Per una filologia della vita. Studi su «Apollineo e dionisiaco» di Giorgio Colli 9788831978743

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Per una filologia della vita. Studi su «Apollineo e dionisiaco» di Giorgio Colli
 9788831978743

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Per una filologia della vita Studi su Apollineo e dionisiaco di Giorgio Colli

aA

a cura di

Giulio M. Cavalli e Riccardo Cavalli

ccademia university press

Quaderni Colliani 2 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una ilologia della vita Studi su Apollineo e dionisiaco di Giorgio Colli

a cura di

Giulio M. Cavalli e Riccardo Cavalli prefazione di

Valerio Meattini contributi di

Rossella Attolini Giulio M. Cavalli Riccardo Cavalli Giulia Maria Chesi Maicol Cutrì Alessio Santoro Edoardo Toffoletto Luca Torrente

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Per una filologia della vita

© 2020 Accademia University Press via Carlo Alberto 55 I-10123 Torino Pubblicazione resa disponibile nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0

Possono applicarsi condizioni ulteriori contattando [email protected] prima edizione ottobre 2020 isbn PDF 978-88-31978-74-3 edizioni digitali www.aAccademia/colliani2 book design boffetta.com Accademia University Press è un marchio registrato di proprietà di LEXIS Compagnia Editoriale in Torino srl www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Indice

Ringraziamenti

VI

Tavola delle abbreviazioni

VII

Prefazione

Valerio Meattini

IX

Reversibilità oracolare e bios. Alcune rilessioni Giulia Maria Chesi su “Il ilologo” in Apollineo e Dionisiaco

1

Apologia del ilologo

Alessio Santoro

12

Un’intuizione di «immenso valore». Importanza e limiti Rossella Attolini dell’estetica nietzschiana

30

La storia sotto il proilo espressivo. Apollo e Dioniso Edoardo Toffoletto come categorie storico-politiche

45

Le origini mistico-politiche della ilosoia

Luca Torrente

68

Da Schopenhauer a Kant. La metaisica nel pensiero di Colli

Giulio M. Cavalli

83

La creazione artistica e la sua dimensione metaisica

V Maicol Cutrì

105

Dire il noumeno: la critica colliana al Wille e all’idea Riccardo Cavalli platonica di Schopenhauer

120

Gli autori

137

Indice dei nomi

139

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Per una filologia della vita

Ringraziamenti

VI

Questo volume è stato realizzato grazie al generoso contributo di: Guglielmo Attolini Iolanda Attolini Rossella Attolini Marie Barbuscia Luca Bidogia Elisabetta Buffa Giulio Cavalli Nicoletta Ceraolo Giulia Maria Chesi Massimo Chiapparini Kal Choi Franca Cocchetto Chiara Colli Staude Nicola Crosta Francesco Di Maio

Franco Fiorentino Massimiliano Gallo Francesca Liuni Fabio Pietrantonio Vittorio Rebora Alio Nazareno Rizzo Maurizio Rossi Mateusz Sawczyn Jakob Staude Alberto Toffoletto Edoardo Toffoletto Luca Torrente Alessandro Toscani Paola Varlonga Teresa Varlonga

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Per una filologia della vita

Tavola delle abbreviazioni

Abbreviazioni delle opere di Giorgio Colli AD

Apollineo e dionisiaco, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2010.

AO

Aristotele, Organon, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 19982 (prima ed. Einaudi, Torino 1955).

DN

Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano 1974.

EAC Per una enciclopedia di autori classici, Adelphi, Milano 1983. EMP Empedocle, a cura di F. Montevecchi, Adelphi, Milano 2019. FE

Filosofia dell’espressione, Adelphi, Milano 1969.

FS

Filosofi sovrumani, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2009.

GP

Gorgia e Parmenide. Lezioni 1965-1967, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2003.

KK

I. Kant, Critica della ragione pura, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 19762 (prima ed. Einaudi, Torino 1957).

NF

La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975.

PHK La natura ama nascondersi, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 19882 (prima ed. ΦΥΣΙΣ ΚΡΥΠΤΕΣΘΑΙ ΦΙΛΕΙ. Studi sulla filosofia greca, Corriere della Sera, Milano 1948). PP

Platone politico, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 20072.

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VII

Tavola delle abbreviazioni

PS RE SG SN ZE

Platone, Simposio, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 19792 (prima ed. Boringhieri, Torino 1960) La ragione errabonda. Quaderni postumi, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 1982. La sapienza greca, voll. I-III, Adelphi, Milano 1977-1980. Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano 1980. Zenone di Elea. Lezioni 1964-1965, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 1998.

Altre abbreviazioni DK

VIII

H. Diels - W. Kranz (a cura di), Die Fragmente der Vorsokratiker, 3 voll., Weidmann, Berlin 1951-19526. KSA F.W. Nietzsche, Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe in 15 Einzelbänden, a cura di G. Colli - M. Montinari, De Gruyter/Deutscher Taschenbuch Verlag, Berlin/New York, 1980-. NO F.W. Nietzsche, Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1964-. NW F.W. Nietzsche, Werke, a cura di G. Colli e M. Montinari, De Gruyter, Berlin 1964-. QC1 G.M. Cavalli - R. Cavalli (a cura di), Alle origini del logos. Studi su La nascita della filosofia di Giorgio Colli, Accademia University Press, Torino 2018.

Norme di citazione adottate Per le citazioni da La sapienza greca (opera in tre volumi) si danno due casi: – se si citano l’introduzione, la traduzione o il commento di Colli, se ne indicano il volume e la pagina; – se si cita un frammento, se ne indicano la lettera e il numero, preceduti dal numero associato al suo autore. Le annotazioni contenute ne La ragione errabonda non si citano secondo la pagina ma secondo il loro numero tra parentesi quadre. Le opere di Platone e Aristotele si citano secondo le impaginazioni standard. Le opere degli altri autori antichi per le quali non sono previste abbreviazioni si citano secondo il loro titolo italiano più comune e la loro suddivisione interna standard.

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Per una filologia della vita

Prefazione Valerio Meattini

Chi non voglia pretestuosamente eludere le igure ilosoiche davvero rilevanti del Novecento inisce per imbattersi in Giorgio Colli. Accade non soltanto agli studiosi e ai cultori di Nietzsche nel mondo, per i quali è davvero impossibile evitarlo, come lo è per gli studiosi italiani di Aristotele e di Kant, ma anche – ed è ormai il caso di dire, soprattutto – a coloro che hanno a cuore i destini, residui, della ilosoia in un tempo che ritiene di poterla e doverla ignorare oppure di contraffarla in “narrazioni” che ibridano generi letterari o ne sostengono la dissoluzione nel vago e troppo accogliente rifugio della scienze umane. Detto brevemente, e secondo il pensiero di Colli, il multiverso delle astrazioni concettuali si fa sempre più intricato, arbitrario e avvolgente. Rispetto ai centri personali di esperienza diretta e di veriica, l’autonomia della ragione di porre presupposti e di darne conseguente sviluppo nella dimensione della pura possibilità del pensiero compone e scompone trame incontrollabili di collegamenti, risolvendosi in reti vastissime di apparente plausibilità. Nei suoi possibili esiti migliori la cultura potrebbe conservare vertici di acquisizione di individui d’eccezione – si pensi alla possente vita, altrimenti indicibile, della grande musica tewww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

IX

Valerio Meattini

X

desca – ma raramente accade. Per lo più siamo esposti alla dilapidazione di quanto acquisito da interiorità di grande livello, alla dispersione di quel patrimonio, per mancanza di una società che sia capace di attingervi, mentre un costume intellettuale tanto mimetico quanto poco originale ne riproduce gli esiti espressivi in contesti che iniscono per obliare la peculiare individualità umana che vi sta dietro, risolta troppe volte in una biograia del tutto estrinseca. Persino più che nel tempo storico che fu suo, la cultura risponde oggi alla diagnosi impietosa che egli ne fece. Un “luogo” dove chiunque ha a disposizione concetti iliformi e polisensi e nessi possibili per costruire un proprio castello di parole morte. Mappe e tecniche cartograiche della modernità si sono susseguite da quando Giorgio Colli consegnava le sue osservazioni, controcanto a quanto accadeva allora nella cultura e nella politica in senso lato, a quei quaderni che l’amore per il padre e la competenza ilologica di Enrico Colli ci hanno restituito nel volume La ragione errabonda, insieme ai tanti altri volumi dell’opera postuma (tanto che sarebbe giusto al riguardo parlare dell’opera di Giorgio-Enrico Colli). Alcune di quelle mappe hanno pur onestamente segnalato i limiti della nostra concettualizzazione ilosoica del mondo e i pericoli che si corrono a maneggiare incautamente e fuori dai giusti conini i diversi apparati concettuali. Non per questo la fondamentale riserva di Colli nei confronti del nostro aver a che fare con la ilosoia e la cultura in genere è venuta meno. La ricchezza delle sensazioni, la circolazione rapida di costumi e di atteggiamenti umani, l’abbondanza delle risorse economiche nel complesso delle nostre società, la molteplicità di stimoli casuali, l’opporsi di violente passioni, la cura del corpo e la sua eccellenza esteriore, le tecniche di massimizzazione dell’utile che pure per altro verso favoriscono l’insorgere di condizioni propizie per la gratuità e lo svolgimento del pensiero, lo scaltrito relativismo morale, sarebbero terreno fertile al sorgere della rilessione ilosoica, li dovremmo addirittura elencare tra i presupposti vitali della grande ilosoia, mentre invece da tempo favoriscono il nostro cedimento «di fronte ad una vita che disperde e stordisce». Troppo spesso manca una comunità d’intenti, la frequentazione assidua e profonda, il lavoro in comune che www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Prefazione

restituisca alla ilosoia la capacità sorgiva di esprimere domande che cambierebbero magari la gerarchia e il senso dei problemi (questione già segnalata all’indomani della scomparsa di Giorgio Colli da Mazzino Montinari). Poco apprezzata, e soprattutto poco remunerativa, è l’attitudine del pensiero a considerazioni di lunga durata, non ansiose di chiudersi in un lavoro scritto per inalità di sopravvivenza nell’agone accademico o per “dibattiti” di attualità. Raramente si ricorda che l’esito della ilosoia è una vita, non un libro. E forse è per questo che i suoi «velluti consunti» hanno accumulato troppa polvere e più non seducono che pochi tra i migliori. Contro i pericoli che corriamo, Colli combatté la sua battaglia, su un fronte di eccezionale ampiezza e con una costanza e un’intensità ammirevoli. Traduzioni personalmente condotte dei grandi della ilosoia, collane editoriali per la divulgazione di opere ilosoiche e letterarie di raro pregio, nonché di classici del pensiero scientiico, restituzione ilologica di un autore controverso come Nietzsche, opere teoretiche. Inine, la sua impresa che sembra apparire perino non meno feconda: il suo insegnamento orale, esercitato con una passione e una “philia” davvero pitagoriche, per inluire sui destini personali di coloro che erano discepoli e sarebbero divenuti amici. Per dar forma e sostanza a quell’azione terapeutica che rimane un esito alto della ilosoia: la consumazione dei troppi idoli concettuali, ingombro alle nostre vite e ostacolo alla ricerca. Non ignorano questo lascito i giovani studiosi che spontaneamente si sono ritrovati a formare una comunità di studi e di meditazione ilosoica intorno ad un maestro che non hanno mai personalmente conosciuto. Essi incarnano al meglio quanto Colli avrebbe desiderato gli accadesse: una riedizione, lui assente, di quel gruppo di giovani che gli era sorto intorno negli anni dell’insegnamento liceale a Lucca e dell’altro formatosi soprattutto negli ultimi otto anni del magistero universitario a Pisa. L’amicizia e la ricerca in comune, oltre allo scavo incessante dei “tiranni dello spirito”, erano le componenti, per Colli, di una vita veramente ilosoica. Tale eredità sembra essere stata raccolta e decisamente messa a frutto dagli ideatori e principali contributori dei Quaderni colliani.

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XI

Valerio Meattini

I contributi del secondo numero dei Quaderni riguardano in larga misura momenti e fasi del pensiero di Colli, talvolta diversamente valutati, com’è inevitabile, che preparano le imprese culturali e alimentano la vita ilosoica ino all’esito eminentemente teoretico di Filosoia dell’espressione. L’arte, la politica, le origini della ilosoia, la considerazione della storia, la ilologia come scavo nell’interiorità che ha prodotto la parola che oggi la testimonia, la lettura di Kant e Schopenhauer ne sono i nuclei tematici. Un’opportuna preparazione, dunque, anche all’esame dell’opera centrale di Colli che sarà l’argomento principale del terzo volume dei Quaderni.

XII

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Per una filologia della vita

Reversibilità oracolare e bios. Alcune rilessioni su “Il ilologo” in Apollineo e Dionisiaco Giulia Maria Chesi

Droll thing life is – that mysterious arrangement of merciless logic for a futile purpose. The most you can hope from it is some knowledge of yourself. J. Conrad, Heart of Darkness

In questo breve articolo mi soffermerò sul primo capitolo di Apollineo e Dionisiaco, “Il ilologo”1. Proverò a delineare un percorso che partendo dall’idea colliana di ilologia come misticismo arriva all’enciclopedismo odierno. La discussione qui proposta verte su tre macro temi, nell’ordine: 1) la critica al biologismo come punto su cui verte l’idea di ilologia qua misticismo; 2) la critica all’enciclopedismo come “tomba” della ilologia; 3) la critica all’enciclopedismo odierno come deriva culturale indotta dall’ab/uso dei nuovi mezzi di comunicazione. Mentre la critica al biologismo e, di pari passo, la critica all’enciclopedismo sono parte integrante degli appunti di Colli, la critica ai nuovi mezzi di comunicazione è intesa come l’abbozzo di uno sviluppo del discorso di Colli su biologismo ed enciclopedismo. Come intendo suggerire, i nuovi media acuiscono una caratteristica del ilologo colliano, ossia che egli «sia costretto a vivere fuori del suo tempo»2. In altre parole, 1. Desidero ringraziare tutti i presenti alle giornate di studio tenutesi a Torino nel novembre 2018 per le critiche costruttive a queste rilessioni, in particolare il mio amico Alessio Santoro. 2. AD, p. 37. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Giulia Maria Chesi

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oggi – anche in virtù del contesto tecnologico in cui viviamo – è più dificile, ma proprio per questo quanto mai necessario, essere “ilologi colliani”. Come vedremo, il ilologo di Colli non è la igura obsoleta di vecchie pagine di ilosoia di ine Novecento; questo ilologo, come il Socrate di Platone3, è un moscone che pungola il lettore ad esercitarsi al pensiero vigile e critico. Il ilologo di Colli, in un certo senso, è il ilosofo impegnato a fare di soggetti docili dei soggetti pensanti che non si adeguano al diktat dello status quo socio-politico e/o morale-intellettuale. Come il moscone-Socrate, il ilologo colliano appare una igura ingombrante e fastidiosa: il ronzio del suo pensiero esorcizza i fantasmi del rumore dei nuovi media – in primis, la politica à la Twitter o Facebook e la cultura di massa e da salotto à la Blog o Wikipedia. Critica colliana al biologismo e ilologia come forma di misticismo Alla domanda che cos’è la vita, il bios, e come viverla, Colli risponde che vivere è conoscere l’interiorità; è penetrare nel cuore delle cose; diversamente si dà solo l’oggettivazione del mondo esterno da parte del soggetto, la freddezza del calcolo razionale che riduce gli esseri viventi a processi meccanici spiegabili tramite le leggi della logica e della isica. Ma la complessità della vita – ci ricorda Colli, anticipando di ben più di un decennio tutta la critica di Canguilhem4 al biologismo – sfugge alle regole del calcolo, ragion per cui il biologismo altro non è che approssimazione. Cito: E quegli uomini superiori come li chiameremo? E dovranno essere per necessità dei ilosoi? No, non è necessario, potranno essere anche artisti, oppure scienziati, purché partano da quella interiorità che abbiamo detto. […] Essi cercano la vita, bramano conoscerla, e si aggirano nella rappresentazione; ma se tutta la loro attività si esaurisse qui, nella pura conoscenza, il loro non sarebbe che un freddo vagare di scienziati, che il mondo intero riducono ad oggetto, ad esteriorità, senza penetrare nel cuore delle cose5.

3. Cfr. Platone, Apologia di Socrate, 30e6. 4. Cfr. G. CanGuilhem, La connaissance de la vie, Vrin, Paris 1952. 5. AD, p. 30. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Reversibilità oracolare e bios

L’interiorità, il cuore del mondo e delle sue cose, ha sempre interessato i ilosoi, almeno da Platone (si pensi al Timeo) ino a Hegel. Leggiamo in Jenenser Realphilosophie II: L’uomo è questa notte, questo vuoto nulla, che contiene tutto nella sua semplicità, una ricchezza di innumerevoli rappresentazioni, di immagini, nessuna delle quali propriamente lo colpisce o che non gli sono presenti. Questa è la notte, l’intimo della natura, che qui esiste […]. Nelle rappresentazioni fantasmagoriche tutto intorno è notte […]. Si vede questa notte quando si guarda nella pupilla di un uomo – in una notte che diventa terriicante6.

Per Colli, conoscere la vita, e studiarla come intimità dell’anima, si conigura per il ilologo come l’atto di rivelazione dell’anima del mondo, atto grazie al quale egli può formare la sua propria anima. Cito: La conoscenza non è dunque per essi ine a se stessa, ma un mezzo per crearsi un intimo modo di essere perfetto – le innumerevoli forme di vita che essi studiano non servono loro se non in quanto rivelano al di sotto l’anima del mondo, da cui essi devono formare la propria anima7.

Ma perché mai il ilologo sarebbe capace di compiere questo atto? Perché il ilologo, secondo Colli, ama il logos, ama il discorso8 della vita, «scoprire la realtà attraverso le parole»9. Il ilologo, per Colli, è un grande amante della vita e il bios è narrazione. Ora se conoscere il bios e le sue innumerevoli forme di vita è rivelare l’anima del mondo tramite la parola e la sua rappresentazione (gli antichi Greci dicevano “apophainein”), «la ilologia è così essenzialmente misticismo»10: atto di conoscenza del bios tramite la rivelazione veicolata dal logos. Il

6. G.W.F. heGel, Jenenser Realphilosophie II, a cura di J. Hoffmeister, Meiner, Leipzig 1931, pp. 130-131 [trad. it. in r. Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, Il Mulino, Bologna 2014, p. 87]. 7. AD, pp. 30-31. 8. Sul logos del ilologo colliano, si vedano anche le osservazioni di A. Santoro (infra, p. 20), il quale sottolinea come logos non sia qui da intendere come la parola scritta di un dato autore, ma piuttosto la sua «parola umana», «il suo pensiero vissuto, ossia le intuizioni che guidano la sua vita da ilosofo». 9. AD, p. 31. 10. AD, p. 32. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ilologo non scandaglia la vita perché la oggettiva; al contrario, in quanto «iniziato»11 del logos, ovvero portavoce di una conoscenza che solo pochi possono vivere, il ilologo scandaglia la vita perché rivela le pieghe contradditorie del mondo che lo circonda. Il ilologo è il lettore della narrazione del bios, dei suoi segni nascosti, dei quali egli fa emergere il senso complesso laddove gli altri si annoiano. Il ilologo – commenta Colli – guarda il volto di una fanciulla e vi coglie, senza che questo si muova, «il desiderio improvviso di piangere». Continua così Colli: «essa tace in disparte e coloro che la circondano sbadigliano annoiati della vita sempre uguale a se stessa, ma in quel momento l’anima del ilologo si è unita a quella della fanciulla»12. Verso quale meta ci può condurre l’idea di Colli secondo la quale la ilologia è essenzialmente misticismo, ossia rivelazione dell’anima del mondo e pertanto esercizio della conoscenza di se stessi tramite la conoscenza dell’anima del mondo? Provo a formulare un’ipotesi, consapevole di travisare forse la parola di Colli, ma se lo faccio è perché è così che mi sembra parlarci in queste pagine di “Il Filologo”. Per la sapienza oracolare greca conoscere la vita si traduce in conoscenza di se stessi: lo sappiamo, cardine della sapienza delica è la massima “gnothi sauton”. Si pensi ad Edipo: per conoscere il mondo in cui vive e per conoscere le sue origini, Edipo deve conoscere gli altri – sua madre, suo padre, i suoi igli, Merope e Polibio. La sapienza oracolare, e di pari passo la cultura mistica del ilologo che la interpreta, sembrerebbe rispondere alla logica della reversibilità e ci svelerebbe il carattere paradossale ed insolubile del messaggio oracolare. L’oracolo lega l’Io e l’Altro in un rapporto reversibile: se per conoscere me stesso io devo conoscere gli altri, alias se per conoscere me stesso io devo conoscere chi e cosa è altro da me, allora ci sono tracce dell’Io nell’Altro e, in questo gioco di scambio delle parti, tracce dell’Altro nell’Io. In quest’ordine di idee, l’oracolo di Deli non funziona secondo il principio di analogia o di opposizione, principio che secondo Lloyd13 informerebbe 11. Su misticismo come iniziazione ad una conoscenza riservata a pochi, cfr. Colli in DN, p. 156; su questo punto, cfr. il contributo di A. Santoro, infra, p. 25. 12. AD, p. 35. 13. G.e.r. lloyd, Polarity and Analogy: Two Types of Argumentation in Early Greek Thought,

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Reversibilità oracolare e bios

tutto il pensiero greco. Il logos delico non ammette un contrario; la sapienza oracolare, la conoscenza mistica, non è l’opposto della ragione14. Come dirà Foucault: «Les grecs avaient rapport à quelque chose qu’ils appelaient ὕβρις. Ce rapport n’était pas seulement de condamnation ; l’existence de Thrasymaque, ou celle de Calliclès, sufit à le montrer, même si leur discours nous est transmis, enveloppé déjà dans la dialectique rassurante de Socrate. Mais le Logos grec n’avait pas de contraire»15. Per questa sua ricerca della propria interiorità nell’altro da sé, il ilologo soffre. Cito nuovamente: «Il suo strazio è nella ricerca inesausta dell’interiorità concreta di un altro uomo, nella brama di coglierla nella sua totalità e di sentirla come propria, ricerca che mai egli riesce a compiere»16. Ci riesce Edipo? No, almeno da un certo punto di vista. Proprio quando scopre chi è, quando inalmente decifra il gnothi sauton e la narrazione del suo bios, il mondo per Edipo si sgretola e scompare. Tebe e Corinto non sono più quelle che egli pensava che fossero, né così le persone della sua vita: i suoi genitori e i suoi igli. La verità dell’oracolo cancella il mondo di Edipo e l’Edipo di Tebe muore, se si legge legittimamente l’auto-accecamento come una forma surrogata di morte. L’oracolo dà la morte ad Edipo17. Quando tuttavia Edipo si addentra nell’anima del mondo, nell’interiorità della sua vita, egli muore per rinascere, per cogliere l’anima del suo mondo – lo splendore di Tebe: quell’Edipo che fu incapace di vedere quello che gli predisse l’oracolo, tratterrà dentro di sé, nella notte eterna della sua cecità18, una visione intima delle atrocità di cui si rese capace, una consapevolezza, una coscienza di quello che fece. Cambridge University Press, Cambridge 1966. Per una critica a Lloyd e sul valore epistemologico della contraddizione in Colli, cfr. a. Santoro, La ricerca della sapienza, in QC 1, p. 17. 14. Su questo punto, cfr. la sezione “Misticismo della ragione” nel saggio di A. Santoro, infra, in particolare pp. 25-26. 15. m. FouCault, Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge classique, Plon, Paris 1961, p. III. 16. AD, p. 35. 17. Su sapienza oracolare e morte, e sulla crudeltà dell’enigma, cfr. Colli nel capitolo “La sida dell’enigma”, ne La nascita della ilosoia. 18. Cfr. le parole profetiche con le quali Tiresia, prima dell’accecamento, deinisce Edipo una creatura della notte. SoFoCle, Edipo re, v. 374: «Ti nutre soltanto la notte [μιᾶς τρέφει πρὸς νυκτός]» [trad. mia].

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Lo sappiamo, Edipo racconterà alle iglie, che lo accompagnano nel suo lungo vagabondare in esilio, questa esperienza interiore, questo contatto con la sua intimità. Ed ecco come Edipo rivela al ilologo la sua intimità: tramite la fabulazione dei suoi ricordi. Poco importa se queste tracce mnestiche, come le chiama Heller, siano vere o false19, quello che conta – ci rassicura Colli – è che il ilologo sa ascoltare Edipo e cogliere, nell’espressione edipica del bios, una connessione inscindibile nell’abisso di una comune intimità: «Egli [il ilologo] si esprime per vivere secondo quanto teorizza, che la vita è connessione indissolubile e passaggio reciproco tra intimità ed espressione»20. Ecco, sulle orme di Colli, vorrei suggerire che conoscere l’anima del mondo per conoscere se stessi, farci insomma Edipo, è morte e rinascita: la vita non ammette biologismo di sorta perché la vita si ribella ad ogni logica. Non viviamo per morire; moriamo ogni giorno per vivere. Mi verrebbe insomma da suggerire, per dipanare quello che Colli stesso mi pare suggerirci in questo capitolo, che il ilologo ama terribilmente la vita (come Colli scrive a più riprese) perché nulla ma proprio nulla gli interessa più della morte e della rinascita. Per il ilologo di Colli, in altre parole, l’esistenza, il cuore della vita, è Essere-per-la-morte (Heidegger)21. Ora se conoscere la vita è darle un senso laddove possibile, ossia secretarla sondando la sua grande narrazione, e se conoscere la vita – come appunto vorrei suggerire dialogando con Colli – è vivere la morte, allora il Wille zum Leben è anche inevitabilmente affermazione del diritto inalienabile alla morte. Se ritorniamo ad Edipo, si noti che nessuno lo obbliga a ricercare le sue origini: prima l’ubriacone gli grida di non essere il iglio di Merope e Polibio22,

19. Sui ricordi come forme di narrazione e quindi sulla loro intrinseca falsità, cfr. a. heller, Relections on the Dynamics of personal Identity, in I. Bujalos - K.A. Váró (a cura di), Identity and Self Respect, Debrecen University Press, 2015, pp. 11-19. 20. AD, p. 53. 21. Cfr. m. heideGGer, Vom Wesen und Begriff der physis. Aristoteles, Physik, B1, in Gesamtausgabe, a cura di F-W. von Hermann, Klostermann, Frankfurt am Main 1976, vol. IX, pp. 297-298: «Jedes Lebendige fängt mit seinem Leben auch schon an zu sterben und umgekehrt: das Sterben ist noch ein Leben, da nur Lebendiges zu sterben vermag; ja das Sterben kann der höchste “Akt” des Lebens sein». 22. Cfr. SoFoCle, Edipo re, vv. 779-788. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Reversibilità oracolare e bios

e soltanto dopo questa rivelazione, Edipo, divorato dal dubbio, si reca a Deli, contro la volontà dei suoi genitori adottivi, per interrogare il dio sulle sue origini e appurare così se l’ubriacone avesse torto oppure no. All’accecamento Edipo ci arriva per una decisione strettamente personale: recarsi a Deli23. Critica colliana all’enciclopedismo C’è un altro punto su cui mi preme soffermarmi. Il ilologo di Colli, questo amante della vita e del suo logos, è il primo a decostruire “la ilologia”. Questo ilologo non classiica, non archivia, non cataloga i testi classici secondo le regole della storia della ilologia (stabilire il Testo; contestualizzarlo storicamente; ricostruirne il pubblico e/o il lettore ecc.)24. Questa, come sostiene Colli, non è ilologia; questo è sterile enciclopedismo, volto a processare informazioni: «la loro cultura (sic. la cultura dei supposti ilologi) raggela l’entusiasta, è oggettiva, enciclopedica, informativa»25. Per Colli il ilologo è Nietzsche e non il pomposo Wilamowitz che di fatto ha cannibalizzato il pensiero degli antichi Greci, senz’ombra di dubbio Saffo. Pensiamo a Sappho und Simonides26 e la teoria secondo la quale Saffo avrebbe diretto una boarding school per future spose, tesi poi declinata in mille modi ino ad oggi – con pochissime eccezioni, sostanzialmente Parker e Bowman27: Saffo sarebbe stata a capo di un tiaso per Afrodite o a capo di un gruppo inizia-

23. Cfr. G.m. CheSi, Humanimality and Hyper-determination in Sophocles’ Oedipus plays, «Skene», v (2019), pp. 15-16. 24. A J. BarneS, Giorgio Colli: La sapienza greca, «Classical Review», xxxi (1981), p. 126, per addurre un esempio calzante, sembra sfuggire che l’intento ermeneutico di Colli ne La sapienza greca non fosse quello di ri-stabilire il testo corretto dei frammenti dei Presocratici e di ca(r)pire il senso della loro rilessione ilosoica, ma piuttosto quello di tradurre (nel senso etimologico del termine) la loro parola, ossia di ri-condurla a noi, di interpretarla e quindi di fare ilosoia. Sulla traduzione come riscrittura del testo, si rimanda alle opere fondamentali di Attridge: d. attridGe, Contemporary Afrikaans Fiction and English Translation: Singularity and the Question of Minor Languages, in B. Kaiser (a cura di), Singularity and Transnational Poetics, Palgrave, London 2014, pp. 61-78; id., The Work of Literature, Oxford University Press, Oxford 2015. 25. AD, p. 38. 26. Cfr. u. von WilamoWitz-moellendorF, Sappho und Simonides, Weidmann, Berlin 1913. 27. Cfr. l. BoWman, The Women’s Tradition in Greek Poetry, «Phoenix», lviii (2004), pp. 1-27; h.n. Parker, Sappho’s Mistress, «Transactions of the American Philological Association», Cxxiii (1993), pp. 309-351. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tico per giovani fanciulle in attesa di matrimonio; tutto si è detto di Saffo grazie a Wilamowitz tranne sostanzialmente la cosa più vera e forse più semplice: Saffo, come il suo contemporaneo e conterraneo Alceo, come Pindaro, e come gli altri lirici, ha scritto poesia; Saffo fu una poetessa come lo furono dopo di lei Corinna, Prasilla e Telesilla, e più tardi ancora, in epoca ellenistica, come lo furono Anite, Nosside, Erinna e Mero. Il ilologo di Colli, come d’altronde osserva acutamente il iglio Enrico nell’introduzione ad Apollineo e Dionisiaco, «propone un modo diverso di concepire gli studi ilologici che trascolora nella ilosoia e nella metaisica»28. Il ilologo di Colli pensa perché ascolta la voce dei Greci e vede nel loro logos le modalità di disvelamento del nostro mondo; egli non archivia. Qui Colli non soltanto anticipa le posizioni postmoderne di Barthes e Derrida in critica letteraria, che sono poi sostanzialmente una critica alla sistematizzazione erudita e all’“archeologizzazione” del sapere, e, di pari passo, un invito ad abbracciare un giudizio prono all’aporia. Nel merito della letteratura greca, un’attitudine critica postmoderna tende a chiedere: come ci parlano gli antichi Greci oggi e secondo quali regole del discorso essi lo fanno? La scrittura di Colli, con questa critica all’enciclopedismo, ci mette soprattutto anche in guardia dal rischio di alcune derive intellettuali di oggi. Oltre Colli con Colli: critica ai nuovi mezzi di comunicazione Oggi noi viviamo l’acme dell’enciclopedismo e oggi, più che mai, il ilologo dovrebbe essere il paladino del pensiero critico. Nel mondo del network29, quando tutto sembra essere inito, l’unica prospettiva umana rimasta sembra essere l’enciclopedismo (Wikipedia & co.). Quando la storia è arrivata alla ine, l’uomo contemporaneo, che devolve le sue paure e i suoi dilemmi all’eficienza pragmatica della macchina, è un maniaco del controllo. Egli si identiica con la logica del dispositivo a tal punto da sognare di potere afidare la propria vita alla macchina. L’uomo contemporaneo è un circuito chiuso, inebetito e narcotizzato come il Narciso di 28. AD, p. 11. 29. Il saggio di m. CaStellS, The Rise of the Network Society, Blackwell, Hoboken 1996, rimane l’opera di riferimento per il concetto di network society.

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McLuhan30. Questo uomo narcotizzato virtualizza il reale con i dispositivi a cui egli afida la propria esistenza (GPS, server, iPad ecc.), tutti collegati a satelliti orbitanti attorno alla Terra e progettati per la comunicazione. Nell’alternanza incantatoria di oggetti che mettono in discussione la relazione tra soggetto e oggetto (dai Greci a noi: lo specchio, il manichino, il feticcio, il simulacro), il satellite è il più mortale: un numen disastroso che non annuncia la ine del mondo, ma piuttosto il suo essere trascurabile31. Calmo e silenzioso, il satellite soffoca il nostro mondo con un irrefrenabile sospetto di marginalità: in esso l’uomo non si scopre semplicemente incompleto e fragile; l’uomo scopre di essere accessorio, ausiliario, opzionale come un gadget, e spietatamente solo. Di fronte allo schermo, attraverso il quale l’uomo virtualizza le sue relazioni sociali, la condizione umana è l’autarchia cognitiva. Non c’è più dialogo con un altro essere umano, ma solo con la macchina. Questa è la rivoluzione oggi – la satellizzazione32 del reale: lo sconvolgimento delle nostre vite da parte del satellite che gira intorno alla Terra in un sistema orbitale consistente in un lusso di informazioni e frammenti in costante circolazione. Questo uomo satellizzato, tornando alla domanda iniziale di Colli (“Che cos’è il bios, la vita, e come viverla?”), non si può interrogare sul senso della vita, le sue modalità espressive, il suo logos, perché egli ha perso di vista un punto fondamentale, cioè che la vita, la grande macchina della vita, non è controllabile, non è “archiviabile”. Il bios infatti, per chi è in grado di capirlo, ovvero per il ilologo, come ci invita a rilettere Colli nelle pagine del suo “Il ilologo”, ha poco a che fare con il materialismo e il determinismo, ma ha invece molto a che fare con la consapevolezza e il inalismo, 30. Cfr. m. mCluhan, The Gadget Lover – Narcissus as Narcosis, in id., Understanding Media. The Extensions of Man, McGraw Hill, New York 1964, pp. 41-47. 31. Sullo specchio nel mondo greco, Vernant e Frontisi-Ducroux hanno scritto pagine memorabili in J-P. vernant - F. FrontiSi-duCroux, Dans l’oeil du miroir, Éditions Odile Jacob, Paris 1997. Per uno studio molto recente, cfr. m. Gerolemou - l. diamantoPoulou, Mirrors and Mirroring from Antiquity to the Early Modern Period, Bloomsbury, London 2020. Anche Colli si è misurato con il signiicato dello specchio, a partire dal mito neoplatonico di Dioniso: cfr. in particolare FE, pp. 52-53 (“Il fanciullo allo specchio”); NF, p. 36: «Guardandosi allo specchio Dioniso, anziché se stesso, vi vede rilesso il mondo». 32. Sul concetto di satellizzazione, si rimanda alle pagine di J. Baudrillard, Videowelt und fraktales Subjekt, in Ars electronica (a cura di), Philosophien der neuen Technologie, Merve, Berlin 1989, pp. 113-132.

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con l’organizzazione intenzionale di un ine predeterminato e determinato dall’uomo e dalla sua intima interiorità – ine della vita di cui il ilologo studia l’espressione, il logos, la struttura narrativa: Ma la ilologia vera vuole uniicare, il suo campo naturale si estende a tutti i tempi, ha per contenuto ogni espressione, parola parlata, suono musicale, disegno, irrilevanti nelle loro diversità esteriori, e da intendersi come segni esplicativi di una grande fonte comune, l’intimità dell’anima, da studiarsi quindi come vita, alla stessa stregua della parola parlata, del campo d’azione cioè sinora esaminato dal ilologo33.

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Ecco per quale motivo il ilologo colliano «sia costretto a vivere fuori del suo tempo»34: egli è l’opposto dell’uomo satellizzato contemporaneo. Il ilologo di Colli non è l’uomo ipnotizzato dal potere incantatorio dei nuovi mezzi di comunicazione, che riducono il pensiero, e con esso la vita, ad informazione – processione enciclopedica di dati; il ilologo di Colli intuisce che la vita non è riducibile a una sequenza di dati. Il ilologo di Colli inverte i meccanismi della narcosi contemporanea. Egli non si lascia narcotizzare; come il Socrate di Platone35, anche il ilologo di Colli è una piatta torpedine di mare che narcotizza il suo lettore perché svela i meccanismi incantatori dei nuovi strumenti di comunicazione: solo di fronte allo schermo, l’uomo satellizzato non pensa con l’altro, non comunica con lui, ma come Narciso nel letto del iume egli rispecchia nello schermo l’immagine di se stesso – il frutto della propria autarchia cognitiva. In questo senso, suggerirei che per il ilologo di Colli il pensiero sia uno strumento terapeutico36: in compagnia del ilologo di Colli, ci è lecito supporre che il bios non sia informazione (forse la vertiginosa deriva contemporanea di certi percorsi dell’astrazione) ma logos, narrazione, parola vissuta con l’Altro; in virtù di questo, il ilologo di Colli ci 33. AD, p. 39. 34. AD, p. 37. 35. Cfr. Platone, Menone, 80a-b. 36. Sul valore teraupeutico della ilosoia in Colli, ed in particolare sulla sua opera di insegnamento tesa a «dar forma e sostanza a quell’azione terapeutica che rimane un esito alto della ilosoia: la consumazione dei troppi idoli concettuali, ingombro alle nostre vite e ostacolo alla ricerca», cfr. l’introduzione di V. Meattini, supra, p. 4. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ricorda oggi che conoscere se stessi è un atto mistico, in quanto si tratta di scoprire, dentro la propria interiorità, il mondo e con esso l’alterità e le sue forme espressive, e non certo il rilesso della propria immagine. Cito Colli da Filosoi sovrumani: Con un termine più ilosoico si può chiamare misticismo questo movimento; mentre sino qui l’uomo aveva guardato il mondo e in questo aveva inserito come parte se stesso, ora si stacca da tutto, si volge alla propria interiorità, e ricercando in se stesso vi trova il mondo e la divinità37.

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37. FS, p. 26. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una filologia della vita

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Introduzione Prima che come ilosofo, Giorgio Colli è noto per la sua edizione delle opere di Friedrich Nietzsche, che curò assieme a Mazzino Montinari. Considerando che gran parte della sua produzione scientiica è di natura ilologica, una domanda fondamentale che si pone a chi voglia studiare il suo pensiero ilosoico è se, e in che senso, Colli possa essere considerato un ilosofo. Il primo capitolo di Apollineo e dionisiaco getta luce proprio su questo problema, sviluppando una deinizione della igura del ilologo che coincide in buona parte con quella del ilosofo. Nell’analizzarlo, rintraccerò nel testo la presenza di echi platonici mediati dalla lettura di Nietzsche. Più precisamente, sosterrò che Colli modella la sua categoria di ilologo sul Socrate platonico, che assurge, qui come – in particolare – nel Simposio, a paradigma del ilosofo. Per far ciò, articolerò il mio argomento in tre sezioni: la prima getterà le basi del parallelismo mostrando che, nell’Apologia, Socrate si interroga su quella che Colli considera essere la domanda fondamentale della ilosoia: «come vivere la vita?»; la seconda accosterà la descrizione colliana del ilologo come www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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«un grande amante»1 alla caratterizzazione erotica di Socrate nel Simposio; inine, la terza sezione si concentrerà sulla correzione che Colli apporta alla lettura nietzschiana della morte di Socrate nel Fedone, mostrando in che modo la prospettiva che propongo è utile per comprendere il progetto originale di Apollineo e dionisiaco. A mo’ di premessa generale, si noti infatti che quest’opera colliana raccoglie appunti di un progetto mai portato a termine2. Lo stato incompleto del testo rende perciò dificile – più che nel caso di altri scritti – districare i singoli passi del ragionamento di Colli3. In più punti di questo articolo, lascerò in sospeso problemi esegetici che pure richiederebbero chiarimenti; il modo in cui, invece, mi proporrò di contribuire alla comprensione del testo è quello di portare alla luce parte delle rilessioni che si celano dietro al primo capitolo di Apollineo e dionisiaco. Infatti, la conclusione generale di questo articolo potrebbe essere riassunta nella tesi che, per comprendere chi è il ilologo colliano, bisogna guardare all’esempio di Socrate. Il mio argomento sarà incentrato in larga parte su una lettura incrociata di Apollineo e dionisiaco e Filosoi sovrumani. Quest’ultima opera costituisce la prima parte della tesi di laurea di Giorgio Colli e fu scritta negli stessi anni in cui prendeva forma il progetto ora pubblicato come Apollineo e dionisiaco4. Nel complesso, i tre dialoghi platonici su cui è basato il mio argomento – l’Apologia di Socrate, il Fedone e il Simposio – sono quelli che Colli ritiene restituire l’immagine più esaustiva della «singea individualità» di Socrate5. Pertanto, quella che propongo qui è una breve esplorazione del “laboratorio intellettuale” di Colli, dietro le quinte di Apollineo e dionisiaco.

1. AD, p. 34. 2. Si veda l’introduzione di Enrico Colli: AD, pp. 11-21. 3. Come emerge da alcuni appunti del 1946, lo stesso Colli si dichiara insoddisfatto del testo e, in particolare, delle pagine iniziali: AD, p. 231. 4. Colli si laurea nel 1939 con una tesi in ilosoia del diritto dal titolo Politicità ellenica e Platone; il testo della tesi è stato pubblicato da Enrico Colli in due libri separati: Filosoi sovrumani (2009) e Platone politico (2007), corrispondenti rispettivamente alla prima e alla seconda parte della tesi. Cfr. PP, pp. 11-17. 5. FS, p. 94. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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1. Una vita degna di essere vissuta Come avverte la nota del curatore, Apollineo e dionisiaco raccoglie il materiale preparatorio di un’opera che Giorgio Colli aveva provvisoriamente intitolato Ellenismo e oltre. Di questa, l’introduzione, o Einleitung, porta il titolo di “Filologia non più morta” e prende le mosse da una deinizione sui generis del ilologo6. Colli parte dalla premessa che la domanda fondamentale della ilosoia sia «che cos’è la vita?» e sostiene che soltanto pochi uomini se la siano posta. L’incipit stesso dell’opera deinisce – in termini se non vaghi, quanto meno enigmatici – la vita come «il modo d’essere degli uomini, che si svolge nel tempo»7. Benché l’affermazione non venga giustiicata né ulteriormente sviluppata, costituisce il criterio per distinguere tre categorie di uomini: (1) coloro che non si sono posti affatto il problema di studiarla e, (2) entro la categoria di coloro che invece se lo sono posto, (2a) quanti l’hanno fatto ma non «seriamente»8 e, inine, (2b) quanti si sono posti la domanda nel modo opportuno. È molto probabile che il secondo gruppo sia da identiicare con i ilosoi; infatti, Colli pensa che i ilosoi del passato abbiano dovuto per forza chiedersi che cosa sia la vita «per la stessa necessità che derivava loro dal mestiere di ilosofo»9. Pertanto, la distinzione proposta da Colli fra un modo «serio» e un modo più supericiale di interrogarsi sulla vita riveste un ruolo fondamentale per il resto del capitolo, poiché gli permette di ritagliare entro la categoria dei ilosoi uno spazio che sarà occupato – qualche pagina più tardi – dal ilologo; ma procediamo per gradi. In che senso molti ilosoi non si sono posti la questione seriamente? Colli sostiene che la domanda «che cos’è la vita?» non vada posta in termini astratti, perché vi è una componente della vita che prescinde dal campo della ragione cosciente ed è invece manifestazione di qualcosa di più fondamentale, che chiama «immediatezza»10. Secondo Colli, anche l’atto cosciente di porsi tale domanda è, in ultima 6. Cfr. AD, p. 13. Questa Einleitung corrisponde alla “Parte prima” di Apollineo e dionisiaco (AD, pp. 27-120), di cui “Il ilologo” costituisce il primo capitolo (pp. 27-54). 7. Proporrò un tentativo di chiarimento infra, nota 12. 8. AD, p. 27. 9. Ibid. 10. Ibid. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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analisi, una manifestazione di questa immediatezza. Pertanto, domandarsi seriamente «che cos’è la vita?» vuol dire comprendere che questa domanda rimanda a una realtà altra rispetto all’atto cosciente che se l’è posta e, più in generale, rispetto all’ambito stesso della ragione. Questo punto viene sviluppato in una direzione importante per l’esito dell’argomento. Colli, infatti, pone l’accento sulla relazione che intercorre fra il modo di porsi questa domanda e l’individuo che se la pone. In particolare, la domanda «che cos’è la vita?» si manifesta in forme diverse in diversi individui; pertanto, gli esseri umani che si interrogano nel modo opportuno sulla vita mostrano per questa stessa ragione una natura fuori dal comune, di «uomini eccezionali»11. Sembra questo il senso in cui questa domanda fondamentale determina le tre diverse categorie di uomini delineate sopra. Inine, Colli connette questo punto di vista sulla domanda «che cos’è la vita?» alla seconda domanda che ritiene essere caratteristica della ilosoia: «come vivere?». In particolare, sostiene che chiedersi come si debba vivere non sia che un secondo aspetto – forse una conseguenza – della domanda precedente. Alla luce dell’impulso che dà origine a tale domanda, interrogarsi sulla vita non implica il tentativo di darne una deinizione astratta, ma, al contrario, è l’inizio di una ricerca al contempo metaisico-gnoseologica e morale, perché inalizzata ad agire in conformità con la risposta che si trova. Quello che Colli sembra voler dire è che tale domanda non è solo quella che sta a fondamento di qualsiasi altra, ma è anche una domanda che impone la ricerca del miglior modo di vivere la vita – una domanda etica, volta alla ricerca del bene. Questa ricerca e realizzazione della migliore forma di vita – a cui Colli si riferisce col termine greco bios12 – è quella che caratterizza il ilologo colliano, il quale condivide col ilosofo l’interesse per la 11. AD, p. 28. 12. Bios, oltre al signiicato generale di “vita”, ha l’accezione più speciica di “forma di vita, modo di vivere” (di contro a zoe, che signiica semplicemente “vita animale”). Colli usa il termine greco più volte nel primo capitolo di Apollineo e dionisiaco: cfr. AD, p. 47, 49, 52 (dove viene parafrasato con «vita morale»). In una certa misura, la centralità di questa parola chiarisce l’affermazione iniziale che «la vita è il modo d’essere degli uomini»: se per “vita” si intende “vita morale”, si comprende più facilmente perché Colli ne parli come di una caratteristica peculiare degli esseri umani.

