necessário che il tasso di interesse tenda a zero (che non vi sia propensione al risparmio); è necessário rca

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lizzare ogni possibile "economia.” "P er ottenere uno sviluppo, bisogna poter sacrificare requilibrio.”^" È P. al millimetro. Non può sfuggire il peso politico di queste conclusioni. Anzitutto e soprattutto per il significato che esse assumono nei confronti dei problema generale dello sviluppo, e delPintreccio sviluppo-programmazione. Esse danno contenuto alie indicazioni metodologicoiogiche dalle quali siamo partiti, a proposito delle tesi di Myrdal. II tipo di sviluppo che richiede strumenti di programmazione e vi si collega indissolubilmente è un insieme crisi-sviluppo. Il suo ciclo caratteristico rende inadeguati non solo gli strumenti delPanalisi neo-classica (aspetto già da Kaldor formalizzato),^'^ ma la struttura tradizionale, di impianto keynesiano, degli interventi di program­ mazione, fondati sulla funzione riequilibratrice dei meccanismi creditizio-finanziari e dei “sussidi” statali.^” Ma forse ancor piú evidente è il significato di queste conclu­ sioni sul piano, appena analizzato, dei problemi dei sotto-sviluppo c dei decoUo economico. Qui Tincontro oggettivo con le tesi piú avanzate di P. sulla "programmazione dello sviluppo squilibrato" trova la sua ragione storica neU’impotenza teórica e política dimoKtrata dal capitalismo in questo dopoguerra ad aílrontare in termini risolutivi i problemi dei "decollo” socio-economico.^“ Lo schema rostowiano degli “stadi,” implicito in discorsi come quello di Kaldor, o, ancor piú, di Nurske, non solo non ha fornito una valida "ricetta” di piano, ma neppure una solida base interpretaliva. L ’"armonizzazione dei sottosviluppo” nel mercato capitalilico internazionale si è rivelata contraddittoria al "decollo" interno. I .'applicazione degli schemi di mercato e di equilibrio dinâmico III'interno dei "sottosviluppo” è funzionale soltanto al mantenina nto di tali aree nel mercato capitalistico internazionale. Ma essi litMi lianno alcun senso come piani di sviluppo. Porsi neH’ottica ili llo sviluppo di tali aree, ha significato il riaffiorare oggettivo deUe l|M)tesi "socialiste.” Se 1’adozione di modelli di sviluppo squililii.iin è inevitabile per ottenere un “decollo” economico, cioò ninporta politicamente\ il "trasferimento” di capitali e risorse dai ■ttofi di produzione di beni di consumo a quelli di produzione di lii iii capitale — 1’attacco alie forme di produzione e alia struttura Ihid., p. 274.

" r'lii ilut 19401 Cfr. II. K aldor, Un modello di ciclo economico, ora in Saggi sulla

tnhtlllt) eronomica e lo sviluppo, Torino 1965. r li HiiAKO, Progresso técnico, ventagli di produltività e sviluppo, Milano 1970. I’ l ' ( ) H C i ' . i . i , i N i , Industrializzazione soviética e sottosviluppo, in "Contropiano,” 1/l'J/l Sn : «iaderni di Rassegna Sindacale," 33-34, nov. 1971-febb. 1972; c£r. p. 233. « Ihid.

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pianificata dei settori "strategici,” viene assunta direttamente dallo Stato. In questo quadro il passaggio al Commissariato dei lavoro delle principali funzioni di "política dei lavoro” e la relativa ridefinÍ2Íone dei ruolo e delia stessa autonomia dei sindacato ci sembrano la prima significativa trasformazione istituzionale dei sistema soviético in linea con le indicazioni delPultimo Lenin. Si tratta infatti di una trasformazione dinamica, in cui sia il sindacato, sia 1’apparato soviético si ristrutturano in funzione di una política di pianificazione economica. Non a caso la risoluzione dei "D ieci” ritiene necessário il riordinamento di tutti i nostri organi economici e quindi il relativo riordinamento organizzativo in seno alie unioni produttive”™in un quadro di adeguamento delia struttura statale a quella sindacale e di un loro approccio dinâmico. Le scelte di política salariale, tra il ’21 e il ’22, si muovono parallelamente a queste esigenze di ristrutturazione. Nel ’21 viene introdotta la non proporzionalità tra salario reale e tariííe di salario-base, che significava in pratica cominciare a svuotare di significa to una po­ lítica di livellamento retributivo e legittimare 1’introduzione di elementi salariali "variabili.” Ma soprattutto si stabilisce un si­ stema di fondo-salari su base d’impresa, da gestire cioè a livello di fabbrica, in rapporto alia produttività d’impresa. II salario riacquista in pratica la sua veste di "costo di produzione” da riequilibrare ai liveUi di produttività: tant’è che la partecipazione delle imprese al nuovo sistema di ripartizione viene subordinata alia riduzione degli addetti dei 5 0 % , inaugurando una política di in­ centivo alia ristrutturazione industriale e al risparmio di lavoro Su un piano piú generale va valutata la fissazione dei fondo-salari in base a tariffe diíferenziate per settori, aree geografiche e livelli di qualifica, introducendo in sostanza un sistema di "zone” salariali, e la contemporânea sostituzione delia scala salariale unica con tariffe speciali diíferenziate per categoria (tecnici, impiegati, operai, apprendisti). Si può dire complessivamente che queste “riforme” di política salariale tendono a far giocare al salario un ruolo dinâmico di ristrutturazione industriale e di sviluppo "squilibrato.” Lo svuotamento dei concetto di salario minimo, anche in rapporto al ritmo dei processo inílazionistico, si inquadra in una generale dinamicizzazione delia struttura di classe e in un complessivo contesto "conflittuale.” La rottura dei sistema di militarizzazione dei lavoro comporta ™ íbid. BIT, op. cit., cap. II.

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infatti la riapertura di un “mercato” delia forza-lavoro, sulla cui regolazione si apre il conflitto tra apparato soviético dei lavoro, sindacato, Gosplan, direzioni aziendali, espressione delia stessa dinamica istituzionale aperta dalla N EP. La soluzione data al problema dei "collocamento" rappresenta un compromesso tra la tesi delPassunzione individuale libera da parte delia direzione aziendale, in base al fabbisogno di forza-lavoro qualificata, e un sistema di regolazione statale dei "parcheggio” e delPassorbimento delia forza-lavoro. Si tratta, come si vede, di un complesso di problemi alia cui base stanno lo sganciamento dei sindacato da un’ottica puramente gestionale e la direzione statale dei processi di crescita fin nelle loro contraddizioni. L ’introduzione delia contrattazione collettiva è posta nella nota risoluzione leniniana sui compiti dei sindacati nella N EP come base dei rapporti tra sindacato e dire­ zioni aziendali in una situazione in cui “tutto il potere venga concentrato nelle mani delle amministrazioni delle fabbriche.”” E in eífetti la contrattazione collettiva copre, già nel ’2 2 , 3.439.815 operai inquadrati in 122 contratti collettivi. Questa realtà di con­ trattazione (che negli anni delia N EP determina di fatto livelli salariali, condizioni di lavoro e normative) corrisponde in pieno alia struttura economica e alia strategia di “competizione” dei periodo. Nella misura, in cui, ad esempio, i contratti collettivi locali coprono la maggioranza delle piccole-medie industrie private, controllandone in modo omogeneo la dinamica e subordinandola rigidamente al settore statale, essi diventano funzione di quella politica di controllo e subordinazione degli elementi e dei settori capitalistici, cui tende il modello di sviluppo delia N EP. A questo modello la conflittualità non solo non è estranea, ma ne è un ele­ mento “m otore.” Nel modo in cui tale conflittualità si determina, a livello di fabbrica, sta una delle principal! peculiarità delPapparato istituzionale delia N EP e contemporaneamente uno dei suoi elementi piú contraddittori. Si tratta delia possibile insorgenza dei conflitto iion solo nelle imprese "capitalistiche” delia N EP; ma alPinterno delia stessa industria di Stato, sul cui ritmo produttivo è scadenzata 1’intera prospettiva di transizione “socialista." Ciò significa conflitto iia classe operaia e apparato soviético, che la risoluzione sui lindacati nella N EP aveva non solo ammesso, ma considerato "inevitabile.” Si tratta comunque, certamente, nonostante il "rea­ lismo" di quella risoluzione, di una delle "cerniere" piú delicate dei “

Opere,

l . K N i N , La funzione e v o l . XXXIIl, p. 169.

i compiti dei sindacati nelle condizioni delia NEP,

in

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sistema delia N EP, delia contraddizione di fondo dei sindacato so­ viético coinvolto da un lato nella elaborazione e nella pianificazione degli obiettivi, dalPaltro nella gestione di processi rivendicativi di lotta che su quegli obiettivi incidono direttamente. In effetti, i dati sui conflitti industriali durante la N EP confermano sia che le imprese socializzate ne sono profondamente coinvolte, sia che gli obiettivi rivendicativi, prevalentemente salariali e in particolare relativi al livello e alia struttura dei salari, investono direttamente gli equilibri di costo di tali aziende.“ Nelle sole regioni industriali di Mosca e Pietrogrado, nel corso dei ’22 si registrano oltre 8 .0 0 0 conflitti che interessano complessivamente 123 .0 00 operai: di essi, il 55% riguarda imprese di Stato.” D ’altra parte la procedura di conciliazione adottata tende a garantire al sindacato un ruolo relativamente autonomo, o comunque non contraddittorio con quello di "difesa” delia forza-lavoro. Infatti, dei vari livelli di arbitraggio investiti dei conflitti, il V congresso dei sindacati (19 2 2 ) stabilisce la soppressione delia commissione sindacale di conciliazione, proprio per liberare il sindacato da funzioni dirette di mediazione in contrasto con la sua funzione di rappresentanza di una delle parti in conflitto. La stragrande maggioranza

Motivi

Salario Altri Totale

Numero

Lavoratori interessati

41

2.381.000

43

2.583.000

% di lavoratori interessati per settori Industria

Trasporti

Pubblica am.

99,6

100

100

Conflitti regolati (in %) Settori

Industtia Trasporti Pubblica am. Su questioni di pagamento salari Scale salariali

A favore dei sindacati

A favore delle imprese

29 11 39

23 53 28

36,4 34,2

48,5 54,4

Per compromesso 48 36 33

Fonte: BIT, Vévolution des conditions du travail dans la Russie des Soviets, Gcnève 1924.

“ Questo il quadro dei conflitti industriali in URSS nel 1922: 54 op çi(^ p 214. Un altro 12,396 dei conflitti riguarda imprese cooperative, il restante 32,7% (che petò equivale al solo 14,396 dei totale degli operai interessati ni conflitti) imprese private.

l

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dei conflitti è cosí di competenza di commissioni istituite presso 1’organo ministeriale, cioè il Commissariato dei lavoro. È evidente che una struttura istituzionale di questo tipo, in fondo non dissimile, pur nella peculiarità delle condizioni sovietiche, da modelli di conciliazione "occidentali,” e comunque unica nelPesperienza socialista, è legata alie riforme di politica salariale prima accennate. Esse complessivamente tendono, mediante la reintroduzione dei calcolo monetário dei salario, a rilanciare i livelli di produttività attraverso una forte articolazione delia strut­ tura salariale e delle scale retributive in funzione dei livelli di qualifica e delle priorità di settore. Possiamo dire che questo pro­ cesso si compie entro il ’24. In quest’anno, che assumiamo come vertice dei processo di riarticolazione salariale, il numero delle "zone” salariali, cioè delle diversificazioni regionali dei salario, passa da 3 a 5. Le “scale” parametrali, prima articolate su 17 livelli, 9 per gli operai manuali (livelli parametrali 1 :2 ,7 ) e 8 per i lavoratori qualificati (3 :5 ), vengono ulteriormente articolate: 5 livelli di qualifica per gli operai "comuni” (parametro 1 :2 ,2 ) 4 per i qualificati (2 ,5 :3 ,5 ) 3 per il personale técnico (4 .2 :5 ) 5 per gli strati lecnici superiori (5 ,5 :8 ).“ In sostanza, assistiamo a un’ulteriore apertura dei “ventaglio” parametrale verso Talto, che corrisponde alia insignificanza ormai dei concetto stesso di salario-base su cui si era attestata la politica rctributiva precedente. Sempre nel ’24 infatti, una risoluzione dei CC dei partito stabilisce la soppressione dei limiti alPincremento salariale oltre la norma-base, prima fissato al 2 5 -5 0 % sulla pagahase. Ciò annuncia una forte crescita degli elementi salariali "variabili,” la cui consistenza percentuale sale mediamente al 4 9 ,3 % nel ’26 (ma, con particolare riferimento a certi settori iiidustriali, fino al 1 0 9 % ) e nel ’27 al 5 7 ,3 % dei salario globale. I Inulteriore riforma, nel ’2 5 , stabilisce la revisione periódica delle iiorme in relazione ai mutamenti tecnologici e ai processi di razioiiiilizzazione e contemporaneamente riorganizza il sistema dei coltimo. Attraverso questi processi, la cui rapidità esprime il diflicile I lipporto tra produttività, qualifica e composizione di classe, la (issazione contrattuale di tarifiíe salariali di base unificate perde progressivamente ogni significato, e la dinamica salariale sfugge al i'ontrollo e alia programmazione rispetto al monte-salari. II signi” M. D e w a r , Labour Policy in the USSR 1917-1928, London, Royal Institute Inirrimtional Affairs, 1956, cap. IV.