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domanda fondamentale, ma se ne discosta per la ricerca di una risposta concreta e non astratta. Per una miglior comprensione di questo punto sarebbe necessario uno studio approfondito dei riferimenti che stanno alla base di queste rilessioni di Colli, che sono offerte al lettore – come spesso accade – in una forma compressa e, in questo caso, ancora grezza13. L’obiettivo che mi pongo qui sarà quello di muovere qualche passo in questa direzione esplorando non i riferimenti espliciti a Schopenhauer e Nietzsche14, bensì quelli impliciti al Socrate di Platone15. Procedere in questo modo mi permetterà di individuare in Socrate un esempio (benché sui generis) del modello di ricerca proposto da Colli; quello che, invece, questa proposta non farà è giustiicare le premesse del suo ragionamento, che restano pertanto in attesa di chiarimenti. Per introdurre il primo senso in cui Socrate sembra celarsi fra le righe di questo capitolo, vorrei soffermarmi su un passo inalizzato a spiegare in che senso la domanda «che cos’è la vita?» sia prima rispetto a qualsiasi altra: Ad ogni quesito ilosoico o scientiico, per ampio che sia, anche riguardante ad esempio l’universalità del mondo isico, deve precedere il problema della nostra esistenza, che solo lo rende possibile. E questo, si badi bene, non tanto nel senso dell’idealismo moderno, che tutto fa dipendere dal soggetto, quale sua rappresentazione, bensì piuttosto secondo lo spirito di ogni più profonda ilosoia, quale l’indiana o la greca. Gli uomini che affronteranno dunque un tale problema saranno i primi uomini, sopra a qualsiasi altra forma di conoscenza o di azione: essi posseggono uno slancio che gli altri non hanno ad attraversare con la loro volontà il mare ininito della vita ed a scegliersi in essa il 13. Il primo capitolo di Apollineo e dionisiaco ha un carattere marcatamente storiograico: oltre a Nietzsche (cfr. AD, pp. 31, 48), menziona – in particolare – Pico della Mirandola (pp. 34, 37), Kepler (pp. 42, 46), Schopenhauer (pp. 43, 48, 53) e Goethe (pp. 44, 46, 53) come igure cardine di questa “storia della ilologia”. 14. Colli dichiara esplicitamente che la lettura di Schopenhauer è necessaria, nonché propedeutica, all’indagine ilosoica che propone; cfr. AD, p. 43. Quanto a Nietzsche (riferimento costante dell’opera colliana), egli viene considerato un precursore della prospettiva teoretica di Ellenismo e oltre (cfr. AD, p. 31); a La nascita della tragedia viene riservata una trattazione particolare nel secondo capitolo (pp. 55-73). 15. La ilosoia greca ha un ruolo cruciale nel capitolo (cfr. in particolare AD, pp. 46-47, 51). Diversamente da altri ilosoi (tra cui lo stesso Platone), Socrate viene menzionato soltanto a p. 51. A questo passo rivolgerò l’attenzione nelle pagine conclusive di questo articolo. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Apologia del ilologo

modo più alto di esistere. Così si applica il loro immenso desiderio di dominazione, nella conoscenza di tutte le cose, nella loro valutazione e condanna, ed in conclusione nella loro vita, che abbraccia ogni altra e la domina16.

Questo passo è utile per due motivi fondamentali. Da un lato, precisa che l’anteriorità della domanda è di ordine metaisico17; dall’altro, guarda alle ilosoie greca e indiana come modello dell’atteggiamento ilosoico che si dovrebbe adottare. Se si tiene a mente questo riiuto dell’idealismo in favore di una rivalutazione del mondo antico, la seconda parte del passo citato fornisce delle buone premesse per pensare che Socrate sia incluso tra i riferimenti di Colli. Infatti, già in Filosoi sovrumani, Socrate viene rappresentato come l’ultimo sapiente greco, sebbene possieda una personalità idiosincratica nel panorama greco delineato da Colli. In particolare, Socrate è «il vero spirito ellenico originario»18; pertanto, riassume in sé le caratteristiche fondamentali dei pensatori greci, tra i quali il ilologo colliano trova i suoi primi modelli di vita19. Il resto di questo articolo verrà dedicato all’esposizione di queste caratteristiche, la prima delle quali consiste nell’impulso conoscitivo che, secondo Colli, è carattere precipuo della personalità tracotante di Socrate. Questa interpretazione della igura di Socrate rimane pressoché invariata nell’arco di tutta la produzione di Colli ed emerge in modo particolarmente chiaro dal seguente aforisma intitolato “Socrate e l’oracolo”: «Nessuno è più sapiente di Socrate», aveva detto la Pizia. Ma Socrate volle confutare il dio che sta a Deli, e si mise alla ricerca di qualcuno che fosse più sapiente di lui. Se ci fosse riuscito, avrebbe potuto dire al dio, empiamente: «Costui è più sapiente di me, ma tu hai detto che ero io».

16. AD, p. 29. 17. Colli le attribuisce il carattere di «primordialità» (AD, p. 29), affermando che è la domanda “prima” in senso logico (è presupposta da qualsiasi altra domanda) e in senso assiologico (supera in valore qualsiasi altro problema). Pertanto, considero queste due domande come parti della ricerca generale della natura delle cose. Più precisamente, l’accento che il passo citato pone sull’anteriorità dell’esistenza sembra vertere sull’idea che il fatto di esistere come oggetti della realtà preceda qualsiasi interrogativo astratto; in questo senso, può forse risultare fuorviante parlare di anteriorità logica. Ringrazio Giulio Cavalli per aver discusso con me questo punto. 18. FS, p. 94. 19. Cfr. in particolare AD, pp. 46-47. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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La sua tracotanza avrebbe trionfato: dimostrando di essere meno sapiente, avrebbe provato di essere più sapiente del dio della sapienza. Ma non ci riuscì, e fu messo in chiaro che il dio aveva ragione, ossia che nessuno era più sapiente di Socrate. Questa è la hybris greca20.

Si tratta della singolare lettura colliana della reazione di Socrate al responso oracolare che troviamo nell’Apologia. Come si evince dal passo, Socrate dimostrerebbe con la sua ricerca di voler contraddire Apollo stesso, che nella ricostruzione colliana delle divinità greche rappresenta il dio della sapienza21. Pertanto, l’impulso conoscitivo di Socrate sembra rispecchiare il desiderio di dominazione di cui parla Colli in Apollineo e dionisiaco. Alla luce di questa rilessione sull’Apologia, è utile ricordare un celebre passo dal medesimo dialogo platonico. Alle righe 37e-38c, Socrate recita la massima secondo cui una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta:

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Ora mi si potrebbe dire: «Ma una volta via di qui, Socrate, non potresti startene zitto e quieto?». Ecco precisamente il punto su cui è più dificile persuadere alcuni di voi… Perché se affermo che ciò signiicherebbe disubbidire al dio, per cui di stare quieto non mi riuscirebbe, non mi crederete e penserete che sto scherzando. Ancor meno mi crederete se dico che il più grande bene dato all’uomo è proprio questa possibilità di ragionare quotidianamente sulla virtù e sui vari temi su cui mi avete sentito discutere o esaminare me stesso e altri, e che una vita senza ricerca [ho anexetastos bios] non vale la pena di essere vissuta [ou biotos] dall’uomo. Ma le cose stanno così, concittadini, e ve lo ripeto anche se non è facile persuadervene22.

Alla luce di questi due passi, si può affermare che il Socrate platonico – almeno nell’interpretazione di Colli – si interroga proprio su una delle due domande su cui si incentrano le pagine di apertura di Apollineo e dionisiaco: «come vivere?». Non è dunque un caso che Socrate, in un’opera scritta negli stessi anni qual è Filosoi sovrumani, venga presentato come l’ultimo dei sapienti. Per ora, tuttavia, mi sono 20. DN, p. 95. 21. Cfr. NF, pp. 39-46. 22. Platone, Apologia di Socrate, 37e-38c [trad. it. in Apologia di Socrate – Critone, a cura di M.M. Sassi, Rizzoli, Milano 1993, p. 165]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Apologia del ilologo

limitato a proporre un accostamento di passi da cui si può dedurre che Socrate rappresenta un buon candidato per esempliicare il tipo di uomini descritto nel primo capitolo di Apollineo e dionisiaco. Nel prossimo paragrafo, aggiungerò un elemento fondamentale per stabilire che il parallelismo fra Socrate e le rilessioni sul ilologo va ben oltre la mera assonanza: come il ilologo colliano, Socrate è un grande amante. 2. Considerazioni erotiche sul ilologo Nella sezione precedente ho cercato di mostrare che, nell’Apologia, Socrate si interroga sulla domanda che secondo Colli è fondamentale per la ilosoia. In questa sezione, vedremo che Socrate condivide altre due qualità fondamentali con il ilologo colliano: l’impulso erotico e l’origine politica di questo impulso. Dopo le rilessioni iniziali sulle caratteristiche fondamentali degli uomini che si interrogano seriamente sulla vita, Colli si chiede se questi debbano necessariamente essere dei ilosoi23. Tornando alla tripartizione che ho proposto all’inizio della sezione precedente, si chiede cioè se il secondo gruppo di uomini – (2) – sia costituito esclusivamente da ilosoi o se non si debba piuttosto limitare i ilosoi alla suddivisone (2a), riservando (2b) alla categoria del ilologo. Colli opta per la seconda alternativa, affermando che il requisito per rientrare nella categoria di coloro che si interrogano seriamente sulla vita è dedicarsi alla ricerca di quella che Colli chiama “interiorità” – e su cui mi soffermerò tra breve. Ciò che li contraddistingue è infatti l’intenzione di «penetrare nel cuore delle cose», non limitandosi a un’analisi «fredda» della realtà24. Quanto al nome da attribuire a questi «primi uomini», Colli esprime le seguenti considerazioni: Noi scegliamo il termine ilologia. Essi amano il lógos, vogliono decifrare il «discorso» della vita, scoprire la realtà attraverso le parole, della natura e soprattutto degli altri uomini. Non sono dei puri artisti perché posseggono quell’intimissima coscienza che a questi manca, quell’instancabile slancio morale, e non sono neppure dei ilosoi puri, dei conoscitori puri, che estraggono per così dire il 23. AD, p. 30. 24. AD, p. 30.

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lógos dal lógos allontanandosi ancor di più dalla realtà intima, per i quali quindi l’espressione è il ine, razionalisti quali sono. Essi sono dei ilologi, cioè degli artisti e dei ilosoi umani, in un senso ancora più profondo di quello rinascimentale25.

Nel chiamare “ilologia” questa visione del mondo, Colli propone una deinizione certamente diversa rispetto alla nozione di ilologia che si ha nel linguaggio comune. Ritiene, inoltre, che vi sia un certo grado di sovrapposizione fra il ilologo (nell’accezione che ha appena introdotto) e il ilosofo. Se infatti il ilologo non è un ilosofo tout court (o, citando il testo, «puro»), è tuttavia un «ilosofo umano», oltreché un artista. In deinitiva, si potrebbe dire che Colli conia nuovamente la parola “ilologia”, reinventandone l’etimologia. L’elemento nuovo di questo neologismo è racchiuso nel modo di intendere -logos: non come parola scritta, bensì come parola umana, discorso. Colli sembra dunque propugnare una concezione della ilologia che mira a ricostruire non tanto il testo scritto da un dato autore, quanto piuttosto il suo pensiero vissuto, ossia le intuizioni che guidano la sua vita da ilosofo26. Per usare le parole con cui si esprime poco oltre: Filologia è l’amore di tutto ciò che appare, di tutto il fenomeno, considerato però come creazione, e quindi brama anzitutto di giungere al creatore e di vivere la sua vita. Ogni espressione, ogni forma di vita è di un’anima creatrice individualissima – l’individualità è dunque ciò che più importa al ilologo, è il reale per eccellenza27.

Il linguaggio erotico così marcato di questo passo introduce la tematica più importante per individuare in Socrate il modello del ilologo colliano, e cioè che «amore è il suo modo di essere»28. Questo amore, secondo Colli, è sempre rivolto a una razionalità concreta29, poiché il ilologo cerca sempre il dialogo con singoli individui e mai l’astrattezza

25. AD, p. 31. 26. Per uno studio sul metodo ilosoico di Colli, rimando a F. monteveCChi, Giorgio Colli. Biograia intellettuale, Bollati Boringhieri, Torino 2004, in particolare pp. 14-22. 27. AD, pp. 31-32. 28. AD, p. 34. 29. Cfr. AD, p. 32. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Apologia del ilologo

di un sistema ilosoico. Si può dunque individuare nell’etimologia colliana di “ilologia” l’enfasi posta sul preisso greco philo- secondo la tradizione iniziata da Platone per la parola “ilosoia”. In effetti, la centralità di Platone per lo sviluppo della ilosoia trova conferma, oltre che in Filosoi sovrumani e Platone politico, anche ne La nascita della ilosoia, in cui Colli fa leva sullo scarto fra sapere umano e divino per deinire la ilosoia come aspirazione a un sapere mai raggiunto30. Poiché queste rilessioni fanno capo, in ultima analisi, a una distinzione che si riscontra nel Simposio31, è opportuno farvi un breve riferimento: Le cose stanno infatti nel modo seguente. Nessuno degli dèi ama la sapienza [philosophei], né desidera diventare sapiente, poiché lo è già; se poi c’è qualcun altro ad essere sapiente, neppure costui ama la sapienza [philosophei]. D’altro canto nemmeno gli ignoranti amano la sapienza [philosophousin], né desiderano diventare sapienti. Proprio in questo, difatti, l’ignoranza è insopportabile, nel credere, da parte di chi non è né bello né eccellente, e neppure saggio, di essere adeguatamente dotato. Chi non ritiene di essere privo, dunque, non desidera ciò di cui non crede di aver bisogno. – Chi saranno allora, o Diotima, – chiesi io – gli amanti della sapienza [hoi philosophountes], se non lo sono né i sapienti né gli ignoranti? – A questo punto la cosa è ormai evidente – disse – anche per un bambino: saranno coloro che stanno in mezzo a questi due, e tra di essi vi sarà anche Eros. In effetti, la sapienza fa parte senza dubbio di ciò che vi è di più bello, ed Eros, dal canto suo, è amore [eros] a riguardo della bellezza, cosicché necessariamente Eros sarà amante della sapienza [philosophon], e, essendo amante della sapienza [philosophon], sarà nel mezzo tra il sapiente e l’ignorante32.

In questo punto del dialogo, Socrate riporta la sua discussione con Diotima riguardo alla natura di Eros, il quale è descritto non come un dio ma come un semidio e, parimenti, non è detto essere sapiente ma amante della sapienza. Alla luce di questo passo, la descrizione del ilologo colliano in termini erotici contribuisce a rievocare il Socrate del

30. Cfr. NF, p. 13, dove Platone ne viene considerato l’inventore. 31. Su questo punto mi sono soffermato in La ricerca della sapienza, in QC1, pp. 2-4. 32. Platone, Simposio, 204a-b [trad. it. PS, pp. 69-70]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Simposio e, forse, più in generale il Socrate che interroga la gioventù ateniese nei dialoghi platonici. Inoltre, data la centralità del discorso di Alcibiade nella sua ricostruzione storica della igura di Socrate33, è lecito supporre che anche Colli considerasse Socrate come l’amante per eccellenza. Infatti, quando, nel Simposio, viene chiesto ad Alcibiade di tessere le lodi di Eros così come avevano fatto gli invitati al banchetto, egli non loda Eros, bensì Socrate. Tuttavia, è possibile individuare momenti più precisi della produzione letteraria di Colli in cui la ricerca dell’individualità che in Apollineo e dionisiaco è tipica del ilologo viene resa peculiare dell’atteggiamento di Socrate. In particolare, la descrizione dei ilosoi greci che si trova in Filosoi sovrumani è articolata in riferimento a due impulsi opposti che, secondo Colli, hanno determinato lo sviluppo del pensiero greco: la politica, cioè l’estrinsecazione in qualsiasi forma dell’individuo nella polis, e il misticismo, cioè l’impulso contrario a rivolgersi alla propria interiorità34. In linea con questa impostazione, ciò che caratterizza Socrate è che anche il suo slancio erotico è, secondo Colli, di natura politica – come è chiaro dal passo che descrive gli ultimi istanti della vita di Socrate: Gli rimane però un desiderio inappagato, quello di vedere vivere dinanzi ai suoi occhi una città formata da uomini perfetti: la coscienza dell’inadeguatezza e dell’insuficienza dell’umanità di fronte a questo ideale, e dell’impotenza sua a dargli realizzazione accumula nel suo animo un pessimismo inale riguardo alla possibilità di una vita collettiva felice, un pessimismo forse anche generale sul valore dell’esistenza umana, che grecamente egli si guarda bene dal manifestare, ma che resta in fondo alla sua anima. Solo le ultime parole che egli pronunzia prima di morire tradiscono questa sofferenza e questo suo sconforto: «Critone, dobbiamo un gallo ad Esculapio; datelo e non dimenticatevi». Il dio della medicina l’ha guarito dalla malattia della vita: anche nelle sue parole più sacrileghe Socrate rimane sereno, pio e greco35.

Proprio in questa connessione inscindibile fra politica ed eros risiede la seconda caratteristica che individua precisa33. Cfr. FS, p. 94. 34. Cfr. FS, pp. 23-32. 35. FS, p. 100. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Apologia del ilologo

mente Socrate come il riferimento costante del primo capitolo di Apollineo e dionisiaco. Infatti, come abbiamo visto, Colli non solo dichiara che l’atteggiamento di Socrate verso la gioventù ateniese è motivato dal suo impulso erotico, ma ritiene che questo impulso sia fondamentalmente volto alla creazione di una comunità di uomini eccellenti. Va ribadito che l’accezione di politica che si trova in questi scritti giovanili di Colli non ha molto a che vedere con l’arte di amministrare uno stato, ma è tanto ampia da contenere qualsiasi espressione dell’individuo nell’ambito della comunità in cui vive36. Si tratta di una concezione della politica foggiata sul modello della polis greca e che perciò si attaglia dificilmente ad altri contesti. Inoltre, Colli fa di questa differenza una disparità insuperabile fra antichi (greci) e moderni: In questo particolarmente si differenzia il ilologo moderno da quello greco, e si tratta di una differenza ineluttabile: il primo è quasi costretto a vivere fuori del suo tempo, mancando di un’educazione collettiva che lo spinga verso l’amicizia e potendo per contro avvicinare facilmente, dalla sua posizione solitaria, l’immenso mondo della cultura che gli sta alle spalle, il secondo viveva invece avvinto alla sua epoca ed alla sua pólis, senza avere dietro a sé grandi panorami di personalità illustri, e con la possibilità di amare gli uomini che gli stavano vicinissimi, ed il lógos di essi, nel senso proprio di discorso parlato37.

Considerando che il progetto di Ellenismo e oltre fu iniziato negli stessi anni di Filosoi sovrumani, la descrizione del ilologo che troviamo nel primo capitolo di Apollineo e dionisiaco sembra riecheggiare le rilessioni di Colli su Socrate: Il ilologo è dunque un panteista, ma non in senso monistico, perché abbiamo visto che per lui le individualità sono qualcosa di essenziale: egli cerca di stabilire nel tutto l’unità senza poterci mai arrivare, urtando nell’irrimediabile diversità degli individui. Questa aspirazione non può chiamarsi altrimenti che amore, desiderio di giungere all’intimità più profonda e più continua, che ha maggior valore, desiderio di congiungere indissolubilmente insieme

36. Un recente saggio che applica una nozione simile di politica all’attività editoriale di Colli è F. monteveCChi, Sull’Empedocle di Giorgio Colli, Sossella, Bologna 2018, in particolare pp. 24-29. 37. AD, p. 37. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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le individualità. Il ilologo è un grande amante: egli studia e spia ogni espressione per scoprire l’intimità che sia uguale alla sua, per trovare una connessione con il mondo. Egli guarda al mondo cercando la forma di vita più alta e più vicina alla sua interiorità, e trova l’uomo; la sua natura è così anzitutto politica, perché è con i suoi simili, con gli altri uomini che lo circondano ed assieme ai quali per forza di cose deve vivere, che egli spera di realizzare questa unione38.

Proprio questa aspettativa è quella che rimane disattesa nella vita di Socrate, come abbiamo visto nell’interpretazione colliana delle sue ultime parole. Tuttavia, se si accetta il parallelismo che propongo, emerge una dificoltà per la mia lettura del primo capitolo di Apollineo e dionisiaco: l’unica menzione di Socrate presente nel testo sembra opporlo a Platone, sottintendendo che sia piuttosto il secondo a valere come modello per il ilologo. Infatti, Colli osserva che «il ilologo in dall’adolescenza ha scritto dei versi e delle tragedie, ed ancor ne scriverà di nascosto per tutta la vita, vergognandosene di fronte alla ilosoia, come fece Platone dinnanzi a Socrate»39. Resta in effetti da precisare il senso in cui guardare a Socrate è utile per comprendere la descrizione del ilologo colliano. 3. Misticismo della ragione Come abbiamo visto, lo studio dell’«Ellenismo»40 in Filosoi sovrumani è costruito attorno alle due categorie di politicità e misticismo. Nella sezione precedente ho ricordato che Colli considera Socrate una igura eminentemente politica; quello che mi propongo ora è di rilettere sulla caratteristica complementare di questa interpretazione di Socrate. Per far ciò, mi soffermerò sul pessimismo di cui sono testimoni le ultime parole di Socrate, mettendo in risalto il complesso rapporto fra la lettura del Fedone di Colli e quella di Nietzsche. Infatti, mentre si appropria nelle linee generali dell’interpretazione nietzschiana della morte di Socrate, Colli se ne distanzia proprio nella valutazione della sua personalità. Il confronto fra le due prospettive offrirà un 38. AD, p. 34. 39. AD, p. 51. 40. FS, p. 23. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ultimo elemento per identiicare in Socrate il modello della descrizione del ilologo di Apollineo e dionisiaco: da un lato, egli incarna le caratteristiche fondamentali della grecità che Colli delinea nelle sue opere; dall’altro, anche Colli, come Nietzsche, ritiene che il ilologo debba superare il pessimismo socratico. In questo senso, si conigurerà il senso preciso in cui Colli scrive il primo capitolo di Apollineo e dionisiaco avendo in mente il ilosofo ateniese. Sia Colli che Nietzsche vedono in Socrate una personalità unica nel panorama greco; il punto su cui le due interpretazioni divergono ha a che fare precisamente col modo in cui segna un momento di svolta nella storia del pensiero greco. Abbiamo già avuto occasione di rievocare la posizione di Colli rispetto alla dirompenza di Socrate nelle pagine di Filosoi sovrumani. Nel rilettere sugli ultimi istanti della sua vita, Colli ritiene che rivelino lo sconforto che egli prova di fronte al fallimento del suo progetto politico. Benché breve, quel passo racchiude in nuce la correzione che Colli apporta all’interpretazione nietzschiana di Socrate. Infatti, come è noto, per Nietzsche Socrate è una igura di rottura col passato perché introduce una moralità razionalista che tradisce lo spirito greco. In contrasto con questa lettura, per Colli la personalità «stranissima»41 di Socrate non è soltanto compatibile con la ilosoia del suo tempo, ma rappresenta l’autentico spirito greco. È proprio da questa divergenza che emerge la centralità della igura di Socrate per i nostri scopi, perché deriva da una diversa interpretazione della morte di Socrate descritta nel Fedone. Nietzsche vi si sofferma in un celebre aforisma de La gaia scienza, intitolato Socrate morente: Ammiro la forza d’animo e la saggezza di Socrate in tutto quanto egli fece, disse – e non disse. Questo Ateniese, spirito maligno e ammaliatore, beffardo e innamorato, che faceva tremare e singhiozzare i giovani più tracotanti, non fu soltanto il più saggio chiacchierone che sia mai esistito: fu altrettanto grande nel tacere. Avrei voluto che anche nell’ultimo momento della vita fosse restato silenzioso – allora, forse, sarebbe appartenuto a una categoria di spiriti ancor più elevata. Fosse stata la morte o il veleno, la religiosità dell’animo, o la malvagità – certo è che qualche cosa, all’ultimo 41. FS, p. 95.

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momento, gli sciolse la lingua, e lui disse: «Critone, sono in debito d’un gallo ad Asclepio». Queste ridicole e terribili «ultime parole» signiicano per chi ha orecchie: «O Critone, la vita è una malattia!». Possibile? Pessimista un uomo par suo, che visse serenamente e sotto gli occhi di tutti, come un soldato? Non s’era appunto preoccupato d’altro che di far buon viso alla vita, e per tutta la durata di essa aveva tenuto nascosto il suo giudizio ultimo, il suo più intimo sentimento! Socrate, Socrate ha sofferto della vita! E se ne è anche vendicato – con quelle parole velate, atroci, pie e blasfeme! Doveva proprio vendicarsi un Socrate? Mancava forse alla sua straricca virtù un granello di magnanimità? – Ah, amici! Noi dobbiamo superare anche i Greci!42

Secondo Nietzsche l’atteggiamento di Socrate in in di vita tradisce un riiuto per la vita ingiustiicato e, ciò che è più importante, estraneo all’autentico spirito greco. La visione della vita in cui crede veramente Socrate si può riassumere in un totale disprezzo, secondo cui la vita è una vera e propria malattia da cui l’uomo attende di guarire. Nietzsche collega questo atteggiamento pessimista all’impulso razionalistico di Socrate, che, in questo senso, tradisce lo slancio dionisiaco della ilosoia greca arcaica. Colli fa propria la lettura nietzschiana, che sembra parafrasare in termini di politicità e misticismo in queste righe tratte da Filosoi sovrumani: Questa è la posizione di Socrate dinanzi alla vita, posizione che non è uguale né alla originaria politicità greca, all’apollineità omerica, né d’altra parte al misticismo dionisiaco dei Presocratici, che è dunque una creazione originalissima della sua strana personalità. La igura di Socrate è un fenomeno che non ha riscontro in tutta la storia della grecità, e sotto questo punto di vista possiamo capire benissimo come Platone nel Simposio faccia dire di lui da Alcibiade: «È degno di ogni stupore il fatto che egli non sia simile a nessuno degli uomini, né degli antichi, né dei contemporanei»43.

Tanto per Nietzsche quanto per Colli, Socrate ha riposto un’eccessiva iducia nel logos; tuttavia, Colli non ritiene che 42. F.W. nietzSChe, Die fröhliche Wissenschaft, par. 340, in NW, vol. V, tomo II [trad. it. La gaia scienza, in NO, vol. V, tomo II, p. 201]. 43. FS, p. 98. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il pessimismo socratico derivi da quell’impulso razionalizzatore che Nietzsche giudica così negativamente per le sorti della ilosoia. Secondo Colli, l’atteggiamento di Socrate in in di vita è invece un segno della sua profonda delusione politica. Grazie a questa correzione, Socrate viene letto in una nuova luce, che mi permetterà di chiarire in che modo egli possa costituire da modello per la ilosoia a lui posteriore, nonché per il ilologo colliano. Si noti, infatti, che questa rivalutazione non scagiona Socrate dall’accusa di pessimismo, bensì riorienta la critica nietzschiana per mostrare quale sia stata la vera causa del disprezzo di Socrate per la vita44. È quanto si legge nel seguente passo, tratto da Dopo Nietzsche: In Socrate la mancanza di ogni inclinazione mistica è così completa, da diventare una mostruosità per difetto. Il suggerimento geniale è di Nietzsche, il quale cita a sostegno della sua tesi il daimonion, residuo deviato, e perciò puramente negativo, di una sapienza dell’istinto. Nietzsche tuttavia va troppo oltre, quando a ciò contrappone, come carattere positivo di Socrate, un eccesso di disposizione logica, anti-mistica. Al contrario Socrate aspirava alla conoscenza mistica; per questo frequentava la tragedia, metteva in mostra una natura religiosa, era ossequiente alla grande tradizione della città, ma il suo temperamento non era mistico. La dialettica fu un surrogato, la sua eccellenza deduttiva non lo appagava. Il logos sorge dalla conoscenza misterica, ma non può condurre a quella visione, come Socrate forse sperò, e come Platone volle far credere. Per questo Socrate fu un inappagato, un pessimista, irrigidito fra un impulso all’estasi, all’intensità e una gara forsennata contro la vita. Nel suo comportamento verso Alcibiade, nel ritrarsi di fronte alla passione che lui stesso suscitava, Socrate tradisce il suo segreto. Chi arretra dinanzi al gorgo della follia, si aggrappa alla coscienza, vuole e non vuole essere trascinato, ecco diventa un calunniatore, un legislatore della morale, e di fronte al mondo un tracotante deluso, come traspare dalla sua apologia di fronte ai giudici o dalla malvagità della sua ironia45.

Questa modiica della valutazione nietzschiana di Socrate ha conseguenze fondamentali per la tesi che mi propongo 44. L’atteggiamento ostile di Colli verso il pessimismo si nota nella breve osservazione su Leopardi e Schopenhauer in AD, pp. 29-30. 45. DN, pp. 17-18. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di difendere. Che l’episodio della morte di Socrate abbia un’importanza cruciale tanto per Nietzsche quanto per Colli è dimostrato dal fatto che Colli si concentra proprio sulle ultime parole di Socrate, tanto qui quanto in Filosoi sovrumani. È inoltre chiaro anche che questo ritratto di Socrate è mediato dalla lettura de La gaia scienza, come testimonia la vicinanza dei passi citati. Inine, sembra che il motto che Colli era intenzionato a porre in esergo a Ellenismo e oltre fosse proprio la battuta inale dell’aforisma nietzschiano: «Ach! Meine46 Freunde, wir müssen auch die Griechen überwinden!». Diversamente da Nietzsche, però, Colli ritiene che, anche nel pronunciare «le sue parole più sacrileghe», Socrate rimanga «sereno, pio e greco»47. Per concludere, possiamo inine chiederci in che modo dunque la presenza di Socrate tra le righe del primo capitolo di Apollineo e dionisiaco contribuisca a una migliore comprensione dell’opera. Ho cercato di mostrare che Socrate, come i greci di Filosoi sovrumani, è animato da un impulso erotico di matrice politica così come da un’attrazione per il misticismo. Al pari di altre parole fondamentali del pensiero di Colli, anche “misticismo” va inteso in un’accezione diversa da quella ordinaria. Secondo Colli, il misticismo non si oppone alla ragione, ma indica l’essere iniziati (da se stessi o da altri) a una conoscenza riservata a pochi48. Tuttavia, mentre la ilologia è «essenzialmente misticismo»49, nell’interpretazione di Colli, Socrate era attratto dal misticismo proprio perché mancava del temperamento mistico dei suoi predecessori. Sulla base di queste considerazioni, si può sostenere che l’invito al lettore di Apollineo e dionisiaco sia quello di emulare Socrate, rinnovando l’esperienza del più celebre amante della ilosoia greca ma evitando di cadere nel suo pessimismo. In deinitiva, se si accetta il parallelismo che ho proposto in questo articolo, il ilologo colliano cerca di andare oltre Socrate con Socrate stesso. Possiamo, dunque, giustiicare il contrasto fra Socrate e Platone in quell’unico passo di Apollineo e dionisiaco in cui Colli faceva 46. Colli aggiunge l’aggettivo meine, probabilmente citando a memoria; cfr. AD, p. 224. 47. FS, p. 100. Ringrazio Rossella Attolini per avermi suggerito di sottolineare questa differenza. 48. Cfr. DN, p. 156. 49. AD, p. 32. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Apologia del ilologo

menzione di Socrate. Infatti, diversamente da quest’ultimo, secondo Colli Platone aveva una personalità profondamente mistica che lo portò a superare il maestro grazie ai suoi stessi insegnamenti50. Mentre uno sviluppo di queste considerazioni meriterebbe una trattazione ben più ampia di quanto non sia possibile offrire in questo articolo, sulla base della prospettiva interpretativa proposta, c’è un senso in cui Platone è il primo ilologo in quanto allievo di Socrate.

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50. Cfr. FS, pp. 103-118. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una filologia della vita

Un’intuizione di «immenso valore». Importanza e limiti dell’estetica nietzschiana Rossella Attolini

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Nietzsche e la Geburt avrebbe dovuto costituire, nelle intenzioni del giovane Colli, la seconda sezione della Einleitung di Ellenismo e oltre1. Colli vi affronta la teoria estetica esposta da Nietzsche ne La nascita della tragedia dallo spirito della musica (1872), individuandone i limiti e i punti di forza2. È noto che la Nascita della tragedia fu criticata duramente dai ilologi contemporanei di Nietzsche, primo fra tutti 1. Cfr. AD, p. 19. 2. Cfr. AD, pp. 55-73. I punti salienti di questa critica si trovano già nell’introduzione alla tesi di laurea di Colli, scritta nel 1939: cfr. FS, pp. 25-30. In queste pagine, così come in quelle di Apollineo e dionisiaco di cui tratteremo in questo testo, l’analisi di Colli è limitata solo a La nascita della tragedia e non si fa riferimento a La visione dionisiaca del mondo (1870), dove la coppia apollineo-dionisiaco viene per la prima volta introdotta da Nietzsche; cfr. SN, pp. 39-41. La ragione di questa limitazione può essere forse rintracciata in una dichiarazione della Introduzione a La ilosoia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 1873, in cui Colli (ormai già impegnato nella edizione delle opere di Nietzsche – siamo negli anni ’60) sottolinea come solo ne La nascita della tragedia «la natura più profonda del dionisiaco rimarrebbe concentrata in un’interiorità pura» (SN, p. 41). Si può perciò pensare che Colli in quegli scritti giovanili analizzi solo La nascita della tragedia perché già dal 1939 gli interessa creare un parallelismo tra una delle concezioni nietzschiane del dionisiaco (quella che lo identiica con la sfera dei sentimenti e dell’intuizione interiore dell’essenza del mondo) con la sua interpretazione del dionisiaco come «essenza» o «interiorità»: cfr. FS, p. 29 e AD, p. 31; sui vari signiicati del dionisiaco in Nietzsche, cfr. infra, nota 33. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Un’intuizione di «immenso valore»

Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, poiché era insolitamente sprovvista di note e collegava la nascita della tragedia al culto di Dioniso3. Da allora il valore dello scritto di Nietzsche è stato riconosciuto, e la sua tesi di fondo è stata ripresa e approfondita da diversi studiosi4. In più, la scoperta di tavolette micenee recanti la scritta «Dioniso» ha attestato l’ipotesi del ilosofo tedesco su una datazione antichissima del culto5. Le rilessioni di Colli che analizzeremo, databili al 19406, inserendosi in questo quadro di rivalutazione dello scritto di Nietzsche, non mirano a far luce sull’origine della tragedia (troppo misteriosa per poter essere chiarita), ma a tracciare una strada per ripensare e riesplorare, come vedremo, la sua «arte ilosoica»7. Alla base dell’elogio che Colli tributa a Nietzsche e a La nascita della tragedia troviamo una deinizione di ilologia non tradizionale e non basata sul pregiudizio della specializzazione delle materie: il senso della ilologia per Colli risiede, infatti, nel «decifrare il discorso della vita»8. Questa de3. Il ilologo tedesco sintetizza infatti una delle prime sezioni del secondo capitolo sulla tragedia attica della sua Einleitung in die griechische Tragödie, con la frase: «Entstehung aus dem dionysischen Cultus ist undenkbar [“è impensabile la nascita dal culto di Dioniso”]» (u. von WilamoWitz-moellendorF, Einleitung in die griechische Tragödie, Weidmann, Berlin 1907, p. IX; trad. mia). 4. Un esempio è dato dalla recente pubblicazione di m. de Poli, Il canto di Dioniso. Alle origini della tragedia greca, Agorà & Co., Lugano 2019; cfr. la Prefazione di a. tonelli, ivi, pp. ix-xxiii, in cui viene ripresa la tesi secondo cui la tragedia sarebbe sorta dalla divulgazione dei misteri dionisiaci di Eleusi da parte di Eschilo. Questa tesi, che troverebbe in Aristotele la sua testimonianza principale (cfr. ariStotele, Etica Nicomachea, 1111a8-10) non trova posto ne La nascita della tragedia, la cui descrizione del culto di Dioniso è ispirata piuttosto allo stato di esaltazione delle baccanti così come descritto da Euripide nell’omonima tragedia (cfr. euriPide, Baccanti, vv. 677-710). Tuttavia Nietzsche ipotizza una derivazione della tragedia dai misteri in una sua rilessione privata, cfr. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1869-1874, 1 [67], in NW, vol. III, tomo III. Sulla rivalutazione delle intuizioni di Nietzsche ilologo, in particolare sulla commedia aristofanea, cfr. l. CanFora, Cleofonte deve morire, Laterza, Bari 2017, pp. 27 sgg. e Id., Nietzsches Aristophanes, in «Nietzsche-Studien», xlvii (2018), n. 1, pp. 314-325. 5. Le tavolette sono state ritrovate, infatti, in un palazzo la cui costruzione risale al II millennio a.C.: cfr. C. Malacrino - F. Giacobello (a cura di), Dioniso. L’ebbrezza di essere un dio, Edizioni Scientiiche del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, Reggio Calabria 2017, pp. 18-19. 6. Cfr. AD, p. 19. 7. AD, p. 57. 8. AD, p. 31. Non è un caso che, come vedremo, Colli scelga in questo capitolo di fare riferimento allo scritto giovanile di Nietzsche rimasto incompiuto La ilosoia nell’epoca tragica dei greci, in cui egli dichiarava l’importanza e la superiorità delle vite dei presocratici sulle loro dottrine (cfr. F.W. nietzSChe, Die Philosophie im tragischen Zeitalter der

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inizione implica due considerazioni: da una parte l’«amore per il logos», signiicato letterale di «ilologia», si traduce in «amore per l’enigma»9, e sottintende quindi un’accezione di logos come qualcosa di nascosto, che non si lascia subito intendere; dall’altra il genitivo soggettivo in «discorso della vita» indica che quest’ultima è intesa essenzialmente come qualcosa che “parla”, che si esprime attraverso segni verbali (la parola rimane l’oggetto dell’attività ilologica e la caratterizza come tale)10. L’assunto di fondo all’attività ilologica colliana è quindi che la vita possa comunicare la sua essenza oscura e che quest’ultima possa essere colta da chi si “occupa” di essa11. Nietzsche per Colli è il “ilologo” per

Griechen, in NW, vol. III, tomo II). La domanda sul senso dell’esistenza e sul modo di agire che ne dovrebbe derivare è anche per Colli centrale e racchiude la formula della sua “ilologia”: cfr. AD, p. 27. 9. Sui signiicati della parola logos, cfr. AO, p. 1047. Sulla connessione tra enigma e vita, come mostrato dal mito di Edipo, cfr. r. attolini, L’enigma è la vita, in QC1, pp. 55-73. Sulla natura enigmatica e misteriosa della vita, cfr. AD, p. 29, ove si parla del «problema della natura della vita», e p. 32, ove si parla delle «manifestazioni che non lasciano scorgere l’essenza». 10. Declinando l’opposizione verità-apparenza in termini di «realtà» e «parole» – i ilologi, scrive infatti Colli, «vogliono scoprire la realtà attraverso le parole» (AD, p. 31) – Colli può essere inserito a pieno titolo tra coloro che hanno utilizzato la metafora del «libro del mondo»; cfr. quanto scrive Remo Bodei nella Prefazione a h. BlumenBerG, La leggibilità del mondo, a cura di R. Bodei, Bologna, Il Mulino 2009, pp. x-xi: «L’idea di leggibilità del mondo implica il manifestarsi della realtà in forma intellegibile, al di là delle apparenze dei sensi e al di qua di una spiegazione completa ed esaustiva. Poiché il testo è sempre un sostituto – uno “stare per” che rinvia a qualcosa di diverso da sé stesso, ad un signiicato recondito – esso dice e non dice, rivela e nasconde». Colli non dipinge in senso positivo o negativo il “discorso” né la “realtà” cui esso allude e che viene indicata come «ciò che è più intimo e segreto» (AD, p. 31). Il privilegio dato alla parola scritta in queste pagine giovanili di Colli è un importante indizio di come la sua visione ilosoica non sia del tutto critica rispetto alla scrittura (come invece apparirà in seguito dalla sua interpretazione della ilosoia come forma scritta nata con Platone, decadente rispetto alla fase orale e sapienziale, cfr. NF, pp. 109 sgg.). Si comprende meglio in quest’ottica anche in che senso Colli attribuisca l’essere ilologo a Nietzsche: è vero che ne La nascita della tragedia Nietzsche si riferisce all’espressione teatrale in tutti i suoi aspetti (come la danza, la musica, il dialogo) ma è anche vero che egli può aver avuto a disposizione solo il testo scritto delle tragedie (peraltro solo di quelle che ci sono pervenute). Quindi se Nietzsche ha deciso di trattare la tragedia come forma suprema dell’arte è perché evidentemente l’ha considerata come “il discorso (migliore) da decifrare”. Sul privilegiare la parola (prima di tutto quella orale) come oggetto della sua ilosoia, cfr. RE, [194]. Nella sua matura ilosoia dell’espressione, Colli sottolineerà come la parola, cioè ciò che «spreme» la realtà, lasci sempre un resto inesprimibile dietro di sé; cfr. RE, [324]. 11. Se la conoscenza passa attraverso il segno enigmatico è lecito chiedersi se tale decifrazione è possesso di tutti o meno. Il verbo stesso «decifrare» implica il possesso di tecniche che rendono possibile tale decifrazione e allude a un carattere elitario della ilologia. Cfr. r. Bodei, Prefazione a h. BlumenBerG, La leggibilità del mondo cit., p. xi. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Un’intuizione di «immenso valore»

eccellenza – insieme a Schopenhauer e a Leopardi12 – che si è occupato della vita, innalzandola a oggetto e scopo primario della ilosoia. Se questo è il senso di essere ilologi, che non si distingue dall’essere ilosoi13, allora l’intuizione introdotta ne La nascita della tragedia della contrapposizione apollineo-dionisiaco rappresenta agli occhi di Colli una coppia di categorie «di valore immenso»14 per decifrare la vita e il suo mistero. Inoltre è proprio il simbolismo di cui è carica tale contrapposizione a fornire la chiave di volta per comprendere il pensiero di Colli (che si struttura attraverso il confronto con quello di Nietzsche). Per Colli la coppia apollineo-dionisiaco è geniale non perché ideata ex novo dal ilosofo tedesco, ma perché ad essa quest’ultimo si è ispirato per offrire una chiave di lettura della mentalità greca15. Mentre però Nietzsche si sarebbe arrestato all’analisi della tragedia, l’oggetto di ricerca di Colli, messo in chiaro sin dall’Introduzione alla tesi di laurea del 1939, è quello di comprendere le origini dell’«intera evoluzione spirituale greca»16, di cui la ilosoia costituisce una parte17. Strumentale a questo scopo è l’individuazione degli errori che caratterizzano la teoria estetica di Nietzsche, che di seguito sintetizziamo: 1) il mancato approfondimento metaisico del simbolismo di Apollo e Dioniso; 2) l’ignoranza del “dionisiaco individuale”; 3) l’assenza e il superamento del dolore nello stato dionisiaco individuale.