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ficato cli qiicsti fenomeni rispetto al ciclo economico soviético, in particolare al processo di “ripristino" e alia crisi dei ’25, come pure rispetto al "dibattito” suirindustrializza2Íone che si era ormai violentemcnte aperto, è stato spesso sottovalutato. Si è cioè, a lungo, o semplicemente "dimenticata” questa dinamica salariale e i processi di classe che essa sottende, o, piú di recente, si è “riscoperta ” nna dimensione "autonoma” dei movimenti di classe in URSS nel corso degli anni ’20 senza però approfondirne il rapporto con i processi di sviluppo in atto, e con lo scontro politico e teorico ad essi parallelo. Eppure questa dinamica di classe, e le contraddizioni che essa apre, sono dei tutto interne a quei processi e a quel dibattito, e in certa misura, come vedremo, lo determinano. Gli eífetti di questa dinamica sul processo di accumulazione sono colti, in varia misura, dai protagonisti dei dibattito suU’industrializ2asione. In Novaja Ekonom ika, Preobraáenskij nota che “è estremamente caratteristico delia nostra situazione che innanzitutto Taumento dei salari degli operai non qualificati abbia, in misura importante, perso contatto con la situazione dei mercato dei lavoro. [ ...] Inoltre è molto importante notare e apprezzare nel suo giusto valore il fatto che le proporzioni dei salari nei diílerenti rami si sono molto allontanate da quelle delPanteguerra (lavoratori dei settore alimentare, dei cuoio e tessili, da una parte, metallurgici, minatori, lavoratori dei trasporti, ecc., dalPaltra parte) e si sono soprattutto modificate in funzione dei ritmi di ricostruzione e di accumulazione nei diílerenti rami da una parte, neU’economia di Stato tutta intera dalhaltra. [ ...] Cosí, nell'industria leggera, i salari sono aumentati piú in fretta...”“ La dinamica salariale nella fase di "ripristino” riflette cosí le contraddizioni dei rapporto tra settori di beni capitale e di beni-consumo rispetto al processo di accumulazione. E , piú in generale, coinvolge i rapporti tra settore industriale e mercato contadino. Non a caso, P. ritorna sul problema dei salario, e dei suo eííetto “squilibrante," a proposito delia “penúria di merci” dei ’2 5 , rilevando come r “aumento progressivo di anno in anno dei potere di acquisto delia classe operaia” si traduca nella “necessita di un piú rápido ritmo di riproduzione allargata anche da questo punto di vista.”"' I processi salariali e di classe da noi descritti segnano cioè profondamente il momento dei passaggio dalla fase di ripristino ai nuovi tassi di industrializzazione delia fine degli anni ’20. Se, cioè, la politica salariale e delia forza-lavoro delia “ E. P reobrazenskij, Novaja Ekonomika, tr. it., Milano 1971, pp, 227 sgg. ” E. P reobrazenskij, Ekonomiceskie Zametki, tr. it. in B ucharin -P reobhazenskij, L'accumulazione socialista, Roma 1969, p. 228.

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NEP aveva permesso di riavviare il ciclo delia produzione industriale, dal 1 4 % dei prebellico nel ’20 al 7 5 % nel ’25, ciò era coinciso con tassi di incremento salariale molto superiori nella sezione produttrice di beni-consumo che in quella di beni capitali. In pratica, la riattivazione dei settore industriale nelle condizioni di mercato delia N EP aveva provocato il capovolgimento dei rapporti salariali tra industria pesante e industria leggera quali si erano determinati nel corso delia prima industrializzazione presovietica. Piú analiticamente, assumendo a base esemplificativa dei raffronto 1’industria metaUurgica e alcuni comparti di beni-consumo: nel '13, rispetto a un salario medio mensile per tutta 1’industria tli 22 rubli, il salario medio metallurgico è di 33 rubli contro salari medi di 16, 18, 25, 29 rubli rispettivamente nei comparti aliinentare, carta, pelle-cuoio, tipográfico. Nel '23 i rapporti si sono capovolti: rispetto a una media di 12,10 rubli anteguerra, il salario medio nella metallurgia è di 12,90 mentre è di 15,30 nell’industria alimentare, di 14,80 nella carta, di 15,10 nel pelle-cuoio, di 19,20 nella tipográfica.™ Secondo dati dei ’24, il livello salariale nelPindustria leggera in rubli íervonec va dal 291 al 6 6 1 % rispetto all'anteguerra, mentre in settori di base come le miniere dei Donbass o nelle ferrovie è rispettivamente dei 2 2 2 % e dei 239%.™ Ciò significa, in termini rcali, una forte sperequazione salariale a favore delle industrie di beni-consumo, legata non certo a una sua maggiore produttività, ma alia composizione delia domanda interna e al livello dei prezzi industriali degli anni delia NEP. In questo senso la dinamica salariale nei diversi settori esprime k- contraddizioni generali dello sviluppo soviético dei periodo, si colloca entro processi generali di squilibrio, come la crisi dei '2 5 , iil punto da farne ricercare le cause "innanzitutto (ma non soltanto) nella diversa composizione delia spesa dei contadini e degli operai, etl anche, probabilmente, nella diversa distribuzione fra la domanda di beni di produzione e la domanda di beni di consumo. II dibattito che si svolge al V II congresso dei sindacati (1926) ri‘gistra ampiamente queste contraddizioni. Le critiche di Tomskij iil "baccanale” di salari vanno nella direzione di una nuova politica (li armonizzazione salariale e delia reintroduzione dei controllo stalulc sul salario, in funzione delle priorità di piano. La fissazione cen^ *' Mi»c« "

BIT, op. cit., p. 186. ................................. Cfr. F. E. D z e r z in sk ij , Opere scelte, vol. II, IzdateFstvo Politiceskoj Literaturj, 1957. E. P k eo br a íen sk ij , Ekonomileskie Zametki, cit., p. 225.

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tralizzata dei fondo-salario complessivo e la sua distribuzione per settori, la riqualificazione dei salario-base, la restrizione dei cotti^he tra il ’26 e il ’28 cade dal 57,3 al 3 4 ,3 % dei salario globale,“ significano non tanto il ritorno a una política di "livellamento da comunismo di guerra, come secondo la successiva interpretazione staliniana, quanto la risposta alie contraddizioni delia política salariale N EP rispetto alie esigenze di pianificazione che si andavano ormai affermando. Ci sembra dunque di poter interpretare la política salariale tra il ’25 e il ’29, pur nei suoi limiti e nelle sue contraddizioni, come parfe dei processo di industrializzazione dei secondi anni ’20. Nel senso che è anche riarticolando la dinamica salariale tra i settori, rendendola funzionale a determinate priorità settoriali, che passa un processo di riproduzione di classe, che si determinano le trasformazioni e i rapporti nuovi ad essa connessi. I livelli salariali delia N EP riflettevano il “privilegio” delle sezioni di beni-consumo, cosí come la política dei credito e i processi di finanziamento ne favorivano lo sviluppo rispetto alie sezioni di beni capitali. La fine dei ripristino" e il progressivo delinearsi di una strategia di industrializzazione “concentrata" non possono non "segnare” linee di política salariale e delia forza-lavoro in generale profondamente diverse. In eííetti, tra il ’25 e il ’29 sia i dati sulla produzione industriale che sugli investimenti confermano una progressiva forzatura dei ritmo di accumulazione e di riproduzione allargata delle sezioni di beni capitali rispetto alie sezioni di beni-consumo. In termini di produzione industriale lorda annua, 1’industria pianificata raddoppia nel período, passando da 7.517 a 13.120 milioni di rubli, mentre la piccola industria resta pressoché stazionaria (da 4.185 a 4 .9 8 5 milioni).“ In particolare, aU’interno delPindustria pianificata, il tasso di sviluppo delia sezione di beni capitali diventa, dopo il ’25, il centro dei dibattito político sull’industrializzazione. Nei tre anni successivi, la produzione nella sezione di beni capitali cresce a tassi annui dei 26,8, 23,9, 2 9 ,8 % , mentre nella sezione di beni-consumo cresce dei 14,9, 28,1, 1 9 ,3 % . Nel complesso deli’ industria il rapporto tra i tassi di crescita delle due sezioni è analogo: rispettivamente 24, 20, 2 3 % nella I e 14,8, 18,7, 14 ,4 % nella I I . Tralasciando il dato relativo al ’27-28, in cui si realizza ^ Cfr. M . D ew ar . op, cit. E. H, C arr e R . W. D a v ie s , Le origini delia pianificazione soviética 1926-1929,

X: AgrtcoUura e Industria, Torino 1972, p. 465. “ Ibid., pp. 466-7.

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Jl problema delia composizione di classe durante la NEP

una m om entânea inversione delle proporzioni di crescita delle due sezioni in ra p p o rto soprattutto alia crisi degli ammassi nelle carnoasne è ev id e n te la riarticolazione produttiva e di classe in cui il processo di industrializzazione si traduce. Sembra dunque signi­ ficativo che in questo stesso periodo, la dinamica salariale delle due s^ezioni segu a grosso modo i rispettivi trends produttivi e d’investimento. N e l '2 4 -2 5 i salari medi mensili nei settori delPinduItrig carb o n ifera, petrolifera, mineraria, metallurgica sono rispettivíimí-ntp 35 4 4 , 2 9 ,4 7 (cervonec) rispetto ai 4 8 ,5 0 ,5 8 ,6 5 dei settori d eirab bigliam en to, alimentare, cuoio, tipograíica, presentando uno squilibrio p articolarm ente sensibile tra le due sezioni. Nel ’28 riscontriamo u n a parziale evoluzione a favore dell’industria pesante; 61 79 5 8 8 6 r u b li rispetto a 8 3 ,7 9 ,8 7 ,9 0 nei quattro comparti di beni-coosumo. . , . j i• j- j * Si tra tta d i processi lenti e contraddittori di adeguamento e ristratificazione salariale, se pensiamo ad esempio che la "forbice” salariale tra I I e I sezione, ridotta tra il ’26 e il ’27, tende a riaprirsi due anni successivi in seguito ad incrementi salariali nella I I nei one che d ero g an o alie previsioni delle cifre di controllo." Non sezione c diÉEcile n o ta re la coincidenza tra ciò e Timpennata degli indici di investim ento e produttivi neH’industria di beni-consumo nel '27-28 d e tta ta n o n solo dalle tensioni dei mercato contadino, ma inche dalla contraddizione tra tassi di investimento e "tem pi” di l inroduzione e d i reinvestimento deU'industria di beni capitali. Sono tem i ch e rim andano, evidentemente, al quadro generale dei li' in n ie n o svolgimento, sul ritmo di industrializzazione e in“ “td ? ik r e 'a l ru olo tattora svolto dalla "destra."

3. Razionalizzazione e com posizione di classe Sul piano g enerale delia politica soviética delia forza-lavoro, I'avvio delia N E P c gÜ ^it^i dei I Piano quinquennale delimitano un I iuiir, Ç,ne> H

op. cil.

II problema delia composizione di classe durante la NEP

settoriali e di política omogenea dei salario nelle condizioni di concorrenza” degli anni ’20, viene progressivamente svuotata dalla fissazione pianificata degli obiettivi, per spostarsi, semmai, nel corso dei I Piano, a livello di fabbrica, dove tra direzione e comitato sindacale si contratta la maggior erogazione salariale rispetto al fondo-salari pianificato, in rapporto al superamento sistemático delle “norme” e quantità di produzione.“ Nel ’34, la contrattazione collettiva perde vigore ufficialmente. Nel frattempo, i margini di conflittualità nelle nuove condizioni di piano si restringono: tra il ’29 e il ’31 i conflitti industriali — e la relativa attività conciliató­ ria — si riducono di due terzi. II processo di crescente identificazione tra política “statale” dei lavoro e ruolo sindacale, il cbiudersi delbautonomia istituzionale dei sindacato, fisicamente rappresentati dalla fusione nel ’33 tra Consiglio centrale dei sindacati e Commissariato dei lavoro, vanno insomma misurati su quelle modificazioni dei meccanismi di crescita di classe e di espansione produttiva. Massificazione operaia e trasformazione di classe — ormai interne agli indici di crescita pianificata delPindustria pesante e alia collettivizzazione forzata dei rapporti di produzione nelle campagne — si pongono dunque in un quadro di definitivo superamento delia NEP e delle sue strutture di conflitto. Ruolo e struttura dei sindacato mutano dunque alPinterno deli’ evoluzione dei quadro istituzionale e delle strategie di sviluppo. Nel corso delia N EP, i processi di ricomposizione di classe si sviluppano entro i limiti delia struttura dei ciclo industriale e delia sua necessária riattivazione. Ancora fino al ’22, in particolare, lo stato dei ciclo determina un bassissimo grado di utilizzazione degli impianti, quindi una certa saltuarietà dei rapporto lavorativo: nel ’19 Pinterruzione delia produzione per cause indipendenti dai lavoratori è ancora di 30 giorni annui, nel ’20 il tasso di assenteismo supera i 70 giorni." In queste condizioni, la riattivazione dei vecchi impianti e il rilancio dei livelli di produzione — se non di produttività, ancora lontanissima dal livello prebellico — passano attraverso processi di pura intensificazione dello sfruttamento dei lavoro, reintroducendo strumenti di incentivazione materiale — cottimo, straordinario, prolongamento delia giornata lavorativa media — liquidati nel corso dei ’17. . „ . Come questo coincida con una fase aílatto "gestionale” dei sin“ Per tutta questa parte, cfr. L. G reyfié de B ellecombe, Les convenlions collectiiirs dc travail en Union Sovictique, Paris 1958. . . . „ , „ S. G. S tru m ii .in , Razionalizzazione e lavoro straordinario, cit., e Progresso delle condizioni di lavoro, 1921-1927, in op. cit.

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dacato, abbiamo già detto. La fase N EP introduce nel processo di ripristino un programma di raziondizzaztone e di sviluppo delle forze produttive tanto piú significativo, in quanto la razionalizzazione dcl lavoro produttivo in fabbrica corrisponde a un disegno generale di riorganizzazione "scientiíica" dei lavoro nelPapparato statale soviético e nei suoi organismi di amministrazione e direzionc. Lo sviluppo delle forze produttive dovrebbe in sostanza coincidere con una nuova organizzazione dello Stato "aU’altezza” di quello sviluppo. La parte in eííetti piú interessante dei tentativi di riorganizzazione dello Stato durante la N EP ci sembra 1’attività svolta da quegli organismi (Ispezione operaia e contadina, Soviet per 1’organizzazione scientiíica dei lavoro-Sovnot) cbe tentano di pianiíicare Tintroduzione di criteri di “organizzazione scientiíica” nelPapparato statale, anticipando in questo senso la piú radicale riorganizzazione efficientistica e tecnocratica dei periodo staliniano. L attività di questi organi ha inoltre diretta influenza sui processi di organizzazione dei lavoro nelPindustria, sia a livello direttivo e tecnico-organizzativo cbe direttamente produttivo. G li scopi degli organismi per il N O T“ (Organizzazione scientifica dei lavoro) sono di favorire e programmare la standardizzazione-razionalizzazione produttiva e la qualificazione delia forza-lavoro per i nuovi cicli produttivi. Sembra comunque cbe 1’attività di riorganizzazione du­ rante questi primi anni ’20 "passi” quasi esclusivamente nei settori delia direzione e amministrazione aziendale, mentre tocchi assai meno quello delia organizzazione dei lavoro operaio. Solo a livello di funzioni tecnico-direttive, cioè, si compiono processi di centralizzazione e ristrutturazione a forte risparmio di lavoro tecnico-im^ ^ NãucHuju Oygãuizãcijã Truda Proivodstva e Upravletíjã, Sboffiik Dokutnentov i Materialoy, 1918-1930 g.g. (Organizzazione scientifica dei lavoro, delia produzione e delia direzione, Raccolta di documenti e materiali), Izdaterstvo “Ekonomika," Mo­ sca 1969. Dallo Statuto dei Sovnot (26 dicembre 1923): ”11 Soviet unisce le istituzioni pratiche e di ricerca e le organizzazioni per il NOT neirURSS e, in accordo con i compiti fondamentali dei NK dei RKI [Ispezione Operaia e Contadina] coordina e pianifica il loro lavoro, in cui rientrano: a) nel settore delia técnica e deireconomia delia produzione: la razionalizzazione delia técnica e delia tecnologia delia produzione sulla pratica, delia sperimentazione di laboratorio, e delle ricerche scientifichej studio dei problemi delia standardizzazione; partecipazione alio studio economicostatistico ^deireconomia nazionale per il miglioramento dell’organizzazione dei singoli rami deirindustria, delle imprese e delle loro unioni; b) nel settore delia direzione: elaborazione dei principi base delia técnica deiramministrazione e deH’organizzazione scientilica delia direzione; c) nel settore delia psicofisiologia dei lavoro: impostazione di espenmenti e dello studio pratico dei problemi delia psicofisiologia dei lavoro, delia selezione e consulenza professionali e ricerca dei piú perfezionati metodi e norme di lavoro; d) nel settore delia tutela dei lavoro: studio delle condizioni di lavoro ed elaborazionc ih norme per la sua tutela, per Tigiene dei lavoro, per le tecniche di sicurezza; e) nel settore dcl lavoro pedagógico per il NOT: unione e coordinamento dei lavoro, elabornzionc di programmi,^ metodi ecc.; /) nel settore delia qualificazione delia manodopera: collnbornzionc con i sindacati e le altre organizzazioni, cbe conducono un lavoro teoricol^ritilco per Ia preparazionc e 1’aumento delia qualificazione delia manodopera."

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II problem a delia composizione di classe durante la NEP

piegatizio, mentre a livello operaio l ’attività degli organi per il N OT si arena a uno stadio prevalentemente ideologico-propagandistico: non a caso le successive fonti storiografiche sovietiche ne vedranno 1’anticipazione dei lavoro udarnico e dello stachanovismo. Poiché d’altra parte la razionalizzazione comporta, come vedremo, un attacco alia condizione operaia, è soprattutto uno strumento di mobilitazione “ideológica” che viene ricercato. Le conferenze di produzione," lanciate a livello di fabbrica per discutere la razio­ nalizzazione, hanno appunto il compito di superare le diíEcoltà politiche che il processo di razionalizzazione incontra nelle condizioni sovietiche, cercando di incentivare una diretta partecipazione operaia attraverso proposte e suggerimenti, alie innovazioni e ristrutturazioni tecnico-organizzative.“ Ciò, d’altra parte, comporta contraddizioni tecniche delia razionalizzazione: misure individuali di razionalizzazione, se applicate, rischiano di sconvolgere il ciclo complessivo, di tradursi in innovazioni dis-organizzanti. In quanto tale, il processo innovativo sfugge al controllo pianificato delia direzione aziendale, che non per nulla diventa il nemico principale delle conferenze di produzione: il direttore di fabbrica giunge spesso a premiare i suggerimenti innovativi, come prescritto dalle circolari di partito, ma non si sogna afíatto di applicarli. Con questa ostilità dei “management” a un processo “parcellizzato” di ristrutturazione si scontrerà, d’altronde, anche il movimento stachanovista.™ Se sono perciò giustificati i dubbi sulla funzione attiva delle conferenze nel processo innovativo, è soprattutto a livello politico che la campagna di razionalizzazione non dà i suoi frutti. Essa verifica quale vuoto organizzativo a livello di classe abbiano aperto nel partito le profonde trasformazioni delPorganico di fabbrica” : alie conferenze restano estranei i "nuovi” operai di recente proletarizzazione. Solo gli strati anziani qualificati, i vecchi operai “di mestiere,” vi intervengono, ma soprattutto per usare le conferenze come momento di denuncia degli effetti negativi delia razionalizza­ zione: non a caso registrano un relativo successo di partecipazione operaia solo le conferenze di reparto, dove è piú diretto 1’impatto delle misure innovative sulla forza-lavoro.” Sulle conferenze di produzione, cfr. índustrializãcijã SSSK 1926-1928, Dokufnenty i materiãly (L’industrializzazione dell’URSS 1926-1928), Izdatel stvo Nauka, Mosca

l%9.

.

.

.

^ J. S. B erliner , Factory and Manager in tbe ÜSSR, Cambridge, Harvard University Press. 1957, pp. 271 sgg. _ «„ , • n “Non si è avuta discussione alcuna nel 3 7 ^ delle cellule di produzione e nella inuggioranza (6296) di quelle dei soviet. La campagna non ha avuto alcun riflesso nelle organizzazioni i\\ partito nelle campagne." Industrializacija, cit., pp. 388 sgg. ” Ihid.: "Gli operai rifiutano decisamente ogni snaturamento nelPintroduzione dei

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r

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Sembra indubbio, in definitiva, che intorno ai processi di razionalizzazione si siano venute a scontrare una certa composizione opcraia e certe condizioni di lavoro e salariali — e le esigenze produtlive poste dalla fine delia fase di ripristino. Secondo le fonti deli opposizione trockista, "la prima campagna pci I aumento delia produttivita dei lavoro si conclude con un’epidemia di scioperi, che comincia nel gennaio 1925 e assume, già nclla primavera, il carattere di un movimento di massa.”” Ciò avrebbe provocato la temporanea sospensione delia campagna per Ia razionalizzazione e consistenti aumenti salariali delPordine dei 2 5 % , ma súbito dopo un aggravamento delle norme di produzione che avrebbe provocato, in due anni, che "la quantità di lavoro per operaio aumentasse dei 7 7 ,5 % , mentre i salari giornalieri non aumentayano che dei 2 6 % e i salari mensili dei 1 5 % .”" Se sulla yendicità di questi dati è lecito, come vedremo, nutrire forti dubbi, sulla sostanza delle critiche deli'opposizione si può invece concordare. Nel '26 la campagna di razionalizzazione viene in effetti interrotta e proprio il gruppo dirigente bolscevico condanna in piú occasioni le distorsioni” e i "metodi assolutamente intollerabili di particolari organismi economici che hanno danneggiato seria­ mente il benessere dei lavoratori ivi compresa una "riduzione dissimulata dei salari.”” II problema delia razionalizzazione viene comunque drammatizzato dalla fine dei periodo di ripristino, allorché cominciano ad essere decrescenti gli eííetti delia pura e semplice riattivazione dei vecchio capitale fisso ma non è ancora in piedi un processo di “rinnovo” e di espansione inassiccia delia base produttiva. I vari rilanci delia carnpagna per il "regime di economia” e per la razionaliz­ zazione, in particolare nel 27, tendono in sostanza a realizzare incrementi di produttivita piú rapidi degli incrementi salariali, per permettere il finanziamento dei crescenti programmi di nuova industrializzazione. In eííetti, i dati disponibili testimoniano che, man mano che quei programmi avanzano, la curva di produttività tende ad innalzarsi; mentre ancora nel '25-26 i costi industrial! aumentano dell’1 ,7 % (anziché diminuire dei prograirmiato 7 % ) nei tre anni successivi decrescono complessivamente di oltre il 1 0 % ." 'rcgune’ cconomico e i tentativi di realÍ2zarlo mediante un peggiotamento delia condiZ10H6 o p c f â iâ , trinelli*í^n'm n Ibid. ’ ■ ’

l’Opposition Communiste, Paris 1927-1929, Fel’





F H n il. H. e,ARR e R. W. D avies , op. ctt., p. 323 Ib iJ., p. 471.

172

Stalin e Kujbisev, è citata da

U problema delia composizione di classe durante la NllP

Ncl '27-28, dopo parecchi anni, la crescita delia produttività supera c|uclla salariale, anche se, nella riduzione dei costi, incidono assai piú gli effetti dei nuovi investimenti e in generale il fattore tecnologico che non il risparmio salariale. Questa inversione dei rapporto produttività-salari, questi successi delia razionalizzazione, sono dunc|ue legati a modificazioni importanti delia struttura produttiva e di l iasse. La crescita degli investimenti industriali, che abbiamo già nltrove documentata, sembra in questa fase essere ancora rivolta piú ad incrementi produttivi immediati che non a un complessivo rinnovo dei capitale fisso. Un processo di formazione generale di una produzione industriale di massa si può considerare ancora agli inizi, in questi secondi anni '20, se consideriamo, in un settore significativo come il metalmeccanico, alia fine dei I Piano (1932), la composizione delle imprese per livello di massificazione delia pro­ duzione’’ : In tutta la metalmeccanica A produzione individuale in piccola serie A produzione individuale in grande serie A produzione di massa di cui a catena

36,6 23,5 39,9 31,4

Imprese costruite nei primi 3 anni dei I Piano

1,2 4,2 94,6 88,8

Si noti non solo il carattere ancora limitato dei cicli produttivi massificati, ma soprattutto la loro enorme concentrazione negli anni seguenti il '29. Ciò evidentemente significa, sul piano delia com­ posizione di classe, che la presenza di strati di lavoro industriale di massa può considerarsi, in questa fase precedente, solo avviata^ In particolare il processo di razionalizzazione, nell’industria di Stato, non comporta, nel periodo da noi considerato, consistenti aumenti occupazionali a livello di massa. Un raífronto tra dati, pur aggregatissimi, relativi alia struttura occupazionale per grandi categorie d’industria nel '25-26 e nel '29, sembra in effetti confermarlo. Nel '25-26 l'industria c.d. "censita," doè Tindustria ” M. T. G ol’cman e L. M. K ogan, Starye i Novye Kadry Proletariata, Po dannym perepisi 13 profsoiuzov proizvedermoj v 1932-33 g.g. (Quadxi vecchi e nuovi dei proletariato, sui dati dei censimento di 13 sindacati professionali per il 1932-33), rronzaat, Mosca 1934.

173

Paolo Perulli

stiUiilc, a)m|)iciulc 2 .1 4 0 .7 1 4 addetti a loro volta suddivisi in 1. 2 1 I .OHH iiildctti nell'industria delPUnione e 9 2 9.626 nelPindiislriii l•cpllhI)licana e locale. Si tratta, come vedremo piú analiliciiinciilc, dei settori statizzati sottoposti al Vesenkhà e ai glavki, ciiiielli, trust o agli organismi sovietici regionali. In pratica, in i|tiesia i alegoria sono comprese la grande industria e in particolare i settori di beni capitali, per cui Torganizzazione produttiva e la struttura occupazionale dei settore statizzato sono estremamente significative delia composizione complessiva delia forza-lavoro so­ viética. Nel '29, dopo quattro anni di razionalizzazione e di consistenti investimenti, gli occupati nell'industria "censita” sono 2 .2 6 0 .0 0 0 , di cui 1 milione circa nelPindustria repubblicana-locale, cioè non superano di molto il livello dei '25-26.™ Eppure fonti sovietiche attestano una crescita delia forza-lavoro occupata, nel período, che assomma tra il '26 e il '27 a 6 5 0.000 addetti.” Ci sembra di poter trarre alcune importanti ipotesi da questi dati. Da un lato, la crescita occupazionale nel período è awenuta princi­ palmente nei settori diversi dalla grande industria di Stato, in par­ ticolare nella piccola industria e nelPartigianato. Sempre nei quattro anni qui considerati, infatti, gli occupati nei settori di piccola industria aumentano da 3 .5 0 0 .0 0 0 a quasi 4 .5 0 0 .0 0 0 . E si tratta dei settori in cui è concentrata prevalentemente Pindustria produttrice di beni di consumo, ad esempio il 7 0 % delia produzione tessile e quasi il 5 0 % di quella alimentare. L'industria privata, in particolare, è quella che occupa forzalavoro specializzata, a livelli salariali piú alti (dei 2 0 % mediamente) che nelPindustria statale, con una organizzazione dei lavoro e relativi livelli di produttività ben superiori.'" Tutto ciò esprime evidentemente il tipo di contraddizioni che, prima dei Piano, si pongono alPinterno delia struttura industriale soviética e quindi il tipo di composizione di classe in essa presente. Ci sembra ulteriormente confermata Pipotesi dei carattere dei tutto iniziale che il processo di ricomposizione di classe assume per tutto il corso delia N EP, e quindi dei carattere di "decollo" che da questo punto di vista il I Piano rappresenta. Resta comunque da chiarire che la quasi-stabilità dei livelli occupazionali nelPindustria di Stato in questi anni non significa staticità delia struttura occupazionale e di classe. Infatti, il già elevatissimo turn-over (un anno di permanenza ™ D ati in C arr-D a v ie s , op. de. ” Industrialixadja, cit. " C arr-D a v ie s , de., pp. 374 sgg.