12. Cfr. AD, pp. 29-30. 13. Perché i veri ilosoi, nel segno dell’insegnamento di Nietzsche, non hanno altro tema della propria vita, cfr. F.W. nietzSChe, Die fröhliche Wissenschaft, af. 345, in NW, vol. V, tomo II: «Fa la più grande differenza che un pensatore stia coi suoi problemi in un rapporto personale, in modo da trovare in essi il suo destino, la sua pena e anche la sua migliore felicità, o che stia invece in un rapporto “impersonale”, cioè sappia toccarli e afferrarli con i tentacoli di un pensiero freddo e curioso» [trad. it. La gaia scienza, in NO, vol. V, tomo II, p. 208]. 14. AD, p. 58. 15. Sull’uso della coppia apollineo-dionisiaco già da parte di altri ilosoi, cfr. G. uGolini, Guida alla lettura de La nascita della tragedia di Nietzsche, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 47-50. 16. FS, p. 26. 17. Sulle origini imperscrutabili della ilosoia greca, cfr. NF, p. 13. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Una fonte importante della critica di Colli a Nietzsche, come vedremo, è rappresentata dalle rilessioni di Piero Martinetti, attraverso cui passa la restaurazione del pensiero di Schopenhauer, alcune tesi del quale sarebbero secondo Colli tradite da Nietzsche nel loro signiicato più proprio. 1. Apollo parla la lingua di Dioniso I Greci, che esprimono e al tempo stesso nascondono la dottrina segreta della loro visione del mondo nei loro déi, hanno stabilito come duplice fonte della loro arte due divinità, Apollo e Dioniso18.

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Con questa frase di stampo eracliteo19 che costituisce l’incipit de La visione dionisiaca del mondo, Nietzsche non introduce solamente uno dei suoi due scritti speciicamente rivolti all’arte greca, ma sottintende soprattutto un problema che lo impegna molto in questi anni, ovvero quello della comunicabilità della verità20. Ne La visione dionisiaca del mondo, Nietzsche comincia infatti una rilessione sulla parola, il gesto e il suono, quali forme di espressione della volontà, essenza metaisica del mondo e sfera unica del sentimento21. La parola e il gesto, ma anche il ritmo e la dinamica, che sono particolari forme del suono, sono forme di espressione che lasciano secondo Nietzsche un «resto irriducibile»22. Solo l’armonia esprimerebbe «l’essenza pura della volontà»23. 18. F.W. nietzSChe, Die dionysische Weltanschauung, par. 1, in NW, vol. III, tomo II [trad. it. La visione dionisiaca del mondo, in NO, vol. III, tomo II, p. 49]. 19. Cfr. SG 14 [A 1]: «Il signore, cui appartiene quell’oracolo che sta a Deli, non dice né nasconde, ma accenna». 20. La domanda sulla possibilità di conoscere la verità, ovvero trovare una «corrispondenza tra le descrizioni e le cose» domina invece il saggio Su verità e menzogna in senso extra-morale: Nietzsche la risolve pessimisticamente dichiarando l’impossibilità dell’uomo di conoscere l’essenza delle cose. Cfr. F.W. nietzSChe, Über Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne, in NW, vol. III, tomo II [trad. it. Su verità e menzogna in senso extramorale, in NO, vol. III, tomo II, pp. 356-360]. Da notare come in questo scritto la verità per Nietzsche è una metafora, cioè una parola che allude a una esperienza concreta sbiadita: cfr. ivi [trad. it. cit., p. 361]. La convinzione dell’impossibilità di conoscere la verità si fa più acuta negli scritti successivi, come per esempio ne La gaia scienza, in cui Nietzsche dichiara la condanna dell’uomo teoretico a rimanere metaforicamente «sulla crosta della terra»: cfr. F.W. nietzSChe, Die fröhliche Wissenschaft, par. 109, in NW, vol. V, tomo II [trad. it. cit., p. 117]. 21. F.W. nietzSChe, Die dionysische Weltanschauung, par. 4, in NW, vol. III, tomo II [trad. it. cit. p. 70]. 22. Ibid. 23. Ivi, par. 4 [trad. it. cit., p. 73]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Un’intuizione di «immenso valore»

La predilezione della musica in quanto linguaggio insostituibile da qualsiasi forma di concettualizzazione, torna ne La nascita della tragedia: la musica non ha bisogno dell’immagine e del concetto, ma solo li tollera accanto a sé. […] Il simbolismo cosmico della musica non può essere in nessun modo esaurientemente realizzato dal linguaggio, perché si riferisce simbolicamente alla contraddizione e al dolore originari nel cuore dell’uno primordiale, e pertanto simboleggia una sfera che è al di sopra di ogni apparenza e anteriore a ogni apparenza. Rispetto a tale sfera ogni apparenza è piuttosto soltanto un simbolo: quindi il linguaggio, come organo e simbolo delle apparenze, non potrà mai e in nessun luogo tradurre all’esterno la più profonda interiorità della musica […]24.

Tuttavia ne La nascita della tragedia Nietzsche incentra la sua teoria estetica sulla forza del simbolismo dell’apollineo e sulla capacità di quest’ultimo di simboleggiare, seppur in modo indiretto, il dionisiaco, portandolo sulla scena: nella tragedia greca «Apollo parla la lingua di Dioniso»25. Nel paragrafo nono dell’opera infatti Nietzsche, riferendosi al dramma di Edipo, spiega come le parole chiare e determinate dei dialoghi escogitati da Sofocle siano al tempo stesso rilessi di luce che lasciano intravedere il dolore metaisico, messaggio essenziale racchiuso nel mito di Edipo, e «macchie luminose per sanare l’occhio offeso dall’orrenda notte»26. Le parole, con la loro chiarezza e determinatezza, così come i personaggi sulla scena con i loro colori e movimenti, sono «le apparenze apollinee in cui Dioniso si oggettiva»27: traducono cioè e issano, in un mondo di sogno e tuttavia potentemente persuasivo, i dolori di Dioniso. Così come Admeto, vedendo arrivare una donna velata, crederà di riconoscervi la sua amata Alcesti, lo spettatore davanti al personaggio mascherato di una tragedia crederà di vedere Dioniso e non un semplice uomo mascherato28. Nonostante la presenza di passi come questo in cui Nietzsche insiste 24. F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, par. 6, in NW, vol. III, tomo I [trad. it. La nascita della tragedia, in NO, vol. III, tomo I, pp. 49-50]. 25. Ivi, par. 21 [trad. it. cit., p. 145]. 26. Ivi, par. 9 [trad. it. cit., p. 64]. 27. Ivi, par. 8 [trad. it. cit. p. 63]. 28. Cfr. Ibid. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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sul forte potere simbolico dell’apollineo, egli non afferma mai una coappartenenza dell’apollineo e del dionisiaco che prescinda dalle condizioni concrete della performance teatrale: il valore di simbolo dell’apollineo e il suo essere veicolo della conoscenza del dionisiaco non descrivono un rapporto necessario, perché limitato a un arco temporale, all’ambito artistico e a una precisa forma di espressione artistica, appunto quella teatrale: non vi è alcun collegamento intimo tra Schein29 e verità, il primo è concepito come puro segno, direi quasi arbitrario, a rappresentare il secondo, senza che si avverta alcuna necessità in questa sua funzione simbolica30.

Il mancato riconoscimento della natura necessaria del rapporto tra apollineo e dionisiaco costituisce per Colli uno degli errori più rilevanti della teoria estetica nietzschiana31. La sua critica si esprime attraverso la ridenominazione delle due categorie. Già nell’introduzione alla sua tesi di laurea Colli introduce la propria antitesi tra «espressione politica»32 (artistica, religiosa o ilosoica) e «interiorità»33. 36 29. Il signiicato che Nietzsche attribuisce a Schein ne La nascita della tragedia è riferibile al mondo apollineo del sogno e delle ombre del sogno. È il mondo della “bella parvenza”. Mi sembra che qui al termine Schein sia associato un terzo signiicato, oltre a quelli individuati da Nietzsche in un appunto del 1872. Qui egli speciica la differenza tra Schein nel senso dei buddisti come Nichtsein (apparenza come illusione ingannevole, come nulla) e Schein nel senso di Erscheinung kantiana (in cui ci sarebbe – secondo la mediazione di Schopenhauer – un rapporto di oggettivazione tra fenomeno e cosa in sé), lamentando il fatto che i due termini e i relativi signiicati siano confusi (cfr. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1869-1874, 19 [148], in NW, vol. III, tomo III). Ne La nascita della tragedia sembra d’altro canto proilarsi un rapporto di “espressione” tra apollineo e dionisiaco, seppur limitato alla sfera estetica, per cui Schein identiicherebbe il dramma tragico, in cui “appare” e “si rende visibile in scena” Dioniso. 30. AD, p. 60. 31. Cfr. AD, p. 76. 32. Cfr. FS, pp. 23-26. 33. FS, p. 29. Nell’introduzione alla tesi di laurea, come già accennato, si trovano diversi parallelismi con queste pagine di Apollineo e dionisiaco. L’interpretazione del dionisiaco in termini di interiorità è accentuata in Colli rispetto a Nietzsche: seguendo lo schema manifestazione-essenza, Dioniso coincide per Colli con la seconda. Poiché il soggetto a cui in queste pagine fa riferimento Colli è il soggetto umano – come Nietzsche si riferiva al coro della tragedia e quindi alla creazione umana – Dioniso coincide per Colli con l’interiorità umana (non ancora manifesta). In Nietzsche si attestano comunque diversi signiicati di dionisiaco. Dionisiaco infatti è: i) l’intuizione metaisica del dolore del mondo; ii) lo stato metaisico che risulta dalla rottura del principio di individuazione; iii) lo stato psico-isiologico di coesistenza di gioia e di dolore (quale si esperisce nell’ebbrezza collettiva orgiastica); iv) la speciica azione artistica imitativa della musica. In Nietzsche, www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Un’intuizione di «immenso valore»

Nella prima sezione della Einleitung intitolata Il ilologo Colli reintroduce questa coppia per presentare la sua deinizione di ilologia: Ciò che è più intimo e segreto costituisce la più vera realtà, ed a questa si può giungere solo nell’immediata attività interiore, il che avviene però mediante lo sforzo conoscitivo, con il vedere attraverso ogni modo di vivere una manifestazione e un’espressione dell’essenza34.

La coppia espressione-interiorità ha il vantaggio evidentemente per Colli di restar più fedele alla matrice ilosoica schopenhaueriana rispetto a Nietzsche, non solo perché esplicita il quadro metaisico sottostante, ma soprattutto

cioè, e questo è soprattutto visibile nell’ultimo signiicato di questa lista, il dionisiaco è attributo anche dell’espressione. Sull’oscillazione dei signiicati di dionisiaco e apollineo nelle conferenze degli anni 1870-1873, in cui sono rispettivamente attributo dei cortei religiosi e della natura e attributo della scienza e della dialettica socratica, cfr. SN, p. 39 sgg. (Colli sottolinea in queste pagine l’insofferenza di Nietzsche nei confronti del lessico specialistico ilologico della sua epoca e la ricerca di uno stile personale). Anche il giovane Colli individua diversi “stadi” di dionisiaco: cfr. AD, pp. 96 sgg. In ogni caso per Colli ed evidentemente anche per Nietzsche, apollineo e dionisiaco sono da assumere come «metafore assolute», nel senso dato a questa espressione da Hans Blumenberg (cfr. F.J. Wetz, Hans Blumenberg zur Einführung, Junius, Hamburg 2004, p. 19). Il signiicato di queste metafore non può essere esaurito da una spiegazione concettuale logica e conchiusa. 34. AD, p. 31. Cfr. AD, p. 57: «Il Nietzsche della Geburt è ilologo, nel senso che si è visto prima. Egli scopre la grecità come il campo vero della grandezza». Accostando «ilologia» e «grandezza», Colli evoca la seconda Considerazione inattuale di Nietzsche, nella misura in cui identiica il ilosofo tedesco proprio con quello studioso della storia monumentale che egli nel suo scritto tanto celebrava: l’oggetto di quel tipo di storia era appunto per Nietzsche la grandezza, intesa come ciò che resta levando «scoria, lordume, vanità e bestialità» dal passato (F.W. nietzSChe, Unzeitgemässe Betrachtungen, II. Vom Nutzen und Nachtheil der Historie für das Leben, par. 2, in NW, vol. III, tomo I [trad. it. Considerazioni inattuali, II. Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in NO, vol. III, tomo I, p. 275]). Dai grandi uomini del passato bisogna, secondo Nietzsche, ricavare «il monogramma della loro più propria essenza» (ibid.), il succo distillato delle loro vite che sopravvive nonostante il mutamento delle apparenze e l’avvicendarsi degli eventi storici. Si vede dunque come, similmente a La nascita della tragedia, la seconda Considerazione inattuale, pubblicata due anni dopo, nel 1874, adombri uno schema dualistico metaisico di apparenza-essenza. Questo stesso schema è posto subito all’inizio de La nascita della tragedia, in cui Nietzsche dichiara che la natura ilosoica di un uomo si evince da una particolare esperienza, quella in cui cioè si riconosce nella vita uno scollamento da una realtà più vera, e aggiunge: «questa è la mia esperienza» (F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, par. 1, in NW, vol. III, tomo I [trad. it. cit., p. 22]). Su una esperienza personale si fonda cioè il contrasto che sostanzia tutta la tesi estetica di Nietzsche e che viene declinato ne La nascita della tragedia come il contrasto tra intuizione dionisiaca della verità e il simbolismo apollineo dell’espressione teatrale. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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perché mette in luce il rapporto di interdipendenza necessaria tra i due dèi35: Il mondo della volontà e quello della rappresentazione erano in antitesi per Schopenhauer in un modo ben diverso, uniti strettamente insieme a formare la realtà complessiva delle cose, e vi era anzi un rapporto tra di loro, essendo il secondo l’oggettivazione del primo36.

Se si segue Schopenhauer e si fanno corrispondere alla rappresentazione l’apollineo e alla volontà il dionisiaco, il rapporto risulta necessario: il loro essere uno il simbolo dell’altro caratterizza metaisicamente la natura del mondo. In altre parole, Dioniso “è” Apollo e Apollo “è” Dioniso, in quanto Apollo è l’oggettivazione di Dioniso, il mondo della rappresentazione è l’oggettivazione della volontà. Trattare Apollo e Dioniso come uniti solo nella tragedia equivarrebbe quindi a tradire il pensiero di Schopenhauer e la sua impostazione metaisica, secondo la quale tutto il mondo in tutte le sue molteplici manifestazioni è espressione dell’unica e sola volontà37. 38

2. Dioniso dai boccoli biondi Se Apollo non è una necessaria oggettivazione di Dioniso, la sua manifestazione non conserverà necessariamente le caratteristiche di Dioniso. La funzione essenziale di Apollo infatti per Nietzsche non è tanto esprimere Dioniso quanto salvare da Dioniso. Il mancato riconoscimento di un legame necessario tra dionisiaco e apollineo ha come conseguenza, secondo Colli, «la convinzione che la verità e la bellezza siano le massime antitesi possibili»38. Per Nietzsche l’esperienza dionisiaca coincide con la presa di coscienza del non valore della vita39: signiica uno 35. Sin dall’inizio della sua speculazione non si tratta per Colli di individuare un contrasto tra Apollo e Dioniso, ma una loro unità di fondo. Ne La nascita della tragedia invece, come già sottolineato, viene messa in luce da Nietzsche la loro sinergia e la loro paciica coesistenza solo limitatamente al fenomeno artistico della tragedia. 36. AD, p. 59. 37. Cfr. DN, p. 196. 38. AD, p. 59. 39. Nel caratterizzare negativamente la vita Nietzsche non tradisce il punto di vista di fondo di Schopenhauer, per cui essa «non dovrebbe essere»: cfr. G. Simmel, Schopenhauer und Nietzsche. Ein Vortragszyklus, Duncker & Humbolt, Lepizig 1907, p. 5 [trad. mia]. Sul carattere morale della ilosoia di Schopenhauer, cfr. P. martinetti, Scritti di metaisica e www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Un’intuizione di «immenso valore»

stato in cui si guarda il volto meduseo della verità40. L’arte cerca una sublimazione di tale esperienza: «la creazione più bella, rappresentata per lui tipicamente da Omero, è (quindi) la meno vera»41. Alla scala dei gradi della bellezza non corrispondono quindi in misura crescente i gradi della verità, ma il rapporto è inversamente proporzionale42: per Nietzsche, scrive Colli, «l’arte basata sulla conoscenza è pur sempre quella che ha maggior valore, ma tanto più è perfetta quanto più si allontana dalla verità dopo di averla raggiunta»43. Questa visione, com’è noto, permette a Nietzsche di fondare l’arte su una dimensione ilosoica e insieme di giustiicare la necessità dell’arte per la vita. Lo spettatore nella performance tragica – si pensi, come fa lo stesso Nietzsche, alla vicenda emblematica di Edipo44 – troverebbe l’occasione, da una parte, di intuire l’essenza dolorosa dell’esistenza; dall’altra, coglierebbe la verità circa l’appartenenza del destino limitato e colpevole dell’uomo alla dimensione innocente e superiore rappreilosoia della religione, a cura di E. Agazzi, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea 1976, tomo II, pp. 298-299. 40. Cfr. F.W. nietzSChe, Die dionysische Weltanschauung, par. 2, in NW, vol. III, tomo II. 41. AD, p. 59. Una possibile fonte della teoria estetica di Nietzsche può essere riscontrata nelle Rane di Aristofane, e precisamente nell’interpretazione aristofanea delle poetiche di Eschilo e di Euripide (cfr. ariStoFane, Rane, vv. 1006-1056). Dioniso, dopo essere sceso negli inferi e aver vissuto diverse peripezie, viene incaricato da Ade di fare il giudice dell’animato confronto tra Eschilo e Euripide. I due tragediograi si scontrano sui temi delle loro tragedie e sul criterio di scelta che hanno usato per metterle in scena: se Euripide è iero di aver mostrato le passioni come avvengono nella realtà, Eschilo di contro afferma la necessità di «nascondere il dolore [ἀποκρύπτειν τò πονηρòν]» (ivi, v. 1053 [trad. mia]), presentando nelle sue tragedie solo temi che possono contribuire all’educazione e all’ediicazione morale del popolo. Questo passo potrebbe essere stato di ispirazione per Nietzsche riguardo alla necessità dell’occultamento della verità (la volontà di Schopenhauer) al ine di rendere tollerabile l’esistenza. L’interesse di Nietzsche per Aristofane è testimoniato dai frammenti preparatori alle lezioni negli anni 18691872 e 1874-1876: frammenti sulle Rane si rintracciano, in particolare, nel materiale del 1871, preparatorio a La Nascita della tragedia; cfr. l. CanFora, Nietzsches Aristophanes cit., pp. 314-315. 42. Il calibrato allontanamento dal ricordo del passato, da cui deriva la coscienza che la vita è essenzialmente sofferenza e «qualcosa di imperfetto che non può mai essere compiuto», è ugualmente il presupposto della felicità e della riuscita dell’azione in F.W. nietzSChe, Unzeitgemässe Betrachtungen, II. Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben, par. 1, in NW, vol. III, tomo I [trad. it. Considerazioni inattuali, II. Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in NO, vol. III, tomo I, pp. 263 sgg.]. 43. AD, p. 60. 44. F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, par. 9, in NW, vol. III, tomo I [trad. it. cit., pp. 65-66].

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sentata dalla natura eternamente creatrice e distruttrice: l’esperienza tragica è infatti, per Nietzsche, sia dolorosa che gioiosa45. La presenza del dolore nello stato dionisiaco costituisce un altro bersaglio della critica di Colli46. Anche in questo caso, infatti, si rileverebbe un tradimento da parte di Nietzsche del pensiero di Schopenhauer. Per quest’ultimo, l’oggetto della contemplazione estetica non può non essere “bello”, in quanto secondo la sua teoria metaisica è bello ciò che è conosciuto al di là della trama spazio-temporale della rappresentazione47. L’esperienza artistica di cui parla Nietzsche «non rappresentava né l’assoluta verità né l’assoluta bellezza»48, perché secondo lui, come abbiamo visto, il tragediografo cercherebbe di trasmettere l’orrenda verità ma nello stesso tempo di distogliere lo sguardo da essa. Ma l’errore di Nietzsche non sarebbe solo questo. Per riprendere alcune considerazioni di Piero Martinetti, nell’esperienza estetica descritta da Schopenhauer il soggetto è diviso dalla volontà particolare che esso stesso era nel tessuto spazio-temporale della rappresentazione, ma non è diviso, a ben vedere, dalla volontà generale. Il dolore non entrerebbe così in gioco nella contemplazione estetica, dal momento che esso è presente solo nelle forme spazio-temporali delle attività umane, dominate dall’egoismo e dall’interesse personale. Nello stato estetico il soggetto disindividualizzato, riappaciicandosi con la volontà generale, esperirebbe uno stato di armonia universale:

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Secondo Schopenhauer nella contemplazione estetica ha luogo una separazione momentanea del conoscere e del volere: la Volontà tace e si leva al suo posto il soggetto conoscente, lo spettatore di tutti i fenomeni, «occhio eternamente aperto sull’universo». Questo puro occhio dell’universo è il soggetto corrispondente alle Idee; ed esso si leva nell’anima solo quando è soppressa l’individualità. Alla conoscenza contemplatrice del bello sembra dunque si debba far corrispondere non l’assenza della

45. 46. 47. 48.

Ivi, par. 2 [trad. it. cit., p. 29]. Cfr. AD, pp. 65 sgg. Cfr. a. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, vol. I, libro III, par. 41. AD, p. 60.

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volontà in genere, ma l’assenza della volontà particolarizzata. […] Le creazioni sue appariscono come qualche cosa di elementare, di inconscio, di indipendente dalla volontà individuale. Ma non perciò è necessario parlare di una separazione dell’intelletto e della volontà. Come nella vita morale all’intuizione morale corrisponde un mutamento essenziale della volontà, così nella contemplazione estetica la visione delle unità ideali superiori opera una dissociazione del conoscere dalla volontà chiusa nei conini dell’individualità empirica ed eleva la volontà verso una forma universalizzata che in questa più alta forma di vita trova l’unità e la pace49.

Un’intuizione di «immenso valore»

A questa concezione di arte metaisica, che presuppone un concetto positivo di verità, si ispira verosimilmente la nuova proposta di Colli espressa in Nietzsche e la Geburt. La convinzione che l’arte e la verità siano le massime antitesi possibili è l’origine di quello che Colli chiama «il torto più grande della Geburt»50: il non aver ravvisato una dimensione individuale del dionisiaco. Da una parte, per Colli, Nietzsche non farebbe altro che proiettare il suo dionisiaco individuale su quello collettivo delle baccanti51; dall’altra, non riletterebbe affatto sul possibile ruolo del dionisiaco individuale nella nascita della ilosoia52. Eppure Nietzsche, per sua stessa ammissione, parte, nel costruire la sua teoria estetica, da una esperienza personale del dionisiaco53. L’origine del suo errore starebbe, secondo Colli, in una mancata revisione della interpretazione tradizionale del pensiero dei ilosoi preplatonici e dello stesso Platone: L’impedimento stava nella teoria estetica, che egli aveva portato ad uno stadio che era deinitivo ed al tempo stesso morto, col porre la tragedia al vertice supremo dell’arte e la svalutazione conseguente di qualsiasi fenomeno spirituale, che pure avrebbe potuto partecipare del dionisiaco, e si trovava a priori dominato nel rispetto artistico54.

49. 50. 51. 52. 53. 54.

P. martinetti, Schopenhauer, Garzanti, Milano 1941, p. 51. AD, p. 63. AD, p. 67. AD, pp. 70-73; cfr. FS, pp. 28-29. Cfr. nota 34. AD, p. 72.

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Nella visione di Colli, non solo il vero stato dionisiaco è vissuto individualmente nella solitudine, ma è un’esperienza di bellezza e beatitudine in cui il dolore e l’orrore non hanno parte55. Il dolore è superato nello stato dionisiaco, non affermato56. La solitudine essenziale dell’uomo dionisiaco è assente notoriamente ne La nascita della tragedia, in cui tuttavia solo per un istante Nietzsche introduce, per descrivere l’artista tragico, l’immagine di un misterioso uomo solitario che «nell’ebbrezza dionisiaca e nell’alienazione mistica di sé, si lascia andare solitario e in disparte dalle schiere deliranti»57. Forse quest’immagine può aver ispirato la visione di Colli, che riporta al centro del discorso la personalità dell’uomo dionisiaco, che sia poeta o ilosofo. Questa personalità scompare dietro la descrizione generale nietzschiana della tragedia e dietro la teoria del dionisiaco e dell’apollineo. Scompare soprattutto perché il dionisiaco è considerato da Nietzsche perlopiù uno stato di ebbrezza collettiva. Per Colli invece non si può fare un discorso generale sulla tragedia o su altre forme di espressione, artistica o ilosoica, senza con ciò evidenziare le personalità che vi sono dietro e da cui scaturiscono: dionisiaco è, prima che la creazione, l’uomo. E anche in questo caso si sottintende un carattere di necessità della creazione, perché insopprimibile è l’esigenza per l’uomo dionisiaco di creare58: «È un essenziale errore ilosoico della Geburt […] di non aver fatto distinzione tra chi sente semplicemente e chi invece è trascinato alla creazione dal suo sentimento»59. Quest’ultimo viene ritrovato da Colli in quegli eroi del logos che Nietzsche aveva ignorato, privilegiando i tragediograi Eschilo e Sofocle60. A rappresentare superbamente 55. Da ciò trae motivo il titolo di questo paragrafo, perché la rappresentazione di Dioniso per Colli non ha i tratti del volto pietriicante di Medusa, ma è più vicina al fanciullo dai capelli biondi e profumati descritto da Euripide: cfr. euriPide, Baccanti, vv. 233-238 [trad. it. in Tutte le tragedie, a cura di F.M. Pontani, Newton & Compton, Roma 2004, p. 294]. 56. Cfr. AD, p. 65. 57. F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, in Werke cit., vol. III, tomo I, par. 2 [trad. it. cit., p. 27]. 58. Cfr. FS, pp. 31-32. 59. AD, p. 67. 60. Nietzsche, a ben vedere, avrebbe considerato già il logos tragico, rappresentato dai dialoghi dei tragediograi, come un elemento socratico/apollineo, quindi ostacolante rispetto alla possibilità di un immediato riconoscimento della verità: cfr. G. uGolini, www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Un’intuizione di «immenso valore»

l’arte metaisica sono allora Parmenide, Empedocle, Talete e Platone, con la loro poesia ilosoica (nonché Beethoven con la sua musica ilosoica)61. Colli intende l’apollineo e il dionisiaco sullo stesso livello dell’essere di Parmenide, lo Sphairos di Empedocle, l’acqua di Talete e l’idea di Platone, come cioè archai simboliche62. A differenza che nella tragedia, però, ove viene raggiunto solo un equilibrio tra bellezza e verità, nelle parole poetiche dei sapienti si ritroverebbe una piena verità di bellezza63. Colli attacca quindi sia il criterio di «verosimiglianza»64 che Nietzsche aveva posto alla base delle intenzioni programmatiche del tragediografo, sia il pessimismo schopenhaueriano che, secondo il ilosofo tedesco, apparteneva già anacronisticamente ai greci. Per Colli, al contrario, le parole dei sapienti sono simboli non nel senso di maschere consolatorie, ma di segni che traghettano verso una dimensione di libertà e pace, una dimensione cioè che si aprirebbe irrimediabilmente come risultato della decifrazione del discorso della vita. Il dolore non costituisce in questa visione una meta inale posteriore alla rottura del principium individuationis, ma al contrario è un aspetto essenziale della dimensione umana dominata da quel principio, che irretisce l’uomo, e da cui egli anela a liberarsi. Se il dionisiaco è oltre quella rete, il dionisiaco è oltre il dolore. Conclusione In Nietzsche e la Geburt Colli introduce un elemento fondamentale nella teoria dell’apollineo e del dionisiaco, destina-

Guida alla lettura della Nascita della tragedia di Nietzsche cit., p. 91, in cui si fa riferimento al dialogo dell’Edipo re come ostacolo alla comunicazione del messaggio dionisiaco insito nel mito di Edipo. Per Colli la mancata analisi diretta e la sottovalutazione del logos dei ilosoi preplatonici sono tra i motivi che impediscono la comprensione della grecità e causano il mancato riconoscimento del dionisiaco individuale: cfr. AD, p. 71. 61. AD, pp. 61, 68. 62. AD, p. 61. Cfr. AD, p. 76, in cui Colli deinisce apollineo e dionisiaco i «principi delle cose». Sul signiicato simbolico di arche in Colli e la differenza con il signiicato materialistico attribuito da Aristotele, cfr. PHK, pp. 95-135. 63. Cfr. AD, p. 61; FS, p. 30, in cui l’arche viene deinito «principio buono che dà la felicità». 64. Cfr. F.W. nietzSChe, Die dionysische Weltanschauung, par. 3, in NW, vol. III, tomo II: «[L’attore] rimane sospeso a uguale distanza dalle due. Egli non tende alla bella parvenza, bensì all’illusione, non tende alla verità, bensì alla verosimiglianza. (Simbolo, segno della verità)» [trad. it. cit., p. 65]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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to a dominare la sua visione ilosoica più matura: si tratta della reciproca interdipendenza e coappartenenza che vede l’uno essere l’oggettivazione dell’altro e l’uno non essere sostanzialmente diverso dall’altro. Questa interpretazione getta nuova luce sia sul tema del rapporto tra verità e bellezza sia sul tema della nascita della ilosoia. Colli infatti problematizza l’assunto nietzschiano che l’esperienza della verità sia esperienza di dolore e che il valore del popolo greco si misuri sulla sopportazione e la trasigurazione di tale esperienza. Come abbiamo visto, la sua non è tanto una critica alla matrice schopenhaueriana di tale visione, quanto alla lettura nietzschiana della ilosoia di Schopenhauer, che inquinerebbe per Colli l’interpretazione della spiritualità greca. La rilessione di Colli si innesta sulla correzione di tale lettura e del divario tra verità e bellezza che ne deriverebbe, attraverso l’introduzione del carattere individuale del dionisiaco. In questa fase giovanile, ancora dominata dall’inlusso di Schopenhauer, Colli propende per una “eliminazione” del dolore, superato appunto nello stato dionisiaco individuale65. Prende così avvio una più matura ricerca sull’origine del pensiero, dal momento che Colli coglie una correlazione tra il dionisiaco e la ilosoia, intesa essenzialmente come dialettica, e ascrive a quest’ultima nella sua fase sapienziale preplatonica e platonica la palma della suprema creazione artistica, anziché alla tragedia.

65. Cfr. AD, pp. 62-63 e p. 113. In ogni caso, nella sua ilosoia più matura, il dolore e la necessità dovranno comunque costituire, insieme al caso e alla gioia, l’“immediatezza” (quello che un tempo chiamava l’aspetto noumenico del mondo). www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una filologia della vita

La storia sotto il proilo espressivo. Apollo e Dioniso come categorie storico-politiche Edoardo Toffoletto La storia diventa una visione liberante attraverso la dimostrata vanità dell’accadere e di ogni azione mondana, mentre la capacità di concepire la vita umana in genere spegne ogni drammaticità di impegni precisi1. euGenio Garin Prämissen des Maschinen-Zeitalters – Die Presse, die Maschine, die Eisenbahn, der Telegraph sind Prämissen, deren tausendjährige Conclusion noch Niemand zu ziehen gewagt hat2. FriedriCh nietzSChe

1. Tra ilosoia e politica. Apollo e Dioniso principi metaisici della realtà Questo contributo intende mostrare che le categorie di Apollo e Dioniso incarnano nel pensiero di Giorgio Colli uno sviluppo di un’intuizione che fu di Jacob Burckhardt prima e di Friedrich Nietzsche poi, esprimenti un principio polare universale e metaisico della realtà, che per essere tale deve informare di sé ogni dimensione del reale inclusa quella storico-politica, troppo spesso dimenticata quando si considera l’opera di Nietzsche e di Colli. Mettendo in luce l’importante inluenza delle Considerazioni sulla storia universale di Jacob Burckhardt3 esercitata prima su Nietzsche e quindi su Colli, la tesi è appunto che il piano storico-politico 1. e. Garin, Introduzione a J. BurCkhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, trad. it. di D. Valbus, Sansoni, Firenze 1968, p. xvi. 2. F.W. nietzSChe, Menschliches, Allzumenschliches II, “Der Wanderer und sein Schatten”, par. 278, in KSA, vol. II, p. 674: «Premesse dell’età delle macchine. La stampa, la macchina, la ferrovia e il telegrafo, sono premesse da cui nessuno ha ancora osato trarre la conclusione che se ne avrà fra mille anni» [trad. it. Umano, troppo umano II, in NO, vol. IV, tomo III, p. 243]. 3. Cfr. J. BurCkhardt, Weltgeschichtliche Betrachtungen, a cura di W. Kaegi, Hallwag, Bern 1941. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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diventa essenziale per dipanare le apparenti contraddizioni dell’evoluzione del pensiero di Nietzsche e di Colli. Nel primo numero di questa collana dedicata a La nascita della ilosoia, testo nato da una trasmissione radiofonica, e rilettente la posizione matura riguardo la nascita della ilosoia, Caterina Ludovica Baldini4 ha giustamente rimarcato quanto nel Colli maturo l’attenzione cade sull’emergere della dialettica dall’interpretazione dell’oracolo, che pare fare astrazione dal contesto storico-politico, in cui la ilosoia nasce. Eppure, Colli non tace del contesto agonico dell’Atene dilaniata tra soisti, scuole di retorica, partiti, dove troneggiano Isocrate e Platone, che si scontrano per imporre la propria tecnica educativa (paideia) come la più eficace per allevare i paides ateniesi ad essere cittadini esemplari5. Pertanto, benché in sottofondo, la questione politica sembra essere il basso continuo, che tiene assieme l’evoluzione del pensiero colliano. In effetti, il giovane Colli, come eficacemente riassunto nel contributo di Luca Torrente, concepisce il dionisiaco e l’apollineo come «i due aspetti co-originari della ilosoia, mistica e politica», essi «si trovano allora a coesistere dopo un lungo percorso che ha visto avvicendarsi fasi diverse: dall’apollineo autonomo, al dionisiaco collettivo, dal dionisiaco individuale inine all’apollineo sorretto dall’interiorità dionisiaca»: la ilosoia emerge così dalla tensione del principio polare, espresso dalla dicotomia mistico e politico6. Tale principio polare metaisico si ripresenta inevitabilmente anche nella lettura matura delle origini della ilosoia, ove «la follia è la fonte della sapienza» e i simboli di Apollo e Dioniso rimandano a due forme espressive della follia stessa: la prelinguistica e centripeta di Dioniso, legata alla prossemica e ai parossismi del corpo, e la centrifuga di Apollo, che tesse labirinti nel tessuto espressivo del logos7, da cui si distilla la dialettica.

4. Cfr. C.l. Baldini, Misticismo e dialettica, in QC1, pp. 92-106. 5. Cfr. NF, pp. 109-116.; rimando anche al mio Espressione e Scrittura. Dall’economia ristretta all’economia generale, in QC1, pp. 134-147. 6. Cfr. AD, pp. 75 sgg. (da cui è tratta la citazione) e l. torrente, Le origini mistico-politiche della ilosoia, infra, pp. 68-82. 7. Cfr. NF, pp. 13 sgg.; vedi anche F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, par. 2, in KSA, vol. I, pp. 33-34, in cui Nietzsche rammenta le forme espressive di Dioniso inwww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

La storia sotto il proilo espressivo

Quando Colli sviluppa le sue tesi giovanili sulla nascita della ilosoia nella sua prima opera importante La natura ama nascondersi (1948), nella premessa avverte che «ben poco di vitale è stato compreso sinora della Grecia, all’infuori di quanto hanno detto Nietzsche e Burckhardt»8. Qui si vorrebbe porre l’accento sulla igura di Burckhardt, convocando Nietzsche per arricchire la trama dell’argomentazione, al ine di rafforzare la tesi della iliazione burckhardtiana dell’architrave del pensiero e del metodo colliano, cioè il movimento dell’espressione, specie se riferito ad oggetti storici (come è il caso dell’origine della ilosoia). Anticipando la tesi generale di questo contributo, si tratta di mostrare che una storia delle civiltà soggiace all’evoluzione del pensiero colliano anche nelle sue dimensioni più teoretiche. Senza una tale prospettiva storica diventano indecifrabili alcune considerazioni del pensiero maturo, non soltanto le scorribande presenti nella Ragione errabonda, ma anche nelle sue opere pubblicate, quali, per esempio, l’ultimo brano, in questo senso rivelatore, di Dopo Nietzsche (1974), in cui Colli scrive con la lucidità del funzionalista: L’uomo moderno è spezzato, frammentario. Una vita integra gli è preclusa, qualunque sia il paese in cui vive, l’educazione che ha ricevuto, la classe sociale cui appartiene. Egli avverte come una fatalità questa frattura, irrimediabile, sin dal principio, se ha la capacità di avvertirla. L’individuo e la collettività si sono allontanati con il trascorrere dei secoli, lungo cammini divergenti, e continuano perciò ad allontanarsi. Ciò che la collettività si attende dall’individuo, presuppone in lui, è sempre diverso da quello che egli scopre in se stesso di autentico, sorgivo. E chi è qualcosa di più di una formica, chi vuole lasciare dietro di sé una traccia durevole tra le apparenze… viene frantumato dal mondo umano, non dalla sua ostilità, ma semplicemente dalla sua estraneità, dalle sue regole, dai suoi comportamenti, dalle sue consuetudini. Nella collettività l’espressione dell’individuo non riecheggia, non rifulge più, è perduta l’armonia del mondo antico9.

centrate sul canto (Gesang) e la prossemica (Gebärdensprache), nonché su tutto il corpo moventesi ritmicamente con gesti di danza. 8. PHK, p. 14. 9. DN, pp. 199-200. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Colli si pone esplicitamente sulla scia di Schopenhauer, che «è l’uomo che ha impostato il problema ilosoico, nel suo senso più generale, in modo deinitivo ed insuperabile», così «invece che di volontà e rappresentazione», scrive Colli, «noi parleremo di interiorità ed espressione». Tale polarità intende «allargare la concezione di apollineo e di dionisiaco, sia in senso storico, nello speciico ambiente greco, sia in un ulteriore sviluppo estetico e ilosoico». Di qui, Colli giustiicherà l’eficacia di tale polarità speciicando che essa «non rappresenta altro che un ancor maggiore avvicinamento all’uomo, un passaggio dalla trattazione metaisica a quella antropologica», e continua, «ciò che dirò interiorità ed espressione, trattando dei principi delle cose, potrà anche chiamarsi dionisiaco ed apollineo»: «l’allacciamento con il metaisico che le sta dietro è ciò che dà vitalità a questa contrapposizione»10. Perciò è necessario porre attenzione quando il Colli maturo scriverà: «tale concetto di espressione non può essere circoscritto nella sua applicazione a una sfera per così dire estetica, cioè antropomorica, nel senso di una peculiare signiicazione umana, le cui forme sono anzitutto la parola, immediatamente data come suono della voce o mediatamente signiicata mediante la scrittura, e inoltre il gesto, il movimento del corpo, il suono musicale, i segni riproduttivi trasferiti dall’uomo nella materia inerte». Il concetto di espressione non è circoscritto alla sfera antropomorica, poiché essa esprime il principio polare metaisico, il quale si riverbera tuttavia sul piano antropologico (estetico, religioso, storico-politico)11. La polarità di Apollo-Dioniso è esplicitamente introdotta da Nietzsche come una Duplicität (“duplicità”) di Kunsttriebe (“impulsi artistici”) espressi dall’unità originaria della Natura: essi si scontrano e si intrecciano per generare e produrre come la Zweiheit der Geschlechter (“dualità dei sessi”). In questo senso, appare troppo semplice la critica mossa da Colli a Nietzsche, secondo cui quest’ultimo avrebbe schiacciato la igura di Apollo sulla nozione di rappresentazione schopenhaueriana e quella di Dioniso alla nozione di vo10. AD, pp. 75-77. 11. Cfr. FE, p. 20. Su questo punto, non posso che rimandare ancora al mio Espressione e scrittura cit. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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lontà: già in Nietzsche la polarità è una polarità espressiva, sono i poli dei modi dell’espressione. Colli dirà che ciò che li precede è la mania, il giovane Nietzsche vede il sostrato nell’unità originaria della Natura. Ciò che conta è chiarire che Apollo e Dioniso non sono semplicemente equivalenti alla dicotomia fenomeno (rappresentazione) e noumeno (volontà), benché ne siano una rielaborazione. Per questo ci pare illuminante seguire il suggerimento di Barbara Stiegler quando traccia l’origine teoretica dei simboli di Apollo e Dioniso nella tensione kantiana tra l’intelletto (Apollo) e la sensibilità (Dioniso): una polarità composta da un principio attivo formale e un principio passivo, esprimente la capacità di essere affetti (die Fähigkeit afiziert zu werden) – dal semplice pathos sensoriale al Mitleid schopenhaueriano. In questa prospettiva, vi sono due facce del nichilismo, una apollinea ed una dionisiaca, che emergono all’affermazione unilaterale ed assoluta di uno dei due poli, che rimuove – in senso psicanalitico – l’altro polo. L’affermazione unilaterale di un solo polo apre al nichilismo, giacché non vi potrebbe darsi alcun ente, nessuna forma, né con il solo principio attivo, né con il solo principio passivo: in quanto polarità, essi sono una doppia-condizione, condizionantesi reciprocamente12. Nietzsche vede nella tragedia attica lo scopo comune di tali impulsi, in cui trovano un equilibrio – come il libero gioco tra l’intelletto e l’immaginazione dell’estetica prima kantiana e poi schilleriana – esprimente il metro per la nozione di salute nietzschiana, indice della potenza dell’ente. Come si articola dunque la storia sotto il proilo espressivo? La storia sarà quindi il susseguirsi precario di questi stati di salute già da sempre in decadenza, al quale Nietzsche sembra suggerire la ricetta dell’eccesso come rimedio, secondo la quale di fronte alla tendente cristallizzazione di uno dei due poli il rimedio – spontaneo – è sempre l’inversione

12. Cfr. F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, parr. 1-2, in KSA, vol. I, pp. 25-31; cfr. anche NF, pp. 16-17 e AD, p. 78: «Nietzsche non ha saputo affrontare un tale compito nel suo senso più vasto, e la sua trattazione dell’apollineo e del dionisiaco è condotta da un punto di vista disuguale e al tempo stesso ristretto. Il primo è considerato nella sua fase culminante, nel suo sfociare attraverso il sogno nella creazione artistica, il secondo per contro è preso nel suo aspetto primordiale, collettivo od anche crudele. Tutto ciò è sfasato ed incompleto – Nietzsche sentiva certamente la superiorità del dionisiaco sull’apollineo». Cfr. B. StieGler, Nietzsche et la critique de la chair. Dionysos, Ariane, le Christ, PUF, Paris 2006, pp. 186 sgg., 242 sgg. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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di tendenza verso il polo opposto: l’eccesso dell’apollineo conduce al dionisiaco e vice-versa13. La storia sarà questo susseguirsi di processi apollinei e dionisiaci, di tendenze verso l’uno e l’altro polo, in cui si producono tali equilibri, che simondonianamente possiamo deinire metastabili, e attraverso i quali s’individuano storicamente gli individui e le civiltà, intese come collettività di risoluzione delle tensioni interne alla metastabilità del vivente14. «L’apollineo e il dionisiaco», scrive Colli, «sono dunque dei fenomeni complessissimi, e non vi sarà da stupirsi se nel corso della ricerca si troveranno commisti ed intrecciati, e si rivelerà un aspetto dionisiaco dell’apollineo e per contro un’attitudine apollinea del dionisiaco, perché nel segreto più riposto della vita cadono e svaniscono tutte le distinzioni»15. Troviamo così conferma al contempo dell’intrecciarsi stratiicato della polarità Apollo-Dioniso nel costituire la trama dell’espressione e dello sfondo dell’immediatezza, o simondonianamente del preindividuale, in cui è immersa tale polarità di impulsi. Alle spalle dei nostri autori, si deve riconoscere in Goethe16 l’autorità dalla quale emerge il ragionamento archetipico che prevede il movimento della storia universale strutturato in due tendenze principali, rette dalla polarità interno (Dioniso)-esterno (Apollo). Ci sono due momenti della storia universale che ora si susseguono ora compaiono contemporaneamente in individui e popoli, in parte isolati e distinti, in parte strettamente intrecciati. Il primo è quello in cui gli individui si formano liberamente gli uni accanto agli altri: è questa l’epoca del divenire, della pace, del nutrimento, delle arti, delle scienze, della confortevolezza e della ragione. Qui tutto agisce verso l’interno. [….] La seconda epoca è quella dell’utilizzazione, del conseguimento, del consumo, della tecnica, del sapere e dell’intelletto. Gli effetti sono diret13. Cfr. F.W. nietzSChe, Die Geburt der Tragödie, par. 4, in KSA, pp. 40-41; id., Menschliches, Allzumenschliches II, “Vermischte Meinungen und Sprüche”, par. 365, in KSA, vol. II, p. 524: «Eccesso come rimedio. Per ritrovare il gusto del proprio talento, si può ricorrere al mezzo di venerare e gustare eccessivamente per un certo tempo il talento opposto. Usare l’eccesso come rimedio è uno degli stratagemmi più rafinati dell’arte di vivere» [trad. it. Umano, troppo umano II, in NO, vol. IV, tomo III, pp. 122-123]. 14. Cfr. G. Simondon, L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, Millon, Grenoble 2017, p. 29-30. 15. AD, p. 78. 16. Cfr. AD, pp. 44-46. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ti verso l’esterno. […] C’è tirannia di intere masse, che è estremamente violenta e irresistibile17.