/)

II problem a delia composizione di classe durante la NEP

media sul posto di lavoro), i processi di inurbamento di forza-lavoro agricola “eccedente” e la crescita costante delia disoccupazione fino al ’29-30, sono i sintomi di modificazioni in atto nella struttura delia forza-lavoro. In primo luogo, turn-over, mobilità e “urbanizzazione” esprimono fenomeni di "ricam bio” nella forzalavoro occupata, nel senso dellfingresso in produzione di masse di provenienza non industriale e di lavoro non qualificato. Le conseguenze sul piano politico e sulle strutture di base dei sistema so­ viético, partito in primo luogo, sono sensibili e determinano ampiamente, come vedremo, le linee di trasformazione e di superamento di modeUi “storici" d ’avanguardia. In secondo luogo, una analisi piú attenta delia struttura delia disoccupazione mette in luce alcune contraddizioni di fondo dei meccanismi di composizione di classe e ne spiega i successivi sviluppi. È infatti vero che il tasso cre­ scente di disoccupazione va in primo luogo rapportato al flusso in continuo aumento di lavoro agricolo nei centri industrial! e all’ impossibilità di assorbimento da parte di una struttura industriale limitata, o comunque appena uscita dalla fase dei ripristino e delia riconversione. Ma è altrettanto vero che questa forza-lavoro agricola eccedente costituisce per lo piú quella massa di disoccupati non “uíficiali” che fa salire le stime delia disoccupazione reale da un milione di disoccupati “registrati” (nel ’2 6) a due milioni almeno. II milione circa di disoccupati registrati dalle "borse dei lavoro” sono dunque operai industrial!, in parte espulsi dal processo produttivo, in parte fluttuanti per i noti fenomeni di turn-over, in par­ te infine non assorbiti in produzione per disfunzioni dei processo di qualificazione. In eífetti, nel '25-26 viene denunciata una domanda di manodopera qualificara di 4 3 3 .0 0 0 unità e nello stesso tempo il numero degli operai specializzati “registrati” nelle liste dei disoccupati sale da 142.000 a 2 0 6 .0 0 0 unità." Si tratta di dati che allargano — e in parte integrano — il discorso fin qui svolto. Da un lato, potremmo interpretare questo tipo di disoccupazione operaia rispetto al processo di razionalizzazione, che sembra dunque avere avuto dei risvolti di tipo occupazionale non indiííerenti. In l-)articolare, che tipo di rapporto c ’è stato tra programmi di industrializzazione e processi di riorganizzazione a "risparmio di la­ voro”? È indubbio che, a un certo stadio delia razionalizzazione, il problema si sia posto, se una risoluzione dei CC dei partito si occupa di legittimare le riduzioni di orgânico legate alia ristruttura” Donn, op. cit., pp. 237 sgg. “ Stalin, Rapporto al XIV Congresso dei PC (b ), I .iliriiiric ilc riliimimité. Paris 1926, p. 98.

in La Russie vers le soctalisme,

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zione." Ma, piú complessivamente, questi problemi, disoccupazione e penúria insieme di forza-lavoro qualificara, sembrano anch’essi confermare 1imiti e contraddizioni delia politica di composizione di classe prima dei ’29, in particolare nei suoi aspetti di pianificazione dei processo di qualificazione in rapporto alia "domanda” dei settori produttivi in via di sviluppo. La politica di qualificazione costituisce in eííetti uno degli strumenti piú formidabili che il sistema soviético avesse a disposizione ai fini delia sua politica di trasformazione di classe. L ’originalità storica con cui questa problemática qualifica-composizione di classesviluppo si pone nelPesperienza soviética è facilmente comprensibile, se consideriamo che alie istituzioni sovietiche si apre in questo settore una prospettiva formidabile e di fatto inédita per i paesi capitalistici: quella, in sostanza, di pianificare un mercato dei lavoro e quindi tutti i processi di formazione e riproduzione di forzalavoro in relazione ai tempi e alie forme dello sviluppo industriale. I primi accenni a una teoria delia produttività delPistruzione; i primi tentativi di analisi delPistruzione come investimento di capitale, di calcolo delia produttività di tale investimento alPinterno dei ciclo economico complessivo (tutte tematiche apparse assai dopo nei paesi ad avanzato sviluppo industriale) li troviamo proprio nelP URSS degli anni ’20 e nel corso delia formazione dei sistema di pianificazione. II peso delia scolarizzazione in generale, e delia formazione professionale in particolare, sui liveUi di qualifica e di produttività dei lavoro manuale e intellettuale, può essere, nelle condizioni sovie­ tiche, studiato e analizzato: gli strumenti di piano e la relativa articolazione istituzionale permettono di intervenire nei processi di formazione di forza-lavoro, pianificandone la dinamica e la compo­ sizione. In questo senso qualificazione e composizione di classe si incontrano, per la prima volta, neU’esperienza soviética, come componenti di una strategia di sviluppo. Importanti accenni teorici aUa produttività delPistruzione sono contenuti ad esempio in Strumilin.“ In base a una, pur rudimentale, analisi comparata costi-benefici, Strumilin giunge alia conclusione che “le entrate dovute alPaumento delia produttività dei lavoro superano le corrispondenti spese dello Stato per Pistruzione scola” "Nel caso in cui una data impresa, perfezionando il lato técnico delia sua produzione e organizzazione, non possa nello stesso tempo ingtandirsi, e allorché il personale supeti le necessita deH’imptesa, è necessário liberaria dei surplus di manodopera.” Cit. da "Contre le Courant,” loc. cit. “ S. G. S t r u m il in , Importanxa economica deWistruzione popolare, in Ix. proiex., cit. pp. 101 sgg.

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II problem a delia composizione di classe durante la NEP

stica di 27 ,6 volte. Quindi gli impieghi di capitale sono abbondantemente compensati già nel primo anno e mezzo.”“ Una riforma complessiva delPistruzione di base, conclude Strumilin, provocherebbe dunque un colossale effetto moltiplicatore sui livelli di produttività dei “lavoro fisico,” cioè dei lavoro manuale. Mentre già a livelli superiori di scolarizzazione (istruzione secondaria) corrisponde una incidenza molto minore sulPelevamento di qualifica dei lavoro operaio. Qui Tinvestimento in “capitale umano” sarà ammortizzabile, grazie all’aumentata produttività dei lavoro, in un periodo di tempo lavorativo assai piú lungo, di sette anni circa secondo Strumilin; si tratta, quindi, di un investimento meno produttivo. Si tratta, ripetiamo, di una quantificazione alquanto approssimata e generica, d’altronde tipica di un sistema di pianificazione per indici “fisici”; ma non c ’è dubbio che essa corrisponda in termini assai evidenti a certe esigenze di intervento sulla composizione di classe proprie di questa fase dello sviluppo soviético, e in quanto tale sia assumibile per intero entro le linee fondamentali delia politica soviética di qualificazione.“ Dopo una prima fase, ancora interna al periodo dei comunismo di guerra, in cui 1’apparato direttivo deli'istruzione professionale (Glavprofobr) si preoccupa prevalentemente di formare una "intelligentsia” proletária in grado di sostituirsi al quadro insegnante di origine borghese, si avvia il processo definitivo di crescente controllo degli organi di pianifi­ cazione sulle direttive e sulla gestione dei ciclo di qualificazione. A partire dal '21, il Vesenkhà in contatto con le direzioni aziendali, provvede alia costituzione delle prime scuole di apprendistato, funzionanti presso le fabbriche, in modo che quantità e qualità delia forza-lavoro in formazione siano direttamente a contatto con la “domanda” industriale. Questo tipo di scuole riceveranno il massimo impulso tra il '24 e il '27, per poi stabilizzarsi su valori assai modesti; senza dubbio perché la parcellizzazione dei processo di qualificazione e dei rapporto domanda-oíferta che esse comportano entra in contrasto con le nuove esigenze di controllo e di direzione globale dei ciclo di formazione. Solo un’apposita struttura centralizzata sembra in grado di soddisfare in modo pianificato alia do­ manda di lavoro industriale connessa alia nuova fase di sviluppo che si sta aprendo. II settore delPistruzione non sfugge, cioè, alia generale tendenza alia centralizzazione direttiva che caratterizza l’intero apparato istituzionale negli anni dei piano. II compito di Ibid. “ Per tutta la parte seguente, cfr. M. A n s t e t t , La formation de la tnain-d’oeuvre aualifiée en Union Sovietique, Paris 1958.

I

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direzione dei settore viene affidato all’Istituto centrale dei lavoro (C IT ), le cui scuole finiscono per soppiantare i corsi di apprendistato di fabbrica, soprattutto in relazione al varo dei I Piano e alie esigcnzc di lavoro qualificato che esso drammatizza. Qiiesti processi di crisi e di rapida obsolescenza delle strutture di qualificazione dipendono dunque dalPaffermarsi di nuove esigenze sul piano dei mercato dei lavoro e in eííetti coincidono con il delinearsi di una strategia di riproduzione allargata di classe. Se infatti in tutta una prima fase dello sviluppo soviético è soprattutto la carenza di lavoro superspecializzato che piú preme sui settori in­ dustrial!, ben presto e in relazione ai programmi di massificazione produttiva delPindustria soviética la domanda di lavoro industriale si sposta sempre piú su livelli di qualifica di massa. La politica di qualificazione punta perciò a fornire alia forza-lavoro in formazione una qualifica intermedia (soprattutto la V e la V I delPinquadramento categoriale") direttamente legata alie esigenze dei ciclo. Nella misura in cui si parcellizzano le mansioni nella grande fabbrica a catena o a ciclo continuo e negli stessi cicli tradizionali si afíermano processi di standardizzazione-specializzazione connessi alia politica di razionalizzazione, il ciclo di qualificazione comincia a orientarsi sulLapprendimento rápido di date operazioni parcellizzate specifiche di un dato posto di lavoro. Se e quanto 1’acquisizione di una qualifica rígida possa trasformarsi in fattore deprimente la produttività dei lavoro, è un problema in questa fase irrilevante proprio per lo stadio di sviluppo delPorganizzazione dei lavoro: 1’eccessiva specializzazione e la rigidità di mansione non costituiscono ancora ostacoli alLorganizzazione dei lavoro di cui il processo di qualifi­ cazione debba tener conto. Ciò comporta dunque una riforma dei settore dell’istruzione diretta a una sempre piú accentuata formazione accelerata di ba­ se." Già nel ’27-28 gli istituti di istruzione professionale di massa crescono dei 2 0 % , mentre nel período ’23-28 gli istituti superior! decrescono per numero e frequentanti. Ma si tratta di cifre insoddisfacenti rispetto alPintensificazione dei ritmo di sviluppo. Nel ’28, a ir V III congresso sindacale, il Vesenkhà accentua la critica alia " Industrializacija, cit., pp. 345 sgg. ** “Le scuole di apprendistato dovranno libetarsi dei loro vasto programma d’istruzione. II programma dovrà essere riportato alie indispensabili discipline applicate e a un minimo indispensabile di conoscenze politecnicbe.” Industrialhacija, cit. Ma, a conferma delia lentezza di questa riforma dei processo di qualificazione rispetto alia do­ manda dell’industria, sta l ’ammonimento di Stalin; "Abbiamo bisogno oggi di bolscevichi specialisti delia metallurgia, dei tessile, delia chimica... lo sviluppo delia produzione socialista non si può accontentare di operai che sanno un po’ di tutto e nulla seriamente. ”

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formazione eccessivamente "generale” delia forza-lavoro e insiste per una formazione accelerata di base posta sotto il suo direito controllo e sottratta al Commissariato per la pubblica istruzione. Con questo, il processo di qualificazione entra organicamente, anche a livello istituzionale, neH’ambito dei sistema di pianificazione industriale, e viene confermato il ruolo egemone dei Vesenkhà che si andava in quella stessa fase aífermando nella crescente forzatura dei piani di investimento e dei processo di industrializzazione. Problemi dello sviluppo e delia composizione di classe tendono in questa fase ormai a coincidere, e quindi i programmi di industrializzazione accelerata evidenziano i problemi di trasformazione delia struttura di classe. Nel '27-28, infatti, questa struttura conmincia a modificarsi, pur con lentezze e contraddizioni, come dimostra la percentuale di operai qualificati nei principali settori (5 5 ,3 % nella meccanica, 46,1 nella metallurgia, 43,5 nel tessile ma 2 8 % neirindustria estrattiva e 2 5 % nella chimica). In particolare, il processo di qualificazione non investe in questa fase la forza-lavoro di estrazione agricola, la cui incidenza nella composizione di classe abbiamo già evidenziato e che evidentemente ricopre nel ciclo i ruoli di manovalanza. Ma nel corso dei I Piano il sempre piú massiccio flusso di contadini nelle nuove fabbriche determina una pro­ gressiva inversione delia politica di qualificazione, che porta tra il '30 e il '32 la percentuale "contadina” dal 15 al 4 0 % dei frequentanti corsi di istruzione professionale. L ’esigenza di un certo grado di qualificazione dei lavoro giustifica tra l ’altro in buona misura alcune linee delia politica salariale soviética negli anni '20 da noi già descritte. In particolare, la progressiva concentrazione di lavoro operaio nelle classi salariali “medie” rispetto alia assai maggior dispersione entro i livelli sala­ riali caratteristica delia fase precedente. In questo senso si potrebbe pure spiegare la relativa tendenza “egualitaria” fino al '28. Dopo il '28, e nel corso dei piano, i processi di sviluppo inducono una accentuata domanda di lavoro qualificato. Ciò giustifica, oltre che 1’ovvia divaricazione tra livello salariale dei personale técnico e salario medio operaio, fenomeni di stratificazione interni alio stesso lavoro operaio. Da un lato perciò, secondo alcune stime, il dislivello salariale tra tecnici e operai aumenta nel corso dei I Piano dal 172 al 1 9 2 % . DalPaltro, negli stessi anni, si accentua il dislivello tra operai meccanici qualificati e manovali comuni, e ancor piú tra i jirimi e gli addetti alia manutenzione, con uno scarto che cresce dal 206 al 2 3 0 % . Non a caso il dislivello diminuisce invece nei settori di piccola-media industria di beni-consumo (tessile, carta, calza-

17‘)

Vaolo 1'rrulll

turicro, yclio) inulizionalmcntc basati su tecnichc ili Iavt>ia/i.m. a mano, iii via cli nipicla obsolescenza dal punto di vista |)r(HlMiilvn e delia orgnnizzazionc dei lavoro." Nel frattempo la strutiiiia umi pazionale, in connessione alia saturazione dei mercato dd lavom provocata dalla crescente domanda industriale, registra un amneniii di forza-lavoro femminile "tipico delle fasi di decollo” indusinali. prevalentemente concentrata nelle qualifiche inferiori, ove giimir. a superare il 5 0 % delia forza-lavoro occupata. Tale aíllusso di In voro femminile sottoqualificato e sottopagato influisce a sua volin dislivelli salariali. Alutamenti delia politica salariale e di qualificazione coincido no dunque con le violente trasformazioni di classe in atto nel corso dei piano. Forza-lavoro di origine contadina e di recentissimo in gresso in produzione costituisce la base di questa nuova composi zione. In un settore di industria pesante tra il ’29 e il ’33, la per centuale di operai con anzianità produttiva non superiore a 2 anni o aumentata da appena il 1 4 ,7 % a ben il 3 9 ,5 % , e complessivamenie 1 anzianità media non supera i sei anni nel ’33, contro gli oltre diecí anni dei 29. Nei famosi 4 anni e 3 mesi” dei I Piano la composizione deUa forza-lavoro è dunque radicalmente mutata, in rapporto anche ai colossali fenomeni di mobilità. La provenienza prevalen­ temente agricola dei nuovi occupati risulta ampiamente dai seguenti dati: U ltim a occu pazion e p rim a delV ingresso in p rod u zion e ( 1 9 3 3 )^

(in %) Lavoro salariato tot.

Metallurgia nera

19,9

Metallurgia per trasporti Metallurgia per agricoltura Aeronáutica

16,7 22,9 15,7

F.lettrotecnica Cotoniera

15,9 17,6

Lavoro non salariato

di cui in agricoltura

tot.

14,3 7,8 9,8

77,9 72,8

5,7 6

80,5 79,6

3,6

52,8

62,6

di cui Kolkosiani e contadini 33 27,8 24,1 31,7 25,9 26,8

Cambridge, Harvard University ( lOi. ( . M A N

iNn

e

K o g a n ,

Stârye i ^ovye Kadri Proletariãta

cit.

r

II tirn h lrm íi ã c ü a c o m p o s lz lo r ie d l c la s s e d u r a n t e la N U V

I ,1 pirviilrn/a cli provenienti da occupazioni non salariate e .lrtlLii>nmIima è dunque impressionante. In particolare per le t rtinliiiimc, la maggior parte degli oltre otto milioni di n u o v i addetII .ill'nuliistria ncl quinquennio non provengono da fattorie col.......... .iic, ma sono per lo piú “outsiders — proprietari esproiiiiiiii o liivoratori indipendenti — espulsi dalla collettiyizzazione. j II itml.Tmii tra 1’altro 1’aumento delia forza-lavoro agricola ecce■Imiii . iici kolkhoz, dopo la collettivizzazione. Questi cenni alia ..... i|i()NÍzione sociale delia "nuova classe operaia” dei I Piano introilmniio non solo ad alcune osservazioni su produttiyità, organizI I' iiic dcl lavoro, politica salariale nel corso degli anni 30, ma piu III griicrale sui rapporti tra mutamenti delia struttura di classe e .1 .ii-ma soviético tra la N EP e il I Piano. Come incidano le trasforiMii/íoni di classe, nelPindustria e nelle campagne, sui modelli org.mizzativi tradizionali sovietici, sulPorganizzazione "classica’ dei ........ . bolscevico, sugli assetti istituzionali collaudati dalla _NEP, 11 Kcmbra un tema centrale per la ricostruzione dei sistema soviético.

■I. Partito e com posizione di classe Le prime grosse trasformazioni strutturali dei ^partito sono in (orso già, come è stato recentemente sottolineato,’’ negli anni dei "comunismo di guerra.” Si tratta in particolare dell’acquisizione di lina nuova dimensione di massa dei partito, e d’altro lato di un rá­ pido ricambio delia sua composizione interna. Entrambi questi calatteri — d’altronde connessi l ’un Taltro — ci sembrano in questa Iase determinati piú dai processi spontanei che contraddistinguono il período (uscita dalla clandestinità, disgregazione delle forze produttive) che da una politica pianificata di trasformazione. Anzi, so­ no note le "cautele” e il sostanziale sfavore dei gruppo dirigente ad "aprire” il partito a una dimensione di massa, preoccupazioni comuni al gruppo leninista come ai gruppi di opposizione (tra gli obiettivi "anti-burocratici” di Opposizione operaia vi è quello d eir‘^espulsione dal partito di tutti gli elementi non proletari” perché il par­ tito deve diventare un partito operaio. Questa unanimità conlerma 1’ipotesi che, alia base delia diffidenza verso processi di massificazione e di ricambio sociale dei partito, vi fossero il legame con il modello di “avanguardia” e il peso che quel modello tuttora G. P r o A, M.

, II partito nel K o l l o n t a j , Rabociaia

c a c c i

sistema soviético, cit., pp. 61 Oppositzia, cit., p. 65.

sgg.

181

P aolo Perulli

esercitava. A nostro avviso ciò si giustiíica in base a due ordini di motivi: in primo luogo, la “rigidità” delle forze produttive durante il comunismo di guerra, che giustifícava una linea ortodossamente “operaista" di difesa dell’egemonia delia vecchia composizione operaia; in secondo luogo, la collocazione dei partito all’interno di uno Stato che di fatto conservava tutte le caratteristiche dei vecchio apparato pre-sovietico. Rispetto ad esso certamente il partito, difendendo la sua composizione sociale e il suo modello di organizzazione, difendeva un ruolo oggettivo di "avanguardia." II passaggio alia N EP poneva da questo punto di vista una serie di problemi. Innanzitutto: che rapporti instaurava, la nuova politica di sviluppo, tra classe operaia e gli altri strati sociali che venivano "rilanciati” daUa N E P — in particolare contadini e specialisti "borghesi”? In quali termini lo Stato soviético in via di “formazione" doveva riflettere questa articolazione sociale e di classe? AlPinterno delia tematica leninista sulla N EP d sembrano questi i punti centrali, e per questo è il problema dello Stato, delia sua complessiva "riform a," Ü nodo anche teorico centrale delPultimo Lenin. Anche se esplicitamente il modello di avanguardia dei par­ tito non viene messo in discussione, ci semhra che nella costante insistenza, in tutte le ultime opere e nel c.d. testamento, sui pro­ blemi dello Stato, delia trasformazione dei suo apparato, “tipico relitto dei nostro vecchio apparato statale,”” sia implicito anche un mutamento delle coordinate partito-Stato. I nuovi compiti di governo, di cui Lenin traccia un problemá­ tico bilancio negli scritti dei ’22-23, coinvolgono insieme il pro­ blema dei partito — in quanto “partito di governo,” — dello Stato ("si tratta dei compito di trasformare il nostro apparato statale, che proprio non vale nulla e che ahbiamo ereditato al completo dali’ epoca precedente; in cinque anni di lotta non abbiamo modificato nulla seriamente in questo campo””), dei loro rapporti. La stessa riorganizzazione che Lenin insistentemente propone al X II con­ gresso, la fusione tra Ispezione operaia e contadina ristrutturata e Commissione centrale di controllo, "fusione di un autorevolissimo organismo dirigente dei partito con un ‘semplice’ Commissariato dei Popolo”” — come ironicamente commenta Lenin — al di là di considerazioni di mérito che certamente ne confermerehhero

l

” L enin , Come riorganizzare VIspezione Operaia e Contadina, in XXXIII, p. 440. ” L enin , Sulla cooperazione, in Opere, vol. XXXIII, p. 434. ” L enin , Meglio meno, ma meglio, in Opere, vol. XXXIII, p. 459.

IH2

Opere,

vol.

II problem a delia composizione di classe durante la NEP

Tinadeguatezza” va emblematicamente nella direzione di "rompere" vecchi schemi di rapporto tra partito e Stato. Non è probabilmente senza significato che, proponendo al Congresso 1’altra “riforma, ’ Tallargamento dei CC a scopi di "verifica, miglioramento e rinnovamento dei nostro apparato,”” Lenin accentui questo elemento di "rottura” con una certa tradizione bolscevica. "G li operai che entrano a far parte dei CC debbono essere, a mio parere, in prevalenza non tra quegli operai che hanno compiuto un lungo servizio nelle organizzazioni dei soviet (dicendo operai in questa mia lettera, io intendo, sempre, anche i contadini) poiché in questi operai si sono già create tradizioni e certi pregiudizi contro i quali appunto noi vogliamo lottare.'”* In questi stessi scritti Lenin non solo non contesta, ma dà per scontati processi di centralizzazione-gerarcbizzazione dei partito (politbjuro, orgbjuro, segreteria). " ... il lavoro corrente, a no­ me dei Comitato centrale, lo fanno come è noto il nostro Uíficio politico, il nostro U£Ecio organizzativo, la nostra Segreteria, ecc. Credo che noi dobbiamo percorrere fino in fondo il cammino che in questo modo abbiamo intrapreso. ”” Un partito di governo presuppone infatti liveUi crescenti di specializzazione e di accentramento dei momento deUa direzione, e non vi è nessuna nostalgia in queste pagine di Lenin, pur determinate da precise esigenze di lotta alia burocratizzazione, per democrazie "integrali.” Il nodo partito-Stato resta comunque un nodo da sciogliere: nella misura in cui la ‘ difesa” dei partito da pericoli di sclerotizzazione — e decomposizione nelLapparato statale — resta aífidata alia politica deUe purghe, che si traduce semmai in un elemento di "filtro ” e di distaceo tra par­ tito e tessuto sociale. In efíetti la politica di epurazione, che vediamo ancora operante nel ’22-23,"” nelle condizioni delia N EP ha il compito di difendere la composizione dei partito proprio da quei processi che a livello sociale la N EP promuove; sintomatiche, ad esempio, Tesclusione dal partito dei nepmen, la "nuova borghesia” che assume lavoro salariato, e la forte espulsione di conta­ dini.'"' Ma, come vedremo, una tale difesa risulta contraddetta daU’ integrazione in corso tra partito e apparato statale e, attraverso di essa, dalla reale pressione dei diversi strati sociali e dal loro peso nell’amministrazione statale e nella direzione economica."“ Cosí P rocacci, op. cit., pp. 112-4. ” L enin , Lettera al Congresso, in Opere, vol. XXXVI, p. 431. ” L enin , Come riorganizzare Vlspezione XXXIII, pp. 440-441. P r(k; acci, op. cit., pp. 106-108,

Operaia

e

Contadina,

in

Opere,

vol.