Al di là della polemica colliana attorno alla preminenza del conoscere sull’agire, o dell’immediato vivere sul passato, si delineano delle convergenze sintomatiche tra Nietzsche, Burckhardt e Colli attorno al plesso visione-potenza. Eugenio Garin coglie in Burckhardt la storia come una visione liberante, che emerge nietzschianamente dalla massima forza del presente (Gegenwart) – dell’immediato – la quale informa di sé l’interpretazione del passato, che non può che essere una messa in-forma del passato attraverso un processo di oblio attivo (che ricorda il meccanismo psicanalitico della rimozione strutturale in ogni anamnesi terapeutica), senza il quale dirà Nietzsche non può esservi neanche il presente stesso, che seleziona ciò che è grande ed è «degno di essere conosciuto e preservato». In tal modo, il luire storico trasigurato dallo sguardo storico in opera d’arte diventa uno spettacolo che dona forza e potenza al contemplatore18 – per inine esprimersi politicamente? 2. Tra racconto e quadro. Dalla ilosoia della storia alla storia delle civiltà Prima di gettarsi nel cuore della questione della politica come opera d’arte, è necessario osservare l’afinità di metodo tra lo storico Burckhardt e il ilosofo-ilologo Colli. Garin chiarisce che il modello della concezione burckhardtiana della storia non è più il racconto di derivazione romantico-i-

17. J.W. Goethe, Massime e Rilessioni, a cura di S. Giametta, Rizzoli, Milano 1992, pp. 242-243 (si tratta di aforismi non ancora contenuti nell’edizione di Hecker). 18. Cfr. supra, nota 1; FE, pp. 10-11: «Ma il godimento dell’attimo, paradossalmente, è più intenso nel conoscitore. La visione istantanea di un frammento di vita è sconvolgente per chi dalla vita si distacca, tagliando i suoi impulsi di appropriazione, e nel far ciò si vaniica, riversandosi, fuori di sé, nell’immagine riconosciuta illusoria. Il risparmio dell’agire si traduce in acquisizione di potenza: chi assiste a uno spettacolo riceve forza». Cfr. anche F.W. nietzSChe, Unzeitgemässe Betrachtungen, II. Vom Nutzen und Nachtheil der Historie für das Leben, par. 6, in KSA, vol. I, pp. 293-294: «Solo con la massima forza del presente voi potete interpretare il passato: solo nella più forte tensione delle vostre qualità più nobili indovinerete ciò che del passato è degno di essere conosciuto e preservato ed è grande» [trad. it. Considerazioni inattuali, II. Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in NO, vol. III, tomo I, pp. 311]; id., Zur Genealogie der Moral, II, par. 1, in KSA, vol. V, pp. 291-292. Per l’aspetto psicanalitico, cfr. J. laCan, Le Séminaire. Livre I : Les écrits techniques de Freud, Éditions du Seuil, Paris 1975, p. 33, in cui si dice che «l’essentiel est la reconstruction», ove si tratta «moins de se souvenir que de réécrire l’histoire». www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dealistica che poggia sull’idea di Bildungsroman – romanzo di formazione – strutturante lo «sviluppo dello spirito universale», bensì il quadro. Così la storia burckhardtiana insiste sulla «scoperta del tipico, del costante, della ripetizione», scrive Garin, «di qui la sostituzione, al succedersi degli avvenimenti concreti, della storia della cultura o della civiltà, o, più precisamente, del perenne riprodursi di forme essenzialmente statiche». Perciò il processo storico non si struttura più secondo una pianiicazione teologico-teleologica descrivente le tappe di uno sviluppo universale, ma appunto consiste nel riprodurre «forme essenzialmente statiche», cioè la polarità Apollo-Dioniso, che fungono da «costanti psicologiche»19 come sostrato della variazione delle espressioni storico-culturali. Analogamente Colli si distanzia da una conoscenza storica riducentesi «ad un concatenamento meccanico oppure inalistico che si applica dall’esterno alle espressioni umane, trattate come termini noti». «Il dato storico», afferma Colli, «è espressione di un’interiorità umana: null’altro che questa può essere l’elemento comune cercato». La condizione della possibilità dell’indagine storica diventa quindi e «anzitutto l’afinità interiore suscitata da un’espressione lontana»20. Come Burckhardt, Colli postula una costante: l’«interiorità umana», che appare categoria psicologica. Tuttavia, ciò che è comune non è l’interiorità psicologica particolare, che è la risultante di un intreccio espressivo della polarità metaisica, bensì ciò che è costante è la polarità metaisica stessa che si annida nella storicità dell’espressione. Per tale ragione, Colli avvertiva che la polarità può trovarsi intrecciata, sicché si osserverà «un aspetto dionisiaco dell’apollineo e per contro un’attitudine apollinea del dionisiaco» in tutte le espressioni antropologiche (artistiche, religiose, storico-politiche, culturali). Quindi se la ilosoia della storia è la descrizione teleologica dello sviluppo universale, la storia delle civiltà è appunto lo studio della riproduzione storica di forme essenzialmente statiche che si esprimono sempre diversamente nel corso della storia. La storia non è che

19. Cfr. E. Garin, Introduzione cit., pp. xvi-xviii. 20. PHK, pp. 17-19. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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la variazione espressiva della polarità metaisica (le forme essenzialmente statiche). Per questo la storia più che un racconto è un quadro, in cui si compongono assieme le diverse sfumature espressive della polarità metaisica componenti la civiltà in questione: una civiltà non è che un’articolazione espressiva particolare della polarità metaisica. In questo senso, si comprende l’affermazione burckhardtiana per la quale la «particolarità delle culture superiori è la loro capacità di rinascita», in cui lo stesso «popolo, o un popolo venuto più tardi, assume in parte come propria, con una sorta di diritto ereditario oppure con il diritto dell’ammirazione, una civiltà passata». La rinascita non è tuttavia una restaurazione. «Una rinascita pura», precisa Burckhardt, «fu invece quella italo-europea del XV e XVI secolo. Sue particolari caratteristiche sono la spontaneità, la forza dell’evidenza mediante cui s’impone, la maggiore o minore diffusione in tutti i possibili campi della vita, ad esempio nella concezione dello Stato, e inine il suo carattere europeo»21. Ad ogni modo, la possibilità della rinascita pertiene esclusivamente alle culture superiori, che incarnano l’ideale di salute in quanto espressione dell’equilibrio metastabile della polarità. E non potrebbe essere altrimenti, poiché una civiltà non esprimente l’equilibrio metastabile non è che una forma di decadenza, unilateralmente apollinea o dionisiaca, destinata semplicemente a capovolgersi nella tendenza verso il polo opposto. Certamente, i movimenti di decadenza si ripetono, sotto forma apollinea o dionisiaca, tuttavia sempre attraverso espressioni differenti. Anche l’equilibrio metastabile si esprime sempre diversamente, ma ciò che ri-nasce appunto è l’equilibrio stesso esprimente un intreccio espressivo della polarità, dal quale si possono distillare equivalentemente entrambi i poli, poiché l’interiorità è sana. Ciononostante, è pur sempre necessaria della cautela a porre astrattamente un’opposizione tra “ilosoia della storia” e “storia delle civiltà”. Nel suo studio sul Rinascimento in Italia, Burckhardt si fa dopotutto sfuggire passaggi, non secondari, che risuonerebbero affatto con una postura sto21. J. BurCkhardt, Weltgeschichtliche Betrachtungen cit. [trad. it. Considerazioni sulla storia universale, a cura di M.T. Mandalari, SE, Milano 2001, p. 71].

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rica teleologica. Burckhardt elogiando gli italiani che hanno abituato «per la prima volta le menti alla considerazione obbiettiva della storia», prosegue spiegando «il fatto che il medio-evo era veramente oltrepassato per l’Italia d’allora, e che lo spirito poteva ormai riconoscerlo, in quanto era ormai fuori di esso». L’impostazione è hegeliana affatto, se lo spirito per riconoscere l’oggetto (medio-evo) deve averlo oltrepassato: Burckhardt pare tra le righe alla ine insinuare un processo storico universale, mediato appunto da civiltà superiori capaci di avere risonanza europea (che per il secolo decimonono vale per “universale”). Inoltre, come se non bastasse, Burckhardt, per giustiicare il fatto che il Rinascimento sia stato un secolo «che in modo affatto unilaterale abbia divinizzato il mondo antico e quanto proveniva da esso» lo deinisce addirittura come «una necessità storica d’ordine superiore», e afferma che «tutta la cultura dei tempi posteriori e futuri è la conseguenza di quanto è avvenuto, e dell’essere allora avvenuto in modo del tutto unilaterale con svalorizzazione di ogni altro scopo della vita»22. In effetti, il bersaglio di critica non è tanto la ilosoia della storia come tale, che è inevitabile, ma piuttosto le derive patologiche dello studio della storia, isolate da Nietzsche secondo i tipi antiquario, monumentale e critico, che vengono diagnosticate come malattie per la salute e la potenza dell’ente. Lo sguardo storico che si radica nella massima forza del presente è inevitabilmente un’accurata composizione, secondo le esigenze, delle tre forme di storia: «ogni uomo e ogni popolo ha bisogno», scrive Nietzsche, «secondo le sue mete, forze e necessità, di una certa conoscenza del passato, ora come storia monumentale, ora come storia antiquaria e ora come storia critica»23. Del suo metodo storico Jacob Burckhardt sembra inconsciamente fare un’esempliicazione nella sua lezione del 1884 sulla pittura narrativa. Coerentemente, l’arte in quanto espressione storica «è uno dei legami meravigliosi che sanno allacciare popoli e secoli in comunità», e continua precisando che «se questa comunità è una élite fortunatamente 22. id., Die Kultur der Renaissance in Italien. Ein Versuch, Hallwag, Bern 1943 [trad. it. cit., pp. 224, 249-250]. 23. F.W. nietzSChe, Unzeitgemässe Betrachtungen, II cit., parr. 2-4, in KSA, vol. I, pp. 258278 [trad. it. cit., pp. 272-294]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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non è necessario che sia una comunità di ricchi e di potenti; opere d’arte esposte al pubblico possono commuovere ogni anima incorrotta anche se essa è incolta. Oggetti e pubblico posseggono qui un diritto di cittadinanza ideale comune che non conosce barriere di popoli o di tempi». Il postulato della “costanza psicologica” è qui evidente, se l’effetto dell’opera d’arte è sovrastorico. Perciò l’importante per Burckhardt nell’arte – ma per traslazione anche nel fare storia – non è tanto il “che cosa”, bensì il “come”: giacché ben osserva che «la gloriicazione degli avvenimenti contemporanei rientra nelle opere più caduche». Quante volte in effetti quelle immense tele o arrazzi nei palazzi reali e principeschi gloriicanti qualche avvenimento storico – ai più ignoto – restano pressoché indifferenti ai visitatori, che non li colgono che come ornamenti e decori degli ambienti? Dopo aver dismesso tutti i tentativi di fare dell’arte una semplice «cronaca illustrata», Burckhardt ci conduce nel suo elogio all’amatissimo Pieter Paul Rubens deinito come «il vero maestro della composizione»24. Differentemente da altri pittori, di cui gli «accenti, sparsi per l’opera, ora concentrati ora disseminati, non costituiscono assieme degli equivalenti», Rubens sarebbe dunque maestro nel comporre assieme gli accenti o punti d’interesse di un quadro, nella composizione del quale diventano perfetti equivalenti, ottenendo così l’effetto ideale «di una fortissima commozione drammatica» combinata ad «una misteriosa tranquillità ottica» – che non è altro che l’espressione dell’equilibrio metastabile tra rispettivamente la commozione dionisiaca e la tranquillità della forma apollinea. In questo senso, la storia burckhardtiana opera con i fatti storici come l’arte della composizione di Rubens, dove il fattore essenziale non è l’«esattezza storica», che «è l’opposto più deciso» della composizione, e quindi «incompatibile con questo tipo di avvenimento vivo che porta con sé l’immagine pittorica più potente e più piacevole»25.

24. Cfr. J. BurCkhardt, Vorträge 1844-1887, a cura di E. Dürr, Schwabe, Basel 1919 [trad. it. Arte e Storia. Lezioni 1844-1887, a cura di A. Staude, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 342-358]. 25. Ibid. [trad. it. cit., pp. 352-353]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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3. La storia sotto il proilo espressivo: l’Übermensch e la politica come opera d’arte Dunque, lo sguardo storico è come l’arte una messa in-forma, o più precisamente, una composizione dei fatti storici, che in quanto espressione tralascia sempre qualcosa di ciò che esprime. «Il documento in sé», osserva Colli sul metodo di Burckhardt, «nel suo approfondimento letterale e nei suoi nessi materiali, rispetto all’autenticità, all’origine e agli inlussi, non interessa Burckhardt; dal documento, piuttosto, egli si preoccupa di estrarre tutto ciò che non è impersonale od oscuro, ciò che è ancor vivo o può ridiventare vivo attraverso un’espressione»26 – esattamente come l’immagine pittorica. La storia è appunto un’opera d’arte che dona potenza a colui che la contempla: tale contemplazione ha dunque delle ripercussioni politiche? Conduce ad altre espressioni? In proposito, Nietzsche suggerisce che vi si diano opere d’arte senza artista, in quanto corpi o organizzazioni27: istituzioni socio-politiche in generale. Su questo punto, Nietzsche fu ampiamente preceduto da Burckhardt che dedicò tutta la prima parte del suo studio sul Rinascimento allo Stato come opera d’arte, inteso come «lo Stato quale creazione di calcolo consapevole»: non vi è perciò nulla di meramente estetizzante nell’accezione dell’opera d’arte, benché il fattore estetico giochi in senso funzionale un ruolo decisivo. Il calcolo consapevole s’incarna nella moderna statistica, di cui Venezia, secondo Burckhardt, sarebbe la patria, ma soprattutto nelle scienze applicate e nella tecnica, che fanno anche della guerra opera d’arte, democratizzandola, poiché non v’era castello che resisteva «all’urto delle bombarde», e «perché l’abilità dell’ingegnere, del fonditore e dell’artigliere, sorti dalla borghesia, acquistava ogni dì più la prevalenza»28. Il giovane Colli dipinge il ilo-logo come colui che è capace di scorgere la coincidentia oppositorum nel molteplice 26. EAC, p. 134. 27. Cfr. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1885-1887, 2 [114], in KSA, vol. XII, pp. 118-119: «L’opera d’arte, dove appare senza gli artisti, per esempio come corpo, come organizzazione (corpo degli uficiali prussiani, ordine dei Gesuiti). In che senso l’artista è solo un gradino preliminare» [trad. it. Frammenti postumi 1885-1887, in NO, vol. VIII, tomo I, p. 114]. 28. Cfr. J. BurCkhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien cit. [trad. it. cit., pp. 7, 68-70, 96 sgg.]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dell’apparire. Egli ricorda poi che questo «particolare senso si chiamava nel Rinascimento ‘magia’», seguendo la deinizione di Pico della Mirandola, secondo la quale «mirabilia ars magicae non sunt nisi per unionem et actuationem eorum, quae seminaliter et separatae sunt in natura», e di tale ilo-logo, in quanto praticante questa magia, Colli afferma che «la sua natura è così anzitutto politica». Tale magia è in primo luogo un’arte, nel senso di ars, tecnica, Colli deinirà infatti l’arte e la ilosoia tecniche dell’estasi. Tuttavia, quest’arte, scrive Colli, «non inventa nulla, estrae gemme nascoste dal tessuto della vita»: l’artista «è un demiurgo che arricchisce la trama delle rappresentazioni». Perciò la forma sensibile «che si presenta nell’arte non è un punto di partenza, ma di arrivo»29. Ma l’arricchimento del tessuto rappresentativo-espressivo attraverso l’estrazione di «gemme nascoste dal tessuto della vita» è in primo luogo l’«actuationem eorum, quae seminaliter…sunt in natura»: è l’espressione di tutta la potenza dell’ente contenuta nel suo seme30. Così politica è l’espressione in quanto opera d’arte che compone, nel senso di cum-porre, le potenze dell’ente, cioè la polarità metaisica Apollo-Dioniso. Dunque, la magia politica del ilo-logo – che appare così una rielaborazione dell’Übermensch – è inevitabilmente un agire nel e attraverso l’espressione stessa per ex-trahere o ex-premere le gemme, i semi – le rationes seminales, in deinitiva Apollo-Dioniso – per comporne insieme le potenze in una forma di vita salutare – un’opera d’arte. Il fatto che Colli dismetta «il concetto di azione» come «ittizio», o «un’abbreviazione, un’approssimazione, un tirar via sbrigativo», che «si risolve in un’intricata serie di nessi tra rappresentazioni», nulla toglie all’espressività dell’azione in quanto intricata serie di nessi tra rappresentazioni-espres29. AD, pp. 33-34.; cfr. DN, pp. 61, 122-124, 127-128. 30. Cfr. m. CaCCiari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo, Einaudi, Torino 2019, p. 82: «Magia è potere, mögen, è virtus capace di attuare, portare ad atto, energeiai, tutto ciò che in cielo e in terra si trova allo stato potenziale, seminaliter. Proprio le Conclusiones magicae rappresentano, a mio avviso, il centro ilosoico dell’opera. L’unità tra uomo e mondo si raggiunge soltanto attraverso l’azione. […] Diremmo: magia è saper vedere l’essente sub specie aeternitatis e potere perciò operare in esso e con esso secondo la sua natura, traendovi tutta l’energia che nel suo seme è contenuta. La possibilità effettiva di un tale sapere-potere, l’ideale di una concordia tra velle e posse, attraggono irresistibilmente Pico alla Cabala, e perciò non potrebbe che essere cabalistica l’ultima serie delle Conclusiones».

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sioni31. Anzi, il suo essere un’intricata serie di rappresentazioni-espressioni è indice della sua potenza. Dopotutto, la nozione di espressione emerge nel giovane Colli quasi come un’astrazione dal calco dell’idea di azione, o comunque di conatus – l’archetipo è chiaramente il Wille schopenhaueriano nel suo movimento di estrinsecazione costituente il tessuto della rappresentazione. All’interno del contesto politico della polis, Colli deinisce la «giuridicità» come «la rappresentazione data e imposta all’individualità», da cui emerge la necessità per un greco di «dare un tono personale a questa esistenza» arricchendo i «valori oggettivi e plastici, riconosciuti dagli altri uomini» – questa, secondo Colli, è l’espressione politica: Attività politica per il Greco non è semplicemente l’occuparsi direttamente degli affari dello Stato, ma signiica in senso amplissimo ogni forma di espressione, ogni estrinsecazione nella polis della propria personalità. Politico non è solo l’uomo che partecipa all’amministrazione pubblica, ma ogni cittadino libero che in un modo o nell’altro ha una sua funzione nella vita della polis, e sopra ogni altro è colui che agisce come educatore dei giovani nella città, come il poeta o il ilosofo, i quali più di tutti inluiscono profondamente sulla formazione della spiritualità della polis. Politiche diventano quindi tutte le attività spirituali dell’uomo; arte, religione e ilosoia32.

Insomma, l’espressione in questo contesto è un agire che impatta il proprio ambiente socio-politico. Attraverso l’analisi del termine phthonos, Colli declinerà questa tendenza all’espressione politica come «l’interesse […] a far trionfare la propria individualità fenomenica». E la polis sarebbe la scena dell’incontro del molteplice affermarsi delle individualità. Ma tale affermazione è contenuta dal metro dell’istituzione dell’ostracismo. L’intrecciarsi dell’espressione degli individui appare inevitabilmente agonica, tuttavia Nietzsche evidenziò nell’agone stesso la possibilità della produzione dell’Übermensch, o persino di Übermenschen33. 31. Cfr. supra, nota 30; FE, p. 14. 32. FS, p. 21. 33. AD, pp. 81-84.; FS, p. 23; PHK, p. 23. Cfr. sul tema dello phthonos l. torrente, Le origini mistico-politiche della ilosoia cit.; F.W. nietzSChe, Fünf Vorreden zu fünf ungeschriebenen Büchern, “Homer’s Wettkampf ”, in KSA, vol. I, pp. 783-792; e. h. ChamBerlin, www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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A questo punto sembrano emergere delle tensioni tra i nostri autori. Da una parte, Colli sembra insistere sull’eccezionalità dello Stato greco – contradictio in adjecto secondo un rigore storico concettuale – per il riconoscere «all’arte questa funzione politica», infatti «Atene pagava i suoi cittadini perché assistessero alle tragedie e si educassero»: per il moderno «è dificile cogliere questo signiicato di politica, poiché al giorno d’oggi lo Stato è una cosa completamente diversa dalla polis e soprattutto perché la personalità politica è ora sin troppo distinta da quella morale». Dunque, secondo Colli, il moderno troverebbe dificile concepire lo Stato come attore educativo, poiché l’educazione – la formazione dei cittadini esemplari – è qui, dopotutto, l’essenziale del politico. Dall’altra Burckhardt – e Nietzsche al seguito – affermano chiaramente l’assenza di «rapporto tra scuola, esami e assunzione di funzionari» della polis. «Si tratta», spiega Burckhardt, «dell’indifferenza della polis, che riiutava le scuole e che a nessuna corporazione avrebbe concesso di accettarle, che non costringeva il cittadino a informarsi dei risultati della sapienza o anche soltanto di alcuni particolari di essa, e tanto meno si accertava di tali conoscenze sottoponendo a degli esami i fanciulli che andavano a scuola o i candidati a un uficio». Anzi, Nietzsche dice di più: la polis aveva paura della Bildung (educazione)34. Eppure, è proprio questa sinergia tra polis e espressione dell’individuo attraverso la paideia che Colli vede – ino al Dopo Nietzsche – come l’«armonia del mondo antico». Inoltre, Burckhardt fa notare quanto il costrutto socio-politico della polis sia piuttosto l’assenza di Stato, in questo senso, differentemente dalle civiltà orientali, in Grecia non vi è mai stato monopolio della sapienza, bensì agon, competizione – inanche mercato e commercio del sapere-sapienza all’era dei soisti. E su questo punto, Colli concorderebbe, se appunto la dialettica si distilla nella sua purezza propriamente nell’agone tra atti retorici, che non sono altro che tecnica politica par excellence, come ci garanMonopolistic or Imperfect Competition?, «The Quarterly Journal of Economics», li (1937), n. 4, pp. 576-577. 34. AD, pp. 82-83.; cfr. J. BurCkhardt, Vorträge 1844-1887 cit. [trad. it. cit., pp. 279-287] e F.W. nietzSChe, Menschliches Allzumenschliches I, par. 474, in KSA, vol. II, pp. 308-309.

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tisce anche Jean-Pierre Vernant35. La sottile distinzione è che tra le forme espressive componenti la paideia, e dunque la formazione del cittadino esemplare, Colli pone in modo indiscriminato la religione, la poesia, il mito e la ilosoia. In effetti, l’assenza di monopolio pubblico sul mito permette a questo di aprirsi a plurime interpretazioni dal cui agone emerge appunto la dialettica, che struttura il logos occidentale ino alla scienza moderna. Ma Colli ha ben sottolineato che l’espressione politica non coincide con l’amministrazione dello Stato, bensì appunto con ogni espressione che ha funzione nella vita della polis e, con Nietzsche, si potrebbe dire che contribuisce all’aumento della potenza della civiltà. In questo senso, la polis incarna in Colli più un concetto funzionale esprimente l’«armonia del mondo antico», nella quale l’espressione dell’individuo poteva riverberarsi e contribuire alla vita – e potenza – della collettività, piuttosto che una nozione storicistica. Perciò essa rimanda al concetto di civiltà (Kultur) burckhardtiana deinita come «la somma complessiva di quelle manifestazioni dello spirito che avvengono spontaneamente e non rivendicano a sé nessuna validità universale e coercitiva»: essa è «quel processo dalle mille forme, e attraverso cui l’agire ingenuo e naturale della razza si trasforma in capacità rilessiva, ed anzi nel suo ultimo e supremo stadio, in scienza e specialmente in ilosoia, in pura rilessione». Ma tale processo non è che «nella sua forma complessiva esterna di fronte allo Stato e alla religione» la società. La società è per deinizione l’opposto di un sistema di caste in cui vige il monopolio del sapere, ed è la «condizione fondamentale di ogni cultura [civiltà] superiore». In essa si intrecciano «tutti gli elementi» «dalla più elevata attività spirituale a quella tecnica più umile». «Una sola importante innovazione», scrive Burckhardt, «nell’ambito dello spirito e dell’anima può indurre anche individui apparentemente poco interessati, a concepire diversamente le loro abituali operazioni quotidiane»36. In perfetta sintonia con la teoria delle tre potenze storiche di Burckhardt, Colli osserva che la «scienza moderna 35. NF, pp. 97-105.; cfr. J.-P. vernant, Mythe et pensée chez les grecs, Éditions la Découverte, Paris 1994, pp. 208-209. 36. J. BurCkhardt, Weltgeschichtliche Betrachtungen cit. [trad. it. cit., pp. 63, 69]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ha creato lo strapotere dello Stato sulla cultura, ossia ha distrutto la libertà da cui essa era nata (o almeno la possibilità di indagare e produrre in indipendenza), ha annientato se stessa e la cultura». Questa la sintesi della condizione moderna in cui lo Stato, vero e proprio Leviatano, incorpora a sé le potenze storiche della religione e della Kultur. Così, lo «Stato ha favorito l’Illuminismo, poiché la scienza ha bisogno di masse livellate di buona cultura generale (ossia, niente cultura vera e niente religione), per poter veramente essere utile allo Stato»37. L’incorporazione da parte dello Stato della Kultur produce il mostro accennato da Goethe: «tirannia di intere masse, che è estremamente violenta e irresistibile». Tirannia della cultura generale. Da questa diagnostica della civiltà, in cui emerge la patologia dell’intelletto attraverso l’ipertroia della scienza moderna, si dovrebbe comprendere l’impresa colliana di dimostrare logicamente l’assenza di fondamento del logos occidentale: tale operazione teoretica è retta da un silenzioso impulso politico. Ma tale incorporazione della Kultur da parte dello Stato non è esattamente il cuore delle signorie rinascimentali a cui i nostri autori più o meno implicitamente si rivolgono come metro di giudizio per la salute della vita collettiva? Il Rinascimento non cade dentro questa critica poiché la sinergia tra potere politico e Kultur pare essere non livellante, bensì produttrice di grandi individualità. «La cultura può condizionare lo Stato», scrive perciò Colli, «I grandi individui possono invertire o deviare il corso della storia… È proprio questa speranza di azione che animò Nietzsche, più tardi. Ma un’azione culturale può essere solo collettiva, e sino alla ine Nietzsche sperò di coinvolgere il vecchio Burckhardt»38. Analogamente alla igura del mago-ilo-logo colliano, Nietzsche descriveva il genio wagneriano come l’incarnazione di una forza astringente (eine astringirende Kraft), cioè apollinea, capace appunto di tali mirabilia ars magicae: di unire, fare sintesi di ciò che è per sé disgiunto – un Vereinfacher der Welt (“sempliicatore del mondo”) che domina con

37. Cfr. RE, [78], [82], [83]. 38. EAC, p. 131. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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lo sguardo il molteplice della storia del mondo ed ha la potenza di esprimerlo, in virtù della sua forza astringente, in una forma39. Nei frammenti degli anni 1885-1887, Nietzsche insiste ancora in questa immagine per indicare l’Übermensch, esplicitamente come tipo classico: egli ha la potenza di cum-tenere «sotto un medesimo giogo» (unter Einem Joche) tutti gli impulsi più forti e «apparentemente contradditori» – contenere in sé la polarità metaisica e le sue molteplici espressioni – ma soprattutto «rispecchiare nella propria anima più intima e più profonda una condizione collettiva [Gesamtzustand] (un popolo o una cultura)»40. Lou-Andreas von Salomé ci testimonia che il concetto di salute in Nietzsche è qualcosa di intimamente intrecciato con il patologico: è la potenza di tenere assieme nella stessa vita spirituale, sotto il medesimo giogo appunto, una scissione del Sé (Selbstspaltung). Essa deve essere capace di darsi una forma – un gusto «per portare in alto o al vertice un genere letterario, artistico o politico»41. Il mago-ilo-logo colliano o l’Übermensch-tipo classico nietzschiano sono igure dell’uomo universale rinascimentale: «l’uomo privato, indifferente alla politica e dedito tutto alle sue occupazioni in parte professionali e in parte accessorie», la cui patria è il mondo intero, che ha la potenza di essere in «armonico accordo del lato interno [Dioniso] col lato esterno [Apollo] della loro vita avendo di fronte uno scopo consapevole ed espresso» dentro al suo ambiente cosmopolita, «tale da appropriarsi ad un tempo di tutti gli elementi della cultura di quell’età». Egli non ha un «sapere enciclopedico», come indicava Nietzsche per il genio wagneriano, essi «sono universali e abbracciano, al di là della

39. Cfr. F.W. nietzSChe, Unzeitgemässe Betrachtungen, IV. Richard Wagner in Bayreuth, par. 4, in KSA, vol. I, p. 447: «Io riconosco in Wagner un tale Contro-Alessandro: egli evoca e stringe insieme ciò che era disgiunto, debole e trascurato, possiede, se è consentita un’espressione medica, una forza astringente: e in tanto è anche una delle più grandi forze della civiltà. Domina le arti, le religioni e le storie dei vari popoli ed è tuttavia l’opposto di un erudito, di uni spirito meramente raccoglitore e ordinatore: giacché è un artista globale e un animatore del materiale raccolto, un sempliicatore del mondo» [trad. it. Richard Wagner a Bayreuth, in NO, vol. IV, tomo I, p. 20]. 40. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1885-1887, 9 [166], in KSA, vol. XII, pp. 433-434 [trad. it. cit., pp. 86-87]. 41. Ibid.; cfr. l.a. von Salomé, Friedrich Nietzsche in seinen Werken, Insel, Frankfurt a. M. 1983, p. 59. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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propria arte, anche uno spirituale dominio smisuratamente vasto»42. Tale uomo incarna platonicamente lo «scopo dell’uomo», che «è la conoscenza, e la conoscenza si raggiunge nella comunità e per la comunità»43, poiché la condizione per un tale uomo è la corte ideale identiicata da Burckhardt in quella di Federigo di Urbino, ove «la corte era un organismo in ogni senso egregiamente architettato e condotto». Qui «Federigo intratteneva cinquecento persone: le cariche di corte vi erano complete quanto neppure nelle corti dei maggiori monarchi; ma nulla si sprecava, tutto aveva uno scopo, e un severo sindacato vegliava su tutto»44. 4. Il processo storico dell’individuazione: il Rinascimento e la modernità del buon europeo Ma l’antica armonia ormai non risuona più: non v’è l’accordo tra l’interno e l’esterno. L’uomo moderno è spezzato, è scomposto nelle sue potenze elementari: Apollo-Dioniso. Se il tipo classico – l’Übermensch – ha la potenza di esprimere una condizione collettiva, esso deve essere la sintesi, come per il genio wagneriano attraverso una «volontà di sempliicazione», del «caos cosmopolitico di affetti e intelligenze» dell’europeo avvenire – come è possibile fare del caos un tipo classico45? Ma Burckhardt vedeva già all’inizio degli anni ’70 dell’Ottocento tale «caos cosmopolitico» come destino dell’Occidente. «Se noi ora consideriamo», scrive Burckhardt, «la cultura del XIX secolo come cultura universale, troviamo che essa possiede le tradizioni di tutte le epoche, di tutti i popoli e di tutte le culture, e la letteratura del nostro tempo è una letteratura universale». Essa è la stessa Weltliteratur – letteratura mondiale – di cui parlano già Marx-Engels nel Manifesto del Partito Comunista del 1848, in quanto correlativo estetico del mercato mondiale borghese. Il cosmopolitismo del gusto, l’ibridazione delle forme artistiche e delle consuetudini, è il caos cosmopolitico da cui dovrà emergere il tipo classico. La risonanza con le analisi 42. Cfr. J. BurCkhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien cit. [trad. it. cit., pp. 127-131]. 43. PP, p. 130. 44. J. BurCkhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien cit. [trad. it. cit., p. 45]. 45. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1887-1889, 11 [31], in KSA, vol. XIII, pp. 17-18 [trad. it. Frammenti postumi 1887-1888, in NO, vol. VIII, tomo II, pp. 230-231].

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hegelo-marxiane non deve stupire: essa è semmai la conferma della coerenza e potenza della concezione storico-sociale o storico-politica di matrice burckhardtiana. In effetti, Burckhardt individua in coloro «che vivono del loro lavoro», cioè i borghesi, «l’elemento propulsore», coloro i quali «premono con passione elementare» per la velocità delle comunicazioni, l’eliminazione delle barriere aspirando allo «Stato mondiale», cioè alla civiltà assoluta – o cultura assoluta, per dirla con Francesco Masci – che è l’autoestinzione dello Stato stesso46. Tale passione elementare non è altro che il dionisiaco: come in Nietzsche, ogni immagine di caos è il dionisiaco, che deve essere in-formato dalla volontà di sempliicazione apollinea per esprimere una forma di vita e civiltà sana, classica, superiore. In Colli la diagnosi è la medesima: la vita dell’uomo è costruita per essere un equilibrio tra gli stimoli esterni (Apollo) e la spontaneità interna (Dioniso, in quanto passività, Apollo in quanto attività). «Nella vita moderna», sentenzia Colli, «lo stimolo è in netta prevalenza sull’attività spontanea. Ciò è un grave segno di decadenza vitale», che si esprime con il ritrarsi dell’espressione fonetica a vantaggio dell’espressione graica: «l’uomo moderno parla molto meno di quello antico». Tale diagnosi risuona con le tesi di un altro acutissimo lettore di Nietzsche, Georg Simmel, quando osserva che la Nervenleben nelle metropoli moderne induce ad un’ipertroia della cultura oggettiva (esterno, Apollo) comportando l’atroia – e quindi l’apatia – dell’individualità47. Nietzsche descrive questa condizione di atroia dell’individualità come una macchina, la Gesammt-Maschinerie della

46. J. BurCkhardt, Weltgeschichtliche Betrachtungen cit. [trad. it. cit., pp. 71-72]. Cfr. k. marx - F. enGelS, Manifest der Kommunistischen Partei, in Marx-Engels Werke, Dietz, Berlin 1983, vol. IV, p. 466.; F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1885-1887, 10 [18], in KSA, Vol. XII, p. 464. Per la nozione di cultura assoluta cfr. F. maSCi, L’Ordre règne à Berlin, Éditions Allia, Paris 2013, p. 13: «La culture absolue naît sur les décombres de la Révolution française par un acte d’apostasie de la société. Elle représente une tentative radicale de parachever l’eschatologie laïque de la Révolution mais sur un plan entièrement ictif. C’est dans le royaume prophétique des événements que les hommes retrouvent en tant que subjectivités ictives la dignité et l’autonomie que la société leur avait promises contre la tyrannie de l’État. […] La grande apostasie culturelle a voulu tout à tour oublier, effacer et puis transformer le réel mais n’a su qu’offrir au sujet le loisir d’une liberté imaginaire et moralement déterminée». 47. RE, [85]; cfr. G. Simmel, Die Großstädte und das Geistesleben, in Gesamtausgabe, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2000, vol. VII, pp. 116-131. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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«Wirtschafts-Gesammtverwaltung der Erde» – dell’amministrazione economica generale della terra – in cui la solidarietà tra le rotelle e gli ingranaggi consiste semplicemente nella comune atroia dei singoli elementi, che quindi non possono che essere un vuoto punto di riverberazione degli stimoli esterni (una pura passività dionisiaca). Questo spinge Nietzsche persino ad invocare la causa inale: Wozu? – a che pro tale immane sfruttamento del tipo uomo? Il suo movimento autoreferenziale non è che un Rückgangs-Phänomen: un immane fenomeno di regressione del tipo umano. Perciò è necessario un contro-movimento: tale contro-movimento è evocato con l’immagine dell’Übermensch. «Negli ultimi due secoli», osserva Colli già nel ‘57, «non sono certo mancati i grandi individui di cultura». Ma il loro destino è stato tragico. Essi «mancarono di una base sicura, cioè di una società culturale che li educasse e li sostenesse», perciò le grandi personalità ottocentesche e primo novecentesche furono «per lo più autodidatti e isolati, e giunsero con sforzi terribili a risultati che avrebbero potuto essere per loro semplici punti di partenza». Ciò spiega la divergenza tra l’individuo e il collettivo: la cultura generale della tirannia della massa marginalizza l’espressione non atroizzata dell’individuo, sicché esso è costretto «ad una vita disperata, dominata dal bisogno materiale»48. Paradossalmente, la condizione della grande individualità risiede nella struttura collettiva. L’organizzazione dei saperi del caos cosmopolitico è l’opera d’arte priva di artista necessaria per porre le condizioni dell’Übermensch – il principio attivo formale diventa inevitabilmente collettivo, esso è il cervello sociale marxiano (gesellschaftliches Hirn), che struttura il caos cosmopolitico in un’opera d’arte capace di esprimere la grande individualità. Jacob Burckhardt afferma la stessa cosa osservando che la condizione del Rinascimento – e delle sue grandi individualità – fu la «convivenza ed effettiva uguaglianza della nobiltà e della borghesia, e formazione di una grande società, che sentisse il bisogno d’istruirsi e n’avesse il tempo e i mezzi»49. 48. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1885-1887, 10 [17], in KSA, vol. XII, pp. 462-463 [trad. it. cit., pp. 113-114]; cfr. RE, [95]. 49. J. BurCkhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien cit. [trad. it. cit., p. 165]. Cfr. k. marx - F. enGelS, ̈konomische Manuskripte 1857/1858, in Marx-Engels Werke cit., vol.