Lu prcoccupuüionc i>cr guesti processi è cosí espressa da Lenin: "Naturalmenle

183

Paolo Perulli

Questa serie di problemi sono al centro dei dibattito dei partito dopo Lenin, e coinvolgono nel suo complesso il tema dei “partito di governo" e delle sue trasformazioni, intrecciandosi al dibattito economico sulPindustrializzazione le cui posizioni si andavano proprio allora deíinendo. D ’altro lato, proprio intorno ai problemi di rapporto tra partito di governo-apparato statale-direzione economica, emerge in termini nuovi il ruolo degli “specialisti” borghesi e dei "direttori rossi," che, soprattutto in seguito aU’affermarsi deli’ unità di comando e deUa gestione individuale, si pongono come il vero e proprio tessuto connettivo tra partito e apparato statale, tra partito e settore industriale. II rapporto tra il partito e gli specialisti borghesi si era da sem­ pre posto in modo problemático, osciUando dal netto rifiuto delia collaborazione con questi strati "ereditati" dal vecchio regime a caute e spesso strumentali proposte di mediazione. Ma anche nel discorso di Lenin, di gran lunga il piú maturo e disincantato nel por­ re la necessita delPuso degli specialisti borghesi da parte dei potere soviético,'"’ non sono mai mistificati i pericoli di lasciare nelle loro mani il controllo di leve essenziali delia macchina statale. Se ciò è vero per 1’apparato statale nel suo complesso, a maggior ragione lo è per gli organismi di direzione economica che controllano tutti i delicati passaggi delia fase di ripristino prima, deU’industrializzazione poi. Nel ’19, infatti, oltre il 5 0 % dei funzionari e dirigenti dei Vesenkhà coprivano i loro ruoli già sotto il vecchio regime,'" ma anche negli anni seguenti i processi di ricambio e di egemonia dei partito su questi organismi vanno avanti a rilento, se ancora nel ’23 1’8 0 % dei posti di direzione dei Vesenkhà e il 7 4 % di quelli dei glavki erano coperti da esperti non bolscevichi.'"’ Nel corso delia NEP, rispetto alia forte articolazione delia gestione economica e aziendale, i termini dei problema si ripropongono in modo ancor piú pesante. nella nostra Repubblica Soviética il regime sociale è basato sulla collaborazione di due classi, gli operai e i contadini, collaborazione alia quale sono ammessi oggi, a determinate condizioni, anche i “nepmen,” cioè la borghesia. Se sorgeranno seri contxasti di classe tra queste classi, allora la scissione sarà inevitabile, ma nel nostro regime soaale non sono necessariamente insiti i germi di tale scissione; e il compito principale dei nostro Q)mitato centrale e delia nostra Commissione centrale di controllo, e anche di tutto il nostro partito, è quello di seguire con occhio attento le circostanze che potrebbero provocare una scissione e prevenire quest^eventualità, perché in fin dei conti il destino delia nostra repubblica dipenderà da questo: la massa contadina sarà con la classe operaia, rimanendo fedele all’alleanza con questa, oppure permetterà aí nepmen.' cioè alia nuova borghesia, di staccarla dagli operai, di provocare una scis­ sione?’' m Opere, vol, XXXIII, p. 444. Già in I compili immediati dei potere soviético (1918). J. Azrael, 11 manager soviético e il suo potere político, Milano 1969 p 52 Ihid., p. 55. . . .

I«4

11 problem a delia composizione di classe durante la N hP

A livello di azienda, soprattutto, il principio delia direzione individuale aveva ormai concentrato ampio potere di gestione econô­ mica e produttiva nello strato dei “direttori rossi. ^ Quali problemi poneva al partito e al sistema soviético il ruolo di questo management, e piú in generale di questi strati tecnici essenziali al funzionamento di gangli vitali dei sistema, e certamente piú sensibili a logiche gestionali o addirittura burocratiche che non a esigenze di ristrutturazione politica dei meccanismi di sviluppo? II problema è stato spesso male aflírontato, nel senso di voler^descrivere la storia dei management soviético secondo Tottica dei "gmppi di pressione” o delle nuove élites tanto cara ai vari sovietologi.^ Ma è indicativo che una recente reinterpretazione "di sinistra” dei processi di formazione dei sistema soviético ricada, magari inavvertitamente, in quella stessa ottica, individuando in questa d^^se di­ rigente delPindustria” la "nuova” classe dirigente soviética. La fine dei "controUo operaio” prima — identificato, secondo le eterne varianti "di sinistra” delia critica consiliare al sistema so­ viético, con il “punto di vista di classe nella gestione deli indu­ stria”"® — 1’avvio deirindustrializzazione accelerata poi, sarebbero secondo questa interpretazione le basi dei potere delia "nuova clas­ se” dirigente delPindustria. I passaggi decisivi dello sviluppo so­ viético, Paccelerazione dei ritmo di crescita, Paccumulazione nella sezione beni capitali, Pattacco violento al settore contadino, sono alia fine interpretati come altrettante "scelte” che la nuova elite industriale impone ai gruppi dirigenti dei partito, che "dipendevano dai dirigenti delPindustria in quanto questi costituivano il fondamento sociale dei loro potere. Una simile lettura dello svilup­ po soviético, e dello scontro politico e teorico ad esso interno, in termini di formazione di una élite manageriale che si farebbe inter­ prete delle "ragioni” dello sviluppo, ci sembra ovviamente una riduzione inaccettabile. D ’altra parte, se è ormai urgente rileggere 1'intera formazione dei gruppo dirigente staliniano all interno delle specifiche forme dello sviluppo e dell’articolazione sociale dei periodo, è indubbio che ben piú complesso e contraddittorio sia stato il rapporto instauratosi tra "partito di governo” e gruppi dirigenti emergenti nel corso delPindustrializzazione. A questo proposito, Tra cui appunto A z r a e l , op. cit. „ j „ C. B o f f i t o , Im formazione delia classe dirigente deli URSS nella storta delia Rússia soviética di E. H. Carr, in "Rivista di storia contemporânea," 2/1974. Ihid., p. 148. Ma anche: “L’unica voce genuinamente operaia era quella dei gruppi che continuavano la resistenza e Ia critica deltopposizione operaia dei 1921, e chc futono espulsi dal partito nel 1923.” Ibid., p. 162.

185

ir

Píiolo Pcrulli

ci scnibia piú corrctto parlare dei ruolo che questi strati gicxraiio nelle trasformazioni dei modello dei partito e dei potere, che noii di intcgrazii)ne-compenetrazione tout-court tra gruppo dirigente dei pariiio c gruppo manageriale delPindustria. Non a caso proprio t|iiesto SI rato dei partito, di manager industriali e dirigenti boiscevuhi a un tempo, si fa carico di mettere esplicitamente in discussione Ia validità storica di una certa composizione, e quindi di un cet Io modello, dei partito. I piú importanti organi dei nostro parti­ to hanno Ia medesima composizione che avevano vent’anni fa, ma i compiti dei partito sono mutati quantitativamente e qualitativa­ mente. Vi dico che sarete ancora per poco un partito di tipo clan­ destino: voi siete il governo di un enorme paese.”‘“ Partito d ’avanguardia-partito di governo-, di nuovo i termini dei dibattito deli’ ultimo Lenin e^del dopo-Lenin, Ia riproposizione di questo passaggio storico dell organizzazione boiscevica e dei potere soviético dal punto di vista dei "direttori rossi” nel dibattito politico dei X II congresso. Quali trasformazioni deve subire il partito operaio d’ayanguardia dopo Ia presa dei potere, una volta assunti i compiti di governo di un enorme paese”? II "gruppo dirigente deli'indu­ stria, nel denunciare Io scollamento tra struttura dei partito e nuovi compiti che gli spettano nella "costruzione dei socialismo," ne indica una via di superamento, preme per una uscita dalla crisi. Pro­ prio per il ruolo modernizzatore" che svolge nelPapparato, proprio peiché interpreta in quanto tali le ragioni dello sviluppo, identi­ ficando diííusione delia tecnologia e socialismo, il gruppo dirigente dell’industria spinge a una ristrutturazione produttivistica, manage­ riale, delle funzioni direttive dei partito. “La tattica e 1’organizzazione dei partito devono essere coordinate appunto alla costituzione e alla rinascita dei settore produttivo." La struttura dei par­ tito, Ia sua direzione politica devono modificarsi adeguandosi-integrandosi agli organismi di gestione produttiva ed economica, assorbendo dirigenti deUa produzione e operatori economici’"" nei livelli direttiyi dei partito. Sono in fondo gli stessi temi di Lenin sul rapporto direzione politica-amministrazione economica, capovolti. Di qui 1’opposizione dei "gruppo dirigente delPindustria” alle proposte di ristrutturazione presentate da Lenin al Congresso, in quanin lafforzamento dei controllo politico suIPamministrazione; di qui Pinsofferenza per qualunque controllo che non fosse "un controllo minimo." »/> í7/

prestigiosi tra i “direttori ro ssi," cit. in A zrael , l.nt.riiinbc le citazioni di Krasin in Azhael ,

l

I lw>

cit.,

p. 79.

11 problema Jella composizione di classe durante la Nin>

Ma Ic linee cli trasformazione dei partito in " imprenditore soliiilc,” proposte dai direttori rossi, si pongono in un quadro estreiniimcnte piú complesso e contraddittorio. Averne assunta 1 ottica, iiaducendola in una forzatura dei processi di "istituzionalizzazione ^ di-l partito, avrebbe probabilmente comportato per il partito un’ rspulsione violenta da realtà e processi — anch essi inediti in iiuo a livello di classe: mutamenti nella sua struttura e composi­ zione, che, al contrario, premono sul partito. Nelle Questíoni dei leninismo Stalin fornisce una interpretazione delia dittatura dei proletariato per molti versi indicativa degli sviluppi successivi dei partito soviético. Scrive Stalin, in mérito al rapporto tra partito e organizzazioni di massa: in questo senso, si potrebbe dire che la dittatura dei proletariato è essenzidm ente ‘dittatura’ delia sua avanguardia, la ‘dittatura’ dei suo partito. Si trattava di un tema, come noto, scontato nel corso dei comunismo di guerra, durante il quale 1’identificazione tra le due dittature che nei fatti si realizzava era acquisizione teórica comune. Ma questo stesso tema, riproposto da Stalin in tu tt’altro contesto economicosociale, fortemente articolato come quello N EP, assumeva significati e risvolti dei tutto nuovi, coinvolgendo il problema dei rap­ porto tra dittatura dei partito, sua base di classe e articolazione sociale complessiva. In particolare, se dittatura del^^ proletariato è "un potere che poggia direttamente sulla violenza,” continua Sta­ lin, "chi identifica la ‘dittatura dei partito’ con la dittatura dei proletáriato, ammette tacitamente che si possa basare 1’autorità^ dei partito sulla violenza nei riguardi delia classe operaia, il che è assurdo.” II partito dunque non può esercitare la violenza sulla classe, ma neppure può "coincidere con la classe, non può sostituirsi ad essa. II partito infatti, malgrado 1’importanza delia sua funzione dirigente, non è tuttavia che una parte delia classe. In questo senso, non solo qualsiasi trasformazione "manageriale ” dei partito risulta impensabile, ma piú in generale si impone una verifica critica dei rapporto partito-classe rispetto alie trasformazioni dei periodo N EP. Fino a che punto il partito ha conservato il suo ruolo d’avanguardia, di parte avanzata, rispetto a una classe operaia in via di radicale trsformazione e ricomposizione? E fino a che punto, d’altro lato, Temergere di nuovi strati e il loro consolidarsi, nelle campagne soprattutto, ma anche nel settore priS t a l i n , Questíoni dei leninismo, in Opere Complete, vol. V III, Roma 1954, pp. 55 sgg. (i corsivi sono nel testo). Ibid

187

Paolo Perulli

c iiciuuuu in sojieciraziom, pHn sioni c acldinttura ilintto di cittadinan 2a" nel partito? Nc momento in cui Stalin stende le pagine sul leninismo. I„ parte di dasse operaia che è il partito rischia di perdere i sn..i connoiati d. avanguardia” rispetto alia massa operaia complessiv.i dentio I processi dl sviluppo e di ricomposizione in corso ndir labbnche sovietiche. In particolare, i dati sovietici testimoniano d..il rapporto operai comunisti-totale occupati nei settori deirindii stria pesante, elevatissimo prima dei ’17 ma anche negli anni im mediatamente successivi, cominda a flettersi sensibilmente proprio intorno alia meta degli anni ^ Dtstribuzíone percentuale degli operai iscritti al partito per anno di entrata in produzione (in % sui dati dei ’32-33)

Entrati in produzione:

prima dei ’17 1918-1921 1922-1925 1926-1927 1928-1929 1930 1931 1932

metallurgica

trattori/autotrasporti/ aeronautica

occupati nel settore

membri dei P.

occupati nel settore

membri delP.

22,5

37,5 10,1

15,5

30,6 12,1

5,1 13,0 9,5 13,0 12,8 12,2 11,3

22,8 12,8

5,5 11,8 10,4 16,2

8,9 4,5 2,4

15,7 15,9

1,0

9,5

23,6 13,3 9,3 5,7 4,0 1,4

-^ggrepndo i dati e utilizzando come spartiacque indicativo il nel 32-33, gli operai entrati in produzione prima dei ’25 sono rispettivamente il 40 e il 3 2 % nei due settori considerati la presenza comunista vi si concentra per il 70 e 6 6 % ; mentre tra eli occupati dopo il ’25, che sono il 60 e 6 8 % sul totale, tale presenza scende al 29 e 3 4 % sul totale degli iscritti al partito. I "nuovi” operai, come abbiamo visto di prevalente estrazione agrícola ma anche provenienti da altri settori o di prima occupazione, che tentlono ad assumere, a ridosso e nel corso degli anni dei Piano, la "* G ol’cman e K ogan, op . cit .

iiii. L

;/

itwhlcma Jrlla comfioslzione di classe durante la NI‘.P

luinncmiii (Iciroperaio-massa dentro la fabbrica, non sono per 1° inuiui al partito. Nel ’27, sul totale degli occupati nell in­ ........ gli iscritti al partito sono infatti soltanto 1 ll,6 9 'o ; ma, in ...... io.iarc, a livello di operai direttamente occupati in produzione ll i. Miito registra appena il 1 0 ,5 % , mentre nel settore impiegatizio |„ luMccntuale sale al 2 1 ,3 % . Si tratta di sintomí preoccupanti, Ih.linitivi di un progressivo distacco tra partito e nuoya compodi classe. Questo distacco è inoltre, come abbiamo visto, ,.lú Ncnsibile proprio a livello operaio, meno al contrario a livello i.vnico-impiegatizio e di amministrazione. Ma forse il dato p o liiMi mente piú significativo ce lo forniscono i c e n s i^ n ti de . .Ir,.li operai "manuali” iscritti al partito, oltre 2 5 % sono occuIMili in imprese con meno di 200 addetti, meno dei 1 0 % m imprese Inn piú di 2 0 0 0 addetti."’ Tutto ciò significa che la pyesenza del i.iirtito a livello operaio è restata radicata nei vecchi strati di liisse, tra gli operai "di mestiere" che compongono 1 orgamco delle liibbriche arretrate, a bassa composizione di capitale e dl ndotte dimcnsioni, mentre nelle fabbriche di recente localizzazione, tra g i operai a qualifica massificata, il partito riesce a fatica ad essere presente. I processi di nuova "composizione stanno avvenendo per lo piú fuori dell’orbita di egemonia e di organizzazione dei

I

' Su questo punto, partito-composizione di_ classe, si apre il dibattito Ciò che viene messo in discussione è infatti proprio il rapporto tra "partito in fabbrica,” struttura delia forza-lavoro, e presenza politica nei diversi livelli di qualifica e dl compospione operaia. Da un lato, si cerca di spiegare il fenomeno da noi descritto, delPesigua presenza dei partito nelle grandi fabbriche, con la gmstificazione di una minor presenza, in esse, di forza-lavoro specializzata, cioè di quegli strati di classe in cui sarebbe piu radicata la coscienza" politica e la tradizionale adesione al partito. Questa tesi sa­ rebbe suffragata da dati ufficiali, relativi alia composizione operaia dei partito nel ’27, secondo i quali il 6 2 ,8 % degh operai comunisti sarebbero operai super-qualificati, mentre solo il 24,3 sarebbero i qualificati e 12,9 gli operai "com uni.” Già questa ipotesi per certi versi confermerebbe che lo "staceo” tra partito e classe sarebbe assai grave proprio nei nuovi strati di massa delia forza-lavoro,^mentre la presenza comunista sarebbe prevalente, in fondo, tra le anstocrazie” operaie: 1’operaio comunista sarebbe 1'operaio gelernte. r-si"5 T. H. R igby , Communist Party Memhership in the USSR 1917-1967, Princeton University Press, Princeton 1968, cap. IV.

189

Paolo Perulli

stono, d’altronde, spiega2Íoni in parte alternative, e non meno importanti. In particolare cjuella di Malenkov, il quale pone giustamente in rilievo che nelle piccole-medie imprese è concentrato lo strato "piii vecchio” delia forza-Iavoro, quindi 1’adesione al partito verrebbe in prevalenza dal quadro operaio di vecchia formazione, e — aggiunge Malenkov contestando a questo proposito i dati uíficiali — di media qualifica (semispecializzato). Al contrario, l ’organizzazione dei partito sarebbe pressoché assente tra i non-qualificati, le masse di piú recente proletarizzazione, e scarsamente presente tra i super-specializzati, lo strato superiore dei "liberal workers.”‘“ Al di là delle divergenze di interpretazione, il partito nel suo complesso sembra dunque registrare il suo progressivo distacco rispetto alia "base” operaia in termini critici e senza mistificarne le radiei di fondo. Questo processo di distacco pesa d’altronde sull’ intera composizione sociale dei partito, e si tratta di un peso politico preciso che coinvolge 1’intero rapporto tra partito e classi soN EP, nelia misura in cui alia c.d. "deproletarizzazione dei partito sembra corrispondere una penetrazione crescente di altri strati sociali nelia sua organizzazione e quindi nelle sue scelte politiche. II rápido ricambio sociale delia fase N EP aveva ormai di fatto svuotato di significato le tradizionali classificazioni degli iscritti al partito, per cui quella che viene definita nelle tabelle statistiche "composizione di classe” altro non è che 1’origine sociale dei membri. Nel ’2 4 , se il 4 4 % degli iscritti è classificato come "operai,” in effetti 1’occupazione corrente, cioè la reale percentuale dei comunisti occupati in produzione, è solo dei 1 8 ,8 % .'" Non c’è dubbio, a nostro avviso, che la nuova politica di "proleta­ rizzazione” inaugurata con la leva leninista nel febbraio ’24, nasce da qui: da questa consapevolezza critica dei crescente distacco dei par­ tito dalla "sua” classe. La leva leninista dunque "proletarizza” la composizione dei partito nel senso che la riadegua (o tende a riadeguarla) alia reale composizione di classe. In questo quadro vanno valutati i 2 0 0.000 nuovi iscritti dei ’2 4 , realizzati nel giro di tre mesi tra gli operai manuali.' E in eííetti nel ’25 possiamo valutarne già i primi risultati:_ Torigine sociale "operaia” è salita dal 44 al 5 6 ,7 % sul totale degli iscritti, ma anche 1’occupazione operaia attuale dei membri è salita dal 18,8 al 4 1 ,3 % .'“ "* II (libattito è ricostruito da Rigby, op. cit. Ibid., p. 116. Ibid. Siilla leva leninista cfr. Procacci, nelia seconda parte dei suo sagaio con* •iilliiln in hnn/e.

1‘M)

11 problema delia compostzione di classe durante la NEP

D ’altra parte la percentuale dei contadini, teoricamente (cioè in considerazione dell’origine sociale) attestata sul 2 6 ,5 % nel 25, risulta di fatto essere solo il 9 ,5 % in termini di attuale occupazione nell’agricoltura: tnentre gli impiegati (soprattutto deli amministrazione soviética), teoricamente il 1 6 ,8 % sul totale, sono in realtà il 4 9 ,2 % , cioè quasi la metà deU’intero “orgânico” dei partito. Si tratta di dati assai indicativi sia delle trasformazioni sociali in atto, sia dei loro riflessi sulla struttura dei partito. La stessa politica di proletarizzazione dei partito deve fare i conti con queste realta, sviluppandosi necessariamente in modo contraddittorio: se è veto che la percentuale degli operai tra i reclutati al partito, elevatissima (9 2 % ) nei primissimi mesi di decollo delia leva leninista, scende progressivamente al 5 5 % nel ’25 e al 4 8 % nel ’2 6 , di contro a una rapida crescita delia percentuale contadina. Il censimento dei 27, se ancora registra il 5 5 ,7 % di operai per origine sociale, in eííetti fissa al 3 0 % la percentuale di operai occupati in produzione sul to­ tale degli iscritti, rispetto a un 4 2 ,8 % di impiegati dello Stato. ^ Proletarizzazione-burocratizzazione ci sembrano comunque termini solo indicativi e in parte inadeguati a spiegare il senso politico dei fenomeni di ricomposizione dei partito che abbiamo descritto. Ci sembra importante coglierne 1’essenziale: e cioè che,^^nel momento in cui passa dalla “politica delia porta stretta alia politica delia porta aperta””' nel reclutamento, il partito risponde a una crisi non transitória, ma strutturale dei m odello d’avanguardia, ormai disomogeneo rispetto ai processi di ricomposizione operaia e piu m generale di rapida trasformazione dei rapporti di classe. Il partito si sta avviando al colossale sforzo dei piano con una composizione interna certamente massificata, ma profondamente riarticolata e in via di trasformazione: in particolare, in presenza di una composizione operaia che gli è in gran parte estranea, che non riesce a “riflettere"; in presenza di strati operai di recente formazione, i cui processi di mobilità stanno riempendo le "nuove" fabbriche, lontani dal suo controllo e dalla sua egemonia. Ciò spiega la vera e própria “corsa" alia proletarizzazione che il partito avvia proprio in relazione al varo dei I Piano; tra il ’28 e il ’30 la percentuale di operai “manuali” sale dal 41 al 4 8 ,6 % , toccando

Cír. RKjdí, up.

cil.

.

.

j.

..

I termini sono di Procacci, il quale però tende a interpretare 1 mversione di rotta verso una politica di raassificazione-proletarizzazione dei partito solo in rapporto alia burcx:ratizzazione “sialiniana” delle sue strutture. In questo senso il saggio di^ Procacci si limita a ricostruire la storia "organizzativa" dei partito, senza rimandarne i passaggi — c i travagli — alie trasformazioni politiche e di classe che la influenzano e in buona inisiiru la dctcrminuno.

191

P a o lo P eru lU

un "tc tto " massimo che negli anni seguenti non sarà piú raggiunio, attestanclosi poi la percentuale operaia su valori alquanto infc’ riori.'’" Se, cl’altronde, valutiamo gli indici delia percentuale di comiinisti tra gli operai entrati in produzione durante gli anni tld Piano, ci rendiamo conto che il processo di distacco tra partito e nuoya massa operaia si accentua anziché diminuire. Si tratta di ultcriori elementi che confermano non solo la strutturalità delia "crisi di crescenza che il processo di industrializzazione provoca per il partito, ma anche le linee di superamento dei modello operaio d’avanguardia dei partito nel corso degli anni ’30. Ma la definizione di un diverso ruolo dei partito, il supera­ mento storico dei modello bolscevico, sono strettamente correlati ad altri radicali processi di trasformazione che si compiono tra N EP e I Piano. Ci riferiamo in particolare alia struttura di classe nelle campagne, che nel corso delia N EP non solo condiziona e influenza largamente la strategia di alleanze dei partito, ma si pone come il supporto delia stessa organizzazione dei partito e dei potere sovié­ tico. ^Le trasformazioni di quella struttura determinano mutamenti radicali delia fisionomia e delia composizione "agricola” dei partito. II problerna delia struttura di classe nelle campagne e delia sua incompatibilità con una prospettiva socialista di sviluppo nasce con la N E P . Definendo la N EP "processo contraddittorio di lotta degli elementi socialisti contro gli elementi capitalistici,”'“ Stalin ne coglie chiaramente i caratteri strutturali di conílittualità: la "costruzione dei socialismo” passa attraverso 1’attacco al settore agricolo, cioè alia sua struttura di classe. Come è noto, però, alPinterno deí dibattito sulPindustrializzazione, 1’opportunità, le forme, la validità strategica di questo attacco non solo non sono scontati, ma rappresentano uno dei punti "caldi” dello scontro. Ma, nel frattempo, quali processi la N EP mette in movimento nella struttura produttiva dei settore, nella sua composizione di classe? E intorno ad essi, quali rapporti maturano a livello istituzionale e politico: qual è ií peso specifico, nel partito e nello Stato, dei diversi strati sociali delle campagne, in particolare degli “elementi capitalistici"? Ancora nei secondi anni ’20, la stratificazione di classe nelle campagne registra il peso dominante dello strato dei "contadini medi : li definiscano seredniaki o "produttori semplici," tutte le 1“ I ’ 44,1% n e l ’31, 43,5% n e l '32. Cfr. ■ Í5TALIN, Questioni dei leninhmOy cit., p, 112. I

l

192

R i g b y ,

op. cit.

ll prohlrma delia composhione di classe durante la NIiF

sliilistichc sovietiche, pur tra non indifíerenti oscillazioni, ne stimuno la consistenza intorno al 6 0 % delia popolazione agrícola I oinplessiva.*^ Non a caso, è intorno a questo strato di classe che ■i íirticola tutta 1’ideologia e la “strategia delle alleanze" dei parlito nel corso delia N EP. Politica selettiva dei credito, e in genelale indirizzi dei processo cooperativo, sono rivolti soprattutto a ijuesto strato relativamente agiato e tendono a stabilizzare intorno nd esso il processo di sviluppo agricolo. II movimento cooperativo dunque — questa "invenzione” delPultimo Lenin quale base delia strategia bolscevica nelle campagne'“ — rivela ben presto esiti assai diversi dalPomogeneizzazione tra strati medi e contadini poveri (hedniaki) che quella strategia gli assegnava. I processi nelle campagne, assai piú che favorire un riavvicinamento tra bedniaki e seredniaki in un quadro di elevamento e di crescita delle forze produttive, si sviluppano nel senso di un ulteriore polarizzazione di classe che vede i contadini medi — o meglio, data 1 ulteriore stratificazione interna da essi, la parte “agiata' di questo strato accostarsi ai kulaki, egemonizzando il settore dal punto di vista produttivo e politico. A ll’estremo opposto, cresce lo strato “povero” nelle campagne, che, restando escluso dalle Hnee dei processo coo­ perativo, va ad ingrossare le file di quella forza-lavoro agricola eccedente" di cui parlano gli economisti borghesi dei Gosplan. II movimento cooperativo, in sostanza, diventa uno strumento direttamente controllato dagli strati agiati, dalle forze dinamiche" deUa popolazione rurale: sono queste forze, cioè, a tenere le fila dello sviluppo produttivo dei settore. G li stessi strumenti politici e di potere, le stesse strutture organizzative sovietiche nelle campagne cadono rapidamente nell’orbita di influenza di queste forze. In tutta questa fase, gli organismi dei potere soviético, nella misura in cui non riescono ad incidere in maniera autonoma sui processi in atto, a intervenire attivamente suUa struttura economica e di classe dell’agricoltura, passano sotto il controllo proprio di quegli strati che, secondo la strategia dei partito, avrebbero dovuto attaccare o quanto meno "neutralizzare." Questo processo già è in atto tra il ’24 e il ’25, quando sered­ niaki e kulaki “si impadronirono dei soviet rurale”’“; ma diventa adQueste le stime secondo le difierenti fonti statistiche sovietiche: Sovnarkom (1925): contadini medi 64,7%, contadini poveri 24, kulaki 6,9; Istituto di AgrMia (1928); produttori semplici 59,6, proletari e semtproletm 25,8 piccoh capitalisti 3,6; Gosplan (1928); contadini medi 51, poveri 30,4, agiati 14,1, kulaki 4j5. Cfr. M. L e w in , La paysannerie et le pouvoir sovietique 1928-1930, tr. it. Milano 1972, cap. 11. L e n in , Sulla cooperazione, in Opere, vol. XXXIII. “ Cfr. L e w i n , op. cit., cap. III.