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Edoardo Toffoletto

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Non è qui il luogo per riprodurre tutti i momenti dell’individuazione storica dalla Grecia classica alla modernità, strutturata attraverso le inversioni di tendenza tra l’apollineo ed il dionisiaco, ma è suficiente rammentarne due momenti essenziali. In primo luogo, gli impulsi dionisiaco e apollineo attraversano delle metamorfosi espressive nel corso della storia: il dionisiaco da fenomeno collettivo dell’invasamento cruento e dirompente, essenzialmente corporeo, diventa il genio del cuore, attraverso il processo di interiorizzazione, descritto da Nietzsche nella Genealogia della Morale, che attraverso la forza astringente apollinea delle istituzioni collettive neutralizza la corporeità del dionisiaco sublimandola nello psichico. In secondo luogo, il Cristianesimo è dunque – come lo deinisce Nietzsche – la religione della compassione, cioè un’espressione del dionisiaco che riiuta tutto il simbolico e la cultura oggettiva del diritto (Apollo). Perciò parlare di individualità dionisiaca nel senso di individualità psichica nel mondo greco sarebbe scorretto. In effetti, quando Colli esplicita la natura anti-apollinea del Cristianesimo, sta implicitamente affermando che il Cristianesimo è dionisiaco. Esso introduce nel diritto il concetto di voluntas, cioè la dimensione abissale dell’interno, che fa dell’oggettività apollinea della giurisprudenza un sistema aperto all’interpretazione del caso singolo50. Così il caos cosmopolitico della modernità è la riproduXLII, p. 594: «Lo sviluppo del mezzo di lavoro in macchinario non è accidentale per il capitale, ma è la trasformazione storica del mezzo di lavoro recepito dalla tradizione, modiicato in una forma adeguata al capitale. L’accumulazione del sapere e dell’abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale, in tal modo è assorbita nel capitale in contrapposizione al lavoro, e si presenta quindi come qualità del capitale, e più precisamente del capitale isso nella misura in cui esso entra nel processo di produzione come mezzo di produzione vero e proprio. Il macchinario si presenta dunque come la forma più adeguata del capitale isso, e il capitale isso, se si considera il capitale nella sua relazione con se stesso, si presenta come la forma più adeguata del capitale in generale». [trad. it. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, a cura di G. Backhaus, PGreco Edizioni, Milano 2012, vol. I, p. 709]. 50. Cfr. F. maSCi, Traité Anti-Sentimental, Paris, Éditions Allia, 2018, p. 94: «Le sentiment des premiers lyriques n’est pas encore un état intérieur perçu comme le symptôme d’une personnalité unique». Cfr. anche AD, p. 80: «L’essenza della giuridicità e della politicità è nella formula che non può cambiare, nell’azione tipica; il Cristianesimo, anti-apollineo per natura, introdurrà nel diritto l’interiorità, cosa assurda e contraddittoria, esaltando la voluntas, che dal diritto giustinianeo in poi andrà sempre più prendendo il sopravvento».; F.W. nietzSChe, Der Antichrist, in KSA, vol. VI, pp. 163-254 [trad. it. L’anticristo, in NO, vol. VI, tomo III, pp. 168-262]; id., Jenseits Gut und Böse, par. 295, in KSA, vol. V, pp. 237-239 [trad. it. Al di là del bene e del male, in NO, vol. V, tomo II, pp. 203-205]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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zione interna – per interiorizzazione – dell’ipertroia della cultura oggettiva, per deinizione apollinea, al punto che l’individualità psichica si dissolve dentro la mistica di una psiche collettivamente omogenea a causa dell’atroia dell’individuale. In tal modo, l’individuazione storica, individuale e collettiva, si struttura su stratiicazioni di tendenze pulsionali apollinee e dionisiache. In quanto espressione dell’equilibrio metastabile, l’ideale rinascimentale incarna dunque per i nostri autori una modernità impossibile. Come ogni civiltà superiore, anche il Rinascimento fu possibile tuttavia grazie al tempo libero permesso dallo sfruttamento della schiavitù. Tale condizione della civiltà superiore viene spesso taciuta od omessa, perché non si ama sporcare la sublime espressione artistica con le strutture economiche che la permettono51. Ma le conclusioni mai tratte dell’età delle macchine sono che il lavoro necessario per consentire il tempo libero, condizione dello sviluppo delle grandi individualità, può essere sempre più svolto dalle macchine, sicché l’accesso alla vera cultura sarà sempre più aperto ad un numero sempre più grande di individui, il che permetterebbe la costituzione di un cervello sociale di una società culturale all’altezza del caos cosmopolitico, da cui possano emergere le grandi individualità senza essere abbandonate all’implosione espressiva della follia. Perciò Nietzsche si riferisce al Noi dei buoni europei, gli eredi dell’Europa e del suo spirito millenario52. Questa è la speranza. Per sondarne la possibilità si tratta di approfondire le tesi socio-economiche nietzschiane con la sua critica dell’ottimismo economicistico, appena qui accennate con l’immagine della Gesammt-Maschinerie. Ciò invocherebbe uno stretto dialogo con il pensiero della dépense di Georges Bataille53, che non potrà che costituire un altro saggio dei Quaderni colliani. 51. Cfr. J. BurCkhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien cit. [trad. it. cit., pp. 269-270 e nota 2]; F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1887-1889, 11 [133], in KSA, vol. XIII, 11 [133], p. 62. 52. Cfr. F.W. nietzSChe, Nachgelassene Fragmente 1882-1884, 9 [48], in KSA, vol. X, p. 362: «Non l’utilità, ma la dificoltà determina il valore: il nobile è il risultato di molto lavoro» [trad. it. Frammenti postumi 1882-1884, in NO, vol. VII, tomo I, parte II, p. 18]; id., Die fröhliche Wissenschaft, par. 377, in KSA, vol. II, pp. 630-631: «Noi siamo, in una parola – e questa sarà la nostra parola d’onore! – buoni Europei, gli eredi dell’Europa, gli eredi ricchi, stracolmi, ma anche straricchi di obblighi, di millenni di spirito europeo» [trad. it. La gaia scienza, in NO, vol. V, tomo, II, p. 257]. 53. Cfr. G. Bataille, La parte maudite. Essai d’économie générale, in Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1973, voll. VII-VIII.

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Per una filologia della vita

Le origini mistico-politiche della ilosoia Luca Torrente

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Un’altra nascita della ilosoia? Il presente contributo è in stretta connessione con le rilessioni colliane esposte ne La nascita della ilosoia1. Il problema è in sostanza lo stesso, si tratta infatti di riproporre la questione fondamentale di quali siano le origini della ilosoia. Anche il metodo utilizzato non cambia, il riferimento principale è sempre al Nietzsche della Geburt con i simboli metaisici di Apollo e Dioniso. A dispetto di questi elementi che testimoniano una continuità negli interessi di ricerca così come nel metodo, dalla tesi di laurea del 1939 al volumetto sulla nascita della ilosoia che è del 1975, si riscontra un approccio nei testi giovanili che si differenzia radicalmente da alcune conclusioni più tarde. Uno degli aspetti divergenti è la presenza costante, nella tesi di laurea e negli appunti pubblicati ora in Apollineo e dionisiaco, della politicità ellenica come elemento necessario per una vera comprensione delle origini della ilosoia. Oltre alle pagine di Apollineo e dionisiaco mi confronterò con il testo Filosoi

1. Fondamentali per le considerazioni che si svolgeranno di seguito sono state le conversazioni tolosane con Riccardo Di Giuseppe. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Le origini mistico-politiche della ilosoia

sovrumani, una delle due parti di cui si componeva la tesi di laurea di Colli, terminato di scrivere nella primavera del 1939. La scelta è motivata sia dal fatto che la prima parte del volume è ripresa spesso letteralmente negli appunti che ora si trovano in Apollineo e dionisiaco, che è del 1940, sia per la stretta vicinanza tematica al discorso sulla nascita della ilosoia. Nel capitolo dedicato a Eraclito, in Filosoi sovrumani, troviamo questa affermazione, che dovrebbe quantomeno stupire qualsiasi lettore de La nascita della ilosoia: Questa rinuncia [di Eraclito] alla politica attiva è unica nella ilosoia greca sino ad Aristotele: unico parallelo che si può riscontrare è Democrito […] Vediamo infatti Talete e Anassimandro avere delle cariche a Mileto, Parmenide dare leggi ad Elea, Melisso esser navarca di Samo, Empedocle capo del partito democratico ad Agrigento, e i Pitagorici fondatori di una setta politica. Questa partecipazione attiva alla politica, sia detto tra parentesi, è un fenomeno che non si ripete in tutta la storia della ilosoia se non in casi sporadici: è dunque un punto importante a favore della mia tesi che la ilosoia greca abbia le sue radici in un impulso politico2.

Se la politicità è elemento essenziale per comprendere le origini della ilosoia allora sembra quasi ribaltata la tesi sostenuta ne La nascita della ilosoia, per cui «la follia è la matrice della sapienza»3. In realtà, il misticismo4 è tutt’altro che assente nella ricostruzione proposta dal giovane Colli, l’unica differenza – assolutamente non di poco conto – è che la ilosoia avrebbe la sua origine dall’incontro di mistica e politica. Su questo punto è necessario soffermarsi brevemente, per vedere qual è esattamente la tesi di Colli e poi seguire il percorso proposto in Apollineo e dionisiaco. Prenderò avvio dalla citazione di un ilosofo che sicuramente si può deinire lontano dalla prospettiva colliana,

2. FS, p. 37. In realtà anche Eraclito, in quanto si decide a comunicare le sue idee, compie un’azione politica; cfr. FS, p. 49. 3. NF, p. 21. 4. Sul signiicato di questa «parola malfamata» cfr. DN, p. 156: «“Mistico” signiica soltanto “iniziato”, colui che è stato introdotto da altri o da se stesso in un’esperienza, in una conoscenza che non è quella quotidiana, non è alla portata di tutti». www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Costanzo Preve5. In una lezione tenuta in Val di Susa nel 2005, che aveva come tema la questione delle origini della democrazia greca6, Preve sostenne che le due grandi linee interpretative della seconda metà del ‘900 sulle origini della ilosoia sarebbero rappresentate da Jean-Pierre Vernant, che insiste molto sull’aspetto politico collegando la nascita della razionalità a quella delle poleis, e da Colli, il quale al contrario sottolinea la derivazione mistica e religiosa della ilosoia greca. Secondo Preve queste due visioni, se integrate e osservate insieme sotto luce nuova, darebbero una spiegazione adeguata dell’inizio della ilosoia. Ora il fatto è che, in realtà, il giovane Colli era già arrivato, nella sua tesi di laurea, a questa visione che potremmo deinire “sintetica” della nascita della ilosoia. Ma Preve del resto questo non poteva saperlo, visto che Filosoi sovrumani è stato pubblicato solo nel 2009 a cura di Enrico Colli. Apollineo e dionisiaco Come si è detto, i riferimenti essenziali per l’interpretazione del fenomeno studiato sono l’apollineo e il dionisiaco. I due termini sono tratti dal Nietzsche de La nascita della tragedia e simboleggiano due opposte tendenze. Colli fa da subito riferimento esplicito a Schopenhauer, dichiarando che in luogo di volontà e rappresentazione si parlerà di interiorità ed espressione7. Il primo termine compare di frequente negli scritti giovanili e sarà poi sostituito da “immediatezza” nel periodo maturo8. Il secondo termine, invece, è la chiave di volta per la comprensione del pensiero colliano e compare nel titolo del suo opus magnum: Filosoia dell’espressione. Da un lato abbiamo quindi l’interiorità dionisiaca e dall’altro l’espressione apollinea. Le due coppie di opposti sono da 5. Costanzo Preve (Valenza 1943 – Torino 2013) è stato un ilosofo d’ispirazione marxiana e neohegeliana. Allievo di Jean Paul Sartre, Louis Althusser e soprattutto Roger Garaudy, Preve ha scritto numerosi volumi e saggi ed è stato tra i fondatori della rivista Metamorfosi. 6. Cfr. C. Preve, Le radici storiche, politiche, ilosoiche e comunitarie della democrazia antica dei Greci, in Presidiare la democrazia realizzare la costituzione. Atti del seminario itinerante sulla difesa della Costituzione, 12-14 dicembre 2005, Bardonecchia, Susa, Bussoleno, Condove, Edizioni Melli-Quaderni Sarà Dura!, Borgone Susa 2006. 7. Cfr. AD, p. 76 8. Questa sostituzione comporta alcuni mutamenti nel modo di intendere ciò che si contrappone all’espressione, ma non è possibile affrontare qui tale questione, che richiederebbe un confronto serrato tra i testi del periodo giovanile e quelli successivi. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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studiare come complessi modi di vivere, oltre a essere delle categorie estetiche. Ma il valore di questi concetti non è solo legato alle produzioni umane, interiorità ed espressione hanno valore metaisico e sono impiegati per indicare i principi universali e supremi della realtà. Inoltre, dionisiaco e apollineo sono fenomeni molto complessi e non ci si dovrà stupire di trovarli intrecciati; spesso infatti si rivelerà un aspetto dionisiaco all’interno di un fenomeno apollineo e viceversa9. L’apollineo è dunque in senso lato espressione. Con questo termine si intende qualcosa di molto simile alla rappresentazione di Schopenhauer, con il suo principium individuationis retto dalla ferrea legge della causalità. Viene subito da dire che ogni espressione, tirando fuori e manifestando qualcosa di non manifesto, ha dietro di sé un’interiorità. Colli aggiunge che l’apollineo è ab initio condizionato dall’interiorità che gli sta alle spalle10. Questa derivazione e dipendenza dell’apollineo dal dionisiaco è, però, nascosta ai più e il mondo va avanti come se il dionisiaco non esistesse e l’apollineo fosse l’unico elemento universale. Si potrà parlare di apollineo quando troveremo una visione del mondo basata sull’espressione, perfettamente indipendente e conchiusa in se stessa, cosciente di essere per propria natura limitata, trionfante e felice nella sua innocenza. Una tale concezione si è realizzata unicamente nell’antichità classica11.

Ciò che conta nell’antichità classica è allora l’individuo umano, nella sua esistenza esclusivamente fenomenica e mortale. Una grande realizzazione e compimento di questa tendenza è il diritto romano, dove l’importante è dato dalla pura forma e dall’esteriorità. Nel suo senso più vasto, però, l’apollineo trova la sua maggiore realizzazione in Grecia, dove alla visione del mondo esclusivamente rappresentativa si aggiunge il lato creativo dell’individualità. Questo si esplica soprattutto nell’attività politica, che per un Greco antico «signiica in senso amplissimo ogni forma di espressione, ogni estrinsecazione nella polis della propria personalità 9. Cfr. AD, pp. 76-78. 10. Cfr. AD p. 79. 11. AD, pp. 79-80. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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[…] Politiche diventano dunque tutte le attività spirituali dell’uomo, anche l’arte, la religione, la ilosoia: non è concepibile nel mondo greco un religioso che dalla sua vita interiore sia condotto all’ascetismo»12. È attività politica in grado eminente anche l’educazione dei giovani nella polis, a cui ci si può richiamare tramite il termine paideia13. Questa prima manifestazione dell’apollineo, che si è visto avere nell’individualismo e nell’attività politica i suoi elementi principali, è associata da Colli a una parola greca: phthonos. Lo phthonos «ha un signiicato complesso, in cui entrano gelosia, invidia, malevolenza – l’interesse insomma a far trionfare la propria individualità fenomenica»14. Per un Greco però lo phthonos, da solo, non sarebbe sopportabile e porterebbe presto all’autodistruzione. Per questo l’egoismo ellenico è strettamente connesso al metron, alla misura che non è possibile oltrepassare, se non si vuole incorrere in una grande rovina. Tutti gli uomini, ma sotto un certo aspetto anche gli dei, hanno una dynamis che è sia capacità d’azione sia limite deinito dai mezzi propri dell’agente15. L’esperienza fondatrice in ogni caso è quello dello scontro con un ostacolo, dell’impotenza e della resistenza di altre potenze opposte alla capacità del singolo. Le migliori rappresentazioni poetiche dello phthonos sono forse le ininite lotte tra gli eroi dell’Iliade16. Nei poemi omerici inoltre troviamo anche le descrizioni più vive del principio ultimo che regge il mondo apollineo. Stiamo parlando della Moira omerica, cioè dell’Ananke, della necessità che è la legge suprema della rappresentazione, la quale è espressamente associata da Colli al Principio di ragion suficiente (Satz vom zureichenden Grunde) di Schopenhauer17.

12. AD, p. 81. 13. Cfr. FS, p. 23. 14. AD, pp. 83-84. Il termine, come informa lo stesso Colli, è utilizzato spesso da Platone. Per esempio, in Timeo 29e-30a, il Demiurgo è buono e per questo completamente privo di phthonos. Nelle osservazioni che Colli scrive nel ’46 riguardanti questi appunti giovanili si legge: «Da veriicarsi l’uso di phthonos nella letteratura greca» (AD, p. 231). 15. Cfr. d. leFeBvre, Dynamis. Sens et genèse de la notion aristotélicienne de puissance, Vrin, Paris 2018, pp. 33, 77, 87. 16. Nell’Odissea troviamo inoltre il personaggio che conduce l’apollineo al suo estremo, cioè Odisseo: «La sua vita è la perfetta antitesi al dionisiaco, del tutto cerebrale e calcolatrice, compiutamente racchiusa nella rappresentazione» (AD, p. 85). 17. Cfr. AD, pp. 85-86. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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In realtà, nell’uomo apollineo non è mai del tutto assente l’interiorità e, come si è visto, apollineo e dionisiaco sono intrecciati e si mescolano l’uno nell’altro. Per avere delle testimonianze di autori che diano rilevanza alla propria interiorità per se stessa si deve aspettare il VII secolo a. C. La lirica giambica ed elegiaca di quest’epoca, con qualche eccezione18, è il luogo in cui si trova affermata con forza l’interiorità dell’uomo. L’interiorità si manifesta qui come sentimento dionisiaco dello slancio e «questo Schwung ha un valore rilevante in sé come pura interiorità»19. I versi di questi poeti sono carichi di un linguaggio simbolico in grado di esprimere l’entusiasmo e la forza travolgente che va contro le rigide leggi della necessità. Troviamo un esempio nella silloge teognidea: Io ti ho dato le ali per volare sopra il mare ininito e per sollevarti facilmente sulla terra tutta. Sarai presente a tutte le feste e a tutti i banchetti posando sulle labbra di molti: te celebreranno al suono degli auli brevi d’acuta nota giovani seducenti nell’armonia di giovani canzoni. E quando scenderai sotto i recessi di terra buia, verso l’infera magione gremita di singulti, neppure morto perderai la tua fama, ma resterai nel cuore degli uomini poiché avrai nome inestinguibile, o Cirno, volteggiando per la terra ellenica e fra le isole, varcando il pescoso inseminato abisso, non assiso su dorsi di cavalli20.

Anche in Pindaro si trova un’affermazione simile, rispetto allo slancio ininito: «Delle ginocchia agile ho l’impeto: / anche oltre il mare le aquile volano»21. In entrambi i casi i poeti esprimono un sentimento che tende a superare i limiti, quei conini imposti dalla natura propria a ciascuno. Nell’intimo si scoprono dei baratri che appaiono sconinati, si pensi per esempio all’aforisma di Eraclito che recita: «I conini dell’anima, nel tuo andare, non potrai scoprirli, neppure se percorrerai tutte le strade: così profonda è l’e-

18. Solone è deinito da Colli come una «serena personalità ancora apollinea» (AD, p. 88). 19. AD, p. 91. 20. teoGnide, Elegie, i, vv. 237-249 [trad. it. Elegie, a cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 1989, pp. 111, 113]. 21. Pindaro, Nemee, v, vv. 20-21 [trad. it. in AD, p. 92]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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spressione che le appartiene»22. Questa scoperta di un’interiorità nascosta che spinge a valicare i limiti esterni nei momenti di entusiasmo testimonia delle prime apparizioni letterarie del dionisiaco. Se ci si rivolge allora all’ira di Archiloco – il quale è riconosciuto da Nietzsche come il primo dionisiaco – ci si confronta con un sentimento che ha una rilevanza in quanto pura interiorità che si rivolge innanzitutto contro i limiti imposti da Ananke23. In questo periodo di poesia dionisiaca, se così la si può deinire, ricopre un’importanza innegabile lo thymos, termine che secondo Colli esprime più di tutti la prima intimità dionisiaca24. Questo slancio ininito che abbiamo osservato sotto abiti diversi non può però trovare nell’esistenza fenomenica una compiuta realizzazione e per questo ci imbattiamo – inevitabilmente – nella sofferenza25. Un altro termine che troviamo in questa prima fase è l’hybris, la tracotanza, la quale però può essere ricondotta all’interno del dionisiaco solamente per il suo carattere di smisuratezza, di cioè travalicamento dei conini imposti. Per il resto, per esempio nello spirito tirannico di natura politica, l’hybris sembra essere molto più apollinea che dionisiaca26. Senza soffermarsi oltre su queste prime forme incerte di dionisiaco, si giunge inine all’ebbrezza27, dove si manifesta l’aspetto collettivo del dionisiaco, carattere già messo in evidenza da Nietzsche ne La nascita della tragedia. L’ebbrezza nasce da un potenziamento dell’interiorità per cui l’anima si riempie improvvisamente di «vita accumulata e sovraeccitata»28. Nel momento del dionisiaco collettivo sparisce lo phthonos, in quanto non c’è più una lotta tra individualità 22. eraClito, B45 DK = SG 14 [A55] [trad. it. SG, vol. III, p. 63]. 23. Una concisa dichiarazione sulla forza di Ananke è contenuta in teoGnide, Elegie, I, 293-294: «Neppure il leone riesce ogni giorno a cibarsi di carne: necessità pure lui soggioga, anche se è così forte» [trad. it. cit., p. 121]. 24. Cfr. AD, p. 92. In realtà Colli stesso trova discutibile la sua ipotesi nelle osservazioni del ’46; cfr. AD, p. 232. Il signiica di θυμός è del resto cangiante e sono innumerevoli gli studi che hanno tentato di illuminarne il senso; cfr. r.B. onianS, The Origins of European Thought, Cambridge University Press, Cambridge 1951; t. Jahn, Zum Wortfeld ,Seele-Geist‘ in der Sprache Homers, Beck, München 1987; m. Clarke, Flesh and Spirit in the Songs of Homer, Oxford University Press, Oxford 1999. 25. Cfr. AD, p. 88. 26. Cfr. AD, pp. 96-97. 27. Cfr. AD, p. 97. 28. AD, p. 98. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Le origini mistico-politiche della ilosoia

fenomeniche, e nasce così il sovrumano (termine che sarà analizzato nel dettaglio a breve). L’ebbrezza dionisiaca porta all’amore universale e all’altruismo, atteggiamenti causati dal fatto che l’intelletto e il cuore del singolo individuo, prima limitati alla sua natura fenomenica, ora acquistano innumerevoli punti di vista e ampliano di molto le loro intuizioni29. Oltre all’ebbrezza delle orge dionisiache troviamo in quest’epoca «la ioritura dei misteri, i ditirambi satireschi e funebri, le comunità ascetiche dell’Orismo»30. Qui incontriamo veri e propri movimenti religiosi ascetici, composti da comunità che appaiono disinteressarsi alle vicende politiche del tempo, per la credenza in una giustizia ultraterrena. Questo allontanamento dalla politica e dalla vita attiva però è tutt’altro che vero e sembra il frutto di una visione viziata da altri fenomeni religiosi posteriori all’epoca che si sta analizzando. Colli sottolinea come non sia concepibile una partecipazione isolata ai misteri e assolutamente ascetica, al Greco del tempo occorre al contrario entrare nelle comunità in cui vivono gli iniziati e questi gruppi rivelano pur sempre un carattere politico31. Questo legame fondamentale con la politica si ritrova chiaramente negli uomini che maggiormente hanno incarnato le tendenze religiose sopra descritte: Epimenide, Ferecide, Pitagora ed Empedocle32. Il dionisiaco individuale Fino a qui il discorso di Colli sul dionisiaco non si distacca di molto da quello di Nietzsche. Ora si porrà invece una differenza fondamentale: il dionisiaco non è solo collettivo, ma secondo Colli esiste anche una forma di dionisiaco individuale, che è di molto superiore a quella dell’ebbrezza. Se infatti «l’uomo mediocre» non può arrivare che al livello dell’amore collettivo prodotto dall’ebbrezza, in uno

29. Cfr. AD, pp. 99-100. 30. AD, p. 102; cfr. FS, p. 28. 31. Sul carattere politico dei misteri cfr. d. SaBBatuCCi, Il misticismo greco, Bollati Boringhieri, Torino 2008. In un’intervista di d. Eribon a J.-P. Vernant, comparsa sul Nouvel obstervateur, n. 1367, 1991, pp. 92-93, lo studioso francese rimarca l’importanza civica dei misteri e dei culti dionisiaci, in contrapposizione alla prospettiva colliana de La sapienza greca, che privilegia il solo aspetto mistico e conoscitivo. 32. Cfr. AD, p. 104. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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stato che è di incoscienza per quello che sta accadendo33, d’altro canto l’uomo «superiore è sempre un conoscitore, la sua è una coscienza mistica ed immediata di amore, cui arriva egli solo»34. Il passaggio dal dionisiaco collettivo a quello individuale può anche essere concepito come salita dall’incoscienza alla coscienza35, sebbene Colli non riesca a fornire in questo caso una spiegazione adeguata del come e del perché avvenga questo passaggio36. Gli spiriti più schiettamente ilosoici andarono oltre questo stato dionisiaco collettivo. Che importava inine il momento transitorio dell’ebbrezza orgiastica, se lasciava sussistere la vita con le sue contraddizioni? […] Essi videro in sostanza che l’uomo dionisiaco voleva superare la sua passionalità e non faceva altro che annegarla in una passionalità suprema, tanto forte che gli faceva perdere il senso della personalità37.

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Ma chi sono questi “uomini superiori”, questi personaggi in grado di elevarsi al di sopra dell’incoscienza dell’ebbrezza? I primi rappresentanti del dionisiaco individuale sono i primi ilosoi, quelli che in seguito Colli chiamerà “sapienti” e ora chiama “ilosoi sovrumani”. Queste personalità, oltre ad aver avuto una vita politica, sono state toccate e inluenzate in modo decisivo dalle varie forme del dionisiaco sopra descritte. Hanno dunque fatto i conti con quello che Colli chiama «pessimismo tragico e religioso» e, invece che raggiungere uno stadio di pessimismo passivo (ossia una forma di superamento della vita tramite la sua negazione, come nell’ascetismo cristiano e buddhistico), hanno avuto un atteggiamento di pessimismo per così dire positivo38. Con questa espressione Colli si riferisce a quell’esperienza di estasi sovrumana che «non spingeva certo il Greco ad abbandonare la vita dolorosa, piuttosto anzi ad amarla di più questa esistenza, che poteva dargli

33. Cfr. AD, pp. 101-102, 106. 34. AD, p. 102. 35. Cfr. AD, p. 106. 36. Cfr. AD, p. 232. 37. FS, p. 29. 38. La distinzione mi sembra ricalcare in parte quella tracciata da Nietzsche tra nichilismo passivo e nichilismo attivo; cfr. F. volPi, Il nichilismo, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 45-52. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Le origini mistico-politiche della ilosoia

in qualche momento gioie così divine»39. A parere del giovane Colli le uniche altre personalità che hanno raggiunto questo stadio dopo i Greci sono: Pico della Mirandola, Spinoza, Böhme e Nietzsche40. I primi ilosoi si incamminarono su una nuova via, dal pessimismo religioso si volsero a ricercare il principio del mondo, l’arché, un principio assolutamente positivo che dà felicità ed è estraneo ad ogni passione umana. Per compiere questa ricerca i primi ilosoi dovettero superare tutto ciò che è umano, Colli parla di un «disumanamento»41, distaccandosi dagli altri uomini per entrare il più possibile nell’intimo della propria interiorità. Mentre l’attività spirituale apollinea è caratterizzata da un movimento centrifugo, nel senso che tende a esprimere sempre più l’individuo nel mondo, il dionisiaco è invece una forza che spinge l’uomo a rivolgere tutto se stesso verso l’interno42. In questo sforzo immane che tende all’interiorità si ha inoltre una repressione del desiderio di potenza, cosa che li porta alla concezione eroica del mondo43. I “ilosoi eroici” sono allora nuovamente contrapposti ai mistici pessimisti, per la loro capacità di affermare l’esistenza con tutto il suo dolore senza scappare dalla vita. Il dionisiaco individuale è interiorità pura, sentimento e volontà denudati di immagini. Essi [i ilosoi eroici] sono convinti che nella loro anima sta il segreto del mondo, e nel corso della vita eroica che hanno scelto per sé si elevano alle loro intuizioni mistiche44.

In realtà, queste intuizioni sarebbe più opportuno chiamarle «vissutezze» (dal tedesco Erlebnisse), in quanto sono fuori dalla rappresentazione. Dalla vissutezza eroica si giunge inine a quella paradisiaca, «che non è più l’estasi ferma nella conoscenza di una divinità staccata e fredda, ma un

39. AD, p. 105. In un appunto inedito del 13 aprile 1937, Colli scrive: «Comprendere la necessità del dolore è un alto grado di conoscenza. Bisogna quindi voler soffrire, proprio nell’istante del dolore» (trascrizione di Maicol Cutrì). 40. Cfr. AD, p. 108. 41. FS, p. 31. 42. Cfr. AD, p. 108; FS, p. 28. 43. Cfr. AD, p. 110. 44. AD, p. 111. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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paradiso che ci appartiene, un riposo dell’eroe, che si può vivere su questa terra»45. Il sovrumano È venuto il momento di tornare sul termine che Colli utilizza per riferirsi ai primi ilosoi. Il sovrumano designa l’interiorità dionisiaca individuale, l’interiorità cioè che si è potenziata oltremodo nell’esperienza mistica di identiicazione tra individuo e mondo e che però, in questa identiicazione, non ha smarrito del tutto la propria interiorità46. Il termine richiama l’Übermensch nietzschiano e ha in sé effettivamente l’idea di qualcosa che superi i limiti dell’umano per giungere a qualcosa di oltre47. Nel mondo greco la dimensione che si eleva al di sopra dei mortali e possiede un sapere ininitamente superiore è la dimensione divina e, non a caso, l’appellativo theios anēr era uno dei modi per indicare un uomo dotato di capacità e potere eccezionali48. Il sovrumano è dunque l’allontanamento dall’umano per attingere al sapere divino ed è nel conoscere che l’uomo diventa uguale a dio49: ciò per Colli può accadere solo tramite un ripiegamento dell’interiorità su se stessa. I ilosoi sovrumani infatti comprendono che è proprio questa personalità la creatrice della conoscenza, essa che nel suo essere ininito e pur limitato costituisce il nodo che stringe il noumeno al fenomeno e li rende entrambi essenziali, essa che ha dominato il mondo, l’ha completato, gli ha dato un senso affermandolo nella sua conoscenza, ed è assurta come una nuova divinità, il dio conoscitivo50.

45. AD, p. 113. Colli cita in nota anche un riferimento a F.W. nietzSChe, Wille zur Macht, 14 [46], in NW, vol. VIII, tomo III. 46. Cfr. AD, p. 111. 47. In FS, p. 47, il theos e il “superuomo” sono posti sullo stesso livello. L’Übermensch è colui che può sopportare il peso del nichilismo estremo. 48. Cfr. G.W. moSt, Philosophy and Religion, in d.n. Sedley (a cura di), The Cambridge Companion to Greek and Roman Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 2013, p. 317: «In a world which tended to differentiate sharply between mortals and immortals, the godly man was a person of unsettling and hence fascinating ambiguity, ineluctably mortal, yet possessed of a special knowledge of matters divine, which could be expressed in the form of capabilities otherwise beyond the scope of ordinary mortals, ranging from legislation, monarchy, or wisdom, to bilocation, miracle cures, knowledge of the future, and action at a distance». 49. Cfr. FS, p. 42. 50. AD, pp. 110-111. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Le origini mistico-politiche della ilosoia

In questa formula conclusiva sembra di leggere in iligrana alcuni passi di Aristotele sul dio come supremo conoscitore51. È proprio la relazione tra sapienza divina e umana il punto decisivo su cui si gioca questo testo di Colli e sul quale si inserisce il sovrumano, come eccezionale possibilità umana di raggiungere, attraverso lo slancio dionisiaco, il sapere divino52. Tutto ciò sempre all’interno della propria interiorità, secondo gli insegnamenti di Eraclito, ilosofo sovrumano: «ho ricercato in nel profondo me stesso»53, perché del resto «all’anima tocca un’espressione che accresce se stessa»54. «L’origine mistica e politica della ilosoia greca» Per concludere il percorso iniziato con l’affermazione delle origini mistico-politiche della ilosoia greca, riprendiamo il discorso dalla comparsa delle personalità sovrumane. A partire dalla propria interiorità rivolta su se stessi, nella vissutezza prima eroica e poi paradisiaca, i ilosoi sovrumani sentono il bisogno di esprimersi nel mondo, di creare qualcosa nella realtà fenomenica, e questo perché non hanno mai rinunciato del tutto a raggiungere un apollineo superiore55; cosicché «il loro impulso politico soffocato in gioventù, non potendo essi né limitarsi a tenere una magistratura nella loro città, né abbassarsi a tentare la tirannia, si realizza ora nelle dottrine ilosoiche che costituiscono come una legislazione data non alla loro città, ma all’universo intero»56. Essi dunque non si fermano allo stato del dionisiaco individuale, pur avendo raggiunto le loro aspirazioni teoretiche ed essersi approssimati al divino. Ciò è dovuto al fatto che i Greci dimostrano una pulsione insopprimibile a esprimere la propria interiorità: per quanto si entri in se stessi e ci si isoli da ciò che ci circonda, alla ine riappare di continuo l’impulso politico che spinge ad agire nel mondo57. «Come 51. Cfr. ariStotele, Metaisica I 2, 982b29-983a10; Etica Nicomachea X 8, 1178b7-9. 52. L’importanza delle interazioni tra mortali e agenti divini per la comprensione del modo in cui gli uomini acquisiscono la conoscenza è ben argomentata in S. tor, Mortal and Divine in Early Greek Epistemology, Cambridge University Press, Cambridge 2017. 53. eraClito, B101 DK = SG 14 [A 37] [trad. it. in FS, p. 38]. 54. eraClito, B115 DK = SG 14 [A 10] [trad. it. SG, vol. III, p. 29]. 55. Cfr. AD, p. 109. 56. AD, p. 115. 57. Cfr. FS, p. 31.

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la mistica greca è il superamento dell’umano, così la politica del ilosofo greco è l’espressione per gli uomini»58. Al termine dell’esperienza mistica il ilosofo sovrumano prende la via del ritorno verso le comunità degli uomini, è questo il viaggio che percorrono i sapienti e che è narrato da Parmenide nel suo poema59. Risulta evidente da quanto detto che in quest’ultima fase c’è un ritorno dell’apollineo. Si tratta in questo caso, però, non dell’apollineo che conduceva all’individualismo sfrenato e allo phthonos, ma di una forma di apollineo per cui l’interiorità che la sorregge è sempre rilevante nella sua presenza. L’apollineo che troviamo nelle personalità sovrumane è allora «espressione di un’attività spirituale umana, ilosoia, arte o scienza che sia»60. I due aspetti co-originari della ilosoia, mistica e politica, si trovano allora a coesistere dopo un lungo percorso che ha visto avvicendarsi fasi diverse: dall’apollineo autonomo, al dionisiaco collettivo, dal dionisiaco individuale inine all’apollineo sorretto dall’interiorità dionisiaca. Apollo e Dioniso, visione politica e mistica, «dall’urto di queste forze nasce il miracolo della ilosoia greca»61. La tesi di laurea di Colli, discussa a Torino con Gioele Solari l’11 luglio 1939, aveva come titolo Politicità ellenica e Platone e il frontespizio della prima parte, l’equivalente di ciò che ora è pubblicato in Filosoi sovrumani, porta signiicativamente il seguente sottotitolo: L’origine mistica e politica della ilosoia greca62. Il percorso che si è delineato è quindi, come sarà risultato evidente, radicalmente diverso da quello de La nascita della ilosoia. Detto altrimenti, il discorso tracciato in queste pagine risulta più complesso e ricco, in quanto cerca continuamente di includere l’aspetto politico dei ilosoi sovrumani, mettendolo in relazione con il contesto mistico. Ne La 58. FS, p. 30. 59. Cfr. R. di GiuSePPe, Le voyage de Parménide, Orizons, Paris 2011. 60. AD, p. 117. È importante ricordare come l’esito del dionisiaco individuale e quindi del sovrumano non sia per Colli necessariamente la ilosoia. L’arte e qui anche la scienza sono attività spirituali in grado di esprimere l’interiorità di un grande individuo, come si dice in AD, pp. 119-20, riguardo al creatore dionisiaco. Del resto, la differenza tra queste diverse espressioni umane sembra essere legata in particolare al diverso linguaggio che esse utilizzano. 61. FS, p. 26. 62. Cfr. FS, p. 153. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

nascita della ilosoia manca invece la polis, l’intero processo che porta alla ilosoia di Platone è compiuto da igure – indovini, sapienti, soisti – che sembrano non avere relazioni con altri concittadini che non siano a loro volta sapienti. Se volgiamo l’attenzione a La Sapienza greca, l’edizione dei frammenti dei Presocratici che Colli non riuscì a terminare per la sua morte e di cui ci rimangono i primi tre volumi (ino ad Eraclito), l’aspetto politico è presente nel contesto di alcuni autori, ma sempre in secondo piano rispetto alla sapienza. È suficiente dare alcuni esempi per rendere l’idea. Nel commento alla testimonianza di Diogene Laerzio su Talete, si trova questa dichiarazione netta: «I sapienti che ci siamo proposti di trattare mirano all’eccellenza conoscitiva, non alla saggezza politica, quindi la citata tradizione popolare [la tradizione sui Sette Sapienti] non rientra nel tema da sviluppare»63. Di fronte poi a testimonianze che mostrano un chiaro interesse politico da parte di Talete, come quella tramandata da Erodoto sulla proposta di centralizzare l’unione delle città ioniche, Colli afferma: «Qui la sapienza si presenta addirittura come saggezza politica: però il “giudizio” di Talete non fa pensare a una sua invadenza nella sfera politica, quanto piuttosto al responso di un sapiente cui si sottopongono i problemi più generali della città»64. Lo schema generale sembra quello di una superiorità decisiva della conoscenza mistica sulla politica e in un tale contesto i sapienti vengono a contatto con i problemi della polis solo nel momento in cui sono interpellati dai cittadini alla stregua di oracoli. È infatti la potenza politica che si rivolge al sapiente e lo prega, con umiltà, di concedere alla comunità la conoscenza raggiunta lontano dagli uomini65. Inine, l’avvicendamento di sapienza e politica non sembra qualcosa di auspicabile, se guardiamo per esempio quanto afferma Colli a proposito di Onomacrito: «Con Onomacrito, il sapiente entra sulla scena politica. Due sfere che erano rimaste separate s’incontrano, e l’incontro non appare piacevole per la sapienza»66. L’impulso politico è invece presente come apporto fon-

Le origini mistico-politiche della ilosoia

63. 64. 65. 66.

SG, vol. II, p. 289. Ivi, p. 284. Cfr. ivi, p. 36. Ivi, p. 35.

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damentale per la nascita della ilosoia sia in alcune pagine di Apollineo e dionisiaco sia nella tesi di laurea. Qui non è in gioco solo la ricostruzione storica di un fenomeno – tra l’altro decisivo come la nascita della ilosoia – ma è in questione il luogo stesso della ilosoia, interno o esterno alla città, commisto o distante dalle attività degli uomini, politico o mistico. L’eccezionalità dei ilosoi sovrumani sarebbe stata allora quella di tenere insieme questi due aspetti, che sarebbero anche gli impulsi che hanno dato vita alla sapienza. Il giovane Colli è convinto che la sapienza nasca dalla mistica e dalla politica fuse assieme e sembra così condividere l’atteggiamento che egli stesso deinisce come «principio immortale» della ilosoia di Platone, nelle ultime righe di Platone politico: «Scopo dell’uomo è la conoscenza, e la conoscenza si raggiunge nella comunità e per la comunità»67.

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67. PP, p. 130. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant. La metaisica nel pensiero di Colli Giulio M. Cavalli

Per una filologia della vita

Ci fermeremo allora a questo punto, e porremo la parola ine alla ilosoia, come fece Kant, dinanzi alla x trascendente? Lo stesso Kant ci ha detto che l’impulso alla metaisica è inesauribile nel cuore dell’uomo1. GiorGio Colli

A partire dal 1938, il giovane Giorgio Colli progetta a più riprese la stesura di un libro di carattere teoretico e speculativo, provvisoriamente intitolato Ellenismo e oltre, che secondo un piano di lavoro datato 19402 avrebbe dovuto articolarsi in quattro parti. Di questo progetto, che per vari motivi non è stato portato a compimento3, rimangono la stesura deinitiva della prima parte e alcuni abbozzi, più o meno organici, delle altre tre. La seconda parte, intitolata “Tentativi sistematici”, avrebbe dovuto suddividersi in tre capitoli: gnoseologia, metaisica ed estetica4. Nel presente contributo mi propongo di studiare ciò che rimane dei primi due capitoli su gnoseologia e metaisica: innanzitutto ricostruirò il contesto storico-teoretico da cui prende avvio la rilessione ilosoica del giovane Colli; successivamente esaminerò i principali nodi speculativi dei suoi tentativi sistematici, seguendo il percorso che dalle problematiche gnoseologiche conduce al cuore della metaisica; inine pro1. 2. 3. 4.

AD, p. 188. Cfr. AD, p. 224. Cfr. AD, pp. 13-14. Cfr. AD, p. 225.

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spetterò brevemente un confronto fra la metaisica giovanile di Colli e la sua ilosoia dell’espressione matura. L’ipotesi interpretativa che sorregge il mio contributo è che Colli, partito da posizioni esplicitamente schopenhaueriane, nella propria maturità ilosoica sia pervenuto a posizioni più vicine a Kant che non a Schopenhauer. Questa tesi mi sembra interessante per almeno due motivi: in primo luogo, perché gli interpreti di Colli insistono solitamente sul suo forte legame con Schopenhauer e Nietzsche, sottovalutando quello – altrettanto forte e teoreticamente più rilevante – con Aristotele e, appunto, con Kant5; in secondo luogo, perché, se è vero che Colli supera Schopenhauer con Kant, assistiamo qui a una signiicativa inversione del corso storico-teoretico della ilosoia moderna, che dal criticismo kantiano è nuovamente sfociata nella metaisica con Schelling, Hegel e appunto Schopenhauer. La peculiarità della ilosoia dell’espressione di Colli consisterebbe allora in una sintesi tanto eclettica e originale, quanto apparentemente contraddittoria, tra l’impostazione gnoseologico-trascendentale di Kant e quella metaisico-genetica di Schopenhauer, mediata dalla logica di Aristotele. 1. Da Kant a Schopenhauer Il confronto di Schopenhauer con Kant verte principalmente sulla natura della cosa in sé e sulla sua conoscibilità. Tanto il riiuto della metaisica tradizionale, scolastica e razionalista, da parte di Kant, quanto, viceversa, il ritorno a posizioni metaisiche da parte dei post-kantiani, si fondano infatti su una diversa interpretazione dello statuto ontologico ed epistemologico della nozione di cosa in sé. Per comprendere la metaisica del giovane Colli bisognerà perciò ricostruire i punti-chiave della critica di Schopenhauer a Kant. Il problema ilosoico della Critica della ragione pura è di natura epistemologica: si tratta di giustiicare la validità delle leggi della moderna isica matematica. Secondo Kant, per poter fare ciò bisogna compiere anche in ilosoia una 5. Eccezioni in tal senso sono L. Cimmino, Giorgio Colli e la “crisi della ragione”, «La Nottola», ii-iv (1983-1985), che qualiica la ilosoia dell’espressione come «kantismo sui generis», e F. monteveCChi, Giorgio Colli. Biograia intellettuale, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pp. 126 sgg. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

rivoluzione copernicana, secondo la quale l’universalità e la necessità delle leggi isiche non si fonderebbero sull’accordo della isica con la struttura dell’essere in sé della natura, bensì sul suo accordo con la struttura dell’apparire a noi della natura, che è la struttura stessa della conoscenza umana – posto che per Kant ‘conoscere’ signiichi riferire un concetto dell’intelletto a ciò che viene dato nell’intuizione sensibile6. Come fondamento epistemologico della sua rivoluzione ilosoica, Kant introduce la distinzione tra ciò che appare e la cosa in sé. Ciò che appare (Erscheinung)7 è l’oggetto del conoscere considerato nel modo in cui esso, nell’esperienza (Erfahrung), si manifesta al soggetto conoscente, cioè come oggetto dell’intuizione sensibile, costituito mediante la sintesi a priori di una forma intellettuale e di una materia sensibile8; la cosa in sé (Ding an sich) è invece l’oggetto considerato in sé, astraendo da come appare empiricamente al soggetto umano. Da ciò risulta subito evidente che della cosa in sé non è possibile avere alcuna conoscenza in senso proprio, poiché il conoscere scaturisce dalla sintesi tra concetti dell’intelletto e dati sensibili, e la cosa in sé per deinizione non si offre all’intuizione sensibile; tuttavia, come vedremo, essa può comunque essere genericamente pensata, benché soltanto come limite (Schranke) del conoscere9. Per chiarire ulteriormente il signiicato delle nozioni di Erscheinung e Ding an sich, alla ine dell’Analitica trascendentale Kant discute la distinzione di tutti gli oggetti del conoscere in phaenomena e noumena. Si tratta di un capitolo molto importante ai ini della nostra trattazione, perché presenta una critica alla metaisica con cui anche il giovane Colli ha dovuto fare i conti. Ciò che appare è sempre un oggetto dell’intuizione sensibile (sinnliche Anschauung), nella misura in cui è sempre percepito nello spazio e nel tempo, che sono le forme a priori della sensibilità; essendo allora ciò che

6. Cfr. I. kant, Kritik der reinen Vernunft, B 146. 7. Sebbene Colli traduca il termine Erscheinung con ‘apparenza’, seguendo la scelta traduttiva di C. Esposito preferisco adottare la perifrasi ‘ciò che appare’, anche perché il colliano ‘apparenza’ si presta ad essere pericolosamente associato alla dicotomia apparenza/realtà, niente affatto kantiana quanto, piuttosto, schopenhaueriana. 8. Cfr. I. kant, Kritik der reinen Vernunft, B 34. 9. Sulla distinzione tra conoscere e pensare, cfr. ivi, B 146 sgg. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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propriamente si dà ai sensi, ciò che appare è un fenomeno. Ora, secondo Kant, quando certi oggetti, come apparenze [Erscheinungen], noi li chiamiamo enti dei sensi (phaenomena), distinguendo il modo in cui li intuiamo dalla loro natura in sé, allora nel nostro concetto è già implicito, che noi a quegli oggetti, per così dire, contrapponiamo, chiamandoli enti dell’intelletto (noumena), o i medesimi oggetti, intesi secondo quest’ultima natura (sebbene non li intuiamo in essa), oppure altre cose possibili – che non sono per nulla oggetti dei nostri sensi – intese come oggetti semplicemente pensati dall’intelletto10.

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La distinzione tra fenomeno e noumeno è quindi gnoseologica, poiché non riguarda diverse specie di oggetti, bensì diversi modi di considerare nella rilessione uno stesso oggetto: come fenomeno, se lo consideriamo nel modo in cui si dà ai sensi, o come noumeno, se lo consideriamo unicamente in quanto pensato dall’intelletto. Da ciò consegue che il noumeno «non è affatto positivo, né costituisce una conoscenza determinata di una qualche cosa, ma signiica soltanto il pensiero di un qualcosa in generale, al cui riguardo io faccio completamente astrazione dalla forma dell’intuizione sensibile»11. Kant riconosce tuttavia che il noumeno può essere inteso anche in senso positivo, cioè come oggetto proprio di un conoscere puramente intellettuale: si tratta in effetti della concezione che sta alla base della metaisica tradizionale intesa come dottrina del sovrasensibile, cioè dell’intelligibile. Se per noumeno intendiamo una cosa, in quanto essa non è oggetto della nostra intuizione sensibile (astraendo cioè dal nostro modo di intuirla), si tratta allora di un noumeno in senso negativo. Ma se per noumeno intendiamo un oggetto di un’intuizione non sensibile, noi ammettiamo allora un particolare modo di intuizione, cioè quello intellettuale: esso non è tuttavia il nostro modo di intuizione, e non ne possiamo comprendere neppure la possibilità. Si avrebbe così il noumeno in senso positivo12.

10. Ivi, B 306 [trad. it. KK, p. 323. La traduzione di Colli si basa sul testo stabilito da B. Erdmann per l’Akademie-Ausgabe, Berlin 1903-1904]. 11. Ivi, A 252 [trad. it. KK, pp. 326-327]. 12. Ivi, B 307 [trad. it. KK, pp. 325-326]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

Se l’oggetto della metaisica è un noumeno positivo, allora tale disciplina si rivela epistemologicamente impossibile, poiché trascende i limiti stessi della conoscenza umana, dato che l’uomo è sprovvisto di una facoltà intuitiva puramente intellettuale; «di conseguenza, il concetto di noumeno è semplicemente un concetto limite per restringere le pretese della sensibilità, e perciò è soltanto di uso negativo»13. Da tutto ciò risulta che la cosa in sé come oggetto della “ragione pura” è un noumeno negativo, e che la distinzione tra questa e ciò che appare, all’interno del sistema kantiano, ha proprio la funzione di limitare la pretesa metaisica della ragione di conoscere le cose così come sono in se stesse e non “semplicemente” così come appaiono al soggetto conoscente secondo le forme a priori della sensibilità e dell’intelletto14. Gli immediati successori di Kant, da Jacobi a Fichte, hanno criticato e quindi abbandonato la nozione di cosa in sé, ritenendola contraddittoria già all’interno dell’idealismo trascendentale kantiano per varie ragioni sulle quali non mi è possibile entrare nel merito. Al contrario di costoro, Schopenhauer è rimasto fedele all’impostazione kantiana, dichiarando anzi che «il merito maggiore di Kant» consiste proprio in quel che gli era stato rimproverato dagli altri, cioè «la distinzione di ciò che appare [Erscheinung] dalla cosa in sé»15. Il ilosofo di Danzica interpreta però tale distinzione in senso metaisico, come differenza ontologica fra due oggetti invece che come differenza epistemologica fra due diversi modi di considerare uno stesso oggetto nella rilessione16: Che cos’è la conoscenza? Essa è innanzitutto ed essenzialmente rappresentazione [Vorstellung], […] un complicatissimo 13. Ivi, B 310-311 [trad. it. KK, p. 330]. 14. Cfr. ivi, B 311-312. 15. A. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, in Sämtliche Werke, voll. II-III, a cura di A. Hübscher, Brockhaus, Wiesbaden 19723, vol. II, p. 494 [trad. it. Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di S. Giametta, Bompiani, Milano 2006, p. 805, modiicata]. 16. Così anche il giovane Colli: «Critica della ragione pura: opera massima. Interpretazione realistica è la vera: Paulsen – Riehl – Martinetti. Fondamento del realismo nell’estraneità al soggetto del dato di fatto sensibile» (AD, p. 213). Anche il dibattito contemporaneo sulla distinzione tra Erscheinung e Ding an sich si divide fra un’interpretazione ontologica (o metaisica) e un’interpretazione epistemologica (da me condivisa e qui presentata); cfr. H.E. alliSon, Kant’s Transcendental Idealism, Yale University Press, New Haven-London 20042, in particolare pp. 1-74.

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processo isiologico nel cervello di un animale, il cui risultato è la coscienza di un’immagine [Bild] nel cervello stesso. È evidente che il rapporto di una tale immagine con qualcosa di completamente diverso dall’animale, nel cui cervello essa sussiste, può essere solo un rapporto molto mediato. È questo forse il modo più semplice e comprensibile di svelare il profondo abisso che separa il mondo ideale da quello reale17.

Se le rappresentazioni sono immagini nel cervello di un animale, è evidente che esse saranno ontologicamente diverse dalle cose di cui esse sono rappresentazioni mentali. Schopenhauer, in ciò concorde con Kant, ritiene dunque che, «muovendo dalla rappresentazione, non si andrà mai oltre la rappresentazione, […] ci si fermerà dunque al lato esterno delle cose, senza mai poterne penetrare e indagare l’interno, quello che esse sono in se stesse»18. Il progresso da lui compiuto rispetto alla posizione kantiana consiste invece nell’aver riconosciuto

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che noi non siamo soltanto il soggetto conoscente, ma d’altro lato facciamo parte anche noi stessi degli esseri da conoscere, siamo noi stessi la cosa in sé; che quindi per giungere a quella propria e intima essenza delle cose, nella quale non possiamo penetrare da fuori, ci sta aperta una via da dentro, quasi un passaggio sotterraneo, un cunicolo segreto, che ci immette d’un tratto, come a tradimento, nella fortezza che era impossibile prendere d’assalto da fuori. La cosa in sé può, appunto in quanto tale, entrare nella coscienza solo in modo assolutamente diretto, cioè solo divenendo essa stessa cosciente di sé; volerla conoscere oggettivamente signiica pretendere qualcosa di contraddittorio19.

Questa «via da dentro», che mediante l’introspezione conduce all’intuizione immediata di quella positività non fenomenica che costituisce l’essenza di tutte le cose, è la grande scoperta di Schopenhauer, storicamente coniguratasi come l’unica via – se si eccettua quella hegeliana – che la metaisica ha potuto ancora percorrere dopo che Kant ha rilevato e confutato il dogmatismo insito nella metaisica tradizionale da Platone a Wolff. A tal proposito è importante notare che 17. A. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung cit., vol. III, p. 214 [trad. it. cit., pp. 1365, 1367]. 18. Ivi, vol. III, p. 218 [trad. it. cit., p. 1373]. 19. Ivi, vol. III, pp. 218-219 [trad. it. cit., p. 1373]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

alcuni dei maggiori metaisici posteriori a Kant, come appunto Schopenhauer, ma anche Bergson e Bradley, hanno ritenuto valida la disamina kantiana sulla [im]possibilità della metaisica condotta nella Critica della ragione pura, e proprio per questo motivo hanno percorso l’unica via ancora lasciata aperta (almeno in linea di principio) dal criticismo, cioè quella di un’intuizione non sensibile dell’essenza delle cose. Nondimeno, essi si sono trovati d’accordo nel ritenere che tale conoscenza intuitiva, immediata e non sensibile, non fosse neppure intellettuale o noumenica in senso stretto (come invece pensava Kant), ma che fosse legata alla vita organica dell’essere umano intesa come dimensione essenzialmente diversa tanto dalla sua attività conoscitiva, quanto dalla sua attività pratica. Per usare una celebre metafora di Schopenhauer, la ilosoia post-kantiana ha compreso che l’essere umano non è solo «una testa d’angelo alata senza corpo»20, ma anche – e innanzitutto – un essere vivente, che vuole (Schopenhauer), che dura (Bergson) e che sente (Bradley) senza che il logos – e quindi la ilosoia tradizionale – possa adeguatamente tradurre in concetti tutto ciò: La conoscenza che ognuno ha del suo proprio volere […] non è né un’intuizione (ogni intuizione essendo spaziale) né è vuota [come un concetto alla cui base non stia un’intuizione sensibile]; al contrario, è più reale di ogni altra. […] Il nostro volere è l’unica occasione che abbiamo di capire, un qualche fatto che si presenta esternamente, nello stesso tempo anche dall’interno, quindi è l’unica cosa che a noi è nota immediatamente e non che ci è data, come tutto il resto, soltanto nella rappresentazione. Qui dunque sta il dato, che soltanto è atto a divenire la chiave di volta di ogni altra cosa o, come ho detto, l’unica, stretta porta per giungere alla verità21.

La conoscenza della cosa in sé è dunque possibile, benché non si tratti di conoscenza in senso kantiano. Per Kant il conoscere è infatti un’attività sintetica, nella quale l’intelletto, mediante le sue categorie, dà forma alla materia amorfa fornitagli dai sensi; in questa griglia concettuale, la conoscenza della cosa in sé, trascendendo l’ambito fenomenico, se fosse

20. Ivi, vol. II, p. 118 [trad. it. cit., p. 221]. 21. Ivi, vol. III, p. 219 [trad. it. cit., pp. 1373, 1375]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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possibile non potrebbe che essere immediata, cioè non mediata dalla forma, poiché questa implica necessariamente una materia e quindi una sintesi. I metaisici post-kantiani hanno perciò dato ragione a Kant per quanto riguarda il carattere immediato della conoscenza della cosa in sé (che acquista così una piena positività epistemologica), ma hanno fermamente riiutato il suo carattere noumenico, cioè la possibilità di conoscerla tramite il solo intelletto, aprendo di fatto una terza via distinta dalla classica dicotomia di intellettualismo ed empirismo: la via dell’esperienza immediata. 2. Tentativi sistematici: gnoseologia e metaisica La conoscibilità della cosa in sé è per Colli «l’aporia suprema della gnoseologia»22, in quanto il conoscere implica sempre un soggetto conoscente e un oggetto conosciuto, cioè quella dualità che si ritrova in ogni rappresentazione. Posto che secondo Colli la cosa in sé è conoscibile e si tratta solo di spiegare come ciò sia possibile, la chiave per la risoluzione dell’aporia è la nozione di continuità (xynon): che la cosa in sé sia conoscibile signiica che è possibile entrarvi in contatto, e la condizione di possibilità ontologica del contatto conoscitivo è appunto la continuità tra la cosa in sé e ciò che appare. Come si vedrà, tale continuità è implicata dalla cosa in sé medesima, che per realizzare la propria natura deve necessariamente manifestarsi o esprimersi nel mondo fenomenico. Per Schopenhauer «il passaggio, da Kant dichiarato impossibile, dal fenomeno alla cosa in sé»23 attraverso la conoscenza immediata di sé come volontà di vivere si fonda sul fatto che il nostro corpo non è solo un oggetto per un soggetto conoscente, ma innanzitutto la manifestazione o oggettivazione immediata della vita organica di quel soggetto: questo perché il soggetto conoscente è radicato nel proprio corpo, lo vive senza mediazioni dall’interno ben prima di conoscerlo da fuori – con la mediazione dell’intelletto e della sensibilità – come oggetto tra altri oggetti24. Da ciò 22. AD, p. 150. 23. A. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung cit., vol. III, p. 213 [trad. it. cit., p. 1365]. 24. Cfr. ivi, vol. II, pp. 118-123, secondo l’autore «il passo più caratteristico e più importante della mia ilosoia» (ivi, vol. III, p. 213 [trad. it. cit., p. 1365]). www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

segue il corollario, fondamentale per la ilosoia colliana e in generale per la metaisica post-kantiana, secondo il quale vivere qualcosa è differente dal conoscere qualcosa, poiché nell’esperienza immediata non è ancora presente la separazione tra soggetto e oggetto che invece contraddistingue la conoscenza ordinaria di oggetti, ma vi è anzi una perfetta unità di conoscente e conosciuto. La conoscenza immediata della cosa in sé nella propria interiorità vivente – che in questi scritti giovanili viene chiamata «conoscenza noumenica»25, intendendo però con ‘noumeno’ non l’oggetto proprio dell’intelletto, bensì, per estensione, ciò che non è fenomeno e che a questo si contrappone – si conigura pertanto come “vissutezza”, che è il termine con cui Colli traduce felicemente il tedesco Erlebnis26: [La] scoperta della cosa in sé nel nostro intimo, con il cadere della contrapposizione soggetto-oggetto e conseguentemente del mondo come rappresentazione. Quest’ultima cosa non solo Schopenhauer l’ha detta, ma oltre a lui ogni più grande mistico profondo scopritore della verità. E allora ciò che io chiamo vissutezza […] risponde a tali requisiti27.

Per meglio caratterizzare la vissutezza, Colli afferma che si tratta dell’unica conoscenza «del simile con il simile, [mentre] quella fenomenica [è] l’incontro dei contrari»28, cioè appunto il soggetto e l’oggetto. A questa deinizione possiamo fare seguire una sua esempliicazione concreta: Quando io dico: ho sofferto, ho gioito, considero un mio sentimento passato come oggetto, e sono quindi nel campo della rappresentazione; mi servivo ad esempio di una parola, soffrire, che io penso gli uomini usino quando hanno un sentimento uguale al mio. […] Ma mentre io provavo la gioia od il dolore, se non vi era in me alcuna rappresentazione che mi disturbasse, ero veramente a contatto con la cosa in sé29.

25. Cfr. AD, pp. 149 sgg. 26. Cfr. AD, pp. 111 sgg., 241 nota 71; FS, p. 31 e nota 7. Per una storia del termine Erlebnis e del concetto ilosoico corrispondente, cfr. H.-G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Mohr, Tübingen 19754, pp. 66 sgg. 27. AD, p. 188. 28. AD, p. 150. 29. AD, pp. 176-177. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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In questo passo è già presente quello che poi sarà uno dei cardini di Filosoia dell’espressione, cioè l’idea che la rappresentazione, e in generale il conoscere, abbia come contenuto ciò che è accaduto nel passato, e che solo il contatto immediato di soggetto e oggetto, in qualità di condizione di possibilità metaisica del conoscere, accade in un presente privo di durata, extratemporale, che come tale non può mai essere propriamente conosciuto30. La coscienza di una rappresentazione non può allora essere che coscienza intenzionale, rapporto soggetto-oggetto, e la vissutezza, in quanto precede la separazione tra soggetto e oggetto e, per estensione, la conoscenza in generale, non può che essere non conscia o comunque non intenzionale. Relativamente a come si debba intendere la conoscenza noumenica o vissutezza – se come priva di qualsivoglia coscienza o piuttosto come priva di coscienza intenzionale (posto che possa esistere una coscienza non intenzionale) – è importante notare che in Filosoia dell’espressione Colli propende per una netta separazione fra l’attività cosciente-conoscitiva e il vivere immediato che la precede31; al contrario, nel sistema giovanile egli ritiene che vi sia una coscienza anche nella conoscenza noumenica, e che tale coscienza sia appunto non intenzionale, nella misura in cui, trattandosi di conoscere il simile col simile, il soggetto e l’oggetto non si presentano ancora come reciprocamente trascendenti, ma come uniti in qualcosa di “superiore” che li comprende entrambi: Vi sarà dunque una coscienza anche nella conoscenza noumenica, ciò che sembrava impossibile, l’aporia suprema della gnoseologia, in quanto se vi è coscienza vi è duplicità, quindi rappresentazione. Se invece il simile si unirà al suo simile – trionfo della Philia – ci sarà una coscienza in quanto movimento di due elementi e la cosa in sé nel superamento di ogni duplicità, in uno stato perfetto e senza scissione. […] Così a proposito della conoscenza noumenica si parla dell’incontro di due individualità homoioi, “simili”, α e α’ che si fondono in A32.

30. Cfr. RE, [216]; FE, pp. 38 sgg. 31. Cfr. FE, pp. 35 sgg. 32. AD, p. 150. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

Non c’interessa indagare qui il modo in cui le individualità s’incontrano e si superano in quest’unità superiore, che è un’esperienza estetico-estatica che sarà oggetto del contributo di Maicol Cutrì, relativo al terzo capitolo dei “Tentativi sistematici”33. Quel che c’interessa in funzione del nostro discorso è invece il movimento di riuniicazione della duplicità, che per Colli è il movimento stesso della conoscenza noumenica. Tale movimento «di unione o di creazione»34, che Colli identiica con l’amore in senso empedocleo (philia)35, tende evidentemente a un’unità ultima, cioè alla ricomposizione di tutte le individualità noumeniche in un’individualità noumenica suprema (la cosa in sé). A questo punto si dovrà capire se e in che senso questa cosa in sé suprema possa essere anche individuale, ripercorrendo il «cammino metaisico opposto a quello gnoseologico»36, cioè il movimento dell’espressione che dalla cosa in sé procede verso la supericie fenomenica, attraverso la scissione37 della cosa in sé originaria in una molteplicità di cose in sé o «essenze» di grado inferiore (le «individualità» o «interiorità») che tuttavia, proprio in quanto costituiscono una molteplicità, danno vita al mondo manifesto. Il movimento metaisico-espressivo che conduce «dall’interiorità all’espressione»38 costituisce «il segreto più profondo della vita»39 e, come vedremo, è di per sé problematico: si tratta infatti di affrontare l’ineluttabile aporia di ogni metaisica, cioè il rapporto fra l’Uno e i Molti. Il problema della metaisica, e in particolare di quella monistica, è sempre stato quello di spiegare il rapporto fra la razionalità (cioè l’unicità, l’universalità e la necessità) del principio e l’irrazionalità (cioè la molteplicità, l’individualità e la contingenza) dei fenomeni che il principio vorrebbe fondare e quindi 33. Cfr. infra, pp. 105-119. 34. AD, p. 151. 35. Empedocle è tra le fonti principali dei tentativi sistematici del giovane Colli: cfr. FS, pp. 71-89; EMP, pp. 21-46; PHK, pp. 221-236. 36. AD, p. 147. 37. Se il movimento «di unione o di creazione» viene identiicato con l’amore (philia), il movimento contrario di «scissione e separazione» (AD, p. 153) viene identiicato con l’odio (neikos): si tratta delle due forze “cosmiche” che secondo Empedocle muovono i quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra), costituendo il mondo fenomenico. 38. AD, p. 147. 39. AD, p. 157.

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spiegare. Tale rapporto è problematico nella misura in cui il fondamento e il fondato vengono concepiti come radicalmente differenti, per non dire contrari, quando invece, afinché tra loro sussista il rapporto ipotizzato, dovrebbero avere qualcosa di essenziale in comune. A questo punto ci troviamo in aporia: (i) se il fondamento e il fondato non avessero nulla in comune, tra loro non potrebbe sussistere alcun rapporto, sicché cadrebbe l’ipotesi monistica che ri[con]duce i Molti all’Uno; (ii) se invece il fondamento e il fondato avessero qualcosa di essenziale in comune, verrebbe a cadere la ragione più forte per sostenere il monismo, cioè che per spiegare i Molti sia necessario ricorrere all’Uno, perché se nei Molti ritrovassimo caratteristiche essenziali dell’Uno non avremmo più bisogno dell’Uno, dato che i Molti si spiegherebbero da sé40. Il giovane Colli dimostra di essere perfettamente consapevole dell’aporeticità del passaggio dall’Uno ai Molti – o, per usare il suo lessico, dall’interiorità all’espressione: Dimostrare la ragione di questo mondo umano […] non è possibile se l’essenza è astratta, o illimitatamente unica, statica, generica e autosuficiente. Anche il Wille mantiene i difetti di unità e genericità; come può oggettivarsi, se è un genus41. Un’unica cosa in sé sarebbe stabilissima in sé, ma appunto per questo non spiegherebbe l’esistenza del mondo fenomenico42.

In questi passi Colli considera l’aporia del monismo illustrata in precedenza, affermando che l’Uno è incapace di dare 40. Per un’analoga formulazione dell’aporia, considerata però nel suo signiicato epistemologico, cfr. J.F. herBart, Allgemeine Metaphysik nebst den Anfängen der Philosophischen Naturlehre. Zweiter, systematischer Teil, par. 13, in Sämtliche Werke, a cura di K. Kehrbach e O. Flügel, Scientia, Aalen 19642, vol. VIII: «Il concetto di una connessione di fondamento e conseguenza, se non viene sottoposto ad un’attenta chiariicazione, altro non è che una mostruosità logica, una contraddizione. La conseguenza deve trovarsi nel fondamento. Ma deve anche conseguire da esso, cioè, separarsi da esso. […] Si vuole dunque lasciare la conseguenza nel fondamento? Ma allora non esistono due cose, fondamento e conseguenza, ma una soltanto, che non è nessuna delle due. Si vuole separare la conseguenza dal fondamento? Dunque essa deve contenere qualcosa di nuovo, che però è estraneo ad esso e non consegue da esso. Allora ci sono effettivamente due cose, che però non sono connesse, non sono né fondamento, né conseguenza» [trad. it. Metaisica generale, a cura di R. Pettoello, UTET, Torino 2003, p. 84]. 41. AD, p. 157. 42. AD, p. 161. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

ragione e quindi di fondare i Molti, cioè il mondo fenomenico, proprio perché è stato tradizionalmente concepito come principio astratto, statico, generico: si pensi all’Essere di Parmenide, alla Sostanza di Spinoza e – come suggerisce Colli – alla Volontà di Schopenhauer. La soluzione di Colli a quest’aporia, allora, non potrà che consistere nel qualiicare la cosa in sé (cioè l’Uno, il fondamento e l’essenza del mondo) in modo diverso da com’è stata solitamente qualiicata dalla tradizione ilosoica occidentale. La cosa in sé, per poter fondare ciò che appare, non dovrà perciò essere né «unica», né «statica», né «stabilissima», né «generica», né «autosuficiente», ma tutto il contrario, cioè in sé scissa e quindi molteplice, dinamica, instabile, individuale, bisognosa di un altro da sé: Il passaggio dall’intimità all’espressione si spiega solo ammettendo che l’essenza sia un’individualità. Individualità, cioè concreto, limitato, energheia, entelecheia, vivo capace di synousia, di “vita insieme”43. Una concretezza, un’individuazione viceversa insita nella cosa in sé spiega invece il fenomeno come una ripercussione dell’instabilità della cosa in sé44.

È evidente che, se la cosa in sé possiede le proprietà indicate, è proprio la sua stessa natura a implicare “a priori” il mondo fenomenico, poiché, come Colli afferma più chiaramente altrove, se la cosa in sé è essenzialmente volontà, volontà signiica tendere a cambiarsi e cambiarsi implica già il fenomeno. Non avrebbe senso che l’essenza fosse una volontà se non potesse esprimersi – ogni volontà lo può per il suo essere volontà. Esprimersi vuol dire cambiare stato, creare se stesso in modo da potersi guardare, quindi non essere più cosa in sé. La natura della cosa in sé è […] di cessare dall’essere tale. […] Il risultato, […] connaturato come si è visto con la stessa natura dell’essenza, è una degradazione. […] Nasce così dall’eternità il fenomeno45.

Un altro passo chiarisce il motivo per cui Colli insista così tanto sull’individualità della cosa in sé:

43. AD, p. 157. 44. AD, p. 161. 45. AD, p. 147. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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L’essenza è […] volontà, amore, cioè insuficienza di se stesso e desiderio di qualcosa di assente, che non può essere che un altro se stesso [cioè un’altra cosa in sé]. L’essenza è in sé una volontà, un amore; […] ma la sua natura tende ad altre volontà, ad altri amori, ad essa sygghenés46.

La cosa in sé, la cui natura è di essere volontà e amore, deve necessariamente scindersi in più individualità proprio per potersi essa stessa realizzare come volontà e amore. Questo perché la volontà e l’amore sono essenzialmente «insuficienza» e «desiderio di qualcosa di assente», per cui hanno bisogno dell’altro da sé per potersi affermare come tali. L’unico modo per spiegare il passaggio dall’Uno ai Molti consiste dunque nell’attribuire alla cosa in sé caratteristiche relative alla vita organica, che nascondono in sé un certo dualismo originario (tra volente e voluto, amante e amato, ecc.). Il «problema fondamentale»47 che si pone a questo punto riguarda la dificoltà di conciliare l’individualità della cosa in sé, cioè la sua concretezza vivente, con l’astrattezza del suo essere principio e fondamento del mondo fenomenico. L’individualità di un certo ente può essere intesa in due sensi: (i) in un senso quantitativo, per cui quell’ente è individuale nel senso che si conta come un’unità numerica; (ii) in un senso non quantitativo o “qualitativo”, per cui quell’ente è individuale nel senso che è unico e irripetibile, una singolarità – come quando diciamo che qualcosa è davvero “singolare”, intendendo per l’appunto che è unico e irripetibile. Colli intende l’individualità della cosa in sé in questo senso qualitativo, e a supporto cita un passo da Il mondo come volontà e rappresentazione, dove Schopenhauer afferma che la volontà «è una, ma non come è uno un oggetto, la cui unità può esser conosciuta solo in contrasto con la possibile pluralità; e nemmeno come è uno un concetto, che è sorto dalla pluralità mediante astrazione: bensì è una in quanto sta fuori del tempo e dello spazio»48. Tale unità o individualità è qualitativa perché, per esistere ed essere conosciuta, non ha bisogno di riferirsi a una molteplicità già data. Come os-

46. AD, p. 151. 47. AD, p. 173. 48. Citato in AD, p. 159. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

serva Colli commentando il passo di Schopenhauer, «l’unità della cosa in sé è quindi una particolare unità, che non ha nulla a che fare con l’unità numerica, presupponente sempre un’antitesi con il molteplice»49, né – aggiungo io – con l’unità concettuale, presupponente sempre un molteplice da cui essere ricavata. È allora di fondamentale importanza rilevare che, se l’individualità della cosa in sé viene intesa in questo senso, ci possono essere più individualità, più cose in sé, senza che s’incorra in una contraddizione, poiché l’unità o individualità qualitativa non esclude di per sé l’esistenza di una molteplicità, ma solo la propria relazione (sia pure antitetica) con essa – laddove tale relazione è invece costitutiva degli altri due tipi di unità:

Da Schopenhauer a Kant

Schopenhauer non potrebbe quindi neppur dire che la volontà è la sola cosa in sé escludente l’esistenza di altre sostanze, perché allora l’attributo di unità le verrebbe dato in contrapposto ad una possibile pluralità ed un attributo basato sulla relazione appartiene al fenomeno e non alla cosa in sé50.

Come abbiamo visto prima, la cosa in sé, essendo volontà e amore, deve anzi scindersi necessariamente in altre cose in sé, ognuna delle quali «esaurisce» qualitativamente il mondo senza «spiegarlo nella sua totalità» quantitativa51. Non ci si spaventi della terribile molteplicità che acquista in tal modo l’essenza intesa come individualità. L’individualità veramente originaria è priva di qualsiasi rappresentazione e determinatissima come interiorità; ma proprio la sua essenza individuale e valutante fa sì che essa voglia determinarsi ancora, esprimersi, oggettivarsi, esteriorizzarsi ed individuarsi mille volte di più, […] isolarsi, vedersi come individualità staccata dalle altre, raggiungere il proprio telos più compiutamente. […] Il rapporto tra cosa in sé e fenomeno, inspiegabile in Schopenhauer, è così giustiicato52.

Il movimento metaisico-espressivo può inine essere descritto nei seguenti termini: la cosa in sé originaria, in vir-

49. 50. 51. 52.

Ibid. Ibid. Cfr. AD, pp. 158-161. AD, pp. 177-178.

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tù della sua stessa natura di volontà e amore, esprime se stessa scindendosi in molteplici individualità, ciascuna delle quali è a sua volta una cosa in sé «diversa dall’originaria e di dignità inferiore, ma pur connessa a lei dal nesso della continuità»53. I due movimenti, metaisico e gnoseologico, si rivelano perciò come movimenti perfettamente complementari di scissione e riuniicazione54: di scissione, perché la cosa in sé deve scindersi per potersi realizzare come desiderio di ciò che le manca – se fosse unica e indivisa non mancherebbe di nulla, e non potrebbe esistere in quanto volontà, né in quanto amore; di riuniicazione, perché la cosa in sé, tanto più si scinde in altre cose in sé individuali, quanto più, essendo amore, tende alla riconciliazione. 3. Ritorno a Kant? Giunti a questo punto è opportuno ricapitolare il senso complessivo della metaisica del giovane Colli. Due sono le aporie che il ilosofo torinese intende risolvere: un’aporia gnoseologica, che riguarda la conoscibilità della cosa in sé, e un’aporia metaisica, che riguarda il passaggio dalla cosa in sé al mondo fenomenico. L’aporia gnoseologica viene risolta sulla scorta della scoperta fondamentale di Schopenhauer, ammettendo cioè una conoscenza immediata della cosa in sé, distinta da quella puramente intellettuale o anche sensibile. L’aporia metaisica viene risolta mostrando come il mondo fenomenico sia necessariamente implicato nella stessa natura della cosa in sé: questa non è infatti l’astratto e statico Uno di tanti ilosoi della tradizione metaisica occidentale (compreso Schopenhauer)55, ma un principio dinamico e concreto, che necessariamente deve diventare Molti per poter essere Uno. La cosa in sé è volontà e amore, ma per poter essere tale deve esprimersi, cioè scindersi in una molteplicità quantitativa ma non qualitativa (altrimenti perderebbe la propria concretezza individuale). Ciò signiica che le cose in sé saranno molteplici e che però ognuna

53. AD, p. 152. 54. Cfr. AD, pp. 152 sgg. 55. Cfr. AD, p. 214: «Il I libro del Wille rappresenta lo stadio deinitivo del problema gnoseologico. Discutibile il II libro: anche qui giusta l’impostazione, poiché la cosa in sé è ritrovata nella vita sentimentale, ma la qualiica speciale e al tempo stesso generica di volontà non soddisfa». www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

di esse avrà un’intensità qualitativa tale che «esaurisce in sé il mondo ma non vale a spiegarlo nella sua totalità»56. Per comprendere le ragioni per cui Colli abbia ritenuto opportuno superare il suo sistema giovanile bisogna tenere presenti entrambe le problematiche, quella gnoseologica e quella metaisica. La sua autocritica, infatti, prende avvio dalla constatazione di due limiti: il limite della metaisica e il limite della conoscenza umana. Le due tesi di Colli sono che (i) il limite della metaisica è che essa non può non risultare antropomorica, e che (ii) il limite della conoscenza umana è che essa non può trascendere la rappresentazione, non potendo quindi mai risultare immediata. Evidentemente si tratta di due tesi kantiane, analoghe, per non dire identiche, alla tesi secondo cui la metaisica – intesa in senso tradizionale come ricerca dell’essenza delle cose – deve essere sostituita dalla gnoseologia come indagine sulla struttura del conoscere umano, e all’altra tesi kantiana secondo cui non è possibile avere conoscenza immediata della cosa in sé perché il conoscere è sempre il risultato di una sintesi, cioè di una mediazione. Esaminiamo innanzitutto la prima tesi, quella gnoseologica, secondo cui il limite di ogni metaisica è che essa non può non risultare antropomorica. Il germe di questa tesi è rintracciabile negli scritti giovanili: già qui Colli rilevava infatti che quando proviamo a determinare la natura della cosa in sé iniamo inevitabilmente per attribuirle caratteristiche proprie dell’ambito fenomenico, e nella fattispecie della vita umana: Notevole è però come i termini volontà, rappresentazione, interiorità, espressione siano dedotti dall’uomo e dalla sua attività – il microcosmo fornisce in sostanza con il suo modo di vivere i mezzi per decifrare il macrocosmo57. Tutti gli attributi possibili [della cosa in sé] sono dedotti dal fenomenico e quindi a rigore non si possono predicare della cosa in sé, ma bisogna distinguere gli attributi collegati vitalmente con la cosa in sé, che sono come il suo rilesso nel fenomeno, da quelli non solo dedotti dal fenomenico

56. AD, p. 161. 57. AD, p. 76. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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ma validi unicamente per quest’ultimo, che non possono quindi in nessun modo essere predicati della cosa in sé58. Si noti […] come […] si critichi la predicazione di attributi dedotti dal fenomeno, quali la molteplicità e l’unità, alla cosa in sé e come poi viceversa per l’insuficienza dell’espressione nei confronti della verità una tale attribuzione venga ugualmente fatta, sia pure tenendo conto della critica e in un’altra accezione. […] Non è affatto un errore il dare queste attribuzioni alla cosa in sé, perché tra il mondo fenomenico e quello noumenico esiste una continuità59.

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Questi passi sono costruiti tutti allo stesso modo: Colli vi rileva innanzitutto la necessità di descrivere la cosa in sé in termini fenomenici, se non proprio antropomori, e tale necessità viene poi giustiicata introducendo la continuità metaisica tra cosa in sé e mondo fenomenico. Ora, la continuità è qui il fondamento metaisico della conoscibilità della cosa in sé, ma si potrebbe anche sostenere, viceversa, che sia proprio la conoscibilità della cosa in sé a rendere necessario postulare la continuità metaisica. Nel primo caso la continuità viene intesa come struttura reale del mondo in sé che costituisce il fondamento ontologico di (ciò che viene considerato) un fatto dell’esperienza come la conoscenza immediata della cosa in sé, mentre nel secondo caso essa viene intesa come condizione di possibilità ideale di quell’esperienza, cioè come ipotesi indimostrabile in grado di spiegarla. Ciò che cambia è il punto di partenza dell’indagine ilosoica: dogmatico-realista nel primo caso, in quanto presupposto dell’esperienza e quindi della conoscenza, da queste ontologicamente indipendente; trascendentale-idealista nel secondo caso, in quanto contenuto della nostra esperienza, oggetto di cui bisogna determinare le condizioni di possibilità60. Nei tentativi sistematici giovanili Colli

58. AD, p. 159. 59. AD, pp. 161-162. 60. Impiegando la terminologia schopenhaueriana della Quadruplice radice del principio di ragion suficiente, è possibile affermare che nel primo caso la cosa in sé è la ratio essendi dell’esperienza fenomenica (nesso ontologico causa-effetto), mentre nel secondo caso l’esperienza fenomenica è la ratio cognoscendi della cosa in sé (nesso epistemologico ragione-conseguenza). I termini in gioco sono i medesimi, cambia solo il punto di partenza: la cosa in sé come causa di una determinata esperienza (nel primo caso), o una determinata esperienza come premessa fenomenica da cui inferire l’esistenza extrafenomenica della cosa in sé (nel secondo caso). Cfr. RE, [229]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Da Schopenhauer a Kant

partiva ancora da un presupposto realista e metaisico, come risulta da questo importante passo, nel quale convivono entrambi gli approcci appena delineati: L’espressione non determina mai l’interiorità. Quando ciò sembra avvenire, in realtà la cosa si spiega perché nell’espressione stessa vi è già l’interiorità. Noi diciamo che certe rappresentazioni causano dolore – ma in realtà proprio quel dolore rappresenta l’essenza delle rappresentazioni stesse. Nella genesi reale (che noi possiamo pensare) del mondo è sempre l’interiorità che determina l’espressione. L’esperienza ci suggerisce sovente il contrario61.

La tesi secondo cui «l’espressione non determina mai l’interiorità» è dogmatica perché trascende l’ambito fenomenico della conoscenza, tant’è che lo stesso Colli non può fare a meno di notare che «l’esperienza ci suggerisce sovente il contrario»: ciò signiica che, se rimanessimo kantianamente nell’ambito del mondo fenomenico, non potremmo accettare una tesi come questa, perché è impossibile ricostruire la «genesi reale» del mondo fenomenico se il nostro conoscere non può strutturalmente andare oltre ciò che appare nell’esperienza; tale genesi avrebbe tutt’al più il valore ideale di ipotesi indimostrabile ma necessaria per la coerenza del sistema62. La possibilità di pensare la «genesi reale del mondo» avrebbe allora il medesimo statuto epistemologico della possibilità di pensare la cosa in sé come noumeno positivo: sarebbe cioè un pensare generico che, trascendendo i limiti del conoscere umano, perderebbe il proprio valore epistemico e ricadrebbe nel dogmatismo metaisico. Dopo la pubblicazione de La natura ama nascondersi (1948), Colli si dedica per un decennio allo studio e alla traduzione dell’Organon aristotelico (1951-1955) e della Critica della ragione pura (1953-1957), e sotto queste inluenze

61. AD, p. 157. 62. L’assunzione dell’espressione come «ipotesi» e come «principio interpretativo universale» (FE, pp. 21-22) dimostra come Colli abbia meditato sullo statuto epistemologico della metaisica, pervenendo alla conclusione che nozioni come “espressione”, “immediatezza”, ecc. non tematizzano l’essenza reale del mondo (come pretende la metaisica) ma operano all’interno del sistema come condizioni di possibilità ideali dell’esperienza e del mondo fenomenico. Su questo, cfr. i miei interventi ai seminari di Parigi (4 dicembre 2018) e Torino (20 novembre 2019), che saranno pubblicati prossimamente nel terzo volume dei «Quaderni colliani». www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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perviene gradualmente a conclusioni anti-metaisiche63, quindi opposte ai suoi primi tentativi sistematici, a cominciare dall’idea, kantianamente “copernicana”, secondo cui la ilosoia teoretica non debba essere intesa come indagine (metaisica) sui «princìpi universali e supremi della realtà»64, bensì come indagine (gnoseologica) sul logos, e precisamente sul «problema della ragione»65. Si confronti a tal proposito il passo appena esaminato, in cui si afferma che «l’espressione non determina mai l’interiorità», con il seguente passo di Filosoia dell’espressione, concernente il «rapporto tra espressione e immediatezza» o, per usare una formulazione giovanile, il «passaggio dall’interiorità all’espressione»: Se […] un punto di immediatezza si esprimesse in una catena determinata e unica, irripetibile di espressioni, non si potrebbe fare a meno di attribuire metaisicamente una volontà all’immediatezza, il che è assurdo. Perché invero dovrebbe intervenire una data catena espressiva proprio in un determinato momento di tempo e non in un altro? Come si spiegherebbe il legame nel tempo, cioè nell’apparenza, tra qualcosa che sta fuori l’apparenza e le serie espressive? Perché l’immediatezza “vuole” allora quella espressione? Ma l’espressione non è che la ripercussione […] di qualcosa che è fuori dal tempo, che non si muove né sta fermo, né vuole66.

In questo passo Colli afferma implicitamente che l’unico modo per porre una continuità fra l’espressione e l’immediatezza, cioè fra il mondo fenomenico e la cosa in sé («qualcosa che è fuori dal tempo»), è quello di “animare” la cosa in sé, intendendola come qualcosa che vuole esprimersi e manifestarsi, che è esattamente la tesi metaisica fondamentale del giovane Colli. Qui però questa tesi viene rinnegata e, contro l’insistenza giovanile sulla continuità, viene anzi ribadita, da 63. Sull’impostazione anti-metaisica di Filosoia dell’espressione, cfr. F. monteveCChi, Giorgio Colli cit., p. 137; R. klein - G. CarChia, Espressione e memoria. Sul pensiero di Giorgio Colli, in R. klein, Dialettica e storia. Studi sull’esperienza storica, Celuc, Roma 1984, pp. 70-82; contra, cfr. C. la roCCa, La ilosoia dell’espressione di Giorgio Colli, «Giornale di Metaisica», Nuova Serie, xxx (2008), pp. 75-93. A tal proposito è da segnalare come anche l’interpretazione colliana della ilosoia di Aristotele, inluenzata dagli interpreti neokantiani ottocenteschi (come F.A. Trendelenburg e O. Apelt), fosse fortemente anti-metaisica. 64. AD, p. 76. 65. RE, [147]. 66. FE, p. 25. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

un punto di vista rigorosamente gnoseologico, la frattura tra immediatezza ed espressione, che determina l’impossibilità di attribuire all’immediatezza, cioè alla cosa in sé, qualsiasi caratteristica positiva (compresa la denominazione di ‘cosa in sé’), che in quanto tale appartiene solo al mondo fenomenico dell’espressione e della rappresentazione – l’unico che possa essere conosciuto e l’unico a cui, proprio in forza del suo essere oggetto del conoscere, possa spettare «l’attributo della realtà»67, in accordo col rovesciamento “copernicano” della metaisica in gnoseologia –; l’immediatezza perde così i caratteri dogmatici che la cosa in sé conservava ancora nella ilosoia kantiana, in quanto “oggetto trascendentale” pensato dalla ragione come causa di ciò che appare68. Il superamento del sistema giovanile, dunque, si gioca tutto su un mutamento di prospettiva, secondo cui sarebbe la conoscibilità della cosa in sé a fondare la continuità metaisica tra immediatezza ed espressione: negando che la cosa in sé sia conoscibile viene perciò a cadere anche il bisogno di postulare la continuità a livello metaisico. La conoscibilità della cosa in sé viene negata radicalizzando la gnoseologia idealista, imperniata sulla nozione di rappresentazione, giungendo inine a riconoscere che anche la «volontà» schopenhaueriana e la «vissutezza» (o il «sentimento») di cui parlava il giovane Colli – entrambe intese come esperienza immediata della cosa in sé – non sono altro che rappresentazioni esse stesse, per quanto si tratti delle rappresentazioni più prossime all’immediatezza, qualiicate come “ricordi primitivi”69:

Da Schopenhauer a Kant

La conoscenza è soltanto memoria, mai vera immediatezza. Le sensazioni […] e in genere tutto quello che i ilosoi hanno chiamato conoscenza immediata, non sono altro che ricordi. E il tessuto intero della coscienza – ossia il conoscere effettivo di un soggetto umano – quello che sentiamo, rappresentiamo, vogliamo, operiamo, la nostra anima o una stella, è una semplice concatenazione di ricordi che si collegano a costituire il mondo della rappresentazione70.

67. 68. 69. 70.

FE, p. 12. Cfr. I. kant, Kritik der reinen Vernunft, A 250, B 522, passim. Cfr. FE, pp. 36 sgg. FE, p. 35.

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Chiudiamo il nostro contributo riportando un passo di Filosoia dell’espressione che riassume perfettamente il mutato atteggiamento di Colli nei confronti della metaisica, e che per tale ragione può essere letto come se si rivolgesse al giovane ilosofo di trent’anni prima: La vita nel suo complesso è astrazione. Quello che crediamo vivo non è che un oggetto. […] Dove c’è rappresentazione, non c’è più l’immediato – quindi è un controsenso volersi rappresentare il passaggio dall’immediato al mediato. Le passioni più ardenti dell’uomo sono pure astrazioni. Perché a noi queste cose astratte sembrano vive? sembrano le sole così vive? Perché esse ricordano, esprimono direttamente ciò che sta sul fondo della vita, ma [che] in sé è fuori del nostro ricordo e della nostra coscienza, non era né è né sarà, non è un oggetto71.