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P a o lo P e r u lli

dirittura schiacciante dopo le elezioni dei soviet rurali nel '26-27. liberalizzate alio scopo di stimolare la partecipazione e rivit.i lizzare queste debolissime strutture organizzative. Con le elezioni, gli organi sovietici si riempiono di elementi agiati e non comunisii, mentre i contadini poveri ne risultano rappresentati solo per il 16% e gli iscritti al partito sono in tutto il 1,1% . D ’altra parte, anche le strutture organizzative dei partito nelle campagne sono ampiamcnic dominate dagli strati agricoli superiori. Da un lato, il nerbo dellc cellule rurali dei partito è costituito da lavoratori agricoli "autonomi” e impiegati-funzionari statali, che ancora nel '28 coprono insieme 1’8 7 % dell’attivo dei partito.'” DalPaltro, i salariati agri­ coli {batraki) la cui consistenza aumenta, nelle condizioni di assunzione libera di lavoro salariato, da 2 .7 0 0 .0 0 0 a 3 .2 0 0 .0 0 0 nel solo período '27-29, restano estranei alia realtà dei partito — al punto che nel '27 ne vengono reclutati appena 14.000 — e perfino dei sindacato, dato che il tasso di sindacalizzazione si agsira sul 2 0 -2 5 % dei totale.'” _ _I salariati agricoli rappresentano, ancora nel '29, il 5 % degli iscritti al partito: possiamo dunque aííermare che la modificazione di questa composizione sociale dei partito nelle campagne non inizia che con la grande svolta” delia collettivizzazione. II quadro dei processi economici nelle campagne è nel frattempo tu tt’altro che un quadro “di sviluppo.” I kulaki stessi non rappresentano aííatto un economia agrícola sviluppata, su larga scala; le dimensioni delle loro aziende restano minime, non favoriscono, anzi impediscono una concentrazione dei mezzi di produzione e un processo di socializzazione dei rapporti di classe nel settore. II movimento coopera­ tivo, d'altra parte, proprio perché avanza con un certo segno di classe e sotto una certa egemonia, cresce nel frattempo a rilento (nel 29 coinvolge solo un terzo delia popolazione agrícola complessiva), né soprattutto comporta una aggregazione dei processo produttivo dei settore, articolandosi piú in attività cooperative spontanee secondarie che non in processi di cooperazione produttiva. Esso non comporta, quindi, ma anzi tende a bloccare lo sviluppo di forme collettive di socializzazione dei mezzi di produzione; ciò che Bucharin, nel 25, addirittura teorizza: “Non possiamo avviare la collettivizzazione partendo dal processo di produzione; dobbiamo ayviarla da un altro punto. La strada maestra passa per la coopera­ zione [ ...] le aziende collettive non sono la strada maestra né una Cfr, R i c b y , op. cit. C;fr. Lewin, op. d l.

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II (tr o h lr m a ilrllii c o m p o s lx io n e J l rlu s s e d iir a n t r Ia N I .P

ilillc siiiulc principali attravcrso cui il contadino arriverà al sociaImmo,"'" In quanto tale, il movimento cooperativo si presenta come l,iiioie ili equilíbrio statico nelle campagne. Ncl frattcmpo, il settore statale in agricoltura non presenta ceriii ( iinitteri di "decollo.” Il movimento colcosiano, oltre che sofírire ili csigLiità numérica, opera forme di collettivizzazione minitnü. sia ili I lavoro che delia proprietà. Tra il ’25 e il ’29, si sviluppano propi io Ic forme meno socializzate di Kolkhoz: i c.d. Kolkhoz nani (lozy) passano dal 24,1 al 6 0 ,2 % dei totale, mentre decrescono le loime piú socializzate (artely e comuni). Attirando ovviamente solo Io sirato contadino povero, il movimento colcosiano, se da un lato Ml favorisce la ricomposizione, dall’altro comporta un’aggregazione di aziende di dimensioni ridottissime, la socializzazione di mezzl d. pi'oduzione assai scarsi, 1’impossibilità di economie di scala e di soslanziali incrementi di produttività. AU’interno di questo contesto lomplessivo, di queste contraddizioni delia strategia N EP nelle campagne, maturano le condizioni, e prima ancora le esigenze, delia liquidazione di una tale struttura dei settore. L ’attacco a un certo livello delle forze produttive, cioè a una certa composizione di classe in agricoltura, si dimostra súbito incompatibile con Putopia leninista dell’"alleanza.” Esso non può che essere, infatti, un attacco non solo ai kulaki, ma anche e soprattutto ai contadini medi, la cui struttura produttiva parcellizzata determina 1’arretratezza dei set­ tore e ne condiziona le prospettive di “decollo," la cui struttura distributiva è incompatibile con i processi di industrializzazione accelerata. La crisi degli ammassi (1928) è provocata dalla mancata circolazione di prodotti agricoli dei contadini medi assai piú che dei kulaki, dalle dimensioni dei loro potere d’acquisto: questo potere d’acquisto (cioè: questa struttura di classe) va attaccato. I processi di industrializzazione impongono la ristrutturazione radicale dei settore agricolo; le tesi di P. sulPaccumulazione originaria, e sul "tributo” delPagricoltura al ritmo di sviluppo industriale, sono ormai nel ’28 linea politica "ufficiale.” La prospettiva delia socializzazione, delia ristrutturazione dei settore su nuove basi tecniche, è legata dunque a una certa strate­ gia di sviluppo industriale. Nella misura in cui modifica radical­ mente la struttura produttiva, cioè la composizione di classe nell agricoltura, essa comporta una radicale trasformazione dei rapporti tra i due settori e tra le due classi. È quanto sottintende Stalin Cit. da Carr, Socialism in One Country, vol. I, p. 221.

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r

P a o l o P cru U i

quando, aggiornando la teoria delia "smiycka” operaia-contadimi. parla dei passaggio da una alleanza "sulla base dei tessili" a mm' nuova alleanza “sulla base dei m etallo."'” La collettivizzazione forzata realizza questo processo. Da iin lato, scardinando la rete distributiva e liquidando il processo nio lecolare di cooperazione; dalLaltro, radicalizzando gli stessi indirizzi dei movimento colcosiano anni ’20. Kolkhoz giganti, combinai i sovco-colcosiani, M TS e colonne trattori: questi i "poli di svi luppo paracadutati nella miriade di piccole aziende agricole parcellizzate. Un analisi critica di questi processi ci è in questa sede impossibile: in a jl dato piu saliente è certamente che attraverso di essi il socialismo tenta di trasferire nelle campagne i rapporti di produzione delle città (doè delia fabbrica).””' I processi di ricomposizione e massificazione che la collettiviz­ zazione provoca si riflettono pesantemente sul partito da due punti di vista. Da un lato, "liberando” lavoro agricolo, salariato e non, la collettivizzazione incentiva ulteriori massicci processi di mobilità verso la fabbrica, che ne mutano la struttura di classe. Abbiamo già ricordato che alia fine dei I Piano, in un settore-chiave come quello metallurgico, il 4 0 % delia forza-lavoro occupata ha un’anzianità produttiva inferiore ai due anni; 1’anzianità media non su­ pera i sei anni. Con questa "nuova” classe operaia, la cui provenienza è prevalentemente agricola, la struttura organizzativa dei partito dovrà “incontrarsi” durante gli anni ’30. D ’altro lato, i processi di collettivizzazione, intervenendo su un tessuto organizzativo — soviético e di partito — "rappresentativo” proprio di quegli strati agricoli "nepiani” attaccati dalla colletti­ vizzazione, da distruggere in quanto classe,” provocano una rapida e brusca inversione di rotta anche nella politica organizzativa soviética innovandone profondamente le direttive. Nel ’29 — 1’anno delia svolta — gli strati nepiani finora dominanti neUa composizione dei partito cominciano ad esserne massicciamente emarginati: sono respinte le candidature dei 55% dei "lavoratori autonomi” e dei 15% degli impiegati. Nel ’30 i salariati agricoli (batraki) costituiscono ormai il 2 2 % dei tessuto rurale dei partito; complessivamente, i 3/4 delia popolazione agricola comunista sono lavora­ tori agricoli di fattorie coüettivizzate. Vedi L e w in , op. cit., p. 211. 7 Anissimov, un osservatore critico delia collettivizzazione 29 cihi(i) (Irt L iíWIN, op. cit., p. 295. t ; O L ’C M A N C K u G A N , Op. cit.

IVfi

in

un’opera

dei

II prohUma ilflln compusUlone Ji classe durante la NIiP ('omiiosizione dclle cellule rurali dei partito (1928-1931)'* (1.1 ii|iii/,ii)iic ilci membri '..il.iunil iif^ricoli Mnnliil ili fattorie coUettivizzate A^liiiile individuali

1931

1928

1929

1930

24.119

46.892

64.669

86.601

16.915 145.148

61.148 134.168

85.335 78.478

324.283 33.605

I .1 struttura e composizione dei partito seguono direttamente le .....Iiiitnazioni dei rapporti di produzione e di classe. Nella misura III lui il movimento produttivo fondamentale si è ormai spostato iliilI’organizzazione produttiva dei villaggio alie grandi fabbriche .Il crnno,” i kolkhoz, organizzati secondo rapporti di produzione " iiuliistriali” (lavoro a cottimo, norme e premi di produzione), le lincc: delia struttura dei partito non possono che adeguarvisi: Mutãmento nei rapporti tra le cellule rurali dei partito (1929-1932) Percentuale delle cellule basate su; Anni

Cellule

1929 1930

27.039 31.879 42.113 45.162

1931 1932

fattorie di Stato

MTS

kolkhoz

villaggi

4,7

_

89,7

6,9

0,7

5,6 41,2

9,3

2,7 4,2

60,7 66,4

27,3 17,9

11,5

51,2

Complessivamente, dunque, nel settore industriale come nell agricoltura, sono i processi di ricomposizione di classe che si riflettono sulle strutture sovietiche, e sul partito in modo particolare, imponendovi immediate innovazioni e ristrutturazioni. Alia fine dei I Piano, in seguito alia massificazione dei rapporti di classe a livello di fabbrica e nelle campagne, il 6 1 ,4 % dei membri dei partito sono operai di fabbrica e lavoratori colcosiani. Per contro, i contadini "autonomi" rappresentano ormai appena lo 0 ,4 % sul totale degli iscritti, gli artigiani altrettanto; la percentuale tecnicoimpiegatizia è attestata al 2 8 ,4 % . La composizione política delia R i g b y ,

op. cit., p. 189.

Ibid.

197

P a o l o P e r u lli

fase N EP è in sostanza integralmente trasformata. Ma questi clati di rinnovata proletarizzazione dei partito non devono trarre in in ganno: gli sviluppi successivi dei partito bolscevico non vanno nella direzione dei "ritorno” al partito “operaio,” anzi quel modello di partito trova proprio nei processi di industrializzazione e di svi luppo, e nelle relative trasformazioni istituzionali, la sua fine storica. Proprio nel corso dei I Piano, il partito bolscevico ha ormai definitivamente acquisito una nuova dimensione di massa: i suoi membri sono, nel quinquennio, piú che raddoppiati, superando nel ’33 i tre milioni e mezzo. Di essi, gli strati tecnici e di lavoro intellettuale cominciano a rappresentare una quota consistente: mentre nel ’29 erano stati, proprio per le condizioni politiche delia “svolta,” appena 1’1 ,7 % dei reclutati, nel período '36-39 saranno quasi la metà dei nuovi iscritti al partito. La diversa collocazione di questi strati nella società soviética e nel partito ríflette i nuovi rapporti istituzionali che si sono venuti instaurando tra partito, apparato statale, amministrazione economica. Gli anni dei I Piano hanno realizzato Fomogeneizzazione tra partito e specialisti: tra il '30 e il '33 la percentuale dei direttori di fabbrica comunisti passa dal 2 9 % al 7 0 % , quella degli amministratori di fattorie collettive agricole dal 15 aU’8 3 % .'“ Si tratta di una nuova integrazione tra partito e “apparato” economico, che comincia a definire anche un partito di tipo nuovo. A livello di ordinamento industriale, in particolare, il '32 segna una svolta verso il progressivo decentramento deiramministrazione. II Vesenkhà si scinde in tre commissariati sovrintendenti diverse sezioni deli'industria (pesante, leggera); e questa articolazione in commissariati va avanti, raggiungendo nel '40 il numero di 25. A livello di fabbrica, il X V II congresso (1934) introduce il nuovo critério deU'“unità di coman­ d o,” con il passaggio da un sistema accentrato di controllo e super­ visione da parte degli organi superiori (sistema funzionale) all'organizzazione industriale per dislocazione geográfica e tipo di in­ dustria. Si tratta di processi istituzionali che andranno maggiormente approfonditi in una prospettiva di ricerca successiva sul sistema soviético. Ma possiamo già avanzare 1'ipotesi che a questa riorganizzazione dei sistema industriale si accompagnino profonde trasformazioni dei partito. Tra X V II e X V III congresso (19 3 9 ) la prescnza industriale dei partito si articola in "servizi industriali” ilislocali a livello centrale e periférico. II conflitto tra essi e il prinl ipio ileirunità di comando porterà alia loro soppressione. Con il lim i

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XVI I I congresso, il partito assegna ormai alie proprie cellule azientliili fun/Joni di supervisione e di controllo; il comitato dei ^ r tito in fabbrica copre ormai funzioni dirette di gestione. Questi I