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Eppure, Colli non si ferma a questa conclusione, «corretta, se si segue – e non si può non seguire – il ilo della rappresentazione»72, e di seguito aggiunge che «l’immediatezza noi la possediamo, senza saperlo»73, al che una domanda sorge spontanea: se non sappiamo di possederla, affermare di possederla non ci fa forse ricadere nuovamente nel dogmatismo della metaisica?74 Proprio in questa continua, ambigua e irrisolta oscillazione tra metaisica e gnoseologia, fra approccio genetico e approccio trascendentale, fra anelito mistico all’immediatezza della vita e analitica rigorosa dei limiti della ragione umana, risiede la ricchezza e l’originalità della ilosoia dell’espressione di Giorgio Colli75.

71. FE, p. 50. 72. FE, pp. 36-37. 73. FE, p. 35. 74. Se in questo contributo ho voluto evidenziare la discontinuità a livello teoretico tra il giovane Colli e la sua ilosoia dell’espressione matura, nel suo contributo (cfr. infra, pp. 120-136) Riccardo Cavalli ha voluto al contrario far emergere gli elementi di continuità, radicati tanto in profondità da non essere mai stati abbandonati dal ilosofo torinese. Sotto questo rispetto, il lettore può dunque considerare i nostri due contributi come complementari. 75. A conclusione del mio contributo desidero ringraziare Alessio Santoro e Luca Torrente per le loro preziose osservazioni. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una filologia della vita

La creazione artistica e la sua dimensione metaisica Maicol Cutrì

Apollineo e dionisiaco, si sa, è una raccolta postuma di frammenti e abbozzi per un libro di ilosoia mai concluso che Giorgio Colli scrisse tra il 1939 e il 19401. Si tratta del primo tentativo sistematico di passare da una critica ilosoica, incentrata sul pensiero greco ino a Platone, a una ilosoia critica, articolata in un sistema tripartito di gnoseologia, metaisica ed estetica. L’obiettivo di questo contributo è ricostruire il pensiero di Colli sull’ultima parte, l’estetica, collegando per temi e concetti comuni i frammenti contenuti nei fascicoli denominati G.I.2, G.I.4 e G.I.6 dal curatore del volume, Enrico Colli2, i quali, secondo alcuni piani di lavoro, costituiscono i materiali preparatori per la terza sezione del libro. I temi guida possono essere trovati in un piano di lavoro del 1940: «§3 [Estetica]. Sentimento attivo. Comprensione dell’opera d’arte. Musica»3. I concetti 1. Per i problemi ilologici di questo libro si legga la Nota del Curatore di Enrico Colli, in AD, pp. 11-21. 2. AD, pp. 138-146, 156-157, 158-186. La descrizione dei fascicoli si trova in AD, pp. 16-17. 3. AD, p. 225. Per una questione di spazio, e per il fatto che è poco presente negli appunti esaminati, il tema della musica non verrà qui trattato. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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comuni più importanti emergono invece nel piano successivo, probabilmente scritto dopo la stesura di G.I.6 perché ne riassume i frammenti4: «Si può parlare del noumeno in termini del fenomeno», «Continuità e ciclo dell’interiorità», «Comprensione della creazione umana e sovrumana in quanto nuova creazione». Da queste prime coordinate emerge già il punto essenziale, cioè la vicinanza e, anzi, la subordinazione dell’estetica alla metaisica, per cui senza una comprensione di concetti ilosoici come fenomeno e noumeno, umano e sovrumano, non è possibile un’adeguata comprensione dell’opera d’arte5; ma vale anche che senza l’incontro intimo con l’opera d’arte non è possibile spingere la ilosoia a comunicare quei concetti che si deiniscono metaisici. Questo intimo legame reciproco tra arte e ilosoia, che Colli ritrova con l’entusiasmo di questi anni giovanili negli scritti di Nietzsche e Schopenhauer, ma anche Burckhardt e Giordano Bruno, è il tratto caratteristico di Apollineo e dionisiaco6, ma era in realtà già presente nella tesi di laurea su Platone e i Presocratici del 1937-397, e soprattutto in un primo scritto inedito del dicembre 1936, intitolato Abbozzo di un sistema ilosoico8. Nei primi paragrai di quest’ultimo, si legge che l’attività dell’artista è, nel senso greco del termine, politica, cioè diretta alla comunicazione con altri uomini, così come quella del religioso e del ilosofo; ed è tale in quanto risultato di una lotta interiore con l’opposta tendenza all’«egoismo», alla solitudine. Il modello di Colli sono i ilosoi presocratici, da lui poi denominati “sovrumani”, caratterizzati da questa tensione tra stati d’animo opposti e, di conseguenza, dalla loro eccellenza nel campo artistico, religioso e ilosoico.

4. AD, p. 226 e nota 210. 5. Per una giusta comprensione di questi concetti, qui trattati solo implicitamente, si rimanda al contributo di Giulio Cavalli, supra, pp. 83-104. 6. Sulla presenza dei due ilosoi tedeschi in Apollineo e dionisiaco è intervenuto di recente M. roSSi, Apollineo e dionisiaco, in A. Tonelli (a cura di), Il giovane Colli. Atti del simposio in onore di Enrico Colli curatore delle opere postume di Giorgio Colli, Agorà & Co., Lugano 2014; disponibile online all’indirizzo (ultima consultazione: 17/10/2019). 7. Edita poi in due parti come PP e FS. 8. Si tratta di sei fogli manoscritti conservati ora alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano, Fondo Giorgio Colli, 06, fasc. 001/1. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

La creazione artistica e la sua dimensione metaisica

Questo modello è per Colli universale, e caratterizza, nella storia occidentale, il tipo più alto di artista e di uomo, cioè il rinascimentale e il romantico9. Un’eccellenza di tal genere è giustiicata ilosoicamente, poiché il «contrasto [psicologico] sussiste», scrive Colli10, «in quanto esistono due principi, due sostanze che formano il mondo, tra lor opposte, […] Amore e Odio[:] considerati astrattamente sono pure forme, spiritualità pura, attività, forza; considerati nella loro unione, ossia sostanzialmente, in questo mondo, sono entrambi materia». Amore e Odio, secondo una terminologia ripresa da Empedocle11, coi loro cicli di opposizione costituiscono il mondo, e gli individui che avvertono in loro questo contrasto, che quindi conoscono la vera essenza del mondo, sono i più eccellenti tra gli uomini. Si legga ancora: ammesso che Amore e Odio, resi astratti, coesistano, l’Amore non si sentirà assolutamente uno ed immobile perché con lui, benché separato, esiste l’Odio, e l’Odio anelerà a rompere l’unità dell’amore e a ridarsi concretezza. Dunque, se questa posizione sarà raggiunta, sarà una posizione instabile; dopo che l’Amore si è riposato e si è dissolto nell’unità assoluta per un attimo che è un’eternità ed un attimo insieme poiché è fuori dal tempo e dopo che l’Odio in quest’attimo è stato spogliato della sua concretezza ed ha annaspato nel vuoto, la lotta ed il contrasto riprenderanno e con essi ritorneranno il movimento, lo spazio, il tempo, il mutamento e la molteplicità. Ma mentre questa separazione mai si trova realizzata nel mondo isico, essa può venir raggiunta dallo spirito umano sia come conoscenza ilosoica, sia come intuizione artistica o religiosa, sia come risultato dell’operare etico12.

9. In un piano del 1940 per Ellenismo e oltre, Colli fa seguire la sezione sui presocratici proprio da quella sui «mistici», sugli «uomini del rinascimento» e sui «romantici» (AD, p. 224). 10. G. Colli, Abbozzo di un sistema ilosoico cit., f. 1r, par. 3. 11. Si legga, anche in riferimento al pensiero di Colli, F. monteveCChi, L’eterno movimento della physis. Alcune rilessioni su Empedocle di Agrigento, «La società degli individui», x (2007), n. 28, pp. 9-21, in particolare p. 19: «Philia e Neikos, per cammini diversi ma complementari, danno conto della relazione fra uno e molti, fra elementi e cose […]. Se a livello umano Philia e Neikos rappresentano i due sentimenti più comuni e complessi dell’uomo, ad altro livello essi mostrano l’unità polare, originaria, la stessa che attraversa la storia del pensiero ino, ad esempio, alla dialettica fra apollineo e dionisiaco proposta da Nietzsche per spiegare il fenomeno tragico e alla coincidentia oppositorum colliana di gioco e violenza che sottostà al mondo dell’espressione». 12. G. Colli, Abbozzo di un sistema ilosoico cit., f. 1r, par. 3. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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L’intuizione essenziale, momentanea e metaisica, è l’avvertimento (astrazione) di questo ciclo insito nella realtà stessa. La conoscenza, per Colli, parte proprio da questo primo movimento di astrazione, e tanto più si avvicina alla verità quanto più ritorna, o ricorda, questo movimento originario. Ma se, come scrive, «per conoscere in genere intendo formarsi la coscienza della distinzione e dell’opposizione dei due principi primordiali», è anche vero che «la conoscenza poi può essere frutto di elaborazione intellettuale o di intuizione sentimentale»13, a seconda del modo in cui lo spirito dell’uomo si rapporta al cosiddetto mondo esterno, o meglio isico14. Grazie a questo retroscena è possibile comprendere meglio alcuni frammenti di Apollineo e dionisiaco: La coscienza è il principio conoscitivo che considera il suo oggetto immediatamente tanto da confondersi con esso , però sempre attività individuale – altrimenti non sarebbe conoscenza. Dionisiaco collettivo incosciente e perciò Philía [“Amore”] e Neîkos [“Odio”] ad un tempo. La conoscenza – dovuta alla rappresentazione – che si congiunge all’essenza e chiude il ciclo15. Miracolo kat’exochén [“per eccellenza”] – passaggio dall’interiorità all’espressione – instabilità dell’essenza che vuole una forma e si cambia – dà origine al tempo, suprema forma della rappresentazione. Dioniso e Apollo. Niente d’astratto in questo processo – è l’arte, è la vita. Il segreto ultimo delle cose sta proprio in questo rapporto indeinibile – che è congiunto – e solo la ragione disgiunge. Le

13. Ibid. 14. Si leggano alcuni appunti inediti contemporanei all’Abbozzo di un sistema ilosoico: «Lo spirito non è nella natura, ma nell’uomo: è la parte più riposta dell’uomo, l’essenza sua più profonda. E l’uomo vi giunge per diverse vie, col pensiero, col sentimento, coll’intuizione, e lo chiama con diversi nomi; ma la sua luce è troppo forte per i suoi deboli occhi. Lo spirito è nell’uomo, ma questi lo scopre attraverso il mondo esterno; l’artista giunge ad esso contemplando una nube fuggente. […] [N]ell’ uomo spirito e movimento sono incatenati insieme per quanto irreducibili l’uno all’altro. È quindi vano sostenere un trionfo originario o inale di uno dei due principi; il movimento sempre è stato e sempre sarà, come lo spirito sempre nella inità affermerà la sua ininità» (Rilessioni varie, Fondo Giorgio Colli, 06, fasc. 001/2, f. 1v). 15. AD, pp. 143-144. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cose sono l’unione di interiorità ed espressione. La verità è l’intimità, ma la verità è creata dall’intelletto16.

Da questi passi, sembra che lo statuto dell’arte stia nel testimoniare direttamente alla conoscenza questo ciclo originario di manifestazione del mondo. Dato quindi che i principi che vengono distinti attraverso l’astrazione gnoseologica sono riconosciuti come sentimenti, saranno allora i sentimenti fondamentali a costituire l’essenza di quello che viene rappresentato con l’opera d’arte. Questo diventa chiaro se si legge con attenzione, pagine dopo, l’analisi fatta da Colli dei dipinti del pittore rinascimentale Antonio del Pollaiolo: L’essenziale è per lui di dipingere una pianura immensa che si prolunga nello sfondo all’ininito e continua nel cielo. Questa pianura è la verità ultima delle cose – perfettamente xynós [continua], con un colore indicibile che è quello dell’essenza. […] Guardata da vicino tutto l’individuale rivela questa pianura: iume, alberi, colline – ognuna di queste cose è un’entelécheia [individualità], ma fusa e collegata nel tutto, inscindibile da essa. […] Le igure umane poste in primo piano non valgono che a far vedere il distacco tra la verità e il fenomeno. Ercole e Nesso: Neîkos dominante e terribile nella igura di destra – sua bruttezza. Movimento spasmodico, doloroso in primo piano17.

Il valore del quadro, intitolato Ercole e Nesso, sta, secondo Colli, nella capacità del pittore di rappresentare visivamen16. AD, p. 141. Il punto di partenza per queste rilessioni è A. SChoPenhauer, Über die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde, cap. vii, par. 42, in Sämtliche Werke, vol. VII, a cura di A. Hübscher, Brockhaus, Wiesbaden 19723. Non è da escludersi anche una lettura critica di questo o simili passi di Benedetto Croce: «Ciò che è proprio dell’arte – ho sempre sostenuto – è l’intuizione pura, cioè immediata, che è la vera e propria intuizione κατ’ἐξοχήν. […] Quando si dice intuizione pura, si dice non solo intuizione libera dall’impero del concetto, ossia forma espressiva non asservita alla scienza, ma libera anche dal predicato esistenziale ossia libera da rilessione storica. Or bene, in un reale così intuito, – in quanto non è pensamento concettuale né percezione o affermazione storica, – che cosa rimane se non l’intuizione di un movimento di vita, di un palpito di vita del reale? Questo movimento di vita, che l’intuizione pura forma e contempla, è uno stato di sentimento, di aspirazione, di aborrimento, di desiderio, di volontà, o come altro variamente si voglia dire; perché tale e non altra è la realtà, perpetuo conato dell’essere, divenire. Perciò l’intuizione pura coincide con la contemplazione del sentimento» (B. CroCe, Intuizione, sentimento, liricità, «La Critica», v (1907), pp. 248-250, poi in id., Pagine sparse, vol. i, Laterza, Roma-Bari 19603, pp. 212-217). 17. AD, pp. 169-170. Simile l’analisi del Martirio di San Sebastiano dello stesso pittore (ibid.). www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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te il ciclo di separazione dei sentimenti fondamentali sopra descritto. Nell’analisi ricollega infatti concetti ilosoici agli aspetti formali del dipinto: la continuità (xynon) al iume che unisce la scena umana in primo piano con la scena naturale sullo sfondo; l’opposizione fondamentale allo scontro tra l’odio di Ercole (neikos) e l’amore di Nesso (philia), quindi il movimento di astrazione al movimento di questa scena; la tensione verso un superamento in direzione ideale del molteplice fenomenico alla igura femminile diafana e senza colore (Deianira) che rivolge lo sguardo fuori dallo scontro. Inoltre, ogni elemento del paesaggio – alberi, colline, rocce, nubi – è accomunato a tutti gli altri da una certa uniformità cromatica, ma in modo tale che si avverta, nella prospettiva, un’ambiguità di continuità e distacco tra il cielo e la terra, sempre più marcata quanto più profondo lo spazio. È come se questa gradazione dall’indeinito al deinito, da ciò che sta dietro a ciò che sta davanti agli occhi, rappresenti qualcosa di simbolico che non è interpretabile grazie al solo soggetto mitologico; anzi, elude, si potrebbe dire, il legame di causalità tra le forme del dipinto e la loro rappresentazione. Anche l’opera del Pollaiolo, come quella dei Presocratici, è in un certo senso politica, in quanto tende a divulgare agli altri uomini un’intuizione essenziale; e, in quanto opera d’arte pittorica, fa questo attraverso immagini mitologiche, cioè simboliche, nella misura in cui legano concetti ilosoici ai corrispettivi stati d’animo, espressi o deiniti in sentimenti, da cui questi nascono. L’osservatore può, di conseguenza, fare esperienza di qualcosa che non è riducibile all’insieme di dati fenomenici che percepisce come soggetto del dipinto18, e, se dedito all’interiorizzazione di questa esperienza, può accedere a un tipo di conoscenza eccellente, ovvero “noumenica”, poiché torna ad avvertire un contatto con l’essenza delle cose. Questa è, secondo Colli, la «quinta radice del principio di ragion suficiente», ovvero la creazione umana, in quanto «da un lato troviamo la cosa in sé dall’altra l’espressione, ma nella prima sta la necessità della seconda e vedendole accanto e staccate noi le colleghiamo, e con una ragione 18. Se ne deduce che i materiali impiegati dalle singole arti (come le parole in letteratura, le note in musica, i colori in pittura) sono solo mezzi che conducono a qualcosa d’altro. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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profonda, più profonda ancora di quella fenomenica della causalità», poiché «riguarda il rapporto tra interiorità ed espressione»19. Comincia così a delinearsi il modo in cui Colli forse avrebbe trattato, concluso il suo sistema di ilosoia, il tema della «comprensione dell’opera d’arte», grazie ai concetti di fenomeno/noumeno, interiorità/espressione, creazione/ comprensione. Occorre però, ora, spendere qualche parola in più sul modo in cui Colli usa il concetto di sentimento. La prima deinizione che si trova in Apollineo e dionisiaco è negativa: «non è rappresentazione né rilessione»20. Pagine dopo, si trova invece una spiegazione più precisa, che verrà ripresa in un appunto del 1966 della Ragione errabonda: Entrata così nel fenomeno, non c’è ragione che l’individualità si esteriorizzi del tutto, e manterrà ancora una parte di interiorità sia pure modiicata dalla coesistenza con la rappresentazione. Questo residuo di interiorità rimane pur sempre essenziale e lo chiamiamo sentimento21. Nella sfera soggettiva ciò che chiamiamo sentimento non è altro che un segmento di una serie espressiva soltanto temporale (quindi interiore) in prossimità di un punto di coincidenza. Il contatto [cioè l’intuizione essenziale] può essere incluso nel sentimento come sua origine22. 19. AD, pp. 150-151. Schopenhauer, attento a modi di conoscenza alternativi a quelli d’uso nella storia della ilosoia occidentale, situa la contemplazione e la creazione dell’arte al di fuori della sfera rappresentativa (che sottostà alla categoria principe della causalità), come si legge nella sua opera principale: «L’arte […] ha dappertutto il suo ine: strappa dalla corrente, che trascina le cose del mondo, l’oggetto della sua contemplazione, ponendolo isolato dinanzi a sé; quest’oggetto, che nel vortice della corrente non igurava se non come una particella evanescente, diviene agli occhi dell’arte il rappresentante del tutto, l’equivalente della molteplicità ininita nello spazio e nel tempo. […] Possiamo perciò deinire l’arte come la contemplazione delle cose, indipendente dal principio di ragion suficiente; contrapponendola così alla specie di conoscenza che segue tale principio, e costituisce la via dell’esperienza e della scienza» (A. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, vol. I, parte III, par. 36, in Sämtliche Werke, vol. II, a cura di A. Hübscher, Brockhaus, Wiesbaden 19723 [trad. it. Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di A. Vigliani, Mondadori, Milano 2007, pp. 272-273]). 20. AD, p. 167. 21. AD, p. 178. 22. RE, [248]. All’altezza del sistema compiuto di FE, Colli sembra sostituire il concetto di sentimento con quello di ricordo, nella funzione di mezzo perspicuo e complementare in supporto dell’argomentazione propriamente ilosoica, ovvero una testimonianza intima di cui tutti possono fare esperienza, della sfera che sta al di là della rappresentazione: «Contatto sarà qualcosa dove soggetto e oggetto non si distinguono, e più precisamente,

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Usando ancora una volta l’Abbozzo di un sistema ilosoico, se la separazione dei sentimenti fondamentali nell’indistinto “noumenico”23, da cui si avvia il ciclo della conoscenza del mondo, è «raggiunta dallo spirito umano», allora è nella propria interiorità che l’uomo avverte un legame diretto con un “prima” vitale, testimoniato da indici essenziali denominati, appunto, sentimenti. Questi possono essere ritrovati all’inizio o alla chiusura del ciclo, dove insomma la conoscenza (che è la formazione di un oggetto per un soggetto, per Colli) aderisce e si identiica con il reale; quindi sono o legati in una maniera inspiegabile razionalmente all’essenza-noumeno (cioè difettano di causalità) o tendenti a questa a partire dalla sfera delle manifestazioni-fenomeni (cioè hanno come causa le sensazioni). Si tratta della differenza tra sentimenti «attivi» e «passivi» che si trova in Apollineo e dionisiaco, ma che riprende quanto scritto già nelle Rilessioni varie del 1937: I sentimenti di gioia e di dolore sono molto complessi. C’è un dolore sordo, piccolo, meschino, il più simile al dolore isico, che è dato dalle contrarietà più comuni, che tiene piegati a terra ed è limitato. C’è un altro dolore che è come l’intuizione di un qualche cosa di grande e di invincibile che ci schianta; è un dolore che esce dalla limitatezza, e in questa espansione si unisce ad una gioia amara; è come una mano che afferra il cuore e lo stringe, lo fa sanguinare. Lo stesso si può dire della gioia; osservo che il dolore e la gioia meschina si esauriscono in se stessi, muoiono in se stessi; il dolore e la gioia nobile vogliono uscire da se stessi, vogliono la creazione, vogliono realizzare la loro intrinseca bellezza24. Il sentimento attivo o passivo. Nel primo caso si può parlare di arte e di creazione. La rappresentazione è deter-

ciò di cui un’espressione primitiva è espressione: in esso non vi è soggetto che determini né oggetto che sia determinato – ma la memoria testimonia il nesso tra il soggetto che rappresenta e ciò che era prima, come pure tra l’oggetto rappresentato e ciò che era prima» (FE, p. 39). Si legga anche RE, [250] e la conclusione di questo contributo. 23. Nel passo sopra riportato questo è chiamato «individualità», perché appunto non ancora diviso. 24. Rilessioni varie, Fondo Giorgio Colli, f. 2r. Per riprendere la terminologia precedente, si può dire che dolore e gioia siano sentimenti intermedi, originati, nella loro forma più pura (mai raggiungibile realmente perché astratta), il primo, dal passaggio da uno stato d’animo di amore assoluto a quello di odio, il secondo, da quello di odio a quello di amore. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

La creazione artistica e la sua dimensione metaisica

minata da esso. Negli uomini comuni il sentimento è invece passivo determinato dalla rappresentazione – l’aspetto noumenico dell’oggetto della rappresentazione. L’artista umano dalla cosa singola passa al sentimento che gli deriva e lo occupa tutto, glielo soffoca. Poi vuol vedere come oggetto questo sentimento e passa alla creazione – lo pone come rappresentazione. Nell’altro caso l’essere oggetto, la rappresentazione, prevale sempre – il sentimento accompagna soltanto e non si sente il bisogno di oggettivarlo25.

Questa distinzione, che Colli riprende da Spinoza26, da un lato spiega quel residuo di incoscienza che caratterizza la creazione artistica, da tradizione deinito ispirazione, e dall’altro dà la possibilità di formulare un giudizio di valore sulle opere d’arte, altrimenti uniformate a simboli dell’astrazione ilosoica di concetti. Fornisce inoltre la spiegazione del tema del «sentimento attivo» indicato nel piano del 1940, e dà le coordinate per la giusta comprensione del concetto di «comprensione della creazione umana e sovrumana in quanto nuova creazione». Facile qui individuare il debito di Colli verso gli scritti giovanili di Nietzsche sull’arte27: se ogni opera d’arte si costituisce di una componente “apollinea”, cioè la sua veste rappresentativa, e di una “dionisiaca”, cioè l’aspetto essenziale originario a cui rimanda grazie ai sentimenti in essa issati simbolicamente, allora essa è analoga, universalmente,

25. AD, p. 144. Si legga anche ibid.: «Tutti i sentimenti particolari sono essenziali e quindi eterni. Si svilupperanno quindi ancora nel tempo, dove vogliono esprimersi attraverso la rappresentazione». Anche in questo caso (si veda supra, nota 22), all’altezza di FE si assisterà a una simile spiegazione della creazione artistica, ma con l’uso del concetto di ricordo, invece che di sentimento: «[Con] rappresentazione artistica nascente […] intendo riferirmi alla rappresentazione del tutto interiore, onde prende l’avvio quella che è comunemente chiamata espressione artistica, appunto esteriore. […] [In tale] aggregazione contingente la sopravvivenza degli attimi – le espressioni prime sorgive – è più intensa, poiché così fresco è il loro ricordo che appena si distanzia da essi. La memoria dell’immediato è possente nella suddetta rappresentazione, ed è proprio la resistenza all’offuscamento del ricordo che prevale sul necessario» (FE, pp. 127-128). 26. FE, p. 211. Cfr. B. SPinoza, Ethica, parte III, proposizioni 57 e soprattutto 58 («Praeter Laetitiam et Cupiditatem, quae passiones sunt, alii Laetitiae et Cupiditatis affectus dantur, qui ad nos, quatenus agimus, referuntur»), con rispettive dimostrazioni, in Opera, a cura di C. Gebhardt, Winters, Heidelberg 1925, vol. II, pp. 186-187. 27. Per un’introduzione alla visione estetica giovanile di Nietzsche si rimanda al classico E. Fink, Nietzsches Philosophie, Kohlhammer, Stuttgart 1960 [trad. it. La ilosoia di Nietzsche, Marsilio, Padova 1963, in particolare pp. 22-30]. La questione è stata approfondita nel contributo di Rossella Attolini, supra, pp. 30-44. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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alla struttura del mondo, così come emerge o tramonta nel corso del ciclo fondamentale della conoscenza. Le categorie estetiche fondamentali possono essere allora delineate attraverso due serie oppositive, benché, lo si ripete, queste siano ideali, poiché si trova sempre un mescolamento irriducibile delle due nella vita, che può essere comunque deinito più verso l’uno o l’altro estremo: l’artista umano creerà un’opera più apollinea, poiché sente prevalentemente sentimenti passivi, mentre l’artista sovrumano creerà un’opera più dionisiaca, perché sente prevalentemente sentimenti attivi. Come nell’Abbozzo di un sistema ilosoico, lo studio della dimensione psicologica dell’uomo precede geneticamente quello della dimensione estetica, ma deve essere posto, come fondamento di entrambi, lo studio di una dimensione metaisica comune28. Ora, dato che per Colli l’intuizione essenziale è quella di un’essenza “dionisiaca”, che cioè non sottostà al principio di individuazione (è indistinta, instabile, e vuole perciò esprimersi), allora l’autentica e profonda comprensione dell’opera d’arte parte da un’intuizione essenziale dell’interiorità dell’artista, che è analoga a quella di un’essenza “dionisiaca”, poiché si rivela indistinta, instabile, e necessitata quindi ad esprimersi, uscendo così dalla sua sfera individuale. Questo signiica che tale comprensione, secondo quanto scritto nell’ultimo passo riportato, provocherà nello spirito dell’osservatore un sentimento attivo, simile ma non identico a quello dell’artista esaminato, che permette, prima, una conoscenza più autentica del mondo attraverso il punto di vista dell’altro (di cui si manifesta l’ethos), poi, la creazione di una nuova espressione che aiuti altri uomini a conoscere e ad agire in modo eccellente. In Apollineo e dionisiaco tutto questo risulta essere compito del ilologo, che, per attuare la propria «funzione politica ed educativa», deve giungere sì «a delle intuizioni creative con l’aiuto dell’opera d’arte», ma la sua creazione espressiva deve essere in deinitiva un’opera critica, cioè il risultato di «un esame comparativo delle interiorità e delle espressioni dell’opera data e del ilologo,

28. Così in AD, pp. 76-77, dove si parla dell’«allacciamento del metaisico» che sta dietro alla contrapposizione tra apollineo e dionisiaco, tra interiorità ed espressione. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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che devono essere su un piano superiore, perché ne derivi un vero potenziamento di conoscenza»29. Il punto chiave della rilessione estetica di Colli, in questi scritti, è dunque la funzione rievocativa dell’arte, perché, permettendo un incontro tra interiorità “simili”30, grazie al trait d’union costituito dal sentimento, conduce ai limiti del ciclo fondamentale della conoscenza e mostra così il «balzo» espressivo da cui scaturisce «tutto il mondo come rappresentazione»31. Se tale rievocazione è attiva, cioè comporta un incontro-dialogo sia con l’artista sia con gli interlocutori del critico, oltre che primariamente con sé stessi, non si dà però neanche in questo caso un’esperienza immediata che laceri il velo rappresentativo, quanto piuttosto un «analogon», una ricostruzione rappresentativa della cosa in sé, cioè una forma di conoscenza di tale esperienza immediata32: le arti dionisiache, che più delle altre, come si è

29. AD, pp. 185-186. In queste pagine si assiste alla teorizzazione di un metodo di confronto ilosoico già utilizzato da Colli per l’elaborazione della tesi di laurea. Cfr. FS, pp. 27-28: «È questo un metodo scientiico prettamente greco […]; esso non giunge a cogliere l’individualità nella sua immediatezza, ma arrivando ad uno stadio sia pure ancora generico, può vedere però il lato essenziale comune a più individualità». 30. Si legga AD, p. 150: «La conoscenza noumenica è l’unica del simile con il simile, quella fenomenica l’incontro dei contrari. […] Se il simile si unirà […] al suo simile – trionfo della Philía – ci sarà una coscienza in quanto movimento di due elementi e la cosa in sé nel superamento di ogni duplicità, in uno stato perfetto e senza scissione». In un intervento pubblico del 1978 sulle tecniche del “mnemodramma” (e si noti il carattere esplicitamente “rievocativo” di questa forma d’arte) di Alessandro Fersen, Colli dichiarava: «Questo qualche cosa che appartiene ad ognuno e che attraverso [questa] tecnica viene scoperto, non appartiene soltanto all’individuo, ma – secondo me – costituisce, se posso dire così, l’essenza del mondo. Ecco il punto. Penetrando in questa parte più intima di noi stessi attraverso queste esperienze, noi non soltanto ci spogliamo di tutte le sovrastrutture della vita quotidiana, di quello che noi crediamo reale e che scopriamo non essere più reale, nel senso che l’interesse che portiamo per le cose che ci stanno intorno viene in questo momento a cadere totalmente, e noi scopriamo questo “noi stessi”, come qualcosa che non ha nulla a che fare con quella che si manifesta quotidianamente come la nostra personalità limitata: ma questo “noi stessi” profondo, a un certo punto, non è neanche qualcosa d’individuale. Ed è in questo che consiste la comunicazione teatrale, io penso, cioè nell’identiicazione di questo “noi stessi” con l’essenza del mondo» (riportato in A. FerSen, La memoria in Giorgio Colli, in S. Barbera - G. Campioni (a cura di), Giorgio Colli. Incontro di studio, Franco Angeli, Milano 1983, p. 32). 31. AD, p. 178. 32. Come si legge in AD, p. 156, è solo l’avvertimento o, meglio, il ricordo dei momenti «paradisiaci», cioè di inizio del ciclo fondamentale della conoscenza, e di quelli «eroici», cioè di chiusura di tale ciclo, che può essere rappresentato nell’opera d’arte, non ciò che si situa nella dimensione metaisica che eccede questi momenti. Si avverte che questa terminologia è probabilmente debitrice di Schopenhauer, se non addirittura di Giordano Bruno (cfr. Eroici furori, II, 1). www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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già visto, permettono un ampliamento e approfondimento della conoscenza, «non sono altro se non simboli sensibili della verità», come si legge in Apollineo e dionisiaco, così come la ilosoia più autentica «non è altro che il servirsi di uno dei mezzi di espressione, la razionalità, per far capire ciò che già prima si è vissuto, non razionalmente e fenomenicamente, ma nella pura intimità»33. Il ilologo dunque, che media, da una posizione si direbbe più alta34, tra arte e ilosoia, ha il compito di riconoscere le opere d’arte come «simboli sensibili della verità» e, successivamente, di «far capire» con strumenti razionali il loro costituirsi. Si giunge, ancora una volta, al modello etico degli uomini eccellenti descritti nell’Abbozzo di un sistema ilosoico (con la loro tensione psicologica tra egoismo e politica), questa volta però deinito, in una prospettiva più universale, con i concetti chiave dell’estetica di Apollineo e dionisiaco: «si può parlare del noumeno in termini del fenomeno», «continuità e ciclo dell’interiorità», «comprensione della creazione umana e sovrumana in quanto nuova creazione». Il sistema estetico di Apollineo e dionisiaco, come si è detto, non venne mai concluso; ma le rilessioni elaborate negli abbozzi servirono a Colli per deinire il metodo con cui elaborare il suo primo libro compiuto, cioè gli Studi sulla ilosoia greca del 194835, in cui si affrontava con maggiore maturità 33. AD, p. 162. Simili le considerazioni, anche se afferenti a concetti ilosoici deiniti diversamente, che si trovano tra gli appunti del 1968: «Ogni elemento dell’espressione è un punto di rappresentabilità, che appunto può diventare oggetto di molteplici rappresentazioni, secondo il variare dei soggetti. La sfera dell’arte illustra il mondo come espressione [cioè il presupposto di quello come rappresentazione] l’arte stessa è un’espressione che si pone accanto a quella naturale. L’artista crea un oggetto, quadro, parole di una poesia eccetera: tali oggetti in sé sono espressioni, ma nel nesso della vita sono occasioni di rappresentazioni, di “rievocazioni” da parte degli spettatori » (RE, [326]). 34. Cfr. AD, p. 185: «Il ilosofo attraverso i concetti più universali […] potrà d’un tratto arrivare alla concretezza dell’essenza se contemporaneamente risalirà il ciclo […] su di una via morale ed artistica», e facendosi così ilologo, «con il vantaggio di giungere alla suprema interiorità dopo di aver frugato sin nei più lontani recessi ogni forma di espressione e di rappresentazione, ricco cioè di tutta la coscienza immediata e mediata del mondo». 35. Cfr. l’“Introduzione metodologica” nella riedizione del 1988 curata da Enrico Colli: «Si ha così una particolare prospettiva metodologica per l’indagine del passato, in cui decisiva è anzitutto l’afinità interiore suscitata da un’espressione lontana. […] Quanto abbiamo esposto introduce già alcuni postulati ilosoici, che si possa considerare la realtà in termini di interiorità e di espressione, che in genere i dati storici rivelino radici assolute delle cose, e che inine in questa coesistenza di elementi essenziali la comprensione www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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il problema del carattere storico dell’opera d’arte. Nei quaderni postumi scritti tra il 1955 e il 1977, pubblicati in La ragione errabonda, Colli tornerà con nuovi termini sugli stessi argomenti36, dando però all’arte un ruolo minore rispetto alla “grande ilosoia” teoretica che sarebbe culminata nel sistema ilosoico deinitivo, cioè Filosoia dell’espressione. Leggendo tra le righe di questa, si capisce però che, davanti allo “scacco della ragione” a cui tende, nella ferrea necessità del sistema, ogni forma della ilosoia occidentale, l’arte testimonia un tentativo non concettualizzato di «recuperare l’immediatezza»37, poiché, attraverso l’incontro sopra descritto tra due oggetti della conoscenza privilegiati che sono i soggetti (per usare la nuova terminologia di Colli)38, si presenta l’intuizione essenziale che «riporta indietro a un tempo passato, in cui il qualcosa non era ancora rappresentato, e da cui è stato preso per poter essere rappresentato»39. Sarà poi con Dopo Nietzsche, il libro con cui vengono chiusi i conti aperti con gli abbozzi di Apollineo e dionisiaco, che Colli torna a dare spazio alle rilessioni sull’estetica, ma in forma letteraria e suggestiva, e non attraverso l’argomentazione propriamente ilosoica, per cui i concetti che un tempo facevano capo al ciclo fondamentale della conoscenza vengono ora revisionati e forniscono in questo libro immagini e testimonianze alla nuova teoria dell’espressione40. Non potendo in questo caso esaminare le somiglianze e le differenze tra il Colli giovane e quello più maturo, si farà solo notare, in conclusione, che il carattere rievocativo dell’opera d’arte, centrale per Apollineo e dionisiaco, non sembra più basarsi, dopo Filosoia dell’espressione, su un concetto così storicamente connotato come quello di sentimento, dopotutto debitore della critica alla funzione delle idee in Platone e in Schopenhauer, ma piuttosto su quello di ricordo, come si può capire leggendo che «nell’ambito ilosoica si fondi sull’esplicazione di certe afinità qualitative particolarmente importanti per interpretare il complesso del reale» (PHK, pp. 18-19). 36. Si leggano, a titolo di esempio, le profonde considerazioni afidate a RE, [328]. 37. FE, p. 168. 38. Cfr. FE, pp. 6-7. 39. Ibid. 40. Cfr. DN, pp. 111-129. Il concetto fondamentale è, ancora una volta, che «il cammino rappresentativo seguìto dall’artista si muove verso una sfera di eccellenza, di adeguatezza alla fonte della vita» (p. 114).

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della nostra esperienza (ciò che accade al nostro soggetto empirico) noi ritroviamo nel contatto un elemento passivo e uno attivo» e che «attivo è l’aspetto da noi dedotto con il confronto del contatto e del suo ricordo in noi»41 (corsivo aggiunto), e non “sentito” intimamente. Non è un caso che gli artisti “eccellenti” che si trovano nella Ragione errabonda e in Dopo Nietzsche siano soprattutto poeti e scrittori (l’oggetto più proprio del ilologo)42, e tutti maestri del ricordo e nostalgici del passato perduto: Leopardi, Hölderlin, Ariosto, Cervantes, Stendhal43. Una posizione a parte merita, forse, Marcel Proust, letto da Colli nel 197144, la cui opera sembra rappresentare in modo eccellente quella formazione del soggetto dal “prima” indistinto della vita che viene, secondo Colli, testimoniata dall’arte sotto forma di simbolo della realtà. Così si legge infatti in un passo del Tempo ritrovato, che si è scelto come conclusione di questo contributo sulla creazione artistica e la sua dimensione metaisica: Se il ricordo, grazie all’oblio, non ha potuto contrarre nessun legame, gettare nessuna catena fra sé e l’istante presente, se è rimasto al suo posto, alla sua data, se ha mantenuto le sue distanze, il suo isolamento nella profondità di una valle o in cima ad una vetta, ci fa respirare di colpo un’aria nuova per la precisa ragione che è un’aria respirata in altri tempi, quell’aria più pura che i poeti hanno cerca41. RE, [250]. Per usare la terminologia di Adorno, calzante su questo punto, se il sentimento ha il carattere di «ipostasi» delle idee, allora il ricordo ha piuttosto quello di «ipotesi» della dimensione metaisica (cfr. T.W. adorno, Philosophische terminologie zur Enteilung, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1973 [trad. it. Terminologia ilosoica, a cura di A. Solmi, Einaudi, Torino 2007, pp. 475-482]). 42. Si legga, ad esempio, AD, pp. 35-37. 43. In Dopo Nietzsche si legge addirittura che, smascherata l’illusione della conoscenza, «si tenderebbe a un trionfo della morte, se la nostalgia del passato non fosse un dato metaisico, inestinguibile» (caratteristica, questa, che in Apollineo e dionisiaco era riservata al sentimento), e che, di conseguenza, «la vita profonda si attinge dal pozzo del passato, è più vivo ciò che è più remoto nel tempo» (DN, p. 63). Nella prima redazione di questo aforisma, si leggeva anche che «l’arte autentica va intesa come un estatico allontanamento dal presente», e vi si facevano i nomi degli artisti sopra riportati (nota a RE, [530], p. 640). 44. In un appunto del 15 ottobre 1971 è stato aggiunto a penna: «Marzo-agosto lettura di Proust I» (RE, [490]). È probabile che qui Colli intenda il primo tomo dell’edizione Pléiade della Recherche (M. ProuSt, À la recherche du temps perdu, voll. I-III, a cura di P. Clarac e A. Ferré, Gallimard, Paris 1954), poiché si tratta di quella conservata nella biblioteca di casa sua. Ringrazio Luca Torrente per aver gentilmente messo a disposizione l’inventario dei libri della biblioteca da lui compilato nel 2016. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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to invano di far regnare nel paradiso e che non potrebbe dare la sensazione profonda di rinnovamento che ci dà se non fosse già stata respirata, giacché i veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduti. […] In quel momento l’essere che ero stato era extratemporale, […] non viveva che nell’essenza delle cose, e non poteva coglierla nel presente dove, non entrando in gioco l’immaginazione, i sensi non potevano fornirgliela; lo stesso futuro verso cui si tende l’azione ce l’abbandona. Questo essere non era mai venuto a me, non si era mai manifestato che al di fuori dell’azione, del godimento immediato, ogni volta che il miracolo di un’analogia mi aveva fatto sfuggire al presente. Lui solo aveva il potere di farmi ritrovare i giorni passati, il tempo perduto, davanti a cui gli sforzi della mia memoria e della mia intelligenza erano sempre vani45.

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45. M. ProuSt, Le Temps retrouvé, in À la recherche du temps perdu cit., vol. III [trad. it. Alla ricerca del tempo perduto, vol. IV, a cura di G. Raboni, Mondadori, Milano 1993, pp. 547549]. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una filologia della vita

Dire il noumeno: la critica colliana al Wille e all’idea platonica di Schopenhauer Riccardo Cavalli

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Introduzione1 Nel giudizio del Colli di Apollineo e Dionisiaco2, Schopenhauer è tra i pochi, in età moderna, che abbia affrontato la ilosoia a viso aperto, ed abbia elaborato idee chiare e profonde sul mondo e sulla vita: i suoi meriti sono in particolare l’aver riconosciuto la validità dell’indagine kantiana ed averla inoltre superata, grazie alla scoperta della possibilità di intuire l’essenza di sé e del mondo nel proprio intimo (laddove Kant si era arrestato al noumeno come limite invalicabile)3. Pertanto è il sistema di Schopenhauer che Colli, già in questi appunti giovanili, accoglie come base per la propria elaborazione originale; tuttavia, come accade con Platone e Nietzsche, ciò non signiica per lui acritica ado-

1. In apertura di questo contributo, voglio ringraziare i compagni di viaggio del Centro Studi Giorgio Colli per il sostegno, l’amicizia, le discussioni e tutto ciò che abbiamo condiviso in questi anni. Un ringraziamento particolare a Giulio Cavalli, che con la sua infaticabile vis teoretica e dialettica, ed un consiglio bibliograico molto opportuno, ha certamente aiutato e migliorato la qualità del presente studio. 2. Il richiamo a Schopenhauer è trasversale in tutte le sezioni di questa raccolta; ci riferiremo però in particolare agli appunti preparatori delle pp. 147-198, dove l’analisi del pensiero schopenhaueriano è più puntuale e approfondita. 3. Cfr. AD, pp. 76, 187-188. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Dire il noumeno

razione, ma confronto serrato che conduce anche a prese di distanze e revisioni. I rilievi più articolati che vengono sviluppati in Apollineo e Dionisiaco riguardano il rapporto, nel sistema di Schopenhauer, tra la dottrina del Wille e quella dell’idea platonica: su questo punto Colli si impegna in una lettura attenta e puntigliosa del ilosofo tedesco, e ne valuta le teorie alla luce delle nuove prospettive di pensiero che egli stesso va guadagnando in questi anni. Vi è poi il tema della relazione tra volontà e conoscenza, che appare quasi incidentalmente nelle pagine di Apollineo e Dionisiaco, e al quale non vengono riservate trattazioni organiche, ma che tocca un nodo teoretico essenziale e degno di essere affrontato, seppur nel breve spazio qui concesso. Come si può intuire, l’indagine sulla validità, le ragioni e gli esiti delle critiche di Colli, e soprattutto sulle loro relazioni con lo sviluppo del suo pensiero autonomo, permette di rintracciare e approfondire alcuni temi fondamentali attorno a cui la rilessione colliana ritorna con insistenza, e in forme talora simili, talora anche mutate; oltre a ciò, una tale indagine fornisce squarci ermeneutici non banali e di grande penetrazione su alcune questioni nodali della speculazione di Schopenhauer. 1. Il Wille Colli condivide con Nietzsche la tendenza a ricondurre almeno parzialmente l’elaborazione del pensiero ad alcuni tratti del carattere: nel caso di Schopenhauer, la diagnosi “isiologica” è che la sua dottrina del Wille come «sofferenza essenziale»4 derivi da un’irritabilità, un livore, un pessimismo congeniti, che egli ha esteso unilateralmente al mondo nel suo complesso5. Da questo punto di vista il ilosofo tedesco, nonostante abbia avuto l’indubbio merito di riportare l’attenzione sui concetti di rappresentazione e sulla distinzione fenomeno-noumeno, appare a Colli una personalità meno compiuta e risolta rispetto alle grandi igure presocratiche (le quali emergono già in questa fase giovanile come gli unici veri modelli di integrità umana e sapienzia4. AD, p. 192. 5. Cfr. AD, pp. 76, 192. Ancora molti anni dopo Colli è convinto di questa interpretazione (cfr. DN, pp. 20-22, 64).

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le), e la sua intuizione essenziale ne risente, mancandole l’elevazione, la pienezza e la serenità che appartiene invece alle grandi visioni dei sapienti arcaici6. Questa è la prima osservazione che spinge Colli a denunciare la limitatezza del concetto schopenhaueriano di Wille. Tale limitatezza però viene approfondita ulteriormente da un diverso ordine di rilessioni, le quali chiamano in causa il sistema che Colli stesso viene delineando proprio a partire da Schopenhauer, ma con esiti in parte diversi dal maestro. Posto che entrambi i pensatori muovono dal concetto di volontà come essenza del mondo e dalla distinzione tra noumeno/cosa in sé e fenomeno/apparenza, per il giovane torinese la cosa in sé, in quanto uniicazione e superamento della relazione soggetto/oggetto, non è concepita come una stabile entità extrarappresentativa, ma si realizza in più momenti diversi, ad esempio ogni volta che, nell’interiorità umana, lo slancio individuale della volontà (Colli usa anche i termini «amore», «raggiungimento», «desiderio»7) trovi per un attimo il proprio compimento in un culmine del sentimento, in un’intensità di vita che annulla la dualità rappresentativa e giunge ad intuire l’essenza del mondo come coincidente con il proprio intimo. Colli deinisce «concreti» questi atti intuitivi proprio perché in essi il soggetto e l’oggetto non sono più scissi, ma inalmente fusi in un’unità superiore. Ne deriva che ognuna delle intuizioni essenziali è in sé perfetta, quindi unica, in quanto esaurisce il mondo nell’annullamento del soggetto e dell’oggetto; tuttavia sono possibili ininite intuizioni essenziali, perché ininita è la possibilità di variazione e gradazione dei «sentimenti» che le accompagnano e che ogni volta attingono, per così dire, un aspetto differente del mondo o, per usare le parole di Colli, esauriscono il mondo in modo sempre diverso8. Ne risulta che ogni intuizione essenziale riceve gli attributi apparentemente contraddittori di unicità e molteplicità, il che porta Colli ad usare per deinirla il termine «individualità». Tale termine assume in questa fase del pensiero colliano un rilievo decisivo, che getta luce anche sulla sua peculiare impostazione di partenza. Colli mostra 6. Cfr. AD, pp. 53, 60-61. 7. Cfr. per esempio AD, p. 151. 8. Cfr. AD, pp. 151-152, 158-161. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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infatti una spiccata tendenza a mettere in risalto la singolarità e l’eccezionalità dell’esperienza interiore immediata, e ciò lo porta, contro Schopenhauer, a giudicare il principium individuationis – si badi bene, nel senso di atto intuitivo che realizza la coincidenza di soggetto e oggetto, non nel senso del principio che genera la molteplicità fenomenica – come presupposto noumenico, proprio per l’impossibilità di rendere conto fenomenicamente dell’irriducibilità dei singoli momenti intuitivi; interpretare questi come manifestazioni di un principio generale astratto e quindi differenziarli solo in virtù delle loro relazioni reciproche, vorrebbe dire spogliarli della loro essenzialità, la quale invece più di tutto Colli vuole rivendicare, evidentemente sulla base di una convinzione profonda, derivante dall’intensità che egli riconosce a queste intuizioni essenziali nella propria esperienza interiore9. Sarà proprio in questo senso da intendere anche il conio del termine «vissutezza», calco del tedesco Erlebnis, a designare con precisione ed esclusività ancora maggiori l’intuizione vista nel suo attimo dionisiaco, cioè prima che abbia inizio il processo dell’oggettivazione, cioè dell’espressione10. Dal complesso intreccio di motivi qui sommariamente richiamati matura la prima netta presa di distanza da Schopenhauer: il Wille, inteso come unità riconoscibile nelle molteplici manifestazioni fenomeniche, è un concetto inadeguato a rendere la concretezza del singolo atto intuitivo, ovvero non tiene in debito conto il fatto che per esempio l’uomo può esperire in sé la coincidenza non soltanto con la volontà (come Schopenhauer per primo ha genialmente teorizzato11), ma anche con altre essenze, non meno concrete e totalizzanti nel momento in cui la nostra interiorità si identiica con esse, ed ognuna dotata di un proprio “tono”, o “sapore”, di cui sono possibili ininite variazioni. Tanto più, argomenta Colli, che è Schopenhauer stesso a 9. Cfr. AD, pp. 173-179. 10. Cfr. AD, pp. 111-114. 11. Cfr. a. SChoPenhauer, Über die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde, cap. 42, in Zürcher Ausgabe. Werke in zehn Bänden, Diogenes, München 1977, vol. V, dove la coincidenza del soggetto del volere e del soggetto conoscente vengono deiniti «nodo cosmico e perciò inspiegabile» e «miracolo κατ’ἐξοχήν» [trad. it. La quadruplice radice del principio di ragione suficiente, Milano, Rizzoli, 2009, p. 204]. Su questo passo dovremo tornare più avanti. Cfr. anche a. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, libro II, par. 18, in Zürcher Ausgabe cit., vol. I.

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prevedere la possibilità di almeno una seconda intuizione essenziale, o cosa in sé, oltre alla volontà: la noluntas12. I due punti deboli rilevati da Colli sono quindi sintetizzabili nell’unilateralità attribuita all’intuizione essenziale, sia dal punto di vista quantitativo (esigenza di riconoscere la pluralità irriducibile degli atti intuitivi), sia dal punto di vista qualitativo (esigenza di riconoscere l’unicità di natura di ciascun atto intuitivo). Ma secondo Colli Schopenhauer è cosciente di tali difetti, che sono anche incompatibili con la sua più profonda sensibilità, e quindi nel suo sistema esistono, oltre alla già ricordata dottrina della noluntas, elementi che, entrando in contraddizione con l’assolutezza del Wille, ridisegnano la visione complessiva in un senso più pluralistico, e quindi più vicino alla visione colliana. 3. L’idea platonica Il più importante di questi elementi devianti rispetto all’assolutizzazione del Wille è l’idea platonica, la cui introduzione da parte di Schopenhauer è stata sempre ritenuta problematica rispetto alla trama generale del mondo come volontà e rappresentazione13. Colli focalizza tale incoerenza notando lucidamente e con piena ragione che il ilosofo tedesco attribuisce all’idea platonica la determinazione di oggettità pura, conservandole quindi una natura ancora rappresentativa, ma nel contempo afferma che, nell’intuizione estetica di essa, il soggetto puro e l’oggetto puro del conoscere si fondono, diventando tutt’uno14. La contraddizione è evidente: Colli la spiega equiparando le idee platoniche alle proprie intuizioni essenziali, molteplici e nel con12. Cfr. AD, p. 161. 13. Uno dei migliori contributi sul tema è il volume a. SChoPenhauer, La dottrina dell’idea, a cura di E. Mirri, Armando Editore, Roma 1999: nel saggio iniziale il curatore, sulla base di una attenta ricostruzione ilologica, avanza una proposta ermeneutica molto persuasiva, di cui discuteremo più sotto. Cfr. anche per esempio G. vattimo, Introduzione, in a. SChoPenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Mondadori, Milano 1989, pp. xxiii, xxvi-xxvii; S. Giametta, Il mondo di Schopenhauer. Verità ed errori, in a. SChoPenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, vol. 1, Rizzoli, Milano 2002, pp. 57-64. Riprende l’esegesi di Mirri m. CaSuCCi, Idea and Concept in Schopenhauer. From the Early Manuscripts to The World as Will and Representation, in J. Head - D. Vanden Auweele (a cura di), Schopenhauer’s Fourfold Root, Routledge, New York 2017, pp. 135-136, dove è anche raccolta la bibliograia più recente sul tema. 14. Cfr. AD, pp. 193-196. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tempo assolute, ed affermando quindi che Schopenhauer le concepisce bensì come entità noumeniche, ma risulterebbe ambiguo e oscillante nelle sue formulazioni per l’intrinseca dificoltà che ogni ilosofo veramente dionisiaco incontra «quando vuol dire immediatamente ciò che ha vissuto», cioè tenta di rendere comprensibile agli altri una propria culminante vicenda interiore15. A questa prima dificoltà se ne aggiunge un’altra più sostanziale: sebbene il ilosofo tedesco avrebbe avuto bisogno di riservare un posto nel proprio sistema anche a queste ulteriori “cose in sé”, di valore teoretico esattamente pari a quello della volontà16, la scelta irreversibile della volontà come cosa in sé esclusiva ha relegato le altre ad un grado inferiore. E perché Schopenhauer è giunto all’opzione esclusiva a favore della volontà? Evidentemente, sostiene Colli, per aver lasciato prevalere il già menzionato tratto pessimistico e rancoroso del proprio carattere. Le ispirate pagine dedicate alla contemplazione mistica e consolatrice delle idee17, tuttavia, sono la prova più evidente che qualcosa di irrisolto permane, che l’essenza del mondo dev’essere anche pienezza, beatitudine, elevazione, tutte “vissutezze” che Schopenhauer ha esperito e non può rassegnarsi a svalutare. La dottrina delle idee è una prima emersione di tale tendenza fondamentale, che sarà poi sviluppata organicamente con l’approdo della noluntas; la quale, a ben vedere, rovescia l’impostazione iniziale del sistema come esso appare ne Il mondo come volontà e rappresentazione e pare di fatto sconfessare la teoria del Wille come ultima essenza della realtà. Colli arriva a questi penetranti risultati ermeneutici sulla base del suo personalissimo metodo ilologico, cioè sulla base di una sintonia con un’altra anima che lo spinge a ricercare, di quest’anima, i moventi più intimi e nascosti, velati ed insieme manifestati dalle espressioni esteriori; ma la sua interpretazione non è troppo dissimile da quella cui si può giungere svolgendo sui testi di Schopenhauer uno stu-

15. Cfr. AD, pp. 197-198. 16. «Dal momento che nella contemplazione dell’idea soggetto e oggetto coincidono viene meno del tutto la distinzione tra idea e volontà, ad entrambe cioè spetta in egual misura la dignità di princìpi supremi delle cose» (AD, p. 197). 17. Cfr. per esempio a. SChoPenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung cit., libro III, par. 34. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dio ilologico in senso tradizionale, cioè ricostruendo, sulla base dei manoscritti e della loro cronologia, il dipanarsi del pensiero del ilosofo tedesco e la genesi delle sue dottrine. Uno degli interpreti che con maggior cura e successo si è dedicato a questo compito è certamente Edoardo Mirri, che nel già citato saggio del 1999 Volontà e idea nel giovane Schopenhauer mostra, muovendo dall’analisi dei Frühe Manuskripten18, come l’identiicazione della suprema ed irriducibile cosa in sé col Wille sia un parto relativamente tardo nella costruzione del sistema schopenhaueriano, mentre l’idea platonica, nel senso poi accolto ne Il mondo come volontà e rappresentazione, è presentata e discussa diffusamente già dalle prime pagine dei testi giovanili. Qui Schopenhauer deinisce la distinzione fondamentale – che pertiene, si badi bene, alla prospettiva da cui si guarda, e non al mondo in sé – tra «migliore coscienza» e «coscienza empirica»: la prima attingibile proprio in quei momenti di contemplazione disinteressata che appartengono all’arte, oltre che alla meditazione ilosoica, alla compassione e all’ascetismo, e che coincidono con la visione o intuizione della cosa nella sua purezza, cioè dell’idea platonica; la seconda determinabile come lo stato ordinario della mente umana, vincolata dalle relazioni di spazio, tempo e causalità e perciò impossibilitata a cogliere l’eternità e l’assolutezza essenziali del mondo. Con l’avvento del concetto di volontà e l’esigenza di attribuirgli il primato noumenico, la distinzione si sposta su un piano metaisico, cioè quello della diade volontà-rappresentazione, dove il concetto di rappresentazione designa ciò che prima Schopenhauer chiamava coscienza empirica, però con la differenza sostanziale che ora viene istituito un legame inscindibile con una radice extrarappresentativa, ovvero il Wille appunto, e perciò le forme spaziali, temporali e causali diventano a rigor di logica insuperabili. Infatti l’atto intuitivo fondamentale (il miracolo kat’exochen19) riconosce una cosa in sé che trascende bensì la dimensione fenomenica, ma di essa contiene in nuce tutti i vincoli, l’insuficienza e sofferenza, non potendo quindi costituzionalmente dar 18. a. SChoPenhauer, Frühe Manuskripten (1804-1818), in Der handschriftliche Nachlass in fünf Bänden, a cura di A. Hübscher, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1985, vol. I. 19. Cfr. supra, nota 11. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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luogo ad un loro superamento. Solo nella contemplazione estetica e nell’arte, il cui oggetto è appunto l’idea platonica, Schopenhauer trova una prima via d’uscita dalla prigione che egli stesso pare essersi costruito. Ma se l’esegesi di Colli è convincente nel riportare al centro del discorso sulla cosa in sé schopenhaueriana il momento estetico in senso lato (come sensibilità o “vissutezza”), approfondendone ed estendendone il signiicato, non bisogna perdere di vista il fatto che l’approdo a tale esegesi è reso possibile da un’impostazione di base in parte deviante rispetto a Schopenhauer20. In un appunto abbastanza estemporaneo raccolto in Apollineo e dionisiaco ciò è espresso nella maniera più chiara e concisa: «La schopenhaueriana è l’unica teoria estetica profonda. Schopenhauer è un artista. L’oggettivismo estetico è però un errore, così come lo è il soggettivismo contingente crociano. La verità è un soggettivismo essenziale»21. Come si vede, Colli radicalizza il lato soggettivo dell’esperienza intuitiva, che egli concepisce come l’incontro tra due interiorità desideranti molto più che come tensione ad un’entità extrarappresentativa con cui il soggetto si fonde. In Apollineo e dionisiaco si leggono in questo senso formulazioni estreme, come quella secondo cui esiste una «coscienza noumenica»22, oppure la seguente: Ma mentre io provavo la gioia od il dolore, se non vi era in me alcuna rappresentazione che mi disturbasse, ero veramente a contatto con la cosa in sé; pure dei due sentimenti deve esistere una valutazione originaria, insita nella loro stessa essenza e conoscenza, ciò che io chiamo individualità, se io più tardi, entrato nella rappresentazione e pur servendomi dell’astrazione razionale, li ho chiamati, ricordandomi di essi, l’uno dolore e l’altro gioia. Ogni sentimento come cosa in sé è dunque originariamente valutazione, e valutazione individualissima […]23.

Per riferirci più speciicamente al nostro problema principale, secondo Colli anche lo schopenhaueriano oggetto 20. Lo stimolo a sviluppare questa osservazione è venuto da una rilessione costruttivamente critica di Edoardo Toffoletto, approfondita anche dal prof. Valerio Meattini, al termine del mio intervento al seminario da cui è tratto questo volume. 21. AD, pp. 214-215. 22. Cfr. AD, pp. 149-150. 23. AD, p. 177. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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dell’arte, cioè l’idea platonica, è un’interiorità spinta da desiderio e amore a ricercare altre interiorità, nell’unione con le quali essa potrà trascendersi generando o ricostituendo l’unità superiore che è la vera essenza del mondo. È lo stesso approccio ermeneutico che, pochi anni più tardi, verrà applicato all’idea platonica in Platone nelle pagine de La natura ama nascondersi dedicate al Fedone: Il mondo si presenta nella sua verità come un sistema di interiori centri di desideri, di individuate tendenza ad un congiungimento che deve rimanere inappagato, di brame disumanate che nell’essere mancanza e struggimento trovano la loro realtà dionisiaca solitaria e per sé, e che pure sanno, per la necessità della loro stessa natura che è privazione, esservi qualcosa di afine al di fuori, parimenti isolato e struggentesi nella sua ineliminabile individuazione, verso cui tendono eroticamente e da cui sono a loro volta desiderate in una struttura metaisica che non patisce mutamenti24.

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È un brano vertiginoso e profondamente evocativo, nel quale la visione del mondo colliana si mostra in tutto il suo vigore e pregnanza; tale visione, però, se applicata all’idea come concepita da Platone, rischia di obliterare quei caratteri di oggettività, immobilità e purezza che le pertengono essenzialmente, come appare in molti passi dei dialoghi25. Un’identica forzatura abbiamo visto traslata nel giudizio colliano sull’idea platonica di Schopenhauer. Ciò tuttavia, a mio parere, nulla toglie all’acutezza con cui Colli individua una sostanziale parità di intensità – e quindi un pari valore teoretico – nell’intuizione della volontà e in quella delle idee platoniche, scontata la diversità dei punti di partenza da cui tali intuizioni si producono: l’una muove dalla coscienza dell’oggetto immediato, cioè il corpo, quindi quasi da un’immersione negli abissi della nostra vita empirica; l’altra dall’abbandono della dimensione empirica, per approdare ad una contemplazione estatica e mistica. Ed è pur vero che, se in Schopenhauer, come in Platone, emerge una chiara tendenza ad oggettivare l’idea e presentarla come una visione pura dove permane il grado minimo di distinzione

24. PHK, p. 266. 25. Cfr. per esempio Fedro, 247b5-248c2; Simposio, 209e5-212a7; Repubblica, 508e1-5. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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tra soggetto e oggetto, la “ilologia sentimentale” di Colli individua a colpo sicuro l’ambiguità connaturata a tale tendenza e ha il merito di darne ragione in maniera coerente ed eficace. Non vale quindi accusare il ilosofo torinese di aver voluto leggere la dottrina schopenhaueriana sotto la lente deformante delle proprie teorie, o di non aver mantenuto un approccio suficientemente storico o ilologico in senso tradizionale: nel corpo a corpo tra ilosoi non si può che mettere alla prova il pensiero dell’altro sul metro del proprio, e viceversa, esponendosi reciprocamente a fraintendimenti e incomprensioni, ma molto di più aprendo squarci e prospettive inedite che probabilmente non si sarebbero raggiunti con letture troppo aderenti al dettato dell’autore. 4. Volontà e conoscenza L’idea della cosa in sé come vissutezza e della molteplicità essenziale delle immediatezze ritornerà, rielaborata e più attentamente fondata, nell’opus magnum della maturità di Colli, Filosoia dell’espressione. Ma c’è un’altra traccia, ancora evanescente nella fase giovanile, che nel corso degli anni acquisterà un’importanza centrale, ed anche questa deriva dal confronto critico col Wille schopenhaueriano: oltre alle obiezioni in qui menzionate, infatti, nelle pagine di Apollineo e dionisiaco si accenna anche ad una messa in discussione della volontà stessa come concetto inadeguato ad evocare l’essenza del mondo. In realtà, tale critica appare da subito incoerente, perché abbiamo già detto che la cosa in sé di Colli accoglie in ultima analisi gli stessi caratteri del Wille; in effetti su questo punto il ilosofo torinese non riuscirà mai del tutto a risolvere le contraddizioni interne al proprio sistema, le quali d’altra parte, come succede sempre con i grandi pensatori, sono il segno di un vigore speculativo che vuole abbracciare il mondo nella sua totalità, più che di una debolezza dei concetti fondamentali. Ma vediamo i termini speciici della questione. L’attenzione del giovane Colli si appunta su una pagina schopenhaueriana assolutamente centrale ne La quadruplice radice del principio di ragione suficiente, ovvero il paragrafo 43. Lo riportiamo qui preceduto dal paragrafo 42, che permette di contestualizzare più approfonditamente il quadro concettuale complessivo:

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[42] Il soggetto del conoscere non può mai, in base a quanto sopra detto, essere conosciuto, mai diventare oggetto, rappresentazione. Poiché tuttavia noi abbiamo non soltanto un’autoconoscenza esterna (nell’intuizione sensibile), ma anche un’autoconoscenza interna, e però ogni conoscenza, in conseguenza della sua natura, presuppone un conosciuto e un conoscente, il conosciuto in noi, in quanto tale, non è ciò che conosce ma ciò che vuole, il soggetto del volere, la volontà. Muovendo dalla conoscenza, si può dire che «Io conosco» è una proposizione analitica, invece «Io voglio» è una proposizione sintetica, e a posteriori, cioè data dall’esperienza, qui dall’esperienza intima (ossia solo nel tempo). In tanto anche il soggetto del volere sarebbe per noi un oggetto. Se noi guardiamo nella nostra interiorità, ci troviamo sempre come volenti. […] Ma l’identità del soggetto del volere con il soggetto conoscente, in virtù della quale (e necessariamente) la parola «Io» include e designa entrambi, è il nodo cosmico e perciò inspiegabile. […] Ma chi si rappresenta rettamente l’inspiegabilità di questa identità, la chiamerà con me il miracolo κατ’ἐξoχήν. [43] […] Per ogni risoluzione che percepiamo tanto negli altri quanto in noi stessi, ci sentiamo autorizzati a chiedere: perché? Cioè noi presupponiamo come necessario che essa sia stata preceduta da qualcosa da cui è conseguita e che noi chiamiamo la ragione o più esattamente il motivo dell’azione che adesso ne risulta. […] Perciò il motivo fa parte delle cause […]. Ma tutta la causalità è solo la forma del principio di ragione nella prima classe di oggetti, cioè nel mondo materiale dato nell’intuizione esterna. Lì essa è il legame delle modiicazioni tra loro, essendo la causa la condizione aggiunta di ogni processo. L’interno di tali processi rimane invece per noi lì un mistero: perché noi ne rimaniamo sempre fuori. Là noi vediamo bene che questa causa produce quell’effetto con necessità; ma come possa in realtà farlo, che cosa cioè si svolga all’interno, non veniamo a saperlo. […] Le cose non andrebbero meglio trattandosi della nostra comprensione dei movimenti e delle azioni degli animali e degli uomini, e noi vedremmo anche questi provocati in maniera inesplicabile dalle loro cause (motivi), se non ci fosse dato qui di penetrare all’interno del processo. Noi sappiamo cioè, in base a un’esperienza interna fatta con noi stessi, che quello è un atto di volontà che viene provocato dal motivo, il quale consiste in una mera rappresentazione. L’azione del motivo cioè viene da noi conosciuto non solamente, come quella di tutte le altre www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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cause, da fuori e quindi solo mediatamente, ma insieme da dentro, del tutto immediatamente e quindi in tutto il suo modo di agire. Qui noi stiamo per così dire dietro le quinte e apprendiamo il segreto: come per la sua intima essenza la causa produca l’effetto. Qui conosciamo infatti per tutt’altra via e quindi in tutt’altro modo. Ne scaturisce l’importante proposizione: la motivazione è la causalità vista dal di dentro. Questa ci si presenta perciò qui in tutt’altra maniera, in un mezzo tutto diverso, per un tutt’altro modo di conoscere. Perciò bisogna annoverarla come una forma speciale e caratteristica del nostro principio, che pertanto si presenta qui come principio di ragione suficiente dell’agire, principium rationis suficientis agendi, insomma legge della motivazione26.

Nell’edizione de La quadruplice radice conservata nella sua biblioteca personale, l’inizio del paragrafo 43 è annotato da Colli stesso con la frase: «La volontà è qui conoscenza»27. Alla quale fa eco, tra gli appunti raccolti in Apollineo e dionisiaco, la seguente osservazione: «La determinazione della cosa in sé come volontà è ingiustiicata sia perché ristretta sia perché considerata gnoseologicamente si risolve pur sempre in un fatto rappresentativo, nella forma del tempo, auto-coscienza»28. Il passo va contestualizzato nel tentativo complessivo, che abbiamo sopra delineato, di affermare la possibilità di ininite cose in sé, ognuna delle quali con un carattere singolare e individuale: in quest’ottica anche il Wille schopenhaueriano dev’essere connotato soggettivamente, in quanto segnala una valutazione del mondo connaturata all’atto intuitivo che si identiica con la cosa in sé. Quindi la riducibilità gnoseologica viene probabilmente interpretata da Colli in senso positivo, come condizione che permette appunto la connotazione soggettiva, individuale e concreta del Wille. Tuttavia, anche a fronte di queste riserve, il rilievo pare decisivo: se la volontà è riducibile ad un fatto rappresentativo, a livello teoretico essa non può costituire un principio essenziale. Sembra legittimo sostenere che anche la succinta annotazione a commento del passo de La

26. a. SChoPenhauer, Über die vierfache Wurzel cit., cap. 42 [trad. it. La quadruplice radice cit., pp. 203-206] 27. AD, p. 244, n. 118. 28. AD, p. 149. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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quadruplice radice muova dallo stesso ordine di rilessioni: il fatto che l’esperienza dell’autoconoscenza di sé come soggetto volente sia interna o intima non può toglierle la sua natura rappresentativa, dato che permangono la dualità soggetto-oggetto e la dimensione temporale. Per far coincidere soggetto conoscente e soggetto volente Schopenhauer ha bisogno di invocare un «nodo cosmico» o «miracolo», che tuttavia non annulla la presenza del tempo né il fatto fondamentale che il conoscere è comunque sempre già dato a priori, e l’impossibilità di superare la relazione soggetto-oggetto testimonia tale a-priorità29. Inoltre, se la volontà ha natura noumenica, essa non può essere sottomessa al principio di ragione suficiente, né l’atto di volontà (Willensakt) può essere inluenzato dal motivo (Motiv), che per stessa ammissione di Schopenhauer è una rappresentazione30. Nonostante sia evidente come questa precisa critica al Wille abbia una portata molto più dirompente delle altre, o forse proprio per questo, nelle pagine di Apollineo e dionisiaco essa non riceve grande elaborazione, e pare soltanto suggerita. A ben vedere, su questo punto Colli mostra di mantenere una fedeltà al maestro molto più tenace di quella riscontrata in precedenza: infatti la natura essenziale della cosa in sé resta per lui insuficienza ed impulso. Si leggano questi due brani: «Una concretezza, un’individuazione… insita nella cosa in sé spiega… il fenomeno come una ripercussione dell’instabilità della cosa in sé»31. «L’intimità più universale, che ha esaurito veramente l’essenza del mondo, vuole ancora qualcosa di superiore e si trasforma in questa aspirazione in qualcosa che non è più intimità, si esprime»32. Dunque a livello teoretico la volontà risulta un concetto non originario e risolvibile in termini di rappresentazione; nel contempo, però, permane l’esigenza di fondare la rappresentazione stessa su un elemento che sia fuori di essa, altrimenti non si potrebbe spiegare il suo generarsi. Colli è più rigoroso di Schopenhauer a questo proposito, perché elimina dalla propria intuizione essenziale la dimensione del senso interno o autocoscienza, cioè il tempo, affermando a

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29. 30. 31. 32.

Cfr. il par. 42 del brano citato da La quadruplice radice. Cfr. il par. 43 del brano citato da La quadruplice radice. AD, p. 161 [corsivo mio]. AD, p. 164 [corsivo mio].

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chiare lettere che l’atto intuitivo è l’annullamento della relazione soggetto/oggetto ed è quindi, senza ambiguità, extrarappresentativo; tuttavia il punto di partenza del manifestarsi è pur sempre rintracciato in un’insuficienza o instabilità di fondo connaturata alla stessa cosa in sé33. Quanto questa soluzione sia ardua da giustiicare razionalmente risulta abbastanza chiaro, soprattutto se si pensa che le si potrebbe rivolgere contro la medesima critica che Colli riserva alla non irriducibilità del Wille schopenhaueriano: infatti, se la cosa in sé è instabile e dinamica, non dovrebbe presupporsi al suo interno una relazione in ultima analisi di soggetto/oggetto34? Con questa osservazione si vuole additare non tanto un genere di contraddizione che è comune a tutti i grandi tentativi di pensiero, quanto una tensione interna che informa di sé la profonda essenza della speculazione colliana, da un lato tesa a recuperare una prospettiva gnoseologica e teoretica rigorosa, ponendo il problema della consistenza della ragione umana, dall’altro percorsa da una sensibilità rabdomantica per il «fremito della vita»35, mai pienamente risolvibile in termini rappresentativi. Tale tensione attraversa tutto lo sviluppo speculativo del Colli maturo, e si mostra con evidenza nelle pagine di Filo33. Un riferimento essenziale per questa concezione, oltre a Schopenhauer, è certamente Empedocle, che fornisce a Colli il quadro cosmologico e metaisico all’interno del quale situare il passaggio dall’individualità essenziale (interpretata come uniicazione suprema dei princìpi generatori) al molteplice isico. Cfr. soprattutto PHK, pp. 218-236. Questo punto è illuminato con grande chiarezza dal contributo di Maicol Cutrì al presente volume (cfr. supra, pp. 105-109). 34. In Apollineo e dionisiaco Colli tenta di risolvere tale contraddizione prospettando un «tipo particolare di trascendenza, che ha una physis issa e noumenica, volontà, ed un télos fenomenico» e affermando che «la natura della cosa in sé è quanto al suo télos sino ab initio di cessare dall’essere tale» (AD, p. 147); perciò anche le individualità noumeniche potranno generare un movimento di reciproca attrazione (simile a quello della Philìa empedoclea), che Colli chiama «coscienza noumenica» (AD, p. 150; cfr. supra, p. 127) e in virtù del quale «si possono considerare le cose in sé degli x che patiscono rapporti, mutamenti, ecc. senza essere toccate nel loro essere in sé, in quanto interno all’x. Così a proposito della conoscenza noumenica si parla dell’incontro di due individualità homoîoi, “simili”, α e α´ che si fondono in A: ognuno di questi tre elementi è cosa in sé e quindi perfettamente kath’autó, ma considerati nella rappresentazione, ossia nei loro rapporti, si può dire che α e α´ si attirano e formano un’individualità superiore A che pur essendo in sé indivisibile, considerata rappresentativamente contiene α e α´, ed ha un valore relativamente superiore» (AD, p. 150). Queste rilessioni non annullano la dificoltà di concepire la cosa in sé come volontà, ma rendono ragione della piena consapevolezza del problema da parte di Colli e del suo possente sforzo teoretico, che tenta di forzare i limiti del pensiero razionale e di suggerire una dimensione ulteriore. 35. FE, p. 117.

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soia dell’espressione36. Si legga ad esempio questo passo, nel quale il ilosofo torinese, dopo avere attaccato la centralità del soggetto nella ilosoia moderna e contemporanea, arriva alla conclusione estrema di negare addirittura la possibilità dell’azione, concetto strettamente connesso con quello di volontà: Quindi la conoscenza esiste, ma non ci sarebbe un portatore della conoscenza. Inoltre, se non c’è un portatore della conoscenza, come potrebbe esistere un portatore dell’azione? Senza portatore dell’azione d’altra parte non è concepibile neppure una volontà, e l’azione stessa, senza un suo portatore, è assurda. Chi agirebbe? Il concetto di azione risulta così ittizio, è un’abbreviazione, un’approssimazione, un tirar via sbrigativo che assume come unità (metaisica) ciò che in termini di conoscenza – cioè dei soli dati accettabili – si risolve in un’intricata serie di nessi tra rappresentazioni [corsivi miei]37.

Più avanti viene ripresa (in termini molto simili a quelli di Apollineo e dionisiaco), la critica al Wille schopenhaueriano: 134

Anche chiamare volontà l’immediatezza, come fa Schopenhauer, è pertinente come suggestione di fondo, ma inesatto nella formulazione, anzitutto perché la volontà è nel tempo e nello spazio, cioè appartiene alla rappresentazione, e poi perché della rappresentazione è un tipico prodotto derivato e fuorviante, un’illusione nell’illusione38.

Ma si confrontino i due brani precedenti con quest’altro, nel quale Colli mette in atto un primo tentativo di dire il noumeno, cioè di evocare o suggerire ciò che fonda e genera l’apparenza (in Filosoia dell’espressione vista nel duplice aspetto di rappresentazione ed espressione): D’altro canto alla natura dell’espressione inerisce un elemento di manchevolezza, di insuficienza, che si ripercuote

36. Ma vedine già l’elaborazione per esempio in RE, [207a]: «Bisogna stabilire il rapporto fondamentale tra azione (volontà) e conoscenza, pur escludendo la trattazione della prima. La preminenza va data alla conoscenza; sino alla costituzione dell’oggetto (rappresentazione oggettiva) opera solo la conoscenza. L’azione, per intervenire, deve presupporre la costituzione dell’oggetto. La volontà assume questo come motivo (ratio volendi) e si biforca a questo punto dalla conoscenza, che procede con i nessi di causa-effetto e ragione-conseguenza (la quarta radice è ingiustiicata e non sussiste)». L’appunto risale al 1966. 37. FE, p. 14 (“L’azione è una qualitas occulta”). 38. FE, p. 47. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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nella spinta all’oggettivazione, ossia nel carattere, opposto al precedente, dell’estensione. […] Questa insuficienza peraltro, mentre è insita nell’espressione, accenna ‘anche’ a un’insuficienza nel profondo. L’espressione è manchevole per natura, ma appunto perché la sua natura è di esprimere, essa esprime anche qualcosa che è in sé insuficiente. Nell’abisso dell’immediatezza c’è una resistenza, un ostacolo, una contrazione (parlando simbolicamente), e l’espressione porta con sé tutto questo. La mancanza che sta nel contatto è qualcosa di insuperabile: l’espressione ribadisce questa insuficienza proprio mentre il suo signiicato, nel manifestare quella resistenza, sarebbe di sfuggirle, di superarla. […] Se nel profondo qualcosa potesse cambiare, i contatti si confonderebbero in una totalità inestesa, extrarappresentativa. Invece una totalità estensiva è raggiunta solo se si abbandona l’immediatezza dei contatti, ed è quasi una riparazione per quell’abbandono39.

La convinzione incrollabile che la rappresentazione, nella sua radice, sia generata da molteplici «punti di immediatezza»40 che al loro interno celano un «impulso ostacolato»41 (i «contatti») è rimasta sostanzialmente immutata dagli anni giovanili durante i quali si è maturata. Non vale ad eliminarla il rilievo teoretico sull’improprietà del termine volontà per accennare a ciò che sta fuori dell’apparenza, anch’esso già presente in nuce negli scritti del giovane Colli, ma che in Filosoia dell’espressione acquista un tono più deciso, derivante da una fondazione teoretica più accurata: quest’ultima consiste di fatto nel superamento di quel «soggettivismo essenziale» alla base della dottrina della cosa in sé in Apollineo e dionisiaco, e conseguentemente nel ridimensionamento del concetto di individualità, il quale non pertiene più all’extrarappresentativo, ma al soggetto, che come si è appena detto viene sottoposto ad un vigoroso depotenziamento in dalla prima pagina di Filosoia dell’espressione42. Ciò che Colli 39. FE, pp. 47-48 (corsivo mio). Il concetto di “impulso ostacolato” è chiaramente formulato anche in RE, [36], [38], [40], appunti risalenti al 1960. 40. FE, pp. 24, 26. 41. FE, p. 72. 42. I concetti di soggetto, interiorità e individualità nel sistema ilosoico del giovane Colli, ed il loro rapporto con gli esiti di Filosoia dell’espressione, vengono investigati ed approfonditi (anche a partire dall’analisi di manoscritti inediti) da l. torrente, Interiorità ed espressione. Appunti ilosoici giovanili di Giorgio Colli, in Trame nascoste. Studi su Giorgio Colli, AkropolisLibri, Genova 2018, pp. 93-107. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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chiama contatto o immediatezza dovrebbe così risultare un «vuoto rappresentativo»43, di cui non si potrebbe conoscere né dire nulla, pena il suo “tradimento”. Tuttavia, le evidenze testuali di Filosoia dell’espressione alimentano il sospetto che in ultima analisi la convinzione di fondo di Apollineo e dionisiaco sia rimasta uguale: la critica al soggetto e all’individualità non elimina la molteplicità essenziale, che era uno dei cardini del pensiero giovanile (la risposta diretta alla genericità del Wille), e se ogni punto di contatto o immediatezza cela un impulso ostacolato, un’insuficienza, a ben vedere il soggettivismo rimane, legato a ilo doppio con la dinamicità insita nel fondo della vita. Colli quindi, certamente con piena consapevolezza, ricade in ultima analisi nelle stesse dificoltà che egli rintraccia in Schopenhauer: l’immediatezza come insuficienza essenziale è una forma di volontà, e quindi si può risolvere gnoseologicamente in conoscenza; pure, dal momento che questa immediatezza è stata sentita ed esperita con un’intuizione non razionalizzabile, non ci si può sottrarre all’urgenza di «dire, almeno nell’esatta direzione, quello che l’anima ha sentito»44.

43. FE, p. 41. 44. AD, p. 188. www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

Per una filologia della vita

Gli autori

Rossella Attolini. Dottoranda, Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i. Br. Giulio M. Cavalli. Università di Bologna Riccardo Cavalli. Docente di materie letterarie e latino, IISS “Paciolo-D’Annunzio”, Fidenza, PR Giulia Maria Chesi. Docente, Humboldt-Universität, Berlino Maicol Cutrì. Dottorando, Università Cattolica di Milano Alessio Santoro. Dottorando, University of Cambridge Edoardo Toffoletto. Dottorando, EHESS - Paris Luca Torrente. Dottorando, Université Paris IV-Sorbonne

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Quaderni Colliani 2

Indice dei nomi

Adorno, T.W., 118n Afrodite, 7 Agazzi, E., 38n Alceo, 8 Alcibiade, 22, 26, 27 Allison, H.E., 87n Anassimandro, 69 Apelt, O., 101n Apollo, 18, 34, 35, 37n, 38, 45, 46, 4850, 57, 62-64, 68, 80, 108 Archiloco, 74 Ariosto, L., 118 Aristofane, 31n, 39n Aristotele, IX, 6n, 31n, 43n, 69, 79, 84, 101n Asclepio / Esculapio, 22 (Esculapio), 26 (Asclepio) Attridge, G., 7n Barbera, S., 115n Barnes, J., 7n Barthes, R., 8 Bataille, G., 67 Baudrillard, J., 9n Beethoven, 43 Bergson, H., 89 Blumenberg, H. , 32n, 37n Bodei, R. , 32n

Böhme, J., 77 Bowman, L., 7 Bradley, F.H., 89 Bruno, G., 106, 115n Burckhardt, J., 45, 47, 51-56, 59-61, 6365, 67n, 106 Cacciari, M., 56n Callicle, 5 Campioni, G., 115n Canfora, L. , 31n, 39n Canguilhem, G., 2 Carchia, G., 101n Castells, M., 8n Casucci, M., 124n Cervantes, M. de, 118 Chamberlin, E.H., 58n Cimmino, L., 84n Clarac, P., 118n Clarke, M., 74n Colli, E., 12n, 105, 116n Conrad, J., 1 Critone, 22, 26 Croce, B., 109n De Poli, M. , 31n Deianira, 110 Democrito, 69

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Per una filologia della vita

Derrida, J., 8 Di Giuseppe, R., 68, 80 Diamantopoulou, L., 9n Dioniso, 9n, 31, 33-35, 36n, 37n, 38, 39n, 42n, 45, 46, 48-50, 57, 62-64, 68, 80, 108 Diotima, 21 Edipo, 4-7 Empedocle, 43, 69, 75, 93n, 107, 133n Engels, F. , 63, 64n, 65n Epimenide, 75 Eraclito, 69, 73, 74n, 79, 81 Ercole, 109, 110 Erdmann, B., 86n Eros, 21, 22 Eschilo, 31n, 39n, 42 Esposito, C., 85n Euripide, 31n, 39n, 42n

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Federigo di Urbino, 63 Ferecide, 75 Ferré, A., 118n Fersen, A., 115n Fichte, J.G., 87 Fink, E., 113n Flügel, O., 94n Frontisi-Ducroux, F., 9n Gadamer, H.-G., 91n Garin, E., 45, 51, 52 Gebhardt, C., 113n Gerolemou, M., 9n Giacobello, F. , 31n Giametta, S., 87n, 124n Goethe, J.W., 16n, 50, 51n, 61 Head, J. , 124n Hegel, G.W.F., 3, 84 Heidegger, M., 6 Heller, A., 6 Herbart, J.F., 94n Hölderlin, F., 118 Hübscher, A., 87n, 109n, 111n, 126n Isocrate, 46 Jacobi, F.H., 87 Jahn, T., 74n Kant, I., IX, XII, 83-90, 98, 103n, 120 Kehrbach, K., 94n Kepler, J., 16n Klein, R., 101n

La Rocca, C., 101n Lacan, J., 51n Lefebvre, D., 72n Leopardi, G., 27n, 118 Lloyd, G. E. R., 5 Malacrino, C., 31n Martinetti, P. , 38n, 40, 41n, 87n Marx, K., 63, 64n, 65n Masci, F., 64, 66n McLuhan, M., 8 Meattini, V., 127n Mirri, E., 124n, 126 Montevecchi, F., 20n, 23n, 84n, 101n, 107n Montinari, M., 11, 12 Most, G.W., 78n Nesso, 109, 110 Nietzsche, F.W., IX, XI, 7, 12, 16, 24-28, 30-35, 36n, 37-43, 45-49, 50n, 51, 54, 56, 58-61, 63n, 64-68, 70, 74, 75, 76n, 77, 78n, 84, 106, 107n, 113, 120, 121 Onians, R. B., 74n Onomacrito, 81 Parker, H. N., 7 Parmenide, 43, 69, 80, 95 Paulsen, F., 87n Pettoello, R., 94n Pico della Mirandola, G., 16n, 57, 77 Pindaro, 8, 73 Pitagora, 75 Platone, 2, 3, 10, 16, 21, 24, 26-29, 32n, 41, 43, 46, 72n, 80-82, 88, 105, 106, 117, 120, 128 Pollaiolo, A., 109 Pontani, F.M. , 42n Preve, C., 70 Proust, M., 118, 119n Raboni, G., 119n Riehl, A., 87n Rossi, M., 106n Rubens, P.P., 55 Sabbatucci, D., 75n Saffo, 7 Salomé, L.-A., 61 Sassi, M.M., 18n Schelling, F.W.J., 84 Schopenhauer, A., XII, 16, 27n, 33, 34, 36n, 38, 39n, 40, 41n, 48, 70, 71,

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Indice dei nomi

83, 84, 87-90, 95-98, 106, 109n, 111n, 115n, 117, 120-136 Simmel, G., 38n, 64 Simondon, G. , 50n Socrate, 2, 10, 12, 13, 16-29 Sofocle, 5n, 6n, 35, 42 Solmi, A., 118n Solone, 73n Spinoza, B., 77, 95, 113 Stendhal, 118 Stiegler, B., 49

Tor, S., 79n Trasimaco, 5 Trendelenburg, F.A., 101n

Talete, 43, 69, 81 Teognide, 73n, 74n Tonelli, A., 31n, 106n

Wetz, F.J. , 37n Wilamowitz-Moellendorff, U. , 7, 31 Wolff, C., 88

Ugolini, G. , 42 Vanden Auweele, D., 124n Vattimo, G., 124n Vernant, J.-P., 9n, 60, 70, 75n Vigliani, A., 111n Volpi, F., 76n

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